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AGGIORNAMENTO AL 29.08.2011 |
ã |
NOVITA' NEL
SITO |
Inserito nel sito il seguente nuovo DOSSIER:
●
Edificio unifamiliare. |
SINDACATI |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO:
Manovra estiva: la posizione del
CSA
(CSA di Roma,
nota agosto 2011). |
DOTTRINA E
CONTRIBUTI |
SICUREZZA LAVORO:
R. Allegrezza,
La Responsabilità penale del RSPP (commento
a Cass. Pen., Sez. 4, 27.01.2011, n. 2814)
(link a http://olympus.uniurb.it). |
QUESITI &
PARERI |
APPALTI SERVIZI:
Sciopero del personale della ditta
appaltatrice.
Domanda.
Nel caso in cui il personale della ditta
appaltatrice del servizio di nettezza urbana
scioperi a causa del mancato pagamento della
quattordicesima, creando un grave disagio
per il servizio, quali iniziative può
assumere il Comune nei confronti della ditta
appaltatrice per rivalersi del danno subito?
Risposta.
Nel caso di specie occorre porre
l'attenzione sul comportamento tenuto dalla
ditta appaltatrice del servizio di nettezza
urbana, laddove non avendo provveduto al
pagamento delle spettanze contrattuali del
proprio personale ha provocato,
indirettamente, uno sciopero e conseguenti
danni alla collettività (rappresentata
dall'Amministrazione Comunale).
Infatti, una volta indetto lo sciopero, si
potrebbe discutere anche di eventuali
responsabilità connesse con la mancata
adozione di misure per limitare i danni da
sciopero ma, sul punto, la Giurisprudenza
non consente significative manovre di
intervento (App. Milano, 09.02. 2004 e
Trib. Milano, 09.03.2006).
Quindi, per poter richiedere il risarcimento
del danno subito occorrerà dimostrare il
nesso di causalità diretta fra il mancato
pagamento della quattordicesima al personale
(e la sua illegittimità) e i danni prodotti
in conseguenza dell'inevitabile sciopero che
ne è derivato (dimostrando anche che lo
sciopero appariva come una conseguenza
inevitabile di tale azione).
In base ai dati forniti riteniamo
difficilmente percorribile questa strategia
processuale.
Resta da valutare se sussistono invece
condizioni contrattuali (Contratto di
servizio) che possano consentire la
definizione di un risarcimento del danno per
i fatti indicati (25.08.2011 - tratto
da www.ipsoa.it). |
UTILITA' |
EDILIZIA PRIVATA: Rilasciata
dal GSE la nuova guida per l’integrazione
architettonica degli impianti fotovoltaici.
Il GSE ha rilasciato la prima revisione alla
Guida per l’integrazione architettonica, con
i criteri e le modalità di installazione di
impianti fotovoltaici innovativi finalizzati
all’integrazione architettonica.
La pubblicazione nasce al seguito di
richieste di chiarimenti pervenute in merito
al riconoscimento della tariffa privilegiata
destinata alle applicazioni innovative
(Titolo III del Decreto 05.05.2011) e
accoglie il parere del Ministero dello
Sviluppo.
La principale novità riguarda il brevetto
europeo richiesto per il sistema di
montaggio dei componenti speciali: infatti,
sono ritenuti “…ammissibili anche i
prodotti che, avendo in corso la procedura
di richiesta di concessione del brevetto
alla data di presentazione della domanda al
GSE, abbiano già ottenuto dall'European
Patent Office (EPO) il rapporto di ricerca (search
report), unitamente all'opinione preliminare
sulla brevettabilità del prodotto (preliminary
opinion on patentability) con contenuto
positivo”.
Da evidenziare che nel solo caso di
realizzazione di superfici verticali esterne
ventilate è ammesso che le funzioni di
tenuta all’acqua (impermeabilizzazione),
tenuta meccanica e resistenza termica
possano essere garantite dall'insieme dei
moduli e dell'involucro edilizio di cui
fanno parte; la prima versione prevedeva che
tali funzioni fossero svolte esclusivamente
dai moduli.
Inoltre, per soluzioni su superfici
verticali e per facciate ventilate si può
derogare dal possesso del brevetto europeo
sul sistema di montaggio, ma la soluzione
deve possedere i seguenti requisiti:
►
interessare una superficie omogenea della
facciata, opportunamente raccordata a
eventuali parti della stessa non ricoperte
da moduli fotovoltaici, nel caso di
rivestimento di una superficie verticale
opaca;
►
interessare l’intera parete dell'involucro
edilizio (anche se non attraverso l’utilizzo
esclusivo di moduli fotovoltaici), nel caso
di facciata ventilata
(25.08.2011 - link a www.acca.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Ristrutturazioni
edilizie: la guida per procedere in maniera
corretta con le detrazioni fiscali.
La Finanziaria 2010 ha prorogato fino al
31.12.2012 il termine per fruire della
detrazione del 36% delle spese sostenute per
i lavori di recupero del patrimonio
edilizio.
Nelle opere di riqualificazione edilizia,
inoltre, è possibile usufruire di una serie
di agevolazioni, quali:
● aliquota Iva agevolata del 10%, per le
prestazioni di servizi e le forniture di
beni relative agli interventi di recupero
degli immobili a prevalente destinazione
abitativa privata;
● detrazione Irpef del 19% sugli interessi
passivi pagati per mutui stipulati per la
costruzione (e la ristrutturazione)
dell’abitazione principale;
● aliquota Iva al 4% sui beni finiti
acquistati per la costruzione di abitazioni
non di lusso (a prescindere che siano prima
casa o meno) ed edifici assimilati.
Il Decreto Sviluppo (D.L. n. 70 del
13.05.2011, convertito dalla Legge n. 106
del 12.07.2011) ha abolito due importanti
adempimenti precedentemente richiesti:
● l’invio della comunicazione di inizio
lavori al Centro operativo di Pescara;
● l’indicazione del costo della manodopera,
in maniera distinta, nella fattura emessa
dall’impresa che esegue i lavori.
L’Agenzia delle Entrate ha recentemente
pubblicato una guida in cui sono contenute
in dettaglio le istruzioni operative per
poter utilizzare al meglio le principali
agevolazioni fiscali previste per gli
interventi di recupero edilizio ed una serie
di esempi pratici
(25.08.2011 - link a www.acca.it). |
NOTE,
CIRCOLARI E COMUNICATI |
EDILIZIA PRIVATA:
Oggetto: certificazione energetica degli
edifici - modifiche relative al modello di
attestato e alla sua validità.
Agli Uffici tecnici dei
Comuni della Lombardia.
Si comunica che, per effetto di quanto
previsto dalla lettera f), comma 1, art. 17
della Legge Regionale 21.02.2011, n. 3, a
partire dall'01.09.2011 l'Attestato di
Certificazione Energetica acquisterà
efficacia con l'inserimento nel catasto
energetico regionale del file di
interscambio dati, senza che sia più
necessario il timbro per accettazione da
parte del Comune, previsto al punto 12.6
della dgr 8745 del 22.12.2008.
In attuazione di quanto sopra, con delibera
N° IX/1811 la Giunta regionale ha approvato
il nuovo modello di attestato di
certificazione energetica, che verrà
applicato dall'01.09.2011.
L’estrazione dell’ACE dal catasto energetico
in cui sia stato inserito il cui file di
interscambio dati prima dell'01.09.2011 non
avrà nessun valore giuridico; pertanto, nel
caso sia necessario, al fine di ottemperare
agli obblighi di legge, acquisire un ACE
inserito prima di tale data, occorrerà fare
una copia conforme dell’originale a suo
tempo redatto dal Certificatore e timbrato
per accettazione dal Comune territorialmente
competente.
Per gli edifici che rientrano nella
fattispecie di cui al punto 5 del Decreto n.
14006 del 15.12.2009, i soggetti
certificatori che intenderanno continuare ad
avvalersi della procedura di calcolo di cui
al Decreto n. 15833 del 13.12.2007,
produrranno l’ACE conforme al modello di cui
all’allegato C alla DGR VIII/5773.
L’idoneità dell’ACE, per questa fattispecie,
dovrà essere comprovata dalla ricevuta
dell’avvenuto inserimento del file di
interscambio dati nel catasto energetico,
comprovante il versamento del contributo
previsto dalla DGR VIII/5018 e s.m.i.
Si chiede cortesemente di estendere la
presente comunicazione a tutto il personale
interessato di codesto Comune.
Cordiali saluti.
Dr. Mauro Fabrizio Fasano
Dirigente U.O. Energia e Reti Tecnologiche -
D.G. Ambiente Energia e Reti
Palazzo Lombardia - 6° piano - Stanza nr. 20
- Nucleo 4 - Colore Azzurro
P.zza Città di Lombardia, 1 - 20124 Milano
tel. 02.6765.8690 - fax 02.6765.4468 (nota
e-mail 25.08.2011).
---------------
Semplificazione della procedura di
certificazione energetica degli edifici e
nuovo modello di attestato.
A partire dall'01.09.2011 l'Attestato di
Certificazione Energetica (ACE) acquista
efficacia con l'inserimento nel catasto
energetico regionale del file di
interscambio dati (estensione file: .XML e,
quando previsto, .cnd), sulla base della
Legge Regionale 3/2011 art. 17, comma 1.
In attuazione di quanto sopra, con delibera
1811/2011 la Giunta regionale ha approvato
il nuovo modello di Attestato di
Certificazione Energetica, che verrà
applicato dall'01.09.2011.
Nel caso in cui un file di interscambio
relativo a un ACE venga inserito nel catasto
regionale prima dell'01.09.2011, esso non
avrà alcun valore giuridico. Pertanto, se
fosse necessario acquisire un ACE prima di
tale data per ottemperare agli obblighi di
legge, occorrerà fare una copia conforme
dell’originale redatto dal Certificatore e
timbrato per accettazione dal Comune
territorialmente competente.
A partire dall'01.09.2011 i Comuni non
potranno più rilasciare originali di ACE e,
per quanto riguarda le pratiche già inserite
nel catasto energetico regionale, non sarà
più consentita l’eliminazione di pratiche
chiuse, ma solo la loro sostituzione con
pratiche nuove.
Per gli edifici che rientrano nella
fattispecie di cui al punto 5 del Decreto n.
14006 del 15.12.2009, i soggetti
certificatori che intenderanno continuare ad
avvalersi della procedura di calcolo di cui
al Decreto n. 15833 del 13.12.2007,
produrranno l’ACE conforme al modello di cui
all’allegato C alla DGR VIII/5773. In questo
caso l’idoneità dell’ACE dovrà essere
comprovata dalla ricevuta dell’avvenuto
inserimento del file di interscambio dati
nel catasto energetico, comprovante il
versamento del contributo previsto dalla DGR
VIII/5018 e s.m.i.
Al fine di apportare le modifiche necessarie
si avvisa che, dalle ore 15.30 del giorno
31.08.2011 alle ore 8.30 del 01.09.2011,
tutti i servizi relativi alla sezione
"Catasto" del sito web www.cened.it,
compresa la registrazione di ACE, saranno
sospesi (link a www.regione.lombardia.it). |
CORTE DEI
CONTI |
ENTI LOCALI: Sponsor,
enti più liberi.
Il divieto sulla contribuzione a qualsiasi
forma di sponsorizzazione da parte degli
enti locali, imposto dalla manovra
correttiva del 2010, deve intendersi rivolto
a quelle spese che intendono sostenere
eventi che non siano diretta espressione dei
compiti istituzionali dello stesso ente.
Infatti, ammettere che il divieto posto
possa estendersi a qualunque forma di
contribuzione concessa dall'amministrazione
locale, significherebbe un'esplicita
violazione, da parte del legislatore
nazionale, dell'autonomia costituzionalmente
riconosciuta agli enti locali.
È quanto ha
messo nero su bianco la sezione regionale di
controllo della Corte dei conti Liguria, nel
testo del parere
n. 28/2011, con cui è stata
fatta chiarezza sulla portata della
disposizione contenuta all'articolo 6, comma
9 del dl n. 78/2010, ove si sancisce che,
dal 2011, le amministrazioni pubbliche non
possono effettuare spese per
sponsorizzazioni.
Sul punto, il comune di Ospedaletti
richiedeva un parere alla Corte per sapere
se fosse legittima la concessione di un
contributo alle associazioni sportive locali
per lo svolgimento delle attività sia
ordinarie che straordinarie.
Secondo il collegio della magistratura
contabile ligure, la ratio imposta dal
legislatore è quella di limitare,
nell'ottica di un generale contenimento
della spesa pubblica, tutte quelle spese
(ovvero le contribuzioni) che l'ente
sostiene per eventi che non siano diretta
espressione dei suoi compiti istituzionali.
Sotto questo profilo, pertanto, sono ammesse
le contribuzioni a soggetti terzi relative
ad iniziative culturali, sportive ed
artistiche che mirano a realizzare gli
interessi della collettività amministrata,
ovvero le finalità istituzionali demandate
all'ente locale. È pacifico, ha ammesso la
Corte, che tali iniziative, incardinate nel
principio di sussidiarietà orizzontale,
rappresentano una «modalità alternativa
della realizzazione del fine pubblico,
rispetto alla scelta dell'amministrazione di
erogare direttamente un servizio di utilità
per la collettività».
Se si volesse intendere la disposizione del
citato articolo 6 come un divieto
generalizzato a tutte le forme di
contribuzione concesse dall'ente locale, ci
si troverebbe di fronte ad una palese
violazione, da parte del legislatore
nazionale, dell'autonomia costituzionalmente
riconosciuta agli enti locali
nell'esplicazione delle proprie funzioni
fondamentali.
Quindi la norma mira a realizzare il taglio
dei costi amministrativi senza incidere
sulle funzioni e sui compiti degli enti
locali
(articolo ItaliaOggi del 26.08.2011). |
SEGRETARI COMUNALI:
Doppio taglio agli stipendi dei
direttori generali. Lo dicono la corte
conti della Lombardia e
della Toscana.
Doppio taglio agli stipendi dei direttori
generali. Secondo la Corte dei conti,
infatti, si applicano contemporaneamente
l'articolo 6, comma 3, e l'articolo 9, comma
2, del dl 78/2010, convertito in legge
122/2010.
Lo hanno stabilito le sezioni per
la Lombardia, col
parere 27.05.2011 n.
315, e per la Toscana, col
parere 03.05.2011 n. 67.
L'articolo 6, comma 3, della manovra estiva
2010 stabilisce che dispone che, a decorrere
dall'01.01.2011, le indennità, i
compensi, i gettoni, le retribuzioni o le
altre utilità comunque denominate
corrisposti dalle pubbliche amministrazioni
ai componenti di organi di indirizzo,
direzione e controllo, consigli di
amministrazione e organi collegiali comunque
denominati ed ai titolari di incarichi di
qualsiasi tipo sono automaticamente ridotte
del 10% rispetto agli importi risultanti
alla data del 30.04.2010.
Dunque, secondo la magistratura contabile,
poiché la norma si riferisce ai titolari di
incarichi di qualsiasi tipo, per garantire
che sia colta la sua finalità e, cioè, un
risparmio per le casse pubbliche, si deve
necessariamente ricondurre l'assegnazione
delle funzioni di direttore generale alla
tipologia appunto di incarichi. Ne discende
l'irrimediabile taglio del 10% al compenso.
Non finisce qui, però. Poiché i direttori
generali, sia che si tratti di segretari
comunali cui sia stata conferita la
specifica funzione, sia che si tratti di
soggetti esterni assunti ai sensi
dell'articolo 108 del dlgs 267/2000, sono
dipendenti pubblici assimilabili alla
dirigenza, nei loro confronti scatta anche
la disposizione dell'articolo 9, comma 2,
della manovra 2010. Per effetto della quale
la parte di trattamento economico superiore
ai 90.000 euro viene decurtata del 5%; la
parte che supera i 150.000 euro, del 105.
Sul punto, tuttavia, tra la sezione Toscana
e quella Lombardia pare rinvenirsi una
divergenza. Infatti, la magistratura
contabile della toscana intende riferire la
piena applicazione dell'articolo 6, comma 3,
della manovra solo ai segretari comunali
incaricati anche come direttori. La sezione
afferma che «la figura del direttore
generale, qualora incaricato ai sensi
dell'art. 108 Tuel, soggiace invece al
disposto di cui all'art. 9, comma 2 del
citato dl 78/2010 convertito nella legge
122/2010». Dunque, per il direttore generale
«esterno» opererebbe solo il taglio
specifico previsto per la dirigenza.
A parte l'ormai consueta diversificazione di
vedute tra sezioni, in ogni caso le
valutazioni espresse sul merito da parte
della magistratura contabile non appaiono
condivisibili. I pareri della sezione
Lombardia e Toscana sembrano eccessivamente
preoccupati dalla necessità di dare
effettività ai risparmi previsti dalla
legge, così finendo abbastanza chiaramente
per andare oltre gli stessi intenti del
legislatore. L'applicazione ai direttori
generali dell'articolo 6, comma 3, è da
escludere recisamente per almeno due
ragioni.
In primo luogo, l'articolo 6, comma 3, va
letto per intero. Il suo ultimo periodo
dispone: «La riduzione non si applica al
trattamento retributivo di servizio». Il
legislatore, dunque, in modo forse
sintetico, afferma comunque abbastanza
chiaramente che la riduzione secca del 10%
non opera nei confronti degli emolumenti
connessi ai trattamenti economici del
personale dipendente, che con gli enti
conducano un rapporto di lavoro subordinato.
In effetti, oggetto dell'articolo 6, comma
3, sono i compensi per incarichi di
tutt'altro tipo, i cui redditi non sono la
remunerazione di lavoro dipendente:
presidenti e amministratori di società,
componenti di organismi di controllo e
similari.
Per i lavoratori dipendenti si applicano le
disposizioni fissate dall'articolo 9 della
manovra 2010, il quale contiene la norma
speciale per la dirigenza esplicitata al
comma 2.
Di conseguenza, e questa è la seconda
motivazione, ai lavoratori dipendenti non
può che essere applicata la regola
precipuamente riservata loro. E questo vale
non solo per il direttore generale esterno,
come afferma la Corte dei conti della
Toscana, ma anche per il segretario cui sia
stata conferita la funzione di direttore
generale. Infatti, tale incarico è connesso
inscindibilmente al rapporto di lavoro
condotto con l'ente e, per altro, è
espressamente regolato (anche se non
quantificato) dalla contrattazione nazionale
collettiva dell'area dei segretari.
Pertanto, l'eventuale indennità rappresenta
comunque una prestazione stipendiale legata
al «trattamento retributivo di servizio».
Per quanto le interpretazioni della
magistratura contabile abbiano messo in
allarme gli uffici, i quali si sono
allertati per operare entrambe le
decurtazioni, non può che prendersi atto
dell'eccessiva rigidità dei pareri e della
loro incompatibilità con i veri intenti
della manovra, confermati dalla lettura
sistematica degli articoli 6 e 9 della legge
122/2010, dalla quale deriva senza alcun
dubbio l'inapplicabilità del taglio di cui
al comma 3 dell'articolo 6 ai direttori
generali
(articolo ItaliaOggi del 27.08.2011 -
tratto da www.ecostampa.it). |
NEWS |
PUBBLICO IMPIEGO:
Dirigenti a contratto non per
tutti.
Incarichi solo nei comuni virtuosi. E nel
limite del 18%. Il dlgs 141, correttivo della riforma Brunetta,
subordina le assunzioni all'efficienza
gestionale.
Incarichi dirigenziali a contratto solo per
gli enti locali virtuosi. La stesura
definitiva del dlgs 141/2011 che modifica in
parte la riforma Brunetta, per quanto
concerne la questione delle percentuali dei
dirigenti extra ruolo che possono essere
assunti dalle amministrazioni locali
contiene una sorpresa imprevista per Anci e
Upi, che auspicavano la più ampia estensione
possibile del ricorso a dirigenti a
contratto.
All'articolo 19 del dlgs 165/2001 è stato
aggiunto un comma 4-bis, ai sensi del quale
«per gli enti locali, che risultano
collocati nella classe di virtuosità di cui
all'articolo 20, comma 3, del decreto legge
06.07.2011, n. 98, convertito, con
modificazioni, dalla legge 15.07.2011,
n. 111, come individuati con il decreto di
cui al comma 2 del medesimo articolo, il
numero complessivo degli incarichi a
contratto nella dotazione organica
dirigenziale, conferibili ai sensi
dell'articolo 110, comma 1, del Testo unico
delle leggi sull'ordinamento degli enti
locali, di cui al decreto legislativo 18.08.2000,
n. 267, non può in ogni caso superare la
percentuale del diciotto per cento della
dotazione organica della qualifica
dirigenziale a tempo indeterminato.
Si
applica quanto previsto dal comma 6-bis».
Dunque, per gli enti non virtuosi niente
dirigenti a contratto. Ma, pare necessario
concludere, dalla lettura del comma 4-bis
visto prima, che nelle more della
definizione delle classi di virtuosità e
della verifica concreta della collocazione
di ciascun ente locale in ogni specifica
classe, la possibilità di assumere dirigenti
a tempo determinato risulti congelata.
Si tratta, ovviamente, di un pregiudizio
all'autonomia locale, ma coerente con
l'impostazione del dlgs 141/2011 che intende
evidentemente connettere la possibilità di
assumere dirigenti a contratto
all'efficienza della gestione.
Per gli enti locali, dunque, resta solo la
consolazione della norma transitoria
contenuta nell'articolo 6, comma 2, del dlgs
141/2011, che fino alla data di emanazione
dei decreti posti a individuare gli enti
virtuosi fa salvi «i contratti stipulati in
base a previsioni legislative, statutarie e
regolamentari», purché però «nel rispetto
delle limitazioni finanziarie sulla spesa
del personale e sull'utilizzo dei contratti
di lavoro a tempo determinato», anche se
abbiano superato i contingenti di cui
all'articolo 19, comma 6, del dlgs 165/2001
(cioè l'8% della dotazione della dirigenza),
e fossero in essere alla data del 09.03.2011. Tali contratti possono essere
mantenuti fino alla loro scadenza, «fermo
restando la valutabilità della conformità
dei contratti stessi e degli incarichi ad
ogni altra disposizione normativa».
C'è, tuttavia, da osservare che la
configurazione della possibilità di assumere
dirigenti a contratto come si trattasse di
un premio per l'efficienza degli enti è una
contraddizione in termini evidentissima.
Infatti, presupposto per l'assunzione di
dirigenti a contratti, in applicazione
dell'articolo 19, comma 6, del dlgs
165/2001, norma da applicare anche agli enti
locali, è la copertura di posti,
attribuendoli a persone di particolare e
comprovata qualificazione professionale,
avendo accertato la loro assenza nei ruoli e
con specifica motivazione.
Sembra, allora, che gli enti virtuosi,
proprio in quanto tali, non possano
dimostrare di non avere nei propri ruoli
dirigenti efficienti. Dovrebbero, al
contrario, essere gli enti non virtuosi
nelle condizioni di poter dimostrare
l'assenza nei ruoli di dirigenti dotati
delle competenze necessarie, così da
giustificare realmente il ricorso ai
dirigenti a contratto
(articolo ItaliaOggi del 27.08.2011). |
ENTI LOCALI: MANOVRA
BIS/ On-line i pagamenti per la p.a..
La piattaforma DigitPa fornirà la
connessione degli enti. Verso l'attuazione delle disposizioni
del codice dell'amministrazione digitale.
Impulso ai pagamenti informatici alle
pubbliche amministrazioni. Con la
piattaforma della DigitPa, messa a
disposizione degli enti pubblici per la
interconnessione con i gestori dei servizi
di pagamento.
Lo prevede il decreto sulla
manovra-bis (decreto legge 138/2011), che
aggiunge il comma 2-bis all'articolo 81 del
CAD (codice dell'amministrazione digitale, d.lgs 82/2005).
Si tratta, dunque, di dare una spinta
all'attuazione dell'articolo 5 del CAD,
anche se non è chiaro se ci saranno le
risorse per realizzare il progetto.
L'articolo 5 citato impone alle pubbliche
amministrazioni di consentire
l'effettuazione dei pagamenti ad esse
spettanti, a qualsiasi titolo dovuti, con
l'uso delle tecnologie dell'informazione e
della comunicazione. É eccettuata, però, la
riscossione dei tributi.
Sempre l'articolo 5 del Cad consente alle
pubbliche amministrazioni centrali di
avvalersi di prestatori di servizi di
pagamento per consentire ai privati di
effettuare i pagamenti in loro favore
attraverso l'utilizzo di carte di debito, di
credito o prepagate e di ogni altro
strumento di pagamento elettronico
disponibile.
Peraltro ricevuto il pagamento, il gestore
effettuerà il riversamento dell'importo al
tesoriere dell'ente.
In materia, con decreti attuativi devono
essere individuate le operazioni di
pagamento interessate, i tempi da cui
decorre l'obbligo, le modalità per il
riversamento, la rendicontazione da parte
del prestatore dei servizi di pagamento e
l'interazione tra i sistemi e i soggetti
coinvolti nel pagamento, e il modello di
convenzione che il prestatore di servizi di
pagamento deve sottoscrivere per effettuare
il servizio.
Il pagamento con sistemi informatici
riguarda non solo le amministrazioni
centrali, ma anche regioni, le asl e gli
enti locali, che devono approvare propri
regolamenti per conformarsi ai principi
formulati dal CAD.
Il comma 5 del decreto 138/2011 modifica
l'articolo 81 del CAD che disciplina il
ruolo di DigitPA nell'ambito del sistema
pubblico di connettività (SPC).
Il sistema pubblico di connettività (SPC) è
l'insieme di infrastrutture tecnologiche e
di regole tecniche, per lo sviluppo, la
condivisione, l'integrazione e la diffusione
del patrimonio informativo e dei dati della
pubblica amministrazione, necessarie per
assicurare l'interoperabilità di base ed
evoluta e la cooperazione applicativa dei
sistemi informatici e dei flussi
informativi, garantendo la sicurezza, la
riservatezza delle informazioni, e la
salvaguardia e l'autonomia del patrimonio
informativo di ciascuna pubblica
amministrazione.
DigitPA è, invece, l'ente nazionale per la
digitalizzazione della pubblica
amministrazione subentrato al CNIPA).
DigitPA assiste le amministrazioni pubbliche
nel processo di innovazione tecnologica.
DigitPA, tra gli altri suoi compiti
istituzionali, emana regole e guide tecniche
e cura la realizzazione della Posta
Elettronica Certificata, la Firma Digitale,
la digitalizzazione della Giustizia e la
banca dati legislativa pubblica “Normattiva”.
Il nuovo comma 2-bis dell'articolo 81 del
CAD, dunque, prevede che, al fine di dare
attuazione a quanto previsto dall'articolo 5
del CAD, DigitPA mette a disposizione,
attraverso il sistema pubblico di
connettività, una piattaforma tecnologica
per l'interconnessione e l'interoperabilità
tra le pubbliche amministrazioni e i
prestatori di servizi di pagamento
abilitati: l'obiettivo é assicurare
l'autenticazione certa dei soggetti
interessati all'operazione in tutta la
gestione del processo di pagamento.
Sul punto il servizio bilancio del senato,
relativamente alla costituzione di una
piattaforma tecnologica per
l'interconnessione e l'interoperabilità tra
le pubbliche amministrazioni e i prestatori
di servizi di pagamento abilitati, mette in
rilievo che non é chiaro con quali risorse
la DigitPA potrà mettere a disposizione la
piattaforma e se sono previsti eventuali
oneri da parte delle amministrazioni
pubbliche o di altri utenti che fruiranno
dei relativi servizi.
Il comma 6 dell'articolo 6 del decreto legge
138, infine, autorizza le pubbliche
amministrazioni ad utilizzare, entro il 31.12.2013,
la piattaforma tecnologica prevista dal
nuovo comma 2-bis dell'articolo 81 del CAD,
anche al fine di consentire la realizzazione
e la messa a disposizione della posizione
debitoria dei cittadini nei confronti dello
Stato
(articolo ItaliaOggi del 27.08.2011). |
CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO
VIMINALE/ Indennità, il dado è tratto.
Nessuna novità in attesa del nuovo
regolamento. Fino al 2013 gli emolumenti non
possono superare gli importi già ridotti.
Nelle more
dell'emanazione del nuovo regolamento per la
determinazione della misura dell'indennità
di funzione e dei gettoni di presenza da
corrispondere agli amministratori degli enti
locali, devono comunque essere decurtati, a
decorrere dall'01.01.2011 -in forza del
disposto di cui all'art. 6, comma 3, del
decreto-legge 31.05.2010, n. 78, convertito
con modificazioni dalla legge 30.07.2010, n.
122- gli importi delle indennità di funzione
da corrispondere agli amministratori di una
provincia che supera il milione di abitanti?
La manovra finanziaria varata con il
decreto-legge 31.05.2010, n. 78, convertito
con modificazioni dalla legge 30.07.2010, n.
122, ha disposto, all'art. 5, comma 7, che
con decreto del ministro dell'interno (da
emanarsi ai sensi dell'art. 82, comma 8, del
decreto legislativo 18.08.2000, n. 267 e
successive modificazioni ed integrazioni, di
concerto con il ministero dell'economia e
delle Finanze) siano rideterminati in
riduzione gli importi delle indennità di
funzione degli amministratori comunali e
provinciali già previsti nel decreto
ministeriale 04.04.2000, n. 119, nonché gli
importi dei gettoni di presenza per i
consiglieri comunali e provinciali per la
partecipazione a consigli e commissioni.
Il successivo art. 6, comma 3, del citato
decreto-legge, statuisce che «fermo
restando quanto previsto dall'art. 1, comma
58, della legge 23.12.2005, n. 266, a
decorrere dall'01.01.2011 le indennità, i
compensi, i gettoni, le retribuzioni o le
altre utilità comunque denominate,
corrisposti dalle pubbliche amministrazioni
di cui al comma 3 dell'art. 1 della legge
31.12.2009, n. 196, incluse le autorità
indipendenti, ai componenti di organi di
indirizzo, direzione e controllo, consigli
di amministrazione e organi collegiali
comunque denominati ed ai titolari di
incarichi di qualsiasi tipo, sono
automaticamente ridotte del 10% rispetto
agli importi risultanti alla data del
30.04.2010. Sino al 31.12.2013, gli
emolumenti di cui al presente comma non
possono superare gli importi risultanti alla
data del 30.04.2010, come ridotti ai sensi
del presente comma».
Pertanto, essendo stata dettata una
specifica disciplina in materia di indennità
da corrispondere agli amministratori locali
e nelle more dell'emanazione del nuovo
regolamento per la determinazione della
misura delle indennità di funzione e dei
gettoni di presenza da corrispondere agli
amministratori degli enti locali, non può
trovare applicazione nessuna nuova
disposizione dettata con riferimento a
ipotesi diverse
(articolo ItaliaOggi del 26.08.2011). |
CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO
VIMINALE/ Notifica della seduta.
Sussiste la violazione dell'art. 40 del dlgs
267/2000 se un sindaco, avendo omesso di
notificare la convocazione della prima
seduta di insediamento del consiglio
comunale ad uno dei consiglieri, entro il
termine perentorio di dieci giorni dalla
proclamazione degli eletti, provvede ad
effettuare la notifica e a integrare
l'ordine del giorno in data appena
precedente la seduta? Se al medesimo
consigliere non è stato notificato il
risultato delle elezioni, è stata violata la
disposizione normativa contenuta nell'art.
61 del dpr n. 570/1960?
In ordine al quesito concernente la
violazione dell'art. 61 del dpr n. 570/1960,
la mancata notifica dei risultati delle
elezioni può considerarsi sanata per effetto
dell'intervenuta notifica della convocazione
per la prima seduta di consiglio, poiché la
qualità di consigliere deriva direttamente
dall'atto di proclamazione e da tale momento
il consigliere entra in carica, ai sensi
dell'art. 38, comma 4, del dlgs n. 267/2000.
Per quanto riguarda la questione relativa al
difetto di notifica della convocazione, il
Consiglio di stato, con sentenza n. 6476 del
22.11.2005, ha precisato che gli artt. 40 e
41 del dlgs n. 267/2000 recano una specifica
disciplina per la prima seduta del consiglio
comunale.
In particolare, la sentenza afferma che «non
vi è alcuna disposizione dell'art. 40 che
imponga precisi termini per la consegna
della convocazione o preveda che debbano
esservi giorni liberi prima della data
stabilita per l'adunanza». Su tale
presupposto il Consiglio di stato ha
ritenuto infondato l'assunto che l'avviso di
convocazione per la prima seduta spedito dal
sindaco in difformità ai tempi previsti
dallo statuto per le sedute ordinarie «sarebbe
in contrasto con le disposizioni che
richiedono in caso di seduta ordinaria la
consegna dell'avviso di convocazione almeno
cinque giorni prima della seduta».
In conformità al suddetto principio non
sussiste, nel caso di specie, l'invalidità
della convocazione né, pertanto, della
relativa seduta
(articolo ItaliaOggi del 26.08.2011). |
ENTI LOCALI: MANOVRA
BIS/ Addizionale, ritorno
all'antico.
Per i sindaci libertà totale sulle aliquote,
ma solo dal 2012. Il dl 138 ha chiuso in
anticipo la finestra aperta dal federalismo.
Aumenti fino al tetto dello 0,8%.
L'addizionale comunale all'Irpef torna
pienamente manovrabile, ma solo dal prossimo
anno e sulla base della vecchia normativa.
Dopo che già l'art. 5 del dlgs 23/2011 era
recentemente intervenuto in materia, la
manovra-bis cambia nuovamente le carte in
tavola.
Il decreto sul federalismo fiscale
municipale aveva tratteggiato un percorso di
graduale superamento del blocco introdotto
dall'art. 1, comma 7, del dl 93/2008 e
confermato, da ultimo, dall'art. 1, comma
123, della legge 220/2010, rimettendone lo
sviluppo a un regolamento del governo che
avrebbe dovuto essere adottato entro lo
scorso 6 giugno, ma che non ha mai visto la
luce.
In mancanza di tale provvedimento,
l'addizionale Irpef era tornata manovrabile
da parte dei comuni che non l'avessero
ancora istituita, ovvero che applicassero
un'aliquota inferiore allo 0,4%.
Tale livello rappresentava il tetto massimo
per i primi due anni, mentre gli aumenti
annui non potevano essere superiori allo
0,2%.
L'art. 1, comma 11, del dl 138/2011 ha
abrogato tale disciplina, facendo peraltro
salve le deliberazioni adottate dei comuni
durante la sua (breve) vigenza. Si è così
(prematuramente) chiusa la «finestra»
apertasi il 7 giugno e che avrebbe
consentito una parziale manovrabilità del
tributo comunale sui redditi personali fino
alla scadenza del termine per l'approvazione
dei bilanci di previsione, ovvero fino al 31
agosto.
La stessa disposizione del decreto di
Ferragosto ha «scongelato», con decorrenza
dal 2012, la disciplina dell'addizionale
Irpef dettata dal dlgs 360/1998, così come
novellata dall'art. 1, comma 142, della
legge 296/2006 (legge finanziaria statale
2007).
In base a essa, il limite massimo
dell'aliquota torna a collocarsi allo 0,8% e
viene meno qualsiasi limite annuale
all'entità delle variazioni in aumento.
I comuni, inoltre, recuperano per intero il
potere di stabilire una soglia di esenzione
in ragione del possesso di specifici
requisiti reddituali. Si tratta di una
previsione che, in passato, aveva sollevato
non pochi dubbi interpretativi, non essendo
chiaro se i comuni potessero solo
individuare una fascia di esenzione «secca»
dal tributo, ovvero anche prevedere un sua
applicazione «progressiva» (attraverso la
definizione di più scaglioni e altrettante
aliquote corrispondenti a diversi livelli di
reddito) e/o differenziata per le diverse
categorie di contribuenti. Finora è prevalsa
un'interpretazione restrittiva che oggi, nel
nuovo contesto federale, potrebbe forse
essere rivista. Più in generale, in una
simile contesto, occorrerebbe forse
procedere ad un restyling profondo di
un'imposta che, negli anni precedenti il
«blocco», ha evidenziato non poche
criticità.
Come non ricordare il pasticcio che si creò
allorché la stessa legge finanziaria statale
2007 sopra citata abolì le deduzioni Irpef
per carichi familiari, sostituendole con
meccanismi di detrazione. Poiché le
detrazioni (a differenza delle deduzioni)
non riducono la base imponibile rilevante ai
fini dell'applicazione dell'addizionale
comunale, si verificarono aumenti del
relativo onere anche in mancanza di
incrementi dell'aliquota decisi dai comuni.
Per di più, gli aumenti colpirono
soprattutto i contribuenti con famiglia
(numerosa) a carico, con inevitabili
polemiche e scambi di accuse fra governo e
sindaci.
Si trattava di un tipico fenomeno di
«interferenza» fra le decisioni in materia
di politica fiscale adottate da due diversi
livelli di governo (nella fattispecie stato
e comuni), che aveva ingenerato problemi
anche sul piano dell'equità del prelievo.
Simili criticità potrebbero riproporsi anche
oggi, contraddicendo così uno dei principi
cardine del federalismo fiscale, non a caso
ribadito anche dalla legge 42/2009 (art. 1,
comma 2, lett. t).
Negli scorsi mesi, si è parlato più volte di
una completa riforma dell'addizionale
comunale all'Irpef, nel quadro della più
generale revisione del quadro della
fiscalità locale. In tal senso, come si è
visto, era orientato (sia pure timidamente)
anche il decreto sul federalismo fiscale
municipale.
Forse sarebbe il caso di riprendere e
portare seriamente avanti quel progetto,
anziché continuare a procedere a strappi.
A tal fine, potrebbe essere utile
riconsiderare la proposta a suo tempo
formulata dalla commissione Vitaletti, che
aveva suggerito di sostituire l'attuale
addizionale con una sovrimposta. Ciò,
infatti, consentirebbe di risolvere molti
dei problemi che l'attuale disciplina del
tributo pone
(articolo ItaliaOggi del 26.08.2011). |
PUBBLICO IMPIEGO: Rinviate
le fasce di merito, non la valutazione. In
gazzetta ufficiale il decreto correttivo
della riforma brunetta.
Il rinvio dell'entrata in vigore delle fasce
di merito non esonera gli enti locali
dall'obbligo di adottare il sistema di
valutazione, il ciclo di gestione delle
performance ed i documenti di programmazione
per come previsto dalla legge Brunetta.
Anzi, questa esigenza è ulteriormente
rafforzata dalla scelta per cui la
salvaguardia dei contratti decentrati
sottoscritti prima del novembre 2009 non si
applica a questa materia, in quanto è
rimessa al potere regolamentare.
Possono
essere così riassunte le principali
disposizioni contenute nel dlgs n. 141/2011,
cd correttivo del dlgs n. 150/2009, che è
stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n.
194 di lunedì 22 agosto, a circa un mese
dalla approvazione da parte del consiglio
dei ministri.
Il provvedimento aumenta al
18% il numero dei dirigenti a tempo
determinato che gli enti locali cosiddetti
virtuosi possono assumere per coprire posti
vacanti in dotazione organica, mentre la
legge Brunetta aveva stabilito che il tetto
massimo era fissato allo 8%, sia per lo
stato che per tutte le altre p.a.
L'obbligo di istituire le fasce di merito,
recependo le indicazioni dettate per le sole
amministrazioni statali dall'accordo
governo-sindacati (tranne la Cgil) dello
scorso febbraio, viene rinviato all'entrata
in vigore dei nuovi contratti nazionali,
cioè ad oggi ad un termine indefinito.
Peraltro questo rinvio non si applica in
toto perché, per potere ripartire tra il
personale fino alla metà dei risparmi che le
amministrazioni conseguono sfruttando la
possibilità offerta dall'articolo 16 del dl
n. 98/2011, occorre utilizzare le fasce di
merito.
Altra importante novità è costituita
dall'ampliamento del numero di p.a. che sono
esentate dalla istituzione delle fasce:
sulla base del testo del dlgs n. 150/2009
esso era fissato in quelle con un numero di
dirigenti non inferiori a 5 e/o con un
numero di dipendenti non inferiore a 8;
sulla base del nuovo testo viene portata ad
un numero non inferiore a 15 dipendenti,
cioè il vincolo scatta dal sedicesimo in
poi. Ma la stessa disposizione impegna
comunque le amministrazioni escluse a
differenziare il trattamento accessorio
collegato alla performance, riservandone
comunque la parte prevalente ad una quota
limitata. Cioè rimane l'obbligo della
differenziazione, ma le piccole
amministrazioni lo applicheranno in modo
flessibile.
Il rinvio delle fasce non determina analoghi
effetti sulle disposizioni che impongono
alle amministrazioni di darsi una nuova
metodologia di valutazione, di utilizzare il
ciclo di gestione delle performance, di
assegnare obiettivi in linea con le
caratteristiche dettate dalla disposizione e
di adottare documenti di programmazione
coerenti con le finalità perseguite dalla
legge Brunetta. Anzi, questi vincoli sono
rafforzati dal chiarimento contenuto nel
decreto correttivo, che limita fortemente i
rinvii ai nuovi contratti nazionali (che
valgono solo per le nuove regole dettate per
la contrattazione collettiva) e che assegna
ai regolamenti degli enti la competenza a
decidere sulla valutazione, competenza che
per esplicita indicazione del decreto
correttivo prevale sulle eventuali norma
contrarie dettate dai contratti decentrati.
L'ampliamento del tetto dei dirigenti a
tempo determinato e negli enti che ne sono
sprovvisti dei responsabili che gli enti
possono assumere per la copertura di posti
vacanti in dotazione organica, cioè
l'articolo 110 comma 1 del dlgs n. 267/2000,
viene limitato ai comuni ed alle province
virtuosi e non viene allargato alle regioni.
La scelta legislativa solleva un problema
applicativo fino al prossimo anno, in quanto
le tabelle per la individuazione delle
amministrazioni virtuose non saranno pronte
prima di tale data, visto che il dl n.
138/2011 ne ha anticipato l'entrata in
vigore che, in precedenza, era invece
fissata al 2013. Il problema è in parte
risolto dalla sanatoria contenuta nel dlgs
141 delle illegittimità commesse finora
dalle amministrazioni locali che hanno
assunto un numero di dirigenti a tempo
determinato maggiore dello 8%
(articolo ItaliaOggi del 26.08.2011 -
tratto da www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI: MANOVRA
BIS/ Si parte tra un anno. Via le giunte,
più poteri alle regioni. Tutte le proposte
di modifica all'art. 16. Unioni anche tra
comuni non confinanti. Mini-enti, i tagli
prendono tempo.
L'accorpamento dei piccoli comuni prende
tempo. Scatterà infatti non subito, ma solo
a partire dalle prime elezioni successive al
13.08.2012 (e cioè un anno esatto
dall'entrata in vigore della manovra di
Ferragosto) il timing che porterà gli enti
fino a 1.000 abitanti ad associare le
funzioni amministrative e non solo.
Perché attraverso le unioni municipali (il
nuovo organismo creato ad hoc dal dl 138 e
sulla cui istituzione il governo non ha,
dunque, fatto alcun passo indietro) i
mini-enti dovranno obbligatoriamente gestire
anche tutti i servizi pubblici di spettanza
comunale (trasporti, acqua, asili nido
ecc.). Le unioni dovranno avere almeno 5.000
abitanti (3.000 se i comuni sono montani) e
non dovranno essere formate necessariamente
da comuni confinanti. L'avverbio
«preferibilmente», inserito nel pacchetto di
emendamenti governativi all'art. 16 che
saranno presentati in senato la prossima
settimana, toglie così ai sindaci dei
piccoli comuni molti grattacapi. E
semplifica l'individuazione dei partner con
cui avviare la gestione associata.
Così come richiesto dalle regioni, anche i
governatori saranno coinvolti nel
procedimento di costituzione delle unioni.
Potranno individuare soglie demografiche
diverse e spetterà a loro deliberare
ufficialmente l'istituzione dei nuovi
organismi. Sostituendosi ai comuni in caso
di inerzia di quest'ultimi. E se è vero che
per completare il processo di aggregazione
ci sarà tempo fino alle elezioni successivi
al 13/8/2012, è altrettanto vero che la
macchina organizzativa dovrà mettersi in
moto subito.
Entro sei mesi da quando la
manovra-bis sarà convertita in legge, i
comuni dovranno formulare alle regioni di
appartenenza la propria proposta di
aggregazione. Nei municipi che man mano
andranno al voto, a partire da agosto
dell'anno prossimo, le giunte decadranno di
diritto. Gli organi dell'ente saranno solo
il sindaco e il consiglio comunale a cui
spetteranno esclusivamente poteri di
indirizzo nei confronti del consiglio
municipale (l'assemblea dei sindaci
dell'unione in cui siederanno, altra novità
dell'ultim'ora, anche due consiglieri per
ogni comune interessato).
Queste le principali modifiche in materia di
piccoli comuni contenute nel nutrito
pacchetto di emendamenti messo a punto dai
tecnici del ministro Roberto Calderoli.
Correzioni che però non convincono l'Anci,
secondo cui si tratterebbe di «toppe
peggiori del buco» (sono parole del
vicepresidente Enrico Borghi). Ragion per
cui l'Associazione dei comuni continua a
insistere per uno stralcio in toto delle
norme. «I piccoli comuni non possono essere
cancellati improvvisando una norma in un
decreto legge», ha sbottato Mauro Guerra,
coordinatore nazionale dei piccoli comuni
dell'Anci, al termine dell'incontro dei
vertici Anci con il segretario del Pdl
Angelino Alfano. «Le nuove riformulazioni
rischiano di provocare ulteriori danni. Non
ci sono allo stato attuale le condizioni per
una seria riforma istituzionale».
Le modifiche nel nuovo art. 16, ampiamente
riscritto rispetto alla versione del dl 138,
non riguardano solo l'assetto istituzionale
dell'ente, ma anche l'aspetto finanziario e
contabile. I comuni che formano un'unione
avranno un unico bilancio di previsione e
dovranno deliberare ogni anno entro il 30
novembre un documento programmatico.
Organi di governo dell'unione. Sarà
l'assemblea dei sindaci (consiglio
municipale) ad eleggere il presidente
dell'unione. Al presidente spetteranno le
competenze previste dall'art. 50 del Tuel,
mentre i sindaci dei singoli comuni
conserveranno quelle di cui all'art. 54
(ufficiali di governo). Il presidente
nominerà, tra i sindaci che compongono il
consiglio municipale, un numero di assessori
non superiore a quello previsto per i comuni
coinvolti nel procedimento di aggregazione.
Composizione dei consigli.
Cambia anche la composizione dei consigli in
base alla popolazione degli enti. Nei comuni
fino a 1.000 abitanti il consiglio sarà
composto dal sindaco e da quattro
consiglieri. Negli enti tra 1.000 e 3.000 i
consiglieri passeranno da 5 a 4 e le giunte
potranno essere formate al massimo da due
assessori. Nei municipi da 3.000 a 5.000
abitanti il consiglio sarà composto da 6
membri (prima erano 7) e gli assessori
saranno 3. Infine, nei centri da 5.000 a
10.000 abitanti i consiglieri saranno 8 e
gli assessori 4
(articolo ItaliaOggi del 26.08.2011). |
APPALTI SERVIZI: MANOVRA
BIS/ Liberalizzazioni, il potere è locale.
Tocca ai comuni decidere quali servizi
pubblici dare ai privati. Il decreto legge
138/2011 affida a una delibera quadro
dell'ente la scelta delle attività
interessate.
Liberalizzazione dei
servizi pubblici locali nelle mani degli
enti locali. Dovranno individuare quali
servizi affidare al libero mercato e quali,
invece, mantenere in regime di esclusiva. Le
imprese dovranno attendere che
l'amministrazione approvi la delibera quadro
sui servizi liberalizzati.
Ma vediamo di illustrare il quadro
prefigurato dall'articolo 4 del decreto
legge 138/2011, per vedere quali spazi
concreti si aprano al libero mercato. In
prima battuta, dunque, l'ente locale deve
decidere che cosa lasciare alla libera
iniziativa economica e che cosa attribuire
in esclusiva a un gestore. In quest'ultimo
caso il gestore deve essere scelto con una
gara pubblica o con una procedura pubblica
ristretta.
L'affidamento del servizio può avvenire
anche con una gara a doppio oggetto:
cessione di quote societarie (almeno il 40%)
e affidamento di compiti operativi.
Se il valore economico del servizio è pari o
inferiore a 900 mila euro l'ente locale può
costituire una propria società cui affidare
direttamente (senza gara) il servizio. In
quest'ultimo caso si parla di società in
house, sotto il controllo dell'ente locale,
controllo analogo a quello esercitato
dall'ente sui propri uffici.
Nel caso di servizi liberalizzati si aprono
le porte interamente alla gestione di
imprenditori in concorrenza tra loro e,
vista dal punto di vista delle imprese, si
aprono spazi di mercato.
L'ampiezza della liberalizzazione del
mercato dei servizi pubblici locali dipende
dalla valutazione circa l'inadeguatezza del
libero mercato di garantire i bisogni della
comunità locale.
La valutazione verrà fatta con una apposita
deliberazione quadro, che deve motivare le
ragioni delle esclusive.
Una impostazione di questo tipo risente del
fatto che la nozione di servizio pubblico
locale è lasciata alla discrezionalità
dell'ente locale stesso. Certo vi sono linee
di fondo tracciate dalla legge e in
particolare dall'articolo 112 del Testo
unico degli enti locali (dlgs 267/2000), che
prevede che sono gli enti locali,
nell'ambito delle rispettive competenze, a
provvedere alla gestione dei servizi
pubblici che abbiano per oggetto produzione
di beni ed attività rivolte a realizzare
fini sociali e a promuovere lo sviluppo
economico e civile delle comunità locali.
La genericità della norma è stata spiegata
con la circostanza che gli enti locali, e il
comune in particolare, sono enti a fini
generali dotati di autonomia organizzativa,
amministrativa e finanziaria, nel senso che
essi hanno la facoltà di determinare da sé i
propri scopi e, in particolare, di decidere
quali attività di produzione di beni e
attività, se rivolte a realizzare fini
sociali e a promuovere lo sviluppo economico
e civile della comunità locale di
riferimento, assumere come doverose.
Si tratta di elementi discrezionali
(finalità sociali e promozione della
comunità locale): gli stessi elementi che
potranno essere tenuti in considerazione
nella approvazione della deliberazione
quadro.
L'ente deciderà cosa può essere lasciato al
privato. Per fare una panoramica su cosa
potrà essere affidato al libero mercato si
può fare riferimento alle attività inserite
nella prassi nella nozione di servizio
pubblico locale.
Vi rientra e quindi potrà essere oggetto di
liberalizzazione il servizio di raccolta
rifiuti e di igiene ambientale e di
illuminazione pubblica, la gestione dei
servizi cimiteriali e delle lampade votive,
la gestione delle affissioni pubblicitarie e
dei segnali indicatori, gestione del
trasporto pubblico locale, la gestione di
servizi come la mensa scolastica,
biblioteche. In giurisprudenza sono stati
qualificati tra i servizi pubblici locali
anche tutti i servizi riguardanti la nautica
da diporto.
I tribunali hanno invece escluso che possa
configurarsi un servizio pubblico locale per
la costruzione e l'esercizio di impianti per
l'energia eolica.
Sempre dal punto di vista delle imprese, va
sottolineato che allo stato non possono fare
altro che attendere la delibera quadro, la
quale è prevista entro un anno e cioè entro
il 13.08.2012 e comunque prima del
conferimento e del rinnovo della gestione
dei servizi. A questo proposito si dovrà
tenere conto del regime transitorio previsto
per gli affidamenti attualmente in essere e
in contrasto con la nuova disciplina: si va
dal marzo 2012 fino alla scadenze dei
contratti di servizio attualmente stipulati
(comma 32 dell'articolo 4 del decreto
138/2011)
(articolo ItaliaOggi del 26.08.2011 -
tratto da www.ecostampa.it). |
APPALTI SERVIZI: MANOVRA BIS/ Servizi,
l'ente locale rischia grosso.
La liberalizzazione obbligata espone i
comuni a perdite ingenti. Le esclusive limitate a pochi
servizi pubblici essenziali, per cui il
privato è considerato inidoneo.
Rischio di perdite per gli enti locali dalla
liberalizzazione dei servizi pubblici
locali. L'obbligo di mettere sul mercato i
servizi pubblici potrebbe, infatti,
comportare la dismissione di attività
redditizie, con conseguenti perdite per
l'ente locale. Questo il possibile effetto
della manovra economica-bis (decreto
138/2011), che all'articolo 4 si occupa
dell'adeguamento della disciplina dei
servizi pubblici locali alla normativa
comunitaria (con una disciplina speciale per
i settori acqua, gas, energia elettrica,
ferrovie regionali e farmacie comunali).
Vediamo, comunque, come diventerà operativa
la liberalizzazione dei servizi pubblici
locali di rilevanza economica. Tra l'altro
le disposizioni riguardano solo il futuro,
in quanto le procedure di affidamento già
avviate all'entrata in vigore del presente
decreto legge sono salve. In questi casi la
liberalizzazione può attendere.
In base alla norma gli enti locali dovranno
verificare periodicamente la fattibilità di
una gestione concorrenziale dei servizi
pubblici locali, con l'obiettivo di
liberalizzare tutte le attività economiche.
Liberalizzare significa mettere sul mercato
e togliere da un regime di esclusiva. Non a
caso la norma dispone esplicitamente di
voler limitare i diritti di esclusiva a casi
eccezionali e cioè quando i privati
sarebbero inidonei a garantire un servizio
rispondente ai bisogni della comunità.
La disposizione è vaga e indefinita, ma sarà
lo stesso ente locale a dover fare le scelte
concrete. L'articolo quattro, infatti,
demanda allo stesso ente locale di adottare
una delibera quadro, in cui elencare i
settori sottratti alla liberalizzazione, con
ampia motivazione della scelta della
sottrazione al mercato.
Insomma con una deliberazione ben motivata
la liberalizzazione viene stoppata. Tra
l'altro non c'è alcun controllo specifico
sulla deliberazione. In effetti l'articolo 4
prevede un invio della deliberazione
all'Autorità garante della concorrenza e del
mercato, ma non prevede poteri inibitori
dell'Antitrust. Certo, i privati possono
ricorrere contro le deliberazioni, e allora
la palla passerà in mano ai tribunali
amministrativi. E comunque si potranno fare
segnalazioni alla Corte dei conti per
provocare un intervento del giudice
contabile in relazione a danni erariali
derivanti dalla mancata liberalizzazione.
La deliberazione in questione deve essere
adottata una prima volta entro un anno e poi
periodicamente a seconda di quanto prevederà
il regolamento dell'ente locale. In ogni
caso la deliberazione dovrà precedere al
conferimento e al rinnovo della gestione dei
servizi.
La scelta del mercato (e quindi della
attribuzione del servizio pubblico al
privato) dovrà comunque essere prioritaria,
in quanto il decreto 138 esplicita la regola
delle compensazioni economiche a favore dei
gestori privati, tenuti eventualmente a
rispettare tariffe basse o particolari
condizioni di erogazioni. La norma a questo
proposito dice che gli enti locali, se
necessario, definiscono gli obblighi di
servizio pubblico, e l'ente locale deve
premunirsi di definire tali obblighi per non
lasciare all'azienda ogni scelta sulla
erogazione del servizio (sarebbe una delega
in bianco al privato su come gestire il
servizio pubblico). Di questo aspetto l'ente
locale deve ricordarsi già al momento della
stesura degli atti di gara per il
conferimento del servizio (bandi e
capitolati, schemi di contratti di
servizio).
Quanto ai possibili effetti dell'intervento
la norma sostiene che la stessa sia a costo
zero. Tuttavia, nei lavori preparatori, la
stessa nota di lettura del servizio del
bilancio del senato mette in evidenza
possibili conseguenze negative indirette sui
bilanci degli enti locali.
La realizzazione di una gestione
concorrenziale dei servizi non pare, si
legge nella nota, debba tenere conto delle
incidenze finanziarie che esso potrà
procurare ai bilanci degli enti locali e
quindi potrebbe accadere che, per effetto
della presenza di una gestione
concorrenziale, l'ente locale si trovi a
esternalizzare un servizio economicamente
redditizio per il bilancio dell'ente.
Si noti, infatti, che tra le motivazioni
della deliberazione per sottrarre un singolo
servizio al mercato non è prevista la
convenienza per l'ente di tenere il servizio
stesso in quanto porta soldi alle casse
pubbliche. Nella deliberazione si dovrà fare
riferimento ai fallimenti del sistema
concorrenziale e/o ai benefici per la
stabilizzazione, lo sviluppo e l'equità
all'interno della comunità locale del
mantenimento del regime di esclusiva. Ma non
si fa riferimento, invece, al fatto che la
gestione del servizio sia redditizia e porti
utili.
Una motivazione di questo tipo sarebbe
facilmente impugnabile dai privati
interessati ad accaparrarsi quote di
mercato, in quanto non è prevista dalla
legge.
Altra questione evidenziata dal servizio
bilancio del senato è se dalla
liberalizzazione deriveranno entrate di tipo
mobiliare per l'ente e se, paradossalmente,
il loro utilizzo non determini effetti
negativi in termini di indebitamento netto.
Infatti, tali entrate sono inclusa fra le
partite finanziarie e non possono essere
utilizzata a miglioramento
dell'indebitamento netto. Mentre un suo
eventuale utilizzo in termini di spesa
dovrebbe tradursi in senso negativo sul
medesimo saldo dell'indebitamento netto
(articolo ItaliaOggi del 25.08.2011 -
tratto da www.corteconti.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: MANOVRA BIS/
Tracciabilità dei
rifiuti, per adesso il sistema viaggia solo
sulla carta. Via il Sistri torna il registro
di carico e scarico. Il sistema on-line
verso un altro restyling.
Dopo l'abrogazione delle norme che hanno
portato all'istituzione e alla
regolamentazione del Sistri, il sistema di
tracciabilità elettronica dei rifiuti, a
partire dal 13.08.2011, operata dal
decreto legge n. 138/2011, tornano, anzi
rimangono i registri e i formulari su carta.
Questo in sintesi è quanto prevede
l'articolo 6 commi due e tre del decreto
legge sulla manovra bis: il comma 2 opera,
infatti, una completa soppressione delle
norme che hanno istituito, regolamentato e
sanzionato il Sistri. Il successivo comma
tre precisa che resta ferma l'applicabilità
delle altre norme in materia di gestione dei
rifiuti. E che i relativi adempimenti vanno
effettuati nel rispetto degli obblighi
relativi alla tenuta dei registri di carico
e scarico nonché del formulario di
identificazione.
A ben vedere, non si tratta
di un ritorno ai registri e formulari su
carta, ma di continuare a usare questi
semplici ma affidabili strumenti, in quanto
il Sistri non è mai entrato in vigore per
effetto dei diversi rinvii. La cancellazione
del Sistri nella manovra di agosto ha
sorpreso un po' tutti, anche se va ricordato
che a oltre due anni dalla sua concreta
istituzione, con il dl n. 79/2009, il
sistema non appariva in grado di partire né
sarebbe partito senza problemi il prossimo
1° settembre 2011 (prima scadenza fissata
per la progressiva attuazione del Sistri).
Troppo i ritardi nell'attivazione degli
apparati, i malfunzionamenti,
l'insufficienza della infrastrutture
telematiche che hanno offuscato una buona
idea, quella di controllare meglio la
gestione dei rifiuti.
Si rimane così nell'antico meccanismo della
limitazione della responsabilità del
produttore dei rifiuti di cui all'art. 188
del dlgs n. 152/2006. Infatti, secondo
questa impostazione la responsabilità del
produttore dei rifiuti cessa con la consegna
ad un impianto autorizzato e con la
sottoscrizione da parte del gestore della
quarta copia del formulario, adempimento
forse un po' burocratico ma che dà certezza
alle imprese.
Ma è proprio la fine del Sistri? Così non
sembra. In questa settimana il decreto legge
n. 138 ha iniziato il suo iter al senato.
Durante l'esame in commissione ambiente,
nella seduta del 23 agosto, maggioranza e
opposizione hanno votato affinché il Sistri
sia salvaguardato. Ma l'abrogazione voluta
dal governo, e in particolare dal ministro
alla semplificazione, Roberto Calderoli, ha
rappresentato per il parlamento un'occasione
per tornare a chiedere più tempo e ulteriori
modifiche tecniche; alcune delle quali
relative ad alcune tipologie di rifiuti. La
Commissione Ambiente ha chiesto sì il
ripristino del Sistri, ma anche una proroga
di quattro mesi (con partenze scaglionate
dal 1 gennaio e non più dall'1 settembre).
E, soprattutto, ha chiesto che al ministero
dell'ambiente venga posta la richiesta per
quelle modifiche tecniche, alcune delle
quali relative alle tipologie di rifiuti,
che permettano finalmente agli operatori di
potersi adeguare al nuovo sistema senza le
difficoltà che ne hanno segnato sino a oggi
la sperimentazione. Spetta ora al parlamento
e al governo dare una fisionomia più precisa
alla manovra, anche sulla questione Sistri
(articolo ItaliaOggi del 25.08.2011). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Senato, la commissione ambiente vuole il
Sistri.
La commissione ambiente
del senato chiederà di rivedere la
cancellazione, prevista dalla manovra-bis,
del Sistri, il sistema di tracciabilità dei
rifiuti speciali e pericolosi.
«Il ritorno al sistema cartaceo, affidato
al principio di autodichiarazione in
passato, non ha saputo evitare
quell'assoluta incertezza intorno alla sorte
definitiva di ingenti quantitativi di
rifiuti», si legge in un parere
predisposto dalla presieduta da Antonio
D'Alì. Che anticipa: «Anziché la
cancellazione del sistema di tracciabilità,
proporremo la sua attivazione
dall'01.01.2012».
La mediazione va nel senso indicato dal
ministro dell'Ambiente Stefania
Prestigiacomo, che in una nota aveva chiesto
al parlamento di ripristinare il Sistri e
dunque di «rivedere un atto di miopia
politica» che rappresenta un regalo alle
mafie.
Nel parere della commissione si prefigura,
infatti, il rischio che la generalizzata
soppressione del Sistri (che non assicura
risparmi di spesa) esponga il paese agli
oneri finanziari conseguenti al «prevedibile
esito dei una procedura di infrazione per
violazione della normativa comunitaria» (articolo ItaliaOggi del 24.08.2011). |
EDILIZIA PRIVATA:
MANOVRA BIS/
Interventi edilizi rapidi e indolori.
C'è la Scia per i piccoli lavori. È gratis e
l'attività inizia subito. Segnalazione certificata
d'inizio attività al posto della Dia. Ecco
cosa cambia.
La Scia (Segnalazione certificata inizio
attività) manda in soffitta la Dia (Denuncia
inizio attività) per gli interventi edilizi
minori, espone il privato e il
professionista privato a responsabilità
penali e disciplinari. Inoltre è gratuita e
consente di iniziare subito l'intervento
edilizio, da terminare nel triennio.
La Dia rimane solo nella versione SuperDia
(alternativa al permesso di costruire). Per
la Scia gli uffici comunali devono correre e
controllarle entro 30 giorni, anche perché
dopo, di regola, si potrà bloccare i lavori
solo in casi eccezionali. Tuttavia
l'autotutela (annullamento e revoca) potrà
essere esercitata senza termini di
decadenza. Questo in sintesi l'identikit
della Scia dopo le due manovre (decreto 70 e
decreto 138 del 2011), che hanno revisionato
il Testo unico per l'edilizia. Vediamo come.
La Scia.
La Scia sostituisce la Dia per tutti gli
interventi edilizi cosiddetti minori
(articolo 22, comma 1 e comma 2, del Testo
unico edilizia, dpr 380/2001).
Per gli interventi edilizi di
ristrutturazione o nuova costruzione si
applica, la SuperDia o in alternativa, in
base alla legge statale o a quella
regionale, il permesso di costruire. Le
regioni possono ampliare il catalogo degli
interventi sottoposti a SuperDia. La Scia
non sostituisce gli atti di autorizzazione o
nulla osta ambientali, paesaggistici o
culturali.
Termini.
Con la Scia l'attività edilizia può essere
iniziata subito fin dalla data di
presentazione della pratica all'ufficio
tecnico del comune. Per la SuperDia bisogna,
invece, aspettare 30 giorni.
Trenta giorni è anche il termine entro il
quale il comune, se mancano i requisiti o i
presupposti di legge, può decidere di
vietare la prosecuzione dell'attività e la
rimozione degli eventuali effetti dannosi di
essa.
Si noti che il termine di 30 giorni vale per
il settore dell'edilizia, mentre in altri
campi vale il termine più lungo di sessanta
giorni.
Decorso il termine il potere di bloccare
l'attività è limitato a casi specifici e
cioè pericolo di un danno per il patrimonio
artistico e culturale, per l'ambiente, per
la salute, per la sicurezza pubblica o la
difesa nazionale e comunque previo motivato
accertamento dell'impossibilità far
regolarizzare al private la situazione.
Il divieto di prosecuzione dell'attività è
misura residuale, in quanto deve essere
preferita la strada di fissare un termine
all'interessato per la regolarizzazione.
L'articolo 19 della legge 241/1990, anche a
seguito del decreto 138/2011, continua a
fare salva la possibilità per
l'amministrazione di intervenire in
autotutela (con provvedimento di revoca o
annullamento) anche decorso il termine di 30
giorni.
Cosa cambia.
Il privato deve assumersi la responsabilità
della regolarità dell'intervento edilizio e
lo deve attestare tramite il professionista.
La Scia, infatti, deve essere corredata da
attestazioni e asseverazioni di tecnici
abilitati corredate dagli elaborati tecnici
necessari per consentire le verifiche di
competenza dell'amministrazione.
In sostanza il privato deve dichiarare che
tutto è a posto con la normative urbanistica
ed edilizia e con i parametri (costruttivi,
igienico–sanitari). Questo da un lato
significa che il privato avrà maggiori
responsabilità, le quali ricadranno anche
sul professionista ed, inoltre, che il costo
del progetto e dell'assistenza del
professionista risentirà di questo surplus
di responsabilità.
Deve, sul punto, ricordarsi che è punita con
la reclusione fino a tre anni la falsa
dichiarazione o attestazione dell'esistenza
dei requisiti o dei presupposti della scia.
In questo caso vi sono pure strascichi
penali e disciplinari, in quanto il
responsabile dell'ufficio comunale deve
denunciare il professionista all'autorità
giudiziaria e al consiglio dell'ordine di
appartenenza. L'ufficio comunale, dal canto
suo, deve dedicarsi a una pronta e rapida
verifica dei presupposti, organizzando la
vigilanza sulle pratiche edilizi, secondo
criteri di maggiore impatto degli interventi
segnalati.
Efficacia.
La Scia edilizia ha efficacia limitata a tre
anni dalla data della sua presentazione,
anche se i lavori non ultimati possano
essere completati presentando una nuova
scia. A ultimazione lavori il privato deve
presentare al comune un certificato di
collaudo finale, attestante la conformità al
progetto.
Atti.
Vi sono ricadute anche in ambito notarile.
Se la scia ha per oggetto lavori che
incidono sul classamento dell'immobile
(stato, consistenza, classe, categoria),
deve essere effettuata una variazione
catastale. In caso di trasferimento di
un'unità immobiliare urbana la parte deve
attestare (eventualmente tramute un tecnico)
la conformità del bene ai dati catastali e
alle planimetrie depositate.
Oneri.
In materia è necessario consultare la
legislazione regionale. In mancanza di
specifica legge regionale gli interventi
soggetti a scia non pagano il contributo
concessorio.
Impugnabilità
Il decreto 138/2011 stabilisce che la Scia e
la Dia non costituiscono provvedimenti
taciti direttamente impugnabili, ma veri e
propri istituti di liberalizzazione e che
pertanto gli interessati, dopo avere
sollecitato l'esercizio delle verifiche
spettanti all'amministrazione, esperiscono
l'azione avverso il silenzio, ricorrendo al
Tar.
Sanzioni.
La realizzazione, in assenza della o in
difformità dalla Scia espone alla sanzione
pecuniaria pari al doppio dell'aumento del
valore venale dell'immobile conseguente alla
realizzazione degli interventi stessi e
comunque in misura non inferiore a € 516,00 (articolo ItaliaOggi del 24.08.2011). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Niente merito negli
enti piccoli. Le sedi virtuose potranno
assumere sino al 18% di dirigenti a tempo.
Trattamento economico differenziato solo
dopo il prossimo contratto collettivo.
Rinvio dell'applicazione delle fasce di
merito e ampliamento del numero delle Pa di
ridotte dimensioni escluse; innalzamento al
18% del numero di dirigenti che gli enti
locali virtuosi possono assumere a tempo
determinato; chiarimenti sull'applicazione
del Dlgs 150/2009 in materia di relazioni
sindacali che vanno nella direzione della
delimitazione del ruolo dei sindacati: sono
queste le novità contenute nel Dlgs 141,
correttivo della legge Brunetta, pubblicato
sulla Gazzetta Ufficiale n. 194 del 22
agosto.
Il provvedimento era stato deliberato dal
Consiglio dei ministri del 22 luglio dopo
che le commissioni della Camera e la
Conferenza unificata avevano espresso il
parere positivo (per il Senato erano invece
decorsi i termini); a seguito di questi
pareri il testo finale è molto diverso dalla
proposta presentata dal Governo il 21
gennaio.
I Comuni e le Province che saranno inseriti
tra gli enti più virtuosi (in base ai
parametri dettati dall'articolo 20 del Dl
98/2011) potranno assumere dirigenti a tempo
determinato entro il tetto del 18% della
dotazione organica dei dirigenti. In tal
modo si supera il tetto fissato per altre Pa
all'8%, a cui si aggiunge nello Stato il 10%
per i dirigenti generali. Il testo, rispetto
alle versioni precedenti, non sembra
consentire tale possibilità alle Regioni e
introduce la limitazione del possesso dei
parametri di virtuosità per gli enti locali.
Questo inserimento solleva subito problemi
interpretativi sulla data di entrata in
vigore, perché i parametri di virtuosità non
saranno disponibili prima del 2012, e sulla
esclusione delle Regioni, che non sono enti
locali, ma sono incluse tra le
amministrazioni destinatarie dei parametri
di virtuosità, nonché sulla estensione ai
Comuni non soggetti al patto di stabilità.
Sempre sullo stesso tema il legislatore ha
stabilito che fino alla emanazione del
decreto sulla virtuosità le assunzioni a
tempo determinato di dirigenti in eccesso
rispetto alla soglia massima rimangono
valide.
Le fasce di merito, cioè la suddivisione dei
dirigenti e del personale dipendente delle
Pa ai fini della erogazione in modo
differenziato del trattamento economico
accessorio collegato alle performance, viene
rinviata alla entrata in vigore del nuovo
contratto nazionale. Per cui si recepisce in
una disposizione di legge, estendendolo
anche alle Regioni, alla sanità e agli enti
locali, il contenuto dell'accordo stipulato
il 4 febbraio tra il Governo e i sindacati,
tranne la Cgil. Alla base di questa scelta
la volontà di non determinare riduzioni nel
salario accessorio di una parte di
dipendenti pubblici a seguito del blocco
della contrattazione .
Le fasce di merito non si dovranno applicare
nelle Pa di più ridotte dimensioni: nel
testo della legge Brunetta l'esclusione era
dettata per quelle con un numero di
dirigenti non superiore a 5 e un numero di
dipendenti non superiore a 8. Con le nuove
regole il numero minimo dei dipendenti si
applica alle Pa che hanno un numero non
inferiore a 15. L'effetto è di esonerare un
più ampio numero di enti, in particolare
piccoli Comuni, dall'obbligo di suddivisione
in fasce predeterminate. Ma viene rafforzato
l'obbligo per queste amministrazioni di dare
comunque applicazione al principio della
differenziazione, anche se in modo elastico,
per cui la parte prevalente di questi
compensi deve essere destinata a una quota
limitata di dirigenti e dipendenti.
Si chiarisce che la ultrattività dei
contratti collettivi decentrati integrativi
rispetto alle previsioni contrastanti
contenute nella legge Brunetta vale solo per
quelli stipulati prima del 15.11.2009.
E ancora che tale salvaguardia non riguarda
l'applicazione che gli enti locali e le
Regioni devono fare con proprio regolamento
delle disposizioni sulla valutazione e sulla
meritocrazia. E, infine, si precisa che le
disposizioni legislative rinviate ai
contratti nazionali stipulati
successivamente sono solamente quelle
relative alle nuove regole per la
contrattazione nazionale.
---------------
01|LEGGE BRUNETTA
La legge Brunetta prevale sui contratti
decentrati, salvo quelli stipulati prima del
15.11.2009, ma prevale comunque sulle
intese locali per le materie che ha rimesso
ai regolamenti regionali.
02|CONTRATTI
I rinvii ai contratti nazionali valgono solo
per le norme in essa contenute sulla
contrattazione nazionale.
03|ENTI VIRTUOSI
Gli enti locali virtuosi potranno assumere
dirigenti a tempo determinato entro il tetto
del 18% e non dello 8% previsto per lo Stato.
04|FASCE DI MERITO
L'entrata in vigore delle fasce è rinviata
ai nuovi contratti nazionali, salvo la
ripartizione dei risparmi di cui al Dl
98/2011 e sono escluse le PA che hanno
dipendenti non superiori a 15 e dirigenti
non superiori a 5 (articolo Il Sole 24 Ore del 24.08.2011
- tratto da www.ecostampa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Casa fantasma regolarizzata ma da demolire.
La casa fantasma torna nelle tenebre. Dopo
averla fatta emergere con spesa e fatica, un
proprietario della provincia di Trento si è
visto recapitare dal Comune l'ordine di
demolizione. Perché il fabbricato era senza
licenza. L'unica via, per il malcapitato che
ha raccontato la sua storia al Sole 24 Ore,
è tentare prima l'autotutela e poi il
ricorso al Tar, facendosi scudo di una legge
provinciale che autorizza i capanni per gli
attrezzi di modeste dimensioni senza
permesso di costruire. Ma naturalmente ci
vorranno altri soldi. E, se va storta,
demolizione a proprie spese.
Questo è probabilmente uno dei primissimi
casi di azione del Comune nei confronti
delle case fantasma regolarizzate dal punto
di vista fiscale. Come era emerso sin dai
primi passi della normativa che metteva alle
strette i fabbricati non dichiarati al
Catasto (il termine per dichiararli è
scaduto il 2 maggio), per tutte queste
costruzioni si sarebbe posto il problema
urbanistico. E dato che, come ampiamente
previsto dal Sole 24 Ore, molte case
fantasma sono irregolari dal punto di vista
edilizio, chi non è sicuro dell'esito
comunale della faccenda rischia grosso.
La mega operazione dell'emersione dei
fabbricati non denunciati al Catasto si è
ormai conclusa, con la denuncia spontanea di
quasi 600mila unità immobiliari.
Altrettante, stime alla mano, restano da
fare emergere e proprio a questo si stanno
dedicano i tecnici dell'agenzia del
Territorio con l'aiuto dei geometri e di
altri professionisti del settore.
Proprio in questa seconda fase scoppierà il
problema: chi ha denunciato la casa nei
termini si trovava probabilmente in una
situazione di semiregolarità, con
possibilità di chiedere il permesso di
costruire in sanatoria (perché l'immobile
avrebbe comunque potuto essere costruito) e
chiudere così la partita. Anche se il caso
del lettore di Trento è indicativo del fatto
che molti non hanno neppure pensato ai
problemi edilizi di immobili che erano
indisturbati da decenni.
E invece la
regolarizzazione fiscale ha provocato un
effetto domino, perché ai Comuni è stata
data a suo tempo comunicazione delle
«particelle» (cioè appezzamenti di terreno)
dove erano stati rilevati fabbricati non
risultanti al Catasto. E ora sono arrivate
le comunicazioni degli immobili che hanno
ricevuto rendita e identificativi catastali.
Difficile far finta di nulla. Tanto più che
la soluzione del condono edilizio per queste
situazioni è rimasta nel cassetto. Ma
chissà: con 2mila euro a edificio
arriverebbero almeno un miliardo di entrate.
Che potrebbero far gola a chi sta
correggendo la manovra di Ferragosto.
Il Comune trentino del nostro lettore ha
fatto così la verifica: per quel deposito di
attrezzi, alto poco più di due metri, che al
Catasto ormai risulta, non era stata chiesta
la licenza edilizia. Quindi, va demolito,
con danno e beffa di chi avrebbe voluto
pagare le tasse. Già, perché adesso, dopo la
demolizione, si dovrà chiedere la
cancellazione in Catasto per evitare,
almeno, di versare l'Ici su un edificio che
non c'è più.
Risultato: il contribuente ha speso qualche
centinaia di euro in pratiche burocratiche e
ha perso il capanno, e il Comune non
incasserà l'Ici (articolo Il Sole 24 Ore del 24.08.2011). |
EDILIZIA PRIVATA:
Cubatura in libera vendita.
Superato il sistema delle servitù ora
diventa possibile un vero mercato.
IN
MUNICIPIO - Al Comune spetta l'ultima parola
per lo sfruttamento degli indici: un vincolo
di altezza può bloccare la sopraelevazione.
La vendita della "cubatura" (detta anche
volumetria) non dovrebbe più essere un
problema, da quando il Dl Sviluppo (articolo
5, comma 3) ha sancito che sono
trascrivibili nei registri immobiliari «i
contratti che trasferiscono i diritti
edificatori comunque denominati nelle
normative regionali e nei conseguenti
strumenti di pianificazione territoriale,
nonché nelle convenzioni urbanistiche a essi
relative».
Se dunque Tizio e Caio sono proprietari di
due terreni (anche non confinanti) e su
quello di Caio sono edificabili 900 metri
cubi, Caio può ad esempio limitare la
propria costruzione a 700 metri cubi e
vendere o donare i 200 metri cubi residui a
Tizio il quale, con il permesso del Comune,
potrà sfruttarli sul proprio fondo. Chiunque
comprerà il lotto dal quale la volumetria è
stata "prelevata" sarà quindi reso
avvertito, dalla lettura dei registri
immobiliari, che si tratta di un fondo a
capacità edificatoria nulla o ridotta.
Più in generale, la norma in questione
sdogana, sotto il profilo civilistico, la
fattibilità concreta della pianificazione
urbanistica impostata sul principio della
cosiddetta "perequazione": con questo
sistema, in sintesi, viene impresso a ogni
metro quadrato di territorio comunale, senza
distinzioni, un indice volumetrico standard,
di modo che il proprietario del fondo che
sia destinato a non essere edificato (perché
ad esempio è un'area di uso pubblico o a
verde) possa cedere la sua virtuale
edificabilità a quel proprietario cui invece
la pianificazione comunale consente di
costruire. Realizzando in tal modo una
completa equiparazione tra cittadini
beneficiati dai "retini" del pianificatore
comunale e cittadini invece titolari di
fondi privi di capacità edificatoria. In
concreto, però, l'acquirente potrà usare la
volumetria se gli strumenti urbanistici
comunali lo consentono: dove ci sono vincoli
legati, per esempio, all'altezza degli
edifici, una sopraelevazione potrebbe essere
impossibile.
Prima del Dl Sviluppo, al risultato pratico
di trasferire la cubatura da un fondo
all'altro si giungeva mediante vari
escamotage: quello più praticato era la
costituzione di una servitù, mediante la
quale veniva individuato come «fondo
servente» quello gravato da un vincolo di inedificabilità (e cioè con il vincolo di
non ospitare costruzioni di volumetria
corrispondente a quella «ceduta») e come
«fondo dominante» quello che acquisiva la
capacità volumetrica inibita al fondo
servente.
Con la costituzione della servitù si
riusciva quindi a rendere pubblico, mediante
la trascrizione nei Registri immobiliari, il
fatto che chiunque avesse poi comprato il
fondo servente avrebbe acquisito un'area
priva di capacità edificatoria (quella in
teoria che gli sarebbe spettata in ragione
della sua superficie) e che chiunque avesse
invece comprato il fondo dominante avrebbe
avuto a disposizione un'area dotata, oltre
che della capacità volumetrica «propria»
(vale a dire quella derivante dalla propria
estensione), anche della capacità
volumetrica «derivata» dal fondo servente,
il tutto ovviamente previo beneplacito
comunale circa la possibilità di usare
questa volumetria nel fondo dominante.
Oggi si aprono scenari prima impensabili: la
volumetria acquisita non deve essere legata
da subito a un fondo specifico ma può
restare in sospeso sino a quando il
proprietario non abbia deciso quale sia il
fondo nel quale sfruttarla concretamente.
Non è quindi inimmaginabile uno scenario nel
quale, qualora le transazioni aventi a
oggetto la volumetria si facessero
frequenti, si formi un vero e proprio
"borsino" della volumetria, magari
regolamentato, dove si possano incontrare
finanzieri, intenzionati a investire in
diritti volumetrici, e costruttori alla
ricerca di volumetria per i propri
interventi edificatori.
* * *
Prima e dopo il provvedimento.
01 | LA SERVITÙ
Prima del Dl 70/2011, per "cedere" i diritti
edificatori si usava costituire una servitù
a carico del «fondo servente» (cioè quello
che aveva i diritti era gravato da un
vincolo di inedificabilità) e a vantaggio
del «fondo dominante», cioè quello,
confinante, che acquisiva la capacità
volumetrica che il fondo servente non avrebbe
potuto usare. La servitù veniva trascritta
nei Registri immobiliari, stabilizzando così
il diritto
02 | LE NUOVE REGOLE
La nuova norma è ispirata al principio della
perequazione: per ogni metro quadrato di
territorio comunale c'è un indice
volumetrico standard liberamente cedibile da
parte del proprietario del fondo che non può
essere edificato a quel proprietario cui
invece la pianificazione comunale consente
di costruire ma ha già esaurito la sua
volumetria. In concreto, però, l'acquirente
potrà usare la volumetria solo se gli
strumenti urbanistici comunali lo
consentono.
---------------
Assimilazione
alle aree edificabili.
Se la cessione di volumetria ottiene, dal Dl
Sviluppo, una definitiva legittimazione
sotto il profilo civilistico, rimane invece
aperto il cantiere della fiscalità
applicabile a questi contratti.
Se ci si pone dunque sotto il profilo della
cessione della volumetria a opera di un
soggetto non imprenditore, e quindi
dell'applicazione dell'imposta di registro,
appare poco praticabile l'idea che il fisco
possa qualificare la volumetria, in quanto
entità non tangibile, in termini non
immobiliari. Se infatti fosse percorribile
la strada di non equiparare il trattamento
fiscale della cessione di volumetria a
quello della cessione dei beni immobili, il
contratto avente a oggetto la cessione di
cubatura a titolo oneroso sarebbe da tassare
con l'aliquota del 3 per cento (articolo 9
della Tariffa, parte prima, allegata al Dpr
131/1986), cui aggiungere un'inevitabile
aliquota del 2 per cento a titolo di imposta
ipotecaria per effettuare la pubblicazione
del contratto nei registri immobiliari.
C'è invece da aspettarsi che la cessione dei
diritti volumetrici sia equiparata a quella
di area edificabile e quindi sia da tassare
con l'aliquota dell'8 per cento (articolo 1,
comma 1, della Tariffa), cui aggiungere il
solito 2 per cento di imposta ipotecaria
(base imponibile è il prezzo della cessione
o, se maggiore, il suo più elevato valore).
Se questa fosse la strada da percorrere,
bisogna anche considerare che al venditore
sarà probabilmente applicabile, ai fini
Irpef, la tassazione per «le plusvalenze
realizzate a seguito di cessioni a titolo
oneroso di terreni suscettibili di
utilizzazione edificatoria secondo gli
strumenti urbanistici vigenti al momento
della cessione», di cui all'articolo 68,
comma 1, lettera b), del Tuir.
Se poi si pensa a una donazione della
volumetria o a una sua trasmissione mortis
causa, la natura del diritto ceduto in
questo caso non viene in considerazione,
perché la tassazione dei trasferimenti
gratuiti non dipende dalla natura dei beni
trasferiti ma dal rapporto familiare
esistente o meno tra dante e avente causa.
Passando poi al caso della cessione onerosa
della volumetria da parte di un soggetto
imprenditore, e volendo anche qui ragionare
in termini di equiparazione di questa
fattispecie a quella dell'area edificabile,
si avrebbe l'applicazione dell'aliquota Iva
del 20 per cento, oltre, per il principio di
alternatività, alle imposte di registro e
ipotecaria nella misura di 168 euro cadauna.
Infine, finora non si è parlato di imposta
catastale. A norme e regolamenti vigenti,
infatti, la cessione della volumetria non
dovrebbe rilevare nella banca dati del
Catasto anche se, in effetti, una soluzione
del genere sarebbe oltremodo auspicabile
(per esempio, rinumerando il mappale dal
quale la volumetria è stata estratta, per
dare concreta evidenza al fatto che si
tratta di un mappale a volumetria
impoverita). Certo è che, se manca una
movimentazione dei registri catastali,
nessuna imposta è ovviamente dovuta; al
contrario, sarebbe da applicare l'1 per
cento del valore venduto, se il cedente è un
privato, oppure l'imposta fissa di 168 euro
se il cedente è un'impresa.
---------------
I volumi
edificatori saranno ipotecabili.
Non esiste più il problema di "cosa sia" la
cubatura sotto il profilo giuridico e, di
conseguenza, neppure sotto il profilo della
contrattazione che abbia a oggetto il
trasferimento della volumetria da un fondo a
un altro fondo: il Dl Sviluppo mette infatti
la parola fine alla pluridecennale
discussione sul tema della qualificazione
giuridica della cubatura, e quindi
dell'impostazione dei contratti che vengono
redatti per permettere di sfruttare altrove
la capacità edificatoria di cui un dato
fondo sarebbe "dotato" per effetto sia della
sua estensione superficiaria che delle
previsioni della pianificazione urbanistica
comunale.
Potendosi ora trascrivere nei registri
immobiliari i contratti che hanno a oggetto
il volume edificatorio, si riconosce che la
cubatura è un «bene» (evidentemente da
collocare nella categoria dei beni
immateriali, gli intangible assets, come il
marchio, il know-how, la griffe, il software
eccetera) e che, come tale, ai sensi
dell'articolo 810 del Codice civile, essa
può «formare oggetto di diritti».
Inoltre, in conseguenza del fatto che la
volumetria può essere oggetto di un
contratto e che, con ciò, essa diventa un
vero e proprio «bene» (di natura
probabilmente «immobiliare», anche se
intangibile), non sembra lontano il giorno
in cui la volumetria possa essere concessa
in ipoteca, a garanzia del finanziamento che
il suo proprietario (sia esso un costruttore
oppure un "immagazzinatore" di
cubatura) richieda a una banca.
Insomma, scenari fino a ieri impercorribili
e che oggi appaiono veramente a portata di
mano, a servizio di un'urbanistica più
ordinata, equa e trasparente
(articolo Il Sole 24
Ore del 24.08.2011). |
GIURISPRUDENZA |
APPALTI:
E' principio inderogabile in
qualunque tipo di gara quello secondo cui
devono svolgersi in seduta pubblica gli
adempimenti concernenti la verifica
dell'integrità dei plichi contenenti
l'offerta, sia che si tratti di
documentazione amministrativa che di
documentazione riguardante l'offerta tecnica
ovvero l'offerta economica, e
conseguentemente è da valutare illegittima
l'apertura in segreto di plichi.
Il mancato rispetto del principio di
pubblicità delle sedute della Commissione,
con riguardo alla fase dell'apertura dei
plichi contenenti le offerte e delle buste
contenenti le offerte economiche dei
partecipanti, integra un vizio del
procedimento che comporta l'invalidità
derivata di tutti gli atti di gara, giacché
la pubblicità delle sedute risponde
all'esigenza di tutela non solo della parità
di trattamento dei concorrenti, ai quali dev'essere
permesso di effettuare gli opportuni
riscontri sulla regolarità formale degli
atti prodotti e di avere così la garanzia
che non siano successivamente intervenute
indebite alterazioni, ma anche
dell'interesse pubblico alla trasparenza ed
all'imparzialità dell'azione amministrativa,
le cui conseguenze negative sono
difficilmente apprezzabili ex post una volta
rotti i sigilli ed aperti i plichi in
mancanza di un riscontro immediato, senza
che rilievi l'assenza di prova
dell'effettiva lesione sofferta dai
concorrenti.
Osserva la Sezione che è principio
inderogabile in qualunque tipo di gara
quello secondo cui devono svolgersi in
seduta pubblica gli adempimenti concernenti
la verifica dell'integrità dei plichi
contenenti l'offerta, sia che si tratti di
documentazione amministrativa che di
documentazione riguardante l'offerta tecnica
ovvero l'offerta economica, e
conseguentemente è da valutare illegittima
l'apertura in segreto di plichi.
Il mancato rispetto del principio di
pubblicità delle sedute della Commissione,
con riguardo alla fase dell'apertura dei
plichi contenenti le offerte e delle buste
contenenti le offerte economiche dei
partecipanti, integra quindi un vizio del
procedimento che comporta l'invalidità
derivata di tutti gli atti di gara
(Consiglio Stato, sez. VI, 22.04.2008, n.
1856), giacché la pubblicità delle sedute
risponde all'esigenza di tutela non solo
della parità di trattamento dei concorrenti,
ai quali dev'essere permesso di effettuare
gli opportuni riscontri sulla regolarità
formale degli atti prodotti e di avere così
la garanzia che non siano successivamente
intervenute indebite alterazioni, ma anche
dell'interesse pubblico alla trasparenza ed
all'imparzialità dell'azione amministrativa,
le cui conseguenze negative sono
difficilmente apprezzabili ex post
una volta rotti i sigilli ed aperti i plichi
in mancanza di un riscontro immediato
(Consiglio Stato , sez. V, 04.03.2008, n.
901), senza che rilievi l'assenza di prova
dell'effettiva lesione sofferta dai
concorrenti (Consiglio Stato, sez. V,
16.06.2009, n. 3844 e 04.03.2008, n. 901)
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 25.08.2011 n. 4806 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
CONDOMINIO:
Lastrico solare, quando è parte comune.
In tema di condominio, per qualificare un
lastrico solare come parte comune, ai sensi
dell'art. 1117, n. 1, cod. civ., è
necessaria la sussistenza di connotati
strutturali e funzionali comportanti la
materiale destinazione del bene al servizio
o al godimento di più unità immobiliari
appartenenti in proprietà esclusiva a
diversi proprietari.
Deve pertanto escludersi la presunzione di
comunione di un lastrico solare che, nel
contesto di un edificio costituito da più
unità immobiliari autonome, disposte a
schiera, assolva unicamente alla funzione di
copertura di una sola delle stesse e non
anche di altri elementi, eventualmente
comuni, presenti nel c.d. “condominio
orizzontale”.
Lo ha stabilito la Cassazione (sentenza
n. 22466/2010, inedita) (articolo ItaliaOggi del 24.08.2011).
---------------
Nelle villette a schiera
la copertura è privata.
Nel condominio «orizzontale», come le
villette a schiera, il lastrico solare non
sempre è parte comune.
Lo spiega la Cassazione (sentenza n.
22466/2010) partendo dalla nozione di
condominio in senso proprio, che è
configurabile non solo nell'ipotesi di
fabbricati che si estendono in senso
verticale, ma anche nel caso di costruzioni
adiacenti orizzontalmente.
Esempio tipico sono le villette a schiera,
in quanto dotate di manufatti portanti e
impianti essenziali comuni. Anche
nell'ambito di tali complessi condominiali
vi sono dei beni o degli spazi che, per le
loro caratteristiche strutturali e
funzionali, devono necessariamente
considerarsi di proprietà di tutti i
condomini. Queste entità trovano
un'elencazione abbastanza esaustiva
nell'articolo 1117 del codice civile, dal
cui testo se ne possono desumere in modo
chiaro tanto la tipologia quanto la
funzionalità. Tale norma non prevede però
una presunzione legale di comunione delle
cose in essa elencate, ma dispone
l'esclusione dal novero dei beni comuni di
quelli che, per caratteristiche proprie,
servono soltanto all'uso e al godimento di
una parte dell'immobile.
L'aspetto strutturale e il ruolo funzionale
del bene sono quindi prioritari rispetto
all'accertamento del suo effettivo status
giuridico, nel senso che il bene, in
mancanza di diverso titolo, deve ritenersi
comune quando, ancorché suscettibile di
utilizzazione autonoma e nel l'esclusivo
interesse di un singolo o di un ristretto
gruppo di privati, serva, per le sue
specifiche caratteristiche, al godimento di
tutte le singole parti dell'edificio e dei
condomini che in esse abitano (così
Cassazione, sentenza 6981/2008). Soltanto a
tali condizioni può ritenersi sussistere il
carattere di condominialità, superabile con
una diversa previsione contenuta nel
regolamento contrattuale o in un singolo
atto di acquisito titolo oppure derivante
anche dall'usucapione.
Sulla base di tale principio la Suprema
corte, con la sentenza n. 22466/2010,
riferendosi a un complesso condominiale
costituito da più unità immobiliari autonome
disposte a schiera, ha stabilito che «il
lastrico solare che assolve alla funzione di
copertura di una sola delle stesse, e non
anche di altri elementi eventualmente comuni
presenti del cosiddetto orizzontale, né sia
caratterizzato da unitarietà strutturale, né
da altri connotati costruttivi e funzionali
tali da denotare la destinazione complessiva
delle aree sovrastanti, i vari immobili
costituenti nel loro insieme un unicum a
servizio e godimento comune» non rientra
tra i beni di cui all'articolo 1117, n. 1,
del codice civile, non potendo qualificarsi
come comune a tutti i partecipanti al
condominio.
La sentenza ha posto così fine a un lungo
contenzioso che era sorto in ordine alle
sopraelevazioni successivamente eseguite dal
costruttore dell'intero complesso
immobiliare su tutti i lastrici solari che,
seppure con struttura indipendente, andavano
a coprire i sottostanti autonomi corpi di
fabbrica posizionati a schiera: il tutto in
forza della proprietà che egli,
nell'alienare le singole costruzioni, si era
riservato sui lastrici stessi, unitamente al
relativo diritto di sopralzo. Tale diritto,
soggetto a trascrizione ex articolo 2645 del
codice civile, non risultava essere però
opponibile a uno degli acquirenti in quanto
non menzionato nell'atto traslativo posto in
essere in suo favore.
Esclusa la configurabilità di bene comune
dei lastrici in questione in quanto
destinati a copertura dei soli singoli
fabbricati, la Cassazione ha accolto il
ricorso proposto da costui, dichiarandolo
proprietario esclusivo del lastrico solare
sovrastante la sua unità immobiliare,
rinviando al giudice di secondo grado per le
decisioni inerenti anche la totale rimozione
della sopraelevazione nel contempo eseguita.
* * *
La lista.
Rientrano in comunione: suolo su cui sorge
l'edificio, fondazioni, muri maestri, tetti
e lastrici solari, scale, portoni
d'ingresso, vestiboli, anditi, portici,
cortili e in genere tutte le parti
dell'edificio necessarie all'uso comune.
Secondo il codice civile sono oggetto di
proprietà comune anche i locali per la
portineria e per l'alloggio del portiere,
per la lavanderia, per il riscaldamento
centrale, per gli stenditoi e per altri
simili servizi in comune.
Opere, installazioni, manufatti che servono
all'uso e al godimento comune (ascensori,
pozzi, cisterne, acquedotti, fognature,
canali di scarico, impianti per l'acqua, il
gas, l'energia elettrica, il riscaldamento e
simili) (commento tratto da
www.ilsole24ore.com). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
contributo per gli oneri di urbanizzazione è
da qualificare in termini di corrispettivo
di diritto pubblico, di natura non
tributaria, posto a carico del costruttore a
titolo di partecipazione ai costi delle
opere di urbanizzazione in proporzione
all'insieme dei benefici che la nuova
costruzione ne ritrae; in particolare, tale
contributo, assolve all'obiettivo di
ridistribuire i costi sociali di tali opere
avuto riguardo all'aggravamento del carico
urbanistico che l'intervento considerato
andrà a determinare nella specifica zona in
cui è destinato a ricadere. Su tali basi si
esclude, dunque, che il suddetto contributo
sia dovuto in tutti quei casi in cui
l'intervento non sia idoneo a determinare un
aggravio del carico urbanistico della zona.
---------------
Sulle somme versate in eccedenza per oneri
di urbanizzazione l'amministrazione è tenuta
a computare i soli interessi legali e non
anche la rivalutazione monetaria; ciò in
quanto l'obbligazione di restituzione in
argomento genera, infatti, ai sensi
dell'art. 2033 c.c. esclusivamente
l'obbligazione accessoria di interessi
legali ma non anche quella di rivalutazione
monetaria, riconducibile alla diversa
ipotesi di inadempimento dell’obbligazione
pecuniaria.
Come evidenziato dalla consolidata
giurisprudenza anche del giudice d’appello,
il contributo per gli oneri di
urbanizzazione è da qualificare in termini
di corrispettivo di diritto pubblico, di
natura non tributaria, posto a carico del
costruttore a titolo di partecipazione ai
costi delle opere di urbanizzazione in
proporzione all'insieme dei benefici che la
nuova costruzione ne ritrae; in particolare,
tale contributo, assolve all'obiettivo di
ridistribuire i costi sociali di tali opere
avuto riguardo all'aggravamento del carico
urbanistico che l'intervento considerato
andrà a determinare nella specifica zona in
cui è destinato a ricadere (Cons. St., sez.
IV, 15.07.2009, n. 4439; Cons. St., sez. V,
26.03.2009, n. 1804; Cons. St., sez. V,
25.05.1995, n. 822).
Su tali basi si esclude, dunque, che il
suddetto contributo sia dovuto in tutti quei
casi in cui l'intervento non sia idoneo a
determinare un aggravio del carico
urbanistico della zona (cfr. TRGA - Sezione
Autonoma di Bolzano, 06.03.2000, n. 59).
Tali principi sono stati recepiti dalla
legislazione regionale e, infatti, l’art.
81, comma 5, della l.r. n. 61 del 1985, ha
previsto che “in caso di modifiche della
destinazione d' uso o di ampliamenti del
volume o della superficie utile di
calpestio, sia che si tratti di nuova
concessione o di variante in corso d'opera,
il contributo è riferito alla parte di nuova
edificazione e, in caso di mutamento della
destinazione d' uso, alla differenza fra il
nuovo uso e il precedente”.
---------------
É infatti noto
che sulle somme versate in eccedenza per
oneri di urbanizzazione l'amministrazione è
tenuta a computare i soli interessi legali e
non anche la rivalutazione monetaria (cfr.
Cons. Stato, sez. V, 22.01.1987 n. 24; TAR
Emilia Romagna, Bologna, sez. I, 07.03.1990
n. 190); ciò in quanto l'obbligazione di
restituzione in argomento genera, infatti,
ai sensi dell'art. 2033 c.c. esclusivamente
l'obbligazione accessoria di interessi
legali ma non anche quella di rivalutazione
monetaria, riconducibile alla diversa
ipotesi di inadempimento dell’obbligazione
pecuniaria (cfr. Corte Cass. Civ., SS. UU.,
05.07.1991 n. 7436; Cons. Stato, sez. V,
16.03.1987 n. 198, 27.12.1988 n. 852,
07.04.1989 n. 195, 16.05.1989 n. 291,
03.05.1991 n. 728, 31.10.1992 n. 1145 e
24.07.1993 n. 799; TAR Abruzzo, Pescara,
31.01.1994 n. 10; TAR Toscana, sez. Il,
22.06.1994 n. 225; TAR Molise, 20.12.1995 n.
284; TAR Marche, 22.02.1996 n. 259; TAR
Lombardia, Milano, 04.07.1996 n. 1063)
(TAR
Veneto, Sez. II,
sentenza 12.08.2011 n. 1360 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Il verbale della polizia
municipale, come tutti i verbali provenienti
da pubblici ufficiali, ha efficacia di piena
prova, fino a querela di falso, ai sensi
dell'art. 2700 c.c. relativamente alla
provenienza dell'atto dal pubblico ufficiale
che lo ha formato, alle dichiarazioni delle
parti e agli altri fatti che il pubblico
ufficiale attesti avvenuti in sua presenza o
da lui compiuti e, se la fede privilegiata
non si estende né agli apprezzamenti del
pubblico ufficiale né alle sue valutazioni e
deduzioni, tali elementi non sono comunque
privi di valore probatorio, in quanto
possono fornire elementi presuntivi idonei a
fondare la decisione ove siano gravi,
precisi e concordanti.
Il Collegio evidenzia, in primo luogo, che
il verbale della polizia municipale, come
tutti i verbali provenienti da pubblici
ufficiali, ha efficacia di piena prova, fino
a querela di falso, ai sensi dell'art. 2700
c.c. relativamente alla provenienza
dell'atto dal pubblico ufficiale che lo ha
formato, alle dichiarazioni delle parti e
agli altri fatti che il pubblico ufficiale
attesti avvenuti in sua presenza o da lui
compiuti e, se la fede privilegiata non si
estende né agli apprezzamenti del pubblico
ufficiale né alle sue valutazioni e
deduzioni, tali elementi non sono comunque
privi di valore probatorio, in quanto
possono fornire elementi presuntivi idonei a
fondare la decisione ove siano gravi,
precisi e concordanti (Cons. St., sez. I,
08.01.2010, n. 250)
(TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 12.08.2011 n. 1359 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La ristrutturazione edilizia, per
essere tale e non finire per coincidere con
la nuova costruzione, deve conservare le
caratteristiche fondamentali dell'edificio
preesistente e la successiva ricostruzione
dell'edificio deve riprodurre le precedenti
linee fondamentali quanto a sagoma,
superfici e volumi.
Ciò che contraddistingue la ristrutturazione
dalla nuova edificazione è, dunque, la già
avvenuta trasformazione del territorio,
attraverso una edificazione di cui si
conservi la struttura fisica ovvero la cui
stessa struttura fisica venga del tutto
sostituita, ma -in quest'ultimo caso- con
ricostruzione, se non «fedele» (termine
espunto dall'attuale disciplina), comunque
rispettosa della volumetria e della sagoma
della costruzione preesistente.
Il Collegio,
evidenzia, che il concetto di
ristrutturazione edilizia, quale enunciato
dall'art. 31, lett. d), l. 05.08.1978, n.
431 ("interventi rivolti a trasformare
gli organismi edilizi mediante un insieme
sistematico di opere che possono anche
portare ad un organismo edilizio in tutto o
in parte diverso dal precedente"), ha
subito nel tempo diversificate
interpretazioni soprattutto riguardo alla
ristrutturazione per demolizione e
ricostruzione, nella ricerca degli elementi
che distinguessero la fattispecie dalla
ristrutturazione (in termini, TAR Lombardia
Milano, sez. II, 02.12.2009, n. 5268, dalla
quale è tratta la seguente ricostruzione).
Ad un primo orientamento che escludeva la
demolizione e ricostruzione dalla
fattispecie di ristrutturazione (Cons. St.,
sez. V, 09.02.1996, n. 144), è seguito
l'orientamento trasfuso nel Testo Unico
dell'edilizia che ha compreso la fattispecie
nella categoria della "ristrutturazione"
purché "fedele" in quanto modalità estrema
di conservazione dell'edificio preesistente
nella sua consistenza strutturale, essendosi
ritenuto che "la ricostruzione di un
preesistente fabbricato senza variazione o
alterazione della superficie, volumetria e
destinazione d'uso, non incide sul carico
urbanistico già esistente e non è pertanto
assoggettato ad oneri né al rispetto degli
indici sopravvenuti" (Cons. St., sez. V,
10.08.2000, n. 4397).
In recepimento degli indirizzi
giurisprudenziali formatisi in materia, il
T.U. dell'edilizia ha ricompreso tra gli
interventi di ristrutturazione edilizia
"quelli consistenti nella demolizione e
successiva fedele ricostruzione di un
fabbricato identico quanto a sagoma, volumi,
area di sedime e caratteristiche dei
materiali, fatte salve le sole innovazioni
necessarie per l'adeguamento alla normativa
antisismica".
L'art. 1 del decreto legislativo 27.12.2002,
n. 301 ha modificato l'art. 3, in parte qua,
eliminando la locuzione "fedele
ricostruzione di un fabbricato identico,
quanto a sagoma, volumi, area di sedime e
caratteristiche di materiali a quello
preesistente" e l'ha sostituita con
l'espressione "ricostruzione con la
stessa volumetria e sagoma di quello
preesistente" (art. 1, lett. a).
Anche escludendo il superato criterio della
fedele ricostruzione, esigenze di
interpretazione logico-sistematica della
nuova normativa inducono tuttavia la
giurisprudenza a ritenere che la
ristrutturazione edilizia, per essere tale e
non finire per coincidere con la nuova
costruzione, debba conservare le
caratteristiche fondamentali dell'edificio
preesistente e la successiva ricostruzione
dell'edificio debba riprodurre le precedenti
linee fondamentali quanto a sagoma,
superfici e volumi (fra le tante Cons.
Stato, sez. IV, 18.03.2008, n. 1177).
Ciò che contraddistingue la ristrutturazione
dalla nuova edificazione è, dunque, la già
avvenuta trasformazione del territorio,
attraverso una edificazione di cui si
conservi la struttura fisica ovvero la cui
stessa struttura fisica venga del tutto
sostituita, ma -in quest'ultimo caso- con
ricostruzione, se non «fedele»
(termine espunto dall'attuale disciplina),
comunque rispettosa della volumetria e della
sagoma della costruzione preesistente
(Consiglio Stato, sez. VI, 16.12.2008, n.
6214)
(TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 12.08.2011 n. 1359 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il concetto di pertinenza,
previsto dal diritto civile, va distinto dal
più ristretto concetto di pertinenza inteso
in senso edilizio e urbanistico, che non
trova applicazione in relazione a quelle
costruzioni che, pur potendo essere
qualificate come beni pertinenziali secondo
la normativa privatistica, assumono tuttavia
una funzione autonoma rispetto ad altra
costruzione, con conseguente loro
assoggettamento al regime concessorio, come
nel caso di un intervento edilizio che non
sia coessenziale al bene principale e che
possa essere utilizzato in modo autonomo e
separato.
La
giurisprudenza consolidata in materia ha
avuto da tempo modo di chiarire che il
concetto di pertinenza, previsto dal diritto
civile, va distinto dal più ristretto
concetto di pertinenza inteso in senso
edilizio e urbanistico, che non trova
applicazione in relazione a quelle
costruzioni che, pur potendo essere
qualificate come beni pertinenziali secondo
la normativa privatistica, assumono tuttavia
una funzione autonoma rispetto ad altra
costruzione, con conseguente loro
assoggettamento al regime concessorio, come
nel caso di un intervento edilizio che non
sia coessenziale al bene principale e che
possa essere utilizzato in modo autonomo e
separato (cfr., Cons. St., sez. IV,
23.07.2009, n. 4636; TAR Campania Napoli,
sez. IV, 01.09.2009, n. 4848)
(TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 12.08.2011 n. 1359 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
parere previsto dall'art. 32 della legge n.
47 del 1985, ai fini del rilascio della
concessione edilizia in sanatoria, ha natura
e funzioni identiche all'autorizzazione
paesaggistica ex art. 7 della legge n. 1497
del 1939, in quanto entrambi gli atti
costituiscono il presupposto che legittima
la trasformazione urbanistico edilizia della
zona protetta. Pertanto, resta fermo anche
in tale ipotesi il potere di annullamento
ministeriale del parere favorevole alla
sanatoria di un manufatto realizzato in zona
vincolata, in quanto strumento affidato
dall'ordinamento allo Stato, come estrema
difesa del paesaggio, valore costituzionale
primario.
L’epoca in cui è sorto il vincolo
(antecedente o successiva alla commissione
dell'abuso) è del tutto ininfluente, essendo
comunque necessario il parere prescritto
dal’art. 32 della l. n. 47 del 1985. In
proposito, l'Adunanza Plenaria del Consiglio
di Stato ha precisato che tale disposizione,
nella parte in cui subordina al parere
favorevole delle amministrazioni preposte
alla tutela del vincolo il rilascio della
concessione in sanatoria, deve interpretarsi
nel senso che l'obbligo di pronuncia
coinvolge comunque la rilevanza del vincolo
esistente al momento in cui la domanda di
sanatoria è valutata e ciò a prescindere
dall'epoca di introduzione.
Come evidenziato dalla consolidata
giurisprudenza del giudice d’appello (cfr.,
ex multis, Cons. St., sez. VI,
28.01.1998, n. 114, dalla quale sono tratte
le considerazioni di seguito riportate)
l'art. 32 della legge 28.02.1985 n. 47
subordina la sanatoria delle opere edilizie
eseguite su aree vincolate al parere delle
amministrazioni preposte alla tutela dei
vincoli stessi. Per le aree soggette a
vincolo paesaggistico deve applicarsi la
disciplina dettata dalla legge 08.08.1985 n.
431, che, modificando l'art. 82 del d.p.r.
24.07.1977 n. 616, ha confermato la delega
alle regioni a statuto ordinario delle
funzioni amministrative statali per la
protezione delle bellezze naturali "per
quanto attiene alla loro individuazione,
alla loro tutela e alle relative sanzioni",
ferme restando le misure (di sostituzione in
caso di inerzia e di annullamento in caso di
autorizzazione illegittima) la cui adozione
è riservata al Ministero per i beni e le
attività culturali.
Dunque, il parere previsto dall'art. 32
della legge n. 47 del 1985, ai fini del
rilascio della concessione edilizia in
sanatoria, ha natura e funzioni identiche
all'autorizzazione paesaggistica ex art. 7
della legge n. 1497 del 1939, in quanto
entrambi gli atti costituiscono il
presupposto che legittima la trasformazione
urbanistico edilizia della zona protetta.
Pertanto, resta fermo anche in tale ipotesi
il potere di annullamento ministeriale del
parere favorevole alla sanatoria di un
manufatto realizzato in zona vincolata, in
quanto strumento affidato dall'ordinamento
allo Stato, come estrema difesa del
paesaggio, valore costituzionale primario
(cfr., in termini: Consiglio di Stato, sez.
VI, 28.01.1998 n. 114).
Come
evidenziato dalla consolidata
giurisprudenza, l’epoca in cui è sorto il
vincolo (antecedente o successiva alla
commissione dell'abuso) è del tutto
ininfluente, essendo comunque necessario il
parere prescritto dal’art. 32 della l. n. 47
del 1985. In proposito, l'Adunanza Plenaria
del Consiglio di Stato (22.07.1999, n. 20)
ha precisato che tale disposizione, nella
parte in cui subordina al parere favorevole
delle amministrazioni preposte alla tutela
del vincolo il rilascio della concessione in
sanatoria, deve interpretarsi nel senso che
l'obbligo di pronuncia coinvolge comunque la
rilevanza del vincolo esistente al momento
in cui la domanda di sanatoria è valutata e
ciò a prescindere dall'epoca di introduzione
(cfr. anche: Cons. St., sez. VI, 22.01.2001,
n. 181; sez. V, 27.03.2000, n. 1761; TAR
Lazio, Latina, sez. I, 14.07.2009, n. 688) (TAR
Veneto, Sez. II,
sentenza 12.08.2011 n. 1358 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
provvedimento di annullamento del nulla osta
paesaggistico rilasciato dall’ente
subdelegato non ha natura di atto recettizio
e, pertanto, il termine perentorio di
sessanta giorni, previsto per l'eventuale
annullamento, attiene alla sua adozione e
non anche alla sua comunicazione.
L’annullamento ministeriale esaurisce il
procedimento relativo alla compatibilità
ambientale e paesaggistica. E, infatti,
l’annullamento da parte dell’autorità
statale costituisce espressione di un
sistema di concorrenza di poteri in cui la
partecipazione statale al procedimento
regionale o sub regionale si concreta in
un’eventuale fase correttiva di secondo
grado collegata ad esigenze di estrema
difesa del vincolo paesaggistico. Da tale
ricostruzione discende che l’annullamento
ministeriale chiude il procedimento relativo
alla compatibilità delle opere con il
vincolo paesaggistico e ambientale e consuma
il relativo potere senza che vi sia la
possibilità di un ulteriore esercizio dello
stesso da parte dell’autorità regionale o
subregionale.
Il Collegio
evidenzia, conformemente alla consolidata
giurisprudenza, che il provvedimento di
annullamento del nulla osta paesaggistico
rilasciato dall’ente subdelegato non ha
natura di atto recettizio e, pertanto, il
termine perentorio di sessanta giorni,
previsto per l'eventuale annullamento,
attiene alla sua adozione e non anche alla
sua comunicazione (cfr., ex multis,
Cons. St., sez. VI, 12.10.2010, n. 7419).
Secondo l’orientamento della giurisprudenza
condiviso dal Collegio, l’annullamento
ministeriale esaurisce il procedimento
relativo alla compatibilità ambientale e
paesaggistica. E, infatti, l’annullamento da
parte dell’autorità statale costituisce
espressione di un sistema di concorrenza di
poteri in cui la partecipazione statale al
procedimento regionale o sub regionale si
concreta in un’eventuale fase correttiva di
secondo grado collegata ad esigenze di
estrema difesa del vincolo paesaggistico.
Da
tale ricostruzione discende che
l’annullamento ministeriale chiude il
procedimento relativo alla compatibilità
delle opere con il vincolo paesaggistico e
ambientale e consuma il relativo potere
senza che vi sia la possibilità di un
ulteriore esercizio dello stesso da parte
dell’autorità regionale o subregionale (cfr.
Cons. Stato, VI, 06.02.2003, n. 592; Tar
Toscana, III, 22.09.2005, 4531) (TAR
Veneto, Sez. II,
sentenza 12.08.2011 n. 1358 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Consiglio di Stato. In caso di evasione
denuncia del Fisco accessibile al
contribuente.
L'amministrazione finanziaria non può negare
l'accesso agli atti inerenti la denuncia
trasmessa dalle Entrate alla Procura della
Repubblica – in base all'articolo 331 del
Codice di procedura civile – propedeutica al
raddoppio dei termini di accertamento sul
periodo d'imposta in cui è stata commessa la
presunta evasione fiscale.
A stabilire il
principio, il Consiglio di Stato – IV
Sezione – con la
sentenza
10.08.2011 n. 4769.
La pronuncia trae origine dall'appello
proposto contro la sentenza del Tar della
Lombardia, a seguito del rigetto del ricorso
proposto dalla società contribuente contro
il provvedimento dell'Agenzia che aveva
negato la possibilità di accedere a tutta
una serie di documenti.
In particolare, veniva opposto il rifiuto
alla richiesta di acquisizione del documento
di denuncia di reato presentato dall'Agenzia
alla Procura e di un provvedimento interno
il cui contenuto era unicamente rivolto a
stabilire la strategia difensiva di un
contenzioso tributario ancora pendente.
A sostegno dell'appello la società
ricorrente, oltre a eccepire la violazione
delle norme in materia di accesso ai
documenti amministrativi, faceva notare come
fosse pienamente legittima la richiesta di
accesso. Questo perché l'oggetto della
richiesta era l'atto (la denuncia di reato)
–presupposto per l'allungamento dei termini
di accertamento– e non gli atti nel
fascicolo del pubblico ministero. Sulla base
della situazione descritta, i giudici, pur
rigettando l'appello sull'eccezione
sollevata a seguito del diniego di accesso
al provvedimento interno, poiché riguardava
l'esercizio di difesa dell'amministrazione,
hanno condiviso appieno le doglianze della
società ricorrente, che contestava
l'illegittimità del diniego alla richiesta
di accedere al documento con la denuncia di
reato trasmessa alla procura.
Al riguardo il collegio giudicante
sottolinea che non può essere negato
l'accesso a documenti che riguardano
espressamente l'istante e utili ai fini di
un'eventuale tutela giurisdizionale.
A tale regola non si sottrae, in virtù della
sua stessa natura, la denuncia presentata da
un privato a una pubblica amministrazione.
Questo perché la denuncia inoltrata alla
Procura costituisce, da un lato, il
presupposto necessario per l'allungamento
dei termini di accertamento e, dall'altro, è
l'elemento di cui si avvale l'autorità
giudiziaria per verificare la sussistenza
degli elementi costitutivi del reato.
Oltretutto, i giudici pongono in risalto il
fatto che la notitia criminis non
costituendo "atto di indagine"
(e, in particolare, la denuncia inoltrata
alla Procura della Repubblica, in quanto
essa stessa è il presupposto delle indagini)
non può essere oggetto, salvo ulteriori
ragioni ostative, di segreto istruttorio (articolo Il Sole 24 Ore del 24.08.2011). |
EDILIZIA PRIVATA: Le
attività connesse all'agricoltura (ex art.
2135 c.c.) dell’imprenditore agricolo devono
restare collegate all’attività dal medesimo
esercitata in via principale mediante un
vincolo di strumentalità o complementarietà
funzionale, in assenza del quale essa non
rientra nell’esercizio normale
dell’agricoltura ed assume, invece, il
carattere prevalente od esclusivo
dell’attività commerciale o industriale.
In ogni caso, allorquando l’attività della
cui connessione con un’attività propriamente
agricola si discute abbia in concreto
dimensioni tali (anche nell’ambito della
medesima impresa) che la rendono principale
rispetto a quella agricola, deve escludersi
il carattere agricolo dell’attività stessa.
Si definiscono attività connesse
all’agricoltura (art. 2135 c.c., nel testo
introdotto dal D.Lgs. 18.05.2001 n. 228) le
attività esercitate dal medesimo
imprenditore agricolo dirette alla
manipolazione, conservazione,
trasformazione, commercializzazione e
valorizzazione che abbiano ad oggetto
prodotti ottenuti prevalentemente dalla
coltivazione del fondo o del bosco o
dall’allevamento di animali, nonché le
attività dirette alla fornitura di beni o
servizi mediante l’utilizzazione prevalente
di attrezzature o risorse dell’azienda
normalmente impiegate nell’attività agricola
esercitata, ivi comprese le attività di
valorizzazione del territorio e del
patrimonio rurale e forestale, ovvero di
ricezione e di ospitalità, come definite
dalla legge.
La parte del nuovo articolo 2135 del codice
civile riferita alle cosiddette “attività
connesse” è quella che ha suscitato
maggiori discussioni, in quanto quella di “attività
connesse” non costituisce una ulteriore
definizione che si aggiunge alle
fondamentali, ma sta proprio ad indicare che
esse non possono essere esercitate da
soggetti diversi dall’imprenditore agricolo
che esercita una o più delle attività di
coltivazione del fondo, silvicoltura e
allevamento di animali. Infatti, il nuovo
secondo comma inizia proprio affermando che
le attività subito dopo elencate si
intendono sempre “connesse” quando
sono svolte dall’imprenditore agricolo che
esercita le attività di coltivazione del
fondo, silvicoltura e allevamento di
animali. Secondo l’elencazione contenuta
nella norma, queste attività sono quelle “dirette
alla manipolazione, conservazione,
trasformazione, commercializzazione e
valorizzazione” dei prodotti.
A proposito di questi ultimi la norma,
logicamente, precisa che le attività
connesse, come prima elencate, devono avere
“ad oggetto prodotti ottenuti
prevalentemente dalla coltivazione del fondo
o del bosco o dall’allevamento di animali”.
Viene introdotto il concetto di “prevalenza”,
fino ad ora presente in una parte della
legislazione riferita alle attività agricole
e mai esplicitato chiaramente, il che
consente all’imprenditore agricolo il
ricorso al mercato per acquistare prodotti
da destinare alla manipolazione,
conservazione, trasformazione,
commercializzazione e valorizzazione,
sempreché non siano prevalenti rispetto a
quelli ottenuti dall’imprenditore attraverso
la coltivazione del fondo o del bosco e
l’allevamento di animali e integrino il
prodotto originario al fine di realizzare un
migliore prodotto finale.
È stato precisato, in giurisprudenza, che la
suddetta attività connessa dell’imprenditore
agricolo deve restare collegata all’attività
dal medesimo esercitata in via principale
mediante un vincolo di strumentalità o
complementarietà funzionale, in assenza del
quale essa non rientra nell’esercizio
normale dell’agricoltura ed assume, invece,
il carattere prevalente od esclusivo
dell’attività commerciale o industriale
(cfr. Cons. Stato, IV, 12.10.1999 n. 1555;
14.05.2001 n. 2669; VI, 06.03.2007 n. 1051).
In ogni caso, è stato affermato che
allorquando l’attività della cui connessione
con un’attività propriamente agricola si
discute abbia in concreto dimensioni tali
(anche nell’ambito della medesima impresa)
che la rendono principale rispetto a quella
agricola, deve escludersi il carattere
agricolo dell’attività stessa (Cass.
06.06.1974 n. 1682, ripresa da Cons. Stato,
VI, n. 1051/2007 cit.) (TAR
Puglia-Lecce, Sez. III,
sentenza 04.08.2011 n. 1484 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L’attuale
disposto legislativo non lascia più spazio
alla cosiddetta sanatoria “impropria”: tale
istituto, elaborato dalla giurisprudenza
nella vigenza della legge n. 10 del 1977, in
mancanza di una regolamentazione positiva
compiuta della materia, non ha difatti più
ragione di esistere nel vigente ordinamento,
caratterizzato da una disciplina puntuale
delle ipotesi di sanatoria edilizia la
quale, nonostante il diverso auspicio
espresso dall’Adunanza generale del
Consiglio di Stato nel parere del
29.03.2001, non recepisce il precedente,
delineato indirizzo ermeneutico.
Secondo l’ormai
costante orientamento della giurisprudenza
amministrativa, l’attuale
disposto legislativo non lascia più spazio
alla cosiddetta sanatoria “impropria”,
invocata dal Consorzio ricorrente: tale
istituto, elaborato dalla giurisprudenza
nella vigenza della legge n. 10 del 1977, in
mancanza di una regolamentazione positiva
compiuta della materia, non ha difatti più
ragione di esistere nel vigente ordinamento,
caratterizzato da una disciplina puntuale
delle ipotesi di sanatoria edilizia la
quale, nonostante il diverso auspicio
espresso dall’Adunanza generale del
Consiglio di Stato nel parere del
29.03.2001, non recepisce il precedente,
delineato indirizzo ermeneutico (cfr., fra
le molte, Tar Valle d’Aosta Aosta, I,
11.05.2011, n. 34; Tar Toscana Firenze, III,
11.02.2011, n. 263; Tar Campania Napoli, VII,
14.01.2011, n. 150; Tar Puglia Lecce, III,
02.09.2010, n. 1887; Consiglio Stato, IV,
02.11.2009, n. 6784).
In termini generali, dunque, il richiamo
alla sanatoria giurisprudenziale non merita
di essere condiviso e il motivo di gravame
va, pertanto, disatteso (TAR
Puglia-Lecce, Sez. III,
sentenza 04.08.2011 n. 1484 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Accesso agli atti senza vedere firme.
La sentenza del Tar Sardegna.
L'interessato che richiede l'accesso a un
esposto che lo riguarda ha diritto ad
ottenere perlomeno l'ostensione del
documento con l'occultamento dei nominativi
di tutti i firmatari.
Lo ha ribadito il TAR
Sardegna, Sez. II, con la
sentenza 02.08.2011 n.
865.
È sempre molto sottile la
linea di demarcazione tra la tutela del
diritto alla riservatezza e il diritto alla
trasparenza e all'accesso agli atti
amministrativi. Spesso infatti il
destinatario di un esposto chiede
all'autorità destinataria delle doglianze
copia dell'atto per configurare eventuali
contromisure non necessariamente
convenzionali. Anche per semplice e
legittima curiosità. Questo determina
sovente un irrigidimento della pubblica
amministrazione destinataria della richiesta
di accesso agli atti che per evitare di
gettare benzina sul fuoco nega totalmente
l'accesso all'esposto.
Questa pratica non è
corretta secondo il Tar sardo. Nel caso
esaminato dal collegio il socio di una
cooperativa posta in liquidazione si è visto
rigettare dall'Inps la richiesta di accesso
a un esposto presentato a suo danno da altri
soci lavoratori. Contro questa
determinazione negativa l'interessato ha
avanzato con parziale successo ricorso al
tribunale amministrativo evidenziando
l'importanza del documento per la tutela dei
suoi interessi.
Il collegio ha accolto, in
parte, le doglianze dell'interessato
richiamando, tra l'altro, «il precedente
giurisprudenziale del Tar Lombardia Milano,
sez. IV, dell'08.11.2004, n. 5716, nel quale
è stato affermato che in tema di
bilanciamento tra il diritto di accesso ai
documenti amministrativi e la tutela dei
terzi i cui dati personali siano contenuti
nella documentazione richiesta, deve
ritenersi che le esigenze di tutela della
riservatezza dei firmatari di un esposto nei
confronti di un professionista, presentato
al relativo ordine professionale, e del
quale il primo chieda l'ostensione, possano
essere garantite mediante la mascheratura
dei nominativi» (articolo ItaliaOggi del 24.08.2011). |
SICUREZZA LAVORO: Responsabilità
per la morte di un lavoratore che, intento a
completare i lavori di posa in opera di
parapetti in ferro sui balconi del piano
mansarda, dal piano di calpestio della
mansarda dell'edificio in questione,
precipitava nel vano sottostante per il
cedimento di un pannello in cartongesso
collocato su un'apertura a sezione
rettangolare praticata nel pavimento del
vano sottotetto inidonea a sorreggere una
persona e non opportunamente delimitata e
segnalata.
---------------
In materia di infortuni
sul lavoro, il coordinatore per l'esecuzione
dei lavori deve assicurare, nel caso della
effettuazione dei lavori, il collegamento
fra impresa appaltatrice e committente al
fine di realizzare la migliore
organizzazione ed ha il compito di adeguare
il plano di sicurezza in relazione alla
evoluzione dei lavori, di vigilanza sul
rispetto del piano stesso e di sospendere,
in caso di pericolo grave e imminente, le
singole lavorazioni. Ne consegue che egli è
responsabile delle conseguenze derivanti
dalla violazione di tale posizione di
garanzia.
---------------
L'orientamento di questa Corte individua
nell'appaltatore un sicuro centro
d'imputazione di responsabilità
nell'esecuzione dei lavori e degli infortuni
verificatisi in costanza di essi per colpa a
lui ascrivibile e alla cui responsabilità,
rimanendo egli pur sempre garante della
sicurezza delle persone da lui formalmente
dipendenti, si aggiunge a quella
dell'appaltante.
Infatti, "in tema di prevenzione degli
infortuni sul lavoro, il contratto d'appalto
determina il trasferimento dal committente
all'appaltatore della responsabilità
nell'esecuzione dei lavori, salvo che lo
stesso committente assuma una partecipazione
attiva nella conduzione e realizzazione
dell'opera, nel qual caso anch'egli rimane
destinatario degli obblighi assunti
dall'appaltatore".
Peraltro, il committente può essere chiamato
a rispondere dell'infortunio qualora
l'omessa adozione delle misure di
prevenzione prescritte sia immediatamente
percepibile cosicché il committente medesimo
sia in grado di accorgersi
dell'inadeguatezza delle stesse senza
particolari indagini; mentre, in questa
evenienza, ad escludere la responsabilità
del committente, non sarebbe sufficiente che
questi abbia impartito le direttive da
seguire a tale scopo, essendo comunque
necessario che ne abbia controllato, con
prudente e continua diligenza, la puntuale
osservanza.
---------------
In tema di prevenzione degli infortuni sul
lavoro, ciascun datore di lavoro, sia il
committente che l'appaltatore, è esclusivo
responsabile della tutela dei propri
dipendenti dai rischi che coinvolgano
unicamente questi ultimi, poiché la
cooperazione tra committente ed appaltatore
è imposta soltanto per eliminare i rischi
comuni ai lavoratori dipendenti di entrambe
le parti.
Sicché è chiaro come sia sul committente sia
sull'appaltatore incomba l'obbligo di
cooperazione, cioè di reciproca informazione
e "di contribuire attivamente, dall'una e
dall'altra parte, a predisporre ed applicare
le misure di prevenzione e protezione
necessarie" (la cui violazione ha
chiaramente avuto diretta efficienza causale
nella verificazione dell'evento letale).
Il datore di lavoro (al pari degli altri
titolari di analoghe e contestuali posizioni
di garanzia) è costituito garante
dell'incolumità fisica e della salvaguardia
della personalità morale dei prestatori di
lavoro, con l'ovvia conseguenza che, ove
egli non ottemperi agli obblighi di tutela,
l'evento lesivo correttamente gli viene
imputato in forza del meccanismo reattivo
previsto dall'art. 40 c.p., comma 2. Ne
segue che il datore di lavoro ha il dovere
di accertarsi che l'ambiente di lavoro abbia
i requisiti di affidabilità e di legalità
quanto a presidi antinfortunistici, idonei a
realizzare la tutela del lavoratore, e di
vigilare costantemente a che le condizioni
di sicurezza siano mantenute per tutto il
tempo in cui è prestata l'opera.
---------------
In tema di sicurezza antinfortunistica, il
compito del datore di lavoro, o del
dirigente cui spetta la "sicurezza del
lavoro", è molteplice e articolato, e va
dalla istruzione dei lavoratori sui rischi
di determinati lavori e dalla necessità di
adottare certe misure di sicurezza, alla
predisposizione di queste misure e quindi,
ove le stesse consistano in particolari cose
o strumenti, al mettere queste cose, questi
strumenti, a portata di mano del lavoratore
e, soprattutto, al controllo continuo,
pressante, per imporre che i lavoratori
rispettino quelle norme, si adeguino alla
misure in esse previste e sfuggano alla
superficiale tentazione di trascurarle.
Il responsabile della sicurezza, sia egli o
meno l'imprenditore, deve avere la cultura e
la "forma minus" del garante del bene
costituzionalmente rilevante costituito
dalla integrità del lavoratore ed ha perciò
il preciso dovere non di limitarsi a
assolvere normalmente il compito di
informare i lavoratori sulle norme
antinfortunistiche previste, ma deve
attivarsi e controllare sino alla
pedanteria, che tali norme siano assimilate
dai lavoratori nella ordinaria prassi di
lavoro.
Inoltre lo specifico onere di informazione e
di assiduo controllo, se è necessario nei
confronti dei dipendenti dell'impresa, si
impone a maggior ragione nei confronti di
coloro che prestino lavoro alle dipendenze
di altri e vengano per la prima volta a
contatto con un ambiente e delle strutture a
loro non familiari e che perciò possono
riservare insidie non note.
Si rammenta, al riguardo, che "In materia
di infortuni sul lavoro, il coordinatore per
l'esecuzione dei lavori -figura introdotta
dal D.Lgs. n. 494 del 1996, art. 5 in
attuazione della Direttiva 92/57/CEE sulle
prescrizioni minime di sicurezza e di salute
nei cantieri temporanei o mobili- deve
assicurare, nel caso della effettuazione dei
lavori, il collegamento fra impresa
appaltatrice e committente al fine di
realizzare la migliore organizzazione ed ha
il compito di adeguare il plano di sicurezza
in relazione alla evoluzione dei lavori, di
vigilanza sul rispetto del piano stesso e di
sospendere, in caso di pericolo grave e
imminente, le singole lavorazioni. Ne
consegue che egli è responsabile delle
conseguenze derivanti dalla violazione di
tale posizione di garanzia" (Cass. pen.
Sez. 4, n. 24010 del 03.04.2003, Rv.
228565).
Inoltre il F., come da imputazione, oltre al
ruolo di coordinatore per la progettazione e
per l'esecuzione dei lavori, assommava anche
quello di direttore dei lavori e, come tale,
ricopriva la cardinale posizione di garanzia
che comportava l'onere della sua costante
presenza sul cantiere e di controllo
specifico circa l'apprestamento dei presidi
antinfortunistici. Infatti a lui spettava la
direzione, sorveglianza e cura degli aspetti
sia tecnici che di prevenzione degli
infortuni, con precise direttive circa lo
svolgimento delle opere e la sicurezza dei
lavoratori: la palese situazione di pericolo
imponeva il suo tempestivo intervento e la
puntuale verifica circa il rispetto delle
direttive impartite.
Ne consegue che, a prescindere dal dedotto
accordo tra la proprietaria C. e il m. circa
la rifinitura della porzione del sottotetto
contigua al foro e all'informazione da parte
di costui di tale peculiare lavorazione al
F., questi avrebbe dovuto comunque
accorgersi tempestivamente dell'anomala
situazione creatasi sul pavimento del
sottotetto e della rimozione delle opere
prevenzionali e provvedere adeguatamente al
riguardo.
---------------
L'orientamento di questa Corte individua
nell'appaltatore un sicuro centro
d'imputazione di responsabilità
nell'esecuzione dei lavori e degli infortuni
verificatisi in costanza di essi per colpa a
lui ascrivibile e alla cui responsabilità,
rimanendo egli pur sempre garante della
sicurezza delle persone da lui formalmente
dipendenti, si aggiunge a quella
dell'appaltante (Sez. 4, n. 37840
dell'01.07.2009, Rv. 24527; Sez. 4, n. 37049
del 03.06.2008, non massimata nel CED).
Infatti, "in tema di prevenzione degli
infortuni sul lavoro, il contratto d'appalto
determina il trasferimento dal committente
all'appaltatore della responsabilità
nell'esecuzione dei lavori, salvo che lo
stesso committente assuma una partecipazione
attiva nella conduzione e realizzazione
dell'opera, nel qual caso anch'egli rimane
destinatario degli obblighi assunti
dall'appaltatore" (Cass. pen. Sez. 4, n.
38824 del 17.09.2008 Rv. 241063; Sez. 4, n.
46383 del 06.11.2007, Rv. 239338).
Peraltro, il committente può essere chiamato
a rispondere dell'infortunio qualora
l'omessa adozione delle misure di
prevenzione prescritte sia immediatamente
percepibile cosicché il committente medesimo
sia in grado di accorgersi
dell'inadeguatezza delle stesse senza
particolari indagini; mentre, in questa
evenienza, ad escludere la responsabilità
del committente, non sarebbe sufficiente che
questi abbia impartito le direttive da
seguire a tale scopo, essendo comunque
necessario che ne abbia controllato, con
prudente e continua diligenza, la puntuale
osservanza: nel caso di specie il m. aveva
dato disposizioni circa la contestuale
piastrellatura del pavimento della mansarda
(anche con ulteriore appalti, con ciò
inserendosi nell'organizzazione del
complesso dell'attività lavorativa da
svolgere sulla mansarda.
---------------
In tema di prevenzione degli infortuni sul
lavoro, ciascun datore di lavoro, sia il
committente che l'appaltatore, è esclusivo
responsabile della tutela dei propri
dipendenti dai rischi che coinvolgano
unicamente questi ultimi, poiché la
cooperazione tra committente ed appaltatore
è imposta soltanto per eliminare i rischi
comuni ai lavoratori dipendenti di entrambe
le parti (Cass. pen. Sez. 4, n. 28197 del
21.05.2009, Rv. 244691).
Sicché, essendo proprio questo il caso, è
chiaro come sia sul committente sia
sull'appaltatore incombesse l'obbligo di
cooperazione (Cass. pen. Sez. 4 n. 19752 del
19.03.2009, Rv. 243642), cioè di reciproca
informazione e "di contribuire
attivamente, dall'una e dall'altra parte, a
predisporre ed applicare le misure di
prevenzione e protezione necessarie" (n.
28197 del 09.07.2009 sopra citata) la cui
violazione ha chiaramente avuto diretta
efficienza causale nella verificazione
dell'evento letale.
In forza della disposizione generale di cui
all'art. 2087 cod. civ. e di quelle
specifiche previste dalla normativa
antinfortunistica, il datore di lavoro (al
pari degli altri titolari di analoghe e
contestuali posizioni di garanzia) è
costituito garante dell'incolumità fisica e
della salvaguardia della personalità morale
dei prestatori di lavoro, con l'ovvia
conseguenza che, ove egli non ottemperi agli
obblighi di tutela, l'evento lesivo
correttamente gli viene imputato in forza
del meccanismo reattivo previsto dall'art.
40 c.p., comma 2. Ne segue che il datore di
lavoro ha il dovere di accertarsi che
l'ambiente di lavoro abbia i requisiti di
affidabilità e di legalità quanto a presidi
antinfortunistici, idonei a realizzare la
tutela del lavoratore, e di vigilare
costantemente a che le condizioni di
sicurezza siano mantenute per tutto il tempo
in cui è prestata l'opera (cfr. Cass. pen.
Sez. Un. n. 5 del 25.11.1998, Rv. 212577 ed
altre successive conformi).
---------------
E' stato affermato che "in tema di
sicurezza antinfortunistica, il compito del
datore di lavoro, o del dirigente cui spetta
la "sicurezza del lavoro", è molteplice
e articolato, e va dalla istruzione dei
lavoratori sui rischi di determinati lavori
e dalla necessità di adottare certe misure
di sicurezza, alla predisposizione di queste
misure e quindi, ove le stesse consistano in
particolari cose o strumenti, al mettere
queste cose, questi strumenti, a portata di
mano del lavoratore e, soprattutto, al
controllo continuo, pressante, per imporre
che i lavoratori rispettino quelle norme, si
adeguino alla misure in esse previste e
sfuggano alla superficiale tentazione di
trascurarle.
Il responsabile della sicurezza, sia egli o
meno l'imprenditore, deve avere la cultura e
la "forma minus" del garante del bene
costituzionalmente rilevante costituito
dalla integrità del lavoratore ed ha perciò
il preciso dovere non di limitarsi a
assolvere normalmente il compito di
informare i lavoratori sulle norme
antinfortunistiche previste, ma deve
attivarsi e controllare sino alla
pedanteria, che tali norme siano assimilate
dai lavoratori nella ordinaria prassi di
lavoro.
Inoltre lo specifico onere di informazione e
di assiduo controllo, se è necessario nei
confronti dei dipendenti dell'impresa, si
impone a maggior ragione nei confronti di
coloro che prestino lavoro alle dipendenze
di altri e vengano per la prima volta a
contatto con un ambiente e delle strutture a
loro non familiari e che perciò possono
riservare insidie non note (Cass. pen. Sez.
4, n. 6486 del 03.03.1995, Rv. 201706; Sez.
4, n. 13251 del 10.02.2005, Rv. 231156).
Tale indirizzo giurisprudenziale non è certo
eliso o vanificato, secondo la
prospettazione finale del ricorrente, dalla
presenza del F., quale nominato coordinatore
per la realizzazione dell'opera e per
l'esecuzione dei lavori, nonché direttore
degli stessi, essendo questo un caso, come
sopra accennato, in cui più sono i titolari
della posizione di garanzia ovvero
dell'obbligo di impedire l'evento, onde
ciascuno è per intero destinatario
dell'obbligo di tutela imposto dalla legge
fino a quando si esaurisce il rapporto che
ha legittimato la costituzione della
suddetta posizione di garanzia (Cass. pen.
Sez. 4, n. 8593 del 22.01.2008, Rv. 238936)
(Corte di Cassazione, Sez. IV penale,
sentenza 14.07.2011 n. 27738 -
link a http://olympus.uniurb.it). |
APPALTI FORNITURE E SERVIZI:
Revisione prezzi va al Tar.
Competente anche per quantificarne l'entità.
Il Consiglio di stato ribalta la tesi del
Tribunale amministrativo del Lazio.
Il giudice amministrativo è competente a
decidere se vi sia diritto alla revisione
prezzi e a quantificarne l'entità.
È quanto
ha stabilito il Consiglio di Stato, Sez. III, con la
sentenza 12.07.2011
n. 4165 che prende in considerazione alcuni
profili di competenza in materia di
controversie relative alla revisione prezzi
(o, per meglio dire, di adeguamento dei
prezzi contrattuali).
La controversia, riguardante un appalto di
lavori realizzati in un cimitero, era stata
già decisa dal Tar del Lazio che aveva
escluso la possibilità che il giudice
amministrativo potesse esprimersi, oltre che
sul riconoscimento del diritto alla
revisione prezzi (l'«an»), anche sul
«quantum» della stessa. Per il Tar del
Lazio: «L'eventuale controversia relativa
alla determinazione dei criteri liquidatori
e alla loro applicazione non può che essere
ricompresa nella cognizione del giudice
ordinario, involgendo in sostanza, le norme
del contratto d'appalto che regolano il
diritto alla revisione dei prezzi».
La
sentenza di secondo grado, invece, ha
ribaltato la tesi del Tar prendendo le mosse
dal quanto dispone il Codice dei contratti
pubblici afferma che, per effetto di quanto
disposto prima dall'art. 244 del dlgs n. 163
del 2006 (codice dei contratti pubblici) e
poi dall'art. 133, comma 1, lett. e), punto
2 del codice del processo amministrativo,
l'ambito della giurisdizione esclusiva in
materia di revisione dei prezzi ha ora una
portata ampia e generale. Il Consiglio di
stato ha ritenuto quindi che debba ritenersi
superato il tradizionale orientamento
interpretativo (fatto proprio dal Tar per il
Lazio), secondo cui al giudice
amministrativo spettavano le sole
controversie in materia di «an» della
pretesa alla revisione del prezzo, mentre
competevano al giudice ordinario le
questioni inerenti alla quantificazione del
compenso.
Il Consiglio di stato ha affermato
quindi, con fare tranchant, che «si deve
quindi ritenere che, ai sensi delle citate
disposizioni, rientra nella giurisdizione
esclusiva del giudice amministrativo ogni
controversia concernente la revisione dei
prezzi di un contratto di appalto, compreso
il profilo del quantum debeatur (in termini:
Cassazione civile, ss.uu. n. 13892 del 15.06.2009; n. 9152 del 17.04.2009;
Consiglio di stato, sez. VI, n. 1247 del 03.03.2010; Consiglio stato, sez. V, n. 935
del 17.02.2010)». Parrebbe quasi che
il Consiglio di stato voglia imputare al
giudice di primo grado la mancata conoscenza
della norma del processo amministrativo.
In
ogni caso va ricordato, peraltro, che nella
concreta determinazione del «quantum debeatur»,
è intervenuta la recente approvazione del
cosiddetto «decreto sviluppo» che ha
corretto la disposizione del Codice dei
contratti pubblici, prevedendo che, qualora
il prezzo di singoli materiali da
costruzione, per effetto di circostanze
eccezionali, subisca variazioni in aumento o
in diminuzione, superiori al 10% rispetto al
prezzo rilevato dal ministero delle
infrastrutture nell'anno di presentazione
dell'offerta, la compensazione, in aumento o
in diminuzione, si applica per la metà (e
non più per l'intero) della percentuale
eccedente il 10% (articolo ItaliaOggi del 24.08.2011
- tratto da www.corteconti.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
reato di cui al D.Lgs. n. 490 del 1999, art.
163 (ora D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181) è
reato di pericolo e, pertanto, per la
configurabilità dell'illecito, non è
necessario un effettivo pregiudizio per
l'ambiente, potendo escludersi dal novero
delle condotte penalmente rilevanti soltanto
quelle che si prospettano inidonee, pure in
astratto, a compromettere i valori del
paesaggio e l'aspetto esteriore degli
edifici.
Nelle zone paesisticamente vincolate è
pertanto inibita, in assenza della
prescritta autorizzazione, ogni
modificazione dell'assetto del territorio,
attuata attraverso qualsiasi opera non
soltanto edilizia, ma di qualunque genere
(ad eccezione degli interventi consistenti:
nella manutenzione, ordinaria e
straordinaria, nel consolidamento statico o
restauro conservativo, purché non alterino
lo stato dei luoghi e l'aspetto esteriore
degli edifici; nell'esercizio dell'attività
agro-silvo-pastorale, che non comporti
alterazione permanente dello stato dei
luoghi con costruzioni edilizie od altre
opere civili e sempre che si tratti di
attività ed opere che non alterino l'assetto
idrogeologico; nel taglio colturale,
forestazione, riforestazione, opere di
bonifica, antincendio e di conservazione da
eseguirsi nei boschi e nelle foreste, purché
previsti ed autorizzati in base alle norme
vigenti in materia).
E' orientamento costante di questa Corte che
il reato di cui al D.Lgs. n. 490 del 1999,
art. 163 (ora D.Lgs. n. 42 del 2004, art.
181) è reato di pericolo e, pertanto, per la
configurabilità dell'illecito, non è
necessario un effettivo pregiudizio per
l'ambiente, potendo escludersi dal novero
delle condotte penalmente rilevanti soltanto
quelle che si prospettano inidonee, pure in
astratto, a compromettere i valori del
paesaggio e l'aspetto esteriore degli
edifici.
Nelle zone paesisticamente vincolate è
pertanto inibita, in assenza della
prescritta autorizzazione, ogni
modificazione dell'assetto del territorio,
attuata attraverso qualsiasi opera non
soltanto edilizia, ma di qualunque genere
(ad eccezione degli interventi consistenti:
nella manutenzione, ordinaria e
straordinaria, nel consolidamento statico o
restauro conservativo, purché non alterino
lo stato dei luoghi e l'aspetto esteriore
degli edifici; nell'esercizio dell'attività
agro-silvo-pastorale, che non comporti
alterazione permanente dello stato dei
luoghi con costruzioni edilizie od altre
opere civili e sempre che si tratti di
attività ed opere che non alterino l'assetto
idrogeologico; nel taglio colturale,
forestazione, riforestazione, opere di
bonifica, antincendio e di conservazione da
eseguirsi nei boschi e nelle foreste, purché
previsti ed autorizzati in base alle norme
vigenti in materia) - cfr. ex multis
e da ultimo Cass. pen. sez. 3 n. 16574 del
06.03.2007.
Perfino gli interventi di ristrutturazione
edilizia o che, comunque, alterino lo stato
dei luoghi e l'aspetto esteriore degli
edifici, pur se eseguibili mediante "semplice"
denuncia di inizio attività ai sensi del
D.P.R. 06.06.2001, n. 180, art. 22, commi 1
e 2, sia se eseguibili in base alla
cosiddetta super DIA, prevista dal comma 3
della citata disposizione, necessitano del
preventivo rilascio dell'autorizzazione
paesaggistica da parte dell'autorità
preposta alla tutela del vincolo (cfr. ex
multis Cass. pen. sez. 3 n. 8739 del
21.01.2010), configurandosi in mancanza il
reato di cui al D.Lgs. n. 42 del 2004, art.
181 (Cass. pen. sez. 3 n. 15929 del
12.01.2006)
(Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 23.06.2011 n. 25227). |
EDILIZIA PRIVATA: In
materia edilizia, è necessario il permesso
di costruire per la realizzazione di un muro
di contenimento, in quanto si tratta di un
manufatto che si eleva al di sopra del suolo
ed è destinato a trasformare durevolmente
l'area impegnata, come tale qualificabile
intervento di nuova costruzione.
Quanto alla
realizzazione del muro, la Corte di merito
ha ricordato che, contrariamente,
all'assunto degli appellanti, esso non
poteva certo ritenersi di modeste o piccole
dimensioni. Era stato accertato, infatti,
che era lungo circa 15 mt., largo 35 cm., ed
alto da un minimo di 0,60 mt. ad un massimo
di mt. 2,50. Ha, inoltre, evidenziato che,
anche a voler ritenere più corrette e
conformi alla situazione dei luoghi le
misurazioni effettuate dal consulente della
difesa (secondo cui il muro aveva una
larghezza di cm. 30 ed un'altezza da mt.
0,60 a mt. 1,90), era, comunque, necessario
permesso di costruire.
Infatti, secondo la giurisprudenza di questa
Corte, cui si è uniformata la Corte di
merito, "In materia edilizia, è
necessario il permesso di costruire per la
realizzazione di un muro di contenimento, in
quanto si tratta di un manufatto che si
eleva al di sopra del suolo ed è destinato a
trasformare durevolmente l'area impegnata,
come tale qualificabile intervento di nuova
costruzione" (cfr. ex multis
Cass. pen. sez. 3 n.35898 del 14.05.2008)
(Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 23.06.2011 n. 25227). |
EDILIZIA PRIVATA: La
responsabilità del proprietario per la
realizzazione della costruzione abusiva, di
cui risponde anche a titolo di concorso
morale, può essere ricostruita anche sulla
base di indizi e presunzioni gravi, precise
e concordanti, desumibili dalla
disponibilità giuridica e di fatto del
suolo, dall'interesse specifico ad
effettuare la nuova costruzione, dai
rapporti di parentela con l'esecutore
materiale degli stessi.
Osserva la Corte che la responsabilità del
proprietario per la realizzazione della
costruzione abusiva, di cui risponde anche a
titolo di concorso morale, può essere
ricostruita anche sulla base di indizi e
presunzioni gravi, precise e concordanti,
desumibili dalla disponibilità giuridica e
di fatto del suolo, dall'interesse specifico
ad effettuare la nuova costruzione, dai
rapporti di parentela con l'esecutore
materiale degli stessi (sez. 3, 24.05.2007
n. 35376, De Filippo, RV 237405) (sez. 3,
12.04.2005 n. 26121, Rosato, RV 231954)
(sez. 3, 12.01.2007 n. 8667, Forletti ed
altri, RV 236081)
(Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 22.06.2011 n. 25032). |
EDILIZIA PRIVATA: La
esecuzione di un soppalco all'interno di una
unità immobiliare, realizzato attraverso la
divisione in altezza di un vano, allo scopo
di ottenerne una duplice utilizzazione
abitativa, pure se non realizzi un mutamento
di destinazione d'uso, costituisce
intervento di ristrutturazione edilizia che
richiede il permesso di costituire o, in
alternativa, la denunzia di inizio attività,
ex D.P.R. n. 380 del 2001, art. 22, comma 3.
Questa Corte ha avuto modo di affermare il
principio, ormai da tempo consolidatosi,
secondo cui la esecuzione di un soppalco
all'interno di una unità immobiliare,
realizzato attraverso la divisione in
altezza di un vano, allo scopo di ottenerne
una duplice utilizzazione abitativa, pure se
non realizzi un mutamento di destinazione
d'uso costituisce intervento di
ristrutturazione edilizia che richiede il
permesso di costituire o, in alternativa, la
denunzia di inizio attività, ex D.P.R. n.
380 del 2001, art. 22, comma 3.
Detto intervento comporta, infatti, un
incremento della superficie utile
calpestabile che a norma dell'art. 110,
comma 1, lett. c), del citato decreto,
impone il regime di alternatività,
indipendentemente da una contemporanea
modifica della sagoma o del volume (Cass.
26/10/2006 Montilli; Cass. 26/1/07, n. 2881;
Cass. 01/03/2007 n. 8669).
Con le stesse pronunce di questa Corte è
stato rilevato che le opere interne non sono
più previste, nella formulazione del D.P.R.
n. 380 del 2001, come categoria autonoma di
intervento sugli edifici esistenti e devono
ritenersi riconducibili alla "ristrutturazione
edilizia" allorquando comportino aumento
di unità immobiliari, ovvero modifiche dei
volumi, dei prospetti o delle superfici o
mutamenti di destinazione d'uso (Corte di
Cassazione, Sez. III penale, sentenza
13.06.2011 n. 23643).
---------------
Quando il soppalco nell'appartamento diventa
un reato edilizio.
L’esecuzione di un soppalco all’interno
di un’unità immobiliare, realizzato
attraverso la divisione in altezza di un
vano, allo scopo di ottenerne una duplice
utilizzazione abitativa, pure se non
realizzi un mutamento di destinazione d’uso,
costituisce intervento di ristrutturazione
edilizia che richiede il permesso di
costruire o, in alternativa, la denunzia di
inizio attività ex art. 22, co. 3 D.P.R.
380/2001 (Testo Unico dell’Edilizia).
La pronuncia sub iudice, inserendosi
in un consolidato filone giurisprudenziale,
mira -nel silenzio della legge- a riempire
di contenuti pratici una delle fattispecie
più diffuse (e dai confini applicativi più
incerti) del diritto penale edilizio, l’art.
44, lett. b) TUE, che punisce con l’arresto
fino a due anni e con l’ammenda da 10.328 a
103.290 i casi di esecuzione dei lavori in
totale difformità o assenza del permesso o
di prosecuzione degli stessi nonostante
l’ordine di sospensione.
L’intervento dei giudici di legittimità
prende le mosse da una duplice condanna di
merito: entrambe le corti territoriali
campane avevano, infatti, ritenuto integrato
il reato di cui all’art. 44 lett. b) TUE
nell’ipotesi di realizzazione di due aree
soppalcate all’interno di un’unità
abitativa, in difetto del titolo abitativo
ed in violazione della normativa sulle
edificazioni.
La Corte di Cassazione si trova dunque
ancora una volta a dover interpretare la
materia penale edilizia, tutt’altro che
lineare.
Nel tentativo di fornire delle coordinate
chiare e precise al fine di individuare il
contenuto, rectius il disvalore
penale della fattispecie applicata, i
giudici mettono a confronto il diritto
penale con la normativa urbanistica
sostanziale e ribadiscono la propria recente
e consolidata giurisprudenza sul punto.
A quali condizioni la realizzazione di un
soppalco può dunque rappresentare un abuso
edilizio penalmente rilevante, con tutte le
conseguenze pratiche che ne discendono?
L’esecuzione di un soppalco rientra a pieno
titolo -dicono i giudici- nel novero degli
interventi di ristrutturazione edilizia
(sulla ‘qualifica urbanistica’ del
soppalco come ristrutturazione edilizia e
non come intervento di restauro o
risanamento conservativo, vedi TAR Napoli,
sez. IV, 23.12.2010, n. 27997, S.R. c.
Comune di Napoli), nel momento in cui la
stessa determina una modifica della
superficie utile e calpestabile dell’unità
abitativa, con conseguente aggravio del
carico urbanistico.
E come tale, richiede un doppio regime
abilitativo:
- il permesso di costruire nei casi indicati
dall’art. 10, comma 1, lett. c), che dispone
espressamente che “gli interventi di
ristrutturazione edilizia che portino ad un
organismo edilizio in tutto in parte diverso
dal precedente e comportino aumento di unità
immobiliari, modifiche del volume, della
sagoma, dei prospetti o delle superfici,
ovvero che comportino mutamenti della
destinazione d’uso”;
- o, in alternativa per tutti gli altri
casi, la D.I.A.
Le opere cd. interne, aggiungono i giudici,
non possono che essere ricondotte alla
categoria della ristrutturazione interna,
dal momento che comportano l’aumento di
unità immobiliari o modifiche dei volumi,
dei prospetti o delle superfici oppure
mutamenti delle destinazioni d’uso.
Nessun dubbio, dunque, sul fatto che anche
il soppalco necessiti –con tutte le ricadute
applicative che ne conseguono– del permesso
di costruire come condizione di operatività
(12.08.2011 - commento tratto da
www.ipsoa.it). |
ESPROPRIAZIONE:
Determinazione dell’indennità di
esproprio. Necessità che l’indennizzo non
sia previsto in misura irrisoria o meramente
simbolica, ma costituisca un serio ristoro.
- L’indennizzo assicurato all’espropriato
dall’art. 42, terzo comma, Cost., se non
deve costituire una integrale riparazione
per la perdita subita -in quanto occorre
coordinare il diritto del privato con
l’interesse generale che l’espropriazione
mira a realizzare- non può essere, tuttavia,
fissato in una misura irrisoria o meramente
simbolica, ma deve rappresentare un serio
ristoro (1).
Per raggiungere tale finalità, occorre fare
riferimento, per la determinazione
dell’indennizzo, al valore del bene in
relazione alle sue caratteristiche
essenziali, fatte palesi dalla potenziale
utilizzazione economica di esso, secondo
legge. Solo in tal modo può assicurarsi la
congruità del ristoro spettante
all’espropriato ed evitare che esso sia
meramente apparente o irrisorio rispetto al
valore del bene.
- In relazione all’art. 117, primo comma,
Cost., all’art. 1 del primo protocollo
addizionale della Convenzione per la
salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle
libertà fondamentali, nell’interpretazione
datane dalla Corte di Strasburgo ed all’art.
42, terzo comma, Cost., va dichiarata
l’illegittimità costituzionale dell’art.
5-bis, comma 4, del decreto-legge
11.07.1992, n. 333 (Misure urgenti per il
risanamento della finanza pubblica),
convertito, con modificazioni, dalla legge
08.08.1992, n. 359, che, per la
determinazione dell’indennità di
espropriazione relativa alle aree agricole
ed a quelle non suscettibili di
classificazione edificatoria, rinvia alle
norme di cui al titolo secondo della legge
n. 865 del 1971, successive modificazioni e
integrazioni, stabilendo che l’indennità di
espropriazione, per le aree esterne ai
centri edificati, è commisurata al valore
agricolo medio annualmente calcolato da
apposite commissioni provinciali, valore
corrispondente al tipo di coltura in atto
nell’area da espropriare (comma quinto); ed
aggiunge che, nelle aree comprese nei centri
edificati, l’indennità è commisurata al
valore agricolo medio della coltura più
redditizia tra quelle che, nella regione
agraria in cui ricade l’area da espropriare,
coprono una superficie superiore al 5 per
cento di quella coltivata della regione
agraria stessa (comma sesto) (2).
- Ai sensi dell’art. 27 della legge
11.03.1953, n. 87 (Norme sulla costituzione
e sul funzionamento della Corte
costituzionale), deve essere dichiarata
l’illegittimità costituzionale, in via
consequenziale, dell’art. 40, commi 2 e 3,
del d.P.R. n. 327 del 2001, recante la nuova
normativa in materia di espropriazione.
Detta norma, che apre la sezione dedicata
alla determinazione dell’indennità nel caso
di esproprio di un’area non edificabile,
adotta per tale determinazione, con riguardo
ai commi indicati, il criterio del valore
agricolo medio corrispondente al tipo di
coltura prevalente nella zona o in atto
nell’area da espropriare e, quindi, contiene
una disciplina che riproduce quella
dichiarata in contrasto con la Costituzione
dalla presente sentenza (3).
---------------
(1) Cfr. Corte Cost., sentenze n. 173 del
1991; sentenza n. 1022 del 1988; sentenza n.
355 del 1985; sentenza n. 223 del 1983;
sentenza n. 5 del 1980.
V. anche Corte cost., sentenza n. 348 del
2007, la quale ha ribadito che «deve essere
esclusa una valutazione del tutto astratta,
in quanto sganciata dalle caratteristiche
essenziali del bene ablato» (principio già
affermato dalla sentenza n. 355 del 1985).
(2) Ha osservato in particolare la Corte che
non è ravvisabile alcun motivo idoneo a
giustificare un trattamento differenziato,
in presenza di un evento espropriativo, tra
i suoli di cui si tratta (edificabili, da un
lato, agricoli o non suscettibili di
classificazione edificatoria, dall’altro).
Infatti, come la stessa Corte cost. in
precedenza -con la sentenza n. 348 del 2007-
ha posto in luce, «sia la giurisprudenza
della Corte costituzionale italiana sia
quella della Corte europea concordano nel
ritenere che il punto di riferimento per
determinare l’indennità di espropriazione
deve essere il valore di mercato (o venale)
del bene ablato». E tale punto di
riferimento non può variare secondo la
natura del bene, perché in tal modo verrebbe
meno l’ancoraggio al dato della realtà
postulato come necessario per pervenire alla
determinazione di una giusta indennità.
E’ vero che il legislatore non ha il dovere
di commisurare integralmente l’indennità di
espropriazione al valore di mercato del bene
ablato e che non sempre è garantita dalla
CEDU una riparazione integrale, come la
stessa Corte di Strasburgo ha affermato, sia
pure aggiungendo che in caso di
"espropriazione isolata", pur se a fini di
pubblica utilità, soltanto una riparazione
integrale può essere considerata in rapporto
ragionevole con il valore del bene.
Tuttavia, proprio l’esigenza di effettuare
una valutazione di congruità dell’indennizzo
espropriativo, determinato applicando
eventuali meccanismi di correzione sul
valore di mercato, impone che quest’ultimo
sia assunto quale termine di riferimento dal
legislatore (Corte cost., sentenza n. 1165
del 1988), in guisa da garantire il "giusto
equilibrio" tra l’interesse generale e gli
imperativi della salvaguardia dei diritti
fondamentali degli individui.
(3) La Corte non ha ritenuto espressamente
di estendere la declaratoria di
illegittimità costituzionale anche al comma
1 del citato art. 40. Detto comma concerne
l’esproprio di un’area non edificabile ma
coltivata (il caso di area non coltivata è
previsto dal comma 2), e stabilisce che
l’indennità definitiva è determinata in base
al criterio del valore agricolo, tenendo
conto delle colture effettivamente praticate
sul fondo e del valore dei manufatti edilizi
legittimamente realizzati, anche in
relazione all’esercizio dell’azienda
agricola.
La mancata previsione del valore agricolo
medio e il riferimento alle colture
effettivamente praticate sul fondo
consentono una interpretazione della norma
costituzionalmente orientata, peraltro
demandata ai giudici ordinari (massima
tratta www.regione.piemonte.it - Corte
Costituzionale,
sentenza 10.06.2011 n. 181). |
VARI:
Patente a punti ko.
Azzeramento nullo senza preavviso. Accolto
ricorso al Tar Campania. Sospensione
cancellata.
In caso di ripetute infrazioni stradali la
comunicazione della perdita di tutti i punti
patente non può essere cumulativa perché
così sarebbe limitata la possibilità per
l'interessato di partecipare ai corsi di
recupero che gli permettono di mantenere un
credito residuo e salvare la patente.
Lo ha confermato il TAR Campania-Napoli,
Sez. V, con la
sentenza
08.06.2011 n. 3008.
Un cittadino incappato
ripetutamente nelle multe automatiche con
penalità ha ricevuto dalla motorizzazione la
notifica della sospensione della propria
patente di guida per omessa revisione
conseguente all'azzeramento dei punti.
Contro questa severa determinazione
l'interessato ha proposto ricorso al Tar
evidenziando l'irregolarità del procedimento
sanzionatorio attivato a suo carico dalla
pubblica amministrazione.
Il Tar ha accolto
le censure annullando la sospensione della
patente perché «atteso che come fondatamente
dedotto dalla parte ricorrente gli è stata
preclusa la possibilità di partecipare al
corso per il recupero di almeno sei punti
necessario e sufficiente al fine di evitare
la revisione della patente». Lo spirito
della patente a punti, prosegue il collegio,
richiede un tempestivo coinvolgimento
dell'autista in ogni ipotesi di decurtazione
di punteggio.
Una comunicazione cumulativa di penalità da
parte del Ced del ministero dei trasporti
determina un sostanziale aggiramento delle
regole stradali che tra l'altro permettono
al trasgressore di effettuare una parziale
ricarica di punti frequentando un corso di
recupero ad hoc.
In buona sostanza una comunicazione
cumulativa e tardiva di decurtazione di
punteggio vanifica l'istituto della patente
a punti che è un sistema afflittivo
progressivo che mira a sensibilizzare il
trasgressore a non commettere ulteriori
infrazioni e a frequentare gli appositi
corsi di recupero punti necessari a
mantenere un credito minimo e ad evitare
quindi l'eventualità della revisione o
peggio ancora della sospensione della
licenza di guida.
In pratica ad ogni infrazione stradale,
conclude il tribunale, «deve seguire nei
tempi dettati dalla legge, sia la relativa
decurtazione di punteggio, sia una specifica
e autonoma comunicazione al trasgressore,
così da consentire a quest'ultimo di
riparare alla violazione commessa
frequentando gli appositi corsi, allo stesso
tempo alimentando il circuito educativo alla
conoscenza e al rispetto del codice della
strada» (articolo ItaliaOggi del 24.08.2011). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Potere della P.A. di verificare,
nel corso del rapporto di lavoro, la
permanenza della invalidità che aveva
determinato l’assunzione del dipendente.
La situazione di invalido civile del
dipendente pubblico condiziona non solo la
regolarità dell'assunzione, ma anche la
permanenza dell'efficacia del rapporto, che
si fonda sul regime speciale riconosciuto ai
dipendenti oggettivamente svantaggiati e che
perciò esige la persistenza della condizione
che legittima l'applicazione della
disciplina di favore, anche a tutela di
soggetti effettivamente invalidi e non
avviati al lavoro. Ne consegue che ben può
l'Amministrazione, in seguito
all'instaurazione del rapporto con
l'invalido, verificare la permanenza dei
requisiti soggettivi che ne hanno imposto
l'assunzione obbligatoria, essendo titolare
del relativo potere e, a maggior ragione,
del dovere di verificare la legittimità
della prosecuzione del vincolo,
ogniqualvolta sospetti la mancanza (anche
sopravvenuta) delle condizioni di
applicabilità di questa disciplina (1).
In base al combinato disposto degli artt. 10
e 20 della l. 02.04.1968, n. 482,
l'espletamento di una visita medica
finalizzata ad accertare la compatibilità
delle condizioni di salute del dipendente
con le mansioni assegnate, può essere
sollecitato, oltre che su iniziativa del
dipendente, anche su impulso del datore di
lavoro, pubblico o privato (2).
---------------
(1) Cfr. Cons. Stato, V, 18.09.2003, n.
5297. Alla stregua del principio nella
specie è stato ritenuto legittimo il
provvedimento con il quale
l’Amministrazione, dopo avere verificato,
mediante apposita visita medica, che il
dipendente assunto quale invalido civile non
aveva alcuna invalidità, ha disposto la
risoluzione del rapporto.
Nel caso in questione il dipendente era
stato assunto in servizio sulla base della
semplice dichiarazione della permanenza
dello stato d’invalidità, e non era stato
immediatamente assoggettato a controllo.
Soltanto qualche anno più tardi fu
sottoposto ad accertamenti sanitari, dai
quali emerse uno stato di "non invalidità".
Ha ritenuto la sentenza in rassegna che il
controllo successivo si appalesava quale
atto dovuto in base all’art. 9 del d.l.
12.09.1983, n. 463, convertito dalla l.
11.11.1983, n. 368.
Invero, per pacifica giurisprudenza l'art. 9
d.l. 12.09.1983, n. 463, nel testo
modificato dalla legge di conversione
11.11.1983, n. 638, prescrive, come regola
generale, che l'accertamento dello stato
invalidante, nella misura minima richiesta
per l'assunzione obbligatoria, preceda anche
l’atto di avviamento al lavoro, ma, al tempo
stesso, evita che difficoltà operative
possano ritardare l'assunzione, da parte
dell'invalido, del posto di lavoro: perciò
consente che il rapporto di lavoro sia
instaurato anche se la visita di controllo
non è stata ancora disposta ed effettuata;
ma ne condiziona la permanenza all'esito di
quest'ultima; perciò che è legittima la
risoluzione del rapporto se alla visita di
controllo si accerti che il soggetto non
aveva i requisiti per l'assunzione
privilegiata.
(2) Cfr. Cons. Stato, VI, 08.11.2005, n.
6220 (massima tratta da
www.regione.piemonte.it - Consiglio di
Stato, Sez. VI,
sentenza 30.05.2011 n. 3238 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
La variante adottata per
attribuire ai terreni la destinazione
necessaria per realizzare un progetto di
impianto sportivo, quale destinazione di
“verde sportivo”, ha chiaramente natura
espropriativa e non certo conformativa
poiché rappresenta una mera “localizzazione”
di una ben definita opera pubblica.
Altrettanto condivisibile è l’assunto del
ctu secondo cui la indicata variante al PRG
aveva natura di vincolo espropriativo (come
tale irrilevante ai fini che ci occupano) e
non conformativo. Infatti detta variante è
stata approvata (ctu pag. 8) per attribuire
ai terreni in oggetto la destinazione
necessaria per realizzare il progetto
dell’impianto sportivo. “E’ quindi ovvio
che tale destinazione di verde sportivo
aveva chiaramente natura espropriativa e non
certo conformativa poiché rappresentava una
mera “localizzazione” di una ben definita
opera pubblica” (ctu, pag. 8).
Trattandosi di esproprio con dichiarazione
di pubblica utilità risalente pacificamente
a prima dell’entrata in vigore del dpr
327/2001, non può (cfr. art. 57 e 59 di
detto dpr) applicarsi il ridetto dpr.
Invero, a seguito della sentenza n. 348/2007
della Corte Costituzionale e dell’art. 39
r.d. 2359-1865, l’indennità di esproprio per
i terreni edificativi deve essere pari al
valore venale del bene (è evidente la
originaria volontà processuale degli attori
di ottenere le indennità di esproprio e di
occupazione secondo i più vantaggiosi
parametri di calcolo). Per la particella non
edificativa si deve applicare la l. 865/1971
(Corte d’Appello-Firenze, Sez. I,
sentenza 22.02.2011 n. 248 -
link a www.periti-industriali.firenze.it). |
EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI:
Al direttore dei lavori è
richiesta in via principale una attività di
vigilanza e di controllo dell'operato
dell'impresa appaltatrice, del cui operato
esecutivo di norma non risponde. Si tratta
di una attività preminentemente di
coordinamento tra l'operato dell'impresa e
l'oggetto contrattuale dell'appalto, nonché
di verifica dell'esatta realizzazione di
quanto progettato.
Il direttore dei lavori non assume nei
confronti del committente una obbligazione
di risultato, ma unicamente una obbligazione
di mezzi, che può essere svolta anche
attraverso una non continua e permanente
presenza sul cantiere da parte del
professionista. Neppure può ritenersi
preclusa la possibilità per il
professionista di avvalersi della
collaborazione di terze persone,
appartenenti o meno allo Studio tecnico di
cui sia titolare, quando si tratta di
svolgere compiti che non implichino la
soluzione di problemi tecnici e che, come
tali, richiedano la presenza personale del
professionista.
Osserva il Tribunale che al direttore dei
lavori è richiesta in via principale una
attività di vigilanza e di controllo
dell'operato dell'impresa appaltatrice, del
cui operato esecutivo di norma non risponde.
Si tratta a ben vedere, di una attività
preminentemente di coordinamento tra
l'operato dell'impresa e l'oggetto
contrattuale dell'appalto, nonché di
verifica dell'esatta realizzazione di quanto
progettato.
Come poi ha
esattamente rilevato la difesa dell'attore,
il direttore dei lavori non assume nei
confronti del committente una obbligazione
di risultato, ma unicamente una obbligazione
di mezzi, che può essere svolta anche
attraverso una non continua e permanente
presenza sul cantiere da parte del
professionista. Neppure può ritenersi
preclusa la possibilità per il
professionista di avvalersi della
collaborazione di terze persone,
appartenenti o meno allo Studio tecnico di
cui sia titolare, quando si tratta di
svolgere compiti che non implichino la
soluzione di problemi tecnici e che, come
tali, richiedano la presenza personale del
professionista.
Deve dunque convenirsi che al progettista e
direttore dei lavori ... spetta il compenso
per la prestata attività, così come
richiesta attraverso la fatturazione
contestata, indipendentemente dal ritardo
verificatosi nella conclusione dei lavori
appaltati e dall'esistenza dei vizi
dell'opera come denunciati dai committenti,
nessuna prova essendo emersa che sia il
ritardo che i vizi, ove effettivamente
sussistenti, siano ricollegabili ad
omissioni o a colpa dell'arch. ...
(TRIBUNALE di Siena, sentenza 09.02.2011
n. 50). |
EDILIZIA PRIVATA - VARI: Il
certificato di abitabilità è previsto a
tutela “delle esigenze igieniche e sanitarie
nonché degli interessi urbanistici
–richiedenti l'accertamento pubblico della
sussistenza delle condizioni di salubrità,
stabilità e sicurezza dell' edificio,
attestante l'idoneità dell'immobile ad
essere 'abitato' e più generalmente ad
essere frequentato dalle persone fisiche-
...” e che, ove il certificato de quo non
sia stato rilasciato e non possa esserlo per
le caratteristiche dell'immobile (ad es.
violazioni urbanistiche non sanabili) il
bene è incommerciabile e si configura una
ipotesi di vendita di aliud pro alio.
Il venditore di un immobile destinato ad
abitazione ha l'obbligo di consegnare
all'acquirente il certificato di
abitabilità, senza il quale l'immobile
stesso è incommerciabile. La violazione di
tale obbligo può legittimare sia la domanda
di risoluzione del contratto, sia quella di
risarcimento del danno, sia l'eccezione di
inadempimento.
Occorre premettere che il certificato di
abitabilità è previsto a tutela “delle
esigenze igieniche e sanitarie nonché degli
interessi urbanistici –richiedenti
l'accertamento pubblico della sussistenza
delle condizioni di salubrità, stabilità e
sicurezza dell' edificio, attestante
l'idoneità dell'immobile ad essere 'abitato'
e più generalmente ad essere frequentato
dalle persone fisiche- ...” (Cass. Sez.
III 11.04.2006 n. 8409) e che, ove il
certificato de quo non sia stato
rilasciato e non possa esserlo per le
caratteristiche dell'immobile (ad es.
violazioni urbanistiche non sanabili) il
bene è incommerciabile e si configura una
ipotesi di vendita di aliud pro alio
(cfr. Cass. Sez. II 31.05.2010 n. 13231;
Cass. Sez. II 18.03.2010 n. 65448).
Inoltre è stato affermato che “il
venditore di un immobile destinato ad
abitazione ha l'obbligo di consegnare
all'acquirente il certificato di
abitabilità, senza il quale l'immobile
stesso è incommerciabile. La violazione di
tale obbligo può legittimare sia la domanda
di risoluzione del contratto, sia quella di
risarcimento del danno, sia l'eccezione di
inadempimento ....” (Cass. Sez. III
23.01.2009 n. 1701).
Non può, quindi, l'appellante (venditore)
fondatamente sostenere di non avere obblighi
in ordine al certificato de quo e
minimizzarne la mancanza per rilevare che,
al massimo, potrebbe giustificare una
riduzione del prezzo. Inoltre l'appellante
non può fondatamente dedurre, a sostegno
della correttezza del proprio operato, il
fatto che in data 24/09/2001 il geom. ... abbia certificato (ex art. 11
L.R.Toscana 52/1999) la conformità del
fabbricato agli atti concessori ed alla
sanatoria e che da tale data, giusta tale
norma, decorra l'abitabilità. Dovrebbe
l'appellante considerare che tale
certificazione è intervenuta alcuni anni
dopo l'introduzione del giudizio, prima di
attribuire alla Ciccarelli un comportamento
inadempiente (Corte d'Appello-Firenze, Sez.
I,
sentenza 01.02.2011 n. 150
- link a www.periti-industriali.firenze.it). |
SICUREZZA LAVORO: RSPP
e omessa segnalazione dei fattori di
rischio.
Responsabilità di un
RSPP per il reato di omicidio colposo
aggravato dalla violazione della normativa
antinfortunistica in danno del lavoratore
..., dipendente della società A., che, alla
guida di un trattore agricolo, utilizzato
ordinariamente per la movimentazione dei
vagoni ferroviari all'interno di uno
stabilimento, mentre compiva la manovra in
retromarcia all'ingresso del capannone n. 14
-manovra necessaria per accedere al
capannone n. 10, ove doveva essere
posizionata una carrozza ferroviaria- cadeva
lateralmente in una fossa di ispezione posta
lungo tutto il capannone, lasciata aperta, e
così sbalzato al di fuori della cabina,
cadeva in tale fossa, ove rimaneva
schiacciato dalle ruote del trattore.
Il (...) era stato chiamato a risponderne,
quale responsabile del servizio prevenzione
e protezione della società A., essendosi
ravvisati a suo carico profili di colpa
generica e specifica, non avendo lo stesso
valutato adeguatamente i rischi connessi
alle mansioni che gli operai dovevano
svolgere durante le operazioni di
movimentazione della carrozze, rischi
derivanti in particolare dalla presenza
delle fosse di lavorazione non protette al
fine di evitare la caduta accidentale di
uomini e i mezzi.
Ricorso in Cassazione - Rigetto.
Rileva la Suprema Corte che la sentenza
d'appello non pone in discussione il
principio che il responsabile del servizio
di prevenzione e protezione (RSPP) non è
titolare di alcuna posizione di garanzia
rispetto all'osservanza della normativa
antinfortunistica e che lo stesso opera,
piuttosto, quale "consulente" in tale
materia del datore di lavoro, il quale è [e
rimane] direttamente tenuto ad assumere le
necessarie iniziative idonee a neutralizzare
le situazioni di rischio.
"In effetti, la "designazione" del RSPP,
che il datore di lavoro è tenuto a fare a
norma dell'articolo 31 del decreto cit.
(ndr: D.Lgs. 81/2008 così come modificato
dal D.Lgs. 106/2009) [individuandolo, ai
sensi del successivo articolo 32, tra
persone i cui requisiti siano "adeguati alla
natura dei rischi presenti sul luogo di
lavoro e relativi alle attività
lavorative"], non equivale a "delega di
funzioni" utile ai fini dell'esenzione del
datore di lavoro da responsabilità per la
violazione della normativa
antinfortunistica, perché gli consentirebbe
di "trasferire" ad altri -il delegato- la
posizione di garanzia che questi
ordinariamente assume nei confronti dei
lavoratori.
Posizione di garanzia che, come è noto,
compete al datore di lavoro in quanto ex
lege onerato dell'obbligo di prevenire la
verificazione di eventi dannosi connessi
all'espletamento dell'attività lavorativa.
Dalla ricostruzione dei compiti del RSPP
discende, coerentemente, che il medesimo è
privo di capacità immediatamente operative
sulla struttura aziendale, spettandogli solo
di prestare "ausilio" al datore di lavoro
nella individuazione e segnalazione dei
fattori di rischio delle lavorazioni e nella
elaborazione delle procedure di sicurezza
nonché di informazione e formazione dei
lavoratori (cfr. articolo 33 del decreto
cit.).
Il datore di lavoro, quindi, è e rimane il
titolare della posizione di garanzia nella
subiecta materia, poiché l'obbligo di
effettuare la valutazione dei rischi e di
elaborare il documento contenente le misure
di prevenzione e protezione, appunto in
collaborazione con il RSPP, fa pur sempre
capo a lui, tanto che la normativa di
settore, mentre non prevede alcuna sanzione
penale a carico del RSPP, punisce
direttamente il datore di lavoro già per il
solo fatto di avere omessa la valutazione
dei rischi e non adottato il relativo
documento.
Quanto detto, però, non esclude che,
indiscussa la responsabilità del datore di
lavoro che rimane persistentemente titolare
della "posizione di garanzia", possa
profilarsi lo spazio per una (concorrente)
responsabilità del RSPP.
Anche il RSPP, che pure è privo dei poteri
decisionali e di spesa [e quindi non può
direttamente intervenire per rimuovere le
situazioni di rischio], può essere ritenuto
(cor)responsabile del verificarsi di un
infortunio, ogni qualvolta questo sia
oggettivamente riconducibile ad una
situazione pericolosa che egli avrebbe avuto
l'obbligo di conoscere e segnalare,
dovendosi presumere che alla segnalazione
avrebbe fatto seguito l'adozione, da parte
del datore di lavoro, delle necessarie
iniziative idonee a neutralizzare detta
situazione."
"Ne consegue che il responsabile del
servizio di prevenzione e protezione
qualora, agendo con imperizia, negligenza,
imprudenza o inosservanza di leggi e
discipline, abbia dato un suggerimento
sbagliato o abbia trascurato di segnalare
una situazione di rischio, inducendo, così,
il datore di lavoro ad omettere l'adozione
di una doverosa misura prevenzionale,
risponderà insieme a questi dell'evento
dannoso derivatone, essendo a lui
ascrivibile un titolo di colpa professionale
che può assumere anche un carattere
addirittura esclusivo (Sezione IV,
15.07.2010, Scagliarmi)."
"Secondo le regole generali, il RSPP può
essere tenuto a rispondere -proprio perché
la sua inosservanza si pone come concausa
dell'evento- dell'infortunio in ipotesi
verificatosi proprio in ragione
dell'inosservanza colposa dei compiti di
prevenzione attribuitigli dalla legge."
(Corte di Cassazione, Sez. IV penale,
sentenza 27.01.2011 n. 2814 -
link http://olympus.uniurb.it). |
EDILIZIA PRIVATA: All'interno
di un giudizio riguardante le costruzioni su
fondi finitimi, in cui l'attore abbia
chiesto la condanna del proprietario
frontista alla demolizione del fabbricato
costruito in violazione delle distanze
legali, non costituisce domanda nuova in
appello il rilievo relativo
all'illegittimità dell'adozione di un
regolamento comunale contrastante con il dm
pro tempore vigente (nella specie, il dm
02.04.1968, n. 1444) in quanto il giudice
adito, nell'ambito della sua verifica delle
norme applicabili, è tenuto a rilevare
l'illegittimità dell'adozione da parte
dell'amministrazione comunale di un
regolamento edilizio contrastante con le
norme vigenti e ad applicare, in
sostituzione delle disposizioni illegittime,
le norme violate, in quanto divenute
automaticamente parte integrante del
successivo strumento urbanistico locale.
- Poiché il balcone, estendendo in
superficie e volume l'edificio, costituisce
corpo di fabbrica e poiché l'art. 9 del dm
n. 1444 del 1968 stabilisce la distanza
minima di 10 metri tra pareti finestrate e
pareti antistanti, un regolamento edilizio
che stabilisca un criterio di misurazione
della distanza tra edifici che non tenga
conto dell'estensione del balcone è contra
legem in quanto, sottraendo dal calcolo
della distanza la estensione del balcone,
viene a determinare una distanza tra
fabbricati interiore a 10 metri, violando il
distacco voluto dalla legge ponte.
