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AGGIORNAMENTI PREGRESSI mese di AGOSTO 2011

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aggiornamento al 29.08.2011

aggiornamento al 24.08.2011

aggiornamento al 16.08.2011

aggiornamento all'08.08.2011

aggiornamento all'01.08.2011

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

AGGIORNAMENTO AL 29.08.2011

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NOVITA' NEL SITO

Inserito nel sito il seguente nuovo DOSSIER: ● Edificio unifamiliare.

SINDACATI

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Manovra estiva: la posizione del CSA (CSA di Roma, nota agosto 2011).

DOTTRINA E CONTRIBUTI

SICUREZZA LAVORO: R. Allegrezza, La Responsabilità penale del RSPP (commento a Cass. Pen., Sez. 4, 27.01.2011, n. 2814) (link a http://olympus.uniurb.it).

QUESITI & PARERI

APPALTI SERVIZI: Sciopero del personale della ditta appaltatrice.
Domanda.
Nel caso in cui il personale della ditta appaltatrice del servizio di nettezza urbana scioperi a causa del mancato pagamento della quattordicesima, creando un grave disagio per il servizio, quali iniziative può assumere il Comune nei confronti della ditta appaltatrice per rivalersi del danno subito?
Risposta.
Nel caso di specie occorre porre l'attenzione sul comportamento tenuto dalla ditta appaltatrice del servizio di nettezza urbana, laddove non avendo provveduto al pagamento delle spettanze contrattuali del proprio personale ha provocato, indirettamente, uno sciopero e conseguenti danni alla collettività (rappresentata dall'Amministrazione Comunale).
Infatti, una volta indetto lo sciopero, si potrebbe discutere anche di eventuali responsabilità connesse con la mancata adozione di misure per limitare i danni da sciopero ma, sul punto, la Giurisprudenza non consente significative manovre di intervento (App. Milano, 09.02. 2004 e Trib. Milano, 09.03.2006).
Quindi, per poter richiedere il risarcimento del danno subito occorrerà dimostrare il nesso di causalità diretta fra il mancato pagamento della quattordicesima al personale (e la sua illegittimità) e i danni prodotti in conseguenza dell'inevitabile sciopero che ne è derivato (dimostrando anche che lo sciopero appariva come una conseguenza inevitabile di tale azione).
In base ai dati forniti riteniamo difficilmente percorribile questa strategia processuale.
Resta da valutare se sussistono invece condizioni contrattuali (Contratto di servizio) che possano consentire la definizione di un risarcimento del danno per i fatti indicati (25.08.2011 - tratto da www.ipsoa.it).

UTILITA'

EDILIZIA PRIVATARilasciata dal GSE la nuova guida per l’integrazione architettonica degli impianti fotovoltaici.
Il GSE ha rilasciato la prima revisione alla Guida per l’integrazione architettonica, con i criteri e le modalità di installazione di impianti fotovoltaici innovativi finalizzati all’integrazione architettonica.
La pubblicazione nasce al seguito di richieste di chiarimenti pervenute in merito al riconoscimento della tariffa privilegiata destinata alle applicazioni innovative (Titolo III del Decreto 05.05.2011) e accoglie il parere del Ministero dello Sviluppo.
La principale novità riguarda il brevetto europeo richiesto per il sistema di montaggio dei componenti speciali: infatti, sono ritenuti “…ammissibili anche i prodotti che, avendo in corso la procedura di richiesta di concessione del brevetto alla data di presentazione della domanda al GSE, abbiano già ottenuto dall'European Patent Office (EPO) il rapporto di ricerca (search report), unitamente all'opinione preliminare sulla brevettabilità del prodotto (preliminary opinion on patentability) con contenuto positivo”.
Da evidenziare che nel solo caso di realizzazione di superfici verticali esterne ventilate è ammesso che le funzioni di tenuta all’acqua (impermeabilizzazione), tenuta meccanica e resistenza termica possano essere garantite dall'insieme dei moduli e dell'involucro edilizio di cui fanno parte; la prima versione prevedeva che tali funzioni fossero svolte esclusivamente dai moduli.
Inoltre, per soluzioni su superfici verticali e per facciate ventilate si può derogare dal possesso del brevetto europeo sul sistema di montaggio, ma la soluzione deve possedere i seguenti requisiti:
interessare una superficie omogenea della facciata, opportunamente raccordata a eventuali parti della stessa non ricoperte da moduli fotovoltaici, nel caso di rivestimento di una superficie verticale opaca;
interessare l’intera parete dell'involucro edilizio (anche se non attraverso l’utilizzo esclusivo di moduli fotovoltaici), nel caso di facciata ventilata (25.08.2011 - link a www.acca.it).

EDILIZIA PRIVATARistrutturazioni edilizie: la guida per procedere in maniera corretta con le detrazioni fiscali.
La Finanziaria 2010 ha prorogato fino al 31.12.2012 il termine per fruire della detrazione del 36% delle spese sostenute per i lavori di recupero del patrimonio edilizio.
Nelle opere di riqualificazione edilizia, inoltre, è possibile usufruire di una serie di agevolazioni, quali:
● aliquota Iva agevolata del 10%, per le prestazioni di servizi e le forniture di beni relative agli interventi di recupero degli immobili a prevalente destinazione abitativa privata;
● detrazione Irpef del 19% sugli interessi passivi pagati per mutui stipulati per la costruzione (e la ristrutturazione) dell’abitazione principale;
● aliquota Iva al 4% sui beni finiti acquistati per la costruzione di abitazioni non di lusso (a prescindere che siano prima casa o meno) ed edifici assimilati.
Il Decreto Sviluppo (D.L. n. 70 del 13.05.2011, convertito dalla Legge n. 106 del 12.07.2011) ha abolito due importanti adempimenti precedentemente richiesti:
● l’invio della comunicazione di inizio lavori al Centro operativo di Pescara;
● l’indicazione del costo della manodopera, in maniera distinta, nella fattura emessa dall’impresa che esegue i lavori.
L’Agenzia delle Entrate ha recentemente pubblicato una guida in cui sono contenute in dettaglio le istruzioni operative per poter utilizzare al meglio le principali agevolazioni fiscali previste per gli interventi di recupero edilizio ed una serie di esempi pratici (25.08.2011 - link a www.acca.it).

NOTE, CIRCOLARI E COMUNICATI

EDILIZIA PRIVATA: Oggetto: certificazione energetica degli edifici - modifiche relative al modello di attestato e alla sua validità.
Agli Uffici tecnici dei Comuni della Lombardia.
Si comunica che, per effetto di quanto previsto dalla lettera f), comma 1, art. 17 della Legge Regionale 21.02.2011, n. 3, a partire dall'01.09.2011 l'Attestato di Certificazione Energetica acquisterà efficacia con l'inserimento nel catasto energetico regionale del file di interscambio dati, senza che sia più necessario il timbro per accettazione da parte del Comune, previsto al punto 12.6 della dgr 8745 del 22.12.2008.
In attuazione di quanto sopra, con delibera N° IX/1811 la Giunta regionale ha approvato il nuovo modello di attestato di certificazione energetica, che verrà applicato dall'01.09.2011.
L’estrazione dell’ACE dal catasto energetico in cui sia stato inserito il cui file di interscambio dati prima dell'01.09.2011 non avrà nessun valore giuridico; pertanto, nel caso sia necessario, al fine di ottemperare agli obblighi di legge, acquisire un ACE inserito prima di tale data, occorrerà fare una copia conforme dell’originale a suo tempo redatto dal Certificatore e timbrato per accettazione dal Comune territorialmente competente.
Per gli edifici che rientrano nella fattispecie di cui al punto 5 del Decreto n. 14006 del 15.12.2009, i soggetti certificatori che intenderanno continuare ad avvalersi della procedura di calcolo di cui al Decreto n. 15833 del 13.12.2007, produrranno l’ACE conforme al modello di cui all’allegato C alla DGR VIII/5773. L’idoneità dell’ACE, per questa fattispecie, dovrà essere comprovata dalla ricevuta dell’avvenuto inserimento del file di interscambio dati nel catasto energetico, comprovante il versamento del contributo previsto dalla DGR VIII/5018 e s.m.i.
Si chiede cortesemente di estendere la presente comunicazione a tutto il personale interessato di codesto Comune.
Cordiali saluti.
Dr. Mauro Fabrizio Fasano
Dirigente U.O. Energia e Reti Tecnologiche - D.G. Ambiente Energia e Reti
Palazzo Lombardia - 6° piano - Stanza nr. 20 - Nucleo 4 - Colore Azzurro
P.zza Città di Lombardia, 1 - 20124 Milano
tel. 02.6765.8690 - fax 02.6765.4468 (nota e-mail 25.08.2011).
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Semplificazione della procedura di certificazione energetica degli edifici e nuovo modello di attestato.
A partire dall'01.09.2011 l'Attestato di Certificazione Energetica (ACE) acquista efficacia con l'inserimento nel catasto energetico regionale del file di interscambio dati (estensione file: .XML e, quando previsto, .cnd), sulla base della Legge Regionale 3/2011 art. 17, comma 1.
In attuazione di quanto sopra, con delibera 1811/2011 la Giunta regionale ha approvato il nuovo modello di Attestato di Certificazione Energetica, che verrà applicato dall'01.09.2011.
Nel caso in cui un file di interscambio relativo a un ACE venga inserito nel catasto regionale prima dell'01.09.2011, esso non avrà alcun valore giuridico. Pertanto, se fosse necessario acquisire un ACE prima di tale data per ottemperare agli obblighi di legge, occorrerà fare una copia conforme dell’originale redatto dal Certificatore e timbrato per accettazione dal Comune territorialmente competente.
A partire dall'01.09.2011 i Comuni non potranno più rilasciare originali di ACE e, per quanto riguarda le pratiche già inserite nel catasto energetico regionale, non sarà più consentita l’eliminazione di pratiche chiuse, ma solo la loro sostituzione con pratiche nuove.
Per gli edifici che rientrano nella fattispecie di cui al punto 5 del Decreto n. 14006 del 15.12.2009, i soggetti certificatori che intenderanno continuare ad avvalersi della procedura di calcolo di cui al Decreto n. 15833 del 13.12.2007, produrranno l’ACE conforme al modello di cui all’allegato C alla DGR VIII/5773. In questo caso l’idoneità dell’ACE dovrà essere comprovata dalla ricevuta dell’avvenuto inserimento del file di interscambio dati nel catasto energetico, comprovante il versamento del contributo previsto dalla DGR VIII/5018 e s.m.i.
Al fine di apportare le modifiche necessarie si avvisa che, dalle ore 15.30 del giorno 31.08.2011 alle ore 8.30 del 01.09.2011, tutti i servizi relativi alla sezione "Catasto" del sito web www.cened.it, compresa la registrazione di ACE, saranno sospesi (link a www.regione.lombardia.it).

CORTE DEI CONTI

ENTI LOCALISponsor, enti più liberi.
Il divieto sulla contribuzione a qualsiasi forma di sponsorizzazione da parte degli enti locali, imposto dalla manovra correttiva del 2010, deve intendersi rivolto a quelle spese che intendono sostenere eventi che non siano diretta espressione dei compiti istituzionali dello stesso ente. Infatti, ammettere che il divieto posto possa estendersi a qualunque forma di contribuzione concessa dall'amministrazione locale, significherebbe un'esplicita violazione, da parte del legislatore nazionale, dell'autonomia costituzionalmente riconosciuta agli enti locali.

È quanto ha messo nero su bianco la sezione regionale di controllo della Corte dei conti Liguria, nel testo del parere n. 28/2011, con cui è stata fatta chiarezza sulla portata della disposizione contenuta all'articolo 6, comma 9 del dl n. 78/2010, ove si sancisce che, dal 2011, le amministrazioni pubbliche non possono effettuare spese per sponsorizzazioni.
Sul punto, il comune di Ospedaletti richiedeva un parere alla Corte per sapere se fosse legittima la concessione di un contributo alle associazioni sportive locali per lo svolgimento delle attività sia ordinarie che straordinarie.
Secondo il collegio della magistratura contabile ligure, la ratio imposta dal legislatore è quella di limitare, nell'ottica di un generale contenimento della spesa pubblica, tutte quelle spese (ovvero le contribuzioni) che l'ente sostiene per eventi che non siano diretta espressione dei suoi compiti istituzionali.
Sotto questo profilo, pertanto, sono ammesse le contribuzioni a soggetti terzi relative ad iniziative culturali, sportive ed artistiche che mirano a realizzare gli interessi della collettività amministrata, ovvero le finalità istituzionali demandate all'ente locale. È pacifico, ha ammesso la Corte, che tali iniziative, incardinate nel principio di sussidiarietà orizzontale, rappresentano una «modalità alternativa della realizzazione del fine pubblico, rispetto alla scelta dell'amministrazione di erogare direttamente un servizio di utilità per la collettività».
Se si volesse intendere la disposizione del citato articolo 6 come un divieto generalizzato a tutte le forme di contribuzione concesse dall'ente locale, ci si troverebbe di fronte ad una palese violazione, da parte del legislatore nazionale, dell'autonomia costituzionalmente riconosciuta agli enti locali nell'esplicazione delle proprie funzioni fondamentali.
Quindi la norma mira a realizzare il taglio dei costi amministrativi senza incidere sulle funzioni e sui compiti degli enti locali (articolo ItaliaOggi del 26.08.2011).

SEGRETARI COMUNALI: Doppio taglio agli stipendi dei direttori generali.  Lo dicono la corte conti della Lombardia e della Toscana.
Doppio taglio agli stipendi dei direttori generali. Secondo la Corte dei conti, infatti, si applicano contemporaneamente l'articolo 6, comma 3, e l'articolo 9, comma 2, del dl 78/2010, convertito in legge 122/2010.
Lo hanno stabilito le sezioni per la Lombardia, col parere 27.05.2011 n. 315, e per la Toscana, col parere 03.05.2011 n. 67.
L'articolo 6, comma 3, della manovra estiva 2010 stabilisce che dispone che, a decorrere dall'01.01.2011, le indennità, i compensi, i gettoni, le retribuzioni o le altre utilità comunque denominate corrisposti dalle pubbliche amministrazioni ai componenti di organi di indirizzo, direzione e controllo, consigli di amministrazione e organi collegiali comunque denominati ed ai titolari di incarichi di qualsiasi tipo sono automaticamente ridotte del 10% rispetto agli importi risultanti alla data del 30.04.2010.
Dunque, secondo la magistratura contabile, poiché la norma si riferisce ai titolari di incarichi di qualsiasi tipo, per garantire che sia colta la sua finalità e, cioè, un risparmio per le casse pubbliche, si deve necessariamente ricondurre l'assegnazione delle funzioni di direttore generale alla tipologia appunto di incarichi. Ne discende l'irrimediabile taglio del 10% al compenso.
Non finisce qui, però. Poiché i direttori generali, sia che si tratti di segretari comunali cui sia stata conferita la specifica funzione, sia che si tratti di soggetti esterni assunti ai sensi dell'articolo 108 del dlgs 267/2000, sono dipendenti pubblici assimilabili alla dirigenza, nei loro confronti scatta anche la disposizione dell'articolo 9, comma 2, della manovra 2010. Per effetto della quale la parte di trattamento economico superiore ai 90.000 euro viene decurtata del 5%; la parte che supera i 150.000 euro, del 105.
Sul punto, tuttavia, tra la sezione Toscana e quella Lombardia pare rinvenirsi una divergenza. Infatti, la magistratura contabile della toscana intende riferire la piena applicazione dell'articolo 6, comma 3, della manovra solo ai segretari comunali incaricati anche come direttori. La sezione afferma che «la figura del direttore generale, qualora incaricato ai sensi dell'art. 108 Tuel, soggiace invece al disposto di cui all'art. 9, comma 2 del citato dl 78/2010 convertito nella legge 122/2010». Dunque, per il direttore generale «esterno» opererebbe solo il taglio specifico previsto per la dirigenza.
A parte l'ormai consueta diversificazione di vedute tra sezioni, in ogni caso le valutazioni espresse sul merito da parte della magistratura contabile non appaiono condivisibili. I pareri della sezione Lombardia e Toscana sembrano eccessivamente preoccupati dalla necessità di dare effettività ai risparmi previsti dalla legge, così finendo abbastanza chiaramente per andare oltre gli stessi intenti del legislatore. L'applicazione ai direttori generali dell'articolo 6, comma 3, è da escludere recisamente per almeno due ragioni.
In primo luogo, l'articolo 6, comma 3, va letto per intero. Il suo ultimo periodo dispone: «La riduzione non si applica al trattamento retributivo di servizio». Il legislatore, dunque, in modo forse sintetico, afferma comunque abbastanza chiaramente che la riduzione secca del 10% non opera nei confronti degli emolumenti connessi ai trattamenti economici del personale dipendente, che con gli enti conducano un rapporto di lavoro subordinato. In effetti, oggetto dell'articolo 6, comma 3, sono i compensi per incarichi di tutt'altro tipo, i cui redditi non sono la remunerazione di lavoro dipendente: presidenti e amministratori di società, componenti di organismi di controllo e similari.
Per i lavoratori dipendenti si applicano le disposizioni fissate dall'articolo 9 della manovra 2010, il quale contiene la norma speciale per la dirigenza esplicitata al comma 2.
Di conseguenza, e questa è la seconda motivazione, ai lavoratori dipendenti non può che essere applicata la regola precipuamente riservata loro. E questo vale non solo per il direttore generale esterno, come afferma la Corte dei conti della Toscana, ma anche per il segretario cui sia stata conferita la funzione di direttore generale. Infatti, tale incarico è connesso inscindibilmente al rapporto di lavoro condotto con l'ente e, per altro, è espressamente regolato (anche se non quantificato) dalla contrattazione nazionale collettiva dell'area dei segretari. Pertanto, l'eventuale indennità rappresenta comunque una prestazione stipendiale legata al «trattamento retributivo di servizio».
Per quanto le interpretazioni della magistratura contabile abbiano messo in allarme gli uffici, i quali si sono allertati per operare entrambe le decurtazioni, non può che prendersi atto dell'eccessiva rigidità dei pareri e della loro incompatibilità con i veri intenti della manovra, confermati dalla lettura sistematica degli articoli 6 e 9 della legge 122/2010, dalla quale deriva senza alcun dubbio l'inapplicabilità del taglio di cui al comma 3 dell'articolo 6 ai direttori generali (articolo ItaliaOggi del 27.08.2011 - tratto da www.ecostampa.it).

NEWS

PUBBLICO IMPIEGO: Dirigenti a contratto non per tutti. Incarichi solo nei comuni virtuosi. E nel limite del 18%.  Il dlgs 141, correttivo della riforma Brunetta, subordina le assunzioni all'efficienza gestionale.
Incarichi dirigenziali a contratto solo per gli enti locali virtuosi. La stesura definitiva del dlgs 141/2011 che modifica in parte la riforma Brunetta, per quanto concerne la questione delle percentuali dei dirigenti extra ruolo che possono essere assunti dalle amministrazioni locali contiene una sorpresa imprevista per Anci e Upi, che auspicavano la più ampia estensione possibile del ricorso a dirigenti a contratto.
All'articolo 19 del dlgs 165/2001 è stato aggiunto un comma 4-bis, ai sensi del quale «per gli enti locali, che risultano collocati nella classe di virtuosità di cui all'articolo 20, comma 3, del decreto legge 06.07.2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15.07.2011, n. 111, come individuati con il decreto di cui al comma 2 del medesimo articolo, il numero complessivo degli incarichi a contratto nella dotazione organica dirigenziale, conferibili ai sensi dell'articolo 110, comma 1, del Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18.08.2000, n. 267, non può in ogni caso superare la percentuale del diciotto per cento della dotazione organica della qualific
a dirigenziale a tempo indeterminato. Si applica quanto previsto dal comma 6-bis».
Dunque, per gli enti non virtuosi niente dirigenti a contratto. Ma, pare necessario concludere, dalla lettura del comma 4-bis visto prima, che nelle more della definizione delle classi di virtuosità e della verifica concreta della collocazione di ciascun ente locale in ogni specifica classe, la possibilità di assumere dirigenti a tempo determinato risulti congelata.
Si tratta, ovviamente, di un pregiudizio all'autonomia locale, ma coerente con l'impostazione del dlgs 141/2011 che intende evidentemente connettere la possibilità di assumere dirigenti a contratto all'efficienza della gestione.
Per gli enti locali, dunque, resta solo la consolazione della norma transitoria contenuta nell'articolo 6, comma 2, del dlgs 141/2011, che fino alla data di emanazione dei decreti posti a individuare gli enti virtuosi fa salvi «i contratti stipulati in base a previsioni legislative, statutarie e regolamentari», purché però «nel rispetto delle limitazioni finanziarie sulla spesa del personale e sull'utilizzo dei contratti di lavoro a tempo determinato», anche se abbiano superato i contingenti di cui all'articolo 19, comma 6, del dlgs 165/2001 (cioè l'8% della dotazione della dirigenza), e fossero in essere alla data del 09.03.2011. Tali contratti possono essere mantenuti fino alla loro scadenza, «fermo restando la valutabilità della conformità dei contratti stessi e degli incarichi ad ogni altra disposizione normativa».
C'è, tuttavia, da osservare che la configurazione della possibilità di assumere dirigenti a contratto come si trattasse di un premio per l'efficienza degli enti è una contraddizione in termini evidentissima. Infatti, presupposto per l'assunzione di dirigenti a contratti, in applicazione dell'articolo 19, comma 6, del dlgs 165/2001, norma da applicare anche agli enti locali, è la copertura di posti, attribuendoli a persone di particolare e comprovata qualificazione professionale, avendo accertato la loro assenza nei ruoli e con specifica motivazione.
Sembra, allora, che gli enti virtuosi, proprio in quanto tali, non possano dimostrare di non avere nei propri ruoli dirigenti efficienti. Dovrebbero, al contrario, essere gli enti non virtuosi nelle condizioni di poter dimostrare l'assenza nei ruoli di dirigenti dotati delle competenze necessarie, così da giustificare realmente il ricorso ai dirigenti a contratto (articolo ItaliaOggi del 27.08.2011).

ENTI LOCALIMANOVRA BIS/ On-line i pagamenti per la p.a.. La piattaforma DigitPa fornirà la connessione degli enti. Verso l'attuazione delle disposizioni del codice dell'amministrazione digitale.
Impulso ai pagamenti informatici alle pubbliche amministrazioni. Con la piattaforma della DigitPa, messa a disposizione degli enti pubblici per la interconnessione con i gestori dei servizi di pagamento.
Lo prevede il decreto sulla manovra-bis (decreto legge 138/2011), che aggiunge il comma 2-bis all'articolo 81 del CAD (codice dell'amministrazione digitale, d.lgs 82/2005).
Si tratta, dunque, di dare una spinta all'attuazione dell'articolo 5 del CAD, anche se non è chiaro se ci saranno le risorse per realizzare il progetto.
L'articolo 5 citato impone alle pubbliche amministrazioni di consentire l'effettuazione dei pagamenti ad esse spettanti, a qualsiasi titolo dovuti, con l'uso delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione. É eccettuata, però, la riscossione dei tributi.
Sempre l'articolo 5 del Cad consente alle pubbliche amministrazioni centrali di avvalersi di prestatori di servizi di pagamento per consentire ai privati di effettuare i pagamenti in loro favore attraverso l'utilizzo di carte di debito, di credito o prepagate e di ogni altro strumento di pagamento elettronico disponibile.
Peraltro ricevuto il pagamento, il gestore effettuerà il riversamento dell'importo al tesoriere dell'ente.
In materia, con decreti attuativi devono essere individuate le operazioni di pagamento interessate, i tempi da cui decorre l'obbligo, le modalità per il riversamento, la rendicontazione da parte del prestatore dei servizi di pagamento e l'interazione tra i sistemi e i soggetti coinvolti nel pagamento, e il modello di convenzione che il prestatore di servizi di pagamento deve sottoscrivere per effettuare il servizio.
Il pagamento con sistemi informatici riguarda non solo le amministrazioni centrali, ma anche regioni, le asl e gli enti locali, che devono approvare propri regolamenti per conformarsi ai principi formulati dal CAD.
Il comma 5 del decreto 138/2011 modifica l'articolo 81 del CAD che disciplina il ruolo di DigitPA nell'ambito del sistema pubblico di connettività (SPC).
Il sistema pubblico di connettività (SPC) è l'insieme di infrastrutture tecnologiche e di regole tecniche, per lo sviluppo, la condivisione, l'integrazione e la diffusione del patrimonio informativo e dei dati della pubblica amministrazione, necessarie per assicurare l'interoperabilità di base ed evoluta e la cooperazione applicativa dei sistemi informatici e dei flussi informativi, garantendo la sicurezza, la riservatezza delle informazioni, e la salvaguardia e l'autonomia del patrimonio informativo di ciascuna pubblica amministrazione.
DigitPA è, invece, l'ente nazionale per la digitalizzazione della pubblica amministrazione subentrato al CNIPA).
DigitPA assiste le amministrazioni pubbliche nel processo di innovazione tecnologica.
DigitPA, tra gli altri suoi compiti istituzionali, emana regole e guide tecniche e cura la realizzazione della Posta Elettronica Certificata, la Firma Digitale, la digitalizzazione della Giustizia e la banca dati legislativa pubblica “Normattiva”.
Il nuovo comma 2-bis dell'articolo 81 del CAD, dunque, prevede che, al fine di dare attuazione a quanto previsto dall'articolo 5 del CAD, DigitPA mette a disposizione, attraverso il sistema pubblico di connettività, una piattaforma tecnologica per l'interconnessione e l'interoperabilità tra le pubbliche amministrazioni e i prestatori di servizi di pagamento abilitati: l'obiettivo é assicurare l'autenticazione certa dei soggetti interessati all'operazione in tutta la gestione del processo di pagamento.
Sul punto il servizio bilancio del senato, relativamente alla costituzione di una piattaforma tecnologica per l'interconnessione e l'interoperabilità tra le pubbliche amministrazioni e i prestatori di servizi di pagamento abilitati, mette in rilievo che non é chiaro con quali risorse la DigitPA potrà mettere a disposizione la piattaforma e se sono previsti eventuali oneri da parte delle amministrazioni pubbliche o di altri utenti che fruiranno dei relativi servizi.
Il comma 6 dell'articolo 6 del decreto legge 138, infine, autorizza le pubbliche amministrazioni ad utilizzare, entro il 31.12.2013, la piattaforma tecnologica prevista dal nuovo comma 2-bis dell'articolo 81 del CAD, anche al fine di consentire la realizzazione e la messa a disposizione della posizione debitoria dei cittadini nei confronti dello Stato (articolo ItaliaOggi del 27.08.2011).

CONSIGLIERI COMUNALIOSSERVATORIO VIMINALE/ Indennità, il dado è tratto. Nessuna novità in attesa del nuovo regolamento. Fino al 2013 gli emolumenti non possono superare gli importi già ridotti.
Nelle more dell'emanazione del nuovo regolamento per la determinazione della misura dell'indennità di funzione e dei gettoni di presenza da corrispondere agli amministratori degli enti locali, devono comunque essere decurtati, a decorrere dall'01.01.2011 -in forza del disposto di cui all'art. 6, comma 3, del decreto-legge 31.05.2010, n. 78, convertito con modificazioni dalla legge 30.07.2010, n. 122- gli importi delle indennità di funzione da corrispondere agli amministratori di una provincia che supera il milione di abitanti?
La manovra finanziaria varata con il decreto-legge 31.05.2010, n. 78, convertito con modificazioni dalla legge 30.07.2010, n. 122, ha disposto, all'art. 5, comma 7, che con decreto del ministro dell'interno (da emanarsi ai sensi dell'art. 82, comma 8, del decreto legislativo 18.08.2000, n. 267 e successive modificazioni ed integrazioni, di concerto con il ministero dell'economia e delle Finanze) siano rideterminati in riduzione gli importi delle indennità di funzione degli amministratori comunali e provinciali già previsti nel decreto ministeriale 04.04.2000, n. 119, nonché gli importi dei gettoni di presenza per i consiglieri comunali e provinciali per la partecipazione a consigli e commissioni.
Il successivo art. 6, comma 3, del citato decreto-legge, statuisce che «fermo restando quanto previsto dall'art. 1, comma 58, della legge 23.12.2005, n. 266, a decorrere dall'01.01.2011 le indennità, i compensi, i gettoni, le retribuzioni o le altre utilità comunque denominate, corrisposti dalle pubbliche amministrazioni di cui al comma 3 dell'art. 1 della legge 31.12.2009, n. 196, incluse le autorità indipendenti, ai componenti di organi di indirizzo, direzione e controllo, consigli di amministrazione e organi collegiali comunque denominati ed ai titolari di incarichi di qualsiasi tipo, sono automaticamente ridotte del 10% rispetto agli importi risultanti alla data del 30.04.2010. Sino al 31.12.2013, gli emolumenti di cui al presente comma non possono superare gli importi risultanti alla data del 30.04.2010, come ridotti ai sensi del presente comma».
Pertanto, essendo stata dettata una specifica disciplina in materia di indennità da corrispondere agli amministratori locali e nelle more dell'emanazione del nuovo regolamento per la determinazione della misura delle indennità di funzione e dei gettoni di presenza da corrispondere agli amministratori degli enti locali, non può trovare applicazione nessuna nuova disposizione dettata con riferimento a ipotesi diverse (articolo ItaliaOggi del 26.08.2011).

CONSIGLIERI COMUNALIOSSERVATORIO VIMINALE/ Notifica della seduta.
Sussiste la violazione dell'art. 40 del dlgs 267/2000 se un sindaco, avendo omesso di notificare la convocazione della prima seduta di insediamento del consiglio comunale ad uno dei consiglieri, entro il termine perentorio di dieci giorni dalla proclamazione degli eletti, provvede ad effettuare la notifica e a integrare l'ordine del giorno in data appena precedente la seduta? Se al medesimo consigliere non è stato notificato il risultato delle elezioni, è stata violata la disposizione normativa contenuta nell'art. 61 del dpr n. 570/1960?

In ordine al quesito concernente la violazione dell'art. 61 del dpr n. 570/1960, la mancata notifica dei risultati delle elezioni può considerarsi sanata per effetto dell'intervenuta notifica della convocazione per la prima seduta di consiglio, poiché la qualità di consigliere deriva direttamente dall'atto di proclamazione e da tale momento il consigliere entra in carica, ai sensi dell'art. 38, comma 4, del dlgs n. 267/2000.
Per quanto riguarda la questione relativa al difetto di notifica della convocazione, il Consiglio di stato, con sentenza n. 6476 del 22.11.2005, ha precisato che gli artt. 40 e 41 del dlgs n. 267/2000 recano una specifica disciplina per la prima seduta del consiglio comunale.
In particolare, la sentenza afferma che «non vi è alcuna disposizione dell'art. 40 che imponga precisi termini per la consegna della convocazione o preveda che debbano esservi giorni liberi prima della data stabilita per l'adunanza». Su tale presupposto il Consiglio di stato ha ritenuto infondato l'assunto che l'avviso di convocazione per la prima seduta spedito dal sindaco in difformità ai tempi previsti dallo statuto per le sedute ordinarie «sarebbe in contrasto con le disposizioni che richiedono in caso di seduta ordinaria la consegna dell'avviso di convocazione almeno cinque giorni prima della seduta».
In conformità al suddetto principio non sussiste, nel caso di specie, l'invalidità della convocazione né, pertanto, della relativa seduta (articolo ItaliaOggi del 26.08.2011).

ENTI LOCALIMANOVRA BIS/ Addizionale, ritorno all'antico. Per i sindaci libertà totale sulle aliquote, ma solo dal 2012. Il dl 138 ha chiuso in anticipo la finestra aperta dal federalismo. Aumenti fino al tetto dello 0,8%.
L'addizionale comunale all'Irpef torna pienamente manovrabile, ma solo dal prossimo anno e sulla base della vecchia normativa.
Dopo che già l'art. 5 del dlgs 23/2011 era recentemente intervenuto in materia, la manovra-bis cambia nuovamente le carte in tavola.

Il decreto sul federalismo fiscale municipale aveva tratteggiato un percorso di graduale superamento del blocco introdotto dall'art. 1, comma 7, del dl 93/2008 e confermato, da ultimo, dall'art. 1, comma 123, della legge 220/2010, rimettendone lo sviluppo a un regolamento del governo che avrebbe dovuto essere adottato entro lo scorso 6 giugno, ma che non ha mai visto la luce.
In mancanza di tale provvedimento, l'addizionale Irpef era tornata manovrabile da parte dei comuni che non l'avessero ancora istituita, ovvero che applicassero un'aliquota inferiore allo 0,4%.
Tale livello rappresentava il tetto massimo per i primi due anni, mentre gli aumenti annui non potevano essere superiori allo 0,2%.
L'art. 1, comma 11, del dl 138/2011 ha abrogato tale disciplina, facendo peraltro salve le deliberazioni adottate dei comuni durante la sua (breve) vigenza. Si è così (prematuramente) chiusa la «finestra» apertasi il 7 giugno e che avrebbe consentito una parziale manovrabilità del tributo comunale sui redditi personali fino alla scadenza del termine per l'approvazione dei bilanci di previsione, ovvero fino al 31 agosto.
La stessa disposizione del decreto di Ferragosto ha «scongelato», con decorrenza dal 2012, la disciplina dell'addizionale Irpef dettata dal dlgs 360/1998, così come novellata dall'art. 1, comma 142, della legge 296/2006 (legge finanziaria statale 2007).
In base a essa, il limite massimo dell'aliquota torna a collocarsi allo 0,8% e viene meno qualsiasi limite annuale all'entità delle variazioni in aumento.
I comuni, inoltre, recuperano per intero il potere di stabilire una soglia di esenzione in ragione del possesso di specifici requisiti reddituali. Si tratta di una previsione che, in passato, aveva sollevato non pochi dubbi interpretativi, non essendo chiaro se i comuni potessero solo individuare una fascia di esenzione «secca» dal tributo, ovvero anche prevedere un sua applicazione «progressiva» (attraverso la definizione di più scaglioni e altrettante aliquote corrispondenti a diversi livelli di reddito) e/o differenziata per le diverse categorie di contribuenti. Finora è prevalsa un'interpretazione restrittiva che oggi, nel nuovo contesto federale, potrebbe forse essere rivista. Più in generale, in una simile contesto, occorrerebbe forse procedere ad un restyling profondo di un'imposta che, negli anni precedenti il «blocco», ha evidenziato non poche criticità.
Come non ricordare il pasticcio che si creò allorché la stessa legge finanziaria statale 2007 sopra citata abolì le deduzioni Irpef per carichi familiari, sostituendole con meccanismi di detrazione. Poiché le detrazioni (a differenza delle deduzioni) non riducono la base imponibile rilevante ai fini dell'applicazione dell'addizionale comunale, si verificarono aumenti del relativo onere anche in mancanza di incrementi dell'aliquota decisi dai comuni. Per di più, gli aumenti colpirono soprattutto i contribuenti con famiglia (numerosa) a carico, con inevitabili polemiche e scambi di accuse fra governo e sindaci.
Si trattava di un tipico fenomeno di «interferenza» fra le decisioni in materia di politica fiscale adottate da due diversi livelli di governo (nella fattispecie stato e comuni), che aveva ingenerato problemi anche sul piano dell'equità del prelievo.
Simili criticità potrebbero riproporsi anche oggi, contraddicendo così uno dei principi cardine del federalismo fiscale, non a caso ribadito anche dalla legge 42/2009 (art. 1, comma 2, lett. t).
Negli scorsi mesi, si è parlato più volte di una completa riforma dell'addizionale comunale all'Irpef, nel quadro della più generale revisione del quadro della fiscalità locale. In tal senso, come si è visto, era orientato (sia pure timidamente) anche il decreto sul federalismo fiscale municipale.
Forse sarebbe il caso di riprendere e portare seriamente avanti quel progetto, anziché continuare a procedere a strappi.
A tal fine, potrebbe essere utile riconsiderare la proposta a suo tempo formulata dalla commissione Vitaletti, che aveva suggerito di sostituire l'attuale addizionale con una sovrimposta. Ciò, infatti, consentirebbe di risolvere molti dei problemi che l'attuale disciplina del tributo pone (articolo ItaliaOggi del 26.08.2011).

PUBBLICO IMPIEGORinviate le fasce di merito, non la valutazione. In gazzetta ufficiale il decreto correttivo della riforma brunetta.
Il rinvio dell'entrata in vigore delle fasce di merito non esonera gli enti locali dall'obbligo di adottare il sistema di valutazione, il ciclo di gestione delle performance ed i documenti di programmazione per come previsto dalla legge Brunetta. Anzi, questa esigenza è ulteriormente rafforzata dalla scelta per cui la salvaguardia dei contratti decentrati sottoscritti prima del novembre 2009 non si applica a questa materia, in quanto è rimessa al potere regolamentare.
Possono essere così riassunte le principali disposizioni contenute nel dlgs n. 141/2011, cd correttivo del dlgs n. 150/2009, che è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 194 di lunedì 22 agosto, a circa un mese dalla approvazione da parte del consiglio dei ministri.
Il provvedimento aumenta al 18% il numero dei dirigenti a tempo determinato che gli enti locali cosiddetti virtuosi possono assumere per coprire posti vacanti in dotazione organica, mentre la legge Brunetta aveva stabilito che il tetto massimo era fissato allo 8%, sia per lo stato che per tutte le altre p.a.
L'obbligo di istituire le fasce di merito, recependo le indicazioni dettate per le sole amministrazioni statali dall'accordo governo-sindacati (tranne la Cgil) dello scorso febbraio, viene rinviato all'entrata in vigore dei nuovi contratti nazionali, cioè ad oggi ad un termine indefinito. Peraltro questo rinvio non si applica in toto perché, per potere ripartire tra il personale fino alla metà dei risparmi che le amministrazioni conseguono sfruttando la possibilità offerta dall'articolo 16 del dl n. 98/2011, occorre utilizzare le fasce di merito.
Altra importante novità è costituita dall'ampliamento del numero di p.a. che sono esentate dalla istituzione delle fasce: sulla base del testo del dlgs n. 150/2009 esso era fissato in quelle con un numero di dirigenti non inferiori a 5 e/o con un numero di dipendenti non inferiore a 8; sulla base del nuovo testo viene portata ad un numero non inferiore a 15 dipendenti, cioè il vincolo scatta dal sedicesimo in poi. Ma la stessa disposizione impegna comunque le amministrazioni escluse a differenziare il trattamento accessorio collegato alla performance, riservandone comunque la parte prevalente ad una quota limitata. Cioè rimane l'obbligo della differenziazione, ma le piccole amministrazioni lo applicheranno in modo flessibile.
Il rinvio delle fasce non determina analoghi effetti sulle disposizioni che impongono alle amministrazioni di darsi una nuova metodologia di valutazione, di utilizzare il ciclo di gestione delle performance, di assegnare obiettivi in linea con le caratteristiche dettate dalla disposizione e di adottare documenti di programmazione coerenti con le finalità perseguite dalla legge Brunetta. Anzi, questi vincoli sono rafforzati dal chiarimento contenuto nel decreto correttivo, che limita fortemente i rinvii ai nuovi contratti nazionali (che valgono solo per le nuove regole dettate per la contrattazione collettiva) e che assegna ai regolamenti degli enti la competenza a decidere sulla valutazione, competenza che per esplicita indicazione del decreto correttivo prevale sulle eventuali norma contrarie dettate dai contratti decentrati.
L'ampliamento del tetto dei dirigenti a tempo determinato e negli enti che ne sono sprovvisti dei responsabili che gli enti possono assumere per la copertura di posti vacanti in dotazione organica, cioè l'articolo 110 comma 1 del dlgs n. 267/2000, viene limitato ai comuni ed alle province virtuosi e non viene allargato alle regioni. La scelta legislativa solleva un problema applicativo fino al prossimo anno, in quanto le tabelle per la individuazione delle amministrazioni virtuose non saranno pronte prima di tale data, visto che il dl n. 138/2011 ne ha anticipato l'entrata in vigore che, in precedenza, era invece fissata al 2013. Il problema è in parte risolto dalla sanatoria contenuta nel dlgs 141 delle illegittimità commesse finora dalle amministrazioni locali che hanno assunto un numero di dirigenti a tempo determinato maggiore dello 8% (articolo ItaliaOggi del 26.08.2011 - tratto da www.corteconti.it).

ENTI LOCALIMANOVRA BIS/ Si parte tra un anno. Via le giunte, più poteri alle regioni. Tutte le proposte di modifica all'art. 16. Unioni anche tra comuni non confinanti. Mini-enti, i tagli prendono tempo.
L'accorpamento dei piccoli comuni prende tempo. Scatterà infatti non subito, ma solo a partire dalle prime elezioni successive al 13.08.2012 (e cioè un anno esatto dall'entrata in vigore della manovra di Ferragosto) il timing che porterà gli enti fino a 1.000 abitanti ad associare le funzioni amministrative e non solo.
Perché attraverso le unioni municipali (il nuovo organismo creato ad hoc dal dl 138 e sulla cui istituzione il governo non ha, dunque, fatto alcun passo indietro) i mini-enti dovranno obbligatoriamente gestire anche tutti i servizi pubblici di spettanza comunale (trasporti, acqua, asili nido ecc.). Le unioni dovranno avere almeno 5.000 abitanti (3.000 se i comuni sono montani) e non dovranno essere formate necessariamente da comuni confinanti. L'avverbio «preferibilmente», inserito nel pacchetto di emendamenti governativi all'art. 16 che saranno presentati in senato la prossima settimana, toglie così ai sindaci dei piccoli comuni molti grattacapi. E semplifica l'individuazione dei partner con cui avviare la gestione associata.
Così come richiesto dalle regioni, anche i governatori saranno coinvolti nel procedimento di costituzione delle unioni. Potranno individuare soglie demografiche diverse e spetterà a loro deliberare ufficialmente l'istituzione dei nuovi organismi. Sostituendosi ai comuni in caso di inerzia di quest'ultimi. E se è vero che per completare il processo di aggregazione ci sarà tempo fino alle elezioni successivi al 13/8/2012, è altrettanto vero che la macchina organizzativa dovrà mettersi in moto subito.
Entro sei mesi da quando la manovra-bis sarà convertita in legge, i comuni dovranno formulare alle regioni di appartenenza la propria proposta di aggregazione. Nei municipi che man mano andranno al voto, a partire da agosto dell'anno prossimo, le giunte decadranno di diritto. Gli organi dell'ente saranno solo il sindaco e il consiglio comunale a cui spetteranno esclusivamente poteri di indirizzo nei confronti del consiglio municipale (l'assemblea dei sindaci dell'unione in cui siederanno, altra novità dell'ultim'ora, anche due consiglieri per ogni comune interessato).
Queste le principali modifiche in materia di piccoli comuni contenute nel nutrito pacchetto di emendamenti messo a punto dai tecnici del ministro Roberto Calderoli. Correzioni che però non convincono l'Anci, secondo cui si tratterebbe di «toppe peggiori del buco» (sono parole del vicepresidente Enrico Borghi). Ragion per cui l'Associazione dei comuni continua a insistere per uno stralcio in toto delle norme. «I piccoli comuni non possono essere cancellati improvvisando una norma in un decreto legge», ha sbottato Mauro Guerra, coordinatore nazionale dei piccoli comuni dell'Anci, al termine dell'incontro dei vertici Anci con il segretario del Pdl Angelino Alfano. «Le nuove riformulazioni rischiano di provocare ulteriori danni. Non ci sono allo stato attuale le condizioni per una seria riforma istituzionale».
Le modifiche nel nuovo art. 16, ampiamente riscritto rispetto alla versione del dl 138, non riguardano solo l'assetto istituzionale dell'ente, ma anche l'aspetto finanziario e contabile. I comuni che formano un'unione avranno un unico bilancio di previsione e dovranno deliberare ogni anno entro il 30 novembre un documento programmatico.
Organi di governo dell'unione. Sarà l'assemblea dei sindaci (consiglio municipale) ad eleggere il presidente dell'unione. Al presidente spetteranno le competenze previste dall'art. 50 del Tuel, mentre i sindaci dei singoli comuni conserveranno quelle di cui all'art. 54 (ufficiali di governo). Il presidente nominerà, tra i sindaci che compongono il consiglio municipale, un numero di assessori non superiore a quello previsto per i comuni coinvolti nel procedimento di aggregazione.
Composizione dei consigli. Cambia anche la composizione dei consigli in base alla popolazione degli enti. Nei comuni fino a 1.000 abitanti il consiglio sarà composto dal sindaco e da quattro consiglieri. Negli enti tra 1.000 e 3.000 i consiglieri passeranno da 5 a 4 e le giunte potranno essere formate al massimo da due assessori. Nei municipi da 3.000 a 5.000 abitanti il consiglio sarà composto da 6 membri (prima erano 7) e gli assessori saranno 3. Infine, nei centri da 5.000 a 10.000 abitanti i consiglieri saranno 8 e gli assessori 4 (articolo ItaliaOggi del 26.08.2011).

APPALTI SERVIZIMANOVRA BIS/ Liberalizzazioni, il potere è locale. Tocca ai comuni decidere quali servizi pubblici dare ai privati. Il decreto legge 138/2011 affida a una delibera quadro dell'ente la scelta delle attività interessate.
Liberalizzazione dei servizi pubblici locali nelle mani degli enti locali. Dovranno individuare quali servizi affidare al libero mercato e quali, invece, mantenere in regime di esclusiva. Le imprese dovranno attendere che l'amministrazione approvi la delibera quadro sui servizi liberalizzati.
Ma vediamo di illustrare il quadro prefigurato dall'articolo 4 del decreto legge 138/2011, per vedere quali spazi concreti si aprano al libero mercato. In prima battuta, dunque, l'ente locale deve decidere che cosa lasciare alla libera iniziativa economica e che cosa attribuire in esclusiva a un gestore. In quest'ultimo caso il gestore deve essere scelto con una gara pubblica o con una procedura pubblica ristretta.
L'affidamento del servizio può avvenire anche con una gara a doppio oggetto: cessione di quote societarie (almeno il 40%) e affidamento di compiti operativi.
Se il valore economico del servizio è pari o inferiore a 900 mila euro l'ente locale può costituire una propria società cui affidare direttamente (senza gara) il servizio. In quest'ultimo caso si parla di società in house, sotto il controllo dell'ente locale, controllo analogo a quello esercitato dall'ente sui propri uffici.
Nel caso di servizi liberalizzati si aprono le porte interamente alla gestione di imprenditori in concorrenza tra loro e, vista dal punto di vista delle imprese, si aprono spazi di mercato.
L'ampiezza della liberalizzazione del mercato dei servizi pubblici locali dipende dalla valutazione circa l'inadeguatezza del libero mercato di garantire i bisogni della comunità locale.
La valutazione verrà fatta con una apposita deliberazione quadro, che deve motivare le ragioni delle esclusive.
Una impostazione di questo tipo risente del fatto che la nozione di servizio pubblico locale è lasciata alla discrezionalità dell'ente locale stesso. Certo vi sono linee di fondo tracciate dalla legge e in particolare dall'articolo 112 del Testo unico degli enti locali (dlgs 267/2000), che prevede che sono gli enti locali, nell'ambito delle rispettive competenze, a provvedere alla gestione dei servizi pubblici che abbiano per oggetto produzione di beni ed attività rivolte a realizzare fini sociali e a promuovere lo sviluppo economico e civile delle comunità locali.
La genericità della norma è stata spiegata con la circostanza che gli enti locali, e il comune in particolare, sono enti a fini generali dotati di autonomia organizzativa, amministrativa e finanziaria, nel senso che essi hanno la facoltà di determinare da sé i propri scopi e, in particolare, di decidere quali attività di produzione di beni e attività, se rivolte a realizzare fini sociali e a promuovere lo sviluppo economico e civile della comunità locale di riferimento, assumere come doverose.
Si tratta di elementi discrezionali (finalità sociali e promozione della comunità locale): gli stessi elementi che potranno essere tenuti in considerazione nella approvazione della deliberazione quadro.
L'ente deciderà cosa può essere lasciato al privato. Per fare una panoramica su cosa potrà essere affidato al libero mercato si può fare riferimento alle attività inserite nella prassi nella nozione di servizio pubblico locale.
Vi rientra e quindi potrà essere oggetto di liberalizzazione il servizio di raccolta rifiuti e di igiene ambientale e di illuminazione pubblica, la gestione dei servizi cimiteriali e delle lampade votive, la gestione delle affissioni pubblicitarie e dei segnali indicatori, gestione del trasporto pubblico locale, la gestione di servizi come la mensa scolastica, biblioteche. In giurisprudenza sono stati qualificati tra i servizi pubblici locali anche tutti i servizi riguardanti la nautica da diporto.
I tribunali hanno invece escluso che possa configurarsi un servizio pubblico locale per la costruzione e l'esercizio di impianti per l'energia eolica.
Sempre dal punto di vista delle imprese, va sottolineato che allo stato non possono fare altro che attendere la delibera quadro, la quale è prevista entro un anno e cioè entro il 13.08.2012 e comunque prima del conferimento e del rinnovo della gestione dei servizi. A questo proposito si dovrà tenere conto del regime transitorio previsto per gli affidamenti attualmente in essere e in contrasto con la nuova disciplina: si va dal marzo 2012 fino alla scadenze dei contratti di servizio attualmente stipulati (comma 32 dell'articolo 4 del decreto 138/2011) (articolo ItaliaOggi del 26.08.2011 - tratto da www.ecostampa.it).

APPALTI SERVIZIMANOVRA BIS/ Servizi, l'ente locale rischia grosso. La liberalizzazione obbligata espone i comuni a perdite ingenti. Le esclusive limitate a pochi servizi pubblici essenziali, per cui il privato è considerato inidoneo.
Rischio di perdite per gli enti locali dalla liberalizzazione dei servizi pubblici locali. L'obbligo di mettere sul mercato i servizi pubblici potrebbe, infatti, comportare la dismissione di attività redditizie, con conseguenti perdite per l'ente locale. Questo il possibile effetto della manovra economica-bis (decreto 138/2011), che all'articolo 4 si occupa dell'adeguamento della disciplina dei servizi pubblici locali alla normativa comunitaria (con una disciplina speciale per i settori acqua, gas, energia elettrica, ferrovie regionali e farmacie comunali).
Vediamo, comunque, come diventerà operativa la liberalizzazione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica. Tra l'altro le disposizioni riguardano solo il futuro, in quanto le procedure di affidamento già avviate all'entrata in vigore del presente decreto legge sono salve. In questi casi la liberalizzazione può attendere.
In base alla norma gli enti locali dovranno verificare periodicamente la fattibilità di una gestione concorrenziale dei servizi pubblici locali, con l'obiettivo di liberalizzare tutte le attività economiche. Liberalizzare significa mettere sul mercato e togliere da un regime di esclusiva. Non a caso la norma dispone esplicitamente di voler limitare i diritti di esclusiva a casi eccezionali e cioè quando i privati sarebbero inidonei a garantire un servizio rispondente ai bisogni della comunità.
La disposizione è vaga e indefinita, ma sarà lo stesso ente locale a dover fare le scelte concrete. L'articolo quattro, infatti, demanda allo stesso ente locale di adottare una delibera quadro, in cui elencare i settori sottratti alla liberalizzazione, con ampia motivazione della scelta della sottrazione al mercato.
Insomma con una deliberazione ben motivata la liberalizzazione viene stoppata. Tra l'altro non c'è alcun controllo specifico sulla deliberazione. In effetti l'articolo 4 prevede un invio della deliberazione all'Autorità garante della concorrenza e del mercato, ma non prevede poteri inibitori dell'Antitrust. Certo, i privati possono ricorrere contro le deliberazioni, e allora la palla passerà in mano ai tribunali amministrativi. E comunque si potranno fare segnalazioni alla Corte dei conti per provocare un intervento del giudice contabile in relazione a danni erariali derivanti dalla mancata liberalizzazione.
La deliberazione in questione deve essere adottata una prima volta entro un anno e poi periodicamente a seconda di quanto prevederà il regolamento dell'ente locale. In ogni caso la deliberazione dovrà precedere al conferimento e al rinnovo della gestione dei servizi.
La scelta del mercato (e quindi della attribuzione del servizio pubblico al privato) dovrà comunque essere prioritaria, in quanto il decreto 138 esplicita la regola delle compensazioni economiche a favore dei gestori privati, tenuti eventualmente a rispettare tariffe basse o particolari condizioni di erogazioni. La norma a questo proposito dice che gli enti locali, se necessario, definiscono gli obblighi di servizio pubblico, e l'ente locale deve premunirsi di definire tali obblighi per non lasciare all'azienda ogni scelta sulla erogazione del servizio (sarebbe una delega in bianco al privato su come gestire il servizio pubblico). Di questo aspetto l'ente locale deve ricordarsi già al momento della stesura degli atti di gara per il conferimento del servizio (bandi e capitolati, schemi di contratti di servizio).
Quanto ai possibili effetti dell'intervento la norma sostiene che la stessa sia a costo zero. Tuttavia, nei lavori preparatori, la stessa nota di lettura del servizio del bilancio del senato mette in evidenza possibili conseguenze negative indirette sui bilanci degli enti locali.
La realizzazione di una gestione concorrenziale dei servizi non pare, si legge nella nota, debba tenere conto delle incidenze finanziarie che esso potrà procurare ai bilanci degli enti locali e quindi potrebbe accadere che, per effetto della presenza di una gestione concorrenziale, l'ente locale si trovi a esternalizzare un servizio economicamente redditizio per il bilancio dell'ente.
Si noti, infatti, che tra le motivazioni della deliberazione per sottrarre un singolo servizio al mercato non è prevista la convenienza per l'ente di tenere il servizio stesso in quanto porta soldi alle casse pubbliche. Nella deliberazione si dovrà fare riferimento ai fallimenti del sistema concorrenziale e/o ai benefici per la stabilizzazione, lo sviluppo e l'equità all'interno della comunità locale del mantenimento del regime di esclusiva. Ma non si fa riferimento, invece, al fatto che la gestione del servizio sia redditizia e porti utili.
Una motivazione di questo tipo sarebbe facilmente impugnabile dai privati interessati ad accaparrarsi quote di mercato, in quanto non è prevista dalla legge.
Altra questione evidenziata dal servizio bilancio del senato è se dalla liberalizzazione deriveranno entrate di tipo mobiliare per l'ente e se, paradossalmente, il loro utilizzo non determini effetti negativi in termini di indebitamento netto. Infatti, tali entrate sono inclusa fra le partite finanziarie e non possono essere utilizzata a miglioramento dell'indebitamento netto. Mentre un suo eventuale utilizzo in termini di spesa dovrebbe tradursi in senso negativo sul medesimo saldo dell'indebitamento netto (articolo ItaliaOggi del 25.08.2011 - tratto da www.corteconti.it).

AMBIENTE-ECOLOGIAMANOVRA BIS/ Tracciabilità dei rifiuti, per adesso il sistema viaggia solo sulla carta. Via il Sistri torna il registro di carico e scarico. Il sistema on-line verso un altro restyling.
Dopo l'abrogazione delle norme che hanno portato all'istituzione e alla regolamentazione del Sistri, il sistema di tracciabilità elettronica dei rifiuti, a partire dal 13.08.2011, operata dal decreto legge n. 138/2011, tornano, anzi rimangono i registri e i formulari su carta.
Questo in sintesi è quanto prevede l'articolo 6 commi due e tre del decreto legge sulla manovra bis: il comma 2 opera, infatti, una completa soppressione delle norme che hanno istituito, regolamentato e sanzionato il Sistri. Il successivo comma tre precisa che resta ferma l'applicabilità delle altre norme in materia di gestione dei rifiuti. E che i relativi adempimenti vanno effettuati nel rispetto degli obblighi relativi alla tenuta dei registri di carico e scarico nonché del formulario di identificazione.
A ben vedere, non si tratta di un ritorno ai registri e formulari su carta, ma di continuare a usare questi semplici ma affidabili strumenti, in quanto il Sistri non è mai entrato in vigore per effetto dei diversi rinvii. La cancellazione del Sistri nella manovra di agosto ha sorpreso un po' tutti, anche se va ricordato che a oltre due anni dalla sua concreta istituzione, con il dl n. 79/2009, il sistema non appariva in grado di partire né sarebbe partito senza problemi il prossimo 1° settembre 2011 (prima scadenza fissata per la progressiva attuazione del Sistri).
Troppo i ritardi nell'attivazione degli apparati, i malfunzionamenti, l'insufficienza della infrastrutture telematiche che hanno offuscato una buona idea, quella di controllare meglio la gestione dei rifiuti.
Si rimane così nell'antico meccanismo della limitazione della responsabilità del produttore dei rifiuti di cui all'art. 188 del dlgs n. 152/2006. Infatti, secondo questa impostazione la responsabilità del produttore dei rifiuti cessa con la consegna ad un impianto autorizzato e con la sottoscrizione da parte del gestore della quarta copia del formulario, adempimento forse un po' burocratico ma che dà certezza alle imprese.
Ma è proprio la fine del Sistri? Così non sembra. In questa settimana il decreto legge n. 138 ha iniziato il suo iter al senato. Durante l'esame in commissione ambiente, nella seduta del 23 agosto, maggioranza e opposizione hanno votato affinché il Sistri sia salvaguardato. Ma l'abrogazione voluta dal governo, e in particolare dal ministro alla semplificazione, Roberto Calderoli, ha rappresentato per il parlamento un'occasione per tornare a chiedere più tempo e ulteriori modifiche tecniche; alcune delle quali relative ad alcune tipologie di rifiuti. La Commissione Ambiente ha chiesto sì il ripristino del Sistri, ma anche una proroga di quattro mesi (con partenze scaglionate dal 1 gennaio e non più dall'1 settembre).
E, soprattutto, ha chiesto che al ministero dell'ambiente venga posta la richiesta per quelle modifiche tecniche, alcune delle quali relative alle tipologie di rifiuti, che permettano finalmente agli operatori di potersi adeguare al nuovo sistema senza le difficoltà che ne hanno segnato sino a oggi la sperimentazione. Spetta ora al parlamento e al governo dare una fisionomia più precisa alla manovra, anche sulla questione Sistri (articolo ItaliaOggi del 25.08.2011).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Senato, la commissione ambiente vuole il Sistri.
La commissione ambiente del senato chiederà di rivedere la cancellazione, prevista dalla manovra-bis, del Sistri, il sistema di tracciabilità dei rifiuti speciali e pericolosi.
«Il ritorno al sistema cartaceo, affidato al principio di autodichiarazione in passato, non ha saputo evitare quell'assoluta incertezza intorno alla sorte definitiva di ingenti quantitativi di rifiuti», si legge in un parere predisposto dalla presieduta da Antonio D'Alì. Che anticipa: «Anziché la cancellazione del sistema di tracciabilità, proporremo la sua attivazione dall'01.01.2012».
La mediazione va nel senso indicato dal ministro dell'Ambiente Stefania Prestigiacomo, che in una nota aveva chiesto al parlamento di ripristinare il Sistri e dunque di «rivedere un atto di miopia politica» che rappresenta un regalo alle mafie.
Nel parere della commissione si prefigura, infatti, il rischio che la generalizzata soppressione del Sistri (che non assicura risparmi di spesa) esponga il paese agli oneri finanziari conseguenti al «prevedibile esito dei una procedura di infrazione per violazione della normativa comunitaria» (articolo ItaliaOggi del 24.08.2011).

EDILIZIA PRIVATA: MANOVRA BIS/ Interventi edilizi rapidi e indolori. C'è la Scia per i piccoli lavori. È gratis e l'attività inizia subito. Segnalazione certificata d'inizio attività al posto della Dia. Ecco cosa cambia.
La Scia (Segnalazione certificata inizio attività) manda in soffitta la Dia (Denuncia inizio attività) per gli interventi edilizi minori, espone il privato e il professionista privato a responsabilità penali e disciplinari. Inoltre è gratuita e consente di iniziare subito l'intervento edilizio, da terminare nel triennio.
La Dia rimane solo nella versione SuperDia (alternativa al permesso di costruire). Per la Scia gli uffici comunali devono correre e controllarle entro 30 giorni, anche perché dopo, di regola, si potrà bloccare i lavori solo in casi eccezionali. Tuttavia l'autotutela (annullamento e revoca) potrà essere esercitata senza termini di decadenza. Questo in sintesi l'identikit della Scia dopo le due manovre (decreto 70 e decreto 138 del 2011), che hanno revisionato il Testo unico per l'edilizia. Vediamo come.
La Scia.
La Scia sostituisce la Dia per tutti gli interventi edilizi cosiddetti minori (articolo 22, comma 1 e comma 2, del Testo unico edilizia, dpr 380/2001).
Per gli interventi edilizi di ristrutturazione o nuova costruzione si applica, la SuperDia o in alternativa, in base alla legge statale o a quella regionale, il permesso di costruire. Le regioni possono ampliare il catalogo degli interventi sottoposti a SuperDia. La Scia non sostituisce gli atti di autorizzazione o nulla osta ambientali, paesaggistici o culturali.
Termini.
Con la Scia l'attività edilizia può essere iniziata subito fin dalla data di presentazione della pratica all'ufficio tecnico del comune. Per la SuperDia bisogna, invece, aspettare 30 giorni.
Trenta giorni è anche il termine entro il quale il comune, se mancano i requisiti o i presupposti di legge, può decidere di vietare la prosecuzione dell'attività e la rimozione degli eventuali effetti dannosi di essa.
Si noti che il termine di 30 giorni vale per il settore dell'edilizia, mentre in altri campi vale il termine più lungo di sessanta giorni.
Decorso il termine il potere di bloccare l'attività è limitato a casi specifici e cioè pericolo di un danno per il patrimonio artistico e culturale, per l'ambiente, per la salute, per la sicurezza pubblica o la difesa nazionale e comunque previo motivato accertamento dell'impossibilità far regolarizzare al private la situazione.
Il divieto di prosecuzione dell'attività è misura residuale, in quanto deve essere preferita la strada di fissare un termine all'interessato per la regolarizzazione.
L'articolo 19 della legge 241/1990, anche a seguito del decreto 138/2011, continua a fare salva la possibilità per l'amministrazione di intervenire in autotutela (con provvedimento di revoca o annullamento) anche decorso il termine di 30 giorni.
Cosa cambia.
Il privato deve assumersi la responsabilità della regolarità dell'intervento edilizio e lo deve attestare tramite il professionista. La Scia, infatti, deve essere corredata da attestazioni e asseverazioni di tecnici abilitati corredate dagli elaborati tecnici necessari per consentire le verifiche di competenza dell'amministrazione.
In sostanza il privato deve dichiarare che tutto è a posto con la normative urbanistica ed edilizia e con i parametri (costruttivi, igienico–sanitari). Questo da un lato significa che il privato avrà maggiori responsabilità, le quali ricadranno anche sul professionista ed, inoltre, che il costo del progetto e dell'assistenza del professionista risentirà di questo surplus di responsabilità.
Deve, sul punto, ricordarsi che è punita con la reclusione fino a tre anni la falsa dichiarazione o attestazione dell'esistenza dei requisiti o dei presupposti della scia. In questo caso vi sono pure strascichi penali e disciplinari, in quanto il responsabile dell'ufficio comunale deve denunciare il professionista all'autorità giudiziaria e al consiglio dell'ordine di appartenenza. L'ufficio comunale, dal canto suo, deve dedicarsi a una pronta e rapida verifica dei presupposti, organizzando la vigilanza sulle pratiche edilizi, secondo criteri di maggiore impatto degli interventi segnalati.
Efficacia.
La Scia edilizia ha efficacia limitata a tre anni dalla data della sua presentazione, anche se i lavori non ultimati possano essere completati presentando una nuova scia. A ultimazione lavori il privato deve presentare al comune un certificato di collaudo finale, attestante la conformità al progetto.
Atti.
Vi sono ricadute anche in ambito notarile. Se la scia ha per oggetto lavori che incidono sul classamento dell'immobile (stato, consistenza, classe, categoria), deve essere effettuata una variazione catastale. In caso di trasferimento di un'unità immobiliare urbana la parte deve attestare (eventualmente tramute un tecnico) la conformità del bene ai dati catastali e alle planimetrie depositate.
Oneri.
In materia è necessario consultare la legislazione regionale. In mancanza di specifica legge regionale gli interventi soggetti a scia non pagano il contributo concessorio.
Impugnabilità
Il decreto 138/2011 stabilisce che la Scia e la Dia non costituiscono provvedimenti taciti direttamente impugnabili, ma veri e propri istituti di liberalizzazione e che pertanto gli interessati, dopo avere sollecitato l'esercizio delle verifiche spettanti all'amministrazione, esperiscono l'azione avverso il silenzio, ricorrendo al Tar.
Sanzioni.
La realizzazione, in assenza della o in difformità dalla Scia espone alla sanzione pecuniaria pari al doppio dell'aumento del valore venale dell'immobile conseguente alla realizzazione degli interventi stessi e comunque in misura non inferiore a € 516,00 (articolo ItaliaOggi del 24.08.2011).

PUBBLICO IMPIEGO: Niente merito negli enti piccoli. Le sedi virtuose potranno assumere sino al 18% di dirigenti a tempo. Trattamento economico differenziato solo dopo il prossimo contratto collettivo.
Rinvio dell'applicazione delle fasce di merito e ampliamento del numero delle Pa di ridotte dimensioni escluse; innalzamento al 18% del numero di dirigenti che gli enti locali virtuosi possono assumere a tempo determinato; chiarimenti sull'applicazione del Dlgs 150/2009 in materia di relazioni sindacali che vanno nella direzione della delimitazione del ruolo dei sindacati: sono queste le novità contenute nel Dlgs 141, correttivo della legge Brunetta, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 194 del 22 agosto.
Il provvedimento era stato deliberato dal Consiglio dei ministri del 22 luglio dopo che le commissioni della Camera e la Conferenza unificata avevano espresso il parere positivo (per il Senato erano invece decorsi i termini); a seguito di questi pareri il testo finale è molto diverso dalla proposta presentata dal Governo il 21 gennaio.
I Comuni e le Province che saranno inseriti tra gli enti più virtuosi (in base ai parametri dettati dall'articolo 20 del Dl 98/2011) potranno assumere dirigenti a tempo determinato entro il tetto del 18% della dotazione organica dei dirigenti. In tal modo si supera il tetto fissato per altre Pa all'8%, a cui si aggiunge nello Stato il 10% per i dirigenti generali. Il testo, rispetto alle versioni precedenti, non sembra consentire tale possibilità alle Regioni e introduce la limitazione del possesso dei parametri di virtuosità per gli enti locali.
Questo inserimento solleva subito problemi interpretativi sulla data di entrata in vigore, perché i parametri di virtuosità non saranno disponibili prima del 2012, e sulla esclusione delle Regioni, che non sono enti locali, ma sono incluse tra le amministrazioni destinatarie dei parametri di virtuosità, nonché sulla estensione ai Comuni non soggetti al patto di stabilità. Sempre sullo stesso tema il legislatore ha stabilito che fino alla emanazione del decreto sulla virtuosità le assunzioni a tempo determinato di dirigenti in eccesso rispetto alla soglia massima rimangono valide.
Le fasce di merito, cioè la suddivisione dei dirigenti e del personale dipendente delle Pa ai fini della erogazione in modo differenziato del trattamento economico accessorio collegato alle performance, viene rinviata alla entrata in vigore del nuovo contratto nazionale. Per cui si recepisce in una disposizione di legge, estendendolo anche alle Regioni, alla sanità e agli enti locali, il contenuto dell'accordo stipulato il 4 febbraio tra il Governo e i sindacati, tranne la Cgil. Alla base di questa scelta la volontà di non determinare riduzioni nel salario accessorio di una parte di dipendenti pubblici a seguito del blocco della contrattazione .
Le fasce di merito non si dovranno applicare nelle Pa di più ridotte dimensioni: nel testo della legge Brunetta l'esclusione era dettata per quelle con un numero di dirigenti non superiore a 5 e un numero di dipendenti non superiore a 8. Con le nuove regole il numero minimo dei dipendenti si applica alle Pa che hanno un numero non inferiore a 15. L'effetto è di esonerare un più ampio numero di enti, in particolare piccoli Comuni, dall'obbligo di suddivisione in fasce predeterminate. Ma viene rafforzato l'obbligo per queste amministrazioni di dare comunque applicazione al principio della differenziazione, anche se in modo elastico, per cui la parte prevalente di questi compensi deve essere destinata a una quota limitata di dirigenti e dipendenti.
Si chiarisce che la ultrattività dei contratti collettivi decentrati integrativi rispetto alle previsioni contrastanti contenute nella legge Brunetta vale solo per quelli stipulati prima del 15.11.2009. E ancora che tale salvaguardia non riguarda l'applicazione che gli enti locali e le Regioni devono fare con proprio regolamento delle disposizioni sulla valutazione e sulla meritocrazia. E, infine, si precisa che le disposizioni legislative rinviate ai contratti nazionali stipulati successivamente sono solamente quelle relative alle nuove regole per la contrattazione nazionale.
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01|LEGGE BRUNETTA
La legge Brunetta prevale sui contratti decentrati, salvo quelli stipulati prima del 15.11.2009, ma prevale comunque sulle intese locali per le materie che ha rimesso ai regolamenti regionali.
02|CONTRATTI
I rinvii ai contratti nazionali valgono solo per le norme in essa contenute sulla contrattazione nazionale.
03|ENTI VIRTUOSI
Gli enti locali virtuosi potranno assumere dirigenti a tempo determinato entro il tetto del 18% e non dello 8% previsto per lo Stato.
04|FASCE DI MERITO

L'entrata in vigore delle fasce è rinviata ai nuovi contratti nazionali, salvo la ripartizione dei risparmi di cui al Dl 98/2011 e sono escluse le PA che hanno dipendenti non superiori a 15 e dirigenti non superiori a 5
 (articolo Il Sole 24 Ore del 24.08.2011 - tratto da www.ecostampa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Casa fantasma regolarizzata ma da demolire.
La casa fantasma torna nelle tenebre. Dopo averla fatta emergere con spesa e fatica, un proprietario della provincia di Trento si è visto recapitare dal Comune l'ordine di demolizione. Perché il fabbricato era senza licenza. L'unica via, per il malcapitato che ha raccontato la sua storia al Sole 24 Ore, è tentare prima l'autotutela e poi il ricorso al Tar, facendosi scudo di una legge provinciale che autorizza i capanni per gli attrezzi di modeste dimensioni senza permesso di costruire. Ma naturalmente ci vorranno altri soldi. E, se va storta, demolizione a proprie spese.
Questo è probabilmente uno dei primissimi casi di azione del Comune nei confronti delle case fantasma regolarizzate dal punto di vista fiscale. Come era emerso sin dai primi passi della normativa che metteva alle strette i fabbricati non dichiarati al Catasto (il termine per dichiararli è scaduto il 2 maggio), per tutte queste costruzioni si sarebbe posto il problema urbanistico. E dato che, come ampiamente previsto dal Sole 24 Ore, molte case fantasma sono irregolari dal punto di vista edilizio, chi non è sicuro dell'esito comunale della faccenda rischia grosso.
La mega operazione dell'emersione dei fabbricati non denunciati al Catasto si è ormai conclusa, con la denuncia spontanea di quasi 600mila unità immobiliari. Altrettante, stime alla mano, restano da fare emergere e proprio a questo si stanno dedicano i tecnici dell'agenzia del Territorio con l'aiuto dei geometri e di altri professionisti del settore.
Proprio in questa seconda fase scoppierà il problema: chi ha denunciato la casa nei termini si trovava probabilmente in una situazione di semiregolarità, con possibilità di chiedere il permesso di costruire in sanatoria (perché l'immobile avrebbe comunque potuto essere costruito) e chiudere così la partita. Anche se il caso del lettore di Trento è indicativo del fatto che molti non hanno neppure pensato ai problemi edilizi di immobili che erano indisturbati da decenni.
E invece la regolarizzazione fiscale ha provocato un effetto domino, perché ai Comuni è stata data a suo tempo comunicazione delle «particelle» (cioè appezzamenti di terreno) dove erano stati rilevati fabbricati non risultanti al Catasto. E ora sono arrivate le comunicazioni degli immobili che hanno ricevuto rendita e identificativi catastali. Difficile far finta di nulla. Tanto più che la soluzione del condono edilizio per queste situazioni è rimasta nel cassetto. Ma chissà: con 2mila euro a edificio arriverebbero almeno un miliardo di entrate. Che potrebbero far gola a chi sta correggendo la manovra di Ferragosto.
Il Comune trentino del nostro lettore ha fatto così la verifica: per quel deposito di attrezzi, alto poco più di due metri, che al Catasto ormai risulta, non era stata chiesta la licenza edilizia. Quindi, va demolito, con danno e beffa di chi avrebbe voluto pagare le tasse. Già, perché adesso, dopo la demolizione, si dovrà chiedere la cancellazione in Catasto per evitare, almeno, di versare l'Ici su un edificio che non c'è più.
Risultato: il contribuente ha speso qualche centinaia di euro in pratiche burocratiche e ha perso il capanno, e il Comune non incasserà l'Ici (articolo Il Sole 24 Ore del 24.08.2011).

EDILIZIA PRIVATA: Cubatura in libera vendita. Superato il sistema delle servitù ora diventa possibile un vero mercato.
IN MUNICIPIO - Al Comune spetta l'ultima parola per lo sfruttamento degli indici: un vincolo di altezza può bloccare la sopraelevazione.

La vendita della "cubatura" (detta anche volumetria) non dovrebbe più essere un problema, da quando il Dl Sviluppo (articolo 5, comma 3) ha sancito che sono trascrivibili nei registri immobiliari «i contratti che trasferiscono i diritti edificatori comunque denominati nelle normative regionali e nei conseguenti strumenti di pianificazione territoriale, nonché nelle convenzioni urbanistiche a essi relative».
Se dunque Tizio e Caio sono proprietari di due terreni (anche non confinanti) e su quello di Caio sono edificabili 900 metri cubi, Caio può ad esempio limitare la propria costruzione a 700 metri cubi e vendere o donare i 200 metri cubi residui a Tizio il quale, con il permesso del Comune, potrà sfruttarli sul proprio fondo. Chiunque comprerà il lotto dal quale la volumetria è stata "prelevata" sarà quindi reso avvertito, dalla lettura dei registri immobiliari, che si tratta di un fondo a capacità edificatoria nulla o ridotta.
Più in generale, la norma in questione sdogana, sotto il profilo civilistico, la fattibilità concreta della pianificazione urbanistica impostata sul principio della cosiddetta "perequazione": con questo sistema, in sintesi, viene impresso a ogni metro quadrato di territorio comunale, senza distinzioni, un indice volumetrico standard, di modo che il proprietario del fondo che sia destinato a non essere edificato (perché ad esempio è un'area di uso pubblico o a verde) possa cedere la sua virtuale edificabilità a quel proprietario cui invece la pianificazione comunale consente di costruire. Realizzando in tal modo una completa equiparazione tra cittadini beneficiati dai "retini" del pianificatore comunale e cittadini invece titolari di fondi privi di capacità edificatoria. In concreto, però, l'acquirente potrà usare la volumetria se gli strumenti urbanistici comunali lo consentono: dove ci sono vincoli legati, per esempio, all'altezza degli edifici, una sopraelevazione potrebbe essere impossibile.
Prima del Dl Sviluppo, al risultato pratico di trasferire la cubatura da un fondo all'altro si giungeva mediante vari escamotage: quello più praticato era la costituzione di una servitù, mediante la quale veniva individuato come «fondo servente» quello gravato da un vincolo di inedificabilità (e cioè con il vincolo di non ospitare costruzioni di volumetria corrispondente a quella «ceduta») e come «fondo dominante» quello che acquisiva la capacità volumetrica inibita al fondo servente.
Con la costituzione della servitù si riusciva quindi a rendere pubblico, mediante la trascrizione nei Registri immobiliari, il fatto che chiunque avesse poi comprato il fondo servente avrebbe acquisito un'area priva di capacità edificatoria (quella in teoria che gli sarebbe spettata in ragione della sua superficie) e che chiunque avesse invece comprato il fondo dominante avrebbe avuto a disposizione un'area dotata, oltre che della capacità volumetrica «propria» (vale a dire quella derivante dalla propria estensione), anche della capacità volumetrica «derivata» dal fondo servente, il tutto ovviamente previo beneplacito comunale circa la possibilità di usare questa volumetria nel fondo dominante.
Oggi si aprono scenari prima impensabili: la volumetria acquisita non deve essere legata da subito a un fondo specifico ma può restare in sospeso sino a quando il proprietario non abbia deciso quale sia il fondo nel quale sfruttarla concretamente. Non è quindi inimmaginabile uno scenario nel quale, qualora le transazioni aventi a oggetto la volumetria si facessero frequenti, si formi un vero e proprio "borsino" della volumetria, magari regolamentato, dove si possano incontrare finanzieri, intenzionati a investire in diritti volumetrici, e costruttori alla ricerca di volumetria per i propri interventi edificatori.
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Prima e dopo il provvedimento.
01 | LA SERVITÙ
Prima del Dl 70/2011, per "cedere" i diritti edificatori si usava costituire una servitù a carico del «fondo servente» (cioè quello che aveva i diritti era gravato da un vincolo di inedificabilità) e a vantaggio del «fondo dominante», cioè quello, confinante, che acquisiva la capacità volumetrica che il fondo servente non avrebbe potuto usare. La servitù veniva trascritta nei Registri immobiliari, stabilizzando così il diritto
02 | LE NUOVE REGOLE
La nuova norma è ispirata al principio della perequazione: per ogni metro quadrato di territorio comunale c'è un indice volumetrico standard liberamente cedibile da parte del proprietario del fondo che non può essere edificato a quel proprietario cui invece la pianificazione comunale consente di costruire ma ha già esaurito la sua volumetria. In concreto, però, l'acquirente potrà usare la volumetria solo se gli strumenti urbanistici comunali lo consentono.

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Assimilazione alle aree edificabili.
Se la cessione di volumetria ottiene, dal Dl Sviluppo, una definitiva legittimazione sotto il profilo civilistico, rimane invece aperto il cantiere della fiscalità applicabile a questi contratti.
Se ci si pone dunque sotto il profilo della cessione della volumetria a opera di un soggetto non imprenditore, e quindi dell'applicazione dell'imposta di registro, appare poco praticabile l'idea che il fisco possa qualificare la volumetria, in quanto entità non tangibile, in termini non immobiliari. Se infatti fosse percorribile la strada di non equiparare il trattamento fiscale della cessione di volumetria a quello della cessione dei beni immobili, il contratto avente a oggetto la cessione di cubatura a titolo oneroso sarebbe da tassare con l'aliquota del 3 per cento (articolo 9 della Tariffa, parte prima, allegata al Dpr 131/1986), cui aggiungere un'inevitabile aliquota del 2 per cento a titolo di imposta ipotecaria per effettuare la pubblicazione del contratto nei registri immobiliari.
C'è invece da aspettarsi che la cessione dei diritti volumetrici sia equiparata a quella di area edificabile e quindi sia da tassare con l'aliquota dell'8 per cento (articolo 1, comma 1, della Tariffa), cui aggiungere il solito 2 per cento di imposta ipotecaria (base imponibile è il prezzo della cessione o, se maggiore, il suo più elevato valore). Se questa fosse la strada da percorrere, bisogna anche considerare che al venditore sarà probabilmente applicabile, ai fini Irpef, la tassazione per «le plusvalenze realizzate a seguito di cessioni a titolo oneroso di terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria secondo gli strumenti urbanistici vigenti al momento della cessione», di cui all'articolo 68, comma 1, lettera b), del Tuir.
Se poi si pensa a una donazione della volumetria o a una sua trasmissione mortis causa, la natura del diritto ceduto in questo caso non viene in considerazione, perché la tassazione dei trasferimenti gratuiti non dipende dalla natura dei beni trasferiti ma dal rapporto familiare esistente o meno tra dante e avente causa.
Passando poi al caso della cessione onerosa della volumetria da parte di un soggetto imprenditore, e volendo anche qui ragionare in termini di equiparazione di questa fattispecie a quella dell'area edificabile, si avrebbe l'applicazione dell'aliquota Iva del 20 per cento, oltre, per il principio di alternatività, alle imposte di registro e ipotecaria nella misura di 168 euro cadauna.
Infine, finora non si è parlato di imposta catastale. A norme e regolamenti vigenti, infatti, la cessione della volumetria non dovrebbe rilevare nella banca dati del Catasto anche se, in effetti, una soluzione del genere sarebbe oltremodo auspicabile (per esempio, rinumerando il mappale dal quale la volumetria è stata estratta, per dare concreta evidenza al fatto che si tratta di un mappale a volumetria impoverita). Certo è che, se manca una movimentazione dei registri catastali, nessuna imposta è ovviamente dovuta; al contrario, sarebbe da applicare l'1 per cento del valore venduto, se il cedente è un privato, oppure l'imposta fissa di 168 euro se il cedente è un'impresa.
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I volumi edificatori saranno ipotecabili.
Non esiste più il problema di "cosa sia" la cubatura sotto il profilo giuridico e, di conseguenza, neppure sotto il profilo della contrattazione che abbia a oggetto il trasferimento della volumetria da un fondo a un altro fondo: il Dl Sviluppo mette infatti la parola fine alla pluridecennale discussione sul tema della qualificazione giuridica della cubatura, e quindi dell'impostazione dei contratti che vengono redatti per permettere di sfruttare altrove la capacità edificatoria di cui un dato fondo sarebbe "dotato" per effetto sia della sua estensione superficiaria che delle previsioni della pianificazione urbanistica comunale.
Potendosi ora trascrivere nei registri immobiliari i contratti che hanno a oggetto il volume edificatorio, si riconosce che la cubatura è un «bene» (evidentemente da collocare nella categoria dei beni immateriali, gli intangible assets, come il marchio, il know-how, la griffe, il software eccetera) e che, come tale, ai sensi dell'articolo 810 del Codice civile, essa può «formare oggetto di diritti».
Inoltre, in conseguenza del fatto che la volumetria può essere oggetto di un contratto e che, con ciò, essa diventa un vero e proprio «bene» (di natura probabilmente «immobiliare», anche se intangibile), non sembra lontano il giorno in cui la volumetria possa essere concessa in ipoteca, a garanzia del finanziamento che il suo proprietario (sia esso un costruttore oppure un "immagazzinatore" di cubatura) richieda a una banca.
Insomma, scenari fino a ieri impercorribili e che oggi appaiono veramente a portata di mano, a servizio di un'urbanistica più ordinata, equa e trasparente (articolo Il Sole 24 Ore del 24.08.2011).

GIURISPRUDENZA

APPALTI: E' principio inderogabile in qualunque tipo di gara quello secondo cui devono svolgersi in seduta pubblica gli adempimenti concernenti la verifica dell'integrità dei plichi contenenti l'offerta, sia che si tratti di documentazione amministrativa che di documentazione riguardante l'offerta tecnica ovvero l'offerta economica, e conseguentemente è da valutare illegittima l'apertura in segreto di plichi.
Il mancato rispetto del principio di pubblicità delle sedute della Commissione, con riguardo alla fase dell'apertura dei plichi contenenti le offerte e delle buste contenenti le offerte economiche dei partecipanti, integra un vizio del procedimento che comporta l'invalidità derivata di tutti gli atti di gara, giacché la pubblicità delle sedute risponde all'esigenza di tutela non solo della parità di trattamento dei concorrenti, ai quali dev'essere permesso di effettuare gli opportuni riscontri sulla regolarità formale degli atti prodotti e di avere così la garanzia che non siano successivamente intervenute indebite alterazioni, ma anche dell'interesse pubblico alla trasparenza ed all'imparzialità dell'azione amministrativa, le cui conseguenze negative sono difficilmente apprezzabili ex post una volta rotti i sigilli ed aperti i plichi in mancanza di un riscontro immediato, senza che rilievi l'assenza di prova dell'effettiva lesione sofferta dai concorrenti.

Osserva la Sezione che è principio inderogabile in qualunque tipo di gara quello secondo cui devono svolgersi in seduta pubblica gli adempimenti concernenti la verifica dell'integrità dei plichi contenenti l'offerta, sia che si tratti di documentazione amministrativa che di documentazione riguardante l'offerta tecnica ovvero l'offerta economica, e conseguentemente è da valutare illegittima l'apertura in segreto di plichi.
Il mancato rispetto del principio di pubblicità delle sedute della Commissione, con riguardo alla fase dell'apertura dei plichi contenenti le offerte e delle buste contenenti le offerte economiche dei partecipanti, integra quindi un vizio del procedimento che comporta l'invalidità derivata di tutti gli atti di gara (Consiglio Stato, sez. VI, 22.04.2008, n. 1856), giacché la pubblicità delle sedute risponde all'esigenza di tutela non solo della parità di trattamento dei concorrenti, ai quali dev'essere permesso di effettuare gli opportuni riscontri sulla regolarità formale degli atti prodotti e di avere così la garanzia che non siano successivamente intervenute indebite alterazioni, ma anche dell'interesse pubblico alla trasparenza ed all'imparzialità dell'azione amministrativa, le cui conseguenze negative sono difficilmente apprezzabili ex post una volta rotti i sigilli ed aperti i plichi in mancanza di un riscontro immediato (Consiglio Stato , sez. V, 04.03.2008, n. 901), senza che rilievi l'assenza di prova dell'effettiva lesione sofferta dai concorrenti (Consiglio Stato, sez. V, 16.06.2009, n. 3844 e 04.03.2008, n. 901) (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 25.08.2011 n. 4806 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

CONDOMINIO: Lastrico solare, quando è parte comune.
In tema di condominio, per qualificare un lastrico solare come parte comune, ai sensi dell'art. 1117, n. 1, cod. civ., è necessaria la sussistenza di connotati strutturali e funzionali comportanti la materiale destinazione del bene al servizio o al godimento di più unità immobiliari appartenenti in proprietà esclusiva a diversi proprietari.
Deve pertanto escludersi la presunzione di comunione di un lastrico solare che, nel contesto di un edificio costituito da più unità immobiliari autonome, disposte a schiera, assolva unicamente alla funzione di copertura di una sola delle stesse e non anche di altri elementi, eventualmente comuni, presenti nel c.d. “condominio orizzontale”.
Lo ha stabilito la Cassazione (sentenza n. 22466/2010, inedita) (articolo ItaliaOggi del 24.08.2011).
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Nelle villette a schiera la copertura è privata.
Nel condominio «orizzontale», come le villette a schiera, il lastrico solare non sempre è parte comune.

Lo spiega la Cassazione (sentenza n. 22466/2010) partendo dalla nozione di condominio in senso proprio, che è configurabile non solo nell'ipotesi di fabbricati che si estendono in senso verticale, ma anche nel caso di costruzioni adiacenti orizzontalmente.
Esempio tipico sono le villette a schiera, in quanto dotate di manufatti portanti e impianti essenziali comuni. Anche nell'ambito di tali complessi condominiali vi sono dei beni o degli spazi che, per le loro caratteristiche strutturali e funzionali, devono necessariamente considerarsi di proprietà di tutti i condomini. Queste entità trovano un'elencazione abbastanza esaustiva nell'articolo 1117 del codice civile, dal cui testo se ne possono desumere in modo chiaro tanto la tipologia quanto la funzionalità. Tale norma non prevede però una presunzione legale di comunione delle cose in essa elencate, ma dispone l'esclusione dal novero dei beni comuni di quelli che, per caratteristiche proprie, servono soltanto all'uso e al godimento di una parte dell'immobile.
L'aspetto strutturale e il ruolo funzionale del bene sono quindi prioritari rispetto all'accertamento del suo effettivo status giuridico, nel senso che il bene, in mancanza di diverso titolo, deve ritenersi comune quando, ancorché suscettibile di utilizzazione autonoma e nel l'esclusivo interesse di un singolo o di un ristretto gruppo di privati, serva, per le sue specifiche caratteristiche, al godimento di tutte le singole parti dell'edificio e dei condomini che in esse abitano (così Cassazione, sentenza 6981/2008). Soltanto a tali condizioni può ritenersi sussistere il carattere di condominialità, superabile con una diversa previsione contenuta nel regolamento contrattuale o in un singolo atto di acquisito titolo oppure derivante anche dall'usucapione.
Sulla base di tale principio la Suprema corte, con la sentenza n. 22466/2010, riferendosi a un complesso condominiale costituito da più unità immobiliari autonome disposte a schiera, ha stabilito che «il lastrico solare che assolve alla funzione di copertura di una sola delle stesse, e non anche di altri elementi eventualmente comuni presenti del cosiddetto orizzontale, né sia caratterizzato da unitarietà strutturale, né da altri connotati costruttivi e funzionali tali da denotare la destinazione complessiva delle aree sovrastanti, i vari immobili costituenti nel loro insieme un unicum a servizio e godimento comune» non rientra tra i beni di cui all'articolo 1117, n. 1, del codice civile, non potendo qualificarsi come comune a tutti i partecipanti al condominio.
La sentenza ha posto così fine a un lungo contenzioso che era sorto in ordine alle sopraelevazioni successivamente eseguite dal costruttore dell'intero complesso immobiliare su tutti i lastrici solari che, seppure con struttura indipendente, andavano a coprire i sottostanti autonomi corpi di fabbrica posizionati a schiera: il tutto in forza della proprietà che egli, nell'alienare le singole costruzioni, si era riservato sui lastrici stessi, unitamente al relativo diritto di sopralzo. Tale diritto, soggetto a trascrizione ex articolo 2645 del codice civile, non risultava essere però opponibile a uno degli acquirenti in quanto non menzionato nell'atto traslativo posto in essere in suo favore.
Esclusa la configurabilità di bene comune dei lastrici in questione in quanto destinati a copertura dei soli singoli fabbricati, la Cassazione ha accolto il ricorso proposto da costui, dichiarandolo proprietario esclusivo del lastrico solare sovrastante la sua unità immobiliare, rinviando al giudice di secondo grado per le decisioni inerenti anche la totale rimozione della sopraelevazione nel contempo eseguita.
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La lista.
Rientrano in comunione: suolo su cui sorge l'edificio, fondazioni, muri maestri, tetti e lastrici solari, scale, portoni d'ingresso, vestiboli, anditi, portici, cortili e in genere tutte le parti dell'edificio necessarie all'uso comune.
Secondo il codice civile sono oggetto di proprietà comune anche i locali per la portineria e per l'alloggio del portiere, per la lavanderia, per il riscaldamento centrale, per gli stenditoi e per altri simili servizi in comune.
Opere, installazioni, manufatti che servono all'uso e al godimento comune (ascensori, pozzi, cisterne, acquedotti, fognature, canali di scarico, impianti per l'acqua, il gas, l'energia elettrica, il riscaldamento e simili) (commento tratto da www.ilsole24ore.com).

EDILIZIA PRIVATAIl contributo per gli oneri di urbanizzazione è da qualificare in termini di corrispettivo di diritto pubblico, di natura non tributaria, posto a carico del costruttore a titolo di partecipazione ai costi delle opere di urbanizzazione in proporzione all'insieme dei benefici che la nuova costruzione ne ritrae; in particolare, tale contributo, assolve all'obiettivo di ridistribuire i costi sociali di tali opere avuto riguardo all'aggravamento del carico urbanistico che l'intervento considerato andrà a determinare nella specifica zona in cui è destinato a ricadere. Su tali basi si esclude, dunque, che il suddetto contributo sia dovuto in tutti quei casi in cui l'intervento non sia idoneo a determinare un aggravio del carico urbanistico della zona.
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Sulle somme versate in eccedenza per oneri di urbanizzazione l'amministrazione è tenuta a computare i soli interessi legali e non anche la rivalutazione monetaria; ciò in quanto l'obbligazione di restituzione in argomento genera, infatti, ai sensi dell'art. 2033 c.c. esclusivamente l'obbligazione accessoria di interessi legali ma non anche quella di rivalutazione monetaria, riconducibile alla diversa ipotesi di inadempimento dell’obbligazione pecuniaria.

Come evidenziato dalla consolidata giurisprudenza anche del giudice d’appello, il contributo per gli oneri di urbanizzazione è da qualificare in termini di corrispettivo di diritto pubblico, di natura non tributaria, posto a carico del costruttore a titolo di partecipazione ai costi delle opere di urbanizzazione in proporzione all'insieme dei benefici che la nuova costruzione ne ritrae; in particolare, tale contributo, assolve all'obiettivo di ridistribuire i costi sociali di tali opere avuto riguardo all'aggravamento del carico urbanistico che l'intervento considerato andrà a determinare nella specifica zona in cui è destinato a ricadere (Cons. St., sez. IV, 15.07.2009, n. 4439; Cons. St., sez. V, 26.03.2009, n. 1804; Cons. St., sez. V, 25.05.1995, n. 822).
Su tali basi si esclude, dunque, che il suddetto contributo sia dovuto in tutti quei casi in cui l'intervento non sia idoneo a determinare un aggravio del carico urbanistico della zona (cfr. TRGA - Sezione Autonoma di Bolzano, 06.03.2000, n. 59).
Tali principi sono stati recepiti dalla legislazione regionale e, infatti, l’art. 81, comma 5, della l.r. n. 61 del 1985, ha previsto che “in caso di modifiche della destinazione d' uso o di ampliamenti del volume o della superficie utile di calpestio, sia che si tratti di nuova concessione o di variante in corso d'opera, il contributo è riferito alla parte di nuova edificazione e, in caso di mutamento della destinazione d' uso, alla differenza fra il nuovo uso e il precedente”.
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É infatti noto che sulle somme versate in eccedenza per oneri di urbanizzazione l'amministrazione è tenuta a computare i soli interessi legali e non anche la rivalutazione monetaria (cfr. Cons. Stato, sez. V, 22.01.1987 n. 24; TAR Emilia Romagna, Bologna, sez. I, 07.03.1990 n. 190); ciò in quanto l'obbligazione di restituzione in argomento genera, infatti, ai sensi dell'art. 2033 c.c. esclusivamente l'obbligazione accessoria di interessi legali ma non anche quella di rivalutazione monetaria, riconducibile alla diversa ipotesi di inadempimento dell’obbligazione pecuniaria (cfr. Corte Cass. Civ., SS. UU., 05.07.1991 n. 7436; Cons. Stato, sez. V, 16.03.1987 n. 198, 27.12.1988 n. 852, 07.04.1989 n. 195, 16.05.1989 n. 291, 03.05.1991 n. 728, 31.10.1992 n. 1145 e 24.07.1993 n. 799; TAR Abruzzo, Pescara, 31.01.1994 n. 10; TAR Toscana, sez. Il, 22.06.1994 n. 225; TAR Molise, 20.12.1995 n. 284; TAR Marche, 22.02.1996 n. 259; TAR Lombardia, Milano, 04.07.1996 n. 1063) (TAR Veneto, Sez. II, sentenza 12.08.2011 n. 1360 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Il verbale della polizia municipale, come tutti i verbali provenienti da pubblici ufficiali, ha efficacia di piena prova, fino a querela di falso, ai sensi dell'art. 2700 c.c. relativamente alla provenienza dell'atto dal pubblico ufficiale che lo ha formato, alle dichiarazioni delle parti e agli altri fatti che il pubblico ufficiale attesti avvenuti in sua presenza o da lui compiuti e, se la fede privilegiata non si estende né agli apprezzamenti del pubblico ufficiale né alle sue valutazioni e deduzioni, tali elementi non sono comunque privi di valore probatorio, in quanto possono fornire elementi presuntivi idonei a fondare la decisione ove siano gravi, precisi e concordanti.
Il Collegio evidenzia, in primo luogo, che il verbale della polizia municipale, come tutti i verbali provenienti da pubblici ufficiali, ha efficacia di piena prova, fino a querela di falso, ai sensi dell'art. 2700 c.c. relativamente alla provenienza dell'atto dal pubblico ufficiale che lo ha formato, alle dichiarazioni delle parti e agli altri fatti che il pubblico ufficiale attesti avvenuti in sua presenza o da lui compiuti e, se la fede privilegiata non si estende né agli apprezzamenti del pubblico ufficiale né alle sue valutazioni e deduzioni, tali elementi non sono comunque privi di valore probatorio, in quanto possono fornire elementi presuntivi idonei a fondare la decisione ove siano gravi, precisi e concordanti (Cons. St., sez. I, 08.01.2010, n. 250)
(TAR Veneto, Sez. II, sentenza 12.08.2011 n. 1359 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La ristrutturazione edilizia, per essere tale e non finire per coincidere con la nuova costruzione, deve conservare le caratteristiche fondamentali dell'edificio preesistente e la successiva ricostruzione dell'edificio deve riprodurre le precedenti linee fondamentali quanto a sagoma, superfici e volumi.
Ciò che contraddistingue la ristrutturazione dalla nuova edificazione è, dunque, la già avvenuta trasformazione del territorio, attraverso una edificazione di cui si conservi la struttura fisica ovvero la cui stessa struttura fisica venga del tutto sostituita, ma -in quest'ultimo caso- con ricostruzione, se non «fedele» (termine espunto dall'attuale disciplina), comunque rispettosa della volumetria e della sagoma della costruzione preesistente.

Il Collegio, evidenzia, che il concetto di ristrutturazione edilizia, quale enunciato dall'art. 31, lett. d), l. 05.08.1978, n. 431 ("interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono anche portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente"), ha subito nel tempo diversificate interpretazioni soprattutto riguardo alla ristrutturazione per demolizione e ricostruzione, nella ricerca degli elementi che distinguessero la fattispecie dalla ristrutturazione (in termini, TAR Lombardia Milano, sez. II, 02.12.2009, n. 5268, dalla quale è tratta la seguente ricostruzione).
Ad un primo orientamento che escludeva la demolizione e ricostruzione dalla fattispecie di ristrutturazione (Cons. St., sez. V, 09.02.1996, n. 144), è seguito l'orientamento trasfuso nel Testo Unico dell'edilizia che ha compreso la fattispecie nella categoria della "ristrutturazione" purché "fedele" in quanto modalità estrema di conservazione dell'edificio preesistente nella sua consistenza strutturale, essendosi ritenuto che "la ricostruzione di un preesistente fabbricato senza variazione o alterazione della superficie, volumetria e destinazione d'uso, non incide sul carico urbanistico già esistente e non è pertanto assoggettato ad oneri né al rispetto degli indici sopravvenuti" (Cons. St., sez. V, 10.08.2000, n. 4397).
In recepimento degli indirizzi giurisprudenziali formatisi in materia, il T.U. dell'edilizia ha ricompreso tra gli interventi di ristrutturazione edilizia "quelli consistenti nella demolizione e successiva fedele ricostruzione di un fabbricato identico quanto a sagoma, volumi, area di sedime e caratteristiche dei materiali, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica".
L'art. 1 del decreto legislativo 27.12.2002, n. 301 ha modificato l'art. 3, in parte qua, eliminando la locuzione "fedele ricostruzione di un fabbricato identico, quanto a sagoma, volumi, area di sedime e caratteristiche di materiali a quello preesistente" e l'ha sostituita con l'espressione "ricostruzione con la stessa volumetria e sagoma di quello preesistente" (art. 1, lett. a).
Anche escludendo il superato criterio della fedele ricostruzione, esigenze di interpretazione logico-sistematica della nuova normativa inducono tuttavia la giurisprudenza a ritenere che la ristrutturazione edilizia, per essere tale e non finire per coincidere con la nuova costruzione, debba conservare le caratteristiche fondamentali dell'edificio preesistente e la successiva ricostruzione dell'edificio debba riprodurre le precedenti linee fondamentali quanto a sagoma, superfici e volumi (fra le tante Cons. Stato, sez. IV, 18.03.2008, n. 1177).
Ciò che contraddistingue la ristrutturazione dalla nuova edificazione è, dunque, la già avvenuta trasformazione del territorio, attraverso una edificazione di cui si conservi la struttura fisica ovvero la cui stessa struttura fisica venga del tutto sostituita, ma -in quest'ultimo caso- con ricostruzione, se non «fedele» (termine espunto dall'attuale disciplina), comunque rispettosa della volumetria e della sagoma della costruzione preesistente (Consiglio Stato, sez. VI, 16.12.2008, n. 6214)
(TAR Veneto, Sez. II, sentenza 12.08.2011 n. 1359 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il concetto di pertinenza, previsto dal diritto civile, va distinto dal più ristretto concetto di pertinenza inteso in senso edilizio e urbanistico, che non trova applicazione in relazione a quelle costruzioni che, pur potendo essere qualificate come beni pertinenziali secondo la normativa privatistica, assumono tuttavia una funzione autonoma rispetto ad altra costruzione, con conseguente loro assoggettamento al regime concessorio, come nel caso di un intervento edilizio che non sia coessenziale al bene principale e che possa essere utilizzato in modo autonomo e separato.
La giurisprudenza consolidata in materia ha avuto da tempo modo di chiarire che il concetto di pertinenza, previsto dal diritto civile, va distinto dal più ristretto concetto di pertinenza inteso in senso edilizio e urbanistico, che non trova applicazione in relazione a quelle costruzioni che, pur potendo essere qualificate come beni pertinenziali secondo la normativa privatistica, assumono tuttavia una funzione autonoma rispetto ad altra costruzione, con conseguente loro assoggettamento al regime concessorio, come nel caso di un intervento edilizio che non sia coessenziale al bene principale e che possa essere utilizzato in modo autonomo e separato (cfr., Cons. St., sez. IV, 23.07.2009, n. 4636; TAR Campania Napoli, sez. IV, 01.09.2009, n. 4848) (TAR Veneto, Sez. II, sentenza 12.08.2011 n. 1359 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIl parere previsto dall'art. 32 della legge n. 47 del 1985, ai fini del rilascio della concessione edilizia in sanatoria, ha natura e funzioni identiche all'autorizzazione paesaggistica ex art. 7 della legge n. 1497 del 1939, in quanto entrambi gli atti costituiscono il presupposto che legittima la trasformazione urbanistico edilizia della zona protetta. Pertanto, resta fermo anche in tale ipotesi il potere di annullamento ministeriale del parere favorevole alla sanatoria di un manufatto realizzato in zona vincolata, in quanto strumento affidato dall'ordinamento allo Stato, come estrema difesa del paesaggio, valore costituzionale primario.
L’epoca in cui è sorto il vincolo (antecedente o successiva alla commissione dell'abuso) è del tutto ininfluente, essendo comunque necessario il parere prescritto dal’art. 32 della l. n. 47 del 1985. In proposito, l'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato ha precisato che tale disposizione, nella parte in cui subordina al parere favorevole delle amministrazioni preposte alla tutela del vincolo il rilascio della concessione in sanatoria, deve interpretarsi nel senso che l'obbligo di pronuncia coinvolge comunque la rilevanza del vincolo esistente al momento in cui la domanda di sanatoria è valutata e ciò a prescindere dall'epoca di introduzione.

Come evidenziato dalla consolidata giurisprudenza del giudice d’appello (cfr., ex multis, Cons. St., sez. VI, 28.01.1998, n. 114, dalla quale sono tratte le considerazioni di seguito riportate) l'art. 32 della legge 28.02.1985 n. 47 subordina la sanatoria delle opere edilizie eseguite su aree vincolate al parere delle amministrazioni preposte alla tutela dei vincoli stessi. Per le aree soggette a vincolo paesaggistico deve applicarsi la disciplina dettata dalla legge 08.08.1985 n. 431, che, modificando l'art. 82 del d.p.r. 24.07.1977 n. 616, ha confermato la delega alle regioni a statuto ordinario delle funzioni amministrative statali per la protezione delle bellezze naturali "per quanto attiene alla loro individuazione, alla loro tutela e alle relative sanzioni", ferme restando le misure (di sostituzione in caso di inerzia e di annullamento in caso di autorizzazione illegittima) la cui adozione è riservata al Ministero per i beni e le attività culturali.
Dunque, il parere previsto dall'art. 32 della legge n. 47 del 1985, ai fini del rilascio della concessione edilizia in sanatoria, ha natura e funzioni identiche all'autorizzazione paesaggistica ex art. 7 della legge n. 1497 del 1939, in quanto entrambi gli atti costituiscono il presupposto che legittima la trasformazione urbanistico edilizia della zona protetta. Pertanto, resta fermo anche in tale ipotesi il potere di annullamento ministeriale del parere favorevole alla sanatoria di un manufatto realizzato in zona vincolata, in quanto strumento affidato dall'ordinamento allo Stato, come estrema difesa del paesaggio, valore costituzionale primario (cfr., in termini: Consiglio di Stato, sez. VI, 28.01.1998 n. 114).
Come evidenziato dalla consolidata giurisprudenza, l’epoca in cui è sorto il vincolo (antecedente o successiva alla commissione dell'abuso) è del tutto ininfluente, essendo comunque necessario il parere prescritto dal’art. 32 della l. n. 47 del 1985. In proposito, l'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (22.07.1999, n. 20) ha precisato che tale disposizione, nella parte in cui subordina al parere favorevole delle amministrazioni preposte alla tutela del vincolo il rilascio della concessione in sanatoria, deve interpretarsi nel senso che l'obbligo di pronuncia coinvolge comunque la rilevanza del vincolo esistente al momento in cui la domanda di sanatoria è valutata e ciò a prescindere dall'epoca di introduzione (cfr. anche: Cons. St., sez. VI, 22.01.2001, n. 181; sez. V, 27.03.2000, n. 1761; TAR Lazio, Latina, sez. I, 14.07.2009, n. 688) (TAR Veneto, Sez. II, sentenza 12.08.2011 n. 1358 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIl provvedimento di annullamento del nulla osta paesaggistico rilasciato dall’ente subdelegato non ha natura di atto recettizio e, pertanto, il termine perentorio di sessanta giorni, previsto per l'eventuale annullamento, attiene alla sua adozione e non anche alla sua comunicazione.
L’annullamento ministeriale esaurisce il procedimento relativo alla compatibilità ambientale e paesaggistica. E, infatti, l’annullamento da parte dell’autorità statale costituisce espressione di un sistema di concorrenza di poteri in cui la partecipazione statale al procedimento regionale o sub regionale si concreta in un’eventuale fase correttiva di secondo grado collegata ad esigenze di estrema difesa del vincolo paesaggistico. Da tale ricostruzione discende che l’annullamento ministeriale chiude il procedimento relativo alla compatibilità delle opere con il vincolo paesaggistico e ambientale e consuma il relativo potere senza che vi sia la possibilità di un ulteriore esercizio dello stesso da parte dell’autorità regionale o subregionale.

Il Collegio evidenzia, conformemente alla consolidata giurisprudenza, che il provvedimento di annullamento del nulla osta paesaggistico rilasciato dall’ente subdelegato non ha natura di atto recettizio e, pertanto, il termine perentorio di sessanta giorni, previsto per l'eventuale annullamento, attiene alla sua adozione e non anche alla sua comunicazione (cfr., ex multis, Cons. St., sez. VI, 12.10.2010, n. 7419).
Secondo l’orientamento della giurisprudenza condiviso dal Collegio, l’annullamento ministeriale esaurisce il procedimento relativo alla compatibilità ambientale e paesaggistica. E, infatti, l’annullamento da parte dell’autorità statale costituisce espressione di un sistema di concorrenza di poteri in cui la partecipazione statale al procedimento regionale o sub regionale si concreta in un’eventuale fase correttiva di secondo grado collegata ad esigenze di estrema difesa del vincolo paesaggistico.
Da tale ricostruzione discende che l’annullamento ministeriale chiude il procedimento relativo alla compatibilità delle opere con il vincolo paesaggistico e ambientale e consuma il relativo potere senza che vi sia la possibilità di un ulteriore esercizio dello stesso da parte dell’autorità regionale o subregionale (cfr. Cons. Stato, VI, 06.02.2003, n. 592; Tar Toscana, III, 22.09.2005, 4531)
(TAR Veneto, Sez. II, sentenza 12.08.2011 n. 1358 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Consiglio di Stato. In caso di evasione denuncia del Fisco accessibile al contribuente.
L'amministrazione finanziaria non può negare l'accesso agli atti inerenti la denuncia trasmessa dalle Entrate alla Procura della Repubblica – in base all'articolo 331 del Codice di procedura civile – propedeutica al raddoppio dei termini di accertamento sul periodo d'imposta in cui è stata commessa la presunta evasione fiscale.
A stabilire il principio, il Consiglio di Stato – IV Sezione – con la sentenza 10.08.2011 n. 4769.
La pronuncia trae origine dall'appello proposto contro la sentenza del Tar della Lombardia, a seguito del rigetto del ricorso proposto dalla società contribuente contro il provvedimento dell'Agenzia che aveva negato la possibilità di accedere a tutta una serie di documenti.
In particolare, veniva opposto il rifiuto alla richiesta di acquisizione del documento di denuncia di reato presentato dall'Agenzia alla Procura e di un provvedimento interno il cui contenuto era unicamente rivolto a stabilire la strategia difensiva di un contenzioso tributario ancora pendente.
A sostegno dell'appello la società ricorrente, oltre a eccepire la violazione delle norme in materia di accesso ai documenti amministrativi, faceva notare come fosse pienamente legittima la richiesta di accesso. Questo perché l'oggetto della richiesta era l'atto (la denuncia di reato) –presupposto per l'allungamento dei termini di accertamento– e non gli atti nel fascicolo del pubblico ministero. Sulla base della situazione descritta, i giudici, pur rigettando l'appello sull'eccezione sollevata a seguito del diniego di accesso al provvedimento interno, poiché riguardava l'esercizio di difesa dell'amministrazione, hanno condiviso appieno le doglianze della società ricorrente, che contestava l'illegittimità del diniego alla richiesta di accedere al documento con la denuncia di reato trasmessa alla procura.
Al riguardo il collegio giudicante sottolinea che non può essere negato l'accesso a documenti che riguardano espressamente l'istante e utili ai fini di un'eventuale tutela giurisdizionale.
A tale regola non si sottrae, in virtù della sua stessa natura, la denuncia presentata da un privato a una pubblica amministrazione. Questo perché la denuncia inoltrata alla Procura costituisce, da un lato, il presupposto necessario per l'allungamento dei termini di accertamento e, dall'altro, è l'elemento di cui si avvale l'autorità giudiziaria per verificare la sussistenza degli elementi costitutivi del reato.
Oltretutto, i giudici pongono in risalto il fatto che la notitia criminis non costituendo "atto di indagine" (e, in particolare, la denuncia inoltrata alla Procura della Repubblica, in quanto essa stessa è il presupposto delle indagini) non può essere oggetto, salvo ulteriori ragioni ostative, di segreto istruttorio (articolo Il Sole 24 Ore del 24.08.2011).

EDILIZIA PRIVATALe attività connesse all'agricoltura (ex art. 2135 c.c.) dell’imprenditore agricolo devono restare collegate all’attività dal medesimo esercitata in via principale mediante un vincolo di strumentalità o complementarietà funzionale, in assenza del quale essa non rientra nell’esercizio normale dell’agricoltura ed assume, invece, il carattere prevalente od esclusivo dell’attività commerciale o industriale.
In ogni caso, allorquando l’attività della cui connessione con un’attività propriamente agricola si discute abbia in concreto dimensioni tali (anche nell’ambito della medesima impresa) che la rendono principale rispetto a quella agricola, deve escludersi il carattere agricolo dell’attività stessa.

Si definiscono attività connesse all’agricoltura (art. 2135 c.c., nel testo introdotto dal D.Lgs. 18.05.2001 n. 228) le attività esercitate dal medesimo imprenditore agricolo dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione che abbiano ad oggetto prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall’allevamento di animali, nonché le attività dirette alla fornitura di beni o servizi mediante l’utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse dell’azienda normalmente impiegate nell’attività agricola esercitata, ivi comprese le attività di valorizzazione del territorio e del patrimonio rurale e forestale, ovvero di ricezione e di ospitalità, come definite dalla legge.
La parte del nuovo articolo 2135 del codice civile riferita alle cosiddette “attività connesse” è quella che ha suscitato maggiori discussioni, in quanto quella di “attività connesse” non costituisce una ulteriore definizione che si aggiunge alle fondamentali, ma sta proprio ad indicare che esse non possono essere esercitate da soggetti diversi dall’imprenditore agricolo che esercita una o più delle attività di coltivazione del fondo, silvicoltura e allevamento di animali. Infatti, il nuovo secondo comma inizia proprio affermando che le attività subito dopo elencate si intendono sempre “connesse” quando sono svolte dall’imprenditore agricolo che esercita le attività di coltivazione del fondo, silvicoltura e allevamento di animali. Secondo l’elencazione contenuta nella norma, queste attività sono quelle “dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione” dei prodotti.
A proposito di questi ultimi la norma, logicamente, precisa che le attività connesse, come prima elencate, devono avere “ad oggetto prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall’allevamento di animali”. Viene introdotto il concetto di “prevalenza”, fino ad ora presente in una parte della legislazione riferita alle attività agricole e mai esplicitato chiaramente, il che consente all’imprenditore agricolo il ricorso al mercato per acquistare prodotti da destinare alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione, sempreché non siano prevalenti rispetto a quelli ottenuti dall’imprenditore attraverso la coltivazione del fondo o del bosco e l’allevamento di animali e integrino il prodotto originario al fine di realizzare un migliore prodotto finale.
È stato precisato, in giurisprudenza, che la suddetta attività connessa dell’imprenditore agricolo deve restare collegata all’attività dal medesimo esercitata in via principale mediante un vincolo di strumentalità o complementarietà funzionale, in assenza del quale essa non rientra nell’esercizio normale dell’agricoltura ed assume, invece, il carattere prevalente od esclusivo dell’attività commerciale o industriale (cfr. Cons. Stato, IV, 12.10.1999 n. 1555; 14.05.2001 n. 2669; VI, 06.03.2007 n. 1051).
In ogni caso, è stato affermato che allorquando l’attività della cui connessione con un’attività propriamente agricola si discute abbia in concreto dimensioni tali (anche nell’ambito della medesima impresa) che la rendono principale rispetto a quella agricola, deve escludersi il carattere agricolo dell’attività stessa (Cass. 06.06.1974 n. 1682, ripresa da Cons. Stato, VI, n. 1051/2007 cit.)
(TAR Puglia-Lecce, Sez. III, sentenza 04.08.2011 n. 1484 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAL’attuale disposto legislativo non lascia più spazio alla cosiddetta sanatoria “impropria”: tale istituto, elaborato dalla giurisprudenza nella vigenza della legge n. 10 del 1977, in mancanza di una regolamentazione positiva compiuta della materia, non ha difatti più ragione di esistere nel vigente ordinamento, caratterizzato da una disciplina puntuale delle ipotesi di sanatoria edilizia la quale, nonostante il diverso auspicio espresso dall’Adunanza generale del Consiglio di Stato nel parere del 29.03.2001, non recepisce il precedente, delineato indirizzo ermeneutico.
Secondo l’ormai costante orientamento della giurisprudenza amministrativa, l’attuale disposto legislativo non lascia più spazio alla cosiddetta sanatoria “impropria”, invocata dal Consorzio ricorrente: tale istituto, elaborato dalla giurisprudenza nella vigenza della legge n. 10 del 1977, in mancanza di una regolamentazione positiva compiuta della materia, non ha difatti più ragione di esistere nel vigente ordinamento, caratterizzato da una disciplina puntuale delle ipotesi di sanatoria edilizia la quale, nonostante il diverso auspicio espresso dall’Adunanza generale del Consiglio di Stato nel parere del 29.03.2001, non recepisce il precedente, delineato indirizzo ermeneutico (cfr., fra le molte, Tar Valle d’Aosta Aosta, I, 11.05.2011, n. 34; Tar Toscana Firenze, III, 11.02.2011, n. 263; Tar Campania Napoli, VII, 14.01.2011, n. 150; Tar Puglia Lecce, III, 02.09.2010, n. 1887; Consiglio Stato, IV, 02.11.2009, n. 6784).
In termini generali, dunque, il richiamo alla sanatoria giurisprudenziale non merita di essere condiviso e il motivo di gravame va, pertanto, disatteso
(TAR Puglia-Lecce, Sez. III, sentenza 04.08.2011 n. 1484 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Accesso agli atti senza vedere firme. La sentenza del Tar Sardegna.
L'interessato che richiede l'accesso a un esposto che lo riguarda ha diritto ad ottenere perlomeno l'ostensione del documento con l'occultamento dei nominativi di tutti i firmatari.
Lo ha ribadito il TAR Sardegna, Sez. II, con la sentenza 02.08.2011 n. 865.
È sempre molto sottile la linea di demarcazione tra la tutela del diritto alla riservatezza e il diritto alla trasparenza e all'accesso agli atti amministrativi. Spesso infatti il destinatario di un esposto chiede all'autorità destinataria delle doglianze copia dell'atto per configurare eventuali contromisure non necessariamente convenzionali. Anche per semplice e legittima curiosità. Questo determina sovente un irrigidimento della pubblica amministrazione destinataria della richiesta di accesso agli atti che per evitare di gettare benzina sul fuoco nega totalmente l'accesso all'esposto.
Questa pratica non è corretta secondo il Tar sardo. Nel caso esaminato dal collegio il socio di una cooperativa posta in liquidazione si è visto rigettare dall'Inps la richiesta di accesso a un esposto presentato a suo danno da altri soci lavoratori. Contro questa determinazione negativa l'interessato ha avanzato con parziale successo ricorso al tribunale amministrativo evidenziando l'importanza del documento per la tutela dei suoi interessi.
Il collegio ha accolto, in parte, le doglianze dell'interessato richiamando, tra l'altro, «il precedente giurisprudenziale del Tar Lombardia Milano, sez. IV, dell'08.11.2004, n. 5716, nel quale è stato affermato che in tema di bilanciamento tra il diritto di accesso ai documenti amministrativi e la tutela dei terzi i cui dati personali siano contenuti nella documentazione richiesta, deve ritenersi che le esigenze di tutela della riservatezza dei firmatari di un esposto nei confronti di un professionista, presentato al relativo ordine professionale, e del quale il primo chieda l'ostensione, possano essere garantite mediante la mascheratura dei nominativi» (articolo ItaliaOggi del 24.08.2011).

SICUREZZA LAVORO: Responsabilità per la morte di un lavoratore che, intento a completare i lavori di posa in opera di parapetti in ferro sui balconi del piano mansarda, dal piano di calpestio della mansarda dell'edificio in questione, precipitava nel vano sottostante per il cedimento di un pannello in cartongesso collocato su un'apertura a sezione rettangolare praticata nel pavimento del vano sottotetto inidonea a sorreggere una persona e non opportunamente delimitata e segnalata.
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In materia di infortuni sul lavoro, il coordinatore per l'esecuzione dei lavori deve assicurare, nel caso della effettuazione dei lavori, il collegamento fra impresa appaltatrice e committente al fine di realizzare la migliore organizzazione ed ha il compito di adeguare il plano di sicurezza in relazione alla evoluzione dei lavori, di vigilanza sul rispetto del piano stesso e di sospendere, in caso di pericolo grave e imminente, le singole lavorazioni. Ne consegue che egli è responsabile delle conseguenze derivanti dalla violazione di tale posizione di garanzia.
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L'orientamento di questa Corte individua nell'appaltatore un sicuro centro d'imputazione di responsabilità nell'esecuzione dei lavori e degli infortuni verificatisi in costanza di essi per colpa a lui ascrivibile e alla cui responsabilità, rimanendo egli pur sempre garante della sicurezza delle persone da lui formalmente dipendenti, si aggiunge a quella dell'appaltante.
Infatti, "in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, il contratto d'appalto determina il trasferimento dal committente all'appaltatore della responsabilità nell'esecuzione dei lavori, salvo che lo stesso committente assuma una partecipazione attiva nella conduzione e realizzazione dell'opera, nel qual caso anch'egli rimane destinatario degli obblighi assunti dall'appaltatore".
Peraltro, il committente può essere chiamato a rispondere dell'infortunio qualora l'omessa adozione delle misure di prevenzione prescritte sia immediatamente percepibile cosicché il committente medesimo sia in grado di accorgersi dell'inadeguatezza delle stesse senza particolari indagini; mentre, in questa evenienza, ad escludere la responsabilità del committente, non sarebbe sufficiente che questi abbia impartito le direttive da seguire a tale scopo, essendo comunque necessario che ne abbia controllato, con prudente e continua diligenza, la puntuale osservanza.
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In tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, ciascun datore di lavoro, sia il committente che l'appaltatore, è esclusivo responsabile della tutela dei propri dipendenti dai rischi che coinvolgano unicamente questi ultimi, poiché la cooperazione tra committente ed appaltatore è imposta soltanto per eliminare i rischi comuni ai lavoratori dipendenti di entrambe le parti.
Sicché è chiaro come sia sul committente sia sull'appaltatore incomba l'obbligo di cooperazione, cioè di reciproca informazione e "di contribuire attivamente, dall'una e dall'altra parte, a predisporre ed applicare le misure di prevenzione e protezione necessarie" (la cui violazione ha chiaramente avuto diretta efficienza causale nella verificazione dell'evento letale).
Il datore di lavoro (al pari degli altri titolari di analoghe e contestuali posizioni di garanzia) è costituito garante dell'incolumità fisica e della salvaguardia della personalità morale dei prestatori di lavoro, con l'ovvia conseguenza che, ove egli non ottemperi agli obblighi di tutela, l'evento lesivo correttamente gli viene imputato in forza del meccanismo reattivo previsto dall'art. 40 c.p., comma 2. Ne segue che il datore di lavoro ha il dovere di accertarsi che l'ambiente di lavoro abbia i requisiti di affidabilità e di legalità quanto a presidi antinfortunistici, idonei a realizzare la tutela del lavoratore, e di vigilare costantemente a che le condizioni di sicurezza siano mantenute per tutto il tempo in cui è prestata l'opera.
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In tema di sicurezza antinfortunistica, il compito del datore di lavoro, o del dirigente cui spetta la "sicurezza del lavoro", è molteplice e articolato, e va dalla istruzione dei lavoratori sui rischi di determinati lavori e dalla necessità di adottare certe misure di sicurezza, alla predisposizione di queste misure e quindi, ove le stesse consistano in particolari cose o strumenti, al mettere queste cose, questi strumenti, a portata di mano del lavoratore e, soprattutto, al controllo continuo, pressante, per imporre che i lavoratori rispettino quelle norme, si adeguino alla misure in esse previste e sfuggano alla superficiale tentazione di trascurarle.
Il responsabile della sicurezza, sia egli o meno l'imprenditore, deve avere la cultura e la "forma minus" del garante del bene costituzionalmente rilevante costituito dalla integrità del lavoratore ed ha perciò il preciso dovere non di limitarsi a assolvere normalmente il compito di informare i lavoratori sulle norme antinfortunistiche previste, ma deve attivarsi e controllare sino alla pedanteria, che tali norme siano assimilate dai lavoratori nella ordinaria prassi di lavoro.
Inoltre lo specifico onere di informazione e di assiduo controllo, se è necessario nei confronti dei dipendenti dell'impresa, si impone a maggior ragione nei confronti di coloro che prestino lavoro alle dipendenze di altri e vengano per la prima volta a contatto con un ambiente e delle strutture a loro non familiari e che perciò possono riservare insidie non note.

Si rammenta, al riguardo, che "In materia di infortuni sul lavoro, il coordinatore per l'esecuzione dei lavori -figura introdotta dal D.Lgs. n. 494 del 1996, art. 5 in attuazione della Direttiva 92/57/CEE sulle prescrizioni minime di sicurezza e di salute nei cantieri temporanei o mobili- deve assicurare, nel caso della effettuazione dei lavori, il collegamento fra impresa appaltatrice e committente al fine di realizzare la migliore organizzazione ed ha il compito di adeguare il plano di sicurezza in relazione alla evoluzione dei lavori, di vigilanza sul rispetto del piano stesso e di sospendere, in caso di pericolo grave e imminente, le singole lavorazioni. Ne consegue che egli è responsabile delle conseguenze derivanti dalla violazione di tale posizione di garanzia" (Cass. pen. Sez. 4, n. 24010 del 03.04.2003, Rv. 228565).
Inoltre il F., come da imputazione, oltre al ruolo di coordinatore per la progettazione e per l'esecuzione dei lavori, assommava anche quello di direttore dei lavori e, come tale, ricopriva la cardinale posizione di garanzia che comportava l'onere della sua costante presenza sul cantiere e di controllo specifico circa l'apprestamento dei presidi antinfortunistici. Infatti a lui spettava la direzione, sorveglianza e cura degli aspetti sia tecnici che di prevenzione degli infortuni, con precise direttive circa lo svolgimento delle opere e la sicurezza dei lavoratori: la palese situazione di pericolo imponeva il suo tempestivo intervento e la puntuale verifica circa il rispetto delle direttive impartite.
Ne consegue che, a prescindere dal dedotto accordo tra la proprietaria C. e il m. circa la rifinitura della porzione del sottotetto contigua al foro e all'informazione da parte di costui di tale peculiare lavorazione al F., questi avrebbe dovuto comunque accorgersi tempestivamente dell'anomala situazione creatasi sul pavimento del sottotetto e della rimozione delle opere prevenzionali e provvedere adeguatamente al riguardo.
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L'orientamento di questa Corte individua nell'appaltatore un sicuro centro d'imputazione di responsabilità nell'esecuzione dei lavori e degli infortuni verificatisi in costanza di essi per colpa a lui ascrivibile e alla cui responsabilità, rimanendo egli pur sempre garante della sicurezza delle persone da lui formalmente dipendenti, si aggiunge a quella dell'appaltante (Sez. 4, n. 37840 dell'01.07.2009, Rv. 24527; Sez. 4, n. 37049 del 03.06.2008, non massimata nel CED).
Infatti, "in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, il contratto d'appalto determina il trasferimento dal committente all'appaltatore della responsabilità nell'esecuzione dei lavori, salvo che lo stesso committente assuma una partecipazione attiva nella conduzione e realizzazione dell'opera, nel qual caso anch'egli rimane destinatario degli obblighi assunti dall'appaltatore" (Cass. pen. Sez. 4, n. 38824 del 17.09.2008 Rv. 241063; Sez. 4, n. 46383 del 06.11.2007, Rv. 239338).
Peraltro, il committente può essere chiamato a rispondere dell'infortunio qualora l'omessa adozione delle misure di prevenzione prescritte sia immediatamente percepibile cosicché il committente medesimo sia in grado di accorgersi dell'inadeguatezza delle stesse senza particolari indagini; mentre, in questa evenienza, ad escludere la responsabilità del committente, non sarebbe sufficiente che questi abbia impartito le direttive da seguire a tale scopo, essendo comunque necessario che ne abbia controllato, con prudente e continua diligenza, la puntuale osservanza: nel caso di specie il m. aveva dato disposizioni circa la contestuale piastrellatura del pavimento della mansarda (anche con ulteriore appalti, con ciò inserendosi nell'organizzazione del complesso dell'attività lavorativa da svolgere sulla mansarda.
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In tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, ciascun datore di lavoro, sia il committente che l'appaltatore, è esclusivo responsabile della tutela dei propri dipendenti dai rischi che coinvolgano unicamente questi ultimi, poiché la cooperazione tra committente ed appaltatore è imposta soltanto per eliminare i rischi comuni ai lavoratori dipendenti di entrambe le parti (Cass. pen. Sez. 4, n. 28197 del 21.05.2009, Rv. 244691).
Sicché, essendo proprio questo il caso, è chiaro come sia sul committente sia sull'appaltatore incombesse l'obbligo di cooperazione (Cass. pen. Sez. 4 n. 19752 del 19.03.2009, Rv. 243642), cioè di reciproca informazione e "di contribuire attivamente, dall'una e dall'altra parte, a predisporre ed applicare le misure di prevenzione e protezione necessarie" (n. 28197 del 09.07.2009 sopra citata) la cui violazione ha chiaramente avuto diretta efficienza causale nella verificazione dell'evento letale.
In forza della disposizione generale di cui all'art. 2087 cod. civ. e di quelle specifiche previste dalla normativa antinfortunistica, il datore di lavoro (al pari degli altri titolari di analoghe e contestuali posizioni di garanzia) è costituito garante dell'incolumità fisica e della salvaguardia della personalità morale dei prestatori di lavoro, con l'ovvia conseguenza che, ove egli non ottemperi agli obblighi di tutela, l'evento lesivo correttamente gli viene imputato in forza del meccanismo reattivo previsto dall'art. 40 c.p., comma 2. Ne segue che il datore di lavoro ha il dovere di accertarsi che l'ambiente di lavoro abbia i requisiti di affidabilità e di legalità quanto a presidi antinfortunistici, idonei a realizzare la tutela del lavoratore, e di vigilare costantemente a che le condizioni di sicurezza siano mantenute per tutto il tempo in cui è prestata l'opera (cfr. Cass. pen. Sez. Un. n. 5 del 25.11.1998, Rv. 212577 ed altre successive conformi).
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E' stato affermato che "in tema di sicurezza antinfortunistica, il compito del datore di lavoro, o del dirigente cui spetta la "sicurezza del lavoro", è molteplice e articolato, e va dalla istruzione dei lavoratori sui rischi di determinati lavori e dalla necessità di adottare certe misure di sicurezza, alla predisposizione di queste misure e quindi, ove le stesse consistano in particolari cose o strumenti, al mettere queste cose, questi strumenti, a portata di mano del lavoratore e, soprattutto, al controllo continuo, pressante, per imporre che i lavoratori rispettino quelle norme, si adeguino alla misure in esse previste e sfuggano alla superficiale tentazione di trascurarle.
Il responsabile della sicurezza, sia egli o meno l'imprenditore, deve avere la cultura e la "forma minus" del garante del bene costituzionalmente rilevante costituito dalla integrità del lavoratore ed ha perciò il preciso dovere non di limitarsi a assolvere normalmente il compito di informare i lavoratori sulle norme antinfortunistiche previste, ma deve attivarsi e controllare sino alla pedanteria, che tali norme siano assimilate dai lavoratori nella ordinaria prassi di lavoro.
Inoltre lo specifico onere di informazione e di assiduo controllo, se è necessario nei confronti dei dipendenti dell'impresa, si impone a maggior ragione nei confronti di coloro che prestino lavoro alle dipendenze di altri e vengano per la prima volta a contatto con un ambiente e delle strutture a loro non familiari e che perciò possono riservare insidie non note (Cass. pen. Sez. 4, n. 6486 del 03.03.1995, Rv. 201706; Sez. 4, n. 13251 del 10.02.2005, Rv. 231156).
Tale indirizzo giurisprudenziale non è certo eliso o vanificato, secondo la prospettazione finale del ricorrente, dalla presenza del F., quale nominato coordinatore per la realizzazione dell'opera e per l'esecuzione dei lavori, nonché direttore degli stessi, essendo questo un caso, come sopra accennato, in cui più sono i titolari della posizione di garanzia ovvero dell'obbligo di impedire l'evento, onde ciascuno è per intero destinatario dell'obbligo di tutela imposto dalla legge fino a quando si esaurisce il rapporto che ha legittimato la costituzione della suddetta posizione di garanzia (Cass. pen. Sez. 4, n. 8593 del 22.01.2008, Rv. 238936) (Corte di Cassazione, Sez. IV penale, sentenza 14.07.2011 n. 27738 - link a http://olympus.uniurb.it).

APPALTI FORNITURE E SERVIZI: Revisione prezzi va al Tar. Competente anche per quantificarne l'entità. Il Consiglio di stato ribalta la tesi del Tribunale amministrativo del Lazio.
Il giudice amministrativo è competente a decidere se vi sia diritto alla revisione prezzi e a quantificarne l'entità.
È quanto ha stabilito il Consiglio di Stato, Sez. III, con la sentenza 12.07.2011 n. 4165 che prende in considerazione alcuni profili di competenza in materia di controversie relative alla revisione prezzi (o, per meglio dire, di adeguamento dei prezzi contrattuali).
La controversia, riguardante un appalto di lavori realizzati in un cimitero, era stata già decisa dal Tar del Lazio che aveva escluso la possibilità che il giudice amministrativo potesse esprimersi, oltre che sul riconoscimento del diritto alla revisione prezzi (l'«an»), anche sul «quantum» della stessa. Per il Tar del Lazio: «L'eventuale controversia relativa alla determinazione dei criteri liquidatori e alla loro applicazione non può che essere ricompresa nella cognizione del giudice ordinario, involgendo in sostanza, le norme del contratto d'appalto che regolano il diritto alla revisione dei prezzi».
La sentenza di secondo grado, invece, ha ribaltato la tesi del Tar prendendo le mosse dal quanto dispone il Codice dei contratti pubblici afferma che, per effetto di quanto disposto prima dall'art. 244 del dlgs n. 163 del 2006 (codice dei contratti pubblici) e poi dall'art. 133, comma 1, lett. e), punto 2 del codice del processo amministrativo, l'ambito della giurisdizione esclusiva in materia di revisione dei prezzi ha ora una portata ampia e generale. Il Consiglio di stato ha ritenuto quindi che debba ritenersi superato il tradizionale orientamento interpretativo (fatto proprio dal Tar per il Lazio), secondo cui al giudice amministrativo spettavano le sole controversie in materia di «an» della pretesa alla revisione del prezzo, mentre competevano al giudice ordinario le questioni inerenti alla quantificazione del compenso.
Il Consiglio di stato ha affermato quindi, con fare tranchant, che «si deve quindi ritenere che, ai sensi delle citate disposizioni, rientra nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ogni controversia concernente la revisione dei prezzi di un contratto di appalto, compreso il profilo del quantum debeatur (in termini: Cassazione civile, ss.uu. n. 13892 del 15.06.2009; n. 9152 del 17.04.2009; Consiglio di stato, sez. VI, n. 1247 del 03.03.2010; Consiglio stato, sez. V, n. 935 del 17.02.2010)». Parrebbe quasi che il Consiglio di stato voglia imputare al giudice di primo grado la mancata conoscenza della norma del processo amministrativo.
In ogni caso va ricordato, peraltro, che nella concreta determinazione del «quantum debeatur», è intervenuta la recente approvazione del cosiddetto «decreto sviluppo» che ha corretto la disposizione del Codice dei contratti pubblici, prevedendo che, qualora il prezzo di singoli materiali da costruzione, per effetto di circostanze eccezionali, subisca variazioni in aumento o in diminuzione, superiori al 10% rispetto al prezzo rilevato dal ministero delle infrastrutture nell'anno di presentazione dell'offerta, la compensazione, in aumento o in diminuzione, si applica per la metà (e non più per l'intero) della percentuale eccedente il 10% (articolo ItaliaOggi del 24.08.2011 - tratto da www.corteconti.it).

EDILIZIA PRIVATAIl reato di cui al D.Lgs. n. 490 del 1999, art. 163 (ora D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181) è reato di pericolo e, pertanto, per la configurabilità dell'illecito, non è necessario un effettivo pregiudizio per l'ambiente, potendo escludersi dal novero delle condotte penalmente rilevanti soltanto quelle che si prospettano inidonee, pure in astratto, a compromettere i valori del paesaggio e l'aspetto esteriore degli edifici.
Nelle zone paesisticamente vincolate è pertanto inibita, in assenza della prescritta autorizzazione, ogni modificazione dell'assetto del territorio, attuata attraverso qualsiasi opera non soltanto edilizia, ma di qualunque genere (ad eccezione degli interventi consistenti: nella manutenzione, ordinaria e straordinaria, nel consolidamento statico o restauro conservativo, purché non alterino lo stato dei luoghi e l'aspetto esteriore degli edifici; nell'esercizio dell'attività agro-silvo-pastorale, che non comporti alterazione permanente dello stato dei luoghi con costruzioni edilizie od altre opere civili e sempre che si tratti di attività ed opere che non alterino l'assetto idrogeologico; nel taglio colturale, forestazione, riforestazione, opere di bonifica, antincendio e di conservazione da eseguirsi nei boschi e nelle foreste, purché previsti ed autorizzati in base alle norme vigenti in materia).

E' orientamento costante di questa Corte che il reato di cui al D.Lgs. n. 490 del 1999, art. 163 (ora D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181) è reato di pericolo e, pertanto, per la configurabilità dell'illecito, non è necessario un effettivo pregiudizio per l'ambiente, potendo escludersi dal novero delle condotte penalmente rilevanti soltanto quelle che si prospettano inidonee, pure in astratto, a compromettere i valori del paesaggio e l'aspetto esteriore degli edifici.
Nelle zone paesisticamente vincolate è pertanto inibita, in assenza della prescritta autorizzazione, ogni modificazione dell'assetto del territorio, attuata attraverso qualsiasi opera non soltanto edilizia, ma di qualunque genere (ad eccezione degli interventi consistenti: nella manutenzione, ordinaria e straordinaria, nel consolidamento statico o restauro conservativo, purché non alterino lo stato dei luoghi e l'aspetto esteriore degli edifici; nell'esercizio dell'attività agro-silvo-pastorale, che non comporti alterazione permanente dello stato dei luoghi con costruzioni edilizie od altre opere civili e sempre che si tratti di attività ed opere che non alterino l'assetto idrogeologico; nel taglio colturale, forestazione, riforestazione, opere di bonifica, antincendio e di conservazione da eseguirsi nei boschi e nelle foreste, purché previsti ed autorizzati in base alle norme vigenti in materia) - cfr. ex multis e da ultimo Cass. pen. sez. 3 n. 16574 del 06.03.2007.
Perfino gli interventi di ristrutturazione edilizia o che, comunque, alterino lo stato dei luoghi e l'aspetto esteriore degli edifici, pur se eseguibili mediante "semplice" denuncia di inizio attività ai sensi del D.P.R. 06.06.2001, n. 180, art. 22, commi 1 e 2, sia se eseguibili in base alla cosiddetta super DIA, prevista dal comma 3 della citata disposizione, necessitano del preventivo rilascio dell'autorizzazione paesaggistica da parte dell'autorità preposta alla tutela del vincolo (cfr. ex multis Cass. pen. sez. 3 n. 8739 del 21.01.2010), configurandosi in mancanza il reato di cui al D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181 (Cass. pen. sez. 3 n. 15929 del 12.01.2006)
(Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 23.06.2011 n. 25227).

EDILIZIA PRIVATAIn materia edilizia, è necessario il permesso di costruire per la realizzazione di un muro di contenimento, in quanto si tratta di un manufatto che si eleva al di sopra del suolo ed è destinato a trasformare durevolmente l'area impegnata, come tale qualificabile intervento di nuova costruzione.
Quanto alla realizzazione del muro, la Corte di merito ha ricordato che, contrariamente, all'assunto degli appellanti, esso non poteva certo ritenersi di modeste o piccole dimensioni. Era stato accertato, infatti, che era lungo circa 15 mt., largo 35 cm., ed alto da un minimo di 0,60 mt. ad un massimo di mt. 2,50. Ha, inoltre, evidenziato che, anche a voler ritenere più corrette e conformi alla situazione dei luoghi le misurazioni effettuate dal consulente della difesa (secondo cui il muro aveva una larghezza di cm. 30 ed un'altezza da mt. 0,60 a mt. 1,90), era, comunque, necessario permesso di costruire.
Infatti, secondo la giurisprudenza di questa Corte, cui si è uniformata la Corte di merito, "In materia edilizia, è necessario il permesso di costruire per la realizzazione di un muro di contenimento, in quanto si tratta di un manufatto che si eleva al di sopra del suolo ed è destinato a trasformare durevolmente l'area impegnata, come tale qualificabile intervento di nuova costruzione" (cfr. ex multis Cass. pen. sez. 3 n.35898 del 14.05.2008)
(Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 23.06.2011 n. 25227).

EDILIZIA PRIVATALa responsabilità del proprietario per la realizzazione della costruzione abusiva, di cui risponde anche a titolo di concorso morale, può essere ricostruita anche sulla base di indizi e presunzioni gravi, precise e concordanti, desumibili dalla disponibilità giuridica e di fatto del suolo, dall'interesse specifico ad effettuare la nuova costruzione, dai rapporti di parentela con l'esecutore materiale degli stessi.
Osserva la Corte che la responsabilità del proprietario per la realizzazione della costruzione abusiva, di cui risponde anche a titolo di concorso morale, può essere ricostruita anche sulla base di indizi e presunzioni gravi, precise e concordanti, desumibili dalla disponibilità giuridica e di fatto del suolo, dall'interesse specifico ad effettuare la nuova costruzione, dai rapporti di parentela con l'esecutore materiale degli stessi (sez. 3, 24.05.2007 n. 35376, De Filippo, RV 237405) (sez. 3, 12.04.2005 n. 26121, Rosato, RV 231954) (sez. 3, 12.01.2007 n. 8667, Forletti ed altri, RV 236081) (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 22.06.2011 n. 25032).

EDILIZIA PRIVATALa esecuzione di un soppalco all'interno di una unità immobiliare, realizzato attraverso la divisione in altezza di un vano, allo scopo di ottenerne una duplice utilizzazione abitativa, pure se non realizzi un mutamento di destinazione d'uso, costituisce intervento di ristrutturazione edilizia che richiede il permesso di costituire o, in alternativa, la denunzia di inizio attività, ex D.P.R. n. 380 del 2001, art. 22, comma 3.
Questa Corte ha avuto modo di affermare il principio, ormai da tempo consolidatosi, secondo cui la esecuzione di un soppalco all'interno di una unità immobiliare, realizzato attraverso la divisione in altezza di un vano, allo scopo di ottenerne una duplice utilizzazione abitativa, pure se non realizzi un mutamento di destinazione d'uso costituisce intervento di ristrutturazione edilizia che richiede il permesso di costituire o, in alternativa, la denunzia di inizio attività, ex D.P.R. n. 380 del 2001, art. 22, comma 3.
Detto intervento comporta, infatti, un incremento della superficie utile calpestabile che a norma dell'art. 110, comma 1, lett. c), del citato decreto, impone il regime di alternatività, indipendentemente da una contemporanea modifica della sagoma o del volume (Cass. 26/10/2006 Montilli; Cass. 26/1/07, n. 2881; Cass. 01/03/2007 n. 8669).
Con le stesse pronunce di questa Corte è stato rilevato che le opere interne non sono più previste, nella formulazione del D.P.R. n. 380 del 2001, come categoria autonoma di intervento sugli edifici esistenti e devono ritenersi riconducibili alla "ristrutturazione edilizia" allorquando comportino aumento di unità immobiliari, ovvero modifiche dei volumi, dei prospetti o delle superfici o mutamenti di destinazione d'uso (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 13.06.2011 n. 23643).
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Quando il soppalco nell'appartamento diventa un reato edilizio.
L’esecuzione di un soppalco all’interno di un’unità immobiliare, realizzato attraverso la divisione in altezza di un vano, allo scopo di ottenerne una duplice utilizzazione abitativa, pure se non realizzi un mutamento di destinazione d’uso, costituisce intervento di ristrutturazione edilizia che richiede il permesso di costruire o, in alternativa, la denunzia di inizio attività ex art. 22, co. 3 D.P.R. 380/2001 (Testo Unico dell’Edilizia).
La pronuncia sub iudice, inserendosi in un consolidato filone giurisprudenziale, mira -nel silenzio della legge- a riempire di contenuti pratici una delle fattispecie più diffuse (e dai confini applicativi più incerti) del diritto penale edilizio, l’art. 44, lett. b) TUE, che punisce con l’arresto fino a due anni e con l’ammenda da 10.328 a 103.290 i casi di esecuzione dei lavori in totale difformità o assenza del permesso o di prosecuzione degli stessi nonostante l’ordine di sospensione.
L’intervento dei giudici di legittimità prende le mosse da una duplice condanna di merito: entrambe le corti territoriali campane avevano, infatti, ritenuto integrato il reato di cui all’art. 44 lett. b) TUE nell’ipotesi di realizzazione di due aree soppalcate all’interno di un’unità abitativa, in difetto del titolo abitativo ed in violazione della normativa sulle edificazioni.
La Corte di Cassazione si trova dunque ancora una volta a dover interpretare la materia penale edilizia, tutt’altro che lineare.
Nel tentativo di fornire delle coordinate chiare e precise al fine di individuare il contenuto, rectius il disvalore penale della fattispecie applicata, i giudici mettono a confronto il diritto penale con la normativa urbanistica sostanziale e ribadiscono la propria recente e consolidata giurisprudenza sul punto.
A quali condizioni la realizzazione di un soppalco può dunque rappresentare un abuso edilizio penalmente rilevante, con tutte le conseguenze pratiche che ne discendono?
L’esecuzione di un soppalco rientra a pieno titolo -dicono i giudici- nel novero degli interventi di ristrutturazione edilizia (sulla ‘qualifica urbanistica’ del soppalco come ristrutturazione edilizia e non come intervento di restauro o risanamento conservativo, vedi TAR Napoli, sez. IV, 23.12.2010, n. 27997, S.R. c. Comune di Napoli), nel momento in cui la stessa determina una modifica della superficie utile e calpestabile dell’unità abitativa, con conseguente aggravio del carico urbanistico.
E come tale, richiede un doppio regime abilitativo:
- il permesso di costruire nei casi indicati dall’art. 10, comma 1, lett. c), che dispone espressamente che “gli interventi di ristrutturazione edilizia che portino ad un organismo edilizio in tutto in parte diverso dal precedente e comportino aumento di unità immobiliari, modifiche del volume, della sagoma, dei prospetti o delle superfici, ovvero che comportino mutamenti della destinazione d’uso”;
- o, in alternativa per tutti gli altri casi, la D.I.A.
Le opere cd. interne, aggiungono i giudici, non possono che essere ricondotte alla categoria della ristrutturazione interna, dal momento che comportano l’aumento di unità immobiliari o modifiche dei volumi, dei prospetti o delle superfici oppure mutamenti delle destinazioni d’uso.
Nessun dubbio, dunque, sul fatto che anche il soppalco necessiti –con tutte le ricadute applicative che ne conseguono– del permesso di costruire come condizione di operatività (12.08.2011 - commento tratto da www.ipsoa.it).

ESPROPRIAZIONE: Determinazione dell’indennità di esproprio. Necessità che l’indennizzo non sia previsto in misura irrisoria o meramente simbolica, ma costituisca un serio ristoro.
- L’indennizzo assicurato all’espropriato dall’art. 42, terzo comma, Cost., se non deve costituire una integrale riparazione per la perdita subita -in quanto occorre coordinare il diritto del privato con l’interesse generale che l’espropriazione mira a realizzare- non può essere, tuttavia, fissato in una misura irrisoria o meramente simbolica, ma deve rappresentare un serio ristoro (1).
Per raggiungere tale finalità, occorre fare riferimento, per la determinazione dell’indennizzo, al valore del bene in relazione alle sue caratteristiche essenziali, fatte palesi dalla potenziale utilizzazione economica di esso, secondo legge. Solo in tal modo può assicurarsi la congruità del ristoro spettante all’espropriato ed evitare che esso sia meramente apparente o irrisorio rispetto al valore del bene.
- In relazione all’art. 117, primo comma, Cost., all’art. 1 del primo protocollo addizionale della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, nell’interpretazione datane dalla Corte di Strasburgo ed all’art. 42, terzo comma, Cost., va dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 5-bis, comma 4, del decreto-legge 11.07.1992, n. 333 (Misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica), convertito, con modificazioni, dalla legge 08.08.1992, n. 359, che, per la determinazione dell’indennità di espropriazione relativa alle aree agricole ed a quelle non suscettibili di classificazione edificatoria, rinvia alle norme di cui al titolo secondo della legge n. 865 del 1971, successive modificazioni e integrazioni, stabilendo che l’indennità di espropriazione, per le aree esterne ai centri edificati, è commisurata al valore agricolo medio annualmente calcolato da apposite commissioni provinciali, valore corrispondente al tipo di coltura in atto nell’area da espropriare (comma quinto); ed aggiunge che, nelle aree comprese nei centri edificati, l’indennità è commisurata al valore agricolo medio della coltura più redditizia tra quelle che, nella regione agraria in cui ricade l’area da espropriare, coprono una superficie superiore al 5 per cento di quella coltivata della regione agraria stessa (comma sesto) (2).
- Ai sensi dell’art. 27 della legge 11.03.1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), deve essere dichiarata l’illegittimità costituzionale, in via consequenziale, dell’art. 40, commi 2 e 3, del d.P.R. n. 327 del 2001, recante la nuova normativa in materia di espropriazione.
Detta norma, che apre la sezione dedicata alla determinazione dell’indennità nel caso di esproprio di un’area non edificabile, adotta per tale determinazione, con riguardo ai commi indicati, il criterio del valore agricolo medio corrispondente al tipo di coltura prevalente nella zona o in atto nell’area da espropriare e, quindi, contiene una disciplina che riproduce quella dichiarata in contrasto con la Costituzione dalla presente sentenza (3).
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(1) Cfr. Corte Cost., sentenze n. 173 del 1991; sentenza n. 1022 del 1988; sentenza n. 355 del 1985; sentenza n. 223 del 1983; sentenza n. 5 del 1980.
V. anche Corte cost., sentenza n. 348 del 2007, la quale ha ribadito che «deve essere esclusa una valutazione del tutto astratta, in quanto sganciata dalle caratteristiche essenziali del bene ablato» (principio già affermato dalla sentenza n. 355 del 1985).
(2) Ha osservato in particolare la Corte che non è ravvisabile alcun motivo idoneo a giustificare un trattamento differenziato, in presenza di un evento espropriativo, tra i suoli di cui si tratta (edificabili, da un lato, agricoli o non suscettibili di classificazione edificatoria, dall’altro).
Infatti, come la stessa Corte cost. in precedenza -con la sentenza n. 348 del 2007- ha posto in luce, «sia la giurisprudenza della Corte costituzionale italiana sia quella della Corte europea concordano nel ritenere che il punto di riferimento per determinare l’indennità di espropriazione deve essere il valore di mercato (o venale) del bene ablato». E tale punto di riferimento non può variare secondo la natura del bene, perché in tal modo verrebbe meno l’ancoraggio al dato della realtà postulato come necessario per pervenire alla determinazione di una giusta indennità.
E’ vero che il legislatore non ha il dovere di commisurare integralmente l’indennità di espropriazione al valore di mercato del bene ablato e che non sempre è garantita dalla CEDU una riparazione integrale, come la stessa Corte di Strasburgo ha affermato, sia pure aggiungendo che in caso di "espropriazione isolata", pur se a fini di pubblica utilità, soltanto una riparazione integrale può essere considerata in rapporto ragionevole con il valore del bene. Tuttavia, proprio l’esigenza di effettuare una valutazione di congruità dell’indennizzo espropriativo, determinato applicando eventuali meccanismi di correzione sul valore di mercato, impone che quest’ultimo sia assunto quale termine di riferimento dal legislatore (Corte cost., sentenza n. 1165 del 1988), in guisa da garantire il "giusto equilibrio" tra l’interesse generale e gli imperativi della salvaguardia dei diritti fondamentali degli individui.
(3) La Corte non ha ritenuto espressamente di estendere la declaratoria di illegittimità costituzionale anche al comma 1 del citato art. 40. Detto comma concerne l’esproprio di un’area non edificabile ma coltivata (il caso di area non coltivata è previsto dal comma 2), e stabilisce che l’indennità definitiva è determinata in base al criterio del valore agricolo, tenendo conto delle colture effettivamente praticate sul fondo e del valore dei manufatti edilizi legittimamente realizzati, anche in relazione all’esercizio dell’azienda agricola.
La mancata previsione del valore agricolo medio e il riferimento alle colture effettivamente praticate sul fondo consentono una interpretazione della norma costituzionalmente orientata, peraltro demandata ai giudici ordinari
(massima tratta www.regione.piemonte.it  - Corte Costituzionale, sentenza 10.06.2011 n. 181).

VARI: Patente a punti ko. Azzeramento nullo senza preavviso. Accolto ricorso al Tar Campania. Sospensione cancellata.
In caso di ripetute infrazioni stradali la comunicazione della perdita di tutti i punti patente non può essere cumulativa perché così sarebbe limitata la possibilità per l'interessato di partecipare ai corsi di recupero che gli permettono di mantenere un credito residuo e salvare la patente.
Lo ha confermato il TAR Campania-Napoli, Sez. V, con la sentenza 08.06.2011 n. 3008.
Un cittadino incappato ripetutamente nelle multe automatiche con penalità ha ricevuto dalla motorizzazione la notifica della sospensione della propria patente di guida per omessa revisione conseguente all'azzeramento dei punti. Contro questa severa determinazione l'interessato ha proposto ricorso al Tar evidenziando l'irregolarità del procedimento sanzionatorio attivato a suo carico dalla pubblica amministrazione.
Il Tar ha accolto le censure annullando la sospensione della patente perché «atteso che come fondatamente dedotto dalla parte ricorrente gli è stata preclusa la possibilità di partecipare al corso per il recupero di almeno sei punti necessario e sufficiente al fine di evitare la revisione della patente». Lo spirito della patente a punti, prosegue il collegio, richiede un tempestivo coinvolgimento dell'autista in ogni ipotesi di decurtazione di punteggio.
Una comunicazione cumulativa di penalità da parte del Ced del ministero dei trasporti determina un sostanziale aggiramento delle regole stradali che tra l'altro permettono al trasgressore di effettuare una parziale ricarica di punti frequentando un corso di recupero ad hoc.
In buona sostanza una comunicazione cumulativa e tardiva di decurtazione di punteggio vanifica l'istituto della patente a punti che è un sistema afflittivo progressivo che mira a sensibilizzare il trasgressore a non commettere ulteriori infrazioni e a frequentare gli appositi corsi di recupero punti necessari a mantenere un credito minimo e ad evitare quindi l'eventualità della revisione o peggio ancora della sospensione della licenza di guida.
In pratica ad ogni infrazione stradale, conclude il tribunale, «deve seguire nei tempi dettati dalla legge, sia la relativa decurtazione di punteggio, sia una specifica e autonoma comunicazione al trasgressore, così da consentire a quest'ultimo di riparare alla violazione commessa frequentando gli appositi corsi, allo stesso tempo alimentando il circuito educativo alla conoscenza e al rispetto del codice della strada» (articolo ItaliaOggi del 24.08.2011).

PUBBLICO IMPIEGO: Potere della P.A. di verificare, nel corso del rapporto di lavoro, la permanenza della invalidità che aveva determinato l’assunzione del dipendente.
La situazione di invalido civile del dipendente pubblico condiziona non solo la regolarità dell'assunzione, ma anche la permanenza dell'efficacia del rapporto, che si fonda sul regime speciale riconosciuto ai dipendenti oggettivamente svantaggiati e che perciò esige la persistenza della condizione che legittima l'applicazione della disciplina di favore, anche a tutela di soggetti effettivamente invalidi e non avviati al lavoro. Ne consegue che ben può l'Amministrazione, in seguito all'instaurazione del rapporto con l'invalido, verificare la permanenza dei requisiti soggettivi che ne hanno imposto l'assunzione obbligatoria, essendo titolare del relativo potere e, a maggior ragione, del dovere di verificare la legittimità della prosecuzione del vincolo, ogniqualvolta sospetti la mancanza (anche sopravvenuta) delle condizioni di applicabilità di questa disciplina (1).
In base al combinato disposto degli artt. 10 e 20 della l. 02.04.1968, n. 482, l'espletamento di una visita medica finalizzata ad accertare la compatibilità delle condizioni di salute del dipendente con le mansioni assegnate, può essere sollecitato, oltre che su iniziativa del dipendente, anche su impulso del datore di lavoro, pubblico o privato (2).
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(1) Cfr. Cons. Stato, V, 18.09.2003, n. 5297. Alla stregua del principio nella specie è stato ritenuto legittimo il provvedimento con il quale l’Amministrazione, dopo avere verificato, mediante apposita visita medica, che il dipendente assunto quale invalido civile non aveva alcuna invalidità, ha disposto la risoluzione del rapporto.
Nel caso in questione il dipendente era stato assunto in servizio sulla base della semplice dichiarazione della permanenza dello stato d’invalidità, e non era stato immediatamente assoggettato a controllo. Soltanto qualche anno più tardi fu sottoposto ad accertamenti sanitari, dai quali emerse uno stato di "non invalidità". Ha ritenuto la sentenza in rassegna che il controllo successivo si appalesava quale atto dovuto in base all’art. 9 del d.l. 12.09.1983, n. 463, convertito dalla l. 11.11.1983, n. 368.
Invero, per pacifica giurisprudenza l'art. 9 d.l. 12.09.1983, n. 463, nel testo modificato dalla legge di conversione 11.11.1983, n. 638, prescrive, come regola generale, che l'accertamento dello stato invalidante, nella misura minima richiesta per l'assunzione obbligatoria, preceda anche l’atto di avviamento al lavoro, ma, al tempo stesso, evita che difficoltà operative possano ritardare l'assunzione, da parte dell'invalido, del posto di lavoro: perciò consente che il rapporto di lavoro sia instaurato anche se la visita di controllo non è stata ancora disposta ed effettuata; ma ne condiziona la permanenza all'esito di quest'ultima; perciò che è legittima la risoluzione del rapporto se alla visita di controllo si accerti che il soggetto non aveva i requisiti per l'assunzione privilegiata.
(2) Cfr. Cons. Stato, VI, 08.11.2005, n. 6220
(massima tratta da www.regione.piemonte.it - Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 30.05.2011 n. 3238 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: La variante adottata per attribuire ai terreni la destinazione necessaria per realizzare un progetto di impianto sportivo, quale destinazione di “verde sportivo”, ha chiaramente natura espropriativa e non certo conformativa poiché rappresenta una mera “localizzazione” di una ben definita opera pubblica.
Altrettanto condivisibile è l’assunto del ctu secondo cui la indicata variante al PRG aveva natura di vincolo espropriativo (come tale irrilevante ai fini che ci occupano) e non conformativo. Infatti detta variante è stata approvata (ctu pag. 8) per attribuire ai terreni in oggetto la destinazione necessaria per realizzare il progetto dell’impianto sportivo. “E’ quindi ovvio che tale destinazione di verde sportivo aveva chiaramente natura espropriativa e non certo conformativa poiché rappresentava una mera “localizzazione” di una ben definita opera pubblica” (ctu, pag. 8).
Trattandosi di esproprio con dichiarazione di pubblica utilità risalente pacificamente a prima dell’entrata in vigore del dpr 327/2001, non può (cfr. art. 57 e 59 di detto dpr) applicarsi il ridetto dpr. Invero, a seguito della sentenza n. 348/2007 della Corte Costituzionale e dell’art. 39 r.d. 2359-1865, l’indennità di esproprio per i terreni edificativi deve essere pari al valore venale del bene (è evidente la originaria volontà processuale degli attori di ottenere le indennità di esproprio e di occupazione secondo i più vantaggiosi parametri di calcolo). Per la particella non edificativa si deve applicare la l. 865/1971 (Corte d’Appello-Firenze, Sez. I, sentenza 22.02.2011 n. 248 -  link a www.periti-industriali.firenze.it).

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI: Al direttore dei lavori è richiesta in via principale una attività di vigilanza e di controllo dell'operato dell'impresa appaltatrice, del cui operato esecutivo di norma non risponde. Si tratta di una attività preminentemente di coordinamento tra l'operato dell'impresa e l'oggetto contrattuale dell'appalto, nonché di verifica dell'esatta realizzazione di quanto progettato.
Il direttore dei lavori non assume nei confronti del committente una obbligazione di risultato, ma unicamente una obbligazione di mezzi, che può essere svolta anche attraverso una non continua e permanente presenza sul cantiere da parte del professionista. Neppure può ritenersi preclusa la possibilità per il professionista di avvalersi della collaborazione di terze persone, appartenenti o meno allo Studio tecnico di cui sia titolare, quando si tratta di svolgere compiti che non implichino la soluzione di problemi tecnici e che, come tali, richiedano la presenza personale del professionista.

Osserva il Tribunale che al direttore dei lavori è richiesta in via principale una attività di vigilanza e di controllo dell'operato dell'impresa appaltatrice, del cui operato esecutivo di norma non risponde. Si tratta a ben vedere, di una attività preminentemente di coordinamento tra l'operato dell'impresa e l'oggetto contrattuale dell'appalto, nonché di verifica dell'esatta realizzazione di quanto progettato.
Come poi ha esattamente rilevato la difesa dell'attore, il direttore dei lavori non assume nei confronti del committente una obbligazione di risultato, ma unicamente una obbligazione di mezzi, che può essere svolta anche attraverso una non continua e permanente presenza sul cantiere da parte del professionista. Neppure può ritenersi preclusa la possibilità per il professionista di avvalersi della collaborazione di terze persone, appartenenti o meno allo Studio tecnico di cui sia titolare, quando si tratta di svolgere compiti che non implichino la soluzione di problemi tecnici e che, come tali, richiedano la presenza personale del professionista. 
Deve dunque convenirsi che al progettista e direttore dei lavori ... spetta il compenso per la prestata attività, così come richiesta attraverso la fatturazione contestata, indipendentemente dal ritardo verificatosi nella conclusione dei lavori appaltati e dall'esistenza dei vizi dell'opera come denunciati dai committenti, nessuna prova essendo emersa che sia il ritardo che i vizi, ove effettivamente sussistenti, siano ricollegabili ad omissioni o a colpa dell'arch. ... (TRIBUNALE di Siena, sentenza 09.02.2011 n. 50).

EDILIZIA PRIVATA - VARIIl certificato di abitabilità è previsto a tutela “delle esigenze igieniche e sanitarie nonché degli interessi urbanistici –richiedenti l'accertamento pubblico della sussistenza delle condizioni di salubrità, stabilità e sicurezza dell' edificio, attestante l'idoneità dell'immobile ad essere 'abitato' e più generalmente ad essere frequentato dalle persone fisiche- ...” e che, ove il certificato de quo non sia stato rilasciato e non possa esserlo per le caratteristiche dell'immobile (ad es. violazioni urbanistiche non sanabili) il bene è incommerciabile e si configura una ipotesi di vendita di aliud pro alio.
Il venditore di un immobile destinato ad abitazione ha l'obbligo di consegnare all'acquirente il certificato di abitabilità, senza il quale l'immobile stesso è incommerciabile. La violazione di tale obbligo può legittimare sia la domanda di risoluzione del contratto, sia quella di risarcimento del danno, sia l'eccezione di inadempimento.

Occorre premettere che il certificato di abitabilità è previsto a tutela “delle esigenze igieniche e sanitarie nonché degli interessi urbanistici –richiedenti l'accertamento pubblico della sussistenza delle condizioni di salubrità, stabilità e sicurezza dell' edificio, attestante l'idoneità dell'immobile ad essere 'abitato' e più generalmente ad essere frequentato dalle persone fisiche- ...” (Cass. Sez. III 11.04.2006 n. 8409) e che, ove il certificato de quo non sia stato rilasciato e non possa esserlo per le caratteristiche dell'immobile (ad es. violazioni urbanistiche non sanabili) il bene è incommerciabile e si configura una ipotesi di vendita di aliud pro alio (cfr. Cass. Sez. II 31.05.2010 n. 13231; Cass. Sez. II 18.03.2010 n. 65448).
Inoltre è stato affermato che “il venditore di un immobile destinato ad abitazione ha l'obbligo di consegnare all'acquirente il certificato di abitabilità, senza il quale l'immobile stesso è incommerciabile. La violazione di tale obbligo può legittimare sia la domanda di risoluzione del contratto, sia quella di risarcimento del danno, sia l'eccezione di inadempimento ....” (Cass. Sez. III 23.01.2009 n. 1701).
Non può, quindi, l'appellante (venditore) fondatamente sostenere di non avere obblighi in ordine al certificato de quo e minimizzarne la mancanza per rilevare che, al massimo, potrebbe giustificare una riduzione del prezzo. Inoltre l'appellante non può fondatamente dedurre, a sostegno della correttezza del proprio operato, il fatto che in data 24/09/2001 il geom. ... abbia certificato (ex art. 11 L.R.Toscana 52/1999) la conformità del fabbricato agli atti concessori ed alla sanatoria e che da tale data, giusta tale norma, decorra l'abitabilità. Dovrebbe l'appellante considerare che tale certificazione è intervenuta alcuni anni dopo l'introduzione del giudizio, prima di attribuire alla Ciccarelli un comportamento inadempiente (Corte d'Appello-Firenze, Sez. I, sentenza 01.02.2011 n. 150 - link a www.periti-industriali.firenze.it).

SICUREZZA LAVORORSPP e omessa segnalazione dei fattori di rischio.
Responsabilità di un RSPP per il reato di omicidio colposo aggravato dalla violazione della normativa antinfortunistica in danno del lavoratore ..., dipendente della società A., che, alla guida di un trattore agricolo, utilizzato ordinariamente per la movimentazione dei vagoni ferroviari all'interno di uno stabilimento, mentre compiva la manovra in retromarcia all'ingresso del capannone n. 14 -manovra necessaria per accedere al capannone n. 10, ove doveva essere posizionata una carrozza ferroviaria- cadeva lateralmente in una fossa di ispezione posta lungo tutto il capannone, lasciata aperta, e così sbalzato al di fuori della cabina, cadeva in tale fossa, ove rimaneva schiacciato dalle ruote del trattore.
Il (...) era stato chiamato a risponderne, quale responsabile del servizio prevenzione e protezione della società A., essendosi ravvisati a suo carico profili di colpa generica e specifica, non avendo lo stesso valutato adeguatamente i rischi connessi alle mansioni che gli operai dovevano svolgere durante le operazioni di movimentazione della carrozze, rischi derivanti in particolare dalla presenza delle fosse di lavorazione non protette al fine di evitare la caduta accidentale di uomini e i mezzi.
Ricorso in Cassazione - Rigetto.
Rileva la Suprema Corte che la sentenza d'appello non pone in discussione il principio che il responsabile del servizio di prevenzione e protezione (RSPP) non è titolare di alcuna posizione di garanzia rispetto all'osservanza della normativa antinfortunistica e che lo stesso opera, piuttosto, quale "consulente" in tale materia del datore di lavoro, il quale è [e rimane] direttamente tenuto ad assumere le necessarie iniziative idonee a neutralizzare le situazioni di rischio.
"In effetti, la "designazione" del RSPP, che il datore di lavoro è tenuto a fare a norma dell'articolo 31 del decreto cit. (ndr: D.Lgs. 81/2008 così come modificato dal D.Lgs. 106/2009) [individuandolo, ai sensi del successivo articolo 32, tra persone i cui requisiti siano "adeguati alla natura dei rischi presenti sul luogo di lavoro e relativi alle attività lavorative"], non equivale a "delega di funzioni" utile ai fini dell'esenzione del datore di lavoro da responsabilità per la violazione della normativa antinfortunistica, perché gli consentirebbe di "trasferire" ad altri -il delegato- la posizione di garanzia che questi ordinariamente assume nei confronti dei lavoratori.
Posizione di garanzia che, come è noto, compete al datore di lavoro in quanto ex lege onerato dell'obbligo di prevenire la verificazione di eventi dannosi connessi all'espletamento dell'attività lavorativa.
Dalla ricostruzione dei compiti del RSPP discende, coerentemente, che il medesimo è privo di capacità immediatamente operative sulla struttura aziendale, spettandogli solo di prestare "ausilio" al datore di lavoro nella individuazione e segnalazione dei fattori di rischio delle lavorazioni e nella elaborazione delle procedure di sicurezza nonché di informazione e formazione dei lavoratori (cfr. articolo 33 del decreto cit.).
Il datore di lavoro, quindi, è e rimane il titolare della posizione di garanzia nella subiecta materia, poiché l'obbligo di effettuare la valutazione dei rischi e di elaborare il documento contenente le misure di prevenzione e protezione, appunto in collaborazione con il RSPP, fa pur sempre capo a lui, tanto che la normativa di settore, mentre non prevede alcuna sanzione penale a carico del RSPP, punisce direttamente il datore di lavoro già per il solo fatto di avere omessa la valutazione dei rischi e non adottato il relativo documento.
Quanto detto, però, non esclude che, indiscussa la responsabilità del datore di lavoro che rimane persistentemente titolare della "posizione di garanzia", possa profilarsi lo spazio per una (concorrente) responsabilità del RSPP.
Anche il RSPP, che pure è privo dei poteri decisionali e di spesa [e quindi non può direttamente intervenire per rimuovere le situazioni di rischio], può essere ritenuto (cor)responsabile del verificarsi di un infortunio, ogni qualvolta questo sia oggettivamente riconducibile ad una situazione pericolosa che egli avrebbe avuto l'obbligo di conoscere e segnalare, dovendosi presumere che alla segnalazione avrebbe fatto seguito l'adozione, da parte del datore di lavoro, delle necessarie iniziative idonee a neutralizzare detta situazione
."
"Ne consegue che il responsabile del servizio di prevenzione e protezione qualora, agendo con imperizia, negligenza, imprudenza o inosservanza di leggi e discipline, abbia dato un suggerimento sbagliato o abbia trascurato di segnalare una situazione di rischio, inducendo, così, il datore di lavoro ad omettere l'adozione di una doverosa misura prevenzionale, risponderà insieme a questi dell'evento dannoso derivatone, essendo a lui ascrivibile un titolo di colpa professionale che può assumere anche un carattere addirittura esclusivo (Sezione IV, 15.07.2010, Scagliarmi)."
"Secondo le regole generali, il RSPP può essere tenuto a rispondere -proprio perché la sua inosservanza si pone come concausa dell'evento- dell'infortunio in ipotesi verificatosi proprio in ragione dell'inosservanza colposa dei compiti di prevenzione attribuitigli dalla legge." (Corte di Cassazione, Sez. IV penale, sentenza 27.01.2011 n. 2814 - link http://olympus.uniurb.it).

EDILIZIA PRIVATAAll'interno di un giudizio riguardante le costruzioni su fondi finitimi, in cui l'attore abbia chiesto la condanna del proprietario frontista alla demolizione del fabbricato costruito in violazione delle distanze legali, non costituisce domanda nuova in appello il rilievo relativo all'illegittimità dell'adozione di un regolamento comunale contrastante con il dm pro tempore vigente (nella specie, il dm 02.04.1968, n. 1444) in quanto il giudice adito, nell'ambito della sua verifica delle norme applicabili, è tenuto a rilevare l'illegittimità dell'adozione da parte dell'amministrazione comunale di un regolamento edilizio contrastante con le norme vigenti e ad applicare, in sostituzione delle disposizioni illegittime, le norme violate, in quanto divenute automaticamente parte integrante del successivo strumento urbanistico locale.
- Poiché il balcone, estendendo in superficie e volume l'edificio, costituisce corpo di fabbrica e poiché l'art. 9 del dm n. 1444 del 1968 stabilisce la distanza minima di 10 metri tra pareti finestrate e pareti antistanti, un regolamento edilizio che stabilisca un criterio di misurazione della distanza tra edifici che non tenga conto dell'estensione del balcone è contra legem in quanto, sottraendo dal calcolo della distanza la estensione del balcone, viene a determinare una distanza tra fabbricati interiore a 10 metri, violando il distacco voluto dalla legge ponte.

Da lunghi anni, è costante e consolidata la giurisprudenza che afferma la diretta applicabilità della norma sulle distanze di cui al dm 02.04.1968, n. 1444 in ipotesi di norma locale contrastante colla norma ministeriale (cfr., in tal senso, tra le ultime, Cassazione civile, sez. II, 03.03.2008, n. 5741: «All'interno di un giudizio riguardante le costruzioni su fondi finitimi, in cui l'attore abbia chiesto la condanna del proprietario frontista alla demolizione del fabbricato costruito in violazione delle distanze legali, non costituisce domanda nuova in appello il rilievo relativo all'illegittimità dell'adozione di un regolamento comunale contrastante con il dm pro tempore vigente (nella specie, il dm 02.04.1968, n. 1444) in quanto il giudice adito, nell'ambito della sua verifica delle norme applicabili, è tenuto a rilevare l'illegittimità dell'adozione da parte dell'amministrazione comunale di un regolamento edilizio contrastante con le norme vigenti e ad applicare, in sostituzione delle disposizioni illegittime, le norme violate, in quanto divenute automaticamente parte integrante del successivo strumento urbanistico locale»): dunque, è prioritaria l’interpretazione della norma ministeriale ché, se la interpretazione della norma locale dovesse condurre a un risultato contrastante colla prima, non vi sarebbe che da disapplicare quella locale.
Sul punto della interpretazione della norma ministeriale la Corte non ha ragione di disattendere la persuasiva giurisprudenza del SC secondo la quale, «poiché il balcone, estendendo in superficie e volume l'edificio, costituisce corpo di fabbrica e poiché l'art. 9 del dm n. 1444 del 1968 stabilisce la distanza minima di 10 metri tra pareti finestrate e pareti antistanti, un regolamento edilizio che stabilisca un criterio di misurazione della distanza tra edifici che non tenga conto dell'estensione del balcone è contra legem in quanto, sottraendo dal calcolo della distanza la estensione del balcone, viene a determinare una distanza tra fabbricati interiore a 10 metri, violando il distacco voluto dalla legge ponte» (Cassazione civile, sez. II, 2707.2006, n. 17089) (Corte d'Appello-Firenze, Sez. I, sentenza 04.05.2010 n. 679).

EDILIZIA PRIVATALa giurisprudenza fa ritenere che l’art. 9 della l. n. 10/1977, avendo introdotto in una certa serie di ipotesi la figura della concessione gratuita, rappresenti, invece, una deroga al principio generale dell’onerosità della concessione edilizia, tanto è vero che l’indicazione delle fattispecie di esonero dal versamento del contributo di concessione ha carattere tassativo. Pertanto, le predette fattispecie di esonero, inclusa quella ex art. 9, lett. d), cit., sono di stretta interpretazione.
Ne discende che è legittimo cercare di individuare e circoscrivere il contenuto della nozione di “edifici unifamiliari” ricorrendo, come ha fatto il Comune di ..., a criteri estratti da altri complessi normativi, con l’unico limite di non stravolgere la portata della disciplina da applicare.
Nel caso di specie nessun stravolgimento della portata dell’art. 9, lett. d), della l. n. 10/1977 si può ricavare dall’avere il predetto Comune fatto ricorso agli artt. 3 del D.M. n. 1444/1968 e 19 della l.r. n. 51/1975 (quest’ultimo, nella versione anteriore alle modifiche introdotte dall’art. 6 della l.r. n. 1/2001), definendo quali “edifici unifamiliari” quelli la cui volumetria non superi i 100 mc. per ciascun componente del nucleo familiare, individuato attraverso l’Anagrafe comunale. In particolare, dalle norme citate si ricava che il valore medio, sulla cui base va computata la capacità insediativa, è di 100 mc. per abitante.
Sembra, quindi, ragionevole l’utilizzo di siffatto criterio anche ai fini della definizione della nozione di “edifici unifamiliari”, per il cui ampliamento entro il 20% è prevista la gratuità della concessione edilizia: ciò in quanto il principio è quello opposto, dell’onerosità della concessione stessa, inteso come dovere di contribuire agli oneri connessi alla trasformazione del territorio, per la realizzazione di nuovi insediamenti o l’ampliamento di quelli esistenti, con il conseguente consumo metrico e volumetrico.
Sul punto, del resto, la giurisprudenza ha avuto modo di affermare l’incensurabilità, in sede di legittimità, della determinazione comunale delle caratteristiche dell’edificio unifamiliare, stabilite in relazione ad un criterio logico di abitabilità di un nucleo familiare medio, ai fini dell’applicazione dell’art. 9, lett. d), cit..

L’assunto di base della ricorrente è che la previsione dell’art. 9, comma 1, lett. d), della l. n. 10/1977 non costituisca una deroga ai principi generali in materia di concessione edilizia, ma anzi ne costituisca una diretta applicazione, giacché solo le attività comportanti trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio comunale determinano la partecipazione del realizzatore ai relativi oneri: in base a tale regola, quindi, poiché in caso di ampliamento di edifici unifamiliari entro il 20% non si avrebbe alcuna trasformazione del territorio, del tutto logicamente la legge ha previsto l’esonero dal contributo di concessione.
Sempre secondo la ricorrente, se ne dovrebbe dedurre l’impossibilità di utilizzare ulteriori limitazioni, a pena, in caso contrario, di stravolgere significato e portata del testo normativo: nella vicenda in esame, in cui, invece, tali limitazioni ulteriori sono state utilizzate, avendo il Comune fatto ricorso al D.M. n. 1444/1968 ed all’art. 19 della l.r. n. 51/1975 per decifrare la nozione di edificio “unifamiliare”, l’operato dell’Amministrazione sarebbe stato, perciò, illegittimo.
Tuttavia, l’esame della giurisprudenza in argomento non conforta la tesi della ricorrente e anzi fa ritenere che l’art. 9 della l. n. 10/1977, avendo introdotto in una certa serie di ipotesi la figura della concessione gratuita, rappresenti, invece, una deroga al principio generale dell’onerosità della concessione edilizia, tanto è vero che l’indicazione delle fattispecie di esonero dal versamento del contributo di concessione ha carattere tassativo (C.d.S., Sez. V, 06.02.2003, n. 617). Pertanto, le predette fattispecie di esonero, inclusa quella ex art. 9, lett. d), cit., sono di stretta interpretazione.
Ne discende che è legittimo cercare di individuare e circoscrivere il contenuto della nozione di “edifici unifamiliari” ricorrendo, come ha fatto il Comune di Appiano Gentile, a criteri estratti da altri complessi normativi, con l’unico limite di non stravolgere la portata della disciplina da applicare.
Nel caso di specie, al contrario di quanto sostenuto nel ricorso, nessun stravolgimento della portata dell’art. 9, lett. d), della l. n. 10/1977 si può ricavare dall’avere il predetto Comune fatto ricorso agli artt. 3 del D.M. n. 1444/1968 e 19 della l.r. n. 51/1975 (quest’ultimo, nella versione anteriore alle modifiche introdotte dall’art. 6 della l.r. n. 1/2001), definendo quali “edifici unifamiliari” quelli la cui volumetria non superi i 100 mc. per ciascun componente del nucleo familiare, individuato attraverso l’Anagrafe comunale.
In particolare, dalle norme citate si ricava che il valore medio, sulla cui base va computata la capacità insediativa, è di 100 mc. per abitante.
Sembra, quindi, ragionevole l’utilizzo di siffatto criterio anche ai fini della definizione della nozione di “edifici unifamiliari”, per il cui ampliamento entro il 20% è prevista la gratuità della concessione edilizia: ciò, in quanto, come si è già detto, il principio è quello opposto, dell’onerosità della concessione stessa, inteso come dovere di contribuire agli oneri connessi alla trasformazione del territorio, per la realizzazione di nuovi insediamenti o l’ampliamento di quelli esistenti, con il conseguente consumo metrico e volumetrico.
Sul punto, del resto, la giurisprudenza ha avuto modo di affermare l’incensurabilità, in sede di legittimità, della determinazione comunale delle caratteristiche dell’edificio unifamiliare, stabilite in relazione ad un criterio logico di abitabilità di un nucleo familiare medio, ai fini dell’applicazione dell’art. 9, lett. d), cit. (così C.d.S., Sez. II, parere n. 1402 del 24.10.1984) (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 26.04.2006 n. 1062 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa norma di cui all'art. 17, comma 3, lett. b), del DPR 06.06.2001, n. 380, va riferita alle costruzioni unifamiliari che hanno destinazione residenziale, con esclusione delle unità immobiliari che siano ricomprese in più ampi edifici, quali i condomini, caratterizzati dall'esistenza di parti e servizi funzionalmente comuni. La norma, ai fini della sua applicabilità, non richiede il completo isolamento dell'edificio.
La ratio che ispira la specifica esenzione (ndr: per gli edifici unifamiliari) è infatti di derivazione sociale e pertanto la nozione di edificio unifamiliare assunta dalla norma non è nella sua accezione strutturale ma socio-economica e coincide con la piccola proprietà immobiliare meritevole, per gli interventi di ristrutturazione, di un trattamento differenziato rispetto alle altre tipologie edilizie.
Deve pertanto ritenersi irrilevante la comunione di talune strutture portanti o di qualche muro di confine e devono conseguentemente essere considerate unifamiliari, per tipologia obiettiva, anche le case realizzate a schiera o in blocco ma strutturalmente funzionalmente indipendenti.

Nel caso di specie l'edificio oggetto dell'intervento è una tipica casa economica che, per numero e funzione di vani, superficie e volume è costruita per il soddisfacimento delle esigenze di un solo nucleo familiare.
Il Collegio ritiene che la norma di cui all'art. 17, comma 3, lett. b), del DPR 06.06.2001, n. 380, vada riferita alle costruzioni unifamiliari che hanno destinazione residenziale, con esclusione delle unità immobiliari che siano ricomprese in più ampi edifici, quali i condomini, caratterizzati dall'esistenza di parti e servizi funzionalmente comuni.
La norma invece, ai fini della sua applicabilità, non richiede il completo isolamento dell'edificio.
La ratio che ispira la specifica esenzione (ndr: per gli edifici unifamiliari) è infatti di derivazione sociale e pertanto la nozione di edificio unifamiliare assunta dalla norma non è nella sua accezione strutturale ma socio-economica e coincide con la piccola proprietà immobiliare meritevole, per gli interventi di ristrutturazione, di un trattamento differenziato rispetto alle altre tipologie edilizie (cfr. Tar Lombardia, Milano, Sez. II, 10.10.1996, n. 1480).
Deve pertanto ritenersi irrilevante la comunione di talune strutture portanti o di qualche muro di confine e devono conseguentemente essere considerate unifamiliari, per tipologia obiettiva, anche le case realizzate a schiera o in blocco ma strutturalmente funzionalmente indipendenti (cfr. Tar Lombardia, Brescia, 01.03.1995, n. 185; id. 07.09.1999, n. 770).
Nel caso di specie, come risulta dalla documentazione versata in atti, in relazione alle caratteristiche dell'edificio oggetto di ristrutturazione che mantiene la destinazione residenziale ed ha in comune solo un muro di confine con un'altra unità immobiliare unifamiliare, mantenendo per il resto completa autonomia funzionale con ingressi autonomi e separati, ricorrono pertanto i presupposti per l'applicazione dell'esenzione di cui all'art. 17, comma 3, lett. b), del DPR 06.06.2001, n. 380 (TAR Lombardia-Brescia, sentenza 03.03.2006 n. 268 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AGGIORNAMENTO AL 24.08.2011

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NOVITA' NEL SITO

Inseriti nel sito i seguenti nuovi DOSSIER:
Condominio; ● Distanze corsi d'acqua; ● Distanze ferrovia; ● Mobbing; ● Prescrizioni P.d.C..

UTILITA'

AMBIENTE-ECOLOGIA - ENTI LOCALI: Disegno di legge A.S. n. 2887 "Conversione in legge del decreto-legge 13.08.2011, n. 138, recante ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo" :
Vol. I - Sintesi e schede di lettura;
Vol II - Le novelle;
Note di lettura.

GURI - GUUE - BURL (e anteprima)

ENTI LOCALI: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 34 del 22.08.2011, "Prevenzione del randagismo e tutela della salute degli animali domestici" (comunicato regionale 16.08.2011 n. 90).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: G.U. 22.08.2011 n. 194 "Modifiche ed integrazioni al decreto legislativo 27.10.2009, n. 150 in materia di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni, a norma dell’articolo 2, comma 3, della legge 04.03.2009, n. 15" (D.Lgs. 01.08.2011 n. 141).

APPALTI: G.U. 16.08.2011 n. 189 "Regolamento in materia di attività di vigilanza e accertamenti ispettivi di competenza dell’Autorità di cui all’articolo 8, comma 3, del decreto legislativo 163/2006" (AVCP, provvedimento 04.08.2011).

DOTTRINA E CONTRIBUTI

AMBIENTE-ECOLOGIA: S. Di Rosa, Ferragosto ... senza SISTRI. Il sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti, per il momento, è stato abrogato!! (agosto 2011 - tratto da www.dirosambiente.it).

ENTI LOCALI: C. Rapicavoli, La soppressione delle Province nella manovra estiva - Decreto Legge 13.08.2011 n. 138 (link a www.ambientediritto.it).

AUTORITA' VIGILANZA CONTRATTI PUBBLICI

APPALTI: Regolamento in materia di attività di vigilanza e accertamenti ispettivi di competenza dell'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture di cui all'articolo 8, comma 3, del D.Lgs 163/2006 (provvedimento 04.08.2011 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: Trasmissione dei dati dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture - settori ordinari e speciali - Uniformazione delle soglie minime di importo (comunicato del Presidente del 15.07.2011 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

QUESITI & PARERI

EDILIZIA PRIVATAVincolo paesaggistico/ Il sindacato dell'autorità statale in materia di vincolo paesaggistico può riguardare il riesame complessivo della decisione del comune o deve limitarsi al controllo di legittimità?
Il Consiglio di stato, sezione VI, con la sentenza del 07.01.2008, numero 2, ha affermato l'illegittimità del provvedimento di annullamento preso dalla soprintendenza per i beni artistici e culturali sulla base di un diverso apprezzamento del modo e grado di tutela del valore paesaggistico rispetto a quello fatto dal comune in sede di rilascio dell'autorizzazione, ponendo capo a un apprezzamento del valore paesaggistico, di cui assume la tutela, di segno opposto a quello adottato dal comune «senza, peraltro, scrivono i supremi giudici amministrativi, l'enucleazione in concreto dei successivi dichiarati vizi di difetto di motivazione e di violazione di legge».
Nel caso esaminato dal consiglio di stato con la summenzionata sentenza, il comune aveva rilasciato un'autorizzazione per l'abbattimento di alcuni alberi di olivo alla condizione che fosse rilasciato un filare ogni 40 metri e fosse presentata una planimetria con l'indicazione dei filari da rilasciare. L'autorità statale aveva annullato il provvedimento e aveva prospettato la diversa soluzione di non abbattere, per una migliore tutela del bene paesaggistico, gli alberi di ulivo, ma di inserire filari di vite tra i filari degli alberi di ulivo. Per i giudici, questa soluzione fornita dalla soprintendenza è frutto di una sovrapposta valutazione del modo e del grado di tutela del valore paesaggistico.
Ne consegue che, nella fattispecie, lo stato può esercitare il proprio controllo su tutti i profili di legittimità, compreso l'eccesso di potere, ma non entrare nelle valutazioni di merito. E, a tal fine, il Consiglio di stato, con la sentenza dell'08.02.2008, numero 408, ha riscontrato la legittimità nel provvedimento del ministero per i beni culturali e ambientali, che aveva annullato un'autorizzazione paesaggistica priva di una adeguata motivazione, dalla quale poteva emergere la ragionevolezza e la completezza della compatibilità dell'intervento edilizio progettato con i valori del paesaggio, protetti dal vincolo ambientale .
In tema, si richiamano le sentenze del Consiglio di stato, sezione VI, numero 5937, del 21.10.2005, e numero 1844, del 22.04.2008, sempre della sezione VI (articolo ItaliaOggi Sette del 22.08.2011).

PUBBLICO IMPIEGOMobbing/ Sono un'operaia e lavoro in un grande stabilimento, dove, per motivi di salute, sono stata esonerata dallo svolgere determinate mansioni. Il mio caporeparto mi ha sottoposta, per un determinato periodo, a trattamenti umilianti, degradanti e vessatori; mi sono stati imposti ritmi di lavoro insostenibili, rivolgendomi frasi offensive e minacciando di trasferirmi in un altro stabilimento, nel caso non avessi seguito gli ordini.
Questi possono essere definiti trattamenti vessatori? È mobbing? Io vorrei querelarlo, ma non voglio fare passi falsi.

No, in questo caso è esclusa la configurabilità di un reato.
La condotta del caporeparto non è penalmente sanzionabile, a causa della mancanza di apposita figura incriminatrice per contrastare il mobbing sul posto di lavoro. Nel nostro codice penale, infatti, non vi è una specifica norma incriminatrice per contrastare i comportamenti persecutori del mobbing, realizzati ai danni del lavoratore dipendente, in ambiente lavorativo, che si sostanzia in una condotta che si protrae nel tempo con le caratteristiche della persecuzione finalizzata all'emarginazione del lavoratore.
Ovviamente rimane la possibilità di richiedere, per mezzo di un procedimento civile, un risarcimento danni, per mobbing, eventualmente patiti dal lavoratore, in conseguenza di condotte e atteggiamenti persecutori del datore di lavoro o del preposto (articolo ItaliaOggi Sette del 22.08.2011).

CORTE DEI CONTI

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOPiù tutele all'immagine della p.a.. Condanne erariali per danni derivanti da qualsiasi reato. La Corte conti Toscana disattende la tesi restrittiva sostenuta nel 2010 dalla Consulta.
La Corte dei conti può condannare per danno all'immagine della p.a. derivante da qualsiasi reato anche in assenza di sentenza di condanna irreversibile.
È questa la conclusione a cui è pervenuta la Corte dei Conti, Sez. giur. della Toscana, con la sentenza 02.08.2011 n. 277.
Il danno all'immagine della p.a. è stato ed è tuttora al centro di un vivace dibattito giurisprudenziale e dottrinale.
Oggi sembra prevalente l'opinione per cui il danno all'immagine della p.a. è costituito dalla lesione all'immagine, intesa come credibilità e prestigio, conseguente a fatti lesivi produttivi della lesione stessa, da non confondersi con le spese necessarie al ripristino dell'immagine stessa che costituiscono solo uno dei possibili parametri della quantificazione equitativa del risarcimento.
Negli ultimi anni la Corte dei conti aveva progressivamente esteso la propria azione contestando il danno all'immagine della p.a. non solo in caso di delitti contro la p.a. ma anche in presenza di reati comuni e di illeciti amministrativi o disciplinari.
Il legislatore è intervenuto stabilendo, con l'art. 17, comma 30-ter, del dl 78/2009, che le procure della Corte dei conti esercitano l'azione per il risarcimento del danno all'immagine nei soli casi e nei modi previsti dall'art. 7 della legge 97/2001 il quale a sua volta prevede che la sentenza irrevocabile di condanna pronunciata nei confronti di dipendenti pubblici (o assimilati) per i delitti contro la p.a. è comunicata al procuratore regionale della corte dei conti affinché promuova l'eventuale procedimento di responsabilità per danno erariale salvo quanto disposto dall'art. 129 delle norme di attuazione del cpp secondo cui, tra l'altro, quando esercita l'azione penale per un reato che ha cagionato un danno per l'erario il pm informa il procuratore presso la Corte dei conti dando notizia dell'imputazione.
Dopo l'entrata in vigore del dl 78/2009, si erano formati sul tema sostanzialmente tre diversi orientamenti secondo i quali la tutela del danno all'immagine della p.a. sussiste: 1) solo a seguito di reati contro la p.a. e non per tutti i reati o per fatti illeciti che non costituiscono reato; 2) in conseguenza di qualsiasi reato dovendo ritenersi esclusa solo in conseguenza di fatti illeciti non costituenti reato; 3) nelle ipotesi indicate al punto 2 con giurisdizione contabile solo in caso di reato contro la p.a. e giurisdizione ordinaria nel caso di diverso reato. Sulla questione è intervenuta anche la Corte costituzionale con la sentenza n. 355/2010 con la quale, giudicando infondata la questione di legittimità costituzionale sollevata, la stessa ha manifestato la propria adesione alla prima opzione interpretativa.
A tale sentenza, molto criticata in sede dottrinale, in conseguenza della quale non scatterebbe la tutela del danno all'immagine della p.a. in presenza di reati odiosi quali la violenza sessuale o lo spaccio di droga commessi da pubblici ufficiali, si sono allineate molte sezioni regionali della Corte dei conti.
La sezione toscana ha invece affermato che la sentenza della Corte costituzionale è una sentenza di rigetto e che sia le sentenze di rigetto che le sentenze interpretative di rigetto non hanno, a differenza di quelle dichiarative di illegittimità costituzionale, efficacia erga omnes in quanto determinano un vincolo solo per il giudice del procedimento nel quale la relativa questione è stata sollevata mentre, negli altri procedimenti, il giudice conserva il potere-dovere di interpretare, in piena autonomia, la norma denunciata sempre che il risultato ermeneutico risulti adeguato ai principi espressi nella Costituzione poiché l'interpretazione fatta propria dalla Corte costituzionale riveste, per il giudice diverso da quello a quo, solo il valore di un precedente autorevole.
Partendo da tali considerazioni, a seguito di una capillare disamina della normativa indicata, la sezione toscana della Corte dei conti accede alla seconda delle opzioni interpretative indicate e conclude ritenendo che l'art. 17, comma 30-ter, va interpretato nel senso che esso non esclude la tutela del danno all'immagine della p.a. derivante da reato comune anche in assenza di sentenza di condanna irreversibile.
Resta da capire se tale pronuncia, peraltro non isolata e corroborata da una rilevante dottrina conforme, avvierà un ripensamento della magistratura contabile. Occorre tuttavia evidenziare che la Corte costituzionale, con ordinanza n. 219 del 21.07.2011, successiva alla pronuncia della sezione toscana e precedente alla relativa pubblicazione, ha sostanzialmente confermato quanto riportato nella precedente sentenza n. 355/2010 aggiungendo che la sentenza di condanna per reati contro la p.a. deve acquisire il crisma della definitività prima che inizi il procedimento per l'accertamento della responsabilità amministrativa derivante dalla lesione dell'immagine della p.a. (articolo ItaliaOggi del 19.08.2011 - tratto da www.corteconti.it).

PUBBLICO IMPIEGOAssistere un disabile è un diritto senza vincoli. Sezione Lombardia: gli oneri finanziari non sono un ostacolo.
Il diritto del lavoratore ad assistere un familiare disabile, al ricorrere dei presupposti richiesti dalla normativa in materia, non può essere vincolato o limitato, dai paletti in materia di spese per il personale. Il lavoratore, in tali casi, è titolare di un diritto potestativo alla concessione del congedo retribuito per l'assistenza del familiare disabile e questo, prescinde dal fatto che gli oneri finanziari ricadono sulla pubblica amministrazione. La stessa p.a., in tali casi, deve coniugare il rispetto di entrambi i vincoli, ovvero quelli relativi alla spesa di personale e quelli derivanti dalla concessione del diritto del lavoratore all'assistenza del familiare disabile.
Non ammette repliche la conclusione cui è pervenuta la sezione regionale di controllo della Corte dei conti della Lombardia, nel testo del
del parere 18.07.2011 n. 463, con il quale ha fatto luce sul diritto in capo ai lavoratori che promana dall'articolo 42 del dlgs n. 151/2001.
Sul punto, il sindaco del comune di Veduggio con Colzano (Mb), richiedeva l'intervento della Corte in quanto un dipendente ha chiesto la concessione di un periodo di congedo, ai sensi dell'articolo 42 del citato dlgs, per assistere la madre inabile.
Il sindaco, nella richiesta di parere osservava che, mentre per i lavoratori del settore privato, l'onere derivante dalla concessione del congedo è assunto dal sistema previdenziale nazionale, per i dipendenti pubblici, la spesa relativa è posta a carico dell'amministrazione concedente. Quindi, concludeva, alla luce del quadro di contenimento delle spese di personale e nell'impossibilità di procedere ad una sostituzione temporale dello stesso dipendente, il primo cittadino richiedeva se la richiesta in questione dovesse essere intesa come una facoltà ovvero come un obbligo gravante sul comune.
Il collegio della magistratura contabile lombarda ha fatto presente che, alla luce delle disposizioni recate dal citato articolo 42 e della sentenza n. 19/2009 della Corte costituzionale, ne deriva che il dipendente comunale, in presenza dei requisiti posti dalla normativa di settore, è titolare di un diritto potestativo alla concessione del congedo retribuito per l'assistenza del familiare disabile.
Ne è prova il tenore letterale del citato articolo 42, comma 5, secondo cui i soggetti legittimati «hanno diritto a fruire del congedo entro 60 giorni dalla richiesta. Tutto questo, per la Corte, prescinde dal fatto che sul piano contabilistico», gli oneri finanziari continuino a gravare sulle casse dell'amministrazione comunale, quale datore di lavoro, in termini di spesa di personale, con la conseguente necessità di rispettare i relativi limiti.
In altri termini, si legge nel parere, tale diritto spetta ala lavoratore in presenza dei presupposti legali posti dall'ordinamento (recentemente modificati dalla legge n. 183/2010, meglio nota come collegato lavoro). L'amministrazione è tenuta solamente alla verifica dei presupposti legittimanti la concessione del congedo.
Infine, rileva il collegio, in tema di rispetto dei limiti di spesa, il comune è tenuto comunque a rispettarli, in ossequio alla vigente disciplina di coordinamento della finanza pubblica. Ma il rispetto di tali limiti non può «degradare» nella singola fattispecie, il diritto potestativo del dipendente al congedo retributivo per l'assistenza al familiare disabile.
Pertanto, in presenza dei presupposti di legge, l'amministrazione è tenuta a rispettare «simultaneamente» entrambe le tipologie di vincoli, ovvero quelli di finanza pubblica e quelli derivanti dal diritto del dipendente all'assistenza al familiare disabile (articolo ItaliaOggi del 20.08.2011 - tratto da www.ecostampa.it).

CONSIGLIERI COMUNALI - ENTI LOCALICORTE CONTI/ Le multe non sono condonabili. Consiglieri, assessori e amministrativi a rischio danno erariale. Per i giudici campani la sanatoria del 2002 non si estende alle sanzioni stradali.
Posto che le violazioni al codice della strada non hanno natura di tributo, a esse non possono essere applicate le disposizioni relative al condono previsto dalla legge n. 289/2002. Qualora l'ente locale abbia dato comunque corso all'agevolazione per tali tipologie di sanzioni, attraverso apposite delibere, del relativo danno erariale ne rispondono i consiglieri comunali che hanno votato favorevolmente, nonché i responsabili degli uffici amministrativi che hanno istruito l'iter e l'assessore comunale alle finanze, per palese colpa grave desumibile dall'adozione di atti che hanno privato l'ente di entrate già previste, in chiaro contrasto con le disposizioni di legge.
Lo precisa la Corte dei Conti della Campania, nel testo della sentenza 30.06.2011 n. 1231 con la quale ha condannato i consiglieri comunali pro tempore del comune di Benevento, i funzionari tecnici e amministrativi, nonché l'allora assessore alle finanze, per aver avallato più deliberazioni consiliari tendenti a estendere le previsioni contenute all'articolo 13 della legge n. 289/2002 anche alle violazioni al codice della strada e, per di più, per anni successivi al 2003, in contrasto con quanto disposto dalla norma soprarichiamata.
Detta norma, infatti, precisa che «con riferimento ai tributi propri, regioni, province e comuni possono stabilire la riduzione dell'ammontare delle imposte e tasse loro dovute per le ipotesi in cui, entro un termine appositamente fissato da ciascun ente, i contribuenti adempiano a obblighi tributari precedentemente non adempiuti.
Per tributi propri si intendono quelli la cui titolarità giuridica ed il cui gettito siano integralmente attribuiti ai predetti enti
».
In sostanza, ha rilevato la Corte, la legge ha posto due presupposti. Il primo, che per l'avvio del condono è necessaria l'adozione di atti normativi che regolamentino la fattispecie. Il secondo, invece, fa leva sul fatto che oggetto di tali disposizioni siano esclusivamente le tipologie rientranti nella nozione di tributi propri, cioè quelli la cui titolarità giuridica e il cui gettito siano integralmente dovuti agli enti indicati dalla legge.
Da ciò, si legge nel testo, le delibere consiliari adottate dal comune di Benevento, estendendo il condono alle violazioni al codice della strada, che non hanno natura di tributo, (ne è palese la loro allocazione in bilancio tra le entrate extratributarie) sono da ritenere illegittimamente adottate, sottolineando altresì l'ulteriore profilo di illegittimità derivante dalla circostanza che in ogni caso la facoltà prevista dall'art. 13 della legge 289/2002 andava riferita esclusivamente a periodi di imposta antecedenti al 2003, data di entrata in vigore della legge. Così operando, chi ha dato corso a tale condono ha causato un danno erariale alle casse comunali, in quanto «vi sono state rilevanti minori entrate per l'ente locale».
Passando all'individuazione dei soggetti che hanno provocato il danno, la Corte campana non ha dubbi sul ruolo dei consiglieri comunali che hanno votato favorevolmente le delibere consiliari in oggetto.
Allo stesso modo, pari negligenza esprime la condotta dell'assessore comunale alle finanze che ha proposto l'adozione delle deliberazioni al consiglio comunale e quella degli organi tecnici e amministrativi che, con il loro parere favorevole, ne hanno avallato le scelte regolamentari.
Per la Corte, comunque, «maggiore efficacia causativa deve riconoscersi alla condotta degli uffici amministrativi che, con il loro parere favorevole, hanno avallato le scelte del consiglio comunale ed a quella dell'assessore al ramo che ha proposto tali provvedimenti».
In particolare, il maggior danno è da ascrivere al responsabile del settore finanze, al segretario generale, al coordinatore dell'ufficio tributi e al direttore generale, in considerazione delle competenze che l'ufficio tributi e i dirigenti del settore finanze devono esprimere, nonché dell'importante ruolo del segretario generale cui grava la funzione di collaborazione e di assistenza «giuridico-amministrativa nei confronti degli organi dell'ente in ordine alla conformità dell'azione amministrativa alle leggi, allo statuto e ai regolamenti» (articolo ItaliaOggi del 20.08.2011 - tratto da www.ecostampa.it).

INCARICHI PROFESSIONALICon il D.Lgs. 165/2001, la possibilità di “esternalizzazione” di attività è stata disciplinata con maggiore puntualità e rigore, prevedendo (art. 7, comma 6) che «per esigenze cui non possono far fronte con personale in servizio, le amministrazioni pubbliche possono conferire incarichi individuali, con contratti di lavoro autonomo, di natura occasionale o coordinata e continuativa, ad esperti di particolare e comprovata specializzazione anche universitaria, in presenza dei seguenti presupposti di legittimità:
a) l'oggetto della prestazione deve corrispondere alle competenze attribuite dall'ordinamento all'amministrazione conferente, ad obiettivi e progetti specifici e determinati e deve risultare coerente con le esigenze di funzionalità dell'amministrazione conferente;
b) l'amministrazione deve avere preliminarmente accertato l'impossibilità oggettiva di utilizzare le risorse umane disponibili al suo interno;
c) la prestazione deve essere di natura temporanea e altamente qualificata;
d) devono essere preventivamente determinati durata, luogo, oggetto e compenso della collaborazione».
- Dalla disciplina di riferimento emerge l’obbligo per le Amministrazioni e gli Enti pubblici di svolgere, di norma, i compiti istituzionali avvalendosi del personale interno. Tale regola è espressione del principio costituzionale di buon andamento della pubblica amministrazione ed è strumentalmente volta ad assicurare l'economicità dell’azione pubblica.
- Il conferimento degli incarichi di consulenza a soggetti esterni rappresenta un’opzione operativa percorribile solo in presenza di speciali condizioni e, segnatamente, laddove sussistano (e vengano conseguentemente esternate nella motivazione del pertinente provvedimento di conferimento) i seguenti presupposti: assenza di una apposita struttura organizzativa ovvero una carenza organica che impedisca o renda oggettivamente difficoltoso l'esercizio di una determinata funzione, da accertare per mezzo di una reale ricognizione; complessità dei problemi da risolvere che richiedono conoscenze ed esperienze eccedenti le normali competenze del personale; indicazione specifica dei contenuti e dei criteri per lo svolgimento dell'incarico; indicazione della durata dell'incarico; proporzione fra il compenso corrisposto all'incaricato e l'utilità conseguita dall’Amministrazione.
- I profili di illegittimità degli atti costituiscono un sintomo della dannosità per l’erario delle condotte che all’adozione di quegli atti abbiano concorso. In altri termini, la non conformità dell’azione amministrativa alle puntuali prescrizioni che ne regolano lo svolgimento pur non essendo idonea a generare, di per sé, una responsabilità amministrativa in capo all’agente, può assumere rilevanza allorché quegli atti integrino una condotta almeno gravemente colposa, foriera di un nocumento economico per l’Amministrazione.