Da lunghi anni, è costante e consolidata la
giurisprudenza che afferma la diretta
applicabilità della norma sulle distanze di
cui al dm 02.04.1968, n. 1444 in ipotesi di
norma locale contrastante colla norma
ministeriale (cfr., in tal senso, tra le
ultime, Cassazione civile, sez. II,
03.03.2008, n. 5741: «All'interno di un
giudizio riguardante le costruzioni su fondi
finitimi, in cui l'attore abbia chiesto la
condanna del proprietario frontista alla
demolizione del fabbricato costruito in
violazione delle distanze legali, non
costituisce domanda nuova in appello il
rilievo relativo all'illegittimità
dell'adozione di un regolamento comunale
contrastante con il dm pro tempore vigente
(nella specie, il dm 02.04.1968, n. 1444) in
quanto il giudice adito, nell'ambito della
sua verifica delle norme applicabili, è
tenuto a rilevare l'illegittimità
dell'adozione da parte dell'amministrazione
comunale di un regolamento edilizio
contrastante con le norme vigenti e ad
applicare, in sostituzione delle
disposizioni illegittime, le norme violate,
in quanto divenute automaticamente parte
integrante del successivo strumento
urbanistico locale»): dunque, è
prioritaria l’interpretazione della norma
ministeriale ché, se la interpretazione
della norma locale dovesse condurre a un
risultato contrastante colla prima, non vi
sarebbe che da disapplicare quella locale.
Sul punto della interpretazione della norma
ministeriale la Corte non ha ragione di
disattendere la persuasiva giurisprudenza
del SC secondo la quale, «poiché il
balcone, estendendo in superficie e volume
l'edificio, costituisce corpo di fabbrica e
poiché l'art. 9 del dm n. 1444 del 1968
stabilisce la distanza minima di 10 metri
tra pareti finestrate e pareti antistanti,
un regolamento edilizio che stabilisca un
criterio di misurazione della distanza tra
edifici che non tenga conto dell'estensione
del balcone è contra legem in quanto,
sottraendo dal calcolo della distanza la
estensione del balcone, viene a determinare
una distanza tra fabbricati interiore a 10
metri, violando il distacco voluto dalla
legge ponte» (Cassazione civile, sez. II,
2707.2006, n. 17089)
(Corte d'Appello-Firenze, Sez. I,
sentenza 04.05.2010 n. 679). |
EDILIZIA PRIVATA: La
giurisprudenza fa ritenere che l’art. 9
della l. n. 10/1977, avendo introdotto in
una certa serie di ipotesi la figura della
concessione gratuita, rappresenti, invece,
una deroga al principio generale
dell’onerosità della concessione edilizia,
tanto è vero che l’indicazione delle
fattispecie di esonero dal versamento del
contributo di concessione ha carattere
tassativo. Pertanto, le predette fattispecie
di esonero, inclusa quella ex art. 9, lett.
d), cit., sono di stretta interpretazione.
Ne discende che è legittimo cercare di
individuare e circoscrivere il contenuto
della nozione di “edifici unifamiliari”
ricorrendo, come ha fatto il Comune di ...,
a criteri estratti da altri complessi
normativi, con l’unico limite di non
stravolgere la portata della disciplina da
applicare.
Nel caso di specie nessun stravolgimento
della portata dell’art. 9, lett. d), della
l. n. 10/1977 si può ricavare dall’avere il
predetto Comune fatto ricorso agli artt. 3
del D.M. n. 1444/1968 e 19 della l.r. n.
51/1975 (quest’ultimo, nella versione
anteriore alle modifiche introdotte
dall’art. 6 della l.r. n. 1/2001), definendo
quali “edifici unifamiliari” quelli la cui
volumetria non superi i 100 mc. per ciascun
componente del nucleo familiare, individuato
attraverso l’Anagrafe comunale. In
particolare, dalle norme citate si ricava
che il valore medio, sulla cui base va
computata la capacità insediativa, è di 100
mc. per abitante.
Sembra, quindi, ragionevole l’utilizzo di
siffatto criterio anche ai fini della
definizione della nozione di “edifici
unifamiliari”, per il cui ampliamento entro
il 20% è prevista la gratuità della
concessione edilizia: ciò in quanto il
principio è quello opposto, dell’onerosità
della concessione stessa, inteso come dovere
di contribuire agli oneri connessi alla
trasformazione del territorio, per la
realizzazione di nuovi insediamenti o
l’ampliamento di quelli esistenti, con il
conseguente consumo metrico e volumetrico.
Sul punto, del resto, la giurisprudenza ha
avuto modo di affermare l’incensurabilità,
in sede di legittimità, della determinazione
comunale delle caratteristiche dell’edificio
unifamiliare, stabilite in relazione ad un
criterio logico di abitabilità di un nucleo
familiare medio, ai fini dell’applicazione
dell’art. 9, lett. d), cit..
L’assunto di base della ricorrente è che la
previsione dell’art. 9, comma 1, lett. d),
della l. n. 10/1977 non costituisca una
deroga ai principi generali in materia di
concessione edilizia, ma anzi ne costituisca
una diretta applicazione, giacché solo le
attività comportanti trasformazione
urbanistica ed edilizia del territorio
comunale determinano la partecipazione del
realizzatore ai relativi oneri: in base a
tale regola, quindi, poiché in caso di
ampliamento di edifici unifamiliari entro il
20% non si avrebbe alcuna trasformazione del
territorio, del tutto logicamente la legge
ha previsto l’esonero dal contributo di
concessione.
Sempre secondo la ricorrente, se ne dovrebbe
dedurre l’impossibilità di utilizzare
ulteriori limitazioni, a pena, in caso
contrario, di stravolgere significato e
portata del testo normativo: nella vicenda
in esame, in cui, invece, tali limitazioni
ulteriori sono state utilizzate, avendo il
Comune fatto ricorso al D.M. n. 1444/1968 ed
all’art. 19 della l.r. n. 51/1975 per
decifrare la nozione di edificio “unifamiliare”,
l’operato dell’Amministrazione sarebbe
stato, perciò, illegittimo.
Tuttavia, l’esame della giurisprudenza in
argomento non conforta la tesi della
ricorrente e anzi fa ritenere che l’art. 9
della l. n. 10/1977, avendo introdotto in
una certa serie di ipotesi la figura della
concessione gratuita, rappresenti, invece,
una deroga al principio generale
dell’onerosità della concessione edilizia,
tanto è vero che l’indicazione delle
fattispecie di esonero dal versamento del
contributo di concessione ha carattere
tassativo (C.d.S., Sez. V, 06.02.2003, n.
617). Pertanto, le predette fattispecie di
esonero, inclusa quella ex art. 9, lett. d),
cit., sono di stretta interpretazione.
Ne discende che è legittimo cercare di
individuare e circoscrivere il contenuto
della nozione di “edifici unifamiliari”
ricorrendo, come ha fatto il Comune di
Appiano Gentile, a criteri estratti da altri
complessi normativi, con l’unico limite di
non stravolgere la portata della disciplina
da applicare.
Nel caso di specie, al contrario di quanto
sostenuto nel ricorso, nessun stravolgimento
della portata dell’art. 9, lett. d), della
l. n. 10/1977 si può ricavare dall’avere il
predetto Comune fatto ricorso agli artt. 3
del D.M. n. 1444/1968 e 19 della l.r. n.
51/1975 (quest’ultimo, nella versione
anteriore alle modifiche introdotte
dall’art. 6 della l.r. n. 1/2001), definendo
quali “edifici unifamiliari” quelli
la cui volumetria non superi i 100 mc. per
ciascun componente del nucleo familiare,
individuato attraverso l’Anagrafe comunale.
In particolare, dalle norme citate si ricava
che il valore medio, sulla cui base va
computata la capacità insediativa, è di 100
mc. per abitante.
Sembra, quindi, ragionevole l’utilizzo di
siffatto criterio anche ai fini della
definizione della nozione di “edifici
unifamiliari”, per il cui ampliamento
entro il 20% è prevista la gratuità della
concessione edilizia: ciò, in quanto, come
si è già detto, il principio è quello
opposto, dell’onerosità della concessione
stessa, inteso come dovere di contribuire
agli oneri connessi alla trasformazione del
territorio, per la realizzazione di nuovi
insediamenti o l’ampliamento di quelli
esistenti, con il conseguente consumo
metrico e volumetrico.
Sul punto, del resto, la giurisprudenza ha
avuto modo di affermare l’incensurabilità,
in sede di legittimità, della determinazione
comunale delle caratteristiche dell’edificio
unifamiliare, stabilite in relazione ad un
criterio logico di abitabilità di un nucleo
familiare medio, ai fini dell’applicazione
dell’art. 9, lett. d), cit. (così C.d.S.,
Sez. II, parere n. 1402 del 24.10.1984)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 26.04.2006 n. 1062 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
norma di cui all'art. 17, comma 3, lett. b),
del DPR 06.06.2001, n. 380, va riferita alle
costruzioni unifamiliari che hanno
destinazione residenziale, con esclusione
delle unità immobiliari che siano ricomprese
in più ampi edifici, quali i condomini,
caratterizzati dall'esistenza di parti e
servizi funzionalmente comuni. La norma, ai
fini della sua applicabilità, non richiede
il completo isolamento dell'edificio.
La ratio che ispira la specifica esenzione
(ndr: per gli edifici unifamiliari) è
infatti di derivazione sociale e pertanto la
nozione di edificio unifamiliare assunta
dalla norma non è nella sua accezione
strutturale ma socio-economica e coincide
con la piccola proprietà immobiliare
meritevole, per gli interventi di
ristrutturazione, di un trattamento
differenziato rispetto alle altre tipologie
edilizie.
Deve pertanto ritenersi irrilevante la
comunione di talune strutture portanti o di
qualche muro di confine e devono
conseguentemente essere considerate
unifamiliari, per tipologia obiettiva, anche
le case realizzate a schiera o in blocco ma
strutturalmente funzionalmente indipendenti.
Nel caso di specie l'edificio oggetto
dell'intervento è una tipica casa economica
che, per numero e funzione di vani,
superficie e volume è costruita per il
soddisfacimento delle esigenze di un solo
nucleo familiare.
Il Collegio ritiene che la norma di cui
all'art. 17, comma 3, lett. b), del DPR
06.06.2001, n. 380, vada riferita alle
costruzioni unifamiliari che hanno
destinazione residenziale, con esclusione
delle unità immobiliari che siano ricomprese
in più ampi edifici, quali i condomini,
caratterizzati dall'esistenza di parti e
servizi funzionalmente comuni.
La norma invece, ai fini della sua
applicabilità, non richiede il completo
isolamento dell'edificio.
La ratio che ispira la specifica
esenzione (ndr: per gli edifici
unifamiliari) è infatti di derivazione
sociale e pertanto la nozione di edificio
unifamiliare assunta dalla norma non è nella
sua accezione strutturale ma socio-economica
e coincide con la piccola proprietà
immobiliare meritevole, per gli interventi
di ristrutturazione, di un trattamento
differenziato rispetto alle altre tipologie
edilizie (cfr. Tar Lombardia, Milano, Sez.
II, 10.10.1996, n. 1480).
Deve pertanto ritenersi irrilevante la
comunione di talune strutture portanti o di
qualche muro di confine e devono
conseguentemente essere considerate
unifamiliari, per tipologia obiettiva, anche
le case realizzate a schiera o in blocco ma
strutturalmente funzionalmente indipendenti
(cfr. Tar Lombardia, Brescia, 01.03.1995, n.
185; id. 07.09.1999, n. 770).
Nel caso di specie, come risulta dalla
documentazione versata in atti, in relazione
alle caratteristiche dell'edificio oggetto
di ristrutturazione che mantiene la
destinazione residenziale ed ha in comune
solo un muro di confine con un'altra unità
immobiliare unifamiliare, mantenendo per il
resto completa autonomia funzionale con
ingressi autonomi e separati, ricorrono
pertanto i presupposti per l'applicazione
dell'esenzione di cui all'art. 17, comma 3,
lett. b), del DPR 06.06.2001, n. 380
(TAR Lombardia-Brescia,
sentenza 03.03.2006 n. 268 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AGGIORNAMENTO
AL 24.08.2011 |
ã |
NOVITA' NEL
SITO |
Inseriti nel sito i seguenti nuovi DOSSIER:
●
Condominio;
●
Distanze corsi d'acqua;
●
Distanze ferrovia;
●
Mobbing;
●
Prescrizioni P.d.C.. |
UTILITA' |
AMBIENTE-ECOLOGIA - ENTI LOCALI:
Disegno di legge A.S. n. 2887 "Conversione
in legge del decreto-legge 13.08.2011, n.
138, recante ulteriori misure urgenti per la
stabilizzazione finanziaria e per lo
sviluppo" :
►
Vol. I - Sintesi e schede di lettura;
►
Vol II - Le novelle;
►
Note di lettura. |
GURI - GUUE -
BURL (e anteprima) |
ENTI LOCALI: B.U.R.
Lombardia, serie ordinaria n. 34 del
22.08.2011, "Prevenzione del randagismo e
tutela della salute degli animali domestici"
(comunicato
regionale 16.08.2011 n. 90). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO:
G.U. 22.08.2011 n. 194 "Modifiche ed
integrazioni al decreto legislativo
27.10.2009, n. 150 in materia di
ottimizzazione della produttività del lavoro
pubblico e di efficienza e trasparenza delle
pubbliche amministrazioni, a norma
dell’articolo 2, comma 3, della legge
04.03.2009, n. 15" (D.Lgs.
01.08.2011 n. 141). |
APPALTI: G.U.
16.08.2011 n. 189 "Regolamento in materia
di attività di vigilanza e accertamenti
ispettivi di competenza dell’Autorità di cui
all’articolo 8, comma 3, del decreto
legislativo 163/2006" (AVCP,
provvedimento 04.08.2011). |
DOTTRINA E
CONTRIBUTI |
AMBIENTE-ECOLOGIA: S.
Di Rosa,
Ferragosto ... senza SISTRI. Il sistema di
controllo della tracciabilità dei rifiuti,
per il momento, è stato abrogato!!
(agosto 2011 -
tratto da
www.dirosambiente.it). |
ENTI LOCALI:
C. Rapicavoli,
La soppressione delle Province nella manovra
estiva - Decreto Legge 13.08.2011 n. 138
(link a www.ambientediritto.it). |
AUTORITA'
VIGILANZA CONTRATTI PUBBLICI |
APPALTI:
Regolamento in materia di attività di
vigilanza e accertamenti ispettivi di
competenza dell'Autorità per la vigilanza
sui contratti pubblici di lavori, servizi e
forniture di cui all'articolo 8, comma 3,
del D.Lgs 163/2006 (provvedimento
04.08.2011 - link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI:
Trasmissione dei dati dei contratti
pubblici di lavori, servizi e forniture -
settori ordinari e speciali - Uniformazione
delle soglie minime di importo (comunicato
del Presidente del 15.07.2011 -
link a www.autoritalavoripubblici.it). |
QUESITI &
PARERI |
EDILIZIA PRIVATA: Vincolo
paesaggistico/ Il sindacato dell'autorità
statale in materia di vincolo paesaggistico
può riguardare il riesame complessivo della
decisione del comune o deve limitarsi al
controllo di legittimità?
Il Consiglio di stato, sezione VI, con la
sentenza del 07.01.2008, numero 2, ha
affermato l'illegittimità del provvedimento
di annullamento preso dalla soprintendenza
per i beni artistici e culturali sulla base
di un diverso apprezzamento del modo e grado
di tutela del valore paesaggistico rispetto
a quello fatto dal comune in sede di
rilascio dell'autorizzazione, ponendo capo a
un apprezzamento del valore paesaggistico,
di cui assume la tutela, di segno opposto a
quello adottato dal comune «senza, peraltro,
scrivono i supremi giudici amministrativi,
l'enucleazione in concreto dei successivi
dichiarati vizi di difetto di motivazione e
di violazione di legge».
Nel caso esaminato dal consiglio di stato
con la summenzionata sentenza, il comune
aveva rilasciato un'autorizzazione per
l'abbattimento di alcuni alberi di olivo
alla condizione che fosse rilasciato un
filare ogni 40 metri e fosse presentata una
planimetria con l'indicazione dei filari da
rilasciare. L'autorità statale aveva
annullato il provvedimento e aveva
prospettato la diversa soluzione di non
abbattere, per una migliore tutela del bene
paesaggistico, gli alberi di ulivo, ma di
inserire filari di vite tra i filari degli
alberi di ulivo. Per i giudici, questa
soluzione fornita dalla soprintendenza è
frutto di una sovrapposta valutazione del
modo e del grado di tutela del valore
paesaggistico.
Ne consegue che, nella
fattispecie, lo stato può esercitare il
proprio controllo su tutti i profili di
legittimità, compreso l'eccesso di potere,
ma non entrare nelle valutazioni di merito.
E, a tal fine, il Consiglio di stato, con la
sentenza dell'08.02.2008, numero 408,
ha riscontrato la legittimità nel
provvedimento del ministero per i beni
culturali e ambientali, che aveva annullato
un'autorizzazione paesaggistica priva di una
adeguata motivazione, dalla quale poteva
emergere la ragionevolezza e la completezza
della compatibilità dell'intervento edilizio
progettato con i valori del paesaggio,
protetti dal vincolo ambientale .
In tema, si richiamano le sentenze del
Consiglio di stato, sezione VI, numero 5937,
del 21.10.2005, e numero 1844, del 22.04.2008, sempre della sezione VI
(articolo ItaliaOggi Sette del 22.08.2011). |
PUBBLICO IMPIEGO: Mobbing/
Sono un'operaia e lavoro in un grande
stabilimento, dove, per motivi di salute,
sono stata esonerata dallo svolgere
determinate mansioni. Il mio caporeparto mi
ha sottoposta, per un determinato periodo, a
trattamenti umilianti, degradanti e
vessatori; mi sono stati imposti ritmi di
lavoro insostenibili, rivolgendomi frasi
offensive e minacciando di trasferirmi in un
altro stabilimento, nel caso non avessi
seguito gli ordini.
Questi possono essere definiti trattamenti
vessatori? È mobbing? Io vorrei querelarlo,
ma non voglio fare passi falsi.
No, in questo caso è esclusa la
configurabilità di un reato.
La condotta del caporeparto non è penalmente
sanzionabile, a causa della mancanza di
apposita figura incriminatrice per
contrastare il mobbing sul posto di lavoro.
Nel nostro codice penale, infatti, non vi è
una specifica norma incriminatrice per
contrastare i comportamenti persecutori del
mobbing, realizzati ai danni del lavoratore
dipendente, in ambiente lavorativo, che si
sostanzia in una condotta che si protrae nel
tempo con le caratteristiche della
persecuzione finalizzata all'emarginazione
del lavoratore.
Ovviamente rimane la possibilità di
richiedere, per mezzo di un procedimento
civile, un risarcimento danni, per mobbing,
eventualmente patiti dal lavoratore, in
conseguenza di condotte e atteggiamenti
persecutori del datore di lavoro o del
preposto
(articolo ItaliaOggi Sette del 22.08.2011). |
CORTE DEI
CONTI |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Più tutele all'immagine della p.a..
Condanne erariali per danni derivanti da
qualsiasi reato. La Corte conti Toscana
disattende la tesi restrittiva sostenuta nel
2010 dalla Consulta.
La Corte dei conti può condannare per danno
all'immagine della p.a. derivante da
qualsiasi reato anche in assenza di sentenza
di condanna irreversibile.
È questa la
conclusione a cui è pervenuta la Corte dei
Conti, Sez. giur. della Toscana, con la
sentenza 02.08.2011 n.
277.
Il danno all'immagine della p.a. è stato ed
è tuttora al centro di un vivace dibattito
giurisprudenziale e dottrinale.
Oggi sembra prevalente l'opinione per cui il
danno all'immagine della p.a. è costituito
dalla lesione all'immagine, intesa come
credibilità e prestigio, conseguente a fatti
lesivi produttivi della lesione stessa, da
non confondersi con le spese necessarie al
ripristino dell'immagine stessa che
costituiscono solo uno dei possibili
parametri della quantificazione equitativa
del risarcimento.
Negli ultimi anni la Corte dei conti aveva
progressivamente esteso la propria azione
contestando il danno all'immagine della p.a.
non solo in caso di delitti contro la p.a.
ma anche in presenza di reati comuni e di
illeciti amministrativi o disciplinari.
Il legislatore è intervenuto stabilendo, con
l'art. 17, comma 30-ter, del dl 78/2009, che
le procure della Corte dei conti esercitano
l'azione per il risarcimento del danno
all'immagine nei soli casi e nei modi
previsti dall'art. 7 della legge 97/2001 il
quale a sua volta prevede che la sentenza
irrevocabile di condanna pronunciata nei
confronti di dipendenti pubblici (o
assimilati) per i delitti contro la p.a. è
comunicata al procuratore regionale della
corte dei conti affinché promuova
l'eventuale procedimento di responsabilità
per danno erariale salvo quanto disposto
dall'art. 129 delle norme di attuazione del
cpp secondo cui, tra l'altro, quando
esercita l'azione penale per un reato che ha
cagionato un danno per l'erario il pm
informa il procuratore presso la Corte dei
conti dando notizia dell'imputazione.
Dopo
l'entrata in vigore del dl 78/2009, si erano
formati sul tema sostanzialmente tre diversi
orientamenti secondo i quali la tutela del
danno all'immagine della p.a. sussiste: 1)
solo a seguito di reati contro la p.a. e non
per tutti i reati o per fatti illeciti che
non costituiscono reato; 2) in conseguenza
di qualsiasi reato dovendo ritenersi esclusa
solo in conseguenza di fatti illeciti non
costituenti reato; 3) nelle ipotesi indicate
al punto 2 con giurisdizione contabile solo
in caso di reato contro la p.a. e
giurisdizione ordinaria nel caso di diverso
reato. Sulla questione è intervenuta anche
la Corte costituzionale con la sentenza n.
355/2010 con la quale, giudicando infondata
la questione di legittimità costituzionale
sollevata, la stessa ha manifestato la
propria adesione alla prima opzione
interpretativa.
A tale sentenza, molto criticata in sede
dottrinale, in conseguenza della quale non
scatterebbe la tutela del danno all'immagine
della p.a. in presenza di reati odiosi quali
la violenza sessuale o lo spaccio di droga
commessi da pubblici ufficiali, si sono
allineate molte sezioni regionali della
Corte dei conti.
La sezione toscana ha invece affermato che
la sentenza della Corte costituzionale è una
sentenza di rigetto e che sia le sentenze di
rigetto che le sentenze interpretative di
rigetto non hanno, a differenza di quelle
dichiarative di illegittimità
costituzionale, efficacia erga omnes in
quanto determinano un vincolo solo per il
giudice del procedimento nel quale la
relativa questione è stata sollevata mentre,
negli altri procedimenti, il giudice
conserva il potere-dovere di interpretare,
in piena autonomia, la norma denunciata
sempre che il risultato ermeneutico risulti
adeguato ai principi espressi nella
Costituzione poiché l'interpretazione fatta
propria dalla Corte costituzionale riveste,
per il giudice diverso da quello a quo, solo
il valore di un precedente autorevole.
Partendo da tali considerazioni, a seguito
di una capillare disamina della normativa
indicata, la sezione toscana della Corte dei
conti accede alla seconda delle opzioni
interpretative indicate e conclude ritenendo
che l'art. 17, comma 30-ter, va interpretato
nel senso che esso non esclude la tutela del
danno all'immagine della p.a. derivante da
reato comune anche in assenza di sentenza di
condanna irreversibile.
Resta da capire se tale pronuncia, peraltro
non isolata e corroborata da una rilevante
dottrina conforme, avvierà un ripensamento
della magistratura contabile. Occorre
tuttavia evidenziare che la Corte
costituzionale, con ordinanza n. 219 del 21.07.2011, successiva alla pronuncia della
sezione toscana e precedente alla relativa
pubblicazione, ha sostanzialmente confermato
quanto riportato nella precedente sentenza
n. 355/2010 aggiungendo che la sentenza di
condanna per reati contro la p.a. deve
acquisire il crisma della definitività prima
che inizi il procedimento per l'accertamento
della responsabilità amministrativa
derivante dalla lesione dell'immagine della
p.a.
(articolo ItaliaOggi del 19.08.2011 -
tratto da www.corteconti.it). |
PUBBLICO IMPIEGO: Assistere
un disabile è un diritto senza vincoli.
Sezione Lombardia: gli oneri finanziari non
sono un ostacolo.
Il diritto del
lavoratore ad assistere un familiare
disabile, al ricorrere dei presupposti
richiesti dalla normativa in materia, non
può essere vincolato o limitato, dai paletti
in materia di spese per il personale. Il
lavoratore, in tali casi, è titolare di un
diritto potestativo alla concessione del
congedo retribuito per l'assistenza del
familiare disabile e questo, prescinde dal
fatto che gli oneri finanziari ricadono
sulla pubblica amministrazione. La stessa
p.a., in tali casi, deve coniugare il
rispetto di entrambi i vincoli, ovvero
quelli relativi alla spesa di personale e
quelli derivanti dalla concessione del
diritto del lavoratore all'assistenza del
familiare disabile.
Non ammette repliche la conclusione cui è
pervenuta la sezione regionale di controllo
della Corte dei conti della Lombardia, nel
testo del
del
parere 18.07.2011 n. 463,
con il quale ha fatto luce sul diritto in
capo ai lavoratori che promana dall'articolo
42 del dlgs n. 151/2001.
Sul punto, il sindaco del comune di Veduggio
con Colzano (Mb), richiedeva l'intervento
della Corte in quanto un dipendente ha
chiesto la concessione di un periodo di
congedo, ai sensi dell'articolo 42 del
citato dlgs, per assistere la madre inabile.
Il sindaco, nella richiesta di parere
osservava che, mentre per i lavoratori del
settore privato, l'onere derivante dalla
concessione del congedo è assunto dal
sistema previdenziale nazionale, per i
dipendenti pubblici, la spesa relativa è
posta a carico dell'amministrazione
concedente. Quindi, concludeva, alla luce
del quadro di contenimento delle spese di
personale e nell'impossibilità di procedere
ad una sostituzione temporale dello stesso
dipendente, il primo cittadino richiedeva se
la richiesta in questione dovesse essere
intesa come una facoltà ovvero come un
obbligo gravante sul comune.
Il collegio della magistratura contabile
lombarda ha fatto presente che, alla luce
delle disposizioni recate dal citato
articolo 42 e della sentenza n. 19/2009
della Corte costituzionale, ne deriva che il
dipendente comunale, in presenza dei
requisiti posti dalla normativa di settore,
è titolare di un diritto potestativo alla
concessione del congedo retribuito per
l'assistenza del familiare disabile.
Ne è prova il tenore letterale del citato
articolo 42, comma 5, secondo cui i soggetti
legittimati «hanno diritto a fruire del
congedo entro 60 giorni dalla richiesta.
Tutto questo, per la Corte, prescinde dal
fatto che sul piano contabilistico», gli
oneri finanziari continuino a gravare sulle
casse dell'amministrazione comunale, quale
datore di lavoro, in termini di spesa di
personale, con la conseguente necessità di
rispettare i relativi limiti.
In altri termini, si legge nel parere, tale
diritto spetta ala lavoratore in presenza
dei presupposti legali posti
dall'ordinamento (recentemente modificati
dalla legge n. 183/2010, meglio nota come
collegato lavoro). L'amministrazione è
tenuta solamente alla verifica dei
presupposti legittimanti la concessione del
congedo.
Infine, rileva il collegio, in tema di
rispetto dei limiti di spesa, il comune è
tenuto comunque a rispettarli, in ossequio
alla vigente disciplina di coordinamento
della finanza pubblica. Ma il rispetto di
tali limiti non può «degradare» nella
singola fattispecie, il diritto potestativo
del dipendente al congedo retributivo per
l'assistenza al familiare disabile.
Pertanto, in presenza dei presupposti di
legge, l'amministrazione è tenuta a
rispettare «simultaneamente» entrambe
le tipologie di vincoli, ovvero quelli di
finanza pubblica e quelli derivanti dal
diritto del dipendente all'assistenza al
familiare disabile
(articolo ItaliaOggi del 20.08.2011 -
tratto da www.ecostampa.it). |
CONSIGLIERI COMUNALI - ENTI LOCALI: CORTE
CONTI/ Le multe non sono condonabili.
Consiglieri, assessori e amministrativi a
rischio danno erariale. Per i giudici
campani la sanatoria del 2002 non si estende
alle sanzioni stradali.
Posto che le violazioni
al codice della strada non hanno natura di
tributo, a esse non possono essere applicate
le disposizioni relative al condono previsto
dalla legge n. 289/2002. Qualora l'ente
locale abbia dato comunque corso
all'agevolazione per tali tipologie di
sanzioni, attraverso apposite delibere, del
relativo danno erariale ne rispondono i
consiglieri comunali che hanno votato
favorevolmente, nonché i responsabili degli
uffici amministrativi che hanno istruito
l'iter e l'assessore comunale alle finanze,
per palese colpa grave desumibile
dall'adozione di atti che hanno privato
l'ente di entrate già previste, in chiaro
contrasto con le disposizioni di legge.
Lo precisa la Corte dei Conti della
Campania, nel testo della
sentenza 30.06.2011 n. 1231 con
la quale ha condannato i consiglieri
comunali pro tempore del comune di
Benevento, i funzionari tecnici e
amministrativi, nonché l'allora assessore
alle finanze, per aver avallato più
deliberazioni consiliari tendenti a
estendere le previsioni contenute
all'articolo 13 della legge n. 289/2002
anche alle violazioni al codice della strada
e, per di più, per anni successivi al 2003,
in contrasto con quanto disposto dalla norma
soprarichiamata.
Detta norma, infatti, precisa che «con
riferimento ai tributi propri, regioni,
province e comuni possono stabilire la
riduzione dell'ammontare delle imposte e
tasse loro dovute per le ipotesi in cui,
entro un termine appositamente fissato da
ciascun ente, i contribuenti adempiano a
obblighi tributari precedentemente non
adempiuti.
Per tributi propri si intendono quelli la
cui titolarità giuridica ed il cui gettito
siano integralmente attribuiti ai predetti
enti».
In sostanza, ha rilevato la Corte, la legge
ha posto due presupposti. Il primo, che per
l'avvio del condono è necessaria l'adozione
di atti normativi che regolamentino la
fattispecie. Il secondo, invece, fa leva sul
fatto che oggetto di tali disposizioni siano
esclusivamente le tipologie rientranti nella
nozione di tributi propri, cioè quelli la
cui titolarità giuridica e il cui gettito
siano integralmente dovuti agli enti
indicati dalla legge.
Da ciò, si legge nel testo, le delibere
consiliari adottate dal comune di Benevento,
estendendo il condono alle violazioni al
codice della strada, che non hanno natura di
tributo, (ne è palese la loro allocazione in
bilancio tra le entrate extratributarie)
sono da ritenere illegittimamente adottate,
sottolineando altresì l'ulteriore profilo di
illegittimità derivante dalla circostanza
che in ogni caso la facoltà prevista
dall'art. 13 della legge 289/2002 andava
riferita esclusivamente a periodi di imposta
antecedenti al 2003, data di entrata in
vigore della legge. Così operando, chi ha
dato corso a tale condono ha causato un
danno erariale alle casse comunali, in
quanto «vi sono state rilevanti minori
entrate per l'ente locale».
Passando all'individuazione dei soggetti che
hanno provocato il danno, la Corte campana
non ha dubbi sul ruolo dei consiglieri
comunali che hanno votato favorevolmente le
delibere consiliari in oggetto.
Allo stesso modo, pari negligenza esprime la
condotta dell'assessore comunale alle
finanze che ha proposto l'adozione delle
deliberazioni al consiglio comunale e quella
degli organi tecnici e amministrativi che,
con il loro parere favorevole, ne hanno
avallato le scelte regolamentari.
Per la Corte, comunque, «maggiore
efficacia causativa deve riconoscersi alla
condotta degli uffici amministrativi che,
con il loro parere favorevole, hanno
avallato le scelte del consiglio comunale ed
a quella dell'assessore al ramo che ha
proposto tali provvedimenti».
In particolare, il maggior danno è da
ascrivere al responsabile del settore
finanze, al segretario generale, al
coordinatore dell'ufficio tributi e al
direttore generale, in considerazione delle
competenze che l'ufficio tributi e i
dirigenti del settore finanze devono
esprimere, nonché dell'importante ruolo del
segretario generale cui grava la funzione di
collaborazione e di assistenza «giuridico-amministrativa
nei confronti degli organi dell'ente in
ordine alla conformità dell'azione
amministrativa alle leggi, allo statuto e ai
regolamenti»
(articolo ItaliaOggi del 20.08.2011 -
tratto da www.ecostampa.it). |
INCARICHI PROFESSIONALI: Con
il D.Lgs. 165/2001, la possibilità di
“esternalizzazione” di attività è stata
disciplinata con maggiore puntualità e
rigore, prevedendo (art. 7, comma 6) che
«per esigenze cui non possono far fronte con
personale in servizio, le amministrazioni
pubbliche possono conferire incarichi
individuali, con contratti di lavoro
autonomo, di natura occasionale o coordinata
e continuativa, ad esperti di particolare e
comprovata specializzazione anche
universitaria, in presenza dei seguenti
presupposti di legittimità:
a) l'oggetto della prestazione deve
corrispondere alle competenze attribuite
dall'ordinamento all'amministrazione
conferente, ad obiettivi e progetti
specifici e determinati e deve risultare
coerente con le esigenze di funzionalità
dell'amministrazione conferente;
b) l'amministrazione deve avere
preliminarmente accertato l'impossibilità
oggettiva di utilizzare le risorse umane
disponibili al suo interno;
c) la prestazione deve essere di natura
temporanea e altamente qualificata;
d) devono essere preventivamente determinati
durata, luogo, oggetto e compenso della
collaborazione».
- Dalla disciplina di riferimento emerge
l’obbligo per le Amministrazioni e gli Enti
pubblici di svolgere, di norma, i compiti
istituzionali avvalendosi del personale
interno. Tale regola è espressione del
principio costituzionale di buon andamento
della pubblica amministrazione ed è
strumentalmente volta ad assicurare
l'economicità dell’azione pubblica.
- Il conferimento degli incarichi di
consulenza a soggetti esterni rappresenta
un’opzione operativa percorribile solo in
presenza di speciali condizioni e,
segnatamente, laddove sussistano (e vengano
conseguentemente esternate nella motivazione
del pertinente provvedimento di
conferimento) i seguenti presupposti:
assenza di una apposita struttura
organizzativa ovvero una carenza organica
che impedisca o renda oggettivamente
difficoltoso l'esercizio di una determinata
funzione, da accertare per mezzo di una
reale ricognizione; complessità dei problemi
da risolvere che richiedono conoscenze ed
esperienze eccedenti le normali competenze
del personale; indicazione specifica dei
contenuti e dei criteri per lo svolgimento
dell'incarico; indicazione della durata
dell'incarico; proporzione fra il compenso
corrisposto all'incaricato e l'utilità
conseguita dall’Amministrazione.
- I profili di illegittimità degli atti
costituiscono un sintomo della dannosità per
l’erario delle condotte che all’adozione di
quegli atti abbiano concorso. In altri
termini, la non conformità dell’azione
amministrativa alle puntuali prescrizioni
che ne regolano lo svolgimento pur non
essendo idonea a generare, di per sé, una
responsabilità amministrativa in capo
all’agente, può assumere rilevanza allorché
quegli atti integrino una condotta almeno
gravemente colposa, foriera di un nocumento
economico per l’Amministrazione.
... Gli incarichi sopra indicati presentano
numerosi profili di difformità rispetto ai
parametri normativi che, in maniera cogente,
ne regolano i conferimenti.
Tali parametri, alla luce delle
argomentazioni sviluppate dalla locale
Sezione d’Appello (Sez. App. Sicilia
88/A/2009), sulla scorta di un consolidato
orientamento della Corte di Cassazione
(Sent. 19815/2008; Sent. 4511/2006; Ord.
19667/2003), secondo cui «gli enti
pubblici economici –soggetti pubblici per
definizione e che perseguono fini del pari
pubblici attraverso risorse di eguale
natura– svolgono dunque anch’essi attività
amministrativa», devono rinvenirsi, come
per tutte le amministrazioni ed enti
pubblici diversi dagli enti locali,
nell’art. 7, comma 6, del D.Lgs. 29/1993,
che prevedeva che «per esigenze cui non
possono far fronte con il personale in
servizio, le amministrazioni pubbliche
possono conferire incarichi individuali ad
esperti di provata competenza, determinando
preventivamente durata, luogo, oggetto e
compenso della collaborazione».
Con il D.Lgs. 165/2001, la possibilità di “esternalizzazione”
di attività è stata disciplinata con
maggiore puntualità e rigore, prevedendo
(art. 7, comma 6) che «per esigenze cui
non possono far fronte con personale in
servizio, le amministrazioni pubbliche
possono conferire incarichi individuali, con
contratti di lavoro autonomo, di natura
occasionale o coordinata e continuativa, ad
esperti di particolare e comprovata
specializzazione anche universitaria, in
presenza dei seguenti presupposti di
legittimità:
a) l'oggetto della prestazione deve
corrispondere alle competenze attribuite
dall'ordinamento all'amministrazione
conferente, ad obiettivi e progetti
specifici e determinati e deve risultare
coerente con le esigenze di funzionalità
dell'amministrazione conferente;
b) l'amministrazione deve avere
preliminarmente accertato l'impossibilità
oggettiva di utilizzare le risorse umane
disponibili al suo interno;
c) la prestazione deve essere di natura
temporanea e altamente qualificata;
d) devono essere preventivamente determinati
durata, luogo, oggetto e compenso della
collaborazione».
In definitiva, dalla disciplina di
riferimento emerge l’obbligo per le
Amministrazioni e gli Enti pubblici di
svolgere, di norma, i compiti istituzionali
avvalendosi del personale interno. Tale
regola è espressione del principio
costituzionale di buon andamento della
pubblica amministrazione ed è
strumentalmente volta ad assicurare
l'economicità dell’azione pubblica.
Il conferimento degli incarichi di
consulenza a soggetti esterni rappresenta
un’opzione operativa percorribile solo in
presenza di speciali condizioni e,
segnatamente, laddove sussistano (e vengano
conseguentemente esternate nella motivazione
del pertinente provvedimento di
conferimento) i seguenti presupposti:
assenza di una apposita struttura
organizzativa ovvero una carenza organica
che impedisca o renda oggettivamente
difficoltoso l'esercizio di una determinata
funzione, da accertare per mezzo di una
reale ricognizione; complessità dei problemi
da risolvere che richiedono conoscenze ed
esperienze eccedenti le normali competenze
del personale; indicazione specifica dei
contenuti e dei criteri per lo svolgimento
dell'incarico; indicazione della durata
dell'incarico; proporzione fra il compenso
corrisposto all'incaricato e l'utilità
conseguita dall’Amministrazione.
Detti presupposti sono cumulativi e,
soprattutto, devono essere oggettivamente
sussistenti.
Nella vicenda in esame i numerosi incarichi
sopra indicati risultano conferiti senza
rispettare le condizioni che legittimavano
l’impiego della speciale soluzione
gestionale. Ed, infatti, sulla base della
documentazione in atti:
- non risultano esplicitati i connotati di
alta specializzazione dei soggetti chiamati
a prestare ausilio all’Ente;
- non risulta essere stata compiuta alcuna
concreta verifica circa la sussistenza di
risorse interne, mediante una concreta
valutazione dei livelli di esperienza dei
dipendenti ed un apprezzamento del grado di
adeguatezza delle cognizioni specialistiche
dei medesimi per i realizzandi interventi;
- non vi è una congrua specificazione
dell’attività richiesta ai soggetti
incaricati;
- non sono stati esplicitati i parametri in
base ai quali sono stati quantificati i
compensi dei consulenti;
- non è rinvenibile alcun apprezzamento
della congruità della durata delle
prestazioni richieste.
Con specifico riferimento alla
indispensabile previa verifica di adeguate
professionalità interne, la difesa del
ricorrente ha contestato la completezza
della «istruttoria posta a sostegno della
richiesta della pubblica Accusa». La
doglianza, però, evidenzia un errore di
prospettiva.
La dimostrazione dell’insussistenza di
adeguate professionalità interne con le
quali far fronte alle esigenze
istituzionali, infatti, sarebbe dovuta
emergere, come risultato esplicito di una
indagine effettivamente compiuta, prima del
conferimento dell’incarico.
Pertanto, non gravava sulla Procura l’onere
di dimostrare che con il personale interno
poteva farsi fronte alle attività per le
quali erano stati conferiti incarichi a
soggetti esterni. In altri termini,
l’inottemperanza all’obbligo di legge di
verificare la sussistenza di una condizione
legittimante l’impiego di uno strumento
operativo, non rovescia sul soggetto che
quell’inottemperanza contesta, l’onere di
dimostrarne la ricorrenza. Quell’obbligo era
e continua ad essere riferibile,
esclusivamente, al soggetto che quella
verifica era chiamato a compiere prima di
conferire l’incarico.
Sulla Procura agente, quindi, incombeva
esclusivamente l’onere di constatare
l’insussistenza di quell’approfondimento di
carattere preliminare. E tale onere
probatorio risulta compiutamente assolto.
A tali profili invalidanti, afferenti i
singoli conferimenti di incarico, si
affianca, poi, un'altra anomalia alla quale
deve riconoscersi una non minore portata
inficiante.
Non può infatti essere sottaciuto che i
conferimenti sono stati operati senza
assicurare adeguata pubblicità alle esigenze
che giustificavano il ricorso a
professionalità esterne, senza, cioè,
avviare procedure che consentissero di
contemperare i principi generali della
trasparenza e del buon andamento con
l'esigenza dell’Ente, versante in una
condizione finanziaria oltremodo
deteriorata, di approvvigionarsi all’esterno
di apporti collaborativi a costi congrui,
frutto del fisiologico operare delle regole
della concorrenza.
Né, a diversa conclusione può pervenirsi
dando rilievo alle risultanze degli estratti
del protocollo interno, prodotti in udienza
dalla difesa del convenuto. Anche a voler
ritenere superabile l’opposizione
manifestata dalla Procura (sempre in sede di
trattazione orale della vertenza) alla
produzione documentale in ordine alla
mancanza di certezza della provenienza del
materiale, dai documenti prodotti non
emergono elementi valutativi che consentano
diversi apprezzamenti: le asserite relazioni
epistolari con altri soggetti che avrebbero
potuto svolgere l’incarico o con il soggetto
incaricato di svolgere l’incarico allo scopo
di ottenere una riduzione del compenso non
appaiono, infatti, corroborate da elementi
di riscontro idonee ad elevare il grado di
attendibilità delle affermazioni difensive
fino alla soglia della prova.
In proposito sembra opportuno evidenziare
che, secondo un orientamento
giurisprudenziale pressoché pacifico (cfr.,
ex multis, Corte conti, Sez.
Lombardia, 05.03.2007, n. 141; id., Sez.
App. III, 10.03.2003, n. 100/A; id., Sez.
Molise, 04.04.2002, n. 65/E), i profili di
illegittimità degli atti costituiscono un
sintomo della dannosità per l’erario delle
condotte che all’adozione di quegli atti
abbiano concorso.
In altri termini, la non conformità
dell’azione amministrativa alle puntuali
prescrizioni che ne regolano lo svolgimento
pur non essendo idonea a generare, di per
sé, una responsabilità amministrativa in
capo all’agente, può assumere rilevanza
allorché quegli atti integrino una condotta
almeno gravemente colposa, foriera di un
nocumento economico per l’Amministrazione.
Tale principio, certamente valevole come
enunciazione di sintesi deve comunque subire
un’operazione di attualizzazione e
specificazione, per tener conto dei
peculiari connotati dell’agire pubblico che,
di volta in volta, viene portato
all’attenzione del Giudice contabile.
Ebbene, tale operazione di taratura del
principio porta il Collegio a ritenere che
le plurime e qualitativamente significative
devianze dalle vincolanti prescrizioni di
riferimento in occasione dei conferimenti
degli incarichi di consulenza in precedenza
specificati integrano fatti dannosi per
l’erario dell’Ente.
A tale conclusione induce la considerazione
secondo la quale gli stringenti limiti al
conferimento degli incarichi a soggetti
esterni sono posti a garanzia del preminente
interesse alla corretta ed oculata
allocazione delle risorse, nonché a presidio
degli equilibri di finanza pubblica. La
preservazione di tali valori ha luogo, oltre
che attraverso la fissazione di tetti
quantitativi alla spesa, anche mediante
l’imposizione di vincoli di carattere modale
che definiscono condizioni e procedure che
legittimano l’esborso.
In tale peculiare contesto, il rispetto
delle limitazioni, per quanto di rilievo nel
presente giudizio, di carattere modale è
presupposto di legittimità della spesa
sostenuta per la remunerazione del
consulente: le lacune procedurali,
rilevabili per il tramite della motivazione
del provvedimento, quindi, non sono meri
vizi inficianti l’azione amministrativa con
rilevanza circoscritta alla sfera di
legittimità del provvedimento, ma si
riverberano anche sugli effetti economici
prodotti da questo, rendendo,
automaticamente, dannosa per l’erario la
conseguente spesa.
Tale ricostruzione è in linea con un
orientamento giurisprudenziale consolidato
sia in primo grado (tra le tante, più di
recente, Sez. Giur. Lazio Sent 06.05.2008,
n. 736; Sez. Giur. Sicilia Sent. 07.01.2008,
n. 185; Sez. Giur. Molise Sent. 28.02.2007,
n. 50; Sez. Giur. Sicilia Sent. 21.09.2007,
n. 2492; Sez. Giur. Veneto Sent. 03.04.2007,
n. 303; Sez. Giur. Calabria Sent.
30.08.2006, n. 672), che in grado di appello
(ex pluribus: Sez. I App Sent.
28.05.2008, n. 237; Sez. App. III Sent.
05.04.2006, n. 173; Sez. App. II Sent.
20.03.2006, n. 122; Sez. App. II Sent.
16.02.2006, n. 107; Sez. App. III Sent.
06.02.2006, n. 74 ; Sez. App. I Sent.
04.10.2005, n. 304; Sez. App. I Sent.
08.08.2005, n. 259; Sez. App. I Sent.
31.05.2005, n. 187; Sez. App. III Sent.
13.04.2005, n. 183; Sez. App. II Sent.
28.11.2005, n. 389).
In particolare, poi, tale indirizzo ha
ricevuto anche l’avallo della locale Sezione
d’Appello (cfr. Sent. 101/A/2010;
196/A/2009; 284/A/2008; 206/A/2008;
122/A/2008; 48/A/2007), la quale, dopo aver
evidenziato che le speciali condizioni
(rispondenza dell'incarico agli obiettivi
dell'ente; assenza di una apposita struttura
organizzativa della P.A. ovvero carenza
organica che impedisca o renda
oggettivamente difficoltoso l'esercizio di
una determinata funzione pubblica, da
accertare per mezzo di una reale
ricognizione; complessità dei problemi da
risolvere che richiedono conoscenze ed
esperienze eccedenti le normali competenze
del personale della P.A. o dell'ente
pubblico; indicazione specifica dei
contenuti e dei criteri per lo svolgimento
dell'incarico; indicazione della durata
dell'incarico, svolgimento da parte del
consulente privato di un'attività non
continuativa; proporzione fra il compenso
corrisposto all'incaricato e l'utilità
conseguita dall'amministrazione) che
legittimano il conferimento degli incarichi
di consulenza a professionisti esterni alla
P.A. «devono coesistere e, soprattutto,
devono essere oggettivamente sussistenti»,
ha affermato che, «nei rapporti
pubblicistici (…) si deve tenere conto dei
limiti posti dal legislatore all'azione
degli amministratori, soprattutto quando,
come nella specie, detti limiti mirano a
tutelare preminenti interessi pubblici,
quali quelli che si ricollegano alle
esigenze di equilibrio della finanza
pubblica in un momento di grave crisi
economico-finanziaria del paese. Pertanto,
quando, come nel caso in esame, il
legislatore pone agli amministratori
pubblici determinati vincoli di spesa,
ritenendo implicitamente non utile tutte
quelle spese che non rispettino i limiti da
esso posti, è sufficiente che la spesa si
effettui contra legem perché si realizzi il
danno».
L’illegittimità dei conferimenti degli
incarichi costituisce il presupposto di
antigiuridicità da cui è viziato il
comportamento dell’allora Commissario
dell’Ente Fiera e l’antecedente causale da
cui discende il danno erariale subito
dall’Ente pari alle somme che sono state
pagate per la remunerazione dei consulenti.
Tale condotta è imputabile quantomeno a
titolo di colpa grave. Il Commissario,
infatti, ha reiteratamente posto in essere
comportamenti espressivi, in base ad un
consolidato orientamento della
giurisprudenza di questa Corte (cfr. per
tutte, Sez. App. Sicilia 101/A/2010), di un
elevato grado di colpevolezza, e cioè
connotati da “evidenti e marcate
trasgressioni degli obblighi di servizio o
di regole di condotta che siano ex ante
ravvisabili e riconoscibili per dovere
professionale d’ufficio, e che, in assenza
di oggettive ed eccezionali difficoltà, si
materializzano nell’inosservanza del minimo
di diligenza richiesto nel caso concreto
ovvero in una marchiana imperizia o in una
irrazionale imprudenza” (SS.RR. n. 56/A
del 1997).
In definitiva, considerando che le
prescrizioni normative a cui doveva
imperativamente essere conformata la
condotta gestionale afferente l’impiego di
professionisti esterni erano di una
chiarezza tale non consentire alcun
ragionevole spazio di opinabilità
interpretativa e applicativa, deve ritenersi
che i reiterati e rilevantissimi scostamenti
dal solco della legittimità siano dipesi da
ingiustificabile leggerezza gestionale che
integra una condotta gravemente colposa
(Corte dei Conti, Sez. giurisdiz. Sicilia,
sentenza 29.04.2011 n. 1679 - link a
www.corteconti.it). |
INCARICHI
PROFESSIONALI: Comune:
presupposti per ricorrere a incarichi esterni da parte della
p.a..
La pubblica
amministrazione non può ricorrere a incarichi esterni ma
deve di norma perseguire i fini istituzionali utilizzando il
proprio personale, salvo che ciò non sia ragionevolmente
possibile, o perché l'attività che deve essere svolta
richiede un apporto professionale particolarmente elevato
sotto il profilo tecnico-scientifico, oppure perché, per
ragioni contingenti e transitorie (quali l'insufficienza del
personale in organico a far fronte al carico di lavoro),
anche compiti, che sarebbero normalmente assolti con
l'utilizzo della struttura interna, rendono viceversa
necessario avvalersi di personale esterno.
Questa la decisione della
Corte dei
Conti, Sez. giurisdiz. Sardegna,
sentenza 12.10.2006 n. 615.
La vicenda ha riguardato un
Comune che aveva affidato l’incarico ad un professionista
eterno all’ente per provvedere al riordino ed alla
riorganizzazione del Settore Lavori Pubblici con la finalità
da renderlo più razionale ed efficiente.
La pianta organica, approvata con deliberazione della Giunta
comunale, relativa alla struttura interessata era composta
da dieci unità di cui solo tre dell’area B, tra cui, un
dipendente dell’area D1, nominato responsabile del servizio
con funzioni dirigenziali, il cui incarico rientrante
nell'area delle posizioni organizzative, secondo il CCNL
siglato il 31.03.1999, prevedeva assunzione diretta di
elevata responsabilità di prodotto e di risultato e, tra
l'altro, svolgimento di funzioni di direzione di unità
organizzative di particolare complessità, caratterizzate da
elevato grado di autonomia gestionale e organizzativa.
Questo ha comportato, ad avviso della Corte, una
duplicazione, perché ha avuto ad oggetto lo svolgimento di
compiti che rientravano nell'attività ordinaria del
funzionario responsabile del Settore interessato,
concretizzandosi dunque un danno per l'amministrazione che
ha corrisposto il relativo compenso.
Pertanto, conclude la Sezione giudicante, deve ritenersi
palesemente contrario ad elementari principi di economicità
ed utilità della spesa il pagamento di un consulente per lo
svolgimento di un'attività già istituzionalmente affidata
alla cura di un funzionario comunale.
Riassumendo le indicazione della Corte dei Conti nella
presente sentenza, la pubblica amministrazione deve
ricorrere di norma al proprio personale; può affidare
incarichi esterni quando rispetta le seguenti prescrizioni:
● quando l’attività da svolgere richiede un apporto
professionale elevato sotto il profilo tecnico-scientifico;
● per ragioni contingenti e transitorie, come
l’insufficienza del personale in organico a far fronte al
lavoro;
● quando non comporti una duplicazione di attività che
dovevano essere svolte dagli uffici;
● se ha un oggetto determinato al fine di poter
concretamente apprezzare l'effettivo adempimento della
prestazione da parte del consulente e l'utilità della stessa
per l'amministrazione committente (link
a www.altalex.com). |
NEWS |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: MANOVRA
BIS/ La riduzione dei dirigenti fa rotta
sugli enti locali.
Il taglio al numero dei
dirigenti delle amministrazioni statali
rischia di lasciare senza presidio le
amministrazioni decentrate.
La combinazione tra eliminazione delle
province con meno di 300 mila abitanti,
connessa soppressione degli uffici
territoriali del governo aventi sede in quei
territori e obbligo di sfrondare le
dotazioni organiche dei dirigenti di almeno
il 10%, prevista dal dl 138/2011, pone
seriamente il problema del depauperamento
degli uffici statali periferici.
Infatti, la precostituzione della chiusura
degli uffici territoriali governativi è
oggettivamente una spinta a tagliare
prioritariamente proprio i posti
dirigenziali degli uffici che possono già
esser considerati «rami secchi». Un
colpo, insomma, all'efficienza delle
strutture amministrative decentrate che, al
contrario, proprio per effetto degli
accorpamenti dovrebbero risultare
potenziati.
Il fatto è che l'articolo 1, comma 3,
lettera b), della manovra estiva 2011-bis
nelle imporre alle amministrazioni statali,
ivi comprese le agenzie, di ridurre gli
uffici dirigenziali del 10% entro il
31.03.2012 non ha fornito alcun criterio
generale in base al quale le amministrazioni
interessate debbano procedere. Per la
verità, un criterio è indicato: il comma 4
del medesimo articolo 1 sanziona le
amministrazioni che non abbiano adempiuto
all'obbligo di tagliare i dirigenti col
divieto di procedere ad assunzioni di
personale a qualsiasi titolo e con qualsiasi
contratto; ma da tale divieto resteranno
esclusi gli incarichi dirigenziali a tempo
determinato, conferiti ai sensi
dell'articolo 19, commi 5-bis e 6, del dlgs
165/2001.
Proprio quelli il cui abuso da parte
dell'Agenzia delle entrate (ma, molto
diffuso in tutte le altre amministrazioni
pubbliche) è stato di recente stigmatizzato
e considerato illegittimo dal Tar Lazio, con
la sentenza della sezione II, 01.08.2011, n.
6884, che ha censurato l'inveterata
abitudine di assegnare gli incarichi
dirigenziali a contratto a funzionari
interni, senza concorso. Come dire che i
dirigenti di ruolo debbono essere ridotti,
mentre quelli «fiduciari» restano,
anche in deroga ai divieti di assunzione.
Una strana salvaguardia dei «dirigenti
precari», da parte di un legislatore che
ha, invece, negli ultimi tempi intrapreso
una lotta al precariato nella pubblica
amministrazione, anche imponendo
l'annullamento delle stabilizzazioni
dichiarate incostituzionali, ai sensi
dell'articolo 16, comma 8, della legge
111/2011
(articolo ItaliaOggi del 23.08.2011). |
PUBBLICO IMPIEGO: Donne, vecchiaia anticipata addio.
Dal 2012 statali in pensione a 65 anni come
gli uomini. La marcia verso la piena
equiparazione tra i sessi si completerà dal
2028 con il settore privato.
Donne senza più diritto a una pensione
anticipata di vecchiaia. Tempo 15 anni, e
l'equiparazione fra i due sessi, maschi e
femmine, settore pubblico e privato, sarà
completa. Si parte dal prossimo anno. Dall'01.01.2012, infatti, tutti gli impiegati
pubblici possono andare in pensione (di
vecchiaia) con uno stesso requisito d'età
(oltre al minimo di 20 di contributi): 65
anni, siano donne o uomini.
La differenza
resterà ancora per qualche tempo, invece,
solamente nel settore privato, dove le donne
potranno andare in pensione prima, a 60
anni, fino al 31.12.2015. Poi, dal
2016, scatterà pure lì la graduale salita
verso il tetto dei 65 anni, che verrà
raggiunto dopo 15 anni. In conclusione, dal
Capodanno del 2028, tutti i lavoratori,
maschi e femmine, pubblici impiegati e
dipendenti privati, andranno in pensione di
vecchiaia non prima di 65 anni di età.
La «vecchiaia» dal 2011.
Vecchiaia a 65 anni per tutti? Questo in
base a quanto dice la legge. Praticamente,
però, va tenuto presente il doppio gioco
della «speranza di vita» e della «finestra
mobile». Pertanto, l'effettiva età di
accesso alla pensione slitterà in avanti di
altri uno/due anni. Infatti, prima di tutto
va tenuto presente che la finestra mobile
innalza di un anno (66 anni) o di un anno e
mezzo (66 anni e 6 mesi) l'età di
pensionamento, rispettivamente, a dipendenti
e automi.
Poi va considerato che la
«speranza di vita», presumibilmente, nei 15
anni che ci distanziano dal 2028, apporterà
l'aggiunta di almeno un altro anno al
requisito d'età per la pensione. Insomma,
dal 2028 non è sbagliato immaginarsi che si
andrà in pensione di vecchiaia all'età di 68
anni, uomini e donne.
A parte queste considerazioni, nessuna altra
novità di effetto immediato è prevista dalla
manovra-bis (dl n. 138/2011 in vigore dal 13
agosto) sulle pensioni di vecchiaia.
Pertanto, resta fermo che dal 1° gennaio la
pensione di vecchiaia si ottiene con minimo
20 anni di contributi e l'età di 65 anni per
gli uomini, di 60 anni per le donne del
settore privato e di 61 anni per le donne
del pubblico impiego.
Dal 2012, poi,
comincerà la rivoluzione. Prima scatterà lo
«scalone» nel pubblico impiego, così che
tutti i dipendenti statali, femmine e
maschi, andranno in pensione di vecchiaia a
65 anni (in pratica, lo scalone è il
passaggio del requisito d'età per le donne
da 61 a 65 anni). Poi, dal 2016, grazie
all'anticipo della manovra bis, scatterà la
marcia verso i 65 anni per le donne nel
privato.
Una «finestra» nella scuola.
Qualcosa di «nuovo» comunque c'è nella
manovra-bis: è la novità di una «finestra»
di uscita anche al personale della scuola,
abitualmente esonerato dal posticipo delle
decorrenze delle pensioni. La novità entrerà
in vigore dal prossimo anno, cioè si
applicherà a chi maturerà i requisiti di
pensione dall'01.01.2012, e consiste in
questo: chi matura i requisiti in un anno
solare, andrà in pensione dall'anno
scolastico o accademico che inizia l'anno
solare seguente.
La novità dunque è il
posticipo di un anno (mese più, mese in
meno) dell'accesso alla pensione; fino a
tutto quest'anno, infatti, vale invece la
regola che, chi matura i requisiti per la
pensione in un anno solare, va in pensione a
partire dall'anno scolastico o accademico
dello stesso anno solare di maturazione dei
requisiti (chi riesce a maturare i requisiti
entro il 31.12.2011, potrà ancora
accedere alla pensione dal prossimo 1°
settembre).
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La finestra è mobile Ma anche più lunga.
A partire dall'01.01.2011 (per chi va in
pensione da tale data in poi), è in vigore
una diversa decorrenza delle pensioni, di
tutte le pensioni (anzianità, vecchiaia
ecc.). Al posto delle «finestre» rigide,
infatti, è diventata operativa la cosiddetta
«finestra mobile» o «a scorrimento», che
prevede la decorrenza del pensionamento non
ad epoche prestabilite (trimestre, semestre
ecc.), ma a distanze fisse e certe: dopo 12
mesi nel caso dei lavoratori dipendenti e
dopo 18 mesi nel caso dei lavoratori
autonomi. In particolare, le pensioni
decorrono dal primo giorno del mese
successivo alla scadenza dei predetti
termini.
Un esempio. I requisiti di
pensionamento vengono perfezionati entro il
corrente mese di agosto? La pensione
decorrerà dall'01.09.2012 al
lavoratore dipendente ovvero dall'01.03.2013 al lavoratore autonomo.
Altro esempio. Al lavoratore dipendente che
abbia raggiunto la «quota 96», con 36 anni
di contribuzione e 60 anni di età, il 30.06.2011, la pensione decorrerà dall'01.07.2012.
Cosa è cambiato rispetto al
passato? È cambiato che deve lavorare sei
mesi in più, perché con le vecchie regole
(vigenti fino al 2010), avrebbe ottenuto la
liquidazione del primo assegno di pensione
dall'01.01.2012.
Ancora un altro esempio. La lavoratrice
dipendente che ha compiuto 60 anni il 23.03.2011 avendo maturato 21 anni di
contributi, percepirà la sua prima pensione
il 1° aprile 2012; con le vecchie regole,
avrebbe già incassato il primo assegno di
pensione lo scorso mede di luglio 2011 e
invece deve lavorare dieci mesi in più.
Le cose stanno un poco peggio per chi vuole
andare in pensione con 40 anni di
contributi: l'attesa alla «finestra»,
infatti, è più lunga.
Dal prossimo anno, in particolare, chi
matura la pensione con il massimo dei
contributi (appunto, con i 40 anni di
servizio) dovrà lavorare un mese in più per
poter incassare il primo assegno di
pensione, ossia 13 mesi se è un lavoratore
dipendente 19 mesi se è lavoratore autonomo;
dal 2013 dovrà lavorare due mesi in più
(ossia, rispettivamente, 14 e 20 mesi) e a
partire dal 2014 tre mesi in più (ossia 15 e
21 mesi). Con questa misura, la manovra di
luglio (legge n. 133/2011) ha colpito, sul
triennio 2012/2014, circa 115 mila
lavoratori vicini alla pensione (80 mila
dipendenti e 35 mila autonomi).
La novità si applica a coloro che maturano
il requisito dei 40 anni dal prossimo anno
(2012); resta fuori pertanto chi i 40 anni
riesce a raggiungerli entro la fine del
2011, nonché speciali categorie di lavoro
nel limite di 5 mila unità
(articolo ItaliaOggi
Sette del 22.08.2011). |
PUBBLICO IMPIEGO: Pensioni,
il settore non conosce pace. Tutte le
riforme degli ultimi 30 anni.
Non c'è pace per le pensioni. E non soltanto
nel presente, anche se un primato in termini
di numero delle misure correttive, va
senz'altro riconosciuto all'attuale Governo.
Senza andare troppo indietro nel tempo, gli
ultimi 30 anni consegnano una storia fatta
di continue azioni di riforma del sistema
previdenziale.
Nel 1992 (riforma Amato) è stato introdotto
il graduale aumento dell'età di pensione di
vecchiaia, da 55 a 60 anni alle donne e da
60 a 65 agli uomini. Nel 1996 (riforma Dini)
è stato (re)introdotto il sistema di calcolo
contributivo delle pensioni; nel 2004
(riforma Maroni), l'età per la pensione di
anzianità è stata fatta salire in misura
graduale da 52 a 62 anni. Poi è stata la
volta delle «quote» sempre per la pensione
di anzianità (riforma Damiano), nel 2007,
con il Protocollo Welfare. Infine, nei
nostri giorni, le tre diverse riforme
targate Sacconi.
La prima, più incisiva e
strutturale, è arrivata con la manovra
estiva dell'anno scorso (legge n. 122/2010)
con un risparmio di soldi pubblici pari a 80
miliardi di euro (quasi 4 punti del pil) nei
prossimi 40 anni. Poi è stata la volta della
prima manovra 2011 (legge n. 111); infine,
la manovra-bis (dl n. 138/2011) tuttavia con
novità di scarso effetto immediato (salvo
per la scuola).
Il «peggio» sembra debba
ancora avvenire, a leggere le interviste
degli esponenti di maggioranza e opposizione
(articolo di pagina precedente), entrambi
d'accordo sul fatto che il sistema
previdenza abbia bisogno di ulteriori
accorgimenti. Insomma, bisogna abituarsi: si
può sapere con certezza quando (e se) si
comincia a lavorare, ma non quando (età) si
potrà smettere.
Unico tabù che ancora resiste è il traguardo
dei 40 anni di contributi, scampato
all'automatico incremento della «speranza di
vita», ma subito «corretto» con alcuni mesi
in più alla finestra mobile.
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Anzianità, avanti con le quote.
Nessuna novità dalla manovra-bis sulle
pensioni di anzianità. Almeno per ora,
perché dai rumors si capisce che potrebbe
arrivare anche un inasprimento della quota,
così da passare dall'attuale «96»
addirittura a «100» (si vedano anche le
interviste che precedono).
Riforme future a parte, dal 1° gennaio di
quest'anno la pensione è stata già coinvolta
in due novità: la nuova quota e la nuova
finestra mobile. Fino al 31.12.2010 è
rimasta vigente quota 95 per i dipendenti e
quota 96 per gli autonomi. Dall'01.01.2011 (e fino al 31.12.2012) si passa a
quota 96 (dipendenti) ovvero quota 97
(autonomi). Ciò significa che i lavoratori
dipendenti possono andare in pensione con un
minimo di 60 anni di età (e in tal caso
serve una contribuzione di almeno 36 anni)
oppure con un minimo di 35 anni di
contributi (in tal caso serve un'età di
almeno 61 anni); i lavoratori autonomi
possono andare in pensione con un minimo di
61 anni d'età (in tal caso serve una
contribuzione di almeno 36 anni) oppure con
un minimo di contributi di 35 anni (in tal
caso serve un'età di almeno 62 anni).
Per effetto della nuova finestra mobile,
però, l'effettiva epoca di accesso alla
pensione slitta in avanti di 12 mesi nel
caso di lavoratori dipendenti e di 18 mesi
nel caso di lavoratori autonomi. A proposito
di finestra, la prima manovra di quest'anno
l'ha allungata a chi va in pensione con il
massimo di contributi (40 anni). La novità
non tocca chi dovesse arrivare a 40 anni di
contributi entro fine anno perché si
applicherà a partire dal 1° gennaio 2012 (si
veda altro articolo)
(articolo ItaliaOggi del 22.08.2011). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: Adempimenti ambientali leggeri.
In partenza le semplificazioni per le
piccole e medie imprese. Un dpcm rende soft
il regime burocratico per lo scarico delle
acque reflue e le emissioni acustiche.
Regime burocratico soft per scarico delle
acque reflue ed emissioni acustiche.
Con l'approvazione definitiva dell'atteso
decreto sulle semplificazioni degli
adempimenti ambientali da parte del
consiglio dei ministri dello scorso 28
luglio sarà più facile per le piccole e
medie imprese a ridotto impatto
sull'ecosistema essere in linea con la
disciplina prevista dal codice ambientale
(decreto legislativo 152/2006) e dalla legge
nazionale antirumore (legge 447/1995).
Il nuovo provvedimento, predisposto nella
forma di decreto della presidenza della
repubblica in attuazione del dl 78/2010 (il
decreto d'urgenza in materia di
competitività economica) prevede
l'assimilazione delle acque reflue derivanti
da determinate attività produttive agli
scarichi domestici, il rinnovo tramite
semplice autocertificazione delle relative
autorizzazioni in scadenza, la deflazione
burocratica nella procedura di verifica
dell'impatto acustico delle attività a bassa
rumorosità.
Imprese interessate.
Due i requisiti che le imprese dovranno
avere per godere delle semplificazioni:
rientrare nei limiti dimensionali recati
dall'articolo 2 del dm Attività produttive
18.04.2005; soddisfare i parametri di
limitato impatto ambientale stabiliti dal
nuovo dpr in itinere.
Sotto il primo profilo, ad accedere alle
semplificazioni saranno le imprese che
autocertificheranno di avere meno di 250
occupati e un fatturato non superiore a 50
milioni di euro (o un bilancio annuo non
oltre i 43 milioni di euro).
Sotto il secondo profilo, le pmi dovranno
rientrare in una delle categorie produttive
indicate dal nuovo dpr per accedere alle
singole fattispecie di semplificazione.
Assimilazione scarichi.
Saranno equiparate a quelle «domestiche»,
con l'applicazione del più snello iter autorizzatorio a queste riservato dal codice
ambientale, le acque reflue delle pmi prive
alla fonte di determinate sostanze in
quantità superiore alle soglie fissate dagli
allegati tecnici al dpr in parola.
Della
stessa assimilazione godranno le acque
reflue provenienti da particolari tipologie
di piccole e medie imprese (tra cui quelle
turistiche, scolastiche, sportive,
artigianali con ridotte emissioni, di
ristorazione, di vendita al dettaglio, di
ricreazione) e quelle generate da
insediamenti in cui si svolgono attività di
produzione di beni e prestazione di servizi
i cui scarichi terminali derivano
esclusivamente da servizi igienici, cucine e
mense.
Rinnovo autorizzazione.
Gli scarichi aziendali privi di sostanze
pericolose e non soggetti a modifiche
quali/quantitative (come volume delle acque,
sostanze in esse contenute) potranno
ottenere il rinnovo dell'autorizzazione
(quadriennale) presentando solo sei mesi
prima della scadenza (in luogo del canonico
anno previsto dal dlgs 152/2006) una
semplice autocertificazione ex dpr 445/2000
integrata dai dati chiesti dal nuovo
decreto.
Documentazione inquinamento acustico. Le
attività commerciali ed artigianali
considerate «a bassa rumorosità»
(sostanzialmente affini alle categorie di
attività più sopra esposte, escluse quelle
di ristorazione e ricreazione che utilizzano
impianti di diffusione sonora) saranno
esentate dal presentare alle pubbliche
autorità la «documentazione di impatto
acustico» prevista dalla legge 447/1995.
Gli altri commercianti ed artigiani che non
supereranno comunque i limiti di emissione
stabiliti dalla classificazione acustica
comunale (o quelli previsti dal dpcm 14.11.1997) avranno invece la facoltà di
presentare una autocertificazione in luogo
della citata «documentazione di impatto
acustico».
Interfaccia unica.
Autocertificazioni, richieste di rinnovi e
altre istanze connesse al nuovo regime
«light» dovranno dai titolari delle imprese
interessate essere inoltrate allo «Sportello
unico per le attività produttive», meglio
noto con l'acronimo «Suap», istituito
dal decreto del presidente della repubblica
del 07.09.2010, n. 160
(articolo ItaliaOggi del 22.08.2011). |
APPALTI: MANOVRA
BIS/ Codice appalti per le public utility.
Acquisto di beni e servizi solo attraverso
gare pubbliche. Con la manovra scatta
l'obbligo di creazione di appositi uffici
per la gestione di tutti gli adempimenti.
Public utility obbligate
a bandire gare pubbliche per l'acquisto di
beni o servizi e, comunque, ad applicare per
intero il codice dei contratti pubblici.
Lo prevede il decreto sulla manovra
economica bis (decreto legge 138/2011), che
interviene sull'intero comparto dei servizi
pubblici locali. Ma vediamo di illustrare la
novità, che obbligano le public utility
anche a creare uffici ad hoc per
gestire le gare e tutti i relativi pesanti
adempimenti (dalla pubblicazione del bando
al contenzioso).
Rischia di sfumare la possibilità di gestire
con gli strumenti del diritto privato (e
senza vincoli pubblicistici) l'acquisizione
di beni e servizi. L'articolo 4, comma 15,
del citato decreto prevede che le società
cosiddette «in house» e le società a
partecipazione mista pubblica e privata,
affidatarie di servizi pubblici locali,
applicano, per l'acquisto di beni e servizi,
le disposizioni di cui al decreto
legislativo 12.04.2006, n. 163.
Si tratta del codice dei contratti pubblici,
che disciplina le varie forme di affidamento
dei pubblici contratti, nel rispetto delle
regole di concorrenza e pubblicità, a
partire proprio dalla gara pubblica o
comunque di procedure rispettose del
principio della par condicio tra le imprese.
L'assoggettamento alle regole del codice dei
contratti pubblica comporta l'impossibilità
di ricorrere senza alcun vincolo al libero
mercato. Il soggetto tenuto alla
applicazione del codice dei contratti deve,
infatti, muoversi all'interno delle griglie
che relegano la trattativa privata a una
posizione residuale.
Deve, quindi, applicare le procedure
pubbliche, ristrette o negoziate, a seconda
dei casi con pubblicazione dei bandi (se
previsto) oppure può ricorrere alle
procedure in economia o cottimo fiduciario.
L'assoggettamento alle regole del codice dei
contratti significa avere personale
preparato, in grado di scrivere le gare e di
gestire i vari passaggi procedurali,
compresi quelli relative alle fasi
precontenziose e contenziose di recente
modificate dal codice del processo
amministrativo (dlgs 104/2010).
Si tratta di passaggi procedurali in cui la
società deve individuare responsabili del
procedimento, seggio di gara, commissioni
aggiudicatrici e deve curare tutti gli
adempimenti connessi, dalle determinazioni a
contrarre, alla pubblicazione dei bandi di
gara (a seconda dei casi sulla gazzetta
ufficiale, anche europea), alle
comunicazioni e agli avvisi, ai rapporti con
l'autorità di vigilanza sui contratti
pubblici (dalla richiesta del cig alle
segnalazioni di notizie negative sul conto
delle imprese concorrenti o esecutrici).
Inoltre si applicano le regole sulla
tracciabilità dei pagamenti e sulla
indicazione del cig sui documenti di
pagamento.
Tutto ciò, in base al decreto sulla
manovra-bis, è a carico che delle società
cosiddette «in house» e delle società
a partecipazione mista pubblica e privata,
affidatarie di servizi pubblici locali.
Tutte le società che gestiscono servizi
pubblici locali devono applicare il codice
dei contratti pubblici. E se questa
disciplina non pone problemi per la società
in house, che rappresentano il braccio
operativo dell'ente pubblico, il quale
esercita sulle stesse un controllo analogo a
quello esercitato su un proprio ufficio,
forti ripercussioni si avranno invece sulle
società miste, in cui vi è la presenza di un
socio privato. Tra l'altro, molto spesso,
nella prassi ci si aspetta che la società
mista possa costituire uno strumento per
operare in maniera più snella, a partire
dalla deroga alle regole della evidenza
pubblica per l'acquisizione di beni e
servizi.
La società mista che gestisce un pubblico
servizio (public utility) è, invece, sotto
questo profilo interamente equiparata
all'ente pubblico. Di questo occorrerà darne
conto, con una disposizione chiarificatrice,
all'interno dei contratti di servizio tra
ente e public utility; inoltre l'ente
committente deve esercitare attività di
vigilanza e controllo sul rispetto del
codice dei contratti da parte della società
mista.
Va sottolineato, comunque, che l'articolo 4,
comma 15, del decreto 138/2011 fa
riferimento espresso ai contratti di
acquisizione di beni e servizi, mentre non
si riferisce, almeno sul piano letterale,
alla aggiudicazione di contratti relativi a
lavori.
In conseguenza dell'articolo 4, comma 15,
citato si allarga la platea dei soggetti
tenuti all'applicazione del codice dei
contratti pubblici.
A tale proposito si deve ricordare che il
decreto 131/2011 ricomprende le società in
house nell'ambito pubblico anche per un
altro profilo: le società cosiddette «in
house» affidatarie dirette della
gestione di servizi pubblici locali sono
assoggettate al patto di stabilità interno
secondo le modalità che saranno definite con
decreto ministeriale.
Gli enti locali dovranno vigilare
sull'osservanza, da parte delle società in
house al cui capitale partecipano, dei
vincoli derivanti dal patto di stabilità
interno
(articolo ItaliaOggi del 20.08.2011). |
ENTI LOCALI: MANOVRA
BIS/ Piccoli comuni, fondersi conviene.
Incentivi, nessuna soglia demografica e più
autonomia. La strada della fusione, già
prevista dal Tuel, offre più chance rispetto
all'unione municipale.
Per i piccoli comuni è più conveniente
scegliere la via dell'accorpamento
volontario mediante fusione, secondo il
procedimento già previsto nel Testo unico
sugli enti locali (dlgs n. 267/2000)
piuttosto che farsi imporre dall'alto la
costituzione dell'unione municipale prevista
dalla manovra di Ferragosto. In entrambi i
casi il risultato è una razionalizzazione
della struttura organizzativa comunale.
Tuttavia, i succitati processi, allo stato
attuale alternativi per le autonomie locali,
presentano talune differenze salienti.
Mentre nel primo caso sono previsti una
serie di incentivi economici, sia regionali
che statali da devolvere alle comunità
locali e ai comuni scaturiti dal processo di
fusione, nel secondo caso, non sono
programmate alcune contribuzioni volte a
superare la ritrosia e la contrarietà delle
comunità locali d'origine. Al contrario,
sono previsti strumenti coercitivi volti a
valicare l'inerzia delle amministrazioni
comunali. Se il decreto legge 13.08.2011 n.
138, dovesse essere convertito così com'è in
legge ordinaria, si verrebbero a delineare
due diversi processi di accorpamento dei
comuni di modeste dimensioni demografiche e
territoriali.
Un processo di fusione vero e proprio, di
cui agli artt. 15 e 16 del Tuel, rimesso
alla libera autonomia degli enti locali, e
rispetto al quale sussiste una riserva di
legge regionale, nonché un processo di
semplificazione, di fatto un accorpamento,
imposto dall'alto. Processo quest'ultimo
previsto dall'art. 16 della manovra-bis.
Nelle more dell'attuazione della recente
riforma volta al contenimento della spesa
pubblica, le amministrazioni dei comuni con
popolazione pari o inferiore ai 1.000
abitanti, sono pertanto chiamate a valutare
quale tra i due sopra citati istituti sia il
più conveniente, il più proficuo.
Non solo. I comuni che non volessero optare
per la fusione volontaria, ostentando una
certa sagacia, dovrebbero focalizzare
l'attenzione sui margini di autonomia
riservata loro da testo normativo al vaglio
del parlamento e trarne i relativi vantaggi.
Invero, in ossequio al criterio-guida di
contiguità territoriale, che peraltro
accomuna entrambe i processi oggetto di
argomentazione, i comuni interessati si
trovano nelle condizioni di poter scegliere
gli enti locali contigui con cui dialogare e
negoziare circa la costituzione dell'Unione
municipale.
Indubbiamente, i governi locali si trovano,
oggi, a dover prendere una decisione: dare
inizio con fermezza, a un procedimento di
unificazione volontaria prendendo a modello
i processi di fusione già verificatosi in
Italia, o al contrario attendere i risvolti
di una riforma normativa varata con
decretazione d'urgenza, che rinvia a un
successivo regolamento governativo.
Una cosa è certa: laddove messi a confronto
i due istituti giuridici, emerge sembra
ombra di dubbio come il processo di fusione
volontaria presenti grandi potenzialità.
In merito, si consideri inoltre come per le
Unioni municipali la popolazione complessiva
residente nel territorio, deve essere pari
almeno a 5 mila abitanti, salvo diversa
soglia demografica individuata con delibera
della giunta regionale. Al contrario,
nell'ipotesi di processo di unificazione
volontaria, non sono pianificati limiti
demografici.
Concludendo, un aspetto deve essere chiaro:
mentre il processo di fusione volontaria di
cui al dlgs 12.08.2000, n. 267, sfocia nella
creazione di un'unica entità pubblica
territoriale, ovvero in un nuovo comune, il
recente disposto normativo conduce più a un
«ente locale di secondo livello», che
fa salvi gli enti locali di origine, se pur
ridimensionati nella loro compagine
organizzativa. Tanto è vero che la figura
del sindaco permane quale unico organo di
governo, mentre giunta e consiglio comunale
sono soppressi
(articolo ItaliaOggi del 20.08.2011 -
tratto da www.ecostampa.it). |
PUBBLICO IMPIEGO: MANOVRA
BIS/ Stop alla buonuscita per due
anni. Liquidazione dopo 24 mesi in caso di
cessazioni anticipate. Blocco per tutti i
dipendenti pubblici. Salvo il personale
della scuola in pensione entro dicembre.
La buonuscita può
attendere. Due anni, per la precisione. Che
si riducono a sei mesi se la cessazione del
rapporto avviene per raggiunti limiti d'età
o per anzianità massima di servizio. La
novità tocca i dipendenti pubblici che
lasciano l'impiego dal 13 agosto 2011 o che
da tale data maturano i requisiti per la
pensione anticipata. Una clausola di
salvaguardia è prevista per il personale
della scuola fino a fine anno. Infatti, a
chi matura i requisiti per la pensione entro
il 2011 la liquidazione avverrà con le
vecchie regole (subito o al massimo entro
sei mesi).
Lo stabilisce l'articolo 1, commi 22 e 23,
del dl n. 138/2011.
Nuovo sacrificio per gli
statali.
La crisi non passa e, dunque, un nuovo
sacrificio è chiesto agli statali. Dopo che
con la manovra del 2010 (legge n. 122) ne è
stato fissato il pagamento a rate (oltre i
90 mila euro), la buonuscita adesso viene
assoggettata a una attesa fino a 24 mesi per
l'erogazione.
La misura colpisce tutti i dipendenti
pubblici: di amministrazioni dello stato;
istituti e scuole; aziende statali; regioni,
province, comuni, comunità montane, consorzi
e loro associazioni; istituzioni
universitarie; istituti autonomi case
popolari; camere di commercio e loro
associazioni; enti pubblici non economici;
amministrazioni, enti e aziende del servizio
sanitario nazionale.
I nuovi termini.
La novità è introdotta con una modifica
della disciplina vigente dal 1997 (legge n.
140/1997) e che fissa diversi termini di
pagamento della buonuscita, a seconda delle
cause di cessazione dal servizio.
In tabella le singole ipotesi aggiornate
dalla manovra-bis. In buona sostanza, la
novità è l'attesa più lunga da sei a 24 mesi
nelle ipotesi di prepensionamento e di
cessazioni per altri motivi, nonché
l'introduzione di un termine di sei mesi
(prima inesistente) per i pensionamenti
ordinari. Dal 13 agosto il pagamento
avviene:
● entro 105 giorni dalla cessazione dal
servizio per inabilità o decesso del
dipendente;
● non prima di 180 e non oltre 270 giorni
dal collocamento a riposo per limiti d'età o
di servizio e per collocamento a riposo
d'ufficio per anzianità massima di servizio,
maturati dal 13 agosto (se maturati entro il
12.08.2011, il termine è di 105 giorni);
● non prima di 24 mesi e un giorno e non
oltre 24 mesi e 90 giorni dalla cessazione
dal servizio in ogni altra ipotesi
(dimissioni, licenziamento, etc.)
verificatasi dal 13 agosto (se verificatasi
entro il 12.08.2011, il termine è tra 181 e
270 giorni).
Una deroga è prevista per il personale della
scuola: a quello che matura i requisiti di
pensionamento entro il 31.12.2011 continua
ad applicarsi la vecchia disciplina. In tal
caso, la buonuscita è erogata tra 181 e 270
giorni se relativa a una qualsiasi causa di
cessazione; nel termine di 105 giorni se
relativa al collocamento a riposo per limiti
d'età o di servizio oppure per collocamento
a riposo d'ufficio per anzianità massima di
servizio
(articolo ItaliaOggi del 20.08.2011 -
tratto da www.ecostampa.it). |
PUBBLICO IMPIEGO: MANOVRA BIS/ Disabili, rispetto quota più
facile.
Le compensazioni diventano automatiche e su
base nazionale. La manovra allenta gli obblighi
di assunzione ampliando la platea anche ai
gruppi d'impresa.
Compensazioni automatiche per la quota
obbligatoria di disabili. Infatti, le
imprese non devono più richiedere
l'autorizzazione per effettuare il compenso
tra assunzioni di disabili effettuate in
diverse sedi provinciali, dove in più e dove
in meno rispetto alla quota obbligatoria.
Tale possibilità, adesso, opera
automaticamente, a livello nazionale e non
solo in un'impresa ma anche a favore di
gruppi di imprese.
A prevederlo è l'articolo
9 della manovra-bis che modifica la legge n.
68/1999 ed estende, inoltre, la
compensazione anche ai datori di lavoro
pubblici, ma previa autorizzazione e su base
regionale.
Compensazione territoriale. Le imprese
aventi aziende o unità locali dislocate in
diverse sedi provinciali possono effettuare
una «compensazione territoriale»
dell'obbligo di assunzione di disabili. In
particolare possono effettuare in una o più
sedi assunzioni di disabili in numero
superiore a quello fissato dalla legge
portando la quota eccedente (di assunzioni
di disabili) a compenso del minor numero di
assunzioni di disabili effettuate in altre
sedi.
Fino al 12 agosto scorso, le imprese
con un numero di dipendenti fino a 50
potevano valutare liberamente in quale sede
effettuare la quota eccedente di assunzioni
da compensare; quelle con un numero di
dipendenti inferiore a 50, invece, erano
prima tenute a richiedere, e quindi a
ottenere, una specifica autorizzazione.
Compensazioni automatiche. È su questa
disciplina che interviene la manovra-bis,
stabilendo l'automaticità delle
compensazioni per tutte le aziende e con
riferimento all'intero territorio nazionale.
In particolare, la nuova norma del comma 8,
dell'articolo 5, della legge n. 68/1999
stabilisce che l'obbligo di assunzione di
disabili va rispettato a livello nazionale e
che, ai fini del rispetto di tale obbligo, i
datori di lavoro privati che occupano
personale in diverse unità produttive,
nonché i datori di lavoro privati di imprese
che sono parte di un gruppo possono assumere
in un'unità produttiva o in un'impresa del
gruppo avente sede in Italia, un numero di
lavoratori disabili (aventi cioè diritto al
collocamento mirato) superiore a quello
prescritto portando in via automatica
l'eccedenza a compenso del minor numero di
lavoratori (disabili) assunti nelle altre
unità produttive o nelle altre imprese del
gruppo aventi sede in Italia.
In sostanza,
dallo scorso 13 agosto non serve più
richiedere l'autorizzazione, perché la
compensazione opera in via automatica a
livello nazionale e opera non solo nei
confronti delle imprese ma anche dei gruppi
di imprese.
Il prospetto. C'è unico adempimento da
osservare, in caso di utilizzo della nuova
compensazione automatica. E cioè la
trasmissione, in via telematica, del
«prospetto informativo» a ciascuno dei
servizi competenti delle province in cui
sono presenti le unità produttive
dell'impresa o le sedi delle diverse imprese
facenti parte del gruppo, dal quale dovrà
risultare l'adempimento dell'obbligo a
livello nazionale sulla base dei dati
riferiti a ciascuna unità produttiva ovvero
a ciascuna impresa appartenente al gruppo.
Il prospetto, dopo la legge n. 133/2008, è
dovuto ogni anno entro il 31 gennaio dai
datori di lavoro, pubblici e privati, che
occupano a livello nazionale almeno 15
dipendenti e che siano stati interessati da
modifiche, avvenute entro il 31 dicembre
precedente, alla situazione occupazionale
tali d'aver modificato l'obbligo o la quota
di riserva.
Compensazione anche nel pubblico.
Infine, ultima novità riguarda l'estensione
della possibilità di compensazione al
settore del pubblico impiego. In
particolare, il nuovo comma 8-ter che la
manovra-bis ha introdotto all'articolo 5
della legge n. 68/1999 prevede che i datori
di lavoro pubblici possano essere
autorizzati, su loro motivata richiesta, ad
assumere in unità produttiva un numero di
lavoratori aventi diritto al collocamento
obbligatorio superiore a quello prescritto,
portando le eccedenze a compenso del mino
numero di lavoratori assunti in altre unità
produttive della medesima regione
(articolo ItaliaOggi del 19.08.2011). |
ENTI LOCALI: MANOVRA-BIS/ Sindaci in
rivolta: inutile l'accorpamento dei
mini-enti. Il 29 agosto a Milano la
mobilitazione dell'anci contro la
cancellazione di giunte e consigli.
Fra le misure più eclatanti contenute nella
manovra-bis va certamente annoverata quella
che mira ad inglobare i micro-comuni nelle
neo-istituite «unioni municipali». La
relativa disciplina, tuttavia, solleva non
pochi interrogativi, oltre a presentare
qualche possibile profilo di illegittimità
costituzionale. Ed è stata ufficialmente
bocciata dall'Anci che ha annunciato una
mobilitazione a Milano il 29 agosto.
A
guidare la protesta il sindaco di Varese e
presidente dell'Anci Lombardia, Attilio
Fontana. Secondo il primo cittadino leghista
la misura «non porterà reali benefici ai
conti dello stato e non abbatterà gli
sprechi della politica, visto che si parla
per i consiglieri comunali di gettoni di
presenza da 17 euro lordi a seduta per 3-4
sedute l'anno, e per gli assessori di 130
euro al mese, che spesso non vengono neanche
ritirati ma lasciati in comune».
L'Anpci,
l'altra associazione rappresentativa
dell'universo dei piccoli comuni, ha provato
a fare due calcoli sui risparmi generati
cancellando giunte e consigli negli enti
sotto i 1.000 abitanti. Si tratta di 11,6
milioni di euro in tutto, ossia quanto
spende lo stato in un anno per mantenere 26
deputati. Un costo che, diviso per il numero
di residenti (1 milione e centomila
abitanti) nei 1.963 comuni a rischio, grava
su ogni cittadino amministrato per 10,62
euro l'anno. Poca cosa, fanno notare i
sindaci dei piccoli comuni, rispetto agli
sprechi dei palazzi della politica romana.
Le norme della manovra. L'art. 16, c. 1, del
dl n. 138/2011 dispone che, a decorrere
dalla prossima tornata elettorale, nei
comuni con popolazione pari o inferiore a
1.000 abitanti, il sindaco divenga il solo
organo di governo, sopprimendo la giunta ed
il consiglio comunale. Tutte le funzioni
amministrative, in base alla norma citata,
dovranno essere esercitate obbligatoriamente
in forma associata con altri comuni
contermini con popolazione pari o inferiore
a 1.000 abitanti mediante la costituzione
dell'unione municipale.
Si tratta di un
intervento assai più forte di quello
contenuto nella manovra estiva 2010 (d.l.
78) e rilanciato dal d.l. 98/2011, che si
erano limitati ad imporre ai «comuni
polvere» l'obbligo di gestire in forma
associata le sole funzioni fondamentali. In
tal senso, non può essere esclusa a priori
una possibile, indebita compressione della
potestà legisaltiva regionale, giacché
l'art. 117, c. 2, lett. p) Cost. limita la
competenza del legislatore statale al
perimetro delle sole funzioni fondamentali
degli enti locali.
Del resto, le previsioni
più soft contenute nelle manovre precedenti
(e che rimangono valide per i comuni con più
di 1.000 abitanti, che dovranno associarsi
obbligatoriamente fino a raggiungere una
soglia demografica che l'art. 16, c. 10,
dell'ultimo decreto eleva a 10.000 abitanti,
salvo diverso limite stabilito con delibera
della giunta regionale) facevano
espressamente salve le prerogative delle
regioni in ordine alle funzioni degli enti
locali che ricadessero nelle materie di competenza legislativa regionale.
Al contrario, la nuova disciplina concede
alle regioni il solo potere di rivedere la
soglia demografica minima delle future
unioni municipali, altrimenti fissata in via
generale a 5.000 abitanti.
Solo nel caso in cui non vi siano altri
comuni contermini con popolazione inferiore
a 1.000 abitanti viene meno l'obbligo di
dare vita all'unione municipale (art. 16, c.
4). In tali casi, oltre a dover applicare il
taglio delle poltrone da assessore e da
consigliere previsto dallo stesso art. 16,
c. 9, lett. a), viene imposto un generico
obbligo di costituire con i comuni
contermini unioni di comuni ai sensi
dell'art. 32 del Tuel, al fine di ridurre le
spese complessive.
Ad una prima lettura pare
(ma non è del tutto chiaro) che quest'ultima
non cancelli l'individualità dei comuni che
ne fanno parte, bensì rappresenti un nuovo
ente locale che si sovrapponga ad essi. Ciò
pare confermato dal disposto del c. 5, che
disciplina gli organi dell'unione
municipale, individuandoli nell'assemblea
municipale, nel presidente dell'unione
municipale e nella giunta municipale.
L'assemblea municipale è costituita dai
sindaci dei comuni costituenti l'unione
municipale ed esercita le competenze
attribuite dal Tuel ai consigli comunali.
L'assemblea municipale elegge, nel suo seno,
il presidente dell'unione municipale, al
quale spettano le competenze del sindaco, ad
eccezione di quelle di cui all'art. 54 del
Tuel, ovvero quelle che il primo cittadino
esercita nelle funzioni di competenza
statale, quale ufficiale del Governo.
Proprio il fatto che tali funzioni
continuino a rimanere in capo ai sindaci dei
singoli comuni è l'indizio che fa ritenere
che essi si mantengano in vita come entità a
sé stanti, sia pure in un ambito decisamente
più limitato.
Il presidente dell'unione municipale nomina,
fra i componenti l'assemblea municipale, la
giunta municipale, che esercita le competenza
di cui all'art. 48 del Tuel ed è composta da
un numero di assessori non superiore a
quello previsto per i comuni con popolazione
uguale a quella complessiva dell'unione
municipale. In base al c. 7, sarà un
regolamento del governo da adottare entro
novanta giorni dalla data di entrata in
vigore del d. l. 138 su proposta del
ministro dell'interno, di concerto con il
ministro per le riforme per il federalismo,
a disciplinare il procedimento di prima
costituzione dell'unione municipale, con
tanto di possibile commissariamento per i
comuni renitenti.
Saranno, invece, gli statuti delle singole
unioni municipali ad individuare le modalità
di funzionamento degli organi ed a
disciplinarne i rapporti. Si tratterà di un
passaggio decisivo
(articolo ItaliaOggi del 19.08.2011). |
INCARICHI PROFESSIONALI: MANOVRA BIS/ Enti,
professionisti scelti con gara.
La derogabilità delle tariffe spinge la p.a.
a trattare sul prezzo. Il dl 138 ammette la
pattuizione dei compensi per gli incarichi
anche in deroga ai minimi.
La derogabilità delle tariffe professionali
spinge le pubbliche amministrazioni a
conferire incarichi mediante gare col
criterio del prezzo più basso.
L'articolo 3, comma 5, lettera d), del dl
138/2011 costituisce indirettamente per le
amministrazioni l'obbligo di affidare
incarichi a professionisti (ingegneri,
architetti, avvocati, commercialisti,
psicologi) con una vera e propria
negoziazione dei compensi, da effettuare
ovviamente mediante le procedure di gara, ai
sensi del dlgs 163/2006.
La norma introdotta dalla manovra estiva
2011-bis, infatti, stabilisce che «il
compenso spettante al professionista è
pattuito per iscritto all'atto del
conferimento dell'incarico professionale
prendendo come riferimento le tariffe
professionali. È ammessa la pattuizione dei
compensi anche in deroga alle tariffe».
In sostanza si rimette alle parti la
determinazione del compenso. Sicché le
tariffe non costituiscono né un riferimento
obbligatorio, né possono essere lette come
minimi garantiti. La loro piena derogabilità
permette, anzi, la determinazione di
compensi anche di carattere forfetario.
Secondo l'ultimo periodo del citato articolo
3, comma 5, lettera d), «in caso di mancata
determinazione consensuale del compenso,
quando il committente è un ente pubblico, in
caso di liquidazione giudiziale dei
compensi, ovvero nei casi in cui la
prestazione professionale è resa
nell'interesse dei terzi si applicano le
tariffe professionali stabilite con decreto
dal ministro della giustizia».
La combinazione delle disposizioni
richiamate rende estremamente rischioso
affidare incarichi a professionisti senza
aver determinato consensualmente il
compenso. Infatti, l'applicazione giudiziale
del compenso attraverso le tariffe potrebbe
determinare un esborso di spesa superiore a
quello che, laddove si fosse svolta una gara
con ribasso delle voci di compenso, si
sarebbe potuto spuntare. Insomma, la mancata
negoziazione e fissazione consensuale dei
compensi rischia di aprire le porte alla
responsabilità erariale per le
amministrazioni che incautamente non
trarranno le necessarie conclusioni
derivanti dalla derogabilità delle tariffe.
Del resto, la magistratura contabile ha più
volte espresso l'avviso secondo il quale ai
fini della determinazione dell'impegno di
spesa e per evitare il maturare di debiti
fuori bilancio «va acquisita dall'avvocato,
al quale è stata affidata la rappresentanza
in giudizio del comune, un preventivo di
massima relativo agli onorari, alle
competenze ed alle spese che presuntivamente
deriveranno dall'espletamento dell'incarico
stesso ai fini di predisporre un adeguata
copertura finanziaria» (Corte dei conti,
sezione regionale di controllo per la
Campania, 04.02.2009, n. 8).
Risulterà, dunque, onere delle
amministrazioni, prima di affidare gli
incarichi, verificare quali elementi della
prestazione possano ricadere nelle voci di
tariffa, per costruire una griglia oppure
elaborare una base di gara forfetaria o «a
corpo» su cui chiedere il ribasso, attivando
così una vera e propria negoziazione del
compenso, tale da escludere l'applicazione
delle tariffe in caso di contenzioso ed
evitare un surplus imprevisto di spesa.
I medesimi adempimenti vanno svolti anche
nel caso in cui la normativa consenta
affidamenti diretti senza gara, come nel
caso di cottimi fiduciari
(articolo ItaliaOggi del 19.08.2011 -
tratto da www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI: MANOVRA BIS/ Per i comuni le pagelle arrivano
già dall'anno prossimo. E tra i criteri di virtuosità
debutta la rimozione dei paletti alla libera
concorrenza.
Pagelle per tutti già dall'anno venturo e
nuovi criteri per l'attribuzione dei voti.
Sono queste, in estrema sintesi, le novità
introdotte dal dl 138/2011 nella disciplina
dell' «esame di virtuosità» che, nei
prossimi anni, regioni, province e comuni
dovranno sostenere per conoscere la misura
del rispettivo concorso alle realizzazione
degli obiettivi di finanza pubblica.
La manovra-bis, in una con l'anticipazione
del pareggio di bilancio (e della annessa,
nuova correzione dei conti pubblici), fa
scattare già nel 2012 la ripartizione nelle
quattro classi di merito introdotte dal
recente dl 98/2011 (conv. dalla legge
111/2011) anche per regioni e comuni,
allineando il relativo timing a quello già
previsto per le province.
L'articolo 1,
comma 9, del nuovo provvedimento economico
d'urgenza, che a breve sarà sottoposto
all'esame del parlamento, corregge, infatti,
il testo dell'articolo 20, commi 2 e 3,
della manovra di luglio, retrodatando di un
anno l'avvio della meritocrazia in base alla
quale saranno pesati e differenziati gli
obiettivi del patto di stabilità interno
degli enti territoriali sub-statali, oltre
che redistribuiti i tagli operati
dall'articolo 14 del dl 78/2010 (convertito
dalla legge 122/2010).
Rimane confermato,
invece, che i primi della classe vedranno
azzerato il rispettivo concorso alle manovre
2010 e 2011: essi, ai fini del patto, si
vedranno assegnato un saldo-obiettivo pari a
zero e potranno recuperare le risorse
decurtate lo scorso anno e finora mai
(nemmeno parzialmente) reintegrate, neppure,
come a suo tempo promesso, in sede di
attuazione del federalismo fiscale. Essi,
inoltre, potranno ripartirsi, per il 2012,
un ulteriore bonus da 200 milioni di euro.
Il decreto del ministro dell'economia e
delle finanze, chiamato a dare i voti a
regioni ed enti locali, dovrà basare il
proprio giudizio su alcuni nuovi elementi.
In primo luogo, in base all'articolo 3,
comma 4, del dl 138/2011, esso dovrà
valutare l'adeguamento di comuni, province e
regioni all'obbligo (imposto dalla manovra
bis nelle more della riforma dell'articolo
41 della Costituzione) di rimozione dai
rispettivi ordinamenti delle indebite
restrizioni all'accesso e all'esercizio
delle professioni e delle attività
economiche.
Le regioni (anche a statuto speciale),
inoltre, saranno valutate anche in base
all'incisività delle misure che adotteranno
in attuazione dell'articolo 14, comma 1, del
medesimo dl 138/2011, per ridurre il numero
dei rispettivi consiglieri e assessori e le
relative indennità, nonché per introdurre un
collegio di revisori dei conti composto da
professionisti indipendenti.
Rimangono confermati gli altri parametri di
virtuosità, ovvero: prioritaria
considerazione della convergenza tra spesa
storica e costi e fabbisogni standard;
rispetto del Patto; incidenza della spesa
del personale sulla spesa corrente, in
relazione al numero dei dipendenti in
rapporto alla popolazione residente, alle
funzioni svolte, anche attraverso
esternalizzazioni, nonché all'ampiezza del
territorio; autonomia finanziaria;
equilibrio di parte corrente; tasso di
copertura dei costi dei servizi a domanda
individuale (per gli enti locali); rapporto
tra gli introiti derivanti dall'effettiva
partecipazione all'azione di contrasto
all'evasione fiscale e i tributi erariali
(per le regioni); effettiva partecipazione
all'azione di contrasto all'evasione fiscale
(per gli enti locali); rapporto tra le
entrate di parte corrente riscosse e
accertate; operazioni di dismissione di
partecipazioni societarie nel rispetto della
normativa vigente.
Inoltre, a decorrere
dalla determinazione dei Lea e degli
obiettivi di servizio, dovranno essere
elaborati «indicatori qualitativi e
quantitativi relativi agli output dei
servizi resi», anche attraverso tecniche di
benchmarking rispetto alle realtà con il
miglior rapporto qualità-costi. In ogni
caso, si dovrà tenere conto della «dinamica
di miglioramento conseguito dalle singole
amministrazioni rispetto alle precedenti»
(articolo ItaliaOggi del 19.08.2011 -
tratto da www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: MANOVRA BIS/ I tagli fanno rotta
sul personale.
Stretta su dipendenti e dirigenti. Meno
sulla burocrazia. Dalle tredicesime al Tfr tutte
le norme di interesse per le pubbliche
amministrazioni locali.
Netta prevalenza, per numero e per rilievo,
delle nuove misure di contenimento della
spesa per i singoli dirigenti e dipendenti
rispetto a quelle dettate per la
razionalizzazione della organizzazione delle
singole amministrazioni.
Possono essere così
riassunte le linee ispiratrici della manovra
di ferragosto. Appartengono al primo ambito
la possibilità di diluire il pagamento delle
tredicesime nello stato, il differimento
fino a un anno e mezzo del pagamento del
trattamento di fine servizio a tutti i
dipendenti pubblici che si collocano in
pensione per anzianità, il calcolo della
buonuscita sulla base del trattamento
economico accessorio in godimento prima
della assegnazione dell'ultimo incarico, se
breve; il tetto europeo al trattamento
economico dei dirigenti generali dello
stato; la possibilità di accorpamento delle
festività non religiose e l'obbligo di
utilizzare i voli in classe economica.
Tra le misure di razionalizzazione dirette
alle amministrazioni segnaliamo il vincolo
alla riduzione del numero dei dirigenti
nello stato, l'allungamento della
possibilità di collocare in quiescenza il
personale pubblico che ha raggiunto 40 anni
di anzianità contributiva, anche in assenza
di una specifica richieste, l'estensione
offerta a tutte le p.a. della possibilità di
collocare in mobilità o di utilizzare in
modo flessibile il personale; la parziale
flessibilità aggiuntiva prevista per le
assunzioni cd obbligatorie e la definizione
delle caratteristiche essenziali dei
tirocini formativi.
Occorre sottolineare che queste disposizioni
non hanno, nella economia complessiva dei
risparmi previsti dal dl n. 138/2011, un
grande rilievo; così come non hanno avuto un
analogo grande rilievo i risparmi sul
pubblico impiego previsti dal dl n. 98/2011.
Si deve infine sottolineare in premessa che
il numero di disposizioni che si applicano
al personale degli enti locali è ancora più
ridotto, basta ricordare che il differimento
del pagamento delle tredicesime è limitato
alle sole amministrazioni statali.
Il taglio dei dirigenti. Tutte le
amministrazioni statali devono tagliare di
un ulteriore 10% i posti dirigenziali e
dirigenziali generali previsti nella propria
dotazione organica. Il mancato rispetto di
questa prescrizione è sanzionato con il
divieto di effettuare assunzioni di
personale a qualunque titolo. È necessario
chiarire se in tale divieto sono comprese
anche le nomine di dirigenti a tempo
determinato.
Il differimento della tredicesima. Se
l'amministrazione statale presso cui si
presta servizio non ha raggiunto gli
obiettivi di risparmio assegnati dal dl n.
98/2011 o dal documento di programmazione
finanziaria, matura la possibilità che il
governo disponga lo slittamento del
pagamento della tredicesima mensilità in tre
rate annuali da corrispondere entro il
triennio successivo. Ovviamente non sono
riconosciuti gli interessi.
Il collocamento in quiescenza. Viene
prorogata di tre anni la possibilità offerta
dal dl n. 112/2008 a tutte le p.a. di
collocare in quiescenza i propri dipendenti
e dirigenti che hanno raggiunto 40 anni di
anzianità contributiva, anche se non hanno
presentato una specifica richiesta.
Occorre
rispettare solamente il vincolo della
comunicazione con un preavviso non inferiore
a sei mesi. Il dl n. 98 ha stabilito che se
gli enti si danno preventivamente dei
criteri di carattere generale non devono
motivare i singoli provvedimenti.
L'assegnazione di altri incarichi ai
dirigenti. Le p.a. hanno le mani più libere
nella assegnazione di incarichi diversi ai
dirigenti. Esse possono provvedere in questo
senso anche prima della scadenza
dell'incarico assegnato. Devono
semplicemente rispettare una «clausola di
salvaguardia», cioè fino alla data di
scadenza del primo incarico il dirigente
deve mantenere lo stesso trattamento
economico, anche il nuovo incarico ha un
peso inferiore.
In sostanza si ripropone,
per la parte economica, una clausola già
presente nel contratto dei dirigenti. Per
evitare aggiramenti ai fini del calcolo del
trattamento di fine servizio si dispone che
gli incarichi di durata inferiore alla
soglia minima, cioè tre anni, conferiti ai
dirigenti che stanno per essere collocati in
quiescenza non contano a questo fine.
La mobilità e l'utilizzo dei dipendenti. Con
due distinte disposizioni si stabilisce che
il personale comandato presso un'altra p.a.
ha diritto di precedenza nella mobilità
anche se il posto si rende vacante in un
ufficio diverso da quello in cui presta la
sua attività.
Si consente inoltre alla p.a.
di spostare il proprio personale in altro
ufficio nell'ambito della stessa regione.
Per rafforzare tale previsioni si stabilisce
che, fino alla stipula di uno specifico
contratto nazionale, siamo nell'ambito dei
poteri datoriali; quindi i dirigenti hanno
mano ampiamente libera.
Il differimento della buonuscita. Tutti i
dipendenti pubblici che si collocano in
quiescenza per anzianità contributiva e non
per raggiungimento dei limiti massimi di età
a partire dalla data di entrata in vigore
del decreto (nella scuola dal prossimo 31
dicembre) riceveranno il trattamento di fine
servizio non più entro i sei mesi
successivi, ma entro il tetto di 24 mesi.
Gli eventuali interessi decorreranno
solamente al superamento di tale periodo.
Festività civili. Con uno specifico decreto
del presidente del consiglio dei ministri
viene annualmente individuata la data
(collocandola tra la domenica o i giorni
immediatamente precedenti o seguenti alle
giornate non lavorative) in cui collocare le
festività non previste dal Concordato.
Le assunzioni obbligatorie. Le
amministrazioni pubbliche possono non
rispettare i vincoli minimi di assunzioni
obbligatorie nelle singole sedi, purché
rispettino nell'insieme del proprio
personale tali vincoli.
Altre disposizioni. Ai dipendenti pubblici
collocati in aspettativa per svolgere
incarichi di governo in amministrazioni
pubbliche si applicano le stesse regole
previste per le normali aspettative, salvo
che optino per il mantenimento in via
esclusiva del trattamento economico in
godimento.
Sono fissati, in modo più
stringente, i vincoli che le p.a. e i
privati devono rispettare per
l'effettuazione di tirocini formativi. I
dipendenti e dirigenti dello Stato infine
devono obbligatoriamente viaggiare in classe
economica
(articolo ItaliaOggi del 19.08.2011 -
tratto da www.ecostampa.it). |
CONSIGLIERI COMUNALI - PUBBLICO IMPIEGO: OSSERVATORIO VIMINALE/ Trasferimenti per i consorzi.
I componenti hanno diritto all'avvicinamento.
Il beneficio previsto
dall'art. 78 del Tuel va interpretato
estensivamente.
È possibile applicare nei confronti di un
dipendente della polizia di stato, che ha
prodotto istanza di trasferimento, il
beneficio di cui all'art. 78, comma 6, del
decreto legislativo n. 267/2000, qualora il
dipendente medesimo sia stato delegato dal
sindaco a rappresentare il comune presso un
Consorzio tra enti locali?
L'articolo citato
introduce una disposizione di garanzia a
favore di tutti i lavoratori dipendenti per
evitare loro restrizioni o limitazioni
all'esercizio delle funzioni connesse
all'espletamento del proprio mandato. In
proposito, è stabilito che la richiesta di
tali lavoratori di avvicinamento al luogo in
cui viene svolto il mandato amministrativo
deve essere esaminata dal datore di lavoro
con criteri di priorità.
L'art. 77, comma 2, del Tuel statuisce poi
che, ai fini dell'applicazione delle norme
di cui al capo IV –status degli
amministratori locali (artt. 77-87)– nel
novero degli amministratori locali sono
compresi anche «i componenti degli organi
dei consorzi fra enti locali». Nel caso di
specie, pertanto, al suddetto dipendente
sono applicabili le disposizioni di cui
all'art. 78 del Tuel
(articolo ItaliaOggi del 19.08.2011 -
tratto da www.ecostampa.it). |
CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO VIMINALE/
Rimborso spese.
Possono essere rimborsate le spese di
giudizio richieste dagli amministratori
locali, assolti in un procedimento penale
nel quale sono stati coinvolti a causa delle
funzioni di amministratori pubblici?
Non è dato rinvenire nell'ordinamento
vigente norme che prevedono la possibilità
di rimborsare agli amministratori locali le
spese legali sostenute per giudizi
instaurati in relazione a fatti
asseritamente posti in essere nell'esercizio
delle proprie funzioni.
Benché in passato
parte della giurisprudenza abbia ritenuto di
poter estendere in via analogica agli
amministratori locali la normativa che
consente, a determinate condizioni, tale
rimborso per i dipendenti degli enti locali,
secondo orientamenti ermeneutici più recenti
la possibilità di tale ricorso all'analogia
nella materia in questione è stata
decisamente negata.
In base a tali orientamenti deve ritenersi
non pertinente il richiamo all'analogia, che
risulta correttamente evocabile quando
emerga un vuoto normativo nell'orientamento,
vuoto che nella specie non è configurabile,
atteso che il legislatore si è limitato a
dettare una diversa disciplina per due
situazioni non identiche tra loro, e la
detta diversità non appare priva di
razionalità, atteso che gli amministratori
pubblici non sono dipendenti dell'ente ma
sono eletti dai cittadini, ai quali
rispondono (e quindi non all'ente) del loro
operato
(articolo ItaliaOggi del 19.08.2011 -
tratto da www.ecostampa.it). |
CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO VIMINALE/
Indennità assessori.
È possibile nominare, senza attribuzione di
indennità, due assessori in più rispetto al
numero massimo previsto dalla vigente
normativa, nel presupposto di potersi
reputare, con la mancata corresponsione agli
stessi della prescritta indennità, comunque
realizzato l'obiettivo di contenere i costi
della spesa pubblica indicato dal
legislatore?
La nomina dei due assessori oltre il numero
massimo stabilito, pur non corrispondendo
loro la prescritta indennità, non è
ammissibile, considerato che la
determinazione numerica degli assessori
rientra nella materia «organi di governo»
dei comuni rimessa, ai sensi dell'art. 117,
comma 2, lett. p) della Costituzione, alla
potestà legislativa esclusiva dello Stato.
Quest'ultima, invero, per il profilo
considerato riconosce a comuni e province
quale unico spazio di autonomia, la
possibilità di individuare nello statuto una
misura «fissa» ovvero «flessibile»
di assessori, purché, in entrambi i casi,
entro il limite massimo prescritto, che non
può mai essere superato. La disciplina sulla
composizione delle giunte, dettata dal
legislatore statale, non può, pertanto,
essere derogata dagli enti locali, ma deve
trovare uniforme applicazione sul territorio
nazionale, avendo valenza generale
(articolo ItaliaOggi del 19.08.2011 -
tratto da www.ecostampa.it). |
CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO VIMINALE/ Gruppi.
La denominazione di un gruppo consiliare uni
personale può essere diversa dal nome della
lista nella quale era stato eletto il
consigliere?
La materia concernente la costituzione dei
gruppi consiliari è interamente demandata
allo statuto e al regolamento del consiglio,
nell'ambito della propria autonomia
funzionale ed organizzativa (art. 38, comma 3, dlgs n. 267/2000). Ciò implica che soltanto
il consiglio comunale, nella sua sovranità
ed in quanto titolare della competenza a
dettare le norme cui uniformarsi in tale
materia, sia abilitato a fornire
un'interpretazione autentica delle norme
statutarie e regolamentari, pronunciandosi
in merito a quanto richiesto.
Si soggiunge che la denominazione dei gruppi
consiliari, in assenza di una specifica
disposizione statutaria o regolamentare,
appare rientrare nelle scelte proprie delle
formazioni politiche presenti nel consiglio
(articolo ItaliaOggi del 19.08.2011 -
tratto da www.ecostampa.it). |
INCARICHI PROFESSIONALI: MANOVRA BIS/ Difesa in
giudizio piena di lacci.
Moltiplicate le formalità burocratiche per
incaricare un legale. La manovra estiva chiede
all'avvocato e al cittadino di disciplinare
in dettaglio il loro rapporto.
Formalità moltiplicate per incaricare un
avvocato. Non basta firmare la procura alle
liti. Stando alla manovra di Ferragosto
(decreto 138/2011, articolo 3) si devono,
innanzitutto, stipulare per iscritto le
clausole relative agli onorari.
Per questo,
e non solo per questo, la burocrazia al
momento del conferimento dell'incarico si
sta facendo pesante: si ricordi che
l'avvocato deve farsi sottoscrivere il
modello su informativa e consenso per la
legge sulla privacy e il modello di
informativa sulla conciliazione delle liti e
deve farsi firmare dal cliente una
attestazione sui redditi ai fini del
contributo unificato nelle cause di lavoro
(ai fini dell'eventuale esenzione) e,
ancora, si aggiunga che l'avvocato, in base
al citato decreto 138/2011, deve dare anche
esplicite informative sulla stima della
spesa complessiva e sulla propria
assicurazione contro i rischi professionali.
Se, poi, il cliente è un ente pubblico si
devono aggiungere le dichiarazioni
introdotte dalle disposizioni sulla
tracciabilità e la presentazione del Durc
per farsi pagare la parcella.
Gli aspetti amministrativi connessi
all'affidamento dell'incarico al legale sono
stati, dunque, incrementati dalla manovra
economica-bis, che contiene, tuttavia, anche
disposizioni di liberalizzazione per
l'accesso alla professione (da specificare
entro 12 mesi con nuove norme ordinamentali)
e con un'apertura alla possibilità di
promuovere lo studio con pubblicità
informativa. Ma vediamo di illustrare le
novità principali.
CONTRATTO SCRITTO
L'articolo 3 del decreto 138/2011 elenca una
serie di principi per la riforma delle
professioni (da attuare entro 12 mesi). In
particolare si dovrà stabilire che il
compenso spettante al professionista deve
essere pattuito per iscritto all'atto del
conferimento dell'incarico professionale,
prendendo come riferimento le tariffe
professionali: si noti che le tariffe sono
solo un mero riferimento, visto che è
ammessa la pattuizione dei compensi anche in
deroga alle tariffe stesse.
Questa regola
implica la formazione di un contratto
scritto in cui l'avvocato e il cliente si
accordano sulla parcella. In questo atto si
deve precisare se le parti applicheranno la
tariffa forense oppure se derogheranno a
minimi e massimi stabiliti con decreto
ministeriale. Avvocato e cliente possono
anche individuare clausole particolari che
fanno innalzare o abbassare il compenso, ad
esempio con riferimento all'esito della
causa. La disposizione di principio non
chiarisce se si inciderà o meno sul
cosiddetto patto di «quota lite», e cioè in
sostanza una ripartizione dei vantaggi
economici che si spera di conseguire dalla
causa.
Il contratto professionale con il cliente
sarà anche la sede migliore per attuare un
altro adempimento posto a carico
dell'avvocato: informare il cliente sul
livello della complessità dell'incarico,
fornendo tutte le informazioni utili circa
gli oneri ipotizzabili dal momento del
conferimento alla conclusione dell'incarico.
Si tratta di una sorta di preventivo di
spesa, che il legale molto probabilmente
accompagnerà da clausole che facciano salva
l'applicazione di compensi per attività non
prevista o imprevedibile.
Su questa ipotesi si noti che vi è una norma
deontologica del codice etico forense che
tratta la materia: è l'articolo 40
(sull'obbligo di informazione), anche se
tale disposizione limita l'obbligo
dell'avvocato di informare la parte
assistita, sulle previsioni di massima
inerenti alla durata e ai costi presumibili
del processo, solo nei casi in cui «è
richiesto».
Quindi, la regola sui compensi è il
contratto scritto, con derogabilità delle
tariffe. L'articolo 3 citato ripristina,
invece, il tariffario per i seguenti casi:
mancata determinazione consensuale del
compenso, quando il committente è un ente
pubblico; liquidazione giudiziale dei
compensi, prestazione professionale resa
nell'interesse dei terzi.
Peraltro il caso
di rispetto della tariffa, in caso di
committenza pubblica, presumibilmente nella
prassi non avrà attuazione, in quanto gli
enti tenderanno a una determinazione
contrattuale, prevedibilmente con deroghe ai
minimi di tariffa.
ASSICURAZIONE PROFESSIONALE
Un altro criterio per la riforma
dell'ordinamento professionale obbliga il
professionista ad assicurarsi contro i
rischi derivanti dall'esercizio
dell'attività professionale; in seconda
battuta obbliga il professionista ad
informare il cliente, al momento
dell'assunzione dell'incarico, degli estremi
della polizza stipulata per la
responsabilità professionale e del relativo
massimale.
Un obbligo deontologico (tutelare il proprio
cliente) diventa un obbligo normativo, con
ricadute sulle formalità da osservare al
momento in cui il cliente affida un incarico
al proprio legale.
Anche qui la cosa migliore è inserire una
clausola ad hoc nel contratto professionale
con il cliente.
Tra l'altro si sottolinea che l'attuale
codice deontologico forense prevede
l'indicazione della polizza assicurativa
quale facoltà dell'avvocato nel dare
informazioni sul proprio studio (articolo
17-bis). Da facoltà a scopo di informativa
di carattere promozionale, l'adempimento si
trasforma in obbligo a piena tutela della
posizione del cliente.
PUBBLICITÀ INFORMATIVA
Nell'articolo 3 del decreto 138/2011 si
prescrive un altro importante criterio per
la riforma delle professioni e cioè la
possibilità di pubblicità informativa.
Già oggi il codice deontologico forense
(articolo 17-bis) consente all'avvocato di
dare informazioni sulla propria attività
professionale. Ma l'articolo 3 sembra
superare alcuni limiti del codice nella
parte in cui dichiara che è libera la
pubblicità informativa, con ogni mezzo,
avente ad oggetto l'attività professionale,
le specializzazioni ed i titoli
professionali posseduti, la struttura dello
studio e i compensi delle prestazioni.
Le informazioni, tuttavia, come già prevede
il codice deontologico forense, devono
essere trasparenti, veritiere, corrette e
non devono essere equivoche, ingannevoli,
denigratorie
(articolo ItaliaOggi del 19.08.2011 -
tratto da www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI: MANOVRA
BIS/ Caccia agli sprechi nei comuni. Sotto
controllo spese di rappresentanza, di pr, di
ospitalità. Ecco tutti i decreti necessari
per dare attuazione alle disposizioni del dl
138.
Caccia agli sprechi negli enti locali. Si
rafforza il monitoraggio sulle spese di
rappresentanza sostenute dagli organi di
governo delle amministrazioni territoriali.
Pubbliche relazioni, costi di ospitalità in
occasione di visite di personalità e
delegazioni, incontri, convegni, congressi,
inaugurazioni, manifestazioni: tutti oneri
che dovranno essere puntualmente elencati,
per ciascun anno, in un apposito prospetto
allegato al rendiconto.
Il documento andrà
trasmesso alla sezione regionale di
controllo della Corte dei conti e dovrà
essere pubblicato, entro dieci giorni
dall'approvazione del rendiconto, sul sito
internet dell'ente locale. A stabilirlo è
l'articolo 16, comma 12, del dl n. 138/2011.
Sarà un atto di natura non regolamentare del
ministero dell'interno, d'intesa con la
Conferenza stato-città e autonomie locali e
con il ministero dell'economia, ad adottare
entro metà novembre lo schema tipo del
prospetto da utilizzare. Ma la macchina
attuativa della manovra-bis scalda già i
motori.
Contributo di solidarietà. Uno dei primi
provvedimenti ad arrivare, nonché forse il
più importante in assoluto, sarà il decreto
dell'economia che renderà operativo il
contributo di solidarietà. Il termine è
fissato al 30 settembre 2011.
Entro tale
data, il dicastero guidato da Giulio
Tremonti dovrà mettere a punto il
provvedimento che assoggetterà fino al 2013
a un prelievo aggiuntivo del 5% i redditi
superiori a 90 mila euro e del 10% i redditi
eccedenti i 150 mila euro. Il decreto dovrà
provvedere anche al coordinamento normativo
con le abrogate disposizioni che già
prevedevano il contributo a carico dei
dipendenti pubblici (dl n. 78/2010).
Ministeri. Tempi stretti anche per la cura
dimagrante alle dotazioni dei ministeri. Il
taglio è di 6 miliardi di euro per il 2012 e
di 2,5 miliardi per il 2013. In questo caso,
il dpcm che conterrà la ripartizione delle
riduzioni tra i vari organi centrali
arriverà entro il prossimo 25 settembre.
Poco più di un mese, dunque, a disposizione
di palazzo Chigi per capire quanto e a chi
tagliare. Con una possibile scappatoia: i 6
miliardi previsti per il 2012 potrebbero
essere ridotti di un importo fino al 50%
delle maggiori entrate derivanti dalla Robin Tax.
Rendite. Più complicato il discorso legato
all'aumento della tassazione (dal 12,5 al
20%) per le rendite finanziarie.
Provvedimenti attuativi sono attesi sia per
disciplinare il periodo transitorio connesso
al passaggio dal sistema di imposizione
vigente prima del 31.12.2011 e quello
applicabile dall'01.01.2012, sia per
regolare la possibilità di affrancamento
delle plusvalenze latenti, come pure per
regolamentare il nuovo regime di
deducibilità (con limite al 62,5%) delle
minusvalenze.
Ipt. Non serviranno più provvedimenti
attuativi, invece, relativamente all'imposta
provinciale di trascrizione. L'articolo 17,
comma 6, del dlgs n. 68/2011 prevede infatti
che con dm dell'Economia sia modificata la
disciplina prevista per la tassazione Ipt
degli atti soggetti a Iva, il cui
trattamento fiscale verrà equiparato a
quello previsto per gli atti non soggetti ad
Iva.
Ciò comporterà il passaggio dal
pagamento di una tariffa in somma fissa
(150,81 euro) a quello di una tariffa
modulata sulla base delle caratteristiche di
potenza e portata dei veicoli soggetti a
immatricolazione, con conseguente incremento
di gettito a livello provinciale.
Alla luce
dell'articolo 1, comma 12 del dl n.
138/2011, tuttavia, l'applicazione della
tariffa modulata scatterà a decorrere dalla
data di entrata in vigore della legge di
conversione della manovra-bis, anche in
assenza del predetto decreto ministeriale.
Soppressione dei «ponti». A partire dal
2012, l'accorpamento al weekend delle
festività infrasettimanali di natura non
religiosa sarà sancito da un apposito dpcm,
da emanarsi entro il 30 novembre dell'anno
precedente. Così facendo, saranno fissate
annualmente le date in cui ricorrono
festività come il 1° maggio, il 25 aprile o
il 2 giugno, in modo tale che le stesse
cadano il venerdì precedente o il lunedì
seguente la prima domenica successiva.
Tredicesima statali. Sarà un decreto di via XX
Settembre a stabilire le modalità
applicative della rateizzazione della
tredicesima mensilità per i dipendenti delle
amministrazioni pubbliche non virtuose. La
manovra prevede infatti che, in caso di uno
scostamento rilevante rispetto agli
obiettivi finanziari e di risparmio
prefissati, il pagamento della tredicesima
dovuta ai dipendenti delle p.a. avverrà in
tre rate annuali posticipate, senza
interessi
(articolo ItaliaOggi del 18.08.2011 -
tratto da www.corteconti.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: MANOVRA
BIS/ Cancellato il Sistri. Ma alle imprese è
già costato 90 mln. Il sistema di
tracciabilità dei rifiuti mai messo in
funzione.
Addio Sistri. La manovra-bis lo ha
cancellato con un colpo di spugna, ancor
prima che entrasse in funzione, anche a
causa dello stillicidio di proroghe concesse
dal governo nei mesi scorsi (l'ultima nel
decreto sviluppo, n. 70/2011, che ha
congelato, per i piccolissimi produttori, la
messa a regime del meccanismo fino al giugno
2012). Ma se il sistema di tracciabilità
elettronica dei rifiuti è rimasto solo sulla
carta, non altrettanto si può dire per
l'obolo versato dalle imprese.
Il contributo
obbligatorio del mondo produttivo
all'avviamento del nuovo sistema di
controllo dei rifiuti, alternativo alla mera
tenuta dei registri di carico e scarico,
contava già versamenti per 65-68 mln di euro
a fine 2010. Eppure, «i costi relativi alla
tecnologia e al funzionamento del sistema si
situano intorno al 90% di questa cifra»,
rivelava il 9 giugno scorso il
sottosegretario allo sviluppo economico,
Stefano Saglia, rispondendo in aula a
Montecitorio a un'interpellanza urgente di
Simonetta Rubinato (Pd). Oggi, però, il
quadro è sostanzialmente mutato.
Secondo la
stessa Rubinato, «gli imprenditori e gli
enti locali hanno già versato oltre 90
milioni di euro nelle casse dello stato per
un sistema mai partito». Soldi, avverte la
deputata Pd, che «dovranno essere
restituiti». E non solo per una semplice
norma di civiltà. Rubinato, al riguardo, non
usa mezzi termini sui timori di mancata
restituzione del prelievo alle imprese: «Mi
auguro», dice, «non si paghi la società
affidataria del sistema elettronico che non
ha adempiuto al contratto, peraltro ottenuto
senza gara». Punto.
Le giustificazioni della manovra bis. La
relazione illustrativa al decreto legge
138/2011, stilata dal governo, spiega la
soppressione del Sistri e di «tutte le
disposizioni che lo istituiscono e lo
disciplinano» (art. 6, commi 2 e 3),
sconfessando quanto fatto negli ultimi anni
dallo stesso esecutivo in materia.
Si parte
da una mera descrizione dei fatti: «alcuni
operatori economici», si legge nella
relazione del governo, «sono tenuti ad
aderire (al Sistri, ndr), mentre altri
possono farlo su base volontaria». Non solo.
Il governo spiega che pesanti sanzioni
amministrative sono previste per «la mancata
iscrizione al Sistri; il mancato pagamento
del contributo di iscrizione; l'omessa o
inesatta compilazione della scheda Sistri».
Quindi, chiosa l'esecutivo, «la misura si
rende necessaria per contenere gli eccessivi
oneri amministrativi derivanti dal Sistri,
che si traducono in un grave rallentamento
dell'attività imprenditoriale, soprattutto
per i piccoli operatori, con conseguenti
effetti negativi in termini economici e
produttivi». Tirate le somme, questo sistema
non s'ha da fare. Con buona pace della
stessa deputata Pd, che denuncia: così
facendo «il governo fa un regalo alle
ecomafie».
E ricorda: «Avevamo chiesto al
ministro Prestigiacomo di riformare la
funzionalità di un sistema gravoso per le
imprese e che, in occasione del “clic day”,
aveva mostrato gravi lacune anche sotto il
profilo tecnologico. E ci eravamo battuti
perché fosse semplificato e prorogata
l'entrata in vigore. Mai avevamo messo,
però, in discussione l'urgenza di rendere
più efficaci i controlli sulla tracciabilità
dei rifiuti». L'idea della deputata Pd è che
senza il Sistri le ecomafie possano
continuare i loro traffici illeciti che,
secondo stime contenute nel rapporto 2011 di
Legambiente, producono un giro di affari di
19,3 miliardi di euro l'anno.
In realtà, il
decreto legge sulla manovra bis chiarisce
che restano comunque valide tutte le altre
norme in materia di rifiuti. E, in
particolare, quelle relative agli obblighi
di tenuta dei registri di carico e scarico,
nonché quella sulla tenuta del formulario di
identificazione. Tutte disposizioni previste
dal codice dell'ambiente (articoli 190 e 193
del decreto legislativo n. 152/2006 e
successive modificazioni).
L'inchiesta. Sullo sfondo resta l'indagine
avviata dalla procura di Napoli sul Sistri,
con le ispezioni condotte, in giugno, dalla
Guardia di finanza negli uffici del
ministero dell'ambiente e nelle sedi delle
imprese Selex e Viacom srl.
Indagine, che spinse il
ministro dell'ambiente, Stefania
Prestigiacomo, a impegnarsi pubblicamente a
togliere il segreto di stato sulla gestione
dell'intero affare Sistri, durante un question time
alla camera
(articolo ItaliaOggi del 18.08.2011). |
EDILIZIA PRIVATA: MANOVRA
BIS/ Da Ferragosto la Scia è libera dai
contenziosi. In base al decreto legge la
segnalazione certificata di inizio attività
non è più direttamente impugnabile.
Più libera la Scia da Ferragosto. Scia e Dia
sono, infatti, diversi dal silenzio-assenso
e non sono, quindi, direttamente
impugnabili. La manovra-bis interviene sulla
legge generale del procedimento
amministrativo (legge 241/1990) e chiarisce
una volta per tutte le modalità per gli
interessati di reagire contro le iniziative
assunte da chi vuole avviare un'attività,
anche edilizia, sfruttando le misure di
sburocratizzazione.
Il decreto legge
138/2011, pubblicato sulla Gazzetta
Ufficiale n. 188 del 13/08/2011, sceglie una
strada già individuata dai Tar e dal
Consiglio di stato (anche se non
univocamente) e cioè sbarra la possibilità
di ricorrere direttamente al giudice
amministrativo contro Scia e Dia. Il controinteressato deve, invece, sollecitare
l'intervento dell'amministrazione pubblica
competente e, solo in caso di inerzia, può
successivamente rivolgersi al Tribunale
amministrativo regionale per ottenere
l'ordine alla p.a. di bloccare l'attività.
Una soluzione di questo tipo avvantaggia chi
deve iniziare l'attività, in quanto
impedisce al controinteressato di rivolgersi
subito al giudice amministrativo e sposta al
futuro ogni possibile iniziativa
giudiziaria, subordinandola all'inerzia
della pubblica amministrazione sollecitata a
intervenire.
Per fare un esempio: si può iniziare l'opera
edilizia subito con l'invio della Scia; il
controinteressato (per esempio, il vicino di
casa) non può impugnare la Scia, ma deve
inviare al comune una denuncia-diffida,
chiedendo all'amministrazione di verificare
la legittimità dell'attività. Se il comune
rimane inerte, allora, il cittadino potrà
rivolgersi al Tribunale amministrativo
regionale, chiedendo al Tar l'accertamento
dell'obbligo di provvedere in capo
all'amministrazione e quindi la condanna
della stessa a intervenire. Fino a che non
interviene la sentenza del giudice chi ha
presentato la Scia non ha alcun obbligo
giuridico di bloccare o interrompere
l'attività.
In dettaglio, il decreto 138/2011 aggiunge
il comma 6-ter all'articolo 19 della legge
241/1990 (dedicato alla segnalazione
certificata di inizio attività). La nuova
disposizione precisa subito che la
segnalazione certificata di inizio attività,
la denuncia e la dichiarazione di inizio
attività si riferiscono ad attività
liberalizzate e non costituiscono
provvedimenti taciti direttamente
impugnabili. Ciò segna la differenza con il
silenzio-assenso: in quest'ultimo caso siamo
di fronte a un atto della p.a., sia pure
tacito. In quanto provvedimento
dell'amministrazione è autonomamente
impugnabile. Dia e Scia non sono
provvedimenti taciti e quindi non sono
impugnabili in quanto tali.
Il comma 6-ter in commento fa riferimento
sia alla Scia sia alle Dia (come
dichiarazione e come denuncia) comprendendo
tutte le ipotesi in cui la legge ha
introdotto procedimenti liberalizzati di
questo tipo, anche se con nomi diversi:
averli enumerati tutti serve a non fare
confusione (come è invece avvenuto per la
scia in edilizia),
Chi ha interesse contrario al presentatore
di Scia e Dia non è, però, sfornito di
tutela: può sollecitare l'esercizio delle
verifiche spettanti all'amministrazione e,
in caso di inerzia, esperire l'azione
avverso il silenzio (articolo 31, commi 1, 2
e 3 del Codice del processo amministrativo,
decreto legislativo 104/2010).
Fino a oggi si sono fronteggiati due
orientamenti. Il primo ha sostenuto che il
comportamento inerte dell'amministrazione
sulla denuncia di inizio attività ha valenza
di silenzio-assenso e da ciò faceva
conseguire la sua impugnabilità in giudizio.
Un secondo orientamento ribatteva che la Dia
è un mero atto di iniziativa privata non
impugnabile davanti al giudice
amministrativo.
La manovra di Ferragosto abbraccia questa
seconda impostazione, con l'obiettivo di
impedire intralci all'attività privata,
stavolta non da lungaggini della burocrazia,
ma da iniziative di privati
controinteressati.
Questo, però, senza togliere, ma solo
differendo nel tempo, la possibilità per il
controinteressato di reagire.
Il controinteressato potrà in prima battuta
sollecitare l'amministrazione ad adottare
motivati provvedimenti di divieto di
prosecuzione dell'attività e di rimozione
degli eventuali effetti dannosi di essa e,
comunque, a esercitare il potere di assumere
determinazioni in via di autotutela,
mediante revoca o annullamento ai sensi
degli articoli 21-quinquies e 21-nonies
della legge 241/1990.
In seconda battuta, se l'amministrazione non
fa nulla, si può chiedere al Tar
l'accertamento dell'obbligo
dell'amministrazione di provvedere.
Il giudice può non solo ordinare
all'amministrazione di provvedere, ma può
anche pronunciarsi sulla fondatezza della
pretesa dedotta in giudizio: questo solo
quando si tratta di attività vincolata o
quando risulta che non residuano ulteriori
margini di esercizio della discrezionalità e
non sono necessari adempimenti istruttori
che debbano essere compiuti
dall'amministrazione.
Tra l'altro a questa iniziativa può
aggiungersi la richiesta di risarcimento dei
danni subiti. Anche se può risultare
inefficace una tutela meramente risarcitoria
e a posteriori
(articolo ItaliaOggi del 18.08.2011 -
tratto da www.ecostampa.it). |
ENTI LOCALI: MANOVRA
BIS/ I piccoli enti restano dove sono. Si
aggiungono le unioni municipali. Funzioni
sdoppiate. All'assemblea le competenze su
ordine pubblico e sicurezza. Al presidente
quelle dell'art. 50 Tuel.
I comuni con meno di 1.000 abitanti devono
necessariamente gestire tutti i servizi
tramite unioni municipali; viene innalzata a
10.000 abitanti la soglia minima
obbligatoria per la gestione associata dei
servizi e delle funzioni e tutte le sei
funzioni fondamentali dei comuni dovranno
essere gestite in forma associata entro la
fine del 2012 da parte dei piccoli centri.
Sono queste le radicali novità contenute nel
dl n. 138, in materia di gestione associata.
Esse spingono in modo assai marcato
l'acceleratore sulla razionalizzazione delle
attribuzioni dei comuni, puntando a ottenere
nello stesso tempo un significativo
risparmio dei costi, realizzando economie di
scala nella gestione delle proprie
attribuzioni, e un netto miglioramento della
gestione, in particolare in termini di
quantità e qualità dei servizi. La volontà
risulta essere assai chiara, ma le modalità
operative con cui realizzare questo processo
devono essere ancora ben precisate.
Nessuna abrogazione. I comuni con meno di
1.000 abitanti dovranno dare vita a unioni
municipali. Quindi, non siamo in presenza di
una «abrogazione» dei piccolissimi municipi,
per cui non è alle viste alcuna drastica
diminuzione degli attuali 8.100 circa
comuni, ma viene prevista la introduzione
dell'obbligo della gestione associata di
tutti i servizi da parte di queste
amministrazioni.
A differenza della gestione
associata nei comuni fino a 5.000 abitanti
che deve riguardare solo le funzioni
fondamentali, per questi enti la gestione
associate deve riguardare tutte le attività.
Direttamente ai piccoli comuni rimarranno in
capo quindi esclusivamente i compiti di
rappresentanza della comunità. Il
legislatore dispone che in questi enti gli
organi di governo siano costituiti
esclusivamente dal sindaco eletto
direttamente, mentre scompaiono sia la
giunta che il consiglio.
Le unioni municipali. Le unioni municipali
devono essere costituite dai comuni con
popolazione inferiore a 1.000 abitanti che
siano «contermini», cioè direttamente
confinanti. Inoltre è necessario che tali
enti facciano parte della stessa provincia.
Da evidenziare che questo ente è
completamente diverso dalle unioni dei
comuni previste dal dlgs n. 267/2000 come
strumento per la gestione associata di
servizi. Non è prevista una soglia minima,
per cui un'unione potrebbe nascere anche con
popolazione inferiore a 1.000 abitanti se a
dare vita ad essa sono centri che insieme
non raggiungono tale soglia.
Gli organi
dell'unione sono il presidente (che svolge i
compiti dei sindaci), l'assemblea municipale
(che svolge i compiti dei consigli) e la
giunta municipale (che svolge i compiti
delle giunte comunali). Le regole operative
per la realizzazione di queste disposizioni
saranno dettate con uno specifico decreto
del ministro dell'interno da emanare entro
la metà del mese di novembre. Le unioni
nasceranno invece man mano che si va alle
elezioni per il rinnovo degli organi di
governo dei piccolissimi comuni. In caso di
inadempienza, previa diffida, è prevista la
nomina di commissari ad acta da parte dei
prefetti.
Il legislatore dà una risposta anche alla
ipotesi che si realizza in numerose realtà
in cui i comuni aventi popolazione inferiore
a 1.000 abitanti non confinano con nessun
altro centro che ha le stesse
caratteristiche: in questa ipotesi non
scatta l'obbligo di dare vita alla unione
municipale, ma vengono semplificati gli
organi di governo dell'ente. Infatti, il
numero di consiglieri viene ridotto a 5,
oltre il sindaco, e il numero massimo degli
assessori viene ridotto a 2. Si applicano
cioè le nuove regole dettate per gli organi
di governo dei comuni con popolazione
inferiore a 3.000 abitanti.
Il vincolo dei
5.000 abitanti o del quadruplo dei residenti
del centro più piccolo che aderisce alla
gestione associata posto dal recente dl
98/2011 per dare vita a gestioni associate
tramite le unioni di comuni o le convenzioni
o, probabilmente, la delega alle comunità
montane viene unificato nella soglia minima
di 10.000 abitanti. In questo modo il
legislatore ha voluto garantire che il
livello minimo di abitanti delle gestioni
associate sia adeguato.
La novità si completa con l'abbreviazione
dei termini entro cui le nuove forme di
gestione associata dovranno gestire le sei
funzioni fondamentali. In precedenza era
previsto che nel corso del 2011 essa debba
essere attivata per almeno due, per altre
due nel 2012 e per le restanti due nel 2013;
adesso si conferma che almeno due devono
essere attivate entro quest'anno, ma tutte
le altre quattro devono essere gestite in
forma associata entro la fine del 2012,
quindi con l'anticipo di un anno
(articolo ItaliaOggi del 18.08.2011). |
ENTI LOCALI: MANOVRA
BIS/ Per le province più piccole una
soppressione piena di incognite.
Soppressione al buio delle province con
popolazione inferiore ai 300.000 abitanti o
superficie inferiore a 3.000 chilometri
quadrati. L'analisi: nel dl 138 norme
lacunose sulla successione patrimoniale e
funzionale degli enti da cancellare.
L'articolo 15 del dl 138/2011 riflette senza
dubbio la frettolosità con la quale il
governo è intervenuto sulla questione legata
all'abolizione delle province sull'onda
della pressione mediatica, perché si limita
a prevedere l'estinzione delle province più
piccole, fornendo indicazioni estremamente
lacunose riguardo a come procedere per
garantire la successione nelle attività e
nei patrimoni delle province soppresse.
Insomma, il dl 138/2011 sostanzialmente
limita il proprio intervento a stabilire che
alcune province a decorrere dalla data di
scadenza del mandato amministrativo
provinciale in corso spariranno, lasciando
indeterminato ciò che avverrà dopo.
Unica preoccupazione del legislatore,
sottolineare l'opportunità a disposizione
dei comuni facenti parti della
circoscrizione territoriale delle province
soppresse di promuovere, sentita la regione
di appartenenza, l'adozione di una legge
finalizzata a definire il mutamento della
circoscrizione territoriale, ai sensi
dell'articolo 133 della Costituzione. Il
comma 2 dell'articolo 14 limita tale
possibilità alla aggregazione «a un'altra
provincia all'interno del territorio
regionale, nel rispetto del principio di
continuità territoriale».
E laddove i comuni
non esercitino l'iniziativa o, in ogni caso,
entro il termine di estinzione delle
province non sia ancora vigente la legge che
ridetermini le circoscrizioni, il comma 3
dell'articolo 14 dispone che «le funzioni
esercitate dalle province soppresse sono
trasferite alle regioni, che possono
attribuirle, anche in parte, ai comuni già
facenti parte delle circoscrizioni delle
province soppresse oppure attribuirle alle
province limitrofe a quelle soppresse,
delimitando l'area di competenza di ciascuna
di queste ultime. In tal caso, con decreto
del ministro dell'interno, sono trasferiti
alla regione personale, beni, strumenti
operativi e risorse finanziarie adeguati».
Qui emergono i punti dolenti dell'iniziativa
legislativa. Infatti, manca totalmente una
regola sulla successione alle attività e
risorse delle province soppresse che
garantisca un subentro onnicomprensivo e
totale, come sarebbe indispensabile nel caso
di una soppressione. Si nota che il decreto
del Viminale è subordinato alla sola
circostanza che non intervenga la legge di
revisione delle circoscrizioni e le regioni
assegnino le funzioni delle province
soppresse a quelle limitrofe.
Nessuna
indicazione, invece, viene data per il caso
«virtuoso» della fissazione delle nuove
circoscrizioni in applicazione della legge
prevista dall'articolo 133 della
Costituzione. Inoltre, il decreto del
ministero dell'interno dovrebbe limitarsi a
disciplinare il trasferimento alla regione
del personale ex provinciale, nonché dei
beni, degli strumenti operativi e, ancora,
di risorse finanziarie come si nota in modo
che siano «adeguati».
Insomma, non si tratterebbe di una
successione in universum ius, ma in misura
discrezionale. Il che è oggettivamente
impossibile. Le province portano con sé,
ovviamente, un carico patrimoniale ed
economico non indifferente: ad esse sono
intestati tantissimi beni immobili,
principalmente strade e scuole superiori,
molte delle quali non sono in proprietà, ma
affidate in convenzione dai comuni ai sensi
della legge 13/1996; poi, le province hanno
ovviamente in corso contratti di mutuo
oppure buoni ordinari provinciali (Bop) o
altre forme di finanziamento. L'ente che
subentra alle province non può non
accollarsi complessivamente debiti e
crediti.
Una successione vera e propria a un ente
soppresso non può, dunque, limitarsi a
trasferire all'ente che succede risorse
«adeguate», ma l'intero carico degli asset
della provincia soppressa.
Si nota, ancora, come manchi una razionale
idea sulla distribuzione delle funzioni
provinciali. In prima battuta, mancando la
legge di cui all'articolo 133 della
Costituzione, dovrebbero esercitarle le
regioni. Verosimilmente, dunque, se non
intervenisse la norma che ridetermini in
modo serio le circoscrizioni provinciali, si
assisterà alla creazione di nuovi soggetti,
agenzie regionali per il lavoro, la
formazione, il turismo, l'ambiente, la fauna
e l'ambiente, la manutenzione delle strade,
la gestione delle scuole (per limitarsi alle
competenze principali), oppure alla
creazione di nuove strutture solo
formalmente regionali, ma di fatto
caratterizzate da un'autonomia amplissima.
Semplicemente poco credibile è
l'attribuzione ai singoli comuni delle
funzioni delle province soppresse da parte
delle regioni: la rete dei trasporti
pubblici, per esempio, non può che essere
una funzione sovracomunale, come quella
delle politiche del lavoro.
Totalmente nebulosa, poi, è la sorte dei
dipendenti: non si capisce, infatti, se la
dotazione alle regioni debba essere «adeguata»
anche in riferimento al personale da
trasferire. Così come scritta, la
disposizione lascia aperta la possibilità
che parte del personale possa anche non
essere trasferito, senza indicare alcuna
possibile alternativa.
E sì che la soppressione delle province
potrebbe essere l'occasione per trasferire
personale anche verso uffici pubblici
carenti di organico, sulla base di una
disciplina che offra ai dipendenti
provinciali anche la strada per poter optare
tra alcune scelte
(articolo ItaliaOggi del 18.08.2011 -
tratto da www.ecostampa.it). |
ENTI LOCALI: MANOVRA
BIS/ Premiati gli enti che privatizzano.
Bonus di 500 mln nel 2013-2014. Tornano le
incompatibilità. I comuni sotto i 30 mila
abitanti devono dismettere le partecipazioni
entro la fine del 2012.
Una forte spinta alla privatizzazione della
gestione dei servizi da parte degli enti
locali attraverso la istituzione di un
premio per gli enti che danno corso a questa
scelta e l'anticipazione di un anno, cioè
alla fine del 2012, del vincolo alla
alienazione delle quote o alla messa in
liquidazione delle società da parte dei
piccoli e medi comuni. Viene inoltre dettato
un tetto per l'affidamento diretto della
gestione a società in house.
Nella stessa
direzione vanno anche la
responsabilizzazione dei prefetti nella
verifica del rispetto dei vincoli dettati
dal legislatore per società e consorzi, la
introduzione di nuovi vincoli per i bandi di
aggiudicazione dei servizi locali e la
reintroduzione dei divieti, cancellati dal
referendum dello scorso mese di giugno, alla
presenza negli organi di governo delle
società locali di amministratori o ex
amministratori. Altra scelta, per molti
versi strettamente connessa, è quella di
impegnare i comuni a realizzare forme di
liberalizzazione tali da imprimere una
sferzata per la crescita economica.
I comuni con popolazione inferiore a 30 mila
abitanti, quindi la stragrande maggioranza,
non possono dare vita a società in house o
partecipate. Anzi devono dismettere le quote
o provvedere alla messa in liquidazione di
quelle esistenti entro il termine che la
manovra-bis anticipa dalla fine del 2013
alla fine del 2012. Tale obbligo non si
applica alle società che alla stessa data,
che anche in questo caso è stata anticipata
di 1 anno, abbiano il bilancio in utile per
almeno gli ultimi tre esercizi, cioè il
2010, il 2009 e il 2008. Ovvero che negli
anni precedenti non abbiano subito riduzioni
di capitali a seguito di perdite ovvero per
le quali il comune è stato costretto ad
interventi di ripiano. Questo vincolo non si
applica neppure se la società è posseduta da
comuni che superano, complessivamente, i 30
mila abitanti e le cui quote sono ripartire
in modo paritario o proporzionale.
Una forte spinta alla privatizzazione
arriverà dalla significativa incentivazione
finanziaria introdotta dall'articolo 5 del
dl n. 138. Infatti si mettono a disposizione
250 milioni di euro nel 2013 e altrettanti
nel 2014 come contributo da ripartire tra i
comuni che privatizzano le proprie società.
Il valore di tale contributo è di fatto
accresciuto dal fatto che esso non concorre
ai fini del patto di stabilità.
Da
evidenziare che risulta impossibile oggi
determinare la misura concreta che può
spettare alle singole amministrazioni, in
quanto ciò dipende dal numero di domande.
Per impedire effetti distorsivi viene
comunque posto il tetto per cui tale
incentivazione non può superare i proventi
che l'ente ha ottenuto dalla
privatizzazione. Questa incentivazione non
si applica alle dismissioni nel settore
idrico.
Vengono riproposti i divieti abrogati dal
recente referendum alla possibilità che i
componenti gli organi di amministrazione
delle società in house e di quelle
partecipate dagli enti locali possano essere
scelti tra gli amministratori dell'ente
locali, cioè sindaci, assessori e
consiglieri. Si torna a prevedere che quelli
in carica, nonché quelli che hanno svolto
tale incarico negli ultimi tre anni non
possono essere nominati nei consigli di
amministrazione o come amministratori di
tali società. Lo stesso divieto viene
imposto ai diretti congiunti, nonché a
coloro che hanno o hanno avuto incarichi di
collaborazione con l'ente locale.
Sempre al fine di disincentivare le
amministrazioni a dare vita a società, si
dispone che esse debbano applicare le stesse
regole dettate dal dlgs n. 163/2006 per gli
appalti delle pubbliche amministrazioni. E
si rafforza il vincolo a che le assunzioni
di personale (che ricordiamo il recente dl
98/2011 ha compreso per la gran parte delle
società locali tra gli oneri dell'ente
proprietario) siano effettuate con le stesse
procedure concorsuali previste per le p.a.
Fino a che le società non si saranno date i
regolamenti attuativi è loro vietato di
effettuare assunzioni.
Il legislatore torna inoltre a ribadire che
i bilanci delle società cd in house, cioè di
quelle che hanno avuto affidate direttamente
la gestione di servizi locali a rilevanza
economica, devono essere compresi
nell'ambito del patto di stabilità dell'ente
proprietario. E stabilisce il tetto di 900
mila euro annui per la gestione in house,
cioè affidata direttamente. Da sottolineare
che le stesse disposizioni dettano vincoli
molto più stringenti per la individuazione
del soggetto a cui affidare la gestione di
un servizio pubblico locale. E, per la prima
volta, dettano anche specifici vincoli per
la composizione della commissione che
presiede all'aggiudicazione di tali servizi,
vietando la presenza di dirigenti se alla
gara partecipa una società posseduta
dall'ente.
Entro un anno i comuni devono effettuare una
ricognizione delle forme di liberalizzazione
che possono realizzare senza violare
obblighi derivanti da trattati
internazionali; senza violare principi
costituzionali; senza danneggiare la
sicurezza, la libertà e la dignità umana
ovvero la salute e senza determinare
conseguenze negative per la finanza
pubblica.
Tale ricognizione deve essere
accompagnata dalla introduzione delle
necessarie misure nei regolamenti dell'ente.
Il rispetto di questo vincolo viene valutato
positivamente ai fini dell'inserimento del
comune tra quelli «virtuosi» ai fini
del patto di stabilità
(articolo ItaliaOggi del 18.08.2011 -
tratto da www.corteconti.it). |
VARI: MANOVRA
BIS/ Pugno duro contro i professionisti. La
sospensione dall'albo può mettere in
ginocchio l'attività. I riflessi pratici
della sanzione comminata a chi omette di
rilasciare al cliente più volte la fattura.
La sospensione dall'ordine per omessa
fatturazione può mettere letteralmente in
ginocchio il libero professionista. Anche se
la nuova sanzione accessoria introdotta
dall'articolo 2, comma 5, del dl 138 del 13
agosto scorso (cosiddetta manovra-bis) fosse
comminata nella misura ridotta di soli tre
giorni le conseguenze sull'attività
professionali potrebbero infatti essere
estremamente gravi fino a mettere in serio
pericolo il prosieguo della sua attività
professionale.
La nuova sanzione accessoria all'omessa
fatturazione pur essendo una fattispecie
mutuata dal legislatore nell'ambito delle
attività commerciali (in particolare dalla
chiusura delle attività commerciali in
ipotesi di omesso rilascio dello scontrino
fiscale) può avere infatti per i
professionisti conseguenze ben più pesanti
che vanno al di là della semplice perdita di
prestigio.
Sono sostanzialmente due gli aspetti del
provvedimento in esame che meritano di
essere qui evidenziati.
Il primo riguarda il peso specifico della
sanzione accessoria comminata al
professionista.
La sospensione dall'ordine, al di là
dell'aspetto formale e pregiudizievole per
fama e la notorietà del professionista, può
avere infatti anche effetti sostanziali di
non poco conto. Si pensi, per esempio, alle
attività svolte dall'iscritto in qualità di
ausiliario del giudice quale curatore
fallimentare, perito ecc., o ancora alle
attività svolte in qualità di revisore dei
conti o componente di collegi sindacali. I
provvedimenti di sospensione, anche se di
breve durata, comportano infatti la
decadenza del professionista da tali
funzioni e incarichi con evidenti danni per
lo stesso sotto il profilo economico. Una
volta infatti decaduto da un collegio
sindacale o da un incarico di curatore
fallimentare il professionista non potrà
chiedere di essere reintegrato in tale
funzione alla cessazione del periodo di
sospensione. Quell'incarico sarà dunque
perso per sempre con tutte le conseguenze
del caso. E se un professionista si fosse
specializzato proprio in queste attività la
sospensione potrebbe mettere a rischio la
prosecuzione stessa dell'attività.
Un secondo aspetto che merita di essere qui
rilevato è l'immediatezza della sanzione
accessoria. Il legislatore non ha infatti
voluto equiparare la fattispecie
sanzionatoria con l'apertura di un
provvedimento disciplinare a cura e gestione
dell'ordine o dell'albo di apparenza ma ha
previsto che al verificarsi della
fattispecie sopra ricordata la sospensione
sia immediatamente esecutiva con gli effetti
che da ciò derivano.
Sul punto rimane un dubbio. Che succede nel
caso in cui il provvedimento che sanziona la
quarta violazione nel quinquennio e fa
scattare la sanzione accessoria sia oggetto
di constatazione da parte del
professionista? La sanzione accessoria
scatterà egualmente, con tutte le
conseguenze sopra ricordate, oppure si
attenderà l'esito dell'eventuale
contestazione? L'interpretazione puramente
letterale della nuova disposizione sembra
piuttosto chiara: la sospensione scatterà
comunque ed immediatamente con tutti gli
effetti diretti e indiretti che da essa
derivano.
La nuova sanzione accessoria a carico dei
professionisti iscritti in albi o ordini
professionali verrà contestata, recitano le
disposizioni sopra ricordate, al compimento,
nel corso di un quinquennio, di quattro
distinte violazioni dell'obbligo di emettere
il documento certificativo dei corrispettivi
compiute in giorni diversi (si veda
ItaliaOggi del 17 agosto).
Il provvedimento di sospensione, recita
ancora la disposizione della manovra-bis,
sarà immediatamente esecutiva e verrà
trasmessa all'ordine professionale o al
soggetto tenuto alla gestione dell'albo per
la pubblicazione immediata della stessa sul
sito internet della categoria.
Pugno duro del fisco dunque nei confronti
dei liberi professionisti che si rendono
responsabili di ripetute violazioni in tema
di omessa fatturazione nell'arco di un
quinquennio. Oltre alle sanzioni tributarie
previste per le specifiche fattispecie verrà
dunque irrogata anche una sanzione
accessoria, di tipo amministrativo,
consistente nella sospensione dall'esercizio
della professione per un periodi di tempo
variabile da un minimo da un massimo.
Essendo la sospensione dall'ordine o
dall'albo un provvedimento di natura
personale che colpisce il singolo iscritto,
qualora l'omessa fatturazione sia compiuta
da un soggetto collettivo, quali per esempio
un'associazione professionale o uno studio
associato, la suddetta sanzione accessoria
sarà disposta nei confronti di tutti i
professionisti associati
(articolo ItaliaOggi del 18.08.2011). |
PUBBLICO IMPIEGO: Mobbing
nelle mani dei giudici. In assenza di norme
consolidate, conta la giurisprudenza.
Panoramica sulle sentenze della Cassazione:
oltre ai codici conta il dettato
costituzionale.
In mancanza di un riferimento normativo
consolidato, per individuare la nozione di
mobbing e le norme applicabili bisogna far
riferimento alla giurisprudenza.
Le sentenze
in materia si basano, oltre che sul codice
penale, sull'art. 32, comma 1, della
Costituzione (secondo cui la Repubblica
tutela la salute come fondamentale diritto
dell'individuo e interesse della
collettività) e su articoli del codice
civile.
Ricordiamo l'art. 2043 (che regolamenta la
responsabilità extracontrattuale) e l'art.
1375, a norma del quale il contratto deve
essere eseguito secondo buona fede, per
l'appunto richiamato al fine di reprimere
comportamenti non specificatamente vietati.
I canoni di buona fede e correttezza
concorrono con le norme specifiche in tema
di demansionamento, alla valutazione della
legittimità della condotta del datore di
lavoro. Soprattutto occorre far riferimento
all'articolo 2087 c.c., a norma del quale
l'imprenditore deve adottare le misure che,
secondo la particolarità del lavoro,
l'esperienza e la tecnica, sono necessarie
per tutelare, oltre all'integrità fisica, la
personalità morale dei prestatori di lavoro.
Il mobbing si articola in quattro componenti
(al riguardo spicca la sentenza della Corte
di cassazione n. 4774 del 06.03.2006):
1. un elemento oggettivo (una condotta
vessatoria del datore di lavoro);
2. un elemento temporale (l'apprezzabilità,
sotto il profilo cronologico, della sequenza
dei comportamenti datoriali);
3. un elemento modale (il carattere
persecutorio dei predetti comportamenti);
4. Un elemento finale (preordinazione alla
estromissione e/o emarginazione del
lavoratore.
Il datore di lavoro e l'amministrazione
rispondono, in concorso con il dipendente
mobber, del comportamento persecutorio (ai
sensi degli articoli 2043 e 2049 del codice
civile).
Il datore di lavoro non si affranca dalla
responsabilità in materia limitandosi a
dedurre iniziative repressive del mobbing,
ma deve dimostrare di aver attuato rimedi
preventivi rispetto al sorgere dell'attività
persecutoria. Nel nostro ordinamento non
esistono norme specifiche sulla persecuzione
lavorativa, mentre le proposte di legge
dirette all'introduzione del reato di
mobbing, si sono susseguite senza esito.
Manca, del resto, anche una disciplina
specifica civilistica.
Risale al 20.09.2001 la risoluzione A5-0283/2001
con cui il Parlamento europeo ha
raccomandato agli stati membri dell'Unione,
tra l'altro, di imporre alle imprese, a
poteri pubblici e parti sociali l'attuazione
di politiche di prevenzione efficaci,
rilevando che il mobbing produce conseguenze
nefaste per i datori di lavoro a causa
dell'assenteismo e della riduzione della
produttività delle vittime, oltre che delle
indennità da erogare ai lavoratori
ingiustamente licenziati. La mancanza di una
norma specifica non preclude la valenza
penale di questa condotta.
Infatti, si
tratta di una responsabilità spesso anche di
carattere penale. La giurisprudenza presenta
un'ampia casistica di condanne per abuso di
ufficio, ingiuria, minaccia e lesioni
personali colpose. Non si può trascurare,
tra le fattispecie penali rinvenibili in
materia di mobbing, quella del reato di
maltrattamenti, contemplato dall'art. 572
del codice penale che punisce con la
reclusione da 1 a 5 anni chiunque maltratta
una persona sottoposta alla sua autorità o
affidatagli per ragioni di educazione,
istruzione, cura, vigilanza o custodia, o
per l'esercizio della professione o di
un'arte.
Alla vittima del mobbing si schiude
una sorta di doppio binario giudiziario.
L'azione risarcitoria per il danno derivante
da reato può essere esercitata in sede
civile o in sede penale, mediante la
costituzione di parte civile ai sensi degli
artt. 74 e ss. c.p.c. Il lavoratore può
agire in sede penale nei confronti dei
colleghi e dei superiori mobber.
Inoltre, il
lavoratore che si ritenga danneggiato da un
reato del datore di lavoro, da un lato può
invocare nel giudizio civile l'autorità
dell'eventuale giudicato penale di condanna
ex art. 651 c.p.p. (anche quando non abbia
partecipato al processo penale) e dall'altro
lato, evitando di costituirsi parte civile,
può tentare, anche in presenza di un
giudicato penale di assoluzione, di far
accertare la colpevolezza del datore di
lavoro. Per effetto dell'art. 28 della
Costituzione i dipendenti pubblici sono
direttamente responsabili degli atti
compiuti in violazione di diritti, e la loro
responsabilità si estende allo stato, agli
enti pubblici e, conseguentemente, ai loro
dirigenti, che rispondono penalmente del
mobbing per il solo fatto di essere
consapevoli della condotta persecutoria.
Infatti non è richiesto in materia il
requisito della volontà dell'effetto della
condotta lesiva.
Non necessariamente (per effetto di quanto
affermato la Cassazione con sentenza n. 2352
del 02.02.2010, in una causa per demansionamento) la vittima della
dequalificazione o del mobbing deve
convenire in giudizio il datore di lavoro,
che diventa l'obiettivo indispensabile
dell'azione solo nel caso in cui il
lavoratore avanzi una specifica richiesta di
risarcimento dei danni da dequalificazione
per violazione della responsabilità
contrattuale, sulla base dell'art. 2103 del
codice civile. Mentre si può convenire in
giudizio direttamente un collega quando le
richieste del lavoratore poggiano su altre
disposizioni del codice civile.
Ci riferiamo
all'art. 2043 come clausola generale che
impone il risarcimento del danno ingiusto
all'autore del fatto doloso o colposo da cui
deriva. Bisogna poi ricordare l'art. 2059,
che impone il risarcimento dei danni non
patrimoniali nei casi determinati dalla
legge. Ulteriore disposizione del codice
civile che ricorre nelle altre sentenze in
materia è l'art. 1375, a norma del quale il
contratto deve essere eseguito secondo buona
fede, per l'appunto richiamato al fine di
reprimere comportamenti non specificatamente
vietati.
La responsabilità in materia contempla il
danno non patrimoniale. Numerose
disposizioni assicurano una tutela
rafforzata alla persona del lavoratore con
il riconoscimento di diritti oggetto di
tutela costituzionale. Quando il datore di
lavoro leda questi diritti (che, non essendo
stati predeterminati dal legislatore, per
essere suscettibili di tutela risarcitoria
devono essere di volta in volta individuati
dal giudice del merito), può essere
riconosciuto il risarcimento del danno non
patrimoniale.
Così, con riferimento al
giudizio instaurato per dequalificazione e
mobbing da un dipendente pubblico, le
Sezioni unite della Cassazione (con
pronuncia n. 4063 del 22.02.2010)
hanno ritenuto appropriato il risarcimento
del danno non patrimoniale, esattamente
identificato dal giudice del merito negli
«aspetti di vissuta e credibile
mortificazione derivanti_ dalla situazione
lavorativa in cui si trovò ad operare» il
ricorrente, secondo una basata
sull'accertamento del nesso causale tra la
condotta illecita del datore di lavoro e lo
stato di moritificazione del dipendente
(articolo ItaliaOggi del 18.08.2011). |
ENTI LOCALI - VARI: Contachilometri.
Fuorilegge i pannelli lato strada.
Vanno tenuti ancora spenti i tabelloni
elettronici che indicano la velocità dei
veicoli in transito. Almeno fino
all'omologazione degli strumenti infatti
nessun impianto può essere attivato sulle
strade per questa specifica finalità.
Lo ha
evidenziato il ministero dei trasporti con
il parere 19.01.2011 n. 204.
Sono
tanti i comuni e le province che nel corso
di questi anni hanno installato impianti di
fantasia attivabili al passaggio dei
veicoli. In particolare sono stati attivati
in tutta la penisola numerosi tabelloni
luminosi e impianti di monitoraggio dotati
di lanterne di avvertimento oppure di
arresto. Contro questo variopinto arredo
stradale fai da te il ministero di via Caraci
è sempre stato palesemente schierato.
E questo orientamento di chiusura alle
installazioni creative prosegue nonostante
la legge di riforma stradale n. 120/2010
abbia legittimato, formalmente, queste
installazioni. In mancanza di omologazione e
di adeguamento del regolamento stradale,
specifica la nota centrale, questi
dispositivi restano vietati
(articolo ItaliaOggi del 18.08.2011). |
ENTI LOCALI: MANOVRA
BIS/ Enti, cambia il Patto
non i tagli.
La decurtazione dei trasferimenti resta
quella del 2010. Il contributo chiesto alle
autonomie incide in termini di fabbisogno e
indebitamento netto.
Nella trappola c'è cascato persino il
ministro dell'interno Roberto Maroni. Che
nella tradizionale conferenza stampa di
Ferragosto ha invocato una correzione della
manovra-bis, varata venerdì scorso dal
governo, e un azzeramento dei «tagli» agli
enti locali.
In realtà a ben leggere il
testo del decreto legge n. 138/2011 e della
relazione d'accompagnamento, si comprende
come di tagli alle autonomie, letteralmente
intesi, non vi sia nemmeno l'ombra. Certo i
sacrifici chiesti a regioni ed enti locali
non saranno di poco conto: 6 miliardi nel
2012 (1,6 alle regioni a statuto ordinario,
2 a quelle a statuto speciale, 1,7 ai comuni
e 700 milioni alle province) che
diventeranno 6,4 nel 2013 e 2014.
Ma non si
tratta di alcuna decurtazione di
trasferimenti erariali, bensì di misure che
incidono a livello di indebitamento netto e
fabbisogno e dunque stringono sì le maglie
del patto di stabilità (che diventa
maggiormente oneroso) ma senza ridurre
ulteriormente le erogazioni dello stato a
favore dei comuni (fondo di riequilibrio) e
delle province (fondo ordinario e
compartecipazione Irpef).
«Ad aumentare è il saldo finanziario ai fini
del patto di stabilità», spiega Maurizio
Delfino, docente all'università Lumsa di
Roma e componente del gruppo di tecnici
ministeriali che ha scritto la manovra-bis,
«ma per la prima volta si attuerà una vera
differenziazione in base alla virtuosità
degli enti, come fortemente voluto dal
ministro Roberto Calderoli». Il dl 138 ha
infatti anticipato al 2012 i meccanismi
premiali previsti dalla manovra correttiva
di luglio (dl 98/2011) che consentono agli
enti di neutralizzare i tagli in presenza di
alcuni indici di virtuosità.
Inoltre, le
amministrazioni non saranno
responsabilizzate solo sul fronte delle
spese, ma anche su quello delle entrate
vista la maggiore autonomia tributaria che
deriverà dallo sblocco delle addizionali per
i comuni e dalla riforma dell'Ipt subito in
vigore per le province. Una manovra che
ammazza il federalismo? Manco per sogno. Il
braccio destro di Calderoli e Maroni ne è
convinto. «L'unico aspetto antifederalista»,
osserva, «sarebbe stato il taglio al Fondo
di riequilibrio contenuto nei commi 6, 7 , 8
del dl 98/2011, ma tali commi sono stati
soppressi in sede di conversione in legge
del decreto».
Ne consegue che i soli tagli attualmente in
vigore per gli enti locali sono quelli
previsti dalla manovra 2010: 300 milioni per
le province e 1,5 miliardi per i comuni nel
2011 a cui vanno ad aggiungersi 500 milioni
per le province e 2,5 miliardi per i comuni
nel 2012. Le misure contenute nel dl 98 e
rafforzate dal dl 138 realizzano invece il
concorso degli enti agli obiettivi di
finanza pubblica, non con riduzioni di fondi
erariali, bensì «in termini di fabbisogno
e indebitamento netto», ossia incidono a
livello di saldo del patto di stabilità.
E per questo non si applicano ai comuni con
meno di 5 mila abitanti i quali dunque
restano del tutto immuni ai sacrifici
imposti dalla manovra di Ferragosto
(articolo ItaliaOggi del 17.08.2011). |
ENTI LOCALI: MANOVRA
BIS/ Revisori
comunali nominati per estrazione. Anche le
regioni dovranno nominare un collegio per
controllare i conti.
Dall'01.01.2012 anche le regioni
dovranno nominare un collegio di revisori
dei conti. Inoltre, d'ora innanzi tutti i
revisori dei comuni saranno nominati con
procedura di estrazione.
È quanto prevedono
gli art. 14, comma 1, lett. e), 16, comma
11, del dl n. 138/2011 in vigore dal 13
agosto scorso.
Le ragioni della revisione nelle regioni. Le
regioni, enti territoriali fino ad oggi
privi dell'organo di regolarità contabile,
vengono (opportunamente) equiparati agli
enti locali (comuni, province, città
metropolitane, unione di comuni e comunità
montane) nelle quali tale nomina è da tempo
espressamente prevista (art. 234 Tuel). Le
regioni, dunque, ai fini di garantire una
vigilanza sulla regolarità contabile
finanziaria ed economica della gestione
dell'ente, saranno obbligate a nominare un
organo di revisione.
Tale introduzione
appare, ad avviso di chi scrive,
assolutamente opportuna sia in relazione
all'entità delle risorse riscosse, gestite e
impiegate dagli enti, sia per il fatto che
con l'organo di revisione si introdurrà un
meccanismo di controllo complessivo della
gestione dell'ente, che consentirà,
attraverso l'analisi del rapporto
prestazioni erogate/obiettivi, di misurare
l'adeguatezza dell'organizzazione a
perseguire gli scopi individuati in modo
efficiente ed efficace. Leggi regionali,
presumibilmente, fisseranno nel dettaglio i
compiti e le funzioni dei collegi dei
revisori.
Composizione e nomina del nuovo organo
regionale. Sebbene l'art. 14 non preveda il
numero dei componenti, appare ipotizzabile
ritenere che i collegi dei revisori delle
regioni saranno costituiti da tre o cinque
membri, il che determinerà la nomina di
60/100 revisori.
I componenti dell'organo di
controllo saranno scelti (mediante
estrazione da un elenco regionale nel quale
potranno essere iscritti, su domanda, i
revisori legali dei conti di cui al dlgs n.
39 del 27.01.2010. Viene tra l'altro
richiesta una specifica qualificazione
professionale in materia di contabilità
pubblica e gestione economica e finanziaria
degli enti territoriali (si può pensare a
particolari ruoli rivestiti in funzioni di
amministratore pubblico, di esperienze quali
revisori in enti locali ecc.).
Anche
riguardo a questo tema si ritiene che sarà
demandata ad apposite leggi regionali la
fissazione dei requisiti specifici.
La nomina dei revisori dei comuni. L'altra
novità riguarda la nomina dei revisori dei
comuni (nulla viene previsto, di contro, in
merito alla nomina dei revisori nelle
province). Qui, l'art. 16, comma 11 del
decreto sulla manovra (che di fatto va a
modificare la nomina dei revisori legali da
parte dei consigli comunali), prevede che a
decorrere dagli organi nominati
successivamente al 13.08.2011, i
revisori dei conti dei comuni «sono scelti
mediante estrazione da un elenco nel quale
possono essere inseriti, a richiesta, i
soggetti iscritti nel registro dei revisori
legali di cui al dlgs 39/2010, in possesso
di specifica qualificazione in materia di
contabilità pubblica e gestione economica
finanziaria degli enti territoriali».
A
riguardo, dunque, sembra con ciò superata
anche la querelle giurisprudenziale che
voleva da una parte alcuni Tribunali
amministrativi (Tar Puglia sentenza n.
114/2009 e, dapprima, Tar Umbria sentenza
556/2006) ritenere ancora valide le
previsioni di cui all'art. 234, comma 2 del Tuel secondo cui i revisori, fino al
definitivo processo di unificazione degli
albi professionali, dovevano essere scelti
distintamente nell'albo dei dottori
commercialisti e dei ragionieri e dall'altra
il Consiglio di stato che con decisione
17/09/2010 n. 6964 aveva rilevato come a
seguito della unificazione dei due albi, dall'01.01.2008,
tale diversificazione non avesse più ragion
d'essere.
Quest'ultima posizione sembra essere stata
accolta dal legislatore
(articolo ItaliaOggi del 17.08.2011). |
PUBBLICO IMPIEGO: MANOVRA
BIS/ Mobilità a tutto spiano
nella p.a..
Trasferimenti anche in aree diverse di
contrattazione. L'obbligatorietà
dell'istituto è legato alla
razionalizzazione delle province e dei
piccoli comuni.
Trasferimenti obbligatori per i dipendenti
pubblici, anche nelle more dei criteri che
saranno definiti dalla contrattazione
collettiva.
Il dl 138/2011 dà un ulteriore colpo di
acceleratore alla mobilità del personale
pubblico, potenziandola ulteriormente con
l'articolo 1, comma 26, ai sensi del quale i
dipendenti di tutte le amministrazioni
previste dall'articolo 1, comma 2, del dlgs
165/2011 «esclusi i magistrati, su richiesta
del datore di lavoro, sono tenuti a
effettuare la prestazione in luogo di lavoro
e sede diversi sulla base di motivate
esigenze, tecniche, organizzative e
produttive con riferimento ai piani della
performance o ai piani di razionalizzazione,
secondo criteri e ambiti regolati dalla
contrattazione collettiva di comparto.
Nelle more della disciplina contrattuale si
fa riferimento ai criteri datoriali, oggetto
di informativa preventiva, e il
trasferimento è consentito in ambito del
territorio regionale di riferimento; per il
personale del ministero dell'interno il
trasferimento può essere disposto anche al
di fuori del territorio regionale di
riferimento. Dall'attuazione del presente
comma non devono derivare nuovi o maggiori
oneri a carico della finanza pubblica».
Il comma 19 completa l'opera modificando
l'articolo 30, comma 2-bis, del dlgs al
quale è aggiunta la seguente frase: «Il
trasferimento può essere disposto anche se
la vacanza sia presente in area diversa da
quella di inquadramento assicurando la
necessaria neutralità finanziaria».
Il potenziamento dell'istituto della
mobilità è evidentemente finalizzato a
consentire il passaggio dei dipendenti
pubblici da un territorio all'altro della
medesima amministrazione, ma anche tra
un'amministrazione e l'altra: infatti,
coinvolti sono anche regioni ed enti locali.
È implicita la connessione tra questa norma
e il disegno di riduzione delle province,
unione dei comuni con meno di 1.000 abitanti
e ridisegno degli uffici periferici statali
che hanno sede nelle province che verranno
soppresse. Questi ultimi, infatti,
dovrebbero traslocare, per concentrarsi
nelle nuove sedi ove si collocheranno gli
uffici periferici. Pertanto, risulta
fondamentale poter imporre ai dipendenti la
mobilità in ambito regionale, così da
razionalizzare la distribuzione delle
risorse umane.
Sono, dunque, sostanzialmente queste le
«esigenze, tecniche, organizzative e
produttive con riferimento ai piani della
performance o ai piani di razionalizzazione»
cui fa riferimento l'articolo 1, comma 29,
che danno al datore di lavoro pubblico la
potestà di trasferire i dipendenti.
Lo stesso, nella sostanza, varrà anche per
comuni, province e regioni interessate dalla
profonda trasformazione che scaturirà della
soppressione delle province con meno di
300.000 abitanti o con una superficie
inferiore ai 3.000 chilometri quadrati.
Anche se il dl 138/2011 non entra
assolutamente nel dettaglio della disciplina
necessaria per stabilire le sorti dei
dipendenti coinvolti dalle soppressioni ed
accorpamenti previsti dagli articoli 15 e 16
della manovra 2011-bis, è evidente che il
loro trasferimento sarà una misura
necessaria per garantire sia la buona
riuscita delle operazioni, sia la
conservazione dei posti di lavoro.
Mancano,
tuttavia, in questo momento i criteri per
scegliere chi e come dovrà essere
trasferito. Il comma 29 assegna alla
contrattazione collettiva di comparto (si
ritiene, dunque, debba trattarsi della
contrattazione di livello nazionale) il
compito di stabilire criteri ed ambiti. Ma,
il blocco della contrattazione fino al 2014
certo non favorirà la convocazione delle
parti. Per questo, il comma 29 dispone che
in assenza della contrattazione si
utilizzeranno criteri che saranno
autodeterminati dalle amministrazioni
stesse, soggette solo all'informazione
preventiva, non alla contrattazione.
Il che non favorirà un clima sereno nelle
relazioni sindacali, dal momento che
processi di estesa mobilità come quelli
determinati dal dl 138/2011 richiedono
indubbiamente un coinvolgimento delle parti
sociali ampio, anche ai fini di una
valutazione completa delle implicazioni
complesse collegate alla soppressione delle
province ed alla riorganizzazione
mastodontica che ne deriverà
(articolo ItaliaOggi del 17.08.2011). |
PUBBLICO IMPIEGO: MANOVRA
BIS/
Negli enti non virtuosi tredicesima
posticipata e a rate. Per la prima volta una
norma incide su una componente fissa della
retribuzione.
Tredicesima posticipata a rate per i
dipendenti di pubbliche amministrazioni non
virtuose. Per la prima volta una
disposizione normativa incide su una
componente fissa della retribuzione,
considerandola come se fosse eventuale e
connessa all'avverarsi di una condizione,
snaturandone la natura. Ma, la necessità di
fare cassa ha indotto il governo, con
l'articolo 1, comma 7, del dl 138/2011 di
introdurre una misura a dir poco draconiana
per i dipendenti pubblici.
La norma modifica l'articolo 10, comma 12,
del dl 98/2011, convertito in legge 111,
inserendo un nuovo periodo dopo il secondo,
ai sensi del quale «nella ipotesi prevista
dal primo periodo del presente comma ovvero
nel caso in cui non siano assicurati gli
obiettivi di risparmio stabiliti ai sensi
del comma 2, con le modalità previste dal
citato primo periodo può essere disposto,
nel rispetto degli equilibri di bilancio
pluriennale, il differimento, senza
interessi, del pagamento della tredicesima
mensilità dovuta ai dipendenti delle
pubbliche amministrazioni di cui
all'articolo 1, comma 2, del decreto
legislativo 30.03.2001, n. 165, in tre
rate annuali posticipate.
Con decreto di natura non regolamentare del
ministro dell'economia e delle finanze sono
stabilite le disposizioni tecniche per
l'attuazione del presente comma».
I presupposti, dunque, per negare ai
dipendenti pubblici il pagamento a dicembre
della tredicesima mensilità sono
l'incapacità dell'amministrazione di
rispettare gli obiettivi finanziari
stabiliti dal Documento di economia e
finanza e da eventuali aggiornamenti, oppure
il mancato raggiungimento degli obiettivi
programmati di finanza pubblica.
Laddove si accertino questi indici di
mancata virtuosità nella gestione il
differimento si può dare corso al
differimento della tredicesima. È bene
precisare che tale misura non è automatica,
ma facoltativa, dal momento che l'articolo
1, comma 7, della manovra 2011-bis
stabilisce che esso «può essere disposto».
In questo caso, ai dipendenti la tredicesima
sarà pagata in tre rate annuali, per altro
senza interessi, secondo modalità ancora da
decidere con decreto del ministero
dell'economia.
Alla misura sono interessate solo le
amministrazioni statali: infatti è ad esse
che si rivolge l'articolo 10 del dl 98/2011
convertivo in legge 111/2011. Dunque,
restano esclusi i dipendenti di regioni ed
enti locali. Il che contribuisce ad
aumentare i dubbi di legittimità
costituzionale della norma, anche sul piano
della parità di trattamento dei dipendenti.
Soprattutto, desta perplessità la scelta di
diradare i pagamenti delle tredicesime in
base ad eventi che non possono essere
connessi alla diretta responsabilità dei
dipendenti.
La norma sarebbe apparsa egualmente una
misura molto dura anche se fosse stata
concepita come metodo generale, applicato a
tutti i dipendenti pubblici, per consentire
di realizzare risparmi di cassa nel corso
degli anni, a prescindere da indici di
gestione non virtuosa.
Così come concepita, la norma va contro
anche qualsiasi logica di «meritocrazia» e
impatta decisamente sulla riforma Brunetta.
Infatti, per il mancato rispetto di indici
finanziari, finiscono per rispondere i
dipendenti, col differimento di una parte
della loro retribuzione: non è esattamente
un sistema per incentivare la produttività.