... Gli incarichi sopra indicati presentano numerosi profili di difformità rispetto ai parametri normativi che, in maniera cogente, ne regolano i conferimenti.
Tali parametri, alla luce delle argomentazioni sviluppate dalla locale Sezione d’Appello (Sez. App. Sicilia 88/A/2009), sulla scorta di un consolidato orientamento della Corte di Cassazione (Sent. 19815/2008; Sent. 4511/2006; Ord. 19667/2003), secondo cui «gli enti pubblici economici –soggetti pubblici per definizione e che perseguono fini del pari pubblici attraverso risorse di eguale natura– svolgono dunque anch’essi attività amministrativa», devono rinvenirsi, come per tutte le amministrazioni ed enti pubblici diversi dagli enti locali, nell’art. 7, comma 6, del D.Lgs. 29/1993, che prevedeva che «per esigenze cui non possono far fronte con il personale in servizio, le amministrazioni pubbliche possono conferire incarichi individuali ad esperti di provata competenza, determinando preventivamente durata, luogo, oggetto e compenso della collaborazione».
Con il D.Lgs. 165/2001, la possibilità di “esternalizzazione” di attività è stata disciplinata con maggiore puntualità e rigore, prevedendo (art. 7, comma 6) che «per esigenze cui non possono far fronte con personale in servizio, le amministrazioni pubbliche possono conferire incarichi individuali, con contratti di lavoro autonomo, di natura occasionale o coordinata e continuativa, ad esperti di particolare e comprovata specializzazione anche universitaria, in presenza dei seguenti presupposti di legittimità:
a) l'oggetto della prestazione deve corrispondere alle competenze attribuite dall'ordinamento all'amministrazione conferente, ad obiettivi e progetti specifici e determinati e deve risultare coerente con le esigenze di funzionalità dell'amministrazione conferente;
b) l'amministrazione deve avere preliminarmente accertato l'impossibilità oggettiva di utilizzare le risorse umane disponibili al suo interno;
c) la prestazione deve essere di natura temporanea e altamente qualificata;
d) devono essere preventivamente determinati durata, luogo, oggetto e compenso della collaborazione
».
In definitiva, dalla disciplina di riferimento emerge l’obbligo per le Amministrazioni e gli Enti pubblici di svolgere, di norma, i compiti istituzionali avvalendosi del personale interno. Tale regola è espressione del principio costituzionale di buon andamento della pubblica amministrazione ed è strumentalmente volta ad assicurare l'economicità dell’azione pubblica.
Il conferimento degli incarichi di consulenza a soggetti esterni rappresenta un’opzione operativa percorribile solo in presenza di speciali condizioni e, segnatamente, laddove sussistano (e vengano conseguentemente esternate nella motivazione del pertinente provvedimento di conferimento) i seguenti presupposti: assenza di una apposita struttura organizzativa ovvero una carenza organica che impedisca o renda oggettivamente difficoltoso l'esercizio di una determinata funzione, da accertare per mezzo di una reale ricognizione; complessità dei problemi da risolvere che richiedono conoscenze ed esperienze eccedenti le normali competenze del personale; indicazione specifica dei contenuti e dei criteri per lo svolgimento dell'incarico; indicazione della durata dell'incarico; proporzione fra il compenso corrisposto all'incaricato e l'utilità conseguita dall’Amministrazione.
Detti presupposti sono cumulativi e, soprattutto, devono essere oggettivamente sussistenti.
Nella vicenda in esame i numerosi incarichi sopra indicati risultano conferiti senza rispettare le condizioni che legittimavano l’impiego della speciale soluzione gestionale. Ed, infatti, sulla base della documentazione in atti:
- non risultano esplicitati i connotati di alta specializzazione dei soggetti chiamati a prestare ausilio all’Ente;
- non risulta essere stata compiuta alcuna concreta verifica circa la sussistenza di risorse interne, mediante una concreta valutazione dei livelli di esperienza dei dipendenti ed un apprezzamento del grado di adeguatezza delle cognizioni specialistiche dei medesimi per i realizzandi interventi;
- non vi è una congrua specificazione dell’attività richiesta ai soggetti incaricati;
- non sono stati esplicitati i parametri in base ai quali sono stati quantificati i compensi dei consulenti;
- non è rinvenibile alcun apprezzamento della congruità della durata delle prestazioni richieste.
Con specifico riferimento alla indispensabile previa verifica di adeguate professionalità interne, la difesa del ricorrente ha contestato la completezza della «istruttoria posta a sostegno della richiesta della pubblica Accusa». La doglianza, però, evidenzia un errore di prospettiva.
La dimostrazione dell’insussistenza di adeguate professionalità interne con le quali far fronte alle esigenze istituzionali, infatti, sarebbe dovuta emergere, come risultato esplicito di una indagine effettivamente compiuta, prima del conferimento dell’incarico.
Pertanto, non gravava sulla Procura l’onere di dimostrare che con il personale interno poteva farsi fronte alle attività per le quali erano stati conferiti incarichi a soggetti esterni. In altri termini, l’inottemperanza all’obbligo di legge di verificare la sussistenza di una condizione legittimante l’impiego di uno strumento operativo, non rovescia sul soggetto che quell’inottemperanza contesta, l’onere di dimostrarne la ricorrenza. Quell’obbligo era e continua ad essere riferibile, esclusivamente, al soggetto che quella verifica era chiamato a compiere prima di conferire l’incarico.
Sulla Procura agente, quindi, incombeva esclusivamente l’onere di constatare l’insussistenza di quell’approfondimento di carattere preliminare. E tale onere probatorio risulta compiutamente assolto.
A tali profili invalidanti, afferenti i singoli conferimenti di incarico, si affianca, poi, un'altra anomalia alla quale deve riconoscersi una non minore portata inficiante.
Non può infatti essere sottaciuto che i conferimenti sono stati operati senza assicurare adeguata pubblicità alle esigenze che giustificavano il ricorso a professionalità esterne, senza, cioè, avviare procedure che consentissero di contemperare i principi generali della trasparenza e del buon andamento con l'esigenza dell’Ente, versante in una condizione finanziaria oltremodo deteriorata, di approvvigionarsi all’esterno di apporti collaborativi a costi congrui, frutto del fisiologico operare delle regole della concorrenza.
Né, a diversa conclusione può pervenirsi dando rilievo alle risultanze degli estratti del protocollo interno, prodotti in udienza dalla difesa del convenuto. Anche a voler ritenere superabile l’opposizione manifestata dalla Procura (sempre in sede di trattazione orale della vertenza) alla produzione documentale in ordine alla mancanza di certezza della provenienza del materiale, dai documenti prodotti non emergono elementi valutativi che consentano diversi apprezzamenti: le asserite relazioni epistolari con altri soggetti che avrebbero potuto svolgere l’incarico o con il soggetto incaricato di svolgere l’incarico allo scopo di ottenere una riduzione del compenso non appaiono, infatti, corroborate da elementi di riscontro idonee ad elevare il grado di attendibilità delle affermazioni difensive fino alla soglia della prova.
In proposito sembra opportuno evidenziare che, secondo un orientamento giurisprudenziale pressoché pacifico (cfr., ex multis, Corte conti, Sez. Lombardia, 05.03.2007, n. 141; id., Sez. App. III, 10.03.2003, n. 100/A; id., Sez. Molise, 04.04.2002, n. 65/E), i profili di illegittimità degli atti costituiscono un sintomo della dannosità per l’erario delle condotte che all’adozione di quegli atti abbiano concorso.
In altri termini, la non conformità dell’azione amministrativa alle puntuali prescrizioni che ne regolano lo svolgimento pur non essendo idonea a generare, di per sé, una responsabilità amministrativa in capo all’agente, può assumere rilevanza allorché quegli atti integrino una condotta almeno gravemente colposa, foriera di un nocumento economico per l’Amministrazione.
Tale principio, certamente valevole come enunciazione di sintesi deve comunque subire un’operazione di attualizzazione e specificazione, per tener conto dei peculiari connotati dell’agire pubblico che, di volta in volta, viene portato all’attenzione del Giudice contabile.
Ebbene, tale operazione di taratura del principio porta il Collegio a ritenere che le plurime e qualitativamente significative devianze dalle vincolanti prescrizioni di riferimento in occasione dei conferimenti degli incarichi di consulenza in precedenza specificati integrano fatti dannosi per l’erario dell’Ente.
A tale conclusione induce la considerazione secondo la quale gli stringenti limiti al conferimento degli incarichi a soggetti esterni sono posti a garanzia del preminente interesse alla corretta ed oculata allocazione delle risorse, nonché a presidio degli equilibri di finanza pubblica. La preservazione di tali valori ha luogo, oltre che attraverso la fissazione di tetti quantitativi alla spesa, anche mediante l’imposizione di vincoli di carattere modale che definiscono condizioni e procedure che legittimano l’esborso.
In tale peculiare contesto, il rispetto delle limitazioni, per quanto di rilievo nel presente giudizio, di carattere modale è presupposto di legittimità della spesa sostenuta per la remunerazione del consulente: le lacune procedurali, rilevabili per il tramite della motivazione del provvedimento, quindi, non sono meri vizi inficianti l’azione amministrativa con rilevanza circoscritta alla sfera di legittimità del provvedimento, ma si riverberano anche sugli effetti economici prodotti da questo, rendendo, automaticamente, dannosa per l’erario la conseguente spesa.
Tale ricostruzione è in linea con un orientamento giurisprudenziale consolidato sia in primo grado (tra le tante, più di recente, Sez. Giur. Lazio Sent 06.05.2008, n. 736; Sez. Giur. Sicilia Sent. 07.01.2008, n. 185; Sez. Giur. Molise Sent. 28.02.2007, n. 50; Sez. Giur. Sicilia Sent. 21.09.2007, n. 2492; Sez. Giur. Veneto Sent. 03.04.2007, n. 303; Sez. Giur. Calabria Sent. 30.08.2006, n. 672), che in grado di appello (ex pluribus: Sez. I App Sent. 28.05.2008, n. 237; Sez. App. III Sent. 05.04.2006, n. 173; Sez. App. II Sent. 20.03.2006, n. 122; Sez. App. II Sent. 16.02.2006, n. 107; Sez. App. III Sent. 06.02.2006, n. 74 ; Sez. App. I Sent. 04.10.2005, n. 304; Sez. App. I Sent. 08.08.2005, n. 259; Sez. App. I Sent. 31.05.2005, n. 187; Sez. App. III Sent. 13.04.2005, n. 183; Sez. App. II Sent. 28.11.2005, n. 389).
In particolare, poi, tale indirizzo ha ricevuto anche l’avallo della locale Sezione d’Appello (cfr. Sent. 101/A/2010; 196/A/2009; 284/A/2008; 206/A/2008; 122/A/2008; 48/A/2007), la quale, dopo aver evidenziato che le speciali condizioni (rispondenza dell'incarico agli obiettivi dell'ente; assenza di una apposita struttura organizzativa della P.A. ovvero carenza organica che impedisca o renda oggettivamente difficoltoso l'esercizio di una determinata funzione pubblica, da accertare per mezzo di una reale ricognizione; complessità dei problemi da risolvere che richiedono conoscenze ed esperienze eccedenti le normali competenze del personale della P.A. o dell'ente pubblico; indicazione specifica dei contenuti e dei criteri per lo svolgimento dell'incarico; indicazione della durata dell'incarico, svolgimento da parte del consulente privato di un'attività non continuativa; proporzione fra il compenso corrisposto all'incaricato e l'utilità conseguita dall'amministrazione) che legittimano il conferimento degli incarichi di consulenza a professionisti esterni alla P.A. «devono coesistere e, soprattutto, devono essere oggettivamente sussistenti», ha affermato che, «nei rapporti pubblicistici (…) si deve tenere conto dei limiti posti dal legislatore all'azione degli amministratori, soprattutto quando, come nella specie, detti limiti mirano a tutelare preminenti interessi pubblici, quali quelli che si ricollegano alle esigenze di equilibrio della finanza pubblica in un momento di grave crisi economico-finanziaria del paese. Pertanto, quando, come nel caso in esame, il legislatore pone agli amministratori pubblici determinati vincoli di spesa, ritenendo implicitamente non utile tutte quelle spese che non rispettino i limiti da esso posti, è sufficiente che la spesa si effettui contra legem perché si realizzi il danno».
L’illegittimità dei conferimenti degli incarichi costituisce il presupposto di antigiuridicità da cui è viziato il comportamento dell’allora Commissario dell’Ente Fiera e l’antecedente causale da cui discende il danno erariale subito dall’Ente pari alle somme che sono state pagate per la remunerazione dei consulenti.
Tale condotta è imputabile quantomeno a titolo di colpa grave. Il Commissario, infatti, ha reiteratamente posto in essere comportamenti espressivi, in base ad un consolidato orientamento della giurisprudenza di questa Corte (cfr. per tutte, Sez. App. Sicilia 101/A/2010), di un elevato grado di colpevolezza, e cioè connotati da “evidenti e marcate trasgressioni degli obblighi di servizio o di regole di condotta che siano ex ante ravvisabili e riconoscibili per dovere professionale d’ufficio, e che, in assenza di oggettive ed eccezionali difficoltà, si materializzano nell’inosservanza del minimo di diligenza richiesto nel caso concreto ovvero in una marchiana imperizia o in una irrazionale imprudenza” (SS.RR. n. 56/A del 1997).
In definitiva, considerando che le prescrizioni normative a cui doveva imperativamente essere conformata la condotta gestionale afferente l’impiego di professionisti esterni erano di una chiarezza tale non consentire alcun ragionevole spazio di opinabilità interpretativa e applicativa, deve ritenersi che i reiterati e rilevantissimi scostamenti dal solco della legittimità siano dipesi da ingiustificabile leggerezza gestionale che integra una condotta gravemente colposa (Corte dei Conti, Sez. giurisdiz. Sicilia, sentenza 29.04.2011 n. 1679 - link a www.corteconti.it).

INCARICHI PROFESSIONALIComune: presupposti per ricorrere a incarichi esterni da parte della p.a..
La pubblica amministrazione non può ricorrere a incarichi esterni ma deve di norma perseguire i fini istituzionali utilizzando il proprio personale, salvo che ciò non sia ragionevolmente possibile, o perché l'attività che deve essere svolta richiede un apporto professionale particolarmente elevato sotto il profilo tecnico-scientifico, oppure perché, per ragioni contingenti e transitorie (quali l'insufficienza del personale in organico a far fronte al carico di lavoro), anche compiti, che sarebbero normalmente assolti con l'utilizzo della struttura interna, rendono viceversa necessario avvalersi di personale esterno.
Questa la decisione della
Corte dei Conti, Sez. giurisdiz. Sardegna, sentenza 12.10.2006 n. 615.
La vicenda ha riguardato un Comune che aveva affidato l’incarico ad un professionista eterno all’ente per provvedere al riordino ed alla riorganizzazione del Settore Lavori Pubblici con la finalità da renderlo più razionale ed efficiente.
La pianta organica, approvata con deliberazione della Giunta comunale, relativa alla struttura interessata era composta da dieci unità di cui solo tre dell’area B, tra cui, un dipendente dell’area D1, nominato responsabile del servizio con funzioni dirigenziali, il cui incarico rientrante nell'area delle posizioni organizzative, secondo il CCNL siglato il 31.03.1999, prevedeva assunzione diretta di elevata responsabilità di prodotto e di risultato e, tra l'altro, svolgimento di funzioni di direzione di unità organizzative di particolare complessità, caratterizzate da elevato grado di autonomia gestionale e organizzativa.
Questo ha comportato, ad avviso della Corte, una duplicazione, perché ha avuto ad oggetto lo svolgimento di compiti che rientravano nell'attività ordinaria del funzionario responsabile del Settore interessato, concretizzandosi dunque un danno per l'amministrazione che ha corrisposto il relativo compenso.
Pertanto, conclude la Sezione giudicante, deve ritenersi palesemente contrario ad elementari principi di economicità ed utilità della spesa il pagamento di un consulente per lo svolgimento di un'attività già istituzionalmente affidata alla cura di un funzionario comunale.
Riassumendo le indicazione della Corte dei Conti nella presente sentenza, la pubblica amministrazione deve ricorrere di norma al proprio personale; può affidare incarichi esterni quando rispetta le seguenti prescrizioni:
● quando l’attività da svolgere richiede un apporto professionale elevato sotto il profilo tecnico-scientifico;
● per ragioni contingenti e transitorie, come l’insufficienza del personale in organico a far fronte al lavoro;
● quando non comporti una duplicazione di attività che dovevano essere svolte dagli uffici;
● se ha un oggetto determinato al fine di poter concretamente apprezzare l'effettivo adempimento della prestazione da parte del consulente e l'utilità della stessa per l'amministrazione committente (
link a www.altalex.com).

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ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOMANOVRA BIS/ La riduzione dei dirigenti fa rotta sugli enti locali.
Il taglio al numero dei dirigenti delle amministrazioni statali rischia di lasciare senza presidio le amministrazioni decentrate.
La combinazione tra eliminazione delle province con meno di 300 mila abitanti, connessa soppressione degli uffici territoriali del governo aventi sede in quei territori e obbligo di sfrondare le dotazioni organiche dei dirigenti di almeno il 10%, prevista dal dl 138/2011, pone seriamente il problema del depauperamento degli uffici statali periferici.
Infatti, la precostituzione della chiusura degli uffici territoriali governativi è oggettivamente una spinta a tagliare prioritariamente proprio i posti dirigenziali degli uffici che possono già esser considerati «rami secchi». Un colpo, insomma, all'efficienza delle strutture amministrative decentrate che, al contrario, proprio per effetto degli accorpamenti dovrebbero risultare potenziati.
Il fatto è che l'articolo 1, comma 3, lettera b), della manovra estiva 2011-bis nelle imporre alle amministrazioni statali, ivi comprese le agenzie, di ridurre gli uffici dirigenziali del 10% entro il 31.03.2012 non ha fornito alcun criterio generale in base al quale le amministrazioni interessate debbano procedere. Per la verità, un criterio è indicato: il comma 4 del medesimo articolo 1 sanziona le amministrazioni che non abbiano adempiuto all'obbligo di tagliare i dirigenti col divieto di procedere ad assunzioni di personale a qualsiasi titolo e con qualsiasi contratto; ma da tale divieto resteranno esclusi gli incarichi dirigenziali a tempo determinato, conferiti ai sensi dell'articolo 19, commi 5-bis e 6, del dlgs 165/2001.
Proprio quelli il cui abuso da parte dell'Agenzia delle entrate (ma, molto diffuso in tutte le altre amministrazioni pubbliche) è stato di recente stigmatizzato e considerato illegittimo dal Tar Lazio, con la sentenza della sezione II, 01.08.2011, n. 6884, che ha censurato l'inveterata abitudine di assegnare gli incarichi dirigenziali a contratto a funzionari interni, senza concorso. Come dire che i dirigenti di ruolo debbono essere ridotti, mentre quelli «fiduciari» restano, anche in deroga ai divieti di assunzione.
Una strana salvaguardia dei «dirigenti precari», da parte di un legislatore che ha, invece, negli ultimi tempi intrapreso una lotta al precariato nella pubblica amministrazione, anche imponendo l'annullamento delle stabilizzazioni dichiarate incostituzionali, ai sensi dell'articolo 16, comma 8, della legge 111/2011 (articolo ItaliaOggi del 23.08.2011).

PUBBLICO IMPIEGODonne, vecchiaia anticipata addio. Dal 2012 statali in pensione a 65 anni come gli uomini. La marcia verso la piena equiparazione tra i sessi si completerà dal 2028 con il settore privato.
Donne senza più diritto a una pensione anticipata di vecchiaia. Tempo 15 anni, e l'equiparazione fra i due sessi, maschi e femmine, settore pubblico e privato, sarà completa. Si parte dal prossimo anno. Dall'01.01.2012, infatti, tutti gli impiegati pubblici possono andare in pensione (di vecchiaia) con uno stesso requisito d'età (oltre al minimo di 20 di contributi): 65 anni, siano donne o uomini.
La differenza resterà ancora per qualche tempo, invece, solamente nel settore privato, dove le donne potranno andare in pensione prima, a 60 anni, fino al 31.12.2015. Poi, dal 2016, scatterà pure lì la graduale salita verso il tetto dei 65 anni, che verrà raggiunto dopo 15 anni. In conclusione, dal Capodanno del 2028, tutti i lavoratori, maschi e femmine, pubblici impiegati e dipendenti privati, andranno in pensione di vecchiaia non prima di 65 anni di età.
La «vecchiaia» dal 2011.
Vecchiaia a 65 anni per tutti? Questo in base a quanto dice la legge. Praticamente, però, va tenuto presente il doppio gioco della «speranza di vita» e della «finestra mobile». Pertanto, l'effettiva età di accesso alla pensione slitterà in avanti di altri uno/due anni. Infatti, prima di tutto va tenuto presente che la finestra mobile innalza di un anno (66 anni) o di un anno e mezzo (66 anni e 6 mesi) l'età di pensionamento, rispettivamente, a dipendenti e automi.
Poi va considerato che la «speranza di vita», presumibilmente, nei 15 anni che ci distanziano dal 2028, apporterà l'aggiunta di almeno un altro anno al requisito d'età per la pensione. Insomma, dal 2028 non è sbagliato immaginarsi che si andrà in pensione di vecchiaia all'età di 68 anni, uomini e donne.
A parte queste considerazioni, nessuna altra novità di effetto immediato è prevista dalla manovra-bis (dl n. 138/2011 in vigore dal 13 agosto) sulle pensioni di vecchiaia. Pertanto, resta fermo che dal 1° gennaio la pensione di vecchiaia si ottiene con minimo 20 anni di contributi e l'età di 65 anni per gli uomini, di 60 anni per le donne del settore privato e di 61 anni per le donne del pubblico impiego.
Dal 2012, poi, comincerà la rivoluzione. Prima scatterà lo «scalone» nel pubblico impiego, così che tutti i dipendenti statali, femmine e maschi, andranno in pensione di vecchiaia a 65 anni (in pratica, lo scalone è il passaggio del requisito d'età per le donne da 61 a 65 anni). Poi, dal 2016, grazie all'anticipo della manovra bis, scatterà la marcia verso i 65 anni per le donne nel privato.
Una «finestra» nella scuola.
Qualcosa di «nuovo» comunque c'è nella manovra-bis: è la novità di una «finestra» di uscita anche al personale della scuola, abitualmente esonerato dal posticipo delle decorrenze delle pensioni. La novità entrerà in vigore dal prossimo anno, cioè si applicherà a chi maturerà i requisiti di pensione dall'01.01.2012, e consiste in questo: chi matura i requisiti in un anno solare, andrà in pensione dall'anno scolastico o accademico che inizia l'anno solare seguente.
La novità dunque è il posticipo di un anno (mese più, mese in meno) dell'accesso alla pensione; fino a tutto quest'anno, infatti, vale invece la regola che, chi matura i requisiti per la pensione in un anno solare, va in pensione a partire dall'anno scolastico o accademico dello stesso anno solare di maturazione dei requisiti (chi riesce a maturare i requisiti entro il 31.12.2011, potrà ancora accedere alla pensione dal prossimo 1° settembre).
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La finestra è mobile Ma anche più lunga.
A partire dall'01.01.2011 (per chi va in pensione da tale data in poi), è in vigore una diversa decorrenza delle pensioni, di tutte le pensioni (anzianità, vecchiaia ecc.). Al posto delle «finestre» rigide, infatti, è diventata operativa la cosiddetta «finestra mobile» o «a scorrimento», che prevede la decorrenza del pensionamento non ad epoche prestabilite (trimestre, semestre ecc.), ma a distanze fisse e certe: dopo 12 mesi nel caso dei lavoratori dipendenti e dopo 18 mesi nel caso dei lavoratori autonomi. In particolare, le pensioni decorrono dal primo giorno del mese successivo alla scadenza dei predetti termini.
Un esempio. I requisiti di pensionamento vengono perfezionati entro il corrente mese di agosto? La pensione decorrerà dall'01.09.2012 al lavoratore dipendente ovvero dall'01.03.2013 al lavoratore autonomo.
Altro esempio. Al lavoratore dipendente che abbia raggiunto la «quota 96», con 36 anni di contribuzione e 60 anni di età, il 30.06.2011, la pensione decorrerà dall'01.07.2012.
Cosa è cambiato rispetto al passato? È cambiato che deve lavorare sei mesi in più, perché con le vecchie regole (vigenti fino al 2010), avrebbe ottenuto la liquidazione del primo assegno di pensione dall'01.01.2012.
Ancora un altro esempio. La lavoratrice dipendente che ha compiuto 60 anni il 23.03.2011 avendo maturato 21 anni di contributi, percepirà la sua prima pensione il 1° aprile 2012; con le vecchie regole, avrebbe già incassato il primo assegno di pensione lo scorso mede di luglio 2011 e invece deve lavorare dieci mesi in più.
Le cose stanno un poco peggio per chi vuole andare in pensione con 40 anni di contributi: l'attesa alla «finestra», infatti, è più lunga.
Dal prossimo anno, in particolare, chi matura la pensione con il massimo dei contributi (appunto, con i 40 anni di servizio) dovrà lavorare un mese in più per poter incassare il primo assegno di pensione, ossia 13 mesi se è un lavoratore dipendente 19 mesi se è lavoratore autonomo; dal 2013 dovrà lavorare due mesi in più (ossia, rispettivamente, 14 e 20 mesi) e a partire dal 2014 tre mesi in più (ossia 15 e 21 mesi). Con questa misura, la manovra di luglio (legge n. 133/2011) ha colpito, sul triennio 2012/2014, circa 115 mila lavoratori vicini alla pensione (80 mila dipendenti e 35 mila autonomi).
La novità si applica a coloro che maturano il requisito dei 40 anni dal prossimo anno (2012); resta fuori pertanto chi i 40 anni riesce a raggiungerli entro la fine del 2011, nonché speciali categorie di lavoro nel limite di 5 mila unità (articolo ItaliaOggi Sette del 22.08.2011).

PUBBLICO IMPIEGOPensioni, il settore non conosce pace. Tutte le riforme degli ultimi 30 anni.
Non c'è pace per le pensioni. E non soltanto nel presente, anche se un primato in termini di numero delle misure correttive, va senz'altro riconosciuto all'attuale Governo.
Senza andare troppo indietro nel tempo, gli ultimi 30 anni consegnano una storia fatta di continue azioni di riforma del sistema previdenziale.
Nel 1992 (riforma Amato) è stato introdotto il graduale aumento dell'età di pensione di vecchiaia, da 55 a 60 anni alle donne e da 60 a 65 agli uomini. Nel 1996 (riforma Dini) è stato (re)introdotto il sistema di calcolo contributivo delle pensioni; nel 2004 (riforma Maroni), l'età per la pensione di anzianità è stata fatta salire in misura graduale da 52 a 62 anni. Poi è stata la volta delle «quote» sempre per la pensione di anzianità (riforma Damiano), nel 2007, con il Protocollo Welfare. Infine, nei nostri giorni, le tre diverse riforme targate Sacconi.
La prima, più incisiva e strutturale, è arrivata con la manovra estiva dell'anno scorso (legge n. 122/2010) con un risparmio di soldi pubblici pari a 80 miliardi di euro (quasi 4 punti del pil) nei prossimi 40 anni. Poi è stata la volta della prima manovra 2011 (legge n. 111); infine, la manovra-bis (dl n. 138/2011) tuttavia con novità di scarso effetto immediato (salvo per la scuola).
Il «peggio» sembra debba ancora avvenire, a leggere le interviste degli esponenti di maggioranza e opposizione (articolo di pagina precedente), entrambi d'accordo sul fatto che il sistema previdenza abbia bisogno di ulteriori accorgimenti. Insomma, bisogna abituarsi: si può sapere con certezza quando (e se) si comincia a lavorare, ma non quando (età) si potrà smettere.
Unico tabù che ancora resiste è il traguardo dei 40 anni di contributi, scampato all'automatico incremento della «speranza di vita», ma subito «corretto» con alcuni mesi in più alla finestra mobile.
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Anzianità, avanti con le quote.
Nessuna novità dalla manovra-bis sulle pensioni di anzianità. Almeno per ora, perché dai rumors si capisce che potrebbe arrivare anche un inasprimento della quota, così da passare dall'attuale «96» addirittura a «100» (si vedano anche le interviste che precedono).
Riforme future a parte, dal 1° gennaio di quest'anno la pensione è stata già coinvolta in due novità: la nuova quota e la nuova finestra mobile. Fino al 31.12.2010 è rimasta vigente quota 95 per i dipendenti e quota 96 per gli autonomi. Dall'01.01.2011 (e fino al 31.12.2012) si passa a quota 96 (dipendenti) ovvero quota 97 (autonomi). Ciò significa che i lavoratori dipendenti possono andare in pensione con un minimo di 60 anni di età (e in tal caso serve una contribuzione di almeno 36 anni) oppure con un minimo di 35 anni di contributi (in tal caso serve un'età di almeno 61 anni); i lavoratori autonomi possono andare in pensione con un minimo di 61 anni d'età (in tal caso serve una contribuzione di almeno 36 anni) oppure con un minimo di contributi di 35 anni (in tal caso serve un'età di almeno 62 anni).
Per effetto della nuova finestra mobile, però, l'effettiva epoca di accesso alla pensione slitta in avanti di 12 mesi nel caso di lavoratori dipendenti e di 18 mesi nel caso di lavoratori autonomi. A proposito di finestra, la prima manovra di quest'anno l'ha allungata a chi va in pensione con il massimo di contributi (40 anni). La novità non tocca chi dovesse arrivare a 40 anni di contributi entro fine anno perché si applicherà a partire dal 1° gennaio 2012 (si veda altro articolo) (articolo ItaliaOggi del 22.08.2011).

AMBIENTE-ECOLOGIAAdempimenti ambientali leggeri. In partenza le semplificazioni per le piccole e medie imprese. Un dpcm rende soft il regime burocratico per lo scarico delle acque reflue e le emissioni acustiche.
Regime burocratico soft per scarico delle acque reflue ed emissioni acustiche.
Con l'approvazione definitiva dell'atteso decreto sulle semplificazioni degli adempimenti ambientali da parte del consiglio dei ministri dello scorso 28 luglio sarà più facile per le piccole e medie imprese a ridotto impatto sull'ecosistema essere in linea con la disciplina prevista dal codice ambientale (decreto legislativo 152/2006) e dalla legge nazionale antirumore (legge 447/1995).
Il nuovo provvedimento, predisposto nella forma di decreto della presidenza della repubblica in attuazione del dl 78/2010 (il decreto d'urgenza in materia di competitività economica) prevede l'assimilazione delle acque reflue derivanti da determinate attività produttive agli scarichi domestici, il rinnovo tramite semplice autocertificazione delle relative autorizzazioni in scadenza, la deflazione burocratica nella procedura di verifica dell'impatto acustico delle attività a bassa rumorosità.
Imprese interessate.
Due i requisiti che le imprese dovranno avere per godere delle semplificazioni: rientrare nei limiti dimensionali recati dall'articolo 2 del dm Attività produttive 18.04.2005; soddisfare i parametri di limitato impatto ambientale stabiliti dal nuovo dpr in itinere.
Sotto il primo profilo, ad accedere alle semplificazioni saranno le imprese che autocertificheranno di avere meno di 250 occupati e un fatturato non superiore a 50 milioni di euro (o un bilancio annuo non oltre i 43 milioni di euro).
Sotto il secondo profilo, le pmi dovranno rientrare in una delle categorie produttive indicate dal nuovo dpr per accedere alle singole fattispecie di semplificazione.
Assimilazione scarichi.
Saranno equiparate a quelle «domestiche», con l'applicazione del più snello iter autorizzatorio a queste riservato dal codice ambientale, le acque reflue delle pmi prive alla fonte di determinate sostanze in quantità superiore alle soglie fissate dagli allegati tecnici al dpr in parola.
Della stessa assimilazione godranno le acque reflue provenienti da particolari tipologie di piccole e medie imprese (tra cui quelle turistiche, scolastiche, sportive, artigianali con ridotte emissioni, di ristorazione, di vendita al dettaglio, di ricreazione) e quelle generate da insediamenti in cui si svolgono attività di produzione di beni e prestazione di servizi i cui scarichi terminali derivano esclusivamente da servizi igienici, cucine e mense.
Rinnovo autorizzazione.
Gli scarichi aziendali privi di sostanze pericolose e non soggetti a modifiche quali/quantitative (come volume delle acque, sostanze in esse contenute) potranno ottenere il rinnovo dell'autorizzazione (quadriennale) presentando solo sei mesi prima della scadenza (in luogo del canonico anno previsto dal dlgs 152/2006) una semplice autocertificazione ex dpr 445/2000 integrata dai dati chiesti dal nuovo decreto.
Documentazione inquinamento acustico. Le attività commerciali ed artigianali considerate «a bassa rumorosità» (sostanzialmente affini alle categorie di attività più sopra esposte, escluse quelle di ristorazione e ricreazione che utilizzano impianti di diffusione sonora) saranno esentate dal presentare alle pubbliche autorità la «documentazione di impatto acustico» prevista dalla legge 447/1995.
Gli altri commercianti ed artigiani che non supereranno comunque i limiti di emissione stabiliti dalla classificazione acustica comunale (o quelli previsti dal dpcm 14.11.1997) avranno invece la facoltà di presentare una autocertificazione in luogo della citata «documentazione di impatto acustico».
Interfaccia unica.
Autocertificazioni, richieste di rinnovi e altre istanze connesse al nuovo regime «light» dovranno dai titolari delle imprese interessate essere inoltrate allo «Sportello unico per le attività produttive», meglio noto con l'acronimo «Suap», istituito dal decreto del presidente della repubblica del 07.09.2010, n. 160 (articolo ItaliaOggi del 22.08.2011).

APPALTIMANOVRA BIS/ Codice appalti per le public utility. Acquisto di beni e servizi solo attraverso gare pubbliche. Con la manovra scatta l'obbligo di creazione di appositi uffici per la gestione di tutti gli adempimenti.
Public utility obbligate a bandire gare pubbliche per l'acquisto di beni o servizi e, comunque, ad applicare per intero il codice dei contratti pubblici.
Lo prevede il decreto sulla manovra economica bis (decreto legge 138/2011), che interviene sull'intero comparto dei servizi pubblici locali. Ma vediamo di illustrare la novità, che obbligano le public utility anche a creare uffici ad hoc per gestire le gare e tutti i relativi pesanti adempimenti (dalla pubblicazione del bando al contenzioso).
Rischia di sfumare la possibilità di gestire con gli strumenti del diritto privato (e senza vincoli pubblicistici) l'acquisizione di beni e servizi. L'articolo 4, comma 15, del citato decreto prevede che le società cosiddette «in house» e le società a partecipazione mista pubblica e privata, affidatarie di servizi pubblici locali, applicano, per l'acquisto di beni e servizi, le disposizioni di cui al decreto legislativo 12.04.2006, n. 163.
Si tratta del codice dei contratti pubblici, che disciplina le varie forme di affidamento dei pubblici contratti, nel rispetto delle regole di concorrenza e pubblicità, a partire proprio dalla gara pubblica o comunque di procedure rispettose del principio della par condicio tra le imprese.
L'assoggettamento alle regole del codice dei contratti pubblica comporta l'impossibilità di ricorrere senza alcun vincolo al libero mercato. Il soggetto tenuto alla applicazione del codice dei contratti deve, infatti, muoversi all'interno delle griglie che relegano la trattativa privata a una posizione residuale.
Deve, quindi, applicare le procedure pubbliche, ristrette o negoziate, a seconda dei casi con pubblicazione dei bandi (se previsto) oppure può ricorrere alle procedure in economia o cottimo fiduciario.
L'assoggettamento alle regole del codice dei contratti significa avere personale preparato, in grado di scrivere le gare e di gestire i vari passaggi procedurali, compresi quelli relative alle fasi precontenziose e contenziose di recente modificate dal codice del processo amministrativo (dlgs 104/2010).
Si tratta di passaggi procedurali in cui la società deve individuare responsabili del procedimento, seggio di gara, commissioni aggiudicatrici e deve curare tutti gli adempimenti connessi, dalle determinazioni a contrarre, alla pubblicazione dei bandi di gara (a seconda dei casi sulla gazzetta ufficiale, anche europea), alle comunicazioni e agli avvisi, ai rapporti con l'autorità di vigilanza sui contratti pubblici (dalla richiesta del cig alle segnalazioni di notizie negative sul conto delle imprese concorrenti o esecutrici). Inoltre si applicano le regole sulla tracciabilità dei pagamenti e sulla indicazione del cig sui documenti di pagamento.
Tutto ciò, in base al decreto sulla manovra-bis, è a carico che delle società cosiddette «in house» e delle società a partecipazione mista pubblica e privata, affidatarie di servizi pubblici locali.
Tutte le società che gestiscono servizi pubblici locali devono applicare il codice dei contratti pubblici. E se questa disciplina non pone problemi per la società in house, che rappresentano il braccio operativo dell'ente pubblico, il quale esercita sulle stesse un controllo analogo a quello esercitato su un proprio ufficio, forti ripercussioni si avranno invece sulle società miste, in cui vi è la presenza di un socio privato. Tra l'altro, molto spesso, nella prassi ci si aspetta che la società mista possa costituire uno strumento per operare in maniera più snella, a partire dalla deroga alle regole della evidenza pubblica per l'acquisizione di beni e servizi.
La società mista che gestisce un pubblico servizio (public utility) è, invece, sotto questo profilo interamente equiparata all'ente pubblico. Di questo occorrerà darne conto, con una disposizione chiarificatrice, all'interno dei contratti di servizio tra ente e public utility; inoltre l'ente committente deve esercitare attività di vigilanza e controllo sul rispetto del codice dei contratti da parte della società mista.
Va sottolineato, comunque, che l'articolo 4, comma 15, del decreto 138/2011 fa riferimento espresso ai contratti di acquisizione di beni e servizi, mentre non si riferisce, almeno sul piano letterale, alla aggiudicazione di contratti relativi a lavori.
In conseguenza dell'articolo 4, comma 15, citato si allarga la platea dei soggetti tenuti all'applicazione del codice dei contratti pubblici.
A tale proposito si deve ricordare che il decreto 131/2011 ricomprende le società in house nell'ambito pubblico anche per un altro profilo: le società cosiddette «in house» affidatarie dirette della gestione di servizi pubblici locali sono assoggettate al patto di stabilità interno secondo le modalità che saranno definite con decreto ministeriale.
Gli enti locali dovranno vigilare sull'osservanza, da parte delle società in house al cui capitale partecipano, dei vincoli derivanti dal patto di stabilità interno (articolo ItaliaOggi del 20.08.2011).

ENTI LOCALIMANOVRA BIS/ Piccoli comuni, fondersi conviene. Incentivi, nessuna soglia demografica e più autonomia. La strada della fusione, già prevista dal Tuel, offre più chance rispetto all'unione municipale.
Per i piccoli comuni è più conveniente scegliere la via dell'accorpamento volontario mediante fusione, secondo il procedimento già previsto nel Testo unico sugli enti locali (dlgs n. 267/2000) piuttosto che farsi imporre dall'alto la costituzione dell'unione municipale prevista dalla manovra di Ferragosto. In entrambi i casi il risultato è una razionalizzazione della struttura organizzativa comunale. Tuttavia, i succitati processi, allo stato attuale alternativi per le autonomie locali, presentano talune differenze salienti.
Mentre nel primo caso sono previsti una serie di incentivi economici, sia regionali che statali da devolvere alle comunità locali e ai comuni scaturiti dal processo di fusione, nel secondo caso, non sono programmate alcune contribuzioni volte a superare la ritrosia e la contrarietà delle comunità locali d'origine. Al contrario, sono previsti strumenti coercitivi volti a valicare l'inerzia delle amministrazioni comunali. Se il decreto legge 13.08.2011 n. 138, dovesse essere convertito così com'è in legge ordinaria, si verrebbero a delineare due diversi processi di accorpamento dei comuni di modeste dimensioni demografiche e territoriali.
Un processo di fusione vero e proprio, di cui agli artt. 15 e 16 del Tuel, rimesso alla libera autonomia degli enti locali, e rispetto al quale sussiste una riserva di legge regionale, nonché un processo di semplificazione, di fatto un accorpamento, imposto dall'alto. Processo quest'ultimo previsto dall'art. 16 della manovra-bis.
Nelle more dell'attuazione della recente riforma volta al contenimento della spesa pubblica, le amministrazioni dei comuni con popolazione pari o inferiore ai 1.000 abitanti, sono pertanto chiamate a valutare quale tra i due sopra citati istituti sia il più conveniente, il più proficuo.
Non solo. I comuni che non volessero optare per la fusione volontaria, ostentando una certa sagacia, dovrebbero focalizzare l'attenzione sui margini di autonomia riservata loro da testo normativo al vaglio del parlamento e trarne i relativi vantaggi.
Invero, in ossequio al criterio-guida di contiguità territoriale, che peraltro accomuna entrambe i processi oggetto di argomentazione, i comuni interessati si trovano nelle condizioni di poter scegliere gli enti locali contigui con cui dialogare e negoziare circa la costituzione dell'Unione municipale.
Indubbiamente, i governi locali si trovano, oggi, a dover prendere una decisione: dare inizio con fermezza, a un procedimento di unificazione volontaria prendendo a modello i processi di fusione già verificatosi in Italia, o al contrario attendere i risvolti di una riforma normativa varata con decretazione d'urgenza, che rinvia a un successivo regolamento governativo.
Una cosa è certa: laddove messi a confronto i due istituti giuridici, emerge sembra ombra di dubbio come il processo di fusione volontaria presenti grandi potenzialità.
In merito, si consideri inoltre come per le Unioni municipali la popolazione complessiva residente nel territorio, deve essere pari almeno a 5 mila abitanti, salvo diversa soglia demografica individuata con delibera della giunta regionale. Al contrario, nell'ipotesi di processo di unificazione volontaria, non sono pianificati limiti demografici.
Concludendo, un aspetto deve essere chiaro: mentre il processo di fusione volontaria di cui al dlgs 12.08.2000, n. 267, sfocia nella creazione di un'unica entità pubblica territoriale, ovvero in un nuovo comune, il recente disposto normativo conduce più a un «ente locale di secondo livello», che fa salvi gli enti locali di origine, se pur ridimensionati nella loro compagine organizzativa. Tanto è vero che la figura del sindaco permane quale unico organo di governo, mentre giunta e consiglio comunale sono soppressi (articolo ItaliaOggi del 20.08.2011 - tratto da www.ecostampa.it).

PUBBLICO IMPIEGOMANOVRA BIS/ Stop alla buonuscita per due anni. Liquidazione dopo 24 mesi in caso di cessazioni anticipate. Blocco per tutti i dipendenti pubblici. Salvo il personale della scuola in pensione entro dicembre.
La buonuscita può attendere. Due anni, per la precisione. Che si riducono a sei mesi se la cessazione del rapporto avviene per raggiunti limiti d'età o per anzianità massima di servizio. La novità tocca i dipendenti pubblici che lasciano l'impiego dal 13 agosto 2011 o che da tale data maturano i requisiti per la pensione anticipata. Una clausola di salvaguardia è prevista per il personale della scuola fino a fine anno. Infatti, a chi matura i requisiti per la pensione entro il 2011 la liquidazione avverrà con le vecchie regole (subito o al massimo entro sei mesi).
Lo stabilisce l'articolo 1, commi 22 e 23, del dl n. 138/2011.
Nuovo sacrificio per gli statali. La crisi non passa e, dunque, un nuovo sacrificio è chiesto agli statali. Dopo che con la manovra del 2010 (legge n. 122) ne è stato fissato il pagamento a rate (oltre i 90 mila euro), la buonuscita adesso viene assoggettata a una attesa fino a 24 mesi per l'erogazione.
La misura colpisce tutti i dipendenti pubblici: di amministrazioni dello stato; istituti e scuole; aziende statali; regioni, province, comuni, comunità montane, consorzi e loro associazioni; istituzioni universitarie; istituti autonomi case popolari; camere di commercio e loro associazioni; enti pubblici non economici; amministrazioni, enti e aziende del servizio sanitario nazionale.
I nuovi termini. La novità è introdotta con una modifica della disciplina vigente dal 1997 (legge n. 140/1997) e che fissa diversi termini di pagamento della buonuscita, a seconda delle cause di cessazione dal servizio.
In tabella le singole ipotesi aggiornate dalla manovra-bis. In buona sostanza, la novità è l'attesa più lunga da sei a 24 mesi nelle ipotesi di prepensionamento e di cessazioni per altri motivi, nonché l'introduzione di un termine di sei mesi (prima inesistente) per i pensionamenti ordinari. Dal 13 agosto il pagamento avviene:
● entro 105 giorni dalla cessazione dal servizio per inabilità o decesso del dipendente;
● non prima di 180 e non oltre 270 giorni dal collocamento a riposo per limiti d'età o di servizio e per collocamento a riposo d'ufficio per anzianità massima di servizio, maturati dal 13 agosto (se maturati entro il 12.08.2011, il termine è di 105 giorni);
● non prima di 24 mesi e un giorno e non oltre 24 mesi e 90 giorni dalla cessazione dal servizio in ogni altra ipotesi (dimissioni, licenziamento, etc.) verificatasi dal 13 agosto (se verificatasi entro il 12.08.2011, il termine è tra 181 e 270 giorni).
Una deroga è prevista per il personale della scuola: a quello che matura i requisiti di pensionamento entro il 31.12.2011 continua ad applicarsi la vecchia disciplina. In tal caso, la buonuscita è erogata tra 181 e 270 giorni se relativa a una qualsiasi causa di cessazione; nel termine di 105 giorni se relativa al collocamento a riposo per limiti d'età o di servizio oppure per collocamento a riposo d'ufficio per anzianità massima di servizio (articolo ItaliaOggi del 20.08.2011 - tratto da www.ecostampa.it).

PUBBLICO IMPIEGOMANOVRA BIS/ Disabili, rispetto quota più facile. Le compensazioni diventano automatiche e su base nazionale. La manovra allenta gli obblighi di assunzione ampliando la platea anche ai gruppi d'impresa.
Compensazioni automatiche per la quota obbligatoria di disabili. Infatti, le imprese non devono più richiedere l'autorizzazione per effettuare il compenso tra assunzioni di disabili effettuate in diverse sedi provinciali, dove in più e dove in meno rispetto alla quota obbligatoria. Tale possibilità, adesso, opera automaticamente, a livello nazionale e non solo in un'impresa ma anche a favore di gruppi di imprese.
A prevederlo è l'articolo 9 della manovra-bis che modifica la legge n. 68/1999 ed estende, inoltre, la compensazione anche ai datori di lavoro pubblici, ma previa autorizzazione e su base regionale.
Compensazione territoriale. Le imprese aventi aziende o unità locali dislocate in diverse sedi provinciali possono effettuare una «compensazione territoriale» dell'obbligo di assunzione di disabili. In particolare possono effettuare in una o più sedi assunzioni di disabili in numero superiore a quello fissato dalla legge portando la quota eccedente (di assunzioni di disabili) a compenso del minor numero di assunzioni di disabili effettuate in altre sedi.
Fino al 12 agosto scorso, le imprese con un numero di dipendenti fino a 50 potevano valutare liberamente in quale sede effettuare la quota eccedente di assunzioni da compensare; quelle con un numero di dipendenti inferiore a 50, invece, erano prima tenute a richiedere, e quindi a ottenere, una specifica autorizzazione.
Compensazioni automatiche. È su questa disciplina che interviene la manovra-bis, stabilendo l'automaticità delle compensazioni per tutte le aziende e con riferimento all'intero territorio nazionale. In particolare, la nuova norma del comma 8, dell'articolo 5, della legge n. 68/1999 stabilisce che l'obbligo di assunzione di disabili va rispettato a livello nazionale e che, ai fini del rispetto di tale obbligo, i datori di lavoro privati che occupano personale in diverse unità produttive, nonché i datori di lavoro privati di imprese che sono parte di un gruppo possono assumere in un'unità produttiva o in un'impresa del gruppo avente sede in Italia, un numero di lavoratori disabili (aventi cioè diritto al collocamento mirato) superiore a quello prescritto portando in via automatica l'eccedenza a compenso del minor numero di lavoratori (disabili) assunti nelle altre unità produttive o nelle altre imprese del gruppo aventi sede in Italia.
In sostanza, dallo scorso 13 agosto non serve più richiedere l'autorizzazione, perché la compensazione opera in via automatica a livello nazionale e opera non solo nei confronti delle imprese ma anche dei gruppi di imprese.
Il prospetto. C'è unico adempimento da osservare, in caso di utilizzo della nuova compensazione automatica. E cioè la trasmissione, in via telematica, del «prospetto informativo» a ciascuno dei servizi competenti delle province in cui sono presenti le unità produttive dell'impresa o le sedi delle diverse imprese facenti parte del gruppo, dal quale dovrà risultare l'adempimento dell'obbligo a livello nazionale sulla base dei dati riferiti a ciascuna unità produttiva ovvero a ciascuna impresa appartenente al gruppo.
Il prospetto, dopo la legge n. 133/2008, è dovuto ogni anno entro il 31 gennaio dai datori di lavoro, pubblici e privati, che occupano a livello nazionale almeno 15 dipendenti e che siano stati interessati da modifiche, avvenute entro il 31 dicembre precedente, alla situazione occupazionale tali d'aver modificato l'obbligo o la quota di riserva.
Compensazione anche nel pubblico.
Infine, ultima novità riguarda l'estensione della possibilità di compensazione al settore del pubblico impiego. In particolare, il nuovo comma 8-ter che la manovra-bis ha introdotto all'articolo 5 della legge n. 68/1999 prevede che i datori di lavoro pubblici possano essere autorizzati, su loro motivata richiesta, ad assumere in unità produttiva un numero di lavoratori aventi diritto al collocamento obbligatorio superiore a quello prescritto, portando le eccedenze a compenso del mino numero di lavoratori assunti in altre unità produttive della medesima regione (articolo ItaliaOggi del 19.08.2011).

ENTI LOCALIMANOVRA-BIS/ Sindaci in rivolta: inutile l'accorpamento dei mini-enti. Il 29 agosto a Milano la mobilitazione dell'anci contro la cancellazione di giunte e consigli.
Fra le misure più eclatanti contenute nella manovra-bis va certamente annoverata quella che mira ad inglobare i micro-comuni nelle neo-istituite «unioni municipali». La relativa disciplina, tuttavia, solleva non pochi interrogativi, oltre a presentare qualche possibile profilo di illegittimità costituzionale. Ed è stata ufficialmente bocciata dall'Anci che ha annunciato una mobilitazione a Milano il 29 agosto.
A guidare la protesta il sindaco di Varese e presidente dell'Anci Lombardia, Attilio Fontana. Secondo il primo cittadino leghista la misura «non porterà reali benefici ai conti dello stato e non abbatterà gli sprechi della politica, visto che si parla per i consiglieri comunali di gettoni di presenza da 17 euro lordi a seduta per 3-4 sedute l'anno, e per gli assessori di 130 euro al mese, che spesso non vengono neanche ritirati ma lasciati in comune».
L'Anpci, l'altra associazione rappresentativa dell'universo dei piccoli comuni, ha provato a fare due calcoli sui risparmi generati cancellando giunte e consigli negli enti sotto i 1.000 abitanti. Si tratta di 11,6 milioni di euro in tutto, ossia quanto spende lo stato in un anno per mantenere 26 deputati. Un costo che, diviso per il numero di residenti (1 milione e centomila abitanti) nei 1.963 comuni a rischio, grava su ogni cittadino amministrato per 10,62 euro l'anno. Poca cosa, fanno notare i sindaci dei piccoli comuni, rispetto agli sprechi dei palazzi della politica romana.
Le norme della manovra. L'art. 16, c. 1, del dl n. 138/2011 dispone che, a decorrere dalla prossima tornata elettorale, nei comuni con popolazione pari o inferiore a 1.000 abitanti, il sindaco divenga il solo organo di governo, sopprimendo la giunta ed il consiglio comunale. Tutte le funzioni amministrative, in base alla norma citata, dovranno essere esercitate obbligatoriamente in forma associata con altri comuni contermini con popolazione pari o inferiore a 1.000 abitanti mediante la costituzione dell'unione municipale.
Si tratta di un intervento assai più forte di quello contenuto nella manovra estiva 2010 (d.l. 78) e rilanciato dal d.l. 98/2011, che si erano limitati ad imporre ai «comuni polvere» l'obbligo di gestire in forma associata le sole funzioni fondamentali. In tal senso, non può essere esclusa a priori una possibile, indebita compressione della potestà legisaltiva regionale, giacché l'art. 117, c. 2, lett. p) Cost. limita la competenza del legislatore statale al perimetro delle sole funzioni fondamentali degli enti locali.
Del resto, le previsioni più soft contenute nelle manovre precedenti (e che rimangono valide per i comuni con più di 1.000 abitanti, che dovranno associarsi obbligatoriamente fino a raggiungere una soglia demografica che l'art. 16, c. 10, dell'ultimo decreto eleva a 10.000 abitanti, salvo diverso limite stabilito con delibera della giunta regionale) facevano espressamente salve le prerogative delle regioni in ordine alle funzioni degli enti locali che ricadessero nelle materie di competenza legislativa regionale.
Al contrario, la nuova disciplina concede alle regioni il solo potere di rivedere la soglia demografica minima delle future unioni municipali, altrimenti fissata in via generale a 5.000 abitanti.
Solo nel caso in cui non vi siano altri comuni contermini con popolazione inferiore a 1.000 abitanti viene meno l'obbligo di dare vita all'unione municipale (art. 16, c. 4). In tali casi, oltre a dover applicare il taglio delle poltrone da assessore e da consigliere previsto dallo stesso art. 16, c. 9, lett. a), viene imposto un generico obbligo di costituire con i comuni contermini unioni di comuni ai sensi dell'art. 32 del Tuel, al fine di ridurre le spese complessive.
Ad una prima lettura pare (ma non è del tutto chiaro) che quest'ultima non cancelli l'individualità dei comuni che ne fanno parte, bensì rappresenti un nuovo ente locale che si sovrapponga ad essi. Ciò pare confermato dal disposto del c. 5, che disciplina gli organi dell'unione municipale, individuandoli nell'assemblea municipale, nel presidente dell'unione municipale e nella giunta municipale.
L'assemblea municipale è costituita dai sindaci dei comuni costituenti l'unione municipale ed esercita le competenze attribuite dal Tuel ai consigli comunali. L'assemblea municipale elegge, nel suo seno, il presidente dell'unione municipale, al quale spettano le competenze del sindaco, ad eccezione di quelle di cui all'art. 54 del Tuel, ovvero quelle che il primo cittadino esercita nelle funzioni di competenza statale, quale ufficiale del Governo. Proprio il fatto che tali funzioni continuino a rimanere in capo ai sindaci dei singoli comuni è l'indizio che fa ritenere che essi si mantengano in vita come entità a sé stanti, sia pure in un ambito decisamente più limitato.
Il presidente dell'unione municipale nomina, fra i componenti l'assemblea municipale, la giunta municipale, che esercita le competenza di cui all'art. 48 del Tuel ed è composta da un numero di assessori non superiore a quello previsto per i comuni con popolazione uguale a quella complessiva dell'unione municipale. In base al c. 7, sarà un regolamento del governo da adottare entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore del d. l. 138 su proposta del ministro dell'interno, di concerto con il ministro per le riforme per il federalismo, a disciplinare il procedimento di prima costituzione dell'unione municipale, con tanto di possibile commissariamento per i comuni renitenti.
Saranno, invece, gli statuti delle singole unioni municipali ad individuare le modalità di funzionamento degli organi ed a disciplinarne i rapporti. Si tratterà di un passaggio decisivo (articolo ItaliaOggi del 19.08.2011).

INCARICHI PROFESSIONALIMANOVRA BIS/ Enti, professionisti scelti con gara. La derogabilità delle tariffe spinge la p.a. a trattare sul prezzo. Il dl 138 ammette la pattuizione dei compensi per gli incarichi anche in deroga ai minimi.
La derogabilità delle tariffe professionali spinge le pubbliche amministrazioni a conferire incarichi mediante gare col criterio del prezzo più basso.
L'articolo 3, comma 5, lettera d), del dl 138/2011 costituisce indirettamente per le amministrazioni l'obbligo di affidare incarichi a professionisti (ingegneri, architetti, avvocati, commercialisti, psicologi) con una vera e propria negoziazione dei compensi, da effettuare ovviamente mediante le procedure di gara, ai sensi del dlgs 163/2006.
La norma introdotta dalla manovra estiva 2011-bis, infatti, stabilisce che «il compenso spettante al professionista è pattuito per iscritto all'atto del conferimento dell'incarico professionale prendendo come riferimento le tariffe professionali. È ammessa la pattuizione dei compensi anche in deroga alle tariffe».
In sostanza si rimette alle parti la determinazione del compenso. Sicché le tariffe non costituiscono né un riferimento obbligatorio, né possono essere lette come minimi garantiti. La loro piena derogabilità permette, anzi, la determinazione di compensi anche di carattere forfetario.
Secondo l'ultimo periodo del citato articolo 3, comma 5, lettera d), «in caso di mancata determinazione consensuale del compenso, quando il committente è un ente pubblico, in caso di liquidazione giudiziale dei compensi, ovvero nei casi in cui la prestazione professionale è resa nell'interesse dei terzi si applicano le tariffe professionali stabilite con decreto dal ministro della giustizia».
La combinazione delle disposizioni richiamate rende estremamente rischioso affidare incarichi a professionisti senza aver determinato consensualmente il compenso. Infatti, l'applicazione giudiziale del compenso attraverso le tariffe potrebbe determinare un esborso di spesa superiore a quello che, laddove si fosse svolta una gara con ribasso delle voci di compenso, si sarebbe potuto spuntare. Insomma, la mancata negoziazione e fissazione consensuale dei compensi rischia di aprire le porte alla responsabilità erariale per le amministrazioni che incautamente non trarranno le necessarie conclusioni derivanti dalla derogabilità delle tariffe.
Del resto, la magistratura contabile ha più volte espresso l'avviso secondo il quale ai fini della determinazione dell'impegno di spesa e per evitare il maturare di debiti fuori bilancio «va acquisita dall'avvocato, al quale è stata affidata la rappresentanza in giudizio del comune, un preventivo di massima relativo agli onorari, alle competenze ed alle spese che presuntivamente deriveranno dall'espletamento dell'incarico stesso ai fini di predisporre un adeguata copertura finanziaria» (Corte dei conti, sezione regionale di controllo per la Campania, 04.02.2009, n. 8).
Risulterà, dunque, onere delle amministrazioni, prima di affidare gli incarichi, verificare quali elementi della prestazione possano ricadere nelle voci di tariffa, per costruire una griglia oppure elaborare una base di gara forfetaria o «a corpo» su cui chiedere il ribasso, attivando così una vera e propria negoziazione del compenso, tale da escludere l'applicazione delle tariffe in caso di contenzioso ed evitare un surplus imprevisto di spesa.
I medesimi adempimenti vanno svolti anche nel caso in cui la normativa consenta affidamenti diretti senza gara, come nel caso di cottimi fiduciari (articolo ItaliaOggi del 19.08.2011 - tratto da www.corteconti.it).

ENTI LOCALIMANOVRA BIS/ Per i comuni le pagelle arrivano già dall'anno prossimo. E tra i criteri di virtuosità debutta la rimozione dei paletti alla libera concorrenza.
Pagelle per tutti già dall'anno venturo e nuovi criteri per l'attribuzione dei voti.

Sono queste, in estrema sintesi, le novità introdotte dal dl 138/2011 nella disciplina dell' «esame di virtuosità» che, nei prossimi anni, regioni, province e comuni dovranno sostenere per conoscere la misura del rispettivo concorso alle realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica.
La manovra-bis, in una con l'anticipazione del pareggio di bilancio (e della annessa, nuova correzione dei conti pubblici), fa scattare già nel 2012 la ripartizione nelle quattro classi di merito introdotte dal recente dl 98/2011 (conv. dalla legge 111/2011) anche per regioni e comuni, allineando il relativo timing a quello già previsto per le province.
L'articolo 1, comma 9, del nuovo provvedimento economico d'urgenza, che a breve sarà sottoposto all'esame del parlamento, corregge, infatti, il testo dell'articolo 20, commi 2 e 3, della manovra di luglio, retrodatando di un anno l'avvio della meritocrazia in base alla quale saranno pesati e differenziati gli obiettivi del patto di stabilità interno degli enti territoriali sub-statali, oltre che redistribuiti i tagli operati dall'articolo 14 del dl 78/2010 (convertito dalla legge 122/2010).
Rimane confermato, invece, che i primi della classe vedranno azzerato il rispettivo concorso alle manovre 2010 e 2011: essi, ai fini del patto, si vedranno assegnato un saldo-obiettivo pari a zero e potranno recuperare le risorse decurtate lo scorso anno e finora mai (nemmeno parzialmente) reintegrate, neppure, come a suo tempo promesso, in sede di attuazione del federalismo fiscale. Essi, inoltre, potranno ripartirsi, per il 2012, un ulteriore bonus da 200 milioni di euro.
Il decreto del ministro dell'economia e delle finanze, chiamato a dare i voti a regioni ed enti locali, dovrà basare il proprio giudizio su alcuni nuovi elementi. In primo luogo, in base all'articolo 3, comma 4, del dl 138/2011, esso dovrà valutare l'adeguamento di comuni, province e regioni all'obbligo (imposto dalla manovra bis nelle more della riforma dell'articolo 41 della Costituzione) di rimozione dai rispettivi ordinamenti delle indebite restrizioni all'accesso e all'esercizio delle professioni e delle attività economiche.
Le regioni (anche a statuto speciale), inoltre, saranno valutate anche in base all'incisività delle misure che adotteranno in attuazione dell'articolo 14, comma 1, del medesimo dl 138/2011, per ridurre il numero dei rispettivi consiglieri e assessori e le relative indennità, nonché per introdurre un collegio di revisori dei conti composto da professionisti indipendenti.
Rimangono confermati gli altri parametri di virtuosità, ovvero: prioritaria considerazione della convergenza tra spesa storica e costi e fabbisogni standard; rispetto del Patto; incidenza della spesa del personale sulla spesa corrente, in relazione al numero dei dipendenti in rapporto alla popolazione residente, alle funzioni svolte, anche attraverso esternalizzazioni, nonché all'ampiezza del territorio; autonomia finanziaria; equilibrio di parte corrente; tasso di copertura dei costi dei servizi a domanda individuale (per gli enti locali); rapporto tra gli introiti derivanti dall'effettiva partecipazione all'azione di contrasto all'evasione fiscale e i tributi erariali (per le regioni); effettiva partecipazione all'azione di contrasto all'evasione fiscale (per gli enti locali); rapporto tra le entrate di parte corrente riscosse e accertate; operazioni di dismissione di partecipazioni societarie nel rispetto della normativa vigente.
Inoltre, a decorrere dalla determinazione dei Lea e degli obiettivi di servizio, dovranno essere elaborati «indicatori qualitativi e quantitativi relativi agli output dei servizi resi», anche attraverso tecniche di benchmarking rispetto alle realtà con il miglior rapporto qualità-costi. In ogni caso, si dovrà tenere conto della «dinamica di miglioramento conseguito dalle singole amministrazioni rispetto alle precedenti» (articolo ItaliaOggi del 19.08.2011 - tratto da www.corteconti.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOMANOVRA BIS/ I tagli fanno rotta sul personale. Stretta su dipendenti e dirigenti. Meno sulla burocrazia. Dalle tredicesime al Tfr tutte le norme di interesse per le pubbliche amministrazioni locali.
Netta prevalenza, per numero e per rilievo, delle nuove misure di contenimento della spesa per i singoli dirigenti e dipendenti rispetto a quelle dettate per la razionalizzazione della organizzazione delle singole amministrazioni.
Possono essere così riassunte le linee ispiratrici della manovra di ferragosto. Appartengono al primo ambito la possibilità di diluire il pagamento delle tredicesime nello stato, il differimento fino a un anno e mezzo del pagamento del trattamento di fine servizio a tutti i dipendenti pubblici che si collocano in pensione per anzianità, il calcolo della buonuscita sulla base del trattamento economico accessorio in godimento prima della assegnazione dell'ultimo incarico, se breve; il tetto europeo al trattamento economico dei dirigenti generali dello stato; la possibilità di accorpamento delle festività non religiose e l'obbligo di utilizzare i voli in classe economica.
Tra le misure di razionalizzazione dirette alle amministrazioni segnaliamo il vincolo alla riduzione del numero dei dirigenti nello stato, l'allungamento della possibilità di collocare in quiescenza il personale pubblico che ha raggiunto 40 anni di anzianità contributiva, anche in assenza di una specifica richieste, l'estensione offerta a tutte le p.a. della possibilità di collocare in mobilità o di utilizzare in modo flessibile il personale; la parziale flessibilità aggiuntiva prevista per le assunzioni cd obbligatorie e la definizione delle caratteristiche essenziali dei tirocini formativi.
Occorre sottolineare che queste disposizioni non hanno, nella economia complessiva dei risparmi previsti dal dl n. 138/2011, un grande rilievo; così come non hanno avuto un analogo grande rilievo i risparmi sul pubblico impiego previsti dal dl n. 98/2011. Si deve infine sottolineare in premessa che il numero di disposizioni che si applicano al personale degli enti locali è ancora più ridotto, basta ricordare che il differimento del pagamento delle tredicesime è limitato alle sole amministrazioni statali.
Il taglio dei dirigenti. Tutte le amministrazioni statali devono tagliare di un ulteriore 10% i posti dirigenziali e dirigenziali generali previsti nella propria dotazione organica. Il mancato rispetto di questa prescrizione è sanzionato con il divieto di effettuare assunzioni di personale a qualunque titolo. È necessario chiarire se in tale divieto sono comprese anche le nomine di dirigenti a tempo determinato.
Il differimento della tredicesima. Se l'amministrazione statale presso cui si presta servizio non ha raggiunto gli obiettivi di risparmio assegnati dal dl n. 98/2011 o dal documento di programmazione finanziaria, matura la possibilità che il governo disponga lo slittamento del pagamento della tredicesima mensilità in tre rate annuali da corrispondere entro il triennio successivo. Ovviamente non sono riconosciuti gli interessi.
Il collocamento in quiescenza. Viene prorogata di tre anni la possibilità offerta dal dl n. 112/2008 a tutte le p.a. di collocare in quiescenza i propri dipendenti e dirigenti che hanno raggiunto 40 anni di anzianità contributiva, anche se non hanno presentato una specifica richiesta.
Occorre rispettare solamente il vincolo della comunicazione con un preavviso non inferiore a sei mesi. Il dl n. 98 ha stabilito che se gli enti si danno preventivamente dei criteri di carattere generale non devono motivare i singoli provvedimenti.
L'assegnazione di altri incarichi ai dirigenti. Le p.a. hanno le mani più libere nella assegnazione di incarichi diversi ai dirigenti. Esse possono provvedere in questo senso anche prima della scadenza dell'incarico assegnato. Devono semplicemente rispettare una «clausola di salvaguardia», cioè fino alla data di scadenza del primo incarico il dirigente deve mantenere lo stesso trattamento economico, anche il nuovo incarico ha un peso inferiore.
In sostanza si ripropone, per la parte economica, una clausola già presente nel contratto dei dirigenti. Per evitare aggiramenti ai fini del calcolo del trattamento di fine servizio si dispone che gli incarichi di durata inferiore alla soglia minima, cioè tre anni, conferiti ai dirigenti che stanno per essere collocati in quiescenza non contano a questo fine.
La mobilità e l'utilizzo dei dipendenti. Con due distinte disposizioni si stabilisce che il personale comandato presso un'altra p.a. ha diritto di precedenza nella mobilità anche se il posto si rende vacante in un ufficio diverso da quello in cui presta la sua attività.
Si consente inoltre alla p.a. di spostare il proprio personale in altro ufficio nell'ambito della stessa regione. Per rafforzare tale previsioni si stabilisce che, fino alla stipula di uno specifico contratto nazionale, siamo nell'ambito dei poteri datoriali; quindi i dirigenti hanno mano ampiamente libera.
Il differimento della buonuscita. Tutti i dipendenti pubblici che si collocano in quiescenza per anzianità contributiva e non per raggiungimento dei limiti massimi di età a partire dalla data di entrata in vigore del decreto (nella scuola dal prossimo 31 dicembre) riceveranno il trattamento di fine servizio non più entro i sei mesi successivi, ma entro il tetto di 24 mesi. Gli eventuali interessi decorreranno solamente al superamento di tale periodo.
Festività civili. Con uno specifico decreto del presidente del consiglio dei ministri viene annualmente individuata la data (collocandola tra la domenica o i giorni immediatamente precedenti o seguenti alle giornate non lavorative) in cui collocare le festività non previste dal Concordato.
Le assunzioni obbligatorie. Le amministrazioni pubbliche possono non rispettare i vincoli minimi di assunzioni obbligatorie nelle singole sedi, purché rispettino nell'insieme del proprio personale tali vincoli.
Altre disposizioni. Ai dipendenti pubblici collocati in aspettativa per svolgere incarichi di governo in amministrazioni pubbliche si applicano le stesse regole previste per le normali aspettative, salvo che optino per il mantenimento in via esclusiva del trattamento economico in godimento.
Sono fissati, in modo più stringente, i vincoli che le p.a. e i privati devono rispettare per l'effettuazione di tirocini formativi. I dipendenti e dirigenti dello Stato infine devono obbligatoriamente viaggiare in classe economica (articolo ItaliaOggi del 19.08.2011 - tratto da www.ecostampa.it).

CONSIGLIERI COMUNALI - PUBBLICO IMPIEGOOSSERVATORIO VIMINALE/ Trasferimenti per i consorzi. I componenti hanno diritto all'avvicinamento. Il beneficio previsto dall'art. 78 del Tuel va interpretato estensivamente.
È possibile applicare nei confronti di un dipendente della polizia di stato, che ha prodotto istanza di trasferimento, il beneficio di cui all'art. 78, comma 6, del decreto legislativo n. 267/2000, qualora il dipendente medesimo sia stato delegato dal sindaco a rappresentare il comune presso un Consorzio tra enti locali?

L'articolo citato introduce una disposizione di garanzia a favore di tutti i lavoratori dipendenti per evitare loro restrizioni o limitazioni all'esercizio delle funzioni connesse all'espletamento del proprio mandato. In proposito, è stabilito che la richiesta di tali lavoratori di avvicinamento al luogo in cui viene svolto il mandato amministrativo deve essere esaminata dal datore di lavoro con criteri di priorità.
L'art. 77, comma 2, del Tuel statuisce poi che, ai fini dell'applicazione delle norme di cui al capo IV –status degli amministratori locali (artt. 77-87)– nel novero degli amministratori locali sono compresi anche «i componenti degli organi dei consorzi fra enti locali». Nel caso di specie, pertanto, al suddetto dipendente sono applicabili le disposizioni di cui all'art. 78 del Tuel (articolo ItaliaOggi del 19.08.2011 - tratto da www.ecostampa.it).

CONSIGLIERI COMUNALIOSSERVATORIO VIMINALE/ Rimborso spese.
Possono essere rimborsate le spese di giudizio richieste dagli amministratori locali, assolti in un procedimento penale nel quale sono stati coinvolti a causa delle funzioni di amministratori pubblici?

Non è dato rinvenire nell'ordinamento vigente norme che prevedono la possibilità di rimborsare agli amministratori locali le spese legali sostenute per giudizi instaurati in relazione a fatti asseritamente posti in essere nell'esercizio delle proprie funzioni.
Benché in passato parte della giurisprudenza abbia ritenuto di poter estendere in via analogica agli amministratori locali la normativa che consente, a determinate condizioni, tale rimborso per i dipendenti degli enti locali, secondo orientamenti ermeneutici più recenti la possibilità di tale ricorso all'analogia nella materia in questione è stata decisamente negata.
In base a tali orientamenti deve ritenersi non pertinente il richiamo all'analogia, che risulta correttamente evocabile quando emerga un vuoto normativo nell'orientamento, vuoto che nella specie non è configurabile, atteso che il legislatore si è limitato a dettare una diversa disciplina per due situazioni non identiche tra loro, e la detta diversità non appare priva di razionalità, atteso che gli amministratori pubblici non sono dipendenti dell'ente ma sono eletti dai cittadini, ai quali rispondono (e quindi non all'ente) del loro operato (articolo ItaliaOggi del 19.08.2011 - tratto da www.ecostampa.it).

CONSIGLIERI COMUNALIOSSERVATORIO VIMINALE/ Indennità assessori.
È possibile nominare, senza attribuzione di indennità, due assessori in più rispetto al numero massimo previsto dalla vigente normativa, nel presupposto di potersi reputare, con la mancata corresponsione agli stessi della prescritta indennità, comunque realizzato l'obiettivo di contenere i costi della spesa pubblica indicato dal legislatore?

La nomina dei due assessori oltre il numero massimo stabilito, pur non corrispondendo loro la prescritta indennità, non è ammissibile, considerato che la determinazione numerica degli assessori rientra nella materia «organi di governo» dei comuni rimessa, ai sensi dell'art. 117, comma 2, lett. p) della Costituzione, alla potestà legislativa esclusiva dello Stato.
Quest'ultima, invero, per il profilo considerato riconosce a comuni e province quale unico spazio di autonomia, la possibilità di individuare nello statuto una misura «fissa» ovvero «flessibile» di assessori, purché, in entrambi i casi, entro il limite massimo prescritto, che non può mai essere superato. La disciplina sulla composizione delle giunte, dettata dal legislatore statale, non può, pertanto, essere derogata dagli enti locali, ma deve trovare uniforme applicazione sul territorio nazionale, avendo valenza generale (articolo ItaliaOggi del 19.08.2011 - tratto da www.ecostampa.it).

CONSIGLIERI COMUNALIOSSERVATORIO VIMINALE/ Gruppi.
La denominazione di un gruppo consiliare uni personale può essere diversa dal nome della lista nella quale era stato eletto il consigliere?

La materia concernente la costituzione dei gruppi consiliari è interamente demandata allo statuto e al regolamento del consiglio, nell'ambito della propria autonomia funzionale ed organizzativa (art. 38, comma 3, dlgs n. 267/2000). Ciò implica che soltanto il consiglio comunale, nella sua sovranità ed in quanto titolare della competenza a dettare le norme cui uniformarsi in tale materia, sia abilitato a fornire un'interpretazione autentica delle norme statutarie e regolamentari, pronunciandosi in merito a quanto richiesto.
Si soggiunge che la denominazione dei gruppi consiliari, in assenza di una specifica disposizione statutaria o regolamentare, appare rientrare nelle scelte proprie delle formazioni politiche presenti nel consiglio (articolo ItaliaOggi del 19.08.2011 - tratto da www.ecostampa.it).

INCARICHI PROFESSIONALIMANOVRA BIS/ Difesa in giudizio piena di lacci. Moltiplicate le formalità burocratiche per incaricare un legale. La manovra estiva chiede all'avvocato e al cittadino di disciplinare in dettaglio il loro rapporto.
Formalità moltiplicate per incaricare un avvocato. Non basta firmare la procura alle liti. Stando alla manovra di Ferragosto (decreto 138/2011, articolo 3) si devono, innanzitutto, stipulare per iscritto le clausole relative agli onorari.
Per questo, e non solo per questo, la burocrazia al momento del conferimento dell'incarico si sta facendo pesante: si ricordi che l'avvocato deve farsi sottoscrivere il modello su informativa e consenso per la legge sulla privacy e il modello di informativa sulla conciliazione delle liti e deve farsi firmare dal cliente una attestazione sui redditi ai fini del contributo unificato nelle cause di lavoro (ai fini dell'eventuale esenzione) e, ancora, si aggiunga che l'avvocato, in base al citato decreto 138/2011, deve dare anche esplicite informative sulla stima della spesa complessiva e sulla propria assicurazione contro i rischi professionali.
Se, poi, il cliente è un ente pubblico si devono aggiungere le dichiarazioni introdotte dalle disposizioni sulla tracciabilità e la presentazione del Durc per farsi pagare la parcella.
Gli aspetti amministrativi connessi all'affidamento dell'incarico al legale sono stati, dunque, incrementati dalla manovra economica-bis, che contiene, tuttavia, anche disposizioni di liberalizzazione per l'accesso alla professione (da specificare entro 12 mesi con nuove norme ordinamentali) e con un'apertura alla possibilità di promuovere lo studio con pubblicità informativa. Ma vediamo di illustrare le novità principali.
CONTRATTO SCRITTO
L'articolo 3 del decreto 138/2011 elenca una serie di principi per la riforma delle professioni (da attuare entro 12 mesi). In particolare si dovrà stabilire che il compenso spettante al professionista deve essere pattuito per iscritto all'atto del conferimento dell'incarico professionale, prendendo come riferimento le tariffe professionali: si noti che le tariffe sono solo un mero riferimento, visto che è ammessa la pattuizione dei compensi anche in deroga alle tariffe stesse.
Questa regola implica la formazione di un contratto scritto in cui l'avvocato e il cliente si accordano sulla parcella. In questo atto si deve precisare se le parti applicheranno la tariffa forense oppure se derogheranno a minimi e massimi stabiliti con decreto ministeriale. Avvocato e cliente possono anche individuare clausole particolari che fanno innalzare o abbassare il compenso, ad esempio con riferimento all'esito della causa. La disposizione di principio non chiarisce se si inciderà o meno sul cosiddetto patto di «quota lite», e cioè in sostanza una ripartizione dei vantaggi economici che si spera di conseguire dalla causa.
Il contratto professionale con il cliente sarà anche la sede migliore per attuare un altro adempimento posto a carico dell'avvocato: informare il cliente sul livello della complessità dell'incarico, fornendo tutte le informazioni utili circa gli oneri ipotizzabili dal momento del conferimento alla conclusione dell'incarico. Si tratta di una sorta di preventivo di spesa, che il legale molto probabilmente accompagnerà da clausole che facciano salva l'applicazione di compensi per attività non prevista o imprevedibile.
Su questa ipotesi si noti che vi è una norma deontologica del codice etico forense che tratta la materia: è l'articolo 40 (sull'obbligo di informazione), anche se tale disposizione limita l'obbligo dell'avvocato di informare la parte assistita, sulle previsioni di massima inerenti alla durata e ai costi presumibili del processo, solo nei casi in cui «è richiesto».
Quindi, la regola sui compensi è il contratto scritto, con derogabilità delle tariffe. L'articolo 3 citato ripristina, invece, il tariffario per i seguenti casi: mancata determinazione consensuale del compenso, quando il committente è un ente pubblico; liquidazione giudiziale dei compensi, prestazione professionale resa nell'interesse dei terzi.
Peraltro il caso di rispetto della tariffa, in caso di committenza pubblica, presumibilmente nella prassi non avrà attuazione, in quanto gli enti tenderanno a una determinazione contrattuale, prevedibilmente con deroghe ai minimi di tariffa.
ASSICURAZIONE PROFESSIONALE
Un altro criterio per la riforma dell'ordinamento professionale obbliga il professionista ad assicurarsi contro i rischi derivanti dall'esercizio dell'attività professionale; in seconda battuta obbliga il professionista ad informare il cliente, al momento dell'assunzione dell'incarico, degli estremi della polizza stipulata per la responsabilità professionale e del relativo massimale.
Un obbligo deontologico (tutelare il proprio cliente) diventa un obbligo normativo, con ricadute sulle formalità da osservare al momento in cui il cliente affida un incarico al proprio legale.
Anche qui la cosa migliore è inserire una clausola ad hoc nel contratto professionale con il cliente.
Tra l'altro si sottolinea che l'attuale codice deontologico forense prevede l'indicazione della polizza assicurativa quale facoltà dell'avvocato nel dare informazioni sul proprio studio (articolo 17-bis). Da facoltà a scopo di informativa di carattere promozionale, l'adempimento si trasforma in obbligo a piena tutela della posizione del cliente.
PUBBLICITÀ INFORMATIVA
Nell'articolo 3 del decreto 138/2011 si prescrive un altro importante criterio per la riforma delle professioni e cioè la possibilità di pubblicità informativa.
Già oggi il codice deontologico forense (articolo 17-bis) consente all'avvocato di dare informazioni sulla propria attività professionale. Ma l'articolo 3 sembra superare alcuni limiti del codice nella parte in cui dichiara che è libera la pubblicità informativa, con ogni mezzo, avente ad oggetto l'attività professionale, le specializzazioni ed i titoli professionali posseduti, la struttura dello studio e i compensi delle prestazioni.
Le informazioni, tuttavia, come già prevede il codice deontologico forense, devono essere trasparenti, veritiere, corrette e non devono essere equivoche, ingannevoli, denigratorie (articolo ItaliaOggi del 19.08.2011 - tratto da www.corteconti.it).

ENTI LOCALIMANOVRA BIS/ Caccia agli sprechi nei comuni. Sotto controllo spese di rappresentanza, di pr, di ospitalità. Ecco tutti i decreti necessari per dare attuazione alle disposizioni del dl 138.
Caccia agli sprechi negli enti locali. Si rafforza il monitoraggio sulle spese di rappresentanza sostenute dagli organi di governo delle amministrazioni territoriali. Pubbliche relazioni, costi di ospitalità in occasione di visite di personalità e delegazioni, incontri, convegni, congressi, inaugurazioni, manifestazioni: tutti oneri che dovranno essere puntualmente elencati, per ciascun anno, in un apposito prospetto allegato al rendiconto.
Il documento andrà trasmesso alla sezione regionale di controllo della Corte dei conti e dovrà essere pubblicato, entro dieci giorni dall'approvazione del rendiconto, sul sito internet dell'ente locale. A stabilirlo è l'articolo 16, comma 12, del dl n. 138/2011.
Sarà un atto di natura non regolamentare del ministero dell'interno, d'intesa con la Conferenza stato-città e autonomie locali e con il ministero dell'economia, ad adottare entro metà novembre lo schema tipo del prospetto da utilizzare. Ma la macchina attuativa della manovra-bis scalda già i motori.
Contributo di solidarietà. Uno dei primi provvedimenti ad arrivare, nonché forse il più importante in assoluto, sarà il decreto dell'economia che renderà operativo il contributo di solidarietà. Il termine è fissato al 30 settembre 2011.
Entro tale data, il dicastero guidato da Giulio Tremonti dovrà mettere a punto il provvedimento che assoggetterà fino al 2013 a un prelievo aggiuntivo del 5% i redditi superiori a 90 mila euro e del 10% i redditi eccedenti i 150 mila euro. Il decreto dovrà provvedere anche al coordinamento normativo con le abrogate disposizioni che già prevedevano il contributo a carico dei dipendenti pubblici (dl n. 78/2010).
Ministeri. Tempi stretti anche per la cura dimagrante alle dotazioni dei ministeri. Il taglio è di 6 miliardi di euro per il 2012 e di 2,5 miliardi per il 2013. In questo caso, il dpcm che conterrà la ripartizione delle riduzioni tra i vari organi centrali arriverà entro il prossimo 25 settembre.
Poco più di un mese, dunque, a disposizione di palazzo Chigi per capire quanto e a chi tagliare. Con una possibile scappatoia: i 6 miliardi previsti per il 2012 potrebbero essere ridotti di un importo fino al 50% delle maggiori entrate derivanti dalla Robin Tax.
Rendite. Più complicato il discorso legato all'aumento della tassazione (dal 12,5 al 20%) per le rendite finanziarie. Provvedimenti attuativi sono attesi sia per disciplinare il periodo transitorio connesso al passaggio dal sistema di imposizione vigente prima del 31.12.2011 e quello applicabile dall'01.01.2012, sia per regolare la possibilità di affrancamento delle plusvalenze latenti, come pure per regolamentare il nuovo regime di deducibilità (con limite al 62,5%) delle minusvalenze.
Ipt. Non serviranno più provvedimenti attuativi, invece, relativamente all'imposta provinciale di trascrizione. L'articolo 17, comma 6, del dlgs n. 68/2011 prevede infatti che con dm dell'Economia sia modificata la disciplina prevista per la tassazione Ipt degli atti soggetti a Iva, il cui trattamento fiscale verrà equiparato a quello previsto per gli atti non soggetti ad Iva.
Ciò comporterà il passaggio dal pagamento di una tariffa in somma fissa (150,81 euro) a quello di una tariffa modulata sulla base delle caratteristiche di potenza e portata dei veicoli soggetti a immatricolazione, con conseguente incremento di gettito a livello provinciale.
Alla luce dell'articolo 1, comma 12 del dl n. 138/2011, tuttavia, l'applicazione della tariffa modulata scatterà a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge di conversione della manovra-bis, anche in assenza del predetto decreto ministeriale.
Soppressione dei «ponti». A partire dal 2012, l'accorpamento al weekend delle festività infrasettimanali di natura non religiosa sarà sancito da un apposito dpcm, da emanarsi entro il 30 novembre dell'anno precedente. Così facendo, saranno fissate annualmente le date in cui ricorrono festività come il 1° maggio, il 25 aprile o il 2 giugno, in modo tale che le stesse cadano il venerdì precedente o il lunedì seguente la prima domenica successiva.
Tredicesima statali. Sarà un decreto di via XX Settembre a stabilire le modalità applicative della rateizzazione della tredicesima mensilità per i dipendenti delle amministrazioni pubbliche non virtuose. La manovra prevede infatti che, in caso di uno scostamento rilevante rispetto agli obiettivi finanziari e di risparmio prefissati, il pagamento della tredicesima dovuta ai dipendenti delle p.a. avverrà in tre rate annuali posticipate, senza interessi (articolo ItaliaOggi del 18.08.2011 - tratto da www.corteconti.it).

AMBIENTE-ECOLOGIAMANOVRA BIS/ Cancellato il Sistri. Ma alle imprese è già costato 90 mln. Il sistema di tracciabilità dei rifiuti mai messo in funzione.
Addio Sistri. La manovra-bis lo ha cancellato con un colpo di spugna, ancor prima che entrasse in funzione, anche a causa dello stillicidio di proroghe concesse dal governo nei mesi scorsi (l'ultima nel decreto sviluppo, n. 70/2011, che ha congelato, per i piccolissimi produttori, la messa a regime del meccanismo fino al giugno 2012). Ma se il sistema di tracciabilità elettronica dei rifiuti è rimasto solo sulla carta, non altrettanto si può dire per l'obolo versato dalle imprese.
Il contributo obbligatorio del mondo produttivo all'avviamento del nuovo sistema di controllo dei rifiuti, alternativo alla mera tenuta dei registri di carico e scarico, contava già versamenti per 65-68 mln di euro a fine 2010. Eppure, «i costi relativi alla tecnologia e al funzionamento del sistema si situano intorno al 90% di questa cifra», rivelava il 9 giugno scorso il sottosegretario allo sviluppo economico, Stefano Saglia, rispondendo in aula a Montecitorio a un'interpellanza urgente di Simonetta Rubinato (Pd). Oggi, però, il quadro è sostanzialmente mutato.
Secondo la stessa Rubinato, «gli imprenditori e gli enti locali hanno già versato oltre 90 milioni di euro nelle casse dello stato per un sistema mai partito». Soldi, avverte la deputata Pd, che «dovranno essere restituiti». E non solo per una semplice norma di civiltà. Rubinato, al riguardo, non usa mezzi termini sui timori di mancata restituzione del prelievo alle imprese: «Mi auguro», dice, «non si paghi la società affidataria del sistema elettronico che non ha adempiuto al contratto, peraltro ottenuto senza gara». Punto.
Le giustificazioni della manovra bis. La relazione illustrativa al decreto legge 138/2011, stilata dal governo, spiega la soppressione del Sistri e di «tutte le disposizioni che lo istituiscono e lo disciplinano» (art. 6, commi 2 e 3), sconfessando quanto fatto negli ultimi anni dallo stesso esecutivo in materia.
Si parte da una mera descrizione dei fatti: «alcuni operatori economici», si legge nella relazione del governo, «sono tenuti ad aderire (al Sistri, ndr), mentre altri possono farlo su base volontaria». Non solo. Il governo spiega che pesanti sanzioni amministrative sono previste per «la mancata iscrizione al Sistri; il mancato pagamento del contributo di iscrizione; l'omessa o inesatta compilazione della scheda Sistri».
Quindi, chiosa l'esecutivo, «la misura si rende necessaria per contenere gli eccessivi oneri amministrativi derivanti dal Sistri, che si traducono in un grave rallentamento dell'attività imprenditoriale, soprattutto per i piccoli operatori, con conseguenti effetti negativi in termini economici e produttivi». Tirate le somme, questo sistema non s'ha da fare. Con buona pace della stessa deputata Pd, che denuncia: così facendo «il governo fa un regalo alle ecomafie».
E ricorda: «Avevamo chiesto al ministro Prestigiacomo di riformare la funzionalità di un sistema gravoso per le imprese e che, in occasione del “clic day”, aveva mostrato gravi lacune anche sotto il profilo tecnologico. E ci eravamo battuti perché fosse semplificato e prorogata l'entrata in vigore. Mai avevamo messo, però, in discussione l'urgenza di rendere più efficaci i controlli sulla tracciabilità dei rifiuti». L'idea della deputata Pd è che senza il Sistri le ecomafie possano continuare i loro traffici illeciti che, secondo stime contenute nel rapporto 2011 di Legambiente, producono un giro di affari di 19,3 miliardi di euro l'anno.
In realtà, il decreto legge sulla manovra bis chiarisce che restano comunque valide tutte le altre norme in materia di rifiuti. E, in particolare, quelle relative agli obblighi di tenuta dei registri di carico e scarico, nonché quella sulla tenuta del formulario di identificazione. Tutte disposizioni previste dal codice dell'ambiente (articoli 190 e 193 del decreto legislativo n. 152/2006 e successive modificazioni).
L'inchiesta. Sullo sfondo resta l'indagine avviata dalla procura di Napoli sul Sistri, con le ispezioni condotte, in giugno, dalla Guardia di finanza negli uffici del ministero dell'ambiente e nelle sedi delle imprese Selex e Viacom srl.
Indagine, che spinse il ministro dell'ambiente, Stefania Prestigiacomo, a impegnarsi pubblicamente a togliere il segreto di stato sulla gestione dell'intero affare Sistri, durante un question time alla camera (articolo ItaliaOggi del 18.08.2011).

EDILIZIA PRIVATAMANOVRA BIS/ Da Ferragosto la Scia è libera dai contenziosi. In base al decreto legge la segnalazione certificata di inizio attività non è più direttamente impugnabile.
Più libera la Scia da Ferragosto. Scia e Dia sono, infatti, diversi dal silenzio-assenso e non sono, quindi, direttamente impugnabili. La manovra-bis interviene sulla legge generale del procedimento amministrativo (legge 241/1990) e chiarisce una volta per tutte le modalità per gli interessati di reagire contro le iniziative assunte da chi vuole avviare un'attività, anche edilizia, sfruttando le misure di sburocratizzazione.
Il decreto legge 138/2011, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 188 del 13/08/2011, sceglie una strada già individuata dai Tar e dal Consiglio di stato (anche se non univocamente) e cioè sbarra la possibilità di ricorrere direttamente al giudice amministrativo contro Scia e Dia. Il controinteressato deve, invece, sollecitare l'intervento dell'amministrazione pubblica competente e, solo in caso di inerzia, può successivamente rivolgersi al Tribunale amministrativo regionale per ottenere l'ordine alla p.a. di bloccare l'attività.
Una soluzione di questo tipo avvantaggia chi deve iniziare l'attività, in quanto impedisce al controinteressato di rivolgersi subito al giudice amministrativo e sposta al futuro ogni possibile iniziativa giudiziaria, subordinandola all'inerzia della pubblica amministrazione sollecitata a intervenire.
Per fare un esempio: si può iniziare l'opera edilizia subito con l'invio della Scia; il controinteressato (per esempio, il vicino di casa) non può impugnare la Scia, ma deve inviare al comune una denuncia-diffida, chiedendo all'amministrazione di verificare la legittimità dell'attività. Se il comune rimane inerte, allora, il cittadino potrà rivolgersi al Tribunale amministrativo regionale, chiedendo al Tar l'accertamento dell'obbligo di provvedere in capo all'amministrazione e quindi la condanna della stessa a intervenire. Fino a che non interviene la sentenza del giudice chi ha presentato la Scia non ha alcun obbligo giuridico di bloccare o interrompere l'attività.
In dettaglio, il decreto 138/2011 aggiunge il comma 6-ter all'articolo 19 della legge 241/1990 (dedicato alla segnalazione certificata di inizio attività). La nuova disposizione precisa subito che la segnalazione certificata di inizio attività, la denuncia e la dichiarazione di inizio attività si riferiscono ad attività liberalizzate e non costituiscono provvedimenti taciti direttamente impugnabili. Ciò segna la differenza con il silenzio-assenso: in quest'ultimo caso siamo di fronte a un atto della p.a., sia pure tacito. In quanto provvedimento dell'amministrazione è autonomamente impugnabile. Dia e Scia non sono provvedimenti taciti e quindi non sono impugnabili in quanto tali.
Il comma 6-ter in commento fa riferimento sia alla Scia sia alle Dia (come dichiarazione e come denuncia) comprendendo tutte le ipotesi in cui la legge ha introdotto procedimenti liberalizzati di questo tipo, anche se con nomi diversi: averli enumerati tutti serve a non fare confusione (come è invece avvenuto per la scia in edilizia),
Chi ha interesse contrario al presentatore di Scia e Dia non è, però, sfornito di tutela: può sollecitare l'esercizio delle verifiche spettanti all'amministrazione e, in caso di inerzia, esperire l'azione avverso il silenzio (articolo 31, commi 1, 2 e 3 del Codice del processo amministrativo, decreto legislativo 104/2010).
Fino a oggi si sono fronteggiati due orientamenti. Il primo ha sostenuto che il comportamento inerte dell'amministrazione sulla denuncia di inizio attività ha valenza di silenzio-assenso e da ciò faceva conseguire la sua impugnabilità in giudizio.
Un secondo orientamento ribatteva che la Dia è un mero atto di iniziativa privata non impugnabile davanti al giudice amministrativo.
La manovra di Ferragosto abbraccia questa seconda impostazione, con l'obiettivo di impedire intralci all'attività privata, stavolta non da lungaggini della burocrazia, ma da iniziative di privati controinteressati.
Questo, però, senza togliere, ma solo differendo nel tempo, la possibilità per il controinteressato di reagire.
Il controinteressato potrà in prima battuta sollecitare l'amministrazione ad adottare motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione dell'attività e di rimozione degli eventuali effetti dannosi di essa e, comunque, a esercitare il potere di assumere determinazioni in via di autotutela, mediante revoca o annullamento ai sensi degli articoli 21-quinquies e 21-nonies della legge 241/1990.
In seconda battuta, se l'amministrazione non fa nulla, si può chiedere al Tar l'accertamento dell'obbligo dell'amministrazione di provvedere.
Il giudice può non solo ordinare all'amministrazione di provvedere, ma può anche pronunciarsi sulla fondatezza della pretesa dedotta in giudizio: questo solo quando si tratta di attività vincolata o quando risulta che non residuano ulteriori margini di esercizio della discrezionalità e non sono necessari adempimenti istruttori che debbano essere compiuti dall'amministrazione.
Tra l'altro a questa iniziativa può aggiungersi la richiesta di risarcimento dei danni subiti. Anche se può risultare inefficace una tutela meramente risarcitoria e a posteriori (articolo ItaliaOggi del 18.08.2011 - tratto da www.ecostampa.it).

ENTI LOCALIMANOVRA BIS/ I piccoli enti restano dove sono. Si aggiungono le unioni municipali. Funzioni sdoppiate. All'assemblea le competenze su ordine pubblico e sicurezza. Al presidente quelle dell'art. 50 Tuel.
I comuni con meno di 1.000 abitanti devono necessariamente gestire tutti i servizi tramite unioni municipali; viene innalzata a 10.000 abitanti la soglia minima obbligatoria per la gestione associata dei servizi e delle funzioni e tutte le sei funzioni fondamentali dei comuni dovranno essere gestite in forma associata entro la fine del 2012 da parte dei piccoli centri.
Sono queste le radicali novità contenute nel dl n. 138, in materia di gestione associata. Esse spingono in modo assai marcato l'acceleratore sulla razionalizzazione delle attribuzioni dei comuni, puntando a ottenere nello stesso tempo un significativo risparmio dei costi, realizzando economie di scala nella gestione delle proprie attribuzioni, e un netto miglioramento della gestione, in particolare in termini di quantità e qualità dei servizi. La volontà risulta essere assai chiara, ma le modalità operative con cui realizzare questo processo devono essere ancora ben precisate.
Nessuna abrogazione. I comuni con meno di 1.000 abitanti dovranno dare vita a unioni municipali. Quindi, non siamo in presenza di una «abrogazione» dei piccolissimi municipi, per cui non è alle viste alcuna drastica diminuzione degli attuali 8.100 circa comuni, ma viene prevista la introduzione dell'obbligo della gestione associata di tutti i servizi da parte di queste amministrazioni.
A differenza della gestione associata nei comuni fino a 5.000 abitanti che deve riguardare solo le funzioni fondamentali, per questi enti la gestione associate deve riguardare tutte le attività. Direttamente ai piccoli comuni rimarranno in capo quindi esclusivamente i compiti di rappresentanza della comunità. Il legislatore dispone che in questi enti gli organi di governo siano costituiti esclusivamente dal sindaco eletto direttamente, mentre scompaiono sia la giunta che il consiglio.
Le unioni municipali. Le unioni municipali devono essere costituite dai comuni con popolazione inferiore a 1.000 abitanti che siano «contermini», cioè direttamente confinanti. Inoltre è necessario che tali enti facciano parte della stessa provincia. Da evidenziare che questo ente è completamente diverso dalle unioni dei comuni previste dal dlgs n. 267/2000 come strumento per la gestione associata di servizi. Non è prevista una soglia minima, per cui un'unione potrebbe nascere anche con popolazione inferiore a 1.000 abitanti se a dare vita ad essa sono centri che insieme non raggiungono tale soglia.
Gli organi dell'unione sono il presidente (che svolge i compiti dei sindaci), l'assemblea municipale (che svolge i compiti dei consigli) e la giunta municipale (che svolge i compiti delle giunte comunali). Le regole operative per la realizzazione di queste disposizioni saranno dettate con uno specifico decreto del ministro dell'interno da emanare entro la metà del mese di novembre. Le unioni nasceranno invece man mano che si va alle elezioni per il rinnovo degli organi di governo dei piccolissimi comuni. In caso di inadempienza, previa diffida, è prevista la nomina di commissari ad acta da parte dei prefetti.
Il legislatore dà una risposta anche alla ipotesi che si realizza in numerose realtà in cui i comuni aventi popolazione inferiore a 1.000 abitanti non confinano con nessun altro centro che ha le stesse caratteristiche: in questa ipotesi non scatta l'obbligo di dare vita alla unione municipale, ma vengono semplificati gli organi di governo dell'ente. Infatti, il numero di consiglieri viene ridotto a 5, oltre il sindaco, e il numero massimo degli assessori viene ridotto a 2. Si applicano cioè le nuove regole dettate per gli organi di governo dei comuni con popolazione inferiore a 3.000 abitanti.
Il vincolo dei 5.000 abitanti o del quadruplo dei residenti del centro più piccolo che aderisce alla gestione associata posto dal recente dl 98/2011 per dare vita a gestioni associate tramite le unioni di comuni o le convenzioni o, probabilmente, la delega alle comunità montane viene unificato nella soglia minima di 10.000 abitanti. In questo modo il legislatore ha voluto garantire che il livello minimo di abitanti delle gestioni associate sia adeguato.
La novità si completa con l'abbreviazione dei termini entro cui le nuove forme di gestione associata dovranno gestire le sei funzioni fondamentali. In precedenza era previsto che nel corso del 2011 essa debba essere attivata per almeno due, per altre due nel 2012 e per le restanti due nel 2013; adesso si conferma che almeno due devono essere attivate entro quest'anno, ma tutte le altre quattro devono essere gestite in forma associata entro la fine del 2012, quindi con l'anticipo di un anno (articolo ItaliaOggi del 18.08.2011).

ENTI LOCALIMANOVRA BIS/ Per le province più piccole una soppressione piena di incognite. Soppressione al buio delle province con popolazione inferiore ai 300.000 abitanti o superficie inferiore a 3.000 chilometri quadrati. L'analisi: nel dl 138 norme lacunose sulla successione patrimoniale e funzionale degli enti da cancellare.
L'articolo 15 del dl 138/2011 riflette senza dubbio la frettolosità con la quale il governo è intervenuto sulla questione legata all'abolizione delle province sull'onda della pressione mediatica, perché si limita a prevedere l'estinzione delle province più piccole, fornendo indicazioni estremamente lacunose riguardo a come procedere per garantire la successione nelle attività e nei patrimoni delle province soppresse.
Insomma, il dl 138/2011 sostanzialmente limita il proprio intervento a stabilire che alcune province a decorrere dalla data di scadenza del mandato amministrativo provinciale in corso spariranno, lasciando indeterminato ciò che avverrà dopo.
Unica preoccupazione del legislatore, sottolineare l'opportunità a disposizione dei comuni facenti parti della circoscrizione territoriale delle province soppresse di promuovere, sentita la regione di appartenenza, l'adozione di una legge finalizzata a definire il mutamento della circoscrizione territoriale, ai sensi dell'articolo 133 della Costituzione. Il comma 2 dell'articolo 14 limita tale possibilità alla aggregazione «a un'altra provincia all'interno del territorio regionale, nel rispetto del principio di continuità territoriale».
E laddove i comuni non esercitino l'iniziativa o, in ogni caso, entro il termine di estinzione delle province non sia ancora vigente la legge che ridetermini le circoscrizioni, il comma 3 dell'articolo 14 dispone che «le funzioni esercitate dalle province soppresse sono trasferite alle regioni, che possono attribuirle, anche in parte, ai comuni già facenti parte delle circoscrizioni delle province soppresse oppure attribuirle alle province limitrofe a quelle soppresse, delimitando l'area di competenza di ciascuna di queste ultime. In tal caso, con decreto del ministro dell'interno, sono trasferiti alla regione personale, beni, strumenti operativi e risorse finanziarie adeguati».
Qui emergono i punti dolenti dell'iniziativa legislativa. Infatti, manca totalmente una regola sulla successione alle attività e risorse delle province soppresse che garantisca un subentro onnicomprensivo e totale, come sarebbe indispensabile nel caso di una soppressione. Si nota che il decreto del Viminale è subordinato alla sola circostanza che non intervenga la legge di revisione delle circoscrizioni e le regioni assegnino le funzioni delle province soppresse a quelle limitrofe.
Nessuna indicazione, invece, viene data per il caso «virtuoso» della fissazione delle nuove circoscrizioni in applicazione della legge prevista dall'articolo 133 della Costituzione. Inoltre, il decreto del ministero dell'interno dovrebbe limitarsi a disciplinare il trasferimento alla regione del personale ex provinciale, nonché dei beni, degli strumenti operativi e, ancora, di risorse finanziarie come si nota in modo che siano «adeguati».
Insomma, non si tratterebbe di una successione in universum ius, ma in misura discrezionale. Il che è oggettivamente impossibile. Le province portano con sé, ovviamente, un carico patrimoniale ed economico non indifferente: ad esse sono intestati tantissimi beni immobili, principalmente strade e scuole superiori, molte delle quali non sono in proprietà, ma affidate in convenzione dai comuni ai sensi della legge 13/1996; poi, le province hanno ovviamente in corso contratti di mutuo oppure buoni ordinari provinciali (Bop) o altre forme di finanziamento. L'ente che subentra alle province non può non accollarsi complessivamente debiti e crediti.
Una successione vera e propria a un ente soppresso non può, dunque, limitarsi a trasferire all'ente che succede risorse «adeguate», ma l'intero carico degli asset della provincia soppressa.
Si nota, ancora, come manchi una razionale idea sulla distribuzione delle funzioni provinciali. In prima battuta, mancando la legge di cui all'articolo 133 della Costituzione, dovrebbero esercitarle le regioni. Verosimilmente, dunque, se non intervenisse la norma che ridetermini in modo serio le circoscrizioni provinciali, si assisterà alla creazione di nuovi soggetti, agenzie regionali per il lavoro, la formazione, il turismo, l'ambiente, la fauna e l'ambiente, la manutenzione delle strade, la gestione delle scuole (per limitarsi alle competenze principali), oppure alla creazione di nuove strutture solo formalmente regionali, ma di fatto caratterizzate da un'autonomia amplissima. Semplicemente poco credibile è l'attribuzione ai singoli comuni delle funzioni delle province soppresse da parte delle regioni: la rete dei trasporti pubblici, per esempio, non può che essere una funzione sovracomunale, come quella delle politiche del lavoro.
Totalmente nebulosa, poi, è la sorte dei dipendenti: non si capisce, infatti, se la dotazione alle regioni debba essere «adeguata» anche in riferimento al personale da trasferire. Così come scritta, la disposizione lascia aperta la possibilità che parte del personale possa anche non essere trasferito, senza indicare alcuna possibile alternativa.
E sì che la soppressione delle province potrebbe essere l'occasione per trasferire personale anche verso uffici pubblici carenti di organico, sulla base di una disciplina che offra ai dipendenti provinciali anche la strada per poter optare tra alcune scelte (articolo ItaliaOggi del 18.08.2011 - tratto da www.ecostampa.it).

ENTI LOCALIMANOVRA BIS/ Premiati gli enti che privatizzano. Bonus di 500 mln nel 2013-2014. Tornano le incompatibilità. I comuni sotto i 30 mila abitanti devono dismettere le partecipazioni entro la fine del 2012.
Una forte spinta alla privatizzazione della gestione dei servizi da parte degli enti locali attraverso la istituzione di un premio per gli enti che danno corso a questa scelta e l'anticipazione di un anno, cioè alla fine del 2012, del vincolo alla alienazione delle quote o alla messa in liquidazione delle società da parte dei piccoli e medi comuni. Viene inoltre dettato un tetto per l'affidamento diretto della gestione a società in house.
Nella stessa direzione vanno anche la responsabilizzazione dei prefetti nella verifica del rispetto dei vincoli dettati dal legislatore per società e consorzi, la introduzione di nuovi vincoli per i bandi di aggiudicazione dei servizi locali e la reintroduzione dei divieti, cancellati dal referendum dello scorso mese di giugno, alla presenza negli organi di governo delle società locali di amministratori o ex amministratori. Altra scelta, per molti versi strettamente connessa, è quella di impegnare i comuni a realizzare forme di liberalizzazione tali da imprimere una sferzata per la crescita economica.
I comuni con popolazione inferiore a 30 mila abitanti, quindi la stragrande maggioranza, non possono dare vita a società in house o partecipate. Anzi devono dismettere le quote o provvedere alla messa in liquidazione di quelle esistenti entro il termine che la manovra-bis anticipa dalla fine del 2013 alla fine del 2012. Tale obbligo non si applica alle società che alla stessa data, che anche in questo caso è stata anticipata di 1 anno, abbiano il bilancio in utile per almeno gli ultimi tre esercizi, cioè il 2010, il 2009 e il 2008. Ovvero che negli anni precedenti non abbiano subito riduzioni di capitali a seguito di perdite ovvero per le quali il comune è stato costretto ad interventi di ripiano. Questo vincolo non si applica neppure se la società è posseduta da comuni che superano, complessivamente, i 30 mila abitanti e le cui quote sono ripartire in modo paritario o proporzionale.
Una forte spinta alla privatizzazione arriverà dalla significativa incentivazione finanziaria introdotta dall'articolo 5 del dl n. 138. Infatti si mettono a disposizione 250 milioni di euro nel 2013 e altrettanti nel 2014 come contributo da ripartire tra i comuni che privatizzano le proprie società. Il valore di tale contributo è di fatto accresciuto dal fatto che esso non concorre ai fini del patto di stabilità.
Da evidenziare che risulta impossibile oggi determinare la misura concreta che può spettare alle singole amministrazioni, in quanto ciò dipende dal numero di domande. Per impedire effetti distorsivi viene comunque posto il tetto per cui tale incentivazione non può superare i proventi che l'ente ha ottenuto dalla privatizzazione. Questa incentivazione non si applica alle dismissioni nel settore idrico.
Vengono riproposti i divieti abrogati dal recente referendum alla possibilità che i componenti gli organi di amministrazione delle società in house e di quelle partecipate dagli enti locali possano essere scelti tra gli amministratori dell'ente locali, cioè sindaci, assessori e consiglieri. Si torna a prevedere che quelli in carica, nonché quelli che hanno svolto tale incarico negli ultimi tre anni non possono essere nominati nei consigli di amministrazione o come amministratori di tali società. Lo stesso divieto viene imposto ai diretti congiunti, nonché a coloro che hanno o hanno avuto incarichi di collaborazione con l'ente locale.
Sempre al fine di disincentivare le amministrazioni a dare vita a società, si dispone che esse debbano applicare le stesse regole dettate dal dlgs n. 163/2006 per gli appalti delle pubbliche amministrazioni. E si rafforza il vincolo a che le assunzioni di personale (che ricordiamo il recente dl 98/2011 ha compreso per la gran parte delle società locali tra gli oneri dell'ente proprietario) siano effettuate con le stesse procedure concorsuali previste per le p.a. Fino a che le società non si saranno date i regolamenti attuativi è loro vietato di effettuare assunzioni.
Il legislatore torna inoltre a ribadire che i bilanci delle società cd in house, cioè di quelle che hanno avuto affidate direttamente la gestione di servizi locali a rilevanza economica, devono essere compresi nell'ambito del patto di stabilità dell'ente proprietario. E stabilisce il tetto di 900 mila euro annui per la gestione in house, cioè affidata direttamente. Da sottolineare che le stesse disposizioni dettano vincoli molto più stringenti per la individuazione del soggetto a cui affidare la gestione di un servizio pubblico locale. E, per la prima volta, dettano anche specifici vincoli per la composizione della commissione che presiede all'aggiudicazione di tali servizi, vietando la presenza di dirigenti se alla gara partecipa una società posseduta dall'ente.
Entro un anno i comuni devono effettuare una ricognizione delle forme di liberalizzazione che possono realizzare senza violare obblighi derivanti da trattati internazionali; senza violare principi costituzionali; senza danneggiare la sicurezza, la libertà e la dignità umana ovvero la salute e senza determinare conseguenze negative per la finanza pubblica.
Tale ricognizione deve essere accompagnata dalla introduzione delle necessarie misure nei regolamenti dell'ente. Il rispetto di questo vincolo viene valutato positivamente ai fini dell'inserimento del comune tra quelli «virtuosi» ai fini del patto di stabilità (articolo ItaliaOggi del 18.08.2011 - tratto da www.corteconti.it).

VARIMANOVRA BIS/ Pugno duro contro i professionisti. La sospensione dall'albo può mettere in ginocchio l'attività. I riflessi pratici della sanzione comminata a chi omette di rilasciare al cliente più volte la fattura.
La sospensione dall'ordine per omessa fatturazione può mettere letteralmente in ginocchio il libero professionista. Anche se la nuova sanzione accessoria introdotta dall'articolo 2, comma 5, del dl 138 del 13 agosto scorso (cosiddetta manovra-bis) fosse comminata nella misura ridotta di soli tre giorni le conseguenze sull'attività professionali potrebbero infatti essere estremamente gravi fino a mettere in serio pericolo il prosieguo della sua attività professionale.
La nuova sanzione accessoria all'omessa fatturazione pur essendo una fattispecie mutuata dal legislatore nell'ambito delle attività commerciali (in particolare dalla chiusura delle attività commerciali in ipotesi di omesso rilascio dello scontrino fiscale) può avere infatti per i professionisti conseguenze ben più pesanti che vanno al di là della semplice perdita di prestigio.
Sono sostanzialmente due gli aspetti del provvedimento in esame che meritano di essere qui evidenziati.
Il primo riguarda il peso specifico della sanzione accessoria comminata al professionista.
La sospensione dall'ordine, al di là dell'aspetto formale e pregiudizievole per fama e la notorietà del professionista, può avere infatti anche effetti sostanziali di non poco conto. Si pensi, per esempio, alle attività svolte dall'iscritto in qualità di ausiliario del giudice quale curatore fallimentare, perito ecc., o ancora alle attività svolte in qualità di revisore dei conti o componente di collegi sindacali. I provvedimenti di sospensione, anche se di breve durata, comportano infatti la decadenza del professionista da tali funzioni e incarichi con evidenti danni per lo stesso sotto il profilo economico. Una volta infatti decaduto da un collegio sindacale o da un incarico di curatore fallimentare il professionista non potrà chiedere di essere reintegrato in tale funzione alla cessazione del periodo di sospensione. Quell'incarico sarà dunque perso per sempre con tutte le conseguenze del caso. E se un professionista si fosse specializzato proprio in queste attività la sospensione potrebbe mettere a rischio la prosecuzione stessa dell'attività.
Un secondo aspetto che merita di essere qui rilevato è l'immediatezza della sanzione accessoria. Il legislatore non ha infatti voluto equiparare la fattispecie sanzionatoria con l'apertura di un provvedimento disciplinare a cura e gestione dell'ordine o dell'albo di apparenza ma ha previsto che al verificarsi della fattispecie sopra ricordata la sospensione sia immediatamente esecutiva con gli effetti che da ciò derivano.
Sul punto rimane un dubbio. Che succede nel caso in cui il provvedimento che sanziona la quarta violazione nel quinquennio e fa scattare la sanzione accessoria sia oggetto di constatazione da parte del professionista? La sanzione accessoria scatterà egualmente, con tutte le conseguenze sopra ricordate, oppure si attenderà l'esito dell'eventuale contestazione? L'interpretazione puramente letterale della nuova disposizione sembra piuttosto chiara: la sospensione scatterà comunque ed immediatamente con tutti gli effetti diretti e indiretti che da essa derivano.
La nuova sanzione accessoria a carico dei professionisti iscritti in albi o ordini professionali verrà contestata, recitano le disposizioni sopra ricordate, al compimento, nel corso di un quinquennio, di quattro distinte violazioni dell'obbligo di emettere il documento certificativo dei corrispettivi compiute in giorni diversi (si veda ItaliaOggi del 17 agosto).
Il provvedimento di sospensione, recita ancora la disposizione della manovra-bis, sarà immediatamente esecutiva e verrà trasmessa all'ordine professionale o al soggetto tenuto alla gestione dell'albo per la pubblicazione immediata della stessa sul sito internet della categoria.
Pugno duro del fisco dunque nei confronti dei liberi professionisti che si rendono responsabili di ripetute violazioni in tema di omessa fatturazione nell'arco di un quinquennio. Oltre alle sanzioni tributarie previste per le specifiche fattispecie verrà dunque irrogata anche una sanzione accessoria, di tipo amministrativo, consistente nella sospensione dall'esercizio della professione per un periodi di tempo variabile da un minimo da un massimo.
Essendo la sospensione dall'ordine o dall'albo un provvedimento di natura personale che colpisce il singolo iscritto, qualora l'omessa fatturazione sia compiuta da un soggetto collettivo, quali per esempio un'associazione professionale o uno studio associato, la suddetta sanzione accessoria sarà disposta nei confronti di tutti i professionisti associati (articolo ItaliaOggi del 18.08.2011).

PUBBLICO IMPIEGOMobbing nelle mani dei giudici. In assenza di norme consolidate, conta la giurisprudenza. Panoramica sulle sentenze della Cassazione: oltre ai codici conta il dettato costituzionale.
In mancanza di un riferimento normativo consolidato, per individuare la nozione di mobbing e le norme applicabili bisogna far riferimento alla giurisprudenza.
Le sentenze in materia si basano, oltre che sul codice penale, sull'art. 32, comma 1, della Costituzione (secondo cui la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività) e su articoli del codice civile.
Ricordiamo l'art. 2043 (che regolamenta la responsabilità extracontrattuale) e l'art. 1375, a norma del quale il contratto deve essere eseguito secondo buona fede, per l'appunto richiamato al fine di reprimere comportamenti non specificatamente vietati. I canoni di buona fede e correttezza concorrono con le norme specifiche in tema di demansionamento, alla valutazione della legittimità della condotta del datore di lavoro. Soprattutto occorre far riferimento all'articolo 2087 c.c., a norma del quale l'imprenditore deve adottare le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie per tutelare, oltre all'integrità fisica, la personalità morale dei prestatori di lavoro.
Il mobbing si articola in quattro componenti (al riguardo spicca la sentenza della Corte di cassazione n. 4774 del 06.03.2006):
1. un elemento oggettivo (una condotta vessatoria del datore di lavoro);
2. un elemento temporale (l'apprezzabilità, sotto il profilo cronologico, della sequenza dei comportamenti datoriali);
3. un elemento modale (il carattere persecutorio dei predetti comportamenti);
4. Un elemento finale (preordinazione alla estromissione e/o emarginazione del lavoratore.
Il datore di lavoro e l'amministrazione rispondono, in concorso con il dipendente mobber, del comportamento persecutorio (ai sensi degli articoli 2043 e 2049 del codice civile).
Il datore di lavoro non si affranca dalla responsabilità in materia limitandosi a dedurre iniziative repressive del mobbing, ma deve dimostrare di aver attuato rimedi preventivi rispetto al sorgere dell'attività persecutoria. Nel nostro ordinamento non esistono norme specifiche sulla persecuzione lavorativa, mentre le proposte di legge dirette all'introduzione del reato di mobbing, si sono susseguite senza esito. Manca, del resto, anche una disciplina specifica civilistica.
Risale al 20.09.2001 la risoluzione A5-0283/2001 con cui il Parlamento europeo ha raccomandato agli stati membri dell'Unione, tra l'altro, di imporre alle imprese, a poteri pubblici e parti sociali l'attuazione di politiche di prevenzione efficaci, rilevando che il mobbing produce conseguenze nefaste per i datori di lavoro a causa dell'assenteismo e della riduzione della produttività delle vittime, oltre che delle indennità da erogare ai lavoratori ingiustamente licenziati. La mancanza di una norma specifica non preclude la valenza penale di questa condotta.
Infatti, si tratta di una responsabilità spesso anche di carattere penale. La giurisprudenza presenta un'ampia casistica di condanne per abuso di ufficio, ingiuria, minaccia e lesioni personali colpose. Non si può trascurare, tra le fattispecie penali rinvenibili in materia di mobbing, quella del reato di maltrattamenti, contemplato dall'art. 572 del codice penale che punisce con la reclusione da 1 a 5 anni chiunque maltratta una persona sottoposta alla sua autorità o affidatagli per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l'esercizio della professione o di un'arte.
Alla vittima del mobbing si schiude una sorta di doppio binario giudiziario. L'azione risarcitoria per il danno derivante da reato può essere esercitata in sede civile o in sede penale, mediante la costituzione di parte civile ai sensi degli artt. 74 e ss. c.p.c. Il lavoratore può agire in sede penale nei confronti dei colleghi e dei superiori mobber.
Inoltre, il lavoratore che si ritenga danneggiato da un reato del datore di lavoro, da un lato può invocare nel giudizio civile l'autorità dell'eventuale giudicato penale di condanna ex art. 651 c.p.p. (anche quando non abbia partecipato al processo penale) e dall'altro lato, evitando di costituirsi parte civile, può tentare, anche in presenza di un giudicato penale di assoluzione, di far accertare la colpevolezza del datore di lavoro. Per effetto dell'art. 28 della Costituzione i dipendenti pubblici sono direttamente responsabili degli atti compiuti in violazione di diritti, e la loro responsabilità si estende allo stato, agli enti pubblici e, conseguentemente, ai loro dirigenti, che rispondono penalmente del mobbing per il solo fatto di essere consapevoli della condotta persecutoria. Infatti non è richiesto in materia il requisito della volontà dell'effetto della condotta lesiva.
Non necessariamente (per effetto di quanto affermato la Cassazione con sentenza n. 2352 del 02.02.2010, in una causa per demansionamento) la vittima della dequalificazione o del mobbing deve convenire in giudizio il datore di lavoro, che diventa l'obiettivo indispensabile dell'azione solo nel caso in cui il lavoratore avanzi una specifica richiesta di risarcimento dei danni da dequalificazione per violazione della responsabilità contrattuale, sulla base dell'art. 2103 del codice civile. Mentre si può convenire in giudizio direttamente un collega quando le richieste del lavoratore poggiano su altre disposizioni del codice civile.
Ci riferiamo all'art. 2043 come clausola generale che impone il risarcimento del danno ingiusto all'autore del fatto doloso o colposo da cui deriva. Bisogna poi ricordare l'art. 2059, che impone il risarcimento dei danni non patrimoniali nei casi determinati dalla legge. Ulteriore disposizione del codice civile che ricorre nelle altre sentenze in materia è l'art. 1375, a norma del quale il contratto deve essere eseguito secondo buona fede, per l'appunto richiamato al fine di reprimere comportamenti non specificatamente vietati.
La responsabilità in materia contempla il danno non patrimoniale. Numerose disposizioni assicurano una tutela rafforzata alla persona del lavoratore con il riconoscimento di diritti oggetto di tutela costituzionale. Quando il datore di lavoro leda questi diritti (che, non essendo stati predeterminati dal legislatore, per essere suscettibili di tutela risarcitoria devono essere di volta in volta individuati dal giudice del merito), può essere riconosciuto il risarcimento del danno non patrimoniale.
Così, con riferimento al giudizio instaurato per dequalificazione e mobbing da un dipendente pubblico, le Sezioni unite della Cassazione (con pronuncia n. 4063 del 22.02.2010) hanno ritenuto appropriato il risarcimento del danno non patrimoniale, esattamente identificato dal giudice del merito negli «aspetti di vissuta e credibile mortificazione derivanti_ dalla situazione lavorativa in cui si trovò ad operare» il ricorrente, secondo una basata sull'accertamento del nesso causale tra la condotta illecita del datore di lavoro e lo stato di moritificazione del dipendente (articolo ItaliaOggi del 18.08.2011).

ENTI LOCALI - VARIContachilometri. Fuorilegge i pannelli lato strada.
Vanno tenuti ancora spenti i tabelloni elettronici che indicano la velocità dei veicoli in transito. Almeno fino all'omologazione degli strumenti infatti nessun impianto può essere attivato sulle strade per questa specifica finalità.

Lo ha evidenziato il ministero dei trasporti con il parere 19.01.2011 n. 204.
Sono tanti i comuni e le province che nel corso di questi anni hanno installato impianti di fantasia attivabili al passaggio dei veicoli. In particolare sono stati attivati in tutta la penisola numerosi tabelloni luminosi e impianti di monitoraggio dotati di lanterne di avvertimento oppure di arresto. Contro questo variopinto arredo stradale fai da te il ministero di via Caraci è sempre stato palesemente schierato.
E questo orientamento di chiusura alle installazioni creative prosegue nonostante la legge di riforma stradale n. 120/2010 abbia legittimato, formalmente, queste installazioni. In mancanza di omologazione e di adeguamento del regolamento stradale, specifica la nota centrale, questi dispositivi restano vietati (articolo ItaliaOggi del 18.08.2011).

ENTI LOCALIMANOVRA BIS/ Enti, cambia il Patto non i tagli. La decurtazione dei trasferimenti resta quella del 2010. Il contributo chiesto alle autonomie incide in termini di fabbisogno e indebitamento netto.
Nella trappola c'è cascato persino il ministro dell'interno Roberto Maroni. Che nella tradizionale conferenza stampa di Ferragosto ha invocato una correzione della manovra-bis, varata venerdì scorso dal governo, e un azzeramento dei «tagli» agli enti locali.
In realtà a ben leggere il testo del decreto legge n. 138/2011 e della relazione d'accompagnamento, si comprende come di tagli alle autonomie, letteralmente intesi, non vi sia nemmeno l'ombra. Certo i sacrifici chiesti a regioni ed enti locali non saranno di poco conto: 6 miliardi nel 2012 (1,6 alle regioni a statuto ordinario, 2 a quelle a statuto speciale, 1,7 ai comuni e 700 milioni alle province) che diventeranno 6,4 nel 2013 e 2014.
Ma non si tratta di alcuna decurtazione di trasferimenti erariali, bensì di misure che incidono a livello di indebitamento netto e fabbisogno e dunque stringono sì le maglie del patto di stabilità (che diventa maggiormente oneroso) ma senza ridurre ulteriormente le erogazioni dello stato a favore dei comuni (fondo di riequilibrio) e delle province (fondo ordinario e compartecipazione Irpef).
«Ad aumentare è il saldo finanziario ai fini del patto di stabilità», spiega Maurizio Delfino, docente all'università Lumsa di Roma e componente del gruppo di tecnici ministeriali che ha scritto la manovra-bis, «ma per la prima volta si attuerà una vera differenziazione in base alla virtuosità degli enti, come fortemente voluto dal ministro Roberto Calderoli». Il dl 138 ha infatti anticipato al 2012 i meccanismi premiali previsti dalla manovra correttiva di luglio (dl 98/2011) che consentono agli enti di neutralizzare i tagli in presenza di alcuni indici di virtuosità.
Inoltre, le amministrazioni non saranno responsabilizzate solo sul fronte delle spese, ma anche su quello delle entrate vista la maggiore autonomia tributaria che deriverà dallo sblocco delle addizionali per i comuni e dalla riforma dell'Ipt subito in vigore per le province. Una manovra che ammazza il federalismo? Manco per sogno. Il braccio destro di Calderoli e Maroni ne è convinto. «L'unico aspetto antifederalista», osserva, «sarebbe stato il taglio al Fondo di riequilibrio contenuto nei commi 6, 7 , 8 del dl 98/2011, ma tali commi sono stati soppressi in sede di conversione in legge del decreto».
Ne consegue che i soli tagli attualmente in vigore per gli enti locali sono quelli previsti dalla manovra 2010: 300 milioni per le province e 1,5 miliardi per i comuni nel 2011 a cui vanno ad aggiungersi 500 milioni per le province e 2,5 miliardi per i comuni nel 2012. Le misure contenute nel dl 98 e rafforzate dal dl 138 realizzano invece il concorso degli enti agli obiettivi di finanza pubblica, non con riduzioni di fondi erariali, bensì «in termini di fabbisogno e indebitamento netto», ossia incidono a livello di saldo del patto di stabilità.
E per questo non si applicano ai comuni con meno di 5 mila abitanti i quali dunque restano del tutto immuni ai sacrifici imposti dalla manovra di Ferragosto (articolo ItaliaOggi del 17.08.2011).

ENTI LOCALIMANOVRA BIS/ Revisori comunali nominati per estrazione. Anche le regioni dovranno nominare un collegio per controllare i conti.
Dall'01.01.2012 anche le regioni dovranno nominare un collegio di revisori dei conti. Inoltre, d'ora innanzi tutti i revisori dei comuni saranno nominati con procedura di estrazione.
È quanto prevedono gli art. 14, comma 1, lett. e), 16, comma 11, del dl n. 138/2011 in vigore dal 13 agosto scorso.
Le ragioni della revisione nelle regioni. Le regioni, enti territoriali fino ad oggi privi dell'organo di regolarità contabile, vengono (opportunamente) equiparati agli enti locali (comuni, province, città metropolitane, unione di comuni e comunità montane) nelle quali tale nomina è da tempo espressamente prevista (art. 234 Tuel). Le regioni, dunque, ai fini di garantire una vigilanza sulla regolarità contabile finanziaria ed economica della gestione dell'ente, saranno obbligate a nominare un organo di revisione.
Tale introduzione appare, ad avviso di chi scrive, assolutamente opportuna sia in relazione all'entità delle risorse riscosse, gestite e impiegate dagli enti, sia per il fatto che con l'organo di revisione si introdurrà un meccanismo di controllo complessivo della gestione dell'ente, che consentirà, attraverso l'analisi del rapporto prestazioni erogate/obiettivi, di misurare l'adeguatezza dell'organizzazione a perseguire gli scopi individuati in modo efficiente ed efficace. Leggi regionali, presumibilmente, fisseranno nel dettaglio i compiti e le funzioni dei collegi dei revisori.
Composizione e nomina del nuovo organo regionale. Sebbene l'art. 14 non preveda il numero dei componenti, appare ipotizzabile ritenere che i collegi dei revisori delle regioni saranno costituiti da tre o cinque membri, il che determinerà la nomina di 60/100 revisori.
I componenti dell'organo di controllo saranno scelti (mediante estrazione da un elenco regionale nel quale potranno essere iscritti, su domanda, i revisori legali dei conti di cui al dlgs n. 39 del 27.01.2010. Viene tra l'altro richiesta una specifica qualificazione professionale in materia di contabilità pubblica e gestione economica e finanziaria degli enti territoriali (si può pensare a particolari ruoli rivestiti in funzioni di amministratore pubblico, di esperienze quali revisori in enti locali ecc.).
Anche riguardo a questo tema si ritiene che sarà demandata ad apposite leggi regionali la fissazione dei requisiti specifici.
La nomina dei revisori dei comuni. L'altra novità riguarda la nomina dei revisori dei comuni (nulla viene previsto, di contro, in merito alla nomina dei revisori nelle province). Qui, l'art. 16, comma 11 del decreto sulla manovra (che di fatto va a modificare la nomina dei revisori legali da parte dei consigli comunali), prevede che a decorrere dagli organi nominati successivamente al 13.08.2011, i revisori dei conti dei comuni «sono scelti mediante estrazione da un elenco nel quale possono essere inseriti, a richiesta, i soggetti iscritti nel registro dei revisori legali di cui al dlgs 39/2010, in possesso di specifica qualificazione in materia di contabilità pubblica e gestione economica finanziaria degli enti territoriali».
A riguardo, dunque, sembra con ciò superata anche la querelle giurisprudenziale che voleva da una parte alcuni Tribunali amministrativi (Tar Puglia sentenza n. 114/2009 e, dapprima, Tar Umbria sentenza 556/2006) ritenere ancora valide le previsioni di cui all'art. 234, comma 2 del Tuel secondo cui i revisori, fino al definitivo processo di unificazione degli albi professionali, dovevano essere scelti distintamente nell'albo dei dottori commercialisti e dei ragionieri e dall'altra il Consiglio di stato che con decisione 17/09/2010 n. 6964 aveva rilevato come a seguito della unificazione dei due albi, dall'01.01.2008, tale diversificazione non avesse più ragion d'essere.
Quest'ultima posizione sembra essere stata accolta dal legislatore (articolo ItaliaOggi del 17.08.2011).

PUBBLICO IMPIEGOMANOVRA BIS/ Mobilità a tutto spiano nella p.a.. Trasferimenti anche in aree diverse di contrattazione. L'obbligatorietà dell'istituto è legato alla razionalizzazione delle province e dei piccoli comuni.
Trasferimenti obbligatori per i dipendenti pubblici, anche nelle more dei criteri che saranno definiti dalla contrattazione collettiva.

Il dl 138/2011 dà un ulteriore colpo di acceleratore alla mobilità del personale pubblico, potenziandola ulteriormente con l'articolo 1, comma 26, ai sensi del quale i dipendenti di tutte le amministrazioni previste dall'articolo 1, comma 2, del dlgs 165/2011 «esclusi i magistrati, su richiesta del datore di lavoro, sono tenuti a effettuare la prestazione in luogo di lavoro e sede diversi sulla base di motivate esigenze, tecniche, organizzative e produttive con riferimento ai piani della performance o ai piani di razionalizzazione, secondo criteri e ambiti regolati dalla contrattazione collettiva di comparto.
Nelle more della disciplina contrattuale si fa riferimento ai criteri datoriali, oggetto di informativa preventiva, e il trasferimento è consentito in ambito del territorio regionale di riferimento; per il personale del ministero dell'interno il trasferimento può essere disposto anche al di fuori del territorio regionale di riferimento. Dall'attuazione del presente comma non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica
».
Il comma 19 completa l'opera modificando l'articolo 30, comma 2-bis, del dlgs al quale è aggiunta la seguente frase: «Il trasferimento può essere disposto anche se la vacanza sia presente in area diversa da quella di inquadramento assicurando la necessaria neutralità finanziaria».
Il potenziamento dell'istituto della mobilità è evidentemente finalizzato a consentire il passaggio dei dipendenti pubblici da un territorio all'altro della medesima amministrazione, ma anche tra un'amministrazione e l'altra: infatti, coinvolti sono anche regioni ed enti locali. È implicita la connessione tra questa norma e il disegno di riduzione delle province, unione dei comuni con meno di 1.000 abitanti e ridisegno degli uffici periferici statali che hanno sede nelle province che verranno soppresse. Questi ultimi, infatti, dovrebbero traslocare, per concentrarsi nelle nuove sedi ove si collocheranno gli uffici periferici. Pertanto, risulta fondamentale poter imporre ai dipendenti la mobilità in ambito regionale, così da razionalizzare la distribuzione delle risorse umane.
Sono, dunque, sostanzialmente queste le «esigenze, tecniche, organizzative e produttive con riferimento ai piani della performance o ai piani di razionalizzazione» cui fa riferimento l'articolo 1, comma 29, che danno al datore di lavoro pubblico la potestà di trasferire i dipendenti.
Lo stesso, nella sostanza, varrà anche per comuni, province e regioni interessate dalla profonda trasformazione che scaturirà della soppressione delle province con meno di 300.000 abitanti o con una superficie inferiore ai 3.000 chilometri quadrati. Anche se il dl 138/2011 non entra assolutamente nel dettaglio della disciplina necessaria per stabilire le sorti dei dipendenti coinvolti dalle soppressioni ed accorpamenti previsti dagli articoli 15 e 16 della manovra 2011-bis, è evidente che il loro trasferimento sarà una misura necessaria per garantire sia la buona riuscita delle operazioni, sia la conservazione dei posti di lavoro.
Mancano, tuttavia, in questo momento i criteri per scegliere chi e come dovrà essere trasferito. Il comma 29 assegna alla contrattazione collettiva di comparto (si ritiene, dunque, debba trattarsi della contrattazione di livello nazionale) il compito di stabilire criteri ed ambiti. Ma, il blocco della contrattazione fino al 2014 certo non favorirà la convocazione delle parti. Per questo, il comma 29 dispone che in assenza della contrattazione si utilizzeranno criteri che saranno autodeterminati dalle amministrazioni stesse, soggette solo all'informazione preventiva, non alla contrattazione.
Il che non favorirà un clima sereno nelle relazioni sindacali, dal momento che processi di estesa mobilità come quelli determinati dal dl 138/2011 richiedono indubbiamente un coinvolgimento delle parti sociali ampio, anche ai fini di una valutazione completa delle implicazioni complesse collegate alla soppressione delle province ed alla riorganizzazione mastodontica che ne deriverà (articolo ItaliaOggi del 17.08.2011).

PUBBLICO IMPIEGOMANOVRA BIS/ Negli enti non virtuosi tredicesima posticipata e a rate. Per la prima volta una norma incide su una componente fissa della retribuzione.
Tredicesima posticipata a rate per i dipendenti di pubbliche amministrazioni non virtuose. Per la prima volta una disposizione normativa incide su una componente fissa della retribuzione, considerandola come se fosse eventuale e connessa all'avverarsi di una condizione, snaturandone la natura. Ma, la necessità di fare cassa ha indotto il governo, con l'articolo 1, comma 7, del dl 138/2011 di introdurre una misura a dir poco draconiana per i dipendenti pubblici.
La norma modifica l'articolo 10, comma 12, del dl 98/2011, convertito in legge 111, inserendo un nuovo periodo dopo il secondo, ai sensi del quale «nella ipotesi prevista dal primo periodo del presente comma ovvero nel caso in cui non siano assicurati gli obiettivi di risparmio stabiliti ai sensi del comma 2, con le modalità previste dal citato primo periodo può essere disposto, nel rispetto degli equilibri di bilancio pluriennale, il differimento, senza interessi, del pagamento della tredicesima mensilità dovuta ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30.03.2001, n. 165, in tre rate annuali posticipate.
Con decreto di natura non regolamentare del ministro dell'economia e delle finanze sono stabilite le disposizioni tecniche per l'attuazione del presente comma
».
I presupposti, dunque, per negare ai dipendenti pubblici il pagamento a dicembre della tredicesima mensilità sono l'incapacità dell'amministrazione di rispettare gli obiettivi finanziari stabiliti dal Documento di economia e finanza e da eventuali aggiornamenti, oppure il mancato raggiungimento degli obiettivi programmati di finanza pubblica.
Laddove si accertino questi indici di mancata virtuosità nella gestione il differimento si può dare corso al differimento della tredicesima. È bene precisare che tale misura non è automatica, ma facoltativa, dal momento che l'articolo 1, comma 7, della manovra 2011-bis stabilisce che esso «può essere disposto». In questo caso, ai dipendenti la tredicesima sarà pagata in tre rate annuali, per altro senza interessi, secondo modalità ancora da decidere con decreto del ministero dell'economia.
Alla misura sono interessate solo le amministrazioni statali: infatti è ad esse che si rivolge l'articolo 10 del dl 98/2011 convertivo in legge 111/2011. Dunque, restano esclusi i dipendenti di regioni ed enti locali. Il che contribuisce ad aumentare i dubbi di legittimità costituzionale della norma, anche sul piano della parità di trattamento dei dipendenti.
Soprattutto, desta perplessità la scelta di diradare i pagamenti delle tredicesime in base ad eventi che non possono essere connessi alla diretta responsabilità dei dipendenti.
La norma sarebbe apparsa egualmente una misura molto dura anche se fosse stata concepita come metodo generale, applicato a tutti i dipendenti pubblici, per consentire di realizzare risparmi di cassa nel corso degli anni, a prescindere da indici di gestione non virtuosa.
Così come concepita, la norma va contro anche qualsiasi logica di «meritocrazia» e impatta decisamente sulla riforma Brunetta. Infatti, per il mancato rispetto di indici finanziari, finiscono per rispondere i dipendenti, col differimento di una parte della loro retribuzione: non è esattamente un sistema per incentivare la produttività.
La norma, inoltre, dovrebbe portare a conseguenze molto forti sul principio di separazione delle competenze della dirigenza, da quelle degli organi di governo. Non è, infatti, un mistero che gli sforamenti agli obiettivi finanziari da parte delle amministrazioni siano spessissimo conseguenza di scelte ed indicazioni derivanti soprattutto dagli organi di governo ed i loro staff.
La disposizione contenuta nel dl 138/2011, viste le conseguenze molto rilevanti che produce su un elevatissimo numero di dipendenti, dovrebbe, allora, consentire alla dirigenza tecnica di non attuare alcun indirizzo che possa compromettere gli obiettivi gestionali o, quanto meno, di rilevare formalmente l'incompatibilità di tali indirizzi con la necessità di assicurare gli obiettivi, anche per non danneggiare i dipendenti.
Anche allo scopo di evidenziare, così, su chi ricada effettivamente la responsabilità degli scostamenti e fornire le basi per non esercitare, eventualmente, la facoltà di posticipare la tredicesima (articolo ItaliaOggi del 17.08.2011).

ENTI LOCALIMANOVRA BIS/ Tagli alle poltrone nelle province. La riduzione dei costi della politica colpisce gli enti intermedi. La cura dimagrante interessa anche consigli e giunte dei comuni sotto i mille abitanti.
Cura dimagrante per gli organi collegiali degli enti locali. Il dl 138/2011 impone una drastica riduzione dei componenti di consigli e giunte di comuni e province, completando l'opera già intrapresa con la legge 191/2009.
La mannaia appare più decisa per le province, mentre sui comuni la mano del legislatore è più delicata. Per quanto concerne le province, a decorrere dal primo rinnovo degli organi di governo successivo alla data di entrata in vigore della manovra estiva 2011-bis, il numero dei consiglieri provinciali e degli assessori provinciali previsto dalla legislazione vigente sarà ridotto della metà, con arrotondamento all'unità superiore.
La normativa da considerare vigente è l'articolo 2, comma 184, della legge 191/2009, che aveva sforbiciato circa del 20% il numero dei componenti di consigli e giunte precedentemente stabilito dal dlgs 267/2000. Gli organi collegiali di governo delle province subiscono un taglio molto drastico, che appare tuttavia sufficientemente giustificabile, in particolare per quanto riguarda la composizione dei consigli.
Non si deve dimenticare che l'organo assembleare elettivo delle province è privo delle competenze in tema di governo del territorio proprie dei consigli comunali, sicché gli ordini del giorno dei consigli provinciali non sempre sono ricchi di argomenti. Per i comuni è andata meglio. L'articolo 16 del dl 138/2011 concentra la riduzione del numero di consiglieri e assessori solo negli enti con popolazione inferiore ai 30.000 euro. Rimane, dunque, tutto uguale per gli enti di maggiori dimensioni, che comunque sono la metta minoranza.
Dunque nei comuni con popolazione superiore a 1.000 e fino a 3.000 abitanti, il consiglio è composto, oltre al sindaco, da cinque consiglieri; gli assessori non potranno essere più di 2; nei comuni con popolazione superiore a 3.000 e fino a 5.000 abitanti, il consiglio comunale è composto da sindaco e sette consiglieri; gli assessori non potranno essere più di 3; nei comuni con popolazione superiore a 5.000 e fino a 10.000 abitanti, il consiglio comunale sarà composto da sindaco e nove consiglieri; gli assessori non potranno essere più di 4 (articolo ItaliaOggi del 17.08.2011).

ENTI LOCALIMANOVRA BIS/ Consiglieri e assessori ridotti un po' dappertutto lungo lo stivale. Dieta drastica anche per le assemblee regionali.
Addio alle province con meno di 300 mila abitanti e alle prefetture ubicate in tali sedi. Fino al mandato amministrativo in corso, nessun intervento sarà previsto per gli enti provinciali. Ma una volta scaduta la consiliatura, l'articolo 15 prevede la soppressione delle province «diverse da quelle la cui popolazione censita sia superiore a 300 mila abitanti o la cui superficie complessiva sia superiore a 3.000 km quadrati». Norma quest'ultima contestata dalle opposizioni in quanto ritenuta pro Sondrio (la città d'origine del ministro Tremonti).
A meno di stravolgimenti nel passaggio parlamentare, suonerà la campana a morto per 29 enti provinciali, tra i quali Trieste e Benevento. I comuni delle province soppresse, sono tenuti a richiedere l'aggregazione ad altra provincia all'interno del territorio regionale, nel rispetto del principio di continuità territoriale.
Se il comune resta inerte e il legislatore non ha ancora «messo mano» alla normativa di revisione delle circoscrizioni provinciali, le funzioni esercitate dalle province soppresse sono trasferite alle regioni, le quali possono trasferirle alle province limitrofe e sopravvissute alla tagliola. In ogni caso, la norma prevede che non possono essere istituite province in regioni con popolazione inferiore a 500 mila abitanti.
Per completare il quadro relativo ai risparmi in termini di spesa pubblica, la manovra straordinaria prevedere che a decorrere dal primo rinnovo degli organi di governo delle province, successivo alla data di entrata in vigore della stessa manovra, il numero dei consiglieri provinciali e degli assessori, come previsto dalla normativa vigente, è ridotto della metà (si veda altro pezzo in pagina).
Il de profundis delle province si trascina anche la stessa sopravvivenza delle relative prefetture. Una volta soppresso l'ente provinciale, infatti, anche gli uffici territoriali di governo aventi sede nelle province su cui è passata la scure di Tremonti dovranno chiudere. Un decreto del Mininterno stabilirà le modalità di attuazione di queste ultime disposizioni nonché alla revisione delle strutture periferiche delle amministrazioni pubbliche presenti nelle province soppresse. La norma non lo dice, ma il fine è sicuramente quello di ricollocare nella p.a. il personale delle prefetture soppresse.
Interventi sulle regioni.
I consigli regionali subiranno una drastica dieta. Le regioni dovranno adeguare i propri ordinamenti prevedendo che quelle con popolazione residente fino a un milione di abitanti, il numero di consiglieri (escludendo il presidente della giunta) non potrà superare il numero di venti.
Tale soglia si eleva a trenta se la regione conta fino a due milioni di abitanti, 40 per le regioni fino a quattro milioni di abitanti, 50 per le regioni fino a 6 milioni, 70 per le regioni fino a 8 milioni di abitanti e, infine, 80 consiglieri regionali per le regioni con una popolazione che supera gli otto milioni di abitanti. C'è una scadenza, ed è quasi imminente, affinché le regioni si adeguino.
Infatti, la riduzione del numero di consiglieri dovrà essere adottata entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della manovra (ovvero entro il 14.02.2012) ed essere efficace dalla prima elezione regionale immediatamente successiva.
Tuttavia, a titolo di clausola di salvaguardia, le regioni che hanno un numero di consiglieri regionali inferiore a quello previsto dalla manovra, non possono in alcun modo aumentarne il numero. Il decreto straordinario interviene anche nel numero degli assessori regionali.
Si prevede, infatti, che questi siano pari o in numero inferiore al quinto dei consiglieri (con arrotondamento all'unità superiore). Si mette mano anche alle prebende e alle indennità. Dall'01/01/2012, gli emolumenti e le indennità (ma anche dei benefits comunque denominati), previsti per i consiglieri regionali, non possono superare il limite dell'indennità spettante ai membri del parlamento, commisurando, altresì, tale indennità, all'effettiva partecipazione del consigliere regionale ai lavori del consiglio (articolo ItaliaOggi del 17.08.2011).

ENTI LOCALIMANOVRA BIS/ Delle Province non si farà nulla. La Liguria e l'Umbria avrebbero, ciascuna, un solo ente. Tanto per cominciare bisognerà attendere l'aprile del 2013 per sapere quali sopprimere.
«Nel complesso siamo fra il 40 e il 50 per cento di taglio delle Province». Così, orgogliosamente, proclamava Roberto Calderoli intervistato domenica scorsa da la Padania. Già in precedenza aveva sparato cifre elevate, fra i 30 e i 40 enti provinciali destinati a sparire.
Vediamo, però, di capire se realmente le province destinate a scomparire siano così elevate di numero.
Prima che si potesse leggere il testo del decreto-legge sulla manovra come pubblicato in Gazzetta, si pensava che la sforbiciata riguardasse le province con meno di 300mila abitanti. La lettura del testo ufficiale ha rivelato che non vengono toccati gli enti con almeno 3mila kmq di superficie. Non è finita.
Se la lettura del testo appare drastica («a decorrere dalla data di scadenza del mandato amministrativo provinciale in corso sono soppresse le province»), un piccolo particolare sposta nel tempo l'operazione. La popolazione, infatti, non è quella oggi legale, bensì quella che sarà rilevata «al censimento generale della popolazione del 2011».
Nel corso della conferenza stampa, Roberto Calderoli ha segnalato come si tratti di una disposizione dettata dal buon senso, poiché il censimento si svolgerà nei tempi di conversione in legge del decreto e conviene quindi attendere i nuovi dati: alcune province potrebbero essere oggi (censimento 2001) sotto i 300mila, ma salire sopra (censimento 2011).
C'è un particolare. È vero che il censimento si svolgerà il 9 ottobre prossimo, ma i risultati ufficiali, gli unici che abbiano valore legale, saranno in vigore soltanto con l'emanazione di un dpr che di solito arriva un anno e mezzo dopo (almeno) il censimento. Per esempio, i risultati del censimento 1981 andarono sulla Gazzetta Ufficiale il 07.04.1983. I dati del censimento 2001, quelli tuttora in vigore, furono pubblicati il 07.04.2003. Dunque, bisognerà attendere verosimilmente l'aprile 2013 per sapere quali siano le pro-vince con popolazione inferiore ai 300mila abitanti.
Attenzione, poi. Ci sono le regioni a statuto speciale. Due non sono interessate, o perché non hanno province (Valle d'Aosta) o perché le loro sono pro-vince autonome (Trentino-Alto Adige). Lo statuto della Sicilia assegna alla regione il «regime degli enti locali e delle circoscrizioni relative»; similmente gli statuti sardo e friulano attribuiscono ai rispettivi enti la competenza in tema di «ordinamento degli enti locali e delle relative circoscrizioni».
È così vero che la Sicilia soppresse le province, sostituendole con liberi consorzi di comuni, oggi denominati province regionali. Quanto alla Sardegna, in luogo di tagliare le province, dopo aver assistito al sorgere (con legge statale) della quarta provincia (Oristano), ha provveduto, con proprie leggi regionali, a farne nascere altre quattro, ciascuna con due capoluoghi.
Ergo, bisogna guardare alle quindici regioni a statuto ordinario, per vedere quali province siano destinabili alla ghigliottina. Sulla base di recenti dati Istat, si tratterebbe di Asti, Verbano-Cusio-Ossola, Vercelli, Biella, Lodi, Rovigo, Imperia, Savona, La Spezia, Piacenza, Massa-Carrara, Pistoia, Prato, Terni, Ascoli Piceno, Fermo, Rieti, Campobasso, Isernia, Benevento, Crotone e Vibo Valentia. Siamo solo a quota 22. Tanto per capirci, ben sette di queste province sono sorte negli ultimi vent'anni. La loro soppressione, però, dovrebbe tener conto delle istituende città metropolitane.
Il governo ha la delega, da esercitare entro il maggio 2013, per adottare i decreti legislativi isti-tutivi delle città metropolitane di Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli e Reggio Calabria. Ovviamente, il sorgere di questi nuovi enti locali determinerebbe ritagli di confini destinati a incidere sulle province contermini. Un solo esempio: la Liguria.
Secondo il decreto-legge, la soppressione toccherebbe tre province su quattro, esclusa la sola Genova, la quale ultima però scomparirebbe con la costituzione della città metropolitana di Genova. Ecco che allora bisognerebbe ridisegnare l'intero territorio ligure. Ancor più complicato il caso di Pistoia e Prato, posto che il consiglio regionale della Toscana individuò l'area metropolitana fiorentina nelle intere province di Firenze, Prato e Pistoia.
Passiamo poi ai casi di due piccole regioni. L'Umbria, ove scomparisse la provincia di Terni, sarebbe una regione con una sola provincia. Non ci sono divieti, certo; però suona insolita, per non definirla altrimenti, la coincidenza territoriale di due enti, l'uno all'altro sovraordinato. Ma, si dirà, l'Umbria potrebbe recuperare Rieti, umbra sino al fascismo e adesso destinata a scomparire. E no, perché il decreto vieta, ai comuni appartenenti a una provincia soppressa, di cambiare regione (una modifica assurda, perché inibisce mutamenti territoriali a volte attesi da decenni in alcune zone).
Passiamo al Molise. La regione è esempio perfetto della dilatazione degli enti. Fino alla repubblica, esisteva una regione (intesa come compartimento statistico, senza competenze legislative) Abruzzo e Molise, con quattro province. Adesso abbiamo due regioni, con sei province. Unificando Campobasso e Isernia, si avrebbe una regione con una sola provincia. È pensabile?
Qui giunti, mettiamo insieme province che potrebbero rinascere con l'istituzione delle città metropolitane, province che si accorperebbero senza scomparire, province che dovrebbero restare in vita a causa dell'insufficienza di enti provinciali nella regione di appartenenza: l'operazione si ridurrebbe, non immediatamente, ma fra qualche anno, a una dozzina di enti (più le dieci province destinata a mutarsi in città metropolitane; ma da queste nascerebbero nuove province?).
Naturalmente la riduzione degli uffici decentrati dello Stato sarebbe limitata a queste ex province, non certo alle città metropolitane. Nessuno può sognarsi che nella città metropolitana di Milano non ci siano, domani, prefettura, questura ecc.. A questo punto c'è da pensare che, un po' per motivi razionali, un po' per le ovvie pressioni dei parlamentari legati ai territori da cui sparirebbero le province più disgraziate (altro è la sparizione di un'intera categoria di enti, altro la soppressione di una parte: più fosse ridotta, più elevate sarebbero le proteste), l'intera operazione subisca un azzeramento.
Per meglio dire, sarebbe pensabile un rinvio, con la riserva di nulla fare, almeno finché non siano partite le città metropolitane (articolo ItaliaOggi del 17.08.2011).

PUBBLICO IMPIEGOMANOVRA BIS/ Il decreto legge fa la festa ai ponti. Tra i riposi tagliati spuntano anche Pasquetta e Santo Stefano. Da decidere i termini dell'accorpamento alle domeniche o ai lunedì. Dpcm entro il 30 novembre.
La previsione normativa sullo spostamento delle feste ha ripreso quanto in più occasioni sostenne Silvio Berlusconi, regolarmente equivocato come se avesse inteso sopprimere alcuni giorni festivi. Si tratta, essenzialmente, di spostare un giorno festivo infrasettimanale al venerdì o al lunedì successivo, per limitare l'effetto del ponte.
Esempio. Nel 2012 il 25 aprile cadrà di mercoledì e il 1° maggio di martedì. Se la prima festa venisse spostata a venerdì 27, attutirebbe il desiderio di «pontificarla» con l'uso del 26 e del 27; se poi fosse collocata a lunedì 30 aprile, permetterebbe un unico ponte da sabato 28 a martedì 1° maggio, evitandone un paio di altri. In ogni caso, inibirebbe il proliferare di assenze motivate solo per cumulare giorni di vacanza.
Per la verità, il decreto-legge prevede una terza possibilità, che è quella più temuta ed è passata, in genere, come l'unica applicabile: cioè la coincidenza con la domenica. In questo caso, oltre che evitare ponti, naturalmente ci sarebbe una giornata festiva perduta. È prevedibile che molti parlamentari si oppongano, in sede di conversione.
Quali sono esattamente le feste interessate? La risposta, di là di strafalcioni commessi da molti anche dopo aver avuto in mano il testo definitivo, si ricava da una sottrazione. Bisogna prendere la legge n. 260 del 1949 (vigente), che disciplina le «ricorrenze festive», e sottrarvi i «giorni festivi» che tali sono in virtù del concordato con la S. Sede, indicati dalla legge n. 810 del 1929 (fra essi figurano pure tutte le domeniche).
Entrambi i provvedimenti vanno esaminati con le modifiche più volte apportate (feste religiose soppresse, feste religiose ripristinate, feste nazionali spostate ecc.). Se ne ricava che i giorni disponibili per il dpcm che sposti le feste per l'anno successivo, come previsto dall'art. 1, comma 24, del decreto-legge 138, sono i seguenti: il 25 aprile; il lunedì dopo Pasqua; il 1° maggio; il 2 giugno; il 26 dicembre. Qualcuno si stupirà di trovare come feste civili i giorni di Pasquetta e di S. Stefano. Il concordato, invero, non ne fa cenno alcuno. Si tratta di giorni di riposo introdotti dallo stato per rendere più festevoli le due ricorrenze: Pasqua (che altrimenti sarebbe una qualsiasi domenica) e Natale. Se il lunedì detto dell'Angelo cade già, per sua natura, il lunedì, e quindi non ha bisogno di essere spostato per evitare ponti, teoricamente il giorno di S. Stefano potrebbe essere fatto slittare al venerdì, alla domenica o al lunedì successivo. Difficile prevederlo, anche se le occasioni «pontificanti» legate al 1° gennaio (festa religiosa) potrebbero invitare a trasferire il giorno festivo oggi fissato al 26 dicembre senza alcun'altra indicazione che non sia la data (la designazione con santo Stefano è soltanto corrente: fra l'altro, la giornata non è di precetto per la Chiesa cattolica).
Restano 25 aprile, 1° maggio e 2 giugno. Naturalmente, si solleverà un putiferio in nome del Lavoro, della Resistenza, dell'Antifascismo e via esaltando Valori e Ideali. È già successo in questi giorni: ci limitiamo a citare il livoroso pezzo («Giù le mani da quelle feste») apparso su l'Unità il 12 agosto, a firma di un Vittorio Emiliani solitamente ben più posato. Così invece non avvenne nel 1977, quando fu fatto sparire il 4 novembre, giorno della Vittoria e autentico simbolo della raggiunta Unità italiana. Non ci furono grandi doglianze nemmeno per la soppressione della «festa nazionale» (tale definita per legge) del 2 giugno, poi reintrodotta una tantum nel 1986 e in via definitiva dal 2001, pronubo Carlo Azeglio Ciampi.
Indipendentemente dalle polemiche promosse e promovende degli esaltatori delle feste civili oggi oggetto di spostamento, ci si augura che la stesura della disposizione sia chiarita e modificata, anche sulla base dell'esperienza maturata qualche mese fa con l'introduzione, solo per quest'anno, del 17 marzo come giorno festivo (anniversario dell'Unità). Andrebbero, insomma, sciolte le espressioni concernenti «celebrazioni nazionali» e le «festività dei Santi Patroni», per risolvere anticipatamente i problemi che si pongono nel diritto del lavoro.
Ovviamente, una corretta stesura delle norme implicherebbe che si azzerasse quell'inciso «sulla base della più diffusa prassi europea», contenente un'affermazione tutta da provare ma, in ogni caso, costituente una pura idiozia in un testo di legge. Infine, un suggerimento terra terra. Il termine previsto per emanare il dpcm sulle feste è previsto per il 30 novembre di ogni anno. Sarebbe bene anticipare la data di qualche mese.
Ciò, per le ovvie esigenze di programmare lavoro e riposo per ciascun italiano. Bisogna altresì considerare piccoli particolari pratici: già oggi si vendono calendari per l'anno 2012; per avere agende e calendari aggiornati bisognerebbe che le ditte li apprestassero nei primi giorni di ogni dicembre, con danni e problemi chiari a tutti, meno che a chi ha steso la norma nel decreto (articolo ItaliaOggi del 17.08.2011).

AMBIENTE-ECOLOGIACONTRO I DANNI/ Sui rifiuti torna la limitazione di responsabilità.
L'ESCLUSIONE/ La polizza diventa obbligatoria per tutti. Molti Ordini hanno già stipulato convenzioni con le compagnie. Il produttore è manlevato con la presa in carico da parte dell'impianto di recupero o di smaltimento.

La manovra prevede compensi pattuiti prendendo come riferimento le tariffe professionali, anche in deroga a queste ultime. Il decreto legge Bersani del 2006 (poi convertito) aveva già abolito tariffe fisse e minime e il divieto al patto di quota lite. Tranne i commercialisti che non prevedono "restrizioni", molti codici professionali, pur adeguandosi, hanno mantenuto il riferimento all'articolo 2233 del Codice civile che lega il compenso all'importanza e al decoro della prestazione
Fatti salvi gli esami di Stato, non sono ammesse limitazioni all'esercizio professionale, in riferimento al numero o per area geografica, se non in caso di ragioni di interesse pubblico.
La formulazione dovrebbe salvare, in questo modo, la "specificità" di distribuzione territoriale di notai e farmacisti. Restano vietate le limitazioni che introducono forme di discriminazione basate sulla nazionalità o, in caso di esercizio in forma societaria, della sede legale della società professionale
Con il decreto legge la formazione continua diventa obbligatoria. Tuttavia, già quasi tutti i Consigli nazionali delle libere professioni la prevedono e gli Ordini territoriali, assieme alle fondazioni, la organizzano (talvolta in regime di monopolio de facto).
La pubblicità informativa con ogni mezzo sui propri titoli professionali e le caratteristiche dei servizi offerti, già dai tempi del decreto Bersani, è libera purché veritiera, non comparativa o ingannevole
La manovra prevede che sia corrisposto un equo compenso ai praticanti. In nessuno dei codici deontologici il compenso è obbligatorio, ma è sempre opportuno. Quasi assenti agli Ordini le denunce di sfruttamento da parte dei praticanti.
Commercialisti e consulenti del lavoro prevedono già la possibilità di integrare un periodo di pratica al corso di studi universitari. I primi hanno stipulato convenzioni tra Ordini locali e singole università. I secondi hanno siglato l'accordo-quadro.
L'abolizione del Sistri, il sistema per il controllo e la tracciabilità dei rifiuti –prevista dalla manovra di Ferragosto (Dl 138/2011)– scarica da ogni responsabilità il produttore di rifiuti dal momento in cui questi vengono presi in carico dagli impianti autorizzati a recuperarli o a smaltirli.
L'articolo 6, comma 2 della manovra sancisce l'abolizione, a decorrere dal 13 agosto, del comma 1116, dell'articolo 1, della legge 27.12.2006, n. 296, che costituisce la prima indicazione sulla futura introduzione di una versione elettronica dei documenti per la tracciabilità dei rifiuti (formulari e registri di carico e scarico); inoltre dell'articolo 14-bis del decreto legge 01.07.2009, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 03.08.2009, n. 102, con cui è stato definito il contenuto di massima del decreto istitutivo del Sistri.
Con la stessa decorrenza sono stati abrogati anche il comma 2, lettera a), dell'articolo 188-bis del decreto legislativo 03.04.2006, n. 152, che statuiva l'obbligo di garantire la tracciabilità dei rifiuti dalla produzione fino alla loro destinazione finale mediante l'uso del Sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti (Sistri); ancora, l'articolo 188-ter del medesimo decreto, che definiva i soggetti obbligati a usare il sistema e quelli che potevano scegliere di adottarlo su base volontaria; l'articolo 260-bis del decreto legislativo 03.04.2006, n. 152, con cui erano state introdotte le sanzioni per le omissioni e le violazioni delle disposizioni relative al sistema informatico di controllo della tracciabilità dei rifiuti; il comma 1, lettera b), dell'articolo 16 del decreto legislativo 3 dicembre 2010, n. 205, di modifica agli articoli 188 (responsabilità della gestione dei rifiuti), 189 (Catasto dei rifiuti), 190 (Registri di carico e scarico) e 193 (Trasporto dei rifiuti) del decreto legislativo 03.04.2006, n. 152, modifiche che, pur non essendo ancora entrate in vigore, sono state tutte azzerate; infine l'articolo 36 del decreto legislativo 03.12.2010, n. 205, limitatamente al capoverso "articolo 260-bis", cioè all'introduzione delle sanzioni Sistri nel decreto legislativo 03.12.2010, n. 205, peraltro già direttamente abrogato dall'articolo 6, comma 2, lettera d) del decreto legge 13.08.2011, n. 138.
L'abrogazione di ciò che era già stato abrogato è stata riservata anche al Dm 17.12.2009 e successive modificazioni, già soppresso, insieme alle successive modifiche e con l'unica eccezione relativa al termine di piena operatività del sistema, dal decreto dell'Ambiente 18.02.2011 n. 52, anch'esso interamente cassato dal 13.08.2011.
Il decreto legge, infine, precisa che «resta ferma l'applicabilità delle altre norme in materia di gestione dei rifiuti», specificando che il dovere di garantire la tracciabilità dei rifiuti può essere adempiuto rispettando gli «obblighi relativi alla tenuta dei registri di carico e scarico nonché del formulario di identificazione di cui agli articoli 190 e 193 del decreto legislativo n. 152 del 2006».
Con l'eliminazione delle modifiche agli articoli citati viene meno, tra l'altro, l'obbligo di istituire e movimentare un registro di carico e scarico per il trasporto dei propri rifiuti non pericolosi, un adempimento di cui non si era mai compresa l'utilità; viene soppresso l'obbligo di tenere il registro relativo ai rifiuti prodotti «presso ogni impianto di produzione o, nel caso in cui ciò risulti eccessivamente oneroso, nel sito di produzione», eliminando il rischio di dover movimentare più di un registro per ogni unità locale.
L'abrogazione della più recente versione dell'articolo 188 del Dlgs 152/2006, infine, porta a ripristinare la limitazione della responsabilità del produttore del rifiuto, che torna a essere esclusa dal momento in cui i rifiuti vengono presi in carico dal primo impianto autorizzato a recuperarli o smaltirli e il gestore sottoscrive la quarta copia del formulario. Un approccio senz'altro più in linea con le reali possibilità di controllo sulla gestione dei rifiuti che le imprese possono mettere in campo, ma in contrasto con la Direttiva quadro sui rifiuti (2008/98/Ce) (articolo Il Sole 24 Ore del 17.08.2011).

ENTI LOCALIIl collegio dei revisori dei conti entrerà anche nelle Regioni.
Per rafforzare i controlli interni e per valorizzarne l'autonomia rispetto agli organi di governo il Dl 138/2011 prevede l'introduzione del collegio dei revisori dei conti nelle regioni e lo sganciamento di quelli dei comuni e delle regioni dalla nomina, e quindi dall'influenza, degli organi di governo. Non è disposto alcunché per le province.
Questa disposizione è un ulteriore tassello nella direzione di forme di controllo indipendente sull'attività delle Pa: viene dopo la valorizzazione del ruolo delle sezioni regionali di controllo della Corte dei conti, l'accrescimento della responsabilità dei revisori e l'istituzione degli organismi indipendenti di valutazione; probabilmente precede l'istituzione di nuove forme di controllo.
Anche le regioni devono, per la prima volta e dal prossimo 1° gennaio, darsi il collegio dei revisori dei conti, sulla base dell'articolo 14, comma 1, lettera e). Per fugare le possibili censure di legittimità costituzionale questa disposizione, inserita tra le misure di contenimento del numero dei consiglieri e degli assessori, nonché di riduzione delle loro indennità, è motivata dalla esigenze di coordinamento della finanza pubblica e di contenimento della spesa. Non viene prevista come obbligatoria, ma costituisce una delle condizioni per poter essere considerati «ente virtuoso» e concorrere alla distribuzione delle risorse previste dall'articolo 20, comma 3, del Dl 98/2011.
Le regioni sono incentivate -o di fatto obbligate- a istituire il collegio dei revisori dei conti. Per dare corso a tale disposizione devono darsi delle regole specifiche, i cui principi non possono che essere inseriti nello statuto, il che potrebbe determinare dei ritardi nella concreta attivazione del nuovo istituto. Occorre definirne bene i compiti, visto che la disposizione legislativa si limita a considerarlo «organo di vigilanza sulla regolarità contabile, finanziaria ed economica della gestione dell'ente».
È poi necessario fissarne il numero, che dovrebbe essere di tre, considerato che si parla di un collegio e che il Dl 78/2010 fissa in tale cifra la soglia massima dei componenti gli organi di controllo delle Pa. Si deve fissare la durata. Vanno anche individuate le modalità operative: il legislatore si limita a stabilire la necessità del sorteggio tra i componenti un elenco regionale di cui possono, a domanda, far parte gli iscritti al registro dei revisori legali, che siano «in possesso di specifica qualificazione professionale in materia di contabilità pubblica e gestione economica e finanziaria degli enti territoriali».
Per i comuni, l'articolo 16, comma 11, dispone che la nomina dei revisori dei conti avvenga tramite sorteggio da un elenco provinciale nel quale sono inseriti a richiesta i revisori dei legali in possesso degli stessi requisiti di conoscenza della contabilità pubblica previsti per potere essere utilizzati dalle regioni. La disposizione non modifica le regole del decreto legislativo 267/2000, nonostante esso preveda la necessità di modifiche formali, il che potrebbe sollevare dei dubbi applicativi. La decorrenza di applicazione è fissata nella prima scadenza dei collegi oggi in carica (durano tre anni).
Le modalità operative saranno dettate da un decreto del ministro dell'Interno, da adottare entro la metà del mese di novembre (90 giorni dall'entrata in vigore del decreto). Fino ad allora sarà impossibile il rinnovo dei collegi di revisori già scaduti o che vanno in scadenza (articolo Il Sole 24 Ore del 17.08.2011).

INCARICHI PROFESSIONALIManovra soft sulle professioni. Compensi da pattuire con il cliente. Le tariffe valgono come riferimento.
Un'istantanea dell'esistente e una formulazione confusa che prevede tutto e il suo contrario in materia di onorari professionali, ma che sostanzialmente recupera i tariffari professionali "aboliti" dalla Bersani, nel 2006, assieme ai minimi.
Doveva essere la tempesta perfetta che si abbatte sul mondo professionale. L'occasione –forse unica perché dettata dall'urgenza dei conti e da 20 anni di attesa– di scuotere categorie in molti casi sostanzialmente ancorate a regi decreti, fornendo loro gli strumenti organizzativi ed economici (costituire società flessibili e multidisciplinari, fare ricerca o accedere al credito) per ristrutturarsi e uscire dalla crisi.
Quello che, invece, si affaccia con la manovra d'agosto è un temporale estivo e passeggero. Anche perché gran parte delle misure sono già presenti nelle leggi professionali, nei codici deontologici o in regolamenti già in vigore che anticipano le riforme degli ordinamenti che arrancano tra Camera e Senato.
A partire dai compensi, per i quali, dietro a una formulazione confusa, si riavvolgono le lancette dell'orologio. Nel 2006, il decreto legge Bersani aveva già abolito la tariffa minima per i professionisti, con possibilità del cliente di negoziare la parcella. La formulazione contenuta nella manovra, invece, non è altrettanto schietta: «Il compenso spettante al professionista –vi si legge– è pattuito per iscritto all'atto del conferimento dell'incarico professionale prendendo come riferimento le tariffe professionali. È ammessa la pattuizione dei compensi anche in deroga alle tariffe stabilite con decreto dal ministro della Giustizia».
Insomma, il compenso va sì pattuito, ma il riferimento al tariffario recupera una rilevanza che aveva perso nel decreto Bersani. In pratica, si richiamano le tariffe come "base" per il negoziato e al contempo si dà la possibilità di derogare alle tariffe stesse. Che comunque restano applicabili in caso di contenzioso. Per gli ingegneri –ad esempio– in tema di tariffe, costituisce ancora illecito disciplinare (oltre che nullità parziale del contratto) la violazione dell'articolo 2233 del Codice civile, comma 2, in base al quale «in ogni caso la misura del compenso deve essere adeguata all'importanza dell'opera e al decoro della professione».
Mentre, dopo un lungo braccio di ferro con l'Antitrust, gli avvocati hanno rimosso recentemente dal loro codice il collegamento tra illecito disciplinare e Codice civile. Non costituirà più illecito, ma che «la misura del compenso debba essere adeguata all'importanza dell'opera e al decoro della professione» resta un "faro" sia nel codice forense sia in quello dei consulenti del lavoro. Più "liberisti", sinora, si sono dimostrati i commercialisti, nel cui codice il compenso è già liberamente determinato dalle parti –senza alcun vincolo di "decoro"– e deve essere commisurato all'importanza dell'incarico, alle conoscenze tecniche e all'impegno richiesti.
La manovra di Ferragosto impone anche ai professionisti la stipula di un'assicurazione per danni derivanti dall'esercizio professionale. Sebbene sia sinora un obbligo vero e proprio solo per i medici dipendenti e per i notai –per questi ultimi la copertura è garantita dal Consiglio nazionale e "ripagata" dagli iscritti tramite le quote versate all'Ordine– per le altre categorie (dai legali ai consulenti, dagli ingegneri agli architetti ai geometri) hanno stipulato convenzioni con compagnie assicurative e attivato moral suasion sugli iscritti.
La pubblicità informativa –non comparativa, denigratoria e rispettosa della privacy della clientela– è già una realtà, introdotta dal decreto Bersani. Ed è ormai "recepita" negli ordinamenti e nella prassi quotidiana, la formazione continua obbligatoria.
Così come fotografia dell'esistente è la previsione di un equo compenso per i praticanti, comunque non quantificato. Non è obbligatorio ma opportuno per avvocati («magari dopo il primo anno») e consulenti del lavoro, che lo prevedono già nei rispettivi codici. I commercialisti, benché sottolineano «la natura gratuita» della pratica, segnalano il dovere di corrispondere al tirocinante una «borsa di studio». Anche se sui forum online di praticanti e precari non sono pochi gli "sfoghi" di chi lamenta di lavorare a zero euro.
Inoltre, sia commercialisti sia consulenti del lavoro prevedono già la possibilità –come sancito dalla manovra– di integrare un periodo di pratica al corso di studi universitari. Abbreviando i tempi. In ogni caso, avere inserito nero su bianco nel decreto il compenso dei praticanti potrebbe essere un primo passo per far acquisire un profilo e un embrione di inquadramento al "ragazzo di bottega" sinora non riconosciuto.
L'outsourcing del procedimento disciplinare a un organo territoriale diverso da quello amministrativo è, invece, mutuato dal modello sinora in vigore per i soli notai. Per gli eletti alle Coredi, le commissioni regionali di disciplina, valgono anche una serie di incompatibilità, tra componente dell'organo e quelle di consigliere locale o nazionale. Il problema resta per lo più il basso numero di procedimenti disciplinari. A parte i medici, secondo i dati forniti dagli stessi Consigli nazionali, ogni anno sono poche decine i procedimenti disciplinari da affrontare.
Infine, se nella manovra non si fa cenno a forme societarie o ad attività multidisciplinari, sembra difficile che possa cambiare davvero qualcosa anche sul fronte dell'abbattimento alle restrizioni d'impresa. Dato che le restrizioni potranno restare in vigore per ragioni di interesse pubblico, si presume che per notai e farmacisti restino inalterate le barriere quantitative. Sia quelle all'ingresso nella professione, sia nella distribuzione delle sedi e delle licenze (articolo Il Sole 24 Ore del 17.08.2011).

GIURISPRUDENZA

URBANISTICAIl termine decennale di efficacia dei piani particolareggiati è applicabile anche ai piani di lottizzazione.
Anche dopo la scadenza, devono continuare ad osservarsi le prescrizioni di zona previste dal piano scaduto, in applicazione dell’art. 17, comma 1, l. 17.08.1942 n. 1150; infatti, i piani attuativi hanno efficacia decennale, con esclusione degli allineamenti e delle prescrizioni di zona stabiliti dal piano stesso destinati ad essere applicati a tempo indeterminato anche in presenza di uno strumento urbanistico generale.
Ne consegue che, in considerazione della stabilità delle previsioni urbanistiche del piano attuativo, queste ultime rilevano a tempo indeterminato, anche dopo la sua scadenza, e ciò in quanto l’art. 17 l. 17.08.1942 n. 1150 va inteso nel senso che, scaduto il termine di efficacia stabilito per l’esecuzione del piano attuativo, nella parte in cui è rimasto inattuato non possono più eseguirsi i previsti espropri, preordinati alla realizzazione delle opere pubbliche e delle opere di urbanizzazione primaria, e non si può procedere all’edificazione residenziale; dove invece il detto piano ha avuto attuazione, con la realizzazione di strade, piazze ed altre opere di urbanizzazione, l’edificazione residenziale è consentita secondo un criterio di armonico inserimento del nuovo nell’edificato esistente e in base alle norme del piano attuativo scaduto.
Alla luce di quanto esposto, consegue che –una volta scaduto il termine di efficacia della convenzione di lottizzazione– nella zona considerata non è più possibile l’edificazione, proprio perché tale zona rientra nella parte che non ha trovato attuazione.
Ai fini della verifica delle conseguenze della scadenza del termine decennale di efficacia dei piani di lottizzazione, non rileva se la mancata attuazione del piano dipenda dal privato ovvero dalla pubblica amministrazione, rilevando esclusivamente, alla luce dell’art. 17 l. n. 1150/1942, il dato oggettivo della mancata attuazione del piano.

L’art. 17 l. n. 1150/1942, in tema di “validità dei piani particolareggiati”, prevede, per quel che interessa nella presente sede (comma 1): “Decorso il termine stabilito per la esecuzione del piano particolareggiato questo diventa inefficace per la parte in cui non abbia avuto attuazione, rimanendo soltanto fermo a tempo indeterminato l'obbligo di osservare nella costruzione di nuovi edifici e nella modificazione di quelli esistenti gli allineamenti e le prescrizioni di zona stabiliti dal piano stesso.”.
La giurisprudenza ha già avuto modo di affermare che il termine decennale di efficacia dei piani particolareggiati è applicabile anche ai piani di lottizzazione (Cons. Stato, sez. VI, 20.01.2003 n. 200).
Allo stesso tempo, la giurisprudenza ha chiarito che, anche dopo la scadenza, devono continuare ad osservarsi le prescrizioni di zona previste dal piano scaduto, in applicazione dell’art. 17, comma 1, l. 17.08.1942 n. 1150; infatti, i piani attuativi hanno efficacia decennale, con esclusione degli allineamenti e delle prescrizioni di zona stabiliti dal piano stesso destinati ad essere applicati a tempo indeterminato anche in presenza di uno strumento urbanistico generale.
Ne consegue che, in considerazione della stabilità delle previsioni urbanistiche del piano attuativo, queste ultime rilevano a tempo indeterminato, anche dopo la sua scadenza, e ciò in quanto l’art. 17 l. 17.08.1942 n. 1150 va inteso nel senso che, scaduto il termine di efficacia stabilito per l’esecuzione del piano attuativo, nella parte in cui è rimasto inattuato non possono più eseguirsi i previsti espropri, preordinati alla realizzazione delle opere pubbliche e delle opere di urbanizzazione primaria, e non si può procedere all’edificazione residenziale; dove invece il detto piano ha avuto attuazione, con la realizzazione di strade, piazze ed altre opere di urbanizzazione, l’edificazione residenziale è consentita secondo un criterio di armonico inserimento del nuovo nell’edificato esistente e in base alle norme del piano attuativo scaduto (Cons. Stato, sez. IV, 27.10.2009 n. 6572; sez. V, 30.04.2009 n. 2768).
Alla luce di quanto esposto, consegue che –una volta scaduto il termine di efficacia della convenzione di lottizzazione– nella zona considerata non è più possibile l’edificazione, proprio perché tale zona rientra nella parte che non ha trovato attuazione.
Ai fini della verifica delle conseguenze della scadenza del termine decennale di efficacia dei piani di lottizzazione, non rileva se la mancata attuazione del piano dipenda dal privato ovvero dalla pubblica amministrazione, rilevando esclusivamente, alla luce dell’art. 17 l. n. 1150/1942, il dato oggettivo della mancata attuazione del piano (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 10.08.2011 n. 4761 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIIl giudizio di verifica della congruità di un’offerta anomala ha natura globale e sintetica sulla serietà o meno dell’offerta nel suo insieme e costituisce espressione di un potere tecnico-discrezionale dell’amministrazione di per sé insindacabile in sede di legittimità, salva l’ipotesi in cui le valutazioni siano manifestamente illogiche o fondate su insufficiente motivazione o affette da errori di fatto.
Al contempo occorre rilevare che la verifica di anomalia non ha per oggetto la ricerca di specifiche e singole inesattezze dell’offerta economica, mirando, invece, ad accertare se l'offerta, nel suo complesso, sia attendibile o inattendibile, e dunque se dia o meno serio affidamento circa la corretta esecuzione dell’appalto.

La verifica di anomalia dell’offerta costituisce un sub-procedimento formalmente distinto (ancorché collegato) rispetto al procedimento di evidenza pubblica di individuazione della proposta migliore, e si esprime in un’indagine di contenuto tecnico-economico secondo una precisa ratio di fondo che è quella di evitare l’aggiudicazione a prezzi tali da non garantire la qualità del lavoro, fornitura o servizio oggetto di affidamento.
La giurisprudenza prevalente ha ripetutamente osservato che il giudizio di verifica della congruità di un’offerta anomala ha natura globale e sintetica sulla serietà o meno dell’offerta nel suo insieme (Consiglio di Stato, sez. V – 08/09/2010 n. 6495) e costituisce espressione di un potere tecnico-discrezionale dell’amministrazione di per sé insindacabile in sede di legittimità, salva l’ipotesi in cui le valutazioni siano manifestamente illogiche o fondate su insufficiente motivazione o affette da errori di fatto (Consiglio di Stato, sez. V – 11/03/2010 n. 1414; sez. IV – 20/05/2008 n. 2348).
Al contempo occorre rilevare che la verifica di anomalia non ha per oggetto la ricerca di specifiche e singole inesattezze dell’offerta economica, mirando, invece, ad accertare se l'offerta, nel suo complesso, sia attendibile o inattendibile, e dunque se dia o meno serio affidamento circa la corretta esecuzione dell’appalto (Consiglio di Stato, sez. VI – 21/05/2009 n. 3146).
Sotto altro punto di vista, il Collegio ha in altra causa affermato che attraverso il Piano Economico Finanziario (e per analogia mediante le giustificazioni) ciascun concorrente debba dimostrare la propria capacità di eseguire correttamente la prestazione alle condizioni economiche proposte, cosicché l’amministrazione possa ammettere alla gara le offerte che risultino, nel loro complesso, affidabili: si tratta dello strumento che avvalora la sostenibilità economica dell’operazione e che per questo non può essere considerato assolutamente intangibile ed immodificabile, ma viceversa suscettibile di specificazioni, chiarimenti, limitate integrazioni ed aggiustamenti.
Soccorrono in proposito i principi elaborati dalla giurisprudenza in materia di verifica dell’offerta anomala ai sensi dell’art. 88 del D.Lgs. 163/2006, che individuano nell’affidabilità complessiva dell’offerta il criterio guida della stazione appaltante per la formulazione del giudizio e che riconoscono il valore del contraddittorio e delle giustificazioni quali mezzi utili per sviluppare l’indagine con piena cognizione di causa. E’ stato sottolineato che nel corso del procedimento il concorrente può addurre qualsiasi elemento che ritenga utile per evidenziare la remuneratività dell’offerta, e in tale contesto le giustificazioni preventive non possono costituire un vincolo tale da non poter essere superate –e all’occorrenza modificate– da quelle successive (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI – 08/04/2004 n. 1999).
Per questo motivo la rielaborazione del Piano economico finanziario (o delle giustificazioni) in momenti posteriori non può costituire di per sé un vizio insanabile, trattandosi di fase nella quale il contraddittorio deve necessariamente svilupparsi (cfr. sentenza Sezione 26/05/2009 n. 1064 confermata in appello da Consiglio di Stato, sez. V – 10/02/2010 n. 653) (TAR Lombardia-Brescia. Sez. II, sentenza 10.08.2011 n. 1242 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAE’ vero che, salvo i casi espressamente previsti dalla legge, l’apposizione di una condizione (sia essa sospensiva o risolutiva) all’atto di assenso edilizio è da ritenersi indebita, stante la natura di accertamento costitutivo a carattere non negoziale dell’assenso medesimo, ma è altresì vero che, nella prassi amministrativa, molte concessioni edilizie e permessi di costruire sono stati emessi con la previsione di specifiche “condizioni”, trattandosi in realtà di “prescrizioni”, che non condizionano la validità ed efficacia dell’assenso edilizio, ma devono essere rispettate, ai fini della successiva agibilità e abitabilità dell’edificio.
Pertanto, il rilascio di un permesso di costruire recante prescrizioni è da ritenersi del tutto legittimo. Ciò è ancor più vero se si considera che, nella fattispecie, la prescrizione apposta al permesso di costruire serve ad ovviare a un difficile problema di valutazione della sicurezza antincendio dell’opera assentita.

La società ricorrente, avendo presentato al Comune di Termoli un progetto per la ristrutturazione e il cambio di destinazione d’uso della struttura del “Grand Hotel” di via Cuoco, in Termoli, insorge per impugnare il permesso di costruire n. 117 del 17.09.2008, rilasciato dal dirigente dello Sportello unico dell’edilizia del Comune alla ricorrente società, nella parte in cui impone la condizione che sia completamente rimossa la porta al primo piano seminterrato che affaccia sulla rampa di accesso ai “garages” e sostituita con un muro, conformemente al progetto approvato e allegato alla concessione edilizia n. 130/1988 e dichiarato nelle osservazioni della ditta istante (prot. n. 27444 del 2008).
...
Sotto il profilo squisitamente giuridico, le censure del ricorso devono essere disattese.
E’ vero che, salvo i casi espressamente previsti dalla legge, l’apposizione di una condizione (sia essa sospensiva o risolutiva) all’atto di assenso edilizio è da ritenersi indebita, stante la natura di accertamento costitutivo a carattere non negoziale dell’assenso medesimo (cfr.: TAR Trentino A.A., Bolzano I, 04.01.2011 n. 2), ma è altresì vero che, nella prassi amministrativa, molte concessioni edilizie e permessi di costruire sono stati emessi con la previsione di specifiche “condizioni”, trattandosi in realtà di “prescrizioni”, che non condizionano la validità ed efficacia dell’assenso edilizio, ma devono essere rispettate, ai fini della successiva agibilità e abitabilità dell’edificio.
Pertanto, il rilascio di un permesso di costruire recante prescrizioni è da ritenersi del tutto legittimo (cfr.: TAR Sicilia-Catania I, 14.01.2011 n. 56). Ciò è ancor più vero se si considera che, nella fattispecie, la prescrizione apposta al permesso di costruire serve ad ovviare a un difficile problema di valutazione della sicurezza antincendio dell’opera assentita.
I motivi del ricorso sono, dunque, infondati. Non vi è stata alcuna violazione del D.P.R. 06.06.2001 n. 380 (art. 12), né dei principi in tema di rilascio del permesso di costruire, atteso che non si è trattato, nella specie, di verificare la conformità del progetto assentito agli strumenti urbanistici, bensì di superare un ostacolo tecnico, riveniente dalla valutazione del progetto sotto il profilo della sicurezza antincendio
(TAR Molise, sentenza 04.08.2011 n. 517 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICAVa attribuita natura non espropriativa ma conformativa del diritto di proprietà esistente sui suoli a tutti quei vincoli che non solo non siano esplicitamente preordinati all’esproprio in vista della realizzazione di un’opera pubblica, ma nemmeno si risolvano in una sostanziale ablazione dei suoli medesimi, consentendo al contrario la realizzazione degli interventi su di essi previsti anche da parte di privati ed in regime di economia di mercato.
La natura espropriativa o conformativa del vincolo va, infatti, verificata non in astratto, ma sulla base della concreta disciplina urbanistica dei singoli suoli, al fine di accertare se la destinazione impressa agli stessi si risolva in una sostanziale ablazione ovvero non svuoti di contenuto i diritti dominicali dei proprietari.

Secondo il costante orientamento giurisprudenziale, va attribuita natura non espropriativa ma conformativa del diritto di proprietà esistente sui suoli a tutti quei vincoli che non solo non siano esplicitamente preordinati all’esproprio in vista della realizzazione di un’opera pubblica, ma nemmeno si risolvano in una sostanziale ablazione dei suoli medesimi, consentendo al contrario la realizzazione degli interventi su di essi previsti anche da parte di privati ed in regime di economia di mercato.
La natura espropriativa o conformativa del vincolo va, infatti, verificata non in astratto, ma sulla base della concreta disciplina urbanistica dei singoli suoli, al fine di accertare se la destinazione impressa agli stessi si risolva in una sostanziale ablazione ovvero non svuoti di contenuto i diritti dominicali dei proprietari (cfr., tra le tante, Cons. Stato, sez. IV, 12.05.2010, n. 2843; 07.04.2010, n. 1982; 01.10.2007, n. 5059; 28.02.1995, n. 693; Corte Costituzionale n. 179/1999) (TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 03.08.2011 n. 2089 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIl pagamento dell’indennità ex art. 15 della legge n. 1497/1939 non costituisce un’ipotesi di risarcimento del danno ambientale ma rappresenta una sanzione amministrativa applicabile sia nel caso di illeciti sostanziali che compromettano l’integrità paesaggistica, sia in ipotesi di illeciti formali in cui è stato violato l’obbligo di munirsi preventivamente dell’autorizzazione a fronte di un intervento riconosciuto a posteriori compatibile con il contesto paesaggistico.
Il Consiglio di Stato ha più volte affermato che la sanzione in argomento è applicabile anche qualora le opere abusive ricadano in zone sottoposte a vincolo paesaggistico per le quali l’autorità preposta alla tutela del vincolo stesso abbia espresso parere favorevole alla sanatoria dell’abuso ex art. 32 della legge n. 47/1985.
L’inapplicabilità, a seguito del condono edilizio, delle sanzioni amministrative, sancita in termini generali dall’art. 38 della legge n. 47/1985, non si estende alle sanzioni in materia paesaggistica ex art. 15 della legge n. 1497/1939, anche se l’abuso sia stato ritenuto condonabile dall’autorità preposta alla tutela del vincolo: tale norma va dunque intesa nel senso che la citata indennità costituisce sanzione amministrativa applicabile nonostante il rilascio dell’atto di condono edilizio.

Secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale il pagamento dell’indennità ex art. 15 della legge n. 1497/1939 non costituisce un’ipotesi di risarcimento del danno ambientale (per il quale l’ordinamento appresta il diverso strumento disciplinato dall’art. 18 della legge n. 349/1986), ma rappresenta una sanzione amministrativa applicabile sia nel caso di illeciti sostanziali che compromettano l’integrità paesaggistica, sia in ipotesi di illeciti formali in cui è stato violato l’obbligo di munirsi preventivamente dell’autorizzazione a fronte di un intervento riconosciuto a posteriori compatibile con il contesto paesaggistico.
Che si tratti di sanzione emerge dal criterio legislativo che commisura l’indennità alla maggiore somma tra danno arrecato e profitto conseguito, dove il danno rileva solo ai fini della quantificazione della sanzione, potendo mancare per assenza di un vulnus materiale al paesaggio, nel qual caso l’indennità va commisurata al profitto conseguito, coincidente con l’arricchimento derivante al proprietario dalla realizzazione dell’abuso edilizio.
Sulla base di tali argomentazioni, il Consiglio di Stato ha più volte affermato che la sanzione in argomento è applicabile anche qualora le opere abusive ricadano in zone sottoposte a vincolo paesaggistico per le quali l’autorità preposta alla tutela del vincolo stesso abbia espresso parere favorevole alla sanatoria dell’abuso ex art. 32 della legge n. 47/1985 (Cons. Stato, VI, 02/06/2000, n. 3184; idem, n. 5863/2000).
L’art. 2, comma 46, della legge n. 662/1996 chiarisce che l’inapplicabilità, a seguito del condono edilizio, delle sanzioni amministrative, sancita in termini generali dall’art. 38 della legge n. 47/1985, non si estende alle sanzioni in materia paesaggistica ex art. 15 della legge n. 1497/1939, anche se l’abuso sia stato ritenuto condonabile dall’autorità preposta alla tutela del vincolo: tale norma va dunque intesa nel senso che la citata indennità costituisce sanzione amministrativa applicabile nonostante il rilascio dell’atto di condono edilizio (Cons. Stato, VI, n. 5863/2000; TAR Toscana, III, 27/05/2003, n. 2068)
(TAR Toscana, Sez. III, sentenza 02.08.2011 n. 1282 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAGli illeciti in materia paesaggistica, urbanistica ed edilizia, ove consistano nella realizzazione di opere senza le dovute autorizzazioni, assumono natura di illeciti permanenti, in relazione ai quali il termine di prescrizione inizia a decorrere solo dalla cessazione della permanenza (ovvero con l’irrogazione della sanzione pecuniaria o con il conseguimento del permesso postumo).
Gli illeciti in materia paesaggistica, urbanistica ed edilizia, ove consistano nella realizzazione di opere senza le dovute autorizzazioni, assumono natura di illeciti permanenti, in relazione ai quali il termine di prescrizione inizia a decorrere solo dalla cessazione della permanenza (ovvero con l’irrogazione della sanzione pecuniaria o con il conseguimento del permesso postumo).
Nel caso di specie, in cui l’illecito è consistito nella realizzazione di opere in zona vincolata senza la prescritta autorizzazione paesaggistica e senza il necessario titolo edilizio, e in cui il condono non è stato ancora rilasciato, la permanenza non può dirsi cessata, e quindi non si è verificata la prescrizione eccepita dalle ricorrenti (Cons. Stato, IV, n. 7769/2003; Cons. Stato, VI, n. 1729/2003; TAR Toscana, III, 27/05/2003, n. 2068; idem, 18/02/2002, n. 255)
(TAR Toscana, Sez. III, sentenza 02.08.2011 n. 1282 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAAl fine di essere qualificato come intervento di manutenzione o di risanamento conservativo e non quale ristrutturazione edilizia mediante demolizione e ricostruzione (se non nuova costruzione), quel che rileva è, nelle eccezionali ipotesi come quella in esame in cui si è verificato un crollo accidentale delle pareti dell’edificio, la realizzazione o meno di un organismo edilizio differente rispetto al precedente, con ampliamento dei volumi o alterazione della sagoma. In altri termini i concetti di manutenzione straordinaria e di risanamento conservativo, a differenza della ristrutturazione, presuppongono la realizzazione di opere che lascino inalterata la struttura dell'edificio e la distribuzione interna della sua superficie.
- Deve ritenersi che la realizzazione a seguito del crollo del muro preesistente di fondazioni interrate di sostegno, realizzate nel medesimo sito sul quale prima era solo poggiato il muro dell’edificio, e la ricostruzione di quest’ultimo in termini del tutto identici al preesistente, senza alcuna alterazione di volumetria, tipologia e sagoma dell’edificio, deve ricondursi nell’ambito del risanamento conservativo. Essi, infatti, sono sussumibili nell’ambito dell’art. 31, lett. c), della legge 05.08.1978 n. 457, ai sensi del quale sono interventi di restauro e di risanamento conservativo, quelli rivolti a conservare l'organismo edilizio e ad assicurarne la funzionalità mediante un insieme sistematico di opere che, nel rispetto degli elementi tipologici, formali e strutturali dell'organismo stesso, ne consentano destinazioni d'uso con essi compatibili. Tali interventi comprendono il consolidamento, il ripristino e il rinnovo degli elementi costitutivi dell'edificio, l'inserimento degli elementi accessori e degli impianti richiesti dalle esigenze dell'uso, l'eliminazione degli elementi estranei all'organismo edilizio. Ai sensi di tale disposizione, pertanto, possono qualificarsi come interventi di restauro e risanamento conservativo quegli interventi sistematici i quali, pur con rinnovo di elementi costitutivi dell'edificio preesistente, ne conservano tipologia, forma e struttura.

Orbene, al fine di essere qualificato come intervento di manutenzione o di risanamento conservativo e non quale ristrutturazione edilizia mediante demolizione e ricostruzione (se non nuova costruzione), quel che rileva è, nelle eccezionali ipotesi come quella in esame in cui si è verificato un crollo accidentale delle pareti dell’edificio, la realizzazione o meno di un organismo edilizio differente rispetto al precedente, con ampliamento dei volumi o alterazione della sagoma.
In altri termini i concetti di manutenzione straordinaria e di risanamento conservativo, a differenza della ristrutturazione, presuppongono la realizzazione di opere che lascino inalterata la struttura dell'edificio e la distribuzione interna della sua superficie.
Se questo è vero, deve ritenersi che la realizzazione a seguito del crollo del muro preesistente di fondazioni interrate di sostegno, realizzate nel medesimo sito sul quale prima era solo poggiato il muro dell’edificio, e la ricostruzione di quest’ultimo in termini del tutto identici al preesistente, senza alcuna alterazione di volumetria, tipologia e sagoma dell’edificio, deve ricondursi nell’ambito del risanamento conservativo.
Essi, infatti, sono sussumibili nell’ambito dell’art. 31, lett. c), della legge 05.08.1978 n. 457, ai sensi del quale sono interventi di restauro e di risanamento conservativo, quelli rivolti a conservare l'organismo edilizio e ad assicurarne la funzionalità mediante un insieme sistematico di opere che, nel rispetto degli elementi tipologici, formali e strutturali dell'organismo stesso, ne consentano destinazioni d'uso con essi compatibili. Tali interventi comprendono il consolidamento, il ripristino e il rinnovo degli elementi costitutivi dell'edificio, l'inserimento degli elementi accessori e degli impianti richiesti dalle esigenze dell'uso, l'eliminazione degli elementi estranei all'organismo edilizio.
Ai sensi di tale disposizione, pertanto, possono qualificarsi come interventi di restauro e risanamento conservativo quegli interventi sistematici i quali, pur con rinnovo di elementi costitutivi dell'edificio preesistente, ne conservano tipologia, forma e struttura (cfr: Cons. Stato, Sez. IV, n. 2981 del 16.06.2008) (TAR Sardegna, Sez. II, sentenza 02.08.2011 n. 858 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAL'atto edificatorio del vicino in violazione delle norme, del codice o regolamentari comunali, sulle distanze, oltre a ledere gli interessi pubblici sottesi alla disciplina concernente l'assetto del territorio, pone in essere un'attività edilizia eccedente quanto è previsto, nei rapporti tra confinanti, dalla normativa conformativa del diritto di proprietà, sicché il privato che, nei confronti dell'edificante illegittimo, lamenti la lesione della sua sfera proprietaria, ha diritto, ai sensi dell'art. 872 c.c., comma 2, ad una doppia tutela: all'eliminazione dello stato di cose che si è illegittimamente creato e al risarcimento del danno patito medio tempore.
L'inosservanza delle distanze legali nelle costruzioni sui fondi finitimi costituisce per il vicino una limitazione al godimento del bene, e quindi all'esercizio di una delle facoltà che si riconnettono al diritto di proprietà: per questo il danno è in re ipsa, perché l'azione risarcitoria è volta a porre rimedio all'imposizione di una servitù di fatto e alla conseguente diminuzione di valore del fondo subita dal proprietario in conseguenza dell'edificazione illegittima del vicino, per il periodo di tempo anteriore all'eliminazione dell'abuso.
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Non può essere accolta l'ulteriore domanda di risarcimento dei danni esistenziali e morali lamentati genericamente dalla istante “in quanto trattasi di domanda che ... non risulta assistita dalla prova concreta del danno non patrimoniale paventato, e, neppure, da un principio di prova in ordine ad eventuali ripercussioni negative .... sulle consuetudini di vita degli istanti.
Infatti, come ribadito anche di recente dal Consiglio di Stato, la pretesa risarcitoria avente ad oggetto il danno non patrimoniale -ove non si sia verificato un mero disagio o fastidio, inidoneo, ex se, a fondare una domanda di risarcimento del danno- esige una allegazione di elementi concreti e specifici da cui desumere, secondo un criterio di valutazione oggettiva, l'esistenza e l'entità del pregiudizio subito, il quale non può essere ritenuto sussistente in re ipsa, né è consentito l'automatico ricorso alla liquidazione equitativa”.
Secondo altro condivisibile arresto giurisprudenziale, “la sussistenza di un danno non patrimoniale risarcibile di cui all'art. 2059 c.c., difatti, deve essere dimostrata, sempre secondo la Suprema Corte, anche quando derivi dalla lesione di diritti inviolabili della persona, dal momento che costituisce "danno conseguenza", e non "danno evento"; né può sostenersi fondatamente che "nel caso di lesione di valori della persona il danno sarebbe in re ipsa, perché la tesi snatura la funzione del risarcimento, che verrebbe concesso non in conseguenza dell'effettivo accertamento di un danno, ma quale pena privata per un comportamento lesivo".

La giurisprudenza richiamata a sostegno delle ragioni introdotte in giudizio (Cassazione civile, sez. II, 07.05.2010, n. 11196), limitano alla violazione delle distanze legali l’ipotesi della configurabilità del danno in re ipsa.
In maniera più dettagliata si esprime altra decisione della Suprema Corte (cfr. Cassazione civile, sez. II, 16.12.2010, n. 25475), secondo la quale “in materia di violazione delle distanze tra costruzioni previste dal codice civile e dalle norme integrative dello stesso, al proprietario confinante che lamenti tale violazione compete sia la tutela in forma specifica, finalizzata al ripristino della situazione antecedente al verificarsi dell'illecito, sia quella risarcitoria, e, determinando la suddetta violazione un asservimento di fatto del fondo, il danno deve ritenersi in re ipsa, senza necessità di una specifica attività probatoria".
E' vero che nella giurisprudenza di questa Corte è presente anche un indirizzo di segno diverso, a termini del quale la violazione delle norme codicistiche sulle distanze legali (ovvero delle norme locali richiamate dal codice), mentre legittima sempre la condanna alla riduzione in pristino, non costituisce di per sé fonte di danno risarcibile, essendo al riguardo necessario che chi agisca per la sua liquidazione deduca e dimostri l'esistenza, oltre che la misura, del pregiudizio effettivamente realizzatosi (Cass., Sez. 2^, 23.03.1982, n. 1838; Cass., Sez. 2^, Cass., Sez. 2^, 02.08.1990, n. 7747; Cass., Sez. 2^, 24.09.2009, n. 20608).
Quest'ultimo orientamento non è condiviso dal Collegio.
L'atto edificatorio del vicino in violazione delle norme, del codice o regolamentari comunali, sulle distanze, oltre a ledere gli interessi pubblici sottesi alla disciplina concernente l'assetto del territorio, pone in essere un'attività edilizia eccedente quanto è previsto, nei rapporti tra confinanti, dalla normativa conformativa del diritto di proprietà, sicché il privato che, nei confronti dell'edificante illegittimo, lamenti la lesione della sua sfera proprietaria, ha diritto, ai sensi dell'art. 872 c.c., comma 2, ad una doppia tutela: all'eliminazione dello stato di cose che si è illegittimamente creato e al risarcimento del danno patito medio tempore.
L'inosservanza delle distanze legali nelle costruzioni sui fondi finitimi costituisce per il vicino una limitazione al godimento del bene, e quindi all'esercizio di una delle facoltà che si riconnettono al diritto di proprietà: per questo il danno è in re ipsa, perché l'azione risarcitoria è volta a porre rimedio all'imposizione di una servitù di fatto e alla conseguente diminuzione di valore del fondo subita dal proprietario in conseguenza dell'edificazione illegittima del vicino, per il periodo di tempo anteriore all'eliminazione dell'abuso.
Il Collegio intende dare continuità al prevalente indirizzo -non soltanto risalente nella giurisprudenza di questa Corte (Cass., Sez. 2^, 27.02.1946, n. 201; Cass., Sez. 2^, 08.05.1946, n. 551; Cass., Sez. Un., 24.06.1961, n. 1520; Cass., Sez. 2^, 12.02.1970, n. 341), ma anche ribadito negli arresti degli ultimi lustri (Cass., Sez. 2^, 15.12.1994, n. 10775; Cass., Sez. 2^, 25.09.1999, n. 10600; Cass., Sez. 2^, 07.03.2002, n. 3341; Cass., Sez. 2^, 27.03.2008, n. 7972; Cass., Sez. 2^, 07.05.2010, n. 11196)- che, in caso di violazione delle norme sulle distanze, concede al proprietario, nei confronti dell'edificante illegittimo, l'azione risarcitoria per il danno determinatosi prima della riduzione in pristino, senza la necessità di una specifica attività probatoria.
Questa soluzione non determina un eccesso di tutela per il proprietario od uno snaturamento del sistema della responsabilità civile, che, com'è noto, ammette la risarcibilità del solo danno conseguenza (cfr., con riguardo al danno non patrimoniale, Cass., Sez. Un., 11.11.2008, n. 26972).
Discorrere di danno in re ipsa, infatti, non significa riconoscere che il risarcimento venga accordato per il solo fatto del comportamento lesivo o si risolva in una pena privata nei confronti di chi violi l'altrui diritto di proprietà, in contrasto, tra l'altro, con la tavola dei valori espressa dalla Carta costituzionale, che riconosce e garantisce la proprietà privata, ma non la inquadra tra i diritti fondamentali della persona umana, per i quali soltanto è predicabile una connotazione di inviolabilità, di incondizionatezza e di primarietà.
Significa, piuttosto, ammettere che, nel caso di violazione di una norma relativa alle distanze tra edifici, il danno che il proprietario subisce (danno conseguenza e non danno evento) è l'effetto, certo ed indiscutibile, dell'abusiva imposizione di una servitù nel proprio fondo, e quindi della limitazione del relativo godimento, che si traduce in una diminuzione temporanea del valore della proprietà medesima.
Il principio della immancabilità del risarcimento del danno non vale invece là dove si tratti di violazioni di disposizioni non integrative di quelle sulle distanze: in tale evenienza, mancando un asservimento di fatto del fondo contiguo, la prova del danno è richiesta ed il proprietario è tenuto a fornire una dimostrazione precisa dell'esistenza del danno, sia in ordine alla sua potenziale esistenza che alla sua entità obiettiva, in termini di amenità, comodità, tranquillità ed altro (tra le tante, Cass., Sez. 2^, 05.06.1998, n. 5514; Cass., Sez. 2^, 12.06.2001, n. 7909; Cass., Sez. 2^, 07.03.2002, n. 3341, cit.).
Prendendo spunto da detta ultima affermazione, il Collegio ritiene che la sopraelevazione, oggetto della contestazione in esame, non necessariamente costituisca un nocumento (o un apprezzabile pregiudizio) per il fondo limitrofo, dovendosi dimostrare l’effettività del danno, quale, ad esempio, la limitazione del panorama o degli altri connotati del godimento immobiliare.
Basterebbe pensare all’immobile sovrastante quello abusivo o realizzato per effetto di titolo ritenuto, come nel caso in esame, illegittimo, di tal guisa che l’eventuale sopraelevazione di quest’ultimo non abbia affatto impedito al primo la vista e le comodità connesse all’uso del bene di proprietà.
Da qui la necessità della prova del pregiudizio, mancando la quale, non è possibile accedere ad alcun risarcimento e, comunque, a graduarlo.
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Analogamente, non può essere accolta l'ulteriore domanda di risarcimento dei danni esistenziali e morali lamentati genericamente dalla istante (sempre nella memoria del 07.04.2011), “in quanto trattasi di domanda che ... non risulta assistita dalla prova concreta del danno non patrimoniale paventato, e, neppure, da un principio di prova in ordine ad eventuali ripercussioni negative .... sulle consuetudini di vita degli istanti.
Infatti, come ribadito anche di recente dal Consiglio di Stato (cfr. decisione Sez. VI, 18.03.2011 n. 1672), la pretesa risarcitoria avente ad oggetto il danno non patrimoniale -ove non si sia verificato un mero disagio o fastidio, inidoneo, ex se, a fondare una domanda di risarcimento del danno- esige una allegazione di elementi concreti e specifici da cui desumere, secondo un criterio di valutazione oggettiva, l'esistenza e l'entità del pregiudizio subito, il quale non può essere ritenuto sussistente in re ipsa, né è consentito l'automatico ricorso alla liquidazione equitativa
” (cfr. TAR Lombardia Milano, sez. II, 30.03.2011, n. 854).
Secondo altro condivisibile arresto giurisprudenziale (cfr. TAR Friuli Venezia Giulia Trieste, sez. I, 26.05.2011, n. 260), “la sussistenza di un danno non patrimoniale risarcibile di cui all'art. 2059 c.c., difatti, deve essere dimostrata, sempre secondo la Suprema Corte, anche quando derivi dalla lesione di diritti inviolabili della persona, dal momento che costituisce "danno conseguenza", e non "danno evento"; né può sostenersi fondatamente che "nel caso di lesione di valori della persona il danno sarebbe in re ipsa, perché la tesi snatura la funzione del risarcimento, che verrebbe concesso non in conseguenza dell'effettivo accertamento di un danno, ma quale pena privata per un comportamento lesivo" (Cass. Civ., SS.UU, sentenza n. 26972 dell'11.11.2008).
Conclusivamente, la genericità della richiesta e la mancata dimostrazione del danno ricevuto determinano il rigetto della domanda risarcitoria.
E’ possibile accedere, invece, alla richiesta di cui all’art. 26, comma 2, c.p.a., articolata in udienza pubblica, posto che la stessa può anche essere delibata d’ufficio e, pertanto, non richiede gli adempimenti ritenuti necessari sia per la corretta introduzione della domanda che per la dimostrazione del danno ricevuto.
Invero, il precedente giudicato formatosi di seguito alla sentenza n. 2210/2001 di questo stesso Tribunale, in mancanza di altri apporti giustificativi e di una motivazione “forte”, tali, cioè, da consentire la riedizione del medesimo provvedimento ritenuto dalla detta decisione in precedenza illegittimo, ha reso, così come richiesto dalla invocata norma del codice, manifeste le ragioni di parte ricorrente (TAR Sicilia-Catania, Sez. I, sentenza 01.08.2011 n. 2044 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIIn caso di annullamento in sede giurisdizionale dell'esclusione di un concorrente da una gara per l'aggiudicazione di pubblici appalti, l'operare congiunto dei principi di segretezza delle offerte nei procedimenti di aggiudicazione e del principio di conservazione dell'atto amministrativo fa sì che la rinnovazione della gara conseguente alla riammissione del concorrente illegittimamente escluso debba retroagire in modo diverso a seconda del criterio previsto per l'aggiudicazione.
Nel caso in cui l'aggiudicazione sia effettuata in base a criteri oggettivi e vincolati, è sufficiente rinnovare la fase di valutazione delle offerte; nel caso, invece, di aggiudicazione basata su apprezzamenti discrezionali, con il metodo dell'offerta economicamente più vantaggiosa sarebbe necessario rinnovare l'intero procedimento di gara, a partire dalla stessa fase della presentazione delle offerte.

Il Collegio non ignora la ricorrente giurisprudenza secondo cui, in caso di annullamento in sede giurisdizionale dell'esclusione di un concorrente da una gara per l'aggiudicazione di pubblici appalti, l'operare congiunto dei principi di segretezza delle offerte nei procedimenti di aggiudicazione e del principio di conservazione dell'atto amministrativo fa sì che la rinnovazione della gara conseguente alla riammissione del concorrente illegittimamente escluso debba retroagire in modo diverso a seconda del criterio previsto per l'aggiudicazione.
Nel caso in cui l'aggiudicazione sia effettuata in base a criteri oggettivi e vincolati, è sufficiente rinnovare la fase di valutazione delle offerte; nel caso, invece, di aggiudicazione basata su apprezzamenti discrezionali, con il metodo dell'offerta economicamente più vantaggiosa sarebbe necessario rinnovare l'intero procedimento di gara, a partire dalla stessa fase della presentazione delle offerte (Consiglio Stato, Sez. V, 20.10.2005, n. 5892 e 21.01.2002, n. 340).
Come si legge nella sentenza del TAR Campania, Napoli, Sez. I, 26.01.2011, n. 462, che il Collegio ritiene di poter condividere nelle sue conclusioni, però, in altre occasioni il giudice di appello ha ammesso la possibilità di rinnovazione parziale dei giudizi anche a buste aperte, osservando che il principio di segretezza dell'offerta economica non costituisce un valore assoluto, ma un valore che richiede pur sempre di essere posto in relazione e coordinato con gli altri beni tutelati dall'ordinamento giuridico, tenendo conto, congiuntamente, del principio di conservazione degli atti giuridici e del canone di buona amministrazione ed in primo luogo del principio costituzionale di effettività della tutela giurisdizionale delle situazioni giuridiche soggettive, oltre che dei criteri di efficienza ed efficacia dell'azione amministrativa che verrebbero frustrati da un rinnovo integrale delle operazioni di gara, comportante un aggravio procedimentale per la dilatazione dei tempi per addivenire all'aggiudicazione (C.d.S., sez. IV, 30.06.2004, n. 4834; C.d.S., sez. VI, 01.10.2004, n. 6457; C.d.S., sez. VI, 24.02.2005, n. 683) (TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 01.08.2011 n. 1235 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

CONDOMINIODifesa degli spazi comuni, ampi poteri per l'amministratore.
L'amministratore del condominio non ha bisogno dell'investitura dell'assemblea per convenire in giudizio il costruttore che ha occupato abusivamente una porzione di bene comune e il successivo acquirente del manufatto edificato che «usurpa» l'area condominiale.
Lo ha sancito la Corte di Cassazione, Sez. II civile, con la sentenza 25.07.2011 n. 16230.
Il caso. La vicenda riguarda un costruttore che aveva ricavato da un seminterrato un ampio magazzino, il cui tetto invadeva il giardino condominiale sottraendo spazio all'area di proprietà comune. L'amministratore, senza essere formalmente investito dall'assemblea del potere di agire in giudizio, aveva fatto causa all'impresa edile.
Il tribunale e la Corte d'appello avevano respinto l'istanza sostenendo che l'uomo non possedeva la legitimatio ad causam. Contro questa decisione lui ha presentato ricorso in Cassazione. La seconda sezione civile lo ha accolto.
Le motivazioni. Gli Ermellini hanno bocciato la sentenza di merito secondo la quale l'amministratore non avrebbe avuto la legittimazione necessaria a proporre l'azione per la riduzione in pristino dei luoghi e il risarcimento dei danni a carico del costruttore e dell'avente causa di quest'ultimo.
Insomma: l'amministratore risulta pienamente legittimato ad agire in giudizio sulla base del combinato disposto delle norme di cui agli articoli 1130 e 1131, che gli conferiscono la facoltà di agire a tutela delle parti comuni. E infatti l'amministratore si rivolge al giudice per ristabilire l'integrità del giardino, stravolta dal manufatto realizzato dal costruttore. Né all'acquirente del cespite giova eccepire che ignorava la natura abusiva della costruzione: può soltanto dolersi dell'evizione nei confronti del suo dante causa. Sarà allora il giudice del rinvio a fare definitivamente chiarezza.
L'amministratore può scrivere all'avvocato per far rimuovere opere non autorizzate. Si incardina perfettamente nella giurisprudenza che ha esteso i poteri degli amministratori di condominio la sentenza 10347 depositata dalla Corte di cassazione a maggio di quest'anno e secondo cui è legittima la lettere scritta a un legale dal vertice del condominio, anche dalle tinte colorite, per far rimuovere un'opera non autorizzata.
In particolare in quell'occasione l'uomo aveva chiesto che fosse rimossa una targa di un avvocato perché deturpava l'estetica dello stabile. Secondo gli Ermellini si è trattato di un'attività legittima. Ciò perché, si legge in sentenza, «qualora l'amministratore di condominio si rivolga a uno dei condomini sollecitandogli il rispetto delle leggi o del regolamento vigenti, non è configurabile atto di turbativa del diritto qualora egli abbia agito, secondo ragionevole interpretazione, nell'ambito dei poteri-doveri di cui agli artt. 1130 e 1133 c.c.».
I vecchi crediti del condominio possono essere richiesti dal nuovo amministratore solo con l'autorizzazione dell'assemblea.
Con la sentenza 279 depositata dalla Cassazione alla fine di gennaio è stato affermato un interessante principio che, questa volta, limita i poteri dell'amministratore. In particolare secondo Piazza Cavour, «deve essere dichiarata l'inammissibilità del ricorso per cassazione proposto dall'amministratore del condominio, senza la preventiva autorizzazione assembleare, eventualmente richiesta anche in via di ratifica del suo operato, in ordine a una controversia riguardante i crediti contestati dal precedente amministratore revocato, in quanto non rientrante tra quelle per le quali l'organo amministrativo è autonomamente legittimato ad agire ai sensi dell'art. 1130 e 1131, primo comma cod. civ.
Né può essere concesso il termine per la regolarizzazione ai sensi dell'art. 182 cod. proc. civ., ove, come nella specie, l'udienza di discussione, in precedenza fissata, sia stata differita proprio sul rilievo della pendenza della questione dei poteri dell'amministratore all'esame delle sezioni unite della Corte di cassazione e la decisione di quest'ultima sia intervenuta ben prima della nuova udienza
» (articolo ItaliaOggi del 22.08.2011).

APPALTI: Inammissibile il ricorso avverso il bando in caso di mancata partecipazione alla gara.
La mancata partecipazione alla gara rende indifferenziata e non qualificata la pretesa della ricorrente all’aggiudicazione, come affermato dalla dec. del Consiglio di Stato Ad. Plen. n. 4/20111 (massima tratta da www.dirittodegliappaltipubblici.it - TAR Sicilia-Catania, Sez. III, sentenza 22.07.2011 n. 2006 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: RIFIUTI - Responsabilità del rappresentante legale di società di capitali - Culpa in vigilando - Configurabilità - Illecito smaltimento - Attività di demolizione edilizia - Rifiuti non pericolosi - Abbandono all'aperto - Art. 256, c. 1°, lett. a), D. L.vo n. 152/2006.
In ordine alla responsabilità del rappresentante legale di società di capitali che abbia delegato ad altri soggetti di sua fiducia determinate attività va affermata la responsabilità di tale soggetto per culpa in vigilando, quando sia consapevole delle inadempienze in cui sia incorso il proprio delegato, ovvero quando pur potendo sottoporre a controllo l’attività del delegato, abbia scientemente omesso detto controllo.
RIFIUTI - Attività di demolizione edilizia - Illecito smaltimento affidato a terzi - Rappresentante legale - Responsabilità - Controllo del possesso dei requisiti specifici in capo al terzo delegato - Obbligo - Art. 256, c. 1°, lett. a), D. L.vo n. 152/2006.
In tema di smaltimento di rifiuti, sussiste la responsabilità del soggetto che abbia affidato a terzi rifiuti destinati ad essere smaltiti laddove la condotta dell'agente si sia concretizzata in una mancata verifica dei requisiti in capo al soggetto terzo in vista del trasporto e smaltimento dei rifiuti, essendo innegabile il potere per chi detenga rifiuti di delegate a terzi la attività di smaltimento, previo controllo del possesso dei requisiti specifici in capo al terzo delegato (Cass. Sez. 3^ 01.04.2004 n. 21588) (Corte di Cassazione, Sez. III, sentenza 18.07.2011 n. 28206 - link a www.ambientediritto.it).

LAVORI PUBBLICILa relazione geologica non può essere sostituita da una qualsiasi, indeterminata valutazione di idoneità da parte del progettista (professionista diverso dal geologo), in quanto la disciplina relativa ai lavori pubblici impone chiaramente alla stazione appaltante l'acquisizione della detta relazione geologica ai fini della progettazione preliminare, definitiva ed esecutiva.
E' stato, anche di recente, affermato (cfr. Cons. St., sez. VI, 23.09.2009, n. 5666) che la relazione geologica non può essere sostituita da una qualsiasi, indeterminata valutazione di idoneità da parte del progettista (professionista diverso dal geologo), in quanto la disciplina relativa ai lavori pubblici impone chiaramente alla stazione appaltante l'acquisizione della detta relazione geologica ai fini della progettazione preliminare, definitiva ed esecutiva.
Ed invero, ai sensi del D.P.R. n. 554/1999 (in particolare degli artt. 35 e 37 –applicabili ratione temporis alla gara in argomento), è prevista l'acquisizione obbligatoria agli atti progettuali della relazione geologica, obbligatorietà che emerge, altresì, da ulteriori fonti normative (legge n. 64 del 02.02.1974 e D.M. 11.03.1988) nel caso in cui l’area sia classificata, come nella specie, “zona sismica di secondo livello” (TAR Lazio-Roma, Sez. II-Ter, sentenza 14.07.2011 n. 6324 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

CONDOMINIOMeglio non scivolare sulle scale. Il condominio non risarcisce chi si infortuna sulla rampa. Lo ha stabilito la Corte di cassazione. Bisogna provare il nesso fra incidente e sporcizia.
Non ha diritto al risarcimento del danno da parte del condominio chi cade e si infortuna sulle scale condominiali anche se sporche di residui di cibo.
Insomma, ha affermato la Corte di Cassazione con la sentenza 13.07.2011 n. 15390, il condominio si salva in corner quando, pur essendo la scala unta e scivolosa, l'infortunato non riesce a provare il nesso causale fra i residui alimentari e l'incidente.
Il caso. È successo in uno stabile a Roma. Un'inquilina era caduta sulle scale sporche di residui di cibo, unte, aveva sostenuto. Insomma quel piano non era stato pulito. Nell'incidente la signora aveva riportato delle ferite e quindi dei danni. Per questo si era rivolta al tribunale della Capitale che, però, le aveva negato il risarcimento. Contro questa decisione la donna ha proposto appello.
I giudici territoriali hanno respinto l'istanza confermando integralmente il verdetto di primo grado. Ora la Cassazione, alla quale la donna si è rivolta insistendo sulle pessime condizioni della scala, ha reso definitiva la decisione presa con una doppia conferma dai magistrati romani. Senza la prova del nesso causale, ha sancito Piazza Cavour, niente risarcimento.
Le motivazioni. Nell'ambito della responsabilità ex articolo 2051 del codice civile è il danneggiato a essere onerato della prova del nesso di causalità fra la cosa in custodia e l'evento pregiudizievole. Secondo l'infortunata la caduta sarebbe avvenuta solo perché le scale risultavano sdrucciolevoli a causa degli scarti alimentari abbandonati sui gradini, ma manca la dimostrazione certa che la caduta sia effettivamente riconducibile alla sporcizia delle scale. Inutile discutere oltre, dicono gli Ermellini, nonostante la procura generale della Suprema corte abbia concluso per l'accoglimento del ricorso della donna. Che, oltre il danno la beffa, paga anche le spese processuali.
Muore per una caduta sulle scale di un negozio: niente risarcimento ai familiari. Una posizione dello stesso segno è stata assunta dalla Corte di cassazione (sentenza 8005 del 2010) anche nel caso di morte dell'infortunato. In particolare l'uomo era scivolato sulle scale di un negozio di elettrodomestici, secondo la difesa sdrucciolevoli. In seguito all'incidente aveva riportato delle lesioni gravissime e poi era deceduto. I parenti avevano fatto causa al proprietario dell'attività per ottenere il risarcimento del danno. Il tribunale e la Corte d'appello avevano respinto l'istanza.
La decisione è stata confermata dalla Cassazione che, valutati esaurientemente tutti gli elementi del caso concreto, ha ritenuto insussistente la responsabilità ex art. 2051 cod. civ. del titolare dell'esercizio commerciale, per non aver gli attori provato che la morte del proprio congiunto era stata conseguenza normale della particolare anzidetta condizione del locale ove era accaduto il sinistro.
In sostanza secondo gli Ermellini «la responsabilità prevista dall'art. 2051 cod. civ. per i danni cagionati da cose in custodia presuppone la sussistenza di un rapporto di custodia della cosa e una relazione di fatto tra un soggetto e la cosa stessa, tale da consentire il potere di controllarla, di eliminare le situazioni di pericolo che siano insorte e di escludere i terzi dal contatto con la cosa; detta norma non dispensa il danneggiato dall'onere di provare il nesso causale tra cosa in custodia e danno, ossia di dimostrare che l'evento si è prodotto come conseguenza normale della particolare condizione, potenzialmente lesiva, posseduta dalla cosa, mentre resta a carico del custode offrire la prova contraria alla presunzione “iuris tantum” della sua responsabilità, mediante la dimostrazione positiva del caso fortuito, cioè del fatto estraneo alla sua sfera di custodia, avente impulso causale autonomo e carattere di imprevedibilità e di assoluta eccezionalità».
No al risarcimento all'inquilino derubato se i ladri entrano dai ponteggi del vicino. L'esame delle interpretazioni date all'articolo 2051 (responsabilità delle cose in custodia) dai giudici di merito e di legittimità mette in luce una certa difficoltà nell'ottenere il risarcimento del danno da parte del proprietario del bene.
La sentenza n. 7722 depositata dalla Cassazione ad aprile di quest'anno testimonia ancora una volta come, soprattutto in ambito condominiale, sia complicato ottenere il ristoro per il danno subito in seguito alla pessima manutenzione del bene del vicino. In particolare in questo caso la terza sezione civile ha respinto la richiesta di risarcimento avanzata dal proprietario di un appartamento che era stato derubato facilmente perché i ladri erano entrati dalle impalcature montate dal vicino per ristrutturare la casa.
Secondo il Collegio di legittimità, «nel caso di furto in appartamento che il derubato assume essere stato facilitato dalla mancata rimozione dei ponteggi per lavori edili da parte del suo vicino deve essere esclusa la presunzione di responsabilità che graverebbe sul custode: il criterio di imputazione di cui all'articolo 2051 c.c. comporta sì la responsabilità del custode per i danni cagionati dalla cosa (salvo che si provi il fortuito) ma non comporta affatto la presunzione di nesso causale fra la cosa e il danno, nesso che deve comunque essere provato dal danneggiato; ciò è certamente possibile tramite un procedimento di inferenza induttiva (presunzione), che risulta tuttavia inevitabilmente correlato all'apprezzamento delle circostanze concrete; valutazione che compete al giudice del merito e risulta infondatamente censurata sotto il profilo del vizio della motivazione laddove esclude il nesso causale fra le impalcature e il furto in relazione alla possibilità di tre diverse modalità di accesso alla casa svaligiata dai ladri» (articolo ItaliaOggi del 22.08.2011).

EDILIZIA PRIVATACODICE DELLA STRADA/ La Cassazione conferma. Rilevatori segnalati. Obbligo per autovelox e non solo.
Qualsiasi tipologia di controllo elettronico della velocità dei veicoli richiede l'obbligatoria segnalazione preventiva dell'impianto. E questa regola vale anche per le infrazioni accertate con l'uso del telelaser.
Lo ha confermato la Corte di Cassazione, Sez. II civile, con l'ordinanza 07.07.2011 n. 15036.
Un automobilista incappato in un controllo di polizia con uso di telelaser ha evidenziato al giudice di pace l'omessa informazione agli utenti della presenza del dispositivo. Il magistrato onorario ha accolto la censura ma il tribunale ha ribaltato l'esito della vicenda occorsa pochi giorni prima dell'entrata in vigore del dl 117/2007. La Cassazione ha quindi ricostruito cronologicamente la vicenda.
L'obbligo della preventiva segnalazione è stato introdotto innanzitutto con il dl 121/2002, per i soli dispositivi di controllo remoto senza la presenza diretta della polizia. Solo con il dl 117/2007, convertito nella legge 160/2007 questa incombenza è stata allargata obbligatoriamente a tutti i tipi di controllo elettronico della velocità. Sia che venga effettuata con apparecchi fissi o mobili, tradizionali o muniti di sistema a puntamento laser (articolo ItaliaOggi del 18.08.2011).

ENTI LOCALI - VARITelelaser/ Ok a multe anche senza fotografia.
Spetta all'agente di polizia stradale individuare preventivamente il trasgressore pizzicato a distanza a velocità eccessiva. La multa elevata con l'uso del telelaser pertanto è legittima anche senza fotografie di supporto.
Lo ha ribadito la Corte di Cassazione, Sez. II civile, con la sentenza 06.07.2011 n. 14886.
Un automobilista dal piede pesante è stato fermato dalla polizia municipale di Tavagnacco e sanzionato per eccesso di velocità con uso di strumento telelaser.
Contro questa misura punitiva l'interessato ha proposto con successo ricorso al giudice di pace che ha annullato la multa stante l'inadeguatezza dello strumento telelaser. La Cassazione è di contrario avviso. La rilevazione dell'eccesso di velocità con l'impiego di strumenti omologati a funzionamento laser, senza documentazione fotografica di corredo, è perfettamente legittima.
In questo caso resta infatti affidata all'attestazione dell'organo di vigilanza stradale la riferibilità dell'infrazione al veicolo successivamente fermato dalla pattuglia. In buona sostanza fino a querela di falso la multa elevata dai vigili con il telelaser è valida anche in mancanza di una parallela documentazione fotografica (articolo ItaliaOggi del 18.08.2011).

ENTI LOCALI - VARIImpianti di controllo della velocità. Niente matricola? Il verbale è valido.
La mancata indicazione nella multa stradale del numero di matricola dell'autovelox utilizzato dalla polizia municipale non comporta automaticamente l'annullamento del verbale.

Lo ha chiarito la Corte di Cassazione, Sez. II civile, con l'ordinanza 04.07.2011 n. 14564.
Un automobilista incappato nei rigori dell'autovelox ha proposto con successo ricorso al giudice di pace evidenziando l'irregolarità della multa notificata palesemente carente del numero di matricola del sistema elettronico utilizzato dai vigili per l'accertamento.
Contro questa determinazione, confermata in appello, il comune di Cisliano ha proposto censure alla Corte di cassazione che ha ribaltato le sorti della vicenda.
L'indicazione nella multa del numero di serie dell'apparecchiatura elettronica non è prevista dal codice stradale, specifica innanzitutto la sentenza.
Per questa ragione l'omessa indicazione del numero di matricola «non può essere eretta a motivo di nullità della sanzione per violazione del diritto di difesa».
Casomai nel giudizio di opposizione, conclude il collegio nella sentenza che è stata depositata il 4 luglio scorso, può assumere rilevanza il numero seriale dello strumento nel caso in cui si discuta del suo cattivo funzionamento (articolo ItaliaOggi del 18.08.2011).

ENTI LOCALI - VARITelelaser/ Trasgressori non sempre fermati.
Solo quando l'apparecchiatura elettronica per il controllo della velocità dei veicoli permette l'accertamento dell'illecito prima del transito del mezzo davanti alla pattuglia è obbligatoria la contestazione immediata dell'infrazione. Di fatto solo con l'uso del telelaser quindi la multa per eccesso di velocità richiede ordinariamente il fermo del trasgressore per essere regolare.
Lo ha evidenziato la Corte di Cassazione, Sez. II civile, con l'ordinanza 04.07.2011 n. 14561.
Un utente stradale incappato nei rigori dell'autovelox ha proposto inutilmente ricorso contro la multa notificata al suo domicilio stante la mancata contestazione immediata dell'illecito. Anche la cassazione ha rigettato le doglianze confermando l'operato della polizia municipale.
In materia di controllo elettronico della velocità l'impiego documentato di misuratori autovelox che consentono la rilevazione dell'illecito tardivamente ovvero solo dopo o contestualmente al transito del mezzo esenta dall'obbligo di contestazione immediata. Solo nella diversa ipotesi «in cui l'apparecchiatura permetta l'accertamento dell'illecito prima del transito del veicolo la contestazione deve essere immediata» (articolo ItaliaOggi del 18.08.2011).

ENTI LOCALI - VARITaglio punti. Il ministero irroga la sanzione.
La multa stradale è soltanto propedeutica alla decurtazione dei punti patente che possono essere ridotti solo con uno specifico provvedimento ministeriale.
Lo ha evidenziato la Corte di Cassazione, Sez. II civile, con la sentenza 28.06.2011 n. 14323.
Un giudice di pace creativo ha ridotto una sanzione stradale comminata ad un automobilista negligente escludendo però ogni decurtazione di punteggio.
Contro questa stravagante interpretazione del codice stradale il comando di polizia municipale ha proposto appello al tribunale di Bergamo e quindi l'automobilista si è rivolto al collegio per l'ulteriore verifica. Nonostante l'accoglimento della doglianza sulla irregolare costituzione del contraddittorio la Corte ha fornito una originale ricostruzione dell'istituto della patente a punti.
Questa materia, specifica la sentenza, è infatti «sottratta al potere sanzionatorio dell'ente locale consistendo, questa, in una sanzione accessoria che consegue alla violazione contestata e che deve essere irrogata con specifico provvedimento ministeriale, rispetto al quale l'attività di accertamento è soltanto propedeutica e contro la quale va rivolta l'eventuale opposizione» (articolo ItaliaOggi del 18.08.2011).

APPALTIE' da escludere l’obbligo di ripubblicazione in Gazzetta di ogni e qualsiasi modifica delle prescrizioni del bando, restringendo tale obbligo alle sole clausole significative che avrebbero potuto alterare la platea dei concorrenti.
E’ infatti assolutamente ragionevole e condivisibile quella giurisprudenza che esclude l’obbligo di ripubblicazione in Gazzetta di ogni e qualsiasi modifica delle prescrizioni del bando, restringendo tale obbligo alle sole clausole significative che avrebbero potuto alterare la platea dei concorrenti (cfr TAR Sardegna sez. I n. 564/2004) (TAR Lazio-Roma, Sez. III, sentenza 08.06.2011 n. 5113 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

PUBBLICO IMPIEGOSe la p.a. non trasferisce l'impiegato, ci pensa il Tar. Tutela piena non solo nel processo civile ma anche in quello amministrativo.
Se l'amministrazione non trasferisce lo statale ci pensa il Tar. Il dipendente pubblico, a cui venga negato il trasferimento ad altra sede di lavoro, può chiedere al giudice di intervenire affinché quest'ultimo provveda direttamente in sostituzione dell'amministrazione.
È quanto emerso dalla sentenza 08.06.2011 n. 1428 emessa dal Tar Lombardia.
Il caso riguardava l'istanza di un agente di polizia costretto a chiedere il trasferimento della sede di lavoro per potersi avvicinare al luogo di residenza dei propri genitori, bisognosi della sua assistenza essendo affetti da gravi disturbi psico-fisici. L'amministrazione, per ben due volte, ha negato il trasferimento e, conseguentemente, ha rigettato l'istanza del lavoratore.
Rilevata l'illegittimità dei provvedimenti di diniego, il Tar Lombardo, dice la sua sulla possibilità di sostituirsi all'amministrazione per garantire le necessità del lavoratore e della sua famiglia.
In sostanza il Tar sottolinea che, come nel processo civile, anche nel processo amministrativo il cittadino deve ricevere una tutela piena ed effettiva. E una tutela piena ed effettiva non può prescindere, secondo il Tar Lombardia, dalla possibilità di condannare l'amministrazione all'adozione del provvedimento capace di soddisfare le pretese del ricorrente.
Applicando gli artt. 30 e 34, comma 1, lett. c) ed e), del codice del processo amministrativo (cpa) viene fatta chiarezza sui presupposti necessari affinché il giudice possa scavalcare l'amministrazione: l'attività di quest'ultima deve essere vincolata oppure la discrezionalità della stessa deve ritenersi esaurita. Nel caso in esame è stato ritenuto che l'amministrazione, negando in due diverse occasioni l'istanza del lavoratore, avesse consumato la propria discrezionalità. Per cui a questo punto il Tar può sostituirsi alla p.a.
La conseguenza della sentenza è quella di velocizzare la tutela del cittadino. La possibilità di condannare l'amministrazione a adottare un determinato atto, infatti, consente di ottenere in un solo giudizio quello che, prima del codice del processo amministrativo, si doveva fare in due processi: dopo il processo di merito (che si limitava ad annullare) bisognava promuovere il processo di ottemperanza (per avere concreta attuazione del proprio diritto). Con la nuova impostazione si fanno due processi in uno.
L'azione di esatto adempimento e la correlata condanna da parte del giudice amministrativo nei confronti dell'amministrazione valgono per tutti i tipi di processi che si celebrano davanti al Tar. Ma la p.a., dopo la sentenza del giudice, non è del tutto fuori gioco. Può ancora smarcarsi dall'ordine del Tar purché la situazione di fatto sia cambiata: si pensi alle ipotesi in cui la decisione del Tar arrivi dopo qualche anno dal deposito del ricorso (articolo ItaliaOggi del 18.08.2011 - tratto da www.ecostampa.it).

APPALTIIl potere discrezionale della stazione appaltante di prescrivere adeguati requisiti per la partecipazione alle gare per l'affidamento di appalti pubblici è soggetto ai limiti connaturati alla funzione affidata alle clausole del bando volte a prescrivere i requisiti speciali.
La stazione appaltante, pertanto, non può poi derogare, in sede di gara, al puntuale accertamento preliminare di tali requisiti, prodromici alla stessa competizione concorsuale tra le imprese aspiranti, tanto più ove, come nel caso di specie, tali requisiti siano richiesti a pena di esclusione.
Il provvedimento di espulsione da una gara d'appalto costituisce atto vincolato rispetto alla clausola del bando che indica le modalità di presentazione dei documenti a pena di esclusione, in quanto in sede di aggiudicazione di contratti con la p.a., la stazione appaltante è tenuta ad applicare in modo rigoroso ed incondizionato le clausole inserite nella "lex specialis" relative ai requisiti, formali e sostanziali, di partecipazione ovvero alle cause di esclusione.

E’ principio pacifico che il potere discrezionale della stazione appaltante di prescrivere adeguati requisiti per la partecipazione alle gare per l'affidamento di appalti pubblici è soggetto ai limiti connaturati alla funzione affidata alle clausole del bando volte a prescrivere i requisiti speciali.
Tale funzione consiste nel delineare, attraverso l'individuazione di specifici elementi indicati della capacità economica, finanziaria e tecnica, il profilo delle imprese che si presumono idonee a realizzare il programma contrattuale perseguito dall'Amministrazione ed a proseguire nel tempo l'attività espletata in modo adeguato.
La stazione appaltante, pertanto, non può poi derogare, in sede di gara, al puntuale accertamento preliminare di tali requisiti, prodromici alla stessa competizione concorsuale tra le imprese aspiranti, tanto più ove, come nel caso di specie, tali requisiti siano richiesti a pena di esclusione.
E’ pure principio pacifico che il provvedimento di espulsione da una gara d'appalto costituisce atto vincolato rispetto alla clausola del bando che indica le modalità di presentazione dei documenti a pena di esclusione, in quanto in sede di aggiudicazione di contratti con la p.a., la stazione appaltante è tenuta ad applicare in modo rigoroso ed incondizionato le clausole inserite nella "lex specialis" relative ai requisiti, formali e sostanziali, di partecipazione ovvero alle cause di esclusione.
Il formalismo che caratterizza la disciplina delle procedure di gara risponde, per un verso, ad esigenze pratiche di certezza e celerità e, per altro verso, alla necessità di garantire l'imparzialità dell'azione amministrativa e la parità di condizioni tra i ricorrenti.
Dunque, i formalismi richiesti espressamente e tassativamente dalle prescrizioni di gara costituiscono lo strumento tipico con il quale si rende trasparente la discrezionalità amministrativa e si pongono tutti i concorrenti sullo stesso piano partecipativo, richiedendo loro un eguale impegno di diligenza, attenzione e rispetto verso le clausole dei bandi e dei capitolati (TAR Lazio-Roma, Sez. III-ter, sentenza 01.06.2011 n. 4984 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIL'art. 38 del d.lgs. n. 163/2006 -nell'individuare i soggetti tenuti a rendere la dichiarazione- fa riferimento soltanto agli "amministratori muniti di potere di rappresentanza", senza estendere l'obbligo ai procuratori, che amministratori non sono.
L'obbligo per l'impresa partecipante ad una gara pubblica di rendere le prescritte dichiarazioni può essere legittimamente assolto dal suo rappresentante legale anche avuto riguardo ai terzi, inclusi altri amministratori muniti di poteri di rappresentanza.

Questa Sezione ha chiarito che l'art. 38 del d.lgs. n. 163/2006 -nell'individuare i soggetti tenuti a rendere la dichiarazione- fa riferimento soltanto agli "amministratori muniti di potere di rappresentanza", senza estendere l'obbligo ai procuratori, che amministratori non sono (Consiglio Stato, sez. V, 25.01.2011, n. 513).
L'obbligo per l'impresa partecipante ad una gara pubblica di rendere le prescritte dichiarazioni può essere legittimamente assolto dal suo rappresentante legale anche avuto riguardo ai terzi, inclusi altri amministratori muniti di poteri di rappresentanza (Consiglio Stato, sez. V, 19.11.2009, n. 7244) (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 27.05.2011 n. 3200 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZI: Deve ritenersi che la qualificazione di servizio pubblico locale spetti a quelle attività caratterizzate, sul piano oggettivo, dal perseguimento di scopi sociali e di sviluppo della società civile, selezionati in base a scelte di carattere eminentemente politico, quanto alla destinazione delle risorse economiche disponibili ed all'ambito di intervento, e, su quello soggettivo, dalla riconduzione diretta o indiretta (per effetto di rapporti concessori o di partecipazione all'assetto organizzativo dell'ente) ad una figura soggettiva di rilievo pubblico.
Nel caso di specie il comune ( …) ha assunto come servizi pubblici locali quelli di manutenzione delle strade, degli impianti di illuminazione pubblica e del verde pubblico ... Tanto è sufficiente per concludere che si tratta senz'altro di servizi pubblici locali ricadenti nel campo di applicazione del titolo V del T.U.E.L..

Occorre stabilire se il servizio di gestione degli impianti di illuminazione pubblica sia qualificabile come servizio pubblico locale ovvero come appalto di servizi.
Il Collegio condivide, sul punto, le argomentazioni svolte dal Consiglio di Stato (sez. V, 13.12.2006, n. 7369; nello stesso senso, recentemente, sez. V, 25.11.2010, n. 8231, al punto 3) secondo cui “deve ritenersi che la qualificazione di servizio pubblico locale spetti a quelle attività caratterizzate, sul piano oggettivo, dal perseguimento di scopi sociali e di sviluppo della società civile, selezionati in base a scelte di carattere eminentemente politico, quanto alla destinazione delle risorse economiche disponibili ed all'ambito di intervento, e, su quello soggettivo, dalla riconduzione diretta o indiretta (per effetto di rapporti concessori o di partecipazione all'assetto organizzativo dell'ente) ad una figura soggettiva di rilievo pubblico. Nel caso di specie il comune ( …) ha assunto come servizi pubblici locali quelli di manutenzione delle strade, degli impianti di illuminazione pubblica e del verde pubblico ... Tanto è sufficiente per concludere che si tratta senz'altro di servizi pubblici locali ricadenti nel campo di applicazione del titolo V del T.U.E.L.” (sez. V, n. 7369/2006, cit.) (TAR Sardegna, Sez. I, sentenza 11.05.2011 n. 465 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Silenzio della Pubblica Amministrazione - Silenzio inadempimento - Impugnazione - Atto richiesto intervenuto prima del ricorso ma non comunicato - Inammissibilità.
In materia di silenzio inadempimento, laddove il provvedimento richiesto sia intervenuto prima della presentazione del ricorso, ancorché non comunicato all'interessato, qualunque sia il contenuto dello stesso, il ricorso diventa inammissibile poiché la pubblica amministrazione ha assolto il suo onere di concludere il procedimento avviato con l'istanza con un provvedimento espresso
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 27.04.2011 n. 1062 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: 1. Piano Regolatore - Prescrizioni e vincoli - Fascia di rispetto stradale - Vincolo conformativo - E' tale.
2. Piano Regolatore - Procedimento - Pubblicazione - Rinnovo a seguito di accoglimento osservazioni privati - Non occorre.

1. Il vincolo di inedificabilità relativo alla fascia di rispetto stradale non ha natura espropriativa, ma unicamente conformativa, in quanto riguarda una generalità di beni e di soggetti ed ha una funzione di salvaguardia della circolazione, indipendentemente dalla eventuale instaurazione di procedure espropriative; esso quindi non è soggetto a scadenze temporali.
2. Nel procedimento di formazione dei piani regolatori generali, la pubblicazione dei P.R.G. stessi, prevista dall'art. 9 L. 17.08.1942, n. 1150, è finalizzata alla presentazione delle osservazioni da parte dei soggetti interessati al progetto di piano adottato dal comune, ma non è richiesta, di regola, per le successive fasi del procedimento, anche se il piano originario risulti modificato a seguito dell'accoglimento di alcune osservazioni o di modifiche introdotte in sede di approvazione regionale (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 21.04.2011 n. 1019 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Sindaco - Adozione ordinanza contingibile e urgente nei confronti del proprietario per interventi a tutela della salute.
Il Sindaco, titolare dei poteri in materia di ordinanze contingibili ed urgenti, ha la facoltà di emanare provvedimenti che impongano al proprietario una serie di interventi volti all'eliminazione degli inconvenienti sanitari scaturiti dalle deiezioni dei piccioni stazionanti in gran numero sull'immobile di sua proprietà
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 18.04.2011 n. 986 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Revoca delle procedure concorsuali - Comunicazione di avvio del procedimento - Obbligo - Non sussiste.
La revoca delle procedure concorsuali non deve essere proceduta dalla comunicazione di avviso di avvio del procedimento, perlomeno fino a quando non sia adottato il provvedimento di aggiudicazione definitiva; giacché è solo in capo all'aggiudicatario che si radica una posizione di affidamento meritevole di tutela (cfr. TAR Lombardia Milano, sez. III, 05.05.2010 n. 1222)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. III, sentenza 12.04.2011 n. 955 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Concessione di costruzione - Necessità - Modificazione permanente dello stato dei luoghi - Occorre concessione.
Necessitano di idoneo titolo edilizio i manufatti che assumono dimensioni non trascurabili, vengono destinati ad un utilizzo autonomo e duraturo e comportano modificazione permanente dello stato dei luoghi
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 08.04.2011 n. 930 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Aggiudicazione di contratti con la P.A. - Apertura delle buste - Seduta pubblica - Obbligo del seggio di gara di portare a conoscenza dei concorrenti giorno, ora e luogo della seduta - Anche in assenza di specifiche previsioni della lex specialis - Comunicazione via fax - Sufficiente certezza circa l'esito della trasmissione - Prova contraria circa la funzionalità dell'apparecchio a chi lamenti la mancata ricezione - Rapporto di trasmissione non a buon fine, onere della stazione appaltante di avere un rapporto positivo di trasmissione.
La regola generale della pubblicità della gara, segnatamente con riguardo al momento dell'apertura delle buste implica "necessariamente l'obbligo del seggio di gara di portare preventivamente a conoscenza dei concorrenti il giorno, l'ora e il luogo della seduta della commissione di gara, in modo da garantire loro l'effettiva possibilità di presenziare allo svolgimento delle operazioni di apertura dei plichi pervenuti alla stazione appaltante, atteso che tale adempimento risulta implicitamente necessario ai fini dell'integrazione del carattere di pubblicità della seduta" (in termini Consiglio di stato, sez. V, 28.05.2004, n. 3471; TAR Piemonte Torino, sez. II, 29.10.2010, n. 3937);
Di conseguenza, "anche in assenza di specifiche previsioni della lex specialis, la violazione del principio di pubblicità indotta dalla mancata (o dalla tardiva) comunicazione ad uno o più concorrenti della data di svolgimento delle operazioni di apertura dei plichi contenenti le offerte economiche costituisce vizio insanabile della procedura, anche ove non sia comprovata l'effettiva lesione sofferta dai concorrenti, trattandosi di adempimento posto a tutela non solo della parità di trattamento tra gli stessi, ma anche dell'interesse pubblico alla trasparenza ed all'imparzialità dell'azione amministrativa, le cui conseguenze negative sono difficilmente apprezzabili ex post" (cfr. in termini, Consiglio di Stato, sez. V, 20.03.2006, n. 1445; TAR Veneto Venezia, sez. I, 20.10.2010, n. 5525; TAR Basilicata Potenza, sez. I, 28.03.2008, n. 72; TAR Calabria Catanzaro, sez. II, 26.07.2004, n. 1701).
In generale il fax è uno strumento che garantisce una sufficiente certezza circa l'esito della trasmissione, incombendo la prova contraria in ordine alla funzionalità dell'apparecchio sul soggetto che lamenti la mancata ricezione del messaggio. Il principio ora richiamato vale nelle ipotesi in cui alla stazione appaltante risulti che la trasmissione via fax è andata a buon fine, ma ciò nonostante il destinatario lamenti la mancata ricezione per malfunzionamento dello strumento tecnico.
Viceversa qualora il rapporto di trasmissione evidenzi che la comunicazione effettuata dall'amministrazione non è andata a buon fine, per una ragione indipendente dal corretto funzionamento del macchinario e a fronte di tale situazione era onere della stazione appaltante di reiterare l'invio della comunicazione sino ad ottenere un rapporto positivo
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. III, sentenza 05.04.2011 n. 892 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: 1. Accesso ai documenti - Atti accessibili - Fogli firme delle presenze giornaliere dei dipendenti Poste Italiane S.p.A. - Estensione.
2. Accesso ai documenti - Atti accessibili - Fattispecie.

1. I dipendenti di Poste Italiane S.p.a., anche cessati dal rapporto, hanno diritto ad accedere ad alcuni atti relativi all'organizzazione interna della società, quali, tra l'altro, i fogli firma delle presenze giornaliere.
In tali casi, infatti, l'attività di Poste Italiane, relativa alla gestione del rapporto di lavoro con i propri dipendenti, è stata ritenuta strumentale al servizio gestito dalla società ed incidente potenzialmente sulla qualità di un servizio il cui rilievo pubblicistico va valutato tenendo conto, non solo, della dimensione oggettiva ma, anche, di quella propriamente soggettiva di Poste Italiane.
2. Il discrimen tra gli atti che devono considerarsi rientranti nell'ambito oggettivo della disciplina dell'accesso e quelli destinati a rimanerne fuori, non va identificato nella distinzione tra attività posta in essere nell'esercizio di potestà pubbliche e attività condotta secondo moduli privatistici, bensì, nella sottoposizione o meno del soggetto preposto al suo espletamento al dovere di imparzialità (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 01.04.2011 n. 869 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Responsabilità della Pubblica Amministrazione - Risarcimento danni - Colpevolezza della P.A. - Presunzione semplice - Applicabilità - Conseguenze.
In sede di giudizio per il risarcimento del danno derivante da provvedimento amministrativo illegittimo, il privato danneggiato può limitarsi ad invocare l'illegittimità dell'atto quale indice presuntivo della colpa, restando a carico dell'Amministrazione l'onere di dimostrare che si è trattato di un errore scusabile per contrasti giurisprudenziali sull'interpretazione della norma, per la complessità del fatto ovvero per l'influenza di altri soggetti
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 31.03.2011 n. 858 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: Abusi - Lottizzazione abusiva - Configurabilità.
L'art. 30, comma 1, DPR 380/2001 -che ricalca la pregressa previsione dell'abrogato art. 18 della Legge 47/1985- è interpretato nel senso che sono ravvisabili due tipi di lottizzazione abusiva (che possono peraltro coesistere): una materiale, allorché sono iniziate sul terreno opere che comportino trasformazione urbanistica o edilizia del medesimo in violazione delle prescrizioni degli strumenti urbanistici o comunque senza le prescritte autorizzazioni ed una cartolare o formale, quando la trasformazione è predisposta attraverso il frazionamento e la vendita del terreno in lotti che, per le loro caratteristiche particolari, denuncino in modo non equivoco la destinazione a scopo edificatorio
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 28.03.2011 n. 824 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. Variante ex art. 5 d.P.R. n. 447/1998 - Diversità da quella urbanistica ordinaria - Criterio.
2. Variante ex art. 5 d.P.R. n. 447/1998 - Parere favorevole della conferenza di servizi - Natura.

1. La differenza radicale tra la variante di cui all'art. 5 del d.P.R. n. 447/1998 rispetto alla variante urbanistica ordinaria riguarda la modalità specifica di attivazione del procedimento di variazione dello strumento urbanistico: nel caso dell'art. 5 la proposta di variazione è collegata alla presentazione, da parte di un privato, di un progetto che ottenga il parere favorevole della conferenza di servizi, appositamente convocata, mentre nell'ipotesi ordinaria, la proposta di variazione dello strumento urbanistico è affidata all'iniziativa dell'amministrazione comunale.
2. Il parere favorevole della conferenza di servizi in relazione al progetto di cui alla realizzazione di un nuovo insediamento produttivo costituisce proposta di variante sulla quale è chiamato a pronunciarsi (anche con una eventuale determinazione negativa, ma in ogni caso adeguatamente motivata) il Consiglio Comunale, titolare esclusivo del potere di pianificazione urbanistica.
Presupposto essenziale per la convocazione della conferenza di servizi volta all'approvazione di una variante urbanistica ex art. 5 del d.P.R. n. 447 del 1998 è, dunque, la verifica, da parte del responsabile del procedimento, dell'assenza o dell'insufficienza di aree già destinate agli insediamenti produttivi nel p.r.g. in vigore
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 24.03.2011 n. 773 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Gara di appalto - Rilascio dichiarazioni - "Falso innocuo".
E' rigettato il ricorso per l'annullamento del verbale di gara con il quale è stata disposta l'esclusione della ricorrente dalla gara d'appalto per l'aggiudicazione dei lavori di manutenzione straordinaria delle pavimentazioni in conglomerato bituminoso dei manufatti stradali e la contestuale aggiudicazione del contratto ad un'altra società : è falsa la dichiarazione della società ricorrente che ha attestato l'insussistenza di direttori tecnici cessati nel triennio precedente.
Non si tratta, peraltro, di un cd. "falso innocuo": la giurisprudenza del Consiglio di Stato ha recepito tale nozione di origine penalistica anche ai fine di escludere la rilevanza della falsità delle dichiarazioni non veritiere rese dai soggetti partecipanti alle gare pubbliche ai sensi dell'art. 38 del D.Lgs. 163 del 2006 (e prima ancora dell'art. 75 del D.P.R. 554/1999) tutte le volte che essa non abbia prodotto alcun pregiudizio agli interessi presidiati dalla norma che impone di attestare una determinata circostanza (sia essa contenuta nella legge o nel bando) e non abbia procurato all'impresa dichiarante alcun vantaggio competitivo (Cons. Stato, V, 09.11.2010 n. 7967).
Il medesimo Consiglio di Stato ha, tuttavia, precisato che nell'ambito dei rapporti amministrativi la valutazione del carattere innocuo del falso deve essere compiuta "ex ante", con la conseguenza che non può essere considerato innocuo il falso potenzialmente in grado di incidere sulle determinazioni dell'Amministrazione (Cons. Stato, VI, 08.07.2010 n. 4436).
Il Supremo consesso ha altresì stabilito che qualora la lex specialis di gara richieda all'impresa informazioni puntuali che non lasciano spazio a valutazioni in ordine alla rilevanza o meno di determinate informazioni la loro omissione costituisce una legittima causa di esclusione (Cons. Stato, VI, 4907/2009 cit.).
Tale è, appunto, la situazione che ricorre nel caso di specie in cui si chiedeva alle imprese offerenti di rilasciare una doppia dichiarazione con riguardo:
a) al fatto che nel triennio precedente la data di pubblicazione del bando non fosse cessato né fosse stato sostituito il titolare, il socio, l'amministratore munito di poteri di rappresentanza o il direttore tecnico;
b) al fatto che i soggetti eventualmente cessati non avessero riportato condanne penali tali da incidere sulla affidabilità morale e professionale
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. III, sentenze 01.03.2011 nn. 599 e 607 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: 1. Comunicazione - Avviso - Artt. 7 e 21-octies della l. n. 241/1990.
2. Efficacia - Comunicazione.

1. Ancor prima dell'introduzione dell'art. 21-octies, comma 2, l. n. 241/1990, la prevalente giurisprudenza aveva ritenuto idonei a raggiungere lo scopo della disposizione dell'art. 7, l. n. 241/1990 anche meccanismi procedurali alternativi, come ad esempio una formula espressa apposta in calce ad un documento comunicato all'interessato, ovvero la c.d. conoscenza aliunde dell'inizio del procedimento. Inoltre, la comunicazione ex art. 7, l. n. 241 del 1990 non costituisce un adempimento fine a se stesso, ma è volta a consentire un'effettiva partecipazione attiva al procedimento da parte dei destinatari dell'attività amministrativa.
Ne consegue che la codificazione del principio del raggiungimento dello scopo dell'azione amministrativa (nell'art. 21-octies, comma 2, l. n. 241/1990) non ha certo precluso l'operatività del principio (di origine pretoria) del raggiungimento dello scopo della norma violata, in forza della quale, laddove sia provato che l'interessato è stato comunque posto in condizione di partecipare al procedimento amministrativo, questi non può dolersi dell'omessa comunicazione dell'avvio del procedimento stesso (cfr. TAR Campania Napoli, sez. VII, 07.05.2008, n. 3522).
Nella vicenda per cui causa il Comune preso atto che alla, data del 03.03.2007 (ovvero 30 giorni prima della data di scadenza per la realizzazione dei lavori), non era stata presentata all'ufficio competente alcuna DIA per l'avvio degli interventi di innalzamento delle canne fumarie, con provvedimento del 07.03.2007, ha comunicato alla società ricorrente, in qualità di impresa costruttrice degli edifici, l'avvio del procedimento diretto all'emanazione di ordinanza dirigenziale di regolare esecuzione dei lavori di innalzamento di tutti i comignoli dell'intero complesso.
Tale avviso, con tutta evidenza, soddisfa adeguatamente le esigenze che sono alla base della comunicazione dell'avvio del procedimento, avendo posto l'istante nelle condizioni di far valere tutte le proprie ragioni.
2. Sussiste il denunciato vizio di difetto di titolarità passiva del rapporto poiché la ricorrente ha intanto alienato gli immobili a terzi: si attribuisce rilievo decisivo, ai fini dell'efficacia, non alla data di trasmissione del provvedimento ma a quella di ricezione.
Ai sensi, infatti, dell'art. 21-bis l. n. 241/1990, il provvedimento limitativo della sfera giuridica dei privati acquista efficacia nei confronti di ciascun destinatario con la comunicazione allo stesso effettuata anche nelle forme stabilite per la notifica agli irreperibili nei casi previsti dal codice di procedura civile (articolo inserito dall'articolo 14, comma 1, della legge 11.02.2005 n. 15)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. III, sentenza 01.03.2011 n. 595 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Bando di gara - Aggiudicazione fornitura di materiale informatico e allo svolgimento dei servizi connessi - Presenza sul mercato europeo corrispondente al livello di diffusione richiesto dal capitolato - Clausola - Legittimità.
La società ricorrente aveva interesse a partecipare alla procedura in qualità di fornitore di sistemi informatici di produzione propria, ma non poteva vantare, in veste di produttore, una presenza sul mercato europeo corrispondente al livello di diffusione richiesto dal capitolato.
Tale prescrizione, ritenuta dalla società ostativa alla partecipazione, non può sostenersi avesse la finalità e l'effetto di condizionare lo svolgimento della gara in modo tale che la possibilità di accedere all'effettuazione della fornitura fosse ad appannaggio di un novero numericamente limitato di concorrenti.
Questa clausola infatti non può essere intesa quale prescrizione indicativa di un requisito soggettivo richiesto ai fini dell'ammissione alla procedura (la gara infatti non era riservata alle sole imprese produttrici di personal computers, ma aperta alla partecipazione anche di soggetti non produttori, purché fossero in grado di garantire, unitamente alla fornitura dei sistemi informatici prodotti da terzi come descritti nel capitolato, anche i connessi servizi di installazione, attivazione e manutenzione).
La clausola imponeva, infatti, solo all'aggiudicatario dell'appalto di approvvigionarsi con prodotti la cui affidabilità fosse comprovata dal raggiungimento di una determinata soglia di penetrazione del mercato (dimostrata dalla quantità di pezzi venduti dal produttore nei quattro anni precedenti la pubblicazione del bando).
La stazione appaltante ha dunque mostrato di apprezzare la penetrazione commerciale di alcuni prodotti attestati sul mercato europeo, quale dato idoneo a garantire l'efficienza tecnica dei sistemi informatici prodotti
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. III, sentenza 01.03.2011 n. 593 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: 1. Gara per trattativa privata - Violazione del codice della strada (servizio autovelox) - Attività di gestione procedimenti amministrativi - Affidamento del servizio - Revoca.
2. Procedimento amministrativo - Provvedimento di affidamento del servizio - Annullamento - Non parere negativo - Responsabile d'Area - Documentazione riserve.
3. Procedimento amministrativo - Annullamento d'ufficio a breve distanza dall'adozione - Adozione del provvedimento - Affidamento - Non sussiste.

1. Non è fondato il motivo di ricorso in cui si deduce la violazione dell'art. 7 della legge n. 241/1990, poiché l'interessata (alla quale precedentemente era stata affidata per contratto la gestione dei procedimenti amministrativi per l'accertamento della violazione del codice della strada per il servizio autovelox) ha avuto conoscenza dell'avvio del procedimento di secondo grado, volto all'annullamento dell'atto di affidamento del servizio, attraverso la comunicazione del precedente provvedimento con il quale era stata disposta la sospensione degli effetti di quel medesimo atto.
2. In merito al parere negativo del Responsabile d'Area sulla legittimità dell'annullamento del provvedimento di affidamento servizio si precisa che tale è contrario alla logica, giacché non si vede come un organo possa esprimere parere negativo ad un proprio provvedimento.
E' anche del tutto irrituale in quanto nessuna disposizione prevede che le determinazioni dei responsabili dei servizi degli enti locali debbano essere accompagnate da pareri di regolarità tecnica: l'art. 49, comma 1, del d.lgs. n. 267/2000 stabilisce che detti pareri debbono accompagnare le proposte di deliberazione della Giunta e del Consiglio (e norma di analogo tenore è contenuta nell'art. 41, comma 2, dello Statuto dell'Unione); mentre, per quanto riguarda i provvedimenti emessi dai responsabili dei servizi, l'art. 155, comma 4, dello stesso decreto prevede solo che, in caso in cui comportino impegni di spesa, questi "sono trasmessi al responsabile del servizio finanziario e sono esecutivi con l'apposizione del visto di regolarità contabile attestante la copertura finanziaria".
Il Responsabile d'Area, nell'esprimere tale irritale parere, ha quindi semplicemente voluto documentare le proprie riserve, evidentemente al fine di mettersi al riparo in caso di instaurazione di eventuali futuri giudizi di responsabilità amministrativa.
Queste riserve tuttavia non sono di per sé idonee ad inficiare la regolarità dell'operazione voluta e posta in essere dall'Amministrazione la quale, dopo aver constatato che l'affidamento annuale del servizio era contrario all'indirizzo politico espresso dai competenti organi, ha correttamente deciso di provvedere all'annullamento dell'atto che aveva disposto l'affidamento stesso.
3. Sulla dedotta violazione dell'art. 21-quinquies della legge n. 241/1990, in quanto l'Autorità amministrativa non avrebbe illustrato i motivi di pubblico interesse che l'hanno indotta a disporre la revoca del servizio, si osserva che la norma applicabile al caso di specie non è l'art. 21-quinquies della legge n. 241/1990, ma l'art. 21-nonies, della medesima legge, il quale stabilisce che "il provvedimento amministrativo illegittimo (?) può essere annullato d'ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, dall'organo che lo ha emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge".
Ciò premesso deve però osservarsi che in giurisprudenza si ritiene che quando l'annullamento d'ufficio interviene a breve distanza di tempo dall'adozione del provvedimento illegittimo, nessun ragionevole affidamento può ingenerarsi in capo al privato.
In tal caso non è quindi necessaria l'esplicitazione nel provvedimento di secondo grado dell'interesse pubblico concreto ed attuale all'annullamento, né la comparazione di tale interesse con l'interesse privato sacrificato, posto che al ricorrere di questa circostanza l'interesse pubblico all'annullamento può considerarsi in re ipsa (cfr. TAR Campania Napoli, sez. IV, 09.03.2010, n. 1323; TAR Lazio Roma, sez. III, 16.06.2009, n. 5688)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. III, sentenza 01.03.2011 n. 585 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ENTI LOCALI: Consiglio comunale - Scioglimento - Commissari nominati - Funzioni.
L'art. 141, comma 3, del D.lgs. n. 267/2000 stabilisce che in caso di scioglimento del consiglio comunale, il decreto che dispone tale misura, provvede altresì "alla nomina di un commissario, che esercita le attribuzioni conferitegli con il decreto stesso". Il successivo comma 7 del medesimo articolo prevede che, iniziata la procedura di scioglimento ed in attesa del relativo decreto "il prefetto, per motivi di grave e urgente necessità, può sospendere, per un periodo comunque non superiore a novanta giorni, i consigli comunali e provinciali e nominare un commissario per la provvisoria amministrazione dell'ente".
Da queste disposizioni normative si ricava dunque che i commissari nominati dall'autorità statale hanno la funzione di sostituire gli ordinari organi del comune affinché tali enti possano continuare ad operare, e non si determini quindi una interruzione delle fondamentali attività che questi svolgono.
Pertanto si deve ritenere che, una volta cessato dalla carica il sindaco di un comune, il commissario nominato in sua sostituzione sia titolare di tutte le prerogative che appartenevano al primo, ivi comprese quelle inerenti alle qualifiche ricoperte presso organi di enti esponenziali in rappresentanza del comune stesso, in modo da assicurare la continuità delle funzioni esercitate dalle amministrazioni partecipate
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. III, sentenza 01.03.2011 n. 585 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. Concessione di costruzione - Annullamento e revoca - Annullamento parziale - Scindibilità dell'opera - Sussiste.
2. Concessione di costruzione - Annullamento e revoca - Annullamento d'ufficio - A distanza di tempo - Contemperazione tra interesse pubblico e privato - Necessità.

1. L'annullamento parziale di una concessione edilizia riconosciuta illegittima è ammissibile solo quando l'opera autorizzata sia scindibile in modo tale da poter essere oggetto di più distinti progetti e concessioni.
La ragione di tale principio è la stessa per cui il comune può respingere o accogliere una domanda di concessione edilizia, ma non modificare il progetto, non potendosi imporre al richiedente un'opera diversa dal progetto sul quale ha chiesto la concessione.
2. Il presupposto per un legittimo esercizio del potere di annullamento d'ufficio di una concessione edilizia non può ridursi al ripristino della legalità, occorrendo dar conto della sussistenza di un interesse pubblico attuale e concreto alla rimozione del titolo edilizio e della comparazione tra tale interesse e l'entità del sacrificio imposto all'interesse privato, tanto più quando il titolare della concessione, in ragione del tempo decorso abbia maturato un legittimo affidamento in merito alla realizzazione delle opere, ovvero si sia in presenza della realizzazione di una significativa parte delle opere assentite (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 24.02.2011 n. 538 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Atto amministrativo - Contenuto e forma - Mancata indicazione Autorità per ricorrere - Non determina nullità.
L'omessa indicazione nel provvedimento dell'autorità presso cui è possibile presentare ricorso è circostanza utile a rimettere in termini il destinatario dello stesso, ma non determina alcuna nullità del provvedimento medesimo
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 24.02.2011 n. 535 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

LAVORI PUBBLICI: Progetto preliminare - Progetto definitivo - Modificazione lavori - Variante - Non è necessaria.
La vigente normativa (cfr. art. 93 del D.L.vo 2006, n. 163) articola l'attività di progettazione per l'esecuzione dei lavori pubblici secondo tre successivi livelli di approfondimenti tecnici, distinguendo il progetto preliminare, il progetto definitivo e il progetto esecutivo e spetta al progetto definitivo di individuare "compiutamente i lavori da realizzare". E' pertanto considerata del tutto fisiologica l'introduzione di modificazioni in ordine ai lavori da realizzare senza che ciò implichi l'applicazione dell'art. 19 del d.p.r. 2001 n. 327 e quindi l'approvazione di una variante da riservare alla competenza del Consiglio.
In particolare, la norma dispone espressamente che "Gli strumenti urbanistici comunali vigenti conservano efficacia fino all'approvazione del PGT e comunque non oltre la data del 31.03.2010. Fino all'adeguamento dei PRG vigenti, a norma dell'articolo 26, e comunque non oltre il predetto termine, i comuni, ad eccezione di quelli di cui al comma 2, possono procedere unicamente all'approvazione di atti di programmazione negoziata, di progetti in variante ai sensi dell'articolo 5 del decreto del Presidente della Repubblica 20.10.1998, n. 447, nonché di varianti nei casi di cui all'articolo 2, comma 2, della legge regionale 23.06.1997, n. 23 (Accelerazione del procedimento di approvazione degli strumenti urbanistici comunali e disciplina del regolamento edilizio) e di piani attuativi in variante, con la procedura di cui all'articolo 3 della predetta L.R. n. 23/1997".
Dal coordinamento tra le due norme citate deriva che, qualora l'amministrazione comunale approvi -nel periodo transitorio individuato dall'art. 25, comma 1, della legge reg. 2005 n. 12, periodo in cui si colloca la fattispecie sottesa ai ricorsi in esame- una delle varianti previste dall'art. 2, comma 2, della legge reg. 23.06.1997, n. 23, devono trovare applicazione le previsioni dell'art. 3, commi da 2 a 40, della legge reg. 05.01.2000, n. 1.
Pertanto, in questi casi deve essere applicato anche il comma 18 dell'art. 3 della legge reg. 2000 n. 1, ove si prevede che "Il comune, contestualmente al loro deposito, trasmette alla provincia competente per territorio il piano regolatore generale adottato, o le sue varianti, ovvero il piano attuativo di interesse sovracomunale adottato. La provincia, entro novanta giorni dal ricevimento degli atti, ne verifica, garantendo comunque il confronto con il comune interessato, la compatibilità con gli aspetti di carattere sovracomunale contenuti nel proprio piano territoriale di coordinamento; decorso tale termine il comune decide sulle osservazioni e procede all'approvazione in via definitiva".
Ecco, allora, che quando l'amministrazione comunale adotta una delle varianti previste dall'art. 2, comma 2, della legge reg. 23.06.1997, n. 23, secondo il meccanismo fatto salvo dall'art. 25, comma 1, della legge 2005 n. 12, deve trasmettere la variante adottata alla Provincia competente, al fine di consentire la verificazione della compatibilità della nuova disciplina urbanistica con il piano territoriale di coordinamento.
Nel caso di specie il Comune resistente ha dichiaratamente posto in essere la variante semplificata, oggetto del ricorso in esame, ai sensi della legge reg. 1997 n. 23, ma ha omesso di trasmettere alla Provincia la variante adottata, in violazione dell'art. 3, comma 18, della legge reg. 2000 n. 1, così precludendo all'Ente competente la verificazione della compatibilità della variante con il piano territoriale di coordinamento, come esattamente contestato dalla ricorrente
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. III, sentenza 18.02.2011 n. 499 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Illeciti - Segnalazione circostanziata - Attività di controllo - Presupposti.
La condanna dell'Amministrazione a pronunciarsi sull'istanza del privato presuppone l'accertamento della sussistenza dell'obbligo di pronunciarsi e che è opinione comune che tale obbligo non sussista nel caso in cui l'istanza sia palesemente infondata, nel caso di richiesta di riesame di un precedente atto di diniego (giacché in tale ipotesi vi sarebbe aggiramento dei termini decadenziali previsti dalla legge per la proposizione del gravame avverso l'atto di diniego) e, infine, secondo parte della giurisprudenza, nel caso di istanza volta ad ottenere l'estensione del giudicato in favore dei soggetti che non sono stati parte del processo.
Nel caso specifico il privato, nonostante l'Amministrazione abbia già fornito riscontro ad una sua domanda, ha formulato un'istanza avente contenuto sostanzialmente analogo a quello della precedente ed è contro i principi di ragionevolezza, buona fede e buon andamento della pubblica amministrazione, pretendere che l'Autorità sia costretta a dare continuo riscontro ad istanze che riproducono il contenuto di altre già evase.
Nel caso concreto, il Comune non si è limitato ad affermare che non è prevista e disciplinata dall'Ente l'attività di sopralluogo nell'interesse di privati; ma ha altresì affermato che "in ordine ad eventuali sopralluoghi si informa che, in aggiunta alla normale attività di vigilanza sul territorio svolta da Agenti e Funzionari di Polizia Giudiziaria, è garantito il supporto tecnico di competenza ogni qualvolta venga segnalato o riscontrato di iniziativa degli uffici in modo circostanziato, un presunto illecito nelle materie di competenza".
L'Autorità amministrativa non ha dunque declinato la propria competenza ad effettuare attività di controllo e vigilanza in materia di urbanistica ed edilizia (ed in particolare ad effettuare sopralluoghi su beni di terzi anche ad istanza di privati); ma ha semplicemente affermato che in mancanza delle indicate condizioni (segnalazione circostanziata di presunti illeciti) detta attività non viene esplicata
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. III, sentenza 18.02.2011 n. 486 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

LAVORI PUBBLICI: Lavori per opere di urbanizzazione - Né usucapione né dicatio ad patriam - Non sussiste.
E' accolto il ricorso avverso il provvedimento che ha approvato il progetto definitivo ed esecutivo di opere di opere di urbanizzazione stradali e indizione procedura di gara "aperta" implicante dichiarazione di "pubblica utilità indifferibilità ed urgenza" che sono da realizzarsi, fra l'altro, sulla porzione di terreno di proprietà della ricorrente: l'Amministrazione non ha rispettato le regole procedurali, prodromiche alla dichiarazione di pubblica utilità di un'opera (all'art. 16 del D.P.R. 08.06.2001 n. 327).
Altresì l'Amministrazione resistente ritiene di poter fondare la propria legittimazione ad eseguire i lavori sul terreno privato affermando, fra l'altro, che questo sarebbe assoggettato a demanialità da più di venti anni: il termine ventennale è un termine necessario per perfezionare l'usucapione, ed essendo pacificamente ammesso, sia in dottrina che in giurisprudenza, che anche i diritti di natura demaniale possono essere acquistati per usucapione, occorre domandarsi se, nel caso concreto, il Comune abbia acquisito per usucapione al proprio demanio il terreno di proprietà della ricorrente e la risposta non può che essere negativa. L'Amministrazione non ha in alcun modo dimostrato di aver effettivamente posseduto, per un periodo almeno ventennale, e quindi usucapito, il suddetto immobile.
Quanto alla dicatio ad patriam che consiste nel comportamento del proprietario che mette volontariamente e con carattere di continuità un proprio bene a disposizione della collettività, determinando in tal modo l'insorgere, a favore della collettività medesima, di una servitù di uso pubblico (che si distinguono dunque dalle servitù pubbliche in quanto, a differenza di queste ultime -che, al pari delle servitù private, postulano l'esistenza di due fondi- postulano l'esistenza di un solo immobile gravato da pesi direttamente funzionali alla collettività beneficiaria).
Se il terreno della ricorrente fosse stato oggetto di dicatio ad patriam e quindi se esso fosse effettivamente gravato da servitù di uso pubblico, effettivamente il Comune sarebbe legittimato ad effettuare i lavori di cui al provvedimento impugnato giacché, per pacifica opinione, si ammette che l'amministrazione locale, quale ente rappresentativo degli interessi della collettività, possa realizzare, sui beni gravati dal predetto peso, i lavori necessari ad assicurarne la pubblica fruibilità o, perlomeno, a migliorane le possibilità di fruizione mediante l'esercizio dei poteri amministrativi di sua spettanza.
Ma così non è poiché il connotato essenziale della dicatio ad patriam è quindi dato dalla volontaria messa a disposizione del bene alla collettività: è quindi necessario -in considerazione della notevole importanza degli effetti che tale comportamento determina- accertare in maniera rigorosa se nel caso concreto la volontà del proprietario
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. III, sentenze 11.02.2011 nn. 465 e 466 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

PUBBLICO IMPIEGO: Dipendenti pubblici - Legge 104 - Requisiti - Sussistenza.
I requisiti che devono ricorrere per legittimare il pubblico dipendente a chiedere di essere assegnato alla sede più vicina al domicilio dell'assistito, ai sensi dell'art. 33, l. 05.02.1992 n. 104, sono quello della continuità dell'assistenza al soggetto portatore di handicap e quello della sua esclusività.
Il comportamento dell'amministrazione che ha rigettato l'istanza del ricorrente volta all'ottenimento del trasferimento per la necessità di fornire assistenza ad entrambi i genitori di cui è figlio unico appare irrimediabilmente affetto da vizio di motivazione, essendosi l'Amministrazione limitata alla generica affermazione di avere valutato gli elementi addotti a sostegno dell'istanza nonché dell'insussistenza dei presupposti per il suo accoglimento, senza indicare concrete ragioni in fatto e/o in diritto a supporto della determinazione adottata.
Ne consegue, inoltre, il correlato vizio di insufficienza dell'istruttoria (con riferimento alla mancata valutazione da parte dell'Amministrazione di tutti gli elementi di fatto allegati all'istanza): come già rilevato in sede cautelare il provvedimento impugnato, infatti, non motiva il suo diniego in relazione alla mancanza dei requisiti della continuità dell'assistenza al soggetto portatore di handicap e della sua esclusività e neppure ha adeguatamente valutato la documentazione prodotta dall'interessato a sostegno della domanda di proroga dell'aggregazione presso la Questura di Pescara
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. III, sentenza 11.02.2011 n. 463 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: 1. Sentenza e decisione - Sentenza di annullamento - Effetto caducatorio e conformativo - Limiti.
2. Sentenza e decisione - Sentenza di annullamento - Annullamento per vizi formali - Potere dell'Amministrazione di reiterazione - Sussiste.
3. Sentenza e decisione - Sentenza di annullamento - Annullamento per difetto di motivazione - Potere dell'Amministrazione di reiterazione - Limiti.

1. L'effetto di annullamento dell'atto che consegue ad una sentenza amministrativa di accoglimento del ricorso ha una estensione caducatoria commisurata all'oggetto di impugnativa, fermo restando, per contro, che, ai fini della delimitazione dell'ambito del giudicato sotto il profilo del cosiddetto effetto conformativo dell'ulteriore attività dell'Amministrazione, occorre aver riguardo alla tipologia (meramente formale o sostanziale) e alla valenza dei motivi accolti.
2. Sotto il profilo conformativo o ordinatorio, evidentemente, il giudicato di annullamento per soli vizi formali di per sé non elimina né tendenzialmente riduce il potere dell'Amministrazione di provvedere in ordine allo stesso oggetto dell'atto annullato.
3. Qualora il vizio che porta all'annullamento dell'atto concerna il difetto di motivazione, i limiti che ne derivano all'Amministrazione che procede alla reiterazione dell'attività sono diversi a seconda che la determinazione giudiziale sia scaturita dal mero riscontro della mancanza formale dell'esternazione del processo decisionale, ovvero risulti conseguente ad un ritenuto erroneo o imperfetto processo decisionale.
In questa ultima ipotesi il vizio accertato finisce con l'identificare il momento formale di emersione di un difetto sostanziale dell'atto che ne preclude all'Amministrazione la successiva reiterazione con lo stesso contenuto di quello precedentemente annullato
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 08.02.2011 n. 396 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Vincolo Paesaggistico Ambientale - Jus Aedificandi - Condizioni.
Il vincolo paesaggistico ambientale implica un particolare regime giuridico dei beni su cui esso è apposto. Lo jus aedificandi, facoltà compresa nel diritto di proprietà dei suoli, non è, infatti, un diritto assoluto, ma sottende un interesse sottoposto a conformazione da parte della normativa di carattere urbanistico-edilizio, destinata ad interagire con altre normative settoriali ed, in particolare, con la normativa a tutela del paesaggio e dell'ambiente.
Ne consegue che se l'edificazione privata è in contrasto con le esigenze di tutela del paesaggio, non può dirsi esistente ed esercitabile un legittimo jus aedificandi
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 07.02.2011 n. 378 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Abusi - Scelta della sanzione - Criteri.
La scelta fra la misura ripristinatoria e quella meramente sanzionatoria non si fonda sulla gravità dell'abuso, ma sulla possibilità di reintegrare il bene nelle sue caratteristiche. La misura ripristinatoria costituisce lo strumento ordinario per rimediare al pregiudizio arrecato al bene vincolato, ricostituendo il suo pregio.
La sanzione pecuniaria conserva il pregiudizio arrecato al bene e può essere adottata solo qualora ciò sia compatibile con il vincolo e sia imposto da ragioni attinenti alla particolare difficoltà di esecuzione delle opere di ripristino
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 07.02.2011 n. 378 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: 1. Inquinamento - Ordini di smaltimento di rifiuti abbandonati - Imputabilità soggettiva della condotta - Obbligo di motivazione.
2. Inquinamento - Bonifica - Responsabilità del proprietario - Profili soggettivi e apporto causale del proprietario - Esclusione.

1. Sono illegittimi gli ordini di smaltimento di rifiuti abbandonati in un fondo che siano indiscriminatamente rivolti al proprietario o detentore del fondo stesso in ragione della sua sola qualità, ma in mancanza di adeguata dimostrazione da parte dell'amministrazione procedente, sulla base di un'istruttoria completa e di un'esauriente motivazione dell'imputabilità soggettiva della condotta.
2. La responsabilità posta in capo al proprietario ex art. 17, commi 10 e 11 del D.Lgs. n. 22 del 1997, è una responsabilità da posizione, non solo svincolata dai profili soggettivi del dolo o della colpa, ma che non richiede neppure l'apporto causale del proprietario responsabile al superamento o pericolo di superamento dei valori limite di contaminazione (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 07.02.2011 n. 363 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: 1. PRG - Osservazioni alla variante - Analisi separata delle Osservazioni - Non occorre.
2. Scelte discrezionali dell'amministrazione nell'adozione di strumenti urbanistici - Sindacato di legittimità - Esclusione.
3. Strumenti urbanistici generali - Motivazione necessaria - Fattispecie.

1. La disposizione di cui all'art. 3, comma 4, lett. b), Legge Regionale n. 23/1997, interpretata in un'ottica sostanzialistica, non prevede affatto che le singole osservazioni debbano essere analizzate singolarmente, ma più semplicemente obbliga l'Amministrazione a prenderle tutte in considerazione e a fornire una motivazione in relazione alle stesse.
2. Le scelte effettuate dall'Amministrazione nell'adozione degli strumenti urbanistici costituiscono apprezzamento di merito sottratto al sindacato di legittimità, salvo che non siano inficiate da errori di fatto o abnormi illogicità e che in occasione della formazione di uno strumento urbanistico generale le scelte discrezionali dell'amministrazione non necessitino di apposita motivazione, oltre quella che si può evincere dai criteri generali seguiti nell'impostazione del piano stesso.
3. Le uniche evenienze che giustificano una più incisiva e singolare motivazione degli strumenti urbanistici generali sono:
a) il superamento degli standards minimi di cui al D.M. 02.04.1968, con riferimento alle previsioni urbanistiche complessive di sovradimensionamento, indipendentemente dal riferimento alla destinazione di zona di determinate aree;
b) la lesione dell'affidamento qualificato del privato derivante da convenzioni di lottizzazione, accordi di diritto privato intercorsi fra il Comune e i proprietari delle aree, aspettative nascenti da giudicati di annullamento di concessioni edilizie o di silenzio-rifiuto su una domanda di concessione;
c) nella modificazione in zona agricola della destinazione di un'area limitata, interclusa da fondi edificati in modo non abusivo
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 04.02.2011 n. 357 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAGrava sull'amministrazione l'obbligo di effettuare una sia pur non approfondita istruttoria per verificare la sussistenza di tutte le condizioni che realizzano un qualificato collegamento soggettivo tra chi propone l'istanza e il bene oggetto dell'autorizzazione.
In sostanza, essendo possibile che un determinato intervento edilizio, pur se astrattamente conforme alle norme urbanistico-edilizie, si ponga in contrasto con diritti reali di godimento o con altre facoltà di terzi, la p.a., in sede di rilascio del titolo autorizzatorio edilizio, è tenuta a verificare l'esistenza, in capo al richiedente, di un idoneo titolo di godimento sull'area in questione, attività istruttoria, questa, rivolta non già a risolvere i conflitti tra le parti private in ordine all'assetto dominicale dell'area stessa, bensì ad accertare il requisito della legittimazione soggettiva del richiedente, sia per la notevole incidenza della concessione edilizia sugli interessi pubblici e privati coinvolti, sia per evitare il grave contenzioso che deriverebbe dall'incauto rilascio di quest'ultima a soggetti non idoneamente legittimati.

Con decisione resa da questa stessa Sezione (cfr. TAR Catania, I, 28.04.2009, n. 803), si è posta <<la questione di stabilire se e fino a che punto il comune, nel valutare la legittimità delle dichiarazioni di inizio attività e delle istanze di autorizzazione di interventi edilizi, debba spingersi nell'apprezzamento della sussistenza dal punto di vista civilistico dei titoli di legittimazione (titolarità dei diritti reali sul bene, assenza di vincoli di natura reale, servitù, consenso dei comproprietari, ecc.) e quindi dell'assenza di lesioni dei diritti reali dei terzi>>.
A questo proposito, ha ritenuto questo Tribunale <<di dover aderire all'orientamento giurisprudenziale (cfr. TAR Campania Napoli, sez. III, 19.06.2008, n. 6027) secondo il quale “grava sull'amministrazione l'obbligo di effettuare una sia pur non approfondita istruttoria per verificare la sussistenza di tutte le condizioni che realizzano un qualificato collegamento soggettivo tra chi propone l'istanza e il bene oggetto dell'autorizzazione. In sostanza, essendo possibile che un determinato intervento edilizio, pur se astrattamente conforme alle norme urbanistico-edilizie, si ponga in contrasto con diritti reali di godimento o con altre facoltà di terzi, la p.a., in sede di rilascio del titolo autorizzatorio edilizio, è tenuta a verificare l'esistenza, in capo al richiedente, di un idoneo titolo di godimento sull'area in questione, attività istruttoria, questa, rivolta non già a risolvere i conflitti tra le parti private in ordine all'assetto dominicale dell'area stessa, bensì ad accertare il requisito della legittimazione soggettiva del richiedente, sia per la notevole incidenza della concessione edilizia sugli interessi pubblici e privati coinvolti, sia per evitare il grave contenzioso che deriverebbe dall'incauto rilascio di quest'ultima a soggetti non idoneamente legittimati (Consiglio Stato , sez. V, 22.06.2000, n. 3525).
In applicazione di questi principi, il Consiglio di Stato ha affermato, nel caso al suo esame avente ad oggetto una questione di servitù altius non tollendi, che, sebbene non incomba alla p.a. procedente l'onere di verificare se l'area oggetto d'intervento sia o no gravata da servitù -anche al fine di non aggravare oltremodo il procedimento autorizzativo-, essa non può legittimamente esimersi dal considerare l'incidenza d'una servitù esistente e debitamente comprovata in sede istruttoria e tale da rendere impossibile l'attività edificatoria richiesta”
>>.
Anche nel caso sottoposto al vaglio della detta decisione, quindi, si trattava di un manufatto che avrebbe dovuto occupare un’area limitata da una servitù di passaggio, solo che su quest’ultima non vi erano contestazioni in ordine all’esistenza (e alle dimensioni).
E in quel caso, l’amministrazione comunale, pur essendo consapevole del dissenso del ricorrente, ha tuttavia ritenuto di non doverne trarre alcuna conseguenza in relazione alla legittimità della concessione, rinviando eventuali contenziosi sul punto dinanzi al giudice civile.
La sentenza 803/2009 di questo Tribunale ha chiarito che <<siffatto modo di procedere è, per altro, impedito dall’art. 36 della l.r. 27/12/1978 n. 71, il cui comma 3, stabilisce che “la qualità di proprietario o di avente titolo deve essere documentata”, con il che conclamando, per argomento a contrario, che una qualsiasi limitazione della disponibilità dell’area da occupare con la costruzione incide sul presupposto stesso richiesto per ottenere la concessione.
E ciò a prescindere dalla sussistenza di una servitù coattiva o meno, in quanto pur essendo funzionalmente diverse le due fattispecie, nessuna differenza sussiste in ordine alla limitazione della proprietà.
Né può sostenersi che all'amministrazione non spettasse un tale compito valutativo, atteso che non era richiesto alcun complicato accertamento né la risoluzione di controversie di natura civile ma solo di prendere atto della insussistenza di uno dei presupposti per la legittimità dell'intervento, e cioè la piena disponibilità dell’immobile su cui allocare la costruzione (cfr. TAR Napoli, ult. cit.)
>> (TAR Sicilia-Catania, Sez. I, sentenza 14.01.2011 n. 56 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATASalvo i casi espressamente previsti dalla legge, l’apposizione di una condizione (sia essa sospensiva o risolutiva) alla concessione edilizia è illegittima, stante la natura di accertamento costitutivo a carattere non negoziale della concessione stessa.
Vero è che nella prassi amministrativa molte concessioni edilizie vengono emesse con la previsione di specifiche “condizioni”, ma, in realtà, si tratta di “prescrizioni” (e non di vere e proprie condizioni) che, in quanto tali, non possono condizionare la legittimità del permesso di costruire.
La giurisprudenza ha già avuto modo sia di dichiarare illegittime le condizioni che subordinano la validità della concessione edilizia alla cessione gratuita di aree destinate alla realizzazione di opere pubbliche, sia di affermare che l’apposizione di condizioni illegittime può determinare l’annullamento delle condizioni stesse, senza influire sulla validità dell’intero provvedimento, che resta salvo nelle parti residue.

... il Sindaco, al termine di un’articolata istruttoria, rilasciava l’impugnata concessione edilizia n. 3/2008 del 21.1.2008, contenente, per quanto qui d’interesse, la “prescrizione/condizione” che “deve essere garantita la disponibilità gratuita del terreno per un futuro ampliamento della strada e/o per la realizzazione di un marciapiedi”.
La validità dell’impugnata concessione edilizia n. 3/2008 del 21.01.2008 risulta subordinata a specifiche “prescrizioni e condizioni”; in particolare, per quanto qui d’interesse, a quella, contestata dalla ricorrente, che dispone che “deve essere garantita la disponibilità gratuita del terreno per un futuro ampliamento della strada e/o per la realizzazione di un marciapiedi”.
Infatti, in base all’ulteriore prescrizione/condizione nella stessa contenuta, “la presente concessione s’intende valida, qualora ci sia la disponibilità da parte dei proprietari dei terreni”.
Orbene, osservato preliminarmente che la porzione di terreno che la ricorrente dovrebbe mettere gratuitamente a disposizione del Comune non risulta nemmeno identificata, va in ogni caso rilevato che, salvo i casi espressamente previsti dalla legge, l’apposizione di una condizione (sia essa sospensiva o risolutiva) alla concessione edilizia è illegittima, stante la natura di accertamento costitutivo a carattere non negoziale della concessione stessa (cfr. TRGA Bolzano, 30.03.2009, n. 120 e 08.05.1996, n. 120; TAR Brescia, 05.05.2008, n. 476; TAR Venezia, 20.10.2004, n. 3732; TAR Genova, 21.01.2000, n. 35).
Vero è che nella prassi amministrativa molte concessioni edilizie vengono emesse con la previsione di specifiche “condizioni”, ma, in realtà, si tratta di “prescrizioni” (e non di vere e proprie condizioni) che, in quanto tali, non possono condizionare la legittimità del permesso di costruire.
In particolare, per quanto attiene più specificamente al caso di specie, la giurisprudenza ha già avuto modo sia di dichiarare illegittime le condizioni che subordinano la validità della concessione edilizia alla cessione gratuita di aree destinate alla realizzazione di opere pubbliche, sia di affermare che l’apposizione di condizioni illegittime può determinare l’annullamento delle condizioni stesse, senza influire sulla validità dell’intero provvedimento, che resta salvo nelle parti residue (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 24.03.2001, n. 1702; TAR Milano, Sez. II, 18.02.1984, n. 77).
In conclusione, la condizione che subordina la validità della concessione edilizia n. 3/2008 dd. 21.01.2008 alla garanzia della disponibilità gratuita del terreno per un futuro ampliamento della strada e/o per la realizzazione di un marciapiedi è illegittima.
Atteso che la suddetta condizione accede ad un atto con forza di provvedimento amministrativo e non può, pertanto, ritenersi come non apposta, deve essere rimossa mediante il suo annullamento (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 24.03.2001, n. 1702)
(TRGA Trentino Alto Adige-Bolzano, sentenza 04.01.2011 n. 2 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ENTI LOCALI - VARISosta vietata, non serve la contestazione. La multa per divieto di sosta viene generalmente accertata dai vigili in mancanza del proprietario del veicolo.
È quindi legittimo il verbale notificato per posta al trasgressore con la mera indicazione dell'impossibilità di procedere alla contestazione, senza ulteriori dettagli.

Lo ha chiarito la Corte di Cassazione, Sez. II civile, con la sentenza 17.12.2010 n. 25646.
Un automobilista è stato sanzionato dalla polizia municipale per aver parcheggiato negligentemente in prossimità di un incrocio. Contro questa misura punitiva l'interessato ha proposto ricorso fino alla Corte di cassazione evidenziando al collegio una motivazione originale, relativa alla causale di mancata contestazione indicata nel verbale.
In pratica a parere dell'interessato gli accertatori non hanno specificato i motivi dell'omessa contestazione limitandosi a barrare la casella relativa all'impossibilità di effettuare la formalità. Il collegio ha rigettato questa censura. Normalmente l'accertamento del divieto di sosta avviene in assenza del trasgressore.
Questa condizione è legata alla natura stessa dell'infrazione per cui non serve che il verbale dettagli la mancanza dell'automobilista (articolo ItaliaOggi del 18.08.2011).

EDILIZIA PRIVATAIn via di principio e fatti salvi i casi espressamente stabiliti dalla legge, una condizione (sia essa sospensiva o risolutiva) non può essere apposta ad una concessione edilizia, stante la natura di accertamento costitutivo a carattere non negoziale del provvedimento: ne consegue che tale titolo abilitativo, una volta riscontrata la conformità del progetto alla vigente disciplina urbanistica, deve essere rilasciato dal Comune senza condizioni che non siano espressamente previste da una norma di legge.
Secondo un orientamento rigoroso, in via di principio e fatti salvi i casi espressamente stabiliti dalla legge, una condizione (sia essa sospensiva o risolutiva) non può essere apposta ad una concessione edilizia, stante la natura di accertamento costitutivo a carattere non negoziale del provvedimento: ne consegue che tale titolo abilitativo, una volta riscontrata la conformità del progetto alla vigente disciplina urbanistica, deve essere rilasciato dal Comune senza condizioni che non siano espressamente previste da una norma di legge (cfr. Consiglio di Stato, sez. V – 24/03/2001 n. 1702).
Più recentemente –ispirandosi a criteri di economicità e speditezza dell’azione amministrativa– si è precisato in quale misura la riscontrata carenza in una progettazione urbanistica od edilizia dei requisiti legali possa essere “surrogata” dall’attività dell’Ente, attraverso il rilascio di un atto di assenso variamente condizionato: la giurisprudenza ha escluso che l’amministrazione possa “conformare” nei suoi aspetti sostanziali l’intervento sottoposto al suo esame, al solo scopo di evitare un pronunciamento negativo sullo stesso: in tale ultima ipotesi, infatti, si assentirebbe un’attività urbanistica od edilizia priva di un oggettivo (e preventivo) parametro documentale di riferimento, quando il risultato dell’ulteriore attività prescritta deve necessariamente essere valutato dall’amministrazione prima del rilascio del richiesto titolo edilizio, difettando altrimenti una seria e compiuta conoscenza dell'intervento concessionato, sia nella sua consistenza materiale che nella sua rispondenza alla normativa di settore (TAR Liguria, sez. I – 08/05/2006 n. 433).
In altri casi è stato affermato che non è preclusa l’apposizione ad una concessione edilizia di una prescrizione o condizione aggiuntiva, salva tuttavia la compatibilità con il progetto nel suo insieme e la formulazione in termini sufficientemente precisi: si è aggiunto che in questi casi le clausole introdotte dall’amministrazione nell’atto concessorio trovano la loro fonte giuridica in previsioni normative –e in tal caso non possono essere considerate come vere condizioni ma quali presupposti per il valido rilascio della concessione– oppure traggono origine dall’attività discrezionale dell'amministrazione e richiedono l’accettazione del concessionario (TAR Toscana, sez. III – 14/07/2005 n. 3348) (TAR Lombardia-Brescia, sentenza 05.05.2008 n. 476 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTINel caso di partecipazione ad una gara di appalto di un raggruppamento temporaneo di imprese la cauzione provvisoria deve essere necessariamente intestata, a pena di esclusione, non già alla sola capogruppo designata, ma anche alle mandanti.
Nel caso in cui una costituenda riunione temporanea di imprese venga a costituire con la fideiussione la cauzione provvisoria, il soggetto garantito non è l'associazione temporanea di impresa (a.t.i.) nel suo complesso (non essendo ancora costituita) e non è neppure la sola capogruppo designata. Garantite, invece, sono tutte le imprese associande che, durante la gara, operano individualmente e responsabilmente nell'assolvimento degli impegni connessi alla partecipazione alla gara, ivi compreso, in caso di aggiudicazione, quello (per le future mandanti) di conferire il mandato collettivo all'impresa designata capogruppo che stipulerà il contratto con l'amministrazione.
Il fidejussore, inoltre, per assicurare in modo pieno l'operatività della garanzia di fronte ai possibili inadempimenti (coperti dalla cauzione provvisoria), deve richiamare la natura collettiva della partecipazione alla gara di più imprese, identificandole singolarmente e contestualmente e deve dichiarare di garantire con la cauzione provvisoria non solo la mancata sottoscrizione del contratto, ma anche ogni altro obbligo derivante dalla partecipazione alla gara, pena l'esclusione dal procedimento.
Pertanto, è illegittima l'ammissione di una A.T.I., avendo la stessa presentato come cauzione provvisoria una fideiussione bancaria rilasciata esclusivamente a garanzia delle obbligazioni di un'impresa all'epoca sprovvista dei poteri rappresentativi dell'altra partecipante, perché l'A.T.I. non si era ancora costituita, fideiussione nella quale, oltretutto, non si rinveniva alcun riferimento nemmeno all'A.T.I. costituenda (TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 19.04.2007 n. 1876 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI SERVIZISull'applicabilità dell'art. 75 del d.lvo n. 163/06 (Codice dei contratti pubblici) all'appalto del servizio di trasporto scolastico.
E' legittima l'esclusione da parte di un comune di un concorrente da una gara per l'affidamento dell'appalto del servizio di trasporto scolastico, in quanto la cauzione provvisoria non è stata costituita con le modalità di cui all'art. 75 del d.lgs. 163/2006 come previsto dall'art. 9 del bando di gara; in particolare, l'assegno circolare presentato come cauzione provvisoria non era corredato dall'impegno di un fideiussore a rilasciare la garanzia fideiussoria per l'esecuzione del contratto. L'obbligo per i concorrenti alla gara di presentare l'impegno suddetto va desunto per diretta applicazione dell'art. 75, c. 8, del d.lgs. 163/2006.
Il decreto in questione infatti detta la disciplina generale dei contratti pubblici, ed essendo norma di rango legislativo si applica a tutte le relative fattispecie, a prescindere dal rinvio che ad esso possano fare oppure no le norme del bando. Ritenuta applicabile in via diretta al caso di specie la norma dell'art. 75, c. 8, d.lgs. 163/2006, va poi affermato che la sua inosservanza, anche se il testo dell'articolo citato tace sul punto, è stata correttamente considerata dal Comune intimato motivo di esclusione. Per costante giurisprudenza, infatti, in tema di bandi di gara si considerano previsti a pena di esclusione sia gli adempimenti per i quali ciò sia espressamente previsto, con criterio formale, ma anche, con criterio sostanziale, quegli adempimenti non sanzionati in modo espresso, che tuttavia rispondano ad un particolare interesse della p.a. appaltante.
A tale ultimo criterio risponde all'evidenza la previsione in esame, dato che è di preminente rilievo per l'amministrazione garantirsi il corretto e continuo espletamento del servizio attraverso la garanzia fideiussoria prestata dall'aggiudicatario (TAR Lombardia-Brescia,
sentenza 19.04.2007 n. 410 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTISul potere discrezionale della p.a. nel caso l'oggetto contrattuale sia mutato di decidere se indire subito una gara per concludere il contratto relativo ovvero soprassedere.
In presenza di un oggetto contrattuale mutato è apprezzamento ampiamente discrezionale della p.a. decidere se indire subito una gara per concludere il contratto relativo ovvero soprassedere, e tale ultima decisione non può dirsi di per sé illogica ovvero contraria al pubblico interesse, a meno che essa non appaia affetta da evidenti contraddizioni logiche.
Pertanto, in tale caso, ricorre uno dei casi che ai sensi dell'art. 21-quinquies l. 241/1990 legittimano la revoca del provvedimento, cioè il mutamento della situazione di fatto (TAR Lombardia-Brescia,
sentenza 19.04.2007 n. 408 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Nel caso di ambiguità delle previsioni della lex specialis deve a pena di illegittimità preferirsi l'opzione che consente la maggiore partecipazione.
Nell'ambiguità delle previsioni della lex specialis, deve a pena di illegittimità (non già degli atti di gara ma della loro applicazione) preferirsi l'opzione che consente la maggiore partecipazione; nonché la conservazione degli stessi atti indittivi là dove una opzione interpretativa diversa li collochi nell'alveo della illegittimità.
Pertanto, nel caso di giudizio proposto avverso il bando di gara, avente per oggetto la fornitura di un autoveicolo da adibire a scuolabus, ritenuto illegittimo perché indicava espressamente la marca ed il tipo del veicolo da fornire, pur dinanzi alla indicazione di specifiche caratteristiche del mezzo, deve attribuirsi prevalenza e decisività alla prevista ammissibilità di mezzi equivalenti; risultando altrimenti illegittima la lex specialis diversamente interpretata nel senso di lasciare priva di effetti la consentita equivalenza, e compromesso il favor partecipationis.
Sicché, alla luce dei richiamati principi, la lex specialis doveva e deve interpretarsi nel senso dell'ammissibilità dell'offerta costituita da veicolo "equivalente" e ciò anche a prescindere dalla ulteriore circostanza afferente all'esito della gara che si è conclusa per sorteggio tra due offerte economiche equiordinate (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 12.04.2007 n. 1725 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Sulla legittimità dell'esclusione di un'impresa da una gara per non aver dichiarato che il legale rappresentante della società aveva riportato una condanna penale.
E' legittima l'esclusione da una gara di un'impresa per aver omesso di dichiarare che il legale rappresentante della società aveva riportato una condanna penale.
La giurisprudenza al riguardo afferma che, se si eccettuano i reati relativi a condotte delittuose individuate dalla normativa antimafia, in assenza di parametri normativi fissi e predeterminati, la verifica dell'incidenza dei reati commessi dal legale rappresentante dell'impresa sulla moralità professionale della stessa attiene all'esercizio del potere discrezionale della P.A. e deve essere valutata attraverso la disamina in concreto delle caratteristiche dell'appalto, del tipo di condanna, della natura e delle concrete modalità di commissione del reato.
Pertanto, l'esistenza di false dichiarazioni sul possesso dei requisiti, quali la mancata dichiarazione di sentenze penali di condanna, si configura come causa autonoma di esclusione dalla gara (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 12.04.2007 n. 1723 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

EDILIZIA PRIVATABENI CULTURALI E AMBIENTALI - Soprintendente ai BB.CC.AA. - Decreto di annullamento - Mancanza di un'adeguata motivazione - Illegittimità - Fattispecie: volume tecnico da adibire a vano caldaia.
E' illegittimo il decreto di annullamento della Soprintendente ai BB.CC.AA. quando manca di una adeguata motivazione in ordine alle ragioni che renderebbero incompatibile l’intervento autorizzato -nella specie consistente in un semplice volume tecnico da adibire a vano caldaia, posto su un terrazzino interno della abitazione- con il contesto ambientale sottoposto a vincolo (Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 12.04.2007 n. 1690 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATASuperamento di barriere architettoniche - L. 13/1989 - Ambito soggettivo di applicazione.
Tra i soggetti tutelati dalle norme di legge speciale n. 13/1989, rientrano, oltre ai portatori di handicap, anche gli invalidi civili (Trib. Firenze 19.05.1992, n. 849), nonché gli ultrasessantacinquenni che abbiano difficoltà persistenti a svolgere i compiti e le funzioni della loro età (Trib. Napoli 14.03.1994, n. 2606; conf. Pretura Roma 15.05.1996).
Superamento di barriere architettoniche - L. n. 13/1989 - Finalità - “Incentivi reali” - Applicazione - Presenza di un handicappato nel condominio - Necessità - Esclusione.
La finalità della legge n. 13/1989 è quella di assicurare l’accessibilità, l’adattabilità e la visitabilità degli edifici, con ciò prescindendosi dall’esistenza di un diritto reale o personale di godimento da parte di un soggetto minorato, essendo unicamente rilevante l’obiettiva attitudine dell’edificio, anche privato, ad essere fruito da parte di qualsiasi soggetto; conformemente alla finalità così individuata, non è necessaria la presenza di un handicappato nel condominio ai fini dell’applicazione dei cosiddetti incentivi reali al superamento delle barriere architettoniche (artt. 2-7 della L. n. 13/1989), in quanto ciò che rileva è garantire l’effettivo svolgimento della vita di relazione da parte del soggetto minorato anche al di fuori della sua abitazione; a diverse conclusioni deve giungersi con riguardo alla parte dedicata agli incentivi economici (artt. 8-12), che invece richiedono l’effettiva residenza del minorato nell’edificio.
Superamento delle barriere architettoniche - Interventi su beni soggetti a tutela - Diniego - Art. 4 L. n. 13/1989 - Motivazione - Obbligo di esternazione della natura e della gravità del pregiudizio al bene tutelato.
In base alle disposizioni di cui alla L. n. 13/1989 (art. 4, IV e V comma) è possibile opporre il diniego alla realizzazione di interventi destinati ad eliminare o superare le barriere architettoniche anche su beni soggetti a tutela “solo nei casi in cui non sia possibile realizzare le opere senza un serio pregiudizio per il bene tutelato”, con conseguente obbligo per l’amministrazione, in caso di pronuncia negativa, di esternare la natura e la gravità del pregiudizio rilevato “…in rapporto al complesso in cui l’opera si colloca e con riferimento a tutte le alternative eventualmente prospettate dall’interessato” (TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 05.04.2007 n. 1122 - link a www.ambientediritto.it).

AMBIENTE-ECOLOGIAINQUINAMENTO - Circolazione stradale - Provvedimento di limitazione del traffico - Istruttoria - Ponderazione degli interessi dei singoli incisi dall’adottanda misura di regolamentazione - Necessità - Esclusione.
Il provvedimento che limita il traffico in ambito urbano deve essere preceduto da un’attenta considerazione degli effetti che esso produce sulla salute, sulla sicurezza della circolazione, sul territorio, sul patrimonio ambientale e culturale e potrà opportunamente valutare anche gli interessi delle categorie di persone che, per ragioni professionali o meno, siano interessate dalla limitazione, ma non è ipotizzabile che, nell’ambito dell’attività istruttoria, debba trovar posto anche la ponderazione degli interessi dei singoli che, più o meno direttamente, siano incisi dall’adottanda misura di regolamentazione (TAR Piemonte, Sez. I,
sentenza 04.04.2007 n. 1562 - (link a www.ambientediritto.it).

APPALTI: Non costituisce una causa di inammissibilità dell'offerta il mancato versamento del contributo all'Autorità di vigilanza per il 2006 (Consiglio di Stato, Sez. VI, ordinanza 03.04.2007 n. 1725).
(cfr. in senso contrario: TAR Lazio-Roma, Sez. III,
sentenza 21.03.2007 n. 2454; TAR Sicilia-Palermo, Sez. III, sentenza 11.12.2006 n. 3888 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI SERVIZI: Obbligo di gara pubblica per affidare i restauri. Il Comune non può affidare i lavori di manutenzione dei beni culturali a proprie società.
Il Comune non può affidare i lavori di manutenzione dei beni culturali a società sulle quali abbia il controllo (cosiddetto affidamento “in house”), ma deve ricorrere a procedure ad evidenza pubblica (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 03.04.2007 n. 1514 - link a www.aziendalex.kataweb.it).

AMBIENTE-ECOLOGIAINQUINAMENTO ACUSTICO - Disturbi alla quiete pubblica - Parcheggio di una stazione di servizio - Assimilabilità ad un’area pubblica - Fondamento - Potere del sindaco di regolamentare la sosta - Sussistenza.
Il parcheggio di una stazione di servizio, quale opera accessoria e complementare di una strada, è assimilabile, per le sue caratteristiche intrinseche, ad una area pubblica (cfr. Cass. Pen., sez. IV, 13.05.1988, che ha ritenuto applicabile la disciplina del codice della strada ad un’area appartenente a privati, se l'uso di essa è consentito a tutti, essendo l'uso pubblico o privato che rende applicabile alle aree la disciplina specifica sulla circolazione stradale -o meno- e non già l'appartenenza delle stesse a enti pubblici o a privati).
In quanto pertinenza stradale, sussiste quindi il potere del sindaco di regolamentare la sosta su di esso, al non illogico fine di impedire l’indebito utilizzo da automobilisti e eventuali disturbi alla quiete pubblica (TAR Lazio-Roma, Sez. II-ter,
sentenza 02.04.2007 n. 2822 - (link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Ristrutturazione degli edifici per adeguarli alle norme previste per il risparmio energetico - Disposizioni contenute nell’art. 2, c. 6 e 7, del D.M. 27.07.2005 - Consentono di non computare nei volumi dell’edificio quelli impegnati da pannelli esterni di coibentazione - Operatività anche in difetto di recepimento negli strumenti urbanistici comunali.
L’art. 2, commi 6 e 7, del decreto del Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti 27.07.2005, in materia di risparmio energetico negli edifici, può trovare immediata applicazione, anche prima dell’adeguamento dei piani urbanistici comunali.
Tale articolo, pur stabilendo che i Comuni abbiano l’obbligo di adeguare i propri strumenti urbanistici per migliorare lo sfruttamento delle radiazioni solari quale fonte di calore, fornendo indicazioni in ordine all’orientamento dei fabbricati e alla utilizzazione di elementi di tamponatura delle facciate di notevole spessore, ha previsto, con disposizione da ritenere immediatamente precettiva, lo scorporo dal calcolo dei volumi massimi previsti nelle diverse zone urbanistiche, degli spessori di tali elementi di tamponatura nelle parti eccedenti i 30 cm., fino ad un massimo di 25 cm. (TAR Marche, Sez. I,
sentenza 30.03.2007 n. 448 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Abusi edilizi - Istanza di un proprietario limitrofo con la quale si chiede l’adozione di provvedimenti repressivi di abusi edilizi - Obbligo della P.A. di provvedere - Sussiste.
In materia edilizia, il Comune è tenuto a provvedere alle richieste dei cittadini nel caso in cui chiedano l’eliminazione di abusi edilizi o, comunque, il rispetto della normativa edilizia.
Nel caso di segnalazione da parte di un privato della presumibile esistenza di illeciti edilizi, l’ente locale è obbligato all’attivazione del procedimento di controllo e, all’esito dello stesso, laddove sia acclarata la sussistenza di abusi, l’attivazione e alla conclusione del procedimento sanzionatorio (TAR Campania-Salerno, Sez. II,
sentenza 28.03.2007 n. 312 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Sui requisiti di di capacità economica e finanziaria ed in particolare sulle referenze bancarie: interpretazione dell'art. 41 del D.Lgs. n. 163/2006.
Secondo il disposto dell'art. 41, c. 1, D.Lgs. 12.04.2006, n. 163, i requisiti di capacità economica e finanziaria possano essere dimostrati per il tramite della presentazione di "uno o più dei seguenti documenti:
a) idonee dichiarazioni bancarie;
b) bilanci o estratti dei bilanci dell'impresa;
c) dichiarazione concernente il fatturato globale d'impresa e l'importo relativo ai servizi o forniture nel settore oggetto della gara, realizzati negli ultimi tre esercizi
"; in particolare, quanto alle idonee dichiarazioni bancarie, l'art. 41, c. 4, precisa che tale requisito è comprovato con dichiarazione di almeno due istituti bancari o intermediari autorizzati.
La fissazione, ad opera del legislatore, delle modalità relative alla dimostrazione della capacità economica e finanziaria, peraltro, appare temperata dalla previsione dell'art. 41, c. 3, D.Lgs. n. 163/2006 secondo cui "se il concorrente non è in grado, per giustificati motivi, ivi compreso quello concernente la costituzione o l'inizio dell'attività da meno di tre anni, di presentare le referenze richieste, può provare la propria capacità economica e finanziaria mediante qualsiasi altro documento considerato idoneo dalla stazione appaltante".
Non v'è dubbio che tale ultima previsione sia da riferire all'intero disposto del c. 1 dell'art. 41 D.Lgs. n. 163/2006 e, conseguentemente, anche alle dichiarazioni bancarie indicate nell'art. 41, c. 1, lett. a), e c. 4, D.Lgs. n. 163/2006. Pertanto, la presentazione di idonee referenze bancarie comprovate dalla dichiarazione di "almeno due istituti bancari o intermediari autorizzati", non può considerarsi quale requisito "rigido", dovendosi conciliare l'esigenza della dimostrazione dei requisiti partecipativi con il principio della massima partecipazione alle gare di appalto, con conseguente necessità di prevedere dei temperamenti rispetto a quelle imprese che non siano in grado, per giustificati motivi, di presentare le referenze indicate (TAR Lazio-Roma, Sez. III,
sentenza 27.03.2007 n. 2661 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

AMBIENTE-ECOLOGIARIFIUTI - Abbandono incontrollato di rifiuti in area di proprietà comunale - Responsabilità del sindaco - Sussiste - Delega di funzioni - Carattere tecnico - operativo - Dirigente comunale - Art. 51, c. 2, DLvo 22/1997 - D. L.vo n. 152/2006.
In caso di abbandono incontrollato di rifiuti su area di proprietà comunale, compete al Sindaco il potere, di porre in essere i necessari atti di indirizzo e di mettere il delegato in condizione di operare adeguatamente, (nella specie, delega di funzioni, mentre la gestione amministrativa del settore ed ogni ulteriore problema di carattere tecnico - operativo spetta al dirigente comunale).
Né è invocabile, nel caso in esame, il principio secondo il quale il controllo dell'organo elettivo e di governo è limitato alla verifica del corretto svolgimento degli obiettivi di programmazione generale perché una tale programmazione non è stata effettuata; né è applicabile la regola secondo la quale il Sindaco non deve interferire ed invadere le sfere di competenza dei delegati che, nei compiti di gestione loro affidati, operano in piena autonomia.
Sicché, va riconosciuta la responsabilità del Sindaco specie qualora gli sia noto che lo smaltimento sia in violazione della legge avendo concordato con il responsabile dell’area tecnica le modalità di gestione dell’area comunale (Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 26.03.2007 n. 12434 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATABENI CULTURALI E AMBIENTALI - Cose immobili e mobili che presentano interesse artistico storico, archeologico, o demo-etno-antropologico - Forme di protezione e di tutela - Elenco - Valore costitutivo - Esclusione - Art. 5 T.U. n. 490/1999 - D.P.R. n. 283/2000 - D.Lgs. n. 42/2004.
La natura non costitutiva dell’elenco di cui all’art. 5 del T.U. n. 490 del 1999 non esclude la necessità che l’organo preposto alla tutela dei beni culturali avvii correttamente il procedimento volto alla verifica del carattere pregiato del bene pubblico e alla conseguente imposizione del regime protettivo; è tanto più necessario un atto espresso di riconoscimento del rilievo culturale quanto maggiori sono gli interessi configgenti e, soprattutto, quando il bene non è assistito da nessuna presunzione di interesse culturale.
In conclusione emerge, che sicuramente l’elenco non ha un valore costitutivo, ma anche che il bene di proprietà dell’ente locale deve presentare comunque un interesse culturale perché, a prescindere dall’inclusione nell’elenco, possono scattare le forme di protezione e di tutela di cui al Titolo I del decreto legislativo n. 490 del 1999 (ora sostituito dal “Codice” di cui al D.Lgs. 22.01.2004 n. 42) (Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 23.03.2007 n. 1413 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTI SERVIZINel caso di trattativa privata relativa ad un appalto di servizio di valore eccedente la soglia comunitaria la procedura deve essere preceduta dalla pubblicazione di un bando di gara.
In una procedura in cui il valore dell'appalto di servizi eccede la soglia comunitaria si applica il disposto di cui all'art. 7 del d.lgs. 17.03.1995, n. 157, secondo cui anche nel caso di trattativa privata la procedura deve essere preceduta dalla pubblicazione di un bando di gara con il rispetto, quindi, delle disposizioni relative alla sua pubblicazione e dei termini fissati dal legislatore comunitario (direttiva 92/50/CEE) e recepiti con il decreto legislativo anzidetto.
Nel caso di specie, ciò è del tutto mancato, con il conseguente pregiudizio per le concorrenti di dover formulare offerte in termini molto inferiori rispetto a quelli previsti dalla norma primaria e senza possibilità, quindi (anche per l'assenza di criteri valutativi preventivamente definiti) di formulare offerte sufficientemente meditate (laddove, peraltro, una delle concorrenti era, invece, da tempo in possesso di tutti i dati conoscitivi utili alla formulazione di un'offerta completa).
Pertanto, è illegittimo l'affidamento a trattativa privata del servizio di telefonia disposto da un comune ad una società in quanto la procedura in questione non avrebbe potuto essere sottratta alla pubblicizzazione mediante apposito bando di gara essendo il valore dell'appalto eccedente la soglia comunitaria (Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 22.03.2007 n. 1369 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTISulla legittimità dell'esclusione di un'impresa da una gara per l'appalto di lavori pubblici nel caso in cui non abbia allegato all'offerta la documentazione che dimostri l'avvenuto pagamento del contributo all'Autorità per la vigilanza sui LL.PP..
In via generale, l'esclusione da una gara d'appalto per ragioni di carattere formale può essere disposta sulla base di inequivocabili precetti contenuti negli atti di gara (bando, lettera di invito): la precisa indicazione dell'adempimento formale richiesto e l' altrettanto precisa indicazione della sanzione comminata; cosicché solo in mancanza di una sufficiente chiarezza nei dati formali in questione, è illegittima l'esclusione di un'impresa disposta dall'amministrazione appaltante, dovendo semmai questa disporre un'integrazione documentale al fine di verificare il possesso dei requisiti richiesti a pena di esclusione.
Nel caso di specie non sono ravvisabili incertezze nelle prescrizioni di gara. Ne consegue che, è legittima l'esclusione di un'impresa da una gara per l'appalto di lavori pubblici nel caso in cui l'impresa stessa non abbia presentato, in allegato all'offerta, la documentazione che dimostri l'avvenuto pagamento del contributo all'Autorità per la vigilanza sui Lavori Pubblici, previsto dall'art. 1, commi 65 e 66 della legge n. 266 del 2005 e dalla successiva deliberazione dell'Autorità di vigilanza del 26.01.2006 e riportato nel bando di gara ai punti E e 9 (TAR Lazio-Roma, Sez. III,
sentenza 21.03.2007 n. 2454 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

EDILIZIA PRIVATAArea interessata ad un intervento edilizio - Deliberazione del Consiglio Comunale sulla localizzazione - Atto provvedimentale di contenuto potenzialmente lesivo - Configurazione - Fattispecie.
Una deliberazione del Consiglio Comunale, determinata in considerazione di pareri istruttori, dai quali si evince la necessità della localizzazione di un'area interessata all’intervento edilizio costituisce a tutti gli effetti atto provvedimentale, di contenuto potenzialmente lesivo, collegabile all’esercizio dell’espressione di una precisa volontà politica. Fattispecie: diniego espresso dal Consiglio Comunale all'approvazione degli atti relativi alla realizzazione di una centrale termoelettrica alimentata da combustibile derivato da rifiuti e biomasse.
RIFIUTI - Realizzazione di una centrale termoelettrica alimentata da combustibile derivato da rifiuti e biomasse - Valutazione delle problematiche ambientali attinenti alla zona - Acquisizione di ulteriori elementi d’ufficio - Legittimità - Fattispecie: autoannullamento e rigetto della concessione edilizia.
E' legittima la richiesta dell’Amministrazione, di acquisire d’ufficio, prima di deliberare in ordine alla localizzazione di una centrale termoelettrica, una relazione tecnica sugli effetti della coesistenza di tale opera con gli impianti per rifiuti speciali già realizzati nella medesima zona, al fine di potersi più compiutamente soddisfare l’esigenza per il Comune di esaminare e valutare le problematiche ambientali attinenti alla zona oggetto d'intervento. Fattispecie: procedimento di autoannullamento della concessione edilizia e conseguente rigetto dell'istanza di concessione edilizia (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 20.03.2007 n. 1345 - link a www.ambientediritto.it).

ATTI AMMINISTRATIVIObbligo di motivazione - Contenuto nella valutazione complessiva dell’atto - Sufficienza.
L’obbligo di motivazione può ritenersi adeguatamente assolto quando la stessa emerga agevolmente dalla valutazione complessiva dell’atto (Cons. St., Sez. V, 20.10.2004, n. 6814; Sez. IV 06.10.2003, n. 6814) (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 20.03.2007 n. 1343 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTIOfferta anormalmente bassa - Esclusione dalla gara - Verifica dell’attendibilità dell’offerta - Criterio del prezzo più basso - Criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa - Aggiudicazione - Dir. 93/37/CEE - Dir. 92/50/CEE - L. n. 109/1994 e s.m. - D.P.R. n. 554/1999.
In materia di appalti di servizi pubblici, ai sensi dell’art. 30, comma 4, della Direttiva 93/37/CEE, come pure dall’art. 37 della Direttiva 92/50/CEE, si evince con sufficiente chiarezza che il diritto comunitario si limita a prescrivere l’obbligo dell’Amministrazione di procedere, prima di escluderla dalla gara, alla verifica dell’attendibilità di una offerta che risulti anormalmente bassa, senza peraltro imporre procedure o modalità di determinazione (in tal senso, Cons. St., Sez. IV, 12.01.2005 n. 43).
Quanto alla materia dei lavori pubblici l’art. 21, comma 1-bis, della legge n. 109 del 1994 e s.m., in sede di recepimento delle dette Direttive, prevede che, negli appalti da aggiudicare con il criterio del prezzo più basso, si considerino anormalmente basse, e quindi siano da sottoporre a verifica, le offerte che presentino un ribasso pari o superiore ad una determinata media aritmetica, minutamente disciplinata.
Quanto agli appalti in cui l’aggiudicazione avviene con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, il Regolamento di attuazione di cui al d.P.R. n. 554 del 1999, stabilisce, all’art. 91, comma 4, che la stazione appaltante “può” procedere alla verifica di cui all’art. 64, comma 6, dello stesso decreto, che, a sua volta, dispone che la verifica della congruità dell’offerta “può” essere prevista dal bando quando “i punti relativi al prezzo e la somma dei punti relativi agli altri elementi di valutazione sono pari o superiori a quattro quinti dei corrispondenti punti massimi previsti dal bando di gara”.
Sistema dell’offerta più vantaggiosa - Verifica dell’anomalia - Modalità di verifica più idonee - Discrezionalità dell’Amministrazione.
L’interpretazione sistematica del quadro normativo nazionale e comunitario, esclude che la verifica dell’anomalia, in caso di aggiudicazione con il sistema dell’offerta più vantaggiosa, sia soggetta a condizioni che ne limitino l’esercizio e ne fissino inderogabilmente le modalità. L’Amministrazione, infatti, ha la facoltà, almeno nel sistema dell’offerta più vantaggiosa, di individuare le offerte che ritenga anormalmente basse secondo le modalità che considera più idonee.
Verifica dell’attendibilità di un’offerta - Potestà Amministrativa - Nuova disciplina D.Lgs. n. 163/2006 “Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE”.
In merito alla verifica dell’attendibilità di una offerta che risulti anormalmente bassa, la normativa regolamentare rimette alla discrezionalità dell’Amministrazione di prevedere nella lex specialis il controllo dell’anomalia nei casi in cui si verifichino le circostanze contenute nel Regolamento di attuazione in sede di recepimento delle Direttive in materia.
Tuttavia, deve essere escluso che detta normativa possa assumere il significato di impedire all’Amministrazione di individuare l’anomalia adottando altro criterio di valutazione che meglio si attagli alle peculiarità della gara bandita. (Il metodo di individuazione dell’anomalia alla specificità della gara, trova conferma nella nuova disciplina della materia dettata dal d.lgs. 12.04.2006 n. 163, di attuazione delle Direttive 2004/17CE e 2004/18/CE, sebbene non in vigore all’epoca dei fatti).
Codice dei contratti pubblici - Individuazione di casi di anomalia diversi da quelli prestabiliti - Facoltà all’Amministrazione - Sussistenza.
La nuova disciplina dettata dal d.lgs. 12.04.2006 n. 163, di attuazione delle Direttive 2004/17CE e 2004/18/CE, “Codice dei contratti pubblici” riserva la facoltà all’Amministrazione di ipotizzare autonomamente, “in base ad elementi specifici”, casi di anomalia diversi da quelli prestabiliti.
Offerta anomala - Argomentazioni chiarificatrici - Sottoposizione allo stesso organo tecnico - Necessità.
Le argomentazioni chiarificatrici fornite dall’Impresa devono essere sottoposte allo stesso organo tecnico che, a norma dell’art. 21, comma 4, della legge n. 109/1994, è deputato alla valutazione delle offerte, in quanto dotato delle necessarie competenze tecniche (Consiglio di Stato Sez. V, 28.06.2002 n. 3566).
Nella specie, l’Impresa è stata messa nelle condizioni di esporre compiutamente le proprie ragioni, sicché la pretesa di ottenere un nuovo colloquio, rimasta insoddisfatta, non può determinare un vizio della procedura.
Verifica di anomalia - Aggiudicazione definitiva - Commissione giudicatrice e P.A. - Compiti.
Una volta esaurito il compito tecnico rimesso alla commissione giudicatrice, l’Amministrazione non può riaprire l’istruttoria, per compiere nuove ed autonome valutazioni di merito, contrastando con l’impianto stesso delle procedure ad evidenza pubblica.
Sicché, in sede di aggiudicazione definitiva, l’Amministrazione, eseguito un controllo sulla regolarità formale degli atti di gara, deve soltanto esprimere la volontà di procedere, ovvero non procedere all’adozione dell’atto conclusivo, che assume rilevanza proprio ed esclusivamente per tale preciso contenuto.
Ribadendo, che le valutazioni assunte in sede di esame delle giustificazioni delle concorrenti, la cui offerta è sottoposta a verifica di anomalia, costituiscono esercizio di discrezionalità tecnica non suscettibile di sindacato giurisdizionale, salvo i casi di macroscopico errore o grave illogicità (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 20.03.2007 n. 1343 - link a www.ambientediritto.it).

LAVORI PUBBLICI: Sulla facoltà per l'amministrazione, in un appalto da aggiudicare con il sistema della offerta più vantaggiosa, di individuare le offerte che ritenga anormalmente basse secondo le modalità che considera più idonee.
La verifica dell'anomalia, in caso di aggiudicazione con il sistema dell'offerta più vantaggiosa, non è soggetta a condizioni che ne limitino l'esercizio e ne fissino inderogabilmente le modalità. L'Amministrazione ha la facoltà, almeno nel sistema dell'offerta più vantaggiosa, di individuare le offerte che ritenga anormalmente basse secondo le modalità che considera più idonee.
Negli appalti in cui l'aggiudicazione avviene con il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa, il Regolamento di attuazione di cui al d.P.R. n. 554 del 1999, stabilisce, all'art. 91, c. 4, che la stazione appaltante "può" procedere alla verifica di cui all'art. 64, c. 6, dello stesso decreto, che, a sua volta, dispone che la verifica della congruità dell'offerta "può" essere prevista dal bando quando "i punti relativi al prezzo e la somma dei punti relativi agli altri elementi di valutazione sono pari o superiori a quattro quinti dei corrispondenti punti massimi previsti dal bando di gara.".
Appare evidente che, nel silenzio della legge sul punto, la normativa regolamentare rimetta alla discrezionalità dell'Amministrazione di prevedere nella lex specialis di dar corso alla verifica dell'anomalia quando si verifichino le circostanze sopra illustrate, ma la detta normativa non può assumere il significato di impedire all'Amministrazione di individuare l'anomalia adottando altro criterio di valutazione che meglio si attagli alle peculiarità della gara bandita (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 20.03.2007 n. 1343 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

ESPROPRIAZIONEOccupazione di una parte maggiore di quanto enunciato nell’atto di esproprio - Comportamento illecito dell’amministrazione - Risarcimento e domanda di restituzione - Competente giudice civile - Sindacabilità del G.A. - Esclusione.
L’occupazione di una parte maggiore di quanto enunciato nell’atto di esproprio non attiene ai vizi di legittimità del provvedimento, sindacabili dal giudice amministrativo, ma alla sua esecuzione, da censurare innanzi al giudice civile, competente a conoscere degli eventuali danni prodotti all’espropriato dal comportamento illecito dell’amministrazione a disporne l’eventuale risarcimento (ex plurimis Cass., sez. I, 14.01.2000, n. 350) e a decidere sulla domanda di restituzione.
Pertanto, è inammissibile la censura del ricorso introduttivo nella quale il ricorrente afferma che, relativamente alla particella di sua proprietà, le operazioni di occupazione sarebbero avvenute per quattrocento metri in più di quanto riportato nel provvedimento (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 20.03.2007 n. 1338 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTI SERVIZI: La valutazione dell'incidenza dei reati finanziari sulla moralità professionale di un partecipante ad un appalto, non è rimessa alla valutazione della stazione appaltante, ma è espressamente definita dal legislatore.
L'incidenza dei reati finanziari, sulla moralità professionale del soggetto che aspira ad essere parte di un contratto di appalto di servizi con l'Amministrazione pubblica, non è rimessa alla valutazione della stazione appaltante, ma è espressamente definita, a priori, dalla stesso legislatore, che ascrive alla particolare natura del reato, sotto l'aspetto sostanziale, una tale lesività degli interessi collettivi, da non consentire che il servizio sia affidato a coloro che li hanno commessi.
Pertanto, è legittima l'esclusione dalla gara di una ATI conseguente agli accertati precedenti penali a carico del Presidente del consiglio di amministrazione e procuratore della società mandante (fra l'altro, sentenza di condanna ex artt. 444 c.p.p., per la commissione, di un reato finanziario non dichiarato estinto) di cui non era stata fatta menzione nella apposita dichiarazione resa all'atto della partecipazione alla gara, con la quale, al contrario, la concorrente aveva dichiarato l'insussistenza di alcuna delle cause di esclusione di cui all'art. 12 D.Lgs. 157/1995 (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 20.03.2007 n. 1331 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

EDILIZIA PRIVATAOpera abusiva - Irrogazione della sanzione pecuniaria in luogo della demolizione - Presupposti e limiti - Demolizione tecnicamente impossibile - Costosità della demolizione - Ininfluenza - Fattispecie.
L’irrogazione della sanzione pecuniaria in luogo della demolizione è consentita dalla legge solo quando la demolizione sia impossibile, s’intende tecnicamente, e non quando sia costosa.
Nella specie, l’autorità comunale ha giustificato la sanzione pecuniaria con la costosità della demolizione, tale motivazione stata ritenuta illogica e illegittima, sia perché essa vanifica la sanzione della demolizione prevista dalla legge (tutte le demolizioni essendo costose), sia perché la demolizione è a spese del contravventore e non già del comune (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 20.03.2007 n. 1325 - link a www.ambientediritto.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Atto amministrativo concessorio - Presupposto della fattispecie di reato - Disapplicazione da parte del giudice penale - Inconfigurabilità - Ragioni.
Nel caso di accertata difformità da disposizioni legislative o regolamentari, ovvero dalle prescrizioni degli strumenti urbanistici, non si configura una non consentita "disapplicazione", da parte del giudice penale dell'atto amministrativo concessorio (vedi Cass., Sez. Un., 12.11.1993, Borgia), in quanto lo stesso giudice, qualora come presupposto o elemento costitutivo di una fattispecie di reato sia previsto un atto amministrativo ovvero l'autorizzazione del comportamento del privato da parte di un organo pubblico, non deve limitarsi a verificare l'esistenza ontologica dell'atto o provvedimento amministrativo, ma deve verificare l'integrazione o meno della fattispecie penale, "in vista dell'interesse sostanziale che tale fattispecie assume a tutela, nella quale gli elementi di natura extrapenale convergono organicamente, assumendo un significato descrittivo" (vedi Cass., Sez. Un., 28.11.2001, Salvini; nonché Sez. VI, 18.03.1998, n. 3396, Calisse ed altro) (TRIBUNALE di Cosenza, Sez. II penale,
ordinanza 20.03.2007 - link a www.ambientediritto.it).
EDILIZIA PRIVATA: Struttura autonoma destinata a parcheggio realizzata con l’edificazione di cinque piani - Edificazione in deroga ex art. 9 legge Tognoli - Applicabilità - Esclusione.
La struttura autonoma destinata a parcheggio, realizzata con l’edificazione di cinque piani fuori terra, non rientra nell’ipotesi di edificazione in deroga agli strumenti urbanistici, di cui alla legge Tognoli (articolo 9 L. 122/1989), ostandovi la stessa lettera della norma, riferita a parcheggi pertinenziali di immobili privati da realizzare nel sottosuolo o nei locali siti al piano terreno dei fabbricati (TRIBUNALE di Cosenza, Sez. II penale,
ordinanza 20.03.2007 - link a www.ambientediritto.it).
EDILIZIA PRIVATA: Opera abusiva in relazione alla quale siano ormai perfezionati gli elementi costitutivi del reato - Sequestro preventivo - Ammissibilità - Fondamento.
In materia urbanistica, l'esigenza cautelare richiesta dalla legge per disporre il sequestro preventivo è ipotizzabile anche per i reati per i quali si siano perfezionati gli elementi costitutivi, in quanto, anche ultimata, l'opera abusiva continua a proiettare le sua conseguenze negative sul regolare assetto del territorio, perpetuando nel tempo l'offesa del bene tutelato e quindi l'esigenza di evitare che il danno sia portato a conseguenze ulteriori (Cass. 2000, n. 1551).
In effetti, in tema di sequestro preventivo, le "conseguenze" che il legislatore intende neutralizzare attraverso il provvedimento non sono identificabili ne' con la condotta dei reati formali ne' con l'evento naturalistico, che integra la consumazione dei reati materiali, ma sono anche quelle "ulteriori" rispetto alla condotta tipica realizzata.
Per tale ragione il sequestro preventivo può essere disposto anche quando sia cessata la condotta o si siano perfezionati gli elementi costitutivi del reato in relazione al quale la misura viene adottata (TRIBUNALE di Cosenza, Sez. II penale,
ordinanza 20.03.2007 - link a www.ambientediritto.it).

AMBIENTE-ECOLOGIABonifica di siti contaminati - D.M. 471/1999 - Parametri previsti per le aree residenziali - Obiettivo - Immobile adibito ad attività produttiva ubicato in area residenziale - Parametri applicabili.
In materia di bonifica dei siti inquinati, i limiti più severi (rispetto a quelli dettati per le zone industriali) previsti dal D.M. n. 471/1999, all. 1, tab. A, per le aree residenziali sono riconducibili all’obiettivo di tutelare non il singolo immobile, ma l’intera area circostante.
Ne deriva la legittimità dell’ordinanza di bonifica che faccia riferimento alla classificazione urbanistica residenziale della zona, richiamandone i relativi parametri, senza tener conto che l’immobile interessato è adibito ad attività produttiva (TAR Toscana, Sez. II,
sentenza 14.03.2007 n. 339 - link a www.ambientediritto.it).

PUBBLICO IMPIEGOTermini nel procedimento disciplinare nel pubblico impiego.
Per gli impiegati statali, è illegittima la sanzione disciplinare, quando non vi è stato il rispetto del termine minimo dilatorio di 10 giorni che deve intercorrere fra l’acquisita conoscenza della convocazione e la data fissata per la trattazione orale avanti al Consiglio di disciplina, come prevede l’art. 20, 2° comma, del D.P.R. 25.10.1981, n. 737 (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 13.03.2007 n. 1232 - link a www.altalex.com).

EDILIZIA PRIVATABENI CULTURALI E AMBIENTALI - Difformità dall’autorizzazione - Violazione paesaggistica - Tutela ambientale Rapporto tra Art. 44, lett. c), D.P.R. n. 380/2001 e art. 181 D. L.vo n. 42/2004.
In materia di violazione paesaggistica, l'articolo 181 del decreto legislativo del 22.01.2004 n. 42 punisce con le pene ora previste dall'articolo 44, lettera c), del D.P.R. n. 380 del 2001 chiunque, senza la prescritta autorizzazione o in difformità da essa, esegue lavori di qualsiasi genere su beni paesaggistici.
La norma, in materia di tutela ambientale, non distingue tra difformità totale e difformità parziale per cui, escluse le attività consentite, qualsiasi difformità rispetto all'autorizzazione è idonea a configurare il reato purché abbia un'oggettiva possibilità d'impatto sul paesaggio. Pertanto è logica la previsione di un'unica sanzione applicabile sia per la mancanza dell'autorizzazione che per la difformità da essa.
BENI CULTURALI E AMBIENTALI - Rapporto tra disciplina urbanistica e tutela ambientale - Bene tutelato - Configurabilità del reato - D.P.R. n. 380/2001 e D. L.vo n. 42/2004.
Il problema di individuare se l'indagato ha costruito in difformità dalla concessione e dall'autorizzazione paesaggistica, si pone solo per la disciplina urbanistica perché per la configurabilità del reato paesaggistico, è sufficiente una qualsiasi difformità, purché astrattamente idonea a ledere il bene tutelato (Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 12.03.2007 n. 10479 - link a www.ambientediritto.it).
EDILIZIA PRIVATAPosizionamento fabbricato - Difformità totale o parziale Autonoma utilizzabilità e specifica rilevanza - Art. 31 del D.P.R. n. 380/2001 (testo unico sull’edilizia).
A i sensi dell'articolo 31 del D.P.R. n. 380/2001 (testo unico sull’edilizia), si verifica la difformità totale allorché l'opera realizzata è diversa per caratteristiche topologiche, planovolumetriche o di utilizzazione da quella oggetto del permesso stesso ovvero allorché vengono realizzati volumi edilizi oltre i limiti indicati nel progetto e tali da costituire un organismo edilizio o parte di esso con specifica rilevanza ed autonomamente utilizzabile.
La totale difformità, in linea di massima sussiste, allorché i lavori riguardino un'opera diversa per conformazione, struttura, destinazione o ubicazione rispetto a quella assentita ovvero allorché vengono realizzati volumi oltre i limiti del progetto approvato. In quest'ultimo caso però l'opera abusiva deve presentare il duplice requisito dell'autonoma utilizzabilità e della specifica rilevanza.
Per l'autonoma utilizzabilità non si richiede però che la struttura difforme sia separata da quella assentita, ma solo che sia suscettibile di un uso diverso o indipendente da quello dell'opera autorizzata (ad esempio trasformazione di un sottotetto in mansarda Cass. 5891 del 1990). Con riferimento alla specifica rilevanza la norma si riferisce non ad una qualsiasi difformità ma a quella che abbia una rilevanza apprezzabile, sia in modo oggettivo, sia con riferimento alla struttura realizzata (Cfr. Cass. Sez. III 3350 del 2004). Si ha difformità parziale allorché le opere apportino variazioni circoscritte in senso qualitativo o quantitativo all'opera assentita.
Traslazione delle unità abitative - Presentazione della domanda di condono - Sequestro preventivo Legittimità.
La presentazione della domanda di condono per la traslazione delle unità abitative non impedisce, il compimento di atti urgenti, quale può essere un sequestro preventivo (cfr per tutte Cass. Sez. III 18.05.2005 n. 18426) (Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 12.03.2007 n. 10479 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTI SERVIZIAttività contrattuale della PA: inderogabilità ai principi dell’evidenza pubblica.
Per l’affidamento dei servizi pubblici locali, l’obbligo di seguire le procedure concorsuali pubbliche discende direttamente dalle norme e dai principi desumibili dagli artt. 3 e 6 del regio-decreto n. 2440 del 1923 e dall'art. 41 del regio-decreto n. 827 del 1924.
Le disposizioni de quibus impongono, per ogni attività contrattuale della P.A., il ricorso a procedure concorsuali aperte ai soggetti idonei per eseguire opere o servizi e per fornire beni alle amministrazioni stesse.
Ciò, in ossequio ai principi costituzionali di imparzialità e di buon andamento dell'azione amministrativa ed ai i principi comunitari di trasparenza e di libera concorrenza.
E’, infatti, da escludere che un ritardo imputabile alla stessa amministrazione possa giustificare la deroga ai principi dell'evidenza pubblica ed il ricorso alla trattativa privata.
Pertanto, la possibilità dell’affidamento diretto a trattativa privata è circoscritta ad alcune condizioni eccezionali, la cui sussistenza deve essere provata e giustificata debitamente e specificamente dall’amministrazione procedente
(TAR Campania-Napoli, Sez. I, sentenza 12.03.2007 n. 1781 - link a www.altalex.com).

APPALTI SERVIZI: L'affidamento dei servizi pubblici locali mediante trattativa privata è circoscritta ad alcune condizioni eccezionali, la cui sussistenza deve essere provata e giustificata dall'amministrazione procedente.
L'obbligo di seguire le procedure concorsuali pubbliche per l'affidamento dei servizi pubblici locali, discende direttamente dalle norme e dai principi desumibili dagli artt. 3 e 6 del r.d. n. 2440 del 1923, e dall'art. 41 del r.d. n. 827 del 1924.
Tali disposizioni (coerentemente con i principi costituzionali di imparzialità e di buon andamento dell'azione amministrativa, nonché con i principi comunitari di trasparenza e di libera concorrenza) impongono, per ogni attività contrattuale della pubblica amministrazione, il ricorso a procedure concorsuali aperte ai soggetti idonei per eseguire opere o servizi e per fornire beni alle amministrazioni stesse. A fronte di ciò la possibilità dell'affidamento diretto a trattativa privata è circoscritta ad alcune condizioni eccezionali, la cui sussistenza deve essere provata e giustificata dall'amministrazione procedente.
L'urgenza derivante dalla inadeguatezza del servizio svolto dalla precedente società affidataria del servizio dimostra semmai l'inerzia del comune nell'adottare tempestivamente le iniziative appropriate per risolvere i problemi connessi allo svolgimento di questo servizio.
Pertanto, è da escludere che un ritardo imputabile alla stessa amministrazione possa giustificare la deroga ai principi dell'evidenza pubblica ed il ricorso alla trattativa privata (TAR Campania, Napoli, Sez. I,
sentenza 12.03.2007 n. 1781 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

EDILIZIA PRIVATABoschi e foreste – Nozione di bosco – Aree parzialmente boscate – Presenza di muri di cinta.
In assenza di una più precisa definizione normativa, la nozione di bosco deve essere riferita non soltanto ai terreni completamente coperti da boschi o foreste, ma anche, per identità di ratio, a tutte le aree parzialmente boscate, a condizione che siano concretamente inserite in un contesto forestale e senza che possa assumere alcun rilievo la costruzione di eventuali muri di cinta o analoghi manufatti che delimitino una parte più o meno estesa del bosco medesimo (nella specie, è stato ritenuto che la zona oggetto di contestazione, limitrofa al bosco, ma caratterizzata da sporadici alberi di alto fusto in un contesto di edifici residenziali, non potesse essere considerata area boscata) (TAR Piemonte, Sez. I,
sentenza 10.03.2007 n. 1174 - link a www.ambientediritto.it).

PUBBLICO IMPIEGODipendenti pubblici: sostituzione del titolare e retribuilità di mansioni superiori.
Non può essere corrisposto il pagamento delle differenze retributive per le mansioni superiori svolte al dipendente che sostituisce il titolare momentaneamente assente (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 06.03.2007 n. 1048 - link a www.altalex.com).

EDILIZIA PRIVATA: Inquinamento elettromagnetico – Impianti radioelettrici – Potestà regolamentare comunale – Art. 8, c. 6, L. n. 36/2001 – Minimizzazione dell’esposizione ai campi elettromagnetici - Individuazione di siti sensibili – Legittimità.
La potestà assegnata al Comune dall’art. 8, comma sesto, della legge 22.06.2001, n. 36, di regolamentare “il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti e di minimizzare l’esposizione della popolazione ai campi radioelettrici” può tradursi nell’introduzione, sotto il profilo urbanistico, di regole a tutela di zone e beni di particolare pregio paesaggistico/ambientale o storico/artistico ovvero, per ciò che riguarda la minimizzazione dell’esposizione ai campi elettromagnetici, nell’individuazione di siti che per destinazione d’uso e qualità degli utenti possano essere considerati sensibili alle immissioni radioelettriche (cfr. tra le altre, la decisione della Sezione 05.06.2006, n. 3332).
Inquinamento elettromagnetico – Stazioni radio base – Norma regolamentare comunale – Divieto di installazione a meno di 50 metri da asili nido e scuole materne – Computo della distanza in presenza di pertinenze.
In materia di inquinamento elettromagnetico, il riferimento al perimetro esterno di asili nido e scuole materne, contenuto nella norma regolamentare comunale che vieta l’installazione di stazioni radio base a meno di cinquanta metri dai predetti edifici, va rapportato, logicamente, anche a quegli spazi, immediatamente contigui ai detti edifici, in cui viene pure normalmente svolta l’attività propria di detti istituti che, altrimenti, verrebbe svuotata di ogni efficacia di tutela di situazioni particolarmente sensibili propria della norma in esame, volta ad escludere che i campi elettromagnetici sprigionati dalle apparecchiature di cui si tratta possano investire in modo costante i giovanissimi che svolgano all’aperto la normale attività ludica, trattandosi di soggetti maggiormente esposti in quanto neppure protetti dalle strutture murarie (nella specie, era contestata l’applicabilità della norma con riferimento alle pertinenze dell’edificio destinato ad asilo nido) (Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 03.03.2007 n. 1017 - link a www.ambientediritto.it).

AMBIENTE-ECOLOGIARIFIUTI - Pneumatici fuori uso - Nozione di rifiuti - D.lgs 152/2006 e D.Lvo. 22/1997 - Disciplina applicabile - Pneumatici "fuori uso" e c.d, pneumatici ricostruibili - Differenza.
La nozione di rifiuti è attualmente ristretta ai soli pneumatici "fuori uso" (rimanendone esclusi, i c.d, pneumatici ricostruibili) ciò in quanto l'art. 23 della legge 31.07.2002, n. 179 ha disposto che "all'allegato A [del d.lgs 22/1997] le parole: "16.01.03 pneumatici usati" sono sostituite dalle seguenti: "16.01.03 pneumatici fuori uso" ed, attualmente, sia l'art. 228 che l'allegato A) -voce 16.01.03- del d.lgs 152/2006, contemplano anch'essi nella categoria dei rifiuti unicamente i "pneumatici fuori uso" (a differenza da quanto indicato nell’originaria formulazione del D.Lv. 22/1997).
RIFIUTI - Gestione di rifiuti - Assenza di autorizzazione - Natura del reato - Fattispecie: attività di gestione dei rifiuti in modo secondario o consequenziale all'esercizio di una attività primaria.
Il reato di attività di gestione di rifiuti in assenza di autorizzazione, previsto dall'art. 51 del d.lgs 05.02.1997 n. 22, non ha natura di reato proprio integrabile soltanto da soggetti esercenti professionalmente una attività di gestione di rifiuti, ma costituisce una ipotesi di reato comune che può essere pertanto commesso anche da chi esercita attività di gestione dei rifiuti in modo secondario o consequenziale all'esercizio di una attività primaria diversa (ex plurimis Sez. 3, n. 16698 del 11/02/2004 Rv. 227956) (Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 01.03.2007 n. 8679 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATAReati edilizi - Condono - Opere non residenziali - Esclusione della condonabilità - Fattispecie: muro di contenimento - Art. 4 D. L. n. 398/1993 conv. L. n. 493/1993 - L. n. 662/1996.
Sono escluse dal condono edilizio tutte le opere a destinazione non residenziale. Pertanto, la costruzione di un terrapieno, costituito da un muro con funzione di contenimento con notevoli dimensioni (così come nella specie) non è soggetta alla semplice denuncia di inizio dei lavori, ai sensi dell'art. 4 del D.L.. 05.10.1993 n. 398, convertito in L. 04.12.1993 n. 493, come sostituito dall'art. 2, comma 60, della legge 23.12.1996 n. 662 (Cass., Sez. III, 17.07.1999-29.09.1999, n. 11126).
In conclusione, per la realizzazione di un terrapieno costituito da un muro con funzione di contenimento di notevoli dimensioni è necessario il permesso di costruire.
Condono edilizio - Nuove costruzioni non residenziali - Esclusione - Procedimenti penali per violazioni edilizie - L. n. 326/2003 - Art. 44 L. n.47/1985.
I procedimenti penali per violazioni edilizie relative a nuove costruzioni non residenziali non possono essere sottoposti, durante la pendenza dei termini di presentazione del cd. condono edilizio, alla sospensione prevista dall'art. 44 della legge 28.02.1985 n. 47, cui rinviano le disposizioni di cui al decreto legge 30.09.2003 n. 269, convertito con legge 24.11.2003 n. 326, atteso che l'art. 32 del citato decreto n. 289 limita l'applicabilità del condono edilizio alle sole nuove costruzioni residenziali Cass., Sez. III, 17.02.2004-24.03.2004, n. 14436, (Conf. Cass., Sez. 3, 18.11.2003-29.01.2004, n. 3358).
Né rileva la conservazione degli effetti penali perché comunque non risulta un'oblazione ritualmente perfezionata con il pagamento della somma dovuta.
Reati urbanistici - Abusivismo edilizio - Condono - Sospensione - Limiti - Requisiti per la condonabilità - Necessità.
In materia di reati edilizi, la sospensione di cui all'art. 44 della legge 28.02.1985 n. 47 non è automatica e non va applicata a tutti i procedimenti per reati urbanistici astrattamente interessati al condono, ma solo a quelli aventi ad oggetto opere che abbiano oggettivamente i requisiti per la condonabilità ex art. 32 del D.L. 30.09.2003 n. 326 (nella specie l'opera abusiva non risultava suscettibile di sanatoria, in quanto costruzione di tipo non-residenziale, realizzata in assenza del titolo abilitativo) (Cass. Pen. Sez. III, 06.04.2004-07.05.2004, Sentenza n. 21679) (Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 27.02.2007 n. 8067 - link a www.ambientediritto.it).

CONSIGLIERI COMUNALIAccesso agli atti del consigliere comunale ed esigenze burocratiche dell'ente.
Il diritto di accesso agli atti di un consigliere comunale non può subire compressioni per pretese esigenze di natura burocratica dell’Ente, tali da ostacolare l’esercizio del mandato istituzionale (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 22.02.2007 n. 929 - link a www.altalex.com).

COMPETENZE GESTIONALIRiparto di attribuzione tra organi - Artt. 42 e 48 del d.lgs. n. 267/2000 - Convenzioni tra soggetti pubblici - Competenza consiliare - Strumenti convenzionali con soggetti privati - Competenza residuale della giunta.
In base ai generali principi in tema di riparto di attribuzione fra gli organi (anche) provinciali rinvenibili agli articoli 42 e 48 del d.lgs. 267/2000, spettano alla competenza consiliare le convenzioni concluse tra soggetti pubblici, mentre sono correttamente attribuite alla competenza residuale della giunta le diverse ipotesi di strumenti convenzionali con soggetti privati riconducibili alla figura degli accordi ex art. 11, l. n. 241 del 1990 (TAR Puglia-Lecce, Sez. I,
sentenza 22.02.2007 n. 617 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATARIFIUTI - Materiali da demolizioni edilizie - Reimpiego - Rifiuti speciali - Test di cessione dei materiali provenienti da demolizioni - D. L.vo n. 152/2006.
L'art. 14 del D.L. 08.07.2002 n. 138, convertito con modificazioni dalla L. 08.08.2002 n. 178, è stato abrogato dall'art. 264, comma 1, lett. l), del D. L.vo 03.04.2006 n. 152, mentre ai sensi dell'art. 184, comma 3 lett. b) del medesimo testo normativo i materiali provenienti da attività di demolizione rientrano nella categoria dei rifiuti speciali, senza che risulti riprodotta dal nuovo codice in materia ambientale l'eccezione alla applicabilità della normativa sui rifiuti di cui all'abrogato articolo 14 della L. n. 178/2002.
RIFIUTI - Demolizione edilizia - Materiali - Smaltimento di rifiuti speciali non pericolosi - Test di cessione - Pregiudizio all'ambiente - Codice in materia ambientale - Art. 51, c. 1°, lett. a), D.Lgs. n. 22/1997 - Art. 14 D.L. n. 138/2002 - D. L.vo n. 152/2006.
In materia di rifiuti da demolizione è stato reiteratamente affermato, il principio di diritto, che nella vigenza dell’art. 14 del D.L. n. 138/2002, convertito in L. n. 178/2002, "i materiali provenienti da demolizione edilizia sono rifiuti speciali non pericolosi e possono essere riutilizzati nello stesso od in diverso ciclo produttivo - ad esempio nelle opere di riempimento -previo preventivo "test di cessione" degli stessi, in conformità al D.M. 5 febbraio 1998, in modo da non recare pregiudizio all'ambiente; in assenza del menzionato test ogni recupero dei materiali cosiddetti di risulta integra la contravvenzione di cui all'art. 51, comma primo, lett. a) del D.Lgs. n. 22 del 1997" (sez. III, 200430127, Piacentino, RV 229467; conf. sez. III, 200536955, P.M. in proc. Noto ed altri, RV 232192) (Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 15.02.2007 n. 6435    (link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATAVolumi tecnici e vani di sgombero - Nozione, differenza e funzione.
"Volumi tecnici" sono i volumi -non utilizzabili né adattabili ad uso abitativo- strettamente necessari a contenere ed a consentire l'eccesso di quelle parti degli impianti tecnici che non possono, per esigenze tecniche di funzionalità degli impianti stessi, trovare allocazione all'interno della parte abitativa dell'edificio realizzabile nei limiti imposti dalle norme urbanistiche.
I "vani di sgombero" non sono, invece, volumi tecnici, poiché assolvono funzioni complementari all'abitazione (Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 15.02.2007 n. 6415 - link a www.ambientediritto.it).
EDILIZIA PRIVATAConcessione in sanatoria - Rilascio - Conformità urbanistica - Verifica - Attività vincolata della PA - Art. 36 T.U. n. 380/2001.
Ai fini del corretto esercizio della conformità alla normativa urbanistica si pone quale presupposto indispensabile, per il rilascio della concessione in sanatoria ex art. 13 della legge n. 47/1985, la necessità che l'opera sia "conforme agli strumenti urbanistici generali e di attuazione approvati e non in contrasto con quelli adottati, sia al momento della realizzazione dell'opera, sia al momento della presentazione della domanda" (secondo l'attuale formulazione dell'art. 36 T.U. n. 380/2001, l'intervento deve risultare "conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda").
Il rilascio del provvedimento sanante, inoltre, consegue ad un'attività vincolata della PA, consistente nell'applicazione alla fattispecie concreta di previsioni legislative ed urbanistiche a formulazione compiuta e non elastica, che non lasciano all'Amministrazione medesima spazi per valutazioni di ordine discrezionale.
Sanatoria di un'opera diversa da quella effettivamente realizzata - Poteri del giudice penale - Mancanza della conformità alla normativa urbanistica - Concessione - Estinzione reati - Esclusione - Art. 36 del T.U. n. 380/2001 (già art. 13 L. n. 47/1985) - Art. 22 e 13 della legge n. 47/1985 (già artt. 36 e 45 del T.U. 380/2001) - Fattispecie.
Gli art. 22 e 13 della legge n. 47/1985 (le cui previsioni sono state trasfuse negli art. 36 e 45 del T.U. 380/2001) vanno interpretati in stretta connessione ai fini della declaratoria di estinzione dei "reati contravvenzionali previsti dalle norme urbanistiche vigenti" e il giudice penale, pertanto, ha il potere-dovere di verificare la legittimità della concessione edilizia rilasciata "in sanatoria" e di accertare che l'opera realizzata sia conforme alla normativa urbanistica.
In mancanza di tale conformità, infatti, la concessione non estingue i reati ed il mancato effetto estintivo non si ricollega ad una valutazione di illegittimità del provvedimento della P.A. cui consegua la disapplicazione dello stesso ex art. 5 della legge 20.03.1865, n. 2248, all. E), bensì alla effettuata verifica della inesistenza dei presupposti di fatto e di diritto dell'estinzione del reato in sede di esercizio del doveroso sindacato della legittimità del fatto estintivo incidente sulla fattispecie tipica penale (vedi Cass., Sez. III. 30.05.2000, Marinaro; 07.03.1997, n. 2256, Tessari e altro; 24.05.1996, Buratti e altro). Fattispecie: opera realizzata, in zona assoggettata a vincolo paesaggistico, in assenza di concessione edilizia, la sopraelevazione di un manufatto in muratura con annessa pensilina parapioggia (Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 15.02.2007 n. 6415 - link a www.ambientediritto.it).

PUBBLICO IMPIEGOFerie non godute del pubblico dipendente e presupposti del compenso sostitutivo.
Il permanere in servizio per svolgere delle incombenze d’ufficio, come frutto di una scelta personale, rendendo materialmente impossibile la fruizione delle ferie, pur essendo un comportamento meritevole del più favorevole apprezzamento, non può avere conseguenze di ordine retributivo, quale il pagamento sostitutivo, che la legge collega al diverso presupposto del diniego espresso dall’Amministrazione per esigenze di servizio (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 12.02.2007 n. 560 - link a www.altalex.com).

ATTI AMMINISTRATIVI: Provvedimento amministrativo privo di motivazione e termini di impugnazione.
I Giudici di Palazzo Spada ribadiscono che il privato destinatario dell’atto amministrativo non può essere gravato da un onere di impugnazione, per così dire, al buio, sin dal momento in cui ha notizia dell’esistenza del provvedimento sfavorevole, senza conoscerne il contenuto e senza poterne valutare la legittimità “… laddove l’amministrazione comunichi l’esistenza del provvedimento sfavorevole, senza comunicarne la motivazione, il destinatario ha una mera facoltà, ma non un onere, di impugnare subito l’atto e poi articolare i motivi aggiunti, ma ben può attendere di conoscere la motivazione dell’atto per valutare se impugnarlo o meno.”
Conseguentemente, non si può pretendere una doppia impugnazione, prima dell’atto in quanto tale, poi della sua motivazione, in quanto illegittima, con certezza di aggravio di costi per il ricorrente.
Il Consiglio di Stato ribadisce l’orientamento giurisprudenziale tradizionale secondo cui la piena conoscenza dell’atto amministrativo si ha solo dal momento in cui si conoscano gli elementi fondamentali dell’atto amministrativo ed i vizi dell’atto: l’effetto lesivo non deriva solo dall’essere il provvedimento sfavorevole, ma dall’essere illegittimamente sfavorevole.
Pertanto, ai fini della decorrenza del termine di impugnazione di un provvedimento, non basta la mera notizia dell’esistenza del provvedimento sfavorevole, risultando, invece, indispensabile la conoscenza della motivazione
(Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 08.02.2007 n. 522 - link a www.altalex.com).

EDILIZIA PRIVATAAREE PROTETTE - FAUNA E FLORA - Taglio di alberi - Riserva naturale delimitazione del territorio - Decreto istitutivo - Notorietà dell'imposizione del vincolo - Ininfluenza.
L'eventuale mancanza di cartelli di segnalazioni circa la presenza di un vincolo non esclude l'elemento psicologico del reato paesaggistico qualora la natura stessa dell'intervento (nella fattispecie, sbancamento di roccia e taglio di alberi su una superficie di 11.000 mq).
Inoltre il decreto istitutivo di una riserva naturale viene pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della regione con l'indicazione della delimitazione del territorio e quindi deve ritenersi noto ai proprietari dei suoli siti nella zona.
AREE PROTETTE - BENI CULTURALI E AMBIENTALI - BOSCHI E FORESTE - Lavori di sbancamento della roccia e taglio di alberi - Permesso di costruire - Autorizzazione paesaggistica - Nulla osta dell'ente - Artt. 110 c.p. 146 lett. f) , 151 e 163 D. L.vo n. 490/1999 e s.m..
Per la realizzazione di interventi in aree protette (parchi nazionali e regionali, riserve naturali ecc.) occorrono tre distinti ed autonomi provvedimenti autorizzativi: il permesso di costruire, l'autorizzazione paesaggistica e, ove necessario, il nulla osta dell'ente che gestisce la riserva naturale (nella specie, vincolo imposto da una riserva naturale alle prescrizioni urbanistiche).
Invero il permesso di costruire é necessario tutte le volte che venga alterata la morfologia del territorio anche con scavi e sbancamenti diversi da quelli agricoli mentre gli le altre due autorizzazioni servono a valutare la compatibilità paesaggistica dell'intervento (Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 07.02.2007 n. 5022 - link a www.ambientediritto.it).

ATTI AMMINISTRATIVINullità dell'atto amministrativo in assenza di sottoscrizione.
La mancata sottoscrizione di un atto amministrativo da parte dell’incaricato o funzionario dell’Amministrazione comporta la sua nullità, in quanto viene a mancare un elemento essenziale dell’atto stesso (TAR Liguria, Sez. II, sentenza 07.02.2007 n. 169 - link a www.altalex.com).

APPALTI SERVIZI: Il termine previsto dall'articolo 113, c. 15-bis, del Dlvo 267/2000 per le concessioni di servizi pubblici non si applica per l'affidamento a seguito di licitazione privata.
L'art. 113, c. 15-bis, del D.Lgs. n. 267 del 2000, come modificato dall'art. 14, 1 c., del D.L. n. 269 del 2003 e poi dall'art. 4, c. 234, della L. n. 350 del 2003, prevede che "Nel caso in cui le disposizioni previste per i singoli settori non stabiliscano un congruo periodo di transizione, ai fini dell'attuazione delle disposizioni previste nel presente articolo, le concessioni rilasciate con procedure diverse dall'evidenza pubblica cessano comunque entro e non oltre la data del 31.12.2006, relativamente al solo servizio idrico integrato al 31.12.2007, senza necessità di apposita deliberazione dell'ente affidante".
Sono da annoverarsi tra quelle ad "evidenza pubblica" le procedure, sia aperte come l'appalto concorso, che ristrette come la licitazione privata, precedute da un bando sufficientemente aperto alla libera concorrenza. Pertanto, non si applica il suddetto art. 113, c. 15-bis, del D.Lgs. n. 267 del 2000 alle concessioni affidate mediante licitazione privata (TAR Lazio-Roma, Sez. II-ter,
sentenza 06.02.2007 n. 905 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

VARI: L'autostrada paga l'incidente per il cane. L’automobilista che subisce danni per la presenza di un ostacolo ha diritto al risarcimento.
Chi sbanda con l’automobile in autostrada per evitare un cane improvvisamente comparso in mezzo alla carreggiata può chiedere i danni alla società autostrade (Corte di Cassazione, Sez. III civile, sentenza 02.02.2007 n. 2308 - link a www.cittadinolex.kataweb.it).

PUBBLICO IMPIEGORimborso spese legali al dipendente pubblico assolto: ammontare e limite.
Il rimborso delle spese legali, sostenute nei giudizi intrapresi nei confronti dei dipendenti delle Amministrazioni statali per responsabilità civili, penali ed amministrative, in conseguenza di fatti ed atti connessi con l'espletamento del servizio o con l'assolvimento di obblighi istituzionali e conclusi con sentenza che escluda la loro responsabilità, deve essere effettuato, ai sensi dell'art. 18 del d.l. n. 67 del 1997, convertito in legge n. 135/97, nei limiti riconosciuti congrui dall'Avvocatura dello Stato (Corte di Cassazione, Sez. lavoro, sentenza 23.01.2007 n. 1418 - link a www.altalex.com).

EDILIZIA PRIVATADistanze minime tra fabbricati: la lettura della c.d. ''distanza lineare''.
Quanto alle modalità di calcolo della distanza, il Collegio che, anche accettando, in linea di principio, il criterio del computo in modo “lineare" e non “radiale” della distanza minima tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti, il D.M. cit. sottolinei che la distanza debba essere “assoluta” e prescritta “in tutti i casi”.
Si deve pertanto convenire che debba essere calcolata con riferimento ad ogni punto dei fabbricati e non alle sole parti che si fronteggiano ed indipendentemente dal fatto che la parete sopraelevata si trovi alla medesima o a diversa altezza rispetto all’altra
(TAR Toscana, Sez. III, sentenza 22.01.2007 n. 55 - link a www.altalex.com).

PUBBLICO IMPIEGO: Falsa dichiarazione in un concorso e decadenza del dipendente pubblico.
E’ legittimo il provvedimento di decadenza di un dipendente pubblico, scoperto di essere in servizio in virtù di una sua falsa dichiarazione sostitutiva di certificazione resa con l’istanza di partecipazione ad un bando di concorso (TAR Lazio-Roma, Sez. III-bis, sentenza 17.01.2007 n. 345 - link a www.altalex.com).

EDILIZIA PRIVATALegittimazione a porre in essere interventi edilizi su beni in comunione.
Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza amministrativa, il Comune ha l’obbligo, nel corso dell’istruttoria sul rilascio del permesso di costruire, ai sensi dell’art. 4 L. n. 10 del 1977 e ora dell’art. 11 del D.P.R. n. 380 del 2001, di verificare che esista il titolo per intervenire sull’immobile per il quale è richiesto il permesso di costruire e che, quindi, questo sia rilasciato al proprietario dell’area o a chi abbia titolo per richiederla.
La verifica del Comune deve consistere proprio nell’accertare, alla stregua delle diverse ipotesi disciplinate dall’art. 1108 codice civile se –in riferimento all’effettiva consistenza dell’intervento e alla incidenza dello stesso sul godimento del bene comune da parte di tutti i comproprietari- tale fatto sia o no idoneo a legittimare i soggetti istanti ad ottenere l’assentimento a sanatoria delle modificazioni dai medesimi apportate all’immobile in comunione.
In particolare, il primo comma del citato articolo 1108 del c.c., dopo avere previsto la possibilità, per i partecipanti alla comunione, di disporre tutte le innovazioni dirette al miglioramento o a rendere più comodo o redditizio il godimento del bene in comunione a condizione che l’intervento abbia l’approvazione almeno dei proprietari dei due terzi del valore complessivo del bene comune, di seguito impone due tipi di limitazioni a tale possibilità.
In primo luogo, le innovazioni approvate a maggioranza non devono recare pregiudizio al godimento del bene comune da parte di alcuno dei comproprietari e, in secondo luogo le stesse non possono comportare una spesa eccessivamente gravosa.
Pertanto, dal chiaro dettato della disposizione si evince che, qualora ricorra uno di questi casi, la suddetta maggioranza qualificata dei comproprietari non sia sufficiente ad autorizzare l’intervento innovativo, essendo al riguardo necessario l’espresso consenso della totalità della proprietà comune
(TAR Emilia Romagna-Parma, sentenza 10.01.2007 n. 7 - link a www.altalex.com).

ATTI AMMINISTRATIVIEsercizio del diritto di accesso e posizione del controinteressato.
In materia di diritto di accesso, la posizione di controinteressato non va ancorata al solo dato formale della menzione del soggetto negli atti e nei documenti cui si riferisce l’accesso oppure al dato estrinseco che gli atti e i documenti medesimi riguardino tale soggetto, ma anche al dato sostanziale della serietà e meritevolezza di tutela nel merito della posizione del controinteressato all’accesso, nel senso che occorre valutare la sussistenza della fondatezza di un’eventuale opposizione da parte di quest’ultimo soggetto.
Ciò risulta confermato anche dall’art. 22 della legge n. 241/1990 come modificato dalla legge n. 15/2005 che, nell’introdurre la nozione di “controinteressati”, li ha identificati in quei “soggetti individuati o facilmente individuabili in base alla natura del documento richiesto, che dall’esercizio dell’accesso vedrebbero compromesso il loro diritto alla riservatezza”.
Quindi sono controinteressati non tutti i soggetti contemplati o riguardati dall’atto ma solo quelli che dall’esercizio dell’accesso vedrebbero compromesso il loro diritto alla riservatezza (TAR Campania-Napoli, Sez. V,
sentenza 04.01.2007 n. 39 - link a www.altalex.com).

EDILIZIA PRIVATAAmpliamento abusivo di edificio industriale realizzato in fregio alla Statale n. 36 - Vincolo di inedificabilità per fascia di rispetto stradale apposto successivamente all'abuso - Istanza di sanatoria -Mancata valutazione da parte di ANAS dell'effettiva minaccia alla sicurezza del traffico - Parere negativo ANAS - Illegittimità.
E' illegittimo e deve essere annullato il parere negativo emesso da parte di ANAS alla sanatoria di un'opera abusiva, realizzata in fregio alla Statale n. 36 "del Lago di Como e dello Spluga", qualora tale parere venga reso non solo in assenza di concreto accertamento, da parte di ANAS, delle date in cui è stato commesso l'abuso ed in cui è stato apposto il vincolo di inedificabilità dell'area per fascia di rispetto stradale, ma anche di una effettiva valutazione, sempre da parte di ANAS, del fatto che l'opera costituisca o meno una minaccia alla sicurezza del traffico (TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 27.12.2006 n. 3098 - massima tratta da www.solom.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: Variante generale PRG - Comunicazione di avvio del procedimento espropriativo ex art. 11 DPR 327/2001 - Non necessaria.
Variante generale PRG - Scelte discrezionali della P.A. di attribuire una destinazione alle singole aree - Motivazione - Limiti.

L'art. 11 DPR 327/2001 riguarda le varianti al Piano regolatore adottate per la realizzazione di una singola opera pubblica, e non le varianti generali, alle quali si applicano le regole ordinarie sulle modalità di partecipazione degli interessati nelle fasi di adozione e approvazione degli strumenti urbanistici.
Le scelte discrezionali compiute dall'Amministrazione riguardo la destinazione di singole aree, con riferimento al reperimento di nuove zone residenziali e per le attività produttive, sono insindacabili nel merito e non richiedono apposita motivazione oltre quella che si può evincere dai criteri generali (di ordine tecnico-discrezionale) seguiti nell'impostazione del piano stesso, che peraltro l'Amministrazione chiarisce in sede di controdeduzioni alle osservazioni (TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 27.12.2006 n. 3095 - massima tratta da www.solom.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA1. Permesso di costruire - Termine per l'impugnazione.
2. Permesso di costruire - Diritti dei terzi - Valutazione.
1.
La giurisprudenza amministrativa è chiara nell'affermare (per tutte, Cons. Sta., sez. IV, n. 3614 del 2006 e n. 6465 del 2006) che ai fini della decorrenza del termine per l'impugnazione di una concessione edilizia (ora permesso di costruire), occorre la sua piena conoscenza che si verifica con la consapevolezza del contenuto specifico della concessione o del progetto edilizio, ovvero quando la costruzione realizzata rivela in modo certo ed in equivoco le essenziali caratteristiche dell'opera e l'eventuale non conformità della stessa alla disciplina urbanistica.
La prova della piena ed effettiva conoscenza può essere desunta anche da elementi presuntivi ma nella fattispecie in esame la prova di tale accertamento non è stata fornita dai ricorrenti e, pertanto, in sua assenza, si deve concludere per la tempestività della proposizione del ricorso.
2. L'art. 11, comma 3, del D.P.R. n. 380 del 2001 (e l'art. 35, comma 3, della L. R. n. 12 del 2005) prevede che "il permesso di costruire non comporta limitazioni dei diritti dei terzi": ciò non significa, tuttavia, che all'amministrazione comunale non incomba alcun onere di verificare la legittimazione di colui che richiede il rilascio del titolo edilizio ma l'accertamento deve avere ad oggetto il controllo degli elementi di fatto esistenti e di immediata consultazione senza spingersi fino alla risoluzione di questioni giuridiche riguardanti gli assetti proprietari degli immobili oggetto degli interventi (TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 20.12.2006 n. 3015 - massima tratta da www.solom.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAAree destinate all'agricoltura - Art. 62 della L.R. n. 12/2005 - Assenza di PGT - Applicazione PRG.
Sebbene l'art. 62 della L.R. n. 12/2005 disponga che gli interventi di ristrutturazione e ampliamento da realizzarsi in zone destinate all'agricoltura non sono soggetti al titolo III della predetta legge, titolo recante la disciplina in materia di edificazione nelle aree destinate all'agricoltura, ma sono regolati dal PGT, in assenza di quest'ultimo, si applicano le norme del PRG che nel caso di specie non consentono tali tipi di interventi edilizi (TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 20.12.2006 n. 3014 - massima tratta da www.solom.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVIAccesso agli atti - Controinteressato - Legittimazione attiva - Sussiste - Ricorso ordinario - Necessità - Ricorso ex art. 25 L. 241/1990 - Inammissibilità.
Sebbene, in qualità di controinteressata, il soggetto che dall'esercizio dell'accesso vedrebbe compromesso il diritto alla propria riservatezza così come stabilito all'art. 23, co. 1, lett. c), L. 241/1990, risulta pienamente legittimato ad opporsi alla determinazione che ha accolto l'istanza di accesso, tuttavia, ogni censura avverso l'anzidetta determinazione -proposta appunto dalla parte "controinteressata"- deve assumere la forma di impugnazione, nelle forme ordinarie, dell'atto che ha consentito l'accesso documentale: il rito accelerato ex art. 25 L. 241/1990 risulta, infatti, concepito per assicurare una rapida tutela ai soggetti interessati all'ostensione di atti amministrativi, con esclusione dei portatori dell'opposta istanza alla non esibizione dei medesimi, i quali possono seguire il rito ordinario; il ricorso presentato nelle suddette forme deve pertanto essere dichiarato inammissibile (TAR Lombardia-Brescia,
sentenza 20.12.2006 n. 1622 - massima tratta da www.solom.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAConcessione edilizia - Ipotesi di gratuità - Non sussiste.
Seppure il garage per il quale è stata presentata istanza per a concessione edilizia sarà adibito a ricovero per gli autobus del servizio di trasporto urbano non vi sono i presupposti per l'applicazione dell'art. 9, lett. f), della l. n.  10 del 1977 che prevede la gratuità della concessione edilizia: il beneficio del garage in quanto destinato ad uso pubblico o collettivo è un beneficio temporalmente limitato, che verrà comunque meno alla scadenza del termine ventennale del vincolo di destinazione pubblicistica del bene; una volta scaduto tale vincolo il garage resterà liberamente fruibile dai privati.
Va aggiunto che il fine dell'esenzione non è quello di esonerare l'imprenditore dai costi dell'impresa, ma di evitare la contribuzione quando questa sarebbe contraddittoria. Ed infatti, i contributi di urbanizzazione si giustificano per gli oneri che la collettività sopporta a vantaggio del soggetto che costruisce, sicché non avrebbe senso per le opere costruite a carico della collettività stessa (TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 19.12.2006 n. 3009 - massima tratta da www.solom.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICAPiano di lottizzazione - Convenzione di lottizzazione - Natura pubblicistica e principi civilistici - Sussiste.
La convenzione di lottizzazione, a causa dei profili di stampo giuspubblicistico che si accompagnano allo strumento dichiaratamente contrattuale, rappresenta un istituto di complessa ricostruzione nel quale, tuttavia, l'incontro delle volontà delle parti contraenti nell'esercizio dell'autonomia negoziale è retta dai principi civilistici.
Sulla clausola che regola la cessione di immobili per la realizzazione delle opere di urbanizzazione nell'ambito della lottizzazione e sulla nullità della clausola medesima per violazione dell'art. 28 della l. n. 1150 del 1942 -che regola la cessione di immobili per la realizzazione delle opere di urbanizzazione nell'ambito della lottizzazione di aree- la giurisprudenza amministrativa ha avuto modo di affermare che l'argomento secondo cui la suddetta clausola, quando è indeterminata la quantificazione degli oneri di urbanizzazione, non è affetta da nullità: l'art. citato lascia un indubbio margine all'amministrazione nel commisurare in concreto l'entità dei predetti oneri i quali vanno calcolati tenendo conto della peculiarità della lottizzazione proposta dall'interessato (TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 19.12.2006 n. 3001 - massima tratta da www.solom.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAOneri di urbanizzazione - Costo di costruzione - Natura.
L'obbligazione relativa agli oneri di urbanizzazione ha natura ben diversa da quella attinente al costo di costruzione: quest'ultima obbligazione, infatti, è definibile come acausale, in quanto connessa alla mera utilizzazione edificatoria del territorio, ed è ritenuta, perciò, di natura paratributaria.
La prima, invece, è un'obbligazione causale, con carattere di corrispettivo di diritto pubblico di natura non tributaria dovuto dal titolare della concessione edilizia per la partecipazione ai costi delle opere di urbanizzazione connessi all'edificazione (TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 15.12.2006 n. 2989 - massima tratta da www.solom.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).
EDILIZIA PRIVATA1. Mutamento di destinazione d'uso - Oneri di urbanizzazione - Pagamento - Aumento del carico urbanistico.
2. Mutamento di destinazione d'uso - Modalità di utilizzo del bene - Funzionalità acquisite.

1. In sede di rilascio della concessione edilizia, al quale consegua il mutamento di destinazione d'uso dell'immobile, il pagamento del contributo per oneri di urbanizzazione va corrisposto ogni qual volta si rinvenga, a seguito dell'intervento edilizio, un aumento del carico urbanistico.
2. Al fine di accertare se vi sia stato un mutamento di destinazione d'uso, bisogna considerare non solo la modalità di utilizzo del bene, quanto, soprattutto, le funzionalità da esso acquisite in forza degli interventi edilizi (TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 15.12.2006 n. 2989 - massima tratta da www.solom.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVIOsservazioni ex art. 10-bis L. 241/990 - Provvedimento finale - Mancata indicazione espressa delle ragioni ostative all'accoglimento delle osservazioni - Illegittimità.
E' illegittimo, da un punto di vista meramente procedimentale, il provvedimento finale che non dia conto delle motivazioni in risposta alle osservazioni proposte da parte ricorrente, a seguito dell'avviso ex art. 10-bis L. 241/990, limitandosi a rispondere apoditticamente e con una formula di mero stile; tale carenza integra la violazione dell'art. 10-bis, che invece richiede di dare espressamente conto delle ragioni che hanno portato a disattendere, in fase di controdeduzioni, le osservazioni formulate (TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 14.12.2006 n. 2988 - massima tratta da www.solom.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

CONSIGLIERI COMUNALI - URBANISTICA1. Variante al P.R.G. - Approvazione osservazione - Deliberazione del Consiglio Comunale - Legittimità.
2. Piano attuativo - Previsioni urbanistiche - Efficacia.

1. E' legittima in parte la delibera del Consiglio Comunale di approvazione dell'osservazione alla variante al PRG sottoscritta da un consigliere comunale: il consigliere ha sottoscritto la stessa osservazione non in qualità di proprietario di uno dei lotti, ma proprio nella sua veste di consigliere comunale.
Risulta, dunque, indimostrata l'esistenza di quell'interesse proprio del consigliere comunale dal quale la giurisprudenza fa derivare, in capo al consigliere stesso, l'obbligo di astenersi dal prendere parte alle delibere aventi ad oggetto questioni che possano suscitare il suddetto interesse (cfr. C.d.S., sez. IV, n. 6596 del 2000).
2. La delibera consiliare suddetta è, invece, illegittima nella parte in cui si fonda sul presupposto della validità ed efficacia di una previsione pianificatoria che, invece, non era più idonea a produrre effetti.
Infatti, per la previsione del progetto originario della lottizzazione che aveva individuato la superficie da destinare a parcheggio non può non ritenersi decorso il termine decennale di efficacia, atteso il risalire di tale previsione al 1976: per costante giurisprudenza, il termine decennale di efficacia ex art. 16 della l. n. 1150/1942 si applica anche ai Piani di Lottizzazione, con riguardo alle disposizioni a contenuto espropriativi, mentre le prescrizioni urbanistiche di piano restano vincolanti ed operanti senza limiti di tempo, fino all'eventuale approvazione di un nuovo Piano attuativo  (TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 12.12.2006 n. 2902 - massima tratta da www.solom.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAConcessione edilizia - Magazzino ad uso industriale e parcheggio - Contributo di concessione - Richiesta restituzione parziale e domanda accessoria di pagamento interessi.
Debitamente comprovato in giudizio l'avvenuto versamento dovuto dalla ricorrente all'amministrazione comunale per la costruzione di un magazzino ad uso industriale, risulta essere legittima la richiesta della medesima ricorrente ad ottenere lo scomputo della somma pari alle opere di urbanizzazione direttamente realizzate dalla stessa (somma versata in eccesso) dagli oneri effettivamente dovuti.
E' altresì legittima la domanda accessoria di pagamento degli interessi ma la decorrenza degli interessi va fissata (ex art. 2033 c.c.) dalla data di proposizione della domanda giudiziale e non dalle date di pagamento dei ratei corrisposti, dovendosi presumere la buona fede del Comune percipiente (TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 12.12.2006 n. 2901 - massima tratta da www.solom.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIGare d’appalto: le buste si aprono dopo la fissazione dei criteri.
E’ noto, in materia di gare pubbliche, l’orientamento costante della giurisprudenza che riconnette valenza di vizio procedimentale insanabile (anche a prescindere dall’esame delle ricadute concrete sull’attribuzione del punteggio alle ditte offerenti, salva la prova della resistenza) alla interversione delle operazioni di apertura delle buste contenenti la offerta tecnica rispetto alla fissazione dei criteri o sub-criteri valutativi da parte dell’Organo tecnico chiamato ad elaborarli.
In tale evenienza, infatti, è fin troppo evidente che nella formulazione dei criteri valutativi i membri del Seggio di gara possono essere influenzati dalla conoscenza previa delle effettiva consistenza delle offerte delle ditte, sì da orientare la selezione e la stessa graduazione dei sub-criteri tra i partecipanti in funzione della differente modulazione di ciascuna offerta, in modo da condizionare l’esito della gara
(TAR Puglia-Lecce, Sez. II, sentenza 11.12.2006 n. 5845 - link a www.altalex.com).

EDILIZIA PRIVATA1. Condono - Certificato di assenza di danno ambientale - Competenza - Comune - Potere di annullamento - Soprintendenza per i beni ambientali e architettonici - limitazione - Profili di illegittimità.
2. Condono - Certificato di assenza di danno ambientale - Disparità di trattamento - Effettiva identità - Necessità.

1. Nella valutazione di assenza di danno ambientale finalizzata al condono di opere abusive, l'azione tesa a coniugare l'interesse pubblico con le ragioni del privato proprietario costituisce compito precipuo dell'amministrazione comunale, cui unicamente spetta l'apprezzamento ed il giudizio complessivo in ordine ai fatti coinvolti nella vicenda concreta: è pacifico infatti che il potere di annullamento da parte del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, tramite la Soprintendenza per i Beni Ambientali ed Architettonici, può riguardare soltanto profili di illegittimità, ivi compreso il difetto di motivazione o di istruttoria nonché l'eccesso di potere sotto ogni profilo, senza estendersi alle valutazioni di merito che rientrano nelle competenze dei Comuni, preventivamente delegati dalla Regione.
2. La valutazione preordinata al rilascio del nulla osta paesistico ha per oggetto la tutela di un bene costituzionale primario e l'inderogabilità dei valori salvaguardati dal vincolo si riflette sull'azione amministrativa improntata alla massima cautela nell'esaminare ogni profilo dell'intervento edilizio che possa risolversi nella compromissione dei valori ambientali: ne segue che la disparità di trattamento tra situazioni di eguale contenuto in questa materia deve accertarsi con rigore e che la positiva verifica del vizio di legittimità è riscontrabile solo in caso di valutazioni macroscopicamente erronee: sintonia di un'opera abusiva con l'ambiente deve essere verificata in concreto, mentre l'eventuale incontrollato rilascio di titoli edilizi in sanatoria di situazioni ipoteticamente analoghe non può legittimare ex se l'emissione di un provvedimento di condono: in questa materia, dunque, la censura di disparità di trattamento presuppone l'effettiva identità tra il caso già valutato dall'amministrazione e quello oggetto del contenzioso, atteso che la figura sintomatica di eccesso di potere si configura solo quando vi sia un'assoluta identità di situazioni oggettive, che valga a testimoniare l'irrazionalità delle diverse conseguenze tratte dall'amministrazione (TAR Lombardia-Brescia,
sentenza 05.12.2006 n. 1547 - massima tratta da www.solom.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Poteri repressivi e obbligo di comunicazione di avvio del procedimento.
La regola posta dall’art. 7 della L. n. 241/1990 che impone alle pp.aa. l’obbligo di comunicare l’avvio del procedimento amministrativo ai soggetti nei cui confronti il provvedimento finale è destinato a produrre effetti, non subisce eccezione nel caso di esercizio del potere repressivo degli abusi edilizi (TAR Campania-Napoli, Sez. II, sentenza 04.12.2006 n. 10359 - link a www.altalex.com).

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICIMancata notifica individuale del provvedimento di ampliamento del cimitero e contestuale riduzione fascia di rispetto a chi risiede in immobile vicino al cimitero - Termine di impugnativa del provvedimento - Non decorre.
Verifica esistenza del nuovo muro di cinta del cimitero - Termine di impugnativa del provvedimento di ampliamento del cimitero - Non decorre.

Obbligo di rispetto della fascia di rispetto cimiteriale - Mancata identificazione di "centro abitato" - Esistenza di numerosi edifici che costituiscono un "abitato" - Sussiste.
Chi risiede in un immobile a breve distanza dal cimitero è direttamente interessato dal progetto di ampliamento e dalla conseguente riduzione della fascia di rispetto, e pertanto ha titolo alla notificazione individuale del provvedimento di ampliamento e di sistemazione del cimitero, che riducono la profondità della fascia di rispetto al di sotto del minimo legale, in mancanza di tale notificazione individuale, salva l'acquisizione aliunde della piena conoscenza del provvedimento, il termine per impugnare non decorre.
Tale termine non decorre nemmeno dalla verifica dell'esistenza del nuovo muro di cinta del cimitero, trattandosi di fatto di per sé inidoneo a determinare la conoscenza dei provvedimenti atti a legittimare l'ampliamento del cimitero.
In assenza di una identificazione di "centro abitato", per il quale vige normalmente l'obbligo di rispetto della fascia di rispetto cimiteriale, deve considerarsi tale, anche l'esistenza di numerosi edifici che di per sé costituiscono un "abitato" (TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 04.12.2006 n. 2856 - massima tratta da www.solom.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICAPiano di recupero - Provvedimento di adozione - Impugnazione - Legittimità.
E' legittimo il ricorso proposto dall'usufruttuario di una villetta a due piani, sita in un contesto urbano residenziale, avverso il piano di recupero di un insediamento produttivo dimesso.
Va disattesa l'eccezione di tardività del ricorso in quanto la lesione lamentata dal ricorrente è riconducibile all'approvazione definitiva di detto piano la cui impugnazione è stata rettamente estesa al provvedimento di adozione, per il quale non è configurabile alcun onere di impugnazione immediata.
Altresì la delibera di approvazione del PdR è corredata da un parere di regolarità tecnica che fa riferimento ad altro comparto e ad altra zona. Non può essere seguita, infatti, la difesa comunale secondo la quale si tratterebbe di un refuso (TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 30.11.2006 n. 2855 - massima tratta da www.solom.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Immobili di interesse storico-artistico: i presupposti per l'apposizione del vincolo.
La legge 01.06.1939 n. 1089, recante la disciplina della tutela delle cose artistiche e storiche, ai sensi della quale è stato apposto il vincolo che trattasi, all’art. 1 comma 3 stabilisce che: “non sono soggette alla disciplina della presente legge le opere di autori viventi o la cui esecuzione non risalga ad oltre cinquant’anni”.
Ora nel caso di specie, quanto all’epoca di realizzazione dell’immobile di proprietà della ricorrente si riferisce nella relazione allegata al decreto di vincolo che la sopraelevazione venne realizzata nel 1949, ciò nondimeno a fronte di tale generica indicazione della data di realizzazione da parte dell’Amministrazione intimata, parte ricorrente eccepisce che in realtà l’opera sarebbe stata realizzata solo nel 1951 e per il vero al riguardo fornisce elementi abbastanza precisi, lì dove cita il numero della licenza edilizia (la n. YY) e la data del rilascio di tale autorizzazione a costruire (28.02.1951).
Le “ragioni” assunte a sostegno della pronunciata dichiarazione di particolare interesse ai fini in esame dell’immobile di proprietà dei ricorrenti sono alquanto generiche se non striminzite, rivelandosi insufficienti a dare un’idea di pregio della consistenza tale da far meritare a alla porzione di fabbricato in questione l’apposizione del vincolo storico-artistico in questione.
Invero, la relazione allegata più volte citata si sofferma diffusamente e specificatamente sul piano terreno dell’edificio, quello costituito, appunto, dal padiglione i cui tratti artistici non vengono messi in discussione, ma sul soprelevato appartamento non sono forniti adeguati elementi di giudizio volti a confermate la pregevolezza dell’opera e l’identità dello stile architettonico col piano sottostante, limitandosi il provvedimento impugnato, sempre nella suindicata relazione ad affermare che “la tensione compositiva ed evocativa” del padiglione “non viene contraddetta neppure dalla sopraelevazione del volume…”: un po’ poco, a dire il vero per giustificare l’applicabilità del regime di tutela artistico-storica ex art. 1 della legge n. 1089 del 1939.
Nella specie non risulta che il procedimento culminato col provvedimento qui impugnato sia stato preceduto dalla preventiva comunicazione dell’avvio del procedimento stesso e non v’è dubbio che anche in subjecta materia, le disposizioni garantistiche introdotte dalla legge 241/1990 si rendano perfettamente applicabili lì dove, invero, si è in presenza di determinazioni della P.A. che vedono il cittadino subire, relativamente al suo diritto di proprietà, per effetto del vincolo, una certa compressione della sua sfera giuridica
(TAR Toscana-Firenze, Sez. I, sentenza 27.11.2006 n. 6030 - link a www.altalex.com).

URBANISTICA: Destinazione a zona agricola - Finalità di tutela ambientale.
Osservazioni al P.R.G. - Reiezione - Motivazione - Obbligo - Non sussiste.

L'attribuzione ad una data area della destinazione a zona agricola ben può essere dettata da finalità di tutela ambientale. Essendo le osservazioni presentate nei riguardi del P.R.G. dei semplici apporti collaborativi, la loro reiezione non richiede una specifica motivazione e ciò quand'anche esse siano state accettate con deliberazione del consiglio comunale.
Tale conclusione si giustifica con il fatto che le osservazioni dei privati al P.R.G. adottato, seppur accettate dal Comune, non entrano a far parte del Piano se non a seguito del loro eventuale recepimento nello strumento urbanistico per effetto di una specifica modifica che l'Ente territoriale a ciò deputato -di regola la Regione- ritenga di apportarvi    (TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 24.11.2006 n. 2847 - massima tratta da www.solom.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: Modifiche al P.R.G. in sede regionale e destinazione a zona agricola.
L’art. 10, secondo comma, lett. c), della l. n. 1150/1942 prevede il potere della Regione di proporre le modifiche d’ufficio al P.R.G. riconosciute indispensabili per assicurare la tutela del paesaggio, nonché di complessi storici, monumentali, ambientali ed archeologici. La giurisprudenza costante afferma che l’attribuzione ad una data area della destinazione a zona agricola ben può essere dettata da finalità di tutela ambientale.
Se ne desume che l’attribuzione ad opera della Regione, in sede di proposta di modifiche d’ufficio del P.R.G., al terreno di proprietà della ricorrente, della destinazione a zona agricola sia pienamente riconducibile alla previsione di cui all’art. 10, secondo comma, lett. c), della l. n. 1150/1942.
Sul punto va anzi aggiunto che la riconduzione della fattispecie in esame all’art. 10, secondo comma, lett. c), della l. n. 1150/1942 dimostra, altresì, che la doglianza basata sull’asserito carattere di innovazione sostanziale della modifica contestata, oltre che non decisiva, è anche infondata. Infatti, secondo la costante giurisprudenza, le modifiche finalizzate –com’è nel caso di specie– alla tutela dell’ambiente e del paesaggio, essendo, per l’appunto, distintamente previste dalla lett. c) del secondo comma dell’art. 10 cit., non soggiacciono al limite concernente il divieto di innovazioni sostanziali posto dalla prima parte del secondo comma del medesimo art. 10
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 24.11.2006 n. 2847 - link a www.altalex.com).

EDILIZIA PRIVATAPermesso di costruire - Impugnazione - Piena conoscenza - Percezione elementi essenziali dell'atto sufficienti a renderne valutabile la lesività.
Ai fini dell'impugnazione della concessione edilizia rilasciata al controinteressato, la c.d. piena conoscenza del provvedimento, da cui decorre il termine di impugnazione, si realizza non già quando l'interessato ha ottenuto il rilascio di copia dell'atto in questione, ma quando egli ha avuto modo di percepire gli elementi essenziali dell'atto, necessari e sufficienti a renderne valutabile la lesività e ciò all'evidente scopo di tutelare sia l'effettiva possibilità dell'impugnazione degli atti amministrativi lesivi, sia dell'esigenza che detti atti divengano inoppugnabili, fornendo ai loro destinatari posizioni giuridiche certe (Consiglio di Stato, Sez. V, 26.01.1996, n. 77) (TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 23.11.2006 n. 2835 - massima tratta da www.solom.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAConcessione edilizia - Diniego - Legittimità.
E' legittimo il diniego della concessione edilizia e l'ordinanza di demolizione e rimessa in pristino aventi ad oggetto la realizzazione di opere riguardanti un fienile:
1) una tettoia avente carattere di stabilità, realizzata in aderenza ad un preesistente fabbricato ed idonea ad un'utilizzazione autonoma, costituisce un'opera esterna, per la cui realizzazione occorre la concessione edilizia, né può essere considerata una mera pertinenza;
2) non è applicabile la deroga prevista dall'art. 4.3 delle N.T.A. del P.R.G. nelle parte in cui consente l'ampliamento delle aziende agricole esistenti alla data di entrata in vigore della legge regionale n. 93 del 1980 nei limiti del 50% di quanto già esistente (TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 23.11.2006 n. 2834 - massima tratta da www.solom.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICAReiterazione vincoli espropriativi - Motivazione sulla perdurante attualità - Necessità - Piano finanziario per far fronte agli indennizzi - Contestualità - Non è necessario.
La reiterazione dei vincoli di espropriazione non può prescindere dalla presenza di una congrua e specifica motivazione sulla perdurante attualità della previsione, comparata con gli interessi privati, conseguente allo svolgimento di adeguate indagini, infatti, la motivazione, in tale ipotesi, quale eccezione alla generale regola che non impone tale obbligo per gli atti a carattere generale, deve ancorarsi ad una serie di parametri obiettivi, dovendo essere evidenziate, oltre alla persistenza dell'interesse pubblico e alla sua attualità, le specifiche ragioni del ritardo che hanno determinato la decadenza del vincolo, la mancanza di possibili soluzioni alternative o di perequazione fra i proprietari espropriabili e, dunque, la ineluttabilità della scelta dell'area già vincolata, la serietà e affidabilità della realizzazione entro il termine quinquennale di durata con la precisazione delle iniziative mediante le quali il procedimento ablativo verrà portato a compimento, la ragionevole dimostrazione, sulla scorta della situazione dei luoghi, che la rinnovazione del vincolo sulla stessa area è necessaria per realizzare l'opera o l'intervento pubblico.
Vi è tuttavia da precisare che non è necessaria la contestualità tra piano finanziario per far fronte agli indennizzi conseguenti al rinnovo dei vincoli e la variante al piano regolatore che li prevede (TAR Lombardia-Brescia,
sentenza 10.11.2006 n. 1393 - massima tratta da www.solom.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICAVariante semplificata ex L.R. 23/1997 - Rotatoria - Ente nel cui interesse l'opera viene realizzata - Comune - Competenza comunale - Sussiste.
Agli effetti della L.R. 23/1997, una rotatoria situata nel centro abitato di un Comune e riguardante l'incrocio tra una serie di strade comunali e una strada provinciale, non è opera pubblica posta ad esclusivo servizio di quest'ultima, finanziata dal Comune ed espressamente autorizzata dalla Provincia, va considerata di competenza Comunale, nel cui interesse l'opera viene realizzata, non necessitando di valutazioni, sotto il profilo urbanistico, di enti sovraordinati (TAR Lombardia-Brescia,
sentenza 10.11.2006 n. 1391 - massima tratta da www.solom.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICAEdilizia residenziale pubblica - Cessione aree in proprietà - Corrispettivo - Riferimento - Valore nominale al momento dell'acquisto - Illegittimità - Valore venale attuale - Legittimità.
Il corrispettivo delle aree cedute in proprietà ai sensi dell'art. 31, co 48, L. 448/1998 non va determinato facendo riferimento al valore nominale del costo di acquisizione delle aree concesse in diritto di superficie, lucrando l'incremento del valore immobiliare avvenuto nel corso degli anni e include anche le aree interessate da urbanizzazioni: è infatti la norma citata che, in modo non irragionevole ove si consideri che gli assegnatari hanno già beneficiato di un regime agevolato di accesso all'abitazione, ragguaglia la somma all'attuale valore venale delle aree, in modo tale che, per poter trasformare il diritto di superficie in diritto di piena proprietà, gli assegnatari devono in definitiva corrispondere al Comune una somma -diminuita di quanto a suo tempo corrisposto per la concessione del diritto di superficie opportunamente rivalutata- pari al valore che avrebbe l'esproprio attuale dell'intera area afferente l'alloggio oggetto di riscatto, includendo oltre ai sedimi dei fabbricati, anche i terreni scoperti, le aree interessate dalle opere di urbanizzazione primaria e secondaria, nonché le aree pertinenziali (TAR Lombardia-Brescia,
sentenza 08.11.2006 n. 1388 - massima tratta da www.solom.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA1. Opere abusive - Ordinanza di demolizione - Motivazione - Non necessità - Mantenimento dell'opera - Eccezionalità - Motivazione - Necessità.
2. Cabina elettrica di trasformazione- Procedura autorizzativa ex LR 52/1982 - Disciplina edilizia - Rapporto - Posizionamento in manufatto abusivo - Mantenimento - Non è necessario.

1. L'ordinanza di demolizione di opere abusive costituisce atto dovuto al verificarsi dei presupposti ivi indicati e consistenti nell'accertata abusività del manufatto per assenza del titolo concessorio e, di conseguenza, detto provvedimento sanzionatorio non necessita di valutazione e di motivazione in ordine all' interesse pubblico alla demolizione. E' invece il mantenimento dell'opera ad avere carattere eccezionale, necessitando di un'apposita valutazione, rimessa dall'art. 7, co. 5, L. 47/1985, al Consiglio comunale; tale valutazione attiene al merito dell'azione amministrativa e come tale non è sindacabile in sede di legittimità, salvo sia data la dimostrazione di profili di manifesta arbitrarietà, illogicità o irragionevolezza.
2. Tra la procedura autorizzativa di una cabina elettrica di trasformazione e la disciplina edilizia dei manufatti ove questo è localizzato, esiste un rapporto di interferenza, che il legislatore regionale ha risolto prevedendo che l'autorizzazione all'impianto presupponga la regolarità edilizia delle opere, come si evince dall'art. 5, co. 1, L.R. 52/1982, che espressamente dispone che la costruzione di opere edilizie adibite a stazioni e cabine elettriche è subordinata alla concessione edilizia prevista dall' art. 1 della L. 10/1977 rilasciata ai sensi dell' art. 9, lett. f), della suddetta legge.
Pertanto, dalle circostanze che la procedura autorizzativa dell'impianto si fosse a suo regolarmente perfezionata o che nell'ambito di questa il Comune avesse espresso parere favorevole ovvero ancora che compete ad altro ente, diverso dal Comune, l'emanazione del provvedimento necessario alla modifica della sua localizzazione, non può inferirsi l'inderogabile necessità di mantenere la cabina di trasformazione in un manufatto abusivo (TAR Lombardia-Brescia,
sentenza 08.11.2006 n. 1387 - massima tratta da www.solom.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

CONSIGLIERI COMUNALI: Diritto di accesso dei consiglieri comunali al Piano regolatore generale.
Il diritto di accesso dei consiglieri comunali, si estende a tutti i documenti e a tutte le notizie utili all’espletamento del mandato, senza alcuna limitazione (TAR Campania-Salerno, Sez. II, sentenza 07.11.2006 n. 1961 - link a www.altalex.com).

EDILIZIA PRIVATASe non può escludersi, in linea di principio, un'attività surrogatoria della P.A.  laddove sia riscontrata carenza in una progettazione urbanistica od edilizia dei requisiti legali e ciò quando ragionevolmente risponda a criteri di economicità e speditezza dell’azione amministrativa, non può certamente ammettersi, di converso, che la P.A. possa <conformare> nei suoi aspetti <sostanziali> l’intervento sottoposto al suo esame, al solo scopo di evitare un pronunciamento negativo sullo stesso.
In tale ultima ipotesi, infatti, non solo si determinerebbe una sorta di ingiustificata sostituzione intersoggettiva tra l’amministrazione ed il privato, ma si licenzierebbe altresì una attività urbanistica od edilizia priva di un oggettivo (e preventivo) parametro documentale di riferimento, con ogni immaginabile conseguenza in sede di successivo controllo dell’attività stessa.
E' senz’altro da escludere la ammissibilità di concessioni edilizie <condizionate>, nella ipotesi in cui le prescrizioni imposte dalla P.A. non solo attengano ad aspetti sostanziali dell’intervento sottoposto al suo esame, ma non rivestano neppure carattere <autoesecutive>, implicando necessariamente un’ulteriore attività da parte del richiedente o di altro soggetto (pubblico o privato) coinvolto nel relativo procedimento, allo scopo di poter compiutamente definire l’oggetto della concessione medesima, e la sua conformità ai parametri legali.

Questo tribunale ha già avuto modo di precisare in quale misura la riscontrata carenza in una progettazione urbanistica od edilizia dei requisiti legali possa essere <surrogata> dall’attività della P.A., attraverso il rilascio di un atto di assenso variamente condizionato.
Se infatti non può escludersi, in linea di principio, una attività in tal senso quando ragionevolmente risponda a criteri di economicità e speditezza dell’azione amministrativa, non può certamente ammettersi, di converso, che la P.A. possa <conformare> nei suoi aspetti <sostanziali> l’intervento sottoposto al suo esame, al solo scopo di evitare un pronunciamento negativo sullo stesso.
In tale ultima ipotesi, infatti, non solo si determinerebbe una sorta di ingiustificata sostituzione intersoggettiva tra l’amministrazione ed il privato, ma si licenzierebbe altresì una attività urbanistica od edilizia priva di un oggettivo (e preventivo) parametro documentale di riferimento, con ogni immaginabile conseguenza in sede di successivo controllo dell’attività stessa.
Così, per quanto qui rileva, è senz’altro da escludere la ammissibilità di concessioni edilizie <condizionate>, nella ipotesi in cui le prescrizioni imposte dalla P.A. non solo attengano ad aspetti sostanziali dell’intervento sottoposto al suo esame, ma non rivestano neppure carattere <autoesecutive>, implicando necessariamente un’ulteriore attività da parte del richiedente o di altro soggetto (pubblico o privato) coinvolto nel relativo procedimento, allo scopo di poter compiutamente definire l’oggetto della concessione medesima, e la sua conformità ai parametri legali.
E’ evidente infatti che in questa ipotesi, il risultato della ulteriore attività prescritta debba necessariamente essere valutato dall’amministrazione prima del rilascio del richiesto titolo edilizio, difettando altrimenti una seria e compiuta conoscenza dell’intervento concessionato, sia nella sua consistenza materiale che (e soprattutto) nella sua rispondenza alla normativa di settore (cfr. TAR Liguria, Sez. I, 21.01.2000 n. 35) (TAR Liguria, Sez. I, sentenza 08.05.2006 n. 433 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALe c.d. condizioni apposte alle concessioni non possono consistere in comportamenti risolutivi del titolo concessorio perché il rilascio non può essere fatto dipendere né a priori né a posteriori da fatti imputabili al concessionario o da adempimenti successivi al rilascio comunque qualificati.
La giurisprudenza, infatti, ritiene che sia illegittima l'apposizione di una condizione, non importa se sospensiva o risolutiva, alla concessione edilizia, salvi i casi espressamente previsti dalla legge, stante la natura d'accertamento costitutivo a carattere non negoziale di detto provvedimento.
Ne consegue che, quantunque nella prassi molte concessioni vengano emesse in forma c.d. condizionata, si deve ritenere che queste non siano vere condizioni ma prescrizioni che ne condizionano (non la legittimità) ma l’esercizio e che dunque la loro inosservanza può determinare sanzioni, quali la sospensione dei lavori ed i successivi provvedimenti sino alla decadenza, ma non, come sostiene la difesa dell’amministrazione, l’illegittimità ab origine della concessione oppure il venir meno dei presupposti essenziali per il suo rilascio e dunque, l’annullamento o la revoca d’essa a titolo sanzionatorio

Il Collegio osserva, in generale, che -come è noto- le concessioni non sono revocabili e che esse possono essere annullate solo per motivi di legittimità previa valutazione dell’interesse pubblico in funzione della comparazione degli interessi coinvolti.
Possono, infine, essere dichiarate decadute per inattività e/o sopravvenienza di nuove previsioni urbanistiche contrastanti con il loro rilascio, ma si tratta di un potere diverso che non attiene alla legittimità della concessione ma al venir meno della sua efficacia per scadenza del termine fissato ex lege.
Ne consegue che le c.d. condizioni apposte alle concessioni non possono consistere in comportamenti risolutivi del titolo concessorio perché il rilascio non può essere fatto dipendere né a priori né a posteriori da fatti imputabili al concessionario o da adempimenti successivi al rilascio comunque qualificati.
La giurisprudenza, infatti, ritiene che sia illegittima l'apposizione di una condizione, non importa se sospensiva o risolutiva, alla concessione edilizia, salvi i casi espressamente previsti dalla legge, stante la natura d'accertamento costitutivo a carattere non negoziale di detto provvedimento (cfr. C.d.S. C.d.S. sez. 5^, 24.03.2001 n. 1702).
Ne consegue che, quantunque nella prassi molte concessioni vengano emesse in forma c.d. condizionata, si deve ritenere che queste non siano vere condizioni ma prescrizioni che ne condizionano (non la legittimità) ma l’esercizio e che dunque la loro inosservanza può determinare sanzioni, quali la sospensione dei lavori ed i successivi provvedimenti sino alla decadenza, ma non, come sostiene la difesa dell’amministrazione, l’illegittimità ab origine della concessione oppure il venir meno dei presupposti essenziali per il suo rilascio e dunque, l’annullamento o la revoca d’essa a titolo sanzionatorio (TAR Veneto, Sez. I, sentenza 20.10.2004 n. 3732 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AGGIORNAMENTO AL 16.08.2011

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CASTA DI POLITICANTI, LA MISURA E' COLMA:
ANDATEVENE A CASA !!!