La norma, inoltre, dovrebbe portare a
conseguenze molto forti sul principio di
separazione delle competenze della
dirigenza, da quelle degli organi di
governo. Non è, infatti, un mistero che gli
sforamenti agli obiettivi finanziari da
parte delle amministrazioni siano
spessissimo conseguenza di scelte ed
indicazioni derivanti soprattutto dagli
organi di governo ed i loro staff.
La disposizione contenuta nel dl 138/2011,
viste le conseguenze molto rilevanti che
produce su un elevatissimo numero di
dipendenti, dovrebbe, allora, consentire
alla dirigenza tecnica di non attuare alcun
indirizzo che possa compromettere gli
obiettivi gestionali o, quanto meno, di
rilevare formalmente l'incompatibilità di
tali indirizzi con la necessità di
assicurare gli obiettivi, anche per non
danneggiare i dipendenti.
Anche allo scopo di evidenziare, così, su
chi ricada effettivamente la responsabilità
degli scostamenti e fornire le basi per non
esercitare, eventualmente, la facoltà di
posticipare la tredicesima
(articolo ItaliaOggi del 17.08.2011). |
ENTI LOCALI: MANOVRA
BIS/ Tagli alle poltrone nelle province.
La riduzione dei costi della politica
colpisce gli enti intermedi. La cura
dimagrante interessa anche consigli e giunte
dei comuni sotto i mille abitanti.
Cura dimagrante per gli organi collegiali
degli enti locali. Il dl 138/2011 impone una
drastica riduzione dei componenti di
consigli e giunte di comuni e province,
completando l'opera già intrapresa con la
legge 191/2009.
La mannaia appare più decisa
per le province, mentre sui comuni la mano
del legislatore è più delicata. Per quanto
concerne le province, a decorrere dal primo
rinnovo degli organi di governo successivo
alla data di entrata in vigore della manovra
estiva 2011-bis, il numero dei consiglieri
provinciali e degli assessori provinciali
previsto dalla legislazione vigente sarà
ridotto della metà, con arrotondamento
all'unità superiore.
La normativa da
considerare vigente è l'articolo 2, comma
184, della legge 191/2009, che aveva
sforbiciato circa del 20% il numero dei
componenti di consigli e giunte
precedentemente stabilito dal dlgs 267/2000.
Gli organi collegiali di governo delle
province subiscono un taglio molto drastico,
che appare tuttavia sufficientemente
giustificabile, in particolare per quanto
riguarda la composizione dei consigli.
Non si deve dimenticare che l'organo
assembleare elettivo delle province è privo
delle competenze in tema di governo del
territorio proprie dei consigli comunali,
sicché gli ordini del giorno dei consigli
provinciali non sempre sono ricchi di
argomenti. Per i comuni è andata meglio.
L'articolo 16 del dl 138/2011 concentra la
riduzione del numero di consiglieri e
assessori solo negli enti con popolazione
inferiore ai 30.000 euro. Rimane, dunque,
tutto uguale per gli enti di maggiori
dimensioni, che comunque sono la metta
minoranza.
Dunque nei comuni con popolazione superiore
a 1.000 e fino a 3.000 abitanti, il
consiglio è composto, oltre al sindaco, da
cinque consiglieri; gli assessori non
potranno essere più di 2; nei comuni con
popolazione superiore a 3.000 e fino a 5.000
abitanti, il consiglio comunale è composto
da sindaco e sette consiglieri; gli
assessori non potranno essere più di 3; nei
comuni con popolazione superiore a 5.000 e
fino a 10.000 abitanti, il consiglio
comunale sarà composto da sindaco e nove
consiglieri; gli assessori non potranno
essere più di 4
(articolo ItaliaOggi del 17.08.2011). |
ENTI LOCALI: MANOVRA
BIS/ Consiglieri e assessori ridotti un po'
dappertutto lungo lo stivale. Dieta drastica
anche per le assemblee regionali.
Addio alle province con meno di 300 mila
abitanti e alle prefetture ubicate in tali
sedi. Fino al mandato amministrativo in
corso, nessun intervento sarà previsto per
gli enti provinciali. Ma una volta scaduta
la consiliatura, l'articolo 15 prevede la
soppressione delle province «diverse da
quelle la cui popolazione censita sia
superiore a 300 mila abitanti o la cui
superficie complessiva sia superiore a 3.000
km quadrati». Norma quest'ultima contestata
dalle opposizioni in quanto ritenuta pro
Sondrio (la città d'origine del ministro
Tremonti).
A meno di stravolgimenti nel passaggio
parlamentare, suonerà la campana a morto per
29 enti provinciali, tra i quali Trieste e
Benevento. I comuni delle province
soppresse, sono tenuti a richiedere
l'aggregazione ad altra provincia
all'interno del territorio regionale, nel
rispetto del principio di continuità
territoriale.
Se il comune resta inerte e il legislatore
non ha ancora «messo mano» alla normativa di
revisione delle circoscrizioni provinciali,
le funzioni esercitate dalle province
soppresse sono trasferite alle regioni, le
quali possono trasferirle alle province
limitrofe e sopravvissute alla tagliola. In
ogni caso, la norma prevede che non possono
essere istituite province in regioni con
popolazione inferiore a 500 mila abitanti.
Per completare il quadro relativo ai
risparmi in termini di spesa pubblica, la
manovra straordinaria prevedere che a
decorrere dal primo rinnovo degli organi di
governo delle province, successivo alla data
di entrata in vigore della stessa manovra,
il numero dei consiglieri provinciali e
degli assessori, come previsto dalla
normativa vigente, è ridotto della metà (si
veda altro pezzo in pagina).
Il de profundis delle province si trascina
anche la stessa sopravvivenza delle relative
prefetture. Una volta soppresso l'ente
provinciale, infatti, anche gli uffici
territoriali di governo aventi sede nelle
province su cui è passata la scure di
Tremonti dovranno chiudere. Un decreto del Mininterno stabilirà le modalità di
attuazione di queste ultime disposizioni
nonché alla revisione delle strutture
periferiche delle amministrazioni pubbliche
presenti nelle province soppresse. La norma
non lo dice, ma il fine è sicuramente quello
di ricollocare nella p.a. il personale delle
prefetture soppresse.
Interventi sulle regioni.
I consigli regionali subiranno una drastica
dieta. Le regioni dovranno adeguare i propri
ordinamenti prevedendo che quelle con
popolazione residente fino a un milione di
abitanti, il numero di consiglieri
(escludendo il presidente della giunta) non
potrà superare il numero di venti.
Tale
soglia si eleva a trenta se la regione conta
fino a due milioni di abitanti, 40 per le
regioni fino a quattro milioni di abitanti,
50 per le regioni fino a 6 milioni, 70 per
le regioni fino a 8 milioni di abitanti e,
infine, 80 consiglieri regionali per le
regioni con una popolazione che supera gli
otto milioni di abitanti. C'è una scadenza,
ed è quasi imminente, affinché le regioni si
adeguino.
Infatti, la riduzione del numero di
consiglieri dovrà essere adottata entro sei
mesi dalla data di entrata in vigore della
manovra (ovvero entro il 14.02.2012)
ed essere efficace dalla prima elezione
regionale immediatamente successiva.
Tuttavia, a titolo di clausola di
salvaguardia, le regioni che hanno un numero
di consiglieri regionali inferiore a quello
previsto dalla manovra, non possono in alcun
modo aumentarne il numero. Il decreto
straordinario interviene anche nel numero
degli assessori regionali.
Si prevede, infatti, che questi siano pari o
in numero inferiore al quinto dei
consiglieri (con arrotondamento all'unità
superiore). Si mette mano anche alle
prebende e alle indennità. Dall'01/01/2012,
gli emolumenti e le indennità (ma anche dei
benefits comunque denominati), previsti per
i consiglieri regionali, non possono
superare il limite dell'indennità spettante
ai membri del parlamento, commisurando,
altresì, tale indennità, all'effettiva
partecipazione del consigliere regionale ai
lavori del consiglio
(articolo ItaliaOggi del 17.08.2011). |
ENTI LOCALI: MANOVRA
BIS/ Delle Province non si farà nulla.
La Liguria e l'Umbria avrebbero, ciascuna,
un solo ente. Tanto per cominciare bisognerà
attendere l'aprile del 2013 per sapere quali
sopprimere.
«Nel complesso siamo fra il 40 e il 50 per
cento di taglio delle Province». Così,
orgogliosamente, proclamava Roberto
Calderoli intervistato domenica scorsa da la
Padania. Già in precedenza aveva sparato
cifre elevate, fra i 30 e i 40 enti
provinciali destinati a sparire.
Vediamo, però, di capire se realmente le
province destinate a scomparire siano così
elevate di numero.
Prima che si potesse leggere il testo del
decreto-legge sulla manovra come pubblicato
in Gazzetta, si pensava che la sforbiciata
riguardasse le province con meno di 300mila
abitanti. La lettura del testo ufficiale ha
rivelato che non vengono toccati gli enti
con almeno 3mila kmq di superficie. Non è
finita.
Se la lettura del testo appare drastica («a
decorrere dalla data di scadenza del mandato
amministrativo provinciale in corso sono
soppresse le province»), un piccolo
particolare sposta nel tempo l'operazione.
La popolazione, infatti, non è quella oggi
legale, bensì quella che sarà rilevata «al
censimento generale della popolazione del
2011».
Nel corso della conferenza stampa, Roberto
Calderoli ha segnalato come si tratti di una
disposizione dettata dal buon senso, poiché
il censimento si svolgerà nei tempi di
conversione in legge del decreto e conviene
quindi attendere i nuovi dati: alcune
province potrebbero essere oggi (censimento
2001) sotto i 300mila, ma salire sopra
(censimento 2011).
C'è un particolare. È vero che il censimento
si svolgerà il 9 ottobre prossimo, ma i
risultati ufficiali, gli unici che abbiano
valore legale, saranno in vigore soltanto
con l'emanazione di un dpr che di solito
arriva un anno e mezzo dopo (almeno) il
censimento. Per esempio, i risultati del
censimento 1981 andarono sulla Gazzetta
Ufficiale il 07.04.1983. I dati del
censimento 2001, quelli tuttora in vigore,
furono pubblicati il 07.04.2003. Dunque,
bisognerà attendere verosimilmente l'aprile
2013 per sapere quali siano le pro-vince con
popolazione inferiore ai 300mila abitanti.
Attenzione, poi. Ci sono le regioni a
statuto speciale. Due non sono interessate,
o perché non hanno province (Valle d'Aosta)
o perché le loro sono pro-vince autonome
(Trentino-Alto Adige). Lo statuto della
Sicilia assegna alla regione il «regime
degli enti locali e delle circoscrizioni
relative»; similmente gli statuti sardo e
friulano attribuiscono ai rispettivi enti la
competenza in tema di «ordinamento degli
enti locali e delle relative
circoscrizioni».
È così vero che la Sicilia soppresse le
province, sostituendole con liberi consorzi
di comuni, oggi denominati province
regionali. Quanto alla Sardegna, in luogo di
tagliare le province, dopo aver assistito al
sorgere (con legge statale) della quarta
provincia (Oristano), ha provveduto, con
proprie leggi regionali, a farne nascere
altre quattro, ciascuna con due capoluoghi.
Ergo, bisogna guardare alle quindici regioni
a statuto ordinario, per vedere quali
province siano destinabili alla
ghigliottina. Sulla base di recenti dati
Istat, si tratterebbe di Asti,
Verbano-Cusio-Ossola, Vercelli, Biella,
Lodi, Rovigo, Imperia, Savona, La Spezia,
Piacenza, Massa-Carrara, Pistoia, Prato,
Terni, Ascoli Piceno, Fermo, Rieti,
Campobasso, Isernia, Benevento, Crotone e
Vibo Valentia. Siamo solo a quota 22. Tanto
per capirci, ben sette di queste province
sono sorte negli ultimi vent'anni. La loro
soppressione, però, dovrebbe tener conto
delle istituende città metropolitane.
Il governo ha la delega, da esercitare entro
il maggio 2013, per adottare i decreti
legislativi isti-tutivi delle città
metropolitane di Torino, Milano, Venezia,
Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli e
Reggio Calabria. Ovviamente, il sorgere di
questi nuovi enti locali determinerebbe
ritagli di confini destinati a incidere
sulle province contermini. Un solo esempio:
la Liguria.
Secondo il decreto-legge, la
soppressione toccherebbe tre province su
quattro, esclusa la sola Genova, la quale
ultima però scomparirebbe con la
costituzione della città metropolitana di
Genova. Ecco che allora bisognerebbe
ridisegnare l'intero territorio ligure.
Ancor più complicato il caso di Pistoia e
Prato, posto che il consiglio regionale
della Toscana individuò l'area metropolitana
fiorentina nelle intere province di Firenze,
Prato e Pistoia.
Passiamo poi ai casi di due piccole regioni.
L'Umbria, ove scomparisse la provincia di
Terni, sarebbe una regione con una sola
provincia. Non ci sono divieti, certo; però
suona insolita, per non definirla
altrimenti, la coincidenza territoriale di
due enti, l'uno all'altro sovraordinato. Ma,
si dirà, l'Umbria potrebbe recuperare
Rieti, umbra sino al fascismo e adesso
destinata a scomparire. E no, perché il
decreto vieta, ai comuni appartenenti a una
provincia soppressa, di cambiare regione
(una modifica assurda, perché inibisce
mutamenti territoriali a volte attesi da
decenni in alcune zone).
Passiamo al Molise. La regione è esempio
perfetto della dilatazione degli enti. Fino
alla repubblica, esisteva una regione
(intesa come compartimento statistico, senza
competenze legislative) Abruzzo e Molise,
con quattro province. Adesso abbiamo due
regioni, con sei province. Unificando
Campobasso e Isernia, si avrebbe una regione
con una sola provincia. È pensabile?
Qui
giunti, mettiamo insieme province che
potrebbero rinascere con l'istituzione delle
città metropolitane, province che si
accorperebbero senza scomparire, province
che dovrebbero restare in vita a causa
dell'insufficienza di enti provinciali nella
regione di appartenenza: l'operazione si
ridurrebbe, non immediatamente, ma fra
qualche anno, a una dozzina di enti (più le
dieci province destinata a mutarsi in città
metropolitane; ma da queste nascerebbero
nuove province?).
Naturalmente la riduzione degli uffici
decentrati dello Stato sarebbe limitata a
queste ex province, non certo alle città
metropolitane. Nessuno può sognarsi che
nella città metropolitana di Milano non ci
siano, domani, prefettura, questura ecc.. A
questo punto c'è da pensare che, un po' per
motivi razionali, un po' per le ovvie
pressioni dei parlamentari legati ai
territori da cui sparirebbero le province
più disgraziate (altro è la sparizione di
un'intera categoria di enti, altro la
soppressione di una parte: più fosse
ridotta, più elevate sarebbero le proteste),
l'intera operazione subisca un azzeramento.
Per meglio dire, sarebbe pensabile un
rinvio, con la riserva di nulla fare, almeno
finché non siano partite le città
metropolitane
(articolo ItaliaOggi del 17.08.2011). |
PUBBLICO IMPIEGO: MANOVRA
BIS/ Il decreto legge fa la festa ai
ponti.
Tra i riposi tagliati spuntano anche
Pasquetta e Santo Stefano. Da decidere i
termini dell'accorpamento alle domeniche o
ai lunedì. Dpcm entro il 30 novembre.
La previsione normativa sullo spostamento
delle feste ha ripreso quanto in più
occasioni sostenne Silvio Berlusconi,
regolarmente equivocato come se avesse
inteso sopprimere alcuni giorni festivi. Si
tratta, essenzialmente, di spostare un
giorno festivo infrasettimanale al venerdì o
al lunedì successivo, per limitare l'effetto
del ponte.
Esempio. Nel 2012 il 25 aprile cadrà di
mercoledì e il 1° maggio di martedì. Se la
prima festa venisse spostata a venerdì 27,
attutirebbe il desiderio di «pontificarla»
con l'uso del 26 e del 27; se poi fosse
collocata a lunedì 30 aprile, permetterebbe
un unico ponte da sabato 28 a martedì 1°
maggio, evitandone un paio di altri. In ogni
caso, inibirebbe il proliferare di assenze
motivate solo per cumulare giorni di
vacanza.
Per la verità, il decreto-legge
prevede una terza possibilità, che è quella
più temuta ed è passata, in genere, come
l'unica applicabile: cioè la coincidenza con
la domenica. In questo caso, oltre che
evitare ponti, naturalmente ci sarebbe una
giornata festiva perduta. È prevedibile che
molti parlamentari si oppongano, in sede di
conversione.
Quali sono esattamente le feste
interessate? La risposta, di là di
strafalcioni commessi da molti anche dopo
aver avuto in mano il testo definitivo, si
ricava da una sottrazione. Bisogna prendere
la legge n. 260 del 1949 (vigente), che
disciplina le «ricorrenze festive», e
sottrarvi i «giorni festivi» che tali sono
in virtù del concordato con la S. Sede,
indicati dalla legge n. 810 del 1929 (fra
essi figurano pure tutte le domeniche).
Entrambi i provvedimenti vanno esaminati con
le modifiche più volte apportate (feste
religiose soppresse, feste religiose
ripristinate, feste nazionali spostate
ecc.). Se ne ricava che i giorni disponibili
per il dpcm che sposti le feste per l'anno
successivo, come previsto dall'art. 1, comma
24, del decreto-legge 138, sono i seguenti:
il 25 aprile; il lunedì dopo Pasqua; il 1°
maggio; il 2 giugno; il 26 dicembre.
Qualcuno si stupirà di trovare come feste
civili i giorni di Pasquetta e di S.
Stefano. Il concordato, invero, non ne fa
cenno alcuno. Si tratta di giorni di riposo
introdotti dallo stato per rendere più
festevoli le due ricorrenze: Pasqua (che
altrimenti sarebbe una qualsiasi domenica) e
Natale. Se il lunedì detto dell'Angelo cade
già, per sua natura, il lunedì, e quindi non
ha bisogno di essere spostato per evitare
ponti, teoricamente il giorno di S. Stefano
potrebbe essere fatto slittare al venerdì,
alla domenica o al lunedì successivo.
Difficile prevederlo, anche se le occasioni
«pontificanti» legate al 1° gennaio (festa
religiosa) potrebbero invitare a trasferire
il giorno festivo oggi fissato al 26
dicembre senza alcun'altra indicazione che
non sia la data (la designazione con santo
Stefano è soltanto corrente: fra l'altro, la
giornata non è di precetto per la Chiesa
cattolica).
Restano 25 aprile, 1° maggio e 2
giugno. Naturalmente, si solleverà un
putiferio in nome del Lavoro, della
Resistenza, dell'Antifascismo e via
esaltando Valori e Ideali. È già successo in
questi giorni: ci limitiamo a citare il livoroso pezzo («Giù le mani da quelle
feste») apparso su l'Unità il 12 agosto, a
firma di un Vittorio Emiliani solitamente
ben più posato. Così invece non avvenne nel
1977, quando fu fatto sparire il 4 novembre,
giorno della Vittoria e autentico simbolo
della raggiunta Unità italiana. Non ci
furono grandi doglianze nemmeno per la
soppressione della «festa nazionale» (tale
definita per legge) del 2 giugno, poi
reintrodotta una tantum nel 1986 e in via
definitiva dal 2001, pronubo Carlo Azeglio
Ciampi.
Indipendentemente dalle polemiche
promosse e promovende degli esaltatori delle
feste civili oggi oggetto di spostamento, ci
si augura che la stesura della disposizione
sia chiarita e modificata, anche sulla base
dell'esperienza maturata qualche mese fa con
l'introduzione, solo per quest'anno, del 17
marzo come giorno festivo (anniversario
dell'Unità). Andrebbero, insomma, sciolte le
espressioni concernenti «celebrazioni
nazionali» e le «festività dei Santi
Patroni», per risolvere anticipatamente i
problemi che si pongono nel diritto del
lavoro.
Ovviamente, una corretta stesura
delle norme implicherebbe che si azzerasse
quell'inciso «sulla base della più diffusa
prassi europea», contenente un'affermazione
tutta da provare ma, in ogni caso,
costituente una pura idiozia in un testo di
legge. Infine, un suggerimento terra terra.
Il termine previsto per emanare il dpcm
sulle feste è previsto per il 30 novembre di
ogni anno. Sarebbe bene anticipare la data
di qualche mese.
Ciò, per le ovvie esigenze di programmare
lavoro e riposo per ciascun italiano.
Bisogna altresì considerare piccoli
particolari pratici: già oggi si vendono
calendari per l'anno 2012; per avere agende
e calendari aggiornati bisognerebbe che le
ditte li apprestassero nei primi giorni di
ogni dicembre, con danni e problemi chiari a
tutti, meno che a chi ha steso la norma nel
decreto
(articolo ItaliaOggi del 17.08.2011). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: CONTRO
I DANNI/ Sui rifiuti torna la limitazione di
responsabilità.
L'ESCLUSIONE/ La polizza diventa
obbligatoria per tutti. Molti Ordini hanno
già stipulato convenzioni con le compagnie.
Il produttore è manlevato con la presa in
carico da parte dell'impianto di recupero o
di smaltimento.
La manovra prevede compensi pattuiti
prendendo come riferimento le tariffe
professionali, anche in deroga a queste
ultime. Il decreto legge Bersani del 2006
(poi convertito) aveva già abolito tariffe
fisse e minime e il divieto al patto di
quota lite. Tranne i commercialisti che non
prevedono "restrizioni", molti codici
professionali, pur adeguandosi, hanno
mantenuto il riferimento all'articolo 2233
del Codice civile che lega il compenso
all'importanza e al decoro della prestazione
Fatti salvi gli esami di Stato, non sono
ammesse limitazioni all'esercizio
professionale, in riferimento al numero o
per area geografica, se non in caso di
ragioni di interesse pubblico.
La formulazione dovrebbe salvare, in questo
modo, la "specificità" di
distribuzione territoriale di notai e
farmacisti. Restano vietate le limitazioni
che introducono forme di discriminazione
basate sulla nazionalità o, in caso di
esercizio in forma societaria, della sede
legale della società professionale
Con il decreto legge la formazione continua
diventa obbligatoria. Tuttavia, già quasi
tutti i Consigli nazionali delle libere
professioni la prevedono e gli Ordini
territoriali, assieme alle fondazioni, la
organizzano (talvolta in regime di monopolio
de facto).
La pubblicità informativa con ogni mezzo sui
propri titoli professionali e le
caratteristiche dei servizi offerti, già dai
tempi del decreto Bersani, è libera purché
veritiera, non comparativa o ingannevole
La manovra prevede che sia corrisposto un
equo compenso ai praticanti. In nessuno dei
codici deontologici il compenso è
obbligatorio, ma è sempre opportuno. Quasi
assenti agli Ordini le denunce di
sfruttamento da parte dei praticanti.
Commercialisti e consulenti del lavoro
prevedono già la possibilità di integrare un
periodo di pratica al corso di studi
universitari. I primi hanno stipulato
convenzioni tra Ordini locali e singole
università. I secondi hanno siglato
l'accordo-quadro.
L'abolizione del Sistri, il sistema per il
controllo e la tracciabilità dei rifiuti
–prevista dalla manovra di Ferragosto (Dl
138/2011)– scarica da ogni responsabilità il
produttore di rifiuti dal momento in cui
questi vengono presi in carico dagli
impianti autorizzati a recuperarli o a
smaltirli.
L'articolo 6, comma 2 della manovra sancisce
l'abolizione, a decorrere dal 13 agosto, del
comma 1116, dell'articolo 1, della legge
27.12.2006, n. 296, che costituisce la prima
indicazione sulla futura introduzione di una
versione elettronica dei documenti per la
tracciabilità dei rifiuti (formulari e
registri di carico e scarico); inoltre
dell'articolo 14-bis del decreto legge
01.07.2009, n. 78, convertito, con
modificazioni, dalla legge 03.08.2009, n.
102, con cui è stato definito il contenuto
di massima del decreto istitutivo del
Sistri.
Con la stessa decorrenza sono stati abrogati
anche il comma 2, lettera a), dell'articolo
188-bis del decreto legislativo 03.04.2006,
n. 152, che statuiva l'obbligo di garantire
la tracciabilità dei rifiuti dalla
produzione fino alla loro destinazione
finale mediante l'uso del Sistema di
controllo della tracciabilità dei rifiuti
(Sistri); ancora, l'articolo 188-ter del
medesimo decreto, che definiva i soggetti
obbligati a usare il sistema e quelli che
potevano scegliere di adottarlo su base
volontaria; l'articolo 260-bis del decreto
legislativo 03.04.2006, n. 152, con cui
erano state introdotte le sanzioni per le
omissioni e le violazioni delle disposizioni
relative al sistema informatico di controllo
della tracciabilità dei rifiuti; il comma 1,
lettera b), dell'articolo 16 del decreto
legislativo 3 dicembre 2010, n. 205, di
modifica agli articoli 188 (responsabilità
della gestione dei rifiuti), 189 (Catasto
dei rifiuti), 190 (Registri di carico e
scarico) e 193 (Trasporto dei rifiuti) del
decreto legislativo 03.04.2006, n. 152,
modifiche che, pur non essendo ancora
entrate in vigore, sono state tutte
azzerate; infine l'articolo 36 del decreto
legislativo 03.12.2010, n. 205,
limitatamente al capoverso "articolo
260-bis", cioè all'introduzione delle
sanzioni Sistri nel decreto legislativo
03.12.2010, n. 205, peraltro già
direttamente abrogato dall'articolo 6, comma
2, lettera d) del decreto legge 13.08.2011,
n. 138.
L'abrogazione di ciò che era già stato
abrogato è stata riservata anche al Dm
17.12.2009 e successive modificazioni, già
soppresso, insieme alle successive modifiche
e con l'unica eccezione relativa al termine
di piena operatività del sistema, dal
decreto dell'Ambiente 18.02.2011 n. 52,
anch'esso interamente cassato dal
13.08.2011.
Il decreto legge, infine, precisa che «resta
ferma l'applicabilità delle altre norme in
materia di gestione dei rifiuti»,
specificando che il dovere di garantire la
tracciabilità dei rifiuti può essere
adempiuto rispettando gli «obblighi
relativi alla tenuta dei registri di carico
e scarico nonché del formulario di
identificazione di cui agli articoli 190 e
193 del decreto legislativo n. 152 del 2006».
Con l'eliminazione delle modifiche agli
articoli citati viene meno, tra l'altro,
l'obbligo di istituire e movimentare un
registro di carico e scarico per il
trasporto dei propri rifiuti non pericolosi,
un adempimento di cui non si era mai
compresa l'utilità; viene soppresso
l'obbligo di tenere il registro relativo ai
rifiuti prodotti «presso ogni impianto di
produzione o, nel caso in cui ciò risulti
eccessivamente oneroso, nel sito di
produzione», eliminando il rischio di
dover movimentare più di un registro per
ogni unità locale.
L'abrogazione della più recente versione
dell'articolo 188 del Dlgs 152/2006, infine,
porta a ripristinare la limitazione della
responsabilità del produttore del rifiuto,
che torna a essere esclusa dal momento in
cui i rifiuti vengono presi in carico dal
primo impianto autorizzato a recuperarli o
smaltirli e il gestore sottoscrive la quarta
copia del formulario. Un approccio
senz'altro più in linea con le reali
possibilità di controllo sulla gestione dei
rifiuti che le imprese possono mettere in
campo, ma in contrasto con la Direttiva
quadro sui rifiuti (2008/98/Ce) (articolo
Il Sole 24 Ore del 17.08.2011). |
ENTI LOCALI: Il
collegio dei revisori dei conti entrerà
anche nelle Regioni.
Per rafforzare i
controlli interni e per valorizzarne
l'autonomia rispetto agli organi di governo
il Dl 138/2011 prevede l'introduzione del
collegio dei revisori dei conti nelle
regioni e lo sganciamento di quelli dei
comuni e delle regioni dalla nomina, e
quindi dall'influenza, degli organi di
governo. Non è disposto alcunché per le
province.
Questa disposizione è un ulteriore tassello
nella direzione di forme di controllo
indipendente sull'attività delle Pa: viene
dopo la valorizzazione del ruolo delle
sezioni regionali di controllo della Corte
dei conti, l'accrescimento della
responsabilità dei revisori e l'istituzione
degli organismi indipendenti di valutazione;
probabilmente precede l'istituzione di nuove
forme di controllo.
Anche le regioni devono, per la prima volta
e dal prossimo 1° gennaio, darsi il collegio
dei revisori dei conti, sulla base
dell'articolo 14, comma 1, lettera e). Per
fugare le possibili censure di legittimità
costituzionale questa disposizione, inserita
tra le misure di contenimento del numero dei
consiglieri e degli assessori, nonché di
riduzione delle loro indennità, è motivata
dalla esigenze di coordinamento della
finanza pubblica e di contenimento della
spesa. Non viene prevista come obbligatoria,
ma costituisce una delle condizioni per
poter essere considerati «ente virtuoso»
e concorrere alla distribuzione delle
risorse previste dall'articolo 20, comma 3,
del Dl 98/2011.
Le regioni sono incentivate -o di fatto
obbligate- a istituire il collegio dei
revisori dei conti. Per dare corso a tale
disposizione devono darsi delle regole
specifiche, i cui principi non possono che
essere inseriti nello statuto, il che
potrebbe determinare dei ritardi nella
concreta attivazione del nuovo istituto.
Occorre definirne bene i compiti, visto che
la disposizione legislativa si limita a
considerarlo «organo di vigilanza sulla
regolarità contabile, finanziaria ed
economica della gestione dell'ente».
È poi necessario fissarne il numero, che
dovrebbe essere di tre, considerato che si
parla di un collegio e che il Dl 78/2010
fissa in tale cifra la soglia massima dei
componenti gli organi di controllo delle Pa.
Si deve fissare la durata. Vanno anche
individuate le modalità operative: il
legislatore si limita a stabilire la
necessità del sorteggio tra i componenti un
elenco regionale di cui possono, a domanda,
far parte gli iscritti al registro dei
revisori legali, che siano «in possesso
di specifica qualificazione professionale in
materia di contabilità pubblica e gestione
economica e finanziaria degli enti
territoriali».
Per i comuni, l'articolo 16, comma 11,
dispone che la nomina dei revisori dei conti
avvenga tramite sorteggio da un elenco
provinciale nel quale sono inseriti a
richiesta i revisori dei legali in possesso
degli stessi requisiti di conoscenza della
contabilità pubblica previsti per potere
essere utilizzati dalle regioni. La
disposizione non modifica le regole del
decreto legislativo 267/2000, nonostante
esso preveda la necessità di modifiche
formali, il che potrebbe sollevare dei dubbi
applicativi. La decorrenza di applicazione è
fissata nella prima scadenza dei collegi
oggi in carica (durano tre anni).
Le modalità operative saranno dettate da un
decreto del ministro dell'Interno, da
adottare entro la metà del mese di novembre
(90 giorni dall'entrata in vigore del
decreto). Fino ad allora sarà impossibile il
rinnovo dei collegi di revisori già scaduti
o che vanno in scadenza
(articolo
Il Sole 24 Ore del 17.08.2011). |
INCARICHI PROFESSIONALI: Manovra
soft sulle professioni. Compensi da pattuire
con il cliente. Le tariffe valgono come
riferimento.
Un'istantanea
dell'esistente e una formulazione confusa
che prevede tutto e il suo contrario in
materia di onorari professionali, ma che
sostanzialmente recupera i tariffari
professionali "aboliti" dalla Bersani, nel
2006, assieme ai minimi.
Doveva essere la tempesta perfetta che si
abbatte sul mondo professionale. L'occasione
–forse unica perché dettata dall'urgenza dei
conti e da 20 anni di attesa– di scuotere
categorie in molti casi sostanzialmente
ancorate a regi decreti, fornendo loro gli
strumenti organizzativi ed economici
(costituire società flessibili e
multidisciplinari, fare ricerca o accedere
al credito) per ristrutturarsi e uscire
dalla crisi.
Quello che, invece, si affaccia con la
manovra d'agosto è un temporale estivo e
passeggero. Anche perché gran parte delle
misure sono già presenti nelle leggi
professionali, nei codici deontologici o in
regolamenti già in vigore che anticipano le
riforme degli ordinamenti che arrancano tra
Camera e Senato.
A partire dai compensi, per i quali, dietro
a una formulazione confusa, si riavvolgono
le lancette dell'orologio. Nel 2006, il
decreto legge Bersani aveva già abolito la
tariffa minima per i professionisti, con
possibilità del cliente di negoziare la
parcella. La formulazione contenuta nella
manovra, invece, non è altrettanto schietta:
«Il compenso spettante al professionista
–vi si legge– è pattuito per iscritto
all'atto del conferimento dell'incarico
professionale prendendo come riferimento le
tariffe professionali. È ammessa la
pattuizione dei compensi anche in deroga
alle tariffe stabilite con decreto dal
ministro della Giustizia».
Insomma, il compenso va sì pattuito, ma il
riferimento al tariffario recupera una
rilevanza che aveva perso nel decreto
Bersani. In pratica, si richiamano le
tariffe come "base" per il negoziato
e al contempo si dà la possibilità di
derogare alle tariffe stesse. Che comunque
restano applicabili in caso di contenzioso.
Per gli ingegneri –ad esempio– in tema di
tariffe, costituisce ancora illecito
disciplinare (oltre che nullità parziale del
contratto) la violazione dell'articolo 2233
del Codice civile, comma 2, in base al quale
«in ogni caso la misura del compenso deve
essere adeguata all'importanza dell'opera e
al decoro della professione».
Mentre, dopo un lungo braccio di ferro con
l'Antitrust, gli avvocati hanno rimosso
recentemente dal loro codice il collegamento
tra illecito disciplinare e Codice civile.
Non costituirà più illecito, ma che «la
misura del compenso debba essere adeguata
all'importanza dell'opera e al decoro della
professione» resta un "faro" sia
nel codice forense sia in quello dei
consulenti del lavoro. Più "liberisti",
sinora, si sono dimostrati i commercialisti,
nel cui codice il compenso è già liberamente
determinato dalle parti –senza alcun vincolo
di "decoro"– e deve essere
commisurato all'importanza dell'incarico,
alle conoscenze tecniche e all'impegno
richiesti.
La manovra di Ferragosto impone anche ai
professionisti la stipula di
un'assicurazione per danni derivanti
dall'esercizio professionale. Sebbene sia
sinora un obbligo vero e proprio solo per i
medici dipendenti e per i notai –per questi
ultimi la copertura è garantita dal
Consiglio nazionale e "ripagata"
dagli iscritti tramite le quote versate
all'Ordine– per le altre categorie (dai
legali ai consulenti, dagli ingegneri agli
architetti ai geometri) hanno stipulato
convenzioni con compagnie assicurative e
attivato moral suasion sugli
iscritti.
La pubblicità informativa –non comparativa,
denigratoria e rispettosa della privacy
della clientela– è già una realtà,
introdotta dal decreto Bersani. Ed è ormai "recepita"
negli ordinamenti e nella prassi quotidiana,
la formazione continua obbligatoria.
Così come fotografia dell'esistente è la
previsione di un equo compenso per i
praticanti, comunque non quantificato. Non è
obbligatorio ma opportuno per avvocati («magari
dopo il primo anno») e consulenti del
lavoro, che lo prevedono già nei rispettivi
codici. I commercialisti, benché
sottolineano «la natura gratuita» della
pratica, segnalano il dovere di
corrispondere al tirocinante una «borsa
di studio». Anche se sui forum online di
praticanti e precari non sono pochi gli "sfoghi"
di chi lamenta di lavorare a zero euro.
Inoltre, sia commercialisti sia consulenti
del lavoro prevedono già la possibilità
–come sancito dalla manovra– di integrare un
periodo di pratica al corso di studi
universitari. Abbreviando i tempi. In ogni
caso, avere inserito nero su bianco nel
decreto il compenso dei praticanti potrebbe
essere un primo passo per far acquisire un
profilo e un embrione di inquadramento al "ragazzo
di bottega" sinora non riconosciuto.
L'outsourcing del procedimento disciplinare
a un organo territoriale diverso da quello
amministrativo è, invece, mutuato dal
modello sinora in vigore per i soli notai.
Per gli eletti alle Coredi, le commissioni
regionali di disciplina, valgono anche una
serie di incompatibilità, tra componente
dell'organo e quelle di consigliere locale o
nazionale. Il problema resta per lo più il
basso numero di procedimenti disciplinari. A
parte i medici, secondo i dati forniti dagli
stessi Consigli nazionali, ogni anno sono
poche decine i procedimenti disciplinari da
affrontare.
Infine, se nella manovra non si fa cenno a
forme societarie o ad attività
multidisciplinari, sembra difficile che
possa cambiare davvero qualcosa anche sul
fronte dell'abbattimento alle restrizioni
d'impresa. Dato che le restrizioni potranno
restare in vigore per ragioni di interesse
pubblico, si presume che per notai e
farmacisti restino inalterate le barriere
quantitative. Sia quelle all'ingresso nella
professione, sia nella distribuzione delle
sedi e delle licenze (articolo
Il Sole 24 Ore del 17.08.2011). |
GIURISPRUDENZA |
URBANISTICA: Il
termine decennale di efficacia dei piani
particolareggiati è applicabile anche ai
piani di lottizzazione.
Anche dopo la scadenza, devono continuare ad
osservarsi le prescrizioni di zona previste
dal piano scaduto, in applicazione dell’art.
17, comma 1, l. 17.08.1942 n. 1150; infatti,
i piani attuativi hanno efficacia decennale,
con esclusione degli allineamenti e delle
prescrizioni di zona stabiliti dal piano
stesso destinati ad essere applicati a tempo
indeterminato anche in presenza di uno
strumento urbanistico generale.
Ne consegue che, in considerazione della
stabilità delle previsioni urbanistiche del
piano attuativo, queste ultime rilevano a
tempo indeterminato, anche dopo la sua
scadenza, e ciò in quanto l’art. 17 l.
17.08.1942 n. 1150 va inteso nel senso che,
scaduto il termine di efficacia stabilito
per l’esecuzione del piano attuativo, nella
parte in cui è rimasto inattuato non possono
più eseguirsi i previsti espropri,
preordinati alla realizzazione delle opere
pubbliche e delle opere di urbanizzazione
primaria, e non si può procedere
all’edificazione residenziale; dove invece
il detto piano ha avuto attuazione, con la
realizzazione di strade, piazze ed altre
opere di urbanizzazione, l’edificazione
residenziale è consentita secondo un
criterio di armonico inserimento del nuovo
nell’edificato esistente e in base alle
norme del piano attuativo scaduto.
Alla luce di quanto esposto, consegue che
–una volta scaduto il termine di efficacia
della convenzione di lottizzazione– nella
zona considerata non è più possibile
l’edificazione, proprio perché tale zona
rientra nella parte che non ha trovato
attuazione.
Ai fini della verifica delle conseguenze
della scadenza del termine decennale di
efficacia dei piani di lottizzazione, non
rileva se la mancata attuazione del piano
dipenda dal privato ovvero dalla pubblica
amministrazione, rilevando esclusivamente,
alla luce dell’art. 17 l. n. 1150/1942, il
dato oggettivo della mancata attuazione del
piano.
L’art. 17 l. n. 1150/1942, in tema di “validità
dei piani particolareggiati”, prevede,
per quel che interessa nella presente sede
(comma 1): “Decorso il termine stabilito
per la esecuzione del piano
particolareggiato questo diventa inefficace
per la parte in cui non abbia avuto
attuazione, rimanendo soltanto fermo a tempo
indeterminato l'obbligo di osservare nella
costruzione di nuovi edifici e nella
modificazione di quelli esistenti gli
allineamenti e le prescrizioni di zona
stabiliti dal piano stesso.”.
La giurisprudenza ha già avuto modo di
affermare che il termine decennale di
efficacia dei piani particolareggiati è
applicabile anche ai piani di lottizzazione
(Cons. Stato, sez. VI, 20.01.2003 n. 200).
Allo stesso tempo, la giurisprudenza ha
chiarito che, anche dopo la scadenza, devono
continuare ad osservarsi le prescrizioni di
zona previste dal piano scaduto, in
applicazione dell’art. 17, comma 1, l.
17.08.1942 n. 1150; infatti, i piani
attuativi hanno efficacia decennale, con
esclusione degli allineamenti e delle
prescrizioni di zona stabiliti dal piano
stesso destinati ad essere applicati a tempo
indeterminato anche in presenza di uno
strumento urbanistico generale.
Ne consegue che, in considerazione della
stabilità delle previsioni urbanistiche del
piano attuativo, queste ultime rilevano a
tempo indeterminato, anche dopo la sua
scadenza, e ciò in quanto l’art. 17 l.
17.08.1942 n. 1150 va inteso nel senso che,
scaduto il termine di efficacia stabilito
per l’esecuzione del piano attuativo, nella
parte in cui è rimasto inattuato non possono
più eseguirsi i previsti espropri,
preordinati alla realizzazione delle opere
pubbliche e delle opere di urbanizzazione
primaria, e non si può procedere
all’edificazione residenziale; dove invece
il detto piano ha avuto attuazione, con la
realizzazione di strade, piazze ed altre
opere di urbanizzazione, l’edificazione
residenziale è consentita secondo un
criterio di armonico inserimento del nuovo
nell’edificato esistente e in base alle
norme del piano attuativo scaduto (Cons.
Stato, sez. IV, 27.10.2009 n. 6572; sez. V,
30.04.2009 n. 2768).
Alla luce di quanto esposto, consegue che
–una volta scaduto il termine di efficacia
della convenzione di lottizzazione– nella
zona considerata non è più possibile
l’edificazione, proprio perché tale zona
rientra nella parte che non ha trovato
attuazione.
Ai fini della verifica delle conseguenze
della scadenza del termine decennale di
efficacia dei piani di lottizzazione, non
rileva se la mancata attuazione del piano
dipenda dal privato ovvero dalla pubblica
amministrazione, rilevando esclusivamente,
alla luce dell’art. 17 l. n. 1150/1942, il
dato oggettivo della mancata attuazione del
piano (Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 10.08.2011 n. 4761 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Il
giudizio di verifica della congruità di
un’offerta anomala ha natura globale e
sintetica sulla serietà o meno dell’offerta
nel suo insieme e costituisce espressione di
un potere tecnico-discrezionale
dell’amministrazione di per sé insindacabile
in sede di legittimità, salva l’ipotesi in
cui le valutazioni siano manifestamente
illogiche o fondate su insufficiente
motivazione o affette da errori di fatto.
Al contempo occorre rilevare che la verifica
di anomalia non ha per oggetto la ricerca di
specifiche e singole inesattezze
dell’offerta economica, mirando, invece, ad
accertare se l'offerta, nel suo complesso,
sia attendibile o inattendibile, e dunque se
dia o meno serio affidamento circa la
corretta esecuzione dell’appalto.
La verifica di anomalia dell’offerta
costituisce un sub-procedimento formalmente
distinto (ancorché collegato) rispetto al
procedimento di evidenza pubblica di
individuazione della proposta migliore, e si
esprime in un’indagine di contenuto
tecnico-economico secondo una precisa
ratio di fondo che è quella di evitare
l’aggiudicazione a prezzi tali da non
garantire la qualità del lavoro, fornitura o
servizio oggetto di affidamento.
La giurisprudenza prevalente ha
ripetutamente osservato che il giudizio di
verifica della congruità di un’offerta
anomala ha natura globale e sintetica sulla
serietà o meno dell’offerta nel suo insieme
(Consiglio di Stato, sez. V – 08/09/2010 n.
6495) e costituisce espressione di un potere
tecnico-discrezionale dell’amministrazione
di per sé insindacabile in sede di
legittimità, salva l’ipotesi in cui le
valutazioni siano manifestamente illogiche o
fondate su insufficiente motivazione o
affette da errori di fatto (Consiglio di
Stato, sez. V – 11/03/2010 n. 1414; sez. IV
– 20/05/2008 n. 2348).
Al contempo occorre rilevare che la verifica
di anomalia non ha per oggetto la ricerca di
specifiche e singole inesattezze
dell’offerta economica, mirando, invece, ad
accertare se l'offerta, nel suo complesso,
sia attendibile o inattendibile, e dunque se
dia o meno serio affidamento circa la
corretta esecuzione dell’appalto (Consiglio
di Stato, sez. VI – 21/05/2009 n. 3146).
Sotto altro punto di vista, il Collegio ha
in altra causa affermato che attraverso il
Piano Economico Finanziario (e per analogia
mediante le giustificazioni) ciascun
concorrente debba dimostrare la propria
capacità di eseguire correttamente la
prestazione alle condizioni economiche
proposte, cosicché l’amministrazione possa
ammettere alla gara le offerte che
risultino, nel loro complesso, affidabili:
si tratta dello strumento che avvalora la
sostenibilità economica dell’operazione e
che per questo non può essere considerato
assolutamente intangibile ed immodificabile,
ma viceversa suscettibile di specificazioni,
chiarimenti, limitate integrazioni ed
aggiustamenti.
Soccorrono in proposito i principi elaborati
dalla giurisprudenza in materia di verifica
dell’offerta anomala ai sensi dell’art. 88
del D.Lgs. 163/2006, che individuano
nell’affidabilità complessiva dell’offerta
il criterio guida della stazione appaltante
per la formulazione del giudizio e che
riconoscono il valore del contraddittorio e
delle giustificazioni quali mezzi utili per
sviluppare l’indagine con piena cognizione
di causa. E’ stato sottolineato che nel
corso del procedimento il concorrente può
addurre qualsiasi elemento che ritenga utile
per evidenziare la remuneratività
dell’offerta, e in tale contesto le
giustificazioni preventive non possono
costituire un vincolo tale da non poter
essere superate –e all’occorrenza
modificate– da quelle successive (cfr.
Consiglio di Stato, sez. VI – 08/04/2004 n.
1999).
Per questo motivo la rielaborazione del
Piano economico finanziario (o delle
giustificazioni) in momenti posteriori non
può costituire di per sé un vizio
insanabile, trattandosi di fase nella quale
il contraddittorio deve necessariamente
svilupparsi (cfr. sentenza Sezione
26/05/2009 n. 1064 confermata in appello da
Consiglio di Stato, sez. V – 10/02/2010 n.
653) (TAR Lombardia-Brescia. Sez. II,
sentenza 10.08.2011 n. 1242 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: E’
vero che, salvo i casi espressamente
previsti dalla legge, l’apposizione di una
condizione (sia essa sospensiva o
risolutiva) all’atto di assenso edilizio è
da ritenersi indebita, stante la natura di
accertamento costitutivo a carattere non
negoziale dell’assenso medesimo, ma è
altresì vero che, nella prassi
amministrativa, molte concessioni edilizie e
permessi di costruire sono stati emessi con
la previsione di specifiche “condizioni”,
trattandosi in realtà di “prescrizioni”, che
non condizionano la validità ed efficacia
dell’assenso edilizio, ma devono essere
rispettate, ai fini della successiva
agibilità e abitabilità dell’edificio.
Pertanto, il rilascio di un permesso di
costruire recante prescrizioni è da
ritenersi del tutto legittimo. Ciò è ancor
più vero se si considera che, nella
fattispecie, la prescrizione apposta al
permesso di costruire serve ad ovviare a un
difficile problema di valutazione della
sicurezza antincendio dell’opera assentita.
La società ricorrente, avendo presentato al
Comune di Termoli un progetto per la
ristrutturazione e il cambio di destinazione
d’uso della struttura del “Grand Hotel”
di via Cuoco, in Termoli, insorge per
impugnare il permesso di costruire n. 117
del 17.09.2008, rilasciato dal dirigente
dello Sportello unico dell’edilizia del
Comune alla ricorrente società, nella parte
in cui impone la condizione che sia
completamente rimossa la porta al primo
piano seminterrato che affaccia sulla rampa
di accesso ai “garages” e sostituita
con un muro, conformemente al progetto
approvato e allegato alla concessione
edilizia n. 130/1988 e dichiarato nelle
osservazioni della ditta istante (prot. n.
27444 del 2008).
...
Sotto il
profilo squisitamente giuridico, le censure
del ricorso devono essere disattese.
E’ vero che, salvo i casi espressamente
previsti dalla legge, l’apposizione di una
condizione (sia essa sospensiva o
risolutiva) all’atto di assenso edilizio è
da ritenersi indebita, stante la natura di
accertamento costitutivo a carattere non
negoziale dell’assenso medesimo (cfr.: TAR
Trentino A.A., Bolzano I, 04.01.2011 n. 2),
ma è altresì vero che, nella prassi
amministrativa, molte concessioni edilizie e
permessi di costruire sono stati emessi con
la previsione di specifiche “condizioni”,
trattandosi in realtà di “prescrizioni”,
che non condizionano la validità ed
efficacia dell’assenso edilizio, ma devono
essere rispettate, ai fini della successiva
agibilità e abitabilità dell’edificio.
Pertanto, il rilascio di un permesso di
costruire recante prescrizioni è da
ritenersi del tutto legittimo (cfr.: TAR
Sicilia-Catania I, 14.01.2011 n. 56). Ciò è
ancor più vero se si considera che, nella
fattispecie, la prescrizione apposta al
permesso di costruire serve ad ovviare a un
difficile problema di valutazione della
sicurezza antincendio dell’opera assentita.
I motivi del ricorso sono, dunque,
infondati. Non vi è stata alcuna violazione
del D.P.R. 06.06.2001 n. 380 (art. 12), né
dei principi in tema di rilascio del
permesso di costruire, atteso che non si è
trattato, nella specie, di verificare la
conformità del progetto assentito agli
strumenti urbanistici, bensì di superare un
ostacolo tecnico, riveniente dalla
valutazione del progetto sotto il profilo
della sicurezza antincendio
(TAR Molise,
sentenza 04.08.2011 n. 517 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA: Va
attribuita natura non espropriativa ma
conformativa del diritto di proprietà
esistente sui suoli a tutti quei vincoli che
non solo non siano esplicitamente
preordinati all’esproprio in vista della
realizzazione di un’opera pubblica, ma
nemmeno si risolvano in una sostanziale
ablazione dei suoli medesimi, consentendo al
contrario la realizzazione degli interventi
su di essi previsti anche da parte di
privati ed in regime di economia di mercato.
La natura espropriativa o conformativa del
vincolo va, infatti, verificata non in
astratto, ma sulla base della concreta
disciplina urbanistica dei singoli suoli, al
fine di accertare se la destinazione
impressa agli stessi si risolva in una
sostanziale ablazione ovvero non svuoti di
contenuto i diritti dominicali dei
proprietari.
Secondo il costante orientamento
giurisprudenziale, va attribuita natura non
espropriativa ma conformativa del diritto di
proprietà esistente sui suoli a tutti quei
vincoli che non solo non siano
esplicitamente preordinati all’esproprio in
vista della realizzazione di un’opera
pubblica, ma nemmeno si risolvano in una
sostanziale ablazione dei suoli medesimi,
consentendo al contrario la realizzazione
degli interventi su di essi previsti anche
da parte di privati ed in regime di economia
di mercato.
La natura espropriativa o conformativa del
vincolo va, infatti, verificata non in
astratto, ma sulla base della concreta
disciplina urbanistica dei singoli suoli, al
fine di accertare se la destinazione
impressa agli stessi si risolva in una
sostanziale ablazione ovvero non svuoti di
contenuto i diritti dominicali dei
proprietari (cfr., tra le tante, Cons.
Stato, sez. IV, 12.05.2010, n. 2843;
07.04.2010, n. 1982; 01.10.2007, n. 5059;
28.02.1995, n. 693; Corte Costituzionale n.
179/1999) (TAR Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 03.08.2011 n. 2089 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
pagamento dell’indennità ex art. 15 della
legge n. 1497/1939 non costituisce
un’ipotesi di risarcimento del danno
ambientale ma rappresenta una sanzione
amministrativa applicabile sia nel caso di
illeciti sostanziali che compromettano
l’integrità paesaggistica, sia in ipotesi di
illeciti formali in cui è stato violato
l’obbligo di munirsi preventivamente
dell’autorizzazione a fronte di un
intervento riconosciuto a posteriori
compatibile con il contesto paesaggistico.
Il Consiglio di Stato ha più volte affermato
che la sanzione in argomento è applicabile
anche qualora le opere abusive ricadano in
zone sottoposte a vincolo paesaggistico per
le quali l’autorità preposta alla tutela del
vincolo stesso abbia espresso parere
favorevole alla sanatoria dell’abuso ex art.
32 della legge n. 47/1985.
L’inapplicabilità, a seguito del condono
edilizio, delle sanzioni amministrative,
sancita in termini generali dall’art. 38
della legge n. 47/1985, non si estende alle
sanzioni in materia paesaggistica ex art. 15
della legge n. 1497/1939, anche se l’abuso
sia stato ritenuto condonabile dall’autorità
preposta alla tutela del vincolo: tale norma
va dunque intesa nel senso che la citata
indennità costituisce sanzione
amministrativa applicabile nonostante il
rilascio dell’atto di condono edilizio.
Secondo il consolidato orientamento
giurisprudenziale il pagamento
dell’indennità ex art. 15 della legge n.
1497/1939 non costituisce un’ipotesi di
risarcimento del danno ambientale (per il
quale l’ordinamento appresta il diverso
strumento disciplinato dall’art. 18 della
legge n. 349/1986), ma rappresenta una
sanzione amministrativa applicabile sia nel
caso di illeciti sostanziali che
compromettano l’integrità paesaggistica, sia
in ipotesi di illeciti formali in cui è
stato violato l’obbligo di munirsi
preventivamente dell’autorizzazione a fronte
di un intervento riconosciuto a posteriori
compatibile con il contesto paesaggistico.
Che si tratti di sanzione emerge dal
criterio legislativo che commisura
l’indennità alla maggiore somma tra danno
arrecato e profitto conseguito, dove il
danno rileva solo ai fini della
quantificazione della sanzione, potendo
mancare per assenza di un vulnus
materiale al paesaggio, nel qual caso
l’indennità va commisurata al profitto
conseguito, coincidente con l’arricchimento
derivante al proprietario dalla
realizzazione dell’abuso edilizio.
Sulla base di tali argomentazioni, il
Consiglio di Stato ha più volte affermato
che la sanzione in argomento è applicabile
anche qualora le opere abusive ricadano in
zone sottoposte a vincolo paesaggistico per
le quali l’autorità preposta alla tutela del
vincolo stesso abbia espresso parere
favorevole alla sanatoria dell’abuso ex art.
32 della legge n. 47/1985 (Cons. Stato, VI,
02/06/2000, n. 3184; idem, n. 5863/2000).
L’art. 2, comma 46, della legge n. 662/1996
chiarisce che l’inapplicabilità, a seguito
del condono edilizio, delle sanzioni
amministrative, sancita in termini generali
dall’art. 38 della legge n. 47/1985, non si
estende alle sanzioni in materia
paesaggistica ex art. 15 della legge n.
1497/1939, anche se l’abuso sia stato
ritenuto condonabile dall’autorità preposta
alla tutela del vincolo: tale norma va
dunque intesa nel senso che la citata
indennità costituisce sanzione
amministrativa applicabile nonostante il
rilascio dell’atto di condono edilizio
(Cons. Stato, VI, n. 5863/2000; TAR Toscana,
III, 27/05/2003, n. 2068)
(TAR Toscana, Sez. III,
sentenza 02.08.2011 n. 1282 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Gli
illeciti in materia paesaggistica,
urbanistica ed edilizia, ove consistano
nella realizzazione di opere senza le dovute
autorizzazioni, assumono natura di illeciti
permanenti, in relazione ai quali il termine
di prescrizione inizia a decorrere solo
dalla cessazione della permanenza (ovvero
con l’irrogazione della sanzione pecuniaria
o con il conseguimento del permesso
postumo).
Gli illeciti in
materia paesaggistica, urbanistica ed
edilizia, ove consistano nella realizzazione
di opere senza le dovute autorizzazioni,
assumono natura di illeciti permanenti, in
relazione ai quali il termine di
prescrizione inizia a decorrere solo dalla
cessazione della permanenza (ovvero con
l’irrogazione della sanzione pecuniaria o
con il conseguimento del permesso postumo).
Nel caso di specie, in cui l’illecito è
consistito nella realizzazione di opere in
zona vincolata senza la prescritta
autorizzazione paesaggistica e senza il
necessario titolo edilizio, e in cui il
condono non è stato ancora rilasciato, la
permanenza non può dirsi cessata, e quindi
non si è verificata la prescrizione eccepita
dalle ricorrenti (Cons. Stato, IV, n.
7769/2003; Cons. Stato, VI, n. 1729/2003;
TAR Toscana, III, 27/05/2003, n. 2068; idem,
18/02/2002, n. 255)
(TAR Toscana, Sez. III,
sentenza 02.08.2011 n. 1282 -
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EDILIZIA PRIVATA: Al
fine di essere qualificato come intervento
di manutenzione o di risanamento
conservativo e non quale ristrutturazione
edilizia mediante demolizione e
ricostruzione (se non nuova costruzione),
quel che rileva è, nelle eccezionali ipotesi
come quella in esame in cui si è verificato
un crollo accidentale delle pareti
dell’edificio, la realizzazione o meno di un
organismo edilizio differente rispetto al
precedente, con ampliamento dei volumi o
alterazione della sagoma. In altri termini i
concetti di manutenzione straordinaria e di
risanamento conservativo, a differenza della
ristrutturazione, presuppongono la
realizzazione di opere che lascino
inalterata la struttura dell'edificio e la
distribuzione interna della sua superficie.
- Deve ritenersi che la realizzazione a
seguito del crollo del muro preesistente di
fondazioni interrate di sostegno, realizzate
nel medesimo sito sul quale prima era solo
poggiato il muro dell’edificio, e la
ricostruzione di quest’ultimo in termini del
tutto identici al preesistente, senza alcuna
alterazione di volumetria, tipologia e
sagoma dell’edificio, deve ricondursi
nell’ambito del risanamento conservativo.
Essi, infatti, sono sussumibili nell’ambito
dell’art. 31, lett. c), della legge
05.08.1978 n. 457, ai sensi del quale sono
interventi di restauro e di risanamento
conservativo, quelli rivolti a conservare
l'organismo edilizio e ad assicurarne la
funzionalità mediante un insieme sistematico
di opere che, nel rispetto degli elementi
tipologici, formali e strutturali
dell'organismo stesso, ne consentano
destinazioni d'uso con essi compatibili.
Tali interventi comprendono il
consolidamento, il ripristino e il rinnovo
degli elementi costitutivi dell'edificio,
l'inserimento degli elementi accessori e
degli impianti richiesti dalle esigenze
dell'uso, l'eliminazione degli elementi
estranei all'organismo edilizio. Ai sensi di
tale disposizione, pertanto, possono
qualificarsi come interventi di restauro e
risanamento conservativo quegli interventi
sistematici i quali, pur con rinnovo di
elementi costitutivi dell'edificio
preesistente, ne conservano tipologia, forma
e struttura.
Orbene, al fine di essere qualificato come
intervento di manutenzione o di risanamento
conservativo e non quale ristrutturazione
edilizia mediante demolizione e
ricostruzione (se non nuova costruzione),
quel che rileva è, nelle eccezionali ipotesi
come quella in esame in cui si è verificato
un crollo accidentale delle pareti
dell’edificio, la realizzazione o meno di un
organismo edilizio differente rispetto al
precedente, con ampliamento dei volumi o
alterazione della sagoma.
In altri termini i concetti di manutenzione
straordinaria e di risanamento conservativo,
a differenza della ristrutturazione,
presuppongono la realizzazione di opere che
lascino inalterata la struttura
dell'edificio e la distribuzione interna
della sua superficie.
Se questo è vero, deve ritenersi che la
realizzazione a seguito del crollo del muro
preesistente di fondazioni interrate di
sostegno, realizzate nel medesimo sito sul
quale prima era solo poggiato il muro
dell’edificio, e la ricostruzione di
quest’ultimo in termini del tutto identici
al preesistente, senza alcuna alterazione di
volumetria, tipologia e sagoma
dell’edificio, deve ricondursi nell’ambito
del risanamento conservativo.
Essi, infatti, sono sussumibili nell’ambito
dell’art. 31, lett. c), della legge
05.08.1978 n. 457, ai sensi del quale sono
interventi di restauro e di risanamento
conservativo, quelli rivolti a conservare
l'organismo edilizio e ad assicurarne la
funzionalità mediante un insieme sistematico
di opere che, nel rispetto degli elementi
tipologici, formali e strutturali
dell'organismo stesso, ne consentano
destinazioni d'uso con essi compatibili.
Tali interventi comprendono il
consolidamento, il ripristino e il rinnovo
degli elementi costitutivi dell'edificio,
l'inserimento degli elementi accessori e
degli impianti richiesti dalle esigenze
dell'uso, l'eliminazione degli elementi
estranei all'organismo edilizio.
Ai sensi di tale disposizione, pertanto,
possono qualificarsi come interventi di
restauro e risanamento conservativo quegli
interventi sistematici i quali, pur con
rinnovo di elementi costitutivi
dell'edificio preesistente, ne conservano
tipologia, forma e struttura (cfr: Cons.
Stato, Sez. IV, n. 2981 del 16.06.2008) (TAR
Sardegna, Sez. II,
sentenza 02.08.2011 n. 858 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L'atto
edificatorio del vicino in violazione delle
norme, del codice o regolamentari comunali,
sulle distanze, oltre a ledere gli interessi
pubblici sottesi alla disciplina concernente
l'assetto del territorio, pone in essere
un'attività edilizia eccedente quanto è
previsto, nei rapporti tra confinanti, dalla
normativa conformativa del diritto di
proprietà, sicché il privato che, nei
confronti dell'edificante illegittimo,
lamenti la lesione della sua sfera
proprietaria, ha diritto, ai sensi dell'art.
872 c.c., comma 2, ad una doppia tutela:
all'eliminazione dello stato di cose che si
è illegittimamente creato e al risarcimento
del danno patito medio tempore.
L'inosservanza delle distanze legali nelle
costruzioni sui fondi finitimi costituisce
per il vicino una limitazione al godimento
del bene, e quindi all'esercizio di una
delle facoltà che si riconnettono al diritto
di proprietà: per questo il danno è in re
ipsa, perché l'azione risarcitoria è volta a
porre rimedio all'imposizione di una servitù
di fatto e alla conseguente diminuzione di
valore del fondo subita dal proprietario in
conseguenza dell'edificazione illegittima
del vicino, per il periodo di tempo
anteriore all'eliminazione dell'abuso.
---------------
Non può essere accolta l'ulteriore domanda
di risarcimento dei danni esistenziali e
morali lamentati genericamente dalla istante
“in quanto trattasi di domanda che ... non
risulta assistita dalla prova concreta del
danno non patrimoniale paventato, e,
neppure, da un principio di prova in ordine
ad eventuali ripercussioni negative ....
sulle consuetudini di vita degli istanti.
Infatti, come ribadito anche di recente dal
Consiglio di Stato, la pretesa risarcitoria
avente ad oggetto il danno non patrimoniale
-ove non si sia verificato un mero disagio o
fastidio, inidoneo, ex se, a fondare una
domanda di risarcimento del danno- esige una
allegazione di elementi concreti e specifici
da cui desumere, secondo un criterio di
valutazione oggettiva, l'esistenza e
l'entità del pregiudizio subito, il quale
non può essere ritenuto sussistente in re
ipsa, né è consentito l'automatico ricorso
alla liquidazione equitativa”.
Secondo altro condivisibile arresto
giurisprudenziale, “la sussistenza di un
danno non patrimoniale risarcibile di cui
all'art. 2059 c.c., difatti, deve essere
dimostrata, sempre secondo la Suprema Corte,
anche quando derivi dalla lesione di diritti
inviolabili della persona, dal momento che
costituisce "danno conseguenza", e non
"danno evento"; né può sostenersi
fondatamente che "nel caso di lesione di
valori della persona il danno sarebbe in re
ipsa, perché la tesi snatura la funzione del
risarcimento, che verrebbe concesso non in
conseguenza dell'effettivo accertamento di
un danno, ma quale pena privata per un
comportamento lesivo".
La giurisprudenza richiamata a sostegno
delle ragioni introdotte in giudizio
(Cassazione civile, sez. II, 07.05.2010, n.
11196), limitano alla violazione delle
distanze legali l’ipotesi della
configurabilità del danno in re ipsa.
In maniera più dettagliata si esprime altra
decisione della Suprema Corte (cfr.
Cassazione civile, sez. II, 16.12.2010, n.
25475), secondo la quale “in materia di
violazione delle distanze tra costruzioni
previste dal codice civile e dalle norme
integrative dello stesso, al proprietario
confinante che lamenti tale violazione
compete sia la tutela in forma specifica,
finalizzata al ripristino della situazione
antecedente al verificarsi dell'illecito,
sia quella risarcitoria, e, determinando la
suddetta violazione un asservimento di fatto
del fondo, il danno deve ritenersi in re
ipsa, senza necessità di una specifica
attività probatoria".
E' vero che nella giurisprudenza di questa
Corte è presente anche un indirizzo di segno
diverso, a termini del quale la violazione
delle norme codicistiche sulle distanze
legali (ovvero delle norme locali richiamate
dal codice), mentre legittima sempre la
condanna alla riduzione in pristino, non
costituisce di per sé fonte di danno
risarcibile, essendo al riguardo necessario
che chi agisca per la sua liquidazione
deduca e dimostri l'esistenza, oltre che la
misura, del pregiudizio effettivamente
realizzatosi (Cass., Sez. 2^, 23.03.1982, n.
1838; Cass., Sez. 2^, Cass., Sez. 2^,
02.08.1990, n. 7747; Cass., Sez. 2^,
24.09.2009, n. 20608).
Quest'ultimo orientamento non è condiviso
dal Collegio.
L'atto edificatorio del vicino in violazione
delle norme, del codice o regolamentari
comunali, sulle distanze, oltre a ledere gli
interessi pubblici sottesi alla disciplina
concernente l'assetto del territorio, pone
in essere un'attività edilizia eccedente
quanto è previsto, nei rapporti tra
confinanti, dalla normativa conformativa del
diritto di proprietà, sicché il privato che,
nei confronti dell'edificante illegittimo,
lamenti la lesione della sua sfera
proprietaria, ha diritto, ai sensi dell'art.
872 c.c., comma 2, ad una doppia tutela:
all'eliminazione dello stato di cose che si
è illegittimamente creato e al risarcimento
del danno patito medio tempore.
L'inosservanza delle distanze legali nelle
costruzioni sui fondi finitimi costituisce
per il vicino una limitazione al godimento
del bene, e quindi all'esercizio di una
delle facoltà che si riconnettono al diritto
di proprietà: per questo il danno è in re
ipsa, perché l'azione risarcitoria è
volta a porre rimedio all'imposizione di una
servitù di fatto e alla conseguente
diminuzione di valore del fondo subita dal
proprietario in conseguenza
dell'edificazione illegittima del vicino,
per il periodo di tempo anteriore
all'eliminazione dell'abuso.
Il Collegio intende dare continuità al
prevalente indirizzo -non soltanto risalente
nella giurisprudenza di questa Corte (Cass.,
Sez. 2^, 27.02.1946, n. 201; Cass., Sez. 2^,
08.05.1946, n. 551; Cass., Sez. Un.,
24.06.1961, n. 1520; Cass., Sez. 2^,
12.02.1970, n. 341), ma anche ribadito negli
arresti degli ultimi lustri (Cass., Sez. 2^,
15.12.1994, n. 10775; Cass., Sez. 2^,
25.09.1999, n. 10600; Cass., Sez. 2^,
07.03.2002, n. 3341; Cass., Sez. 2^,
27.03.2008, n. 7972; Cass., Sez. 2^,
07.05.2010, n. 11196)- che, in caso di
violazione delle norme sulle distanze,
concede al proprietario, nei confronti
dell'edificante illegittimo, l'azione
risarcitoria per il danno determinatosi
prima della riduzione in pristino, senza la
necessità di una specifica attività
probatoria.
Questa soluzione non determina un eccesso di
tutela per il proprietario od uno
snaturamento del sistema della
responsabilità civile, che, com'è noto,
ammette la risarcibilità del solo danno
conseguenza (cfr., con riguardo al danno non
patrimoniale, Cass., Sez. Un., 11.11.2008,
n. 26972).
Discorrere di danno in re ipsa,
infatti, non significa riconoscere che il
risarcimento venga accordato per il solo
fatto del comportamento lesivo o si risolva
in una pena privata nei confronti di chi
violi l'altrui diritto di proprietà, in
contrasto, tra l'altro, con la tavola dei
valori espressa dalla Carta costituzionale,
che riconosce e garantisce la proprietà
privata, ma non la inquadra tra i diritti
fondamentali della persona umana, per i
quali soltanto è predicabile una
connotazione di inviolabilità, di
incondizionatezza e di primarietà.
Significa, piuttosto, ammettere che, nel
caso di violazione di una norma relativa
alle distanze tra edifici, il danno che il
proprietario subisce (danno conseguenza e
non danno evento) è l'effetto, certo ed
indiscutibile, dell'abusiva imposizione di
una servitù nel proprio fondo, e quindi
della limitazione del relativo godimento,
che si traduce in una diminuzione temporanea
del valore della proprietà medesima.
Il principio della immancabilità del
risarcimento del danno non vale invece là
dove si tratti di violazioni di disposizioni
non integrative di quelle sulle distanze: in
tale evenienza, mancando un asservimento di
fatto del fondo contiguo, la prova del danno
è richiesta ed il proprietario è tenuto a
fornire una dimostrazione precisa
dell'esistenza del danno, sia in ordine alla
sua potenziale esistenza che alla sua entità
obiettiva, in termini di amenità, comodità,
tranquillità ed altro (tra le tante, Cass.,
Sez. 2^, 05.06.1998, n. 5514; Cass., Sez.
2^, 12.06.2001, n. 7909; Cass., Sez. 2^,
07.03.2002, n. 3341, cit.).
Prendendo spunto da detta ultima
affermazione, il Collegio ritiene che la
sopraelevazione, oggetto della contestazione
in esame, non necessariamente costituisca un
nocumento (o un apprezzabile pregiudizio)
per il fondo limitrofo, dovendosi dimostrare
l’effettività del danno, quale, ad esempio,
la limitazione del panorama o degli altri
connotati del godimento immobiliare.
Basterebbe pensare all’immobile sovrastante
quello abusivo o realizzato per effetto di
titolo ritenuto, come nel caso in esame,
illegittimo, di tal guisa che l’eventuale
sopraelevazione di quest’ultimo non abbia
affatto impedito al primo la vista e le
comodità connesse all’uso del bene di
proprietà.
Da qui la necessità della prova del
pregiudizio, mancando la quale, non è
possibile accedere ad alcun risarcimento e,
comunque, a graduarlo.
---------------
Analogamente, non può essere accolta
l'ulteriore domanda di risarcimento dei
danni esistenziali e morali lamentati
genericamente dalla istante (sempre nella
memoria del 07.04.2011), “in quanto
trattasi di domanda che ... non risulta
assistita dalla prova concreta del danno non
patrimoniale paventato, e, neppure, da un
principio di prova in ordine ad eventuali
ripercussioni negative .... sulle
consuetudini di vita degli istanti.
Infatti, come ribadito anche di recente dal
Consiglio di Stato (cfr. decisione Sez. VI,
18.03.2011 n. 1672), la pretesa risarcitoria
avente ad oggetto il danno non patrimoniale
-ove non si sia verificato un mero disagio o
fastidio, inidoneo, ex se, a fondare una
domanda di risarcimento del danno- esige una
allegazione di elementi concreti e specifici
da cui desumere, secondo un criterio di
valutazione oggettiva, l'esistenza e
l'entità del pregiudizio subito, il quale
non può essere ritenuto sussistente in re
ipsa, né è consentito l'automatico ricorso
alla liquidazione equitativa” (cfr. TAR
Lombardia Milano, sez. II, 30.03.2011, n.
854).
Secondo altro condivisibile arresto
giurisprudenziale (cfr. TAR Friuli Venezia
Giulia Trieste, sez. I, 26.05.2011, n. 260),
“la sussistenza di un danno non
patrimoniale risarcibile di cui all'art.
2059 c.c., difatti, deve essere dimostrata,
sempre secondo la Suprema Corte, anche
quando derivi dalla lesione di diritti
inviolabili della persona, dal momento che
costituisce "danno conseguenza", e non
"danno evento"; né può sostenersi
fondatamente che "nel caso di lesione di
valori della persona il danno sarebbe in re
ipsa, perché la tesi snatura la funzione del
risarcimento, che verrebbe concesso non in
conseguenza dell'effettivo accertamento di
un danno, ma quale pena privata per un
comportamento lesivo" (Cass. Civ., SS.UU,
sentenza n. 26972 dell'11.11.2008).
Conclusivamente, la genericità della
richiesta e la mancata dimostrazione del
danno ricevuto determinano il rigetto della
domanda risarcitoria.
E’ possibile accedere, invece, alla
richiesta di cui all’art. 26, comma 2,
c.p.a., articolata in udienza pubblica,
posto che la stessa può anche essere
delibata d’ufficio e, pertanto, non richiede
gli adempimenti ritenuti necessari sia per
la corretta introduzione della domanda che
per la dimostrazione del danno ricevuto.
Invero, il precedente giudicato formatosi di
seguito alla sentenza n. 2210/2001 di questo
stesso Tribunale, in mancanza di altri
apporti giustificativi e di una motivazione
“forte”, tali, cioè, da consentire la
riedizione del medesimo provvedimento
ritenuto dalla detta decisione in precedenza
illegittimo, ha reso, così come richiesto
dalla invocata norma del codice, manifeste
le ragioni di parte ricorrente (TAR
Sicilia-Catania, Sez. I,
sentenza 01.08.2011 n. 2044 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: In
caso di annullamento in sede giurisdizionale
dell'esclusione di un concorrente da una
gara per l'aggiudicazione di pubblici
appalti, l'operare congiunto dei principi di
segretezza delle offerte nei procedimenti di
aggiudicazione e del principio di
conservazione dell'atto amministrativo fa sì
che la rinnovazione della gara conseguente
alla riammissione del concorrente
illegittimamente escluso debba retroagire in
modo diverso a seconda del criterio previsto
per l'aggiudicazione.
Nel caso in cui l'aggiudicazione sia
effettuata in base a criteri oggettivi e
vincolati, è sufficiente rinnovare la fase
di valutazione delle offerte; nel caso,
invece, di aggiudicazione basata su
apprezzamenti discrezionali, con il metodo
dell'offerta economicamente più vantaggiosa
sarebbe necessario rinnovare l'intero
procedimento di gara, a partire dalla stessa
fase della presentazione delle offerte.
Il Collegio non ignora la ricorrente
giurisprudenza secondo cui, in caso di
annullamento in sede giurisdizionale
dell'esclusione di un concorrente da una
gara per l'aggiudicazione di pubblici
appalti, l'operare congiunto dei principi di
segretezza delle offerte nei procedimenti di
aggiudicazione e del principio di
conservazione dell'atto amministrativo fa sì
che la rinnovazione della gara conseguente
alla riammissione del concorrente
illegittimamente escluso debba retroagire in
modo diverso a seconda del criterio previsto
per l'aggiudicazione.
Nel caso in cui l'aggiudicazione sia
effettuata in base a criteri oggettivi e
vincolati, è sufficiente rinnovare la fase
di valutazione delle offerte; nel caso,
invece, di aggiudicazione basata su
apprezzamenti discrezionali, con il metodo
dell'offerta economicamente più vantaggiosa
sarebbe necessario rinnovare l'intero
procedimento di gara, a partire dalla stessa
fase della presentazione delle offerte
(Consiglio Stato, Sez. V, 20.10.2005, n.
5892 e 21.01.2002, n. 340).
Come si legge nella sentenza del TAR
Campania, Napoli, Sez. I, 26.01.2011, n.
462, che il Collegio ritiene di poter
condividere nelle sue conclusioni, però, in
altre occasioni il giudice di appello ha
ammesso la possibilità di rinnovazione
parziale dei giudizi anche a buste aperte,
osservando che il principio di segretezza
dell'offerta economica non costituisce un
valore assoluto, ma un valore che richiede
pur sempre di essere posto in relazione e
coordinato con gli altri beni tutelati
dall'ordinamento giuridico, tenendo conto,
congiuntamente, del principio di
conservazione degli atti giuridici e del
canone di buona amministrazione ed in primo
luogo del principio costituzionale di
effettività della tutela giurisdizionale
delle situazioni giuridiche soggettive,
oltre che dei criteri di efficienza ed
efficacia dell'azione amministrativa che
verrebbero frustrati da un rinnovo integrale
delle operazioni di gara, comportante un
aggravio procedimentale per la dilatazione
dei tempi per addivenire all'aggiudicazione
(C.d.S., sez. IV, 30.06.2004, n. 4834;
C.d.S., sez. VI, 01.10.2004, n. 6457;
C.d.S., sez. VI, 24.02.2005, n. 683) (TAR
Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 01.08.2011 n. 1235 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
CONDOMINIO: Difesa
degli spazi comuni, ampi poteri per
l'amministratore.
L'amministratore del
condominio non ha bisogno dell'investitura
dell'assemblea per convenire in giudizio il
costruttore che ha occupato abusivamente una
porzione di bene comune e il successivo
acquirente del manufatto edificato che
«usurpa» l'area condominiale.
Lo ha sancito la Corte di Cassazione, Sez.
II civile, con la sentenza 25.07.2011 n.
16230.
Il caso.
La vicenda riguarda un costruttore che aveva
ricavato da un seminterrato un ampio
magazzino, il cui tetto invadeva il giardino
condominiale sottraendo spazio all'area di
proprietà comune. L'amministratore, senza
essere formalmente investito dall'assemblea
del potere di agire in giudizio, aveva fatto
causa all'impresa edile.
Il tribunale e la Corte d'appello avevano
respinto l'istanza sostenendo che l'uomo non
possedeva la legitimatio ad causam.
Contro questa decisione lui ha presentato
ricorso in Cassazione. La seconda sezione
civile lo ha accolto.
Le motivazioni.
Gli Ermellini hanno bocciato la sentenza di
merito secondo la quale l'amministratore non
avrebbe avuto la legittimazione necessaria a
proporre l'azione per la riduzione in
pristino dei luoghi e il risarcimento dei
danni a carico del costruttore e dell'avente
causa di quest'ultimo.
Insomma: l'amministratore risulta pienamente
legittimato ad agire in giudizio sulla base
del combinato disposto delle norme di cui
agli articoli 1130 e 1131, che gli
conferiscono la facoltà di agire a tutela
delle parti comuni. E infatti
l'amministratore si rivolge al giudice per
ristabilire l'integrità del giardino,
stravolta dal manufatto realizzato dal
costruttore. Né all'acquirente del cespite
giova eccepire che ignorava la natura
abusiva della costruzione: può soltanto
dolersi dell'evizione nei confronti del suo
dante causa. Sarà allora il giudice del
rinvio a fare definitivamente chiarezza.
L'amministratore può scrivere all'avvocato
per far rimuovere opere non autorizzate. Si
incardina perfettamente nella giurisprudenza
che ha esteso i poteri degli amministratori
di condominio la sentenza 10347 depositata
dalla Corte di cassazione a maggio di
quest'anno e secondo cui è legittima la
lettere scritta a un legale dal vertice del
condominio, anche dalle tinte colorite, per
far rimuovere un'opera non autorizzata.
In particolare in quell'occasione l'uomo
aveva chiesto che fosse rimossa una targa di
un avvocato perché deturpava l'estetica
dello stabile. Secondo gli Ermellini si è
trattato di un'attività legittima. Ciò
perché, si legge in sentenza, «qualora
l'amministratore di condominio si rivolga a
uno dei condomini sollecitandogli il
rispetto delle leggi o del regolamento
vigenti, non è configurabile atto di
turbativa del diritto qualora egli abbia
agito, secondo ragionevole interpretazione,
nell'ambito dei poteri-doveri di cui agli
artt. 1130 e 1133 c.c.».
I vecchi crediti del condominio possono
essere richiesti dal nuovo amministratore
solo con l'autorizzazione dell'assemblea.
Con la sentenza 279 depositata dalla
Cassazione alla fine di gennaio è stato
affermato un interessante principio che,
questa volta, limita i poteri
dell'amministratore. In particolare secondo
Piazza Cavour, «deve essere dichiarata
l'inammissibilità del ricorso per cassazione
proposto dall'amministratore del condominio,
senza la preventiva autorizzazione
assembleare, eventualmente richiesta anche
in via di ratifica del suo operato, in
ordine a una controversia riguardante i
crediti contestati dal precedente
amministratore revocato, in quanto non
rientrante tra quelle per le quali l'organo
amministrativo è autonomamente legittimato
ad agire ai sensi dell'art. 1130 e 1131,
primo comma cod. civ.
Né può essere concesso il termine per la
regolarizzazione ai sensi dell'art. 182 cod.
proc. civ., ove, come nella specie,
l'udienza di discussione, in precedenza
fissata, sia stata differita proprio sul
rilievo della pendenza della questione dei
poteri dell'amministratore all'esame delle
sezioni unite della Corte di cassazione e la
decisione di quest'ultima sia intervenuta
ben prima della nuova udienza» (articolo
ItaliaOggi del 22.08.2011). |
APPALTI:
Inammissibile il ricorso avverso
il bando in caso di mancata partecipazione
alla gara.
La mancata partecipazione alla gara rende
indifferenziata e non qualificata la pretesa
della ricorrente all’aggiudicazione, come
affermato dalla dec. del Consiglio di Stato
Ad. Plen. n. 4/20111 (massima tratta da
www.dirittodegliappaltipubblici.it - TAR
Sicilia-Catania, Sez. III,
sentenza 22.07.2011 n. 2006 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
RIFIUTI - Responsabilità del
rappresentante legale di società di capitali
- Culpa in vigilando - Configurabilità -
Illecito smaltimento - Attività di
demolizione edilizia - Rifiuti non
pericolosi - Abbandono all'aperto - Art.
256, c. 1°, lett. a), D. L.vo n. 152/2006.
In ordine alla responsabilità del
rappresentante legale di società di capitali
che abbia delegato ad altri soggetti di sua
fiducia determinate attività va affermata la
responsabilità di tale soggetto per culpa in
vigilando, quando sia consapevole delle
inadempienze in cui sia incorso il proprio
delegato, ovvero quando pur potendo
sottoporre a controllo l’attività del
delegato, abbia scientemente omesso detto
controllo.
RIFIUTI - Attività di
demolizione edilizia - Illecito smaltimento
affidato a terzi - Rappresentante legale -
Responsabilità - Controllo del possesso dei
requisiti specifici in capo al terzo
delegato - Obbligo - Art. 256, c. 1°, lett.
a), D. L.vo n. 152/2006.
In tema di smaltimento di rifiuti, sussiste
la responsabilità del soggetto che abbia
affidato a terzi rifiuti destinati ad essere
smaltiti laddove la condotta dell'agente si
sia concretizzata in una mancata verifica
dei requisiti in capo al soggetto terzo in
vista del trasporto e smaltimento dei
rifiuti, essendo innegabile il potere per
chi detenga rifiuti di delegate a terzi la
attività di smaltimento, previo controllo
del possesso dei requisiti specifici in capo
al terzo delegato (Cass. Sez. 3^ 01.04.2004
n. 21588) (Corte di Cassazione, Sez. III,
sentenza 18.07.2011 n. 28206 -
link a www.ambientediritto.it). |
LAVORI PUBBLICI: La
relazione geologica non può essere
sostituita da una qualsiasi, indeterminata
valutazione di idoneità da parte del
progettista (professionista diverso dal
geologo), in quanto la disciplina relativa
ai lavori pubblici impone chiaramente alla
stazione appaltante l'acquisizione della
detta relazione geologica ai fini della
progettazione preliminare, definitiva ed
esecutiva.
E' stato, anche di recente, affermato (cfr.
Cons. St., sez. VI, 23.09.2009, n. 5666) che
la relazione geologica non può essere
sostituita da una qualsiasi, indeterminata
valutazione di idoneità da parte del
progettista (professionista diverso dal
geologo), in quanto la disciplina relativa
ai lavori pubblici impone chiaramente alla
stazione appaltante l'acquisizione della
detta relazione geologica ai fini della
progettazione preliminare, definitiva ed
esecutiva.
Ed invero, ai sensi del D.P.R. n. 554/1999
(in particolare degli artt. 35 e 37
–applicabili ratione temporis alla
gara in argomento), è prevista
l'acquisizione obbligatoria agli atti
progettuali della relazione geologica,
obbligatorietà che emerge, altresì, da
ulteriori fonti normative (legge n. 64 del
02.02.1974 e D.M. 11.03.1988) nel caso in
cui l’area sia classificata, come nella
specie, “zona sismica di secondo livello”
(TAR Lazio-Roma, Sez. II-Ter,
sentenza 14.07.2011 n. 6324 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
CONDOMINIO: Meglio
non scivolare sulle scale. Il condominio non
risarcisce chi si infortuna sulla rampa. Lo
ha stabilito la Corte di cassazione. Bisogna
provare il nesso fra incidente e sporcizia.
Non ha diritto al
risarcimento del danno da parte del
condominio chi cade e si infortuna sulle
scale condominiali anche se sporche di
residui di cibo.
Insomma, ha affermato la Corte di Cassazione
con la sentenza 13.07.2011 n. 15390,
il condominio si salva in corner quando, pur
essendo la scala unta e scivolosa,
l'infortunato non riesce a provare il nesso
causale fra i residui alimentari e
l'incidente.
Il caso.
È successo in uno stabile a Roma.
Un'inquilina era caduta sulle scale sporche
di residui di cibo, unte, aveva sostenuto.
Insomma quel piano non era stato pulito.
Nell'incidente la signora aveva riportato
delle ferite e quindi dei danni. Per questo
si era rivolta al tribunale della Capitale
che, però, le aveva negato il risarcimento.
Contro questa decisione la donna ha proposto
appello.
I giudici territoriali hanno respinto
l'istanza confermando integralmente il
verdetto di primo grado. Ora la Cassazione,
alla quale la donna si è rivolta insistendo
sulle pessime condizioni della scala, ha
reso definitiva la decisione presa con una
doppia conferma dai magistrati romani. Senza
la prova del nesso causale, ha sancito
Piazza Cavour, niente risarcimento.
Le motivazioni.
Nell'ambito della responsabilità ex articolo
2051 del codice civile è il danneggiato a
essere onerato della prova del nesso di
causalità fra la cosa in custodia e l'evento
pregiudizievole. Secondo l'infortunata la
caduta sarebbe avvenuta solo perché le scale
risultavano sdrucciolevoli a causa degli
scarti alimentari abbandonati sui gradini,
ma manca la dimostrazione certa che la
caduta sia effettivamente riconducibile alla
sporcizia delle scale. Inutile discutere
oltre, dicono gli Ermellini, nonostante la
procura generale della Suprema corte abbia
concluso per l'accoglimento del ricorso
della donna. Che, oltre il danno la beffa,
paga anche le spese processuali.
Muore per una caduta sulle
scale di un negozio: niente risarcimento ai
familiari.
Una posizione dello stesso segno è stata
assunta dalla Corte di cassazione (sentenza
8005 del 2010) anche nel caso di morte
dell'infortunato. In particolare l'uomo era
scivolato sulle scale di un negozio di
elettrodomestici, secondo la difesa
sdrucciolevoli. In seguito all'incidente
aveva riportato delle lesioni gravissime e
poi era deceduto. I parenti avevano fatto
causa al proprietario dell'attività per
ottenere il risarcimento del danno. Il
tribunale e la Corte d'appello avevano
respinto l'istanza.
La decisione è stata confermata dalla
Cassazione che, valutati esaurientemente
tutti gli elementi del caso concreto, ha
ritenuto insussistente la responsabilità ex
art. 2051 cod. civ. del titolare
dell'esercizio commerciale, per non aver gli
attori provato che la morte del proprio
congiunto era stata conseguenza normale
della particolare anzidetta condizione del
locale ove era accaduto il sinistro.
In sostanza secondo gli Ermellini «la
responsabilità prevista dall'art. 2051 cod.
civ. per i danni cagionati da cose in
custodia presuppone la sussistenza di un
rapporto di custodia della cosa e una
relazione di fatto tra un soggetto e la cosa
stessa, tale da consentire il potere di
controllarla, di eliminare le situazioni di
pericolo che siano insorte e di escludere i
terzi dal contatto con la cosa; detta norma
non dispensa il danneggiato dall'onere di
provare il nesso causale tra cosa in
custodia e danno, ossia di dimostrare che
l'evento si è prodotto come conseguenza
normale della particolare condizione,
potenzialmente lesiva, posseduta dalla cosa,
mentre resta a carico del custode offrire la
prova contraria alla presunzione “iuris
tantum” della sua responsabilità, mediante
la dimostrazione positiva del caso fortuito,
cioè del fatto estraneo alla sua sfera di
custodia, avente impulso causale autonomo e
carattere di imprevedibilità e di assoluta
eccezionalità».
No al risarcimento
all'inquilino derubato se i ladri entrano
dai ponteggi del vicino.
L'esame delle interpretazioni date
all'articolo 2051 (responsabilità delle cose
in custodia) dai giudici di merito e di
legittimità mette in luce una certa
difficoltà nell'ottenere il risarcimento del
danno da parte del proprietario del bene.
La sentenza n. 7722 depositata dalla
Cassazione ad aprile di quest'anno
testimonia ancora una volta come,
soprattutto in ambito condominiale, sia
complicato ottenere il ristoro per il danno
subito in seguito alla pessima manutenzione
del bene del vicino. In particolare in
questo caso la terza sezione civile ha
respinto la richiesta di risarcimento
avanzata dal proprietario di un appartamento
che era stato derubato facilmente perché i
ladri erano entrati dalle impalcature
montate dal vicino per ristrutturare la
casa.
Secondo il Collegio di legittimità, «nel
caso di furto in appartamento che il
derubato assume essere stato facilitato
dalla mancata rimozione dei ponteggi per
lavori edili da parte del suo vicino deve
essere esclusa la presunzione di
responsabilità che graverebbe sul custode:
il criterio di imputazione di cui
all'articolo 2051 c.c. comporta sì la
responsabilità del custode per i danni
cagionati dalla cosa (salvo che si provi il
fortuito) ma non comporta affatto la
presunzione di nesso causale fra la cosa e
il danno, nesso che deve comunque essere
provato dal danneggiato; ciò è certamente
possibile tramite un procedimento di
inferenza induttiva (presunzione), che
risulta tuttavia inevitabilmente correlato
all'apprezzamento delle circostanze
concrete; valutazione che compete al giudice
del merito e risulta infondatamente
censurata sotto il profilo del vizio della
motivazione laddove esclude il nesso causale
fra le impalcature e il furto in relazione
alla possibilità di tre diverse modalità di
accesso alla casa svaligiata dai ladri»
(articolo ItaliaOggi del 22.08.2011). |
EDILIZIA PRIVATA: CODICE
DELLA STRADA/ La Cassazione conferma.
Rilevatori segnalati. Obbligo per autovelox
e non solo.
Qualsiasi tipologia di
controllo elettronico della velocità dei
veicoli richiede l'obbligatoria segnalazione
preventiva dell'impianto. E questa regola
vale anche per le infrazioni accertate con
l'uso del telelaser.
Lo ha confermato la Corte di Cassazione,
Sez. II civile, con l'ordinanza
07.07.2011 n. 15036.
Un automobilista incappato in un controllo
di polizia con uso di telelaser ha
evidenziato al giudice di pace l'omessa
informazione agli utenti della presenza del
dispositivo. Il magistrato onorario ha
accolto la censura ma il tribunale ha
ribaltato l'esito della vicenda occorsa
pochi giorni prima dell'entrata in vigore
del dl 117/2007. La Cassazione ha quindi
ricostruito cronologicamente la vicenda.
L'obbligo della preventiva segnalazione è
stato introdotto innanzitutto con il dl
121/2002, per i soli dispositivi di
controllo remoto senza la presenza diretta
della polizia. Solo con il dl 117/2007,
convertito nella legge 160/2007 questa
incombenza è stata allargata
obbligatoriamente a tutti i tipi di
controllo elettronico della velocità. Sia
che venga effettuata con apparecchi fissi o
mobili, tradizionali o muniti di sistema a
puntamento laser (articolo ItaliaOggi del
18.08.2011). |
ENTI LOCALI - VARI: Telelaser/
Ok a multe anche senza fotografia.
Spetta all'agente di
polizia stradale individuare preventivamente
il trasgressore pizzicato a distanza a
velocità eccessiva. La multa elevata con
l'uso del telelaser pertanto è legittima
anche senza fotografie di supporto.
Lo ha ribadito la Corte di Cassazione, Sez.
II civile, con la sentenza 06.07.2011 n.
14886.
Un automobilista dal piede pesante è stato
fermato dalla polizia municipale di
Tavagnacco e sanzionato per eccesso di
velocità con uso di strumento telelaser.
Contro questa misura punitiva l'interessato
ha proposto con successo ricorso al giudice
di pace che ha annullato la multa stante
l'inadeguatezza dello strumento telelaser.
La Cassazione è di contrario avviso. La
rilevazione dell'eccesso di velocità con
l'impiego di strumenti omologati a
funzionamento laser, senza documentazione
fotografica di corredo, è perfettamente
legittima.
In questo caso resta infatti affidata
all'attestazione dell'organo di vigilanza
stradale la riferibilità dell'infrazione al
veicolo successivamente fermato dalla
pattuglia. In buona sostanza fino a querela
di falso la multa elevata dai vigili con il
telelaser è valida anche in mancanza di una
parallela documentazione fotografica (articolo
ItaliaOggi del 18.08.2011). |
ENTI LOCALI - VARI: Impianti
di controllo della velocità. Niente
matricola? Il verbale è valido.
La mancata indicazione nella multa stradale
del numero di matricola dell'autovelox
utilizzato dalla polizia municipale non
comporta automaticamente l'annullamento del
verbale.
Lo ha chiarito la Corte di Cassazione, Sez.
II civile, con l'ordinanza 04.07.2011 n.
14564.
Un automobilista incappato nei rigori
dell'autovelox ha proposto con successo
ricorso al giudice di pace evidenziando
l'irregolarità della multa notificata
palesemente carente del numero di matricola
del sistema elettronico utilizzato dai
vigili per l'accertamento.
Contro questa determinazione, confermata in
appello, il comune di Cisliano ha proposto
censure alla Corte di cassazione che ha
ribaltato le sorti della vicenda.
L'indicazione nella multa del numero di
serie dell'apparecchiatura elettronica non è
prevista dal codice stradale, specifica
innanzitutto la sentenza.
Per questa ragione l'omessa indicazione del
numero di matricola «non può essere
eretta a motivo di nullità della sanzione
per violazione del diritto di difesa».
Casomai nel giudizio di opposizione,
conclude il collegio nella sentenza che è
stata depositata il 4 luglio scorso, può
assumere rilevanza il numero seriale dello
strumento nel caso in cui si discuta del suo
cattivo funzionamento (articolo
ItaliaOggi del 18.08.2011). |
ENTI LOCALI - VARI: Telelaser/
Trasgressori non sempre fermati.
Solo quando
l'apparecchiatura elettronica per il
controllo della velocità dei veicoli
permette l'accertamento dell'illecito prima
del transito del mezzo davanti alla
pattuglia è obbligatoria la contestazione
immediata dell'infrazione. Di fatto solo con
l'uso del telelaser quindi la multa per
eccesso di velocità richiede ordinariamente
il fermo del trasgressore per essere
regolare.
Lo ha evidenziato la Corte di Cassazione,
Sez. II civile, con l'ordinanza
04.07.2011 n. 14561.
Un utente stradale incappato nei rigori
dell'autovelox ha proposto inutilmente
ricorso contro la multa notificata al suo
domicilio stante la mancata contestazione
immediata dell'illecito. Anche la cassazione
ha rigettato le doglianze confermando
l'operato della polizia municipale.
In materia di controllo elettronico della
velocità l'impiego documentato di misuratori
autovelox che consentono la rilevazione
dell'illecito tardivamente ovvero solo dopo
o contestualmente al transito del mezzo
esenta dall'obbligo di contestazione
immediata. Solo nella diversa ipotesi «in
cui l'apparecchiatura permetta
l'accertamento dell'illecito prima del
transito del veicolo la contestazione deve
essere immediata» (articolo
ItaliaOggi del 18.08.2011). |
ENTI LOCALI - VARI: Taglio
punti. Il ministero irroga la sanzione.
La multa stradale è soltanto propedeutica
alla decurtazione dei punti patente che
possono essere ridotti solo con uno
specifico provvedimento ministeriale.
Lo ha evidenziato la Corte di Cassazione,
Sez. II civile, con la sentenza
28.06.2011 n. 14323.
Un giudice di pace creativo ha ridotto una
sanzione stradale comminata ad un
automobilista negligente escludendo però
ogni decurtazione di punteggio.
Contro questa stravagante interpretazione
del codice stradale il comando di polizia
municipale ha proposto appello al tribunale
di Bergamo e quindi l'automobilista si è
rivolto al collegio per l'ulteriore
verifica. Nonostante l'accoglimento della
doglianza sulla irregolare costituzione del
contraddittorio la Corte ha fornito una
originale ricostruzione dell'istituto della
patente a punti.
Questa materia, specifica la sentenza, è
infatti «sottratta al potere
sanzionatorio dell'ente locale consistendo,
questa, in una sanzione accessoria che
consegue alla violazione contestata e che
deve essere irrogata con specifico
provvedimento ministeriale, rispetto al
quale l'attività di accertamento è soltanto
propedeutica e contro la quale va rivolta
l'eventuale opposizione» (articolo
ItaliaOggi del 18.08.2011). |
APPALTI: E'
da escludere l’obbligo di ripubblicazione in
Gazzetta di ogni e qualsiasi modifica delle
prescrizioni del bando, restringendo tale
obbligo alle sole clausole significative che
avrebbero potuto alterare la platea dei
concorrenti.
E’ infatti assolutamente ragionevole e
condivisibile quella giurisprudenza che
esclude l’obbligo di ripubblicazione in
Gazzetta di ogni e qualsiasi modifica delle
prescrizioni del bando, restringendo tale
obbligo alle sole clausole significative che
avrebbero potuto alterare la platea dei
concorrenti (cfr TAR Sardegna sez. I n.
564/2004) (TAR Lazio-Roma, Sez. III,
sentenza 08.06.2011 n. 5113 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
PUBBLICO IMPIEGO: Se
la p.a. non trasferisce l'impiegato, ci
pensa il Tar. Tutela piena non solo nel
processo civile ma anche in quello
amministrativo.
Se l'amministrazione non trasferisce lo
statale ci pensa il Tar. Il dipendente
pubblico, a cui venga negato il
trasferimento ad altra sede di lavoro, può
chiedere al giudice di intervenire affinché
quest'ultimo provveda direttamente in
sostituzione dell'amministrazione.
È quanto emerso dalla
sentenza 08.06.2011 n. 1428
emessa dal Tar Lombardia.
Il caso riguardava l'istanza di un agente di
polizia costretto a chiedere il
trasferimento della sede di lavoro per
potersi avvicinare al luogo di residenza dei
propri genitori, bisognosi della sua
assistenza essendo affetti da gravi disturbi
psico-fisici. L'amministrazione, per ben due
volte, ha negato il trasferimento e,
conseguentemente, ha rigettato l'istanza del
lavoratore.
Rilevata l'illegittimità dei provvedimenti
di diniego, il Tar Lombardo, dice la sua
sulla possibilità di sostituirsi
all'amministrazione per garantire le
necessità del lavoratore e della sua
famiglia.
In sostanza il Tar sottolinea che, come nel
processo civile, anche nel processo
amministrativo il cittadino deve ricevere
una tutela piena ed effettiva. E una tutela
piena ed effettiva non può prescindere,
secondo il Tar Lombardia, dalla possibilità
di condannare l'amministrazione all'adozione
del provvedimento capace di soddisfare le
pretese del ricorrente.
Applicando gli artt. 30 e 34, comma 1, lett.
c) ed e), del codice del processo
amministrativo (cpa) viene fatta chiarezza
sui presupposti necessari affinché il
giudice possa scavalcare l'amministrazione:
l'attività di quest'ultima deve essere
vincolata oppure la discrezionalità della
stessa deve ritenersi esaurita. Nel caso in
esame è stato ritenuto che
l'amministrazione, negando in due diverse
occasioni l'istanza del lavoratore, avesse
consumato la propria discrezionalità. Per
cui a questo punto il Tar può sostituirsi
alla p.a.
La conseguenza della sentenza è quella di
velocizzare la tutela del cittadino. La
possibilità di condannare l'amministrazione
a adottare un determinato atto, infatti,
consente di ottenere in un solo giudizio
quello che, prima del codice del processo
amministrativo, si doveva fare in due
processi: dopo il processo di merito (che si
limitava ad annullare) bisognava promuovere
il processo di ottemperanza (per avere
concreta attuazione del proprio diritto).
Con la nuova impostazione si fanno due
processi in uno.
L'azione di esatto adempimento e la
correlata condanna da parte del giudice
amministrativo nei confronti
dell'amministrazione valgono per tutti i
tipi di processi che si celebrano davanti al
Tar. Ma la p.a., dopo la sentenza del
giudice, non è del tutto fuori gioco. Può
ancora smarcarsi dall'ordine del Tar purché
la situazione di fatto sia cambiata: si
pensi alle ipotesi in cui la decisione del
Tar arrivi dopo qualche anno dal deposito
del ricorso (articolo
ItaliaOggi del 18.08.2011 -
tratto da www.ecostampa.it). |
APPALTI: Il
potere discrezionale della stazione
appaltante di prescrivere adeguati requisiti
per la partecipazione alle gare per
l'affidamento di appalti pubblici è soggetto
ai limiti connaturati alla funzione affidata
alle clausole del bando volte a prescrivere
i requisiti speciali.
La stazione appaltante, pertanto, non può
poi derogare, in sede di gara, al puntuale
accertamento preliminare di tali requisiti,
prodromici alla stessa competizione
concorsuale tra le imprese aspiranti, tanto
più ove, come nel caso di specie, tali
requisiti siano richiesti a pena di
esclusione.
Il provvedimento di espulsione da una gara
d'appalto costituisce atto vincolato
rispetto alla clausola del bando che indica
le modalità di presentazione dei documenti a
pena di esclusione, in quanto in sede di
aggiudicazione di contratti con la p.a., la
stazione appaltante è tenuta ad applicare in
modo rigoroso ed incondizionato le clausole
inserite nella "lex specialis" relative ai
requisiti, formali e sostanziali, di
partecipazione ovvero alle cause di
esclusione.
E’ principio pacifico che il potere
discrezionale della stazione appaltante di
prescrivere adeguati requisiti per la
partecipazione alle gare per l'affidamento
di appalti pubblici è soggetto ai limiti
connaturati alla funzione affidata alle
clausole del bando volte a prescrivere i
requisiti speciali.
Tale funzione consiste nel delineare,
attraverso l'individuazione di specifici
elementi indicati della capacità economica,
finanziaria e tecnica, il profilo delle
imprese che si presumono idonee a realizzare
il programma contrattuale perseguito
dall'Amministrazione ed a proseguire nel
tempo l'attività espletata in modo adeguato.
La stazione appaltante, pertanto, non può
poi derogare, in sede di gara, al puntuale
accertamento preliminare di tali requisiti,
prodromici alla stessa competizione
concorsuale tra le imprese aspiranti, tanto
più ove, come nel caso di specie, tali
requisiti siano richiesti a pena di
esclusione.
E’ pure principio pacifico che il
provvedimento di espulsione da una gara
d'appalto costituisce atto vincolato
rispetto alla clausola del bando che indica
le modalità di presentazione dei documenti a
pena di esclusione, in quanto in sede di
aggiudicazione di contratti con la p.a., la
stazione appaltante è tenuta ad applicare in
modo rigoroso ed incondizionato le clausole
inserite nella "lex specialis"
relative ai requisiti, formali e
sostanziali, di partecipazione ovvero alle
cause di esclusione.
Il formalismo che caratterizza la disciplina
delle procedure di gara risponde, per un
verso, ad esigenze pratiche di certezza e
celerità e, per altro verso, alla necessità
di garantire l'imparzialità dell'azione
amministrativa e la parità di condizioni tra
i ricorrenti.
Dunque, i formalismi richiesti espressamente
e tassativamente dalle prescrizioni di gara
costituiscono lo strumento tipico con il
quale si rende trasparente la
discrezionalità amministrativa e si pongono
tutti i concorrenti sullo stesso piano
partecipativo, richiedendo loro un eguale
impegno di diligenza, attenzione e rispetto
verso le clausole dei bandi e dei capitolati
(TAR Lazio-Roma, Sez. III-ter,
sentenza 01.06.2011 n. 4984 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: L'art.
38 del d.lgs. n. 163/2006 -nell'individuare
i soggetti tenuti a rendere la
dichiarazione- fa riferimento soltanto agli
"amministratori muniti di potere di
rappresentanza", senza estendere l'obbligo
ai procuratori, che amministratori non sono.
L'obbligo per l'impresa partecipante ad una
gara pubblica di rendere le prescritte
dichiarazioni può essere legittimamente
assolto dal suo rappresentante legale anche
avuto riguardo ai terzi, inclusi altri
amministratori muniti di poteri di
rappresentanza.
Questa Sezione ha chiarito che l'art. 38 del
d.lgs. n. 163/2006 -nell'individuare i
soggetti tenuti a rendere la dichiarazione-
fa riferimento soltanto agli "amministratori
muniti di potere di rappresentanza",
senza estendere l'obbligo ai procuratori,
che amministratori non sono (Consiglio
Stato, sez. V, 25.01.2011, n. 513).
L'obbligo per l'impresa partecipante ad una
gara pubblica di rendere le prescritte
dichiarazioni può essere legittimamente
assolto dal suo rappresentante legale anche
avuto riguardo ai terzi, inclusi altri
amministratori muniti di poteri di
rappresentanza (Consiglio Stato, sez. V,
19.11.2009, n. 7244) (Consiglio di Stato,
Sez. V,
sentenza 27.05.2011 n. 3200 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI:
Deve ritenersi che la
qualificazione di servizio pubblico locale
spetti a quelle attività caratterizzate, sul
piano oggettivo, dal perseguimento di scopi
sociali e di sviluppo della società civile,
selezionati in base a scelte di carattere
eminentemente politico, quanto alla
destinazione delle risorse economiche
disponibili ed all'ambito di intervento, e,
su quello soggettivo, dalla riconduzione
diretta o indiretta (per effetto di rapporti
concessori o di partecipazione all'assetto
organizzativo dell'ente) ad una figura
soggettiva di rilievo pubblico.
Nel caso di specie il comune ( …) ha assunto
come servizi pubblici locali quelli di
manutenzione delle strade, degli impianti di
illuminazione pubblica e del verde pubblico
... Tanto è sufficiente per concludere che
si tratta senz'altro di servizi pubblici
locali ricadenti nel campo di applicazione
del titolo V del T.U.E.L..
Occorre stabilire se il servizio di gestione
degli impianti di illuminazione pubblica sia
qualificabile come servizio pubblico locale
ovvero come appalto di servizi.
Il Collegio condivide, sul punto, le
argomentazioni svolte dal Consiglio di Stato
(sez. V, 13.12.2006, n. 7369; nello stesso
senso, recentemente, sez. V, 25.11.2010, n.
8231, al punto 3) secondo cui “deve
ritenersi che la qualificazione di servizio
pubblico locale spetti a quelle attività
caratterizzate, sul piano oggettivo, dal
perseguimento di scopi sociali e di sviluppo
della società civile, selezionati in base a
scelte di carattere eminentemente politico,
quanto alla destinazione delle risorse
economiche disponibili ed all'ambito di
intervento, e, su quello soggettivo, dalla
riconduzione diretta o indiretta (per
effetto di rapporti concessori o di
partecipazione all'assetto organizzativo
dell'ente) ad una figura soggettiva di
rilievo pubblico. Nel caso di specie il
comune ( …) ha assunto come servizi pubblici
locali quelli di manutenzione delle strade,
degli impianti di illuminazione pubblica e
del verde pubblico ... Tanto è sufficiente
per concludere che si tratta senz'altro di
servizi pubblici locali ricadenti nel campo
di applicazione del titolo V del T.U.E.L.”
(sez. V, n. 7369/2006, cit.) (TAR Sardegna,
Sez. I,
sentenza 11.05.2011 n. 465 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Silenzio della Pubblica
Amministrazione - Silenzio inadempimento -
Impugnazione - Atto richiesto intervenuto
prima del ricorso ma non comunicato -
Inammissibilità.
In materia di silenzio inadempimento,
laddove il provvedimento richiesto sia
intervenuto prima della presentazione del
ricorso, ancorché non comunicato
all'interessato, qualunque sia il contenuto
dello stesso, il ricorso diventa
inammissibile poiché la pubblica
amministrazione ha assolto il suo onere di
concludere il procedimento avviato con
l'istanza con un provvedimento espresso
(massima
tratta da www.solom.it - TAR
Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 27.04.2011 n. 1062 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
1. Piano Regolatore -
Prescrizioni e vincoli - Fascia di rispetto
stradale - Vincolo conformativo - E' tale.
2. Piano Regolatore - Procedimento -
Pubblicazione - Rinnovo a seguito di
accoglimento osservazioni privati - Non
occorre.
1.
Il vincolo di inedificabilità relativo alla
fascia di rispetto stradale non ha natura
espropriativa, ma unicamente conformativa,
in quanto riguarda una generalità di beni e
di soggetti ed ha una funzione di
salvaguardia della circolazione,
indipendentemente dalla eventuale
instaurazione di procedure espropriative;
esso quindi non è soggetto a scadenze
temporali.
2.
Nel procedimento di formazione dei piani
regolatori generali, la pubblicazione dei
P.R.G. stessi, prevista dall'art. 9 L.
17.08.1942, n. 1150, è finalizzata alla
presentazione delle osservazioni da parte
dei soggetti interessati al progetto di
piano adottato dal comune, ma non è
richiesta, di regola, per le successive fasi
del procedimento, anche se il piano
originario risulti modificato a seguito
dell'accoglimento di alcune osservazioni o
di modifiche introdotte in sede di
approvazione regionale
(massima
tratta da www.solom.it - TAR
Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 21.04.2011 n. 1019 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Sindaco - Adozione ordinanza
contingibile e urgente nei confronti del
proprietario per interventi a tutela della
salute.
Il Sindaco, titolare dei poteri in materia
di ordinanze contingibili ed urgenti, ha la
facoltà di emanare provvedimenti che
impongano al proprietario una serie di
interventi volti all'eliminazione degli
inconvenienti sanitari scaturiti dalle
deiezioni dei piccioni stazionanti in gran
numero sull'immobile di sua proprietà
(massima
tratta da www.solom.it - TAR
Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 18.04.2011 n. 986 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Revoca delle procedure
concorsuali - Comunicazione di avvio del
procedimento - Obbligo - Non sussiste.
La revoca delle procedure concorsuali non
deve essere proceduta dalla comunicazione di
avviso di avvio del procedimento, perlomeno
fino a quando non sia adottato il
provvedimento di aggiudicazione definitiva;
giacché è solo in capo all'aggiudicatario
che si radica una posizione di affidamento
meritevole di tutela (cfr. TAR Lombardia
Milano, sez. III, 05.05.2010 n. 1222)
(massima tratta da www.solom.it - TAR
Lombardia-Milano, Sez. III,
sentenza 12.04.2011 n. 955 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Concessione di costruzione -
Necessità - Modificazione permanente dello
stato dei luoghi - Occorre concessione.
Necessitano di idoneo titolo edilizio i
manufatti che assumono dimensioni non
trascurabili, vengono destinati ad un
utilizzo autonomo e duraturo e comportano
modificazione permanente dello stato dei
luoghi
(massima
tratta da www.solom.it - TAR
Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 08.04.2011 n. 930 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Aggiudicazione di contratti con
la P.A. - Apertura delle buste - Seduta
pubblica - Obbligo del seggio di gara di
portare a conoscenza dei concorrenti giorno,
ora e luogo della seduta - Anche in assenza
di specifiche previsioni della lex specialis
- Comunicazione via fax - Sufficiente
certezza circa l'esito della trasmissione -
Prova contraria circa la funzionalità
dell'apparecchio a chi lamenti la mancata
ricezione - Rapporto di trasmissione non a
buon fine, onere della stazione appaltante
di avere un rapporto positivo di
trasmissione.
La regola generale della pubblicità della
gara, segnatamente con riguardo al momento
dell'apertura delle buste implica "necessariamente
l'obbligo del seggio di gara di portare
preventivamente a conoscenza dei concorrenti
il giorno, l'ora e il luogo della seduta
della commissione di gara, in modo da
garantire loro l'effettiva possibilità di
presenziare allo svolgimento delle
operazioni di apertura dei plichi pervenuti
alla stazione appaltante, atteso che tale
adempimento risulta implicitamente
necessario ai fini dell'integrazione del
carattere di pubblicità della seduta"
(in termini Consiglio di stato, sez. V,
28.05.2004, n. 3471; TAR Piemonte Torino,
sez. II, 29.10.2010, n. 3937);
Di conseguenza, "anche in assenza di
specifiche previsioni della lex specialis,
la violazione del principio di pubblicità
indotta dalla mancata (o dalla tardiva)
comunicazione ad uno o più concorrenti della
data di svolgimento delle operazioni di
apertura dei plichi contenenti le offerte
economiche costituisce vizio insanabile
della procedura, anche ove non sia
comprovata l'effettiva lesione sofferta dai
concorrenti, trattandosi di adempimento
posto a tutela non solo della parità di
trattamento tra gli stessi, ma anche
dell'interesse pubblico alla trasparenza ed
all'imparzialità dell'azione amministrativa,
le cui conseguenze negative sono
difficilmente apprezzabili ex post"
(cfr. in termini, Consiglio di Stato, sez.
V, 20.03.2006, n. 1445; TAR Veneto Venezia,
sez. I, 20.10.2010, n. 5525; TAR Basilicata
Potenza, sez. I, 28.03.2008, n. 72; TAR
Calabria Catanzaro, sez. II, 26.07.2004, n.
1701).
In generale il fax è uno strumento che
garantisce una sufficiente certezza circa
l'esito della trasmissione, incombendo la
prova contraria in ordine alla funzionalità
dell'apparecchio sul soggetto che lamenti la
mancata ricezione del messaggio. Il
principio ora richiamato vale nelle ipotesi
in cui alla stazione appaltante risulti che
la trasmissione via fax è andata a buon
fine, ma ciò nonostante il destinatario
lamenti la mancata ricezione per
malfunzionamento dello strumento tecnico.
Viceversa qualora il rapporto di
trasmissione evidenzi che la comunicazione
effettuata dall'amministrazione non è andata
a buon fine, per una ragione indipendente
dal corretto funzionamento del macchinario e
a fronte di tale situazione era onere della
stazione appaltante di reiterare l'invio
della comunicazione sino ad ottenere un
rapporto positivo
(massima tratta da www.solom.it - TAR
Lombardia-Milano, Sez. III,
sentenza 05.04.2011 n. 892 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
1. Accesso ai documenti - Atti
accessibili - Fogli firme delle presenze
giornaliere dei dipendenti Poste Italiane
S.p.A. - Estensione.
2. Accesso ai documenti - Atti accessibili -
Fattispecie.
1.
I dipendenti di Poste Italiane S.p.a., anche
cessati dal rapporto, hanno diritto ad
accedere ad alcuni atti relativi
all'organizzazione interna della società,
quali, tra l'altro, i fogli firma delle
presenze giornaliere.
In tali casi, infatti, l'attività di Poste
Italiane, relativa alla gestione del
rapporto di lavoro con i propri dipendenti,
è stata ritenuta strumentale al servizio
gestito dalla società ed incidente
potenzialmente sulla qualità di un servizio
il cui rilievo pubblicistico va valutato
tenendo conto, non solo, della dimensione
oggettiva ma, anche, di quella propriamente
soggettiva di Poste Italiane.
2.
Il discrimen tra gli atti che devono
considerarsi rientranti nell'ambito
oggettivo della disciplina dell'accesso e
quelli destinati a rimanerne fuori, non va
identificato nella distinzione tra attività
posta in essere nell'esercizio di potestà
pubbliche e attività condotta secondo moduli
privatistici, bensì, nella sottoposizione o
meno del soggetto preposto al suo
espletamento al dovere di imparzialità
(massima
tratta da www.solom.it - TAR
Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 01.04.2011 n. 869 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Responsabilità della Pubblica
Amministrazione - Risarcimento danni -
Colpevolezza della P.A. - Presunzione
semplice - Applicabilità - Conseguenze.
In sede di giudizio per il risarcimento del
danno derivante da provvedimento
amministrativo illegittimo, il privato
danneggiato può limitarsi ad invocare
l'illegittimità dell'atto quale indice
presuntivo della colpa, restando a carico
dell'Amministrazione l'onere di dimostrare
che si è trattato di un errore scusabile per
contrasti giurisprudenziali
sull'interpretazione della norma, per la
complessità del fatto ovvero per l'influenza
di altri soggetti
(massima
tratta da www.solom.it - TAR
Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 31.03.2011 n. 858 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
Abusi - Lottizzazione abusiva -
Configurabilità.
L'art. 30, comma 1, DPR 380/2001 -che
ricalca la pregressa previsione
dell'abrogato art. 18 della Legge 47/1985- è
interpretato nel senso che sono ravvisabili
due tipi di lottizzazione abusiva (che
possono peraltro coesistere): una materiale,
allorché sono iniziate sul terreno opere che
comportino trasformazione urbanistica o
edilizia del medesimo in violazione delle
prescrizioni degli strumenti urbanistici o
comunque senza le prescritte autorizzazioni
ed una cartolare o formale, quando la
trasformazione è predisposta attraverso il
frazionamento e la vendita del terreno in
lotti che, per le loro caratteristiche
particolari, denuncino in modo non equivoco
la destinazione a scopo edificatorio
(massima
tratta da www.solom.it - TAR
Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 28.03.2011 n. 824 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. Variante ex art. 5 d.P.R. n.
447/1998 - Diversità da quella urbanistica
ordinaria - Criterio.
2. Variante ex art. 5 d.P.R. n. 447/1998 -
Parere favorevole della conferenza di
servizi - Natura.
1.
La differenza radicale tra la variante di
cui all'art. 5 del d.P.R. n. 447/1998
rispetto alla variante urbanistica ordinaria
riguarda la modalità specifica di
attivazione del procedimento di variazione
dello strumento urbanistico: nel caso
dell'art. 5 la proposta di variazione è
collegata alla presentazione, da parte di un
privato, di un progetto che ottenga il
parere favorevole della conferenza di
servizi, appositamente convocata, mentre
nell'ipotesi ordinaria, la proposta di
variazione dello strumento urbanistico è
affidata all'iniziativa dell'amministrazione
comunale.
2.
Il parere favorevole della conferenza di
servizi in relazione al progetto di cui alla
realizzazione di un nuovo insediamento
produttivo costituisce proposta di variante
sulla quale è chiamato a pronunciarsi (anche
con una eventuale determinazione negativa,
ma in ogni caso adeguatamente motivata) il
Consiglio Comunale, titolare esclusivo del
potere di pianificazione urbanistica.
Presupposto essenziale per la convocazione
della conferenza di servizi volta
all'approvazione di una variante urbanistica
ex art. 5 del d.P.R. n. 447 del 1998 è,
dunque, la verifica, da parte del
responsabile del procedimento, dell'assenza
o dell'insufficienza di aree già destinate
agli insediamenti produttivi nel p.r.g. in
vigore
(massima
tratta da www.solom.it - TAR
Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 24.03.2011 n. 773 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Gara di appalto - Rilascio
dichiarazioni - "Falso innocuo".
E' rigettato il ricorso per l'annullamento
del verbale di gara con il quale è stata
disposta l'esclusione della ricorrente dalla
gara d'appalto per l'aggiudicazione dei
lavori di manutenzione straordinaria delle
pavimentazioni in conglomerato bituminoso
dei manufatti stradali e la contestuale
aggiudicazione del contratto ad un'altra
società : è falsa la dichiarazione della
società ricorrente che ha attestato
l'insussistenza di direttori tecnici cessati
nel triennio precedente.
Non si tratta, peraltro, di un cd. "falso
innocuo": la giurisprudenza del
Consiglio di Stato ha recepito tale nozione
di origine penalistica anche ai fine di
escludere la rilevanza della falsità delle
dichiarazioni non veritiere rese dai
soggetti partecipanti alle gare pubbliche ai
sensi dell'art. 38 del D.Lgs. 163 del 2006
(e prima ancora dell'art. 75 del D.P.R.
554/1999) tutte le volte che essa non abbia
prodotto alcun pregiudizio agli interessi
presidiati dalla norma che impone di
attestare una determinata circostanza (sia
essa contenuta nella legge o nel bando) e
non abbia procurato all'impresa dichiarante
alcun vantaggio competitivo (Cons. Stato, V,
09.11.2010 n. 7967).
Il medesimo Consiglio di Stato ha, tuttavia,
precisato che nell'ambito dei rapporti
amministrativi la valutazione del carattere
innocuo del falso deve essere compiuta "ex
ante", con la conseguenza che non può
essere considerato innocuo il falso
potenzialmente in grado di incidere sulle
determinazioni dell'Amministrazione (Cons.
Stato, VI, 08.07.2010 n. 4436).
Il Supremo consesso ha altresì stabilito che
qualora la lex specialis di gara
richieda all'impresa informazioni puntuali
che non lasciano spazio a valutazioni in
ordine alla rilevanza o meno di determinate
informazioni la loro omissione costituisce
una legittima causa di esclusione (Cons.
Stato, VI, 4907/2009 cit.).
Tale è, appunto, la situazione che ricorre
nel caso di specie in cui si chiedeva alle
imprese offerenti di rilasciare una doppia
dichiarazione con riguardo:
a) al fatto che nel triennio precedente la
data di pubblicazione del bando non fosse
cessato né fosse stato sostituito il
titolare, il socio, l'amministratore munito
di poteri di rappresentanza o il direttore
tecnico;
b) al fatto che i soggetti eventualmente
cessati non avessero riportato condanne
penali tali da incidere sulla affidabilità
morale e professionale
(massima tratta da www.solom.it - TAR
Lombardia-Milano, Sez. III,
sentenze 01.03.2011 nn. 599 e
607 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
1. Comunicazione - Avviso - Artt.
7 e 21-octies della l. n. 241/1990.
2. Efficacia - Comunicazione.
1.
Ancor prima dell'introduzione dell'art.
21-octies, comma 2, l. n. 241/1990, la
prevalente giurisprudenza aveva ritenuto
idonei a raggiungere lo scopo della
disposizione dell'art. 7, l. n. 241/1990
anche meccanismi procedurali alternativi,
come ad esempio una formula espressa apposta
in calce ad un documento comunicato
all'interessato, ovvero la c.d. conoscenza
aliunde dell'inizio del procedimento.
Inoltre, la comunicazione ex art. 7, l. n.
241 del 1990 non costituisce un adempimento
fine a se stesso, ma è volta a consentire
un'effettiva partecipazione attiva al
procedimento da parte dei destinatari
dell'attività amministrativa.
Ne consegue che la codificazione del
principio del raggiungimento dello scopo
dell'azione amministrativa (nell'art.
21-octies, comma 2, l. n. 241/1990) non ha
certo precluso l'operatività del principio
(di origine pretoria) del raggiungimento
dello scopo della norma violata, in forza
della quale, laddove sia provato che
l'interessato è stato comunque posto in
condizione di partecipare al procedimento
amministrativo, questi non può dolersi
dell'omessa comunicazione dell'avvio del
procedimento stesso (cfr. TAR Campania
Napoli, sez. VII, 07.05.2008, n. 3522).
Nella vicenda per cui causa il Comune preso
atto che alla, data del 03.03.2007 (ovvero
30 giorni prima della data di scadenza per
la realizzazione dei lavori), non era stata
presentata all'ufficio competente alcuna DIA
per l'avvio degli interventi di innalzamento
delle canne fumarie, con provvedimento del
07.03.2007, ha comunicato alla società
ricorrente, in qualità di impresa
costruttrice degli edifici, l'avvio del
procedimento diretto all'emanazione di
ordinanza dirigenziale di regolare
esecuzione dei lavori di innalzamento di
tutti i comignoli dell'intero complesso.
Tale avviso, con tutta evidenza, soddisfa
adeguatamente le esigenze che sono alla base
della comunicazione dell'avvio del
procedimento, avendo posto l'istante nelle
condizioni di far valere tutte le proprie
ragioni.
2.
Sussiste il denunciato vizio di difetto di
titolarità passiva del rapporto poiché la
ricorrente ha intanto alienato gli immobili
a terzi: si attribuisce rilievo decisivo, ai
fini dell'efficacia, non alla data di
trasmissione del provvedimento ma a quella
di ricezione.
Ai sensi, infatti, dell'art. 21-bis l. n.
241/1990, il provvedimento limitativo della
sfera giuridica dei privati acquista
efficacia nei confronti di ciascun
destinatario con la comunicazione allo
stesso effettuata anche nelle forme
stabilite per la notifica agli irreperibili
nei casi previsti dal codice di procedura
civile (articolo inserito dall'articolo 14,
comma 1, della legge 11.02.2005 n. 15)
(massima tratta da www.solom.it - TAR
Lombardia-Milano, Sez. III,
sentenza 01.03.2011 n. 595 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Bando di gara - Aggiudicazione
fornitura di materiale informatico e allo
svolgimento dei servizi connessi - Presenza
sul mercato europeo corrispondente al
livello di diffusione richiesto dal
capitolato - Clausola - Legittimità.
La società ricorrente aveva interesse a
partecipare alla procedura in qualità di
fornitore di sistemi informatici di
produzione propria, ma non poteva vantare,
in veste di produttore, una presenza sul
mercato europeo corrispondente al livello di
diffusione richiesto dal capitolato.
Tale prescrizione, ritenuta dalla società
ostativa alla partecipazione, non può
sostenersi avesse la finalità e l'effetto di
condizionare lo svolgimento della gara in
modo tale che la possibilità di accedere
all'effettuazione della fornitura fosse ad
appannaggio di un novero numericamente
limitato di concorrenti.
Questa clausola infatti non può essere
intesa quale prescrizione indicativa di un
requisito soggettivo richiesto ai fini
dell'ammissione alla procedura (la gara
infatti non era riservata alle sole imprese
produttrici di personal computers, ma aperta
alla partecipazione anche di soggetti non
produttori, purché fossero in grado di
garantire, unitamente alla fornitura dei
sistemi informatici prodotti da terzi come
descritti nel capitolato, anche i connessi
servizi di installazione, attivazione e
manutenzione).
La clausola imponeva, infatti, solo
all'aggiudicatario dell'appalto di
approvvigionarsi con prodotti la cui
affidabilità fosse comprovata dal
raggiungimento di una determinata soglia di
penetrazione del mercato (dimostrata dalla
quantità di pezzi venduti dal produttore nei
quattro anni precedenti la pubblicazione del
bando).
La stazione appaltante ha dunque mostrato di
apprezzare la penetrazione commerciale di
alcuni prodotti attestati sul mercato
europeo, quale dato idoneo a garantire
l'efficienza tecnica dei sistemi informatici
prodotti
(massima tratta da www.solom.it - TAR
Lombardia-Milano, Sez. III,
sentenza 01.03.2011 n. 593 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
1. Gara per trattativa privata -
Violazione del codice della strada (servizio
autovelox) - Attività di gestione
procedimenti amministrativi - Affidamento
del servizio - Revoca.
2. Procedimento amministrativo -
Provvedimento di affidamento del servizio -
Annullamento - Non parere negativo -
Responsabile d'Area - Documentazione
riserve.
3. Procedimento amministrativo -
Annullamento d'ufficio a breve distanza
dall'adozione - Adozione del provvedimento -
Affidamento - Non sussiste.
1.
Non è fondato il motivo di ricorso in cui si
deduce la violazione dell'art. 7 della legge
n. 241/1990, poiché l'interessata (alla
quale precedentemente era stata affidata per
contratto la gestione dei procedimenti
amministrativi per l'accertamento della
violazione del codice della strada per il
servizio autovelox) ha avuto conoscenza
dell'avvio del procedimento di secondo
grado, volto all'annullamento dell'atto di
affidamento del servizio, attraverso la
comunicazione del precedente provvedimento
con il quale era stata disposta la
sospensione degli effetti di quel medesimo
atto.
2.
In merito al parere negativo del
Responsabile d'Area sulla legittimità
dell'annullamento del provvedimento di
affidamento servizio si precisa che tale è
contrario alla logica, giacché non si vede
come un organo possa esprimere parere
negativo ad un proprio provvedimento.
E' anche del tutto irrituale in quanto
nessuna disposizione prevede che le
determinazioni dei responsabili dei servizi
degli enti locali debbano essere
accompagnate da pareri di regolarità
tecnica: l'art. 49, comma 1, del d.lgs. n.
267/2000 stabilisce che detti pareri debbono
accompagnare le proposte di deliberazione
della Giunta e del Consiglio (e norma di
analogo tenore è contenuta nell'art. 41,
comma 2, dello Statuto dell'Unione); mentre,
per quanto riguarda i provvedimenti emessi
dai responsabili dei servizi, l'art. 155,
comma 4, dello stesso decreto prevede solo
che, in caso in cui comportino impegni di
spesa, questi "sono trasmessi al
responsabile del servizio finanziario e sono
esecutivi con l'apposizione del visto di
regolarità contabile attestante la copertura
finanziaria".
Il Responsabile d'Area, nell'esprimere tale
irritale parere, ha quindi semplicemente
voluto documentare le proprie riserve,
evidentemente al fine di mettersi al riparo
in caso di instaurazione di eventuali futuri
giudizi di responsabilità amministrativa.
Queste riserve tuttavia non sono di per sé
idonee ad inficiare la regolarità
dell'operazione voluta e posta in essere
dall'Amministrazione la quale, dopo aver
constatato che l'affidamento annuale del
servizio era contrario all'indirizzo
politico espresso dai competenti organi, ha
correttamente deciso di provvedere
all'annullamento dell'atto che aveva
disposto l'affidamento stesso.
3.
Sulla dedotta violazione dell'art.
21-quinquies della legge n. 241/1990, in
quanto l'Autorità amministrativa non avrebbe
illustrato i motivi di pubblico interesse
che l'hanno indotta a disporre la revoca del
servizio, si osserva che la norma
applicabile al caso di specie non è l'art.
21-quinquies della legge n. 241/1990, ma
l'art. 21-nonies, della medesima legge, il
quale stabilisce che "il provvedimento
amministrativo illegittimo (?) può essere
annullato d'ufficio, sussistendone le
ragioni di interesse pubblico, entro un
termine ragionevole e tenendo conto degli
interessi dei destinatari e dei
controinteressati, dall'organo che lo ha
emanato, ovvero da altro organo previsto
dalla legge".
Ciò premesso deve però osservarsi che in
giurisprudenza si ritiene che quando
l'annullamento d'ufficio interviene a breve
distanza di tempo dall'adozione del
provvedimento illegittimo, nessun
ragionevole affidamento può ingenerarsi in
capo al privato.
In tal caso non è quindi necessaria
l'esplicitazione nel provvedimento di
secondo grado dell'interesse pubblico
concreto ed attuale all'annullamento, né la
comparazione di tale interesse con
l'interesse privato sacrificato, posto che
al ricorrere di questa circostanza
l'interesse pubblico all'annullamento può
considerarsi in re ipsa (cfr. TAR
Campania Napoli, sez. IV, 09.03.2010, n.
1323; TAR Lazio Roma, sez. III, 16.06.2009,
n. 5688)
(massima
tratta da www.solom.it - TAR
Lombardia-Milano, Sez. III,
sentenza 01.03.2011 n. 585 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
ENTI LOCALI:
Consiglio comunale - Scioglimento
- Commissari nominati - Funzioni.
L'art. 141, comma 3, del D.lgs. n. 267/2000
stabilisce che in caso di scioglimento del
consiglio comunale, il decreto che dispone
tale misura, provvede altresì "alla
nomina di un commissario, che esercita le
attribuzioni conferitegli con il decreto
stesso". Il successivo comma 7 del
medesimo articolo prevede che, iniziata la
procedura di scioglimento ed in attesa del
relativo decreto "il prefetto, per motivi
di grave e urgente necessità, può
sospendere, per un periodo comunque non
superiore a novanta giorni, i consigli
comunali e provinciali e nominare un
commissario per la provvisoria
amministrazione dell'ente".
Da queste disposizioni normative si ricava
dunque che i commissari nominati
dall'autorità statale hanno la funzione di
sostituire gli ordinari organi del comune
affinché tali enti possano continuare ad
operare, e non si determini quindi una
interruzione delle fondamentali attività che
questi svolgono.
Pertanto si deve ritenere che, una volta
cessato dalla carica il sindaco di un
comune, il commissario nominato in sua
sostituzione sia titolare di tutte le
prerogative che appartenevano al primo, ivi
comprese quelle inerenti alle qualifiche
ricoperte presso organi di enti esponenziali
in rappresentanza del comune stesso, in modo
da assicurare la continuità delle funzioni
esercitate dalle amministrazioni partecipate
(massima
tratta da www.solom.it - TAR
Lombardia-Milano, Sez. III,
sentenza 01.03.2011 n. 585 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. Concessione di costruzione -
Annullamento e revoca - Annullamento
parziale - Scindibilità dell'opera -
Sussiste.
2. Concessione di costruzione - Annullamento
e revoca - Annullamento d'ufficio - A
distanza di tempo - Contemperazione tra
interesse pubblico e privato - Necessità.
1.
L'annullamento parziale di una concessione
edilizia riconosciuta illegittima è
ammissibile solo quando l'opera autorizzata
sia scindibile in modo tale da poter essere
oggetto di più distinti progetti e
concessioni.
La ragione di tale principio è la stessa per
cui il comune può respingere o accogliere
una domanda di concessione edilizia, ma non
modificare il progetto, non potendosi
imporre al richiedente un'opera diversa dal
progetto sul quale ha chiesto la
concessione.
2.
Il presupposto per un legittimo esercizio
del potere di annullamento d'ufficio di una
concessione edilizia non può ridursi al
ripristino della legalità, occorrendo dar
conto della sussistenza di un interesse
pubblico attuale e concreto alla rimozione
del titolo edilizio e della comparazione tra
tale interesse e l'entità del sacrificio
imposto all'interesse privato, tanto più
quando il titolare della concessione, in
ragione del tempo decorso abbia maturato un
legittimo affidamento in merito alla
realizzazione delle opere, ovvero si sia in
presenza della realizzazione di una
significativa parte delle opere assentite
(massima
tratta da www.solom.it - TAR
Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 24.02.2011 n. 538 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Atto amministrativo - Contenuto e
forma - Mancata indicazione Autorità per
ricorrere - Non determina nullità.
L'omessa indicazione nel provvedimento
dell'autorità presso cui è possibile
presentare ricorso è circostanza utile a
rimettere in termini il destinatario dello
stesso, ma non determina alcuna nullità del
provvedimento medesimo
(massima
tratta da www.solom.it - TAR
Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 24.02.2011 n. 535 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
LAVORI PUBBLICI:
Progetto preliminare - Progetto
definitivo - Modificazione lavori - Variante
- Non è necessaria.
La vigente normativa (cfr. art. 93 del
D.L.vo 2006, n. 163) articola l'attività di
progettazione per l'esecuzione dei lavori
pubblici secondo tre successivi livelli di
approfondimenti tecnici, distinguendo il
progetto preliminare, il progetto definitivo
e il progetto esecutivo e spetta al progetto
definitivo di individuare "compiutamente
i lavori da realizzare". E' pertanto
considerata del tutto fisiologica
l'introduzione di modificazioni in ordine ai
lavori da realizzare senza che ciò implichi
l'applicazione dell'art. 19 del d.p.r. 2001
n. 327 e quindi l'approvazione di una
variante da riservare alla competenza del
Consiglio.
In particolare, la norma dispone
espressamente che "Gli strumenti
urbanistici comunali vigenti conservano
efficacia fino all'approvazione del PGT e
comunque non oltre la data del 31.03.2010.
Fino all'adeguamento dei PRG vigenti, a
norma dell'articolo 26, e comunque non oltre
il predetto termine, i comuni, ad eccezione
di quelli di cui al comma 2, possono
procedere unicamente all'approvazione di
atti di programmazione negoziata, di
progetti in variante ai sensi dell'articolo
5 del decreto del Presidente della
Repubblica 20.10.1998, n. 447, nonché di
varianti nei casi di cui all'articolo 2,
comma 2, della legge regionale 23.06.1997,
n. 23 (Accelerazione del procedimento di
approvazione degli strumenti urbanistici
comunali e disciplina del regolamento
edilizio) e di piani attuativi in variante,
con la procedura di cui all'articolo 3 della
predetta L.R. n. 23/1997".
Dal coordinamento tra le due norme citate
deriva che, qualora l'amministrazione
comunale approvi -nel periodo transitorio
individuato dall'art. 25, comma 1, della
legge reg. 2005 n. 12, periodo in cui si
colloca la fattispecie sottesa ai ricorsi in
esame- una delle varianti previste dall'art.
2, comma 2, della legge reg. 23.06.1997, n.
23, devono trovare applicazione le
previsioni dell'art. 3, commi da 2 a 40,
della legge reg. 05.01.2000, n. 1.
Pertanto, in questi casi deve essere
applicato anche il comma 18 dell'art. 3
della legge reg. 2000 n. 1, ove si prevede
che "Il comune, contestualmente al loro
deposito, trasmette alla provincia
competente per territorio il piano
regolatore generale adottato, o le sue
varianti, ovvero il piano attuativo di
interesse sovracomunale adottato. La
provincia, entro novanta giorni dal
ricevimento degli atti, ne verifica,
garantendo comunque il confronto con il
comune interessato, la compatibilità con gli
aspetti di carattere sovracomunale contenuti
nel proprio piano territoriale di
coordinamento; decorso tale termine il
comune decide sulle osservazioni e procede
all'approvazione in via definitiva".
Ecco, allora, che quando l'amministrazione
comunale adotta una delle varianti previste
dall'art. 2, comma 2, della legge reg.
23.06.1997, n. 23, secondo il meccanismo
fatto salvo dall'art. 25, comma 1, della
legge 2005 n. 12, deve trasmettere la
variante adottata alla Provincia competente,
al fine di consentire la verificazione della
compatibilità della nuova disciplina
urbanistica con il piano territoriale di
coordinamento.
Nel caso di specie il Comune resistente ha
dichiaratamente posto in essere la variante
semplificata, oggetto del ricorso in esame,
ai sensi della legge reg. 1997 n. 23, ma ha
omesso di trasmettere alla Provincia la
variante adottata, in violazione dell'art.
3, comma 18, della legge reg. 2000 n. 1,
così precludendo all'Ente competente la
verificazione della compatibilità della
variante con il piano territoriale di
coordinamento, come esattamente contestato
dalla ricorrente
(massima
tratta da www.solom.it - TAR
Lombardia-Milano, Sez. III,
sentenza 18.02.2011 n. 499 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Illeciti - Segnalazione
circostanziata - Attività di controllo -
Presupposti.
La condanna dell'Amministrazione a
pronunciarsi sull'istanza del privato
presuppone l'accertamento della sussistenza
dell'obbligo di pronunciarsi e che è
opinione comune che tale obbligo non
sussista nel caso in cui l'istanza sia
palesemente infondata, nel caso di richiesta
di riesame di un precedente atto di diniego
(giacché in tale ipotesi vi sarebbe
aggiramento dei termini decadenziali
previsti dalla legge per la proposizione del
gravame avverso l'atto di diniego) e,
infine, secondo parte della giurisprudenza,
nel caso di istanza volta ad ottenere
l'estensione del giudicato in favore dei
soggetti che non sono stati parte del
processo.
Nel caso specifico il privato, nonostante
l'Amministrazione abbia già fornito
riscontro ad una sua domanda, ha formulato
un'istanza avente contenuto sostanzialmente
analogo a quello della precedente ed è
contro i principi di ragionevolezza, buona
fede e buon andamento della pubblica
amministrazione, pretendere che l'Autorità
sia costretta a dare continuo riscontro ad
istanze che riproducono il contenuto di
altre già evase.
Nel caso concreto, il Comune non si è
limitato ad affermare che non è prevista e
disciplinata dall'Ente l'attività di
sopralluogo nell'interesse di privati; ma ha
altresì affermato che "in ordine ad
eventuali sopralluoghi si informa che, in
aggiunta alla normale attività di vigilanza
sul territorio svolta da Agenti e Funzionari
di Polizia Giudiziaria, è garantito il
supporto tecnico di competenza ogni
qualvolta venga segnalato o riscontrato di
iniziativa degli uffici in modo
circostanziato, un presunto illecito nelle
materie di competenza".
L'Autorità amministrativa non ha dunque
declinato la propria competenza ad
effettuare attività di controllo e vigilanza
in materia di urbanistica ed edilizia (ed in
particolare ad effettuare sopralluoghi su
beni di terzi anche ad istanza di privati);
ma ha semplicemente affermato che in
mancanza delle indicate condizioni
(segnalazione circostanziata di presunti
illeciti) detta attività non viene esplicata
(massima
tratta da www.solom.it - TAR
Lombardia-Milano, Sez. III,
sentenza 18.02.2011 n. 486 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
LAVORI PUBBLICI:
Lavori per opere di
urbanizzazione - Né usucapione né dicatio ad
patriam - Non sussiste.
E' accolto il ricorso avverso il
provvedimento che ha approvato il progetto
definitivo ed esecutivo di opere di opere di
urbanizzazione stradali e indizione
procedura di gara "aperta" implicante
dichiarazione di "pubblica utilità
indifferibilità ed urgenza" che sono da
realizzarsi, fra l'altro, sulla porzione di
terreno di proprietà della ricorrente:
l'Amministrazione non ha rispettato le
regole procedurali, prodromiche alla
dichiarazione di pubblica utilità di
un'opera (all'art. 16 del D.P.R. 08.06.2001
n. 327).
Altresì l'Amministrazione resistente ritiene
di poter fondare la propria legittimazione
ad eseguire i lavori sul terreno privato
affermando, fra l'altro, che questo sarebbe
assoggettato a demanialità da più di venti
anni: il termine ventennale è un termine
necessario per perfezionare l'usucapione, ed
essendo pacificamente ammesso, sia in
dottrina che in giurisprudenza, che anche i
diritti di natura demaniale possono essere
acquistati per usucapione, occorre
domandarsi se, nel caso concreto, il Comune
abbia acquisito per usucapione al proprio
demanio il terreno di proprietà della
ricorrente e la risposta non può che essere
negativa. L'Amministrazione non ha in alcun
modo dimostrato di aver effettivamente
posseduto, per un periodo almeno ventennale,
e quindi usucapito, il suddetto immobile.
Quanto alla dicatio ad patriam che
consiste nel comportamento del proprietario
che mette volontariamente e con carattere di
continuità un proprio bene a disposizione
della collettività, determinando in tal modo
l'insorgere, a favore della collettività
medesima, di una servitù di uso pubblico
(che si distinguono dunque dalle servitù
pubbliche in quanto, a differenza di queste
ultime -che, al pari delle servitù private,
postulano l'esistenza di due fondi-
postulano l'esistenza di un solo immobile
gravato da pesi direttamente funzionali alla
collettività beneficiaria).
Se il terreno della ricorrente fosse stato
oggetto di dicatio ad patriam e
quindi se esso fosse effettivamente gravato
da servitù di uso pubblico, effettivamente
il Comune sarebbe legittimato ad effettuare
i lavori di cui al provvedimento impugnato
giacché, per pacifica opinione, si ammette
che l'amministrazione locale, quale ente
rappresentativo degli interessi della
collettività, possa realizzare, sui beni
gravati dal predetto peso, i lavori
necessari ad assicurarne la pubblica
fruibilità o, perlomeno, a migliorane le
possibilità di fruizione mediante
l'esercizio dei poteri amministrativi di sua
spettanza.
Ma così non è poiché il connotato essenziale
della dicatio ad patriam è quindi
dato dalla volontaria messa a disposizione
del bene alla collettività: è quindi
necessario -in considerazione della notevole
importanza degli effetti che tale
comportamento determina- accertare in
maniera rigorosa se nel caso concreto la
volontà del proprietario
(massima
tratta da www.solom.it - TAR
Lombardia-Milano, Sez. III,
sentenze 11.02.2011 nn. 465 e
466 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Dipendenti pubblici - Legge 104 -
Requisiti - Sussistenza.
I requisiti che devono ricorrere per
legittimare il pubblico dipendente a
chiedere di essere assegnato alla sede più
vicina al domicilio dell'assistito, ai sensi
dell'art. 33, l. 05.02.1992 n. 104, sono
quello della continuità dell'assistenza al
soggetto portatore di handicap e quello
della sua esclusività.
Il comportamento dell'amministrazione che ha
rigettato l'istanza del ricorrente volta
all'ottenimento del trasferimento per la
necessità di fornire assistenza ad entrambi
i genitori di cui è figlio unico appare
irrimediabilmente affetto da vizio di
motivazione, essendosi l'Amministrazione
limitata alla generica affermazione di avere
valutato gli elementi addotti a sostegno
dell'istanza nonché dell'insussistenza dei
presupposti per il suo accoglimento, senza
indicare concrete ragioni in fatto e/o in
diritto a supporto della determinazione
adottata.
Ne consegue, inoltre, il correlato vizio di
insufficienza dell'istruttoria (con
riferimento alla mancata valutazione da
parte dell'Amministrazione di tutti gli
elementi di fatto allegati all'istanza):
come già rilevato in sede cautelare il
provvedimento impugnato, infatti, non motiva
il suo diniego in relazione alla mancanza
dei requisiti della continuità
dell'assistenza al soggetto portatore di
handicap e della sua esclusività e neppure
ha adeguatamente valutato la documentazione
prodotta dall'interessato a sostegno della
domanda di proroga dell'aggregazione presso
la Questura di Pescara
(massima
tratta da www.solom.it - TAR
Lombardia-Milano, Sez. III,
sentenza 11.02.2011 n. 463 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
1. Sentenza e decisione -
Sentenza di annullamento - Effetto
caducatorio e conformativo - Limiti.
2. Sentenza e decisione - Sentenza di
annullamento - Annullamento per vizi formali
- Potere dell'Amministrazione di
reiterazione - Sussiste.
3. Sentenza e decisione - Sentenza di
annullamento - Annullamento per difetto di
motivazione - Potere dell'Amministrazione di
reiterazione - Limiti.
1.
L'effetto di annullamento dell'atto che
consegue ad una sentenza amministrativa di
accoglimento del ricorso ha una estensione
caducatoria commisurata all'oggetto di
impugnativa, fermo restando, per contro,
che, ai fini della delimitazione dell'ambito
del giudicato sotto il profilo del
cosiddetto effetto conformativo
dell'ulteriore attività
dell'Amministrazione, occorre aver riguardo
alla tipologia (meramente formale o
sostanziale) e alla valenza dei motivi
accolti.
2.
Sotto il profilo conformativo o ordinatorio,
evidentemente, il giudicato di annullamento
per soli vizi formali di per sé non elimina
né tendenzialmente riduce il potere
dell'Amministrazione di provvedere in ordine
allo stesso oggetto dell'atto annullato.
3.
Qualora il vizio che porta all'annullamento
dell'atto concerna il difetto di
motivazione, i limiti che ne derivano
all'Amministrazione che procede alla
reiterazione dell'attività sono diversi a
seconda che la determinazione giudiziale sia
scaturita dal mero riscontro della mancanza
formale dell'esternazione del processo
decisionale, ovvero risulti conseguente ad
un ritenuto erroneo o imperfetto processo
decisionale.
In questa ultima ipotesi il vizio accertato
finisce con l'identificare il momento
formale di emersione di un difetto
sostanziale dell'atto che ne preclude
all'Amministrazione la successiva
reiterazione con lo stesso contenuto di
quello precedentemente annullato
(massima
tratta da www.solom.it - TAR
Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 08.02.2011 n. 396 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Vincolo Paesaggistico Ambientale
- Jus Aedificandi - Condizioni.
Il vincolo paesaggistico ambientale implica
un particolare regime giuridico dei beni su
cui esso è apposto. Lo jus aedificandi,
facoltà compresa nel diritto di proprietà
dei suoli, non è, infatti, un diritto
assoluto, ma sottende un interesse
sottoposto a conformazione da parte della
normativa di carattere urbanistico-edilizio,
destinata ad interagire con altre normative
settoriali ed, in particolare, con la
normativa a tutela del paesaggio e
dell'ambiente.
Ne consegue che se l'edificazione privata è
in contrasto con le esigenze di tutela del
paesaggio, non può dirsi esistente ed
esercitabile un legittimo jus aedificandi
(massima
tratta da www.solom.it - TAR
Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 07.02.2011 n. 378 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Abusi - Scelta della sanzione -
Criteri.
La scelta fra la misura ripristinatoria e
quella meramente sanzionatoria non si fonda
sulla gravità dell'abuso, ma sulla
possibilità di reintegrare il bene nelle sue
caratteristiche. La misura ripristinatoria
costituisce lo strumento ordinario per
rimediare al pregiudizio arrecato al bene
vincolato, ricostituendo il suo pregio.
La sanzione pecuniaria conserva il
pregiudizio arrecato al bene e può essere
adottata solo qualora ciò sia compatibile
con il vincolo e sia imposto da ragioni
attinenti alla particolare difficoltà di
esecuzione delle opere di ripristino
(massima
tratta da www.solom.it - TAR
Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 07.02.2011 n. 378 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
1. Inquinamento - Ordini di
smaltimento di rifiuti abbandonati -
Imputabilità soggettiva della condotta -
Obbligo di motivazione.
2. Inquinamento - Bonifica - Responsabilità
del proprietario - Profili soggettivi e
apporto causale del proprietario -
Esclusione.
1.
Sono illegittimi gli ordini di smaltimento
di rifiuti abbandonati in un fondo che siano
indiscriminatamente rivolti al proprietario
o detentore del fondo stesso in ragione
della sua sola qualità, ma in mancanza di
adeguata dimostrazione da parte
dell'amministrazione procedente, sulla base
di un'istruttoria completa e di
un'esauriente motivazione dell'imputabilità
soggettiva della condotta.
2.
La responsabilità posta in capo al
proprietario ex art. 17, commi 10 e 11 del
D.Lgs. n. 22 del 1997, è una responsabilità
da posizione, non solo svincolata dai
profili soggettivi del dolo o della colpa,
ma che non richiede neppure l'apporto
causale del proprietario responsabile al
superamento o pericolo di superamento dei
valori limite di contaminazione
(massima
tratta da www.solom.it - TAR
Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 07.02.2011 n. 363 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
1. PRG - Osservazioni alla
variante - Analisi separata delle
Osservazioni - Non occorre.
2. Scelte discrezionali dell'amministrazione
nell'adozione di strumenti urbanistici -
Sindacato di legittimità - Esclusione.
3. Strumenti urbanistici generali -
Motivazione necessaria - Fattispecie.
1.
La disposizione di cui all'art. 3, comma 4,
lett. b), Legge Regionale n. 23/1997,
interpretata in un'ottica sostanzialistica,
non prevede affatto che le singole
osservazioni debbano essere analizzate
singolarmente, ma più semplicemente obbliga
l'Amministrazione a prenderle tutte in
considerazione e a fornire una motivazione
in relazione alle stesse.
2.
Le scelte effettuate dall'Amministrazione
nell'adozione degli strumenti urbanistici
costituiscono apprezzamento di merito
sottratto al sindacato di legittimità, salvo
che non siano inficiate da errori di fatto o
abnormi illogicità e che in occasione della
formazione di uno strumento urbanistico
generale le scelte discrezionali
dell'amministrazione non necessitino di
apposita motivazione, oltre quella che si
può evincere dai criteri generali seguiti
nell'impostazione del piano stesso.
3.
Le uniche evenienze che giustificano una più
incisiva e singolare motivazione degli
strumenti urbanistici generali sono:
a) il superamento degli standards minimi di
cui al D.M. 02.04.1968, con riferimento alle
previsioni urbanistiche complessive di
sovradimensionamento, indipendentemente dal
riferimento alla destinazione di zona di
determinate aree;
b) la lesione dell'affidamento qualificato
del privato derivante da convenzioni di
lottizzazione, accordi di diritto privato
intercorsi fra il Comune e i proprietari
delle aree, aspettative nascenti da
giudicati di annullamento di concessioni
edilizie o di silenzio-rifiuto su una
domanda di concessione;
c) nella modificazione in zona agricola
della destinazione di un'area limitata,
interclusa da fondi edificati in modo non
abusivo
(massima
tratta da www.solom.it - TAR
Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 04.02.2011 n. 357 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Grava
sull'amministrazione l'obbligo di effettuare
una sia pur non approfondita istruttoria per
verificare la sussistenza di tutte le
condizioni che realizzano un qualificato
collegamento soggettivo tra chi propone
l'istanza e il bene oggetto
dell'autorizzazione.
In sostanza, essendo possibile che un
determinato intervento edilizio, pur se
astrattamente conforme alle norme
urbanistico-edilizie, si ponga in contrasto
con diritti reali di godimento o con altre
facoltà di terzi, la p.a., in sede di
rilascio del titolo autorizzatorio edilizio,
è tenuta a verificare l'esistenza, in capo
al richiedente, di un idoneo titolo di
godimento sull'area in questione, attività
istruttoria, questa, rivolta non già a
risolvere i conflitti tra le parti private
in ordine all'assetto dominicale dell'area
stessa, bensì ad accertare il requisito
della legittimazione soggettiva del
richiedente, sia per la notevole incidenza
della concessione edilizia sugli interessi
pubblici e privati coinvolti, sia per
evitare il grave contenzioso che deriverebbe
dall'incauto rilascio di quest'ultima a
soggetti non idoneamente legittimati.
Con decisione resa da questa stessa Sezione
(cfr. TAR Catania, I, 28.04.2009, n. 803),
si è posta <<la questione di stabilire se
e fino a che punto il comune, nel valutare
la legittimità delle dichiarazioni di inizio
attività e delle istanze di autorizzazione
di interventi edilizi, debba spingersi
nell'apprezzamento della sussistenza dal
punto di vista civilistico dei titoli di
legittimazione (titolarità dei diritti reali
sul bene, assenza di vincoli di natura
reale, servitù, consenso dei comproprietari,
ecc.) e quindi dell'assenza di lesioni dei
diritti reali dei terzi>>.
A questo proposito, ha ritenuto questo
Tribunale <<di dover aderire
all'orientamento giurisprudenziale (cfr. TAR
Campania Napoli, sez. III, 19.06.2008, n.
6027) secondo il quale “grava
sull'amministrazione l'obbligo di effettuare
una sia pur non approfondita istruttoria per
verificare la sussistenza di tutte le
condizioni che realizzano un qualificato
collegamento soggettivo tra chi propone
l'istanza e il bene oggetto
dell'autorizzazione. In sostanza, essendo
possibile che un determinato intervento
edilizio, pur se astrattamente conforme alle
norme urbanistico-edilizie, si ponga in
contrasto con diritti reali di godimento o
con altre facoltà di terzi, la p.a., in sede
di rilascio del titolo autorizzatorio
edilizio, è tenuta a verificare l'esistenza,
in capo al richiedente, di un idoneo titolo
di godimento sull'area in questione,
attività istruttoria, questa, rivolta non
già a risolvere i conflitti tra le parti
private in ordine all'assetto dominicale
dell'area stessa, bensì ad accertare il
requisito della legittimazione soggettiva
del richiedente, sia per la notevole
incidenza della concessione edilizia sugli
interessi pubblici e privati coinvolti, sia
per evitare il grave contenzioso che
deriverebbe dall'incauto rilascio di
quest'ultima a soggetti non idoneamente
legittimati (Consiglio Stato , sez. V,
22.06.2000, n. 3525).
In applicazione di questi principi, il
Consiglio di Stato ha affermato, nel caso al
suo esame avente ad oggetto una questione di
servitù altius non tollendi, che, sebbene
non incomba alla p.a. procedente l'onere di
verificare se l'area oggetto d'intervento
sia o no gravata da servitù -anche al fine
di non aggravare oltremodo il procedimento
autorizzativo-, essa non può legittimamente
esimersi dal considerare l'incidenza d'una
servitù esistente e debitamente comprovata
in sede istruttoria e tale da rendere
impossibile l'attività edificatoria
richiesta” >>.
Anche nel caso sottoposto al vaglio della
detta decisione, quindi, si trattava di un
manufatto che avrebbe dovuto occupare
un’area limitata da una servitù di
passaggio, solo che su quest’ultima non vi
erano contestazioni in ordine all’esistenza
(e alle dimensioni).
E in quel caso, l’amministrazione comunale,
pur essendo consapevole del dissenso del
ricorrente, ha tuttavia ritenuto di non
doverne trarre alcuna conseguenza in
relazione alla legittimità della
concessione, rinviando eventuali contenziosi
sul punto dinanzi al giudice civile.
La sentenza 803/2009 di questo Tribunale ha
chiarito che <<siffatto modo di procedere
è, per altro, impedito dall’art. 36 della
l.r. 27/12/1978 n. 71, il cui comma 3,
stabilisce che “la qualità di proprietario o
di avente titolo deve essere documentata”,
con il che conclamando, per argomento a
contrario, che una qualsiasi limitazione
della disponibilità dell’area da occupare
con la costruzione incide sul presupposto
stesso richiesto per ottenere la
concessione.
E ciò a prescindere dalla sussistenza di una
servitù coattiva o meno, in quanto pur
essendo funzionalmente diverse le due
fattispecie, nessuna differenza sussiste in
ordine alla limitazione della proprietà.
Né può sostenersi che all'amministrazione
non spettasse un tale compito valutativo,
atteso che non era richiesto alcun
complicato accertamento né la risoluzione di
controversie di natura civile ma solo di
prendere atto della insussistenza di uno dei
presupposti per la legittimità
dell'intervento, e cioè la piena
disponibilità dell’immobile su cui allocare
la costruzione (cfr. TAR Napoli, ult. cit.)>>
(TAR Sicilia-Catania, Sez. I,
sentenza 14.01.2011 n. 56 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Salvo
i casi espressamente previsti dalla legge,
l’apposizione di una condizione (sia essa
sospensiva o risolutiva) alla concessione
edilizia è illegittima, stante la natura di
accertamento costitutivo a carattere non
negoziale della concessione stessa.
Vero è che nella prassi amministrativa molte
concessioni edilizie vengono emesse con la
previsione di specifiche “condizioni”, ma,
in realtà, si tratta di “prescrizioni” (e
non di vere e proprie condizioni) che, in
quanto tali, non possono condizionare la
legittimità del permesso di costruire.
La giurisprudenza ha già avuto modo sia di
dichiarare illegittime le condizioni che
subordinano la validità della concessione
edilizia alla cessione gratuita di aree
destinate alla realizzazione di opere
pubbliche, sia di affermare che
l’apposizione di condizioni illegittime può
determinare l’annullamento delle condizioni
stesse, senza influire sulla validità
dell’intero provvedimento, che resta salvo
nelle parti residue.
... il Sindaco, al termine di un’articolata
istruttoria, rilasciava l’impugnata
concessione edilizia n. 3/2008 del
21.1.2008, contenente, per quanto qui
d’interesse, la “prescrizione/condizione”
che “deve essere garantita la
disponibilità gratuita del terreno per un
futuro ampliamento della strada e/o per la
realizzazione di un marciapiedi”.
La validità
dell’impugnata concessione edilizia n.
3/2008 del 21.01.2008 risulta subordinata a
specifiche “prescrizioni e condizioni”;
in particolare, per quanto qui d’interesse,
a quella, contestata dalla ricorrente, che
dispone che “deve essere garantita la
disponibilità gratuita del terreno per un
futuro ampliamento della strada e/o per la
realizzazione di un marciapiedi”.
Infatti, in base all’ulteriore
prescrizione/condizione nella stessa
contenuta, “la presente concessione
s’intende valida, qualora ci sia la
disponibilità da parte dei proprietari dei
terreni”.
Orbene, osservato preliminarmente che la
porzione di terreno che la ricorrente
dovrebbe mettere gratuitamente a
disposizione del Comune non risulta nemmeno
identificata, va in ogni caso rilevato che,
salvo i casi espressamente previsti dalla
legge, l’apposizione di una condizione (sia
essa sospensiva o risolutiva) alla
concessione edilizia è illegittima, stante
la natura di accertamento costitutivo a
carattere non negoziale della concessione
stessa (cfr. TRGA Bolzano, 30.03.2009, n.
120 e 08.05.1996, n. 120; TAR Brescia,
05.05.2008, n. 476; TAR Venezia, 20.10.2004,
n. 3732; TAR Genova, 21.01.2000, n. 35).
Vero è che nella prassi amministrativa molte
concessioni edilizie vengono emesse con la
previsione di specifiche “condizioni”,
ma, in realtà, si tratta di “prescrizioni”
(e non di vere e proprie condizioni) che, in
quanto tali, non possono condizionare la
legittimità del permesso di costruire.
In particolare, per quanto attiene più
specificamente al caso di specie, la
giurisprudenza ha già avuto modo sia di
dichiarare illegittime le condizioni che
subordinano la validità della concessione
edilizia alla cessione gratuita di aree
destinate alla realizzazione di opere
pubbliche, sia di affermare che
l’apposizione di condizioni illegittime può
determinare l’annullamento delle condizioni
stesse, senza influire sulla validità
dell’intero provvedimento, che resta salvo
nelle parti residue (cfr. Cons. Stato, Sez.
V, 24.03.2001, n. 1702; TAR Milano, Sez. II,
18.02.1984, n. 77).
In conclusione, la condizione che subordina
la validità della concessione edilizia n.
3/2008 dd. 21.01.2008 alla garanzia della
disponibilità gratuita del terreno per un
futuro ampliamento della strada e/o per la
realizzazione di un marciapiedi è
illegittima.
Atteso che la suddetta condizione accede ad
un atto con forza di provvedimento
amministrativo e non può, pertanto,
ritenersi come non apposta, deve essere
rimossa mediante il suo annullamento (cfr.
Cons. Stato, Sez. V, 24.03.2001, n. 1702)
(TRGA Trentino Alto Adige-Bolzano,
sentenza 04.01.2011 n. 2 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ENTI LOCALI - VARI: Sosta
vietata, non serve la contestazione. La
multa per divieto di sosta viene
generalmente accertata dai vigili in
mancanza del proprietario del veicolo.
È quindi legittimo il verbale notificato per
posta al trasgressore con la mera
indicazione dell'impossibilità di procedere
alla contestazione, senza ulteriori
dettagli.
Lo ha chiarito la Corte di Cassazione, Sez.
II civile, con la sentenza 17.12.2010 n.
25646.
Un automobilista è stato sanzionato dalla
polizia municipale per aver parcheggiato
negligentemente in prossimità di un
incrocio. Contro questa misura punitiva
l'interessato ha proposto ricorso fino alla
Corte di cassazione evidenziando al collegio
una motivazione originale, relativa alla
causale di mancata contestazione indicata
nel verbale.
In pratica a parere dell'interessato gli
accertatori non hanno specificato i motivi
dell'omessa contestazione limitandosi a
barrare la casella relativa
all'impossibilità di effettuare la
formalità. Il collegio ha rigettato questa
censura. Normalmente l'accertamento del
divieto di sosta avviene in assenza del
trasgressore.
Questa condizione è legata alla natura
stessa dell'infrazione per cui non serve che
il verbale dettagli la mancanza
dell'automobilista (articolo ItaliaOggi
del 18.08.2011). |
EDILIZIA PRIVATA: In
via di principio e fatti salvi i casi
espressamente stabiliti dalla legge, una
condizione (sia essa sospensiva o
risolutiva) non può essere apposta ad una
concessione edilizia, stante la natura di
accertamento costitutivo a carattere non
negoziale del provvedimento: ne consegue che
tale titolo abilitativo, una volta
riscontrata la conformità del progetto alla
vigente disciplina urbanistica, deve essere
rilasciato dal Comune senza condizioni che
non siano espressamente previste da una
norma di legge.
Secondo un orientamento rigoroso, in via di
principio e fatti salvi i casi espressamente
stabiliti dalla legge, una condizione (sia
essa sospensiva o risolutiva) non può essere
apposta ad una concessione edilizia, stante
la natura di accertamento costitutivo a
carattere non negoziale del provvedimento:
ne consegue che tale titolo abilitativo, una
volta riscontrata la conformità del progetto
alla vigente disciplina urbanistica, deve
essere rilasciato dal Comune senza
condizioni che non siano espressamente
previste da una norma di legge (cfr.
Consiglio di Stato, sez. V – 24/03/2001 n.
1702).
Più recentemente –ispirandosi a criteri di
economicità e speditezza dell’azione
amministrativa– si è precisato in quale
misura la riscontrata carenza in una
progettazione urbanistica od edilizia dei
requisiti legali possa essere “surrogata”
dall’attività dell’Ente, attraverso il
rilascio di un atto di assenso variamente
condizionato: la giurisprudenza ha escluso
che l’amministrazione possa “conformare”
nei suoi aspetti sostanziali l’intervento
sottoposto al suo esame, al solo scopo di
evitare un pronunciamento negativo sullo
stesso: in tale ultima ipotesi, infatti, si
assentirebbe un’attività urbanistica od
edilizia priva di un oggettivo (e
preventivo) parametro documentale di
riferimento, quando il risultato
dell’ulteriore attività prescritta deve
necessariamente essere valutato
dall’amministrazione prima del rilascio del
richiesto titolo edilizio, difettando
altrimenti una seria e compiuta conoscenza
dell'intervento concessionato, sia nella sua
consistenza materiale che nella sua
rispondenza alla normativa di settore (TAR
Liguria, sez. I – 08/05/2006 n. 433).
In altri casi è stato affermato che non è
preclusa l’apposizione ad una concessione
edilizia di una prescrizione o condizione
aggiuntiva, salva tuttavia la compatibilità
con il progetto nel suo insieme e la
formulazione in termini sufficientemente
precisi: si è aggiunto che in questi casi le
clausole introdotte dall’amministrazione
nell’atto concessorio trovano la loro fonte
giuridica in previsioni normative –e in tal
caso non possono essere considerate come
vere condizioni ma quali presupposti per il
valido rilascio della concessione– oppure
traggono origine dall’attività discrezionale
dell'amministrazione e richiedono
l’accettazione del concessionario (TAR
Toscana, sez. III – 14/07/2005 n. 3348) (TAR
Lombardia-Brescia,
sentenza 05.05.2008 n. 476 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Nel
caso di partecipazione ad una gara di appalto di un
raggruppamento temporaneo di imprese la cauzione provvisoria
deve essere necessariamente intestata, a pena di esclusione,
non già alla sola capogruppo designata, ma anche alle
mandanti.
Nel caso in cui una costituenda riunione temporanea di
imprese venga a costituire con la fideiussione la cauzione
provvisoria, il soggetto garantito non è l'associazione
temporanea di impresa (a.t.i.) nel suo complesso (non
essendo ancora costituita) e non è neppure la sola
capogruppo designata. Garantite, invece, sono tutte le
imprese associande che, durante la gara, operano
individualmente e responsabilmente nell'assolvimento degli
impegni connessi alla partecipazione alla gara, ivi
compreso, in caso di aggiudicazione, quello (per le future
mandanti) di conferire il mandato collettivo all'impresa
designata capogruppo che stipulerà il contratto con
l'amministrazione.
Il fidejussore, inoltre, per assicurare in modo pieno
l'operatività della garanzia di fronte ai possibili
inadempimenti (coperti dalla cauzione provvisoria), deve
richiamare la natura collettiva della partecipazione alla
gara di più imprese, identificandole singolarmente e
contestualmente e deve dichiarare di garantire con la
cauzione provvisoria non solo la mancata sottoscrizione del
contratto, ma anche ogni altro obbligo derivante dalla
partecipazione alla gara, pena l'esclusione dal
procedimento.
Pertanto, è illegittima l'ammissione di una A.T.I., avendo
la stessa presentato come cauzione provvisoria una
fideiussione bancaria rilasciata esclusivamente a garanzia
delle obbligazioni di un'impresa all'epoca sprovvista dei
poteri rappresentativi dell'altra partecipante, perché
l'A.T.I. non si era ancora costituita, fideiussione nella
quale, oltretutto, non si rinveniva alcun riferimento
nemmeno all'A.T.I. costituenda (TAR Lombardia-Milano, Sez.
I,
sentenza 19.04.2007 n. 1876
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APPALTI SERVIZI: Sull'applicabilità
dell'art. 75 del d.lvo n. 163/06 (Codice dei contratti
pubblici) all'appalto del servizio di trasporto scolastico.
E' legittima l'esclusione da parte di un comune di un
concorrente da una gara per l'affidamento dell'appalto del
servizio di trasporto scolastico, in quanto la cauzione
provvisoria non è stata costituita con le modalità di cui
all'art. 75 del d.lgs. 163/2006 come previsto dall'art. 9
del bando di gara; in particolare, l'assegno circolare
presentato come cauzione provvisoria non era corredato
dall'impegno di un fideiussore a rilasciare la garanzia
fideiussoria per l'esecuzione del contratto. L'obbligo per i
concorrenti alla gara di presentare l'impegno suddetto va
desunto per diretta applicazione dell'art. 75, c. 8, del
d.lgs. 163/2006.
Il decreto in questione infatti detta la disciplina generale
dei contratti pubblici, ed essendo norma di rango
legislativo si applica a tutte le relative fattispecie, a
prescindere dal rinvio che ad esso possano fare oppure no le
norme del bando. Ritenuta applicabile in via diretta al caso
di specie la norma dell'art. 75, c. 8, d.lgs. 163/2006, va
poi affermato che la sua inosservanza, anche se il testo
dell'articolo citato tace sul punto, è stata correttamente
considerata dal Comune intimato motivo di esclusione. Per
costante giurisprudenza, infatti, in tema di bandi di gara
si considerano previsti a pena di esclusione sia gli
adempimenti per i quali ciò sia espressamente previsto, con
criterio formale, ma anche, con criterio sostanziale, quegli
adempimenti non sanzionati in modo espresso, che tuttavia
rispondano ad un particolare interesse della p.a.
appaltante.
A tale ultimo criterio risponde all'evidenza la previsione
in esame, dato che è di preminente rilievo per
l'amministrazione garantirsi il corretto e continuo
espletamento del servizio attraverso la garanzia
fideiussoria prestata dall'aggiudicatario (TAR
Lombardia-Brescia,
sentenza 19.04.2007 n. 410
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APPALTI: Sul
potere discrezionale della p.a. nel caso l'oggetto
contrattuale sia mutato di decidere se indire subito una
gara per concludere il contratto relativo ovvero
soprassedere.
In presenza di un oggetto contrattuale mutato è
apprezzamento ampiamente discrezionale della p.a. decidere
se indire subito una gara per concludere il contratto
relativo ovvero soprassedere, e tale ultima decisione non
può dirsi di per sé illogica ovvero contraria al pubblico
interesse, a meno che essa non appaia affetta da evidenti
contraddizioni logiche.
Pertanto, in tale caso, ricorre uno dei casi che ai sensi
dell'art. 21-quinquies l. 241/1990 legittimano la revoca del
provvedimento, cioè il mutamento della situazione di fatto
(TAR Lombardia-Brescia,
sentenza 19.04.2007 n. 408
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APPALTI:
Nel caso di ambiguità delle previsioni della lex
specialis deve a pena di illegittimità preferirsi l'opzione
che consente la maggiore partecipazione.
Nell'ambiguità delle previsioni della lex specialis, deve a
pena di illegittimità (non già degli atti di gara ma della
loro applicazione) preferirsi l'opzione che consente la
maggiore partecipazione; nonché la conservazione degli
stessi atti indittivi là dove una opzione interpretativa
diversa li collochi nell'alveo della illegittimità.
Pertanto, nel caso di giudizio proposto avverso il bando di
gara, avente per oggetto la fornitura di un autoveicolo da
adibire a scuolabus, ritenuto illegittimo perché indicava
espressamente la marca ed il tipo del veicolo da fornire,
pur dinanzi alla indicazione di specifiche caratteristiche
del mezzo, deve attribuirsi prevalenza e decisività alla
prevista ammissibilità di mezzi equivalenti; risultando
altrimenti illegittima la lex specialis diversamente
interpretata nel senso di lasciare priva di effetti la
consentita equivalenza, e compromesso il favor
partecipationis.
Sicché, alla luce dei richiamati principi, la lex
specialis doveva e deve interpretarsi nel senso
dell'ammissibilità dell'offerta costituita da veicolo "equivalente"
e ciò anche a prescindere dalla ulteriore circostanza
afferente all'esito della gara che si è conclusa per
sorteggio tra due offerte economiche equiordinate (Consiglio
di Stato, Sez. V,
sentenza 12.04.2007 n. 1725
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APPALTI:
Sulla legittimità dell'esclusione di un'impresa da una
gara per non aver dichiarato che il legale rappresentante
della società aveva riportato una condanna penale.
E' legittima l'esclusione da una gara di un'impresa per aver
omesso di dichiarare che il legale rappresentante della
società aveva riportato una condanna penale.
La giurisprudenza al riguardo afferma che, se si eccettuano
i reati relativi a condotte delittuose individuate dalla
normativa antimafia, in assenza di parametri normativi fissi
e predeterminati, la verifica dell'incidenza dei reati
commessi dal legale rappresentante dell'impresa sulla
moralità professionale della stessa attiene all'esercizio
del potere discrezionale della P.A. e deve essere valutata
attraverso la disamina in concreto delle caratteristiche
dell'appalto, del tipo di condanna, della natura e delle
concrete modalità di commissione del reato.
Pertanto, l'esistenza di false dichiarazioni sul possesso
dei requisiti, quali la mancata dichiarazione di sentenze
penali di condanna, si configura come causa autonoma di
esclusione dalla gara (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 12.04.2007 n. 1723
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EDILIZIA
PRIVATA: BENI
CULTURALI E AMBIENTALI - Soprintendente ai BB.CC.AA. -
Decreto di annullamento - Mancanza di un'adeguata
motivazione - Illegittimità - Fattispecie: volume tecnico da
adibire a vano caldaia.
E' illegittimo il decreto di annullamento della
Soprintendente ai BB.CC.AA. quando manca di una adeguata
motivazione in ordine alle ragioni che renderebbero
incompatibile l’intervento autorizzato -nella specie
consistente in un semplice volume tecnico da adibire a vano
caldaia, posto su un terrazzino interno della abitazione-
con il contesto ambientale sottoposto a vincolo (Consiglio
di Stato, Sez. VI,
sentenza 12.04.2007 n. 1690
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EDILIZIA
PRIVATA: Superamento
di barriere architettoniche - L. 13/1989 - Ambito soggettivo
di applicazione.
Tra i soggetti tutelati dalle norme di legge speciale n.
13/1989, rientrano, oltre ai portatori di handicap, anche
gli invalidi civili (Trib. Firenze 19.05.1992, n. 849),
nonché gli ultrasessantacinquenni che abbiano difficoltà
persistenti a svolgere i compiti e le funzioni della loro
età (Trib. Napoli 14.03.1994, n. 2606; conf. Pretura Roma
15.05.1996).
Superamento di barriere architettoniche - L. n.
13/1989 - Finalità - “Incentivi reali” - Applicazione -
Presenza di un handicappato nel condominio - Necessità -
Esclusione.
La finalità della legge n. 13/1989 è quella di assicurare
l’accessibilità, l’adattabilità e la visitabilità degli
edifici, con ciò prescindendosi dall’esistenza di un diritto
reale o personale di godimento da parte di un soggetto
minorato, essendo unicamente rilevante l’obiettiva
attitudine dell’edificio, anche privato, ad essere fruito da
parte di qualsiasi soggetto; conformemente alla finalità
così individuata, non è necessaria la presenza di un
handicappato nel condominio ai fini dell’applicazione dei
cosiddetti incentivi reali al superamento delle barriere
architettoniche (artt. 2-7 della L. n. 13/1989), in quanto
ciò che rileva è garantire l’effettivo svolgimento della
vita di relazione da parte del soggetto minorato anche al di
fuori della sua abitazione; a diverse conclusioni deve
giungersi con riguardo alla parte dedicata agli incentivi
economici (artt. 8-12), che invece richiedono l’effettiva
residenza del minorato nell’edificio.
Superamento delle barriere architettoniche -
Interventi su beni soggetti a tutela - Diniego - Art. 4 L.
n. 13/1989 - Motivazione - Obbligo di esternazione della
natura e della gravità del pregiudizio al bene tutelato.
In base alle disposizioni di cui alla L. n. 13/1989 (art. 4,
IV e V comma) è possibile opporre il diniego alla
realizzazione di interventi destinati ad eliminare o
superare le barriere architettoniche anche su beni soggetti
a tutela “solo nei casi in cui non sia possibile
realizzare le opere senza un serio pregiudizio per il bene
tutelato”, con conseguente obbligo per
l’amministrazione, in caso di pronuncia negativa, di
esternare la natura e la gravità del pregiudizio rilevato “…in
rapporto al complesso in cui l’opera si colloca e con
riferimento a tutte le alternative eventualmente prospettate
dall’interessato” (TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 05.04.2007 n. 1122
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AMBIENTE-ECOLOGIA: INQUINAMENTO
- Circolazione stradale - Provvedimento di limitazione del
traffico - Istruttoria - Ponderazione degli interessi dei
singoli incisi dall’adottanda misura di regolamentazione -
Necessità - Esclusione.
Il provvedimento che limita il traffico in ambito urbano
deve essere preceduto da un’attenta considerazione degli
effetti che esso produce sulla salute, sulla sicurezza della
circolazione, sul territorio, sul patrimonio ambientale e
culturale e potrà opportunamente valutare anche gli
interessi delle categorie di persone che, per ragioni
professionali o meno, siano interessate dalla limitazione,
ma non è ipotizzabile che, nell’ambito dell’attività
istruttoria, debba trovar posto anche la ponderazione degli
interessi dei singoli che, più o meno direttamente, siano
incisi dall’adottanda misura di regolamentazione (TAR
Piemonte, Sez. I,
sentenza 04.04.2007 n. 1562
- (link a www.ambientediritto.it). |
APPALTI:
Non costituisce una causa di inammissibilità
dell'offerta il mancato versamento del contributo
all'Autorità di vigilanza per il 2006 (Consiglio di
Stato, Sez. VI,
ordinanza 03.04.2007 n. 1725).
(cfr. in senso contrario: TAR Lazio-Roma, Sez. III,
sentenza 21.03.2007 n. 2454;
TAR Sicilia-Palermo, Sez. III,
sentenza 11.12.2006 n. 3888
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APPALTI SERVIZI:
Obbligo di gara pubblica per affidare i restauri. Il
Comune non può affidare i lavori di manutenzione dei beni
culturali a proprie società.
Il Comune non può
affidare i lavori di manutenzione dei beni culturali a
società sulle quali abbia il controllo (cosiddetto
affidamento “in house”), ma deve ricorrere a
procedure ad evidenza pubblica (Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 03.04.2007 n. 1514 - link a
www.aziendalex.kataweb.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: INQUINAMENTO
ACUSTICO - Disturbi alla quiete pubblica - Parcheggio di una
stazione di servizio - Assimilabilità ad un’area pubblica -
Fondamento - Potere del sindaco di regolamentare la sosta -
Sussistenza.
Il parcheggio di una stazione di servizio, quale opera
accessoria e complementare di una strada, è assimilabile,
per le sue caratteristiche intrinseche, ad una area pubblica
(cfr. Cass. Pen., sez. IV, 13.05.1988, che ha ritenuto
applicabile la disciplina del codice della strada ad un’area
appartenente a privati, se l'uso di essa è consentito a
tutti, essendo l'uso pubblico o privato che rende
applicabile alle aree la disciplina specifica sulla
circolazione stradale -o meno- e non già l'appartenenza
delle stesse a enti pubblici o a privati).
In quanto pertinenza stradale, sussiste quindi il potere del
sindaco di regolamentare la sosta su di esso, al non
illogico fine di impedire l’indebito utilizzo da
automobilisti e eventuali disturbi alla quiete pubblica (TAR
Lazio-Roma, Sez. II-ter,
sentenza 02.04.2007 n. 2822
- (link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Ristrutturazione degli edifici per adeguarli alle
norme previste per il risparmio energetico - Disposizioni
contenute nell’art. 2, c. 6 e 7, del D.M. 27.07.2005 -
Consentono di non computare nei volumi dell’edificio quelli
impegnati da pannelli esterni di coibentazione - Operatività
anche in difetto di recepimento negli strumenti urbanistici
comunali.
L’art. 2, commi 6 e 7, del decreto del Ministro delle
Infrastrutture e dei Trasporti 27.07.2005, in materia di
risparmio energetico negli edifici, può trovare immediata
applicazione, anche prima dell’adeguamento dei piani
urbanistici comunali.
Tale articolo, pur stabilendo che i Comuni abbiano l’obbligo
di adeguare i propri strumenti urbanistici per migliorare lo
sfruttamento delle radiazioni solari quale fonte di calore,
fornendo indicazioni in ordine all’orientamento dei
fabbricati e alla utilizzazione di elementi di tamponatura
delle facciate di notevole spessore, ha previsto, con
disposizione da ritenere immediatamente precettiva, lo
scorporo dal calcolo dei volumi massimi previsti nelle
diverse zone urbanistiche, degli spessori di tali elementi
di tamponatura nelle parti eccedenti i 30 cm., fino ad un
massimo di 25 cm. (TAR Marche, Sez. I,
sentenza 30.03.2007 n. 448
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Abusi edilizi - Istanza di un proprietario limitrofo
con la quale si chiede l’adozione di provvedimenti
repressivi di abusi edilizi - Obbligo della P.A. di
provvedere - Sussiste.