Chi vuol fare un'esperienza politica o politico-amministrativa sa, o dovrebbe sapere, che sceglie di dedicare parte del suo tempo di vita privata agli altri, alla gestione della "cosa pubblica" nell'interesse del bene comune. Invece, è sotto gli occhi di tutti che il Politico (con la P maiuscola) non esiste più o, tutt'al più, è merce rarissima e ci sono dei "politicanti" che arrancano nel buio cercando di far credere all'opinione pubblica che sono fedeli al mandato elettorale che hanno ricevuto e che, al contrario, sono ben saldi ed incollati alle loro poltrone dorate per una cosa soltanto: salvaguardare i loro privilegi economico-sociali.
La "MANOVRA-BIS" (economico-finanziaria di cui al D.L. 13.08.2011 n. 138) di ferragosto è semplicemente scandalosa, laddove si colpiscono tutti (o quasi) ma che, in realtà, chi ci rimette veramente sono milioni di Italiani che alla fine del mese non ci arrivano e si indebitano sempre più nell'arrangiarsi a campare quotidianamente.
E la casta dei politicanti?? Cosa ci mette di suo in questo momento di duri e pesanti sacrifici??
Il Governo, poco tempo fa, ha licenziato il ddl costituzionale (ad oggi, chi l'ha visto??) per la riforma del bicameralismo perfetto con la riduzione dei parlamentari e, conseguentemente, con la riduzione dei costi della politica. Ma alcuni osservatori di quotidiani nazionali fanno notare che, di fatto, è una presa per i fondelli poiché non vi sono i tempi tecnici, in questa legislatura, per portare ad approvazione il ddl costituzionale de quo dato il necessario doppio passaggio alle Camere.
E allora?? Non si poteva prendere al volo il treno di questa "MANOVRA-BIS" per inserire anche il taglio di quei privilegi della "casta dei politicanti" che tanto fanno odiare la Politica (quella con la P maiuscola) ed accrescono il malcontento popolare e la disaffezione alle Istituzioni??
Cerchiamo di capirci con un esempio puntuale, già pubblicizzato a iosa a destra e manca, ma che vale la pena di ricordalo ancora una volta: gli stipendi, con annessi e connessi, dei parlamentari italiani di cui alla sotto riportata tabella (fonte sito web CAMERA DEI DEPUTATI e SENATO DELLA REPUBBLICA).

CAMERA DEI DEPUTATI

1- indennità parlamentare: € 11.703,64 lordi mensili [L'indennità è fissata in misura non superiore al trattamento complessivo massimo annuo lordo dei magistrati con funzioni di presidente di Sezione della Corte di Cassazione ed equiparate. Tale misura è stata rideterminata in riduzione dall'art. 1, comma 52, della legge 23.12.2005, n. 266 (legge finanziaria per il 2006).
L'indennità è corrisposta per 12 mensilità. L'importo mensile -che, a seguito della delibera dell'Ufficio di Presidenza del 17.01.2006, è stato ridotto del 10%- è pari a 5.486,58 euro, al netto delle ritenute previdenziali (€ 784,14) e assistenziali (€ 526,66) della quota contributiva per l'assegno vitalizio (€ 1.006,51) e della ritenuta fiscale (€ 3.899,75)]
;

2- diaria: € 4.003,11 netti mensili [Viene riconosciuta, a titolo di rimborso delle spese di soggiorno a Roma, sulla base della legge n. 1261 del 1965.
La diaria ammonta a 4.003,11 euro mensili. Tale somma viene ridotta di 206,58 euro per ogni giorno di assenza del deputato da quelle sedute dell'Assemblea in cui si svolgono votazioni, che avvengono con il procedimento elettronico.
È considerato presente il deputato che partecipa almeno al 30 per cento delle votazioni effettuate nell'arco della giornata]
;

3- rimborso per spese inerenti al rapporto tra eletto ed elettori: € 4.190,00 netti mensili [A titolo di rimborso forfetario per le spese inerenti al rapporto tra eletto ed elettori, al deputato è attribuita una somma mensile di 4.190 euro, che viene erogata tramite il gruppo parlamentare di appartenenza.
Ai deputati non è riconosciuto alcun rimborso per le spese postali a decorrere dal 1990]
;

4- spese di trasporto e spese di viaggio: € 3.323,70 o € 3.995,10 netti trimestrali [I deputati usufruiscono di tessere per la libera circolazione autostradale, ferroviaria, marittima ed aerea per i trasferimenti sul territorio nazionale.
Per i trasferimenti dal luogo di residenza all'aeroporto più vicino e tra l'aeroporto di Roma-Fiumicino e Montecitorio, è previsto un rimborso spese trimestrale pari a 3.323,70 euro, per il deputato che deve percorrere fino a 100 km per raggiungere l'aeroporto più vicino al luogo di residenza, ed a 3.995,10 euro se la distanza da percorrere è superiore a 100 km]
;

5- spese telefoniche: € 3.098,74 netti annui [La Camera non fornisce ai deputati telefoni cellulari];

6- assistenza sanitaria [Il deputato versa mensilmente, in un apposito fondo, una quota del 4,5 per cento della propria indennità lorda, pari a 526,66 euro, destinata al sistema di assistenza sanitaria integrativa che eroga rimborsi secondo quanto previsto da un tariffario];

7- assegno di fine mandato [Il deputato versa mensilmente, in un apposito fondo, una quota del 6,7 per cento della propria indennità lorda, pari a 784,14 euro.
Al termine del mandato parlamentare, il deputato riceve l'assegno di fine mandato, che è pari all'80 per cento dell'importo mensile lordo dell'indennità, per ogni anno di mandato effettivo (o frazione non inferiore ai sei mesi)]
;

8- assegno vitalizio [Il deputato versa mensilmente una quota -l'8,6 per cento, pari a 1.006,51 euro- della propria indennità lorda, che viene accantonata per il pagamento degli assegni vitalizi, come previsto da un apposito Regolamento approvato dall'Ufficio di Presidenza il 30.07.1997.
In base alle norme contenute in tale Regolamento, il deputato riceve il vitalizio a partire dal 65° anno di età. Il limite di età diminuisce fino al 60° anno di età in relazione agli anni di mandato parlamentare svolti.
L'importo dell'assegno varia da un minimo del 25 per cento a un massimo dell'80 per cento dell'indennità parlamentare, a seconda degli anni di mandato parlamentare.
Il Regolamento prevede infine la sospensione del pagamento del vitalizio qualora il deputato sia rieletto al Parlamento nazionale ovvero sia eletto al Parlamento europeo o ad un Consiglio regionale.
Per leggere l'elenco e l'importo dei vitalizi erogati clicca qui.
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Modifiche alla disciplina dell'assegno vitalizio (Deliberazione dell'Ufficio di Presidenza del 23.07.2007).
1) Per i deputati eletti per la prima volta a decorrere dalla XVI legislatura l'importo dell'assegno vitalizio varierà da un minimo del 20 per cento ad un massimo del 60 per cento.
2) A decorrere dalla XVI legislatura è stata soppressa la facoltà per il deputato di riscattare, mediante contribuzione volontaria, gli anni di mandato non esercitati in caso di legislature incomplete. A seguito di tale soppressione i periodi di versamento dei contributi coincidono necessariamente con gli anni effettivi di mandato.
3) La sospensione del pagamento dell'assegno vitalizio è stata estesa al caso in cui il titolare del vitalizio assuma successivamente all'01.01.2008 cariche pubbliche che prevedano una indennità il cui importo sia pari o superiore al 40 per cento dell'indennità parlamentare; alla sospensione non si procede qualora l'interessato opti per l'assegno vitalizio in luogo dell'indennità].

SENATO DELLA REPUBBLICA

1- indennità parlamentare: € 12.005,95 lordi mensili [Al netto delle ritenute fiscali e dei contributi obbligatori per l'assegno vitalizio, per l'assegno di fine mandato e per l'assistenza sanitaria, l'indennità mensile si riduce ad euro 5.613,63 (ed è erogata per 12 mensilità).
Nel caso in cui il Senatore versi anche la quota aggiuntiva per la reversibilità dell'assegno vitalizio, l'importo indicato scende a 5.355,50 euro.
Ovviamente da tali importi vanno poi sottratte le addizionali all'IRPEF, che variano a seconda della Regione e del Comune di residenza: l'indennità netta mensile corrisposta ai Senatori nei nove mesi in cui sono trattenute le predette addizionali oscilla da 5.227,55 a 4.965,99 euro]
;

2- rimborsi forfettari di spesa:
   a) diaria a titolo di rimborso delle spese di soggiorno: € 3.500,00 netti al mese [Periodicamente aggiornata in funzione dell'aumento del costo della vita, la diaria è stata erogata dal 2001 al 2010 nella misura di 4.003 euro al mese.
È stata poi ridotta a 3.500 euro a decorrere dall'01.012011, per effetto della deliberazione adottata dal Consiglio di Presidenza in data 25.11.2010.
Tale somma viene ridotta di un quindicesimo se il Senatore non partecipa almeno al 30 per cento delle votazioni effettuate nell'arco della giornata (in una o più sedute dell'Assemblea]
;
   b) contributo per il supporto dell'attività dei Senatori: € 4.180,00 netti al mese [A titolo di rimborso forfettario delle spese sostenute per le attività connesse con lo svolgimento del mandato parlamentare, è previsto un contributo mensile erogato, fino al 31.12.2010, nella misura di euro 4.678,36. Dall'01.01.2011 è ridotto a 4.180 euro (1.680 corrisposti direttamente al Senatore e 2.500 versati al Gruppo parlamentare di appartenenza).
Nell'ambito dell'attività dei Senatori sono inclusi non solo gli atti e gli adempimenti direttamente collegati alle funzioni svolte nelle Commissioni e nell'Assemblea, ma anche tutte le iniziative politiche, sociali, culturali che il parlamentare assume quale rappresentante della Nazione (ai sensi dell'art. 67 della Costituzione).
La divisione del contributo in due quote rispecchia la distinzione tra l'attività generale del Senatore -le cui spese sono rimborsate attraverso il Gruppo- e l'impegno particolare nel territorio in cui è eletto]
;
   c) rimborso forfettario delle spese generali: € 1.650,00 netti mensili [A decorrere dall'01.01.2011 i Senatori ricevono un rimborso forfettario mensile di euro 1.650, che sostituisce e assorbe i preesistenti rimborsi per le spese accessorie di viaggio e per le spese telefoniche.
L'importo è stato determinato dal Collegio dei Senatori Questori, nell'ambito del riordino delle competenze economiche dei Senatori, mantenendo invariato l'onere complessivo che gravava sul bilancio del Senato per i due rimborsi soppressi]
;

3- facilitazioni di trasporto
[I Senatori usufruiscono di tessere strettamente personali per i trasferimenti sul territorio nazionale, mediante viaggi aerei, ferroviari e marittimi e la circolazione sulla rete autostradale];

4- assegno vitalizio
[Il Regolamento per gli assegni vitalizi prevede che il Senatore cessato dal mandato riceva tale prestazione a partire dal 65° anno di età, purché abbia svolto il mandato parlamentare per almeno 5 anni. Il limite di età è ridotto di 1 anno per ogni anno di mandato effettivo oltre il quinto, fino al limite inderogabile di 60 anni.
Nel contesto della medesima riforma regolamentare è stata approvata la nuova tabella relativa alla misura degli assegni vitalizi, che è entrata in vigore con la XVI legislatura. In base a tale tabella l'importo dell'assegno vitalizio varia da un minimo del 20 per cento a un massimo del 60 per cento dell'indennità lorda, in proporzione alla durata del mandato, e si calcola tenendo conto solo degli anni effettivamente svolti (in precedenza gli assegni variavano da un minimo del 25 per cento a un massimo dell'80 per cento dell'indennità lorda)
.
Per leggere l'elenco e l'importo dei vitalizi erogati clicca qui];

5- assegno di solidarietà (o di fine mandato)
[Al termine del mandato parlamentare, il Senatore riceve dal Fondo di solidarietà fra i Senatori l'assegno di solidarietà, che è pari all'80 per cento dell'importo mensile lordo dell'indennità, moltiplicato per il numero degli anni di mandato effettivo.
Tale assegno viene erogato sulla base di contributi interamente a carico dei Senatori, cui è trattenuta mensilmente una quota dell'indennità lorda (il 6,7 per cento, pari attualmente a 804,40 euro)]
;

6- assistenza sanitaria integrativa
[Il Fondo di solidarietà fra i Senatori eroga un rimborso parziale di determinate spese sanitarie sostenute dagli iscritti, nei limiti fissati dal Regolamento e dal Tariffario.
L'iscrizione è obbligatoria per i Senatori in carica, che versano un contributo pari al 4,5 per cento dell'indennità lorda; è facoltativa per i titolari di assegni vitalizi, il cui contributo è pari al 4,7 per cento dell'importo lordo del proprio assegno.
Con il versamento di quote aggiuntive è possibile l'iscrizione dei familiari]
.

Lo "stipendio con annessi e connessi" (come sopra elencati) dei parlamentari italiani è stabilito dalla "Legge 31.10.1965, n. 1261 - Determinazione dell'indennità spettante ai membri del Parlamento" ove, di fatto, l'entità delle varie voci spettanti è rimandata all'ampia discrezionalità degli Uffici di Presidenza delle due Camere. Quindi, basterebbe la seria volontà di pochi -e con minimo dispendio di tempo- per mettere fine a quei privilegi che tanto indispongono l'opinione pubblica ... ma, si sa, cane non mangia cane!!
Orbene, ultimamente il Governo e, prima ancora, i Presidenti delle due Camere ed oggi ancora il Governo con la "MANOVRA-BIS" hanno dato una leggera sforbiciata qua e là in merito ad alcune voci che compongono il proprio "stipendio" ma non hanno toccato, in maniera significativa o per niente affatto, le voci di spesa che più fanno incazzare l'opinione pubblica e cioè:
(a) l'indennità parlamentare, (b) il rimborso per spese inerenti al rapporto tra eletto ed elettori, (c) l'assegno vitalizio.
Relativamente all'indennità parlamentare, è normale prendere € 12.000,00 lordi/mensili?? E ciò quando, per esempio, un dipendente comunale con 30 anni di carriera alle spalle prende, mediamente, € 2.200,00 lordi mensili?? E quest'ultimo deve ritenersi, comunque, un "privilegiato" rispetto alla maggioranza dei lavoratori che prendono meno ...
Relativamente al rimborso spese inerenti al rapporto tra eletto ed elettori (detto, volgarmente, la quota per il portaborse),
è normale prendere € 4.180,00 netti/mensili sempre e comunque anche se il portaborse, spesso e volentieri, non c'è?? Non è il caso di erogare tale somma al parlamentare se dimostra di avere assunto, regolarmente, il portaborse e nel limite di spesa, comunque, di quanto costa effettivamente lo stesso??
Relativamente all'assegno vitalizio,
è normale "lavorare" 5 anni appena e, poi, a 65 anni di età prendere circa € 3.000,00 netti/mensili di pensione?? E ciò quando tutti gli altri comuni mortali devono lavorare minimo 40 anni (e adesso anche di più con la "MANOVRA-BIS") per avere, poi, una pensione da fame??
I leader politici fanno la fila in televisione, sui giornali, a predicare che i tagli ai loro stipendi sarebbero una goccia nel mare rispetto al debito pubblico esplosivo che ci ritroviamo ad affrontare: e, nel concreto, non fanno nulla in merito.
Come se non bastasse, si sono pure anche alcuni dipendenti pubblici che fanno parte, pure loro, di una casta: quelli che dipendono dalle due Camere.
Leggete questo interessante articolo tratto dal quotidiano ItaliaOggi del 13.08.2011:
Alla camera i tagli ai dipendenti vanno piano.
Onorevoli gli stipendi anche per i dipendenti della Camera. Un elettricista e un tecnico dei telefoni, appena assunti, percepiscono 1.500 euro netti al mese, più tredicesima, quattordicesima e quindicesima, una segretaria e un'assistente circa 1.800 euro, un bibliotecario 1.900 euro, un consigliere parlamentare della professionalità di biblioteca o stenografia quasi 3.000 mentre un medico impiegato alla Camera guadagna 5.000 euro al mese, sempre netti, con l'aggiunta di tredicesima, quattordicesima e quindicesima.
Somme che sembrano stridere con le retribuzioni percepite all'esterno da analoghe figure professionali la cui contrattazione collettiva non si è spinta fino alla previsione delle quindici mensilità elargite ai dipendenti di Palazzo Montecitorio. Sarà per questo che l'Ufficio di presidenza, con la nota di variazione del bilancio della camera per gli anni 2011-2013 adottata nella riunione del 21 luglio scorso, ha deciso di ritoccare i criteri di definizione delle retribuzioni per il proprio personale impegnandosi a «definire per i nuovi assunti un sistema retributivo in funzione dell'individuazione di curve stipendiali maggiormente comparabili con le corrispondenti professionalità esterne, con riguardo anche agli standard europei».
Il tutto da realizzare prima dell'approvazione del bilancio interno per il 2012-2014. Tempi stretti quindi per allineare gli stipendi dei dipendenti della Camera a quelli degli omologhi colleghi esterni, anche se al momento l'Ufficio di presidenza si è limitato a un'enunciazione di intenti e non ha stilato un calendario delle riunioni con all'ordine del giorno la proposta di revisione delle retribuzioni e, passata la pausa estiva, al 2012 mancano solo pochi mesi.
E intanto i dipendenti della camera hanno incassato l'aumento contrattuale del 3,2%. Pochi giorni prima che si approvasse la stretta.

Allora, abbiamo il diritto di essere incazzati??
Stiamo attenti, molto attenti, perché la corda è tesissima: ci vuole molto poco ancora perché succeda anche in Italia quanto già successo di recente in Grecia. Gli animi sono esasperati al massimo, la fiducia nelle Istituzioni è al minimo per colpa di "politicanti" che non hanno il coraggio né di fare le scelte giuste e coraggiose (anche se dolorose, ma per tutti e secondo equità sociale) per non perdere il consenso elettorale né di agire, subito, cominciando dal loro portafoglio e dai costi della politica centrale e locale (regioni e province in primis).
E allora, visto che la "MANOVRA-BIS" passa all'esame del Parlamento per la conversione in legge, formuliamo la seguente proposta (e nel contempo sincero auspicio):
un parlamentare qualunque (di destra, di sinistra o di centro) che abbia ancora rispetto della povertà, della dignità umana, del disagio sociale e che abbia un rigurgito di senso dell'etica e che si ricordi di essere al servizio dei Cittadini che lo hanno votato e non, presenti un emendamento al decreto-legge appena varato dal Governo per modificare la Legge 31.10.1965, n. 1261 al fine di eliminare almeno le tre contraddizioni sociali sopra elencate e stiamo a vedere se il Parlamento non lo vota (nomi e cognomi da ricordarsi per le prossime elezioni politiche!!).
Così facendo, sarà pure una goccia nel mare ma ugualmente importante e necessaria per ricominciare a credere nelle Istituzioni ed in una classe dirigente politica che, veramente, sia al servizio dei Cittadini.
Siano loro a dare per primi l'esempio!! Poi, potranno anche chiedere rispetto e sacrifici ulteriori agli Italiani.
Da ultimo, con la riforma dell'art. 81 della Costituzione che il Governo ha messo in cantiere in questi giorni, abbiamo appreso dai giornali che dovrebbe risorgere il tanto vituperato (da parte della classe politica) CO.RE.CO. (Comitato Regionale di Controllo): ecco, questa è una buona, buonissima notizia e speriamo che non ci ripensino.
Sarà la volta buona per dare un taglio netto a quel maldestro e conclamato modus operandi negli enti locali che tanti danni porta alle casse del denaro pubblico e, di riflesso, alla Collettività.
Alcuni esempi, certamente non esaustivi, che i Cittadini (comuni mortali) non sanno:
● consulenze esterne inopportune e dispendiose quando già esistono le professionalità necessarie all'interno dell'ente;
● incarichi esterni ex art. 110 D.Lgs. 267/2000 per coprire posti apicali e per "far fuori" le professionalità interne che danno fastidio agli amministratori;
● progressioni orizzontali e verticali indiscriminate del personale interno senza alcun criterio veramente meritocratico;
● retribuzioni di posizione oltre il limite di contratto (pari a € 12.911,42) sino all'importo di € 16.000,00 senza che sussistano i requisiti stringenti per erogare il massimo ovvero oltre la necessaria parsimonia per "accontentare" funzionari apicali ovvero segretari comunali che vogliono (a tutti i costi!!) svolgere anche le funzioni di direttore generale (vale la pena di ricordare l'indecente ed eclatante caso del Comune di Stezzano (BG) per il quale, fortunatamente, la Corte dei Conti, Sez. giurisdiz. Lombardia, ha reso giustizia con la
sentenza 15.03.2011 n. 146);
● creazione di posti di dirigente anche in comuni di piccole dimensioni, quando il buon senso (e, forse ed in primis, anche la legge) porterebbe a comprendere ciò solamente negli enti con più di 20.000 abitanti;
● il non adeguamento degli oneri di urbanizzazione, almeno ogni tre anni siccome previsto dalla legge regionale, e conseguente mancato introito (danno erariale) di maggiori somme.
Precisiamo: non facciamo di tutta l'erba un fascio ... vi sono situazioni più che legittime, ma il malcostume è assai dilagante e molto più di quanto si possa pensare.
Ecco, prendete gli scempi sopra elencati e moltiplicateli per 8.106 (quanti sono i comuni italiani ... tralasciando -qui- province, regioni, ed altri mille enti pubblici) e capirete, non solo per questo, perché l'Italia sta andando in malora ... (se non lo è già).
16.08.2011 - LA SEGRETERIA PTPL

GURI - GUUE - BURL (e anteprima)

AMBIENTE-ECOLOGIA - ENTI LOCALI: G.U. 13.08.2011 n. 188 "Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo" (D.L. 13.08.2011 n. 138).
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ABROGATO IL SISTRI !!
Il DL 13.08.2011 n. 138 (Ulteriori disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo), vigente dal 13 agosto, all'art. 6, c. 2, così recita:
"2. A decorrere dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, sono abrogati:
a) il comma 1116, dell'articolo 1, della legge 27.12.2006, n. 296;
b) l'articolo 14-bis del decreto-legge 01.07.2009, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 03.08.2009, n. 102;
c) il comma 2, lettera a), dell'articolo 188-bis, e l'articolo 188-ter, del decreto legislativo 03.04.2006, n. 152 e successive modificazioni;
d) l'articolo 260-bis del decreto legislativo 03.04.2006, n. 152 e successive modificazioni;
e) il comma 1, lettera b), dell'articolo 16 del decreto legislativo 03.12.2010, n. 205;
f) l'articolo 36, del decreto legislativo 03.12.2010, n. 205, limitatamente al capoverso «articolo 260-bis»;
g) il decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare in data 17.12.2009 e successive modificazioni;
h) il decreto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, 18.02.2011 n. 52.
3. Resta ferma l'applicabilità delle altre norme in materia di gestione dei rifiuti; in particolare, ai sensi dell'articolo 188-bis, comma 2, lettera b), del decreto legislativo n. 152 del 2006, i relativi adempimenti possono essere effettuati nel rispetto degli obblighi relativi alla tenuta dei registri di carico e scarico nonché del formulario di identificazione di cui agli articoli 190 e 193 del decreto legislativo n. 152 del 2006 e successive modificazioni.
".

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 32 del 12.08.2011, "Indicazioni per l’applicazione dell’art. 13 del regolamento regionale 24.03.2006, n. 4 – Disciplina dello smaltimento delle acque di prima pioggia e di lavaggio delle aree esterne, in attuazione dell’art. 52, comma 1, lettera a) della legge regionale 12.12.2003, n. 26" (circolare regionale 04.08.2011 n. 10).

DIPARTIMENTO FUNZIONE PUBBLICA

PUBBLICO IMPIEGO: Oggetto: indirizzi sull'applicazione del D.P.C.M. 26.10.2010. Disciplina per l'accesso, tramite concorso pubblico per titoli ed esami, alla qualifica di dirigente di prima fascia (direttiva 05.08.2011 n. 11/2011).

QUESITI & PARERI

EDILIZIA PRIVATA: Compatibilità paesaggistica.
In presenza di silenzio dell'autorità competente a fronte di un'istanza di compatibilità paesaggistica, presentata ai sensi dell'art. 181, del dlgs n. 42 del 22.01.2004, posso imporre alla suddetta amministrazione l'obbligo alla pronuncia?

L'articolo 181, comma 1-quater del decreto legislativo del 22.01.2004, n. 42, prevede, per i proprietari di immobili oggetto di interventi realizzati in area sottoposta a vicolo paesaggistico, di presentare domanda di accertamento di compatibilità paesaggistica e l'autorità competente (regione o ente subdelegato: comune) si pronuncia sulla domanda entro il termine perentorio di centottanta giorni, previo parere vincolante della soprintendenza da rendersi entro il termine perentorio di 90 giorni.
In tema, il TAR Toscana, Sez. III, con la sentenza 06.02.2008 n. 122, ha puntualizzato che la mancata adozione della relativa determinazione produce senz'altro l'insorgere del cosiddetto silenzio-rifiuto o silenzio-inadempimento, formatosi illegittimamente per l'inosservanza del termine previsto quale data ultimativa per rendere la prevista pronuncia.
Per i giudici amministrativi toscani, l'inerzia succitata viola il disposto di cui all'articolo 2 della legge n. 241 del 1990, che sancisce il principio, di carattere generale, della certezza del tempo delle determinazioni da assumersi da parte della pubblica amministrazione, sicché non può non censurarsi il comportamento omissivo tenuto dal comune, nel caso esaminato dai predetti giudici, che aveva il preciso onere di rendere la chiesta pronuncia nel termine a esso fissato dalla suddetta normativa.
Nel caso pertanto viene accertato, dal predetto Tar, che si è inverato il silenzio-inadempimento da parte del Comune competente in ordine all'istanza di accertamento di compatibilità paesaggistica. Di conseguenza il suddetto tribunale amministrativo ha intimato all'amministrazione comunale di provvedere con pronuncia espressa sull'istanza entro il termine perentorio di 120 giorni (articolo ItaliaOggi Sette del 15.08.2011).

NOTE, CIRCOLARI E COMUNICATI

EDILIZIA PRIVATA: Lombardia, Disciplina giuridica relativa alla realizzazione di serre stagionali.
Nei mesi scorsi sono state rappresentate, da parte di imprese agricole, preoccupazioni per le difficoltà riscontrate in diversi Comuni a realizzare coperture stagionali; al fine di evitare ulteriori preoccupazioni e possibili diverse interpretazioni della disciplina è stata discussa in Consiglio Regionale una interrogazione nella seduta del 28.06.2011.
Pertanto, sul tema delle coperture stagionali nelle aree agricole e della disciplina ad esse applicabili, per quanto riguarda il rilascio di un eventuale titolo abilitativo, si rende opportuna una nota di chiarimento interpretativo, che possa utilmente orientare i Comuni nell’esercizio delle loro responsabilità. A tal fine occorre innanzitutto richiamare i necessari elementi di inquadramento giuridico.
L’art. 33, comma 2, della L.R. n. 12/2005 prevedeva espressamente che le “coperture stagionali destinate a proteggere le colture … nelle aree destinate all'agricoltura” potessero essere eseguite senza titolo abilitativo. Tale disposizione è stata abrogata per effetto dell’art. 12, comma 1, della L.R. n. 3/2011, che peraltro ha contestualmente modificato il comma 1 del medesimo art. 33, prevedendo che “gli interventi di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio sono subordinati a permesso di costruire, fatto salvo quanto disposto dall’art. 6 del d.p.r. n. 380/2001 …”.
Quest’ultima norma di derivazione statale, come modificata dall’art. 5, comma 1, del D.L. n. 40/2010, convertito in legge 22.05.2010, n. 73, così dispone al comma 1: “Fatte salve le prescrizioni degli strumenti urbanistici comunali, e comunque nel rispetto delle altre normative di settore aventi incidenza sull'attività edilizia e, in particolare, delle norme antisismiche, di sicurezza, antincendio, igienico-sanitarie, di quelle relative all'efficienza energetica nonché delle disposizioni contenute nel codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22.01.2004, n. 42, … sono eseguiti senza alcun titolo abilitativo”, tra gli altri interventi, “le serre mobili stagionali, sprovviste di strutture in muratura, funzionali allo svolgimento dell’attività agricola” (cfr. lett. e).
In coerenza con l’espresso richiamo all’art. 6 del D.P.R. n. 380/2001, sempre la L.R. n. 3/2011 ha espunto lo stesso art. 6 dal novero degli articoli del D.P.R. n. 380/2001 espressamente disapplicati dall’art. 103, comma 1, della L.R. n. 12/2005.
Dalla lettura combinata delle norme testé richiamate, appare evidente come operativamente poco o nulla sia cambiato, rispetto al passato, per le imprese agricole interessate alla realizzazione di coperture stagionali, realizzazione che continua ad essere sostanzialmente liberalizzata, ossia non assoggettata ad alcun titolo abilitativo, pur dovendo sottolineare che alcuni elementi caratterizzanti la fattispecie di cui trattasi risultano oggi diversi rispetto all’assetto precedente. Infatti, la disciplina oggi vigente, ovvero l'art. 6, comma 1, lett. e), del D.P.R. n. 380/2001, richiede che queste serre siano "mobili stagionali, sprovviste di strutture in muratura, funzionali allo svolgimento dell'attività agricola" e dunque prevede ulteriori requisiti e diversi presupposti applicativi rispetto alla precedente norma regionale contenuta nell'art. 33, comma 2 abrogato, della L.R. n. 12/2005 ("realizzazione di coperture stagionali destinate a proteggere le colture … nelle aree destinate all'agricoltura").
Resta inteso che qualora oggetto di richiesta risultino tipologie di serre non riconducibili alla fattispecie delle "serre mobili stagionali" oggi liberalizzate, la relativa realizzazione andrebbe assoggettata alla disciplina dettata dall’art. 59, commi 4 e segg., e dall’art. 60 della L.R. n. 12/2005.
Da ultimo, merita sottolineare che il riferimento alle "prescrizioni degli strumenti urbanistici comunali", contenuto nella norma statale attualmente vigente, è da intendersi unicamente come possibilità che negli strumenti urbanistici comunali siano meglio dettagliate le caratteristiche tecniche che devono possedere tali “serre mobili stagionali” perché possano essere eseguite senza titolo abilitativo, non potendo evidentemente essere smentito quanto previsto per legge, ossia il regime di liberalizzazione dell’intervento allorché ricorrano i presupposti individuati dalla legge stessa.
IL DIRETTORE GENERALE - D.G. TERRITORIO E URBANISTICA - Bruno Mori
Milano, 05.08.2011 (link a www.territorio.regione.lombardia.it).

CORTE DEI CONTI

PUBBLICO IMPIEGOL'assistenza ai disabili sempre garantita.
Il diritto del lavoratore pubblico ad assistere un familiare disabile non può essere vincolato dai limiti spesa per il personale. Il lavoratore, infatti, in tali casi è titolare di un diritto potestativo alla concessione del congedo retribuito per l'assistenza del familiare disabile e questo prescinde dal fatto che gli oneri finanziari ricadono sulla pubblica amministrazione.

Non ammette repliche la conclusione cui è pervenuta la sezione regionale di controllo della Corte dei conti della Lombardia, nel testo del parere 18.07.2011 n. 463, con il quale ha fatto luce sul diritto in capo ai lavoratori che promana dall'articolo 42 del dlgs n. 151/2001.
Sul punto, il sindaco del comune di Veduggio con Colzano (Mb) richiedeva l'intervento della Corte in quanto un dipendente ha chiesto la concessione di un periodo di congedo, ai sensi dell'articolo 42 del citato dlgs, per assistere la madre inabile. Il sindaco, nella richiesta di parere osservava che, mentre per i lavoratori del settore privato l'onere derivante dalla concessione del congedo è assunto dal sistema previdenziale nazionale, per i dipendenti pubblici la spesa relativa è posta a carico dell'amministrazione concedente. Quindi, concludeva, alla luce del quadro di contenimento delle spese di personale e nell'impossibilità di procedere a una sostituzione temporale dello stesso dipendente, il primo cittadino richiedeva se la richiesta in questione dovesse essere intesa come una facoltà ovvero come un obbligo gravante sul comune.
Il collegio della magistratura contabile lombarda ha fatto presente che, alla luce delle disposizioni recate dal citato articolo 42 e della sentenza n. 19/2009 della Corte costituzionale, ne deriva che il dipendente comunale, in presenza dei requisiti posti dalla normativa di settore, è titolare di un diritto potestativo alla concessione del congedo retribuito per l'assistenza del familiare disabile. Ne è prova il tenore letterale del citato articolo 42, comma 5, secondo cui i soggetti legittimati «hanno diritto a fruire del congedo entro 60 giorni dalla richiesta».
Tutto questo, per la Corte, prescinde dal fatto che sul piano «contabilistico», gli oneri finanziari continuino a gravare sulle casse dell'amministrazione comunale, quale datore di lavoro, in termini di spesa di personale, con la conseguente necessità di rispettare i relativi limiti. In altri termini, si legge nel parere, tale diritto spetta ala lavoratore in presenza dei presupposti legali posti dall'ordinamento (recentemente modificati dalla legge n. 183/2010, meglio nota come collegato lavoro).
L'amministrazione è tenuta solamente alla verifica dei presupposti legittimanti la concessione del congedo. Infine, rileva il collegio, in tema di rispetto dei limiti di spesa, il comune è tenuto comunque a rispettarli, in ossequio alla vigente disciplina di coordinamento della finanza pubblica. Ma il rispetto di tali limiti non può «degradare» nella singola fattispecie, il diritto potestativo del dipendente al congedo retributivo per l'assistenza al familiare disabile.
Pertanto, in presenza dei presupposti di legge, l'amministrazione è tenuta a rispettare «simultaneamente» entrambe le tipologie di vincoli, ovvero quelli di finanza pubblica e quelli derivanti dal diritto del dipendente all'assistenza al familiare disabile (articolo ItaliaOggi del 12.08.2011 - tratto da www.corteconti.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOIl professionista non fa il dirigente. Vietato coprire posti di vertice con lavoratori autonomi. Corte conti Lombardia: c'è il rischio di andare incontro a responsabilità amministrativa.
È illegittimo e possibile fonte di responsabilità amministrativa coprire posti di vertice direzionale degli enti locali mediante incarichi di lavoro autonomo.
Lo evidenzia, sia pure in modo non del tutto lineare e coerente, la Corte dei conti, sezione regionale di controllo per la Lombardia, col parere 23.12.2010 n. 1060, pubblicato in questi giorni.
La sezione si è mossa a partire dalla richiesta di parere formulata da un comune privo di qualifiche dirigenziali, il quale si è rivolto alla magistratura contabile per verificare la possibilità di conferire la responsabilità del settore tecnico «ad un libero professionista, al di fuori della dotazione organica, ai sensi dell'articolo 50, comma 10 del dlgs n. 267/2000 e previo espletamento della relativa selezione», mediante un «contratto a tempo determinato di collaborazione esterna, secondo le modalità e i criteri stabiliti dall'art. 110 Tuel».
Il parere non manca di sottolineare come la richiesta di parere confonda le ipotesi di conferimento degli incarichi dirigenziali, con quelle di collaborazione esterna e si dilunga anche in modo ingarbugliato sulla disciplina normativa stratificatasi nel corso degli anni in tema di conferimento di incarichi esterni. La conclusione è, tuttavia, chiara e lapidaria: l'applicazione della disciplina degli incarichi dirigenziali a professionalità esterne ha presupposti e regolamentazione diversa sia dagli incarichi di consulenza, sia dalle collaborazioni.
Il parere ricorda anche che l'utilizzo di incarichi di collaborazione (quelli previsti dall'articolo 110, comma 6, del dlgs 267/2000) per lo svolgimento di attività proprie dei lavoratori subordinate, ai sensi dell'articolo 7, comma 6, del dlgs 165/2001 è causa di responsabilità amministrativa per il dirigente che stipula i relativi contratti. Alle medesime conclusioni era, comunque, possibile e più efficace giungere sulla base di ragionamenti ancora più semplici.
È sufficiente osservare che l'assoluta impossibilità di preporre ai vertici delle strutture amministrative degli enti locali liberi professionisti mediante contratti di lavoro autonomo deriva dalla circostanza che il lavoro autonomo non costituisce il rapporto organico, ma solo il rapporto di servizio. In altre parole, un professionista incaricato con un contratto di lavoro autonomo può rendere all'amministrazione pubblica un'attività connessa alla propria professione, ponendo in essere nella sostanza un appalto di servizio. Trattandosi di rapporto di lavoro autonomo o para subordinato, non si crea alcun vincolo di subordinazione con l'ente pubblico: il professionista, dunque, agisce in totale autonomia e l'attività svolta viene imputata esclusivamente alla propria sfera giuridica e non a quella dell'amministrazione.
Questo rende appunto incompatibile la direzione delle strutture di vertice con contratti di lavoro autonomo. Il dirigente o il responsabile di servizio di un ente locale o di qualsiasi pubblica amministrazione non agisce per sé, ma quale organo dell'ente. Il vertice direzionale, insomma, impersona l'ente, agisce immedesimandolo e, dunque, la sua attività viene imputata direttamente all'ente nel quale è incardinato.
Tale incardinazione può avvenire solo ed esclusivamente con un contratto di lavoro subordinato, l'unico che, anche ai sensi dell'art. 28 della Costituzione, consenta di imputare pienamente all'amministrazione di appartenenza anche i danni eventualmente cagionati dall'azione amministrativa a terzi.
Dunque, la copertura di incarichi dirigenziali o di responsabili di servizio ai sensi della combinazione degli articoli 19, comma 6, del dlgs 165/2001 e dell'art. 110 del dlgs 267/2000 (che dovrebbe considerarsi abolito, nonostante il contraddittorio avviso espresso sul merito dalle sezioni riunite della Corte dei conti) è ammissibile solo a condizione che tra il dirigente o il responsabile esterno intercorra un rapporto di lavoro subordinato. Non certamente un contratto di consulenza, che esclude radicalmente poteri gestionali, né un contratto di collaborazione, i quali non permettono al lavoratore autonomo di impegnare direttamente verso terzi l'ente. Il collaboratore di un ente, infatti, rivolge la propria attività esclusivamente a beneficio del committente (articolo ItaliaOggi del 12.08.2011 - tratto da www.corteconti.it).

NEWS

APPALTIContratti pubblici. Pagamenti osservati speciali. Obbligo di tracciamento per chi è tenuto ad applicare il Dlgs 163/2006. Determinante per far scattare la procedura è la qualificazione del primo committente della filiera.
Con la determinazione 4/2011 dell'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici risultano ora completi e definiti in chiave interpretativa sia l'ambito soggettivo sia l'ambito oggettivo di applicazione della legge 136/2010 in materia di tracciabilità dei pagamenti.
La chiave di lettura fondamentale è costituita dal codice dei contratti pubblici (il decreto legislativo 163/2006): poiché la normativa antimafia –nel cui contesto è inserito l'articolo 3 della legge 136/2010– trova applicazione generalizzata ai "contratti pubblici", sono tenuti all'osservanza degli obblighi di tracciabilità tutti i soggetti sottoposti all'applicazione del codice dei contratti pubblici.
Determinante è la qualificazione del primo anello della catena della tracciabilità e cioè del primo committente della filiera: la tracciabilità va applicata se esso assume la qualità di "stazione appaltante", secondo la definizione dell'articolo 3, comma 33, del Dlgs 163. In buona sostanza, la verifica circa la necessità di applicazione delle norme sulla tracciabilità presuppone un'analisi sull'obbligo di applicazione del codice dei contratti pubblici.
Se il committente riconosce in sé la figura di "stazione appaltante", gli obblighi di tracciabilità –a partire dal codice identificativo di gara (Cig) per finire con il bonifico sul conto dedicato– si estendono a tutta la filiera delle imprese, secondo l'ampia interpretazione di essa fornita dall'Autorità dei lavori pubblici sempre con la stessa determinazione 4/2011.
Per ciò che riguarda l'ambito oggettivo di applicazione della legge 136, l'Autorità ha confermato che tutto ruota intorno al concetto di «contratto di appalto pubblico», quale definito dal comma 6 dell'articolo 3 del Dlgs 163, ovvero un contratto a titolo oneroso, stipulato per iscritto tra una stazione appaltante o un ente aggiudicatore e uno o più operatori economici, avente per oggetto l'esecuzione di lavori, la fornitura di prodotti, la prestazione di servizi come definiti dal codice stesso.
Su questa falsariga si sviluppano poi le posizioni su fattispecie singole, per le quali è utile la lettura del capitolo 4 e di taluni paragrafi del capitolo 3 della determinazione 4/2011: vengono, per esempio, esclusi dagli obblighi di tracciabilità i contratti di locazione e di compravendita di beni immobili, i contratti d'opera intellettuale e talune fattispecie di servizi sanitari, mentre vengono ricompresi i servizi bancari e alcuni servizi legali.
La disamina sull'ambito oggettivo di applicazione degli obblighi di tracciabilità deve però essere condotta in relazione al rapporto tra "stazione appaltante" e appaltatore. Infatti, una volta individuata in tale fase l'applicabilità, i contratti a valle –a prescindere dalla loro natura– sono sempre soggetti agli obblighi nella misura in cui li si collochi nella filiera delle imprese coinvolte nell'esecuzione dell'appalto pubblico.
Ad esempio, nel caso di opera pubblica ove stazione appaltante sia il comune, il rapporto professionale (qualificato come contratto d'opera intellettuale) che l'appaltatore avesse con il responsabile della sicurezza sarebbe soggetto agli obblighi di tracciabilità (articolo Il Sole 24 Ore del 15.08.2011 - tratto da www.ecostampa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIAEcoreati, super-multe dalla «231». Da domani le sanzioni: fino a 774mila euro per chi smaltisce illegalmente rifiuti.
Scattano domani –martedì 16 agosto– le super-multe per le società coinvolte in "ecoreati".
È il risultato delle novità introdotte dal Dlgs 121/2011, che fa rientrare una serie di illeciti ambientali nell'orbita della "231", la disciplina sulla responsabilità amministrativa degli enti. Il tutto, sanzionando le società e le associazioni nell'interesse o a vantaggio delle quali è stato commesso il reato.
Le sanzioni sono dettate dal nuovo articolo 25-undecies, inserito nel Dlgs 231/2001 e rubricato sotto la voce «Reati ambientali». Il settore maggiormente colpito è quello dei rifiuti, in cui rientra anche il reato di falsità del certificato analitico nel trasporto dei rifiuti assistito da Sistri. Non mancano le previsioni sugli scarichi industriali, le emissioni in atmosfera e le bonifiche. Ad esempio, chi scarica acque reflue contenenti sostanze pericolose rischia una multa da 51.600 a 465mila euro. Per il traffico illecito di rifiuti, invece, si può arrivare a pagare fino a 774mila euro (si vedano gli esempi nel grafico a destra).
La sanzione pecuniaria –applicata in ogni illecito amministrativo dipendente da reato– è quantificata con il sistema delle quote, che possono variare da 100 a 1.000 a seconda dei casi. Il valore di ogni quota, invece, va da 258,23 a 1.549,37 euro ed è rimesso alla discrezionalità del giudice, che valuta anche le condizioni economiche in cui versa l'ente «allo scopo di assicurare l'efficacia della sanzione» (evitando pene draconiane o irrisorie).
Per il procedimento si osservano, oltre alle specifiche norme dettate dal Dlgs 231/2001, il Codice di procedura penale e il Dlgs 271/1989. Quindi, anche se in questo caso la responsabilità dell'ente è di tipo amministrativo, questa viene accertata nel l'ambito di un procedimento penale dallo stesso giudice chiamato a decidere sul reato-presupposto commesso da amministratori e/o dipendenti (articoli 36 e 38 Dlgs 231/2001).
La confisca e la pubblicazione della sentenza non hanno trovato spazio nel recepimento. Oltre alle sanzioni pecuniarie, però, ci sono anche le misure interdittive, che colpiscono il funzionamento della società. A prevederle è l'articolo 9, comma 2, della "231": interdizione dall'esercizio dell'attività; sospensione o revoca di autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla commissione dell'illecito; divieto di contrattare con la Pa, salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio; esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi ed eventuale revoca di quelli già concessi; divieto far pubblicità.
Tra i reati colpiti dalle sanzioni interdittive ci sono la discarica abusiva e lo scarico di acque reflue industriali contenenti sostanze pericolose. La durata di queste sanzioni non supera i 6 mesi, ma nel caso del traffico illecito di rifiuti –se l'ente o una sua branca operano solo per agevolare o commettere il reato– scatta l'interdizione definitiva dall'esercizio dell'attività e non è consentita la riparazione delle conseguenze del reato. Riparazione che, negli altri casi, consente (prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado) di non applicare le interdizioni.
Anche per i reati ambientali sanzionati dalla "231", la violazione è inquadrata come evento riconducibile a un "deficit organizzativo" dell'ente e riguarda persone giuridiche, società e associazioni anche prive di personalità giuridica. Per escludere o limitare la propria responsabilità, l'ente deve dotarsi di modelli organizzativi, di gestione e di controllo dinamici per invocare la propria diligenza organizzativa.
In mancanza, le aziende possono essere chiamate a rispondere per i reati commessi nel proprio interesse o vantaggio dai propri amministratori o dipendenti, a prescindere dal concreto vantaggio ottenuto. Con evidenti riflessi sul patrimonio degli enti e e, quindi, sugli interessi dei soci (articolo Il Sole 24 Ore del 15.08.2011).

EDILIZIA PRIVATA - VARIImmobili. Dopo cinque anni via al limite massimo di prezzo e canone di locazione Libertà di vendita per le case popolari.
Nuove opportunità dal decreto Sviluppo per i proprietari di unità immobiliari abitative e loro pertinenze la cui costruzione sia avvenuta a seguito della stipula di una convenzione, tra Comune e impresa costruttrice, nel cui ambito sia imposto un tetto massimo per la determinazione del prezzo di vendita o del canone di locazione degli alloggi oggetto dell'intervento convenzionato.
Spesso un intervento edilizio di nuova costruzione o di ristrutturazione è preceduto da un convenzionamento volto a disciplinare alcuni aspetti dell'imminente edificazione: ad esempio, la realizzazione delle opere di urbanizzazione (quali strade, reti degli impianti, parcheggi pubblici e privati, eccetera) e le caratteristiche tipologiche e costruttive del fabbricato erigendo.
Diverse convenzioni, quali quelle oggi denominate di edilizia residenziale pubblica (Erp, un tempo Peep: piani di edilizia economica e popolare), si spingono sino a prevedere che la cessione (o la locazione) degli alloggi da realizzare sia possibile solo a favore di utenti con particolari caratteristiche (per lo più si tratta di soggetti con reddito non superiore a determinate soglie e privi di altre proprietà) e che il prezzo di cessione e il canone di locazione non oltrepassino un certo limite massimo, e ciò sia con riferimento alla «prima cessione» (quella dell'appartamento nuovo, dal costruttore al primo acquirente o inquilino), ma anche con riferimento alle cessioni "successive", e quindi alle vendite e alle locazioni che vengano poste in essere dai soggetti aventi causa dall'impresa costruttrice.
I cambiamenti.
La legge di conversione del decreto Sviluppo (la legge 106/2011) introduce dunque una nuova norma per effetto della quale sarà possibile rimuovere, da determinate convenzioni, i vincoli relativi alla determinazione del prezzo massimo di cessione e del canone massimo di locazione degli alloggi. Più precisamente, si tratta dei vincoli contenuti:
- nelle convenzioni (all'articolo 35 legge 865/1971) aventi a oggetto o il trasferimento al soggetto attuatore del diritto di proprietà su aree Erp, stipulate anteriormente all'entrata in vigore della legge 17.02.1992, n. 179, oppure il trasferimento del diritto di superficie sulle aree Erp;
- nelle convenzioni (articolo 18, Dpr 380/2011) stipulate per scomputare dai contributi concessori dovuti al Comune il costo di realizzazione delle opere di urbanizzazione di cui si faccia carico l'attuatore.
Per la rimozione dei vincoli attinenti il prezzo di cessione o il canone di locazione, la nuova norma dispone che devono essere decorsi almeno cinque anni dalla data in cui è stato stipulato il trasferimento dell'area (spesso coincidente con la data della convenzione) e che occorre firmare, a richiesta del singolo proprietario, una nuova convenzione con il Comune, nella forma dell'atto pubblico da trascrivere nei registri immobiliari.
I passaggi.
Inoltre, si dovrà versare un corrispettivo commisurato al valore dell'area sulla quale è stato realizzato l'intervento, la cui determinazione è abbastanza complessa, in quanto bisogna compiere i seguenti tre passaggi:
● occorre tenere anzitutto in considerazione che su ciascun richiedente grava un'aliquota del valore dell'area pari alla quota millesimale corrispondente all'appartamento che si intende svincolare dalla limitazione inerente la determinazione del prezzo massimo di cessione o del canone massimo di locazione;
● in secondo luogo, occorre prendere in considerazione il valore dell'area quale determinabile ai sensi dell'articolo 31, comma 48, legge 23.12.1998, n. 448: in sintesi, si tratta del valore, determinato dal Comune su parere del proprio ufficio tecnico, pari al 60 per cento di quello determinato ai sensi dell'articolo 5-bis, comma 1, decreto legge 333/1992 (convertito in legge 359/1992), escludendo la riduzione prevista dall'ultimo periodo dello stesso comma 1, al netto degli oneri di concessione del diritto di superficie, rivalutati sulla base della variazione, accertata dall'Istat, dell'indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati verificatasi tra il mese in cui sono stati versati i suddetti oneri e quello di stipula dell'atto di cessione delle aree;
● infine, sul valore determinato in base ai criteri indicati sopra, bisogna applicare una percentuale che, secondo la legge di conversione del decreto Sviluppo, verrà stabilita con decreto di natura non regolamentare del ministro dell'Economia (articolo Il Sole 24 Ore del 15.08.2011).

ENTI LOCALIRiforma avanti a passo spedito. Al via la terza fase dell'iter di attuazione del federalismo.
Con l'approvazione del decreto legislativo su premi e sanzioni si è chiuso il secondo tratto del percorso di attuazione del federalismo fiscale. Ma la strada verso il traguardo finale è ancora molto lunga e piena di ostacoli.
Il primo step era stato completato nel maggio di due anni fa, quando il parlamento (in modo quasi bipartisan) licenziò la L. 42/2009. Quest'ultima attribuì al governo una delega (biennale) per la revisione del sistema di relazioni finanziarie fra i diversi livelli di governo, in modo da completare il decentramento avviato dalle leggi Bassanini e culminato con la riforma costituzionale del 2001.
Due gli obiettivi di fondo:
● superare il sistema di finanza derivata, basato sui trasferimenti statali a Regioni ed Enti locali, sostituendoli (in ossequio al principio «no taxation without representation») con entrate proprie manovrabili e trasparenti, puntellate da fondi perequativi per i soli territori con minore capacità fiscale;
● abbandonare la logica (inefficiente) della spesa storica a favore di criteri di costo/fabbisogno standard.
Si tratta di una vera e propria «rivoluzione copernicana», che richiede profonde modifiche dello status quo. Il governo ha quindi optato per un approccio «modulare»: l'esercizio della delega conferita dalla L. n. 42/2009 è stato scomposto in otto decreti legislativi, cui vanno aggiunti alcuni altri provvedimenti direttamente o indirettamente collegati al tema del federalismo fiscale.
I relativi contenuti, predisposti con il supporto tecnico della Copaff, guidata da Luca Antonini, sono stati faticosamente negoziati con gli enti territoriali e con la commissione parlamentare bicamerale presieduta da Enrico La Loggia.
Contrariamente a quanto avvenuto nella prima fase, non poche sono state le divisioni e le contrapposizioni, non sempre spiegabili solo in termini di dialettica fra maggioranza e opposizioni, ma talvolta rivelatrici di fratture più profonde e di nodi irrisolti (perlopiù legati all'impatto delle manovre correttive nel frattempo adottate), che pongono non poche incognite sul futuro.
Del resto, nessuno dei decreti legislativi è esaustivo, giacché tutti rinviano ad ulteriori provvedimenti attuativi, solo in piccola parte già adottati.
Mancano, inoltre, alcuni tasselli fondamentali, non direttamente ricollegati all'attuazione della L. 42/2009 ma senza i quali l'intero disegno da questa tracciato rischia di restare incompleto.
Molte scelte cruciali, pertanto, sono rinviate alla terza fase, che inizia ora e che certamente non si concluderà prima del 2014, anno in cui gran parte dei nuovi meccanismi di finanziamento dovrebbero entrare a regime.
Il condizionale è d'obbligo, anche perché è certo che nei prossimi mesi i provvedimenti fin qui adottati potranno subire modifiche. Se il termine generale per l'esercizio della delega scade il prossimo 21 novembre (per effetto della proroga di sei mesi concessa dalla L. 85/2011), entro i successivi tre anni potranno essere adottati ulteriori decreti legislativi correttivi ed integrativi.
Il cantiere del federalismo fiscale, quindi, pare destinato a restare aperto ancora a lungo (articolo ItaliaOggi Sette del 15.08.2011 - tratto da www.ecostampa.it).

ENTI LOCALIMANOVRA BIS/ Parte la corsa verso il pareggio. Fra tagli e maggiori entrate il provvedimento vale 45,5 mld. Le misure principali contenute nel decreto varato dal consiglio dei ministri.
Prelievi aggiuntivi sui redditi, tagli alla spesa e ai costi della macchina amministrativa del paese, incentivi alla privatizzazione dei servizi pubblici locali (acqua esclusa) e alla liberalizzazione delle professioni. L'obiettivo è abbattere l'indebitamento e arrivare nel 2013 al pareggio di bilancio.
Il decreto legge 138/2011, varato venerdì scorso dal consiglio dei ministri, e pubblicato in G.U. sabato, vale in totale 45,5 miliardi di euro, quasi interamente aggiuntivi rispetto agli effetti finanziari previsti con l'intervento del mese scorso (dl n. 98/2011).
A cominciare dal contributo di solidarietà anche nel settore privato: dovrà pagarlo per due anni (2012 e 2013) chi guadagna più di 90 mila euro, similmente a quanto già avviene nel pubblico. I sacrifici non risparmiano nemmeno gli statali: i dipendenti delle p.a. che non rispettano gli obiettivi di riduzione della spesa potrebbero perdere il pagamento della tredicesima mensilità.
Aumenta la tassazione sulle rendite finanziarie, che passa al 20%. Scende, invece, quella sui depositi bancari e postali, finora al 27%. Invariato il trattamento fiscale dei titoli di stato, che continueranno a scontare l'aliquota del 12,5%. In arrivo anche un'ulteriore stretta contro l'evasione: la soglia della tracciabilità dei pagamenti scenderà a 2.500 euro, mentre per chi non rilascia scontrini o fatture potrebbe arrivare la chiusura dell'attività o la sospensione dall'ordine professionale. Si riduce ulteriormente la soglia di riportabilità delle perdite fiscali: dal limite dell'80%, sancito non più tardi di un mese fa dal dl n. 98/2011, si scenderà al 62,5%. La manovra lavora anche sulla spesa pubblica.
Innanzi tutto prevedendo la cancellazione di circa 54 mila cariche elettive. Le province al di sotto dei 300 mila abitanti saranno soppresse: i dati relativi alla popolazione che rileveranno saranno quelli del censimento Istat che si concluderà entro quest'anno, anche se i criteri di selezione degli enti da abolire potrebbero subire modifiche. Fusione in vista, poi, per i comuni con meno di mille abitanti. L'esecutivo spinge sull'acceleratore, infine, sulla privatizzazione dei servizi pubblici locali e su una riforma delle professioni incentrata sul principio della liberalizzazione (non generalizzata).
E per favorire la crescita dell'economia, da ultimo, arriva lo stop ai «ponti» aziendali. Tutte le festività infrasettimanali di natura non religiosa saranno spostate al lunedì, così come avviene in molti paesi europei. Accorpando il giorno di festa al weekend, si eviteranno così i ponti (articolo ItaliaOggi Sette del 15.08.2011).

ENTI LOCALI - VARIMANOVRA BIS/ Solidarietà, peso doppio per i politici. Il contributo al risanamento sarà maggiore rispetto ai privati e indeducibile.
Il contributo di solidarietà è un'addizionale all'Irpef dovuta dai possessori di redditi medio alti. I politici contribuiranno al risanamento in misura doppia rispetto ai privati e per essi il contributo di solidarietà sarà pure indeducibile.
Per risanare i conti pubblici arriva dunque la super Irpef sui redditi più alti. Saranno i possessori di redditi imponibili superiori ai 90 mila euro a contribuire dunque al riassetto della finanza pubblica investita dalla crisi dei mercati finanziari.

Ecco dunque svelato il c.d. contributo di solidarietà, previsto nel decreto approvato venerdì scorso dal consiglio dei ministri, il n. 138, pubblicato in Gazzetta Ufficiale sabato 13.08.2011.
I più ricchi contribuiscono con un maggior gettito alle casse dell'Irpef. Il contributo di solidarietà è in buona sostanza una addizionale Irpef così commisurata: 5% per i redditi superiori a 90 mila euro e fino a 150 mila, 10% per i redditi superiori a tale ultima soglia. Per i parlamentari il contributo di solidarietà sarà ancora più elevato: 10% per i redditi compresi fra 90 e 150 mila euro che passa al 20% per i redditi di imponibile superiore ai 150 mila euro.
Il contributo di solidarietà, la nuova addizionale Irpef sui redditi più elevati, avrà una durata temporale pari a un biennio. Quanto versato dai contribuenti a titolo di contributo di solidarietà sarà deducibile ma non per tutti. I contribuenti privati potranno, infatti, scomputare dal loro reddito imponibile quanto versato a titolo di contributo di solidarietà, mentre lo stesso resterà indeducibile per i parlamentari per i quali peraltro l'addizionale, appunto, è stabilita in misura doppia.
Cresce dunque la pressione fiscale diretta sui redditi medio alti, con un aggressione che ovviamente colpisce tutti coloro che operano con il fisco «allo scoperto». Resteranno impuniti e non contribuiranno al risanamento dei conti pubblici tutti quei titolari di reddito di lavoro autonomo che in un modo o nell'altro riescono ad occultare al fisco buona parte dei loro proventi annui.
La nuova manovra correttiva dei conti pubblici, la seconda nel giro di pochi mesi, ha scelto dunque di far contribuire una minoranza dei contribuenti che possiedono però redditi imponibili ai fini Irpef di ammontare consistente. Le ultime stime sui redditi imponibili dichiarati in Italia indicavano, infatti, in poco più dell'1% del totale dei contribuenti coloro che dichiaravano redditi imponibili superiori ai 100 mila euro. Si tratta di una percentuale minima di contribuenti dal punto di vista numerico che contribuisce però a circa un quinto del gettito totale dell'Irpef.
L'intervento sui redditi e quindi, anche se indirettamente sulle aliquote dell'imposta sulle persone fisiche, ha ovviamente più di una ripercussione. In primo luogo il peso fiscale sui redditi medio alti posseduti dai contribuenti finirà per innalzare la pressione fiscale del nostro paese su livelli record rispetto agli altri paesi dell'area euro. In secondo luogo si tratta di una misura che necessita, gioco forza, di una serie di misure di contrasto e di contrappeso per evitare la tendenza, che cresce in maniera direttamente proporzionale al crescere del prelievo, alla sottrazione di materia imponibile.
In altre parole perché la misura introdotta sulle aliquote marginali più elevate possa avere effetti reali e duraturi in termini di maggior gettito Irpef è necessario che la stessa sia accompagnata da particolari misure di controllo e monitoraggio dei soggetti che dichiarano e dichiareranno nel prossimo futuro tali livelli di reddito.
È probabile dunque che durante il biennio di riferimento delle nuove addizionali Irpef a titolo di contributo di solidarietà, i possessori di tali categorie di reddito divengano delle vere e proprie sorvegliate speciali all'interno dei criteri di selezione e analisi di rischio evasione. Con tutta probabilità dunque le entrate monitoreranno con particolare attenzione i soggetti che presenteranno, nell'arco temporale di riferimento della nuova manovra correttiva, «pericolose» discese verso il basso del loro reddito imponibile. Situazioni del genere potrebbero infatti far presumere un comportamento omissivo del contribuente che cercando di sottrarsi al nuovo e più pesante onere fiscale imposto sugli scaglioni di reddito più elevati, si autodifende sottraendo materia imponibile al gettito dell'imposta personale sul reddito.
Lavoratori autonomi. Dalle anticipazioni circolate sul contenute del decreto si evince anche un leggero ritocco alle aliquote Irpef apri all'1% per redditi superiori a 55 mila euro. La tassazione Irpef salirà dunque per queste categorie di reddito dal 41 al 42% per il penultimo scaglione e dal 43 al 44% per i redditi sopra i 75 euro.
Uno dei maggiori problemi resta quello dell'esatta individuazione dell'ambito soggettivo previsto dal decreto. A quanto pare l'addizionale Irpef dell'1% nella misura sopra descritta sarebbe applicabile solo alla sfera del lavoro autonomo (esercizio di arti e professioni) mentre resterebbe indenne l'attività d'impresa.
Da capire anche la portata dell'attività di lavoro autonomo alla formazione del reddito complessivo e cioè se sia da ritenersi o meno escluso dall'addizionale dell'1% il reddito che solo in parte è formato dall'apporto di attività professionali o artistiche.
Quanto alla decorrenza temporale dell'addizionale Irpef sui redditi di lavoro autonomo medio elevati la stessa dovrebbe operare in relazione al periodo di imposta 2012 con effetti che potrebbero evidenziarsi nel modello Unico 2013.
Anche in questo caso l'addizionale dell'1% sui redditi di lavoro autonomo medio alti colpirebbe solo i redditi disvelati al fisco. Resterebbero indenni dal contributo aggiuntivo i redditi nascosti al fisco che nella categoria del lavoro autonomo, stando almeno alle più recenti stime sull'evasione in Italia, sono particolarmente elevati.
Anche in questo caso dunque tali misure dovranno necessariamente essere accompagnate da nuove ed appropriate misure di contrasto all'evasione fiscale per evitare, per quanto possibile, l'occultamento di tali redditi al fisco. Se tali misure risulteranno confermate nel testo definitivo del decreto per i lavoratori autonomi si tratterebbe di una sorpresa piuttosto amara che si andrebbe peraltro a sommare alle altre misure contenute in altra parte della manovra nelle quali si riproduce nuovamente il tema della liberalizzazione delle attività professionali (articolo ItaliaOggi Sette del 15.08.2011).

ENTI LOCALI - VARIIl codice della strada è appiedato. Sono molti i provvedimenti attuativi ancora da approvare. Dalla regolarizzazione dei semafori laser alle targhe: i nodi da sciogliere a un anno dalla riforma.
Accertamenti relativi alla guida con droghe, regolarizzazione dei semafori laser, delle tabelle count-down e dei pannelli luminosi installati a lato della strada per indicare la velocità dei veicoli. Nuove regole per l'utilizzo degli autovelox e ripartizione dei relativi proventi fra l'organo accertatore e l'ente proprietario della strada, targa personale, targhe dei rimorchi, intestazioni fittizie dei veicoli, contrassegno invalidi europeo.
Sono alcuni degli aspetti più rilevanti della riforma del codice stradale persi nel cammino. Ovvero che, a distanza di un anno dall'entrata in vigore della legge n. 120 del 29.07.2010, attendono le disposizioni di attuazione per diventare operativi.
Guida con droghe. La riforma stradale della scorsa estate ha voluto potenziare l'utilizzo dei precursori, ovvero strumenti portatili non invasivi facilmente manovrabili, per l'accertamento della guida con droghe. Se l'accertamento preliminare ha dato esito positivo, ovvero la polizia ha comunque ragionevole motivo di ritenere che il conducente è alterato dalla droga, il personale medico potrà procedere ad accertamenti clinico-tossicologici o a prelievo di campioni di mucosa del cavo orale. Però manca ancora all'appello il decreto ministeriale che deve definire le modalità di effettuazione degli accertamenti e le caratteristiche degli strumenti da impiegare. Lo stesso decreto potrà prevedere e disciplinare gli accertamenti sulla guida sotto effetto di droga anche su campioni di fluido del cavo orale, anziché su campioni di mucosa.
Semafori laser e tabelle count-down. Doveva essere adottato entro il 12.10.2010, ma non è ancora stato emanato il decreto ministeriale per definire le caratteristiche per l'omologazione e l'installazione degli impianti di regolazione della velocità, degli impianti che si attivano al rilevamento della velocità dei veicoli in arrivo e dei dispositivi finalizzati a visualizzare il tempo residuo di accensione delle luci dei nuovi impianti semaforici. Quindi, per la regolarizzazione di situazioni già ampiamente diffuse nel territorio, si dovrà attendere il 2013, considerato che le disposizioni di cui all'art. 60 della legge n. 120/2010 si applicheranno decorsi sei mesi dalla data di adozione del decreto ministeriale.
Pannelli luminosi della velocità. Anche se l'art. 7 della legge n. 120/2010 ha ammesso la regolamentazione dei pannelli luminosi che segnalano all'utenza la velocità dei veicoli in transito, questi strumenti restano tuttora fuori legge. Infatti, in assenza delle regole tecniche necessarie all'omologazione dei modelli, queste installazioni risultano essere al momento ancora non conformi al codice della strada.
Targa personale. Manca all'appello il regolamento (era da emanare entro il 12.08.2011), che deve disciplinare la targa personale. Il modificato art. 100 del codice della strada prevede che tutte le nuove targhe degli autoveicoli, motoveicoli e rimorchi diventino personali, senza che possano essere abbinate contemporaneamente a più di un veicolo. In caso di trasferimento di proprietà, costituzione di usufrutto, stipulazione di locazione con facoltà di acquisto, esportazione all'estero e cessazione dalla circolazione, il manufatto dovrà essere trattenuto dal titolare.
Targa dei rimorchi. Non è ancora stato emanato, nonostante la scadenza fissata per il 12.10.2010, il regolamento per disciplinare l'introduzione delle targhe dei rimorchi; in attesa, restano valide le targhe ripetitrici, che rappresentano una peculiarità tutta italiana.
Intestazioni fittizie dei veicoli. Si attende l'emanazione dei decreti che devono dettare le disposizioni applicative della disciplina recata nuovo art. 94-bis del codice della strada. La fine delle intestazioni fittizie è finalizzata a riordinare numerose situazioni di comodo che negli anni hanno consentito abusi assicurativi, fiscali e amministrativi. In pratica non potranno più essere rilasciate carte di circolazione senza una chiara identificazione del soggetto responsabile.
Esercitazioni di guida. Chi intende conseguire la patente di categoria B deve effettuare esercitazioni in autostrada o su strade extraurbane e in condizioni di visione notturna con l'istruttore dell'autoscuola. Ma al momento non è ancora stato firmato il necessario decreto ministeriale che doveva essere adottato entro il 12.11.2010.
Contrassegno invalidi. Grazie alla riforma stradale dell'estate scorsa, si sono poste le basi per adottare il contrassegno uniforme europeo per la sosta dei disabili. Infatti, l'art. 58 della legge n. 120/2010 ha modificato l'art. 74 del decreto legislativo n. 196/2003. Manca però il decreto necessario per modificare l'art. 381 del regolamento del codice della strada.
Una volta approvato il provvedimento, che è in fase di predisposizione, l'Italia potrà finalmente allinearsi alla raccomandazione 98/376/Ce del 04.06.1998 del consiglio, come modificata successivamente dalla raccomandazione 2008/205/Ce del 03.03.2008.
Multe a rate. Discorso a parte per il pagamento rateizzato delle sanzioni per le multe stradali. Infatti, pur non essendo stato ancora emanato il decreto ministeriale di attuazione, il ministero dell'interno con la circolare n. 6535 del 22.04.2011 ha precisato che l'art. 202-bis è già direttamente applicabile. Di fatto la pratica in questo caso ha superato la burocrazia (articolo ItaliaOggi Sette del 15.08.2011).

ENTI LOCALI - VARIControllo della velocità, tutor, laser e autovelox: si cambia.
Arriverà a settembre anche il decreto interministeriale che dovrà ridefinire le modalità di impiego dei sistemi elettronici per il controllo della velocità dei veicoli. Ma solo dopo il disco verde della Conferenza stato–città e con il possibile stralcio della norma che avrebbe dovuto dare il via libera definitivo alla divisione dei proventi autovelox tra i controllori e i gestori delle strade.
Sono le novità autunnali in materia di controllo della velocità, tutor, laser o autovelox.
La riforma dell'autovelox, introdotta con la legge 120/2010, richiede un decreto ad hoc per disciplinare la ripartizione dei proventi e per ridefinire nel dettaglio le modalità di collocazione e uso dei temuti sistemi elettronici. In pratica il governo è chiamato a sciogliere definitivamente la vicenda dell'impossibilità tecnica di attivare uno dei punti più qualificanti della riforma, ovvero la divisione dei proventi autovelox tra organo accertatore ed ente proprietario della strada. Oltre a difficoltà tecniche di contabilità pubblica, l'ostacolo maggiore è rappresentato in questo caso dal fatto che la riforma non avrebbe trovato applicazione sulla rete stradale Anas, in quanto strada in concessione. Ma anche le forti resistenze politiche delle autonomie locali all'attivazione della stringente riforma hanno giocato il loro peso.
Il ministero dei trasporti e quello dell'interno nel frattempo hanno già predisposto la bozza della nuova circolare. A quanto risulta a ItaliaOggi Sette non sono previste modifiche sostanziali all'attuale disciplina sull'uso degli strumenti elettronici di controllo. La questione più discussa resta quella degli strumenti automatici in sede fissa che dopo la modifica introdotta con l'art. 25 della legge 120/2010 possono essere attivati, fuori dai centri abitati, a una distanza di almeno un chilometro dal segnale che impone il limite di velocità.
In particolare è stata la circolare del ministero dell'interno del 29.12.2010 a creare maggior sconcerto. Questa distanza, ha spiegato l'organo di coordinamento dei servizi di polizia stradale, deve essere osservata anche a ogni incrocio. Quindi se il box fisso è troppo vicino a una intersezione non si possono elevare più sanzioni in automatico. Sembra che sia allo studio qualche miglioria al riguardo che possa permettere la riaccensione di alcuni sistemi automatici, nel frattempo spenti (o utilizzati con la presenza degli operatori di polizia).
Solo i Tutor autostradali, infatti, non hanno subito l'effetto della legge 120/2010 e continuano a funzionare a pieno regime (articolo ItaliaOggi Sette del 15.08.2011).

PUBBLICO IMPIEGOP.a., il part-time è discrezionale. Niente più automatismi: l'amministrazione valuta le istanze. Le regole per trasformare il rapporto di lavoro dei dipendenti pubblici da tempo pieno a parziale.
In soffitta il diritto al part-time per i pubblici dipendenti. La pubblica amministrazione, infatti, non è più tenuta, senza condizioni, ad accettare le richieste dei lavoratori di trasformare il proprio impiego da tempo pieno a parziale, né tantomeno la trasformazione può prodursi automaticamente.
Piuttosto, essa rappresenta soltanto un'opportunità per il lavoratore, la cui decisione è rimessa alla valutazione dell'amministrazione che deciderà in considerazione: 1) della dotazione organica, 2) dell'oggetto dell'attività che il lavoratore intende svolgere con il part-time; 3) dell'impatto sull'organizzazione lavorativa.
Pubblici sempre più privati. La novità, introdotta dal dl n. 112/2008 (convertito dalla legge n. 133/2008), è stata oggetto di precisazioni da parte del ministro della pubblica amministrazione e del ministro per le pari opportunità nella circolare congiunta n. 9/2011.
Due i motivi dell'intervento ministeriale: primo per il nascente contenzioso sull'applicazione delle nuove e più stringenti regole; secondo per la norma del collegato lavoro (legge n. 183/2010) che, in via transitoria, ha concesso alle pubbliche amministrazioni un potere speciale, ossia la facoltà di rimettere in valutazione le trasformazioni già concesse prima dell'entrata in vigore della riforma (24.11.20110).
Quando è accoglibile la domanda. In base alla normativa vigente, dunque, a fronte di un'istanza del lavoratore, l'amministrazione non ha più l'obbligo di accogliere la richiesta di trasformazione del rapporto da tempo pieno a part-time. Né la trasformazione stessa avviene in maniera automatica. Infatti, la nuova disciplina prevede che la trasformazione «può» essere concessa entro 60 giorni dalla domanda e poi prevede particolari condizioni ostative alla trasformazione, cioè alle cause che precludono l'accoglimento della istanza (che sono tipizzate ex ante).
Pertanto, in presenza della disponibilità del «posto» nel contingente e in assenza di tali condizioni preclusive (che riguardano il perseguimento dell'interesse istituzionale e il buon funzionamento dell'amministrazione), il lavoratore dipendente è titolare di interesse tutelato alla trasformazione del rapporto di lavoro a part-time, ferma restando comunque la valutazione da parte dell'amministrazione relativamente alla congruità del regime orario e alla collocazione temporale della prestazione lavorativa proposti.
La valutazione dell'istanza. La valutazione dell'istanza, una volta verificatane l'accoglibilità dal punto di vista soggettivo e la presenza delle altre condizioni di ammissibilità, si basa su tre elementi:
● la capienza dei contingenti fissati dalla contrattazione collettiva in riferimento alle posizioni della dotazione organica;
● l'oggetto dell'attività, di lavoro autonomo o subordinato, che il dipendente intende svolgere a seguito della trasformazione del rapporto; in particolare, lo svolgimento dell'attività non deve comportare una situazione di conflitto di interessi rispetto alla specifica attività di servizio svolta dal dipendente e la trasformazione non è comunque concessa quando l'attività lavorativa di lavoro subordinato debba intercorre con altra amministrazione (a meno che non si tratti di dipendente di ente locale per lo svolgimento di prestazione in favore di altro ente locale);
● l'impatto organizzativo della trasformazione, che può essere negata quando dall'accoglimento della stessa deriverebbe un pregiudizio alla funzionalità dell'amministrazione, in relazione alle mansioni e alla posizione organizzativa ricoperta dal dipendente.
La verifica della capienza del contingente ha carattere oggettivo e deve essere compiuta in concreto con riferimento al momento in cui la trasformazione dovrebbe aver luogo, in base alla domanda del lavoratore. Nel caso in cui il numero delle domande risulti eccedente rispetto ai posti di contingente, la valutazione sull'accoglimento delle istanze deve essere operata tenendo conto, congiuntamente, dell'interesse al funzionamento dell'amministrazione e della particolare situazione del dipendente, il quale, ricorrendo determinate circostanze, può essere titolare di un interesse protetto, di un titolo di precedenza o di un vero e proprio diritto alla trasformazione del rapporto.
Il diniego va motivato. La valutazione circa la sussistenza dei presupposti per la concessione o delle condizioni ostative, come pure quella relativa alla collocazione temporale della prestazione proposta dal dipendente e alla decorrenza della trasformazione, non può che essere svolta in concreto, in base alle circostanze fattuali particolari che l'amministrazione è tenuta ad analizzare.
In caso di esito negativo della valutazione, le scelte effettuate devono risultare evidenti dalla motivazione del diniego, per permettere al dipendente di conoscere le ragioni dell'atto, di ripresentare nuova istanza se lo desidera e, se del caso, consentire l'attivazione del controllo giudiziale.
In merito, la circolare della Funzione pubblica, per limitare il rischio di pronunce giudiziali sfavorevoli all'amministrazione, ha raccomandato (alle amministrazioni) di adottare sempre motivazioni puntuali, evitando l'uso di clausole generali o di formule generiche che non sono utili allo scopo.
Qualora l'amministrazione ritenesse accoglibile la domanda del dipendente ma con diverse modalità rispetto a quelle dallo stesso prospettate nell'istanza, al fine di perfezionare l'accordo, sarebbe comunque necessaria una nuova manifestazione del consenso da parte del lavoratore interessato.
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C'è chi mantiene la precedenza.
La contrattazione collettiva disciplina le ipotesi di precedenza alla trasformazione.

La contrattazione collettiva, in virtù della delega conferita dal T.u. sul pubblico impiego (dlgs n. 165/2001) di «individuare criteri certi di priorità nell'impiego flessibile del personale», ha stabilito due regole:
a) alcuni dipendenti, in considerazione della particolare situazione in cui si trovano, hanno un titolo di priorità nell'accesso alle varie forme di flessibilità (dell'orario, del rapporto) che l'amministrazione decide di attuare compatibilmente con l'organizzazione degli uffici e del lavoro;
b) i criteri di priorità debbono essere «certi», ossia predeterminati in modo chiaro e resi conoscibili, in modo da evitare scelte arbitrarie o comunque non imparziali.
Da ciò deriva che le amministrazioni, nel rispetto delle forme di partecipazione sindacale, devono stabilire in maniera generale i criteri di priorità e la graduazione tra gli stessi, tenendo conto delle previsioni legali e di contrattazione collettiva, che, intervenendo specificamente in riferimento a determinate fattispecie, hanno accordato rilevanza a particolari situazioni in cui il disagio personale o famigliare è maggiore.
Tra le fattispecie che danno diritto o titolo di precedenza nella trasformazione del rapporto di lavoro ci sono quelle previste dallo stesso T.u. sul pubblico impiego (articolo 12-bis) il quale stabilisce che hanno diritto alla trasformazione del rapporto i lavoratori del settore pubblico e di quello privato affetti da patologie oncologiche per i quali residui una ridotta capacità lavorativa, anche a causa di terapie salvavita, accertata dalla competente commissione medica.
Tali lavoratori, inoltre, hanno anche diritto alla successiva trasformazione del rapporto da tempo parziale a tempo pieno, a seguito di espressa richiesta. I titoli di precedenza nella trasformazione sono a favore dei:
● lavoratori il cui coniuge, figli o genitori siano affetti da patologie oncologiche;
● lavoratori che assistono una persona convivente con totale e permanente inabilità lavorativa, che abbia connotazione di gravità (ex lege n. 104/1992), con riconoscimento di un'invalidità pari al 100% e necessità di assistenza continua in quanto non in grado di compiere gli atti quotidiani della vita;
● lavoratori con figli conviventi di età non superiore a tredici anni;
● lavoratori con figli conviventi in situazione di handicap grave.
Altra situazione meritevole di tutela è quella dei familiari di studenti che presentano la sindrome Dsa (Disturbi specifici di apprendimento). Sono i contratti collettivi a disciplinare le modalità di esercizio del diritto; pertanto, la concreta attuazione del diritto è subordinata alla regolamentazione da parte dei contratti stessi. Secondo la Funzione pubblica tuttavia, la posizione di questi dipendenti deve essere considerata come assistita sin da subito da una tutela particolare e, quindi, da valutare nell'ambito dei criteri di priorità previsti dai Ccnl in ordine alla flessibilità dell'orario (articolo ItaliaOggi Sette del 15.08.2011).

EDILIZIA PRIVATAAttività edilizia libera. O quasi. Alcuni interventi restano soggetti a preventiva comunicazione. Uno studio del Consiglio nazionale del notariato sgombera il campo dai dubbi in tema di permessi.
Attività edilizia: un mosaico di procedure. Con le progressive modifiche che hanno interessato in questi anni il Testo unico di cui al dpr n. 380/2001 la disciplina delle costruzioni è diventata frammentaria e di difficile interpretazione.
Con uno specifico studio dello scorso mese di giugno (
circolare 08.06.2011 n. 325-11/C), il Consiglio nazionale del notariato ha quindi inteso riepilogare in modo sintetico le regole che presiedono allo svolgimento dell'attività edilizia, soprattutto alla luce del decreto sviluppo.
Le modifiche al Testo unico dell'edilizia. Il Testo unico dell'edilizia, di cui al dpr n. 380/2001, entrato in vigore il 30.06.2003, innovando rispetto al passato, nel suo testo originario distingueva tra attività edilizia libera, per la quale non era richiesto alcun titolo abilitativo, e attività edilizia subordinata, rispettivamente, al permesso di costruire e alla denuncia di inizio attività, c.d. Dia (fattispecie residuale prevista per tutti gli interventi non rientranti tra le attività di edilizia libera né tra quelli per cui era obbligatorio il permesso di costruire).
Il T.u. è successivamente stato oggetto di numerose modifiche che hanno portato, da un lato, all'ampliamento delle fattispecie di attività edilizia libera, dall'altro all'introduzione della segnalazione certificata di inizio attività, meglio nota come Scia, all'utilizzo dell'istituto del c.d. silenzio assenso per il rilascio del permesso di costruire (a eccezione dei casi in cui sussistano vincoli ambientali, paesaggistici e culturali) e alla previsione di una sorta di sanatoria edilizia per le difformità contenute entro il limite del 2% delle misure progettuali. Attualmente la disciplina dell'attività edilizia risulta quindi abbastanza variegata (si veda la tabella in pagina) e pone i privati e gli operatori del settore dinanzi a problemi interpretativi spesso di non facile soluzione.
L'attività edilizia libera. Uno degli spunti più interessanti della nuova disciplina dell'attività edilizia riguarda sicuramente la progressiva liberalizzazione del settore, che permette ai privati di eseguire una serie di opere senza avere rapporti con la pubblica amministrazione.
All'interno di questa categoria occorre però distinguere tra attività totalmente libere e attività soggette a preventiva comunicazione di inizio lavori. In tutti e due i casi devono comunque essere rispettate le eventuali diverse prescrizioni degli strumenti urbanistici comunali, le norme antisismiche, di sicurezza, antincendio, igienico-sanitarie, nonché quelle relative all'efficienza energetica e alla tutela dei beni culturali e paesaggistici.
L'attività edilizia totalmente libera riguarda principalmente gli interventi di manutenzione ordinaria e quelli volti all'eliminazione delle barriere architettoniche che non comportino la realizzazione di rampe o di ascensori esterni, ovvero di manufatti che alterino la sagoma dell'edificio.
Bisogna, invece, previamente operare la comunicazione al comune interessato degli interventi di manutenzione straordinaria (ivi compresa l'apertura di porte interne o lo spostamento di pareti interne, sempre che non riguardino le parti strutturali dell'edificio, non comportino aumento del numero delle unità immobiliari e non implichino incremento dei parametri urbanistici), delle opere dirette a soddisfare obiettive esigenze contingenti e temporanee e a essere immediatamente rimosse al cessare della necessità e, comunque, entro un termine non superiore a 90 giorni, delle opere di pavimentazione e di finitura di spazi esterni, dell'installazione di pannelli solari, fotovoltaici e termici, senza serbatoio di accumulo esterno, nonché delle aree ludiche senza fini di lucro e degli elementi di arredo delle aree pertinenziali degli edifici.
In questo secondo caso, la mancata comunicazione dell'inizio dei lavori ovvero la mancata trasmissione della relazione tecnica (nel caso di interventi di manutenzione straordinaria) comportano per il privato l'irrogazione della sanzione pecuniaria di 258 euro, che è ridotta di due terzi se la comunicazione è effettuata spontaneamente quando l'intervento è ancora in corso di esecuzione.
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Scia e superDia si dividono così il campo. Il ricorso all'una o all'altra procedura.
Sulla base della specifica norma interpretativa opportunamente introdotta nell'ordinamento dal legislatore con il dl n. 70/201, il ricorso alla Scia è previsto in via residuale per tutti gli interventi che non rientrano nel campo applicativo del permesso di costruire né in quello dell'attività edilizia libera, in entrambe le sue tipologie.
A titolo esemplificativo, si possono indicare i seguenti interventi: restauro e risanamento conservativo, mutamenti di destinazione d'uso funzionale, interventi di manutenzione straordinaria che riguardino parti strutturali dell'edificio, ampliamento di fabbricati all'interno della sagoma esistente che non determini volumi funzionalmente autonomi e semplici modifiche prospettiche (per esempio l'apertura o la chiusura di una o più finestre o di una o più porte).
Sono invece soggetti alla disciplina della superDia tutti quegli interventi per i quali è ammesso il ricorso alla Dia medesima in alternativa ovvero in sostituzione al permesso di costruire, dagli interventi di ristrutturazione di maggiore impatto a quelli di nuova costruzione o di ristrutturazione urbanistica, fino agli interventi di nuova costruzione, qualora gli stessi avvengano in diretta esecuzione di strumenti urbanistici generali recanti precise disposizioni plano-volumetriche. A queste opere devono poi aggiungersi tutte quelle ipotesi per le quali le leggi regionali prevedano la possibilità di ricorrere a questo strumento in alternativa o in sostituzione al permesso di costruire.
La superDia deve essere presentata allo sportello unico dell'ente locale 30 giorni prima dell'effettivo inizio dei lavori. Il responsabile comunale, ove entro il suddetto termine riscontri l'assenza di una o più delle condizioni stabilite dal Tu, deve notificare all'interessato l'ordine motivato di non effettuare il previsto intervento.
È comunque salva la facoltà del privato di ripresentare l'istanza con le modifiche o le integrazioni necessarie. L'attività oggetto della Scia, invece, può essere iniziata dalla data stessa di presentazione della domanda allo sportello unico, salvo che il responsabile comunale, in caso di accertata carenza dei requisiti e dei presupposti di legge, ne vieti la prosecuzione.
Decorso tale termine, all'amministrazione locale è consentito intervenire solo in presenza del pericolo di un danno per il patrimonio artistico e culturale, per l'ambiente, per la salute, per la sicurezza pubblica o la difesa nazionale e previo motivato accertamento dell'impossibilità di tutelare comunque tali interessi mediante conformazione dell'attività dei privati alla normativa vigente (articolo ItaliaOggi Sette del 15.08.2011).

PUBBLICO IMPIEGOMANOVRA-BIS/ Disallineamento tra pubblico e privato.
FINESTRA UNICA - L'estensione del meccanismo rigido di uscita alla scuola non riguarda chi ha maturato il diritto alla pensione entro il 31.12.2011.

Non è passato neanche un mese, e le pensioni di vecchiaia delle donne subiscono una nuova e importante modifica.
Il meccanismo che prevedeva per le donne del settore privato la crescita del requisito anagrafico fino ai 65 anni a partire dal 2020, viene anticipato al 2016: resta invariata la durata complessiva del percorso di crescita (12 anni) e, quindi, il momento di entrata a regime della nuova disciplina è anticipato al 2028.
Resta invariata la durata degli scalini intermedi: 1 mese il primo anno (2016), 2 mesi in più dal 2017, 3 dal 2018, 4 dal 2020, 5 dal 2021, 6 dal 2022 e per ognuno degli anni fino al 2027, 3 mesi dal 2028. Solo nel 2028 quindi l'età di vecchiaia delle donne del settore privato sarà portata a 65 anni (salvo ulteriori interventi in sede di conversione del decreto).
Un percorso comunque molto lento, che guarderanno con un po' di rammarico le lavoratrici del settore pubblico, per le quali la legge n. 122/2010 ha disposto la crescita dell'età pensionabile (fissata nel 2010 a 60 anni) delle donne a 65 anni a partire dall'01.01.2012, dopo un piccolo balzo di un anno nel 2011.
Queste norme devono essere lette in combinazione con gli effetti prodotti dall'entrata in vigore del meccanismo di adeguamento automatico dell'età pensionabile alla speranza di vita. Secondo questo meccanismo, applicabile non solo al regime di accesso alla pensione di vecchiaia delle donne (di tutti i settori) ma ad ogni altro trattamento pensionistico, l'età pensionabile dovrà essere periodicamente adeguata all'eventuale aumento delle speranze di vita.
L'entrata in vigore di questo sistema, introdotto dalla legge n. 122/2010, era inizialmente prevista per 2015 ma, con una doppia anticipazione, la manovra di luglio ha disposto la sua entrata in vigore all'01.01.2013. In questi giorni si è parlato dell'ipotesi di portare tale termine all'01.01.2012; per ora il decreto legge non ha scelto questa opzione, resta da vedere se in sede di conversione si deciderà qualcosa a riguardo.
Dal momento di entrata in vigore di questo meccanismo, i requisiti di età e i valori di somma di età anagrafica e di anzianità contributiva necessari per le pensioni di anzianità, i requisiti anagrafici di 65 anni e di 60 anni per il conseguimento della pensione di vecchiaia, e tutti gli altri requisiti anagrafici previsti dalla legislazione vigente per l'accesso a trattamenti pensionistici obbligatori, potranno crescere con cadenza triennale, se cresce l'aspettativa di vita degli italiani.
Si tratta, quindi, di una "riforma permanente" dei requisiti di accesso alla pensione, che tiene costantemente in equilibrio il sistema rispetto alla crescita della vita media (e al potenziale incremento di costi previdenziali che questo fenomeno produce). Alla prima scadenza dell'01.01.2013, la crescita dei requisiti anagrafici sarà di 3 mesi; questo periodo si dovrà quindi sommare ai requisiti anagrafici di tutte le pensioni, di vecchiaia e di anzianità, e quindi dovrà essere aggiunti agli scalini sopra ricordati.
Le donne sono protagoniste indirette anche di un altro intervento della nuova manovra, quello sulle finestre di pensionamento dei dipendenti della scuola, su cui la quota di personale femminile ha da sempre una incidenza rilevante.
Per tutto il personale scolastico, viene introdotta una nuova finestra di accesso alla pensione, che potrà essere goduta al termine dell'anno scolastico successivo a quello di maturazione dei requisiti. Sono esclusi dalla novità sono i soggetti che maturano i requisiti per il pensionamento entro il 31.12.2011 (articolo Il Sole 24 Ore del 14.08.2011 - tratto da www.ecostampa.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOMANOVRA-BIS/ Ecco i tagli immediati e quelli in ballo. Appena firmata, la manovra è già in movimento. Mano pesante per tutti i dipendenti.
I sacrifici arriveranno subito per tutti sotto forma di tagli ai servizi sociali, ai trasporti locali, agli asili, alla scuola: sono questi i settori su cui nel 2012 si farà sentire la sforbiciata secca di 12 miliardi che colpisce enti locali e ministeri. ... (articolo Il Secolo XIX del 14.08.2011 - tratto da www.ecostampa.it).

ENTI LOCALIMANOVRA-BIS/ La nuova Lombardia cancella 327 comuni. Hanno meno di 1.000 abitanti: uno solo nel Milanese, 84 nella provincia di Pavia. In regione la manovra anticrisi manda a casa circa una su cinque delle 1.544 municipalità.
Si cerca di ragionare  a mente fredda. Le amministrazioni locali lombarde "epurate" dal disegno di legge anti-crisi sollevano la testa, anzi la scuotono. Un sindaco su 5, all'circa, sarà costretto a lasciare la poltrona.
"La manovra non c'entra nulla con i costi della politica, C'è un'esigenza di serietà. Si giunge al ridicolo e all'offesa".
E' indignato Mauro Guerra, coordinatore nazionale ANCI dei piccoli comuni. ... (articolo Corriere della Sera del 14.08.2011 - tratto da www.ecostampa.it).

PUBBLICO IMPIEGO: MANOVRA-BIS/ Pa, senza tagli stop alle tredicesime. Polemica sugli statali - Congelamento del Tfr per chi va in pensione d'anzianità - Più mobilità.
IL PIANO DI RIASSETTO - Saranno soppressi gli enti pubblici non economici sotto i 70 dipendenti Trasferimenti di addetti sulla base di esigenze produttive.

Riduzione degli uffici dirigenziali, cura dimagrante degli organici nel senso che si assottiglierà il personale assegnato ai singoli uffici, soppressione degli enti inutili e spazio alla mobilità tra uffici.
Sono queste le principali misure che, insieme allo slittamento di due anni del trattamento di fine rapporto e alla possibilità di un taglio della tredicesima per i dipendenti delle amministrazione non virtuose, stanno per ridisegnare il pubblico impiego (3.115.187 dipendenti a tempo indeterminato e 323.757 contratti flessibili).
Prima la doccia fredda, la sforbiciata economica. Rischiano la tredicesima i dipendenti delle amministrazioni che sforeranno il tetto di spesa. In questo caso scatta «il differimento, senza interessi, del pagamento della tredicesima mensilità dovuta ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1 del decreto legislativo 30.03.2001, numero 165, in tre rate annuali posticipate». Una misura che provoca polemiche, reazioni dure da parte dei sindacati. E anche al Quirinale c'è qualche dubbio.
Brutte notizie per chi è sul punto di andare in pensione, ovvero per colore che «maturano i requisiti per il pensionamento a decorrere dalla predetta data al'articolo 3 del decreto-legge 28.03.1997, n. 79, convertito con modificazioni con legge 28.05.1997, n. 140». Per questi dipendenti il trattamento di fine rapporto non sarà erogato «decorsi sei mesi dalla cessazione del rapporto di lavoro» ma dopo 24 mesi.
Poi la cura dimagrante per la macchina amministrativa. Dunque, gli uffici dirigenziali centrali saranno ridotti in misura non inferiore al 10 per cento. L'obiettivo è ridurre in costi senza, nelle intenzioni, penalizzare il servizio. A questo proposito ministeri (si veda pezzo a fianco), enti pubblici non economici ed agenzie nazionali «dovranno -spiega la Funzione pubblica- procedere ad accorpamenti delle unità organizzative dirigenziali secondo un criterio di razionalizzazione, eliminazione delle duplicazioni e accentramento delle attività di supporto per realizzare ulteriori economie di scala. In relazione alla diminuzione degli uffici, è prevista anche la diminuzione della dotazione organica del personale assegnato. In tale caso la riduzione viene calcolata non sulle unità di personale, bensì sulla spesa complessiva che dovrà ridursi in misura non inferiore al dieci per cento». A rafforzare l'intervento il blocco delle «assunzioni che scatta a decorrere dall'01.04.2012 per tutte le amministrazioni inadempienti».
Restano esclusi il personale amministrativo operante presso gli uffici giudiziari, il Dipartimento della protezione civile, le Autorità di bacino di rilievo nazionale, il Corpo della polizia penitenziaria, i magistrati, l'Agenzia italiana del farmaco, nei limiti consentiti dalla normativa vigente, nonché le strutture del comparto sicurezza, delle Forze armate, del Corpo nazionale dei vigili del fuoco.
Sempre nell'ottica della razionalizzazione finiranno sotto la scure gli enti pubblici non economici nazionali di piccole dimensioni (si stima una trentina). In sostanza «gli enti pubblici non economici inclusi nell'elenco di cui all'articolo 1, comma 2, della legge 31.12.2011, n. 196, con una dotazione organica inferiore alle settanta unità» saranno soppressi al novantesimo giorno dalla data di entrata in vigore del decreto.
«Le funzioni esercitate da ciascun ente soppresso sono attribuite all'amministrazione vigilante ovvero, nel caso di pluralità di amministrazioni vigilanti, a quella titolare delle maggiori competenze nella materia che ne è oggetto. L'amministrazione così individuata succede a titolo universale all'ente soppresso, in ogni rapporto, anche controverso, e ne acquisisce le risorse finanziarie, strumentali e di personale».
Quanto al personale «i rapporti di lavoro a tempo determinato, alla prima scadenza successiva alla soppressione dell'ente, non possono essere rinnovati o prorogati». Corposo poi il capitolo che riguarda la mobilità tra uffici. Al pari cioè di quanto accade già nel settore privato il datore di lavoro pubblico ha il potere di modificare il luogo di esecuzione della prestazione lavorativa attraverso lo strumento del trasferimento definitivo o temporaneo.
È questo un intervento che ricalca il principio alla base del decreto legislativo numero 150/2009 (riforma Brunetta). «Il piano delle performance delle amministrazioni -chiarisce la Funzione pubblica- non può prescindere da una corretta allocazione delle risorse sul territorio nazionale, resa indispensabile in relazione alla necessità di contenimento dei costi e di limitatezza delle risorse disponibili». Due le condizioni: esigenze produttive e attenzione alla contrattazione.
Il trasferimento può essere disposto «sulla base di motivate esigenze, tecniche, organizzative e produttive con riferimento ai piani della performance o ai piani di razionalizzazione, secondo criteri ed ambiti regolati dalla contrattazione collettiva di comparto» (articolo Il Sole 24 Ore del 14.08.2011 - tratto da www.ecostampa.it).

ENTI LOCALIMANOVRA-BIS/ Premio da 500 milioni per chi privatizza.
Andrà agli Enti locali che cedono quote delle proprie società in forma di fondo per le infrastrutture.
LE INCOMPATIBILITÀ - La non sovrapposizione fra incarichi della politica locale e quelli di amministratori delle aziende controllate vale anche per il settore idrico.

Spunta nella manovra un incentivo di 500 milioni per i comuni e gli altri enti locali che dismetteranno quote delle proprie società dei servizi pubblici locali, le ex aziende municipalizzate. L'incentivo, che era rimasto "coperto" anche nelle bozze del decreto legge circolate venerdì ed è stato poi inserito all'articolo 5 del decreto legge, prende la forma di una quota del «fondo infrastrutture» che sarà riservata a questa funzione di premio pro-privatizzazione.
Questa quota finanzierà progetti di investimento infrastrutturale dell'ente locale che privatizza, sarà svincolata dal patto di stabilità e non potrà superare, per ogni singola assegnazione, il valore della quota azionaria della società ceduta.
Anche per questa norma, come per la liberalizzazione dei servizi pubblici locali contenuta nell'articolo 4, sono esclusi l'acqua e i servizi idrici, nel rispetto dell'esito del referendum del 12-13 giugno. Il "premio" è ripartito in 250 milioni per le privatizzazioni effettuate nel 2012 e 250 milioni per quelle effettuate nel 2013.
Le risorse messe a disposizione del "premio" ai privatizzatori sono di quelle pregiate: è infatti il Fas (fondo aree sottoutilizzate) che arriva dall'articolo 6-quinquies del decreto legge 112/2008, vale a dire le risorse non spese o recuperate dalla vecchia programmazione 2000-2006. Rispetto a tante risorse Fas teoriche o fantomatiche, che spesso vengono usate come specchietto per le allodole nei testi di legge, queste sono vere, tutte dotate di cassa.
Per il resto, l'impianto della nuova liberalizzazione dei servizi pubblici locali esce integralmente confermato dal testo dell'articolo 4 del decreto legge, anticipato ieri dal Sole 24 Ore. Con una sola novità, pretesa dalla Lega, che non ha mai gradito né liberalizzazioni dei servizi pubblici locali né vincoli posti ai comuni-proprietari.
Al comma 14, dove si dispone che «le società cosiddette "in house" affidatarie dirette della gestione dei servizi pubblici locali sono assoggettate al patto di stabilità interne», il ministro per le riforme per il federalismo, Umberto Bossi, appunto, ottiene il concerto sul decreto che dovrà definire le modalità di questo "assoggettamento". La Lega vigila e conferma di aver digerito con qualche difficoltà la nuova riforma, voluta anche questa, come la precedente, dal ministro delle Regioni, Raffaele Fitto.
Le società pubbliche saranno assoggettate ad altri vincoli che, nel disegno di legge liberalizzatore della norma, dovrebbero rendere meno allettante il mantenimento dei monopoli locali pubblici. Per esempio, con il comma 15 che impone alle società «in house» di affidare lavori e forniture con le regole imposte alla pubblica amministrazione con il codice degli appalti. Oppure il comma 17 che impone invece il regime pubblicistico «per il reclutamento del personale e per il conferimento degli incarichi» delle società controllate dalla pubblica amministrazione. O ancora le verifiche dell'adempimento degli obblighi posti dal contratto di servizio: a svolgere la verifica dovranno essere non gli amministratori dell'ente locale proprietario, ma gli organi di revisione.
Interessante per il settore degli appalti anche il comma 16 che vorrebbe porre fine a una questione annosa relativa al socio di minoranza con requisiti di socio "industriale". Se questo socio è un costruttore, può realizzare lui direttamente i lavori commissionati dalla società di servizi pubblici?
Alle tre condizioni già imposte dal codice degli appalti (la scelta del socio privato è avvenuto con gara, il socio privato ha i requisiti di qualificazione necessari, la società provvede in via diretta almeno al 70% del mercato), ora la nuova norma mette altri paletti in relazione proprio alle gara con cui viene scelto il socio. Il costruttore-socio potrà realizzare i lavori solo qualora nella gara in cui è stato individuato quale socio venisse esplicitamente richiesta (e valutata) «l'attribuzione di specifici compiti operativi connessi alla gestione del servizio».
In altre parole, se nella gara della scelta del socio di minoranza non viene esplicitamente indicato che si richiederà anche la realizzazione di lavori (o di forniture o servizi), al socio non potrà essere affidata alcuna commessa o appalto.
Come detto, l'acqua è esclusa dalla nuova disciplina, con l'eccezione dei commi 19-26 che sanciscono le incompatibilità tra politica locale e aziende, per esempio tra incarichi di «amministratori, dirigenti e responsabili degli uffici o dei servizi dell'ente locale» controllante e quelli di amministratori delle aziende. Incompatibilità che si applicano anche ad acquedotti e depuratori (articolo Il Sole 24 Ore del 14.08.2011 - tratto da www.ecostampa.it).

ENTI LOCALIMANOVRA-BIS/ Taglio province rischio beffa. Si accorcia la lista degli enti che potrebbero essere soppressi: alla fine sarebbero solo 29. Ed è già rivolta sul territorio per non essere "cancellati".
Sono 38. No 37, forse 36. Ma potrebbero anche essere 29. O 25. Dopo poco più di un giorno dal Consiglio dei ministri che ha dato il via libera alla manovra di agosto, è già partita la lotteria. Una lotteria che lascia intravedere la beffa finale e che lascia senza risposta la più semplice delle domande: quante saranno le province che verranno abolite?
Non si sa, almeno per ora. Il testo approvato dal governo, infatti, fissa due criteri: ... (articolo Il Tempo del 14.08.2011 - tratto da www.ecostampa.it).

ENTI LOCALI - VARIMANOVRA-BIS/ Dagli statali al prelievo, ecco tutte le misure. Un miliardo all'anno dal contributo di solidarietà, 8 dai risparmi di Palazzo. Interventi per contrastare l'evasione e delega per la riforma dell'assistenza sociale, tagli consistenti sugli enti locali.
Venti miliardi nel 2012, altri venticinque e mezzo nel 2013. Per arrivare al pareggio di bilancio un anno prima prima del previsto, servirà uno sforzo aggiuntivo di 45,5 miliardi di euro.
Che, naturalmente, si somma alle misure già decise tre settimane fa. ... (articolo Corriere della Sera del 13.08.2011 - tratto da www.ecostampa.it).

PUBBLICO IMPIEGOMANOVRA-BIS/ Donne in pensione a 65 anni nel 2028. Nel 2016 il primo scalino di un mese - In dieci anni risparmi cumulati per 13 miliardi.
Tre anni dopo il pareggio di bilancio, nel 2016, il requisito per il pensionamento di vecchiaia delle lavoratrici del settore privato verrà aumentato di un mese. L'innalzamento proseguirà negli anni a seguire di 2, 3, 4, 5 e 6 mesi per portare l'età a 65 anni tra il 2027 e il 2028.
È questa l'unica misura strutturale in materia pensionistica approvata ieri dal Consiglio dei ministri. Nel primo anno, per effetto delle nuove misure, saranno trattenute al lavoro per un periodo più lungo circa 50mila lavoratrici, che poi salgono fino a quota 270-300mila l'anno verso la fine del decennio di transizione. I risparmi cumulati saranno di circa 13 miliardi.
Ieri nel corso della conferenza stampa in cui sono stati illustrati sommariamente i contenuti della manovra, il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, ha poi riferito di altri interventi pensionistici che garantiranno un miliardo di risparmi nel 2012. Si tratta, secondo le prime ricostruzioni, dell'effetto di due misure.
La prima è il posticipo del pagamento del Tfr per i dipendenti pubblici che andranno in pensione di anzianità. La seconda prevede invece l'estensione della cosiddetta «finestra unica», vale a dire il posticipo secco di 13 mesi del pensionamento effettivo dal momento della maturazione dei requisiti, anche al settore scuola, dove i pensionamenti sono sempre stati legati al momento di chiusura dell'anno scolastico. Per far fronte alle esigenze della scuola in vista dell'avvio del nuovo anno, su proposta dei ministri Renato Brunetta e Giulio Tremonti –ha poi reso noto da palazzo Chigi– è stato inoltre approvato un decreto presidenziale che autorizza «per il solo anno 2011-2012» il trattenimento in servizio di 414 dirigenti scolastici. Il decreto autorizza poi l'assunzione a tempo indeterminato di 30.300 unità di personale docente ed educativo e di 36.000 unità di personale amministrativo, tecnico e ausiliario.
Nessuna novità, invece, per le pensioni di anzianità, per la quali si prevedeva l'anticipo di «quota 97» dal 2013 al 2012. La «vigilanza stretta» del leader della Lega, Umberto Bossi, non ha fatto passare neanche questa mediazione al ribasso rispetto all'ipotesi iniziale che prevedeva il blocco progressivo entro il 2015 dei pensionamenti anticipati, mossa che avrebbe assicurato circa 2,5 miliardi di minore spesa previdenziale. Al termine del Consiglio i tre ministri della Lega si sono detti «contenti» per il salvataggio delle pensioni anticipate. La quadra su questo punto è stata raggiunta nel corso dei numerosi contatti tra Silvio Berlusconi e Umberto Bossi, un confronto tra i due leader che è proseguita nel lungo pomeriggio di Palazzo Chigi che ha preceduto la riunione del Consiglio dei ministri.
Nessuna decisione, infine, riguardo alle pensioni di reversibilità, sulle quali probabilmente si tornerà nell'ambito della razionalizzazione delle prestazioni assistenziali prevista dalla legge delega che verrà presentata al Parlamento. Nulla di fatto anche sull'altra misura di cui si era parlato negli ultimi giorni, vale a dire l'anticipo al 2012 del meccanismo di aggancio del pensionamento all'aspettativa di vita, che resta dunque fissato al 2013 con il primo posticipo di tre mesi. La misura, nel primo biennio di applicazione, ma anche qui siamo fuori dall'orizzonte del close to balance 2013, garantirà 300 milioni di risparmi (articolo Il Sole 24 Ore del 13.08.2011 - tratto da www.ecostampa.it).

APPALTI SERVIZIMANOVRA-BIS/ Largo ai privati nei servizi pubblici locali.
Il Governo ci riprova dopo il referendum ma esclude l'acqua - Possibile gestione delle reti a imprese.
ATTENZIONE ALLA QUALITÀ - Un socio privato potrà essere messo alla porta se non rispetterà gli impegni assunti Attuazione delle nuove regole a partire dal marzo 2012.

Nuove prove di liberalizzazione e privatizzazione per i servizi pubblici locali. La disciplina è, per certi versi, più aperta al mercato di quanto lo fosse lo stesso articolo 23-bis, abrogato dal referendum del 12-13 giugno. Si creano spazi nuovi di liberalizzazione piena per servizi o segmenti di servizi. È ammessa la gestione privata delle reti anche se resta ferma la proprietà pubblica.
L'affidamento in house è ammesso liberamente solo fino a 900mila euro. Le società pubbliche, che potranno partecipare alle gare anche se controllate al 100% dagli enti locali, dovranno però rispettare le regole del patto di stabilità e quelle del settore pubblico per l'assunzione di personale con concorsi qualora svolgano servizio in house.
Sono esclusi, però, dalla nuova disciplina l'acqua e i servizi idrici, cosa che fa ritenere al Governo e al ministro delle Regioni, Raffaele Fitto, padre anche della nuova riforma, come della vecchia, che le norme siano legittime e possano superare senza problemi il vaglio del Quirinale. Esclusi anche i settori dell'energia, del gas, delle ferrovie e delle farmacie. Restano, in sostanza, trasporti su gomma, rifiuti, illuminazione.

Il nuovo decalogo dettato agli enti locali definisce spazi di liberalizzazione piena, anche se le norme dovranno ovviamente affrontare la prova della realtà. Primo: è previsto che l'ente locale debba anzitutto verificare se un servizio pubblico sia pienamente liberalizzabile, se ci siano, cioè, imprese private disposte a realizzarlo senza contributi pubblici, garantendo le caratteristiche di universalità e accessibilità del servizio. Se più imprese vogliono svolgere liberamente il collegamento in autobus città-aeroporto, perché non consentirlo?
Secondo: se proprio si deve affidare un servizio in esclusiva, la delibera che lo decide deve essere trasmessa all'Autorità antitrust. Terzo, l'affidamento del servizio in esclusiva va fatto sempre con una gara. Quarto, se l'ente pubblico decide di costituire una società mista, dovrà fare una gara per la scelta del socio privato dove «i criteri di valutazione delle offerte basati sulla qualità e corrispettivo del servizio prevalgano di norma su quelli riferiti al prezzo delle quote societarie». Il socio privato non potrà avere meno del 40% del capitale.
Una novità è la possibilità di mettere alla porta il socio privato che non svolga «i compiti operativi connessi alla gestione del servizio per l'intera durata del servizio stesso». In quel caso, si rimette in gara la quota per il socio privato. Saranno definiti dal bando di gara anche «criteri e modalità di liquidazione del socio privato alla cessazione della gestione».
Ritorna la norma che era contenuta nell'articolo 23-bis abrogato dal referendum sulle incompatibilità degli amministratori delle società pubbliche che non potranno provenire da incarichi politici, come per esempio quelli di consiglieri o assessori (si veda anche il servizio sul taglio ai costi della politica in pagina 3).
Come già era previsto nell'articolo 23-bis, la nuova disciplina detta una norma per il regime transitorio. Gli affidamenti diretti in house di importo superiore a 900mila euro cessano il 31.03.2012. Le gestioni affidate direttamente a società a partecipazione mista pubblica e privata, qualora la selezione del socio sia avvenuta mediante gare ma non con la gara a doppio oggetto (affidamento del servizio e scelta del socio) cesseranno il 30.06.2012. Le gestioni affidate direttamente a società a partecipazione mista pubblica e privata, qualora la selezione del socio sia avvenuta mediante gara a doppio oggetto cesseranno alla scadenza naturale del contratto di servizio.
Gli affidamenti diretti avvenuti alla data dell'01.10.2003 a società a partecipazione pubblica già quotate in borsa a tale data e a quelle da esse controllate cessano alla scadenza prevista nel contratto di servizio, a condizione che la partecipazione pubblica si riduca progressivamente attraverso gare «o forme di collocamento privato presso investitori qualificati e operatori industriali». La quota pubblica non dovrà essere superiore al 40 per cento entro il 30.06.2013 e al 30 per cento entro il 31.12.2015. È la norma che salverà molte aziende quotate affidatarie di servizi aggiudicati senza gara.
Positiva la valutazione di Fitto. «Come concordato nel corso del confronto con le parti sociali all'inizio di settimana -dice il ministro- il Governo ha varato su mia proposta, all'interno del decreto approvato questa sera, un insieme di norme che riannodano il filo spezzato della liberalizzazione dei servizi pubblici locali. L'Italia ha bisogno in questo settore di una spinta poderosa alla competitività e all'efficienza per stimolare la crescita economica e per ricondurre finalmente a condizioni di trasparenza e correttezza i rapporti tra sfera politica e sfera economica» (articolo Il Sole 24 Ore del 13.08.2011 - tratto da www.ecostampa.it).

ENTI LOCALI: MANOVRA-BIS/ Le 54 mila poltrone in meno nei palazzi della politica.
Cinquantaquattromila poltrone in meno, 36 province sparite dalla carta degli enti locali, 1.970 piccoli comun i accorpati, contributo di solidarietà raddoppiato per i parlamentari, indennità ridotta del 50 per cento per i deputati e i senatori che continuano ad esercitare una professione percependo redditi alti, cura dimagrante per il Cnel, tetto del 15 per cento al numero degli assessori rispetto al numero dei consiglieri eletti negli enti locali. E per finire obbligo di ... (articolo Corriere della Sera del 13.08.2011 - tratto da www.ecostampa.it).

ENTI LOCALIMANOVRA-BIS/ Municipalizzate, i comuni dovranno privatizzare. Al via le cessioni degli enti locali.
Sparso per l'Italia c'è un patrimonio di 102 miliardi di euro che è possibile privatizzare. E' a questo tesoro che la manovra varata ieri sera dal Consiglio dei ministri guarda come grande fronte cui attingere per riequilibrare i conti. E anche per ridare vigore ad un settore nel quale l'efficienza è sotto la media nazionale, con produttività del lavoro inferiore ... (articolo Corriere della Sera del 13.08.2011 - tratto da www.ecostampa.it).

PUBBLICO IMPIEGOMANOVRA-BIS/ Statali, stretta su tredicesima e Tfr.
I TAGLI - Rinviato di due anni il trattamento di fine rapporto mentre rischiano la mensilità i dipendenti degli enti che non riducono la spesa.

Il trattamento di fine rapporto arriverà con due anni di ritardo e la tredicesima non sarà corrisposta per i lavoratori delle amministrazioni che non rispetteranno i tagli di spesa previsti.
Per i dipendenti pubblici la manovra anticrisi all'esame del Consiglio dei ministri prevede altre misure restrittive per il reddito e sono queste le due principali novità emerse ieri sera. Il segretario generale dell'Ugl Giovanni Centrella dà «un giudizio negativo sulle misure indirizzate al pubblico impiego perché troppo penalizzanti».
Vanno ad aggiungersi alle strette che sono state annunciate per il pubblico impiego negli ultimi interventi. La manovra bis dunque interesserà ancora una volta le amministrazioni pubbliche che hanno occupato nell'ultimo anno circa 3,4 milioni di dipendenti a tempo determinato e indeterminato con una spesa di oltre 168 miliardi di euro.
E per i quali le ultime settimane sono già state ricche di importanti cambiamenti che porteranno una trasformazione forte nel sistema del lavoro pubblico. L'ultima novità, in ordine di tempo, è stata l'estensione della possibilità di poter utilizzare i contratti di apprendistato anche nel pubblico impiego, oltre che negli studi professionali e nell'ambito della somministrazione di manodopera.
Focalizzandosi sul tema del reddito quelli chiesti al pubblico impiego sembrano tagli che andranno consolidandosi nei prossimi anni e a confermarlo ci sarebbe il rinvio che pende sui rinnovi contrattuali che dovrebbero ripartire nel 2013 ma possono slittare al 2015. Per gli statali sono iniziati insomma tempi di continui giri di vite.
La manovra "uno" del 2011, quella di luglio, aveva infatti già blindato i risparmi previsti dal Dl 78/2010 e ne aveva aggiunti di nuovi, per un ammontare di circa 1,1 miliardi nel periodo 2013-2015 e da 340 milioni a decorrere dal 2016. Se oggi il peso del costo del lavoro pubblico è intorno a 168 miliardi, nei prossimi anni, grazie a questi progressivi interventi dovrà arrestarsi ben al di sotto.
Oltre al mancato adeguamento della parte economica del contratto, numerose sono state le misure ideate per centrare l'obiettivo. Come per esempio la proroga di un anno per i vincoli al turn over e quella al 2014 del blocca-stipendi, ossia la misura accessoria che impedisce ai trattamenti accessori di portare gli stipendi sopra i livelli del 2010. O come la semplificazione, il rafforzamento e l'obbligatorietà delle procedure di mobilità del personale tra le pubbliche amministrazioni, eterna promessa nel pubblico impiego che non ha mai dato i risultati prospettati. Così per gli statali fino a qualche settimana fa, ossia fino alla manovra "uno", il conto del risparmio andava da poco più di 2mila euro per il personale Ata ai 43mila euro per i dirigenti di prima fascia degli enti pubblici non economici.
A tutto questo adesso vanno aggiunte le due novità emerse ieri sera che renderanno ancora più salato il conto per gli statali. La scure della manovra bis si è infatti abbattuta su Tfr e tredicesima. Per quanto riguarda le tredicesime mensilità, ci sarà uno stop per i dipendenti delle amministrazioni pubbliche che non rispettano gli obiettivi di riduzione della spesa (articolo ItaliaOggi del 13.08.2011 - tratto da www.corteconti.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIAGO: MANOVRA-BIS/ Statali, Tfr congelato per due anni. Niente tagli, niente tredicesima.
La vera novità contenuta nel decreto-legge varato ieri sera dal Consigli dei ministri per "ristrutturare" (e non solo anticipare) la manovra sui conti pubblici riguarda i dipendenti statali.
Non più solo i dirigenti (che già con manovra varata a luglio dovranno versare un contributo di solidarietà), ma tutti i dipendenti che hanno come datore di lavoro lo Stato, cioè quasi 3 milioni e mezzo di persone, saranno interessati dalle nuove norme decise dal governo.
Ecco le misure, La prima è, diciamo così, una "messa in mora". ... (articolo Corriere della Sera del 13.08.2011 - tratto da www.ecostampa.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIUEGOMANOVRA-BIS/ Tfr, province, tagli alla Casta. Ecco cosa cambia per gli italiani.
Stretta sui dipendenti statali degli enti meno virtuosi, che perderanno la tredicesima. Addio voli blu e sigarette più care. Spinta sulle liberalizzazioni delle municipalizzate.

Una manovra da 45 miliardi di euro (20 nel 2012 e 25 nel 2013) per rimettere in sesto i conti pubblici con un anno di anticipo.
Il provvedimento licenziato all'unanimità dal Consiglio dei ministri contiene misure che riguardano i costi della politica, al previdenza, il fisco, gli investimenti finanziari e i dipendenti pubblici.
Per fronteggiare l'emergenza ... (articolo Il Giornale del 13.08.2011 - tratto da www.ecostampa.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOMANOVRA-BIS/ Tutte le novità in 15 parole.
Tasse, assistenza, pensioni, lavoro e servizi pubblici locali: l'abc per capire l'impatto su famiglie, imprese e professionisti.

Un pesante pacchetto di interventi sul fronte del Fisco che spazia dai tributi locali (sblocco delle addizionali e soprattutto la nuova imposta Imu) al contributo di solidarietà sull'Irpef per i redditi più elevati, dalla nuova tassazione delle rendite finanziarie alla lotta contro l'evasione attraverso la tracciabilità dei pagamenti.
Ecco poi le misure sul welfare, come i ticket sui ricoveri, i costi standard nella sanità, la stretta sulle pensioni e la riforma dell'assistenza. Per passare alle disposizioni che riguardano le attività economiche, come la norma costituzionale sulla libertà di impresa, il riordino delle professioni e le liberalizzazioni dei servizi pubblici locali.
Con una panoramica complessiva sui provvedimenti più importanti approvati ieri sera dal Governo, «Il Sole 24 Ore» propone oggi la prima puntata del «Dizionario della manovra di Ferragosto». Una bussola quotidiana attraverso le parole chiave per capire che cosa cambia, con quali costi e in quali tempi. E con un occhio particolare ai singoli destinatari, come famiglie, imprese, professionisti ed enti locali.
Per ogni voce vengono attribuite due valutazioni: da una parte, un voto (da 1 a 10) sull'efficacia per il miglioramento dei conti pubblici; dall'altra, un giudizio (alto, medio e basso) sul grado di concreta facilità nell'attuazione della norma. ... (articolo Il Sole 24 Ore del 13.08.2011 - tratto da www.ecostampa.it).

ENTI LOCALIMANOVRA-BIS/ Via 36 province, ma i dipendenti vanno assorbiti. Comuni solo oltre i mille abitanti.
Alla fine l'asticella è stata posizionata a quota 300 mila abitanti per stabilire quali sono le province che devono sparire dalla carta delle istituzioni della Repubblica in occasione delle prossime elezioni amministrative: alla fine dovranno ammainare il gonfalone 36 amministrazioni provinciali comprese quelle di ... (articolo Corriere della Sera del 13.08.2011 - tratto da www.ecostampa.it).

ENTI LOCALIMANOVRA BIS/ Mini-enti associati. Eliminate 22 province.
Soppressione delle province poco estese e sotto i 300 mila abitanti, obbligo per i comuni sotto i 1.000 abitanti di costituire unioni, riduzione dei consigli regionali. Il pacchetto di tagli ai costi della politica locale contenuto nel decreto legge varato ieri dal consiglio dei ministri (e che approderà in commissione al senato già il 22 agosto) spazzerà via 54 mila poltrone.

I mini-enti che dovranno obbligatoriamente associarsi in unione saranno amministrati solo da un super-sindaco che svolgerà tutte le funzioni oggi attribuite alle giunte. E anche i consigli comunali scompariranno. Perché il cuore dell'attività amministrativa diventerà l'unione che dovrà avere una popolazione minima di 5000 abitanti.
Il risparmio atteso da questa misura non sarà una cifra da capogiro (secondo i calcoli dell'Anci la soppressione delle giunte e dei consigli nei comuni sotto i 1.000 abitanti non farebbe risparmiare più di 9 milioni di euro), ma la misura per il governo ha un evidente valore simbolico perché consente di spazzare via molte poltrone politiche. Critica l'Anci che si aspettava norme diverse per valorizzare l'associazionismo comunale. «Si è persa l'occasione per fare una riforma seria», ha commentato Mauro Guerra coordinatore nazionale dei piccoli comuni dell'Anci, «una riforma che per esempio incentivasse i comuni ad associarsi o a fondersi senza imposizioni dall'alto».
Addio anche alle province «inutili». Tali vengono considerati gli enti intermedi sotto i 300 mila abitanti e con una superficie inferiore a 3000 chilometri quadrati. La tagliola scatterà dalle prossime elezioni e in ogni caso per il calcolo della soglia demografica minima si terrà conto dei dati del prossimo censimento che si svolgerà quest'anno a ottobre.
Dunque il quadro degli enti da sopprimere potrebbe essere diverso da quello attuale che vede solo 22 enti a rischio lungo lo Stivale. Dall'elenco vanno infatti escluse anche le le province delle regioni a statuto speciale. Che nel dubbio si sono subito affrettate (Sardegna e Friuli-Venezia Giulia in testa) a rivendicare la propria autonomia legislativa in materia di ordinamento degli enti locali.
Il combinato disposto dei due criteri (popolazione e estensione territoriale) dovrebbe portare all'eliminazione delle province di Isernia, Rieti, Verbano-Cusio-Ossola, Vibo Valentia, Crotone, Fermo, Vercelli, Biella, Massa Carrara, Ascoli, Asti, Imperia, La Spezia, Lodi, Campobasso, Terni, Rovigo, Prato, Benevento, Savona, Piacenza e Pistoia.
Completa il quadro dei tagli la razionalizzazione dei consigli e delle giunte regionali. I consigli potranno essere composti al massimo da 20 componenti nelle regioni fino a 1 milione di abitanti, 30 nelle regioni fino a 2 milioni, 40 nelle regioni fino a 4 milioni, 50 nelle regioni fino a 6 milioni, 70 nelle regioni fino a 8 milioni e 80 nelle regioni con più di 8 milioni di abitanti.
Il numero massimo di assessori regionali dovrà essere pari o inferiore a un quinto del numero dei consiglieri (articolo ItaliaOggi del 13.08.2011).

PUBBLICO IMPIEGO: MANOVRA BIS/ Approvato anche l'anticipo al 2015 dell'adeguamento dell'età pensionabile delle donne. All'anzianità serve un anno in più. Dal 2012 quota 97 per i dipendenti e 98 per gli autonomi.
Dal prossimo anno ci vorrà un anno in più d'età per andare in pensione d'anzianità, ossia 61 anni se si è dipendenti e 62 anni se si è lavoratori autonomi, e raggiungere rispettivamente quota 97 o 98.

È quanto prevede la bozza di manovra esaminata ieri dal consiglio dei ministri che, per le pensioni di anzianità, anticipa di un anno l'operatività dell'ultima quota che sarebbe dovuta entrare in vigore dal 1° gennaio 2013.
Ciò significa che dal prossimo anno, per andare in pensione, ai lavoratori dipendenti servirà l'età di 61 anni e 36 anni di contributi oppure l'età di 62 anni e 35 anni di contributi; ai lavoratori autonomi (artigiani, commercianti, ecc.) occorrerà un'età non inferiore a 62 anni e 36 anni di contributi oppure un'età di 63 anni con 35 anni di contributi.
Inoltre, la bozza di manovra anticipa di cinque anni il progressivo incremento del requisito d'età a 65 anni per la pensione di vecchiaia delle donne del settore privato. Scatterà, in altre parole, dall'anno 2015 per concludersi entro il 2027.
Anzianità, anticipo quota 97/98. La prima stretta sulle pensioni riguarda, dunque, quelle di anzianità. Cioè i trattamenti per i quali, a decorrere dal 1° gennaio 2009, è stato introdotto il cosiddetto sistema delle quote in base al quale il diritto alla pensione si perfeziona al raggiungimento di una quota (appunto), data dalla somma tra l'età anagrafica minima richiesta e almeno 35 anni di anzianità contributiva.
Il sistema prevedeva il suo completamento a partire dal 1° gennaio 2013, da quando sarebbe dovuta diventare operativa l'ultima quota. In particolare, per i lavoratori dipendenti erano previsti questi requisiti di pensione:
● 60 anni di età e raggiungere quota 96, nel periodo dal 1° gennaio 2011 al 31 dicembre 2012;
● 61 anni di età e raggiungere quota 97, a partire dal 1° gennaio 2013.
Per i lavoratori autonomi erano previsti i seguenti requisiti di pensione:
● 61 anni di età e raggiungere quota 97, nel periodo dal 1° gennaio 2011 al 31 dicembre 2012;
● 62 anni di età e raggiungere quota 98, a partire dal 1° gennaio 2013.
In ogni caso, era necessario il requisito minimo contributivo di 35 anni per il raggiungimento della quota da perfezionarsi con esclusione della contribuzione figurativa per disoccupazione ordinaria e malattia. Inoltre, restava ferma la possibilità di andare in pensione a prescindere dall'età, qualora si possedesse un'anzianità contributiva di almeno 40 anni (in tale ipotesi, se il requisito minimo dei 35 anni di contribuzione effettiva è stato raggiunto, si utilizza anche la contribuzione figurativa per disoccupazione e malattia).
La novità, dunque, è l'anticipo dell'ultima quota (97 per i dipendenti e 98 per gli autonomi a partire dal 1° gennaio 2012. Pertanto dal prossimo anno i lavoratori dipendenti potranno andare in pensione con 61 anni di età se raggiungono quota 97, mentre i lavoratori autonomi con 62 anni di età qualora raggiungono quota 98. Resta ferma, infine, la possibilità di accedere alla pensione in presenza di 40 anni di contribuzione.
Donne in pensione a 65 anni dal 2027. L'altra novità riguarda l'anticipo di cinque anni della tabella di marcia che eleva il requisito d'età per la pensione di vecchiaia delle donne. In sostanza, invece che scattare dal 1° gennaio 2020 (con il primo mese di incremento), il graduale incremento scatterà dall'anno 2015. Pertanto, il requisito anagrafico oggi previsto a 60 anni resterà tale fino al 31.12.2014, salvo gli incrementi dovuti alla speranza di vita, per poi incrementarsi:
di un mese a decorrere dal 1° gennaio 2015;
di ulteriori due mesi a decorrere dal 1° gennaio 2016;
di ulteriori tre mesi a decorrere dal 1° gennaio 2017;
di ulteriori quattro mesi a decorrere dal 1° gennaio 2018;
di ulteriori cinque mesi a decorrere dal 1° gennaio 2019;
i ulteriori sei mesi a decorrere dal 1° gennaio 2020 e per ogni anno successivo fino al 2026;
di ulteriori tre mesi a decorrere dal 1° gennaio 2027, quando arriverà a 65 anni (al netto degli ulteriori incrementi dovuti alla speranza di vita) (articolo ItaliaOggi del 13.08.2011).

ATTI AMMINISTRATIVI - ENTI LOCALIEnti, tornano i controlli preventivi. Con l'obbligo del pareggio di bilancio va in soffitta il Titolo V. La novità nella bozza di riforma dell'art. 81. Oggi incontro governo-autonomie. Cedolare al 23%.
Tornano i controlli preventivi di legittimità negli enti locali. Aboliti nel 2001 ad opera della riforma del Titolo V della Costituzione, i Comitati regionali di controllo (Coreco) potrebbero riaffacciarsi sulla scena istituzionale magari in forma riveduta e corretta.
Passa anche da questa controriforma la via al risanamento dei conti pubblici che porterà a modificare l'art. 81 della Carta introducendo l'obbligo del pareggio di bilancio.
Il dietrofront rispetto a quella che per regioni, province e comuni fu una delle maggiori conquiste del nuovo Titolo V (la legge costituzionale n. 3/2001 abrogò espressamente gli articoli 125, comma 1, e 130 della Costituzione che disciplinavano rispettivamente i controlli sugli atti delle regioni e degli enti locali) è al momento molto di più di una semplice idea.
L'abrogazione dei Coreco, infatti, lungi dal rafforzare, come avrebbe dovuto, l'autonomia degli enti locali, a detta di molti non ha portato i frutti sperati.
Perché i controlli di gestione e i controlli interni non hanno trovato adeguato spazio e la dirigenza non sempre ha saputo conquistarsi sufficiente indipendenza dalla politica per poter esprimere giudizi liberi da condizionamenti.
E così Giulio Tremonti ha pensato di tornare al passato. La modifica è stata messa nero su bianco nel documento di lavoro illustrato ieri davanti alle commissioni riunite (affari costituzionali e bilancio) di camera e senato. La reintroduzione dei controlli preventivi porterà a riscrivere l'articolo 119 della Costituzione e sarà una diretta conseguenza dei nuovi e più restrittivi principi che troveranno posto nell'art. 81.
I nuovi organi di controllo dovranno infatti verificare che i bilanci degli enti territoriali siano coerenti con le nuove prescrizioni costituzionali. Norme non ancora decise tutte nel dettaglio, ma che per il momento appaiono come un mix tra regole più o meno definite e mere enunciazioni di principio.
Il primo comma del nuovo art. 81 della Costituzione cristallizza l'obbligo del pareggio di bilancio. «In coerenza con i principi di equità intergenerazionale e di sostenibilità finanziaria», si legge, «la repubblica italiana persegue, contenendo l'indebitamento, l'equilibrio del saldo delle pubbliche amministrazioni». Il successivo comma 2 estende l'obbligo del pareggio agli enti locali che dovranno rispettare «l'equilibrio delle entrate e delle spese, in linea di principio senza ricorso all'indebitamento».
Sarà possibile derogare a questa regola aurea solo nelle fasi di crisi economica (quando si potrà avere un pareggio ciclico, ma un disavanzo nominale, con l'obbligo di recupero nei periodi favorevoli), oppure per fronteggiare eventi eccezionali e per finanziare gli investimenti degli enti locali. Questi ultimi dovranno contestualmente presentare un piano di ammortamento delle spese e garantire che siano coerenti con i saldi della p.a.
I controlli ex ante sui conti pubblici, per garantirne la compatibilità con l'obbligo di pareggio di bilancio, non riguarderanno solo gli enti territoriali ma anche lo Stato. E, da quanto si legge nelle poche righe che accompagnano la bozza Tremonti, dovrebbe trattarsi di un controllo molto più penetrante «e non solo formale come quello che si fa oggi sulla copertura finanziaria».
Oggi l'incontro con regioni ed enti locali. Questa e le altre misure anticrisi che coinvolgeranno regioni, province e comuni, saranno illustrate oggi dal ministro Raffaele Fitto che incontrerà a palazzo Chigi i rappresentanti delle autonomie.
Tra le ipotesi in campo, oltre alla soppressione delle mini-province (idea che ciclicamente ritorna ad ogni provvedimento anticrisi) e all'accorpamento dei piccoli comuni, si fa sempre più strada la possibilità di anticipare al 2012 l'entrata in vigore dell'Imu, l'imposta immobiliare comunale introdotta dal federalismo fiscale. Mentre sembra molto probabile un innalzamento dal 21 al 23% dell'aliquota della cedolare secca per i canoni liberi (quella per i canoni concordati resterebbe al 19%) (articolo ItaliaOggi del 12.08.2011 - tratto da www.ecostampa.it).

PUBBLICO IMPIEGO - SEGRETARI COMUNALISegretari tuttofare. Autentica delle quietanze liberatorie. Nel dl 70/2011 la nuova competenza in materia di assegni.
Segretari comunali e dipendenti incaricati dal sindaco per le autentiche di firma sono competenti anche per le autentiche delle quietanze liberatorie disciplinate dalla legge 386/1990.
È una novità prevista dall'art. 8, comma 7, lett. f-bis) della legge 106/2011, in sede di conversione del dl 70/2011.
Tale disposizione ha aggiunto all'art. 8 della legge 386/1990, recante la disciplina sanzionatoria degli assegni bancari, dopo il comma 3 relativo alle quietanze liberatorie inerenti ad assegni emessi senza provvista, il comma 3-bis il quale prevede che «l'autenticazione di cui al comma 3 del presente articolo è effettuata ai sensi dell'articolo 21, comma 2, del T.u. di cui al decreto del presidente della repubblica 28.12.2000, n. 445. L'autenticazione deve essere rilasciata gratuitamente, tranne i previsti diritti, nella stessa data della richiesta, salvo motivato diniego».
Con riferimento alla autenticazione della quietanza liberatoria, la competenza del segretario comunale e del dipendente incaricato dal sindaco alle autentiche di firma è stata a lungo controversa. Tuttavia negli ultimi tempi, dopo una risoluzione del ministero dell'interno del 20 giugno 2006 e i due pareri dell'Agenzia dei segretari del 06.03.2009 e del 22.06.2010, era ormai chiaro che né il segretario comunale né il dipendente incaricato dal sindaco avevano competenza in materia e che unico soggetto competente a tale tipo di autenticazione era il notaio.
A tale conclusione si perveniva in quanto la quietanza è un atto a forma vincolata con il quale il creditore, liberando il debitore, non si limita a dichiarare di aver ricevuto una data somma di denaro a fronte di un assegno sprovvisto di copertura ma esprime una volontà ben precisa volta a liberare il debitore dalla obbligazione contratta. Si tratta quindi di un atto negoziale tra privati, sottratto al regime di autenticazione previsto dal dpr 445/2000 sulla documentazione amministrativa, di esclusiva competenza notarile in assenza di una norma speciale quale ad esempio l'art. 7 del dl 223/2006 sul passaggio di proprietà dei beni mobili registrati.
L'Agenzia dei segretari aveva espresso tale orientamento anche in riferimento a comuni privi di sede notarile precisando che anche la Banca d'Italia aveva comunicato la necessità che a tale autentica procedesse un notaio e non un altro pubblico ufficiale. La nuova normativa prevede ora invece che l'autenticazione relativa alle quietanze liberatorie è effettuata ai sensi dell'art. 21, comma 2, del dpr 445/2000 e quindi anche dal segretario comunale o dal dipendente incaricato dal sindaco.
Il legislatore pertanto non solo ha allargato l'ambito dei soggetti competenti alla autenticazione delle quietanze liberatorie, comprendendo tra questi anche il segretario comunale e il dipendente incaricato dal sindaco, ma ha assimilato le stesse alle istanze o alle dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà disciplinando anche costi e tempi del rilascio. Ora per l'autenticazione delle quietanze liberatorie sarà quindi sufficiente recarsi in comune sostenendo una spesa spesso di soli 0,52 euro oltre al bollo (articolo ItaliaOggi del 12.08.2011 - tratto da www.ecostampa.it).

CONSIGLIERI COMUNALIOSSERVATORIO VIMINALE/ Previdenza, paga l'ente.
Sussiste il diritto al rimborso delle quote forfettarie annuali, ai fini pensionistici, che un amministratore ha versato direttamente all'istituto presso cui era iscritto al momento dell'assunzione del mandato?

In base alla normativa vigente compete all'ente presso cui è stato espletato il mandato elettivo provvedere ai versamenti in questione; pertanto sussiste il diritto al rimborso delle predette quote, qualora siano state versate all'istituto previdenziale dall'amministratore anziché dall'ente di appartenenza (articolo ItaliaOggi del 12.08.2011 - tratto da www.ecostampa.it).

CONSIGLIERI COMUNALIOSSERVATORIO VIMINALE/ Incompatibilità degli assessori.
Anche per l'assessore comunale, figura non espressamente elencata nel comma 1 dell'art. 63 del Tuel, ricorrono le ipotesi di incompatibilità di cui al punto 1 del medesimo articolo?
Deve essere applicata la fattispecie di cui al punto 5) dell'art. 63, comma 1, nei confronti di amministratori comunali per i quali l'ente locale deve procedere al recupero di somme liquidate con sentenze passate in giudicato, nel caso in cui questi dovessero chiedere la rateizzazione del debito?
Relativamente al primo punto del quesito, occorre rilevare che, ai sensi dell'art. 47 del decreto legislativo n. 267/2000, gli assessori devono possedere gli stessi requisiti di candidabilità, eleggibilità, e incompatibilità previsti per la carica di consiglieri.
Per quanto concerne il secondo punto, va rilevato che qualora gli amministratori in questione siano stati dichiarati, con sentenza passata in giudicato, responsabili verso il comune, per fatti compiuti allorché erano amministratori dell'ente medesimo, la causa di incompatibilità prevista dall'art. 63, comma1, n. 5 del dlgs n. 267/2000 verrà meno solo quando il relativo debito nei confronti del comune sarà stato completamente estinto, ovvero a seguito di prescrizione quinquennale (articolo ItaliaOggi del 12.08.2011 - tratto da www.ecostampa.it).

CONSIGLIERI COMUNALIOSSERVATORIO VIMINALE/ Indennità.
Agli amministratori locali va applicato l'art. 5, comma 7, del dl n. 78/2010 oppure l'art. 6, comma 3, del medesimo decreto?

La manovra finanziaria varata con il decreto legge 31.05.2010, n. 78, convertito con modificazioni dalla legge 30.07.2010, n. 122, ha disposto, all'art. 5, comma 7, che con decreto del ministro dell'interno, da emanarsi ai sensi dell'art. 82, comma 8, del decreto legislativo 18.08.2000, n. 267 e successive modificazioni e integrazioni, di concerto con il ministero dell'economia e delle finanze, siano rideterminati in riduzione gli importi delle indennità di funzione degli amministratori comunali e provinciali già previsti nel decreto ministeriale 04.04.2000, n. 119, e siano determinati gli importi dei gettoni di presenza per i consiglieri comunali e provinciali per la partecipazione a consigli e commissioni.
Il successivo art. 6, comma 3, del citato decreto-legge statuisce che, «fermo restando quanto previsto dall'art. 1, comma 58 della legge 23.12.2005, n. 266, a decorrere dall'01.01.2011 le indennità, i compensi, i gettoni, le retribuzioni o le altre utilità comunque denominate, corrisposti dalle pubbliche amministrazioni di cui al comma 3 dell'art. 1 della legge 31.12.2009, n. 196, incluse le autorità indipendenti, ai componenti di organi di indirizzo, direzione e controllo, consigli di amministrazione e organi collegiali comunque denominati e ai titolari di incarichi di qualsiasi tipo, sono automaticamente ridotte del 10 per cento rispetto agli importi risultanti alla data del 30.04.2010. Sino al 31.12.2013, gli emolumenti di cui al presente comma non possono superare gli importi risultanti alla data del 30.04.2010, come ridotti ai sensi del presente comma».
Premesso che è in corso di definizione l'iter di emanazione del nuovo regolamento per la determinazione della misura delle indennità di funzione e dei gettoni di presenza da corrispondere agli amministratori degli enti locali, ai fini del calcolo dell'indennità spettante agli amministratori locali devono trovare applicazione le disposizioni del citato art. 5, comma 7, essendo espressamente individuati i destinatari di tale norma, mentre il richiamato art. 6, comma 3, dello stesso decreto sembra avere un più ampio ambito di applicazione ed essere comunque destinato a soggetti giuridici diversi da quelli espressamente individuati dal segnalato art. 5, comma 7.
Tale interpretazione è in linea con il generale principio dell'ordinamento in base al quale, quando più leggi o più disposizioni regolano la stessa materia, la legge o la disposizione di legge speciale deroga alla legge o alla disposizione di legge generale (articolo ItaliaOggi del 12.08.2011 - tratto da www.ecostampa.it).

VARISosta, multe a due vie per l'abusivo.
Normalmente l'automobilista che sosta in un'area a pagamento senza esporre il previsto contrassegno incorre in una multa stradale e nella penale per inadempienza contrattuale prevista anche per chi supera l'orario stampigliato. Diversamente se l'area blu ammette la sosta solo per un periodo massimo limitato per gli abusivi scatterà l'ulteriore multa periodica ammessa dal codice stradale ma non il recupero delle spese.

Lo ha chiarito il ministero dei trasporti con il parere 05.07.2011 n. 3615.
Un utente stradale ha richiesto chiarimenti sulle regole applicabili dai vigili in caso di sosta negligente prolungata nelle aree regolamentate. I comuni hanno piena facoltà di istituire previa deliberazione della giunta, aree destinate al parcheggio sulle quali la sosta del veicolo è subordinata al pagamento di una somma, da riscuotere mediante dispositivi di controllo di durata della sosta, anche senza custodia.
In tal caso l'utente stradale che parcheggia il proprio mezzo ha l'obbligo di corrispondere la tariffa richiesta e di attivare il dispositivo di controllo, pena la sanzione stradale di 39 euro. Se non viene effettuato il pagamento o si prolunga la sosta oltre al dovuto si configura inoltre una inadempienza contrattuale che comporta il risarcimento conseguente al mancato introito.
Diversamente, prosegue il ministero, se la sosta in zona blu è limitata temporalmente con segnaletica ad hoc l'utente che parcheggia abusivamente sarà soggetto alla multa prevista dall'art. 7/15° del codice della strada di euro 24. In pratica questa sanzione amministrativa si riferisce alla sosta limitata o regolamentata, qualora la sosta si protragga oltre l'orario consentito, ovvero sia effettuata da diversa categoria di veicoli o di utenti. La sanzione è applicata per ogni periodo per il quale si protrae la violazione, essendo implicita la segnalazione dell'orario di inizio della sosta, ovvero la messa in funzione del dispositivo di controllo della durata.
In sostanza, conclude la nota, se la sosta si protrae abusivamente in area a pagamento senza limite orario o di categoria il trasgressore sarà soggetto solo ad una multa e a una misura punitiva locale. Diversamente, se il parcheggiatore abusivo lascia il veicolo in zona blu con sosta massima consentita sarà soggetto all'ulteriore sanzione periodica prevista dal codice stradale, ma senza recupero delle spese (articolo ItaliaOggi dell'11.08.2011).

EDILIZIA PRIVATASanatoria senza silenzio-assenso. La regola vale solo per il permesso di costruire ordinario. È quanto emerge dal confronto tra il T.u. e l'articolo 20 del decreto sviluppo.
Sanatoria edilizia senza il silenzio assenso. La procedura di accertamento di conformità, regolato dall'articolo 36 del Testo unico per l'edilizia (dpr 380/2001), non è stata toccata dal decreto sullo sviluppo (70/2011), che ha introdotto sì la regola del silenzio assenso, ma solo per il permesso di costruire ordinario. Non per quello in sanatoria.
È quanto è lecito desumere confrontando l'articolo 36 citato con l'articolo 20 modificato dal decreto legge 70/2011. L'articolo 36, infatti, prevede che «sulla richiesta di permesso in sanatoria il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale si pronuncia con adeguata motivazione, entro 60 giorni decorsi i quali la richiesta si intende rifiutata».
Si tratta, dunque, di un caso di silenzio il cui effetto è regolamentato direttamente dalla legge: l'inerzia dell'amministrazione significa che l'istanza è respinta, tanto che l'interessato potrà impugnare l'atto di diniego implicito. La formulazione dell'articolo 36 è rimasta tale anche dopo la modifica dell'articolo 20 del Testo unico per l'edilizia, dedicato al procedimento ordinario (non in sanatoria) del rilascio del permesso di costruire.
Nella nuova formulazione, al comma 8, si legge che decorso inutilmente il termine per l'adozione del provvedimento conclusivo, se il dirigente o il responsabile dell'ufficio non abbia opposto motivato diniego, sulla domanda di permesso di costruire si intende formato il silenzio-assenso, fatti salvi i casi in cui sussistano vincoli ambientali, paesaggistici o culturali. Anche qui siamo di fronte a un caso di silenzio significativo, anche se di tenore diverso da quello dell'articolo 36. In questa ipotesi il silenzio vuole dire provvedimento implicito di accoglimento. Anche in questo caso chi ha interesse potrà impugnare il permesso di costruire silente con un ricorso al Tribunale amministrativo regionale.
Tra l'altro non si può dire che la modifica dell'articolo 20 del Testo unico per l'edilizia possa trascinare anche il procedimento di permesso di costruire in sanatoria. Ciò è impedito dall'articolo 20 comma 4 della legge 241/1990, che disciplina in generale l'istituto del silenzio-assenso. Stando all'articolo 20 le disposizioni sul silenzio assenso non si applicano, tra le altre ipotesi, ai casi in cui la legge qualifica il silenzio dell'amministrazione come rigetto dell'istanza. Per arrivare al silenzio assenso sul permesso di costruire in sanatoria occorre, dunque, una modifica esplicita dell'articolo 36 del Testo unico per l'edilizia.
Va, comunque, ricordato che, per effetto dell'articolo 20 della legge 241/1990, anche nel caso di permesso di costruire tacito l'amministrazione competente può sempre assumere determinazioni in via di autotutela, ai sensi degli articoli 21-quinquies e 21-nonies, sempre della legge 241/1990 e cioè revoca o annullamento d'ufficio (come tra l'altro può avvenire anche per i provvedimenti espressi).
Tornando alla sanatoria, dal decreto sviluppo non sono stati toccati i presupposti sostanziali e, in particolare, la cosiddetta doppia conformità: il responsabile dell'abuso, o l'attuale proprietario dell'immobile, possono ottenere il permesso in sanatoria se l'intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda. Anche se, sul punto, non mancano richieste di estensione di tali presupposti anche al caso di conformità singola alla normativa edilizia vigente al momento della richiesta di sanatoria.
Lo stesso Consiglio di stato, infatti, ha avuto modo di affermare che l'articolo 36 del Testo unico per l'edilizia, nella parte in cui richiede che l'opera sia conforme tanto alla normativa urbanistica vigente al momento della realizzazione dell'opera, quanto a quella vigente al momento della domanda di sanatoria, è una disposizione contro l'inerzia dell'amministrazione: tale regola «non preclude il diritto a ottenere la concessione in sanatoria di opere che, realizzate senza concessione o in difformità dalla concessione, siano conformi alla normativa urbanistica vigente al momento in cui l'autorità comunale provvede sulla domanda in sanatoria» (Consiglio di stato, sezione sesta, n. 2835 del 07.05.2009).
L'orientamento più rigoroso ritiene, invece, che sul principio di buon andamento, che fa ritenere illogico che si demolisca ciò che, al momento stesso, potrebbe essere autorizzato in base allo strumento vigente, deve prevalere quello di legalità: quindi non è possibile l'estensione del permesso di sanatoria al di fuori dei presupposti della cosiddetta «doppia conformità» e non può trovare applicazione l'istituto della cosiddetta sanatoria «giurisprudenziale» o «impropria», ammessa nell'ipotesi in cui le opere, inizialmente abusive, diventino successivamente conformi alle norme urbanistico-edilizie e alle previsioni degli strumenti di pianificazione per effetto di normative o disposizioni pianificatorie sopravvenute (articolo ItaliaOggi dell'11.08.2011).

PUBBLICO IMPIEGOStage all'estero d'obbligo per i dirigenti della p.a.. In Gazzetta Ufficiale il decreto che attua la legge Brunetta.
Per i dirigenti pubblici di prima fascia neo assunti, sarà obbligatorio effettuare, prima del conferimento dell'incarico dirigenziale, uno stage formativo all'estero di sei mesi presso gli uffici amministrativi degli stati membri dell'Unione europea, dei suoi organismi, ovvero di enti e organizzazioni cui l'Italia aderisce. La formazione dovrà completarsi con la partecipazione del neo dirigente anche ad seminari e convegni. Al termine del periodo formativo, sarà l'amministrazione estera che dovrà valutare il livello di professionalità acquisito dal dirigente.
Questi i contenuti salienti del dpr n. 134/2011, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 184 del 09.08.2011 (si veda ItaliaOggi di ieri) che attua le disposizioni contenute all'articolo 28-bis del dlgs n. 165/2001, introdotte dalla riforma del pubblico impiego, fortemente voluta dal ministro della funzione pubblica, Renato Brunetta.
Un periodo di stage all'estero, si legge nel dpr in esame, potrà far acquisire ai dirigenti competenze e strumenti tipici delle scienze manageriali, incrementare il livello delle loro competenze, così da assicurare «il miglior contributo alla performance generale dell'organizzazione statale», nonché sviluppare la capacità di interagire con amministrazioni e organismi internazionali. Giova, però, premettere che le disposizioni richiamate non avranno effetto nei confronti dei neodirigenti assunti con contratto a tempo determinato, in quanto la formazione risulterebbe eccessivamente onerosa, anche sotto il profilo temporale, in rapporto al periodo lavorativo da svolgere.
Quindi, le amministrazioni che intendono bandire concorsi dirigenziali di prima fascia, devono curare la programmazione della formazione all'estero dei dirigenti, così da assicurarne lo svolgimento «nel periodo immediatamente successivo all'assunzione e precedente al conferimento dell'incarico dirigenziale». Sulla scorta di accordi, convenzioni o forme di collaborazione, che sarà cura della Scuola superiore della pubblica amministrazione (Sspa) definire, i neo dirigenti pubblici svolgeranno il tirocinio presso gli uffici amministrativi degli stati membri Ue, degli stati candidati all'adesione, ovvero di organismi dell'Unione europea e di enti e organizzazioni internazionali cui l'Italia aderisce. Il neo dirigente, infatti, al momento dell'assunzione, dovrà scegliere l'amministrazione estera in cui dovrà espletare lo stage, tra quelle individuate a seguito degli accordi predetti.
In particolare, come prevede l'articolo 5 del dpr in esame, il neodirigente dovrà effettuare uno stage di sei mesi, preferibilmente continuativi, presso una o più amministrazioni estere. La sospensione dello stage è prevista sono se ricorrono legittime cause. In ogni caso, il periodo di stage, dovrà completarsi entro tre anni dalla conclusione del concorso.
Come detto, al termine del periodo formativo sarà l'amministrazione (o le amministrazioni) estera che redigeranno una valutazione del dirigente. La conclusione positiva dello stage, pertanto, equivale al superamento del periodo di prova, necessario all'immissione definitiva nel ruolo dei dirigenti di prima fascia.
Infine, sotto il profilo economico, il dpr precisa che anteriormente al conferimento dell'incarico e durante il periodo formativo, al dirigente spetta il trattamento economico tabellare e la retribuzione di posizione previsti per i dirigenti di prima fascia, oltre il rimborso delle spese di viaggio, vitto ed alloggio, che sono a carico delle amministrazioni presso cui il dirigente è incardinato (articolo ItaliaOggi dell'11.08.2011).

PUBBLICO IMPIEGONuove regole sui congedi parentali. Permessi fino a un massimo di tre anni per assistere i disabili. Entra in vigore il decreto legislativo n. 119/2011 che riordina la disciplina sulle astensioni.
Arriva la stretta su congedi e permessi dal lavoro. Il congedo parentale per assistenza a figli disabili comprende anche il congedo ordinario: complessivamente, tra l'uno e l'altro, il congedo spetta fino a un massimo di tre anni. Chi fruisce di permessi per assistere disabili residente in comune distante più di 150 km deve attestare il raggiungimento di tale luogo. La lavoratrice in congedo di maternità ha facoltà di rientrare anticipatamente al lavoro, in caso di aborto o di morte prematura del bimbo. Infine, il dipendente pubblico che ha fruito di aspettativa per motivi di studio, se nei successivi due anni interrompe il rapporto d'impiego, deve restituire la retribuzione percepita durante il congedo.
A stabilirlo, tra l'altro, il dlgs n. 119/2011 che entra in vigore oggi, di riordino della disciplina dei congedi, aspettative e permessi in attuazione della legge n. 183/2010 (collegato lavoro).
Vediamo le principali novità.
Congedo di maternità (ex astensione obbligatoria). La disciplina vigente prevede l'obbligo per la lavoratrice di astenersi dal lavoro per cinque mesi, dai due precedenti la data presunta del parto fino al terzo successivo al parto. La lavoratrice ha facoltà di posticipare il periodo, cominciando ad assentarsi dal mese precedente la data presunta del parto per proseguirlo, così, fino al quarto mese successivi (è la flessibilità), a condizione che non arrechi pregiudizio alla salute della gestante e del nascituro.
La novità del decreto di riordino prevede che, nel caso d'interruzione spontanea o terapeutica della gravidanza dopo i 180 giorni dall'inizio della gestazione, nonché in caso di decesso del bambino alla nascita o durante il congedo di maternità, la lavoratrice ha facoltà di riprendere in qualunque momento l'attività lavorativa, dando un preavviso di dieci giorni all'azienda, a condizione che il medico specialista del servizio sanitario nazionale o con esso convenzionato e il medico competente sulla sicurezza attestino (entrambi) che il rientro al lavoro non arreca pregiudizio al suo stato di salute.
Congedo parentale (ex astensione facoltativa). Il T.u. maternità disciplina il congedo parentale, come diritto ad astenersi dal lavoro dei genitori, per ogni bambino nei primi otto anni di vita, per la durata non superiore a sei mesi se fruiti dalla madre, sette mesi se fruiti dal padre, 11 mesi complessivamente (entrambi i genitori).
La lavoratrice o, in alternativa, il lavoratore padre di minore con handicap grave ha diritto al prolungamento fino a tre anni del periodo di congedo parentale, quando il bambino non risulta ricoverato a tempo pieno presso istituti specializzati.
La novità del decreto di riordino definisce il prolungamento del congedo parentale per i genitori di bimbi con disabilità: per ogni minore con handicap grave, uno dei due genitori ha diritto al prolungamento del congedo entro l'ottavo anno di vita del bambino; i genitori possono fruire alternativamente del congedo, in modo continuativo o frazionato per un massimo di tre anni; previsto un prolungamento del congedo anche nel caso in cui uno dei due genitori debba assistere il minore ricoverato a tempo pieno in istituti specializzati.
Per effetto delle modifiche è disposto, dunque, che il periodo di congedo parentale ordinario, nel caso di bambini con disabilità, va compreso nella durata di «tre anni complessiva» relativa al prolungamento del congedo stesso.
Riposi giornalieri (ex allattamento). Il T.u. maternità disciplina i riposi giornalieri (ex allattamento) in via generale a favore della madre, ma fruibili pure dal padre, il cui diritto spetta durante il primo anno di vita del bimbo e la cui durata è di due ore al giorno (un'ora sola se l'orario di lavoro è inferiore a sei ore).
La novità del decreto di riordino stabilisce che tale disciplina va applicata entro il primo anno dall'ingresso del minore nella famiglia, anziché entro il primo anno di vita del bambino.
Inoltre, nel caso dei dipendenti pubblici assegnati ad altra sede temporaneamente, stabilisce che la disciplina dei riposi può applicarsi entro i primi tre anni dall'ingresso del minore nella famiglia, indipendentemente dalla sua età (articolo ItaliaOggi dell'11.08.2011).

EDILIZIA PRIVATALa Scia edilizia dura tre anni. Scaduto il termine, per chiudere i lavori ne serve un'altra. Lo studio del Consiglio nazionale del notariato sulla disciplina dopo il decreto sviluppo.
La Scia edilizia dura tre anni. Una volta scaduti, senza completamento delle opere, per finire i lavori se ne deve chiedere un'altra.
È questa l'interpretazione data
circolare 08.06.2011 n. 325-11/C del Consiglio nazionale dei notai, che ha illustrato la disciplina edilizia dopo il decreto sullo sviluppo n. 70/2011 (si veda ItaliaOggi del 4 agosto scorso).
Vediamo, dunque, le principali in materia di segnalazione certificata di inizio attività in ambito edilizio, concentrandosi su due aspetti: efficacia del titoli e sistema sanzionatorio.
La legge non dispone esplicitamente sull'efficacia della Scia, alla quale si applica la disciplina del Testo unico per l'edilizia (dpr 380/2001).
Ne deriva che anche la scia edilizia ha tre anni di efficacia, decorrenti dalla data della sua presentazione: quindi i lavori non ultimati entro il triennio possono essere completati previa presentazione di una nuova scia. Inoltre l'interessato deve comunicare all'ufficio tecnico del comune la data di ultimazione dei lavori.
Lo studio dei notai aggiunge che, ultimato l'intervento, il progettista o un tecnico abilitato dovrà rilasciare un certificato di collaudo finale, con il quale si attesta la conformità dell'opera al progetto presentato con la scia.
Il certificato di collaudo dovrà essere presentato allo sportello unico, unitamente alla ricevuta dell'avvenuta presentazione della variazione catastale conseguente alle opere realizzate o a dichiarazione che le stesse non hanno comportato modificazioni del classamento.
Tra l'altro si deve fare molta attenzione agli aspetti catastali, considerato che il decreto legge 78/2010 ha disposto la nullità degli atto di trasferimento immobiliare, se non vi è dichiarazione di conformità tra dati catastali e le planimetrie catastali depositate in Catasto e lo stato di fatto.
Se manca il certificato di collaudo finale e la variazione catastale si applicazione della sanzione di 516 euro.
Ai fini della documentazione della regolarità edilizia, la sussistenza del titolo è provata con la copia della stessa, dalla quale risulti la data di ricevimento, l'elenco di quanto presentato a corredo del progetto, e l'attestazione del professionista abilitato, e gli atti di assenso eventualmente necessari.
Nel caso di interventi edilizi eseguiti in assenza ovvero in difformità dalla scia si applica la disciplina dettata per gli interventi eseguiti in assenza o in difformità dalla Dia (articolo 37, T.u. dpr 380/2001).
Pertanto la realizzazione di interventi edilizi rientranti nell'ambito di applicazione della Scia in assenza della o in difformità dalla scia comporterà la sanzione pecuniaria pari al doppio dell'aumento del valore venale dell'immobile conseguente alla realizzazione degli interventi stessi e comunque in misura non inferiore a 516 euro.
Quando le opere realizzate in assenza di scia consistono in interventi di restauro e di risanamento conservativo, eseguiti su immobili comunque vincolati in base a leggi statali e regionali, e dalle altre norme urbanistiche vigenti, l'autorità competente a vigilare sull'osservanza del vincolo, salva l'applicazione di altre misure e sanzioni previste da norme vigenti, potrà ordinare la restituzione in pristino a cura e spese del responsabile ed irrogherà una sanzione pecuniaria da 516 a 10.329 euro.
Qualora gli interventi di restauro e di risanamento conservativo siano eseguiti su immobili, anche non vincolati, compresi nei centri storici, il dirigente o il responsabile dell'ufficio richiederà al Ministero per i beni e le attività culturali apposito parere vincolante circa la restituzione in pristino o la irrogazione della sanzione pecuniaria pari al doppio dell'aumento del valore venale dell'immobile conseguente alla realizzazione degli interventi stessi e comunque in misura non inferiore a 516 euro. Se il parere non verrà reso entro 60 giorni dalla richiesta, il dirigente o il responsabile dell'ufficio provvederà autonomamente.
Anche per gli interventi in assenza o in difformità della scia è prevista la sanatoria.
In caso di abusi formali (mancata presentazione della Scia) e, quindi, se l'intervento realizzato risulta conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dell'intervento, sia al momento della presentazione della domanda (cosiddetta doppia conformità), il responsabile dell'abuso o il proprietario dell'immobile potranno ottenere la sanatoria dell'intervento versando la somma, non superiore a 5.164,00 euro e non inferiore a 516,00 euro, stabilita dal responsabile del procedimento in relazione all'aumento di valore dell'immobile valutato dall'Agenzia del territorio.
La presentazione spontanea della scia, effettuata quando l'intervento è in corso di esecuzione, obbliga al pagamento, a titolo di sanzione, della somma di 516 euro.
Rimane ferma la possibilità per il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale, in caso di accertata carenza dei requisiti e dei presupposti, di adottare, entro i successivi 30 giorni, motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione dell'attività e di rimozione degli eventuali effetti dannosi di essa.
La mancata presentazione della Scia non comporta l'applicazione di sanzioni penali (articolo ItaliaOggi dell'11.08.2011).

PUBBLICO IMPIEGODirigenti con concorso nella p.a.. Riserva per il 50% dei manager pubblici di prima fascia. Direttiva di Brunetta per dare il via alla riforma dell'accesso. Programmazione entro il 31 ottobre.
Nella p.a. un dirigente apicale su due dovrà essere assunto con concorso e con contratto a tempo indeterminato. E dovrà obbligatoriamente andare all'estero per un periodo di formazione (non meno di sei mesi) prima di assumere l'incarico o al massimo entro tre anni dall'immissione in ruolo.
La golden rule della legge Brunetta (dlgs 150/2009) per rendere i manager pubblici più autonomi dal potere politico, ma anche più responsabili per le scelte gestionali assunte, entra ora nel vivo. La legge Brunetta dava agli enti due anni di tempo per mettersi in regola e il 31 ottobre prossimo scade la dead line entro cui le amministrazioni interessate dalla nuova disciplina dell'accesso alla dirigenza (p.a. centrali anche ad ordinamento autonomo, agenzie, enti pubblici non economici, enti di ricerca, mentre restano esclusi i dirigenti con rapporti di lavoro di natura privatistica, nonché i capi dipartimento e i segretari generali) dovranno programmare su base triennale il numero di posti da mettere a concorso.
Per quest'anno le p.a. avranno una chance in più perché potranno scegliere se calcolare le posizioni dirigenziali disponibili sul triennio 2011-2013 o spingendosi fino al 2014.

Le indicazioni operative del ministro della funzione pubblica sono contenute nella direttiva 05.08.2011 n. 11/2011 diffusa ieri da palazzo Vidoni. Proprio nel giorno in cui è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale (n. 184 del 09/08/2011) il dpr 21.06.2011 n. 134 sulla formazione all'estero dei neo dirigenti di prima fascia.
La direttiva richiama l'attenzione degli enti sull'applicazione del dpcm 26.10.2010 con cui la Funzione pubblica ha disciplinato le modalità di calcolo dei posti disponibili e lo svolgimento dei concorsi.
Le norme. La legge Brunetta, sulla base dell'assunto che «il reclutamento di parte della dirigenza apicale mediante procedure concorsuali pubbliche concorre a rendere più imparziale l'azione amministrativa», ha disposto che il 50% dei posti dirigenziali di prima fascia resi disponibili dalle cessazioni avvenute entro il 31 dicembre dell'anno precedente, venga messo a concorso per la stipulazione di contratti a tempo indeterminato.
Il concorso sarà la regola anche nel caso in cui le amministrazioni, in sede di determinazione del fabbisogno, richiedano particolari professionalità o esperienze specifiche. La quota da destinare in questo caso sarà pari alla metà della riserva di cui sopra e verrà coperta con contratti di diritto privato, questa volta a tempo determinato, da assegnare sempre con concorso pubblico.
Nella prima fascia della dirigenza pubblica transiteranno di diritto i dirigenti di seconda fascia che abbiano diretto uffici dirigenziali generali o equivalenti per almeno cinque anni senza essere incorsi in ipotesi di responsabilità. Viene dunque a delinearsi un sistema binario di accesso alla dirigenza apicale (transito dalla seconda fascia o acquisizione della qualifica mediante concorso) che a due anni di distanza dal dlgs 150/2009 diventa pienamente operativo.
La riserva del 50%, chiarisce la direttiva, va calcolata sulla base dei posti disponibili a partire dall'01.01.2011. Con la conseguenza che, qualora siano rimasti posti vacanti anteriormente al 1° gennaio, le p.a. mantengono su quei posti il regime precedente alla riforma, a meno che non vogliano «utilizzarli a compensazione per realizzare l'obiettivo della riserva al concorso».
La dead line per la programmazione dei fabbisogni è invece il 31 gennaio. Entro questa data gli enti devono programmare su base triennale il numero dei posti di funzione dirigenziale di livello generale disponibili per la contemporanea cessazione dal servizio dei dirigenti di prima fascia. La programmazione su base triennale, chiarisce la direttiva, è stata scelta per «aiutare le amministrazioni in termini di flessibilità» grazie alla chance di operare compensazioni fra gli anni considerati.
Per il 2011 la programmazione doveva essere presentata non oltre il 31 gennaio, ma trattandosi del debutto delle nuove regole, il termine è stato spostato al 31 ottobre. E, come detto, solo per quest'anno le p.a. potranno scegliere se programmare per il triennio 2011-2013 oppure allargare il proprio orizzonte temporale fino al 2014. Anche in quest'ultima ipotesi il termine ultimo per la programmazione resta il 31.10.2011, nonostante per il triennio 2012-2014 la scadenza sarebbe stata il 31.01.2012.
Il ministero della funzione pubblica verrà incontro agli enti per agevolare lo svolgimento dei concorsi, promuovendo convenzioni per la gestione unificata e incentivando l'informatizzazione delle procedure (le p.a. sono richiamate all'utilizzo della posta elettronica certificata). La direttiva raccomanda inoltre, «al fine di evitare un uso improprio delle graduatorie», di indicare nel bando di concorso se i posti disponibili si riferiscono a un solo anno oppure a un orizzonte temporale maggiore (in ogni caso non superiore al triennio) (articolo ItaliaOggi del 10.08.2011 - tratto da www.corteconti.it).

PUBBLICO IMPIEGO: Vigili urbani, turni equilibrati.
Solo la distribuzione equilibrata e avvicendata dei turni di servizio degli operatori di polizia locale permette al comune la regolare corresponsione dell'indennità di turno. Purché l'articolazione dell'orario di servizio dei vigili urbani sia strutturata su almeno due turni giornalieri per un arco di tempo di 11 ore.

Lo ha ribadito il ministero dell'Interno con il parere 04.04.2011 diramato dal dipartimento per gli affari interni e territoriali.
Un comune ha evidenziato di aver attivato un servizio di polizia municipale operativo per 12 ore giornaliere senza pausa e ha quindi richiesto chiarimenti circa l'alternanza degli operatori e l'incidenza dei periodi di ferie, malattia e permesso sull'erogazione della speciale remunerazione.
L'indennità di turnazione nel comparto regioni enti locali è ancora disciplinata dall'art. 22 del Ccnl del 14.09.2000, specifica innanzitutto il ministero. Questo disposto chiarisce che gli enti, in relazione alle proprie esigenze organizzative, possono istituire turni giornalieri di lavoro. Il turno consiste in una effettiva rotazione del personale in prestabilite articolazioni giornaliere.
Le prestazioni lavorative svolte in turnazione, ai fini della corresponsione della relativa indennità, devono essere distribuite nell'arco del mese in modo tale da far risultare una distribuzione equilibrata e avvicendata dei turni effettuati in orario antimeridiano, pomeridiano e, se previsto, notturno, in relazione alla articolazione adottata nell'ente. In pratica la caratteristica della turnazione consiste «nella rotazione ciclica degli addetti. L'alternanza a rotazione della prestazione lavorativa giornaliera comporta come conseguenza che la prestazione lavorativa settimanale non viene effettuata dal singolo addetto sempre nello stesso periodo temporale».
Questa indennità, conclude la nota, spetta però solo per i periodi di effettiva prestazione del servizio restando esclusa per i giorni di assenza dal lavoro. Il compenso è infatti rapportato alle ore effettivamente svolte dall'operatore in ogni singolo turno e per questo non può essere erogato in caso di assenza anche se giustificata (articolo ItaliaOggi del 09.08.2011).

PUBBLICO IMPIEGODipendenti, detrazioni self service. I dati dei familiari a carico inviati via Internet al Tesoro. Il nuovo servizio del portale stipendipa.tesoro.it per snellire gli adempimenti burocratici.
I dipendenti pubblici potranno trasmettere i dati relativi alle detrazioni per familiari a carico direttamente dal portale Stipendi del Dipartimento del tesoro, evitando così l'invio di documentazione cartacea al proprio sostituto d'imposta.
È stata infatti, avviata una procedura che permette, a chi è già abilitato alla navigazione nel portale https://stipendipa.tesoro.it (con cui è possibile prendere visione del proprio cedolino stipendio, modello Cud e 730 online), di modificare le informazioni relative ai propri familiari, ai fini del riconoscimento delle detrazioni fiscali.
Ne dà notizia un comunicato diffuso nei giorni scorsi sulla home-page del sito sopra indicato, dove si informa che, per semplificare i processi amministrativi connessi al trattamento economico del personale, è disponibile un nuovo servizio self-service che consente di presentare la richiesta delle detrazioni per familiari a carico, senza più recarsi presso gli uffici competenti. È bene ricordare che, come precisa il Tuir, sono considerati a proprio carico le persone che non hanno redditi propri superiori a euro 2.840,51 annui al lordo degli oneri deducibili.
Come noto, il decreto legge n. 70 del 13.05. 2011 (meglio noto come decreto sviluppo), ha abolito l'obbligo, per i lavoratori dipendenti, di comunicare annualmente i dati delle detrazioni per familiari a carico al sostituto d'imposta, mentre è rimasto il solo obbligo di comunicare le eventuali variazioni.
Quindi, in assenza di variazioni, le detrazioni si intendono confermate sulla scorta di quelle comunicate nel corso del 2010.
Per accedere al nuovo servizio, dalla home-page si dovrà selezionare la voce «Gestione detrazioni» presente nel menù sul lato sinistro della pagina. L'utente troverà una guida online relativa alle procedure operative da seguire per la presentazione di una nuova richiesta. La procedura prevede, altresì, la comunicazione dei dati anagrafici e fiscali sia del richiedente che dei familiari a carico (di cui si dovrà trasmettere il relativo codice fiscale e la percentuale di detrazione).
Il servizio consente, inoltre, la visualizzazione della lista delle detrazioni eventualmente presentate tramite il predetto portale. Il messaggio del Dipartimento del Tesoro, infine, invita gli utenti a una tempestiva presentazione di una nuova richiesta, «solo qualora si siano verificate condizioni che comportino la variazione alla detrazione d'imposta in godimento» (articolo ItaliaOggi del 09.08.2011 - tratto da www.ecostampa.it).

PUBBLICO IMPIEGOSCUOLA/ Visite fiscali solo ai malati sospetti. E l'assenza da casa per motivi diversi dai controlli medici va giustificata.
Visite fiscali con il contagocce. Non ci sono abbastanza soldi per pagarle e, quindi, per le assenze di un solo giorno, meglio lasciar correre. A meno che non siano sospette. Come per esempio se il lavoratore si assenta il sabato o il lunedì. In quest'ultimo caso, dunque, la visita fiscale resta obbligatoria anche per un solo giorno.
È questa una delle novità più importanti contenute nella
circolare 01.08.2011 n. 10/2011 emanata dal dipartimento della funzione pubblica.
Il provvedimento fa il punto sulle novità introdotte dal decreto legge 98/2011 e prevede, in primo luogo, che il dirigente scolastico debba disporre il controllo sulle assenze per malattia valutando la condotta complessiva del dipendente e gli oneri connessi all'effettuazione della visita.
Il tutto tenendo conto dell'esigenza di contrastare e prevenire l'assenteismo. A questo proposito la Funzione pubblica ha chiarito che la valutazione della condotta del dipendente, ai fini della disposizione della visita fiscale, deve considerare elementi di carattere oggettivo «prescindendo, naturalmente, da considerazioni e sensazioni di carattere personalistico». Per quanto riguarda invece l'aspetto economico, l'introduzione di questo elemento di valutazione è diretto a tenere nel giusto conto le difficoltà connesse alla copertura finanziaria per l'effettuazione delle visite.
In altre parole, i dirigenti scolastici dovranno valutare caso per caso, ma non potranno esimersi dal tenere conto che le visite costano e, quindi, salvo casi si manifesto assenteismo, è preferibile astenersi dal disporre le viste fiscali per un solo giorno di assenza. Salvo che non si tratti di assenze «dubbie» come per esempio quelle a ridosso di domeniche e altre festività. Che potrebbero nascondere, più che uno stato di malattia, la voglia di fare un ponte fuori stagione.
La Funzione pubblica ha ricordato, inoltre, che vi sono novità anche per quanto riguarda la reperibilità. In particolare il dipartimento ha spiegato le novità in fatto di assenze alla visita fiscale. Il dipendente può allontanarsi da casa in caso di necessità, ma deve avvertire la scuola. La legge fissa anche la casistica-tipo: necessità di effettuare visite mediche, prestazioni o accertamenti specialistici o per altri giustificati motivi, che devono essere, a richiesta, documentati.
A questo proposito, il dicastero guidato da Renato Brunetta ha chiarito che la valutazione dei giustificati motivi è rimessa al dirigente scolastico, secondo le circostanze concrete che ricorrano di volta in volta. Fermo restando che la documentazione dei giustificati motivi diventa un obbligo per il dipendente solo se richiesta espressamente dal dirigente scolastico. Quanto alla giustificazione, per le visite e gli accertamenti diagnostici è necessaria l'attestazione del medico o della struttura , anche privata, dove si sia recato l'interessato.
Per quanto riguarda invece la giustificazione di altri motivi, il dipartimento ha spiegato che basta che l'interessato descriva il fatto in forma scritta, avvalendosi della facoltà consentita dal decreto del presidente della repubblica 445/200, in particolare agli articoli 47 e 49. In caso di assenza ingiustificata alla visita fiscale si applica il comma 14 dell'articolo 5 del decreto legge 463/1983, che testualmente recita: «Qualora il lavoratore, pubblico o privato, risulti assente alla visita di controllo senza giustificato motivo, decade dal diritto a qualsiasi trattamento economico per l'intero periodo sino a dieci giorni e nella misura della metà per l'ulteriore periodo, esclusi quelli di ricovero ospedaliero o già accertati da precedente visita di controllo».
Giova ricordare, però, che la Corte costituzionale con sentenza 14-26.01.1988, n. 78 ha dichiarato l'illegittimità di questa norma, nella parte in cui non prevede una seconda visita medica di controllo prima della decadenza dal diritto a qualsiasi trattamento economico di malattia nella misura della metà per l'ulteriore periodo successivo ai primi dieci giorni (articolo ItaliaOggi del 09.08.2011).

AMBIENTE-ECOLOGIAEcoreati, la sanzione si fa amara. Operativa dal 16.08.2011 la responsabilità diretta delle imprese. Con l'entrata in vigore del dlgs 121/2011 chi commette illeciti ambientali paga oltre 380 mila euro.
Dal 16.08.2011 la violazione delle regole sul tracciamento dei rifiuti, così come l'inquinamento non autorizzato di aria, acque e suolo, potrà costare alle imprese una sanzione da oltre 380 mila euro.
Questo in virtù dell'entrata in vigore dell'atteso nuovo decreto legislativo sugli ecoreati (dlgs 07.07.2011, n. 121, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale dell'01.08.2011 n. 177), che prevede a carico degli enti collettivi una diretta responsabilità (amministrativa) per tutti i principali illeciti ambientali (si veda ItaliaOggi Sette del 25/07/2011).
A fronte di tale allargamento di responsabilità il nuovo provvedimento, emanato in recepimento delle direttive 2008/99/Ce sulla tutela penale dell'ambiente e 2009/123/Ce sull'inquinamento da navi, offre però un alleggerimento generale delle sanzioni «Sistri» (il sistema di controllo telematico dei rifiuti in partenza dal prossimo 01.09.2011) e una semplificazione degli oneri burocratici a carico di alcuni gestori di rifiuti.
Responsabilità ambientale delle imprese. I «corporale ecocrimes» esordiscono nel nostro ordinamento giuridico attraverso l'inserimento che il nuovo dlgs 121/2011 effettua nel dlgs 231/2001 (il provvedimento madre sulla responsabilità amministrativa degli enti) delle specifiche fattispecie illecite cui le organizzazioni collettive rispondono se integrate da loro organi e a vantaggio della struttura stessa.
Le fattispecie riguardano la gestione illecita dei rifiuti, l'inquinamento oltre i limiti consentiti di suolo, acque, e aria, il danneggiamento di specie animali e vegetali protette. In base al riformulato dlgs 231/2001 le violazioni della normativa sui rifiuti saranno punite (effettuando la debita conversione dal sistema di «quote», previsto dal decreto in parola, in moneta legale) con sanzioni amministrative che vanno da circa 387 mila euro per l'inosservanza della disciplina «Sistri» ai circa 774 mila euro per l'attività organizzata di traffico illecito rifiuti (che salgono a oltre 1 milione e 200 mila euro per traffico di rifiuti radioattivi).
Sempre con sanzioni fino a 387 mila euro sarà punito l'inquinamento doloso o colposo delle acque cagionato da navi, così come l'omessa bonifica di suolo, sottosuolo e acque inquinate, l'omissione di misure necessarie al contenimento delle emissioni in aria, la violazione della disciplina sulle sostanze lesive dell'ozono e quella sulla tutela di fauna e flora protette. Fino a 464 mila euro invece le sanzioni per gli scarichi di acque reflue industriali contenenti sostanze pericolose.
Sanzioni Sistri. Il nuovo dlgs 121/2011 rivede il sistema sanzionatorio generale previsto dal dlgs 152/2006 (cd. «Codice ambientale») e dal collegato dlgs 205/2010 in merito alla violazione della disciplina relativa al nuovo sistema di tracciamento telematico dei rifiuti.
Grazie al «cumulo giuridico», la violazione di più norme Sistri consentirà infatti l'applicazione della (sola) sanzione amministrativa relativa all'illecito più grave aumentata sino al doppio. Il «ravvedimento operoso» e la «definizione agevolata» comporteranno invece rispettivamente: con l'adempimento degli obblighi entro 30 giorni dalla loro scadenza, l'esclusione della responsabilità per le violazioni amministrative; con l'adempimento degli obblighi entro 60 giorni dalla contestazione della violazione unitamente al pagamento di un quarto della sanzione, la definizione della controversia con disapplicazione delle sanzioni accessorie.
Le sanzioni ridotte per l'omessa iscrizione al Sistri si applicheranno inoltre per un periodo che si estenderà fino a 12 mesi dopo la piena operatività del nuovo sistema di tracciamento dei rifiuti. Per lo stesso periodo potranno godere di analoghe sanzioni ridotte (fino a 1/10 delle somme base) tutti i responsabili di violazioni, a eccezione di quelli che hanno agito con frode.
Fino alla piena operatività del Sistri l'obbligo di tracciamento dei rifiuti non assolto tramite l'utilizzo dei tradizionali strumenti cartacei (registri di carico/scarico e formulario di trasporto rifiuti) sarà però sanzionato dalle norme del «Codice Ambientale» previste nella sua formulazione antecedente alle modifiche introdotte dal dlgs 205/2010. Ancora, la sanzione accessoria della confisca del mezzo verrà applicata anche al trasporto di rifiuti non accompagnato dalla copia cartacea della scheda Sistri.
Semplificazioni burocratiche. Da ultimo, il nuovo dlgs 121/2011 prevede l'esclusione dall'obbligo della tenuta dei registri di carico/scarico per gli imprenditori agricoli che raccolgono e trasportano i propri rifiuti non pericolosi e per i soggetti raccolgono e trasportano i propri rifiuti speciali non pericolosi da demolizioni e costruzioni (purché agiscano nel rispetto dell'articolo 212, comma 8, dlgs 152/2006) (articolo ItaliaOggi dell'08.08.2011 - tratto da www.corteconti.it).

EDILIZIA PRIVATAIncendi, meno pratiche e più tutele. Principio di proporzionalità sugli adempimenti di sicurezza. Le novità del nuovo regolamento di prevenzione. Risparmi per le imprese per 650 mln l'anno.
Meno scartoffie e più tutele per le imprese dalle nuove norme sulla prevenzione incendi. Il nuovo regolamento di semplificazione, approvato in via definitiva dal consiglio dei ministri il 22 luglio, riformula gli adempimenti amministrativi a carico delle aziende (per la prima volta con il «principio di proporzionalità» che tiene conto anche della dimensione dell'impresa) con un risparmio stimato di circa 650 milioni di euro all'anno per le pmi (aziende fino a 249 addetti).
Ma la semplificazione non ridurrà i livelli di protezione, perché renderà ancora più efficace l'azione di controllo e verifica da parte dei vigili del fuoco. Mediante lo stesso principio di proporzionalità, infatti, i vigili del fuoco potranno concentrare le ispezioni sui casi veramente necessari.
Nuove norme. Il nuovo regolamento mira a conseguire sia l'obiettivo di semplificazione sia la salvaguardia della specificità dei procedimenti in materia di prevenzione incendi con riguardo a ogni tipo di attività, ma (questa la novità) correlandola alla gravità di rischio piuttosto che alla natura giuridica del soggetto destinatario delle norme, ovvero alla dimensione delle stesse attività di impresa.
Inoltre, particolarmente rilevante è il raccordo con la disciplina dello sportello unico per le attività produttive, al fine di assicurare certezza e uniformità agli adempimenti. Proprio a questo fine, cioè allo scopo di garantire l'uniformità delle procedure, nonché la trasparenza e la speditezza dell'attività amministrativa, il provvedimento stabilisce che le modalità di presentazione delle istanze oggetto del regolamento e la relativa documentazione, da allegare, saranno disciplinate con apposito decreto ministeriale (Interno); e che, con decreto interministeriale (interno e finanze), verranno fissati i corrispettivi per i servizi di prevenzione incendi effettuati dal corpo nazionale dei vigili del fuoco.
Le attività soggette ai controlli. Il regolamento disciplina tutte le attività soggette ai controlli di prevenzione incendi di competenza del Corpo nazionale dei vigili del fuoco. Le attività sono individuate nell'Allegato I (vedi estratto in tabella e tale elenco può essere oggetto di revisione in funzione del mutamento delle esigenze di salvaguardia delle condizioni di sicurezza antincendio, con apposito dpr da emanarsi su proposta del ministro dell'interno, con il parere del Comitato centrale tecnico-scientifico per la prevenzione incendi. Sono escluse dall'ambito di applicazione del nuovo regolamento le attività industriali a rischio di incidente rilevante, soggette alla presentazione del rapporto di sicurezza (di cui all'articolo 8 del dlgs n. 334/1999).
Ai sensi dell'articolo 2, comma 3, del nuovo regolamento le attività sono distinte in tre categorie, A, B e C, in relazione alla dimensione dell'impresa, al settore di attività, alla esistenza di specifiche regole tecniche, alle esigenze di tutela della pubblica incolumità, sulla base del nuovo principio di proporzionalità di cui alla lettera a) del comma 4-quater dell'articolo 49, del dl n. 78/2010 (si veda tabella per le definizioni).
Il certificato di prevenzione incendi. L'articolo 3 disciplina la valutazione dei progetti relativi alle attività di cui alle categorie B e C, che per l'emissione del parere sono stati rimodulati in modo da essere compatibili con quelli stabiliti dal regolamento dello Sportello unico per le attività produttive. In base al criterio di proporzionalità, i titolari delle attività di cui alla categoria A non sono più tenuti a richiedere il parere di conformità sul progetto.
L'articolo 4 disciplina i controlli finalizzati all'accertamento del rispetto delle norme di prevenzione incendi. Prevede prima di tutto che l'istanza per il rilascio del certificato di prevenzione antincendi sia presentata, prima dell'avvio delle attività, con segnalazione certificata di avvio dell'attività (Scia). Le modalità di accertamento delle condizioni di sicurezza, effettuate dal Comando provinciale dei vigili del fuoco territorialmente competente, attraverso visite tecniche, sono differenziate per tipo di attività: su quelle di cui alle categorie A e B i controlli avvengono, entro 60 giorni, anche mediante metodo a campione; sulle attività di cui alla categoria C, invece, il Comando dei vigili del fuoco effettua «sempre» il controllo entro 60 giorni.
Nel caso in cui venga riscontrata la carenza di requisiti e presupposti per l'esercizio delle attività previsti dalla normativa di prevenzione incendi, lo stesso Comando vieta la prosecuzione dell'attività e chiede la rimozione degli eventuali effetti dannosi a meno che l'interessato non provveda a conformare l'attività entro il termine di 45 giorni. In caso di esito positivo del controllo, per le attività delle categorie A e B, su richiesta dell'interessato, viene rilasciata copia del verbale della visita tecnica; esclusivamente per le attività della categoria C, invece, il Comando rilascia entro 15 giorni il certificato di prevenzione incendi (Cpi).
L'articolo 3 infine stabilisce l'obbligo, per l'interessato, di avviare nuovamente le procedure di controllo nel caso in cui le eventuali modifiche a impianti o strutture o alle condizioni di esercizio comportino un aggravio delle preesistenti condizioni di sicurezza.
L'articolo 5 prevede che la richiesta di rinnovo periodico di conformità antincendio che, ogni cinque anni, il titolare delle attività (Allegato I) è tenuto a inviare al Comando provinciale dei vigili del fuoco, s'intende effettuata tramite la dichiarazione attestante l'assenza di variazioni alle condizioni di sicurezza antincendio.
Infine, prevede l'elevazione a dieci anni della cadenza dell'attestazione di assenza di variazioni alle condizioni di sicurezza antincendio, per le attività in possesso di certificato prevenzione incendi avente periodicità «una tantum» (dm 16.02.1982, abrogato dal regolamento e riportate nell'Allegato I) (articolo ItaliaOggi dell'08.08.2011).

GIURISPRUDENZA

APPALTI: In materia di procedure selettive, le clausole di esclusione sono di stretta interpretazione, in forza del preminente interesse alla massima partecipazione, tanto più al cospetto di previsioni non del tutto chiare.
In materia di procedure selettive, le clausole di esclusione sono di stretta interpretazione, in forza del preminente interesse alla massima partecipazione, tanto più al cospetto di previsioni non del tutto chiare e non prive di margini di ragionevole incertezza.
Pertanto, nel caso di specie, sulla base del dato testuale della disciplina di gara e muovendo dalla premessa che la procedura aveva ad oggetto l'affidamento del servizio di vigilanza e prevenzione armata e che il servizio di portierato costituiva solamente un'opzione eventuale, è illegittima l'esclusione dalla gara di una società per non essere iscritta alla camera di commercio per il servizio di portierato.
L'inciso, racchiuso nell'art. 3 del capitolato -secondo cui i candidati avrebbero dovuto dichiarare ai sensi dell'art. 39 del D.Lgs. 163/2006 di essere iscritti al Registro della camera di commercio- deve infatti essere interpretato per coerenza sistematica, nella sua indubbia genericità, come riferito alla sola attività principale oggetto dell'appalto, concernente la vigilanza armata (Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 04.08.2011 n. 4665 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI SERVIZI: Sulla definizione di c.d. società di terzo grado e applicabilità alle medesime dell'art. 13 del D.L. n. 223 del 2006: limiti.
Le c.d. società di terzo grado sono quelle società caratterizzate da forme di partecipazione indiretta o mediata, che non sono state costituite da amministrazioni pubbliche e non sono finalizzate a soddisfare esigenze strumentali delle medesime.

- Il presupposto per l'eventuale applicazione del divieto contenuto nell'art. 13 del d.l. n. 223 del 2006, anche nei confronti delle società di terza generazione o cd società di terzo grado è che la società costituita o posseduta dall'ente locale svolga servizi strumentali per lo stesso.
In presenza di tale circostanza la finalità del d.l. n. 223, di evitare effetti distorsivi della libera concorrenza, si persegue non solo vietando le attività diverse da quelle classificabili come strumentali rispetto alle finalità dell'ente pubblico, ma anche vietando la partecipazione delle società strumentali ad altre società. In effetti, l'alterazione della libera concorrenza può realizzarsi anche in via mediata, ossia fruendo dei vantaggi derivanti dall'investimento del capitale di una società strumentale in altro soggetto societario costituito con finalità neppure indirettamente strumentali, ma anzi intrinsecamente imprenditoriali.
Tale principio si evince in particolare dalla decisione n. 326 del 2008 della Corte costituzionale, che ha ritenuto il divieto imposto alle società strumentali di detenere partecipazioni in altre società volto ad evitare che le società in questione svolgano indirettamente, attraverso proprie partecipazioni o articolazioni, attività loro precluse. Divieto, peraltro, che la Corte ha ritenuto non esteso alla detenzione di qualsiasi partecipazione o alla adesione a qualsiasi ente, bensì circoscritto alla detenzione di partecipazioni in società o enti che operino in settori preclusi alle società stesse.
- Sono applicabili alle società controllate da società strumentali e costituite con capitale di queste gli stessi limiti che valgono per le società controllanti, ove si tratti di attività inerenti a settori precluse a queste ultime. Infatti, l'utilizzazione di capitali di una società strumentale per partecipare, attraverso la creazione di una società di terzo grado, a gare ad evidenza pubblica comporterebbe, sia pure indirettamente, l'elusione del divieto di svolgere attività diverse da quelle consentite a soggetti che godano di una posizione di mercato avvantaggiata.
Né può costituire valido argomento a contrario la previsione dello scorporo di attività non più consentite alle società strumentali di cui al c. 3 dell'art. 13 del "Decreto Bersani", dovendosi tale disposizione intendere nell'unico senso compatibile con il divieto imposto alle società strumentali di partecipare ad enti, sancito dal comma 1 del medesimo articolo e cioè come volta a costituire un nuovo soggetto societario, destinato a concorrere in pubbliche gare per lo svolgimento di un servizio di interesse generale, che non comporti l'intervento finanziario dell'ente strumentale.
Tale interpretazione trova del resto conferma nella circostanza che l'obbligo di cessione a terzi delle società e delle partecipazioni vietate, abrogato dalla l. finanziaria 2007 (art. 1, c. 720, l. 27.12.2006, n. 296), è stato poi ripristinato dalla l. finanziaria 2008 (l. 24.12.2007, n. 244, art. 3, c. 29), con la previsione di un termine di adempimento più volte prorogato, da ultimo con l'art. 71, co. 1, lett. e) della l. 18.06.2009, n. 69 (Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, sentenza 04.08.2011 n. 17 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI SERVIZIRIFIUTI - AVVALIMENTO DEL REQUISITO DELL’ISCRIZIONE ALL’ALBO NAZIONALE DEI GESTORI - FINALITÀ.
Oggetto del contratto di avvalimento non può essere solo la qualificazione (tecnico-professionale), ma anche un complesso di beni organizzato per l'esercizio delle attività di impresa.
Pertanto il contratto di avvalimento, in forza del quale l'impresa ausiliaria si obbliga nei confronti del concorrente a fornire i requisiti e a mettere a disposizione le risorse necessarie per tutta la durata dell'appalto, non può avere un contenuto assolutamente generico e indefinito.
La necessità di produrre sia la "dichiarazione" di avvalimento, sia il "contratto" stipulato con l'impresa ausiliaria non può tradursi in incombenze meramente formali, ma deve sostanziarsi nell'impegno concreto a mettere a disposizione diretta della partecipante le risorse necessarie a corredo del requisito tecnico richiesto, la cui effettiva disponibilità consente la partecipazione dell'impresa alla gara.
La specificazione dei requisiti, contenuta nella dichiarazione di avvalimento, non può essere resa, come nel caso di specie, per il tramite di un generico rinvio a tutti i requisiti “economico finanziari e tecnico organizzativi necessari per la partecipazione alla gara”, ma deve indicare, in maniera dettagliata, i singoli requisiti (fatturato globale, fatturato specifico, risorse organizzative ed umane) di cui l’impresa ausiliata intende avvalersi; ciò al fine di consentire un efficace controllo incrociato sul possesso dei requisiti nei confronti sia della ditta concorrente sia di quella ausiliaria.
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Il rimedio della regolarizzazione postuma degli atti prodotti dai partecipanti alla gara è attivabile, per giurisprudenza costante, solo nelle ipotesi di dichiarazioni, documenti e certificati non chiari o di dubbio contenuto, ma che siano pur sempre stati presentati, e non anche laddove si sia in presenza di documentazione del tutto mancante o fisicamente incompleta, risolvendosi in caso contrario in una palese violazione della par condicio rispetto alle imprese concorrenti che abbiano invece puntualmente rispettato la disciplina prevista dalla lex specialis.
La finalità dell'istituto dell’avvalimento é chiaramente quella di consentire la massima partecipazione alle gare ad evidenza pubblica, permettendo alle imprese non in possesso dei requisiti tecnici, di sommare, unicamente per la gara in espletamento, le proprie capacità tecniche ed economico-finanziarie a quelle di altre imprese.
Deve peraltro dubitarsi della possibilità di sopperire, mediante avvalimento, alla mancanza di un requisito soggettivo, quale l’iscrizione in un albo.
Sul piano letterale, l’articolo 49 del codice dei contratti pubblici, nel disciplinare l’istituto dell’avvalimento, non contiene alcuno specifico divieto in ordine ai requisiti soggettivi che possono essere comprovati mediante tale strumento, che assume una portata generale.
D’altra parte, è fuori discussione che, nell’ottica dell’ordinamento comunitario, l’avvalimento miri ad incentivare la concorrenza, nell’interesse delle imprese, agevolando l’ingresso nel mercato di nuovi soggetti: pertanto, deve essere evitata ogni lettura aprioristicamente restrittiva dell’ambito di operatività della nuova disciplina.
In questa prospettiva, non persuade l’indirizzo interpretativo che ha affermato l’esistenza di un divieto assoluto e inderogabile di ricorrere all’avvalimento, per dimostrare la disponibilità dei requisiti soggettivi di “qualità”, dovendosi piuttosto procedere di volta in volta a verificare la compatibilità dell’istituto in esame con la finalità proprie del requisito soggettivo prescritto dalla legge come condizione ineludibile per l’esercizio dell’attività.
In ogni caso, anche a voler ammettere l’astratta operatività dell’avvalimento, non può essere trascurata l’evidente difficoltà “pratica” di dimostrare, in concreto, l’effettiva disponibilità di un requisito che, per le sue caratteristiche, è collegato all’intera organizzazione dell’impresa, alle sue procedure interne, al bagaglio delle conoscenze utilizzate nello svolgimento delle attività.
In questo contesto, è onere della concorrente dimostrare che l’impresa ausiliaria non si impegna semplicemente a “prestare” il requisito soggettivo richiesto, quale mero valore astratto, ma assume l’obbligazione di mettere a disposizione dell’impresa ausiliata, in relazione all’esecuzione dell’appalto, le proprie risorse e il proprio apparato organizzativo, in tutte le parti che giustificano l’attribuzione del requisito di qualità (a seconda dei casi: mezzi, personale, prassi e tutti gli altri elementi aziendali qualificanti).
Oggetto del contratto di avvalimento non può pertanto essere solo la qualificazione (tecnico-professionale), ma anche un complesso di beni organizzato per l'esercizio delle attività di impresa (TAR Veneto Venezia, sez. I, 06.11.2008, n. 3451, Autorità Vigilanza sui Contratti Pubblici, parere n. 155 del 20.12.2007).
Pertanto il contratto di avvalimento, in forza del quale l'impresa ausiliaria si obbliga nei confronti del concorrente a fornire i requisiti e a mettere a disposizione le risorse necessarie per tutta la durata dell'appalto, non può avere un contenuto assolutamente generico e indefinito.
La necessità di produrre sia la "dichiarazione" di avvalimento, sia il "contratto" stipulato con l'impresa ausiliaria non può tradursi in incombenze meramente formali, ma deve sostanziarsi nell'impegno concreto a mettere a disposizione diretta della partecipante le risorse necessarie a corredo del requisito tecnico richiesto, la cui effettiva disponibilità consente la partecipazione dell'impresa alla gara.
Nella fattispecie, il contratto di avvalimento prevede unicamente un generico impegno a fornire i mezzi, le risorse, l’iscrizione, nonché le competenze tecniche ed esperienze, senza alcuna indicazione reale e concreta in ordine alla tipologia di risorse (macchinari, strutture organizzative, uomini, strumenti) effettivamente messi a disposizione dell’ausiliata.
Il ricorso all’avvalimento deve essere coerente con la ratio, sottesa alla normativa in tema di controllo sul possesso dei requisiti di partecipazione (art. 48 del codice dei contratti), della agevole verificazione, da parte della stazione appaltante, di quanto dichiarato in sede di gara, soprattutto quando i requisiti di carattere economico, finanziario, tecnico ed organizzativo risultino distribuiti tra impresa concorrente ed impresa ausiliaria.
Ne discende che la specificazione dei requisiti, contenuta nella dichiarazione di avvalimento, non può essere resa, come nel caso di specie, per il tramite di un generico rinvio a tutti i requisiti “economico finanziari e tecnico organizzativi necessari per la partecipazione alla gara”, ma deve indicare, in maniera dettagliata, i singoli requisiti (fatturato globale, fatturato specifico, risorse organizzative ed umane) di cui l’impresa ausiliata intende avvalersi; ciò al fine di consentire un efficace controllo incrociato sul possesso dei requisiti nei confronti sia della ditta concorrente sia di quella ausiliaria (cfr. in tal senso TAR Napoli, I, n. 2148 del 2009 e TAR Piemonte, Sez. II, 17.03.2008 n. 430).
A conforto della bontà della opzione ermeneutica esposta soccorre il dettato dell’articolo 88 del Regolamento di attuazione (d.P.R. n. 207 del 2010), il quale impone che il contratto di avvalimento riporti “in modo compiuto, esplicito ed esauriente: a) oggetto: le risorse e i mezzi prestati in modo determinato e specifico; b) durata; c) ogni altro utile elemento ai fini dell'avvalimento”.
Al contrario non emerge, in alcun modo, che il contratto prodotto in sede di gara stabilisca anche un chiaro impegno dell’impresa ausiliaria di fornire strutture, personale qualificato, tecniche operative, mezzi collegati alla qualità soggettiva “concessa”. Né può ritenersi che tale impegno comprenda, implicitamente, anche quello relativo alla concreta “cessione” dei mezzi organizzativi correlati al conseguimento della certificazione (cfr. C.d.S., Sez. III, n. 2344 del 2011).
Detto obbligo esecutivo, poi, non deriva nemmeno dall’assunzione di responsabilità solidale nei confronti della stazione appaltante.
Né, infine, può sostenersi che l’incompletezza della dichiarazione di avvalimento avrebbe potuto essere sanata mediante l’acquisizione di chiarimenti integrativi ai sensi dell’art. 46 del D.Lgs. n. 163/2006.
Il rimedio della regolarizzazione postuma degli atti prodotti dai partecipanti alla gara è attivabile, per giurisprudenza costante, solo nelle ipotesi di dichiarazioni, documenti e certificati non chiari o di dubbio contenuto, ma che siano pur sempre stati presentati, e non anche laddove si sia in presenza di documentazione del tutto mancante o fisicamente incompleta (come nella presente fattispecie), risolvendosi in caso contrario in una palese violazione della par condicio rispetto alle imprese concorrenti che abbiano invece puntualmente rispettato la disciplina prevista dalla lex specialis (cfr. TAR Sicilia Catania, Sez. III, 17.05.2007 n. 846; TAR Trentino Alto Adige Trento, 04.12.2006 n. 390 e TAR Calabria Catanzaro, Sez. II, 07.02.2006 n. 127).
Pertanto, la dichiarazione di avvalimento prodotta dalla ricorrente, attesa la sua portata generica e non individualizzante, non poteva essere ritenuta conforme all’art. 49 cit. e alle prescrizioni della lex specialis, rendendo così doverosa per la stazione appaltante l’adozione del provvedimento di esclusione, in diretta applicazione dell’apposita clausola contemplata all’art. 6, punto 8, del bando.
La rilevata insufficienza della dichiarazione di avvalimento in questione è idonea di per sé a supportare l’intero impianto motivazionale del provvedimento di esclusione. Ciò rende ininfluenti le rimanenti doglianze della ricorrente dirette a contestare altri profili, che rimangono assorbiti.
Ne consegue l’accoglimento del ricorso, l’annullamento dell’aggiudicazione gravata e la declaratoria di inefficacia del contratto in via retroattiva, non avendo le parti offerto elementi idonei a giustificare la soluzione contraria (TAR Campania-Napoli, Sez. I, sentenza 25.07.2011 n. 3976 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICAIl fondo asservito ad altro fondo a fini di edificazione (mediante cessione della cubatura su esso realizzabile in favore del secondo) non può ricevere, ad esempio da successivi atti di pianificazione urbanistica, nuove potenzialità edificatorie. Infatti, lo strumento urbanistico, nel disporre le future conformazioni del territorio, considera le sole “aree libere”, tali dovendosi ritenere quelle “disponibili” al momento della pianificazione, e ancor più precisamente quelle che non risultano già edificate (in quanto costituenti aree di sedime di fabbricati o utilizzate per opere di urbanizzazione), ovvero quelle che, nel rispetto degli standard urbanistici, risultano comunque già utilizzate per l’edificazione (in quanto asservite alla realizzazione di fabbricati, onde consentirne lo sviluppo volumetrico). D’altra parte, diversamente opinando, ogni nuova pianificazione risulterebbe del tutto scollegata dalla precedente, potendo da questa prescindere, e di volta in volta riguarderebbe, senza alcuna contestualizzazione storica, una parte sempre più esigua del territorio comunale (cioè quella non ancora occupata da immobili e manufatti), valutata ex novo.
Un'area edificabile, già interamente considerata in occasione del rilascio di una concessione edilizia, agli effetti della volumetria realizzabile, non può essere più tenuta in considerazione come area libera, neppure parzialmente, ai fini del rilascio di una seconda concessione nella perdurante esistenza del primo edificio, irrilevanti appalesandosi le vicende inerenti alla proprietà dei terreni.
In ipotesi di realizzazione di un manufatto edilizio la cui volumetria è calcolata sulla base anche di un'area asservita o accorpata, l'intera estensione interessata deve essere considerata utilizzata ai fini edificatori, con l'effetto che anche l'area asservita o accorpata non è più edificabile, anche se è oggetto di un frazionamento o di alienazione separata dall'area su cui insiste il manufatto.
Proprio perché il piano regolatore (e le sue successive modificazioni) considerano le sole aree libere, eventuali variazioni degli indici di fabbricazione in melius (cioè più favorevoli ai privati proprietari) non possono riguardare aree già utilizzate a fini edificatori.