In materia edilizia, il Comune è tenuto a provvedere alle
richieste dei cittadini nel caso in cui chiedano
l’eliminazione di abusi edilizi o, comunque, il rispetto
della normativa edilizia.
Nel caso di segnalazione da parte di un privato della
presumibile esistenza di illeciti edilizi, l’ente locale è
obbligato all’attivazione del procedimento di controllo e,
all’esito dello stesso, laddove sia acclarata la sussistenza
di abusi, l’attivazione e alla conclusione del procedimento
sanzionatorio (TAR Campania-Salerno, Sez. II,
sentenza 28.03.2007 n. 312
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Sui requisiti di di capacità economica e finanziaria
ed in particolare sulle referenze bancarie: interpretazione
dell'art. 41 del D.Lgs. n. 163/2006.
Secondo il disposto dell'art. 41, c. 1, D.Lgs. 12.04.2006,
n. 163, i requisiti di capacità economica e finanziaria
possano essere dimostrati per il tramite della presentazione
di "uno o più dei seguenti documenti:
a) idonee dichiarazioni bancarie;
b) bilanci o estratti dei bilanci dell'impresa;
c) dichiarazione concernente il fatturato globale d'impresa
e l'importo relativo ai servizi o forniture nel settore
oggetto della gara, realizzati negli ultimi tre esercizi";
in particolare, quanto alle idonee dichiarazioni bancarie,
l'art. 41, c. 4, precisa che tale requisito è comprovato con
dichiarazione di almeno due istituti bancari o intermediari
autorizzati.
La fissazione, ad opera del legislatore, delle modalità
relative alla dimostrazione della capacità economica e
finanziaria, peraltro, appare temperata dalla previsione
dell'art. 41, c. 3, D.Lgs. n. 163/2006 secondo cui "se il
concorrente non è in grado, per giustificati motivi, ivi
compreso quello concernente la costituzione o l'inizio
dell'attività da meno di tre anni, di presentare le
referenze richieste, può provare la propria capacità
economica e finanziaria mediante qualsiasi altro documento
considerato idoneo dalla stazione appaltante".
Non v'è dubbio che tale ultima previsione sia da riferire
all'intero disposto del c. 1 dell'art. 41 D.Lgs. n. 163/2006
e, conseguentemente, anche alle dichiarazioni bancarie
indicate nell'art. 41, c. 1, lett. a), e c. 4, D.Lgs. n.
163/2006. Pertanto, la presentazione di idonee referenze
bancarie comprovate dalla dichiarazione di "almeno due
istituti bancari o intermediari autorizzati", non può
considerarsi quale requisito "rigido", dovendosi
conciliare l'esigenza della dimostrazione dei requisiti
partecipativi con il principio della massima partecipazione
alle gare di appalto, con conseguente necessità di prevedere
dei temperamenti rispetto a quelle imprese che non siano in
grado, per giustificati motivi, di presentare le referenze
indicate (TAR Lazio-Roma, Sez. III,
sentenza 27.03.2007 n. 2661
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AMBIENTE-ECOLOGIA: RIFIUTI
- Abbandono incontrollato di rifiuti in area di proprietà
comunale - Responsabilità del sindaco - Sussiste - Delega di
funzioni - Carattere tecnico - operativo - Dirigente
comunale - Art. 51, c. 2, DLvo 22/1997 - D. L.vo n.
152/2006.
In caso di abbandono incontrollato di rifiuti su area di
proprietà comunale, compete al Sindaco il potere, di porre
in essere i necessari atti di indirizzo e di mettere il
delegato in condizione di operare adeguatamente, (nella
specie, delega di funzioni, mentre la gestione
amministrativa del settore ed ogni ulteriore problema di
carattere tecnico - operativo spetta al dirigente comunale).
Né è invocabile, nel caso in esame, il principio secondo il
quale il controllo dell'organo elettivo e di governo è
limitato alla verifica del corretto svolgimento degli
obiettivi di programmazione generale perché una tale
programmazione non è stata effettuata; né è applicabile la
regola secondo la quale il Sindaco non deve interferire ed
invadere le sfere di competenza dei delegati che, nei
compiti di gestione loro affidati, operano in piena
autonomia.
Sicché, va riconosciuta la responsabilità del Sindaco specie
qualora gli sia noto che lo smaltimento sia in violazione
della legge avendo concordato con il responsabile dell’area
tecnica le modalità di gestione dell’area comunale (Corte di
Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 26.03.2007 n. 12434
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EDILIZIA
PRIVATA: BENI
CULTURALI E AMBIENTALI - Cose immobili e mobili che
presentano interesse artistico storico, archeologico, o
demo-etno-antropologico - Forme di protezione e di tutela -
Elenco - Valore costitutivo - Esclusione - Art. 5 T.U. n.
490/1999 - D.P.R. n. 283/2000 - D.Lgs. n. 42/2004.
La natura non costitutiva dell’elenco di cui all’art. 5 del
T.U. n. 490 del 1999 non esclude la necessità che l’organo
preposto alla tutela dei beni culturali avvii correttamente
il procedimento volto alla verifica del carattere pregiato
del bene pubblico e alla conseguente imposizione del regime
protettivo; è tanto più necessario un atto espresso di
riconoscimento del rilievo culturale quanto maggiori sono
gli interessi configgenti e, soprattutto, quando il bene non
è assistito da nessuna presunzione di interesse culturale.
In conclusione emerge, che sicuramente l’elenco non ha un
valore costitutivo, ma anche che il bene di proprietà
dell’ente locale deve presentare comunque un interesse
culturale perché, a prescindere dall’inclusione nell’elenco,
possono scattare le forme di protezione e di tutela di cui
al Titolo I del decreto legislativo n. 490 del 1999 (ora
sostituito dal “Codice” di cui al D.Lgs. 22.01.2004
n. 42) (Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 23.03.2007 n. 1413
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APPALTI SERVIZI: Nel
caso di trattativa privata relativa ad un appalto di
servizio di valore eccedente la soglia comunitaria la
procedura deve essere preceduta dalla pubblicazione di un
bando di gara.
In una procedura in cui il valore dell'appalto di servizi
eccede la soglia comunitaria si applica il disposto di cui
all'art. 7 del d.lgs. 17.03.1995, n. 157, secondo cui anche
nel caso di trattativa privata la procedura deve essere
preceduta dalla pubblicazione di un bando di gara con il
rispetto, quindi, delle disposizioni relative alla sua
pubblicazione e dei termini fissati dal legislatore
comunitario (direttiva 92/50/CEE) e recepiti con il decreto
legislativo anzidetto.
Nel caso di specie, ciò è del tutto mancato, con il
conseguente pregiudizio per le concorrenti di dover
formulare offerte in termini molto inferiori rispetto a
quelli previsti dalla norma primaria e senza possibilità,
quindi (anche per l'assenza di criteri valutativi
preventivamente definiti) di formulare offerte
sufficientemente meditate (laddove, peraltro, una delle
concorrenti era, invece, da tempo in possesso di tutti i
dati conoscitivi utili alla formulazione di un'offerta
completa).
Pertanto, è illegittimo l'affidamento a trattativa privata
del servizio di telefonia disposto da un comune ad una
società in quanto la procedura in questione non avrebbe
potuto essere sottratta alla pubblicizzazione mediante
apposito bando di gara essendo il valore dell'appalto
eccedente la soglia comunitaria (Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 22.03.2007 n. 1369
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APPALTI: Sulla
legittimità dell'esclusione di un'impresa da una gara per
l'appalto di lavori pubblici nel caso in cui non abbia
allegato all'offerta la documentazione che dimostri
l'avvenuto pagamento del contributo all'Autorità per la
vigilanza sui LL.PP..
In via generale, l'esclusione da una gara d'appalto per
ragioni di carattere formale può essere disposta sulla base
di inequivocabili precetti contenuti negli atti di gara
(bando, lettera di invito): la precisa indicazione
dell'adempimento formale richiesto e l' altrettanto precisa
indicazione della sanzione comminata; cosicché solo in
mancanza di una sufficiente chiarezza nei dati formali in
questione, è illegittima l'esclusione di un'impresa disposta
dall'amministrazione appaltante, dovendo semmai questa
disporre un'integrazione documentale al fine di verificare
il possesso dei requisiti richiesti a pena di esclusione.
Nel caso di specie non sono ravvisabili incertezze nelle
prescrizioni di gara. Ne consegue che, è legittima
l'esclusione di un'impresa da una gara per l'appalto di
lavori pubblici nel caso in cui l'impresa stessa non abbia
presentato, in allegato all'offerta, la documentazione che
dimostri l'avvenuto pagamento del contributo all'Autorità
per la vigilanza sui Lavori Pubblici, previsto dall'art. 1,
commi 65 e 66 della legge n. 266 del 2005 e dalla successiva
deliberazione dell'Autorità di vigilanza del 26.01.2006 e
riportato nel bando di gara ai punti E e 9 (TAR Lazio-Roma,
Sez. III,
sentenza 21.03.2007 n. 2454
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EDILIZIA
PRIVATA: Area
interessata ad un intervento edilizio - Deliberazione del
Consiglio Comunale sulla localizzazione - Atto
provvedimentale di contenuto potenzialmente lesivo -
Configurazione - Fattispecie.
Una deliberazione del Consiglio Comunale, determinata in
considerazione di pareri istruttori, dai quali si evince la
necessità della localizzazione di un'area interessata
all’intervento edilizio costituisce a tutti gli effetti atto
provvedimentale, di contenuto potenzialmente lesivo,
collegabile all’esercizio dell’espressione di una precisa
volontà politica. Fattispecie: diniego espresso dal
Consiglio Comunale all'approvazione degli atti relativi alla
realizzazione di una centrale termoelettrica alimentata da
combustibile derivato da rifiuti e biomasse.
RIFIUTI - Realizzazione di una centrale termoelettrica
alimentata da combustibile derivato da rifiuti e biomasse -
Valutazione delle problematiche ambientali attinenti alla
zona - Acquisizione di ulteriori elementi d’ufficio -
Legittimità - Fattispecie: autoannullamento e rigetto della
concessione edilizia.
E' legittima la richiesta dell’Amministrazione, di acquisire
d’ufficio, prima di deliberare in ordine alla localizzazione
di una centrale termoelettrica, una relazione tecnica sugli
effetti della coesistenza di tale opera con gli impianti per
rifiuti speciali già realizzati nella medesima zona, al fine
di potersi più compiutamente soddisfare l’esigenza per il
Comune di esaminare e valutare le problematiche ambientali
attinenti alla zona oggetto d'intervento. Fattispecie:
procedimento di autoannullamento della concessione edilizia
e conseguente rigetto dell'istanza di concessione edilizia
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 20.03.2007 n. 1345
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ATTI
AMMINISTRATIVI: Obbligo
di motivazione - Contenuto nella valutazione complessiva
dell’atto - Sufficienza.
L’obbligo di motivazione può ritenersi adeguatamente assolto
quando la stessa emerga agevolmente dalla valutazione
complessiva dell’atto (Cons. St., Sez. V, 20.10.2004, n.
6814; Sez. IV 06.10.2003, n. 6814) (Consiglio di Stato, Sez.
V,
sentenza 20.03.2007 n. 1343
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APPALTI: Offerta
anormalmente bassa - Esclusione dalla gara - Verifica
dell’attendibilità dell’offerta - Criterio del prezzo più
basso - Criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa
- Aggiudicazione - Dir. 93/37/CEE - Dir. 92/50/CEE - L. n.
109/1994 e s.m. - D.P.R. n. 554/1999.
In materia di appalti di servizi pubblici, ai sensi
dell’art. 30, comma 4, della Direttiva 93/37/CEE, come pure
dall’art. 37 della Direttiva 92/50/CEE, si evince con
sufficiente chiarezza che il diritto comunitario si limita a
prescrivere l’obbligo dell’Amministrazione di procedere,
prima di escluderla dalla gara, alla verifica
dell’attendibilità di una offerta che risulti anormalmente
bassa, senza peraltro imporre procedure o modalità di
determinazione (in tal senso, Cons. St., Sez. IV, 12.01.2005
n. 43).
Quanto alla materia dei lavori pubblici l’art. 21, comma
1-bis, della legge n. 109 del 1994 e s.m., in sede di
recepimento delle dette Direttive, prevede che, negli
appalti da aggiudicare con il criterio del prezzo più basso,
si considerino anormalmente basse, e quindi siano da
sottoporre a verifica, le offerte che presentino un ribasso
pari o superiore ad una determinata media aritmetica,
minutamente disciplinata.
Quanto agli appalti in cui l’aggiudicazione avviene con il
criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, il
Regolamento di attuazione di cui al d.P.R. n. 554 del 1999,
stabilisce, all’art. 91, comma 4, che la stazione appaltante
“può” procedere alla verifica di cui all’art. 64, comma 6,
dello stesso decreto, che, a sua volta, dispone che la
verifica della congruità dell’offerta “può” essere
prevista dal bando quando “i punti relativi al prezzo e
la somma dei punti relativi agli altri elementi di
valutazione sono pari o superiori a quattro quinti dei
corrispondenti punti massimi previsti dal bando di gara”.
Sistema dell’offerta più vantaggiosa - Verifica
dell’anomalia - Modalità di verifica più idonee -
Discrezionalità dell’Amministrazione.
L’interpretazione sistematica del quadro normativo nazionale
e comunitario, esclude che la verifica dell’anomalia, in
caso di aggiudicazione con il sistema dell’offerta più
vantaggiosa, sia soggetta a condizioni che ne limitino
l’esercizio e ne fissino inderogabilmente le modalità.
L’Amministrazione, infatti, ha la facoltà, almeno nel
sistema dell’offerta più vantaggiosa, di individuare le
offerte che ritenga anormalmente basse secondo le modalità
che considera più idonee.
Verifica dell’attendibilità di un’offerta - Potestà
Amministrativa - Nuova disciplina D.Lgs. n. 163/2006 “Codice
dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e
forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e
2004/18/CE”.
In merito alla verifica dell’attendibilità di una offerta
che risulti anormalmente bassa, la normativa regolamentare
rimette alla discrezionalità dell’Amministrazione di
prevedere nella lex specialis il controllo
dell’anomalia nei casi in cui si verifichino le circostanze
contenute nel Regolamento di attuazione in sede di
recepimento delle Direttive in materia.
Tuttavia, deve essere escluso che detta normativa possa
assumere il significato di impedire all’Amministrazione di
individuare l’anomalia adottando altro criterio di
valutazione che meglio si attagli alle peculiarità della
gara bandita. (Il metodo di individuazione dell’anomalia
alla specificità della gara, trova conferma nella nuova
disciplina della materia dettata dal d.lgs. 12.04.2006 n.
163, di attuazione delle Direttive 2004/17CE e 2004/18/CE,
sebbene non in vigore all’epoca dei fatti).
Codice dei contratti pubblici - Individuazione di casi
di anomalia diversi da quelli prestabiliti - Facoltà
all’Amministrazione - Sussistenza.
La nuova disciplina dettata dal d.lgs. 12.04.2006 n. 163, di
attuazione delle Direttive 2004/17CE e 2004/18/CE, “Codice
dei contratti pubblici” riserva la facoltà
all’Amministrazione di ipotizzare autonomamente, “in base
ad elementi specifici”, casi di anomalia diversi da
quelli prestabiliti.
Offerta anomala - Argomentazioni chiarificatrici -
Sottoposizione allo stesso organo tecnico - Necessità.
Le argomentazioni chiarificatrici fornite dall’Impresa
devono essere sottoposte allo stesso organo tecnico che, a
norma dell’art. 21, comma 4, della legge n. 109/1994, è
deputato alla valutazione delle offerte, in quanto dotato
delle necessarie competenze tecniche (Consiglio di Stato
Sez. V, 28.06.2002 n. 3566).
Nella specie, l’Impresa è stata messa nelle condizioni di
esporre compiutamente le proprie ragioni, sicché la pretesa
di ottenere un nuovo colloquio, rimasta insoddisfatta, non
può determinare un vizio della procedura.
Verifica di anomalia - Aggiudicazione definitiva -
Commissione giudicatrice e P.A. - Compiti.
Una volta esaurito il compito tecnico rimesso alla
commissione giudicatrice, l’Amministrazione non può riaprire
l’istruttoria, per compiere nuove ed autonome valutazioni di
merito, contrastando con l’impianto stesso delle procedure
ad evidenza pubblica.
Sicché, in sede di aggiudicazione definitiva,
l’Amministrazione, eseguito un controllo sulla regolarità
formale degli atti di gara, deve soltanto esprimere la
volontà di procedere, ovvero non procedere all’adozione
dell’atto conclusivo, che assume rilevanza proprio ed
esclusivamente per tale preciso contenuto.
Ribadendo, che le valutazioni assunte in sede di esame delle
giustificazioni delle concorrenti, la cui offerta è
sottoposta a verifica di anomalia, costituiscono esercizio
di discrezionalità tecnica non suscettibile di sindacato
giurisdizionale, salvo i casi di macroscopico errore o grave
illogicità (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 20.03.2007 n. 1343
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LAVORI PUBBLICI:
Sulla facoltà per l'amministrazione, in un appalto da
aggiudicare con il sistema della offerta più vantaggiosa, di
individuare le offerte che ritenga anormalmente basse
secondo le modalità che considera più idonee.
La verifica dell'anomalia, in caso di aggiudicazione con il
sistema dell'offerta più vantaggiosa, non è soggetta a
condizioni che ne limitino l'esercizio e ne fissino
inderogabilmente le modalità. L'Amministrazione ha la
facoltà, almeno nel sistema dell'offerta più vantaggiosa, di
individuare le offerte che ritenga anormalmente basse
secondo le modalità che considera più idonee.
Negli appalti in cui l'aggiudicazione avviene con il
criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa, il
Regolamento di attuazione di cui al d.P.R. n. 554 del 1999,
stabilisce, all'art. 91, c. 4, che la stazione appaltante "può"
procedere alla verifica di cui all'art. 64, c. 6, dello
stesso decreto, che, a sua volta, dispone che la verifica
della congruità dell'offerta "può" essere prevista
dal bando quando "i punti relativi al prezzo e la somma
dei punti relativi agli altri elementi di valutazione sono
pari o superiori a quattro quinti dei corrispondenti punti
massimi previsti dal bando di gara.".
Appare evidente che, nel silenzio della legge sul punto, la
normativa regolamentare rimetta alla discrezionalità
dell'Amministrazione di prevedere nella lex specialis
di dar corso alla verifica dell'anomalia quando si
verifichino le circostanze sopra illustrate, ma la detta
normativa non può assumere il significato di impedire
all'Amministrazione di individuare l'anomalia adottando
altro criterio di valutazione che meglio si attagli alle
peculiarità della gara bandita (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 20.03.2007 n. 1343
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ESPROPRIAZIONE: Occupazione
di una parte maggiore di quanto enunciato nell’atto di
esproprio - Comportamento illecito dell’amministrazione -
Risarcimento e domanda di restituzione - Competente giudice
civile - Sindacabilità del G.A. - Esclusione.
L’occupazione di una parte maggiore di quanto enunciato
nell’atto di esproprio non attiene ai vizi di legittimità
del provvedimento, sindacabili dal giudice amministrativo,
ma alla sua esecuzione, da censurare innanzi al giudice
civile, competente a conoscere degli eventuali danni
prodotti all’espropriato dal comportamento illecito
dell’amministrazione a disporne l’eventuale risarcimento (ex
plurimis Cass., sez. I, 14.01.2000, n. 350) e a decidere
sulla domanda di restituzione.
Pertanto, è inammissibile la censura del ricorso
introduttivo nella quale il ricorrente afferma che,
relativamente alla particella di sua proprietà, le
operazioni di occupazione sarebbero avvenute per
quattrocento metri in più di quanto riportato nel
provvedimento (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 20.03.2007 n. 1338
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APPALTI SERVIZI:
La valutazione dell'incidenza dei reati finanziari
sulla moralità professionale di un partecipante ad un
appalto, non è rimessa alla valutazione della stazione
appaltante, ma è espressamente definita dal legislatore.
L'incidenza dei reati finanziari, sulla moralità
professionale del soggetto che aspira ad essere parte di un
contratto di appalto di servizi con l'Amministrazione
pubblica, non è rimessa alla valutazione della stazione
appaltante, ma è espressamente definita, a priori, dalla
stesso legislatore, che ascrive alla particolare natura del
reato, sotto l'aspetto sostanziale, una tale lesività degli
interessi collettivi, da non consentire che il servizio sia
affidato a coloro che li hanno commessi.
Pertanto, è legittima l'esclusione dalla gara di una ATI
conseguente agli accertati precedenti penali a carico del
Presidente del consiglio di amministrazione e procuratore
della società mandante (fra l'altro, sentenza di condanna ex
artt. 444 c.p.p., per la commissione, di un reato
finanziario non dichiarato estinto) di cui non era stata
fatta menzione nella apposita dichiarazione resa all'atto
della partecipazione alla gara, con la quale, al contrario,
la concorrente aveva dichiarato l'insussistenza di alcuna
delle cause di esclusione di cui all'art. 12 D.Lgs. 157/1995
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 20.03.2007 n. 1331
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EDILIZIA
PRIVATA: Opera
abusiva - Irrogazione della sanzione pecuniaria in luogo
della demolizione - Presupposti e limiti - Demolizione
tecnicamente impossibile - Costosità della demolizione -
Ininfluenza - Fattispecie.
L’irrogazione della sanzione pecuniaria in luogo della
demolizione è consentita dalla legge solo quando la
demolizione sia impossibile, s’intende tecnicamente, e non
quando sia costosa.
Nella specie, l’autorità comunale ha giustificato la
sanzione pecuniaria con la costosità della demolizione, tale
motivazione stata ritenuta illogica e illegittima, sia
perché essa vanifica la sanzione della demolizione prevista
dalla legge (tutte le demolizioni essendo costose), sia
perché la demolizione è a spese del contravventore e non già
del comune (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 20.03.2007 n. 1325
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ATTI
AMMINISTRATIVI:
Atto amministrativo concessorio - Presupposto della
fattispecie di reato - Disapplicazione da parte del giudice
penale - Inconfigurabilità - Ragioni.
Nel caso di accertata difformità da disposizioni legislative
o regolamentari, ovvero dalle prescrizioni degli strumenti
urbanistici, non si configura una non consentita "disapplicazione",
da parte del giudice penale dell'atto amministrativo
concessorio (vedi Cass., Sez. Un., 12.11.1993, Borgia), in
quanto lo stesso giudice, qualora come presupposto o
elemento costitutivo di una fattispecie di reato sia
previsto un atto amministrativo ovvero l'autorizzazione del
comportamento del privato da parte di un organo pubblico,
non deve limitarsi a verificare l'esistenza ontologica
dell'atto o provvedimento amministrativo, ma deve verificare
l'integrazione o meno della fattispecie penale, "in vista
dell'interesse sostanziale che tale fattispecie assume a
tutela, nella quale gli elementi di natura extrapenale
convergono organicamente, assumendo un significato
descrittivo" (vedi Cass., Sez. Un., 28.11.2001, Salvini;
nonché Sez. VI, 18.03.1998, n. 3396, Calisse ed altro) (TRIBUNALE di Cosenza, Sez. II penale,
ordinanza 20.03.2007
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EDILIZIA
PRIVATA:
Struttura autonoma destinata a parcheggio realizzata
con l’edificazione di cinque piani - Edificazione in deroga
ex art. 9 legge Tognoli - Applicabilità - Esclusione.
La struttura autonoma destinata a parcheggio, realizzata con
l’edificazione di cinque piani fuori terra, non rientra
nell’ipotesi di edificazione in deroga agli strumenti
urbanistici, di cui alla legge Tognoli (articolo 9 L.
122/1989), ostandovi la stessa lettera della norma, riferita
a parcheggi pertinenziali di immobili privati da realizzare
nel sottosuolo o nei locali siti al piano
terreno dei fabbricati (TRIBUNALE di Cosenza, Sez. II penale,
ordinanza 20.03.2007
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EDILIZIA
PRIVATA:
Opera abusiva in relazione alla quale siano ormai
perfezionati gli elementi costitutivi del reato - Sequestro
preventivo - Ammissibilità - Fondamento.
In materia urbanistica, l'esigenza cautelare richiesta dalla
legge per disporre il sequestro preventivo è ipotizzabile
anche per i reati per i quali si siano perfezionati gli
elementi costitutivi, in quanto, anche ultimata, l'opera
abusiva continua a proiettare le sua conseguenze negative
sul regolare assetto del territorio, perpetuando nel tempo
l'offesa del bene tutelato e quindi l'esigenza di evitare
che il danno sia portato a conseguenze ulteriori (Cass.
2000, n. 1551).
In effetti, in tema di sequestro preventivo, le "conseguenze"
che il legislatore intende neutralizzare attraverso il
provvedimento non sono identificabili ne' con la condotta
dei reati formali ne' con l'evento naturalistico, che
integra la consumazione dei reati materiali, ma sono anche
quelle "ulteriori" rispetto alla condotta tipica
realizzata.
Per tale ragione il sequestro preventivo può essere disposto
anche quando sia cessata la condotta o si siano perfezionati
gli elementi costitutivi del reato in relazione al quale la
misura viene adottata (TRIBUNALE di Cosenza, Sez. II penale,
ordinanza 20.03.2007
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AMBIENTE-ECOLOGIA: Bonifica
di siti contaminati - D.M. 471/1999 - Parametri previsti per
le aree residenziali - Obiettivo - Immobile adibito ad
attività produttiva ubicato in area residenziale - Parametri
applicabili.
In materia di bonifica dei siti inquinati, i limiti più
severi (rispetto a quelli dettati per le zone industriali)
previsti dal D.M. n. 471/1999, all. 1, tab. A, per le aree
residenziali sono riconducibili all’obiettivo di tutelare
non il singolo immobile, ma l’intera area circostante.
Ne deriva la legittimità dell’ordinanza di bonifica che
faccia riferimento alla classificazione urbanistica
residenziale della zona, richiamandone i relativi parametri,
senza tener conto che l’immobile interessato è adibito ad
attività produttiva (TAR Toscana, Sez. II,
sentenza 14.03.2007 n. 339
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PUBBLICO
IMPIEGO: Termini
nel procedimento disciplinare nel pubblico impiego.
Per gli impiegati
statali, è illegittima la sanzione disciplinare, quando non
vi è stato il rispetto del termine minimo dilatorio di 10
giorni che deve intercorrere fra l’acquisita conoscenza
della convocazione e la data fissata per la trattazione
orale avanti al Consiglio di disciplina, come prevede l’art.
20, 2° comma, del D.P.R. 25.10.1981, n. 737
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 13.03.2007 n. 1232
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EDILIZIA
PRIVATA: BENI
CULTURALI E AMBIENTALI - Difformità dall’autorizzazione -
Violazione paesaggistica - Tutela ambientale Rapporto tra
Art. 44, lett. c), D.P.R. n. 380/2001 e art. 181 D. L.vo n.
42/2004.
In materia di violazione paesaggistica, l'articolo 181 del
decreto legislativo del 22.01.2004 n. 42 punisce con le pene
ora previste dall'articolo 44, lettera c), del D.P.R. n. 380
del 2001 chiunque, senza la prescritta autorizzazione o in
difformità da essa, esegue lavori di qualsiasi genere su
beni paesaggistici.
La norma, in materia di tutela ambientale, non distingue tra
difformità totale e difformità parziale per cui, escluse le
attività consentite, qualsiasi difformità rispetto
all'autorizzazione è idonea a configurare il reato purché
abbia un'oggettiva possibilità d'impatto sul paesaggio.
Pertanto è logica la previsione di un'unica sanzione
applicabile sia per la mancanza dell'autorizzazione che per
la difformità da essa.
BENI CULTURALI E AMBIENTALI - Rapporto tra disciplina
urbanistica e tutela ambientale - Bene tutelato -
Configurabilità del reato - D.P.R. n. 380/2001 e D. L.vo n.
42/2004.
Il problema di individuare se l'indagato ha
costruito in difformità dalla concessione e
dall'autorizzazione paesaggistica, si pone
solo per la disciplina urbanistica perché
per la configurabilità del reato
paesaggistico, è sufficiente una qualsiasi
difformità, purché astrattamente idonea a
ledere il bene tutelato (Corte di
Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 12.03.2007 n. 10479
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EDILIZIA
PRIVATA: Posizionamento fabbricato - Difformità totale o
parziale Autonoma utilizzabilità e specifica rilevanza -
Art. 31 del D.P.R. n. 380/2001 (testo unico sull’edilizia).
A i sensi dell'articolo 31 del D.P.R. n. 380/2001 (testo
unico sull’edilizia), si verifica la difformità totale
allorché l'opera realizzata è diversa per caratteristiche
topologiche, planovolumetriche o di utilizzazione da quella
oggetto del permesso stesso ovvero allorché vengono
realizzati volumi edilizi oltre i limiti indicati nel
progetto e tali da costituire un organismo edilizio o parte
di esso con specifica rilevanza ed autonomamente
utilizzabile.
La totale difformità, in linea di massima sussiste, allorché
i lavori riguardino un'opera diversa per conformazione,
struttura, destinazione o ubicazione rispetto a quella
assentita ovvero allorché vengono realizzati volumi oltre i
limiti del progetto approvato. In quest'ultimo caso però
l'opera abusiva deve presentare il duplice requisito
dell'autonoma utilizzabilità e della specifica rilevanza.
Per l'autonoma utilizzabilità non si richiede però che la
struttura difforme sia separata da quella assentita, ma solo
che sia suscettibile di un uso diverso o indipendente da
quello dell'opera autorizzata (ad esempio trasformazione di
un sottotetto in mansarda Cass. 5891 del 1990). Con
riferimento alla specifica rilevanza la norma si riferisce
non ad una qualsiasi difformità ma a quella che abbia una
rilevanza apprezzabile, sia in modo oggettivo, sia con
riferimento alla struttura realizzata (Cfr. Cass. Sez. III
3350 del 2004). Si ha difformità parziale allorché le opere
apportino variazioni circoscritte in senso qualitativo o
quantitativo all'opera assentita.
Traslazione delle unità abitative - Presentazione
della domanda di condono - Sequestro preventivo Legittimità.
La presentazione della domanda di condono per la traslazione
delle unità abitative non impedisce, il compimento di atti
urgenti, quale può essere un sequestro preventivo (cfr per
tutte Cass. Sez. III 18.05.2005 n. 18426) (Corte di
Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 12.03.2007 n. 10479
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APPALTI SERVIZI: Attività
contrattuale della PA: inderogabilità ai principi
dell’evidenza pubblica.
Per l’affidamento dei
servizi pubblici locali, l’obbligo di seguire le procedure
concorsuali pubbliche discende direttamente dalle norme e
dai principi desumibili dagli artt. 3 e 6 del regio-decreto
n. 2440 del 1923 e dall'art. 41 del regio-decreto n. 827 del
1924.
Le disposizioni de quibus impongono, per ogni
attività contrattuale della P.A., il ricorso a procedure
concorsuali aperte ai soggetti idonei per eseguire opere o
servizi e per fornire beni alle amministrazioni stesse.
Ciò, in ossequio ai principi costituzionali di imparzialità
e di buon andamento dell'azione amministrativa ed ai i
principi comunitari di trasparenza e di libera concorrenza.
E’, infatti, da escludere che un ritardo imputabile alla
stessa amministrazione possa giustificare la deroga ai
principi dell'evidenza pubblica ed il ricorso alla
trattativa privata.
Pertanto, la possibilità dell’affidamento diretto a
trattativa privata è circoscritta ad alcune condizioni
eccezionali, la cui sussistenza deve essere provata e
giustificata debitamente e specificamente
dall’amministrazione procedente
(TAR
Campania-Napoli, Sez. I,
sentenza 12.03.2007 n. 1781
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APPALTI SERVIZI:
L'affidamento dei servizi pubblici locali mediante
trattativa privata è circoscritta ad alcune condizioni
eccezionali, la cui sussistenza deve essere provata e
giustificata dall'amministrazione procedente.
L'obbligo di seguire le procedure concorsuali pubbliche per
l'affidamento dei servizi pubblici locali, discende
direttamente dalle norme e dai principi desumibili dagli
artt. 3 e 6 del r.d. n. 2440 del 1923, e dall'art. 41 del
r.d. n. 827 del 1924.
Tali disposizioni (coerentemente con i principi
costituzionali di imparzialità e di buon andamento
dell'azione amministrativa, nonché con i principi comunitari
di trasparenza e di libera concorrenza) impongono, per ogni
attività contrattuale della pubblica amministrazione, il
ricorso a procedure concorsuali aperte ai soggetti idonei
per eseguire opere o servizi e per fornire beni alle
amministrazioni stesse. A fronte di ciò la possibilità
dell'affidamento diretto a trattativa privata è circoscritta
ad alcune condizioni eccezionali, la cui sussistenza deve
essere provata e giustificata dall'amministrazione
procedente.
L'urgenza derivante dalla inadeguatezza del servizio svolto
dalla precedente società affidataria del servizio dimostra
semmai l'inerzia del comune nell'adottare tempestivamente le
iniziative appropriate per risolvere i problemi connessi
allo svolgimento di questo servizio.
Pertanto, è da escludere che un ritardo imputabile alla
stessa amministrazione possa giustificare la deroga ai
principi dell'evidenza pubblica ed il ricorso alla
trattativa privata (TAR Campania, Napoli, Sez. I,
sentenza 12.03.2007 n. 1781
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EDILIZIA
PRIVATA: Boschi
e foreste – Nozione di bosco – Aree parzialmente boscate –
Presenza di muri di cinta.
In assenza di una più precisa definizione normativa, la
nozione di bosco deve essere riferita non soltanto ai
terreni completamente coperti da boschi o foreste, ma anche,
per identità di ratio, a tutte le aree parzialmente
boscate, a condizione che siano concretamente inserite in un
contesto forestale e senza che possa assumere alcun rilievo
la costruzione di eventuali muri di cinta o analoghi
manufatti che delimitino una parte più o meno estesa del
bosco medesimo (nella specie, è stato ritenuto che la zona
oggetto di contestazione, limitrofa al bosco, ma
caratterizzata da sporadici alberi di alto fusto in un
contesto di edifici residenziali, non potesse essere
considerata area boscata) (TAR Piemonte, Sez. I,
sentenza 10.03.2007 n. 1174
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PUBBLICO
IMPIEGO: Dipendenti
pubblici: sostituzione del titolare e retribuilità di
mansioni superiori.
Non può essere
corrisposto il pagamento delle differenze retributive per le
mansioni superiori svolte al dipendente che sostituisce il
titolare momentaneamente assente
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 06.03.2007 n. 1048
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EDILIZIA
PRIVATA:
Inquinamento elettromagnetico – Impianti
radioelettrici – Potestà regolamentare comunale – Art. 8, c.
6, L. n. 36/2001 – Minimizzazione dell’esposizione ai campi
elettromagnetici - Individuazione di siti sensibili –
Legittimità.
La potestà assegnata al Comune dall’art. 8, comma sesto,
della legge 22.06.2001, n. 36, di regolamentare “il
corretto insediamento urbanistico e territoriale degli
impianti e di minimizzare l’esposizione della popolazione ai
campi radioelettrici” può tradursi nell’introduzione,
sotto il profilo urbanistico, di regole a tutela di zone e
beni di particolare pregio paesaggistico/ambientale o
storico/artistico ovvero, per ciò che riguarda la
minimizzazione dell’esposizione ai campi elettromagnetici,
nell’individuazione di siti che per destinazione d’uso e
qualità degli utenti possano essere considerati sensibili
alle immissioni radioelettriche (cfr. tra le altre, la
decisione della Sezione 05.06.2006, n. 3332).
Inquinamento elettromagnetico – Stazioni radio base –
Norma regolamentare comunale – Divieto di installazione a
meno di 50 metri da asili nido e scuole materne – Computo
della distanza in presenza di pertinenze.
In materia di inquinamento elettromagnetico, il riferimento
al perimetro esterno di asili nido e scuole materne,
contenuto nella norma regolamentare comunale che vieta
l’installazione di stazioni radio base a meno di cinquanta
metri dai predetti edifici, va rapportato, logicamente,
anche a quegli spazi, immediatamente contigui ai detti
edifici, in cui viene pure normalmente svolta l’attività
propria di detti istituti che, altrimenti, verrebbe svuotata
di ogni efficacia di tutela di situazioni particolarmente
sensibili propria della norma in esame, volta ad escludere
che i campi elettromagnetici sprigionati dalle
apparecchiature di cui si tratta possano investire in modo
costante i giovanissimi che svolgano all’aperto la normale
attività ludica, trattandosi di soggetti maggiormente
esposti in quanto neppure protetti dalle strutture murarie
(nella specie, era contestata l’applicabilità della norma
con riferimento alle pertinenze dell’edificio destinato ad
asilo nido) (Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 03.03.2007 n. 1017
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AMBIENTE-ECOLOGIA: RIFIUTI
- Pneumatici fuori uso - Nozione di rifiuti - D.lgs 152/2006
e D.Lvo. 22/1997 - Disciplina applicabile - Pneumatici
"fuori uso" e c.d, pneumatici ricostruibili - Differenza.
La nozione di rifiuti è attualmente ristretta ai soli
pneumatici "fuori uso" (rimanendone esclusi, i c.d,
pneumatici ricostruibili) ciò in quanto l'art. 23 della
legge 31.07.2002, n. 179 ha disposto che "all'allegato A
[del d.lgs 22/1997] le parole: "16.01.03 pneumatici usati"
sono sostituite dalle seguenti: "16.01.03 pneumatici
fuori uso" ed, attualmente, sia l'art. 228 che
l'allegato A) -voce 16.01.03- del d.lgs 152/2006,
contemplano anch'essi nella categoria dei rifiuti unicamente
i "pneumatici fuori uso" (a differenza da quanto indicato
nell’originaria formulazione del D.Lv. 22/1997).
RIFIUTI - Gestione di rifiuti - Assenza di
autorizzazione - Natura del reato - Fattispecie: attività di
gestione dei rifiuti in modo secondario o consequenziale
all'esercizio di una attività primaria.
Il reato di attività di gestione di rifiuti in assenza di
autorizzazione, previsto dall'art. 51 del d.lgs 05.02.1997
n. 22, non ha natura di reato proprio integrabile soltanto
da soggetti esercenti professionalmente una attività di
gestione di rifiuti, ma costituisce una ipotesi di reato
comune che può essere pertanto commesso anche da chi
esercita attività di gestione dei rifiuti in modo secondario
o consequenziale all'esercizio di una attività primaria
diversa (ex plurimis Sez. 3, n. 16698 del 11/02/2004
Rv. 227956) (Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 01.03.2007 n. 8679
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EDILIZIA
PRIVATA: Reati
edilizi - Condono - Opere non residenziali - Esclusione
della condonabilità - Fattispecie: muro di contenimento -
Art. 4 D. L. n. 398/1993 conv. L. n. 493/1993 - L. n.
662/1996.
Sono escluse dal condono edilizio tutte le opere a
destinazione non residenziale. Pertanto, la costruzione di
un terrapieno, costituito da un muro con funzione di
contenimento con notevoli dimensioni (così come nella
specie) non è soggetta alla semplice denuncia di inizio dei
lavori, ai sensi dell'art. 4 del D.L.. 05.10.1993 n. 398,
convertito in L. 04.12.1993 n. 493, come sostituito
dall'art. 2, comma 60, della legge 23.12.1996 n. 662 (Cass.,
Sez. III, 17.07.1999-29.09.1999, n. 11126).
In conclusione, per la realizzazione di un terrapieno
costituito da un muro con funzione di contenimento di
notevoli dimensioni è necessario il permesso di costruire.
Condono edilizio - Nuove costruzioni non residenziali
- Esclusione - Procedimenti penali per violazioni edilizie -
L. n. 326/2003 - Art. 44 L. n.47/1985.
I procedimenti penali per violazioni edilizie relative a
nuove costruzioni non residenziali non possono essere
sottoposti, durante la pendenza dei termini di presentazione
del cd. condono edilizio, alla sospensione prevista
dall'art. 44 della legge 28.02.1985 n. 47, cui rinviano le
disposizioni di cui al decreto legge 30.09.2003 n. 269,
convertito con legge 24.11.2003 n. 326, atteso che l'art. 32
del citato decreto n. 289 limita l'applicabilità del condono
edilizio alle sole nuove costruzioni residenziali Cass.,
Sez. III, 17.02.2004-24.03.2004, n. 14436, (Conf. Cass.,
Sez. 3, 18.11.2003-29.01.2004, n. 3358).
Né rileva la conservazione degli effetti penali perché
comunque non risulta un'oblazione ritualmente perfezionata
con il pagamento della somma dovuta.
Reati urbanistici - Abusivismo edilizio - Condono -
Sospensione - Limiti - Requisiti per la condonabilità -
Necessità.
In materia di reati edilizi, la sospensione di cui all'art.
44 della legge 28.02.1985 n. 47 non è automatica e non va
applicata a tutti i procedimenti per reati urbanistici
astrattamente interessati al condono, ma solo a quelli
aventi ad oggetto opere che abbiano oggettivamente i
requisiti per la condonabilità ex art. 32 del D.L.
30.09.2003 n. 326 (nella specie l'opera abusiva non
risultava suscettibile di sanatoria, in quanto costruzione
di tipo non-residenziale, realizzata in assenza del titolo
abilitativo) (Cass. Pen. Sez. III, 06.04.2004-07.05.2004,
Sentenza n. 21679) (Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 27.02.2007 n. 8067
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CONSIGLIERI
COMUNALI: Accesso
agli atti del consigliere comunale ed esigenze burocratiche
dell'ente.
Il diritto di accesso
agli atti di un consigliere comunale non può subire
compressioni per pretese esigenze di natura burocratica
dell’Ente, tali da ostacolare l’esercizio del mandato
istituzionale
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 22.02.2007 n. 929
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COMPETENZE
GESTIONALI: Riparto
di attribuzione tra organi - Artt. 42 e 48 del d.lgs. n.
267/2000 - Convenzioni tra soggetti pubblici - Competenza
consiliare - Strumenti convenzionali con soggetti privati -
Competenza residuale della giunta.
In base ai generali principi in tema di riparto di
attribuzione fra gli organi (anche) provinciali rinvenibili
agli articoli 42 e 48 del d.lgs. 267/2000, spettano alla
competenza consiliare le convenzioni concluse tra soggetti
pubblici, mentre sono correttamente attribuite alla
competenza residuale della giunta le diverse ipotesi di
strumenti convenzionali con soggetti privati riconducibili
alla figura degli accordi ex art. 11, l. n. 241 del 1990
(TAR Puglia-Lecce, Sez. I,
sentenza 22.02.2007 n. 617
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EDILIZIA
PRIVATA: RIFIUTI
- Materiali da demolizioni edilizie - Reimpiego - Rifiuti
speciali - Test di cessione dei materiali provenienti da
demolizioni - D. L.vo n. 152/2006.
L'art. 14 del D.L. 08.07.2002 n. 138, convertito con
modificazioni dalla L. 08.08.2002 n. 178, è stato abrogato
dall'art. 264, comma 1, lett. l), del D. L.vo 03.04.2006 n.
152, mentre ai sensi dell'art. 184, comma 3 lett. b) del
medesimo testo normativo i materiali provenienti da attività
di demolizione rientrano nella categoria dei rifiuti
speciali, senza che risulti riprodotta dal nuovo codice in
materia ambientale l'eccezione alla applicabilità della
normativa sui rifiuti di cui all'abrogato articolo 14 della
L. n. 178/2002.
RIFIUTI - Demolizione edilizia - Materiali -
Smaltimento di rifiuti speciali non pericolosi - Test di
cessione - Pregiudizio all'ambiente - Codice in materia
ambientale - Art. 51, c. 1°, lett. a), D.Lgs. n. 22/1997 -
Art. 14 D.L. n. 138/2002 - D. L.vo n. 152/2006.
In materia di rifiuti da demolizione è stato reiteratamente
affermato, il principio di diritto, che nella vigenza
dell’art. 14 del D.L. n. 138/2002, convertito in L. n.
178/2002, "i materiali provenienti da demolizione
edilizia sono rifiuti speciali non pericolosi e possono
essere riutilizzati nello stesso od in diverso ciclo
produttivo - ad esempio nelle opere di riempimento -previo
preventivo "test di cessione" degli stessi, in conformità al
D.M. 5 febbraio 1998, in modo da non recare pregiudizio
all'ambiente; in assenza del menzionato test ogni recupero
dei materiali cosiddetti di risulta integra la
contravvenzione di cui all'art. 51, comma primo, lett. a)
del D.Lgs. n. 22 del 1997" (sez. III, 200430127,
Piacentino, RV 229467; conf. sez. III, 200536955, P.M. in
proc. Noto ed altri, RV 232192) (Corte di Cassazione, Sez.
III penale,
sentenza 15.02.2007 n. 6435
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EDILIZIA
PRIVATA: Volumi
tecnici e vani di sgombero - Nozione, differenza e funzione.
"Volumi tecnici" sono i volumi -non utilizzabili né
adattabili ad uso abitativo- strettamente necessari a
contenere ed a consentire l'eccesso di quelle parti degli
impianti tecnici che non possono, per esigenze tecniche di
funzionalità degli impianti stessi, trovare allocazione
all'interno della parte abitativa dell'edificio realizzabile
nei limiti imposti dalle norme urbanistiche.
I "vani di sgombero" non sono, invece, volumi
tecnici, poiché assolvono funzioni
complementari all'abitazione (Corte di
Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 15.02.2007 n. 6415
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EDILIZIA
PRIVATA: Concessione in sanatoria - Rilascio - Conformità
urbanistica - Verifica - Attività vincolata della PA - Art.
36 T.U. n. 380/2001.
Ai fini del corretto esercizio della conformità alla
normativa urbanistica si pone quale presupposto
indispensabile, per il rilascio della concessione in
sanatoria ex art. 13 della legge n. 47/1985, la necessità
che l'opera sia "conforme agli strumenti urbanistici
generali e di attuazione approvati e non in contrasto con
quelli adottati, sia al momento della realizzazione
dell'opera, sia al momento della presentazione della domanda"
(secondo l'attuale formulazione dell'art. 36 T.U. n.
380/2001, l'intervento deve risultare "conforme alla
disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento
della realizzazione dello stesso, sia al momento della
presentazione della domanda").
Il rilascio del provvedimento sanante, inoltre, consegue ad
un'attività vincolata della PA, consistente
nell'applicazione alla fattispecie concreta di previsioni
legislative ed urbanistiche a formulazione compiuta e non
elastica, che non lasciano all'Amministrazione medesima
spazi per valutazioni di ordine discrezionale.
Sanatoria di un'opera diversa da quella effettivamente
realizzata - Poteri del giudice penale - Mancanza della
conformità alla normativa urbanistica - Concessione -
Estinzione reati - Esclusione - Art. 36 del T.U. n. 380/2001
(già art. 13 L. n. 47/1985) - Art. 22 e 13 della legge n.
47/1985 (già artt. 36 e 45 del T.U. 380/2001) - Fattispecie.
Gli art. 22 e 13 della legge n. 47/1985 (le cui previsioni
sono state trasfuse negli art. 36 e 45 del T.U. 380/2001)
vanno interpretati in stretta connessione ai fini della
declaratoria di estinzione dei "reati contravvenzionali
previsti dalle norme urbanistiche vigenti" e il giudice
penale, pertanto, ha il potere-dovere di verificare la
legittimità della concessione edilizia rilasciata "in
sanatoria" e di accertare che l'opera realizzata sia
conforme alla normativa urbanistica.
In mancanza di tale conformità, infatti, la concessione non
estingue i reati ed il mancato effetto estintivo non si
ricollega ad una valutazione di illegittimità del
provvedimento della P.A. cui consegua la disapplicazione
dello stesso ex art. 5 della legge 20.03.1865, n. 2248, all.
E), bensì alla effettuata verifica della inesistenza dei
presupposti di fatto e di diritto dell'estinzione del reato
in sede di esercizio del doveroso sindacato della
legittimità del fatto estintivo incidente sulla fattispecie
tipica penale (vedi Cass., Sez. III. 30.05.2000, Marinaro;
07.03.1997, n. 2256, Tessari e altro; 24.05.1996, Buratti e
altro). Fattispecie: opera realizzata, in zona
assoggettata a vincolo paesaggistico, in assenza di
concessione edilizia, la sopraelevazione di un manufatto in
muratura con annessa pensilina parapioggia (Corte di
Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 15.02.2007 n. 6415
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PUBBLICO
IMPIEGO: Ferie
non godute del pubblico dipendente e presupposti del
compenso sostitutivo.
Il permanere in servizio
per svolgere delle incombenze d’ufficio, come frutto di una
scelta personale, rendendo materialmente impossibile la
fruizione delle ferie, pur essendo un comportamento
meritevole del più favorevole apprezzamento, non può avere
conseguenze di ordine retributivo, quale il pagamento
sostitutivo, che la legge collega al diverso presupposto del
diniego espresso dall’Amministrazione per esigenze di
servizio
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 12.02.2007 n. 560
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ATTI
AMMINISTRATIVI:
Provvedimento amministrativo privo di motivazione e
termini di impugnazione.
I Giudici di Palazzo
Spada ribadiscono che il privato destinatario dell’atto
amministrativo non può essere gravato da un onere di
impugnazione, per così dire, al buio, sin dal momento in cui
ha notizia dell’esistenza del provvedimento sfavorevole,
senza conoscerne il contenuto e senza poterne valutare la
legittimità “… laddove l’amministrazione comunichi
l’esistenza del provvedimento sfavorevole, senza comunicarne
la motivazione, il destinatario ha una mera facoltà, ma non
un onere, di impugnare subito l’atto e poi articolare i
motivi aggiunti, ma ben può attendere di conoscere la
motivazione dell’atto per valutare se impugnarlo o meno.”
Conseguentemente, non si può pretendere una doppia
impugnazione, prima dell’atto in quanto tale, poi della sua
motivazione, in quanto illegittima, con certezza di aggravio
di costi per il ricorrente.
Il Consiglio di Stato ribadisce l’orientamento
giurisprudenziale tradizionale secondo cui la piena
conoscenza dell’atto amministrativo si ha solo dal momento
in cui si conoscano gli elementi fondamentali dell’atto
amministrativo ed i vizi dell’atto: l’effetto lesivo non
deriva solo dall’essere il provvedimento sfavorevole, ma
dall’essere illegittimamente sfavorevole.
Pertanto, ai fini della decorrenza del termine di
impugnazione di un provvedimento, non basta la mera notizia
dell’esistenza del provvedimento sfavorevole, risultando,
invece, indispensabile la conoscenza della motivazione
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 08.02.2007 n. 522
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EDILIZIA
PRIVATA: AREE
PROTETTE - FAUNA E FLORA - Taglio di alberi - Riserva
naturale delimitazione del territorio - Decreto istitutivo -
Notorietà dell'imposizione del vincolo - Ininfluenza.
L'eventuale mancanza di cartelli di segnalazioni circa la
presenza di un vincolo non esclude l'elemento psicologico
del reato paesaggistico qualora la natura stessa
dell'intervento (nella fattispecie, sbancamento di roccia e
taglio di alberi su una superficie di 11.000 mq).
Inoltre il decreto istitutivo di una riserva naturale viene
pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della regione con
l'indicazione della delimitazione del territorio e quindi
deve ritenersi noto ai proprietari dei suoli siti nella
zona.
AREE PROTETTE - BENI CULTURALI E AMBIENTALI - BOSCHI E
FORESTE - Lavori di sbancamento della roccia e taglio di
alberi - Permesso di costruire - Autorizzazione
paesaggistica - Nulla osta dell'ente - Artt. 110 c.p. 146
lett. f) , 151 e 163 D. L.vo n. 490/1999 e s.m..
Per la realizzazione di interventi in aree protette (parchi
nazionali e regionali, riserve naturali ecc.) occorrono tre
distinti ed autonomi provvedimenti autorizzativi: il
permesso di costruire, l'autorizzazione paesaggistica e, ove
necessario, il nulla osta dell'ente che gestisce la riserva
naturale (nella specie, vincolo imposto da una riserva
naturale alle prescrizioni urbanistiche).
Invero il permesso di costruire é necessario tutte le volte
che venga alterata la morfologia del territorio anche con
scavi e sbancamenti diversi da quelli agricoli mentre gli le
altre due autorizzazioni servono a valutare la compatibilità
paesaggistica dell'intervento (Corte di Cassazione, Sez. III
penale,
sentenza 07.02.2007 n. 5022
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ATTI
AMMINISTRATIVI: Nullità
dell'atto amministrativo in assenza di sottoscrizione.
La mancata
sottoscrizione di un atto amministrativo da parte
dell’incaricato o funzionario dell’Amministrazione comporta
la sua nullità, in quanto viene a mancare un elemento
essenziale dell’atto stesso
(TAR Liguria,
Sez. II,
sentenza 07.02.2007 n. 169
-
link a
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APPALTI SERVIZI:
Il termine previsto dall'articolo 113, c. 15-bis, del
Dlvo 267/2000 per le concessioni di servizi pubblici non si
applica per l'affidamento a seguito di licitazione privata.
L'art. 113, c. 15-bis, del D.Lgs. n. 267 del 2000, come
modificato dall'art. 14, 1 c., del D.L. n. 269 del 2003 e
poi dall'art. 4, c. 234, della L. n. 350 del 2003, prevede
che "Nel caso in cui le disposizioni previste per i
singoli settori non stabiliscano un congruo periodo di
transizione, ai fini dell'attuazione delle disposizioni
previste nel presente articolo, le concessioni rilasciate
con procedure diverse dall'evidenza pubblica cessano
comunque entro e non oltre la data del 31.12.2006,
relativamente al solo servizio idrico integrato al
31.12.2007, senza necessità di apposita deliberazione
dell'ente affidante".
Sono da annoverarsi tra quelle ad "evidenza pubblica"
le procedure, sia aperte come l'appalto concorso, che
ristrette come la licitazione privata, precedute da un bando
sufficientemente aperto alla libera concorrenza. Pertanto,
non si applica il suddetto art. 113, c. 15-bis, del D.Lgs.
n. 267 del 2000 alle concessioni affidate mediante
licitazione privata (TAR Lazio-Roma, Sez. II-ter,
sentenza 06.02.2007 n. 905
- link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
VARI:
L'autostrada paga l'incidente per il cane.
L’automobilista che subisce danni per la presenza di un
ostacolo ha diritto al risarcimento.
Chi sbanda con
l’automobile in autostrada per evitare un cane
improvvisamente comparso in mezzo alla carreggiata può
chiedere i danni alla società autostrade (Corte
di Cassazione, Sez. III civile,
sentenza 02.02.2007 n. 2308
- link a www.cittadinolex.kataweb.it). |
PUBBLICO
IMPIEGO: Rimborso
spese legali al dipendente pubblico assolto: ammontare e
limite.
Il rimborso delle spese
legali, sostenute nei giudizi intrapresi nei confronti dei
dipendenti delle Amministrazioni statali per responsabilità
civili, penali ed amministrative, in conseguenza di fatti ed
atti connessi con l'espletamento del servizio o con
l'assolvimento di obblighi istituzionali e conclusi con
sentenza che escluda la loro responsabilità, deve essere
effettuato, ai sensi dell'art. 18 del d.l. n. 67 del 1997,
convertito in legge n. 135/97, nei limiti riconosciuti
congrui dall'Avvocatura dello Stato
(Corte di
Cassazione, Sez. lavoro,
sentenza 23.01.2007 n. 1418
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EDILIZIA
PRIVATA: Distanze
minime tra fabbricati: la lettura della c.d. ''distanza
lineare''.
Quanto alle modalità di
calcolo della distanza, il Collegio che, anche accettando,
in linea di principio, il criterio del computo in modo “lineare"
e non “radiale” della distanza minima tra pareti
finestrate e pareti di edifici antistanti, il D.M. cit.
sottolinei che la distanza debba essere “assoluta” e
prescritta “in tutti i casi”.
Si deve pertanto convenire che debba essere calcolata con
riferimento ad ogni punto dei fabbricati e non alle sole
parti che si fronteggiano ed indipendentemente dal fatto che
la parete sopraelevata si trovi alla medesima o a diversa
altezza rispetto all’altra
(TAR Toscana,
Sez. III,
sentenza 22.01.2007 n. 55
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PUBBLICO
IMPIEGO:
Falsa dichiarazione in un concorso e decadenza del
dipendente pubblico.
E’ legittimo il
provvedimento di decadenza di un dipendente pubblico,
scoperto di essere in servizio in virtù di una sua falsa
dichiarazione sostitutiva di certificazione resa con
l’istanza di partecipazione ad un bando di concorso
(TAR Lazio-Roma, Sez. III-bis,
sentenza 17.01.2007 n. 345
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EDILIZIA
PRIVATA: Legittimazione
a porre in essere interventi edilizi su beni in comunione.
Secondo il consolidato
orientamento della giurisprudenza amministrativa, il Comune
ha l’obbligo, nel corso dell’istruttoria sul rilascio del
permesso di costruire, ai sensi dell’art. 4 L. n. 10 del
1977 e ora dell’art. 11 del D.P.R. n. 380 del 2001, di
verificare che esista il titolo per intervenire
sull’immobile per il quale è richiesto il permesso di
costruire e che, quindi, questo sia rilasciato al
proprietario dell’area o a chi abbia titolo per richiederla.
La verifica del Comune deve consistere proprio
nell’accertare, alla stregua delle diverse ipotesi
disciplinate dall’art. 1108 codice civile se –in riferimento
all’effettiva consistenza dell’intervento e alla incidenza
dello stesso sul godimento del bene comune da parte di tutti
i comproprietari- tale fatto sia o no idoneo a legittimare i
soggetti istanti ad ottenere l’assentimento a sanatoria
delle modificazioni dai medesimi apportate all’immobile in
comunione.
In particolare, il primo comma del citato articolo 1108 del
c.c., dopo avere previsto la possibilità, per i partecipanti
alla comunione, di disporre tutte le innovazioni dirette al
miglioramento o a rendere più comodo o redditizio il
godimento del bene in comunione a condizione che
l’intervento abbia l’approvazione almeno dei proprietari dei
due terzi del valore complessivo del bene comune, di seguito
impone due tipi di limitazioni a tale possibilità.
In primo luogo, le innovazioni approvate a maggioranza non
devono recare pregiudizio al godimento del bene comune da
parte di alcuno dei comproprietari e, in secondo luogo le
stesse non possono comportare una spesa eccessivamente
gravosa.
Pertanto, dal chiaro dettato della disposizione si evince
che, qualora ricorra uno di questi casi, la suddetta
maggioranza qualificata dei comproprietari non sia
sufficiente ad autorizzare l’intervento innovativo, essendo
al riguardo necessario l’espresso consenso della totalità
della proprietà comune
(TAR Emilia
Romagna-Parma,
sentenza 10.01.2007 n. 7
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ATTI
AMMINISTRATIVI: Esercizio
del diritto di accesso e posizione del controinteressato.
In materia di diritto di accesso, la posizione di
controinteressato non va ancorata al solo dato formale della
menzione del soggetto negli atti e nei documenti cui si
riferisce l’accesso oppure al dato estrinseco che gli atti e
i documenti medesimi riguardino tale soggetto, ma anche al
dato sostanziale della serietà e meritevolezza di tutela nel
merito della posizione del controinteressato all’accesso,
nel senso che occorre valutare la sussistenza della
fondatezza di un’eventuale opposizione da parte di
quest’ultimo soggetto.
Ciò risulta confermato anche dall’art. 22 della legge n.
241/1990 come modificato dalla legge n. 15/2005 che,
nell’introdurre la nozione di “controinteressati”, li
ha identificati in quei “soggetti individuati o
facilmente individuabili in base alla natura del documento
richiesto, che dall’esercizio dell’accesso vedrebbero
compromesso il loro diritto alla riservatezza”.
Quindi sono controinteressati non tutti i soggetti
contemplati o riguardati dall’atto ma solo quelli che
dall’esercizio dell’accesso vedrebbero compromesso il loro
diritto alla riservatezza (TAR Campania-Napoli, Sez. V,
sentenza 04.01.2007 n. 39
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EDILIZIA
PRIVATA: Ampliamento
abusivo di edificio industriale realizzato in fregio alla
Statale n. 36 - Vincolo di inedificabilità per fascia di
rispetto stradale apposto successivamente all'abuso -
Istanza di sanatoria -Mancata valutazione da parte di ANAS
dell'effettiva minaccia alla sicurezza del traffico - Parere
negativo ANAS - Illegittimità.
E' illegittimo e deve essere annullato il parere
negativo emesso da parte di ANAS alla sanatoria di un'opera
abusiva, realizzata in fregio alla Statale n. 36 "del
Lago di Como e dello Spluga", qualora tale parere venga
reso non solo in assenza di concreto accertamento, da parte
di ANAS, delle date in cui è stato commesso l'abuso ed in
cui è stato apposto il vincolo di inedificabilità dell'area
per fascia di rispetto stradale, ma anche di una effettiva
valutazione, sempre da parte di ANAS, del fatto che l'opera
costituisca o meno una minaccia alla sicurezza del
traffico (TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 27.12.2006 n. 3098
- massima tratta da www.solom.it - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
Variante generale PRG - Comunicazione di avvio del
procedimento espropriativo ex art. 11 DPR 327/2001 - Non
necessaria.
Variante generale PRG - Scelte discrezionali della P.A. di
attribuire una destinazione alle singole aree - Motivazione
- Limiti.
L'art. 11 DPR 327/2001 riguarda le varianti al Piano
regolatore adottate per la realizzazione di una singola
opera pubblica, e non le varianti generali, alle quali si
applicano le regole ordinarie sulle modalità di
partecipazione degli interessati nelle fasi di adozione e
approvazione degli strumenti urbanistici.
Le scelte discrezionali compiute dall'Amministrazione
riguardo la destinazione di singole aree, con riferimento al
reperimento di nuove zone residenziali e per le attività
produttive, sono insindacabili nel merito e non richiedono
apposita motivazione oltre quella che si può evincere dai
criteri generali (di ordine tecnico-discrezionale) seguiti
nell'impostazione del piano stesso, che peraltro
l'Amministrazione chiarisce in sede di controdeduzioni alle
osservazioni (TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza
27.12.2006 n. 3095
- massima tratta da www.solom.it - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: 1.
Permesso di costruire - Termine per l'impugnazione.
2. Permesso di costruire - Diritti dei terzi - Valutazione.
1. La giurisprudenza amministrativa è
chiara nell'affermare (per tutte, Cons. Sta., sez. IV, n.
3614 del 2006 e n. 6465 del 2006) che ai fini della
decorrenza del termine per l'impugnazione di una concessione
edilizia (ora permesso di costruire), occorre la sua piena
conoscenza che si verifica con la consapevolezza del
contenuto specifico della concessione o del progetto
edilizio, ovvero quando la costruzione realizzata rivela in
modo certo ed in equivoco le essenziali caratteristiche
dell'opera e l'eventuale non conformità della stessa alla
disciplina urbanistica.
La prova della piena ed effettiva conoscenza può essere
desunta anche da elementi presuntivi ma nella fattispecie in
esame la prova di tale accertamento non è stata fornita dai
ricorrenti e, pertanto, in sua assenza, si deve concludere
per la tempestività della proposizione del ricorso.
2. L'art. 11, comma 3, del D.P.R. n. 380 del 2001 (e
l'art. 35, comma 3, della L. R. n. 12 del 2005) prevede che
"il permesso di costruire non comporta limitazioni dei
diritti dei terzi": ciò non significa, tuttavia, che
all'amministrazione comunale non incomba alcun onere di
verificare la legittimazione di colui che richiede il
rilascio del titolo edilizio ma l'accertamento deve avere ad
oggetto il controllo degli elementi di fatto esistenti e di
immediata consultazione senza spingersi fino alla
risoluzione di questioni giuridiche riguardanti gli assetti
proprietari degli immobili oggetto degli interventi (TAR
Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 20.12.2006 n. 3015
- massima tratta da www.solom.it - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: Aree
destinate all'agricoltura - Art. 62 della L.R. n. 12/2005 -
Assenza di PGT - Applicazione PRG.
Sebbene l'art. 62 della L.R. n. 12/2005 disponga che
gli interventi di ristrutturazione e ampliamento da
realizzarsi in zone destinate all'agricoltura non sono
soggetti al titolo III della predetta legge, titolo recante
la disciplina in materia di edificazione nelle aree
destinate all'agricoltura, ma sono regolati dal PGT, in
assenza di quest'ultimo, si applicano le norme del PRG che
nel caso di specie non consentono tali tipi di interventi
edilizi (TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza
20.12.2006 n. 3014
- massima tratta da www.solom.it - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI
AMMINISTRATIVI: Accesso
agli atti - Controinteressato - Legittimazione attiva -
Sussiste - Ricorso ordinario - Necessità - Ricorso ex art.
25 L. 241/1990 - Inammissibilità.
Sebbene, in qualità di controinteressata, il soggetto che
dall'esercizio dell'accesso vedrebbe compromesso il diritto
alla propria riservatezza così come stabilito all'art. 23,
co. 1, lett. c), L. 241/1990, risulta pienamente legittimato
ad opporsi alla determinazione che ha accolto l'istanza di
accesso, tuttavia, ogni censura avverso l'anzidetta
determinazione -proposta appunto dalla parte "controinteressata"-
deve assumere la forma di impugnazione, nelle forme
ordinarie, dell'atto che ha consentito l'accesso
documentale: il rito accelerato ex art. 25 L. 241/1990
risulta, infatti, concepito per assicurare una rapida tutela
ai soggetti interessati all'ostensione di atti
amministrativi, con esclusione dei portatori dell'opposta
istanza alla non esibizione dei medesimi, i quali possono
seguire il rito ordinario; il ricorso presentato nelle
suddette forme deve pertanto essere dichiarato inammissibile
(TAR Lombardia-Brescia,
sentenza 20.12.2006 n. 1622
- massima
tratta da www.solom.it - link a
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EDILIZIA
PRIVATA: Concessione
edilizia - Ipotesi di gratuità - Non sussiste.
Seppure il garage per il quale è stata presentata istanza
per a concessione edilizia sarà adibito a ricovero per gli
autobus del servizio di trasporto urbano non vi sono i
presupposti per l'applicazione dell'art. 9, lett. f), della
l. n. 10 del 1977 che prevede la gratuità della
concessione edilizia: il beneficio del garage in quanto
destinato ad uso pubblico o collettivo è un beneficio
temporalmente limitato, che verrà comunque meno alla
scadenza del termine ventennale del vincolo di destinazione
pubblicistica del bene; una volta scaduto tale vincolo il
garage resterà liberamente fruibile dai privati.
Va aggiunto che il fine dell'esenzione non è quello di
esonerare l'imprenditore dai costi dell'impresa, ma di
evitare la contribuzione quando questa sarebbe
contraddittoria. Ed infatti, i contributi di urbanizzazione
si giustificano per gli oneri che la collettività sopporta a
vantaggio del soggetto che costruisce, sicché non avrebbe
senso per le opere costruite a carico della collettività
stessa (TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza
19.12.2006 n. 3009
- massima tratta da www.solom.it - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA: Piano
di lottizzazione - Convenzione di lottizzazione - Natura
pubblicistica e principi civilistici - Sussiste.
La convenzione di lottizzazione, a causa dei profili di
stampo giuspubblicistico che si accompagnano allo strumento
dichiaratamente contrattuale, rappresenta un istituto di
complessa ricostruzione nel quale, tuttavia, l'incontro
delle volontà delle parti contraenti nell'esercizio
dell'autonomia negoziale è retta dai principi civilistici.
Sulla clausola che regola la cessione di immobili per la
realizzazione delle opere di urbanizzazione nell'ambito
della lottizzazione e sulla nullità della clausola medesima
per violazione dell'art. 28 della l. n. 1150 del 1942 -che
regola la cessione di immobili per la realizzazione delle
opere di urbanizzazione nell'ambito della lottizzazione di
aree- la giurisprudenza amministrativa ha avuto modo di
affermare che l'argomento secondo cui la suddetta clausola,
quando è indeterminata la quantificazione degli oneri di
urbanizzazione, non è affetta da nullità: l'art. citato
lascia un indubbio margine all'amministrazione nel
commisurare in concreto l'entità dei predetti oneri i quali
vanno calcolati tenendo conto della peculiarità della
lottizzazione proposta dall'interessato (TAR
Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza
19.12.2006 n. 3001
- massima tratta da www.solom.it - link a
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EDILIZIA
PRIVATA: Oneri
di urbanizzazione - Costo di costruzione -
Natura.
L'obbligazione relativa agli oneri di
urbanizzazione ha natura ben diversa da quella attinente al
costo di costruzione: quest'ultima obbligazione, infatti, è
definibile come acausale, in quanto connessa alla mera
utilizzazione edificatoria del territorio, ed è ritenuta,
perciò, di natura paratributaria.
La prima, invece, è un'obbligazione causale,
con carattere di corrispettivo di diritto
pubblico di natura non tributaria dovuto dal
titolare della concessione edilizia per la
partecipazione ai costi delle opere di
urbanizzazione connessi all'edificazione (TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza
15.12.2006 n. 2989
- massima tratta da www.solom.it - link a
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EDILIZIA
PRIVATA: 1. Mutamento di destinazione d'uso - Oneri di urbanizzazione
- Pagamento - Aumento del carico urbanistico.
2. Mutamento di destinazione d'uso - Modalità di utilizzo
del bene - Funzionalità acquisite.
1. In sede di rilascio della concessione edilizia, al
quale consegua il mutamento di destinazione d'uso
dell'immobile, il pagamento del contributo per oneri di
urbanizzazione va corrisposto ogni qual volta si rinvenga, a
seguito dell'intervento edilizio, un aumento del carico
urbanistico.
2. Al fine di accertare se vi sia stato un mutamento
di destinazione d'uso, bisogna considerare non solo la
modalità di utilizzo del bene, quanto, soprattutto, le
funzionalità da esso acquisite in forza degli interventi
edilizi (TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza
15.12.2006 n. 2989
- massima tratta da www.solom.it - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI
AMMINISTRATIVI: Osservazioni
ex art. 10-bis L. 241/990 - Provvedimento finale - Mancata
indicazione espressa delle ragioni ostative all'accoglimento
delle osservazioni - Illegittimità.
E' illegittimo, da un punto di vista meramente
procedimentale, il provvedimento finale che non dia conto
delle motivazioni in risposta alle osservazioni proposte da
parte ricorrente, a seguito dell'avviso ex art. 10-bis L.
241/990, limitandosi a rispondere apoditticamente e con una
formula di mero stile; tale carenza integra la violazione
dell'art. 10-bis, che invece richiede di dare espressamente
conto delle ragioni che hanno portato a disattendere, in
fase di controdeduzioni, le osservazioni formulate (TAR
Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza
14.12.2006 n. 2988
- massima tratta da www.solom.it - link a
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CONSIGLIERI
COMUNALI - URBANISTICA: 1.
Variante al P.R.G. - Approvazione osservazione -
Deliberazione del Consiglio Comunale - Legittimità.
2. Piano attuativo - Previsioni urbanistiche - Efficacia.
1. E' legittima in parte la delibera del Consiglio
Comunale di approvazione dell'osservazione alla variante al
PRG sottoscritta da un consigliere comunale: il consigliere
ha sottoscritto la stessa osservazione non in qualità di
proprietario di uno dei lotti, ma proprio nella sua veste di
consigliere comunale.
Risulta, dunque, indimostrata l'esistenza di quell'interesse
proprio del consigliere comunale dal quale la giurisprudenza
fa derivare, in capo al consigliere stesso, l'obbligo di
astenersi dal prendere parte alle delibere aventi ad oggetto
questioni che possano suscitare il suddetto interesse (cfr.
C.d.S., sez. IV, n. 6596 del 2000).
2. La delibera consiliare suddetta è, invece,
illegittima nella parte in cui si fonda sul presupposto
della validità ed efficacia di una previsione pianificatoria
che, invece, non era più idonea a produrre effetti.
Infatti, per la previsione del progetto originario della
lottizzazione che aveva individuato la superficie da
destinare a parcheggio non può non ritenersi decorso il
termine decennale di efficacia, atteso il risalire di tale
previsione al 1976: per costante giurisprudenza, il termine
decennale di efficacia ex art. 16 della l. n. 1150/1942 si
applica anche ai Piani di Lottizzazione, con riguardo alle
disposizioni a contenuto espropriativi, mentre le
prescrizioni urbanistiche di piano restano vincolanti ed
operanti senza limiti di tempo, fino all'eventuale
approvazione di un nuovo Piano attuativo (TAR
Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 12.12.2006 n. 2902
- massima tratta da www.solom.it - link a
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EDILIZIA
PRIVATA: Concessione
edilizia - Magazzino ad uso industriale e parcheggio -
Contributo di concessione - Richiesta restituzione parziale
e domanda accessoria di pagamento interessi.
Debitamente comprovato in giudizio l'avvenuto versamento
dovuto dalla ricorrente all'amministrazione comunale per la
costruzione di un magazzino ad uso industriale, risulta
essere legittima la richiesta della medesima ricorrente ad
ottenere lo scomputo della somma pari alle opere di
urbanizzazione direttamente realizzate dalla stessa (somma
versata in eccesso) dagli oneri effettivamente dovuti.
E' altresì legittima la domanda accessoria di pagamento
degli interessi ma la decorrenza degli interessi va fissata
(ex art. 2033 c.c.) dalla data di proposizione della domanda
giudiziale e non dalle date di pagamento dei ratei
corrisposti, dovendosi presumere la buona fede del Comune
percipiente (TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza
12.12.2006 n. 2901
- massima tratta da www.solom.it - link a
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APPALTI: Gare
d’appalto: le buste si aprono dopo la fissazione dei
criteri.
E’ noto, in materia di
gare pubbliche, l’orientamento costante della giurisprudenza
che riconnette valenza di vizio procedimentale insanabile
(anche a prescindere dall’esame delle ricadute concrete
sull’attribuzione del punteggio alle ditte offerenti, salva
la prova della resistenza) alla interversione delle
operazioni di apertura delle buste contenenti la offerta
tecnica rispetto alla fissazione dei criteri o sub-criteri
valutativi da parte dell’Organo tecnico chiamato ad
elaborarli.
In tale evenienza, infatti, è fin troppo evidente che nella
formulazione dei criteri valutativi i membri del Seggio di
gara possono essere influenzati dalla conoscenza previa
delle effettiva consistenza delle offerte delle ditte, sì da
orientare la selezione e la stessa graduazione dei
sub-criteri tra i partecipanti in funzione della differente
modulazione di ciascuna offerta, in modo da condizionare
l’esito della gara
(TAR
Puglia-Lecce, Sez. II,
sentenza 11.12.2006 n. 5845
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EDILIZIA
PRIVATA: 1.
Condono - Certificato di assenza di danno ambientale -
Competenza - Comune - Potere di annullamento -
Soprintendenza per i beni ambientali e architettonici -
limitazione - Profili di illegittimità.
2. Condono - Certificato di assenza di danno ambientale -
Disparità di trattamento - Effettiva identità - Necessità.
1. Nella valutazione di assenza di danno ambientale
finalizzata al condono di opere abusive, l'azione tesa a
coniugare l'interesse pubblico con le ragioni del privato
proprietario costituisce compito precipuo
dell'amministrazione comunale, cui unicamente spetta
l'apprezzamento ed il giudizio complessivo in ordine ai
fatti coinvolti nella vicenda concreta: è pacifico infatti
che il potere di annullamento da parte del Ministero per i
Beni e le Attività Culturali, tramite la Soprintendenza per
i Beni Ambientali ed Architettonici, può riguardare soltanto
profili di illegittimità, ivi compreso il difetto di
motivazione o di istruttoria nonché l'eccesso di potere
sotto ogni profilo, senza estendersi alle valutazioni di
merito che rientrano nelle competenze dei Comuni,
preventivamente delegati dalla Regione.
2. La valutazione preordinata al rilascio del nulla
osta paesistico ha per oggetto la tutela di un bene
costituzionale primario e l'inderogabilità dei valori
salvaguardati dal vincolo si riflette sull'azione
amministrativa improntata alla massima cautela
nell'esaminare ogni profilo dell'intervento edilizio che
possa risolversi nella compromissione dei valori ambientali:
ne segue che la disparità di trattamento tra situazioni di
eguale contenuto in questa materia deve accertarsi con
rigore e che la positiva verifica del vizio di legittimità è
riscontrabile solo in caso di valutazioni macroscopicamente
erronee: sintonia di un'opera abusiva con l'ambiente deve
essere verificata in concreto, mentre l'eventuale
incontrollato rilascio di titoli edilizi in sanatoria di
situazioni ipoteticamente analoghe non può legittimare ex
se l'emissione di un provvedimento di condono: in questa
materia, dunque, la censura di disparità di trattamento
presuppone l'effettiva identità tra il caso già valutato
dall'amministrazione e quello oggetto del contenzioso,
atteso che la figura sintomatica di eccesso di potere si
configura solo quando vi sia un'assoluta identità di
situazioni oggettive, che valga a testimoniare
l'irrazionalità delle diverse conseguenze tratte
dall'amministrazione (TAR Lombardia-Brescia,
sentenza
05.12.2006 n. 1547
- massima tratta da www.solom.it - link a
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EDILIZIA
PRIVATA:
Poteri repressivi e obbligo di comunicazione di avvio
del procedimento.
La regola posta
dall’art. 7 della L. n. 241/1990 che impone alle pp.aa.
l’obbligo di comunicare l’avvio del procedimento
amministrativo ai soggetti nei cui confronti il
provvedimento finale è destinato a produrre effetti, non
subisce eccezione nel caso di esercizio del potere
repressivo degli abusi edilizi
(TAR Campania-Napoli, Sez. II,
sentenza 04.12.2006 n. 10359
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EDILIZIA
PRIVATA - LAVORI PUBBLICI: Mancata
notifica individuale del provvedimento di ampliamento del
cimitero e contestuale riduzione fascia di rispetto a chi
risiede in immobile vicino al cimitero - Termine di
impugnativa del provvedimento - Non decorre.
Verifica esistenza del nuovo muro di cinta del cimitero -
Termine di impugnativa del provvedimento di ampliamento del
cimitero - Non decorre.
Obbligo di rispetto della fascia di rispetto
cimiteriale - Mancata identificazione di "centro abitato" -
Esistenza di numerosi edifici che costituiscono un "abitato"
- Sussiste.
Chi risiede in un immobile a breve distanza dal cimitero è
direttamente interessato dal progetto di ampliamento e dalla
conseguente riduzione della fascia di rispetto, e pertanto
ha titolo alla notificazione individuale del provvedimento
di ampliamento e di sistemazione del cimitero, che riducono
la profondità della fascia di rispetto al di sotto del
minimo legale, in mancanza di tale notificazione
individuale, salva l'acquisizione aliunde della piena
conoscenza del provvedimento, il termine per impugnare non
decorre.
Tale termine non decorre nemmeno dalla verifica
dell'esistenza del nuovo muro di cinta del cimitero,
trattandosi di fatto di per sé inidoneo a determinare la
conoscenza dei provvedimenti atti a legittimare
l'ampliamento del cimitero.
In assenza di una identificazione di "centro abitato",
per il quale vige normalmente l'obbligo di rispetto della
fascia di rispetto cimiteriale, deve considerarsi tale,
anche l'esistenza di numerosi edifici che di per sé
costituiscono un "abitato" (TAR Lombardia-Milano,
Sez. II,
sentenza
04.12.2006 n. 2856
- massima tratta da www.solom.it - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA: Piano
di recupero - Provvedimento di adozione - Impugnazione -
Legittimità.
E' legittimo il ricorso proposto dall'usufruttuario di una
villetta a due piani, sita in un contesto urbano
residenziale, avverso il piano di recupero di un
insediamento produttivo dimesso.
Va disattesa l'eccezione di tardività del ricorso in quanto
la lesione lamentata dal ricorrente è riconducibile
all'approvazione definitiva di detto piano la cui
impugnazione è stata rettamente estesa al provvedimento di
adozione, per il quale non è configurabile alcun onere di
impugnazione immediata.
Altresì la delibera di approvazione del PdR è corredata da
un parere di regolarità tecnica che fa riferimento ad altro
comparto e ad altra zona. Non può essere seguita, infatti,
la difesa comunale secondo la quale si tratterebbe di un
refuso (TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 30.11.2006 n. 2855
- massima tratta da www.solom.it - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: Immobili
di interesse storico-artistico: i presupposti per
l'apposizione del vincolo.
La legge 01.06.1939 n.
1089, recante la disciplina della tutela delle cose
artistiche e storiche, ai sensi della quale è stato apposto
il vincolo che trattasi, all’art. 1 comma 3 stabilisce che:
“non sono soggette alla disciplina della presente legge
le opere di autori viventi o la cui esecuzione non risalga
ad oltre cinquant’anni”.
Ora nel caso di specie, quanto all’epoca di realizzazione
dell’immobile di proprietà della ricorrente si riferisce
nella relazione allegata al decreto di vincolo che la
sopraelevazione venne realizzata nel 1949, ciò nondimeno a
fronte di tale generica indicazione della data di
realizzazione da parte dell’Amministrazione intimata, parte
ricorrente eccepisce che in realtà l’opera sarebbe stata
realizzata solo nel 1951 e per il vero al riguardo fornisce
elementi abbastanza precisi, lì dove cita il numero della
licenza edilizia (la n. YY) e la data del rilascio di tale
autorizzazione a costruire (28.02.1951).
Le “ragioni” assunte a sostegno della pronunciata
dichiarazione di particolare interesse ai fini in esame
dell’immobile di proprietà dei ricorrenti sono alquanto
generiche se non striminzite, rivelandosi insufficienti a
dare un’idea di pregio della consistenza tale da far
meritare a alla porzione di fabbricato in questione
l’apposizione del vincolo storico-artistico in questione.
Invero, la relazione allegata più volte citata si sofferma
diffusamente e specificatamente sul piano terreno
dell’edificio, quello costituito, appunto, dal padiglione i
cui tratti artistici non vengono messi in discussione, ma
sul soprelevato appartamento non sono forniti adeguati
elementi di giudizio volti a confermate la pregevolezza
dell’opera e l’identità dello stile architettonico col piano
sottostante, limitandosi il provvedimento impugnato, sempre
nella suindicata relazione ad affermare che “la tensione
compositiva ed evocativa” del padiglione “non viene
contraddetta neppure dalla sopraelevazione del volume…”:
un po’ poco, a dire il vero per giustificare l’applicabilità
del regime di tutela artistico-storica ex art. 1 della legge
n. 1089 del 1939.
Nella specie non risulta che il procedimento culminato col
provvedimento qui impugnato sia stato preceduto dalla
preventiva comunicazione dell’avvio del procedimento stesso
e non v’è dubbio che anche in subjecta materia, le
disposizioni garantistiche introdotte dalla legge 241/1990
si rendano perfettamente applicabili lì dove, invero, si è
in presenza di determinazioni della P.A. che vedono il
cittadino subire, relativamente al suo diritto di proprietà,
per effetto del vincolo, una certa compressione della sua
sfera giuridica
(TAR
Toscana-Firenze, Sez. I,
sentenza 27.11.2006 n. 6030
- link a www.altalex.com). |
URBANISTICA: Destinazione
a zona agricola - Finalità di tutela ambientale.
Osservazioni al P.R.G. - Reiezione - Motivazione - Obbligo -
Non sussiste.
L'attribuzione ad una data area della destinazione a zona
agricola ben può essere dettata da finalità di tutela
ambientale. Essendo le osservazioni presentate nei riguardi
del P.R.G. dei semplici apporti collaborativi, la loro
reiezione non richiede una specifica motivazione e ciò
quand'anche esse siano state accettate con deliberazione del
consiglio comunale.
Tale conclusione si giustifica con il fatto che le
osservazioni dei privati al P.R.G. adottato, seppur
accettate dal Comune, non entrano a far parte del Piano se
non a seguito del loro eventuale recepimento nello strumento
urbanistico per effetto di una specifica modifica che l'Ente
territoriale a ciò deputato -di regola la Regione- ritenga
di apportarvi (TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 24.11.2006 n. 2847
- massima tratta da www.solom.it - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
Modifiche al P.R.G. in sede regionale e destinazione a
zona agricola.
L’art. 10, secondo
comma, lett. c), della l. n. 1150/1942 prevede il potere
della Regione di proporre le modifiche d’ufficio al P.R.G.
riconosciute indispensabili per assicurare la tutela del
paesaggio, nonché di complessi storici, monumentali,
ambientali ed archeologici. La giurisprudenza costante
afferma che l’attribuzione ad una data area della
destinazione a zona agricola ben può essere dettata da
finalità di tutela ambientale.
Se ne desume che l’attribuzione ad opera della Regione, in
sede di proposta di modifiche d’ufficio del P.R.G., al
terreno di proprietà della ricorrente, della destinazione a
zona agricola sia pienamente riconducibile alla previsione
di cui all’art. 10, secondo comma, lett. c), della l. n.
1150/1942.
Sul punto va anzi aggiunto che la riconduzione della
fattispecie in esame all’art. 10, secondo comma, lett. c),
della l. n. 1150/1942 dimostra, altresì, che la doglianza
basata sull’asserito carattere di innovazione sostanziale
della modifica contestata, oltre che non decisiva, è anche
infondata. Infatti, secondo la costante giurisprudenza, le
modifiche finalizzate –com’è nel caso di specie– alla tutela
dell’ambiente e del paesaggio, essendo, per l’appunto,
distintamente previste dalla lett. c) del secondo comma
dell’art. 10 cit., non soggiacciono al limite concernente il
divieto di innovazioni sostanziali posto dalla prima parte
del secondo comma del medesimo art. 10
(TAR
Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 24.11.2006 n. 2847
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EDILIZIA
PRIVATA: Permesso
di costruire - Impugnazione - Piena conoscenza - Percezione
elementi essenziali dell'atto sufficienti a renderne
valutabile la lesività.
Ai fini dell'impugnazione della concessione edilizia
rilasciata al controinteressato, la c.d. piena conoscenza
del provvedimento, da cui decorre il termine di
impugnazione, si realizza non già quando l'interessato ha
ottenuto il rilascio di copia dell'atto in questione, ma
quando egli ha avuto modo di percepire gli elementi
essenziali dell'atto, necessari e sufficienti a renderne
valutabile la lesività e ciò all'evidente scopo di tutelare
sia l'effettiva possibilità dell'impugnazione degli atti
amministrativi lesivi, sia dell'esigenza che detti atti
divengano inoppugnabili, fornendo ai loro destinatari
posizioni giuridiche certe (Consiglio di Stato, Sez. V,
26.01.1996, n. 77) (TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 23.11.2006 n. 2835
- massima tratta da www.solom.it - link a
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EDILIZIA
PRIVATA: Concessione
edilizia - Diniego - Legittimità.
E' legittimo il diniego della concessione edilizia e
l'ordinanza di demolizione e rimessa in pristino aventi ad
oggetto la realizzazione di opere riguardanti un fienile:
1) una tettoia avente carattere di stabilità, realizzata in
aderenza ad un preesistente fabbricato ed idonea ad
un'utilizzazione autonoma, costituisce un'opera esterna, per
la cui realizzazione occorre la concessione edilizia, né può
essere considerata una mera pertinenza;
2) non è applicabile la deroga prevista dall'art. 4.3 delle
N.T.A. del P.R.G. nelle parte in cui consente l'ampliamento
delle aziende agricole esistenti alla data di entrata in
vigore della legge regionale n. 93 del 1980 nei limiti del
50% di quanto già esistente (TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 23.11.2006 n. 2834
- massima tratta da www.solom.it - link a
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URBANISTICA: Reiterazione
vincoli espropriativi - Motivazione sulla perdurante
attualità - Necessità - Piano finanziario per far fronte
agli indennizzi - Contestualità - Non è necessario.
La reiterazione dei vincoli di espropriazione non può
prescindere dalla presenza di una congrua e specifica
motivazione sulla perdurante attualità della previsione,
comparata con gli interessi privati, conseguente allo
svolgimento di adeguate indagini, infatti, la motivazione,
in tale ipotesi, quale eccezione alla generale regola che
non impone tale obbligo per gli atti a carattere generale,
deve ancorarsi ad una serie di parametri obiettivi, dovendo
essere evidenziate, oltre alla persistenza dell'interesse
pubblico e alla sua attualità, le specifiche ragioni del
ritardo che hanno determinato la decadenza del vincolo, la
mancanza di possibili soluzioni alternative o di
perequazione fra i proprietari espropriabili e, dunque, la
ineluttabilità della scelta dell'area già vincolata, la
serietà e affidabilità della realizzazione entro il termine
quinquennale di durata con la precisazione delle iniziative
mediante le quali il procedimento ablativo verrà portato a
compimento, la ragionevole dimostrazione, sulla scorta della
situazione dei luoghi, che la rinnovazione del vincolo sulla
stessa area è necessaria per realizzare l'opera o
l'intervento pubblico.
Vi è tuttavia da precisare che non è necessaria la
contestualità tra piano finanziario per far fronte agli
indennizzi conseguenti al rinnovo dei vincoli e la variante
al piano regolatore che li prevede (TAR Lombardia-Brescia,
sentenza 10.11.2006 n. 1393
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URBANISTICA: Variante
semplificata ex L.R. 23/1997 - Rotatoria - Ente nel cui
interesse l'opera viene realizzata - Comune - Competenza
comunale - Sussiste.
Agli effetti della L.R. 23/1997, una rotatoria situata nel
centro abitato di un Comune e riguardante l'incrocio tra una
serie di strade comunali e una strada provinciale, non è
opera pubblica posta ad esclusivo servizio di quest'ultima,
finanziata dal Comune ed espressamente autorizzata dalla
Provincia, va considerata di competenza Comunale, nel cui
interesse l'opera viene realizzata, non necessitando di
valutazioni, sotto il profilo urbanistico, di enti
sovraordinati (TAR Lombardia-Brescia,
sentenza
10.11.2006 n. 1391
- massima tratta da www.solom.it - link a
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URBANISTICA: Edilizia
residenziale pubblica - Cessione aree in proprietà -
Corrispettivo - Riferimento - Valore nominale al momento
dell'acquisto - Illegittimità - Valore venale attuale -
Legittimità.
Il corrispettivo delle aree cedute in proprietà ai sensi
dell'art. 31, co 48, L. 448/1998 non va determinato facendo
riferimento al valore nominale del costo di acquisizione
delle aree concesse in diritto di superficie, lucrando
l'incremento del valore immobiliare avvenuto nel corso degli
anni e include anche le aree interessate da urbanizzazioni:
è infatti la norma citata che, in modo non irragionevole ove
si consideri che gli assegnatari hanno già beneficiato di un
regime agevolato di accesso all'abitazione, ragguaglia la
somma all'attuale valore venale delle aree, in modo tale
che, per poter trasformare il diritto di superficie in
diritto di piena proprietà, gli assegnatari devono in
definitiva corrispondere al Comune una somma -diminuita di
quanto a suo tempo corrisposto per la concessione del
diritto di superficie opportunamente rivalutata- pari al
valore che avrebbe l'esproprio attuale dell'intera area
afferente l'alloggio oggetto di riscatto, includendo oltre
ai sedimi dei fabbricati, anche i terreni scoperti, le aree
interessate dalle opere di urbanizzazione primaria e
secondaria, nonché le aree pertinenziali (TAR
Lombardia-Brescia,
sentenza 08.11.2006 n. 1388
- massima tratta da www.solom.it - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: 1.
Opere abusive - Ordinanza di demolizione - Motivazione - Non
necessità - Mantenimento dell'opera - Eccezionalità -
Motivazione - Necessità.
2. Cabina elettrica di trasformazione- Procedura
autorizzativa ex LR 52/1982 - Disciplina edilizia - Rapporto
- Posizionamento in manufatto abusivo - Mantenimento - Non è
necessario.
1. L'ordinanza di demolizione di opere abusive
costituisce atto dovuto al verificarsi dei presupposti ivi
indicati e consistenti nell'accertata abusività del
manufatto per assenza del titolo concessorio e, di
conseguenza, detto provvedimento sanzionatorio non necessita
di valutazione e di motivazione in ordine all' interesse
pubblico alla demolizione. E' invece il mantenimento
dell'opera ad avere carattere eccezionale, necessitando di
un'apposita valutazione, rimessa dall'art. 7, co. 5, L.
47/1985, al Consiglio comunale; tale valutazione attiene al
merito dell'azione amministrativa e come tale non è
sindacabile in sede di legittimità, salvo sia data la
dimostrazione di profili di manifesta arbitrarietà,
illogicità o irragionevolezza.
2. Tra la procedura autorizzativa di una cabina
elettrica di trasformazione e la disciplina edilizia dei
manufatti ove questo è localizzato, esiste un rapporto di
interferenza, che il legislatore regionale ha risolto
prevedendo che l'autorizzazione all'impianto presupponga la
regolarità edilizia delle opere, come si evince dall'art. 5,
co. 1, L.R. 52/1982, che espressamente dispone che la
costruzione di opere edilizie adibite a stazioni e cabine
elettriche è subordinata alla concessione edilizia prevista
dall' art. 1 della L. 10/1977 rilasciata ai sensi dell' art.
9, lett. f), della suddetta legge.
Pertanto, dalle circostanze che la procedura autorizzativa
dell'impianto si fosse a suo regolarmente perfezionata o che
nell'ambito di questa il Comune avesse espresso parere
favorevole ovvero ancora che compete ad altro ente, diverso
dal Comune, l'emanazione del provvedimento necessario alla
modifica della sua localizzazione, non può inferirsi
l'inderogabile necessità di mantenere la cabina di
trasformazione in un manufatto abusivo (TAR
Lombardia-Brescia,
sentenza
08.11.2006 n. 1387
- massima tratta da www.solom.it - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
CONSIGLIERI
COMUNALI:
Diritto di accesso dei consiglieri comunali al Piano
regolatore generale.
Il diritto di accesso
dei consiglieri comunali, si estende a tutti i documenti e a
tutte le notizie utili all’espletamento del mandato, senza
alcuna limitazione
(TAR
Campania-Salerno, Sez. II,
sentenza 07.11.2006 n. 1961
- link a www.altalex.com). |
EDILIZIA PRIVATA: Se
non può escludersi, in linea di principio,
un'attività surrogatoria della P.A.
laddove sia riscontrata carenza in una
progettazione urbanistica od edilizia dei
requisiti legali e ciò quando
ragionevolmente risponda a criteri di
economicità e speditezza dell’azione
amministrativa, non può certamente
ammettersi, di converso, che la P.A. possa
<conformare> nei suoi aspetti <sostanziali>
l’intervento sottoposto al suo esame, al
solo scopo di evitare un pronunciamento
negativo sullo stesso.
In tale ultima ipotesi, infatti, non solo si
determinerebbe una sorta di ingiustificata
sostituzione intersoggettiva tra
l’amministrazione ed il privato, ma si
licenzierebbe altresì una attività
urbanistica od edilizia priva di un
oggettivo (e preventivo) parametro
documentale di riferimento, con ogni
immaginabile conseguenza in sede di
successivo controllo dell’attività stessa.
E' senz’altro da escludere la ammissibilità
di concessioni edilizie <condizionate>,
nella ipotesi in cui le prescrizioni imposte
dalla P.A. non solo attengano ad aspetti
sostanziali dell’intervento sottoposto al
suo esame, ma non rivestano neppure
carattere <autoesecutive>, implicando
necessariamente un’ulteriore attività da
parte del richiedente o di altro soggetto
(pubblico o privato) coinvolto nel relativo
procedimento, allo scopo di poter
compiutamente definire l’oggetto della
concessione medesima, e la sua conformità ai
parametri legali.
Questo tribunale ha già avuto modo di
precisare in quale misura la riscontrata
carenza in una progettazione urbanistica od
edilizia dei requisiti legali possa essere <surrogata>
dall’attività della P.A., attraverso il
rilascio di un atto di assenso variamente
condizionato.
Se infatti non può escludersi, in linea di
principio, una attività in tal senso quando
ragionevolmente risponda a criteri di
economicità e speditezza dell’azione
amministrativa, non può certamente
ammettersi, di converso, che la P.A. possa <conformare>
nei suoi aspetti <sostanziali>
l’intervento sottoposto al suo esame, al
solo scopo di evitare un pronunciamento
negativo sullo stesso.
In tale ultima ipotesi, infatti, non solo si
determinerebbe una sorta di ingiustificata
sostituzione intersoggettiva tra
l’amministrazione ed il privato, ma si
licenzierebbe altresì una attività
urbanistica od edilizia priva di un
oggettivo (e preventivo) parametro
documentale di riferimento, con ogni
immaginabile conseguenza in sede di
successivo controllo dell’attività stessa.
Così, per quanto qui rileva, è senz’altro da
escludere la ammissibilità di concessioni
edilizie <condizionate>, nella
ipotesi in cui le prescrizioni imposte dalla
P.A. non solo attengano ad aspetti
sostanziali dell’intervento sottoposto al
suo esame, ma non rivestano neppure
carattere <autoesecutive>, implicando
necessariamente un’ulteriore attività da
parte del richiedente o di altro soggetto
(pubblico o privato) coinvolto nel relativo
procedimento, allo scopo di poter
compiutamente definire l’oggetto della
concessione medesima, e la sua conformità ai
parametri legali.
E’ evidente infatti che in questa ipotesi,
il risultato della ulteriore attività
prescritta debba necessariamente essere
valutato dall’amministrazione prima del
rilascio del richiesto titolo edilizio,
difettando altrimenti una seria e compiuta
conoscenza dell’intervento concessionato,
sia nella sua consistenza materiale che (e
soprattutto) nella sua rispondenza alla
normativa di settore (cfr. TAR Liguria, Sez.
I, 21.01.2000 n. 35) (TAR Liguria, Sez. I,
sentenza 08.05.2006 n. 433 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Le
c.d. condizioni apposte alle concessioni non
possono consistere in comportamenti
risolutivi del titolo concessorio perché il
rilascio non può essere fatto dipendere né a
priori né a posteriori da fatti imputabili
al concessionario o da adempimenti
successivi al rilascio comunque qualificati.
La giurisprudenza, infatti, ritiene che sia
illegittima l'apposizione di una condizione,
non importa se sospensiva o risolutiva, alla
concessione edilizia, salvi i casi
espressamente previsti dalla legge, stante
la natura d'accertamento costitutivo a
carattere non negoziale di detto
provvedimento.
Ne consegue che, quantunque nella prassi
molte concessioni vengano emesse in forma
c.d. condizionata, si deve ritenere che
queste non siano vere condizioni ma
prescrizioni che ne condizionano (non la
legittimità) ma l’esercizio e che dunque la
loro inosservanza può determinare sanzioni,
quali la sospensione dei lavori ed i
successivi provvedimenti sino alla
decadenza, ma non, come sostiene la difesa
dell’amministrazione, l’illegittimità ab
origine della concessione oppure il venir
meno dei presupposti essenziali per il suo
rilascio e dunque, l’annullamento o la
revoca d’essa a titolo sanzionatorio
Il Collegio osserva, in generale, che -come
è noto- le concessioni non sono revocabili e
che esse possono essere annullate solo per
motivi di legittimità previa valutazione
dell’interesse pubblico in funzione della
comparazione degli interessi coinvolti.
Possono, infine, essere dichiarate decadute
per inattività e/o sopravvenienza di nuove
previsioni urbanistiche contrastanti con il
loro rilascio, ma si tratta di un potere
diverso che non attiene alla legittimità
della concessione ma al venir meno della sua
efficacia per scadenza del termine fissato
ex lege.
Ne consegue che le c.d. condizioni apposte
alle concessioni non possono consistere in
comportamenti risolutivi del titolo
concessorio perché il rilascio non può
essere fatto dipendere né a priori né a
posteriori da fatti imputabili al
concessionario o da adempimenti successivi
al rilascio comunque qualificati.
La giurisprudenza, infatti, ritiene che sia
illegittima l'apposizione di una condizione,
non importa se sospensiva o risolutiva, alla
concessione edilizia, salvi i casi
espressamente previsti dalla legge, stante
la natura d'accertamento costitutivo a
carattere non negoziale di detto
provvedimento (cfr. C.d.S. C.d.S. sez. 5^,
24.03.2001 n. 1702).
Ne consegue che, quantunque nella prassi
molte concessioni vengano emesse in forma
c.d. condizionata, si deve ritenere che
queste non siano vere condizioni ma
prescrizioni che ne condizionano (non la
legittimità) ma l’esercizio e che dunque la
loro inosservanza può determinare sanzioni,
quali la sospensione dei lavori ed i
successivi provvedimenti sino alla
decadenza, ma non, come sostiene la difesa
dell’amministrazione, l’illegittimità ab
origine della concessione oppure il
venir meno dei presupposti essenziali per il
suo rilascio e dunque, l’annullamento o la
revoca d’essa a titolo sanzionatorio (TAR
Veneto, Sez. I,
sentenza 20.10.2004 n. 3732 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AGGIORNAMENTO AL 16.08.2011 |
ã |
CASTA DI POLITICANTI,
LA MISURA E' COLMA:
ANDATEVENE A CASA !!! |
Chi vuol fare un'esperienza politica o
politico-amministrativa sa, o dovrebbe sapere, che
sceglie di dedicare parte del suo tempo di vita
privata agli altri, alla gestione della "cosa
pubblica" nell'interesse del bene comune.
Invece, è sotto gli occhi di tutti che il Politico
(con la P maiuscola) non esiste più o, tutt'al più,
è merce rarissima e ci sono dei "politicanti"
che arrancano nel buio cercando di far credere
all'opinione pubblica che sono fedeli al mandato
elettorale che hanno ricevuto e che, al contrario,
sono ben saldi ed incollati alle loro poltrone
dorate per una cosa soltanto:
salvaguardare i
loro privilegi economico-sociali.
La "MANOVRA-BIS" (economico-finanziaria di
cui al D.L. 13.08.2011 n. 138) di ferragosto è
semplicemente scandalosa, laddove si colpiscono
tutti (o quasi) ma che, in realtà, chi ci rimette
veramente sono milioni di Italiani che alla fine del
mese non ci arrivano e si indebitano sempre più
nell'arrangiarsi a campare quotidianamente.
E la casta dei
politicanti?? Cosa ci mette di suo in questo momento
di duri e pesanti sacrifici??
Il Governo, poco tempo
fa, ha licenziato il ddl costituzionale (ad oggi,
chi l'ha visto??) per la riforma del bicameralismo
perfetto con la riduzione dei parlamentari e,
conseguentemente, con la riduzione dei costi della
politica. Ma alcuni osservatori di quotidiani
nazionali fanno notare che, di fatto, è una presa
per i fondelli poiché non vi sono i tempi tecnici,
in questa legislatura, per portare ad approvazione
il ddl costituzionale de quo dato il
necessario doppio passaggio alle Camere.
E allora?? Non si
poteva prendere al volo il treno di questa "MANOVRA-BIS"
per inserire anche il taglio di quei privilegi della
"casta dei politicanti" che tanto fanno
odiare la Politica (quella con la P maiuscola) ed
accrescono il malcontento popolare e la disaffezione
alle Istituzioni??
Cerchiamo di capirci
con un esempio puntuale, già pubblicizzato a iosa a
destra e manca, ma che vale la pena di ricordalo
ancora una volta: gli stipendi, con annessi e
connessi, dei parlamentari italiani di cui alla
sotto riportata tabella (fonte sito web CAMERA DEI
DEPUTATI e SENATO DELLA REPUBBLICA). |
CAMERA DEI DEPUTATI |
1- indennità
parlamentare: € 11.703,64 lordi mensili
[L'indennità è fissata in misura non superiore al
trattamento complessivo massimo annuo lordo dei
magistrati con funzioni di presidente di Sezione
della Corte di Cassazione ed equiparate. Tale misura
è stata rideterminata in riduzione dall'art. 1,
comma 52, della legge 23.12.2005, n. 266 (legge
finanziaria per il 2006).
L'indennità è corrisposta per 12 mensilità.
L'importo mensile -che, a seguito della delibera
dell'Ufficio di Presidenza del 17.01.2006, è stato
ridotto del 10%- è pari a 5.486,58 euro, al netto
delle ritenute previdenziali (€ 784,14) e
assistenziali (€ 526,66) della quota contributiva
per l'assegno vitalizio (€ 1.006,51) e della
ritenuta fiscale (€ 3.899,75)];
2- diaria: € 4.003,11
netti mensili [Viene riconosciuta,
a titolo di rimborso delle spese di soggiorno a
Roma, sulla base della legge n. 1261 del 1965.
La diaria ammonta a 4.003,11 euro mensili. Tale
somma viene ridotta di 206,58 euro per ogni giorno
di assenza del deputato da quelle sedute
dell'Assemblea in cui si svolgono votazioni, che
avvengono con il procedimento elettronico.
È considerato presente il deputato che partecipa
almeno al 30 per cento delle votazioni effettuate
nell'arco della giornata];
3- rimborso per spese
inerenti al rapporto tra eletto ed elettori: €
4.190,00 netti mensili [A titolo
di rimborso forfetario per le spese inerenti al
rapporto tra eletto ed elettori, al deputato è
attribuita una somma mensile di 4.190 euro, che
viene erogata tramite il gruppo parlamentare di
appartenenza.
Ai deputati non è riconosciuto alcun rimborso per le
spese postali a decorrere dal 1990];
4- spese di trasporto e
spese di viaggio: € 3.323,70 o € 3.995,10 netti
trimestrali [I deputati
usufruiscono di tessere per la libera circolazione
autostradale, ferroviaria, marittima ed aerea per i
trasferimenti sul territorio nazionale.
Per i trasferimenti dal luogo di residenza
all'aeroporto più vicino e tra l'aeroporto di
Roma-Fiumicino e Montecitorio, è previsto un
rimborso spese trimestrale pari a 3.323,70 euro, per
il deputato che deve percorrere fino a 100 km per
raggiungere l'aeroporto più vicino al luogo di
residenza, ed a 3.995,10 euro se la distanza da
percorrere è superiore a 100 km];
5- spese telefoniche: €
3.098,74 netti annui [La Camera
non fornisce ai deputati telefoni cellulari];
6- assistenza sanitaria
[Il deputato versa mensilmente, in un apposito
fondo, una quota del 4,5 per cento della propria
indennità lorda, pari a 526,66 euro, destinata al
sistema di assistenza sanitaria integrativa che
eroga rimborsi secondo quanto previsto da un
tariffario];
7- assegno di fine
mandato [Il deputato versa
mensilmente, in un apposito fondo, una quota del 6,7
per cento della propria indennità lorda, pari a
784,14 euro.
Al termine del mandato parlamentare, il deputato
riceve l'assegno di fine mandato, che è pari all'80
per cento dell'importo mensile lordo dell'indennità,
per ogni anno di mandato effettivo (o frazione non
inferiore ai sei mesi)];
8- assegno vitalizio
[Il deputato versa mensilmente una quota -l'8,6
per cento, pari a 1.006,51 euro- della propria
indennità lorda, che viene accantonata per il
pagamento degli assegni vitalizi, come previsto da
un apposito Regolamento approvato dall'Ufficio di
Presidenza il 30.07.1997.
In base alle norme contenute in tale Regolamento, il
deputato riceve il vitalizio a partire dal 65° anno
di età. Il limite di età diminuisce fino al 60° anno
di età in relazione agli anni di mandato
parlamentare svolti.
L'importo dell'assegno varia da un minimo del 25 per
cento a un massimo dell'80 per cento dell'indennità
parlamentare, a seconda degli anni di mandato
parlamentare.
Il Regolamento prevede infine la sospensione del
pagamento del vitalizio qualora il deputato sia
rieletto al Parlamento nazionale ovvero sia eletto
al Parlamento europeo o ad un Consiglio regionale.
Per leggere l'elenco e l'importo dei vitalizi
erogati
clicca qui.
-----
Modifiche alla disciplina dell'assegno vitalizio
(Deliberazione dell'Ufficio di Presidenza del
23.07.2007).
1) Per i deputati eletti per la prima volta a
decorrere dalla XVI legislatura l'importo
dell'assegno vitalizio varierà da un minimo del 20
per cento ad un massimo del 60 per cento.
2) A decorrere dalla XVI legislatura è stata
soppressa la facoltà per il deputato di riscattare,
mediante contribuzione volontaria, gli anni di
mandato non esercitati in caso di legislature
incomplete. A seguito di tale soppressione i periodi
di versamento dei contributi coincidono
necessariamente con gli anni effettivi di mandato.
3) La sospensione del pagamento dell'assegno
vitalizio è stata estesa al caso in cui il titolare
del vitalizio assuma successivamente all'01.01.2008
cariche pubbliche che prevedano una indennità il cui
importo sia pari o superiore al 40 per cento
dell'indennità parlamentare; alla sospensione non si
procede qualora l'interessato opti per l'assegno
vitalizio in luogo dell'indennità]. |
SENATO DELLA REPUBBLICA |
1- indennità
parlamentare: € 12.005,95 lordi mensili
[Al netto delle ritenute fiscali e dei contributi
obbligatori per l'assegno vitalizio, per l'assegno
di fine mandato e per l'assistenza sanitaria,
l'indennità mensile si riduce ad euro 5.613,63 (ed è
erogata per 12 mensilità).
Nel caso in cui il Senatore versi anche la quota
aggiuntiva per la reversibilità dell'assegno
vitalizio, l'importo indicato scende a 5.355,50
euro.
Ovviamente da tali importi vanno poi sottratte le
addizionali all'IRPEF, che variano a seconda della
Regione e del Comune di residenza: l'indennità netta
mensile corrisposta ai Senatori nei nove mesi in cui
sono trattenute le predette addizionali oscilla da
5.227,55 a 4.965,99 euro];
2- rimborsi
forfettari di spesa:
a) diaria a
titolo di rimborso delle spese di soggiorno: €
3.500,00 netti al mese
[Periodicamente aggiornata in funzione dell'aumento
del costo della vita, la diaria è stata erogata dal
2001 al 2010 nella misura di 4.003 euro al mese.
È stata poi ridotta a 3.500 euro a decorrere
dall'01.012011, per effetto della deliberazione
adottata dal Consiglio di Presidenza in data
25.11.2010.
Tale somma viene ridotta di un quindicesimo se il
Senatore non partecipa almeno al 30 per cento delle
votazioni effettuate nell'arco della giornata (in
una o più sedute dell'Assemblea];
b)
contributo per il supporto dell'attività dei
Senatori: € 4.180,00 netti al mese
[A titolo di rimborso forfettario delle spese
sostenute per le attività connesse con lo
svolgimento del mandato parlamentare, è previsto un
contributo mensile erogato, fino al 31.12.2010,
nella misura di euro 4.678,36. Dall'01.01.2011 è
ridotto a 4.180 euro (1.680 corrisposti direttamente
al Senatore e 2.500 versati al Gruppo parlamentare
di appartenenza).
Nell'ambito dell'attività dei Senatori sono inclusi
non solo gli atti e gli adempimenti direttamente
collegati alle funzioni svolte nelle Commissioni e
nell'Assemblea, ma anche tutte le iniziative
politiche, sociali, culturali che il parlamentare
assume quale rappresentante della Nazione (ai sensi
dell'art. 67 della Costituzione).
La divisione del contributo in due quote rispecchia
la distinzione tra l'attività generale del Senatore
-le cui spese sono rimborsate attraverso il Gruppo-
e l'impegno particolare nel territorio in cui è
eletto];
c) rimborso
forfettario delle spese generali: € 1.650,00 netti
mensili [A decorrere
dall'01.01.2011 i Senatori ricevono un rimborso
forfettario mensile di euro 1.650, che sostituisce e
assorbe i preesistenti rimborsi per le spese
accessorie di viaggio e per le spese telefoniche.
L'importo è stato determinato dal Collegio dei
Senatori Questori, nell'ambito del riordino delle
competenze economiche dei Senatori, mantenendo
invariato l'onere complessivo che gravava sul
bilancio del Senato per i due rimborsi soppressi];
3- facilitazioni di trasporto
[I Senatori usufruiscono di tessere strettamente
personali per i trasferimenti sul territorio
nazionale, mediante viaggi aerei, ferroviari e
marittimi e la circolazione sulla rete autostradale];
4- assegno vitalizio [Il
Regolamento per gli assegni vitalizi prevede che il
Senatore cessato dal mandato riceva tale prestazione
a partire dal 65° anno di età, purché abbia svolto
il mandato parlamentare per almeno 5 anni. Il limite
di età è ridotto di 1 anno per ogni anno di mandato
effettivo oltre il quinto, fino al limite
inderogabile di 60 anni.
Nel contesto della medesima riforma regolamentare è
stata approvata la nuova tabella relativa alla
misura degli assegni vitalizi, che è entrata in
vigore con la XVI legislatura. In base a tale
tabella l'importo dell'assegno vitalizio varia da un
minimo del 20 per cento a un massimo del 60 per
cento dell'indennità lorda, in proporzione alla
durata del mandato, e si calcola tenendo conto solo
degli anni effettivamente svolti (in precedenza gli
assegni variavano da un minimo del 25 per cento a un
massimo dell'80 per cento dell'indennità lorda).
Per leggere l'elenco e l'importo dei vitalizi
erogati
clicca qui];
5- assegno di solidarietà (o di fine mandato)
[Al termine del mandato parlamentare, il Senatore
riceve dal Fondo di solidarietà fra i Senatori
l'assegno di solidarietà, che è pari all'80 per
cento dell'importo mensile lordo dell'indennità,
moltiplicato per il numero degli anni di mandato
effettivo.
Tale assegno viene erogato sulla base di contributi
interamente a carico dei Senatori, cui è trattenuta
mensilmente una quota dell'indennità lorda (il 6,7
per cento, pari attualmente a 804,40 euro)];
6- assistenza sanitaria integrativa
[Il Fondo di solidarietà fra i Senatori eroga un
rimborso parziale di determinate spese sanitarie
sostenute dagli iscritti, nei limiti fissati dal
Regolamento e dal Tariffario.
L'iscrizione è obbligatoria per i Senatori in
carica, che versano un contributo pari al 4,5 per
cento dell'indennità lorda; è facoltativa per i
titolari di assegni vitalizi, il cui contributo è
pari al 4,7 per cento dell'importo lordo del proprio
assegno.
Con il versamento di quote aggiuntive è possibile
l'iscrizione dei familiari]. |
Lo "stipendio con
annessi e connessi" (come sopra elencati) dei
parlamentari italiani è stabilito dalla "Legge
31.10.1965, n. 1261 - Determinazione dell'indennità
spettante ai membri del Parlamento" ove,
di fatto, l'entità delle varie voci spettanti è
rimandata all'ampia discrezionalità degli Uffici di
Presidenza delle due Camere. Quindi, basterebbe la
seria volontà di pochi -e con minimo dispendio di
tempo- per mettere fine a quei privilegi che tanto
indispongono l'opinione pubblica ... ma, si sa, cane
non mangia cane!!
Orbene, ultimamente il Governo e, prima ancora, i
Presidenti delle due Camere ed oggi ancora il
Governo con la "MANOVRA-BIS" hanno dato una
leggera sforbiciata qua e là in merito ad alcune
voci che compongono il proprio "stipendio" ma
non hanno toccato, in maniera significativa o per
niente affatto, le voci di spesa che più fanno
incazzare l'opinione pubblica e cioè:
(a) l'indennità
parlamentare, (b) il rimborso per spese inerenti al
rapporto tra eletto ed elettori, (c) l'assegno
vitalizio.
Relativamente
all'indennità parlamentare,
è normale
prendere € 12.000,00 lordi/mensili??
E ciò quando, per esempio, un dipendente comunale
con 30 anni di carriera alle spalle prende,
mediamente, € 2.200,00 lordi mensili?? E
quest'ultimo deve ritenersi, comunque, un "privilegiato"
rispetto alla maggioranza dei lavoratori che
prendono meno ...
Relativamente al rimborso spese inerenti al rapporto
tra eletto ed elettori (detto, volgarmente, la quota
per il portaborse),
è normale
prendere € 4.180,00 netti/mensili sempre e comunque
anche se il portaborse, spesso e volentieri, non
c'è??
Non è il caso di erogare tale somma al parlamentare
se dimostra di avere assunto, regolarmente, il
portaborse e nel limite di spesa, comunque, di
quanto costa effettivamente lo stesso??
Relativamente all'assegno vitalizio,
è
normale "lavorare" 5 anni appena e, poi, a 65
anni di età prendere circa € 3.000,00 netti/mensili
di pensione??
E ciò quando tutti gli altri comuni mortali devono
lavorare minimo 40 anni (e adesso anche di più con
la "MANOVRA-BIS") per avere, poi, una
pensione da fame??
I leader politici fanno la fila in
televisione, sui giornali, a predicare che i tagli
ai loro stipendi sarebbero una goccia nel mare
rispetto al debito pubblico esplosivo che ci
ritroviamo ad affrontare: e, nel concreto, non fanno
nulla in merito.
Come se non bastasse, si sono pure anche alcuni
dipendenti pubblici che fanno parte, pure loro, di
una casta: quelli che dipendono dalle due Camere.
Leggete questo interessante articolo tratto dal
quotidiano ItaliaOggi del 13.08.2011:
Alla camera
i tagli ai dipendenti vanno piano.
Onorevoli gli stipendi anche per i
dipendenti della Camera. Un elettricista e un
tecnico dei telefoni, appena assunti, percepiscono
1.500 euro netti al mese, più tredicesima,
quattordicesima e quindicesima, una segretaria e
un'assistente circa 1.800 euro, un bibliotecario
1.900 euro, un consigliere parlamentare della
professionalità di biblioteca o stenografia quasi
3.000 mentre un medico impiegato alla Camera
guadagna 5.000 euro al mese, sempre netti, con
l'aggiunta di tredicesima, quattordicesima e
quindicesima.
Somme che sembrano stridere con le retribuzioni
percepite all'esterno da analoghe figure
professionali la cui contrattazione collettiva non
si è spinta fino alla previsione delle quindici
mensilità elargite ai dipendenti di Palazzo
Montecitorio. Sarà per questo che l'Ufficio di
presidenza, con la nota di variazione del bilancio
della camera per gli anni 2011-2013 adottata nella
riunione del 21 luglio scorso, ha deciso di
ritoccare i criteri di definizione delle
retribuzioni per il proprio personale impegnandosi a
«definire per i nuovi assunti un sistema retributivo
in funzione dell'individuazione di curve stipendiali
maggiormente comparabili con le corrispondenti
professionalità esterne, con riguardo anche agli
standard europei».
Il tutto da realizzare prima dell'approvazione del
bilancio interno per il 2012-2014. Tempi stretti
quindi per allineare gli stipendi dei dipendenti
della Camera a quelli degli omologhi colleghi
esterni, anche se al momento l'Ufficio di presidenza
si è limitato a un'enunciazione di intenti e non ha
stilato un calendario delle riunioni con all'ordine
del giorno la proposta di revisione delle
retribuzioni e, passata la pausa estiva, al 2012
mancano solo pochi mesi.
E intanto i dipendenti della camera hanno incassato
l'aumento contrattuale del 3,2%. Pochi giorni prima
che si approvasse la stretta.
Allora, abbiamo il diritto di essere
incazzati??
Stiamo attenti, molto attenti, perché la corda è
tesissima: ci vuole molto poco ancora perché succeda
anche in Italia quanto già successo di recente in
Grecia. Gli animi sono esasperati al massimo, la
fiducia nelle Istituzioni è al minimo per colpa di "politicanti"
che non hanno il coraggio né di fare le scelte
giuste e coraggiose (anche se dolorose, ma per tutti
e secondo equità sociale) per non perdere il
consenso elettorale né di agire, subito, cominciando
dal loro portafoglio e dai costi della politica
centrale e locale (regioni e province in primis).
E allora, visto che la "MANOVRA-BIS" passa
all'esame del Parlamento per la conversione in
legge, formuliamo la seguente proposta (e nel
contempo sincero auspicio):
un parlamentare
qualunque
(di destra, di sinistra o di centro) che abbia
ancora rispetto della povertà, della dignità umana,
del disagio sociale e che abbia un rigurgito di
senso dell'etica e che si ricordi di essere al
servizio dei Cittadini che lo hanno votato e non,
presenti
un emendamento al decreto-legge appena varato dal
Governo per modificare la
Legge 31.10.1965, n.
1261
al fine di eliminare almeno le tre contraddizioni
sociali sopra elencate e stiamo a vedere se il
Parlamento non lo vota (nomi e cognomi da ricordarsi
per le prossime elezioni politiche!!).
Così facendo, sarà pure una goccia nel mare ma
ugualmente importante e necessaria per ricominciare
a credere nelle Istituzioni ed in una classe
dirigente politica che, veramente, sia al servizio
dei Cittadini.
Siano loro a
dare per primi l'esempio!! Poi, potranno anche
chiedere rispetto e sacrifici ulteriori agli
Italiani.
Da ultimo, con la riforma dell'art. 81 della
Costituzione che il Governo ha messo in cantiere in
questi giorni, abbiamo appreso dai giornali che
dovrebbe risorgere il tanto vituperato (da parte
della classe politica) CO.RE.CO. (Comitato Regionale
di Controllo): ecco, questa è una buona, buonissima
notizia e speriamo che non ci ripensino.
Sarà la volta
buona per dare un taglio netto a quel maldestro e
conclamato modus operandi negli enti locali
che tanti danni porta alle casse del denaro pubblico
e, di riflesso, alla Collettività.
Alcuni esempi, certamente non esaustivi, che i
Cittadini (comuni mortali) non sanno:
● consulenze esterne inopportune e dispendiose
quando già esistono le professionalità necessarie
all'interno dell'ente;
● incarichi esterni ex art. 110 D.Lgs. 267/2000 per
coprire posti apicali e per "far fuori" le
professionalità interne che danno fastidio agli
amministratori;
● progressioni orizzontali e verticali
indiscriminate del personale interno senza alcun
criterio veramente meritocratico;
● retribuzioni di posizione oltre il limite di
contratto (pari a € 12.911,42) sino all'importo di €
16.000,00 senza che sussistano i requisiti
stringenti per erogare il massimo ovvero
oltre la necessaria parsimonia per "accontentare"
funzionari apicali ovvero segretari
comunali che vogliono (a tutti i costi!!) svolgere
anche le funzioni di direttore generale (vale la
pena di ricordare l'indecente ed eclatante caso del
Comune di Stezzano (BG) per il quale,
fortunatamente, la Corte dei Conti, Sez. giurisdiz.
Lombardia, ha reso giustizia con la
sentenza 15.03.2011 n. 146);
● creazione di posti di dirigente anche in comuni di
piccole dimensioni, quando il buon senso (e, forse
ed in primis, anche la legge) porterebbe a
comprendere ciò solamente negli enti con più di
20.000 abitanti;
● il non adeguamento degli oneri di urbanizzazione,
almeno ogni tre anni siccome previsto dalla legge
regionale, e conseguente mancato introito (danno
erariale) di maggiori somme.
Precisiamo: non facciamo di tutta l'erba un fascio
... vi sono situazioni più che legittime, ma il
malcostume è assai dilagante e molto più di quanto
si possa pensare.
Ecco, prendete gli scempi sopra elencati e
moltiplicateli per 8.106 (quanti sono i comuni
italiani ... tralasciando -qui- province, regioni,
ed altri mille enti pubblici) e capirete, non solo
per questo, perché l'Italia sta andando in malora
... (se non lo è già).
16.08.2011 - LA
SEGRETERIA PTPL |
GURI - GUUE -
BURL (e anteprima) |
AMBIENTE-ECOLOGIA -
ENTI LOCALI:
G.U. 13.08.2011 n. 188 "Ulteriori misure
urgenti per la stabilizzazione finanziaria e
per lo sviluppo" (D.L.
13.08.2011 n. 138).
---------------
ABROGATO IL SISTRI !!
Il DL 13.08.2011 n. 138 (Ulteriori
disposizioni urgenti per la stabilizzazione
finanziaria e per lo sviluppo), vigente dal
13 agosto, all'art. 6, c. 2, così recita:
"2. A decorrere dalla data di entrata in
vigore della presente disposizione, sono
abrogati:
a) il comma 1116, dell'articolo 1, della
legge 27.12.2006, n. 296;
b) l'articolo 14-bis del decreto-legge
01.07.2009, n. 78, convertito, con
modificazioni, dalla legge 03.08.2009, n.
102;
c) il comma 2, lettera a), dell'articolo
188-bis, e l'articolo 188-ter, del decreto
legislativo 03.04.2006, n. 152 e successive
modificazioni;
d) l'articolo 260-bis del decreto
legislativo 03.04.2006, n. 152 e successive
modificazioni;
e) il comma 1, lettera b), dell'articolo 16
del decreto legislativo 03.12.2010, n. 205;
f) l'articolo 36, del decreto legislativo
03.12.2010, n. 205, limitatamente al
capoverso «articolo 260-bis»;
g) il decreto del Ministro
dell'ambiente e della tutela del territorio
e del mare in data 17.12.2009 e successive
modificazioni;
h) il decreto del Ministero
dell'ambiente e della tutela del territorio
e del mare, 18.02.2011 n. 52.
3. Resta ferma l'applicabilità delle altre
norme in materia di gestione dei rifiuti; in
particolare, ai sensi dell'articolo 188-bis,
comma 2, lettera b), del decreto legislativo
n. 152 del 2006, i relativi adempimenti
possono essere effettuati nel rispetto degli
obblighi relativi alla tenuta dei registri
di carico e scarico nonché del formulario di
identificazione di cui agli articoli 190 e
193 del decreto legislativo n. 152 del 2006
e successive modificazioni.". |
AMBIENTE-ECOLOGIA -
EDILIZIA PRIVATA: B.U.R.
Lombardia, serie ordinaria n. 32 del
12.08.2011, "Indicazioni per
l’applicazione dell’art. 13 del regolamento
regionale 24.03.2006, n. 4 – Disciplina
dello smaltimento delle acque di prima
pioggia e di lavaggio delle aree esterne, in
attuazione dell’art. 52, comma 1, lettera a)
della legge regionale 12.12.2003, n. 26"
(circolare regionale
04.08.2011 n. 10). |
DIPARTIMENTO
FUNZIONE PUBBLICA |
PUBBLICO IMPIEGO:
Oggetto: indirizzi sull'applicazione del
D.P.C.M. 26.10.2010. Disciplina per
l'accesso, tramite concorso pubblico per
titoli ed esami, alla qualifica di dirigente
di prima fascia (direttiva
05.08.2011 n. 11/2011). |
QUESITI &
PARERI |
EDILIZIA PRIVATA:
Compatibilità paesaggistica.
In presenza di silenzio dell'autorità
competente a fronte di un'istanza di
compatibilità paesaggistica, presentata ai
sensi dell'art. 181, del dlgs n. 42 del 22.01.2004, posso imporre alla suddetta
amministrazione l'obbligo alla pronuncia?
L'articolo 181, comma 1-quater del decreto
legislativo del 22.01.2004, n. 42, prevede,
per i proprietari di immobili oggetto di
interventi realizzati in area sottoposta a
vicolo paesaggistico, di presentare domanda
di accertamento di compatibilità
paesaggistica e l'autorità competente
(regione o ente subdelegato: comune) si
pronuncia sulla domanda entro il termine
perentorio di centottanta giorni, previo
parere vincolante della soprintendenza da
rendersi entro il termine perentorio di 90
giorni.
In tema, il TAR Toscana, Sez. III, con la
sentenza 06.02.2008 n. 122, ha
puntualizzato che la mancata adozione della
relativa determinazione produce senz'altro
l'insorgere del cosiddetto silenzio-rifiuto
o silenzio-inadempimento, formatosi
illegittimamente per l'inosservanza del
termine previsto quale data ultimativa per
rendere la prevista pronuncia.
Per i giudici amministrativi toscani,
l'inerzia succitata viola il disposto di cui
all'articolo 2 della legge n. 241 del 1990,
che sancisce il principio, di carattere
generale, della certezza del tempo delle
determinazioni da assumersi da parte della
pubblica amministrazione, sicché non può non
censurarsi il comportamento omissivo tenuto
dal comune, nel caso esaminato dai predetti
giudici, che aveva il preciso onere di
rendere la chiesta pronuncia nel termine a
esso fissato dalla suddetta normativa.
Nel caso pertanto viene accertato, dal
predetto Tar, che si è inverato il
silenzio-inadempimento da parte del Comune
competente in ordine all'istanza di
accertamento di compatibilità paesaggistica.
Di conseguenza il suddetto tribunale
amministrativo ha intimato
all'amministrazione comunale di provvedere
con pronuncia espressa sull'istanza entro il
termine perentorio di 120 giorni (articolo ItaliaOggi Sette del 15.08.2011). |
NOTE,
CIRCOLARI E COMUNICATI |
EDILIZIA PRIVATA:
Lombardia, Disciplina giuridica relativa
alla realizzazione di serre stagionali.
Nei mesi scorsi sono state rappresentate, da
parte di imprese agricole, preoccupazioni
per le difficoltà riscontrate in diversi
Comuni a realizzare coperture stagionali; al
fine di evitare ulteriori preoccupazioni e
possibili diverse interpretazioni della
disciplina è stata discussa in Consiglio
Regionale una interrogazione nella seduta
del 28.06.2011.
Pertanto, sul tema delle coperture
stagionali nelle aree agricole e della
disciplina ad esse applicabili, per quanto
riguarda il rilascio di un eventuale titolo
abilitativo, si rende opportuna una nota di
chiarimento interpretativo, che possa
utilmente orientare i Comuni nell’esercizio
delle loro responsabilità. A tal fine
occorre innanzitutto richiamare i necessari
elementi di inquadramento giuridico.
L’art. 33, comma 2, della L.R. n. 12/2005
prevedeva espressamente che le “coperture
stagionali destinate a proteggere le colture
… nelle aree destinate all'agricoltura”
potessero essere eseguite senza titolo
abilitativo. Tale disposizione è stata
abrogata per effetto dell’art. 12, comma 1,
della L.R. n. 3/2011, che peraltro ha
contestualmente modificato il comma 1 del
medesimo art. 33, prevedendo che “gli
interventi di trasformazione urbanistica ed
edilizia del territorio sono subordinati a
permesso di costruire, fatto salvo quanto
disposto dall’art. 6 del d.p.r. n. 380/2001
…”.
Quest’ultima norma di derivazione statale,
come modificata dall’art. 5, comma 1, del
D.L. n. 40/2010, convertito in legge
22.05.2010, n. 73, così dispone al comma 1:
“Fatte salve le prescrizioni degli
strumenti urbanistici comunali, e comunque
nel rispetto delle altre normative di
settore aventi incidenza sull'attività
edilizia e, in particolare, delle norme
antisismiche, di sicurezza, antincendio,
igienico-sanitarie, di quelle relative
all'efficienza energetica nonché delle
disposizioni contenute nel codice dei beni
culturali e del paesaggio, di cui al decreto
legislativo 22.01.2004, n. 42, … sono
eseguiti senza alcun titolo abilitativo”,
tra gli altri interventi, “le serre
mobili stagionali, sprovviste di strutture
in muratura, funzionali allo svolgimento
dell’attività agricola” (cfr. lett. e).
In coerenza con l’espresso richiamo all’art.
6 del D.P.R. n. 380/2001, sempre la L.R. n.
3/2011 ha espunto lo stesso art. 6 dal
novero degli articoli del D.P.R. n. 380/2001
espressamente disapplicati dall’art. 103,
comma 1, della L.R. n. 12/2005.
Dalla lettura combinata delle norme testé
richiamate, appare evidente come
operativamente poco o nulla sia cambiato,
rispetto al passato, per le imprese agricole
interessate alla realizzazione di coperture
stagionali, realizzazione che continua ad
essere sostanzialmente liberalizzata, ossia
non assoggettata ad alcun titolo
abilitativo, pur dovendo sottolineare che
alcuni elementi caratterizzanti la
fattispecie di cui trattasi risultano oggi
diversi rispetto all’assetto precedente.
Infatti, la disciplina oggi vigente, ovvero
l'art. 6, comma 1, lett. e), del D.P.R. n.
380/2001, richiede che queste serre siano "mobili
stagionali, sprovviste di strutture in
muratura, funzionali allo svolgimento
dell'attività agricola" e dunque prevede
ulteriori requisiti e diversi presupposti
applicativi rispetto alla precedente norma
regionale contenuta nell'art. 33, comma 2
abrogato, della L.R. n. 12/2005 ("realizzazione
di coperture stagionali destinate a
proteggere le colture … nelle aree destinate
all'agricoltura").
Resta inteso che qualora oggetto di
richiesta risultino tipologie di serre non
riconducibili alla fattispecie delle "serre
mobili stagionali" oggi liberalizzate,
la relativa realizzazione andrebbe
assoggettata alla disciplina dettata
dall’art. 59, commi 4 e segg., e dall’art.
60 della L.R. n. 12/2005.
Da ultimo, merita sottolineare che il
riferimento alle "prescrizioni degli
strumenti urbanistici comunali",
contenuto nella norma statale attualmente
vigente, è da intendersi unicamente come
possibilità che negli strumenti urbanistici
comunali siano meglio dettagliate le
caratteristiche tecniche che devono
possedere tali “serre mobili stagionali”
perché possano essere eseguite senza titolo
abilitativo, non potendo evidentemente
essere smentito quanto previsto per legge,
ossia il regime di liberalizzazione
dell’intervento allorché ricorrano i
presupposti individuati dalla legge stessa.
IL DIRETTORE GENERALE -
D.G. TERRITORIO E URBANISTICA -
Bruno Mori
Milano, 05.08.2011 (link a
www.territorio.regione.lombardia.it). |
CORTE DEI
CONTI |
PUBBLICO IMPIEGO: L'assistenza
ai disabili sempre garantita.
Il diritto del lavoratore pubblico ad
assistere un familiare disabile non può
essere vincolato dai limiti spesa per il
personale. Il lavoratore, infatti, in tali
casi è titolare di un diritto potestativo
alla concessione del congedo retribuito per
l'assistenza del familiare disabile e questo
prescinde dal fatto che gli oneri finanziari
ricadono sulla pubblica amministrazione.
Non
ammette repliche la conclusione cui è
pervenuta la sezione regionale di controllo
della Corte dei conti della Lombardia, nel
testo del
parere
18.07.2011 n. 463, con il quale
ha fatto luce sul diritto in capo ai
lavoratori che promana dall'articolo 42 del dlgs n. 151/2001.
Sul punto, il sindaco del
comune di Veduggio con Colzano (Mb)
richiedeva l'intervento della Corte in
quanto un dipendente ha chiesto la
concessione di un periodo di congedo, ai
sensi dell'articolo 42 del citato dlgs, per
assistere la madre inabile. Il sindaco,
nella richiesta di parere osservava che,
mentre per i lavoratori del settore privato
l'onere derivante dalla concessione del
congedo è assunto dal sistema previdenziale
nazionale, per i dipendenti pubblici la
spesa relativa è posta a carico
dell'amministrazione concedente. Quindi,
concludeva, alla luce del quadro di
contenimento delle spese di personale e
nell'impossibilità di procedere a una
sostituzione temporale dello stesso
dipendente, il primo cittadino richiedeva se
la richiesta in questione dovesse essere
intesa come una facoltà ovvero come un
obbligo gravante sul comune.
Il collegio della magistratura contabile
lombarda ha fatto presente che, alla luce
delle disposizioni recate dal citato
articolo 42 e della sentenza n. 19/2009
della Corte costituzionale, ne deriva che il
dipendente comunale, in presenza dei
requisiti posti dalla normativa di settore,
è titolare di un diritto potestativo alla
concessione del congedo retribuito per
l'assistenza del familiare disabile. Ne è
prova il tenore letterale del citato
articolo 42, comma 5, secondo cui i soggetti
legittimati «hanno diritto a fruire del
congedo entro 60 giorni dalla richiesta».
Tutto questo, per la Corte, prescinde dal
fatto che sul piano «contabilistico», gli
oneri finanziari continuino a gravare sulle
casse dell'amministrazione comunale, quale
datore di lavoro, in termini di spesa di
personale, con la conseguente necessità di
rispettare i relativi limiti. In altri
termini, si legge nel parere, tale diritto
spetta ala lavoratore in presenza dei
presupposti legali posti dall'ordinamento
(recentemente modificati dalla legge n.
183/2010, meglio nota come collegato
lavoro).
L'amministrazione è tenuta
solamente alla verifica dei presupposti
legittimanti la concessione del congedo.
Infine, rileva il collegio, in tema di
rispetto dei limiti di spesa, il comune è
tenuto comunque a rispettarli, in ossequio
alla vigente disciplina di coordinamento
della finanza pubblica. Ma il rispetto di
tali limiti non può «degradare» nella
singola fattispecie, il diritto potestativo
del dipendente al congedo retributivo per
l'assistenza al familiare disabile.
Pertanto, in presenza dei presupposti di
legge, l'amministrazione è tenuta a
rispettare «simultaneamente» entrambe le
tipologie di vincoli, ovvero quelli di
finanza pubblica e quelli derivanti dal
diritto del dipendente all'assistenza al
familiare disabile
(articolo ItaliaOggi
del 12.08.2011 - tratto da www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Il
professionista non fa il dirigente.
Vietato coprire posti di vertice con
lavoratori autonomi. Corte conti Lombardia:
c'è il rischio di andare incontro a
responsabilità amministrativa.
È illegittimo e possibile fonte di
responsabilità amministrativa coprire posti
di vertice direzionale degli enti locali
mediante incarichi di lavoro autonomo.
Lo evidenzia, sia pure in modo non del tutto
lineare e coerente, la Corte dei conti,
sezione regionale di controllo per la
Lombardia, col
parere 23.12.2010 n. 1060,
pubblicato in questi giorni.
La sezione si è mossa a partire dalla
richiesta di parere formulata da un comune
privo di qualifiche dirigenziali, il quale
si è rivolto alla magistratura contabile per
verificare la possibilità di conferire la
responsabilità del settore tecnico «ad un
libero professionista, al di fuori della
dotazione organica, ai sensi dell'articolo
50, comma 10 del dlgs n. 267/2000 e previo
espletamento della relativa selezione»,
mediante un «contratto a tempo determinato
di collaborazione esterna, secondo le
modalità e i criteri stabiliti dall'art. 110 Tuel».
Il parere non manca di sottolineare
come la richiesta di parere confonda le
ipotesi di conferimento degli incarichi
dirigenziali, con quelle di collaborazione
esterna e si dilunga anche in modo
ingarbugliato sulla disciplina normativa
stratificatasi nel corso degli anni in tema
di conferimento di incarichi esterni. La
conclusione è, tuttavia, chiara e lapidaria:
l'applicazione della disciplina degli
incarichi dirigenziali a professionalità
esterne ha presupposti e regolamentazione
diversa sia dagli incarichi di consulenza,
sia dalle collaborazioni.
Il parere ricorda
anche che l'utilizzo di incarichi di
collaborazione (quelli previsti
dall'articolo 110, comma 6, del dlgs
267/2000) per lo svolgimento di attività
proprie dei lavoratori subordinate, ai sensi
dell'articolo 7, comma 6, del dlgs 165/2001
è causa di responsabilità amministrativa per
il dirigente che stipula i relativi
contratti. Alle medesime conclusioni era,
comunque, possibile e più efficace giungere
sulla base di ragionamenti ancora più
semplici.
È sufficiente osservare che
l'assoluta impossibilità di preporre ai
vertici delle strutture amministrative degli
enti locali liberi professionisti mediante
contratti di lavoro autonomo deriva dalla
circostanza che il lavoro autonomo non
costituisce il rapporto organico, ma solo il
rapporto di servizio. In altre parole, un
professionista incaricato con un contratto
di lavoro autonomo può rendere
all'amministrazione pubblica un'attività
connessa alla propria professione, ponendo
in essere nella sostanza un appalto di
servizio. Trattandosi di rapporto di lavoro
autonomo o para subordinato, non si crea
alcun vincolo di subordinazione con l'ente
pubblico: il professionista, dunque, agisce
in totale autonomia e l'attività svolta
viene imputata esclusivamente alla propria
sfera giuridica e non a quella
dell'amministrazione.
Questo rende appunto incompatibile la
direzione delle strutture di vertice con
contratti di lavoro autonomo. Il dirigente o
il responsabile di servizio di un ente
locale o di qualsiasi pubblica
amministrazione non agisce per sé, ma quale
organo dell'ente. Il vertice direzionale,
insomma, impersona l'ente, agisce
immedesimandolo e, dunque, la sua attività
viene imputata direttamente all'ente nel
quale è incardinato.
Tale incardinazione può
avvenire solo ed esclusivamente con un
contratto di lavoro subordinato, l'unico
che, anche ai sensi dell'art. 28 della
Costituzione, consenta di imputare
pienamente all'amministrazione di
appartenenza anche i danni eventualmente
cagionati dall'azione amministrativa a
terzi.
Dunque, la copertura di incarichi
dirigenziali o di responsabili di servizio
ai sensi della combinazione degli articoli
19, comma 6, del dlgs 165/2001 e dell'art.
110 del dlgs 267/2000 (che dovrebbe
considerarsi abolito, nonostante il
contraddittorio avviso espresso sul merito
dalle sezioni riunite della Corte dei conti)
è ammissibile solo a condizione che tra il
dirigente o il responsabile esterno
intercorra un rapporto di lavoro
subordinato. Non certamente un contratto di
consulenza, che esclude radicalmente poteri
gestionali, né un contratto di
collaborazione, i quali non permettono al
lavoratore autonomo di impegnare
direttamente verso terzi l'ente. Il
collaboratore di un ente, infatti, rivolge
la propria attività esclusivamente a
beneficio del committente
(articolo ItaliaOggi
del 12.08.2011 - tratto da www.corteconti.it). |
NEWS |
APPALTI: Contratti
pubblici. Pagamenti osservati speciali.
Obbligo di tracciamento per chi è tenuto ad
applicare il Dlgs 163/2006. Determinante per
far scattare la procedura è la
qualificazione del primo committente della
filiera.
Con la determinazione 4/2011 dell'Autorità
per la vigilanza sui contratti pubblici
risultano ora completi e definiti in chiave
interpretativa sia l'ambito soggettivo sia
l'ambito oggettivo di applicazione della
legge 136/2010 in materia di tracciabilità
dei pagamenti.
La chiave di lettura fondamentale è
costituita dal codice dei contratti pubblici
(il decreto legislativo 163/2006): poiché la
normativa antimafia –nel cui contesto è
inserito l'articolo 3 della legge 136/2010–
trova applicazione generalizzata ai "contratti
pubblici", sono tenuti all'osservanza
degli obblighi di tracciabilità tutti i
soggetti sottoposti all'applicazione del
codice dei contratti pubblici.
Determinante è la qualificazione del primo
anello della catena della tracciabilità e
cioè del primo committente della filiera: la
tracciabilità va applicata se esso assume la
qualità di "stazione appaltante",
secondo la definizione dell'articolo 3,
comma 33, del Dlgs 163. In buona sostanza,
la verifica circa la necessità di
applicazione delle norme sulla tracciabilità
presuppone un'analisi sull'obbligo di
applicazione del codice dei contratti
pubblici.
Se il committente riconosce in sé la figura
di "stazione appaltante", gli
obblighi di tracciabilità –a partire dal
codice identificativo di gara (Cig) per
finire con il bonifico sul conto dedicato–
si estendono a tutta la filiera delle
imprese, secondo l'ampia interpretazione di
essa fornita dall'Autorità dei lavori
pubblici sempre con la stessa determinazione
4/2011.
Per ciò che riguarda l'ambito oggettivo di
applicazione della legge 136, l'Autorità ha
confermato che tutto ruota intorno al
concetto di «contratto di appalto
pubblico», quale definito dal comma 6
dell'articolo 3 del Dlgs 163, ovvero un
contratto a titolo oneroso, stipulato per
iscritto tra una stazione appaltante o un
ente aggiudicatore e uno o più operatori
economici, avente per oggetto l'esecuzione
di lavori, la fornitura di prodotti, la
prestazione di servizi come definiti dal
codice stesso.
Su questa falsariga si sviluppano poi le
posizioni su fattispecie singole, per le
quali è utile la lettura del capitolo 4 e di
taluni paragrafi del capitolo 3 della
determinazione 4/2011: vengono, per esempio,
esclusi dagli obblighi di tracciabilità i
contratti di locazione e di compravendita di
beni immobili, i contratti d'opera
intellettuale e talune fattispecie di
servizi sanitari, mentre vengono ricompresi
i servizi bancari e alcuni servizi legali.
La disamina sull'ambito oggettivo di
applicazione degli obblighi di tracciabilità
deve però essere condotta in relazione al
rapporto tra "stazione appaltante" e
appaltatore. Infatti, una volta individuata
in tale fase l'applicabilità, i contratti a
valle –a prescindere dalla loro natura– sono
sempre soggetti agli obblighi nella misura
in cui li si collochi nella filiera delle
imprese coinvolte nell'esecuzione
dell'appalto pubblico.
Ad esempio, nel caso di opera pubblica ove
stazione appaltante sia il comune, il
rapporto professionale (qualificato come
contratto d'opera intellettuale) che
l'appaltatore avesse con il responsabile
della sicurezza sarebbe soggetto agli
obblighi di tracciabilità
(articolo Il Sole 24
Ore
del 15.08.2011 - tratto da www.ecostampa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: Ecoreati,
super-multe dalla «231». Da domani le
sanzioni: fino a 774mila euro per chi
smaltisce illegalmente rifiuti.
Scattano domani –martedì
16 agosto– le super-multe per le società
coinvolte in "ecoreati".
È il risultato delle novità introdotte dal
Dlgs 121/2011, che fa rientrare una serie di
illeciti ambientali nell'orbita della "231",
la disciplina sulla responsabilità
amministrativa degli enti. Il tutto,
sanzionando le società e le associazioni
nell'interesse o a vantaggio delle quali è
stato commesso il reato.
Le sanzioni sono dettate dal nuovo articolo
25-undecies, inserito nel Dlgs 231/2001 e
rubricato sotto la voce «Reati ambientali».
Il settore maggiormente colpito è quello dei
rifiuti, in cui rientra anche il reato di
falsità del certificato analitico nel
trasporto dei rifiuti assistito da Sistri.
Non mancano le previsioni sugli scarichi
industriali, le emissioni in atmosfera e le
bonifiche. Ad esempio, chi scarica acque
reflue contenenti sostanze pericolose
rischia una multa da 51.600 a 465mila euro.
Per il traffico illecito di rifiuti, invece,
si può arrivare a pagare fino a 774mila euro
(si vedano gli esempi nel grafico a destra).
La sanzione pecuniaria –applicata in ogni
illecito amministrativo dipendente da reato–
è quantificata con il sistema delle quote,
che possono variare da 100 a 1.000 a seconda
dei casi. Il valore di ogni quota, invece,
va da 258,23 a 1.549,37 euro ed è rimesso
alla discrezionalità del giudice, che valuta
anche le condizioni economiche in cui versa
l'ente «allo scopo di assicurare
l'efficacia della sanzione» (evitando
pene draconiane o irrisorie).
Per il procedimento si osservano, oltre alle
specifiche norme dettate dal Dlgs 231/2001,
il Codice di procedura penale e il Dlgs
271/1989. Quindi, anche se in questo caso la
responsabilità dell'ente è di tipo
amministrativo, questa viene accertata nel
l'ambito di un procedimento penale dallo
stesso giudice chiamato a decidere sul
reato-presupposto commesso da amministratori
e/o dipendenti (articoli 36 e 38 Dlgs
231/2001).
La confisca e la pubblicazione della
sentenza non hanno trovato spazio nel
recepimento. Oltre alle sanzioni pecuniarie,
però, ci sono anche le misure interdittive,
che colpiscono il funzionamento della
società. A prevederle è l'articolo 9, comma
2, della "231": interdizione
dall'esercizio dell'attività; sospensione o
revoca di autorizzazioni, licenze o
concessioni funzionali alla commissione
dell'illecito; divieto di contrattare con la
Pa, salvo che per ottenere le prestazioni di
un pubblico servizio; esclusione da
agevolazioni, finanziamenti, contributi o
sussidi ed eventuale revoca di quelli già
concessi; divieto far pubblicità.
Tra i reati colpiti dalle sanzioni
interdittive ci sono la discarica abusiva e
lo scarico di acque reflue industriali
contenenti sostanze pericolose. La durata di
queste sanzioni non supera i 6 mesi, ma nel
caso del traffico illecito di rifiuti –se
l'ente o una sua branca operano solo per
agevolare o commettere il reato– scatta
l'interdizione definitiva dall'esercizio
dell'attività e non è consentita la
riparazione delle conseguenze del reato.
Riparazione che, negli altri casi, consente
(prima della dichiarazione di apertura del
dibattimento di primo grado) di non
applicare le interdizioni.
Anche per i reati ambientali sanzionati
dalla "231", la violazione è
inquadrata come evento riconducibile a un "deficit
organizzativo" dell'ente e riguarda
persone giuridiche, società e associazioni
anche prive di personalità giuridica. Per
escludere o limitare la propria
responsabilità, l'ente deve dotarsi di
modelli organizzativi, di gestione e di
controllo dinamici per invocare la propria
diligenza organizzativa.
In mancanza, le aziende possono essere
chiamate a rispondere per i reati commessi
nel proprio interesse o vantaggio dai propri
amministratori o dipendenti, a prescindere
dal concreto vantaggio ottenuto. Con
evidenti riflessi sul patrimonio degli enti
e e, quindi, sugli interessi dei soci
(articolo Il Sole 24
Ore
del 15.08.2011). |
EDILIZIA PRIVATA - VARI: Immobili.
Dopo cinque anni via al limite massimo di
prezzo e canone di locazione Libertà di
vendita per le case popolari.
Nuove opportunità dal
decreto Sviluppo per i proprietari di unità
immobiliari abitative e loro pertinenze la
cui costruzione sia avvenuta a seguito della
stipula di una convenzione, tra Comune e
impresa costruttrice, nel cui ambito sia
imposto un tetto massimo per la
determinazione del prezzo di vendita o del
canone di locazione degli alloggi oggetto
dell'intervento convenzionato.
Spesso un intervento edilizio di nuova
costruzione o di ristrutturazione è
preceduto da un convenzionamento volto a
disciplinare alcuni aspetti dell'imminente
edificazione: ad esempio, la realizzazione
delle opere di urbanizzazione (quali strade,
reti degli impianti, parcheggi pubblici e
privati, eccetera) e le caratteristiche
tipologiche e costruttive del fabbricato
erigendo.
Diverse convenzioni, quali quelle oggi
denominate di edilizia residenziale pubblica
(Erp, un tempo Peep: piani di edilizia
economica e popolare), si spingono sino a
prevedere che la cessione (o la locazione)
degli alloggi da realizzare sia possibile
solo a favore di utenti con particolari
caratteristiche (per lo più si tratta di
soggetti con reddito non superiore a
determinate soglie e privi di altre
proprietà) e che il prezzo di cessione e il
canone di locazione non oltrepassino un
certo limite massimo, e ciò sia con
riferimento alla «prima cessione»
(quella dell'appartamento nuovo, dal
costruttore al primo acquirente o
inquilino), ma anche con riferimento alle
cessioni "successive", e quindi alle
vendite e alle locazioni che vengano poste
in essere dai soggetti aventi causa
dall'impresa costruttrice.
I cambiamenti.
La legge di conversione del decreto Sviluppo
(la legge 106/2011) introduce dunque una
nuova norma per effetto della quale sarà
possibile rimuovere, da determinate
convenzioni, i vincoli relativi alla
determinazione del prezzo massimo di
cessione e del canone massimo di locazione
degli alloggi. Più precisamente, si tratta
dei vincoli contenuti:
- nelle convenzioni (all'articolo 35 legge
865/1971) aventi a oggetto o il
trasferimento al soggetto attuatore del
diritto di proprietà su aree Erp, stipulate
anteriormente all'entrata in vigore della
legge 17.02.1992, n. 179, oppure il
trasferimento del diritto di superficie
sulle aree Erp;
- nelle convenzioni (articolo 18, Dpr
380/2011) stipulate per scomputare dai
contributi concessori dovuti al Comune il
costo di realizzazione delle opere di
urbanizzazione di cui si faccia carico
l'attuatore.
Per la rimozione dei vincoli attinenti il
prezzo di cessione o il canone di locazione,
la nuova norma dispone che devono essere
decorsi almeno cinque anni dalla data in cui
è stato stipulato il trasferimento dell'area
(spesso coincidente con la data della
convenzione) e che occorre firmare, a
richiesta del singolo proprietario, una
nuova convenzione con il Comune, nella forma
dell'atto pubblico da trascrivere nei
registri immobiliari.
I passaggi.
Inoltre, si dovrà versare un corrispettivo
commisurato al valore dell'area sulla quale
è stato realizzato l'intervento, la cui
determinazione è abbastanza complessa, in
quanto bisogna compiere i seguenti tre
passaggi:
● occorre tenere anzitutto in considerazione
che su ciascun richiedente grava un'aliquota
del valore dell'area pari alla quota
millesimale corrispondente all'appartamento
che si intende svincolare dalla limitazione
inerente la determinazione del prezzo
massimo di cessione o del canone massimo di
locazione;
● in secondo luogo, occorre prendere in
considerazione il valore dell'area quale
determinabile ai sensi dell'articolo 31,
comma 48, legge 23.12.1998, n. 448: in
sintesi, si tratta del valore, determinato
dal Comune su parere del proprio ufficio
tecnico, pari al 60 per cento di quello
determinato ai sensi dell'articolo 5-bis,
comma 1, decreto legge 333/1992 (convertito
in legge 359/1992), escludendo la riduzione
prevista dall'ultimo periodo dello stesso
comma 1, al netto degli oneri di concessione
del diritto di superficie, rivalutati sulla
base della variazione, accertata dall'Istat,
dell'indice dei prezzi al consumo per le
famiglie di operai e impiegati verificatasi
tra il mese in cui sono stati versati i
suddetti oneri e quello di stipula dell'atto
di cessione delle aree;
● infine, sul valore determinato in base ai
criteri indicati sopra, bisogna applicare
una percentuale che, secondo la legge di
conversione del decreto Sviluppo, verrà
stabilita con decreto di natura non
regolamentare del ministro dell'Economia
(articolo Il Sole 24
Ore
del 15.08.2011). |
ENTI LOCALI: Riforma avanti a passo
spedito. Al via la terza fase dell'iter di
attuazione del federalismo.
Con l'approvazione del decreto legislativo
su premi e sanzioni si è chiuso il secondo
tratto del percorso di attuazione del
federalismo fiscale. Ma la strada verso il
traguardo finale è ancora molto lunga e
piena di ostacoli.
Il primo step era stato completato nel
maggio di due anni fa, quando il parlamento
(in modo quasi bipartisan) licenziò la L.
42/2009. Quest'ultima attribuì al governo una
delega (biennale) per la revisione del
sistema di relazioni finanziarie fra i
diversi livelli di governo, in modo da
completare il decentramento avviato dalle
leggi Bassanini e culminato con la riforma
costituzionale del 2001.
Due gli obiettivi di fondo:
●
superare il sistema di finanza derivata,
basato sui trasferimenti statali a Regioni
ed Enti locali, sostituendoli (in ossequio
al principio «no taxation without
representation») con entrate proprie
manovrabili e trasparenti, puntellate da
fondi perequativi per i soli territori con
minore capacità fiscale;
●
abbandonare la logica (inefficiente) della
spesa storica a favore di criteri di
costo/fabbisogno standard.
Si tratta di una vera e propria «rivoluzione
copernicana», che richiede profonde
modifiche dello status quo. Il governo ha
quindi optato per un approccio «modulare»:
l'esercizio della delega conferita dalla L.
n. 42/2009 è stato scomposto in otto decreti
legislativi, cui vanno aggiunti alcuni altri
provvedimenti direttamente o indirettamente
collegati al tema del federalismo fiscale.
I relativi contenuti, predisposti con il
supporto tecnico della Copaff, guidata da
Luca Antonini, sono stati faticosamente
negoziati con gli enti territoriali e con la
commissione parlamentare bicamerale
presieduta da Enrico La Loggia.
Contrariamente a quanto avvenuto nella prima
fase, non poche sono state le divisioni e le
contrapposizioni, non sempre spiegabili solo
in termini di dialettica fra maggioranza e
opposizioni, ma talvolta rivelatrici di
fratture più profonde e di nodi irrisolti
(perlopiù legati all'impatto delle manovre
correttive nel frattempo adottate), che
pongono non poche incognite sul futuro.
Del resto, nessuno dei decreti legislativi è
esaustivo, giacché tutti rinviano ad
ulteriori provvedimenti attuativi, solo in
piccola parte già adottati.
Mancano, inoltre, alcuni tasselli
fondamentali, non direttamente ricollegati
all'attuazione della L. 42/2009 ma senza i
quali l'intero disegno da questa tracciato
rischia di restare incompleto.
Molte scelte cruciali, pertanto, sono
rinviate alla terza fase, che inizia ora e
che certamente non si concluderà prima del
2014, anno in cui gran parte dei nuovi
meccanismi di finanziamento dovrebbero
entrare a regime.
Il condizionale è d'obbligo, anche perché è
certo che nei prossimi mesi i provvedimenti
fin qui adottati potranno subire modifiche.
Se il termine generale per l'esercizio della
delega scade il prossimo 21 novembre (per
effetto della proroga di sei mesi concessa
dalla L. 85/2011), entro i successivi tre anni
potranno essere adottati ulteriori decreti
legislativi correttivi ed integrativi.
Il cantiere del federalismo fiscale, quindi,
pare destinato a restare aperto ancora a
lungo
(articolo ItaliaOggi Sette
del 15.08.2011 - tratto da www.ecostampa.it). |
ENTI LOCALI: MANOVRA
BIS/ Parte la corsa verso il pareggio.
Fra tagli e maggiori entrate il
provvedimento vale 45,5 mld. Le misure principali contenute nel
decreto varato dal consiglio dei ministri.
Prelievi aggiuntivi sui redditi, tagli alla
spesa e ai costi della macchina
amministrativa del paese, incentivi alla
privatizzazione dei servizi pubblici locali
(acqua esclusa) e alla liberalizzazione
delle professioni. L'obiettivo è abbattere
l'indebitamento e arrivare nel 2013 al
pareggio di bilancio.
Il decreto legge
138/2011, varato venerdì scorso dal
consiglio dei ministri, e pubblicato in G.U.
sabato, vale in totale 45,5 miliardi di
euro, quasi interamente aggiuntivi rispetto
agli effetti finanziari previsti con
l'intervento del mese scorso (dl n.
98/2011).
A cominciare dal contributo di
solidarietà anche nel settore privato: dovrà
pagarlo per due anni (2012 e 2013) chi
guadagna più di 90 mila euro, similmente a
quanto già avviene nel pubblico. I sacrifici
non risparmiano nemmeno gli statali: i
dipendenti delle p.a. che non rispettano gli
obiettivi di riduzione della spesa
potrebbero perdere il pagamento della
tredicesima mensilità.
Aumenta la tassazione
sulle rendite finanziarie, che passa al 20%.
Scende, invece, quella sui depositi bancari
e postali, finora al 27%. Invariato il
trattamento fiscale dei titoli di stato, che
continueranno a scontare l'aliquota del
12,5%. In arrivo anche un'ulteriore stretta
contro l'evasione: la soglia della
tracciabilità dei pagamenti scenderà a 2.500
euro, mentre per chi non rilascia scontrini
o fatture potrebbe arrivare la chiusura
dell'attività o la sospensione dall'ordine
professionale. Si riduce ulteriormente la
soglia di riportabilità delle perdite
fiscali: dal limite dell'80%, sancito non
più tardi di un mese fa dal dl n. 98/2011,
si scenderà al 62,5%. La manovra lavora
anche sulla spesa pubblica.
Innanzi tutto prevedendo la cancellazione di
circa 54 mila cariche elettive. Le province
al di sotto dei 300 mila abitanti saranno
soppresse: i dati relativi alla popolazione
che rileveranno saranno quelli del
censimento Istat che si concluderà entro
quest'anno, anche se i criteri di selezione
degli enti da abolire potrebbero subire
modifiche. Fusione in vista, poi, per i
comuni con meno di mille abitanti.
L'esecutivo spinge sull'acceleratore,
infine, sulla privatizzazione dei servizi
pubblici locali e su una riforma delle
professioni incentrata sul principio della
liberalizzazione (non generalizzata).
E per favorire la crescita dell'economia, da
ultimo, arriva lo stop ai «ponti»
aziendali. Tutte le festività
infrasettimanali di natura non religiosa
saranno spostate al lunedì, così come
avviene in molti paesi europei. Accorpando
il giorno di festa al weekend, si eviteranno
così i ponti
(articolo ItaliaOggi Sette
del 15.08.2011). |
ENTI LOCALI - VARI: MANOVRA
BIS/ Solidarietà, peso doppio per i
politici. Il contributo al risanamento sarà
maggiore rispetto ai privati e indeducibile.
Il contributo di solidarietà è
un'addizionale all'Irpef dovuta dai
possessori di redditi medio alti. I politici
contribuiranno al risanamento in misura
doppia rispetto ai privati e per essi il
contributo di solidarietà sarà pure
indeducibile.
Per risanare i conti pubblici arriva dunque
la super Irpef sui redditi più alti. Saranno
i possessori di redditi imponibili superiori
ai 90 mila euro a contribuire dunque al
riassetto della finanza pubblica investita
dalla crisi dei mercati finanziari.
Ecco
dunque svelato il c.d. contributo di
solidarietà, previsto nel decreto approvato
venerdì scorso dal consiglio dei ministri,
il n. 138, pubblicato in Gazzetta Ufficiale
sabato 13.08.2011.
I più ricchi
contribuiscono con un maggior gettito alle
casse dell'Irpef. Il contributo di
solidarietà è in buona sostanza una
addizionale Irpef così commisurata: 5% per i
redditi superiori a 90 mila euro e fino a
150 mila, 10% per i redditi superiori a tale
ultima soglia. Per i parlamentari il
contributo di solidarietà sarà ancora più
elevato: 10% per i redditi compresi fra 90 e
150 mila euro che passa al 20% per i redditi
di imponibile superiore ai 150 mila euro.
Il contributo di solidarietà, la nuova
addizionale Irpef sui redditi più elevati,
avrà una durata temporale pari a un biennio.
Quanto versato dai contribuenti a titolo di
contributo di solidarietà sarà deducibile ma
non per tutti. I contribuenti privati
potranno, infatti, scomputare dal loro
reddito imponibile quanto versato a titolo
di contributo di solidarietà, mentre lo
stesso resterà indeducibile per i
parlamentari per i quali peraltro
l'addizionale, appunto, è stabilita in
misura doppia.
Cresce dunque la pressione
fiscale diretta sui redditi medio alti, con
un aggressione che ovviamente colpisce tutti
coloro che operano con il fisco «allo
scoperto». Resteranno impuniti e non
contribuiranno al risanamento dei conti
pubblici tutti quei titolari di reddito di
lavoro autonomo che in un modo o nell'altro
riescono ad occultare al fisco buona parte
dei loro proventi annui.
La nuova manovra correttiva dei conti
pubblici, la seconda nel giro di pochi mesi,
ha scelto dunque di far contribuire una
minoranza dei contribuenti che possiedono
però redditi imponibili ai fini Irpef di
ammontare consistente. Le ultime stime sui
redditi imponibili dichiarati in Italia
indicavano, infatti, in poco più dell'1% del
totale dei contribuenti coloro che
dichiaravano redditi imponibili superiori ai
100 mila euro. Si tratta di una percentuale
minima di contribuenti dal punto di vista
numerico che contribuisce però a circa un
quinto del gettito totale dell'Irpef.
L'intervento sui redditi e quindi, anche se
indirettamente sulle aliquote dell'imposta
sulle persone fisiche, ha ovviamente più di
una ripercussione. In primo luogo il peso
fiscale sui redditi medio alti posseduti dai
contribuenti finirà per innalzare la
pressione fiscale del nostro paese su
livelli record rispetto agli altri paesi
dell'area euro. In secondo luogo si tratta
di una misura che necessita, gioco forza, di
una serie di misure di contrasto e di
contrappeso per evitare la tendenza, che
cresce in maniera direttamente proporzionale
al crescere del prelievo, alla sottrazione
di materia imponibile.
In altre parole perché la misura introdotta
sulle aliquote marginali più elevate possa
avere effetti reali e duraturi in termini di
maggior gettito Irpef è necessario che la
stessa sia accompagnata da particolari
misure di controllo e monitoraggio dei
soggetti che dichiarano e dichiareranno nel
prossimo futuro tali livelli di reddito.
È probabile dunque che durante il biennio di
riferimento delle nuove addizionali Irpef a
titolo di contributo di solidarietà, i
possessori di tali categorie di reddito
divengano delle vere e proprie sorvegliate
speciali all'interno dei criteri di
selezione e analisi di rischio evasione. Con
tutta probabilità dunque le entrate
monitoreranno con particolare attenzione i
soggetti che presenteranno, nell'arco
temporale di riferimento della nuova manovra
correttiva, «pericolose» discese verso il
basso del loro reddito imponibile.
Situazioni del genere potrebbero infatti far
presumere un comportamento omissivo del
contribuente che cercando di sottrarsi al
nuovo e più pesante onere fiscale imposto
sugli scaglioni di reddito più elevati, si
autodifende sottraendo materia imponibile al
gettito dell'imposta personale sul reddito.
Lavoratori autonomi. Dalle anticipazioni
circolate sul contenute del decreto si
evince anche un leggero ritocco alle
aliquote Irpef apri all'1% per redditi
superiori a 55 mila euro. La tassazione
Irpef salirà dunque per queste categorie di
reddito dal 41 al 42% per il penultimo
scaglione e dal 43 al 44% per i redditi
sopra i 75 euro.
Uno dei maggiori problemi
resta quello dell'esatta individuazione
dell'ambito soggettivo previsto dal decreto.
A quanto pare l'addizionale Irpef dell'1%
nella misura sopra descritta sarebbe
applicabile solo alla sfera del lavoro
autonomo (esercizio di arti e professioni)
mentre resterebbe indenne l'attività
d'impresa.
Da capire anche la portata dell'attività di
lavoro autonomo alla formazione del reddito
complessivo e cioè se sia da ritenersi o
meno escluso dall'addizionale dell'1% il
reddito che solo in parte è formato
dall'apporto di attività professionali o
artistiche.
Quanto alla decorrenza temporale
dell'addizionale Irpef sui redditi di lavoro
autonomo medio elevati la stessa dovrebbe
operare in relazione al periodo di imposta
2012 con effetti che potrebbero evidenziarsi
nel modello Unico 2013.
Anche in questo caso l'addizionale dell'1%
sui redditi di lavoro autonomo medio alti
colpirebbe solo i redditi disvelati al
fisco. Resterebbero indenni dal contributo
aggiuntivo i redditi nascosti al fisco che
nella categoria del lavoro autonomo, stando
almeno alle più recenti stime sull'evasione
in Italia, sono particolarmente elevati.
Anche in questo caso dunque tali misure
dovranno necessariamente essere accompagnate
da nuove ed appropriate misure di contrasto
all'evasione fiscale per evitare, per quanto
possibile, l'occultamento di tali redditi al
fisco. Se tali misure risulteranno
confermate nel testo definitivo del decreto
per i lavoratori autonomi si tratterebbe di
una sorpresa piuttosto amara che si andrebbe
peraltro a sommare alle altre misure
contenute in altra parte della manovra nelle
quali si riproduce nuovamente il tema della
liberalizzazione delle attività
professionali
(articolo ItaliaOggi Sette
del 15.08.2011). |
ENTI LOCALI - VARI: Il codice della strada è appiedato.
Sono molti i provvedimenti attuativi ancora
da approvare. Dalla regolarizzazione dei
semafori laser alle targhe: i nodi da
sciogliere a un anno dalla riforma.
Accertamenti relativi alla guida con droghe,
regolarizzazione dei semafori laser, delle
tabelle count-down e dei pannelli luminosi
installati a lato della strada per indicare
la velocità dei veicoli. Nuove regole per
l'utilizzo degli autovelox e ripartizione
dei relativi proventi fra l'organo
accertatore e l'ente proprietario della
strada, targa personale, targhe dei
rimorchi, intestazioni fittizie dei veicoli,
contrassegno invalidi europeo.
Sono alcuni
degli aspetti più rilevanti della riforma
del codice stradale persi nel cammino.
Ovvero che, a distanza di un anno
dall'entrata in vigore della legge n. 120
del 29.07.2010, attendono le
disposizioni di attuazione per diventare
operativi.
Guida con droghe. La riforma stradale della
scorsa estate ha voluto potenziare
l'utilizzo dei precursori, ovvero strumenti
portatili non invasivi facilmente
manovrabili, per l'accertamento della guida
con droghe. Se l'accertamento preliminare ha
dato esito positivo, ovvero la polizia ha
comunque ragionevole motivo di ritenere che
il conducente è alterato dalla droga, il
personale medico potrà procedere ad
accertamenti clinico-tossicologici o a
prelievo di campioni di mucosa del cavo
orale. Però manca ancora all'appello il
decreto ministeriale che deve definire le
modalità di effettuazione degli accertamenti
e le caratteristiche degli strumenti da
impiegare. Lo stesso decreto potrà prevedere
e disciplinare gli accertamenti sulla guida
sotto effetto di droga anche su campioni di
fluido del cavo orale, anziché su campioni
di mucosa.
Semafori laser e tabelle count-down. Doveva
essere adottato entro il 12.10.2010, ma
non è ancora stato emanato il decreto
ministeriale per definire le caratteristiche
per l'omologazione e l'installazione degli
impianti di regolazione della velocità,
degli impianti che si attivano al
rilevamento della velocità dei veicoli in
arrivo e dei dispositivi finalizzati a
visualizzare il tempo residuo di accensione
delle luci dei nuovi impianti semaforici.
Quindi, per la regolarizzazione di
situazioni già ampiamente diffuse nel
territorio, si dovrà attendere il 2013,
considerato che le disposizioni di cui
all'art. 60 della legge n. 120/2010 si
applicheranno decorsi sei mesi dalla data di
adozione del decreto ministeriale.
Pannelli luminosi della velocità. Anche se
l'art. 7 della legge n. 120/2010 ha ammesso
la regolamentazione dei pannelli luminosi
che segnalano all'utenza la velocità dei
veicoli in transito, questi strumenti
restano tuttora fuori legge. Infatti, in
assenza delle regole tecniche necessarie
all'omologazione dei modelli, queste
installazioni risultano essere al momento
ancora non conformi al codice della strada.
Targa personale. Manca all'appello il
regolamento (era da emanare entro il 12.08.2011), che deve disciplinare la targa
personale. Il modificato art. 100 del codice
della strada prevede che tutte le nuove
targhe degli autoveicoli, motoveicoli e
rimorchi diventino personali, senza che
possano essere abbinate contemporaneamente a
più di un veicolo. In caso di trasferimento
di proprietà, costituzione di usufrutto,
stipulazione di locazione con facoltà di
acquisto, esportazione all'estero e
cessazione dalla circolazione, il manufatto
dovrà essere trattenuto dal titolare.
Targa dei rimorchi. Non è ancora stato
emanato, nonostante la scadenza fissata per
il 12.10.2010, il regolamento per
disciplinare l'introduzione delle targhe dei
rimorchi; in attesa, restano valide le
targhe ripetitrici, che rappresentano una
peculiarità tutta italiana.
Intestazioni fittizie dei veicoli. Si
attende l'emanazione dei decreti che devono
dettare le disposizioni applicative della
disciplina recata nuovo art. 94-bis del
codice della strada. La fine delle
intestazioni fittizie è finalizzata a
riordinare numerose situazioni di comodo che
negli anni hanno consentito abusi
assicurativi, fiscali e amministrativi. In
pratica non potranno più essere rilasciate
carte di circolazione senza una chiara
identificazione del soggetto responsabile.
Esercitazioni di guida. Chi intende
conseguire la patente di categoria B deve
effettuare esercitazioni in autostrada o su
strade extraurbane e in condizioni di
visione notturna con l'istruttore
dell'autoscuola. Ma al momento non è ancora
stato firmato il necessario decreto
ministeriale che doveva essere adottato
entro il 12.11.2010.
Contrassegno invalidi. Grazie alla riforma
stradale dell'estate scorsa, si sono poste
le basi per adottare il contrassegno
uniforme europeo per la sosta dei disabili.
Infatti, l'art. 58 della legge n. 120/2010
ha modificato l'art. 74 del decreto
legislativo n. 196/2003. Manca però il
decreto necessario per modificare l'art. 381
del regolamento del codice della strada.
Una volta approvato il provvedimento, che è
in fase di predisposizione, l'Italia potrà
finalmente allinearsi alla raccomandazione
98/376/Ce del 04.06.1998 del consiglio,
come modificata successivamente dalla
raccomandazione 2008/205/Ce del 03.03.2008.
Multe a rate.
Discorso a parte per il pagamento rateizzato
delle sanzioni per le multe stradali.
Infatti, pur non essendo stato ancora
emanato il decreto ministeriale di
attuazione, il ministero dell'interno con la
circolare n. 6535 del 22.04.2011 ha
precisato che l'art. 202-bis è già
direttamente applicabile. Di fatto la
pratica in questo caso ha superato la
burocrazia
(articolo ItaliaOggi Sette
del 15.08.2011). |
ENTI LOCALI - VARI: Controllo
della velocità, tutor, laser e autovelox: si
cambia.
Arriverà a settembre anche il decreto
interministeriale che dovrà ridefinire le
modalità di impiego dei sistemi elettronici
per il controllo della velocità dei veicoli.
Ma solo dopo il disco verde della Conferenza
stato–città e con il possibile stralcio
della norma che avrebbe dovuto dare il via
libera definitivo alla divisione dei
proventi autovelox tra i controllori e i
gestori delle strade.
Sono le novità
autunnali in materia di controllo della
velocità, tutor, laser o autovelox.
La
riforma dell'autovelox, introdotta con la
legge 120/2010, richiede un decreto ad hoc
per disciplinare la ripartizione dei
proventi e per ridefinire nel dettaglio le
modalità di collocazione e uso dei temuti
sistemi elettronici. In pratica il governo è
chiamato a sciogliere definitivamente la
vicenda dell'impossibilità tecnica di
attivare uno dei punti più qualificanti
della riforma, ovvero la divisione dei
proventi autovelox tra organo accertatore ed
ente proprietario della strada. Oltre a
difficoltà tecniche di contabilità pubblica,
l'ostacolo maggiore è rappresentato in
questo caso dal fatto che la riforma non
avrebbe trovato applicazione sulla rete
stradale Anas, in quanto strada in
concessione. Ma anche le forti resistenze
politiche delle autonomie locali
all'attivazione della stringente riforma
hanno giocato il loro peso.
Il ministero dei trasporti e quello
dell'interno nel frattempo hanno già
predisposto la bozza della nuova circolare.
A quanto risulta a ItaliaOggi Sette non sono
previste modifiche sostanziali all'attuale
disciplina sull'uso degli strumenti
elettronici di controllo. La questione più
discussa resta quella degli strumenti
automatici in sede fissa che dopo la
modifica introdotta con l'art. 25 della
legge 120/2010 possono essere attivati,
fuori dai centri abitati, a una distanza di
almeno un chilometro dal segnale che impone
il limite di velocità.
In particolare è stata la circolare del
ministero dell'interno del 29.12.2010 a
creare maggior sconcerto. Questa distanza,
ha spiegato l'organo di coordinamento dei
servizi di polizia stradale, deve essere
osservata anche a ogni incrocio. Quindi se
il box fisso è troppo vicino a una
intersezione non si possono elevare più
sanzioni in automatico. Sembra che sia allo
studio qualche miglioria al riguardo che
possa permettere la riaccensione di alcuni
sistemi automatici, nel frattempo spenti (o
utilizzati con la presenza degli operatori
di polizia).
Solo i Tutor autostradali, infatti, non
hanno subito l'effetto della legge 120/2010
e continuano a funzionare a pieno regime
(articolo ItaliaOggi Sette
del 15.08.2011). |
PUBBLICO IMPIEGO: P.a., il part-time è discrezionale.
Niente più automatismi: l'amministrazione
valuta le istanze. Le regole per trasformare
il rapporto di lavoro dei dipendenti
pubblici da tempo pieno a parziale.
In soffitta il diritto al part-time per i
pubblici dipendenti. La pubblica
amministrazione, infatti, non è più tenuta,
senza condizioni, ad accettare le richieste
dei lavoratori di trasformare il proprio
impiego da tempo pieno a parziale, né
tantomeno la trasformazione può prodursi
automaticamente.
Piuttosto, essa rappresenta
soltanto un'opportunità per il lavoratore,
la cui decisione è rimessa alla valutazione
dell'amministrazione che deciderà in
considerazione: 1) della dotazione organica,
2) dell'oggetto dell'attività che il
lavoratore intende svolgere con il
part-time; 3) dell'impatto
sull'organizzazione lavorativa.
Pubblici sempre più privati. La novità,
introdotta dal dl n. 112/2008 (convertito
dalla legge n. 133/2008), è stata oggetto di
precisazioni da parte del ministro della
pubblica amministrazione e del ministro per
le pari opportunità nella circolare
congiunta n. 9/2011.
Due i motivi
dell'intervento ministeriale: primo per il
nascente contenzioso sull'applicazione delle
nuove e più stringenti regole; secondo per
la norma del collegato lavoro (legge n.
183/2010) che, in via transitoria, ha
concesso alle pubbliche amministrazioni un
potere speciale, ossia la facoltà di
rimettere in valutazione le trasformazioni
già concesse prima dell'entrata in vigore
della riforma (24.11.20110).
Quando è accoglibile la domanda. In base
alla normativa vigente, dunque, a fronte di
un'istanza del lavoratore, l'amministrazione
non ha più l'obbligo di accogliere la
richiesta di trasformazione del rapporto da
tempo pieno a part-time. Né la
trasformazione stessa avviene in maniera
automatica. Infatti, la nuova disciplina
prevede che la trasformazione «può» essere
concessa entro 60 giorni dalla domanda e poi
prevede particolari condizioni ostative alla
trasformazione, cioè alle cause che
precludono l'accoglimento della istanza (che
sono tipizzate ex ante).
Pertanto, in presenza della disponibilità
del «posto» nel contingente e in assenza di
tali condizioni preclusive (che riguardano
il perseguimento dell'interesse
istituzionale e il buon funzionamento
dell'amministrazione), il lavoratore
dipendente è titolare di interesse tutelato
alla trasformazione del rapporto di lavoro a
part-time, ferma restando comunque la
valutazione da parte dell'amministrazione
relativamente alla congruità del regime
orario e alla collocazione temporale della
prestazione lavorativa proposti.
La valutazione dell'istanza. La valutazione
dell'istanza, una volta verificatane l'accoglibilità
dal punto di vista soggettivo e la presenza
delle altre condizioni di ammissibilità, si
basa su tre elementi:
●
la capienza dei contingenti fissati dalla
contrattazione collettiva in riferimento
alle posizioni della dotazione organica;
●
l'oggetto dell'attività, di lavoro autonomo
o subordinato, che il dipendente intende
svolgere a seguito della trasformazione del
rapporto; in particolare, lo svolgimento
dell'attività non deve comportare una
situazione di conflitto di interessi
rispetto alla specifica attività di servizio
svolta dal dipendente e la trasformazione
non è comunque concessa quando l'attività
lavorativa di lavoro subordinato debba
intercorre con altra amministrazione (a meno
che non si tratti di dipendente di ente
locale per lo svolgimento di prestazione in
favore di altro ente locale);
●
l'impatto organizzativo della
trasformazione, che può essere negata quando
dall'accoglimento della stessa deriverebbe
un pregiudizio alla funzionalità
dell'amministrazione, in relazione alle
mansioni e alla posizione organizzativa
ricoperta dal dipendente.
La verifica della capienza del contingente
ha carattere oggettivo e deve essere
compiuta in concreto con riferimento al
momento in cui la trasformazione dovrebbe
aver luogo, in base alla domanda del
lavoratore. Nel caso in cui il numero delle
domande risulti eccedente rispetto ai posti
di contingente, la valutazione
sull'accoglimento delle istanze deve essere
operata tenendo conto, congiuntamente,
dell'interesse al funzionamento
dell'amministrazione e della particolare
situazione del dipendente, il quale,
ricorrendo determinate circostanze, può
essere titolare di un interesse protetto, di
un titolo di precedenza o di un vero e
proprio diritto alla trasformazione del
rapporto.
Il diniego va motivato. La valutazione circa
la sussistenza dei presupposti per la
concessione o delle condizioni ostative,
come pure quella relativa alla collocazione
temporale della prestazione proposta dal
dipendente e alla decorrenza della
trasformazione, non può che essere svolta in
concreto, in base alle circostanze fattuali
particolari che l'amministrazione è tenuta
ad analizzare.
In caso di esito negativo
della valutazione, le scelte effettuate
devono risultare evidenti dalla motivazione
del diniego, per permettere al dipendente di
conoscere le ragioni dell'atto, di
ripresentare nuova istanza se lo desidera e,
se del caso, consentire l'attivazione del
controllo giudiziale.
In merito, la circolare della Funzione
pubblica, per limitare il rischio di
pronunce giudiziali sfavorevoli
all'amministrazione, ha raccomandato (alle
amministrazioni) di adottare sempre
motivazioni puntuali, evitando l'uso di
clausole generali o di formule generiche che
non sono utili allo scopo.
Qualora l'amministrazione ritenesse
accoglibile la domanda del dipendente ma con
diverse modalità rispetto a quelle dallo
stesso prospettate nell'istanza, al fine di
perfezionare l'accordo, sarebbe comunque
necessaria una nuova manifestazione del
consenso da parte del lavoratore
interessato.
---------------
C'è chi mantiene la precedenza.
La contrattazione collettiva disciplina le
ipotesi di precedenza alla trasformazione.
La contrattazione collettiva, in virtù della
delega conferita dal T.u. sul pubblico
impiego (dlgs n. 165/2001) di «individuare
criteri certi di priorità nell'impiego
flessibile del personale», ha stabilito due
regole:
a) alcuni dipendenti, in considerazione
della particolare situazione in cui si
trovano, hanno un titolo di priorità
nell'accesso alle varie forme di
flessibilità (dell'orario, del rapporto) che
l'amministrazione decide di attuare
compatibilmente con l'organizzazione degli
uffici e del lavoro;
b) i criteri di priorità debbono essere
«certi», ossia predeterminati in modo chiaro
e resi conoscibili, in modo da evitare
scelte arbitrarie o comunque non imparziali.
Da ciò deriva che le amministrazioni, nel
rispetto delle forme di partecipazione
sindacale, devono stabilire in maniera
generale i criteri di priorità e la
graduazione tra gli stessi, tenendo conto
delle previsioni legali e di contrattazione
collettiva, che, intervenendo specificamente
in riferimento a determinate fattispecie,
hanno accordato rilevanza a particolari
situazioni in cui il disagio personale o
famigliare è maggiore.
Tra le fattispecie che danno diritto o
titolo di precedenza nella trasformazione
del rapporto di lavoro ci sono quelle
previste dallo stesso T.u. sul pubblico
impiego (articolo 12-bis) il quale
stabilisce che hanno diritto alla
trasformazione del rapporto i lavoratori del
settore pubblico e di quello privato affetti
da patologie oncologiche per i quali residui
una ridotta capacità lavorativa, anche a
causa di terapie salvavita, accertata dalla
competente commissione medica.
Tali lavoratori, inoltre, hanno anche
diritto alla successiva trasformazione del
rapporto da tempo parziale a tempo pieno, a
seguito di espressa richiesta. I titoli di
precedenza nella trasformazione sono a
favore dei:
●
lavoratori il cui coniuge, figli o genitori
siano affetti da patologie oncologiche;
●
lavoratori che assistono una persona
convivente con totale e permanente inabilità
lavorativa, che abbia connotazione di
gravità (ex lege n. 104/1992), con
riconoscimento di un'invalidità pari al 100%
e necessità di assistenza continua in quanto
non in grado di compiere gli atti quotidiani
della vita;
●
lavoratori con figli conviventi di età non
superiore a tredici anni;
●
lavoratori con figli conviventi in
situazione di handicap grave.
Altra situazione meritevole di tutela è
quella dei familiari di studenti che
presentano la sindrome Dsa (Disturbi
specifici di apprendimento). Sono i
contratti collettivi a disciplinare le
modalità di esercizio del diritto; pertanto,
la concreta attuazione del diritto è
subordinata alla regolamentazione da parte
dei contratti stessi. Secondo la Funzione
pubblica tuttavia, la posizione di questi
dipendenti deve essere considerata come
assistita sin da subito da una tutela
particolare e, quindi, da valutare
nell'ambito dei criteri di priorità previsti
dai Ccnl in ordine alla flessibilità
dell'orario
(articolo ItaliaOggi Sette
del 15.08.2011). |
EDILIZIA PRIVATA: Attività edilizia libera. O quasi.
Alcuni interventi restano soggetti a
preventiva comunicazione. Uno studio del
Consiglio nazionale del notariato sgombera
il campo dai dubbi in tema di permessi.
Attività edilizia: un mosaico di procedure.
Con le progressive modifiche che hanno
interessato in questi anni il Testo unico di
cui al dpr n. 380/2001 la disciplina delle
costruzioni è diventata frammentaria e di
difficile interpretazione.
Con uno specifico studio dello scorso mese
di giugno
(circolare
08.06.2011 n. 325-11/C), il Consiglio nazionale
del notariato ha quindi inteso riepilogare
in modo sintetico le regole che presiedono
allo svolgimento dell'attività edilizia,
soprattutto alla luce del decreto sviluppo.
Le modifiche al Testo unico dell'edilizia.
Il Testo unico dell'edilizia, di cui al dpr
n. 380/2001, entrato in vigore il 30.06.2003, innovando rispetto al passato, nel suo
testo originario distingueva tra attività
edilizia libera, per la quale non era
richiesto alcun titolo abilitativo, e
attività edilizia subordinata,
rispettivamente, al permesso di costruire e
alla denuncia di inizio attività, c.d. Dia
(fattispecie residuale prevista per tutti
gli interventi non rientranti tra le
attività di edilizia libera né tra quelli
per cui era obbligatorio il permesso di
costruire).
Il T.u. è successivamente stato oggetto di
numerose modifiche che hanno portato, da un
lato, all'ampliamento delle fattispecie di
attività edilizia libera, dall'altro
all'introduzione della segnalazione
certificata di inizio attività, meglio nota
come Scia, all'utilizzo dell'istituto del
c.d. silenzio assenso per il rilascio del
permesso di costruire (a eccezione dei casi
in cui sussistano vincoli ambientali,
paesaggistici e culturali) e alla previsione
di una sorta di sanatoria edilizia per le
difformità contenute entro il limite del 2%
delle misure progettuali. Attualmente la
disciplina dell'attività edilizia risulta
quindi abbastanza variegata (si veda la
tabella in pagina) e pone i privati e gli
operatori del settore dinanzi a problemi
interpretativi spesso di non facile
soluzione.
L'attività edilizia libera. Uno degli spunti
più interessanti della nuova disciplina
dell'attività edilizia riguarda sicuramente
la progressiva liberalizzazione del settore,
che permette ai privati di eseguire una
serie di opere senza avere rapporti con la
pubblica amministrazione.
All'interno di
questa categoria occorre però distinguere
tra attività totalmente libere e attività
soggette a preventiva comunicazione di
inizio lavori. In tutti e due i casi devono
comunque essere rispettate le eventuali
diverse prescrizioni degli strumenti
urbanistici comunali, le norme antisismiche,
di sicurezza, antincendio,
igienico-sanitarie, nonché quelle relative
all'efficienza energetica e alla tutela dei
beni culturali e paesaggistici.
L'attività edilizia totalmente libera
riguarda principalmente gli interventi di
manutenzione ordinaria e quelli volti
all'eliminazione delle barriere
architettoniche che non comportino la
realizzazione di rampe o di ascensori
esterni, ovvero di manufatti che alterino la
sagoma dell'edificio.
Bisogna, invece,
previamente operare la comunicazione al
comune interessato degli interventi di
manutenzione straordinaria (ivi compresa
l'apertura di porte interne o lo spostamento
di pareti interne, sempre che non riguardino
le parti strutturali dell'edificio, non
comportino aumento del numero delle unità
immobiliari e non implichino incremento dei
parametri urbanistici), delle opere dirette
a soddisfare obiettive esigenze contingenti
e temporanee e a essere immediatamente
rimosse al cessare della necessità e,
comunque, entro un termine non superiore a
90 giorni, delle opere di pavimentazione e
di finitura di spazi esterni,
dell'installazione di pannelli solari,
fotovoltaici e termici, senza serbatoio di
accumulo esterno, nonché delle aree ludiche
senza fini di lucro e degli elementi di
arredo delle aree pertinenziali degli
edifici.
In questo secondo caso, la mancata
comunicazione dell'inizio dei lavori ovvero
la mancata trasmissione della relazione
tecnica (nel caso di interventi di
manutenzione straordinaria) comportano per
il privato l'irrogazione della sanzione
pecuniaria di 258 euro, che è ridotta di due
terzi se la comunicazione è effettuata
spontaneamente quando l'intervento è ancora
in corso di esecuzione.
---------------
Scia
e superDia si dividono così il campo.
Il ricorso all'una o all'altra procedura.
Sulla base della specifica norma
interpretativa opportunamente introdotta
nell'ordinamento dal legislatore con il dl
n. 70/201, il ricorso alla Scia è previsto
in via residuale per tutti gli interventi
che non rientrano nel campo applicativo del
permesso di costruire né in quello
dell'attività edilizia libera, in entrambe
le sue tipologie.
A titolo esemplificativo, si possono
indicare i seguenti interventi: restauro e
risanamento conservativo, mutamenti di
destinazione d'uso funzionale, interventi di
manutenzione straordinaria che riguardino
parti strutturali dell'edificio, ampliamento
di fabbricati all'interno della sagoma
esistente che non determini volumi
funzionalmente autonomi e semplici modifiche
prospettiche (per esempio l'apertura o la
chiusura di una o più finestre o di una o
più porte).
Sono invece soggetti alla disciplina della
superDia tutti quegli interventi per i quali
è ammesso il ricorso alla Dia medesima in
alternativa ovvero in sostituzione al
permesso di costruire, dagli interventi di
ristrutturazione di maggiore impatto a
quelli di nuova costruzione o di
ristrutturazione urbanistica, fino agli
interventi di nuova costruzione, qualora gli
stessi avvengano in diretta esecuzione di
strumenti urbanistici generali recanti
precise disposizioni plano-volumetriche. A
queste opere devono poi aggiungersi tutte
quelle ipotesi per le quali le leggi
regionali prevedano la possibilità di
ricorrere a questo strumento in alternativa
o in sostituzione al permesso di costruire.
La superDia deve essere presentata allo
sportello unico dell'ente locale 30 giorni
prima dell'effettivo inizio dei lavori. Il
responsabile comunale, ove entro il suddetto
termine riscontri l'assenza di una o più
delle condizioni stabilite dal Tu, deve
notificare all'interessato l'ordine motivato
di non effettuare il previsto intervento.
È comunque salva la facoltà del privato di
ripresentare l'istanza con le modifiche o le
integrazioni necessarie. L'attività oggetto
della Scia, invece, può essere iniziata
dalla data stessa di presentazione della
domanda allo sportello unico, salvo che il
responsabile comunale, in caso di accertata
carenza dei requisiti e dei presupposti di
legge, ne vieti la prosecuzione.
Decorso tale termine, all'amministrazione
locale è consentito intervenire solo in
presenza del pericolo di un danno per il
patrimonio artistico e culturale, per
l'ambiente, per la salute, per la sicurezza
pubblica o la difesa nazionale e previo
motivato accertamento dell'impossibilità di
tutelare comunque tali interessi mediante
conformazione dell'attività dei privati alla
normativa vigente
(articolo ItaliaOggi Sette
del 15.08.2011). |
PUBBLICO IMPIEGO: MANOVRA-BIS/ Disallineamento
tra pubblico e privato.
FINESTRA UNICA - L'estensione del meccanismo
rigido di uscita alla scuola non riguarda
chi ha maturato il diritto alla pensione
entro il 31.12.2011.
Non è passato neanche un mese, e le pensioni
di vecchiaia delle donne subiscono una nuova
e importante modifica.
Il meccanismo che
prevedeva per le donne del settore privato
la crescita del requisito anagrafico fino ai
65 anni a partire dal 2020, viene anticipato
al 2016: resta invariata la durata
complessiva del percorso di crescita (12
anni) e, quindi, il momento di entrata a
regime della nuova disciplina è anticipato
al 2028.
Resta invariata la durata degli
scalini intermedi: 1 mese il primo anno
(2016), 2 mesi in più dal 2017, 3 dal 2018,
4 dal 2020, 5 dal 2021, 6 dal 2022 e per
ognuno degli anni fino al 2027, 3 mesi dal
2028. Solo nel 2028 quindi l'età di
vecchiaia delle donne del settore privato
sarà portata a 65 anni (salvo ulteriori
interventi in sede di conversione del
decreto).
Un percorso comunque molto lento,
che guarderanno con un po' di rammarico le
lavoratrici del settore pubblico, per le
quali la legge n. 122/2010 ha disposto la
crescita dell'età pensionabile (fissata nel
2010 a 60 anni) delle donne a 65 anni a
partire dall'01.01.2012, dopo un piccolo
balzo di un anno nel 2011.
Queste norme devono essere lette in
combinazione con gli effetti prodotti
dall'entrata in vigore del meccanismo di
adeguamento automatico dell'età pensionabile
alla speranza di vita. Secondo questo
meccanismo, applicabile non solo al regime
di accesso alla pensione di vecchiaia delle
donne (di tutti i settori) ma ad ogni altro
trattamento pensionistico, l'età
pensionabile dovrà essere periodicamente
adeguata all'eventuale aumento delle
speranze di vita.
L'entrata in vigore di
questo sistema, introdotto dalla legge n.
122/2010, era inizialmente prevista per 2015
ma, con una doppia anticipazione, la manovra
di luglio ha disposto la sua entrata in
vigore all'01.01.2013. In questi giorni
si è parlato dell'ipotesi di portare tale
termine all'01.01.2012; per ora il
decreto legge non ha scelto questa opzione,
resta da vedere se in sede di conversione si
deciderà qualcosa a riguardo.
Dal momento di
entrata in vigore di questo meccanismo, i
requisiti di età e i valori di somma di età
anagrafica e di anzianità contributiva
necessari per le pensioni di anzianità, i
requisiti anagrafici di 65 anni e di 60 anni
per il conseguimento della pensione di
vecchiaia, e tutti gli altri requisiti
anagrafici previsti dalla legislazione
vigente per l'accesso a trattamenti
pensionistici obbligatori, potranno crescere
con cadenza triennale, se cresce
l'aspettativa di vita degli italiani.
Si
tratta, quindi, di una "riforma permanente"
dei requisiti di accesso alla pensione, che
tiene costantemente in equilibrio il sistema
rispetto alla crescita della vita media (e
al potenziale incremento di costi
previdenziali che questo fenomeno produce).
Alla prima scadenza dell'01.01.2013, la
crescita dei requisiti anagrafici sarà di 3
mesi; questo periodo si dovrà quindi sommare
ai requisiti anagrafici di tutte le
pensioni, di vecchiaia e di anzianità, e
quindi dovrà essere aggiunti agli scalini
sopra ricordati.
Le donne sono protagoniste indirette anche
di un altro intervento della nuova manovra,
quello sulle finestre di pensionamento dei
dipendenti della scuola, su cui la quota di
personale femminile ha da sempre una
incidenza rilevante.
Per tutto il personale scolastico, viene
introdotta una nuova finestra di accesso
alla pensione, che potrà essere goduta al
termine dell'anno scolastico successivo a
quello di maturazione dei requisiti. Sono
esclusi dalla novità sono i soggetti che
maturano i requisiti per il pensionamento
entro il 31.12.2011
(articolo Il
Sole 24 Ore del 14.08.2011 - tratto da www.ecostampa.it). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: MANOVRA-BIS/
Ecco i tagli immediati e quelli in ballo.
Appena firmata, la manovra è già in
movimento. Mano pesante per tutti i
dipendenti.
I sacrifici arriveranno subito per tutti
sotto forma di tagli ai servizi sociali, ai
trasporti locali, agli asili, alla scuola:
sono questi i settori su cui nel 2012 si
farà sentire la sforbiciata secca di 12
miliardi che colpisce enti locali e
ministeri. ...
(articolo Il Secolo
XIX del 14.08.2011 - tratto da www.ecostampa.it). |
ENTI LOCALI: MANOVRA-BIS/
La nuova Lombardia cancella 327 comuni.
Hanno meno di 1.000 abitanti: uno solo nel
Milanese, 84 nella provincia di Pavia. In
regione la manovra anticrisi manda a casa
circa una su cinque delle 1.544
municipalità.
Si cerca di ragionare a mente fredda.
Le amministrazioni locali lombarde "epurate"
dal disegno di legge anti-crisi sollevano la
testa, anzi la scuotono. Un sindaco su 5,
all'circa, sarà costretto a lasciare la
poltrona.
"La manovra non c'entra nulla con i costi
della politica, C'è un'esigenza di serietà.
Si giunge al ridicolo e all'offesa".
E' indignato Mauro Guerra, coordinatore
nazionale ANCI dei piccoli comuni. ...
(articolo Corriere
della Sera del 14.08.2011 - tratto da www.ecostampa.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
MANOVRA-BIS/ Pa,
senza tagli stop alle tredicesime. Polemica
sugli statali - Congelamento del Tfr per chi
va in pensione d'anzianità - Più mobilità.
IL PIANO DI RIASSETTO - Saranno
soppressi gli enti pubblici non economici
sotto i 70 dipendenti Trasferimenti di
addetti sulla base di esigenze produttive.
Riduzione degli uffici dirigenziali, cura
dimagrante degli organici nel senso che si
assottiglierà il personale assegnato ai
singoli uffici, soppressione degli enti
inutili e spazio alla mobilità tra uffici.
Sono queste le principali misure che,
insieme allo slittamento di due anni del
trattamento di fine rapporto e alla
possibilità di un taglio della tredicesima
per i dipendenti delle amministrazione non
virtuose, stanno per ridisegnare il pubblico
impiego (3.115.187 dipendenti a tempo
indeterminato e 323.757 contratti
flessibili).
Prima la doccia fredda, la sforbiciata
economica. Rischiano la tredicesima i
dipendenti delle amministrazioni che
sforeranno il tetto di spesa. In questo caso
scatta «il differimento, senza interessi,
del pagamento della tredicesima mensilità
dovuta ai dipendenti delle pubbliche
amministrazioni di cui all'articolo 1 del
decreto legislativo 30.03.2001, numero
165, in tre rate annuali posticipate». Una
misura che provoca polemiche, reazioni dure
da parte dei sindacati. E anche al Quirinale
c'è qualche dubbio.
Brutte notizie per chi è sul punto di andare
in pensione, ovvero per colore che «maturano
i requisiti per il pensionamento a decorrere
dalla predetta data al'articolo 3 del
decreto-legge 28.03.1997, n. 79,
convertito con modificazioni con legge 28.05.1997, n. 140». Per questi dipendenti
il trattamento di fine rapporto non sarà
erogato «decorsi sei mesi dalla cessazione
del rapporto di lavoro» ma dopo 24 mesi.
Poi la cura dimagrante per la macchina
amministrativa. Dunque, gli uffici
dirigenziali centrali saranno ridotti in
misura non inferiore al 10 per cento.
L'obiettivo è ridurre in costi senza, nelle
intenzioni, penalizzare il servizio. A
questo proposito ministeri (si veda pezzo a
fianco), enti pubblici non economici ed
agenzie nazionali «dovranno -spiega la
Funzione pubblica- procedere ad
accorpamenti delle unità organizzative
dirigenziali secondo un criterio di
razionalizzazione, eliminazione delle
duplicazioni e accentramento delle attività
di supporto per realizzare ulteriori
economie di scala. In relazione alla
diminuzione degli uffici, è prevista anche
la diminuzione della dotazione organica del
personale assegnato. In tale caso la
riduzione viene calcolata non sulle unità di
personale, bensì sulla spesa complessiva che
dovrà ridursi in misura non inferiore al
dieci per cento». A rafforzare l'intervento
il blocco delle «assunzioni che scatta a
decorrere dall'01.04.2012 per tutte le
amministrazioni inadempienti».
Restano esclusi il personale amministrativo
operante presso gli uffici giudiziari, il
Dipartimento della protezione civile, le
Autorità di bacino di rilievo nazionale, il
Corpo della polizia penitenziaria, i
magistrati, l'Agenzia italiana del farmaco,
nei limiti consentiti dalla normativa
vigente, nonché le strutture del comparto
sicurezza, delle Forze armate, del Corpo
nazionale dei vigili del fuoco.
Sempre nell'ottica della razionalizzazione
finiranno sotto la scure gli enti pubblici
non economici nazionali di piccole
dimensioni (si stima una trentina). In
sostanza «gli enti pubblici non economici
inclusi nell'elenco di cui all'articolo 1,
comma 2, della legge 31.12.2011, n. 196, con
una dotazione organica inferiore alle
settanta unità» saranno soppressi al
novantesimo giorno dalla data di entrata in
vigore del decreto.
«Le funzioni esercitate da ciascun ente
soppresso sono attribuite
all'amministrazione vigilante ovvero, nel
caso di pluralità di amministrazioni
vigilanti, a quella titolare delle maggiori
competenze nella materia che ne è oggetto.
L'amministrazione così individuata succede a
titolo universale all'ente soppresso, in
ogni rapporto, anche controverso, e ne
acquisisce le risorse finanziarie,
strumentali e di personale».
Quanto al personale «i rapporti di lavoro
a tempo determinato, alla prima scadenza
successiva alla soppressione dell'ente, non
possono essere rinnovati o prorogati».
Corposo poi il capitolo che riguarda la
mobilità tra uffici. Al pari cioè di quanto
accade già nel settore privato il datore di
lavoro pubblico ha il potere di modificare
il luogo di esecuzione della prestazione
lavorativa attraverso lo strumento del
trasferimento definitivo o temporaneo.
È questo un intervento che ricalca il
principio alla base del decreto legislativo
numero 150/2009 (riforma Brunetta). «Il
piano delle performance delle
amministrazioni -chiarisce la Funzione
pubblica- non può prescindere da una
corretta allocazione delle risorse sul
territorio nazionale, resa indispensabile in
relazione alla necessità di contenimento dei
costi e di limitatezza delle risorse
disponibili». Due le condizioni:
esigenze produttive e attenzione alla
contrattazione.
Il trasferimento può essere disposto «sulla
base di motivate esigenze, tecniche,
organizzative e produttive con riferimento
ai piani della performance o ai piani di
razionalizzazione, secondo criteri ed ambiti
regolati dalla contrattazione collettiva di
comparto»
(articolo Il Sole 24
Ore del 14.08.2011 - tratto da www.ecostampa.it). |
ENTI LOCALI: MANOVRA-BIS/ Premio
da 500 milioni per chi privatizza.
Andrà agli Enti locali che cedono quote
delle proprie società in forma di fondo per
le infrastrutture.
LE INCOMPATIBILITÀ - La
non sovrapposizione fra incarichi della
politica locale e quelli di amministratori
delle aziende controllate vale anche per il
settore idrico.
Spunta nella manovra un incentivo di 500
milioni per i comuni e gli altri enti locali
che dismetteranno quote delle proprie
società dei servizi pubblici locali, le ex
aziende municipalizzate. L'incentivo, che
era rimasto "coperto" anche nelle bozze del
decreto legge circolate venerdì ed è stato
poi inserito all'articolo 5 del decreto
legge, prende la forma di una quota del
«fondo infrastrutture» che sarà riservata a
questa funzione di premio
pro-privatizzazione.
Questa quota finanzierà progetti di
investimento infrastrutturale dell'ente
locale che privatizza, sarà svincolata dal
patto di stabilità e non potrà superare, per
ogni singola assegnazione, il valore della
quota azionaria della società ceduta.
Anche per questa norma, come per la
liberalizzazione dei servizi pubblici locali
contenuta nell'articolo 4, sono esclusi
l'acqua e i servizi idrici, nel rispetto
dell'esito del referendum del 12-13 giugno.
Il "premio" è ripartito in 250 milioni per
le privatizzazioni effettuate nel 2012 e 250
milioni per quelle effettuate nel 2013.
Le risorse messe a disposizione del "premio"
ai privatizzatori sono di quelle pregiate: è
infatti il Fas (fondo aree sottoutilizzate)
che arriva dall'articolo 6-quinquies del
decreto legge 112/2008, vale a dire le
risorse non spese o recuperate dalla vecchia
programmazione 2000-2006. Rispetto a tante
risorse Fas teoriche o fantomatiche, che
spesso vengono usate come specchietto per le
allodole nei testi di legge, queste sono
vere, tutte dotate di cassa.
Per il resto, l'impianto della nuova
liberalizzazione dei servizi pubblici locali
esce integralmente confermato dal testo
dell'articolo 4 del decreto legge,
anticipato ieri dal Sole 24 Ore. Con una
sola novità, pretesa dalla Lega, che non ha
mai gradito né liberalizzazioni dei servizi
pubblici locali né vincoli posti ai
comuni-proprietari.
Al comma 14, dove si dispone che «le società
cosiddette "in house" affidatarie dirette
della gestione dei servizi pubblici locali
sono assoggettate al patto di stabilità
interne», il ministro per le riforme per il
federalismo, Umberto Bossi, appunto, ottiene
il concerto sul decreto che dovrà definire
le modalità di questo "assoggettamento". La
Lega vigila e conferma di aver digerito con
qualche difficoltà la nuova riforma, voluta
anche questa, come la precedente, dal
ministro delle Regioni, Raffaele Fitto.
Le società pubbliche saranno assoggettate ad
altri vincoli che, nel disegno di legge
liberalizzatore della norma, dovrebbero
rendere meno allettante il mantenimento dei
monopoli locali pubblici. Per esempio, con
il comma 15 che impone alle società «in
house» di affidare lavori e forniture con le
regole imposte alla pubblica amministrazione
con il codice degli appalti. Oppure il comma
17 che impone invece il regime pubblicistico
«per il reclutamento del personale e per il
conferimento degli incarichi» delle società
controllate dalla pubblica amministrazione.
O ancora le verifiche dell'adempimento degli
obblighi posti dal contratto di servizio: a
svolgere la verifica dovranno essere non gli
amministratori dell'ente locale
proprietario, ma gli organi di revisione.
Interessante per il settore degli appalti
anche il comma 16 che vorrebbe porre fine a
una questione annosa relativa al socio di
minoranza con requisiti di socio
"industriale". Se questo socio è un
costruttore, può realizzare lui direttamente
i lavori commissionati dalla società di
servizi pubblici?
Alle tre condizioni già imposte dal codice
degli appalti (la scelta del socio privato è
avvenuto con gara, il socio privato ha i
requisiti di qualificazione necessari, la
società provvede in via diretta almeno al
70% del mercato), ora la nuova norma mette
altri paletti in relazione proprio alle gara
con cui viene scelto il socio. Il
costruttore-socio potrà realizzare i lavori
solo qualora nella gara in cui è stato
individuato quale socio venisse
esplicitamente richiesta (e valutata)
«l'attribuzione di specifici compiti
operativi connessi alla gestione del
servizio».
In altre parole, se nella gara della scelta
del socio di minoranza non viene
esplicitamente indicato che si richiederà
anche la realizzazione di lavori (o di
forniture o servizi), al socio non potrà
essere affidata alcuna commessa o appalto.
Come detto, l'acqua è esclusa dalla nuova
disciplina, con l'eccezione dei commi 19-26
che sanciscono le incompatibilità tra
politica locale e aziende, per esempio tra
incarichi di «amministratori, dirigenti e
responsabili degli uffici o dei servizi
dell'ente locale» controllante e quelli
di amministratori delle aziende.
Incompatibilità che si applicano anche ad
acquedotti e depuratori
(articolo Il Sole 24
Ore del 14.08.2011 - tratto da www.ecostampa.it). |
ENTI LOCALI: MANOVRA-BIS/
Taglio province rischio beffa. Si
accorcia la lista degli enti che potrebbero
essere soppressi: alla fine sarebbero solo
29. Ed è già rivolta sul territorio per non
essere "cancellati".
Sono 38. No 37, forse 36. Ma potrebbero
anche essere 29. O 25. Dopo poco più di un
giorno dal Consiglio dei ministri che ha
dato il via libera alla manovra di agosto, è
già partita la lotteria. Una lotteria che
lascia intravedere la beffa finale e che
lascia senza risposta la più semplice delle
domande: quante saranno le province che
verranno abolite?
Non si sa, almeno per ora. Il testo
approvato dal governo, infatti, fissa due
criteri: ...
(articolo Il Tempo del 14.08.2011 - tratto da www.ecostampa.it). |
ENTI LOCALI - VARI: MANOVRA-BIS/
Dagli statali al prelievo, ecco tutte le
misure. Un miliardo all'anno dal contributo
di solidarietà, 8 dai risparmi di Palazzo.
Interventi per contrastare l'evasione e
delega per la riforma dell'assistenza
sociale, tagli consistenti sugli enti
locali.
Venti miliardi nel 2012, altri venticinque e
mezzo nel 2013. Per arrivare al pareggio di
bilancio un anno prima prima del previsto,
servirà uno sforzo aggiuntivo di 45,5
miliardi di euro.
Che, naturalmente, si somma alle misure già
decise tre settimane fa. ...
(articolo
Corriere della Sera
del 13.08.2011 - tratto da www.ecostampa.it). |
PUBBLICO IMPIEGO: MANOVRA-BIS/ Donne
in pensione a 65 anni nel 2028. Nel 2016 il
primo scalino di un mese - In dieci anni
risparmi cumulati per 13 miliardi.
Tre anni dopo il
pareggio di bilancio, nel 2016, il requisito
per il pensionamento di vecchiaia delle
lavoratrici del settore privato verrà
aumentato di un mese. L'innalzamento
proseguirà negli anni a seguire di 2, 3, 4,
5 e 6 mesi per portare l'età a 65 anni tra
il 2027 e il 2028.
È questa l'unica misura strutturale in
materia pensionistica approvata ieri dal
Consiglio dei ministri. Nel primo anno, per
effetto delle nuove misure, saranno
trattenute al lavoro per un periodo più
lungo circa 50mila lavoratrici, che poi
salgono fino a quota 270-300mila l'anno
verso la fine del decennio di transizione. I
risparmi cumulati saranno di circa 13
miliardi.
Ieri nel corso della conferenza stampa in
cui sono stati illustrati sommariamente i
contenuti della manovra, il ministro
dell'Economia, Giulio Tremonti, ha poi
riferito di altri interventi pensionistici
che garantiranno un miliardo di risparmi nel
2012. Si tratta, secondo le prime
ricostruzioni, dell'effetto di due misure.
La prima è il posticipo del pagamento del
Tfr per i dipendenti pubblici che andranno
in pensione di anzianità. La seconda prevede
invece l'estensione della cosiddetta «finestra
unica», vale a dire il posticipo secco
di 13 mesi del pensionamento effettivo dal
momento della maturazione dei requisiti,
anche al settore scuola, dove i
pensionamenti sono sempre stati legati al
momento di chiusura dell'anno scolastico.
Per far fronte alle esigenze della scuola in
vista dell'avvio del nuovo anno, su proposta
dei ministri Renato Brunetta e Giulio
Tremonti –ha poi reso noto da palazzo Chigi–
è stato inoltre approvato un decreto
presidenziale che autorizza «per il solo
anno 2011-2012» il trattenimento in
servizio di 414 dirigenti scolastici. Il
decreto autorizza poi l'assunzione a tempo
indeterminato di 30.300 unità di personale
docente ed educativo e di 36.000 unità di
personale amministrativo, tecnico e
ausiliario.
Nessuna novità, invece, per le pensioni di
anzianità, per la quali si prevedeva
l'anticipo di «quota 97» dal 2013 al
2012. La «vigilanza stretta» del
leader della Lega, Umberto Bossi, non ha
fatto passare neanche questa mediazione al
ribasso rispetto all'ipotesi iniziale che
prevedeva il blocco progressivo entro il
2015 dei pensionamenti anticipati, mossa che
avrebbe assicurato circa 2,5 miliardi di
minore spesa previdenziale. Al termine del
Consiglio i tre ministri della Lega si sono
detti «contenti» per il salvataggio
delle pensioni anticipate. La quadra su
questo punto è stata raggiunta nel corso dei
numerosi contatti tra Silvio Berlusconi e
Umberto Bossi, un confronto tra i due leader
che è proseguita nel lungo pomeriggio di
Palazzo Chigi che ha preceduto la riunione
del Consiglio dei ministri.
Nessuna decisione, infine, riguardo alle
pensioni di reversibilità, sulle quali
probabilmente si tornerà nell'ambito della
razionalizzazione delle prestazioni
assistenziali prevista dalla legge delega
che verrà presentata al Parlamento. Nulla di
fatto anche sull'altra misura di cui si era
parlato negli ultimi giorni, vale a dire
l'anticipo al 2012 del meccanismo di
aggancio del pensionamento all'aspettativa
di vita, che resta dunque fissato al 2013
con il primo posticipo di tre mesi. La
misura, nel primo biennio di applicazione,
ma anche qui siamo fuori dall'orizzonte del
close to balance 2013, garantirà 300
milioni di risparmi
(articolo Il Sole 24
Ore
del 13.08.2011 - tratto da www.ecostampa.it). |
APPALTI SERVIZI: MANOVRA-BIS/ Largo
ai privati nei servizi pubblici locali.
Il Governo ci riprova dopo il referendum ma
esclude l'acqua - Possibile gestione delle
reti a imprese.
ATTENZIONE ALLA QUALITÀ -
Un socio privato potrà essere messo alla
porta se non rispetterà gli impegni assunti
Attuazione delle nuove regole a partire dal
marzo 2012.
Nuove prove di
liberalizzazione e privatizzazione per i
servizi pubblici locali. La disciplina è,
per certi versi, più aperta al mercato di
quanto lo fosse lo stesso articolo 23-bis,
abrogato dal referendum del 12-13 giugno. Si
creano spazi nuovi di liberalizzazione piena
per servizi o segmenti di servizi. È ammessa
la gestione privata delle reti anche se
resta ferma la proprietà pubblica.
L'affidamento in house è ammesso liberamente
solo fino a 900mila euro. Le società
pubbliche, che potranno partecipare alle
gare anche se controllate al 100% dagli enti
locali, dovranno però rispettare le regole
del patto di stabilità e quelle del settore
pubblico per l'assunzione di personale con
concorsi qualora svolgano servizio in house.
Sono esclusi, però, dalla nuova disciplina
l'acqua e i servizi idrici, cosa che fa
ritenere al Governo e al ministro delle
Regioni, Raffaele Fitto, padre anche della
nuova riforma, come della vecchia, che le
norme siano legittime e possano superare
senza problemi il vaglio del Quirinale.
Esclusi anche i settori dell'energia, del
gas, delle ferrovie e delle farmacie.
Restano, in sostanza, trasporti su gomma,
rifiuti, illuminazione.
Il nuovo decalogo dettato agli enti locali
definisce spazi di liberalizzazione piena,
anche se le norme dovranno ovviamente
affrontare la prova della realtà. Primo: è
previsto che l'ente locale debba anzitutto
verificare se un servizio pubblico sia
pienamente liberalizzabile, se ci siano,
cioè, imprese private disposte a realizzarlo
senza contributi pubblici, garantendo le
caratteristiche di universalità e
accessibilità del servizio. Se più imprese
vogliono svolgere liberamente il
collegamento in autobus città-aeroporto,
perché non consentirlo?
Secondo: se proprio si deve affidare un
servizio in esclusiva, la delibera che lo
decide deve essere trasmessa all'Autorità
antitrust. Terzo, l'affidamento del servizio
in esclusiva va fatto sempre con una gara.
Quarto, se l'ente pubblico decide di
costituire una società mista, dovrà fare una
gara per la scelta del socio privato dove «i
criteri di valutazione delle offerte basati
sulla qualità e corrispettivo del servizio
prevalgano di norma su quelli riferiti al
prezzo delle quote societarie». Il socio
privato non potrà avere meno del 40% del
capitale.
Una novità è la possibilità di mettere alla
porta il socio privato che non svolga «i
compiti operativi connessi alla gestione del
servizio per l'intera durata del servizio
stesso». In quel caso, si rimette in
gara la quota per il socio privato. Saranno
definiti dal bando di gara anche «criteri
e modalità di liquidazione del socio privato
alla cessazione della gestione».
Ritorna la norma che era contenuta
nell'articolo 23-bis abrogato dal referendum
sulle incompatibilità degli amministratori
delle società pubbliche che non potranno
provenire da incarichi politici, come per
esempio quelli di consiglieri o assessori
(si veda anche il servizio sul taglio ai
costi della politica in pagina 3).
Come già era previsto nell'articolo 23-bis,
la nuova disciplina detta una norma per il
regime transitorio. Gli affidamenti diretti
in house di importo superiore a
900mila euro cessano il 31.03.2012. Le
gestioni affidate direttamente a società a
partecipazione mista pubblica e privata,
qualora la selezione del socio sia avvenuta
mediante gare ma non con la gara a doppio
oggetto (affidamento del servizio e scelta
del socio) cesseranno il 30.06.2012. Le
gestioni affidate direttamente a società a
partecipazione mista pubblica e privata,
qualora la selezione del socio sia avvenuta
mediante gara a doppio oggetto cesseranno
alla scadenza naturale del contratto di
servizio.
Gli affidamenti diretti avvenuti alla data
dell'01.10.2003 a società a partecipazione
pubblica già quotate in borsa a tale data e
a quelle da esse controllate cessano alla
scadenza prevista nel contratto di servizio,
a condizione che la partecipazione pubblica
si riduca progressivamente attraverso gare «o
forme di collocamento privato presso
investitori qualificati e operatori
industriali». La quota pubblica non
dovrà essere superiore al 40 per cento entro
il 30.06.2013 e al 30 per cento entro il
31.12.2015. È la norma che salverà molte
aziende quotate affidatarie di servizi
aggiudicati senza gara.
Positiva la valutazione di Fitto. «Come
concordato nel corso del confronto con le
parti sociali all'inizio di settimana -dice
il ministro- il Governo ha varato su mia
proposta, all'interno del decreto approvato
questa sera, un insieme di norme che
riannodano il filo spezzato della
liberalizzazione dei servizi pubblici
locali. L'Italia ha bisogno in questo
settore di una spinta poderosa alla
competitività e all'efficienza per stimolare
la crescita economica e per ricondurre
finalmente a condizioni di trasparenza e
correttezza i rapporti tra sfera politica e
sfera economica»
(articolo Il Sole 24
Ore
del 13.08.2011 - tratto da www.ecostampa.it). |
ENTI LOCALI:
MANOVRA-BIS/ Le 54 mila poltrone
in meno nei palazzi della politica.
Cinquantaquattromila poltrone in meno, 36
province sparite dalla carta degli enti
locali, 1.970 piccoli comun i accorpati,
contributo di solidarietà raddoppiato per i
parlamentari, indennità ridotta del 50 per
cento per i deputati e i senatori che
continuano ad esercitare una professione
percependo redditi alti, cura dimagrante per
il Cnel, tetto del 15 per cento al numero
degli assessori rispetto al numero dei
consiglieri eletti negli enti locali. E per
finire obbligo di ...
(articolo
Corriere della Sera
del 13.08.2011 - tratto da www.ecostampa.it). |
ENTI LOCALI: MANOVRA-BIS/
Municipalizzate, i comuni dovranno
privatizzare. Al via le cessioni degli enti
locali.
Sparso per l'Italia c'è un patrimonio di 102
miliardi di euro che è possibile
privatizzare. E' a questo tesoro che la
manovra varata ieri sera dal Consiglio dei
ministri guarda come grande fronte cui
attingere per riequilibrare i conti. E anche
per ridare vigore ad un settore nel quale
l'efficienza è sotto la media nazionale, con
produttività del lavoro inferiore ...
(articolo
Corriere della Sera
del 13.08.2011 - tratto da www.ecostampa.it). |
PUBBLICO IMPIEGO: MANOVRA-BIS/ Statali,
stretta su tredicesima e Tfr.
I TAGLI - Rinviato di due anni il
trattamento di fine rapporto mentre
rischiano la mensilità i dipendenti degli
enti che non riducono la spesa.
Il trattamento di fine
rapporto arriverà con due anni di ritardo e
la tredicesima non sarà corrisposta per i
lavoratori delle amministrazioni che non
rispetteranno i tagli di spesa previsti.
Per i dipendenti pubblici la manovra
anticrisi all'esame del Consiglio dei
ministri prevede altre misure restrittive
per il reddito e sono queste le due
principali novità emerse ieri sera. Il
segretario generale dell'Ugl Giovanni
Centrella dà «un giudizio negativo sulle
misure indirizzate al pubblico impiego
perché troppo penalizzanti».
Vanno ad aggiungersi alle strette che sono
state annunciate per il pubblico impiego
negli ultimi interventi. La manovra bis
dunque interesserà ancora una volta le
amministrazioni pubbliche che hanno occupato
nell'ultimo anno circa 3,4 milioni di
dipendenti a tempo determinato e
indeterminato con una spesa di oltre 168
miliardi di euro.
E per i quali le ultime settimane sono già
state ricche di importanti cambiamenti che
porteranno una trasformazione forte nel
sistema del lavoro pubblico. L'ultima
novità, in ordine di tempo, è stata
l'estensione della possibilità di poter
utilizzare i contratti di apprendistato
anche nel pubblico impiego, oltre che negli
studi professionali e nell'ambito della
somministrazione di manodopera.
Focalizzandosi sul tema del reddito quelli
chiesti al pubblico impiego sembrano tagli
che andranno consolidandosi nei prossimi
anni e a confermarlo ci sarebbe il rinvio
che pende sui rinnovi contrattuali che
dovrebbero ripartire nel 2013 ma possono
slittare al 2015. Per gli statali sono
iniziati insomma tempi di continui giri di
vite.
La manovra "uno" del 2011, quella di
luglio, aveva infatti già blindato i
risparmi previsti dal Dl 78/2010 e ne aveva
aggiunti di nuovi, per un ammontare di circa
1,1 miliardi nel periodo 2013-2015 e da 340
milioni a decorrere dal 2016. Se oggi il
peso del costo del lavoro pubblico è intorno
a 168 miliardi, nei prossimi anni, grazie a
questi progressivi interventi dovrà
arrestarsi ben al di sotto.
Oltre al mancato adeguamento della parte
economica del contratto, numerose sono state
le misure ideate per centrare l'obiettivo.
Come per esempio la proroga di un anno per i
vincoli al turn over e quella al 2014
del blocca-stipendi, ossia la misura
accessoria che impedisce ai trattamenti
accessori di portare gli stipendi sopra i
livelli del 2010. O come la semplificazione,
il rafforzamento e l'obbligatorietà delle
procedure di mobilità del personale tra le
pubbliche amministrazioni, eterna promessa
nel pubblico impiego che non ha mai dato i
risultati prospettati. Così per gli statali
fino a qualche settimana fa, ossia fino alla
manovra "uno", il conto del risparmio
andava da poco più di 2mila euro per il
personale Ata ai 43mila euro per i dirigenti
di prima fascia degli enti pubblici non
economici.
A tutto questo adesso vanno aggiunte le due
novità emerse ieri sera che renderanno
ancora più salato il conto per gli statali.
La scure della manovra bis si è infatti
abbattuta su Tfr e tredicesima. Per quanto
riguarda le tredicesime mensilità, ci sarà
uno stop per i dipendenti delle
amministrazioni pubbliche che non rispettano
gli obiettivi di riduzione della spesa
(articolo ItaliaOggi
del 13.08.2011 - tratto da www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIAGO:
MANOVRA-BIS/ Statali, Tfr
congelato per due anni. Niente tagli, niente
tredicesima.
La vera novità contenuta nel decreto-legge
varato ieri sera dal Consigli dei ministri
per "ristrutturare" (e non solo anticipare)
la manovra sui conti pubblici riguarda i
dipendenti statali.
Non più solo i dirigenti (che già con
manovra varata a luglio dovranno versare un
contributo di solidarietà), ma tutti i
dipendenti che hanno come datore di lavoro
lo Stato, cioè quasi 3 milioni e mezzo di
persone, saranno interessati dalle nuove
norme decise dal governo.
Ecco le misure, La prima è, diciamo così,
una "messa in mora". ...
(articolo
Corriere della Sera
del 13.08.2011 - tratto da www.ecostampa.it). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIUEGO: MANOVRA-BIS/
Tfr, province, tagli alla Casta. Ecco cosa
cambia per gli italiani.
Stretta sui dipendenti statali degli enti
meno virtuosi, che perderanno la
tredicesima. Addio voli blu e sigarette più
care. Spinta sulle liberalizzazioni delle
municipalizzate.
Una manovra da 45 miliardi di euro (20 nel
2012 e 25 nel 2013) per rimettere in sesto i
conti pubblici con un anno di anticipo.
Il provvedimento licenziato all'unanimità
dal Consiglio dei ministri contiene misure
che riguardano i costi della politica, al
previdenza, il fisco, gli investimenti
finanziari e i dipendenti pubblici.
Per fronteggiare l'emergenza ...
(articolo
Il Giornale
del 13.08.2011 - tratto da www.ecostampa.it). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: MANOVRA-BIS/ Tutte
le novità in 15 parole.
Tasse, assistenza, pensioni, lavoro e
servizi pubblici locali: l'abc per capire
l'impatto su famiglie, imprese e
professionisti.
Un pesante pacchetto di interventi sul
fronte del Fisco che spazia dai tributi
locali (sblocco delle addizionali e
soprattutto la nuova imposta Imu) al
contributo di solidarietà sull'Irpef per i
redditi più elevati, dalla nuova tassazione
delle rendite finanziarie alla lotta contro
l'evasione attraverso la tracciabilità dei
pagamenti.
Ecco poi le misure sul welfare,
come i ticket sui ricoveri, i costi standard
nella sanità, la stretta sulle pensioni e la
riforma dell'assistenza. Per passare alle
disposizioni che riguardano le attività
economiche, come la norma costituzionale
sulla libertà di impresa, il riordino delle
professioni e le liberalizzazioni dei
servizi pubblici locali.
Con una panoramica complessiva sui
provvedimenti più importanti approvati ieri
sera dal Governo, «Il Sole 24 Ore» propone
oggi la prima puntata del «Dizionario della
manovra di Ferragosto». Una bussola
quotidiana attraverso le parole chiave per
capire che cosa cambia, con quali costi e in
quali tempi. E con un occhio particolare ai
singoli destinatari, come famiglie, imprese,
professionisti ed enti locali.
Per ogni voce vengono attribuite due
valutazioni: da una parte, un voto (da 1 a
10) sull'efficacia per il miglioramento dei
conti pubblici; dall'altra, un giudizio
(alto, medio e basso) sul grado di concreta
facilità nell'attuazione della norma. ...
(articolo Il Sole 24
Ore
del 13.08.2011 - tratto da www.ecostampa.it). |
ENTI LOCALI: MANOVRA-BIS/
Via 36 province, ma i dipendenti vanno
assorbiti. Comuni solo oltre i mille
abitanti.
Alla fine l'asticella è stata posizionata a
quota 300 mila abitanti per stabilire quali
sono le province che devono sparire dalla
carta delle istituzioni della Repubblica in
occasione delle prossime elezioni
amministrative: alla fine dovranno ammainare
il gonfalone 36 amministrazioni provinciali
comprese quelle di ...
(articolo
Corriere della Sera
del 13.08.2011 - tratto da www.ecostampa.it). |
ENTI LOCALI: MANOVRA BIS/
Mini-enti associati. Eliminate 22 province.
Soppressione delle province poco estese e
sotto i 300 mila abitanti, obbligo per i
comuni sotto i 1.000 abitanti di costituire
unioni, riduzione dei consigli regionali. Il
pacchetto di tagli ai costi della politica
locale contenuto nel decreto legge varato
ieri dal consiglio dei ministri (e che
approderà in commissione al senato già il 22
agosto) spazzerà via 54 mila poltrone.
I mini-enti che dovranno obbligatoriamente
associarsi in unione saranno amministrati
solo da un super-sindaco che svolgerà tutte
le funzioni oggi attribuite alle giunte. E
anche i consigli comunali scompariranno.
Perché il cuore dell'attività amministrativa
diventerà l'unione che dovrà avere una
popolazione minima di 5000 abitanti.
Il risparmio atteso da questa misura non
sarà una cifra da capogiro (secondo i
calcoli dell'Anci la soppressione delle
giunte e dei consigli nei comuni sotto i
1.000 abitanti non farebbe risparmiare più
di 9 milioni di euro), ma la misura per il
governo ha un evidente valore simbolico
perché consente di spazzare via molte
poltrone politiche. Critica l'Anci che si
aspettava norme diverse per valorizzare
l'associazionismo comunale. «Si è persa
l'occasione per fare una riforma seria», ha
commentato Mauro Guerra coordinatore
nazionale dei piccoli comuni dell'Anci, «una
riforma che per esempio incentivasse i
comuni ad associarsi o a fondersi senza
imposizioni dall'alto».
Addio anche alle province «inutili». Tali
vengono considerati gli enti intermedi sotto
i 300 mila abitanti e con una superficie
inferiore a 3000 chilometri quadrati. La
tagliola scatterà dalle prossime elezioni e
in ogni caso per il calcolo della soglia
demografica minima si terrà conto dei dati
del prossimo censimento che si svolgerà
quest'anno a ottobre.
Dunque il quadro degli enti da sopprimere
potrebbe essere diverso da quello attuale
che vede solo 22 enti a rischio lungo lo
Stivale. Dall'elenco vanno infatti escluse
anche le le province delle regioni a statuto
speciale. Che nel dubbio si sono subito
affrettate (Sardegna e Friuli-Venezia Giulia
in testa) a rivendicare la propria autonomia
legislativa in materia di ordinamento degli
enti locali.
Il combinato disposto dei due
criteri (popolazione e estensione
territoriale) dovrebbe portare
all'eliminazione delle province di Isernia,
Rieti, Verbano-Cusio-Ossola, Vibo Valentia,
Crotone, Fermo, Vercelli, Biella, Massa
Carrara, Ascoli, Asti, Imperia, La Spezia,
Lodi, Campobasso, Terni, Rovigo, Prato,
Benevento, Savona, Piacenza e Pistoia.
Completa il quadro dei tagli la
razionalizzazione dei consigli e delle
giunte regionali. I consigli potranno essere
composti al massimo da 20 componenti nelle
regioni fino a 1 milione di abitanti, 30
nelle regioni fino a 2 milioni, 40 nelle
regioni fino a 4 milioni, 50 nelle regioni
fino a 6 milioni, 70 nelle regioni fino a 8
milioni e 80 nelle regioni con più di 8
milioni di abitanti.
Il numero massimo di assessori regionali
dovrà essere pari o inferiore a un quinto
del numero dei consiglieri (articolo ItaliaOggi
del 13.08.2011). |
PUBBLICO IMPIEGO:
MANOVRA BIS/ Approvato anche
l'anticipo al 2015 dell'adeguamento dell'età
pensionabile delle donne. All'anzianità serve
un anno in più.
Dal 2012 quota 97 per i dipendenti e 98 per
gli autonomi.
Dal prossimo anno ci vorrà un anno in più
d'età per andare in pensione d'anzianità,
ossia 61 anni se si è dipendenti e 62 anni
se si è lavoratori autonomi, e raggiungere
rispettivamente quota 97 o 98.
È quanto
prevede la bozza di manovra esaminata ieri
dal consiglio dei ministri che, per le
pensioni di anzianità, anticipa di un anno
l'operatività dell'ultima quota che sarebbe
dovuta entrare in vigore dal 1° gennaio
2013.
Ciò significa che dal prossimo anno,
per andare in pensione, ai lavoratori
dipendenti servirà l'età di 61 anni e 36
anni di contributi oppure l'età di 62 anni e
35 anni di contributi; ai lavoratori
autonomi (artigiani, commercianti, ecc.)
occorrerà un'età non inferiore a 62 anni e
36 anni di contributi oppure un'età di 63
anni con 35 anni di contributi.
Inoltre, la
bozza di manovra anticipa di cinque anni il
progressivo incremento del requisito d'età a
65 anni per la pensione di vecchiaia delle
donne del settore privato. Scatterà, in
altre parole, dall'anno 2015 per concludersi
entro il 2027.
Anzianità, anticipo quota 97/98. La prima
stretta sulle pensioni riguarda, dunque,
quelle di anzianità. Cioè i trattamenti per
i quali, a decorrere dal 1° gennaio 2009, è
stato introdotto il cosiddetto sistema delle
quote in base al quale il diritto alla
pensione si perfeziona al raggiungimento di
una quota (appunto), data dalla somma tra
l'età anagrafica minima richiesta e almeno
35 anni di anzianità contributiva.
Il
sistema prevedeva il suo completamento a
partire dal 1° gennaio 2013, da quando
sarebbe dovuta diventare operativa l'ultima
quota. In particolare, per i lavoratori
dipendenti erano previsti questi requisiti
di pensione:
● 60 anni di età e raggiungere quota 96, nel
periodo dal 1° gennaio 2011 al 31 dicembre
2012;
● 61 anni di età e raggiungere quota 97, a
partire dal 1° gennaio 2013.
Per i lavoratori autonomi erano previsti i
seguenti requisiti di pensione:
● 61 anni di età e raggiungere quota 97, nel
periodo dal 1° gennaio 2011 al 31 dicembre
2012;
● 62 anni di età e raggiungere quota 98, a
partire dal 1° gennaio 2013.
In ogni caso, era necessario il requisito
minimo contributivo di 35 anni per il
raggiungimento della quota da perfezionarsi
con esclusione della contribuzione
figurativa per disoccupazione ordinaria e
malattia. Inoltre, restava ferma la
possibilità di andare in pensione a
prescindere dall'età, qualora si possedesse
un'anzianità contributiva di almeno 40 anni
(in tale ipotesi, se il requisito minimo dei
35 anni di contribuzione effettiva è stato
raggiunto, si utilizza anche la
contribuzione figurativa per disoccupazione
e malattia).
La novità, dunque, è l'anticipo dell'ultima
quota (97 per i dipendenti e 98 per gli
autonomi a partire dal 1° gennaio 2012.
Pertanto dal prossimo anno i lavoratori
dipendenti potranno andare in pensione con
61 anni di età se raggiungono quota 97,
mentre i lavoratori autonomi con 62 anni di
età qualora raggiungono quota 98. Resta
ferma, infine, la possibilità di accedere
alla pensione in presenza di 40 anni di
contribuzione.
Donne in pensione a 65 anni dal 2027.
L'altra novità riguarda l'anticipo di cinque
anni della tabella di marcia che eleva il
requisito d'età per la pensione di vecchiaia
delle donne. In sostanza, invece che
scattare dal 1° gennaio 2020 (con il primo
mese di incremento), il graduale incremento
scatterà dall'anno 2015. Pertanto, il
requisito anagrafico oggi previsto a 60 anni
resterà tale fino al 31.12.2014, salvo
gli incrementi dovuti alla speranza di vita,
per poi incrementarsi:
►
di un mese a decorrere dal 1° gennaio 2015;
►
di ulteriori due mesi a decorrere dal 1°
gennaio 2016;
►
di ulteriori tre mesi a decorrere dal 1°
gennaio 2017;
►
di ulteriori quattro mesi a decorrere dal 1°
gennaio 2018;
►
di ulteriori cinque mesi a decorrere dal 1°
gennaio 2019;
►
i ulteriori sei mesi a decorrere dal 1°
gennaio 2020 e per ogni anno successivo fino
al 2026;
►
di ulteriori tre mesi a decorrere dal 1°
gennaio 2027, quando arriverà a 65 anni (al
netto degli ulteriori incrementi dovuti alla
speranza di vita) (articolo ItaliaOggi
del 13.08.2011). |
ATTI AMMINISTRATIVI -
ENTI LOCALI: Enti, tornano i controlli preventivi.
Con l'obbligo del pareggio di bilancio va in
soffitta il Titolo V. La novità nella bozza
di riforma dell'art. 81. Oggi incontro
governo-autonomie. Cedolare al 23%.
Tornano i controlli preventivi di
legittimità negli enti locali. Aboliti nel
2001 ad opera della riforma del Titolo V
della Costituzione, i Comitati regionali di
controllo (Coreco) potrebbero riaffacciarsi
sulla scena istituzionale magari in forma
riveduta e corretta.
Passa anche da questa
controriforma la via al risanamento dei
conti pubblici che porterà a modificare
l'art. 81 della Carta introducendo l'obbligo
del pareggio di bilancio.
Il dietrofront rispetto a quella che per
regioni, province e comuni fu una delle
maggiori conquiste del nuovo Titolo V (la
legge costituzionale n. 3/2001 abrogò
espressamente gli articoli 125, comma 1, e
130 della Costituzione che disciplinavano
rispettivamente i controlli sugli atti delle
regioni e degli enti locali) è al momento
molto di più di una semplice idea.
L'abrogazione dei Coreco, infatti, lungi dal
rafforzare, come avrebbe dovuto, l'autonomia
degli enti locali, a detta di molti non ha
portato i frutti sperati.
Perché i controlli di gestione e i controlli
interni non hanno trovato adeguato spazio e
la dirigenza non sempre ha saputo
conquistarsi sufficiente indipendenza dalla
politica per poter esprimere giudizi liberi
da condizionamenti.
E così Giulio Tremonti ha pensato di tornare
al passato. La modifica è stata messa nero
su bianco nel documento di lavoro illustrato
ieri davanti alle commissioni riunite
(affari costituzionali e bilancio) di camera
e senato. La reintroduzione dei controlli
preventivi porterà a riscrivere l'articolo
119 della Costituzione e sarà una diretta
conseguenza dei nuovi e più restrittivi
principi che troveranno posto nell'art. 81.
I nuovi organi di controllo dovranno infatti
verificare che i bilanci degli enti
territoriali siano coerenti con le nuove
prescrizioni costituzionali. Norme non
ancora decise tutte nel dettaglio, ma che
per il momento appaiono come un mix tra
regole più o meno definite e mere
enunciazioni di principio.
Il primo comma del nuovo art. 81 della
Costituzione cristallizza l'obbligo del
pareggio di bilancio. «In coerenza con i
principi di equità intergenerazionale e di
sostenibilità finanziaria», si legge, «la
repubblica italiana persegue, contenendo
l'indebitamento, l'equilibrio del saldo
delle pubbliche amministrazioni». Il
successivo comma 2 estende l'obbligo del
pareggio agli enti locali che dovranno
rispettare «l'equilibrio delle entrate e
delle spese, in linea di principio senza
ricorso all'indebitamento».
Sarà possibile derogare a questa regola
aurea solo nelle fasi di crisi economica
(quando si potrà avere un pareggio ciclico,
ma un disavanzo nominale, con l'obbligo di
recupero nei periodi favorevoli), oppure per
fronteggiare eventi eccezionali e per
finanziare gli investimenti degli enti
locali. Questi ultimi dovranno
contestualmente presentare un piano di
ammortamento delle spese e garantire che
siano coerenti con i saldi della p.a.
I controlli ex ante sui conti pubblici, per
garantirne la compatibilità con l'obbligo di
pareggio di bilancio, non riguarderanno solo
gli enti territoriali ma anche lo Stato. E,
da quanto si legge nelle poche righe che
accompagnano la bozza Tremonti, dovrebbe
trattarsi di un controllo molto più
penetrante «e non solo formale come quello
che si fa oggi sulla copertura finanziaria».
Oggi l'incontro con regioni ed enti locali.
Questa e le altre misure anticrisi che
coinvolgeranno regioni, province e comuni,
saranno illustrate oggi dal ministro
Raffaele Fitto che incontrerà a palazzo
Chigi i rappresentanti delle autonomie.
Tra
le ipotesi in campo, oltre alla soppressione
delle mini-province (idea che ciclicamente
ritorna ad ogni provvedimento anticrisi) e
all'accorpamento dei piccoli comuni, si fa
sempre più strada la possibilità di
anticipare al 2012 l'entrata in vigore dell'Imu,
l'imposta immobiliare comunale introdotta
dal federalismo fiscale. Mentre sembra molto
probabile un innalzamento dal 21 al 23%
dell'aliquota della cedolare secca per i
canoni liberi (quella per i canoni
concordati resterebbe al 19%)
(articolo ItaliaOggi
del 12.08.2011 - tratto da www.ecostampa.it). |
PUBBLICO IMPIEGO - SEGRETARI COMUNALI: Segretari tuttofare.
Autentica delle quietanze liberatorie. Nel
dl 70/2011 la nuova competenza in materia di assegni.
Segretari comunali e dipendenti incaricati
dal sindaco per le autentiche di firma sono
competenti anche per le autentiche delle
quietanze liberatorie disciplinate dalla
legge 386/1990.
È una novità prevista
dall'art. 8, comma 7, lett. f-bis) della
legge 106/2011, in sede di conversione del
dl 70/2011.
Tale disposizione ha aggiunto
all'art. 8 della legge 386/1990, recante la
disciplina sanzionatoria degli assegni
bancari, dopo il comma 3 relativo alle
quietanze liberatorie inerenti ad assegni
emessi senza provvista, il comma 3-bis il
quale prevede che «l'autenticazione di cui
al comma 3 del presente articolo è
effettuata ai sensi dell'articolo 21, comma
2, del T.u. di cui al decreto del presidente
della repubblica 28.12.2000, n. 445.
L'autenticazione deve essere rilasciata
gratuitamente, tranne i previsti diritti,
nella stessa data della richiesta, salvo
motivato diniego».
Con riferimento alla autenticazione della
quietanza liberatoria, la competenza del
segretario comunale e del dipendente
incaricato dal sindaco alle autentiche di
firma è stata a lungo controversa. Tuttavia
negli ultimi tempi, dopo una risoluzione del
ministero dell'interno del 20 giugno 2006 e
i due pareri dell'Agenzia dei segretari del
06.03.2009 e del 22.06.2010, era ormai
chiaro che né il segretario comunale né il
dipendente incaricato dal sindaco avevano
competenza in materia e che unico soggetto
competente a tale tipo di autenticazione era
il notaio.
A tale conclusione si perveniva in quanto la
quietanza è un atto a forma vincolata con il
quale il creditore, liberando il debitore,
non si limita a dichiarare di aver ricevuto
una data somma di denaro a fronte di un
assegno sprovvisto di copertura ma esprime
una volontà ben precisa volta a liberare il
debitore dalla obbligazione contratta. Si
tratta quindi di un atto negoziale tra
privati, sottratto al regime di
autenticazione previsto dal dpr 445/2000
sulla documentazione amministrativa, di
esclusiva competenza notarile in assenza di
una norma speciale quale ad esempio l'art. 7
del dl 223/2006 sul passaggio di proprietà
dei beni mobili registrati.
L'Agenzia dei segretari aveva espresso tale
orientamento anche in riferimento a comuni
privi di sede notarile precisando che anche
la Banca d'Italia aveva comunicato la
necessità che a tale autentica procedesse un
notaio e non un altro pubblico ufficiale. La
nuova normativa prevede ora invece che
l'autenticazione relativa alle quietanze
liberatorie è effettuata ai sensi dell'art.
21, comma 2, del dpr 445/2000 e quindi anche
dal segretario comunale o dal dipendente
incaricato dal sindaco.
Il legislatore pertanto non solo ha
allargato l'ambito dei soggetti competenti
alla autenticazione delle quietanze
liberatorie, comprendendo tra questi anche
il segretario comunale e il dipendente
incaricato dal sindaco, ma ha assimilato le
stesse alle istanze o alle dichiarazioni
sostitutive di atto di notorietà
disciplinando anche costi e tempi del
rilascio. Ora per l'autenticazione delle
quietanze liberatorie sarà quindi
sufficiente recarsi in comune sostenendo una
spesa spesso di soli 0,52 euro oltre al
bollo
(articolo ItaliaOggi
del 12.08.2011 - tratto da www.ecostampa.it). |
CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO
VIMINALE/ Previdenza, paga l'ente.
Sussiste il diritto al rimborso delle quote
forfettarie annuali, ai fini pensionistici,
che un amministratore ha versato
direttamente all'istituto presso cui era
iscritto al momento dell'assunzione del
mandato?
In base alla normativa vigente compete
all'ente presso cui è stato espletato il
mandato elettivo provvedere ai versamenti in
questione; pertanto sussiste il diritto al
rimborso delle predette quote, qualora siano
state versate all'istituto previdenziale
dall'amministratore anziché dall'ente di
appartenenza
(articolo ItaliaOggi
del 12.08.2011 - tratto da www.ecostampa.it). |
CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO
VIMINALE/ Incompatibilità
degli assessori.
Anche per l'assessore comunale, figura non
espressamente elencata nel comma 1 dell'art.
63 del Tuel, ricorrono le ipotesi di
incompatibilità di cui al punto 1 del
medesimo articolo?
Deve essere applicata la fattispecie di cui
al punto 5) dell'art. 63, comma 1, nei
confronti di amministratori comunali per i
quali l'ente locale deve procedere al
recupero di somme liquidate con sentenze
passate in giudicato, nel caso in cui questi
dovessero chiedere la rateizzazione del
debito?
Relativamente al primo punto del quesito,
occorre rilevare che, ai sensi dell'art. 47
del decreto legislativo n. 267/2000, gli
assessori devono possedere gli stessi
requisiti di candidabilità, eleggibilità, e
incompatibilità previsti per la carica di
consiglieri.
Per quanto concerne il secondo punto, va
rilevato che qualora gli amministratori in
questione siano stati dichiarati, con
sentenza passata in giudicato, responsabili
verso il comune, per fatti compiuti allorché
erano amministratori dell'ente medesimo, la
causa di incompatibilità prevista dall'art.
63, comma1, n. 5 del dlgs n. 267/2000 verrà
meno solo quando il relativo debito nei
confronti del comune sarà stato
completamente estinto, ovvero a seguito di
prescrizione quinquennale
(articolo ItaliaOggi
del 12.08.2011 - tratto da www.ecostampa.it). |
CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO
VIMINALE/ Indennità.
Agli amministratori locali va applicato
l'art. 5, comma 7, del dl n. 78/2010 oppure
l'art. 6, comma 3, del medesimo decreto?
La manovra finanziaria varata con il decreto
legge 31.05.2010, n. 78, convertito con
modificazioni dalla legge 30.07.2010, n.
122, ha disposto, all'art. 5, comma 7, che
con decreto del ministro dell'interno, da
emanarsi ai sensi dell'art. 82, comma 8, del
decreto legislativo 18.08.2000, n. 267 e
successive modificazioni e integrazioni, di
concerto con il ministero dell'economia e
delle finanze, siano rideterminati in
riduzione gli importi delle indennità di
funzione degli amministratori comunali e
provinciali già previsti nel decreto
ministeriale 04.04.2000, n. 119, e siano
determinati gli importi dei gettoni di
presenza per i consiglieri comunali e
provinciali per la partecipazione a consigli
e commissioni.
Il successivo art. 6, comma 3, del citato
decreto-legge statuisce che, «fermo restando
quanto previsto dall'art. 1, comma 58 della
legge 23.12.2005, n. 266, a decorrere
dall'01.01.2011 le indennità, i
compensi, i gettoni, le retribuzioni o le
altre utilità comunque denominate,
corrisposti dalle pubbliche amministrazioni
di cui al comma 3 dell'art. 1 della legge 31.12.2009, n. 196, incluse le autorità
indipendenti, ai componenti di organi di
indirizzo, direzione e controllo, consigli
di amministrazione e organi collegiali
comunque denominati e ai titolari di
incarichi di qualsiasi tipo, sono
automaticamente ridotte del 10 per cento
rispetto agli importi risultanti alla data
del 30.04.2010. Sino al 31.12.2013, gli emolumenti di cui al presente
comma non possono superare gli importi
risultanti alla data del 30.04.2010,
come ridotti ai sensi del presente comma».
Premesso che è in corso di definizione
l'iter di emanazione del nuovo regolamento
per la determinazione della misura delle
indennità di funzione e dei gettoni di
presenza da corrispondere agli
amministratori degli enti locali, ai fini
del calcolo dell'indennità spettante agli
amministratori locali devono trovare
applicazione le disposizioni del citato art.
5, comma 7, essendo espressamente
individuati i destinatari di tale norma,
mentre il richiamato art. 6, comma 3, dello
stesso decreto sembra avere un più ampio
ambito di applicazione ed essere comunque
destinato a soggetti giuridici diversi da
quelli espressamente individuati dal
segnalato art. 5, comma 7.
Tale interpretazione è in linea con il
generale principio dell'ordinamento in base
al quale, quando più leggi o più
disposizioni regolano la stessa materia, la
legge o la disposizione di legge speciale
deroga alla legge o alla disposizione di
legge generale
(articolo ItaliaOggi
del 12.08.2011 - tratto da www.ecostampa.it). |
VARI: Sosta,
multe a due vie per l'abusivo.
Normalmente l'automobilista che sosta in
un'area a pagamento senza esporre il
previsto contrassegno incorre in una multa
stradale e nella penale per inadempienza
contrattuale prevista anche per chi supera
l'orario stampigliato. Diversamente se
l'area blu ammette la sosta solo per un
periodo massimo limitato per gli abusivi
scatterà l'ulteriore multa periodica ammessa
dal codice stradale ma non il recupero delle
spese.
Lo ha chiarito il ministero dei trasporti
con il parere 05.07.2011 n. 3615.
Un utente stradale ha richiesto chiarimenti
sulle regole applicabili dai vigili in caso
di sosta negligente prolungata nelle aree
regolamentate. I comuni hanno piena facoltà
di istituire previa deliberazione della
giunta, aree destinate al parcheggio sulle
quali la sosta del veicolo è subordinata al
pagamento di una somma, da riscuotere
mediante dispositivi di controllo di durata
della sosta, anche senza custodia.
In tal caso l'utente stradale che parcheggia
il proprio mezzo ha l'obbligo di
corrispondere la tariffa richiesta e di
attivare il dispositivo di controllo, pena
la sanzione stradale di 39 euro. Se non
viene effettuato il pagamento o si prolunga
la sosta oltre al dovuto si configura
inoltre una inadempienza contrattuale che
comporta il risarcimento conseguente al
mancato introito.
Diversamente, prosegue il ministero, se la
sosta in zona blu è limitata temporalmente
con segnaletica ad hoc l'utente che
parcheggia abusivamente sarà soggetto alla
multa prevista dall'art. 7/15° del codice
della strada di euro 24. In pratica questa
sanzione amministrativa si riferisce alla
sosta limitata o regolamentata, qualora la
sosta si protragga oltre l'orario
consentito, ovvero sia effettuata da diversa
categoria di veicoli o di utenti. La
sanzione è applicata per ogni periodo per il
quale si protrae la violazione, essendo
implicita la segnalazione dell'orario di
inizio della sosta, ovvero la messa in
funzione del dispositivo di controllo della
durata.
In sostanza, conclude la nota, se la sosta
si protrae abusivamente in area a pagamento
senza limite orario o di categoria il
trasgressore sarà soggetto solo ad una multa
e a una misura punitiva locale.
Diversamente, se il parcheggiatore abusivo
lascia il veicolo in zona blu con sosta
massima consentita sarà soggetto
all'ulteriore sanzione periodica prevista
dal codice stradale, ma senza recupero delle
spese
(articolo ItaliaOggi
dell'11.08.2011). |
EDILIZIA PRIVATA: Sanatoria
senza silenzio-assenso.
La regola vale solo per il permesso di
costruire ordinario. È quanto emerge dal
confronto tra il T.u. e l'articolo 20 del
decreto sviluppo.
Sanatoria edilizia senza il silenzio
assenso. La procedura di accertamento di
conformità, regolato dall'articolo 36 del
Testo unico per l'edilizia (dpr 380/2001),
non è stata toccata dal decreto sullo
sviluppo (70/2011), che ha introdotto sì la
regola del silenzio assenso, ma solo per il
permesso di costruire ordinario. Non per
quello in sanatoria.
È quanto è lecito desumere confrontando
l'articolo 36 citato con l'articolo 20
modificato dal decreto legge 70/2011.
L'articolo 36, infatti, prevede che «sulla
richiesta di permesso in sanatoria il
dirigente o il responsabile del competente
ufficio comunale si pronuncia con adeguata
motivazione, entro 60 giorni decorsi i quali
la richiesta si intende rifiutata».
Si tratta, dunque, di un caso di silenzio il
cui effetto è regolamentato direttamente
dalla legge: l'inerzia dell'amministrazione
significa che l'istanza è respinta, tanto
che l'interessato potrà impugnare l'atto di
diniego implicito. La formulazione
dell'articolo 36 è rimasta tale anche dopo
la modifica dell'articolo 20 del Testo unico
per l'edilizia, dedicato al procedimento
ordinario (non in sanatoria) del rilascio
del permesso di costruire.
Nella nuova
formulazione, al comma 8, si legge che
decorso inutilmente il termine per
l'adozione del provvedimento conclusivo, se
il dirigente o il responsabile dell'ufficio
non abbia opposto motivato diniego, sulla
domanda di permesso di costruire si intende
formato il silenzio-assenso, fatti salvi i
casi in cui sussistano vincoli ambientali,
paesaggistici o culturali. Anche qui siamo
di fronte a un caso di silenzio
significativo, anche se di tenore diverso da
quello dell'articolo 36. In questa ipotesi
il silenzio vuole dire provvedimento
implicito di accoglimento. Anche in questo
caso chi ha interesse potrà impugnare il
permesso di costruire silente con un ricorso
al Tribunale amministrativo regionale.
Tra
l'altro non si può dire che la modifica
dell'articolo 20 del Testo unico per
l'edilizia possa trascinare anche il
procedimento di permesso di costruire in
sanatoria. Ciò è impedito dall'articolo 20
comma 4 della legge 241/1990, che disciplina
in generale l'istituto del silenzio-assenso.
Stando all'articolo 20 le disposizioni sul
silenzio assenso non si applicano, tra le
altre ipotesi, ai casi in cui la legge
qualifica il silenzio dell'amministrazione
come rigetto dell'istanza. Per arrivare al
silenzio assenso sul permesso di costruire
in sanatoria occorre, dunque, una modifica
esplicita dell'articolo 36 del Testo unico
per l'edilizia.
Va, comunque, ricordato che, per effetto
dell'articolo 20 della legge 241/1990, anche
nel caso di permesso di costruire tacito
l'amministrazione competente può sempre
assumere determinazioni in via di
autotutela, ai sensi degli articoli
21-quinquies e 21-nonies, sempre della legge
241/1990 e cioè revoca o annullamento
d'ufficio (come tra l'altro può avvenire
anche per i provvedimenti espressi).
Tornando alla sanatoria, dal decreto
sviluppo non sono stati toccati i
presupposti sostanziali e, in particolare,
la cosiddetta doppia conformità: il
responsabile dell'abuso, o l'attuale
proprietario dell'immobile, possono ottenere
il permesso in sanatoria se l'intervento
risulti conforme alla disciplina urbanistica
ed edilizia vigente sia al momento della
realizzazione dello stesso, sia al momento
della presentazione della domanda. Anche se,
sul punto, non mancano richieste di
estensione di tali presupposti anche al caso
di conformità singola alla normativa
edilizia vigente al momento della richiesta
di sanatoria.
Lo stesso Consiglio di stato,
infatti, ha avuto modo di affermare che
l'articolo 36 del Testo unico per
l'edilizia, nella parte in cui richiede che
l'opera sia conforme tanto alla normativa
urbanistica vigente al momento della
realizzazione dell'opera, quanto a quella
vigente al momento della domanda di
sanatoria, è una disposizione contro
l'inerzia dell'amministrazione: tale regola
«non preclude il diritto a ottenere la
concessione in sanatoria di opere che,
realizzate senza concessione o in difformità
dalla concessione, siano conformi alla
normativa urbanistica vigente al momento in
cui l'autorità comunale provvede sulla
domanda in sanatoria» (Consiglio di stato,
sezione sesta, n. 2835 del 07.05.2009).
L'orientamento più rigoroso ritiene, invece,
che sul principio di buon andamento, che fa
ritenere illogico che si demolisca ciò che,
al momento stesso, potrebbe essere
autorizzato in base allo strumento vigente,
deve prevalere quello di legalità: quindi
non è possibile l'estensione del permesso di
sanatoria al di fuori dei presupposti della
cosiddetta «doppia conformità» e non può
trovare applicazione l'istituto della
cosiddetta sanatoria «giurisprudenziale» o
«impropria», ammessa nell'ipotesi in cui le
opere, inizialmente abusive, diventino
successivamente conformi alle norme urbanistico-edilizie e alle previsioni degli
strumenti di pianificazione per effetto di
normative o disposizioni pianificatorie
sopravvenute
(articolo ItaliaOggi
dell'11.08.2011). |
PUBBLICO IMPIEGO: Stage all'estero d'obbligo per
i dirigenti della p.a.. In Gazzetta
Ufficiale il decreto che attua la legge Brunetta.
Per i dirigenti pubblici di prima fascia neo
assunti, sarà obbligatorio effettuare, prima
del conferimento dell'incarico dirigenziale,
uno stage formativo all'estero di sei mesi
presso gli uffici amministrativi degli stati
membri dell'Unione europea, dei suoi
organismi, ovvero di enti e organizzazioni
cui l'Italia aderisce. La formazione dovrà
completarsi con la partecipazione del neo
dirigente anche ad seminari e convegni. Al
termine del periodo formativo, sarà
l'amministrazione estera che dovrà valutare
il livello di professionalità acquisito dal
dirigente.
Questi i contenuti salienti del dpr
n. 134/2011, pubblicato sulla Gazzetta
Ufficiale n. 184 del 09.08.2011 (si veda ItaliaOggi di ieri) che attua le
disposizioni contenute all'articolo 28-bis
del dlgs n. 165/2001, introdotte dalla
riforma del pubblico impiego, fortemente
voluta dal ministro della funzione pubblica,
Renato Brunetta.
Un periodo di stage all'estero, si legge nel
dpr in esame, potrà far acquisire ai
dirigenti competenze e strumenti tipici
delle scienze manageriali, incrementare il
livello delle loro competenze, così da
assicurare «il miglior contributo alla
performance generale dell'organizzazione
statale», nonché sviluppare la capacità di
interagire con amministrazioni e organismi
internazionali. Giova, però, premettere che
le disposizioni richiamate non avranno
effetto nei confronti dei neodirigenti
assunti con contratto a tempo determinato,
in quanto la formazione risulterebbe
eccessivamente onerosa, anche sotto il
profilo temporale, in rapporto al periodo
lavorativo da svolgere.
Quindi, le amministrazioni che intendono
bandire concorsi dirigenziali di prima
fascia, devono curare la programmazione
della formazione all'estero dei dirigenti,
così da assicurarne lo svolgimento «nel
periodo immediatamente successivo
all'assunzione e precedente al conferimento
dell'incarico dirigenziale». Sulla scorta di
accordi, convenzioni o forme di
collaborazione, che sarà cura della Scuola
superiore della pubblica amministrazione (Sspa)
definire, i neo dirigenti pubblici
svolgeranno il tirocinio presso gli uffici
amministrativi degli stati membri Ue, degli
stati candidati all'adesione, ovvero di
organismi dell'Unione europea e di enti e
organizzazioni internazionali cui l'Italia
aderisce. Il neo dirigente, infatti, al
momento dell'assunzione, dovrà scegliere
l'amministrazione estera in cui dovrà
espletare lo stage, tra quelle individuate a
seguito degli accordi predetti.
In particolare, come prevede l'articolo 5
del dpr in esame, il neodirigente dovrà
effettuare uno stage di sei mesi,
preferibilmente continuativi, presso una o
più amministrazioni estere. La sospensione
dello stage è prevista sono se ricorrono
legittime cause. In ogni caso, il periodo di
stage, dovrà completarsi entro tre anni
dalla conclusione del concorso.
Come detto, al termine del periodo formativo
sarà l'amministrazione (o le
amministrazioni) estera che redigeranno una
valutazione del dirigente. La conclusione
positiva dello stage, pertanto, equivale al
superamento del periodo di prova, necessario
all'immissione definitiva nel ruolo dei
dirigenti di prima fascia.
Infine, sotto il profilo economico, il dpr
precisa che anteriormente al conferimento
dell'incarico e durante il periodo
formativo, al dirigente spetta il
trattamento economico tabellare e la
retribuzione di posizione previsti per i
dirigenti di prima fascia, oltre il rimborso
delle spese di viaggio, vitto ed alloggio,
che sono a carico delle amministrazioni
presso cui il dirigente è incardinato
(articolo ItaliaOggi
dell'11.08.2011). |
PUBBLICO IMPIEGO: Nuove regole sui congedi parentali.
Permessi fino a un massimo di tre anni per
assistere i disabili. Entra in vigore il
decreto legislativo n. 119/2011 che riordina
la disciplina sulle astensioni.
Arriva la stretta su congedi e permessi dal
lavoro. Il congedo parentale per assistenza
a figli disabili comprende anche il congedo
ordinario: complessivamente, tra l'uno e
l'altro, il congedo spetta fino a un massimo
di tre anni. Chi fruisce di permessi per
assistere disabili residente in comune
distante più di 150 km deve attestare il
raggiungimento di tale luogo. La lavoratrice
in congedo di maternità ha facoltà di
rientrare anticipatamente al lavoro, in caso
di aborto o di morte prematura del bimbo.
Infine, il dipendente pubblico che ha fruito
di aspettativa per motivi di studio, se nei
successivi due anni interrompe il rapporto
d'impiego, deve restituire la retribuzione
percepita durante il congedo.
A stabilirlo,
tra l'altro, il dlgs n. 119/2011 che entra
in vigore oggi, di riordino della disciplina
dei congedi, aspettative e permessi in
attuazione della legge n. 183/2010
(collegato lavoro).
Vediamo le principali
novità.
Congedo di maternità (ex astensione
obbligatoria). La disciplina vigente prevede
l'obbligo per la lavoratrice di astenersi
dal lavoro per cinque mesi, dai due
precedenti la data presunta del parto fino
al terzo successivo al parto. La lavoratrice
ha facoltà di posticipare il periodo,
cominciando ad assentarsi dal mese
precedente la data presunta del parto per
proseguirlo, così, fino al quarto mese
successivi (è la flessibilità), a condizione
che non arrechi pregiudizio alla salute
della gestante e del nascituro.
La novità
del decreto di riordino prevede che, nel
caso d'interruzione spontanea o terapeutica
della gravidanza dopo i 180 giorni
dall'inizio della gestazione, nonché in caso
di decesso del bambino alla nascita o
durante il congedo di maternità, la
lavoratrice ha facoltà di riprendere in
qualunque momento l'attività lavorativa,
dando un preavviso di dieci giorni
all'azienda, a condizione che il medico
specialista del servizio sanitario nazionale
o con esso convenzionato e il medico
competente sulla sicurezza attestino
(entrambi) che il rientro al lavoro non
arreca pregiudizio al suo stato di salute.
Congedo parentale (ex astensione
facoltativa). Il T.u. maternità disciplina
il congedo parentale, come diritto ad
astenersi dal lavoro dei genitori, per ogni
bambino nei primi otto anni di vita, per la
durata non superiore a sei mesi se fruiti
dalla madre, sette mesi se fruiti dal padre,
11 mesi complessivamente (entrambi i
genitori).
La lavoratrice o, in alternativa,
il lavoratore padre di minore con handicap
grave ha diritto al prolungamento fino a tre
anni del periodo di congedo parentale,
quando il bambino non risulta ricoverato a
tempo pieno presso istituti specializzati.
La novità del decreto di riordino definisce
il prolungamento del congedo parentale per i
genitori di bimbi con disabilità: per ogni
minore con handicap grave, uno dei due
genitori ha diritto al prolungamento del
congedo entro l'ottavo anno di vita del
bambino; i genitori possono fruire
alternativamente del congedo, in modo
continuativo o frazionato per un massimo di
tre anni; previsto un prolungamento del
congedo anche nel caso in cui uno dei due
genitori debba assistere il minore
ricoverato a tempo pieno in istituti
specializzati.
Per effetto delle modifiche è
disposto, dunque, che il periodo di congedo
parentale ordinario, nel caso di bambini con
disabilità, va compreso nella durata di «tre
anni complessiva» relativa al prolungamento
del congedo stesso.
Riposi giornalieri (ex allattamento).
Il T.u. maternità disciplina i riposi
giornalieri (ex allattamento) in via
generale a favore della madre, ma fruibili
pure dal padre, il cui diritto spetta
durante il primo anno di vita del bimbo e la
cui durata è di due ore al giorno (un'ora
sola se l'orario di lavoro è inferiore a sei
ore).
La novità del decreto di riordino stabilisce
che tale disciplina va applicata entro il
primo anno dall'ingresso del minore nella
famiglia, anziché entro il primo anno di
vita del bambino.
Inoltre, nel caso dei dipendenti pubblici
assegnati ad altra sede temporaneamente,
stabilisce che la disciplina dei riposi può
applicarsi entro i primi tre anni
dall'ingresso del minore nella famiglia,
indipendentemente dalla sua età
(articolo ItaliaOggi
dell'11.08.2011). |
EDILIZIA PRIVATA: La
Scia edilizia dura tre anni.
Scaduto il termine, per chiudere i lavori ne
serve un'altra. Lo studio del Consiglio
nazionale del notariato sulla disciplina
dopo il decreto sviluppo.
La Scia edilizia dura tre anni. Una volta
scaduti, senza completamento delle opere,
per finire i lavori se ne deve chiedere
un'altra.
È questa l'interpretazione data
circolare 08.06.2011 n. 325-11/C
del Consiglio nazionale dei notai, che ha illustrato la disciplina
edilizia dopo il decreto sullo sviluppo n.
70/2011 (si veda ItaliaOggi del 4 agosto
scorso).
Vediamo, dunque, le principali in materia di
segnalazione certificata di inizio attività
in ambito edilizio, concentrandosi su due
aspetti: efficacia del titoli e sistema
sanzionatorio.
La legge non dispone esplicitamente
sull'efficacia della Scia, alla quale si
applica la disciplina del Testo unico per
l'edilizia (dpr 380/2001).
Ne deriva che anche la scia edilizia ha tre
anni di efficacia, decorrenti dalla data
della sua presentazione: quindi i lavori non
ultimati entro il triennio possono essere
completati previa presentazione di una nuova
scia. Inoltre l'interessato deve comunicare
all'ufficio tecnico del comune la data di
ultimazione dei lavori.
Lo studio dei notai aggiunge che, ultimato
l'intervento, il progettista o un tecnico
abilitato dovrà rilasciare un certificato di
collaudo finale, con il quale si attesta la
conformità dell'opera al progetto presentato
con la scia.
Il certificato di collaudo dovrà essere
presentato allo sportello unico, unitamente
alla ricevuta dell'avvenuta presentazione
della variazione catastale conseguente alle
opere realizzate o a dichiarazione che le
stesse non hanno comportato modificazioni
del classamento.
Tra l'altro si deve fare molta attenzione
agli aspetti catastali, considerato che il
decreto legge 78/2010 ha disposto la nullità
degli atto di trasferimento immobiliare, se
non vi è dichiarazione di conformità tra
dati catastali e le planimetrie catastali
depositate in Catasto e lo stato di fatto.
Se manca il certificato di collaudo finale e
la variazione catastale si applicazione
della sanzione di 516 euro.
Ai fini della documentazione della
regolarità edilizia, la sussistenza del
titolo è provata con la copia della stessa,
dalla quale risulti la data di ricevimento,
l'elenco di quanto presentato a corredo del
progetto, e l'attestazione del
professionista abilitato, e gli atti di
assenso eventualmente necessari.
Nel caso di interventi edilizi eseguiti in
assenza ovvero in difformità dalla scia si
applica la disciplina dettata per gli
interventi eseguiti in assenza o in
difformità dalla Dia (articolo 37, T.u. dpr
380/2001).
Pertanto la realizzazione di interventi
edilizi rientranti nell'ambito di
applicazione della Scia in assenza della o
in difformità dalla scia comporterà la
sanzione pecuniaria pari al doppio
dell'aumento del valore venale dell'immobile
conseguente alla realizzazione degli
interventi stessi e comunque in misura non
inferiore a 516 euro.
Quando le opere realizzate in assenza di
scia consistono in interventi di restauro e
di risanamento conservativo, eseguiti su
immobili comunque vincolati in base a leggi
statali e regionali, e dalle altre norme
urbanistiche vigenti, l'autorità competente
a vigilare sull'osservanza del vincolo,
salva l'applicazione di altre misure e
sanzioni previste da norme vigenti, potrà
ordinare la restituzione in pristino a cura
e spese del responsabile ed irrogherà una
sanzione pecuniaria da 516 a 10.329 euro.
Qualora gli interventi di restauro e di
risanamento conservativo siano eseguiti su
immobili, anche non vincolati, compresi nei
centri storici, il dirigente o il
responsabile dell'ufficio richiederà al
Ministero per i beni e le attività culturali
apposito parere vincolante circa la
restituzione in pristino o la irrogazione
della sanzione pecuniaria pari al doppio
dell'aumento del valore venale dell'immobile
conseguente alla realizzazione degli
interventi stessi e comunque in misura non
inferiore a 516 euro. Se il parere non verrà
reso entro 60 giorni dalla richiesta, il
dirigente o il responsabile dell'ufficio
provvederà autonomamente.
Anche per gli interventi in assenza o in
difformità della scia è prevista la
sanatoria.
In caso di abusi formali (mancata
presentazione della Scia) e, quindi, se
l'intervento realizzato risulta conforme
alla disciplina urbanistica ed edilizia
vigente sia al momento della realizzazione
dell'intervento, sia al momento della
presentazione della domanda (cosiddetta
doppia conformità), il responsabile
dell'abuso o il proprietario dell'immobile
potranno ottenere la sanatoria
dell'intervento versando la somma, non
superiore a 5.164,00 euro e non inferiore a
516,00 euro, stabilita dal responsabile del
procedimento in relazione all'aumento di
valore dell'immobile valutato dall'Agenzia
del territorio.
La presentazione spontanea della scia,
effettuata quando l'intervento è in corso di
esecuzione, obbliga al pagamento, a titolo
di sanzione, della somma di 516 euro.
Rimane ferma la possibilità per il dirigente
o il responsabile del competente ufficio
comunale, in caso di accertata carenza dei
requisiti e dei presupposti, di adottare,
entro i successivi 30 giorni, motivati
provvedimenti di divieto di prosecuzione
dell'attività e di rimozione degli eventuali
effetti dannosi di essa.
La mancata presentazione della Scia non
comporta l'applicazione di sanzioni penali
(articolo ItaliaOggi
dell'11.08.2011). |
PUBBLICO IMPIEGO: Dirigenti con concorso nella p.a..
Riserva per il 50% dei manager pubblici di
prima fascia. Direttiva di Brunetta per dare
il via alla riforma dell'accesso.
Programmazione entro il 31 ottobre.
Nella p.a. un dirigente apicale su due dovrà
essere assunto con concorso e con contratto
a tempo indeterminato. E dovrà
obbligatoriamente andare all'estero per un
periodo di formazione (non meno di sei mesi)
prima di assumere l'incarico o al massimo
entro tre anni dall'immissione in ruolo.
La golden rule della legge Brunetta (dlgs
150/2009) per rendere i manager pubblici più
autonomi dal potere politico, ma anche più
responsabili per le scelte gestionali
assunte, entra ora nel vivo. La legge
Brunetta dava agli enti due anni di tempo
per mettersi in regola e il 31 ottobre
prossimo scade la dead line entro cui le
amministrazioni interessate dalla nuova
disciplina dell'accesso alla dirigenza (p.a.
centrali anche ad ordinamento autonomo,
agenzie, enti pubblici non economici, enti
di ricerca, mentre restano esclusi i
dirigenti con rapporti di lavoro di natura
privatistica, nonché i capi dipartimento e i
segretari generali) dovranno programmare su
base triennale il numero di posti da mettere
a concorso.
Per quest'anno le p.a. avranno
una chance in più perché potranno scegliere
se calcolare le posizioni dirigenziali
disponibili sul triennio 2011-2013 o
spingendosi fino al 2014.
Le indicazioni
operative del ministro della funzione
pubblica sono contenute nella
direttiva 05.08.2011 n. 11/2011 diffusa ieri da palazzo Vidoni.
Proprio nel giorno in cui è stato pubblicato
in Gazzetta Ufficiale (n. 184 del 09/08/2011)
il dpr 21.06.2011 n. 134 sulla
formazione all'estero dei neo dirigenti di
prima fascia.
La direttiva richiama l'attenzione degli
enti sull'applicazione del dpcm 26.10.2010 con cui la Funzione pubblica ha
disciplinato le modalità di calcolo dei
posti disponibili e lo svolgimento dei
concorsi.
Le norme. La legge Brunetta, sulla base
dell'assunto che «il reclutamento di parte
della dirigenza apicale mediante procedure
concorsuali pubbliche concorre a rendere più
imparziale l'azione amministrativa», ha
disposto che il 50% dei posti dirigenziali
di prima fascia resi disponibili dalle
cessazioni avvenute entro il 31 dicembre
dell'anno precedente, venga messo a concorso
per la stipulazione di contratti a tempo
indeterminato.
Il concorso sarà la regola
anche nel caso in cui le amministrazioni, in
sede di determinazione del fabbisogno,
richiedano particolari professionalità o
esperienze specifiche. La quota da destinare
in questo caso sarà pari alla metà della
riserva di cui sopra e verrà coperta con
contratti di diritto privato, questa volta a
tempo determinato, da assegnare sempre con
concorso pubblico.
Nella prima fascia della dirigenza pubblica
transiteranno di diritto i dirigenti di
seconda fascia che abbiano diretto uffici
dirigenziali generali o equivalenti per
almeno cinque anni senza essere incorsi in
ipotesi di responsabilità. Viene dunque a
delinearsi un sistema binario di accesso
alla dirigenza apicale (transito dalla
seconda fascia o acquisizione della
qualifica mediante concorso) che a due anni
di distanza dal dlgs 150/2009 diventa
pienamente operativo.
La riserva del 50%,
chiarisce la direttiva, va calcolata sulla
base dei posti disponibili a partire dall'01.01.2011. Con la conseguenza che,
qualora siano rimasti posti vacanti
anteriormente al 1° gennaio, le p.a.
mantengono su quei posti il regime
precedente alla riforma, a meno che non
vogliano «utilizzarli a compensazione per
realizzare l'obiettivo della riserva al
concorso».
La dead line per la
programmazione dei fabbisogni è invece il 31
gennaio. Entro questa data gli enti devono
programmare su base triennale il numero dei
posti di funzione dirigenziale di livello
generale disponibili per la contemporanea
cessazione dal servizio dei dirigenti di
prima fascia. La programmazione su base
triennale, chiarisce la direttiva, è stata
scelta per «aiutare le amministrazioni in
termini di flessibilità» grazie alla chance
di operare compensazioni fra gli anni
considerati.
Per il 2011 la programmazione
doveva essere presentata non oltre il 31
gennaio, ma trattandosi del debutto delle
nuove regole, il termine è stato spostato al
31 ottobre. E, come detto, solo per
quest'anno le p.a. potranno scegliere se
programmare per il triennio 2011-2013 oppure
allargare il proprio orizzonte temporale
fino al 2014. Anche in quest'ultima ipotesi
il termine ultimo per la programmazione
resta il 31.10.2011, nonostante per il
triennio 2012-2014 la scadenza sarebbe stata
il 31.01.2012.
Il ministero della funzione pubblica verrà
incontro agli enti per agevolare lo
svolgimento dei concorsi, promuovendo
convenzioni per la gestione unificata e
incentivando l'informatizzazione delle
procedure (le p.a. sono richiamate
all'utilizzo della posta elettronica
certificata). La direttiva raccomanda
inoltre, «al fine di evitare un uso
improprio delle graduatorie», di
indicare nel bando di concorso se i posti
disponibili si riferiscono a un solo anno
oppure a un orizzonte temporale maggiore (in
ogni caso non superiore al triennio)
(articolo ItaliaOggi
del 10.08.2011 - tratto da www.corteconti.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Vigili urbani, turni equilibrati.
Solo la distribuzione equilibrata e
avvicendata dei turni di servizio degli
operatori di polizia locale permette al
comune la regolare corresponsione
dell'indennità di turno. Purché
l'articolazione dell'orario di servizio dei
vigili urbani sia strutturata su almeno due
turni giornalieri per un arco di tempo di 11
ore.
Lo ha ribadito il ministero dell'Interno con
il
parere 04.04.2011 diramato dal
dipartimento per gli affari interni e
territoriali.
Un comune ha evidenziato di
aver attivato un servizio di polizia
municipale operativo per 12 ore giornaliere
senza pausa e ha quindi richiesto
chiarimenti circa l'alternanza degli
operatori e l'incidenza dei periodi di
ferie, malattia e permesso sull'erogazione
della speciale remunerazione.
L'indennità di turnazione nel comparto
regioni enti locali è ancora disciplinata
dall'art. 22 del Ccnl del 14.09.2000,
specifica innanzitutto il ministero. Questo
disposto chiarisce che gli enti, in
relazione alle proprie esigenze
organizzative, possono istituire turni
giornalieri di lavoro. Il turno consiste in
una effettiva rotazione del personale in
prestabilite articolazioni giornaliere.
Le prestazioni lavorative svolte in
turnazione, ai fini della corresponsione
della relativa indennità, devono essere
distribuite nell'arco del mese in modo tale
da far risultare una distribuzione
equilibrata e avvicendata dei turni
effettuati in orario antimeridiano,
pomeridiano e, se previsto, notturno, in
relazione alla articolazione adottata
nell'ente. In pratica la caratteristica
della turnazione consiste «nella
rotazione ciclica degli addetti.
L'alternanza a rotazione della prestazione
lavorativa giornaliera comporta come
conseguenza che la prestazione lavorativa
settimanale non viene effettuata dal singolo
addetto sempre nello stesso periodo
temporale».
Questa indennità, conclude la nota, spetta
però solo per i periodi di effettiva
prestazione del servizio restando esclusa
per i giorni di assenza dal lavoro. Il
compenso è infatti rapportato alle ore
effettivamente svolte dall'operatore in ogni
singolo turno e per questo non può essere
erogato in caso di assenza anche se
giustificata
(articolo ItaliaOggi
del 09.08.2011). |
PUBBLICO IMPIEGO: Dipendenti,
detrazioni self service. I dati dei
familiari a carico inviati via Internet al
Tesoro. Il nuovo servizio del portale
stipendipa.tesoro.it per snellire gli
adempimenti burocratici.
I dipendenti pubblici
potranno trasmettere i dati relativi alle
detrazioni per familiari a carico
direttamente dal portale Stipendi del
Dipartimento del tesoro, evitando così
l'invio di documentazione cartacea al
proprio sostituto d'imposta.
È stata infatti, avviata una procedura che
permette, a chi è già abilitato alla
navigazione nel portale
https://stipendipa.tesoro.it (con cui è
possibile prendere visione del proprio
cedolino stipendio, modello Cud e 730
online), di modificare le informazioni
relative ai propri familiari, ai fini del
riconoscimento delle detrazioni fiscali.
Ne dà notizia un comunicato diffuso nei
giorni scorsi sulla home-page del
sito sopra indicato, dove si informa che,
per semplificare i processi amministrativi
connessi al trattamento economico del
personale, è disponibile un nuovo servizio
self-service che consente di presentare la
richiesta delle detrazioni per familiari a
carico, senza più recarsi presso gli uffici
competenti. È bene ricordare che, come
precisa il Tuir, sono considerati a proprio
carico le persone che non hanno redditi
propri superiori a euro 2.840,51 annui al
lordo degli oneri deducibili.
Come noto, il decreto legge n. 70 del 13.05.
2011 (meglio noto come decreto sviluppo), ha
abolito l'obbligo, per i lavoratori
dipendenti, di comunicare annualmente i dati
delle detrazioni per familiari a carico al
sostituto d'imposta, mentre è rimasto il
solo obbligo di comunicare le eventuali
variazioni.
Quindi, in assenza di variazioni, le
detrazioni si intendono confermate sulla
scorta di quelle comunicate nel corso del
2010.
Per accedere al nuovo servizio, dalla
home-page si dovrà selezionare la voce «Gestione
detrazioni» presente nel menù sul lato
sinistro della pagina. L'utente troverà una
guida online relativa alle procedure
operative da seguire per la presentazione di
una nuova richiesta. La procedura prevede,
altresì, la comunicazione dei dati
anagrafici e fiscali sia del richiedente che
dei familiari a carico (di cui si dovrà
trasmettere il relativo codice fiscale e la
percentuale di detrazione).
Il servizio consente, inoltre, la
visualizzazione della lista delle detrazioni
eventualmente presentate tramite il predetto
portale. Il messaggio del Dipartimento del
Tesoro, infine, invita gli utenti a una
tempestiva presentazione di una nuova
richiesta, «solo qualora si siano
verificate condizioni che comportino la
variazione alla detrazione d'imposta in
godimento»
(articolo ItaliaOggi
del 09.08.2011 - tratto da www.ecostampa.it). |
PUBBLICO IMPIEGO: SCUOLA/
Visite fiscali solo ai malati sospetti. E
l'assenza da casa per motivi diversi dai
controlli medici va giustificata.
Visite fiscali con il
contagocce. Non ci sono abbastanza soldi per
pagarle e, quindi, per le assenze di un solo
giorno, meglio lasciar correre. A meno che
non siano sospette. Come per esempio se il
lavoratore si assenta il sabato o il lunedì.
In quest'ultimo caso, dunque, la visita
fiscale resta obbligatoria anche per un solo
giorno.
È questa una delle novità più importanti
contenute nella
circolare 01.08.2011 n. 10/2011
emanata dal dipartimento della funzione
pubblica.
Il provvedimento fa il punto sulle novità
introdotte dal decreto legge 98/2011 e
prevede, in primo luogo, che il dirigente
scolastico debba disporre il controllo sulle
assenze per malattia valutando la condotta
complessiva del dipendente e gli oneri
connessi all'effettuazione della visita.
Il tutto tenendo conto dell'esigenza di
contrastare e prevenire l'assenteismo. A
questo proposito la Funzione pubblica ha
chiarito che la valutazione della condotta
del dipendente, ai fini della disposizione
della visita fiscale, deve considerare
elementi di carattere oggettivo «prescindendo,
naturalmente, da considerazioni e sensazioni
di carattere personalistico». Per quanto
riguarda invece l'aspetto economico,
l'introduzione di questo elemento di
valutazione è diretto a tenere nel giusto
conto le difficoltà connesse alla copertura
finanziaria per l'effettuazione delle
visite.
In altre parole, i dirigenti scolastici
dovranno valutare caso per caso, ma non
potranno esimersi dal tenere conto che le
visite costano e, quindi, salvo casi si
manifesto assenteismo, è preferibile
astenersi dal disporre le viste fiscali per
un solo giorno di assenza. Salvo che non si
tratti di assenze «dubbie» come per
esempio quelle a ridosso di domeniche e
altre festività. Che potrebbero nascondere,
più che uno stato di malattia, la voglia di
fare un ponte fuori stagione.
La Funzione pubblica ha ricordato, inoltre,
che vi sono novità anche per quanto riguarda
la reperibilità. In particolare il
dipartimento ha spiegato le novità in fatto
di assenze alla visita fiscale. Il
dipendente può allontanarsi da casa in caso
di necessità, ma deve avvertire la scuola.
La legge fissa anche la casistica-tipo:
necessità di effettuare visite mediche,
prestazioni o accertamenti specialistici o
per altri giustificati motivi, che devono
essere, a richiesta, documentati.
A questo proposito, il dicastero guidato da
Renato Brunetta ha chiarito che la
valutazione dei giustificati motivi è
rimessa al dirigente scolastico, secondo le
circostanze concrete che ricorrano di volta
in volta. Fermo restando che la
documentazione dei giustificati motivi
diventa un obbligo per il dipendente solo se
richiesta espressamente dal dirigente
scolastico. Quanto alla giustificazione, per
le visite e gli accertamenti diagnostici è
necessaria l'attestazione del medico o della
struttura , anche privata, dove si sia
recato l'interessato.
Per quanto riguarda invece la
giustificazione di altri motivi, il
dipartimento ha spiegato che basta che
l'interessato descriva il fatto in forma
scritta, avvalendosi della facoltà
consentita dal decreto del presidente della
repubblica 445/200, in particolare agli
articoli 47 e 49. In caso di assenza
ingiustificata alla visita fiscale si
applica il comma 14 dell'articolo 5 del
decreto legge 463/1983, che testualmente
recita: «Qualora il lavoratore, pubblico
o privato, risulti assente alla visita di
controllo senza giustificato motivo, decade
dal diritto a qualsiasi trattamento
economico per l'intero periodo sino a dieci
giorni e nella misura della metà per
l'ulteriore periodo, esclusi quelli di
ricovero ospedaliero o già accertati da
precedente visita di controllo».
Giova ricordare, però, che la Corte
costituzionale con sentenza 14-26.01.1988,
n. 78 ha dichiarato l'illegittimità di
questa norma, nella parte in cui non prevede
una seconda visita medica di controllo prima
della decadenza dal diritto a qualsiasi
trattamento economico di malattia nella
misura della metà per l'ulteriore periodo
successivo ai primi dieci giorni
(articolo ItaliaOggi
del 09.08.2011). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: Ecoreati,
la sanzione si fa amara. Operativa dal
16.08.2011 la responsabilità diretta delle
imprese. Con l'entrata in vigore del dlgs
121/2011 chi commette illeciti ambientali
paga oltre 380 mila euro.
Dal 16.08.2011 la
violazione delle regole sul tracciamento dei
rifiuti, così come l'inquinamento non
autorizzato di aria, acque e suolo, potrà
costare alle imprese una sanzione da oltre
380 mila euro.
Questo in virtù dell'entrata in vigore
dell'atteso nuovo decreto legislativo sugli
ecoreati (dlgs 07.07.2011, n. 121,
pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale
dell'01.08.2011 n. 177), che prevede a
carico degli enti collettivi una diretta
responsabilità (amministrativa) per tutti i
principali illeciti ambientali (si veda
ItaliaOggi Sette del 25/07/2011).
A fronte di tale allargamento di
responsabilità il nuovo provvedimento,
emanato in recepimento delle direttive
2008/99/Ce sulla tutela penale dell'ambiente
e 2009/123/Ce sull'inquinamento da navi,
offre però un alleggerimento generale delle
sanzioni «Sistri» (il sistema di
controllo telematico dei rifiuti in partenza
dal prossimo 01.09.2011) e una
semplificazione degli oneri burocratici a
carico di alcuni gestori di rifiuti.
Responsabilità ambientale
delle imprese.
I «corporale ecocrimes» esordiscono
nel nostro ordinamento giuridico attraverso
l'inserimento che il nuovo dlgs 121/2011
effettua nel dlgs 231/2001 (il provvedimento
madre sulla responsabilità amministrativa
degli enti) delle specifiche fattispecie
illecite cui le organizzazioni collettive
rispondono se integrate da loro organi e a
vantaggio della struttura stessa.
Le fattispecie riguardano la gestione
illecita dei rifiuti, l'inquinamento oltre i
limiti consentiti di suolo, acque, e aria,
il danneggiamento di specie animali e
vegetali protette. In base al riformulato
dlgs 231/2001 le violazioni della normativa
sui rifiuti saranno punite (effettuando la
debita conversione dal sistema di «quote»,
previsto dal decreto in parola, in moneta
legale) con sanzioni amministrative che
vanno da circa 387 mila euro per
l'inosservanza della disciplina «Sistri»
ai circa 774 mila euro per l'attività
organizzata di traffico illecito rifiuti
(che salgono a oltre 1 milione e 200 mila
euro per traffico di rifiuti radioattivi).
Sempre con sanzioni fino a 387 mila euro
sarà punito l'inquinamento doloso o colposo
delle acque cagionato da navi, così come
l'omessa bonifica di suolo, sottosuolo e
acque inquinate, l'omissione di misure
necessarie al contenimento delle emissioni
in aria, la violazione della disciplina
sulle sostanze lesive dell'ozono e quella
sulla tutela di fauna e flora protette. Fino
a 464 mila euro invece le sanzioni per gli
scarichi di acque reflue industriali
contenenti sostanze pericolose.
Sanzioni Sistri.
Il nuovo dlgs 121/2011 rivede il sistema
sanzionatorio generale previsto dal dlgs
152/2006 (cd. «Codice ambientale») e
dal collegato dlgs 205/2010 in merito alla
violazione della disciplina relativa al
nuovo sistema di tracciamento telematico dei
rifiuti.
Grazie al «cumulo giuridico», la
violazione di più norme Sistri consentirà
infatti l'applicazione della (sola) sanzione
amministrativa relativa all'illecito più
grave aumentata sino al doppio. Il «ravvedimento
operoso» e la «definizione agevolata»
comporteranno invece rispettivamente: con
l'adempimento degli obblighi entro 30 giorni
dalla loro scadenza, l'esclusione della
responsabilità per le violazioni
amministrative; con l'adempimento degli
obblighi entro 60 giorni dalla contestazione
della violazione unitamente al pagamento di
un quarto della sanzione, la definizione
della controversia con disapplicazione delle
sanzioni accessorie.
Le sanzioni ridotte per l'omessa iscrizione
al Sistri si applicheranno inoltre per un
periodo che si estenderà fino a 12 mesi dopo
la piena operatività del nuovo sistema di
tracciamento dei rifiuti. Per lo stesso
periodo potranno godere di analoghe sanzioni
ridotte (fino a 1/10 delle somme base) tutti
i responsabili di violazioni, a eccezione di
quelli che hanno agito con frode.
Fino alla piena operatività del Sistri
l'obbligo di tracciamento dei rifiuti non
assolto tramite l'utilizzo dei tradizionali
strumenti cartacei (registri di
carico/scarico e formulario di trasporto
rifiuti) sarà però sanzionato dalle norme
del «Codice Ambientale» previste
nella sua formulazione antecedente alle
modifiche introdotte dal dlgs 205/2010.
Ancora, la sanzione accessoria della
confisca del mezzo verrà applicata anche al
trasporto di rifiuti non accompagnato dalla
copia cartacea della scheda Sistri.
Semplificazioni
burocratiche.
Da ultimo, il nuovo dlgs 121/2011 prevede
l'esclusione dall'obbligo della tenuta dei
registri di carico/scarico per gli
imprenditori agricoli che raccolgono e
trasportano i propri rifiuti non pericolosi
e per i soggetti raccolgono e trasportano i
propri rifiuti speciali non pericolosi da
demolizioni e costruzioni (purché agiscano
nel rispetto dell'articolo 212, comma 8,
dlgs 152/2006)
(articolo ItaliaOggi
dell'08.08.2011 - tratto da www.corteconti.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Incendi,
meno pratiche e più tutele. Principio di
proporzionalità sugli adempimenti di
sicurezza. Le novità del nuovo regolamento
di prevenzione. Risparmi per le imprese per
650 mln l'anno.
Meno scartoffie e più tutele per le imprese
dalle nuove norme sulla prevenzione incendi.
Il nuovo regolamento di semplificazione,
approvato in via definitiva dal consiglio
dei ministri il 22 luglio, riformula gli
adempimenti amministrativi a carico delle
aziende (per la prima volta con il «principio
di proporzionalità» che tiene conto
anche della dimensione dell'impresa) con un
risparmio stimato di circa 650 milioni di
euro all'anno per le pmi (aziende fino a 249
addetti).
Ma la semplificazione non ridurrà i livelli
di protezione, perché renderà ancora più
efficace l'azione di controllo e verifica da
parte dei vigili del fuoco. Mediante lo
stesso principio di proporzionalità,
infatti, i vigili del fuoco potranno
concentrare le ispezioni sui casi veramente
necessari.
Nuove norme.
Il nuovo regolamento mira a conseguire sia
l'obiettivo di semplificazione sia la
salvaguardia della specificità dei
procedimenti in materia di prevenzione
incendi con riguardo a ogni tipo di
attività, ma (questa la novità) correlandola
alla gravità di rischio piuttosto che alla
natura giuridica del soggetto destinatario
delle norme, ovvero alla dimensione delle
stesse attività di impresa.
Inoltre, particolarmente rilevante è il
raccordo con la disciplina dello sportello
unico per le attività produttive, al fine di
assicurare certezza e uniformità agli
adempimenti. Proprio a questo fine, cioè
allo scopo di garantire l'uniformità delle
procedure, nonché la trasparenza e la
speditezza dell'attività amministrativa, il
provvedimento stabilisce che le modalità di
presentazione delle istanze oggetto del
regolamento e la relativa documentazione, da
allegare, saranno disciplinate con apposito
decreto ministeriale (Interno); e che, con
decreto interministeriale (interno e
finanze), verranno fissati i corrispettivi
per i servizi di prevenzione incendi
effettuati dal corpo nazionale dei vigili
del fuoco.
Le attività soggette ai
controlli.
Il regolamento disciplina tutte le attività
soggette ai controlli di prevenzione incendi
di competenza del Corpo nazionale dei vigili
del fuoco. Le attività sono individuate
nell'Allegato I (vedi estratto in tabella e
tale elenco può essere oggetto di revisione
in funzione del mutamento delle esigenze di
salvaguardia delle condizioni di sicurezza
antincendio, con apposito dpr da emanarsi su
proposta del ministro dell'interno, con il
parere del Comitato centrale
tecnico-scientifico per la prevenzione
incendi. Sono escluse dall'ambito di
applicazione del nuovo regolamento le
attività industriali a rischio di incidente
rilevante, soggette alla presentazione del
rapporto di sicurezza (di cui all'articolo 8
del dlgs n. 334/1999).
Ai sensi dell'articolo 2, comma 3, del nuovo
regolamento le attività sono distinte in tre
categorie, A, B e C, in relazione alla
dimensione dell'impresa, al settore di
attività, alla esistenza di specifiche
regole tecniche, alle esigenze di tutela
della pubblica incolumità, sulla base del
nuovo principio di proporzionalità di cui
alla lettera a) del comma 4-quater
dell'articolo 49, del dl n. 78/2010 (si veda
tabella per le definizioni).
Il certificato di
prevenzione incendi.
L'articolo 3 disciplina la valutazione dei
progetti relativi alle attività di cui alle
categorie B e C, che per l'emissione del
parere sono stati rimodulati in modo da
essere compatibili con quelli stabiliti dal
regolamento dello Sportello unico per le
attività produttive. In base al criterio di
proporzionalità, i titolari delle attività
di cui alla categoria A non sono più tenuti
a richiedere il parere di conformità sul
progetto.
L'articolo 4 disciplina i controlli
finalizzati all'accertamento del rispetto
delle norme di prevenzione incendi. Prevede
prima di tutto che l'istanza per il rilascio
del certificato di prevenzione antincendi
sia presentata, prima dell'avvio delle
attività, con segnalazione certificata di
avvio dell'attività (Scia). Le modalità di
accertamento delle condizioni di sicurezza,
effettuate dal Comando provinciale dei
vigili del fuoco territorialmente
competente, attraverso visite tecniche, sono
differenziate per tipo di attività: su
quelle di cui alle categorie A e B i
controlli avvengono, entro 60 giorni, anche
mediante metodo a campione; sulle attività
di cui alla categoria C, invece, il Comando
dei vigili del fuoco effettua «sempre»
il controllo entro 60 giorni.
Nel caso in cui venga riscontrata la carenza
di requisiti e presupposti per l'esercizio
delle attività previsti dalla normativa di
prevenzione incendi, lo stesso Comando vieta
la prosecuzione dell'attività e chiede la
rimozione degli eventuali effetti dannosi a
meno che l'interessato non provveda a
conformare l'attività entro il termine di 45
giorni. In caso di esito positivo del
controllo, per le attività delle categorie A
e B, su richiesta dell'interessato, viene
rilasciata copia del verbale della visita
tecnica; esclusivamente per le attività
della categoria C, invece, il Comando
rilascia entro 15 giorni il certificato di
prevenzione incendi (Cpi).
L'articolo 3 infine stabilisce l'obbligo,
per l'interessato, di avviare nuovamente le
procedure di controllo nel caso in cui le
eventuali modifiche a impianti o strutture o
alle condizioni di esercizio comportino un
aggravio delle preesistenti condizioni di
sicurezza.
L'articolo 5 prevede che la richiesta di
rinnovo periodico di conformità antincendio
che, ogni cinque anni, il titolare delle
attività (Allegato I) è tenuto a inviare al
Comando provinciale dei vigili del fuoco,
s'intende effettuata tramite la
dichiarazione attestante l'assenza di
variazioni alle condizioni di sicurezza
antincendio.
Infine, prevede l'elevazione a dieci anni
della cadenza dell'attestazione di assenza
di variazioni alle condizioni di sicurezza
antincendio, per le attività in possesso di
certificato prevenzione incendi avente
periodicità «una tantum» (dm
16.02.1982, abrogato dal regolamento e
riportate nell'Allegato I)
(articolo ItaliaOggi
dell'08.08.2011). |
GIURISPRUDENZA |
APPALTI:
In materia di procedure
selettive, le clausole di esclusione sono di
stretta interpretazione, in forza del
preminente interesse alla massima
partecipazione, tanto più al cospetto di
previsioni non del tutto chiare.
In materia di procedure selettive, le
clausole di esclusione sono di stretta
interpretazione, in forza del preminente
interesse alla massima partecipazione, tanto
più al cospetto di previsioni non del tutto
chiare e non prive di margini di ragionevole
incertezza.
Pertanto, nel caso di specie, sulla base del
dato testuale della disciplina di gara e
muovendo dalla premessa che la procedura
aveva ad oggetto l'affidamento del servizio
di vigilanza e prevenzione armata e che il
servizio di portierato costituiva solamente
un'opzione eventuale, è illegittima
l'esclusione dalla gara di una società per
non essere iscritta alla camera di commercio
per il servizio di portierato.
L'inciso, racchiuso nell'art. 3 del
capitolato -secondo cui i candidati
avrebbero dovuto dichiarare ai sensi
dell'art. 39 del D.Lgs. 163/2006 di essere
iscritti al Registro della camera di
commercio- deve infatti essere interpretato
per coerenza sistematica, nella sua indubbia
genericità, come riferito alla sola attività
principale oggetto dell'appalto, concernente
la vigilanza armata (Consiglio di Stato,
Sez. III,
sentenza 04.08.2011 n. 4665 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI SERVIZI:
Sulla definizione di c.d. società
di terzo grado e applicabilità alle medesime
dell'art. 13 del D.L. n. 223 del 2006:
limiti.
Le c.d. società di terzo grado sono quelle
società caratterizzate da forme di
partecipazione indiretta o mediata, che non
sono state costituite da amministrazioni
pubbliche e non sono finalizzate a
soddisfare esigenze strumentali delle
medesime.
- Il presupposto per l'eventuale
applicazione del divieto contenuto nell'art.
13 del d.l. n. 223 del 2006, anche nei
confronti delle società di terza generazione
o cd società di terzo grado è che la società
costituita o posseduta dall'ente locale
svolga servizi strumentali per lo stesso.
In presenza di tale circostanza la finalità
del d.l. n. 223, di evitare effetti
distorsivi della libera concorrenza, si
persegue non solo vietando le attività
diverse da quelle classificabili come
strumentali rispetto alle finalità dell'ente
pubblico, ma anche vietando la
partecipazione delle società strumentali ad
altre società. In effetti, l'alterazione
della libera concorrenza può realizzarsi
anche in via mediata, ossia fruendo dei
vantaggi derivanti dall'investimento del
capitale di una società strumentale in altro
soggetto societario costituito con finalità
neppure indirettamente strumentali, ma anzi
intrinsecamente imprenditoriali.
Tale principio si evince in particolare
dalla decisione n. 326 del 2008 della Corte
costituzionale, che ha ritenuto il divieto
imposto alle società strumentali di detenere
partecipazioni in altre società volto ad
evitare che le società in questione svolgano
indirettamente, attraverso proprie
partecipazioni o articolazioni, attività
loro precluse. Divieto, peraltro, che la
Corte ha ritenuto non esteso alla detenzione
di qualsiasi partecipazione o alla adesione
a qualsiasi ente, bensì circoscritto alla
detenzione di partecipazioni in società o
enti che operino in settori preclusi alle
società stesse.
- Sono applicabili alle società controllate
da società strumentali e costituite con
capitale di queste gli stessi limiti che
valgono per le società controllanti, ove si
tratti di attività inerenti a settori
precluse a queste ultime. Infatti,
l'utilizzazione di capitali di una società
strumentale per partecipare, attraverso la
creazione di una società di terzo grado, a
gare ad evidenza pubblica comporterebbe, sia
pure indirettamente, l'elusione del divieto
di svolgere attività diverse da quelle
consentite a soggetti che godano di una
posizione di mercato avvantaggiata.
Né può costituire valido argomento a
contrario la previsione dello scorporo di
attività non più consentite alle società
strumentali di cui al c. 3 dell'art. 13 del
"Decreto Bersani", dovendosi tale
disposizione intendere nell'unico senso
compatibile con il divieto imposto alle
società strumentali di partecipare ad enti,
sancito dal comma 1 del medesimo articolo e
cioè come volta a costituire un nuovo
soggetto societario, destinato a concorrere
in pubbliche gare per lo svolgimento di un
servizio di interesse generale, che non
comporti l'intervento finanziario dell'ente
strumentale.
Tale interpretazione trova del resto
conferma nella circostanza che l'obbligo di
cessione a terzi delle società e delle
partecipazioni vietate, abrogato dalla l.
finanziaria 2007 (art. 1, c. 720, l.
27.12.2006, n. 296), è stato poi
ripristinato dalla l. finanziaria 2008 (l.
24.12.2007, n. 244, art. 3, c. 29), con la
previsione di un termine di adempimento più
volte prorogato, da ultimo con l'art. 71, co.
1, lett. e) della l. 18.06.2009, n. 69
(Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria,
sentenza 04.08.2011 n. 17 - link
a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI SERVIZI: RIFIUTI
- AVVALIMENTO DEL REQUISITO DELL’ISCRIZIONE
ALL’ALBO NAZIONALE DEI GESTORI - FINALITÀ.
Oggetto del contratto di avvalimento non può
essere solo la qualificazione
(tecnico-professionale), ma anche un
complesso di beni organizzato per
l'esercizio delle attività di impresa.
Pertanto il contratto di avvalimento, in
forza del quale l'impresa ausiliaria si
obbliga nei confronti del concorrente a
fornire i requisiti e a mettere a
disposizione le risorse necessarie per tutta
la durata dell'appalto, non può avere un
contenuto assolutamente generico e
indefinito.
La necessità di produrre sia la
"dichiarazione" di avvalimento, sia il
"contratto" stipulato con l'impresa
ausiliaria non può tradursi in incombenze
meramente formali, ma deve sostanziarsi
nell'impegno concreto a mettere a
disposizione diretta della partecipante le
risorse necessarie a corredo del requisito
tecnico richiesto, la cui effettiva
disponibilità consente la partecipazione
dell'impresa alla gara.
La specificazione dei requisiti, contenuta
nella dichiarazione di avvalimento, non può
essere resa, come nel caso di specie, per il
tramite di un generico rinvio a tutti i
requisiti “economico finanziari e tecnico
organizzativi necessari per la
partecipazione alla gara”, ma deve indicare,
in maniera dettagliata, i singoli requisiti
(fatturato globale, fatturato specifico,
risorse organizzative ed umane) di cui
l’impresa ausiliata intende avvalersi; ciò
al fine di consentire un efficace controllo
incrociato sul possesso dei requisiti nei
confronti sia della ditta concorrente sia di
quella ausiliaria.
---------------
Il rimedio della regolarizzazione postuma
degli atti prodotti dai partecipanti alla
gara è attivabile, per giurisprudenza
costante, solo nelle ipotesi di
dichiarazioni, documenti e certificati non
chiari o di dubbio contenuto, ma che siano
pur sempre stati presentati, e non anche
laddove si sia in presenza di documentazione
del tutto mancante o fisicamente incompleta,
risolvendosi in caso contrario in una palese
violazione della par condicio rispetto alle
imprese concorrenti che abbiano invece
puntualmente rispettato la disciplina
prevista dalla lex specialis.
La finalità dell'istituto dell’avvalimento é
chiaramente quella di consentire la massima
partecipazione alle gare ad evidenza
pubblica, permettendo alle imprese non in
possesso dei requisiti tecnici, di sommare,
unicamente per la gara in espletamento, le
proprie capacità tecniche ed
economico-finanziarie a quelle di altre
imprese.
Deve peraltro dubitarsi della possibilità di
sopperire, mediante avvalimento, alla
mancanza di un requisito soggettivo, quale
l’iscrizione in un albo.
Sul piano letterale, l’articolo 49 del
codice dei contratti pubblici, nel
disciplinare l’istituto dell’avvalimento,
non contiene alcuno specifico divieto in
ordine ai requisiti soggettivi che possono
essere comprovati mediante tale strumento,
che assume una portata generale.
D’altra parte, è fuori discussione che,
nell’ottica dell’ordinamento comunitario, l’avvalimento
miri ad incentivare la concorrenza,
nell’interesse delle imprese, agevolando
l’ingresso nel mercato di nuovi soggetti:
pertanto, deve essere evitata ogni lettura
aprioristicamente restrittiva dell’ambito di
operatività della nuova disciplina.
In questa prospettiva, non persuade
l’indirizzo interpretativo che ha affermato
l’esistenza di un divieto assoluto e
inderogabile di ricorrere all’avvalimento,
per dimostrare la disponibilità dei
requisiti soggettivi di “qualità”,
dovendosi piuttosto procedere di volta in
volta a verificare la compatibilità
dell’istituto in esame con la finalità
proprie del requisito soggettivo prescritto
dalla legge come condizione ineludibile per
l’esercizio dell’attività.
In ogni caso, anche a voler ammettere
l’astratta operatività dell’avvalimento, non
può essere trascurata l’evidente difficoltà
“pratica” di dimostrare, in concreto,
l’effettiva disponibilità di un requisito
che, per le sue caratteristiche, è collegato
all’intera organizzazione dell’impresa, alle
sue procedure interne, al bagaglio delle
conoscenze utilizzate nello svolgimento
delle attività.
In questo contesto, è onere della
concorrente dimostrare che l’impresa
ausiliaria non si impegna semplicemente a “prestare”
il requisito soggettivo richiesto, quale
mero valore astratto, ma assume
l’obbligazione di mettere a disposizione
dell’impresa ausiliata, in relazione
all’esecuzione dell’appalto, le proprie
risorse e il proprio apparato organizzativo,
in tutte le parti che giustificano
l’attribuzione del requisito di qualità (a
seconda dei casi: mezzi, personale, prassi e
tutti gli altri elementi aziendali
qualificanti).
Oggetto del contratto di avvalimento non può
pertanto essere solo la qualificazione
(tecnico-professionale), ma anche un
complesso di beni organizzato per
l'esercizio delle attività di impresa (TAR
Veneto Venezia, sez. I, 06.11.2008, n. 3451,
Autorità Vigilanza sui Contratti Pubblici,
parere n. 155 del 20.12.2007).
Pertanto il contratto di avvalimento, in
forza del quale l'impresa ausiliaria si
obbliga nei confronti del concorrente a
fornire i requisiti e a mettere a
disposizione le risorse necessarie per tutta
la durata dell'appalto, non può avere un
contenuto assolutamente generico e
indefinito.
La necessità di produrre sia la "dichiarazione"
di avvalimento, sia il "contratto"
stipulato con l'impresa ausiliaria non può
tradursi in incombenze meramente formali, ma
deve sostanziarsi nell'impegno concreto a
mettere a disposizione diretta della
partecipante le risorse necessarie a corredo
del requisito tecnico richiesto, la cui
effettiva disponibilità consente la
partecipazione dell'impresa alla gara.
Nella fattispecie, il contratto di
avvalimento prevede unicamente un generico
impegno a fornire i mezzi, le risorse,
l’iscrizione, nonché le competenze tecniche
ed esperienze, senza alcuna indicazione
reale e concreta in ordine alla tipologia di
risorse (macchinari, strutture
organizzative, uomini, strumenti)
effettivamente messi a disposizione dell’ausiliata.
Il ricorso all’avvalimento deve essere
coerente con la ratio, sottesa alla
normativa in tema di controllo sul possesso
dei requisiti di partecipazione (art. 48 del
codice dei contratti), della agevole
verificazione, da parte della stazione
appaltante, di quanto dichiarato in sede di
gara, soprattutto quando i requisiti di
carattere economico, finanziario, tecnico ed
organizzativo risultino distribuiti tra
impresa concorrente ed impresa ausiliaria.
Ne discende che la specificazione dei
requisiti, contenuta nella dichiarazione di
avvalimento, non può essere resa, come nel
caso di specie, per il tramite di un
generico rinvio a tutti i requisiti “economico
finanziari e tecnico organizzativi necessari
per la partecipazione alla gara”, ma
deve indicare, in maniera dettagliata, i
singoli requisiti (fatturato globale,
fatturato specifico, risorse organizzative
ed umane) di cui l’impresa ausiliata intende
avvalersi; ciò al fine di consentire un
efficace controllo incrociato sul possesso
dei requisiti nei confronti sia della ditta
concorrente sia di quella ausiliaria (cfr.
in tal senso TAR Napoli, I, n. 2148 del 2009
e TAR Piemonte, Sez. II, 17.03.2008 n. 430).
A conforto della bontà della opzione
ermeneutica esposta soccorre il dettato
dell’articolo 88 del Regolamento di
attuazione (d.P.R. n. 207 del 2010), il
quale impone che il contratto di avvalimento
riporti “in modo compiuto, esplicito ed
esauriente: a) oggetto: le risorse e i mezzi
prestati in modo determinato e specifico; b)
durata; c) ogni altro utile elemento ai fini
dell'avvalimento”.
Al contrario non emerge, in alcun modo, che
il contratto prodotto in sede di gara
stabilisca anche un chiaro impegno
dell’impresa ausiliaria di fornire
strutture, personale qualificato, tecniche
operative, mezzi collegati alla qualità
soggettiva “concessa”. Né può
ritenersi che tale impegno comprenda,
implicitamente, anche quello relativo alla
concreta “cessione” dei mezzi organizzativi
correlati al conseguimento della
certificazione (cfr. C.d.S., Sez. III, n.
2344 del 2011).
Detto obbligo esecutivo, poi, non deriva
nemmeno dall’assunzione di responsabilità
solidale nei confronti della stazione
appaltante.
Né, infine, può sostenersi che
l’incompletezza della dichiarazione di
avvalimento avrebbe potuto essere sanata
mediante l’acquisizione di chiarimenti
integrativi ai sensi dell’art. 46 del D.Lgs.
n. 163/2006.
Il rimedio della regolarizzazione postuma
degli atti prodotti dai partecipanti alla
gara è attivabile, per giurisprudenza
costante, solo nelle ipotesi di
dichiarazioni, documenti e certificati non
chiari o di dubbio contenuto, ma che siano
pur sempre stati presentati, e non anche
laddove si sia in presenza di documentazione
del tutto mancante o fisicamente incompleta
(come nella presente fattispecie),
risolvendosi in caso contrario in una palese
violazione della par condicio rispetto alle
imprese concorrenti che abbiano invece
puntualmente rispettato la disciplina
prevista dalla lex specialis (cfr.
TAR Sicilia Catania, Sez. III, 17.05.2007 n.
846; TAR Trentino Alto Adige Trento,
04.12.2006 n. 390 e TAR Calabria Catanzaro,
Sez. II, 07.02.2006 n. 127).
Pertanto, la dichiarazione di avvalimento
prodotta dalla ricorrente, attesa la sua
portata generica e non individualizzante,
non poteva essere ritenuta conforme all’art.
49 cit. e alle prescrizioni della lex
specialis, rendendo così doverosa per la
stazione appaltante l’adozione del
provvedimento di esclusione, in diretta
applicazione dell’apposita clausola
contemplata all’art. 6, punto 8, del bando.
La rilevata insufficienza della
dichiarazione di avvalimento in questione è
idonea di per sé a supportare l’intero
impianto motivazionale del provvedimento di
esclusione. Ciò rende ininfluenti le
rimanenti doglianze della ricorrente dirette
a contestare altri profili, che rimangono
assorbiti.
Ne consegue l’accoglimento del ricorso,
l’annullamento dell’aggiudicazione gravata e
la declaratoria di inefficacia del contratto
in via retroattiva, non avendo le parti
offerto elementi idonei a giustificare la
soluzione contraria (TAR Campania-Napoli,
Sez. I,
sentenza 25.07.2011 n. 3976 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA -
URBANISTICA: Il
fondo asservito ad altro fondo a fini di
edificazione (mediante cessione della
cubatura su esso realizzabile in favore del
secondo) non può ricevere, ad esempio da
successivi atti di pianificazione
urbanistica, nuove potenzialità
edificatorie. Infatti, lo strumento
urbanistico, nel disporre le future
conformazioni del territorio, considera le
sole “aree libere”, tali dovendosi ritenere
quelle “disponibili” al momento della
pianificazione, e ancor più precisamente
quelle che non risultano già edificate (in
quanto costituenti aree di sedime di
fabbricati o utilizzate per opere di
urbanizzazione), ovvero quelle che, nel
rispetto degli standard urbanistici,
risultano comunque già utilizzate per
l’edificazione (in quanto asservite alla
realizzazione di fabbricati, onde
consentirne lo sviluppo volumetrico).
D’altra parte, diversamente opinando, ogni
nuova pianificazione risulterebbe del tutto
scollegata dalla precedente, potendo da
questa prescindere, e di volta in volta
riguarderebbe, senza alcuna
contestualizzazione storica, una parte
sempre più esigua del territorio comunale
(cioè quella non ancora occupata da immobili
e manufatti), valutata ex novo.
Un'area edificabile, già interamente
considerata in occasione del rilascio di una
concessione edilizia, agli effetti della
volumetria realizzabile, non può essere più
tenuta in considerazione come area libera,
neppure parzialmente, ai fini del rilascio
di una seconda concessione nella perdurante
esistenza del primo edificio, irrilevanti
appalesandosi le vicende inerenti alla
proprietà dei terreni.
In ipotesi di realizzazione di un manufatto
edilizio la cui volumetria è calcolata sulla
base anche di un'area asservita o accorpata,
l'intera estensione interessata deve essere
considerata utilizzata ai fini edificatori,
con l'effetto che anche l'area asservita o
accorpata non è più edificabile, anche se è
oggetto di un frazionamento o di alienazione
separata dall'area su cui insiste il
manufatto.
Proprio perché il piano regolatore (e le sue
successive modificazioni) considerano le
sole aree libere, eventuali variazioni degli
indici di fabbricazione in melius (cioè più
favorevoli ai privati proprietari) non
possono riguardare aree già utilizzate a
fini edificatori.
L’appellante fonda il proprio ricorso, in
sostanza, su due argomentazioni:
- la prima, che un fondo “asservito”
a fini edificatori ad a un altro fondo
(cioè, la utilizzazione della cubatura
realizzabile sul primo fondo ad aumento di
quella realizzata sul secondo fondo), non
determina una “insensibilità” del fondo
asservito, ben potendo questo riavere una
propria “capacità” edificatoria, per
effetto della “riespansione nella
volumetria realizzabile in caso di mutamenti
della situazione di fatto e di diritto”;
- la seconda, consistente quindi
nell’affermare che un successivo mutamento
di destinazione colturale del fondo, tale da
consentire una maggiore edificazione da
questa dipendente, consente la realizzazione
di una cubatura eccedente quella già “ceduta”
a suo tempo al fondo servito.
Entrambe le tesi non possono essere
condivise.
Quanto alla prima, questo Consiglio non
ritiene che il fondo asservito ad altro
fondo a fini di edificazione (mediante
cessione della cubatura su esso realizzabile
in favore del secondo) possa ricevere, ad
esempio da successivi atti di pianificazione
urbanistica, nuove potenzialità
edificatorie.
Infatti, lo strumento urbanistico, nel
disporre le future conformazioni del
territorio, considera le sole “aree
libere”, tali dovendosi ritenere quelle
“disponibili” al momento della
pianificazione, e ancor più precisamente
quelle che non risultano già edificate (in
quanto costituenti aree di sedime di
fabbricati o utilizzate per opere di
urbanizzazione), ovvero quelle che, nel
rispetto degli standard urbanistici,
risultano comunque già utilizzate per
l’edificazione (in quanto asservite alla
realizzazione di fabbricati, onde
consentirne lo sviluppo volumetrico).
D’altra parte, diversamente opinando, ogni
nuova pianificazione risulterebbe del tutto
scollegata dalla precedente, potendo da
questa prescindere, e di volta in volta
riguarderebbe, senza alcuna
contestualizzazione storica, una parte
sempre più esigua del territorio comunale
(cioè quella non ancora occupata da immobili
e manufatti), valutata ex novo.
In tal modo, la pianificazione urbanistica
si ridurrebbe a considerare il territorio
solo nella sua mera possibilità di
edificazione, in quanto non ostacolata da
presenze materiali, e non già come un bene
da conformare per il migliore sviluppo della
comunità, salvaguardando i diritti
costituzionalmente garantiti degli individui
che su di esso vivono ed operano.
In definitiva, l’eventuale modificazione del
piano regolatore, che prevede nuovi e più
favorevoli indici di fabbricazione, non può
che interessare, nell’ambito della zona del
territorio considerata dallo strumento
urbanistico, se non le sole aree libere, nel
senso sopra precisato, con esclusione,
quindi, di tutte le aree comunque già
utilizzate a scopo edificatorio, ancorché le
stesse si presentino “fisicamente”
libere da immobili.
Questo Consiglio di Stato ha già avuto,
peraltro, modo di affermare che "un'area
edificabile, già interamente considerata in
occasione del rilascio di una concessione
edilizia, agli effetti della volumetria
realizzabile, non può essere più tenuta in
considerazione come area libera, neppure
parzialmente, ai fini del rilascio di una
seconda concessione nella perdurante
esistenza del primo edificio, irrilevanti
appalesandosi le vicende inerenti alla
proprietà dei terreni” (Cons. Stato,
sez. V, 10.02.2000 n. 749).
Si è inoltre precisato che “in ipotesi di
realizzazione di un manufatto edilizio la
cui volumetria è calcolata sulla base anche
di un'area asservita o accorpata, l'intera
estensione interessata deve essere
considerata utilizzata ai fini edificatori,
con l'effetto che anche l'area asservita o
accorpata non è più edificabile, anche se è
oggetto di un frazionamento o di alienazione
separata dall'area su cui insiste il
manufatto" (Cons. Stato, sez. V,
07.11.2002 n. 6128; sez. IV, 06.09.1999 n.
1402).
Quanto esposto, comporta che, proprio perché
il piano regolatore (e le sue successive
modificazioni) considerano le sole aree
libere, eventuali variazioni degli indici di
fabbricazione in melius (cioè più
favorevoli ai privati proprietari) non
possono riguardare aree già utilizzate a
fini edificatori.
Se tali sono le conclusioni cui occorre
pervenire con riferimento a modificazioni
disposte da successivi strumenti
urbanistici, alle quali risultano
insensibili le aree già “utilizzate”
a fini edilizi (sia pure mediante cessione
di cubatura), a maggior ragione eventuali
modifiche “migliorative” delle
potenzialità edificatorie non possono
discendere da meri atti di volontà del
privato proprietario, quale è, nel caso di
specie, il mutamento di destinazione
colturale del fondo.
E’ da condividere, quindi, la sentenza
appellata, laddove afferma che
l’assegnazione della cubatura “non può
essere rimessa al contingente apprezzamento
delle convenienze proprie della produzione
agraria”, di modo che “una volta
realizzata la cubatura prevista, non può più
essere consentita ulteriore edificazione
anche se medio tempore sopravviene un
mutamento della coltura in astratto
suscettibile di aumentare le potenzialità
edificatorie del suolo”.
Una interpretazione diversa da quella
offerta dal giudice di I grado, infatti,
comporta la perdita di qualunque possibilità
di pianificazione urbanistica in relazione
alle aree considerate, essendo del tutto
evidente che tale attività, espressione di
una potestà conferita dalla legge, si fonda
sulla rilevazione di dati di fatto e di
diritto, onde impostare una linea di
sviluppo coerente nell’utilizzazione del
territorio, dati che, quindi, non possono
essere successivamente modificati per mera
scelta privata
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 20.07.2011 n. 4405 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
muro di contenimento tra due aree poste a
livello differente va considerato
costruzione, se il dislivello deriva
dall'opera dell'uomo o è stato
artificialmente accentuato; in quanto
costruzione, esso è soggetto all'osservanza
delle norme sulle distanze.
La disciplina delle distanze ex D.M. n.
1444/1968 è applicabile anche ai beni e alle
opere pubblici, secondo quanto affermato
(tra l'altro con specifico riferimento alle
distanze tra pareti finestrate ex art. 9)
dal TAR Liguria, sez. I, nella recente
sentenza 26.03.2010 n. 1235 che richiama la
decisione del Consiglio di Stato, sez. V,
03.11.2000 n. 5907; e d'altra parte, tenuto
conto che la norma citata è volta ad
impedire la formazione di intercapedini
nocive sotto il profilo igienico-sanitario
ed è perciò ineludibile non si vede perché
le opere pubbliche dovrebbero sottrarsi alla
sua osservanza.
In proposito si osserva quanto segue:
- come evidenziato al precedente punto 3.2),
la realizzazione della nuova strada è
prevista ad una quota superiore di oltre 3
metri rispetto al piano terreno
dell’abitazione dei ricorrenti; ciò
presuppone la realizzazione di un rilevato
artificiale e di muri di contenimento, come
risulta chiaro dalla planimetria doc. 20
depositata dal Comune resistente il
27/04/2011;
- la giurisprudenza è orientata a ritenere
che il muro di contenimento tra due aree
poste a livello differente va considerato
costruzione, se il dislivello deriva
dall'opera dell'uomo o è stato
artificialmente accentuato, come nel caso in
esame; in quanto costruzione, esso è
soggetto all'osservanza delle norme sulle
distanze (cfr. Cass. Civile, sez. II,
22.01.2010 n. 1217; TAR Marche 10.02.2009 n.
18);
- contrariamente a quanto sostenuto dalle
controparti la disciplina delle distanze ex
D.M. n. 1444/1968 è applicabile anche ai
beni e alle opere pubblici, secondo quanto
affermato (tra l'altro con specifico
riferimento alle distanze tra pareti
finestrate ex art. 9) dal TAR Liguria, sez.
I, nella recente sentenza 26.03.2010 n. 1235
che richiama (oltre a precedenti del
medesimo Tribunale) la decisione del
Consiglio di Stato, sez. V, 03.11.2000 n.
5907; e d'altra parte, tenuto conto che la
norma citata è volta ad impedire la
formazione di intercapedini nocive sotto il
profilo igienico-sanitario ed è perciò
ineludibile (cfr. Consiglio di Stato, sez.
IV, 02.11.2010 n. 7731 e 05.12.2005 n. 6909;
TAR Toscana, sez. III, 04.12.2001 n. 1734)
non si vede perché le opere pubbliche
dovrebbero sottrarsi alla sua osservanza;
- perché debba trovare applicazione il
citato art. 9 in tema di "pareti
finestrate" è sufficiente che sia tale
anche una sola delle due pareti frontistanti
(TAR Milano, sez. IV, 19.05.2011 n. 1282): e
questo è proprio il caso di cui controverte,
in cui la norma in questione risulta dunque
violata
(TAR Toscana, Sez. I,
sentenza 20.07.2011 n. 1251 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA: In
tema di disposizioni dirette a regolamentare
l'uso del territorio negli aspetti
urbanistici ed edilizi, contenute nel piano
regolatore, nei piani attuativi o in altro
strumento generale individuato dalla
normativa regionale, deve distinguersi fra
le prescrizioni che in via immediata
stabiliscono le potenzialità edificatorie
della porzione di territorio interessata
—nel cui ambito rientrano le norme di c.d.
zonizzazione; la destinazione di aree a
soddisfare gli standard urbanistici; la
localizzazione di opere pubbliche o di
interesse collettivo— dalle altre regole
che, più in dettaglio, disciplinano
l'esercizio dell'attività edificatoria,
generalmente contenute nelle norme tecniche
di attuazione del piano o nel regolamento
edilizio (disposizioni sul calcolo delle
distanze e delle altezze; sull'osservanza di
canoni estetici; sull'assolvimento di oneri
procedimentali e documentali; regole
tecniche sull'attività costruttiva, ecc.).
Ed infatti, mentre per le disposizioni
appartenenti alla prima categoria s'impone,
in relazione all'immediato effetto
conformativo dello jus aedificandi dei
proprietari dei suoli interessati che ne
deriva, ove se ne intenda contestare il
contenuto, un onere di immediata
impugnativa, in osservanza del termine
decadenziale a partire dalla pubblicazione
dello strumento pianificatorio, a diversa
conclusione deve pervenirsi, invece, con
riguardo alle prescrizioni di dettaglio
contenute nelle norme di natura
regolamentare, che sono suscettibili di
ripetuta applicazione ed esplicano effetto
lesivo nel momento in cui è adottato l'atto
applicativo e possono essere, quindi,
oggetto di censura in occasione della sua
impugnazione.
Secondo una costante giurisprudenza, che il
collegio condivide pienamente, “in tema
di disposizioni dirette a regolamentare
l'uso del territorio negli aspetti
urbanistici ed edilizi, contenute nel piano
regolatore, nei piani attuativi o in altro
strumento generale individuato dalla
normativa regionale, deve distinguersi fra
le prescrizioni che in via immediata
stabiliscono le potenzialità edificatorie
della porzione di territorio interessata
—nel cui ambito rientrano le norme di c.d.
zonizzazione; la destinazione di aree a
soddisfare gli standard urbanistici; la
localizzazione di opere pubbliche o di
interesse collettivo— dalle altre regole
che, più in dettaglio, disciplinano
l'esercizio dell'attività edificatoria,
generalmente contenute nelle norme tecniche
di attuazione del piano o nel regolamento
edilizio (disposizioni sul calcolo delle
distanze e delle altezze; sull'osservanza di
canoni estetici; sull'assolvimento di oneri
procedimentali e documentali; regole
tecniche sull'attività costruttiva, ecc.);
ed infatti, mentre per le disposizioni
appartenenti alla prima categoria s'impone,
in relazione all'immediato effetto
conformativo dello jus aedificandi dei
proprietari dei suoli interessati che ne
deriva, ove se ne intenda contestare il
contenuto, un onere di immediata
impugnativa, in osservanza del termine
decadenziale a partire dalla pubblicazione
dello strumento pianificatorio, a diversa
conclusione deve pervenirsi, invece, con
riguardo alle prescrizioni di dettaglio
contenute nelle norme di natura
regolamentare, che sono suscettibili di
ripetuta applicazione ed esplicano effetto
lesivo nel momento in cui è adottato l'atto
applicativo e possono essere, quindi,
oggetto di censura in occasione della sua
impugnazione” (così, per tutte, Cons. di
St., IV, 28.03.2011, n. 1868) (TAR
Liguria, Sez. I,
sentenza 20.07.2011 n. 1148 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: I
limiti di distanza tra i fabbricati di cui
al D.M. 1444/1968, una volta recepiti nelle
norme tecniche di attuazione dei singoli
piani regolatori comunali, assumono
“altresì” veste regolamentare e natura
integrativa del codice civile, ex art. 873
c.c., in quanto regolatrici (anche) dei
rapporti tra vicini, isolatamente
considerati in funzione degli interessi
privati dei proprietari dei fondi finitimi.
E' evidente come la disposizione di cui
all’art. 879 c.c., nel disporre che “alle
costruzioni che si fanno in confine con le
piazze e le vie pubbliche non si applicano
le norme relative alle distanze, ma devono
osservarsi le leggi e i regolamenti che le
riguardano”, intenda significare che, in
presenza di una strada pubblica, non si fa
tanto questione di tutelare un diritto
soggettivo privato (tutelato dalla normativa
codicistica sulle distanze, rinunciabile e
negoziabile), ma di perseguire il preminente
interesse pubblico ad un ordinato sviluppo
urbanistico intorno alla strade ed alle
piazze, ordinato sviluppo che trova la sua
disciplina esclusivamente nelle leggi e
regolamenti urbanistico-edilizi, tra i quali
-per l’appunto- il D.M. 1444/1968.
Tanto ciò è vero che distanze inferiori sono
ammesse, in deroga, “nel caso di gruppi di
edifici che formino oggetto di piani
particolareggiati o lottizzazioni
convenzionate con previsioni
planovolumetriche” (art. 9 u.c. D.M.
1444/1968), cioè soltanto se previste –a
loro volta- in strumenti urbanistici
funzionali ad un assetto complessivo ed
unitario (cioè, che contempli la contestuale
edificazione degli edifici antistanti) di
determinate zone del territorio.
In presenza di una strada pubblica tra due
fondi, non è dunque consentito derogare alla
distanza minima stabilita dall’art. 9 D.M.
02.04.1968 tra pareti finestrate di edifici
antistanti, neppure con il consenso del
vicino frontistante, in quanto, trattandosi
di tutelare un interesse pubblico, di natura
urbanistica, superiore a quello individuale
dei proprietari dei fondi finitimi
(interesse specificamente tutelato dalle
norme del codice civile sulle distanze nelle
costruzioni), non trovano applicazione -ex
art. 879 comma 2 c.c.- le disposizioni
civilistiche (e quelle di esse integrative)
sulle distanze, in quanto recessive rispetto
alla speciale normativa urbanistico-edilizia
(le “leggi e i regolamenti” di cui all’art.
879 comma 2 c.c.), che si applica in luogo
delle stesse.
Dunque, l'art. 9 del D.M. 1444 del 1968 sui
limiti di distanza tra i fabbricati
ricadenti in zone territoriali diverse dalla
zona A, costituisce un principio assoluto ed
inderogabile che prevale –ad un tempo- sia
sulla potestà legislativa regionale, in
quanto integra la disciplina privatistica
delle distanze, sia sulla potestà
regolamentare e pianificatoria dei Comuni,
in quanto deriva da una fonte normativa
statale sovraordinata, sia, infine,
sull'autonomia negoziale dei privati, in
quanto tutela interessi pubblici che, per
loro natura, non sono nella disponibilità
delle parti. Esso, inoltre, è applicabile
anche quando tra le pareti finestrate (o tra
una parete finestrata e una non finestrata)
si interponga una via pubblica.
In conclusione, in presenza di pareti
finestrate poste a confine con la via
pubblica, non è mai ammissibile la deroga
prevista dall'art. 879, comma 2 c.c., per le
distanze tra edifici.
Il D.M.
02.04.1968, emanato in forza dell’art.
41-quinquies commi 8 e 9 della legge
urbanistica 17.08.1942, n. 1150, detta “limiti
inderogabili” di densità edilizia, di
altezza, di distanza tra i fabbricati,
nonché rapporti massimi tra spazi destinati
agli insediamenti residenziali e produttivi
e spazi pubblici o riservati alle attività
collettive, a verde pubblico o a parcheggi,
da osservarsi dai comuni in sede di
formazione degli strumenti urbanistici (così
anche l’art. 1 del D.M. 1444/1968).
Si tratta dunque –sicuramente- di norme così
dette di azione, in quanto volte a
disciplinare il potere pianificatorio dei
comuni.
Ovviamente, i limiti di distanza tra i
fabbricati di cui al D.M. 1444/1968, una
volta recepiti nelle norme tecniche di
attuazione dei singoli piani regolatori
comunali, assumono “altresì” veste
regolamentare e natura integrativa del
codice civile, ex art. 873 c.c., in quanto
regolatrici (anche) dei rapporti tra vicini,
isolatamente considerati in funzione degli
interessi privati dei proprietari dei fondi
finitimi.
Stando così le cose, è evidente come la
disposizione di cui all’art. 879 c.c., nel
disporre che “alle costruzioni che si
fanno in confine con le piazze e le vie
pubbliche non si applicano le norme relative
alle distanze, ma devono osservarsi le leggi
e i regolamenti che le riguardano”,
intenda significare che, in presenza di una
strada pubblica, non si fa tanto questione
di tutelare un diritto soggettivo privato
(tutelato dalla normativa codicistica sulle
distanze, rinunciabile e negoziabile), ma di
perseguire il preminente interesse pubblico
ad un ordinato sviluppo urbanistico intorno
alla strade ed alle piazze, ordinato
sviluppo che trova la sua disciplina
esclusivamente nelle leggi e regolamenti
urbanistico-edilizi, tra i quali -per
l’appunto- il D.M. 1444/1968.
Tanto ciò è vero che distanze inferiori sono
ammesse, in deroga, “nel caso di gruppi
di edifici che formino oggetto di piani
particolareggiati o lottizzazioni
convenzionate con previsioni
planovolumetriche” (art. 9 u.c. D.M.
1444/1968), cioè soltanto se previste –a
loro volta- in strumenti urbanistici
funzionali ad un assetto complessivo ed
unitario (cioè, che contempli la contestuale
edificazione degli edifici antistanti) di
determinate zone del territorio (Cons. di
St., IV, 12.03.2007, n. 1206).
In presenza di una strada pubblica tra due
fondi, non è dunque consentito derogare alla
distanza minima stabilita dall’art. 9 D.M.
02.04.1968 tra pareti finestrate di edifici
antistanti, neppure con il consenso del
vicino frontistante, in quanto, trattandosi
di tutelare un interesse pubblico, di natura
urbanistica, superiore a quello individuale
dei proprietari dei fondi finitimi
(interesse specificamente tutelato dalle
norme del codice civile sulle distanze nelle
costruzioni), non trovano applicazione -ex
art. 879 comma 2 c.c.- le disposizioni
civilistiche (e quelle di esse integrative)
sulle distanze, in quanto recessive rispetto
alla speciale normativa urbanistico-edilizia
(le “leggi e i regolamenti” di cui
all’art. 879 comma 2 c.c.), che si applica
in luogo delle stesse.
Dunque, l'art. 9 del D.M. 1444 del 1968 sui
limiti di distanza tra i fabbricati
ricadenti in zone territoriali diverse dalla
zona A, costituisce un principio assoluto ed
inderogabile (così l’art. 41-quinquies comma
8 L.U. –cfr. TAR Liguria, I, 12.02.2004, n.
145), che prevale –ad un tempo- sia sulla
potestà legislativa regionale, in quanto
integra la disciplina privatistica delle
distanze (C. Cost., 16.6.2005, n. 232), sia
sulla potestà regolamentare e pianificatoria
dei Comuni (Cons. di St., IV, 2.11.2010, n.
7731), in quanto deriva da una fonte
normativa statale sovraordinata, sia,
infine, sull'autonomia negoziale dei
privati, in quanto tutela interessi pubblici
che, per loro natura, non sono nella
disponibilità delle parti.
Esso, inoltre, è applicabile anche quando
tra le pareti finestrate (o tra una parete
finestrata e una non finestrata) si
interponga una via pubblica.
La fattispecie è specificamente regolata dal
comma 2 del medesimo art. 9, che prescrive
in questo caso distacchi addirittura
maggiorati in relazione alla larghezza della
strada, con la precisazione che l'esclusione
della viabilità a fondo cieco prevista nella
stessa norma va riferita alle maggiorazioni
e non alla distanza minima assoluta di 10
metri, che rimane inderogabile.
In conclusione, in presenza di pareti
finestrate poste a confine con la via
pubblica, non è mai ammissibile la deroga
prevista dall'art. 879, comma 2 c.c., per le
distanze tra edifici (così TAR
Lombardia-Brescia, I, 03.07.2008, n. 788;
nello stesso senso, più recentemente,
Tribunale di Teramo, 10.01.2011, n. 4) (TAR
Liguria, Sez. I,
sentenza 20.07.2011 n. 1148 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L'annullamento
parziale di una concessione edilizia
riconosciuta illegittima è ammissibile
soltanto quando l'opera autorizzata sia
scindibile in modo tale da poter essere
oggetto di distinti progetti: la ragione di
tale principio è la stessa per cui il comune
può respingere o accogliere una domanda di
concessione edilizia, ma non può modificare
il progetto, non potendosi imporre al
richiedente un'opera diversa dal progetto
sul quale ha chiesto la concessione.
L'annullamento
parziale di una concessione edilizia
riconosciuta illegittima è ammissibile
soltanto quando l'opera autorizzata sia
scindibile in modo tale da poter essere
oggetto di distinti progetti: la ragione di
tale principio è la stessa per cui il comune
può respingere o accogliere una domanda di
concessione edilizia, ma non può modificare
il progetto, non potendosi imporre al
richiedente un'opera diversa dal progetto
sul quale ha chiesto la concessione (così
Cons. di St., V, 11.10.2005, n. 5495, in un
caso in cui si trattava dell'altezza
eccessiva dell'edificio; nello stesso senso
cfr. anche Cons. di St., V, 22.05.2006, n.
2960) (TAR
Liguria, Sez. I,
sentenza 20.07.2011 n. 1148 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI: Ai
fini del risarcimento dei danni provocati da
illegittimo esercizio del potere
amministrativo il soggetto che avanza la
domanda di risarcimento deve fornire in modo
rigoroso la prova dell'esistenza del danno,
né, in difetto, detta carenza può essere
supplita dal giudice amministrativo con il
meccanismo di cui all'art. 35 del D.Lgs. n.
80 del 1998, che presuppone la difficoltà di
quantificare un danno la cui esistenza è
provata.
Nel rispetto
del principio generale sancito dall'art.
2697 c.c., secondo cui chi agisce in
giudizio deve fornire la prova dei fatti
costitutivi della domanda, ai fini del
risarcimento dei danni provocati da
illegittimo esercizio del potere
amministrativo il soggetto che avanza la
domanda di risarcimento deve fornire in modo
rigoroso la prova dell'esistenza del danno,
né, in difetto, detta carenza può essere
supplita dal giudice amministrativo con il
meccanismo di cui all'art. 35 del D.Lgs. n.
80 del 1998, che presuppone la difficoltà di
quantificare un danno la cui esistenza è
provata (Cons. di St., V, 13.06.2008, n.
2967; TAR Lombardia, IV, 5.7.2006, n. 1707)
(TAR
Liguria, Sez. I,
sentenza 20.07.2011 n. 1148 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Concorsi.
Il Tar sulle selezioni comunali. Fra i
commissari niente sindacalisti.
È illegittima la
composizione della commissione esaminatrice
di un concorso pubblico bandito da un Comune
se come presidente viene designato un
consigliere comunale e come segretario un
rappresentante sindacale.
Così ha deciso la quinta sezione del TAR
Campania-Napoli, Sez. V, con la
sentenza 19.07.2011 n. 3895.
I giudici hanno fatto riferimento
all'articolo 35 del decreto legislativo
165/2001, il quale stabilisce che «le
commissioni dei concorsi (...) devono essere
composte esclusivamente da esperti (...) che
non ricoprano cariche politiche e che non
siano rappresentanti sindacali o designati
dalle confederazioni e organizzazioni
sindacali».
Il caso ha riguardato un concorso pubblico
per un posto di istruttore amministrativo
dei servizi demografici comunali. Presidente
della commissione esaminatrice era stato
designato un consigliere di un altro comune
e l'incarico di segretario era stato
conferito a un rappresentante sindacale. Per
questo una candidata, non ammessa alle prove
orali, ha proposto ricorso al Tar chiedendo
l'annullamento della selezione.
Richiesta accolta dai giudici sulla base
delle seguenti concatenate ragioni: la
composizione delle commissioni esaminatrici
dei concorsi pubblici deve rispettare i
principi dell' imparzialità e del diritto di
accesso per tutti i cittadini agli uffici
pubblici; in conseguenza, non vi deve essere
alcuna interferenza tra le funzioni svolte
da chi ricopre cariche politiche e sindacali
e l' attività dell'ente che ha indetto il
concorso; la norma che stabilisce queste
incompatibilità ha un'applicazione generale
e non è limitata alla rappresentanza del
sindacato in organismi interni
dell'amministrazione che ha indetto il
concorso; la posizione vietata non riguarda,
per i rappresentanti sindacali designati, la
sola designazione, ma anche la funzione che
è stata formalmente ed effettivamente
assunta sulla base della designazione
(articolo Il Sole 24
Ore
del 15.08.2011).
---------------
Il Collegio condivide la giurisprudenza
prevalente (cfr. Cons. Stato, VI,
01.06.2010, n. 3461) allorché ha evidenziato
che l'interpretazione della normativa sulla
composizione delle commissioni esaminatrici
dei concorsi pubblici, più volte richiamata
per la soluzione della controversia in
esame, comporta l'applicazione dei due
principi rispettivamente dell'imparzialità
dell'azione amministrativa e della
possibilità di accesso per tutti i cittadini
agli uffici pubblici; perché il primo
principio sia garantito senza sacrificio
ingiustificato del secondo, la
giurisprudenza ha sottolineato la necessità
di criteri puntuali nell'applicazione dei
divieti di partecipazione alle commissioni
(Cons. Stato, V, 27.07.2002, n. 4056)
occorrendo comunque un "qualche elemento
di possibile incidenza fra l'attività
esercitabile da colui che ricopre cariche
politiche, sindacali o professionali e
l'attività dell'ente che indice il concorso"
(Cons. Stato, V, 21.10.2003, n. 6526). Di
conseguenza un componente della commissione
nominato in ragione della sua competenza ed
esperienza deve nondimeno dimettersi se
acquisisca successivamente una delle
posizioni vietate, ma la sussistenza di una
tale posizione deve risultare certa alla
luce della tipologia e della ratio
dei divieti.
In questo quadro la Sezione ritiene, quanto
al caso in esame, che la questione
preliminare da dirimere non è quella se il
divieto di partecipazione alle commissioni
di concorso per i titolari di cariche
politiche ed i rappresentanti o designati
delle organizzazioni sindacali sussista
anche quando gli interessati rivestano tali
posizioni in organi di un'amministrazione
diversa da quella di cui si tratta – il che
non appare dubitabile, ma come si debba
interpretare l'espressione della norma per
cui devono essere esclusi i soggetti "designati"
dalle confederazioni ed organizzazioni
sindacali; infatti la precisazione di quali
siano le posizioni costitutive del divieto è
pregiudiziale rispetto alla individuazione
di quale sia l'organo (se interno o esterno
all'amministrazione de qua) in cui la
posizione acquista rilevanza.
In altre parole, la Sezione ritiene che
secondo la ratio della normativa
l'impedimento ad essere componente di
commissioni concorsuali si produce non
quando la posizione vietata sia
potenzialmente conseguibile, per effetto
della sola designazione a poterla rivestire,
ma quando essa è in atto, cioè formalmente
assunta; trattasi di interpretazione che si
basa anzitutto sulla lettera della
normativa, i cui divieti, in quanto previsti
per i membri dell'organo di direzione
politica dell'amministrazione, i titolari di
cariche politiche ed i rappresentanti di
organizzazioni sindacali, sono tutti
identificati dalla piena attribuzione delle
relative funzioni, risultando incongruo in
questo contesto che con l'ulteriore
espressione di "designati" si indichi
come sufficiente, invece, una posizione
eventuale, non ancora dotata
dell'effettività delle funzioni. Peraltro
tale impostazione è confortata anche sul
piano sostanziale, poiché soltanto con tale
effettività diviene possibile l'incidenza
sull'attività concorsuale delle funzioni
rivestite, essendo la volontà o l'effetto di
condizionamento assistiti dalla concretezza
dei poteri azionabili;
se invece si dovesse affermare che
l'impedimento si produce per effetto della
sola designazione, l'applicazione della
normativa verrebbe anticipata ad una fase in
cui non si sono ancora realizzate le
condizioni concrete del rischio che si vuole
evitare, provocando così una ingiustificata
limitazione della capacità di accesso agli
uffici pubblici. Da ciò consegue che, nella
normativa, l'espressione di "designati
dalle confederazioni ed organizzazioni
sindacali" deve intendersi riferita a
soggetti "nominati previa designazione"
di tali enti, distinti dai "rappresentanti
sindacali", pure previsti nella stessa
normativa, da individuare nei soggetti
direttamente investiti del potere di
rappresentanza delle organizzazioni
sindacali per lo svolgimento della relativa
attività istituzionale.
L’annullamento dell’intera procedura
concorsuale per come attività di una
commissione il cui Presidente era un
Consigliere comunale del Comune di S. Maria
Capua Vetere ed il Segretario era stato
individuato in un rappresentante sindacale
scaturisce dalla palese violazione della
disposizione in esame, laddove essa ha
previsto che le commissioni di concorso
devono essere composte esclusivamente da
esperti di comprovata competenza scelti tra
funzionari delle amministrazioni, docenti ed
estranei alle medesime, che non siano
componenti dell'organo di direzione politica
dell'amministrazione, che non ricoprano
cariche politiche e che non siano
rappresentanti sindacali o designati dalle
confederazioni ed organizzazioni sindacali o
dalle associazioni professionali.
Si è chiarito che la norma ha l'evidente
scopo di evitare qualsiasi ingerenza
politica o sindacale nelle procedure
riguardanti i pubblici concorsi, per cui non
appare logico limitare l'applicazione della
norma all'interno della stessa
amministrazione che ha bandito il concorso
pubblico, nel senso di ritenerla applicabile
solo se la designazione avvenga a
rappresentare il sindacato in organismi
interni alla stessa amministrazione.
Infatti è l'"appartenenza" in
generale ad una forza politica o ad una
organizzazione sindacale che rende
indebitamente influenzabile da fattori
esterni, identificati dal Legislatore, quel
determinato soggetto, a prescindere dalla
circostanza che la designazione sia avvenuta
all'interno della stessa amministrazione che
ha bandito il concorso (TAR Sardegna,
15.10.2002, n.1367).
D'altra parte l'incompatibilità scatta al
momento della designazione, ove ovviamente
conosciuta ed accettata dall'interessato, in
quanto è questo il momento che qualifica e
configura il legame tra organizzazione
sindacale e soggetto, essendo irrilevante ai
fini che qui ci occupano il provvedimento
successivo di nomina: si verifica quindi in
tale momento l'obbligo e non la mera facoltà
per l'amministrazione, alla quale il
soggetto deve comunicare la situazione di
incompatibilità, di sostituire il componente
incompatibile (Cons. Stato, V, 25.02.2004,
n. 764). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il regolamento per la
manomissione del suolo pubblico comunale
costituisce evidente applicazione
dell’orientamento espresso, nelle sue
insindacabili valutazioni di merito,
dall’Autorità amministrativa competente alla
gestione del territorio circa l’esigenza di
favorire la progressiva eliminazione, nel
centro abitato e nelle zone agricole ad alta
presenza residenziale, degli impianti di
linee aeree, privilegiando all’uopo, salvo
insuperabili esigenze tecniche, la
sistemazione interrata delle linee.
Deve ritenersi compresa nel potere
discrezionale dell’amministrazione comunale
la valorizzazione del suo centro abitato
(anche) attraverso l’imposizione agli
operatori di tecniche di realizzazione degli
impianti strumentali dei servizi con basso
impatto ambientale, e tra queste deve
comprendersi, per quanto qui occupa,
l’interramento delle linee aeree telefoniche
di nuova installazione. Ai sensi dell'art.
8, comma 6, della legge 22.02.2001, n. 36,
così come ai sensi del nuovo Codice sulle
telecomunicazioni approvato con d.lgs.
259/2003, i comuni conservano un certo
potere di assicurare il corretto
insediamento urbanistico e territoriale
degli impianti di telefonia, garantendo
l’armonizzazione tra l’interesse pubblico al
corretto svolgimento del servizio di
telecomunicazione e gli altri interessi
pubblici coinvolti. E, difatti, se è vero
che l'ente locale non può adottare misure
derogatorie ai limiti di esposizione fissati
dallo Stato, né introdurre divieti
generalizzati di installazione in tutte le
zone territoriali omogenee e neppure
introdurre misure che -pur tipicamente
urbanistiche (distanze, altezze, ecc.)- non
risultino funzionali al governo del
territorio, è altrettanto indiscutibile che
lo stesso, nel rispetto del quadro statale
di riferimento, possa dettare prescrizioni
di carattere integrativo, volte ad imporre
caratteristiche o accorgimenti tecnici
particolari da adottare nella realizzazione
degli impianti.
Lamenta la ricorrente l’illegittimità
dell’allegato D, art. 4, del regolamento
comunale, sul quale si fonda il
provvedimento impugnato, nella parte in cui
non ammette la realizzazione di linee
telefoniche con linee aeree nell’ambito
urbano e nelle zone agricole con alta
presenza di residenze, se non per comprovate
esigenze tecniche, prescrivendosi per esse
l’integrale interramento.
La disposizione regolamentare presupposta,
pure impugnata col ricorso in esame, resiste
tuttavia alle censure sollevate dalla
ricorrente.
Essa, infatti, costituisce evidente
applicazione dell’orientamento espresso,
nelle sue insindacabili valutazioni di
merito, dall’Autorità amministrativa
competente alla gestione del territorio
circa l’esigenza di favorire la progressiva
eliminazione, nel centro abitato e nelle
zone agricole ad alta presenza residenziale,
degli impianti di linee aeree, privilegiando
all’uopo, salvo insuperabili esigenze
tecniche, la sistemazione interrata delle
linee (cfr: TAR Sardegna, Sez. II, n. 2070
del 28.11.2008).
Restano, dunque, escluse dalle deroghe
consentite dalla ricordata disposizione di
attuazione, ai fini dell’installazione di
impianti di palificazione, le esigenze
puramente economiche sottese dalle
argomentazioni dell’odierna ricorrente,
restando dunque prive di supporto normativo
e di rilievo tutte le argomentazioni tese a
lamentare un rilevante incremento dei costi
per il caso di realizzazione in cunicolo
dell’impianto.
Deve, infatti, ritenersi compresa nel potere
discrezionale dell’amministrazione comunale
la valorizzazione del suo centro abitato
(anche) attraverso l’imposizione agli
operatori di tecniche di realizzazione degli
impianti strumentali dei servizi con basso
impatto ambientale, e tra queste deve
comprendersi, per quanto qui occupa,
l’interramento delle linee aeree telefoniche
di nuova installazione.
In proposito questo Tribunale ha altresì
recentemente precisato che, ai sensi
dell'art. 8, comma 6, della legge
22.02.2001, n. 36, così come ai sensi del
nuovo Codice sulle telecomunicazioni
approvato con d.lgs. 259/2003, i comuni
conservano un certo potere di assicurare il
corretto insediamento urbanistico e
territoriale degli impianti di telefonia,
garantendo l’armonizzazione tra l’interesse
pubblico al corretto svolgimento del
servizio di telecomunicazione e gli altri
interessi pubblici coinvolti.
E, difatti, se è vero che l'ente locale non
può adottare misure derogatorie ai limiti di
esposizione fissati dallo Stato, né
introdurre divieti generalizzati di
installazione in tutte le zone territoriali
omogenee e neppure introdurre misure che
-pur tipicamente urbanistiche (distanze,
altezze, ecc.)- non risultino funzionali al
governo del territorio (cfr. Cons. Stato,
Sez. VI, 15.06.2006, n. 3534; Sez. IV,
03.06.2002, n. 3095; TAR Abruzzo, Pescara,
03.04.2007, n. 376), è altrettanto
indiscutibile che lo stesso, nel rispetto
del quadro statale di riferimento, possa
dettare prescrizioni di carattere
integrativo, volte ad imporre
caratteristiche o accorgimenti tecnici
particolari da adottare nella realizzazione
degli impianti (cfr. Tar Sardegna, Sez. II,
n. 119 del 02.02.2010; Cons. Stato, Sez. VI,
05.06.2006, n. 3332; Sez. VI, 05.12.2005, n.
6961).
Diversamente da come paventato dalla
ricorrente, deve inoltre escludersi che
l’anzidetta prescrizione possa integrare, in
base ai principi legislativi in materia, un
ingiustificato aggravamento dei procedimenti
autorizzatori o, tanto meno, un’ingerenza
nell’uso di una data tecnologia a scapito di
un’altra.
Trattasi, piuttosto, di soluzione tecnica
per l’allocazione dell’impianto (non
incidente sull’utilizzo della tecnologia
propria del sistema di comunicazione
prescelto dal concessionario) ed affatto
inibitoria alla realizzazione delle opere
(anzi, già assentite con le contestate
modalità dell’interramento), che laddove
mira a salvaguardare, in senso di maggior
tutela, l’impatto ambientale delle stesse
sul centro abitato o sulle zone agricole
densamente abitate, non può che prevalere
anche rispetto alle disposizioni (in
particolare art. 86 del codice delle
telecomunicazioni) invocate dalla ricorrente
e che, a ben vedere, salvaguardano
esclusivamente la necessità di consentire la
realizzazione delle infrastrutture
necessarie all’erogazione del servizio,
rimettendo, poi, alla discrezionalità degli
enti locali, la conformazione di questo fine
con l’ottimale gestione del territorio.
Del resto, come detto, non risultano
adeguatamente documentate le insuperabili
esigenze tecniche che, al di là
dell’aggravio dei costi, renderebbe non
funzionale od efficiente l’impianto
realizzato con le modalità imposte dal
Comune di Sassari
(TAR Sardegna, Sez. II,
sentenza 18.07.2011 n. 781 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
ristrutturazione degli edifici mediante
demolizione e successiva ricostruzione è
ammissibile nei limiti dello stato
fisionomico attuale degli stessi, senza
possibilità di recuperare parti strutturali
che, pur originariamente esistenti, sono
venute meno per qualsiasi evenienza: la
ristrutturazione edilizia ricorre solo
quando l’intervento edilizio si traduca in
una volontaria demolizione accompagnata
dalla successiva ricostruzione, mentre
invece, qualora tra demolizione e
ricostruzione o presentazione del nuovo
progetto vi verifichi una soluzione di
continuità l’attività edificatoria
costituisce nuova costruzione, come tale
richiedente il permesso di costruire e non
sottoposta a d.i.a..
In altre parole, può attuarsi un intervento
di ristrutturazione edilizia (di demolizione
e ricostruzione) in quanto esista un
organismo edilizio dotato di mura
perimetrali, strutture orizzontali e
copertura in stato di conservazione tale da
rendere attualmente visibile la fisionomia
da prendere a riferimento e a limite ai fini
della ristrutturazione.
---------------
La ristrutturazione edilizia presuppone un
organismo dotato di mura perimetrali
(costituenti componenti essenziali del
fabbricato), oltre che di copertura e
strutture orizzontali.
---------------
La manutenzione straordinaria dell’opera
abusiva in pendenza della definizione del
procedimento di condono è illecita, in
quanto essa ripete le caratteristiche di
illegittimità dell’opera principale cui
accede.
---------------
Il concetto di “eventi di carattere
eccezionale” cagionanti la demolizione è
ascrivibile ad accadimenti esterni
all’interessato che, similmente alle
calamità naturali, siano completamente al di
fuori della sua sfera di controllo, come ad
esempio eventi bellici, atti di terrorismo o
atti vandalici, e quindi non si attaglia
alla prolungata pendenza del procedimento di
condono, la quale, pur precludendo la
manutenzione straordinaria non è ostativa ad
interventi di manutenzione ordinaria (ad
esempio, lavori di impermeabilizzazione o di
sostituzione del manto di copertura)
finalizzati alla conservazione della
struttura nelle more della definizione della
domanda di condono.
Secondo il consolidato indirizzo
giurisprudenziale, la ristrutturazione degli
edifici mediante demolizione e successiva
ricostruzione è ammissibile nei limiti dello
stato fisionomico attuale degli stessi,
senza possibilità di recuperare parti
strutturali che, pur originariamente
esistenti, sono venute meno per qualsiasi
evenienza (TAR Veneto, II, 05/06/2008, n.
1667): la ristrutturazione edilizia ricorre
solo quando l’intervento edilizio si traduca
in una volontaria demolizione accompagnata
dalla successiva ricostruzione, mentre
invece, qualora tra demolizione e
ricostruzione o presentazione del nuovo
progetto vi verifichi una soluzione di
continuità l’attività edificatoria
costituisce nuova costruzione, come tale
richiedente il permesso di costruire e non
sottoposta a d.i.a. (Cons. Stato, V,
10/03/1997, n. 240; TAR Campania, Napoli,
III, 16/05/2006, n. 4378).
In altre parole, intanto può attuarsi un
intervento di ristrutturazione edilizia (di
demolizione e ricostruzione) in quanto
esista un organismo edilizio dotato di mura
perimetrali, strutture orizzontali e
copertura in stato di conservazione tale da
rendere attualmente visibile la fisionomia
da prendere a riferimento e a limite ai fini
della ristrutturazione (Cons. Stato, V,
10/02/2004, n. 475; TAR Venezia, II,
05/06/2008, n. 1667; TAR Lombardia, Milano,
II, 11/06/2009, n. 3968).
---------------
La
giurisprudenza ha precisato che la
ristrutturazione edilizia presuppone un
organismo dotato di mura perimetrali
(costituenti componenti essenziali del
fabbricato), oltre che di copertura e
strutture orizzontali (TAR Lombardia,
Milano, II, 11/06/2009, n. 3968; Cons.
Stato, VI, 07/05/1996, n. 665; Cass. civ.,
II, 15/07/2003, n. 11027).
---------------
In via generale, la manutenzione
straordinaria dell’opera abusiva in pendenza
della definizione del procedimento di
condono è illecita, in quanto essa ripete le
caratteristiche di illegittimità dell’opera
principale cui accede (TAR Campania, Napoli,
VI, 03/12/2010, n. 26787).
Inoltre la ristrutturazione edilizia assume
concettualmente ad oggetto un manufatto
attualmente esistente, senza eccezioni;
allorquando sussista invece soluzione di
continuità tra demolizione e ricostruzione
l’attività edificatoria va qualificata come
nuova costruzione, sottoposta a permesso di
costruire e non a d.i.a., a prescindere
dalle ragioni e dalle circostanze che hanno
comportato il crollo o la rimozione del
manufatto preesistente.
---------------
Il concetto di “eventi di carattere
eccezionale” cagionanti la demolizione è
ascrivibile ad accadimenti esterni
all’interessato che, similmente alle
calamità naturali, siano completamente al di
fuori della sua sfera di controllo, come ad
esempio eventi bellici, atti di terrorismo o
atti vandalici, e quindi non si attaglia
alla prolungata pendenza del procedimento di
condono, la quale, pur precludendo la
manutenzione straordinaria (ammessa solo
successivamente alla regolarizzazione
dell’abuso: TAR Campania, Napoli, VI,
03/12/2010, n. 26787), non è ostativa ad
interventi di manutenzione ordinaria (ad
esempio, lavori di impermeabilizzazione -TAR
Friuli Venezia Giulia, I, 15/07/2010, n.
519- o di sostituzione del manto di
copertura –Cass. pen., III, 19/12/2005, n.
2935-) finalizzati alla conservazione della
struttura nelle more della definizione della
domanda di condono
(TAR Toscana, Sez. III,
sentenza 15.07.2011 n. 1205 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Una
parte della giurisprudenza ritiene che
quando l’esposto di un terzo abbia avuto
l’unica funzione di stimolare l’attivazione
di poteri di indagine o repressivi propri
della P.A., che la stessa ha in seguito
normalmente esercitato, venga a mancare, in
capo al soggetto sanzionato, l’interesse a
conoscere dato atto di impulso.
Tuttavia altra giurisprudenza, cui il
Collegio aderisce, ritiene che ragioni di
trasparenza (“.. nell'ordinamento delineato
dalla legge n. 241/1990, ispirato ai
principi della trasparenza, del diritto di
difesa e della dialettica democratica, ogni
soggetto deve poter conoscere con precisione
i contenuti e gli autori di segnalazioni,
esposti o denunce che, fondatamente o meno,
possano costituire le basi per l'avvio di un
procedimento ispettivo o sanzionatorio, non
potendo la P.A. procedente opporre
all'interessato esigenze di riservatezza”)
facciano propendere per la soluzione
opposta, cioè per l’accessibilità da parte
dell’interessato anche a tale documento, in
quanto “la denuncia e l’esposto… non possono
essere considerati un fatto circoscritto al
solo autore, all’Amministrazione competente
al suo esame e all’apertura dell’eventuale
procedimento, ma riguardano direttamente
anche i soggetti "denunciati", i quali ne
risultano comunque incisi”.
Per quanto concerne l’esposto dl vicino di
casa, il Collegio ritiene che la domanda sia
fondata e che il Comune debba consentirne
l’accesso.
Non ignora il Tribunale che una parte della
giurisprudenza ritiene che quando l’esposto
di un terzo abbia avuto l’unica funzione di
stimolare l’attivazione di poteri di
indagine o repressivi propri della P.A., che
la stessa ha in seguito normalmente
esercitato, venga a mancare, in capo al
soggetto sanzionato, l’interesse a conoscere
dato atto di impulso.
Tuttavia altra giurisprudenza, cui il
Collegio aderisce (cfr., ad esempio: TAR
Campania-Napoli n. 14859/2010 e
Lombardia-Brescia n. 1469/2008; nonché C.S.
n. 2511/2008; n. 5569/2007; e n. 3601/2007),
ritiene che ragioni di trasparenza (“..
nell'ordinamento delineato dalla legge n.
241/1990, ispirato ai principi della
trasparenza, del diritto di difesa e della
dialettica democratica, ogni soggetto deve
poter conoscere con precisione i contenuti e
gli autori di segnalazioni, esposti o
denunce che, fondatamente o meno, possano
costituire le basi per l'avvio di un
procedimento ispettivo o sanzionatorio, non
potendo la P.A. procedente opporre
all'interessato esigenze di riservatezza”)
facciano propendere per la soluzione
opposta, cioè per l’accessibilità da parte
dell’interessato anche a tale documento, in
quanto “la denuncia e l’esposto… non
possono essere considerati un fatto
circoscritto al solo autore,
all’Amministrazione competente al suo esame
e all’apertura dell’eventuale procedimento,
ma riguardano direttamente anche i soggetti
"denunciati", i quali ne risultano comunque
incisi”.