L’appellante fonda il proprio ricorso, in sostanza, su due argomentazioni:
- la prima, che un fondo “asservito” a fini edificatori ad a un altro fondo (cioè, la utilizzazione della cubatura realizzabile sul primo fondo ad aumento di quella realizzata sul secondo fondo), non determina una “insensibilità” del fondo asservito, ben potendo questo riavere una propria “capacità” edificatoria, per effetto della “riespansione nella volumetria realizzabile in caso di mutamenti della situazione di fatto e di diritto”;
- la seconda, consistente quindi nell’affermare che un successivo mutamento di destinazione colturale del fondo, tale da consentire una maggiore edificazione da questa dipendente, consente la realizzazione di una cubatura eccedente quella già “ceduta” a suo tempo al fondo servito.
Entrambe le tesi non possono essere condivise.
Quanto alla prima, questo Consiglio non ritiene che il fondo asservito ad altro fondo a fini di edificazione (mediante cessione della cubatura su esso realizzabile in favore del secondo) possa ricevere, ad esempio da successivi atti di pianificazione urbanistica, nuove potenzialità edificatorie.
Infatti, lo strumento urbanistico, nel disporre le future conformazioni del territorio, considera le sole “aree libere”, tali dovendosi ritenere quelle “disponibili” al momento della pianificazione, e ancor più precisamente quelle che non risultano già edificate (in quanto costituenti aree di sedime di fabbricati o utilizzate per opere di urbanizzazione), ovvero quelle che, nel rispetto degli standard urbanistici, risultano comunque già utilizzate per l’edificazione (in quanto asservite alla realizzazione di fabbricati, onde consentirne lo sviluppo volumetrico).
D’altra parte, diversamente opinando, ogni nuova pianificazione risulterebbe del tutto scollegata dalla precedente, potendo da questa prescindere, e di volta in volta riguarderebbe, senza alcuna contestualizzazione storica, una parte sempre più esigua del territorio comunale (cioè quella non ancora occupata da immobili e manufatti), valutata ex novo.
In tal modo, la pianificazione urbanistica si ridurrebbe a considerare il territorio solo nella sua mera possibilità di edificazione, in quanto non ostacolata da presenze materiali, e non già come un bene da conformare per il migliore sviluppo della comunità, salvaguardando i diritti costituzionalmente garantiti degli individui che su di esso vivono ed operano.
In definitiva, l’eventuale modificazione del piano regolatore, che prevede nuovi e più favorevoli indici di fabbricazione, non può che interessare, nell’ambito della zona del territorio considerata dallo strumento urbanistico, se non le sole aree libere, nel senso sopra precisato, con esclusione, quindi, di tutte le aree comunque già utilizzate a scopo edificatorio, ancorché le stesse si presentino “fisicamente” libere da immobili.
Questo Consiglio di Stato ha già avuto, peraltro, modo di affermare che "un'area edificabile, già interamente considerata in occasione del rilascio di una concessione edilizia, agli effetti della volumetria realizzabile, non può essere più tenuta in considerazione come area libera, neppure parzialmente, ai fini del rilascio di una seconda concessione nella perdurante esistenza del primo edificio, irrilevanti appalesandosi le vicende inerenti alla proprietà dei terreni” (Cons. Stato, sez. V, 10.02.2000 n. 749).
Si è inoltre precisato che “in ipotesi di realizzazione di un manufatto edilizio la cui volumetria è calcolata sulla base anche di un'area asservita o accorpata, l'intera estensione interessata deve essere considerata utilizzata ai fini edificatori, con l'effetto che anche l'area asservita o accorpata non è più edificabile, anche se è oggetto di un frazionamento o di alienazione separata dall'area su cui insiste il manufatto" (Cons. Stato, sez. V, 07.11.2002 n. 6128; sez. IV, 06.09.1999 n. 1402).
Quanto esposto, comporta che, proprio perché il piano regolatore (e le sue successive modificazioni) considerano le sole aree libere, eventuali variazioni degli indici di fabbricazione in melius (cioè più favorevoli ai privati proprietari) non possono riguardare aree già utilizzate a fini edificatori.
Se tali sono le conclusioni cui occorre pervenire con riferimento a modificazioni disposte da successivi strumenti urbanistici, alle quali risultano insensibili le aree già “utilizzate” a fini edilizi (sia pure mediante cessione di cubatura), a maggior ragione eventuali modifiche “migliorative” delle potenzialità edificatorie non possono discendere da meri atti di volontà del privato proprietario, quale è, nel caso di specie, il mutamento di destinazione colturale del fondo.
E’ da condividere, quindi, la sentenza appellata, laddove afferma che l’assegnazione della cubatura “non può essere rimessa al contingente apprezzamento delle convenienze proprie della produzione agraria”, di modo che “una volta realizzata la cubatura prevista, non può più essere consentita ulteriore edificazione anche se medio tempore sopravviene un mutamento della coltura in astratto suscettibile di aumentare le potenzialità edificatorie del suolo”.
Una interpretazione diversa da quella offerta dal giudice di I grado, infatti, comporta la perdita di qualunque possibilità di pianificazione urbanistica in relazione alle aree considerate, essendo del tutto evidente che tale attività, espressione di una potestà conferita dalla legge, si fonda sulla rilevazione di dati di fatto e di diritto, onde impostare una linea di sviluppo coerente nell’utilizzazione del territorio, dati che, quindi, non possono essere successivamente modificati per mera scelta privata (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 20.07.2011 n. 4405 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIl muro di contenimento tra due aree poste a livello differente va considerato costruzione, se il dislivello deriva dall'opera dell'uomo o è stato artificialmente accentuato; in quanto costruzione, esso è soggetto all'osservanza delle norme sulle distanze.
La disciplina delle distanze ex D.M. n. 1444/1968 è applicabile anche ai beni e alle opere pubblici, secondo quanto affermato (tra l'altro con specifico riferimento alle distanze tra pareti finestrate ex art. 9) dal TAR Liguria, sez. I, nella recente sentenza 26.03.2010 n. 1235 che richiama la decisione del Consiglio di Stato, sez. V, 03.11.2000 n. 5907; e d'altra parte, tenuto conto che la norma citata è volta ad impedire la formazione di intercapedini nocive sotto il profilo igienico-sanitario ed è perciò ineludibile non si vede perché le opere pubbliche dovrebbero sottrarsi alla sua osservanza.

In proposito si osserva quanto segue:
- come evidenziato al precedente punto 3.2), la realizzazione della nuova strada è prevista ad una quota superiore di oltre 3 metri rispetto al piano terreno dell’abitazione dei ricorrenti; ciò presuppone la realizzazione di un rilevato artificiale e di muri di contenimento, come risulta chiaro dalla planimetria doc. 20 depositata dal Comune resistente il 27/04/2011;
- la giurisprudenza è orientata a ritenere che il muro di contenimento tra due aree poste a livello differente va considerato costruzione, se il dislivello deriva dall'opera dell'uomo o è stato artificialmente accentuato, come nel caso in esame; in quanto costruzione, esso è soggetto all'osservanza delle norme sulle distanze (cfr. Cass. Civile, sez. II, 22.01.2010 n. 1217; TAR Marche 10.02.2009 n. 18);
- contrariamente a quanto sostenuto dalle controparti la disciplina delle distanze ex D.M. n. 1444/1968 è applicabile anche ai beni e alle opere pubblici, secondo quanto affermato (tra l'altro con specifico riferimento alle distanze tra pareti finestrate ex art. 9) dal TAR Liguria, sez. I, nella recente sentenza 26.03.2010 n. 1235 che richiama (oltre a precedenti del medesimo Tribunale) la decisione del Consiglio di Stato, sez. V, 03.11.2000 n. 5907; e d'altra parte, tenuto conto che la norma citata è volta ad impedire la formazione di intercapedini nocive sotto il profilo igienico-sanitario ed è perciò ineludibile (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 02.11.2010 n. 7731 e 05.12.2005 n. 6909; TAR Toscana, sez. III, 04.12.2001 n. 1734) non si vede perché le opere pubbliche dovrebbero sottrarsi alla sua osservanza;
- perché debba trovare applicazione il citato art. 9 in tema di "pareti finestrate" è sufficiente che sia tale anche una sola delle due pareti frontistanti (TAR Milano, sez. IV, 19.05.2011 n. 1282): e questo è proprio il caso di cui controverte, in cui la norma in questione risulta dunque violata (TAR Toscana, Sez. I, sentenza 20.07.2011 n. 1251 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICAIn tema di disposizioni dirette a regolamentare l'uso del territorio negli aspetti urbanistici ed edilizi, contenute nel piano regolatore, nei piani attuativi o in altro strumento generale individuato dalla normativa regionale, deve distinguersi fra le prescrizioni che in via immediata stabiliscono le potenzialità edificatorie della porzione di territorio interessata —nel cui ambito rientrano le norme di c.d. zonizzazione; la destinazione di aree a soddisfare gli standard urbanistici; la localizzazione di opere pubbliche o di interesse collettivo— dalle altre regole che, più in dettaglio, disciplinano l'esercizio dell'attività edificatoria, generalmente contenute nelle norme tecniche di attuazione del piano o nel regolamento edilizio (disposizioni sul calcolo delle distanze e delle altezze; sull'osservanza di canoni estetici; sull'assolvimento di oneri procedimentali e documentali; regole tecniche sull'attività costruttiva, ecc.).
Ed infatti, mentre per le disposizioni appartenenti alla prima categoria s'impone, in relazione all'immediato effetto conformativo dello jus aedificandi dei proprietari dei suoli interessati che ne deriva, ove se ne intenda contestare il contenuto, un onere di immediata impugnativa, in osservanza del termine decadenziale a partire dalla pubblicazione dello strumento pianificatorio, a diversa conclusione deve pervenirsi, invece, con riguardo alle prescrizioni di dettaglio contenute nelle norme di natura regolamentare, che sono suscettibili di ripetuta applicazione ed esplicano effetto lesivo nel momento in cui è adottato l'atto applicativo e possono essere, quindi, oggetto di censura in occasione della sua impugnazione.

Secondo una costante giurisprudenza, che il collegio condivide pienamente, “in tema di disposizioni dirette a regolamentare l'uso del territorio negli aspetti urbanistici ed edilizi, contenute nel piano regolatore, nei piani attuativi o in altro strumento generale individuato dalla normativa regionale, deve distinguersi fra le prescrizioni che in via immediata stabiliscono le potenzialità edificatorie della porzione di territorio interessata —nel cui ambito rientrano le norme di c.d. zonizzazione; la destinazione di aree a soddisfare gli standard urbanistici; la localizzazione di opere pubbliche o di interesse collettivo— dalle altre regole che, più in dettaglio, disciplinano l'esercizio dell'attività edificatoria, generalmente contenute nelle norme tecniche di attuazione del piano o nel regolamento edilizio (disposizioni sul calcolo delle distanze e delle altezze; sull'osservanza di canoni estetici; sull'assolvimento di oneri procedimentali e documentali; regole tecniche sull'attività costruttiva, ecc.); ed infatti, mentre per le disposizioni appartenenti alla prima categoria s'impone, in relazione all'immediato effetto conformativo dello jus aedificandi dei proprietari dei suoli interessati che ne deriva, ove se ne intenda contestare il contenuto, un onere di immediata impugnativa, in osservanza del termine decadenziale a partire dalla pubblicazione dello strumento pianificatorio, a diversa conclusione deve pervenirsi, invece, con riguardo alle prescrizioni di dettaglio contenute nelle norme di natura regolamentare, che sono suscettibili di ripetuta applicazione ed esplicano effetto lesivo nel momento in cui è adottato l'atto applicativo e possono essere, quindi, oggetto di censura in occasione della sua impugnazione” (così, per tutte, Cons. di St., IV, 28.03.2011, n. 1868) (TAR Liguria, Sez. I, sentenza 20.07.2011 n. 1148 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAI limiti di distanza tra i fabbricati di cui al D.M. 1444/1968, una volta recepiti nelle norme tecniche di attuazione dei singoli piani regolatori comunali, assumono “altresì” veste regolamentare e natura integrativa del codice civile, ex art. 873 c.c., in quanto regolatrici (anche) dei rapporti tra vicini, isolatamente considerati in funzione degli interessi privati dei proprietari dei fondi finitimi.
E' evidente come la disposizione di cui all’art. 879 c.c., nel disporre che “alle costruzioni che si fanno in confine con le piazze e le vie pubbliche non si applicano le norme relative alle distanze, ma devono osservarsi le leggi e i regolamenti che le riguardano”, intenda significare che, in presenza di una strada pubblica, non si fa tanto questione di tutelare un diritto soggettivo privato (tutelato dalla normativa codicistica sulle distanze, rinunciabile e negoziabile), ma di perseguire il preminente interesse pubblico ad un ordinato sviluppo urbanistico intorno alla strade ed alle piazze, ordinato sviluppo che trova la sua disciplina esclusivamente nelle leggi e regolamenti urbanistico-edilizi, tra i quali -per l’appunto- il D.M. 1444/1968.
Tanto ciò è vero che distanze inferiori sono ammesse, in deroga, “nel caso di gruppi di edifici che formino oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con previsioni planovolumetriche” (art. 9 u.c. D.M. 1444/1968), cioè soltanto se previste –a loro volta- in strumenti urbanistici funzionali ad un assetto complessivo ed unitario (cioè, che contempli la contestuale edificazione degli edifici antistanti) di determinate zone del territorio.
In presenza di una strada pubblica tra due fondi, non è dunque consentito derogare alla distanza minima stabilita dall’art. 9 D.M. 02.04.1968 tra pareti finestrate di edifici antistanti, neppure con il consenso del vicino frontistante, in quanto, trattandosi di tutelare un interesse pubblico, di natura urbanistica, superiore a quello individuale dei proprietari dei fondi finitimi (interesse specificamente tutelato dalle norme del codice civile sulle distanze nelle costruzioni), non trovano applicazione -ex art. 879 comma 2 c.c.- le disposizioni civilistiche (e quelle di esse integrative) sulle distanze, in quanto recessive rispetto alla speciale normativa urbanistico-edilizia (le “leggi e i regolamenti” di cui all’art. 879 comma 2 c.c.), che si applica in luogo delle stesse.
Dunque, l'art. 9 del D.M. 1444 del 1968 sui limiti di distanza tra i fabbricati ricadenti in zone territoriali diverse dalla zona A, costituisce un principio assoluto ed inderogabile che prevale –ad un tempo- sia sulla potestà legislativa regionale, in quanto integra la disciplina privatistica delle distanze, sia sulla potestà regolamentare e pianificatoria dei Comuni, in quanto deriva da una fonte normativa statale sovraordinata, sia, infine, sull'autonomia negoziale dei privati, in quanto tutela interessi pubblici che, per loro natura, non sono nella disponibilità delle parti. Esso, inoltre, è applicabile anche quando tra le pareti finestrate (o tra una parete finestrata e una non finestrata) si interponga una via pubblica.
In conclusione, in presenza di pareti finestrate poste a confine con la via pubblica, non è mai ammissibile la deroga prevista dall'art. 879, comma 2 c.c., per le distanze tra edifici.

I
l D.M. 02.04.1968, emanato in forza dell’art. 41-quinquies commi 8 e 9 della legge urbanistica 17.08.1942, n. 1150, detta “limiti inderogabili” di densità edilizia, di altezza, di distanza tra i fabbricati, nonché rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, a verde pubblico o a parcheggi, da osservarsi dai comuni in sede di formazione degli strumenti urbanistici (così anche l’art. 1 del D.M. 1444/1968).
Si tratta dunque –sicuramente- di norme così dette di azione, in quanto volte a disciplinare il potere pianificatorio dei comuni.
Ovviamente, i limiti di distanza tra i fabbricati di cui al D.M. 1444/1968, una volta recepiti nelle norme tecniche di attuazione dei singoli piani regolatori comunali, assumono “altresì” veste regolamentare e natura integrativa del codice civile, ex art. 873 c.c., in quanto regolatrici (anche) dei rapporti tra vicini, isolatamente considerati in funzione degli interessi privati dei proprietari dei fondi finitimi.
Stando così le cose, è evidente come la disposizione di cui all’art. 879 c.c., nel disporre che “alle costruzioni che si fanno in confine con le piazze e le vie pubbliche non si applicano le norme relative alle distanze, ma devono osservarsi le leggi e i regolamenti che le riguardano”, intenda significare che, in presenza di una strada pubblica, non si fa tanto questione di tutelare un diritto soggettivo privato (tutelato dalla normativa codicistica sulle distanze, rinunciabile e negoziabile), ma di perseguire il preminente interesse pubblico ad un ordinato sviluppo urbanistico intorno alla strade ed alle piazze, ordinato sviluppo che trova la sua disciplina esclusivamente nelle leggi e regolamenti urbanistico-edilizi, tra i quali -per l’appunto- il D.M. 1444/1968.
Tanto ciò è vero che distanze inferiori sono ammesse, in deroga, “nel caso di gruppi di edifici che formino oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con previsioni planovolumetriche” (art. 9 u.c. D.M. 1444/1968), cioè soltanto se previste –a loro volta- in strumenti urbanistici funzionali ad un assetto complessivo ed unitario (cioè, che contempli la contestuale edificazione degli edifici antistanti) di determinate zone del territorio (Cons. di St., IV, 12.03.2007, n. 1206).
In presenza di una strada pubblica tra due fondi, non è dunque consentito derogare alla distanza minima stabilita dall’art. 9 D.M. 02.04.1968 tra pareti finestrate di edifici antistanti, neppure con il consenso del vicino frontistante, in quanto, trattandosi di tutelare un interesse pubblico, di natura urbanistica, superiore a quello individuale dei proprietari dei fondi finitimi (interesse specificamente tutelato dalle norme del codice civile sulle distanze nelle costruzioni), non trovano applicazione -ex art. 879 comma 2 c.c.- le disposizioni civilistiche (e quelle di esse integrative) sulle distanze, in quanto recessive rispetto alla speciale normativa urbanistico-edilizia (le “leggi e i regolamenti” di cui all’art. 879 comma 2 c.c.), che si applica in luogo delle stesse.
Dunque, l'art. 9 del D.M. 1444 del 1968 sui limiti di distanza tra i fabbricati ricadenti in zone territoriali diverse dalla zona A, costituisce un principio assoluto ed inderogabile (così l’art. 41-quinquies comma 8 L.U. –cfr. TAR Liguria, I, 12.02.2004, n. 145), che prevale –ad un tempo- sia sulla potestà legislativa regionale, in quanto integra la disciplina privatistica delle distanze (C. Cost., 16.6.2005, n. 232), sia sulla potestà regolamentare e pianificatoria dei Comuni (Cons. di St., IV, 2.11.2010, n. 7731), in quanto deriva da una fonte normativa statale sovraordinata, sia, infine, sull'autonomia negoziale dei privati, in quanto tutela interessi pubblici che, per loro natura, non sono nella disponibilità delle parti.
Esso, inoltre, è applicabile anche quando tra le pareti finestrate (o tra una parete finestrata e una non finestrata) si interponga una via pubblica.
La fattispecie è specificamente regolata dal comma 2 del medesimo art. 9, che prescrive in questo caso distacchi addirittura maggiorati in relazione alla larghezza della strada, con la precisazione che l'esclusione della viabilità a fondo cieco prevista nella stessa norma va riferita alle maggiorazioni e non alla distanza minima assoluta di 10 metri, che rimane inderogabile.
In conclusione, in presenza di pareti finestrate poste a confine con la via pubblica, non è mai ammissibile la deroga prevista dall'art. 879, comma 2 c.c., per le distanze tra edifici (così TAR Lombardia-Brescia, I, 03.07.2008, n. 788; nello stesso senso, più recentemente, Tribunale di Teramo, 10.01.2011, n. 4)
(TAR Liguria, Sez. I, sentenza 20.07.2011 n. 1148 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAL'annullamento parziale di una concessione edilizia riconosciuta illegittima è ammissibile soltanto quando l'opera autorizzata sia scindibile in modo tale da poter essere oggetto di distinti progetti: la ragione di tale principio è la stessa per cui il comune può respingere o accogliere una domanda di concessione edilizia, ma non può modificare il progetto, non potendosi imporre al richiedente un'opera diversa dal progetto sul quale ha chiesto la concessione.
L'annullamento parziale di una concessione edilizia riconosciuta illegittima è ammissibile soltanto quando l'opera autorizzata sia scindibile in modo tale da poter essere oggetto di distinti progetti: la ragione di tale principio è la stessa per cui il comune può respingere o accogliere una domanda di concessione edilizia, ma non può modificare il progetto, non potendosi imporre al richiedente un'opera diversa dal progetto sul quale ha chiesto la concessione (così Cons. di St., V, 11.10.2005, n. 5495, in un caso in cui si trattava dell'altezza eccessiva dell'edificio; nello stesso senso cfr. anche Cons. di St., V, 22.05.2006, n. 2960) (TAR Liguria, Sez. I, sentenza 20.07.2011 n. 1148 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVIAi fini del risarcimento dei danni provocati da illegittimo esercizio del potere amministrativo il soggetto che avanza la domanda di risarcimento deve fornire in modo rigoroso la prova dell'esistenza del danno, né, in difetto, detta carenza può essere supplita dal giudice amministrativo con il meccanismo di cui all'art. 35 del D.Lgs. n. 80 del 1998, che presuppone la difficoltà di quantificare un danno la cui esistenza è provata.
Nel rispetto del principio generale sancito dall'art. 2697 c.c., secondo cui chi agisce in giudizio deve fornire la prova dei fatti costitutivi della domanda, ai fini del risarcimento dei danni provocati da illegittimo esercizio del potere amministrativo il soggetto che avanza la domanda di risarcimento deve fornire in modo rigoroso la prova dell'esistenza del danno, né, in difetto, detta carenza può essere supplita dal giudice amministrativo con il meccanismo di cui all'art. 35 del D.Lgs. n. 80 del 1998, che presuppone la difficoltà di quantificare un danno la cui esistenza è provata (Cons. di St., V, 13.06.2008, n. 2967; TAR Lombardia, IV, 5.7.2006, n. 1707) (TAR Liguria, Sez. I, sentenza 20.07.2011 n. 1148 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOConcorsi. Il Tar sulle selezioni comunali. Fra i commissari niente sindacalisti.
È illegittima la composizione della commissione esaminatrice di un concorso pubblico bandito da un Comune se come presidente viene designato un consigliere comunale e come segretario un rappresentante sindacale.
Così ha deciso la quinta sezione del TAR Campania-Napoli, Sez. V, con la sentenza 19.07.2011 n. 3895.
I giudici hanno fatto riferimento all'articolo 35 del decreto legislativo 165/2001, il quale stabilisce che «le commissioni dei concorsi (...) devono essere composte esclusivamente da esperti (...) che non ricoprano cariche politiche e che non siano rappresentanti sindacali o designati dalle confederazioni e organizzazioni sindacali».
Il caso ha riguardato un concorso pubblico per un posto di istruttore amministrativo dei servizi demografici comunali. Presidente della commissione esaminatrice era stato designato un consigliere di un altro comune e l'incarico di segretario era stato conferito a un rappresentante sindacale. Per questo una candidata, non ammessa alle prove orali, ha proposto ricorso al Tar chiedendo l'annullamento della selezione.
Richiesta accolta dai giudici sulla base delle seguenti concatenate ragioni: la composizione delle commissioni esaminatrici dei concorsi pubblici deve rispettare i principi dell' imparzialità e del diritto di accesso per tutti i cittadini agli uffici pubblici; in conseguenza, non vi deve essere alcuna interferenza tra le funzioni svolte da chi ricopre cariche politiche e sindacali e l' attività dell'ente che ha indetto il concorso; la norma che stabilisce queste incompatibilità ha un'applicazione generale e non è limitata alla rappresentanza del sindacato in organismi interni dell'amministrazione che ha indetto il concorso; la posizione vietata non riguarda, per i rappresentanti sindacali designati, la sola designazione, ma anche la funzione che è stata formalmente ed effettivamente assunta sulla base della designazione (articolo Il Sole 24 Ore del 15.08.2011).
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Il Collegio condivide la giurisprudenza prevalente (cfr. Cons. Stato, VI, 01.06.2010, n. 3461) allorché ha evidenziato che l'interpretazione della normativa sulla composizione delle commissioni esaminatrici dei concorsi pubblici, più volte richiamata per la soluzione della controversia in esame, comporta l'applicazione dei due principi rispettivamente dell'imparzialità dell'azione amministrativa e della possibilità di accesso per tutti i cittadini agli uffici pubblici; perché il primo principio sia garantito senza sacrificio ingiustificato del secondo, la giurisprudenza ha sottolineato la necessità di criteri puntuali nell'applicazione dei divieti di partecipazione alle commissioni (Cons. Stato, V, 27.07.2002, n. 4056) occorrendo comunque un "qualche elemento di possibile incidenza fra l'attività esercitabile da colui che ricopre cariche politiche, sindacali o professionali e l'attività dell'ente che indice il concorso" (Cons. Stato, V, 21.10.2003, n. 6526). Di conseguenza un componente della commissione nominato in ragione della sua competenza ed esperienza deve nondimeno dimettersi se acquisisca successivamente una delle posizioni vietate, ma la sussistenza di una tale posizione deve risultare certa alla luce della tipologia e della ratio dei divieti.
In questo quadro la Sezione ritiene, quanto al caso in esame, che la questione preliminare da dirimere non è quella se il divieto di partecipazione alle commissioni di concorso per i titolari di cariche politiche ed i rappresentanti o designati delle organizzazioni sindacali sussista anche quando gli interessati rivestano tali posizioni in organi di un'amministrazione diversa da quella di cui si tratta – il che non appare dubitabile, ma come si debba interpretare l'espressione della norma per cui devono essere esclusi i soggetti "designati" dalle confederazioni ed organizzazioni sindacali; infatti la precisazione di quali siano le posizioni costitutive del divieto è pregiudiziale rispetto alla individuazione di quale sia l'organo (se interno o esterno all'amministrazione de qua) in cui la posizione acquista rilevanza.
In altre parole, la Sezione ritiene che secondo la ratio della normativa l'impedimento ad essere componente di commissioni concorsuali si produce non quando la posizione vietata sia potenzialmente conseguibile, per effetto della sola designazione a poterla rivestire, ma quando essa è in atto, cioè formalmente assunta; trattasi di interpretazione che si basa anzitutto sulla lettera della normativa, i cui divieti, in quanto previsti per i membri dell'organo di direzione politica dell'amministrazione, i titolari di cariche politiche ed i rappresentanti di organizzazioni sindacali, sono tutti identificati dalla piena attribuzione delle relative funzioni, risultando incongruo in questo contesto che con l'ulteriore espressione di "designati" si indichi come sufficiente, invece, una posizione eventuale, non ancora dotata dell'effettività delle funzioni. Peraltro tale impostazione è confortata anche sul piano sostanziale, poiché soltanto con tale effettività diviene possibile l'incidenza sull'attività concorsuale delle funzioni rivestite, essendo la volontà o l'effetto di condizionamento assistiti dalla concretezza dei poteri azionabili;
se invece si dovesse affermare che l'impedimento si produce per effetto della sola designazione, l'applicazione della normativa verrebbe anticipata ad una fase in cui non si sono ancora realizzate le condizioni concrete del rischio che si vuole evitare, provocando così una ingiustificata limitazione della capacità di accesso agli uffici pubblici. Da ciò consegue che, nella normativa, l'espressione di "designati dalle confederazioni ed organizzazioni sindacali" deve intendersi riferita a soggetti "nominati previa designazione" di tali enti, distinti dai "rappresentanti sindacali", pure previsti nella stessa normativa, da individuare nei soggetti direttamente investiti del potere di rappresentanza delle organizzazioni sindacali per lo svolgimento della relativa attività istituzionale.
L’annullamento dell’intera procedura concorsuale per come attività di una commissione il cui Presidente era un Consigliere comunale del Comune di S. Maria Capua Vetere ed il Segretario era stato individuato in un rappresentante sindacale scaturisce dalla palese violazione della disposizione in esame, laddove essa ha previsto che le commissioni di concorso devono essere composte esclusivamente da esperti di comprovata competenza scelti tra funzionari delle amministrazioni, docenti ed estranei alle medesime, che non siano componenti dell'organo di direzione politica dell'amministrazione, che non ricoprano cariche politiche e che non siano rappresentanti sindacali o designati dalle confederazioni ed organizzazioni sindacali o dalle associazioni professionali.
Si è chiarito che la norma ha l'evidente scopo di evitare qualsiasi ingerenza politica o sindacale nelle procedure riguardanti i pubblici concorsi, per cui non appare logico limitare l'applicazione della norma all'interno della stessa amministrazione che ha bandito il concorso pubblico, nel senso di ritenerla applicabile solo se la designazione avvenga a rappresentare il sindacato in organismi interni alla stessa amministrazione.
Infatti è l'"appartenenza" in generale ad una forza politica o ad una organizzazione sindacale che rende indebitamente influenzabile da fattori esterni, identificati dal Legislatore, quel determinato soggetto, a prescindere dalla circostanza che la designazione sia avvenuta all'interno della stessa amministrazione che ha bandito il concorso (TAR Sardegna, 15.10.2002, n.1367).
D'altra parte l'incompatibilità scatta al momento della designazione, ove ovviamente conosciuta ed accettata dall'interessato, in quanto è questo il momento che qualifica e configura il legame tra organizzazione sindacale e soggetto, essendo irrilevante ai fini che qui ci occupano il provvedimento successivo di nomina: si verifica quindi in tale momento l'obbligo e non la mera facoltà per l'amministrazione, alla quale il soggetto deve comunicare la situazione di incompatibilità, di sostituire il componente incompatibile (Cons. Stato, V, 25.02.2004, n. 764).

EDILIZIA PRIVATA: Il regolamento per la manomissione del suolo pubblico comunale costituisce evidente applicazione dell’orientamento espresso, nelle sue insindacabili valutazioni di merito, dall’Autorità amministrativa competente alla gestione del territorio circa l’esigenza di favorire la progressiva eliminazione, nel centro abitato e nelle zone agricole ad alta presenza residenziale, degli impianti di linee aeree, privilegiando all’uopo, salvo insuperabili esigenze tecniche, la sistemazione interrata delle linee.
Deve ritenersi compresa nel potere discrezionale dell’amministrazione comunale la valorizzazione del suo centro abitato (anche) attraverso l’imposizione agli operatori di tecniche di realizzazione degli impianti strumentali dei servizi con basso impatto ambientale, e tra queste deve comprendersi, per quanto qui occupa, l’interramento delle linee aeree telefoniche di nuova installazione. Ai sensi dell'art. 8, comma 6, della legge 22.02.2001, n. 36, così come ai sensi del nuovo Codice sulle telecomunicazioni approvato con d.lgs. 259/2003, i comuni conservano un certo potere di assicurare il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti di telefonia, garantendo l’armonizzazione tra l’interesse pubblico al corretto svolgimento del servizio di telecomunicazione e gli altri interessi pubblici coinvolti. E, difatti, se è vero che l'ente locale non può adottare misure derogatorie ai limiti di esposizione fissati dallo Stato, né introdurre divieti generalizzati di installazione in tutte le zone territoriali omogenee e neppure introdurre misure che -pur tipicamente urbanistiche (distanze, altezze, ecc.)- non risultino funzionali al governo del territorio, è altrettanto indiscutibile che lo stesso, nel rispetto del quadro statale di riferimento, possa dettare prescrizioni di carattere integrativo, volte ad imporre caratteristiche o accorgimenti tecnici particolari da adottare nella realizzazione degli impianti.

Lamenta la ricorrente l’illegittimità dell’allegato D, art. 4, del regolamento comunale, sul quale si fonda il provvedimento impugnato, nella parte in cui non ammette la realizzazione di linee telefoniche con linee aeree nell’ambito urbano e nelle zone agricole con alta presenza di residenze, se non per comprovate esigenze tecniche, prescrivendosi per esse l’integrale interramento.
La disposizione regolamentare presupposta, pure impugnata col ricorso in esame, resiste tuttavia alle censure sollevate dalla ricorrente.
Essa, infatti, costituisce evidente applicazione dell’orientamento espresso, nelle sue insindacabili valutazioni di merito, dall’Autorità amministrativa competente alla gestione del territorio circa l’esigenza di favorire la progressiva eliminazione, nel centro abitato e nelle zone agricole ad alta presenza residenziale, degli impianti di linee aeree, privilegiando all’uopo, salvo insuperabili esigenze tecniche, la sistemazione interrata delle linee (cfr: TAR Sardegna, Sez. II, n. 2070 del 28.11.2008).
Restano, dunque, escluse dalle deroghe consentite dalla ricordata disposizione di attuazione, ai fini dell’installazione di impianti di palificazione, le esigenze puramente economiche sottese dalle argomentazioni dell’odierna ricorrente, restando dunque prive di supporto normativo e di rilievo tutte le argomentazioni tese a lamentare un rilevante incremento dei costi per il caso di realizzazione in cunicolo dell’impianto.
Deve, infatti, ritenersi compresa nel potere discrezionale dell’amministrazione comunale la valorizzazione del suo centro abitato (anche) attraverso l’imposizione agli operatori di tecniche di realizzazione degli impianti strumentali dei servizi con basso impatto ambientale, e tra queste deve comprendersi, per quanto qui occupa, l’interramento delle linee aeree telefoniche di nuova installazione.
In proposito questo Tribunale ha altresì recentemente precisato che, ai sensi dell'art. 8, comma 6, della legge 22.02.2001, n. 36, così come ai sensi del nuovo Codice sulle telecomunicazioni approvato con d.lgs. 259/2003, i comuni conservano un certo potere di assicurare il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti di telefonia, garantendo l’armonizzazione tra l’interesse pubblico al corretto svolgimento del servizio di telecomunicazione e gli altri interessi pubblici coinvolti.
E, difatti, se è vero che l'ente locale non può adottare misure derogatorie ai limiti di esposizione fissati dallo Stato, né introdurre divieti generalizzati di installazione in tutte le zone territoriali omogenee e neppure introdurre misure che -pur tipicamente urbanistiche (distanze, altezze, ecc.)- non risultino funzionali al governo del territorio (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 15.06.2006, n. 3534; Sez. IV, 03.06.2002, n. 3095; TAR Abruzzo, Pescara, 03.04.2007, n. 376), è altrettanto indiscutibile che lo stesso, nel rispetto del quadro statale di riferimento, possa dettare prescrizioni di carattere integrativo, volte ad imporre caratteristiche o accorgimenti tecnici particolari da adottare nella realizzazione degli impianti (cfr. Tar Sardegna, Sez. II, n. 119 del 02.02.2010; Cons. Stato, Sez. VI, 05.06.2006, n. 3332; Sez. VI, 05.12.2005, n. 6961).
Diversamente da come paventato dalla ricorrente, deve inoltre escludersi che l’anzidetta prescrizione possa integrare, in base ai principi legislativi in materia, un ingiustificato aggravamento dei procedimenti autorizzatori o, tanto meno, un’ingerenza nell’uso di una data tecnologia a scapito di un’altra.
Trattasi, piuttosto, di soluzione tecnica per l’allocazione dell’impianto (non incidente sull’utilizzo della tecnologia propria del sistema di comunicazione prescelto dal concessionario) ed affatto inibitoria alla realizzazione delle opere (anzi, già assentite con le contestate modalità dell’interramento), che laddove mira a salvaguardare, in senso di maggior tutela, l’impatto ambientale delle stesse sul centro abitato o sulle zone agricole densamente abitate, non può che prevalere anche rispetto alle disposizioni (in particolare art. 86 del codice delle telecomunicazioni) invocate dalla ricorrente e che, a ben vedere, salvaguardano esclusivamente la necessità di consentire la realizzazione delle infrastrutture necessarie all’erogazione del servizio, rimettendo, poi, alla discrezionalità degli enti locali, la conformazione di questo fine con l’ottimale gestione del territorio.
Del resto, come detto, non risultano adeguatamente documentate le insuperabili esigenze tecniche che, al di là dell’aggravio dei costi, renderebbe non funzionale od efficiente l’impianto realizzato con le modalità imposte dal Comune di Sassari (TAR Sardegna, Sez. II, sentenza 18.07.2011 n. 781 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa ristrutturazione degli edifici mediante demolizione e successiva ricostruzione è ammissibile nei limiti dello stato fisionomico attuale degli stessi, senza possibilità di recuperare parti strutturali che, pur originariamente esistenti, sono venute meno per qualsiasi evenienza: la ristrutturazione edilizia ricorre solo quando l’intervento edilizio si traduca in una volontaria demolizione accompagnata dalla successiva ricostruzione, mentre invece, qualora tra demolizione e ricostruzione o presentazione del nuovo progetto vi verifichi una soluzione di continuità l’attività edificatoria costituisce nuova costruzione, come tale richiedente il permesso di costruire e non sottoposta a d.i.a..
In altre parole, può attuarsi un intervento di ristrutturazione edilizia (di demolizione e ricostruzione) in quanto esista un organismo edilizio dotato di mura perimetrali, strutture orizzontali e copertura in stato di conservazione tale da rendere attualmente visibile la fisionomia da prendere a riferimento e a limite ai fini della ristrutturazione.
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La ristrutturazione edilizia presuppone un organismo dotato di mura perimetrali (costituenti componenti essenziali del fabbricato), oltre che di copertura e strutture orizzontali.
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La manutenzione straordinaria dell’opera abusiva in pendenza della definizione del procedimento di condono è illecita, in quanto essa ripete le caratteristiche di illegittimità dell’opera principale cui accede.
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Il concetto di “eventi di carattere eccezionale” cagionanti la demolizione è ascrivibile ad accadimenti esterni all’interessato che, similmente alle calamità naturali, siano completamente al di fuori della sua sfera di controllo, come ad esempio eventi bellici, atti di terrorismo o atti vandalici, e quindi non si attaglia alla prolungata pendenza del procedimento di condono, la quale, pur precludendo la manutenzione straordinaria non è ostativa ad interventi di manutenzione ordinaria (ad esempio, lavori di impermeabilizzazione o di sostituzione del manto di copertura) finalizzati alla conservazione della struttura nelle more della definizione della domanda di condono.
Secondo il consolidato indirizzo giurisprudenziale, la ristrutturazione degli edifici mediante demolizione e successiva ricostruzione è ammissibile nei limiti dello stato fisionomico attuale degli stessi, senza possibilità di recuperare parti strutturali che, pur originariamente esistenti, sono venute meno per qualsiasi evenienza (TAR Veneto, II, 05/06/2008, n. 1667): la ristrutturazione edilizia ricorre solo quando l’intervento edilizio si traduca in una volontaria demolizione accompagnata dalla successiva ricostruzione, mentre invece, qualora tra demolizione e ricostruzione o presentazione del nuovo progetto vi verifichi una soluzione di continuità l’attività edificatoria costituisce nuova costruzione, come tale richiedente il permesso di costruire e non sottoposta a d.i.a. (Cons. Stato, V, 10/03/1997, n. 240; TAR Campania, Napoli, III, 16/05/2006, n. 4378).
In altre parole, intanto può attuarsi un intervento di ristrutturazione edilizia (di demolizione e ricostruzione) in quanto esista un organismo edilizio dotato di mura perimetrali, strutture orizzontali e copertura in stato di conservazione tale da rendere attualmente visibile la fisionomia da prendere a riferimento e a limite ai fini della ristrutturazione (Cons. Stato, V, 10/02/2004, n. 475; TAR Venezia, II, 05/06/2008, n. 1667; TAR Lombardia, Milano, II, 11/06/2009, n. 3968).
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La giurisprudenza ha precisato che la ristrutturazione edilizia presuppone un organismo dotato di mura perimetrali (costituenti componenti essenziali del fabbricato), oltre che di copertura e strutture orizzontali (TAR Lombardia, Milano, II, 11/06/2009, n. 3968; Cons. Stato, VI, 07/05/1996, n. 665; Cass. civ., II, 15/07/2003, n. 11027).
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In via generale, la manutenzione straordinaria dell’opera abusiva in pendenza della definizione del procedimento di condono è illecita, in quanto essa ripete le caratteristiche di illegittimità dell’opera principale cui accede (TAR Campania, Napoli, VI, 03/12/2010, n. 26787).
Inoltre la ristrutturazione edilizia assume concettualmente ad oggetto un manufatto attualmente esistente, senza eccezioni; allorquando sussista invece soluzione di continuità tra demolizione e ricostruzione l’attività edificatoria va qualificata come nuova costruzione, sottoposta a permesso di costruire e non a d.i.a., a prescindere dalle ragioni e dalle circostanze che hanno comportato il crollo o la rimozione del manufatto preesistente.
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Il concetto di “eventi di carattere eccezionale” cagionanti la demolizione è ascrivibile ad accadimenti esterni all’interessato che, similmente alle calamità naturali, siano completamente al di fuori della sua sfera di controllo, come ad esempio eventi bellici, atti di terrorismo o atti vandalici, e quindi non si attaglia alla prolungata pendenza del procedimento di condono, la quale, pur precludendo la manutenzione straordinaria (ammessa solo successivamente alla regolarizzazione dell’abuso: TAR Campania, Napoli, VI, 03/12/2010, n. 26787), non è ostativa ad interventi di manutenzione ordinaria (ad esempio, lavori di impermeabilizzazione -TAR Friuli Venezia Giulia, I, 15/07/2010, n. 519- o di sostituzione del manto di copertura –Cass. pen., III, 19/12/2005, n. 2935-) finalizzati alla conservazione della struttura nelle more della definizione della domanda di condono
(TAR Toscana, Sez. III, sentenza 15.07.2011 n. 1205 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAUna parte della giurisprudenza ritiene che quando l’esposto di un terzo abbia avuto l’unica funzione di stimolare l’attivazione di poteri di indagine o repressivi propri della P.A., che la stessa ha in seguito normalmente esercitato, venga a mancare, in capo al soggetto sanzionato, l’interesse a conoscere dato atto di impulso.
Tuttavia altra giurisprudenza, cui il Collegio aderisce, ritiene che ragioni di trasparenza (“.. nell'ordinamento delineato dalla legge n. 241/1990, ispirato ai principi della trasparenza, del diritto di difesa e della dialettica democratica, ogni soggetto deve poter conoscere con precisione i contenuti e gli autori di segnalazioni, esposti o denunce che, fondatamente o meno, possano costituire le basi per l'avvio di un procedimento ispettivo o sanzionatorio, non potendo la P.A. procedente opporre all'interessato esigenze di riservatezza”) facciano propendere per la soluzione opposta, cioè per l’accessibilità da parte dell’interessato anche a tale documento, in quanto “la denuncia e l’esposto… non possono essere considerati un fatto circoscritto al solo autore, all’Amministrazione competente al suo esame e all’apertura dell’eventuale procedimento, ma riguardano direttamente anche i soggetti "denunciati", i quali ne risultano comunque incisi”.

Per quanto concerne l’esposto dl vicino di casa, il Collegio ritiene che la domanda sia fondata e che il Comune debba consentirne l’accesso.
Non ignora il Tribunale che una parte della giurisprudenza ritiene che quando l’esposto di un terzo abbia avuto l’unica funzione di stimolare l’attivazione di poteri di indagine o repressivi propri della P.A., che la stessa ha in seguito normalmente esercitato, venga a mancare, in capo al soggetto sanzionato, l’interesse a conoscere dato atto di impulso.
Tuttavia altra giurisprudenza, cui il Collegio aderisce (cfr., ad esempio: TAR Campania-Napoli n. 14859/2010 e Lombardia-Brescia n. 1469/2008; nonché C.S. n. 2511/2008; n. 5569/2007; e n. 3601/2007), ritiene che ragioni di trasparenza (“.. nell'ordinamento delineato dalla legge n. 241/1990, ispirato ai principi della trasparenza, del diritto di difesa e della dialettica democratica, ogni soggetto deve poter conoscere con precisione i contenuti e gli autori di segnalazioni, esposti o denunce che, fondatamente o meno, possano costituire le basi per l'avvio di un procedimento ispettivo o sanzionatorio, non potendo la P.A. procedente opporre all'interessato esigenze di riservatezza”) facciano propendere per la soluzione opposta, cioè per l’accessibilità da parte dell’interessato anche a tale documento, in quanto “la denuncia e l’esposto… non possono essere considerati un fatto circoscritto al solo autore, all’Amministrazione competente al suo esame e all’apertura dell’eventuale procedimento, ma riguardano direttamente anche i soggetti "denunciati", i quali ne risultano comunque incisi”.
Né vale a legittimare il diniego di accesso all’esposto presentato dal vicino, l’eventuale sussistenza di indagini penali in relazione a fatti oggetto anche di indagine amministrativa, sia perché (come appurato in Camera di Consiglio) il Comune detiene comunque copia della documentazione di cui trattasi (che non è stata oggetto di sequestro); sia perché (come stabilito da TAR Puglia-Bari n. 2565/2008) la richiesta di accesso anche ad atti oggetto di indagine penale (dei quali peraltro il Collegio non ritiene possa far parte l’esposto del privato, proprio perché ha solo dato impulso ad indagini autonomamente effettuate dalla P.A., unicamente all’esito delle quali si è ritenuta la possibile sussistenza di un illecito penalmente rilevante) può in ogni caso essere assentita, eventualmente, e ove di ragione, previa autorizzazione della competente Procura della Repubblica che deve esserne richiesta, senza indugio, dall’Amministrazione stessa.
Questa parte della domanda va quindi accolta con conseguente dichiarazione dell’obbligo del Comune di consentire l’accesso all’esposto presentato dal vicino (TAR Friuli Venezia Giulia, sentenza 14.07.2011 n. 349 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: In linea di principio non può considerarsi legittima l’esclusione a priori per tutto il territorio comunale della possibilità di "insediamento di nuove attività classificate insalubri di prima classe dal D.M. 05.09.1994”, in base ad una norma di pianificazione generale.
L'art. 216 r.d. 27.07.1934 n. 1265 pone, con il secondo comma, il canone della preclusione relativa per l'insediamento di tali lavorazioni nocive all'interno degli abitati a salvaguardia e tutela delle buone condizioni di vita e di salute per la popolazione residenziale; in deroga al precedente principio, il quinto comma consente tuttavia al gestore dell’impianto di dimostrare l’esclusione di qualsiasi rischio di compromissione della salute e dell'incolumità del vicinato, attraverso il ricorso a nuovi metodi produttivi o di peculiari cautele concretamente efficaci.
Posto che, in linea generale, l’indicazione generale programmatica per la pianificazione urbanistica impone di allocare le industrie in aree non residenziali, per cui nell'esercizio dei propri poteri di gestione del territorio, lo strumento urbanistico comunale può escludere, in via preventiva, a tutela della salute e dell'igiene della popolazione, la realizzabilità di industrie insalubri nondimeno tale facoltà può essere esercitata solamente in determinate zone del territorio comunale di carattere prettamente storico o residenziale, ovvero in considerazione di aree che siano già in condizioni particolarmente difficili sul piano ambientale. In ogni caso, dunque, le prescrizioni limitative all'insediamento di determinate tipologie industriali in zone non possono però ricomprendere l’intero territorio.
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Il carattere dichiaratamente insalubre dell'impianto industriale, di per sé solo, non può costituire un motivo sufficiente per emettere –sede di compatibilità urbanistica- un parere negativo ai sensi dell’art. 7 secondo comma del cit. D.P.R. n. 203/1988, adottato senza procedere ad una istruttoria ed ad una valutazione in concreto di tutte le diverse problematiche di competenza comunale coinvolte dalla domanda, relative all’impatto territoriale per rumori e vibrazioni, fumi e vapori; ai profili paesistico e paesaggistici, alle conseguenze sul traffico, ed alle disponibilità idriche, ecc..
La Sezione ritiene che, come esattamente affermato da TAR, in linea di principio non possa considerarsi legittima l’esclusione a priori per tutto il territorio comunale della possibilità di "insediamento di nuove attività classificate insalubri di prima classe dal D.M. 05.09.1994”, in base ad una norma di pianificazione generale.
Se infatti, per ipotesi, si volesse ammettere una tale possibilità per tutti i comuni d’Italia si finirebbe, in via di fatto, per impedire la realizzazione di industrie insalubri di prima classe in tutto il territorio nazionale con gravi danni al sistema produttivo nazionale, sotto il profilo economico, occupazionale, ed anche ambientale perché impedirebbe lo sviluppo di una moderna industria (connotata cioè dalla progressiva applicazione delle migliori tecniche disponibili, c.d. BAT, peraltro attualmente in corso di aggiornamento da parte della Commissione Europea ai sensi dell’Art.13, 3 par., lett. c) e d), della Direttiva sulle Emissioni Industriali n. 2010/75/EU).
In tale contesto l'art. 216 r.d. 27.07.1934 n. 1265, mantiene comunque intatta l’attualità in quanto:
- pone, con il secondo comma, il canone della preclusione relativa per l'insediamento di tali lavorazioni nocive all'interno degli abitati a salvaguardia e tutela delle buone condizioni di vita e di salute per la popolazione residenziale (cfr. Consiglio Stato , sez. V, 07.09.2004, n. 5854);
- in deroga al precedente principio, il quinto comma consente tuttavia al gestore dell’impianto di dimostrare l’esclusione di qualsiasi rischio di compromissione della salute e dell'incolumità del vicinato, attraverso il ricorso a nuovi metodi produttivi o di peculiari cautele concretamente efficaci.
Ciò premesso si deve ancora annotare che l'art. 216, t.u. n. 1265 del 1934 non costituisce in realtà un limite all'attività edilizia, ma opera sul distinto versante della tutela sanitaria della popolazione.
Pertanto posto che, in linea generale, l’indicazione generale programmatica per la pianificazione urbanistica impone di allocare le industrie in aree non residenziali, per cui nell'esercizio dei propri poteri di gestione del territorio, lo strumento urbanistico comunale può escludere, in via preventiva, a tutela della salute e dell'igiene della popolazione, la realizzabilità di industrie insalubri nondimeno tale facoltà può essere esercitata solamente in determinate zone del territorio comunale di carattere prettamente storico o residenziale, ovvero in considerazione di aree che siano già in condizioni particolarmente difficili sul piano ambientale (cfr. Consiglio Stato, sez. V, 26.03.2001, n. 1719).
In ogni caso dunque le prescrizioni limitative all'insediamento di determinate tipologie industriali in zone non possono però ricomprendere l’intero territorio (cfr. Consiglio Stato, sez. IV, 22.03.2005, n. 1190).
Ciò posto, se in molte realtà la progressiva scomparsa di aree non antropizzate rende la disposizione di non semplice applicazione pratica, nondimeno la norma implica non già un divieto assoluto di svolgere lavorazioni insalubri, ma impone la verifica caso per caso delle situazioni e delle condizioni perché esse si possano svolgano senza pregiudizio per la salute pubblica.
In conseguenza, nell'ambito della destinazione di un'area del territorio comunale a zona industriale non possono essere aprioristicamente ed astrattamente inibite particolari tipologie di insediamenti produttivi posto che una simile scelta di PRG non rientrerebbe nell'ambito della disciplina urbanistica, ma concreterebbe un illegittimo esercizio delle ben diverse funzioni di igiene pubblica da parte del Consiglio comunale, in luogo di altri soggetti istituzionalmente competenti.
Il PRG deve identificare le zone industriali nelle quali è astrattamente possibile l’insediamento di industrie insalubri di prima classe fermo restando che le sue emissioni siano autorizzabili e non siano concretamente incompatibili, sul piano del rischio di incidente rilevante, con quelli già esistenti.
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Il carattere dichiaratamente insalubre dell'impianto industriale, di per sé solo, non può costituire un motivo sufficiente per emettere –sede di compatibilità urbanistica- un parere negativo ai sensi dell’art. 7 secondo comma del cit. D.P.R. n. 203/1988, adottato senza procedere ad una istruttoria ed ad una valutazione in concreto di tutte le diverse problematiche di competenza comunale coinvolte dalla domanda, relative all’impatto territoriale per rumori e vibrazioni, fumi e vapori; ai profili paesistico e paesaggistici, alle conseguenze sul traffico, ed alle disponibilità idriche, ecc..
Si deve rilevare che l’art. 6 del D.P.R. 24.05.1988 n. 203, concernente norme in materia di qualità dell'aria, relativamente a specifici agenti inquinanti, e di inquinamento prodotto dagli impianti industriali:
- al primo comma, prevedeva che la domanda di autorizzazione per un impianto industriale andava inoltrata all’Autorità competente (nel caso della Toscana la Regione delegata) “….corredata dal progetto nel quale sono comunque indicati il ciclo produttivo, le tecnologie adottate per prevenire l'inquinamento, la quantità e la qualità delle emissioni, nonché il termine per la messa a regime degli impianti“.
- al secondo comma, la norma di preoccupava di precisare che “copia della domanda di cui al comma 1 deve essere trasmessa al Ministro dell'ambiente, nonché allegata alla domanda di concessione edilizia rivolta al sindaco".
La predetta disciplina (peraltro definitivamente abrogata dall'articolo 21 del D.Lgs. 13.08.2010, n. 155, fatte salve solo le disposizioni di cui il decreto legislativo 03.04.2006, n. 152) strutturava dunque due procedimenti certamente paralleli, ma in realtà sostanzialmente disgiunti ed autonomi tra loro.
Il procedimento di autorizzazione alle emissioni in atmosfera concerne profili del tutto differenti ed indipendenti dalle problematiche di tipo edilizio-urbanistico, che attengono alla specifica valutazione dei metodi e delle cautele prospettati nell’istanza ed implica la verifica, da parte dall’Autorità preposta all’autorizzazione delle emissioni, della certezza della non-nocività dell’impianto, con riferimento ai limiti di emissione fissati dalle migliori tecnologie di settore disponibili (c.d. BREF)
(Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 13.07.2011 n. 4243 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIn sede di emanazione di ordinanza di demolizione di opere edilizie abusive su area vincolata non è necessario acquisire il parere della Commissione Edilizia Integrata "dal momento che l'ordine di ripristino discende direttamente dall'applicazione della disciplina edilizia vigente (art. 27 t.u. edilizia) e non costituisce affatto irrogazione di sanzioni discendenti dalla violazione di disposizioni a tutela del paesaggio". Peraltro, è stato ripetutamente chiarito che il predetto parere non occorre qualora il responsabile si limiti a operare delle valutazioni giuridiche e non tecniche, com’è nel caso di specie.
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L'art. 27 DPR 380/201 è applicabile tanto se venga accertato l’inizio quanto l’avvenuta esecuzione di opere abusive su area vincolata, per cui non può trovare accoglimento la prospettazione del ricorrente nel senso dell’inapplicabilità della norma a causa dell’avvenuto completamento dei lavori.
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In mancanza di una domanda ex art. 36 DPR 380/2001 alcun obbligo corre all’Amministrazione di operare la valutazione dell’astratta sanabilità dell’opera. Peraltro, è stato chiarito che persino la presentazione di una domanda di accertamento di conformità non incide sulla legittimità del provvedimento di demolizione.  Infatti, «l'efficacia dei provvedimenti di demolizione non è … suscettibile di essere paralizzata dalla successiva presentazione di una istanza di accertamento di conformità alla disciplina urbanistica ed edilizia, né da un'istanza di accertamento di compatibilità paesaggistica: esse non incidono sulla legittimità del provvedimento sanzionatorio "ma unicamente sulla possibilità dell'amministrazione di portare ad esecuzione la sanzione .... autonomamente valutando gli effetti" delle sopravvenute istanze a detti fini».
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L’abusività delle opere realizzate e la concomitante insistenza sul territorio del vincolo paesistico ai sensi del D.Lgs. 29-10-1999 n. 490 impongono la demolizione delle opere senza che residui alcun margine di discrezionalità in capo all’amministrazione.

La vincolatezza del provvedimento di demolizione rende superflua e non dovuta una puntuale motivazione sull’interesse pubblico alla demolizione, essendo sufficiente l’aver evidenziato la violazione del regime vincolistico; l'interesse pubblico al ripristino dello stato dei luoghi è ‘in re ipsa’ poiché la straordinaria importanza della tutela reale dei beni paesaggistici ed ambientali elide, in radice, qualsivoglia doglianza circa la pretesa non proporzionalità della sanzione ablativa in rapporto all’interesse del privato che deve sempre esser considerato recessivo.
La doverosità del provvedimento impone, infine, di ritenere recessivo l’obbligo di comunicare l’avvio del procedimento ai sensi dell’art. 7 L. 241/1990; tale obbligo, infatti, non si applica ai provvedimenti sanzionatori in materia edilizia, considerato il loro carattere doveroso.
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L’Amministrazione, in sede di emanazione di un ordine di demolizione, deve notificare il provvedimento al proprietario del bene quale risultante dai registri catastali e ciò perché, da un lato, si suppone, sino a prova contraria, che il proprietario sia quanto meno corresponsabile dell’abuso e che, comunque, conservi con il bene una relazione tale da consentirgli di rimediare a eventuali abusi perpetrati sul proprio terreno e dall’altro, poiché, l’Amministrazione non ha l’onere di effettuare complessi accertamenti dei rapporti interprivati che abbiano eventualmente inciso sulla disponibilità del bene.
In tal senso, la mancata notifica all’usufruttuario non incide sulla legittimità dell’ordine di demolizione, ferma rimanendo la possibilità per l’usufruttuario di impugnare autonomamente il provvedimento, di cui sia venuto a conoscenza, qualora ne ricorrano i presupposti.

In sede di emanazione di ordinanza di demolizione di opere edilizie abusive su area vincolata non è necessario acquisire il parere della Commissione Edilizia Integrata "dal momento che l'ordine di ripristino discende direttamente dall'applicazione della disciplina edilizia vigente (art. 27 t.u. edilizia) e non costituisce affatto irrogazione di sanzioni discendenti dalla violazione di disposizioni a tutela del paesaggio" (Tar Campania, Napoli, sempre questa sezione sesta, sentenza 26.06.2009, n. 3530; 27.03.2007, n. 2885; 14.04.2010, n. 1975).
Peraltro, è stato ripetutamente chiarito che il predetto parere non occorre qualora il responsabile si limiti a operare delle valutazioni giuridiche e non tecniche, com’è nel caso di specie (TAR Campania Napoli, sez. VI, 14.01.2008, n. 195).
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Come ripetutamente ribadito dalla giurisprudenza di questo Tribunale, non rileva, ai fini dell’applicazione dell’art. 27 D.P.R. 380/2001, se l’opera sia o meno ultimata.
L’articolo citato, infatti, dispone: «qualora si tratti di aree assoggettate alla tutela di cui al regio decreto 30.12.1923, n. 3267, o appartenenti ai beni disciplinati dalla legge 16.06.1927, n. 1766, nonché delle aree di cui al decreto legislativo 29.10.1999, n. 490, il dirigente provvede alla demolizione ed al ripristino dello stato dei luoghi, previa comunicazione alle amministrazioni competenti le quali possono eventualmente intervenire, ai fini della demolizione, anche di propria iniziativa».
La norma in questione, proprio all’esito delle modifiche apportate con D.L. 269/2003, è applicabile tanto se venga accertato l’inizio quanto l’avvenuta esecuzione di opere abusive su area vincolata (cfr. TAR Campania Napoli, sez. III, 11.03.2009, n. 1376), per cui non può trovare accoglimento la prospettazione del ricorrente nel senso dell’inapplicabilità della norma a causa dell’avvenuto completamento dei lavori (Sent. TAR Napoli sez. VI n. 8987/2009).
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La quarta censura, relativa all’asserita mancata valutazione dell’astratta sanabilità dell’opera ai sensi dell’art. 36 D.P.R. 380/2001 (cd. accertamento di conformità), è infondata in quanto, in mancanza di una domanda in tal senso, alcun obbligo corre all’Amministrazione di operare siffatta valutazione.
Peraltro, è stato chiarito, con ormai consolidato orientamento della Sezione, avallato da pronunce del giudice di appello, che persino la presentazione, nella specie non avvenuta, di una domanda di accertamento di conformità non incide sulla legittimità del provvedimento di demolizione.
Infatti, «l'efficacia dei provvedimenti di demolizione non è … suscettibile di essere paralizzata dalla successiva presentazione di una istanza di accertamento di conformità alla disciplina urbanistica ed edilizia, né da un'istanza di accertamento di compatibilità paesaggistica: esse non incidono sulla legittimità del provvedimento sanzionatorio "ma unicamente sulla possibilità dell'amministrazione di portare ad esecuzione la sanzione .... autonomamente valutando gli effetti" delle sopravvenute istanze a detti fini» (TAR Campania Napoli, sez. VI, 08.03.2011, n. 1345; cfr., poi, Cons. Stato sezione quarta, ord. n. 3055 del 12.06.2009 e n. 870 del 21.02.2008 richiamate in TAR Campania Napoli, sez. VI, 03.12.2010, n. 26787).
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Va ribadito il costante orientamento della Sezione secondo cui l’abusività delle opere realizzate e la concomitante insistenza sul territorio del vincolo paesistico ai sensi del D.Lgs. 29-10-1999 n. 490, impongano la demolizione delle opere senza che residui alcun margine di discrezionalità in capo all’amministrazione (cfr. art. 27, co. 2, D.P.R. 380/2001 nella parte in cui dispone: «qualora si tratti di aree assoggettate alla tutela di cui al regio decreto 30.12.1923, n. 3267, o appartenenti ai beni disciplinati dalla legge 16.06.1927, n. 1766, nonché delle aree di cui al decreto legislativo 29.10.1999, n. 490, il dirigente provvede alla demolizione ed al ripristino dello stato dei luoghi, previa comunicazione alle amministrazioni competenti le quali possono eventualmente intervenire, ai fini della demolizione, anche di propria iniziativa»).
Ebbene, la vincolatezza del provvedimento di demolizione rende superflua e non dovuta una puntuale motivazione sull’interesse pubblico alla demolizione, essendo sufficiente l’aver evidenziato la violazione del regime vincolistico (cfr., ex multis, TAR Campania Napoli, sez. VI, 04.08.2008, n. 9718); l'interesse pubblico al ripristino dello stato dei luoghi è ‘in re ipsa’ poiché la straordinaria importanza della tutela reale dei beni paesaggistici ed ambientali elide, in radice, qualsivoglia doglianza circa la pretesa non proporzionalità della sanzione ablativa in rapporto all’interesse del privato che deve sempre esser considerato recessivo (cfr. TAR Campania Napoli, sez. VI, 14.04.2010 , n. 1975, TAR Campania Napoli, sez. VII, 21.03.2008, n. 1474).
La doverosità del provvedimento impone, infine, di ritenere recessivo l’obbligo di comunicare l’avvio del procedimento ai sensi dell’art. 7 L. 241/1990; tale obbligo, infatti, non si applica ai provvedimenti sanzionatori in materia edilizia, considerato il loro carattere doveroso (cfr., art. 21-octies L. 241/1990 e, in giurisprudenza, ex multis, Consiglio Stato sez. V, 19.09.2008, n. 4530; TAR Napoli Campania sez. IV, 02.12.2008, n. 20794 e Tar Campania, Napoli, sez. IV, 16.06.2000 n. 2147).
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Merita di esser condiviso l’assunto giurisprudenziale secondo cui l’Amministrazione, in sede di emanazione di un ordine di demolizione, deve notificare il provvedimento al proprietario del bene quale risultante dai registri catastali e ciò perché, da un lato, si suppone, sino a prova contraria, che il proprietario sia quanto meno corresponsabile dell’abuso e che, comunque, conservi con il bene una relazione tale da consentirgli di rimediare a eventuali abusi perpetrati sul proprio terreno e dall’altro, poiché, l’Amministrazione non ha l’onere di effettuare complessi accertamenti dei rapporti interprivati che abbiano eventualmente inciso sulla disponibilità del bene (cfr., ex multis, Consiglio Stato, sez. V, 31.03.2010, n. 1878; TAR Campania Napoli, sez. VIII, 06.04.2011, n. 1945; TAR Sicilia-Palermo, sez. III, 21.02.2006, n. 426).
In tal senso, la mancata notifica all’usufruttuario non incide sulla legittimità dell’ordine di demolizione, ferma rimanendo la possibilità per l’usufruttuario di impugnare autonomamente il provvedimento, di cui sia venuto a conoscenza, qualora ne ricorrano i presupposti
(TAR Campania-Napoli, Sez. VI, sentenza 13.07.2011 n. 3775 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

CONDOMINIO: COMUNIONE E CONDOMINIO - CONDOMINIO - INNOVAZIONI E MODIFICHE - Parti comuni - Assemblea - Delibera - Maggioranza - Legittimità - Condizioni.
La delibera assembleare di destinazione di aree condominiali scoperte in parte a parcheggio autovetture dei singoli condomini ed in parte a parco giochi ha ad oggetto un'innovazione diretta al miglioramento o all'uso più comodo o al maggior rendimento della cosa comune.
La deliberazione di destinazione a parcheggio di un cortile è diretta a disciplinare le modalità d'uso del detto bene comune, stabilendo, in entrambi i casi, la legittimità delle delibere adottate anche soltanto a maggioranza (Corte di Cassazione, Sez. VI, ordinanza 12.07.2011 n. 15319 - commento tratto da www.diritto24.ilsole24ore.com).

EDILIZIA PRIVATA: L’universitas rerum costituita dallo “studio d’artista” rileva invero come museo della vita professionale dell’artista, traccia visibile dell’unicità delle sue attitudini individuali di produzione e di ricerca. Attraverso questo tipo di vincolo la legge intende preservare non la traccia della vita dell’artista, ma la testimonianza delle condizioni materiali del processo di formazione ed azione che è sotteso alle opere che lo hanno reso famoso: processo che –nel caso di artisti mostratisi capaci di lasciare un segno significativo– è dalla legge reputato realizzare un valore culturale in sé, sempre che si tratti di un livello tale da corrispondere ad un “interesse particolarmente importante”, come vogliono sia la norma di specie che quella di genere.
Giova ricordare che l’art. 51, comma 1, d.lgs. 22.01.2004, n. 42, prevede uno speciale –per tipologia e per effetti- tipo di vincolo a bene culturale, prevedendo, per gli “studi d’artista”, il divieto di “modificare la destinazione d’uso […] nonché rimuoverne il contenuto, costituito da opere, documenti, cimeli e simili, qualora esso, considerato nel suo insieme ed in relazione al contesto in cui è inserito, sia dichiarato di interesse particolarmente importante per il suo valore storico”, con l’usuale procedimento di dichiarazione dell’interesse culturale dell’articolo 13.
Si deve anzitutto rilevare che questa disposizione del Codice dei beni culturali e del paesaggio replica l’art. 52, comma 1, del Testo unico di cui al d.lgs. 29.10.1999, n. 490, e analogamente a quello riordina la norma che era nata con l’art. 4-bis d.l. 09.12.1986, n. 832, introdotto dalla legge di conversione 06.02.1987, n. 15, che nel quadro di misure urgenti per i contratti di locazione, escludeva dal rilascio locatizio gli studi d’artista il cui contenuto era tutelato, “per il suo storico valore”, da un decreto del Ministro per i beni culturali “che ne prescrive l’inamovibilità da uno stabile del quale contestualmente si vieta la modificazione della destinazione d’uso”.
La disposizione del Codice è incentrata sugli effetti del vincolo, ma non ne esplica testualmente i presupposti: vale a dire non dice cosa, analiticamente, si debba intendere per “studio d’artista”. Nondimeno, analogamente alla norma originaria, prevede che il vincolo sia introdotto sull’immobile (o sua porzione) “per il suo valore storico”, così riconducendo questa specie di vincolo al genus dei vincoli storici, di cui all’art. 10, comma 3, lett. d), del Codice medesimo. E con un tale riferimento essa va integrata, considerando fondamento della tutela l’immateriale storicità di cui il manufatto, con i suoi arredi e per il suo contesto, è documento.
La disposizione manifesta il tratto della sua specialità essenzialmente per ciò che concerne gli effetti: concernendo studi d’artista, vuole che la loro rilevanza culturale venga in rilievo sia sotto il profilo che si tratta di spazi che non possono subire mutamenti della destinazione, e il loro contenuto (“opere, documenti, cimeli e simili”) non può essere rimosso dalla collocazione originaria senza pregiudicare quella capacità rappresentativa.
L’universitas rerum costituita dallo “studio d’artista” rileva invero come museo della vita professionale dell’artista, traccia visibile dell’unicità delle sue attitudini individuali di produzione e di ricerca. Attraverso questo tipo di vincolo la legge intende preservare non la traccia della vita dell’artista, ma la testimonianza delle condizioni materiali del processo di formazione ed azione che è sotteso alle opere che lo hanno reso famoso: processo che –nel caso di artisti mostratisi capaci di lasciare un segno significativo– è dalla legge reputato realizzare un valore culturale in sé, sempre che si tratti di un livello tale da corrispondere ad un “interesse particolarmente importante”, come vogliono sia la norma di specie che quella di genere.
L’“interesse particolarmente importante” va riferito sia al generale lascito culturale dell’artista, sia all’entità della testimonianza che è condensata nel suo studio-laboratorio e nelle relative vestigia. Lo studio, in altri termini, per le sue caratteristiche intrinseche deve essere tale da rappresentare un fattore primario delle forme della produzione di un artista considerato, a giudizio dell’Amministrazione, particolarmente importante.
L’obiettivo perseguito da questa specifica disciplina di legge è di rendere immodificabile l’ambiente ed i luoghi nei quali operò l’artista, al fine di conservare intatta la testimonianza dei valori culturali in incorporati (cfr. Corte cost., 04.06.2003, n. 185) (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 12.07.2011 n. 4198 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATADi fronte al potere-dovere di reprimere gli abusi edilizi, l’affidamento del privato è tutelabile (sia pure nel limitato senso di esigere una motivazione rafforzata del provvedimento sanzionatorio) soltanto qualora sia stato provato il lungo tempo trascorso dalla realizzazione dell’abuso, e nel contempo l’esistenza dell’abuso sia stata ritenuta implicitamente regolare dall’Amministrazione (in occasione dell’esame di precedenti pratiche edilizie, o di attività di vigilanza sul territorio.
Il Collegio ricorda che la giurisprudenza di questo Tribunale è ferma nel ritenere che, di fronte al potere-dovere di reprimere gli abusi edilizi, l’affidamento del privato è tutelabile (sia pure nel limitato senso di esigere una motivazione rafforzata del provvedimento sanzionatorio) soltanto qualora sia stato provato il lungo tempo trascorso dalla realizzazione dell’abuso, e nel contempo l’esistenza dell’abuso sia stata ritenuta implicitamente regolare dall’Amministrazione (in occasione dell’esame di precedenti pratiche edilizie, o di attività di vigilanza sul territorio – cfr. TAR Umbria, 18.03.2008, nn. 102-103; 18.08.2009, n. 492; 21.01.2010, n. 23) (TAR Umbria, sentenza 11.07.2011 n. 198 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ENTI LOCALI - VARIRegolamenti disapplicabili in Ctp. Più poteri ai giudici fiscali. Ma l'annullamento spetta al Tar. Cassazione: l'omessa impugnazione amministrativa non limita le prerogative delle commissioni.
L'omessa impugnazione del regolamento comunale davanti al giudice amministrativo, ove confliggente con una fonte normativa sovra ordinata, non impedisce al giudice tributario la disapplicazione dello stesso; infatti, in caso di contrasto tra norme di rango diverso, per la gerarchia delle fonti si deve accordare prevalenza a quella di rango superiore, e quindi alla legge o ad altro atto di formazione primaria.
Sono le conclusioni che si ricavano dalla sentenza 06.07.2011 n. 14936 della sezione tributaria della cassazione.
Con ricorso alla Ctp di Torino, un titolare di posteggio per attività di commercio ambulante sull'area del comune di Vinovo (To) aveva impugnato un avviso di liquidazione conseguente alla rideterminazione della tassa per lo smaltimento dei rifiuti urbani deliberata dalla giunta municipale n. 14 del 27.02.2003.
Le Commissioni tributarie di merito, a cui ricorrendo si era rivolto il contribuente, avevano ritenuto che sia il regolamento della Tarsu sia la delibera di giunta che adeguava gli importi per il 2003 non presentassero vizi di illegittimità che ne consentissero la disapplicazione, conseguentemente respingevano il ricorso del contribuente; secondo gli stessi giudici, gli atti citati non potevano essere disapplicati in quanto rispecchiavano delle scelte riconducibili al potere discrezionale dell'ente e, quindi, dovevano essere impugnati esclusivamente innanzi al competente giudice amministrativo.
Di diverso avviso i giudici di piazza Cavour, che applicando il quinto comma dell'articolo 7 del dlgs n. 546/1992 hanno stabilito che le Commissioni tributarie possono disapplicare un regolamento o un altro atto rilevante ai fini della decisione, ancorché l'annullamento ne sia riservato al giudice amministrativo.
Nel caso in esame, la sezione tributaria della Cassazione ha riscontrato un vizio di motivazione del coefficiente specifico adottato dal comune per la categoria commerciale del ricorrente.
A parere degli Ermellini gli atti amministrativi contestati (regolamento e delibera di giunta) violavano gli articoli 65 e 69 del dlgs n. 507/1993 perché non contenevano una giustificazione adeguata del coefficiente specifico adoperato; obbligo di motivazione previsto dall'articolo 2 dello stesso dlgs n. 507/1993.
I giudici supremi hanno quindi osservato che la Commissione regionale ha omesso di motivare sulla presunta illegittimità degli atti di riferimento (questi «non contenevano una motivazione adeguata al coefficiente specifico adottato dal comune di Vinovo per la categoria commerciale del ricorrente, pari a 10.9 mentre per tutte le altre categorie il coefficiente è pari a 0,44»).
Nel caso in cui fosse ritenuta fondata la censura di illegittimità per violazione di legge degli atti presupposti, prosegue la Corte, «dovrebbe invero annullarsi l'atto di liquidazione (impugnato) che di esso ha fatto applicazione».
Per queste ragioni, la cassazione conclude per l'accoglimento del ricorso, con rinvio degli atti alla Commissione tributaria regionale del Piemonte per un nuovo esame di merito (articolo ItaliaOggi dell'11.08.2011 - tratto da www.corteconti.it).

ENTI LOCALIStop dei comuni ai camion vela. La sentenza della Corte di cassazione.
Il regolamento comunale può vietare totalmente l'effettuazione di pubblicità con l'impiego di camion vela, rimorchi o poster tir. Una decisione che resta coerente con le disposizioni del codice stradale che sono già particolarmente severe con questi veicoli speciali peraltro molto diffusi in ambito urbano.

Lo ha chiarito la Corte di Cassazione, Sez. II civ., con la sentenza 06.07.2011 n. 14903.
La polizia municipale di Venezia ha sanzionato un esercente che ha effettuato pubblicità abusiva mediante un impianto bifacciale montato su un rimorchio. Contro questa violazione l'interessato ha proposto con successo ricorso al giudice di pace che ha accolto le censure annullando l'ordinanza ingiunzione del comune. La Corte ha bacchettato il magistrato onorario confermando la multa legittimamente elevata dai vigili urbani.
Il regolamento comunale di Venezia approvato ai sensi del dlgs 507/1993, specifica infatti la sentenza, vieta espressamente l'effettuazione di pubblicità su impianti di grande formato «autotrasportati pur se stazionanti e comunque visibili dalla pubblica viabilità». In pratica nell'esercizio delle prerogative legittimamente attribuite al comune il locale regolamento ha introdotto un precetto di chiara applicazione. Sul territorio comunale è vietata la pubblicità effettuata con i veicoli.
Questa disposizione comporta le conseguenze sanzionatorie previste nel medesimo regolamento. Non si tratta quindi in questo caso di fare applicazione del codice stradale che tra l'altro sulla questione è particolarmente severo vietando in generale la pubblicità sui veicoli per conto terzi a titolo oneroso. Sulla questione dei camion vela è infine necessario segnalare la mancata attuazione delle mini riforma introdotta l'anno scorso con la legge 120/2010.
Entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della novella doveva essere modificato l'art. 57 del regolamento del codice della strada in modo da consentire la pubblicità non luminosa per conto di terzi anche sui veicoli appartenenti alle onlus, alle associazioni di volontariato iscritte nei registri e alle associazioni sportive dilettantistiche in possesso del riconoscimento ai fini sportivi rilasciato dal Coni.
Il provvedimento doveva inoltre ampliare ulteriormente la potestà regolamentare in materia dei comuni. Al momento però non c'è traccia di questi provvedimenti (articolo ItaliaOggi del 10.08.2011).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOIl recupero delle somme indebitamente percepite dal dipendente deve essere effettuato al netto e non già al lordo delle ritenute fiscali e previdenziali.
Il collegio non ha motivo di discostarsi dal consolidato indirizzo interpretativo in forza del quale il recupero delle somme indebitamente percepite dal dipendente deve essere effettuato al netto e non già al lordo delle ritenute fiscali e previdenziali.
Al riguardo, fra le più recenti pronunce in tal senso, si può fare riferimento alla decisione della Sez. VI, 02.03.2009, n. 1164, secondo la quale la ripetizione dell'indebito nei confronti del dipendente, da parte dell'Amministrazione, non può non avere ad oggetto le somme da quest'ultimo percepite in eccesso, ossia quanto e solo quanto effettivamente sia entrato nella sfera patrimoniale del dipendente, non potendosi, invece, pretendere la ripetizione di somme al lordo delle ritenute fiscali (e previdenziali e assistenziali), allorché le stesse non siano mai entrate nella sfera patrimoniale del dipendente.
Ne consegue che la P.A., nel procedere al recupero di somme indebitamente erogate ai propri dipendenti, deve effettuare tale recupero al netto delle ritenute fiscali, previdenziali e assistenziali (Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 04.07.2011 n. 3984 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

LAVORI PUBBLICIL'inosservanza da parte della Pubblica Amministrazione, nella sistemazione e manutenzione di una strada, delle regole tecniche, ovvero dei comuni canoni di diligenza e prudenza, può essere denunciata dal privato davanti al Giudice ordinario, sia quando è volta a conseguire la condanna ad un facere, sia quando ha per oggetto la richiesta del risarcimento del danno patrimoniale, giacché la domanda non investe scelte ed atti autoritativi dell'amministrazione, ma attività soggetta al rispetto del principio del neminem laedere.
Secondo una consolidata giurisprudenza della Corte regolatrice, d’altra parte, l'inosservanza da parte della Pubblica Amministrazione, nella sistemazione e manutenzione di una strada, delle regole tecniche, ovvero dei comuni canoni di diligenza e prudenza, può essere denunciata dal privato davanti al Giudice ordinario, sia quando è volta a conseguire la condanna ad un facere, sia quando ha per oggetto la richiesta del risarcimento del danno patrimoniale, giacché la domanda non investe scelte ed atti autoritativi dell'amministrazione, ma attività soggetta al rispetto del principio del neminem laedere (cfr. Cass., S.U., 20.10.2006 n. 22521; 14.01.2005 n. 599; 18.10.2005, n. 20117; 28.11.2005, n. 25036).
Né, per andare in contrario avviso, potrebbe valere il disposto del d.lgs. n. 80 del 1998, art. 34, come novellato dall’art. 7 della L. n. 205 del 2000, stante la riscrittura di tale norma ad opera della pronunzia della Corte Costituzionale 06.07.2004 n. 204, applicabile anche ai giudizi in corso (Cass. S.U., 06.05.2002 n. 6487; Cass. S.U., 14.01.2005 n. 599) (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 30.06.2011 n. 3922 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il fatto costitutivo dell’obbligo giuridico del titolare della concessione edilizia, di versare il contributo previsto, è rappresentato dal rilascio della concessione medesima, ed è a tale momento, quindi, che occorre aver riguardo per la determinazione dell’entità del contributo, divenendo il relativo credito certo, liquido o agevolmente liquidabile ed esigibile.
Né alcun rilievo in senso contrario può assumere la circostanza che al Comune sia espressamente riconosciuta la facoltà di stabilire modalità e garanzie per il pagamento del contributo, atteso che l’atto di imposizione non ha carattere autoritativo ma si risolve in un mero atto ricognitivo e contabile, applicativo di precedenti provvedimenti di carattere generale, e la sua mancata tempestiva adozione non implica alcun potere dell’Amministrazione di differire il suo diritto di credito, configurandosi piuttosto come mancato esercizio del diritto stesso, idoneo a far decorrere il periodo di prescrizione.
Sicché, il dies a quo da cui far decorrere il termine decennale di prescrizione comincia decorrere dal momento stesso del rilascio della concessione edilizia.

I ricorrenti ... hanno eccepito l’avvenuta prescrizione del diritto di credito, tardivamente azionato dal Comune di Poggiomarino dopo oltre dieci anni dal rilascio dei titoli edilizi.
Il ricorso è fondato e va, pertanto, accolto.
Invero, sulla questione di diritto posta a base dell’odierna controversia, concernente l’individuazione del dies a quo da cui far decorrere il termine decennale di prescrizione, sono state formulate in giurisprudenza diverse soluzioni interpretative del quadro normativo di riferimento (artt. 1, 3, 4, 6 e 11, comma 2, della L. 28.01.1977 n. 10, vigente ratione temporis).
Secondo un primo indirizzo, seguito in passato anche da questa Sezione, la prescrizione del diritto al contributo, rapportato al costo di costruzione, comincia a decorrere dall’ultimazione delle opere, la cui prova deve essere fornita da chi intende avvalersi della prescrizione stessa, per cui il mancato assolvimento dell’onere pone a carico dell’inadempiente il protrarsi dell’esercitabilità dell’azione di recupero del credito, il cui termine prescrizionale non inizia decorrere (cfr. TAR Calabria, Catanzaro, Sezione II, 22.01.2007 n. 21; TAR Campania, Napoli, Sezione II, 30.06.2004 n. 9821 e 11.07.2006 n. 7392). Una diversa opzione ermeneutica, valorizzando il disposto dell’art. 4, comma 4, della L. n. 10/1977 –secondo cui l’opera deve essere comunque ultimata (abitabile o agibile), salvo proroga, entro tre anni dal rilascio della concessione– sostiene che, in mancanza di una specifica dichiarazione di ultimazione dei lavori, la prescrizione inizia a decorrere ma il dies a quo deve essere portato avanti di un triennio (cfr. in termini, con riguardo ad altri ricorsi proposti contro lo stesso Comune di Poggiomarino, TAR Campania, Sezione II, 23.10.1997 n. 2611 e 2612).
Secondo altro orientamento, riaffermato anche di recente dal Giudice d’appello, il detto termine di prescrizione comincia invece a decorrere dal momento stesso del rilascio della concessione edilizia (cfr. TAR Campania, Salerno, Sezione II, 04.04.2008 n. 474; Consiglio di Stato, Sezione V, 13.06.2003 n. 3332 e Sezione IV, 16.01.2009 n. 216, con cui è stata riformata la sopra citata sentenza di questa Sezione n. 7392/2006).
Il Collegio ritiene di aderire a quest’ultimo indirizzo, in quanto fornisce la più convincente ricostruzione interpretativa dell’insieme di previsioni normative sopra evocate.
La disposizione dell’art. 11 della legge n. 10 del 1977, in tema di Versamento del contributo afferente alla concessione, stabilisce quanto segue: “La quota di contributo di cui al precedente articolo 6 è determinata all’atto del rilascio della concessione ed è corrisposta in corso d’opera con le modalità e le garanzie stabilite dal comune e, comunque, non oltre sessanta giorni dalla ultimazione delle opere”.
Come condivisibilmente argomentato nell’ultima decisione citata del Consiglio di Stato (n. 216/2009), le cui considerazioni vanno integralmente richiamate, da tale norma si desume “che il fatto costitutivo dell’obbligo giuridico del titolare della concessione edilizia, di versare il contributo previsto, è rappresentato dal rilascio della concessione medesima, ed è a tale momento, quindi, che occorre aver riguardo per la determinazione dell’entità del contributo, divenendo il relativo credito certo, liquido o agevolmente liquidabile ed esigibile.
Né alcun rilievo in senso contrario può assumere la circostanza che al Comune sia espressamente riconosciuta la facoltà di stabilire modalità e garanzie per il pagamento del contributo, atteso che l’atto di imposizione non ha carattere autoritativo ma si risolve in un mero atto ricognitivo e contabile, applicativo di precedenti provvedimenti di carattere generale, e la sua mancata tempestiva adozione non implica alcun potere dell’Amministrazione di differire il suo diritto di credito, configurandosi piuttosto come mancato esercizio del diritto stesso, idoneo a far decorrere il periodo di prescrizione
” (TAR Campania-Napoli, Sez. II, sentenza 28.06.2011 n. 3456 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Appare poco ragionevole pretendere che un soggetto che ha richiesto il parere preventivo in merito ad un’opera edilizia, sul quale la competente Commissione Edilizia si è espressa negativamente, debba comunque presentare la domanda di titolo (il cui esito, ragionevolmente, coinciderà col parere negativo) senza poter contestare il parere stesso che, pur non concludendo il procedimento (per vero non ancora iniziato) di rilascio del titolo, quanto meno costituisce un arresto procedimentale.
In altre parole, il Collegio ritiene che l’interessato, nella evidenziata situazione, pur se non ha l’obbligo (a pena di inammissibilità del ricorso avverso il diniego di titolo) di impugnare il parere preventivo di segno negativo, ne abbia tuttavia la facoltà.

La ricorrente Società impugna il provvedimento n. 7515 del 05.06.2000 del Comune di Ronchi dei Legionari, con cui si comunica la sfavorevole determinazione della Commissione Edilizia sulla richiesta di parere preventivo per la realizzazione di un capannone in area di cava.
Dapprima, benché l’atto di cui si controverte non chiuda un procedimento, ma esprima solo un parere di massima, esso tuttavia, per il suo contenuto, è idoneo a determinare un arresto procedimentale, come tale immediatamente impugnabile .
Il Collegio non ignora che vi è giurisprudenza che si è espressa nel senso indicato dal Comune (si veda, ad esempio TAR Lombardia-Brescia n. 588/2011), tuttavia non ritiene di poter aderire a tale prospettazione poiché appare poco ragionevole pretendere che un soggetto che ha richiesto il parere preventivo in merito ad un’opera edilizia, sul quale la competente Commissione Edilizia si è espressa negativamente, debba comunque presentare la domanda di titolo (il cui esito, ragionevolmente, coinciderà col parere negativo) senza poter contestare il parere stesso che, pur non concludendo il procedimento (per vero non ancora iniziato) di rilascio del titolo, quanto meno costituisce un arresto procedimentale.
In altre parole, il Collegio ritiene che l’interessato, nella evidenziata situazione, pur se non ha l’obbligo (a pena di inammissibilità del ricorso avverso il diniego di titolo) di impugnare il parere preventivo di segno negativo, ne abbia tuttavia la facoltà (in questo senso, ad esempio: TAR Emilia Romagna-Bologna n. 419/2011) (TAR Friuli Venezia Giulia, sentenza 10.06.2011 n. 278 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Poteri ampi al Prefetto nell'accertamento dell'infiltrazione mafiosa.
Contratti della pubblica amministrazione – Informative antimafia di cui all’art. 10 del d.p.r. 252/1998 – Ampi poteri di accertamento del Prefetto – Conseguenze in relazione al contenuto delle informative.
Nel rendere le informazioni antimafia di cui all’art. 10 del d.p.r. n. 252/1998, il Prefetto, visti gli ampi poteri di accertamento di cui dispone, deve effettuare la propria valutazione sulla scorta di un quadro di indizi sufficientemente chiaro, preciso e non arbitrario, ove assumono rilievo preponderante i fattori induttivi della non manifesta infondatezza che i comportamenti e le scelte dell'imprenditore possano rappresentare un veicolo di infiltrazione delle organizzazioni criminali negli appalti delle pubbliche amministrazioni.
Il caso.
Un’impresa edile aveva partecipato, in qualità di mandante di un raggruppamento temporaneo di imprese, ad una gara per l’appalto di lavori pubblici indetta dalla Provincia di Reggio Calabra e tale raggruppamento era risultato aggiudicatario della procedura.
Tuttavia, nelle more della stipulazione del relativo contratto, la stazione appaltante aveva comunicato al RTI un’informativa antimafia, emanata dalla Prefettura di Reggio Calabria ai sensi dell’art. 10, comma 2, del D.P.R. 03.06.1998 n. 252. Da questa nota si evinceva -tra l’altro– che dalle verifiche disposte dal Prefetto erano emersi elementi concernenti tentativi d’infiltrazione mafiosa in ordine alla posizione della mandante del raggruppamento. Conseguentemente, al fine di consentire al RTI il prosieguo della partecipazione alla procedura di selezione, la stazione appaltante aveva intimato alla società capogruppo del raggruppamento di estromettere dalla sua compagine l’impresa mandante o, comunque, di sostituirla.
Il titolare della ditta interessata dall’informativa prefettizia presentava ricorso dinanzi al TAR Calabria, impugnando –sotto vari profili– tanto gli atti della Prefettura quanto quelli adottati dalla stazione appaltante. In particolare, veniva denunciata la violazione dell’art. 10 comma 2 del d.p.r. n. 252/1998 sul rilievo che nel caso di specie non sussistevano circostanze concrete dalle quali emergeva il tentativo di infiltrazione mafiosa in quanto il Prefetto aveva fondato il pericolo di infiltrazione su meri elementi di fatto e circostanze prive di rilievo.
Con sentenza n. 202/2007, il TAR Calabria respingeva il ricorso evidenziando che la normativa sulle informative antimafia privilegia una concezione della pericolosità in senso oggettivo, la quale prescinde quindi dalla individuazione di responsabilità personali. In quest’ottica, pertanto, le informative prefettizie di cui all’art. 10 del d.p.r. n. 252/1998 non devono provare l’intervenuta infiltrazione, essendo invece sufficiente che dimostrino la sussistenza di elementi dai quali sia deducibile il tentativo di ingerenza. In altri termini, è sufficiente che l’informativa sia supportata da elementi sintomatici o da mere presunzioni, in grado di far emergere elementi di “pericolosità presunta”.
La decisione.
Con la sentenza 23.05.2011 n. 3104, il Consiglio di Stato, Sez. III, ha rigettato il ricorso in appello, confermando la validità delle statuizioni rese dal TAR Calabria.
Al riguardo, il giudice amministrativo ha affermato che nel rendere le informative di cui all’art. 10 del d.p.r. n. 252/1998, il Prefetto effettua una valutazione basata su quadro di indizi sufficientemente chiaro, preciso e non arbitrario, ove assumono rilievo preponderante i fattori induttivi della non manifesta infondatezza che i comportamenti e le scelte dell'imprenditore possano rappresentare un veicolo di infiltrazione delle organizzazioni criminali negli appalti pubblici.
In altri termini, l’ampiezza dei poteri di accertamento consente al Prefetto di ravvisare l’emergere di tentativi di infiltrazione mafiosa anche in fatti di per sé privi dell'assoluta certezza (es. condanna non irrevocabile, collegamenti parentali con soggetti malavitosi, dichiarazioni di pentiti, ecc.), ma che comunque risultano idonei a fondare, nel loro complesso, un giudizio di possibilità che l'attività d’impresa agevoli anche indirettamente le attività criminali o ne sia in qualche modo condizionata. Ciò in quanto –sottolinea il Consiglio di Stato- la ratio sottesa all’informativa in questione è espressione della logica di anticipazione della soglia di difesa sociale ai fini di una tutela avanzata nel contrasto alla criminalità organizzata nell’ambito degli appalti pubblici.
Alla luce di tali criteri, il Consiglio di Stato ha rilevato la correttezza della sentenza impugnata, avendo quest’ultima correttamente chiarito come il Prefetto abbia dedotto la situazione di pericolo di infiltrazione mafiosa da un complesso unitario di elementi gravi, precisi e concordanti (tra cui anche vicende penalmente rilevanti).
Ed infatti, nel caso di specie l’inferenza della pericolosità muove dalla circostanza che una serie di fatti, indubbiamente non isolati, concorrono reiteratamente ad integrare un pericolo contro il quale risulta doveroso l’approntamento della tutela anticipata cui è preordinata l’informativa prefettizia (commento tratto da www.diritto24.ilsole24ore.com - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: D.I.A. - Natura - E' atto di un soggetto privato - Tutela del terzo - Azione di accertamento dell'inesistenza dei presupposti per intraprendere l'attività in base alla D.I.A. - Esperibilità.
La natura della D.I.A. è quella di atto di un soggetto privato ed è pertanto esperibile da un terzo un'azione di accertamento dell'inesistenza dei presupposti per intraprendere l'attività in base alla D.I.A. (cfr. Cons. di Stato, sent. n. 917/2009: tuttavia, la questione della natura della D.I.A. e della sua impugnabilità diretta è stata rimessa alla Adunanza Plenaria dalla IV sez. con ordinanza n. 14/2011; TAR Milano, sent. 4886/2009) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 29.04.2011 n. 1105 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. Recupero abitativo dei sottotetti esistenti - Art. 64, L.R. Lombardia n. 12/2005 - Piano regolatore successivo all'edificazione dello stabile - Altezza massima degli edifici - Ulteriore innalzamento da recupero del sottotetto - Inammissibilità.
2. Recupero abitativo dei sottotetti esistenti - Realizzazione di locale sottotetto con vani distinti e comunicanti con il piano sottostante mediante una scala interna - Natura di vani tecnici - Non sussiste - Fattispecie.
1.
La ratio dell'art. 64 della L.R. 12/2005, laddove vieta il superamento dei limiti di altezza previsti dagli strumenti urbanistici, è senza dubbio quella di evitare che attraverso il recupero abitativo dei sottotetti esistenti vengano nei fatti eluse o violate le prescrizioni urbanistiche vincolanti in tema di altezza massima di edifici, giacché tale superamento finirebbe per aggravare carichi urbanistici spesso assai consistenti, ponendo così in discussione equilibri urbanistici talora fragili, soprattutto nell'agglomerato urbano milanese.
Di conseguenza, laddove uno stabile già superi l'altezza massima prevista da disposizioni di piano successive alla sua edificazione, non può consentirsi un ulteriore innalzamento, derivante dal recupero del sottotetto, in quanto ciò sarebbe eccessivamente lesivo dell'interesse della collettività al rispetto dei carichi urbanistici della zona (cfr. TAR Milano, sent. n. 7612/2010).
2. La realizzazione di un locale sottotetto con vani distinti e comunicanti con il piano sottostante mediante una scala interna è indice rivelatore dell'intento di rendere abitabile detto locale, non potendosi considerare volumi tecnici i vani in esso ricavati (nel caso di specie si è voluto creare un locale con requisiti di abitabilità, rendendolo non abitabile con una semplice operazione di tamponamento delle finestre) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 29.04.2011 n. 1105 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. Volumi tecnici - Definizione.
2. Volumi tecnici - Individuazione - Criteri - Fattispecie.

1. Vanno considerati come volumi tecnici -e come tali non rilevanti ai fini della volumetria di un immobile- quei volumi destinati esclusivamente agli impianti necessari per l'utilizzo dell'abitazione e che non possono essere ubicati al suo interno, mentre non sono tali -e sono quindi computabili ai fini della volumetria consentita- le soffitte, gli stenditori chiusi e quelli «di sgombero», nonché il piano di copertura, impropriamente definito sottotetto, ma costituente in realtà una mansarda, in quanto dotato di rilevante altezza media rispetto al piano di gronda (cfr. Cons. di Stato, sent. 812/2011).
2. Ai fini dell'individuazione della natura di locale tecnico di un vano occorre avere riguardo agli indici rivelatori non solo della futura destinazione dell'opera, bensì anche della sua intrinseca natura di locale con destinazione residenziale e non locale tecnico (nel caso di specie, in cui si è creato un locale con requisiti di abitabilità, la semplice tamponatura delle finestre risulta essere una operazione talmente semplice che, seppure apparentemente e temporaneamente idonea a privare i locali del requisito della abitabilità, tuttavia non può portare a considerare l'intervento irrilevante dal punto di vista dei parametri edilizi, quali l'altezza) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 29.04.2011 n. 1105 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: 1. Comunicazione di avvio del procedimento - Finalità - Tutela degli interessi del privato e riduzione dei margini d'errore della P.A.
2. Mancata comunicazione di avvio del procedimento - In procedimenti a ridotto o nullo contenuto discrezionale - Illegittimità - Ratio.

1. La finalità della regola procedimentale di cui all'art. 7, Legge 241/1990, consiste, in particolare, nell'esigenza di assicurare piena visibilità all'azione amministrativa nel momento della sua formazione e di garantire al contempo la partecipazione del destinatario dell'atto finale alla fase istruttoria preordinata alla sua adozione, sicché la relativa verifica circa la sussistenza di eventuali vizi da parte della P.A. non va compiuta con esclusivo e rigido riferimento all'adempimento formale della notifica all'interessato dell'avviso di avvio del procedimento, ma con riguardo alla realizzazione sostanziale degli interessi sottesi alla suddetta norma: ciò permette, al contempo, di tutelare gli interessi del privato e di ridurre i margini di errori della P.A. (cfr. Cons. di Stato, sent. n.2823/2001, n. 4836/2005, n. 36/2007, n. 3442/2009).
2. L'assenza di discrezionalità in vista dell'adozione di un provvedimento non potrebbe di per sé indurre ad escludere ogni margine di proficuità alla collaborazione degli interessati, tenuto conto della possibilità di errore da parte della P.A. nell'accertamento e nella valutazione dei presupposti giustificativi del potere esercitato: la partecipazione al procedimento amministrativo può, pertanto, rilevarsi utile anche in relazione ai procedimenti a ridotto contenuto discrezionale, al fine di evitare l'emanazione di un atto che altrimenti potrebbe essere affetto da eccesso di potere per erroneità nei presupposti e nelle valutazioni (cfr. Cons. di Stato, sent. n. 4899/2009; TAR Salerno, sent. n. 11084/2010; TAR Napoli, sent. n. 1215/2010; TAR Catanzaro, sent. n. 283/2006) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 27.04.2011 n. 1084 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: 1. Acquiescenza - Nozione.
2. Acquiescenza - Presupposti - Acquiescenza c.d. preventiva - Inconfigurabilità.
1.
E' acquiescenza quella desumibile da comportamenti univoci posti liberamente in essere e che dimostrino l'indiscutibile volontà del privato di accettare gli effetti di un provvedimento amministrativo (cfr. Cons. di Stato, sent. n. 5482/2005; sent. n. 3360/2003; sent. n. 1990/2003).
2. Presupposto dell'acquiescenza è l'attualità della lesione e, quindi, la già avvenuta emanazione del provvedimento pregiudizievole, non essendo possibile rinunciare all'azione prima dell'insorgenza dell'interesse alla sua proposizione.
Pertanto, non è configurabile la c.d. acquiescenza preventiva, dal momento che non è configurabile una rinuncia preventiva alla tutela giurisdizionale dell'interesse legittimo, effettuata prima della lesione di quest'ultimo, ossia nel momento in cui, non essendo ancora attuale la lesione stessa, lo strumento di tutela non è ancora azionabile, né si può ipotizzare alcuna acquiescenza nei riguardi di un provvedimento amministrativo ancora non emanato (cfr. Cons. di Stato, sent. n. 6678/2006, n. 5583/2009; TAR Milano, sent. n. 880/2011; TAR Genova, sent. n. 760/2008)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 27.04.2011 n. 1080 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Telefonia mobile - Realizzazione di impianti di telecomunicazione - Presupposti - Parere preventivo di un'autorità preposta alla tutela ambientale, della salute o del patrimonio storico-artistico - Necessità.
In materia di installazione per impianti di Stazioni Radio Base per telefonia cellulare, la necessità della preventiva acquisizione di un parere di un'amministrazione preposta alla tutela ambientale, della salute o del patrimonio storico-artistico è desunta, a contrario, dall'art. 87, commi 6-9, D.Lgs. 259/2003 che, nel prevedere espressamente che il parere contrario -c.d. motivato dissenso- assunto dalla P.A. impedisce la formazione del silenzio assenso, postula la necessità che un parere comunque venga espresso (TAR Napoli, sent. n. 3454/2006; TAR Palermo, sent. n. 203/2005)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 27.04.2011 n. 1080 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: Ricorso amministrativo - Legittimazione e interesse a ricorrere - Vicinitas - Insufficienza - Pregiudizio specifico - Necessità - Pregiudizio potenziale - Rilevanza - Limiti.
In materia di impugnazione dei piani urbanistici, l'interesse al ricorso dei relativi atti di pianificazione non può essere provato solo con la situazione dello stabile collegamento con la zona interessata dalle opere, bensì attraverso la dimostrazione del pregiudizio effettivo o anche potenziale, ma direttamente conseguente all'adozione degli atti gravati, e della connessa "utilitas" ricavata dall'accoglimento del ricorso; a tal fine, dall'esecuzione del provvedimento deve discendere in via immediata e personale un danno certo alla sfera giuridica del ricorrente, ovvero potenziale, nel senso, però, che la lesione si verificherà in futuro con un elevato grado di certezza, mentre deve escludersi il presupposto in questione nell'ipotesi in cui il danno derivante dall'attuazione dell'atto impugnato sia meramente eventuale, e, cioè, quando lo stesso non risulti, di per sé, capace di arrecare una lesione diretta alla sfera del soggetto ricorrente, né risulti sicuro che il danno si realizzerà in un secondo tempo (cfr. TAR Milano, sent. n. 90/2011, n. 4345/2009)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 27.04.2011 n. 1076 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: PGT - Destinazione a zona agricola - Utilizzo per coltivazione - Non necessita - Finalità di tutela ambientale - Legittimità.
La destinazione agricola di un'area non implica necessariamente l'esercizio dell'attività agricola sulla stessa, potendo invece essere ispirata anche da esigenze di salvaguardia ambientale (cfr. TAR Milano, sent. 7508/2010; Cons. di Stato, sent. n. 1015/2011, n. 6874/2010)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 27.04.2011 n. 1074 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: 1. Elaborazione preparatoria del piano urbanistico - Idoneità a radicare uno specifico affidamento riguardo alla destinazione finale delle aree considerate - Non sussiste - Ratio.
2. P.I.I. - Parere di compatibilità con il P.T.C.P. - Competenza della Giunta Provinciale - Sussiste.

1. A fronte di un progetto di variante redatto dai tecnici incaricati, non può sorgere alcun affidamento in capo ai proprietari delle aree interessate: in particolare, la elaborazione preparatoria del piano urbanistico non può radicare uno specifico affidamento riguardo alla destinazione finale delle aree considerate, essendo rimesso unicamente al competente organo comunale di compiere, in una prospettiva generale, le valutazioni conclusive di merito sulle soluzioni tecniche prospettate, in vista del perseguimento di finalità generali di pubblico interesse (cfr. Cons. di Stato, sent. n. 5881/2008, TAR Milano, sent. n. 91/2011, n. 1338/2004).
2. Il parere provinciale di compatibilità del P.C.T.P. con il P.G.T. comunale o i suoi piani attuativi, anche in variante, non costituisce una manifestazione della generale potestà di pianificazione riconosciuta nel Testo Unico degli Enti Locali all'organo consigliare, quanto piuttosto una valutazione di ordine tecnico, non riservata al Consiglio, risultando conseguentemente competente la Giunta Provinciale ad adottare il parere di compatibilità del P.I.I. con il P.T.C.P. impugnato (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 27.04.2011 n. 1070 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. Competenza e giurisdizione - Giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo - Questioni attinenti all'an e al quantum dell'oblazione e del contributo per oneri di urbanizzazione e costo di costruzione - Sussiste - Ratio.
2. Concessione in sanatoria - Oneri concessori - Provvedimento di liquidazione - Particolare motivazione - Non necessita.

1. In materia di determinazione dell'an e del quantum dell'oblazione e del contributo per oneri di urbanizzazione e costo di costruzione per opere soggette a permesso di costruire in sanatoria -che si presenta come attività di natura paritetica, effettuata dalla P.A. in base a rigidi parametri, prefissati da leggi e regolamenti vertenti sui criteri impositivi e senza l'esplicazione di potestà autoritativa- sussiste la giurisdizione esclusiva del G.A., proprio in quanto si tratta di controversie concernenti le rispettive posizioni di diritto soggettivo ed obbligo delle parti del rapporto giuridico in questione (cfr. Cons. di Stato, sent. n. 7466/2010, n. 1388/1996).
2. La determinazione degli oneri previsti per il rilascio del titolo in sanatoria non necessita di particolare motivazione, in quanto costituisce il risultato di un calcolo materiale, essendo la misura concreta direttamente ricollegata dalla legge al carico urbanistico accertato, secondo parametri rigorosamente stabiliti (cfr. Cons. di Stato, sent. n. 584/2011; TAR Catania, sent. n. 2847/2010; TAR Parma, sent. n. 351/2010; TAR Roma, sent. n. 3862/2009; TAR Milano, sent. n. 1065/2006) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 27.04.2011 n. 1069 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. Competenza e giurisdizione - Giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo - Atti, provvedimenti e comportamenti della P.A. in materia edilizia ed urbanistica - Sussiste.
2. Ricorso giurisdizionale - Termine per impugnare - Materie devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo - Controversia attinente a diritti patrimoniali inerenti a situazione paritetica tra cittadino e P.A. - Termine di prescrizione.
1. Sono devolute alla giurisdizione esclusiva del G.A. le controversie aventi per oggetto gli atti, i provvedimenti ed i comportamenti delle P.A. in materia urbanistica ed edilizia, nella quale sono compresi la totalità degli aspetti dell'uso del territorio, inclusa, altresì, la materia relativa alla determinazione, liquidazione e riscossione degli oneri di urbanizzazione e relative sanzioni: in particolare, sussiste la giurisdizione del G.A. anche in caso di richiesta, mediante cartella esattoriale, di pagamento del contributo per gli oneri di urbanizzazione e conseguenti sanzioni (cfr. Cass. Civ., SS.UU., sent. n. 22514/2006).
2. Nelle materie devolute alla giurisdizione esclusiva del Giudice Amministrativo, ove la controversia si riferisca a diritti patrimoniali che non dipendano dall'esercizio di una potestà autoritativa e discrezionale, ma ineriscano ad una situazione paritetica tra cittadino e P.A., concretantesi nella precisa determinazione di un credito patrimoniale che trova la sua base nella legge, il termine per adire il G.A. non è l'ordinario termine di decadenza, bensì l'assai più ampio termine di prescrizione del diritto (cfr. Cons. di Stato, sent. n. 2258/2006, n. 2543/2000; TAR Bari, sent. n. 2078/2008) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 27.04.2011 n. 1069 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Acquiescenza - Presupposti - Mera tolleranza contingente e compimento di atti necessari a limitare il pregiudizio arrecato dal provvedimento - Insufficienza.
L'acquiescenza ad un provvedimento esige, per la sua configurabilità, il compimento di atti o comportamenti univoci posti liberamente in essere dal destinatario dell'atto, che dimostrino la sua chiara ed irrefutabile volontà di accettarne gli effetti e che si riferiscono ad un momento successivo a quello in cui si verifica la lesione dell'interesse legittimo azionato. Non è sufficiente, dunque, a tal fine, un atteggiamento di mera tolleranza contingente e neppure il compimento di atti resi necessari od opportuni, nell'immediato, dall'esistenza del suddetto provvedimento, in una logica soggettiva di riduzione del pregiudizio, che non per questo escludono l'eventuale coesistente intenzione dell'interessato di reagire, poi, per l'eliminazione degli effetti del provvedimento stesso (cfr. Cass. Civ., SS.UU., sent. n. 12339/2010; TAR Roma, sent. n. 33037/2010) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 27.04.2011 n. 1069 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Nuova costruzione - Nozione - In caso di mutamento di destinazione d'uso con variazione degli standard - Sussiste.
Il concetto di nuova costruzione riguarda non soltanto la realizzazione di un manufatto su area libera, ma include, altresì, ogni intervento di ristrutturazione che renda un manufatto oggettivamente diverso da quello preesistente: in particolare, tale oggettiva diversità sussiste ogniqualvolta si abbia un mutamento di destinazione d'uso che implichi la variazione degli standard, poiché detta destinazione d'uso rappresenta un elemento determinante della tipologia del manufatto (cfr. Cons. di Stato, sent. n. 4256/2008; TAR Milano, sent. n. 1787/2010; TAR Torino, sent. n. 940/2010) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 27.04.2011 n. 1069 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Procedimento amministrativo - Comunicazione di avvio - Omissione - In caso di avvenuta conoscenza del procedimento e di possibilità interlocutoria verso la P.A. - Irrilevanza dell'omissione.
E' irrilevante l'omissione della comunicazione ex art. 7, Legge 241/1990 qualora l'interessato sia venuto comunque a conoscenza del procedimento, con conseguente possibilità di interloquire con la P.A. (cfr. TAR Milano, sent. n. 175/2010; TAR Catanzaro, sent. n. 2908/2010; TAR Umbria, sent. n. 400/2010; TAR Basilicata, sent. n. 216/2010) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 27.04.2011 n. 1066 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Procedimento amministrativo - Comunicazione di avvio - In caso di provvedimento sanzionatorio - Necessità della comunicazione - Non sussiste.
I provvedimenti sanzionatori in materia edilizia costituiscono atti vincolati, per i quali non è necessaria la comunicazione ex art. 7, Legge 241/1990, soprattutto nel caso in cui la P.A. dimostri che il contenuto del provvedimento non poteva essere diverso (cfr. TAR Napoli, sent. n. 16548/2010, n. 15871/2007; TAR Lecce, sent. n. 2809/2010; TAR Lazio, sent. n. 35404/2010) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 27.04.2011 n. 1066 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: 1. Lottizzazione abusiva - Lottizzazione abusiva materiale e lottizzazione abusiva cartolare - Nozione.
2. Lottizzazione abusiva - Art. 30, D.P.R. 380/2001 - Finalità - Conseguenze - Lottizzazione vietata anche in presenza di talune singole strutture assentite da idoneo titolo edilizio - Configurabilità.
1.
Alla luce dell'art. 30, D.P.R. 380/2001, sono ravvisabili due tipi di lottizzazione abusiva, che peraltro possono coesistere: una materiale, configurabile allorché siano iniziate sul terreno opere che comportino trasformazione urbanistica o edilizia del medesimo in violazione delle prescrizioni degli strumenti urbanistici o comunque senza le prescritte autorizzazioni; ed una cartolare o formale, qualora la trasformazione sia predisposta attraverso il frazionamento e la vendita del terreno in lotti che, per le loro caratteristiche particolari, denuncino in modo non equivoco la destinazione a scopo edificatorio (cfr. TAR Milano, sent. n. 1553/2010).
2. In materia di lottizzazione abusiva, la relativa normativa di cui all'art. 30 D.P.R. 380/2001 è finalizzata ad impedire e reprimere quelle condotte materiali o giuridiche volte ad incrementare l'edificazione sul territorio, senza che tale incremento sia accompagnato dalla doverosa pianificazione urbanistica, che tenga conto delle conseguenze dell'edificazione in termini di nuovi servizi o nuove opere di urbanizzazione.
Pertanto, la lottizzazione abusiva può essere realizzata da qualsiasi tipo di opere in grado di stravolgere l'assetto territoriale e tale conseguenza deve essere valutata tenendo conto delle opere complessivamente considerate e non del singolo e specifico intervento edilizio, con la conseguenza che può esservi lottizzazione vietata ex art. 30 anche qualora talune delle singole strutture siano state assentite da idoneo titolo edilizio (cfr. TAR Liguria, sent. n. 243/2011; Cons. di Stato, sent. n. 5170/2010 e n. 3475/2010; TAR Salerno, sent. n. 3932/2010; TAR Catanzaro, sent. n. 264/2010; TAR Napoli, sent. n. 27691/2010)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 27.04.2011 n. 1066 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Opera edilizia precaria - Presupposti - Precarietà in senso funzionale.
L'elemento della precarietà di un'opera deve essere qualificato in senso funzionale, sicché non può reputarsi precaria l'opera, anche se amovibile, destinata ad un uso costante e prolungato nel tempo (cfr. TAR Milano, sent. n. 1003/2011, n. 3266/2010, TAR Lecce, sent. n. 688/2010; TAR Brescia, sent. n. 720/2009)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 27.04.2011 n. 1066 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Abusi - Sanatoria - Presupposti - Anteriorità dell'abuso rispetto all'apposizione del vincolo - Necessità.
Ex art. 32, Legge 47/1985 (norma espressamente richiamata dall'art. 32, Legge 326/2003 di conversione del D.L. 269/2003), sono suscettibili di sanatoria le opere insistenti su aree vincolate dopo la loro esecuzione, per cui non appare possibile procedere a condono per gli abusi commessi su beni vincolati prima degli abusi medesimi (cfr. Cass. Pen., sent. n. 40179/2010, TAR Milano, sent. 711/2008)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 27.04.2011 n. 1065 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. Telefonia mobile - Stazioni Radio Base - Localizzazione - Piani urbanistici comunali - Divieto di localizzazione di ordine generale - Illegittimità.
2. Telefonia mobile - Stazioni Radio Base - Localizzazione - Intervento conforme agli strumenti urbanistici vigenti - Diniego del titolo edilizio - Illegittimità.
3. Telefonia mobile - Realizzazione di impianti di telecomunicazione - Presupposti - Autorizzazione ex art. 87 D.Lgs. 259/2003 - Sufficienza - Permesso di costruire ex artt. 3 e 10, D.P.R. 380/2001 - Non necessita.
4. Telefonia mobile - Realizzazione di impianti di telecomunicazione - Valutazione di impatto ambientale - Non necessita.
5. Telefonia mobile - Infrastrutture di reti pubbliche di telecomunicazione e opere di urbanizzazione primaria - Assimilabilità - Conseguenze - Vicinanza al centro storico - Possibilità.

1. Sono illegittime le disposizioni pianificatorie comunali che introducano in termini assoluti divieti di installazione per impianti di Stazioni Radio Base per telefonia cellulare, anche solo su porzioni del territorio comunale (cfr. TAR Milano, n. 7030/2010, n. 210/209, 2845/2008, n. 1872/2008, n. 1815/2008, n. 6260/2007, n. 5777/2007; Cons. di Stato, sent. n. 6473/2010, n. 3332/2006, n. 3534/2006).
2. Ai sensi dell'art. 8, Legge 36/2001, sulla protezione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici, i comuni possono adottare un regolamento per assicurare il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti e minimizzare l'esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici: tuttavia, ove la P.A. non abbia adottato alcun regolamento per disciplinare la localizzazione di detti impianti, permane l'illegittimità di un diniego del prescritto titolo edilizio ove l'intervento sia conforme agli strumenti urbanistici vigenti (cfr., Cons. di Stato, sent. n. 1767/2008).
3. La realizzazione di impianti di telecomunicazione è subordinata soltanto all'autorizzazione prevista dall'art. 87 D.Lgs. 259/2003, che pone una normativa speciale ed esaustiva che include anche la valutazione della compatibilità edilizio-urbanistica dell'intervento, non occorrendo perciò il permesso di costruire di cui agli artt. 3 e 10, D.P.R. 380/2001 (cfr. Cons. di Stato, sent. n. 2436/2010, n.100/2005; TAR Napoli, sent. n. 19380/2004).
4. In materia di installazione per impianti di Stazioni Radio Base per telefonia cellulare, non occorre alcuna valutazione di impatto ambientale: infatti, solo l'art. 2-bis, comma 2, D.L. 01.05.1997, n. 115, convertito dalla legge 01.07.1997, n. 189 -ed ora abrogato- dispone genericamente che "la installazione di infrastrutture dovrà essere sottoposta ad opportune procedure di valutazione di impatto ambientale", senza affatto disporre di sottoporre tutti i progetti di strutture per la telefonia mobile a valutazione d'impatto ambientale: inoltre, il contenuto del richiamato art. 2-bis non è stato riprodotto nella legislazione successiva (cfr. Cons. di Stato, sent. n. 8377/2010).
5. Alla luce dell'assimilazione, ex art. 86, D.Lgs. 259/2003, delle infrastrutture di reti pubbliche di telecomunicazione alle opere di urbanizzazione primaria, è necessario che tali opere siano collegate e poste al servizio dell'insediamento abitativo e non siano avulse dallo stesso: è, pertanto, ammissibile l'insediamento dell'impianto di telefonia mobile nelle vicinanze del centro storico del Comune (cfr. Cons. di Stato, sent. n. 9404/2010, n. 7588/2010) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 22.04.2011 n. 1043 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Diniego di permesso di costruire in sanatoria - Potere vincolato - Difetto di motivazione - Violazione art. 10-bis L. n. 241/1990 - Inconfigurabilità.
In considerazione della natura vincolata del provvedimento di sanatoria, che costituisce mero risultato dell'attività di controllo circa la conformità dell'intervento alla normativa urbanistico-edilizia, il relativo provvedimento di diniego non è impugnabile per mancata comunicazione del c.d. preavviso di rigetto e/o per omessa valutazione delle osservazioni presentate dalla proprietà (cfr. Cons. di Stato, sent. n. 772/2010, TAR Milano, sent. 2211/2010)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 19.04.2011 n. 1004 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. Abuso edilizio - Onere della prova - A carico dell'autore - Sussiste - Ratio.
2. Abuso edilizio - Onere della prova - Autodichiarazione allegata alla domanda di condono edilizio - Natura - Principio di prova.
3. Abuso edilizio - Aerofotogrammetria attestante l'inesistenza dell'opera - Rigetto della domanda di condono - Legittimità.
4. Abuso edilizio - Provvedimento sanzionatorio - Comunicazione di avvio - Necessità - Non sussiste.
1.
In materia di ripartizione dell'onere della prova, rispetto al profilo specifico della data di realizzazione delle opere da sanare, l'onere grava sul richiedente la sanatoria: ciò, perché, mentre la P.A. non è normalmente in grado di accertare la situazione edilizia di tutto il proprio territorio alla data indicata dalla normativa sul condono, colui che richiede la sanatoria può, invece, fornire qualche documentazione da cui si desuma che l'abuso sia stato effettivamente realizzato entro la data predetta, come ad es. fatture, ricevute, bolle di consegna, relative all'esecuzione dei lavori e/o all'acquisto dei materiali.
Pertanto, colui che ha commesso l'abuso non può trasferire il suddetto onere in capo alla P.A. qualora non sia in grado di fornire elementi e documenti atti a sostenere la richiesta legittima di condono edilizio (cfr. Cons. di Stato, sent. n. 752/2011; TAR Milano, sent. n. 94/2011, n. 980/2005).
2. In materia di ripartizione dell'onere della prova, rispetto al profilo specifico della data di realizzazione delle opere da sanare, l'autodichiarazione del privato allegata alla domanda di condono edilizio, attestante la ultimazione delle opere abusive entro la data prevista dalla legge, non presenta valenza probatoria privilegiata, bensì costituisce esclusivamente un principio di prova, destinato a cedere in presenza di più consistenti elementi probatori in possesso della P.A.
3. E' legittimo il rigetto della domanda di condono di opere edilizie circa le quali, in base ad una aerofotogrammetria in possesso dell'Autorità comunale, sia stato provato che le stesse non erano esistenti alla data prevista dalla legge per conseguire il condono (cfr. Cons. di Stato, sent. n. 4359/2007);
4. Per i provvedimenti sanzionatori in materia edilizia non è necessaria la comunicazione di avvio del procedimento ex art. 7 Legge 241/1990, trattandosi di atti dovuti e rigorosamente vincolati, rispetto ai quali non sono richiesti apporti partecipativi del soggetto destinatario (cfr. TAR Roma, sent. n. 10470/2010; TAR Napoli, sent. n. 2667/2010) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 19.04.2011 n. 1003 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Opera edilizia precaria - Presupposti - Agevole removibilità e temporaneità della funzione.
La natura di precarietà di un'opera presuppone che questa sia agevolmente removibile, funzionale a soddisfare una esigenza oggettivamente temporanea -es. baracca o pista di cantiere, manufatto per una manifestazione- destinata a cessare dopo il tempo, normalmente non lungo, entro cui si realizza l'interesse finale (cfr. TAR Milano, sent. n. 3266/2010)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 19.04.2011 n. 1003 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. Permesso di costruire in sanatoria - Silenzio-assenso - Perfezionamento - Presupposti - Denuncia ICI - E' documento essenziale.
2. Permesso di costruire in sanatoria - Quantificazione degli oneri - Legge 326/2003 - Delibera consiliare n. 73/2007 - Ammontare degli oneri rapportato al momento del rilascio del titolo edilizio in sanatoria - Legittimità.

1. La formazione del silenzio assenso in materia di condono ai sensi della Legge 326/2003 implica in ogni caso la completezza della documentazione prevista dalla normativa: in particolare, la denuncia ICI costituisce documento essenziale, in assenza del quale non si può ritenere formato il silenzio assenso sulla domanda di permesso in sanatoria dell'esponente (cfr. TAR Milano, sent. n. 263/2011, n. 6955/2010, n. 1550/2010).
2. In materia di determinazione degli oneri di urbanizzazione da applicarsi al condono dell'anno 2003 e di corretta applicazione della delibera consiliare del Comune di Milano n. 73/2007 a situazioni nelle quali non opera il meccanismo del silenzio assenso, l'ammontare definitivo degli oneri deve essere rapportato al momento del rilascio del titolo edilizio in sanatoria (cfr. TAR Milano, sent. n. 818/2011) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 11.04.2011 n. 950 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: 1. Piano particolareggiato - Scadenza - Effetti sulla convezione attuativa - Rimedi esperibili - Sono rimessi all'iniziativa delle parti.
2. Discrezionalità della P.A. - In seguito a predisposizione di piano attuativo e relativa convenzione - Potere di adottare scelte urbanistiche di segno opposto - Sussiste - Condizioni.

1. La sopravvenuta scadenza del Piano Particolareggiato si ripercuote sulla relativa convenzione attuativa, ma non in via automatica, poiché è rimessa all'iniziativa della parte contraente la scelta del rimedio esperibile, a seconda del vizio addotto.
2. Anche dopo la predisposizione del piano attuativo e della relativa convenzione e nonostante la perdurante efficacia degli stessi, la P.A. mantiene intatto il potere di adottare, in prosieguo di tempo, scelte urbanistiche di segno opposto, a condizione che siano persuasive ed esplicitate le ragioni di pubblico interesse che inducono a ritenere superato l'assetto precedente (cfr. Cass. Civ., sent. n. 7691/2000, n. 12880/1998; Cons. di Stato, sent. n. 1116/1996) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 05.04.2011 n. 903 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. Distanza minima tra edifici - Art. 9 D.M. 1444/1968 - Sopraelevazioni e recupero sottotetti - Rispetto delle distanze - Necessità.
2. Distanza minima tra edifici - Art. 9 D.M. 1444/1968 - Sopraelevazioni e recupero sottotetti - Rispetto delle distanze - Necessità - Ratio.

1. Le porzioni di edificio risultanti dal recupero ai fini abitativi dei sottotetti esistenti devono considerarsi, ai fini del rispetto dell'art. 9, D.M. 1444/1968, quali nuove costruzioni, con la conseguenza che devono necessariamente essere collocate ad almeno 10 metri dalla parete dell'edificio antistante.
2. L'art. 9, D.M. 1444/1968, è norma di ordine pubblico, insuscettibile di deroga negli strumenti urbanistici e nei regolamenti locali (salvo peculiari eccezioni, non riscontrabili però nel caso di specie), volta ad impedire la realizzazione di intercapedini nocive sotto il profilo igienico, sicché deve essere rispettata anche in caso di sopraelevazioni o di recupero di sottotetti (cfr. Cons. di Stato, sent. n. 7731/2010; TAR Milano, sent. nn. 264/2011, 7511/2010, 3262/2010, 1991/2007; TAR Liguria, sent. n. 10243/2010; TAR Brescia, sent. n. 3240/2010) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 05.04.2011 n. 902 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - APPALTI: Giustizia amministrativa - Risarcimento del danno - Presupposti - Carattere colpevole della violazione normativa - Non necessita.
E' escluso, quantomeno per il settore degli appalti pubblici, che il diritto al risarcimento del danno da parte di una P.A. possa essere subordinato al carattere colpevole della violazione normativa (cfr. Corte Giustizia Unione Europea, sent. sez. III, 30.09.2010, causa C-314/09) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 05.04.2011 n. 901 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATA: Giustizia amministrativa - Risarcimento del danno - In caso di illegittima inibitoria di lavori edili - Quantificazione del danno - Criteri.
In caso di illegittima inibitoria di lavori edili da parte della P.A. e relativa determinazione del danno, i danni calcolandi devono essere limitati al periodo di efficacia del provvedimento inibitorio; occorre tenere conto soltanto dei danni che rappresentano una conseguenza diretta ed immediata dal provvedimento annullato: devono, pertanto, escludersi, ad esempio, le spese legali -giudiziali e stragiudiziali- sostenute dall'esponente; il risarcimento deve essere limitato al c.d. interesse patrimoniale negativo e non può estendersi al mancato guadagno; infine, sulle somme come sopra determinate vanno aggiunti gli interessi in misura legale e la rivalutazione monetaria, trattandosi di debito di valore e non di valuta, non applicandosi pertanto il c.d. principio nominalistico di cui all'art. 1277 del codice civile
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 05.04.2011 n. 901 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: 1. Giustizia amministrativa - Risarcimento del danno - Danno da ritardo ex art. 2-bis L. 241/1990 - Irretroattività - Sussiste.
2. Giustizia amministrativa - Risarcimento del danno - Presupposti - Tempestivo utilizzo dei mezzi di tutela offerti dall'ordinamento - Necessità.

1. L'art. 2-bis della legge 241/1990, che disciplina il c.d. "danno da ritardo", per il suo contenuto di novità rispetto alla pregressa disciplina, non ha effetto retroattivo e non può pertanto trovare applicazione alle fattispecie, come quella di cui è causa, anteriore alla sua entrata in vigore,
2. In caso di azione risarcitoria contenuta nel gravame amministrativo, non possono ritenersi risarcibili i danni che l'esponente avrebbe potuto evitare avvalendosi tempestivamente, secondo l'ordinaria diligenza, dei mezzi di tutela offerti dall'ordinamento, fra cui, come nel caso di specie, la rituale e tempestiva impugnazione dei provvedimenti amministrativi relativi al gravame stesso (cfr. Cons. di Stato, Ad. Pl., sent. n. 3/2011) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 05.04.2011 n. 900 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: Programma Integrato di Intervento - Termine di impugnazione per i terzi - Compimento formalità di pubblicazione.
In materia di atti di approvazione di un programma integrato di intervento, al pari di quelli di approvazione di un piano urbanistico attuativo, per i soggetti estranei al piano -ad esempio in quanto non proprietari di aree comprese nell'ambito di intervento- il termine di impugnativa decorre dal compimento delle formalità di pubblicazione (cfr. TAR Brescia, sent. n. 4559/2010; TAR Milano, sent. n. 5825/2007)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 05.04.2011 n. 899 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Bene pubblico - Caratteristiche.
Il carattere pubblico di un bene dipende dalle sue intrinseche connotazioni, indipendentemente dalla sua titolarità, sicché l'appartenenza ad un ente pubblico si giustifica per il fatto che il bene è fonte di beneficio per la collettività (cfr. Cass. Civ. SS.UU., sent. n. 3811/2011) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 05.04.2011 n. 898 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Concessione edilizia - Terzo confinante - Titolo a ricevere l'avviso di avvio del procedimento - Non sussiste.
In caso di domanda volta ad ottenere il rilascio di un titolo edilizio, il vicino del richiedente se, da un lato, può intervenire nel corso del relativo procedimento e può impugnare il provvedimento che accolga l'istanza, dall'altro, non ha titolo a ricevere l'avviso dell'avvio del procedimento, in quanto ciò comporterebbe un aggravio del procedimento, in violazione dei principi di economicità ed efficacia dell'attività amministrativa (cfr. Cons. di Stato, sent. nn. 1773/2005, 1533/2002, 1197/1999; TAR Milano, sent. n. 3253/2010; TAR Liguria, sent. n. 1736/2009) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 05.04.2011 n. 898 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Contratti della P.A. - Inosservanza delle disposizioni sull'affidamento dei contratti pubblici - Legittimazione al ricorso - Sussiste solo per soggetti operatori del settore.
L'inosservanza delle disposizioni sull'affidamento dei contratti pubblici può essere fatta valere esclusivamente da operatori del settore, aventi titolo a partecipare ad eventuali procedure concorsuali per la scelta del contraente della P.A. (cfr. TAR Milano, sent. n. 730/2011 e n. 7614/2010)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 05.04.2011 n. 898 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. Permesso di costruire - Termine di impugnazione - Decorrenza dalla percezione della lesività dell'opera.
2. Permesso di costruire - Termine di impugnazione - In assenza di elementi da cui si possa evincere la piena conoscenza dell'atto lesivo - Decorrenza dal completamento dei lavori.

1. Il termine per ricorrere in sede giurisdizionale avverso un titolo abilitativo all'edificazione decorre dal momento in cui è percepibile la lesività dell'opera realizzata, il che si verifica quando la costruzione già rivela in modo inequivoco le essenziali caratteristiche dell'opera e l'eventuale non conformità della stessa al titolo o alla disciplina urbanistica, (cfr. Cons. di Stato, sent. n. 18/2011, TAR Milano, sent. n. 7511/2010).
2. In assenza di elementi da cui si possa evincere la piena conoscenza dell'atto lesivo, il dies a quo per la decorrenza del termine di impugnazione di un titolo abilitativo all'edificazione va, di regola, individuato nel completamento dei lavori (cfr. Cons. di Stato, sent. n. 3378/2010) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 01.04.2011 n. 878 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: 1. Pianificazione urbanistica - Partecipazione al procedimento - Art. 13, comma 2, L.R. n. 12/2005 - Ammissibilità dell'estensione delle modalità partecipative - Sussiste - Discrezionalità della scelta - Sussiste.
2. Pianificazione urbanistica - Procedimento di formazione degli strumenti urbanistici - Osservazioni dei privati - Formazione di aspettative tutelate - Non sussiste - Rigetto - Esigenza di specifica motivazione - Non sussiste.

1. Ai sensi dell'art. 13, comma 2, L.R. n. 12/2005, la P.A. può porre in essere modalità di partecipazione dei cittadini al procedimento di pianificazione urbanistica ulteriori rispetto a quelle previste dalla normativa urbanistica, consentendo un maggior livello di consultazione popolare.
Tale scelta rientra nella piena discrezionalità dell'Amministrazione, senza tuttavia connotare in termini di illegittimità l'opposta soluzione eventualmente seguita.
2. Le osservazioni dei privati sui progetti di strumenti urbanistici non danno luogo a peculiari aspettative, con la conseguenza che il loro rigetto non richiede una specifica motivazione, essendo sufficiente che siano state esaminate e ritenute in contrasto con gli interessi e le considerazioni generali poste a base della formazione del piano (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 31.03.2011 n. 857).

URBANISTICA: 1. Convenzione di lottizzazione - Impugnazione della contestazione di inadempimento - Escussione polizza fideiussoria - Carenza di giurisdizione - Non sussiste.
2. Convenzione di lottizzazione - Fallimento del lottizzante - Art. 72 R.D. n. 267/1942 - Interesse pubblico - Obbligazioni propter rem - Applicabilità - Contestazione di inadempimento - Non sussiste.
3. Convenzione di lottizzazione - Istituto complesso - Obblighi ex lege - Prestazioni corrispettive - Amministrazione come contraente privato - Natura negoziale.

1. La convenzione di lottizzazione rientra tra gli accordi procedimentali di cui all'art. 11 L. n. 241/1990, norma che al comma 5 (oggi sostituito dall'art. 133, c. 1, lett. a), c.p.a.) devolve al giudice amministrativo la giurisdizione esclusiva sulle controversie relative alla formazione, conclusione ed esecuzione degli accordi stretti, nel pubblico interesse, dall'amministrazione con i soggetti privati, compreso l'accertamento dell'inadempimento delle parti o l'esame delle rispettive istanze di adempimento o di risoluzione, senza che assuma alcun rilievo l'esistenza di contratti autonomi di garanzia, le polizze fideiussione, escutibili.
2. L'art. 72 R.D. n. 267/1942, che prevede, nel caso di fallimento di una parte a contratto ancora non compiutamente eseguito, la sospensione dell'esecuzione del contratto al fine di consentire al curatore di subentrarvi, si applica alle convenzioni urbanistiche in quanto non ha incidenza sull'interesse pubblico, stante la natura di obbligazione propter rem degli obblighi da esse previsti, risultando conseguentemente non ancora sussistente l'inadempimento contestato dal Comune al fallimento durante la sospensione del contratto.
3. La convenzione di lottizzazione -per quanto, a causa dei profili di stampo giuspubblicistico che si accompagnano allo strumento dichiaratamente contrattuale, sia un istituto di complessa ricostruzione- rappresenta l'incontro di volontà delle parti contraenti nell'esercizio dell'autonomia negoziale retta dal codice civile.
Conseguentemente, accanto agli obblighi che derivano dalla legge, essa può prevederne ulteriori -a carico, sia della parte lottizzante ma anche dell'Amministrazione- frutto della libera volontà delle parti
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 31.03.2011 n. 856).

ESPROPRIAZIONE: 1. Annullamento degli atti della procedura espropriativa - Obbligo per la P.A. di assicurare la restitutio in integrum dei suoli espropriati - Sussiste.
2. Annullamento degli atti della procedura espropriativa - Risarcimento del danno - Colpa della P.A. - Sussiste in caso di negligente gestione della procedura espropriativa.
3. Annullamento degli atti della procedura espropriativa - Mancato godimento di un immobile - Risarcimento del danno - Necessità di specifica prova del danno - Non sussiste - Criterio di quantificazione - Valore locativo del cespite.
4. Annullamento degli atti della procedura espropriativa - Mancato godimento di un immobile - Risarcimento del danno non patrimoniale - Necessità di allegare elementi concreti e specifici - Sussiste - Danno non patrimonale in re ipsa - Non sussiste - Liquidazione equitativa - Non è ammessa.

1. Laddove l'Amministrazione subisca l'annullamento degli atti della procedura espropriativa, la stessa, in adempimento della norma agendi ricavabile dalla sentenza annullatoria, dovrà attivarsi per restituire ai proprietari i suoli espropriati, nello stesso stato in cui essi si trovavano al momento dell'apprensione, essendo tenuta a porre in essere tutti gli adempimenti necessari ad assicurare l'effettiva ed integrale restitutio in integrum del possesso in capo ai proprietari del suolo.
2. Sussiste l'estremo della colpa rilevante ai fini risarcitori, per l'ingiustificato scostamento dagli standard di buona amministrazione imposti al soggetto pubblico dal suo stesso ruolo, ove si verifichi uno spossessamento del fondo di proprietà di privati causalmente riconducibile alla illegittima attività provvedimentale della P.A. che abbia negligentemente gestito la procedura ablatoria, incidendo inevitabilmente sul diritto dominicale, a maggior ragione qualora l'amministrazione si sia disinteressata dello stato dei terreni occupati.
3. Nei casi di mancato godimento di un immobile, il danno non necessita di specifica prova, essendo esso in re ipsa e consistendo nell'impossibilità di ritrarre le utilità normalmente derivanti dalla fruizione del bene, in relazione alla natura fruttifera di esso.
Tale danno può essere quantificato facendo riferimento al c.d. danno figurativo e, quindi, al valore locativo del cespite.
4. La pretesa risarcitoria avente ad oggetto il danno non patrimoniale -ove non si sia verificato un mero disagio o fastidio, inidoneo, ex se, a fondare una domanda di risarcimento del danno- esige una allegazione di elementi concreti e specifici da cui desumere, secondo un criterio di valutazione oggettiva, l'esistenza e l'entità del pregiudizio subito, il quale non può essere ritenuto sussistente in re ipsa, né è consentito l'automatico ricorso alla liquidazione equitativa (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 31.03.2011 n. 854 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Codice delle comunicazioni elettroniche - Art. 87, c. 5, d.lgs. n. 259/2003 - Termine perentorio - Perfezionamento D.I.A. - Nota di richiesta di documenti integrativi tardiva - Illegittimità.
Il termine di quindici giorni previsto dall'art. 87, c. 5, del codice delle comunicazioni elettroniche, entro il quale il Comune, attraverso la richiesta di dichiarazioni o ulteriori documenti, può interrompere il decorrere dei novanta giorni previsti per il formarsi del silenzio assenso in relazione ad una D.I.A. (di cui all'art. 87, c. 9, d.lgs. n. 259/2003) ha natura perentoria.
Conseguentemente la nota di richiesta di documenti adottata oltre tale termine, che collega a tale richiesta una effetto sospensivo o interruttivo del termine per l'acquisto d'efficacia di una D.I.A., è illegittima
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 30.03.2011 n. 852 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATAOrdine del Sindaco di realizzazione di opere edilizie - Ordinanza extra ordinem - Tutela della salute pubblica o dell'ambiente - Eccezionale ed urgente necessità - Non sussiste - Illegittimità.
Il provvedimento impugnato che impone la realizzazione di opere edilizie (relative ai camini) deve essere qualificato come ordinanza extra ordinem in quanto finalizzato alla tutela della salute.
L'ordinanza è illegittima in quanto si riferisce ad una generica necessità di prevenire il verificarsi di situazioni di pericolo, senza tuttavia alcuna prova della sussistenza di quella eccezionale ed urgente necessità di tutela della salute pubblica o dell'ambiente, cui deve farsi fronte con il potere di ordinanza extra ordinem, non essendo sufficiente che sussista l'urgenza di provvedere, ma essendo richiesto che si tratti di una situazione eccezionale, che non può sussistere, tra l'altro, laddove le circostanze da cui deriva la situazione dannosa abbiano carattere permanente, giacché la nozione stessa di eccezionalità richiama l'idea di imprevedibilità di una situazione
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 29.03.2011 n. 842 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Recupero sottotetti - Art. 64, L.R. n. 12/2005 - Derogabilità dei limiti e delle prescrizioni degli strumenti pianificatori comunali - Sussiste.
Il recupero dei sottotetti ai sensi dell'art. 64, L.R. n. 12/2005 è consentito anche in deroga ai limiti e alle prescrizioni degli strumenti pianificatori comunali vigenti o adottati, con salvezza dei limiti enucleati dalla legge regionale
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 29.03.2011 n. 841 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: Piano attuativo di interesse sovracomunale - Parere negativo della Provincia - Zona di Protezione Speciale - Sito di interesse comunitario - Illegittimità - Non sussiste.
Il parere provinciale in materia di incidenza ambientale di un piano attuativo di interesse sovracomunale, essendo volto a individuare l'impatto dell'interevento urbanistico su un ambito soggetto a particolare tutela ambientale (trattandosi di un'area rientrante sia fra le Zone di Protezione Speciale -Z.P.S.- sia fra i siti di interesse comunitario -S.I.C.-), costituisce manifestazione di ampia discrezionalità amministrativa, censurabile soltanto in caso di evidente illogicità o irrazionalità che non sussiste laddove il piano attuativo si ponga in contrasto con gli obbiettivi di conservazione del sito (che gli Stati Membri sono chiamati ad assicurare con misure di prevenzione), mentre le misure di mitigazione siano risultate inefficaci
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 29.03.2011 n. 840 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Installazione di stazione radio-base - Art. 87, comma 9, D.Lgs. n. 259/2003 - Silenzio-assenso - Provvedimento di diniego sull'istanza - Necessità del previo annullamento in autotutela del titolo tacitamente formatosi - Sussiste.
Ove sia prevista la formazione del silenzio-assenso della P.A. sull'istanza del privato, come nel caso dell'art. 87, comma 9, D.Lgs. n. 259/2003 per la domanda del privato intesa ad ottenere l'autorizzazione all'installazione di un impianto di telefonia mobile, l'amministrazione può adottare un provvedimento di diniego solo previo annullamento, in sede di autotutela, del titolo tacitamente formatosi, in presenza dei presupposti e con il rispetto delle garanzie procedimentali di cui alla L. n. 241/1990
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 28.03.2011 n. 839 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Installazione di stazione radio-base - Art. 87, comma 5, D.Lgs. n. 259/2003 - Silenzio-assenso - Termine interruttivo - Natura perentoria - Sussiste - Decorrenza del termine - Possibilità di richiedere documentazione integrativa - Non sussiste - Effetto sospensivo o interruttivo del termine - Revocabilità o annullabilità d'ufficio ai sensi dell'art. 20, comma 3, L. n. 241/1990 - Sussistono.
Il termine di quindici giorni accordato alla P.A. dall'art. 87, comma 5, D.Lgs. n. 259/2003, per interrompere il termine per la formazione del silenzio-assenso della P.A. sulla domanda del privato intesa ad ottenere l'autorizzazione all'installazione di un impianto di telefonia mobile, ha natura perentoria.
Una volta decorsi quindici giorni dal deposito dell'istanza l'amministrazione non può dunque chiedere documentazione integrativa collegando a tale richiesta un effetto sospensivo o interruttivo del termine per l'acquisto di efficacia della d.i.a., salva l'ipotesi di adottare gli atti di revoca o annullamento d'ufficio ai sensi dell'art. 20, comma 3, L. n. 241/1990
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 28.03.2011 n. 838 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Telecomunicazioni - Autorizzazione alla riattivazione di un impianto radiofonico - Interferenze su frequenze già occupate - Carenza di verifica - Illegittimità.
Il rilascio di nuove autorizzazioni non può prescindere dalla verifica che il nuovo impianto radiofonico non implichi interferenze su frequenze occupate da impianti di titolarità di altri operatori in quanto i provvedimenti che autorizzano l'esercizio della radiodiffusione non possono interferire sugli impianti già in esercizio, occupandone le frequenze e peggiorandone la ricezione  
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 28.03.2011 n. 837 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: 1. Approvazione Piano di Lottizzazione - Variante al P.R.G. - Modifica del perimetro del comparto - Violazione L.R. n. 23/1997 - Violazione del principio di par condicio - Non sussistono.
2. Approvazione variante urbanistica semplificata - Carenza di motivazione - Discrezionalità amministrativa - Esecuzione delle previsioni di P.R.G. - Legittimità.

1. L'art. 2, c. 2, lettera f), L.R. n. 23/1997, consente il ricorso alla procedura di variante semplificata per modificare il perimetro degli ambiti territoriali subordinati alla pianificazione attuativa, per assicurare un migliore assetto urbanistico. Inoltre nel caso di una modifica del perimetro del comparto di lottizzazione che tiene fermi gli indici urbanistici previsti dal P.R.G. ed, altresì, il regime urbanistico e la destinazione dei terreni dei proprietari estranei alla lottizzazione, il Piano di Lottizzazione approvato non viola il principio di par condicio, non risultando in alcun modo limitate le prerogative del ricorrente derivanti dal P.R.G. comunale in ragione della immutata destinazione urbanistica della sua area.
2. Premesso che la delibera di approvazione di un piano attuativo di P.R.G., si caratterizza quale manifestazione di ampia discrezionalità dell'Amministrazione, censurabile solo in caso di manifesta illogicità o irrazionalità, e considerato che il Comune ha approvato una riperimetrazione dell'ambito, allo scopo di realizzare una -seppure parziale - lottizzazione del medesimo, al fine di dare esecuzione alle previsioni di PRG, si deve ritenere che l'approvazione del Piano di Lottizzazione impugnata risulti sufficientemente motivata (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 28.03.2011 n. 820 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. Permesso di costruire in sanatoria - Oneri concessori - Art. 4, c. 6, L.R. n. 31/2004 - Tariffa base - Deve necessariamente tenere conto degli adeguamenti periodici degli oneri di urbanizzazione.
2. Abuso edilizio - Sanatoria - Art. 32, comma 40, D.L. n. 269/2003 - Incremento percentuale - Applicabilità agli oneri concessori - Non sussiste - Applicabilità ai diritti ed oneri correlati all'istruttoria della domanda di sanatoria - Sussiste.

1. Il criterio della determinazione degli oneri concessori sulla base delle tariffe vigenti al momento del perfezionamento del procedimento di sanatoria è dettato dall'art. 4, c. 6, della L.R. n. 31/2004, sicché la tariffa-base deve necessariamente tenere conto degli adeguamenti periodici degli oneri di urbanizzazione, decisi dai Comuni in virtù delle generali previsioni dell'art. 16, comma 6, del DPR 380/2001 e della L.R. 12/2005.
2. L'incremento percentuale previsto dall'art. 32, comma 40, D.L. n. 269/2003, è applicabile non agli oneri concessori relativi all'intervento edilizio, ma ai diritti ed oneri correlati alla istruttoria delle domande finalizzate al rilascio del titolo abilitativo; diritti ed oneri che il Comune ha facoltà di incrementare in relazione al maggior impiego di risorse (personale e mezzi) che qualsiasi sanatoria - implicante un afflusso eccezionale di istanze da istruire ed evadere in aggiunta all'attività ordinaria - notoriamente richiede (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 28.03.2011 n. 818 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Creazione di spazio lavorativo senza opere con permanenza di persone - Trasformazione urbanistico-edilizia del territorio - Sussiste - Rappresenta nuova opera e non ristrutturazione.
La creazione di uno spazio lavorativo con permanenza di persone, anche se realizzato senza opere, configura una vera e propria trasformazione urbanistico-edilizia del territorio (quanto meno per effetto dell'incremento della dotazione necessaria di standard, attesa la permanenza continua di persone), rappresentando quindi una nuova opera e non una ristrutturazione (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 28.03.2011 n. 818 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Titolo abilitativo subordinato ad atto unilaterale d'obbligo - Contratto preliminare risolto - Domanda risarcitoria da lesione di interessi legittimi - Artt. 30 e 34 d.lgs. 2.07.2010 n. 104 - Mancanza di nesso causale - Mancato uso della ordinaria diligenza - Infondatezza della domanda.
In base alla previsione dell'art. 1227, c. 2, c.c., ripresa dall'art. 30, c. 3, d.lgs. n. 104/2010, il giudice, in relazione a domande di risarcimento dei danni, deve valutare tutte le circostanze di fatto ed il comportamento complessivo delle parti e, comunque, escludere il risarcimento del danno che si sarebbe potuto evitare usando l'ordinaria diligenza, anche attraverso l'esperimento degli strumenti di tutela previsti.
Conseguentemente si deve ritenere che la condotta della ricorrente che non ha proposto l'azione di annullamento avverso le N.T.A. ritenute illegittime (opponendosi alla sottoscrizione dell'atto d'obbligo) né ha, quantomeno, evitato i danni lamentati dando notizia alla parte promissaria acquirente dell'esistenza dell'atto d'obbligo quale possibile causa di invalidità del contratto (eventualmente condizionando l'efficacia di quest'ultimo proprio alle sorti dell'impegno in precedenza assunto con l'Autorità comunale), si configura -se non di per sé causa autonoma idonea a produrre i danni lamentati- come un mancato uso della ordinaria diligenza che esclude il diritto al risarcimento dei danni
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 21.03.2011 n. 759 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Richiesta di pagamento del costo di costruzione - Cambio di destinazione d'uso - Nuova destinazione ammessa dalle N.T.A. -Categorie edilizie autonome - Vincolo di strumentalità - Irrilevanza - Legittimità.
Se il cambio di destinazione d'uso di un immobile, ancorché compatibile nella medesima zona omogenea, è intervenuto tra categorie edilizie funzionalmente autonome e non omogenee, e, quindi, ha integrato una modificazione edilizia con effetti incidenti sul carico urbanistico, è soggetta al regime oneroso, indipendentemente dalla tipologia delle opere.
Di conseguenza, risultando altresì irrilevante la rappresenta strumentalità della nuova destinazione di parte delle aree (espositiva) alla pregressa destinazione sussistente nella restante parte di edificio (produttiva), risulta legittima la richiesta di pagamento del costo di costruzione impugnata
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 16.03.2011 n. 740 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Cambio di destinazione d'uso - Richiesta di nuovo certificato di agibilità - Modifiche strutturali - Legittimità.
Considerato che il certificato di agibilità delle costruzioni di cui agli artt. 24 e 25 D.P.R. n. 380/2001 costituisce un'attestazione da parte dei competenti uffici tecnici comunali in ordine alla sussistenza delle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità e risparmio energetico degli edifici e degli impianti tecnologici in essi installati, pare legittimo che una nuova valutazione sulla sussistenza di dette condizioni sia richiesta a fronte di modifiche strutturali, che implicano anche un cambiamento d'uso degli spazi
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 16.03.2011 n. 740 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Costituzione di servitù pubblica - Domanda di accertamento - Impossibilità di costituzione della servitù - Difetto di giurisdizione - Sussiste.
La domanda di accertamento della impossibilità di realizzare una servitù pubblica, concordata con una convenzione urbanistica per l'attuazione di un Piano di Recupero, è inammissibile per difetto di giurisdizione, in quanto non viene contestata la legittimità di un'attività autoritativa dell'amministrazione o di un comportamento che sia riconducibile all'esercizio di un pubblico potere, bensì la modalità di esercizio di una servitù che deve essere costituita a favore del Comune
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 15.03.2011 n. 738 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. Abuso edilizio - Permesso di costruire in sanatoria - Art. 32, comma 37, D.L. n. 269/2003 - Denunce ICI e TARSU - Mancata presentazione - Formazione del silenzio-assenso sull'istanza di sanatoria - Non sussiste.
2. Abuso edilizio - Permesso di costruire in sanatoria - Art. 32, comma 40, D.L. n. 269/2003 - Incremento percentuale - Applicabilità agli oneri concessori - Non sussiste - Applicabilità ai diritti ed oneri correlati all'istruttoria della domanda di sanatoria - Sussiste.

1. La mancata presentazione delle denunce ai fini dell'imposta comunale sugli immobili di cui al D. Lgs. 30.12.1992 n. 504, nonché delle denunce ai fini della tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani, impedisce il formarsi del silenzio-assenso sulle istanze di permesso di costruire in sanatoria ai sensi dell'art. 32, c. 37, D.L. n. 269/2003.
2. L'incremento percentuale previsto dall'art. 32, comma 40, D.L. n. 269/2003, è applicabile non agli oneri concessori relativi all'intervento edilizio, ma ai diritti ed oneri correlati alla istruttoria delle domande finalizzate al rilascio del titolo abilitativo; diritti ed oneri che il Comune ha facoltà di incrementare in relazione al maggior impiego di risorse (personale e mezzi) che qualsiasi sanatoria -implicante un afflusso eccezionale di istanze da istruire ed evadere in aggiunta all'attività ordinaria- notoriamente richiede (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 14.03.2011 n. 732 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. Ritardato pagamento costo di costruzione - Sanzione pecuniaria ex art. 42 D.P.R. n. 380/2001 - Sospensione pagamento oneri di urbanizzazione - Diversa disciplina del costo di costruzione - Legittimità.
2. Ritardato pagamento costo di costruzione - Sanzione pecuniaria ex art. 42 D.P.R. n. 380/2001 - Fideiussione per pagamento oneri e costo di costruzione - Irrilevanza - Legittimità.

1. Gli oneri di urbanizzazione ed il costo di costruzione differiscono, oltre che per finalità, risultando dovuti i primi per compensare l'aggravio del carico urbanistico ed i secondi per l'aumentata capacità contributiva del titolare, per la disciplina -di cui agli artt. 45 e 46 L.R. n. 12/2005 e art. 16 D.P.R. n. 380/2001- in forza della quale la realizzazione di opere a scomputo o la monetizzazione possono riguardare soltanto gli oneri di urbanizzazione e non certo il costo di costruzione per il quale è previsto dalla legge soltanto il versamento a favore del Comune, senza modalità alternative di assolvimento dell'obbligo di pagamento.
Di conseguenza la sospensione del pagamento degli oneri di urbanizzazione, non giustifica il differimento del versamento del costo di costruzione, risultando legittima l'applicazione della sanzione ex art. 42 D.P.R. n. 380/2001 per ritardato pagamento impugnata.
2. Ai fini del differimento del pagamento del costo di costruzione, nessuna rilevanza assume la presentazione da parte della ricorrente di una polizza fideiussoria a garanzia del pagamento degli oneri di urbanizzazione sospesi ed anche della quota pari al costo di costruzione, visto che tale fideiussione costituisce garanzia di adempimento ma non può assurgere a giustificazione del ritardo visto che l'Amministrazione garantita, in caso di inadempimento, non ha alcun onere di escutere il fideiussore prima del debitore principale (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 14.03.2011 n. 731 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. Centro commerciale - Elemento caratterizzante - Esistenza di servizi ed infrastrutture comuni agli esercizi commerciali che lo costituiscono.
2. Variante semplificata - Art. 2, comma 3°, L.R. n. 23/1997 - Scheda informativa - Omessa compilazione - Costituisce una mera irregolarità - Sanzione - Non sussiste.

1. L'elemento caratterizzante del centro commerciale è rappresentato dall'esistenza di servizi ed infrastrutture comuni agli esercizi commerciali che costituiscono il centro stesso.
2. L'omessa compilazione della scheda informativa di cui all'art. 2, comma 3°, della L.R. n. 23/1997 costituisce una mera irregolarità, non prevedendo la legge alcuna sanzione per l'omissione di cui sopra (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 14.03.2011 n. 730 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Impugnazione certificato di destinazione urbanistica - Natura dichiarativa - Manca l'efficacia provvedimentale - Illegittimità.
Considerato che il certificato di destinazione urbanistica (di cui all'art. 30 D.P.R. n. 380/2001), in quanto atto di certificazione redatto da un pubblico ufficiale, ha natura ed effetti meramente dichiarativi e non costitutivi di posizioni giuridiche che discendono in realtà da altri provvedimenti, è privo di concreta lesività, il che rende inammissibile la sua autonoma impugnazione
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 14.03.2011 n. 729 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Pianificazione territoriale - Destinazione agricola di un'area - Necessità di esercizio sulla stessa dell'attività agricola - Non sussiste, potendo corrispondere a esigenze di salvaguardia ambientale.
La destinazione agricola di un'area non implica necessariamente l'esercizio sulla stessa dell'attività agricola ex art. 2135 del codice civile, potendo invece essere ispirata anche da esigenze di salvaguardia ambientale
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 14.03.2011 n. 728 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: 1. Adozione del Piano di Governo del Territorio - Parere della Regione - Art. 13, c. 5-bis, L.R. n. 12/2005 - Previsioni infrastrutturali - Politica territoriale statale - Prevalente ex lege - Mancanza di contrasto - Legittimità.
2. Adozione del Piano di Governo del Territorio - Azzonamento - Destinazione agricola - Discrezionalità amministrativa - Legittimità.

1. Il parere rilasciato dalla Regione ai sensi dell'art. 13, c. 5-bis, L.R. n. 12/2005 ai comuni appartenenti a province non dotate di Piano territoriale di coordinamento (P.T.C.P.) da osservarsi a pena di inefficacia (art. 13, c. 7), è vincolante per il Comune solo in relazione agli indirizzi regionali di politica territoriale, mentre le previsioni infrastrutturali citate nel parere, attengono non alla politica della Regione stessa, bensì a quella dello Stato, non risultando conseguentemente, l'adozione di un P.G.T. non conforme alle prescrizioni infrastrutturali regionali, illegittimo per violazione del parere regionale.
Inoltre, non potendosi ravvisare una violazione delle prescrizioni statali relative alle infrastrutture strategiche, che sono in ogni caso prevalenti ex lege sulle eventuali norme difformi di piano, secondo un meccanismo analogo a quello dell'art. 1339 c.c. o dell'art. 1374 c.c. (per cui le previsioni statali integrano il contenuto del P.G.T.), si deve ritenere che il P.G.T. sia stato legittimamente adottato.
2. Le scelte dell'Amministrazione comunale al momento dell'adozione di atti di pianificazione territoriale sono espressione di ampia discrezionalità amministrativa, non censurabile se non in caso di manifesta illogicità, non sussistente in caso di azzonamento agricolo ispirato anche da esigenze di salvaguardia ambientale (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 14.03.2011 n. 727 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Giurisdizione - Tribunale delle acque pubbliche - Provvedimenti amministrativi incidenti sulla materia delle acque pubbliche - Giurisdizione del Tribunale delle acque pubbliche - Sussiste.
La giurisdizione del tribunale delle acque pubbliche ha per oggetto, tra l'altro, i ricorsi avverso i provvedimenti amministrativi che, pur se promananti da autorità diverse da quelle preposte al settore, sono caratterizzati dall'incidenza immediata e diretta sulla materia delle acque pubbliche e che, pur se volti alla soddisfazione di interessi più generali o comunque diversi rispetto a quelli più specifici sottesi all'uso delle acque pubbliche e all'autorizzazione delle opere idrauliche, interferiscono inevitabilmente con questi ultimi
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 14.03.2011 n. 726 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA: 1. Convenzione urbanistica ex art. 11 L. n. 241/1990 - Delibera della Giunta di risoluzione - Inadempimento - Incompetenza - Principio del contrarius actus - Non sussiste.
2. Convenzione urbanistica ex art. 11 L. n. 241/1990 - Risoluzione per inadempimento - Termine essenziale - Legittimità.

1. La delibera di risoluzione di una convenzione urbanistica si pone come un atto di esecuzione della convenzione stessa, nel senso che l'organo dotato di competenza amministrativa generale e residuale ex art. 48 d.lgs. n. 267/2000 (la Giunta), può legittimamente accertare la sussistenza dei presupposti di legge (artt. 1453 e ss. c.c., applicabili in virtù dell'art. 11, c. 2, L. n. 241/1990) tali da far ritenere meno gli effetti dell'accordo.
Peraltro la delibera della Giunta non si è posta in contrarius actus con la volontà precedentemente espressa dal Consiglio comunale perché non ha espresso una volontà politica contraria ma ha semplicemente verificato la sussistenza dei presupposti per la risoluzione della convenzione, e, in coerenza con la scelta dell'organo assembleare che aveva approvato la convenzione urbanistica consentendo il rilascio di un permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici a condizione che fossero realizzate opere pubbliche di interesse per il Comune, accertata la mancata realizzazione di tali opere, ha risolto l'accordo negoziale.
2. Nel caso di una convenzione urbanistica stipulata per consentire di effettuare un intervento in deroga ex art. 40 L.R. n. 12/2005 a condizione di realizzare opere pubbliche, che, pur avendo durata decennale, ha previsto un diverso termine per l'esecuzione delle opere oggetto dell'accordo, quest'ultimo termine, in ragione di una lettura complessiva delle clausole contrattuali, indipendentemente dall'esplicita qualificazione di essenziale attribuita dalle parti e tenuto conto della rilevanza delle opere pubbliche concordate in relazione ad un Comune di piccole dimensioni, deve essere ritenuto essenziale (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 04.03.2011 n. 628 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Rettifica dell'atto amministrativo - Mera correzione di errore materiale emergente dal contesto in cui l'errore si trova - Modifica in senso peggiorativo della motivazione dell'atto - Possibilità di rettifica - Non sussiste.
L'istituto della rettifica dell'atto amministrativo è finalizzato a correggere un semplice errore materiale in cui sia incorsa l'Amministrazione nell'emanare l'atto e che deve emergere direttamente dall'esame del contesto in cui l'errore si trova, per cui deve escludersi la possibilità di rettifica in caso di modifica in senso peggiorativo della motivazione degli atti a suo tempo compilati, con l'intento di giustificare in via postuma l'operato
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 04.03.2011 n. 627 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Modifica della disciplina urbanistica - Ordine di non effettuare i lavori - Parte di lotto non edificato - Potenzialità edificatoria - Lotto urbanistico unitario - Principio di successione nel tempo delle norme - Illegittimità.
Nel caso in cui un originario lotto urbanistico abbia acquisito una maggiore potenzialità edificatoria in dipendenza di modifiche alla disciplina urbanistica, e, quindi, la parte rimasta inedificata sia suscettibile di edificazione, per verificare l'edificabilità di questa parte di lotto e quantificare la volumetria su di essa realizzabile, occorre partire dall'originario lotto interamente asservito alla precedente costruzione, il quale, in virtù del carattere "unitario", è l'unico ad avere acquisito e mantenuto una "propria" potenzialità edificatoria, e sottrarre dalla predetta potenzialità, calcolata con riferimento agli indici di edificabilità previsti dalla nuova normativa urbanistica, la volumetria dei fabbricati già realizzati sull'unica, complessiva, area.
Di conseguenza, risultando il principio della successione nel tempo delle norme applicabile anche ai piani urbanistici, l'ordine di non effettuare i lavori impugnato, che non ha preso a riferimento il maggiore indice di fabbricabilità previsto per l'area in questione dal nuovo piano di governo del territorio, è illegittimo
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 03.03.2011 n. 614 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Art. 2, L.R. n. 13/2009 - Ambito di applicazione - Abuso edilizio - Applicabilità della normativa regionale - Non sussiste, neppure in caso di opere solo parzialmente abusive - Immobili dotati di titoli validi ab origine - Applicabilità della normativa regionale - Sussiste.
La L.R. n. 13/2009 opera solo per interventi futuri, ancora da realizzare, e non può essere applicata per sanare opere anche solo parzialmente abusive, recuperando in tal modo i maggiori volumi, in deroga alle previsioni quantitative degli strumenti urbanistici, che la legge assegna solo ad immobili dotati di titoli validi ab origine
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 02.03.2011 n. 606 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: D.M. 01.04.1968 n. 1404 - Fascia di rispetto autostradale - Vincolo assoluto di inedificabilità - Condono edilizio - Non ammissibile - Caratteristiche concrete delle opere abusive - Non rilevano.
Nell'ambito della fascia di rispetto autostradale di 60 metri, prevista dal D.M. 01.04.1968 n. 1404, il vincolo di inedificabilità è assoluto e la sua violazione impedisce il conseguimento di una concessione edilizia a seguito di domanda di condono edilizio, essendo a tal fine irrilevanti le caratteristiche concrete delle opere abusive realizzate nell'ambito della fascia medesima (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 02.03.2011 n. 603 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. Procedura S.U.A.P. in variante ex art. 5 D.P.R. n. 447/1998 - Conferenza di Servizi - Parere provinciale tardivo - Art. 14-ter, c. 7, L. n. 241/1990 - Interpretazione ratione temporis - Silenzio assenso - Sussiste.
2. Procedura S.U.A.P. in variante ex art. 5 D.P.R. n. 447/1998 - Verifica di compatibilità con norme del P.T.C.P. e P.T.R. - art. 20 L.R. n. 12/2005 - Rete Ecologica Regionale - Non sussistono norme prevalenti - Legittimità.

1. L'art. 14-ter, c. 7, L. n. 241/1990, pur nel tenore di cui all'art. 49 D.L. 31.05.2010 n. 78 prima delle modifiche della L. 30.07.2010 n. 122 di conversione, deve essere interpretato alla luce della legge di conversione che, sopprimendo dopo le parole "in materia di VIA, VAS e AIA" la parola "paesaggistico-territoriale", ha (letteralmente) chiarito come il sistema di considerare assenso il silenzio serbato dall'Amministrazione all'esito dei lavori della Conferenza di Servizi opera in tutte le ipotesi con la sola esclusione dei provvedimenti in materia di VIA, VAS e AIA in quanto non vi sarebbe ragione per ammettere alla procedura del silenzio-assenso il parere ambientale e non quello paesaggistico, mentre ha una sua logica escludere da tale meccanismo per le tre tipologie di pareri di particolare rilievo indicate nella norma.
Conseguentemente, stante l'assenza in sede di Conferenza dei Servizi del rappresentante della Provincia e la trasmissione da parte di tale Amministrazione di un parere paesaggistico quando l'attività della Conferenza di Servizi era conclusa, la procedura di cui all'art. 5 D.P.R. n. 447/1998 per l'approvazione di un progetto di impianto produttivo in variante al P.G.T. non è viziata dalla mancata valutazione del parere tardivo risultando correttamente acquisito detto parere mediante il silenzio.
2. Non sussiste violazione dell'art. 5 D.P.R. n. 447/1998, come integrata dall'art. 97 L.R. n. 12/2005, nella parte relativa alla verifica di compatibilità con le norme del P.T.C.P. (Piano Territoriale di Governo del Territorio) e del P.T.R. (Piano Territoriale Regionale), nell'ipotesi in cui non sussistono in tali piani di riferimento norme prevalenti che possano impedire la variante urbanistica approvata per realizzare un impianto produttivo; in particolare la Rete Ecologica Regionale (R.E.R.) introdotta con il P.T.R. (che contiene prescrizioni di carattere orientativo per la programmazione regionale di settore) non implica alcuna diretta limitazione di inedificabilità e la stessa non ha carattere di norma prevalente sulle norme del P.G.T. ai sensi dell'art. 20 L.R. n. 12/2005 (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 02.03.2011 n. 600 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Permesso di costruire in sanatoria - Presentazione dell'istanza - Acquiescenza al provvedimento repressivo impugnato - Non sussiste.
Un'istanza volta ad ottenere il rilascio di un permesso di costruire in sanatoria non può essere interpretata come espressiva di acquiescenza, essendo stata presentata proprio in conseguenza della illegittimità contestata dall'amministrazione con il provvedimento repressivo impugnato.
È, invece, acquiescenza quella desumibile da comportamenti univoci posti liberamente in essere e che dimostrano l'indiscutibile volontà del privato di accettare gli effetti di un provvedimento amministrativo
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 01.03.2011 n. 596 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Proprietari di terreni circostanti e adiacenti ad area interessata da intervento edilizio assentito - Criterio della "vicinitas" - Interesse a ricorrere - Sussiste.
E' consentita l'impugnazione dei titoli edilizi al proprietario di immobili siti nella zona in cui è permesso l'intervento costruttivo, soprattutto nel caso di soggetti confinanti, poiché sussiste in tal caso il requisito della c.d. vicinitas, che legittima alla contestazione in sede giurisdizionale del titolo autorizzativo (cfr. Cons. di Stato, sent. n. 7591/2010, TAR Lecce, sent. n. 2078/2010; TAR Brescia, sent. n. 3556/2010; TAR Milano, sent. n. 3970/2009)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 28.02.2011 n. 582 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: D.I.A. - Sindacato giurisdizionale diretto sulla D.I.A. - Ammissibilità.
E' ammissibile un sindacato giurisdizionale diretto sulla DIA, sia esso finalizzato ad accertarne l'illegittimità o ad annullare il titolo abilitativo tacito o implicito formatosi su di essa (cfr. Cons. di Stato, sent. nn. 2139/2010, 72/2010, 5811/2008, TAR Milano, sent. 227/2011)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 22.02.2011 n. 518 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: 1. Ricorso giurisdizionale - Interesse a ricorrere - Progettista - Interesse legittimo differenziato - Non sussiste - Intervento ad adiuvandum - Possibilità.
2. Ricorso giurisdizionale - Interesse a ricorrere - Progettista - Interesse legittimo differenziato - Interesse morale - Non sussiste.

1. E' esclusa in capo al progettista la titolarità di un interesse legittimo differenziato che gli consenta l'impugnazione di provvedimenti relativi ad interventi edilizi, potendo semmai il progettista stesso proporre intervento "ad adiuvandum" nel giudizio promosso dal committente proprietario (cfr. TAR Milano, sent. n. 265/2011; TAR Parma, sent. n. 61/2010; TAR Firenze, sent. n. 986/2009; TAR Catania, sent. n. 523/2001, Cons. di Stato, sent. n. 1250/2001).
2. Non sussiste un interesse, neppure morale, in capo al professionista progettista, all'impugnazione del diniego di intervento edilizio, richiesto da un terzo e respinto dal comune, anche nel caso in cui si trattasse di errore di rappresentazione progettuale, in quanto tale diniego inciderebbe sullo "ius aedificandi" e non sull'esercizio della professione del progettista, né sulle sue qualità e il suo prestigio, che non possono reputarsi chiamate in causa da un rilievo tecnico operato dall'amministrazione per uno scopo del tutto diverso, cioè il perseguimento del corretto uso del territorio (cfr. TAR Firenze, sent. n. 986/2009) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 17.02.2011 n. 484 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: Destinazione aree a zone per l'istruzione dell'obbligo - Natura conformativa del vincolo - Reiterazione del vincolo - Possibilità.
La destinazione di aree a zone per l'istruzione dell'obbligo non comporta l'imposizione di un vincolo espropriativo, bensì solo conformativo, essendo conformativa la natura di tale destinazione: pertanto, non trattandosi di un vincolo espropriativo, la conferma della destinazione a zona per l'istruzione dell'obbligo non necessita di una particolare motivazione (cfr. TAR Genova, sent. n. 663/2010; TAR Bari, sent. n. 403/2009)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 17.02.2011 n. 483 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Permesso di costruire in sanatoria - Art. 32, comma 37, L. n. 326/2003 - Silenzio-assenso - Termine biennale - Decorre dalla presentazione di un'istanza debitamente documentata.
Il biennio assegnato al Comune dal comma 37 dell'art. 32, L. n. 326/2003 per provvedere sulla domanda di condono edilizio, trascorso il quale si forma il silenzio-assenso, decorre dalla presentazione di un'istanza debitamente documentata (cfr. Cons. di Stato, sent. n. 4174/2010; 23.07.2009 n. 4671/2009; sez. V, 21.09.2005 n. 4946/2005; TAR Milano, sent. nn. 7216, 7217, 7218, 7222, 7224, 7240 del 2010)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 15.02.2011 n. 473 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. Mutamento di destinazione d'uso - Divieto di introdurre limiti quantitativi alla presenza di destinazioni complementari a fianco di quelle principali - Illegittimità.
2. Mutamento di destinazione d'uso - Incremento di valore degli immobili - Stima dell'Agenzia del Territorio - E' atto endoprocedimentale - Conseguenze - Onere di impugnabilità della stima - Non sussiste.
1. In materia di disciplina dei mutamenti delle destinazioni d'uso degli immobili, ai sensi dell'art. 1, comma 2, L.R. 1/2001 -norma oggi abrogata, ma sostanzialmente confluita nell'art. 51, comma 1, lett. d), L.R. 12/2005- da un lato, è consentito ai comuni di escludere in toto determinate destinazioni: dall'altro, tuttavia, tale norma non può essere intesa come divieto di introdurre limiti quantitativi alla presenza di destinazioni complementari a fianco di quella o quelle identificate come principali.
2. In materia di rilevazioni di incremento di valore degli immobili nel passaggio da una destinazione d'uso ad un'altra, la stima dell'Agenzia del Territorio costituisce atto interno, non direttamente lesivo, e pertanto impugnabile solo unitamente al provvedimento che irroga la sanzione: ciò esclude la configurabilità dell'Agenzia del Territorio come contraddittore necessario (cfr. TAR Milano, sent. n. 1546/2010) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 11.02.2011 n. 468 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Contributi e oneri - Rimborso della differenza tra oneri concessori versati per il terziario e minori oneri dovuti per l'abitativo - Impossibilità.
Una volta che l'intervento edilizio sia stato realizzato in base a permesso di costruire chiesto dall'interessato e questi ne abbia successivamente mutata la destinazione d'uso, non è dovuto alcun rimborso della differenza tra oneri concessori versati per il terziario e (minori) oneri dovuti per l'abitativo: infatti, nessuna norma prevede la restituzione degli oneri
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 11.02.2011 n. 468 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Edificazione in assenza di piano attuativo - Possibilità -Presupposti.
Un terreno è suscettibile di edificazione in assenza di piano attuativo soltanto quando si accerti la sussistenza di una situazione di fatto perfettamente corrispondente a quella derivante dall'attuazione del piano esecutivo e, quindi, allorché ricorrano, congiuntamente, le seguenti condizioni: l'area, seppur edificabile, non sia stata ancora edificata; ricada in una zona integralmente interessata da costruzioni; sia dotata di tutte le opere di urbanizzazione, primarie e secondarie, previste dagli strumenti urbanistici; sia valorizzata da un provvedimento edilizio del tutto conforme al piano regolatore generale (cfr. Cons. di Stato, sent. n. 3699/2010) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenze 10.02.2011 nn. 434 e 435 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: Standard urbanistici - Sovradimensionamento - Motivazione - Quando è necessaria.
In materia di sovradimensionamento, il discostamento dagli standard minimi non necessita di motivazione laddove si tratti di aumento contenuto: invece, la motivazione è necessaria, con riguardo alle specifiche e peculiari esigenze che sostengono la scelta pianificatoria, qualora questa si sostanzi in un consistente sovradimensionamento rispetto alle soglie di legge (cfr. Cons. di Stato , sent. n. 1176/2010)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenze 10.02.2011 nn. 434 e 435 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ENTI LOCALI: Nomina del titolare di un organo monocratico o di un componente di un organo collegiale - Annullamento giurisdizionale - Validità degli atti emessi prima dell'annullamento - Permane - Principio c.d. del funzionario di fatto.
In caso di annullamento in sede giurisdizionale della nomina del titolare di un organo monocratico o di un componente di un organo collegiale, l'accertata invalidità dell'atto di investitura non ha di per sé alcuna conseguenza sugli atti emessi in precedenza, poiché quando l'organo è investito di funzioni di carattere generale, il relativo procedimento di nomina ha una sua piena autonomia, sicché i vizi della nomina non si riverberano sugli atti rimessi alla sua competenza generale (cfr. Cons. di Stato, sent. n. 2407/2008): ciò, in base al principio c.d. del funzionario di fatto, per cui l'annullamento giurisdizionale dell'atto di nomina non travolge gli atti adottati nell'esercizio della funzione e riguardanti soggetti diversi da quelli che hanno impugnato l'atto di nomina (cfr. Cons. di Stato, sent. n. 992/2005)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 08.02.2011 n. 402 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Beni storici e artistici - Interesse storico-artistico - Valutazioni - Discrezionalità tecnica e discrezionalità amministrativa - Impugnabilità - Solo in presenza di evidenti profili di illogicità o travisamento dei fatti.
Nella valutazione sull'interesse storico di un bene, l'apprezzamento operato dall'Amministrazione presenta profili di discrezionalità particolarmente intensi, con il corollario che tale apprezzamento è sindacabile dal Giudice Amministrativo solo in ipotesi di manifesta illogicità o travisamento dei fatti in cui è evidente lo sconfinamento del potere discrezionale riconosciuto alla P.A. (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 08.02.2011 n. 387 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Procedimento amministrativo - Comunicazione di avvio - Atto vincolato - Necessità - Non sussiste.
La comunicazione di avvio del procedimento diviene superflua quando l'adozione del provvedimento finale è doverosa -oltre che vincolata- per la P.A. e l'eventuale annullamento del provvedimento finale, per accertata violazione dell'obbligo formale di comunicazione, non priverebbe l'Amministrazione del potere -o addirittura del dovere- di adottare un nuovo provvedimento di identico contenuto
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 08.02.2011 n. 387 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Impugnazione titoli edilizi - Termine - Decorrenza - Completamento della costruzione nel suo assetto planivolumetrico definitivo.
Il termine per l'impugnazione dei titoli abilitativi edilizi decorre - perlomeno in casi come quello di specie, dove è contestata l'inosservanza delle distanze - dal completamento della costruzione nel suo assetto planivolumetrico definitivo, o al "rustico", cioè dal momento in cui l'interessato è in grado di percepire la lesione alla propria posizione giuridica, visto lo stato di avanzamento e di realizzazione dell'edificazione (cfr. Cons. di Stato, sent. n. 18/2011; TAR Milano, sent. n. 7511/2010)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 08.02.2011 n. 386 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: Disposizioni contenute nel PRG e nei piani attutivi - Impugnazione - Interesse a ricorrere - Vicinitas - Non sufficienza - Effettività del danno - Necessità.
Ai fini della legittimazione all'impugnazione di piani urbanistici, anche attuativi, è necessario che l'esponente fornisca la prova non solo della vicinanza del proprio fondo a quello oggetto del piano, ma anche dell'effettività del danno derivante dall'intervento urbanistico (cfr. TAR Milano, sent. n. 90/2011, sent n. 1551/2008; Cons. di Stato, sent. n. 1548/2008).
E', pertanto, inammissibile per difetto di interesse il ricorso proposto da proprietari residenti nelle vicinanze dell'area oggetto del PII ove non venga fornita alcuna prova del danno concreto subito
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 08.02.2011 n. 383 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: 1. Ricorso amministrativo - Controinteressato - Caratteri ed Individuazione - Mera partecipazione al procedimento o semplice presentazione di esposti e denunce - Insufficienza.
2. Preavviso di rigetto ex art. 10-bis, L. 241/1990 - Carattere interlocutorio - Mancanza di lesività attuale - Impugnabilità - Non sussiste.
3. Ricorso amministrativo - Consulenza tecnica d'ufficio - Istruttoria volta a colmare lacune procedimentali della P.A. - Inammissibilità.
4. Atto amministrativo - Motivazione - Integrazione successiva - In sede giurisdizionale - Motivazione contenuta in atti difensivi - Inammissibilità.

1. La mera partecipazione al procedimento o la semplice presentazione di esposti e denunce all'autorità pubblica non costituiscono condizioni sufficienti ad acquisire la qualità di controinteressato nel giudizio amministrativo (cfr. TAR Latina, sent. n. 293/2010; TAR Napoli, sent. n. 1918/2010; Cons. di Stato, sent. n. 547/2006).
2. Qualora in un provvedimento la P.A., da un lato, parli di "archiviazione" della pratica, ma, dall'altro, richiami l'art. 10-bis della Legge 241/1990 -come se l'atto non rappresentasse una determinazione definitiva, ma soltanto un preavviso di rigetto- il provvedimento risulta non impugnabile, non apparendo chiara la sua effettiva portata lesiva (cfr. TAR Milano, sent. n. 7192/2010).
3. E' inammissibile la consulenza tecnica d'ufficio qualora si configuri come attività istruttoria volta a colmare le lacune procedimentali -consulenza tecnica c.d. esplorativa- in cui sia incorsa la P.A. che non abbia adeguatamente assolto l'onere della prova della propria pretesa di inibire l'attività edificatoria dell'esponente (cfr. TAR Catania, sent. n. 2930/2010).
4. Pur dopo le modifiche alla Legge 241/1990 introdotte con la Legge 15/2005, permane nel processo amministrativo il divieto di integrare la motivazione con gli atti difensivi (cfr. TAR Piemonte, sent. n. 4550/2010) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 08.02.2011 n. 382 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: 1. P.I.I. - Parere di compatibilità con il P.T.C.P. - Competenza della Giunta Provinciale - Sussiste.
2. P.G.T. - Osservazioni dei privati - Natura collaborativa - Rigetto delle osservazioni - Motivazione particolare - Necessità - Non sussiste.
1.
Rientra nella competenza della giunta provinciale emettere pareri di compatibilità di un programma integrato di intervento con il P.T.C.P. (cfr. Cons. di Stato, sent. n. 3333/2009, TAR Milano, sent. n. 7614/2010).
2. Dal momento che le osservazioni dei privati ai progetti di strumenti urbanistici costituiscono un mero apporto collaborativo alla formazione di detti strumenti e non danno luogo a peculiari aspettative, ne deriva che il loro rigetto non richiede una specifica motivazione, essendo sufficiente che esse siano state esaminate e ritenute in contrasto con gli interessi e le considerazioni generali poste a base della formazione del piano (cfr. Cons. di Stato, sent. n. 3358/2008) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 01.02.2011 n. 329 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. Giustizia amministrativa - Ricorso giurisdizionale - Interesse a ricorrere - Requisiti - Ricorso in cui l'interesse risulti privo del requisito della personalità - Interesse - Non sussiste.
2. Concessione edilizia - Terzo confinante - Legittimazione ad intervenire nel procedimento - Sussiste - Titolo a ricevere l'avviso di avvio del procedimento - Non sussiste.

1. Poiché nel processo amministrativo l'interesse a ricorrere è caratterizzato dalla presenza degli stessi requisiti che qualificano l'interesse ad agire di cui all'art. 100 c.p.c., ovverossia dalla prospettazione di una lesione concreta ed attuale della sfera giuridica del ricorrente e dall'effettiva utilità che potrebbe derivare a quest'ultimo dall'eventuale annullamento dell'atto impugnato, è inammissibile il ricorso in cui l'interesse risulti privo del requisito della personalità, non riguardando specificamente e direttamente la sfera del ricorrente (cfr. TAR Roma, sent. n. 37190/2010).
2. Nel caso in cui venga proposta una domanda volta ad ottenere il rilascio di un titolo edilizio, il vicino del richiedente può intervenire nel corso del relativo procedimento e può impugnare il provvedimento che accolga l'istanza: tuttavia, egli non ha titolo a ricevere l'avviso dell'avvio del procedimento in quanto ciò comporterebbe un aggravio del procedimento, in palese violazione dei principi di economicità ed efficacia dell'attività amministrativa (cfr. Cons. di Stato, sent. n. 1197/1999; n. 1533/2002; n. 1773/2005; TAR Milano, sent. n. 3253/2010; TAR Liguria, sent. n. 1736/2009) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 01.02.2011 n. 329 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Ordinanza di demolizione - Pagamento sanzione pecuniaria - Acquiescenza al provvedimento - Non sussiste.
Qualora il pagamento delle somme ingiunte dalla P.A. al privato possa ragionevolmente collegarsi alla volontà di quest'ultimo di sottrarsi al pregiudizio ulteriore che sarebbe potuto derivare dalla esecuzione forzata posta in essere in base al provvedimento di demolizione impugnato, oltre che alla volontà di conseguire il relativo certificato di abitabilità, ne consegue che nell'avvenuto pagamento non può ravvisarsi acquiescenza al provvedimento (cfr. Cons. di Stato, sent. n. 4424/2005; TAR Milano, sent. n. 66801/2007)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 01.02.2011 n. 328 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

CONDOMINIO: COMUNIONE E CONDOMINIO - CONDOMINIO - INNOVAZIONI E MODIFICHE - VIOLAZIONE DEL DECORO ARCHITETTONICO - VALUTAZIONE IN RELAZIONE ALL'IMPATTO CON L'AMBIENTE - ESCLUSIONE.
Spetta al giudice di merito accertare in concreto se una data innovazione costituisce o meno alterazione del decoro architettonico, per cui la sentenza che affermi o meno l'esistenza di detta alterazione è censurabile in sede di legittimità solo per vizio di motivazione sul punto.
Il decoro architettonico, quale estetica data dall'insieme delle linee e delle strutture ornamentali che costituiscono la nota dominante dell'edificio imprimendo allo stesso una sua armoniosa fisionomia, deve essere valutato, ai sensi dell'articolo 1120, comma 2, del codice civile con riferimento al fabbricato condominiale nella sua totalità (potendo anche interessare singoli punti del fabbricato purché l'immutazione di essi sia suscettibile di riflettersi sull'intero stabile) e non rispetto all'impatto con l'ambiente circostante (Corte di Cassazione, Sez. II, civile, sentenza 25.01.2010 n. 1286 - commento tratto da www.diritto24.ilsole24ore.com).

EDILIZIA PRIVATAIl legislatore ha configurato un procedimento di definizione della domanda di accertamento di conformità paesaggistica che deve svolgersi nel temine espressamente indicato come perentorio di 120 giorni.
La mancata adozione della relativa determinazione produce senz’altro l’insorgere del c.d. silenzio-rifiuto o silenzio-inadempimento, che si forma illegittimamente per l’inosservanza del termine previsto quale data ultimativa per rendere la prevista pronuncia.
L’inerzia eventuale vìola, peraltro, il disposto di cui all’art. 2 della legge n. 241/1990 che sancisce il principio di carattere generale delle certezza del tempo delle determinazioni da assumersi da parte della P.A., sicché non può non censurarsi il comportamento omissivo tenuto dal Comune che ha il preciso onere di rendere la chiesta pronuncia nel termine ad esso fissato dall'art. 181, comma 1-quater, del dlgs. n. 42 del 2004.

L’art. 181, comma 1-quater, del dlgs. n. 42 del 2004 prevede la possibilità per il proprietari di immobili oggetto di interventi edilizi realizzati in area sottoposta a vincolo paesaggistico: di presentare domanda di accertamento di compatibilità paesaggistica e l’autorità competente (nella specie il Comune quale ente subdelegato dalla Regione) si pronuncia sulla domanda entro il termine perentorio di centottanta giorni, previo parere vincolante della Soprintendenza da rendersi entro il termine perentorio di novanta giorni.
Il legislatore dunque ha configurato un procedimento di definizione della domanda di accertamento di conformità paesaggistica che deve svolgersi nel temine espressamente indicato come perentorio di 120 giorni e nella specie tale spatium temporis risulta essere trascorso senza che la pronuncia sia avvenuta o comunque non trasmessa al ricorrente.
La mancata adozione della relativa determinazione ha prodotto senz’altro l’insorgere del c.d. silenzio-rifiuto o silenzio-inadempimento, formatosi, appunto, illegittimamente per l’inosservanza del termine previsto quale data ultimativa per rendere la prevista pronuncia.
L’inerzia fatta registrare vìola peraltro il disposto di cui all’art. 2 della legge n. 241/1990 che sancisce il principio di carattere generale delle certezza del tempo delle determinazioni da assumersi da parte della P.A., sicché non può non censurarsi il comportamento omissivo tenuto dal Comune di Bagno a Ripoli che, come sopra detto aveva il preciso onere di rendere la chiesta pronuncia nel termine ad esso fissato dalla normativa suindicata.
In forza delle suesposte considerazioni il Collegio, in accoglimento della pretesa sostanziale fatta valere in ricorso, deve accertare siccome accerta essersi inverato nella specie il silenzio-inadempimento da parte del Comune di Bagno a Ripoli in ordine all’istanza di accertamento di compatibilità paesaggistica presentata dal ricorrente il 15.05.2006, con conseguente intimazione all’Amministrazione di provvedere con pronuncia espressa su detta istanza nel temine che si indica nella parte dispositiva della presente decisione (TAR Toscana, Sez. III, sentenza 06.02.2008 n. 122 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

CONDOMINIO: COMUNIONE DEI DIRITTI REALI - CONDOMINIO NEGLI EDIFICI - PARTI COMUNI DELL'EDIFICIO - CORTILI, CHIOSTRINE, FINESTRE - Aree condominiali scoperte - Destinazione in parte a parcheggio delle vetture dei condomini ed in parte a parco giochi - Delibera assembleare - Approvazione - All'unanimità - Necessità - Esclusione - A maggioranza - Legittimità.
La delibera assembleare di destinazione di aree condominiali scoperte in parte a parcheggio autovetture dei singoli condomini e in parte a parco giochi va approvata a maggioranza qualificata dei condomini ex art. 1136 quinto comma, cod. civ.) -con la quale possono essere disposte tutte le innovazioni dirette al miglioramento o all'uso più comodo o al maggior rendimento delle cose comuni (art. 1120 primo comma, cod. civ.)- non essendo all'uopo necessaria l'unanimità dei consensi degli aventi diritto al voto (Corte di Cassazione, Sez. II civile, sentenza 29.12.2004 n. 24146 - commento tratto da www.diritto24.ilsole24ore.com).

CONDOMINIO: COMUNIONE DEI DIRITTI REALI - CONDOMINIO NEGLI EDIFICI - PARTI COMUNI DELL'EDIFICIO - CORTILI, CHIOSTRINE, FINESTRE - Cortile - Destinazione a parcheggio di autoveicoli - Delibera assembleare - Approvazione a maggioranza - Validità - Fondamento.
In tema di condominio, la delibera assembleare di destinazione del cortile a parcheggio di autovetture -in quanto disciplina le modalità di uso e di godimento del bene comune- è validamente approvata con la maggioranza prevista dal quinto comma dell'art. 1138 cod.civ., non essendo richiesta l'unanimità dei consensi (Corte di Cassazione, Sez. II, civile, sentenza 08.11.2004 n. 21287 - commento tratto da www.diritto24.ilsole24ore.com).

AGGIORNAMENTO ALL'08.08.2011

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UTILITA'

APPALTI: NUOVI MODELLI DI DICHIARAZIONI DA UTILIZZARE NELLE GARE PUBBLICHE PER I REQUISITI DI ORDINE GENERALE - ART. 38 DEL D. LGS. N. 163/2006.
È stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 160 del 12.07.2011, Serie Generale, la Legge n. 106/2011, di conversione del c.d. Decreto Sviluppo (D.L. 13.05.2011, n. 70). Il testo della Legge, che è entrata in vigore il giorno successivo alla sua pubblicazione (ossia il 13.07.2011), modificando il testo del D.L. Sviluppo interviene sulle novità introdotte da quest’ultimo.
Tra le più significative vi sono quelle che hanno modificato le cause di esclusione dalla partecipazione agli appalti pubblici. E’ stato infatti modificato l’art. 38 del Codice degli appalti, il D.Lgs. 163/2006 che prevede le seguenti dichiarazioni:
a) dichiarazione circa i requisiti personali (antimafia, moralità professionale);
b) dichiarazione dei requisiti del punto a) per i cessati dalla carica (nell’ultimo anno e non più nel triennio);
c) dichiarazione circa i requisiti dell’impresa (fallimento, tasse, contributi, sicurezza, ecc.).
Qualora il bando riporti in allegato uno schema di tali dichiarazioni è opportuno che l’impresa li utilizzi. In mancanza si consiglia di utilizzare i seguenti schemi predisposti dagli uffici del Collegio:
1) Modello B1 - Dichiarazione concernente l’inesistenza di cause d’esclusione dalle gare d’appalto per l’esecuzione di lavori pubblici di cui alle lettere b), c) e m-ter) dell’art. 38, comma 1, del D.Lgs. n. 163/2006;
2) Modello B1-bis per i cessati dalla carica - Dichiarazione concernente l’inesistenza di cause d’esclusione dalle gare d’appalto per l’esecuzione di lavori pubblici di cui alla lettera c), comma 1, dell’art. 38 del D.Lgs. 163/2006;
3) Modello B2 - Dichiarazione concernente l’inesistenza di cause d’esclusione dalle gare d’appalto per l’esecuzione di lavori pubblici di cui all’art. 38 del D.Lgs. n. 163/2006 (link a www.ancebrescia.it).

APPALTI: Gli atti del convegno tenutosi nel giugno 2011 a cura del Centro Studi Marangoni (link a www.centrostudimarangoni.it):
- 1^ parte; - 2^ parte; - 3^ parte.

DOTTRINA E CONTRIBUTI

AMBIENTE-ECOLOGIA: G. Tapetto, Considerazioni sui rifiuti sanitari prodotti dalle attività di assistenza sanitaria domiciliare (A.D.I.) (link a www.ambientediritto.it).

SICUREZZA LAVORO: I. Secco, Il responsabile dei lavori: incarico e incompatibilità (link a www.ipsoa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: F. Di Chio, La motivazione come specchio di istruttoria amministrativa e apporti dei cittadini (link a www.altalex.com).

ATTI AMMINISTRATIVI: G. P. Cirillo, Il risarcimento del danno e l’incidenza della mancata proposizione dell’azione di annullamento nella sua valutazione (link a www.giustizia-amministrativa.it).

SINDACATI

PUBBLICO IMPIEGO: Toni prudenti nella circolare della funzione pubblica sulla trasformazione unilaterale del part-time (CGIL-FP di Bergamo, nota 04.08.2011).

PUBBLICO IMPIEGO: EE.LL.: diventa un'odissea la disciplina delle assunzioni dopo l'approvazione del D.L. 98/2011 (CGIL-FP di Bergamo, nota 03.08.2011).

AUTORITA' VIGILANZA CONTRATTI PUBBLICI

APPALTI: Aperta la consultazione on-line sul documento "Prime indicazioni sui bandi tipo: tassatività delle cause di esclusione e costo del lavoro".
L'Autorità, a seguito dell'entrata in vigore del decreto legge 13.05.2011, n. 70, convertito in legge dalla legge 12.07.2011, n. 106, ha deliberato di esperire una consultazione degli operatori del settore e delle amministrazioni pubbliche, avente ad oggetto alcune rilevanti novità in materia di redazione dei bandi di gara.
La consultazione riguarda le cause tassative di esclusione (articolo 46, comma 1-bis del Codice), l'articolo 38 del Codice, e la determinazione del costo del personale ai sensi dell'articolo 81, comma 3-bis del Codice.
La consultazione è finalizzata all'adozione dei bandi tipo (articolo 64, comma 4-bis del Codice).
I soggetti interessati possono far pervenire all’Autorità le proprie osservazioni mediante la compilazione dell’apposito modello formato .PDF che, unitamente agli estremi identificativi del mittente, consente l’inserimento di un testo libero fino a 8000 battute. Il modello potrà essere inviato entro le ore 18 del 10.09.2011.
Si rappresenta, inoltre, che i contributi pervenuti saranno oggetto di pubblicazione sul sito dell’Autorità, in forma non anonima, salvo che vengano evidenziate motivate esigenze di riservatezza (link a www.autoritalavoripubblici.it).

DIPARTIMENTO FUNZIONE PUBBLICA

PUBBLICO IMPIEGOMalattia statali, palla ai dirigenti. Visita fiscale a discrezione. Considerandone anche i costi. Circolare Funzione pubblica sulle nuove norme sulle assenze.
Dipendenti pubblici: sulle assenze dal servizio per malattia sarà il dirigente a valutare, a sua discrezione, la sussistenza dei presupposti per l'invio della visita fiscale. Dovrà, pertanto, valutare la condotta del dipendente, prescindendo da considerazioni e sensazioni personalistiche e ponderando gli interessi dell'amministrazione, tenuto conto del costo a carico delle finanze pubbliche derivante dall'espletamento della visita del medico fiscale al domicilio del dipendente.
Gli statali che, durante il periodo di malattia, devono allontanarsi dal proprio domicilio, per non incorrere in sanzioni pecuniarie e nell'attivazione di un procedimento disciplinare, devono preventivamente avvertire l'ufficio di tale evenienza.
Infine, dal 6 luglio, tutte le disposizioni relative ai presupposti per la visita fiscale, al regime delle reperibilità e alle modalità di giustificazione delle assenze, sono applicabili anche al personale di magistratura, pur tenendo conto dell'autonomia di cui sono dotati i singoli organi di autogoverno delle magistrature.

È quanto mette nero su bianco la Funzione pubblica, nel testo della circolare 01.08.2011 n. 10/2011 diffusa ieri, che fornisce i primi chiarimenti in ordine alle nuove disposizioni in materia di assenze dal servizio del personale delle pubbliche amministrazioni, operate dall'articolo 16, commi 9 e 10 della manovra correttiva dei conti pubblici per il triennio 2011-2014 (il dl n. 98/2011).
Visita fiscale. Rispetto al regime previgente, per effetto della nuova formulazione del comma 5 dell'articolo 55-septies del dlgs n. 165/2001, dal 6 luglio scorso le p.a. non sono più tenute «obbligatoriamente» a richiedere la visita fiscale sin dal primo giorno di assenza e anche per un solo giorno di malattia, ma si demanda alla discrezionalità del dirigente, la sussistenza dei presupposti per l'invio del medico fiscale.
Il dirigente, infatti, dovrà valutare la condotta del dipendente, fondandosi esclusivamente «su elementi di carattere oggettivo» e non certamente su considerazioni o sensazioni che sono proprie della sfera personale. Inoltre, dovrà anche tenere conto degli oneri connessi al costo della visita fiscale, in particolare alla copertura finanziaria per tali fini (la norma mette sul piatto a tal fine 70 milioni di euro per ogni anno del triennio 2011-2014).
Resta inteso, come precisa la disposizione, che l'obbligo di inviare il medico fiscale sussiste se il dipendente è assente per malattia nei giorni immediatamente precedenti o successivi a giorni non lavorativi. Un modo, questo, per porre un freno a quei «furbetti» che tentano così di allungare qualche «ponte» festivo.
La reperibilità. A breve, un decreto del ministro Brunetta renderà note le nuove fasce orarie di reperibilità per i dipendenti in malattia. Ad oggi, pertanto, valgono quelle stabilite dal dm 18.12.2009, ovvero dalle 9.00 alle 13.00 e dalle 15.00 alle 18.00.
La circolare in esame, pertanto, rileva che la norma contenuta nella manovra riprende l'obbligo (sancito dal Ccnl ministeri), di informare preventivamente il datore di lavoro della momentanea assenza dal proprio domicilio. Sui motivi che legittimano l'assenza, sarà il dirigente a valutarne l'idoneità.
Tuttavia, chi dovesse allontanarsi per effettuare visite mediche o specialistiche, potrà farsi rilasciare apposita attestazione dal medico o dalla struttura, anche privata, che ha eseguito l'accertamento. In tutti gli altri casi, si precisa che il dipendente potrà produrre una dichiarazione sostitutiva di atto notorio.
Applicazione al personale di diritto pubblico. Come sancito dal comma 10 dell'articolo 16 della manovra, la circolare in osservazione, «al fine di fugare dubbi interpretativi», rileva che a far data dal 6 luglio scorso, la normativa sui presupposti per la visita fiscale, sul regime della reperibilità e le modalità di giustificazione dell'assenza da domicilio, si applica anche al personale in regime di diritto pubblico, ovvero alla magistratura, al personale militare e a quello della carriera prefettizia.
E ciò, «pur tenendo conto delle garanzie di autonomia dell'organico magistratuale, di cui sono titolari i singoli organi di autogoverno delle magistrature» (articolo ItaliaOggi del 02.08.08.2011 - tratto da www.corteconti.it).

PUBBLICO IMPIEGOCertificati anche dai medici privati.
Anche le strutture private possono giustificare l'assenza per malattia del dipendente pubblico, quando siano loro a erogare il servizio (dalla visita all'esame diagnostico) che lo tiene lontano dall'ufficio. I controlli anti-assenteismo riguarderanno anche docenti universitari, militari, polizia, vigili del fuoco e magistrati, ma su quest'ultima categoria vigilano gli organi di autogoverno in nome della sua particolare autonomia; le nuove regole generali, comunque, sono più flessibili, e lontano dai giorni festivi lasciano alle amministrazioni maggiori margini di scelta se disporre o meno la visita fiscale al dipendente in malattia.
Dopo l'ennesimo restyling delle misure anti-assenteismo, portato dalla manovra (articolo 16 del Dl 98/2011), la Funzione pubblica fa il punto della situazione nella circolare 01.08.2011 n. 10/2011 diramata ieri.
In particolare, l'intervento della manovra sana un buco procedurale, perché imporre la certificazione da parte del Servizio sanitario (o di un medico convenzionato) significava obbligare a un doppio passaggio chi si rivolgesse a strutture private.
La manovra, poi, amplia la platea dei soggetti alle verifiche anti-assenze, estendendole anche al personale in regime di diritto pubblico. Sul punto, le istruzioni di Palazzo Vidoni sottolineano che l'equiparazione con il personale privatizzato è a tutto campo, e riguarda sia le modalità di certificazione dell'assenza sia le visite fiscali e la reperibilità: tema, quest'ultimo, su cui dovrà intervenire un nuovo Dm per rivedere ancora una volta le fasce orarie (articolo Il Sole 24 Ore del 02.08.2011).

GURI - GUUE - BURL (e anteprima)

EDILIZIA PRIVATA: B.U.R. Lombardia, supplemento n. 31 del 05.08.2011 "Nuova organizzazione degli enti gestori delle aree regionali protette e modifiche alle leggi regionali 30.11.1983, n. 86 (Piano generale delle aree regionali protette. Norme per l’istituzione e la gestione delle riserve, dei parchi e dei monumenti naturali, nonché delle aree di particolare rilevanza naturale e ambientale) e 16.07.2007, n. 16 (Testo unico delle leggi regionali in materia di istituzione dei parchi)" (L.R. 04.08.2011 n. 12).

AMBIENTE-ECOLOGIA: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 31 del 05.08.2011 "Reg. CE 1698/2005, Programma di Sviluppo Rurale 2007-2013 - Modifica ed integrazione del bando relativo alla misura 223 «Imboschimento di superfici non agricole», approvato con decreto n. 187 del 16.01.2009" (decreto D.U.O. 02.08.2011 n. 7222).

AMBIENTE-ECOLOGIA: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 31 del 05.08.2011, "Approvazione delle «Linee guida per l’individuazione delle varianti sostanziali e non sostanziali per gli impianti che operano al sensi del d.lgs. 152/2006, artt. 208 e seguenti»" (deliberazione G.R. 25.07.2011 n. 6907).

EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA: B.U.R. Lombardia, supplemento n. 31 del 03.08.2011, "Assestamento al bilancio per l’esercizio finanziario 2011 ed al bilancio pluriennale 2011/2013 a legislazione vigente e programmatico – I provvedimento di variazione con modifiche di leggi regionali" (L.R. 03.08.2011 n. 11).
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Di interessante, si legga l'
Art. 11 - (Modifiche all’articolo 29 della legge regionale 12.12.2003, n. 26 (Disciplina dei servizi locali di interesse economico generale. Norme in materia di gestione dei rifiuti, di energia, di utilizzo del sottosuolo e di risorse idriche).

EDILIZIA PRIVATA: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 31 del 03.08.2011, "Indicazioni sulla installazione e gestione degli impianti a fune (art. 59 l.r. 31/2008; artt. 73 e 74 r.r. 5/2007)" (circolare regionale 26.07.2011 n. 8).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI: G.U. 01.08.2011 n. 177 "Attuazione della direttiva 2008/99/CE sulla tutela penale dell’ambiente, nonché della direttiva 2009/123/CE che modifica la direttiva 2005/35/CE relativa all’inquinamento provocato dalle navi e all’introduzione di sanzioni per violazioni" (D.Lgs. 07.07.2011 n. 121).
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Registro di carico e scarico rifiuti - Esclusione dall'obbligo di tenuta.
Col D.Lgs. 121/2011 è stata ripristinata l'esclusione dall'obbligo di tenuta del registro di carico e scarico per le Imprese che raccolgono e trasportano i propri rifiuti speciali non pericolosi derivanti dalle attività di demolizione, costruzione, nonché i rifiuti che derivano dalle attività di scavo.
Le imprese di costruzione che trasportano i propri rifiuti non pericolosi dovranno pertanto compilare soltanto il formulario di identificazione dei rifiuti (FIR) non essendo obbligate né all'iscrizione a Sistri, né alla tenuta del registro di carico e scarico degli stessi.
L'esclusione dall'obbligo di tenuta del registro dovrà essere riportata nell'apposito spazio del FIR riservato alle annotazioni indicando: "Esclusione dall'obbligo di tenuta del registro di carico e scarico - artt. 190 e 188, del DLgs. n. 152/2006".