Né vale a legittimare il diniego di accesso
all’esposto presentato dal vicino,
l’eventuale sussistenza di indagini penali
in relazione a fatti oggetto anche di
indagine amministrativa, sia perché (come
appurato in Camera di Consiglio) il Comune
detiene comunque copia della documentazione
di cui trattasi (che non è stata oggetto di
sequestro); sia perché (come stabilito da
TAR Puglia-Bari n. 2565/2008) la richiesta
di accesso anche ad atti oggetto di indagine
penale (dei quali peraltro il Collegio non
ritiene possa far parte l’esposto del
privato, proprio perché ha solo dato impulso
ad indagini autonomamente effettuate dalla
P.A., unicamente all’esito delle quali si è
ritenuta la possibile sussistenza di un
illecito penalmente rilevante) può in ogni
caso essere assentita, eventualmente, e ove
di ragione, previa autorizzazione della
competente Procura della Repubblica che deve
esserne richiesta, senza indugio,
dall’Amministrazione stessa.
Questa parte della domanda va quindi accolta
con conseguente dichiarazione dell’obbligo
del Comune di consentire l’accesso
all’esposto presentato dal vicino
(TAR Friuli Venezia Giulia,
sentenza 14.07.2011 n. 349 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
In linea di principio non può
considerarsi legittima l’esclusione a priori
per tutto il territorio comunale della
possibilità di "insediamento di nuove
attività classificate insalubri di prima
classe dal D.M. 05.09.1994”, in base ad una
norma di pianificazione generale.
L'art. 216 r.d. 27.07.1934 n. 1265 pone, con
il secondo comma, il canone della
preclusione relativa per l'insediamento di
tali lavorazioni nocive all'interno degli
abitati a salvaguardia e tutela delle buone
condizioni di vita e di salute per la
popolazione residenziale; in deroga al
precedente principio, il quinto comma
consente tuttavia al gestore dell’impianto
di dimostrare l’esclusione di qualsiasi
rischio di compromissione della salute e
dell'incolumità del vicinato, attraverso il
ricorso a nuovi metodi produttivi o di
peculiari cautele concretamente efficaci.
Posto che, in linea generale, l’indicazione
generale programmatica per la pianificazione
urbanistica impone di allocare le industrie
in aree non residenziali, per cui
nell'esercizio dei propri poteri di gestione
del territorio, lo strumento urbanistico
comunale può escludere, in via preventiva, a
tutela della salute e dell'igiene della
popolazione, la realizzabilità di industrie
insalubri nondimeno tale facoltà può essere
esercitata solamente in determinate zone del
territorio comunale di carattere prettamente
storico o residenziale, ovvero in
considerazione di aree che siano già in
condizioni particolarmente difficili sul
piano ambientale. In ogni caso, dunque, le
prescrizioni limitative all'insediamento di
determinate tipologie industriali in zone
non possono però ricomprendere l’intero
territorio.
---------------
Il carattere dichiaratamente insalubre
dell'impianto industriale, di per sé solo,
non può costituire un motivo sufficiente per
emettere –sede di compatibilità urbanistica-
un parere negativo ai sensi dell’art. 7
secondo comma del cit. D.P.R. n. 203/1988,
adottato senza procedere ad una istruttoria
ed ad una valutazione in concreto di tutte
le diverse problematiche di competenza
comunale coinvolte dalla domanda, relative
all’impatto territoriale per rumori e
vibrazioni, fumi e vapori; ai profili
paesistico e paesaggistici, alle conseguenze
sul traffico, ed alle disponibilità idriche,
ecc..
La Sezione ritiene che, come esattamente
affermato da TAR, in linea di principio non
possa considerarsi legittima l’esclusione a
priori per tutto il territorio comunale
della possibilità di "insediamento di
nuove attività classificate insalubri di
prima classe dal D.M. 05.09.1994”, in
base ad una norma di pianificazione
generale.
Se infatti, per ipotesi, si volesse
ammettere una tale possibilità per tutti i
comuni d’Italia si finirebbe, in via di
fatto, per impedire la realizzazione di
industrie insalubri di prima classe in tutto
il territorio nazionale con gravi danni al
sistema produttivo nazionale, sotto il
profilo economico, occupazionale, ed anche
ambientale perché impedirebbe lo sviluppo di
una moderna industria (connotata cioè dalla
progressiva applicazione delle migliori
tecniche disponibili, c.d. BAT, peraltro
attualmente in corso di aggiornamento da
parte della Commissione Europea ai sensi
dell’Art.13, 3 par., lett. c) e d), della
Direttiva sulle Emissioni Industriali n.
2010/75/EU).
In tale contesto l'art. 216 r.d. 27.07.1934
n. 1265, mantiene comunque intatta
l’attualità in quanto:
- pone, con il secondo comma, il canone
della preclusione relativa per
l'insediamento di tali lavorazioni nocive
all'interno degli abitati a salvaguardia e
tutela delle buone condizioni di vita e di
salute per la popolazione residenziale (cfr.
Consiglio Stato , sez. V, 07.09.2004, n.
5854);
- in deroga al precedente principio, il
quinto comma consente tuttavia al gestore
dell’impianto di dimostrare l’esclusione di
qualsiasi rischio di compromissione della
salute e dell'incolumità del vicinato,
attraverso il ricorso a nuovi metodi
produttivi o di peculiari cautele
concretamente efficaci.
Ciò premesso si deve ancora annotare che
l'art. 216, t.u. n. 1265 del 1934 non
costituisce in realtà un limite all'attività
edilizia, ma opera sul distinto versante
della tutela sanitaria della popolazione.
Pertanto posto che, in linea generale,
l’indicazione generale programmatica per la
pianificazione urbanistica impone di
allocare le industrie in aree non
residenziali, per cui nell'esercizio dei
propri poteri di gestione del territorio, lo
strumento urbanistico comunale può
escludere, in via preventiva, a tutela della
salute e dell'igiene della popolazione, la
realizzabilità di industrie insalubri
nondimeno tale facoltà può essere esercitata
solamente in determinate zone del territorio
comunale di carattere prettamente storico o
residenziale, ovvero in considerazione di
aree che siano già in condizioni
particolarmente difficili sul piano
ambientale (cfr. Consiglio Stato, sez. V,
26.03.2001, n. 1719).
In ogni caso dunque le prescrizioni
limitative all'insediamento di determinate
tipologie industriali in zone non possono
però ricomprendere l’intero territorio (cfr.
Consiglio Stato, sez. IV, 22.03.2005, n.
1190).
Ciò posto, se in molte realtà la progressiva
scomparsa di aree non antropizzate rende la
disposizione di non semplice applicazione
pratica, nondimeno la norma implica non già
un divieto assoluto di svolgere lavorazioni
insalubri, ma impone la verifica caso per
caso delle situazioni e delle condizioni
perché esse si possano svolgano senza
pregiudizio per la salute pubblica.
In conseguenza, nell'ambito della
destinazione di un'area del territorio
comunale a zona industriale non possono
essere aprioristicamente ed astrattamente
inibite particolari tipologie di
insediamenti produttivi posto che una simile
scelta di PRG non rientrerebbe nell'ambito
della disciplina urbanistica, ma
concreterebbe un illegittimo esercizio delle
ben diverse funzioni di igiene pubblica da
parte del Consiglio comunale, in luogo di
altri soggetti istituzionalmente competenti.
Il PRG deve identificare le zone industriali
nelle quali è astrattamente possibile
l’insediamento di industrie insalubri di
prima classe fermo restando che le sue
emissioni siano autorizzabili e non siano
concretamente incompatibili, sul piano del
rischio di incidente rilevante, con quelli
già esistenti.
---------------
Il carattere dichiaratamente insalubre
dell'impianto industriale, di per sé solo,
non può costituire un motivo sufficiente per
emettere –sede di compatibilità urbanistica-
un parere negativo ai sensi dell’art. 7
secondo comma del cit. D.P.R. n. 203/1988,
adottato senza procedere ad una istruttoria
ed ad una valutazione in concreto di tutte
le diverse problematiche di competenza
comunale coinvolte dalla domanda, relative
all’impatto territoriale per rumori e
vibrazioni, fumi e vapori; ai profili
paesistico e paesaggistici, alle conseguenze
sul traffico, ed alle disponibilità idriche,
ecc..
Si deve
rilevare che l’art. 6 del D.P.R. 24.05.1988
n. 203, concernente norme in materia di
qualità dell'aria, relativamente a specifici
agenti inquinanti, e di inquinamento
prodotto dagli impianti industriali:
- al primo comma, prevedeva che la domanda
di autorizzazione per un impianto
industriale andava inoltrata all’Autorità
competente (nel caso della Toscana la
Regione delegata) “….corredata dal
progetto nel quale sono comunque indicati il
ciclo produttivo, le tecnologie adottate per
prevenire l'inquinamento, la quantità e la
qualità delle emissioni, nonché il termine
per la messa a regime degli impianti“.
- al secondo comma, la norma di preoccupava
di precisare che “copia della domanda di
cui al comma 1 deve essere trasmessa al
Ministro dell'ambiente, nonché allegata alla
domanda di concessione edilizia rivolta al
sindaco".
La predetta disciplina (peraltro
definitivamente abrogata dall'articolo 21
del D.Lgs. 13.08.2010, n. 155, fatte salve
solo le disposizioni di cui il decreto
legislativo 03.04.2006, n. 152) strutturava
dunque due procedimenti certamente
paralleli, ma in realtà sostanzialmente
disgiunti ed autonomi tra loro.
Il procedimento di autorizzazione alle
emissioni in atmosfera concerne profili del
tutto differenti ed indipendenti dalle
problematiche di tipo edilizio-urbanistico,
che attengono alla specifica valutazione dei
metodi e delle cautele prospettati
nell’istanza ed implica la verifica, da
parte dall’Autorità preposta
all’autorizzazione delle emissioni, della
certezza della non-nocività dell’impianto,
con riferimento ai limiti di emissione
fissati dalle migliori tecnologie di settore
disponibili (c.d. BREF)
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 13.07.2011 n. 4243 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: In
sede di emanazione di ordinanza di
demolizione di opere edilizie abusive su
area vincolata non è necessario acquisire il
parere della Commissione Edilizia Integrata
"dal momento che l'ordine di ripristino
discende direttamente dall'applicazione
della disciplina edilizia vigente (art. 27
t.u. edilizia) e non costituisce affatto
irrogazione di sanzioni discendenti dalla
violazione di disposizioni a tutela del
paesaggio". Peraltro, è stato ripetutamente
chiarito che il predetto parere non occorre
qualora il responsabile si limiti a operare
delle valutazioni giuridiche e non tecniche,
com’è nel caso di specie.
---------------
L'art. 27 DPR 380/201 è applicabile tanto se
venga accertato l’inizio quanto l’avvenuta
esecuzione di opere abusive su area
vincolata, per cui non può trovare
accoglimento la prospettazione del
ricorrente nel senso dell’inapplicabilità
della norma a causa dell’avvenuto
completamento dei lavori.
---------------
In mancanza di una
domanda ex art. 36 DPR 380/2001 alcun
obbligo corre all’Amministrazione di operare
la valutazione dell’astratta sanabilità
dell’opera. Peraltro, è stato chiarito che
persino la presentazione di una domanda di
accertamento di conformità non incide sulla
legittimità del provvedimento di
demolizione. Infatti, «l'efficacia dei
provvedimenti di demolizione non è …
suscettibile di essere paralizzata dalla
successiva presentazione di una istanza di
accertamento di conformità alla disciplina
urbanistica ed edilizia, né da un'istanza di
accertamento di compatibilità paesaggistica:
esse non incidono sulla legittimità del
provvedimento sanzionatorio "ma unicamente
sulla possibilità dell'amministrazione di
portare ad esecuzione la sanzione ....
autonomamente valutando gli effetti" delle
sopravvenute istanze a detti fini».
---------------
L’abusività delle opere realizzate e la
concomitante insistenza sul territorio del
vincolo paesistico ai sensi del D.Lgs.
29-10-1999 n. 490 impongono la demolizione
delle opere senza che residui alcun margine
di discrezionalità in capo
all’amministrazione.
La vincolatezza del
provvedimento di demolizione rende superflua
e non dovuta una puntuale motivazione
sull’interesse pubblico alla demolizione,
essendo sufficiente l’aver evidenziato la
violazione del regime vincolistico;
l'interesse pubblico al ripristino dello
stato dei luoghi è ‘in re ipsa’ poiché la
straordinaria importanza della tutela reale
dei beni paesaggistici ed ambientali elide,
in radice, qualsivoglia doglianza circa la
pretesa non proporzionalità della sanzione
ablativa in rapporto all’interesse del
privato che deve sempre esser considerato
recessivo.
La doverosità del provvedimento impone,
infine, di ritenere recessivo l’obbligo di
comunicare l’avvio del procedimento ai sensi
dell’art. 7 L. 241/1990; tale obbligo,
infatti, non si applica ai provvedimenti
sanzionatori in materia edilizia,
considerato il loro carattere doveroso.
---------------
L’Amministrazione, in sede di emanazione di
un ordine di demolizione, deve notificare il
provvedimento al proprietario del bene quale
risultante dai registri catastali e ciò
perché, da un lato, si suppone, sino a prova
contraria, che il proprietario sia quanto
meno corresponsabile dell’abuso e che,
comunque, conservi con il bene una relazione
tale da consentirgli di rimediare a
eventuali abusi perpetrati sul proprio
terreno e dall’altro, poiché,
l’Amministrazione non ha l’onere di
effettuare complessi accertamenti dei
rapporti interprivati che abbiano
eventualmente inciso sulla disponibilità del
bene.
In tal senso, la mancata notifica
all’usufruttuario non incide sulla
legittimità dell’ordine di demolizione,
ferma rimanendo la possibilità per
l’usufruttuario di impugnare autonomamente
il provvedimento, di cui sia venuto a
conoscenza, qualora ne ricorrano i
presupposti.
In sede di emanazione di ordinanza di
demolizione di opere edilizie abusive su
area vincolata non è necessario acquisire il
parere della Commissione Edilizia Integrata
"dal momento che l'ordine di ripristino
discende direttamente dall'applicazione
della disciplina edilizia vigente (art. 27
t.u. edilizia) e non costituisce affatto
irrogazione di sanzioni discendenti dalla
violazione di disposizioni a tutela del
paesaggio" (Tar Campania, Napoli, sempre
questa sezione sesta, sentenza 26.06.2009,
n. 3530; 27.03.2007, n. 2885; 14.04.2010, n.
1975).
Peraltro, è stato ripetutamente chiarito che
il predetto parere non occorre qualora il
responsabile si limiti a operare delle
valutazioni giuridiche e non tecniche, com’è
nel caso di specie (TAR Campania Napoli,
sez. VI, 14.01.2008, n. 195).
---------------
Come
ripetutamente ribadito dalla giurisprudenza
di questo Tribunale, non rileva, ai fini
dell’applicazione dell’art. 27 D.P.R.
380/2001, se l’opera sia o meno ultimata.
L’articolo citato, infatti, dispone: «qualora
si tratti di aree assoggettate alla tutela
di cui al regio decreto 30.12.1923, n. 3267,
o appartenenti ai beni disciplinati dalla
legge 16.06.1927, n. 1766, nonché delle aree
di cui al decreto legislativo 29.10.1999, n.
490, il dirigente provvede alla demolizione
ed al ripristino dello stato dei luoghi,
previa comunicazione alle amministrazioni
competenti le quali possono eventualmente
intervenire, ai fini della demolizione,
anche di propria iniziativa».
La norma in questione, proprio all’esito
delle modifiche apportate con D.L. 269/2003,
è applicabile tanto se venga accertato
l’inizio quanto l’avvenuta esecuzione di
opere abusive su area vincolata (cfr. TAR
Campania Napoli, sez. III, 11.03.2009, n.
1376), per cui non può trovare accoglimento
la prospettazione del ricorrente nel senso
dell’inapplicabilità della norma a causa
dell’avvenuto completamento dei lavori
(Sent. TAR Napoli sez. VI n. 8987/2009).
---------------
La quarta censura, relativa all’asserita
mancata valutazione dell’astratta sanabilità
dell’opera ai sensi dell’art. 36 D.P.R.
380/2001 (cd. accertamento di conformità), è
infondata in quanto, in mancanza di una
domanda in tal senso, alcun obbligo corre
all’Amministrazione di operare siffatta
valutazione.
Peraltro, è stato chiarito, con ormai
consolidato orientamento della Sezione,
avallato da pronunce del giudice di appello,
che persino la presentazione, nella specie
non avvenuta, di una domanda di accertamento
di conformità non incide sulla legittimità
del provvedimento di demolizione.
Infatti, «l'efficacia dei provvedimenti
di demolizione non è … suscettibile di
essere paralizzata dalla successiva
presentazione di una istanza di accertamento
di conformità alla disciplina urbanistica ed
edilizia, né da un'istanza di accertamento
di compatibilità paesaggistica: esse non
incidono sulla legittimità del provvedimento
sanzionatorio "ma unicamente sulla
possibilità dell'amministrazione di portare
ad esecuzione la sanzione .... autonomamente
valutando gli effetti" delle sopravvenute
istanze a detti fini» (TAR Campania
Napoli, sez. VI, 08.03.2011, n. 1345; cfr.,
poi, Cons. Stato sezione quarta, ord. n.
3055 del 12.06.2009 e n. 870 del 21.02.2008
richiamate in TAR Campania Napoli, sez. VI,
03.12.2010, n. 26787).
---------------
Va ribadito il costante orientamento della
Sezione secondo cui l’abusività delle opere
realizzate e la concomitante insistenza sul
territorio del vincolo paesistico ai sensi
del D.Lgs. 29-10-1999 n. 490, impongano la
demolizione delle opere senza che residui
alcun margine di discrezionalità in capo
all’amministrazione (cfr. art. 27, co. 2,
D.P.R. 380/2001 nella parte in cui dispone:
«qualora si tratti di aree assoggettate
alla tutela di cui al regio decreto
30.12.1923, n. 3267, o appartenenti ai beni
disciplinati dalla legge 16.06.1927, n.
1766, nonché delle aree di cui al decreto
legislativo 29.10.1999, n. 490, il dirigente
provvede alla demolizione ed al ripristino
dello stato dei luoghi, previa comunicazione
alle amministrazioni competenti le quali
possono eventualmente intervenire, ai fini
della demolizione, anche di propria
iniziativa»).
Ebbene, la vincolatezza del provvedimento di
demolizione rende superflua e non dovuta una
puntuale motivazione sull’interesse pubblico
alla demolizione, essendo sufficiente l’aver
evidenziato la violazione del regime
vincolistico (cfr., ex multis, TAR
Campania Napoli, sez. VI, 04.08.2008, n.
9718); l'interesse pubblico al ripristino
dello stato dei luoghi è ‘in re ipsa’
poiché la straordinaria importanza della
tutela reale dei beni paesaggistici ed
ambientali elide, in radice, qualsivoglia
doglianza circa la pretesa non
proporzionalità della sanzione ablativa in
rapporto all’interesse del privato che deve
sempre esser considerato recessivo (cfr. TAR
Campania Napoli, sez. VI, 14.04.2010 , n.
1975, TAR Campania Napoli, sez. VII,
21.03.2008, n. 1474).
La doverosità del provvedimento impone,
infine, di ritenere recessivo l’obbligo di
comunicare l’avvio del procedimento ai sensi
dell’art. 7 L. 241/1990; tale obbligo,
infatti, non si applica ai provvedimenti
sanzionatori in materia edilizia,
considerato il loro carattere doveroso
(cfr., art. 21-octies L. 241/1990 e, in
giurisprudenza, ex multis, Consiglio
Stato sez. V, 19.09.2008, n. 4530; TAR
Napoli Campania sez. IV, 02.12.2008, n.
20794 e Tar Campania, Napoli, sez. IV,
16.06.2000 n. 2147).
---------------
Merita di esser condiviso l’assunto
giurisprudenziale secondo cui
l’Amministrazione, in sede di emanazione di
un ordine di demolizione, deve notificare il
provvedimento al proprietario del bene quale
risultante dai registri catastali e ciò
perché, da un lato, si suppone, sino a prova
contraria, che il proprietario sia quanto
meno corresponsabile dell’abuso e che,
comunque, conservi con il bene una relazione
tale da consentirgli di rimediare a
eventuali abusi perpetrati sul proprio
terreno e dall’altro, poiché,
l’Amministrazione non ha l’onere di
effettuare complessi accertamenti dei
rapporti interprivati che abbiano
eventualmente inciso sulla disponibilità del
bene (cfr., ex multis, Consiglio
Stato, sez. V, 31.03.2010, n. 1878; TAR
Campania Napoli, sez. VIII, 06.04.2011, n.
1945; TAR Sicilia-Palermo, sez. III,
21.02.2006, n. 426).
In tal senso, la mancata notifica
all’usufruttuario non incide sulla
legittimità dell’ordine di demolizione,
ferma rimanendo la possibilità per
l’usufruttuario di impugnare autonomamente
il provvedimento, di cui sia venuto a
conoscenza, qualora ne ricorrano i
presupposti
(TAR Campania-Napoli, Sez. VI,
sentenza 13.07.2011 n. 3775 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
CONDOMINIO:
COMUNIONE E CONDOMINIO -
CONDOMINIO - INNOVAZIONI E MODIFICHE - Parti
comuni - Assemblea - Delibera - Maggioranza
- Legittimità - Condizioni.
La delibera assembleare di destinazione di
aree condominiali scoperte in parte a
parcheggio autovetture dei singoli condomini
ed in parte a parco giochi ha ad oggetto
un'innovazione diretta al miglioramento o
all'uso più comodo o al maggior rendimento
della cosa comune.
La deliberazione di destinazione a
parcheggio di un cortile è diretta a
disciplinare le modalità d'uso del detto
bene comune, stabilendo, in entrambi i casi,
la legittimità delle delibere adottate anche
soltanto a maggioranza (Corte di Cassazione,
Sez. VI, ordinanza 12.07.2011 n. 15319
- commento tratto da
www.diritto24.ilsole24ore.com). |
EDILIZIA PRIVATA:
L’universitas rerum costituita
dallo “studio d’artista” rileva invero come
museo della vita professionale dell’artista,
traccia visibile dell’unicità delle sue
attitudini individuali di produzione e di
ricerca. Attraverso questo tipo di vincolo
la legge intende preservare non la traccia
della vita dell’artista, ma la testimonianza
delle condizioni materiali del processo di
formazione ed azione che è sotteso alle
opere che lo hanno reso famoso: processo che
–nel caso di artisti mostratisi capaci di
lasciare un segno significativo– è dalla
legge reputato realizzare un valore
culturale in sé, sempre che si tratti di un
livello tale da corrispondere ad un
“interesse particolarmente importante”, come
vogliono sia la norma di specie che quella
di genere.
Giova ricordare che l’art. 51, comma 1,
d.lgs. 22.01.2004, n. 42, prevede uno
speciale –per tipologia e per effetti- tipo
di vincolo a bene culturale, prevedendo, per
gli “studi d’artista”, il divieto di
“modificare la destinazione d’uso […]
nonché rimuoverne il contenuto, costituito
da opere, documenti, cimeli e simili,
qualora esso, considerato nel suo insieme ed
in relazione al contesto in cui è inserito,
sia dichiarato di interesse particolarmente
importante per il suo valore storico”,
con l’usuale procedimento di dichiarazione
dell’interesse culturale dell’articolo 13.
Si deve anzitutto rilevare che questa
disposizione del Codice dei beni culturali e
del paesaggio replica l’art. 52, comma 1,
del Testo unico di cui al d.lgs. 29.10.1999,
n. 490, e analogamente a quello riordina la
norma che era nata con l’art. 4-bis d.l.
09.12.1986, n. 832, introdotto dalla legge
di conversione 06.02.1987, n. 15, che nel
quadro di misure urgenti per i contratti di
locazione, escludeva dal rilascio locatizio
gli studi d’artista il cui contenuto era
tutelato, “per il suo storico valore”,
da un decreto del Ministro per i beni
culturali “che ne prescrive
l’inamovibilità da uno stabile del quale
contestualmente si vieta la modificazione
della destinazione d’uso”.
La disposizione del Codice è incentrata
sugli effetti del vincolo, ma non ne esplica
testualmente i presupposti: vale a dire non
dice cosa, analiticamente, si debba
intendere per “studio d’artista”.
Nondimeno, analogamente alla norma
originaria, prevede che il vincolo sia
introdotto sull’immobile (o sua porzione) “per
il suo valore storico”, così
riconducendo questa specie di vincolo al
genus dei vincoli storici, di cui
all’art. 10, comma 3, lett. d), del Codice
medesimo. E con un tale riferimento essa va
integrata, considerando fondamento della
tutela l’immateriale storicità di cui il
manufatto, con i suoi arredi e per il suo
contesto, è documento.
La disposizione manifesta il tratto della
sua specialità essenzialmente per ciò che
concerne gli effetti: concernendo studi
d’artista, vuole che la loro rilevanza
culturale venga in rilievo sia sotto il
profilo che si tratta di spazi che non
possono subire mutamenti della destinazione,
e il loro contenuto (“opere, documenti,
cimeli e simili”) non può essere rimosso
dalla collocazione originaria senza
pregiudicare quella capacità
rappresentativa.
L’universitas rerum costituita dallo
“studio d’artista” rileva invero come
museo della vita professionale dell’artista,
traccia visibile dell’unicità delle sue
attitudini individuali di produzione e di
ricerca. Attraverso questo tipo di vincolo
la legge intende preservare non la traccia
della vita dell’artista, ma la testimonianza
delle condizioni materiali del processo di
formazione ed azione che è sotteso alle
opere che lo hanno reso famoso: processo che
–nel caso di artisti mostratisi capaci di
lasciare un segno significativo– è dalla
legge reputato realizzare un valore
culturale in sé, sempre che si tratti di un
livello tale da corrispondere ad un “interesse
particolarmente importante”, come
vogliono sia la norma di specie che quella
di genere.
L’“interesse particolarmente importante”
va riferito sia al generale lascito
culturale dell’artista, sia all’entità della
testimonianza che è condensata nel suo
studio-laboratorio e nelle relative
vestigia. Lo studio, in altri termini, per
le sue caratteristiche intrinseche deve
essere tale da rappresentare un fattore
primario delle forme della produzione di un
artista considerato, a giudizio
dell’Amministrazione, particolarmente
importante.
L’obiettivo perseguito da questa specifica
disciplina di legge è di rendere
immodificabile l’ambiente ed i luoghi nei
quali operò l’artista, al fine di conservare
intatta la testimonianza dei valori
culturali in incorporati (cfr. Corte cost.,
04.06.2003, n. 185) (Consiglio di Stato,
Sez. VI,
sentenza 12.07.2011 n. 4198 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Di
fronte al potere-dovere di reprimere gli
abusi edilizi, l’affidamento del privato è
tutelabile (sia pure nel limitato senso di
esigere una motivazione rafforzata del
provvedimento sanzionatorio) soltanto
qualora sia stato provato il lungo tempo
trascorso dalla realizzazione dell’abuso, e
nel contempo l’esistenza dell’abuso sia
stata ritenuta implicitamente regolare
dall’Amministrazione (in occasione
dell’esame di precedenti pratiche edilizie,
o di attività di vigilanza sul territorio.
Il Collegio ricorda che la giurisprudenza di
questo Tribunale è ferma nel ritenere che,
di fronte al potere-dovere di reprimere gli
abusi edilizi, l’affidamento del privato è
tutelabile (sia pure nel limitato senso di
esigere una motivazione rafforzata del
provvedimento sanzionatorio) soltanto
qualora sia stato provato il lungo tempo
trascorso dalla realizzazione dell’abuso, e
nel contempo l’esistenza dell’abuso sia
stata ritenuta implicitamente regolare
dall’Amministrazione (in occasione
dell’esame di precedenti pratiche edilizie,
o di attività di vigilanza sul territorio –
cfr. TAR Umbria, 18.03.2008, nn. 102-103;
18.08.2009, n. 492; 21.01.2010, n. 23)
(TAR Umbria,
sentenza 11.07.2011 n. 198 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ENTI LOCALI - VARI: Regolamenti disapplicabili in Ctp.
Più poteri ai giudici fiscali. Ma
l'annullamento spetta al Tar. Cassazione:
l'omessa impugnazione amministrativa non
limita le prerogative delle commissioni.
L'omessa impugnazione del regolamento
comunale davanti al giudice amministrativo,
ove confliggente con una fonte normativa
sovra ordinata, non impedisce al giudice
tributario la disapplicazione dello stesso;
infatti, in caso di contrasto tra norme di
rango diverso, per la gerarchia delle fonti
si deve accordare prevalenza a quella di
rango superiore, e quindi alla legge o ad
altro atto di formazione primaria.
Sono le conclusioni che si ricavano dalla
sentenza 06.07.2011 n. 14936
della sezione tributaria della cassazione.
Con ricorso alla Ctp di Torino, un titolare
di posteggio per attività di commercio
ambulante sull'area del comune di Vinovo (To)
aveva impugnato un avviso di liquidazione
conseguente alla rideterminazione della
tassa per lo smaltimento dei rifiuti urbani
deliberata dalla giunta municipale n. 14 del
27.02.2003.
Le Commissioni tributarie di merito, a cui
ricorrendo si era rivolto il contribuente,
avevano ritenuto che sia il regolamento
della Tarsu sia la delibera di giunta che
adeguava gli importi per il 2003 non
presentassero vizi di illegittimità che ne
consentissero la disapplicazione,
conseguentemente respingevano il ricorso del
contribuente; secondo gli stessi giudici,
gli atti citati non potevano essere
disapplicati in quanto rispecchiavano delle
scelte riconducibili al potere discrezionale
dell'ente e, quindi, dovevano essere
impugnati esclusivamente innanzi al
competente giudice amministrativo.
Di diverso avviso i giudici di piazza
Cavour, che applicando il quinto comma
dell'articolo 7 del dlgs n. 546/1992 hanno
stabilito che le Commissioni tributarie
possono disapplicare un regolamento o un
altro atto rilevante ai fini della
decisione, ancorché l'annullamento ne sia
riservato al giudice amministrativo.
Nel caso in esame, la sezione tributaria
della Cassazione ha riscontrato un vizio di
motivazione del coefficiente specifico
adottato dal comune per la categoria
commerciale del ricorrente.
A parere degli Ermellini gli atti
amministrativi contestati (regolamento e
delibera di giunta) violavano gli articoli
65 e 69 del dlgs n. 507/1993 perché non
contenevano una giustificazione adeguata del
coefficiente specifico adoperato; obbligo di
motivazione previsto dall'articolo 2 dello
stesso dlgs n. 507/1993.
I giudici supremi hanno quindi osservato che
la Commissione regionale ha omesso di
motivare sulla presunta illegittimità degli
atti di riferimento (questi «non contenevano
una motivazione adeguata al coefficiente
specifico adottato dal comune di Vinovo per
la categoria commerciale del ricorrente,
pari a 10.9 mentre per tutte le altre
categorie il coefficiente è pari a 0,44»).
Nel caso in cui fosse ritenuta fondata la
censura di illegittimità per violazione di
legge degli atti presupposti, prosegue la
Corte, «dovrebbe invero annullarsi l'atto di
liquidazione (impugnato) che di esso ha
fatto applicazione».
Per queste ragioni, la cassazione conclude
per l'accoglimento del ricorso, con rinvio
degli atti alla Commissione tributaria
regionale del Piemonte per un nuovo esame di
merito
(articolo ItaliaOggi
dell'11.08.2011 - tratto da www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI: Stop dei
comuni ai camion vela. La
sentenza della Corte di cassazione.
Il regolamento comunale può vietare
totalmente l'effettuazione di pubblicità con
l'impiego di camion vela, rimorchi o poster
tir. Una decisione che resta coerente con le
disposizioni del codice stradale che sono
già particolarmente severe con questi
veicoli speciali peraltro molto diffusi in
ambito urbano.
Lo ha chiarito la Corte di
Cassazione, Sez. II civ., con la sentenza
06.07.2011 n.
14903.
La polizia
municipale di Venezia ha sanzionato un
esercente che ha effettuato pubblicità
abusiva mediante un impianto bifacciale
montato su un rimorchio. Contro questa
violazione l'interessato ha proposto con
successo ricorso al giudice di pace che ha
accolto le censure annullando l'ordinanza
ingiunzione del comune. La Corte ha
bacchettato il magistrato onorario
confermando la multa legittimamente elevata
dai vigili urbani.
Il regolamento comunale
di Venezia approvato ai sensi del dlgs
507/1993, specifica infatti la sentenza,
vieta espressamente l'effettuazione di
pubblicità su impianti di grande formato
«autotrasportati pur se stazionanti e
comunque visibili dalla pubblica viabilità».
In pratica nell'esercizio delle prerogative
legittimamente attribuite al comune il
locale regolamento ha introdotto un precetto
di chiara applicazione. Sul territorio
comunale è vietata la pubblicità effettuata
con i veicoli.
Questa disposizione comporta
le conseguenze sanzionatorie previste nel
medesimo regolamento. Non si tratta quindi
in questo caso di fare applicazione del
codice stradale che tra l'altro sulla
questione è particolarmente severo vietando
in generale la pubblicità sui veicoli per
conto terzi a titolo oneroso. Sulla
questione dei camion vela è infine
necessario segnalare la mancata attuazione
delle mini riforma introdotta l'anno scorso
con la legge 120/2010.
Entro 60 giorni dalla
data di entrata in vigore della novella
doveva essere modificato l'art. 57 del
regolamento del codice della strada in modo
da consentire la pubblicità non luminosa per
conto di terzi anche sui veicoli
appartenenti alle onlus, alle associazioni
di volontariato iscritte nei registri e alle
associazioni sportive dilettantistiche in
possesso del riconoscimento ai fini sportivi
rilasciato dal Coni.
Il provvedimento doveva inoltre ampliare
ulteriormente la potestà regolamentare in
materia dei comuni. Al momento però non c'è
traccia di questi provvedimenti
(articolo ItaliaOggi
del 10.08.2011). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Il
recupero delle somme indebitamente percepite
dal dipendente deve essere effettuato al
netto e non già al lordo delle ritenute
fiscali e previdenziali.
Il collegio non ha motivo di discostarsi dal
consolidato indirizzo interpretativo in
forza del quale il recupero delle somme
indebitamente percepite dal dipendente deve
essere effettuato al netto e non già al
lordo delle ritenute fiscali e
previdenziali.
Al riguardo, fra le più recenti pronunce in
tal senso, si può fare riferimento alla
decisione della Sez. VI, 02.03.2009, n.
1164, secondo la quale la ripetizione
dell'indebito nei confronti del dipendente,
da parte dell'Amministrazione, non può non
avere ad oggetto le somme da quest'ultimo
percepite in eccesso, ossia quanto e solo
quanto effettivamente sia entrato nella
sfera patrimoniale del dipendente, non
potendosi, invece, pretendere la ripetizione
di somme al lordo delle ritenute fiscali (e
previdenziali e assistenziali), allorché le
stesse non siano mai entrate nella sfera
patrimoniale del dipendente.
Ne consegue che la P.A., nel procedere al
recupero di somme indebitamente erogate ai
propri dipendenti, deve effettuare tale
recupero al netto delle ritenute fiscali,
previdenziali e assistenziali
(Consiglio di Stato, Sez. III,
sentenza 04.07.2011 n. 3984 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
LAVORI PUBBLICI: L'inosservanza
da parte della Pubblica Amministrazione,
nella sistemazione e manutenzione di una
strada, delle regole tecniche, ovvero dei
comuni canoni di diligenza e prudenza, può
essere denunciata dal privato davanti al
Giudice ordinario, sia quando è volta a
conseguire la condanna ad un facere, sia
quando ha per oggetto la richiesta del
risarcimento del danno patrimoniale, giacché
la domanda non investe scelte ed atti
autoritativi dell'amministrazione, ma
attività soggetta al rispetto del principio
del neminem laedere.
Secondo una consolidata giurisprudenza della
Corte regolatrice, d’altra parte,
l'inosservanza da parte della Pubblica
Amministrazione, nella sistemazione e
manutenzione di una strada, delle regole
tecniche, ovvero dei comuni canoni di
diligenza e prudenza, può essere denunciata
dal privato davanti al Giudice ordinario,
sia quando è volta a conseguire la condanna
ad un facere, sia quando ha per
oggetto la richiesta del risarcimento del
danno patrimoniale, giacché la domanda non
investe scelte ed atti autoritativi
dell'amministrazione, ma attività soggetta
al rispetto del principio del neminem
laedere (cfr. Cass., S.U., 20.10.2006 n.
22521; 14.01.2005 n. 599; 18.10.2005, n.
20117; 28.11.2005, n. 25036).
Né, per andare in contrario avviso, potrebbe
valere il disposto del d.lgs. n. 80 del
1998, art. 34, come novellato dall’art. 7
della L. n. 205 del 2000, stante la
riscrittura di tale norma ad opera della
pronunzia della Corte Costituzionale
06.07.2004 n. 204, applicabile anche ai
giudizi in corso (Cass. S.U., 06.05.2002 n.
6487; Cass. S.U., 14.01.2005 n. 599)
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 30.06.2011 n. 3922 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il fatto costitutivo dell’obbligo
giuridico del titolare della concessione
edilizia, di versare il contributo previsto,
è rappresentato dal rilascio della
concessione medesima, ed è a tale momento,
quindi, che occorre aver riguardo per la
determinazione dell’entità del contributo,
divenendo il relativo credito certo, liquido
o agevolmente liquidabile ed esigibile.
Né alcun rilievo in senso contrario può
assumere la circostanza che al Comune sia
espressamente riconosciuta la facoltà di
stabilire modalità e garanzie per il
pagamento del contributo, atteso che l’atto
di imposizione non ha carattere autoritativo
ma si risolve in un mero atto ricognitivo e
contabile, applicativo di precedenti
provvedimenti di carattere generale, e la
sua mancata tempestiva adozione non implica
alcun potere dell’Amministrazione di
differire il suo diritto di credito,
configurandosi piuttosto come mancato
esercizio del diritto stesso, idoneo a far
decorrere il periodo di prescrizione.
Sicché, il dies a quo da cui far decorrere
il termine decennale di prescrizione
comincia decorrere dal momento stesso del
rilascio della concessione edilizia.
I ricorrenti ... hanno eccepito l’avvenuta
prescrizione del diritto di credito,
tardivamente azionato dal Comune di
Poggiomarino dopo oltre dieci anni dal
rilascio dei titoli edilizi.
Il ricorso è fondato e va, pertanto,
accolto.
Invero, sulla questione di diritto posta a
base dell’odierna controversia, concernente
l’individuazione del dies a quo da
cui far decorrere il termine decennale di
prescrizione, sono state formulate in
giurisprudenza diverse soluzioni
interpretative del quadro normativo di
riferimento (artt. 1, 3, 4, 6 e 11, comma 2,
della L. 28.01.1977 n. 10, vigente
ratione temporis).
Secondo un primo indirizzo, seguito
in passato anche da questa Sezione, la
prescrizione del diritto al contributo,
rapportato al costo di costruzione, comincia
a decorrere dall’ultimazione delle opere, la
cui prova deve essere fornita da chi intende
avvalersi della prescrizione stessa, per cui
il mancato assolvimento dell’onere pone a
carico dell’inadempiente il protrarsi dell’esercitabilità
dell’azione di recupero del credito, il cui
termine prescrizionale non inizia decorrere
(cfr. TAR Calabria, Catanzaro, Sezione II,
22.01.2007 n. 21; TAR Campania, Napoli,
Sezione II, 30.06.2004 n. 9821 e 11.07.2006
n. 7392). Una diversa opzione ermeneutica,
valorizzando il disposto dell’art. 4, comma
4, della L. n. 10/1977 –secondo cui l’opera
deve essere comunque ultimata (abitabile o
agibile), salvo proroga, entro tre anni dal
rilascio della concessione– sostiene che, in
mancanza di una specifica dichiarazione di
ultimazione dei lavori, la prescrizione
inizia a decorrere ma il dies a quo
deve essere portato avanti di un triennio
(cfr. in termini, con riguardo ad altri
ricorsi proposti contro lo stesso Comune di
Poggiomarino, TAR Campania, Sezione II,
23.10.1997 n. 2611 e 2612).
Secondo altro orientamento,
riaffermato anche di recente dal Giudice
d’appello, il detto termine di prescrizione
comincia invece a decorrere dal momento
stesso del rilascio della concessione
edilizia (cfr. TAR Campania, Salerno,
Sezione II, 04.04.2008 n. 474; Consiglio di
Stato, Sezione V, 13.06.2003 n. 3332 e
Sezione IV, 16.01.2009 n. 216, con cui è
stata riformata la sopra citata sentenza di
questa Sezione n. 7392/2006).
Il Collegio ritiene di aderire a
quest’ultimo indirizzo, in quanto fornisce
la più convincente ricostruzione
interpretativa dell’insieme di previsioni
normative sopra evocate.
La disposizione dell’art. 11 della legge n.
10 del 1977, in tema di Versamento del
contributo afferente alla concessione,
stabilisce quanto segue: “La quota di
contributo di cui al precedente articolo 6 è
determinata all’atto del rilascio della
concessione ed è corrisposta in corso
d’opera con le modalità e le garanzie
stabilite dal comune e, comunque, non oltre
sessanta giorni dalla ultimazione delle
opere”.
Come condivisibilmente argomentato
nell’ultima decisione citata del Consiglio
di Stato (n. 216/2009), le cui
considerazioni vanno integralmente
richiamate, da tale norma si desume “che
il fatto costitutivo dell’obbligo giuridico
del titolare della concessione edilizia, di
versare il contributo previsto, è
rappresentato dal rilascio della concessione
medesima, ed è a tale momento, quindi, che
occorre aver riguardo per la determinazione
dell’entità del contributo, divenendo il
relativo credito certo, liquido o
agevolmente liquidabile ed esigibile.
Né alcun rilievo in senso contrario può
assumere la circostanza che al Comune sia
espressamente riconosciuta la facoltà di
stabilire modalità e garanzie per il
pagamento del contributo, atteso che l’atto
di imposizione non ha carattere autoritativo
ma si risolve in un mero atto ricognitivo e
contabile, applicativo di precedenti
provvedimenti di carattere generale, e la
sua mancata tempestiva adozione non implica
alcun potere dell’Amministrazione di
differire il suo diritto di credito,
configurandosi piuttosto come mancato
esercizio del diritto stesso, idoneo a far
decorrere il periodo di prescrizione”
(TAR Campania-Napoli, Sez. II,
sentenza 28.06.2011 n. 3456 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Appare poco ragionevole
pretendere che un soggetto che ha richiesto
il parere preventivo in merito ad un’opera
edilizia, sul quale la competente
Commissione Edilizia si è espressa
negativamente, debba comunque presentare la
domanda di titolo (il cui esito,
ragionevolmente, coinciderà col parere
negativo) senza poter contestare il parere
stesso che, pur non concludendo il
procedimento (per vero non ancora iniziato)
di rilascio del titolo, quanto meno
costituisce un arresto procedimentale.
In altre parole, il Collegio ritiene che
l’interessato, nella evidenziata situazione,
pur se non ha l’obbligo (a pena di
inammissibilità del ricorso avverso il
diniego di titolo) di impugnare il parere
preventivo di segno negativo, ne abbia
tuttavia la facoltà.
La ricorrente Società impugna il
provvedimento n. 7515 del 05.06.2000 del
Comune di Ronchi dei Legionari, con cui si
comunica la sfavorevole determinazione della
Commissione Edilizia sulla richiesta di
parere preventivo per la realizzazione di un
capannone in area di cava.
Dapprima, benché l’atto di cui si
controverte non chiuda un procedimento, ma
esprima solo un parere di massima, esso
tuttavia, per il suo contenuto, è idoneo a
determinare un arresto procedimentale, come
tale immediatamente impugnabile .
Il Collegio non ignora che vi è
giurisprudenza che si è espressa nel senso
indicato dal Comune (si veda, ad esempio TAR
Lombardia-Brescia n. 588/2011), tuttavia non
ritiene di poter aderire a tale
prospettazione poiché appare poco
ragionevole pretendere che un soggetto che
ha richiesto il parere preventivo in merito
ad un’opera edilizia, sul quale la
competente Commissione Edilizia si è
espressa negativamente, debba comunque
presentare la domanda di titolo (il cui
esito, ragionevolmente, coinciderà col
parere negativo) senza poter contestare il
parere stesso che, pur non concludendo il
procedimento (per vero non ancora iniziato)
di rilascio del titolo, quanto meno
costituisce un arresto procedimentale.
In altre parole, il Collegio ritiene che
l’interessato, nella evidenziata situazione,
pur se non ha l’obbligo (a pena di
inammissibilità del ricorso avverso il
diniego di titolo) di impugnare il parere
preventivo di segno negativo, ne abbia
tuttavia la facoltà (in questo senso, ad
esempio: TAR Emilia Romagna-Bologna n.
419/2011)
(TAR Friuli Venezia Giulia,
sentenza 10.06.2011 n. 278 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Poteri ampi al Prefetto
nell'accertamento dell'infiltrazione
mafiosa.
Contratti della pubblica
amministrazione – Informative antimafia di
cui all’art. 10 del d.p.r. 252/1998 – Ampi
poteri di accertamento del Prefetto –
Conseguenze in relazione al contenuto delle
informative.
Nel rendere le
informazioni antimafia di cui all’art. 10
del d.p.r. n. 252/1998, il Prefetto, visti
gli ampi poteri di accertamento di cui
dispone, deve effettuare la propria
valutazione sulla scorta di un quadro di
indizi sufficientemente chiaro, preciso e
non arbitrario, ove assumono rilievo
preponderante i fattori induttivi della non
manifesta infondatezza che i comportamenti e
le scelte dell'imprenditore possano
rappresentare un veicolo di infiltrazione
delle organizzazioni criminali negli appalti
delle pubbliche amministrazioni.
Il caso.
Un’impresa edile aveva partecipato, in
qualità di mandante di un raggruppamento
temporaneo di imprese, ad una gara per
l’appalto di lavori pubblici indetta dalla
Provincia di Reggio Calabra e tale
raggruppamento era risultato aggiudicatario
della procedura.
Tuttavia, nelle more della stipulazione del
relativo contratto, la stazione appaltante
aveva comunicato al RTI un’informativa
antimafia, emanata dalla Prefettura di
Reggio Calabria ai sensi dell’art. 10, comma
2, del D.P.R. 03.06.1998 n. 252. Da questa
nota si evinceva -tra l’altro– che dalle
verifiche disposte dal Prefetto erano emersi
elementi concernenti tentativi
d’infiltrazione mafiosa in ordine alla
posizione della mandante del raggruppamento.
Conseguentemente, al fine di consentire al
RTI il prosieguo della partecipazione alla
procedura di selezione, la stazione
appaltante aveva intimato alla società
capogruppo del raggruppamento di
estromettere dalla sua compagine l’impresa
mandante o, comunque, di sostituirla.
Il titolare della ditta interessata
dall’informativa prefettizia presentava
ricorso dinanzi al TAR Calabria, impugnando
–sotto vari profili– tanto gli atti della
Prefettura quanto quelli adottati dalla
stazione appaltante. In particolare, veniva
denunciata la violazione dell’art. 10 comma
2 del d.p.r. n. 252/1998 sul rilievo che nel
caso di specie non sussistevano circostanze
concrete dalle quali emergeva il tentativo
di infiltrazione mafiosa in quanto il
Prefetto aveva fondato il pericolo di
infiltrazione su meri elementi di fatto e
circostanze prive di rilievo.
Con sentenza n. 202/2007, il TAR Calabria
respingeva il ricorso evidenziando che la
normativa sulle informative antimafia
privilegia una concezione della pericolosità
in senso oggettivo, la quale prescinde
quindi dalla individuazione di
responsabilità personali. In quest’ottica,
pertanto, le informative prefettizie di cui
all’art. 10 del d.p.r. n. 252/1998 non
devono provare l’intervenuta infiltrazione,
essendo invece sufficiente che dimostrino la
sussistenza di elementi dai quali sia
deducibile il tentativo di ingerenza. In
altri termini, è sufficiente che
l’informativa sia supportata da elementi
sintomatici o da mere presunzioni, in grado
di far emergere elementi di “pericolosità
presunta”.
La decisione.
Con la
sentenza 23.05.2011 n. 3104, il
Consiglio di Stato, Sez. III, ha rigettato
il ricorso in appello, confermando la
validità delle statuizioni rese dal TAR
Calabria.
Al riguardo, il giudice amministrativo ha
affermato che nel rendere le informative di
cui all’art. 10 del d.p.r. n. 252/1998, il
Prefetto effettua una valutazione basata su
quadro di indizi sufficientemente chiaro,
preciso e non arbitrario, ove assumono
rilievo preponderante i fattori induttivi
della non manifesta infondatezza che i
comportamenti e le scelte dell'imprenditore
possano rappresentare un veicolo di
infiltrazione delle organizzazioni criminali
negli appalti pubblici.
In altri termini, l’ampiezza dei poteri di
accertamento consente al Prefetto di
ravvisare l’emergere di tentativi di
infiltrazione mafiosa anche in fatti di per
sé privi dell'assoluta certezza (es.
condanna non irrevocabile, collegamenti
parentali con soggetti malavitosi,
dichiarazioni di pentiti, ecc.), ma che
comunque risultano idonei a fondare, nel
loro complesso, un giudizio di possibilità
che l'attività d’impresa agevoli anche
indirettamente le attività criminali o ne
sia in qualche modo condizionata. Ciò in
quanto –sottolinea il Consiglio di Stato- la
ratio sottesa all’informativa in
questione è espressione della logica di
anticipazione della soglia di difesa sociale
ai fini di una tutela avanzata nel contrasto
alla criminalità organizzata nell’ambito
degli appalti pubblici.
Alla luce di tali criteri, il Consiglio di
Stato ha rilevato la correttezza della
sentenza impugnata, avendo quest’ultima
correttamente chiarito come il Prefetto
abbia dedotto la situazione di pericolo di
infiltrazione mafiosa da un complesso
unitario di elementi gravi, precisi e
concordanti (tra cui anche vicende
penalmente rilevanti).
Ed infatti, nel caso di specie l’inferenza
della pericolosità muove dalla circostanza
che una serie di fatti, indubbiamente non
isolati, concorrono reiteratamente ad
integrare un pericolo contro il quale
risulta doveroso l’approntamento della
tutela anticipata cui è preordinata
l’informativa prefettizia (commento tratto
da www.diritto24.ilsole24ore.com - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
D.I.A. - Natura
- E' atto di un soggetto privato - Tutela
del terzo - Azione di accertamento
dell'inesistenza dei presupposti per
intraprendere l'attività in base alla D.I.A.
- Esperibilità.
La natura della D.I.A. è quella di atto
di un soggetto privato ed è pertanto
esperibile da un terzo un'azione di
accertamento dell'inesistenza dei
presupposti per intraprendere l'attività in
base alla D.I.A. (cfr. Cons. di Stato, sent.
n. 917/2009: tuttavia, la questione della
natura della D.I.A. e della sua
impugnabilità diretta è stata rimessa alla
Adunanza Plenaria dalla IV sez. con
ordinanza n. 14/2011; TAR Milano, sent.
4886/2009) (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 29.04.2011 n.
1105 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. Recupero
abitativo dei sottotetti esistenti - Art.
64, L.R. Lombardia n. 12/2005 - Piano
regolatore successivo all'edificazione dello
stabile - Altezza massima degli edifici -
Ulteriore innalzamento da recupero del
sottotetto - Inammissibilità.
2. Recupero
abitativo dei sottotetti esistenti -
Realizzazione di locale sottotetto con vani
distinti e comunicanti con il piano
sottostante mediante una scala interna -
Natura di vani tecnici - Non sussiste -
Fattispecie.
1.
La ratio dell'art. 64 della L.R. 12/2005,
laddove vieta il superamento dei limiti di
altezza previsti dagli strumenti
urbanistici, è senza dubbio quella di
evitare che attraverso il recupero abitativo
dei sottotetti esistenti vengano nei fatti
eluse o violate le prescrizioni urbanistiche
vincolanti in tema di altezza massima di
edifici, giacché tale superamento finirebbe
per aggravare carichi urbanistici spesso
assai consistenti, ponendo così in
discussione equilibri urbanistici talora
fragili, soprattutto nell'agglomerato urbano
milanese.
Di conseguenza, laddove uno
stabile già superi l'altezza massima
prevista da disposizioni di piano successive
alla sua edificazione, non può consentirsi
un ulteriore innalzamento, derivante dal
recupero del sottotetto, in quanto ciò
sarebbe eccessivamente lesivo dell'interesse
della collettività al rispetto dei carichi
urbanistici della zona (cfr. TAR Milano,
sent. n. 7612/2010).
2.
La realizzazione di un locale sottotetto
con vani distinti e comunicanti con il piano
sottostante mediante una scala interna è
indice rivelatore dell'intento di rendere
abitabile detto locale, non potendosi
considerare volumi tecnici i vani in esso
ricavati (nel caso di specie si è voluto
creare un locale con requisiti di
abitabilità, rendendolo non abitabile con
una semplice operazione di tamponamento
delle finestre) (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 29.04.2011 n.
1105 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. Volumi tecnici
- Definizione.
2. Volumi tecnici
- Individuazione - Criteri - Fattispecie.
1. Vanno considerati come volumi tecnici -e
come tali non rilevanti ai fini della
volumetria di un immobile- quei volumi
destinati esclusivamente agli impianti
necessari per l'utilizzo dell'abitazione e
che non possono essere ubicati al suo
interno, mentre non sono tali -e sono
quindi computabili ai fini della volumetria
consentita- le soffitte, gli stenditori
chiusi e quelli «di sgombero», nonché il
piano di copertura, impropriamente definito
sottotetto, ma costituente in realtà una
mansarda, in quanto dotato di rilevante
altezza media rispetto al piano di gronda
(cfr. Cons. di Stato, sent. 812/2011).
2. Ai fini dell'individuazione della natura
di locale tecnico di un vano occorre avere
riguardo agli indici rivelatori non solo
della futura destinazione dell'opera, bensì
anche della sua intrinseca natura di locale
con destinazione residenziale e non locale
tecnico (nel caso di specie, in cui si è
creato un locale con requisiti di
abitabilità, la semplice tamponatura delle
finestre risulta essere una operazione
talmente semplice che, seppure
apparentemente e temporaneamente idonea a
privare i locali del requisito della
abitabilità, tuttavia non può portare a
considerare l'intervento irrilevante dal
punto di vista dei parametri edilizi, quali
l'altezza) (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 29.04.2011 n.
1105 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
1.
Comunicazione di avvio del procedimento -
Finalità - Tutela degli interessi del
privato e riduzione dei margini d'errore
della P.A.
2. Mancata
comunicazione di avvio del procedimento - In
procedimenti a ridotto o nullo contenuto
discrezionale - Illegittimità - Ratio.
1. La finalità della regola procedimentale
di cui all'art. 7, Legge 241/1990, consiste,
in particolare, nell'esigenza di assicurare
piena visibilità all'azione amministrativa
nel momento della sua formazione e di
garantire al contempo la partecipazione del
destinatario dell'atto finale alla fase
istruttoria preordinata alla sua adozione,
sicché la relativa verifica circa la
sussistenza di eventuali vizi da parte della
P.A. non va compiuta con esclusivo e rigido
riferimento all'adempimento formale della
notifica all'interessato dell'avviso di
avvio del procedimento, ma con riguardo alla
realizzazione sostanziale degli interessi
sottesi alla suddetta norma: ciò permette,
al contempo, di tutelare gli interessi del
privato e di ridurre i margini di errori
della P.A. (cfr. Cons. di Stato, sent.
n.2823/2001, n. 4836/2005, n. 36/2007, n.
3442/2009).
2. L'assenza di discrezionalità in vista
dell'adozione di un provvedimento non
potrebbe di per sé indurre ad escludere ogni
margine di proficuità alla collaborazione
degli interessati, tenuto conto della
possibilità di errore da parte della P.A.
nell'accertamento e nella valutazione dei
presupposti giustificativi del potere
esercitato: la partecipazione al
procedimento amministrativo può, pertanto,
rilevarsi utile anche in relazione ai
procedimenti a ridotto contenuto
discrezionale, al fine di evitare
l'emanazione di un atto che altrimenti
potrebbe essere affetto da eccesso di potere
per erroneità nei presupposti e nelle
valutazioni (cfr. Cons. di Stato, sent. n.
4899/2009; TAR Salerno, sent. n.
11084/2010; TAR Napoli, sent. n.
1215/2010; TAR Catanzaro, sent. n. 283/2006) (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 27.04.2011 n.
1084 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
1. Acquiescenza -
Nozione.
2. Acquiescenza -
Presupposti - Acquiescenza c.d. preventiva - Inconfigurabilità.
1.
E' acquiescenza quella desumibile da
comportamenti univoci posti liberamente in
essere e che dimostrino l'indiscutibile
volontà del privato di accettare gli effetti
di un provvedimento amministrativo (cfr.
Cons. di Stato, sent. n. 5482/2005; sent. n.
3360/2003; sent. n. 1990/2003).
2. Presupposto dell'acquiescenza è
l'attualità della lesione e, quindi, la già
avvenuta emanazione del provvedimento
pregiudizievole, non essendo possibile
rinunciare all'azione prima dell'insorgenza
dell'interesse alla sua proposizione.
Pertanto, non è configurabile la c.d.
acquiescenza preventiva, dal momento che non
è configurabile una rinuncia preventiva alla
tutela giurisdizionale dell'interesse
legittimo, effettuata prima della lesione di
quest'ultimo, ossia nel momento in cui, non
essendo ancora attuale la lesione stessa, lo
strumento di tutela non è ancora azionabile,
né si può ipotizzare alcuna acquiescenza nei
riguardi di un provvedimento amministrativo
ancora non emanato (cfr. Cons. di Stato,
sent. n. 6678/2006, n. 5583/2009; TAR
Milano, sent. n. 880/2011; TAR Genova, sent.
n. 760/2008) (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 27.04.2011 n.
1080 - link a
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EDILIZIA PRIVATA:
Telefonia
mobile - Realizzazione di impianti di
telecomunicazione - Presupposti - Parere
preventivo di un'autorità preposta alla
tutela ambientale, della salute o del
patrimonio storico-artistico - Necessità.
In materia di installazione per impianti
di Stazioni Radio Base per telefonia
cellulare, la necessità della preventiva
acquisizione di un parere di
un'amministrazione preposta alla tutela
ambientale, della salute o del patrimonio
storico-artistico è desunta, a contrario,
dall'art. 87, commi 6-9, D.Lgs. 259/2003
che, nel prevedere espressamente che il
parere contrario -c.d. motivato dissenso-
assunto dalla P.A. impedisce la formazione
del silenzio assenso, postula la necessità
che un parere comunque venga espresso
(TAR Napoli, sent. n. 3454/2006; TAR
Palermo, sent. n. 203/2005) (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 27.04.2011 n.
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URBANISTICA:
Ricorso amministrativo - Legittimazione e
interesse a ricorrere - Vicinitas -
Insufficienza - Pregiudizio specifico -
Necessità - Pregiudizio potenziale -
Rilevanza - Limiti.
In materia di impugnazione dei piani
urbanistici, l'interesse al ricorso dei
relativi atti di pianificazione non può
essere provato solo con la situazione dello
stabile collegamento con la zona interessata
dalle opere, bensì attraverso la
dimostrazione del pregiudizio effettivo o
anche potenziale, ma direttamente
conseguente all'adozione degli atti gravati,
e della connessa "utilitas" ricavata
dall'accoglimento del ricorso; a tal fine,
dall'esecuzione del provvedimento deve
discendere in via immediata e personale un
danno certo alla sfera giuridica del
ricorrente, ovvero potenziale, nel senso,
però, che la lesione si verificherà in
futuro con un elevato grado di certezza,
mentre deve escludersi il presupposto in
questione nell'ipotesi in cui il danno
derivante dall'attuazione dell'atto
impugnato sia meramente eventuale, e, cioè,
quando lo stesso non risulti, di per sé,
capace di arrecare una lesione diretta alla
sfera del soggetto ricorrente, né risulti
sicuro che il danno si realizzerà in un
secondo tempo (cfr. TAR Milano, sent. n.
90/2011, n. 4345/2009) (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 27.04.2011 n.
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URBANISTICA:
PGT - Destinazione
a zona agricola - Utilizzo per coltivazione
- Non necessita - Finalità di tutela
ambientale - Legittimità.
La destinazione agricola di un'area non
implica necessariamente l'esercizio
dell'attività agricola sulla stessa, potendo
invece essere ispirata anche da esigenze di
salvaguardia ambientale (cfr. TAR Milano,
sent. 7508/2010; Cons. di Stato, sent. n.
1015/2011, n. 6874/2010) (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 27.04.2011 n.
1074 - link a
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URBANISTICA:
1. Elaborazione
preparatoria del piano urbanistico -
Idoneità a radicare uno specifico
affidamento riguardo alla destinazione
finale delle aree considerate - Non sussiste
- Ratio.
2. P.I.I. - Parere
di compatibilità con il P.T.C.P. -
Competenza della Giunta Provinciale -
Sussiste.
1. A fronte di un progetto di variante
redatto dai tecnici incaricati, non può
sorgere alcun affidamento in capo ai
proprietari delle aree interessate: in
particolare, la elaborazione preparatoria
del piano urbanistico non può radicare uno
specifico affidamento riguardo alla
destinazione finale delle aree considerate,
essendo rimesso unicamente al competente
organo comunale di compiere, in una
prospettiva generale, le valutazioni
conclusive di merito sulle soluzioni
tecniche prospettate, in vista del
perseguimento di finalità generali di
pubblico interesse (cfr. Cons. di Stato,
sent. n. 5881/2008, TAR Milano, sent.
n. 91/2011, n. 1338/2004).
2. Il parere provinciale di compatibilità
del P.C.T.P. con il P.G.T. comunale o i suoi
piani attuativi, anche in variante, non
costituisce una manifestazione della
generale potestà di pianificazione
riconosciuta nel Testo Unico degli Enti
Locali all'organo consigliare, quanto
piuttosto una valutazione di ordine tecnico,
non riservata al Consiglio, risultando
conseguentemente competente la Giunta
Provinciale ad adottare il parere di
compatibilità del P.I.I. con il P.T.C.P.
impugnato (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 27.04.2011 n.
1070 - link a
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EDILIZIA PRIVATA:
1. Competenza e giurisdizione -
Giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo - Questioni attinenti all'an
e al quantum dell'oblazione e del contributo
per oneri di urbanizzazione e costo di
costruzione - Sussiste - Ratio.
2. Concessione in
sanatoria - Oneri concessori - Provvedimento
di liquidazione - Particolare motivazione -
Non necessita.
1. In materia di determinazione dell'an e
del quantum dell'oblazione e del contributo
per oneri di urbanizzazione e costo di
costruzione per opere soggette a permesso di
costruire in sanatoria -che si presenta
come attività di natura paritetica,
effettuata dalla P.A. in base a rigidi
parametri, prefissati da leggi e regolamenti
vertenti sui criteri impositivi e senza
l'esplicazione di potestà autoritativa-
sussiste la giurisdizione esclusiva del
G.A., proprio in quanto si tratta di
controversie concernenti le rispettive
posizioni di diritto soggettivo ed obbligo
delle parti del rapporto giuridico in
questione (cfr. Cons. di Stato, sent. n.
7466/2010, n. 1388/1996).
2. La determinazione degli oneri previsti
per il rilascio del titolo in sanatoria non
necessita di particolare motivazione, in
quanto costituisce il risultato di un
calcolo materiale, essendo la misura
concreta direttamente ricollegata dalla
legge al carico urbanistico accertato,
secondo parametri rigorosamente stabiliti
(cfr. Cons. di Stato, sent. n. 584/2011;
TAR Catania, sent. n. 2847/2010; TAR
Parma, sent. n. 351/2010; TAR Roma, sent.
n. 3862/2009; TAR Milano, sent. n.
1065/2006) (massima tratta da www.solom.it
- TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 27.04.2011 n.
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EDILIZIA PRIVATA:
1. Competenza e giurisdizione -
Giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo - Atti, provvedimenti e
comportamenti della P.A. in materia edilizia
ed urbanistica - Sussiste.
2. Ricorso giurisdizionale - Termine per
impugnare - Materie devolute alla
giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo - Controversia attinente a
diritti patrimoniali inerenti a situazione
paritetica tra cittadino e P.A. - Termine di
prescrizione.
1.
Sono devolute alla giurisdizione esclusiva
del G.A. le controversie aventi per oggetto
gli atti, i provvedimenti ed i comportamenti
delle P.A. in materia urbanistica ed
edilizia, nella quale sono compresi la
totalità degli aspetti dell'uso del
territorio, inclusa, altresì, la materia
relativa alla determinazione, liquidazione e
riscossione degli oneri di urbanizzazione e
relative sanzioni: in particolare, sussiste
la giurisdizione del G.A. anche in caso di
richiesta, mediante cartella esattoriale, di
pagamento del contributo per gli oneri di
urbanizzazione e conseguenti sanzioni (cfr.
Cass. Civ., SS.UU., sent. n. 22514/2006).
2. Nelle materie devolute alla giurisdizione
esclusiva del Giudice Amministrativo, ove la
controversia si riferisca a diritti
patrimoniali che non dipendano
dall'esercizio di una potestà autoritativa e
discrezionale, ma ineriscano ad una
situazione paritetica tra cittadino e P.A.,
concretantesi nella precisa determinazione
di un credito patrimoniale che trova la sua
base nella legge, il termine per adire il
G.A. non è l'ordinario termine di decadenza,
bensì l'assai più ampio termine di
prescrizione del diritto (cfr. Cons. di
Stato, sent. n. 2258/2006, n. 2543/2000; TAR
Bari, sent. n. 2078/2008) (massima tratta da www.solom.it
- TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 27.04.2011 n.
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ATTI AMMINISTRATIVI:
Acquiescenza -
Presupposti - Mera tolleranza contingente e
compimento di atti necessari a limitare il
pregiudizio arrecato dal provvedimento -
Insufficienza.
L'acquiescenza ad un provvedimento esige,
per la sua configurabilità, il compimento di
atti o comportamenti univoci posti
liberamente in essere dal destinatario
dell'atto, che dimostrino la sua chiara ed
irrefutabile volontà di accettarne gli
effetti e che si riferiscono ad un momento
successivo a quello in cui si verifica la
lesione dell'interesse legittimo azionato.
Non è sufficiente, dunque, a tal fine, un
atteggiamento di mera tolleranza contingente
e neppure il compimento di atti resi
necessari od opportuni, nell'immediato,
dall'esistenza del suddetto provvedimento,
in una logica soggettiva di riduzione del
pregiudizio, che non per questo escludono
l'eventuale coesistente intenzione
dell'interessato di reagire, poi, per
l'eliminazione degli effetti del
provvedimento stesso (cfr. Cass. Civ., SS.UU., sent. n. 12339/2010; TAR
Roma, sent. n. 33037/2010) (massima tratta da www.solom.it
- TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 27.04.2011 n.
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EDILIZIA PRIVATA:
Nuova
costruzione - Nozione - In caso di mutamento
di destinazione d'uso con variazione degli
standard - Sussiste.
Il concetto di nuova costruzione riguarda
non soltanto la realizzazione di un
manufatto su area libera, ma include,
altresì, ogni intervento di ristrutturazione
che renda un manufatto oggettivamente
diverso da quello preesistente: in
particolare, tale oggettiva diversità
sussiste ogniqualvolta si abbia un mutamento
di destinazione d'uso che implichi la
variazione degli standard, poiché detta
destinazione d'uso rappresenta un elemento
determinante della tipologia del manufatto
(cfr. Cons. di Stato, sent. n. 4256/2008;
TAR Milano, sent. n. 1787/2010; TAR Torino,
sent. n. 940/2010) (massima tratta da www.solom.it
- TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
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ATTI AMMINISTRATIVI:
Procedimento
amministrativo - Comunicazione di avvio -
Omissione - In caso di avvenuta conoscenza
del procedimento e di possibilità
interlocutoria verso la P.A. - Irrilevanza
dell'omissione.
E' irrilevante l'omissione della
comunicazione ex art. 7, Legge 241/1990
qualora l'interessato sia venuto comunque a
conoscenza del procedimento, con conseguente
possibilità di interloquire con la P.A.
(cfr. TAR Milano, sent. n. 175/2010;
TAR Catanzaro, sent. n. 2908/2010; TAR
Umbria, sent. n. 400/2010; TAR Basilicata,
sent. n. 216/2010) (massima tratta da www.solom.it
- TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
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EDILIZIA PRIVATA:
Procedimento
amministrativo - Comunicazione di avvio - In
caso di provvedimento sanzionatorio -
Necessità della comunicazione - Non
sussiste.
I provvedimenti sanzionatori in materia
edilizia costituiscono atti vincolati, per i
quali non è necessaria la comunicazione ex
art. 7, Legge 241/1990, soprattutto nel caso
in cui la P.A. dimostri che il contenuto del
provvedimento non poteva essere diverso
(cfr. TAR Napoli, sent. n. 16548/2010, n.
15871/2007; TAR Lecce, sent. n.
2809/2010; TAR Lazio, sent. n. 35404/2010) (massima tratta da www.solom.it
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URBANISTICA:
1. Lottizzazione
abusiva - Lottizzazione abusiva materiale e
lottizzazione abusiva cartolare - Nozione.
2. Lottizzazione
abusiva - Art. 30, D.P.R. 380/2001 -
Finalità - Conseguenze - Lottizzazione
vietata anche in presenza di talune singole
strutture assentite da idoneo titolo
edilizio - Configurabilità.
1.
Alla luce dell'art. 30, D.P.R. 380/2001,
sono ravvisabili due tipi di lottizzazione
abusiva, che peraltro possono coesistere:
una materiale, configurabile allorché siano
iniziate sul terreno opere che comportino
trasformazione urbanistica o edilizia del
medesimo in violazione delle prescrizioni
degli strumenti urbanistici o comunque senza
le prescritte autorizzazioni; ed una
cartolare o formale, qualora la
trasformazione sia predisposta attraverso il
frazionamento e la vendita del terreno in
lotti che, per le loro caratteristiche
particolari, denuncino in modo non equivoco
la destinazione a scopo edificatorio (cfr.
TAR Milano, sent. n. 1553/2010).
2.
In materia di lottizzazione abusiva, la
relativa normativa di cui all'art. 30 D.P.R.
380/2001 è finalizzata ad impedire e
reprimere quelle condotte materiali o
giuridiche volte ad incrementare
l'edificazione sul territorio, senza che
tale incremento sia accompagnato dalla
doverosa pianificazione urbanistica, che
tenga conto delle conseguenze
dell'edificazione in termini di nuovi
servizi o nuove opere di urbanizzazione.
Pertanto, la lottizzazione abusiva può
essere realizzata da qualsiasi tipo di opere
in grado di stravolgere l'assetto
territoriale e tale conseguenza deve essere
valutata tenendo conto delle opere
complessivamente considerate e non del
singolo e specifico intervento edilizio, con
la conseguenza che può esservi lottizzazione
vietata ex art. 30 anche qualora talune
delle singole strutture siano state
assentite da idoneo titolo edilizio (cfr.
TAR Liguria, sent. n. 243/2011; Cons. di
Stato, sent. n. 5170/2010 e n. 3475/2010;
TAR Salerno, sent. n. 3932/2010; TAR
Catanzaro, sent. n. 264/2010; TAR Napoli,
sent. n. 27691/2010) (massima tratta da www.solom.it
- TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
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EDILIZIA PRIVATA:
Opera edilizia
precaria - Presupposti - Precarietà in senso
funzionale.
L'elemento della precarietà di un'opera
deve essere qualificato in senso funzionale,
sicché non può reputarsi precaria l'opera,
anche se amovibile, destinata ad un uso
costante e prolungato nel tempo (cfr. TAR
Milano, sent. n. 1003/2011, n. 3266/2010,
TAR Lecce, sent. n. 688/2010; TAR Brescia,
sent. n. 720/2009) (massima tratta da www.solom.it
- TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
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EDILIZIA PRIVATA:
Abusi - Sanatoria -
Presupposti - Anteriorità dell'abuso
rispetto all'apposizione del vincolo -
Necessità.
Ex art. 32, Legge 47/1985 (norma
espressamente richiamata dall'art. 32, Legge
326/2003 di conversione del D.L. 269/2003),
sono suscettibili di sanatoria le opere
insistenti su aree vincolate dopo la loro
esecuzione, per cui non appare possibile
procedere a condono per gli abusi commessi
su beni vincolati prima degli abusi medesimi
(cfr. Cass. Pen., sent. n. 40179/2010, TAR
Milano, sent. 711/2008) (massima tratta da
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EDILIZIA PRIVATA:
1. Telefonia mobile
- Stazioni Radio Base - Localizzazione -
Piani urbanistici comunali - Divieto di
localizzazione di ordine generale -
Illegittimità.
2. Telefonia mobile
- Stazioni Radio Base - Localizzazione -
Intervento conforme agli strumenti
urbanistici vigenti - Diniego del titolo
edilizio - Illegittimità.
3. Telefonia mobile
- Realizzazione di impianti di
telecomunicazione - Presupposti -
Autorizzazione ex art. 87 D.Lgs. 259/2003 -
Sufficienza - Permesso di costruire ex artt.
3 e 10, D.P.R. 380/2001 - Non necessita.
4. Telefonia mobile
- Realizzazione di impianti di
telecomunicazione - Valutazione di impatto
ambientale - Non necessita.
5. Telefonia mobile
- Infrastrutture di reti pubbliche di
telecomunicazione e opere di urbanizzazione
primaria - Assimilabilità - Conseguenze -
Vicinanza al centro storico - Possibilità.
1. Sono illegittime le disposizioni pianificatorie comunali che introducano in
termini assoluti divieti di installazione
per impianti di Stazioni Radio Base per
telefonia cellulare, anche solo su porzioni
del territorio comunale (cfr. TAR Milano,
n. 7030/2010, n. 210/209, 2845/2008, n.
1872/2008, n. 1815/2008, n. 6260/2007, n.
5777/2007; Cons. di Stato, sent. n.
6473/2010, n. 3332/2006, n. 3534/2006).
2. Ai sensi dell'art. 8, Legge 36/2001,
sulla protezione dalle esposizioni a campi
elettrici, magnetici ed elettromagnetici, i
comuni possono adottare un regolamento per
assicurare il corretto insediamento
urbanistico e territoriale degli impianti e
minimizzare l'esposizione della popolazione
ai campi elettromagnetici: tuttavia, ove la
P.A. non abbia adottato alcun regolamento
per disciplinare la localizzazione di detti
impianti, permane l'illegittimità di un
diniego del prescritto titolo edilizio ove
l'intervento sia conforme agli strumenti
urbanistici vigenti (cfr., Cons. di Stato,
sent. n. 1767/2008).
3. La realizzazione di impianti di
telecomunicazione è subordinata soltanto
all'autorizzazione prevista dall'art. 87 D.Lgs. 259/2003, che pone una normativa
speciale ed esaustiva che include anche la
valutazione della compatibilità
edilizio-urbanistica dell'intervento, non
occorrendo perciò il permesso di costruire
di cui agli artt. 3 e 10, D.P.R. 380/2001
(cfr. Cons. di Stato, sent. n. 2436/2010,
n.100/2005; TAR Napoli, sent. n.
19380/2004).
4. In materia di installazione per impianti
di Stazioni Radio Base per telefonia
cellulare, non occorre alcuna valutazione di
impatto ambientale: infatti, solo l'art.
2-bis, comma 2, D.L. 01.05.1997, n. 115,
convertito dalla legge 01.07.1997, n. 189
-ed ora abrogato- dispone genericamente che
"la installazione di infrastrutture dovrà
essere sottoposta ad opportune procedure di
valutazione di impatto ambientale", senza
affatto disporre di sottoporre tutti i
progetti di strutture per la telefonia
mobile a valutazione d'impatto ambientale:
inoltre, il contenuto del richiamato art.
2-bis non è stato riprodotto nella
legislazione successiva (cfr. Cons. di
Stato, sent. n. 8377/2010).
5. Alla luce dell'assimilazione, ex art. 86, D.Lgs.
259/2003, delle infrastrutture di reti
pubbliche di telecomunicazione alle opere di
urbanizzazione primaria, è necessario che
tali opere siano collegate e poste al
servizio dell'insediamento abitativo e non
siano avulse dallo stesso: è, pertanto,
ammissibile l'insediamento dell'impianto di
telefonia mobile nelle vicinanze del centro
storico del Comune (cfr. Cons. di Stato,
sent. n. 9404/2010, n. 7588/2010) (massima tratta da
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EDILIZIA PRIVATA:
Diniego di
permesso di costruire in sanatoria - Potere
vincolato - Difetto di motivazione -
Violazione art. 10-bis L. n. 241/1990 - Inconfigurabilità.
In considerazione della natura vincolata del
provvedimento di sanatoria, che costituisce
mero risultato dell'attività di controllo
circa la conformità dell'intervento alla
normativa urbanistico-edilizia, il relativo
provvedimento di diniego non è impugnabile
per mancata comunicazione del c.d. preavviso
di rigetto e/o per omessa valutazione delle
osservazioni presentate dalla proprietà
(cfr. Cons. di Stato, sent. n. 772/2010, TAR
Milano, sent. 2211/2010) (massima tratta da
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sentenza 19.04.2011 n.
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EDILIZIA PRIVATA:
1. Abuso edilizio
- Onere della prova - A carico dell'autore -
Sussiste - Ratio.
2. Abuso edilizio
- Onere della prova - Autodichiarazione
allegata alla domanda di condono edilizio -
Natura - Principio di prova.
3. Abuso edilizio
- Aerofotogrammetria attestante
l'inesistenza dell'opera - Rigetto della
domanda di condono - Legittimità.
4. Abuso edilizio
- Provvedimento sanzionatorio -
Comunicazione di avvio - Necessità - Non
sussiste.
1.
In materia di ripartizione dell'onere della
prova, rispetto al profilo specifico della
data di realizzazione delle opere da sanare,
l'onere grava sul richiedente la sanatoria:
ciò, perché, mentre la P.A. non è
normalmente in grado di accertare la
situazione edilizia di tutto il proprio
territorio alla data indicata dalla
normativa sul condono, colui che richiede la
sanatoria può, invece, fornire qualche
documentazione da cui si desuma che l'abuso
sia stato effettivamente realizzato entro la
data predetta, come ad es. fatture,
ricevute, bolle di consegna, relative
all'esecuzione dei lavori e/o all'acquisto
dei materiali.
Pertanto, colui che ha
commesso l'abuso non può trasferire il
suddetto onere in capo alla P.A. qualora non
sia in grado di fornire elementi e documenti
atti a sostenere la richiesta legittima di
condono edilizio (cfr. Cons. di Stato,
sent. n. 752/2011; TAR Milano, sent. n.
94/2011, n. 980/2005).
2. In materia di ripartizione dell'onere
della prova, rispetto al profilo specifico
della data di realizzazione delle opere da
sanare, l'autodichiarazione del privato
allegata alla domanda di condono edilizio,
attestante la ultimazione delle opere
abusive entro la data prevista dalla legge,
non presenta valenza probatoria
privilegiata, bensì costituisce
esclusivamente un principio di prova,
destinato a cedere in presenza di più
consistenti elementi probatori in possesso
della P.A.
3. E' legittimo il rigetto della domanda di
condono di opere edilizie circa le quali, in
base ad una aerofotogrammetria in possesso
dell'Autorità comunale, sia stato provato
che le stesse non erano esistenti alla data
prevista dalla legge per conseguire il
condono (cfr. Cons. di Stato, sent. n.
4359/2007);
4. Per i provvedimenti sanzionatori in
materia edilizia non è necessaria la
comunicazione di avvio del procedimento ex
art. 7 Legge 241/1990, trattandosi di atti
dovuti e rigorosamente vincolati, rispetto
ai quali non sono richiesti apporti
partecipativi del soggetto destinatario
(cfr. TAR Roma, sent. n. 10470/2010;
TAR Napoli, sent. n. 2667/2010) (massima tratta da
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EDILIZIA PRIVATA:
Opera edilizia
precaria - Presupposti - Agevole removibilità e temporaneità della funzione.
La natura di precarietà di un'opera
presuppone che questa sia agevolmente
removibile, funzionale a soddisfare una
esigenza oggettivamente temporanea -es.
baracca o pista di cantiere, manufatto per
una manifestazione- destinata a cessare
dopo il tempo, normalmente non lungo, entro
cui si realizza l'interesse finale (cfr.
TAR Milano, sent. n. 3266/2010) (massima tratta da
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EDILIZIA PRIVATA:
1. Permesso di
costruire in sanatoria - Silenzio-assenso -
Perfezionamento - Presupposti - Denuncia ICI
- E' documento essenziale.
2. Permesso di
costruire in sanatoria - Quantificazione
degli oneri - Legge 326/2003 - Delibera
consiliare n. 73/2007 - Ammontare degli
oneri rapportato al momento del rilascio del
titolo edilizio in sanatoria - Legittimità.
1. La formazione del silenzio assenso in
materia di condono ai sensi della Legge
326/2003 implica in ogni caso la completezza
della documentazione prevista dalla
normativa: in particolare, la denuncia ICI
costituisce documento essenziale, in assenza
del quale non si può ritenere formato il
silenzio assenso sulla domanda di permesso
in sanatoria dell'esponente (cfr. TAR
Milano, sent. n. 263/2011, n. 6955/2010, n.
1550/2010).
2. In materia di determinazione degli oneri
di urbanizzazione da applicarsi al condono
dell'anno 2003 e di corretta applicazione
della delibera consiliare del Comune di
Milano n. 73/2007 a situazioni nelle quali
non opera il meccanismo del silenzio
assenso, l'ammontare definitivo degli oneri
deve essere rapportato al momento del
rilascio del titolo edilizio in sanatoria
(cfr. TAR Milano, sent. n. 818/2011) (massima tratta da
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sentenza 11.04.2011 n.
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URBANISTICA:
1. Piano
particolareggiato - Scadenza - Effetti sulla
convezione attuativa - Rimedi esperibili -
Sono rimessi all'iniziativa delle parti.
2. Discrezionalità
della P.A. - In seguito a predisposizione di
piano attuativo e relativa convenzione -
Potere di adottare scelte urbanistiche di
segno opposto - Sussiste - Condizioni.
1. La sopravvenuta scadenza del Piano
Particolareggiato si ripercuote sulla
relativa convenzione attuativa, ma non in
via automatica, poiché è rimessa
all'iniziativa della parte contraente la
scelta del rimedio esperibile, a seconda del
vizio addotto.
2. Anche dopo la predisposizione del piano
attuativo e della relativa convenzione e
nonostante la perdurante efficacia degli
stessi, la P.A. mantiene intatto il potere
di adottare, in prosieguo di tempo, scelte
urbanistiche di segno opposto, a condizione
che siano persuasive ed esplicitate le
ragioni di pubblico interesse che inducono a
ritenere superato l'assetto precedente (cfr.
Cass. Civ., sent. n. 7691/2000, n.
12880/1998; Cons. di Stato, sent. n.
1116/1996) (massima tratta da
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sentenza 05.04.2011 n.
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EDILIZIA PRIVATA:
1. Distanza minima
tra edifici - Art. 9 D.M. 1444/1968 -
Sopraelevazioni e recupero sottotetti -
Rispetto delle distanze - Necessità.
2. Distanza minima
tra edifici - Art. 9 D.M. 1444/1968 -
Sopraelevazioni e recupero sottotetti -
Rispetto delle distanze - Necessità - Ratio.
1. Le porzioni di edificio risultanti dal
recupero ai fini abitativi dei sottotetti
esistenti devono considerarsi, ai fini del
rispetto dell'art. 9, D.M. 1444/1968, quali
nuove costruzioni, con la conseguenza che
devono necessariamente essere collocate ad
almeno 10 metri dalla parete dell'edificio
antistante.
2. L'art. 9, D.M. 1444/1968, è norma di
ordine pubblico, insuscettibile di deroga
negli strumenti urbanistici e nei
regolamenti locali (salvo peculiari
eccezioni, non riscontrabili però nel caso
di specie), volta ad impedire la
realizzazione di intercapedini nocive sotto
il profilo igienico, sicché deve essere
rispettata anche in caso di sopraelevazioni
o di recupero di sottotetti (cfr. Cons. di
Stato, sent. n. 7731/2010; TAR Milano,
sent. nn. 264/2011, 7511/2010, 3262/2010,
1991/2007; TAR Liguria, sent. n.
10243/2010; TAR Brescia, sent. n. 3240/2010) (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 05.04.2011 n.
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ATTI AMMINISTRATIVI - APPALTI:
Giustizia amministrativa - Risarcimento
del danno - Presupposti - Carattere
colpevole della violazione normativa - Non
necessita.
E' escluso, quantomeno per il settore
degli appalti pubblici, che il diritto al
risarcimento del danno da parte di una P.A.
possa essere subordinato al carattere
colpevole della violazione normativa (cfr.
Corte Giustizia Unione Europea, sent. sez. III, 30.09.2010,
causa C-314/09) (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 05.04.2011 n.
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ATTI AMMINISTRATIVI -
EDILIZIA PRIVATA:
Giustizia amministrativa
- Risarcimento del danno - In caso di
illegittima inibitoria di lavori edili -
Quantificazione del danno - Criteri.
In caso di illegittima inibitoria di
lavori edili da parte della P.A. e relativa
determinazione del danno, i danni calcolandi
devono essere limitati al periodo di
efficacia del provvedimento inibitorio;
occorre tenere conto soltanto dei danni che
rappresentano una conseguenza diretta ed
immediata dal provvedimento annullato:
devono, pertanto, escludersi, ad esempio, le
spese legali -giudiziali e stragiudiziali-
sostenute dall'esponente; il risarcimento
deve essere limitato al c.d. interesse
patrimoniale negativo e non può estendersi
al mancato guadagno; infine, sulle somme
come sopra determinate vanno aggiunti gli
interessi in misura legale e la
rivalutazione monetaria, trattandosi di
debito di valore e non di valuta, non
applicandosi pertanto il c.d. principio
nominalistico di cui all'art. 1277 del
codice civile (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 05.04.2011 n.
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ATTI AMMINISTRATIVI:
1. Giustizia amministrativa - Risarcimento
del danno - Danno da ritardo ex art. 2-bis
L. 241/1990 - Irretroattività - Sussiste.
2. Giustizia amministrativa - Risarcimento
del danno - Presupposti - Tempestivo
utilizzo dei mezzi di tutela offerti
dall'ordinamento - Necessità.
1. L'art. 2-bis della legge 241/1990, che
disciplina il c.d. "danno da ritardo", per
il suo contenuto di novità rispetto alla
pregressa disciplina, non ha effetto
retroattivo e non può pertanto trovare
applicazione alle fattispecie, come quella
di cui è causa, anteriore alla sua entrata
in vigore,
2.
In caso di azione risarcitoria contenuta nel
gravame amministrativo, non possono
ritenersi risarcibili i danni che
l'esponente avrebbe potuto evitare
avvalendosi tempestivamente, secondo
l'ordinaria diligenza, dei mezzi di tutela
offerti dall'ordinamento, fra cui, come nel
caso di specie, la rituale e tempestiva
impugnazione dei provvedimenti
amministrativi relativi al gravame stesso
(cfr. Cons. di Stato, Ad. Pl., sent. n.
3/2011) (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 05.04.2011 n.
900 - link a
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URBANISTICA:
Programma Integrato di
Intervento - Termine di impugnazione per i
terzi - Compimento formalità di
pubblicazione.
In materia di atti di approvazione di un
programma integrato di intervento, al pari
di quelli di approvazione di un piano
urbanistico attuativo, per i soggetti
estranei al piano -ad esempio in quanto non
proprietari di aree comprese nell'ambito di
intervento- il termine di impugnativa
decorre dal compimento delle formalità di
pubblicazione (cfr. TAR Brescia, sent. n.
4559/2010; TAR Milano, sent. n. 5825/2007) (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 05.04.2011 n.
899 - link a
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EDILIZIA PRIVATA:
Bene pubblico -
Caratteristiche.
Il carattere pubblico di un bene dipende
dalle sue intrinseche connotazioni,
indipendentemente dalla sua titolarità,
sicché l'appartenenza ad un ente pubblico si
giustifica per il fatto che il bene è fonte
di beneficio per la collettività (cfr. Cass.
Civ. SS.UU., sent. n. 3811/2011) (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 05.04.2011 n.
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EDILIZIA PRIVATA:
Concessione
edilizia - Terzo confinante - Titolo a
ricevere l'avviso di avvio del procedimento
- Non sussiste.
In caso di domanda volta ad ottenere il
rilascio di un titolo edilizio, il vicino
del richiedente se, da un lato, può
intervenire nel corso del relativo
procedimento e può impugnare il
provvedimento che accolga l'istanza,
dall'altro, non ha titolo a ricevere
l'avviso dell'avvio del procedimento, in
quanto ciò comporterebbe un aggravio del
procedimento, in violazione dei principi di
economicità ed efficacia dell'attività
amministrativa (cfr. Cons. di Stato, sent. nn. 1773/2005, 1533/2002, 1197/1999; TAR
Milano, sent. n. 3253/2010; TAR Liguria,
sent. n. 1736/2009) (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 05.04.2011 n.
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APPALTI:
Contratti della P.A. -
Inosservanza delle disposizioni
sull'affidamento dei contratti pubblici -
Legittimazione al ricorso - Sussiste solo
per soggetti operatori del settore.
L'inosservanza delle disposizioni
sull'affidamento dei contratti pubblici può
essere fatta valere esclusivamente da
operatori del settore, aventi titolo a
partecipare ad eventuali procedure
concorsuali per la scelta del contraente
della P.A. (cfr. TAR Milano, sent. n.
730/2011 e n. 7614/2010) (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 05.04.2011 n.
898 - link a
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EDILIZIA PRIVATA:
1. Permesso di
costruire - Termine di impugnazione -
Decorrenza dalla percezione della lesività
dell'opera.
2. Permesso di
costruire - Termine di impugnazione - In
assenza di elementi da cui si possa evincere
la piena conoscenza dell'atto lesivo -
Decorrenza dal completamento dei lavori.
1. Il termine per ricorrere in sede
giurisdizionale avverso un titolo
abilitativo all'edificazione decorre dal
momento in cui è percepibile la lesività
dell'opera realizzata, il che si verifica
quando la costruzione già rivela in modo
inequivoco le essenziali caratteristiche
dell'opera e l'eventuale non conformità
della stessa al titolo o alla disciplina
urbanistica, (cfr. Cons. di Stato, sent. n.
18/2011, TAR Milano, sent. n. 7511/2010).
2. In assenza di elementi da cui si possa
evincere la piena conoscenza dell'atto
lesivo, il dies a quo per la
decorrenza del termine di impugnazione di un
titolo abilitativo all'edificazione va, di
regola, individuato nel completamento dei
lavori (cfr. Cons. di Stato, sent. n.
3378/2010) (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 01.04.2011 n.
878 - link a
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URBANISTICA:
1. Pianificazione urbanistica -
Partecipazione al procedimento - Art. 13,
comma 2, L.R. n. 12/2005 - Ammissibilità
dell'estensione delle modalità partecipative
- Sussiste - Discrezionalità della scelta -
Sussiste.
2. Pianificazione
urbanistica - Procedimento di formazione
degli strumenti urbanistici - Osservazioni
dei privati - Formazione di aspettative
tutelate - Non sussiste - Rigetto - Esigenza
di specifica motivazione - Non sussiste.
1. Ai sensi dell'art. 13, comma 2, L.R. n.
12/2005, la P.A. può porre in essere
modalità di partecipazione dei cittadini al
procedimento di pianificazione urbanistica
ulteriori rispetto a quelle previste dalla
normativa urbanistica, consentendo un
maggior livello di consultazione popolare.
Tale scelta rientra nella piena
discrezionalità dell'Amministrazione, senza
tuttavia connotare in termini di
illegittimità l'opposta soluzione
eventualmente seguita.
2. Le osservazioni dei privati sui progetti
di strumenti urbanistici non danno luogo a
peculiari aspettative, con la conseguenza
che il loro rigetto non richiede una
specifica motivazione, essendo sufficiente
che siano state esaminate e ritenute in
contrasto con gli interessi e le
considerazioni generali poste a base della
formazione del piano
(massima
tratta da www.solom.it - TAR
Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 31.03.2011 n.
857). |
URBANISTICA:
1. Convenzione di lottizzazione -
Impugnazione della contestazione di
inadempimento - Escussione polizza
fideiussoria - Carenza di giurisdizione -
Non sussiste.
2. Convenzione di
lottizzazione - Fallimento del lottizzante -
Art. 72 R.D. n. 267/1942 - Interesse
pubblico - Obbligazioni propter rem -
Applicabilità - Contestazione di
inadempimento - Non sussiste.
3. Convenzione di
lottizzazione - Istituto complesso -
Obblighi ex lege - Prestazioni corrispettive
- Amministrazione come contraente privato -
Natura negoziale.
1. La convenzione di lottizzazione rientra
tra gli accordi procedimentali di cui
all'art. 11 L. n. 241/1990, norma che al
comma 5 (oggi sostituito dall'art. 133, c.
1, lett. a), c.p.a.) devolve al giudice
amministrativo la giurisdizione esclusiva
sulle controversie relative alla formazione,
conclusione ed esecuzione degli accordi
stretti, nel pubblico interesse,
dall'amministrazione con i soggetti privati,
compreso l'accertamento dell'inadempimento
delle parti o l'esame delle rispettive
istanze di adempimento o di risoluzione,
senza che assuma alcun rilievo l'esistenza
di contratti autonomi di garanzia, le
polizze fideiussione, escutibili.
2. L'art. 72 R.D. n. 267/1942, che prevede,
nel caso di fallimento di una parte a
contratto ancora non compiutamente eseguito,
la sospensione dell'esecuzione del contratto
al fine di consentire al curatore di
subentrarvi, si applica alle convenzioni
urbanistiche in quanto non ha incidenza
sull'interesse pubblico, stante la natura di
obbligazione propter rem degli
obblighi da esse previsti, risultando
conseguentemente non ancora sussistente
l'inadempimento contestato dal Comune al
fallimento durante la sospensione del
contratto.
3. La convenzione di lottizzazione -per
quanto, a causa dei profili di stampo giuspubblicistico che si accompagnano allo
strumento dichiaratamente contrattuale, sia
un istituto di complessa ricostruzione-
rappresenta l'incontro di volontà delle
parti contraenti nell'esercizio
dell'autonomia negoziale retta dal codice
civile.
Conseguentemente, accanto agli obblighi che
derivano dalla legge, essa può prevederne
ulteriori -a carico, sia della parte
lottizzante ma anche dell'Amministrazione-
frutto della libera volontà delle parti
(massima
tratta da www.solom.it - TAR
Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 31.03.2011 n.
856). |
ESPROPRIAZIONE:
1. Annullamento degli
atti della procedura espropriativa - Obbligo
per la P.A. di assicurare la restitutio in
integrum dei suoli espropriati - Sussiste.
2. Annullamento degli atti della procedura
espropriativa - Risarcimento del danno -
Colpa della P.A. - Sussiste in caso di
negligente gestione della procedura
espropriativa.
3. Annullamento degli atti della procedura
espropriativa - Mancato godimento di un
immobile - Risarcimento del danno -
Necessità di specifica prova del danno - Non
sussiste - Criterio di quantificazione -
Valore locativo del cespite.
4. Annullamento degli atti della procedura
espropriativa - Mancato godimento di un
immobile - Risarcimento del danno non
patrimoniale - Necessità di allegare
elementi concreti e specifici - Sussiste -
Danno non patrimonale in re ipsa - Non
sussiste - Liquidazione equitativa - Non è
ammessa.
1. Laddove l'Amministrazione subisca
l'annullamento degli atti della procedura
espropriativa, la stessa, in adempimento
della norma agendi ricavabile dalla
sentenza annullatoria, dovrà attivarsi per
restituire ai proprietari i suoli
espropriati, nello stesso stato in cui essi
si trovavano al momento dell'apprensione,
essendo tenuta a porre in essere tutti gli
adempimenti necessari ad assicurare
l'effettiva ed integrale restitutio in
integrum del possesso in capo ai
proprietari del suolo.
2. Sussiste l'estremo della colpa rilevante
ai fini risarcitori, per l'ingiustificato
scostamento dagli standard di buona
amministrazione imposti al soggetto pubblico
dal suo stesso ruolo, ove si verifichi uno
spossessamento del fondo di proprietà di
privati causalmente riconducibile alla
illegittima attività provvedimentale della
P.A. che abbia negligentemente gestito la
procedura ablatoria, incidendo
inevitabilmente sul diritto dominicale, a
maggior ragione qualora l'amministrazione si
sia disinteressata dello stato dei terreni
occupati.
3. Nei casi di mancato godimento di un
immobile, il danno non necessita di
specifica prova, essendo esso in re ipsa
e consistendo nell'impossibilità di ritrarre
le utilità normalmente derivanti dalla
fruizione del bene, in relazione alla natura
fruttifera di esso.
Tale danno può essere
quantificato facendo riferimento al c.d.
danno figurativo e, quindi, al valore
locativo del cespite.
4. La pretesa risarcitoria avente ad oggetto
il danno non patrimoniale -ove non si sia
verificato un mero disagio o fastidio,
inidoneo, ex se, a fondare una
domanda di risarcimento del danno- esige una
allegazione di elementi concreti e specifici
da cui desumere, secondo un criterio di
valutazione oggettiva, l'esistenza e
l'entità del pregiudizio subito, il quale
non può essere ritenuto sussistente in re
ipsa, né è consentito l'automatico
ricorso alla liquidazione equitativa
(massima
tratta da www.solom.it - TAR
Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 31.03.2011 n.
854 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Codice delle
comunicazioni elettroniche - Art. 87, c. 5,
d.lgs. n. 259/2003 - Termine perentorio
- Perfezionamento D.I.A. - Nota di richiesta
di documenti integrativi tardiva -
Illegittimità.
Il termine di quindici giorni previsto
dall'art. 87, c. 5, del codice delle
comunicazioni elettroniche, entro il quale
il Comune, attraverso la richiesta di
dichiarazioni o ulteriori documenti, può
interrompere il decorrere dei novanta giorni
previsti per il formarsi del silenzio
assenso in relazione ad una D.I.A. (di cui
all'art. 87, c. 9, d.lgs. n. 259/2003) ha
natura perentoria.
Conseguentemente la nota
di richiesta di documenti adottata oltre
tale termine, che collega a tale richiesta
una effetto sospensivo o interruttivo del
termine per l'acquisto d'efficacia di una
D.I.A., è illegittima
(massima
tratta da www.solom.it - TAR
Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 30.03.2011 n.
852 - link a
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ATTI AMMINISTRATIVI -
EDILIZIA PRIVATA:
Ordine del Sindaco di
realizzazione di opere edilizie - Ordinanza
extra ordinem - Tutela della salute pubblica
o dell'ambiente - Eccezionale ed urgente
necessità - Non sussiste - Illegittimità.
Il provvedimento impugnato che impone la
realizzazione di opere edilizie (relative ai
camini) deve essere qualificato come
ordinanza extra ordinem in quanto
finalizzato alla tutela della salute.
L'ordinanza è illegittima in quanto si
riferisce ad una generica necessità di
prevenire il verificarsi di situazioni di
pericolo, senza tuttavia alcuna prova della
sussistenza di quella eccezionale ed urgente
necessità di tutela della salute pubblica o
dell'ambiente, cui deve farsi fronte con il
potere di ordinanza extra ordinem,
non essendo sufficiente che sussista
l'urgenza di provvedere, ma essendo
richiesto che si tratti di una situazione
eccezionale, che non può sussistere, tra
l'altro, laddove le circostanze da cui
deriva la situazione dannosa abbiano
carattere permanente, giacché la nozione
stessa di eccezionalità richiama l'idea di
imprevedibilità di una situazione
(massima
tratta da www.solom.it - TAR
Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 29.03.2011 n.
842 - link a
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EDILIZIA PRIVATA:
Recupero sottotetti -
Art. 64, L.R. n. 12/2005 - Derogabilità dei
limiti e delle prescrizioni degli strumenti
pianificatori comunali - Sussiste.
Il recupero dei sottotetti ai sensi
dell'art. 64, L.R. n. 12/2005 è consentito
anche in deroga ai limiti e alle
prescrizioni degli strumenti pianificatori
comunali vigenti o adottati, con salvezza
dei limiti enucleati dalla legge regionale
(massima
tratta da www.solom.it - TAR
Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 29.03.2011 n.
841 - link a
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URBANISTICA:
Piano attuativo di
interesse sovracomunale - Parere negativo
della Provincia - Zona di Protezione
Speciale - Sito di interesse comunitario -
Illegittimità - Non sussiste.
Il parere provinciale in materia di
incidenza ambientale di un piano attuativo
di interesse sovracomunale, essendo volto a
individuare l'impatto dell'interevento
urbanistico su un ambito soggetto a
particolare tutela ambientale (trattandosi
di un'area rientrante sia fra le Zone di
Protezione Speciale -Z.P.S.- sia fra i siti
di interesse comunitario -S.I.C.-),
costituisce manifestazione di ampia
discrezionalità amministrativa, censurabile
soltanto in caso di evidente illogicità o
irrazionalità che non sussiste laddove il
piano attuativo si ponga in contrasto con
gli obbiettivi di conservazione del sito
(che gli Stati Membri sono chiamati ad
assicurare con misure di prevenzione),
mentre le misure di mitigazione siano
risultate inefficaci (massima tratta da www.solom.it
- TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 29.03.2011 n.
840 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Installazione di
stazione radio-base - Art. 87, comma 9, D.Lgs. n. 259/2003 - Silenzio-assenso -
Provvedimento di diniego sull'istanza -
Necessità del previo annullamento in
autotutela del titolo tacitamente formatosi
- Sussiste.
Ove sia prevista la formazione del
silenzio-assenso della P.A. sull'istanza del
privato, come nel caso dell'art. 87, comma
9, D.Lgs. n. 259/2003 per la domanda del
privato intesa ad ottenere l'autorizzazione
all'installazione di un impianto di
telefonia mobile, l'amministrazione può
adottare un provvedimento di diniego solo
previo annullamento, in sede di autotutela,
del titolo tacitamente formatosi, in
presenza dei presupposti e con il rispetto
delle garanzie procedimentali di cui alla L.
n. 241/1990 (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 28.03.2011 n.
839 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Installazione di
stazione radio-base - Art. 87, comma 5, D.Lgs. n. 259/2003 - Silenzio-assenso -
Termine interruttivo - Natura perentoria -
Sussiste - Decorrenza del termine -
Possibilità di richiedere documentazione
integrativa - Non sussiste - Effetto
sospensivo o interruttivo del termine -
Revocabilità o annullabilità d'ufficio ai
sensi dell'art. 20, comma 3, L. n. 241/1990
- Sussistono.
Il termine di quindici giorni accordato alla
P.A. dall'art. 87, comma 5, D.Lgs. n.
259/2003, per interrompere il termine per la
formazione del silenzio-assenso della P.A.
sulla domanda del privato intesa ad ottenere
l'autorizzazione all'installazione di un
impianto di telefonia mobile, ha natura
perentoria.
Una volta decorsi quindici
giorni dal deposito dell'istanza
l'amministrazione non può dunque chiedere
documentazione integrativa collegando a tale
richiesta un effetto sospensivo o
interruttivo del termine per l'acquisto di
efficacia della d.i.a., salva l'ipotesi di
adottare gli atti di revoca o annullamento
d'ufficio ai sensi dell'art. 20, comma 3, L.
n. 241/1990 (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 28.03.2011 n.
838 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Telecomunicazioni - Autorizzazione alla
riattivazione di un impianto radiofonico -
Interferenze su frequenze già occupate -
Carenza di verifica - Illegittimità.
Il rilascio di nuove autorizzazioni non può
prescindere dalla verifica che il nuovo
impianto radiofonico non implichi
interferenze su frequenze occupate da
impianti di titolarità di altri operatori in
quanto i provvedimenti che autorizzano
l'esercizio della radiodiffusione non
possono interferire sugli impianti già in
esercizio, occupandone le frequenze e
peggiorandone la ricezione
(massima
tratta da www.solom.it - TAR
Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 28.03.2011 n.
837 - link a
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URBANISTICA:
1. Approvazione
Piano di Lottizzazione - Variante al P.R.G.
- Modifica del perimetro del comparto -
Violazione L.R. n. 23/1997 - Violazione del
principio di par condicio - Non sussistono.
2. Approvazione
variante urbanistica semplificata - Carenza
di motivazione - Discrezionalità
amministrativa - Esecuzione delle previsioni
di P.R.G. - Legittimità.
1. L'art. 2, c. 2, lettera f), L.R. n.
23/1997, consente il ricorso alla procedura
di variante semplificata per modificare il
perimetro degli ambiti territoriali
subordinati alla pianificazione attuativa,
per assicurare un migliore assetto
urbanistico. Inoltre nel caso di una
modifica del perimetro del comparto di
lottizzazione che tiene fermi gli indici
urbanistici previsti dal P.R.G. ed, altresì,
il regime urbanistico e la destinazione dei
terreni dei proprietari estranei alla
lottizzazione, il Piano di Lottizzazione
approvato non viola il principio di par
condicio, non risultando in alcun modo
limitate le prerogative del ricorrente
derivanti dal P.R.G. comunale in ragione
della immutata destinazione urbanistica
della sua area.
2. Premesso che la delibera di approvazione
di un piano attuativo di P.R.G., si
caratterizza quale manifestazione di ampia
discrezionalità dell'Amministrazione,
censurabile solo in caso di manifesta
illogicità o irrazionalità, e considerato
che il Comune ha approvato una riperimetrazione dell'ambito, allo scopo di
realizzare una -seppure parziale -
lottizzazione del medesimo, al fine di dare
esecuzione alle previsioni di PRG, si deve
ritenere che l'approvazione del Piano di
Lottizzazione impugnata risulti
sufficientemente motivata (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 28.03.2011 n.
820 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. Permesso di
costruire in sanatoria - Oneri concessori -
Art. 4, c. 6, L.R. n. 31/2004 - Tariffa base
- Deve necessariamente tenere conto degli
adeguamenti periodici degli oneri di
urbanizzazione.
2. Abuso edilizio -
Sanatoria - Art. 32, comma 40, D.L. n.
269/2003 - Incremento percentuale -
Applicabilità agli oneri concessori - Non
sussiste - Applicabilità ai diritti ed oneri
correlati all'istruttoria della domanda di
sanatoria - Sussiste.
1. Il criterio della determinazione degli
oneri concessori sulla base delle tariffe
vigenti al momento del perfezionamento del
procedimento di sanatoria è dettato
dall'art. 4, c. 6, della L.R. n. 31/2004,
sicché la tariffa-base deve necessariamente
tenere conto degli adeguamenti periodici
degli oneri di urbanizzazione, decisi dai
Comuni in virtù delle generali previsioni
dell'art. 16, comma 6, del DPR 380/2001 e
della L.R. 12/2005.
2. L'incremento percentuale previsto
dall'art. 32, comma 40, D.L. n. 269/2003, è
applicabile non agli oneri concessori
relativi all'intervento edilizio, ma ai
diritti ed oneri correlati alla istruttoria
delle domande finalizzate al rilascio del
titolo abilitativo; diritti ed oneri che il
Comune ha facoltà di incrementare in
relazione al maggior impiego di risorse
(personale e mezzi) che qualsiasi sanatoria
- implicante un afflusso eccezionale di
istanze da istruire ed evadere in aggiunta
all'attività ordinaria - notoriamente
richiede
(massima
tratta da www.solom.it - TAR
Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 28.03.2011 n.
818 - link a
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EDILIZIA PRIVATA:
Creazione di
spazio lavorativo senza opere con permanenza
di persone - Trasformazione urbanistico-edilizia del territorio -
Sussiste - Rappresenta nuova opera e non
ristrutturazione.
La creazione di uno spazio lavorativo con
permanenza di persone, anche se realizzato
senza opere, configura una vera e propria
trasformazione urbanistico-edilizia del
territorio (quanto meno per effetto
dell'incremento della dotazione necessaria
di standard, attesa la permanenza continua
di persone), rappresentando quindi una nuova
opera e non una ristrutturazione
(massima
tratta da www.solom.it - TAR
Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 28.03.2011 n.
818 - link a
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EDILIZIA PRIVATA:
Titolo abilitativo
subordinato ad atto unilaterale d'obbligo -
Contratto preliminare risolto - Domanda
risarcitoria da lesione di interessi
legittimi - Artt. 30 e 34 d.lgs. 2.07.2010
n. 104 - Mancanza di nesso causale - Mancato
uso della ordinaria diligenza - Infondatezza
della domanda.
In base alla previsione dell'art. 1227,
c. 2, c.c., ripresa dall'art. 30, c. 3,
d.lgs. n. 104/2010, il giudice, in relazione
a domande di risarcimento dei danni, deve
valutare tutte le circostanze di fatto ed il
comportamento complessivo delle parti e,
comunque, escludere il risarcimento del
danno che si sarebbe potuto evitare usando
l'ordinaria diligenza, anche attraverso
l'esperimento degli strumenti di tutela
previsti.
Conseguentemente si deve ritenere
che la condotta della ricorrente che non ha
proposto l'azione di annullamento avverso le N.T.A. ritenute illegittime (opponendosi
alla sottoscrizione dell'atto d'obbligo) né
ha, quantomeno, evitato i danni lamentati
dando notizia alla parte promissaria
acquirente dell'esistenza dell'atto
d'obbligo quale possibile causa di
invalidità del contratto (eventualmente
condizionando l'efficacia di quest'ultimo
proprio alle sorti dell'impegno in
precedenza assunto con l'Autorità comunale),
si configura -se non di per sé causa
autonoma idonea a produrre i danni
lamentati- come un mancato uso della
ordinaria diligenza che esclude il diritto
al risarcimento dei danni (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 21.03.2011 n.
759 - link a
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EDILIZIA PRIVATA:
Richiesta di
pagamento del costo di costruzione - Cambio
di destinazione d'uso - Nuova destinazione
ammessa dalle N.T.A. -Categorie edilizie
autonome - Vincolo di strumentalità -
Irrilevanza - Legittimità.
Se il cambio di destinazione d'uso di un
immobile, ancorché compatibile nella
medesima zona omogenea, è intervenuto tra
categorie edilizie funzionalmente autonome e
non omogenee, e, quindi, ha integrato una
modificazione edilizia con effetti incidenti
sul carico urbanistico, è soggetta al regime
oneroso, indipendentemente dalla tipologia
delle opere.
Di conseguenza, risultando altresì
irrilevante la rappresenta strumentalità
della nuova destinazione di parte delle aree
(espositiva) alla pregressa destinazione
sussistente nella restante parte di edificio
(produttiva), risulta legittima la richiesta
di pagamento del costo di costruzione
impugnata (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 16.03.2011 n.
740 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Cambio di
destinazione d'uso - Richiesta di nuovo
certificato di agibilità - Modifiche
strutturali - Legittimità.
Considerato che il certificato di agibilità
delle costruzioni di cui agli artt. 24 e 25
D.P.R. n. 380/2001 costituisce
un'attestazione da parte dei competenti
uffici tecnici comunali in ordine alla
sussistenza delle condizioni di sicurezza,
igiene, salubrità e risparmio energetico
degli edifici e degli impianti tecnologici
in essi installati, pare legittimo che una
nuova valutazione sulla sussistenza di dette
condizioni sia richiesta a fronte di
modifiche strutturali, che implicano anche
un cambiamento d'uso degli spazi (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 16.03.2011 n.
740 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Costituzione di servitù
pubblica - Domanda di accertamento -
Impossibilità di costituzione della servitù
- Difetto di giurisdizione - Sussiste.
La domanda di accertamento della
impossibilità di realizzare una servitù
pubblica, concordata con una convenzione
urbanistica per l'attuazione di un Piano di
Recupero, è inammissibile per difetto di
giurisdizione, in quanto non viene
contestata la legittimità di un'attività autoritativa
dell'amministrazione o di un comportamento
che sia riconducibile all'esercizio di un
pubblico potere, bensì la modalità di
esercizio di una servitù che deve essere
costituita a favore del Comune (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 15.03.2011 n.
738 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. Abuso edilizio -
Permesso di costruire in sanatoria - Art.
32, comma 37, D.L. n. 269/2003 - Denunce ICI
e TARSU - Mancata presentazione - Formazione
del silenzio-assenso sull'istanza di
sanatoria - Non sussiste.
2. Abuso edilizio -
Permesso di costruire in sanatoria - Art.
32, comma 40, D.L. n. 269/2003 - Incremento
percentuale - Applicabilità agli oneri
concessori - Non sussiste - Applicabilità ai
diritti ed oneri correlati all'istruttoria
della domanda di sanatoria - Sussiste.
1. La mancata presentazione delle denunce ai
fini dell'imposta comunale sugli immobili di
cui al D. Lgs. 30.12.1992 n. 504,
nonché delle denunce ai fini della tassa per
lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani,
impedisce il formarsi del silenzio-assenso
sulle istanze di permesso di costruire in
sanatoria ai sensi dell'art. 32, c. 37, D.L.
n. 269/2003.
2. L'incremento percentuale previsto
dall'art. 32, comma 40, D.L. n. 269/2003, è
applicabile non agli oneri concessori
relativi all'intervento edilizio, ma ai
diritti ed oneri correlati alla istruttoria
delle domande finalizzate al rilascio del
titolo abilitativo; diritti ed oneri che il
Comune ha facoltà di incrementare in
relazione al maggior impiego di risorse
(personale e mezzi) che qualsiasi sanatoria
-implicante un afflusso eccezionale di
istanze da istruire ed evadere in aggiunta
all'attività ordinaria- notoriamente
richiede (massima
tratta da www.solom.it - TAR
Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 14.03.2011 n.
732 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. Ritardato
pagamento costo di costruzione - Sanzione
pecuniaria ex art. 42 D.P.R. n. 380/2001 -
Sospensione pagamento oneri di
urbanizzazione - Diversa disciplina del
costo di costruzione - Legittimità.
2. Ritardato
pagamento costo di costruzione - Sanzione
pecuniaria ex art. 42 D.P.R. n. 380/2001 -
Fideiussione per pagamento oneri e costo di
costruzione - Irrilevanza - Legittimità.
1. Gli oneri di urbanizzazione ed il costo
di costruzione differiscono, oltre che per
finalità, risultando dovuti i primi per
compensare l'aggravio del carico urbanistico
ed i secondi per l'aumentata capacità
contributiva del titolare, per la disciplina
-di cui agli artt. 45 e 46 L.R. n. 12/2005 e
art. 16 D.P.R. n. 380/2001- in forza della
quale la realizzazione di opere a scomputo o
la monetizzazione possono riguardare
soltanto gli oneri di urbanizzazione e non
certo il costo di costruzione per il quale è
previsto dalla legge soltanto il versamento
a favore del Comune, senza modalità
alternative di assolvimento dell'obbligo di
pagamento.
Di conseguenza la sospensione del
pagamento degli oneri di urbanizzazione, non
giustifica il differimento del versamento
del costo di costruzione, risultando
legittima l'applicazione della sanzione ex
art. 42 D.P.R. n. 380/2001 per ritardato
pagamento impugnata.
2. Ai fini del differimento del pagamento
del costo di costruzione, nessuna rilevanza
assume la presentazione da parte della
ricorrente di una polizza fideiussoria a
garanzia del pagamento degli oneri di
urbanizzazione sospesi ed anche della quota
pari al costo di costruzione, visto che tale
fideiussione costituisce garanzia di
adempimento ma non può assurgere a
giustificazione del ritardo visto che
l'Amministrazione garantita, in caso di
inadempimento, non ha alcun onere di
escutere il fideiussore prima del debitore
principale
(massima
tratta da www.solom.it - TAR
Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 14.03.2011 n.
731 - link a
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EDILIZIA PRIVATA:
1. Centro
commerciale - Elemento caratterizzante -
Esistenza di servizi ed infrastrutture
comuni agli esercizi commerciali che lo
costituiscono.
2. Variante
semplificata - Art. 2, comma 3°, L.R. n.
23/1997 - Scheda informativa - Omessa
compilazione - Costituisce una mera
irregolarità - Sanzione - Non sussiste.
1. L'elemento caratterizzante del centro
commerciale è rappresentato dall'esistenza
di servizi ed infrastrutture comuni agli
esercizi commerciali che costituiscono il
centro stesso.
2. L'omessa compilazione della scheda
informativa di cui all'art. 2, comma 3°,
della L.R. n. 23/1997 costituisce una mera
irregolarità, non prevedendo la legge alcuna
sanzione per l'omissione di cui sopra (massima tratta da www.solom.it
- TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 14.03.2011 n.
730 - link a
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EDILIZIA PRIVATA:
Impugnazione
certificato di destinazione urbanistica -
Natura dichiarativa - Manca l'efficacia provvedimentale - Illegittimità.
Considerato che il certificato di
destinazione urbanistica (di cui all'art. 30
D.P.R. n. 380/2001), in quanto atto di
certificazione redatto da un pubblico
ufficiale, ha natura ed effetti meramente
dichiarativi e non costitutivi di posizioni
giuridiche che discendono in realtà da altri
provvedimenti, è privo di concreta lesività,
il che rende inammissibile la sua autonoma
impugnazione
(massima
tratta da www.solom.it - TAR
Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 14.03.2011 n.
729 - link a
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EDILIZIA PRIVATA:
Pianificazione
territoriale - Destinazione agricola di
un'area - Necessità di esercizio sulla
stessa dell'attività agricola - Non
sussiste, potendo corrispondere a esigenze
di salvaguardia ambientale.
La destinazione agricola di un'area non
implica necessariamente l'esercizio sulla
stessa dell'attività agricola ex art. 2135
del codice civile, potendo invece essere
ispirata anche da esigenze di salvaguardia
ambientale (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 14.03.2011 n.
728 - link a
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URBANISTICA:
1. Adozione del
Piano di Governo del Territorio - Parere
della Regione - Art. 13, c. 5-bis, L.R. n.
12/2005 - Previsioni infrastrutturali -
Politica territoriale statale - Prevalente
ex lege - Mancanza di contrasto -
Legittimità.
2. Adozione del
Piano di Governo del Territorio -
Azzonamento - Destinazione agricola -
Discrezionalità amministrativa -
Legittimità.
1. Il parere rilasciato dalla Regione ai
sensi dell'art. 13, c. 5-bis, L.R. n.
12/2005 ai comuni appartenenti a province
non dotate di Piano territoriale di
coordinamento (P.T.C.P.) da osservarsi a
pena di inefficacia (art. 13, c. 7), è
vincolante per il Comune solo in relazione
agli indirizzi regionali di politica
territoriale, mentre le previsioni
infrastrutturali citate nel parere,
attengono non alla politica della Regione
stessa, bensì a quella dello Stato, non
risultando conseguentemente, l'adozione di
un P.G.T. non conforme alle prescrizioni
infrastrutturali regionali, illegittimo per
violazione del parere regionale.
Inoltre,
non potendosi ravvisare una violazione delle
prescrizioni statali relative alle
infrastrutture strategiche, che sono in ogni
caso prevalenti ex lege sulle eventuali
norme difformi di piano, secondo un
meccanismo analogo a quello dell'art. 1339
c.c. o dell'art. 1374 c.c. (per cui le
previsioni statali integrano il contenuto
del P.G.T.), si deve ritenere che il P.G.T.
sia stato legittimamente adottato.
2. Le scelte dell'Amministrazione comunale
al momento dell'adozione di atti di
pianificazione territoriale sono espressione
di ampia discrezionalità amministrativa, non
censurabile se non in caso di manifesta
illogicità, non sussistente in caso di
azzonamento agricolo ispirato anche da
esigenze di salvaguardia ambientale (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 14.03.2011 n.
727 - link a
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EDILIZIA PRIVATA:
Giurisdizione -
Tribunale delle acque pubbliche -
Provvedimenti amministrativi incidenti sulla
materia delle acque pubbliche -
Giurisdizione del Tribunale delle acque
pubbliche - Sussiste.
La giurisdizione del tribunale delle acque
pubbliche ha per oggetto, tra l'altro, i
ricorsi avverso i provvedimenti
amministrativi che, pur se promananti da
autorità diverse da quelle preposte al
settore, sono caratterizzati dall'incidenza
immediata e diretta sulla materia delle
acque pubbliche e che, pur se volti alla
soddisfazione di interessi più generali o
comunque diversi rispetto a quelli più
specifici sottesi all'uso delle acque
pubbliche e all'autorizzazione delle opere
idrauliche, interferiscono inevitabilmente
con questi ultimi (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 14.03.2011 n.
726 - link a
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EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA:
1. Convenzione
urbanistica ex art. 11 L. n. 241/1990 -
Delibera della Giunta di risoluzione -
Inadempimento - Incompetenza - Principio del contrarius actus - Non sussiste.
2. Convenzione
urbanistica ex art. 11 L. n. 241/1990 -
Risoluzione per inadempimento - Termine
essenziale - Legittimità.
1. La delibera di risoluzione di una
convenzione urbanistica si pone come un atto
di esecuzione della convenzione stessa, nel
senso che l'organo dotato di competenza
amministrativa generale e residuale ex art.
48 d.lgs. n. 267/2000 (la Giunta), può
legittimamente accertare la sussistenza dei
presupposti di legge (artt. 1453 e ss. c.c.,
applicabili in virtù dell'art. 11, c. 2, L.
n. 241/1990) tali da far ritenere meno gli
effetti dell'accordo.
Peraltro la delibera
della Giunta non si è posta in contrarius
actus con la volontà precedentemente
espressa dal Consiglio comunale perché non
ha espresso una volontà politica contraria
ma ha semplicemente verificato la
sussistenza dei presupposti per la
risoluzione della convenzione, e, in
coerenza con la scelta dell'organo
assembleare che aveva approvato la
convenzione urbanistica consentendo il
rilascio di un permesso di costruire in
deroga agli strumenti urbanistici a
condizione che fossero realizzate opere
pubbliche di interesse per il Comune,
accertata la mancata realizzazione di tali
opere, ha risolto l'accordo negoziale.
2. Nel caso di una convenzione urbanistica
stipulata per consentire di effettuare un
intervento in deroga ex art. 40 L.R. n.
12/2005 a condizione di realizzare opere
pubbliche, che, pur avendo durata decennale,
ha previsto un diverso termine per
l'esecuzione delle opere oggetto
dell'accordo, quest'ultimo termine, in
ragione di una lettura complessiva delle
clausole contrattuali, indipendentemente
dall'esplicita qualificazione di essenziale
attribuita dalle parti e tenuto conto della
rilevanza delle opere pubbliche concordate
in relazione ad un Comune di piccole
dimensioni, deve essere ritenuto essenziale (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 04.03.2011 n.
628 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Rettifica
dell'atto amministrativo - Mera correzione
di errore materiale emergente dal contesto
in cui l'errore si trova - Modifica in senso
peggiorativo della motivazione dell'atto -
Possibilità di rettifica - Non sussiste.
L'istituto della rettifica dell'atto
amministrativo è finalizzato a correggere un
semplice errore materiale in cui sia incorsa
l'Amministrazione nell'emanare l'atto e che
deve emergere direttamente dall'esame del
contesto in cui l'errore si trova, per cui
deve escludersi la possibilità di rettifica
in caso di modifica in senso peggiorativo
della motivazione degli atti a suo tempo
compilati, con l'intento di giustificare in
via postuma l'operato (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 04.03.2011 n.
627 - link a
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EDILIZIA PRIVATA:
Modifica della
disciplina urbanistica - Ordine di non
effettuare i lavori - Parte di lotto non
edificato - Potenzialità edificatoria -
Lotto urbanistico unitario - Principio di
successione nel tempo delle norme -
Illegittimità.
Nel caso in cui un originario lotto
urbanistico abbia acquisito una maggiore
potenzialità edificatoria in dipendenza di
modifiche alla disciplina urbanistica, e,
quindi, la parte rimasta inedificata sia
suscettibile di edificazione, per verificare
l'edificabilità di questa parte di lotto e
quantificare la volumetria su di essa
realizzabile, occorre partire
dall'originario lotto interamente asservito
alla precedente costruzione, il quale, in
virtù del carattere "unitario", è l'unico ad
avere acquisito e mantenuto una "propria"
potenzialità edificatoria, e sottrarre dalla
predetta potenzialità, calcolata con
riferimento agli indici di edificabilità
previsti dalla nuova normativa urbanistica,
la volumetria dei fabbricati già realizzati
sull'unica, complessiva, area.
Di conseguenza, risultando il principio
della successione nel tempo delle norme
applicabile anche ai piani urbanistici,
l'ordine di non effettuare i lavori
impugnato, che non ha preso a riferimento il
maggiore indice di fabbricabilità previsto
per l'area in questione dal nuovo piano di
governo del territorio, è illegittimo (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 03.03.2011 n.
614 - link a
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EDILIZIA PRIVATA:
Art. 2, L.R. n.
13/2009 - Ambito di applicazione - Abuso
edilizio - Applicabilità della normativa
regionale - Non sussiste, neppure in caso di
opere solo parzialmente abusive - Immobili
dotati di titoli validi ab origine -
Applicabilità della normativa regionale -
Sussiste.
La L.R. n. 13/2009 opera solo per interventi
futuri, ancora da realizzare, e non può
essere applicata per sanare opere anche solo
parzialmente abusive, recuperando in tal
modo i maggiori volumi, in deroga alle
previsioni quantitative degli strumenti
urbanistici, che la legge assegna solo ad
immobili dotati di titoli validi ab
origine (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 02.03.2011 n.
606 - link a
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EDILIZIA PRIVATA:
D.M. 01.04.1968 n. 1404 - Fascia di rispetto
autostradale - Vincolo assoluto di inedificabilità - Condono edilizio - Non
ammissibile - Caratteristiche concrete delle
opere abusive - Non rilevano.
Nell'ambito della fascia di rispetto
autostradale di 60 metri, prevista dal D.M.
01.04.1968 n. 1404, il vincolo di inedificabilità
è assoluto e la sua violazione impedisce il
conseguimento di una concessione edilizia a
seguito di domanda di condono edilizio,
essendo a tal fine irrilevanti le
caratteristiche concrete delle opere abusive
realizzate nell'ambito della fascia medesima (massima tratta da www.solom.it
- TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 02.03.2011 n.
603 - link a
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EDILIZIA PRIVATA:
1. Procedura S.U.A.P. in variante ex art. 5 D.P.R. n.
447/1998 - Conferenza di Servizi - Parere
provinciale tardivo - Art. 14-ter, c. 7, L.
n. 241/1990 - Interpretazione ratione
temporis - Silenzio assenso - Sussiste.
2. Procedura S.U.A.P. in variante ex art. 5 D.P.R. n.
447/1998 - Verifica di compatibilità con norme
del P.T.C.P. e P.T.R. - art. 20 L.R. n.
12/2005 - Rete Ecologica Regionale - Non
sussistono norme prevalenti - Legittimità.
1. L'art. 14-ter, c. 7, L. n. 241/1990, pur
nel tenore di cui all'art. 49 D.L.
31.05.2010 n. 78 prima delle modifiche della
L. 30.07.2010 n. 122 di conversione, deve
essere interpretato alla luce della legge di
conversione che, sopprimendo dopo le parole
"in materia di VIA, VAS e AIA" la parola "paesaggistico-territoriale",
ha (letteralmente) chiarito come il sistema
di considerare assenso il silenzio serbato
dall'Amministrazione all'esito dei lavori
della Conferenza di Servizi opera in tutte
le ipotesi con la sola esclusione dei
provvedimenti in materia di VIA, VAS e AIA
in quanto non vi sarebbe ragione per
ammettere alla procedura del
silenzio-assenso il parere ambientale e non
quello paesaggistico, mentre ha una sua
logica escludere da tale meccanismo per le
tre tipologie di pareri di particolare
rilievo indicate nella norma.
Conseguentemente, stante l'assenza in sede
di Conferenza dei Servizi del rappresentante
della Provincia e la trasmissione da parte
di tale Amministrazione di un parere
paesaggistico quando l'attività della
Conferenza di Servizi era conclusa, la
procedura di cui all'art. 5 D.P.R. n.
447/1998 per l'approvazione di un progetto
di impianto produttivo in variante al P.G.T.
non è viziata dalla mancata valutazione del
parere tardivo risultando correttamente
acquisito detto parere mediante il silenzio.
2. Non sussiste violazione dell'art. 5
D.P.R. n. 447/1998, come integrata dall'art.
97 L.R. n. 12/2005, nella parte relativa
alla verifica di compatibilità con le norme
del P.T.C.P. (Piano Territoriale di Governo
del Territorio) e del P.T.R. (Piano
Territoriale Regionale), nell'ipotesi in cui
non sussistono in tali piani di riferimento
norme prevalenti che possano impedire la
variante urbanistica approvata per
realizzare un impianto produttivo; in
particolare la Rete Ecologica Regionale (R.E.R.)
introdotta con il P.T.R. (che contiene
prescrizioni di carattere orientativo per la
programmazione regionale di settore) non
implica alcuna diretta limitazione di
inedificabilità e la stessa non ha carattere
di norma prevalente sulle norme del P.G.T.
ai sensi dell'art. 20 L.R. n. 12/2005 (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 02.03.2011 n.
600 - link a
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EDILIZIA PRIVATA:
Permesso di costruire in
sanatoria - Presentazione dell'istanza -
Acquiescenza al provvedimento repressivo
impugnato - Non sussiste.
Un'istanza volta ad ottenere il rilascio di
un permesso di costruire in sanatoria non
può essere interpretata come espressiva di
acquiescenza, essendo stata presentata
proprio in conseguenza della illegittimità
contestata dall'amministrazione con il
provvedimento repressivo impugnato.
È, invece, acquiescenza quella desumibile da
comportamenti univoci posti liberamente in
essere e che dimostrano l'indiscutibile
volontà del privato di accettare gli effetti
di un provvedimento amministrativo (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 01.03.2011 n.
596 - link a
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EDILIZIA PRIVATA:
Proprietari di
terreni circostanti e adiacenti ad area
interessata da intervento edilizio assentito
- Criterio della "vicinitas" - Interesse a
ricorrere - Sussiste.
E' consentita l'impugnazione dei titoli
edilizi al proprietario di immobili siti
nella zona in cui è permesso l'intervento
costruttivo, soprattutto nel caso di
soggetti confinanti, poiché sussiste in tal
caso il requisito della c.d. vicinitas, che
legittima alla contestazione in sede
giurisdizionale del titolo autorizzativo
(cfr. Cons. di Stato, sent. n. 7591/2010,
TAR Lecce, sent. n. 2078/2010; TAR Brescia,
sent. n. 3556/2010; TAR Milano, sent. n.
3970/2009) (massima tratta da www.solom.it
- TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 28.02.2011 n.
582 - link a
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EDILIZIA PRIVATA:
D.I.A. -
Sindacato giurisdizionale diretto sulla
D.I.A. - Ammissibilità.
E' ammissibile un sindacato
giurisdizionale diretto sulla DIA, sia esso
finalizzato ad accertarne l'illegittimità o
ad annullare il titolo abilitativo tacito o
implicito formatosi su di essa (cfr. Cons.
di Stato, sent. nn. 2139/2010, 72/2010,
5811/2008, TAR Milano, sent. 227/2011) (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 22.02.2011 n.
518 - link a
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ATTI AMMINISTRATIVI:
1. Ricorso
giurisdizionale - Interesse a ricorrere -
Progettista - Interesse legittimo
differenziato - Non sussiste - Intervento ad adiuvandum - Possibilità.
2. Ricorso
giurisdizionale - Interesse a ricorrere -
Progettista - Interesse legittimo
differenziato - Interesse morale - Non
sussiste.
1. E' esclusa in capo al progettista la
titolarità di un interesse legittimo
differenziato che gli consenta
l'impugnazione di provvedimenti relativi ad
interventi edilizi, potendo semmai il
progettista stesso proporre intervento "ad adiuvandum" nel giudizio promosso dal
committente proprietario (cfr. TAR
Milano, sent. n. 265/2011; TAR Parma,
sent. n. 61/2010; TAR Firenze, sent. n.
986/2009; TAR Catania, sent. n. 523/2001,
Cons. di Stato, sent. n. 1250/2001).
2. Non sussiste un interesse, neppure
morale, in capo al professionista
progettista, all'impugnazione del diniego di
intervento edilizio, richiesto da un terzo e
respinto dal comune, anche nel caso in cui
si trattasse di errore di rappresentazione
progettuale, in quanto tale diniego
inciderebbe sullo "ius aedificandi"
e non sull'esercizio della professione del
progettista, né sulle sue qualità e il suo
prestigio, che non possono reputarsi
chiamate in causa da un rilievo tecnico
operato dall'amministrazione per uno scopo
del tutto diverso, cioè il perseguimento del
corretto uso del territorio (cfr. TAR
Firenze, sent. n. 986/2009) (massima tratta da www.solom.it
- TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 17.02.2011 n.
484 - link a
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URBANISTICA:
Destinazione aree
a zone per l'istruzione dell'obbligo -
Natura conformativa del vincolo -
Reiterazione del vincolo - Possibilità.
La destinazione di aree a zone per
l'istruzione dell'obbligo non comporta
l'imposizione di un vincolo espropriativo,
bensì solo conformativo, essendo
conformativa la natura di tale destinazione:
pertanto, non trattandosi di un vincolo
espropriativo, la conferma della
destinazione a zona per l'istruzione
dell'obbligo non necessita di una
particolare motivazione (cfr. TAR Genova,
sent. n. 663/2010; TAR Bari, sent. n.
403/2009) (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 17.02.2011 n.
483 - link a
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EDILIZIA PRIVATA:
Permesso di
costruire in sanatoria - Art. 32, comma 37,
L. n. 326/2003 - Silenzio-assenso - Termine
biennale - Decorre dalla presentazione di
un'istanza debitamente documentata.
Il biennio assegnato al Comune dal comma 37
dell'art. 32, L. n. 326/2003 per provvedere
sulla domanda di condono edilizio, trascorso
il quale si forma il silenzio-assenso,
decorre dalla presentazione di un'istanza
debitamente documentata (cfr. Cons. di
Stato, sent. n. 4174/2010; 23.07.2009 n.
4671/2009; sez. V, 21.09.2005 n. 4946/2005;
TAR Milano, sent. nn. 7216, 7217, 7218,
7222, 7224, 7240 del 2010) (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 15.02.2011 n.
473 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. Mutamento di
destinazione d'uso - Divieto di introdurre
limiti quantitativi alla presenza di
destinazioni complementari a fianco di
quelle principali - Illegittimità.
2. Mutamento di
destinazione d'uso - Incremento di valore
degli immobili - Stima dell'Agenzia del
Territorio - E' atto endoprocedimentale -
Conseguenze - Onere di impugnabilità della
stima - Non sussiste.
1.
In materia di disciplina dei mutamenti delle
destinazioni d'uso degli immobili, ai sensi
dell'art. 1, comma 2, L.R. 1/2001 -norma oggi abrogata, ma sostanzialmente
confluita nell'art. 51, comma 1, lett. d), L.R. 12/2005- da un lato, è consentito ai
comuni di escludere in toto determinate
destinazioni: dall'altro, tuttavia, tale
norma non può essere intesa come divieto di
introdurre limiti quantitativi alla presenza
di destinazioni complementari a fianco di
quella o quelle identificate come
principali.
2. In materia di rilevazioni di incremento
di valore degli immobili nel passaggio da
una destinazione d'uso ad un'altra, la stima
dell'Agenzia del Territorio costituisce atto
interno, non direttamente lesivo, e pertanto
impugnabile solo unitamente al provvedimento
che irroga la sanzione: ciò esclude la
configurabilità dell'Agenzia del Territorio
come contraddittore necessario (cfr. TAR
Milano, sent. n. 1546/2010) (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 11.02.2011 n.
468 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Contributi e
oneri - Rimborso della differenza tra oneri
concessori versati per il terziario e minori
oneri dovuti per l'abitativo -
Impossibilità.
Una volta che l'intervento edilizio sia
stato realizzato in base a permesso di
costruire chiesto dall'interessato e questi
ne abbia successivamente mutata la
destinazione d'uso, non è dovuto alcun
rimborso della differenza tra oneri
concessori versati per il terziario e
(minori) oneri dovuti per l'abitativo:
infatti, nessuna norma prevede la
restituzione degli oneri (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 11.02.2011 n.
468 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Edificazione in
assenza di piano attuativo - Possibilità
-Presupposti.
Un terreno è suscettibile di edificazione in
assenza di piano attuativo soltanto quando
si accerti la sussistenza di una situazione
di fatto perfettamente corrispondente a
quella derivante dall'attuazione del piano
esecutivo e, quindi, allorché ricorrano,
congiuntamente, le seguenti condizioni:
l'area, seppur edificabile, non sia stata
ancora edificata; ricada in una zona
integralmente interessata da costruzioni;
sia dotata di tutte le opere di
urbanizzazione, primarie e secondarie,
previste dagli strumenti urbanistici; sia
valorizzata da un provvedimento edilizio del
tutto conforme al piano regolatore generale
(cfr. Cons. di Stato, sent. n. 3699/2010) (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenze 10.02.2011 nn.
434 e
435 - link a
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URBANISTICA:
Standard
urbanistici - Sovradimensionamento -
Motivazione - Quando è necessaria.
In materia di sovradimensionamento, il discostamento dagli standard minimi non
necessita di motivazione laddove si tratti
di aumento contenuto: invece, la motivazione
è necessaria, con riguardo alle specifiche e
peculiari esigenze che sostengono la scelta
pianificatoria, qualora questa si sostanzi
in un consistente sovradimensionamento
rispetto alle soglie di legge (cfr. Cons. di
Stato , sent. n. 1176/2010) (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenze 10.02.2011 nn.
434 e
435 - link a
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ENTI LOCALI:
Nomina del titolare di
un organo monocratico o di un componente di
un organo collegiale - Annullamento
giurisdizionale - Validità degli atti emessi
prima dell'annullamento - Permane -
Principio c.d. del funzionario di fatto.
In caso di annullamento in sede
giurisdizionale della nomina del titolare di
un organo monocratico o di un componente di
un organo collegiale, l'accertata invalidità
dell'atto di investitura non ha di per sé
alcuna conseguenza sugli atti emessi in
precedenza, poiché quando l'organo è
investito di funzioni di carattere generale,
il relativo procedimento di nomina ha una
sua piena autonomia, sicché i vizi della
nomina non si riverberano sugli atti rimessi
alla sua competenza generale (cfr. Cons. di
Stato, sent. n. 2407/2008): ciò, in base al
principio c.d. del funzionario di fatto, per
cui l'annullamento giurisdizionale dell'atto
di nomina non travolge gli atti adottati
nell'esercizio della funzione e riguardanti
soggetti diversi da quelli che hanno
impugnato l'atto di nomina (cfr. Cons. di
Stato, sent. n. 992/2005) (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 08.02.2011 n.
402 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Beni storici e artistici -
Interesse storico-artistico - Valutazioni -
Discrezionalità tecnica e discrezionalità
amministrativa - Impugnabilità - Solo in
presenza di evidenti profili di illogicità o
travisamento dei fatti.
Nella valutazione sull'interesse storico di
un bene, l'apprezzamento operato
dall'Amministrazione presenta profili di
discrezionalità particolarmente intensi, con
il corollario che tale apprezzamento è
sindacabile dal Giudice Amministrativo solo
in ipotesi di manifesta illogicità o
travisamento dei fatti in cui è evidente lo
sconfinamento del potere discrezionale
riconosciuto alla P.A.
(massima
tratta da www.solom.it - TAR
Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 08.02.2011 n.
387 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Procedimento
amministrativo - Comunicazione di avvio -
Atto vincolato - Necessità - Non sussiste.
La comunicazione di avvio del
procedimento diviene superflua quando
l'adozione del provvedimento finale è
doverosa -oltre che vincolata- per la P.A.
e l'eventuale annullamento del provvedimento
finale, per accertata violazione
dell'obbligo formale di comunicazione, non
priverebbe l'Amministrazione del potere -o
addirittura del dovere- di adottare un nuovo
provvedimento di identico contenuto
(massima
tratta da www.solom.it - TAR
Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 08.02.2011 n.
387 - link a
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EDILIZIA PRIVATA:
Impugnazione
titoli edilizi - Termine - Decorrenza -
Completamento della costruzione nel suo
assetto planivolumetrico definitivo.
Il termine per l'impugnazione dei titoli
abilitativi edilizi decorre - perlomeno in
casi come quello di specie, dove è
contestata l'inosservanza delle distanze -
dal completamento della costruzione nel suo
assetto planivolumetrico definitivo, o al
"rustico", cioè dal momento in
cui l'interessato è in grado di percepire la
lesione alla propria posizione giuridica,
visto lo stato di avanzamento e di
realizzazione dell'edificazione (cfr. Cons.
di Stato, sent. n. 18/2011; TAR Milano,
sent. n. 7511/2010) (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 08.02.2011 n.
386 - link a
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URBANISTICA:
Disposizioni
contenute nel PRG e nei piani attutivi -
Impugnazione - Interesse a ricorrere -
Vicinitas - Non sufficienza - Effettività
del danno - Necessità.
Ai fini della legittimazione
all'impugnazione di piani urbanistici, anche
attuativi, è necessario che l'esponente
fornisca la prova non solo della vicinanza
del proprio fondo a quello oggetto del
piano, ma anche dell'effettività del danno
derivante dall'intervento urbanistico (cfr.
TAR Milano, sent. n. 90/2011, sent n.
1551/2008; Cons. di Stato, sent. n.
1548/2008).
E', pertanto, inammissibile per
difetto di interesse il ricorso proposto da
proprietari residenti nelle vicinanze
dell'area oggetto del PII ove non venga
fornita alcuna prova del danno concreto
subito (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 08.02.2011 n.
383 - link a
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ATTI AMMINISTRATIVI:
1. Ricorso amministrativo -
Controinteressato - Caratteri ed
Individuazione - Mera partecipazione al
procedimento o semplice presentazione di
esposti e denunce - Insufficienza.
2. Preavviso di
rigetto ex art. 10-bis, L. 241/1990 -
Carattere interlocutorio - Mancanza di lesività attuale - Impugnabilità - Non
sussiste.
3. Ricorso amministrativo - Consulenza
tecnica d'ufficio - Istruttoria volta a
colmare lacune procedimentali della P.A. -
Inammissibilità.
4. Atto amministrativo - Motivazione -
Integrazione successiva - In sede
giurisdizionale - Motivazione contenuta in
atti difensivi - Inammissibilità.
1. La mera partecipazione al procedimento o
la semplice presentazione di esposti e
denunce all'autorità pubblica non
costituiscono condizioni sufficienti ad
acquisire la qualità di controinteressato
nel giudizio amministrativo (cfr. TAR
Latina, sent. n. 293/2010; TAR Napoli,
sent. n. 1918/2010; Cons. di Stato, sent. n.
547/2006).
2. Qualora in un provvedimento la P.A., da
un lato, parli di "archiviazione" della
pratica, ma, dall'altro, richiami l'art.
10-bis della Legge 241/1990 -come se l'atto
non rappresentasse una determinazione
definitiva, ma soltanto un preavviso di
rigetto- il provvedimento risulta non
impugnabile, non apparendo chiara la sua
effettiva portata lesiva (cfr. TAR
Milano, sent. n. 7192/2010).
3. E' inammissibile la consulenza tecnica
d'ufficio qualora si configuri come attività
istruttoria volta a colmare le lacune
procedimentali -consulenza tecnica c.d.
esplorativa- in cui sia incorsa la P.A. che
non abbia adeguatamente assolto l'onere
della prova della propria pretesa di inibire
l'attività edificatoria dell'esponente (cfr.
TAR Catania, sent. n. 2930/2010).
4. Pur dopo le modifiche alla Legge 241/1990
introdotte con la Legge 15/2005, permane nel
processo amministrativo il divieto di
integrare la motivazione con gli atti
difensivi (cfr. TAR Piemonte, sent. n.
4550/2010) (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 08.02.2011 n.
382 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
1. P.I.I. - Parere
di compatibilità con il P.T.C.P. -
Competenza della Giunta Provinciale -
Sussiste.
2. P.G.T. -
Osservazioni dei privati - Natura
collaborativa - Rigetto delle osservazioni -
Motivazione particolare - Necessità - Non
sussiste.
1.
Rientra nella competenza della giunta
provinciale emettere pareri di compatibilità
di un programma integrato di intervento con
il P.T.C.P. (cfr. Cons. di Stato, sent. n.
3333/2009, TAR Milano, sent. n.
7614/2010).
2. Dal momento che le osservazioni dei
privati ai progetti di strumenti urbanistici
costituiscono un mero apporto collaborativo
alla formazione di detti strumenti e non
danno luogo a peculiari aspettative, ne
deriva che il loro rigetto non richiede una
specifica motivazione, essendo sufficiente
che esse siano state esaminate e ritenute in
contrasto con gli interessi e le
considerazioni generali poste a base della
formazione del piano (cfr. Cons. di Stato,
sent. n. 3358/2008) (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 01.02.2011 n.
329 - link a
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EDILIZIA PRIVATA:
1. Giustizia amministrativa - Ricorso
giurisdizionale - Interesse a ricorrere -
Requisiti - Ricorso in cui l'interesse
risulti privo del requisito della
personalità - Interesse - Non sussiste.
2. Concessione
edilizia - Terzo confinante - Legittimazione
ad intervenire nel procedimento - Sussiste -
Titolo a ricevere l'avviso di avvio del
procedimento - Non sussiste.
1. Poiché nel processo amministrativo
l'interesse a ricorrere è caratterizzato
dalla presenza degli stessi requisiti che
qualificano l'interesse ad agire di cui
all'art. 100 c.p.c., ovverossia dalla
prospettazione di una lesione concreta ed
attuale della sfera giuridica del ricorrente
e dall'effettiva utilità che potrebbe
derivare a quest'ultimo dall'eventuale
annullamento dell'atto impugnato, è
inammissibile il ricorso in cui l'interesse
risulti privo del requisito della
personalità, non riguardando specificamente
e direttamente la sfera del ricorrente (cfr.
TAR Roma, sent. n. 37190/2010).
2. Nel caso in cui venga proposta una
domanda volta ad ottenere il rilascio di un
titolo edilizio, il vicino del richiedente
può intervenire nel corso del relativo
procedimento e può impugnare il
provvedimento che accolga l'istanza:
tuttavia, egli non ha titolo a ricevere
l'avviso dell'avvio del procedimento in
quanto ciò comporterebbe un aggravio del
procedimento, in palese violazione dei
principi di economicità ed efficacia
dell'attività amministrativa (cfr. Cons. di
Stato, sent. n. 1197/1999; n. 1533/2002; n.
1773/2005; TAR Milano, sent. n. 3253/2010;
TAR Liguria, sent. n. 1736/2009) (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 01.02.2011 n.
329 - link a
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EDILIZIA PRIVATA:
Ordinanza di demolizione
- Pagamento sanzione pecuniaria -
Acquiescenza al provvedimento - Non
sussiste.
Qualora il pagamento delle somme ingiunte
dalla P.A. al privato possa ragionevolmente
collegarsi alla volontà di quest'ultimo di
sottrarsi al pregiudizio ulteriore che
sarebbe potuto derivare dalla esecuzione
forzata posta in essere in base al
provvedimento di demolizione impugnato,
oltre che alla volontà di conseguire il
relativo certificato di abitabilità, ne
consegue che nell'avvenuto pagamento non può
ravvisarsi acquiescenza al provvedimento
(cfr. Cons. di Stato, sent. n. 4424/2005;
TAR Milano, sent. n. 66801/2007) (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 01.02.2011 n.
328 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
CONDOMINIO:
COMUNIONE E CONDOMINIO -
CONDOMINIO - INNOVAZIONI E MODIFICHE -
VIOLAZIONE DEL DECORO ARCHITETTONICO -
VALUTAZIONE IN RELAZIONE ALL'IMPATTO CON
L'AMBIENTE - ESCLUSIONE.
Spetta al giudice di merito accertare in
concreto se una data innovazione costituisce
o meno alterazione del decoro
architettonico, per cui la sentenza che
affermi o meno l'esistenza di detta
alterazione è censurabile in sede di
legittimità solo per vizio di motivazione
sul punto.
Il decoro architettonico, quale estetica
data dall'insieme delle linee e delle
strutture ornamentali che costituiscono la
nota dominante dell'edificio imprimendo allo
stesso una sua armoniosa fisionomia, deve
essere valutato, ai sensi dell'articolo
1120, comma 2, del codice civile con
riferimento al fabbricato condominiale nella
sua totalità (potendo anche interessare
singoli punti del fabbricato purché l'immutazione
di essi sia suscettibile di riflettersi
sull'intero stabile) e non rispetto
all'impatto con l'ambiente circostante
(Corte di Cassazione, Sez. II, civile,
sentenza 25.01.2010 n. 1286 - commento
tratto da www.diritto24.ilsole24ore.com). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
legislatore ha configurato un procedimento
di definizione della domanda di accertamento
di conformità paesaggistica che deve
svolgersi nel temine espressamente indicato
come perentorio di 120 giorni.
La mancata adozione della relativa
determinazione produce senz’altro
l’insorgere del c.d. silenzio-rifiuto o
silenzio-inadempimento, che si forma
illegittimamente per l’inosservanza del
termine previsto quale data ultimativa per
rendere la prevista pronuncia.
L’inerzia eventuale vìola, peraltro, il
disposto di cui all’art. 2 della legge n.
241/1990 che sancisce il principio di
carattere generale delle certezza del tempo
delle determinazioni da assumersi da parte
della P.A., sicché non può non censurarsi il
comportamento omissivo tenuto dal Comune che
ha il preciso onere di rendere la chiesta
pronuncia nel termine ad esso fissato
dall'art. 181, comma 1-quater, del dlgs. n.
42 del 2004.
L’art. 181, comma 1-quater, del dlgs. n. 42
del 2004 prevede la possibilità per il
proprietari di immobili oggetto di
interventi edilizi realizzati in area
sottoposta a vincolo paesaggistico: di
presentare domanda di accertamento di
compatibilità paesaggistica e l’autorità
competente (nella specie il Comune quale
ente subdelegato dalla Regione) si pronuncia
sulla domanda entro il termine perentorio di
centottanta giorni, previo parere vincolante
della Soprintendenza da rendersi entro il
termine perentorio di novanta giorni.
Il legislatore dunque ha configurato un
procedimento di definizione della domanda di
accertamento di conformità paesaggistica che
deve svolgersi nel temine espressamente
indicato come perentorio di 120 giorni e
nella specie tale spatium temporis
risulta essere trascorso senza che la
pronuncia sia avvenuta o comunque non
trasmessa al ricorrente.
La mancata adozione della relativa
determinazione ha prodotto senz’altro
l’insorgere del c.d. silenzio-rifiuto o
silenzio-inadempimento, formatosi, appunto,
illegittimamente per l’inosservanza del
termine previsto quale data ultimativa per
rendere la prevista pronuncia.
L’inerzia fatta registrare vìola peraltro il
disposto di cui all’art. 2 della legge n.
241/1990 che sancisce il principio di
carattere generale delle certezza del tempo
delle determinazioni da assumersi da parte
della P.A., sicché non può non censurarsi il
comportamento omissivo tenuto dal Comune di
Bagno a Ripoli che, come sopra detto aveva
il preciso onere di rendere la chiesta
pronuncia nel termine ad esso fissato dalla
normativa suindicata.
In forza delle suesposte considerazioni il
Collegio, in accoglimento della pretesa
sostanziale fatta valere in ricorso, deve
accertare siccome accerta essersi inverato
nella specie il silenzio-inadempimento da
parte del Comune di Bagno a Ripoli in ordine
all’istanza di accertamento di compatibilità
paesaggistica presentata dal ricorrente il
15.05.2006, con conseguente intimazione
all’Amministrazione di provvedere con
pronuncia espressa su detta istanza nel
temine che si indica nella parte dispositiva
della presente decisione
(TAR Toscana, Sez. III,
sentenza 06.02.2008 n. 122 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
CONDOMINIO:
COMUNIONE DEI DIRITTI REALI -
CONDOMINIO NEGLI EDIFICI - PARTI COMUNI
DELL'EDIFICIO - CORTILI, CHIOSTRINE,
FINESTRE - Aree condominiali scoperte -
Destinazione in parte a parcheggio delle
vetture dei condomini ed in parte a parco
giochi - Delibera assembleare - Approvazione
- All'unanimità - Necessità - Esclusione - A
maggioranza - Legittimità.
La delibera assembleare di destinazione di
aree condominiali scoperte in parte a
parcheggio autovetture dei singoli condomini
e in parte a parco giochi va approvata a
maggioranza qualificata dei condomini ex
art. 1136 quinto comma, cod. civ.) -con la
quale possono essere disposte tutte le
innovazioni dirette al miglioramento o
all'uso più comodo o al maggior rendimento
delle cose comuni (art. 1120 primo comma,
cod. civ.)- non essendo all'uopo necessaria
l'unanimità dei consensi degli aventi
diritto al voto (Corte di Cassazione, Sez. II civile, sentenza 29.12.2004 n. 24146
- commento tratto da
www.diritto24.ilsole24ore.com). |
CONDOMINIO:
COMUNIONE DEI DIRITTI REALI -
CONDOMINIO NEGLI EDIFICI - PARTI COMUNI
DELL'EDIFICIO - CORTILI, CHIOSTRINE,
FINESTRE - Cortile - Destinazione a
parcheggio di autoveicoli - Delibera
assembleare - Approvazione a maggioranza -
Validità - Fondamento.
In tema di condominio, la delibera
assembleare di destinazione del cortile a
parcheggio di autovetture -in quanto
disciplina le modalità di uso e di godimento
del bene comune- è validamente approvata con
la maggioranza prevista dal quinto comma
dell'art. 1138 cod.civ., non essendo
richiesta l'unanimità dei consensi (Corte di
Cassazione, Sez. II, civile, sentenza
08.11.2004 n. 21287 - commento tratto da
www.diritto24.ilsole24ore.com). |
AGGIORNAMENTO ALL'08.08.2011 |
ã |
UTILITA' |
APPALTI:
NUOVI MODELLI DI DICHIARAZIONI DA UTILIZZARE
NELLE GARE PUBBLICHE PER I REQUISITI DI
ORDINE GENERALE - ART. 38 DEL D. LGS. N.
163/2006.
È stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale
n. 160 del 12.07.2011, Serie Generale, la
Legge n. 106/2011, di conversione del c.d.
Decreto Sviluppo (D.L. 13.05.2011, n. 70).
Il testo della Legge, che è entrata in
vigore il giorno successivo alla sua
pubblicazione (ossia il 13.07.2011),
modificando il testo del D.L. Sviluppo
interviene sulle novità introdotte da
quest’ultimo.
Tra le più significative vi sono quelle che
hanno modificato le cause di esclusione
dalla partecipazione agli appalti pubblici.
E’ stato infatti modificato l’art. 38 del
Codice degli appalti, il D.Lgs. 163/2006 che
prevede le seguenti dichiarazioni:
a) dichiarazione circa i requisiti personali
(antimafia, moralità professionale);
b) dichiarazione dei requisiti del punto a)
per i cessati dalla carica (nell’ultimo anno
e non più nel triennio);
c) dichiarazione circa i requisiti
dell’impresa (fallimento, tasse, contributi,
sicurezza, ecc.).
Qualora il bando riporti in allegato uno
schema di tali dichiarazioni è opportuno che
l’impresa li utilizzi. In mancanza si
consiglia di utilizzare i seguenti schemi
predisposti dagli uffici del Collegio:
1)
Modello B1 - Dichiarazione
concernente l’inesistenza di cause
d’esclusione dalle gare d’appalto per
l’esecuzione di lavori pubblici di cui alle
lettere b), c) e m-ter) dell’art. 38, comma
1, del D.Lgs. n. 163/2006;
2)
Modello B1-bis per i cessati
dalla carica - Dichiarazione concernente
l’inesistenza di cause d’esclusione dalle
gare d’appalto per l’esecuzione di lavori
pubblici di cui alla lettera c), comma 1,
dell’art. 38 del D.Lgs. 163/2006;
3)
Modello B2 - Dichiarazione
concernente l’inesistenza di cause
d’esclusione dalle gare d’appalto per
l’esecuzione di lavori pubblici di cui
all’art. 38 del D.Lgs. n. 163/2006 (link a
www.ancebrescia.it). |
APPALTI:
Gli atti del convegno tenutosi nel giugno
2011 a cura del Centro Studi Marangoni
(link a www.centrostudimarangoni.it):
-
1^ parte;
-
2^ parte;
-
3^ parte. |
DOTTRINA E
CONTRIBUTI |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
G. Tapetto,
Considerazioni sui rifiuti sanitari prodotti
dalle attività di assistenza sanitaria
domiciliare (A.D.I.) (link a
www.ambientediritto.it). |
SICUREZZA LAVORO: I.
Secco,
Il responsabile dei lavori: incarico e
incompatibilità
(link a www.ipsoa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
F. Di Chio,
La motivazione come specchio di istruttoria
amministrativa e apporti dei cittadini
(link a www.altalex.com). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
G. P. Cirillo,
Il risarcimento del danno e l’incidenza
della mancata proposizione dell’azione di
annullamento nella sua valutazione
(link a www.giustizia-amministrativa.it). |
SINDACATI |
PUBBLICO IMPIEGO:
Toni prudenti nella circolare
della funzione pubblica sulla trasformazione
unilaterale del part-time
(CGIL-FP di Bergamo,
nota 04.08.2011). |
PUBBLICO IMPIEGO:
EE.LL.: diventa un'odissea la
disciplina delle assunzioni dopo
l'approvazione del D.L. 98/2011
(CGIL-FP di Bergamo,
nota 03.08.2011). |
AUTORITA'
VIGILANZA CONTRATTI PUBBLICI |
APPALTI:
Aperta la consultazione on-line sul
documento "Prime indicazioni sui bandi
tipo: tassatività delle cause di esclusione
e costo del lavoro".
L'Autorità, a seguito dell'entrata in vigore
del decreto legge 13.05.2011, n. 70,
convertito in legge dalla legge 12.07.2011,
n. 106, ha deliberato di esperire una
consultazione degli operatori del settore e
delle amministrazioni pubbliche, avente ad
oggetto alcune rilevanti novità in materia
di redazione dei bandi di gara.
La consultazione riguarda le cause tassative
di esclusione (articolo 46, comma 1-bis del
Codice), l'articolo 38 del Codice, e la
determinazione del costo del personale ai
sensi dell'articolo 81, comma 3-bis del
Codice.
La consultazione è finalizzata all'adozione
dei bandi tipo (articolo 64, comma 4-bis del
Codice).
I soggetti interessati possono far pervenire
all’Autorità le proprie osservazioni
mediante la compilazione dell’apposito
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estremi identificativi del mittente,
consente l’inserimento di un testo libero
fino a 8000 battute. Il modello potrà essere
inviato entro le ore 18 del 10.09.2011.
Si rappresenta, inoltre, che i contributi
pervenuti saranno oggetto di pubblicazione
sul sito dell’Autorità, in forma non
anonima, salvo che vengano evidenziate
motivate esigenze di riservatezza (link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
DIPARTIMENTO
FUNZIONE PUBBLICA |
PUBBLICO IMPIEGO: Malattia
statali, palla ai dirigenti. Visita fiscale
a discrezione. Considerandone anche i costi.
Circolare Funzione pubblica sulle nuove
norme sulle assenze.
Dipendenti pubblici: sulle assenze dal
servizio per malattia sarà il dirigente a
valutare, a sua discrezione, la sussistenza
dei presupposti per l'invio della visita
fiscale. Dovrà, pertanto, valutare la
condotta del dipendente, prescindendo da
considerazioni e sensazioni personalistiche
e ponderando gli interessi
dell'amministrazione, tenuto conto del costo
a carico delle finanze pubbliche derivante
dall'espletamento della visita del medico
fiscale al domicilio del dipendente.
Gli statali che, durante il periodo di
malattia, devono allontanarsi dal proprio
domicilio, per non incorrere in sanzioni
pecuniarie e nell'attivazione di un
procedimento disciplinare, devono
preventivamente avvertire l'ufficio di tale
evenienza.
Infine, dal 6 luglio, tutte le disposizioni
relative ai presupposti per la visita
fiscale, al regime delle reperibilità e alle
modalità di giustificazione delle assenze,
sono applicabili anche al personale di
magistratura, pur tenendo conto
dell'autonomia di cui sono dotati i singoli
organi di autogoverno delle magistrature.
È quanto mette nero su bianco la Funzione
pubblica, nel testo della
circolare 01.08.2011 n. 10/2011
diffusa ieri, che fornisce i primi
chiarimenti in ordine alle nuove
disposizioni in materia di assenze dal
servizio del personale delle pubbliche
amministrazioni, operate dall'articolo 16,
commi 9 e 10 della manovra correttiva dei
conti pubblici per il triennio 2011-2014 (il
dl n. 98/2011).
Visita fiscale. Rispetto al regime
previgente, per effetto della nuova
formulazione del comma 5 dell'articolo 55-septies del dlgs n. 165/2001, dal 6 luglio
scorso le p.a. non sono più tenute
«obbligatoriamente» a richiedere la visita
fiscale sin dal primo giorno di assenza e
anche per un solo giorno di malattia, ma si
demanda alla discrezionalità del dirigente,
la sussistenza dei presupposti per l'invio
del medico fiscale.
Il dirigente, infatti,
dovrà valutare la condotta del dipendente,
fondandosi esclusivamente «su elementi di
carattere oggettivo» e non certamente su
considerazioni o sensazioni che sono proprie
della sfera personale. Inoltre, dovrà anche
tenere conto degli oneri connessi al costo
della visita fiscale, in particolare alla
copertura finanziaria per tali fini (la
norma mette sul piatto a tal fine 70 milioni
di euro per ogni anno del triennio
2011-2014).
Resta inteso, come precisa la
disposizione, che l'obbligo di inviare il
medico fiscale sussiste se il dipendente è
assente per malattia nei giorni
immediatamente precedenti o successivi a
giorni non lavorativi. Un modo, questo, per
porre un freno a quei «furbetti» che tentano
così di allungare qualche «ponte» festivo.
La reperibilità. A breve, un decreto del
ministro Brunetta renderà note le nuove
fasce orarie di reperibilità per i
dipendenti in malattia. Ad oggi, pertanto,
valgono quelle stabilite dal dm 18.12.2009,
ovvero dalle 9.00 alle 13.00 e dalle 15.00
alle 18.00.
La circolare in esame, pertanto,
rileva che la norma contenuta nella manovra
riprende l'obbligo (sancito dal Ccnl
ministeri), di informare preventivamente il
datore di lavoro della momentanea assenza
dal proprio domicilio. Sui motivi che
legittimano l'assenza, sarà il dirigente a
valutarne l'idoneità.
Tuttavia, chi dovesse
allontanarsi per effettuare visite mediche o
specialistiche, potrà farsi rilasciare
apposita attestazione dal medico o dalla
struttura, anche privata, che ha eseguito
l'accertamento. In tutti gli altri casi, si
precisa che il dipendente potrà produrre una
dichiarazione sostitutiva di atto notorio.
Applicazione al personale di diritto
pubblico.
Come sancito dal comma 10 dell'articolo 16
della manovra, la circolare in osservazione,
«al fine di fugare dubbi interpretativi»,
rileva che a far data dal 6 luglio scorso,
la normativa sui presupposti per la visita
fiscale, sul regime della reperibilità e le
modalità di giustificazione dell'assenza da
domicilio, si applica anche al personale in
regime di diritto pubblico, ovvero alla
magistratura, al personale militare e a
quello della carriera prefettizia.
E ciò, «pur tenendo conto delle garanzie
di autonomia dell'organico magistratuale, di
cui sono titolari i singoli organi di
autogoverno delle magistrature»
(articolo ItaliaOggi
del 02.08.08.2011 - tratto da www.corteconti.it). |
PUBBLICO IMPIEGO: Certificati
anche dai medici privati.
Anche le strutture private possono
giustificare l'assenza per malattia del
dipendente pubblico, quando siano loro a
erogare il servizio (dalla visita all'esame
diagnostico) che lo tiene lontano
dall'ufficio. I controlli anti-assenteismo
riguarderanno anche docenti universitari,
militari, polizia, vigili del fuoco e
magistrati, ma su quest'ultima categoria
vigilano gli organi di autogoverno in nome
della sua particolare autonomia; le nuove
regole generali, comunque, sono più
flessibili, e lontano dai giorni festivi
lasciano alle amministrazioni maggiori
margini di scelta se disporre o meno la
visita fiscale al dipendente in malattia.
Dopo l'ennesimo restyling delle misure
anti-assenteismo, portato dalla manovra
(articolo 16 del Dl 98/2011), la Funzione
pubblica fa il punto della situazione nella
circolare 01.08.2011 n. 10/2011 diramata ieri.
In
particolare, l'intervento della manovra sana
un buco procedurale, perché imporre la
certificazione da parte del Servizio
sanitario (o di un medico convenzionato)
significava obbligare a un doppio passaggio
chi si rivolgesse a strutture private.
La
manovra, poi, amplia la platea dei soggetti
alle verifiche anti-assenze, estendendole
anche al personale in regime di diritto
pubblico. Sul punto, le istruzioni di
Palazzo Vidoni sottolineano che
l'equiparazione con il personale
privatizzato è a tutto campo, e riguarda sia
le modalità di certificazione dell'assenza
sia le visite fiscali e la reperibilità:
tema, quest'ultimo, su cui dovrà intervenire
un nuovo Dm per rivedere ancora una volta le
fasce orarie
(articolo Il Sole 24
Ore del 02.08.2011). |
GURI - GUUE -
BURL (e anteprima) |
EDILIZIA PRIVATA: B.U.R.
Lombardia, supplemento n. 31 del 05.08.2011
"Nuova organizzazione degli enti gestori
delle aree regionali protette e modifiche
alle leggi regionali 30.11.1983, n. 86
(Piano generale delle aree regionali
protette. Norme per l’istituzione e la
gestione delle riserve, dei parchi e dei
monumenti naturali, nonché delle aree di
particolare rilevanza naturale e ambientale)
e 16.07.2007, n. 16 (Testo unico delle leggi
regionali in materia di istituzione dei
parchi)" (L.R.
04.08.2011 n. 12). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: B.U.R.
Lombardia, serie ordinaria n. 31 del
05.08.2011 "Reg. CE 1698/2005, Programma
di Sviluppo Rurale 2007-2013 - Modifica ed
integrazione del bando relativo alla misura
223 «Imboschimento di superfici non
agricole», approvato con decreto n. 187 del
16.01.2009" (decreto
D.U.O. 02.08.2011 n. 7222). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: B.U.R.
Lombardia, serie ordinaria n. 31 del
05.08.2011, "Approvazione delle «Linee
guida per l’individuazione delle varianti
sostanziali e non sostanziali per gli
impianti che operano al sensi del d.lgs.
152/2006, artt. 208 e seguenti»"
(deliberazione G.R.
25.07.2011 n. 6907). |
EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA: B.U.R.
Lombardia, supplemento n. 31 del 03.08.2011,
"Assestamento al bilancio per l’esercizio
finanziario 2011 ed al bilancio pluriennale
2011/2013 a legislazione vigente e
programmatico – I provvedimento di
variazione con modifiche di leggi regionali"
(L.R. 03.08.2011 n. 11).
-----------------
Di interessante, si legga l'Art.
11 - (Modifiche all’articolo 29 della legge
regionale 12.12.2003, n. 26 (Disciplina dei
servizi locali di interesse economico
generale. Norme in materia di gestione dei
rifiuti, di energia, di utilizzo del
sottosuolo e di risorse idriche). |
EDILIZIA PRIVATA: B.U.R.
Lombardia, serie ordinaria n. 31 del
03.08.2011, "Indicazioni sulla
installazione e gestione degli impianti a
fune (art. 59 l.r. 31/2008; artt. 73 e 74
r.r. 5/2007)"
(circolare regionale
26.07.2011 n. 8). |
AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA -
LAVORI PUBBLICI: G.U.
01.08.2011 n. 177 "Attuazione della
direttiva 2008/99/CE sulla tutela penale
dell’ambiente, nonché della direttiva
2009/123/CE che modifica la direttiva
2005/35/CE relativa all’inquinamento
provocato dalle navi e all’introduzione di
sanzioni per violazioni"
(D.Lgs.
07.07.2011 n. 121).
---------------
Registro di carico e
scarico rifiuti - Esclusione dall'obbligo di
tenuta.
Col D.Lgs. 121/2011 è stata ripristinata
l'esclusione dall'obbligo di tenuta del
registro di carico e scarico per le Imprese
che raccolgono e trasportano i propri
rifiuti speciali non pericolosi derivanti
dalle attività di demolizione, costruzione,
nonché i rifiuti che derivano dalle attività
di scavo.
Le imprese di costruzione che trasportano i
propri rifiuti non pericolosi dovranno
pertanto compilare soltanto il formulario di
identificazione dei rifiuti (FIR) non
essendo obbligate né all'iscrizione a
Sistri, né alla tenuta del registro di
carico e scarico degli stessi.
L'esclusione dall'obbligo di tenuta del
registro dovrà essere riportata
nell'apposito spazio del FIR riservato alle
annotazioni indicando: "Esclusione
dall'obbligo di tenuta del registro di
carico e scarico - artt. 190 e 188, del
DLgs. n. 152/2006". |
APPALTI: G.U.
01.08.2011 n. 177 "Pubblicazione nei siti
informatici di atti e provvedimenti
concernenti procedure ad evidenza pubblica o
di bilanci, adottato ai sensi dell’articolo
32 della legge 18.06.2009, n. 69" (D.P.C.M.
26.04.2011).
---------------
Bandi di gara e bilanci
della PA: tutto online, tutto in chiaro.
Il decreto stabilisce le modalità di
pubblicazione nei siti informatici delle
amministrazioni e degli enti pubblici,
ovvero di loro associazioni, degli atti e
dei provvedimenti concernenti procedure ad
evidenza pubblica, nonché dei bilanci per i
quali è prevista la pubblicazione sulla
stampa quotidiana.
Pubblicazione gare.
Il decreto stabilisce, nel rispetto della
normativa in materia di protezione dei dati
personali di cui al decreto legislativo
30.06.2003, n. 196 e successive
modificazioni, le modalità di pubblicazione
nei siti informatici delle amministrazioni e
degli enti pubblici, ovvero di loro
associazioni, degli atti e dei provvedimenti
concernenti procedure ad evidenza pubblica,
nonché dei bilanci per i quali è prevista
la pubblicazione sulla stampa quotidiana.
Per le procedure ad evidenza pubblica, il
sito informatico è rappresentato dal
profilo di committente e le amministrazioni
e gli enti pubblici, ovvero le loro
associazioni, sono rappresentate dalle
amministrazioni aggiudicatrici.
Le amministrazioni aggiudicatrici pubblicano
i bandi, gli avvisi e gli esiti di gara sul
profilo di committente in una apposita
sezione dedicata, denominata «Bandi di
gara», direttamente raggiungibile dalla
home-page, dotata di caratteristiche
di indirizzabilità e di ergonomicità tali da
consentire un'immediata e agevole
consultazione.
I bandi, gli avvisi e gli esiti di gara sono
pubblicati in base alla tipologia degli
stessi, distinta per bandi di lavori, per
bandi di servizi e per bandi di forniture,
cui sono collegati i relativi avvisi di
aggiudicazione.
I bandi e gli avvisi di gara sono pubblicati
nei termini previsti dal Codice dei
contratti per ciascuna tipologia di
procedura di affidamento e restano
consultabili, con le modalità previste
dall'art. 3, fino alla data di scadenza del
bando o dell'avviso. Gli esiti di gara sono
pubblicati nei termini previsti dal Codice
dei contratti e restano consultabili fino a
tutto il centottantesimo giorno successivo
alla data di pubblicazione dell'esito.
I bandi ed avvisi di gara scaduti
confluiscono automaticamente in un'apposita
sezione dedicata, denominata «Bandi di
gara scaduti», e restano consultabili
fino a tutto il centottantesimo giorno
successivo alla data di pubblicazione del
relativo esito di gara.
I bandi, gli avvisi e gli esiti di gara,
successivamente alla scadenza del termine
sono consultabili secondo le modalità
stabilite da ciascuna amministrazione
aggiudicatrice e rese note sul profilo del
committente.
Ogni bando, avviso ed esito di gara contiene
gli elementi e le informazioni indicati dal
Codice dei contratti, secondo il formato dei
modelli di formulari adottati dalla
Commissione europea, ed è indicizzato con i
campi informativi delle Tabelle di cui
all'Allegato 2.
Bilanci.
Gli Enti pubblicano i propri bilanci in
un'apposita sezione del proprio sito
informatico denominata «Bilanci»,
direttamente raggiungibile dalla
home-page e dotata di caratteristiche di
indirizzabilità e di ergonomicità tali da
consentire un'immediata e agevole
consultazione.
I soggetti pubblicano i propri bilanci
utilizzando i modelli stabiliti dal decreto
del Presidente della Repubblica 15.02.1989,
n. 90, di attuazione dell'art. 6 della legge
25.02.1987, n. 67.
I bilanci sono consultabili in ordine
cronologico, senza alcuna limitazione
temporale.
I soggetti tenuti all'applicazione del
presente decreto registrano l'indirizzo web
del sito informatico nell'Indice degli
indirizzi delle pubbliche amministrazioni di
cui all'art. 57-bis del CAD e ne
garantiscono i relativi aggiornamenti (02.08.2011 - tratto da
www.ipsoa.it). |
ENTI LOCALI:
G.U. 01.08.2011 n. 177 "Criteri per la
determinazione dell’importo netto da erogare
ai comuni che abbiano partecipato
all’accertamento fiscale e contributivo"
(decreto
15.07.2011).
---------------
Al
via la collaborazione con le Entrate.
Lotta all’evasione, Comuni in prima linea.
Definiti i criteri per la determinazione
dell'importo netto da erogare ai Comuni che
hanno collaborato con l’Amministrazione
finanziaria.
Approvati, con decreto del 15 luglio scorso,
i criteri per la determinazione dell'importo
netto della quota delle maggiori somme
relative ai tributi di cui all'art. 1, comma
1, del decreto direttoriale 23.03.2011,
comprensive di interessi e sanzioni,
riscosse a titolo definitivo, nonché delle
sanzioni civili applicate sui maggiori
contributi previdenziali e assistenziali
riscossi a titolo definitivo, da erogare ai
comuni che abbiano contribuito
all'accertamento fiscale e contributivo
secondo le modalità di trasmissione delle
segnalazioni qualificate previste dai
provvedimenti attuativi dell'art. 1 del D.L.
30.09.2005, n. 203.
Infatti, come è noto, l’art. 1 del decreto
23.03.2011 prevede l’attribuzione ai comuni
di una quota del 33% delle maggiori somme
definitivamente riscosse relative alle
imposte sul reddito delle persone fisiche,
sul reddito delle società, sul valore
aggiunto, di registro, ipotecaria, catastale
ed ai tributi speciali catastali,
comprensive di interessi e sanzioni, nonché
alle sanzioni civili applicate sui maggiori
contributi previdenziali e assistenziali
riscossi a titolo definitivo (03.08.2011
- commento tratto da www.ipsoa.it). |
QUESITI &
PARERI |
APPALTI: OEPV
e criteri di valutazione della lex specialis.
Domanda.
Quando la Commissione giudicatrice di un
appalto pubblico che prevede il criterio
dell'aggiudicazione dell'offerta
economicamente più vantaggiosa può integrare
i criteri di valutazione della lex specialis?
Risposta.
Ai fini dell'attribuzione del punteggio, non
contrasta con il diritto comunitario,
l'integrazione dei criteri di valutazione a
condizione che:
a) non siano modificati i criteri di
valutazione stabiliti dalla lex specialis
di gara;
b) non sia influenzata la preparazione delle
offerte a cagione della previsione di
elementi, che, se fossero stati noti al
momento della formulazione delle offerte,
avrebbero potuto indurre i partecipanti al
procedimento di evidenza pubblica ad una
diversa articolazione delle offerte;
c) non siano introdotte discriminazioni a
danno dei concorrenti (02.08.2011 -
commento tratto da www.ipsoa.it). |
SICUREZZA LAVORO: Accesso
ai documenti in materia di igiene, salute e
sicurezza sul lavoro: è legittima la
richiesta da parte del RLS di avere copia
cartacea?
Domanda.
Considerato che l'art. 53 del decreto
81/2008 ha specificato che tutta la
documentazione rilevante in materia di
igiene, salute e sicurezza sul lavoro e
tutela delle condizioni di lavoro può essere
tenuta su unico supporto cartaceo o
informatico è legittima la richiesta da
parte del RLS di avere copia cartacea del
documento? Inoltre, di quanto tempo può
disporre il RLS per la consultazione?
Risposta
L'articolo 18 (obblighi del datore di lavoro
e del dirigente) del D.Lgs. 81/2008 così
come modificato dal D.Lgs. 106/2009, al
comma 1, lettera o), pone obbligo al datore
di lavoro di «consegnare tempestivamente
al rappresentante dei lavoratori per la
sicurezza, su richiesta di questi e per
l'espletamento della sua funzione, copia del
documento di cui all'articolo 17, comma 1,
lettera a), ANCHE su supporto informatico
come previsto dall'articolo 53, comma 5,
nonché di consentire al medesimo
rappresentante di accedere ai dati di cui
alla lettera r); il documento e'consultato
esclusivamente in azienda».
Per la prima domanda, la risposta è
indiscutibile: il RLS ha il diritto di
ottenere il DVR su supporto cartaceo e "anche"
(non "soltanto") su supporto
informatico.
Vero che il comma 5 dell'articolo 53 del
D.Lgs. 81/2008 specifica che «Tutta la
documentazione rilevante in materia di
igiene, salute e sicurezza sul lavoro e
tutela delle condizioni di lavoro può essere
tenuta su unico supporto cartaceo o
informatico. ...», ma questo non
significa che il RLS non possa richiedere
copia cartacea.
Per la seconda domanda, non c'e' un
riscontro normativo specifico, ma,
considerato che è obbligo del datore di
lavoro e del dirigente «consentire ai
lavoratori di verificare, mediante il
rappresentante dei lavoratori per la
sicurezza, l'applicazione delle misure di
sicurezza e di protezione della salute
[lettera n) del citato articolo 18, comma 1]
è di sicuro riferimento la sentenza del
Tribunale Ordinario di Milano, Sezione
Lavoro, 29.01.2010, Udienza del 29.01.2010,
n. 7273/2009 RGL, ove si afferma che «poiché
il ruolo del RLS all'interno dell'azienda
all'interno dell'azienda e' posto a presidio
e controllo della salvaguardia di intessi di
primaria importanza, quali sono quelli
relativi alla salute dei lavoratori ne
deriva che il datore di lavoro dovrà
consentire al RLS la consultazione del DVR
per tutto il tempo che sarà necessario,
tenuto conto della eventuale complessità del
documento stesso».
A parere dello scrivente, la sola
limitazione che il datore di lavoro può porre
al RLS è quella di evitare la consultazione
della documentazione inerente la sicurezza,
ove non sussistano motivi di palese urgenza,
nei momenti in cui l'attività lavorativa
svolta dal RLS sia essenziale per l'azienda
(ritardo nelle consegne, predisposizione di
materiali per una fiera, ecc.) (01.08.2011
- commento tratto da www.ipsoa.it). |
CORTE DEI
CONTI |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO:
Enti locali - Manovra economica di cui al
D.L. n. 78/2010 - Personale - Trattamento
economico complessivo dei singoli dipendenti
- Buoni pasto.
Ai sensi dell'art. 51, comma 2, lettera c),
del D.P.R. n. 917/1986 (Testo unico delle
imposte sui redditi) il buono pasto non
concorre a costituire reddito da lavoro
dipendente solo fino all'importo complessivo
giornaliero di euro 5,29; pertanto, la
natura assistenziale e non retributiva del
buono è limitata entro il predetto importo,
oltre il quale concorre alla formazione del
trattamento economico complessivo.
Ne consegue che l'aumento del valore del
buono pasto, oltre tale soglia, deve
considerarsi parte del trattamento economico
ai fini del rispetto del disposto ex art. 9,
comma 1, della legge n. 122/2010, di
conversione del D.L. n. 78/2010, secondo il
quale "Per gli anni 2011, 2012 e 2013 il
trattamento economico complessivo dei
singoli dipendenti, anche di qualifica
dirigenziale, ivi compreso il trattamento
accessorio.... non può superare, in ogni
caso, il trattamento ordinariamente
spettante per l'anno 2010" (tratto da
www.centrostudi-sv.org - Corte dei Conti,
Sez. controllo Toscana,
parere 21.07.2011 n. 187). |
PUBBLICO IMPIEGO: Dirigenti
a termine solo se laureati.