APPALTI: G.U. 01.08.2011 n. 177 "Pubblicazione nei siti informatici di atti e provvedimenti concernenti procedure ad evidenza pubblica o di bilanci, adottato ai sensi dell’articolo 32 della legge 18.06.2009, n. 69" (D.P.C.M. 26.04.2011).
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Bandi di gara e bilanci della PA: tutto online, tutto in chiaro.
Il decreto stabilisce le modalità di pubblicazione nei siti informatici delle amministrazioni e degli enti pubblici, ovvero di loro associazioni, degli atti e dei provvedimenti concernenti procedure ad evidenza pubblica, nonché dei bilanci per i quali è prevista la pubblicazione sulla stampa quotidiana.
Pubblicazione gare.
Il decreto stabilisce, nel rispetto della normativa in materia di protezione dei dati personali di cui al decreto legislativo 30.06.2003, n. 196 e successive modificazioni, le modalità di pubblicazione nei siti informatici delle amministrazioni e degli enti pubblici, ovvero di loro associazioni, degli atti e dei provvedimenti concernenti procedure ad evidenza pubblica, nonché dei bilanci per i quali è prevista la pubblicazione sulla stampa quotidiana.
Per le procedure ad evidenza pubblica, il sito informatico è rappresentato dal profilo di committente e le amministrazioni e gli enti pubblici, ovvero le loro associazioni, sono rappresentate dalle amministrazioni aggiudicatrici.
Le amministrazioni aggiudicatrici pubblicano i bandi, gli avvisi e gli esiti di gara sul profilo di committente in una apposita sezione dedicata, denominata «Bandi di gara», direttamente raggiungibile dalla home-page, dotata di caratteristiche di indirizzabilità e di ergonomicità tali da consentire un'immediata e agevole consultazione.
I bandi, gli avvisi e gli esiti di gara sono pubblicati in base alla tipologia degli stessi, distinta per bandi di lavori, per bandi di servizi e per bandi di forniture, cui sono collegati i relativi avvisi di aggiudicazione.
I bandi e gli avvisi di gara sono pubblicati nei termini previsti dal Codice dei contratti per ciascuna tipologia di procedura di affidamento e restano consultabili, con le modalità previste dall'art. 3, fino alla data di scadenza del bando o dell'avviso. Gli esiti di gara sono pubblicati nei termini previsti dal Codice dei contratti e restano consultabili fino a tutto il centottantesimo giorno successivo alla data di pubblicazione dell'esito.
I bandi ed avvisi di gara scaduti confluiscono automaticamente in un'apposita sezione dedicata, denominata «Bandi di gara scaduti», e restano consultabili fino a tutto il centottantesimo giorno successivo alla data di pubblicazione del relativo esito di gara.
I bandi, gli avvisi e gli esiti di gara, successivamente alla scadenza del termine sono consultabili secondo le modalità stabilite da ciascuna amministrazione aggiudicatrice e rese note sul profilo del committente.
Ogni bando, avviso ed esito di gara contiene gli elementi e le informazioni indicati dal Codice dei contratti, secondo il formato dei modelli di formulari adottati dalla Commissione europea, ed è indicizzato con i campi informativi delle Tabelle di cui all'Allegato 2.
Bilanci.
Gli Enti pubblicano i propri bilanci in un'apposita sezione del proprio sito informatico denominata «Bilanci», direttamente raggiungibile dalla home-page e dotata di caratteristiche di indirizzabilità e di ergonomicità tali da consentire un'immediata e agevole consultazione.
I soggetti pubblicano i propri bilanci utilizzando i modelli stabiliti dal decreto del Presidente della Repubblica 15.02.1989, n. 90, di attuazione dell'art. 6 della legge 25.02.1987, n. 67.
I bilanci sono consultabili in ordine cronologico, senza alcuna limitazione temporale.
I soggetti tenuti all'applicazione del presente decreto registrano l'indirizzo web del sito informatico nell'Indice degli indirizzi delle pubbliche amministrazioni di cui all'art. 57-bis del CAD e ne garantiscono i relativi aggiornamenti (02.08.2011 - tratto da www.ipsoa.it).

ENTI LOCALI: G.U. 01.08.2011 n. 177 "Criteri per la determinazione dell’importo netto da erogare ai comuni che abbiano partecipato all’accertamento fiscale e contributivo" (decreto 15.07.2011).
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Al via la collaborazione con le Entrate.
Lotta all’evasione, Comuni in prima linea. Definiti i criteri per la determinazione dell'importo netto da erogare ai Comuni che hanno collaborato con l’Amministrazione finanziaria.

Approvati, con decreto del 15 luglio scorso, i criteri per la determinazione dell'importo netto della quota delle maggiori somme relative ai tributi di cui all'art. 1, comma 1, del decreto direttoriale 23.03.2011, comprensive di interessi e sanzioni, riscosse a titolo definitivo, nonché delle sanzioni civili applicate sui maggiori contributi previdenziali e assistenziali riscossi a titolo definitivo, da erogare ai comuni che abbiano contribuito all'accertamento fiscale e contributivo secondo le modalità di trasmissione delle segnalazioni qualificate previste dai provvedimenti attuativi dell'art. 1 del D.L. 30.09.2005, n. 203.
Infatti, come è noto, l’art. 1 del decreto 23.03.2011 prevede l’attribuzione ai comuni di una quota del 33% delle maggiori somme definitivamente riscosse relative alle imposte sul reddito delle persone fisiche, sul reddito delle società, sul valore aggiunto, di registro, ipotecaria, catastale ed ai tributi speciali catastali, comprensive di interessi e sanzioni, nonché alle sanzioni civili applicate sui maggiori contributi previdenziali e assistenziali riscossi a titolo definitivo (03.08.2011 - commento tratto da www.ipsoa.it).

QUESITI & PARERI

APPALTIOEPV e criteri di valutazione della lex specialis.
Domanda.
Quando la Commissione giudicatrice di un appalto pubblico che prevede il criterio dell'aggiudicazione dell'offerta economicamente più vantaggiosa può integrare i criteri di valutazione della lex specialis?
Risposta.
Ai fini dell'attribuzione del punteggio, non contrasta con il diritto comunitario, l'integrazione dei criteri di valutazione a condizione che:
a) non siano modificati i criteri di valutazione stabiliti dalla lex specialis di gara;
b) non sia influenzata la preparazione delle offerte a cagione della previsione di elementi, che, se fossero stati noti al momento della formulazione delle offerte, avrebbero potuto indurre i partecipanti al procedimento di evidenza pubblica ad una diversa articolazione delle offerte;
c) non siano introdotte discriminazioni a danno dei concorrenti (02.08.2011 - commento tratto da www.ipsoa.it).

SICUREZZA LAVORO: Accesso ai documenti in materia di igiene, salute e sicurezza sul lavoro: è legittima la richiesta da parte del RLS di avere copia cartacea?
Domanda.
Considerato che l'art. 53 del decreto 81/2008 ha specificato che tutta la documentazione rilevante in materia di igiene, salute e sicurezza sul lavoro e tutela delle condizioni di lavoro può essere tenuta su unico supporto cartaceo o informatico è legittima la richiesta da parte del RLS di avere copia cartacea del documento? Inoltre, di quanto tempo può disporre il RLS per la consultazione?
Risposta
L'articolo 18 (obblighi del datore di lavoro e del dirigente) del D.Lgs. 81/2008 così come modificato dal D.Lgs. 106/2009, al comma 1, lettera o), pone obbligo al datore di lavoro di «consegnare tempestivamente al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, su richiesta di questi e per l'espletamento della sua funzione, copia del documento di cui all'articolo 17, comma 1, lettera a), ANCHE su supporto informatico come previsto dall'articolo 53, comma 5, nonché di consentire al medesimo rappresentante di accedere ai dati di cui alla lettera r); il documento e'consultato esclusivamente in azienda».
Per la prima domanda, la risposta è indiscutibile: il RLS ha il diritto di ottenere il DVR su supporto cartaceo e "anche" (non "soltanto") su supporto informatico.
Vero che il comma 5 dell'articolo 53 del D.Lgs. 81/2008 specifica che «Tutta la documentazione rilevante in materia di igiene, salute e sicurezza sul lavoro e tutela delle condizioni di lavoro può essere tenuta su unico supporto cartaceo o informatico. ...», ma questo non significa che il RLS non possa richiedere copia cartacea.
Per la seconda domanda, non c'e' un riscontro normativo specifico, ma, considerato che è obbligo del datore di lavoro e del dirigente «consentire ai lavoratori di verificare, mediante il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, l'applicazione delle misure di sicurezza e di protezione della salute [lettera n) del citato articolo 18, comma 1] è di sicuro riferimento la sentenza del Tribunale Ordinario di Milano, Sezione Lavoro, 29.01.2010, Udienza del 29.01.2010, n. 7273/2009 RGL, ove si afferma che «poiché il ruolo del RLS all'interno dell'azienda all'interno dell'azienda e' posto a presidio e controllo della salvaguardia di intessi di primaria importanza, quali sono quelli relativi alla salute dei lavoratori ne deriva che il datore di lavoro dovrà consentire al RLS la consultazione del DVR per tutto il tempo che sarà necessario, tenuto conto della eventuale complessità del documento stesso».
A parere dello scrivente, la sola limitazione che il datore di lavoro può porre al RLS è quella di evitare la consultazione della documentazione inerente la sicurezza, ove non sussistano motivi di palese urgenza, nei momenti in cui l'attività lavorativa svolta dal RLS sia essenziale per l'azienda (ritardo nelle consegne, predisposizione di materiali per una fiera, ecc.) (01.08.2011 - commento tratto da www.ipsoa.it).

CORTE DEI CONTI

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Enti locali - Manovra economica di cui al D.L. n. 78/2010 - Personale - Trattamento economico complessivo dei singoli dipendenti - Buoni pasto.
Ai sensi dell'art. 51, comma 2, lettera c), del D.P.R. n. 917/1986 (Testo unico delle imposte sui redditi) il buono pasto non concorre a costituire reddito da lavoro dipendente solo fino all'importo complessivo giornaliero di euro 5,29; pertanto, la natura assistenziale e non retributiva del buono è limitata entro il predetto importo, oltre il quale concorre alla formazione del trattamento economico complessivo.
Ne consegue che l'aumento del valore del buono pasto, oltre tale soglia, deve considerarsi parte del trattamento economico ai fini del rispetto del disposto ex art. 9, comma 1, della legge n. 122/2010, di conversione del D.L. n. 78/2010, secondo il quale "Per gli anni 2011, 2012 e 2013 il trattamento economico complessivo dei singoli dipendenti, anche di qualifica dirigenziale, ivi compreso il trattamento accessorio.... non può superare, in ogni caso, il trattamento ordinariamente spettante per l'anno 2010" (tratto da www.centrostudi-sv.org - Corte dei Conti, Sez. controllo Toscana, parere 21.07.2011 n. 187).

PUBBLICO IMPIEGODirigenti a termine solo se laureati.
Gli enti locali possono assumere dirigenti a tempo determinato solo se laureati e purché la carenza di professionalità cui si intende rimediare sia ristretta alla sola dotazione organica dei dirigenti.
La Corte dei Conti, Sez. regionale di controllo per la Basilicata, con la tranciante deliberazione 21.06.2011 n. 29 priva ufficialmente di qualsiasi fondamento giuridico tesi strumentalmente da tempo avanzate da alcuni interpreti e da molti operatori, tendenti a estendere oltre misura le possibilità di assumere dirigenti a contratto.
La sezione Basilicata stronca la cittadinanza giuridica alla tesi secondo la quale l'interpretazione letterale della prima parte dell'articolo 19, comma 6, del dlgs 165/2001 consentirebbe di assumere come dirigenti extra ruolo persone prive della laurea. La norma consente di conferire gli incarichi a contratto «a persone di particolare e comprovata qualificazione professionale, non rinvenibile nei ruoli dell'Amministrazione, che abbiano svolto attività in organismi ed enti pubblici o privati ovvero aziende pubbliche o private con esperienza acquisita per almeno un quinquennio in funzioni dirigenziali».
Secondo l'erronea tesi proposta da molti, poiché il citato periodo dell'articolo 19, comma 6, non fa espresso riferimento al possesso della laurea si potrebbe, allora, supporre la legittimità di un'assunzione di dirigente a contratto di soggetti non laureati, purché sussistano gli altri requisiti. Del resto, sostiene la tesi, poiché nell'impiego privato la laurea non è essenziale ai fini della qualifica dirigenziale, sarebbe eccessivo chiedere detto titolo.
Insomma, l'interpretazione letterale della prima parte del comma 6 fonderebbe un'alternativa tra la «qualificazione professionale», particolare e comprovata, acquisibile con esperienza «sul campo» e il possesso del titolo di studio.
La sezione rigetta senza alcuna esitazione la validità di tale tesi. Il parere osserva, com'è inevitabile, l'insufficienza di un'esegesi fondata sul solo dato letterale di una sola parte dell'articolo 19, comma 6. Occorre, invece, una lettura sistematica e coerente della normativa.
Il parere ricorda che già a suo tempo «la sezione del controllo di legittimità su atti del governo, nell'adunanza congiunta del I e II Collegio del 09.01.2003, con la delibera n. 3/2003 del 09.01.2003, ha ricusato il visto del provvedimento di nomina a dirigente di seconda fascia di un soggetto esterno al ruolo per mancanza del titolo adeguato di studio».
Il perché è evidente: il legislatore ha consentito l'immissione nella dirigenza pubblica anche di soggetti esterni che fossero stati in precedenza privi della qualifica di dirigenti pubblici nell'intento di acquisire professionalità estranee, ma tali da offrire qualità professionali aggiuntive e in ogni caso non minori rispetto ai già elevati requisiti previsti per l'assunzione dei dirigenti pubblici. Non avrebbe alcuna razionalità, dunque, consentire l'ingresso nella dirigenza pubblica di soggetti con requisiti inferiori a quelli che si richiederebbero in un concorso. Specie perché l'articolo 19, comma 6, intende rimediare alla situazione, che dovrebbe risultare del tutto straordinaria, di carenza di professionalità interne.
L'articolo 19, comma 6, consente di assumere dirigenti a tempo determinato da conferire «fornendone esplicita motivazione, a persone di particolare e comprovata qualificazione professionale, non rinvenibile nei ruoli dell'amministrazione».
La sezione Basilicata precisa che l'assenza della particolare professionalità che giustifica il ricorso a dirigenti a contratto è da limitare ai «ruoli dell'amministrazione» dirigenziali.
A legittimare, dunque, l'assunzione straordinaria di dirigenti a contratto non è l'assoluta carenza di professionalità all'interno di tutte le qualifiche, bensì circoscritta ai soli posti della dotazione organica dirigenziale.
Ciò consente, in linea teorica, di applicare la parte dell'articolo 19, comma 6, che permette di assumere a contratto anche dipendenti del medesimo ente conferente privi di qualifica dirigenziale. C'è, però, da aggiungere che i dipendenti interni possono aspirare a tale tipo di assunzione solo a condizione di essere in possesso dei requisiti di particolare ed elevata professionalità richiesti dal medesimo articolo, non essendo allo scopo sufficiente la mera circostanza di essere dipendenti da almeno un quinquennio in qualifica pre-dirigenziale (articolo ItaliaOggi del 05.08.2011 - tratto da www.corteconti.it).

ENTI LOCALI: Multe, incassi mirati. Proventi per potenziare i vigili.  La Corte dei conti interpreta il codice della strada.
I proventi delle multe stradali non possono essere utilizzati semplicemente per incentivare ordinariamente il personale della polizia municipale, mentre è corretto il loro impiego per il potenziamento programmato del servizio di vigilanza urbana.
Lo ha ribadito la Corte dei conti, Sez. Emilia Romagna, con il parere 17.06.2011 n. 22.
Fatta la legge trovato l'inganno, ovvero limitata di fatto l'applicazione dell'interessante riforma dell'art. 208 del codice stradale introdotta appena un anno fa con la legge 120/2010. Il nuovo comma 5-bis dell'art. 208 del codice della strada ha infatti formalmente sdoganato il finanziamento dei progetti di miglioramento dei servizi di polizia locale, una pratica molto utilizzata dagli enti locali ma sempre a rischio censura di irregolarità contabile.
In pratica, in deroga a tutte le particolari disposizioni vigenti in materia, sembrava subito possibile finanziare il salario accessorio dei vigili con parte dei proventi delle multe accertate dal comando. Ammessa letteralmente questa possibilità occorreva però individuare le modalità applicative più idonee ovvero incrementare il fondo di produttività, quello dello straordinario o quello per il potenziamento del servizio. L'orientamento giurisprudenziale prevalente si è subito orientato verso quest'ultima soluzione.
Anche a parere della Corte dei conti Emilia Romagna, infatti, è compatibile con la vigente normativa la destinazione dei proventi delle multe «a copertura dei maggiori oneri del trattamento economico accessorio del personale da impiegare nelle nuove attività ai sensi dell'art. 15, comma 5, del Ccnl 01.04.1999, nel rispetto dei vincoli e prescrizioni dettati da tale ultima norma». In pratica di anno in anno un comune può individuare risorse da destinare ai progetti di miglioramento del servizio, compatibilmente con gli equilibri finanziari dell'ente. L'aumento del fondo di produttività secondo questa nuova modalità è inoltre chiaramente correlato al necessario rispetto del patto di stabilità.
Attenzione anche al tetto di spesa del personale ed ai vincoli introdotti in materia dal dl 78/2010. Sul punto i giudici contabili dell'Emilia Romagna non si sono però espressi lasciando nel dubbio gli operatori alle prese con due interpretazioni antagoniste espresse dai colleghi giudici della Corte dei conti del Piemonte e della Liguria (articolo ItaliaOggi del 05.08.2011 - tratto da www.corteconti.it).

PUBBLICO IMPIEGOIl datore di lavoro risarcito per mobbing. L'azienda agisce contro il dirigente-mobber per avere indietro quanto pagato al lavoratore. Caso all'esame della corte dei conti della Sicilia.
Le cause per mobbing possono avere un secondo tempo. Nel primo è la vittima delle persecuzioni a rivolgersi al giudice, per ottenere giustizia e risarcimento dal datore di lavoro e/o dal persecutore. Nel secondo tempo è l'azienda o, per i dipendenti pubblici, lo stato mediante la procura, ad agire nei confronti del mobber, per conseguire l'accertamento della violazione di norme e il risarcimento di quanto abbia eventualmente dovuto corrispondere (su ordine del giudice) alla vittima della persecuzione. Un secondo tempo di particolare interesse è quello che, da ultimo, si è consumato di fronte alla Corte dei Conti della Sicilia.
La sentenza 23.05.2011 n. 2028, Corte dei Conti - Sez. giurisdiz. Sicilia, ha condannato un dirigente di un'amministrazione comunale a rifonderla parzialmente, per il danno (indiretto) arrecato al datore di lavoro che aveva dovuto corrispondere un risarcimento a un dipendente mobbizzato dal dirigente. In effetti la dequalificazione lavorativa spesso si trasforma in mobbing o comunque può esser parte di un'attività persecutoria.
Dalla pronuncia della Corte dei Conti emerge che quando il mobbing culmina in una dequalificazione lavorativa prolungata, il datore di lavoro non viene coinvolto dalla responsabilità dei singoli persecutori solo se dimostra che tra le mansioni assegnate alla vittima e la condotta persecutoria non sussiste un rapporto neanche di mera occasionalità. La sentenza ha rilevato (richiamando Cass. n. 18262 del 29.08.2007) che la giurisprudenza civilistica «riconosce spesso la responsabilità per condotta mobbizzante del datore di lavoro, non solo quale soggetto agente direttamente, ma anche per non essersi lo stesso personalmente attivato per far cessare i comportamenti scorretti dei dipendenti».
D'altro lato, in sede contabile, in materia la condotta datoriale rileva solo se integra un caso di colpa grave, che in questa sede sussiste solo in presenza di un rilevante allontanamento dal comportamento esigibile, in considerazione delle circostanze del caso e delle specifiche disposizioni sul tema. Il datore di lavoro, pertanto, in caso di giudizio contabile, per essere esente da responsabilità deve dimostrare di aver adottato tutte le soluzioni organizzative più idonee a evitare la realizzazione dell'evento dannoso.
Il sindaco coinvolto nella vicenda è stato assolto, non solo perché la struttura organizzativa del comune è stata considerata appropriata. Secondo la Corte dei Conti anche le sue decisioni che avevano coinvolto il lavoratore perseguitato (in particolare quella di preferire per una promozione, al mobbizzato un collega) non erano dolosamente preordinate a perseguirlo e discriminarlo, e tantomeno potevano considerarsi «macroscopicamente lontane da una ordinaria condotta finalizzata alla sana gestione della cosa pubblica, al punto da incarnare una condotta gravemente corposa idonea a giustificare l'accoglimento delle pretese di parte attrice».
Peraltro la condotta mobbizzante lamentata dal dipendente non si esauriva nella mancata promozione. L'istruttoria del pubblico ministero aveva riscontrato la mancata attribuzione delle funzioni riconosciute al perseguitato nel giudizio originario (intentato per la reintegrazione), la sua collocazione in locali distaccati rispetto ai colleghi, episodi mortificanti la mancata inclusione nei turni di servizio e la preclusione di mansioni che determinavano la fruizione di indennità.
Il dipendente comunale, dopo aver convenuto in giudizio il comune lamentando la propria dequalificazione, aveva ottenuto dal giudice civile il riconoscimento del diritto alla reintegrazione nelle funzioni di vice comandante reggente dei vigili urbani. In un successivo giudizio il lavoratore otteneva la condanna dell'amministrazione comunale, per mobbing, al risarcimento di euro 133.223,53. Proprio questo pagamento ha determinato prima la contestazione e poi l'azione contabile, della procura regionale nei confronti del sindaco, di una dirigente e di un comandante della polizia municipale, per il danno (indiretto) che avrebbe arrecato al comune la loro condotta mobbizzante. Solo il convenuto che, all'epoca dei fatti, rivestendo il ruolo di comandante della polizia municipale, aveva determinato le modalità attuative ed organizzative delle funzioni assegnate al mobbizzato, è stato condannato.
La sentenza dello scorso 23 maggio ha deciso che dovrà corrispondere 50 mila euro (oltre rivalutazione monetaria e interessi legali) al comune. La Corte dei Conti gli ha infatti imputato l'elusione dei provvedimenti dell'autorità giudiziaria favorevoli al mobbizzato, mediante reiterate condotte inequivocabilmente dirette a emarginare il dipendente, isolandolo fisicamente dal resto dell'ufficio e svuotando le funzioni formalmente assegnategli. Nutrita risulta la serie di episodi sintomatici della fattiva ostilità del comandante nei confronti del vice.
Spiccano le valutazioni con punteggi vicini allo zero, in sede di valutazioni basate su parametri assolutamente personali. Risaltano le informali riunioni convocate fuori dell'ufficio per informare i colleghi che il mobbizzato (sul punto di riprendere l'attività) non avrebbe ripreso servizio presso il comando, ma in locali decentrati. Il mobber aveva chiesto agli altri dipendenti di ignorare il vice (perseguitato) e per ogni disposizione di far riferimento diretto solo alla sua persona. Aveva determinato l'isolamento della vittima dai colleghi, anche costringendo il mobbizzato a effettuare una trasferta su un mezzo utilizzato in solitudine, mentre i colleghi si muovevano con un altro comune mezzo di trasporto. E se dei singoli episodi persecutori il comandante aveva fornito una giustificazione, la sentenza rileva che le componenti del mobbing non possono essere considerate singolarmente ma in considerazione della complessiva condotta intrapresa nei confronti della vittima.
La Corte dei Conti ha invece assolto (oltre al sindaco) una dirigente che aveva intrattenuto per breve tempo un rapporto lavorativo con il perseguitato, per mancanza del requisito temporale necessario al perfezionamento del mobbing. La sentenza ha ritenuto infatti che la condotta persecutoria per integrare il mobbing debba avere quantomeno durata semestrale, coerentemente con Cass. n. 22858 dell'11.09.2008 che ha ritenuto sufficiente l'entità semestrale rigettando i rilievi datoriali sulla pretesa brevità di questo periodo.
Di particolare interesse, in materia, risulta la sentenza della Suprema Corte n. 12445 del 25.05.2006. In questo caso, in relazione a un caso in cui il mobber era il presidente di un'associazione, detta pronuncia ha ritenuto che incombesse sull'associazione, contrattualmente tenuta a tutelare il dipendente, in base all'art. 2087 cod. civ., l'onere di provare di avere adottato tutte le misure necessarie a prevenire l'evento dannoso, mentre nella fattispecie in esame l'associazione si era limitata a sostenere di avere deferito il presidente al collegio dei probiviri attuando (secondo la sentenza) un'iniziativa diretta alla repressione e non alla prevenzione dei fatti mobbizzanti, pertanto non idonea a costituire adempimento degli obblighi previsti dall'art. 2087 cod. civ. (articolo ItaliaOggi del 04.08.2011).

NOTE, CIRCOLARI E COMUNICATI

ENTI LOCALISiti p.a. con la memoria corta. Conservazione limitata dei dati di navigazione degli utenti. Il Garante privacy detta le istruzioni alla Funzione pubblica per i portali istituzionali.
Conservazione temporanea dei dati di navigazione sui siti della p.a. e divieto di indicizzazione degli indirizzi mail istituzionali.
Sono le prescrizioni più importanti relative ai siti web delle pubbliche amministrazioni fornite, con il parere 07.07.2011 n. 282, dal Garante della privacy al dipartimento della funzione pubblica.
Il Garante stesso è intervenuto con proprie linee guida del 02.03.2011, sul «trattamento di dati personali contenuti anche in atti e documenti amministrativi, effettuato anche da soggetti pubblici per finalità di pubblicazione e diffusione sul web»: le prescrizioni del Garante tuttavia sono specifiche alle modalità di pubblicazione online di dati personali da parte di soggetti pubblici, mentre quelle della funzione pubblica riguardano in generale i siti web.
Ma vediamo nel dettaglio i contenuti del parere del Garante.
Il dipartimento della funzione pubblica della presidenza del consiglio dei ministri ha richiesto il parere del Garante sulla bozza di «linee guida dei siti web delle pubbliche amministrazioni del ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione».
Il primo punto sul quale interviene il Garante è la policy dei siti web istituzionali, con particolare riferimento ai dati di navigazione, ai dati forniti volontariamente dall'utente e ai cookies.
I dati di navigazione potrebbero consentire l'identificazione degli utenti, ad esempio registrando indirizzi Ip o nomi a dominio dei computer utilizzati dagli utenti. La bozza di linee guida già limita l'utilizzo di questi dati solo per elaborare statistiche anonime e ne dispone la cancellazione immediata dopo l'elaborazione. Il Garante aggiunge l'invito agli enti pubblici di fissare termini precisi di conservazione dei dati di navigazione, scaduti i quali gli stessi dati devono essere cancellati o resi anonimi.
Il parere si sofferma, poi, sui dati forniti volontariamente dall'utente: ad esempio può trattarsi dell'indirizzo di posta elettronica per rispondere a eventuali richieste, nonché degli ulteriori dati personali eventualmente contenuti nella comunicazione.
Ma può trattarsi anche di dati sensibili o giudiziari, certo forniti spontaneamente nel messaggio di posta elettronica. A questo proposito il Garante suggerisce di rendere esplicita l'informativa dovuta ai sensi dell'articolo 13 del codice della privacy: sul sito si dovrà rendere chiaro all'utente la possibilità che, nei casi e nei limiti di cui agli articoli 20, 21 e 22 del Codice della privacy, potranno essere trattati i dati sensibili o giudiziari eventualmente da lui stesso volontariamente forniti nel corpo del messaggio.
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Altro punto del parere è dedicato alla reperibilità sul web degli indirizzi di posta elettronica istituzionali. La bozza di linee guida prescrive la pubblicazione, nei siti istituzionali delle pubbliche amministrazioni, dell'elenco delle caselle di posta elettronica attive. Il Garante si preoccupa del fatto che questo elenco sia utilizzato al fine di inviare, alle caselle di posta elettronica del personale o degli uffici, messaggi per finalità estranee alle funzioni istituzionali dell'ente (ad esempio messaggi commerciali).
Per scongiurare tutto ciò, secondo il parere del Garante, è opportuno precisare che l'elenco degli indirizzi di posta elettronica istituzionali deve essere sottratto all'indicizzazione da parte di motori di ricerca generalisti. Inoltre nella sezione si deve riportare un avviso che espliciti tale limitazioni d'uso (articolo ItaliaOggi del 06.08.2011).

EDILIZIA PRIVATASilenzio-assenso a proprio rischio. Chi vende deve dichiarare tutti gli elementi costitutivi. Circolare del Consiglio nazionale del Notariato sulle ricadute del dl sviluppo.
Silenzio-assenso in edilizia a proprio rischio e pericolo: quando si trasferisce la casa, costruita con un permesso di costruire tacito, chi vende deve prendersi la responsabilità di dichiarare tutti gli elementi costitutivi del silenzio-assenso (introdotto dal decreto sullo sviluppo n. 70/2011). Nei rogiti non si scriveranno gli estremi di un atto, che non esiste nemmeno come documento, ma il notaio riprodurrà la dichiarazione che il venditore deve rilasciare senza avere il conforto di un atto formale rilasciato dal comune.
Le ricadute del decreto sviluppo sono illustrate dalla circolare 08.06.2011 n. 325-11/C del Consiglio nazionale del Notariato, che ricostruisce la disciplina dell'attività edilizia dopo il decreto sullo sviluppo 2011.
Si può aggiungere che, certo, si potrà costruire più velocemente, ma potrebbero essere minori le garanzie sugli atti di compravendita, anche per chi acquista. E il notaio non potrà certo diventare garante della regolarità edilizia.
Il quadro normativo risulta, dunque, cambiato rispetto all'impianto del Testo unico per l'edilizia (dpr 380/2011). In particolare il legislatore ha dato l'addio alla Dia ordinaria: dopo il decreto sullo sviluppo i titoli abilitativi si fanno in quattro. Accanto al permesso di costruire, completamente rivisitato dal silenzio-assenso, si trova la Scia, che ha sostituito la Dia per le opere minori, la super-Dia (sostitutiva del permesso) e la comunicazione per le opere interne.
Ma vediamo come i notai ricostruiscono la disciplina edilizia dopo il decreto legge 70/2011.
Il quadro attuale censisce i seguenti titoli edilizi. Attualmente, dopo le modifiche del decreto sviluppo, la disciplina dell'attività edilizia può essere, pertanto, così ricostruita: attività edilizia totalmente libera (manutenzioni straordinarie, eliminazione barriere architettoniche ecc.); attività edilizia libera, previa comunicazione inizio lavori (di cui alla legge 73/2010, per manutenzione straordinaria, pannelli solari, opere precarie, aree ludiche ecc.); attività edilizia soggetta a permesso di costruire; attività edilizia soggetta a super-Dia; attività edilizia soggetta a Scia, che ha sostituito la Dia ordinaria.
Per i profili notarili, in relazione alle opere per cui è prevista la comunicazione, non vi è alcun obbligo di citare gli estremi della comunicazione preventiva in eventuali atti traslativi o divisionali, anche se, secondo i notai, è opportuno (non obbligatorio) riportare in atto gli estremi della comunicazione preventiva .
Il permesso di costruire si applica alle nuove costruzioni, alle ristrutturazioni edilizie pesanti e per quelle urbanistiche.
Con il decreto legislativo 301/2002, è prevista in alternativa al permesso di costruire, la possibilità di avvalersi della super-Dia. Anche in tale caso, come per il permesso di costruire, è necessario inserire negli atti, a pena di nullità, gli estremi della super-Dia.
Con il dl 70/2011 è stata introdotta la regola del silenzio-assenso, per cui se l'ufficio tecnico comunale non adotta l'atto espresso, esso deve intendersi rilasciato per il semplice decorso del tempo.
E qui entrano in gioco le novità più grosse per i rogiti notarili. Innanzitutto non potrà essere citato un atto determinato con data e numero di protocollo.
Quindi nell'atto la parte deve dichiarare tutti gli elementi da cui è derivato il silenzio-assenso e cioè: data di presentazione della domanda di permesso di costruire; la completezza della stessa quanto a documentazione tecnica e progettuale; l'ufficio comunale competente; l'avvenuto pagamento del contributo concessorio; l'avvenuto decorso dei termini previsti dalla normativa (eventuale di fonte regionale) senza che sia intervenuto il rilascio del provvedimento o il rilascio di un provvedimento espresso di diniego; la mancanza di richieste di integrazione della documentazione da allegare alla domanda e infine l'assenza di vincoli ambientali, paesaggistici o culturali o in alternativa l'osservanza delle procedure sui vincoli.
Come si potrà notare l'atto si complica e sarà basato sulla responsabilità del dichiarante: oggi è relativamente più semplice citare un atto e si è sicuri che l'atto non è rischio di nullità. Negli atti posteriori al decreto sviluppo tutti gli elementi costitutivi del silenzio-assenso dovranno essere fatti risultare dall'atto nella forma della dichiarazione di parte. D'altra parte le norme non prescrivono una specifica attestazione da parte del notaio, il quale non sarà tenuto a effettuare controlli sulla regolarità edilizio-urbanistica del procedimento conclusosi con il silenzio assenso. Il notaio farà una verifica puramente formale circa la sussistenza dei presupposti del silenzio assenso e riprodurrà in atto, la dichiarazione di parte. Insomma il livello di garanzie per la parte acquirente può diminuire sensibilmente.
Per gli interventi soggetti a Scia non è prescritta alcuna menzione nell'atto notarile a pena di nullità: tuttavia la circolare dei notai precisa che è opportuna la menzione degli estremi della scia per ricostruire con certezza la storia urbanistico-edilizia del fabbricato. Della Scia si indicheranno data e numero di protocollo ed è consigliabile una formula di garanzia resa dall'interessato sulla legittimità della Scia.
E per gli atti stipulati prima di 30 giorni dalla presentazione della segnalazione, si inserirà in atto la dichiarazione di essere a conoscenza della circostanza che l'amministrazione competente, in caso di accertata carenza dei requisiti e dei presupposti di legge, potrà vietare la prosecuzione dell'attività edilizia e ordinare la rimozione degli effetti dannosi della stessa (articolo ItaliaOggi del 04.08.2011).

NEWS

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: La radiografia degli errori nella gestione delle risorse.
La Ragioneria generale dello Stato ha raccolto, anche per quest’anno, in un massimario le risultante delle proprie ispezioni negli enti locali e nelle altre pubbliche amministrazioni, indicando gli errori più frequentemente commessi. Una parte di grande rilievo hanno quelli relativi alla gestione delle risorse umane e, in tale ambito, quelli attinenti alla contrattazione collettiva, di cui ci occupiamo specificamente.

Da sottolineare che le ispezioni stanno crescendo nel numero e che gli esiti determinano in numerosi casi l’irrogazione di condanne da parte della Corte dei conti.
Basti ricordare che nei mesi scorsi si è arrivati alla pronuncia definitiva per il comune di Rho, con la sostanziale conferma da parte della terza sezione giurisdizionale centrale d’appello (sentenza n. 853/2010) della sentenza di condanna n. 457/2008 resa in primo grado dalla sezione giurisdizionale della Lombardia. Ed ancora, molto di recente, la sentenza n. 976 del'01.06.2011 della Corte dei conti della Campania, che riguarda il condono tributario deliberato in modo eccessivamente estensivo dal comune di Benevento, si basa sulle risultanze della attività degli ispettori della Ragioneria generale dello Stato.
I segretari comunali.
Le anomalie che più frequentemente sono contestate ai segretari comunali e provinciali sono la percezione di compensi illegittimi e l’errata applicazione della clausola del c.d. galleggiamento.
La percezione di compensi illegittimi si realizza in primo luogo attraverso la violazione del principio della onnicomprensività del loro trattamento economico accessorio. Ciò avviene spesso con il riconoscimento di maggiorazioni per le attività ulteriori che sono svolte, mentre il Ccnl del 16.05.2001 stabilisce che tutte queste voci debbano essere comprese nell’ambito della retribuzione di posizione e della sua eventuale maggiorazione. Per cui, ad esempio, l’assegnazione della responsabilità di un settore non consente l’erogazione di uno specifico compenso, ma esso deve essere compreso nell’ambito della maggiorazione della retribuzione di posizione: ed infatti il contratto decentrato del dicembre 2003 che ha per la prima volta previsto tale possibilità richiama espressamente questo elemento. L’unica eccezione consentita da tale contratto riguarda l’eventuale remunerazione in modo aggiuntivo della presidenza del nucleo di valutazione. Evidenziamo al riguardo che, per la Corte dei conti della Campania, comunque l’ammontare dei compensi percepiti non può eccedere la maggiorazione massima della retribuzione di posizione consentita dal contratto, cioè il 50% che scende al 30% nel caso dei piccoli comuni.
Altra frequente violazione riguarda l’erogazione di compensi per incarichi specifici, in particolare per la presidenza di commissioni di gara e/o di concorso nello stesso ente.
Gli ispettori, sulla scorta dei pareri dell’Aran e della Ragioneria generale dello Stato, contestano la modalità con cui in molti enti è stata calcolata la c.d. indennità di galleggiamento. Essi ritengono che tale compenso vada calcolato ed erogato solamente dopo che, anche tramite la maggiorazione della retribuzione di posizione, si sia al di sotto del compenso di posizione più elevato in godimento nell’ente da parte di un dirigente o di un titolare di posizione organizzativa. Mentre in molti enti tale indennità scatta prima della maggiorazione della retribuzione di posizione. Da sottolineare che la giurisprudenza è divisa sulla interpretazione corretta.
I dirigenti.
In altre occasioni le relazioni degli ispettori della Ragioneria generale dello Stato hanno evidenziato che, statisticamente, le irregolarità commesse nel trattamento economico dei dirigenti sono quelle più rilevanti sia nel numero che nel peso. Si ritiene che questo giudizio continui a corrispondere ancora pienamente alla realtà.
In molte amministrazioni in cui vi sono pochi dirigenti, non risulta essere costituito il fondo per la contrattazione decentrata. Il fatto che negli enti in cui il numero dei dirigenti sia inferiore a cinque non si debba dare luogo alla stipula di un contratto decentrato e che le materie ad esso rimesse diventano oggetto di concertazione, non deve essere inteso nel senso che la costituzione del fondo diventa una scelta opzionale.
Esso deve essere costituito in tutte le amministrazioni in cui sono in servizio dei dirigenti. Il fondo deve essere costituito nel rispetto delle regole dettate dai contratti collettivi nazionali, a partire da quello -per importanza- del 23.12.1999.
Costituisce un grave errore il “pesare” le singole posizioni dirigenziali e dalla somma dei compensi far scaturire il fondo. La metodologia da seguire è esattamente quella opposta: si costituisce il fondo e, sulla base dei criteri di pesatura utilizzati, si provvede alla determinazione delle indennità di posizione e di risultato, riservando a queste ultime almeno il 15% del totale delle risorse.
Occorre inoltre ricordare che con il fondo devono essere remunerate tutte le posizioni dirigenziali previste nella dotazione organica, a prescindere che siano o meno coperte. Per cui queste risorse serviranno anche a riconoscere le indennità di posizione e di risultato ai dirigenti assunti ai sensi dell’art. 110, comma 1, del Dlgs n. 267/2000, Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, cioè ai dirigenti assunti per coprire posti vacanti in dotazione organica. Gli eventuali risparmi che si realizzeranno nel caso di posti non coperti andranno ridistribuiti ai dirigenti in servizio, in primo luogo a coloro che coprono ad interim tali responsabilità, sotto forma di indennità di risultato. Solamente usando questo metodo l’eventuale copertura di posti dirigenziali prima scoperti consente l’erogazione del trattamento economico accessorio senza oneri aggiuntivi per l’ente.
Nella costituzione del fondo non è in alcun modo consentito, sulla base dell’art. 23 del Ccnl 23.12.1999, prevedere risorse aggiuntive per gli enti virtuosi: la relativa clausola è rimasta infatti una mera norma di principio in quanto non si è tradotta in alcuna intesa operativa.
Particolare attenzione occorre mostrare all’incremento ex art. 23, comma 3, del Ccnl 23.12.1999. Siamo in presenza di una disposizione per molti aspetti analoga a quella dettata per i dipendenti dall’art. 15, comma 5, del Ccnl 01.04.1999, per cui rinviamo agli errori che segnaleremo nell’applicazione di questa norma. Ricordiamo che siamo in presenza di una disposizione che consente l’incremento del fondo per l’aumento del numero dei dirigenti in servizio per posti di nuova istituzione e/o per l’attivazione ovvero il miglioramento o l’estensione di servizi esistenti. L’unica differenza è data dal fatto che la ripetizione nel corso degli anni di questo incremento per l’attivazione di nuovi servizi e/o il miglioramento-estensione di quelli esistenti sembra essere più facile per i dirigenti.
Quanto al trattamento economico, in molte amministrazioni non sono state ridotte le indennità di posizione nella misura prevista dal Ccnl 2002 a fronte del corrispondente incremento del trattamento economico fondamentale. Ricordiamo che queste somme, oltre ad essere tolte dalle indennità di posizione, vanno tolte anche dal fondo. E che, ovviamente, l’ente non può successivamente deliberare un loro incremento, così da coprire il taglio.
Quanto alla remunerazione degli ‘interim’, si deve ricordare che le attuali regole non la consentono sotto forma di incremento della retribuzione di posizione, ma solamente nella forma dell’aumento dell’indennità di risultato.
Anche per i dirigenti vale, in modo particolarmente forte dopo la pronuncia del 2005 della commissione speciale per il pubblico impiego del Consiglio di Stato, il vincolo dell’onnicomprensività del trattamento economico accessorio, fatte salve unicamente le deroghe previste dai contratti collettivi nazionali di lavoro. Tale divieto si estende a qualunque incarico conferito dall’ente, anche se lo stesso non ha immediata attinenza con i compiti assegnati.
Il fondo per le risorse decentrate.
Le regole per la costituzione del fondo per le risorse decentrate sono tassative e non consentono né agli enti, né ai contratti decentrati di aumentare le somme disponibili oltre a quanto previsto dai contratti nazionali. Si deve ricordare che gli aumenti a disposizione dei singoli enti sono solamente due: art. 15, commi 2 e 5, del Ccnl 01.04.1999.
Il primo incremento, cioè fino allo 1,2% del monte salari 1997, può essere effettuato se si rispettano le seguenti tre indicazioni. In primo luogo, l’ente deve annualmente deliberare la volontà di avvalersi di tale istituto e deve fissarne la misura: è necessario seguire questa procedura in quanto siamo in presenza di una componente della parte variabile del fondo e non di quella stabile, per cui essa non è in alcun modo acquisita permanentemente, ma deve essere deliberata ed in ciò vi sono margini di autonomia e discrezionalità da parte dei singoli enti. In secondo luogo, sulla base delle previsioni di cui al successivo comma 4 dello stesso articolo, occorre una specifica motivazione in termini di provenienza da risparmi conseguenti a razionalizzazioni organizzative e/o di destinazione a specifici obiettivi di produttività e di qualità. In terzo luogo, sempre sulla base delle previsioni dello stesso comma 4, tale provenienza o destinazione deve essere attestata da parte del nucleo di valutazione o dei servizi di controllo interno.
L’incremento di cui all’art. 15, comma 5, è consentito sia sulla parte stabile che su quella variabile. Il primo richiede che vi siano contemporaneamente un aumento del numero dei dipendenti in servizio e che tale incremento copra posti di nuova istituzione in dotazione organica. Quindi, la semplice copertura di posti vacanti, anche se si determina un aumento del personale a tempo indeterminato, non consente tale integrazione. Ricorrendo tali condizioni, e da alcun anni si può parlare al riguardo di una ipotesi di scuola, la misura dell’aumento deve essere determinata sulla base di criteri oggettivi, quali ad esempio la incidenza media di un dipendente sul fondo o il trattamento accessorio in godimento da parte di dipendenti di quella categoria e profilo. Si deve ricordare che questo incremento non è consentito nel caso in cui l’aumento dei dipendenti e la variazione in aumento della dotazione organica sono dovuti a decentramento di funzioni: in queste ipotesi, il fondo deve essere incrementato del trattamento accessorio in godimento da parte dei dipendenti trasferiti e che gli stessi continuano ovviamente a percepire.
L’ipotesi più utilizzata di incremento del fondo ex art. 15, comma 5, del Ccnl 01.04.1999 riguarda la parte variabile ed è collegato all’attivazione di nuovi servizi e/o al miglioramento-estensione di quelli esistenti senza che vi siano nuove assunzioni. Occorre che i nuovi servizi siano effettivamente tali e che si producano effetti esterni percepibili effettivamente da parte degli utenti/cittadini. Tali incrementi, unitamente ai servizi aggiuntivi, devono essere oggetto di una decisione preventiva da parte dell’ente e non di una scelta che interviene a sanatoria. La misura degli incrementi deve essere determinata sulla base di criteri oggettivi e deve essere motivata per ogni singolo servizio. Tali criteri possono essere dati dalla quantità di risorse aggiuntive necessarie per la corresponsione delle indennità previste dai contratti nazionali o in relazione agli effetti di miglioramento che si determinano. Ed ancora, di regola queste risorse non vanno ripetute nel corso degli anni, fatti salvi i casi in cui siano strettamente necessarie per corrispondere indennità indispensabili per lo svolgimento del servizio aggiuntivo.
Le amministrazioni devono decurtare il fondo delle risorse utilizzate per il trattamento accessorio del personale Ata trasferito alle dipendenze dello Stato, risorse che sono state sottratte agli enti attraverso un corrispondente taglio dei trasferimenti erariali.
Ed ancora, occorre finanziare dalla parte stabile gli oneri per il reinquadramento dall'01.01.1998 dei dipendenti di prima e seconda qualifica funzionale in terza e dei vigili dalla quinta alla sesta. Ovviamente tali risorse tornano ad essere disponibili man mano che questi dipendenti cessano dal servizio.
Inoltre, il fondo va tagliato di una cifra eguale al trattamento economico effettivamente in godimento da parte del personale cessato a seguito di esternalizzazione della gestione di un servizio. Analogamente, nel caso di passaggio dei dipendenti ad altro ente per la realizzazione di forme di gestione associate, occorre tagliare il fondo di una cifra pari al trattamento economico accessorio in godimento da parte del personale trasferito, trattamento economico che i dipendenti si portano dietro come una sorta di “zainetto”.
Infine, gli aumenti della parte variabile del fondo previsti dai Ccnl del 2006 e del 2008 non possono essere ripetuti negli anni successivi e quelli previsti dal Ccnl 2009 potevano essere inseriti solo in tale anno.
I compensi dei dipendenti.
In molte amministrazioni si erogano illegittimamente compensi al personale. Tali sono le erogazioni che non rispondono ai requisiti dettati dal contratto nazionale e che, fatte salve le eccezioni dallo stesso previste, non possono essere modificate da parte dei contratti decentrati. La giurisprudenza della Corte dei conti ha stabilito ripetutamente che, anche se non vi sono oneri aggiuntivi, si determina comunque danno erariale in quanto si aumenta illegittimamente il compenso previsto e si privano gli altri dipendenti di risorse che potrebbero loro spettare sulla base delle regole previste dai contratti nazionali, quindi una sorta di responsabilità per perdita di chance.
La produttività richiede la preventiva assegnazione di obiettivi, il loro raggiungimento e la valutazione da parte del dirigente. Sulla base delle previsioni dettate dal Ccnl 22.01.2004 che sono, per questo aspetto, un’anticipazione della legge c.d. Brunetta, gli obiettivi, che devono essere assegnati da parte dei dirigenti ed essere coerenti con quelli loro assegnati da parte della giunta, devono determinare un apprezzabile miglioramento dei risultati normalmente attesi. Il loro effettivo raggiungimento deve essere verificato da parte del nucleo di valutazione. Deve essere considerato vietata ogni erogazione sulla base di automatismi, quali la presenza, la categoria ecc.
Le indennità di rischio e disagio non possono essere erogate ad intere categorie e/o profili; si richiede cioè la presenza di condizioni ulteriori rispetto a quelle tipiche ed ordinarie. Esse non possono sommarsi per la stessa fattispecie. Non possono in alcun modo remunerare le attività svolte dinanzi al computer. La misura della indennità di disagio, ancorché rimessa alla contrattazione decentrata, non deve superare quella di rischio.
I compensi per specifiche responsabilità non possono remunerare il semplice svolgimento di un’attività di responsabile del procedimento; occorre che i compiti assegnati siano ulteriori rispetto a quelli tipici della categoria.
Le condizioni per l’erogazione dell’indennità di turno sono fissate in modo compiuto dal contratto nazionale, al pari dei compensi per la reperibilità e per le attività svolte nelle giornate festive, per cui i contratti decentrati integrativi non possono in alcun modo intervenire. Nel caso di interruzione dell’orario di servizio viene a mancare uno dei requisiti essenziali per l’erogazione di questo compenso. Occorre inoltre rispettare il vincolo della alternanza tra i vari turni in modo equilibrato nel corso del mese.
Le attività svolte durante le giornate festive infrasettimanali dai dipendenti inseriti in turno devono essere remunerate tramite la corresponsione dell’indennità di turno festiva e non tramite il compenso per le attività svolte in giornate festive. Occorre ricordare che su questa materia vi sono interpretazioni giurisprudenziali assai diversificate (tratto da www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com).

APPALTI - EDILIZIA PRIVATAAggiornato lo sportello unico previdenziale. Durc riutilizzabile negli appalti p.a..
Semplificato il durc nella gestione degli appalti pubblici. Infatti, può essere utilizzato e riutilizzato da parte degli uffici della stessa amministrazione.

La novità arriva dall'ultimo aggiornamento dello sportello unico previdenziale (versione 4.0.1.13/A), applicativo durc, di cui dà notizia l'Inail nella nota protocollo n. 5549/2011.
Diverse le novità che si vanno ad aggiungere ai consueti correttivi per specifiche anomalie segnalate dalle sedi dell'Inail. Una di queste è l'eliminazione della visualizzazione dell'ultima matricola Inps inserita. In pratica, in fase di richiesta del durc, il campo «numero matricola» Inps era preimpostato con l'ultimo numero inserito in procedura. Questo automatismo, in alcune ipotesi, creava errori di smistamento della pratica a una sede Inps diversa da quella competente a effettuare la verifica.
Su espressa richiesta dell'Inps, pertanto, la procedura è stata modificata e ora richiede l'inserimento necessariamente del numero di matricola Inps e la scelta della sede Inps competente.
Altra novità riguarda il recupero del Cip da parte di una stazione appaltante appartenente alla stessa amministrazione. In base alla procedura durc, ogni stazione appaltante è individuata attraverso un apposito codice identificativo previsto per singolo dipartimento/ufficio/settore dell'amministrazione (facente capo a un dirigente o responsabile) che agisce in qualità di stazione appaltante in relazione ai procedimenti di rispettiva competenza. Pertanto, nel caso di appalti pubblici, i dati inseriti in una richiesta di durc fatta da una stazione appaltante (cioè da un ufficio o dipartimento ecc.) non erano riutilizzabili per le successive richieste di durc relative al medesimo appalto, da parte di altri uffici, dipartimenti ecc. ancorché facenti parte della stessa amministrazione.
Per esempio in alcuni comuni, in relazione a un appalto, la procedura di gara e lo svolgimento dei lavori sono di competenza dell'ufficio tecnico, mentre i singoli pagamenti sono di competenza dell'ufficio contabilità. Il primo ufficio, pertanto, richiedeva il durc per le fasi di selezione del contraente e di stipula contratto, ma il Cip, ancorché relativo allo stesso appalto, non poteva essere «recuperato» dall'ufficio contabilità per effettuare le richieste di durc per i pagamenti dei Sal o dello stato finale (articolo ItaliaOggi del 06.08.2011).

CONSIGLIERI COMUNALIOsservatorio Viminale/ Unioni, permessi doppi.
Il sindaco di un comune ha diritto di fruire dei permessi di cui al comma 1 dell'art. 79 del decreto legislativo n. 267/2000, a seguito dell'avvenuta nomina a presidente di una Unione di comuni, essendo componente di diritto della relativa assemblea?
I permessi previsti dall'art. 79, comma 1, del dlgs n. 267/2000, per i componenti delle assemblee delle Unioni di comuni, sono cumulabili con quelli spettanti per la carica di sindaco, in base al citato articolo, commi 1, 3, 4 e 5 (articolo ItaliaOggi del 05.08.2011).

CONSIGLIERI COMUNALIOsservatorio Viminale/ Diritto d'accesso dei consiglieri.
Un ente locale può determinare, in relazione al diritto di accesso da parte dei consiglieri, un limite al rilascio di copie di documenti oltre il quale imporre un costo del servizio?

In linea generale, per i consiglieri, vale il principio di gratuità del diritto di prendere visione e di estrarre copia di atti e documenti, che trova fondamento nell'esercizio del munus agli stessi affidato, «perché l'esercizio del diritto di accesso attiene alla funzione pubblica di cui il richiedente è investito e non al soddisfacimento di un interesse privato e attuale».
Pertanto «al consigliere che chieda copia di atti utili per l'esercizio del proprio mandato non può essere addebitato il costo», sia «perché l'esercizio del diritto di accesso attiene alla funzione pubblica di cui il richiedente è investito», sia perché «in nessun caso il consigliere può fare uso privato dei documenti così acquisiti». (Commissione per l'accesso ai documenti amministrativi parere del 05.10.2004).
Con il recente parere del 05.10.2010, la Commissione per l'accesso ai documenti amministrativi, esprimendosi sull'esercizio di tale diritto, ha ribadito che è illegittimo prevedere, per le richieste da parte dei consiglieri comunali, il pagamento dell'imposta di bollo, dei diritti di segreteria e dei costi di riproduzione.
La stessa Commissione ha richiamato il consolidato principio giurisprudenziale (ex multis Consiglio di stato, sez. V. n. 929/2007) secondo cui il diritto del consigliere di accesso agli atti «non può subire compressioni per pretese esigenze di natura burocratica dell'ente con l'unico limite di poter esaudire la richiesta, qualora sia di una certa gravosità, secondo i tempi necessari per non determinare interruzione delle altre attività di tipo corrente».
Sotto tale profilo il consigliere deve, quindi, contemperare il diritto di accesso con l'esigenza di non intralciare lo svolgimento dell'attività amministrativa e il regolare funzionamento degli uffici comunali, comportando ad essi il minor aggravio possibile, sia dal punto di vista organizzativo che economico (Corte dei conti, sez. Liguria n. 1/2004).
In tal senso, la Commissione per l'accesso, sulla base principio di economicità che incombe sia sugli uffici tenuti a provvedere sia sui soggetti che chiedono prestazioni amministrative, ha riconosciuto «la possibilità per il consigliere di avere accesso diretto al sistema informatico interno, anche contabile, dell'ente attraverso l'uso della password di servizio proprio al fine di evitare che le continue richieste di accesso si trasformino in un aggravio dell'ordinaria attività amministrativa dell'ente locale» (cfr. parere 29.11.2009).
In tale contesto anche il giudice amministrativo ha ritenuto legittime norme regolamentari contenenti accorgimenti finalizzati a ridurre i costi. In particolare, il Consiglio di stato, V, con la sent. n. 6742/2007 ha condiviso l'avviso del ministero dell'interno in merito alla possibilità di riprodurre planimetrie su cd-rom qualora il consigliere chieda l'estrazione di copie di atti la cui fotoriproduzione comporti costi elevati .
Peraltro il Tar Puglia (sent. n. 115 del 21.01.2011), ha affermato che «gli unici limiti all'esercizio del diritto di accesso dei consiglieri comunali si rinvengono, per un verso, nel fatto che esso debba avvenire in modo da comportare il minor aggravio possibile per gli uffici comunali e, per altro verso, che non debba sostanziarsi in richieste assolutamente generiche, fermo restando che la sussistenza di tali caratteri debba essere attentamente vagliata in concreto al fine di non introdurre surrettiziamente inammissibili limitazioni al diritto stesso».
Se quindi, da un lato, l'imposizione di costi di riproduzione non appare di per sé in linea con gli orientamenti espressi, per altro verso, ove sia valutato che la richiesta di rilascio di copie comporti in concreto particolare aggravio per gli uffici, l'ente potrà, di volta in volta, trovare una soluzione organizzativa, anche in chiave informatica, utile a ovviare a tale inconveniente (articolo ItaliaOggi del 05.08.2011).

EDILIZIA PRIVATA: Novità per le autorizzazioni paesaggistiche.
Con la Legge 12.07.2011, n. 106 sono state apportate alcune modifiche all’art. 146 del Codice dei beni culturali e del paesaggio che comportano da subito ricadute operative sull’attività degli Enti locali e sulle aspettative dei cittadini.
L’autorizzazione paesaggistica è efficace da subito, non è più necessario attendere che decorrano trenta giorni dal suo rilascio, poiché è stata cancellata dal comma 11 dell’art. 146 la norma che ne stabiliva l'efficacia a partire da trenta giorni dal rilascio.
Altri punti di attenzione:
compete al Soprintendente, nel caso il suo parere vincolante sia negativo, comunicare agli interessati il preavviso di provvedimento negativo (cfr. nuovo comma 8 del medesimo articolo 146);
l’Ente titolare della competenza paesaggistica nel trasmettere il progetto al Soprintendente, per acquisirne il parere vincolante, deve inoltrare oltre alla relazione tecnica illustrativa anche una proposta di provvedimento paesaggistico (cfr. nuovo comma 7 del medesimo articolo 146);
si sono chiarite le competenze e le disposizioni procedurali in materia di autorizzazione paesaggistica per le “attività minerarie” per le quali, con l’abrogazione del comma 15 del previgente testo, valgono ora le stesse regole applicate alle altre tipologie e categorie di opere (cfr. nuovo comma 14 del medesimo articolo 146) (04.08.2011 - link a www.sistemiverdi.regione.lombardia.it).

APPALTICONSIGLIO DEI MINISTRI/ Via libera al codice. Un ddl su intercettazioni e collaboratori. Antimafia, da settembre si cambia. Certificazione lunga, più poteri ai prefetti, banca dati doc.
Ampliato il termine di validità (da 6 a 12 mesi) della durata della certificazione antimafia liberatoria per le imprese che lavorano nel circuito dell'economia legale. Ai prefetti la possibilità di desumere il «tentativo di infiltrazione mafiosa» da sentenze di condanna anche non definitive per reati «strumentali» che valutate «unitamente a concreti elementi» facciano ritenere che l'attività d'impresa possa essere oggetto del condizionamento mafioso, anche indiretto. Costituzione di una banca dati nazionale che raccoglie la documentazione contro le organizzazioni criminali.
Il codice delle leggi antimafia, delle misure di prevenzione e delle nuove norme in materia di documentazione antimafia, presentato dal ministro dell'interno Roberto Maroni e varato ieri dal consiglio dei ministri è articolato in quattro libri ed entrerà in vigore definitivamente il prossimo 7 settembre, come annunciato dal neo-guardasigilli Nitto Palma.
Il codice, si legge in un comunicato del Viminale, punta a «razionalizzazione, semplificazione e coordinamento» della normativa antimafia vigente necessaria con le numerose leggi speciali entrate in vigore negli anni. Sono stati infatti accolti i desiderata del parlamento, con il recepimento di 11 delle 21 modifiche avanzate nei pareri delle commissioni parlamentari e dal comitato di coordinamento. Accolta anche la richiesta di stralcio dei primi dieci articoli per i quali, sempre a settembre, sarà varato un disegno di legge.
Tenuto conto che i pareri resi dagli organi parlamentari (Comitato per la legislazione e Commissioni giustizia della camera e del senato) hanno evidenziato, si legge in un comunicato di palazzo Chigi, la volontà di «innovare l'ordinamento in maniera maggiormente significativa», il Consiglio ha deciso di avviare una nuova iniziativa legislativa che copra l'intero spettro della disciplina sostanziale e processuale in materia di criminalità organizzata: dalle intercettazioni «giudiziarie», alla disciplina sui collaboratori e testimoni di giustizia, dal regime carcerario previsto dall'art. 41-bis, ai colloqui investigativi speciali e alle attività di cooperazione giudiziaria con altri stati nel settore della confisca.
Per questo motivo, anche in considerazione dei limiti materiali della legge delega e la prossima scadenza del termine per il suo esercizio (settembre 2011), il Consiglio ha deciso di stralciare le norme contenute nel libro I del nuovo Codice e di approntare un nuovo disegno di legge.
Cinque libri e 131 articoli, il nuovo codice riordina una legislazione frastagliata, prodotto di anni di sentenze e provvedimenti che hanno fatto giurisprudenza. Il codice, così come uscito dal Cdm, si muove lungo tre direttrici: cattura dei latitanti, carcere duro e aggressione ai patrimoni criminali. Preoccupazione aveva suscitato il passaggio (articolo 1 della legge delega 136/2010) in cui si fa riferimento alla durata del sequestro: 18 mesi in tutto se non interviene la confisca del bene sottratto alla mafia. Nel nuovo codice, tuttavia, è prevista la possibilità di prorogare il sequestro di sei mesi e per non più di due volte, in caso di indagini complesse.
Altre novità contenute nel testo varato dal Consiglio dei ministri riguardano il procedimento per l'applicazione delle misure di prevenzione -il soggetto potrà richiedere che si proceda in pubblica udienza- e soprattutto la disciplina, completamente innovativa, di cinque aspetti della misura di prevenzione patrimoniale: revoca della confisca, rapporti tra sequestro di prevenzione e sequestro penale, tutela dei terzi, rapporti con le procedure concorsuali, effetti fiscali del sequestro.
La revoca della confisca sarà possibile solo in casi eccezionali come la falsità delle prove o il difetto originario dei presupposti. In tale caso sarà restituita, a eccezione degli immobili di particolare pregio artistico o storico, solo una somma di denaro equivalente al valore del bene. Per regolare i rapporti tra sequestro di prevenzione e sequestro penale, il codice prevede che, qualora lo stesso bene sia colpito da entrambi i provvedimenti, l'amministrazione e la gestione del bene devono seguire le norme sulla prevenzione come la nomina di un amministratore giudiziario, relazione periodica ecc.
L'amministratore giudiziario diventa «sostituto d'imposta» ovvero paga provvisoriamente le imposte relative ai beni sequestrati. Alla fine della procedura, se i beni vengono restituiti, l'amministratore recupera quanto versato. Al fine di tutelare creditori terzi è previsto che dal bene sequestrato sia preventivamente estratta la parte spettante al creditore. Ovviamente, sempre che il credito non sia frutto di attività illecita (articolo ItaliaOggi del 04.08.2011).

ATTI AMMINISTRATIVI - APPALTIStangata per chi perde al Tar. Lite temeraria? Negli appalti si paga da 8 mila a 20 mila. Il consiglio dei ministri esamina oggi la riforma del processo amministrativo (dlgs 104/2010).
Stangata per chi perde al Tar e al Consiglio di stato. Anche così il ministero dell'economia fa cassa.
La bozza di decreto legislativo correttivo del Codice del processo amministrativo (dlgs 104/2010) oggi al vaglio del consiglio dei ministri obbliga, infatti, il giudice a condannare chi ha intentato una lite temeraria a pagare allo stato una sanzione di importo non inferiore al doppio del contributo unificato e non superiore nel massimo al quintuplo.
Si tratta di cifre pesanti: per esempio una soccombenza in un ricorso su appalti può costare da almeno 8 mila euro fino a 20 mila euro.
Il pugno duro deriva dalla proposta riscrittura del secondo comma dell'articolo 26 del codice del processo amministrativo, dedicato alle spese di giudizio.
Nella versione attuale in caso di lite temeraria il giudice può (non «deve») condannare d'ufficio (quindi anche senza richiesta di parte) chi perde al pagamento a favore di chi vince di una somma di denaro equitativamente determinata (senza minimi e massimi).
La lite è giudicata temeraria quando la decisione è fondata su ragioni manifeste o orientamenti giurisprudenziali consolidati.
La modifica del decreto correttivo lascia intatta la definizione della lite temeraria. Sul punto non si può non sottolineare come sia molto forte la discrezionalità del giudice, che ha campo libero per valutare se una ragione è manifesta oppure no. Meno alea si registra, invece, per il presupposto del consolidamento di orientamenti giurisprudenziali, che si ritiene deve realizzarsi a livello di Consiglio di stato.
Il resto della disposizione viene, invece, rivoluzionato. Innanzi tutto la condanna al risarcimento diventa obbligatoria: la nuova versione testualmente dispone che «il giudice condanna d'ufficio la parte soccombente al pagamento di una sanzione pecuniaria»; viene abbandonato l'espressione incentrata sull'uso dell'ausiliare «potere» («può condannare»); così si vincola il giudice a condannare chi con temerarietà ha iniziato un giudizio o ha resistito con altrettanta temerarietà in giudizio. La norma vale tra l'altro anche per la pubblica amministrazione soccombente, che farà bene a esercitare l'autotutela quando l'atto impugnato non è difendibile.
In secondo luogo il beneficiario delle somme non è più l'altra parte e cioè quella che ha vinto in giudizio; il beneficiario è lo stato. È evidente che da un risarcimento alla parte vincitrice si passa a una sanzione per chi perde.
Infine si passa dalla valutazione equitativa del giudice, quale criterio per la determinazione dell'importo del risarcimento, a una misura predeterminata dalla legge con un minimo e un massimo, come è usuale che sia per le sanzioni.
L'ammontare del risarcimento deve essere non inferiore al doppio e non superiore al quintuplo del contributo unificato dovuto per il ricorso introduttivo del giudizio.
Le cifre sono considerevoli e si aggiungono alle spese di soccombenza (e cioè il rimborso delle spese legali sostenute da chi ha vinto).
Passiamo in rassegna le diverse possibilità.
Per i ricorsi in materia di accesso ai documenti amministrativi, contro il silenzio della pa, in materia di cittadinanza e residenza, soggiorno e ingresso in Italia e per quelli di esecuzione e ottemperanza la lite temeraria può costare da 600 a 1.500 euro. Per i ricorsi cui si applica il rito abbreviato la sanzione va da 3 mila euro a 7 mila e cinquecento euro. Per i ricorsi in materia di appalti si va da 8 mila a 20 mila euro.
Infine per tutti gli altri ricorso il minimo è 1.200 euro e il massimo è 3 mila euro.

Peraltro se si dovesse considerare l'importo del contributo unificato aumentato della metà (sanzione prevista nel caso in cui il difensore non indichi in atto l'indirizzo di posta elettronica certificata e il numero di fax) le cifre lieviterebbero ancora.
Tra l'altro sull'indicazione dei recapiti la bozza di correttivo, modificando l'articolo 136 del codice, consente agli avvocati di indicare nel ricorso e nel primo atto difensivo un indirizzo di posta elettronica certificata e un numero fax, che possono essere anche diversi dagli indirizzi del domiciliatario: quindi il dominus può indicare la propria pec o i proprio fax anche se si elegge domicilio presso un avvocato di altra sede (articolo ItaliaOggi del 03.08.2011 - tratto da www.corteconti.it).

PUBBLICO IMPIEGOAccordo all'Aran con le sigle sindacali. Compensazioni sui permessi.
Le organizzazioni sindacali che, negli anni dal 2007 al 2010, hanno utilizzato permessi per la partecipazione agli organismi direttivi statutari in misura maggiore di quanto spettante, non dovranno mettere mano al portafoglio così da versare alla funzione pubblica il corrispettivo economico delle ore di permesso fruite e non spettanti. Potranno, infatti, compensare, in un arco da tre a cinque anni, le ore fruite in eccedenza nell'ambito dei contingenti orari previsti per gli anni successivi.
Questo grazie all'ipotesi 29.07.2011 di Ccnq firmata tra l'Aran e le maggiori sigle sindacali, al fine di sanare una situazione che, di fatto, pone fine alle criticità relative al recente utilizzo, da parte delle sigle sindacali del software di rilevazione del monte ore destinato ai permessi sindacali e ad evitare l'insorgere di possibili contenziosi sulla materia.
L'ipotesi comunque, prevede l'attivazione di meccanismi di compensazione a favore delle sigle sindacali che nel quadriennio 2007-2010, hanno sforato il tetto di permessi loro assegnati, fermo restando che l'eventuale compensazione non deve pregiudicare l'esercizio delle prerogative sindacali, stabilendo, a tal fine, che almeno il 30% del monte ore annuo deve restare nella disponibilità delle associazioni sindacali stesse.
In breve, si precisa che se le organizzazioni sindacali dal 2007 al 2010 hanno utilizzato permessi sindacali, ex art. 11 Ccnq 07.08.1998, in misura superiore a quella spettante, possono compensare le ore fruite in eccedenza nell'ambito del contingente di permessi loro spettanti negli anni successivi. Sarà la funzione pubblica ad avviare le necessarie iniziative che permetteranno alle pubbliche amministrazioni e alle sigle sindacali la verifica dei dati contenuti nella banca dati Gedap relativi al quadriennio 2007-2010.
Tuttavia, tale verifica deve concludersi entro sessanta giorni, al termine dei quali ci saranno ulteriori quindici giorni in cui i dati del sistema Gedap si intenderanno definitivi. La procedura di verifica permette ai sindacati che ricevono la nota di palazzo Vidoni di inviare una proposta per la compensazione dei permessi usufruiti in eccedenza.
La compensazione può essere «spalmata» in tre anni, decorrenti dal gennaio 2012, detraendo una quota dal monte ore di spettanza. Se l'eccedenza dovesse essere rilevante, è possibile concordare un piano di rientro in cinque anni (articolo ItaliaOggi del 03.08.2011).

ENTI LOCALIIn Gazzetta il decreto Mef per i comuni. Lotta all'evasione con regole certe.
Pronti i criteri per poter determinare le somme relative al 33% da destinare ai comuni che hanno partecipato alla lotta all'evasione fiscale e contributiva.
Sulla Gazzetta Ufficiale dell'01.08.2011, infatti, è stato pubblicato il decreto Mineconomia 15.07.2011, firmato dal direttore generale delle Finanze, Fabrizia Lapecorella e dal ragioniere generale dello stato, Mario Canzio, recante la specifica dei criteri da seguire per poter erogare alle amministrazioni locali che hanno partecipato all'accertamento fiscale e contributivo, il 33% delle maggiori somme, a titolo di imposta e sanzioni riscosse a titolo definitivo, così come prevede l'articolo 1, comma 1 del dl n. 203/2005.
Una disposizione che è stata di recente modificata per effetto dell'art. 2, comma 10, lettera b), del dlgs 14.03.2011, n. 23 che ha previdi detta quota dal 33 al 50%. Per il 2011, quindi ai comuni andrà il 33% delle maggiori somme definitivamente riscosse e relative alle imposte sul reddito delle persone fisiche, delle società, sul valore aggiunto, di registro, ipotecaria, catastale e i tributi speciali catastali. Il tutto comprensivo anche degli interessi e sanzioni, ivi incluse le sanzioni civili applicate sui maggiori contributi previdenziali e assistenziali riscossi a titolo definitivo.
L'elenco dei criteri di erogazione delle maggiori somme viene suddiviso in relazione all'appartenenza dei comuni alle regioni a statuto ordinario (Rso) o speciale (ovvero alle Province autonome di Trento e Bolzano). Se per la maggior parte delle imposte, il criterio per i comuni delle Rso prevede l'erogazione dell'importo netto con il 33% del riscosso a titolo definitivo, per i comuni delle regioni a statuto speciale, l'importo netto corrisponde al 33% del predetto riscosso che dovrà essere applicato sulla quota di gettito di competenza erariale, tranne il caso delle sanzioni civili sui maggiori contributi previdenziali ed assistenziali, il cui 33% è, in ogni caso, corrisposto sul 33% del riscosso a titolo definitivo. Solo i maggiori incassi da Iva necessitano di una precisazione.
La tabella allegata al dm, infatti, prevede che dal 33% si detrae una quota corrispondente al rapporto tra quanto pagato in conto competenza a titolo di risorse proprie Iva (capitolo 2751 del bilancio dello stato) e il riscosso in conto competenza del capitolo 1203, al netto delle somme utilizzate per i rimborsi e le compensazioni (articolo ItaliaOggi del 03.08.2011).

ESPROPRIAZIONEIndennizzi pieni sugli espropri illegittimi.
Lo Stato mette fine alle contestazioni sugli espropri per pubblica utilità che presentano errori od omissioni.
Dal 06.07.2011, l'articolo 34 del decreto legge 98/2011 (convertito dalla legge 111/2011) consente ai privati di ottenere il valore venale del bene, oltre a un indennizzo per danni morali e materiali subiti. Nello stesso tempo, le amministrazioni possono acquisire i beni che realmente loro servono. Le incertezze sanate coprono un arco di 20 anni, poiché i diritti su immobili (terreni e costruzioni) potrebbero essere cancellati solo dal decorso di 20 anni, cioè da un congruo periodo durante il quale si è subito un abuso senza contestarlo.
L'articolo 34 della legge 111/2011 pone termine a procedure remote, rimediando a incertezze sorte già all'indomani dei primi interventi per opere ed edilizia pubblica (legge 865/1971). La complessità delle procedure si è cumulata all'incertezza sugli indennizzi, la cui entità è rimasta per decenni affidata ad aggettivi ("serio", "non irrisorio") più che a formule di quantificazione. Anche quando (negli anni '80) si è riusciti a varare un indennizzo sulla base di formule precise, rispolverando la legge che nel 1885 autorizzava espropri per eliminare il dilagare del colera a Napoli, si è generato disordine, causando un atteggiamento intransigente della Corte dei diritti dell'uomo di Strasburgo.
Da un giudice sopranazionale sono quindi giunti segnali precisi (in centinaia di sentenze, dalla 36813/2006, Scordino, in poi), che hanno prevalso sulle opinioni delle più alte autorità giudiziarie nazionali, riuscendo a prevalere perfino sulle ragioni del fisco nazionale, che avrebbe voluto prelevare, sul l'importo dovuto ai proprietari privati del suolo, un cospicuo 25 per cento.
Oggi l'articolo 32 della legge 111/2011, inserendo un articolo 42-bis nel Testo unico espropri 327/2001, rimedia a una serie di incertezze e sposta l'equilibrio tra privati e pubbliche amministrazioni in senso favorevole ai primi. Non basta più che l'opera pubblica sia stata comunque eseguita, semmai solo attrezzando con qualche scivolo o "percorso vita" un'area verde in zona edificabile: occorre, per rimediare a errori su espropri, un serio giudizio di prevalenza della destinazione pubblica, sulla base di attuali ed eccezionali ragioni di interesse generale.
In tutti i casi in cui la procedura è stata sbagliata e il bene immobile non ha ricevuto da parte della pubblica amministrazione una destinazione irreversibile, cioè insuscettibile di utilizzazione da parte di un privato, occorre seriamente pensare a una restituzione. In conseguenza, mentre gli errori nei tracciati di strade, elettrodotti e servitù aeree (interventi privi di alternative), sono sanati con un congruo indennizzo (valore venale oltre ai danni), molte opere realizzate a metà dalle amministrazioni locali o rivelatesi incongrue potrebbero tornare ai loro vecchi proprietari.
Non basta più, in termini tecnici, l'immutatio loci, cioè l'alterazione delle caratteristiche iniziali (un'asfaltatura, una recinzione, poche attrezzature, la messa a dimora di un parco, un dislivello eliminabile) per rendere l'opera pubblica irreversibile. Occorre invece che emergano attuali ed eccezionali ragioni di pubblico interesse a mantenere pubblica la destinazione dell'area. E il pubblico interesse andrà valutato anche sulla base dell'esistenza di aree alternative, a suo tempo non considerate o non correttamente comparate. L'unico limite all'applicazione della norma del 2011 consiste nel consolidarsi delle procedure, poiché occorre che i privati abbiano contestazioni in corso, sulle quali poi poter innestare la procedura di acquisizione (o di restituzione).
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La procedura
01 | IL CENSIMENTO
L'ente che utilizza il bene deve censire gli immobili acquisiti senza un valido titolo, verificando il contenzioso pendente e le richieste nei limiti del termine di prescrizione (20 anni). Se il bene è stato assegnato a un terzo, occorre coinvolgere il soggetto che lo utilizza. Occorre poi delimitare gli interessi in conflitto, cioè verificare l'esistenza di un perdurante interesse pubblico a utilizzare il bene.
Occorre infine specificare l'attualità ed eccezionalità delle ragioni a favore del mantenimento del bene in mano pubblica, cioè l'effettiva utilizzazione e la mancanza di alternative valide. Il bene deve essere stato modificato in modo economicamente irreversibile (con spese di ripristino oggettivamente irragionevoli) o comunque essere indispensabile al raggiungimento dell'utilità generale
02 | LA DELIBERA
Occorre quindi una stima del valore venale del bene, del pregiudizio patrimoniale (interessi moratori, se il danneggiato è un imprenditore; interessi legali negli altri casi) e del pregiudizio non patrimoniale. A questo punto serve una delibera dell'Autorità che cura gli interessi cui è destinato il bene immobile, con motivazione e stima.
Quindi occorre reperire le risorse per il pagamento (debito fuori bilancio) e la notifica al proprietario con offerta di pagamento. Il pagamento va fatto entro 30 giorni dall'acquisizione con segnalazione dell'acquisizione alla Corte dei conti.
I fac simile
I casi del privato che vuole lasciare il bene e chiede l'indennizzo e di chi non vuole lasciarlo e ne chiede la restituzione All'amministrazione di ......................................... (ente che utilizza il bene immobile: Comune, Regione, Consorzio, Prefettura per le opere statali).

Il sottoscritto .......................................................... (dati anagrafici, codice fiscale) permesso di essere proprietario del bene immobile sito in ..................................................... (dati catastali: foglio, particella) attualmente utilizzato per scopi di interesse pubblico, modificato in assenza di un valido ed efficace provvedimento,
chiede
che l'Autorità che utilizza il bene immobile provveda all'acquisizione del bene stesso corrispondendo al richiedente l'indennizzo per il pregiudizio patrimoniale e non patrimoniale.
In particolare, si precisa che il bene immobile è stato oggetto di ...................................................... (descrivere l'intervento pubblico che  ha coinvolto il bene oggi da acquisire), e che la procedura non è stata correttamente conclusa.
Per l'acquisizione del bene, si chiede il versamento dell'importo corrispondente al pregiudizio patrimoniale, pari al valore venale del bene in libero commercio, cui vanno aggiunti gli interessi annui e l'importo del pregiudizio non patrimoniale nella misura del 10% del valore venale del bene (20% nel caso di immobile destinato ad essere attribuito per finalità di interesse pubblico in uso speciale a soggetti privati).
Si chiede pertanto che l'amministrazione provveda ad adottare l'atto di acquisizione e a liquidare l'indennizzo disponendo il pagamento entro il termine di 30 giorni.
L'indirizzo cui andranno comunicati gli sviluppi della vicenda è ................................... Si chiede di essere informati di ogni fase del procedimento a norma della legge 241/1990.
La presente comunicazione viene inviata a norma dell'articolo 42-bis del Dpr 327 / 2001 e dell'articolo 34 della legge 111/2011 (data) .................
(firma) ..............................

All'amministrazione di .............................................................. (ente che utilizza il bene immobile: Comune, Regione, Consorzio, Prefettura per le opere statali).

Il sottoscritto .............................................................. (dati anagrafici, codice fiscale) permesso di essere proprietario del bene immobile sito in ................................................ (dati catastali: foglio, particella ) attualmente detenuto per asseriti scopi di interesse pubblico.
Premesso che tale bene è stato oggetto di un provvedimento non valido a sottrarne la proprietà ed è attualmente indebitamente utilizzato;
- che in particolare il bene non è stato irreversibilmente modificato;
- che non sussistono attuali ed eccezionali ragioni di interesse pubblico, in quanto il risultato conseguibile attraverso l'immobile di proprietà è ottenibile anche in altro modo legittimo;
chiede
che l'Autorità che utilizza il bene immobile provveda alla restituzione del bene stesso, restituendovi le caratteristiche iniziali e quindi asportando a propria cura e spese ogni accessorio o pertinenza collocatovi, non essendo interesse del richiedente mantenerne la collocazione.
Si chiede il pagamento dei danni corrispondenti al pregiudizio patrimoniale subito e cioè pari all'interesse del cinque per cento annuo sul valore venale, oltre alla perdita di occasioni di utilizzo del bene in libero mercato.
Si chiede il pagamento dei danni corrispondenti al pregiudizio non patrimoniale subito e cioè pari al 10 per cento (20% in caso di terreni destinati a essere attribuiti a soggetti privati) del predetto valore venale (in analogia all'articolo 42-bis, Dpr 327/2001).
In particolare, si precisa che il bene immobile è stato oggetto di ....................................... (descrivere l'intervento pubblico che ha coinvolto il bene oggi da restituire), e che la procedura non è stata correttamente conclusa.
Si chiede pertanto che l'amministrazione provveda ad adottare l'atto di retrocessione e a liquidare l'indennizzo dovuto disponendo il pagamento entro il termine di 30 giorni.
L'indirizzo cui andranno comunicati gli sviluppi della vicenda è ....................................... Si chiede di essere informati di ogni fase del procedimento a norma della legge 241/1990.
La presente comunicazione viene inviata a norma dell'articolo 42-bis del Dpr 327/2001 e dell'articolo 34 della legge 111/2011
(data) .................
(firma) ..............................
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ESPROPRI
Soggetti interessati sono tutti coloro i quali risultano coinvolti in procedure di esproprio mai iniziate o mai portate correttamente a termine. La norma è anche retroattiva, rimediando a situazioni arretrate fino a un ventennio, risolvendo tutti i conflitti scaturiti in sede giudiziaria o in casi di occupazione di fatto.
L'entrata in vigore della norma il 06.07.2011 va coordinata con la retroattività prevista per le acquisizioni che rimedino a fatti anteriori, cioè a tutte le situazioni in cui privato e pubblica amministrazione si sono contrapposti in aule giudiziarie per procedure iniziate e non ultimate o addirittura per comportamenti di fatto e occupazioni prive di adeguato titolo.
Gli effetti finanziari della norma ricadranno sulle amministrazioni che si giovano di beni immobili che diventeranno di loro proprietà a un costo superiore a quello previsto sia per il valore venale da pagare sia per i pregiudizi patrimoniali (interessi) e non patrimoniali (ulteriore 10 o 20% del valore venale).
Potrebbero riguardare le procedure contabili necessarie per reperire le risorse e generare un coinvolgimento dei soggetti fruitori finali dei beni immobili, in particolare quando si tratta di aree industriali o zone di edilizia pubblica assegnate a cooperative.
I riferimenti normativi della norma sono il Testo unico sugli espropri 327 dell'08.06.2001, in cui l'articolo 42-bis introdotto nel 2011 sostituisce l'articolo 43 che la Corte costituzionale ha giudicato illegittimo nel 2010 con la sentenza numero 293, per eccesso di delega (articolo Il Sole 24 Ore del 03.08.2011).

APPALTI: DPCM sulle stazioni uniche appaltanti: nuova vita per le centrali committenti?
Il decreto è diretto a promuovere l'istituzione, in ambito regionale, di una o più stazioni uniche appaltanti, con l'obiettivo di rendere più penetrante l'attività di prevenzione e contrasto ai tentativi di condizionamento della criminalità mafiosa, favorendo la celerità delle procedure, l'ottimizzazione delle risorse ed il rispetto della normativa in materia di sicurezza sul lavoro.
Tuttavia, occorre prendere atto che la facoltatività dell'adesione alle SUA, elemento non contrastato in ragione delle delicate questioni istituzionali e costituzionali connesse, può dar luogo ad un rilevante disincentivo, in presenza dei ben noti fenomeni di "campanilismo gestionale" delle stazioni appaltanti. Occorre, invero, tener ben presente che il ricorso alla Stazione Unica Appaltante (una o più, su base regionale) non rappresenterà un obbligo per le Pubbliche amministrazioni, ma una facoltà.
Certamente, la L. n. 136 del 2010, recante il "Piano straordinario contro le mafie, nonché la delega al Governo in materia di normativa antimafia", viene ricordata, soprattutto, per l'introduzione dell'innovativo istituto della tracciabilità dei flussi finanziari, di cui agli artt. 3 e 6.
Invero, oltre tale importante e discusso istituto, oggetto di nuovi interventi normativi e di continue precisazioni da parte dell'Autorità di Vigilanza, la L. n. 136 del 2010, contiene altri importanti interventi:
- le deleghe al Governo, per riformare la normativa e la documentazione antimafia;
- il nuovo sistema di controllo degli automezzi adibiti al trasporto dei materiali e di identificazione degli addetti:
- l'introduzione del nuovo reato di "turbata libertà del procedimento di scelta del contraente" (art. 353-bis codice penale).
Fra questi, anche l'istituzione, in ambito regionale, di una Stazione Unica Appaltante, al fine di garantire trasparenza, regolarità ed economicità nella gestione degli appalti pubblici di lavori, servizi e forniture, oltre che per prevenire, in tal modo, le infiltrazioni di natura malavitosa.
L'art. 13 prevede, poi, l'emanazione, entro sei mesi, di un DPCM, diretto a stabilire quali enti, organismi e società potranno aderire alla SUA, quali saranno le attività ed i servizi svolti dalla SUA, ai sensi dell'art. 33 del Codice dei contratti pubblici (D.Lgs. n. 163 del 2006).
La SUA, come anche chiarito dal comma 2, lettera b), del predetto art. 13, ha natura giuridica di centrale di committenza e cura, per conto degli enti aderenti, l'aggiudicazione dei contratti pubblici in ambito regionale, provinciale e comunale.
Le centrali di committenza nascono per un chiaro fine: porre in essere un processo di razionalizzazione della spesa, intesa come attività volta a "spendere meglio", in modo da assicurare un corretto rapporto tra risorse da impiegare rispetto ai risultati da perseguire (efficienza), e soprattutto tra risorse impiegate e risultati infine raggiunti (efficienza).
Razionalizzare per spendere meno.
E' questa l'unica possibilità che residua, dopo il non più possibile ulteriore innalzamento del livello della pressione fiscale, se si vuole evitare che ulteriori tagli delle spese incidano sui servizi resi ai cittadini.
Se non si vogliono ridurre ulteriormente i servizi, bisogna, allora, utilizzare al meglio le risorse disponibili.
Uno dei campi in cui lo spazio di manovra in tal senso è enorme è quello degli acquisti di beni e servizi.
Ebbene, è proprio in tale prospettiva che si inserisce l'istituto delle centrali di committenza e quello della programmazione degli acquisti, strumenti coordinati di razionalizzazione della spesa pubblica.
Dunque, in tale scenario, nacque, verso la fine degli anni 2000, la CONSIP S.p.A. (Concessionaria Servizi Informatici Pubblici), organismo a struttura societaria, interamente posseduto dal Ministero dell'Economia, con il compito di stipulare convenzioni, in base alle quali le imprese fornitrici si impegnano ad accettare ordinativi di fornitura fino alla concorrenza di un quantitativo di beni o di servizi predeterminato.
La fonte normativa originaria è costituita dall'art. 26, L. 23.12.1999, n. 488 (Finanziaria 2000), la quale delineò un sistema in cui, tramite procedure ad evidenza pubblica, vengono scelte imprese per la fornitura di beni e servizi alle Pubbliche amministrazioni ad uguali condizioni.
Viene, quindi, previsto che le singole Amministrazioni, sulla base delle convenzioni stipulate dal Ministero dell'Economia per il tramite della CONSIP sua concessionaria, possono emettere ordinativi di forniture di beni e servizi, perfezionando così la procedura di ogni singolo acquisto.
In origine, l'obbligo di aderire alle convenzioni stipulate dalla Consip era previsto solo per le Amministrazioni centrali e periferiche dello Stato, mentre le altre Pubbliche amministrazioni, pur avendo una mera facoltà di adesione, avevano l'obbligo di utilizzare i parametri di qualità e di prezzo delle convenzioni stesse nel caso di acquisto di beni comparabili con quelli oggetto di convenzionamento.
Con l'art. 24, L. n. 289 del 2002 (legge finanziaria per l'anno 2003), fu introdotto l'obbligo generalizzato di adesione per tutte le Pubbliche amministrazioni e fu prevista la nullità dei contratti stipulati in violazione del divieto.
Successivamente, il Legislatore è tornato nuovamente sulla questione della facoltatività-obbligatorietà, con l'art. 3, comma 166, L. n. 350 del 2003 (Finanziaria 2004), con il quale si eliminò ogni tipo di obbligo di adesione e Consip divenne, di conseguenza, uno strumento facoltativo di raffronto tra prezzi.
Tuttavia, va osservato che la declassazione dell'istituto contrastava con quel processo, che si andava sempre più consolidando e che era teso alla centralizzazione degli acquisti.
Solo pochi mesi dopo, la facoltatività di aderire alle convenzioni, appena reintrodotta, fu quindi nuovamente mitigata con il D.L. n. 168 del 2004, convertito nella L. n. 191 del 2004, con il quale fu mantenuta come facoltativa la possibilità di adesione, ma fu introdotto l'obbligo, in caso acquisto di autonomo di beni comparabili, di raffrontare i prezzi con quelli previsti dalle convenzioni Consip e di utilizzare questi ultimi come base d'asta al ribasso.
La nuova politica di razionalizzazione degli acquisti ha condotto, poi, all'introduzione, da parte delle leggi finanziarie che si sono succedute negli ultimi anni, di nuovi strumenti di centralizzazione delle procedure di gara, che operano a livello locale.
Precisamente:
a) a livello comunale, attraverso le aggregazioni di enti locali per gli acquisti di beni e servizi (L. n. 266 del 2005, commi 158-160);
b) a livello provinciale, attraverso l'art. 33 del Codice dei contratti pubblici, il quale prevede che le amministrazioni pubbliche possano affidare il compito di stazione appaltante alla Provincia, sulla base di apposito disciplinare, con rimborso delle spese e degli oneri sostenuti, al fine di alleggerire i piccoli Comuni dall'onere di effettuare le gare;
c) a livello regionale, attraverso le Centrali regionali di committenza.
L'art. 1, commi 455-457 della legge finanziaria 2007, ha introdotto la possibilità per le Regioni, anche unitamente ad altre Regioni, di costituire centrali di committenza, con il compito di stipulare convenzioni per acquisto di beni e servizi, in favore di amministrazioni locali, ASL e tutte le altre amministrazioni con sede nel territorio.
L'art. 13, L. n. 136 del 2010, nel chiaro intento di rivitalizzare le centrali di committenza, ha previsto l'espressa emanazione di un DPCM, avente il primario compito di disciplinare i seguenti aspetti delle SUA:
- gli enti, gli organismi e le società che possono aderire alla SUA;
- le attività ed i servizi svolti dalla SUA, ai sensi dell'art. 33 del Codice dei contratti pubblici;
- gli elementi essenziali delle convenzioni tra i soggetti che aderiscono alla SUA;
- le forme di monitoraggio e di controllo degli appalti, ferme restando le disposizioni vigenti in materia.
Dunque, con l'emanazione del DPCM del 30.06.2011, firmato dal Presidente del consiglio dei ministri e dai ministri Maroni, Alfano, Romani, Matteoli, Sacconi, Fitto e Brunetta, può finalmente "nascere" la stazione unica appaltante, su base regionale, cui potranno fare riferimento le Amministrazioni statali, le Regioni e gli Enti locali, come centrale di committenza per l'affidamento di appalti di lavori, forniture e servizi. L'ente interessato ad avvalersi della SUA dovrà stipulare una convenzione per disciplinare la collaborazione.
Per quanto concerne le finalità generali, appare chiaro che il decreto è diretto a promuovere l'istituzione, in ambito regionale, di una o più stazioni uniche appaltanti, con l'obiettivo di rendere più penetrante l'attività di prevenzione e contrasto ai tentativi di condizionamento della criminalità mafiosa, favorendo la celerità delle procedure, l'ottimizzazione delle risorse ed il rispetto della normativa in materia di sicurezza sul lavoro.
Le Pubbliche amministrazioni interessate sono numerose:
a) Amministrazioni dello Stato;
b) Regioni;
c) Enti pubblici territoriali;
d) Enti pubblici non economici;
e) Organismi di diritto pubblico;
f) Associazioni, Unioni e Consorzi, comunque denominati, costituiti dai soggetti precedenti;
g) altri soggetti pubblici, previsti dall'art. 32 del Codice dei contratti pubblici;
h) Imprese pubbliche e soggetti operanti in virtù di diritti speciali o esclusivi.
Tutti questi soggetti pubblici potranno agire nel rispetto delle prescrizioni, di cui al comma 3, dell'art. 33, del Codice e, precisamente:
- divieto di affidare a soggetti pubblici o privati l'espletamento delle funzioni e delle attività di stazione appaltante di lavori pubblici:
- possibilità, per le amministrazioni aggiudicatrici, di affidare le funzioni di stazione appaltante di lavori pubblici ai servizi integrati infrastrutture e trasporti (SIIT) o alle amministrazioni provinciali, sulla base di apposito disciplinare che prevede altresì il rimborso dei costi sostenuti dagli stessi per le attività espletate, nonché a centrali di committenza.
Occorre, invero, tener ben presente che il ricorso alla Stazione Unica Appaltante (una o più, su base regionale) non rappresenterà un obbligo per le Pubbliche amministrazioni, ma una facoltà.
Nello svolgimento della funzione di centrale di committenza, che, in base al Codice dei contratti pubblici,si esplica nell'acquisizione di forniture, lavori e servizi destinati ad altre amministrazioni e nell'aggiudicazione di appalti o nella conclusione di accordi quadro, la SUA ha il compito primario di "gestire la procedura di gara".
In tal senso, i poteri della SUA sono alquanto penetranti e comprendono:
- la collaborazione, con l'ente pubblico aderente, per l'individuazione del contenuto dello schema del contratto, cioè l'oggetto dell'appalto;
- l'individuazione concordata della precisa procedura di scelta del contraente, compreso il criterio di aggiudicazione;
- la redazione di tutti gli atti di gara;
- la nomina della commissione di gara.
La SUA dovrà, inoltre, prendersi carico dello svolgimento della procedura di gara, curando anche la fase di pubblicità e le comunicazioni agli interessati, oltre a effettuare anche le verifiche in ordine al possesso dei requisiti di partecipazione.
Sempre alla SUA spetta il compito di curare gli eventuali contenziosi ed, infine, collaborare con l'ente aderente per la stipula del contratto.
Il decreto definisce i contenuti essenziali della convenzione, facendo particolare riferimento all'ambito di applicazione della medesima (cioè la o le procedure interessate), ai profili attinenti il rimborso dei costi sostenuti della SUA, alla suddivisione degli oneri relativi ai contenziosi, all'obbligo di trasmissione, da parte dell'ente aderente alla SUA ed alla Prefettura, dei contratti stipulati e delle varianti intervenute nel corso dell'esecuzione dei contratti.
Per quel che riguarda le forme di monitoraggio e di controllo sugli appalti, il DPCM prevede uno stretto collegamento fra le Prefetture, soggetto cui dovranno affluire tutte le informazioni ed i dati utili alla prevenzione delle infiltrazioni della criminalità organizzata, e la SUA, alla quale le Prefetture medesime metteranno a disposizione le informazioni sulle imprese partecipanti alla gara.
La Pubblica amministrazione aderente alla SUA potrà, ancora, delegare la verifica dei progetti e l'esame delle varianti al provveditorato interregionale per le opere pubbliche.
Come è ben facile arguire, si è in presenza di un provvedimento corposo ed articolato, che costituisce, senza dubbio, un ulteriore tentativo di rivitalizzare le centrali di committenza.
Tuttavia, occorre prendere atto che la facoltatività dell'adesione alle SUA, elemento non contrastato in ragione delle delicate questioni istituzionali e costituzionali connesse, può dar luogo ad un rilevante disincentivo, in presenza dei ben noti fenomeni di "campanilismo gestionale" delle stazioni appaltanti (01.08.2011 - tratto da www.ipsoa.it).

GIURISPRUDENZA

APPALTIAi fini della rilevanza sul piano del venir meno dell’affidabilità dell’impresa, della gravità della negligenza o dell'inadempimento a specifiche obbligazioni contrattuali va fornita un’adeguata prova ed il provvedimento deve essere motivato adeguatamente.
- Con riferimento ad un contenzioso amministrativo in corso per il pagamento di oneri contributivi, occorre osservare che la chiara prescrizione recata dall’art. 38, comma 1, lett. e), nel senso di escludere dalla partecipazione solo le imprese che si siano rese responsabili di violazioni gravi e definitivamente accertate, porta ad escludere che la pendenza di un contenzioso possa essere considerata di per sé indice di inaffidabilità, essendo possibile un esito favorevole della lite, eventualità che fa prevalere il principio della più ampia partecipazione.
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- Le norme che disciplinano i requisiti soggettivi di partecipazione alle gare pubbliche vanno interpretate nel rispetto dei principi di tipicità e tassatività delle ipotesi di esclusione e la mancanza di una norma con effetto preclusivo che preveda, in caso di cessione d’azienda anteriore alla partecipazione alla gara –cui è assimilabile l’affitto di ramo d’azienda-, un obbligo di dichiarazione dei requisiti soggettivi della cedente, conduce ad escludere la sanzione espulsiva nei confronti dell’impresa cessionaria o affittuaria che non abbia reso la dichiarazione sulla cedente.
La nomina della Commissione di valutazione da parte del Vice Segretario Generale del Comune deve considerarsi legittima, potendo egli esercitare, in caso di impedimento da parte del titolare della funzione, i poteri connessi alla posizione vicaria, nell’interesse al buon andamento dell’amministrazione.

La proroga e l’affidamento di contratti all’impresa appellante da parte del Comune nel periodo giugno–dicembre 2010 (relativi alla manutenzione di verde pubblico e di rotatoria nonché di servizio spargisale), senza alcun riferimento a pregresse inadempienze, sono chiari indizi dello sviamento e della contraddittorietà di cui è affetto l’atto di esclusione dalla gara per cui è causa per grave negligenza o malafede nello svolgimento di prestazioni affidate all’impresa.
Invero, la necessità di garantire l’elemento fiduciario nei rapporti contrattuali della pubblica amministrazione fin dal momento genetico, nell’interesse pubblico a non stipulare nuovi contratti con l’impresa resasi responsabile di grave negligenza, trova un evidente limite nel caso in cui la stessa amministrazione operi una valutazione favorevole sul piano tecnico-morale dell’impresa, rinnovandole fiducia attraverso la proroga o l’affidamento di diversi contratti (Cons. St. Sez. VI, 28.07.2010, n. 5029).
Peraltro, il motivo d’appello è fondato anche sotto il profilo della errata valutazione da parte del primo giudice in ordine alla mancata confutazione da parte dell’interessata di ogni responsabilità o negligenza nell’esecuzione del contratto evocato.
Risulta, infatti, agli atti che a seguito della contestazione da parte del Comune della negligenza dimostrata in un’operazione di sepoltura, l’impresa, con nota 02.01.2009, aveva giustificato il proprio comportamento in ragione del notevole ritardo con cui era stata ricevuta la salma e di eventi a sé non imputabili.
La disposta esclusione appare, pertanto, in contrasto anche con il principio per cui, ai fini della rilevanza sul piano del venir meno dell’affidabilità dell’impresa, della gravità della negligenza o dell'inadempimento a specifiche obbligazioni contrattuali va fornita un’adeguata prova ed il provvedimento deve essere motivato adeguatamente (Cons. St. Sez. V, 22.02.2011, n. 1107; 21.01.2011, n. 409).
Nella specie, entrambi gli elementi (prova della negligenza ed adeguata motivazione) risultano carenti.
Quanto al secondo motivo di esclusione, riferito ad un contenzioso amministrativo in corso per il pagamento di oneri contributivi, occorre osservare che la chiara prescrizione recata dall’art. 38, comma 1, lett. e), nel senso di escludere dalla partecipazione solo le imprese che si siano rese responsabili di violazioni gravi e definitivamente accertate, porta ad escludere che la pendenza di un contenzioso possa essere considerata di per sé indice di inaffidabilità, essendo possibile un esito favorevole della lite, eventualità che fa prevalere il principio della più ampia partecipazione (Cons. St. Sez. V, 21.04.2009, n. 2399).
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e norme che disciplinano i requisiti soggettivi di partecipazione alle gare pubbliche vanno interpretate nel rispetto dei principi di tipicità e tassatività delle ipotesi di esclusione e la mancanza di una norma con effetto preclusivo che preveda, in caso di cessione d’azienda anteriore alla partecipazione alla gara –cui è assimilabile l’affitto di ramo d’azienda-, un obbligo di dichiarazione dei requisiti soggettivi della cedente, conduce ad escludere la sanzione espulsiva nei confronti dell’impresa cessionaria o affittuaria che non abbia reso la dichiarazione sulla cedente (Cons. St. Sez. V, 15.11.2010, n. 8044; 21.05.2010, n. 3213);
La nomina della Commissione di valutazione da parte del Vice Segretario Generale del Comune deve considerarsi legittima, potendo egli esercitare, in caso di impedimento da parte del titolare della funzione, i poteri connessi alla posizione vicaria, nell’interesse al buon andamento dell’amministrazione
(Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 03.08.2011 n. 4629 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICAIn materia urbanistica vale infatti il principio generale di cui al primo comma dell’art. 11, d.P.R. 06.06.2001 n. 380, dove, infatti, si prevede espressamente che il permesso edilizio è “rilasciato al proprietario dell'immobile o a chi abbia titolo per richiederlo”. La legge specificamente impone, tra i requisiti di legittimazione, il possesso dei titoli reali per poter intervenire sull'immobile per il quale è richiesto il titolo edilizio.
- Sul piano civilistico, con la convenzione di lottizzazione i proprietari dei terreni interessati alla urbanizzazione pongono in essere un negozio di consorzio urbanistico volontario -con assunzione delle obbligazioni a fini organizzativi e con costituzione degli effetti reali necessari per conferire al territorio l'assetto giuridico conforme al progetto approvato dalla amministrazione- il quale consorzio, come tale, è assoggettato alla disciplina della comunione dettata dal codice civile, in proporzione alle relative quote ex art. 1101, comma 2.
- Sul piano amministrativo la natura degli impegni assunti dai privati in una convenzione di lottizzazione deve essere ricostruita in termini di “accordo sostitutivo del provvedimento” di cui all'art. 11 L. 07.08.1990 n. 241. La convenzione deve quindi essere stipulata assicurando la partecipazione dei soggetti proprietari degli immobili coinvolti, i quali devono necessariamente partecipare tutti alla costituzione(ed alle eventuali modifiche) dell’accordo. Secondo le regole generali, il possesso dei titoli civilisticamente idonei a legittimare la richiesta di convenzionamento –che deve comprendere tutte le aree direttamente interessate dall’intervento- costituisce dunque un requisito giuridico sostanziale di legittimazione dell’istanza ai sensi dell’art. 6, primo comma lett. a) della legge n. 241/1990 e s.m.i.; requisito che deve essere dimostrato sia sul piano amministrativo, ai fini dell’ammissibilità della domanda, sia sul piano processuale, quale condizione dell’azione necessaria al fine di poter poi gravare giurisdizionalmente i relativi atti negativi. Solo in tale ipotesi può configurarsi un obbligo giuridico del Comune a provvedere sull’istanza di convenzionamento
Con il presente appello i ricorrenti impugnano la sentenza del Tar Lecce con cui è stato respinto il loro ricorso diretto all’annullamento del diniego, in riscontro di una loro diffida, alla stipula della convenzione propedeutica alla realizzazione all’intervento diretto dei privati in zona G1 di campo da golf alla realizzazione del campo di golf sul litorale di Ostuni, fra Santa Lucia e Torre Pezzelle, ed al rilascio del relativo permesso di costruire.
...
L’adesione di tutti i proprietari ricompresi nei confini dell’area destinata alla realizzazione del campo da golf è indispensabile, in quanto essi costituiscono tutti insieme i soggetti direttamente legittimati al procedimento di convenzionamento con il Comune, ed all’eventuale impugnativa del diniego (cfr. Consiglio Stato, sez. IV, 03.06.1987, n. 326).
In materia vale infatti il principio generale di cui al primo comma dell’art. 11, d.P.R. 06.06.2001 n. 380, dove, infatti, si prevede espressamente che il permesso edilizio è “rilasciato al proprietario dell'immobile o a chi abbia titolo per richiederlo”.
La legge specificamente impone, tra i requisiti di legittimazione, il possesso dei titoli reali per poter intervenire sull'immobile per il quale è richiesto il titolo edilizio (cfr. Consiglio Stato, sez. V, 07.09.2009, n. 5223; Consiglio Stato, sez. IV, 07.09.2007 n. 4703; idem 07.07.2005 n. 3730; Consiglio Stato, sez. V, 12.05.2003, n. 2506).
In tale scia si deve ricordare che, sul piano civilistico, con la convenzione di lottizzazione i proprietari dei terreni interessati alla urbanizzazione pongono in essere un negozio di consorzio urbanistico volontario -con assunzione delle obbligazioni a fini organizzativi e con costituzione degli effetti reali necessari per conferire al territorio l'assetto giuridico conforme al progetto approvato dalla amministrazione- il quale consorzio, come tale, è assoggettato alla disciplina della comunione dettata dal codice civile, in proporzione alle relative quote ex art. 1101, comma 2 (cfr. Cassazione civile, sez. I, 26.04.2010 , n. 9941).
Sul piano amministrativo, invece, la natura degli impegni assunti dai privati in una convenzione di lottizzazione deve essere ricostruita in termini di “accordo sostitutivo del provvedimento” di cui all'art. 11 L. 07.08.1990 n. 241.
La convenzione deve quindi essere stipulata assicurando la partecipazione dei soggetti proprietari degli immobili coinvolti (cfr. Consiglio Stato, sez. V, 12.04.2007, n. 1714), i quali devono necessariamente partecipare tutti alla costituzione(ed alle eventuali modifiche) dell’accordo.
Secondo le regole generali, il possesso dei titoli civilisticamente idonei a legittimare la richiesta di convenzionamento –che deve comprendere tutte le aree direttamente interessate dall’intervento- costituisce dunque un requisito giuridico sostanziale di legittimazione dell’istanza ai sensi dell’art. 6, primo comma lett. a) della legge n. 241/1990 e s.m.i.; requisito che deve essere dimostrato sia sul piano amministrativo, ai fini dell’ammissibilità della domanda (cfr. Sez. IV 08.06.2011 n. 3508), sia sul piano processuale, quale condizione dell’azione necessaria al fine di poter poi gravare giurisdizionalmente i relativi atti negativi.
Solo in tale ipotesi può configurarsi un obbligo giuridico del Comune a provvedere sull’istanza di convenzionamento (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 02.08.2011 n. 4576 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

PUBBLICO IMPIEGOIncarichi dirigenziali ai dirigenti. Entrate, stop all'attribuzione a funzionari senza qualifica. Una sentenza del Tar del Lazio annulla la delibera del Comitato di gestione dell'Agenzia.
Stop agli indiscriminati incarichi dirigenziali a funzionari privi della qualifica di dirigente.
La sentenza 01.08.2011 n. 6884 del TAR Lazio-Roma, Sez. II, ha annullato la delibera del Comitato di gestione dell'Agenzia delle entrate, che aveva modificato l'articolo 24, comma 2, del regolamento di amministrazione, introducendo un testo che consentiva sostanzialmente di coprire quasi tutti i posti vacanti della dotazione organica dirigenziale mediante incarichi conferiti a funzionari, ai sensi dell'articolo 19, comma 6, del dlgs 165/2001.
L'articolo censurato prevedeva che tali incarichi potessero essere assegnati «per inderogabili esigenze di funzionamento» allo scopo di coprire provvisoriamente vacanze sopravvenute della dotazione di dirigenti e prevedendo un termine, nel caso di specie il 31.12.2010, che poi veniva regolarmente prorogato di anno in anno.
Insomma, il Tar Lazio ha colto l'intento elusivo della normativa riguardante l'accesso alla carriera dirigenziale, che richiede necessariamente un concorso pubblico per esami e la disciplina delle mansioni superiori, considerando illegittima la prassi di conferire incarichi a funzionari «asseritamente in provvisoria reggenza», ma nei fatti coprendo ad libitum i posti della dotazione organica. Nel caso di specie, l'Agenzia delle entrate copre i 1143 posti della dotazione dirigenziale solo con 376 dirigenti di ruolo; i restanti 767 posti sono lasciati vacanti o coperti ad interim; ma gran parte sono coperti da tempo con incarichi dirigenziali a funzionari.
Il Tar Lazio censura questa prassi sia sul piano dello stretto diritto, sia eccependo gli effetti distorsivi sull'organizzazione, che determina la mancata copertura della dotazione dirigenziale mediante concorsi, come prevederebbe la legge.
L'articolo 24 del regolamento di organizzazione è illegittimo perché si pone irrimediabilmente in contrasto con l'articolo 19, comma 6, del dlgs 165/2001, il quale consente l'attribuzione di incarichi dirigenziali anche a funzionari interni solo come ipotesi straordinaria ed eccezionale, attivabile in presenza di particolarissimi requisiti di professionalità dei destinatari. Il che risulta oggettivamente incompatibile con un utilizzo così diffuso e ampio dell'istituto.
Inoltre, spiega la sentenza, «configurandosi il conferimento di un incarico dirigenziale in favore di un funzionario non dirigente alla stregua dell'assegnazione di mansioni superiori al di fuori delle ipotesi tassativamente previste dalla legge» gli atti di conferimento sono da considerare radicalmente nulli ai sensi dell'articolo 52, comma 5, sempre del dlgs 154/2001.
Né gli incarichi come regolati dall'articolo 24 censurato possono essere qualificati come «reggenza», poiché non caratterizzati dalla temporaneità legata a ragioni di emergenza, propria dell'istituto della reggenza, che per altro non dà titolo alla retribuzione dirigenziale e, dunque, non costituisce nemmeno di fatto mansione superiore.
Per l'Agenzia delle entrate una tegola: dovrà rivedere la propria consolidata abitudine a coprire i posti da dirigente senza concorsi. Ma, spiega il Tar «consolidare nel tempo una situazione complessiva di grave violazione di principi fondamentali di regolamentazione del rapporto di pubblico impiego e delle garanzie relative all'accesso alle qualifiche, alla selezione del personale e allo svolgimento del rapporto» non è possibile.
Lo stesso pare debba valere anche per le altre pubbliche amministrazioni, che in questi anni non hanno certamente lesinato incarichi dirigenziali a propri funzionari con decisioni caratterizzate dalle medesime illegittimità rilevate dal Tar Lazio.
Per Giancarlo Barra, segretario generale Dirpubblica «sono state danneggiate due generazioni di colleghi in un settore delicato nei confronti dei cittadini, dove ci dovrebbero lavorare persone che rispondono alla legge prima che al loro capo. Invece sono più di venti anni che non si fanno concorsi pubblici. Sono stati fatti dei danni alle istituzioni e ai cittadini che lavorano all'Agenzia delle entrate che sono enormi. Eppure gli strumenti non mancavano, basti pensare allo scorrimento delle graduatorie o alla vice dirigenza» (articolo ItaliaOggi del 03.08.08.2011 - tratto da www.ecostampa.it).

PUBBLICO IMPIEGOEntrate, «nulli» due dirigenti su tre.
LA MOTIVAZIONE - Sono stati assegnati con contratti e aumenti nel trattamento economico posti che vanno coperti con procedure selettive.

Bordata agostana sui vertici del Fisco. A scagliarla è il TAR Lazio-Roma, Sez. II, nella sentenza 01.08.2011 n. 6884, che ha accolto il ricorso di Dirpubblica (la Federazione dei dirigenti della Pa) e ha bocciato la prassi dell'agenzia delle Entrate di coprire posti dirigenziali assegnando incarichi ad interim a proprio personale senza qualifica dirigenziale, senza passare tramite il concorso che dovrebbe rappresentare la via ordinaria verso le poltrone da dirigente.
Dichiarando illegittima la norma, scritta nell'articolo 24 del regolamento di amministrazione dell'Agenzia riformato il 02.12.2009, la sentenza stabilisce la «radicale nullità» di questi incarichi, che negli anni si sono estesi a larga parte degli uffici del Fisco: è la stessa Agenzia, nelle spiegazioni fornite al Tar in istruttoria, a segnalare che su 1.143 posti in tutta Italia sono solo 376 (il 32,9%) quelli coperti da dirigenti con tutti i crismi, mentre gli altri sono affidati con incarico temporaneo o vacanti. In un quadro come questo il concorso in via di svolgimento, per 175 posizioni da dirigente, è lontano dal risolvere il problema.
Proprio questi numeri hanno spinto i giudici amministrativi verso la sentenza, respingendo l'obiezione mossa dall'Agenzia sulla carenza di interesse dei ricorrenti; arrivati al merito, la prassi dell'Agenzia (formalizzata nella riforma regolamentare del 2009 ma impiegata in misura crescente fin dal 2006) non ha retto lo scontro con la regola di riferimento, cioè l'articolo 52 del decreto legislativo 165/2001.
La norma, che nel caso di posti vacanti in organico prevede l'interim per un massimo di sei mesi, secondo i giudici amministrativi non si può estendere all'assegnazione di mansioni superiori dirigenziali, per cui l'unica alternativa possibile sarebbe il richiamo all'istituto della reggenza, possibile solo quando «cause imprevedibili» facciano «venir meno la titolarità di un organo», aprendo un buco organizzativo da coprire in via d'urgenza. Non è però questo il caso degli interim diffusi alle Entrate, che non prevedono limiti temporali predeterminati, vengono assegnati con un contratto di lavoro individuale e portano il trattamento economico del titolare dell'incarico allo stesso livello previsto per il dirigente di cui svolge le funzioni.
Niente reggenza, insomma, ma un «conferimento di un vero e proprio incarico dirigenziale» a persone che non hanno i requisiti per riceverlo: di qui l'intervento dell'articolo 52, comma 5, del decreto 165/2011, che fa scattare la nullità degli incarichi in virtù di quella che il Tar giudica una «grave violazione di principi fondamentali di regolamentazione del pubblico impiego» (articolo Il Sole 24 Ore del 03.08.08.2011 - tratto da www.ecostampa.it).

EDILIZIA PRIVATA: ACQUA E CORSI D’ACQUA - Argini - Divieto di costruzione ex art. 96, lett. f), T.U. n. 523/1904 - Carattere legale, assoluto e inderogabile - Normativa locale - Deroga di carattere eccezionale - Limiti.
Il divieto di costruzione di opere dagli argini dei corsi d'acqua, previsto dall'art. 96, lett. f), t.u. 25.07.1904 n. 523, ha carattere legale, assoluto e inderogabile, ed è diretto al fine di assicurare non solo la possibilità di sfruttamento delle acque demaniali, ma anche (e soprattutto) il libero deflusso delle acque (cfr. Cassazione civile, sez. un., 30.07.2009, n. 17784); esso è cioè teso a garantire le normali operazioni di ripulitura/manutenzione e a impedire le esondazioni delle acque.
La deroga contenuta nella lettera F del citato art. 96, per cui la distanza minima si applica in mancanza di “discipline vigenti nelle diverse località” è quindi di carattere eccezionale e ciò significa che la normativa locale (espressa anche mediante uno strumento urbanistico), per prevalere sulla norma generale, deve avere carattere specifico (cfr. Cassazione civile, sez. un., 18.07.2008, n. 19813).
Di conseguenza, solo se lo scopo dell'attività costruttiva lungo il corso d'acqua è quello specifico di salvaguardarne il regime idraulico la disciplina locale assume valenza derogatoria della norma statale, in quanto meglio ne attua l'interesse pubblico perseguito (cfr. TAR Lombardia-Brescia, sentenza 13.06.2007 n. 540); ne deriva che nessuna opera realizzata in violazione della norma de qua può essere sanata e che è legittimo il diniego di rilascio di concessione edilizia in sanatoria relativamente ad un fabbricato realizzato all'interno della c.d. fascia di servitù idraulica (art. 33 l. 28.02.1985 n. 47) (da ultimo: TAR Roma-Latina, Sez. I, sentenza 15.12.2010 n. 1981) (TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 01.08.2011 n. 1231 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: ACQUA E CORSI D’ACQUA - Fascia di rispetto dagli argini - Art. 96, lett. f), R.D. n. 523/1904 - Regolamenti comunali - Tolleranza verso abusi edilizi - Conferimento di diritti edificatori - Esclusione.
I regolamenti comunali (o le linee-guida regionali) possano disciplinare diversamente la fascia di rispetto dagli argini prevista dall’art. 96, lett. f), del RD 523/1904 solo sulla base di un esame dettagliato della condizione dei luoghi, così da garantire in misura equivalente gli interessi pubblici (idraulici e ambientali) coinvolti (v. TAR Brescia, Sez. I, 26.02.2010 n. 986; TAR Brescia, Sez. I, 26.06.2007 n. 578).
In questo quadro la tolleranza mantenuta in passato verso certe tipologie di edificazione non acquista lo status di elemento normativo e non può costituire un presupposto idoneo per conferire ulteriori diritti edificatori (TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 01.08.2011 n. 1228 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Edifici in rovina - Ricostruzione - Superficie, volumetria e distanze - Mantenimento del patrimonio giuridico incorporato nell’edificio - Strumenti di pianificazione sopravvenuti - Effetti.
La ricostruzione di edifici in rovina può essere ricompresa tra gli interventi di ristrutturazione. In proposito si osserva che con la rovina dell’edificio il patrimonio giuridico incorporato nello stesso (superficie coperta, volumetria, distanze dai confini e dagli altri edifici) non scompare automaticamente ma diventa latente e può riespandersi (v. TAR Brescia Sez. I 13.05.2009 n. 1028).
Qualora però sopravvengano strumenti di pianificazione che cancellano il rilievo urbanistico del sedime (o elevano le caratteristiche strutturali necessarie per considerare esistente un edificio) si interrompe il collegamento con la precedente edificazione e i proprietari subiscono il ridimensionamento economico del bene. Queste scelte urbanistiche sono ampiamente discrezionali e corrispondono all’esigenza di garantire la certezza della situazione di base su cui si innestano la programmazione e la successiva trasformazione del territorio.
Se al contrario nei piani urbanistici sopravvenuti il tema della riedificazione degli immobili in rovina non viene espressamente affrontato vale il principio privatistico che tutela nella sua interezza il diritto di proprietà, compresa la facoltà di ricostituzione materiale del bene, con il solo limite esterno dei diritti incompatibili nel frattempo acquisiti dai terzi (TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 01.08.2011 n. 1228 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATAEdilizia, la Dia non dà certezze. Il Tar può bloccare i lavori se il comune non controlla. Per l'adunanza plenaria del Consiglio di stato la denuncia di inizio attività è un atto privatistico.
La denuncia di inizio attività (sostituita dalla Scia) non è un provvedimento amministrativo a formazione tacita, ma è un atto privato volto a comunicare l'intenzione di intraprendere un'attività direttamente ammessa dalla legge.
Se, peraltro, la p.a. non ha esperito gli accertamenti necessari per il controllo dei presupposti, il giudice può imporre l'adozione dei provvedimenti inibitori all'esercizio dell'attività intrapresa.

È quanto ha affermato l'Adunanza plenaria del Consiglio di stato, con la sentenza 29.07.2011 n. 15.
L'intervento del Consesso era stato richiesto dal Tar del Veneto, ai sensi dell'art. 99 del codice del processo amministrativo, anche a fronte di precedenti contrasti giurisprudenziali.
Contrasti, in pratica, relativi alla natura giuridica della dichiarazione di inizio attività ed alle conseguenti tecniche di tutela sperimentabili dal terzo leso dallo svolgimento dell'attività denunciata.
L'Adunanza, come risulta dalla articolata sentenza (disponibile nel sito), non si è sottratta al compito affermando che, con la Dia, il denunciante è «titolare di una posizione soggettiva di vantaggio immediatamente riconosciuta dall'ordinamento, che lo abilita a realizzare direttamente il proprio interesse, previa instaurazione di una relazione con la pubblica amministrazione, ossia un contatto amministrativo, mediante l'inoltro dell'informativa», mentre il terzo pregiudicato dallo svolgimento dell'attività «è titolare di una posizione qualificabile come interesse pretensivo all'esercizio del potere di verifica» da parte della p.a..
Ma stando così le cose, afferma la sentenza, il sistema complessivo della tutela previsto dall'ordinamento deve consentire comunque al terzo, anche se il codice espressamente non lo prevede, di ottenere la cessazione dell'attività non consentita dalla legge, attraverso l'azione di accertamento tesa a ottenere una pronuncia che verifichi l'insussistenza dei presupposti di legge per l'esercizio dell'attività oggetto della denuncia.
In altre parole, rileva l'Adunanza, «anche per gli interessi legittimi, come pacificamente ritenuto nel processo civile per i diritti soggettivi, la garanzia costituzionale impone di riconoscere l'esperibilità dell'azione di accertamento autonomo, con particolare riguardo a tutti i casi in cui, mancando il provvedimento da impugnare, una simile azione risulti indispensabile per la soddisfazione concreta della pretesa sostanziale del ricorrente».
Ciò in quanto, afferma la sentenza, «la mancata previsione nel testo finale del codice, di una norma esplicita sull'azione generale di accertamento, non è sintomatica della volontà legislativa di sancire una preclusione di dubbia costituzionalità» e, quindi, l'azione di accertamento atipica, nelle ipotesi previste dall'art. 100 c.p.c., risulta comunque praticabile; in forza delle coordinate costituzionali e comunitarie richiamate dallo stesso art. 1 del codice oltre che dai criteri di delega di cui all'art. 44 della legge n. 69/2009 (articolo ItaliaOggi del 03.08.08.2011).

AMBIENTE-ECOLOGIA: RIFIUTI - Abbandono - Ordinanza ex art. 14 d.lgs. n. 22/1997 (oggi, art. 192, d.lgs. n. 152/2006) - Partecipazione al procedimento amministrativo.
In tema di ordinanza ex art. 14 d.lgs. n. 22/1997 (oggi, art. 192 d.lgs. n. 152/2006), il generico riferimento all’urgenza di provvedere alla rimozione dei rifiuti al fine di eliminare ogni pericolo per la salute dei cittadini non è sufficiente a legittimare la deroga al principio fondamentale della partecipazione al procedimento amministrativo dei soggetti che vi sono coinvolti: ciò a maggior ragione ove gli adempimenti relativi vengano accollati al proprietario dell’area, nella pretesa impossibilità di risalire ai responsabili dell’abbandono dei rifiuti (TAR Liguria, Sez. I, sentenza 28.07.2011 n. 1191 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTIAppalti a trasparenza piena. Le buste delle offerte vanno aperte in seduta pubblica.
LA MOTIVAZIONE - Se non è prevista la pubblicità le parti non sono garantite da eventuali manipolazioni dei documenti.

La commissione giudicatrice deve aprire le buste delle offerte tecniche in seduta pubblica, per assicurare il rispetto del principio di pubblicità anche in questa fase della gara con l'offerta economicamente più vantaggiosa.
Il Consiglio di Stato in adunanza plenaria ha sancito con la
sentenza 28.07.2011 n. 13 la pubblicizzazione dell'apertura dei plichi contenenti i documenti illustrativi della parte tecnico-qualitativa delle offerte, ponendo fine ai contrasti giurisprudenziali sul tema e di fatto integrando le previsioni del codice dei contratti e del Dpr 207/2010.
Gli orientamenti definiti nel tempo dalla giurisprudenza amministrativa hanno da un lato ritenuto l'obbligo di pubblicità delle sedute delle commissioni di gara riferibile solo alle fasi di apertura dei plichi dei documenti amministrativi e delle offerte economiche, mentre dall'altro hanno precisato che nelle gare di appalto devono svolgersi in seduta pubblica gli adempimenti concernenti la verifica dell'integrità di tutti i plichi contenenti l'offerta, compresi quelli con la parte tecnico-qualitativa.
La decisione n. 13/2011 evidenzia come la mera constatazione dell'integrità delle buste soddisfi solo parzialmente le esigenze di trasparenza e pubblicità, in quanto non consente ai concorrenti presenti di rendersi conto della presenza nelle buste dei documenti recanti le offerte tecniche, così come avviene per i documenti amministrativi e per le offerte economiche.
Il Consiglio di Stato rileva che in tal modo i concorrenti non sono garantiti dal pericolo di manipolazioni successive delle offerte, con inserimenti, sottrazioni o alterazioni di documenti.
La garanzia di pubblicità per tutte le operazioni di gara, compresa la comunicazione dell'eventuale anomalia dell'offerta, è rafforzata dalle previsioni del regolamento di attuazione del codice degli appalti, nel quale viene prevista invece la seduta riservata per le valutazioni di natura tecnico-discrezionale. Tuttavia il Dpr 207/2010 non disciplina espressamente il passaggio dell'apertura delle buste delle offerte tecniche.
La decisione dell'adunanza plenaria colma questa lacuna, sancendo che la verifica dell'integrità di questi plichi è destinata a garantire che il materiale documentale da gestire nella procedura di gara sia completo. La pubblicità di questo passaggio tutela sia la parità di trattamento dei concorrenti, che possono effettuare riscontri sulla regolarità formale degli atti prodotti avendo così la garanzia che non siano successivamente intervenute indebite alterazioni, sia l'interesse pubblico alla trasparenza e all'imparzialità dell'azione amministrativa.
Il Consiglio di Stato precisa inoltre che la verifica dei documenti contenuti nella busta dell'offerta tecnica consiste in un semplice controllo preliminare degli atti inviati, che non può eccedere la funzione di ufficializzare l'acquisizione della documentazione di cui si compone l'offerta tecnica.
La garanzia di trasparenza richiesta in questa fase si considera assicurata quando la commissione, aperta la busta del singolo concorrente, proceda ad un esame della documentazione leggendo il solo titolo degli atti rinvenuti, e dandone atto nel verbale della seduta (articolo Il Sole 24 Ore del 02.08.2011 - tratto da www.corteconti.it).

EDILIZIA PRIVATA: Consiglio di Stato: no alla cementificazione del territorio in aree agricole.
Il Consiglio di Stato (IV sezione, sentenza 27.07.2011 n. 4505) si è occupato di un caso nel quale un Comune aveva denegato una concessione in sanatoria avente ad oggetto la richiesta di costruzione –in un'area classificata come agricola- di un impianto di frantumazione di sfridi derivati da lavorazioni edilizia nonché il deposito dei materiali prodotti.
La ragione fondamentale che aveva indotto il Comune a negare la concessione in sanatoria era rappresentata dal fatto che l’impianto di trattamento e stoccaggio di rifiuti inerti risultava posizionato in area classificata in base al vigente Piano Regolatore Generale "all’esercizio dell’agricoltura".
Quindi, la questione centrale dell’intero contenzioso può essere così riassunta: la compatibilità o meno della struttura poco fa descritta con la destinazione agricola impressa urbanisticamente all’area sulla quale il manufatto insiste.
I Giudici di Palazzo Spada, nel dare risposta negativa al quesito (confermando quindi la bontà della scelta del Comune di negare la concessione in sanatoria), ricordano che uno degli scopi per cui non si ammette l’edificazione di tipo residenziale in aree agricole (fatte salve alcune eccezioni) è quello di evitare la cementificazione del territorio.
Di conseguenza, a maggior ragione, non si può consentire la realizzazione di un'opera che, quanto alle sue caratteristiche costruttive e di utilizzazione, introduce un impatto negativo sul territorio ancor più marcato e devastante in ragione vuoi della tipologia edilizia, vuoi dell’attività esercitata.
In realtà il manufatto oggetto della invocata sanatoria era da considerarsi un vero e proprio opificio produttivo che, in quanto tale, poteva e doveva essere realizzato in altre aree a ciò dedicate, quelle appunto con destinazione industriale e/o produttive (Zona D) situate in parti del territorio specificatamente vocate ad ospitare tali tipologie di opere.
Sono peraltro al più ammesse in zona agricola opere edilizie che siano in qualche modo connesse funzionalmente con la coltivazione dei suoli (e con la relativa attività produttiva), ovvero connesse con la vocazione naturalistica di aree agricole. Connotazioni, queste, del tutto assenti nella fattispecie di un impianto di frantumazione e stoccaggio di inerti che, per sua stessa natura, è distante anni luce dalla concezione di sfruttamento agricolo di un’area (commento tratto da www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICALa costruzione di un impianto di frantumazione di sfridi edilizi e stoccaggio di inerti non è ammissibile in relazione alla previsione di zona agricola impressa all’area dallo strumento urbanistico.
Le scelte urbanistiche come fissate dall’Amministrazione comunale nel Piano Regolatore costituiscono valutazioni connotate da amplissima discrezionalità, sottratte al sindacato di legittimità salvo che non siano inficiate da errori di fatto abnormi ovvero da manifesta irragionevolezza. Altresì, la scelta di classificare un‘area come destinata ad uso agricolo risponde, nell’ambito di una pianificazione omogenea del territorio comunale da effettuarsi a mezzo di una razionale applicazione delle tipologie di zona previste dalla normativa urbanistica, all’esigenza di salvaguardare la vocazione agricola di specifici ambiti territoriali ai fini di conservazione delle aree stesse anche ai fini naturalistici.

Il Collegio ritiene di dover fornire al predetto quesito interpretativo una risposta di contenuto negativo, nel senso che la costruzione di un impianto del genere di quello in discussione ( frantumazione di sfridi edilizi e stoccaggio di inerti) non è ammissibile in relazione alla previsione di zona agricola impressa all’area dallo strumento urbanistico.
Vanno in primo luogo qui richiamati alcuni orientamenti giurisprudenziali più volte espressi da questo Consiglio di Stato secondo cui:
a) le scelte urbanistiche come fissate dall’Amministrazione comunale nel Piano Regolatore costituiscono valutazioni connotate da amplissima discrezionalità , sottratte al sindacato di legittimità salvo che non siano inficiate da errori di fatto abnormi ovvero da manifesta irragionevolezza (cfr. Cons. Stato Sezione IV 09/07/2002 n. 3817; idem 06/02/2002 n. 664);
b) la scelta di classificare un‘area come destinata ad uso agricolo risponde, nell’ambito di una pianificazione omogenea del territorio comunale da effettuarsi a mezzo di una razionale applicazione delle tipologie di zona previste dalla normativa urbanistica, all’esigenza di salvaguardare la vocazione agricola di specifici ambiti territoriali ai fini di conservazione delle aree stesse anche ai fini naturalistici (cfr. questa Sezione 27/07/2010 n. 4920).
Ciò precisato, sono ben noti al Collegio i principi più volte ribaditi sempre da questa Sezione (ex multis, cfr. decisione del 18/01/2011 n. 352) secondo i quali la prevista destinazione agricola di un suolo non deve rispondere necessariamente all’esigenza di promuovere specifiche attività di coltivazione (e quindi non essere funzionale ad un uso strettamente agricolo del terreno) mentre siffatta destinazione risulta concretamente volta a sottrarre parti del territorio comunale a nuove edificazioni (in tal senso, decisione n. 2166 del 2010), ma tali assunti interpretativi non valgono punto a far propendere (come invece propugnato da parte appellante) per l’ammissibilità della realizzazione e dell’esercizio di un impianto di frantumazione di inerti in zona agricola.
Invero, si è in presenza di un’opera che in ragione all’uso cui è preposta reca necessariamente caratteristiche strutturali e tipologiche del tutto inconciliabili con la destinazione agricola e tanto con riferimento non solo all’utilizzo concreto del suolo, ma alla naturale vocazione dei terreni, stante l’evidente compromissione a causa della presenza di un “opificio” delle finalità proprie di quella parte del territorio vocata e destinata a fini agricoli.
D’altra parte se considera che uno degli scopi per cui non si ammette l’edificazione di tipo residenziale in aree agricole (se non in determinate eccezioni) è quello di evitare la cementificazione del territorio, a maggior ragione non si può consentire la realizzazione di un’opus che, quanto alle sue caratteristiche costruttive e di utilizzazione introduce un impatto negativo sul territorio ancor più marcato e devastante in ragione vuoi della tipologia edilizia vuoi dell’attività dell’opus vuoi dell’attività in esso esercitata.
In realtà il manufatto, con le opere e le aree ad esso pertinenziali, oggetto della chiesta sanatoria , è un vero e proprio opificio produttivo che, in quanto tale, può e deve essere realizzate in altre aree a ciò dedicate, quelle appunto destinazione industriale e/o produttive (Zona D), in parti del territorio cioè specificatamente vocate ad ospitare tali tipologie di opere con i connessi usi.
Un avallo inconfutabile a tale assunto interpretativo viene peraltro fornito (ammesso che ce ne fosse stato bisogno) dal dato di dritto positivo rappresentato dalla legge Regione Lombardia 07.06.1980 n. 93 recante norme in materia di edificazione nelle zone agricole, lì dove all’art. 2 è previsto che nelle aree destinate dallo strumento urbanistico generale a zona agricola sono ammesse esclusivamente opere realizzate in funzione della conduzione del fondo e destinate alla residenza dell’imprenditore agricolo e dei dipendenti, risultando ammesse anche strutture produttive come silos, serre, stalle, locali per la lavorazione di prodotti agricoli.
Ora al di là dell’elemento letterale recato dalla normativa all’uopo dettata dalla legge regionale summenzionata, la ”ratio” di detta legge è certamente quella di ammettere in zona agricola opere edilizie che siano in qualche modo connesse funzionalmente con la coltivazione dei suoli (e relativa attività produttiva) ma anche con la vocazione naturalistica di aree agricole, connotazioni, queste, affatto presenti nella fattispecie di un impianto di frantumazione e stoccaggio di inerti che, per sua stessa natura è distante anni luce dalla concezione di sfruttamento agricolo di un’area .
Così gli esempi di manufatti che parte appellante indica come ritenuti, per effetto di alcune sentenze del giudice amministrativo, come assentibili in area agricola riguardano sempre opere che hanno un minima “contiguità” con la natura agricola dei terreni ma tale condizione nella specie è del tutto insussistente, sicché alcuna omologazione ad altri casi può sul punto essere validamente invocata.
Sulla scorta di tali osservazioni e considerazioni, il diniego di sanatoria opposto dal Comune di Nerviano in ragione del rilevato contrasto urbanistico dell’impianto de quo con il regime giuridico di tipo urbanistico vigente per l’area in questione si appalesa corretto, senza che tale determinazione sia inficiata dai vizi di legittimità dedotti dalla parte appellante (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 27.07.2011 n. 4505 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTISull'obbligo ovvero sulla facoltà di procedere alla valutazione dell'offerta anomala.
Ai sensi dell’art. 86, co. 2, D.Lgs. 12.04.2006, n. 163, “Nei contratti di cui al presente codice, quando il criterio di aggiudicazione è quello dell'offerta economicamente più vantaggiosa, le stazioni appaltanti valutano la congruità delle offerte in relazione alle quali sia i punti relativi al prezzo, sia la somma dei punti relativi agli altri elementi di valutazione, sono entrambi pari o superiori ai quattro quinti dei corrispondenti punti massimi previsti dal bando di gara”.
Ai sensi del successivo co. 3 dello stesso articolo, “In ogni caso le stazioni appaltanti possono valutare la congruità di ogni altra offerta che, in base ad elementi specifici, appaia anormalmente bassa”.
Risulta evidente che, mentre il richiamato art. 86, comma 2, impone un obbligo di procedere alla verifica nei casi di anomalia da quella stessa previsione individuati, il successivo comma 3 si limita a facoltizzare la stazione appaltante a procedere alla suddetta verifica sempre che l’offerta, pur in assenza delle condizioni indicate dal comma precedente, appaia, in base ad elementi specifici, anormalmente bassa.
In sostanza la citata disciplina distingue tra obbligo di procedere alla verifica nei casi di anomalia individuati dalla legge e facoltà riservata all'Amministrazione di ipotizzare autonomamente, "in base ad elementi specifici", casi di anomalia diversi da quelli prestabiliti (in termini, ex multis, Cons. Stato Sez. V, 08.09.2008, n. 4270).
L’art. 86, co. 3, D.Lgs. 12.04.2006, n. 163, si pone in linea con quella giurisprudenza comunitaria secondo cui il sistema legislativo italiano -che àncora l'attivazione del procedimento di verifica di anomalia ad un calcolo matematico automatico, imponendo alle stazioni appaltanti di sottoporre a verifica tutte le offerte che eguagliano o superano la soglia di anomalia- è legittimo solo a condizione che sia fatto salvo il potere delle stazioni appaltanti di sottoporre a verifica anche offerte che, pur collocandosi al di sotto della soglia di anomalia, appaiano ciò non di meno sospette (C. giust. CE 27.11.2001, CC-285-286/99).
La citata disposizione, quindi, è volta a chiarire che, anche al di fuori dei casi contemplati dall’art. 86, co. 2, D.Lgs. 12.04.2006, n. 163, alla stazione appaltante non può essere precluso di attendere alla verifica di congruità dell’offerta.
Si tratta di previsione facoltizzante, volta a riconoscere la sussistenza del potere della stazione appaltante, anche al di là dei casi di anomalia legislativamente predeterminati.
Il legislatore, anzi, nel riconoscere tale facoltà, ha inteso evitare arbitrii delle stazioni appaltanti, laddove, anche per ragioni di economia dei mezzi giuridici, dispone che, perché si possa attivare la verifica di anomalia facoltativa, occorre che vi sia un fumus, un sospetto di anomalia, sulla base di “elementi specifici”.
E’ quanto induce a ritenere che debba essere motivata la decisione di attendere alla verifica nonostante non ricorrano le condizioni indicate dall’art. 86, co. 2, D.Lgs. 12.04.2006, n. 163, non anche quella di non procedere in tal senso (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 27.07.2011 n. 4489 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Modulistica allegata al bando - Difformità rispetto alle prescrizioni della lex specialis di gara - Principio del favor partecipationis.
La circostanza che il concorrente abbia puntualmente seguito le indicazioni fornite dalla stazione appaltante, nella modulistica pubblicata insieme al bando, non può andare a suo danno, se detta modulistica si rivela in parte non esattamente conforme alle prescrizioni della lex specialis di gara, dovendo prevalere in tal caso, a fronte di un’obiettiva incertezza ingenerata dagli atti predisposti dalla stazione appaltante, il principio del favor partecipationis e quello di tutela del legittimo affidamento (in questo senso, di recente: TAR Toscana, sez. I, 21.06.2010 n. 2006; TAR Puglia, Bari, sez. I, 08.06.2011 n. 842) (TAR Puglia-Bari, Sez. I, sentenza 27.07.2011 n. 1170 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTI SERVIZI: Le disposizioni che derogano alla regola della procedura di evidenza pubblica, in quanto eccezionali rispetto ai principi che informano la materia, sono di stretta interpretazione.
E' illegittimo l'affidamento diretto da parte di un comune a Poste Italiane s.p.a. della gestione del servizio di elaborazione informatica e di notificazione dei verbali relativi alle sanzioni amministrative previste dal codice della strada.

Le disposizioni che derogano alla regola della procedura di evidenza pubblica, in quanto eccezionali rispetto ai principi che informano la materia, sono di stretta interpretazione. Ne deriva la necessità di una valutazione rigorosa e puntuale circa la ricorrenza dei presupposti che giustificano la sottrazione dell'affidamento alla regola del confronto competitivo.
L'art. 19, c. 2, del d.lgs. 12.04.2006 n. 163, sottrae alle disposizioni in materia di appalti pubblici i soli affidamenti disposti in base ad un diritto esclusivo di cui l'aggiudicatario dispone. Pertanto, nel caso di specie, è illegittimo l'affidamento diretto da parte di un comune a Poste Italiane s.p.a. della gestione del servizio di elaborazione informatica e di notificazione dei verbali relativi alle sanzioni amministrative previste dal codice della strada, in quanto l'attività attribuita senza procedere alla gara (fornitura di software e hardware e l'acquisizione da parte di Poste Italiane, nel caso di notificazioni non andate a buon fine, di informazioni anagrafiche presso i Comuni di residenza sui destinatari dei verbali e la ristampa dei verbali per la rinotifica oltre alle attività connesse ai ruoli), va ben oltre i diritti esclusivi vantati dalla società in quanto concessionaria del servizio di recapito universale (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 25.07.2011 n. 4452 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI SERVIZINo all'affidamento diretto senza eccezioni: anche se si tratta di Poste Italiane.
Il Comune che intende affidare all'esterno il servizio di elaborazione informatica e di gestione e spedizione delle multe stradali deve attivare almeno un confronto concorrenziale. E questa formalità non può essere trascurata nemmeno in caso di affidamento del servizio a Poste Italiane.
Lo ha evidenziato il Consiglio di stato, Sez. V, con la sentenza 25.07.2011 n. 4452.
Un comune della provincia di Napoli ha affidato senza alcuna verifica il servizio di gestione delle multe stradali a Poste Italiane spa. Contro questa determinazione il precedente fornitore del servizio ha avanzato con successo ricorso al Tar.
E pure il Consiglio di stato ha confermato la decisione del tribunale amministrativo.
Il comune negli atti convenzionali sottoposti all'attenzione del collegio ha evidenziato la necessità di liberare personale di polizia da attività amministrativa affidando a terzi non solo il servizio di notifica ma anche attività complementari e propedeutiche all'ufficio contravvenzioni.
In pratica oggetto dell'affidamento sarebbe la fornitura di hardware e software ad hoc con l'attività di data entry, notifiche, pagamenti e rendicontazione elettronica dell'intero procedimento.
Tali essendo le coordinate fattuali della vicenda, specifica il collegio, "la sezione reputa che l'affidamento diretto, derogatorio rispetto ai principi dell'ordinamento comunitario e nazionale, che impongono alle amministrazioni pubbliche il ricorso a procedure di evidenza pubbliche informate a logiche concorrenziali, non trovi fondamento nelle norme richiamate dall'appellante, ossia l'art. 19, comma 2, e l'art. 57, comma 5, lett. a) del codice dei contratti pubblici".
Le deroghe alla regola delle procedure di evidenza pubblica, prosegue la sentenza, sono di stretta interpretazione.
Anche se Poste Italiane è concessionaria del servizio postale universale, questi diritti esclusivi coprono "tuttavia, solo una parte del complesso dei servizi affidati dal comune di Casoria a Poste Italiane.
Esorbitano, infatti, dal raggio di azione di tali diritti esclusivi i servizio, pure oggetto dell'affidamento, relativi alla fornitura di software e hardware e delle attività di archiviazione ed alla parte della gestione completa delle notifiche che comprende attività che si collocano in un momento sia logicamente che cronologicamente anteriore a quello in cui l'invio postale è preso in consegna dal fornitore del servizio.
In particolare esulano dal fuoco della predetta riserva di legge l'acquisizione da parte di Poste Italiane, nel caso di notificazioni non andate a buon fine, di informazioni anagrafiche presso i comuni di residenza sui destinatari dei verbali e la ristampa dei verbali per la rinotifica tramite il servizio postale o tramite il messo comunale del comune di residenza, nonché le attività connesse ai ruoli che pure sono dedotte in convenzione
".
In pratica l'affidamento diretto del servizio completo di gestione delle multe stradali a Poste Italiane, senza alcuna valutazione concorrenziale, non trova fondamento nella normativa nazionale (commento tratto da www.ipsoa.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZI: Si evita il ricorso all’evidenza pubblica solo in riferimento ai servizi coperti dal diritto di esclusiva dell'aggiudicatario.
Il Codice dei Contratti Pubblici non si applica agli aggiudicatori che sono titolari di un diritto esclusivo solo ove l’oggetto del rapporto consista nel contenuto dell’esclusiva. Così, se ha senso sottrarre Poste Italiane (in quanto titolare di un diritto esclusivo sulle notifiche degli atti in virtù del fatto di essere concessionaria del servizio postale universale ai sensi dell’art. 23, comma 2, del dlgs 22.07.1999 n. 261 e del dm 17.04.2000) dall’applicazione del Codice e quindi dal principio dell’evidenza pubblica in relazione alla notificazione degli atti, non ha senso escludere l’applicazione dei principi comunitari in riferimento alla fornitura di software e hardware, alla archiviazione e alla gestione completa delle notifiche (ivi compresa quindi la stampa dei verbali su bollettino premarcato e imbustamento, dell’atto) attività che si collocano cronologicamente e logicamente in un momento anteriore a quello in cui l’invio postale è preso in consegna dal fornitore del servizio.
Sulla base di questa osservazione, escludendo l’applicazione dell’articolo 19 del Codice dei Contratti pubblici, i giudici di Palazzo Spada hanno posto nel nulla l’affidamento diretto, posto in essere da un comune a Poste Italiane, dei servizi aggiuntivi a quelli di notifica degli atti. D’altro canto non vale a mantenere l’impianto dell’affidamento diretto, il riferimento all’art. 57, comma 5, lett. a), del D.Lgs. 163/2006.
La norma invocata, inserita nel corpo dell’articolo che disciplina i casi di affidamento mediante procedura negoziata senza previa pubblicazione di bando di gara, dispone quanto segue: “Nei contratti pubblici relativi a lavori e negli appalti pubblici relativi a servizi, la procedura del presente articolo è, inoltre, consentita: a) per i lavori o i servizi complementari, non compresi nel progetto iniziale né nel contratto iniziale, che, a seguito di una circostanza imprevista, sono divenuti necessari all'esecuzione dell'opera o del servizio oggetto del progetto o del contratto iniziale, purché aggiudicati all'operatore economico che presta tale servizio o esegue tale opera, nel rispetto delle seguenti condizioni: a.1) tali lavori o servizi complementari non possono essere separati, sotto il profilo tecnico o economico, dal contratto iniziale, senza recare gravi inconvenienti alla stazione appaltante, ovvero pur essendo separabili dall'esecuzione del contratto iniziale, sono strettamente necessari al suo perfezionamento; a.2) il valore complessivo stimato dei contratti aggiudicati per lavori o servizi complementari non supera il cinquanta per cento dell'importo del contratto iniziale”.
Come si evince dalla norma, viene richiesto il concorso di entrambi le condizioni. Di tale ultima combinazione non risulta alcuna giustificazione dagli atti della procedura né dalla delibera o determina a contrarre e ciò anche in violazione dell’art. 57, comma 1, del Codice dei Contratti Pubblici che impone alla stazione appaltante di dare conto, in tale sede, delle ragioni che giustificano il ricorso alla procedura negoziata (commento tratto da www.documentazione.ancitel.it - (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 25.07.2011 n. 4452 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: L'incompatibilità del Commissario di gara determina l'illegittimità del provvedimento di aggiudicazione definitiva.
In materia di appalti pubblici la situazione di incompatibilità di un commissario di gara rende illegittima l’attività svolta dalla commissione, ivi compresi i provvedimenti di aggiudicazione provvisoria e definitiva che di conseguenza devono considerarsi irrimediabilmente viziati e devono essere annullati.

Con questo principio il Consiglio di Stato, Sez. V, con la sentenza 25.07.2011 n. 4450 ha accolto il ricorso presentato da una società avverso il provvedimento di aggiudicazione del servizio di distribuzione del gas naturale in un comune della Lombardia.
La ricorrente, seconda aggiudicataria, aveva impugnato il provvedimento contestando in particolare come fra i componenti della commissione di gara fosse presente un ingegnere, in qualità di consulente, che si trovava in una macroscopica situazione di incompatibilità, avendo provveduto alla preparazione degli atti di gara, alla perizia del valore degli impianti e all’analisi economico-patrimoniale del servizio.
Il Consiglio di Stato adito, accogliendo questa censura, ha preliminarmente chiarito come le disposizioni contenute nell’articolo 84, 4° comma (Commissione giudicatrice nel caso di aggiudicazione con il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa), del d.lgs. 163/2006 secondo il quale “I commissari diversi dal Presidente non devono aver svolto né possono svolgere alcun'altra funzione o incarico tecnico o amministrativo relativamente al contratto del cui affidamento si tratta”, si applicano a tutte le gare di appalto di lavori, servizi e forniture in quanto espressione dei principi di imparzialità e buona amministrazione predicati dall’articolo 97 della Costituzione.
In applicazione di tale norma è stato precisato che l’ingegnere “…versava quindi in una situazione di incompatibilità e non poteva essere membro della commissione di gara: come tale i relativi atti di costituzione e la successiva attività da essa svolta, ivi compreso il provvedimento di aggiudicazione provvisoria e definitiva, devono considerarsi irrimediabilmente viziati e devono essere annullati (così C.d.S., sez. VI, 29.12.2010, n. 9577, secondo cui "Ai sensi dell'art. 84, d.lgs. n. 163 del 2006, applicabile anche nei settori speciali in quanto richiamato espressamente dall'art. 206, d.lgs. n. 163 del 2006, quando il criterio di aggiudicazione è quello dell'offerta economicamente più vantaggiosa, va nominata una Commissione di gara, e in tale Commissione i componenti diversi dal presidente non devono aver svolto né possono svolgere alcuna altra funzione o incarico tecnico o amministrativo relativamente al contratto del cui affidamento si tratta (comma 4). È chiaro che l'incompatibilità, mirando a garantire l'imparzialità dei commissari di gara, si riferisce a soggetti che abbiano svolto incarichi relativi al medesimo appalto, ad es. incarichi di progettazione, di verifica della progettazione, incarichi di predisposizione della legge di gara, e simili. L'incompatibilità non può estendersi a qualsivoglia funzionario dipendente dalla stazione appaltante, che svolge incarichi amministrativi o tecnici che non sono relativi allo specifico appalto")”.
In conclusione i giudici della V sezione hanno sottolineato come questa situazione di incompatibilità ha viziato irrimediabilmente tutto il procedimento di aggiudicazione poiché l’attività svolta dal componente della commissione andava oltre le funzioni del mero consulente la cui caratteristica è quella di fornire un’attività occasionale di supporto tecnico ab externo (commento tratto da www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Le eventuali incongruità contenute nell’offerta e nel piano economico-finanziario non sono di per sé idonee a riverberarsi sull’offerta presentata dall’aggiudicataria.
Le eventuali incongruità contenute nell’offerta e nel piano economico-finanziario non sono di per sé idonee a riverberarsi sull’offerta presentata dall’aggiudicataria, giacché il piano economico–finanziario, essendo ontologicamente diverso dall’offerta, ben può contenere indicazioni, specificazioni, chiarimenti, limitati integrazioni ed aggiustamenti, valutabili dall’amministrazioni ai fini del giudizio complessivo di validità ed affidabilità dell’offerta, senza che ciò possa in alcun modo far ritenere stravolta l’offerta originaria presentata; deve anche aggiungersi che la giurisprudenza ha anche precisato che “laddove l’amministrazione consideri congrua l’offerta sulla base delle spiegazioni fornite dal concorrente in sede di verifica dell’anomalia non occorre che la relativa documentazione sia fondata su una articolata motivazione ripetitiva delle medesime giustificazioni ritenute accettabili o espressiva di ulteriori apprezzamenti, essendo sufficiente anche una motivazione per relationem…” (C.d.S., sez. IV, 30.10.2009, n. 6708), tanto più che la verifica delle offerte anomale non ha per oggetto la ricerca di specifiche e singole inesattezze dell’offerta economica, mirando invece ad accertare se l’offerta nel suo complesso sia attendibile e, dunque, se dia o meno serio affidamento circa la corretta esecuzione dell’appalto (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 25.07.2011 n. 4450 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: I terreni destinati a verde pubblico dal piano regolatore diventano indisponibili solo quando siano in concreto utilizzati secondo la propria destinazione.
I giudici del Tribunale amministrativo di Torino esprimono tale tesi in una controversia nella quale i ricorrenti muovevano dal presupposto che un’area di proprietà pubblica destinata a “verde pubblico” secondo le previsioni del piano regolatore generale o di uno strumento urbanistico di secondo livello, costituisse, per ciò stesso, un bene strumentale all’esercizio delle funzioni istituzionali dell’ente proprietario, con la conseguenza che quest’ultimo non avrebbe potuto far cessare la predetta destinazione né includere il bene in un piano di dismissioni immobiliari, avuto riguardo al fatto che la normativa di settore prevede che gli enti pubblici possano includere nei propri piani di alienazione soltanto beni “non strumentali all’esercizio delle proprie funzioni istituzionali”.
I giudici sabaudi hanno considerato tale congettura infondata precisando che un’area di proprietà pubblica destinata a “verde pubblico” non costituisce un’opera di urbanizzazione primaria né un bene strumentale all’esercizio delle funzioni istituzionali dell’ente proprietario, fino a quando su di essa non siano state realizzate concrete opere di trasformazione volte a rendere fruibile il verde pubblico da parte della collettività, imprimendo al bene una destinazione di fatto conforme a quella astrattamente prevista dal piano: solo in presenza di tali opere il bene acquista carattere strumentale rispetto ai fini dell’ente e rientra a far parte del patrimonio indisponibile dello stesso, ai sensi dell’art. 826, ultimo comma c.c., in quanto bene di proprietà pubblica concretamente destinato ad un pubblico servizio.
In altre parole, continuano i giudici piemontesi, affinché un bene di proprietà pubblica possa definirsi strumentale al perseguimento degli scopi istituzionali dell’ente proprietario, con conseguente inclusione nel patrimonio indisponibile dell’ente medesimo, non è sufficiente la mera manifestazione di volontà dell’ente pubblico di destinarlo ad un pubblico servizio, ma è altresì necessario che a quella manifestazione di volontà abbiano fatto seguito concrete opere di trasformazione dirette ad imprimere al bene un’effettiva funzionalizzazione ad un pubblico servizio.
E’ stato affermato, a questo riguardo, ricordano gli stessi giudici, che l'appartenenza di un bene al patrimonio indisponibile dello Stato, dei comuni o delle province, a meno che non si tratti di beni riservati, per loro natura, a tale patrimonio, dipende soprattutto dalle caratteristiche oggettive e funzionali del bene e presuppone, quindi, oltre che l'acquisto in proprietà del bene da parte dell'ente pubblico (cosiddetto requisito soggettivo), una concreta destinazione dello stesso ad un pubblico servizio (cosiddetto, requisito oggettivo) che, proprio per l'esigenza di un reale legame con le oggettive caratteristiche del bene, non può dipendere da un mero progetto di utilizzazione della p.a. o da una risoluzione che, ancorché espressa in un atto amministrativo, non incide, di per sé, sulle oggettive caratteristiche funzionali del bene.
Pertanto, nei casi in cui il bene sia privo dei caratteri strutturali necessari per il servizio, occorre almeno che il provvedimento di destinazione sia seguito dalle opere di trasformazione che in qualche modo possano stabilire un reale collegamento di fatto, e non meramente intenzionale, del bene alla funzione pubblica (Cass. civ., sez. II, 09.09.1997, n. 8743; in senso analogo, Cass. Civ. SS.UU. 28.06.2006, n. 14865).
Sulla scorta di tali principi, è stato affermato che i terreni destinati a verde pubblico dal piano regolatore acquistano la condizione di beni del patrimonio indisponibile dell'ente pubblico (e, quindi, di beni strumentali al perseguimento dei fini istituzionali dell’ente stesso) solo dal momento in cui, essendo stati acquistati da questo in proprietà, sono trasformati ed in concreto utilizzati secondo la propria destinazione, non essendo all'uopo sufficiente né il piano regolatore generale, che ha solo funzione programmatoria e l'effetto di attribuire alla zona, o anche ai terreni in esso eventualmente indicati, una vocazione da realizzare attraverso gli strumenti urbanistici di secondo livello o ad essi equiparati, e la successiva attività di esecuzione di questi strumenti, né il provvedimento di approvazione del piano di lottizzazione, che individua solo il terreno specificamente interessato dal progetto di destinazione pubblica, né la convenzione di lottizzazione, che si inserisce nella fase organizzativa del processo di realizzazione del programma urbanistico e non nella fase della sua materiale esecuzione (Cassazione civile, sez. II, 09.09.1997, n. 8743) (commento tratto da www.documentazione.ancitel.it -  TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 22.07.2011 n. 805 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZI: Servizio di refezione scolastica - Richiesta di effettiva disponibilità di un centro di cottura nel territorio comunale (o in una data area) alla data di presentazione della domanda - Illegittimità.
In caso di appalto del servizio di refezione scolastica, il richiedere l’effettiva disponibilità di un centro di cottura nel territorio comunale alla data di presentazione della domanda, senza consentire all’impresa di organizzarsi all’esito della vittoriosa partecipazione, equivarrebbe a riservare la gara stessa alla sole imprese che già operano nel territorio, in palese violazione delle disposizioni comunitarie (cfr. da ultimo, TAR Sicilia, sede Palermo, sez. III, 24.09.2010, n. 10824, e TAR Abruzzo, sede L’Aquila, 11.02.2010, n. 88); analogamente, è illegittima per irragionevolezza e contrasto con i principi comunitari di massima tutela della concorrenza tra imprese, il bando per l’affidamento del servizio di refezione scolastica, che impone ai partecipanti di allestire un centro per la cottura e la preparazione dei pasti esclusivamente in una data area, tutte le volte in cui tale prescrizione non sia utile ai fini della individuazione del miglior contraente e non sia giustificabile con addotte finalità di controllo dell’attività di confezionamento, dal momento che contrasta con i principi di economicità e di risparmio su scala aziendale, in quanto si determina un indubbio favoritismo per i pochi (o unici) soggetti che già sono presenti in quel preciso ambito territoriale, dovendo considerarsi sufficiente, per le specifiche finalità dell’amministrazione, solo una clausola che stabilisca i tempi massimi di trasporto dei pasti e la possibilità, da parte dell’Amministrazione, di verificare il loro rispetto (Cons. St. sez. V, 22.06.2010, n. 3887, e TAR Puglia, sede Bari, sez. I, 03.11.2009, n. 2602) (TAR Abruzzo-Pescara, Sez. I, sentenza 22.07.2011 n. 476 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: La presenza di precedenti interventi edilizi non è ostativa al vincolo paesaggistico.
Va ricordato che la giurisprudenza ha da tempo riconosciuto allo Stato il potere di porre un vincolo paesaggistico sull'intero territorio di un comune (Cons. Stato, IV, 06.12.1985, n. 596; VI, 04.04.1997, n. 553, IV, 20.03.2006, n. 1470).
Certamente, come insegna la sentenza di questa Sezione n. 3540 del 27.06.2001, il provvedimento con il quale si impone un vincolo paesaggistico ambientale, ai sensi della legge 29.06.1939, n. 1497 sull'intero territorio di un comune, deve essere motivato sulla base di concreti e specifici indici dell'interesse paesistico dominante e non già con riferimento ad un mero rapporto di vicinanza delle aree più urbanizzate rispetto a quelle di più diretto ed immediato rilievo paesistico.
Il decreto di vincolo non potrà certamente imporre limiti su di un intero territorio comunale, qualora il provvedimento sia motivato con richiamo a ragioni ed apprezzamenti che, per la loro genericità, potrebbero giustificare l'imposizione del vincolo in questione su qualsiasi territorio dello Stato.
La Relazione illustrativa richiamata nelle premesse del decreto (nota n. 2256 del 09.02.1990 della Soprintendenza archeologica e per i beni ambientali, architettonici, artistici e storici del Molise) fa del resto riferimento puntuale –così mostrando l’avvenuta presa in considerazione di un siffatto profilo, e nei termini dell’insindacabile discrezionalità tecnica che presiede al vincolo (su cui v. ad es. Cons. Stato, VI, 22.03.2005, n. 1186; ma anche VI, 22.12.1993, n. 1022)- ad un “ambiente urbano di estremo interesse ambientale e culturale che purtroppo non sempre è riuscito a conservare inalterate le proprie caratteristiche a causa dell’abbandono e delle manomissioni innovatrici verificatesi essenzialmente in quest’ultima metà del secolo, frutto di cause complesse che fanno parte ormai della storia socio economica e del presente di questo territorio”.
Del resto, non è possibile, senza superare i limiti propri del giudizio di legittimità, isolare singole aree comprese nella bellezza d’insieme e verificare se vi siano specificamente riferibili le caratteristiche indicate dall’amministrazione, con riferimento alla bellezza d’insieme, nella motivazione del provvedimento (Cons. Stato, IV, 20.03.2006, n. 1470; VI, 20.01.1998, n. 106).
A ciò si aggiunga che il fatto dell’antropizzazione, o meglio della presenza di precedenti interventi edilizi, non solo non è ostativo al vincolo, ma anzi, per costante e consolidata giurisprudenza, maggiormente richiede che, se ne sussiste il substrato, si dia corso alla tutela dell’art.9 Cost. per il paesaggio (Cons. Stato, VI, 11.06.1990, n. 600; VI, 28.08.1995, n. 820; VI, 20.10.2000, n. 5651; IV, 30.06.2005, n. 3547; VI, 29.11.2005, n. 6756; II, 17.06.1998, n. 853; II, 04.02.1998, n. 3018/1997; II, 13.12.2006, n. 10387/2004). Non è dunque nemmeno il caso di rammentare che il vincolo paesaggistico non è, per sua natura, volto alla sola tutela delle bellezze di natura, ma anche del lascito storico ed architettonico sul paesaggio.
Nel caso di specie pertanto un tale vincolo appare perciò legittimo e adeguatamente sopportato in punto di indagine di fatto, di giudizio tecnico e di motivazione (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 21.07.2011 n. 4429 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Art. 9 L. 122/1989 - Autorimesse edificate parzialmente fuori terra - Disciplina urbanistica ordinaria.
La testuale lettura dell’art. 9 della L. 24.03.1989, n. 122 limita la fattispecie derogatoria alla realizzazione di autorimesse e parcheggi destinati al servizio di fabbricati esistenti solo ove sia effettuata totalmente al di sotto del piano di campagna naturale ("sottosuolo"), rientrando le autorimesse, edificate anche parzialmente fuori terra, nella disciplina urbanistica ordinaria (cfr. Cons. di Stato, Sez. IV, n. 6065 dell'11.10.2006; sez. IV, n. 8260 del 27.11.2010).
L'interpretazione estensiva, per vero talora sposata in ossequio alla pretesa ratio della massima diffusione delle aree a parcheggio nelle aree urbane già edificate, che consentiva la realizzazione dei parcheggi anche in costruzione seminterrate, se tuttora regge nel caso di diversa destinazione da attribuire a costruzioni già realizzate (considerata la possibilità di realizzazione di siffatte unità anche al "piano terreno dei fabbricati"), non può essere al contrario ammessa nel caso di costruzioni da realizzare ex novo, ostandovi il dato letterale già sopra richiamato e dovendosi rilevare che il riferimento a parcheggi "nel sottosuolo" o "sotterranei" osta alla ricomprensione, tra dette costruzioni, delle autorimesse che, anche solo per un tratto della loro altezza, non risultino totalmente interrate (TAR Abruzzo L’Aquila 19.04.2011 n. 208) (TAR Liguria, Sez. I, sentenza 21.07.2011 n. 1176 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il vincolo di inedificabilità relativo alla fascia di rispetto cimiteriale è applicabile anche ai fabbricati sparsi.
Occorre ricordare che l’art. 338 R.D. n. 1265/1934, prevede che “i cimiteri devono essere collocati alla distanza di almeno 200 metri dal centro abitato. È vietato costruire intorno ai cimiteri nuovi edifici entro il raggio di 200 metri dal perimetro dell'impianto cimiteriale, quale risultante dagli strumenti urbanistici vigenti nel comune o, in difetto di essi, comunque quale esistente in fatto, salve le deroghe ed eccezioni previste dalla legge” (comma 1).
Orbene, la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, con considerazioni che in questa sede si intendono ribadite, ha già avuto modo di affermare che la fascia di rispetto cimiteriale prevista dall'art. 338 t.u. leggi sanitarie (e che deve essere misurata a partire dal muro di cinta del cimitero), costituisce un vincolo assoluto di in edificabilità, tale da imporsi anche a contrastanti previsioni di PRG, che non consente in alcun modo l'allocazione sia di edifici, che di opere incompatibili col vincolo medesimo, in considerazione dei molteplici interessi pubblici che tale fascia di rispetto intende tutelare e che possono enuclearsi nelle esigenze di natura igienico-sanitaria, nella salvaguardia della peculiare sacralità che connota i luoghi destinati all'inumazione e alla sepoltura, nel mantenimento di un'area di possibile espansione della cinta cimiteriale (Cons. Stato, sez. IV, 16.03.2011 n. 1645 e 27.10.2009 n. 6547; sez. V, 14.09.2010 n. 6671).
Stante la natura del vincolo e le sue finalità, come sopra evidenziate, non vi è alcuna ragione (peraltro non ricavabile né dalla lettera né dal contesto logico-sistematico della norma), per ritenere tale vincolo applicabile solo ai centri abitati e non ai fabbricati sparsi, così come, ai fini dell’applicazione del vincolo, appare ininfluente che, a distanza inferiore ai 200 metri, vi sia una strada, escludendosi che quest’ultima (così come invece risultante dalla prospettazione dell’appellante) “interrompa” la continuità del vincolo (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 20.07.2011 n. 4403 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il provvedimento di repressione degli abusi edilizi (ingiunzione a demolire e/o ordine di demolizione, ed ogni altro provvedimento sanzionatorio), costituisce atto dovuto della pubblica amministrazione, riconducibile ad esercizio di potere vincolato, in mera dipendenza dall’accertamento dell’abuso e della riconducibilità del medesimo ad una delle fattispecie di illecito previste dalla legge.
Ciò comporta che il provvedimento sanzionatorio non abbisogna di una particolare motivazione, essendo sufficiente la mera rappresentazione del carattere illecito dell’opera realizzata, né è necessaria una previa comparazione dell’interesse pubblico alla repressione dell’abuso (che è in re ipsa) con l’interesse del privato proprietario del manufatto; e ciò anche se l’intervento repressivo avvenga a distanza di tempo dalla commissione dell’abuso, laddove il medesimo non sia stato oggetto di sanatoria in base agli interventi legislativi succedutisi nel tempo.
Stante il carattere vincolato del potere da esercitarsi, non occorre il previo invio della comunicazione di avvio del procedimento, peraltro ora esclusa anche dall’art. 21-octies, comma 2, primo periodo, l. n. 241/1990, che ha recepito, sul punto le indicazioni della giurisprudenza.

Il Collegio deve ribadire, in adesione a costante giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, che il provvedimento di repressione degli abusi edilizi (ingiunzione a demolire e/o ordine di demolizione, ed ogni altro provvedimento sanzionatorio), costituisce atto dovuto della pubblica amministrazione, riconducibile ad esercizio di potere vincolato, in mera dipendenza dall’accertamento dell’abuso e della riconducibilità del medesimo ad una delle fattispecie di illecito previste dalla legge.
Ciò comporta che il provvedimento sanzionatorio non abbisogna di una particolare motivazione, essendo sufficiente la mera rappresentazione del carattere illecito dell’opera realizzata, né è necessaria una previa comparazione dell’interesse pubblico alla repressione dell’abuso (che è in re ipsa) con l’interesse del privato proprietario del manufatto; e ciò anche se l’intervento repressivo avvenga a distanza di tempo dalla commissione dell’abuso, laddove il medesimo non sia stato oggetto di sanatoria in base agli interventi legislativi succedutisi nel tempo.
In tale contesto, appare evidente come –stante il carattere vincolato del potere da esercitarsi– non occorre il previo invio della comunicazione di avvio del procedimento, peraltro ora esclusa (invero, in momento successivo all’emanazione del provvedimento impugnato) anche dall’art. 21-octies, comma 2, primo periodo, l. n. 241/1990, che ha recepito, sul punto le indicazioni della giurisprudenza (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 20.07.2011 n. 4403 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: Area edificabile – Piano di lottizzazione conforme al piano regolatore – Possibilità di far valere da parte del Comune ragioni di carattere ambientale e/o paesaggistico non contemplate dal P.R.G. per negare l’approvazione del piano di lottizzazione – Non sussiste.
La giunta ed il consiglio comunale non possono effettuare valutazioni che contrastino con quelle già formalizzate con il piano regolatore.
Infatti, se un'area è stata da questo destinata all'edificazione, nel corso del procedimento di approvazione del piano attuativo non è giuridicamente possibile che la medesima area non vada considerata in concreto edificabile per ragioni ambientali e paesaggistiche, e cioè sulla base di valutazioni diametralmente opposte a quelle già poste a base dello strumento primario che ha previsto l'edificabilità sul piano urbanistico. Ove emergano le relative ragioni, può essere attivato il procedimento per la modifica del piano regolatore, ma -sul piano urbanistico- non può essere respinto il progetto di lottizzazione conforme allo strumento primario.
Nel rispetto delle diverse finalità della pianificazione urbanistica, la valutazione della congruità del piano di lottizzazione deve quindi porsi in collegamento attuativo e nel rispetto funzionale delle previsioni dello strumento urbanistico di valenza generale.
Tali ragioni hanno portano ad affermare che il compito spettante alla giunta ed al consiglio comunale siano limitati all'accertamento della conformità del progetto alle previsioni dello strumento urbanistico primario, imponendo peraltro, giusta il canone ordinario di correttezza dell'azione amministrativa, che le relative determinazioni in merito all'eventuale non conformità del progetto al piano regolatore si fondino su una puntuale motivazione, tale da permettere l'emersione di interessi pubblici effettivamente sussistenti e la conseguente tutela dell'interessato in sede di giustizia amministrativa (massima tratta da www.centrostudi-sv.org - Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 20.07.2011 n. 4395 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: La valutazione della sufficienza dei collegamenti esterni all’area oggetto di lottizzazione deve essere contenuta nello strumento urbanistico generale.
Ritiene la Sezione che la propria precedente decisione n. 4368 del 16.09.2008 abbia già sufficientemente individuato i limiti decisionali che regolamentano l’approvazione dei piani di lottizzazione, quando ha affermato che “la giunta ed il consiglio comunale non possono effettuare valutazioni che contrastino con quelle già formalizzate con il piano regolatore. Infatti, se un’area è stata da questo destinata all’edificazione, nel corso del procedimento di approvazione del piano attuativo non è giuridicamente possibile che la medesima area non vada considerata in concreto edificabile ‘per ragioni ambientali e paesaggistiche’, e cioè sulla base di valutazioni diametralmente opposte a quelle già poste a base dello strumento primario che ha previsto l’edificabilità sul piano urbanistico. Ove emergano le relative ragioni, può essere attivato il procedimento per la modifica del piano regolatore, ma –sul piano urbanistico- non può essere respinto il progetto di lottizzazione conforme allo strumento primario”.
Nel rispetto delle diverse finalità della pianificazione urbanistica, la valutazione della congruità del piano di lottizzazione deve quindi porsi in collegamento attuativo e nel rispetto funzionale delle previsioni dello strumento urbanistico di valenza generale. Tali ragioni hanno quindi spinto la Sezione ad affermare che il compito spettante alla giunta ed al consiglio comunale siano limitati all’accertamento della conformità del progetto alle previsioni dello strumento urbanistico primario, imponendo peraltro, giusta il canone ordinario di correttezza dell’azione amministrativa, che le relative determinazioni in merito all’eventuale non conformità del progetto al piano regolatore si fondino su una puntuale motivazione, tale da permettere l’emersione di interessi pubblici effettivamente sussistenti e la conseguente tutela dell’interessato in sede di giustizia amministrativa.
Se queste affermazioni, in merito al metro di giudizio, non paiono contestabili, né sono state aggredite dalle parti contendenti, una diversa valutazione va fatta in relazione alla base del giudizio, ossia agli elementi che possono essere correttamente valutati al fine della declaratoria di non conformità rispetto allo strumento pianificatorio generale ed in particolare in relazione alla supposta insufficienza della viabilità.
In questo senso, nessun aiuto può provenire dalla decisione n. 4368 del 2008, evocata a vario titolo da tutte le parti, atteso che nella detta sentenza non sono stati valutati gli aspetti della viabilità, in quanto introdotti successivamente al provvedimento allora gravato e quindi integranti una motivazione postuma dello stesso. Le affermazioni ivi contenute hanno quindi natura di obiter dictum, sebbene incidentalmente, non si possa non notare come la Sezione abbia suffragato “la sussistenza del potere del consiglio comunale di valutare la sufficienza della viabilità nell’area oggetto del progetto, in rapporto all’area più vasta in cui la sua realizzazione si va ad inserire”, ossia limitando il sindacato alla viabilità interna al piano da realizzare.
In senso più generale, non si può non osservare come il tema della pianificazione viaria sia tradizionalmente oggetto di previsioni a livello di piano regolatore generale. L’art. 7 della legge urbanistica (legge 17.08.1942, n. 1150, indicando i contenuti del piano generale, espressamente prevede, al punto 1 del comma 1, che questo indichi “la rete delle principali vie di comunicazione stradali, ferroviarie e navigabili e dei relativi impianti”. E previsioni di tal fatta si riscontrano, peraltro con terminologia normativa più corrente, in tutte le discipline regionali che trattano il tema dell’assetto e del governo del territorio (ad esempio, nell’ambito della regione Veneto, la L.R. n. 11 del 2004, separando gli aspetti strutturali del piano regolatore da quelli operativi, prevede che siano fissati “gli obiettivi e le condizioni di sostenibilità degli interventi e delle trasformazioni ammissibili”, individuando “le infrastrutture e le attrezzature di maggiore rilevanza” – art. 13 comma 1, lett. j).
Emerge quindi uno stretto collegamento tra la pianificazione generale comunale e l’individuazione della rete viaria necessaria all’attuazione delle scelte di piano. E tale collegamento opera in senso discendente, in modo che la predisposizione infrastrutturale si pone a monte delle previsioni operative attuative.
Così ricostruito il quadro dei rapporti tra i contenuti di piano, appare evidente come la valutazione dei temi della viabilità, e quindi della sufficienza dei collegamenti esterni all’area oggetto di lottizzazione, non sia un elemento da sviluppare in occasione dell’approvazione del piano di lottizzazione, che ha natura attuativa, ma debba essere contenuto, a monte, nello strumento urbanistico generale il quale, sulla base di una previsione complessiva dei temi della gestione del territorio, è il mezzo giuridico funzionalmente idoneo a dare ingresso alle tematiche della circolazione nell’ambito del territorio comunale (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 20.07.2011 n. 4395 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Distanza tra le costruzioni – Tutela della salubrità degli edifici – Sussiste – Tutela della riservatezza – Non sussiste.
La distanza tra costruzioni, prevista dall'art. 9 del DM 02.04.1968, n. 1444, è volta non alla tutela della riservatezza, ma alla salvaguardia di imprescindibili esigenze igienico sanitarie ed è dunque tassativa ed inderogabile (a differenza delle distanze dal confine) per via di private pattuizioni.
Conseguentemente, essa deve operare, per un verso, anche nel caso in cui una sola delle due pareti frontistanti sia finestrata, per l'altro, anche nel caso in cui la nuova opera sia di altezza inferiore rispetto alle preesistenti vedute o parzialmente nascosta dal muretto e dalla recinzione di confine.
L'interesse pubblico presidiato dalla norma è quello della salubrità dell'edificato e non va confuso con l'interesse privato del frontista a mantenere la riservatezza o la prospettiva (massima tratta da www.centrostudi-sv.org - Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 20.07.2011 n. 4374 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

COMPETENZE GESTIONALI - LAVORI PUBBLICI: L’approvazione di un progetto preliminare di opera pubblica appartiene alla competenza generale residuale della Giunta.
L’approvazione di un progetto preliminare di opera pubblica appartiene alla competenza generale residuale della Giunta, ai sensi del combinato disposto degli artt. 42 e 48 d.lgs. 267 del 2000, salvo che l’approvazione del progetto comporti una variante allo strumento urbanistico, nel qual caso la competenza appartiene al Consiglio (Cons. Stato, VI, 27.07.2010, n. 4890) (TAR Toscana, Sez. I, sentenza 20.07.2011 n. 1258 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ENTI LOCALIPer i supermercati paletti alla vendita di alcolici. Il sindaco può imporre il divieto dalle 18 alla chiusura.
Il sindaco di un comune può legittimamente adottare per motivi di ordine pubblico una ordinanza contingibile e urgente con la quale imporre il divieto nei confronti di un supermercato di somministrare bevande alcoliche dalle ore 18 fino alla chiusura.

Lo ha affermato il TAR Veneto, Sez. III, con la sentenza 20.07.2011 n. 1245.
La vicenda prende spunto dall'adozione da parte del sindaco di un comune veneto di un'ordinanza contingibile e urgente con la quale veniva ordinato a un supermercato il divieto di vendere bevande alcoliche e superalcoliche dalle ore 18 fino all'orario di chiusura dell'esercizio e fino a una precisa data.
Le motivazione del provvedimento faceva riferimento alle seguenti circostanze:
- nei pressi del supermercato era particolarmente diffuso il consumo di bevande alcoliche sulla pubblica via con fenomeni di disturbo alla sicurezza urbana per frequenti litigi tra persone in stato di alterazione alcolica;
- si erano verificati nei pressi del supermercato frequenti episodi violenti, anche con risse e anche con l'apporto di soggetti che avevano acquistato alcolici nel supermercato.
Il Tar ha rilevato che l'amministrazione aveva depositato in giudizio la relazione del questore nella quale erano elencati gli specifici episodi di pericolo per la sicurezza pubblica verificatisi nei pressi e all'interno del supermercato.
«Tale relazione», ha proseguito il Collegio, «comprova l'adeguatezza dell'istruttoria condotta dall'amministrazione». «Ne consegue», ha aggiunto la sentenza, «che il sindaco ha fatto corretta applicazione dell'art. 54 del Testo unico degli enti locali secondo cui, quando a causa di circostanze straordinarie si verifichino particolari necessità dell'utenza o per motivi di sicurezza urbana, il sindaco può modificare gli orari degli esercizi commerciali, dei pubblici esercizi e dei servizi pubblici».
«La limitatezza nel tempo del provvedimento impugnato», ha concluso il Tar, «lo circoscrive proprio in relazione a quelle necessità di ordine pubblico cui fa riferimento l'art. 54 del Testo unico degli enti locali» (articolo ItaliaOggi del 06.08.2011).

ENTI LOCALI: La TOSAP non è dovuta allorquando il privato risulti mero affidatario di un servizio da svolgere su aree che rimangono nella disponibilità dell’ente proprietario.
Occorre rilevare che il presupposto per l'applicazione della tassa di occupazione di spazi ed aree pubbliche, non sussiste qualora il Comune abbia affidato al soggetto privato il mero servizio di custodia e gestione di aree destinate a parcheggio su porzioni delimitate del suolo pubblico e l’appaltatore possa disporre delle aree in parola esclusivamente in funzione della destinazione al servizio, nei periodi assegnati, applicando -senza alcuna facoltà di variazione- tariffe stabilite dal Comune (Cass. Civ., Sez. Trib., 07/07/2006, n. 15564 e 21/06/2004, n. 11553).
In sostanza la TOSAP è dovuta solo allorquando il privato riceva in concessione il suolo pubblico e non nei casi in cui egli risulti il mero affidatario di un servizio da svolgere su aree che rimangono pur sempre nella disponibilità dell’ente proprietario (TAR Sardegna, Sez. I, sentenza 20.07.2011 n. 836 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ENTI LOCALISu un'area pubblica adibita a parcheggio si paga la Tosap. Il principio è stato fatto proprio di recente dalla cassazione.
La Cassazione con una recentissima ordinanza ha fatto proprio il principio di tassazione ai fini della Tosap di una area pubblica adibita, da parte del privato concessionario, a parcheggio a pagamento.

Questo è il senso della ordinanza 19.07.2011 n. 15850 della Corte di Cassazione, nel quale disciplinando un contenzioso tributario proposto da una società privata, pur con rilevante capitale pubblico, nei confronti del comune titolare del diritto al tributo, la Suprema corte ha riconosciuto che per quanto inerisce un area pubblica che è stata adibita da parte del concessionario privato, ad area destinata al parcheggio di automezzi, essa rimane comunque soggetta in capo al concessionario alla Tassa per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche (Tosap), a prescindere dall'effettivo utilizzo del suolo pubblico.
Il concessionario sosteneva nel ricorso in Cassazione che la gestione di parcheggio in area non recintata, ma aperta alla utilizzazione indiscriminata da parte degli automobilisti senza alcun potere di controllo da parte del gestore non realizza, contrariamente all'assunto della Ctr che aveva respinto il ricorso, sottrazione di superficie all'uso pubblico. Il privato argomentava, inoltre, che essendo la ricorrente una società a prevalente capitale pubblico, senza autonomia nella determinazione delle tariffe, la attività svolta non si differenzia da quella che avrebbe svolto il comune ove avesse gestito in proprio il servizio, non verificandosi così il presupposto della tassa.
Il secondo e ultimo motivo di doglianza, verteva sul tema del vizio di motivazione sostenendo che la sentenza non aveva fatto distinzione alcuna tra la ipotesi in cui il parcheggio avvenga in area recintata o con accesso regolamentato, in cui si verifica occupazione o detenzione dell'area stessa da parte del gestore del servizio, e quindi sussiste il presupposto per la imposizione, e quella in esame, in cui l'area destinata a parcheggio era sulla pubblica via e quindi aperta «a tutti indiscriminatamente» e pertanto non poteva parlarsi di sottrazione del suolo all'uso pubblico da parte del gestore.
La Corte sanciva che in tema di tassa per l'occupazione di spazi e aree pubbliche (Tosap), ai sensi del dlgs 15.11.1993, n. 507, artt. 38 e 39, il tributo «è dovuto non soltanto in relazione alla limitazione o sottrazione all'uso normale e collettivo di parte del suolo pubblico, ma anche in relazione all'utilizzazione particolare ed eccezionale di cui il tributo rappresenta il corrispettivo, indipendentemente da quella limitazione, e cioè per una pura e semplice correlazione con l'utilità particolare diversa dall'uso della generalità».
Perciò l'occupazione di una area pubblica da parte di un concessionario privato, (o titolare comunque di un diritto reale su essa in virtù di contratto privato o di pubblica concessione), va assoggettato ai fini del predetto tributo a tassazione in capo al concessionario stesso, integrando questa gestione del parcheggio, un'attività economica lucrativa e pertanto inquadrabile in un esercizio d'impresa, in cui il concessionario gode di un bene in qualche modo inerente l'impresa stessa.
Ciò anche richiamando i precedenti in cui la Corte di cassazione si è pronunciata in modo conforme alla decisione in commento con giurisprudenza, appunto, consolidata (vedi sent. Cass. nn. 18550/2003, 28003/2008).
Per quanto riguarda, lo rimarchiamo per completezza di esposizione, l'aspetto della carenza di motivazione, la Suprema corte argomenta che la gestione del parcheggio, realizzata, a quanto pare a titolo oneroso, fa si che il concessionario del servizio è «detentore dell'area, che viene effettivamente sottratta all'uso pubblico, per cui non vi è alcun difetto di motivazione nella impugnata sentenza, in quanto non esiste la eccezione al generale principio ivi enunciato sostenuta dalla ricorrente, e quindi non vi era obbligo di specifica motivazione».
Come si nota, ricorre la fattispecie oggettiva sopra ricordata che include nella tassazione ai fini della Tosap, il suolo pubblico, sottratto all'uso a tale fine e inquadrato in una più ampia gestione d'impresa con l'utilizzo del bene a fini lucrativi.
Infatti, ricorda la Corte, che l'area stradale destinata a parcheggio con appositi «stalli» dipinti, in cui il gestore percepisce il compenso per la sosta dei veicoli, non è sottoposta all'uso indiscriminato» della generalità dei cittadini, ma anzi è sottratta all'uso normale e collettivo proprio del suolo pubblico, attesa la sua funzione esclusiva oggetto della concessione.
Infatti, in linea generale, la tassa per l'occupazione di suolo pubblico, risulta dovuta non soltanto in relazione alla limitazione o sottrazione all'uso normale e collettivo di parte del suolo pubblico, ma anche in relazione all'utilizzazione particolare ed eccezionale di cui il tributo rappresenta il corrispettivo, indipendentemente da quella limitazione, e, cioè, per una pura e semplice correlazione con l'utilità particolare diversa dall'uso della generalità (articolo ItaliaOggi del 05.08.2011 - tratto da www.corteconti.it).

EDILIZIA PRIVATA: L’amministrazione non può emettere un provvedimento sanzionatorio senza avere previamente definito il procedimento di condono.
Ai sensi dell’art. 38 l. n. 47/1985, applicabile al condono edilizio previsto dal decreto legge n. 269/2003 in virtù del richiamo operato dall’art. 32, commi 25 e 28, del testo normativo in esame, la presentazione entro il termine previsto dal citato decreto (nella fattispecie il 10.12.2004 secondo quanto stabilito dall’art. 32 d. l. n. 269/2003 come modificato dai decreti legge n. 82/2004 e 168/2004) della domanda di condono, accompagnata dall’attestazione del versamento della somma dovuta a titolo della prima rata dell’oblazione, “sospende il procedimento penale e quello per le sanzioni amministrative”.
Ne consegue che quando viene presentata una domanda di condono edilizio, proprio in base al disposto dell’art. 38 l. n. 47/1985, l’amministrazione non può emettere un provvedimento sanzionatorio senza avere previamente definito il procedimento scaturente dall’istanza di sanatoria ostandovi i principi di lealtà, coerenza, efficienza ed economicità dell'azione amministrativa, i quali impongono la previa definizione del procedimento di condono prima di assumere iniziative potenzialmente pregiudizievoli per lo stesso esito della sanatoria edilizia (in questo senso TAR Campania–Napoli n. 17238/2010; TAR Lazio–Roma n. 5599/2010; TAR Puglia–Lecce n. 553/2010).
Con riferimento specifico alla fattispecie oggetto di causa dagli atti risulta che in data 30.03.2004 Febbi Sandro ha presentato al Comune di Roma istanza di condono edilizio per un ampliamento di 14 mq. che, tenendo conto anche dei manufatti preesistenti, coincide con l’opera indicata nella gravata ordinanza di demolizione.
Ne consegue che il provvedimento sanzionatorio risulta adottato in violazione del citato art. 38 l. n. 47/1985 in quanto emesso dal Comune di Roma senza avere previamente definito il procedimento scaturito dall’istanza di condono edilizio precedentemente presentata dai ricorrenti.
La fondatezza della censura in esame impone l’accoglimento del ricorso (previa declaratoria –per esigenze di economia processuale– di assorbimento degli ulteriori motivi) e l’annullamento dell’atto impugnato con salvezza degli ulteriori provvedimenti che l’amministrazione riterrà di adottare all’esito della definizione del procedimento scaturito dalla presentazione dell’istanza di condono (TAR Lazio-Roma, Sez. I-quater, sentenza 19.07.2011 n. 6458 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La "vicinitas” non è sufficiente a radicare il ricorso contro il permesso di costruire rilasciato al vicino quando manchi un pregiudizio concreto.
La ricorrente solleva censure di carattere formale concernenti i subprocedimenti di rilascio delle autorizzazioni paesaggistiche e ambientali necessarie per la realizzazione di lavori incidenti su area di pregio paesaggistico e di interesse comunitario. A tal fine, non potendo lamentare una diretta incisione del proprio diritto di proprietà, a seguito della decisione della giunta comunale di traslare il tracciato dell’opera pubblica sulle sole aree demaniali, essa fonda la propria legittimazione processuale sul rapporto di contiguità fisica esistente tra il terreno di sua proprietà e quelli demaniali interessati dall’esecuzione dell’opera pubblica, e quindi sulla situazione di stabile collegamento (c.d. vicinitas) che secondo noti principi giurisprudenziali legittima il terzo confinante ad insorgere contro titoli autorizzativi relativi ad opere edilizie da realizzare sul fondo limitrofo.
Osserva il collegio che tale argomentazione è infondata e va disattesa, dal momento che la predetta vicinitas è condizione certamente necessaria, ma non sufficiente a radicare la legittimazione processuale del terzo confinante, la situazione di stabile collegamento tra i due fondi dovendosi accompagnare alla dimostrazione di un concreto pregiudizio derivante al confinante dalla realizzazione dell’opera avversata.
In particolare, secondo condivisibili principi giurisprudenziali, nel ricorso proposto avverso il permesso di costruire rilasciato al vicino, la vicinitas è condizione necessaria, ma non sufficiente a radicare, ferma la legittimazione, l'interesse al ricorso, il quale richiede anche la dimostrazione del pregiudizio concreto alle facoltà dominicali del ricorrente (Consiglio Stato, sez. IV, 24.01.2011, n. 485; Consiglio Stato, sez. IV, 29.12.2010, n. 9537; TAR Toscana Firenze, sez. III, 26.02.2010, n. 536; TAR Lombardia Milano, sez. II, 09.07.2009, n. 4345).
Anche di recente è stato ribadito che il criterio della vicinitas, in base al quale si riconosce la sussistenza di una posizione di interesse differenziata per il fatto stesso che il terzo si trovi in una situazione di stabile collegamento con la zona interessata dalla costruzione, trova però una limitazione con riguardo alla situazione dello stato dei luoghi emergente in ogni caso di specie, atteso che, quale requisito che deve necessariamente accompagnare la vicinitas, non può non trovare rilievo la verifica dell'esistenza di un positivo pregiudizio; il che in concreto postula che, per effetto della realizzazione della costruzione di cui ci si lamenta, la situazione, anche urbanistica, dei luoghi assuma caratteristiche tali da configurare una pregiudizievole alterazione del preesistente assetto edilizio ed urbanistico che il ricorrente intende invece conservare (TAR Trentino Alto Adige Trento, sez. I, 22.03.2011, n. 80).
Nel caso di specie, la dimostrazione di tale pregiudizio (che la giurisprudenza pretende sia “effettivo e documentato”: cfr. Cons. Stato, n. 9537/2010) è mancata del tutto. La parte ricorrente, non solo non ha provato, ma nemmeno ha allegato la sussistenza di un pregiudizio personale e concreto derivante dalla realizzazione dell’opera pubblica qui in esame, essendosi limitata a proporre censure di carattere formale concernenti presunte carenze degli atti approvativi (ma senza alcun riferimento all’incidenza di tali asserite carenze sulle proprie prerogative dominicali) o generiche lamentele in ordine a presunte compromissioni del sito naturalistico oggetto dell’intervento (senza però chiarire la natura di tali pregiudizi né il nesso di dipendenza dalla realizzazione dell’opera contestata); e si fatica a comprendere in che modo la realizzazione di un percorso naturalistico, diretto a valorizzare il sito in questione a beneficio dell’intera collettività mediante interventi di modestissimo impatto ambientale, possa arrecare ai privati confinanti un pregiudizio anziché un beneficio, in termini sia di maggiore e più agevole fruibilità dei terreni in proprietà, sia di incremento di valore dei terreni medesimi; a meno che l’interesse a ricorrere non risieda in ragioni meno confessabili e, soprattutto, meno sollecite dell’interesse pubblico di quanto vorrebbero apparire, come quelle ipotizzate in camera di consiglio dalla difesa regionale e non prive, peraltro, di una loro verosimiglianza: quella, ad esempio, di conservare un accesso esclusivo e gratuito alla sponda demaniale di attracco dei natanti; spiegazione, quest’ultima, che oltre a trovare un conferma per così dire visiva nella documentazione fotografica prodotta in giudizio dalla difesa comunale (cfr. allegati al doc. 19, produzione del 15.11.2010), attribuirebbe anche un senso logico alla denominazione di “Motonautica Eporediese”, altrimenti difficilmente associabile ad una mera società immobiliare.
In ogni caso, mancando la prova effettiva e documentata di un pregiudizio concreto e diretto derivante alla ricorrente dalla realizzazione dell’opera pubblica qui in esame, la posizione azionata in giudizio difetta di quella necessaria differenziazione che sola potrebbe giustificarne la tutela giurisdizionale (TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 19.07.2011 n. 800 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTINelle gare d'appalto è necessario presentare la dichiarazione attestante il requisito della moralità professionale dell’impresa, intendono assumere come destinatari di tale obbligo tutti i soggetti-persone fisiche titolari dei poteri di rappresentanza o che tali poteri hanno avuto nel triennio precedente (ed ora nell’anno precedente).
Anche per gli amministratori di società fuse per incorporazione in una società (incorporante) partecipante ad una gara debba essere presentata la dichiarazione attestante il requisito della moralità professionale previsto dall’art. 38, comma 1, lett. c), del d.lgs. n. 163 del 2006.
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Le associazioni temporanee di impresa (anche costituende) devono indicare, a pena di esclusione, anche nelle gare per l'appalto di pubblici servizi (o di forniture) le quote di partecipazione delle singole imprese associate e le parti del servizio (o delle forniture) che ogni singola impresa dovrà eseguire.
Ai sensi dell'art. 37, comma 13, del d.lgs. n. 163 del 2006 (secondo il quale "i concorrenti riuniti in raggruppamento temporaneo devono eseguire le prestazioni nella percentuale corrispondente alla quota di partecipazione al raggruppamento"), deve sussistere una perfetta simmetria (anche) tra la quota di servizi e la quota di effettiva partecipazione al raggruppamento e che la quota di partecipazione deve essere stabilita e manifestata, a pena di inammissibilità dell'offerta, dai componenti del raggruppamento all’atto di partecipazione alla gara. Infatti con tale disposizione, che è valida anche per gli appalti di servizi, il legislatore ha inteso evitare che alla spendita dei requisiti di partecipazione (e di qualificazione) non corrisponda un identico impegno in sede di esecuzione dei lavori.
Deve innanzitutto ricordarsi che l’art. 38, comma 1, lett. c), del d.lgs. n. 163 del 2006, prevede l’esclusione dalla partecipazione alle procedure di affidamento dei soggetti nei cui confronti sono state emesse sentenze di condanna per reati gravi che incidono sulla moralità professionale e che, nelle società a responsabilità limitata e per azioni, ricoprono la carica di amministratore con poteri di rappresentanza o di direttore tecnico.
L’esclusione e il divieto, secondo quanto stabilito dalla disposizione all’epoca in vigore, operano poi anche nei confronti dei soggetti cessati dalla carica nel triennio antecedente la data di pubblicazione del bando di gara (mentre ora l’esclusione e il divieto operano nei confronti dei soggetti cessati dalla carica nel solo anno antecedente la data di pubblicazione del bando, per effetto della modifica disposta con il comma 2 dell’art. 4, del D.L. 13.05.2011, n. 70, con i limiti previsti dal comma 3 dello stesso articolo).
Il comma 2 dell’articolo 38 precisa, poi, che il concorrente attesta il possesso dei requisiti mediante dichiarazione sostitutiva resa con le modalità stabilite dal DPR 28.12.2000, n. 445.
Le indicate disposizioni, pertanto, nel prevedere la necessaria presentazione della dichiarazione attestante il requisito della moralità professionale dell’impresa, intendono assumere come destinatari tutti i soggetti-persone fisiche titolari dei poteri di rappresentanza della stessa o che tali poteri hanno avuto nel triennio precedente (ed ora nell’anno precedente).
Ciò precisato, in generale, occorre ora affrontare la questione, rilevante nel caso di specie, riguardante l’inclusione, fra i soggetti per i quali la dichiarazione deve essere presentata, anche degli amministratori di società incorporate nel triennio la data di pubblicazione del bando (ed ora nell’anno precedente).
Ritiene questo Collegio che la sentenza appellata, sul punto, debba essere condivisa dovendosi ritenere che anche per gli amministratori di società fuse per incorporazione in una società (incorporante) partecipante ad una gara debba essere presentata la dichiarazione attestante il requisito della moralità professionale previsto dall’art. 38, comma 1, lett. c), del d.lgs. n. 163 del 2006.
Infatti la fusione tra società, nella ipotesi di fusione impropria o per incorporazione, non comporta, anche a seguito della riforma del diritto societario (d.lgs. 17.01.2003 n. 6), la completa estinzione della società incorporata ma determina l'integrazione della stessa nella società incorporante con una evoluzione della forma giuridica del soggetto incorporato che conserva comunque una propria riconoscibilità pur in un nuovo assetto organizzativo nel quale si determina una riunificazione soggettiva delle compagini sociali ed una riunificazione oggettiva dei patrimoni.
E, in ogni caso, si determina una prosecuzione nella società incorporante di tutti in rapporti attivi e passivi della società incorporata. Infatti il primo comma dell’art 2504-bis del c.c., prevede che “La società che risulta dalla fusione o quella incorporante assumono i diritti e gli obblighi delle società partecipanti alla fusione, proseguendo in tutti i loro rapporti, anche processuali, anteriori alla fusione”.
Si deve pertanto ritenere che l’obbligo previsto dall'art. 38, comma 1, lett. c), del d.lgs. 12.04.2006 n. 163, operi anche con riferimento ai titolari di poteri di rappresentanza delle imprese incorporate per fusione.
Diversamente, come correttamente affermato nella appellata sentenza, la mera e formale confluenza di un'azienda priva di requisiti di moralità, ma ampiamente dotata degli altri requisiti di partecipazione, in un'azienda non dotata dei requisiti di partecipazione ma dotata dei requisiti di moralità, consentirebbe alla prima di continuare agevolmente a concorrere alle procedure di appalto, con la conseguente facile elusione delle disposizioni poste a garanzia della moralità professionale dei partecipanti alle gare pubbliche dall'art. 38 del d.lgs. n. 163 del 2006.
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Questa Sezione, in linea con la giurisprudenza più recente (Consiglio di Stato, sez. V, 12.02.2010, n. 744), ha peraltro ritenuto, con diverse pronunce, che le associazioni temporanee di impresa (anche costituende) devono indicare, a pena di esclusione, anche nelle gare per l'appalto di pubblici servizi (o di forniture) le quote di partecipazione delle singole imprese associate e le parti del servizio (o delle forniture) che ogni singola impresa dovrà eseguire (Consiglio di Stato, sez. III n. 2132 del 06.04.2011 cit.; n. 2804 e n. 2805 dell’11.05.2011).
In tali pronunce, dalle quali non v’è ragione di discostarsi, si è affermato che, ai sensi dell'art. 37, comma 13, del d.lgs. n. 163 del 2006 (secondo il quale "i concorrenti riuniti in raggruppamento temporaneo devono eseguire le prestazioni nella percentuale corrispondente alla quota di partecipazione al raggruppamento"), deve sussistere una perfetta simmetria (anche) tra la quota di servizi e la quota di effettiva partecipazione al raggruppamento e che la quota di partecipazione deve essere stabilita e manifestata, a pena di inammissibilità dell'offerta, dai componenti del raggruppamento all’atto di partecipazione alla gara. Infatti con tale disposizione, che è valida anche per gli appalti di servizi, il legislatore ha inteso evitare che alla spendita dei requisiti di partecipazione (e di qualificazione) non corrisponda un identico impegno in sede di esecuzione dei lavori.
Si è infatti giustamente osservato che il comma 13 dell’articolo 37 statuisce, in generale (e senza distinguere fra appalti di lavori ed appalti di servizi e forniture), che “I concorrenti riuniti in raggruppamento temporaneo devono eseguire le prestazioni nella percentuale corrispondente alla quota di partecipazione al raggruppamento”.
La chiarezza del tenore letterale della disposizione impone di considerare vincolanti, per le imprese riunite, gli obblighi di specificazione delle parti delle prestazioni che saranno poi eseguite da ciascuna di esse nonché le quote di partecipazione al RTI e tale obbligo deve ritenersi espressione di un principio di carattere generale che prescinde dall'assoggettamento (o meno) della gara alla disciplina comunitaria e non consente distinzioni legate alla natura del raggruppamento (verticale o orizzontale) o alla tipologia delle prestazioni (principali o secondarie, scorporabili o unitarie).
Si è anche chiarito che la necessità di indicare nell'offerta le parti del servizio che saranno eseguite dalle singole imprese risponde a diverse esigenze di pubblico interesse:
a) consentire la conoscenza preventiva, da parte della stazione appaltante, di chi (fra i diversi partecipanti all’ATI) è il soggetto che si è impegnato effettivamente ad eseguire il servizio in ogni sua parte;
b) agevolare la verifica, da parte della commissione di gara e poi del responsabile del procedimento, delle competenza tecniche degli esecutori per ogni parte del servizio;
c) rendere effettiva la composizione del raggruppamento e rispondente a reali esigenze di unire capacità tecniche e finanziarie integrative e complementari;
d) rendere possibile una maggiore speditezza nella fase di esecuzione del contratto;
e) non consentire la partecipazione di imprese non qualificate che potrebbero aggirare (anche solo per parte del servizio) le norme di ammissione stabilite dal bando;
f) non consentire, ai fini della valutazione tecnica delle offerte, la partecipazione di un raggruppamento composto da imprese con una presenza meramente fittizia.
Si è quindi chiarito che l’obbligo di specificazione delle quote di partecipazione trova (ovviamente) applicazione anche per le ATI costituende che sono tenute anch'esse ad indicare, già nella fase di ammissione alla gara, e dunque prima dell'aggiudicazione, le quote di partecipazione di ciascuna impresa al futuro raggruppamento e le quote di ripartizione delle prestazioni oggetto dell’appalto (Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 15.07.2011 n. 4323 -
link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAAll’evidente finalità di interesse pubblico di favorire l’insediamento di impianti produttivi (con la procedura del SUAP), pur in presenza di un progetto che sia in contrasto con lo strumento urbanistico ovvero richieda per la sua realizzazione una variante al medesimo, può essere convocata una conferenza di servizi al fine dell’esame della possibile adozione di variante al piano regolatore o ad altro strumento urbanistico di questo attuativo.
La determinazione della Conferenza di servizi rappresenta un peculiare atto di impulso (proposta) dell'autonomo procedimento (di natura esclusivamente urbanistica) volto alla variazione del vigente piano regolatore, rientrante nelle normali ed esclusive attribuzioni dell'ente locale, di modo che, qualora l'esito della Conferenza di servizi sia in qualunque modo sfavorevole al privato richiedente e dunque si risolva nel diniego di approvazione del proposto progetto in variante allo strumento urbanistico, tale esito assume valore ostativo alla prosecuzione del procedimento amministrativo, mancando in tale ipotesi l'atto d'impulso, strumentale alle determinazioni di competenza del Consiglio comunale.
Tuttavia, perché possa farsi luogo alla indizione della conferenza di servizi, la stessa norma che prevede tale procedimento alternativo, subordina la possibilità di attivarlo alla presenza di due presupposti: in primo luogo, la conformità del progetto “alle norme vigenti in materia ambientale, sanitaria e di sicurezza del lavoro”; in secondo luogo, che “lo strumento urbanistico non individui aree destinate all'insediamento di impianti produttivi ovvero queste siano insufficienti in relazione al progetto presentato”. Proprio perché il ricorso ad un procedimento urbanistico “alternativo” deve essere considerato eccezionale, la sussistenza dei presupposti richiesti dalla norma non può che essere indefettibile.
- Condizioni imprescindibili per l'avvio del procedimento attraverso la convocazione della conferenza sono da un lato la conformità del progetto alle norme vigenti in materia ambientale, sanitaria e della sicurezza del lavoro; dall'altro l'impossibilità di reperire nello strumento esistente aree idonee all'iniziativa produttiva.
È del tutto evidente, infatti, che qualora risultino disponibili nel Piano altre aree convenienti per la allocazione dell'intervento produttivo, vengano meno le esigenze promozionali alla base della disciplina derogatoria, la quale dunque ... ha natura eccezionale e non costituisce in alcun modo strumento ordinario di modifica dell'assetto urbanistico, azionabile in base alle soggettive preferenze e convenienze dell'imprenditore. In ogni caso, quando sussistono i detti presupposti l'Amministrazione ha non l'obbligo, ma la facoltà, di avviare, sulla scorta di una congrua motivazione, l'iter semplificato per l'introduzione della variante.
- In definitiva, fermo il primo dei due presupposti considerati, perché possa, dunque, farsi luogo a conferenza dei servizi occorre l’assenza di individuazione, nell’ambito degli strumenti di pianificazione urbanistica dell’ente locale, di aree destinate ad insediamenti produttivi ovvero l’insufficienza di queste, in relazione al tipo di progetto presentato, laddove per “insufficienza” deve intendersi, in costanza degli standard previsti, una superficie non congrua (quindi insufficiente), in ordine all’insediamento da realizzare.