Gli enti locali possono assumere dirigenti a
tempo determinato solo se laureati e purché
la carenza di professionalità cui si intende
rimediare sia ristretta alla sola dotazione
organica dei dirigenti.
La Corte dei Conti, Sez. regionale di
controllo per la Basilicata, con la tranciante
deliberazione 21.06.2011 n.
29 priva
ufficialmente di qualsiasi fondamento
giuridico tesi strumentalmente da tempo
avanzate da alcuni interpreti e da molti
operatori, tendenti a estendere oltre misura
le possibilità di assumere dirigenti a
contratto.
La sezione Basilicata stronca la
cittadinanza giuridica alla tesi secondo la
quale l'interpretazione letterale della
prima parte dell'articolo 19, comma 6, del
dlgs 165/2001 consentirebbe di assumere come
dirigenti extra ruolo persone prive della
laurea. La norma consente di conferire gli
incarichi a contratto «a persone di
particolare e comprovata qualificazione
professionale, non rinvenibile nei ruoli
dell'Amministrazione, che abbiano svolto
attività in organismi ed enti pubblici o
privati ovvero aziende pubbliche o private
con esperienza acquisita per almeno un
quinquennio in funzioni dirigenziali».
Secondo l'erronea tesi proposta da molti,
poiché il citato periodo dell'articolo 19,
comma 6, non fa espresso riferimento al
possesso della laurea si potrebbe, allora,
supporre la legittimità di un'assunzione di
dirigente a contratto di soggetti non
laureati, purché sussistano gli altri
requisiti. Del resto, sostiene la tesi,
poiché nell'impiego privato la laurea non è
essenziale ai fini della qualifica
dirigenziale, sarebbe eccessivo chiedere
detto titolo.
Insomma, l'interpretazione letterale della
prima parte del comma 6 fonderebbe
un'alternativa tra la «qualificazione
professionale», particolare e comprovata,
acquisibile con esperienza «sul campo» e il
possesso del titolo di studio.
La sezione rigetta senza alcuna esitazione
la validità di tale tesi. Il parere osserva,
com'è inevitabile, l'insufficienza di
un'esegesi fondata sul solo dato letterale
di una sola parte dell'articolo 19, comma 6.
Occorre, invece, una lettura sistematica e
coerente della normativa.
Il parere ricorda che già a suo tempo «la
sezione del controllo di legittimità su atti
del governo, nell'adunanza congiunta del I e II Collegio del
09.01.2003, con la
delibera n. 3/2003 del 09.01.2003, ha
ricusato il visto del provvedimento di
nomina a dirigente di seconda fascia di un
soggetto esterno al ruolo per mancanza del
titolo adeguato di studio».
Il perché è evidente: il legislatore ha
consentito l'immissione nella dirigenza
pubblica anche di soggetti esterni che
fossero stati in precedenza privi della
qualifica di dirigenti pubblici nell'intento
di acquisire professionalità estranee, ma
tali da offrire qualità professionali
aggiuntive e in ogni caso non minori
rispetto ai già elevati requisiti previsti
per l'assunzione dei dirigenti pubblici. Non
avrebbe alcuna razionalità, dunque,
consentire l'ingresso nella dirigenza
pubblica di soggetti con requisiti inferiori
a quelli che si richiederebbero in un
concorso. Specie perché l'articolo 19, comma
6, intende rimediare alla situazione, che
dovrebbe risultare del tutto straordinaria,
di carenza di professionalità interne.
L'articolo 19, comma 6, consente di assumere
dirigenti a tempo determinato da conferire
«fornendone esplicita motivazione, a persone
di particolare e comprovata qualificazione
professionale, non rinvenibile nei ruoli
dell'amministrazione».
La sezione Basilicata precisa che l'assenza
della particolare professionalità che
giustifica il ricorso a dirigenti a
contratto è da limitare ai «ruoli
dell'amministrazione» dirigenziali.
A legittimare, dunque, l'assunzione
straordinaria di dirigenti a contratto non è
l'assoluta carenza di professionalità
all'interno di tutte le qualifiche, bensì
circoscritta ai soli posti della dotazione
organica dirigenziale.
Ciò consente, in linea teorica, di applicare
la parte dell'articolo 19, comma 6, che
permette di assumere a contratto anche
dipendenti del medesimo ente conferente
privi di qualifica dirigenziale. C'è, però,
da aggiungere che i dipendenti interni
possono aspirare a tale tipo di assunzione
solo a condizione di essere in possesso dei
requisiti di particolare ed elevata
professionalità richiesti dal medesimo
articolo, non essendo allo scopo sufficiente
la mera circostanza di essere dipendenti da
almeno un quinquennio in qualifica
pre-dirigenziale
(articolo ItaliaOggi
del 05.08.2011 - tratto da www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI:
Multe, incassi mirati.
Proventi per potenziare i vigili. La Corte
dei conti interpreta il codice della strada.
I proventi delle multe stradali non possono
essere utilizzati semplicemente per
incentivare ordinariamente il personale
della polizia municipale, mentre è corretto
il loro impiego per il potenziamento
programmato del servizio di vigilanza
urbana.
Lo ha ribadito la Corte dei conti,
Sez. Emilia Romagna, con il
parere 17.06.2011 n.
22.
Fatta la legge trovato l'inganno, ovvero
limitata di fatto l'applicazione
dell'interessante riforma dell'art. 208 del
codice stradale introdotta appena un anno fa
con la legge 120/2010. Il nuovo comma 5-bis
dell'art. 208 del codice della strada ha
infatti formalmente sdoganato il
finanziamento dei progetti di miglioramento
dei servizi di polizia locale, una pratica
molto utilizzata dagli enti locali ma sempre
a rischio censura di irregolarità contabile.
In pratica, in deroga a tutte le particolari
disposizioni vigenti in materia, sembrava
subito possibile finanziare il salario
accessorio dei vigili con parte dei proventi
delle multe accertate dal comando. Ammessa
letteralmente questa possibilità occorreva
però individuare le modalità applicative più
idonee ovvero incrementare il fondo di
produttività, quello dello straordinario o
quello per il potenziamento del servizio.
L'orientamento giurisprudenziale prevalente
si è subito orientato verso quest'ultima
soluzione.
Anche a parere della Corte dei
conti Emilia Romagna, infatti, è compatibile
con la vigente normativa la destinazione dei
proventi delle multe «a copertura dei
maggiori oneri del trattamento economico
accessorio del personale da impiegare nelle
nuove attività ai sensi dell'art. 15, comma
5, del Ccnl 01.04.1999, nel rispetto dei
vincoli e prescrizioni dettati da tale
ultima norma». In pratica di anno in
anno un comune può individuare risorse da
destinare ai progetti di miglioramento del
servizio, compatibilmente con gli equilibri
finanziari dell'ente. L'aumento del fondo di
produttività secondo questa nuova modalità è
inoltre chiaramente correlato al necessario
rispetto del patto di stabilità.
Attenzione anche al tetto di spesa del
personale ed ai vincoli introdotti in
materia dal dl 78/2010. Sul punto i giudici
contabili dell'Emilia Romagna non si sono
però espressi lasciando nel dubbio gli
operatori alle prese con due interpretazioni
antagoniste espresse dai colleghi giudici
della Corte dei conti del Piemonte e della
Liguria
(articolo ItaliaOggi
del 05.08.2011 - tratto da www.corteconti.it). |
PUBBLICO IMPIEGO: Il datore di lavoro risarcito per
mobbing.
L'azienda agisce contro il dirigente-mobber
per avere indietro quanto pagato al
lavoratore. Caso all'esame della corte dei
conti della Sicilia.
Le cause per mobbing possono avere un
secondo tempo. Nel primo è la vittima delle
persecuzioni a rivolgersi al giudice, per
ottenere giustizia e risarcimento dal datore
di lavoro e/o dal persecutore. Nel secondo
tempo è l'azienda o, per i dipendenti
pubblici, lo stato mediante la procura, ad
agire nei confronti del mobber, per
conseguire l'accertamento della violazione
di norme e il risarcimento di quanto abbia
eventualmente dovuto corrispondere (su
ordine del giudice) alla vittima della
persecuzione. Un secondo tempo di
particolare interesse è quello che, da
ultimo, si è consumato di fronte alla Corte
dei Conti della Sicilia.
La
sentenza 23.05.2011
n. 2028, Corte dei Conti - Sez.
giurisdiz. Sicilia, ha condannato un dirigente
di un'amministrazione comunale a rifonderla
parzialmente, per il danno (indiretto)
arrecato al datore di lavoro che aveva
dovuto corrispondere un risarcimento a un
dipendente mobbizzato dal dirigente. In
effetti la dequalificazione lavorativa
spesso si trasforma in mobbing o comunque
può esser parte di un'attività persecutoria.
Dalla pronuncia della Corte dei Conti emerge
che quando il mobbing culmina in una
dequalificazione lavorativa prolungata, il
datore di lavoro non viene coinvolto dalla
responsabilità dei singoli persecutori solo
se dimostra che tra le mansioni assegnate
alla vittima e la condotta persecutoria non
sussiste un rapporto neanche di mera occasionalità. La sentenza ha rilevato
(richiamando Cass. n. 18262 del 29.08.2007) che la giurisprudenza civilistica
«riconosce spesso la responsabilità per
condotta mobbizzante del datore di lavoro,
non solo quale soggetto agente direttamente,
ma anche per non essersi lo stesso
personalmente attivato per far cessare i
comportamenti scorretti dei dipendenti».
D'altro lato, in sede contabile, in materia
la condotta datoriale rileva solo se integra
un caso di colpa grave, che in questa sede
sussiste solo in presenza di un rilevante
allontanamento dal comportamento esigibile,
in considerazione delle circostanze del caso
e delle specifiche disposizioni sul tema. Il
datore di lavoro, pertanto, in caso di
giudizio contabile, per essere esente da
responsabilità deve dimostrare di aver
adottato tutte le soluzioni organizzative
più idonee a evitare la realizzazione
dell'evento dannoso.
Il sindaco coinvolto nella vicenda è stato
assolto, non solo perché la struttura
organizzativa del comune è stata considerata
appropriata. Secondo la Corte dei Conti
anche le sue decisioni che avevano coinvolto
il lavoratore perseguitato (in particolare
quella di preferire per una promozione, al
mobbizzato un collega) non erano dolosamente
preordinate a perseguirlo e discriminarlo, e
tantomeno potevano considerarsi
«macroscopicamente lontane da una ordinaria
condotta finalizzata alla sana gestione
della cosa pubblica, al punto da incarnare
una condotta gravemente corposa idonea a
giustificare l'accoglimento delle pretese di
parte attrice».
Peraltro la condotta mobbizzante lamentata
dal dipendente non si esauriva nella mancata
promozione. L'istruttoria del pubblico
ministero aveva riscontrato la mancata
attribuzione delle funzioni riconosciute al
perseguitato nel giudizio originario
(intentato per la reintegrazione), la sua
collocazione in locali distaccati rispetto
ai colleghi, episodi mortificanti la mancata
inclusione nei turni di servizio e la
preclusione di mansioni che determinavano la
fruizione di indennità.
Il dipendente
comunale, dopo aver convenuto in giudizio il
comune lamentando la propria
dequalificazione, aveva ottenuto dal giudice
civile il riconoscimento del diritto alla
reintegrazione nelle funzioni di vice
comandante reggente dei vigili urbani. In un
successivo giudizio il lavoratore otteneva
la condanna dell'amministrazione comunale,
per mobbing, al risarcimento di euro
133.223,53. Proprio questo pagamento ha
determinato prima la contestazione e poi
l'azione contabile, della procura regionale
nei confronti del sindaco, di una dirigente
e di un comandante della polizia municipale,
per il danno (indiretto) che avrebbe
arrecato al comune la loro condotta mobbizzante. Solo il convenuto che,
all'epoca dei fatti, rivestendo il ruolo di
comandante della polizia municipale, aveva
determinato le modalità attuative ed
organizzative delle funzioni assegnate al
mobbizzato, è stato condannato.
La sentenza
dello scorso 23 maggio ha deciso che dovrà
corrispondere 50 mila euro (oltre
rivalutazione monetaria e interessi legali)
al comune. La Corte dei Conti gli ha infatti
imputato l'elusione dei provvedimenti
dell'autorità giudiziaria favorevoli al mobbizzato, mediante reiterate condotte
inequivocabilmente dirette a emarginare il
dipendente, isolandolo fisicamente dal resto
dell'ufficio e svuotando le funzioni
formalmente assegnategli. Nutrita risulta la
serie di episodi sintomatici della fattiva
ostilità del comandante nei confronti del
vice.
Spiccano le valutazioni con punteggi
vicini allo zero, in sede di valutazioni
basate su parametri assolutamente personali.
Risaltano le informali riunioni convocate
fuori dell'ufficio per informare i colleghi
che il mobbizzato (sul punto di riprendere
l'attività) non avrebbe ripreso servizio
presso il comando, ma in locali decentrati.
Il mobber aveva chiesto agli altri
dipendenti di ignorare il vice
(perseguitato) e per ogni disposizione di
far riferimento diretto solo alla sua
persona. Aveva determinato l'isolamento
della vittima dai colleghi, anche
costringendo il mobbizzato a effettuare una
trasferta su un mezzo utilizzato in
solitudine, mentre i colleghi si muovevano
con un altro comune mezzo di trasporto. E se
dei singoli episodi persecutori il
comandante aveva fornito una
giustificazione, la sentenza rileva che le
componenti del mobbing non possono essere
considerate singolarmente ma in
considerazione della complessiva condotta
intrapresa nei confronti della vittima.
La
Corte dei Conti ha invece assolto (oltre al
sindaco) una dirigente che aveva
intrattenuto per breve tempo un rapporto
lavorativo con il perseguitato, per mancanza
del requisito temporale necessario al
perfezionamento del mobbing. La sentenza ha
ritenuto infatti che la condotta
persecutoria per integrare il mobbing debba
avere quantomeno durata semestrale,
coerentemente con Cass. n. 22858 dell'11.09.2008 che ha ritenuto sufficiente
l'entità semestrale rigettando i rilievi
datoriali sulla pretesa brevità di questo
periodo.
Di particolare interesse, in materia,
risulta la sentenza della Suprema Corte n.
12445 del 25.05.2006. In questo caso, in
relazione a un caso in cui il mobber era il
presidente di un'associazione, detta
pronuncia ha ritenuto che incombesse
sull'associazione, contrattualmente tenuta a
tutelare il dipendente, in base all'art.
2087 cod. civ., l'onere di provare di avere
adottato tutte le misure necessarie a
prevenire l'evento dannoso, mentre nella
fattispecie in esame l'associazione si era
limitata a sostenere di avere deferito il
presidente al collegio dei probiviri
attuando (secondo la sentenza) un'iniziativa
diretta alla repressione e non alla
prevenzione dei fatti mobbizzanti, pertanto
non idonea a costituire adempimento degli
obblighi previsti dall'art. 2087 cod. civ.
(articolo ItaliaOggi
del 04.08.2011). |
NOTE,
CIRCOLARI E COMUNICATI |
ENTI LOCALI: Siti
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Ma vediamo nel dettaglio i contenuti del
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Il dipartimento della funzione pubblica
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qualora esso sia necessario alla resa di un
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Altro punto del parere è dedicato alla
reperibilità sul web degli indirizzi di
posta elettronica istituzionali. La bozza di
linee guida prescrive la pubblicazione, nei
siti istituzionali delle pubbliche
amministrazioni, dell'elenco delle caselle
di posta elettronica attive. Il Garante si
preoccupa del fatto che questo elenco sia
utilizzato al fine di inviare, alle caselle
di posta elettronica del personale o degli
uffici, messaggi per finalità estranee alle
funzioni istituzionali dell'ente (ad esempio
messaggi commerciali).
Per scongiurare tutto ciò, secondo il parere
del Garante, è opportuno precisare che
l'elenco degli indirizzi di posta
elettronica istituzionali deve essere
sottratto all'indicizzazione da parte di
motori di ricerca generalisti. Inoltre nella
sezione si deve riportare un avviso che
espliciti tale limitazioni d'uso
(articolo ItaliaOggi
del 06.08.2011). |
EDILIZIA PRIVATA: Silenzio-assenso a proprio rischio.
Chi vende deve dichiarare tutti gli elementi
costitutivi.
Circolare del Consiglio nazionale del
Notariato sulle ricadute del dl sviluppo.
Silenzio-assenso in edilizia a proprio
rischio e pericolo: quando si trasferisce la
casa, costruita con un permesso di costruire
tacito, chi vende deve prendersi la
responsabilità di dichiarare tutti gli
elementi costitutivi del silenzio-assenso
(introdotto dal decreto sullo sviluppo n.
70/2011). Nei rogiti non si scriveranno gli
estremi di un atto, che non esiste nemmeno
come documento, ma il notaio riprodurrà la
dichiarazione che il venditore deve
rilasciare senza avere il conforto di un
atto formale rilasciato dal comune.
Le
ricadute del decreto sviluppo sono
illustrate dalla
circolare
08.06.2011 n. 325-11/C del
Consiglio nazionale del Notariato, che
ricostruisce la disciplina dell'attività
edilizia dopo il decreto sullo sviluppo
2011.
Si può aggiungere che, certo, si potrà
costruire più velocemente, ma potrebbero
essere minori le garanzie sugli atti di
compravendita, anche per chi acquista. E il
notaio non potrà certo diventare garante
della regolarità edilizia.
Il quadro normativo risulta, dunque,
cambiato rispetto all'impianto del Testo
unico per l'edilizia (dpr 380/2011). In
particolare il legislatore ha dato l'addio
alla Dia ordinaria: dopo il decreto sullo
sviluppo i titoli abilitativi si fanno in
quattro. Accanto al permesso di costruire,
completamente rivisitato dal
silenzio-assenso, si trova la Scia, che ha
sostituito la Dia per le opere minori, la
super-Dia (sostitutiva del permesso) e la
comunicazione per le opere interne.
Ma vediamo come i notai ricostruiscono la
disciplina edilizia dopo il decreto legge
70/2011.
Il quadro attuale censisce i seguenti titoli
edilizi. Attualmente, dopo le modifiche del
decreto sviluppo, la disciplina
dell'attività edilizia può essere, pertanto,
così ricostruita: attività edilizia
totalmente libera (manutenzioni
straordinarie, eliminazione barriere
architettoniche ecc.); attività edilizia
libera, previa comunicazione inizio lavori
(di cui alla legge 73/2010, per manutenzione
straordinaria, pannelli solari, opere
precarie, aree ludiche ecc.); attività
edilizia soggetta a permesso di costruire;
attività edilizia soggetta a super-Dia;
attività edilizia soggetta a Scia, che ha
sostituito la Dia ordinaria.
Per i profili notarili, in relazione alle
opere per cui è prevista la comunicazione,
non vi è alcun obbligo di citare gli estremi
della comunicazione preventiva in eventuali
atti traslativi o divisionali, anche se,
secondo i notai, è opportuno (non
obbligatorio) riportare in atto gli estremi
della comunicazione preventiva .
Il permesso di costruire si applica alle
nuove costruzioni, alle ristrutturazioni
edilizie pesanti e per quelle urbanistiche.
Con il decreto legislativo 301/2002, è
prevista in alternativa al permesso di
costruire, la possibilità di avvalersi della
super-Dia. Anche in tale caso, come per il
permesso di costruire, è necessario inserire
negli atti, a pena di nullità, gli estremi
della super-Dia.
Con il dl 70/2011 è stata introdotta la
regola del silenzio-assenso, per cui se
l'ufficio tecnico comunale non adotta l'atto
espresso, esso deve intendersi rilasciato
per il semplice decorso del tempo.
E qui entrano in gioco le novità più grosse
per i rogiti notarili. Innanzitutto non
potrà essere citato un atto determinato con
data e numero di protocollo.
Quindi nell'atto la parte deve dichiarare
tutti gli elementi da cui è derivato il
silenzio-assenso e cioè: data di
presentazione della domanda di permesso di
costruire; la completezza della stessa
quanto a documentazione tecnica e
progettuale; l'ufficio comunale competente;
l'avvenuto pagamento del contributo
concessorio; l'avvenuto decorso dei termini
previsti dalla normativa (eventuale di fonte
regionale) senza che sia intervenuto il
rilascio del provvedimento o il rilascio di
un provvedimento espresso di diniego; la
mancanza di richieste di integrazione della
documentazione da allegare alla domanda e
infine l'assenza di vincoli ambientali,
paesaggistici o culturali o in alternativa
l'osservanza delle procedure sui vincoli.
Come si potrà notare l'atto si complica e
sarà basato sulla responsabilità del
dichiarante: oggi è relativamente più
semplice citare un atto e si è sicuri che
l'atto non è rischio di nullità. Negli atti
posteriori al decreto sviluppo tutti gli
elementi costitutivi del silenzio-assenso
dovranno essere fatti risultare dall'atto
nella forma della dichiarazione di parte.
D'altra parte le norme non prescrivono una
specifica attestazione da parte del notaio,
il quale non sarà tenuto a effettuare
controlli sulla regolarità
edilizio-urbanistica del procedimento
conclusosi con il silenzio assenso. Il
notaio farà una verifica puramente formale
circa la sussistenza dei presupposti del
silenzio assenso e riprodurrà in atto, la
dichiarazione di parte. Insomma il livello
di garanzie per la parte acquirente può
diminuire sensibilmente.
Per gli interventi soggetti a Scia non è
prescritta alcuna menzione nell'atto
notarile a pena di nullità: tuttavia la
circolare dei notai precisa che è opportuna
la menzione degli estremi della scia per
ricostruire con certezza la storia
urbanistico-edilizia del fabbricato. Della
Scia si indicheranno data e numero di
protocollo ed è consigliabile una formula di
garanzia resa dall'interessato sulla
legittimità della Scia.
E per gli atti stipulati prima di 30 giorni
dalla presentazione della segnalazione, si
inserirà in atto la dichiarazione di essere
a conoscenza della circostanza che
l'amministrazione competente, in caso di
accertata carenza dei requisiti e dei
presupposti di legge, potrà vietare la
prosecuzione dell'attività edilizia e
ordinare la rimozione degli effetti dannosi
della stessa
(articolo ItaliaOggi
del 04.08.2011). |
NEWS |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO:
La radiografia degli errori nella
gestione delle risorse.
La Ragioneria generale dello Stato ha
raccolto, anche per quest’anno, in un
massimario le risultante delle proprie
ispezioni negli enti locali e nelle altre
pubbliche amministrazioni, indicando gli
errori più frequentemente commessi. Una
parte di grande rilievo hanno quelli
relativi alla gestione delle risorse umane
e, in tale ambito, quelli attinenti alla
contrattazione collettiva, di cui ci
occupiamo specificamente.
Da sottolineare che le ispezioni stanno
crescendo nel numero e che gli esiti
determinano in numerosi casi l’irrogazione
di condanne da parte della Corte dei conti.
Basti ricordare che nei mesi scorsi si è
arrivati alla pronuncia definitiva per il
comune di Rho, con la sostanziale conferma
da parte della terza sezione giurisdizionale
centrale d’appello (sentenza n. 853/2010)
della sentenza di condanna n. 457/2008 resa
in primo grado dalla sezione giurisdizionale
della Lombardia. Ed ancora, molto di
recente, la sentenza n. 976 del'01.06.2011
della Corte dei conti della Campania, che
riguarda il condono tributario deliberato in
modo eccessivamente estensivo dal comune di
Benevento, si basa sulle risultanze della
attività degli ispettori della Ragioneria
generale dello Stato.
I segretari comunali.
Le anomalie che più frequentemente sono
contestate ai segretari comunali e
provinciali sono la percezione di compensi
illegittimi e l’errata applicazione della
clausola del c.d. galleggiamento.
La percezione di compensi illegittimi si
realizza in primo luogo attraverso la
violazione del principio della
onnicomprensività del loro trattamento
economico accessorio. Ciò avviene spesso con
il riconoscimento di maggiorazioni per le
attività ulteriori che sono svolte, mentre
il Ccnl del 16.05.2001 stabilisce che tutte
queste voci debbano essere comprese
nell’ambito della retribuzione di posizione
e della sua eventuale maggiorazione. Per
cui, ad esempio, l’assegnazione della
responsabilità di un settore non consente
l’erogazione di uno specifico compenso, ma
esso deve essere compreso nell’ambito della
maggiorazione della retribuzione di
posizione: ed infatti il contratto
decentrato del dicembre 2003 che ha per la
prima volta previsto tale possibilità
richiama espressamente questo elemento.
L’unica eccezione consentita da tale
contratto riguarda l’eventuale remunerazione
in modo aggiuntivo della presidenza del
nucleo di valutazione. Evidenziamo al
riguardo che, per la Corte dei conti della
Campania, comunque l’ammontare dei compensi
percepiti non può eccedere la maggiorazione
massima della retribuzione di posizione
consentita dal contratto, cioè il 50% che
scende al 30% nel caso dei piccoli comuni.
Altra frequente violazione riguarda
l’erogazione di compensi per incarichi
specifici, in particolare per la presidenza
di commissioni di gara e/o di concorso nello
stesso ente.
Gli ispettori, sulla scorta dei pareri
dell’Aran e della Ragioneria generale dello
Stato, contestano la modalità con cui in
molti enti è stata calcolata la c.d.
indennità di galleggiamento. Essi ritengono
che tale compenso vada calcolato ed erogato
solamente dopo che, anche tramite la
maggiorazione della retribuzione di
posizione, si sia al di sotto del compenso
di posizione più elevato in godimento
nell’ente da parte di un dirigente o di un
titolare di posizione organizzativa. Mentre
in molti enti tale indennità scatta prima
della maggiorazione della retribuzione di
posizione. Da sottolineare che la
giurisprudenza è divisa sulla
interpretazione corretta.
I dirigenti.
In altre occasioni le relazioni degli
ispettori della Ragioneria generale dello
Stato hanno evidenziato che,
statisticamente, le irregolarità commesse
nel trattamento economico dei dirigenti sono
quelle più rilevanti sia nel numero che nel
peso. Si ritiene che questo giudizio
continui a corrispondere ancora pienamente
alla realtà.
In molte amministrazioni in cui vi sono
pochi dirigenti, non risulta essere
costituito il fondo per la contrattazione
decentrata. Il fatto che negli enti in cui
il numero dei dirigenti sia inferiore a
cinque non si debba dare luogo alla stipula
di un contratto decentrato e che le materie
ad esso rimesse diventano oggetto di
concertazione, non deve essere inteso nel
senso che la costituzione del fondo diventa
una scelta opzionale.
Esso deve essere costituito in tutte le
amministrazioni in cui sono in servizio dei
dirigenti. Il fondo deve essere costituito
nel rispetto delle regole dettate dai
contratti collettivi nazionali, a partire da
quello -per importanza- del 23.12.1999.
Costituisce un grave errore il “pesare”
le singole posizioni dirigenziali e dalla
somma dei compensi far scaturire il fondo.
La metodologia da seguire è esattamente
quella opposta: si costituisce il fondo e,
sulla base dei criteri di pesatura
utilizzati, si provvede alla determinazione
delle indennità di posizione e di risultato,
riservando a queste ultime almeno il 15% del
totale delle risorse.
Occorre inoltre ricordare che con il fondo
devono essere remunerate tutte le posizioni
dirigenziali previste nella dotazione
organica, a prescindere che siano o meno
coperte. Per cui queste risorse serviranno
anche a riconoscere le indennità di
posizione e di risultato ai dirigenti
assunti ai sensi dell’art. 110, comma 1, del
Dlgs n. 267/2000, Testo unico delle leggi
sull’ordinamento degli enti locali, cioè ai
dirigenti assunti per coprire posti vacanti
in dotazione organica. Gli eventuali
risparmi che si realizzeranno nel caso di
posti non coperti andranno ridistribuiti ai
dirigenti in servizio, in primo luogo a
coloro che coprono ad interim tali
responsabilità, sotto forma di indennità di
risultato. Solamente usando questo metodo
l’eventuale copertura di posti dirigenziali
prima scoperti consente l’erogazione del
trattamento economico accessorio senza oneri
aggiuntivi per l’ente.
Nella costituzione del fondo non è in alcun
modo consentito, sulla base dell’art. 23 del
Ccnl 23.12.1999, prevedere risorse
aggiuntive per gli enti virtuosi: la
relativa clausola è rimasta infatti una mera
norma di principio in quanto non si è
tradotta in alcuna intesa operativa.
Particolare attenzione occorre mostrare
all’incremento ex art. 23, comma 3, del Ccnl
23.12.1999. Siamo in presenza di una
disposizione per molti aspetti analoga a
quella dettata per i dipendenti dall’art.
15, comma 5, del Ccnl 01.04.1999, per cui
rinviamo agli errori che segnaleremo
nell’applicazione di questa norma.
Ricordiamo che siamo in presenza di una
disposizione che consente l’incremento del
fondo per l’aumento del numero dei dirigenti
in servizio per posti di nuova istituzione
e/o per l’attivazione ovvero il
miglioramento o l’estensione di servizi
esistenti. L’unica differenza è data dal
fatto che la ripetizione nel corso degli
anni di questo incremento per l’attivazione
di nuovi servizi e/o il
miglioramento-estensione di quelli esistenti
sembra essere più facile per i dirigenti.
Quanto al trattamento economico, in molte
amministrazioni non sono state ridotte le
indennità di posizione nella misura prevista
dal Ccnl 2002 a fronte del corrispondente
incremento del trattamento economico
fondamentale. Ricordiamo che queste somme,
oltre ad essere tolte dalle indennità di
posizione, vanno tolte anche dal fondo. E
che, ovviamente, l’ente non può
successivamente deliberare un loro
incremento, così da coprire il taglio.
Quanto alla remunerazione degli ‘interim’,
si deve ricordare che le attuali regole non
la consentono sotto forma di incremento
della retribuzione di posizione, ma
solamente nella forma dell’aumento
dell’indennità di risultato.
Anche per i dirigenti vale, in modo
particolarmente forte dopo la pronuncia del
2005 della commissione speciale per il
pubblico impiego del Consiglio di Stato, il
vincolo dell’onnicomprensività del
trattamento economico accessorio, fatte
salve unicamente le deroghe previste dai
contratti collettivi nazionali di lavoro.
Tale divieto si estende a qualunque incarico
conferito dall’ente, anche se lo stesso non
ha immediata attinenza con i compiti
assegnati.
Il fondo per le risorse
decentrate.
Le regole per la costituzione del fondo per
le risorse decentrate sono tassative e non
consentono né agli enti, né ai contratti
decentrati di aumentare le somme disponibili
oltre a quanto previsto dai contratti
nazionali. Si deve ricordare che gli aumenti
a disposizione dei singoli enti sono
solamente due: art. 15, commi 2 e 5, del
Ccnl 01.04.1999.
Il primo incremento, cioè fino allo 1,2% del
monte salari 1997, può essere effettuato se
si rispettano le seguenti tre indicazioni.
In primo luogo, l’ente deve annualmente
deliberare la volontà di avvalersi di tale
istituto e deve fissarne la misura: è
necessario seguire questa procedura in
quanto siamo in presenza di una componente
della parte variabile del fondo e non di
quella stabile, per cui essa non è in alcun
modo acquisita permanentemente, ma deve
essere deliberata ed in ciò vi sono margini
di autonomia e discrezionalità da parte dei
singoli enti. In secondo luogo, sulla base
delle previsioni di cui al successivo comma
4 dello stesso articolo, occorre una
specifica motivazione in termini di
provenienza da risparmi conseguenti a
razionalizzazioni organizzative e/o di
destinazione a specifici obiettivi di
produttività e di qualità. In terzo luogo,
sempre sulla base delle previsioni dello
stesso comma 4, tale provenienza o
destinazione deve essere attestata da parte
del nucleo di valutazione o dei servizi di
controllo interno.
L’incremento di cui all’art. 15, comma 5, è
consentito sia sulla parte stabile che su
quella variabile. Il primo richiede che vi
siano contemporaneamente un aumento del
numero dei dipendenti in servizio e che tale
incremento copra posti di nuova istituzione
in dotazione organica. Quindi, la semplice
copertura di posti vacanti, anche se si
determina un aumento del personale a tempo
indeterminato, non consente tale
integrazione. Ricorrendo tali condizioni, e
da alcun anni si può parlare al riguardo di
una ipotesi di scuola, la misura
dell’aumento deve essere determinata sulla
base di criteri oggettivi, quali ad esempio
la incidenza media di un dipendente sul
fondo o il trattamento accessorio in
godimento da parte di dipendenti di quella
categoria e profilo. Si deve ricordare che
questo incremento non è consentito nel caso
in cui l’aumento dei dipendenti e la
variazione in aumento della dotazione
organica sono dovuti a decentramento di
funzioni: in queste ipotesi, il fondo deve
essere incrementato del trattamento
accessorio in godimento da parte dei
dipendenti trasferiti e che gli stessi
continuano ovviamente a percepire.
L’ipotesi più utilizzata di incremento del
fondo ex art. 15, comma 5, del Ccnl
01.04.1999 riguarda la parte variabile ed è
collegato all’attivazione di nuovi servizi
e/o al miglioramento-estensione di quelli
esistenti senza che vi siano nuove
assunzioni. Occorre che i nuovi servizi
siano effettivamente tali e che si producano
effetti esterni percepibili effettivamente
da parte degli utenti/cittadini. Tali
incrementi, unitamente ai servizi
aggiuntivi, devono essere oggetto di una
decisione preventiva da parte dell’ente e
non di una scelta che interviene a
sanatoria. La misura degli incrementi deve
essere determinata sulla base di criteri
oggettivi e deve essere motivata per ogni
singolo servizio. Tali criteri possono
essere dati dalla quantità di risorse
aggiuntive necessarie per la corresponsione
delle indennità previste dai contratti
nazionali o in relazione agli effetti di
miglioramento che si determinano. Ed ancora,
di regola queste risorse non vanno ripetute
nel corso degli anni, fatti salvi i casi in
cui siano strettamente necessarie per
corrispondere indennità indispensabili per
lo svolgimento del servizio aggiuntivo.
Le amministrazioni devono decurtare il fondo
delle risorse utilizzate per il trattamento
accessorio del personale Ata trasferito alle
dipendenze dello Stato, risorse che sono
state sottratte agli enti attraverso un
corrispondente taglio dei trasferimenti
erariali.
Ed ancora, occorre finanziare dalla parte
stabile gli oneri per il reinquadramento
dall'01.01.1998 dei dipendenti di prima e
seconda qualifica funzionale in terza e dei
vigili dalla quinta alla sesta. Ovviamente
tali risorse tornano ad essere disponibili
man mano che questi dipendenti cessano dal
servizio.
Inoltre, il fondo va tagliato di una cifra
eguale al trattamento economico
effettivamente in godimento da parte del
personale cessato a seguito di
esternalizzazione della gestione di un
servizio. Analogamente, nel caso di
passaggio dei dipendenti ad altro ente per
la realizzazione di forme di gestione
associate, occorre tagliare il fondo di una
cifra pari al trattamento economico
accessorio in godimento da parte del
personale trasferito, trattamento economico
che i dipendenti si portano dietro come una
sorta di “zainetto”.
Infine, gli aumenti della parte variabile
del fondo previsti dai Ccnl del 2006 e del
2008 non possono essere ripetuti negli anni
successivi e quelli previsti dal Ccnl 2009
potevano essere inseriti solo in tale anno.
I compensi dei dipendenti.
In molte amministrazioni si erogano
illegittimamente compensi al personale. Tali
sono le erogazioni che non rispondono ai
requisiti dettati dal contratto nazionale e
che, fatte salve le eccezioni dallo stesso
previste, non possono essere modificate da
parte dei contratti decentrati. La
giurisprudenza della Corte dei conti ha
stabilito ripetutamente che, anche se non vi
sono oneri aggiuntivi, si determina comunque
danno erariale in quanto si aumenta
illegittimamente il compenso previsto e si
privano gli altri dipendenti di risorse che
potrebbero loro spettare sulla base delle
regole previste dai contratti nazionali,
quindi una sorta di responsabilità per
perdita di chance.
La produttività richiede la preventiva
assegnazione di obiettivi, il loro
raggiungimento e la valutazione da parte del
dirigente. Sulla base delle previsioni
dettate dal Ccnl 22.01.2004 che sono, per
questo aspetto, un’anticipazione della legge
c.d. Brunetta, gli obiettivi, che devono
essere assegnati da parte dei dirigenti ed
essere coerenti con quelli loro assegnati da
parte della giunta, devono determinare un
apprezzabile miglioramento dei risultati
normalmente attesi. Il loro effettivo
raggiungimento deve essere verificato da
parte del nucleo di valutazione. Deve essere
considerato vietata ogni erogazione sulla
base di automatismi, quali la presenza, la
categoria ecc.
Le indennità di rischio e disagio non
possono essere erogate ad intere categorie
e/o profili; si richiede cioè la presenza di
condizioni ulteriori rispetto a quelle
tipiche ed ordinarie. Esse non possono
sommarsi per la stessa fattispecie. Non
possono in alcun modo remunerare le attività
svolte dinanzi al computer. La misura della
indennità di disagio, ancorché rimessa alla
contrattazione decentrata, non deve superare
quella di rischio.
I compensi per specifiche responsabilità non
possono remunerare il semplice svolgimento
di un’attività di responsabile del
procedimento; occorre che i compiti
assegnati siano ulteriori rispetto a quelli
tipici della categoria.
Le condizioni per l’erogazione
dell’indennità di turno sono fissate in modo
compiuto dal contratto nazionale, al pari
dei compensi per la reperibilità e per le
attività svolte nelle giornate festive, per
cui i contratti decentrati integrativi non
possono in alcun modo intervenire. Nel caso
di interruzione dell’orario di servizio
viene a mancare uno dei requisiti essenziali
per l’erogazione di questo compenso. Occorre
inoltre rispettare il vincolo della
alternanza tra i vari turni in modo
equilibrato nel corso del mese.
Le attività svolte durante le giornate
festive infrasettimanali dai dipendenti
inseriti in turno devono essere remunerate
tramite la corresponsione dell’indennità di
turno festiva e non tramite il compenso per
le attività svolte in giornate festive.
Occorre ricordare che su questa materia vi
sono interpretazioni giurisprudenziali assai
diversificate (tratto da
www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com). |
APPALTI -
EDILIZIA PRIVATA: Aggiornato
lo sportello unico previdenziale. Durc
riutilizzabile negli appalti p.a..
Semplificato il durc nella gestione degli
appalti pubblici. Infatti, può essere
utilizzato e riutilizzato da parte degli
uffici della stessa amministrazione.
La novità arriva dall'ultimo aggiornamento
dello sportello unico previdenziale
(versione 4.0.1.13/A), applicativo durc, di
cui dà notizia l'Inail nella nota protocollo
n. 5549/2011.
Diverse le novità che si vanno ad aggiungere
ai consueti correttivi per specifiche
anomalie segnalate dalle sedi dell'Inail.
Una di queste è l'eliminazione della
visualizzazione dell'ultima matricola Inps
inserita. In pratica, in fase di richiesta
del durc, il campo «numero matricola»
Inps era preimpostato con l'ultimo numero
inserito in procedura. Questo automatismo,
in alcune ipotesi, creava errori di
smistamento della pratica a una sede Inps
diversa da quella competente a effettuare la
verifica.
Su espressa richiesta dell'Inps, pertanto,
la procedura è stata modificata e ora
richiede l'inserimento necessariamente del
numero di matricola Inps e la scelta della
sede Inps competente.
Altra novità riguarda il recupero del Cip da
parte di una stazione appaltante
appartenente alla stessa amministrazione. In
base alla procedura durc, ogni stazione
appaltante è individuata attraverso un
apposito codice identificativo previsto per
singolo dipartimento/ufficio/settore
dell'amministrazione (facente capo a un
dirigente o responsabile) che agisce in
qualità di stazione appaltante in relazione
ai procedimenti di rispettiva competenza.
Pertanto, nel caso di appalti pubblici, i
dati inseriti in una richiesta di durc fatta
da una stazione appaltante (cioè da un
ufficio o dipartimento ecc.) non erano
riutilizzabili per le successive richieste
di durc relative al medesimo appalto, da
parte di altri uffici, dipartimenti ecc.
ancorché facenti parte della stessa
amministrazione.
Per esempio in alcuni comuni, in relazione a
un appalto, la procedura di gara e lo
svolgimento dei lavori sono di competenza
dell'ufficio tecnico, mentre i singoli
pagamenti sono di competenza dell'ufficio
contabilità. Il primo ufficio, pertanto,
richiedeva il durc per le fasi di selezione
del contraente e di stipula contratto, ma il
Cip, ancorché relativo allo stesso appalto,
non poteva essere «recuperato»
dall'ufficio contabilità per effettuare le
richieste di durc per i pagamenti dei Sal o
dello stato finale
(articolo ItaliaOggi
del 06.08.2011). |
CONSIGLIERI COMUNALI: Osservatorio Viminale/ Unioni, permessi doppi.
Il sindaco di un comune ha diritto di fruire
dei permessi di cui al comma 1 dell'art. 79
del decreto legislativo n. 267/2000, a
seguito dell'avvenuta nomina a presidente di
una Unione di comuni, essendo componente di
diritto della relativa assemblea?
I permessi previsti dall'art. 79, comma 1,
del dlgs n. 267/2000, per i componenti delle
assemblee delle Unioni di comuni, sono
cumulabili con quelli spettanti per la
carica di sindaco, in base al citato
articolo, commi 1, 3, 4 e 5
(articolo ItaliaOggi
del 05.08.2011). |
CONSIGLIERI COMUNALI: Osservatorio Viminale/
Diritto d'accesso dei consiglieri.
Un ente locale può determinare, in relazione
al diritto di accesso da parte dei
consiglieri, un limite al rilascio di copie
di documenti oltre il quale imporre un costo
del servizio?
In linea generale, per i consiglieri, vale
il principio di gratuità del diritto di
prendere visione e di estrarre copia di atti
e documenti, che trova fondamento
nell'esercizio del munus agli stessi
affidato, «perché l'esercizio del diritto di
accesso attiene alla funzione pubblica di
cui il richiedente è investito e non al
soddisfacimento di un interesse privato e
attuale».
Pertanto «al consigliere che
chieda copia di atti utili per l'esercizio
del proprio mandato non può essere
addebitato il costo», sia «perché
l'esercizio del diritto di accesso attiene
alla funzione pubblica di cui il richiedente
è investito», sia perché «in nessun caso il
consigliere può fare uso privato dei
documenti così acquisiti». (Commissione per
l'accesso ai documenti amministrativi parere
del 05.10.2004).
Con il recente parere del 05.10.2010, la
Commissione per l'accesso ai documenti
amministrativi, esprimendosi sull'esercizio
di tale diritto, ha ribadito che è
illegittimo prevedere, per le richieste da
parte dei consiglieri comunali, il pagamento
dell'imposta di bollo, dei diritti di
segreteria e dei costi di riproduzione.
La stessa Commissione ha richiamato il
consolidato principio giurisprudenziale (ex multis Consiglio di stato, sez. V. n.
929/2007) secondo cui il diritto del
consigliere di accesso agli atti «non può
subire compressioni per pretese esigenze di
natura burocratica dell'ente con l'unico
limite di poter esaudire la richiesta,
qualora sia di una certa gravosità, secondo
i tempi necessari per non determinare
interruzione delle altre attività di tipo
corrente».
Sotto tale profilo il consigliere deve,
quindi, contemperare il diritto di accesso
con l'esigenza di non intralciare lo
svolgimento dell'attività amministrativa e
il regolare funzionamento degli uffici
comunali, comportando ad essi il minor
aggravio possibile, sia dal punto di vista
organizzativo che economico (Corte dei
conti, sez. Liguria n. 1/2004).
In tal senso, la Commissione per l'accesso,
sulla base principio di economicità che
incombe sia sugli uffici tenuti a provvedere
sia sui soggetti che chiedono prestazioni
amministrative, ha riconosciuto «la
possibilità per il consigliere di avere
accesso diretto al sistema informatico
interno, anche contabile, dell'ente
attraverso l'uso della password di servizio
proprio al fine di evitare che le continue
richieste di accesso si trasformino in un
aggravio dell'ordinaria attività
amministrativa dell'ente locale» (cfr.
parere 29.11.2009).
In tale contesto anche il giudice
amministrativo ha ritenuto legittime norme
regolamentari contenenti accorgimenti
finalizzati a ridurre i costi. In
particolare, il Consiglio di stato, V, con
la sent. n. 6742/2007 ha condiviso l'avviso
del ministero dell'interno in merito alla
possibilità di riprodurre planimetrie su
cd-rom qualora il consigliere chieda
l'estrazione di copie di atti la cui
fotoriproduzione comporti costi elevati .
Peraltro il Tar Puglia (sent. n. 115 del 21.01.2011), ha affermato che «gli unici
limiti all'esercizio del diritto di accesso
dei consiglieri comunali si rinvengono, per
un verso, nel fatto che esso debba avvenire
in modo da comportare il minor aggravio
possibile per gli uffici comunali e, per
altro verso, che non debba sostanziarsi in
richieste assolutamente generiche, fermo
restando che la sussistenza di tali
caratteri debba essere attentamente vagliata
in concreto al fine di non introdurre
surrettiziamente inammissibili limitazioni
al diritto stesso».
Se quindi, da un lato, l'imposizione di
costi di riproduzione non appare di per sé
in linea con gli orientamenti espressi, per
altro verso, ove sia valutato che la
richiesta di rilascio di copie comporti in
concreto particolare aggravio per gli
uffici, l'ente potrà, di volta in volta,
trovare una soluzione organizzativa, anche
in chiave informatica, utile a ovviare a
tale inconveniente
(articolo ItaliaOggi
del 05.08.2011). |
EDILIZIA PRIVATA:
Novità per le autorizzazioni paesaggistiche.
Con la Legge 12.07.2011, n. 106 sono state
apportate alcune modifiche all’art. 146 del
Codice dei beni culturali e del paesaggio
che comportano da subito ricadute operative
sull’attività degli Enti locali e sulle
aspettative dei cittadini.
L’autorizzazione paesaggistica è efficace da
subito, non è più necessario attendere che
decorrano trenta giorni dal suo rilascio,
poiché è stata cancellata dal comma 11
dell’art. 146 la norma che ne stabiliva
l'efficacia a partire da trenta giorni dal
rilascio.
Altri punti di attenzione:
►
compete al Soprintendente, nel caso il suo
parere vincolante sia negativo, comunicare
agli interessati il preavviso di
provvedimento negativo (cfr. nuovo comma 8
del medesimo articolo 146);
►
l’Ente titolare della competenza
paesaggistica nel trasmettere il progetto al
Soprintendente, per acquisirne il parere
vincolante, deve inoltrare oltre alla
relazione tecnica illustrativa anche una
proposta di provvedimento paesaggistico
(cfr. nuovo comma 7 del medesimo articolo
146);
►
si sono chiarite le competenze e le
disposizioni procedurali in materia di
autorizzazione paesaggistica per le “attività
minerarie” per le quali, con
l’abrogazione del comma 15 del previgente
testo, valgono ora le stesse regole
applicate alle altre tipologie e categorie
di opere (cfr. nuovo comma 14 del medesimo
articolo 146) (04.08.2011 - link a
www.sistemiverdi.regione.lombardia.it). |
APPALTI: CONSIGLIO
DEI MINISTRI/ Via libera al codice. Un ddl
su intercettazioni e collaboratori.
Antimafia, da settembre si cambia.
Certificazione lunga, più poteri ai
prefetti, banca dati doc.
Ampliato il termine di validità (da 6 a 12
mesi) della durata della certificazione
antimafia liberatoria per le imprese che
lavorano nel circuito dell'economia legale.
Ai prefetti la possibilità di desumere il
«tentativo di infiltrazione mafiosa» da
sentenze di condanna anche non definitive
per reati «strumentali» che valutate
«unitamente a concreti elementi» facciano
ritenere che l'attività d'impresa possa
essere oggetto del condizionamento mafioso,
anche indiretto. Costituzione di una banca
dati nazionale che raccoglie la
documentazione contro le organizzazioni
criminali.
Il codice delle leggi antimafia,
delle misure di prevenzione e delle nuove
norme in materia di documentazione
antimafia, presentato dal ministro
dell'interno Roberto Maroni e varato ieri
dal consiglio dei ministri è articolato in
quattro libri ed entrerà in vigore
definitivamente il prossimo 7 settembre,
come annunciato dal neo-guardasigilli Nitto
Palma.
Il codice, si legge in un comunicato
del Viminale, punta a «razionalizzazione,
semplificazione e coordinamento» della
normativa antimafia vigente necessaria con
le numerose leggi speciali entrate in vigore
negli anni. Sono stati infatti accolti i
desiderata del parlamento, con il
recepimento di 11 delle 21 modifiche
avanzate nei pareri delle commissioni
parlamentari e dal comitato di
coordinamento. Accolta anche la richiesta di
stralcio dei primi dieci articoli per i
quali, sempre a settembre, sarà varato un
disegno di legge.
Tenuto conto che i pareri
resi dagli organi parlamentari (Comitato per
la legislazione e Commissioni giustizia
della camera e del senato) hanno
evidenziato, si legge in un comunicato di
palazzo Chigi, la volontà di «innovare
l'ordinamento in maniera maggiormente
significativa», il Consiglio ha deciso di
avviare una nuova iniziativa legislativa che
copra l'intero spettro della disciplina
sostanziale e processuale in materia di
criminalità organizzata: dalle
intercettazioni «giudiziarie», alla
disciplina sui collaboratori e testimoni di
giustizia, dal regime carcerario previsto
dall'art. 41-bis, ai colloqui investigativi
speciali e alle attività di cooperazione
giudiziaria con altri stati nel settore
della confisca.
Per questo motivo, anche in
considerazione dei limiti materiali della
legge delega e la prossima scadenza del
termine per il suo esercizio (settembre
2011), il Consiglio ha deciso di stralciare
le norme contenute nel libro I del nuovo
Codice e di approntare un nuovo disegno di
legge.
Cinque libri e 131 articoli, il nuovo codice
riordina una legislazione frastagliata,
prodotto di anni di sentenze e provvedimenti
che hanno fatto giurisprudenza. Il codice,
così come uscito dal Cdm, si muove lungo tre
direttrici: cattura dei latitanti, carcere
duro e aggressione ai patrimoni criminali.
Preoccupazione aveva suscitato il passaggio
(articolo 1 della legge delega 136/2010) in
cui si fa riferimento alla durata del
sequestro: 18 mesi in tutto se non
interviene la confisca del bene sottratto
alla mafia. Nel nuovo codice, tuttavia, è
prevista la possibilità di prorogare il
sequestro di sei mesi e per non più di due
volte, in caso di indagini complesse.
Altre novità contenute nel testo varato dal
Consiglio dei ministri riguardano il
procedimento per l'applicazione delle misure
di prevenzione -il soggetto potrà richiedere
che si proceda in pubblica udienza- e
soprattutto la disciplina, completamente
innovativa, di cinque aspetti della misura
di prevenzione patrimoniale: revoca della
confisca, rapporti tra sequestro di
prevenzione e sequestro penale, tutela dei
terzi, rapporti con le procedure
concorsuali, effetti fiscali del sequestro.
La revoca della confisca sarà possibile solo
in casi eccezionali come la falsità delle
prove o il difetto originario dei
presupposti. In tale caso sarà restituita, a
eccezione degli immobili di particolare
pregio artistico o storico, solo una somma
di denaro equivalente al valore del bene.
Per regolare i rapporti tra sequestro di
prevenzione e sequestro penale, il codice
prevede che, qualora lo stesso bene sia
colpito da entrambi i provvedimenti,
l'amministrazione e la gestione del bene
devono seguire le norme sulla prevenzione
come la nomina di un amministratore
giudiziario, relazione periodica ecc.
L'amministratore giudiziario diventa «sostituto
d'imposta» ovvero paga provvisoriamente
le imposte relative ai beni sequestrati.
Alla fine della procedura, se i beni vengono
restituiti, l'amministratore recupera quanto
versato. Al fine di tutelare creditori terzi
è previsto che dal bene sequestrato sia
preventivamente estratta la parte spettante
al creditore. Ovviamente, sempre che il
credito non sia frutto di attività illecita
(articolo ItaliaOggi
del 04.08.2011). |
ATTI AMMINISTRATIVI - APPALTI: Stangata per chi perde al Tar.
Lite temeraria? Negli appalti si paga da 8
mila a 20 mila. Il consiglio dei ministri
esamina oggi la riforma del processo
amministrativo (dlgs
104/2010).
Stangata per chi perde al Tar e al Consiglio
di stato. Anche così il ministero
dell'economia fa cassa.
La
bozza di decreto legislativo correttivo
del Codice del processo amministrativo (dlgs
104/2010) oggi al vaglio del consiglio dei
ministri obbliga, infatti, il giudice a
condannare chi ha intentato una lite
temeraria a pagare allo stato una sanzione
di importo non inferiore al doppio del
contributo unificato e non superiore nel
massimo al quintuplo.
Si tratta di cifre pesanti: per esempio una
soccombenza in un ricorso su appalti può
costare da almeno 8 mila euro fino a 20 mila
euro.
Il pugno duro deriva dalla proposta
riscrittura del secondo comma dell'articolo
26 del codice del processo amministrativo,
dedicato alle spese di giudizio.
Nella versione attuale in caso di lite
temeraria il giudice può (non «deve»)
condannare d'ufficio (quindi anche senza
richiesta di parte) chi perde al pagamento a
favore di chi vince di una somma di denaro
equitativamente determinata (senza minimi e
massimi).
La lite è giudicata temeraria quando la
decisione è fondata su ragioni manifeste o
orientamenti giurisprudenziali consolidati.
La modifica del decreto correttivo lascia
intatta la definizione della lite temeraria.
Sul punto non si può non sottolineare come
sia molto forte la discrezionalità del
giudice, che ha campo libero per valutare se
una ragione è manifesta oppure no. Meno alea
si registra, invece, per il presupposto del
consolidamento di orientamenti
giurisprudenziali, che si ritiene deve
realizzarsi a livello di Consiglio di stato.
Il resto della disposizione viene, invece,
rivoluzionato. Innanzi tutto la condanna al
risarcimento diventa obbligatoria: la nuova
versione testualmente dispone che «il
giudice condanna d'ufficio la parte
soccombente al pagamento di una sanzione
pecuniaria»; viene abbandonato l'espressione
incentrata sull'uso dell'ausiliare «potere»
(«può condannare»); così si vincola il
giudice a condannare chi con temerarietà ha
iniziato un giudizio o ha resistito con
altrettanta temerarietà in giudizio. La
norma vale tra l'altro anche per la pubblica
amministrazione soccombente, che farà bene a
esercitare l'autotutela quando l'atto
impugnato non è difendibile.
In secondo luogo il beneficiario delle somme
non è più l'altra parte e cioè quella che ha
vinto in giudizio; il beneficiario è lo
stato. È evidente che da un risarcimento
alla parte vincitrice si passa a una
sanzione per chi perde.
Infine si passa dalla valutazione equitativa
del giudice, quale criterio per la
determinazione dell'importo del
risarcimento, a una misura predeterminata
dalla legge con un minimo e un massimo, come
è usuale che sia per le sanzioni.
L'ammontare del risarcimento deve essere non
inferiore al doppio e non superiore al
quintuplo del contributo unificato dovuto
per il ricorso introduttivo del giudizio.
Le cifre sono considerevoli e si aggiungono
alle spese di soccombenza (e cioè il
rimborso delle spese legali sostenute da chi
ha vinto).
Passiamo in rassegna le diverse possibilità.
Per i ricorsi in materia di accesso ai
documenti amministrativi, contro il silenzio
della pa, in materia di cittadinanza e
residenza, soggiorno e ingresso in Italia e
per quelli di esecuzione e ottemperanza la
lite temeraria può costare da 600 a 1.500
euro. Per i ricorsi cui si applica il rito
abbreviato la sanzione va da 3 mila euro a 7
mila e cinquecento euro. Per i ricorsi in
materia di appalti si va da 8 mila a 20 mila
euro.
Infine per tutti gli altri ricorso il minimo
è 1.200 euro e il massimo è 3 mila euro.
Peraltro se si dovesse considerare l'importo
del contributo unificato aumentato della
metà (sanzione prevista nel caso in cui il
difensore non indichi in atto l'indirizzo di
posta elettronica certificata e il numero di
fax) le cifre lieviterebbero ancora.
Tra l'altro sull'indicazione dei recapiti la
bozza di correttivo, modificando l'articolo
136 del codice, consente agli avvocati di
indicare nel ricorso e nel primo atto
difensivo un indirizzo di posta elettronica
certificata e un numero fax, che possono
essere anche diversi dagli indirizzi del
domiciliatario: quindi il dominus può
indicare la propria pec o i proprio fax
anche se si elegge domicilio presso un
avvocato di altra sede
(articolo ItaliaOggi
del 03.08.2011 - tratto da www.corteconti.it). |
PUBBLICO IMPIEGO: Accordo
all'Aran con le sigle sindacali. Compensazioni
sui permessi.
Le organizzazioni sindacali che, negli anni
dal 2007 al 2010, hanno utilizzato permessi
per la partecipazione agli organismi
direttivi statutari in misura maggiore di
quanto spettante, non dovranno mettere mano
al portafoglio così da versare alla funzione
pubblica il corrispettivo economico delle
ore di permesso fruite e non spettanti.
Potranno, infatti, compensare, in un arco da
tre a cinque anni, le ore fruite in
eccedenza nell'ambito dei contingenti orari
previsti per gli anni successivi.
Questo grazie all'ipotesi
29.07.2011 di Ccnq firmata
tra l'Aran e le maggiori
sigle sindacali, al fine di sanare una
situazione che, di fatto, pone fine alle
criticità relative al recente utilizzo, da
parte delle sigle sindacali del software di
rilevazione del monte ore destinato ai
permessi sindacali e ad evitare l'insorgere
di possibili contenziosi sulla materia.
L'ipotesi comunque, prevede l'attivazione di
meccanismi di compensazione a favore delle
sigle sindacali che nel quadriennio
2007-2010, hanno sforato il tetto di
permessi loro assegnati, fermo restando che
l'eventuale compensazione non deve
pregiudicare l'esercizio delle prerogative
sindacali, stabilendo, a tal fine, che
almeno il 30% del monte ore annuo deve
restare nella disponibilità delle
associazioni sindacali stesse.
In breve, si precisa che se le
organizzazioni sindacali dal 2007 al 2010
hanno utilizzato permessi sindacali, ex
art. 11 Ccnq 07.08.1998, in misura superiore a
quella spettante, possono compensare le ore
fruite in eccedenza nell'ambito del
contingente di permessi loro spettanti negli
anni successivi. Sarà la funzione pubblica
ad avviare le necessarie iniziative che
permetteranno alle pubbliche amministrazioni
e alle sigle sindacali la verifica dei dati
contenuti nella banca dati Gedap relativi al
quadriennio 2007-2010.
Tuttavia, tale
verifica deve concludersi entro sessanta
giorni, al termine dei quali ci saranno
ulteriori quindici giorni in cui i dati del
sistema Gedap si intenderanno definitivi. La
procedura di verifica permette ai sindacati
che ricevono la nota di palazzo Vidoni di
inviare una proposta per la compensazione
dei permessi usufruiti in eccedenza.
La compensazione può essere «spalmata»
in tre anni, decorrenti dal gennaio 2012,
detraendo una quota dal monte ore di
spettanza. Se l'eccedenza dovesse essere
rilevante, è possibile concordare un piano
di rientro in cinque anni
(articolo ItaliaOggi
del 03.08.2011). |
ENTI LOCALI: In
Gazzetta il decreto Mef per i comuni. Lotta
all'evasione con regole certe.
Pronti i criteri per poter determinare le
somme relative al 33% da destinare ai comuni
che hanno partecipato alla lotta
all'evasione fiscale e contributiva.
Sulla
Gazzetta Ufficiale dell'01.08.2011,
infatti, è stato pubblicato il decreto Mineconomia 15.07.2011, firmato dal direttore
generale delle Finanze, Fabrizia Lapecorella
e dal ragioniere generale dello stato, Mario
Canzio, recante la specifica dei criteri da
seguire per poter erogare alle
amministrazioni locali che hanno partecipato
all'accertamento fiscale e contributivo, il
33% delle maggiori somme, a titolo di
imposta e sanzioni riscosse a titolo
definitivo, così come prevede l'articolo 1,
comma 1 del dl n. 203/2005.
Una disposizione
che è stata di recente modificata per
effetto dell'art. 2, comma 10, lettera b),
del dlgs 14.03.2011, n. 23 che ha previdi
detta quota dal 33 al 50%. Per il 2011,
quindi ai comuni andrà il 33% delle maggiori
somme definitivamente riscosse e relative
alle imposte sul reddito delle persone
fisiche, delle società, sul valore aggiunto,
di registro, ipotecaria, catastale e i
tributi speciali catastali. Il tutto
comprensivo anche degli interessi e
sanzioni, ivi incluse le sanzioni civili
applicate sui maggiori contributi
previdenziali e assistenziali riscossi a
titolo definitivo.
L'elenco dei criteri di erogazione delle
maggiori somme viene suddiviso in relazione
all'appartenenza dei comuni alle regioni a
statuto ordinario (Rso) o speciale (ovvero
alle Province autonome di Trento e Bolzano).
Se per la maggior parte delle imposte, il
criterio per i comuni delle Rso prevede
l'erogazione dell'importo netto con il 33%
del riscosso a titolo definitivo, per i
comuni delle regioni a statuto speciale,
l'importo netto corrisponde al 33% del
predetto riscosso che dovrà essere applicato
sulla quota di gettito di competenza
erariale, tranne il caso delle sanzioni
civili sui maggiori contributi previdenziali
ed assistenziali, il cui 33% è, in ogni
caso, corrisposto sul 33% del riscosso a
titolo definitivo. Solo i maggiori incassi
da Iva necessitano di una precisazione.
La tabella allegata al dm, infatti, prevede
che dal 33% si detrae una quota
corrispondente al rapporto tra quanto pagato
in conto competenza a titolo di risorse
proprie Iva (capitolo 2751 del bilancio
dello stato) e il riscosso in conto
competenza del capitolo 1203, al netto delle
somme utilizzate per i rimborsi e le
compensazioni
(articolo ItaliaOggi
del 03.08.2011). |
ESPROPRIAZIONE: Indennizzi
pieni sugli espropri illegittimi.
Lo Stato mette fine alle contestazioni sugli
espropri per pubblica utilità che presentano
errori od omissioni.
Dal 06.07.2011,
l'articolo 34 del decreto legge 98/2011
(convertito dalla legge 111/2011) consente
ai privati di ottenere il valore venale del
bene, oltre a un indennizzo per danni morali
e materiali subiti. Nello stesso tempo, le
amministrazioni possono acquisire i beni che
realmente loro servono. Le incertezze sanate
coprono un arco di 20 anni, poiché i diritti
su immobili (terreni e costruzioni)
potrebbero essere cancellati solo dal
decorso di 20 anni, cioè da un congruo
periodo durante il quale si è subito un
abuso senza contestarlo.
L'articolo 34 della legge 111/2011 pone
termine a procedure remote, rimediando a
incertezze sorte già all'indomani dei primi
interventi per opere ed edilizia pubblica
(legge 865/1971). La complessità delle
procedure si è cumulata all'incertezza sugli
indennizzi, la cui entità è rimasta per
decenni affidata ad aggettivi ("serio", "non
irrisorio") più che a formule di
quantificazione. Anche quando (negli anni
'80) si è riusciti a varare un indennizzo
sulla base di formule precise, rispolverando
la legge che nel 1885 autorizzava espropri
per eliminare il dilagare del colera a
Napoli, si è generato disordine, causando un
atteggiamento intransigente della Corte dei
diritti dell'uomo di Strasburgo.
Da un
giudice sopranazionale sono quindi giunti
segnali precisi (in centinaia di sentenze,
dalla 36813/2006, Scordino, in poi), che
hanno prevalso sulle opinioni delle più alte
autorità giudiziarie nazionali, riuscendo a
prevalere perfino sulle ragioni del fisco
nazionale, che avrebbe voluto prelevare, sul
l'importo dovuto ai proprietari privati del
suolo, un cospicuo 25 per cento.
Oggi l'articolo 32 della legge 111/2011,
inserendo un articolo 42-bis nel Testo unico
espropri 327/2001, rimedia a una serie di
incertezze e sposta l'equilibrio tra privati
e pubbliche amministrazioni in senso
favorevole ai primi. Non basta più che
l'opera pubblica sia stata comunque
eseguita, semmai solo attrezzando con
qualche scivolo o "percorso vita" un'area
verde in zona edificabile: occorre, per
rimediare a errori su espropri, un serio
giudizio di prevalenza della destinazione
pubblica, sulla base di attuali ed
eccezionali ragioni di interesse generale.
In tutti i casi in cui la procedura è stata
sbagliata e il bene immobile non ha ricevuto
da parte della pubblica amministrazione una
destinazione irreversibile, cioè
insuscettibile di utilizzazione da parte di
un privato, occorre seriamente pensare a una
restituzione. In conseguenza, mentre gli
errori nei tracciati di strade, elettrodotti
e servitù aeree (interventi privi di
alternative), sono sanati con un congruo
indennizzo (valore venale oltre ai danni),
molte opere realizzate a metà dalle
amministrazioni locali o rivelatesi
incongrue potrebbero tornare ai loro vecchi
proprietari.
Non basta più, in termini tecnici, l'immutatio
loci, cioè l'alterazione delle
caratteristiche iniziali (un'asfaltatura,
una recinzione, poche attrezzature, la messa
a dimora di un parco, un dislivello
eliminabile) per rendere l'opera pubblica
irreversibile. Occorre invece che emergano
attuali ed eccezionali ragioni di pubblico
interesse a mantenere pubblica la
destinazione dell'area. E il pubblico
interesse andrà valutato anche sulla base
dell'esistenza di aree alternative, a suo
tempo non considerate o non correttamente
comparate. L'unico limite all'applicazione
della norma del 2011 consiste nel
consolidarsi delle procedure, poiché occorre
che i privati abbiano contestazioni in
corso, sulle quali poi poter innestare la
procedura di acquisizione (o di
restituzione).
-------------------------
La procedura
01 | IL CENSIMENTO
L'ente che utilizza il bene deve censire gli
immobili acquisiti senza un valido titolo,
verificando il contenzioso pendente e le
richieste nei limiti del termine di
prescrizione (20 anni). Se il bene è stato
assegnato a un terzo, occorre coinvolgere il
soggetto che lo utilizza. Occorre poi
delimitare gli interessi in conflitto, cioè
verificare l'esistenza di un perdurante
interesse pubblico a utilizzare il bene.
Occorre infine specificare l'attualità ed
eccezionalità delle ragioni a favore del
mantenimento del bene in mano pubblica, cioè
l'effettiva utilizzazione e la mancanza di
alternative valide. Il bene deve essere
stato modificato in modo economicamente
irreversibile (con spese di ripristino
oggettivamente irragionevoli) o comunque
essere indispensabile al raggiungimento
dell'utilità generale
02 | LA DELIBERA
Occorre quindi una stima del valore venale
del bene, del pregiudizio patrimoniale
(interessi moratori, se il danneggiato è un
imprenditore; interessi legali negli altri
casi) e del pregiudizio non patrimoniale. A
questo punto serve una delibera
dell'Autorità che cura gli interessi cui è
destinato il bene immobile, con motivazione
e stima.
Quindi occorre reperire le risorse
per il pagamento (debito fuori bilancio) e
la notifica al proprietario con offerta di
pagamento. Il pagamento va fatto entro 30
giorni dall'acquisizione con segnalazione
dell'acquisizione alla Corte dei conti.
I fac simile
I casi del privato che vuole lasciare il
bene e chiede l'indennizzo e di chi non
vuole lasciarlo e ne chiede la restituzione
All'amministrazione di
.........................................
(ente che utilizza il bene immobile:
Comune, Regione, Consorzio, Prefettura per
le opere statali).
Il sottoscritto
..........................................................
(dati anagrafici, codice fiscale)
permesso di essere proprietario del bene
immobile sito in
.....................................................
(dati catastali: foglio, particella)
attualmente utilizzato per scopi di
interesse pubblico, modificato in assenza di
un valido ed efficace provvedimento,
chiede
che l'Autorità che utilizza il bene immobile
provveda all'acquisizione del bene stesso
corrispondendo al richiedente l'indennizzo
per il pregiudizio patrimoniale e non
patrimoniale.
In particolare, si precisa che il bene
immobile è stato oggetto di
......................................................
(descrivere l'intervento pubblico che
ha coinvolto il bene oggi da acquisire),
e che la procedura non è stata
correttamente conclusa.
Per l'acquisizione del bene, si chiede
il versamento dell'importo corrispondente
al pregiudizio patrimoniale, pari al valore
venale del bene in libero commercio, cui
vanno aggiunti gli interessi annui e
l'importo
del pregiudizio non patrimoniale nella
misura del 10% del valore venale del bene
(20% nel caso di immobile destinato ad
essere attribuito per finalità di interesse
pubblico in uso speciale a soggetti
privati).
Si chiede pertanto che l'amministrazione
provveda ad adottare l'atto di acquisizione
e a liquidare l'indennizzo disponendo
il pagamento entro il termine di 30 giorni.
L'indirizzo cui andranno comunicati
gli sviluppi della vicenda è
...................................
Si chiede di essere informati di ogni fase
del procedimento a norma della legge
241/1990.
La presente comunicazione viene inviata a
norma dell'articolo 42-bis del Dpr 327 /
2001
e dell'articolo 34 della legge 111/2011
(data) .................
(firma) ..............................
All'amministrazione di
..............................................................
(ente che utilizza il bene immobile: Comune,
Regione, Consorzio, Prefettura per le opere
statali).
Il sottoscritto
..............................................................
(dati anagrafici, codice fiscale)
permesso di essere proprietario del bene
immobile sito
in
................................................
(dati catastali: foglio, particella )
attualmente detenuto per asseriti scopi di
interesse pubblico.
Premesso che tale bene è stato oggetto di un
provvedimento non valido a sottrarne la
proprietà ed è attualmente indebitamente
utilizzato;
-
che in particolare il bene non è stato
irreversibilmente modificato;
-
che non sussistono attuali ed eccezionali
ragioni di interesse pubblico, in quanto il
risultato conseguibile attraverso l'immobile
di proprietà è ottenibile anche in altro
modo legittimo;
chiede
che l'Autorità che utilizza il bene immobile
provveda alla restituzione del bene stesso,
restituendovi le caratteristiche iniziali e
quindi asportando a propria cura e spese
ogni accessorio o pertinenza collocatovi,
non essendo interesse
del richiedente mantenerne la collocazione.
Si chiede il pagamento dei danni
corrispondenti al pregiudizio patrimoniale
subito e cioè pari all'interesse del cinque
per cento annuo sul valore venale, oltre
alla perdita di occasioni di utilizzo del
bene in libero mercato.
Si chiede il pagamento dei danni
corrispondenti al pregiudizio non
patrimoniale subito e cioè pari al 10 per
cento
(20% in caso di terreni destinati a essere
attribuiti a
soggetti privati) del predetto valore venale
(in analogia all'articolo 42-bis, Dpr
327/2001).
In particolare, si precisa che il bene
immobile è stato
oggetto di
.......................................
(descrivere l'intervento pubblico che ha
coinvolto il bene oggi da restituire),
e che la procedura non è stata correttamente
conclusa.
Si chiede pertanto che l'amministrazione
provveda ad adottare l'atto di retrocessione
e a liquidare l'indennizzo dovuto disponendo
il pagamento entro il termine di 30 giorni.
L'indirizzo cui andranno comunicati gli
sviluppi della vicenda
è .......................................
Si chiede di essere informati di ogni fase
del procedimento
a norma della legge 241/1990.
La presente comunicazione viene inviata a
norma dell'articolo 42-bis del Dpr 327/2001
e dell'articolo 34 della legge 111/2011
(data) .................
(firma) ..............................
------------------------
ESPROPRI
Soggetti interessati sono tutti coloro i
quali risultano coinvolti in procedure di
esproprio mai iniziate o mai portate
correttamente a termine. La norma è anche
retroattiva, rimediando a situazioni
arretrate fino a un ventennio, risolvendo
tutti i conflitti scaturiti in sede
giudiziaria o in casi di occupazione di
fatto.
L'entrata in vigore della norma il 06.07.2011 va coordinata con la retroattività
prevista
per le acquisizioni che rimedino a fatti
anteriori, cioè a tutte le situazioni in cui
privato e pubblica amministrazione si sono
contrapposti in aule giudiziarie per
procedure iniziate e non ultimate o
addirittura per comportamenti di fatto e
occupazioni prive di adeguato titolo.
Gli effetti finanziari della norma
ricadranno sulle amministrazioni che si
giovano di beni immobili che diventeranno di
loro proprietà a un costo superiore a quello
previsto sia per il valore venale da pagare
sia per i pregiudizi patrimoniali
(interessi) e non patrimoniali (ulteriore 10
o 20% del valore venale).
Potrebbero riguardare le procedure contabili
necessarie per reperire le risorse e
generare un coinvolgimento dei soggetti
fruitori finali dei beni immobili, in
particolare quando si tratta di aree
industriali o zone di edilizia pubblica
assegnate a cooperative.
I riferimenti normativi della norma sono il
Testo unico sugli espropri 327 dell'08.06.2001, in cui l'articolo 42-bis introdotto
nel 2011 sostituisce l'articolo 43 che la
Corte costituzionale ha giudicato
illegittimo nel 2010 con la sentenza numero
293, per eccesso di delega
(articolo Il Sole 24
Ore
del 03.08.2011). |
APPALTI:
DPCM sulle stazioni uniche
appaltanti: nuova vita per le centrali
committenti?
Il decreto è diretto a promuovere
l'istituzione, in ambito regionale, di una o
più stazioni uniche appaltanti, con
l'obiettivo di rendere più penetrante
l'attività di prevenzione e contrasto ai
tentativi di condizionamento della
criminalità mafiosa, favorendo la celerità
delle procedure, l'ottimizzazione delle
risorse ed il rispetto della normativa in
materia di sicurezza sul lavoro.
Tuttavia, occorre prendere atto che la
facoltatività dell'adesione alle SUA,
elemento non contrastato in ragione delle
delicate questioni istituzionali e
costituzionali connesse, può dar luogo ad un
rilevante disincentivo, in presenza dei ben
noti fenomeni di "campanilismo gestionale"
delle stazioni appaltanti. Occorre, invero,
tener ben presente che il ricorso alla
Stazione Unica Appaltante (una o più, su
base regionale) non rappresenterà un obbligo
per le Pubbliche amministrazioni, ma una
facoltà.
Certamente, la L. n. 136 del 2010, recante
il "Piano straordinario contro le mafie,
nonché la delega al Governo in materia di
normativa antimafia", viene ricordata,
soprattutto, per l'introduzione
dell'innovativo istituto della tracciabilità
dei flussi finanziari, di cui agli artt. 3 e
6.
Invero, oltre tale importante e discusso
istituto, oggetto di nuovi interventi
normativi e di continue precisazioni da
parte dell'Autorità di Vigilanza, la L. n.
136 del 2010, contiene altri importanti
interventi:
- le deleghe al Governo, per riformare la
normativa e la documentazione antimafia;
- il nuovo sistema di controllo degli
automezzi adibiti al trasporto dei materiali
e di identificazione degli addetti:
- l'introduzione del nuovo reato di "turbata
libertà del procedimento di scelta del
contraente" (art. 353-bis codice
penale).
Fra questi, anche l'istituzione, in ambito
regionale, di una Stazione Unica Appaltante,
al fine di garantire trasparenza, regolarità
ed economicità nella gestione degli appalti
pubblici di lavori, servizi e forniture,
oltre che per prevenire, in tal modo, le
infiltrazioni di natura malavitosa.
L'art. 13 prevede, poi, l'emanazione, entro
sei mesi, di un DPCM, diretto a stabilire
quali enti, organismi e società potranno
aderire alla SUA, quali saranno le attività
ed i servizi svolti dalla SUA, ai sensi
dell'art. 33 del Codice dei contratti
pubblici (D.Lgs. n. 163 del 2006).
La SUA, come anche chiarito dal comma 2,
lettera b), del predetto art. 13, ha natura
giuridica di centrale di committenza e cura,
per conto degli enti aderenti,
l'aggiudicazione dei contratti pubblici in
ambito regionale, provinciale e comunale.
Le centrali di committenza nascono per un
chiaro fine: porre in essere un processo di
razionalizzazione della spesa, intesa come
attività volta a "spendere meglio",
in modo da assicurare un corretto rapporto
tra risorse da impiegare rispetto ai
risultati da perseguire (efficienza), e
soprattutto tra risorse impiegate e
risultati infine raggiunti (efficienza).
Razionalizzare per spendere
meno.
E' questa l'unica possibilità che residua,
dopo il non più possibile ulteriore
innalzamento del livello della pressione
fiscale, se si vuole evitare che ulteriori
tagli delle spese incidano sui servizi resi
ai cittadini.
Se non si vogliono ridurre ulteriormente i
servizi, bisogna, allora, utilizzare al
meglio le risorse disponibili.
Uno dei campi in cui lo spazio di manovra in
tal senso è enorme è quello degli acquisti
di beni e servizi.
Ebbene, è proprio in tale prospettiva che si
inserisce l'istituto delle centrali di
committenza e quello della programmazione
degli acquisti, strumenti coordinati di
razionalizzazione della spesa pubblica.
Dunque, in tale scenario, nacque, verso la
fine degli anni 2000, la CONSIP S.p.A.
(Concessionaria Servizi Informatici
Pubblici), organismo a struttura societaria,
interamente posseduto dal Ministero
dell'Economia, con il compito di stipulare
convenzioni, in base alle quali le imprese
fornitrici si impegnano ad accettare
ordinativi di fornitura fino alla
concorrenza di un quantitativo di beni o di
servizi predeterminato.
La fonte normativa originaria è costituita
dall'art. 26, L. 23.12.1999, n. 488
(Finanziaria 2000), la quale delineò un
sistema in cui, tramite procedure ad
evidenza pubblica, vengono scelte imprese
per la fornitura di beni e servizi alle
Pubbliche amministrazioni ad uguali
condizioni.
Viene, quindi, previsto che le singole
Amministrazioni, sulla base delle
convenzioni stipulate dal Ministero
dell'Economia per il tramite della CONSIP
sua concessionaria, possono emettere
ordinativi di forniture di beni e servizi,
perfezionando così la procedura di ogni
singolo acquisto.
In origine, l'obbligo di aderire alle
convenzioni stipulate dalla Consip era
previsto solo per le Amministrazioni
centrali e periferiche dello Stato, mentre
le altre Pubbliche amministrazioni, pur
avendo una mera facoltà di adesione, avevano
l'obbligo di utilizzare i parametri di
qualità e di prezzo delle convenzioni stesse
nel caso di acquisto di beni comparabili con
quelli oggetto di convenzionamento.
Con l'art. 24, L. n. 289 del 2002 (legge
finanziaria per l'anno 2003), fu introdotto
l'obbligo generalizzato di adesione per
tutte le Pubbliche amministrazioni e fu
prevista la nullità dei contratti stipulati
in violazione del divieto.
Successivamente, il Legislatore è tornato
nuovamente sulla questione della
facoltatività-obbligatorietà, con l'art. 3,
comma 166, L. n. 350 del 2003 (Finanziaria
2004), con il quale si eliminò ogni tipo di
obbligo di adesione e Consip divenne, di
conseguenza, uno strumento facoltativo di
raffronto tra prezzi.
Tuttavia, va osservato che la declassazione
dell'istituto contrastava con quel processo,
che si andava sempre più consolidando e che
era teso alla centralizzazione degli
acquisti.
Solo pochi mesi dopo, la facoltatività di
aderire alle convenzioni, appena
reintrodotta, fu quindi nuovamente mitigata
con il D.L. n. 168 del 2004, convertito
nella L. n. 191 del 2004, con il quale fu
mantenuta come facoltativa la possibilità di
adesione, ma fu introdotto l'obbligo, in
caso acquisto di autonomo di beni
comparabili, di raffrontare i prezzi con
quelli previsti dalle convenzioni Consip e
di utilizzare questi ultimi come base d'asta
al ribasso.
La nuova politica di razionalizzazione degli
acquisti ha condotto, poi, all'introduzione,
da parte delle leggi finanziarie che si sono
succedute negli ultimi anni, di nuovi
strumenti di centralizzazione delle
procedure di gara, che operano a livello
locale.
Precisamente:
a) a livello comunale, attraverso le
aggregazioni di enti locali per gli acquisti
di beni e servizi (L. n. 266 del 2005, commi
158-160);
b) a livello provinciale, attraverso l'art.
33 del Codice dei contratti pubblici, il
quale prevede che le amministrazioni
pubbliche possano affidare il compito di
stazione appaltante alla Provincia, sulla
base di apposito disciplinare, con rimborso
delle spese e degli oneri sostenuti, al fine
di alleggerire i piccoli Comuni dall'onere
di effettuare le gare;
c) a livello regionale, attraverso le
Centrali regionali di committenza.
L'art. 1, commi 455-457 della legge
finanziaria 2007, ha introdotto la
possibilità per le Regioni, anche unitamente
ad altre Regioni, di costituire centrali di
committenza, con il compito di stipulare
convenzioni per acquisto di beni e servizi,
in favore di amministrazioni locali, ASL e
tutte le altre amministrazioni con sede nel
territorio.
L'art. 13, L. n. 136 del 2010, nel chiaro
intento di rivitalizzare le centrali di
committenza, ha previsto l'espressa
emanazione di un DPCM, avente il primario
compito di disciplinare i seguenti aspetti
delle SUA:
- gli enti, gli organismi e le società che
possono aderire alla SUA;
- le attività ed i servizi svolti dalla SUA,
ai sensi dell'art. 33 del Codice dei
contratti pubblici;
- gli elementi essenziali delle convenzioni
tra i soggetti che aderiscono alla SUA;
- le forme di monitoraggio e di controllo
degli appalti, ferme restando le
disposizioni vigenti in materia.
Dunque, con l'emanazione
del DPCM del 30.06.2011, firmato
dal Presidente del consiglio dei ministri e
dai ministri Maroni, Alfano, Romani,
Matteoli, Sacconi, Fitto e Brunetta, può
finalmente "nascere" la stazione
unica appaltante, su base regionale, cui
potranno fare riferimento le Amministrazioni
statali, le Regioni e gli Enti locali, come
centrale di committenza per l'affidamento di
appalti di lavori, forniture e servizi.
L'ente interessato ad avvalersi della SUA
dovrà stipulare una convenzione per
disciplinare la collaborazione.
Per quanto concerne le finalità generali,
appare chiaro che il decreto è diretto a
promuovere l'istituzione, in ambito
regionale, di una o più stazioni uniche
appaltanti, con l'obiettivo di rendere più
penetrante l'attività di prevenzione e
contrasto ai tentativi di condizionamento
della criminalità mafiosa, favorendo la
celerità delle procedure, l'ottimizzazione
delle risorse ed il rispetto della normativa
in materia di sicurezza sul lavoro.
Le Pubbliche amministrazioni interessate
sono numerose:
a) Amministrazioni dello Stato;
b) Regioni;
c) Enti pubblici territoriali;
d) Enti pubblici non economici;
e) Organismi di diritto pubblico;
f) Associazioni, Unioni e Consorzi, comunque
denominati, costituiti dai soggetti
precedenti;
g) altri soggetti pubblici, previsti
dall'art. 32 del Codice dei contratti
pubblici;
h) Imprese pubbliche e soggetti operanti in
virtù di diritti speciali o esclusivi.
Tutti questi soggetti pubblici potranno
agire nel rispetto delle prescrizioni, di
cui al comma 3, dell'art. 33, del Codice e,
precisamente:
- divieto di affidare a soggetti pubblici o
privati l'espletamento delle funzioni e
delle attività di stazione appaltante di
lavori pubblici:
- possibilità, per le amministrazioni
aggiudicatrici, di affidare le funzioni di
stazione appaltante di lavori pubblici ai
servizi integrati infrastrutture e trasporti
(SIIT) o alle amministrazioni provinciali,
sulla base di apposito disciplinare che
prevede altresì il rimborso dei costi
sostenuti dagli stessi per le attività
espletate, nonché a centrali di committenza.
Occorre, invero, tener ben presente che il
ricorso alla Stazione Unica Appaltante (una
o più, su base regionale) non rappresenterà
un obbligo per le Pubbliche amministrazioni,
ma una facoltà.
Nello svolgimento della funzione di centrale
di committenza, che, in base al Codice dei
contratti pubblici,si esplica
nell'acquisizione di forniture, lavori e
servizi destinati ad altre amministrazioni e
nell'aggiudicazione di appalti o nella
conclusione di accordi quadro, la SUA ha il
compito primario di "gestire la procedura
di gara".
In tal senso, i poteri della SUA sono
alquanto penetranti e comprendono:
- la collaborazione, con l'ente pubblico
aderente, per l'individuazione del contenuto
dello schema del contratto, cioè l'oggetto
dell'appalto;
- l'individuazione concordata della precisa
procedura di scelta del contraente, compreso
il criterio di aggiudicazione;
- la redazione di tutti gli atti di gara;
- la nomina della commissione di gara.
La SUA dovrà, inoltre, prendersi carico
dello svolgimento della procedura di gara,
curando anche la fase di pubblicità e le
comunicazioni agli interessati, oltre a
effettuare anche le verifiche in ordine al
possesso dei requisiti di partecipazione.
Sempre alla SUA spetta il compito di curare
gli eventuali contenziosi ed, infine,
collaborare con l'ente aderente per la
stipula del contratto.
Il decreto definisce i contenuti essenziali
della convenzione, facendo particolare
riferimento all'ambito di applicazione della
medesima (cioè la o le procedure
interessate), ai profili attinenti il
rimborso dei costi sostenuti della SUA, alla
suddivisione degli oneri relativi ai
contenziosi, all'obbligo di trasmissione, da
parte dell'ente aderente alla SUA ed alla
Prefettura, dei contratti stipulati e delle
varianti intervenute nel corso
dell'esecuzione dei contratti.
Per quel che riguarda le forme di
monitoraggio e di controllo sugli appalti,
il DPCM prevede uno stretto collegamento fra
le Prefetture, soggetto cui dovranno
affluire tutte le informazioni ed i dati
utili alla prevenzione delle infiltrazioni
della criminalità organizzata, e la SUA,
alla quale le Prefetture medesime metteranno
a disposizione le informazioni sulle imprese
partecipanti alla gara.
La Pubblica amministrazione aderente alla
SUA potrà, ancora, delegare la verifica dei
progetti e l'esame delle varianti al
provveditorato interregionale per le opere
pubbliche.
Come è ben facile arguire, si è in presenza
di un provvedimento corposo ed articolato,
che costituisce, senza dubbio, un ulteriore
tentativo di rivitalizzare le centrali di
committenza.
Tuttavia, occorre prendere atto che la
facoltatività dell'adesione alle SUA,
elemento non contrastato in ragione delle
delicate questioni istituzionali e
costituzionali connesse, può dar luogo ad un
rilevante disincentivo, in presenza dei ben
noti fenomeni di "campanilismo gestionale"
delle stazioni appaltanti (01.08.2011
- tratto da www.ipsoa.it). |
GIURISPRUDENZA |
APPALTI: Ai
fini della rilevanza sul piano del venir
meno dell’affidabilità dell’impresa, della
gravità della negligenza o
dell'inadempimento a specifiche obbligazioni
contrattuali va fornita un’adeguata prova ed
il provvedimento deve essere motivato
adeguatamente.
- Con riferimento ad un contenzioso
amministrativo in corso per il pagamento di
oneri contributivi, occorre osservare che la
chiara prescrizione recata dall’art. 38,
comma 1, lett. e), nel senso di escludere
dalla partecipazione solo le imprese che si
siano rese responsabili di violazioni gravi
e definitivamente accertate, porta ad
escludere che la pendenza di un contenzioso
possa essere considerata di per sé indice di
inaffidabilità, essendo possibile un esito
favorevole della lite, eventualità che fa
prevalere il principio della più ampia
partecipazione.
---------------
- Le norme che disciplinano i requisiti
soggettivi di partecipazione alle gare
pubbliche vanno interpretate nel rispetto
dei principi di tipicità e tassatività delle
ipotesi di esclusione e la mancanza di una
norma con effetto preclusivo che preveda, in
caso di cessione d’azienda anteriore alla
partecipazione alla gara –cui è assimilabile
l’affitto di ramo d’azienda-, un obbligo di
dichiarazione dei requisiti soggettivi della
cedente, conduce ad escludere la sanzione
espulsiva nei confronti dell’impresa
cessionaria o affittuaria che non abbia reso
la dichiarazione sulla cedente.
La nomina della Commissione di valutazione
da parte del Vice Segretario Generale del
Comune deve considerarsi legittima, potendo
egli esercitare, in caso di impedimento da
parte del titolare della funzione, i poteri
connessi alla posizione vicaria,
nell’interesse al buon andamento
dell’amministrazione.
La proroga e l’affidamento di contratti
all’impresa appellante da parte del Comune
nel periodo giugno–dicembre 2010 (relativi
alla manutenzione di verde pubblico e di
rotatoria nonché di servizio spargisale),
senza alcun riferimento a pregresse
inadempienze, sono chiari indizi dello
sviamento e della contraddittorietà di cui è
affetto l’atto di esclusione dalla gara per
cui è causa per grave negligenza o malafede
nello svolgimento di prestazioni affidate
all’impresa.
Invero, la necessità di garantire l’elemento
fiduciario nei rapporti contrattuali della
pubblica amministrazione fin dal momento
genetico, nell’interesse pubblico a non
stipulare nuovi contratti con l’impresa
resasi responsabile di grave negligenza,
trova un evidente limite nel caso in cui la
stessa amministrazione operi una valutazione
favorevole sul piano tecnico-morale
dell’impresa, rinnovandole fiducia
attraverso la proroga o l’affidamento di
diversi contratti (Cons. St. Sez. VI,
28.07.2010, n. 5029).
Peraltro, il motivo d’appello è fondato
anche sotto il profilo della errata
valutazione da parte del primo giudice in
ordine alla mancata confutazione da parte
dell’interessata di ogni responsabilità o
negligenza nell’esecuzione del contratto
evocato.
Risulta, infatti, agli atti che a seguito
della contestazione da parte del Comune
della negligenza dimostrata in un’operazione
di sepoltura, l’impresa, con nota
02.01.2009, aveva giustificato il proprio
comportamento in ragione del notevole
ritardo con cui era stata ricevuta la salma
e di eventi a sé non imputabili.
La disposta esclusione appare, pertanto, in
contrasto anche con il principio per cui, ai
fini della rilevanza sul piano del venir
meno dell’affidabilità dell’impresa, della
gravità della negligenza o
dell'inadempimento a specifiche obbligazioni
contrattuali va fornita un’adeguata prova ed
il provvedimento deve essere motivato
adeguatamente (Cons. St. Sez. V, 22.02.2011,
n. 1107; 21.01.2011, n. 409).
Nella specie, entrambi gli elementi (prova
della negligenza ed adeguata motivazione)
risultano carenti.
Quanto al secondo motivo di esclusione,
riferito ad un contenzioso amministrativo in
corso per il pagamento di oneri
contributivi, occorre osservare che la
chiara prescrizione recata dall’art. 38,
comma 1, lett. e), nel senso di escludere
dalla partecipazione solo le imprese che si
siano rese responsabili di violazioni gravi
e definitivamente accertate, porta ad
escludere che la pendenza di un contenzioso
possa essere considerata di per sé indice di
inaffidabilità, essendo possibile un esito
favorevole della lite, eventualità che fa
prevalere il principio della più ampia
partecipazione (Cons. St. Sez. V,
21.04.2009, n. 2399).
---------------
Le
norme che disciplinano i requisiti
soggettivi di partecipazione alle gare
pubbliche vanno interpretate nel rispetto
dei principi di tipicità e tassatività delle
ipotesi di esclusione e la mancanza di una
norma con effetto preclusivo che preveda, in
caso di cessione d’azienda anteriore alla
partecipazione alla gara –cui è assimilabile
l’affitto di ramo d’azienda-, un obbligo di
dichiarazione dei requisiti soggettivi della
cedente, conduce ad escludere la sanzione
espulsiva nei confronti dell’impresa
cessionaria o affittuaria che non abbia reso
la dichiarazione sulla cedente (Cons. St.
Sez. V, 15.11.2010, n. 8044; 21.05.2010, n.
3213);
La nomina della Commissione di valutazione
da parte del Vice Segretario Generale del
Comune deve considerarsi legittima, potendo
egli esercitare, in caso di impedimento da
parte del titolare della funzione, i poteri
connessi alla posizione vicaria,
nell’interesse al buon andamento
dell’amministrazione (Consiglio
di Stato, Sez. V,
sentenza 03.08.2011 n. 4629 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA: In
materia urbanistica vale infatti il
principio generale di cui al primo comma
dell’art. 11, d.P.R. 06.06.2001 n. 380,
dove, infatti, si prevede espressamente che
il permesso edilizio è “rilasciato al
proprietario dell'immobile o a chi abbia
titolo per richiederlo”. La legge
specificamente impone, tra i requisiti di
legittimazione, il possesso dei titoli reali
per poter intervenire sull'immobile per il
quale è richiesto il titolo edilizio.
- Sul piano civilistico, con la convenzione
di lottizzazione i proprietari dei terreni
interessati alla urbanizzazione pongono in
essere un negozio di consorzio urbanistico
volontario -con assunzione delle
obbligazioni a fini organizzativi e con
costituzione degli effetti reali necessari
per conferire al territorio l'assetto
giuridico conforme al progetto approvato
dalla amministrazione- il quale consorzio,
come tale, è assoggettato alla disciplina
della comunione dettata dal codice civile,
in proporzione alle relative quote ex art.
1101, comma 2.
- Sul piano amministrativo la natura degli
impegni assunti dai privati in una
convenzione di lottizzazione deve essere
ricostruita in termini di “accordo
sostitutivo del provvedimento” di cui
all'art. 11 L. 07.08.1990 n. 241. La
convenzione deve quindi essere stipulata
assicurando la partecipazione dei soggetti
proprietari degli immobili coinvolti, i
quali devono necessariamente partecipare
tutti alla costituzione(ed alle eventuali
modifiche) dell’accordo. Secondo le regole
generali, il possesso dei titoli
civilisticamente idonei a legittimare la
richiesta di convenzionamento –che deve
comprendere tutte le aree direttamente
interessate dall’intervento- costituisce
dunque un requisito giuridico sostanziale di
legittimazione dell’istanza ai sensi
dell’art. 6, primo comma lett. a) della
legge n. 241/1990 e s.m.i.; requisito che
deve essere dimostrato sia sul piano
amministrativo, ai fini dell’ammissibilità
della domanda, sia sul piano processuale,
quale condizione dell’azione necessaria al
fine di poter poi gravare
giurisdizionalmente i relativi atti
negativi. Solo in tale ipotesi può
configurarsi un obbligo giuridico del Comune
a provvedere sull’istanza di
convenzionamento
Con il presente appello i ricorrenti
impugnano la sentenza del Tar Lecce con cui
è stato respinto il loro ricorso diretto
all’annullamento del diniego, in riscontro
di una loro diffida, alla stipula della
convenzione propedeutica alla realizzazione
all’intervento diretto dei privati in zona
G1 di campo da golf alla realizzazione del
campo di golf sul litorale di Ostuni, fra
Santa Lucia e Torre Pezzelle, ed al rilascio
del relativo permesso di costruire.
...
L’adesione di tutti i proprietari ricompresi
nei confini dell’area destinata alla
realizzazione del campo da golf è
indispensabile, in quanto essi costituiscono
tutti insieme i soggetti direttamente
legittimati al procedimento di
convenzionamento con il Comune, ed
all’eventuale impugnativa del diniego (cfr.
Consiglio Stato, sez. IV, 03.06.1987, n.
326).
In materia vale infatti il principio
generale di cui al primo comma dell’art. 11,
d.P.R. 06.06.2001 n. 380, dove, infatti, si
prevede espressamente che il permesso
edilizio è “rilasciato al proprietario
dell'immobile o a chi abbia titolo per
richiederlo”.
La legge specificamente impone, tra i
requisiti di legittimazione, il possesso dei
titoli reali per poter intervenire
sull'immobile per il quale è richiesto il
titolo edilizio (cfr. Consiglio Stato, sez.
V, 07.09.2009, n. 5223; Consiglio Stato,
sez. IV, 07.09.2007 n. 4703; idem 07.07.2005
n. 3730; Consiglio Stato, sez. V,
12.05.2003, n. 2506).
In tale scia si deve ricordare che, sul
piano civilistico, con la convenzione di
lottizzazione i proprietari dei terreni
interessati alla urbanizzazione pongono in
essere un negozio di consorzio urbanistico
volontario -con assunzione delle
obbligazioni a fini organizzativi e con
costituzione degli effetti reali necessari
per conferire al territorio l'assetto
giuridico conforme al progetto approvato
dalla amministrazione- il quale consorzio,
come tale, è assoggettato alla disciplina
della comunione dettata dal codice civile,
in proporzione alle relative quote ex art.
1101, comma 2 (cfr. Cassazione civile, sez.
I, 26.04.2010 , n. 9941).
Sul piano amministrativo, invece, la natura
degli impegni assunti dai privati in una
convenzione di lottizzazione deve essere
ricostruita in termini di “accordo
sostitutivo del provvedimento” di cui
all'art. 11 L. 07.08.1990 n. 241.
La convenzione deve quindi essere stipulata
assicurando la partecipazione dei soggetti
proprietari degli immobili coinvolti (cfr.
Consiglio Stato, sez. V, 12.04.2007, n.
1714), i quali devono necessariamente
partecipare tutti alla costituzione(ed alle
eventuali modifiche) dell’accordo.
Secondo le regole generali, il possesso dei
titoli civilisticamente idonei a legittimare
la richiesta di convenzionamento –che deve
comprendere tutte le aree direttamente
interessate dall’intervento- costituisce
dunque un requisito giuridico sostanziale di
legittimazione dell’istanza ai sensi
dell’art. 6, primo comma lett. a) della
legge n. 241/1990 e s.m.i.; requisito che
deve essere dimostrato sia sul piano
amministrativo, ai fini dell’ammissibilità
della domanda (cfr. Sez. IV 08.06.2011 n.
3508), sia sul piano processuale, quale
condizione dell’azione necessaria al fine di
poter poi gravare giurisdizionalmente i
relativi atti negativi.
Solo in tale ipotesi può configurarsi un
obbligo giuridico del Comune a provvedere
sull’istanza di convenzionamento
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 02.08.2011 n. 4576 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
PUBBLICO IMPIEGO: Incarichi
dirigenziali ai dirigenti.
Entrate, stop all'attribuzione a funzionari
senza qualifica. Una sentenza del Tar del
Lazio annulla la delibera del Comitato di
gestione dell'Agenzia.
Stop agli indiscriminati incarichi
dirigenziali a funzionari privi della
qualifica di dirigente.
La
sentenza 01.08.2011
n. 6884 del TAR
Lazio-Roma, Sez. II, ha
annullato la delibera del Comitato di
gestione dell'Agenzia delle entrate, che
aveva modificato l'articolo 24, comma 2, del
regolamento di amministrazione, introducendo
un testo che consentiva sostanzialmente di
coprire quasi tutti i posti vacanti della
dotazione organica dirigenziale mediante
incarichi conferiti a funzionari, ai sensi
dell'articolo 19, comma 6, del dlgs
165/2001.
L'articolo censurato prevedeva che tali
incarichi potessero essere assegnati «per
inderogabili esigenze di funzionamento» allo
scopo di coprire provvisoriamente vacanze
sopravvenute della dotazione di dirigenti e
prevedendo un termine, nel caso di specie il
31.12.2010, che poi veniva
regolarmente prorogato di anno in anno.
Insomma, il Tar Lazio ha colto l'intento
elusivo della normativa riguardante
l'accesso alla carriera dirigenziale, che
richiede necessariamente un concorso
pubblico per esami e la disciplina delle
mansioni superiori, considerando illegittima
la prassi di conferire incarichi a
funzionari «asseritamente in provvisoria
reggenza», ma nei fatti coprendo ad libitum
i posti della dotazione organica. Nel caso
di specie, l'Agenzia delle entrate copre i
1143 posti della dotazione dirigenziale solo
con 376 dirigenti di ruolo; i restanti 767
posti sono lasciati vacanti o coperti ad
interim; ma gran parte sono coperti da tempo
con incarichi dirigenziali a funzionari.
Il Tar Lazio censura questa prassi sia sul
piano dello stretto diritto, sia eccependo
gli effetti distorsivi sull'organizzazione,
che determina la mancata copertura della
dotazione dirigenziale mediante concorsi,
come prevederebbe la legge.
L'articolo 24 del regolamento di
organizzazione è illegittimo perché si pone
irrimediabilmente in contrasto con
l'articolo 19, comma 6, del dlgs 165/2001,
il quale consente l'attribuzione di
incarichi dirigenziali anche a funzionari
interni solo come ipotesi straordinaria ed
eccezionale, attivabile in presenza di
particolarissimi requisiti di
professionalità dei destinatari. Il che
risulta oggettivamente incompatibile con un
utilizzo così diffuso e ampio dell'istituto.
Inoltre, spiega la sentenza, «configurandosi
il conferimento di un incarico dirigenziale
in favore di un funzionario non dirigente
alla stregua dell'assegnazione di mansioni
superiori al di fuori delle ipotesi
tassativamente previste dalla legge» gli
atti di conferimento sono da considerare
radicalmente nulli ai sensi dell'articolo
52, comma 5, sempre del dlgs 154/2001.
Né gli incarichi come regolati dall'articolo
24 censurato possono essere qualificati come
«reggenza», poiché non caratterizzati dalla
temporaneità legata a ragioni di emergenza,
propria dell'istituto della reggenza, che
per altro non dà titolo alla retribuzione
dirigenziale e, dunque, non costituisce
nemmeno di fatto mansione superiore.
Per l'Agenzia delle entrate una tegola:
dovrà rivedere la propria consolidata
abitudine a coprire i posti da dirigente
senza concorsi. Ma, spiega il Tar
«consolidare nel tempo una situazione
complessiva di grave violazione di principi
fondamentali di regolamentazione del
rapporto di pubblico impiego e delle
garanzie relative all'accesso alle
qualifiche, alla selezione del personale e
allo svolgimento del rapporto» non è
possibile.
Lo stesso pare debba valere anche per le
altre pubbliche amministrazioni, che in
questi anni non hanno certamente lesinato
incarichi dirigenziali a propri funzionari
con decisioni caratterizzate dalle medesime
illegittimità rilevate dal Tar Lazio.
Per Giancarlo Barra, segretario generale
Dirpubblica «sono state danneggiate due
generazioni di colleghi in un settore
delicato nei confronti dei cittadini, dove
ci dovrebbero lavorare persone che
rispondono alla legge prima che al loro
capo. Invece sono più di venti anni che non
si fanno concorsi pubblici. Sono stati fatti
dei danni alle istituzioni e ai cittadini
che lavorano all'Agenzia delle entrate che
sono enormi. Eppure gli strumenti non
mancavano, basti pensare allo scorrimento
delle graduatorie o alla vice dirigenza»
(articolo ItaliaOggi
del 03.08.08.2011 - tratto da www.ecostampa.it). |
PUBBLICO IMPIEGO: Entrate,
«nulli» due dirigenti su tre.
LA MOTIVAZIONE - Sono stati assegnati con
contratti e aumenti nel trattamento
economico posti che vanno coperti con
procedure selettive.
Bordata agostana sui vertici del Fisco. A
scagliarla è il TAR Lazio-Roma, Sez. II, nella
sentenza 01.08.2011 n. 6884, che ha accolto il ricorso di Dirpubblica (la Federazione dei dirigenti
della Pa) e ha bocciato la prassi
dell'agenzia delle Entrate di coprire posti
dirigenziali assegnando incarichi ad interim
a proprio personale senza qualifica
dirigenziale, senza passare tramite il
concorso che dovrebbe rappresentare la via
ordinaria verso le poltrone da dirigente.
Dichiarando illegittima la norma, scritta
nell'articolo 24 del regolamento di
amministrazione dell'Agenzia riformato il 02.12.2009, la sentenza stabilisce la
«radicale nullità» di questi incarichi, che
negli anni si sono estesi a larga parte
degli uffici del Fisco: è la stessa Agenzia,
nelle spiegazioni fornite al Tar in
istruttoria, a segnalare che su 1.143 posti
in tutta Italia sono solo 376 (il 32,9%)
quelli coperti da dirigenti con tutti i
crismi, mentre gli altri sono affidati con
incarico temporaneo o vacanti. In un quadro
come questo il concorso in via di
svolgimento, per 175 posizioni da dirigente,
è lontano dal risolvere il problema.
Proprio questi numeri hanno spinto i giudici
amministrativi verso la sentenza,
respingendo l'obiezione mossa dall'Agenzia
sulla carenza di interesse dei ricorrenti;
arrivati al merito, la prassi dell'Agenzia
(formalizzata nella riforma regolamentare
del 2009 ma impiegata in misura crescente
fin dal 2006) non ha retto lo scontro con la
regola di riferimento, cioè l'articolo 52
del decreto legislativo 165/2001.
La norma, che nel caso di posti vacanti in
organico prevede l'interim per un
massimo di sei mesi, secondo i giudici
amministrativi non si può estendere
all'assegnazione di mansioni superiori
dirigenziali, per cui l'unica alternativa
possibile sarebbe il richiamo all'istituto
della reggenza, possibile solo quando «cause
imprevedibili» facciano «venir meno
la titolarità di un organo», aprendo un
buco organizzativo da coprire in via
d'urgenza. Non è però questo il caso degli
interim diffusi alle Entrate, che non
prevedono limiti temporali predeterminati,
vengono assegnati con un contratto di lavoro
individuale e portano il trattamento
economico del titolare dell'incarico allo
stesso livello previsto per il dirigente di
cui svolge le funzioni.
Niente reggenza, insomma, ma un «conferimento
di un vero e proprio incarico dirigenziale»
a persone che non hanno i requisiti per
riceverlo: di qui l'intervento dell'articolo
52, comma 5, del decreto 165/2011, che fa
scattare la nullità degli incarichi in virtù
di quella che il Tar giudica una «grave
violazione di principi fondamentali di
regolamentazione del pubblico impiego»
(articolo Il Sole 24
Ore
del 03.08.08.2011 - tratto da www.ecostampa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
ACQUA E CORSI D’ACQUA - Argini -
Divieto di costruzione ex art. 96, lett. f),
T.U. n. 523/1904 - Carattere legale,
assoluto e inderogabile - Normativa locale -
Deroga di carattere eccezionale - Limiti.
Il divieto di costruzione di opere dagli
argini dei corsi d'acqua, previsto dall'art.
96, lett. f), t.u. 25.07.1904 n. 523, ha
carattere legale, assoluto e inderogabile,
ed è diretto al fine di assicurare non solo
la possibilità di sfruttamento delle acque
demaniali, ma anche (e soprattutto) il
libero deflusso delle acque (cfr. Cassazione
civile, sez. un., 30.07.2009, n. 17784);
esso è cioè teso a garantire le normali
operazioni di ripulitura/manutenzione e a
impedire le esondazioni delle acque.
La deroga contenuta nella lettera F del
citato art. 96, per cui la distanza minima
si applica in mancanza di “discipline
vigenti nelle diverse località” è quindi
di carattere eccezionale e ciò significa che
la normativa locale (espressa anche mediante
uno strumento urbanistico), per prevalere
sulla norma generale, deve avere carattere
specifico (cfr. Cassazione civile, sez. un.,
18.07.2008, n. 19813).
Di conseguenza, solo se lo scopo
dell'attività costruttiva lungo il corso
d'acqua è quello specifico di salvaguardarne
il regime idraulico la disciplina locale
assume valenza derogatoria della norma
statale, in quanto meglio ne attua
l'interesse pubblico perseguito (cfr. TAR
Lombardia-Brescia, sentenza 13.06.2007 n.
540); ne deriva che nessuna opera realizzata
in violazione della norma de qua può essere
sanata e che è legittimo il diniego di
rilascio di concessione edilizia in
sanatoria relativamente ad un fabbricato
realizzato all'interno della c.d. fascia di
servitù idraulica (art. 33 l. 28.02.1985 n.
47) (da ultimo: TAR Roma-Latina, Sez. I,
sentenza 15.12.2010 n. 1981) (TAR
Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 01.08.2011 n. 1231 -
link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
ACQUA E CORSI D’ACQUA - Fascia di
rispetto dagli argini - Art. 96, lett. f),
R.D. n. 523/1904 - Regolamenti comunali -
Tolleranza verso abusi edilizi -
Conferimento di diritti edificatori -
Esclusione.
I regolamenti comunali (o le linee-guida
regionali) possano disciplinare diversamente
la fascia di rispetto dagli argini prevista
dall’art. 96, lett. f), del RD 523/1904 solo
sulla base di un esame dettagliato della
condizione dei luoghi, così da garantire in
misura equivalente gli interessi pubblici
(idraulici e ambientali) coinvolti (v. TAR
Brescia, Sez. I, 26.02.2010 n. 986; TAR
Brescia, Sez. I, 26.06.2007 n. 578).
In questo quadro la tolleranza mantenuta in
passato verso certe tipologie di
edificazione non acquista lo status di
elemento normativo e non può costituire un
presupposto idoneo per conferire ulteriori
diritti edificatori (TAR Lombardia-Brescia,
Sez. II,
sentenza 01.08.2011 n. 1228 -
link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Edifici in rovina - Ricostruzione
- Superficie, volumetria e distanze -
Mantenimento del patrimonio giuridico
incorporato nell’edificio - Strumenti di
pianificazione sopravvenuti - Effetti.
La ricostruzione di edifici in rovina può
essere ricompresa tra gli interventi di
ristrutturazione. In proposito si osserva
che con la rovina dell’edificio il
patrimonio giuridico incorporato nello
stesso (superficie coperta, volumetria,
distanze dai confini e dagli altri edifici)
non scompare automaticamente ma diventa
latente e può riespandersi (v. TAR Brescia
Sez. I 13.05.2009 n. 1028).
Qualora però sopravvengano strumenti di
pianificazione che cancellano il rilievo
urbanistico del sedime (o elevano le
caratteristiche strutturali necessarie per
considerare esistente un edificio) si
interrompe il collegamento con la precedente
edificazione e i proprietari subiscono il
ridimensionamento economico del bene. Queste
scelte urbanistiche sono ampiamente
discrezionali e corrispondono all’esigenza
di garantire la certezza della situazione di
base su cui si innestano la programmazione e
la successiva trasformazione del territorio.
Se al contrario nei piani urbanistici
sopravvenuti il tema della riedificazione
degli immobili in rovina non viene
espressamente affrontato vale il principio
privatistico che tutela nella sua interezza
il diritto di proprietà, compresa la facoltà
di ricostituzione materiale del bene, con il
solo limite esterno dei diritti
incompatibili nel frattempo acquisiti dai
terzi (TAR Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 01.08.2011 n. 1228 -
link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Edilizia, la Dia non dà certezze.
Il Tar può bloccare i lavori se il comune
non controlla. Per l'adunanza plenaria del
Consiglio di stato la denuncia di inizio
attività è un atto privatistico.
La denuncia di inizio attività (sostituita
dalla Scia) non è un provvedimento
amministrativo a formazione tacita, ma è un
atto privato volto a comunicare l'intenzione
di intraprendere un'attività direttamente
ammessa dalla legge.
Se, peraltro, la p.a. non ha esperito gli
accertamenti necessari per il controllo dei
presupposti, il giudice può imporre
l'adozione dei provvedimenti inibitori
all'esercizio dell'attività intrapresa.
È quanto ha affermato l'Adunanza plenaria
del Consiglio di stato, con la
sentenza
29.07.2011 n.
15.
L'intervento del Consesso era stato
richiesto dal Tar del Veneto, ai sensi
dell'art. 99 del codice del processo
amministrativo, anche a fronte di precedenti
contrasti giurisprudenziali.
Contrasti, in pratica, relativi alla natura
giuridica della dichiarazione di inizio
attività ed alle conseguenti tecniche di
tutela sperimentabili dal terzo leso dallo
svolgimento dell'attività denunciata.
L'Adunanza, come risulta dalla articolata
sentenza (disponibile nel sito), non si è
sottratta al compito affermando che, con la
Dia, il denunciante è «titolare di una
posizione soggettiva di vantaggio
immediatamente riconosciuta
dall'ordinamento, che lo abilita a
realizzare direttamente il proprio
interesse, previa instaurazione di una
relazione con la pubblica amministrazione,
ossia un contatto amministrativo, mediante
l'inoltro dell'informativa», mentre il terzo
pregiudicato dallo svolgimento dell'attività
«è titolare di una posizione qualificabile
come interesse pretensivo all'esercizio del
potere di verifica» da parte della p.a..
Ma
stando così le cose, afferma la sentenza, il
sistema complessivo della tutela previsto
dall'ordinamento deve consentire comunque al
terzo, anche se il codice espressamente non
lo prevede, di ottenere la cessazione
dell'attività non consentita dalla legge,
attraverso l'azione di accertamento tesa a
ottenere una pronuncia che verifichi
l'insussistenza dei presupposti di legge per
l'esercizio dell'attività oggetto della
denuncia.
In altre parole, rileva
l'Adunanza, «anche per gli interessi
legittimi, come pacificamente ritenuto nel
processo civile per i diritti soggettivi, la
garanzia costituzionale impone di
riconoscere l'esperibilità dell'azione di
accertamento autonomo, con particolare
riguardo a tutti i casi in cui, mancando il
provvedimento da impugnare, una simile
azione risulti indispensabile per la
soddisfazione concreta della pretesa
sostanziale del ricorrente».
Ciò in quanto, afferma la sentenza, «la
mancata previsione nel testo finale del
codice, di una norma esplicita sull'azione
generale di accertamento, non è sintomatica
della volontà legislativa di sancire una
preclusione di dubbia costituzionalità» e,
quindi, l'azione di accertamento atipica,
nelle ipotesi previste dall'art. 100 c.p.c.,
risulta comunque praticabile; in forza delle
coordinate costituzionali e comunitarie
richiamate dallo stesso art. 1 del codice
oltre che dai criteri di delega di cui
all'art. 44 della legge n. 69/2009
(articolo ItaliaOggi
del 03.08.08.2011). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
RIFIUTI - Abbandono - Ordinanza
ex art. 14 d.lgs. n. 22/1997 (oggi, art.
192, d.lgs. n. 152/2006) - Partecipazione al
procedimento amministrativo.
In tema di ordinanza ex art. 14 d.lgs. n.
22/1997 (oggi, art. 192 d.lgs. n. 152/2006),
il generico riferimento all’urgenza di
provvedere alla rimozione dei rifiuti al
fine di eliminare ogni pericolo per la
salute dei cittadini non è sufficiente a
legittimare la deroga al principio
fondamentale della partecipazione al
procedimento amministrativo dei soggetti che
vi sono coinvolti: ciò a maggior ragione ove
gli adempimenti relativi vengano accollati
al proprietario dell’area, nella pretesa
impossibilità di risalire ai responsabili
dell’abbandono dei rifiuti (TAR Liguria,
Sez. I,
sentenza 28.07.2011 n. 1191 -
link a www.ambientediritto.it). |
APPALTI: Appalti
a trasparenza piena.
Le buste delle offerte vanno aperte in
seduta pubblica.
LA MOTIVAZIONE - Se non è
prevista la pubblicità le parti non sono
garantite da eventuali manipolazioni dei
documenti.
La commissione giudicatrice deve aprire le
buste delle offerte tecniche in seduta
pubblica, per assicurare il rispetto del
principio di pubblicità anche in questa fase
della gara con l'offerta economicamente più
vantaggiosa.
Il Consiglio di Stato in adunanza plenaria
ha sancito con la
sentenza 28.07.2011 n. 13
la
pubblicizzazione dell'apertura dei plichi
contenenti i documenti illustrativi della
parte tecnico-qualitativa delle offerte,
ponendo fine ai contrasti giurisprudenziali
sul tema e di fatto integrando le previsioni
del codice dei contratti e del Dpr 207/2010.
Gli orientamenti definiti nel tempo dalla
giurisprudenza amministrativa hanno da un
lato ritenuto l'obbligo di pubblicità delle
sedute delle commissioni di gara riferibile
solo alle fasi di apertura dei plichi dei
documenti amministrativi e delle offerte
economiche, mentre dall'altro hanno
precisato che nelle gare di appalto devono
svolgersi in seduta pubblica gli adempimenti
concernenti la verifica dell'integrità di
tutti i plichi contenenti l'offerta,
compresi quelli con la parte
tecnico-qualitativa.
La decisione n. 13/2011 evidenzia come la
mera constatazione dell'integrità delle
buste soddisfi solo parzialmente le esigenze
di trasparenza e pubblicità, in quanto non
consente ai concorrenti presenti di rendersi
conto della presenza nelle buste dei
documenti recanti le offerte tecniche, così
come avviene per i documenti amministrativi
e per le offerte economiche.
Il Consiglio di Stato rileva che in tal modo
i concorrenti non sono garantiti dal
pericolo di manipolazioni successive delle
offerte, con inserimenti, sottrazioni o
alterazioni di documenti.
La garanzia di pubblicità per tutte le
operazioni di gara, compresa la
comunicazione dell'eventuale anomalia
dell'offerta, è rafforzata dalle previsioni
del regolamento di attuazione del codice
degli appalti, nel quale viene prevista
invece la seduta riservata per le
valutazioni di natura tecnico-discrezionale.
Tuttavia il Dpr 207/2010 non disciplina
espressamente il passaggio dell'apertura
delle buste delle offerte tecniche.
La decisione dell'adunanza plenaria colma
questa lacuna, sancendo che la verifica
dell'integrità di questi plichi è destinata
a garantire che il materiale documentale da
gestire nella procedura di gara sia
completo. La pubblicità di questo passaggio
tutela sia la parità di trattamento dei
concorrenti, che possono effettuare
riscontri sulla regolarità formale degli
atti prodotti avendo così la garanzia che
non siano successivamente intervenute
indebite alterazioni, sia l'interesse
pubblico alla trasparenza e all'imparzialità
dell'azione amministrativa.
Il Consiglio di Stato precisa inoltre che la
verifica dei documenti contenuti nella busta
dell'offerta tecnica consiste in un semplice
controllo preliminare degli atti inviati,
che non può eccedere la funzione di
ufficializzare l'acquisizione della
documentazione di cui si compone l'offerta
tecnica.
La garanzia di trasparenza richiesta in
questa fase si considera assicurata quando
la commissione, aperta la busta del singolo
concorrente, proceda ad un esame della
documentazione leggendo il solo titolo degli
atti rinvenuti, e dandone atto nel verbale
della seduta
(articolo Il Sole 24
Ore del 02.08.2011 - tratto da www.corteconti.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Consiglio di Stato: no alla
cementificazione del territorio in aree
agricole.
Il Consiglio di Stato (IV sezione,
sentenza 27.07.2011 n. 4505) si è
occupato di un caso nel quale un Comune
aveva denegato una concessione in sanatoria
avente ad oggetto la richiesta di
costruzione –in un'area classificata come
agricola- di un impianto di frantumazione di
sfridi derivati da lavorazioni edilizia
nonché il deposito dei materiali prodotti.
La ragione fondamentale che aveva indotto il
Comune a negare la concessione in sanatoria
era rappresentata dal fatto che l’impianto
di trattamento e stoccaggio di rifiuti
inerti risultava posizionato in area
classificata in base al vigente Piano
Regolatore Generale "all’esercizio
dell’agricoltura".
Quindi, la questione centrale dell’intero
contenzioso può essere così riassunta: la
compatibilità o meno della struttura poco fa
descritta con la destinazione agricola
impressa urbanisticamente all’area sulla
quale il manufatto insiste.
I Giudici di Palazzo Spada, nel dare
risposta negativa al quesito (confermando
quindi la bontà della scelta del Comune di
negare la concessione in sanatoria),
ricordano che uno degli scopi per cui non si
ammette l’edificazione di tipo residenziale
in aree agricole (fatte salve alcune
eccezioni) è quello di evitare la
cementificazione del territorio.
Di conseguenza, a maggior ragione, non si
può consentire la realizzazione di un'opera
che, quanto alle sue caratteristiche
costruttive e di utilizzazione, introduce un
impatto negativo sul territorio ancor più
marcato e devastante in ragione vuoi della
tipologia edilizia, vuoi dell’attività
esercitata.
In realtà il manufatto oggetto della
invocata sanatoria era da considerarsi un
vero e proprio opificio produttivo che, in
quanto tale, poteva e doveva essere
realizzato in altre aree a ciò dedicate,
quelle appunto con destinazione industriale
e/o produttive (Zona D) situate in parti del
territorio specificatamente vocate ad
ospitare tali tipologie di opere.
Sono peraltro al più ammesse in zona
agricola opere edilizie che siano in qualche
modo connesse funzionalmente con la
coltivazione dei suoli (e con la relativa
attività produttiva), ovvero connesse con la
vocazione naturalistica di aree agricole.
Connotazioni, queste, del tutto assenti
nella fattispecie di un impianto di
frantumazione e stoccaggio di inerti che,
per sua stessa natura, è distante anni luce
dalla concezione di sfruttamento agricolo di
un’area (commento tratto da
www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA: La
costruzione di un impianto di frantumazione
di sfridi edilizi e stoccaggio di inerti non
è ammissibile in relazione alla previsione
di zona agricola impressa all’area dallo
strumento urbanistico.
Le scelte urbanistiche come fissate
dall’Amministrazione comunale nel Piano
Regolatore costituiscono valutazioni
connotate da amplissima discrezionalità,
sottratte al sindacato di legittimità salvo
che non siano inficiate da errori di fatto
abnormi ovvero da manifesta
irragionevolezza. Altresì, la scelta di
classificare un‘area come destinata ad uso
agricolo risponde, nell’ambito di una
pianificazione omogenea del territorio
comunale da effettuarsi a mezzo di una
razionale applicazione delle tipologie di
zona previste dalla normativa urbanistica,
all’esigenza di salvaguardare la vocazione
agricola di specifici ambiti territoriali ai
fini di conservazione delle aree stesse
anche ai fini naturalistici.
Il Collegio ritiene di dover fornire al
predetto quesito interpretativo una risposta
di contenuto negativo, nel senso che la
costruzione di un impianto del genere di
quello in discussione ( frantumazione di
sfridi edilizi e stoccaggio di inerti) non è
ammissibile in relazione alla previsione di
zona agricola impressa all’area dallo
strumento urbanistico.
Vanno in primo luogo qui richiamati alcuni
orientamenti giurisprudenziali più volte
espressi da questo Consiglio di Stato
secondo cui:
a) le scelte urbanistiche come fissate
dall’Amministrazione comunale nel Piano
Regolatore costituiscono valutazioni
connotate da amplissima discrezionalità ,
sottratte al sindacato di legittimità salvo
che non siano inficiate da errori di fatto
abnormi ovvero da manifesta irragionevolezza
(cfr. Cons. Stato Sezione IV 09/07/2002 n.
3817; idem 06/02/2002 n. 664);
b) la scelta di classificare un‘area come
destinata ad uso agricolo risponde,
nell’ambito di una pianificazione omogenea
del territorio comunale da effettuarsi a
mezzo di una razionale applicazione delle
tipologie di zona previste dalla normativa
urbanistica, all’esigenza di salvaguardare
la vocazione agricola di specifici ambiti
territoriali ai fini di conservazione delle
aree stesse anche ai fini naturalistici
(cfr. questa Sezione 27/07/2010 n. 4920).
Ciò precisato, sono ben noti al Collegio i
principi più volte ribaditi sempre da questa
Sezione (ex multis, cfr. decisione
del 18/01/2011 n. 352) secondo i quali la
prevista destinazione agricola di un suolo
non deve rispondere necessariamente
all’esigenza di promuovere specifiche
attività di coltivazione (e quindi non
essere funzionale ad un uso strettamente
agricolo del terreno) mentre siffatta
destinazione risulta concretamente volta a
sottrarre parti del territorio comunale a
nuove edificazioni (in tal senso, decisione
n. 2166 del 2010), ma tali assunti
interpretativi non valgono punto a far
propendere (come invece propugnato da parte
appellante) per l’ammissibilità della
realizzazione e dell’esercizio di un
impianto di frantumazione di inerti in zona
agricola.
Invero, si è in presenza di un’opera che in
ragione all’uso cui è preposta reca
necessariamente caratteristiche strutturali
e tipologiche del tutto inconciliabili con
la destinazione agricola e tanto con
riferimento non solo all’utilizzo concreto
del suolo, ma alla naturale vocazione dei
terreni, stante l’evidente compromissione a
causa della presenza di un “opificio”
delle finalità proprie di quella parte del
territorio vocata e destinata a fini
agricoli.
D’altra parte se considera che uno degli
scopi per cui non si ammette l’edificazione
di tipo residenziale in aree agricole (se
non in determinate eccezioni) è quello di
evitare la cementificazione del territorio,
a maggior ragione non si può consentire la
realizzazione di un’opus che, quanto
alle sue caratteristiche costruttive e di
utilizzazione introduce un impatto negativo
sul territorio ancor più marcato e
devastante in ragione vuoi della tipologia
edilizia vuoi dell’attività dell’opus vuoi
dell’attività in esso esercitata.
In realtà il manufatto, con le opere e le
aree ad esso pertinenziali, oggetto della
chiesta sanatoria , è un vero e proprio
opificio produttivo che, in quanto tale, può
e deve essere realizzate in altre aree a ciò
dedicate, quelle appunto destinazione
industriale e/o produttive (Zona D), in
parti del territorio cioè specificatamente
vocate ad ospitare tali tipologie di opere
con i connessi usi.
Un avallo inconfutabile a tale assunto
interpretativo viene peraltro fornito
(ammesso che ce ne fosse stato bisogno) dal
dato di dritto positivo rappresentato dalla
legge Regione Lombardia 07.06.1980 n. 93
recante norme in materia di edificazione
nelle zone agricole, lì dove all’art. 2 è
previsto che nelle aree destinate dallo
strumento urbanistico generale a zona
agricola sono ammesse esclusivamente opere
realizzate in funzione della conduzione del
fondo e destinate alla residenza
dell’imprenditore agricolo e dei dipendenti,
risultando ammesse anche strutture
produttive come silos, serre, stalle, locali
per la lavorazione di prodotti agricoli.
Ora al di là dell’elemento letterale recato
dalla normativa all’uopo dettata dalla legge
regionale summenzionata, la ”ratio”
di detta legge è certamente quella di
ammettere in zona agricola opere edilizie
che siano in qualche modo connesse
funzionalmente con la coltivazione dei suoli
(e relativa attività produttiva) ma anche
con la vocazione naturalistica di aree
agricole, connotazioni, queste, affatto
presenti nella fattispecie di un impianto di
frantumazione e stoccaggio di inerti che,
per sua stessa natura è distante anni luce
dalla concezione di sfruttamento agricolo di
un’area .
Così gli esempi di manufatti che parte
appellante indica come ritenuti, per effetto
di alcune sentenze del giudice
amministrativo, come assentibili in area
agricola riguardano sempre opere che hanno
un minima “contiguità” con la natura
agricola dei terreni ma tale condizione
nella specie è del tutto insussistente,
sicché alcuna omologazione ad altri casi può
sul punto essere validamente invocata.
Sulla scorta di tali osservazioni e
considerazioni, il diniego di sanatoria
opposto dal Comune di Nerviano in ragione
del rilevato contrasto urbanistico
dell’impianto de quo con il regime giuridico
di tipo urbanistico vigente per l’area in
questione si appalesa corretto, senza che
tale determinazione sia inficiata dai vizi
di legittimità dedotti dalla parte
appellante (Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 27.07.2011 n. 4505 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Sull'obbligo
ovvero sulla facoltà di procedere alla
valutazione dell'offerta anomala.
Ai sensi dell’art. 86, co. 2, D.Lgs.
12.04.2006, n. 163, “Nei contratti di cui
al presente codice, quando il criterio di
aggiudicazione è quello dell'offerta
economicamente più vantaggiosa, le stazioni
appaltanti valutano la congruità delle
offerte in relazione alle quali sia i punti
relativi al prezzo, sia la somma dei punti
relativi agli altri elementi di valutazione,
sono entrambi pari o superiori ai quattro
quinti dei corrispondenti punti massimi
previsti dal bando di gara”.
Ai sensi del successivo co. 3 dello stesso
articolo, “In ogni caso le stazioni
appaltanti possono valutare la congruità di
ogni altra offerta che, in base ad elementi
specifici, appaia anormalmente bassa”.
Risulta evidente che, mentre il richiamato
art. 86, comma 2, impone un obbligo di
procedere alla verifica nei casi di anomalia
da quella stessa previsione individuati, il
successivo comma 3 si limita a facoltizzare
la stazione appaltante a procedere alla
suddetta verifica sempre che l’offerta, pur
in assenza delle condizioni indicate dal
comma precedente, appaia, in base ad
elementi specifici, anormalmente bassa.
In sostanza la citata disciplina distingue
tra obbligo di procedere alla verifica nei
casi di anomalia individuati dalla legge e
facoltà riservata all'Amministrazione di
ipotizzare autonomamente, "in base ad
elementi specifici", casi di anomalia
diversi da quelli prestabiliti (in termini,
ex multis, Cons. Stato Sez. V,
08.09.2008, n. 4270).
L’art. 86, co. 3, D.Lgs. 12.04.2006, n. 163,
si pone in linea con quella giurisprudenza
comunitaria secondo cui il sistema
legislativo italiano -che àncora
l'attivazione del procedimento di verifica
di anomalia ad un calcolo matematico
automatico, imponendo alle stazioni
appaltanti di sottoporre a verifica tutte le
offerte che eguagliano o superano la soglia
di anomalia- è legittimo solo a condizione
che sia fatto salvo il potere delle stazioni
appaltanti di sottoporre a verifica anche
offerte che, pur collocandosi al di sotto
della soglia di anomalia, appaiano ciò non
di meno sospette (C. giust. CE 27.11.2001,
CC-285-286/99).
La citata disposizione, quindi, è volta a
chiarire che, anche al di fuori dei casi
contemplati dall’art. 86, co. 2, D.Lgs.
12.04.2006, n. 163, alla stazione appaltante
non può essere precluso di attendere alla
verifica di congruità dell’offerta.
Si tratta di previsione facoltizzante, volta
a riconoscere la sussistenza del potere
della stazione appaltante, anche al di là
dei casi di anomalia legislativamente
predeterminati.
Il legislatore, anzi, nel riconoscere tale
facoltà, ha inteso evitare arbitrii delle
stazioni appaltanti, laddove, anche per
ragioni di economia dei mezzi giuridici,
dispone che, perché si possa attivare la
verifica di anomalia facoltativa, occorre
che vi sia un fumus, un sospetto di
anomalia, sulla base di “elementi
specifici”.
E’ quanto induce a ritenere che debba essere
motivata la decisione di attendere alla
verifica nonostante non ricorrano le
condizioni indicate dall’art. 86, co. 2,
D.Lgs. 12.04.2006, n. 163, non anche quella
di non procedere in tal senso
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 27.07.2011 n. 4489 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Modulistica allegata al bando -
Difformità rispetto alle prescrizioni della
lex specialis di gara - Principio del favor
partecipationis.
La circostanza che il concorrente abbia
puntualmente seguito le indicazioni fornite
dalla stazione appaltante, nella modulistica
pubblicata insieme al bando, non può andare
a suo danno, se detta modulistica si rivela
in parte non esattamente conforme alle
prescrizioni della lex specialis di
gara, dovendo prevalere in tal caso, a
fronte di un’obiettiva incertezza ingenerata
dagli atti predisposti dalla stazione
appaltante, il principio del favor partecipationis e quello di tutela del
legittimo affidamento (in questo senso, di
recente: TAR Toscana, sez. I, 21.06.2010 n.
2006; TAR Puglia, Bari, sez. I, 08.06.2011
n. 842) (TAR Puglia-Bari, Sez. I,
sentenza 27.07.2011 n. 1170 -
link a www.ambientediritto.it). |
APPALTI SERVIZI:
Le disposizioni che derogano alla
regola della procedura di evidenza pubblica,
in quanto eccezionali rispetto ai principi
che informano la materia, sono di stretta
interpretazione.
E' illegittimo l'affidamento diretto da
parte di un comune a Poste Italiane s.p.a.
della gestione del servizio di elaborazione
informatica e di notificazione dei verbali
relativi alle sanzioni amministrative
previste dal codice della strada.
Le disposizioni che derogano alla regola
della procedura di evidenza pubblica, in
quanto eccezionali rispetto ai principi che
informano la materia, sono di stretta
interpretazione. Ne deriva la necessità di
una valutazione rigorosa e puntuale circa la
ricorrenza dei presupposti che giustificano
la sottrazione dell'affidamento alla regola
del confronto competitivo.
L'art. 19, c. 2, del d.lgs. 12.04.2006 n.
163, sottrae alle disposizioni in materia di
appalti pubblici i soli affidamenti disposti
in base ad un diritto esclusivo di cui
l'aggiudicatario dispone. Pertanto, nel caso
di specie, è illegittimo l'affidamento
diretto da parte di un comune a Poste
Italiane s.p.a. della gestione del servizio
di elaborazione informatica e di
notificazione dei verbali relativi alle
sanzioni amministrative previste dal codice
della strada, in quanto l'attività
attribuita senza procedere alla gara
(fornitura di software e hardware e
l'acquisizione da parte di Poste Italiane,
nel caso di notificazioni non andate a buon
fine, di informazioni anagrafiche presso i
Comuni di residenza sui destinatari dei
verbali e la ristampa dei verbali per la
rinotifica oltre alle attività connesse ai
ruoli), va ben oltre i diritti esclusivi
vantati dalla società in quanto
concessionaria del servizio di recapito
universale (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 25.07.2011 n. 4452 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI SERVIZI: No
all'affidamento diretto senza eccezioni:
anche se si tratta di Poste Italiane.
Il Comune che intende
affidare all'esterno il servizio di
elaborazione informatica e di gestione e
spedizione delle multe stradali deve
attivare almeno un confronto concorrenziale.
E questa formalità non può essere trascurata
nemmeno in caso di affidamento del servizio
a Poste Italiane.
Lo ha evidenziato il Consiglio di stato,
Sez. V, con la
sentenza
25.07.2011 n. 4452.
Un comune della provincia di Napoli ha
affidato senza alcuna verifica il servizio
di gestione delle multe stradali a Poste
Italiane spa. Contro questa determinazione
il precedente fornitore del servizio ha
avanzato con successo ricorso al Tar.
E pure il Consiglio di stato ha confermato
la decisione del tribunale amministrativo.
Il comune negli atti convenzionali
sottoposti all'attenzione del collegio ha
evidenziato la necessità di liberare
personale di polizia da attività
amministrativa affidando a terzi non solo il
servizio di notifica ma anche attività
complementari e propedeutiche all'ufficio
contravvenzioni.
In pratica oggetto dell'affidamento sarebbe
la fornitura di hardware e software ad
hoc con l'attività di data entry,
notifiche, pagamenti e rendicontazione
elettronica dell'intero procedimento.
Tali essendo le coordinate fattuali della
vicenda, specifica il collegio, "la
sezione reputa che l'affidamento diretto,
derogatorio rispetto ai principi
dell'ordinamento comunitario e nazionale,
che impongono alle amministrazioni pubbliche
il ricorso a procedure di evidenza pubbliche
informate a logiche concorrenziali, non
trovi fondamento nelle norme richiamate
dall'appellante, ossia l'art. 19, comma 2, e
l'art. 57, comma 5, lett. a) del codice dei
contratti pubblici".
Le deroghe alla regola delle procedure di
evidenza pubblica, prosegue la sentenza,
sono di stretta interpretazione.
Anche se Poste Italiane è concessionaria del
servizio postale universale, questi diritti
esclusivi coprono "tuttavia, solo una
parte del complesso dei servizi affidati dal
comune di Casoria a Poste Italiane.
Esorbitano, infatti, dal raggio di azione di
tali diritti esclusivi i servizio, pure
oggetto dell'affidamento, relativi alla
fornitura di software e hardware e delle
attività di archiviazione ed alla parte
della gestione completa delle notifiche che
comprende attività che si collocano in un
momento sia logicamente che cronologicamente
anteriore a quello in cui l'invio postale è
preso in consegna dal fornitore del
servizio.
In particolare esulano dal fuoco della
predetta riserva di legge l'acquisizione da
parte di Poste Italiane, nel caso di
notificazioni non andate a buon fine, di
informazioni anagrafiche presso i comuni di
residenza sui destinatari dei verbali e la
ristampa dei verbali per la rinotifica
tramite il servizio postale o tramite il
messo comunale del comune di residenza,
nonché le attività connesse ai ruoli che
pure sono dedotte in convenzione".
In pratica l'affidamento diretto del
servizio completo di gestione delle multe
stradali a Poste Italiane, senza alcuna
valutazione concorrenziale, non trova
fondamento nella normativa nazionale
(commento tratto da www.ipsoa.it - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI:
Si evita il ricorso all’evidenza
pubblica solo in riferimento ai servizi
coperti dal diritto di esclusiva
dell'aggiudicatario.
Il Codice dei Contratti Pubblici non si
applica agli aggiudicatori che sono titolari
di un diritto esclusivo solo ove l’oggetto
del rapporto consista nel contenuto
dell’esclusiva. Così, se ha senso sottrarre
Poste Italiane (in quanto titolare di un
diritto esclusivo sulle notifiche degli atti
in virtù del fatto di essere concessionaria
del servizio postale universale ai sensi
dell’art. 23, comma 2, del dlgs 22.07.1999
n. 261 e del dm 17.04.2000)
dall’applicazione del Codice e quindi dal
principio dell’evidenza pubblica in
relazione alla notificazione degli atti, non
ha senso escludere l’applicazione dei
principi comunitari in riferimento alla
fornitura di software e hardware, alla
archiviazione e alla gestione completa delle
notifiche (ivi compresa quindi la stampa dei
verbali su bollettino premarcato e
imbustamento, dell’atto) attività che si
collocano cronologicamente e logicamente in
un momento anteriore a quello in cui l’invio
postale è preso in consegna dal fornitore
del servizio.
Sulla base di questa osservazione,
escludendo l’applicazione dell’articolo 19
del Codice dei Contratti pubblici, i giudici
di Palazzo Spada hanno posto nel nulla
l’affidamento diretto, posto in essere da un
comune a Poste Italiane, dei servizi
aggiuntivi a quelli di notifica degli atti.
D’altro canto non vale a mantenere
l’impianto dell’affidamento diretto, il
riferimento all’art. 57, comma 5, lett. a),
del D.Lgs. 163/2006.
La norma invocata, inserita nel corpo
dell’articolo che disciplina i casi di
affidamento mediante procedura negoziata
senza previa pubblicazione di bando di gara,
dispone quanto segue: “Nei contratti
pubblici relativi a lavori e negli appalti
pubblici relativi a servizi, la procedura
del presente articolo è, inoltre,
consentita: a) per i lavori o i servizi
complementari, non compresi nel progetto
iniziale né nel contratto iniziale, che, a
seguito di una circostanza imprevista, sono
divenuti necessari all'esecuzione dell'opera
o del servizio oggetto del progetto o del
contratto iniziale, purché aggiudicati
all'operatore economico che presta tale
servizio o esegue tale opera, nel rispetto
delle seguenti condizioni: a.1) tali lavori
o servizi complementari non possono essere
separati, sotto il profilo tecnico o
economico, dal contratto iniziale, senza
recare gravi inconvenienti alla stazione
appaltante, ovvero pur essendo separabili
dall'esecuzione del contratto iniziale, sono
strettamente necessari al suo
perfezionamento; a.2) il valore complessivo
stimato dei contratti aggiudicati per lavori
o servizi complementari non supera il
cinquanta per cento dell'importo del
contratto iniziale”.
Come si evince dalla norma, viene richiesto
il concorso di entrambi le condizioni. Di
tale ultima combinazione non risulta alcuna
giustificazione dagli atti della procedura
né dalla delibera o determina a contrarre e
ciò anche in violazione dell’art. 57, comma
1, del Codice dei Contratti Pubblici che
impone alla stazione appaltante di dare
conto, in tale sede, delle ragioni che
giustificano il ricorso alla procedura
negoziata (commento tratto da
www.documentazione.ancitel.it - (Consiglio
di Stato, Sez. V,
sentenza
25.07.2011 n. 4452 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
L'incompatibilità del Commissario
di gara determina l'illegittimità del
provvedimento di aggiudicazione definitiva.
In materia di appalti pubblici la situazione
di incompatibilità di un commissario di gara
rende illegittima l’attività svolta dalla
commissione, ivi compresi i provvedimenti di
aggiudicazione provvisoria e definitiva che
di conseguenza devono considerarsi
irrimediabilmente viziati e devono essere
annullati.
Con questo principio il Consiglio di Stato,
Sez. V, con la
sentenza 25.07.2011 n. 4450 ha
accolto il ricorso presentato da una società
avverso il provvedimento di aggiudicazione
del servizio di distribuzione del gas
naturale in un comune della Lombardia.
La ricorrente, seconda aggiudicataria, aveva
impugnato il provvedimento contestando in
particolare come fra i componenti della
commissione di gara fosse presente un
ingegnere, in qualità di consulente, che si
trovava in una macroscopica situazione di
incompatibilità, avendo provveduto alla
preparazione degli atti di gara, alla
perizia del valore degli impianti e
all’analisi economico-patrimoniale del
servizio.
Il Consiglio di Stato adito, accogliendo
questa censura, ha preliminarmente chiarito
come le disposizioni contenute nell’articolo
84, 4° comma (Commissione giudicatrice nel
caso di aggiudicazione con il criterio
dell'offerta economicamente più
vantaggiosa), del d.lgs. 163/2006 secondo il
quale “I commissari diversi dal
Presidente non devono aver svolto né possono
svolgere alcun'altra funzione o incarico
tecnico o amministrativo relativamente al
contratto del cui affidamento si tratta”,
si applicano a tutte le gare di appalto di
lavori, servizi e forniture in quanto
espressione dei principi di imparzialità e
buona amministrazione predicati
dall’articolo 97 della Costituzione.
In applicazione di tale norma è stato
precisato che l’ingegnere “…versava
quindi in una situazione di incompatibilità
e non poteva essere membro della commissione
di gara: come tale i relativi atti di
costituzione e la successiva attività da
essa svolta, ivi compreso il provvedimento
di aggiudicazione provvisoria e definitiva,
devono considerarsi irrimediabilmente
viziati e devono essere annullati (così
C.d.S., sez. VI, 29.12.2010, n. 9577,
secondo cui "Ai sensi dell'art. 84, d.lgs.
n. 163 del 2006, applicabile anche nei
settori speciali in quanto richiamato
espressamente dall'art. 206, d.lgs. n. 163
del 2006, quando il criterio di
aggiudicazione è quello dell'offerta
economicamente più vantaggiosa, va nominata
una Commissione di gara, e in tale
Commissione i componenti diversi dal
presidente non devono aver svolto né possono
svolgere alcuna altra funzione o incarico
tecnico o amministrativo relativamente al
contratto del cui affidamento si tratta
(comma 4). È chiaro che l'incompatibilità,
mirando a garantire l'imparzialità dei
commissari di gara, si riferisce a soggetti
che abbiano svolto incarichi relativi al
medesimo appalto, ad es. incarichi di
progettazione, di verifica della
progettazione, incarichi di predisposizione
della legge di gara, e simili.
L'incompatibilità non può estendersi a
qualsivoglia funzionario dipendente dalla
stazione appaltante, che svolge incarichi
amministrativi o tecnici che non sono
relativi allo specifico appalto")”.
In conclusione i giudici della V sezione
hanno sottolineato come questa situazione di
incompatibilità ha viziato irrimediabilmente
tutto il procedimento di aggiudicazione
poiché l’attività svolta dal componente
della commissione andava oltre le funzioni
del mero consulente la cui caratteristica è
quella di fornire un’attività occasionale di
supporto tecnico ab externo (commento
tratto da
www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Le eventuali incongruità
contenute nell’offerta e nel piano economico-finanziario non sono di per sé idonee a
riverberarsi sull’offerta presentata
dall’aggiudicataria.
Le eventuali incongruità contenute
nell’offerta e nel piano
economico-finanziario non sono di per sé
idonee a riverberarsi sull’offerta
presentata dall’aggiudicataria, giacché il
piano economico–finanziario, essendo
ontologicamente diverso dall’offerta, ben
può contenere indicazioni, specificazioni,
chiarimenti, limitati integrazioni ed
aggiustamenti, valutabili
dall’amministrazioni ai fini del giudizio
complessivo di validità ed affidabilità
dell’offerta, senza che ciò possa in alcun
modo far ritenere stravolta l’offerta
originaria presentata; deve anche
aggiungersi che la giurisprudenza ha anche
precisato che “laddove l’amministrazione
consideri congrua l’offerta sulla base delle
spiegazioni fornite dal concorrente in sede
di verifica dell’anomalia non occorre che la
relativa documentazione sia fondata su una
articolata motivazione ripetitiva delle
medesime giustificazioni ritenute
accettabili o espressiva di ulteriori
apprezzamenti, essendo sufficiente anche una
motivazione per relationem…” (C.d.S.,
sez. IV, 30.10.2009, n. 6708), tanto più che
la verifica delle offerte anomale non ha per
oggetto la ricerca di specifiche e singole
inesattezze dell’offerta economica, mirando
invece ad accertare se l’offerta nel suo
complesso sia attendibile e, dunque, se dia
o meno serio affidamento circa la corretta
esecuzione dell’appalto (Consiglio di Stato, Sez.
V,
sentenza
25.07.2011 n. 4450 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
I terreni destinati a verde
pubblico dal piano regolatore diventano
indisponibili solo quando siano in concreto
utilizzati secondo la propria destinazione.
I giudici del Tribunale amministrativo di
Torino esprimono tale tesi in una
controversia nella quale i ricorrenti
muovevano dal presupposto che un’area di
proprietà pubblica destinata a “verde
pubblico” secondo le previsioni del
piano regolatore generale o di uno strumento
urbanistico di secondo livello, costituisse,
per ciò stesso, un bene strumentale
all’esercizio delle funzioni istituzionali
dell’ente proprietario, con la conseguenza
che quest’ultimo non avrebbe potuto far
cessare la predetta destinazione né
includere il bene in un piano di dismissioni
immobiliari, avuto riguardo al fatto che la
normativa di settore prevede che gli enti
pubblici possano includere nei propri piani
di alienazione soltanto beni “non
strumentali all’esercizio delle proprie
funzioni istituzionali”.
I giudici sabaudi hanno considerato tale
congettura infondata precisando che un’area
di proprietà pubblica destinata a “verde
pubblico” non costituisce un’opera di
urbanizzazione primaria né un bene
strumentale all’esercizio delle funzioni
istituzionali dell’ente proprietario, fino a
quando su di essa non siano state realizzate
concrete opere di trasformazione volte a
rendere fruibile il verde pubblico da parte
della collettività, imprimendo al bene una
destinazione di fatto conforme a quella
astrattamente prevista dal piano: solo in
presenza di tali opere il bene acquista
carattere strumentale rispetto ai fini
dell’ente e rientra a far parte del
patrimonio indisponibile dello stesso, ai
sensi dell’art. 826, ultimo comma c.c., in
quanto bene di proprietà pubblica
concretamente destinato ad un pubblico
servizio.
In altre parole, continuano i giudici
piemontesi, affinché un bene di proprietà
pubblica possa definirsi strumentale al
perseguimento degli scopi istituzionali
dell’ente proprietario, con conseguente
inclusione nel patrimonio indisponibile
dell’ente medesimo, non è sufficiente la
mera manifestazione di volontà dell’ente
pubblico di destinarlo ad un pubblico
servizio, ma è altresì necessario che a
quella manifestazione di volontà abbiano
fatto seguito concrete opere di
trasformazione dirette ad imprimere al bene
un’effettiva funzionalizzazione ad un
pubblico servizio.
E’ stato affermato, a questo riguardo,
ricordano gli stessi giudici, che
l'appartenenza di un bene al patrimonio
indisponibile dello Stato, dei comuni o
delle province, a meno che non si tratti di
beni riservati, per loro natura, a tale
patrimonio, dipende soprattutto dalle
caratteristiche oggettive e funzionali del
bene e presuppone, quindi, oltre che
l'acquisto in proprietà del bene da parte
dell'ente pubblico (cosiddetto requisito
soggettivo), una concreta destinazione dello
stesso ad un pubblico servizio (cosiddetto,
requisito oggettivo) che, proprio per
l'esigenza di un reale legame con le
oggettive caratteristiche del bene, non può
dipendere da un mero progetto di
utilizzazione della p.a. o da una
risoluzione che, ancorché espressa in un
atto amministrativo, non incide, di per sé,
sulle oggettive caratteristiche funzionali
del bene.
Pertanto, nei casi in cui il bene sia privo
dei caratteri strutturali necessari per il
servizio, occorre almeno che il
provvedimento di destinazione sia seguito
dalle opere di trasformazione che in qualche
modo possano stabilire un reale collegamento
di fatto, e non meramente intenzionale, del
bene alla funzione pubblica (Cass. civ.,
sez. II, 09.09.1997, n. 8743; in senso
analogo, Cass. Civ. SS.UU. 28.06.2006, n.
14865).
Sulla scorta di tali principi, è stato
affermato che i terreni destinati a verde
pubblico dal piano regolatore acquistano la
condizione di beni del patrimonio
indisponibile dell'ente pubblico (e, quindi,
di beni strumentali al perseguimento dei
fini istituzionali dell’ente stesso) solo
dal momento in cui, essendo stati acquistati
da questo in proprietà, sono trasformati ed
in concreto utilizzati secondo la propria
destinazione, non essendo all'uopo
sufficiente né il piano regolatore generale,
che ha solo funzione programmatoria e
l'effetto di attribuire alla zona, o anche
ai terreni in esso eventualmente indicati,
una vocazione da realizzare attraverso gli
strumenti urbanistici di secondo livello o
ad essi equiparati, e la successiva attività
di esecuzione di questi strumenti, né il
provvedimento di approvazione del piano di
lottizzazione, che individua solo il terreno
specificamente interessato dal progetto di
destinazione pubblica, né la convenzione di
lottizzazione, che si inserisce nella fase
organizzativa del processo di realizzazione
del programma urbanistico e non nella fase
della sua materiale esecuzione (Cassazione
civile, sez. II, 09.09.1997, n. 8743)
(commento tratto da
www.documentazione.ancitel.it - TAR Piemonte,
Sez. I,
sentenza
22.07.2011 n. 805 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI:
Servizio di refezione scolastica
- Richiesta di effettiva disponibilità di un
centro di cottura nel territorio comunale (o
in una data area) alla data di presentazione
della domanda - Illegittimità.
In caso di appalto del servizio di refezione
scolastica, il richiedere l’effettiva
disponibilità di un centro di cottura nel
territorio comunale alla data di
presentazione della domanda, senza
consentire all’impresa di organizzarsi
all’esito della vittoriosa partecipazione,
equivarrebbe a riservare la gara stessa alla
sole imprese che già operano nel territorio,
in palese violazione delle disposizioni
comunitarie (cfr. da ultimo, TAR Sicilia,
sede Palermo, sez. III, 24.09.2010, n.
10824, e TAR Abruzzo, sede L’Aquila,
11.02.2010, n. 88); analogamente, è
illegittima per irragionevolezza e contrasto
con i principi comunitari di massima tutela
della concorrenza tra imprese, il bando per
l’affidamento del servizio di refezione
scolastica, che impone ai partecipanti di
allestire un centro per la cottura e la
preparazione dei pasti esclusivamente in una
data area, tutte le volte in cui tale
prescrizione non sia utile ai fini della
individuazione del miglior contraente e non
sia giustificabile con addotte finalità di
controllo dell’attività di confezionamento,
dal momento che contrasta con i principi di
economicità e di risparmio su scala
aziendale, in quanto si determina un
indubbio favoritismo per i pochi (o unici)
soggetti che già sono presenti in quel
preciso ambito territoriale, dovendo
considerarsi sufficiente, per le specifiche
finalità dell’amministrazione, solo una
clausola che stabilisca i tempi massimi di
trasporto dei pasti e la possibilità, da
parte dell’Amministrazione, di verificare il
loro rispetto (Cons. St. sez. V, 22.06.2010,
n. 3887, e TAR Puglia, sede Bari, sez. I,
03.11.2009, n. 2602) (TAR Abruzzo-Pescara,
Sez. I,
sentenza 22.07.2011 n. 476 - link
a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La presenza di precedenti
interventi edilizi non è ostativa al vincolo
paesaggistico.
Va ricordato che la giurisprudenza ha da
tempo riconosciuto allo Stato il potere di
porre un vincolo paesaggistico sull'intero
territorio di un comune (Cons. Stato, IV,
06.12.1985, n. 596; VI, 04.04.1997, n. 553,
IV, 20.03.2006, n. 1470).
Certamente, come insegna la sentenza di
questa Sezione n. 3540 del 27.06.2001, il
provvedimento con il quale si impone un
vincolo paesaggistico ambientale, ai sensi
della legge 29.06.1939, n. 1497 sull'intero
territorio di un comune, deve essere
motivato sulla base di concreti e specifici
indici dell'interesse paesistico dominante e
non già con riferimento ad un mero rapporto
di vicinanza delle aree più urbanizzate
rispetto a quelle di più diretto ed
immediato rilievo paesistico.
Il decreto di vincolo non potrà certamente
imporre limiti su di un intero territorio
comunale, qualora il provvedimento sia
motivato con richiamo a ragioni ed
apprezzamenti che, per la loro genericità,
potrebbero giustificare l'imposizione del
vincolo in questione su qualsiasi territorio
dello Stato.
La Relazione illustrativa richiamata nelle
premesse del decreto (nota n. 2256 del
09.02.1990 della Soprintendenza archeologica
e per i beni ambientali, architettonici,
artistici e storici del Molise) fa del resto
riferimento puntuale –così mostrando
l’avvenuta presa in considerazione di un
siffatto profilo, e nei termini
dell’insindacabile discrezionalità tecnica
che presiede al vincolo (su cui v. ad es.
Cons. Stato, VI, 22.03.2005, n. 1186; ma
anche VI, 22.12.1993, n. 1022)- ad un “ambiente
urbano di estremo interesse ambientale e
culturale che purtroppo non sempre è
riuscito a conservare inalterate le proprie
caratteristiche a causa dell’abbandono e
delle manomissioni innovatrici verificatesi
essenzialmente in quest’ultima metà del
secolo, frutto di cause complesse che fanno
parte ormai della storia socio economica e
del presente di questo territorio”.
Del resto, non è possibile, senza superare i
limiti propri del giudizio di legittimità,
isolare singole aree comprese nella bellezza
d’insieme e verificare se vi siano
specificamente riferibili le caratteristiche
indicate dall’amministrazione, con
riferimento alla bellezza d’insieme, nella
motivazione del provvedimento (Cons. Stato,
IV, 20.03.2006, n. 1470; VI, 20.01.1998, n.
106).
A ciò si aggiunga che il fatto
dell’antropizzazione, o meglio della
presenza di precedenti interventi edilizi,
non solo non è ostativo al vincolo, ma anzi,
per costante e consolidata giurisprudenza,
maggiormente richiede che, se ne sussiste il
substrato, si dia corso alla tutela
dell’art.9 Cost. per il paesaggio (Cons.
Stato, VI, 11.06.1990, n. 600; VI,
28.08.1995, n. 820; VI, 20.10.2000, n. 5651;
IV, 30.06.2005, n. 3547; VI, 29.11.2005, n.
6756; II, 17.06.1998, n. 853; II,
04.02.1998, n. 3018/1997; II, 13.12.2006, n.
10387/2004). Non è dunque nemmeno il caso di
rammentare che il vincolo paesaggistico non
è, per sua natura, volto alla sola tutela
delle bellezze di natura, ma anche del
lascito storico ed architettonico sul
paesaggio.
Nel caso di specie pertanto un tale vincolo
appare perciò legittimo e adeguatamente
sopportato in punto di indagine di fatto, di
giudizio tecnico e di motivazione (Consiglio di Stato,
Sez. VI,
sentenza 21.07.2011 n. 4429 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Art. 9 L. 122/1989 - Autorimesse
edificate parzialmente fuori terra -
Disciplina urbanistica ordinaria.
La testuale lettura dell’art. 9 della L.
24.03.1989, n. 122 limita la fattispecie
derogatoria alla realizzazione di
autorimesse e parcheggi destinati al
servizio di fabbricati esistenti solo ove
sia effettuata totalmente al di sotto del
piano di campagna naturale ("sottosuolo"),
rientrando le autorimesse, edificate anche
parzialmente fuori terra, nella disciplina
urbanistica ordinaria (cfr. Cons. di Stato,
Sez. IV, n. 6065 dell'11.10.2006; sez. IV,
n. 8260 del 27.11.2010).
L'interpretazione estensiva, per vero talora
sposata in ossequio alla pretesa ratio
della massima diffusione delle aree a
parcheggio nelle aree urbane già edificate,
che consentiva la realizzazione dei
parcheggi anche in costruzione seminterrate,
se tuttora regge nel caso di diversa
destinazione da attribuire a costruzioni già
realizzate (considerata la possibilità di
realizzazione di siffatte unità anche al "piano
terreno dei fabbricati"), non può essere
al contrario ammessa nel caso di costruzioni
da realizzare ex novo, ostandovi il
dato letterale già sopra richiamato e
dovendosi rilevare che il riferimento a
parcheggi "nel sottosuolo" o "sotterranei"
osta alla ricomprensione, tra dette
costruzioni, delle autorimesse che, anche
solo per un tratto della loro altezza, non
risultino totalmente interrate (TAR Abruzzo
L’Aquila 19.04.2011 n. 208) (TAR Liguria,
Sez. I,
sentenza 21.07.2011 n. 1176 -
link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il vincolo di inedificabilità
relativo alla fascia di rispetto cimiteriale
è applicabile anche ai fabbricati sparsi.
Occorre ricordare che l’art. 338 R.D. n.
1265/1934, prevede che “i cimiteri devono
essere collocati alla distanza di almeno 200
metri dal centro abitato. È vietato
costruire intorno ai cimiteri nuovi edifici
entro il raggio di 200 metri dal perimetro
dell'impianto cimiteriale, quale risultante
dagli strumenti urbanistici vigenti nel
comune o, in difetto di essi, comunque quale
esistente in fatto, salve le deroghe ed
eccezioni previste dalla legge” (comma
1).
Orbene, la giurisprudenza di questo
Consiglio di Stato, con considerazioni che
in questa sede si intendono ribadite, ha già
avuto modo di affermare che la fascia di
rispetto cimiteriale prevista dall'art. 338
t.u. leggi sanitarie (e che deve essere
misurata a partire dal muro di cinta del
cimitero), costituisce un vincolo assoluto
di in edificabilità, tale da imporsi anche a
contrastanti previsioni di PRG, che non
consente in alcun modo l'allocazione sia di
edifici, che di opere incompatibili col
vincolo medesimo, in considerazione dei
molteplici interessi pubblici che tale
fascia di rispetto intende tutelare e che
possono enuclearsi nelle esigenze di natura
igienico-sanitaria, nella salvaguardia della
peculiare sacralità che connota i luoghi
destinati all'inumazione e alla sepoltura,
nel mantenimento di un'area di possibile
espansione della cinta cimiteriale (Cons.
Stato, sez. IV, 16.03.2011 n. 1645 e
27.10.2009 n. 6547; sez. V, 14.09.2010 n.
6671).
Stante la natura del vincolo e le sue
finalità, come sopra evidenziate, non vi è
alcuna ragione (peraltro non ricavabile né
dalla lettera né dal contesto
logico-sistematico della norma), per
ritenere tale vincolo applicabile solo ai
centri abitati e non ai fabbricati sparsi,
così come, ai fini dell’applicazione del
vincolo, appare ininfluente che, a distanza
inferiore ai 200 metri, vi sia una strada,
escludendosi che quest’ultima (così come
invece risultante dalla prospettazione
dell’appellante) “interrompa” la
continuità del vincolo (Consiglio di Stato,
Sez. IV,
sentenza 20.07.2011 n. 4403 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il provvedimento di repressione
degli abusi edilizi (ingiunzione a demolire
e/o ordine di demolizione, ed ogni altro
provvedimento sanzionatorio), costituisce
atto dovuto della pubblica amministrazione,
riconducibile ad esercizio di potere
vincolato, in mera dipendenza
dall’accertamento dell’abuso e della
riconducibilità del medesimo ad una delle
fattispecie di illecito previste dalla
legge.
Ciò comporta che il provvedimento
sanzionatorio non abbisogna di una
particolare motivazione, essendo sufficiente
la mera rappresentazione del carattere
illecito dell’opera realizzata, né è
necessaria una previa comparazione
dell’interesse pubblico alla repressione
dell’abuso (che è in re ipsa) con
l’interesse del privato proprietario del
manufatto; e ciò anche se l’intervento
repressivo avvenga a distanza di tempo dalla
commissione dell’abuso, laddove il medesimo
non sia stato oggetto di sanatoria in base
agli interventi legislativi succedutisi nel
tempo.
Stante il carattere vincolato del potere da
esercitarsi, non occorre il previo invio
della comunicazione di avvio del
procedimento, peraltro ora esclusa anche
dall’art. 21-octies, comma 2, primo periodo,
l. n. 241/1990, che ha recepito, sul punto
le indicazioni della giurisprudenza.
Il Collegio deve ribadire, in adesione a
costante giurisprudenza di questo Consiglio
di Stato, che il provvedimento di
repressione degli abusi edilizi (ingiunzione
a demolire e/o ordine di demolizione, ed
ogni altro provvedimento sanzionatorio),
costituisce atto dovuto della pubblica
amministrazione, riconducibile ad esercizio
di potere vincolato, in mera dipendenza
dall’accertamento dell’abuso e della
riconducibilità del medesimo ad una delle
fattispecie di illecito previste dalla
legge.
Ciò comporta che il provvedimento
sanzionatorio non abbisogna di una
particolare motivazione, essendo sufficiente
la mera rappresentazione del carattere
illecito dell’opera realizzata, né è
necessaria una previa comparazione
dell’interesse pubblico alla repressione
dell’abuso (che è in re ipsa) con
l’interesse del privato proprietario del
manufatto; e ciò anche se l’intervento
repressivo avvenga a distanza di tempo dalla
commissione dell’abuso, laddove il medesimo
non sia stato oggetto di sanatoria in base
agli interventi legislativi succedutisi nel
tempo.
In tale contesto, appare evidente come
–stante il carattere vincolato del potere da
esercitarsi– non occorre il previo invio
della comunicazione di avvio del
procedimento, peraltro ora esclusa (invero,
in momento successivo all’emanazione del
provvedimento impugnato) anche dall’art.
21-octies, comma 2, primo periodo, l. n.
241/1990, che ha recepito, sul punto le
indicazioni della giurisprudenza (Consiglio di Stato,
Sez. IV,
sentenza 20.07.2011 n. 4403 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
Area edificabile – Piano di
lottizzazione conforme al piano regolatore –
Possibilità di far valere da parte del
Comune ragioni di carattere ambientale e/o
paesaggistico non contemplate dal P.R.G. per
negare l’approvazione del piano di
lottizzazione – Non sussiste.
La giunta ed il consiglio comunale non
possono effettuare valutazioni che
contrastino con quelle già formalizzate con
il piano regolatore.
Infatti, se un'area è stata da questo
destinata all'edificazione, nel corso del
procedimento di approvazione del piano
attuativo non è giuridicamente possibile che
la medesima area non vada considerata in
concreto edificabile per ragioni ambientali
e paesaggistiche, e cioè sulla base di
valutazioni diametralmente opposte a quelle
già poste a base dello strumento primario
che ha previsto l'edificabilità sul piano
urbanistico. Ove emergano le relative
ragioni, può essere attivato il procedimento
per la modifica del piano regolatore, ma
-sul piano urbanistico- non può essere
respinto il progetto di lottizzazione
conforme allo strumento primario.
Nel rispetto delle diverse finalità della
pianificazione urbanistica, la valutazione
della congruità del piano di lottizzazione
deve quindi porsi in collegamento attuativo
e nel rispetto funzionale delle previsioni
dello strumento urbanistico di valenza
generale.
Tali ragioni hanno portano ad affermare che
il compito spettante alla giunta ed al
consiglio comunale siano limitati
all'accertamento della conformità del
progetto alle previsioni dello strumento
urbanistico primario, imponendo peraltro,
giusta il canone ordinario di correttezza
dell'azione amministrativa, che le relative
determinazioni in merito all'eventuale non
conformità del progetto al piano regolatore
si fondino su una puntuale motivazione, tale
da permettere l'emersione di interessi
pubblici effettivamente sussistenti e la
conseguente tutela dell'interessato in sede
di giustizia amministrativa (massima tratta
da www.centrostudi-sv.org - Consiglio di
Stato, Sez. IV,
sentenza 20.07.2011 n. 4395 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
La valutazione della sufficienza
dei collegamenti esterni all’area oggetto di
lottizzazione deve essere contenuta nello
strumento urbanistico generale.
Ritiene la Sezione che la propria precedente
decisione n. 4368 del 16.09.2008 abbia già
sufficientemente individuato i limiti
decisionali che regolamentano l’approvazione
dei piani di lottizzazione, quando ha
affermato che “la giunta ed il consiglio
comunale non possono effettuare valutazioni
che contrastino con quelle già formalizzate
con il piano regolatore. Infatti, se un’area
è stata da questo destinata
all’edificazione, nel corso del procedimento
di approvazione del piano attuativo non è
giuridicamente possibile che la medesima
area non vada considerata in concreto
edificabile ‘per ragioni ambientali e
paesaggistiche’, e cioè sulla base di
valutazioni diametralmente opposte a quelle
già poste a base dello strumento primario
che ha previsto l’edificabilità sul piano
urbanistico. Ove emergano le relative
ragioni, può essere attivato il procedimento
per la modifica del piano regolatore, ma
–sul piano urbanistico- non può essere
respinto il progetto di lottizzazione
conforme allo strumento primario”.
Nel rispetto delle diverse finalità della
pianificazione urbanistica, la valutazione
della congruità del piano di lottizzazione
deve quindi porsi in collegamento attuativo
e nel rispetto funzionale delle previsioni
dello strumento urbanistico di valenza
generale. Tali ragioni hanno quindi spinto
la Sezione ad affermare che il compito
spettante alla giunta ed al consiglio
comunale siano limitati all’accertamento
della conformità del progetto alle
previsioni dello strumento urbanistico
primario, imponendo peraltro, giusta il
canone ordinario di correttezza dell’azione
amministrativa, che le relative
determinazioni in merito all’eventuale non
conformità del progetto al piano regolatore
si fondino su una puntuale motivazione, tale
da permettere l’emersione di interessi
pubblici effettivamente sussistenti e la
conseguente tutela dell’interessato in sede
di giustizia amministrativa.
Se queste affermazioni, in merito al metro
di giudizio, non paiono contestabili, né
sono state aggredite dalle parti
contendenti, una diversa valutazione va
fatta in relazione alla base del giudizio,
ossia agli elementi che possono essere
correttamente valutati al fine della
declaratoria di non conformità rispetto allo
strumento pianificatorio generale ed in
particolare in relazione alla supposta
insufficienza della viabilità.
In questo senso, nessun aiuto può provenire
dalla decisione n. 4368 del 2008, evocata a
vario titolo da tutte le parti, atteso che
nella detta sentenza non sono stati valutati
gli aspetti della viabilità, in quanto
introdotti successivamente al provvedimento
allora gravato e quindi integranti una
motivazione postuma dello stesso. Le
affermazioni ivi contenute hanno quindi
natura di obiter dictum, sebbene
incidentalmente, non si possa non notare
come la Sezione abbia suffragato “la
sussistenza del potere del consiglio
comunale di valutare la sufficienza della
viabilità nell’area oggetto del progetto, in
rapporto all’area più vasta in cui la sua
realizzazione si va ad inserire”, ossia
limitando il sindacato alla viabilità
interna al piano da realizzare.
In senso più generale, non si può non
osservare come il tema della pianificazione
viaria sia tradizionalmente oggetto di
previsioni a livello di piano regolatore
generale. L’art. 7 della legge urbanistica
(legge 17.08.1942, n. 1150, indicando i
contenuti del piano generale, espressamente
prevede, al punto 1 del comma 1, che questo
indichi “la rete delle principali vie di
comunicazione stradali, ferroviarie e
navigabili e dei relativi impianti”. E
previsioni di tal fatta si riscontrano,
peraltro con terminologia normativa più
corrente, in tutte le discipline regionali
che trattano il tema dell’assetto e del
governo del territorio (ad esempio,
nell’ambito della regione Veneto, la L.R. n.
11 del 2004, separando gli aspetti
strutturali del piano regolatore da quelli
operativi, prevede che siano fissati “gli
obiettivi e le condizioni di sostenibilità
degli interventi e delle trasformazioni
ammissibili”, individuando “le
infrastrutture e le attrezzature di maggiore
rilevanza” – art. 13 comma 1, lett. j).
Emerge quindi uno stretto collegamento tra
la pianificazione generale comunale e
l’individuazione della rete viaria
necessaria all’attuazione delle scelte di
piano. E tale collegamento opera in senso
discendente, in modo che la predisposizione
infrastrutturale si pone a monte delle
previsioni operative attuative.
Così ricostruito il quadro dei rapporti tra
i contenuti di piano, appare evidente come
la valutazione dei temi della viabilità, e
quindi della sufficienza dei collegamenti
esterni all’area oggetto di lottizzazione,
non sia un elemento da sviluppare in
occasione dell’approvazione del piano di
lottizzazione, che ha natura attuativa, ma
debba essere contenuto, a monte, nello
strumento urbanistico generale il quale,
sulla base di una previsione complessiva dei
temi della gestione del territorio, è il
mezzo giuridico funzionalmente idoneo a dare
ingresso alle tematiche della circolazione
nell’ambito del territorio comunale (Consiglio di Stato,
Sez. IV,
sentenza 20.07.2011 n. 4395 - link a
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EDILIZIA PRIVATA:
Distanza tra le costruzioni –
Tutela della salubrità degli edifici –
Sussiste – Tutela della riservatezza – Non
sussiste.
La distanza tra costruzioni, prevista
dall'art. 9 del DM 02.04.1968, n. 1444, è
volta non alla tutela della riservatezza, ma
alla salvaguardia di imprescindibili
esigenze igienico sanitarie ed è dunque
tassativa ed inderogabile (a differenza
delle distanze dal confine) per via di
private pattuizioni.
Conseguentemente, essa deve operare, per un
verso, anche nel caso in cui una sola delle
due pareti frontistanti sia finestrata, per
l'altro, anche nel caso in cui la nuova
opera sia di altezza inferiore rispetto alle
preesistenti vedute o parzialmente nascosta
dal muretto e dalla recinzione di confine.
L'interesse pubblico presidiato dalla norma
è quello della salubrità dell'edificato e
non va confuso con l'interesse privato del
frontista a mantenere la riservatezza o la
prospettiva (massima tratta da
www.centrostudi-sv.org - Consiglio di Stato,
Sez. IV,
sentenza 20.07.2011 n. 4374 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
COMPETENZE GESTIONALI -
LAVORI PUBBLICI:
L’approvazione di un progetto
preliminare di opera pubblica appartiene
alla competenza generale residuale della
Giunta.
L’approvazione di un progetto preliminare di
opera pubblica appartiene alla competenza
generale residuale della Giunta, ai sensi
del combinato disposto degli artt. 42 e 48
d.lgs. 267 del 2000, salvo che
l’approvazione del progetto comporti una
variante allo strumento urbanistico, nel
qual caso la competenza appartiene al
Consiglio (Cons. Stato, VI, 27.07.2010, n.
4890) (TAR Toscana, Sez. I,
sentenza
20.07.2011 n. 1258 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ENTI LOCALI: Per
i supermercati paletti alla vendita di
alcolici. Il sindaco può imporre il divieto
dalle 18 alla chiusura.
Il sindaco di un comune può legittimamente
adottare per motivi di ordine pubblico una
ordinanza contingibile e urgente con la
quale imporre il divieto nei confronti di un
supermercato di somministrare bevande
alcoliche dalle ore 18 fino alla chiusura.
Lo ha affermato il TAR Veneto, Sez. III, con
la
sentenza 20.07.2011
n. 1245.
La vicenda prende spunto dall'adozione da
parte del sindaco di un comune veneto di
un'ordinanza contingibile e urgente con la
quale veniva ordinato a un supermercato il
divieto di vendere bevande alcoliche e
superalcoliche dalle ore 18 fino all'orario
di chiusura dell'esercizio e fino a una
precisa data.
Le motivazione del provvedimento faceva
riferimento alle seguenti circostanze:
- nei pressi del supermercato era
particolarmente diffuso il consumo di
bevande alcoliche sulla pubblica via con
fenomeni di disturbo alla sicurezza urbana
per frequenti litigi tra persone in stato di
alterazione alcolica;
- si erano verificati nei pressi del
supermercato frequenti episodi violenti,
anche con risse e anche con l'apporto di
soggetti che avevano acquistato alcolici nel
supermercato.
Il Tar ha rilevato che l'amministrazione
aveva depositato in giudizio la relazione
del questore nella quale erano elencati gli
specifici episodi di pericolo per la
sicurezza pubblica verificatisi nei pressi e
all'interno del supermercato.
«Tale relazione», ha proseguito il
Collegio, «comprova l'adeguatezza
dell'istruttoria condotta
dall'amministrazione». «Ne consegue», ha
aggiunto la sentenza, «che il sindaco ha
fatto corretta applicazione dell'art. 54 del
Testo unico degli enti locali secondo cui,
quando a causa di circostanze straordinarie
si verifichino particolari necessità
dell'utenza o per motivi di sicurezza
urbana, il sindaco può modificare gli orari
degli esercizi commerciali, dei pubblici
esercizi e dei servizi pubblici».
«La limitatezza nel tempo del
provvedimento impugnato», ha concluso il
Tar, «lo circoscrive proprio in relazione
a quelle necessità di ordine pubblico cui fa
riferimento l'art. 54 del Testo unico degli
enti locali»
(articolo ItaliaOggi
del 06.08.2011). |
ENTI LOCALI:
La TOSAP non è dovuta allorquando
il privato risulti mero affidatario di un
servizio da svolgere su aree che rimangono
nella disponibilità dell’ente proprietario.
Occorre rilevare che il presupposto per
l'applicazione della tassa di occupazione di
spazi ed aree pubbliche, non sussiste
qualora il Comune abbia affidato al soggetto
privato il mero servizio di custodia e
gestione di aree destinate a parcheggio su
porzioni delimitate del suolo pubblico e
l’appaltatore possa disporre delle aree in
parola esclusivamente in funzione della
destinazione al servizio, nei periodi
assegnati, applicando -senza alcuna facoltà
di variazione- tariffe stabilite dal Comune
(Cass. Civ., Sez. Trib., 07/07/2006, n.
15564 e 21/06/2004, n. 11553).
In sostanza la TOSAP è dovuta solo
allorquando il privato riceva in concessione
il suolo pubblico e non nei casi in cui egli
risulti il mero affidatario di un servizio
da svolgere su aree che rimangono pur sempre
nella disponibilità dell’ente proprietario
(TAR Sardegna, Sez. I,
sentenza 20.07.2011 n. 836 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ENTI LOCALI: Su un'area pubblica adibita
a parcheggio si paga la Tosap. Il principio
è stato fatto proprio di recente dalla
cassazione.
La Cassazione con una recentissima ordinanza
ha fatto proprio il principio di tassazione
ai fini della Tosap di una area pubblica
adibita, da parte del privato
concessionario, a parcheggio a pagamento.
Questo è il senso della ordinanza
19.07.2011 n. 15850 della Corte di
Cassazione, nel quale
disciplinando un contenzioso tributario
proposto da una società privata, pur con
rilevante capitale pubblico, nei confronti
del comune titolare del diritto al tributo,
la Suprema corte ha riconosciuto che per
quanto inerisce un area pubblica che è stata
adibita da parte del concessionario privato,
ad area destinata al parcheggio di
automezzi, essa rimane comunque soggetta in
capo al concessionario alla Tassa per
l'occupazione di spazi ed aree pubbliche (Tosap),
a prescindere dall'effettivo utilizzo del
suolo pubblico.
Il concessionario sosteneva nel ricorso in
Cassazione che la gestione di parcheggio in
area non recintata, ma aperta alla
utilizzazione indiscriminata da parte degli
automobilisti senza alcun potere di
controllo da parte del gestore non realizza,
contrariamente all'assunto della Ctr che
aveva respinto il ricorso, sottrazione di
superficie all'uso pubblico. Il privato
argomentava, inoltre, che essendo la
ricorrente una società a prevalente capitale
pubblico, senza autonomia nella
determinazione delle tariffe, la attività
svolta non si differenzia da quella che
avrebbe svolto il comune ove avesse gestito
in proprio il servizio, non verificandosi
così il presupposto della tassa.
Il secondo e ultimo motivo di doglianza,
verteva sul tema del vizio di motivazione
sostenendo che la sentenza non aveva fatto
distinzione alcuna tra la ipotesi in cui il
parcheggio avvenga in area recintata o con
accesso regolamentato, in cui si verifica
occupazione o detenzione dell'area stessa da
parte del gestore del servizio, e quindi
sussiste il presupposto per la imposizione,
e quella in esame, in cui l'area destinata a
parcheggio era sulla pubblica via e quindi
aperta «a tutti indiscriminatamente» e
pertanto non poteva parlarsi di sottrazione
del suolo all'uso pubblico da parte del
gestore.
La Corte sanciva che in tema di tassa per
l'occupazione di spazi e aree pubbliche (Tosap),
ai sensi del dlgs 15.11.1993, n. 507,
artt. 38 e 39, il tributo «è dovuto non
soltanto in relazione alla limitazione o
sottrazione all'uso normale e collettivo di
parte del suolo pubblico, ma anche in
relazione all'utilizzazione particolare ed
eccezionale di cui il tributo rappresenta il
corrispettivo, indipendentemente da quella
limitazione, e cioè per una pura e semplice
correlazione con l'utilità particolare
diversa dall'uso della generalità».
Perciò l'occupazione di una area pubblica da
parte di un concessionario privato, (o
titolare comunque di un diritto reale su
essa in virtù di contratto privato o di
pubblica concessione), va assoggettato ai
fini del predetto tributo a tassazione in
capo al concessionario stesso, integrando
questa gestione del parcheggio, un'attività
economica lucrativa e pertanto inquadrabile
in un esercizio d'impresa, in cui il
concessionario gode di un bene in qualche
modo inerente l'impresa stessa.
Ciò anche richiamando i precedenti in cui la
Corte di cassazione si è pronunciata in modo
conforme alla decisione in commento con
giurisprudenza, appunto, consolidata (vedi
sent. Cass. nn. 18550/2003, 28003/2008).
Per quanto riguarda, lo rimarchiamo per
completezza di esposizione, l'aspetto della
carenza di motivazione, la Suprema corte
argomenta che la gestione del parcheggio,
realizzata, a quanto pare a titolo oneroso,
fa si che il concessionario del servizio è
«detentore dell'area, che viene
effettivamente sottratta all'uso pubblico,
per cui non vi è alcun difetto di
motivazione nella impugnata sentenza, in
quanto non esiste la eccezione al generale
principio ivi enunciato sostenuta dalla
ricorrente, e quindi non vi era obbligo di
specifica motivazione».
Come si nota, ricorre la fattispecie
oggettiva sopra ricordata che include nella
tassazione ai fini della Tosap, il suolo
pubblico, sottratto all'uso a tale fine e
inquadrato in una più ampia gestione
d'impresa con l'utilizzo del bene a fini
lucrativi.
Infatti, ricorda la Corte, che l'area
stradale destinata a parcheggio con appositi
«stalli» dipinti, in cui il gestore
percepisce il compenso per la sosta dei
veicoli, non è sottoposta all'uso
indiscriminato» della generalità dei
cittadini, ma anzi è sottratta all'uso
normale e collettivo proprio del suolo
pubblico, attesa la sua funzione esclusiva
oggetto della concessione.
Infatti, in linea generale, la tassa per
l'occupazione di suolo pubblico, risulta
dovuta non soltanto in relazione alla
limitazione o sottrazione all'uso normale e
collettivo di parte del suolo pubblico, ma
anche in relazione all'utilizzazione
particolare ed eccezionale di cui il tributo
rappresenta il corrispettivo,
indipendentemente da quella limitazione, e,
cioè, per una pura e semplice correlazione
con l'utilità particolare diversa dall'uso
della generalità
(articolo ItaliaOggi
del 05.08.2011 - tratto da www.corteconti.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L’amministrazione non può
emettere un provvedimento sanzionatorio
senza avere previamente definito il
procedimento di condono.