L’art. 5 DPR 20.10.1998 n. 447, prevede che:
(comma 1) “Qualora il progetto presentato sia in contrasto con lo strumento urbanistico, o comunque richieda una sua variazione, il responsabile del procedimento rigetta l'istanza. Tuttavia, allorché il progetto sia conforme alle norme vigenti in materia ambientale, sanitaria e di sicurezza del lavoro ma lo strumento urbanistico non individui aree destinate all'insediamento di impianti produttivi ovvero queste siano insufficienti in relazione al progetto presentato, il responsabile del procedimento può, motivatamente convocare una conferenza di servizi, disciplinata dall'articolo 14 della legge 07.08.1990, n. 241, come modificato dall'articolo 17 della legge 15.05.1997, n. 127, per le conseguenti decisioni, dandone contestualmente pubblico avviso. Alla conferenza può intervenire qualunque soggetto, portatore di interessi pubblici o privati, individuali o collettivi nonché i portatori di interessi diffusi costituiti in associazioni o comitati, cui possa derivare un pregiudizio dalla realizzazione del progetto dell'impianto industriale”;
(comma 2): “Qualora l'esito della conferenza di servizi comporti la variazione dello strumento urbanistico, la determinazione costituisce proposta di variante sulla quale, tenuto conto delle osservazioni, proposte e opposizioni formulate dagli aventi titolo ai sensi della legge 17.08.1942, n. 1150, si pronuncia definitivamente entro sessanta giorni il consiglio comunale. Non è richiesta l'approvazione della regione, le cui attribuzioni sono fatte salve dall'articolo 14, comma 3-bis della legge 07.08.1990, n. 241”.
Dalla lettura della disposizione, si evince che, all’evidente finalità di interesse pubblico di favorire l’insediamento di impianti produttivi, pur in presenza di un progetto che sia in contrasto con lo strumento urbanistico ovvero richieda per la sua realizzazione una variante al medesimo, può essere convocata una conferenza di servizi al fine dell’esame della possibile adozione di variante al piano regolatore o ad altro strumento urbanistico di questo attuativo.
Nell'ambito del procedimento così delineato, la determinazione della Conferenza di servizi rappresenta un peculiare atto di impulso (proposta) dell'autonomo procedimento (di natura esclusivamente urbanistica) volto alla variazione del vigente piano regolatore, rientrante nelle normali ed esclusive attribuzioni dell'ente locale, di modo che, qualora l'esito della Conferenza di servizi sia in qualunque modo sfavorevole al privato richiedente e dunque si risolva nel diniego di approvazione del proposto progetto in variante allo strumento urbanistico, tale esito assume valore ostativo alla prosecuzione del procedimento amministrativo, mancando in tale ipotesi l'atto d'impulso, strumentale alle determinazioni di competenza del Consiglio comunale (Cons. Stato, sez. IV, 19.10.2007 n. 5471).
Tuttavia, perché possa farsi luogo alla indizione della conferenza di servizi, la stessa norma che prevede tale procedimento alternativo, subordina la possibilità di attivarlo alla presenza di due presupposti: in primo luogo, la conformità del progetto “alle norme vigenti in materia ambientale, sanitaria e di sicurezza del lavoro”; in secondo luogo, che “lo strumento urbanistico non individui aree destinate all'insediamento di impianti produttivi ovvero queste siano insufficienti in relazione al progetto presentato”.
Proprio perché il ricorso ad un procedimento urbanistico “alternativo” deve essere considerato eccezionale, la sussistenza dei presupposti richiesti dalla norma non può che essere indefettibile (Cons. Stato, sez. IV, 04.12.2007 n. 6157).
In particolare, questo Consiglio di Stato (sez. IV, 03.03.2006 n. 1038), con considerazioni condivise nella presente sede, ha avuto modo di affermare che “condizioni imprescindibili per l'avvio del procedimento attraverso la convocazione della conferenza sono da un lato la conformità del progetto alle norme vigenti in materia ambientale, sanitaria e della sicurezza del lavoro; dall'altro l'impossibilità di reperire nello strumento esistente aree idonee all'iniziativa produttiva.
È del tutto evidente, infatti, che qualora risultino disponibili nel Piano altre aree convenienti per la allocazione dell'intervento produttivo, vengano meno le esigenze promozionali alla base della disciplina derogatoria, la quale dunque ... ha natura eccezionale e non costituisce in alcun modo strumento ordinario di modifica dell'assetto urbanistico, azionabile in base alle soggettive preferenze e convenienze dell'imprenditore. In ogni caso, quando sussistono i detti presupposti l'Amministrazione ha non l'obbligo, ma la facoltà, di avviare, sulla scorta di una congrua motivazione, l'iter semplificato per l'introduzione della variante
”.
Proprio in ragione di detti principi, è stato considerato legittimo il provvedimento con il quale si è espresso parere sfavorevole ad una richiesta di variante ex art. 5 DPR n. 447/1998 (per la realizzazione di un complesso alberghiero), motivata con riferimento ad una sostanziale inedificabilità dei suoli interessati, perché già asserviti (Cons. Stato, sez. IV, 19.10.2007 n. 5471).
In definitiva, fermo il primo dei due presupposti considerati, perché possa, dunque, farsi luogo a conferenza dei servizi occorre l’assenza di individuazione, nell’ambito degli strumenti di pianificazione urbanistica dell’ente locale, di aree destinate ad insediamenti produttivi ovvero l’insufficienza di queste, in relazione al tipo di progetto presentato, laddove per “insufficienza” deve intendersi, in costanza degli standard previsti, una superficie non congrua (quindi insufficiente), in ordine all’insediamento da realizzare.
Nel caso di specie, lo strumento urbanistico (piano di fabbricazione) del Comune di Maruggio prevede aree da destinare ad insediamenti produttivi (una è proprio quella di proprietà dell’appellante).
Non sussiste, dunque, a tutta evidenza, il presupposto della “assenza” di aree da destinare ad insediamenti produttivi.
L’attuale appellante lamenta, per un verso, una sostanziale impossibilità di sfruttamento delle aree derivante da eccessiva farraginosità (se non impossibilità) di redazione del piano di lottizzazione, stante la presenza di circa 100 proprietari; per altro verso, lamenta la limitazione alla realizzazione del progetto derivante dagli indici di dimensionamento previsti.
Nessuna delle due considerazioni consente di definire “insufficienti” le aree destinate ad insediamenti produttivi.
Come afferma condivisibilmente la sentenza appellata, la richiesta di variante (e, quindi, di indizione di conferenza di servizi a tal fine) “non è strumentale alla creazione ex novo di un’area tipizzata come turistico-ricettiva, destinata ad aggiungersi a quelle già individuate dal piano di fabbricazione con la stessa vocazione urbanistica”, ma è piuttosto volta a “modificare le condizioni costruttive imposte dal PdF”, in modo quindi non conforne all’art. 5 DPR n. 447/1998.
Ed infatti, la redazione del piano di lottizzazione, lungi dal dimostrare assenza o insufficienza delle aree, costituisce una previsione imposta dall’ente locale nel legittimo esercizio della propria potestà di pianificazione del territorio al fine di consentire la migliore e più razionale utilizzazione del territorio stesso.
Né il concetto di “insufficienza” delle aree può essere letto come “insufficienza di aree immediatamente utilizzabili”, di modo che ogni limite, anche procedimentale, determinerebbe appunto tale insufficienza.
Per un verso, tale lettura determinerebbe che le aree, pur previste dallo strumento urbanistico come destinate ad insediamenti produttivi, sarebbero immediatamente utilizzabili solo se già in proprietà dell’imprenditore, dovendosi in caso diverso, identificarne altre in variante, con ciò sconvolgendo ogni logica di ordinata pianificazione del territorio
Per altro verso (e con riferimento anche al caso di specie), la previsione del piano di lottizzazione non si presenta ex se come impeditiva allo sfruttamento delle aree, poiché, per un verso, come chiarito anche dalla sentenza appellata, l’ordinamento prevede la redazione di ufficio di piani di lottizzazione in difetto di accordo tra le parti; per altro verso, l’imprenditore ben può procedere all’acquisto dei terreni occorrenti, così eliminando la necessità di coinvolgere altri proprietari.
Allo stesso modo, la previsione di indici di dimensionamento, lungi da determinare “insufficienza” dell’area, costituisce espressione della potestà di pianificazione del territorio da parte dell’ente locale.
Alla luce di quanto esposto, perché possa ritenersi attivabile il procedimento speciale previsto dall’art. 5 DPR n. 447/1998, la società appellante avrebbe dovuto dimostrare (ma ciò non è nel caso di specie) al Comune di Maruggio come le aree destinate ad insediamenti produttivi, pur previste dallo strumento urbanistico, e fermi gli indici prescritti, comunque non consentissero la realizzazione dell’insediamento produttivo, come risultante dal progetto.
In conclusione, difettando i presupposti previsti dall’art. 5 DPR n. 447/1998 –così come rilevato dal Comune di Maruggio– non era legittimamente possibile procedere alla indizione della richiesta conferenza di servizi. A fronte di ciò, non era necessario fornire alcuna particolare motivazione (essendo quindi infondati tutti i motivi di ricorso che evidenziano profili di eccesso di potere per difetto o insufficienza di motivazione), né residuava alcun margine di valutazione discrezionale in capo all’amministrazione, stante l’obiettiva mancanza dei presupposti richiesti dalla norma.
Né, infine, l’intervento da realizzare può essere considerato, per dimensioni e destinazione, mero ampliamento di un complesso esistente, in disparte ogni considerazione circa la supposta non applicabilità dei presupposti ex art. 5 cit. ai cassi di ampliamento (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 15.07.2011 n. 4308 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: Reiterazione dei vincoli urbanistici già decaduti e rinnovati – Obbligo di motivazione – Persistenza dell’interesse pubblico.
La decadenza del vincolo preordinato all'espropriazione, o che comporti l'inedificazione, non esclude che l'amministrazione, mediante il ricorso al procedimento per l'adozione delle varianti agli strumenti urbanistici, possa reiterare i vincoli preordinati all'espropriazione. In questi casi essa è tenuta a fornire congrua motivazione in ordine alla persistenza delle ragioni di interesse pubblico che sorreggono la predetta reiterazione, al fine di escludere un contenuto vessatorio o comunque ingiusto dei relativi atti.
Va però considerato che se può ritenersi giustificato il richiamo alle originarie valutazioni, di fronte ad una prima reiterazione, quando il rinnovato vincolo sia a sua volta decaduto, è necessario che la motivazione dimostri che l'autorità amministrativa abbia provveduto ad una ponderata valutazione degli interessi coinvolti, esponendo le ragioni (riguardanti il rispetto degli standard, le esigenze della spesa, specifici accadimenti riguardanti le precedenti fasi procedimentali) che inducano ad escludere profili di eccesso di potere e ad ammetterne l'attuale sussistenza dell'interesse pubblico (massima tratta da www.centrostudi-sv.org - Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 15.07.2011 n. 4304 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Contrasto tra bando di gara e lettera di invito.
In tema di gare pubbliche, nel caso di contrasto tra il bando e la lettera di invito, prevale il primo, quale lex specialis della selezione concorsuale, non modificabile mediante lettera di invito.
Questo è il principio espresso con la sentenza 14.07.2011 n. 4278 dai giudici della VI sezione del Consiglio di Stato in accoglimento di un ricorso presentato da una società che era stata esclusa da una gara sulla base delle disposizioni contenute nella lettera di invito.
La lettera d’invito, impugnata insieme al provvedimento di esclusione, prevedeva che i partecipanti dovessero avere la disponibilità dei mezzi necessari per l’esecuzione dell’appalto esclusivamente per proprietà o avvalimento.
La società ricorrente riteneva illegittima questa richiesta in quanto più restrittiva rispetto ai requisiti di ammissione previsti dal bando nel quale, ad eccezione dei mezzi necessari per una particolare tipologia di trasporto, tutti gli altri lavori potevano essere eseguiti anche con mezzi che erano nella disponibilità dei partecipanti tramite noleggio.
La VI sezione, accogliendo la tesi della ricorrente, ha sottolineato come la disposizione in oggetto si riferisse solo ad una particolare tipologia di trasporto e che non poteva essere genericamente estesa a tutti gli altri mezzi necessari per la realizzazione dell’appalto.
Ed infatti “Osserva, in conclusione, il Collegio che la lettera di invito contiene una disciplina dei requisiti di ammissione alla procedura più restrittiva di quella prevista dal bando, o meglio dalle sue norme integrative.[…] Trova quindi applicazione il principio, affermato da Cons. Stato, V, 29.03.2004, n. 1660, secondo cui in tema di gare pubbliche, nel caso di contrasto tra il bando e la lettera di invito, prevale il primo, quale lex specialis della selezione concorsuale, non modificabile mediante lettera d'invito (nello stesso senso C.G.A., 18.05.2005, n. 349, Cons. Stato, II, 07.03.2001, n. 149/2001)”.
In conclusione secondo il Consiglio di Stato, e in conformità con l’orientamento espresso in precedenza dalla stessa giurisprudenza amministrativa, il bando di gara prevale sulle diverse e contrastanti disposizioni contenute nella lettera di invito (tratto da www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVISe è vero che la sottoscrizione dell’atto amministrativo è un elemento necessario ed essenziale, tuttavia non è causa di invalidità o nullità l’illegibilità della firma apposta in calce all’atto, quando sia comunque possibile individuare lo status del soggetto sottoscrittore, con la riferibilità alla P.A. emanante.
In altri termini, l’eventuale illeggibilità della firma apposta in calce all’atto costituisce una mera irregolarità del provvedimento che non comporta l’invalidità dello stesso in quanto comunque consente di dimostrare la provenienza dell’atto dal soggetto titolare del potere, senza quindi che da ciò possa derivare l’inesistenza della determinazione amministrativa.

Se è vero che la sottoscrizione dell’atto amministrativo è un elemento necessario ed essenziale, tuttavia non è causa di invalidità o nullità l’illegibilità della firma apposta in calce all’atto, quando sia comunque possibile, come nel caso di specie, individuare lo status del soggetto sottoscrittore, con la riferibilità alla P.A. emanante (cfr. Cons. Stato Sez. II 42/10/2007; idem Sez. IV sentenza 05/10/2010).
In altri termini, l’eventuale illeggibilità della firma apposta in calce all’atto costituisce una mera irregolarità del provvedimento che non comporta l’invalidità dello stesso in quanto comunque consente di dimostrare la provenienza dell’atto dal soggetto titolare del potere, senza quindi che da ciò possa derivare l’inesistenza della determinazione amministrativa (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 13.07.2011 n. 4269 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: Piano Regolatore Comunale.
E' legittima la scelta, operata da un’Amministrazione comunale in sede di variante generale al P.R.G., di contenere in linea generale le volumetrie edificabili.

Il Consiglio di Stato, Sez. IV, con la sentenza 13.07.2011 n. 4242, riformando la sentenza del TRGA della provincia di Trento ha dichiarato legittima la scelta, operata da un’Amministrazione comunale di Caldonazzo in sede di variante generale al P.R.G., di contenere in linea generale le volumetrie edificabili, in quanto, anche sul piano logico-funzionale e del senso comune, la determinazione di contenere le volumetrie appare del tutto ragionevole e legittima al fine di prevenire che, come è capitato ad altri comuni turistici, l’eccessiva antropizzazione del territorio, facendo venir progressivamente meno l’attrattiva paesaggistica e ambientale della località, finisca per nullificare l’attrattiva turistica della località e di conseguenza innescare una irrimediabile crisi di un settore economicamente rilevante per la realtà locale.
Nozione non nuova nella disciplina urbanistica, ricordando come l’attuazione delle norme urbanistiche ed edilizie introdotte con l’unificazione amministrativa del Regno d’Italia, ispirate al duplice compito di garantire l’igiene dell’abitato e il decoro urbano, fosse stata resa obbligatoria (con la legge 1380/1926) per i comuni dichiarati stazioni di cura e di soggiorno o turismo, al fine dell’esecuzione «di tutte le opere che si ritengono utili e giovevoli alla dimora dei forestieri nel territorio della stazione e particolarmente al miglioramento ed abbellimento delle strade, delle piazze, delle spiagge, dei giardini e dei pubblici passeggi».
Senza divagazioni storiche, il Consiglio di Stato ricorda come con la propria recente giurisprudenza (sentenze 133 del 2011, 79 e 7492 del 2010) abbia già affermato che:
• le scelte effettuate dall'Amministrazione, in sede di adozione del PRG, relativamente alla destinazione delle singole aree costituiscono valutazioni discrezionali del merito amministrativo che, come tali, sono sottratte al sindacato di legittimità del Giudice amministrativo, salvo che non siano inficiate da palesi errori di fatto o da abnormi illogicità;
• i proprietari delle aree investite dall'esercizio in concreto della potestà pianificatoria hanno una mera aspettativa e non un interesse legittimo a che le scelte di piano accontentino le loro aspirazioni o, comunque, non peggiorino la loro precedente situazione edificatoria;
• la motivazione delle destinazioni delle singole aree possono evincersi dai criteri generali, di ordine tecnico discrezionale, seguiti nell'impostazione del piano stesso, essendo a tal fine sufficiente l'espresso riferimento alla relazione di accompagnamento al progetto di modificazione al piano regolatore generale;
• non è ravvisabile alcuna contraddizione tra le zonizzazioni di un nuovo PRG ed le classificazioni dei precedenti piani regolatori, che riconoscevano maggiori prospettive edificatorie ai proprietari (commento tratto da www.legislazionetecnica.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVILa richiesta di accesso non può essere preordinata ad un controllo generalizzato dell'operato delle pubbliche amministrazioni.
Non merita accoglimento la richiesta di accesso alla documentazione in possesso della p.a. che risulti caratterizzata da una formulazione eccessivamente generalizzata, ossia riguardante non specifici atti o provvedimenti, bensì la documentazione di un'attività svoltasi attraverso un imprecisato numero di atti, riguardanti un intero procedimento imposto da disposizioni normative di azione e non di relazione, atteso che l'eventuale soddisfazione di simile richiesta importerebbe un'opera di ricerca, catalogazione, sistemazione che non rientra nei doveri posti all'amministrazione dalla normativa di cui al capo V della legge n. 241 del 1990, oltre che un generalizzato controllo su un ramo dell'amministrazione.
E’ principio consolidato ed espressamente codificato nella legge sul procedimento amministrativo (art. 24, terzo comma, della legge n. 241 del 1990) quello secondo cui la richiesta di accesso non può essere preordinata ad un controllo generalizzato dell'operato delle pubbliche amministrazioni.
E' pacifico, anche alla luce degli orientamenti giurisprudenziali di questo Consiglio di Stato, che non merita accoglimento la richiesta di accesso alla documentazione in possesso della p.a. che risulti caratterizzata da una formulazione eccessivamente generalizzata, ossia riguardante non specifici atti o provvedimenti, bensì la documentazione di un'attività svoltasi attraverso un imprecisato numero di atti, riguardanti un intero procedimento imposto da disposizioni normative di azione e non di relazione, atteso che l'eventuale soddisfazione di simile richiesta importerebbe un'opera di ricerca, catalogazione, sistemazione che non rientra nei doveri posti all'amministrazione dalla normativa di cui al capo V della legge n. 241 del 1990, oltre che un generalizzato controllo su un ramo dell'amministrazione (sulla inammissibilità della richiesta generalizzata di documenti, ex plurimis, Consiglio Stato, sez. IV, 22.09.2003, n. 5360; IV, 27.11.2010 n. 8287; VI, 12.01.2011 n. 116) (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 12.07.2011 n. 4209 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Valutazione delle offerte da parte della commissione di una gara pubblica - Attribuzione dei punteggi in forma soltanto numerica – Presupposti.
Circa le modalità attraverso le quali le valutazioni svolte dalle Commissioni aggiudicatrici devono essere estrinsecate nei verbali di gara, la giurisprudenza ha chiarito che occorre che tali scelte siano motivate in forma intellegibile, sia per ovvie ragioni di trasparenza dell'azione dell'amministrazione (e per consentire così la comprensione delle scelte operate), sia per permettere alla stessa amministrazione di poter procedere all'aggiudicazione della gara e poi (eventualmente) al giudice amministrativo di poter effettuare il controllo di legittimità richiesto. Si è però anche chiarito che quanto più ampia e dettagliata è la griglia di valutazione, tanto più la motivazione, per i singoli aspetti presi in considerazione, può essere succinta fino a potersi esprimere con un giudizio molto sintetico o anche con un voto solo numerico (Consiglio di Stato, sez. V, n. 8410 del 03.12.2010).
Ne consegue che nella fase di valutazione delle offerte da parte della commissione di una gara pubblica, l'attribuzione dei punteggi in forma soltanto numerica è consentita quando il numero delle sottovoci, con i relativi punteggi, entro i quali ripartire i parametri di valutazione di cui alle singole voci, sia sufficientemente analitico da delimitare il giudizio della commissione nell'ambito di un minimo e di un massimo, rendendo così evidente l'iter logico seguito nel valutare i singoli progetti sotto il profilo tecnico, in applicazione di puntuali criteri predeterminati, essendo altrimenti necessaria una puntuale motivazione del punteggio attribuito (Consiglio di Stato, sez. III, n. 1583 dell'11.03.2011) (massima tratta da www.centrostudi-sv.org - Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 12.07.2011 n. 4163 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: RIFIUTI - Abbandono - Ordine di rimozione - Comunicazione di avvio del procedimento - Adempimento indispensabile all’instaurazione del contraddittorio.
L’ordine di rimozione dei rifiuti può essere adottato esclusivamente in base agli accertamenti effettuati, in contraddittorio con i soggetti interessati, dai soggetti preposti al controllo; rispetto a tale contraddittorio la comunicazione dell'avvio del procedimento si configura come un adempimento indispensabile al fine della sua effettiva instaurazione (Cons. Stato, Sez. V, Sent. n. 4061 del 25-08-2008, TAR Salerno Sez. II, n. 1826, del 07.05.2009), apparendo recessive, dunque, in tale specifica materia, le regole stabilite in via generale dagli artt. 7 e 21-octies della L. n. 241/1990.
RIFIUTI - Abbandono - Art. 192 d.lgs. n. 152/2006 - Ordinanza di rimozione - Carattere sanzionatorio - Responsabilità oggettiva del proprietario - Inconfigurabilità.
L’art. 192 del D.Lgs. n. 152/2006 configura l'ordinanza di rimozione di rifiuti abbandonati -riproducendo nella sostanza il provvedimento già previsto dall'art. 14 D.L.vo 05.02.1997 n. 22- quale ordinanza di sgombero a carattere sanzionatorio, per la quale è pertanto necessaria l'imputazione a carico dei soggetti obbligati in solido a titolo di dolo o colpa del comportamento tenuto in violazione dei divieti di legge, giacché non è ipotizzabile una responsabilità oggettiva del proprietario per violazione di un obbligo generico di vigilanza.
RIFIUTI - Ordinanza ex art. 192 d.lgs. n. 152/2006 - Natura di ordinanza contingibile ed urgente - Esclusione.
Le ordinanze di rimozione dei rifiuti ai sensi dell’art. 192 del d.lgs. 152/2006 non sono sussumibili nella categoria delle ordinanze disciplinate dall'art. 54 T.U. 18.08.2000 n. 267, in quanto le non hanno natura di ordinanza contingibile e urgente e il relativo potere ha una diversa ratio (TAR Emilia Romagna-Parma, sentenza 12.07.2011 n. 255 - link a www.ambientediritto.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - PUBBLICO IMPIEGO: Il dipendente escluso ha diritto d’accesso alle schede di valutazione degli altri candidati alla selezione per l’attribuzione delle progressioni economiche orizzontali.
Nella pronuncia in commento il ricorrente, in servizio presso il Settore Controlli di un Comune quale “istruttore direttivo amministrativo” (cat. D), chiedeva all’ente di appartenenza l’accesso ad alcuni documenti relativi alla selezione per l’attribuzione delle “progressioni economiche orizzontali” inerenti l’anno 2010, all’esito della quale egli era risultato il secondo degli esclusi.
La domanda era finalizzata a conoscere nel dettaglio le modalità di ripartizione tra i diversi Settori/Servizi delle risorse economiche disponibili per la seconda tranche delle p.e.o. 2010, a conoscere la formula matematica per l’assegnazione dei punteggi dei partecipanti alla selezione, ad avere copia delle schede di valutazione dei beneficiari delle p.e.o. 2010 (prima e seconda tranche).
Avendo negato l’Amministrazione comunale la sussistenza di un interesse diretto del ricorrente alla visione delle schede di valutazione degli altri candidati, il ricorrente ha richiesto al giudice amministrativo le misure utili a garantirne il diritto a prendere visione ed estrarre copia della documentazione oggetto dell’istanza di accesso parzialmente respinta.
I giudici del Tribunale amministrativo di Parma ricordano che, secondo un oramai costante orientamento giurisprudenziale, il soggetto che ha partecipato ad una procedura concorsuale è titolare di un interesse qualificato e differenziato alla regolarità della procedura che, come tale, concretizza quell’interesse diretto e concreto per la salvaguardia di situazioni giuridicamente tutelate che l’art. 2 del d.P.R. n. 184 del 2006, in conformità dell’art. 22 della legge n. 241 del 1990, richiede quale presupposto necessario per il riconoscimento del diritto di accesso, nessuna rilevanza preclusiva potendo assumere l’esigenza di tutela della riservatezza e della vita privata degli altri candidati la cui produzione documentale è oggetto della richiesta di accesso, stante il generale principio per cui le domande ed i documenti prodotti dai candidati, i verbali, le schede di valutazione e gli stessi elaborati costituiscono atti rispetto ai quali deve essere esclusa in radice l’esigenza di riservatezza a tutela dei terzi, se è vero che i concorrenti, prendendo parte alla selezione, hanno evidentemente acconsentito a misurarsi in una competizione di cui la comparazione dei valori di ciascuno costituisce l’essenza, onde tali atti, una volta acquisiti alla procedura, escono dalla sfera personale dei partecipanti che, pertanto, non assumono la veste di controinteressati e comunque non possono opporsi all’ostensione dei documenti richiesti, mentre l’istanza di accesso, per essere volta a verificare in simili casi l’imparzialità di giudizio e la coerente ed uniforme applicazione dei criteri di valutazione, non costituisce certamente una forma di controllo generalizzato sull’operato dell’Amministrazione (v. TAR Basilicata 22.04.2009 n. 139).
È illegittimo, quindi, secondo i giudici ducali, il diniego opposto nella circostanza al ricorrente, il quale ha titolo a prendere visione degli atti in base ai quali sono stati assegnati i punteggi agli altri candidati del Settore Controlli – onde verificare la correttezza delle relative operazioni–, ed in particolare è legittimato a pretendere l’ostensione delle schede di valutazione inerenti gli assegnatari delle progressioni economiche orizzontali del Settore Controlli, poiché essenzialmente quelle schede non recano informazioni di carattere psicoattitudinale (evincibili semmai in via indiretta e parziale) bensì giudizi, espressi in punteggi, sul rendimento dei vari dipendenti nel periodo di osservazione considerato (commento tratto da www.documentazione.ancitel.it -  TAR Emilia Romagna-Parma, sentenza 12.07.2011 n. 251 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Si deve affermare la necessità del titolo concessorio allorché lo spargimento di ghiaia su un’area che ne era priva appaia preordinato alla modifica della precedente destinazione d’uso del territorio.
La giurisprudenza ha da tempo chiarito che per la realizzazione di una recinzione non occorre un titolo edilizio, rientrando l’opera nell’ambito del diritto di proprietà in quanto esercizio del ius excludendi alios.
Ad uguale conclusione occorre giungere, nel caso specifico, per lo spargimento di ghiaia finalizzato alla realizzazione di una via d’accesso al fondo.
In merito occorre ricordare che, sebbene in passato il Consiglio di Stato abbia ritenuto che non integra l’ipotesi di trasformazione urbanisticamente rilevante del territorio l’intervento materialmente consistente nella mera ripulitura di un terreno parzialmente erboso, con ripristino di una recinzione preesistente e spargimento di ghiaia (CdS, IV, 08.03.1983 n. 103), dopo l’art. 1 della legge n. 10/1977, che impone di munirsi di concessione edilizia per tutte quelle attività consistenti in una modificazione dello stato materiale e della conformazione del suolo per adattarlo ad un impiego diverso da quello che gli è proprio in relazione alla sua condizione naturale ed alla sua qualificazione giuridica, tale orientamento è stato successivamente rivisto affermandosi la necessità del titolo concessorio allorché lo spargimento di ghiaia su un’area che ne era priva appaia preordinato alla modifica della precedente destinazione d’uso del territorio (cfr., da ultimo, CdS, V, 22.12.2005 n. 7324).
Questa tesi trova oggi un riscontro testuale nell’art. 3 DPR n. 380/2001 che assoggetta a permesso di costruire, ascrivendole al genus delle nuove costruzioni, “la realizzazione di infrastrutture e di nuovi impianti…che comporti la trasformazione in via permanente di suolo inedificato” (lett. e.3) e “la realizzazione di depositi di merci o di materiali, la realizzazione di impianti per attività produttive all’aperto ove comportino l’esecuzione di lavori cui consegua la trasformazione permanente del suolo inedificato” (lett. e.7).
Nel caso in questione, però, non pare che lo spargimento di ghiaia sull’area che ne era priva sia preordinato alla modifica della precedente destinazione d’uso del territorio, quanto piuttosto ad un generico accesso all’area, che risponde anche ad esigenze connesse all’esercizio dell’agricoltura (TAR Veneto, sez. II, 15/11/2007 n. 3644) (TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 11.07.2011 n. 1867 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa realizzazione di un soppalco praticabile all’interno di una unità immobiliare, privo di autonomia strutturale e funzionale, costituisce un intervento di ristrutturazione edilizia, ai sensi dell’art. 3, comma 1 - lett. d), d.P.R. n. 380/2001.
La realizzazione di un soppalco praticabile all’interno di una unità immobiliare, privo di autonomia strutturale e funzionale, costituisce un intervento di ristrutturazione edilizia, ai sensi dell’art. 3, comma 1 - lett. d), d.P.R. n. 380/2001 (secondo cui sono interventi di ristrutturazione edilizia quelli "rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell'edificio, l'eliminazione, la modifica e l'inserimento di nuovi elementi ed impianti") (cfr. TAR Campania Napoli, sez. IV, 28.11.2008, n. 20563; sez. VI, 11.04.2007, n. 3329).
L’opera edilizia in questione rientra, in particolare, tra gli interventi di ristrutturazione edilizia che l’art. 10, comma 1 - lett. c), D.P.R. 06.06.2001, n. 380 assoggetta a permesso di costruire, in quanto porta ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e comporta un aumento delle superfici utili.
La necessità del permesso di costruire –contrariamente a quanto affermato dalla difesa dell’amministrazione- non consente però di ricondurre l’abuso alla tipologia 1: l’intervento in questione, nonostante necessitasse del permesso di costruire e non sola della denuncia di inizio attività, rimane pur sempre qualificabile quale intervento di ristrutturazione edilizia e non quale nuova costruzione; esso rientra, pertanto, nella tipologia 3 di cui all’allegato 1 al d.l. n. 269/2003 (“opere di ristrutturazione edilizia come definite dall'articolo 3, comma 1, lettera d) del D.P.R. 06.06.2001, n. 380 realizzate in assenza o in difformità dal titolo abilitativo edilizio”).
Il Collegio non condivide le ulteriori ragioni addotte dalla difesa dell’amministrazione resistente a sostegno della qualificazione dell’abuso quale nuova costruzione.
Non assumono, difatti, rilievo, nel caso di specie, i limiti posti dal testo unico dell’edilizia agli interventi di ristrutturazione mediante demolizione e ricostruzione, ciò perché non risulta né che l’opera abusiva sia stata realizzata previa demolizione di un preesistente fabbricato né che siano state poste in essere modifiche alla volumetria o alla sagoma (ma solo alla superficie).
La difesa dell’amministrazione non può, poi, utilmente invocare la nozione di ristrutturazione edilizia dettata dall’art. 66 del regolamento edilizio del Comune di Milano (ai sensi della quale gli interventi che portano a incrementi di volume e di superficie lorda di pavimento non sono da intendere quali interventi di ristrutturazione edilizia ma di nuova costruzione) in quanto l’unica definizione di ristrutturazione applicabile, ai fini della individuazione della tipologia cui ricondurre l’abuso oggetto di condono, è quella contenuta all’art. 3, c. 1, lett. d), d.P.R. n. 380/2001: è a tale norma, invero, che il d.lgs. n. n. 269/2003, nell’indicare le opere ricomprese nella tipologia 3, fa espressamente rinvio.
Per le ragioni esposte, l’inquadramento dell’abuso in questione nella tipologia 1 si pone pertanto in contrasto con le previsioni dettate dal d.lgs. n. 269/2003 (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 11.07.2011 n. 1863 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATADebbono ritenersi costruzioni, ai fini dell’art. 873 c.c., anche il terrapieno ed il relativo muro di contenimento elevati ad opera dell’uomo per accentuare il naturale dislivello esistente tra i fondi.
Per costante giurisprudenza debbono ritenersi costruzioni, ai fini dell’art. 873 c.c., anche il terrapieno ed il relativo muro di contenimento elevati ad opera dell’uomo per accentuare –come nel caso di specie– il naturale dislivello esistente tra i fondi (Cass., II, 22.01.2010, n. 1217; id., 10.01.2006, n. 145; id., 15.06.2001, n. 8144; TAR Marche, I, 10.02.2009, n. 18).
Né può ritenersi che, in ragione dell’art. 16 delle N.T.A. del P.R.G. del comune di Sanremo, le norme sulle distante stabilite dal piano si applichino soltanto alle costruzioni aventi la consistenza di veri e propri edifici.
La parola fabbricato deve infatti intendersi non già secondo l’uso comune, bensì secondo il significato proprio della parola, significato che, in materia di proprietà fondiaria e di distanze nelle costruzioni, è quello risultante dall’opera nomofilattica della Suprema Corte, più sopra richiamata.
Donde l’illegittimità del permesso di costruire in sanatoria 30.06.2006, nella parte in cui ha inteso legittimare l’innalzamento del terrapieno e del muro a confine dei due fondi oltre il naturale dislivello preesistente, in contrasto con la norma di P.R.G. relativa alla zona agricola E1a, che fissa in 5 metri dal confine la distanza minima per le nuove costruzioni (TAR Liguria, Sez. I, sentenza 11.07.2011 n. 1087 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Nel procedimento di rilascio dei titoli edilizi l'amministrazione ha il potere e il dovere di verificare l'esistenza, in capo al richiedente, di un idoneo titolo di godimento sull'immobile interessato dal progetto di trasformazione urbanistica; pertanto, nel caso in cui le opere vadano a incidere sul diritto di altri comproprietari (quali, ad esempio, opere edilizie interessanti porzioni condominiali comuni), è legittimo esigere il consenso degli stessi o pretendere la dichiarazione di assenso dell'amministrazione condominiale, anche nelle ipotesi di autorizzazioni in sanatoria, in quanto il contitolare del bene può essere estraneo all'abuso ed avere un interesse contrario alla sanatoria di opere che potrebbero risolversi in suo danno.
Per costante giurisprudenza, nel procedimento di rilascio dei titoli edilizi l'amministrazione ha il potere e il dovere di verificare l'esistenza, in capo al richiedente, di un idoneo titolo di godimento sull'immobile interessato dal progetto di trasformazione urbanistica; pertanto, nel caso in cui le opere vadano a incidere sul diritto di altri comproprietari (quali, ad esempio, opere edilizie interessanti porzioni condominiali comuni), è legittimo esigere il consenso degli stessi o pretendere la dichiarazione di assenso dell'amministrazione condominiale, anche nelle ipotesi di autorizzazioni in sanatoria, in quanto il contitolare del bene può essere estraneo all'abuso ed avere un interesse contrario alla sanatoria di opere che potrebbero risolversi in suo danno (così TAR Sardegna, II, 18.04.2011, n. 364; nello stesso senso TAR Abruzzo-Pescara, I, 22.02.2011, n. 150) (TAR Liguria, Sez. I, sentenza 11.07.2011 n. 1082 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

COMPETENZE GESTIONALIE' illegittimo l'ordine di demolire una serie di opere abusive sottoscritto dal direttore generale del comune.
Ai sensi dell’art. 107, commi 1 e 3, lett. g), del D.Lgs. 18.08.2000, n. 267, l’adozione dei provvedimenti di sospensione dei lavori, abbattimento e riduzione in pristino di competenza comunale, nonché i poteri di vigilanza edilizia e di irrogazione delle sanzioni amministrative previsti dalla vigente legislazione statale e regionale in materia di prevenzione e repressione dell'abusivismo edilizio e paesaggistico-ambientale, spetta al dirigente responsabile del relativo ufficio o servizio.
Diverse sono invece le competenze del direttore generale, che sovrintende alla gestione dell'ente e che, pertanto, quale organo di raccordo delle attribuzioni dei singoli dirigenti, è competente ad adottare atti di gestione soltanto qualora essi coinvolgano più uffici o servizi, esorbitando dalla specifica competenza di ciascun dirigente (TAR Veneto, III, 03.03.2004, n. 513) (TAR Liguria, Sez. I, sentenza 11.07.2011 n. 1081 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Smaltimento rifiuti, difficoltà non solo terminologiche. Residui di estrazione delle cave, rifiuti o sottoprodotti?
I residui derivanti dall'attività di estrazione delle cave (nella specie, inerti di travertino), stoccati in deposito presso un'area di proprietà di un terzo e non direttamente utilizzati dal produttore o da altro soggetto, non sono qualificabili come sottoprodotti ma rifiuti; ne consegue che il depositario risponde del reato previsto dall'art. 256, comma 1, lett. a) e comma 2, del D.Lgs. n. 152/2006.
Prosegue l'esegesi della Suprema Corte sulla nuova disciplina in materia di rifiuti, come modificata dal c.d. quarto correttivo. del 2010. Questa volta è di turno una particolare categoria di residui di produzione, ossia i residui derivanti dall'attività di estrazione delle cave.
La Corte, disattendendo la linea difensiva che riteneva assoggettabile tale categoria di materiali alla disciplina di favore dettata per i sottoprodotti, ha invece affermato che il mero deposito degli stessi senza alcun utilizzo diretto da parte del produttore o di altro soggetto terzo, integra il reato previsto dall'art. 256 del D.Lgs. n. 152/2006, in quanto attività di gestione svolta senza autorizzazione.
Il caso.
La vicenda processuale trae origine da un provvedimento di sequestro preventivo avente per oggetto l'area ed il cumulo di 10.000 mc. di rifiuti; nella specie, si trattava di inerti di travertino provenienti da una cava gestita da una società, esclusi dalla categoria dei sottoprodotti tanto dal Gip quanto dal tribunale del riesame, con conseguente configurabilità del reato previsto dall'art. 256 T.U.A.
Il ricorso.
Avverso l'ordinanza reiettiva emessa dal tribunale del riesame resisteva l'indagato, contestando, a mezzo dei suoi difensori, la natura di rifiuto. Secondo i difensori, infatti, il travertino, quale residuo dell'attività di estrazione della cava, era da qualificarsi come sottoprodotto e non come rifiuto, con conseguente insussistenza del reato ipotizzato.
La decisione della Cassazione.
La Corte di Cassazione, seguendo quanto sostenuto dai giudici di merito, ha confermato il provvedimento impugnato, rigettando il ricorso.
Pare opportuno, per chiarire il pensiero della Corte, un breve cenno alla normativa applicabile.
Oggetto del sequestro preventivo, come detto, erano inerti di travertino derivanti dall'attività di estrazione di una cava. A seguito delle modifiche normative introdotte dal D.Lgs. 03.12.2010, n. 205, l'assetto giuridico dei materiali derivanti dallo sfruttamento delle cave risulta regolamentato dall'art. 186 del D.Lgs. 152/2006 (come novellato dall'art. 13 del D.Lgs. n. 205/2010) che, nel dettare la materia delle «Esclusioni dall’ambito di applicazione» dalla disciplina dei rifiuti, stabilisce espressamente che non rientrano nel campo di applicazione della parte quarta del T.U.A. "in quanto regolati da altre disposizioni normative comunitarie, ivi incluse le rispettive norme nazionali di recepimento" (comma 2, lett. d), per quanto di interesse, proprio "i rifiuti risultanti dalla prospezione, dall'estrazione, dal trattamento, dall'ammasso di risorse minerali o dallo sfruttamento delle cave, di cui al decreto legislativo 30.05.2008, n. 117".
Il D.Lgs. n. 117/2008, recante "Attuazione della direttiva 2006/21/CE relativa alla gestione dei rifiuti delle industrie estrattive e che modifica la direttiva 2004/35/CE" (G.U. n.157 del 07.07.2008), entrato in vigore il 22.07.2008, stabilisce le misure, le procedure e le azioni necessarie per prevenire o per ridurre il più possibile eventuali effetti negativi per l'ambiente, in particolare per l'acqua, l'aria, il suolo, la fauna, la flora e il paesaggio, nonché eventuali rischi per la salute umana, conseguenti alla gestione dei rifiuti prodotti dalle industrie estrattive (art. 1).
Nel delimitare l'ambito di applicazione, l'art. 2 ne stabilisce espressamente l'applicabilità alla gestione dei rifiuti di estrazione o all'interno dell'area del cantiere o dei cantieri estrattivi, come individuata e perimetrata nell'atto autorizzativo e gestita da un operatore, ovvero nelle strutture di deposito dei rifiuti di estrazione di cui all'articolo 3, comma 1, lettera r). I rifiuti di estrazione sono «i rifiuti derivanti dalle attività di prospezione o di ricerca, di estrazione, di trattamento e di ammasso di risorse minerali e dallo sfruttamento delle cave», come definiti all'articolo 3, comma 1, lettera d), del medesimo decreto.
La gestione dei rifiuti di estrazione è rigorosamente disciplinata dal D.Lgs. n. 117/2008. La legge prevede regole precise, imponendo la pianificazione dell'attività di gestione (art. 4) con correlativo obbligo di elaborare un piano di gestione dei rifiuti di estrazione (art. 5), l'obbligo di rilascio di apposita autorizzazione per le strutture di deposito dei rifiuti di estrazione (art. 7) nonché per la costruzione e gestione delle strutture di deposito dei rifiuti di estrazione (art. 11), dettando inoltre (art. 12) apposite procedure per la chiusura delle strutture di deposito dei rifiuti di estrazione e per la fase successiva alla chiusura e regole dettagliate (art. 13) per la prevenzione del deterioramento dello stato delle acque e dell'inquinamento dell'atmosfera e del suolo.
La rigorosa e puntuale regolamentazione dettata dal D.Lgs. n. 117/2008 per la gestione di tale categoria di materiali consente di escludere, dunque, i residui derivanti dall'attività di estrazione delle cave dalla disciplina dei rifiuti, purché sia rispettata la disciplina dettata dal decreto. Onde evitare problemi interpretativi, peraltro, il legislatore si è preoccupato di prevedere espressamente che l'abbandono, lo scarico, il deposito e lo smaltimento incontrollati dei rifiuti di estrazione sul suolo, nel suolo e nelle acque superficiali e sotterranee sono vietati (art. 4, comma 1). Il legislatore del 2008, a tal proposito, non prevede alcuna sanzione in caso di violazione di tale divieto, posto che l'art. 19 del D.Lgs. n. 117/2008 (che contempla le sanzioni) non presidia con apposita sanzione la violazione dell'art. 4, comma 1.
Ciò, ovviamente, non significa che la condotta vietata resti priva di conseguenze, poiché –non dimentichiamolo– è lo stesso D.Lgs. n. 117/2008 a qualificare il materiale derivante dall'attività estrattiva come «rifiuto» di estrazione. Ne consegue, quindi, che la violazione dell'art. 4, comma 1, D.Lgs. n. 117/2008 trova la sua sanzione penale, per effetto del richiamo contenuto nell'art. 185, comma 2, lett. d), del D.Lgs., n. 152/2006, nell'art. 256 del T.U.A. per la gestione non autorizzata di tali rifiuti.
Operato l'inquadramento giuridico della questione, ben si comprende la soluzione della Corte al caso in esame. Evidenziano i giudici di Piazza Cavour come, dagli atti, fosse emerso che la società di cui amministratore risultava l'indagato, provvedeva alla raccolta, al trasporto ed abbandono incontrollato nella propria area industriale degli inerti di marmo, provenienti dalla lavorazione delle cave di marmo travertino, gestite da altra società, il tutto senza provvisto della prescritta autorizzazione.
Secondo gli Ermellini, dunque, la società che si occupava della gestione delle cave e dell'estrazione degli inerti di travertino si serviva dell'area riconducibile alla ditta dell'indagato unicamente come deposito di tali residui, i quali non erano stati utilizzati né dal gestore della cava direttamente né da altro soggetto, sfuggendo quindi tali residui alla qualificazione come sottoprodotti per mancato rispetto, in particolare, delle condizioni previste dall'art. 184-bis del D.Lgs. n. 152/2006, come modificato dall'art. 12 del D.Lgs. n. 205/2010.
Il riferimento, in particolare, è alla condizione prevista dalla nuova lett. b) che richiede, oltre alle altre condizioni previste dal medesimo articolo la certezza che "la sostanza o l’oggetto sarà utilizzato, nel corso dello stesso o di un successivo processo di produzione o di utilizzazione, da parte del produttore o di terzi", incombendo, peraltro, sull'interessato l'onere di fornire la prova della destinazione certa, e non meramente eventuale, ad un ulteriore utilizzo (Cass. pen., Sez. 3, n. 41836 del 30/09/2008, dep. 07/11/2008, imp. C., in Ced Cass. 241504) (Corte di Cassazione penale, sentenza 09.07.2011 n. 28734 - tratto da www.ipsoa.it).

URBANISTICA: Le modifiche al piano regolatore non riguardano le aree già utilizzate a scopo edificatorio.
Ai sensi dell’art. 7 della l. 17.08.1942 n. 1150, il Comune disciplina, con il Piano regolatore generale, l’assetto urbanistico dell’intero territorio comunale, in particolare prevedendo “la divisione in zone del territorio comunale con la precisazione delle zone destinate all'espansione dell'aggregato urbano e la determinazione dei vincoli e dei caratteri da osservare in ciascuna zona”.
Le previsioni del Piano, come questo Consiglio di Stato ha già avuto modo di affermare, “servono a conformare l’edificazione futura e non anche le costruzioni esistenti al momento dell’entrata in vigore del Piano o di una sua variante” (Cons. Stato, sez. IV, 18.06.2009 n. 4009), ciò facendo con prescrizioni tendenzialmente a tempo indeterminato, in quanto conformative delle destinazioni dei suoli (Cons. Stato, sez. II, 18.06.2008 n. 982).
Orbene, proprio per le sue caratteristiche di strumento di pianificazione e delle sua possibilità di utilizzo, è del tutto evidente che lo strumento urbanistico, nel disporre le future conformazioni del territorio, considera le sole “aree libere”, tali dovendosi ritenere quelle “disponibili” al momento della pianificazione, e ancor più precisamente quelle che non risultano già edificate (in quanto costituenti aree di sedime di fabbricati o utilizzate per opere di urbanizzazione), ovvero quelle che, nel rispetto degli standard urbanistici, risultano comunque già utilizzate per l’edificazione (in quanto asservite alla realizzazione di fabbricati, onde consentirne lo sviluppo volumetrico).
D’altra parte, diversamente opinando, ogni nuova pianificazione risulterebbe del tutto scollegata dalla precedente, potendo da questa prescindere, e di volta in volta riguarderebbe, senza alcuna contestualizzazione storica, una parte sempre più esigua del territorio comunale (cioè quella non ancora occupata da immobili e manufatti), valutata ex novo.
In tal modo, la pianificazione urbanistica si ridurrebbe a considerare il territorio solo nella sua mera possibilità di edificazione, in quanto non ostacolata da presenze materiali, e non già come un bene da conformare per il migliore sviluppo della comunità, salvaguardando i diritti costituzionalmente garantiti degli individui che su di esso vivono ed operano.
Quanto sin qui esposto, comporta che l’eventuale modificazione del piano regolatore, che prevede nuovi e più favorevoli indici di fabbricazione, non può che interessare, nell’ambito della zona del territorio considerata dallo strumento urbanistico, se non le sole aree libere, nel senso sopra precisato, con esclusione, quindi, di tutte le aree comunque già utilizzate a scopo edificatorio, ancorché le stesse si presentino “fisicamente” libere da immobili (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 09.07.2011 n. 4134 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAL’assegnazione di un termine inferiore a novanta giorni per l’ottemperanza all’ordine di demolizione è inidoneo a determinarne l’illegittimità, risolvendosi in una violazione meramente formale, non lesiva per l’interessato, il quale conserva comunque un termine non inferiore a quello di legge per ottemperare all’ingiunzione.
Per consolidato orientamento di questo Consiglio, l’assegnazione di un termine inferiore a novanta giorni per l’ottemperanza all’ordine di demolizione (nella specie, è stato assegnato il termine di dieci giorni) è inidoneo a determinarne l’illegittimità, risolvendosi in una violazione meramente formale, non lesiva per l’interessato, il quale conserva comunque un termine non inferiore a quello di legge per ottemperare all’ingiunzione (v., ex plurimis, C.d.S., Sez. V, 24.02.2003, n. 986; C.d.S., Sez. V, 03.02.2000, n. 597) (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 08.07.2011 n. 4102 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICALa giurisprudenza ha operato una distinzione tra i piani di recupero aventi ad oggetto il solo recupero edilizio e quelli che comportano anche un recupero urbanistico.
In quest'ultima ipotesi, proprio per la "ratio" della l. n. 457 del 1978, di consentire il recupero del patrimonio edilizio ed urbanistico esistente, disponendo il riassetto della zona in ossequio alle esigenze di funzionalità previste nello strumento urbanistico generale, il piano di recupero può prevedere la demolizione degli edifici preesistenti, la loro ricostruzione, con un incremento volumetrico, ossia nuove costruzioni

E’ opportuno richiamare la distinzione operata dalla giurisprudenza (tra le decisioni più rilevanti: Consiglio Stato, sez. IV, 19.04.2000, n. 2336 e 28.05.1988, n. 468), nell’ambito dei piani di recupero, tra i piani di recupero aventi ad oggetto il solo recupero edilizio e quelli che comportano anche un recupero urbanistico.
In quest’ultima ipotesi, il piano ha ad oggetto la ridefinizione del tessuto urbanistico di un'area o di un complesso di aree, anche in relazione agli spazi e alle opere pubbliche esistenti o da programmare per le esigenze della collettività, ed ha effetti programmatori suoi propri: “la revisione dell'assetto urbanistico delle zone soggette a recupero potrà, quindi, comportare una diversa sistemazione dei lotti o degli isolati, una differente sistematica delle vie di comunicazione, il reperimento di aree per servizi di interesse pubblico, la individuazione di edifici esistenti da destinare a servizi pubblici...".
Proprio per la "ratio" della l. n. 457 del 1978, di consentire il recupero del patrimonio edilizio ed urbanistico esistente, disponendo il riassetto della zona in ossequio alle esigenze di funzionalità previste nello strumento urbanistico generale, il piano di recupero può prevedere la demolizione degli edifici preesistenti, la loro ricostruzione, con un incremento volumetrico, ossia nuove costruzioni (TAR Bari, II n. 4016/2002, in cui è precisato che “funzione precipua del piano di recupero è la conservazione del patrimonio edilizio esistente mediante la riqualificazione e la ridefinizione del tessuto urbano ai fini di recupero del patrimonio edilizio ed urbanistico degradato per conservare e riutilizzare il patrimonio, sicché la connotazione tipica dello strumento in questione che ne individua i limiti oggettivi, è pur sempre caratterizzato dalla conservazione, ricostruzione e riutilizzazione del patrimonio esistente, con la conseguenza che è del tutto marginale che il recupero edilizio, consistendo in interventi sugli elementi costitutivi degli edifici esistenti, possa comportare incrementi volumetrici ossia nuove edificazioni”) (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 07.07.2011 n. 1830 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Contratti pubblici – Gara – Divieto di frazionamento dei requisiti per i RTI – Ricorso all’istituto dell’avvalimento - Provvedimento di esclusione – Illegittimità – Sussiste.
E' illegittimo il provvedimento di esclusione da una gara adottato da una stazione appaltante nei confronti di un'impresa per aver fatto ricorso all'istituto dell'avvalimento, motivato su una disposizione del bando di gara che prescriveva il divieto di frazionamento dei requisiti per i raggruppamenti temporanei di imprese.
Il provvedimento di esclusione comminato dall'amministrazione procedente è irragionevole, in quanto la concorrente non si è presentata alla gara in raggruppamento con altre imprese, bensì singolarmente (massima tratta da www.centrostudi-sv.org - TAR Lazio-Roma, Sez. III-ter, sentenza 06.07.2011 n. 5958 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: 1. Escussione cauzione provvisoria in tutti i casi di mancata conferma dei requisiti dichiarati in sede di partecipazione.
2. Sull'obbligo di intestazione della cauzione provvisoria, in caso di RTI, in capo a mandanti e mandatarie.

1. Nell'appalto dei lavori pubblici, l'escussione della cauzione provvisoria ai sensi dell'art. 10 L. 11.02.1994 n. 109, il cui scopo è liquidare in via forfetaria il danno subito dalla Stazione appaltante per omessa stipulazione del contratto per fatto imputabile all'aggiudicatario provvisorio, riguarda non solo l'assenza della capacità economico-finanziaria e tecnico-organizzativa di questi, ma anche tutti i casi in cui abbia prodotto dichiarazioni non confermate dal successivo riscontro della relativa documentazione o abbia effettuato false dichiarazioni (Cons. Stato, Sez. V, 29.12.2009, n. 8908; Sez. IV, 07.06.2005, n. 2933).
2. Nel caso di partecipazione di un costituendo raggruppamento temporaneo di imprese ad una gara d'appalto, la polizza fideiussoria, mediante la quale viene costituita la cauzione provvisoria, deve essere intestata non solo alla società capogruppo ma anche alle mandanti che sono individualmente responsabili delle dichiarazioni rese per la partecipazione alla gara, ciò al fine di evitare il configurarsi di una carenza di garanzia per la Stazione appaltante con riferimento a quei casi in cui l'inadempimento non dipenda dalla capogruppo designata ma dalle mandanti (TAR Valle d’Aosta, 14.01.2010, n. 6; TAR Sicilia, Ct, Sez. III, 26.10.2009, n. 1744) (TAR Toscana, Sez. II, sentenza 06.07.2011 n. 1146 - link a www.mediagraphic.it).

APPALTI: Le peculiarità delle informative prefettizie.
Sinora, in tema di informative antimafia, si è fatto riferimento alle sole informative "tipiche" o "interdittive", che impediscono il sorgere o il continuare del rapporto contrattuale. Accanto a queste, si sono diffuse le cosiddette informative "supplementari" o "atipiche", sostenute dalla prassi amministrativa e dall'elaborazione giurisprudenziale.
Precisamente, la prassi amministrativa, sostenuta da una giurisprudenza molto attenta alle ragioni di prevenzione da infiltrazioni di tipo mafioso, conosce anche un terzo tipo di informativa prefettizia, denominata, appunto, "informativa supplementare atipica", la quale trova un fondamento normativo, invero debole ...
LA VICENDA E LE INFORMATIVE ANTIMAFIA
Il Comune di San Lorenzo indiceva una gara per il conferimento dell'appalto dei lavori di riqualificazione dell'acquedotto in località Tavoliere.
La gara veniva vinta dall'impresa individuale M.P. Prima di procedere alla stipula del contratto, il Comune disponeva la revoca dell'aggiudicazione definitiva, sulla base di un'informativa prefettizia atipica, ove venivano comunicate ed illustrate vicende di rilevanza penali, interessanti il titolare dell'impresa.
Precisamente, nell'informativa si evidenziava che l'imprenditore risultava indagato per gravi reati, quali l'associazione per delinquere finalizzata a commettere delitti di turbativa d'asta ed altri, turbata libertà degli incanti e falsificazione di valori di bollo.
A fronte di tale provvedimento, il Comune ha ritenuto che l'imprenditore fosse privo dei requisiti di ordine generale, di cui all'art. 38 del Codice dei contratti pubblici (D.Lgs. n. 163 del 2006), necessari per procedere alla stipula del contratto di appalto. Avverso il provvedimento comunale di revoca dell'aggiudicazione definitiva propone ricorso l'impresa vincitrice della gara.
La categoria delle informazioni prefettizie, disciplinata dagli artt. 10 e 11, D.P.R. n. 252 del 1998, si presenta indubbiamente variegata.
La normativa obbliga le stazioni appaltanti ad acquisire tali informazioni prima di stipulare, approvare o autorizzare i contratti di o i subcontratti, le cessioni o i cottimi di valore superiore, attualmente, ad € 154.937,07.
Infatti, ove emergano elementi relativi a "tentativi di infiltrazione mafiosa nelle società o imprese interessate", le amministrazioni non possono stipulare, approvare o autorizzare i contratti o subcontratti, né autorizzare, rilasciare o, comunque, consentire concessioni ed erogazioni. La prima tipologia di informazione prefettizia è contemplata dalle lettere a) e b), del comma 7, dell'art. 10, D.P.R. n. 252 del 1998. Si tratta di atti meramente ricognitivi di provvedimenti giudiziari di applicazione di misure cautelari o di sottoposizione a giudizio o di adozione di sentenze di condanna o di applicazione (o anche di mera proposta) di misure interdittive. La natura ricognitiva di tale informativa prefettizia si desume, con estrema chiarezza, dalla presenza di provvedimenti giudiziari, dei quali il Prefetto si limita a dare notizia alla stazione appaltante richiedente.
Più delicata appare, invece, la seconda tipologia di informativa prefettizia, contemplata dalla lettera c) del medesimo comma 7, dell'art. 10, da leggere in combinato con l'art. 4, comma 4, D.Lgs. n. 490 del 1994. Si tratta, precisamente, di accertamenti autonomi, posti in essere dalla Prefettura, sulla base di attività di indagine effettuata dagli organi inquirenti. Tale categoria, infatti, consente ai Prefetti di accertare, con efficacia impeditiva per la stipulazione di contratti, l'esistenza di elementi relativi a tentativi di infiltrazione mafiosa, fattispecie quantomai insidiosa sotto il profilo dell'esatta individuazione dei relativi confini. La giurisprudenza configura tale provvedimento come una misura cautelare di tipo preventivo, che prescinde dal concreto accertamento penale di reati eventualmente commessi. Precisamente, secondo un orientamento pressoché unanime, tali informative non devono assurgere al rango di prova dell'intervenuta infiltrazione, essendo ciò un quid pluris non richiesto dalla normativa, ma devono fondarsi su fatti e vicende aventi valore sintomatico ed indiziario, sufficiente a dare contezza dell'esistenza di elementi, dai quali sia deducibile il tentativo di ingerenza mafiosa.
Il citato potere prefettizio, di accertamento e di valutazione, si inquadra in un sistema di cautele, diretto ad individuare quei soggetti che, pur non essendo formalmente interdetti, presentano non di meno delle "controindicazioni", derivanti dalla sussistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa, diretti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle imprese coinvolte in pubblici appalti.
Pertanto, solo il Prefetto è legittimato a compiere apprezzamenti sull'esistenza di elementi, sintomatici e rivelatori dell'influenza esercitata dalle organizzazioni criminali sull'operatore economico, che aspiri a contrattare con la Pubblica Amministrazione.
Ragione e giustificazione di tale competenza esclusiva deve essere ricercata nella tipicità della materia in questione, la quale richiede un'anticipazione della soglia di difesa sociale e, dunque, una tutela più che avanzata nel campo del contrasto della criminalità organizzata.
A tal proposito, la giurisprudenza ben evidenzia che, in tale settore, si prescinde dalle classiche soglie di rilevanza probatorie, tipiche del diritto penale, per cercare di cogliere l'affidabilità dell'impresa affidataria dei lavori, complessivamente intesa.
Sinora, in tema di informative antimafia, si è fatto riferimento alle sole informative "tipiche" o "interdittive", che impediscono il sorgere o il continuare del rapporto contrattuale.
Accanto a queste, si sono diffuse le cosiddette informative "supplementari" o "atipiche", sostenute dalla prassi amministrativa e dall'elaborazione giurisprudenziale.
Precisamente, la prassi amministrativa, sostenuta da una giurisprudenza molto attenta alle ragioni di prevenzione da infiltrazioni di tipo mafioso, conosce anche un terzo tipo di informativa prefettizia, denominata, appunto, "informativa supplementare atipica", la quale trova un fondamento normativo, invero debole, nell'art. 10, comma 9, D.P.R. n. 252 del 1998, che, a sua volta, richiama l'art. 1-septies, D.L. 06.09.1982, n. 629, convertito nella L. 12.10.1982, n. 726 .
La debolezza del fondamento risiede, innanzitutto, nel fatto che la norma richiamata concerne i poteri dell'ex Alto commissario per la lotta alla mafia e si limita a disciplinare la possibilità che vengano comunicati alle autorità (competenti al rilascio di licenze, autorizzazioni o concessioni) elementi di fatto o altre indicazioni, utili alla valutazione dei requisiti soggettivi del richiedente.
Inoltre, il citato comma 9 stabilisce che tale rinvio non opera, quanto alle informazioni prefettizie antimafia, "salvo che gli elementi o le altre indicazioni fornite siano rilevanti ai fini delle valutazioni discrezionali ammesse dalla legge".
Nella concreta prassi amministrativa, si attribuisce, abitualmente, rilevanza anche a questo ulteriore tipo di informativa prefettizia, la quale presenta profili di similitudine con quella disciplinata dall'art. 10, comma 7, lett. c), in considerazione della loro comune natura non ricognitiva di provvedimenti giudiziari.
Al riguardo, la giurisprudenza da tempo segnala che tale informativa, cosiddetta supplementare atipica ha il suo fondamento nel principio generale di collaborazione tra pubbliche amministrazioni ed è priva di efficacia interdittiva automatica, ma consente l'attuazione degli ordinari poteri discrezionali di ritiro del contratto da parte della stazione appaltante.
Infatti, tale informativa, in virtù della sua natura esclusivamente indiziaria, conferisce alla stazione appaltante il potere, delicato ma ristretto nel suo contenuto, di effettuare una propria valutazione, che può trascurare l'importanza degli elementi ostativi notiziati, solo in ragione di una motivazione puntuale e "forte".
L'ANALISI DEL TAR REGGIO CALABRIA
Il Tar Reggio Calabria respinge il ricorso sulla base di un'articolata analisi dell'informativa prefettizia atipica.
Primariamente, i giudici amministrativi reggini evidenziano la diversità dell'informativa atipica, per quanto concerne gli effetti: mentre l'informativa tipica ha carattere interdittivo, nel senso che impedisce di diritto l'instaurazione di rapporti negoziali con l'impresa, attraverso il divieto di stipula del contratto, l'informativa atipica non presenta tale carattere, ma consente solo (e non è poco!) l'esercizio dei poteri discrezionali di intervento sui provvedimenti amministrativi posti in essere, sulla base, appunto, delle informazioni assunte.
Con l'informativa atipica non scatta alcun obbligo legale interdittivo, ma solo l'obbligo di valutare attentamente le notizie acquisite, al fine di decidere se il soggetto interessato presenta l'idoneità morale necessaria per iniziare o proseguire le prestazioni contrattuali. Proprio per tale sua caratteristica di non costituire un "legale impedimento", l'informativa atipica non necessita di un grado di comprovazione probatoria analogo a quello richiesto per dimostrare l'appartenenza di un soggetto ad associazioni di tipo camorristico o mafioso.
Infatti, osserva il Tar, si fonda su elementi, anche indiziari, (che la stazione appaltante non ha né il potere né l'onere di verificarne la portata o i presupposti) ottenuti con l'ausilio di particolari indagini, che possono risalire anche ad eventi verificatisi a distanza di tempo.
E' stato osservato, in giurisprudenza, che l'informativa atipica consente alla stazione appaltante di adottare un provvedimento di diniego di stipula del contratto o di prosecuzione del rapporto contrattuale in corso, che potrà essere sufficientemente motivato anche per relationem, essendole riservato "un margine assai ristretto di valutazione discrezionale, mentre il dovere di ampia motivazione sussiste solo nel caso della scelta della prosecuzione del rapporto per inderogabili ed indeclinabili necessità della prestazione, non altrimenti assicurabile" (TAR Campania, Sez. Napoli I, n. 16618/2010).
Fra l'altro, non deve essere dimenticato che il potere di indagine e di sindacato del giudice amministrativo è abbastanza limitato:
"Le informative atipiche, in quanto atti meramente partecipativi di circostanze di fatto, non determinano un divieto legale a contrarre e non comportano, necessariamente ed inevitabilmente, l'adozione di provvedimenti pregiudizievoli per il privato, l'assunzione dei quali è rimessa alla discrezionalità della stazione appaltante; in questi casi, il sindacato del giudice amministrativo non può entrare nel merito restando circoscritto a verificare sotto il profilo della logicità il significato attribuito agli elementi di fatto e l'iter procedimentale seguito per pervenire a determinate conclusioni" (TAR Campania, Sez. Salerno I, n. 11842/2010).
Proprio in ragioni di tali caratteristiche, la giurisprudenza si è, poi, interrogata anche sulla "compatibilità comunitaria" dell'istituto, pervenendo ad una positiva risposta, fondata sulla considerazione che le cause di esclusione dagli appalti, previste dal diritto comunitario, e puntualmente recepite dall'ordinamento interno non sono esaustive e tassative, potendo i Legislatori nazionali prevederne ulteriori, a salvaguardia di interessi pubblici generali, diversi da quello della tutela della concorrenza, e fondate su ragioni di ordine e sicurezza pubblica.
Alla luce delle considerazioni sin qui espresse, il Tar Reggio Calabria ritiene infondato il ricorso per tre precise ragioni.
In primo luogo, si fa osservare che l'impresa ricorrente non ha impugnato né censurato il contenuto dell'informativa atipica, che il Comune ha assunto a necessario ed esclusivo presupposto motivazionale del provvedimento di revoca. In secondo luogo, si rileva che il ricorrente non ha evocato in giudizio la Prefettura di Reggio Calabria, che tale provvedimento ha emanato.
Inoltre, appare decisamente carente l'apparato motivazionale del ricorso, in quanto il medesimo si limita a contestare la circostanza della carenza di requisiti di ordine generale, senza avvedersi che, in realtà, l'Amministrazione si è uniformata al contenuto dell'informativa, rispetto alla quale non sono dedotte censure, rimanendo incontestati due puntuali ed inequivoci fatti: a) la sottoposizione del ricorrente ad indagini per i gravi reati contestatigli, aventi immediata e diretta incidenza sull'affidamento di appalti e, quindi, sulla capacità a contrarre con la Pubblica amministrazione; b) la rilevanza di tali circostanze in ordine all'efficacia propria delle informative antimafia atipiche (tratto da www.ipsoa.it - TAR Calabria-Reggio Calabria, sentenza 21.06.2011 n. 518 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVISindaci, mani legate sulle Poste. Illegittimo vietare la chiusura di un ufficio con ordinanza. Per il Tar Sardegna non ci sono i presupposti di incolumità pubblica e sicurezza urbana.
I sindaci non possono con una ordinanza contingibile ed urgente intimare alle Poste di non chiudere un ufficio postale: non siamo infatti nell'ambito di materie che possono essere disciplinate attraverso questo istituto, in quanto mancano i requisiti della emergenza, ovvero il pericolo della lesione di diritti fondamentali.
Sono queste le principali ragioni per cui la I Sez. del TAR della Sardegna, sentenza 17.06.2011 n. 605, ha bocciato l'ordinanza con cui il sindaco di Ozieri aveva ordinato alle poste di non chiudere il secondo ufficio aperto nel paese, esattamente in una piccola frazione.
Da sottolineare che le Poste si erano dichiarati disponibili a mantenere il secondo sportello in un'altra frazione, peraltro avente un numero di abitanti maggiori. Siamo così in presenza di un ulteriore altolà della giurisprudenza amministrativa al potere di ordinanza dei sindaci.
Merita di essere evidenziato che tanto il Tar quanto il Consiglio di stato avevano invece bocciato la richiesta avanzata dalla Poste di sospensione della ordinanza, in quanto non vi era alcun rischio di lesione di interessi fondamentali. La sentenza stabilisce che in queste materie deve comunque essere presente nel giudizio anche il ministero dell'interno.
«Difetta ogni presupposto di incolumità pubblica e sicurezza urbana, così come emergenze e/o circostanze straordinarie richiesti dalle norme quali condizioni legittimanti il potere straordinario e urgente conferito al sindaco dal legislatore per l'adozione di provvedimenti extra-ordinem». Trattasi in questo caso, in realtà, di opposizione del comune a una scelta (dell'operatore privato esercente un servizio pubblico) di riorganizzazione e modulazione di un servizio (postale) e nella specie delle sue modalità di articolazioni territoriali (distribuzione degli uffici nel territorio comunale) in rapporto al numero degli abitanti, alla distanza e agli utenti.
Nessun potere autoritativo di riapertura dell'ufficio postale poteva riconoscersi in capo al sindaco, che ha esercitato impropriamente e illegittimamente il potere di ordinanza contingibile e urgente in un ambito non consentitogli. Il potere esercitato è privo dei presupposti fondanti, voluti e individuati dal legislatore nazionale, «esplicazione di un potere di forzosa riapertura di un ufficio postale, senza termine, viola il quadro normativo di riferimento e non trova appiglio nella legislazione di settore».
La richiesta del ministero dell'interno di essere estromesso dal giudizio, perché non interessato, è stata respinta: «Trattandosi di ordinanza contingibile e urgente, potrebbe, in astratto, essere riferita al sindaco quale ufficiale di governo e come tale l'imputazione allo stato del provvedimento (e non all'ente locale). Le norme del Tuel di riferimento infatti afferiscono, l'art. 50 ai poteri locali, l'art. 54 ai poteri statali. Solo dall'esame in concreto del provvedimento (posto che l'ordinanza nulla precisa) può emergere l'attribuzione e l'imputazione» (articolo ItaliaOggi del 05.08.2011 - tratto da www.corteconti.it).

EDILIZIA PRIVATALa legittimazione a impugnare una concessione edilizia deve essere riconosciuta al proprietario di un immobile sito nella zona interessata alla costruzione, o comunque a chi si trovi in una situazione di stabile collegamento con la zona stessa, la quale non postula necessariamente l'adiacenza fra gli immobili, essendo sufficiente la semplice prossimità, senza che sia necessario dimostrare ulteriormente la sussistenza di un interesse qualificato alla tutela giurisdizionale.
Il possesso del titolo di legittimazione alla proposizione del ricorso per l'annullamento di una concessione edilizia, che discende dalla c.d. vicinitas, cioè da una situazione di stabile collegamento giuridico con il terreno oggetto dell'intervento costruttivo autorizzato, esime da qualsiasi indagine al fine di accertare, in concreto, se i lavori assentiti dall'atto impugnato comportino o meno un effettivo pregiudizio per il soggetto che propone l'impugnazione atteso che l'esistenza della suddetta posizione legittimante abilita il soggetto ad agire per il rispetto delle norme urbanistiche, che assuma violate, a prescindere da qualsiasi esame sul tipo di lesione, che i lavori in concreto gli potrebbero arrecare.

Non può che farsi applicazione del prevalente orientamento giurisprudenziale in forza del quale “la legittimazione a impugnare una concessione edilizia deve essere riconosciuta al proprietario di un immobile sito nella zona interessata alla costruzione, o comunque a chi si trovi in una situazione di stabile collegamento con la zona stessa, la quale non postula necessariamente l'adiacenza fra gli immobili, essendo sufficiente la semplice prossimità, senza che sia necessario dimostrare ulteriormente la sussistenza di un interesse qualificato alla tutela giurisdizionale” (da ultimo Consiglio Stato, sez. IV, 16.03.2010, n. 1535; Consiglio Stato, sez. VI, 15.06.2010, n. 3744; in senso analogo Consiglio Stato, sez. IV, 12.05.2009, n. 2908 secondo cui “Il possesso del titolo di legittimazione alla proposizione del ricorso per l'annullamento di una concessione edilizia, che discende dalla c.d. vicinitas, cioè da una situazione di stabile collegamento giuridico con il terreno oggetto dell'intervento costruttivo autorizzato, esime da qualsiasi indagine al fine di accertare, in concreto, se i lavori assentiti dall'atto impugnato comportino o meno un effettivo pregiudizio per il soggetto che propone l'impugnazione atteso che l'esistenza della suddetta posizione legittimante abilita il soggetto ad agire per il rispetto delle norme urbanistiche, che assuma violate, a prescindere da qualsiasi esame sul tipo di lesione, che i lavori in concreto gli potrebbero arrecare”; TAR Campania Napoli, sez. IV, 09.04.2010, n. 1885 secondo cui “l'articolo 31, comma 9, legge 1150/1942, modificato dalla legge 765/1967, che consente a "chiunque" di impugnare le concessioni edilizie ritenute illegittime, va interpretato nel senso che, ai fini della legittimazione al ricorso, occorre una situazione di stabile collegamento con la zona interessata dall'attività edilizia, collegamento che ben può derivare dalla proprietà di un immobile nella medesima, poiché il diritto reale differenzia e qualifica adeguatamente la posizione soggettiva della parte”.
Il vicino controinteressato non è un soggetto contemplato tra quelli a cui va inviata la comunicazione di avvio del procedimento per il rilascio di un titolo edilizio, ai sensi dell'art. 7 della l. 07.08.1990, n. 241, pur se lo stesso già risulti essersi opposto in precedenti occasioni all'attività edilizia dell'altro soggetto confinante (da ultimo TAR Liguria, sez. I, 10.07.2009, n. 1736; in senso analogo TRGA Trento, 14.10.2010, n. 194).
Non vi è infatti identità tra le posizioni di coloro che siano legittimati ad impugnare il provvedimento finale di concessione e coloro che possono intervenire o hanno titolo a ricevere l’avviso di avvio del procedimento; infatti ove sia stata proposta una domanda di concessione edilizia il vicino del richiedente o il soggetto legittimato possono intervenire nel procedimento ed impugnare il provvedimento che accoglie l’istanza, ma non hanno titolo a ricevere l’avviso di avvio predetto (Consiglio di Stato, sez. VI, 14.03.2002, n. 1533
”; Tar Liguria, sez. I, 05.07.2010 n. 5570; in senso analogo Consiglio di Stato, sez. VI 10.02.2006, n. 547, secondo cui “L'aver partecipato al procedimento di formazione di uno strumento urbanistico non rende automaticamente il soggetto medesimo controinteressato al quale effettuare le comunicazioni ex art. 7 l. 07.08.1990 n. 241, relativamente ai procedimenti relativi all'emanazione dei permessi di costituire o dei richiesti nulla osta”)
(TAR Valle d'Aosta, sentenza 16.06.2011 n. 43 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa realizzazione di autorimesse e parcheggi, se non effettuata totalmente al di sotto del piano di campagna naturale, è soggetta alla disciplina urbanistica dettata per le ordinarie nuove costruzioni fuori terra.
Le autorimesse realizzate anche parzialmente all’esterno del fabbricato, non rientrando nell'ambito di operatività dell'art. 9 della legge n. 122 del 1989, in base alla quale, se si tratta di costruzioni nel sottosuolo, è possibile la loro realizzazione anche in contrasto con le norme urbanistiche relative alla zona (non con quelle paesaggistiche), sono soggette alla disciplina urbanistica generale come ordinarie nuove costruzioni.
L'art. 9 della L. 24.03.1989, n. 122, che consente ai proprietari di immobili la realizzazione nel sottosuolo degli stessi ovvero nei locali siti al piano terreno dei fabbricati parcheggi da destinare a pertinenza delle singole unità immobiliari, anche in deroga agli strumenti urbanistici ed ai regolamenti edilizi vigenti, è applicabile solo nel caso di realizzazione di autorimesse e parcheggi destinati al servizio di fabbricati esistenti ove sia effettuata totalmente al di sotto del piano di campagna naturale ("sottosuolo"), rientrando le autorimesse, edificate anche parzialmente fuori terra, nella disciplina urbanistica ordinaria.
L’art. 9 della L. 24.03.1989, n. 122 non è applicabile nel caso di realizzazione di un garage che non è interrato e che al fine del suo interramento comunque richiede una operazione di "sistemazione del soprassuolo" per rendere in definitiva interrato ciò che non lo sarebbe mantenendo l’originario andamento del suolo, atteso che la realizzazione di strutture de quibus resta pacificamente ammessa solo in assenza di alterazioni visibili del territorio, argomento valido anche per le autorimesse pertinenziali se ed in quanto sotterranee.

C
ome è noto, la realizzazione di autorimesse e parcheggi, se non effettuata totalmente al di sotto del piano di campagna naturale, è soggetta alla disciplina urbanistica dettata per le ordinarie nuove costruzioni fuori terra (Consiglio di Stato, IV, 11.11.2006, n. 6065; V, 29.03.2004, n. 1662).
Stabilisce, infatti, l'art. 9 della legge 24.03.1989, n. 122 che "i proprietari di immobili possono realizzare nel sottosuolo degli stessi ovvero nei locali siti al piano terreno dei fabbricati parcheggi da destinare a pertinenza delle singole unità immobiliari anche in deroga agli strumenti urbanistici ed ai regolamenti edilizi vigenti".
La norma continua disponendo che tali parcheggi possono essere realizzati, ad uso esclusivo dei residenti, anche nel sottosuolo di aree pertinenziali esterne al fabbricato purché non in contrasto con i piani urbani del traffico, tenuto conto dell'uso della superficie sovrastante e compatibilmente con la tutela delle risorse idriche.
In base alla norma ora riportata, i predetti parcheggi devono essere realizzati, se non vengono a ciò adibiti i locali del piano terra di un fabbricato, o nel sottosuolo dello stesso fabbricato ovvero nel sottosuolo di un'area pertinenziale esterna (V, n. 1662/2004 citata).
Le autorimesse realizzate anche parzialmente all’esterno del fabbricato, pertanto, non rientrando nell'ambito di operatività dell'art. 9 della legge n. 122 del 1989 ora riportato, in base alla quale, se si tratta di costruzioni nel sottosuolo, è possibile la loro realizzazione anche in contrasto con le norme urbanistiche relative alla zona (non con quelle paesaggistiche), sono soggette alla disciplina urbanistica generale come ordinarie nuove costruzioni (cfr. in argomento Consiglio di Stato., IV, 26.09.2008 n. 4645; Consiglio di Stato, sez. IV, 23.02.2009, n. 1070; in senso analogo Cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV, 11.10.2006, n. 6065; Consiglio di Stato, Sez. IV, 27.11.2010, n. 8260; da ultimo Tar Abruzzo-l’Aquila, sez. I - sentenza 19.04.2011 n. 208 secondo cui “l’’art. 9 della L. 24.03.1989, n. 122, che consente ai proprietari di immobili la realizzazione nel sottosuolo degli stessi ovvero nei locali siti al piano terreno dei fabbricati parcheggi da destinare a pertinenza delle singole unità immobiliari, anche in deroga agli strumenti urbanistici ed ai regolamenti edilizi vigenti, è applicabile solo nel caso di realizzazione di autorimesse e parcheggi destinati al servizio di fabbricati esistenti ove sia effettuata totalmente al di sotto del piano di campagna naturale ("sottosuolo"), rientrando le autorimesse, edificate anche parzialmente fuori terra, nella disciplina urbanistica ordinaria)".
L’art. 9 della L. 24.03.1989, n. 122, non è applicabile inoltre nel caso di realizzazione di un garage che non è interrato e che al fine del suo interramento comunque richiede una operazione di "sistemazione del soprassuolo" -come risulta nell’ipotesi di specie secondo quanto dedotto dallo stesso controinteressato Comune Massimo in ordine alla necessità di opere di sbancamento e in ordine alla pendenza del terreno de quo- per rendere in definitiva interrato ciò che non lo sarebbe mantenendo l’originario andamento del suolo, atteso che la realizzazione di strutture de quibus resta pacificamente ammessa solo in assenza di alterazioni visibili del territorio, argomento valido anche per le autorimesse pertinenziali se ed in quanto sotterranee” (Tar Abruzzo-l’Aquila, sez. I - sentenza 19.04.2011 n. 208, cit. ; in senso analogo Cons. di Stato, sez. IV, n. 2579/2009)
(TAR Valle d'Aosta, sentenza 16.06.2011 n. 43 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATANel caso in cui si tratti di asservire per la prima volta all'edificazione, mediante la costruzione di uno o più fabbricati, aree non ancora urbanizzate -che obiettivamente richiedano, per il loro armonico raccordo col preesistente aggregato abitativo, la realizzazione delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria- si è costantemente richiesta la necessità del piano esecutivo (piano di lottizzazione o piano particolareggiato) quale presupposto per il rilascio della concessione edilizia.
Per contro, nel caso inverso di lotto intercluso o in altri analoghi casi nei quali la zona risulti totalmente urbanizzata, attraverso la realizzazione delle opere e dei servizi atti a soddisfare i necessari bisogni della collettività -quali strade, spazi di sosta, fognature, reti di distribuzione del gas, dell'acqua e dell'energia elettrica, scuole, etc.- lo strumento urbanistico esecutivo non può più ritenersi necessario e non può, pertanto, essere consentito all'Ente locale di trincerarsi dietro l'opposizione di un rifiuto, basato sul solo argomento formale della mancata attuazione della strumentazione urbanistica di dettaglio.

Nel caso in cui si tratti di asservire per la prima volta all'edificazione, mediante la costruzione di uno o più fabbricati, aree non ancora urbanizzate -che obiettivamente richiedano, per il loro armonico raccordo col preesistente aggregato abitativo, la realizzazione delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria- si è costantemente richiesta la necessità del piano esecutivo (piano di lottizzazione o piano particolareggiato) quale presupposto per il rilascio della concessione edilizia (cfr., C.d.S., Ad. Plen., 20.05.1980 n. 18 e 06.12.1992 n. 12; V Sezione, 13.11.1990 n. 776; 06.04.1991 n. 446 e 07.01.1999 n. 1; TAR Campania, IV Sezione, 02.03.2000 n. 596).
È evidente che in tale prima fattispecie, nella quale l'integrità d'origine del territorio non è sostanzialmente vulnerata, deve essere rigorosamente rispettata la cadenza, in ordine successivo, dell'approvazione del piano regolatore generale e della realizzazione dello strumento urbanistico d'attuazione, che garantisce una pianificazione razionale e ordinata del futuro sviluppo del territorio dal punto di vista urbanistico.
Per contro, nel caso inverso di lotto intercluso o in altri analoghi casi nei quali la zona risulti totalmente urbanizzata, attraverso la realizzazione delle opere e dei servizi atti a soddisfare i necessari bisogni della collettività -quali strade, spazi di sosta, fognature, reti di distribuzione del gas, dell'acqua e dell'energia elettrica, scuole, etc.- lo strumento urbanistico esecutivo non può più ritenersi necessario e non può, pertanto, essere consentito all'Ente locale di trincerarsi dietro l'opposizione di un rifiuto, basato sul solo argomento formale della mancata attuazione della strumentazione urbanistica di dettaglio (cfr., per tutte, TAR Campania, IV Sezione, 06.06.2000 n. 1819).
Oscillazioni possono cogliersi nella giurisprudenza nelle situazioni intermedie, nelle quali il territorio risulti già, più o meno intensamente, urbanizzato.
In tali casi si è infatti ritenuto che la reiezione possa giustificarsi soltanto nel caso in cui l'Amministrazione abbia adeguatamente valutato lo stato di urbanizzazione già presente nella zona e abbia congruamente evidenziato le concrete e ulteriori esigenze di urbanizzazione indotte dalla nuova costruzione (cfr., C.d.S., Ad. Plen., 06.10.1992 n. 12; V Sezione, 03.10.1997 n. 1097, 25.10.1997 n. 1189 e 18.08.1998 n. 1273; TAR Lazio, II Sezione, 29.09.2000 n. 7649; TAR Campania, IV Sezione, 18.05.2000 n. 1413).
In tale prospettiva infatti l'Ente locale, essendo in possesso delle informazioni concernenti l'effettiva consistenza del reticolo connettivo del suo territorio, comprendente le opere di urbanizzazione primaria e secondaria, i servizi pubblici nonché le edificazioni pubbliche e private già esistenti, è sicuramente in grado di stabilire se e in che misura un ulteriore, eventuale carico edilizio possa armonicamente inserirsi nell'assetto del territorio già realizzato o in via di realizzazione.
Naturalmente, in questo caso, al Comune è consentito, pur sempre, di rifiutare ulteriori assensi edilizi, a condizione, tuttavia, che motivi adeguatamente le ragioni del diniego, in rapporto alla situazione generale del comprensorio a quel momento esistente.
Peraltro il Collegio non ignora che detto orientamento giurisprudenziale è in parte superato, alla luce della più recente giurisprudenza, in riferimento alle nuove edificazioni, alla stregua del dettato dell’art. 9 comma 2, D.P.R. 380/2001, che prevede espressamente gli interventi eseguibili nelle more di approvazione del piano attuativo (in tal senso Consiglio di stato, sez. IV, 05.03.2008, n. 940 secondo cui “nell'attuale quadro normativo, qualora lo strumento urbanistico generale preveda che il permesso di costruire possa essere rilasciato solo dopo l'approvazione di un piano attuativo, va senz'altro respinta -con un diniego avente natura vincolata- l'istanza volta a costruire nuovi manufatti, ove non sia stato approvato il medesimo piano attuativo.
Infatti, l'art. 9, comma 2, del testo unico in materia edilizia (approvato col D.P.R. n. 380 del 2001) ha previsto che -"nelle aree nelle quali non siano stati approvati gli strumenti urbanistici attuativi previsti dagli strumenti urbanistici generali come presupposto dell'edificazione"- sono tassativamente ammessi alcuni interventi, tra cui non rientra la realizzazione di nuovi edifici.
Con tale disposizione, il legislatore delegato:
- ha enunciato il principio della indefettibilità del piano attuativo prescritto dallo strumento generale (già desumibile dalla legge urbanistica n. 1150 del 1942, come affermato dal Consiglio di Stato con le decisioni Sez. V, 23.03.2000, n. 1594; Sez. V, 08.07.1997, n. 772; Sez. V, 16.06.1997, n. 640; Sez. V, 30.04.1997, n. 412; Sez. V, 22.03.1995, n. 451);
- ha rimarcato la rilevanza nel sistema del piano attuativo, in quanto strumento indispensabile per l'affermazione dell'ordinato assetto del territorio (Sez. V, 03.03.2004, n. 1013; Sez. IV, 25.08.2003, n. 4812);
- ha reso irrilevante ogni indagine di fatto sulla sussistenza o meno 'nei pressi' o 'nella zona' delle opere di urbanizzazione (anche se, in precedenza, l'amministrazione abbia violato le previsioni dello strumento generale, rilasciando permessi di costruire in assenza del prescritto piano attuativo).
Alla stregua di tale disposizione, tranne il caso del piccolo lotto intercluso, il prescritto piano attuativo non ammette equipollenti (Sez. IV, 08.06.2007, n. 3007), nel senso che in sede amministrativa -per l'esame di una istanza di permesso- o in quella giurisdizionale non possono essere effettuate le indagini spettanti all'autorità competente ad approvare il medesimo piano (sulla base del relativo procedimento), in assenza delle quali il legislatore considera lesa l'assoluta esigenza che vi sia un razionale assetto del territorio
(TAR Valle d'Aosta, sentenza 16.06.2011 n. 43 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATANon può essere opposto il decorso del termine decadenziale a colui che non poteva comunque continuare l’edificazione per un fatto sopravvenuto estraneo alla sua volontà.
Va, al riguardo, evidenziato che se in via ordinaria la decadenza disciplinata dall'art. 15 d.P.R. n. 380 del 2001 consegue all'inerzia dell'interessato questa deve essere esclusa se venga rappresentata la sussistenza di fatti sopravvenuti non riferibili alla condotta del titolare della concessione quando assolutamente ostative dei lavori, producono l'effetto di prolungare automaticamente il tempo massimo stabilito per l'esecuzione delle opere.

Se, come è noto, secondo la regola generale i termini di decadenza decorrono per il solo fatto materiale del trascorrere del tempo, cioè indipendentemente dalle situazioni soggettive ed oggettive verificatesi "medio tempore" e dalle quali sia dipeso l'inutile decorso del termine, devono esser fatti salvi i casi e le eccezioni tassativamente previste dalla legge.
Nel caso di specie, proprio la norma posta a base del provvedimento, l’art. 15, comma 2, del T.U. 06.06.2001, n. 380 (che peraltro riprende l’art. 4 della legge 28.01.1977, n. 10), nel disporre tra l’altro, che decorsi i termini di durata del permesso di costruire “il permesso decade di diritto per la parte non eseguita” espressamente prevede che, in via di eccezione, i termini di durata (dell’allora licenza ed oggi) del permesso di costruire “possono essere prorogati… per fatti sopravvenuti estranei alla volontà del titolare del permesso....”.
In base a tale norma dunque non può essere opposto il decorso del termine decadenziale a colui che non poteva comunque continuare l’edificazione per un fatto sopravvenuto estraneo alla sua volontà.
Va, al riguardo, evidenziato che se in via ordinaria la decadenza disciplinata dall'art. 15 d.P.R. n. 380 del 2001 consegue all'inerzia dell'interessato (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 08.02.2008, n. 434) questa deve essere esclusa se venga rappresentata la sussistenza di fatti sopravvenuti non riferibili alla condotta del titolare della concessione quando assolutamente ostative dei lavori, producono l'effetto di prolungare automaticamente il tempo massimo stabilito per l'esecuzione delle opere (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 10.08.2007, n. 4423; TAR Lazio, Roma, sez. II, 24.11.2004, n. 13996).
Ed è questo un punto peculiare della fattispecie.
Al riguardo, l’atto impugnato ha disposto che, nel caso di specie, doveva trovare applicazione la decadenza di diritto per decorrenza dei termini, ai sensi dell’art. 15 del Dpr n. 380 del 2001, mentre non ha tenuto conto della circostanza che l’atto di proroga accede all’originaria concessione, spostando in avanti il termine finale di efficacia dell’atto concessorio, in modo tale da costituire una continuazione dello stesso (cfr. TAR Lazio Roma, sez. II, 06.11.2006, n. 11809; TAR Valle d'Aosta, sez. I, 19.03.2009, n. 19) .
Orbene, emerge dagli atti che tra la domanda di proroga e la conclusione del procedimento è decorso un certo lasso di tempo e che il Comune ha dichiarato la decadenza del permesso di costruire soltanto dopo due mesi dalla concessione della proroga di un anno, impedendo la produzione dell’effetto specifico della proroga che è quello di prolungare automaticamente il tempo massimo stabilito per l’esecuzione delle opere.
Né varrebbe obiettare che assumerebbero rilievo, quali presupposti legittimanti della decadenza, le dimissioni del direttore dei lavori (vicenda interna al rapporto tra il titolare del permesso di costruire e il professionista incaricato) e la mancata presentazione della richiesta documentazione integrativa, alla cui inadempienza soccorre la irrogazione di sanzioni amministrative e non la decadenza del titolo edilizio (TAR Lazio-Roma, Sez. II-bis, sentenza 16.06.2011 n. 5354 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAE' illegittimo un regolamento comunale che stabilisce in quali zone del territorio possono essere installati gli impianti radio base di telefonia cellulare e quali distanze devono avere dalle abitazioni o dalle aree sensibili. I comuni possono solo regolamentare le installazioni delle stazioni radio base sotto il profilo urbanistico e territoriale, non potendo neppure regolamentare l'individuazione dei siti idonei all'installazione. I comuni possono esercitare in materia una potestà regolamentare del tutto sussidiaria, che concerne esclusivamente i profili urbanistici e territoriali (con esclusione dell'individuazione dei siti) e l'eventuale indicazione di ulteriori, particolari accorgimenti edilizi che possano utilmente concorrere alla minimizzazione dell'esposizione.
- E' illegittimo il regolamento che esplicitamente estenda i vincoli stabiliti unicamente per impianti di potenza superiore -i quali possono essere realizzati solo previa individuazione dei siti per la localizzazione- anche alle SRB di potenza inferiore a 300W. Per quest’ultime la disciplina è dettata direttamente dalla legge regionale che ne consente la realizzazione in tutto il territorio comunale, salvo gli espliciti divieti di cui alla medesima legge regionale, non ravvisabili nel caso di specie.
- Il concetto di “corrispondenza” deve intendersi come coincidente con il perimetro dei c.d. siti sensibili (scuole, asili, ospedali, oratori, ecc.), ma non può comunque ritenersi sussistere nel caso di specie in cui le distanze sono di 134 mt. dal distretto ASL, 185 mt. dall’oratorio (e 74 dalle pertinenze), 172 dalla scuola e 64 dalla caserma dei carabinieri.
- A norma dell'art. 86, comma 3, d.lgs. n. 259 del 2003, relativo alla localizzazione di infrastrutture di telecomunicazioni, è possibile prescindere dalla destinazione urbanistica del sito individuato per la loro installazione in quanto le infrastrutture di reti pubbliche di comunicazione, di cui agli art. 87 e 88, sono assimilate ad ogni effetto alle opere di urbanizzazione primaria di cui all'art. 16, comma 7, d.P.R. 06.06.2001 n. 380. Ne deriva che, anche alla luce dell'art. 4, comma 7, l. reg. n. 11 del 2001 gli impianti radiobase di telefonia mobile di potenza totale non superore a 300 watt non richiedono specifica regolamentazione urbanistica, per cui sono illegittime le disposizioni pianificatorie comunali che introducono in termini assoluti divieti di installazione per simili impianti, anche solo su porzioni del territorio comunale.

Circa l’inammissibilità della possibilità di introdurre divieti generalizzati di collocazioni delle SRB sul territorio comunale, da tempo la giurisprudenza ha chiarito che “è illegittimo un regolamento comunale che stabilisce in quali zone del territorio possono essere installati gli impianti radio base di telefonia cellulare e quali distanze devono avere dalle abitazioni o dalle aree sensibili. I comuni possono solo regolamentare le installazioni delle stazioni radio base sotto il profilo urbanistico e territoriale, non potendo neppure regolamentare l'individuazione dei siti idonei all'installazione. I comuni possono esercitare in materia una potestà regolamentare del tutto sussidiaria, che concerne esclusivamente i profili urbanistici e territoriali (con esclusione dell'individuazione dei siti) e l'eventuale indicazione di ulteriori, particolari accorgimenti edilizi che possano utilmente concorrere alla minimizzazione dell'esposizione” (così TAR Sicilia Catania, sez. III, 29.01.2002, n. 140, successivamente ripresa da TAR Calabria-Catanzaro, sez. II, 05.12.2006, n. 1573, di analogo contenuto). Ne discende l’incompetenza del Comune, dedotta con la sesta censura.
Ciò esclude, conseguentemente, anche la possibilità per il Comune, esercitata nel caso di specie e censurata al quarto motivo di ricorso, di introdurre, di fatto, tutele ulteriori rispetto a quelle già garantite attraverso la corretta applicazione della norma, non solo prevedendo la collocazione degli impianti all’esterno del centro abitato, ma anche escludendo ogni collocazione di impianti in intere aree come l”Area1”.
Anche la quinta censura appare fondata. Dal combinato disposto della L.R. 11/2001 e della deliberazione della G.R. 7351 dell’11.12.2001, emerge come, definite le “aree di particolare tutela”, l’installazione degli impianti di telecomunicazione, sia comunque possibile per quelli con potenza totale ai connettori di antenna non superiore a 300W.
Come già affermato da questo Tribunale nella sentenza n. 16 del 12.01.2007, da cui non si ravvisa ragione di discostarsi, quindi, è illegittimo il regolamento che esplicitamente estenda i vincoli stabiliti unicamente per impianti di potenza superiore -i quali possono essere realizzati solo previa individuazione dei siti per la localizzazione- anche alle SRB di potenza inferiore a 300W. Per quest’ultime la disciplina è dettata direttamente dalla legge regionale che ne consente la realizzazione in tutto il territorio comunale, salvo gli espliciti divieti di cui alla medesima legge regionale, non ravvisabili nel caso di specie.
Invero la legge regionale escludeva la collocazione di SRB di potenza anche inferiore a 300W nel raggio di 75 metri dal perimetri di siti c.d. “sensibili” (scuole, asili, ospedali, oratori, ecc.), ma la Corte costituzionale, con sentenza n. 331 del 2003 ha dichiarato l'illegittimità costituzionale della suddetta norma, introdotta, modificando il comma 8 della L.R. 11/2001, dalla l. reg. lombarda 06.03.2002 n. 4, art. 3, comma 12, lett. a).
Più precisamente la Corte ha chiarito che: “Per far fronte alle esigenze di protezione ambientale e sanitaria dall'esposizione a campi elettromagnetici, il legislatore statale, con le anzidette norme fondamentali di principio, ha prescelto un criterio basato esclusivamente su limiti di immissione delle irradiazioni nei luoghi particolarmente protetti, un criterio che è essenzialmente diverso da quello stabilito (sia pure non in alternativa, ma in aggiunta) dalla legge regionale, basato sulla distanza tra luoghi di emissione e luoghi di immissione. Né, a giustificare il tipo di intervento della legge lombarda, è sufficiente il richiamo alla competenza regionale in materia di governo del territorio, che la legge quadro, al numero 1) della lettera d) dell'art. 3, riconosce quanto a determinazione dei «criteri localizzativi». A tale concetto non possono infatti ricondursi divieti come quello in esame, un divieto che, in particolari condizioni di concentrazione urbanistica di luoghi specialmente protetti, potrebbe addirittura rendere impossibile la realizzazione di una rete completa di infrastrutture per le telecomunicazioni, trasformandosi così da «criteri di localizzazione» in «limitazioni alla localizzazione», dunque in prescrizioni aventi natura diversa da quella consentita dalla citata norma della legge n. 36. Questa interpretazione, d'altra parte, non è senza una ragione di ordine generale, corrispondendo a impegni di origine europea e all'evidente nesso di strumentalità tra impianti di ripetizione e diritti costituzionali di comunicazione, attivi e passivi.” (così Corte Costituzionale sentenza n. 331 del 2003 citata).
Conseguentemente la norma è stata modificata ed oggi prevede che “È comunque vietata l’installazione di impianti per le telecomunicazioni e per la radiotelevisione in corrispondenza di asili, edifici scolastici nonché strutture di accoglienza socio-assistenziali, ospedali, carceri, oratori, parco giochi, orfanotrofi e strutture similari, e relative pertinenze, che ospitano soggetti minorenni, salvo che si tratti di impianti con potenze al connettore d’antenna non superiori a 7 watt.”.
Il concetto di “corrispondenza” deve intendersi come coincidente con il perimetro dei c.d. siti sensibili, ma non può comunque ritenersi sussistere nel caso di specie in cui le distanze sono di 134 mt. dal distretto ASL, 185 mt. dall’oratorio (e 74 dalle pertinenze), 172 dalla scuola e 64 dalla caserma dei carabinieri. In tal senso si pone anche la pronuncia della Corte Costituzionale n. 307 del 2003 che, con riferimento alla legge della Regione Puglia, ha ritenuto che la previsione del divieto di localizzazione di SRB “su” siti sensibili non eccedesse l’ambito di un “criterio di localizzazione” la cui previsione rientra nella competenza delle Regioni ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. d), e dell’art. 8, comma 1, lett. e), della legge quadro (36/2001).
Né può ritenersi rilevante, al fine di contestare la potenza massima dell’impianto, il fatto che sul medesimo traliccio sia stata, molto tempo dopo il diniego censurato, inoltrata la domanda di Vodafone di collocamento di un nuovo impianto (che ha portato al diniego del 2009 impugnato con il ricorso sub R.G. 1088/2009).
Conclusivamente, quindi, il Collegio ritiene di poter condividere il principio espresso nella sentenza del TAR Milano, I, 13.01.2010, n. 23, in forza del quale: “A norma dell'art. 86, comma 3, d.lgs. n. 259 del 2003, relativo alla localizzazione di infrastrutture di telecomunicazioni, è possibile prescindere dalla destinazione urbanistica del sito individuato per la loro installazione in quanto le infrastrutture di reti pubbliche di comunicazione, di cui agli art. 87 e 88, sono assimilate ad ogni effetto alle opere di urbanizzazione primaria di cui all'art. 16, comma 7, d.P.R. 06.06.2001 n. 380. Ne deriva che, anche alla luce dell'art. 4, comma 7, l. reg. n. 11 del 2001 gli impianti radiobase di telefonia mobile di potenza totale non superore a 300 watt non richiedono specifica regolamentazione urbanistica, per cui sono illegittime le disposizioni pianificatorie comunali che introducono in termini assoluti divieti di installazione per simili impianti, anche solo su porzioni del territorio comunale” (TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 13.06.2011 n. 898 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

CONSIGLIERI COMUNALI: Missioni effettuate al di fuori del territorio comunale. Presupposti, autorizzazioni e rimborsi delle spese sostenute.
Le spese sostenute per le missioni effettuate dall’amministratore pubblico di un Comune sono rimborsabili in presenza di alcuni presupposti relativi alle missioni stesse, e cioè: 1) deve trattarsi di trasferte al di fuori del territorio comunale dell’ente di appartenenza; 2) devono essere debitamente autorizzate, nel caso di consigliere o di assessore; 3) devono essere eseguite in connessione con il mandato ricoperto; e 4) debbono essere opportunamente documentate (1).
In forza di quanto previsto dall'art. 84, comma 1, d.lgs. n. 267 del 2000 (T.U. sull’Ordinamento degli ee.ll.) il Sindaco, nell'esercizio delle sue funzioni, non deve essere autorizzato -a differenza di quanto previsto per i consiglieri e per gli assessori- all'effettuazione delle missioni al di fuori del territorio comunale; ne consegue che l’organo competente ad adottare il provvedimento di liquidazione del rimborso delle spese sostenute dal Sindaco in occasione delle suddette missioni non è il Consiglio comunale, bensì il dirigente (alla stregua del principio nella specie è stata ritenuta illegittima, per incompetenza, una delibera con la quale il Consiglio comunale si era arrogato il potere di valutare la sussistenza dei presupposti e, conseguentemente, di liquidare i compensi dovuti per spese di missione al Sindaco).
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(1) Dispone l'art. 84, comma 1, d.lgs. n. 267 del 2000 (T.U.E.L.) che "agli amministratori che, in ragione del loro mandato, si rechino fuori del capoluogo del comune ove ha sede il rispettivo ente, previa autorizzazione del capo dell’amministrazione, nel caso di componenti degli organi esecutivi, ovvero del presidente del consiglio, nel caso di consiglieri, è dovuto esclusivamente il rimborso delle spese di viaggio effettivamente sostenute nella misura fissata con decreto del Ministro dell’interno e del Ministro dell’economia e delle finanze, d’intesa con la Conferenza Stato-città ed autonomie locali".
Prosegue il II comma affermando che "la liquidazione del rimborso delle spese è effettuata dal dirigente competente, su richiesta dell’interessato, corredata della documentazione delle spese di viaggio e soggiorno effettivamente sostenute e di una dichiarazione sulla durata e sulle finalità della missione"
(massima tratta da www.regione.piemonte.it - TAR Veneto, Sez. I, sentenza 30.05.2011 n. 915 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAPer potersi avvalere del recupero edilizio e funzionale di cui alla "legge casa lombarda" è necessario dimostrare la ricorrenza di due presupposti, posti in ordine di successione logica e rappresentati da: 1) l’esistenza di un edificio o porzione di edificio ultimati alla data del 31.03.2005; 2) l’esistenza di volumetrie e superfici edilizie utilizzabili.
Che l’accertamento dell’esistenza del primo presupposto debba precedere quella del secondo è di tutta evidenza, non soltanto valorizzando l’ordine seguito dallo stesso legislatore, ma anche sulla base di un’interpretazione logico-sistematica della norma, poiché il concetto stesso di recupero postula il riferimento ad un quid oggettivamente esistente e definito nella sua individualità.

L’odierno giudizio, come evidenziato dalla stessa difesa esponente, verte sulla corretta interpretazione dell’art. 2, comma 1, lett. a) della legge regionale 16.07.2009 n. 13, recante “Azioni straordinarie per lo sviluppo e la qualificazione del patrimonio edilizio e urbanistico della Lombardia”.
Ebbene, detta norma prevede, nella parte che qui interessa, che:
<<È consentito il recupero edilizio e funzionale di edifici o porzioni di edifici ultimati alla data del 31.03.2005 e non ubicati in zone destinate dagli strumenti urbanistici vigenti all’agricoltura o ad attività produttive, anche in deroga alle previsioni quantitative degli strumenti urbanistici comunali vigenti o adottati e ai regolamenti edilizi, comportante:
a) la utilizzazione delle volumetrie e delle superfici edilizie per destinazioni residenziali ovvero per altre funzioni ammesse dagli strumenti urbanistici;…
>>.
Da una piana interpretazione del succitato testo si ricava che, per potersi avvalere del recupero edilizio e funzionale in esame, è necessario dimostrare la ricorrenza di due presupposti, posti in ordine di successione logica e rappresentati da:
1) l’esistenza di un edificio o porzione di edificio ultimati alla data del 31.03.2005;
2) l’esistenza di volumetrie e superfici edilizie utilizzabili.
Che l’accertamento dell’esistenza del primo presupposto debba precedere quella del secondo è di tutta evidenza, non soltanto valorizzando l’ordine seguito dallo stesso legislatore, ma anche sulla base di un’interpretazione logico-sistematica della norma, poiché il concetto stesso di recupero postula il riferimento ad un quid oggettivamente esistente e definito nella sua individualità (cfr. la giurisprudenza che si è sviluppata a proposito degli interventi di recupero del patrimonio edilizio degradato, disciplinati per la prima volta dalla legge 05.08.1978 n. 457, ove è stata sottolineata la necessità della previa individuazione degli immobili destinati agli interventi attraverso il “piano di recupero”, pena la illegittimità di quest’ultimo, ove, ad es. “…riguardi un’area quasi completamente inedificata e non immobili degradati”: così, Consiglio di Stato IV, 19.04.2000, n. 2336).
Altrettanto evidente è, poi, la circostanza che il legislatore abbia voluto indicare il parametro di riferimento degli interventi de quibus avendo riguardo ad una duplice fattispecie, a seconda che il recupero abbia ad oggetto l’edificio o una sua porzione.
Tale specificazione deve essere adeguatamente valorizzata, nel senso che, laddove la domanda di recupero abbia ad oggetto l’intero edificio, la ultimazione entro la data del 31.03.2005 andrà ad esso riferita, mentre qualora, come nel caso in esame, la domanda di recupero concerna una “porzione di edificio”, l’ultimazione alla predetta data non potrà che riferirsi alla ridetta porzione (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 18.05.2011 n. 1276 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Accesso ai documenti amministrativi - Documenti relativi a procedimenti di controllo o ispettivi - Diritto di accesso - Sussiste - Anche rispetto ad esposti e denunce che abbiano determinato l'attivazione del procedimento.
In presenza di un interesse qualificato da parte di un soggetto, che subisce un procedimento di controllo o ispettivo, deve essere riconosciuto il diritto dello stesso a conoscere integralmente tutti i documenti utilizzati dall'Amministrazione nell'esercizio del potere di vigilanza, compresi gli esposti e le denunce che abbiano determinato l'attivazione del procedimento medesimo (Fattispecie relativa ad una domanda di accesso agli atti di un procedimento ispettivo della Guardia di finanza, attivato nei confronti dell'istante sulla base di esposti e segnalazioni) (Cfr. Cons. Stato Sez. V, 19.05.2009, n. 3081) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 26.04.2011 n. 1051 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Ricorso incidentale preordinato all'esclusione del ricorrente principale - Declaratoria di inammissibilità e di improcedibilità del ricorso principale - Art. 276 c.p.c. - Il collegio decide gradatamente le questioni pregiudiziali.
Il ricorso incidentale in quanto preordinato all'esclusione della ricorrente principale e quindi alla declaratoria di inammissibilità (per difetto di legittimazione, secondo l'orientamento riaffermato da Cons. St., V, n. 5275/2007) ovvero (secondo una diversa prospettiva) di improcedibilità di quello principale, ha efficacia paralizzante e deve, quindi, per giurisprudenza prevalente, essere esaminato prioritariamente (v. Cons. St., V, n. 2380/2008; TAR Liguria, II, n. 1150/2008 e 1132/2008; TAR Lazio Latina, I, n. 499/2008). Sulla scorta dell'orientamento sin qui prevalente, infatti, non è possibile prescindere, nella soluzione dei problemi interpretativi prospettati, dalla disposizione del codice di procedura civile racchiusa nell'art. 276, comma 2, cui ora fa espresso rinvio l'art. 76, comma 4, del codice del processo amministrativo.
Tale regola -secondo cui "il collegio, sotto la direzione del presidente, decide gradatamente le questioni pregiudiziali proposte dalle parti o rilevabili d'ufficio e quindi il merito della causa"- rispondente ad una logica di "diritto processuale comune" (cfr. altresì, quanto al processo penale, l'art. 527 c.p.p.), determina quindi l'esame prioritario del ricorso incidentale ad efficacia cosiddetta paralizzante in quanto volta a negare, ove il ricorso venga accolto, la sussistenza delle condizioni dell'azione concernenti la legittimazione ad agire (o l'interesse al ricorso) della ricorrente principale (v. Cons. St., VI, n. 810/2010; vedi anche Tar Lombardia, Milano, sez. I, 13.04.2011, n. 959) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 19.04.2011 n. 999 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Ricorso avverso clausole del bando escludenti - Anche in mancanza di domanda di partecipazione del ricorrente - Ammissibilità del ricorso.
L'indirizzo giurisprudenziale favorevole a ritenere ammissibile il ricorso avverso clausole immediatamente escludenti anche in assenza della presentazione di una domanda di partecipazione alla gara, peraltro tuttora contraddetto da un più formale orientamento, appare destinato a consolidarsi alla luce delle recenti innovazioni in materia di tutela giurisdizionale negli appalti a seguito della recezione nell'ordinamento nazionale della direttiva comunitaria 2007/66/CE dell'11.12.2007 avvenuta con D.Lgs. n. 53/2010, dai cui iniziali "considerando" traspare la finalità di anticipare la tutela ad una fase della procedura di affidamento in cui non se ne sono ancora consolidati gli effetti (obblighi di comunicazione, informativa di proporre il ricorso, termine di stand-still) e dunque anche all'impugnazione del bando (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 18.04.2011 n. 993 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: 1. Ricorso incidentale preordinato all'esclusione del ricorrente principale - Ordine di esame del ricorso principale e di quello incidentale - Necessità di tenere in considerazione l'interesse strumentale delle parti alla ripetizione della gara.
2. Dichiarazione ex art. 47 DPR 445/2000 dei soggetti cessati dalla carica - Ammissibiltà della dichiarazione sostitutiva del legale rappresentante.
3. Indicazione di sub-criteri da parte della commissione giudicatrice prima dell'apertura delle buste - Orientamento superato - Necessità di indicazione dei sub criteri nel bando.

1. Il ricorso incidentale in quanto preordinato all'esclusione dell'Ati ricorrente principale e quindi alla declaratoria di inammissibilità (per difetto di legittimazione, secondo l'orientamento riaffermato da Cons. St., V, n. 5275/2007) ovvero (secondo una diversa prospettiva) di improcedibilità di quello principale, ha efficacia paralizzante e deve quindi, per giurisprudenza prevalente, essere esaminato prioritariamente (v. Cons. St., V, n. 2380/2008; TAR Liguria, II, n. 1150/2008 e 1132/2008; TAR Lazio Latina, I, n. 499/2008).
Il Collegio non ignora peraltro come, in termini generali, la tematica del rapporto tra il ricorso incidentale e quello principale -e dell'ordine da seguire nella loro trattazione- registri orientamenti differenti e sia di recente oggetto di un ripensamento ad opera di parte della giurisprudenza del Consiglio di Stato: ne sono un esempio Cons. St., V, n. 5811/2007 e A.P. n. 2155/2010, favorevoli ad adottare, invece, il criterio logico-cronologico; Cons. St., V, n. 2669/2008, che ha rimesso all'Adunanza Plenaria la questione se il ricorso principale debba essere esaminato dopo quello incidentale paralizzante anche nell'ipotesi in cui le imprese ammesse alla gara siano solamente due, ed, infine, Ad. plenaria n. 11/2008, che ha risolto tale questione affermando, in presenza di soli due partecipanti alla gara, che il giudice "qualunque sia il primo ricorso che esamini e ritenga fondato (principale o incidentale), deve tenere conto dell'interesse strumentale di ciascuna impresa alla ripetizione della gara e deve esaminare anche l'altro, quando la fondatezza di entrambi comporta l'annullamento di tutti gli atti di ammissione alla gara e, per l'illegittimità derivata, anche dell'aggiudicazione, col conseguente obbligo dell'amministrazione di indirne una ulteriore".
2. Sulla possibilità che il dichiarante (il legale rappresentante) renda dichiarazioni sostitutive relative anche ad altri soggetti (quelli cessati dalla carica), a norma dell'art. 47, comma 2, del d.p.r. 445/2000, è sufficiente sul punto richiamare il precedente del tutto conforme di questa Sezione (TAR Lombardia, sez. I, n. 5200/2009, in precedenza v. TAR Sicilia, Catania, sez. I, n. 1772/2008; v. altresì, di recente, AVCP, Determinazione n. 1 del 12.01.2010), nel senso dell'ammissibilità, in linea generale, di tale modalità di adempimento all'onere di rendere le dichiarazioni sostitutive.
Quanto alla formula da utilizzare per rendere la dichiarazione relativamente a soggetti terzi, deve osservarsi che l'art. 47 citato non tipizza l'uso di alcuna formula particolare e che, nel caso in esame, la formula impiegata è stata sufficientemente puntuale, anche tenuto conto dell'espresso richiamo alle conseguenze penali di eventuali falsità.
3. Seppure in passato sia stata ritenuta la possibilità di interventi integrativi ad opera delle commissioni giudicatrici sui criteri di valutazione indicati dal bando di gara, attraverso la previsione di sotto voci o sub-criteri, purché ciò fosse avvenuto prima dell'apertura delle buste contenenti le offerte (cfr., ad esempio, Cons. St., sez. V, n. 1791/2005), tale orientamento deve intendersi superato alla luce del chiaro disposto dell'art. 83, comma 4, del D.lgs. 163/2006 che, nel quadro di una progressiva limitazione della discrezionalità della commissione nella specificazione dei criteri, impone ora che "il bando per ciascun criterio di valutazione prescelto preveda, ove necessario, i sub-criteri e i sub-pesi o i sub-punteggi" (v., per un'ampia e persuasiva disamina della questione, TAR Lazio, sez. II, n. 8328/2008).
Di questo indirizzo, volto a restringere il potere discrezionale della Commissione, costituisce un successivo sviluppo la successiva abrogazione (per effetto del D.lgs. 152/2008) del terzo periodo dell'art. 83, comma 4, che affidava alla commissione la definizione dei criteri motivazionali (v. TAR Abruzzo, sez. I, n. 532/2010); con la precisazione ulteriore che, anche in precedenza, gli stessi criteri comunque non potevano essere più formulati una volta che fossero state aperte le buste contenenti le offerte dei concorrenti, come è avvenuto nel caso di specie [...].
Si deve ancora sottolineare come l'obbligo di predeterminare a monte, nella legge di gara, i criteri e le modalità applicati per individuare l'offerta economicamente più vantaggiosa sia preordinato al rispetto del principio della parità di trattamento e valga ad assicurare la trasparenza necessaria al fine di consentire a qualsiasi offerente di essere preventivamente informato e, quindi, di determinarsi di conseguenza, calibrando la propria offerta in ragione dei punteggi massimi previsti (cfr. 46° considerando alla direttiva 18/2004/CE; TAR Lombardia, Milano, sez. I, n. 183/2009, nonché ancora di recente Cons. St., sez. V. n. 5844/2010) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 13.04.2011 n. 959 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: D.lgs. 490/1999 - Vendita di immobile sottoposto a vincolo - Prelazione da parte della P.A. - Denunciatio della vendita - Procedimento ad iniziativa del privato - Comunicazione di avvio del procedimento non necessaria.
La comunicazione di avvio del procedimento "non è dovuta per i procedimenti avviati ad istanza di parte e, in particolare, per quelli disciplinati da alcune disposizioni del D.lgs. n. 490/1999, ivi compreso l'art. 59, che prevede il diritto di prelazione"; e ciò sul rilievo che "nel procedimento di prelazione legale ai sensi dell'art. 61 del D.lgs. n. 490/1999, l'iniziativa procedimentale compete ai privati interessati, che la esercitano con la "denunciatio" alla Soprintendenza; dal che consegue che l'obbligo di comunicare l'avvio del procedimento, di cui all'art. 7 della l. n. 241/1990, è da ritenersi escluso come nei procedimenti avviati a istanza di parte" (Cons. Stato, sez. VI, 08.05.2006, n. 2503; Sez. VI, 04.04.2008, n. 1430).
La natura discrezionale delle determinazioni di competenza dell'Amministrazione in ordine all'esercizio del diritto di prelazione esclude, inoltre, ogni possibile lesione ai diritti partecipativi, essendo pacifico in giurisprudenza che la stessa opera "come portatrice d'interessi collettivi, per la cui tutela può decidere di acquisire i beni all'esito di una valutazione altamente discrezionale, a fronte della quale le parti private si trovano in posizione di soggezione" (Cass. civ. Sez. Un., 03.05.2010, n. 10619) (Nella fattispecie in esame, il ricorrente, proprietario di un immobile assoggettato a vincolo, ha contestato la legittimità dei provvedimenti con i quali il Ministero, ai sensi del D.Lgs. n. 490/1999, ha esercitato, sullo stesso il diritto di prelazione a favore del Comune) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 08.04.2011 n. 935 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Art. 46 D.lgs. 163/2006 - Integrazione documentale - Ammessa solamente per documenti già prodotti.
Come è stato di recente chiarito, ai sensi dell'art. 46 del D.lgs. n. 163/2006, i criteri esposti ai fini dell'integrazione documentale non possono servire a sopperire alla mancanza di un documento, ma consentono chiarimenti e integrazioni di un documento prodotto (cfr. Cons. Stato, sez. V, 02.08.2010, n. 5084).
Nel caso di specie (presentazione di una cauzione provvisoria di € 2.950,00 anziché di € 2.980,00) non si è trattato di un documento mancante o irregolarmente prodotto bensì di mero errore di calcolo, peraltro di importo irrisorio, rientrante, a giudizio del Collegio, tra le irregolarità suscettibili di integrazione (cfr. TAR Lombardia, Milano, Sez. I, 26.10.2010, n. 7069).
In definitiva, la stazione appaltante ben avrebbe potuto e dovuto azionare il cosiddetto potere di soccorso anziché adottare il provvedimento di esclusione (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 08.04.2011 n. 934 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Posa di condotta nel sottosuolo - Autorizzazione - Suolo privato di terzi - Consenso - Onere del ricorrente.
L'insistenza di parte della condotta in sottosuolo privato non esime l'Amministrazione dall'autorizzare, in presenza delle condizioni di legge, l'esecuzione dell'opera, dovendo poi essere cura di chi vi abbia interesse richiedere il necessario consenso ai proprietari privati per la costituzione della relativa servitù (fattispecie relativa al diniego di posa di una condotta per l'azoto) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 08.04.2011 n. 933 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZI: Concessione di servizi correlata all'uso di un bene pubblico - Applicazione integrale del Codice dei Contratti - Esclusa - Art. 30 D.lgs. 163/06 - Principi generali comunitari sui contratti pubblici - Applicazione.
Qualora la procedura abbia ad oggetto una concessione di servizi, cui è correlato l'uso di un bene pubblico, non si applica la disciplina racchiusa nel Codice dei contratti ma, a norma dell'art. 30 dello stesso D.lgs. 163/2006, i principi desumibili dal Trattato UE ed i principi generali relativi ai contratti pubblici (trasparenza, pubblicità, non discriminazione, parità di trattamento, mutuo riconoscimento, proporzionalità).
La gara in esame (servizio bar all'interno di una scuola), anche a motivo della incidenza economica contenuta, si caratterizza quindi per una maggiore speditezza e semplificazione procedimentale ed è sulla base di tali premesse che debbono essere definiti i motivi dedotti dalla ricorrente (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 25.03.2011 n. 810 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Contratti della p.a. - Appalto - Informativa antimafia - Ampiezza dei poteri di accertamento della p.a. - Sussiste - Conseguenze - E' sufficiente un giudizio prognostico della p.a. sull'eventuale presenza di infiltrazioni criminali.
L'ampiezza dei poteri di accertamento della p.a. circa i tentativi di infiltrazione mafiosa o della criminalità organizzata, in considerazione della finalità preventiva del provvedimento, giustifica che il Prefetto possa ravvisare l'emergenza di tentativi di infiltrazione mafiosa in fatti che seppure privi in sé dell'assoluta certezza (quali, ad esempio, una condanna penale riportata, collegamenti parentali con soggetti malavitosi et alia), siano comunque, nella loro valutazione complessiva, tali da fondare un giudizio prognostico che l'attività d'impresa possa, anche in modo indiretto, agevolare le attività criminali o esserne in qualche modo condizionata per la presenza, nei centri decisionali, di soggetti legati ad organizzazioni mafiose (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 09.03.2011 n. 677 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIContratti della p.a. - Contratti sotto soglia - Procedura di aggiudicazione - Pubblicazione del bando da parte del Comune - A mezzo internet - Legittimità - Sussiste.
In relazione alle procedure di aggiudicazione dei contratti "sotto soglia", da individuarsi alla stregua dei criteri stabiliti dall'art. 3, comma 17, D.Lgs. 163/2006, l'utilizzo di internet costituisce uno strumento idoneo a portare il bando a conoscenza di una platea di destinatari potenzialmente estesa, che va ben al di là dell'ambito regionale, sicché risulta garantito l'obiettivo della conoscibilità del bando medesimo (Impugnazione promossa dall'Ordine regionale dei geologi lombardi con riferimento ad una procedura di affidamento di un incarico professionale disposta da un Comune, relativamente ad uno studio geologico a supporto del piano di governo del territorio) (Conf. v. Cons. Stato, sez. V, 03.01.2002, n. 10) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 09.03.2011 n. 663 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Giustizia amministrativa - Competenza per territorio - In materia di appalti da eseguirsi nel territorio di una Regione - Competenza TAR locale - Sussiste - Anche in caso di impugnazione di bandi nazionali.
Il TAR locale è competente a giudicare sulle controversie aventi ad oggetto atti di una procedura di evidenza pubblica relativa ad appalti o affidamenti che devono eseguirsi nel territorio di una Regione, risultando indifferente che vengano impugnati bandi nazionali o altri atti generali interni alla procedura, ancorché emessi da organi centrali dello Stato, ovvero che la gara si sia svolta a Roma (cfr. ex plurimis Cons. Stato, sez. VI, 23.03.2010, n. 1690; Cons. Stato, sez. IV, 12.06.2007, n. 3102; Cons. Stato, sez. VI, 09.06.2005, n. 3045) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 09.03.2011 n. 662 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Contratti della p.a. - Appalto - Gara - Aggiudicazione - Impugnazione - Termine - Decorre dalla comunicazione di cui all'art. 79, comma 5, Codice dei contratti pubblici per i concorrenti - Decorre dalla pubblicazione dell'Albo pretorio per coloro che non abbiano partecipato alla gara.
La comunicazione prevista dall'art. 79, comma 5, del Codice dei contratti pubblici costituisce condizione imprescindibile perché il concorrente consegua la piena conoscenza di un elemento essenziale del provvedimento lesivo e, cioè, l'identità del soggetto aggiudicatario, cosicché il termine per l'impugnazione dell'aggiudicazione di una gara da parte di chi ad essa ha partecipato decorre non già dalla pubblicazione della delibera di aggiudicazione definitiva all'Albo pretorio, bensì dalla data di piena conoscenza della delibera stessa conseguibile soltanto a mezzo della richiamata comunicazione.
Viceversa, la mera pubblicazione della delibera all'Albo pretorio costituisce forma di conoscenza legale soltanto per chi, non avendo partecipato alla procedura selettiva, non è direttamente contemplato nell'atto in questione e non è, quindi, destinatario della comunicazione prevista dall'art. 79 comma 5, del Codice dei contratti (conf. v. TAR Lazio Roma, sez. II, 02.12.2010, n. 35031) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 09.03.2011 n. 661 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: 1. Contratti della p.a. - Appalto - Gara - Verifica di anomalia dell'offerta - Modalità - Obbligo di verificare l'inesattezza delle singole voci - Non sussiste - Valutazione complessiva dell'offerta - Legittima.
2. Contratti della p.a. - Appalto - Gara - Offerte - Mancato rispetto dei limiti tabellari ovvero dei valori indicati dalla contrattazione collettiva - Non determina l'automatica esclusione dalla gara - Ammissibilità delle giustificazioni relative al costo del personale da parte dell'aggiudicataria - Sussiste.

1. Il giudizio di verifica della congruità di un'offerta anomala ha natura globale e sintetica sulla serietà o meno dell'offerta nel suo insieme, e non ha per oggetto la ricerca di specifiche e singole inesattezze dell'offerta economica, mirando invece ad accertare se l'offerta nel suo complesso sia attendibile e, dunque, se dia o meno serio affidamento circa la corretta esecuzione dell'appalto.
2. Il mancato rispetto dei minimi tabellari, o, in mancanza, dei valori indicati dalla contrattazione collettiva in tema di costo del lavoro da parte di un'impresa concorrente non ne determina l'automatica esclusione dalla gara, ma costituisce un importante indice di anomalia dell'offerta che dovrà essere poi verificata attraverso un giudizio complessivo di remuneratività consentendo, quindi, all'impresa interessata di fornire le proprie giustificazioni in merito.
Deve, di conseguenza, ritenersi legittimo il comportamento tenuto da una Commissione di gara che abbia ammesso le giustificazioni relative al costo del personale presentate dall'aggiudicataria senza procedere all'esclusione automatica della stessa, anche in ossequio ai principi di diritto comunitario in materia di libera concorrenza (conf. v., ex multis, Cons. Stato, Sez. VI, 22.07.2010, n. 4783) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 09.03.2011 n. 660 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: 1. Annullamento d'ufficio - Presupposti - Individuazione.
2. Annullamento - In via di autotutela - Motivazione - Ponderazione tra l'interesse pubblico e interessi privati sacrificati - Necessità - Sussiste - Soprattutto in presenza di situazioni giuridiche soggettive consolidate.

1. Presupposti dell'esercizio del potere di annullamento d'ufficio con efficacia ex tunc sono: l'illegittimità originaria del provvedimento, l'interesse pubblico concreto ed attuale alla sua rimozione, diverso dal mero ripristino della legalità e l'assenza di posizioni consolidate in capo ai destinatari (conf. v. Cons. Stato, sez. IV, 27.11.2010, n. 8291).
2. La motivazione di un atto di autotutela deve far emergere la comparazione tra l'interesse pubblico all'adozione dell'atto di annullamento e gli interessi privati sacrificati, e deve essere tanto più approfondita e stringente quanto più questi ultimi si siano consolidati per effetto del tempo trascorso (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 24.02.2011 n. 545 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: 1. Contratti della p.a. - Gara - Dichiarazioni ex art. 38, Codice dei contratti pubblici - Obbligo - Procuratori ad negotia - Sussiste - Ratio.
2. Contratti della p.a. - Gara - Requisiti di partecipazione - Moralità dell'imprenditore - Soggetti interessati - Individuazione - Titolari del potere di scelta all'interno dell'impresa - Ragioni.

1. L'obbligo di presentazione della dichiarazione prevista dall'art. 38 del Codice dei contratti pubblici, nella formulazione precedente l'entrata in vigore del D.L. 13.05.2011, n. 70, deve ritenersi sussistente anche in capo ad un soggetto che non rivesta formalmente la carica di amministratore soltanto se, in qualità di procuratore ad negotia, abbia ottenuto il conferimento di poteri di rappresentanza dell'impresa e di compiere atti decisionali consistenti, in particolare, nella possibilità di partecipare alle gare e di firmare contratti (conf. v. Cons. Stato, sez. V, 09.03.2010, n. 1373).
2. L'interesse perseguito dal legislatore con l'art. 38, D.Lgs. 12.04.2006, n. 163 -che richiede il possesso di determinati requisiti c.d. di moralità nei confronti dell'imprenditore e degli amministratori con poteri di rappresentanza- è quello di verificare la condotta di coloro che determinano le scelte all'interno dell'impresa e non di coloro che manifestano all'esterno tali scelte, pur se dotati di poteri gestionali, ove gli stessi siano circoscritti nell'ambito degli indirizzi impartiti dall'imprenditore (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 24.02.2011 n. 544 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Contratti della p.a. - Valutazione dell'offerta economica - Formula di valutazione - Discrezionalità - Sussiste - Condizioni - Proporzionalità fra punteggi assegnati e singole offerte - Necessaria.
La formula da utilizzare per la valutazione dell'offerta economica, essendo espressione di una scelta ampiamente discrezionale dell'Amministrazione, deve ritenersi corretta ove sia tale da consentire una ripartizione dei punteggi, fra le singole offerte economiche, che risulti connotata da non incongrui rapporti proporzionali (conf. v. TAR Lombardia Milano, sez. I, 10.08.2009, n. 4572) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 22.02.2011 n. 524 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Sindacato giurisdizionale - In presenza di discrezionalità tecnica - Ammissibilità - Limiti - Esistenza di errori obiettivi , vizi procedimentali, vizi logici manifestamene percepibili.
Laddove vi sia esercizio di discrezionalità tecnica, il sindacato giurisdizionale è ammissibile nei limiti in cui la critica del ricorrente sia volta a lamentare errori obiettivi (di fatto, di calcolo o nell'uso di regole mutuate da scienze esatte o da procedimenti tecnici), vizi procedimentali, o anche vizi logici manifestamente percepibili e/o contrasti con regole mediante le quali la stessa Amministrazione si sia autovincolata (conf. v. TAR Lazio Roma, sez. II, 09.09.2009, n. 8437) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 22.02.2011 n. 521 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Contratti della p.a. - Criterio di aggiudicazione - Offerta economicamente più vantaggiosa - Motivazione - Espressa mediante punteggio numerico - Ammissibile - Condizioni - Criteri di giudizio stabiliti in modo analitico.
In caso di aggiudicazione con il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa, il punteggio numerico può essere ritenuto una sufficiente motivazione quando i criteri di giudizio stabiliti siano estremamente puntuali ed analitici, sicché anche il solo dato numerico -predeterminato nel minimo e nel massimo- è idoneo a dimostrare la logicità dell'apprezzamento tecnico (conf. v. Cons. Stato, sez. V, 29.12.2009, n. 8833; TAR Lombardia Brescia, sez. II, 19.11.2010, n. 4660; TAR Sicilia-Catania, sez. III, 16.11.2010, n. 4469; TAR Campania Salerno, sez. I, 11.05.2010, n. 5929) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 22.02.2011 n. 521 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: 1. Contratti della p.a. - Appalto - Offerte - Verifica di anomalia - Obbligo di motivare in maniera approfondita - Sussistenza - Soltanto nel caso di giudizio negativo idoneo a far venire meno l'aggiudicazione.
2. Contratti della p.a. - Bando di gara - Clausole immediatamente preclusive della partecipazione alla gara - Impugnazione immediata - Necessità - Sussiste.
3. Contratti della p.a. - Appalto - Verifica dell'integrità dei plichi - Deve svolgersi in seduta pubblica - Principio generale - Violazione - Sussiste in caso di apertura riservata dei plichi - Effetti - Illegittimità della procedura di gara.

1. Il giudizio positivo di congruità dell'offerta sospetta di anomalia non abbisogna di motivazione puntuale ed analitica, essendo sufficiente anche un rinvio alle argomentazioni e alle giustificazioni della parte che ha formulato l'offerta sottoposta a verifica con esito positivo, mentre si impone una motivazione particolarmente diffusa ed analitica soltanto in caso di giudizio di anomalia che porta a non procedere all'aggiudicazione a favore dell'impresa che abbia formulato il migliore ribasso (conf. v. TAR Piemonte, sez. I, 16.11.2009, n. 2553).
2. Soltanto le clausole dei bandi di concorso che prevedono requisiti soggettivi che siano immediatamente preclusivi della partecipazione alla gara debbono essere impugnate nel prescritto termine di decadenza dai soggetti interessati, senza attendere l'adozione di appositi provvedimenti, che ne diano successivamente applicazione (conf. v. Cons. Stato, sez. VI, 08.07.2010, n. 4437).
3. Costituisce principio inderogabile in qualunque tipo di gara quello secondo il quale devono svolgersi in seduta pubblica gli adempimenti concernenti la verifica dell'integrità dei plichi contenenti l'offerta, sia che si tratti di documentazione amministrativa, che di documentazione riguardante l'offerta tecnica ovvero quella economica: risulta conseguentemente illegittima l'apertura riservata dei plichi, con conseguente illegittimità dell'intera procedura di gara (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 22.02.2011 n. 520 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Acquiescenza - Fattispecie - Ipotesi in cui risulta ravvisabile.
Ricorre acquiescenza a un provvedimento amministrativo soltanto nel caso in cui il destinatario del provvedimento medesimo dimostri la chiara e incondizionata volontà, cioè non rimessa a eventi futuri e incerti, di accettarne gli effetti e l'operatività (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 22.02.2011 n. 519 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Procedimento amministrativo - Partecipazione - Ordinanza comunale di limitazione del traffico - Natura - Atto amministrativo generale - Conseguenze - Obbligo di comunicazione di avvio del procedimento - Non sussiste.
I destinatari diretti di una misura di limitazione del traffico in ambito comunale sono tutti coloro che, cittadini o meno, possano far uso della viabilità così regolamentata.
Ne consegue che la misura in parola si configura come un atto amministrativo generale sottratto -in base al disposto dell'art. 13, comma 1, L. 241/1990- alla regola generale di comunicazione di avviso di avvio del procedimento (conf. v. Cons. Stato, sez. V, 29.06.2006, n. 3259) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 21.02.2011 n. 517 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ENTI LOCALI: Dismissione beni pubblici - Impugnazione atti relativi alla gara - Giurisdizione amministrativa - Sussiste.
In tema di dismissione di beni pubblici, spetta al Giudice amministrativo, alla luce del criterio di riparto della giurisdizione basato sul petitum sostanziale, la giurisdizione in ordine all'impugnazione degli atti di indizione dell'asta e aggiudicazione a terzi di un bene immobile pubblico.
Come chiarito dalla giurisprudenza di legittimità, infatti, in sede di contestazione dell'illegittimità della procedura, quale espressione di attività pubblicistica provvedimentale, la posizione del privato riveste carattere di interesse legittimo e non invece di diritto soggettivo (come avviene, ad esempio, laddove si faccia valere il mancato rispetto del diritto di opzione spettante ai locatari) con la conseguenza che le relative controversie sono devolute al Giudice amministrativo (Cfr. Cass. Civ., SS.UU., 05.03.2010, n. 5288) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 21.02.2011 n. 515 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Contratti della p.a. - Gara - Aggiudicazione - Metodo dell'offerta economicamente più vantaggiosa - Criteri di individuazione - Attribuzione di punteggi alle singole componenti dell'offerta - Potere discrezionale della p.a. - Sussiste.
L'attribuzione dei punteggi alle singole componenti dell'offerta -in una procedura ad evidenza pubblica da aggiudicarsi secondo il metodo dell'offerta economicamente più vantaggiosa- è rimessa al potere discrezionale della pubblica amministrazione, cui compete stabilire in qual modo la qualità del servizio debba rapportarsi con il suo costo, e risulta sottratta al sindacato di legittimità del Giudice amministrativo, tranne che per vizi meramente estrinseci (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 21.02.2011 n. 514 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Contratti della p.a. - Forme di contrattazione - Procedura negoziata - Bando - Possibilità di offerte migliorative plurime - Fase di rilancio - Contrattazione con tutte le imprese concorrenti - Legittima.
Nell'ambito di una procedura negoziata per l'affidamento di un servizio, qualora il bando abbia previsto la possibilità di offerte migliorative plurime, la stazione appaltante può attendere di conoscere il contenuto delle offerte per poi valutare se l'esito risponda o meno alle proprie aspettative e, nella eventuale fase di rilancio, può legittimamente negoziare con tutte le imprese concorrenti (e non soltanto con l'impresa che abbia offerto il massimo ribasso al termine della prima fase) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 21.02.2011 n. 513 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIMancato assolvimento dell'obbligo di comunicazione dell'aggiudicazione definitiva ai concorrenti non vincitori - Non determina l'invalidità dell'aggiudicazione ma rileva ai fini della decorrenza dei termini per l'impugnazione.
L'inosservanza da parte della stazione appaltante dell'obbligo di comunicazione dell'aggiudicazione definitiva ai concorrenti non vincitori della procedura selettiva non costituisce causa sopravvenuta di invalidità dell'aggiudicazione, incidendo esclusivamente sul distinto profilo della tutela degli interessati e rilevando ai fini della decorrenza dei termini per proporre ricorso al Giudice amministrativo avverso l'aggiudicazione (30 giorni dall'avvenuta conoscenza) (Cfr. Cons. Stato, Sez. V 08.07.2010 n. 4434) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 21.02.2011 n. 512 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: 1. Contratti della p.a. - Art. 11, comma 8, D.Lgs. 12.04.2006, n. 163 - Verifica dei prescritti requisiti di qualificazione - Costituisce condizione di efficacia dell'aggiudicazione definitiva - Ratio.
2. Contratti della p.a. - Appalto - Gara - Commissione - Composizione - Art. 84, comma 2, D.Lgs. 12.04.2006, n. 163 - Esperienza dei componenti - Interpretazione - Va valutata in capo alla Commissione nel suo complesso.

1. La verifica del possesso in capo al concorrente dei "prescritti requisiti", prevista dall'art. 11, comma 8, del Codice dei contratti pubblici, si pone come condizione di efficacia dell'aggiudicazione definitiva, a specifica salvaguardia dell'interesse pubblico affinché, nei confronti di chi sarà il futuro contraente dell'Amministrazione, siano puntualmente accertati i necessari requisiti di partecipazione alla gara e quelli di stipulazione (conf. v. TAR Veneto, sez. I, 04.08.2010, n. 3447).
2. Il requisito generale della competenza tecnica nel settore nel quale si colloca la fornitura di beni ovvero la prestazione di servizi previsto dall'art. 84, comma 2, D.Lgs. 12.04.2006, n. 163, per i componenti della Commissione giudicatrice di una gara per l'affidamento di un appalto pubblico, deve essere inteso gradatamente e in modo coerente con la poliedricità delle competenze di volta in volta richieste in relazione alla complessiva prestazione da affidare; non è necessario, pertanto, che l'esperienza professionale di ciascun componente copra tutti i possibili ambiti oggetto di gara, in quanto è la Commissione, unitariamente considerata, che deve garantire quel grado di conoscenze tecniche richiesto nel caso specifico, in ossequio al principio di buon andamento della pubblica amministrazione (conf. v. TAR Lombardia, Milano, sez. I, 23.11.2010, n. 7320) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 11.02.2011 n. 452 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZI: Illuminazione votiva dei cimiteri comunali - Rientra nella categoria delle concessioni di pubblico servizio - Effetti - Applicabilità dell'art. 23-bis, comma 8, del D.L. 112/2008 - Sussiste - Conseguenze - In caso di precedente affidamento senza gara - Cessazione ope legis dell'affidamento medesimo alla data del 31.12.2010.
L'attività di illuminazione votiva cimiteriale, pur richiedendo la realizzazione di impianti e la loro manutenzione da parte dell'impresa affidataria, rientra nella categoria delle concessioni di pubblico servizio e, come tale, risulta soggetta alla disciplina di cui all'art. 113, comma 15-bis, D.Lgs. 18.08.2000, n. 267 e all'art. 23-bis, comma 8, del D.L. 25.06.2008, n. 112 secondo cui «le gestioni affidate che non rientrano nei casi di cui alle lettere da a) a d) cessano comunque entro e non oltre la data del 31.12.2010, senza necessità di apposita deliberazione dell'ente affidante». (Nella specie, il TAR ha ravvisato un'ipotesi di cessazione ope legis del servizio di illuminazione votiva nei confronti un'impresa affidataria senza gara del servizio medesimo, in quanto non rientrante nelle ipotesi contemplate alle lettere da a) a d) del D.L. 25.06.2008, n. 112) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 11.02.2011 n. 450 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: 1. Contratti della p.a. - Appalto - Gara - Documentazione - Irregolarità - Integrazione documentale - Legittima - In caso chiarimenti relativi ad un documento incompleto.
2. Contratti della p.a. - Bando - Clausole di esclusione - Interpretazione - Divieto di analogia - Sussiste.

1. Ai sensi dell'art. 46, D.Lgs. 12.04.2006, n. 163, alla stazione appaltante è precluso sopperire, mediante la richiesta d'integrazione documentale, all'omessa presentazione di un documento da parte di un concorrente, atteso che l'integrazione documentale riguarda semplici chiarimenti di un documento incompleto, mentre l'omessa allegazione di un documento o di una dichiarazione, previsti a pena di esclusione, non può considerarsi alla stregua di un'irregolarità sanabile (Nella specie, il TAR ha ritenuto legittimo l'operato della stazione appaltante che a fronte della produzione in gara, da parte dell'impresa risultata aggiudicataria, di una polizza fideiussoria completa in ogni sua parte e mancante della sola firma dell'assicurato, ne ha consentito la successiva regolarizzazione).
2. Le clausole di esclusione previste dalla lex specialis sono di stretta interpretazione, essendo preclusa ogni loro estensione analogica, specie quando involgano profili privi di effettiva sostanza (In applicazione di tale principio, il TAR ha ritenuto che la divergenza sul luogo di residenza dichiarato dall'amministratore dell'impresa aggiudicataria -e quella risultante dalla carta di identità- non comporti la sua esclusione ma possa, al limite, determinare una richiesta di integrazione ex art. 46, D.Lgs. 12.04.2006, n. 163) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 11.02.2011 n. 449 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZI: Concessione - Servizi pubblici - Normativa applicabile - Disciplina del Codice dei contratti pubblici - Applicazione integrale - Esclusa - Limiti - Divieto di disapplicazione del bando - Sussiste.
Sebbene la concessione di servizi risulti sottratta ex lege all'applicazione del Codice dei contratti pubblici, nondimeno l'art. 30, comma 3, D.Lgs. 12.04.2006, n. 163 stabilisce che la scelta del concessionario debba avvenire nel rispetto dei principi desumibili dal Trattato UE e dei principi generali relativi ai contratti pubblici, fra i quali rientra certamente anche quello, di ordine generale, che vieta la disapplicazione del bando quando l'Amministrazione si sia in origine autovincolata (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 11.02.2011 n. 448 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Associazione temporanea di imprese - Verifica dei requisiti di accesso alla gara - Requisiti di idoneità tecnica - Dimostrazione - Sommatoria dei mezzi e delle qualità delle singole imprese raggruppate - Possibile - Salvo diversa previsione del bando di gara.
Ove la legge di gara non preveda una soglia minima quantitativa per ciascuna impresa facente parte di un'ATI, il possesso dei requisiti oggettivi di idoneità tecnica può essere dimostrato facendo riferimento alla sommatoria dei mezzi e delle qualità delle singole imprese del raggruppamento (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 03.02.2011 n. 340 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

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UTILITA'

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI: La Manovra correttiva 2011 - DL n. 98 del 06.07.2011, convertito dalla Legge n. 111 del 15.07.2011 - Misure economico-finanziarie di interesse per il settore delle costruzioni (ANCE, 18.07.2011).

SICUREZZA LAVOROCome riconoscere e gestire i pericoli sul lavoro. Ecco le regole FONDAMENTALI.
Molti infortuni si verificano svolgendo le attività più semplici e banali, come camminare, salire o scendere le scale, trasportare carichi.
In questi casi si è soliti sottovalutare i rischi e pensare “a me non capiterà mai”.
Il SUVA ha pubblicato un opuscolo, di carattere generale (quindi adatto a diverse tipologie di rischio), che contiene una serie di regole fondamentali in materia di sicurezza sul lavoro.
Nel documento viene messa in risalto la necessità di prestare attenzione a tutta una serie di circostanze, vengono forniti pratici consigli su come utilizzare le scale, su come sollevare i carichi, su come comportarsi in caso di emergenza e tanto altro (28.07.2011 - link a www.acca.it).

QUESITI & PARERI

APPALTI:  Aggiudicazione provvisoria e successiva negazione in via di autotutela.
Domanda.
La stazione appaltante, dopo la provvisoria aggiudicazione di un appalto pubblico, può in via di autotutela negare liberamente l'aggiudicazione?
Risposta.
Poiché in materia di appalti pubblici, l'aggiudicazione provvisoria è inidonea a generare nella ditta provvisoriamente aggiudicataria una posizione consolidata di vantaggio, l'Amministrazione che intende esercitare il potere di autotutela rispetto all'aggiudicazione provvisoria ha l'onere di motivazione fortemente attenuato, circa le ragioni di interesse pubblico che lo hanno determinato, essendo sufficiente che sia reso palese il ragionamento seguito per giungere alla determinazione negativa attraverso l'indicazione degli elementi concreti ed obiettivi in base ai quali si ritiene di non procedere all'aggiudicazione (25.07.2011 - tratto da www.ipsoa.it).

ARAN & SINDACATI

PUBBLICO IMPIEGOIpotesi di contratto collettivo nazionale quadro di integrazione e modifica del CCNQ 09.10.2009 (ARAN, ipotesi 29.07.2011)

PUBBLICO IMPIEGOOggetto: Schema di decreto correttivo del Decreto legislativo 150/2009 (Decreto Brunetta) (CSA-Roma, nota 29.07.2011 n. 317 di prot.).

PUBBLICO IMPIEGOIl decreto correttivo della "riforma Brunetta" manda in soffitta le fasce di merito (CGIL-FP di Bergamo, nota 26.07.2011).

PUBBLICO IMPIEGOFirmata l'ipotesi di contratto decentrato integrativo al Comune di Albino (CGIL-FP di Bergamo, nota 22.07.2011).

PUBBLICO IMPIEGODecade l'obbligo della visita fiscale il primo giorno di malattia (CGIL-FP di Bergamo, nota 22.07.2011).

PUBBLICO IMPIEGOLa manovra e Brunetta fanno male al pubblico impiego (CGIL-FP di Bergamo, nota 20.07.2011).

GURI - GUUE - BURL (e anteprima)

ENTI LOCALI - VARI: G.U. 27.07.2011 n. 173 "Comunicato relativo alla legge 15.07.2011, n. 111, recante: «Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 06.07.2011, n. 98, recante disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria.» (Legge pubblicata nella Gazzetta Ufficiale – serie generale – n. 164 del 16.07.2011)" (errata-corrige).

PUBBLICO IMPIEGO: G.U. 27.07.2011 n. 173 "Attuazione dell’articolo 23 della legge 04.11.2010, n. 183, recante delega al Governo per il riordino della normativa in materia di congedi, aspettative e permessi" (D.Lgs. 18.07.2011 n. 119).

ENTI LOCALI: G.U. 26.07.2011 n. 172 "Disposizioni in materia di armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio delle Regioni, degli enti locali e dei loro organismi, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 05.05.2009, n. 42" (D.Lgs. 23.06.2011 n. 118).

ENTI LOCALI - VARI: G.U. 25.07.2011 n. 171 "Ripubblicazione del testo del decreto-legge 06.07.2011, n. 98 (in Gazzetta Ufficiale - Serie generale - n. 155 del 06.07.2011), convertito, con modificazioni, dalla legge 15.07.2011, n. 111, (in Gazzetta Ufficiale - Serie generale - n. 164 del 16.07.2011) , recante: «Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria.»" (parte 1^ - parte 2^ - parte 3^ - parte 4^).

APPALTI: G.U. 25.07.2011 n. 171 "Trasmissione dei dati dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture - settori ordinari e speciali - uniformazione delle soglie minime di importo" (AVCP, comunicato del Presidente del 15.07.2011).

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 30 del 25.07.2011, "Indirizzi per l’uso e la manomissione del sottosuolo" (decreto D.G. 19.07.2011 n. 6630).

AUTORITA' VIGILANZA CONTRATTI PUBBLICI

APPALTI: Manuale di dimostrazione dei requisiti ex articoli 78 e 79 del D.P.R. n. 207/2010 e delle procedure di verifica e valutazione da parte delle SOA.
In occasione dell’entrata in vigore del Regolamento di attuazione del Codice degli Appalti, l’Autorità ha predisposto un Manuale di dimostrazione dei requisiti ex articoli 78 e 79 del D.P.R. n. 207/2010 da parte degli operatori economici che intendono ottenere un attestato di qualificazione e delle procedure di verifica e valutazione da parte degli Organismi di Attestazione.
Il documento predisposto esamina -nel dettaglio- ognuno dei requisiti richiesti, individuando per ciascuno di essi le corrette modalità operative cui devono attenersi le imprese in sede di istanza di attestazione e le SOA in sede di verifica degli stessi.
La pubblicazione del documento avverrà in Gazzetta Ufficiale (28.07.2011 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: Comunicato alle SOA e alle Stazioni appaltanti su novità recate dalla legge n. 106 del 12.07.2011, di conversione, con modificazioni, del D.L. 13.05.2011 n. 70 in tema: a) di categorie di qualificazione soggette alla disciplina transitoria prevista dall’art. 357 del D.P.R. 207/2010; b) di tariffe minime per effetto dell’integrazione prevista all’art. 40, comma 4, lett. e), del decreto legislativo 12.04.2006, n. 163 (comunicato del Presidente del 22.07.2011 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: Regolamento di attuazione del Codice - Focus Regolamento: tabella di comparazione tra la nuova e la precedente normativa.
Pubblicato il Focus Regolamento (luglio 2011), si tratta di una tabella elaborata dall'Avcp per fornire agli operatori del settore un utile strumento di comparazione tra la normativa preesistente e il nuovo regolamento attuativo del codice dei contratti pubblici.
La tabella riporta la normativa regolamentare previgente (D.P.R. 21.12.1999, n. 554; D.P.R. 25.01.2000, n. 34; D.M. 19.04.2000, n. 145; ecc.) ed il D.P.R. 05.10.2010, n. 207. Il testo del regolamento è aggiornato alle modifiche apportate dal D.L. 13.05.2011, n. 70, così come convertito, con modificazioni, con L. 12.07.2011, n. 106 (link a www.autoritalavoripubblici.it).

DOTTRINA E CONTRIBUTI

AMBIENTE-ECOLOGIA: A. Pierobon, Il SISTRI come governance dei rifuti? Ortopedie, dermatologie, chirurgie, immunologie (link a www.lexambiente.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: L. Fanizzi, Acque meteoriche, acque meteoriche di dilavamento e di prima pioggia: approfondimento (link a www.lexambiente.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: G. Tapetto, Il Regolamento 333/2011/UE sulla cessazione di rifiuto e l'interazione con il regime autorizzativo nazionale (link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: M. Ceruti, Lo stato della normativa e del contenzioso amministrativo in materia di inquinamento elettromagnetico (link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: M. Bottone, La sanatoria paesaggistica permanente per qualsiasi abuso - Il Dubbio e la Speranza (27.07.2011).

EDILIZIA PRIVATA: M. Grisanti, La sanatoria paesaggistica permanente per qualsiasi abuso (analisi degli articoli 146 e 167 del D. Lgs. n. 42/2004 e ss.mm.ii.) (link a www.lexambiente.it).

APPALTI: T. Servetto e R. Maccia, Gara di appalto e cause di esclusione di cui all'art. 38, comma 1, lett. c), D.Lgs. 163/2006 (link a www.diritto.it).

APPALTI: L. Bellagamba, Le perle nella determinazione 07.07.2011, n. 4, dell’Autorità: «Linee guida sulla tracciabilità dei flussi finanziari ai sensi dell’articolo 3 della legge 13.08.2010, n. 136» (link a www.linobellagamba.it).

APPALTI: L. Bellagamba, L’aggiudicazione definitiva, la sua efficacia e la verifica della regolarità contributiva, dopo l’entrata in vigore del regolamento (link a www.linobellagamba.it).

PUBBLICO IMPIEGO: M. Cito, Abuso d'ufficio e dintorni (link a www.diritto.it).

PUBBLICO IMPIEGO: G. Bertagna e M. Catellani, I COMPENSI PER IL CENSIMENTO (tratto dalla newsletter di www.publika.it n. 43 - luglio/agosto 2011).

PUBBLICO IMPIEGO: S. Facello e M. Tiraboschi, Congedi, aspettative e permessi: al via il riordino della normativa (Guida al Lavoro n. 26/2011 - link a www.ilsole24ore.com).

CORTE DEI CONTI

CONSIGLIERI COMUNALIIl condono tributario «esteso» condanna i consiglieri comunali.
C'è responsabilità amministrativa per i consiglieri comunali che hanno votato un condono tributario illegittimo.

È questo il principio fissato dalla sentenza 01.06.2011 n. 976 della Corte dei conti della Campania.
Con la pronuncia sono stati condannati i consiglieri del Comune di Benevento che hanno esteso il condono dei tributi locali contenuto nell'articolo 13 della legge 289/2002, la finanziaria 2003, al di là dei limiti fissati dal legislatore. Condannata anche la società incaricata della riscossione dei tributi.
Il danno è stato provocato dalla deliberazione con cui il Comune ha esteso l'ambito di applicazione del condono tributario al canone per la depurazione, nonostante si sia in questo caso in presenza di un corrispettivo e non di un tributo proprio, mentre il legislatore riservava espressamente il condono ai soli tributi.
La responsabilità matura perché «l'esimente da responsabilità amministrativa prevista per gli organi politici che abbiano approvato o fatto eseguire in buona fede atti ricompresi nelle competenze di uffici tecnici o amministrativi, non può trovare applicazione nei casi in cui l'organo politico abbia esercitato una propria attribuzione di amministrazione attiva, in una materia che la legge riserva all'organo stesso e nella quale gli uffici tecnici o amministrativi abbiano espletato funzioni istruttorie ovvero consultive e comunque di mero supporto strumentale».
I giudici contabili aggiungono che «la buona fede dell'organo politico è ravvisabile allorché esso abbia espresso la sua volontà ignorando di arrecare un pregiudizio patrimoniale all'erario, quando siano assenti elementi di segno opposto, ma non anche allorché abbia violato suoi doveri specifici, com'è invece avvenuto nel caso di specie. Va, al contrario, configurata una responsabilità del Consiglio comunale come organo collegiale per aver svolto in modo pesantemente negligente un adempimento che rientrava nelle sue specifiche incombenze e vanno nel contempo individuati (come in realtà è stato fatto) all'interno del medesimo organo, i singoli soggetti che, col loro voto espresso, hanno contribuito a dar vita ad una deliberazione censurabile sotto il profilo dell'illiceità».
Il danno viene quantificato nella differenza tra ciò che si sarebbe dovuto riscuotere e ciò che effettivamente è stato riscosso. Inoltre, sono stati sommati gli effetti negativi che determinati dal condono per il mancato introito Iva da parte dello Stato sul corrispettivo (articolo Il Sole 24 Ore del 25.07.2011).

ENTI LOCALI - SEGRETARIO COMUNALE: SÌ ALLA RIDUZIONE DEL 10% DELLA REMUNERAZIONE DEL DIRETTORE GENERALE DELL’ENTE LOCALE.
Enti locali - Riduzione del 10% della remunerazione prevista dall’art. 6, co. 3, del Dl n. 78 del 2010 - Si applica in ogni caso anche al direttore generale.

La riduzione percentuale pari al 10% prevista dall’art. 6, co. 3, del Dl n. 78/2010 si applica alla remunerazione delle funzioni di direttore generale (anche laddove attribuite al segretario generale).
NOTA
La sezione lombarda ha precisato che la soppressione dell’incarico del direttore generale, tranne che per i comuni con popolazione superiore a 100mila abitanti, disposta dall’art. 2, co. 186, lett. d), della L. n. 191/2009, come modificata dalla L. n. 42/2010, concerne non solo l’ipotesi del direttore esterno, ma anche quella del segretario comunale, cui è impedito di rivestire il doppio incarico ai sensi dell’art. 108, co. 4, del Tuel.
L’impossibilità di conferire tali funzioni al segretario comunale ha come corollario il divieto di corrispondere il relativo compenso aggiuntivo al medesimo funzionario.
Specifiche responsabilità gestorie per far fronte alle esigenze dei comuni interessati devono essere affidate ai dipendenti in servizio presso l’amministrazione ovvero al medesimo segretario comunale nell’ambito delle competenze di coordinamento ex art. 97, co. 4, del Tuel.
La disposizione soppressiva, di cui all’art. 2, co. 186, lett. d), come modificato dalla L. n. 42/2010, si applica dalla scadenza dei singoli incarichi dei direttori generali in essere alla data di entrata in vigore della legge di conversione del Dl. È stato, dunque, espressamente risolto per via normativa il profilo del regime transitorio, disciplinando la sorte della figura del direttore generale in essere all’entrata in vigore della legge, prevedendo l’esaurimento del ruolo sino alla scadenza del singolo incarico.
Per quanto attiene all’applicazione al compenso del direttore generale della riduzione percentuale pari al 10% prevista dall’art. 6, co. 3, del Dl n. 78/2010, il legislatore ha disposto che a decorrere dall'01.01.2011 le indennità, i compensi, i gettoni, le retribuzioni o le altre utilità comunque denominate, corrisposte dalle pubbliche amministrazioni di cui al co. 3 dell’art. 1 della L. n. 196/2009, incluse le autorità indipendenti, ai componenti di organi di indirizzo, direzione e controllo, consigli di amministrazione e organi collegiali comunque denominati ed ai titolari di incarichi di qualsiasi tipo, siano automaticamente ridotte del 10% rispetto agli importi risultanti alla data del 30.04.2010.
Al riguardo, ad avviso dei giudici contabili lombardi, va valorizzata un’interpretazione del testo di legge da ultimo indicato nel senso di una generalizzata applicazione della decurtazione imposta dal legislatore nei confronti degli enti locali, comprendendo in tale riduzione la remunerazione delle funzioni di direttore generale (anche laddove attribuite al segretario generale), atteso l’espresso riferimento letterale ai titolari di incarichi di qualsiasi tipo.
Siffatta esegesi conferisce, altresì, in un’ottica teleologico-sistematica, effettività al disegno di contenimento dei costi dell’apparato amministrativo e, quindi, più in generale nell’ambito delle misure di razionalizzazione della spesa finalizzate al rispetto dei principi di coordinamento della finanza pubblica (cfr. sez. controllo Toscana n. 67/2011) (tratto da Guida al Pubblico Impiego n. 7-8/2011 - Corte dei Conti, Sez. reg. controllo Lombardia, parere 26.05.2011 n. 315 - link a www.corteconti.it).

CONSIGLIERI COMUNALI - PUBBLICO IMPIEGOResponsabilità da aumento. Superato il tetto delle retribuzioni di posizione dei dirigenti.
IL PUNTO - Decisivo il fatto che l'incremento sia stato deliberato senza rispettare i vincoli dei contratti collettivi - MOTIVAZIONE INSUFFICIENTE - Non basta il richiamo all'evoluzione della struttura organizzativa. Servivano ulteriori indicazioni sulla complessità dell'ente.
Se non rispetta i vincoli dettati dai contratti collettivi, l'aumento delle retribuzioni di posizione dei dirigenti fa nascere la responsabilità amministrativa.
È questo il principio che, per la prima volta, ha stabilito la Corte dei conti del Lazio, con la sentenza 02.05.2011 n. 714, resa nota solo nei giorni scorsi.
Da sottolineare che la sentenza prende spunto dai rilievi mossi dagli ispettori della Ragioneria generale dello Stato a una Camera di commercio.
Nel caso specifico l'ente ha deliberato, come consentito dal contratto collettivo nazionale nel caso di strutture che hanno un elevato grado di complessità, il superamento del tetto massimo della retribuzione di posizione per i dirigenti. Tale incremento, che ovviamente deve essere finanziato dal fondo per le risorse decentrate della dirigenza, non risulta però adeguatamente motivato.
In particolare, il semplice richiamo alla «evoluzione della struttura organizzativa» non può in alcun modo essere considerato sufficiente. Inoltre, nel caso specifico manca un diretto e immediato collegamento tra un fatto o, per meglio dire, una specifica misura organizzativa e la deliberazione di incremento del fondo per la contrattazione decentrata integrativa.
Bisogna considerare, ci dicono i giudici contabili, che non è «ragionevole pensare di poter incrementare la misura di tale retribuzione ad ogni accrescimento delle funzioni dirigenziali, ma occorre in via aggiuntiva sostanziare la relativa motivazione con ulteriori e puntuali indicazioni sulla complessità dell'ente».
L'illegittimità dell'atto è accentuata dalla scelta dell'ente di incrementare il fondo in misura da potere finanziare questo onere aggiuntivo. E, ancora, dal fatto che l'incremento è stato ulteriormente aumentato a causa della sua illecita estensione anche alla 13ª mensilità.
Inoltre, prosegue la Corte dei conti, non si deve «dimenticare che l'azione amministrativa deve sempre rispondere ai canoni di efficacia ed economicità di cui all'articolo 1, legge 241/1990, criteri che assumono rilevanza sul piano della legittimità e non della mera opportunità». Non è assolutamente sufficiente la volontà dell'ente, il quale «ritiene comunque di premiare l'impegno profuso dai dirigenti nella migliore realizzazione degli obiettivi strategici fissati dall'Organo di governo e nella efficace, efficiente ed economica gestione dell'attività amministrativa». In questo caso, sempre nell'ambito delle risorse previste dal fondo, occorreva provvedere all'aumento della retribuzione di risultato, ovviamente in presenza della condizione (che non non si era peraltro concretizzata nel caso specifico) che fossero stati preliminarmente assegnati gli obiettivi.
La responsabilità matura in primo luogo in capo al segretario generale dell'ente, sia come beneficiario dell'aumento che come soggetto proponente la deliberazione. Egli, dicono i giudici, si è «guardato bene dall'esprimere dubbi di legittimità della delibera essendone il diretto beneficiario».
La responsabilità amministrativa si estende ai vertici politici che hanno assunto il relativo provvedimento, nonché ai revisori dei conti che hanno omesso il necessario controllo: «la delibera è un emblematico esempio di acrobazia amministrativo-contabile per mascherare l'illecita utilizzazione di risorse finanziarie pubbliche. Specchio della gravità del comportamento dei membri della Giunta, ma anche dei revisori dei conti, oltre a quella del segretario generale, è proprio la tesi difensiva secondo la quale il controllo di legittimità del contenuto deliberativo che si sarebbe dovuto adottare spettava ad altri». Questo "scaricabarile" diventa per la Corte dei conti l'elemento sufficiente per considerare presente il requisito della colpa grave.
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La sentenza
01|IL PRINCIPIO
La responsabilità amministrativa è derivata dal superamento del tetto massimo delle retribuzioni di posizione dei dirigenti che, secondo quanto rilevato dalla Corte dei conti del Lazio (sentenza 714 del 02.05.2011), non rispetta i vincoli dettati dai contratti collettivi. In particolare, l'incremento è consentito per le strutture con un elevato grado di complessità e non può essere legato al solo accrescimento delle funzioni dirigenziali.
Nel caso specifico esso non è stato adeguatamente motivato con ulteriori e puntuali indicazioni sulla complessità dell'ente
02|ILLEGITTIMITÀ
L'illegittimità dell'atto è accentuata dalla scelta di incrementare il fondo per le risorse decentrate della dirigenza allo scopo di finanziare l'onere aggiuntivo.
Inoltre, non è sufficiente la volontà dell'ente di premiare l'impegno profuso dai dirigenti nella migliore realizzazione degli obiettivi strategici, nel qual caso, nell'ambito delle risorse previste dal fondo, si sarebbe dovuto provvedere all'aumento della retribuzione di risultato, a patto che gli obiettivi fossero stati preliminarmente assegnati (cosa che non si era verificata nella circostanza specifica)
03|COLPA GRAVE

Il segretario generale viene considerato responsabile come beneficiario dell'aumento e come soggetto proponente la deliberazione.
La responsabilità amministrativa si estende ai membri della Giunta che hanno assunto il provvedimento e ai revisori dei conti per omesso controllo.
Secondo i giudici contabili l'elemento sufficiente per determinare il requisito della colpa grave sta in uno "scaricabile" , cioè nella tesi difensiva, adottata dai vari soggetti coinvolti, secondo cui il controllo di legittimità del contenuto deliberativo spettava ad altri
(articolo Il Sole 24 Ore del 25.07.2011).

ENTI LOCALIEnti, decentramento a costo zero. La delega di funzioni non gonfia i conti del personale. La Corte conti della Puglia sul trasferimento di competenze dalle regioni agli enti locali.
Non vanno computate nelle spese di personale quelle sostenute dagli enti locali per effetto di funzioni delegate o trasferite dalle regioni, cui sia conseguito il trasferimento del personale regionale con l'assegnazione dei relativi finanziamenti a copertura.
È fondamentale il chiarimento fornito dalla Corte dei conti, Sez. regionale di controllo per la Puglia col parere 03.03.2011 n. 11, perché consente a comuni e province, e in particolare a queste ultime, di sgravarsi non di poco dal peso dei tetti di spesa del personale.
In conseguenza delle norme sul decentramento delle funzioni amministrative adottate a partire dal dlgs 112/2008, le regioni hanno attribuito ai comuni, ma soprattutto alle province, una serie di competenze prima svolte direttamente dalle regioni medesime.
Ciò è avvenuto prevalentemente nei campi della formazione, del lavoro, dell'agricoltura, del turismo, ma non solo.
Con l'attribuzione delle funzioni, le regioni hanno trasferito agli enti locali le dotazioni strumentali ed il personale preposto allo svolgimento delle attività. Inoltre, in applicazione del fondamentale principio posto dall'articolo 4, comma 3, lettera i), della legge 59/1997 secondo il quale l'ente che trasferisce le funzioni deve assicurare la copertura finanziaria e patrimoniale dei costi connessi all'esercizio delle funzioni trasferite, le regioni assegnano agli enti locali trasferimenti finanziari che coprono tra gli altri anche i costi del personale transitato.
Si pone, allora, in primo luogo la domanda se le spese sostenute per retribuire il personale ex regionale debbano o meno essere conteggiate, ai fini del rispetto del tetto di spesa in termini assoluti, previsto dall'articolo 1, comma 557, della legge 296/2006.
La sezione Puglia risponde di no. Il parere ricorda che le misure normative per il contenimento delle spese di personale sono dettate in funzione dell'impatto che esse determinano sulla gestione finanziaria dell'ente. Di conseguenza «non devono essere considerate ai fini che qui interessano quelle spese che si caratterizzano per il fatto di essere assistite da una specifica fonte di finanziamento proveniente da un soggetto esterno e, conseguentemente, per il fatto di non aver alcuna incidenza sugli equilibri di bilancio». Insomma: se la spesa di personale trae il suo finanziamento non dalle risorse proprie dell'ente locale, ma dalla regione, per altro in conseguenza del conferimento di competenze, non si vede perché ciò debba incidere negativamente sulle misure di contenimento dei costi del personale.
Un secondo quesito, allora, riguarda l'eventualità che la spesa del personale trasferito dalle regioni possa rilevare allo scopo di rispettare l'indice della spesa di personale sul totale della spesa corrente, ai sensi dell'articolo 76, comma 7, della legge 133/2008.
Coerentemente, la sezione Puglia risponde negativamente anche in questo caso. Secondo la sezione «il calcolo del suddetto rapporto non deve tuttavia essere influenzato dall'esistenza di voci di entrata (trasferimenti dalla regione) e di spesa (retribuzioni per il personale, oneri riflessi e Irap) che non hanno alcuna incidenza sugli equilibri di bilancio e che, pertanto, per le ragioni esposte in precedenza, sono neutre dal punto di vista della gestione finanziaria».
Secondo il parere, allora, ai fini della verifica della percentuale di cui al citato articolo 76, comma 7, occorre scomputare sia dalla spesa di personale, sia dal totale della spesa corrente, le spese per il personale trasferito dalla regione e rimborsate ai fini dell'esercizio di funzioni conferite (articolo ItaliaOggi del 29.07.2011 - tratto da www.corteconti.it).

NEWS

APPALTIAppalti «semplificati» sempre da motivare.
LA CHIAMATA - Necessario coinvolgere almeno cinque concorrenti per gare fino a 500mila euro e dieci per soggetti nella soglia superiore.

Gli appalti di lavori pubblici sino a un milione di euro possono essere aggiudicati con procedura negoziata, a seguito di una gara informale.
Il decreto Sviluppo (Dl 70/2011, convertito dalla legge 106/2011) ha completamente ridefinito la disciplina contenuta nell'articolo 122 del Codice dei contratti pubblici, aumentando il valore massimo (nella normativa previgente attestato a 500mila euro) ed eliminando la precedente distinzione tra il percorso semplificato (legato al semplice dato di valore) entro i 100mila euro e quello fondato su un minimo confronto di mercato per la fascia di valore superiore.
Le motivazioni.
Le stazioni appaltanti devono motivare il ricorso alla particolare procedura, che costituisce comunque deroga rispetto alle procedure ordinarie (aperte e ristrette), evidenziando le ragioni nella determinazione a contrarre, come evidenziato dalla giurisprudenza e dall'Avcp (Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici) nella determinazione 2/2011.
Queste motivazioni dovranno essere riconducibili a situazioni specifiche e determinanti l'urgenza della realizzazione, comunque diverse da quelle che possono consentire l'utilizzo delle più limitate fattispecie comprese nei commi 2 e 5 dell'articolo 57 del Codice.
La selezione.
La nuova disposizione assume come riferimento per la selezione il format della gara informale preceduta da una verifica di mercato per l'individuazione degli operatori economici, con esplicito rinvio all'articolo 57, comma 6, dello stesso Dlgs 163/2006, stabilendo contestualmente il necessario rispetto dei principi dell'ordinamento comunitario.
Le amministrazioni devono coinvolgere nel particolare confronto concorrenziale almeno cinque soggetti qualificati per l'affidamento di appalti di valore sino a 500mila euro e almeno dieci per l'aggiudicazione di quelli con valore compreso tra 500mila e 1 milione di euro.
Le amministrazioni possono scegliere le modalità della prequalificazione, ricorrendo all'indagine di mercato (da pubblicizzare adeguatamente quando l'importo dell'appalto sia molto significativo) oppure avvalendosi di elenchi aperti, da costituire e gestire nel rispetto delle indicazioni dell'Avcp prodotte nella determinazione 2/2011 (che permettono il superamento dei limiti posti dall'articolo 40, comma 5 del Codice).
L'indagine di mercato.
La selezione del numero minimo di operatori qualificati da ricondurre alla gara tra tutti quelli in possesso dei requisiti potrà avvenire mediante sorteggio o mediante l'applicazione di criteri reputazionali, che dovranno in ogni caso essere resi noti dall'amministrazione.
La gara informale permette alle stazioni appaltanti di ottimizzare alcuni passaggi (tempistica ridotta per le offerte, fase della verifica delle offerte incongrue, eccetera) che ne riducono i tempi di svolgimento, ma il suo svolgimento deve tener conto delle previsioni contenute nel codice per le procedure negoziate senza bando, come il termine minimo di dieci giorni per la presentazione delle offerte (articolo 122, comma 6, lettera d) e i contenuti essenziali della lettera di invito (articolo 64 e allegato IXA).
La gara informale è comunque una procedura derogatoria rispetto ai percorsi selettivi di massima evidenza pubblica. Quindi la stazione appaltante deve applicare il principio di rotazione, che vieta per un certo periodo di tempo il coinvolgimento in successive procedure simili o in economia dell'operatore economico aggiudicatario.
La pubblicità.
La nuova formulazione del comma 7 dell'articolo 122 del Codice comporta anche l'effettuazione di adeguata pubblicizzazione dell'avvenuto affidamento.
Questa si concretizza, per gli appalti sino a 500mila euro, mediante la pubblicazione di avviso sull'albo pretorio, sul sito internet dell'amministrazione, su quello dell'osservatorio e su quello del ministero delle Infrastrutture, mentre per gli appalti sino a 1 milione di euro è prevista la pubblicazione (oltre che sui tre siti internet) anche sulla «Gazzetta Ufficiale» e, per estratto, su un quotidiano nazionale e su uno locale.
L'esecuzione dell'appalto.
Sul piano dell'esecuzione dell'appalto la norma prevede una regola che ne impedisce la frammentazione, stabilendo che per i lavori appartenenti alla categoria prevalente l'appaltatore non possa affidarne la realizzazione in subappalto o con subcontratti per una quota superiore al 20% del valore della stessa (mentre per le opere specialistiche vale la norma particolare contenuta nell'articolo 37, comma 11 del Codice).
Questo limite deve essere evidenziato chiaramente nella lettere di invito, affinché gli operatori economici non producano offerte con indicazione di subappalti quantitativamente superiori, che determinerebbero l'esclusione dalla gara delle stesse.
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CODICE APPALTI
Le nuove regole per la procedura negoziata per gli appalti di lavori pubblici permettono alle amministrazioni pubbliche (enti locali in particolare) di semplificare i percorsi di affidamento per un'ampia serie di opere pubbliche. La norma offre nuove opportunità agli operatori economici con qualificazioni più basse.
I nuovi riferimenti di valore per la procedura negoziata sino a un milione di euro erano già utilizzabili dal 14.05.2011 (data di entrata in vigore del Dl Sviluppo). I limiti al subappalto e ai subcontratti per la categoria prevalente si applicano alle procedure indette dopo il 13.07.2011 (data di entrata in vigore della legge di conversione)
La procedura negoziata con gara informale può essere utilizzata per gli appalti di lavori pubblici (di qualsiasi tipo) con valore sino a un milione di euro. Per l'affidamento di appalti sino a 500mila euro è possibile coinvolgere nella selezione solo cinque operatori economici, mentre nella fascia superiore devono esserne coinvolti almeno dieci
La norma non prevede disposizioni attuative
La gara informale per l'affidamento dell'appalto di lavori sino a un milione di euro deve essere svolta nel rispetto del modulo definito dall'articolo 57, comma 6 del Codice e delle disposizioni (tempistica minima offerte, contenuti essenziali lettera d'invito) correlate. La disposizione comporta l'applicazione all'aggiudicatario del principio di rotazione
 (articolo Il Sole 24 Ore del 30.07.2011).

APPALTI FORNITURE E SERVIZILa correzione dei regolamenti amplia l'affidamento diretto.
Le stazioni appaltanti possono affidare direttamente servizi e forniture di beni sino al limite di 40mila euro.
L'articolo 4 del decreto Sviluppo ha infatti modificato i limiti di valore per le acquisizioni in economia mediante aggiudicazione diretta a un operatore economico, previsti dal comma 11 dell'articolo 125 del Codice dei contratti pubblici e precedentemente attestati a 20mila euro.
L'innovazione normativa determina l'omogeneizzazione della soglia di riferimento per beni e servizi con quella per i lavori, innestandosi nel quadro di riferimento. Le amministrazioni che hanno regolamenti per la disciplina dei contratti o delle procedure in economia che prevedono espressamente la vecchia soglia devono modificarli, se intendono utilizzare il nuovo limite dei 40mila euro, poiché più volte la giurisprudenza ha affermato che un valore inferiore stabilito dal regolamento dell'ente rispetto a quello del riferimento legislativo costituisce norma di autolimitazione, che deve essere rispettata.
L'affidamento diretto di beni e servizi entro i 40mila euro può comunque essere utilizzato dalle stazioni appaltanti solo quando queste abbiano determinato, mediante norma regolamentare o atto amministrativo generale, le tipologie di beni e servizi acquisibili in economia (e i relativi valori massimi di acquisto), come richiesto dall'articolo 125 del Codice (comma 10) e come evidenziato in termini di rafforzamento dall'articolo 330 del Dpr 207/2010.
Per rendere più agevole per le amministrazioni la gestione degli affidamenti per acquisti di valore limitato, lo stesso decreto Sviluppo, al comma 14-bis dell'articolo 4, prevede che per i contratti di valore inferiore ai 20mila euro la regolarità contributiva sia accertata mediante autocertificazione presentata dall'affidatario.
La nuova soglia per gli affidamenti diretti non vale tuttavia per i servizi di ingegneria e architettura, poiché il comma 10 dell'articolo 267 del Dpr 207/2010, che regola l'applicazione delle procedure in economia a queste particolari attività, ha mantenuto il limite dei 20mila euro. A togliere ogni dubbio residuo su questa scelta è intervenuta, proprio con la legge 106/2011, una modifica alla norma che ha soppresso nella stessa disposizione del regolamento, nel riferimento al comma 11 dell'articolo 125 del Codice, il rinvio al secondo periodo (che è proprio quello dell'affidamento diretto), non lasciando alcun margine interpretativo contrario.
Ha il valore di norma di integrazione e di specificazione anche quella introdotta nel comma 2 dell'articolo 92 del regolamento attuativo del Codice, inerente la distribuzione dei requisiti nell'ambito di un raggruppamento temporaneo di imprese. La nuova disposizione evidenzia come, nell'ambito dei propri requisiti posseduti, la mandataria debba in ogni caso assumere, in sede di offerta, i requisiti in misura percentuale superiore rispetto a ciascuna delle mandanti con riferimento alla specifica gara (comportando correlativamente la realizzazione dei lavori nella percentuale corrispondente alle quote di partecipazione).
Tra gli altri interventi correttivi e integrativi al Dpr 207/2010 assumono rilievo le modifiche ad alcuni commi dell'articolo 357, che determinano l'allungamento a un anno dall'entrata in vigore del regolamento attuativo del periodo transitorio sia per la sostituzione dei valori delle attestazioni Soa rilasciate in base alla precedente normativa (comma 12), sia per l'adeguamento dei certificati di esecuzione lavori emessi in questa fase (commi 14 e 15), sia ancora per l'utilizzo dei riferimenti delle vecchie attestazioni e per la gestione delle nuove in relazione alla predisposizione degli atti di gara da parte delle stazioni appaltanti (commi 16 e 17) (articolo Il Sole 24 Ore del 30.07.2011).

APPALTIUn freno alle modifiche contrattuali.
IL TETTO - Il limite del 20 per cento per le contestazioni dell'appaltatore si applica alle gare indette dopo il 14.07.2011 - IL SUBENTRO - In caso di fallimento o di risoluzione causata da gravi inadempienze l'appaltante può scegliere il secondo in classifica.

I profili critici relativi all'esecuzione del contratto di appalto sono sottoposti a limiti più rigorosi, dei quali devono tener conto sia la stazione appaltante sia gli operatori economici appaltatori.
L'articolo 4 della legge 106/2011 ha introdotto nel Codice dei contratti pubblici una serie di norme che contengono il dimensionamento di alcuni tipi di varianti in corso di esecuzione, specificano ulteriormente il meccanismo della compensazione nei prezzi, e pongono uno sbarramento netto all'apposizione di riserve.
La prima modifica significativa è nella previsione inserita all'articolo 132, comma 3 del Codice, dove si stabilisce che l'importo in aumento delle varianti migliorative non possa superare il 5 per cento del valore originario del contratto, e debba trovare copertura nella somma stanziata per l'esecuzione dell'opera al netto del 50 per cento dei ribassi d'asta conseguiti.
La novità è operativa dall'entrata in vigore, il 13.07.2011, della legge 106/2011.
La riduzione dei parametri quantitativi di riferimento per le situazioni eccezionali relative al contratto torna anche le modifiche introdotte all'articolo 133 del Codice, con la revisione della disciplina della compensazione (commi 4 e 5).
Il meccanismo può essere attivato quando il prezzo di singoli materiali da costruzione, per effetto di circostanze eccezionali, subisca variazioni in aumento o in diminuzione, superiori al 10 per cento rispetto al prezzo rilevato con decreto del ministero delle Infrastrutture e dei trasporti nell'anno di presentazione dell'offerta.
In tal caso la compensazione può aver luogo, in aumento o in diminuzione, ma solo per la metà della percentuale eccedente il 10 per cento (con dimezzamento rispetto alla quantificazione indicata originariamente dalla norma) e nel limite delle risorse accantonate per imprevisti. La compensazione è determinata applicando la metà della percentuale di variazione che eccede il 10 per cento al prezzo dei singoli materiali da costruzione impiegati nelle lavorazioni contabilizzate nell'anno solare precedente al decreto.
Questa norma risulterà tuttavia applicabile solo dopo l'entrata in vigore del Dm di rilevazione delle percentuali di scostamento per il 2011 (che dovrà essere adottato entro il 31.03.2012) e ai lavori eseguiti e contabilizzati a decorrere dall'01.01.2011. I limiti di maggiore impatto in relazione agli sviluppi operativi dell'appalto sono tuttavia rinvenibili nella complessiva rimodulazione dell'articolo 240-bis del Codice dei contratti, che prevede la disciplina delle riserve.
L'innovazione stabilisce che l'importo complessivo delle riserve (iscrivibili dall'appaltatore in caso di problematiche imputabili alla stazione appaltante) non può in ogni caso essere superiore al 20 per cento dell'importo contrattuale.
Questo limite è inderogabile, e responsabilizza sia gli operatori economici sia le stazioni appaltanti, analogamente a quanto previsto dal nuovo comma 1-bis dello stesso articolo 240-bis, per il quale non possono essere oggetto di riserva gli aspetti progettuali che, ai sensi dell'articolo 112 del regolamento, sono stati oggetto di verifica.
Da questo quadro consegue che l'esecuzione dell'appalto non ha più margini di incertezza, e non lascia più appigli per la regolazione impropria di aspetti problematici mediante le riserve. Il nuovo meccanismo responsabilizza i progettisti, i verificatori e il responsabile del procedimento, chiamato a validare (articolo 55 del Dpr 207/2010) la verifica degli elaborati progettuali.
Queste disposizioni si applicano peraltro ai contratti le cui gare siano state indette (con bando o con lettera di invito) successivamente alla data di entrata in vigore (14.05.2011) del Dl 70/2011.
Il maggior rigore prefigurato per l'esecuzione degli appalti e la sussistenza di un ampio quadro di norme di legge che prevedono cause determinanti la risoluzione del contratto rendono molto più probabili situazioni nelle quali le stazioni appaltanti saranno chiamate a risolvere il rapporto con l'operatore economico esecutore sulla base del percorso delineato dall'articolo 136 del codice («risoluzione per grave inadempimento»).
In tali casi, o quando l'appaltatore fallisce, le amministrazioni hanno tuttavia ora la possibilità di ricorrere al soggetto classificato come secondo nella graduatoria della gara, poiché l'articolo 140 del Dlgs 163/2006 è stato modificato, eliminando la regola che in precedenza imponeva la previsione di questa facoltà nel bando.
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I limiti e i vincoli
01|LIMITI PER VARIANTI
Le varianti in corso di esecuzione, migliorative rispetto all'appalto, sono possibili nel limite del 5% dell'importo del contratto, e possono essere finanziare solo con il 50% del ribasso d'asta.
02|LIMITI PER COMPENSAZIONI
Le compensazioni per le variazioni dei prezzi dei materiali sono possibili solo per la metà della percentuale eccedente il valore di scostamento che sarà rilevato con decreto ministeriale il cui termine di adozione è fissato per il 31.03.2012.
03|LIMITI PER RISERVE
Le riserve (cioè le osservazioni che l'appaltatore fa alla stazione appaltante rispetto a problemi rilevati nella gestione dell'appalto) possono essere apposte solo entro il limite del 20% del valore del contratto.
Non possono essere oggetto di riserva gli aspetti progettuali sottoposti alla verifica ai fini della validazione del progetto, effettuata dai verificatori nominati dalla stazione appaltante.
04|SCORRIMENTO DELLA GRADUATORIA DELLA GARA
Quando l'appalto si è risolto per fallimento dell'appaltatore o per altre cause di risoluzione, la stazione appaltante può ricorrere al secondo classificato nella graduatoria della gara per affidargli la prosecuzione dell'opera, senza necessità di doverlo prevedere nel bando.
05|IL COSTO DEL PERSONALE

Gli appalti vanno aggiudicati a offerte con valori non inferiori alla spesa sostenuta dalle imprese concorrenti per il personale e per la sicurezza sul lavoro. Il decreto legge Sviluppo stabilisce che l'offerta migliore è determinata al netto delle spese relative al costo del personale, valutato sulla base dei minimi salariali definiti dalla contrattazione collettiva e delle misure imposte dalle norme sulla sicurezza del lavoro.

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CODICE APPALTI
Le novità in materia di varianti, prezzi e riserve riguardano la regolazione dei rapporti tra stazioni appaltanti e appaltatori.
Le innovazioni sulle varianti sono operative, come quelle sulle riserve, che si applicano però agli appalti indetti dopo il 14.05.2011. Quelle sulla compensazione dei prezzi dei materiali si applicheranno dopo il Dm di rilevazione degli scostamenti.
I limiti per le varianti migliorative e per la compensazione delle variazioni di prezzo sono ridotti del 50%. Per le riserve è stabilito un limite complessivo del 20% del valore del contratto.
Per poter essere applicate, le novità in materia di compensazione dei prezzi dei materiali richiedono un decreto ministeriale di rilevazione.
I profili operativi su varianti, compensazione e riserve sono contenute nel Dpr 207/2010
(articolo Il Sole 24 Ore del 30.07.2011).

APPALTISicurezza e personale senza chance di ribassi.
Gli appalti vanno aggiudicati a offerte con valori non inferiori alla spesa sostenuta dalle imprese concorrenti per il personale e per la sicurezza sul lavoro.

La legge 106/2011 ha introdotto nell'articolo 81 del Codice una nuova disposizione che sottrae questi costi al ribasso rispetto alla base d'asta.
Il comma 3-bis stabilisce che l'offerta migliore è determinata al netto delle spese relative al costo del personale, valutato sulla base dei minimi salariali definiti dalla contrattazione collettiva. e delle misure imposte dalle norme sulla sicurezza del lavoro. Per applicare la regola, ogni stazione appaltante deve far emergere nella progettazione dell'appalto il modello organizzativo di riferimento per la base d'asta.
Negli appalti di lavori, l'operazione è sintetizzabile con l'indicazione del numero degli operatori impiegato per ogni giornata, basandosi sui dati di capitolato speciale e Psc. Nei servizi e forniture l'assetto operativo è desumibile dalla descrizione dei processi nel capitolato speciale e dalla loro quantificazione in termini di monte ore e risorse umane qualificate. Si arriva così alla spesa di personale, basata sui minimi salariali stabiliti dal Ccnl.
Sui costi per la sicurezza, bisogna detrarre gli oneri per tutti gli obblighi in materia, organizzativi (medico competente, eccetera), formativi (decreto legislativo 81/2008) e funzionali (dispositivi di protezione individuale, eccetera).
In pratica, occorre individuare un valore che costituisce la proiezione dei costi sostenuti per gli adempimenti in materia di sicurezza sul lavoro dall'impresa concorrente, con determinazione di una quota standard.
Negli appalti di lavori pubblici ci si riferisce al calcolo dei costi della sicurezza "interni".
Negli appalti di servizi e beni bisogna fare riferimento a prezziari specifici e sviluppando indagini di mercato, che consentano l'elaborazione di valori standard. Anche questi elementi vanno evidenziati in rapporto alla base d'asta come inderogabili (articolo Il Sole 24 Ore del 30.07.2011).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: MANOVRA CORRETTIVA/ P.a., stop ai furbetti del personale. No alle esternalizzazioni per aggirare i tetti alla spesa. Si completa il percorso normativo avviato con il dl 112/2008.
Niente più furbetti sulle spese per il personale. La manovra fa cadere il velo di ipocrisia che da anni copriva le spese delle pubbliche amministrazioni. Non sarà più possibile utilizzare le esternalizzazioni per aggirare i tetti di spesa anche se l'effetto è il blocco totale delle assunzioni per il superamento della soglia del 40%.
Il dl 98/2011 completa di fatto un percorso normativo avviato con il dl 112/2008 diretto a intercettare e a contenere le spese più rilevanti effettuate sui bilanci che concorrono al conto consolidato delle pubbliche amministrazioni a prescindere dalla natura giuridica dell'ente pagatore.
Da un lato il legislatore interviene per ricomprendere nel concetto di spesa per il personale tutte le tipologie contrattuali utilizzate dalle pubbliche amministrazioni, con le modifiche al comma 557 dell'art. 1 della legge 296/2006, con le disposizioni contenute all'art. 76 del dl 112/2008, nonché con quelle previste dall'art. 14 del dl 78/2010, fino a vietare i «contratti di servizio con soggetti privati che si configurino come elusivi della presente disposizione» in caso di mancato rispetto del patto di stabilità. Dall'altro comincia a far riferimento a un ambito soggettivo di pubbliche amministrazioni, che include tra le amministrazioni destinatarie pure i soggetti e società controllate o partecipate, che sulla base del Regolamento Ue Sec 95 (Sistema europeo dei conti), sono inseriti nell'elenco Istat richiamato da ultimo dall'art. 1 della legge 196/2009.
Un percorso inevitabile con il fiorire delle partecipate, come la stessa banca dati del Dipartimento della funzione pubblica ci conferma, che porta oggi ad avere una disposizione di modifica dell'art. 76 del citato dl 112/2008, contenuta all'art. 20 del dl 98/2011, al fine di ricomprendere tra i tetti sulla spesa per il personale, sempre più stringenti, anche la spesa effettuata dalle società partecipate e controllate. Il comma 9 dell'art. 20 infatti prevede che ai fini del computo del tetto di spesa del 40% della spesa corrente si calcolano anche «le spese sostenute dalle società a partecipazione pubblica locale totale o di controllo che sono titolari di affidamento diretto di servizi pubblici locali senza gara ovvero che svolgono funzioni volte a soddisfare esigenze di interesse generale aventi carattere non industriale, né commerciale, ovvero che svolgono attività nei confronti della pubblica amministrazione a supporto di funzioni amministrative di natura pubblicistica».
La nuova disposizione pone certamente alcuni problemi di applicazione, in merito alla comparazione dell'aggregato spesa corrente dei bilanci delle partecipate rispetto a quello definito negli enti locali. Qualche amministrazione sta procedendo in via prudenziale ad applicare intanto il tetto del 40% separatamente ai soggetti partecipati, per la difficoltà nell'effettuare un consolidato unico su tale rapporto di spesa. Ovviamente la nuova norma va coordinata con le norme precedenti in materia riassunzioni di partecipate e dovrebbe consentire di spostare personale da una partecipata ad un'altra senza computarlo come nuova assunzione.
Molte amministrazioni soprattutto al centro sud per i costi eccessivi di personale rischiano di non poter assumere per i prossimi anni e di dover accelerare processi severi di riorganizzazione con numerosi casi di eccedenza di personale. Il nuovo quadro normativo imporrà comunque nuovi comportamenti in capo agli enti, che dovranno necessariamente monitorare l'andamento della spesa, al fine di evitare che eccessi di spesa delle società impediscano di far assumere all'ente partecipante e porre attenzione ad operazioni elusive del divieto di assunzione quali il distacco e l'assegnazione di personale tra i soggetti dell'holding.
Gli effetti positivi di questa norma potranno essere diversi. Certamente aumenterà il controllo sulle vigilate e sulle spese per il personale, si dovrà avere una visione di insieme delle attività e funzioni svolte all'interno dell'ente e di quelle affidate alle partecipate; le amministrazioni pubbliche inoltre prenderanno seriamente in considerazione la possibilità di razionalizzare il sistema delle partecipate sia perché considerato parametro di virtuosità ai sensi dell'art. 20, comma 2, della manovra sia perché oggetto di processi virtuosi di razionalizzazione così come previsto dall'art. 16 dello stesso decreto (articolo ItaliaOggi del 30.07.2011 - tratto da www.ecostampa.it).

ENTI LOCALI: Bilanci, sperimentazione a due vie. Dal 2012 la contabilità finanziaria. Dal 2013 tutto il resto. Tecnici del Mef e del Viminale al lavoro sul dpcm attuativo del decreto sull'armonizzazione.
Sperimentazione a due vie per la nuova contabilità degli enti locali. Le amministrazioni, che a partire da settembre si candideranno per applicare già dal 2012 le nuove regole introdotte dal federalismo fiscale per rendere più trasparenti i bilanci pubblici, dovranno abbracciare subito la contabilità finanziaria (che peraltro, imponendo la contabilizzazione degli accertamenti e degli impegni nell'esercizio in cui vengono a scadenza, costituisce il clou della riforma introdotta dal dlgs 118/2011). Mentre dal 2013 (la sperimentazione sarà infatti biennale) entreranno a regime tutte le altre novità previste dal settimo decreto attuativo del federalismo tra cui i nuovi modelli di bilancio, il piano dei conti integrato e l'obbligo del bilancio consolidato.
Il dlgs 118 non è ancora entrato in vigore (lo sarà il 10 agosto, essendo stato pubblicato sulla G.U. n. 172 del 26/07/2011) ma i tecnici del Mef e del Viminale sono già alle prese con il dpcm che dovrà definire i dettagli della sperimentazione.
Sul decreto, che è ormai in avanzata fase di elaborazione, anche se non sarà emanato prima del 15 settembre, sta lavorando un tavolo tecnico della Copaff, coordinato da Salvatore Bilardo e affiancato da Maurizio Delfino incaricato dal Viminale di fungere da raccordo con gli enti locali. Le riunioni in sede tecnica andranno avanti sino alla prossima settimana e riprenderanno dopo la pausa estiva. Con un obiettivo prioritario: ricucire lo strappo con le regioni che improvvisamente si sono messe di traverso sulla strada che porta all'avvio della sperimentazione.
Ai governatori (su tutti Vasco Errani e Renata Polverini, oltre all'assessore al bilancio della Lombardia, Romano Colozzi) non piace la classificazione delle spese in missioni, programmi e macroaggregati. In particolare questi ultimi che, se applicati alle spese per il personale, costringerebbero i governatori a uno sforzo di trasparenza, evidentemente giudicato eccessivo da molti. Per questo nell'ultima riunione del tavolo tecnico le regioni hanno chiesto un rinvio della sperimentazione. Ma la richiesta è stata rispedita al mittente. La sensazione è che alla fine il contrasto verrà ricomposto e la sperimentazione potrà partire quantomeno in quattro-cinque regioni (Lombardia, Veneto, Lazio e Sicilia su tutte).
Quanto ai comuni, l'Anci pubblicherà a fine agosto un invito rivolto ai municipi intenzionati a presentare la propria candidatura. E lo stesso dovrebbe fare l'Upi per le province. Di certo la sperimentazione partirà in tutte le città metropolitane (Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli, Reggio Calabria e Roma) e in molti capoluoghi di provincia (per esempio Pavia) che già hanno manifestato il proprio interesse ad applicare dal 2012 le nuove regole. Per tutti gli altri enti appuntamento rimandato al 2014 quando la riforma entrerà a regime (articolo ItaliaOggi del 30.07.2011 - tratto da www.ecostampa.it).

EDILIZIA PRIVATASconto sulla ritenuta per 36 e 55%.
È stata ridotta dal 10% al 4% la ritenuta d'acconto trattenuta dalle banche e dalle poste sui bonifici incassati dagli esecutori dei lavori di ristrutturazioni edilizie e per il risparmio energetico.
La nuova percentuale si applica ai bonifici effettuati dal 06.07.2011, data di entrata in vigore della manovra (articolo 23, comma 8 del decreto legge 98/2011) e modifica la misura della trattenuta, introdotta dall'01.07.2010, sui pagamenti che devono obbligatoriamente essere effettuati tramite bonifico bancario o postale, al fine di consentire al committente dei lavori la detrazione del 36% sulle ristrutturazioni edilizie e del 55% sugli interventi per il risparmio energetico.
La ritenuta viene applicata dalla banca o dalla posta in cui viene accreditato il pagamento, cioè da quella dell'impresa che ha effettuato i lavori.
Non va applicata la ritenuta, invece, se il beneficiario della detrazione del 55% è un'impresa, in quanto in questo caso il beneficio Irpef/Ires spetta anche se il pagamento della spesa avviene con mezzi diversi dal bonifico.
Imponibile, ritenuta del 10%.
Considerando che la banca o la posta che effettua la ritenuta non conosce l'importo dell'Iva compreso nel bonifico, l'agenzia delle Entrate ha chiarito che la base imponibile, su cui operare la ritenuta, è forfettariamente calcolata, scorporando dall'importo del bonifico ricevuto l'aliquota Iva del 20%, anche se in fattura è stata applicata un'aliquota diversa.
Altre ritenute d'acconto.
Nei casi in cui sussiste l'obbligo di applicare la nuova ritenuta, i committenti devono pagare le fatture dei professionisti o delle imprese al lordo delle usuali ritenute d'acconto a essi applicabili, cioè quella del 20% (se il prestatore è un professionista) o del 4% (se il committente è un condominio), in quanto la normativa speciale della nuova ritenuta, ora del 4%, prevale su quella generale. La riduzione dal 10% al 4%, quindi, comporta un ulteriore vantaggio per i professionisti, che subiscono una riduzione del bonifico solo del 4%, al posto del 20% dell'usuale ritenuta (comunque, calcolata su un imponibile differente), ed elimina l'aumento di trattenuta dal 4% al 10%, che ha colpito, dall'01.07.2010, i corrispettivi pagati dai condomìni per le prestazioni relative a contratti di appalto, di opere e servizi.
Nuove iniziative.
La ritenuta d'acconto del 4% sui bonifici necessari per le detrazioni del 36% (ristrutturazioni edilizie) o del 55% (risparmio energetico) viene trattenuta dalle banche e dalle poste anche alle imprese e ai professionisti che si sono avvalsi del regime delle nuove iniziative, ma questi soggetti non possono scomputarla dalla loro imposta sostitutiva dell'Irpef del 10%, in quanto nei relativi quadri del modello Unico PF 2011 non sono stati previsti nuovi quadri da utilizzare per indicare queste ritenute e non sono state cambiate, rispetto allo scorso anno, le istruzioni dei righi RG30, per le imprese, e RE22, per i professionisti.
Queste prevedono che l'imposta sostitutiva del 10% dell'imponibile debba essere versata con il modello F24, con il codice tributo 4025, e non dicono, invece, che questo importo debba essere ridotto della nuova ritenuta del 10%, applicabile dall'01.07.2010.
Il modello e le istruzioni, quindi, non considerano che la circolare delle Entrate 28.07.2010, n. 40/E, ha precisato che «nel caso in cui i destinatari del bonifico usufruiscano di regimi fiscali per i quali è prevista la tassazione del reddito mediante imposta sostitutiva dell'Irpef, la ritenuta del 10% operata dalla banca o da Poste spa sulle somme loro accreditate potrà essere scomputata dalla medesima imposta sostitutiva».
L'interpretazione dell'Agenzia è generale e vale per tutti i contribuenti assoggettati a imposta sostituiva dell'Irpef, tra i quali non vi rientrano solo i soggetti minimi, ma anche quelli che hanno optato per il regime triennale delle nuove iniziative. La posizione delle Entrate è condivisibile, in quanto le banche e le poste, incaricate di trattenere la ritenuta del 10%, non sono tenute a sapere il tipo di regime fiscale adottato dal beneficiario del bonifico e quindi la applicano a tutti i pagamenti con le causali specifiche delle detrazioni del 36% e del 55%, dopo aver scorporato l'Iva (forfettariamente al 20%) dall'importo del pagamento.
Per gli imprenditori e i professionisti che adottano il regime delle nuove iniziative, però, non è previsto un campo generale dove scomputare le ritenute subite, in quanto l'usuale ritenuta del 20% dei professionisti non deve essere mai applicata dai professionisti che applicano questo regime. Lo stesso dicasi per la ritenuta del 4% sulle prestazioni di servizi effettuate da imprese a condomìni.
Si ritiene che la ritenuta possa essere, comunque, inserita nel rigo RN32, consentendo lo scomputo dall'eventuale Irpef dovuta dal contribuente per altri redditi non soggetti a imposta sostitutiva. In mancanza di un'Irpef dovuta capiente, l'eccedenza genererà un credito rimborsabile o compensabile in F24 con altri tributi o contributi, magari proprio con il debito 2010 dell'imposta sostitutiva per le nuove iniziative (articolo Il Sole 24 Ore del 29.07.2011).

EDILIZIA PRIVATAIl costo della manodopera scompare dalla fattura.
Dal 14.05.2011, nelle fatture emesse nei confronti dei soggetti che intendono beneficiare della detrazione Irpef del 36% sulle ristrutturazioni edilizie o di quella Irpef o Ires del 55% sugli interventi per il risparmio energetico, non si deve più indicare obbligatoriamente il costo della manodopera impiegata nell'esecuzione dei lavori.

La semplificazione è contenuta nel decreto Sviluppo (Dl 70/2011), che ha eliminato anche l'obbligo, da parte dei beneficiari della detrazione del 36%, di inviare preventivamente al Centro operativo di Pescara la comunicazione contenente la data dell'inizio dei lavori (articolo 7, comma 2 lettere r) e q) del decreto legge 13.05.2011, n. 70).
In via interpretativa, l'agenzia delle Entrate potrebbe consentire l'applicazione delle due semplificazioni anche retroattivamente rispetto al 14.05.2011, in base al principio del favor rei.
L'eliminazione dell'obbligo di comunicare preventivamente al Centro operativo di Pescara l'inizio dei lavori, ad esempio, potrebbe essere applicabile anche per i lavori iniziati dall'01.01.2011 al 13.05.2011, in quanto in tutti questi casi i dati catastali degli immobili interessati alle ristrutturazioni potranno essere indicati nel modello Unico/2012, relativo al 2011. L'applicazione retroattiva al 2010, invece, non è possibile, in quanto nel modello Unico/2011, relativo al 2010, non si possono indicare queste informazioni, le quali devono essere recepite per forza dalla comunicazione inviata a Pescara. Per lo stesso motivo, chi ha acquistato un box auto pertinenziale nel 2010 deve comunque inviare a Pescara la comunicazione entro il 30.09.2011. Comunicazione che in base, al favor rei, potrebbe essere eliminata, invece, per gli acquisti effettuati dall'01.01.2011 al 13.05.2011.
L'applicazione retroattiva dell'abolizione dell'indicazione del costo della manodopera nelle fatture emesse dalle imprese che hanno eseguito i lavori, invece, potrebbe essere consentita dalle Entrate senza alcun limite di tempo.
Per usufruire della detrazione Irpef del 36% sugli interventi di recupero agevolati (non del 55%), continua a essere obbligatorio l'invio, prima dell'inizio dei lavori e con raccomandata con ricevuta di ritorno, alla Asl territorialmente competente, della comunicazione prevista dall'articolo 99, comma 1 del decreto legislativo 81/2008 (Testo unico sulla sicurezza). Questa è obbligatoria solo se i lavori vengono svolti:
a) in cantieri in cui è prevista la presenza di più imprese esecutrici, anche non contemporanea;
b) in cantieri che, inizialmente non soggetti all'obbligo di notifica, ricadono nelle categorie di cui alla lettera a) per effetto di varianti sopravvenute in corso d'opera;
c) in cantieri in cui opera un'unica impresa la cui entità presunta di lavoro non sia inferiore a 200 uomini-giorno.
Per i cantieri che non ricadono in questi casi e che quindi non sono soggetti all'obbligo di notifica preliminare, l'invio della raccomandata ai fini del 36% non è previsto.
Ai fini dell'agevolazione Iva del 10% sulle prestazioni di servizi relative alle manutenzioni ordinarie e straordinarie, ai restauri e risanamenti conservativi e alle ristrutturazioni edilizie (articolo 3, comma 1 lettere a, b, c, d del Dpr 06.06.2001, n. 380), realizzate «su fabbricati a prevalente destinazione abitativa privata» (articolo 7, comma 1, lettera b), della legge 23.12.1999, n. 488), l'indicazione del costo della manodopera è stata obbligatoria solo per le operazioni fatturate nel 2007 (articolo 1, comma 387, lettera b della legge 296/ 2006).
In queste fatture, le imprese edili e artigiane che hanno eseguito i lavori devono comunque continuare a indicare la descrizione e il valore degli eventuali beni significativi, ai fini del calcolo dell'Iva agevolata anche su questi beni (articolo Il Sole 24 Ore del 29.07.2011).

ENTI LOCALIMANOVRA CORRETTIVA/ Raffica di decreti in arrivo. Ma sono molti i nodi da sciogliere. Patto, un labirinto senza fine.  Programmazione ferma in attesa dei provvedimenti attuativi.
L'unica certezza è che il conto totale sarà salato. Ma per sapere quanto ciascuno dovrà pagare occorre attendere.
È questa, in estrema sintesi, la fotografia dell'impatto della manovra appena varata sugli enti locali.
La legge 111/2011 (di conversione del dl 98/2011) impone nuovi sacrifici per 1.400 milioni di euro nel 2013 (400 per le province e 1.000 per i comuni) e 2.800 dal 2014 (800 per le province e 2.000 per i comuni) a valere sul patto di stabilità interno.
Essa, inoltre, conferma i tagli previsti dalla manovra estiva dello scorso anno (dl 78/2010) e li estende agli anni 2014 e successivi, senza peraltro confermare la loro nettizzazione ai fini del calcolo degli obiettivi del Patto (espressamente prevista solo fino al 2013). Si tratta di una sforbiciata che, a partire dall'anno prossimo, varrà altri 3 miliardi (500 milioni per le province e 2.500 per i comuni), che andranno a cumularsi ai tagli già subiti negli anni scorsi. Ciò, precisa il legislatore, fino al varo di un nuovo Patto «federalista», ma è una promessa che, col passare del tempo, diventa sempre meno credibile.
Le cifre in ballo sono imponenti, ma sul loro riparto regna ancora molta incertezza. Esso dipende, infatti, da una lunga serie di variabili, che dovranno essere definite da futuri provvedimenti del governo, per la cui adozione, nella maggior parte dei casi, non è previsto neppure un termine ordinatorio. Solo alla fine di questo percorso tortuoso, destinato a intrecciarsi con quello relativo all'attuazione del federalismo fiscale, le province ed i circa 2.300 comuni con più di 5.000 abitanti potranno conoscere la loro sorte.
Innanzitutto, un decreto del Mef, d'intesa con la Conferenza unificata, dovrà suddividere tali enti in quattro «classi di merito», riempiendo di contenuti concreti i nuovi, ma pur sempre generici, parametri di virtuosità (che dovrebbero sostituirsi a quelli previsti dall'art. 14 del dl 78/2010, tutti peraltro inclusi nel nuovo elenco). Si tratta di un passaggio decisivo, poiché per i «primi della classe» è previsto l'azzeramento delle manovre (sia di quella del 2010, che di quella del 2011), con il relativo onere che sarà posto a carico degli altri, verosimilmente con pesi differenziati a seconda della rispettiva posizione nel ranking. Per i comuni la nuova «meritocrazia» decorrerà pienamente dal 2013, mentre per le province già dal 2012.
Nel 2012, inoltre, i più virtuosi beneficeranno di uno sconto da 200 milioni, che verrà erogato con un altro decreto del Mef, d'intesa con l'Unificata: non è chiaro se tale bonus, che in ogni caso spetta anche alle regioni, riguardi anche le province, considerato che queste beneficeranno fin da subito di un obiettivo di Patto pari a zero.
Sempre dal prossimo anno partirà anche il nuovo Patto regionalizzato, in base al quale ciascuna regione o provincia autonoma potrà concordare con lo stato le modalità di raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica per sé e per gli enti locali del proprio territorio. Anche in tal caso, sarà un decreto del Mef a stabilire le modalità attuative. Ovviamente, la regionalizzazione del Patto sarà condizionata dalla mappa della virtuosità, perché la «forza contrattuale» di ogni territorio, ai fini della contrattazione dei propri obiettivi, dipenderà dal numero di enti virtuosi ospitati.
Altri decreti del Mef dovranno distribuire le premialità di cui all'art. 1, c. 122, della legge di stabilità 2011 (l. 220/2010) per gli enti che abbiano rispettato il Patto: ciò già nel 2011 e poi in ognuno degli anni successivi, sulla base delle risultanze dell'anno precedente. Sarà, invece, un decreto del Viminale ad applicare le sanzioni agli enti che abbiano violato il Patto, decurtando, in misura pari allo sforamento, le risorse erogate (oltre che tramite i residui trasferimenti non fiscalizzati) attraverso i fondi sperimentali di riequilibrio e perequativi previsti dai decreti attuativi della l. 42/2009, come previsto dal dl 98/2011 e confermato dal decreto su «premi e sanzioni», che però ha introdotto un tetto pari al 5% delle entrate correnti accertate nell'ultimo consuntivo.
Invero, le interferenze fra manovra e federalismo fiscale vanno ben oltre il terreno delle sanzioni collegate al Patto, giacché i criteri di riparto delle nuove entrate previste da quest'ultimo (e che saranno stabiliti con altri decreti ministeriali) saranno inevitabilmente influenzati dalla prima, che, come visto, prefigura una diversa distribuzione dei tagli introdotti dalla manovra 2010 e confermati da quella 2011.
Infine, a sparigliare ulteriormente le carte, c'è il fatto che, dal 2012, non saranno più applicabili le clausole di salvaguardia previste dai c. 92 e 93 dell'art. 1 della l. 220/2010, che per molti enti si erano tradotte in significativi alleggerimenti del Patto. Ma anche il peso di tale fattore non è al momento precisamente quantificabile. Un bel puzzle, insomma, che rende molto difficile immaginare una qualsiasi programmazione di medio periodo (articolo ItaliaOggi del 29.07.2011).

ENTI LOCALIMANOVRA CORRETTIVA/ Il federalismo sopprime i contributi regionali agli enti. Ma la quantificazione è un rebus. La fiscalizzazione dei trasferimenti fa i conti con i tagli.
Fra le molte questioni aperte della finanza locale (si veda l'altro articolo in pagina), rientra anche quella, finora relativamente trascurata, della «fiscalizzazione» dei trasferimenti regionali.

Come noto, in base a quanto previsto dalla legge 42/2009, l'attuazione del federalismo fiscale dovrà mettere la parola fine alla cosiddetta finanza derivata, sostituendo con entrate proprie i tradizionali trasferimenti agli enti territoriali.
Nel mirino, oltre che i trasferimenti erogati dallo stato agli altri livelli di governo, ci sono anche quelli erogati dalle regioni agli enti locali.
In tal caso, la partita è particolarmente complessa, poiché impone di spulciare i bilanci e la legislazione delle 15 regioni ordinarie (quelle speciali seguono percorsi diversi), ciascuna delle quali ha compiuto scelte (contabili e di decentramento delle funzioni) autonome e quindi potenzialmente differenziate.
I numeri in ballo, però, sono significativi: secondo le stime elaborate dalla Copaff, le risorse attualmente erogate dalle regioni (ordinarie) a province e comuni superano i 10 miliardi all'anno, con circa un 60% di trasferimenti correnti ed un 40% di trasferimenti in conto capitale.
In base al dlgs 68/2011, a essere fiscalizzati (a decorrere dal 2013), dovrebbero essere i trasferimenti (sia di parte corrente che in conto capitale) aventi caratteri di generalità e permanenza, con esclusione, oltre che di quelli perequativi, di quelli aventi natura di contributi speciali, ovvero dei contributi erogati a copertura di rate di ammortamento dei mutui o finanziati mediante indebitamento.
La ricognizione dei trasferimenti da sopprimere (e, per differenza, di quelli da conservare) è già stata avviata in sede tecnica e si è concertata sui trasferimenti correnti, data la maggiore complessità dell'analisi di quelli in conto capitale.
Problemi si sono riscontrati per alcune tipologie di trasferimenti, come quelli ad associazioni e consorzi di enti locali, ovvero quelli aventi caratteristiche di generalità, ma limitati ad una porzione di territorio, come le zone montane o quelle marittime, per i quali si pone l'alternativa fra escluderli completamente dalla fiscalizzazione (trattandoli, dunque, come speciali), oppure prevedere una «fiscalizzazione differenziata» per territorio.
I principali nodi, tuttavia, dovranno essere sciolti in sede politica.
In primo luogo, occorrerà trovare una quadra fra i dati desumibili dai consuntivi degli enti locali e quelli ricavati dai bilanci regionali, considerati i forti scostamenti fra gli uni e gli altri evidenziati dalla stessa Copaff.
In secondo luogo, occorrerà verificare l'applicabilità dell'art. 39, c. 3, del dlgs 68/11, che prevede, «compatibilmente con gli obiettivi di finanza pubblica», il recupero dei tagli imposti alle regioni dalla manovra estiva 2010, che inevitabilmente si ripercuotono a valle sugli enti locali.
Una volta ultimata la ricognizione, scatteranno le due fasi successive della fiscalizzazione e della costruzione dei sistemi di riequilibrio e perequativi.
Innanzitutto, occorrerà individuare il tributo o i tributi regionali che sostituiranno i trasferimenti soppressi, stabilendo le modalità di compartecipazione degli enti locali e le relative aliquote. In base a quanto previsto dagli artt. 12 e 19 del dlgs 68/2011, la fiscalizzazione dei trasferimenti regionali dovrebbe basarsi, per i comuni, sull'addizionale regionale all'Irpef e, per le province, sulla tassa automobilistica regionale, ma non sono escluse soluzioni alternative. In ogni caso, agli enti locali dovrà essere assicurato un importo corrispondente ai trasferimenti regionali soppressi e si dovrà tenere conto delle disposizioni legislative regionali sopravvenute che dovessero incidere sulle funzioni conferite dalla regione a province e comuni e, quindi, sui relativi equilibri finanziari.
Inoltre, dovrà essere costruito un sistema che consenta di riequilibrare la situazione finanziaria tra i diversi livelli di governo. Il dlgs 68/2011 prevede l'istituzione di un fondo sperimentale di riequilibrio separatamente per i comuni e per le province, delineando una fase transitoria che durerà fino all'istituzione dei fondi perequativi veri e propri.
In effetti, il procedimento di fiscalizzazione dei trasferimenti regionali agli enti locali dovrà incardinarsi nell'impianto perequativo generale, che prevede il superamento del criterio della spesa storica a favore del fabbisogno standard per il finanziamento delle funzioni fondamentali e della capacità fiscale per le altre funzioni.
È pertanto opportuno, in tale contesto, distinguere i trasferimenti regionali da fiscalizzare connessi al finanziamento delle funzioni fondamentali da quelli connessi al finanziamento delle funzioni non fondamentali. Il che al momento è pressoché impossibile, in mancanza di quella mappatura delle funzioni fondamentali cui dovrebbe provvedere il codice delle autonomie. Senza questo importante tassello anche questo mosaico rimarrà quindi incompleto (articolo ItaliaOggi del 29.07.2011).

PUBBLICO IMPIEGO - VARIFamiglia, più semplice l'istanza per le detrazioni.
Il Decreto sviluppo (dl n. 70/2011), convertito nella legge n. 160 del 12.07.2011, modifica per i pensionati e i dipendenti le modalità per la richiesta delle detrazioni fiscali per i familiari a carico.
Non è più prevista infatti la consegna annuale della modulistica per le detrazioni, ma fa fede quella presentata in precedenza, purché non vi siano stati cambiamenti nella situazione familiare del contribuente.
Normativa in vigore prima della modifica legislativa.
La disciplina precedente prevedeva (art. 23 del dpr n. 600/73) la possibilità, per i pensionati e i dipendenti con familiari fiscalmente a carico, di presentare la richiesta annuale delle detrazioni fiscali.
Tutti i datori di lavoro, in qualità di sostituti d'imposta, ricevevano annualmente la specifica modulistica in oggetto al fine di poter provvedere all'inserimento delle detrazioni in busta paga.
Nuova normativa dettata dal decreto sviluppo convertito nella legge 160 del 12 luglio 2011.
La legge n. 160/2011 all'articolo 7 ha semplificato la procedura e i dipendenti / pensionati non hanno più l'obbligo di presentare annualmente la suddetta richiesta per aver diritto alle detrazioni in quanto la modulistica deve essere presentata solo in presenza di variazioni rispetto alla domanda già consegnata in precedenza al datore di lavoro.
La normativa ha previsto infine delle sanzioni in capo al contribuente che non ottempera all'obbligo di comunicare (in maniera tempestiva) le eventuali variazioni della propria situazione familiare che incidono sull'attribuzione delle suddette detrazioni fiscali (sanzione da 258 euro a 2.065 euro) (articolo ItaliaOggi del 29.07.2011).

CONSIGLIERI COMUNALI - ENTI LOCALISindaci in balìa della Corte conti. Incandidabile chi provoca il dissesto con dolo o colpa grave. Le novità per comuni e province del dlgs su premi e sanzioni varato dal consiglio dei ministri.
Sarà la Corte dei conti l'arbitro del destino dei sindaci e dei presidenti di provincia che abbiano portato al dissesto le proprie amministrazioni.

Il decreto legislativo su premi e sanzioni (ultimo provvedimento attuativo della legge delega sul federalismo fiscale), approvato ieri in via definitiva dal consiglio dei ministri, chiama in causa esclusivamente i magistrati contabili a cui assegna il compito di accertare le responsabilità degli amministratori che porteranno poi, come conseguenza necessaria, alla loro incandidabilità per dieci anni.
Chi sarà infatti riconosciuto responsabile, anche solo in primo grado, di danni cagionati con dolo o colpa grave da cui sia derivato il dissesto dell'ente non potrà ricandidarsi per 10 anni alla carica di sindaco, presidente provinciale e regionale, assessore o consigliere in qualsiasi ente. E anche la poltrona di parlamentare diventerà una chimera.
La Corte dovrà giudicare sulla procedura di dissesto che scatterà una volta decorso inutilmente il termine di 30 giorni assegnato all'ente per correggere i conti. A quel punto il prefetto assegnerà al consiglio un termine di 20 giorni per deliberare il dissesto. E se anche questa volta il sindaco resterà con le mani in mano verrà nominato un commissario per deliberare lo stato di dissesto e avviare lo scioglimento dell'ente.
Relazione di fine mandato. Ma non si tratta dell'unico boccone amaro ingoiato dagli enti locali, non a caso tutti uniti in un coro di critiche che il ministro della semplificazione Roberto Calderoli ha dichiarato di aver abbondantemente messo in conto («non si può chiedere all'oste se il suo vino è buono o agli automobilisti se siano contenti di essere multati, tuttavia siamo e restiamo convinti che si tratti di un decreto molto equilibrato e comunque assolutamente necessario»).
Al pari dei governatori anche i sindaci e i presidenti di provincia non potranno sfuggire all'obbligo di redigere la relazione di fine mandato. Questa sorta di testamento contabile di fine legislatura dovrà essere sottoscritto al massimo 90 giorni prima della scadenza del mandato e certificato dall'organo di revisione dell'ente. Dopodiché andrà trasmesso al Tavolo tecnico interistituzionale istituito presso la Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica e composto da rappresentanti ministeriali e degli enti locali. Il Tavolo verificherà la corrispondenza dei dati indicati nella relazione con quelli in suo possesso.
La relazione dovrà fare luce: sull'esito dei controlli interni, sul rispetto dei saldi di finanza pubblica e la convergenza verso i fabbisogni standard, sulla situazione finanziaria e patrimoniale e sull'entità dell'indebitamento. Entro 90 giorni dall'entrata in vigore del dlgs il Viminale dovrà mettere a punto uno schema tipo di relazione di fine mandato, prevedendo anche una forma semplificata dello stesso per i piccoli comuni.
Mancato rispetto del Patto. La terza novità contenuta nel decreto riguarda il mancato rispetto del patto di stabilità. Che verrà punito con la riduzione del fondo di riequilibrio prima e del fondo perequativo quando il federalismo fiscale andrà a regime. La decurtazione sarà pari alla differenza tra il risultato registrato e l'obiettivo programmatico e in ogni caso non potrà superare il 5% delle entrate correnti registrate nell'ultimo bilancio consuntivo.
Le sanzioni però non si fermeranno qui. Perché gli enti che sforeranno il Patto non potranno spendere più della media degli impegni effettuati nell'ultimo triennio, non potranno ricorrere all'indebitamento per gli investimenti, non potranno assumere personale a qualsiasi titolo e dovranno ridurre del 30% le indennità di funzione e i gettoni di presenza degli amministratori locali.
Contrasto all'evasione fiscale. Un'altra novità introdotta dal decreto riguarda la partecipazione delle province alla lotta all'evasione fiscale.
Agli enti intermedi andrà il 50% dei tributi statali (ancora da individuare) riscossi a titolo definitivo grazie alle segnalazioni inviate all'Agenzia delle entrate e alla Guardia di finanza.
Interventi a favore delle imprese creditrici della p.a. Per attenuare lo stato di sofferenza in cui versano le imprese creditrici delle pubbliche amministrazioni, il dlgs istituisce un tavolo tecnico (tra Mef, Abi, regioni ed enti locali) per sopperire alla crisi di liquidità delle imprese e valutare forme di compensazione all'interno del patto di stabilità regionale e agevolare la cessione dei crediti certi, liquidi ed esigibili maturati dalle imprese nei confronti della p.a.
Infine, verranno anche definiti i casi in cui poter considerare le locazioni finanziarie, stipulate dall'ente per la realizzazione e il successivo utilizzo di un immobile, non elusive delle regole del patto di stabilità.
Città metropolitane. Come anticipato da ItaliaOggi il 27/07/2011, il consiglio dei ministri di ieri ha anche approvato il regolamento per l'indizione e lo svolgimento dei referendum sulla costituzione delle città metropolitane (articolo ItaliaOggi del 29.07.2011 - tratto da www.corteconti.it).

CONSIGLIERI COMUNALIOSSERVATORIO VIMINALE/ Parcheggio ai consiglieri. Il comune può concedere il posto auto gratis. Le modalità per fruire del servizio vanno specificate nel regolamento.
Un comune può concedere ai propri amministratori l'accesso gratuito ad un parcheggio sito nel centro storico della città, gestito da una Società partecipata al 100% dal comune?
L'art. 38 del Tuel prevede, al comma 3, che i consigli comunali sono dotati di autonomia organizzativa. In particolare i comuni fissano, con apposite norme regolamentari, le modalità per fornire servizi ai consigli. Nell'ambito di tale autonomia regolamentare, l'ente può prevedere la concessione dell'accesso gratuito, con le modalità che verranno fissate dal regolamento medesimo (articolo ItaliaOggi del 29.07.2011 - tratto da www.ecostampa.it).

CONSIGLIERI COMUNALIOSSERVATORIO VIMINALE/ Indennità dei consiglieri.
Alla luce della normativa relativa ai compensi spettanti ai consiglieri comunali e circoscrizionali, come modificata dal decreto-legge 31.05.2010, n. 78, convertito con modificazioni dalla legge 30.07.2010, n. 122 -e nelle more dell'emanazione del nuovo regolamento per la determinazione della misura delle indennità di funzione e dei gettoni di presenza da corrispondere agli amministratori degli enti locali- gli importi delle indennità di funzione devono essere decurtati a decorrere dall'01.01.2011, in forza del disposto di cui all'art. 6, comma 3, del citato decreto-legge?
Deve essere corrisposta l'indennità di funzione ai presidenti dei consigli circoscrizionali, ai sensi dell'art. 82 dlgs n. 267/2000, dopo la modifica introdotta dal dl n. 78/2010?

Il decreto-legge 31.05.2010, n. 78 convertito con modificazioni dalla legge 30.07.2010, n. 122, ha disposto, all'art. 5 comma 7, che con decreto del ministro dell'interno, da emanarsi ai sensi dell'art. 82, comma 8, del decreto legislativo 18.08.2000, n. 267 e successive modificazioni ed integrazioni, di concerto con il ministero dell'economia e delle finanze, siano rideterminati in riduzione gli importi delle indennità di funzione degli amministratori comunali e provinciali già previsti nel decreto ministeriale 4 aprile 2000, n. 119, e siano determinati gli importi dei gettoni di presenza per i consiglieri comunali e provinciali per la partecipazione a consigli e commissioni.
Il successivo art. 6, comma 3, del decreto-legge statuisce che, «fermo restando quanto previsto dall'art. 1, comma 58, della legge 23.12.2005, n. 266, a decorrere dal 1° gennaio 2011 le indennità, i compensi, i gettoni, le retribuzioni o le altre utilità comunque denominate, corrisposti dalle pubbliche amministrazioni di cui al comma 3 dell'art. 1 della legge 31.12.2009, n. 196, incluse le autorità indipendenti, ai componenti di organi di indirizzo, direzione e controllo, consigli di amministrazione e collegiali comunque denominati ed ai titolari di incarichi di qualsiasi tipo, sono automaticamente ridotte del 10% rispetto agli importi risultanti alla data del 30.04.2010. Sino al 31.12.2013, gli emolumenti di cui al presente comma non possono superare gli importi risultanti alla data del 30.04.2010, come ridotti ai sensi del presente comma».
In merito al primo quesito, nelle more dell'emanazione del nuovo regolamento per la determinazione della misura dell' indennità di funzione e dei gettoni di presenza da corrispondere agli amministratori degli enti locali, ai fini del calcolo dell'indennità spettante agli amministratori locali devono trovare applicazione le disposizioni dell'art. 5, comma 7, essendo espressamente individuati i destinatari di tale norma, mentre la norma di cui all'art. 6, comma 3, dello stesso decreto sembra avere un più ampio ambito di applicazione e comunque essere destinato a soggetti giuridici diversi da quelli espressamente individuati dal citato art. 5, comma 7.
Tale interpretazione è in linea con il generale principio dell'ordinamento in base al quale, quando più leggi o più disposizioni regolano la stessa materia, la legge o la disposizione di legge speciale deroga alla legge o alla disposizione di legge generale.
Quanto al secondo quesito, il comma 6 dell'art. 5 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 ha statuito che nessuna indennità è più dovuta ai consiglieri circoscrizionali, ad eccezione dei consiglieri circoscrizionali delle città metropolitane.
Nessuna nuova disposizione è stata inoltre dettata dalla normativa di riforma con riferimento ai presidenti dei consigli circoscrizionali, pertanto permane, a norma del primo comma dell'art. 82 del Tuel, il diritto all'indennità di funzione per i presidenti dei consigli circoscrizionali dei comuni capoluogo di provincia (articolo ItaliaOggi del 29.07.2011 - tratto da www.ecostampa.it).

PUBBLICO IMPIEGOAssistenza, primo il coniuge.
Cura del disabile: la riforma riconosce la priorità sugli altri familiari - ASSENZE «LUNGHE» - Questi periodi non fanno maturare le ferie, e non valgono ai fini del trattamento di fine rapporto e della tredicesima.
Il coniuge che convive con un disabile "grave" ha la precedenza sulla richiesta di congedo straordinario. Solo in caso di mancanza, decesso o gravi patologie invalidanti dello stesso subentrano, in ordine di priorità: il padre o la madre anche adottivi, uno dei figli conviventi o, in ultima ratio, uno dei fratelli o sorelle a condizione che vivano con il disabile.
È quanto mette nero su bianco il decreto legislativo 119/2011 pubblicato in Gazzetta il 27.07.2011 che modifica il Dlgs 151/2001.
Nel decreto un'altra importante conferma: durante il periodo di congedo straordinario non si maturano ferie, tredicesima e trattamento di fine rapporto. Nella prassi già era così, ma ora è previsto espressamente dalla legge.
In caso di disabili in famiglia la legge 104/1992, già modificata recentemente dal Collegato lavoro, prevede inoltre la possibilità di assentarsi per periodi brevi e ripetuti (permessi) retribuiti. Vediamo le misure in dettaglio.
Permessi.
L'articolo 33 della legge 104/1992 riconosce al lavoratore dipendente il diritto di fruire di tre giorni di permesso mensile retribuito per assistere il coniuge o un parente o affine entro il 2° grado in situazione di gravità, diritto che può essere esteso a parenti o affini entro il 3° grado qualora il coniuge o i genitori della persona con handicap in situazione di gravità abbiano compiuto i 65 anni di età oppure siano affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti.
Anche il lavoratore subordinato maggiorenne in situazione di gravità ha diritto di usufruire, alternativamente, di due ore di permesso giornaliero, oppure di tre giorni di permesso mensile e ha, altresì, il diritto a scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio e non può essere trasferita in altra sede, senza il suo consenso.
Dal 24.11.2010, data di entrata in vigore del Collegato lavoro, il diritto ai tre giorni non può essere riconosciuto a più di un lavoratore con riferimento alla stessa persona disabile, salvo il caso dei figli con handicap in condizione di gravità, che potranno essere assistiti, alternativamente, da entrambi i genitori.
Che la norma debba essere tassativamente interpretata in questo senso trova conferma nella risposta del ministero del Lavoro a interpello n. 24 del 17 giugno scorso. Precisa, infatti il Ministero che il concetto di esclusività introdotto dalla legge 183/2010 deve essere inteso nel senso che i permessi possono essere accordati a un unico lavoratore per assistere la stessa persona.
Nello stesso senso si esprime il Dipartimento della funzione pubblica con la circolare 13/2010. E rispondendo con l'interpello 21 del 17.06.2011, la Direzione generale dei servizi ispettivi del ministero del Lavoro ha chiarito che i permessi in questione non devono essere riproporzionati qualora il lavoratore fruisca, nello stesso mese, di un periodo di ferie.
Congedo straordinario.
Per assistere un familiare gravemente disabile può anche essere chiesto un periodo di congedo straordinario (articolo 42, comma 5, Dlgs 151/2001), per massimo di due anni, anche non continuativi, nell'arco della vita lavorativa. Tale richiesta, fino ad oggi, poteva essere fatta dalla lavoratrice madre o, in alternativa, dal lavoratore padre o, dopo la loro scomparsa, da uno dei fratelli o sorelle conviventi di soggetto con handicap grave (articolo 3, comma 3, legge 104/1992).
Con le sentenze 158/2007 e 19/2009 la Corte costituzionale ha, però, dichiarato l'illegittimità del comma 3, nella parte in cui non prevede, in via prioritaria rispetto agli altri congiunti, il coniuge convivente e nella parte in cui non include, nel novero dei soggetti che possono richiedere il congedo, il figlio convivente. Di queste sentenze ha tenuto conto l'articolo 4 del Dlgs 18.07.2011, n. 119 - di attuazione della delega di cui all'articolo 23 del Collegato).
Durante il periodo di congedo, il richiedente ha diritto a percepire un'indennità corrispondente all'ultima retribuzione e il periodo medesimo è coperto da contribuzione figurativa; l'indennità e la contribuzione figurativa spettano fino a un importo complessivo massimo annualmente rivalutato e pari, per il 2011, a 44.276,32 euro, di cui 33.290 euro a titolo di indennità economica. L'indennità è corrisposta dal datore di lavoro secondo le modalità previste per la corresponsione dei trattamenti economici di maternità. I datori di lavoro privati, nella denuncia contributiva, detraggono l'importo dell'indennità dall'ammontare dei contributi previdenziali dovuti all'ente previdenziale competente.
Con il messaggio n. 13013 del 17.06.2011 l'Inps ha espresso parere che durante tale periodo non maturi il Tfr (parere confermato dal Dlgs 119/2011 appena pubblicato) che è espressamente previsto nei periodi di assenza dal lavoro per una delle cause elencate dall'articolo 2120 del Codice civile, vale a dire in caso di infortunio, malattia, gravidanza o puerperio, oppure nei casi di sospensione del rapporto di lavoro con diritto all'integrazione salariale.
Come sopra accennato il comma 5-quinquies, articolo 4, Dlgs 119/2011 prevede esplicitamente che il periodo di congedo straordinario non rilevi ai fini del Tfr, della maturazione delle ferie e della tredicesima mensilità.
Per tutto quanto non espressamente previsto si applica l'articolo 4 della legge n. 53/2000, che stabilisce che durante i periodi di assenza straordinaria per gravi e documentati motivi familiari, di cui il congedo straordinario indennizzato fa parte, il dipendente conserva il posto di lavoro, ma il periodo non è computato nell'anzianità di servizio né ai fini previdenziali (articolo Il Sole 24 Ore del 29.07.2011 - tratto da www.ecostampa.it).

PUBBLICO IMPIEGOEcco la «stretta» sulle assenze dal lavoro. Figli, politica e cure sospendono l'attività: operative dall'11 agosto le nuove regole contro gli abusi.
Novità in arrivo per i congedi e permessi dei lavoratori, dopo la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, il 27 luglio, del decreto legislativo di riordino -che entrerà in vigore l'11 agosto. Una materia che rappresenta un "universo" legislativo complesso, fatto da tanti tasselli spesso difficili da coordinare tra loro: alle norme si sovrappongono poi gli interventi di prassi che dettano le modalità operative per la fruizione degli stessi.
Queste fonti disciplinano i requisiti per l'esercizio del diritto ai congedi, la loro durata, la retribuzione spettante ma anche l'utilizzo della modulistica, le tempistiche e le regole per richiederli, i meccanismi per la loro gestione e i conseguenti riflessi sull'azienda che gestisce il rapporto di lavoro con l'interessato.
Intento di questa Guida è una ricognizione delle diverse fattispecie di permessi, analizzandone i tratti distintivi e individuando la platea degli aventi diritto, i percorsi da seguire per l'effettivo godimento e i trattamenti spettanti.
Il decreto legislativo 119/2011, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale 173 del 27 luglio scorso, ha apportato un parziale riordino della materia, andando a toccare alcune tipologie: si tratta più che altro di una "stretta" volta a evitare possibili abusi nel l'utilizzo dei permessi, attraverso una ridefinizione dei criteri e delle modalità di fruizione, in particolare rivolta ai congedi per assistere i familiari disabili.
Altre disposizioni innovano il congedo di maternità, introducendo la possibilità del rientro flessibile al lavoro, in caso di eventi quali l'interruzione di gravidanza. In sostanza, il provvedimento ha apportato qualche "sistemazione" alla materia, anche con l'obiettivo di raccogliere gli indirizzi dettati dalla Corte costituzionale, intervenuta negli ultimi anni per dirimere le questioni di legittimità su alcuni passaggi legislativi.
Il collegato lavoro (legge 183/2010) aveva invece delegato il Governo a riordinare la materia, per giungere alla stesura di un Testo unico: in effetti, è sentita l'esigenza di avere un "raccoglitore" delle diverse regole, anche per far fronte alle difficoltà interpretative e per conferire maggiore organicità a norme per lo più sparpagliate. Si pensi, infatti, che per certe tipologie di permessi si fa ancora riferimento alla legge 300/1970, come per quelli sindacali, mentre per altre, quali i congedi per assistere persone con disabilità, le norme hanno vissuto diversi passaggi: dalla legge 104/1992 alla 388/2000, dal Dlgs 151/2001 alla legge 350/2003 al Dlgs 119/2011.
La Guida punta così a fare il punto sullo "stato dell'arte" delle principali casistiche: oltre a quelli già citati, vengono analizzati i permessi per attività formative, quelli per il volontariato, i congedi parentali, i riposi giornalieri, il congedo matrimoniale, i permessi sindacali e politici, quelli per i donatori di sangue.
Sulla strada della conciliazione tra i tempi di vita e quelli di lavoro si è mosso il Dpcm n. 277/2010 (pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 3 maggio scorso), individuando azioni positive ad hoc, e l'avviso comune sottoscritto dal ministero del Lavoro con le parti sociali il 07.03.2011, puntando sulla flessibilità degli orari di lavoro per la cura dei familiari.
Anche il sistema del welfare contrattuale deve essere visto come opportunità e sta muovendo i primi passi, per modellare l'impianto legislativo sulla materia dei permessi mediante l'istituzione di regole collettive, anche aziendali.
L'accordo tra Confindustria e le organizzazioni sindacali del 28 giugno potrà favorire queste politiche e far sì che il ruolo del cosiddetto secondo livello non si esaurisca in uno sterile rimando all'impianto legislativo, bensì in un'attività di integrazione e adattamento delle diverse tipologie di congedi alle singole realtà imprenditoriali, così da creare una stretta correlazione tra il livello contrattuale e quello legislativo.
In questo modo si potrebbero sfruttare appieno le potenzialità di alcune forme di permessi spesso inutilizzati –come ad esempio il congedo di paternità– e creare altresì le condizioni per soddisfare non solo le esigenze del lavoratore ma anche per contemperare queste ultime con quelle della realtà aziendale (articolo Il Sole 24 Ore del 29.07.2011).

PUBBLICO IMPIEGODai giudici i paletti per giocare in difesa.
LE LITI PIÙ FREQUENTI - Molte cause riguardano le autorizzazioni sindacali perché i comportamenti illegittimi prescindono dall'intento lesivo.

Nel mondo del lavoro sono tante le circostanze che consentono ai dipendenti di usufruire di permessi per far fronte a esigenze, personali o familiari, di diversa natura. La legge prevede specificamente varie ipotesi di "astensione", ma non sempre i diritti dei lavoratori collimano con le aspettative aziendali, dando luogo a un contenzioso che quasi sempre privilegia le necessità dei singoli.
Una delle violazioni più ricorrenti riguarda il rilascio di permessi sindacali. La definizione della condotta antisindacale prevista dall'articolo 28 dello Statuto dei lavoratori non è analitica ma teleologica, poiché individua il comportamento illegittimo non in base a caratteristiche strutturali, bensì alla sua idoneità a ledere i beni protetti. Ne consegue che per integrare gli estremi della condotta antisindacale è sufficiente che tale comportamento leda oggettivamente gli interessi collettivi di cui sono portatrici le organizzazioni sindacali, non essendo necessario (ma neppure sufficiente) uno specifico intento lesivo da parte del datore di lavoro.
L'esigenza di una tutela della libertà sindacale, infatti, può sorgere anche in relazione a un'errata valutazione del datore di lavoro circa la portata della sua condotta. In questo contesto è stato, quindi, considerato illegittimo il licenziamento per asserita assenza arbitraria dal lavoro di un dipendente che si trovava in permesso sindacale non retribuito, regolarmente comunicato (Cassazione, sentenza 9250/2007).
Vìola inoltre la libertà sindacale e la possibilità di razionalizzare il servizio il comportamento dell'imprenditore che non comunica ai sindacati, cinque giorni prima di uno sciopero, quali lavoratori dovranno garantire le prestazioni indispensabili in azienda. (Cassazione, sentenza 13780/2011).
Grandi "conquiste" si riscontrano nelle aule di giustizia anche sul fronte dei congedi parentali. In tema di permessi giornalieri retribuiti per i lavoratori, ai sensi dell'articolo 33, comma 2, della legge 05.02.1992 n. 104, la lavoratrice madre o il lavoratore padre di una pluralità di minori portatori di handicap grave hanno diritto, in alternativa al prolungamento fino a tre anni del congedo parentale, ad usufruire di due ore di permesso giornaliero retribuito per ciascun bambino sino al compimento del terzo anno di età, dovendosi ritenere prevalente rispetto alle esigenze connesse alla prestazione lavorativa l'interesse del bambino e la tutela, prioritaria, del suo sviluppo e della sua salute quali diritti fondamentali dell'individuo costituzionalmente garantiti.
In applicazione di questo principio, la Cassazione, con la sentenza 4623/2010 ha riconosciuto a un padre di due gemelli affetti da handicap grave il diritto a usufruire di un permesso giornaliero di due ore retribuite per ciascuno dei figli.
Nel comparto scuola, infine, le disposizioni in materia di congedi parentali hanno portata generale e si applicano anche ai dipendenti con contratto a tempo determinato, a maggior tutela e sostegno della maternità e paternità (articolo Il Sole 24 Ore del 29.07.2011).

CONSIGLIERI COMUNALI - PUBBLICO IMPIEGO:  Il datore anticipa i compensi dei giorni spesi per la politica. Pagati anche contributi e oneri, rimborsati poi dall'Inps - Lo stesso vale per il sindacato.
Quando il lavoratore dipendente di aziende pubbliche o private, ricopre cariche politiche o sindacali, il datore di lavoro è tenuto a concedergli i permessi necessari per l'espletamento del mandato. Il legislatore, infatti, prevede a favore del lavoratore dipendente una serie di tutele per consentire lo svolgimento dell'attività nel migliore dei modi ponendone il costo a carico della collettività.
Oltre al diritto a fruire di permessi non retribuiti, poi, per l'espletamento di questi incarichi i lavoratori hanno diritto a permessi retribuiti e coperti spesso da contribuzione figurativa per la maturazione della pensione. Certo il disagio per i datori di lavoro è concreto e, per certi versi, esiste anche un danno economico, quanto meno in termini di modificazione dell'organizzazione interna del lavoro.
Tuttavia il datore di lavoro non può esimersi dal concedere i permessi, avendo, ove previsto, la sola possibilità di recuperare le somme anticipate, spesso con modalità non del tutto automatiche al contrario di come avviene, ad esempio, per l'indennità di malattia.
Permessi per cariche elettive.
I lavoratori chiamati a ricoprire cariche pubbliche (ad esempio consiglieri comunali, provinciali, sindaci) possono fruire di permessi e di periodi di aspettativa con il diritto di assentarsi dal servizio per l'intera giornata nella quale sono convocati gli organi cui appartengono. La norma che regola svolgimento, limiti e concessione è il Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali (Dlgs 267/2000).
Spesso i lavori si svolgono in orario serale, in queste ipotesi è previsto il diritto di non riprendere il lavoro prima delle ore 8 del giorno successivo e, ove gli stessi si protraggano oltre la mezzanotte, il diritto di assentarsi dal servizio per l'intera giornata successiva.
In generale il diritto di assentarsi dal servizio per partecipare alle riunioni è limitato alla loro effettiva durata e comprende il tempo per raggiungere il luogo della riunione e rientrare al posto di lavoro. Per alcuni incarichi, in funzione del numero di abitanti nel territorio di riferimento dell'ente, oltre a questi permessi, il lavoratore potrà assentarsi dal lavoro per un massimo di 24 o 48 ore lavorative al mese.
Per le giornate di assenza, il lavoratore ha diritto all'intera retribuzione anticipata dal datore di lavoro che ha la facoltà di chiedere il rimborso, compresi contributi e oneri differiti. L'ente lo deve erogare entro 30 giorni sulla base di apposita richiesta documentata. In alternativa, è possibile richiedere un'aspettativa non retribuita per tutto il periodo del mandato e tale periodo è considerato a tutti i effetti come servizio effettivamente prestato.
Permessi sindacali.
Scatta il diritto a permessi retribuiti e non retribuiti anche per la partecipazione dei lavoratori alle riunioni degli organi direttivi delle associazioni sindacali e delle rappresentanze sindacali aziendali (Rsa) e unitarie (Rsu).
I limiti sono dettati dalle dimensioni aziendali (legge 300/1970), mentre le regole sono stabilite dai relativi contratti collettivi di riferimento. In ogni caso la contrattazione collettiva non può tramutare la concessione dei permessi in una facoltà del datore, o condizionare il riconoscimento del diritto del lavoratore all'assenza di impedimenti di ordine tecnico aziendale. Al datore, quindi, non è lasciato alcun potere discrezionale, ma i nominativi del lavoratori legittimati a fruirne e la comunicazione preventiva obbligatoria, sono finalizzate alla possibilità di sostituzione del soggetto assente dal lavoro.
I lavoratori chiamati a ricoprire le cariche sindacali provinciali o nazionali, possono chiedere di essere posti in aspettativa non retribuita per la durata del loro mandato. Per i permessi sindacali non vige il principio del riproporzionamento che regola i rapporti part-time, pertanto in caso di prestazione ad orario ridotto il permesso sarà intero.
I Consiglieri di parità, lavoratori dipendenti che ricoprano tale ruolo a livello nazionale o regionale, hanno diritto per l'esercizio delle loro funzioni, ad assentarsi dal posto di lavoro per un massimo di 50 ore lavorative mensili medie retribuite, i consiglieri provinciali di parità per un massimo di 30 ore (Dlgs 196/2000) (articolo Il Sole 24 Ore del 29.07.2011 - tratto da www.ecostampa.it).

PUBBLICO IMPIEGOCongedi, nuove norme dall'11/08/2011. Riforma in g.u..
Via libera al riordino della disciplina in materia di congedi, aspettative e permessi dei lavoratori del settore pubblico e privato. Le nuove norme, approvate dal consiglio dei ministri lo scorso 9 giugno, entreranno in vigore dal prossimo 11 agosto a seguito della pubblicazione in gazzetta ufficiale n. 173/2011 (dlgs 18.07.2011 n. 119).

Diverse sono le novità previste dal provvedimento che dà attuazione all'articolo 23 della legge n. 183/2010 (il collegato lavoro).
Per quanto riguarda il congedo di maternità, nei casi di interruzione spontanea o terapeutica della gravidanza, successivamente a 180 giorni dalla gestazione, è prevista la facoltà per la lavoratrice di riprendere in qualunque momento l'attività lavorativa. A tal fine, è necessario tuttavia che un medico specialista (Ssn o in convenzione) e il medico competente (per la sicurezza lavoro) attestino che il rientro anticipato non arreca pregiudizio al suo stato di salute.
In merito al congedo straordinario per assistenza a familiari portatori di handicap grave (la cui durata complessiva è pari a due anni nell'arco della vita lavorativa) viene innanzitutto riscritta la platea dei soggetti legittimati a fruirne. Ha diritto al congedo, prima di altri, il coniuge convivente del soggetto disabile. In caso di mancanza, decesso o in presenza di patologie invalidanti del coniuge, ha diritto a fruirne il padre o la madre anche se adottivi. In caso decesso, mancanza o in presenza di patologie invalidanti del padre o della madre, anche se adottivi, il diritto passa a uno dei figli conviventi. In caso di mancanza, decesso o in presenza di patologie invalidanti dei figli, infine, il congedo spetta a uno dei fratelli o delle sorelle conviventi.
Altra novità è la previsione, allo scopo di consentire una reale assistenza, che il congedo possa essere fruito anche se la persona disabile è ricoverata a tempo pieno e qualora i sanitari della struttura ne attestino l'esigenza.
Il dlgs n. 119/2001, ancora, disciplina il congedo straordinario per motivi di studio dei pubblici dipendente ammessi ai corsi di dottorato di ricerca; restringe la platea dei dipendenti con diritto a prestare assistenza nei confronti di più disabili (legge n. 104/1992); prevede l'obbligo di attestare il raggiungimento del luogo di residenza della persona assistita, qualora distante oltre 150 km (articolo ItaliaOggi del 29.07.2011 - tratto da www.corteconti.it).

EDILIZIA PRIVATA: Lombardia, Legge parchi: via libera in Consiglio regionale alla nuova legge.
La trasformazione degli attuali consorzi di gestione dei parchi in enti di diritto pubblico, la semplificazione delle procedure di pianificazione delle aree protette, la parificazione delle procedure di modifica dei confini, la valorizzazione dei parchi locali di interesse sovraccomunale (PLIS), la razionalizzazione delle spese gestionali, l’istituzione di un apposito albo regionale per i direttori dei parchi, la designazione di un componente del comitato di gestione dei parchi da parte della Giunta regionale (prima i componenti erano eletti solo da Comuni e Enti locali coinvolti): sono queste le novità principali della nuova legge regionale che modifica le competenze e l’organizzazione degli enti gestori dei parchi lombardi, approvata oggi in Consiglio regionale, con 44 voti a favore, 5 contrari e 20 astenuti: voto favorevole espresso da PdL e Lega Nord, astensione dell’UdC e del PD, voto contrario di IdV e SEL. ... (28.07.2011 - link a www.consiglio.regione.lombardia.it).

EDILIZIA PRIVATAIn arrivo nuove regole per la prevenzione incendi.
Il Consiglio dei Ministri ha approvato il Regolamento per la semplificazione di procedimenti in materia di prevenzione incendi.
Si tratta del primo testo, emanato sulla base di quanto previsto dal Decreto-Legge n.78 del 2010, teso a semplificare le procedure e ridurre gli oneri amministrativi, mantenendo inalterati i livelli di garanzia e di sicurezza.
Sul testo sono stati acquisiti i pareri del Consiglio di Stato e delle Commissioni parlamentari ed è stato approvato dal Consiglio dei Ministri senza alcuna modifica.
Il regolamento sarà applicabile alle attività soggette alle visite e ai controlli di prevenzione incendi di cui al Decreto del Ministro dell'Interno 16 febbraio 1982.
Le attività da sottoporre a controlli di prevenzione incendi saranno suddivise in tre categorie:
Attività di tipo A (basso rischio): attività non soggette a rischi significativi;
Attività di tipo B (rischio medio): attività soggette a rischio medio;
Attività di tipo C (rischio elevato): attività che presentano un elevato rischio.
Gli adempimenti amministrativi saranno diversificati in relazione alla dimensione, al settore in cui opera l'impresa e all'effettiva esigenza di tutela degli interessi pubblici.
Nel caso di attività a basso rischio (Tipo A), non sarà più necessario il parere di conformità e sarà sufficiente utilizzare la segnalazione certificata di inizio attività (SCIA); i controlli saranno effettuati a campione successivamente all’inizio dell’attività.
Nel caso, invece, di attività a medio e alto rischio (Tipo B e Tipo C) la valutazione di conformità dei progetti ai criteri di sicurezza antincendio dovrà essere rilasciata entro 60 giorni; i controlli successivi saranno effettuati a campione entro 60 giorni.
Anche per le attività a medio rischio e ad alto rischio sarà possibile utilizzare la SCIA ; le modalità di presentazione delle istanze, il loro contenuto e la relativa documentazione da allegare saranno disciplinate con un apposito decreto del Ministro dell'Interno (28.07.2011 - link a www.acca.it).

AMBIENTE-ECOLOGIAL'inquinamento autocertificato. Le pmi potranno attestare la regolarità di scarichi e acustica. In Consiglio dei ministri un dpr di semplificazione. Online tutta la documentazione ambientale.
Pmi e microimprese dovranno autocertificare la loro dimensione. Una volta, fatto, basterà loro una mera autodichiarazione per incassare il rinnovo delle autorizzazioni agli scarichi di acque reflue industriali. Ovviamente, solo laddove non si siano verificate modifiche nell'impianto e nelle sostanze utilizzate nel processo produttivo, rispetto al rilascio della prima autorizzazione.
È quanto prevede uno schema di regolamento (il n. 369/2011), contenente misure di semplificazione degli adempimenti amministrativi in materia ambientale.
Il testo, già approvato in via preliminare dal Consiglio dei ministri il 3 marzo scorso, ha poi guadagnato i prescritti pareri del consiglio di stato, della Conferenza unificata e delle competenti commissioni parlamentari. Stamane, il dpr torna al vaglio del preconsiglio, per poi finire venerdì prossimo sul tavolo del Cdm, per il via libera definitivo.
Rumore. Tra le altre novità, è prevista una semplificazione burocratica in fatto di inquinamento acustico, con la possibilità, anche qui, di autocertificare che la propria attività non superi i limiti di emissione di rumore stabiliti dal comune attraverso la classificazione acustica.
Un vincolo, questo, che impone alle attività «a basso volume» di esibire una documentazione di impatto acustico, prevista dall'art. 8, commi 2-4, della legge quadro 447/1995. E che, una volta approvato il regolamento, potrà essere soddisfatto attraverso la mera presentazione di una dichiarazione sostitutiva della propria bassa rumorosità.
La semplificazione, in sostanza, agevolerà tutti quegli esercizi (come ristoranti, pizzerie, trattorie, bar, mense, stabilimenti balneari ecc.), che hanno impianti di diffusione musicale o organizzano eventi musicali. Tra questi, il regolamento include anche le sale gioco e le attività agrituristiche. Ma non finisce qui.
Acque reflue domestiche. Il dpr detta una nuova classificazione delle cosiddette acque reflue domestiche, a cui sono state assimilate anche «le acque reflue provenienti da imprese dedite alla trasformazione di olive in olio», cioè le acque di scarico dei frantoi. Attenzione, però. Questo allargamento, ovviamente, non riguarda tutte le attività industriali del settore, ma solo quelle imprese che trasformano in prevalenza olive «per conto di chi coltiva uliveti siti nella stessa provincia dove è ubicato il frantoio o in provincia confinante».
Inoltre, l'agevolazione sarà accessibile dalle stesse attività, purché «i sistemi depurativi siano dotati di tecnologie idonee al trattamento di tali acque», così da garantire la qualità finale delle acque scaricate nella rete.
Istanze online. Il regolamento, contiene, quindi, una norma di servizio, a carattere generale. E cioè che, d'ora in poi, le imprese tutte dovranno presentare le loro «istanze di autorizzazione, la documentazione, le dichiarazioni e le altre attestazioni richieste in materia ambientale esclusivamente per via telematica allo sportello unico per le attività produttive, competente per territorio». Di conseguenza, ogni altra modalità di presentazione dei documenti sarà esclusa.
Monitoraggio e modello semplificato. Infine, l'ultimo articolo del dpr dispone un monitoraggio sulle nuove misure di semplificazione adottate.
Il compito di deciderne modalità e strumenti viene affidato a una messe di istituzioni e soggetti economici: i ministeri dell'ambiente e dello sviluppo economico, i ministri per la pubblica amministrazione e per la semplificazione normativa, la Conferenza Unificata, le associazioni imprenditoriali.
Tutti assieme, questi organismi dovranno predisporre, secondo il dpr, «forme di monitoraggio sull'attuazione del regolamento e un modello semplificato e unificato per la richiesta di autorizzazione».
Anche questo, ovviamente, «da adottare, con decreto del ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il ministro dello sviluppo economico, con il ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione e con il ministro per la semplificazione normativa, previa intesa con la Conferenza Unificata».
A conti fatti, vista la congerie di soggetti competenti in materia, decidere su monitoraggio e modello di semplificazione sarà piuttosto complesso (articolo ItaliaOggi del 26.07.2011).

PUBBLICO IMPIEGOAncora una picconata allo spoils system.
Ancora una picconata allo spoils system. L'opera di demolizione dell'istituto, iniziata dalla Corte costituzionale nel 2007, è proseguita ieri con l'ennesima decisione contraria alla rimozione automatica dei dirigenti quando cambia il governo. Anche questa volta a ricorrere alla Consulta è stato il tribunale di Roma poco convinto della legittimità dell'art. 19, comma 8, del dlgs 165/2001 (nel testo modificato dal dl 262/2006).

Rispetto alla fattispecie esaminata dalla sentenza n. 81/2010 (si veda ItaliaOggi del 06/03/2010) il contenuto non cambia. L'unica differenza è che la norma del decreto Visco-Bersani, cassata l'anno scorso, dettava un regime transitorio dello spoils system, mentre questa volta è finita nel mirino della Corte la disciplina a regime. E le motivazioni del ricorso non mutano: violazione degli articoli 97 e 98 della Costituzione perché l'interruzione del rapporto di ufficio prima della scadenza priva gli incarichi dirigenziali delle garanzie necessarie ad assicurare l'imparzialità e il buon andamento della p.a..
Nella sentenza n. 246/2011, depositata ieri in cancelleria e redatta da Sabino Cassese, la Corte ha ribadito la necessità, già espressa nel 2010 e nelle precedenti sentenze n. 104/2007 e n. 103/2008, di prevedere «un confronto dialettico tra le parti nell'ambito del quale, da un lato, l'amministrazione esterni le ragioni per le quali ritenga di non consentire la prosecuzione sino alla scadenza contrattualmente prevista, e, dall'altro, al dirigente sia assicurata la possibilità di far valere il diritto di difesa, prospettando i risultati delle proprie prestazioni» (articolo ItaliaOggi del 26.07.2011).

AMBIENTE-ECOLOGIARifiuti, regioni fuorigioco sulle discariche.
Non esiste nella legislazione ambientale italiana il principio dell'autosmaltimento dei rifiuti speciali. È dunque illegittima una legge regionale che limiti la percentuale di rifiuti che le discariche locali possono accogliere dall'esterno, ossia da soggetti diversi da coloro che hanno realizzato l'impianto. Una norma del genere contrasta innanzitutto con gli articoli 117 e 3 della Costituzione, ma anche con l'articolo 41 perché i rifiuti possono a pieno titolo essere considerati «beni commercialmente rilevanti». E ogni limite alla loro circolazione comprime «la libera facoltà di svolgere un'iniziativa economica» sancita dalla Carta.
È questo il principio ricavabile dalla sentenza n. 244/2011 della Corte costituzionale che ha bocciato il combinato disposto di due norme della legge regionale del Veneto n. 3/2000 in materia di gestione dei rifiuti.
Le disposizioni censurate prevedevano che nelle discariche realizzate per smaltire rifiuti speciali fosse riservata una quota non superiore al 25% della capacità ricettiva per lo smaltimento dei rifiuti conferiti da soggetti diversi dai realizzatori dell'impianto.
La Consulta ha accolto le tesi del Tar Veneto e ha bocciato il principio dell'autosmaltimento (o responsabilità del produttore che dir si voglia) trasposto dal legislatore veneto nella norma impugnata. Si tratta di un principio, ha osservato la Corte nella sentenza redatta da Paolo Maria Napolitano, «estraneo alla legislazione statale in materia ambientale, la quale esclude la sussistenza del principio dell'autosufficienza locale con riferimento ai rifiuti speciali anche non pericolosi».
E per di più, non si tratta neppure di una materia di competenza regionale perché «non emergono elementi specifici ed obiettivi in base ai quali ancorare l'intervento legislativo né alla materia del governo del territorio né a quella della salute pubblica».
Inoltre, nota la Consulta, restringere la fruibilità delle discariche incrementa i movimenti dei rifiuti sul territorio (vista l'indisponibilità di idonei siti di stoccaggio) in violazione di quanto previsto dal dlgs n. 152/2006 che impone invece di ridurli (articolo ItaliaOggi del 26.07.2011).

PUBBLICO IMPIEGOMalattie, le visite fiscali non sono più obbligatorie.
Nel decreto legge 98/2011, convertito nella legge 111/2011, contenente disposizioni in materia di manovra economica, il governo ha modificato nuovamente la disciplina (comma 5 dell'art. 55-septies del d.lgs. 165/2001) sui controlli delle assenze per malattia di tutti i dipendenti pubblici, ivi compreso il personale della scuola, finalizzata chiaramente ad una riduzione delle spese derivanti dal costo delle visite fiscali.
Il comma 9 dell'art. 16 del citato decreto legge 98/2001 attenua notevolmente l'obbligo dell'amministrazione di disporre il controllo in ordine alla sussistenza della malattia del dipendente anche nel caso di assenza di un solo giorno. Tenendo conto dell'esigenza di contrastare e prevenire l'assenteismo, le pubbliche amministrazioni, recita il comma 9, nel disporre il controllo sulle assenze per malattia dovranno valutare la condotta complessiva del dipendente e gli oneri connessi all'effettuazione della visita. L'obbligo di disporre la visita di controllo sin dal primo giorno permane solo quando l'assenza si verifica nelle giornate precedenti o successive a quelle non lavorative.
Il predetto comma 9 nel disporre, inoltre, che le fasce orarie di reperibilità e il relativo regime delle esenzioni dovranno essere stabilite con decreto del ministro Brunetta, precisa che qualora il dipendente debba allontanarsi dall'indirizzo comunicato durante le fasce di reperibilità per effettuare visite mediche, prestazioni o accertamenti specifici o per altri giustificati motivi, da documentare a richiesta, sarà tenuto a darne preventiva comunicazione all'amministrazione.
Un'altra importante precisazione riguarda il caso in cui l'assenza per malattia abbia luogo per l'espletamento di visite, terapie, prestazioni specialistiche od esami diagnostici. In tali casi l'assenza dovrà essere giustificata mediante la presentazione di attestazione rilasciata dal medico o dalla struttura, anche privati.
L'applicazione delle nuove disposizioni in materia di visite fiscali e il nuovo decreto del ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione, oltre a comportare una riduzione delle spese, dovrebbe poter ridurre lo stato di tensione che da tempo si registra nelle scuole, sia negli uffici di segreteria che nei rapporti tra i dirigenti scolastici e personale (articolo ItaliaOggi del 26.07.2011).

SICUREZZA LAVOROSICUREZZA/ Volontariato a prova di sicurezza. Prevenzione garantita, ma senza causare omissioni e ritardi. In Gazzetta Ufficiale il decreto sulle organizzazioni che dà attuazione all'art. 3 del Testo unico.
Pronte le regole di sicurezza nel volontariato. È la peculiarità delle attività svolte a dovere guidare le norme di sicurezza dei volontariati di protezione civile, della croce rossa italiana, del soccorso alpino e vigili del fuoco. Così pure quelle dei lavoratori, soci e volontari, delle cooperative sociali. In ogni caso, però, prevale la mission delle organizzazioni: l'applicazione delle disposizioni sulla sicurezza, infatti, non può comportare omissione o ritardo delle attività e dei compiti di protezione civile.
Lo stabilisce, tra l'altro, il decreto 13.04.2011 pubblicato sulla G.U. n. 159/2011, che dà attuazione all'articolo 3 del Tu sicurezza (dlgs n. 81/2008). La nuova disciplina entrerà a regime a partire dal prossimo 8 gennaio.
Sicurezza sul lavoro a 360 gradi. Una delle novità della riforma della sicurezza del lavoro (Tu sicurezza di cui al dlgs n. 81/2008 e successive modifiche) è stata l'estensione dell'applicazione delle norme a ogni settore di attività. E a seguito delle modifiche del dlgs n. 106/2009 (in vigore dal 20.08.2009) pure a volontari e alle cooperative sociali.
L'articolo 3 del Tu, in merito, è sufficientemente chiaro: le norme di sicurezza si applicano in tutti i settori, sia pubblici che privati.
Soggetto tenuto all'osservanza delle norme è il datore di lavoro: chi è titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore (il beneficiario delle misure di sicurezza) o comunque il soggetto che, secondo il tipo e l'assetto dell'organizzazione nel cui ambito il lavoratore presta la propria attività, ha la responsabilità dell'organizzazione medesima o dell'unità produttiva in quanto esercita i poteri decisionali e di spesa.
Nelle pubbliche amministrazioni, per datore di lavoro si intende il dirigente al quale spettano i poteri di gestione, ovvero il funzionario non avente qualifica dirigenziale, nei soli casi in cui quest'ultimo sia preposto ad un ufficio avente autonomia gestionale, individuato dall'organo di vertice delle singole amministrazioni tenendo conto dell'ubicazione e dell'ambito funzionale degli uffici nei quali viene svolta l'attività, e dotato di autonomi poteri decisionali e di spesa. In caso di omessa individuazione, o di individuazione non conforme ai criteri sopra indicati, il datore di lavoro coincide con l'organo di vertice medesimo. Per alcuni datori di lavoro le norme sono semplificate, per altri invece vanno applicate con alcuni correttivi fissati in sede amministrativa.
E' il caso dei vigili del fuoco, dei volontari della croce rossa e via dicendo per il quale è previsto che le nuove norme trovino applicazione tenendo conto delle effettive particolari esigenze connesse al servizio espletato o alle peculiarità organizzative, «particolarità» da individuarsi con specifici provvedimenti.
Dopo alcune proroghe (l'ultima con il dpcm 25.03.2011), il decreto 13.04.2011 ha fissato le norme di attuazione della sicurezza nei settori del volontariato e della cooperazione sociale.
Campo di applicazione. In base alla nuova disciplina, pienamente operativa trascorsi 180 giorni (dall'08.01.2012), le norme in materia di salute e sicurezza sul lavoro del Tu sicurezza (dlgs n. 81/2008) vanno applicate tenendo conto delle particolari esigenze che caratterizzano le attività e gli interventi svolti dai volontari della protezione civile, dai volontari della croce rossa italiana e del corpo nazionale soccorso alpino e speleologico e dai volontari dei vigili del fuoco, quali:
a) necessità di intervento immediato anche in assenza di preliminare pianificazione;
b) organizzazione di uomini, mezzi e logistica, improntata a carattere di immediatezza operativa;
c) imprevedibilità e indeterminatezza del contesto degli scenari emergenziali nei quali il volontario viene chiamato ad operare tempestivamente e conseguente impossibilità pratica di valutare tutti i rischi connessi (secondo quanto disposto dagli articoli 28 e 29 del Tu sicurezza);
d) necessità di derogare, prevalentemente per gli aspetti formali, alle procedure ed agli adempimenti riguardanti le scelte da operare in materia di prevenzione e protezione, pur osservando ed adottando sostanziali e concreti criteri operativi in grado di garantire la tutela dei volontari e delle persone comunque coinvolte.
In ogni caso, ciò non può comportare omissione o ritardo delle attività e dei compiti di protezione civile.
Con riferimento alle cooperative sociali (di cui alla legge n. 381/1991), inoltre, il decreto stabilisce che le norme di sicurezza nei luoghi di lavoro del Tu sono applicate tenendo conto delle peculiari esigenze relative alle prestazioni che si svolgono in luoghi diversi dalle sedi di lavoro e alle attività che sono realizzate da persone con disabilità (articolo ItaliaOggi del 25.07.2011).

PUBBLICO IMPIEGOFerie, malattia a effetto sospensivo. Da verificare l'incompatibilità effettiva vacanze-indisposizione. Gli effetti del principio stabilito dalla Corte costituzionale ed elaborato dalla giurisprudenza.
Ferie sospese se ci si ammala. La malattia insorta durante le ferie, infatti, ne sospende il decorso, salvo che il datore di lavoro riesca a provare che l'infermità è compatibile con la finalità delle ferie. In tal caso in altre parole la malattia non pregiudica la fruizione del riposo come recupero di energie psicofisiche del lavoratore e, dunque, l'una (ferie) e l'altra (malattia) diventano compatibili.
Il principio stabilito dalla Corte costituzionale ed elaborato dalla giurisprudenza ha messo fine alla sventura degli sfortunati vacanzieri che, costretti a letto durante la villeggiatura, vedevano perdere i giorni di ferie per ritornare al lavoro più stanchi di prima.
Le ferie. La normativa sulle ferie è contenuta in primo luogo nella Costituzione che, all'articolo 36, disciplina questo periodo annuale come diritto fondamentale e irrinunciabile dei lavoratori al fine del recupero delle energie psicofisiche.
Il codice civile (articolo 2109) aggiunge che la durata delle ferie è fissata dalla legge, dai contratti collettivi, dagli usi e secondo equità; che l'epoca del godimento è stabilita dal datore di lavoro tenendo conto delle esigenze dell'impresa e degli interessi del lavoratore; che il periodo di ferie deve essere possibilmente continuativo e con pieno diritto alla retribuzione.
Ferie e malattia. La malattia insorta durante le ferie ne sospende il decorso, salvo che il datore di lavoro provi che la stessa risulta in concreto compatibile con le finalità delle ferie.
È questo il risultato del principio enunciato dalla Corte costituzionale (sentenza n. 616/1987) in aderenza al quale l'Inps (circolare n. 11/1991) aveva stabilito idonee a interrompere le ferie le infermità di durata superiore a tre giorni, a patto di aver comportato necessità di ricovero oppure tempestivamente e adeguatamente notificate all'istituto e al datore di lavoro, nei modi e nei termini previsti ordinariamente per la malattia.
La questione è stata poi affrontata in giurisprudenza sviluppando un contrasto risolto, infine, da una pronuncia delle sezioni unite (sentenza n. 1947/1998) che ha definitivamente individuato le linee da seguire. In primo luogo, è da ritenersi non assoluto, ma tollerante di alcune eccezioni, il principio dell'effetto sospensivo delle ferie in caso di malattia insorta durante il decorso.
In particolare, per l'individuazione delle eccezioni va avuto riguardo alla specificità degli stati morbosi e delle cure di volta in volta considerate, al fine di accertare l'incompatibilità della malattia con la salvaguardia dell'essenziale funzione di riposo, cioè del recupero delle energie psico-fisiche e di ricreazione propria delle ferie. Dal punto di vista pratico (operativo), il lavoratore, il quale nel presupposto della incompatibilità della sopravvenuta malattia con le finalità delle ferie, intenda modificare il titolo della sua assenza da ferie a malattia, ha solo l'onere di comunicare lo stato di malattia al proprio datore di lavoro.
E tale comunicazione è idonea di per sé a determinare, dalla data di conoscenza da parte del datore di lavoro, la conversione dell'assenza per ferie in assenza per malattia, salvo che il datore di lavoro provi, per mezzo dei previsti controlli sanitari, l'infondatezza del presupposto e, quindi, l'inidoneità della malattia a impedire la prosecuzione del periodo feriale.
La visita fiscale. Il datore di lavoro che intenda verificare l'effettiva incompatibilità della malattia con le ferie può ricorrere alla visita fiscale. In tal caso, deve precisare espressamente, all'atto della richiesta del controllo, che si tratta di lavoratore ammalatosi durante un periodo di ferie per il quale si chiede di accertare le condizioni per l'interruzione delle ferie, a partire da una data da indicare e che coincide con quella di ricezione della comunicazione dello stato di malattia (Inps, circolare n. 109/1999). Se la verifica non è possibile per fatto imputabile al lavoratore cade ogni possibilità di considerare la malattia come interruttiva delle ferie.
Nel caso di controlli di ufficio, qualora il datore di lavoro riconosca (autonomamente o a seguito di specifica, diversa visita di controllo) l'effetto sospensivo in questione, le assenze rilevate sono sanzionabili soltanto per il periodo qualificabile ai fini previdenziali come malattia, e cioè per il periodo che si colloca dal momento in cui esplica efficacia l'effetto sospensivo delle ferie (giorno di ricezione, da parte del datore di lavoro, della comunicazione dello stato di malattia).
L'accertamento sanitario. La particolare finalità del controllo è l'accertamento della compatibilità o meno della malattia con il riposo annuale. Pertanto, l'idoneità della malattia ad interrompere le ferie è valutata rapportandola al cosiddetto danno biologico, del quale la capacità lavorativa specifica è solo una estrinsecazione e che, da sola, non è sufficiente a definire la reale incidenza sulla facoltà di svolgere attività ricreativa.
Lo stato d'incapacità temporanea assoluta al lavoro specifico non sempre quindi è idoneo all'interruzione del periodo feriale, ma solo quando, incidendo sulla sfera biologica dell'individuo, contestualmente, diventi causa di un parziale, ma sostanziale e apprezzabile pregiudizio alle finalità delle ferie, cioè al ristoro e reintegro delle energie psicofisiche.
A titolo semplificativo, l'Inps ha affermato che laddove è presente un'inabilità temporanea assoluta generica, come si può verificare in seguito ad elevati stati febbrili, ricoveri ospedalieri, ingessature di grandi articolazioni, malattie gravi di apparati e organi ecc., viene di regola inibita la possibilità di godimento delle ferie; mentre nel caso di inabilità temporanea assoluta al lavoro specifico si possono riscontrare due possibilità: la prima quando la menomazione funzionale, ancorché importante per lo svolgimento del lavoro specifico, ha riflessi marginali sul ristoro proprio delle ferie e pertanto non risulta idonea a interromperle (come nei casi di cefalea, stress psicofisico, sindromi ansioso depressive reattive all'ambiente di lavoro e in genere quelle patologie che spesso trovano nelle attività ludico ricreative un valido sostegno alla risoluzione della sintomatologia); la seconda quando la stessa menomazione funzionale, producendo un sostanziale e apprezzabile pregiudizio alle funzioni biologiche preposte al ristoro e al reintegro delle energie psicofisiche, influenza negativamente il godimento delle ferie e risulta pertanto idonea ad interromperle (articolo ItaliaOggi del 25.07.2011 - tratto da www.corteconti.it).

CONDOMINIOCondominio, stop all'abuso.
L'amministratore può intimare la fine delle violazioni al regolamento - IL CASO - Un avvocato era stato sollecitato dall'amministratore a togliere dall'androne la targa dello studio.
L'emissione dei provvedimenti da parte dell'amministratore di condominio, soprattutto se finalizzati a far cessare le trasgressioni al regolamento, non richiede una delibera ad hoc. L'amministratore, anche quando vi siano incertezze o dubbi interpretativi, può adottare provvedimenti obbligatori per il condominio (articolo 1133 del Codice civile) contro i quali il condomino può ricorrere all'assemblea o proporre direttamente impugnativa ex articolo 1137. Inoltre, questi provvedimenti sono atti autoritativi, contenenti manifestazione di volontà e per essere tali, devono avere portata precettiva, il che richiede anche la fissazione di un termine per adempiere, restando altrimenti meri pareri e non esercizio di poteri legittimamente attribuiti all'amministratore.
L'obbligatorietà non significa però esecutività, dal momento che contro tali provvedimenti è ammesso il ricorso all'assemblea senza pregiudizio del ricorso all'autorità giudiziaria.

Nella sentenza n. 13689/2011 la Cassazione ha affrontato il caso di un amministratore che, con apposita lettera (sollecitata dai condomini), aveva chiesto a un condomino-avvocato di rimuovere una targa professionale apposta, in violazione del regolamento, nel vano antistante il portone, e a sostituire la lastra di marmo così danneggiata.
La targa veniva asportata da ignoti, contro i quali l'avvocato sporgeva denuncia per furto e veniva riposizionata; lo stesso agiva in giudizio contro il condominio e contro l'amministratore in proprio, chiedendo, tra l'altro, la nullità del provvedimento perché adottato in eccesso di potere e la condanna dei convenuti al risarcimento dei danni.
Il tribunale rigettava le domande mentre l'appello degli attori veniva accolto dalla corte secondo la quale «l'amministratore avrebbe potuto dar seguito alla sollecitazione raccolta nel verbale di assemblea solo prudentemente» e con una lettera contenente una «mera segnalazione del problema costituito dalla collocazione della targa in luogo ritenuto non consentito».
Una lettera di «chiaro contenuto precettivo», trasmessa in forma di raccomandata e con determinazione di un tempo (dieci giorni) per l'adempimento, costituirebbe atto illecito con conseguente responsabilità dell'amministratore (sia perché l'emissione non era stata autorizzata dall'assemblea sia perché, anche qualora l'autorizzazione vi fosse stata, l'amministratore avrebbe dovuto comunque prudentemente valutare l'illiceità delle iniziative affidategli dall'assemblea, rifiutandosi, se del caso, di darvi seguito).
Tale prospettazione non è stata condivisa dalla Cassazione che ha precisato che la corte di merito aveva sostanzialmente vanificato il potere dell'amministratore, per la cui esplicazione non è necessaria una preventiva delibera assembleare; aveva trascurato di considerare che, comunque, l'iniziativa era legittimata dal dovere di curare l'osservanza del regolamento e che, al fine di attivarsi per far cessare gli abusi del condomino, l'amministratore condominiale non necessita di alcuna previa delibera condominiale, posto che egli è tenuto ex lege a curare l'osservanza del regolamento di condominio al fine di tutelare l'interesse generale al decoro, alla tranquillità e all'abitabilità dell'edificio (Cassazione, sentenza 14735/2006).
Va quindi escluso che l'iniziativa dell'amministratore costituisse iniziativa negligente, estranea alla funzione ricoperta e al rapporto organico con il condominio, al quale restava imputabile l'atto di difesa del regolamento.
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Così il Codice civile.
Articolo 1133
I provvedimenti presi dall'amministratore sono obbligatori per i condomini. Contro tali provvedimenti è ammesso ricorso all'assemblea, senza pregiudizio del ricorso all'autorità giudiziaria nei casi e nel termine previsti dall'articolo 1137.
Articolo 1137

Contro le deliberazioni contrarie alla legge o al regolamento di condominio ogni condomino dissenziente può fare ricorso all'autorità giudiziaria, ma il ricorso non sospende l'esecuzione del provvedimento, salvo che la sospensione sia ordinata dall'autorità stessa.
Il ricorso deve essere proposto entro 30 giorni, che decorrono dalla data della deliberazione per i dissenzienti e dalla data di comunicazione per gli assenti
(articolo Il Sole 24 Ore del 25.07.2011).

GIURISPRUDENZA

EDILIZIA PRIVATAAumentano le tutele dei terzi sull'applicazione della «Scia».
Da sempre, la dichiarazione d'inizio di attività (la Dia) è un animale giuridico strano che crea difficoltà applicative. Ora l'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato (sentenza 29.07.2011 n. 15) interviene a porre alcuni paletti, forse opinabili, ma che almeno fanno chiarezza.
Il fatto è piuttosto semplice. Un'impresa presenta al Comune di Venezia una Dia edilizia per rendere carrabile il transito sotto un porticato gravato da servitù di passaggio pedonale pubblico. Il comproprietario del porticato impugna la Dia in quanto produttiva di un aggravio illegittimo della servitù. Il Tar Veneto, nell'accogliere il ricorso, annulla la Dia, qualificata come provvedimento autorizzativo.
In sede di appello il Consiglio di Stato conferma la sentenza con diversa motivazione.
I giudici di Palazzo Spada, infatti, negano anzitutto che la Dia, dal 2010 sostituita dalla segnalazione certificata d'inizio di attività (Scia), possa essere assimilata a un provvedimento amministrativo impugnabile. Essa è solo una dichiarazione privata presentata a una pubblica amministrazione. La Scia attua una liberalizzazione delle attività private, in precedenza assoggettate a un regime di autorizzazione preventiva. Essa è diversa anche dal silenzio-assenso, che serve solo a equiparare l'inerzia protratta oltre un certo termine a un'autorizzazione tacita.
Il Consiglio di Stato si sofferma sul regime della Scia e ricorda che
l'amministrazione può vietare l'attività entro 30 giorni (con la Scia, 60 giorni), ove accerti che essa viola la legge. Quest'ultimo è un termine perentorio: successivamente l'amministrazione può intervenire solo con i poteri di autotutela (annullamento d'ufficio) che hanno però natura discrezionale e devono rispettare gli affidamenti creati.
E qui interviene la prima novità che ha un'implicazione pratica processuale per il terzo che vuole contestare la Scia.
La sentenza equipara l'inerzia dell'amministrazione protratta oltre il termine di 30 giorni a un «atto tacito di diniego del provvedimento inibitorio». Pertanto, in quanto atto amministrativo, il terzo può impugnarlo davanti al Tar nel termine ordinario di 60 giorni. Se il ricorso viene accolto, il giudice può, non solo annullare questa finzione di atto, ma anche ordinare all'amministrazione di inibire l'attività oggetto della Scia. Vengono così ribaltati alcuni precedenti che avevano consentito al terzo di esperire un'azione di accertamento atipica (sezione VI, n. 717/2009 e n. 2139/2010).
La sentenza si pone, poi, il problema se il terzo possa promuovere un giudizio prima dei 30 giorni, in modo da impedire l'avvio dell'attività oggetto della Scia o di farla cessare subito.
E qui, con un'ulteriore piroetta interpretativa, superando alcuni ostacoli contenuti nel Codice del processo amministrativo (articolo 34, comma 2), la sentenza ammette un'azione di accertamento atipica che consente solo la richiesta di misure cautelari immediate.
Decorso il termine di 30 giorni, se l'amministrazione emana il provvedimento inibitorio, cessa la materia del contendere e il processo si estingue. Se invece l'amministrazione resta inerte, l'azione di accertamento si converte nell'azione di annullamento dell'atto tacito di diniego di esercizio del potere inibitorio.
Insomma, la tutela del terzo è piena e completa: altro miracolo del nuovo Codice, unito alla fantasia creativa del giudice amministrativo (articolo Il Sole 24 Ore del 30.07.2011).

APPALTI: Onde stabilire la necessità o meno di rendere pubbliche le operazioni compiute in determinate fasi di un procedimento amministrativo finalizzato alla scelta di un contraente, occorre distinguere il momento inderogabile, costituito dall'apertura dei plichi contenenti le offerte, che è operazione preliminare, rispetto alla diversa operazione costituita dalla valutazione delle offerte stesse che, invece, a certe condizioni, può svolgersi senza la presenza delle parti.
- Il regolamento di attuazione del codice degli appalti (d.P.R. 05.10.2010 n. 207), confermando nella sostanza la disciplina già dettata dal d.P.R. n. 554 del 1999, risulta orientato a garantire la pubblicità per tutte le operazioni di gara, compresa la comunicazione dell’eventuale anomalia dell’offerta (art. 121), e prevede la seduta riservata per le valutazioni di natura tecnico-discrezionale. Nel senso che si debba comunque svolgere in pubblico la verifica della integrità di tutti i plichi contenenti l’offerta presentata, con esplicita menzione anche di quello riguardante l’offerta tecnica, si è pronunciata anche la giurisprudenza successiva.
- La giurisprudenza amministrativa ha avuto modo di approfondire la tematica delle operazioni preliminari da svolgere in seduta pubblica, affermando che la “verifica della integrità dei plichi” non esaurisce la sua funzione nella constatazione che gli stessi non hanno subito manomissioni o alterazioni, ma è destinata a garantire che il materiale documentario trovi correttamente ingresso nella procedura di gara, giacché la pubblicità delle sedute risponde all'esigenza di tutela non solo della parità di trattamento dei concorrenti, ai quali deve essere permesso di effettuare gli opportuni riscontri sulla regolarità formale degli atti prodotti e di avere così la garanzia che non siano successivamente intervenute indebite alterazioni, ma anche dell'interesse pubblico alla trasparenza ed all'imparzialità dell'azione amministrativa, le cui conseguenze negative sono difficilmente apprezzabili ex post una volta rotti i sigilli ed aperti i plichi, in mancanza di un riscontro immediato. L’Adunanza Plenaria ritiene che la regola affermata dalla giurisprudenza appena richiamata costituisca corretta interpretazione dei principi comunitari e di diritto interno sopra ricordati in materia di trasparenza e di pubblicità nelle gare per i pubblici appalti e, come tale, meriti di essere confermata e ribadita con specifico riferimento all’apertura della busta dell’offerta tecnica. Tale operazione, infatti, come per la documentazione amministrativa e per l’offerta economica, costituisce passaggio essenziale e determinante dell’esito della procedura concorsuale, e quindi richiede di essere presidiata dalle medesime garanzie, a tutela degli interessi privati e pubblici coinvolti dal procedimento.
- La verifica dei documenti contenuti nella busta consiste in un semplice controllo preliminare degli atti inviati, che non può eccedere la funzione, che ad essa riconosce la giurisprudenza, di ufficializzare la acquisizione della documentazione di cui si compone l’offerta tecnica. L’operazione non deve andare al di là del mero riscontro degli atti prodotti dall’impresa concorrente, restando esclusa ogni facoltà degli interessati presenti di prenderne visione del contenuto. La garanzia di trasparenza richiesta in questa fase si considera assicurata quando la commissione, aperta la busta del singolo concorrente, abbia proceduto ad un esame della documentazione leggendo il solo titolo degli atti rinvenuti, e dandone atto nel verbale della seduta. Così circoscritte le formalità da compiere, la verifica della documentazione non incorre nella denunciata violazione dell’art. 13 del d.lgs. n. 163 del 2006

Il quesito non concerne la fase di valutazione del pregio tecnico dell’offerta, essendo pacifico che tale operazione debba svolgersi in seduta riservata.
L’indirizzo frequentemente seguito dalle Sezioni giurisdizionali, nel senso –come ricordato dall’ordinanza di rimessione- del riconoscimento di un preciso obbligo di svolgimento in seduta pubblica, a pena di illegittimità della procedura, delle operazioni di apertura delle sole buste contenenti la documentazione amministrativa e l’offerta economica, è certamente sorretto da puntuali previsioni normative di pubblicità (artt. 64, comma 5, 67, comma 5, 91, comma 3, d.P.R. n. 554 del 1999, applicabile alla fattispecie ratione temporis, e ora d.P.R. n. 207 del 2010, artt. 117, 119, comma 6, 120, comma 2), che non si rinvengono con riguardo all’apertura della busta dell’offerta tecnica.
I dati normativi citati, imponendo la valutazione dell’offerta tecnica in seduta riservata, senza dettare alcun precetto in ordine all’apertura del plico, sembrano accreditare l’avviso che tale operazione, diversamente da quanto ritenuto e disposto per la busta della documentazione amministrativa e quella dell’offerta economica, non debba necessariamente svolgersi in seduta pubblica e sia tacitamente rinviata al momento della valutazione di merito in separata sede.
Occorre tuttavia verificare se tale conclusione sia compatibile con un riscontro di ordine sistematico condotto alla stregua dei principi che reggono l’affidamento degli appalti pubblici, ed in particolare quello di pubblicità.
Il principio di pubblicità delle gare per i contratti pubblici è radicato in canoni di diritto comunitario e interno costantemente applicati dalla giurisprudenza amministrativa.
In proposito è agevole il richiamo, oltre che all’art. 97 della Costituzione, alle Direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE, da cui è scaturito il Codice italiano dei contratti pubblici, le quali agli articoli, rispettivamente, 10 e 2, stabiliscono, con espressione di portata ineludibile: “Le amministrazioni aggiudicatrici …agiscono con trasparenza”.
La pubblicità delle sedute è la principale manifestazione della trasparenza amministrativa …”, –afferma una decisione della Sezione remittente (16.06.2005 n. 3166), poi confermata dal d.lgs. n. 163 del 2006, che, nel recepire le Direttive ricordate, all’art. 2, comma 1, specifica il precetto comunitario imponendo che l’aggiudicazione degli appalti pubblici avvenga nel rispetto del principio, oltre che di trasparenza, di “pubblicità con le modalità indicate dal presente codice”. E se è vero che il d.lgs. n. 163 non enuncia direttamente alcuna regola specifica in materia di svolgimento delle sedute di gara, per un verso, al comma 3 dello stesso art. 2 rende applicabili le disposizioni sul procedimento amministrativo di cui alla legge n. 241 del 1990 “per tutto quanto non espressamente previsto nel presente codice”; per altro verso, rimette al regolamento la disciplina delle modalità con le quali devono operare le commissioni che procedono alla scelta dell’offerta economicamente più vantaggiosa (art. 84).
Sul richiamo alla trasparenza nella disciplina del procedimento amministrativo non è il caso di indugiare.
Quanto alla normativa regolamentare, l’attenta analisi che ne ha condotto la giurisprudenza, sia con riguardo all’art. 89 del R.D. 23.05.1924 n. 827 che al d.P.R. n. 554 del 1999 in materia di appalti di lavori pubblici (sez. V, 09.10.2002 n. 5421, 16.06.2005 n. 3166; 11.05.2007 n. 2355), pur rilevando l’insufficienza dei dati normativi disponibili, è pervenuta alla conclusione, confortata anche dall’orientamento della giurisdizione contabile (Corte dei conti, sez. contr. St., 09.12.1999, n. 108), secondo cui, onde stabilire la necessità o meno di rendere pubbliche le operazioni compiute in determinate fasi di un procedimento amministrativo finalizzato alla scelta di un contraente, occorre distinguere il momento inderogabile, costituito dall'apertura dei plichi contenenti le offerte, che è operazione preliminare, rispetto alla diversa operazione costituita dalla valutazione delle offerte stesse che, invece, a certe condizioni, può svolgersi senza la presenza delle parti.
Il regolamento di attuazione del codice degli appalti (d.P.R. 05.10.2010 n. 207), confermando nella sostanza la disciplina già dettata dal d.P.R. n. 554 del 1999, risulta orientato a garantire la pubblicità per tutte le operazioni di gara, compresa la comunicazione dell’eventuale anomalia dell’offerta (art. 121), e prevede la seduta riservata per le valutazioni di natura tecnico-discrezionale.
Nel senso che si debba comunque svolgere in pubblico la verifica della integrità di tutti i plichi contenenti l’offerta presentata, con esplicita menzione anche di quello riguardante l’offerta tecnica, si è pronunciata anche la giurisprudenza successiva (Cons. Stato, sez. V, 23.12.2010, n. 8155; 28.10.2008 n. 5386; sez. VI, 22.04.2008 n. 1856).
Ciò premesso, e con specifico riguardo al quesito sottoposto all’Adunanza Plenaria, va sottolineato che la giurisprudenza amministrativa ha avuto modo di approfondire la tematica delle operazioni preliminari da svolgere in seduta pubblica, affermando che la “verifica della integrità dei plichi” non esaurisce la sua funzione nella constatazione che gli stessi non hanno subito manomissioni o alterazioni, ma è destinata a garantire che il materiale documentario trovi correttamente ingresso nella procedura di gara, giacché la pubblicità delle sedute risponde all'esigenza di tutela non solo della parità di trattamento dei concorrenti, ai quali deve essere permesso di effettuare gli opportuni riscontri sulla regolarità formale degli atti prodotti e di avere così la garanzia che non siano successivamente intervenute indebite alterazioni, ma anche dell'interesse pubblico alla trasparenza ed all'imparzialità dell'azione amministrativa, le cui conseguenze negative sono difficilmente apprezzabili ex post una volta rotti i sigilli ed aperti i plichi, in mancanza di un riscontro immediato (Cons. Stato, sez. V, 17.09.2010, n. 6939; 10.11.2010, n. 8006; 04.03.2008, n. 901; sez. VI, 22.04.2008, n. 1856; sez. V, 03.12.2008, n. 5943; sez. IV, 11.10.2007, n. 5354; sez. V, 18.03.2004, n. 1427).
L’Adunanza Plenaria ritiene che la regola affermata dalla giurisprudenza appena richiamata costituisca corretta interpretazione dei principi comunitari e di diritto interno sopra ricordati in materia di trasparenza e di pubblicità nelle gare per i pubblici appalti e, come tale, meriti di essere confermata e ribadita con specifico riferimento all’apertura della busta dell’offerta tecnica. Tale operazione, infatti, come per la documentazione amministrativa e per l’offerta economica, costituisce passaggio essenziale e determinante dell’esito della procedura concorsuale, e quindi richiede di essere presidiata dalle medesime garanzie, a tutela degli interessi privati e pubblici coinvolti dal procedimento.
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Con riferimento specifico alla paventata ostensione di documenti al pubblico presente, in pretesa violazione dell’art. 13 del d.lgs. n. 163 del 2006, va precisato che la verifica dei documenti contenuti nella busta consiste in un semplice controllo preliminare degli atti inviati, che non può eccedere la funzione, che ad essa riconosce la giurisprudenza, di ufficializzare la acquisizione della documentazione di cui si compone l’offerta tecnica. L’operazione non deve andare al di là del mero riscontro degli atti prodotti dall’impresa concorrente, restando esclusa ogni facoltà degli interessati presenti di prenderne visione del contenuto.
La garanzia di trasparenza richiesta in questa fase si considera assicurata quando la commissione, aperta la busta del singolo concorrente, abbia proceduto ad un esame della documentazione leggendo il solo titolo degli atti rinvenuti, e dandone atto nel verbale della seduta.
Così circoscritte le formalità da compiere, la verifica della documentazione non incorre nella denunciata violazione dell’art. 13 del d.lgs. n. 163 del 2006
(Consiglio di Stato, ad. plenaria, sentenza 28.07.2011 n. 13 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: “Berceau” - Permesso di costruire - Necessità - Esclusione.
Per la costruzione di manufatti di tipo “berceau”, formati da intelaiatura metallica scoperta, non appare necessario un titolo edilizio costituito dal permesso di costruire (o dalla denuncia di inizio attività alternativa a quest’ultimo): si tratta, infatti, di strutture precarie e semplicemente poggiate al suolo, facilmente amovibili, non idonee a creare nuovi volumi e quindi a determinare la <<trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio>>, che ai sensi dell’art. 10 del DPR 380/2001 impone il permesso di costruire.
La giurisprudenza ha del resto qualificato il c.d. “berceau” come un’opera edilizia leggera, tipo pergolato, costituita soltanto da una intelaiatura metallica o di legno, priva di pareti e copertura, con eventuali piante rampicanti che hanno però funzione meramente ornamentale (cfr. TAR Lombardia, Brescia, sez. I, 17.11.2010, n. 4638) (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 26.07.2011 n. 1995 - link a www.ambientediritto.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA - LAVORI PUBBLICI: INQUINAMENTO - Approvazione di nuovo tracciato stradale - Incremento dell’inquinamento acustico e atmosferico - Singoli incisi - Legittimazione a ricorrere - Criterio della vicinitas - Diritto alla salute.
In tema di approvazione del tracciato di una nuova strada destinata a creare un significativo incremento del traffico veicolare potenzialmente idoneo ad incidere in senso pregiudizievole sui terreni agricoli immediatamente limitrofi (cfr. Cons. Stato, sez. V, 16.06.2009, n. 3849), sussiste, anche sulla base del criterio della "vicinitas", la legittimazione ad agire dei singoli a tutela di interessi incisi da atti e comportamenti dell'amministrazione che li ledono direttamente e personalmente (nella fattispecie i ricorrenti lamentavano il concreto pregiudizio che il consistente incremento del traffico sulle vie in prossimità delle quali risiedono causerebbe alla loro salute, alla loro incolumità ed in generale alle loro condizioni di vita).
Appare inoltre evidente l’incidenza delle misure in contestazione con primari diritti dei medesimi, anche di ordine costituzionale, quali quello alla salute, e la conseguente sussistenza di legittimazione ed interesse a ricorrere.
INQUINAMENTO - Modifiche alla viabilità - Incremento di traffico - Studi e verifiche istruttorie.
Le modifiche alla viabilità comportanti incremento di traffico e, dunque, di emissioni inquinanti e rumorose ed influenti, per tali motivi, sulla salute, sull’incolumità e sui comportamenti di vita dei soggetti incisi devono essere precedute da studi specifici o da altre verifiche istruttorie che diano conto della concreta situazione e delle ragioni di interesse pubblico per le quali solo la soluzione poi adottata, e non altre alternative, sarebbe stata quella rispondente alle esigenze da soddisfare, pur comportando le conseguenze deleterie alla stessa connesse (TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 26.07.2011 n. 1982 - link a www.ambientediritto.it).

URBANISTICA: Piani di lottizzazione - Termine di validità decennale - Parte inattuata - Inefficacia - Artt. 16 e 17 L. n. 1150/1942 - Comune - Stipula di nuova convenzione - Procedure previste per l’approvazione di piani attuativi.
Le disposizioni di cui agli artt. 16 e 17 l. 17.08.1942 n. 1150, si applicano anche ai piani di lottizzazione, con la conseguenza che va riconosciuta anche ad essi l'applicabilità del termine massimo di validità decennale entro il quale devono essere attuati e decorso il quale divengono inefficaci per la parte inattuata (Cons. Stato, sez. VI, 20.01.2003, n. 200).
Una volta sopraggiunta l’inefficacia del piano, l’art. 17, l. 17/08/1942 n. 1150 prevede, al comma 2, che “ove il Comune non provveda a presentare un nuovo piano per il necessario assetto della parte di piano particolareggiato che sia rimasta inattuata per decorso di termine, la compilazione potrà essere disposta dal prefetto a norma del secondo comma dell'art. 14”.
Il Comune può, dunque, disciplinare la parte di piano che non ha avuto attuazione mediante un nuovo piano e dovrà, quindi, agire nel rispetto delle procedure previste dalla legge per l’approvazione dei piani attuativi: non può, perciò, limitarsi ad addivenire alla stipula di una nuova convenzione che modifichi quanto previsto dai piani attuativi divenuti inefficaci (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 20.01.2003, n. 200; TAR Sicilia Catania, sez. I, 10.06.2010, n. 2274; TAR Sardegna Cagliari, sez. II, 19.02.2010, n. 187) (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 26.07.2011 n. 1979 - link a www.ambientediritto.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: DIRITTO PROCESSUALE AMMINISTRATIVO - Computo dei termini - Sabato - Equiparazione ai giorni festivi - Limiti - Art. 52, c. 5 c.p.a.
Il sabato è equiparato ai giorni festivi (in virtù della novella di cui all'art. 2, co. 11, d.l. n. 263 del 2005, in vigore dall'01.03.2006) solo al fine del compimento degli atti processuali svolti fuori dell'udienza che scadono di sabato, onde consentire agli avvocati di procedere ai relativi adempimenti, concernenti i termini di notifica e deposito che scadono di sabato, il successivo lunedì; a tutti gli altri effetti il sabato è considerato giorno lavorativo. Il c.p.a. esplicita l'applicabilità della disciplina sul sabato anche al processo amministrativo (art. 52, co. 5, c.p.a).
Questa regola, però, vale solo per i termini che si calcolano in avanti, e non anche per i termini che si calcolano a ritroso; infatti l'art. 52, co. 5, c.p.a. estende al sabato solo la proroga di cui al comma 3, ossia la proroga dei giorni che scadono di giorno festivo, e dunque non anche il meccanismo di anticipazione di cui al co. 4; ne consegue che se un termine a ritroso scade di sabato, esso non va anticipato al venerdì, così come se il termine a ritroso scade di domenica, va anticipato al sabato e non al venerdì (Cons. St. Sez. V, 31.05.2011 n. 3252) (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 25.07.2011 n. 4454 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Autorizzazione alla costruzione ed esercizio di impianti di energia da fonti rinnovabili - Art. 12 d.lgs. n. 387/2003 - Conferenza di servizi - Proprietari dei terreni interessati da servitù di elettrodotto - Titolarità di diritti partecipativi - Esclusione.
In tema di autorizzazione alla costruzione ed all’esercizio degli impianti di energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili, l’art. 12 del d.lgs. n. 387/2003 prevede un procedimento ispirato a principi di semplificazione e accelerazione, che sostituisce tutti i pareri e le autorizzazioni necessari, tramite il modulo della conferenza di servizi (Cons. St. Sez. VI, 22.02.2010 n. 1020).
La lettera e la ratio dell’art. 14-ter della legge n. 241/1990 sul funzionamento della conferenza di servizi, richiamata dall’art. 12, prevede la partecipazione delle sole autorità amministrative interessate direttamente al provvedimento da emanare, che sono destinatarie immediate e beneficiarie delle garanzie partecipative previste per i lavori della conferenza (Cons. St. Sez. V, 13.09.2010, n. 6562; 04.03.2008, n. 824).
E’ pertanto da escludersi che le società proprietarie dei terreni interessati da servitù di elettrodotto, in quanto non destinatarie dell’atto finale, siano titolari di diritti partecipativi al procedimento di rilascio di autorizzazione unica prevista dal citato art. 12.
Impianti di energia da fonti rinnovabili - Autorizzazione - Conferenza di servizi - Partecipazione dei proprietari di terreni interessati da servitù di elettrodotto - Termini applicabili.
Anche ove si ritenesse che la determinazione dell’amministrazione di invitare alla conferenza di servizi i soggetti proprietari dei terreni interessati da servitù di elettrodotto comportasse l’accettazione di un loro coinvolgimento anche nel procedimento di autorizzazione, non si potrebbe comunque loro applicare altro termine se non quello di cinque giorni di cui le stesse amministrazioni partecipanti beneficiano, stabilito dall’art. 14-ter della L n. 241/1990.
Non può, invero, ritenersi applicabile l’art. 10-bis della legge n. 241/1990 sul preavviso di rigetto (che prevede un termine di dieci giorni), nei confronti di soggetti diversi dal richiedente l’autorizzazione.
Art. 12 d.lgs. n. 387/2003 - Comunicazione di avvio del procedimento - Destinatari - Proprietari di suoli confinanti con l’area di intervento - Esclusione.
La p.a. è tenuta a notificare la comunicazione di avvio del procedimento amministrativo ai soli soggetti nei confronti dei quali il provvedimento finale è destinato a produrre effetti diretti e a quelli che per legge debbono intervenirvi (Cons. Stato Sez. IV Sent., 03-03-2009, n. 1213), tra cui non sono ricompresi, in base al chiaro disposto dell’art. 12 d.lgs. n. 387/2003, i proprietari di suoli confinanti con l’area di intervento.
Conferenza di servizi ex art. 12, c. 3, d.lgs. n. 387/2003 - Convocazione - Termine di trenta giorni - Termine di 180 gg. per la conclusione del procedimento - Natura acceleratoria.
Il termine di trenta giorni entro il quale la conferenza di servizi deve essere convocata ai sensi dell’art. 12, c. 3 del d.lgs. n. 387/2003 ha natura acceleratoria, non potendosi considerare il mancato rispetto di tale termine, per di più giustificato dalla complessità dell’istruttoria, come vizio del provvedimento finale.
Parimenti, il superamento del termine finale di 180 giorni previsto dall’art. 12, comma 4 (nel testo all’epoca vigente), per la conclusione del procedimento di autorizzazione non priva l’amministrazione del potere di adottare il provvedimento finale, dovendo essere riconosciuta anche a questo termine natura acceleratoria e non perentoria (Cons. St. 11.05.2010, n. 2825).
Impianti a fonti rinnovabili - Ubicazione in zona agricola - Possibilità - Art. 12 d.lgs. n. 387/2003.
L’art. 12 d.lgs. n. 387/2003 consente l’ubicazione di impianti a fonti rinnovabili anche in zone classificate agricole (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 25.07.2011 n. 4454 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: VIA - Provvedimento di esclusione - Efficacia - Pubblicazione sul B.U.R. - Necessità - Esclusione - Art. 32 d.lgs. n. 152/2006.
L’efficacia del provvedimento regionale di esclusione dalla procedura di VIA, ai sensi dell’art. 32 d.lgs. n. 152 del 2006 (nel testo all’epoca vigente), non dipende dalla sua pubblicazione, che non risulta prescritta come obbligatoria per legge.
E’ pertanto irrilevante la mancata pubblicazione sul B.U.R. ai fini della decorrenza del termine per l’impugnazione, che deve farsi pertanto decorrere per il soggetto che si ritenga leso dalla piena conoscenza dei suoi elementi essenziali, quali l’autorità emanante, la data, il contenuto dispositivo ed il suo effetto lesivo, salva la possibilità di proporre motivi aggiunti ove dalla conoscenza integrale del provvedimento emergano profili di illegittimità specifici ed ulteriori relativi al suo contenuto (Cons. St. Sez. IV, 13.06.2011, n. 3583, Sez. V, 23.05.2011, n. 2842) (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 25.07.2011 n. 4454 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Vincolo paesaggistico - Apposizione sull’intero territorio di un comune - Motivazione.
La giurisprudenza ha da tempo riconosciuto allo Stato il potere di porre un vincolo paesaggistico sull'intero territorio di un comune (Cons. Stato, IV, 06.12.1985, n. 596; VI, 04.04.1997, n. 553, IV, 20.03.2006, n. 1470): il provvedimento deve però essere motivato sulla base di concreti e specifici indici dell'interesse paesistico dominante e non già con riferimento ad un mero rapporto di vicinanza delle aree più urbanizzate rispetto a quelle di più diretto ed immediato rilievo paesistico.
In particolare, il decreto di vincolo non potrà imporre limiti su di un intero territorio comunale, qualora il provvedimento sia motivato con richiamo a ragioni ed apprezzamenti che, per la loro genericità, potrebbero giustificare l'imposizione del vincolo in questione su qualsiasi territorio dello Stato (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 21.07.2011 n. 4429 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Vincolo paesaggistico - Compromissione della bellezza naturale ad opera di preesistenti realizzazioni - Nuove costruzioni - Effettiva e reale tutela del paesaggio.
Pur dovendo l’intervento della Sovrintendenza tendere alla conservazione dei valori presidiati dal vincolo al fine di evitare ulteriori interventi deturpanti, a prescindere dall’esistenza di eventuali altre evidenze abusive, dal momento che la situazione di compromissione della bellezza naturale ad opera di preesistenti realizzazioni, anziché impedire, maggiormente richiede che nuove costruzioni non alterino maggiormente l’ambito protetto, nondimeno, la prevenzione di ulteriori deturpamenti deve essere effettiva e non solo teorica.
La valutazione dell’Amministrazione va necessariamente, quindi, riferita alla circostante, anche se circoscritta, realtà dei luoghi nei quali il manufatto considerato viene ad inserirsi, dal momento che l’effettiva tutela del paesaggio, e non l’inutile evocazione di un valore astratto ed irreale, è l’obiettivo da perseguire nell’esercizio della funzione di tutela: il giudizio di comparazione dell’opera al contesto da difendere va compiuto, in conclusione, tenendo presente le effettive e reali condizioni di sistema dell’area in cui il manufatto è stato inserito (sul punto, cfr. Cons. Stato, VI, 29.12.2010, n. 9578) (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 21.07.2011 n. 4418 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Pannelli fotovoltaici - Incisione negativa sulla fruibilità paesaggistica - Assenza di misure idonee a mitigare l’impatto - Parere negativo della Soprintendenza- Illogicità - Esclusione.
Non è implausibile -potendo pertanto escludersi vizi di illogicità del parere contrario dell’autorità tutoria- ritenere che la disposizione dei pannelli fotovoltaici in maniera da costituire un unico piano di rilevanti dimensioni e di altezza significativa possa incidere negativamente sulla fruibilità paesaggistica dei luoghi, in assenza di misure, indicate dalla Soprintendenza, idonee a mitigare l’impatto ambientale (nella specie, frazionamento della struttura con chiome di alberi) (TAR Campania-Salerno, Sez. II, sentenza 21.07.2011 n. 1346 - link a www.ambientediritto.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: E' riservato a Poste Italiane l'invio dei plichi raccomandati relativi a procedure sanzionatorie adottate dalla p.a..
In virtù dell'art. 10 comma 1, l. 03.08.1999 n. 265, e dell'art. 4, d.lgs. 22.07.1999 n. 261, l'invio dei plichi raccomandati, relativi a procedure sanzionatorie adottate dalle p.a., è riservato alle Poste Italiane (salvo che la notifica avvenga tramite messi comunali), con la conseguenza che, da un canto, le Pubbliche Amministrazioni, ove intendano avvalersi delle Poste Italiane, aderendo ad un'opzione già effettuata a livello legislativo, non hanno alcun onere motivazionale (TAR Sicilia Palermo, sez. III, 04.02.2008, n. 178), dall’altro, l'amministrazione che si avvalga del servizio postale per la notificazione degli estremi della violazione, ai sensi dell'art. 14 della legge n. 689 del 1981, è tenuta ad osservare le norme sulla notificazione degli atti giudiziari a mezzo della posta, come dettate dalla legge n. 980 del 20.11.1982, sicché i relativi adempimenti non possono formare oggetto di concessione a privati, come prevista per taluni servizi postali dall'art. 29 d.P.R. 29.03.1973 n. 156 e dagli art. 121 e 148 del regolamento di esecuzione approvato con d.P.R. 29.05.1982 n. 655.
La legge n. 890 del 1982, riserva infatti all'amministrazione postale tutti gli adempimenti del procedimento di notificazione e il d.lgs. n. 261 del 1999, che ha liberalizzato i servizi postali, ha continuato a riservare in via esclusiva (art. 4, comma 5) al fornitore del servizio universale (e cioè all'Ente Poste) gli invii raccomandati attinenti alle procedure amministrative e giudiziarie.
Conseguentemente, la notificazione affidata all'agenzia privata concessionaria, a norma dell'art. 29 del codice postale, ed eseguita dai dipendenti della stessa, si deve considerare giuridicamente inesistente e ad essa consegue l'effetto dell'estinzione dell'obbligazione di pagare la somma dovuta per la violazione, secondo la previsione dell'art. 14 della legge n. 689 del 1981 (Cassazione civile , sez. I, 19.10.2006, n. 22375; Idem, 21.09.2006 n. 20440; Cassazione civile, sez. trib., 07.05.2008 n. 11095) (massima tratta da www.dirittodegliappaltipubblici.it - TAR Sicilia-Catania, Sez. III, sentenza 21.07.2011 n. 1942 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Sulla possibilità di modificare la composizione di un RTI concorrente in una gara d'appalto prima della fase di presentazione dell'offerta.
In materia di composizione dei raggruppamenti temporanei e di loro modificazione la norma di riferimento è l'art. 37, c. 9, del D.Lgs. n. 163/2006 che dispone: "… Salvo quanto disposto ai commi 18 e 19, è vietata qualsiasi modificazione alla composizione dei raggruppamenti temporanei e dei consorzi ordinari di concorrenti rispetto a quella risultante dall'impegno presentato in sede di offerta".
Se il divieto di modificazioni è correlato all'assunzione dell'impegno che consegue alla presentazione dell'offerta è logico ritenere che l'ordinamento non esclude la possibilità di modificazioni prima che l'offerta sia presentata, anche se la procedura è già stata avviata (ed è il caso della procedura ristretta, che contempla una previa fase di qualificazione).
Nella fase precedente la formulazione dell'offerta, d'altra parte, il concorrente non assume nessun impegno particolare: non quello alla partecipazione (che dipende dalle valutazioni della stazione appaltante), né quello di presentare un'offerta in caso di invito (che il concorrente resta libero di accogliere o meno) (TAR Toscana, Sez. I, sentenza 20.07.2011 n. 1254 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: La clausola di un bando che, preveda requisiti soggettivi di ammissione tali da precludere in modo sicuro l'utile partecipazione di determinate categorie di soggetti è direttamente lesiva e deve, pertanto, essere immediatamente impugnata.
Nel caso in cui la clausola della "lex specialis" preveda requisiti soggettivi di ammissione tali da precludere in modo sicuro l'utile partecipazione di determinate categorie di soggetti, com'è il caso dell'impossibilità di far ricorso all'istituto dell'avvalimento, deve essere immediatamente impugnata dall'impresa che risulti priva di siffatti requisiti, in quanto il bando è immediatamente lesivo; soltanto nell'ipotesi in cui la predetta clausola presenti, invece, un profilo di ambiguità, nel senso di non rendere immediatamente percepibile l'effetto preclusivo della partecipazione per le imprese prive di un determinato requisito soggettivo, il bando non assume carattere immediatamente lesivo e, pertanto, deve essere impugnato unitamente all'atto con il quale l'impresa è stata esclusa dalla gara, in applicazione proprio della clausola suscettibile di diverse interpretazioni (TAR Lazio-Roma, Sez. II-ter, sentenza 19.07.2011 n. 6478 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI FORNITURE E SERVIZI: Sull'istituto della revisione dei prezzi negli appalti di servizi o forniture ad esecuzione periodica o continuativa: finalità e termine di prescrizione.
La natura dell'istituto della revisione dei prezzi negli appalti di servizi o forniture ad esecuzione periodica o continuativa disciplinata dall'art. 115 del Codice dei Contratti Pubblici (d.lgs. n. 163 del 2006) ha una duplice funzione: da un lato di tutela dell'esigenza dell'Amministrazione di evitare che il corrispettivo del contratto di durata subisca aumenti incontrollati nel corso del tempo tali da sconvolgere il quadro finanziario sulla cui base è avvenuta la stipulazione del contratto; dall'altro di tutela dell'interesse dell'impresa a non subire l'alterazione dell'equilibrio contrattuale conseguente alle modifiche dei costi che si verifichino durante l'arco del rapporto e che potrebbero indurla ad una surrettizia riduzione degli standard qualitativi delle prestazioni.
La disciplina dettata in materia di revisione prezzi negli appalti di servizi o forniture ad esecuzione periodica o continuativa, di cui all'art. 115 del d.lgs. n. 163/2006, ha carattere imperativo ed un'eventuale clausola contrattuale difforme rispetto alla disciplina normativamente prevista, deve ritenersi nulla. La legge non ha, invece, provveduto a stabilire espressamente un periodo massimo oltre il quale non sia possibile richiedere di procedere alla revisione del prezzo. Considerata la natura indisponibile del diritto in questione, nonché la mancanza di un espresso termine normativo entro il quale il diritto possa essere fatto valere, la richiesta può essere effettuata entro il termine di prescrizione quinquennale dettato dall'art. 2948, n. 4) c.c..
Pertanto, nel caso di specie, la relativa richiesta della società di revisione dei prezzi non poteva essere respinta in quanto non era decorso il suddetto termine di prescrizione e conseguentemente le deve essere riconosciuto il diritto al pagamento degli importi dovuti a titolo di revisione prezzi (Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 19.07.2011 n. 4362 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: INQUINAMENTO - Intervento di messa in sicurezza - Artt. 240, 242 e 244 d.lgs. n. 152/2006 - Presupposto - Condizione di emergenza.
In assenza di rischio di una diffusione immediata della contaminazione -e quindi della necessità di un intervento urgente-, presentando l’inquinamento le caratteristiche di un fenomeno endemico, è richiesto un intervento organico di bonifica che ricostruisca le cause del fenomeno, sia in grado di risalire a chi ha la responsabilità dell’inquinamento e individui le misure opportune per eliminare l’inquinamento presente.
Tutto ciò non può essere ottenuto attraverso un intervento di messa in sicurezza, che peraltro, ai sensi degli artt. 240, 242 e 244 d.lgs. n. 152/2006, presuppone una condizione di emergenza (TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 19.07.2011 n. 1937 - link a www.ambientediritto.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: RIFIUTI - Abbandono - Art. 193 d.lgs. n. 152/2006 - Proprietario dell’area - Ipotesi legale di responsabilità oggettiva - Esclusione - Accertamenti - Contraddittorio - Omissione colpevole.
In tema di abbandono di rifiuti, la giurisprudenza amministrativa, già con riferimento alla misura prevista dall'art. 14 dell’abrogato D.Lgs. n. 22/1997, riteneva che il proprietario dell'area fosse tenuto a provvedere allo smaltimento, ma solo a condizione che ne fosse dimostrata la corresponsabilità almeno a titolo di colpa con gli autori dell'illecito, e, conseguentemente, escludeva che la norma configurasse un'ipotesi legale di responsabilità oggettiva, affermando l'illegittimità degli ordini di smaltimento di rifiuti indiscriminatamente rivolti al proprietario di un fondo in mancanza di adeguata dimostrazione dell’imputabilità soggettiva della condotta, sulla base di un'istruttoria completa e di un'esauriente motivazione.
I medesimi principi si traggono, oggi, dalla previsione di cui all'art. 192 del D.Lgs. n. 152/2006, che non soltanto riproduce il tenore dell'art. 14 cit. circa la necessaria imputabilità dell’abbandono a titolo di dolo o colpa, ma integra il precedente precetto, precisando che l'ordine di rimozione può essere adottato esclusivamente in base agli accertamenti effettuati, in contraddittorio con i soggetti interessati, dai soggetti preposti al controllo (Cons. Stato, sez. V, 19.03.2009, n. 1612); con il corollario secondo cui, anche se si ritenga sufficiente, ad integrare la corresponsabilità del proprietario per lo smaltimento di rifiuti abbandonati su un fondo di sua proprietà, la semplice omissione di cautele suggerite dall'ordinaria diligenza, sono pur sempre necessari indizi concreti che permettano di addebitare una omissione colpevole, non essendo a tal fine sufficiente la mera assenza di comportamenti volti a rimuovere i rifiuti (Cons. Stato, sez. V, 16.07.2010, n. 4614) (TAR TOSCANA, Sez. II - sentenza 19.07.2011 n. 1245 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Permesso di costruire in sanatoria - Termine di sessanta giorni - Provvedimento tacito di diniego - Art. 36, c. 3 d.P.R. n. 380/2001 - Art. 140 L.r. Toscana n. 1/2005 - Interpretazione.
L’art. 36, comma 3, del D.P.R. n. 380/2001 prevede che, decorsi 60 giorni dalla richiesta di permesso di costruire in sanatoria, la stessa si intende rifiutata. Pertanto, trascorso il suddetto termine, si forma un tacito provvedimento di diniego (TAR Toscana, III, 2/3/2011, n. 418).
Non depone in senso contrario l’art. 140 della L.R. Toscana n. 1/2005, il quale non qualifica espressamente il silenzio mantenuto dal Comune sulla richiesta di attestazione di conformità.
Invero la predetta norma regionale va interpretata in modo costituzionalmente orientato, nel senso della sua neutralità circa la qualificazione del silenzio sulla domanda di sanatoria edilizia, dovendosi tenere conto che la qualificazione, da parte del legislatore nazionale, del silenzio come atto tacito di diniego esprime un principio fondamentale della materia urbanistica, come tale non derogabile dal legislatore regionale (TAR Campania, Napoli, III, 17/09/2010, n. 17440).
Ordine di demolizione - Comunicazione di avvio del procedimento - Necessità - Esclusione.
L’ordine di demolizione non presuppone necessariamente la comunicazione di avvio del procedimento, stante il suo carattere di atto dovuto e vincolato, basato su meri accertamenti tecnici e privo di apprezzamenti discrezionali.
Invero la giurisprudenza amministrativa ha ripetutamente precisato che gli atti repressivi di abusi edilizi hanno natura urgente e strettamente vincolata, con la conseguenza che, ai fini della loro adozione, non sono richiesti apporti partecipativi del destinatario e quindi non devono necessariamente essere preceduti dalla comunicazione di avvio del procedimento (ex multis: Cons. Stato, VI, 24/09/2010, n. 7129; TAR Puglia, Lecce, III, 09/02/2011, n. 240; TAR Campania, Napoli, IV, 13/01/2011, n. 84) (TAR Toscana, Sez. III, sentenza 15.07.2011 n. 1214 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Creazione di un dislivello mediante accumulo di terra - Modifica dell’andamento naturale del terreno -Alterazione dello scolo naturale delle acque - Nuova costruzione - Assoggettamento alle norme sulle distanze.
La creazione di un dislivello, mediante accumulo di terra, che non trova riscontro in un preesistente stato del luogo, comporta una rilevante modifica dell’andamento naturale del terreno e altera il naturale scolo delle acque, assumendo, quale non esigua modifica dell’andamento naturale del terreno, le caratteristiche di nuova costruzione (Cass., II, 21/05/1997, n. 4511; Cons. Stato, V, 12/04/2005, n. 1619), come tale assoggettata alle norme sulle distanze (TAR Toscana, Sez. III, sentenza 15.07.2011 n. 1203 - link a www.ambientediritto.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: RIFIUTI - Abbandono sull’area di sedime della strada - Abbandono nelle vicinanze dell’area stradale - Ente Proprietario o ente gestore - Obbligo di rimozione - Diversità.
L'Ente proprietario (e, in sua vece, l’Ente gestore) della strada ha l'obbligo di provvedere alla pulizia della stessa in modo da non creare danno o pericoli alla circolazione; pertanto spetta alla detta P.A. procedere alla raccolta dei rifiuti abbandonati da terzi “sull'area di sedime della strada stessa” a prescindere dalla sussistenza dell'elemento soggettivo del dolo o della colpa del detto proprietario (Cfr. Cons. Stato Sez. IV 18.06.2009 n. 4005).
La soluzione è invece diversa allorché si tratti di rifiuti solidi non pericolosi abusivamente depositati nelle “vicinanze” dell'area stradale e non risulti riscontrabile né tanto meno denunciato alcun profilo soggettivo di dolo o quanto meno di colpa in capo all' Ente proprietario o gestore (TAR Campania, Napoli, V, 05.12.2008, n.21013).
RIFIUTI - Abbandono - Art. 192 d.lgs. n. 152/2006 - Sanzione amministrativa di tipo reintegratorio - Responsabilità - Individuazione.
L’art. 192 del Decr. Legisl. n. 152/2006, attualmente vigente e che ha riprodotto l'art. 14, comma 3, del Decr. Legisl. n. 22/1997 (per la sua esegesi, cfr. Cons. Stato, V, 25.08.2008, n.4061) ha introdotto una sanzione amministrativa di tipo reintegratorio, potendo essere adottata anche in assenza di una situazione in cui sussista l’urgente necessità di provvedere con efficacia e immediatezza (TAR Veneto, III, 29.09.2009, n.2454) e avente a contenuto l’obbligo di rimozione, di recupero o di smaltimento e di ripristino a carico del responsabile del fatto di discarica o immissione abusiva, a carico, cioè, di “chiunque viola i divieti di abbandono e di deposito incontrollato di rifiuti sul suolo”, in solido con il proprietario e con i titolari di diritti reali o personali di godimento sull’area ai quali tale violazione sia imputabile a titolo di dolo o di colpa. (ex multis, TAR Calabria, Catanzaro, I, 20.10.2009, n. 1118; Cons. Stato, V, 19.03.2009, n. 1612; TAR Sardegna, 18.05.2007, n. 975; 19.09.2004, n. 1076; TAR Puglia, Bari, 27.02.2003, n. 872; TAR Lombardia, Milano, I, 26.01.2000, n. 292).
RIFIUTI - Abbandono su aree stradali - Comune - Imposizione all’ente gestore dell’obbligo di pulizia - Illegittimità.
Nessuna norma di legge nel settore specifico della viabilità attribuisce ai Comuni il potere di assicurare la pulizia delle strade imponendo autoritativamente obblighi di facere al gestore al fine di garantire "la sicurezza e la fluidità della circolazione", né un tal potere può desumersi implicitamente dalla natura del Comune quale ente locale a fini generali atteso che tra gli interessi pubblici affidati alla cura dei comuni non v'è anche quello di garantire la sicurezza e la fluidità della circolazione delle strade.
RIFIUTI - Abbandono su aree stradali - Ordine di rimozione rivolto al proprietario della strada - Assenza di adeguata istruttoria - Imputabilità soggettiva - Art. 14, cc. 1 e 3, cod. strada - Attività naturalmente connesse con la gestione della strada.
E’ Illegittimo l’ordine di rimozione dei rifiuti rivolto al proprietario della strada in assenza di adeguata istruttoria e di idonea motivazione circa l'imputabilità soggettiva di una qualche condotta attiva od omissiva che abbia anche solo agevolato la violazione del divieto di abbandono di rifiuti: dall'ente gestore sono piuttosto esigibili, ai sensi del combinato disposto dei commi 1 e 3 dell’art.14 del Codice della strada, solo le attività ordinarie e straordinarie naturalmente connesse alla gestione della sede stradale (a titolo di mero quanto non esaustivo esempio: manutenzione dell'asfalto, della segnaletica orizzontale e verticale, delle eventuali infrastrutture a corredo, potatura degli arbusti prospicienti e delle aiuole divisorie e pulizia connessa, eliminazione di pericoli, ect.) (TAR Campania-Napoli, Sez. V, sentenza 14.07.2011 n. 3835 - link a www.ambientediritto.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Sì all’accertamento dell’illegittimità degli atti anche se la materia del contendere è cessata.
La cessazione della materia del contendere per atto sopravvenuto dell’Amministrazione in corso di giudizio non rimuove l’interesse del ricorrente all’ottenimento di una pronuncia di merito sulla legittimità degli atti originariamente impugnati. Il ricorrente può, infatti, chiedere il risarcimento del danno derivante dagli atti impugnati, rispetto al quale l’accertamento dell’illegittimità ne è presupposto.

A questo principio, riconosciuto a livello di diritto positivo dall’articolo 34, comma 3, del Codice del processo amministrativo, il TAR Lombardia-Milano, Sez. III, con la sentenza 14.07.2011 n. 1887 aggiunge che per ottenere la pronuncia di accertamento dell’illegittimità degli atti impugnati non è necessario aver richiesto il risarcimento del danno già in corso di giudizio, potendo tale azione essere esercitata in futuro.
Il contenzioso è derivato da un provvedimento di revoca della patente di guida. In particolare, il ricorrente ha impugnato gli atti relativi alla visita medica dell’Asl che ne aveva accertato l’inidoneità e il conseguente provvedimento di revoca da parte della Motorizzazione civile. Nel corso del giudizio, l’Amministrazione, all’esito delle rinnovate visite mediche, ha restituito la patente all’interessato. Ciò nonostante, il Tar Milano si è pronunciato anche sull’illegittimità della revoca della patente, poiché il ricorrente ha chiesto comunque l’adozione di una pronuncia di accertamento degli atti impugnati –sulla base del richiamato art. 34, comma 3, del Codice del processo amministrativo– ai fini di una successiva azione risarcitoria.
In una situazione di fatto come quella descritta, l’annullamento della revoca impugnata non avrebbe alcuna utilità per il ricorrente. Infatti, gli effetti ripristinatori e conformativi derivanti dalla sentenza di annullamento sono stati anticipati dal contegno tenuto dalla Motorizzazione che ha restituito la patente al ricorrente. Né la sentenza di annullamento in casi del genere avrebbe altre utilità, quand’anche strumentali. Abolita, infatti, la pregiudizialità amministrativa, non è più necessario ottenere una pronuncia di annullamento per chiedere il risarcimento del danno.
Residua, invece, l’interesse ad ottenere la pronuncia di accertamento dell’illegittimità degli atti impugnati in vista di una successiva azione risarcitoria ai sensi dell’articolo 34, comma 3, del Codice del processo amministrativo. La disposizione richiamata stabilisce, infatti, che “Quando, nel corso del giudizio, l'annullamento del provvedimento impugnato non risulta più utile per il ricorrente, il giudice accerta l'illegittimità dell'atto se sussiste l'interesse ai fini risarcitori”.
Il punto innovativo della sentenza –in ciò contrastante con la precedente sentenza del Tar Brescia n. 373/2011– sta nel ritenere sussistente l’interesse all’accertamento dell’illegittimità degli atti originariamente impugnati, senza che al contempo sia stata già formulata la domanda di risarcimento del danno rispetto alla quale l’accertamento dell’illegittimità è strumentale.
Invece, secondo il TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 03.03.2011 n. 373, la mancata presentazione della domanda di risarcimento rende astratto e ipotetico l’interesse alla pronuncia sull’illegittimità degli atti impugnati.
Il Tar Milano, nella sentenza in commento ha cercato di superare il precedente contrario, rilevando che l’art. 34, comma 3, non configura “una condanna risarcitoria sull’an debeatur” rispetto alla quale sarebbe necessario dimostrare gli altri presupposti della responsabilità civile della Pa. La norma garantisce, invece, un’utilità residuale alla domanda di annullamento, quando le sue utilità principali sono state anticipate da eventi sopravvenuti. In particolare, l’accertamento dell’illegittimità precostituisce il giudicato sulla sussistenza di uno dei presupposti oggettivi dell’illecito nel futuro eventuale giudizio risarcitorio.
La sentenza conferma l’ampliamento degli strumenti processuali di tutela del privato. Se ciò rende meno imbrigliato il processo amministrativo rispetto al canone annullatorio tradizionale, al contempo, però, si verificano combinazioni processuali nuove e ricche di questioni applicative incerte sulle quali la giurisprudenza sarà chiamata a fare chiarezza (tratto da www.diritto24.ilsole24ore.com - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: Convenzione di lottizzazione - Esecuzione di obbligazioni - Controversia - Giurisdizione del giudice amministrativo - Art. 11 L. n. 241/1990 - Art. 34 d.lgs. n. 80/1998 - Art. 133 cod. proc. amm.
Appartiene alla giurisdizione del giudice amministrativo la controversia attinente all'esecuzione di obbligazioni derivanti da una convenzione di lottizzazione, stipulata ex art. 28, commi 5, e segg., della legge n. 1150/1942, la quale integra uno strumento di pianificazione di tipo attuativo del piano regolatore, e rientra tra gli accordi sostitutivi di provvedimento ex art. 11 della legge n. 241/1990.
Quest'ultimo, in particolare, al comma 5 devolve al giudice amministrativo la giurisdizione esclusiva sulle controversie relative alla formazione, conclusione ed esecuzione degli accordi conclusi, nel pubblico interesse, dall’amministrazione con i soggetti privati (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 29.02.2008, n. 781; Cass. S.U., 25.05.2007, n. 10186).
Inoltre, coinvolgendo la controversia atti e provvedimenti in materia urbanistica, essa rientra nella giurisdizione esclusiva del TAR anche ex art. 34 del d.lgs. n. 80/1998 (cfr. TAR Veneto, II, 01.12.2010, n. 6321; TAR Veneto, II, 11.06.2009, n. 1731). Tali principi valgono anche con riferimento al nuovo art. 133 del cod. proc. amm., relativo alle materie di giurisdizione esclusiva, che ha sostituito le rammentate disposizioni.
Esecuzione delle obbligazioni derivanti da convenzione di lottizzazione - Richiesta di sentenza costitutiva ex art. 2932 c.c. al giudice amministrativo - Ammissibilità.
Non si ravvisano ostacoli alla pronuncia di una sentenza costitutiva ex art. 2932 c.c., da parte del giudice amministrativo,in tema di obbligazioni derivanti da convenzione di lottizzazione, considerato che la convenzione ha natura tipicamente negoziale, e non ha pertanto i requisiti di esecutorietà ex art. 21-ter della legge n. 241/1990: in altri termini, per dare forzata attuazione alle obbligazioni patrimoniali, assunte con la convenzione, è comunque necessario un provvedimento giurisdizionale, e non v’è ragione di escluderne quelli avente efficacia costitutiva, come appunto la sentenza ex art. 2932 c.c., dovendo comunque l’ordinamento garantire la piena tutela effettiva delle posizione soggettive paritetiche, incluse naturalmente quelle degli Enti pubblici (cfr. in termini TAR Veneto, II, 11.6.2009, n. 1731).
D’altro canto, il citato art. 11 della legge n. 241/1990 attribuisce, senza alcuna limitazione, al giudice amministrativo la decisione delle controversie per l’esecuzione degli accordi conclusi, e tale è inequivocabilmente quella in esame (cfr. TAR Liguria, 19.10.2007, n. 1760; TAR Campania, Napoli, 23.03.2007, n. 2773) (TAR Veneto, Sez. II, sentenza 13.07.2011 n. 1219 - link a www.ambientediritto.it).

LAVORI PUBBLICI - PUBBLICO IMPIEGO: Il funzionario comunale responsabile dell'ufficio manutenzioni stradali non può pensare di eludere le responsabilità connesse con la qualifica ricoperta, adducendo di non avere avuto notizia di insidie stradali, perché le funzioni affidategli comportano l'onere di attivarsi in maniera autonoma per prevenire qualunque situazione di pericolo si verifichi sulle strade di propria competenza, senza attendere passivamente la segnalazione da parte di terzi.
Attesa la qualifica ricoperta di responsabile dell'ufficio manutenzione del comune, proprio allo stesso dipendente incombeva il dovere di intervenire per eliminare l'insidia creatasi sulla strada, peraltro priva di illuminazione, a causa dell'assenza della copertura di un tombino.
Il dipendente ricorrente non può pensare di eludere le responsabilità connesse con tale qualifica, adducendo di non avere avuto notizia di tale assenza. In realtà, le funzioni affidategli e la posizione di garanzia che da esse per lui derivava, avrebbero dovuto indurlo non ad attendere passivamente la segnalazione di terzi ma ad attivarsi in maniera autonoma per prevenire ogni possibile incidente.
In realtà, ha in proposito giustamente osservato il primo giudice che, alla stregua delle disposizioni vigenti in materia di svolgimento dell'attività amministrativa e di organizzazione degli uffici della pubblica amministrazione, lo ... era portatore di poteri, oltre, che di organizzazione e di intervento, anche di controllo. Circostanza che delinea un preciso profilo di colpa a carico dell'imputato poiché ne denuncia una gestione meramente passiva ed attendista dell'ufficio ricoperto, laddove una corretta e dinamica interpretazione delle funzioni avrebbe dovuto indurlo ad attivarsi, a prescindere dalle segnalazioni di terzi, per organizzare uno specifico servizio di controllo del territorio al fine di verificare e prevenire eventuali situazioni di pericolo.
Controllo che, peraltro, nel caso specifico non avrebbe dovuto riguardare l'assenza solo delle coperture dei tombini, ma anche di segnali che avvertissero del pericolo rappresentato dalle buche scoperte, ed anche la mancanza di illuminazione, che rendeva la zona ancor più a rischio per i cittadini (Corte di Cassazione, Sez. IV penale, sentenza 11.07.2011 n. 27035).

EDILIZIA PRIVATALa cessione di cubatura «neutralizza» le varianti. Niente volumi extra in caso di modifiche al Prg.
LO SNODO CHIAVE - Il Dl 70/2011 consente la trascrizione dei diritti di costruzione ma non disciplina la tipologia contrattuale.
I terreni da cui è stata "prelevata" la cubatura non beneficiano degli incrementi di potenzialità edificatoria dettati in un secondo tempo dal piano regolatore.

La IV sezione del Consiglio di Stato, con la sentenza 09.07.2011 n. 4134, affronta il problema delle conseguenze degli atti costitutivi del vincolo di asservimento, cioè le cosiddette "cessioni di cubatura", negando la possibilità per le aree asservite di esprimere ulteriore capacità edificatoria in caso di variante del Prg migliorativa degli indici di fabbricabilità.
È una tematica che diventa oggi di particolare interesse, dopo l'emanazione del decreto sviluppo. Infatti, tra gli interventi normativi volti a liberalizzare le costruzioni private, l'articolo 5, comma 1, lettera c), del Dl n. 70/2011 ha previsto anche la tipizzazione di un nuovo schema contrattuale diffuso nella prassi: la "cessione di cubatura".
In realtà la norma non definisce con particolari dettagli alcun modello negoziale, ma, al fine di garantire la certezza nella circolazione dei diritti edificatori, l'articolo 5, comma 3, si limita ad aggiungere all'articolo 2643 del Codice civile il numero 2-bis), stabilendo che debbano essere soggetti a trascrizione anche «i contratti che trasferiscono i diritti edificatori comunque denominati nelle normative regionali e nei conseguenti strumenti di pianificazione territoriale, nonché nelle convenzioni urbanistiche a essi relative». La legge di conversione n. 106/2011 ha poi eliminato il richiamo alle convenzioni urbanistiche e disposto la registrazione anche dei contratti che «costituiscono o modificano» tali «diritti edificatori».
La norma del decreto è stata scritta tenendo a mente l'esperienza del Pgt di Milano, che sfrutta il meccanismo della perequazione urbanistica e prevede un vero e proprio "borsino" dei diritti edificatori. La previsione offre una copertura normativa di livello nazionale alla perequazione, ma non contiene ancora quel quadro di regole completo auspicato dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 4545/2010. Resta da chiedersi, ad esempio, in quanto tempo debba essere realizzata la cubatura acquistata con la perequazione e cosa succeda se –prima dell'edificazione– il Comune ne modifichi o ne limiti l'utilizzo con una variante al Prg (si veda Il Sole 24 Ore del 16 maggio).
Nella pratica negoziale così come si è strutturata prima del decreto sviluppo, la cessione di cubatura è quel contratto con cui il proprietario di un suolo (cedente) presta il proprio consenso affinché tutta o parte della volumetria, che quel suolo può esprimere sulla base degli strumenti urbanistici, venga attribuita dalla pubblica amministrazione al proprietario del fondo vicino (cessionario), purché ricompreso nella medesima zona urbanistica. Il vincolo di asservimento si traduce in una sorta di servitù di non edificabilità di tipo relativo, in quanto limitata e correlata alla volumetria consentita dal Prg, che si riflette negativamente sul valore venale del bene anche, nel caso di una sua eventuale espropriazione, comportando un regime di inedificabilità ope legis.
La cessione di cubatura, per univoca giurisprudenza (da ultimo, Cassazione n. 20623/2009), è una fattispecie negoziale a formazione progressiva, nella quale, sul piano dei presupposti, le dichiarazioni dei privati confluiscono nel procedimento amministrativo volto al rilascio del titolo edilizio. A determinare realmente il trasferimento di cubatura, con effetto tra le parti e nei confronti dei terzi, «è esclusivamente il provvedimento concessorio, discrezionale e non vincolato, che, a seguito della rinuncia del cedente, può essere emanato dall'ente pubblico a favore del cessionario, non essendo configurabile tra le parti un contratto traslativo».
La nuova previsione legislativa non appare del tutto compatibile con quest'ultimo rilievo della Suprema Corte. Da un lato, la norma prevede la trascrizione del diritto edificatorio. Dall'altro, l'accordo per la cessione di cubatura tra i privati viene configurato dai giudici come un contratto atipico a effetti obbligatori. Per costante orientamento giurisprudenziale, infatti, la costituzione o la modificazione del "diritto edificatorio" resta comunque subordinata all'adozione di un provvedimento amministrativo: di conseguenza, fino al rilascio del titolo abilitativo, il proprietario del l'area è titolare non di un diritto, ma solo di un interesse legittimo di tipo pretensivo, cioè di una aspettativa qualificata ad edificare.
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Anche le aree asservite si considerano già edificate.
IL PRINCIPIO - I terreni che hanno venduto la capacità edificatoria sono considerati «occupati» anche se non ospitano immobili.

Il caso affrontato dal Consiglio di Stato con la sentenza 09.07.2011 n. 4134 trae origine una variante al Prg, attraverso cui un Comune aveva aumentato i previgenti indici di fabbricabilità da 3 a 5 metri cubi per metro quadrato.
La fattispecie esaminata riguarda un fondo, in origine costituente un unico compendio immobiliare, che era stato completamente asservito alla realizzazione di un fabbricato, con atto trascritto nei pubblici registri immobiliari. Dopo la costruzione dell'edificio il suolo venne poi frazionato in tre particelle: una sulla quale era posizionata l'area di sedime del fabbricato e le altre due libere da manufatti, ma asservite alla prima, alienate dagli originari proprietari a una società.
Quest'ultima, a seguito della variante e per effetto dell'innalzamento della potenzialità edificatoria, ha ritenuto che anche la particella beneficiaria della cessione di cubatura potesse esprimere una maggiore volumetria e che, conseguentemente, dovesse essere ridotta la quota di asservimento delle due particelle divenute di sua proprietà.
La società chiedeva quindi al Comune il rilascio di due concessioni edilizie, una per sfruttare la nuova cubatura che le due particelle asservite potevano autonomamente esprimere a seguito della variante, l'altra per utilizzare il differenziale di volumetria della particella non di loro proprietà. L'ente rilasciava la prima concessione, ma negava la seconda, escludendo che l'aumento degli indici di edificabilità previsti dalla variante potesse comportare la parziale retrocessione della volumetria a suo tempo ceduta con l'atto di asservimento, il quale aveva "cristallizzato" le quote edificatorie delle varie particelle rivenienti dal frazionamento, onde la maggiore cubatura andava distribuita in misura proporzionale tra i tre fondi contigui.
La società impugnava il diniego e il Tar ne accoglieva il ricorso, affermando che la modifica dell'indice edificabile in senso migliorativo dovesse applicarsi anche alla particella destinata a sedime dell'originario fabbricato, con conseguente riduzione proporzionale della misura dell'asservimento per i suoli di proprietà della ricorrente.
La sentenza è stata però annullata in appello e i giudici di Palazzo Spada hanno ricordato che, sulla base delle legge urbanistica, le previsioni del Prg «servono a conformare l'edificazione futura e non anche le costruzioni esistenti al momento dell'entrata in vigore del piano o di una sua variante (Consiglio di Stato, sezione IV, 18.06.2009 n. 4009)». Per tale ragione lo strumento urbanistico, nel disporre le future conformazioni del territorio, considera le sole «aree libere», cioè soltanto quelle "disponibili" al momento della pianificazione, perché non ancora edificate.
La sentenza precisa al riguardo che, per «aree edificate» devono intendersi non solo quelle costituenti aree di sedime di fabbricati o utilizzate per opere di urbanizzazione, ma anche quelle che, «nel rispetto degli standard urbanistici, risultano comunque già utilizzate per l'edificazione, in quanto asservite alla realizzazione di fabbricati, onde consentirne lo sviluppo volumetrico».
Ne viene fatto discendere che le eventuali variazioni degli indici di fabbricazione in termini più favorevoli ai privati proprietari non possono riguardare aree già utilizzate a fini edificatori, come nel caso dell'asservimento, ancorché le stesse si presentino "fisicamente" libere da immobili. L'ulteriore conseguenza è che il Comune non solo ha legittimamente negato alla società la seconda concessione edilizia, ma non avrebbe potuto neanche rilasciare la prima, poiché relativa a un'area giuridicamente non libera: il titolo abilitativo, quindi, sarebbe annullabile in sede di autotutela (articolo Il Sole 24 Ore del 25.07.2011).

EDILIZIA PRIVATA: Condono - Titolo abilitativo edilizio - Soggetti legittimati al rilascio del titolo - Differenza - Fattispecie: promissario acquirente o conduttore.
Il novero dei soggetti legittimati al rilascio del titolo in sanatoria è più ampio rispetto a quanto concerne il rilascio dell’ordinario titolo abilitativo edilizio, per il quale occorre la titolarità del diritto di proprietà, ovvero di altro diritto reale o anche obbligatorio a condizione del riconoscimento della disponibilità giuridica e materiale del bene nonché della relativa potestà edificatoria (Consiglio di Stato V 28.05.2001 n. 2881, TAR Emilia Romagna Bologna 21.02.2007 n. 53, TAR Lombardia Milano sez. II 31.03.2010 n. 842), non essendo pacifica la legittimazione del promissario acquirente (anche in ipotesi di preliminare ad effetti anticipati) non autorizzato dal proprietario promissario venditore (in senso negativo Consiglio Stato, sez. IV, 18.01.2010, n. 144, Cassazione civile sez. III 15.03.2007, n. 6005, in senso affermativo TAR Puglia Lecce sez. I 29.07.2010 n. 1834, TAR Campania Napoli sez. IV 12.01.2000, n. 45).
Il regime, infatti, della concessione edilizia è del tutto diversificato, quanto a presupposti ed elementi propri, da quello della sanatoria. Va pertanto affermato che legittimati all’istanza di condono edilizio ex l. 724/1994 sono oltre coloro che hanno titolo a richiedere la concessione edilizia/permesso di costruire, anche il promissario acquirente o il conduttore (Corte di Appello Firenze, sez II, 04.05.2010 n. 594) e più in generale tutti coloro che vi abbiano interesse, senza il necessario consenso ed anche, al limite, contro la volontà del proprietario del bene.
Condono - Limiti di distanza ex art. 9 d.m. 1444/1968 - Vincolo di inedificabilità assoluto - Esclusione.
I limiti di distanza prescritta dall’art. 9 d.m. 1444/1968, non costituiscono un vincolo di inedificabilità assoluto ai fini della condonabilità (TAR Lazio Roma sez II 22.12.2004, n. 17180), fermo comunque restando l’eventuale azione in sede civile, non avendo il condono edilizio così come la stessa sanatoria impropria di cui all’art. 36 t.u. edilizia alcun effetto sul piano c.d. orizzontale dei rapporti interprivati (Consiglio di Stato sez. IV 16.10.1998, n. 1306, TAR Toscana sez. III 11.03.2004, n. 675, TAR Lazio-Roma sez. II 22.12.2004, n. 17180) (TAR Puglia-Bari, Sez. III, sentenza 09.07.2011 n. 1057 - link a www.ambientediritto.it).

COMPETENZE PROGETTUALI: Progettazione di opere viarie - Competenza degli ingegneri - Affidamento della progettazione ad un architetto - Illegittimità - Artt. 51 e 54 R.D. n. 2437/1925.
Ai sensi degli artt. 51-54 del R.D. 23.10.1925, n. 2437, individuanti le rispettive competenze degli ingegneri e degli architetti ed in modo particolare le specifiche prescrizioni che vietano a quest’ultimi la progettazione di opere di urbanizzazione primaria (opere viarie), deve ritenersi precluso agli architetti la progettazione di un tratto di strada comunale, anche se di dimensioni contenute (TAR Veneto, Sez. I, sentenza 08.07.2011 n. 1153 - link a www.ambientediritto.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: RIFIUTI - Compostaggio - Impiego dello stallatico - Art. 5, c. 2, lett. e) Reg. CE 03.10.2002, n. 1174 - Comune e Provincia - Compatibilità igienico-ambientale della lavorazione - Principi di gradualità e proporzionalità.
L’impiego dello stallatico per finalità di compostaggio è consentito dall’art. 5, comma 2, lett. e), del Reg. CE 03.10.2002 n. 1174; la produzione di terriccio deve rispettare le norme tecniche della materia (cfr. DGR Lombardia n. 7/12764 del 16.04.2002).
Il Comune e la Provincia, secondo le rispettive competenze, svolgono attività di controllo e possono adottare provvedimenti per garantire la compatibilità igenico-ambientale della lavorazione, ma, in ogni caso, eventuali misure volte a ridurre il disagio per i cittadini devono rispettare i principi di gradualità, proporzionalità e garanzia del contraddittorio (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 08.07.2011 n. 1025 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Impianti alimentati da fonti rinnovabili - Strumenti urbanistici - Limitazione alla realizzazione nelle zone agricole di rispetto - Legittimità - Condizioni.
La normativa statale (cfr. art. 12, c. 7, d.lgs. n. 387/2007) lascia la potestà ai comuni di disciplinare ragionevolmente l’ubicazione degli impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, in salvaguardia degli interessi ambientali, purché non si ponga un divieto generalizzato e illogico.
Ne deriva la legittimità della norma tecnica di attuazione del piano regolatore comunale la quale, con riferimento alle zone agricole di rispetto, limita la possibilità di realizzazione di siffatti impianti ai soli già autorizzati alla data di entrata in vigore dello strumento urbanistico (TAR Abruzzo-Pescara, Sez. I, sentenza 08.07.2011 n. 422 - link a www.ambientediritto.it).

URBANISTICA: Lottizzazione abusiva ed irrilevanza verifiche da parte di notaio o istituto bancario.
In tema di lottizzazione, il fatto che il notaio abbia garantito la commerciabilità del bene (o che l’istituto bancario abbia fatto eseguire una perizia per la concessione del mutuo non determina una situazione di immediata evidenza di buona fede, trattandosi di accertamenti aventi diverse finalità, per cui il terzo acquirente versa in una situazione quanto meno di colpa, penalmente rilevante, quando non sia stato cauto ed attento nel verificare le previsioni urbanistiche e pianificatorie della zona (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 07.07.2011 n. 26728 - link a www.lexambiente.it).

URBANISTICA: Lottizzazione abusiva - Terzo acquirente - Buona fede - Commerciabilità del bene - Verifiche da parte del notaio o istituto bancario – Irrilevanza - Art. 44 D.P.R. n. 380/2001.
In tema di lottizzazione abusiva, il fatto che il notaio abbia garantito la commerciabilità del bene (o che l'istituto bancario del ricorrente abbia fatto eseguire una perizia per la concessione del mutuo) non determina una situazione di immediata evidenza di buona fede, trattandosi di accertamenti aventi diverse finalità, per cui il terzo acquirente versa in una situazione quanto meno di colpa, penalmente rilevante, quando non sia stato cauto e attento a verificare le previsioni urbanistiche e pianificatorie della zona, (Cass. sez. 3., n. 18537 del 16/03/2010, Pellis, in un caso relativo proprio a zona agricola) e che pertanto l'acquirente ha l'obbligo di acquisire elementi circa le previsioni urbanistiche e pianificatorie di zona, ed in caso contrario deve rispondere dell'illecito edilizio a titolo di colpa (Cass. Sez. 3, n. 37472 del 26/06/2008, Belloi e altri).
Ordinanze di sequestro preventivo o probatorio - Ricorso per cassazione – Limiti - Violazione di legge - Errores in iudicando o in procedendo.
Il ricorso per cassazione contro le ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio è ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli "errores in iudicando" o "in procedendo", sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l'apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l'itinerario logico seguito dal giudice (Cass., Sez. U, n. 25932 26/06/2008, Ivanov; in precedenza, Cass. Sez. U, n. 5876 13/02/2004, P.C. Ferazzi in proc. Bevilacqua, è stato precisato che mentre rientra nel sindacato di legittimità la mancanza di motivazione o la presenza di una motivazione meramente apparente, non vi rientra la sua eventuale illogicità manifesta) (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 07.07.2011 n. 26728 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Aree agricole - Divieti assoluti di edificazione - Specifica e particolare motivazione.
Eventuali divieti assoluti di edificazione nelle aree agricole richiedono una specifica e particolare motivazione, in quanto le stesse ledono la legittima aspettativa dell’imprenditore agricolo allo sviluppo della propria attività (cfr. TAR Lombardia, Brescia, 27.06.2005, n. 674; TAR Lombardia, Milano, sez. II, 29.09.2009 n. 4749 e 08.01.2010, n. 3, dove si specifica che la potestà pianificatoria comunale in area agricola coesiste e si armonizza con le prevalenti previsioni legislative).
Presenza del bosco - Esclusione del carattere agricolo dell’area - Inconfigurabilità.
La presenza del bosco non esclude il carattere agricolo dell’area -e dell’attività in essa svolta- tanto è vero che l’art. 59, comma 3°, lett. b), della l.r. Lombardia n. 12/2005 riconosce un indice fondiario anche su <<terreni a bosco>>.
Salvaguardia delle aree boschive - Regione Lombardia - Competenza - Province, comunità montane e enti gestori di parchi.
La salvaguardia delle aree boschive, nella Regione Lombardia, non appartiene in via esclusiva ai comuni, ma è riconosciuta in primo luogo alle province, alle comunità montane ed agli enti gestori di parchi e riserve regionali (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 07.07.2011 n. 1843 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Ristrutturazione rudere.
La ricostruzione di un “rudere” costituisce nuova costruzione e non ristrutturazione di edifico preesistente, atteso che il concetto di ristrutturazione sottende necessariamente la preesistenza di un fabbricato da ristrutturare, inteso quale organismo edilizio dotato delle mura perimetrali, delle strutture orizzontali e della copertura. In mancanza di tali elementi strutturali non è possibile valutare l’esistenza e la consistenza dell’edifico da consolidare ed i ruderi non possono che considerarsi alla stregua di un’area non identificata.
La qualificazione di un immobile come rudere non richiede, inoltre, necessariamente un’indagine sulla volontà del proprietario di abbandonare o comunque disfarsi del manufatto non essendo previsto da alcuna disposizione e risultando assorbente l’impossibilità di individuare le caratteristiche del manufatto preesistente (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 06.07.2011 n. 26379 - link a www.lexambiente.it).

APPALTI: Cause di esclusione ex art. 38 d.lgs n. 163/2006 - Bando - Generica richiesta di dichiarazione di insussistenza - Valutazione di gravità compiuta dal concorrente - Cause di esclusione formali e sostanziali.
Laddove il bando richiede genericamente una dichiarazione di insussistenza delle cause di esclusione dell’art. 38 del d.lgs. n. 163/2006, esso giustifica una valutazione di gravità/non gravità compiuta dal concorrente, sicché il concorrente non può essere escluso per il solo fatto dell’omissione formale, cioè di non aver dichiarato tutte le condanne penali o tutte le violazioni contributive; andrà escluso solo ove la stazione appaltante ritenga che le condanne o le violazioni contributive siano gravi e definitivamente accertate. La dichiarazione del concorrente, in tale caso, non può essere ritenuta <<falsa>> (Cons. St., sez. V, 08.09.2008 n. 4244; Cons. St., sez. V, 07.10.2008 n. 4897; Cons. St., sez. V, 22.02.2007 n. 945,).
Diverso discorso deve essere fatto quando il bando sia più preciso, e non si limiti a chiedere una generica dichiarazione di insussistenza delle cause di esclusione di cui all’art. 38, codice, ma specifichi che vanno dichiarate tutte le condanne penali, o tutte le violazioni contributive: in tal caso, il bando esige una dichiarazione dal contenuto più ampio e più puntuale rispetto a quanto prescritto dall’art. 38 codice, all’evidente fine di riservare alla stazione appaltante la valutazione di gravità o meno dell’illecito, al fine dell’esclusione.
In siffatta ipotesi, la causa di esclusione non è solo quella, sostanziale, dell’essere stata commessa una grave violazione, ma anche quella, formale, di aver omesso una dichiarazione prescritta dal bando (TAR Puglia-Bari, Sez. I, sentenza 06.07.2011 n. 1021 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTI: Nella materia delle procedure di evidenza pubblica, la nozione di "offerta condizionata" non coincide con la figura civilistica della "condizione" intesa come evento futuro ed incerto da cui si fa dipendere l'efficacia del negozio, ma ricorre quando l'offerente subordina il proprio impegno contrattuale a che la controparte accetti una controproposta concernente un patto aggiuntivo o modificativo rispetto allo schema proposto dalla stazione appaltante; di conseguenza essa è inammissibile, atteso che le regole dell'evidenza pubblica esigono la perfetta conformità tra il regolamento contrattuale predisposto dalla stazione appaltante e l'offerta presentata dal candidato. In sostanza, dunque, l'offerta dell'impresa partecipante può dirsi condizionata e, quindi, inammissibile, quando il concorrente subordina la sua adesione al contratto a condizioni estranee all'oggetto del procedimento ovvero ad elementi non previsti nelle norme di gara o di capitolato.
Recenti pronunce giurisprudenziali hanno chiarito che, nella materia delle procedure di evidenza pubblica, la nozione di "offerta condizionata" non coincide con la figura civilistica della "condizione" intesa come evento futuro ed incerto da cui si fa dipendere l'efficacia del negozio, ma ricorre quando l'offerente subordina il proprio impegno contrattuale a che la controparte accetti una controproposta concernente un patto aggiuntivo o modificativo rispetto allo schema proposto dalla stazione appaltante; di conseguenza essa è inammissibile, atteso che le regole dell'evidenza pubblica esigono la perfetta conformità tra il regolamento contrattuale predisposto dalla stazione appaltante e l'offerta presentata dal candidato (TAR Umbria Perugia, sez. I, 11.06.2010, n. 369).
In sostanza, dunque, l'offerta dell'impresa partecipante può dirsi condizionata e, quindi, inammissibile, quando il concorrente subordina la sua adesione al contratto a condizioni estranee all'oggetto del procedimento ovvero ad elementi non previsti nelle norme di gara o di capitolato (TAR Umbria Perugia, sez. I, 13.04.2010, n. 239)
(TAR Lazio-Roma, Sez. II-quater, sentenza 04.07.2011 n. 5827 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: La cauzione provvisoria deve essere riportata all’istituto della caparra cofirmataria: la sua ratio consiste infatti nell’garantire la serietà e affidabilità dell'offerta ovvero nel fornire una garanzia per la mancata sottoscrizione del contratto per fatto dell'aggiudicatario.
Le stazioni appaltanti non sono libere di decidere di non avvalersi della cauzione provvisoria, richiedendo ad esempio solo la cauzione definitiva, di cui all’art. 113 d.lgs. n. 163/2006 ovvero consentendo comunque la partecipazione anche delle imprese che non l’abbiano prestata. Pertanto, anche nel caso in cui il bando non contempli la sanzione dell’esclusione per la mancata prestazione della cauzione provvisoria, l’offerta che non sia corredata dalla cauzione provvisoria deve ugualmente essere dichiarata inammissibile, essendo la cauzione provvisoria un elemento essenziale dell’offerta.
La regolarizzazione documentale (in sede di gara) può riguardare solo gli aspetti non essenziali dell’offerta. Invece, la cauzione provvisoria costituisce un elemento essenziale dell'offerta e, pertanto, non può esserne richiesta la regolarizzazione dopo che siano scaduti i termini per la presentazione di essa. La giurisprudenza, inoltre, ha chiarito che la regolarizzazione è ammissibile, nel rispetto della par condicio tra i concorrenti, solo per l'integrazione e la regolarizzazione della documentazione di gara che sia già stata prodotta.

L’art. 75 del codice dei contratti prevede al comma 1 come obbligatoria la prestazione della cauzione provvisoria, che deve corredare l’offerta. Essa, pari al 2% del prezzo base indicato nel bando o nell’invito, può avere la forma di cauzione o di fideiussione. L’art. 75, comma 8, prevede inoltre che l’offerta debba essere inoltre corredata, a pena di esclusione, dall’impegno di un fideiussore a rilasciare la garanzia fideiussoria per l’esecuzione del contratto, qualora l’offerente risultasse aggiudicatario.
Rileva in primo luogo il collegio che la cauzione provvisoria, secondo l’orientamento prevalente della giurisprudenza amministrativa e confermato dalle Sezioni Unite della Cassazione, deve essere riportata all’istituto della caparra cofirmataria: la sua ratio consiste infatti nell’garantire la serietà e affidabilità dell'offerta (cfr. Cassazione civile, sez. un., 04.02.2009, n. 2634 e TAR Lazio Roma, sez. I, 19.03.2010, n. 4321), ovvero nel fornire una garanzia per la mancata sottoscrizione del contratto per fatto dell'aggiudicatario (TAR Lazio Roma, sez. III, 15.01.2010, n. 280).
Si tratta di un istituto di rilevante importanza in quanto è posto a presidio dell’interesse della amministrazione a non essere coinvolta in contrattazioni non serie.
La norma, data la sua centralità nel sistema disegnato dal codice dei contratti, non può essere derogata dal bando poiché altrimenti verrebbe ad essere vanificato il controllo sulla sussistenza dei requisiti dei partecipanti alla gara ai sensi dell’art. 48, che prevede come sanzione appunto l’incameramento della cauzione provvisoria e l’amministrazione inoltre verrebbe ad essere privata della possibilità di rivalersi immediatamente su di una somma già disponibile per il caso di mancata sottoscrizione del contratto per fatto dell’affidatario (salva la possibilità di agire per l’ulteriore danno).
Va inoltre rilevato che l’art. 75 è costruito come norma imperativa, in quanto la possibilità per le amministrazioni procedenti di disporre –nel bando- diversamente da quanto in essa previsto è limitata alla sola questione della durata della garanzia (art. 75, comma 5). Per il resto, lo stesso art. 75 disciplina in modo completo e dettagliato ogni aspetto della prestazione della cauzione.
Sulla base di tali argomentazioni deve affermarsi –come peraltro già rilevato in giurisprudenza– che le stazioni appaltanti non siano libere di decidere di non avvalersi della cauzione provvisoria, richiedendo ad esempio solo la cauzione definitiva, di cui all’art. 113 d.lgs. n. 163/2006 (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 12.06.2009, n. 3746) ovvero consentendo comunque la partecipazione anche delle imprese che non l’abbiano prestata. Pertanto, anche nel caso in cui il bando non contempli la sanzione dell’esclusione per la mancata prestazione della cauzione provvisoria, l’offerta che non sia corredata dalla cauzione provvisoria deve ugualmente essere dichiarata inammissibile, essendo la cauzione provvisoria un elemento essenziale dell’offerta (Cons. di Stato sez. IV, n. 7380 del 15.11.2004).
Nel caso in esame, peraltro, al punto 7 del bando, la stazione appaltante aveva espressamente richiamato l’art. 75 del codice dei contratti. Risulta pertanto irrilevante la circostanza che non fosse espressamente prevista anche la sanzione dell’inammissibilità per la mancata prestazione della cauzione provvisoria, giacché –come si è visto– l’art. 75 deve essere letto nel senso di imporre l’esclusione di una impresa che non abbia prestato la dovuta cauzione provvisoria.
Tanto chiarito, appare evidente come non fosse possibile ricorrere alla regolarizzazione di cui all’art. 46 del codice dei contratti.
Infatti, la regolarizzazione può –secondo il più recente indirizzo giurisprudenziale– riguardare solo gli aspetti non essenziali dell’offerta. Invece, la cauzione provvisoria costituisce –come si è visto- un elemento essenziale dell'offerta e, pertanto non può esserne richiesta la regolarizzazione dopo che siano scaduti i termini per la presentazione di essa (cfr. in termini TAR Campania Salerno, sez. I, 17.01.02008, n. 55, Cons. di Stato sez. V, n. 1495 del 13.03.2002, TAR Veneto n. 1145 del 21.04.2004; TAR Veneto n. 1325 del 13.04.2002 e in un caso di difformità della cauzione provvisoria prestata rispetto alle prescrizioni del bando, TAR Lazio Roma, sez. III, 04.08.2006, n. 6915).
La giurisprudenza, inoltre, ha chiarito che la regolarizzazione è ammissibile, nel rispetto della par condicio tra i concorrenti, solo per l'integrazione e la regolarizzazione della documentazione di gara che sia già stata prodotta (cfr. TAR Lazio Roma, sez. III, 14.02.2006, n. 1066 che non ha consentito, dopo lo spirare del prescritto termine, la sostituzione della polizza fideiussoria costituente cauzione).
Nemmeno può valorizzarsi, infine, ad avviso del collegio, quell’orientamento giurisprudenziale secondo il quale la sussistenza di un affidamento incolpevole da parte della controinteressata a fronte di clausole ambigue del bando giustifica il ricorso alla regolarizzazione, nel rispetto del favor partecipationis (cfr. TAR Sicilia Catania, sez. III, 16.12.2008, n. 2355)
(TAR Lazio-Roma, Sez. II-quater, sentenza 04.07.2011 n. 5827 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

PUBBLICO IMPIEGO: DIMISSIONI: REVOCABILI FINO ALLA COMUNICAZIONE DELLA LORO ACCETTAZIONE DA PARTE DELLA PA.
Dimissioni - Revocabilità - È ammissibile sino al momento della formale comunicazione della loro accettazione da parte dell’amministrazione.
Le dimissioni del pubblico dipendente possono essere legittimamente revocate dall’interessato fino al momento in cui non gli sia stata formalmente comunicata la loro accettazione da parte dell’amministrazione di appartenenza, né possono avere rilievo alcuno modalità conoscitive ritenute dall’amministrazione equivalenti.
NOTA
La sesta sezione, con la decisione in esame, ha chiarito come il Consiglio di Stato abbia più volte precisato che le dimissioni del pubblico dipendente possono essere legittimamente revocate dall’interessato fino al momento in cui non gli sia stata formalmente comunicata la loro accettazione da parte dell’amministrazione di appartenenza (Cons. Stato, sez. IV, 16.01.2008, n. 73; 27.11.2008, n. 5860 e 28.04.2010, n. 1927).
La legge 11.02.2005, n. 15 ha inoltre introdotto con l’art. 15 un art. 21-bis alla L. n. 241 del 07.08.1990, il quale statuisce che “il provvedimento limitativo della sfera giuridica dei privati acquista efficacia nei confronti di ciascun destinatario con la comunicazione allo stesso […]”.
E come ricorda Palazzo Spada nella decisione della quarta sezione 16.01.2008, n. 73, la conoscenza del provvedimento ad effetti negativi sul destinatario, collegata all’accettazione delle dimissioni, è essenziale e non può che avvenire attraverso la sua effettiva comunicazione, né possono avere rilievo alcuno modalità conoscitive ritenute dall’amministrazione equivalenti (tratto da Guida al Pubblico Impiego n. 7-8/2011 - Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 04.07.2011 n. 3968 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Mutamento funzionale della destinazione d’uso da residenziale a professionale - Presupposto - Modifiche della tipologia costruttiva o dell’organizzazione interna degli spazi.
Per poter parlare di un mutamento funzionale della destinazione d'uso di un immobile da residenziale a professionale -direzionale, occorre riferirsi alle oggettive caratteristiche dei locali interessati dall’intervento di trasformazione, dovendosi escludere tale mutamento quando l’utilizzazione lavorativa dei locali non abbia comportato una modifica della tipologia costruttiva o, quantomeno, dell'organizzazione interna degli spazi (TAR Parma Emilia Romagna, sez. 1^ 26.11.2009, n. 792, sentenza che richiama anche: TRGA Trentino-Alto Adige, Trento, 07.05.2009, n. 150).
Diversamente opinando si dovrebbe invero concludere che anche lo svolgimento di un'attività professionale svolta senza alcun apparato organizzativo e strumentale nello studio della propria abitazione, ne comporta la trasformazione in immobile ad uso direzionale (TAR Veneto, Sez. II, sentenza 01.07.2011 n. 1110 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTI SERVIZIRiscossione, gare con più requisiti.
I bandi di gara per l'affidamento dell'accertamento e della riscossione dei tributi locali possono prevedere ulteriori requisiti di partecipazione, oltre all'iscrizione nell'albo ministeriale previsto dall'articolo 53 del Dlgs 446/1997 e dal Dm 289/2000.
È quanto emerge dalla sentenza 23.06.2011 n. 3809 del Consiglio di Stato, Sez. V, che ha ritenuto legittimo il bando pubblicato dal Comune di Lecce nella parte in cui chiedeva che le società partecipanti avessero svolto nell'ultimo quinquennio lo stesso servizio oggetto di gara in almeno un comune con popolazione pari o superiore a 90mila abitanti.
In primo grado il Tar Lecce aveva evidenziato che l'iscrizione nell'albo dei concessionari costituiva presunzione di idoneità alla gestione del servizio, e quindi la previsione di ulteriori requisiti restringeva il numero dei partecipanti alla gara e comprimeva i principi di proporzionalità, libera concorrenza e non discriminazione. Di qui l'annullamento del bando, considerato peraltro che il Comune non aveva dimostrato la sussistenza di situazioni particolari, tali da rendere necessario un restringimento delle condizioni partecipative.
Il Consiglio di Stato ha respinto queste censure, sostenendo che l'iscrizione nell'albo costituisce un'astratta presunzione del possesso dei requisiti di capacità tecnica ed economico-finanziaria, non potendo escludersi il potere dell'amministrazione di fissare ulteriori requisiti, tenuto conto dell'oggetto del contratto (tributi da gestire e popolazione residente) e al fine di rendere il servizio più efficiente ed efficace.
In realtà la questione delle clausole restrittive si trascina da una decina d'anni, cioè da quando è operativo l'albo nazionale di cui al Dm 289/2000, al quale risultano iscritte un centinaio di società (comprese quelle del gruppo Equitalia). Inizialmente alcune pronunce (tra cui Tar Lecce 2499/2004 e Tar Milano 2676/2004) hanno escluso la possibilità di richiedere il possesso di requisiti ulteriori rispetto all'iscrizione all'albo.
Si è poi sviluppato un orientamento favorevole alla richiesta di requisiti aggiuntivi (Tar Bologna 100/2004, Tar Bari 995/2005, Tar L'Aquila 454/2005), confermato dal Consiglio di Stato prima con la sentenza 5318/2005 e poi con la pronuncia 7247/2009, che ha ritenuto legittima la richiesta di aver gestito nell'ultimo quinquennio servizi uguali in comuni oltre i 50mila abitanti.
Alcuni Tar sono comunque rimasti fermi sulle loro posizioni. Ora, tuttavia, deve prevalere la linea possibilista del Consiglio di Stato. Ma ad alcune condizioni. Si deve trattare di clausole non arbitrarie o sproporzionate rispetto all'oggetto e al valore del contratto, tali da non limitare –oltre lo stretto indispensabile– la platea dei concorrenti, evitando di precostituire situazioni di privilegio (articolo Il Sole 24 Ore del 25.07.2011 - tratto da www.ecostampa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Scappo dalla città, ma l'abuso edilizio sul rustico non s'ha da fare. Escluso lo stato di necessità derivante da patologie respiratorie.
Non e' configurabile la causa di esclusione del reato prevista dall'art. 54 c.p. nel caso di opera edilizia abusivamente eseguita sul presupposto del cattivo stato di salute dell'agente.
La terza sezione penale della Cassazione, nel confermare la sentenza di merito, ha escluso la possibilità che operasse la scriminante dello stato di necessità nel caso di persona che, avendo abusivamente eseguito, in violazione del d.p.r. n. 380 del 2001, opere di ampliamento della propria residenza collinare, si era difesa asserendo che era stata necessaria una sorta di “fuga dalla città” per consentire al marito, affetto da patologia respiratoria, di respirare aria meno inquinata.
La motivazione è stata correttamente incentrata sull’insussistenza di un pericolo attuale e concreto per l’incolumità fisica della persona.
In tal modo la S.C. ha confermato il suo oramai “proverbiale” orientamento in materia edilizia, maturato nella vigenza del d.p.r. del 2001 a seguito dell’abrogazione della l. n. 47 del 1985, per cui l'operatività dello stato di necessità per il reato di costruzione abusiva –sebbene non vada esclusa in linea di principio, potendosi riconnettere anche a situazioni strumentali strettamente della persona, quali l'esigenza di un alloggio- impone il controllo rigoroso dei requisiti della scriminante, così che essa non è ipotizzabile allorché il pericolo di restare senza abitazione sia concretamente evitabile attraverso i meccanismi del mercato o dello Stato sociale, dovendosi escludere la sussistenza di ogni altra, concreta, possibilità di evitare il danno grave.
In linea vedasi Cass. pen., Sez. III, sentenza n. 35919 del 26/06/2008, in CED CASS, 241094, secondo la quale non è configurabile l'esimente dello stato di necessità in quanto, pur essendo ipotizzabile un danno grave alla persona in cui rientri anche il danno al diritto all'abitazione, difetta in ogni caso il requisito dell'inevitabilità del pericolo.
Ed ancora significativa è Sez. III, n. 41577 del 20/09/2007, ivi, n. 238258, per cui in materia di abusi edilizi e ambientali la configurabilità della scriminante dello stato di necessità, nella specie consistente nella mancanza di una casa, appare in concreto esclusa dal fatto che il pericolo del danno grave alla persona è evitabile chiedendo, in caso di terreno edificabile, la relativa autorizzazione mentre, in caso di terreno non edificabile, il diritto del cittadino a disporre di un'abitazione non può prevalere sull'interesse della collettività alla tutela del paesaggio e dell'ambiente. Pienamente adesiva è, infine, anche Sez. III, n. 19811 del 26/01/2006, ivi, n. 234316 (Corte di Cassazione penale, sentenza 22.06.2011 n. 25010 - tratto da www.ipsoa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Impugnazione permesso di costruire.
Ai fini della decorrenza del termine per l’impugnazione di un permesso di costruire rilasciato a terzi, occorre in generale la sua piena conoscenza, che si verifica con la consapevolezza del contenuto specifico del titolo autorizzatorio o del progetto edilizio o ancora con il verificarsi di una situazione per cui la costruzione realizzata riveli in modo certo ed inequivoco le essenziali caratteristiche dell’opera e l’eventuale non conformità della stessa alla disciplina urbanistica, sicché la prova della piena ed effettiva conoscenza del titolo edilizio può essere desunta anche da elementi presuntivi, come l’intervenuta ultimazione dei lavori o la circostanza che questi sono giunti almeno ad un punto tale che non si possa avere più alcun dubbio sulla consistenza, entità e reale portata dell’intervento edilizio assentito, essendo necessario, in altri termini, che le opere abbiano raggiunto uno stadio e uno spessore tali da renderne chiara l’illegittimità e la lesività per le posizioni soggettive del confinante, mentre non è sufficiente il mero inizio dei lavori, né tanto meno l’apposizione di un cartello recante gli estremi e l’oggetto del titolo autorizzatorio edilizio (TAR Emilia Romagna-Parma, sentenza 15.06.2011 n. 194 - link a www.lexambiente.it).

SICUREZZA LAVOROEcco perché occorre dotare i propri dipendenti di opportuni D.P.I. (dispositivi di protezione individuale).
La Corte di Cassazione, Sez. IV penale, con la sentenza 07.06.2011 n. 22514  ha condannato un datore di lavoro per lesioni personali colpose gravi in danno di un proprio dipendente.
In particolare, il cuoco di un ristorante ha riportato ustioni di secondo grado dopo essere scivolato sul pavimento della cucina mentre procedeva a riempire una lavastoviglie con una pentola d’acqua bollente.
Tutto questo perché non indossava calzature anti-scivolo.
L’imputato ha sostenuto la propria difesa affermando che la condotta del lavoratore fosse da considerarsi “abnorme ed imprevedibile”; inoltre il datore di lavoro non era presente al momento dell’incidente e quindi la condotta omissiva e negligente non poteva essergli addebitata.
La Cassazione ha rigettato integralmente le motivazioni dell'imputato e ha confermato la ricostruzione dei gradi precedenti, condannando il datore di lavoro.
Si è rivelata determinante la mancata fornitura al cuoco delle scarpe antisdrucciolevoli, dotate di valenza antinfortunistica con riferimento alle mansioni svolte in un contesto scivoloso, qual è la cucina di un ristorante (link a www.acca.it).

URBANISTICA: Piano Regolatore Comunale: vincoli espropriativi e vincoli conformativi.
Non costituisce vincolo preordinato all’esproprio la destinazione urbanistica di un’area a servizi pubblici di interesse locale a servizio delle residenze.
La Sez. I civile della Corte di Appello di Roma, con la sentenza 06.06.2011 n. 2521, richiamando la giurisprudenza costituzionale (sentenza 179/1999) in materia di reiterazione dei vincoli espropriativi, ha dichiarato che la destinazione di un’area a «costruzioni pubbliche d'importanza locale a servizio delle residenze quali: asili nido, scuole dell'obbligo, edifici per ti culto, mercati rionali, centri sociali, unità sanitarie locali, assistenziali, culturali, amministrative», atteso che tale vincolo non comporta l'inedificabilità assoluta, non costituisce un vincolo di natura espropriativa della proprietà privata bensì un vincolo di natura conformativa della proprietà privata alle previsioni di piano.
In precedenza numerose sentenze, sia della giustizia amministrativa sia della giustizia civile, sono arrivate alla medesima conclusione, con riferimento costante alla sentenza 179/1999 della Corte Costituzionale; la quale, in riferimento alla reiterazione dei vincoli preordinati all’esproprio, ha dichiarato indispensabile indennizzare lo «svuotamento, di rilevante entità ed incisività, del contenuto della proprietà stessa, mediante imposizione, immediatamente operativa, di vincoli a titolo particolare su beni determinati, ..., comportanti inedificabilità assoluta, qualora non siano stati discrezionalmente delimitati nel tempo dal legislatore dello Stato e delle Regioni», affermando contestualmente che, viceversa, «sono al di fuori dello schema ablatorio-espropriativo i vincoli che importano una destinazione (anche di contenuto specifico) realizzabile ad iniziativa privata o promiscua pubblico-privata, che non comportino necessariamente espropriazione o interventi ad esclusiva iniziativa pubblica e quindi siano attuabili anche dal soggetto privato e senza necessità di previa ablazione del bene».
Per identificare le destinazioni a carattere conformativo, nella medesima sentenza la Corte Costituzionale fa riferimento, a titolo esemplificativo, a parcheggi, impianti sportivi, mercati e complessi per la distribuzione commerciale, edifici per iniziative di cura e sanitarie, ecc., che possono agevolmente essere ricompresi nei servizi di quartiere oggetto della pianificazione urbanistica comunale. La sentenza attualmente in esame fa rientrare in tale categoria, oltre ai parcheggi (opere di urbanizzazione primaria), tutte le tipologie di opere di urbanizzazione secondaria elencate nel comma 8 dell’articolo 16 del D.P.R. 380/2001 TU edilizia.
Ci troviamo quindi di fronte ad una significativa ricaduta in ambito urbanistico dell’evoluzione del concetto sia di opera pubblica sia di servizio pubblico, che, a partire dalla introduzione del Codice dei contratti pubblici, sono state riunificate nella nozione di infrastrutture, delle quali da ultimo è stata data la innovativa definizione di «beni strumentali dotati della prevalente finalità di fornitura di servizi collettivi, a domanda individuale o aggregata rivolti alle famiglie e alle imprese, … indipendentemente dalla natura proprietaria dei soggetti titolari dei diritti reali su tali beni», contenuta nel D.M. 26/11/2010 in materia di perequazione infrastrutturale, che, in attuazione della legge 42/2009 in materia di federalismo fiscale, disciplina la ricognizione della consistenza delle dotazioni infrastrutturali, in grado di calcolare le disparità tra territori da compensare con i finanziamenti aggiuntivi e gli interventi speciali (di cui al recente D. Leg.vo 88/2011) (commento tratto da www.legislazionetecnica.it).

APPALTI: Revoca di una gara in base ad una nuova valutazione interesse pubblico.
E' legittima la revoca di una gara di appalto adottata allorché la procedura concorsuale non era ancora conclusa, che era stata indetta in base a un bando che legittimava l’Amministrazione appaltante a revocare la gara in qualsiasi fase, senza che i concorrenti avessero nulla a pretendere, motivata con riferimento ad un atto di indirizzo finalizzato a dare preferenza a quelle scelte tecniche idonee a comportare un minor dispendio di risorse; infatti, anche prescindendo dalla clausola appena citata, l’esercizio del potere di revoca, in tal caso, non è legato alla sola sopravvenienza di nuovi elementi, ma anche ad una nuova valutazione dell’interesse pubblico originario (c.d. jus poenitendi) (massima tratta da ww.regione.piemonte.it - Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 25.05.2011 n. 3131 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La regola della distanza di 10 metri tra pareti finestrate vincola anche i Comuni in sede di formazione e di revisione degli strumenti urbanistici.
Il d.m. 02.04.1968 n. 1444 -emanato in virtù dell'art. 41-quinquies l. n. 1150 del 1942 introdotto a sua volta dall'art. 17 l. 06.08.1967 n. 765 (c.d. L. Ponte)- ripete dal rango di fonte primaria della norma delegante la forza di legge, suscettibile di integrare con efficacia precettiva il regime delle distanze dalle costruzioni di cui all'art. 872 c.c.; la regola della distanza di 10 metri tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti prevista dalla suddetta norma vincola anche i Comuni in sede di formazione e di revisione degli strumenti urbanistici, con la conseguenza che ogni previsione regolamentare in contrasto con l'anzidetto limite minimo è illegittima e va disapplicata, essendo consentita alle amministrazioni locali solo la fissazione di distanze superiori (TAR Lombardia Brescia, sez. I, 30.08.2007, n. 832).
Per "pareti finestrate", ai sensi dell'art. 9 d.m. 02.04.1968 n. 1444 e di tutti quei regolamenti edilizi locali che ad esso si richiamano, devono intendersi, non (soltanto) le pareti munite di "vedute", ma più in generale tutte le pareti munite di aperture di qualsiasi genere verso l'esterno, quali porte, balconi, finestre di ogni tipo (di veduta o di luce) (Corte d’Appello di Catania, 22.11.2003); ai fini dell’applicazione della norma è inoltre sufficiente che sia finestrata anche una sola delle due pareti (TAR Toscana, Sez. III, 04.12.2001, n. 1734 e TAR Piemonte, 10.10.2008 n. 2565)
(massima tratta da www.regione.piemonte.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 19.05.2011 n. 1282 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Annullamento del provvedimento impugnato inutile: permane diritto al risarcimento.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale ha riformato la decisione del Tar Campania n. 16615/2010 nella quale era stato rigettato il ricorso presentato da una società che si era collocata al sesto posto della graduatoria, in una gara della quale si chiedeva la rinnovazione. Il Consiglio di Stato ha ritenuto l’appello fondato per violazione del principio di trasparenza di cui all’art. 97 Costituzione poiché i verbali non contenevano indicazioni in ordine al soggetto affidatario dei plichi contenenti la documentazione della gara, e quindi attestando la carenza delle doverose misure di custodia delle offerte.
Nella seconda parte della pronuncia il Consiglio di Stato evidenzia che sia il ricorso al Tar che l’appello erano stati proposti in ragione dell’interesse della società ricorrente ad ottenere la rinnovazione della gara, a cui poter in seguito partecipare. Rileva inoltre che non era stata avanzata alcuna richiesta di risarcimento dei danni subiti, né di declatoria di inefficacia del contratto stipulato dall’amministrazione pubblica col soggetto aggiudicatario che, peraltro, risulta in avanzato stato di esecuzione.
Il Consiglio richiama l’art. 34 del codice del processo amministrativo, che al comma terzo recita “quando, nel corso del giudizio, l’annullamento del provvedimento impugnato non risulta più utile per il ricorrente, il giudice accerta l’illegittimità dell’atto se sussiste l’interesse ai fini risarcitori”. Siffatto principio impedisce l’annullamento di atti che nel corso della causa hanno esaurito i loro effetti, tutelando nel contempo l’interesse del ricorrente all’accertamento.
In particolare il comma V del predetto articolo legittima la proposizione dell’istanza risarcitoria fino ai 120 giorni successivi al passaggio in giudicato della sentenza che ha deciso sull’azione di annullamento. Il Consiglio di Stato, nella fattispecie, desume l’interesse della ricorrente a fini risarcitori dalla natura e dagli atti della controversia, precisando inoltre che l’eventuale danno risarcibile si suddistingue in: danno emergente (spese e costi sostenuti per la partecipazione alla gara), lucro cessante (10% del valore dell’appalto), ulteriore percentuale del valore dell’appalto a titolo di perdita di chance.
Il Consiglio ha quindi accolto il ricorso, oltre che per l’accertata violazione del principio di trasparenza, riconoscendo d’ufficio l’interesse della ricorrente a fini risarcitori, in quanto nel caso di specie sono risultati presenti tutti i presupposti per un’eventuale sentenza da rendere ai sensi del comma terzo dell’art. 34 c.p.a. (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 12.05.2011 n. 2817 - link a www.altalex.com).

ATTI AMMINISTRATIVI: Non impugnare l'atto amministrativo non sempre costituisce negligenza.
La tenuta da parte del soggetto danneggiato di una condotta, attiva od omissiva, contraria al principio di buona fede ed al parametro della diligenza, che consenta la produzione di danni che altrimenti sarebbero stati evitati, recide, in tutto o in parte, il nesso causale che ai sensi dell’art. 1223 del cod. civ. deve legare la condotta antigiuridica alle conseguenze dannose risarcibili.
E’ il principio, già stabilito dal Consiglio di Stato (Ad. Plen. 23.03.2011, n. 3), riaffermato dal TAR Lazio-Roma, Sez. II, con la sentenza 03.05.2011 n. 3766.
Si tratta dell’applicazione dei principi contenuti nelle norme processuali di cui agli artt. 30 e 34 del Codice processuale amministrativo (cpa) e che dispongono a carico del giudice amministrativo l’obbligo di valutare tutte le circostanze di fatto e il comportamento complessivo delle parti, escludendo il risarcimento dei danni che si sarebbero potuti evitare usando l’ordinaria diligenza, anche attraverso l’esperimento degli strumenti di tutela previsti (art. 30, comma 3 cpa).
L’obbligo di cooperazione di cui al comma 2 dell'art. 1227 del cod. civ. ha fondamento nel canone di buona fede ex art. 1175 cod. civ. e, quindi, nel principio costituzionale di solidarietà. Anche le scelte processuali di tipo omissivo possono costituire in astratto comportamenti apprezzabili ai fini della esclusione o della mitigazione del danno in quei casi in cui si appuri, alla stregua del giudizio di causalità ipotetica, che le condotte attive trascurate non avrebbero implicato un sacrificio significativo ed avrebbero verosimilmente inciso, in senso preclusivo o limitativo, sul perimetro del danno.
In particolare, nella valutazione del giudice assumono rilevanza sostanziale le eventuali condotte negligenti, eziologicamente pregnanti, tenute dalle parte anche con riferimento alle scelte processuali percorse. Al riguardo, riferendosi espressamente al caso deciso dal TAR Lazio con la sentenza n. 3766/2011, vengono in rilievo sia l’art. 124 del codice del processo amministrativo sia l’art. 243-bis del Codice dei contratti pubblici di cui al decreto legislativo 12.04.2006, n. 163. Infatti, nel caso di specie, la ricorrente, collocata al secondo posto in una procedura di evidenza pubblica per la realizzazione di soggiorni estivi per anziani autosufficienti e parzialmente autosufficienti, diffidava la stazione appaltante dal procedere all’affidamento del servizio all’aggiudicataria, in quanto priva di un requisito previsto a pena di esclusione dal bando.
La diffida rimaneva peraltro priva di riscontro, così come l’informativa data dal ricorrente alla stazione appaltante in ordine all’intento di proporre ricorso giurisdizionale, in conformità a quanto previsto dal Codice degli appalti (art. 243-bis).
A seguito dell’inerzia della stazione appaltante, la ricorrente proponeva ricorso volto all’accertamento del diritto al risarcimento del danno. Il TAR Lazio giudicava fondate le ragioni della ricorrente in quanto la condotta della parte, con specifico riferimento alla omessa tempestiva impugnazione degli atti di gara, non può essere valutata ai fini della esclusione o della mitigazione del danno evitabile con l’ordinaria diligenza. Come si è visto, la ricorrente aveva sia diffidato la stazione appaltante dal procedere all’affidamento del servizio all’aggiudicataria sia notificato alla stazione appaltante l’informativa di cui all’art. 243-bis del Codice degli appalti.

La proposizione di tempestiva impugnazione intesa all’annullamento degli atti di gara rischiava di non essere di alcuna utilità sul piano del conseguimento di un risarcimento in forma specifica. Pertanto, secondo Il TAR Lazio, l’omessa impugnativa degli atti di gara non rileva nel caso de quo ai fini dell’esclusione o della mitigazione del danno che deve essere risarcito.
Conclusivamente, il TAR ha condannato la stazione appaltante al pagamento in favore della ricorrente, a titolo di risarcimento del danno, dell’importo di € 20.000,00, secondo una determinazione equitativa della somma dovuta (link a www.altalex.com).

APPALTI: Revoca dell'aggiudicazione annullabile senza comunicazione avvio procedimento.
Il provvedimento di revoca adottato in seguito al precedente provvedimento di aggiudicazione definitiva di una procedura ad evidenza pubblica è illegittimo, e dunque annullabile, se manca la comunicazione di avvio del procedimento al soggetto risultato aggiudicatario.
È questo, in estrema sintesi, quanto affermato dalla sentenza 27.04.2011 n. 2456 resa dalla V Sezione del Consiglio di Stato.
Un ente pubblico aveva indetto una gara per l’affidamento di un servizio.
La procedura di evidenza pubblica si era poi perfezionata con l’emanazione del relativo provvedimento di aggiudicazione.
Tuttavia, a distanza di oltre un mese dall’intervento della delibera direttoriale che aveva disposto l’aggiudicazione definitiva in favore della Società risultata vincitrice, l’ente pubblico revocava detta aggiudicazione.
In seguito alla pronuncia del Giudice territoriale (TAR del Lazio), la questione è approdata al Consiglio di Stato, il quale si è pronunciato in merito alla legittimità del provvedimento di revoca adottato in seguito al precedente provvedimento di aggiudicazione definitiva della gara.
Al riguardo i Giudici hanno ravvisato la violazione dell’obbligo di comunicazione di avvio del procedimento ai sensi dell’art. 7 della legge 07.08.1990, n. 241/1990 [1].
Come noto, l’art. 7 della legge sul procedimento amministrativo prevede, tra l’altro, l’obbligo per la pubblica amministrazione che avvia un procedimento amministrativo di comunicare l’avvio del procedimento stesso ai soggetti nei confronti dei quali il provvedimento finale è destinato a produrre effetti diretti, nonché ai soggetti individuati o facilmente individuabili, diversi dai suoi diretti destinatari, cui possa derivare un pregiudizio.
Ciò considerato, in armonia con il proprio consolidato orientamento interpretativo, i Giudici hanno rilevato che il perfezionamento della procedura di evidenza pubblica, segnato dall’adozione del provvedimento di aggiudicazione definitiva, vale a differenziare e qualificare la posizione dell’aggiudicatario ai fini dell’applicazione dei canoni partecipativi di cui agli artt. 7 e ss. l. n. 241 del 1990.
Difatti, argomenta il Consiglio di Stato richiamando la pronuncia n. 5925 del 2007 [2], l’amministrazione che intenda procedere al riesame in autotutela del provvedimento di aggiudicazione definitiva, con il quale si sia concluso il procedimento di affidamento di contratti pubblici, “deve adempiere alla prescrizione imposta dall’art. 7 della legge n. 241/1990 provvedendo alla comunicazione dell’avvio del procedimento quantomeno nei confronti dell’aggiudicatario la cui sfera giuridica potrebbe essere incisa dagli effetti sfavorevoli derivanti dall’adozione dell’atto di revoca”.
Il provvedimento di revoca, pertanto, sarebbe annullabile in quanto, incidendo in via estintiva sulla posizione di vantaggio consacrata dall’atto di aggiudicazione definitiva, “ha impedito alla società ricorrente di interloquire sull’effettiva sussistenza e consistenza di ragioni di interesse pubblico” sottese al provvedimento di revoca stesso.
Al fine però di rilevare l’illegittimità, e dunque l’annullabilità, di un provvedimento amministrativo occorre affrontare un’ulteriore questione: l’applicabilità o meno dell’art. 21-octies della medesima legge sul procedimento amministrativo n. 241 del 1990 il quale, in sostanza, afferma la natura non invalidante delle violazioni formali e procedurali non influenti sull’esito finale del procedimento [3].
Detta disposizione prevede infatti, al comma secondo, che “non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato”.
La seconda parte del medesimo comma, inoltre, dispone che “il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell’avvio del procedimento qualora l’amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato”.
Sul punto, il Consiglio di Stato rileva che la “regola conservativa” di cui al citato art. 21-octies, comma 2, l. n. 241 del 1990 non è applicabile al caso in esame; e ciò in ragione:
● della caratterizzazione discrezionale del provvedimento di revoca;
● dell’esigenza di ponderare comparativamente con gli interessi pubblici in rilievo la posizione di vantaggio conseguita dal ricorrente a seguito della partecipazione con esito vittorioso alla procedura.
La quinta sezione del Consiglio di Stato, pertanto, ha ravvisato l’illegittimità del provvedimento di revoca adottato a distanza di oltre un mese dal provvedimento di aggiudicazione definitiva per violazione dell’obbligo di comunicazione di avvio del procedimento ai sensi dell’art. 7 della legge 07.08.1990, n. 241.
I giudici, di conseguenza, hanno accolto il ricorso e annullato la delibera di revoca, facendo salvo, ad ogni modo, il riesercizio del potere amministrativo all’esito di una procedura che consenta la piena esplicazione del contraddittorio ai fini dei una congrua comparazione degli interessi in considerazione.
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[1] Legge 07.08.1990, n. 241 recante “Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi”.
[2] Cons. St, sez. V, 21.11.2007, n. 5925.
[3] Con riferimento ai rilievi critici in ordine al rapporto tra detta disposizione ed i principi di garanzia procedimentale si rimanda a D.U. Galetta, Notazioni critiche sul nuovo art. 21-octies della legge n. 241/1990, in Giustizia amministrativa, 2005/2, 1-10
(link a www.altalex.com).

URBANISTICA1. - Controinteressato - Piano regolatore - Variante - Oggetto specifico e circoscritto - Posizioni specifiche di soggetti interessati - Natura di controinteressato - Sussiste.
2. - Controinteressato - Omessa notificazione - Intervento in giudizio - Ad opponendum - Sanatoria - Esclusione.

1. - Il principio secondo cui non sussistono controinteressati rispetto all'impugnazione degli strumenti urbanistici generali non può trovare applicazione ove la variante al piano regolatore abbia un oggetto del tutto specifico e circoscritto nonché quando, pur trattandosi di ricorsi contro strumenti urbanistici, vi sia l'evidenza di posizioni specifiche di soggetti interessati, tali da determinare, in loro favore, la qualità di controinteressati.
2. - Non vale a superare l'inammissibilità dell'impugnazione l'avvenuto intervento in giudizio del controinteressato in difetto di notificazione del ricorso, atteso che la costituzione in giudizio del controinteressato ha effetto sanante non già della omessa notificazione bensì delle eventuali irregolarità della stessa.
_________________
2. - Cfr. Cons. Stato, sez. IV, 10.09.1991, n. 710, in Rass. Cons. Stato, 1991, I, 1302 e TAR Liguria, sez. I, 30.04.1997, n. 172 in Rass. TAR, 1997, I - 3, 2495 (massima tratta da www.sentenzetoscane.it - TAR Toscana, Sez. III, sentenza 19.07.2000 n. 1713 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA1. - Piano di zona per l'edilizia economica e popolare - Contenuto - Limiti - Attendibile previsione del fabbisogno abitativo - Necessità - Riferimento a dati non attuali o ipotetici - Illegittimità.
2. - Piano di zona per l'edilizia economica e popolare - Quota di edilizia residenziale pubblica ex art. 3 L. 167/1962 - Determinazione - Motivazione - Necessità.

1. - Posto che la discrezionalità dell'Amministrazione riguardo alle dimensioni del piano di zona per l'edilizia economica e popolare incontra il duplice limite della proporzione fra fabbisogno abitativo complessivo calcolato e quota di alloggi riservato all'intervento pubblico e della proporzione tra alloggi progettati e la superficie a tal fine vincolata, deve ritenersi illegittimo il piano che risulti adottato senza un'attendibile previsione del fabbisogno abitativo ed al dichiarato scopo di consentire il ritorno della popolazione emigrata (con la conseguenza di essere sovradimensionato rispetto alle esigenze effettive) e che sia sorretto da una relazione che assuma dati non attuali o ipotetici (il cui "aggiornamento" è anche effettuato ignorando elementi necessari quali la "pregressa presentazione di domande di alloggi" o "la capacità dell'industria privata", utili anche ai fini dell'individuazione della quota di edilizia pubblica).
2. - Non può considerarsi assolto l'obbligo di motivazione nel caso in cui il piano di zona per l'edilizia economica e popolare individui nella percentuale massima del 70% la quota spettante all'edilizia residenziale pubblica senza addurre altre ragioni oltre a quella che la scelta appare necessitata dalle particolari condizioni del mercato immobiliare.
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1. - Cfr. Cons. Stato, sez. IV, 21.06.1982, n. 398, in Rass. Cons. Stato, 1982, I, 796 e Cons. Stato, sez. IV, 27.07.1987, n. 452, in Rass. Cons. Stato, 1987, I, 1051; di conseguenza, devono ritenersi "illegittimi i piani fondati su previsioni di incremento demografico eccessive ed erronee" (Cons. Stato, sez. IV, 27.03.1995, n. 190 in Rass. Cons. Stato, 1995, I, 324) e comunque, in presenza di un andamento demografico in costante diminuzione, il Comune è tenuto a valutare con particolare attenzione i fattori in base ai quali ha previsto un aumento della domanda di abitazione (Cons. Stato, sez. IV, 28.03.1995, n. 209 in Rass. Cons. Stato, 1995, I, 339); né può esserci tra le finalità del P.E.E.P. quella di facilitare un ritorno di popolazione nell'ambito del territorio comunale (Cons. Stato, sez. IV, 08.04.1991, n. 238 in Rass. Cons. Stato, 1991, I, 590) (massima tratta da www.sentenzetoscane.it - TAR Toscana, Sez. III, sentenza 18.07.2000 n. 1700 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAConcessione - Necessità - Recinzione priva di opere murarie - Non occorre.
1. - La concessione edilizia non è necessaria per modeste recinzioni di fondi rustici senza opere murarie, e cioè solo con una rete metallica sorretta da pali in legno infissi al suolo, perché entro tali limiti l'opera rientra tra le manifestazioni del diritto di proprietà che comprende lo jus excludendi alios.
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1.- Cfr. Cons. di Stato, sez. V, 26.10.1998 n. 1537 (massima tratta da www.sentenzetoscane.it - TAR Toscana, Sez. I, sentenza 11.07.2000 n. 1602 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI1. - Processo amministrativo - Impugnazione - Legittimazione attiva - Ordine professionale - Quando sussiste.
2. - Processo amministrativo - Impugnazione - Legittimazione attiva - Vizi afferenti singole prescrizioni del bando di gara - Ordine professionale - Inammissibilità.

1. - Gli ordini e i Collegi professionali, per la loro peculiare posizione esponenziale della rispettiva categoria, devono ritenersi abilitati a far valere in giudizio, oltre ai propri interessi di enti giuridici in quanto tali, anche l'interesse del gruppo professionale nel suo complesso.
In particolare la posizione legittimante dell'Ordine professionale sussiste nell'ipotesi in cui si contesti la legittimità di un atto amministrativo, in quanto suscettibile di recare danno ad un interesse generale della categoria rappresentata, comprimendo arbitrariamente la sfera delle attribuzioni professionali o, comunque, incidendo negativamente sulla stessa.
2. - Le singole prescrizioni del bando di concorso possono formare oggetto di censura, in presenza di una concreta e attuale lesione della sfera giuridica del soggetto interessato, soltanto ad opera del singolo partecipante alla gara, la cui individuale posizione, per effetto della domanda di ammissione alla procedura stessa, viene ad essere giuridicamente qualificata e differenziata rispetto a quella vantata dagli altri professionisti, con conseguente legittimazione a sottoporre al sindacato giurisdizionale le indicazioni del bando asseritamente inficiate.
E' inammissibile, invece, il gravame proposto da un Ordine professionale avverso le suddette prescrizioni del bando di gara, attesa l'omessa dimostrazione di un pregiudizio per la categoria professionale -unitariamente considerata- dal medesimo rappresentata, derivante dalle censurate disposizioni della "lex specialis".
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2. - Si vedano, Tar Toscana, sez. II, 14.07.1998 n. 658; Tar Toscana, sez. II, 14.07.1998 n. 661; Tar Toscana, sez. II, 10.11.1998 n. 1038; Tar Toscana, sez. II, 01.02.1999 n. 179 (massima tratta da www.sentenzetoscane.it - TAR Toscana, Sez. II, sentenza 23.05.2000 n. 944 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

LAVORI PUBBLICIImpugnazione - Decorrenza del termine - Opere pubbliche - Approvazione progetto - Persone direttamente contemplate - Dies a quo - Notificazione - Soggetti non destinatari del provvedimento - Decorrenza dalla pubblicazione.
1. - Il termine per impugnare la delibera di approvazione di un progetto di opera pubblica decorre per le persone direttamente interessate dal procedimento di espropriazione dal momento della notifica dell'atto, mentre nei confronti di tutti gli "altri soggetti" -ossia per quelli che non sono destinatari del provvedimento e per i quali, conseguentemente, non occorra la comunicazione individuale del medesimo- il termine per la proposizione del ricorso decorre dalla pubblicazione dell'atto, a condizione che questa sia espressamente prevista ed avvenga nei modi indicati (nella fattispecie mediante affissione all'albo pretorio).
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1. - Conforme Tar Toscana II Sez. 14.02.2000 n. 174 (massima tratta da www.sentenzetoscane.it - TAR Toscana, Sez. II, sentenza 23.05.2000 n. 943 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

CONSIGLIERI COMUNALIImpugnazione - Legittimazione - Consiglieri comunali - Limiti.
I componenti del Consiglio Comunale sono legittimati ad impugnare atti dello stesso organo al quale appartengono, ovvero di altro organo del Comune, con riferimento alle determinazioni idonee ad incidere direttamente sulla sfera giuridica degli interessati o sulla posizione di essi all'interno del consesso, giacché nessuna norma o principio conferisce loro un autonomo potere di azione popolare tale da consentire di agire sempre e comunque in giudizio al fine di ottenere il ripristino della legalità che assumono violata; mentre i Consiglieri di minoranza, in relazione alle delibere di Giunta comunale che assumano illegittime, hanno il solo potere di provocare l'esercizio del potere di controllo nei limiti ed alle condizioni previsti dalla l. 08.06.1990 n. 142 e successive modificazioni (massima tratta da www.sentenzetoscane.it - TAR Toscana, Sez. II, sentenza 23.05.2000 n. 943 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA1 - Concessione - Distanze legali tra edifici - Ratio della norma.
2 - Concessione - Distanze legali tra edifici - Violazione del D.M. 1444/1968 - Annullamento in via di autotutela -Legittimità - Irrilevanza della destinazione dello spazio tra edifici e dell'unicità del fabbricato.

1 - La disciplina legale delle distanze è preordinata alla tutela di interessi generali sussumibili nell'esigenza di evitare la creazione di intercapedini tra fabbricati dannose dal punto di vista igienico ma anche alla tutela di privati diritti soggettivi da individuarsi nella pretesa per ciascun proprietario o possessore di un edificio di godere di sufficiente veduta e di luce.
2 - E' legittimo l'annullamento in via di autotutela della concessione edilizia rilasciata in violazione dell'art. 9 del D.M. 1444/1968 in quanto, ai fini dell'osservanza delle distanze legali, la realizzazione di una sopraelevazione (e più precisamente il piano rialzato di un edificio) costituisce una nuova costruzione (o nuovo edificio, i due termini devono considerarsi sinonimi) che va ad occupare nuovi spazi a fronte dei quali sorge l'indefettibile esigenza, affermata dal legislatore, di assicurare al proprietario frontista un "minimum" di distacco commisurato appunto nei 10 metri di cui all'art. 9 del D.M. 1444/1968.
A tal fine, non rileva né l'eventuale circostanza che trattasi di un unico edificio, né la funzione riservata dai proprietari agli spazi esistenti tra edifici vicini, ma solo la loro oggettiva idoneità a costruire intercapedini vietate dalla legge, cosicché la distanza tra costruzioni imposta ex lege deve essere osservata anche nell'ipotesi in cui lo spazio tra detti edifici abbia funzione di cortile, costituendo questo, se largo meno della distanza minima prescritta, una intercapedine vietata.
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1. - Sulla rilevanza pubblicistica degli standard imposti dal D.M. 1444/1968 con riguardo ai distacchi tra fabbricati e i confini, si veda Tar Toscana, sez. III, 02.12.1999 n. 676 in Rass. TAR 2000 pag. 773 (massima tratta da www.sentenzetoscane.it - TAR Toscana, Sez. III, sentenza 19.05.2000 n. 922 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATASanzioni - Ingiunzione di dismissione di attività di autodemolizione - Principio di tipicità degli atti repressivi di tipo edilizio - Illegittimità della sanzione.
Deve ritenersi illegittima l'ordinanza con cui il Comune ordina la dismissione di un'attività di autodemolizione e riparazione auto sul presupposto del contrasto con la destinazione urbanistica del terreno prevista nel prg dal momento che l'esercizio di tale attività non può farsi rientrare nel concetto di abuso edilizio come definito nel sistema sanzionatorio vigente.
Stante il principio di tipicità degli atti repressivi di tipo edilizio, tali atti devono ritenersi inapplicabili a situazioni o comportamenti diversi dagli abusi edilizi in senso stretto e la potestà di repressione degli abusi edilizi (ai sensi e per gli effetti dell'art. 4 della legge n. 47/1985) non comprende pure la dismissione di un'attività di autodemolizione (fermo restando la tutelabilità in altra sede delle norme di natura ambientale e/o igienico-sanitarie che si ritengano eventualmente violate dall'anzidetta attività) (massima tratta da www.sentenzetoscane.it - TAR Toscana, Sez. III, sentenza 19.05.2000 n. 919 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ESPROPRIAZIONE1 - Vincolo conformativo contenuto nel piano particolareggiato - Procedura ex art. 20 L. 1150/1942 - Necessità - Mancanza - Illegittimità.
2 - Procedura in attuazione di prg - Giurisdizione esclusiva del g.a.
3 - Risarcimento del danno - Necessità della prova.

1 - In presenza di vincolo conformativo che importa una destinazione non realizzabile esclusivamente a iniziativa pubblica, previa espropriazione, ma attuabile anche dal soggetto privato senza necessità di ablazione del bene (sentenza n. 179/1999 C. Cost.), qualora tale conformazione dell'area e dell'intervento in essa realizzabile sia contenuta in un piano particolareggiato, l'amministrazione non può procedere all'espropriazione, senza aver previamente esperito nei confronti del privato la procedura di attuazione coattiva del piano particolareggiato prevista dall'art. 20 L. 1150/1942 (ingiunzione ai proprietari di eseguire i lavori e successiva diffida).
Deve ritenersi pertanto illegittima la delibera con la quale viene avviato il procedimento espropriativo dell'area, senza la preventiva attivazione della procedura suddetta (fattispecie relativa ad area destinata dagli strumenti urbanistici vigenti in ambito comunale alla istallazione di un impianto -stazione di servizio- per la distribuzione di carburanti).
2 - Le procedure espropriative di attuazione delle previsioni di prg devono ritenersi ricomprese nella materia "urbanistica" come individuata dall'art. 34 del D. Lgv. 80/1998, intesa come ambito di azioni, provvedimenti ed interessi comunque attinenti al territorio e quindi includente anche gli strumenti operativi sul piano tecnico amministrativo (quali le procedure espropriative di attuazione di previsioni di P.R.G.) per l'acquisizione, da parte dell'Amministrazione pubblica, di porzioni del territorio stesso al fine della loro trasformazione e destinazione a scopi di pubblica utilità.
Sussiste quindi la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ed a questo compete di conoscere, ai sensi dell'art. 35 del medesimo Decreto Legislativo, di tutte le questioni relative a diritti, ivi comprese quelle riguardanti la richiesta di risarcimento del danno ingiusto derivante da lesione di interesse legittimo.
3 - Ai fini dell'accoglimento della domanda risarcitoria, il ricorrente deve provare il proprio diritto al risarcimento, dimostrando in concreto il danno patrimoniale subito e il nesso eziologico con il provvedimento annullato, non essendo di per sé sufficiente l'illegittimità dell'atto e la lesione dell'interesse legittimo a far sorgere il diritto al risarcimento: non vi è alcuna deminutio patrimoniale a seguito dell'avvio del procedimento espropriativo ove il terreno sia rimasto in possesso del ricorrente (per essere stata concessa l'ordinanza di sospensione cautelare) e non risultando che vi siano state concrete trattative di vendita o di utilizzazione economica del bene sfumate per il procedimento attivato dalla P.A. (massima tratta da www.sentenzetoscane.it - TAR Toscana, Sez. I, sentenza 15.05.2000 n. 888 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

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