Ai sensi dell’art. 38 l. n. 47/1985,
applicabile al condono edilizio previsto dal
decreto legge n. 269/2003 in virtù del
richiamo operato dall’art. 32, commi 25 e
28, del testo normativo in esame, la
presentazione entro il termine previsto dal
citato decreto (nella fattispecie il
10.12.2004 secondo quanto stabilito
dall’art. 32 d. l. n. 269/2003 come
modificato dai decreti legge n. 82/2004 e
168/2004) della domanda di condono,
accompagnata dall’attestazione del
versamento della somma dovuta a titolo della
prima rata dell’oblazione, “sospende il
procedimento penale e quello per le sanzioni
amministrative”.
Ne consegue che quando viene presentata una
domanda di condono edilizio, proprio in base
al disposto dell’art. 38 l. n. 47/1985,
l’amministrazione non può emettere un
provvedimento sanzionatorio senza avere
previamente definito il procedimento
scaturente dall’istanza di sanatoria
ostandovi i principi di lealtà, coerenza,
efficienza ed economicità dell'azione
amministrativa, i quali impongono la previa
definizione del procedimento di condono
prima di assumere iniziative potenzialmente
pregiudizievoli per lo stesso esito della
sanatoria edilizia (in questo senso TAR
Campania–Napoli n. 17238/2010; TAR
Lazio–Roma n. 5599/2010; TAR Puglia–Lecce n.
553/2010).
Con riferimento specifico alla fattispecie
oggetto di causa dagli atti risulta che in
data 30.03.2004 Febbi Sandro ha presentato
al Comune di Roma istanza di condono
edilizio per un ampliamento di 14 mq. che,
tenendo conto anche dei manufatti
preesistenti, coincide con l’opera indicata
nella gravata ordinanza di demolizione.
Ne consegue che il provvedimento
sanzionatorio risulta adottato in violazione
del citato art. 38 l. n. 47/1985 in quanto
emesso dal Comune di Roma senza avere
previamente definito il procedimento
scaturito dall’istanza di condono edilizio
precedentemente presentata dai ricorrenti.
La fondatezza della censura in esame impone
l’accoglimento del ricorso (previa
declaratoria –per esigenze di economia
processuale– di assorbimento degli ulteriori
motivi) e l’annullamento dell’atto impugnato
con salvezza degli ulteriori provvedimenti
che l’amministrazione riterrà di adottare
all’esito della definizione del procedimento
scaturito dalla presentazione dell’istanza
di condono (TAR Lazio-Roma, Sez. I-quater,
sentenza 19.07.2011 n. 6458 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La "vicinitas” non è sufficiente
a radicare il ricorso contro il permesso di
costruire rilasciato al vicino quando manchi
un pregiudizio concreto.
La ricorrente solleva censure di carattere
formale concernenti i subprocedimenti di
rilascio delle autorizzazioni paesaggistiche
e ambientali necessarie per la realizzazione
di lavori incidenti su area di pregio
paesaggistico e di interesse comunitario. A
tal fine, non potendo lamentare una diretta
incisione del proprio diritto di proprietà,
a seguito della decisione della giunta
comunale di traslare il tracciato dell’opera
pubblica sulle sole aree demaniali, essa
fonda la propria legittimazione processuale
sul rapporto di contiguità fisica esistente
tra il terreno di sua proprietà e quelli
demaniali interessati dall’esecuzione
dell’opera pubblica, e quindi sulla
situazione di stabile collegamento (c.d.
vicinitas) che secondo noti principi
giurisprudenziali legittima il terzo
confinante ad insorgere contro titoli
autorizzativi relativi ad opere edilizie da
realizzare sul fondo limitrofo.
Osserva il collegio che tale argomentazione
è infondata e va disattesa, dal momento che
la predetta vicinitas è condizione
certamente necessaria, ma non sufficiente a
radicare la legittimazione processuale del
terzo confinante, la situazione di stabile
collegamento tra i due fondi dovendosi
accompagnare alla dimostrazione di un
concreto pregiudizio derivante al confinante
dalla realizzazione dell’opera avversata.
In particolare, secondo condivisibili
principi giurisprudenziali, nel ricorso
proposto avverso il permesso di costruire
rilasciato al vicino, la vicinitas è
condizione necessaria, ma non sufficiente a
radicare, ferma la legittimazione,
l'interesse al ricorso, il quale richiede
anche la dimostrazione del pregiudizio
concreto alle facoltà dominicali del
ricorrente (Consiglio Stato, sez. IV,
24.01.2011, n. 485; Consiglio Stato, sez. IV,
29.12.2010, n. 9537; TAR Toscana Firenze,
sez. III, 26.02.2010, n. 536; TAR Lombardia
Milano, sez. II, 09.07.2009, n. 4345).
Anche di recente è stato ribadito che il
criterio della vicinitas, in base al
quale si riconosce la sussistenza di una
posizione di interesse differenziata per il
fatto stesso che il terzo si trovi in una
situazione di stabile collegamento con la
zona interessata dalla costruzione, trova
però una limitazione con riguardo alla
situazione dello stato dei luoghi emergente
in ogni caso di specie, atteso che, quale
requisito che deve necessariamente
accompagnare la vicinitas, non può
non trovare rilievo la verifica
dell'esistenza di un positivo pregiudizio;
il che in concreto postula che, per effetto
della realizzazione della costruzione di cui
ci si lamenta, la situazione, anche
urbanistica, dei luoghi assuma
caratteristiche tali da configurare una
pregiudizievole alterazione del preesistente
assetto edilizio ed urbanistico che il
ricorrente intende invece conservare (TAR
Trentino Alto Adige Trento, sez. I,
22.03.2011, n. 80).
Nel caso di specie, la dimostrazione di tale
pregiudizio (che la giurisprudenza pretende
sia “effettivo e documentato”: cfr.
Cons. Stato, n. 9537/2010) è mancata del
tutto. La parte ricorrente, non solo non ha
provato, ma nemmeno ha allegato la
sussistenza di un pregiudizio personale e
concreto derivante dalla realizzazione
dell’opera pubblica qui in esame, essendosi
limitata a proporre censure di carattere
formale concernenti presunte carenze degli
atti approvativi (ma senza alcun riferimento
all’incidenza di tali asserite carenze sulle
proprie prerogative dominicali) o generiche
lamentele in ordine a presunte
compromissioni del sito naturalistico
oggetto dell’intervento (senza però chiarire
la natura di tali pregiudizi né il nesso di
dipendenza dalla realizzazione dell’opera
contestata); e si fatica a comprendere in
che modo la realizzazione di un percorso
naturalistico, diretto a valorizzare il sito
in questione a beneficio dell’intera
collettività mediante interventi di
modestissimo impatto ambientale, possa
arrecare ai privati confinanti un
pregiudizio anziché un beneficio, in termini
sia di maggiore e più agevole fruibilità dei
terreni in proprietà, sia di incremento di
valore dei terreni medesimi; a meno che
l’interesse a ricorrere non risieda in
ragioni meno confessabili e, soprattutto,
meno sollecite dell’interesse pubblico di
quanto vorrebbero apparire, come quelle
ipotizzate in camera di consiglio dalla
difesa regionale e non prive, peraltro, di
una loro verosimiglianza: quella, ad
esempio, di conservare un accesso esclusivo
e gratuito alla sponda demaniale di attracco
dei natanti; spiegazione, quest’ultima, che
oltre a trovare un conferma per così dire
visiva nella documentazione fotografica
prodotta in giudizio dalla difesa comunale
(cfr. allegati al doc. 19, produzione del
15.11.2010), attribuirebbe anche un senso
logico alla denominazione di “Motonautica
Eporediese”, altrimenti difficilmente
associabile ad una mera società immobiliare.
In ogni caso, mancando la prova effettiva e
documentata di un pregiudizio concreto e
diretto derivante alla ricorrente dalla
realizzazione dell’opera pubblica qui in
esame, la posizione azionata in giudizio
difetta di quella necessaria
differenziazione che sola potrebbe
giustificarne la tutela giurisdizionale (TAR Piemonte,
Sez. I,
sentenza 19.07.2011 n. 800 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Nelle
gare d'appalto è necessario presentare la
dichiarazione attestante il requisito della
moralità professionale dell’impresa,
intendono assumere come destinatari di tale
obbligo tutti i soggetti-persone fisiche
titolari dei poteri di rappresentanza o che
tali poteri hanno avuto nel triennio
precedente (ed ora nell’anno precedente).
Anche per gli amministratori di società fuse
per incorporazione in una società
(incorporante) partecipante ad una gara
debba essere presentata la dichiarazione
attestante il requisito della moralità
professionale previsto dall’art. 38, comma
1, lett. c), del d.lgs. n. 163 del 2006.
-------------
Le associazioni temporanee di impresa (anche
costituende) devono indicare, a pena di
esclusione, anche nelle gare per l'appalto
di pubblici servizi (o di forniture) le
quote di partecipazione delle singole
imprese associate e le parti del servizio (o
delle forniture) che ogni singola impresa
dovrà eseguire.
Ai sensi dell'art. 37, comma 13, del d.lgs.
n. 163 del 2006 (secondo il quale "i
concorrenti riuniti in raggruppamento
temporaneo devono eseguire le prestazioni
nella percentuale corrispondente alla quota
di partecipazione al raggruppamento"), deve
sussistere una perfetta simmetria (anche)
tra la quota di servizi e la quota di
effettiva partecipazione al raggruppamento e
che la quota di partecipazione deve essere
stabilita e manifestata, a pena di
inammissibilità dell'offerta, dai componenti
del raggruppamento all’atto di
partecipazione alla gara. Infatti con tale
disposizione, che è valida anche per gli
appalti di servizi, il legislatore ha inteso
evitare che alla spendita dei requisiti di
partecipazione (e di qualificazione) non
corrisponda un identico impegno in sede di
esecuzione dei lavori.
Deve innanzitutto ricordarsi che l’art. 38,
comma 1, lett. c), del d.lgs. n. 163 del
2006, prevede l’esclusione dalla
partecipazione alle procedure di affidamento
dei soggetti nei cui confronti sono state
emesse sentenze di condanna per reati gravi
che incidono sulla moralità professionale e
che, nelle società a responsabilità limitata
e per azioni, ricoprono la carica di
amministratore con poteri di rappresentanza
o di direttore tecnico.
L’esclusione e il divieto, secondo quanto
stabilito dalla disposizione all’epoca in
vigore, operano poi anche nei confronti dei
soggetti cessati dalla carica nel triennio
antecedente la data di pubblicazione del
bando di gara (mentre ora l’esclusione e il
divieto operano nei confronti dei soggetti
cessati dalla carica nel solo anno
antecedente la data di pubblicazione del
bando, per effetto della modifica disposta
con il comma 2 dell’art. 4, del D.L.
13.05.2011, n. 70, con i limiti previsti dal
comma 3 dello stesso articolo).
Il comma 2 dell’articolo 38 precisa, poi,
che il concorrente attesta il possesso dei
requisiti mediante dichiarazione sostitutiva
resa con le modalità stabilite dal DPR
28.12.2000, n. 445.
Le indicate disposizioni, pertanto, nel
prevedere la necessaria presentazione della
dichiarazione attestante il requisito della
moralità professionale dell’impresa,
intendono assumere come destinatari tutti i
soggetti-persone fisiche titolari dei poteri
di rappresentanza della stessa o che tali
poteri hanno avuto nel triennio precedente
(ed ora nell’anno precedente).
Ciò precisato, in generale, occorre ora
affrontare la questione, rilevante nel caso
di specie, riguardante l’inclusione, fra i
soggetti per i quali la dichiarazione deve
essere presentata, anche degli
amministratori di società incorporate nel
triennio la data di pubblicazione del bando
(ed ora nell’anno precedente).
Ritiene questo Collegio che la sentenza
appellata, sul punto, debba essere condivisa
dovendosi ritenere che anche per gli
amministratori di società fuse per
incorporazione in una società (incorporante)
partecipante ad una gara debba essere
presentata la dichiarazione attestante il
requisito della moralità professionale
previsto dall’art. 38, comma 1, lett. c),
del d.lgs. n. 163 del 2006.
Infatti la fusione tra società, nella
ipotesi di fusione impropria o per
incorporazione, non comporta, anche a
seguito della riforma del diritto societario
(d.lgs. 17.01.2003 n. 6), la completa
estinzione della società incorporata ma
determina l'integrazione della stessa nella
società incorporante con una evoluzione
della forma giuridica del soggetto
incorporato che conserva comunque una
propria riconoscibilità pur in un nuovo
assetto organizzativo nel quale si determina
una riunificazione soggettiva delle
compagini sociali ed una riunificazione
oggettiva dei patrimoni.
E, in ogni caso, si determina una
prosecuzione nella società incorporante di
tutti in rapporti attivi e passivi della
società incorporata. Infatti il primo comma
dell’art 2504-bis del c.c., prevede che “La
società che risulta dalla fusione o quella
incorporante assumono i diritti e gli
obblighi delle società partecipanti alla
fusione, proseguendo in tutti i loro
rapporti, anche processuali, anteriori alla
fusione”.
Si deve pertanto ritenere che l’obbligo
previsto dall'art. 38, comma 1, lett. c),
del d.lgs. 12.04.2006 n. 163, operi anche
con riferimento ai titolari di poteri di
rappresentanza delle imprese incorporate per
fusione.
Diversamente, come correttamente affermato
nella appellata sentenza, la mera e formale
confluenza di un'azienda priva di requisiti
di moralità, ma ampiamente dotata degli
altri requisiti di partecipazione, in
un'azienda non dotata dei requisiti di
partecipazione ma dotata dei requisiti di
moralità, consentirebbe alla prima di
continuare agevolmente a concorrere alle
procedure di appalto, con la conseguente
facile elusione delle disposizioni poste a
garanzia della moralità professionale dei
partecipanti alle gare pubbliche dall'art.
38 del d.lgs. n. 163 del 2006.
---------------
Questa Sezione,
in linea con la giurisprudenza più recente
(Consiglio di Stato, sez. V, 12.02.2010, n.
744), ha peraltro ritenuto, con diverse
pronunce, che le associazioni temporanee di
impresa (anche costituende) devono indicare,
a pena di esclusione, anche nelle gare per
l'appalto di pubblici servizi (o di
forniture) le quote di partecipazione delle
singole imprese associate e le parti del
servizio (o delle forniture) che ogni
singola impresa dovrà eseguire (Consiglio di
Stato, sez. III n. 2132 del 06.04.2011 cit.;
n. 2804 e n. 2805 dell’11.05.2011).
In tali pronunce, dalle quali non v’è
ragione di discostarsi, si è affermato che,
ai sensi dell'art. 37, comma 13, del d.lgs.
n. 163 del 2006 (secondo il quale "i
concorrenti riuniti in raggruppamento
temporaneo devono eseguire le prestazioni
nella percentuale corrispondente alla quota
di partecipazione al raggruppamento"),
deve sussistere una perfetta simmetria
(anche) tra la quota di servizi e la quota
di effettiva partecipazione al
raggruppamento e che la quota di
partecipazione deve essere stabilita e
manifestata, a pena di inammissibilità
dell'offerta, dai componenti del
raggruppamento all’atto di partecipazione
alla gara. Infatti con tale disposizione,
che è valida anche per gli appalti di
servizi, il legislatore ha inteso evitare
che alla spendita dei requisiti di
partecipazione (e di qualificazione) non
corrisponda un identico impegno in sede di
esecuzione dei lavori.
Si è infatti giustamente osservato che il
comma 13 dell’articolo 37 statuisce, in
generale (e senza distinguere fra appalti di
lavori ed appalti di servizi e forniture),
che “I concorrenti riuniti in
raggruppamento temporaneo devono eseguire le
prestazioni nella percentuale corrispondente
alla quota di partecipazione al
raggruppamento”.
La chiarezza del tenore letterale della
disposizione impone di considerare
vincolanti, per le imprese riunite, gli
obblighi di specificazione delle parti delle
prestazioni che saranno poi eseguite da
ciascuna di esse nonché le quote di
partecipazione al RTI e tale obbligo deve
ritenersi espressione di un principio di
carattere generale che prescinde
dall'assoggettamento (o meno) della gara
alla disciplina comunitaria e non consente
distinzioni legate alla natura del
raggruppamento (verticale o orizzontale) o
alla tipologia delle prestazioni (principali
o secondarie, scorporabili o unitarie).
Si è anche chiarito che la necessità di
indicare nell'offerta le parti del servizio
che saranno eseguite dalle singole imprese
risponde a diverse esigenze di pubblico
interesse:
a) consentire la conoscenza preventiva, da
parte della stazione appaltante, di chi (fra
i diversi partecipanti all’ATI) è il
soggetto che si è impegnato effettivamente
ad eseguire il servizio in ogni sua parte;
b) agevolare la verifica, da parte della
commissione di gara e poi del responsabile
del procedimento, delle competenza tecniche
degli esecutori per ogni parte del servizio;
c) rendere effettiva la composizione del
raggruppamento e rispondente a reali
esigenze di unire capacità tecniche e
finanziarie integrative e complementari;
d) rendere possibile una maggiore speditezza
nella fase di esecuzione del contratto;
e) non consentire la partecipazione di
imprese non qualificate che potrebbero
aggirare (anche solo per parte del servizio)
le norme di ammissione stabilite dal bando;
f) non consentire, ai fini della valutazione
tecnica delle offerte, la partecipazione di
un raggruppamento composto da imprese con
una presenza meramente fittizia.
Si è quindi chiarito che l’obbligo di
specificazione delle quote di partecipazione
trova (ovviamente) applicazione anche per le
ATI costituende che sono tenute anch'esse ad
indicare, già nella fase di ammissione alla
gara, e dunque prima dell'aggiudicazione, le
quote di partecipazione di ciascuna impresa
al futuro raggruppamento e le quote di
ripartizione delle prestazioni oggetto
dell’appalto (Consiglio di Stato, Sez. III,
sentenza 15.07.2011 n. 4323 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: All’evidente
finalità di interesse pubblico di favorire
l’insediamento di impianti produttivi (con
la procedura del SUAP), pur in presenza di
un progetto che sia in contrasto con lo
strumento urbanistico ovvero richieda per la
sua realizzazione una variante al medesimo,
può essere convocata una conferenza di
servizi al fine dell’esame della possibile
adozione di variante al piano regolatore o
ad altro strumento urbanistico di questo
attuativo.
La determinazione della Conferenza di
servizi rappresenta un peculiare atto di
impulso (proposta) dell'autonomo
procedimento (di natura esclusivamente
urbanistica) volto alla variazione del
vigente piano regolatore, rientrante nelle
normali ed esclusive attribuzioni dell'ente
locale, di modo che, qualora l'esito della
Conferenza di servizi sia in qualunque modo
sfavorevole al privato richiedente e dunque
si risolva nel diniego di approvazione del
proposto progetto in variante allo strumento
urbanistico, tale esito assume valore
ostativo alla prosecuzione del procedimento
amministrativo, mancando in tale ipotesi
l'atto d'impulso, strumentale alle
determinazioni di competenza del Consiglio
comunale.
Tuttavia, perché possa farsi luogo alla
indizione della conferenza di servizi, la
stessa norma che prevede tale procedimento
alternativo, subordina la possibilità di
attivarlo alla presenza di due presupposti:
in primo luogo, la conformità del progetto
“alle norme vigenti in materia ambientale,
sanitaria e di sicurezza del lavoro”; in
secondo luogo, che “lo strumento urbanistico
non individui aree destinate
all'insediamento di impianti produttivi
ovvero queste siano insufficienti in
relazione al progetto presentato”. Proprio
perché il ricorso ad un procedimento
urbanistico “alternativo” deve essere
considerato eccezionale, la sussistenza dei
presupposti richiesti dalla norma non può
che essere indefettibile.
- Condizioni imprescindibili per l'avvio del
procedimento attraverso la convocazione
della conferenza sono da un lato la
conformità del progetto alle norme vigenti
in materia ambientale, sanitaria e della
sicurezza del lavoro; dall'altro
l'impossibilità di reperire nello strumento
esistente aree idonee all'iniziativa
produttiva.
È del tutto evidente, infatti, che qualora
risultino disponibili nel Piano altre aree
convenienti per la allocazione
dell'intervento produttivo, vengano meno le
esigenze promozionali alla base della
disciplina derogatoria, la quale dunque ...
ha natura eccezionale e non costituisce in
alcun modo strumento ordinario di modifica
dell'assetto urbanistico, azionabile in base
alle soggettive preferenze e convenienze
dell'imprenditore. In ogni caso, quando
sussistono i detti presupposti
l'Amministrazione ha non l'obbligo, ma la
facoltà, di avviare, sulla scorta di una
congrua motivazione, l'iter semplificato per
l'introduzione della variante.
- In definitiva, fermo il primo dei due
presupposti considerati, perché possa,
dunque, farsi luogo a conferenza dei servizi
occorre l’assenza di individuazione,
nell’ambito degli strumenti di
pianificazione urbanistica dell’ente locale,
di aree destinate ad insediamenti produttivi
ovvero l’insufficienza di queste, in
relazione al tipo di progetto presentato,
laddove per “insufficienza” deve intendersi,
in costanza degli standard previsti, una
superficie non congrua (quindi
insufficiente), in ordine all’insediamento
da realizzare.
L’art. 5 DPR 20.10.1998 n. 447, prevede che:
(comma 1) “Qualora il progetto presentato
sia in contrasto con lo strumento
urbanistico, o comunque richieda una sua
variazione, il responsabile del procedimento
rigetta l'istanza. Tuttavia, allorché il
progetto sia conforme alle norme vigenti in
materia ambientale, sanitaria e di sicurezza
del lavoro ma lo strumento urbanistico non
individui aree destinate all'insediamento di
impianti produttivi ovvero queste siano
insufficienti in relazione al progetto
presentato, il responsabile del procedimento
può, motivatamente convocare una conferenza
di servizi, disciplinata dall'articolo 14
della legge 07.08.1990, n. 241, come
modificato dall'articolo 17 della legge
15.05.1997, n. 127, per le conseguenti
decisioni, dandone contestualmente pubblico
avviso. Alla conferenza può intervenire
qualunque soggetto, portatore di interessi
pubblici o privati, individuali o collettivi
nonché i portatori di interessi diffusi
costituiti in associazioni o comitati, cui
possa derivare un pregiudizio dalla
realizzazione del progetto dell'impianto
industriale”;
(comma 2): “Qualora l'esito della
conferenza di servizi comporti la variazione
dello strumento urbanistico, la
determinazione costituisce proposta di
variante sulla quale, tenuto conto delle
osservazioni, proposte e opposizioni
formulate dagli aventi titolo ai sensi della
legge 17.08.1942, n. 1150, si pronuncia
definitivamente entro sessanta giorni il
consiglio comunale. Non è richiesta
l'approvazione della regione, le cui
attribuzioni sono fatte salve dall'articolo
14, comma 3-bis della legge 07.08.1990, n.
241”.
Dalla lettura della disposizione, si evince
che, all’evidente finalità di interesse
pubblico di favorire l’insediamento di
impianti produttivi, pur in presenza di un
progetto che sia in contrasto con lo
strumento urbanistico ovvero richieda per la
sua realizzazione una variante al medesimo,
può essere convocata una conferenza di
servizi al fine dell’esame della possibile
adozione di variante al piano regolatore o
ad altro strumento urbanistico di questo
attuativo.
Nell'ambito del procedimento così delineato,
la determinazione della Conferenza di
servizi rappresenta un peculiare atto di
impulso (proposta) dell'autonomo
procedimento (di natura esclusivamente
urbanistica) volto alla variazione del
vigente piano regolatore, rientrante nelle
normali ed esclusive attribuzioni dell'ente
locale, di modo che, qualora l'esito della
Conferenza di servizi sia in qualunque modo
sfavorevole al privato richiedente e dunque
si risolva nel diniego di approvazione del
proposto progetto in variante allo strumento
urbanistico, tale esito assume valore
ostativo alla prosecuzione del procedimento
amministrativo, mancando in tale ipotesi
l'atto d'impulso, strumentale alle
determinazioni di competenza del Consiglio
comunale (Cons. Stato, sez. IV, 19.10.2007
n. 5471).
Tuttavia, perché possa farsi luogo alla
indizione della conferenza di servizi, la
stessa norma che prevede tale procedimento
alternativo, subordina la possibilità di
attivarlo alla presenza di due presupposti:
in primo luogo, la conformità del progetto “alle
norme vigenti in materia ambientale,
sanitaria e di sicurezza del lavoro”; in
secondo luogo, che “lo strumento
urbanistico non individui aree destinate
all'insediamento di impianti produttivi
ovvero queste siano insufficienti in
relazione al progetto presentato”.
Proprio perché il ricorso ad un procedimento
urbanistico “alternativo” deve essere
considerato eccezionale, la sussistenza dei
presupposti richiesti dalla norma non può
che essere indefettibile (Cons. Stato, sez.
IV, 04.12.2007 n. 6157).
In particolare, questo Consiglio di Stato
(sez. IV, 03.03.2006 n. 1038), con
considerazioni condivise nella presente
sede, ha avuto modo di affermare che “condizioni
imprescindibili per l'avvio del procedimento
attraverso la convocazione della conferenza
sono da un lato la conformità del progetto
alle norme vigenti in materia ambientale,
sanitaria e della sicurezza del lavoro;
dall'altro l'impossibilità di reperire nello
strumento esistente aree idonee
all'iniziativa produttiva.
È del tutto evidente, infatti, che qualora
risultino disponibili nel Piano altre aree
convenienti per la allocazione
dell'intervento produttivo, vengano meno le
esigenze promozionali alla base della
disciplina derogatoria, la quale dunque ...
ha natura eccezionale e non costituisce in
alcun modo strumento ordinario di modifica
dell'assetto urbanistico, azionabile in base
alle soggettive preferenze e convenienze
dell'imprenditore. In ogni caso, quando
sussistono i detti presupposti
l'Amministrazione ha non l'obbligo, ma la
facoltà, di avviare, sulla scorta di una
congrua motivazione, l'iter semplificato per
l'introduzione della variante”.
Proprio in ragione di detti principi, è
stato considerato legittimo il provvedimento
con il quale si è espresso parere
sfavorevole ad una richiesta di variante ex
art. 5 DPR n. 447/1998 (per la realizzazione
di un complesso alberghiero), motivata con
riferimento ad una sostanziale
inedificabilità dei suoli interessati,
perché già asserviti (Cons. Stato, sez. IV,
19.10.2007 n. 5471).
In definitiva, fermo il primo dei due
presupposti considerati, perché possa,
dunque, farsi luogo a conferenza dei servizi
occorre l’assenza di individuazione,
nell’ambito degli strumenti di
pianificazione urbanistica dell’ente locale,
di aree destinate ad insediamenti produttivi
ovvero l’insufficienza di queste, in
relazione al tipo di progetto presentato,
laddove per “insufficienza” deve
intendersi, in costanza degli standard
previsti, una superficie non congrua (quindi
insufficiente), in ordine all’insediamento
da realizzare.
Nel caso di specie, lo strumento urbanistico (piano di fabbricazione) del
Comune di Maruggio prevede aree da destinare
ad insediamenti produttivi (una è proprio
quella di proprietà dell’appellante).
Non sussiste, dunque, a tutta evidenza, il
presupposto della “assenza” di aree da
destinare ad insediamenti produttivi.
L’attuale appellante lamenta, per un verso,
una sostanziale impossibilità di
sfruttamento delle aree derivante da
eccessiva farraginosità (se non
impossibilità) di redazione del piano di
lottizzazione, stante la presenza di circa
100 proprietari; per altro verso, lamenta la
limitazione alla realizzazione del progetto
derivante dagli indici di dimensionamento
previsti.
Nessuna delle due considerazioni consente di
definire “insufficienti” le aree
destinate ad insediamenti produttivi.
Come afferma condivisibilmente la sentenza
appellata, la richiesta di variante (e,
quindi, di indizione di conferenza di
servizi a tal fine) “non è strumentale
alla creazione ex novo di un’area tipizzata
come turistico-ricettiva, destinata ad
aggiungersi a quelle già individuate dal
piano di fabbricazione con la stessa
vocazione urbanistica”, ma è piuttosto
volta a “modificare le condizioni
costruttive imposte dal PdF”, in modo
quindi non conforne all’art. 5 DPR n.
447/1998.
Ed infatti, la redazione del piano di
lottizzazione, lungi dal dimostrare assenza
o insufficienza delle aree, costituisce una
previsione imposta dall’ente locale nel
legittimo esercizio della propria potestà di
pianificazione del territorio al fine di
consentire la migliore e più razionale
utilizzazione del territorio stesso.
Né il concetto di “insufficienza”
delle aree può essere letto come “insufficienza
di aree immediatamente utilizzabili”, di
modo che ogni limite, anche procedimentale,
determinerebbe appunto tale insufficienza.
Per un verso, tale lettura determinerebbe
che le aree, pur previste dallo strumento
urbanistico come destinate ad insediamenti
produttivi, sarebbero immediatamente
utilizzabili solo se già in proprietà
dell’imprenditore, dovendosi in caso
diverso, identificarne altre in variante,
con ciò sconvolgendo ogni logica di ordinata
pianificazione del territorio
Per altro verso (e con riferimento anche al
caso di specie), la previsione del piano di
lottizzazione non si presenta ex se come impeditiva allo sfruttamento delle aree,
poiché, per un verso, come chiarito anche
dalla sentenza appellata, l’ordinamento
prevede la redazione di ufficio di piani di
lottizzazione in difetto di accordo tra le
parti; per altro verso, l’imprenditore ben
può procedere all’acquisto dei terreni
occorrenti, così eliminando la necessità di
coinvolgere altri proprietari.
Allo stesso modo, la previsione di indici di
dimensionamento, lungi da determinare “insufficienza”
dell’area, costituisce espressione della
potestà di pianificazione del territorio da
parte dell’ente locale.
Alla luce di quanto esposto, perché possa
ritenersi attivabile il procedimento
speciale previsto dall’art. 5 DPR n.
447/1998, la società appellante avrebbe
dovuto dimostrare (ma ciò non è nel caso di
specie) al Comune di Maruggio come le aree
destinate ad insediamenti produttivi, pur
previste dallo strumento urbanistico, e
fermi gli indici prescritti, comunque non
consentissero la realizzazione
dell’insediamento produttivo, come
risultante dal progetto.
In conclusione, difettando i presupposti
previsti dall’art. 5 DPR n. 447/1998 –così
come rilevato dal Comune di Maruggio– non
era legittimamente possibile procedere alla
indizione della richiesta conferenza di
servizi. A fronte di ciò, non era necessario
fornire alcuna particolare motivazione
(essendo quindi infondati tutti i motivi di
ricorso che evidenziano profili di eccesso
di potere per difetto o insufficienza di
motivazione), né residuava alcun margine di
valutazione discrezionale in capo
all’amministrazione, stante l’obiettiva
mancanza dei presupposti richiesti dalla
norma.
Né, infine, l’intervento da realizzare può
essere considerato, per dimensioni e
destinazione, mero ampliamento di un
complesso esistente, in disparte ogni
considerazione circa la supposta non
applicabilità dei presupposti ex art. 5 cit.
ai cassi di ampliamento (Consiglio di Stato,
Sez. IV,
sentenza 15.07.2011 n. 4308 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
Reiterazione dei vincoli
urbanistici già decaduti e rinnovati –
Obbligo di motivazione – Persistenza
dell’interesse pubblico.
La decadenza del vincolo preordinato
all'espropriazione, o che comporti l'inedificazione,
non esclude che l'amministrazione, mediante
il ricorso al procedimento per l'adozione
delle varianti agli strumenti urbanistici,
possa reiterare i vincoli preordinati
all'espropriazione. In questi casi essa è
tenuta a fornire congrua motivazione in
ordine alla persistenza delle ragioni di
interesse pubblico che sorreggono la
predetta reiterazione, al fine di escludere
un contenuto vessatorio o comunque ingiusto
dei relativi atti.
Va però considerato che se può ritenersi
giustificato il richiamo alle originarie
valutazioni, di fronte ad una prima
reiterazione, quando il rinnovato vincolo
sia a sua volta decaduto, è necessario che
la motivazione dimostri che l'autorità
amministrativa abbia provveduto ad una
ponderata valutazione degli interessi
coinvolti, esponendo le ragioni (riguardanti
il rispetto degli standard, le esigenze
della spesa, specifici accadimenti
riguardanti le precedenti fasi
procedimentali) che inducano ad escludere
profili di eccesso di potere e ad ammetterne
l'attuale sussistenza dell'interesse
pubblico (massima tratta da
www.centrostudi-sv.org - Consiglio di Stato,
Sez. IV,
sentenza 15.07.2011 n. 4304 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Contrasto tra bando di gara e
lettera di invito.
In tema di gare
pubbliche, nel caso di contrasto tra il
bando e la lettera di invito, prevale il
primo, quale lex specialis della selezione
concorsuale, non modificabile mediante
lettera di invito.
Questo è il principio espresso con la
sentenza 14.07.2011 n.
4278 dai giudici della VI sezione del
Consiglio di Stato in accoglimento di un
ricorso presentato da una società che era
stata esclusa da una gara sulla base delle
disposizioni contenute nella lettera di
invito.
La lettera d’invito, impugnata insieme al
provvedimento di esclusione, prevedeva che i
partecipanti dovessero avere la
disponibilità dei mezzi necessari per
l’esecuzione dell’appalto esclusivamente per
proprietà o avvalimento.
La società ricorrente riteneva illegittima
questa richiesta in quanto più restrittiva
rispetto ai requisiti di ammissione previsti
dal bando nel quale, ad eccezione dei mezzi
necessari per una particolare tipologia di
trasporto, tutti gli altri lavori potevano
essere eseguiti anche con mezzi che erano
nella disponibilità dei partecipanti tramite
noleggio.
La VI sezione, accogliendo la tesi della
ricorrente, ha sottolineato come la
disposizione in oggetto si riferisse solo ad
una particolare tipologia di trasporto e che
non poteva essere genericamente estesa a
tutti gli altri mezzi necessari per la
realizzazione dell’appalto.
Ed infatti “Osserva, in conclusione, il
Collegio che la lettera di invito contiene
una disciplina dei requisiti di ammissione
alla procedura più restrittiva di quella
prevista dal bando, o meglio dalle sue norme
integrative.[…] Trova quindi applicazione il
principio, affermato da Cons. Stato, V,
29.03.2004, n. 1660, secondo cui in tema di
gare pubbliche, nel caso di contrasto tra il
bando e la lettera di invito, prevale il
primo, quale lex specialis della selezione
concorsuale, non modificabile mediante
lettera d'invito (nello stesso senso C.G.A.,
18.05.2005, n. 349, Cons. Stato, II,
07.03.2001, n. 149/2001)”.
In conclusione secondo il Consiglio di
Stato, e in conformità con l’orientamento
espresso in precedenza dalla stessa
giurisprudenza amministrativa, il bando di
gara prevale sulle diverse e contrastanti
disposizioni contenute nella lettera di
invito (tratto da
www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI: Se
è vero che la sottoscrizione dell’atto
amministrativo è un elemento necessario ed
essenziale, tuttavia non è causa di
invalidità o nullità l’illegibilità della
firma apposta in calce all’atto, quando sia
comunque possibile individuare lo status del
soggetto sottoscrittore, con la riferibilità
alla P.A. emanante.
In altri termini, l’eventuale illeggibilità
della firma apposta in calce all’atto
costituisce una mera irregolarità del
provvedimento che non comporta l’invalidità
dello stesso in quanto comunque consente di
dimostrare la provenienza dell’atto dal
soggetto titolare del potere, senza quindi
che da ciò possa derivare l’inesistenza
della determinazione amministrativa.
Se è vero che la sottoscrizione dell’atto
amministrativo è un elemento necessario ed
essenziale, tuttavia non è causa di
invalidità o nullità l’illegibilità della
firma apposta in calce all’atto, quando sia
comunque possibile, come nel caso di specie,
individuare lo status del soggetto
sottoscrittore, con la riferibilità alla
P.A. emanante (cfr. Cons. Stato Sez. II
42/10/2007; idem Sez. IV sentenza
05/10/2010).
In altri termini, l’eventuale illeggibilità
della firma apposta in calce all’atto
costituisce una mera irregolarità del
provvedimento che non comporta l’invalidità
dello stesso in quanto comunque consente di
dimostrare la provenienza dell’atto dal
soggetto titolare del potere, senza quindi
che da ciò possa derivare l’inesistenza
della determinazione amministrativa
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 13.07.2011 n. 4269 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
Piano Regolatore Comunale.
E' legittima la scelta, operata da
un’Amministrazione comunale in sede di
variante generale al P.R.G., di contenere in
linea generale le volumetrie edificabili.
Il Consiglio di Stato, Sez. IV,
con la
sentenza
13.07.2011 n. 4242, riformando la
sentenza del TRGA della provincia di Trento
ha dichiarato legittima la scelta, operata
da un’Amministrazione comunale di Caldonazzo
in sede di variante generale al P.R.G., di
contenere in linea generale le volumetrie
edificabili, in quanto, anche sul piano
logico-funzionale e del senso comune, la
determinazione di contenere le volumetrie
appare del tutto ragionevole e legittima al
fine di prevenire che, come è capitato ad
altri comuni turistici, l’eccessiva
antropizzazione del territorio, facendo
venir progressivamente meno l’attrattiva
paesaggistica e ambientale della località,
finisca per nullificare l’attrattiva
turistica della località e di conseguenza
innescare una irrimediabile crisi di un
settore economicamente rilevante per la
realtà locale.
Nozione non nuova nella disciplina
urbanistica, ricordando come l’attuazione
delle norme urbanistiche ed edilizie
introdotte con l’unificazione amministrativa
del Regno d’Italia, ispirate al duplice
compito di garantire l’igiene dell’abitato e
il decoro urbano, fosse stata resa
obbligatoria (con la legge 1380/1926) per i
comuni dichiarati stazioni di cura e di
soggiorno o turismo, al fine dell’esecuzione
«di tutte le opere che si ritengono utili
e giovevoli alla dimora dei forestieri nel
territorio della stazione e particolarmente
al miglioramento ed abbellimento delle
strade, delle piazze, delle spiagge, dei
giardini e dei pubblici passeggi».
Senza divagazioni storiche, il Consiglio di
Stato ricorda come con la propria recente
giurisprudenza (sentenze 133 del 2011, 79 e
7492 del 2010) abbia già affermato che:
• le scelte effettuate dall'Amministrazione,
in sede di adozione del PRG, relativamente
alla destinazione delle singole aree
costituiscono valutazioni discrezionali del
merito amministrativo che, come tali, sono
sottratte al sindacato di legittimità del
Giudice amministrativo, salvo che non siano
inficiate da palesi errori di fatto o da
abnormi illogicità;
• i proprietari delle aree investite
dall'esercizio in concreto della potestà
pianificatoria hanno una mera aspettativa e
non un interesse legittimo a che le scelte
di piano accontentino le loro aspirazioni o,
comunque, non peggiorino la loro precedente
situazione edificatoria;
• la motivazione delle destinazioni delle
singole aree possono evincersi dai criteri
generali, di ordine tecnico discrezionale,
seguiti nell'impostazione del piano stesso,
essendo a tal fine sufficiente l'espresso
riferimento alla relazione di
accompagnamento al progetto di modificazione
al piano regolatore generale;
• non è ravvisabile alcuna contraddizione
tra le zonizzazioni di un nuovo PRG ed le
classificazioni dei precedenti piani
regolatori, che riconoscevano maggiori
prospettive edificatorie ai proprietari
(commento tratto da
www.legislazionetecnica.it - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI: La
richiesta di accesso non può essere
preordinata ad un controllo generalizzato
dell'operato delle pubbliche
amministrazioni.
Non merita accoglimento la richiesta di
accesso alla documentazione in possesso
della p.a. che risulti caratterizzata da una
formulazione eccessivamente generalizzata,
ossia riguardante non specifici atti o
provvedimenti, bensì la documentazione di
un'attività svoltasi attraverso un
imprecisato numero di atti, riguardanti un
intero procedimento imposto da disposizioni
normative di azione e non di relazione,
atteso che l'eventuale soddisfazione di
simile richiesta importerebbe un'opera di
ricerca, catalogazione, sistemazione che non
rientra nei doveri posti all'amministrazione
dalla normativa di cui al capo V della legge
n. 241 del 1990, oltre che un generalizzato
controllo su un ramo dell'amministrazione.
E’ principio consolidato ed espressamente
codificato nella legge sul procedimento
amministrativo (art. 24, terzo comma, della
legge n. 241 del 1990) quello secondo cui la
richiesta di accesso non può essere
preordinata ad un controllo generalizzato
dell'operato delle pubbliche
amministrazioni.
E' pacifico, anche alla luce degli
orientamenti giurisprudenziali di questo
Consiglio di Stato, che non merita
accoglimento la richiesta di accesso alla
documentazione in possesso della p.a. che
risulti caratterizzata da una formulazione
eccessivamente generalizzata, ossia
riguardante non specifici atti o
provvedimenti, bensì la documentazione di
un'attività svoltasi attraverso un
imprecisato numero di atti, riguardanti un
intero procedimento imposto da disposizioni
normative di azione e non di relazione,
atteso che l'eventuale soddisfazione di
simile richiesta importerebbe un'opera di
ricerca, catalogazione, sistemazione che non
rientra nei doveri posti all'amministrazione
dalla normativa di cui al capo V della legge
n. 241 del 1990, oltre che un generalizzato
controllo su un ramo dell'amministrazione
(sulla inammissibilità della richiesta
generalizzata di documenti, ex plurimis,
Consiglio Stato, sez. IV, 22.09.2003, n.
5360; IV, 27.11.2010 n. 8287; VI, 12.01.2011
n. 116)
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 12.07.2011 n. 4209 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Valutazione delle offerte da
parte della commissione di una gara pubblica
- Attribuzione dei punteggi in forma
soltanto numerica – Presupposti.
Circa le modalità attraverso le quali le
valutazioni svolte dalle Commissioni
aggiudicatrici devono essere estrinsecate
nei verbali di gara, la giurisprudenza ha
chiarito che occorre che tali scelte siano
motivate in forma intellegibile, sia per
ovvie ragioni di trasparenza dell'azione
dell'amministrazione (e per consentire così
la comprensione delle scelte operate), sia
per permettere alla stessa amministrazione
di poter procedere all'aggiudicazione della
gara e poi (eventualmente) al giudice
amministrativo di poter effettuare il
controllo di legittimità richiesto. Si è
però anche chiarito che quanto più ampia e
dettagliata è la griglia di valutazione,
tanto più la motivazione, per i singoli
aspetti presi in considerazione, può essere
succinta fino a potersi esprimere con un
giudizio molto sintetico o anche con un voto
solo numerico (Consiglio di Stato, sez. V,
n. 8410 del 03.12.2010).
Ne consegue che nella fase di valutazione
delle offerte da parte della commissione di
una gara pubblica, l'attribuzione dei
punteggi in forma soltanto numerica è
consentita quando il numero delle sottovoci,
con i relativi punteggi, entro i quali
ripartire i parametri di valutazione di cui
alle singole voci, sia sufficientemente
analitico da delimitare il giudizio della
commissione nell'ambito di un minimo e di un
massimo, rendendo così evidente l'iter
logico seguito nel valutare i singoli
progetti sotto il profilo tecnico, in
applicazione di puntuali criteri
predeterminati, essendo altrimenti
necessaria una puntuale motivazione del
punteggio attribuito (Consiglio di Stato,
sez. III, n. 1583 dell'11.03.2011) (massima
tratta da www.centrostudi-sv.org - Consiglio
di Stato, Sez. III,
sentenza 12.07.2011 n. 4163 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
RIFIUTI - Abbandono - Ordine di
rimozione - Comunicazione di avvio del
procedimento - Adempimento indispensabile
all’instaurazione del contraddittorio.
L’ordine di rimozione dei rifiuti può essere
adottato esclusivamente in base agli
accertamenti effettuati, in contraddittorio
con i soggetti interessati, dai soggetti
preposti al controllo; rispetto a tale
contraddittorio la comunicazione dell'avvio
del procedimento si configura come un
adempimento indispensabile al fine della sua
effettiva instaurazione (Cons. Stato, Sez.
V, Sent. n. 4061 del 25-08-2008, TAR Salerno
Sez. II, n. 1826, del 07.05.2009), apparendo
recessive, dunque, in tale specifica
materia, le regole stabilite in via generale
dagli artt. 7 e 21-octies della L. n.
241/1990.
RIFIUTI - Abbandono -
Art. 192 d.lgs. n. 152/2006 - Ordinanza di
rimozione - Carattere sanzionatorio -
Responsabilità oggettiva del proprietario -
Inconfigurabilità.
L’art. 192 del D.Lgs. n. 152/2006 configura
l'ordinanza di rimozione di rifiuti
abbandonati -riproducendo nella sostanza il
provvedimento già previsto dall'art. 14
D.L.vo 05.02.1997 n. 22- quale ordinanza di
sgombero a carattere sanzionatorio, per la
quale è pertanto necessaria l'imputazione a
carico dei soggetti obbligati in solido a
titolo di dolo o colpa del comportamento
tenuto in violazione dei divieti di legge,
giacché non è ipotizzabile una
responsabilità oggettiva del proprietario
per violazione di un obbligo generico di
vigilanza.
RIFIUTI - Ordinanza ex
art. 192 d.lgs. n. 152/2006 - Natura di
ordinanza contingibile ed urgente -
Esclusione.
Le ordinanze di rimozione dei rifiuti ai
sensi dell’art. 192 del d.lgs. 152/2006 non
sono sussumibili nella categoria delle
ordinanze disciplinate dall'art. 54 T.U.
18.08.2000 n. 267, in quanto le non hanno
natura di ordinanza contingibile e urgente e
il relativo potere ha una diversa ratio
(TAR Emilia Romagna-Parma,
sentenza 12.07.2011 n. 255 - link
a www.ambientediritto.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI - PUBBLICO IMPIEGO:
Il dipendente escluso ha diritto
d’accesso alle schede di valutazione degli
altri candidati alla selezione per
l’attribuzione delle progressioni economiche
orizzontali.
Nella pronuncia in commento il ricorrente,
in servizio presso il Settore Controlli di
un Comune quale “istruttore direttivo
amministrativo” (cat. D), chiedeva
all’ente di appartenenza l’accesso ad alcuni
documenti relativi alla selezione per
l’attribuzione delle “progressioni
economiche orizzontali” inerenti l’anno
2010, all’esito della quale egli era
risultato il secondo degli esclusi.
La domanda era finalizzata a conoscere nel
dettaglio le modalità di ripartizione tra i
diversi Settori/Servizi delle risorse
economiche disponibili per la seconda
tranche delle p.e.o. 2010, a conoscere la
formula matematica per l’assegnazione dei
punteggi dei partecipanti alla selezione, ad
avere copia delle schede di valutazione dei
beneficiari delle p.e.o. 2010 (prima e
seconda tranche).
Avendo negato l’Amministrazione comunale la
sussistenza di un interesse diretto del
ricorrente alla visione delle schede di
valutazione degli altri candidati, il
ricorrente ha richiesto al giudice
amministrativo le misure utili a garantirne
il diritto a prendere visione ed estrarre
copia della documentazione oggetto
dell’istanza di accesso parzialmente
respinta.
I giudici del Tribunale amministrativo di
Parma ricordano che, secondo un oramai
costante orientamento giurisprudenziale, il
soggetto che ha partecipato ad una procedura
concorsuale è titolare di un interesse
qualificato e differenziato alla regolarità
della procedura che, come tale, concretizza
quell’interesse diretto e concreto per la
salvaguardia di situazioni giuridicamente
tutelate che l’art. 2 del d.P.R. n. 184 del
2006, in conformità dell’art. 22 della legge
n. 241 del 1990, richiede quale presupposto
necessario per il riconoscimento del diritto
di accesso, nessuna rilevanza preclusiva
potendo assumere l’esigenza di tutela della
riservatezza e della vita privata degli
altri candidati la cui produzione
documentale è oggetto della richiesta di
accesso, stante il generale principio per
cui le domande ed i documenti prodotti dai
candidati, i verbali, le schede di
valutazione e gli stessi elaborati
costituiscono atti rispetto ai quali deve
essere esclusa in radice l’esigenza di
riservatezza a tutela dei terzi, se è vero
che i concorrenti, prendendo parte alla
selezione, hanno evidentemente acconsentito
a misurarsi in una competizione di cui la
comparazione dei valori di ciascuno
costituisce l’essenza, onde tali atti, una
volta acquisiti alla procedura, escono dalla
sfera personale dei partecipanti che,
pertanto, non assumono la veste di
controinteressati e comunque non possono
opporsi all’ostensione dei documenti
richiesti, mentre l’istanza di accesso, per
essere volta a verificare in simili casi
l’imparzialità di giudizio e la coerente ed
uniforme applicazione dei criteri di
valutazione, non costituisce certamente una
forma di controllo generalizzato
sull’operato dell’Amministrazione (v. TAR
Basilicata 22.04.2009 n. 139).
È illegittimo, quindi, secondo i giudici
ducali, il diniego opposto nella circostanza
al ricorrente, il quale ha titolo a prendere
visione degli atti in base ai quali sono
stati assegnati i punteggi agli altri
candidati del Settore Controlli – onde
verificare la correttezza delle relative
operazioni–, ed in particolare è legittimato
a pretendere l’ostensione delle schede di
valutazione inerenti gli assegnatari delle
progressioni economiche orizzontali del
Settore Controlli, poiché essenzialmente
quelle schede non recano informazioni di
carattere psicoattitudinale (evincibili
semmai in via indiretta e parziale) bensì
giudizi, espressi in punteggi, sul
rendimento dei vari dipendenti nel periodo
di osservazione considerato (commento tratto
da www.documentazione.ancitel.it - TAR Emilia Romagna-Parma,
sentenza
12.07.2011 n.
251 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Si deve affermare la necessità
del titolo concessorio allorché lo
spargimento di ghiaia su un’area che ne era
priva appaia preordinato alla modifica della
precedente destinazione d’uso del
territorio.
La giurisprudenza ha da tempo chiarito che
per la realizzazione di una recinzione non
occorre un titolo edilizio, rientrando
l’opera nell’ambito del diritto di proprietà
in quanto esercizio del ius excludendi
alios.
Ad uguale conclusione occorre giungere, nel
caso specifico, per lo spargimento di ghiaia
finalizzato alla realizzazione di una via
d’accesso al fondo.
In merito occorre ricordare che, sebbene in
passato il Consiglio di Stato abbia ritenuto
che non integra l’ipotesi di trasformazione
urbanisticamente rilevante del territorio
l’intervento materialmente consistente nella
mera ripulitura di un terreno parzialmente
erboso, con ripristino di una recinzione
preesistente e spargimento di ghiaia (CdS,
IV, 08.03.1983 n. 103), dopo l’art. 1 della
legge n. 10/1977, che impone di munirsi di
concessione edilizia per tutte quelle
attività consistenti in una modificazione
dello stato materiale e della conformazione
del suolo per adattarlo ad un impiego
diverso da quello che gli è proprio in
relazione alla sua condizione naturale ed
alla sua qualificazione giuridica, tale
orientamento è stato successivamente rivisto
affermandosi la necessità del titolo
concessorio allorché lo spargimento di
ghiaia su un’area che ne era priva appaia
preordinato alla modifica della precedente
destinazione d’uso del territorio (cfr., da
ultimo, CdS, V, 22.12.2005 n. 7324).
Questa tesi trova oggi un riscontro testuale
nell’art. 3 DPR n. 380/2001 che assoggetta a
permesso di costruire, ascrivendole al
genus delle nuove costruzioni, “la
realizzazione di infrastrutture e di nuovi
impianti…che comporti la trasformazione in
via permanente di suolo inedificato”
(lett. e.3) e “la realizzazione di
depositi di merci o di materiali, la
realizzazione di impianti per attività
produttive all’aperto ove comportino
l’esecuzione di lavori cui consegua la
trasformazione permanente del suolo
inedificato” (lett. e.7).
Nel caso in questione, però, non pare che lo
spargimento di ghiaia sull’area che ne era
priva sia preordinato alla modifica della
precedente destinazione d’uso del
territorio, quanto piuttosto ad un generico
accesso all’area, che risponde anche ad
esigenze connesse all’esercizio
dell’agricoltura (TAR Veneto, sez. II,
15/11/2007 n. 3644)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 11.07.2011 n. 1867 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
realizzazione di un soppalco praticabile
all’interno di una unità immobiliare, privo
di autonomia strutturale e funzionale,
costituisce un intervento di
ristrutturazione edilizia, ai sensi
dell’art. 3, comma 1 - lett. d), d.P.R. n.
380/2001.
La realizzazione di un soppalco praticabile
all’interno di una unità immobiliare, privo
di autonomia strutturale e funzionale,
costituisce un intervento di
ristrutturazione edilizia, ai sensi
dell’art. 3, comma 1 - lett. d), d.P.R. n.
380/2001 (secondo cui sono interventi di
ristrutturazione edilizia quelli "rivolti
a trasformare gli organismi edilizi mediante
un insieme sistematico di opere che possono
portare ad un organismo in tutto o in parte
diverso dal precedente. Tali interventi
comprendono il ripristino o la sostituzione
di alcuni elementi costitutivi
dell'edificio, l'eliminazione, la modifica e
l'inserimento di nuovi elementi ed impianti")
(cfr. TAR Campania Napoli, sez. IV,
28.11.2008, n. 20563; sez. VI, 11.04.2007,
n. 3329).
L’opera edilizia in questione rientra, in
particolare, tra gli interventi di
ristrutturazione edilizia che l’art. 10,
comma 1 - lett. c), D.P.R. 06.06.2001, n.
380 assoggetta a permesso di costruire, in
quanto porta ad un organismo edilizio in
tutto o in parte diverso dal precedente e
comporta un aumento delle superfici utili.
La necessità del permesso di costruire
–contrariamente a quanto affermato dalla
difesa dell’amministrazione- non consente
però di ricondurre l’abuso alla tipologia 1:
l’intervento in questione, nonostante
necessitasse del permesso di costruire e non
sola della denuncia di inizio attività,
rimane pur sempre qualificabile quale
intervento di ristrutturazione edilizia e
non quale nuova costruzione; esso rientra,
pertanto, nella tipologia 3 di cui
all’allegato 1 al d.l. n. 269/2003 (“opere
di ristrutturazione edilizia come definite
dall'articolo 3, comma 1, lettera d) del
D.P.R. 06.06.2001, n. 380 realizzate in
assenza o in difformità dal titolo
abilitativo edilizio”).
Il Collegio non condivide le ulteriori
ragioni addotte dalla difesa
dell’amministrazione resistente a sostegno
della qualificazione dell’abuso quale nuova
costruzione.
Non assumono, difatti, rilievo, nel caso di
specie, i limiti posti dal testo unico
dell’edilizia agli interventi di
ristrutturazione mediante demolizione e
ricostruzione, ciò perché non risulta né che
l’opera abusiva sia stata realizzata previa
demolizione di un preesistente fabbricato né
che siano state poste in essere modifiche
alla volumetria o alla sagoma (ma solo alla
superficie).
La difesa dell’amministrazione non può, poi,
utilmente invocare la nozione di
ristrutturazione edilizia dettata dall’art.
66 del regolamento edilizio del Comune di
Milano (ai sensi della quale gli interventi
che portano a incrementi di volume e di
superficie lorda di pavimento non sono da
intendere quali interventi di
ristrutturazione edilizia ma di nuova
costruzione) in quanto l’unica definizione
di ristrutturazione applicabile, ai fini
della individuazione della tipologia cui
ricondurre l’abuso oggetto di condono, è
quella contenuta all’art. 3, c. 1, lett. d),
d.P.R. n. 380/2001: è a tale norma, invero,
che il d.lgs. n. n. 269/2003, nell’indicare
le opere ricomprese nella tipologia 3, fa
espressamente rinvio.
Per le ragioni esposte, l’inquadramento
dell’abuso in questione nella tipologia 1 si
pone pertanto in contrasto con le previsioni
dettate dal d.lgs. n. 269/2003
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 11.07.2011 n. 1863 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Debbono
ritenersi costruzioni, ai fini dell’art. 873
c.c., anche il terrapieno ed il relativo
muro di contenimento elevati ad opera
dell’uomo per accentuare il naturale
dislivello esistente tra i fondi.
Per costante giurisprudenza debbono
ritenersi costruzioni, ai fini dell’art. 873
c.c., anche il terrapieno ed il relativo
muro di contenimento elevati ad opera
dell’uomo per accentuare –come nel caso di
specie– il naturale dislivello esistente tra
i fondi (Cass., II, 22.01.2010, n. 1217;
id., 10.01.2006, n. 145; id., 15.06.2001, n.
8144; TAR Marche, I, 10.02.2009, n. 18).
Né può ritenersi che, in ragione dell’art.
16 delle N.T.A. del P.R.G. del comune di
Sanremo, le norme sulle distante stabilite
dal piano si applichino soltanto alle
costruzioni aventi la consistenza di veri e
propri edifici.
La parola fabbricato deve infatti intendersi
non già secondo l’uso comune, bensì secondo
il significato proprio della parola,
significato che, in materia di proprietà
fondiaria e di distanze nelle costruzioni, è
quello risultante dall’opera nomofilattica
della Suprema Corte, più sopra richiamata.
Donde l’illegittimità del permesso di
costruire in sanatoria 30.06.2006, nella
parte in cui ha inteso legittimare
l’innalzamento del terrapieno e del muro a
confine dei due fondi oltre il naturale
dislivello preesistente, in contrasto con la
norma di P.R.G. relativa alla zona agricola
E1a, che fissa in 5 metri dal confine la
distanza minima per le nuove costruzioni
(TAR Liguria, Sez. I,
sentenza 11.07.2011 n. 1087 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Nel procedimento di rilascio dei
titoli edilizi l'amministrazione ha il
potere e il dovere di verificare
l'esistenza, in capo al richiedente, di un
idoneo titolo di godimento sull'immobile
interessato dal progetto di trasformazione
urbanistica; pertanto, nel caso in cui le
opere vadano a incidere sul diritto di altri
comproprietari (quali, ad esempio, opere
edilizie interessanti porzioni condominiali
comuni), è legittimo esigere il consenso
degli stessi o pretendere la dichiarazione
di assenso dell'amministrazione
condominiale, anche nelle ipotesi di
autorizzazioni in sanatoria, in quanto il
contitolare del bene può essere estraneo
all'abuso ed avere un interesse contrario
alla sanatoria di opere che potrebbero
risolversi in suo danno.
Per costante giurisprudenza, nel
procedimento di rilascio dei titoli edilizi
l'amministrazione ha il potere e il dovere
di verificare l'esistenza, in capo al
richiedente, di un idoneo titolo di
godimento sull'immobile interessato dal
progetto di trasformazione urbanistica;
pertanto, nel caso in cui le opere vadano a
incidere sul diritto di altri comproprietari
(quali, ad esempio, opere edilizie
interessanti porzioni condominiali comuni),
è legittimo esigere il consenso degli stessi
o pretendere la dichiarazione di assenso
dell'amministrazione condominiale, anche
nelle ipotesi di autorizzazioni in
sanatoria, in quanto il contitolare del bene
può essere estraneo all'abuso ed avere un
interesse contrario alla sanatoria di opere
che potrebbero risolversi in suo danno (così
TAR Sardegna, II, 18.04.2011, n. 364; nello
stesso senso TAR Abruzzo-Pescara, I,
22.02.2011, n. 150)
(TAR Liguria, Sez. I,
sentenza 11.07.2011 n. 1082 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
COMPETENZE GESTIONALI: E'
illegittimo l'ordine di demolire una serie
di opere abusive sottoscritto dal direttore
generale del comune.
Ai sensi dell’art. 107, commi 1 e 3, lett.
g), del D.Lgs. 18.08.2000, n. 267,
l’adozione dei provvedimenti di sospensione
dei lavori, abbattimento e riduzione in
pristino di competenza comunale, nonché i
poteri di vigilanza edilizia e di
irrogazione delle sanzioni amministrative
previsti dalla vigente legislazione statale
e regionale in materia di prevenzione e
repressione dell'abusivismo edilizio e
paesaggistico-ambientale, spetta al
dirigente responsabile del relativo ufficio
o servizio.
Diverse sono invece le competenze del
direttore generale, che sovrintende alla
gestione dell'ente e che, pertanto, quale
organo di raccordo delle attribuzioni dei
singoli dirigenti, è competente ad adottare
atti di gestione soltanto qualora essi
coinvolgano più uffici o servizi,
esorbitando dalla specifica competenza di
ciascun dirigente (TAR Veneto, III,
03.03.2004, n. 513)
(TAR Liguria, Sez. I,
sentenza 11.07.2011 n. 1081 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Smaltimento rifiuti, difficoltà
non solo terminologiche. Residui di
estrazione delle cave, rifiuti o
sottoprodotti?
I residui derivanti
dall'attività di estrazione delle cave
(nella specie, inerti di travertino),
stoccati in deposito presso un'area di
proprietà di un terzo e non direttamente
utilizzati dal produttore o da altro
soggetto, non sono qualificabili come
sottoprodotti ma rifiuti; ne consegue che il
depositario risponde del reato previsto
dall'art. 256, comma 1, lett. a) e comma 2,
del D.Lgs. n. 152/2006.
Prosegue l'esegesi della Suprema Corte sulla
nuova disciplina in materia di rifiuti, come
modificata dal c.d. quarto correttivo. del
2010. Questa volta è di turno una
particolare categoria di residui di
produzione, ossia i residui derivanti
dall'attività di estrazione delle cave.
La Corte, disattendendo la linea difensiva
che riteneva assoggettabile tale categoria
di materiali alla disciplina di favore
dettata per i sottoprodotti, ha invece
affermato che il mero deposito degli stessi
senza alcun utilizzo diretto da parte del
produttore o di altro soggetto terzo,
integra il reato previsto dall'art. 256 del
D.Lgs. n. 152/2006, in quanto attività di
gestione svolta senza autorizzazione.
Il caso.
La vicenda processuale trae origine da un
provvedimento di sequestro preventivo avente
per oggetto l'area ed il cumulo di 10.000 mc.
di rifiuti; nella specie, si trattava di
inerti di travertino provenienti da una cava
gestita da una società, esclusi dalla
categoria dei sottoprodotti tanto dal Gip
quanto dal tribunale del riesame, con
conseguente configurabilità del reato
previsto dall'art. 256 T.U.A.
Il ricorso.
Avverso l'ordinanza reiettiva emessa dal
tribunale del riesame resisteva l'indagato,
contestando, a mezzo dei suoi difensori, la
natura di rifiuto. Secondo i difensori,
infatti, il travertino, quale residuo
dell'attività di estrazione della cava, era
da qualificarsi come sottoprodotto e non
come rifiuto, con conseguente insussistenza
del reato ipotizzato.
La decisione della
Cassazione.
La Corte di Cassazione, seguendo quanto
sostenuto dai giudici di merito, ha
confermato il provvedimento impugnato,
rigettando il ricorso.
Pare opportuno, per chiarire il pensiero
della Corte, un breve cenno alla normativa
applicabile.
Oggetto del sequestro preventivo, come
detto, erano inerti di travertino derivanti
dall'attività di estrazione di una cava. A
seguito delle modifiche normative introdotte
dal D.Lgs. 03.12.2010, n. 205, l'assetto
giuridico dei materiali derivanti dallo
sfruttamento delle cave risulta
regolamentato dall'art. 186 del D.Lgs.
152/2006 (come novellato dall'art. 13 del
D.Lgs. n. 205/2010) che, nel dettare la
materia delle «Esclusioni dall’ambito di
applicazione» dalla disciplina dei
rifiuti, stabilisce espressamente che non
rientrano nel campo di applicazione della
parte quarta del T.U.A. "in quanto
regolati da altre disposizioni normative
comunitarie, ivi incluse le rispettive norme
nazionali di recepimento" (comma 2,
lett. d), per quanto di interesse, proprio "i
rifiuti risultanti dalla prospezione,
dall'estrazione, dal trattamento,
dall'ammasso di risorse minerali o dallo
sfruttamento delle cave, di cui al decreto
legislativo 30.05.2008, n. 117".
Il D.Lgs. n. 117/2008, recante "Attuazione
della direttiva 2006/21/CE relativa alla
gestione dei rifiuti delle industrie
estrattive e che modifica la direttiva
2004/35/CE" (G.U. n.157 del 07.07.2008),
entrato in vigore il 22.07.2008, stabilisce
le misure, le procedure e le azioni
necessarie per prevenire o per ridurre il
più possibile eventuali effetti negativi per
l'ambiente, in particolare per l'acqua,
l'aria, il suolo, la fauna, la flora e il
paesaggio, nonché eventuali rischi per la
salute umana, conseguenti alla gestione dei
rifiuti prodotti dalle industrie estrattive
(art. 1).
Nel delimitare l'ambito di applicazione,
l'art. 2 ne stabilisce espressamente
l'applicabilità alla gestione dei rifiuti di
estrazione o all'interno dell'area del
cantiere o dei cantieri estrattivi, come
individuata e perimetrata nell'atto
autorizzativo e gestita da un operatore,
ovvero nelle strutture di deposito dei
rifiuti di estrazione di cui all'articolo 3,
comma 1, lettera r). I rifiuti di estrazione
sono «i rifiuti derivanti dalle attività
di prospezione o di ricerca, di estrazione,
di trattamento e di ammasso di risorse
minerali e dallo sfruttamento delle cave»,
come definiti all'articolo 3, comma 1,
lettera d), del medesimo decreto.
La gestione dei rifiuti di estrazione è
rigorosamente disciplinata dal D.Lgs. n.
117/2008. La legge prevede regole precise,
imponendo la pianificazione dell'attività di
gestione (art. 4) con correlativo obbligo di
elaborare un piano di gestione dei rifiuti
di estrazione (art. 5), l'obbligo di
rilascio di apposita autorizzazione per le
strutture di deposito dei rifiuti di
estrazione (art. 7) nonché per la
costruzione e gestione delle strutture di
deposito dei rifiuti di estrazione (art.
11), dettando inoltre (art. 12) apposite
procedure per la chiusura delle strutture di
deposito dei rifiuti di estrazione e per la
fase successiva alla chiusura e regole
dettagliate (art. 13) per la prevenzione del
deterioramento dello stato delle acque e
dell'inquinamento dell'atmosfera e del
suolo.
La rigorosa e puntuale regolamentazione
dettata dal D.Lgs. n. 117/2008 per la
gestione di tale categoria di materiali
consente di escludere, dunque, i residui
derivanti dall'attività di estrazione delle
cave dalla disciplina dei rifiuti, purché
sia rispettata la disciplina dettata dal
decreto. Onde evitare problemi
interpretativi, peraltro, il legislatore si
è preoccupato di prevedere espressamente che
l'abbandono, lo scarico, il deposito e lo
smaltimento incontrollati dei rifiuti di
estrazione sul suolo, nel suolo e nelle
acque superficiali e sotterranee sono
vietati (art. 4, comma 1). Il legislatore
del 2008, a tal proposito, non prevede
alcuna sanzione in caso di violazione di
tale divieto, posto che l'art. 19 del D.Lgs.
n. 117/2008 (che contempla le sanzioni) non
presidia con apposita sanzione la violazione
dell'art. 4, comma 1.
Ciò, ovviamente, non significa che la
condotta vietata resti priva di conseguenze,
poiché –non dimentichiamolo– è lo stesso
D.Lgs. n. 117/2008 a qualificare il
materiale derivante dall'attività estrattiva
come «rifiuto» di estrazione. Ne
consegue, quindi, che la violazione
dell'art. 4, comma 1, D.Lgs. n. 117/2008
trova la sua sanzione penale, per effetto
del richiamo contenuto nell'art. 185, comma
2, lett. d), del D.Lgs., n. 152/2006,
nell'art. 256 del T.U.A. per la gestione non
autorizzata di tali rifiuti.
Operato l'inquadramento giuridico della
questione, ben si comprende la soluzione
della Corte al caso in esame. Evidenziano i
giudici di Piazza Cavour come, dagli atti,
fosse emerso che la società di cui
amministratore risultava l'indagato,
provvedeva alla raccolta, al trasporto ed
abbandono incontrollato nella propria area
industriale degli inerti di marmo,
provenienti dalla lavorazione delle cave di
marmo travertino, gestite da altra società,
il tutto senza provvisto della prescritta
autorizzazione.
Secondo gli Ermellini, dunque, la società
che si occupava della gestione delle cave e
dell'estrazione degli inerti di travertino
si serviva dell'area riconducibile alla
ditta dell'indagato unicamente come deposito
di tali residui, i quali non erano stati
utilizzati né dal gestore della cava
direttamente né da altro soggetto, sfuggendo
quindi tali residui alla qualificazione come
sottoprodotti per mancato rispetto, in
particolare, delle condizioni previste
dall'art. 184-bis del D.Lgs. n. 152/2006,
come modificato dall'art. 12 del D.Lgs. n.
205/2010.
Il riferimento, in particolare, è alla
condizione prevista dalla nuova lett. b) che
richiede, oltre alle altre condizioni
previste dal medesimo articolo la certezza
che "la sostanza o l’oggetto sarà
utilizzato, nel corso dello stesso o di un
successivo processo di produzione o di
utilizzazione, da parte del produttore o di
terzi", incombendo, peraltro,
sull'interessato l'onere di fornire la prova
della destinazione certa, e non meramente
eventuale, ad un ulteriore utilizzo (Cass.
pen., Sez. 3, n. 41836 del 30/09/2008, dep.
07/11/2008, imp. C., in Ced Cass. 241504)
(Corte di Cassazione penale, sentenza
09.07.2011 n. 28734 - tratto da
www.ipsoa.it). |
URBANISTICA:
Le modifiche al piano regolatore
non riguardano le aree già utilizzate a
scopo edificatorio.
Ai sensi dell’art. 7 della l. 17.08.1942 n.
1150, il Comune disciplina, con il Piano
regolatore generale, l’assetto urbanistico
dell’intero territorio comunale, in
particolare prevedendo “la divisione in
zone del territorio comunale con la
precisazione delle zone destinate
all'espansione dell'aggregato urbano e la
determinazione dei vincoli e dei caratteri
da osservare in ciascuna zona”.
Le previsioni del Piano, come questo
Consiglio di Stato ha già avuto modo di
affermare, “servono a conformare
l’edificazione futura e non anche le
costruzioni esistenti al momento
dell’entrata in vigore del Piano o di una
sua variante” (Cons. Stato, sez. IV,
18.06.2009 n. 4009), ciò facendo con
prescrizioni tendenzialmente a tempo
indeterminato, in quanto conformative delle
destinazioni dei suoli (Cons. Stato, sez. II,
18.06.2008 n. 982).
Orbene, proprio per le sue caratteristiche
di strumento di pianificazione e delle sua
possibilità di utilizzo, è del tutto
evidente che lo strumento urbanistico, nel
disporre le future conformazioni del
territorio, considera le sole “aree
libere”, tali dovendosi ritenere quelle
“disponibili” al momento della
pianificazione, e ancor più precisamente
quelle che non risultano già edificate (in
quanto costituenti aree di sedime di
fabbricati o utilizzate per opere di
urbanizzazione), ovvero quelle che, nel
rispetto degli standard urbanistici,
risultano comunque già utilizzate per
l’edificazione (in quanto asservite alla
realizzazione di fabbricati, onde
consentirne lo sviluppo volumetrico).
D’altra parte, diversamente opinando, ogni
nuova pianificazione risulterebbe del tutto
scollegata dalla precedente, potendo da
questa prescindere, e di volta in volta
riguarderebbe, senza alcuna
contestualizzazione storica, una parte
sempre più esigua del territorio comunale
(cioè quella non ancora occupata da immobili
e manufatti), valutata ex novo.
In tal modo, la pianificazione urbanistica
si ridurrebbe a considerare il territorio
solo nella sua mera possibilità di
edificazione, in quanto non ostacolata da
presenze materiali, e non già come un bene
da conformare per il migliore sviluppo della
comunità, salvaguardando i diritti
costituzionalmente garantiti degli individui
che su di esso vivono ed operano.
Quanto sin qui esposto, comporta che
l’eventuale modificazione del piano
regolatore, che prevede nuovi e più
favorevoli indici di fabbricazione, non può
che interessare, nell’ambito della zona del
territorio considerata dallo strumento
urbanistico, se non le sole aree libere, nel
senso sopra precisato, con esclusione,
quindi, di tutte le aree comunque già
utilizzate a scopo edificatorio, ancorché le
stesse si presentino “fisicamente”
libere da immobili (Consiglio di Stato, Sez.
IV,
sentenza 09.07.2011 n. 4134 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L’assegnazione
di un termine inferiore a novanta giorni per
l’ottemperanza all’ordine di demolizione è
inidoneo a determinarne l’illegittimità,
risolvendosi in una violazione meramente
formale, non lesiva per l’interessato, il
quale conserva comunque un termine non
inferiore a quello di legge per ottemperare
all’ingiunzione.
Per consolidato orientamento di questo
Consiglio, l’assegnazione di un termine
inferiore a novanta giorni per
l’ottemperanza all’ordine di demolizione
(nella specie, è stato assegnato il termine
di dieci giorni) è inidoneo a determinarne
l’illegittimità, risolvendosi in una
violazione meramente formale, non lesiva per
l’interessato, il quale conserva comunque un
termine non inferiore a quello di legge per
ottemperare all’ingiunzione (v., ex
plurimis, C.d.S., Sez. V, 24.02.2003, n.
986; C.d.S., Sez. V, 03.02.2000, n. 597)
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 08.07.2011 n. 4102 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA: La
giurisprudenza ha operato una distinzione
tra i piani di recupero aventi ad oggetto il
solo recupero edilizio e quelli che
comportano anche un recupero urbanistico.
In quest'ultima ipotesi, proprio per la "ratio"
della l. n. 457 del 1978, di consentire il
recupero del patrimonio edilizio ed
urbanistico esistente, disponendo il
riassetto della zona in ossequio alle
esigenze di funzionalità previste nello
strumento urbanistico generale, il piano di
recupero può prevedere la demolizione degli
edifici preesistenti, la loro ricostruzione,
con un incremento volumetrico, ossia nuove
costruzioni
E’ opportuno richiamare la distinzione
operata dalla giurisprudenza (tra le
decisioni più rilevanti: Consiglio Stato,
sez. IV, 19.04.2000, n. 2336 e 28.05.1988,
n. 468), nell’ambito dei piani di recupero,
tra i piani di recupero aventi ad oggetto il
solo recupero edilizio e quelli che
comportano anche un recupero urbanistico.
In quest’ultima ipotesi, il piano ha ad
oggetto la ridefinizione del tessuto
urbanistico di un'area o di un complesso di
aree, anche in relazione agli spazi e alle
opere pubbliche esistenti o da programmare
per le esigenze della collettività, ed ha
effetti programmatori suoi propri: “la
revisione dell'assetto urbanistico delle
zone soggette a recupero potrà, quindi,
comportare una diversa sistemazione dei
lotti o degli isolati, una differente
sistematica delle vie di comunicazione, il
reperimento di aree per servizi di interesse
pubblico, la individuazione di edifici
esistenti da destinare a servizi pubblici...".
Proprio per la "ratio" della l. n.
457 del 1978, di consentire il recupero del
patrimonio edilizio ed urbanistico
esistente, disponendo il riassetto della
zona in ossequio alle esigenze di
funzionalità previste nello strumento
urbanistico generale, il piano di recupero
può prevedere la demolizione degli edifici
preesistenti, la loro ricostruzione, con un
incremento volumetrico, ossia nuove
costruzioni (TAR Bari, II n. 4016/2002, in
cui è precisato che “funzione precipua
del piano di recupero è la conservazione del
patrimonio edilizio esistente mediante la
riqualificazione e la ridefinizione del
tessuto urbano ai fini di recupero del
patrimonio edilizio ed urbanistico degradato
per conservare e riutilizzare il patrimonio,
sicché la connotazione tipica dello
strumento in questione che ne individua i
limiti oggettivi, è pur sempre
caratterizzato dalla conservazione,
ricostruzione e riutilizzazione del
patrimonio esistente, con la conseguenza che
è del tutto marginale che il recupero
edilizio, consistendo in interventi sugli
elementi costitutivi degli edifici
esistenti, possa comportare incrementi
volumetrici ossia nuove edificazioni”)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 07.07.2011 n. 1830 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Contratti pubblici – Gara –
Divieto di frazionamento dei requisiti per i
RTI – Ricorso all’istituto dell’avvalimento
- Provvedimento di esclusione –
Illegittimità – Sussiste.
E' illegittimo il provvedimento di
esclusione da una gara adottato da una
stazione appaltante nei confronti di
un'impresa per aver fatto ricorso
all'istituto dell'avvalimento, motivato su
una disposizione del bando di gara che
prescriveva il divieto di frazionamento dei
requisiti per i raggruppamenti temporanei di
imprese.
Il provvedimento di esclusione comminato
dall'amministrazione procedente è
irragionevole, in quanto la concorrente non
si è presentata alla gara in raggruppamento
con altre imprese, bensì singolarmente
(massima tratta da www.centrostudi-sv.org -
TAR Lazio-Roma, Sez. III-ter,
sentenza 06.07.2011 n. 5958 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
1. Escussione cauzione
provvisoria in tutti i casi di mancata
conferma dei requisiti dichiarati in sede di
partecipazione.
2. Sull'obbligo di intestazione della
cauzione provvisoria, in caso di RTI, in
capo a mandanti e mandatarie.
1. Nell'appalto dei lavori pubblici,
l'escussione della cauzione provvisoria ai
sensi dell'art. 10 L. 11.02.1994 n. 109, il
cui scopo è liquidare in via forfetaria il
danno subito dalla Stazione appaltante per
omessa stipulazione del contratto per fatto
imputabile all'aggiudicatario provvisorio,
riguarda non solo l'assenza della capacità
economico-finanziaria e
tecnico-organizzativa di questi, ma anche
tutti i casi in cui abbia prodotto
dichiarazioni non confermate dal successivo
riscontro della relativa documentazione o
abbia effettuato false dichiarazioni (Cons.
Stato, Sez. V, 29.12.2009, n. 8908; Sez. IV,
07.06.2005, n. 2933).
2. Nel caso di partecipazione di un
costituendo raggruppamento temporaneo di
imprese ad una gara d'appalto, la polizza
fideiussoria, mediante la quale viene
costituita la cauzione provvisoria, deve
essere intestata non solo alla società
capogruppo ma anche alle mandanti che sono
individualmente responsabili delle
dichiarazioni rese per la partecipazione
alla gara, ciò al fine di evitare il
configurarsi di una carenza di garanzia per
la Stazione appaltante con riferimento a
quei casi in cui l'inadempimento non dipenda
dalla capogruppo designata ma dalle mandanti
(TAR Valle d’Aosta, 14.01.2010, n. 6; TAR
Sicilia, Ct, Sez. III, 26.10.2009, n. 1744)
(TAR Toscana, Sez. II,
sentenza 06.07.2011 n. 1146 -
link a www.mediagraphic.it). |
APPALTI:
Le peculiarità delle informative
prefettizie.
Sinora, in tema di informative antimafia, si
è fatto riferimento alle sole informative "tipiche"
o "interdittive", che impediscono il
sorgere o il continuare del rapporto
contrattuale. Accanto a queste, si sono
diffuse le cosiddette informative "supplementari"
o "atipiche", sostenute dalla prassi
amministrativa e dall'elaborazione
giurisprudenziale.
Precisamente, la prassi amministrativa,
sostenuta da una giurisprudenza molto
attenta alle ragioni di prevenzione da
infiltrazioni di tipo mafioso, conosce anche
un terzo tipo di informativa prefettizia,
denominata, appunto, "informativa
supplementare atipica", la quale trova
un fondamento normativo, invero debole ...
LA VICENDA E LE INFORMATIVE
ANTIMAFIA
Il Comune di San Lorenzo indiceva una gara
per il conferimento dell'appalto dei lavori
di riqualificazione dell'acquedotto in
località Tavoliere.
La gara veniva vinta dall'impresa
individuale M.P. Prima di procedere alla
stipula del contratto, il Comune disponeva
la revoca dell'aggiudicazione definitiva,
sulla base di un'informativa prefettizia
atipica, ove venivano comunicate ed
illustrate vicende di rilevanza penali,
interessanti il titolare dell'impresa.
Precisamente, nell'informativa si
evidenziava che l'imprenditore risultava
indagato per gravi reati, quali
l'associazione per delinquere finalizzata a
commettere delitti di turbativa d'asta ed
altri, turbata libertà degli incanti e
falsificazione di valori di bollo.
A fronte di tale provvedimento, il Comune ha
ritenuto che l'imprenditore fosse privo dei
requisiti di ordine generale, di cui
all'art. 38 del Codice dei contratti
pubblici (D.Lgs. n. 163 del 2006), necessari
per procedere alla stipula del contratto di
appalto. Avverso il provvedimento comunale
di revoca dell'aggiudicazione definitiva
propone ricorso l'impresa vincitrice della
gara.
La categoria delle informazioni prefettizie,
disciplinata dagli artt. 10 e 11, D.P.R. n.
252 del 1998, si presenta indubbiamente
variegata.
La normativa obbliga le stazioni appaltanti
ad acquisire tali informazioni prima di
stipulare, approvare o autorizzare i
contratti di o i subcontratti, le cessioni o
i cottimi di valore superiore, attualmente,
ad € 154.937,07.
Infatti, ove emergano elementi relativi a "tentativi
di infiltrazione mafiosa nelle società o
imprese interessate", le amministrazioni
non possono stipulare, approvare o
autorizzare i contratti o subcontratti, né
autorizzare, rilasciare o, comunque,
consentire concessioni ed erogazioni. La
prima tipologia di informazione prefettizia
è contemplata dalle lettere a) e b), del
comma 7, dell'art. 10, D.P.R. n. 252 del
1998. Si tratta di atti meramente
ricognitivi di provvedimenti giudiziari di
applicazione di misure cautelari o di
sottoposizione a giudizio o di adozione di
sentenze di condanna o di applicazione (o
anche di mera proposta) di misure
interdittive. La natura ricognitiva di tale
informativa prefettizia si desume, con
estrema chiarezza, dalla presenza di
provvedimenti giudiziari, dei quali il
Prefetto si limita a dare notizia alla
stazione appaltante richiedente.
Più delicata appare, invece, la seconda
tipologia di informativa prefettizia,
contemplata dalla lettera c) del medesimo
comma 7, dell'art. 10, da leggere in
combinato con l'art. 4, comma 4, D.Lgs. n.
490 del 1994. Si tratta, precisamente, di
accertamenti autonomi, posti in essere dalla
Prefettura, sulla base di attività di
indagine effettuata dagli organi inquirenti.
Tale categoria, infatti, consente ai
Prefetti di accertare, con efficacia
impeditiva per la stipulazione di contratti,
l'esistenza di elementi relativi a tentativi
di infiltrazione mafiosa, fattispecie
quantomai insidiosa sotto il profilo
dell'esatta individuazione dei relativi
confini. La giurisprudenza configura tale
provvedimento come una misura cautelare di
tipo preventivo, che prescinde dal concreto
accertamento penale di reati eventualmente
commessi. Precisamente, secondo un
orientamento pressoché unanime, tali
informative non devono assurgere al rango di
prova dell'intervenuta infiltrazione,
essendo ciò un quid pluris non
richiesto dalla normativa, ma devono
fondarsi su fatti e vicende aventi valore
sintomatico ed indiziario, sufficiente a
dare contezza dell'esistenza di elementi,
dai quali sia deducibile il tentativo di
ingerenza mafiosa.
Il citato potere prefettizio, di
accertamento e di valutazione, si inquadra
in un sistema di cautele, diretto ad
individuare quei soggetti che, pur non
essendo formalmente interdetti, presentano
non di meno delle "controindicazioni",
derivanti dalla sussistenza di tentativi di
infiltrazione mafiosa, diretti a
condizionare le scelte e gli indirizzi delle
imprese coinvolte in pubblici appalti.
Pertanto, solo il Prefetto è legittimato a
compiere apprezzamenti sull'esistenza di
elementi, sintomatici e rivelatori
dell'influenza esercitata dalle
organizzazioni criminali sull'operatore
economico, che aspiri a contrattare con la
Pubblica Amministrazione.
Ragione e giustificazione di tale competenza
esclusiva deve essere ricercata nella
tipicità della materia in questione, la
quale richiede un'anticipazione della soglia
di difesa sociale e, dunque, una tutela più
che avanzata nel campo del contrasto della
criminalità organizzata.
A tal proposito, la giurisprudenza ben
evidenzia che, in tale settore, si prescinde
dalle classiche soglie di rilevanza
probatorie, tipiche del diritto penale, per
cercare di cogliere l'affidabilità
dell'impresa affidataria dei lavori,
complessivamente intesa.
Sinora, in tema di informative antimafia, si
è fatto riferimento alle sole informative "tipiche"
o "interdittive", che impediscono il
sorgere o il continuare del rapporto
contrattuale.
Accanto a queste, si sono diffuse le
cosiddette informative "supplementari"
o "atipiche", sostenute dalla prassi
amministrativa e dall'elaborazione
giurisprudenziale.
Precisamente, la prassi amministrativa,
sostenuta da una giurisprudenza molto
attenta alle ragioni di prevenzione da
infiltrazioni di tipo mafioso, conosce anche
un terzo tipo di informativa prefettizia,
denominata, appunto, "informativa
supplementare atipica", la quale trova
un fondamento normativo, invero debole,
nell'art. 10, comma 9, D.P.R. n. 252 del
1998, che, a sua volta, richiama l'art.
1-septies, D.L. 06.09.1982, n. 629,
convertito nella L. 12.10.1982, n. 726 .
La debolezza del fondamento risiede,
innanzitutto, nel fatto che la norma
richiamata concerne i poteri dell'ex Alto
commissario per la lotta alla mafia e si
limita a disciplinare la possibilità che
vengano comunicati alle autorità (competenti
al rilascio di licenze, autorizzazioni o
concessioni) elementi di fatto o altre
indicazioni, utili alla valutazione dei
requisiti soggettivi del richiedente.
Inoltre, il citato comma 9 stabilisce che
tale rinvio non opera, quanto alle
informazioni prefettizie antimafia, "salvo
che gli elementi o le altre indicazioni
fornite siano rilevanti ai fini delle
valutazioni discrezionali ammesse dalla
legge".
Nella concreta prassi amministrativa, si
attribuisce, abitualmente, rilevanza anche a
questo ulteriore tipo di informativa
prefettizia, la quale presenta profili di
similitudine con quella disciplinata
dall'art. 10, comma 7, lett. c), in
considerazione della loro comune natura non
ricognitiva di provvedimenti giudiziari.
Al riguardo, la giurisprudenza da tempo
segnala che tale informativa, cosiddetta
supplementare atipica ha il suo fondamento
nel principio generale di collaborazione tra
pubbliche amministrazioni ed è priva di
efficacia interdittiva automatica, ma
consente l'attuazione degli ordinari poteri
discrezionali di ritiro del contratto da
parte della stazione appaltante.
Infatti, tale informativa, in virtù della
sua natura esclusivamente indiziaria,
conferisce alla stazione appaltante il
potere, delicato ma ristretto nel suo
contenuto, di effettuare una propria
valutazione, che può trascurare l'importanza
degli elementi ostativi notiziati, solo in
ragione di una motivazione puntuale e "forte".
L'ANALISI DEL TAR REGGIO
CALABRIA
Il Tar Reggio Calabria respinge il ricorso
sulla base di un'articolata analisi
dell'informativa prefettizia atipica.
Primariamente, i giudici amministrativi
reggini evidenziano la diversità
dell'informativa atipica, per quanto
concerne gli effetti: mentre l'informativa
tipica ha carattere interdittivo, nel senso
che impedisce di diritto l'instaurazione di
rapporti negoziali con l'impresa, attraverso
il divieto di stipula del contratto,
l'informativa atipica non presenta tale
carattere, ma consente solo (e non è poco!)
l'esercizio dei poteri discrezionali di
intervento sui provvedimenti amministrativi
posti in essere, sulla base, appunto, delle
informazioni assunte.
Con l'informativa atipica non scatta alcun
obbligo legale interdittivo, ma solo
l'obbligo di valutare attentamente le
notizie acquisite, al fine di decidere se il
soggetto interessato presenta l'idoneità
morale necessaria per iniziare o proseguire
le prestazioni contrattuali. Proprio per
tale sua caratteristica di non costituire un
"legale impedimento", l'informativa
atipica non necessita di un grado di
comprovazione probatoria analogo a quello
richiesto per dimostrare l'appartenenza di
un soggetto ad associazioni di tipo
camorristico o mafioso.
Infatti, osserva il Tar, si fonda su
elementi, anche indiziari, (che la stazione
appaltante non ha né il potere né l'onere di
verificarne la portata o i presupposti)
ottenuti con l'ausilio di particolari
indagini, che possono risalire anche ad
eventi verificatisi a distanza di tempo.
E' stato osservato, in giurisprudenza, che
l'informativa atipica consente alla stazione
appaltante di adottare un provvedimento di
diniego di stipula del contratto o di
prosecuzione del rapporto contrattuale in
corso, che potrà essere sufficientemente
motivato anche per relationem,
essendole riservato "un margine assai
ristretto di valutazione discrezionale,
mentre il dovere di ampia motivazione
sussiste solo nel caso della scelta della
prosecuzione del rapporto per inderogabili
ed indeclinabili necessità della
prestazione, non altrimenti assicurabile"
(TAR Campania, Sez. Napoli I, n.
16618/2010).
Fra l'altro, non deve essere dimenticato che
il potere di indagine e di sindacato del
giudice amministrativo è abbastanza
limitato:
"Le informative atipiche, in quanto atti
meramente partecipativi di circostanze di
fatto, non determinano un divieto legale a
contrarre e non comportano, necessariamente
ed inevitabilmente, l'adozione di
provvedimenti pregiudizievoli per il
privato, l'assunzione dei quali è rimessa
alla discrezionalità della stazione
appaltante; in questi casi, il sindacato del
giudice amministrativo non può entrare nel
merito restando circoscritto a verificare
sotto il profilo della logicità il
significato attribuito agli elementi di
fatto e l'iter procedimentale seguito per
pervenire a determinate conclusioni"
(TAR Campania, Sez. Salerno I, n.
11842/2010).
Proprio in ragioni di tali caratteristiche,
la giurisprudenza si è, poi, interrogata
anche sulla "compatibilità comunitaria"
dell'istituto, pervenendo ad una positiva
risposta, fondata sulla considerazione che
le cause di esclusione dagli appalti,
previste dal diritto comunitario, e
puntualmente recepite dall'ordinamento
interno non sono esaustive e tassative,
potendo i Legislatori nazionali prevederne
ulteriori, a salvaguardia di interessi
pubblici generali, diversi da quello della
tutela della concorrenza, e fondate su
ragioni di ordine e sicurezza pubblica.
Alla luce delle considerazioni sin qui
espresse, il Tar Reggio Calabria ritiene
infondato il ricorso per tre precise
ragioni.
In primo luogo, si fa osservare che
l'impresa ricorrente non ha impugnato né
censurato il contenuto dell'informativa
atipica, che il Comune ha assunto a
necessario ed esclusivo presupposto
motivazionale del provvedimento di revoca.
In secondo luogo, si rileva che il
ricorrente non ha evocato in giudizio la
Prefettura di Reggio Calabria, che tale
provvedimento ha emanato.
Inoltre, appare decisamente carente
l'apparato motivazionale del ricorso, in
quanto il medesimo si limita a contestare la
circostanza della carenza di requisiti di
ordine generale, senza avvedersi che, in
realtà, l'Amministrazione si è uniformata al
contenuto dell'informativa, rispetto alla
quale non sono dedotte censure, rimanendo
incontestati due puntuali ed inequivoci
fatti: a) la sottoposizione del ricorrente
ad indagini per i gravi reati contestatigli,
aventi immediata e diretta incidenza
sull'affidamento di appalti e, quindi, sulla
capacità a contrarre con la Pubblica
amministrazione; b) la rilevanza di tali
circostanze in ordine all'efficacia propria
delle informative antimafia atipiche (tratto
da www.ipsoa.it - TAR Calabria-Reggio
Calabria,
sentenza
21.06.2011 n. 518 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI: Sindaci, mani legate sulle Poste.
Illegittimo vietare la chiusura di un
ufficio con ordinanza. Per il Tar Sardegna
non ci sono i presupposti di incolumità
pubblica e sicurezza urbana.
I sindaci non possono con una ordinanza
contingibile ed urgente intimare alle Poste
di non chiudere un ufficio postale: non
siamo infatti nell'ambito di materie che
possono essere disciplinate attraverso
questo istituto, in quanto mancano i
requisiti della emergenza, ovvero il
pericolo della lesione di diritti
fondamentali.
Sono queste le principali ragioni per cui la
I Sez. del TAR della Sardegna,
sentenza
17.06.2011 n. 605, ha
bocciato l'ordinanza con cui il sindaco di Ozieri aveva ordinato alle poste di non
chiudere il secondo ufficio aperto nel
paese, esattamente in una piccola frazione.
Da sottolineare che le Poste si erano
dichiarati disponibili a mantenere il
secondo sportello in un'altra frazione,
peraltro avente un numero di abitanti
maggiori. Siamo così in presenza di un
ulteriore altolà della giurisprudenza
amministrativa al potere di ordinanza dei
sindaci.
Merita di essere evidenziato che
tanto il Tar quanto il Consiglio di stato
avevano invece bocciato la richiesta
avanzata dalla Poste di sospensione della
ordinanza, in quanto non vi era alcun
rischio di lesione di interessi
fondamentali. La sentenza stabilisce che in
queste materie deve comunque essere presente
nel giudizio anche il ministero
dell'interno.
«Difetta ogni presupposto di
incolumità pubblica e sicurezza urbana, così
come emergenze e/o circostanze straordinarie
richiesti dalle norme quali condizioni
legittimanti il potere straordinario e
urgente conferito al sindaco dal legislatore
per l'adozione di provvedimenti extra-ordinem». Trattasi in questo caso, in realtà,
di opposizione del comune a una scelta
(dell'operatore privato esercente un
servizio pubblico) di riorganizzazione e
modulazione di un servizio (postale) e nella
specie delle sue modalità di articolazioni
territoriali (distribuzione degli uffici nel
territorio comunale) in rapporto al numero
degli abitanti, alla distanza e agli utenti.
Nessun potere autoritativo di riapertura
dell'ufficio postale poteva riconoscersi in
capo al sindaco, che ha esercitato
impropriamente e illegittimamente il potere
di ordinanza contingibile e urgente in un
ambito non consentitogli. Il potere
esercitato è privo dei presupposti fondanti,
voluti e individuati dal legislatore
nazionale, «esplicazione di un potere di
forzosa riapertura di un ufficio postale,
senza termine, viola il quadro normativo di
riferimento e non trova appiglio nella
legislazione di settore».
La richiesta del ministero dell'interno di
essere estromesso dal giudizio, perché non
interessato, è stata respinta: «Trattandosi
di ordinanza contingibile e urgente,
potrebbe, in astratto, essere riferita al
sindaco quale ufficiale di governo e come
tale l'imputazione allo stato del
provvedimento (e non all'ente locale). Le
norme del Tuel di riferimento infatti
afferiscono, l'art. 50 ai poteri locali,
l'art. 54 ai poteri statali. Solo dall'esame
in concreto del provvedimento (posto che
l'ordinanza nulla precisa) può emergere
l'attribuzione e l'imputazione»
(articolo ItaliaOggi
del 05.08.2011 - tratto da www.corteconti.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
legittimazione a impugnare una concessione
edilizia deve essere riconosciuta al
proprietario di un immobile sito nella zona
interessata alla costruzione, o comunque a
chi si trovi in una situazione di stabile
collegamento con la zona stessa, la quale
non postula necessariamente l'adiacenza fra
gli immobili, essendo sufficiente la
semplice prossimità, senza che sia
necessario dimostrare ulteriormente la
sussistenza di un interesse qualificato alla
tutela giurisdizionale.
Il possesso del titolo di legittimazione
alla proposizione del ricorso per
l'annullamento di una concessione edilizia,
che discende dalla c.d. vicinitas, cioè da
una situazione di stabile collegamento
giuridico con il terreno oggetto
dell'intervento costruttivo autorizzato,
esime da qualsiasi indagine al fine di
accertare, in concreto, se i lavori
assentiti dall'atto impugnato comportino o
meno un effettivo pregiudizio per il
soggetto che propone l'impugnazione atteso
che l'esistenza della suddetta posizione
legittimante abilita il soggetto ad agire
per il rispetto delle norme urbanistiche,
che assuma violate, a prescindere da
qualsiasi esame sul tipo di lesione, che i
lavori in concreto gli potrebbero arrecare.
Non può che farsi applicazione del
prevalente orientamento giurisprudenziale in
forza del quale “la legittimazione a
impugnare una concessione edilizia deve
essere riconosciuta al proprietario di un
immobile sito nella zona interessata alla
costruzione, o comunque a chi si trovi in
una situazione di stabile collegamento con
la zona stessa, la quale non postula
necessariamente l'adiacenza fra gli
immobili, essendo sufficiente la semplice
prossimità, senza che sia necessario
dimostrare ulteriormente la sussistenza di
un interesse qualificato alla tutela
giurisdizionale” (da ultimo Consiglio
Stato, sez. IV, 16.03.2010, n. 1535;
Consiglio Stato, sez. VI, 15.06.2010, n.
3744; in senso analogo Consiglio Stato, sez.
IV, 12.05.2009, n. 2908 secondo cui “Il
possesso del titolo di legittimazione alla
proposizione del ricorso per l'annullamento
di una concessione edilizia, che discende
dalla c.d. vicinitas, cioè da una situazione
di stabile collegamento giuridico con il
terreno oggetto dell'intervento costruttivo
autorizzato, esime da qualsiasi indagine al
fine di accertare, in concreto, se i lavori
assentiti dall'atto impugnato comportino o
meno un effettivo pregiudizio per il
soggetto che propone l'impugnazione atteso
che l'esistenza della suddetta posizione
legittimante abilita il soggetto ad agire
per il rispetto delle norme urbanistiche,
che assuma violate, a prescindere da
qualsiasi esame sul tipo di lesione, che i
lavori in concreto gli potrebbero arrecare”;
TAR Campania Napoli, sez. IV, 09.04.2010, n.
1885 secondo cui “l'articolo 31, comma 9,
legge 1150/1942, modificato dalla legge
765/1967, che consente a "chiunque" di
impugnare le concessioni edilizie ritenute
illegittime, va interpretato nel senso che,
ai fini della legittimazione al ricorso,
occorre una situazione di stabile
collegamento con la zona interessata
dall'attività edilizia, collegamento che ben
può derivare dalla proprietà di un immobile
nella medesima, poiché il diritto reale
differenzia e qualifica adeguatamente la
posizione soggettiva della parte”.
“Il vicino controinteressato non è un
soggetto contemplato tra quelli a cui va
inviata la comunicazione di avvio del
procedimento per il rilascio di un titolo
edilizio, ai sensi dell'art. 7 della l.
07.08.1990, n. 241, pur se lo stesso già
risulti essersi opposto in precedenti
occasioni all'attività edilizia dell'altro
soggetto confinante (da ultimo TAR Liguria,
sez. I, 10.07.2009, n. 1736; in senso
analogo TRGA Trento, 14.10.2010, n. 194).
Non vi è infatti identità tra le posizioni
di coloro che siano legittimati ad impugnare
il provvedimento finale di concessione e
coloro che possono intervenire o hanno
titolo a ricevere l’avviso di avvio del
procedimento; infatti ove sia stata proposta
una domanda di concessione edilizia il
vicino del richiedente o il soggetto
legittimato possono intervenire nel
procedimento ed impugnare il provvedimento
che accoglie l’istanza, ma non hanno titolo
a ricevere l’avviso di avvio predetto
(Consiglio di Stato, sez. VI, 14.03.2002, n.
1533”; Tar Liguria, sez. I, 05.07.2010
n. 5570; in senso analogo Consiglio di
Stato, sez. VI 10.02.2006, n. 547, secondo
cui “L'aver partecipato al procedimento
di formazione di uno strumento urbanistico
non rende automaticamente il soggetto
medesimo controinteressato al quale
effettuare le comunicazioni ex art. 7 l.
07.08.1990 n. 241, relativamente ai
procedimenti relativi all'emanazione dei
permessi di costituire o dei richiesti nulla
osta”) (TAR
Valle d'Aosta,
sentenza 16.06.2011 n. 43 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
realizzazione di autorimesse e parcheggi, se
non effettuata totalmente al di sotto del
piano di campagna naturale, è soggetta alla
disciplina urbanistica dettata per le
ordinarie nuove costruzioni fuori terra.
Le autorimesse realizzate anche parzialmente
all’esterno del fabbricato, non rientrando
nell'ambito di operatività dell'art. 9 della
legge n. 122 del 1989, in base alla quale,
se si tratta di costruzioni nel sottosuolo,
è possibile la loro realizzazione anche in
contrasto con le norme urbanistiche relative
alla zona (non con quelle paesaggistiche),
sono soggette alla disciplina urbanistica
generale come ordinarie nuove costruzioni.
L'art. 9 della L. 24.03.1989, n. 122, che
consente ai proprietari di immobili la
realizzazione nel sottosuolo degli stessi
ovvero nei locali siti al piano terreno dei
fabbricati parcheggi da destinare a
pertinenza delle singole unità immobiliari,
anche in deroga agli strumenti urbanistici
ed ai regolamenti edilizi vigenti, è
applicabile solo nel caso di realizzazione
di autorimesse e parcheggi destinati al
servizio di fabbricati esistenti ove sia
effettuata totalmente al di sotto del piano
di campagna naturale ("sottosuolo"),
rientrando le autorimesse, edificate anche
parzialmente fuori terra, nella disciplina
urbanistica ordinaria.
L’art. 9 della L. 24.03.1989, n. 122 non è
applicabile nel caso di realizzazione di un
garage che non è interrato e che al fine del
suo interramento comunque richiede una
operazione di "sistemazione del soprassuolo"
per rendere in definitiva interrato ciò che
non lo sarebbe mantenendo l’originario
andamento del suolo, atteso che la
realizzazione di strutture de quibus resta
pacificamente ammessa solo in assenza di
alterazioni visibili del territorio,
argomento valido anche per le autorimesse
pertinenziali se ed in quanto sotterranee.
Come è noto, la
realizzazione di autorimesse e parcheggi, se
non effettuata totalmente al di sotto del
piano di campagna naturale, è soggetta alla
disciplina urbanistica dettata per le
ordinarie nuove costruzioni fuori terra
(Consiglio di Stato, IV, 11.11.2006, n.
6065; V, 29.03.2004, n. 1662).
Stabilisce, infatti, l'art. 9 della legge
24.03.1989, n. 122 che "i proprietari di
immobili possono realizzare nel sottosuolo
degli stessi ovvero nei locali siti al piano
terreno dei fabbricati parcheggi da
destinare a pertinenza delle singole unità
immobiliari anche in deroga agli strumenti
urbanistici ed ai regolamenti edilizi
vigenti".
La norma continua disponendo che tali
parcheggi possono essere realizzati, ad uso
esclusivo dei residenti, anche nel
sottosuolo di aree pertinenziali esterne al
fabbricato purché non in contrasto con i
piani urbani del traffico, tenuto conto
dell'uso della superficie sovrastante e
compatibilmente con la tutela delle risorse
idriche.
In base alla norma ora riportata, i predetti
parcheggi devono essere realizzati, se non
vengono a ciò adibiti i locali del piano
terra di un fabbricato, o nel sottosuolo
dello stesso fabbricato ovvero nel
sottosuolo di un'area pertinenziale esterna
(V, n. 1662/2004 citata).
Le autorimesse realizzate anche parzialmente
all’esterno del fabbricato, pertanto, non
rientrando nell'ambito di operatività
dell'art. 9 della legge n. 122 del 1989 ora
riportato, in base alla quale, se si tratta
di costruzioni nel sottosuolo, è possibile
la loro realizzazione anche in contrasto con
le norme urbanistiche relative alla zona
(non con quelle paesaggistiche), sono
soggette alla disciplina urbanistica
generale come ordinarie nuove costruzioni
(cfr. in argomento Consiglio di Stato., IV,
26.09.2008 n. 4645; Consiglio di Stato, sez.
IV, 23.02.2009, n. 1070; in senso analogo
Cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV,
11.10.2006, n. 6065; Consiglio di Stato,
Sez. IV, 27.11.2010, n. 8260; da ultimo Tar
Abruzzo-l’Aquila, sez. I - sentenza
19.04.2011 n. 208 secondo cui “l’’art. 9
della L. 24.03.1989, n. 122, che consente ai
proprietari di immobili la realizzazione nel
sottosuolo degli stessi ovvero nei locali
siti al piano terreno dei fabbricati
parcheggi da destinare a pertinenza delle
singole unità immobiliari, anche in deroga
agli strumenti urbanistici ed ai regolamenti
edilizi vigenti, è applicabile solo nel caso
di realizzazione di autorimesse e parcheggi
destinati al servizio di fabbricati
esistenti ove sia effettuata totalmente al
di sotto del piano di campagna naturale
("sottosuolo"), rientrando le autorimesse,
edificate anche parzialmente fuori terra,
nella disciplina urbanistica ordinaria)".
L’art. 9 della L. 24.03.1989, n. 122, non è
applicabile inoltre nel caso di
realizzazione di un garage che non è
interrato e che al fine del suo interramento
comunque richiede una operazione di "sistemazione
del soprassuolo" -come risulta nell’ipotesi
di specie secondo quanto dedotto dallo
stesso controinteressato Comune Massimo in
ordine alla necessità di opere di
sbancamento e in ordine alla pendenza del
terreno de quo- per rendere in definitiva
interrato ciò che non lo sarebbe mantenendo
l’originario andamento del suolo, atteso che
la realizzazione di strutture de quibus
resta pacificamente ammessa solo in assenza
di alterazioni visibili del territorio,
argomento valido anche per le autorimesse
pertinenziali se ed in quanto sotterranee”
(Tar Abruzzo-l’Aquila, sez. I - sentenza
19.04.2011 n. 208, cit. ; in senso analogo
Cons. di Stato, sez. IV, n. 2579/2009)
(TAR
Valle d'Aosta,
sentenza 16.06.2011 n. 43 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Nel
caso in cui si tratti di asservire per la
prima volta all'edificazione, mediante la
costruzione di uno o più fabbricati, aree
non ancora urbanizzate -che obiettivamente
richiedano, per il loro armonico raccordo
col preesistente aggregato abitativo, la
realizzazione delle opere di urbanizzazione
primaria e secondaria- si è costantemente
richiesta la necessità del piano esecutivo
(piano di lottizzazione o piano
particolareggiato) quale presupposto per il
rilascio della concessione edilizia.
Per contro, nel caso inverso di lotto
intercluso o in altri analoghi casi nei
quali la zona risulti totalmente
urbanizzata, attraverso la realizzazione
delle opere e dei servizi atti a soddisfare
i necessari bisogni della collettività
-quali strade, spazi di sosta, fognature,
reti di distribuzione del gas, dell'acqua e
dell'energia elettrica, scuole, etc.- lo
strumento urbanistico esecutivo non può più
ritenersi necessario e non può, pertanto,
essere consentito all'Ente locale di
trincerarsi dietro l'opposizione di un
rifiuto, basato sul solo argomento formale
della mancata attuazione della
strumentazione urbanistica di dettaglio.
Nel caso in cui
si tratti di asservire per la prima volta
all'edificazione, mediante la costruzione di
uno o più fabbricati, aree non ancora
urbanizzate -che obiettivamente richiedano,
per il loro armonico raccordo col
preesistente aggregato abitativo, la
realizzazione delle opere di urbanizzazione
primaria e secondaria- si è costantemente
richiesta la necessità del piano esecutivo
(piano di lottizzazione o piano
particolareggiato) quale presupposto per il
rilascio della concessione edilizia (cfr.,
C.d.S., Ad. Plen., 20.05.1980 n. 18 e
06.12.1992 n. 12; V Sezione, 13.11.1990 n.
776; 06.04.1991 n. 446 e 07.01.1999 n. 1;
TAR Campania, IV Sezione, 02.03.2000 n.
596).
È evidente che in tale prima fattispecie,
nella quale l'integrità d'origine del
territorio non è sostanzialmente vulnerata,
deve essere rigorosamente rispettata la
cadenza, in ordine successivo,
dell'approvazione del piano regolatore
generale e della realizzazione dello
strumento urbanistico d'attuazione, che
garantisce una pianificazione razionale e
ordinata del futuro sviluppo del territorio
dal punto di vista urbanistico.
Per contro, nel caso inverso di lotto
intercluso o in altri analoghi casi nei
quali la zona risulti totalmente
urbanizzata, attraverso la realizzazione
delle opere e dei servizi atti a soddisfare
i necessari bisogni della collettività
-quali strade, spazi di sosta, fognature,
reti di distribuzione del gas, dell'acqua e
dell'energia elettrica, scuole, etc.- lo
strumento urbanistico esecutivo non può più
ritenersi necessario e non può, pertanto,
essere consentito all'Ente locale di
trincerarsi dietro l'opposizione di un
rifiuto, basato sul solo argomento formale
della mancata attuazione della
strumentazione urbanistica di dettaglio
(cfr., per tutte, TAR Campania, IV Sezione,
06.06.2000 n. 1819).
Oscillazioni possono cogliersi nella
giurisprudenza nelle situazioni intermedie,
nelle quali il territorio risulti già, più o
meno intensamente, urbanizzato.
In tali casi si è infatti ritenuto che la
reiezione possa giustificarsi soltanto nel
caso in cui l'Amministrazione abbia
adeguatamente valutato lo stato di
urbanizzazione già presente nella zona e
abbia congruamente evidenziato le concrete e
ulteriori esigenze di urbanizzazione indotte
dalla nuova costruzione (cfr., C.d.S., Ad.
Plen., 06.10.1992 n. 12; V Sezione,
03.10.1997 n. 1097, 25.10.1997 n. 1189 e
18.08.1998 n. 1273; TAR Lazio, II Sezione,
29.09.2000 n. 7649; TAR Campania, IV
Sezione, 18.05.2000 n. 1413).
In tale prospettiva infatti l'Ente locale,
essendo in possesso delle informazioni
concernenti l'effettiva consistenza del
reticolo connettivo del suo territorio,
comprendente le opere di urbanizzazione
primaria e secondaria, i servizi pubblici
nonché le edificazioni pubbliche e private
già esistenti, è sicuramente in grado di
stabilire se e in che misura un ulteriore,
eventuale carico edilizio possa
armonicamente inserirsi nell'assetto del
territorio già realizzato o in via di
realizzazione.
Naturalmente, in questo caso, al Comune è
consentito, pur sempre, di rifiutare
ulteriori assensi edilizi, a condizione,
tuttavia, che motivi adeguatamente le
ragioni del diniego, in rapporto alla
situazione generale del comprensorio a quel
momento esistente.
Peraltro il Collegio non ignora che detto
orientamento giurisprudenziale è in parte
superato, alla luce della più recente
giurisprudenza, in riferimento alle nuove
edificazioni, alla stregua del dettato
dell’art. 9 comma 2, D.P.R. 380/2001, che
prevede espressamente gli interventi
eseguibili nelle more di approvazione del
piano attuativo (in tal senso Consiglio di
stato, sez. IV, 05.03.2008, n. 940 secondo
cui “nell'attuale quadro normativo,
qualora lo strumento urbanistico generale
preveda che il permesso di costruire possa
essere rilasciato solo dopo l'approvazione
di un piano attuativo, va senz'altro
respinta -con un diniego avente natura
vincolata- l'istanza volta a costruire nuovi
manufatti, ove non sia stato approvato il
medesimo piano attuativo.
Infatti, l'art. 9, comma 2, del testo unico
in materia edilizia (approvato col D.P.R. n.
380 del 2001) ha previsto che -"nelle aree
nelle quali non siano stati approvati gli
strumenti urbanistici attuativi previsti
dagli strumenti urbanistici generali come
presupposto dell'edificazione"- sono
tassativamente ammessi alcuni interventi,
tra cui non rientra la realizzazione di
nuovi edifici.
Con tale disposizione, il legislatore
delegato:
- ha enunciato il principio della
indefettibilità del piano attuativo
prescritto dallo strumento generale (già
desumibile dalla legge urbanistica n. 1150
del 1942, come affermato dal Consiglio di
Stato con le decisioni Sez. V, 23.03.2000,
n. 1594; Sez. V, 08.07.1997, n. 772; Sez. V,
16.06.1997, n. 640; Sez. V, 30.04.1997, n.
412; Sez. V, 22.03.1995, n. 451);
- ha rimarcato la rilevanza nel sistema del
piano attuativo, in quanto strumento
indispensabile per l'affermazione
dell'ordinato assetto del territorio (Sez.
V, 03.03.2004, n. 1013; Sez. IV, 25.08.2003,
n. 4812);
- ha reso irrilevante ogni indagine di fatto
sulla sussistenza o meno 'nei pressi' o
'nella zona' delle opere di urbanizzazione
(anche se, in precedenza, l'amministrazione
abbia violato le previsioni dello strumento
generale, rilasciando permessi di costruire
in assenza del prescritto piano attuativo).
Alla stregua di tale disposizione, tranne il
caso del piccolo lotto intercluso, il
prescritto piano attuativo non ammette
equipollenti (Sez. IV, 08.06.2007, n. 3007),
nel senso che in sede amministrativa -per
l'esame di una istanza di permesso- o in
quella giurisdizionale non possono essere
effettuate le indagini spettanti
all'autorità competente ad approvare il
medesimo piano (sulla base del relativo
procedimento), in assenza delle quali il
legislatore considera lesa l'assoluta
esigenza che vi sia un razionale assetto del
territorio”
(TAR
Valle d'Aosta,
sentenza 16.06.2011 n. 43 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Non
può essere opposto il decorso del termine
decadenziale a colui che non poteva comunque
continuare l’edificazione per un fatto
sopravvenuto estraneo alla sua volontà.
Va, al riguardo, evidenziato che se in via
ordinaria la decadenza disciplinata
dall'art. 15 d.P.R. n. 380 del 2001 consegue
all'inerzia dell'interessato questa deve
essere esclusa se venga rappresentata la
sussistenza di fatti sopravvenuti non
riferibili alla condotta del titolare della
concessione quando assolutamente ostative
dei lavori, producono l'effetto di
prolungare automaticamente il tempo massimo
stabilito per l'esecuzione delle opere.
Se, come è noto, secondo la regola generale
i termini di decadenza decorrono per il solo
fatto materiale del trascorrere del tempo,
cioè indipendentemente dalle situazioni
soggettive ed oggettive verificatesi "medio
tempore" e dalle quali sia dipeso
l'inutile decorso del termine, devono esser
fatti salvi i casi e le eccezioni
tassativamente previste dalla legge.
Nel caso di specie, proprio la norma posta a
base del provvedimento, l’art. 15, comma 2,
del T.U. 06.06.2001, n. 380 (che peraltro
riprende l’art. 4 della legge 28.01.1977, n.
10), nel disporre tra l’altro, che decorsi i
termini di durata del permesso di costruire
“il permesso decade di diritto per la
parte non eseguita” espressamente
prevede che, in via di eccezione, i termini
di durata (dell’allora licenza ed oggi) del
permesso di costruire “possono essere
prorogati… per fatti sopravvenuti estranei
alla volontà del titolare del permesso....”.
In base a tale norma dunque non può essere
opposto il decorso del termine decadenziale
a colui che non poteva comunque continuare
l’edificazione per un fatto sopravvenuto
estraneo alla sua volontà.
Va, al riguardo, evidenziato che se in via
ordinaria la decadenza disciplinata
dall'art. 15 d.P.R. n. 380 del 2001 consegue
all'inerzia dell'interessato (cfr. Cons.
Stato, sez. IV, 08.02.2008, n. 434) questa
deve essere esclusa se venga rappresentata
la sussistenza di fatti sopravvenuti non
riferibili alla condotta del titolare della
concessione quando assolutamente ostative
dei lavori, producono l'effetto di
prolungare automaticamente il tempo massimo
stabilito per l'esecuzione delle opere (cfr.
Cons. Stato, sez. IV, 10.08.2007, n. 4423;
TAR Lazio, Roma, sez. II, 24.11.2004, n.
13996).
Ed è questo un punto peculiare della
fattispecie.
Al riguardo, l’atto impugnato ha disposto
che, nel caso di specie, doveva trovare
applicazione la decadenza di diritto per
decorrenza dei termini, ai sensi dell’art.
15 del Dpr n. 380 del 2001, mentre non ha
tenuto conto della circostanza che l’atto di
proroga accede all’originaria concessione,
spostando in avanti il termine finale di
efficacia dell’atto concessorio, in modo
tale da costituire una continuazione dello
stesso (cfr. TAR Lazio Roma, sez. II,
06.11.2006, n. 11809; TAR Valle d'Aosta,
sez. I, 19.03.2009, n. 19) .
Orbene, emerge dagli atti che tra la domanda
di proroga e la conclusione del procedimento
è decorso un certo lasso di tempo e che il
Comune ha dichiarato la decadenza del
permesso di costruire soltanto dopo due mesi
dalla concessione della proroga di un anno,
impedendo la produzione dell’effetto
specifico della proroga che è quello di
prolungare automaticamente il tempo massimo
stabilito per l’esecuzione delle opere.
Né varrebbe obiettare che assumerebbero
rilievo, quali presupposti legittimanti
della decadenza, le dimissioni del direttore
dei lavori (vicenda interna al rapporto tra
il titolare del permesso di costruire e il
professionista incaricato) e la mancata
presentazione della richiesta documentazione
integrativa, alla cui inadempienza soccorre
la irrogazione di sanzioni amministrative e
non la decadenza del titolo edilizio
(TAR Lazio-Roma, Sez. II-bis,
sentenza 16.06.2011 n. 5354 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: E' illegittimo un
regolamento comunale che stabilisce in quali
zone del territorio possono essere
installati gli impianti radio base di
telefonia cellulare e quali distanze devono
avere dalle abitazioni o dalle aree
sensibili. I comuni possono solo
regolamentare le installazioni delle
stazioni radio base sotto il profilo
urbanistico e territoriale, non potendo
neppure regolamentare l'individuazione dei
siti idonei all'installazione. I comuni
possono esercitare in materia una potestà
regolamentare del tutto sussidiaria, che
concerne esclusivamente i profili
urbanistici e territoriali (con esclusione
dell'individuazione dei siti) e l'eventuale
indicazione di ulteriori, particolari
accorgimenti edilizi che possano utilmente
concorrere alla minimizzazione
dell'esposizione.
- E' illegittimo il regolamento che
esplicitamente estenda i vincoli stabiliti
unicamente per impianti di potenza superiore
-i quali possono essere realizzati solo
previa individuazione dei siti per la
localizzazione- anche alle SRB di potenza
inferiore a 300W. Per quest’ultime la
disciplina è dettata direttamente dalla
legge regionale che ne consente la
realizzazione in tutto il territorio
comunale, salvo gli espliciti divieti di cui
alla medesima legge regionale, non
ravvisabili nel caso di specie.
- Il concetto di “corrispondenza” deve
intendersi come coincidente con il perimetro
dei c.d. siti sensibili (scuole, asili,
ospedali, oratori, ecc.), ma non può
comunque ritenersi sussistere nel caso di
specie in cui le distanze sono di 134 mt.
dal distretto ASL, 185 mt. dall’oratorio (e
74 dalle pertinenze), 172 dalla scuola e 64
dalla caserma dei carabinieri.
- A norma dell'art. 86, comma 3, d.lgs. n.
259 del 2003, relativo alla localizzazione
di infrastrutture di telecomunicazioni, è
possibile prescindere dalla destinazione
urbanistica del sito individuato per la loro
installazione in quanto le infrastrutture di
reti pubbliche di comunicazione, di cui agli
art. 87 e 88, sono assimilate ad ogni
effetto alle opere di urbanizzazione
primaria di cui all'art. 16, comma 7, d.P.R.
06.06.2001 n. 380. Ne deriva che, anche alla
luce dell'art. 4, comma 7, l. reg. n. 11 del
2001 gli impianti radiobase di telefonia
mobile di potenza totale non superore a 300
watt non richiedono specifica
regolamentazione urbanistica, per cui sono
illegittime le disposizioni pianificatorie
comunali che introducono in termini assoluti
divieti di installazione per simili
impianti, anche solo su porzioni del
territorio comunale.
Circa l’inammissibilità della possibilità di
introdurre divieti generalizzati di
collocazioni delle SRB sul territorio
comunale, da tempo la giurisprudenza ha
chiarito che “è illegittimo un
regolamento comunale che stabilisce in quali
zone del territorio possono essere
installati gli impianti radio base di
telefonia cellulare e quali distanze devono
avere dalle abitazioni o dalle aree
sensibili. I comuni possono solo
regolamentare le installazioni delle
stazioni radio base sotto il profilo
urbanistico e territoriale, non potendo
neppure regolamentare l'individuazione dei
siti idonei all'installazione. I comuni
possono esercitare in materia una potestà
regolamentare del tutto sussidiaria, che
concerne esclusivamente i profili
urbanistici e territoriali (con esclusione
dell'individuazione dei siti) e l'eventuale
indicazione di ulteriori, particolari
accorgimenti edilizi che possano utilmente
concorrere alla minimizzazione
dell'esposizione” (così TAR Sicilia
Catania, sez. III, 29.01.2002, n. 140,
successivamente ripresa da TAR
Calabria-Catanzaro, sez. II, 05.12.2006, n.
1573, di analogo contenuto). Ne discende
l’incompetenza del Comune, dedotta con la
sesta censura.
Ciò esclude, conseguentemente, anche la
possibilità per il Comune, esercitata nel
caso di specie e censurata al quarto motivo
di ricorso, di introdurre, di fatto, tutele
ulteriori rispetto a quelle già garantite
attraverso la corretta applicazione della
norma, non solo prevedendo la collocazione
degli impianti all’esterno del centro
abitato, ma anche escludendo ogni
collocazione di impianti in intere aree come
l”Area1”.
Anche la quinta censura appare fondata. Dal
combinato disposto della L.R. 11/2001 e
della deliberazione della G.R. 7351 dell’11.12.2001, emerge come, definite le
“aree di particolare tutela”,
l’installazione degli impianti di
telecomunicazione, sia comunque possibile
per quelli con potenza totale ai connettori
di antenna non superiore a 300W.
Come già affermato da questo Tribunale nella
sentenza n. 16 del 12.01.2007, da cui non si
ravvisa ragione di discostarsi, quindi, è
illegittimo il regolamento che
esplicitamente estenda i vincoli stabiliti
unicamente per impianti di potenza superiore
-i quali possono essere realizzati solo
previa individuazione dei siti per la
localizzazione- anche alle SRB di potenza
inferiore a 300W. Per quest’ultime la
disciplina è dettata direttamente dalla
legge regionale che ne consente la
realizzazione in tutto il territorio
comunale, salvo gli espliciti divieti di cui
alla medesima legge regionale, non
ravvisabili nel caso di specie.
Invero la legge regionale escludeva la
collocazione di SRB di potenza anche
inferiore a 300W nel raggio di 75 metri dal
perimetri di siti c.d. “sensibili”
(scuole, asili, ospedali, oratori, ecc.), ma
la Corte costituzionale, con sentenza n. 331
del 2003 ha dichiarato l'illegittimità
costituzionale della suddetta norma,
introdotta, modificando il comma 8 della
L.R. 11/2001, dalla l. reg. lombarda
06.03.2002 n. 4, art. 3, comma 12, lett. a).
Più precisamente la Corte ha chiarito che: “Per
far fronte alle esigenze di protezione
ambientale e sanitaria dall'esposizione a
campi elettromagnetici, il legislatore
statale, con le anzidette norme fondamentali
di principio, ha prescelto un criterio
basato esclusivamente su limiti di
immissione delle irradiazioni nei luoghi
particolarmente protetti, un criterio che è
essenzialmente diverso da quello stabilito
(sia pure non in alternativa, ma in
aggiunta) dalla legge regionale, basato
sulla distanza tra luoghi di emissione e
luoghi di immissione. Né, a giustificare il
tipo di intervento della legge lombarda, è
sufficiente il richiamo alla competenza
regionale in materia di governo del
territorio, che la legge quadro, al numero
1) della lettera d) dell'art. 3, riconosce
quanto a determinazione dei «criteri
localizzativi». A tale concetto non possono
infatti ricondursi divieti come quello in
esame, un divieto che, in particolari
condizioni di concentrazione urbanistica di
luoghi specialmente protetti, potrebbe
addirittura rendere impossibile la
realizzazione di una rete completa di
infrastrutture per le telecomunicazioni,
trasformandosi così da «criteri di
localizzazione» in «limitazioni alla
localizzazione», dunque in prescrizioni
aventi natura diversa da quella consentita
dalla citata norma della legge n. 36. Questa
interpretazione, d'altra parte, non è senza
una ragione di ordine generale,
corrispondendo a impegni di origine europea
e all'evidente nesso di strumentalità tra
impianti di ripetizione e diritti
costituzionali di comunicazione, attivi e
passivi.” (così Corte Costituzionale
sentenza n. 331 del 2003 citata).
Conseguentemente la norma è stata modificata
ed oggi prevede che “È comunque vietata
l’installazione di impianti per le
telecomunicazioni e per la radiotelevisione
in corrispondenza di asili, edifici
scolastici nonché strutture di accoglienza
socio-assistenziali, ospedali, carceri,
oratori, parco giochi, orfanotrofi e
strutture similari, e relative pertinenze,
che ospitano soggetti minorenni, salvo che
si tratti di impianti con potenze al
connettore d’antenna non superiori a 7 watt.”.
Il concetto di “corrispondenza” deve
intendersi come coincidente con il perimetro
dei c.d. siti sensibili, ma non può comunque
ritenersi sussistere nel caso di specie in
cui le distanze sono di 134 mt. dal
distretto ASL, 185 mt. dall’oratorio (e 74
dalle pertinenze), 172 dalla scuola e 64
dalla caserma dei carabinieri. In tal senso
si pone anche la pronuncia della Corte
Costituzionale n. 307 del 2003 che, con
riferimento alla legge della Regione Puglia,
ha ritenuto che la previsione del divieto di
localizzazione di SRB “su” siti
sensibili non eccedesse l’ambito di un
“criterio di localizzazione” la cui
previsione rientra nella competenza delle
Regioni ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett.
d), e dell’art. 8, comma 1, lett. e), della
legge quadro (36/2001).
Né può ritenersi rilevante, al fine di
contestare la potenza massima dell’impianto,
il fatto che sul medesimo traliccio sia
stata, molto tempo dopo il diniego
censurato, inoltrata la domanda di Vodafone
di collocamento di un nuovo impianto (che ha
portato al diniego del 2009 impugnato con il
ricorso sub R.G. 1088/2009).
Conclusivamente, quindi, il Collegio ritiene
di poter condividere il principio espresso
nella sentenza del TAR Milano, I,
13.01.2010, n. 23, in forza del quale: “A
norma dell'art. 86, comma 3, d.lgs. n. 259
del 2003, relativo alla localizzazione di
infrastrutture di telecomunicazioni, è
possibile prescindere dalla destinazione
urbanistica del sito individuato per la loro
installazione in quanto le infrastrutture di
reti pubbliche di comunicazione, di cui agli
art. 87 e 88, sono assimilate ad ogni
effetto alle opere di urbanizzazione
primaria di cui all'art. 16, comma 7, d.P.R.
06.06.2001 n. 380. Ne deriva che, anche alla
luce dell'art. 4, comma 7, l. reg. n. 11 del
2001 gli impianti radiobase di telefonia
mobile di potenza totale non superore a 300
watt non richiedono specifica
regolamentazione urbanistica, per cui sono
illegittime le disposizioni pianificatorie
comunali che introducono in termini assoluti
divieti di installazione per simili
impianti, anche solo su porzioni del
territorio comunale” (TAR
Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 13.06.2011 n. 898 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
CONSIGLIERI COMUNALI:
Missioni effettuate al di fuori
del territorio comunale. Presupposti,
autorizzazioni e rimborsi delle spese
sostenute.
Le spese sostenute per le missioni
effettuate dall’amministratore pubblico di
un Comune sono rimborsabili in presenza di
alcuni presupposti relativi alle missioni
stesse, e cioè: 1) deve trattarsi di
trasferte al di fuori del territorio
comunale dell’ente di appartenenza; 2)
devono essere debitamente autorizzate, nel
caso di consigliere o di assessore; 3)
devono essere eseguite in connessione con il
mandato ricoperto; e 4) debbono essere
opportunamente documentate (1).
In forza di quanto previsto dall'art. 84,
comma 1, d.lgs. n. 267 del 2000 (T.U.
sull’Ordinamento degli ee.ll.) il Sindaco,
nell'esercizio delle sue funzioni, non deve
essere autorizzato -a differenza di quanto
previsto per i consiglieri e per gli
assessori- all'effettuazione delle missioni
al di fuori del territorio comunale; ne
consegue che l’organo competente ad adottare
il provvedimento di liquidazione del
rimborso delle spese sostenute dal Sindaco
in occasione delle suddette missioni non è
il Consiglio comunale, bensì il dirigente
(alla stregua del principio nella specie è
stata ritenuta illegittima, per
incompetenza, una delibera con la quale il
Consiglio comunale si era arrogato il potere
di valutare la sussistenza dei presupposti
e, conseguentemente, di liquidare i compensi
dovuti per spese di missione al Sindaco).
---------------
(1) Dispone l'art. 84, comma 1, d.lgs. n.
267 del 2000 (T.U.E.L.) che "agli
amministratori che, in ragione del loro
mandato, si rechino fuori del capoluogo del
comune ove ha sede il rispettivo ente,
previa autorizzazione del capo
dell’amministrazione, nel caso di componenti
degli organi esecutivi, ovvero del
presidente del consiglio, nel caso di
consiglieri, è dovuto esclusivamente il
rimborso delle spese di viaggio
effettivamente sostenute nella misura
fissata con decreto del Ministro
dell’interno e del Ministro dell’economia e
delle finanze, d’intesa con la Conferenza
Stato-città ed autonomie locali".
Prosegue il II comma affermando che "la
liquidazione del rimborso delle spese è
effettuata dal dirigente competente, su
richiesta dell’interessato, corredata della
documentazione delle spese di viaggio e
soggiorno effettivamente sostenute e di una
dichiarazione sulla durata e sulle finalità
della missione" (massima tratta da
www.regione.piemonte.it - TAR Veneto, Sez.
I,
sentenza 30.05.2011
n. 915 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Per
potersi avvalere del recupero edilizio e
funzionale di cui alla "legge casa lombarda"
è necessario dimostrare la ricorrenza di due
presupposti, posti in ordine di successione
logica e rappresentati da: 1) l’esistenza di
un edificio o porzione di edificio ultimati
alla data del 31.03.2005; 2) l’esistenza di
volumetrie e superfici edilizie
utilizzabili.
Che l’accertamento dell’esistenza del primo
presupposto debba precedere quella del
secondo è di tutta evidenza, non soltanto
valorizzando l’ordine seguito dallo stesso
legislatore, ma anche sulla base di
un’interpretazione logico-sistematica della
norma, poiché il concetto stesso di recupero
postula il riferimento ad un quid
oggettivamente esistente e definito nella
sua individualità.
L’odierno giudizio, come evidenziato dalla
stessa difesa esponente, verte sulla
corretta interpretazione dell’art. 2, comma
1, lett. a) della legge regionale 16.07.2009
n. 13, recante “Azioni straordinarie per
lo sviluppo e la qualificazione del
patrimonio edilizio e urbanistico della
Lombardia”.
Ebbene, detta norma prevede, nella parte che
qui interessa, che:
<<È consentito il recupero edilizio e
funzionale di edifici o porzioni di edifici
ultimati alla data del 31.03.2005 e non
ubicati in zone destinate dagli strumenti
urbanistici vigenti all’agricoltura o ad
attività produttive, anche in deroga alle
previsioni quantitative degli strumenti
urbanistici comunali vigenti o adottati e ai
regolamenti edilizi, comportante:
a) la utilizzazione delle volumetrie e delle
superfici edilizie per destinazioni
residenziali ovvero per altre funzioni
ammesse dagli strumenti urbanistici;…>>.
Da una piana interpretazione del succitato
testo si ricava che, per potersi avvalere
del recupero edilizio e funzionale in esame,
è necessario dimostrare la ricorrenza di due
presupposti, posti in ordine di successione
logica e rappresentati da:
1) l’esistenza di un edificio o porzione di
edificio ultimati alla data del 31.03.2005;
2) l’esistenza di volumetrie e superfici
edilizie utilizzabili.
Che l’accertamento dell’esistenza del primo
presupposto debba precedere quella del
secondo è di tutta evidenza, non soltanto
valorizzando l’ordine seguito dallo stesso
legislatore, ma anche sulla base di
un’interpretazione logico-sistematica della
norma, poiché il concetto stesso di recupero
postula il riferimento ad un quid
oggettivamente esistente e definito nella
sua individualità (cfr. la giurisprudenza
che si è sviluppata a proposito degli
interventi di recupero del patrimonio
edilizio degradato, disciplinati per la
prima volta dalla legge 05.08.1978 n. 457,
ove è stata sottolineata la necessità della
previa individuazione degli immobili
destinati agli interventi attraverso il “piano
di recupero”, pena la illegittimità di
quest’ultimo, ove, ad es. “…riguardi
un’area quasi completamente inedificata e
non immobili degradati”: così, Consiglio
di Stato IV, 19.04.2000, n. 2336).
Altrettanto evidente è, poi, la circostanza
che il legislatore abbia voluto indicare il
parametro di riferimento degli interventi
de quibus avendo riguardo ad una duplice
fattispecie, a seconda che il recupero abbia
ad oggetto l’edificio o una sua porzione.
Tale specificazione deve essere
adeguatamente valorizzata, nel senso che,
laddove la domanda di recupero abbia ad
oggetto l’intero edificio, la ultimazione
entro la data del 31.03.2005 andrà ad esso
riferita, mentre qualora, come nel caso in
esame, la domanda di recupero concerna una “porzione
di edificio”, l’ultimazione alla
predetta data non potrà che riferirsi alla
ridetta porzione
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 18.05.2011 n. 1276 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Accesso ai documenti
amministrativi - Documenti relativi a
procedimenti di controllo o ispettivi -
Diritto di accesso - Sussiste - Anche
rispetto ad esposti e denunce che abbiano
determinato l'attivazione del procedimento.
In presenza di un interesse qualificato da
parte di un soggetto, che subisce un
procedimento di controllo o ispettivo, deve
essere riconosciuto il diritto dello stesso
a conoscere integralmente tutti i documenti
utilizzati dall'Amministrazione
nell'esercizio del potere di vigilanza,
compresi gli esposti e le denunce che
abbiano determinato l'attivazione del
procedimento medesimo (Fattispecie
relativa ad una domanda di accesso agli atti
di un procedimento ispettivo della Guardia
di finanza, attivato nei confronti
dell'istante sulla base di esposti e
segnalazioni) (Cfr. Cons. Stato Sez. V,
19.05.2009, n. 3081) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 26.04.2011 n.
1051 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Ricorso incidentale preordinato
all'esclusione del ricorrente principale -
Declaratoria di inammissibilità e di
improcedibilità del ricorso principale -
Art. 276 c.p.c. - Il collegio decide
gradatamente le questioni pregiudiziali.
Il ricorso incidentale in quanto preordinato
all'esclusione della ricorrente principale e
quindi alla declaratoria di inammissibilità
(per difetto di legittimazione, secondo
l'orientamento riaffermato da Cons. St., V,
n. 5275/2007) ovvero (secondo una diversa
prospettiva) di improcedibilità di quello
principale, ha efficacia paralizzante e
deve, quindi, per giurisprudenza prevalente,
essere esaminato prioritariamente (v. Cons.
St., V, n. 2380/2008; TAR Liguria, II, n.
1150/2008 e 1132/2008; TAR Lazio Latina, I,
n. 499/2008). Sulla scorta dell'orientamento
sin qui prevalente, infatti, non è possibile
prescindere, nella soluzione dei problemi
interpretativi prospettati, dalla
disposizione del codice di procedura civile
racchiusa nell'art. 276, comma 2, cui ora fa
espresso rinvio l'art. 76, comma 4, del
codice del processo amministrativo.
Tale
regola -secondo cui "il collegio, sotto la
direzione del presidente, decide
gradatamente le questioni pregiudiziali
proposte dalle parti o rilevabili d'ufficio
e quindi il merito della causa"-
rispondente ad una logica di "diritto
processuale comune" (cfr. altresì, quanto al
processo penale, l'art. 527 c.p.p.),
determina quindi l'esame prioritario del
ricorso incidentale ad efficacia cosiddetta
paralizzante in quanto volta a negare, ove
il ricorso venga accolto, la sussistenza
delle condizioni dell'azione concernenti la
legittimazione ad agire (o l'interesse al
ricorso) della ricorrente principale (v.
Cons. St., VI, n. 810/2010; vedi anche Tar
Lombardia, Milano, sez. I, 13.04.2011, n.
959) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza
19.04.2011 n.
999 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Ricorso avverso clausole del bando
escludenti - Anche in mancanza di domanda di
partecipazione del ricorrente -
Ammissibilità del ricorso.
L'indirizzo giurisprudenziale favorevole a
ritenere ammissibile il ricorso avverso
clausole immediatamente escludenti anche in
assenza della presentazione di una domanda
di partecipazione alla gara, peraltro
tuttora contraddetto da un più formale
orientamento, appare destinato a
consolidarsi alla luce delle recenti
innovazioni in materia di tutela
giurisdizionale negli appalti a seguito
della recezione nell'ordinamento nazionale
della direttiva comunitaria 2007/66/CE
dell'11.12.2007 avvenuta con D.Lgs. n.
53/2010, dai cui iniziali "considerando"
traspare la finalità di anticipare la tutela
ad una fase della procedura di affidamento
in cui non se ne sono ancora consolidati gli
effetti (obblighi di comunicazione,
informativa di proporre il ricorso, termine
di stand-still) e dunque anche
all'impugnazione del bando (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza
18.04.2011 n.
993 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
1. Ricorso incidentale preordinato
all'esclusione del ricorrente principale -
Ordine di esame del ricorso principale e di
quello incidentale - Necessità di tenere in
considerazione l'interesse strumentale delle
parti alla ripetizione della gara.
2. Dichiarazione ex art. 47 DPR 445/2000 dei
soggetti cessati dalla carica - Ammissibiltà
della dichiarazione sostitutiva del legale
rappresentante.
3. Indicazione di sub-criteri da parte della
commissione giudicatrice prima dell'apertura
delle buste - Orientamento superato -
Necessità di indicazione dei sub criteri nel
bando.
1. Il ricorso incidentale in quanto
preordinato all'esclusione dell'Ati
ricorrente principale e quindi alla
declaratoria di inammissibilità (per difetto
di legittimazione, secondo l'orientamento
riaffermato da Cons. St., V, n. 5275/2007)
ovvero (secondo una diversa prospettiva) di
improcedibilità di quello principale, ha
efficacia paralizzante e deve quindi, per
giurisprudenza prevalente, essere esaminato
prioritariamente (v. Cons. St., V, n.
2380/2008; TAR Liguria, II, n. 1150/2008 e
1132/2008; TAR Lazio Latina, I, n.
499/2008).
Il Collegio non ignora peraltro
come, in termini generali, la tematica del
rapporto tra il ricorso incidentale e quello
principale -e dell'ordine da seguire nella
loro trattazione- registri orientamenti
differenti e sia di recente oggetto di un
ripensamento ad opera di parte della
giurisprudenza del Consiglio di Stato: ne
sono un esempio Cons. St., V, n. 5811/2007 e
A.P. n. 2155/2010, favorevoli ad adottare,
invece, il criterio logico-cronologico;
Cons. St., V, n. 2669/2008, che ha rimesso
all'Adunanza Plenaria la questione se il
ricorso principale debba essere esaminato
dopo quello incidentale paralizzante anche
nell'ipotesi in cui le imprese ammesse alla
gara siano solamente due, ed, infine, Ad.
plenaria n. 11/2008, che ha risolto tale
questione affermando, in presenza di soli
due partecipanti alla gara, che il giudice
"qualunque sia il primo ricorso che esamini
e ritenga fondato (principale o
incidentale), deve tenere conto
dell'interesse strumentale di ciascuna
impresa alla ripetizione della gara e deve
esaminare anche l'altro, quando la
fondatezza di entrambi comporta
l'annullamento di tutti gli atti di
ammissione alla gara e, per l'illegittimità
derivata, anche dell'aggiudicazione, col
conseguente obbligo dell'amministrazione di
indirne una ulteriore".
2. Sulla possibilità che il dichiarante (il
legale rappresentante) renda dichiarazioni
sostitutive relative anche ad altri soggetti
(quelli cessati dalla carica), a norma
dell'art. 47, comma 2, del d.p.r. 445/2000, è
sufficiente sul punto richiamare il
precedente del tutto conforme di questa
Sezione (TAR Lombardia, sez. I, n.
5200/2009, in precedenza v. TAR Sicilia,
Catania, sez. I, n. 1772/2008; v. altresì,
di recente, AVCP, Determinazione n. 1 del
12.01.2010), nel senso dell'ammissibilità, in
linea generale, di tale modalità di
adempimento all'onere di rendere le
dichiarazioni sostitutive.
Quanto alla
formula da utilizzare per rendere la
dichiarazione relativamente a soggetti
terzi, deve osservarsi che l'art. 47 citato
non tipizza l'uso di alcuna formula
particolare e che, nel caso in esame, la
formula impiegata è stata sufficientemente
puntuale, anche tenuto conto dell'espresso
richiamo alle conseguenze penali di
eventuali falsità.
3. Seppure in passato sia stata ritenuta la
possibilità di interventi integrativi ad
opera delle commissioni giudicatrici sui
criteri di valutazione indicati dal bando di
gara, attraverso la previsione di sotto voci
o sub-criteri, purché ciò fosse avvenuto
prima dell'apertura delle buste contenenti
le offerte (cfr., ad esempio, Cons. St.,
sez. V, n. 1791/2005), tale orientamento
deve intendersi superato alla luce del
chiaro disposto dell'art. 83, comma 4, del
D.lgs. 163/2006 che, nel quadro di una
progressiva limitazione della
discrezionalità della commissione nella
specificazione dei criteri, impone ora che
"il bando per ciascun criterio di
valutazione prescelto preveda, ove
necessario, i sub-criteri e i sub-pesi o i
sub-punteggi" (v., per un'ampia e persuasiva
disamina della questione, TAR Lazio, sez. II,
n. 8328/2008).
Di questo indirizzo, volto a
restringere il potere discrezionale della
Commissione, costituisce un successivo
sviluppo la successiva abrogazione (per
effetto del D.lgs. 152/2008) del terzo
periodo dell'art. 83, comma 4, che affidava
alla commissione la definizione dei criteri
motivazionali (v. TAR Abruzzo, sez. I, n.
532/2010); con la precisazione ulteriore
che, anche in precedenza, gli stessi criteri
comunque non potevano essere più formulati
una volta che fossero state aperte le buste
contenenti le offerte dei concorrenti, come
è avvenuto nel caso di specie [...].
Si deve
ancora sottolineare come l'obbligo di
predeterminare a monte, nella legge di gara,
i criteri e le modalità applicati per
individuare l'offerta economicamente più
vantaggiosa sia preordinato al rispetto del
principio della parità di trattamento e
valga ad assicurare la trasparenza
necessaria al fine di consentire a qualsiasi
offerente di essere preventivamente
informato e, quindi, di determinarsi di
conseguenza, calibrando la propria offerta
in ragione dei punteggi massimi previsti
(cfr. 46° considerando alla direttiva
18/2004/CE; TAR Lombardia, Milano, sez. I,
n. 183/2009, nonché ancora di recente Cons.
St., sez. V. n. 5844/2010) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza
13.04.2011 n.
959 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
D.lgs. 490/1999 - Vendita di immobile
sottoposto a vincolo - Prelazione da parte
della P.A. - Denunciatio della vendita -
Procedimento ad iniziativa del privato -
Comunicazione di avvio del procedimento non
necessaria.
La comunicazione di avvio del procedimento
"non è dovuta per i procedimenti avviati ad
istanza di parte e, in particolare, per
quelli disciplinati da alcune disposizioni
del D.lgs. n. 490/1999, ivi compreso l'art.
59, che prevede il diritto di prelazione"; e
ciò sul rilievo che "nel procedimento di
prelazione legale ai sensi dell'art. 61 del
D.lgs. n. 490/1999, l'iniziativa
procedimentale compete ai privati
interessati, che la esercitano con la "denunciatio"
alla Soprintendenza; dal che consegue che
l'obbligo di comunicare l'avvio del
procedimento, di cui all'art. 7 della l. n.
241/1990, è da ritenersi escluso come nei
procedimenti avviati a istanza di parte"
(Cons. Stato, sez. VI, 08.05.2006, n.
2503; Sez. VI, 04.04.2008, n. 1430).
La natura discrezionale delle determinazioni
di competenza dell'Amministrazione in ordine
all'esercizio del diritto di prelazione
esclude, inoltre, ogni possibile lesione ai
diritti partecipativi, essendo pacifico in
giurisprudenza che la stessa opera "come
portatrice d'interessi collettivi, per la
cui tutela può decidere di acquisire i beni
all'esito di una valutazione altamente
discrezionale, a fronte della quale le parti
private si trovano in posizione di
soggezione" (Cass. civ. Sez. Un.,
03.05.2010, n. 10619) (Nella fattispecie in
esame, il ricorrente, proprietario di un
immobile assoggettato a vincolo, ha
contestato la legittimità dei provvedimenti
con i quali il Ministero, ai sensi del D.Lgs.
n. 490/1999, ha esercitato, sullo stesso il
diritto di prelazione a favore del Comune) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
I,
sentenza 08.04.2011
n. 935 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Art. 46 D.lgs. 163/2006 - Integrazione
documentale - Ammessa solamente per
documenti già prodotti.
Come è stato di recente chiarito, ai sensi
dell'art. 46 del D.lgs. n. 163/2006, i
criteri esposti ai fini dell'integrazione
documentale non possono servire a sopperire
alla mancanza di un documento, ma consentono
chiarimenti e integrazioni di un documento
prodotto (cfr. Cons. Stato, sez. V,
02.08.2010, n. 5084).
Nel caso di specie (presentazione di una
cauzione provvisoria di € 2.950,00 anziché
di € 2.980,00) non si è trattato di un
documento mancante o irregolarmente prodotto
bensì di mero errore di calcolo, peraltro di
importo irrisorio, rientrante, a giudizio
del Collegio, tra le irregolarità
suscettibili di integrazione (cfr. TAR
Lombardia, Milano, Sez. I, 26.10.2010, n.
7069).
In definitiva, la stazione appaltante ben
avrebbe potuto e dovuto azionare il
cosiddetto potere di soccorso anziché
adottare il provvedimento di esclusione (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano,
Sez. I,
sentenza
08.04.2011 n. 934 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Posa di condotta nel sottosuolo -
Autorizzazione - Suolo privato di terzi -
Consenso - Onere del ricorrente.
L'insistenza di parte della condotta in
sottosuolo privato non esime
l'Amministrazione dall'autorizzare, in
presenza delle condizioni di legge,
l'esecuzione dell'opera, dovendo poi essere
cura di chi vi abbia interesse richiedere il
necessario consenso ai proprietari privati
per la costituzione della relativa servitù
(fattispecie relativa al diniego di posa di
una condotta per l'azoto) (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 08.04.2011 n.
933 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI:
Concessione di servizi correlata all'uso di
un bene pubblico - Applicazione integrale
del Codice dei Contratti - Esclusa - Art. 30
D.lgs. 163/06 - Principi generali comunitari
sui contratti pubblici - Applicazione.
Qualora la procedura abbia ad oggetto una
concessione di servizi, cui è correlato
l'uso di un bene pubblico, non si applica la
disciplina racchiusa nel Codice dei
contratti ma, a norma dell'art. 30 dello
stesso D.lgs. 163/2006, i principi
desumibili dal Trattato UE ed i principi
generali relativi ai contratti pubblici
(trasparenza, pubblicità, non
discriminazione, parità di trattamento,
mutuo riconoscimento, proporzionalità).
La
gara in esame (servizio bar all'interno di
una scuola), anche a motivo della incidenza
economica contenuta, si caratterizza quindi
per una maggiore speditezza e
semplificazione procedimentale ed è sulla
base di tali premesse che debbono essere
definiti i motivi dedotti dalla ricorrente (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza
25.03.2011 n.
810 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Contratti
della p.a. - Appalto - Informativa antimafia
- Ampiezza dei poteri di accertamento della
p.a. - Sussiste - Conseguenze - E'
sufficiente un giudizio prognostico della
p.a. sull'eventuale presenza di
infiltrazioni criminali.
L'ampiezza dei poteri di accertamento
della p.a. circa i tentativi di
infiltrazione mafiosa o della criminalità
organizzata, in considerazione della
finalità preventiva del provvedimento,
giustifica che il Prefetto possa ravvisare
l'emergenza di tentativi di infiltrazione
mafiosa in fatti che seppure privi in sé
dell'assoluta certezza (quali, ad esempio,
una condanna penale riportata, collegamenti
parentali con soggetti malavitosi et alia),
siano comunque, nella loro valutazione
complessiva, tali da fondare un giudizio
prognostico che l'attività d'impresa possa,
anche in modo indiretto, agevolare le
attività criminali o esserne in qualche modo
condizionata per la presenza, nei centri
decisionali, di soggetti legati ad
organizzazioni mafiose (massima tratta da www.solom.it
- TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 09.03.2011 n.
677 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Contratti
della p.a. - Contratti sotto soglia -
Procedura di aggiudicazione - Pubblicazione
del bando da parte del Comune - A mezzo
internet - Legittimità - Sussiste.
In relazione alle procedure di
aggiudicazione dei contratti "sotto soglia",
da individuarsi alla stregua dei criteri
stabiliti dall'art. 3, comma 17, D.Lgs.
163/2006, l'utilizzo di internet costituisce
uno strumento idoneo a portare il bando a
conoscenza di una platea di destinatari
potenzialmente estesa, che va ben al di là
dell'ambito regionale, sicché risulta
garantito l'obiettivo della conoscibilità
del bando medesimo (Impugnazione promossa
dall'Ordine regionale dei geologi lombardi
con riferimento ad una procedura di
affidamento di un incarico professionale
disposta da un Comune, relativamente ad uno
studio geologico a supporto del piano di
governo del territorio) (Conf. v. Cons.
Stato, sez. V, 03.01.2002, n. 10) (massima tratta da www.solom.it
- TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 09.03.2011 n.
663 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Giustizia amministrativa - Competenza per
territorio - In materia di appalti da
eseguirsi nel territorio di una Regione -
Competenza TAR locale - Sussiste - Anche
in caso di impugnazione di bandi nazionali.
Il TAR locale è competente a giudicare
sulle controversie aventi ad oggetto atti di
una procedura di evidenza pubblica relativa
ad appalti o affidamenti che devono
eseguirsi nel territorio di una Regione,
risultando indifferente che vengano
impugnati bandi nazionali o altri atti
generali interni alla procedura, ancorché
emessi da organi centrali dello Stato,
ovvero che la gara si sia svolta a Roma
(cfr. ex plurimis Cons. Stato, sez. VI, 23.03.2010, n. 1690; Cons. Stato, sez. IV,
12.06.2007, n. 3102; Cons. Stato, sez. VI,
09.06.2005, n. 3045) (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 09.03.2011 n.
662 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Contratti della p.a. -
Appalto - Gara - Aggiudicazione -
Impugnazione - Termine - Decorre dalla
comunicazione di cui all'art. 79, comma 5,
Codice dei contratti pubblici per i
concorrenti - Decorre dalla pubblicazione
dell'Albo pretorio per coloro che non
abbiano partecipato alla gara.
La comunicazione prevista dall'art. 79,
comma 5, del Codice dei contratti pubblici
costituisce condizione imprescindibile
perché il concorrente consegua la piena
conoscenza di un elemento essenziale del
provvedimento lesivo e, cioè, l'identità del
soggetto aggiudicatario, cosicché il termine
per l'impugnazione dell'aggiudicazione di
una gara da parte di chi ad essa ha
partecipato decorre non già dalla
pubblicazione della delibera di
aggiudicazione definitiva all'Albo pretorio,
bensì dalla data di piena conoscenza della
delibera stessa conseguibile soltanto a
mezzo della richiamata comunicazione.
Viceversa, la mera pubblicazione della
delibera all'Albo pretorio costituisce forma
di conoscenza legale soltanto per chi, non
avendo partecipato alla procedura selettiva,
non è direttamente contemplato nell'atto in
questione e non è, quindi, destinatario
della comunicazione prevista dall'art. 79
comma 5, del Codice dei contratti (conf. v.
TAR Lazio Roma, sez. II, 02.12.2010, n.
35031) (massima tratta da www.solom.it
- TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 09.03.2011 n.
661 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
1. Contratti
della p.a. - Appalto - Gara - Verifica di
anomalia dell'offerta - Modalità - Obbligo
di verificare l'inesattezza delle singole
voci - Non sussiste - Valutazione
complessiva dell'offerta - Legittima.
2. Contratti
della p.a. - Appalto - Gara - Offerte -
Mancato rispetto dei limiti tabellari ovvero
dei valori indicati dalla contrattazione
collettiva - Non determina l'automatica
esclusione dalla gara - Ammissibilità delle
giustificazioni relative al costo del
personale da parte dell'aggiudicataria -
Sussiste.
1. Il giudizio di verifica della congruità
di un'offerta anomala ha natura globale e
sintetica sulla serietà o meno dell'offerta
nel suo insieme, e non ha per oggetto la
ricerca di specifiche e singole inesattezze
dell'offerta economica, mirando invece ad
accertare se l'offerta nel suo complesso sia
attendibile e, dunque, se dia o meno serio
affidamento circa la corretta esecuzione
dell'appalto.
2. Il mancato rispetto dei minimi tabellari,
o, in mancanza, dei valori indicati dalla
contrattazione collettiva in tema di costo
del lavoro da parte di un'impresa
concorrente non ne determina l'automatica
esclusione dalla gara, ma costituisce un
importante indice di anomalia dell'offerta
che dovrà essere poi verificata attraverso
un giudizio complessivo di remuneratività
consentendo, quindi, all'impresa interessata
di fornire le proprie giustificazioni in
merito.
Deve, di conseguenza, ritenersi
legittimo il comportamento tenuto da una
Commissione di gara che abbia ammesso le
giustificazioni relative al costo del
personale presentate dall'aggiudicataria
senza procedere all'esclusione automatica
della stessa, anche in ossequio ai principi
di diritto comunitario in materia di libera
concorrenza (conf. v., ex multis, Cons.
Stato, Sez. VI, 22.07.2010, n. 4783) (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 09.03.2011 n.
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ATTI AMMINISTRATIVI:
1. Annullamento
d'ufficio - Presupposti - Individuazione.
2. Annullamento - In
via di autotutela - Motivazione -
Ponderazione tra l'interesse pubblico e
interessi privati sacrificati - Necessità -
Sussiste - Soprattutto in presenza di
situazioni giuridiche soggettive
consolidate.
1. Presupposti dell'esercizio del potere di
annullamento d'ufficio con efficacia ex tunc
sono: l'illegittimità originaria del
provvedimento, l'interesse pubblico concreto
ed attuale alla sua rimozione, diverso dal
mero ripristino della legalità e l'assenza
di posizioni consolidate in capo ai
destinatari (conf. v. Cons. Stato, sez. IV,
27.11.2010, n. 8291).
2. La motivazione di un atto di autotutela
deve far emergere la comparazione tra
l'interesse pubblico all'adozione dell'atto
di annullamento e gli interessi privati
sacrificati, e deve essere tanto più
approfondita e stringente quanto più questi
ultimi si siano consolidati per effetto del
tempo trascorso (massima tratta da www.solom.it
- TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza
24.02.2011 n.
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APPALTI:
1. Contratti
della p.a. - Gara - Dichiarazioni ex art.
38, Codice dei contratti pubblici - Obbligo
- Procuratori ad negotia - Sussiste - Ratio.
2. Contratti
della p.a. - Gara - Requisiti di
partecipazione - Moralità dell'imprenditore
- Soggetti interessati - Individuazione -
Titolari del potere di scelta all'interno
dell'impresa - Ragioni.
1. L'obbligo di presentazione della
dichiarazione prevista dall'art. 38 del
Codice dei contratti pubblici, nella
formulazione precedente l'entrata in vigore
del D.L. 13.05.2011, n. 70, deve
ritenersi sussistente anche in capo ad un
soggetto che non rivesta formalmente la
carica di amministratore soltanto se, in
qualità di procuratore ad negotia, abbia
ottenuto il conferimento di poteri di
rappresentanza dell'impresa e di compiere
atti decisionali consistenti, in
particolare, nella possibilità di
partecipare alle gare e di firmare contratti
(conf. v. Cons. Stato, sez. V, 09.03.2010,
n. 1373).
2. L'interesse perseguito dal legislatore
con l'art. 38, D.Lgs. 12.04.2006, n. 163
-che richiede il possesso di determinati
requisiti c.d. di moralità nei confronti
dell'imprenditore e degli amministratori con
poteri di rappresentanza- è quello di
verificare la condotta di coloro che
determinano le scelte all'interno
dell'impresa e non di coloro che manifestano
all'esterno tali scelte, pur se dotati di
poteri gestionali, ove gli stessi siano
circoscritti nell'ambito degli indirizzi
impartiti dall'imprenditore (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza
24.02.2011 n.
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APPALTI:
Contratti della p.a. -
Valutazione dell'offerta economica - Formula
di valutazione - Discrezionalità - Sussiste
- Condizioni - Proporzionalità fra punteggi
assegnati e singole offerte - Necessaria.
La formula da utilizzare per la valutazione
dell'offerta economica, essendo espressione
di una scelta ampiamente discrezionale
dell'Amministrazione, deve ritenersi
corretta ove sia tale da consentire una
ripartizione dei punteggi, fra le singole
offerte economiche, che risulti connotata da
non incongrui rapporti proporzionali (conf.
v. TAR Lombardia Milano, sez. I, 10.08.2009,
n. 4572) (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza
22.02.2011 n.
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ATTI AMMINISTRATIVI:
Sindacato
giurisdizionale - In presenza di
discrezionalità tecnica - Ammissibilità -
Limiti - Esistenza di errori obiettivi ,
vizi procedimentali, vizi logici
manifestamene percepibili.
Laddove vi sia esercizio di
discrezionalità tecnica, il sindacato
giurisdizionale è ammissibile nei limiti in
cui la critica del ricorrente sia volta a
lamentare errori obiettivi (di fatto, di
calcolo o nell'uso di regole mutuate da
scienze esatte o da procedimenti tecnici),
vizi procedimentali, o anche vizi logici
manifestamente percepibili e/o contrasti con
regole mediante le quali la stessa
Amministrazione si sia autovincolata (conf.
v. TAR Lazio Roma, sez. II, 09.09.2009, n.
8437) (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 22.02.2011 n.
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APPALTI:
Contratti della p.a. -
Criterio di aggiudicazione - Offerta
economicamente più vantaggiosa - Motivazione
- Espressa mediante punteggio numerico -
Ammissibile - Condizioni - Criteri di
giudizio stabiliti in modo analitico.
In caso di aggiudicazione con il criterio
dell'offerta economicamente più vantaggiosa,
il punteggio numerico può essere ritenuto
una sufficiente motivazione quando i criteri
di giudizio stabiliti siano estremamente
puntuali ed analitici, sicché anche il solo
dato numerico -predeterminato nel minimo e
nel massimo- è idoneo a dimostrare la
logicità dell'apprezzamento tecnico (conf.
v. Cons. Stato, sez. V, 29.12.2009, n.
8833; TAR Lombardia Brescia, sez. II, 19.11.2010, n. 4660; TAR Sicilia-Catania, sez. III,
16.11.2010, n. 4469; TAR Campania Salerno,
sez. I, 11.05.2010, n. 5929) (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 22.02.2011 n.
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APPALTI:
1. Contratti
della p.a. - Appalto - Offerte - Verifica di
anomalia - Obbligo di motivare in maniera
approfondita - Sussistenza - Soltanto nel
caso di giudizio negativo idoneo a far
venire meno l'aggiudicazione.
2. Contratti
della p.a. - Bando di gara - Clausole
immediatamente preclusive della
partecipazione alla gara - Impugnazione
immediata - Necessità - Sussiste.
3. Contratti
della p.a. - Appalto - Verifica
dell'integrità dei plichi - Deve svolgersi
in seduta pubblica - Principio generale -
Violazione - Sussiste in caso di apertura
riservata dei plichi - Effetti -
Illegittimità della procedura di gara.
1. Il giudizio positivo di congruità
dell'offerta sospetta di anomalia non
abbisogna di motivazione puntuale ed
analitica, essendo sufficiente anche un
rinvio alle argomentazioni e alle
giustificazioni della parte che ha formulato
l'offerta sottoposta a verifica con esito
positivo, mentre si impone una motivazione
particolarmente diffusa ed analitica
soltanto in caso di giudizio di anomalia che
porta a non procedere all'aggiudicazione a
favore dell'impresa che abbia formulato il
migliore ribasso (conf. v. TAR Piemonte,
sez. I, 16.11.2009, n. 2553).
2. Soltanto le clausole dei bandi di
concorso che prevedono requisiti soggettivi
che siano immediatamente preclusivi della
partecipazione alla gara debbono essere
impugnate nel prescritto termine di
decadenza dai soggetti interessati, senza
attendere l'adozione di appositi
provvedimenti, che ne diano successivamente
applicazione (conf. v. Cons. Stato, sez. VI,
08.07.2010, n. 4437).
3. Costituisce principio inderogabile in
qualunque tipo di gara quello secondo il
quale devono svolgersi in seduta pubblica
gli adempimenti concernenti la verifica
dell'integrità dei plichi contenenti
l'offerta, sia che si tratti di
documentazione amministrativa, che di
documentazione riguardante l'offerta tecnica
ovvero quella economica: risulta
conseguentemente illegittima l'apertura
riservata dei plichi, con conseguente
illegittimità dell'intera procedura di gara (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 22.02.2011 n.
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ATTI AMMINISTRATIVI:
Acquiescenza -
Fattispecie - Ipotesi in cui risulta
ravvisabile.
Ricorre acquiescenza a un provvedimento
amministrativo soltanto nel caso in cui il
destinatario del provvedimento medesimo
dimostri la chiara e incondizionata volontà,
cioè non rimessa a eventi futuri e incerti,
di accettarne gli effetti e l'operatività (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 22.02.2011 n.
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ATTI AMMINISTRATIVI:
Procedimento amministrativo - Partecipazione
- Ordinanza comunale di limitazione del
traffico - Natura - Atto amministrativo
generale - Conseguenze - Obbligo di
comunicazione di avvio del procedimento -
Non sussiste.
I destinatari diretti di una misura di
limitazione del traffico in ambito comunale
sono tutti coloro che, cittadini o meno,
possano far uso della viabilità così
regolamentata.
Ne consegue che la misura in
parola si configura come un atto
amministrativo generale sottratto -in base
al disposto dell'art. 13, comma 1, L.
241/1990- alla regola generale di
comunicazione di avviso di avvio del
procedimento (conf. v. Cons. Stato, sez. V,
29.06.2006, n. 3259) (massima tratta da www.solom.it
- TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 21.02.2011 n.
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ENTI LOCALI:
Dismissione beni pubblici - Impugnazione
atti relativi alla gara - Giurisdizione
amministrativa - Sussiste.
In tema di dismissione di beni pubblici,
spetta al Giudice amministrativo, alla luce
del criterio di riparto della giurisdizione
basato sul petitum sostanziale, la
giurisdizione in ordine all'impugnazione
degli atti di indizione dell'asta e
aggiudicazione a terzi di un bene immobile
pubblico.
Come chiarito dalla giurisprudenza
di legittimità, infatti, in sede di
contestazione dell'illegittimità della
procedura, quale espressione di attività
pubblicistica provvedimentale, la posizione
del privato riveste carattere di interesse
legittimo e non invece di diritto soggettivo
(come avviene, ad esempio, laddove si faccia
valere il mancato rispetto del diritto di
opzione spettante ai locatari) con la
conseguenza che le relative controversie
sono devolute al Giudice amministrativo
(Cfr. Cass. Civ., SS.UU., 05.03.2010, n.
5288) (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 21.02.2011 n.
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APPALTI:
Contratti della p.a. -
Gara - Aggiudicazione - Metodo dell'offerta
economicamente più vantaggiosa - Criteri di
individuazione - Attribuzione di punteggi
alle singole componenti dell'offerta -
Potere discrezionale della p.a. - Sussiste.
L'attribuzione dei punteggi alle singole
componenti dell'offerta -in una procedura ad
evidenza pubblica da aggiudicarsi secondo il
metodo dell'offerta economicamente più
vantaggiosa- è rimessa al potere
discrezionale della pubblica
amministrazione, cui compete stabilire in
qual modo la qualità del servizio debba
rapportarsi con il suo costo, e risulta
sottratta al sindacato di legittimità del
Giudice amministrativo, tranne che per vizi
meramente estrinseci (massima tratta da www.solom.it
- TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 21.02.2011 n.
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APPALTI:
Contratti della p.a. -
Forme di contrattazione - Procedura
negoziata - Bando - Possibilità di offerte
migliorative plurime - Fase di rilancio -
Contrattazione con tutte le imprese
concorrenti - Legittima.
Nell'ambito di una procedura negoziata per
l'affidamento di un servizio, qualora il
bando abbia previsto la possibilità di
offerte migliorative plurime, la stazione
appaltante può attendere di conoscere il
contenuto delle offerte per poi valutare se
l'esito risponda o meno alle proprie
aspettative e, nella eventuale fase di
rilancio, può legittimamente negoziare con
tutte le imprese concorrenti (e non soltanto
con l'impresa che abbia offerto il massimo
ribasso al termine della prima fase) (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 21.02.2011 n.
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APPALTI:
Mancato assolvimento
dell'obbligo di comunicazione
dell'aggiudicazione definitiva ai
concorrenti non vincitori - Non determina
l'invalidità dell'aggiudicazione ma rileva
ai fini della decorrenza dei termini per
l'impugnazione.
L'inosservanza da parte della stazione
appaltante dell'obbligo di comunicazione
dell'aggiudicazione definitiva ai
concorrenti non vincitori della procedura
selettiva non costituisce causa sopravvenuta
di invalidità dell'aggiudicazione, incidendo
esclusivamente sul distinto profilo della
tutela degli interessati e rilevando ai fini
della decorrenza dei termini per proporre
ricorso al Giudice amministrativo avverso
l'aggiudicazione (30 giorni dall'avvenuta
conoscenza) (Cfr. Cons. Stato, Sez. V
08.07.2010 n. 4434) (massima tratta da www.solom.it
- TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 21.02.2011 n.
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APPALTI:
1. Contratti
della p.a. - Art. 11, comma 8, D.Lgs. 12.04.2006, n. 163 - Verifica dei
prescritti requisiti di qualificazione -
Costituisce condizione di efficacia
dell'aggiudicazione definitiva - Ratio.
2. Contratti
della p.a. - Appalto - Gara - Commissione -
Composizione - Art. 84, comma 2, D.Lgs. 12.04.2006, n. 163 - Esperienza dei
componenti - Interpretazione - Va valutata
in capo alla Commissione nel suo complesso.
1. La verifica del possesso in capo al
concorrente dei "prescritti requisiti",
prevista dall'art. 11, comma 8, del Codice
dei contratti pubblici, si pone come
condizione di efficacia dell'aggiudicazione
definitiva, a specifica salvaguardia
dell'interesse pubblico affinché, nei
confronti di chi sarà il futuro contraente
dell'Amministrazione, siano puntualmente
accertati i necessari requisiti di
partecipazione alla gara e quelli di
stipulazione (conf. v. TAR Veneto, sez.
I, 04.08.2010, n. 3447).
2. Il requisito generale della competenza
tecnica nel settore nel quale si colloca la
fornitura di beni ovvero la prestazione di
servizi previsto dall'art. 84, comma 2,
D.Lgs. 12.04.2006, n. 163, per i
componenti della Commissione giudicatrice di
una gara per l'affidamento di un appalto
pubblico, deve essere inteso gradatamente e
in modo coerente con la poliedricità delle
competenze di volta in volta richieste in
relazione alla complessiva prestazione da
affidare; non è necessario, pertanto, che
l'esperienza professionale di ciascun
componente copra tutti i possibili ambiti
oggetto di gara, in quanto è la Commissione,
unitariamente considerata, che deve
garantire quel grado di conoscenze tecniche
richiesto nel caso specifico, in ossequio al
principio di buon andamento della pubblica
amministrazione (conf. v. TAR Lombardia,
Milano, sez. I, 23.11.2010, n. 7320) (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 11.02.2011 n.
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APPALTI SERVIZI:
Illuminazione votiva dei
cimiteri comunali - Rientra nella categoria
delle concessioni di pubblico servizio -
Effetti - Applicabilità dell'art. 23-bis,
comma 8, del D.L. 112/2008 - Sussiste -
Conseguenze - In caso di precedente
affidamento senza gara - Cessazione ope
legis dell'affidamento medesimo alla data
del 31.12.2010.
L'attività di illuminazione votiva
cimiteriale, pur richiedendo la
realizzazione di impianti e la loro
manutenzione da parte dell'impresa
affidataria, rientra nella categoria delle
concessioni di pubblico servizio e, come
tale, risulta soggetta alla disciplina di
cui all'art. 113, comma 15-bis, D.Lgs. 18.08.2000, n. 267 e all'art. 23-bis, comma
8, del D.L. 25.06.2008, n. 112 secondo
cui «le gestioni affidate che non rientrano
nei casi di cui alle lettere da a) a d)
cessano comunque entro e non oltre la data
del 31.12.2010, senza necessità di
apposita deliberazione dell'ente affidante».
(Nella specie, il TAR ha ravvisato
un'ipotesi di cessazione ope legis del
servizio di illuminazione votiva nei
confronti un'impresa affidataria senza gara
del servizio medesimo, in quanto non
rientrante nelle ipotesi contemplate alle
lettere da a) a d) del D.L. 25.06.2008, n.
112) (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 11.02.2011 n.
450 - link a
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APPALTI:
1. Contratti
della p.a. - Appalto - Gara - Documentazione
- Irregolarità - Integrazione documentale -
Legittima - In caso chiarimenti relativi ad
un documento incompleto.
2. Contratti
della p.a. - Bando - Clausole di esclusione
- Interpretazione - Divieto di analogia -
Sussiste.
1. Ai sensi dell'art. 46, D.Lgs. 12.04.2006,
n. 163, alla stazione appaltante è precluso
sopperire, mediante la richiesta
d'integrazione documentale, all'omessa
presentazione di un documento da parte di un
concorrente, atteso che l'integrazione
documentale riguarda semplici chiarimenti di
un documento incompleto, mentre l'omessa
allegazione di un documento o di una
dichiarazione, previsti a pena di
esclusione, non può considerarsi alla
stregua di un'irregolarità sanabile (Nella
specie, il TAR ha ritenuto legittimo
l'operato della stazione appaltante che a
fronte della produzione in gara, da parte
dell'impresa risultata aggiudicataria, di
una polizza fideiussoria completa in ogni
sua parte e mancante della sola firma
dell'assicurato, ne ha consentito la
successiva regolarizzazione).
2. Le clausole di esclusione previste dalla
lex specialis sono di stretta
interpretazione, essendo preclusa ogni loro
estensione analogica, specie quando
involgano profili privi di effettiva
sostanza (In applicazione di tale
principio, il TAR ha ritenuto che la
divergenza sul luogo di residenza dichiarato
dall'amministratore dell'impresa
aggiudicataria -e quella risultante dalla
carta di identità- non comporti la sua
esclusione ma possa, al limite, determinare
una richiesta di integrazione ex art. 46, D.Lgs.
12.04.2006, n. 163) (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 11.02.2011 n.
449 - link a
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APPALTI SERVIZI:
Concessione - Servizi
pubblici - Normativa applicabile -
Disciplina del Codice dei contratti pubblici
- Applicazione integrale - Esclusa - Limiti
- Divieto di disapplicazione del bando -
Sussiste.
Sebbene la concessione di servizi risulti
sottratta ex lege all'applicazione del
Codice dei contratti pubblici, nondimeno
l'art. 30, comma 3, D.Lgs. 12.04.2006,
n. 163 stabilisce che la scelta del
concessionario debba avvenire nel rispetto
dei principi desumibili dal Trattato UE e
dei principi generali relativi ai contratti
pubblici, fra i quali rientra certamente
anche quello, di ordine generale, che vieta
la disapplicazione del bando quando
l'Amministrazione si sia in origine autovincolata (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 11.02.2011 n.
448 - link a
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APPALTI:
Associazione temporanea di imprese -
Verifica dei requisiti di accesso alla gara
- Requisiti di idoneità tecnica -
Dimostrazione - Sommatoria dei mezzi e delle
qualità delle singole imprese raggruppate -
Possibile - Salvo diversa previsione del
bando di gara.
Ove la legge di gara non preveda una soglia
minima quantitativa per ciascuna impresa
facente parte di un'ATI, il possesso dei
requisiti oggettivi di idoneità tecnica può
essere dimostrato facendo riferimento alla
sommatoria dei mezzi e delle qualità delle
singole imprese del raggruppamento (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 03.02.2011 n.
340 - link a
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dalla Legge n. 111 del 15.07.2011 - Misure
economico-finanziarie di interesse per il
settore delle costruzioni (ANCE,
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SICUREZZA LAVORO: Come
riconoscere e gestire i pericoli sul lavoro.
Ecco le regole FONDAMENTALI.
Molti infortuni si verificano svolgendo le
attività più semplici e banali, come
camminare, salire o scendere le scale,
trasportare carichi.
In questi casi si è soliti sottovalutare i
rischi e pensare “a me non capiterà mai”.
Il SUVA ha pubblicato un opuscolo, di
carattere generale (quindi adatto a diverse
tipologie di rischio), che contiene una
serie di regole fondamentali in materia di
sicurezza sul lavoro.
Nel documento viene messa in risalto la
necessità di prestare attenzione a tutta una
serie di circostanze, vengono forniti
pratici consigli su come utilizzare le
scale, su come sollevare i carichi, su come
comportarsi in caso di emergenza e tanto
altro
(28.07.2011 - link a www.acca.it). |
QUESITI &
PARERI |
APPALTI:
Aggiudicazione provvisoria e successiva
negazione in via di autotutela.
Domanda.
La
stazione appaltante, dopo la provvisoria
aggiudicazione di un appalto pubblico, può
in via di autotutela negare liberamente
l'aggiudicazione?
Risposta.
Poiché in materia di appalti pubblici,
l'aggiudicazione provvisoria è inidonea a
generare nella ditta provvisoriamente
aggiudicataria una posizione consolidata di
vantaggio, l'Amministrazione che intende
esercitare il potere di autotutela rispetto
all'aggiudicazione provvisoria ha l'onere di
motivazione fortemente attenuato, circa le
ragioni di interesse pubblico che lo hanno
determinato, essendo sufficiente che sia
reso palese il ragionamento seguito per
giungere alla determinazione negativa
attraverso l'indicazione degli elementi
concreti ed obiettivi in base ai quali si
ritiene di non procedere all'aggiudicazione
(25.07.2011 - tratto da
www.ipsoa.it). |
ARAN & SINDACATI |
PUBBLICO IMPIEGO: Ipotesi
di contratto collettivo nazionale quadro di
integrazione e modifica del CCNQ 09.10.2009
(ARAN,
ipotesi 29.07.2011) |
PUBBLICO IMPIEGO: Oggetto:
Schema di decreto correttivo del Decreto
legislativo 150/2009 (Decreto Brunetta)
(CSA-Roma,
nota 29.07.2011 n. 317 di prot.). |
PUBBLICO IMPIEGO: Il
decreto correttivo della "riforma Brunetta"
manda in soffitta le fasce di merito
(CGIL-FP di Bergamo,
nota 26.07.2011). |
PUBBLICO IMPIEGO: Firmata
l'ipotesi di contratto decentrato
integrativo al Comune di Albino
(CGIL-FP di Bergamo,
nota 22.07.2011). |
PUBBLICO IMPIEGO: Decade
l'obbligo della visita fiscale il primo
giorno di malattia
(CGIL-FP di Bergamo,
nota 22.07.2011). |
PUBBLICO IMPIEGO: La
manovra e Brunetta fanno male al pubblico
impiego
(CGIL-FP di Bergamo,
nota 20.07.2011). |
GURI - GUUE -
BURL (e anteprima) |
ENTI LOCALI - VARI: G.U.
27.07.2011 n. 173 "Comunicato relativo
alla legge 15.07.2011, n. 111, recante:
«Conversione in legge, con modificazioni,
del decreto-legge 06.07.2011, n. 98, recante
disposizioni urgenti per la stabilizzazione
finanziaria.» (Legge pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale – serie generale – n. 164
del 16.07.2011)" (errata-corrige). |
PUBBLICO IMPIEGO: G.U.
27.07.2011 n. 173 "Attuazione
dell’articolo 23 della legge 04.11.2010, n.
183, recante delega al Governo per il
riordino della normativa in materia di
congedi, aspettative e permessi"
(D.Lgs. 18.07.2011 n.
119). |
ENTI LOCALI: G.U.
26.07.2011 n. 172 "Disposizioni in
materia di armonizzazione dei sistemi
contabili e degli schemi di bilancio delle
Regioni, degli enti locali e dei loro
organismi, a norma degli articoli 1 e 2
della legge 05.05.2009, n. 42"
(D.Lgs. 23.06.2011 n.
118). |
ENTI LOCALI - VARI: G.U.
25.07.2011 n. 171 "Ripubblicazione del
testo del decreto-legge 06.07.2011, n. 98
(in Gazzetta Ufficiale - Serie generale - n.
155 del 06.07.2011), convertito, con
modificazioni, dalla legge 15.07.2011, n.
111, (in Gazzetta Ufficiale - Serie generale
- n. 164 del 16.07.2011) , recante:
«Disposizioni urgenti per la stabilizzazione
finanziaria.»" (parte
1^ -
parte 2^
-
parte 3^ -
parte 4^). |
APPALTI:
G.U. 25.07.2011 n. 171 "Trasmissione dei
dati dei contratti pubblici di lavori,
servizi e forniture - settori ordinari e
speciali - uniformazione delle soglie minime
di importo"
(AVCP,
comunicato del
Presidente del 15.07.2011). |
EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI: B.U.R.
Lombardia, serie ordinaria n. 30 del
25.07.2011, "Indirizzi per l’uso e la
manomissione del sottosuolo"
(decreto D.G.
19.07.2011 n. 6630). |
AUTORITA'
VIGILANZA CONTRATTI PUBBLICI |
APPALTI:
Manuale di dimostrazione dei requisiti ex
articoli 78 e 79 del D.P.R. n. 207/2010 e
delle procedure di verifica e valutazione da
parte delle SOA.
In occasione dell’entrata in vigore del
Regolamento di attuazione del Codice degli
Appalti, l’Autorità ha predisposto un
Manuale di dimostrazione dei requisiti ex
articoli 78 e 79 del D.P.R. n. 207/2010 da
parte degli operatori economici che
intendono ottenere un attestato di
qualificazione e delle procedure di verifica
e valutazione da parte degli Organismi di
Attestazione.
Il documento predisposto esamina -nel
dettaglio- ognuno dei requisiti richiesti,
individuando per ciascuno di essi le
corrette modalità operative cui devono
attenersi le imprese in sede di istanza di
attestazione e le SOA in sede di verifica
degli stessi.
La pubblicazione del documento avverrà in
Gazzetta Ufficiale (28.07.2011 - link
a www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI:
Comunicato alle SOA e alle Stazioni
appaltanti su novità recate dalla legge n.
106 del 12.07.2011, di conversione, con
modificazioni, del D.L. 13.05.2011 n. 70 in
tema: a) di categorie di qualificazione
soggette alla disciplina transitoria
prevista dall’art. 357 del D.P.R. 207/2010;
b) di tariffe minime per effetto
dell’integrazione prevista all’art. 40,
comma 4, lett. e), del decreto legislativo
12.04.2006, n. 163 (comunicato
del Presidente del 22.07.2011 -
link a www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI:
Regolamento di attuazione del
Codice - Focus Regolamento: tabella di
comparazione tra la nuova e la precedente
normativa.
Pubblicato il
Focus
Regolamento (luglio 2011), si tratta
di una tabella elaborata dall'Avcp per
fornire agli operatori del settore un utile
strumento di comparazione tra la normativa
preesistente e il nuovo regolamento
attuativo del codice dei contratti pubblici.
La tabella riporta la normativa
regolamentare previgente (D.P.R. 21.12.1999,
n. 554; D.P.R. 25.01.2000, n. 34; D.M.
19.04.2000, n. 145; ecc.) ed il D.P.R.
05.10.2010, n. 207. Il testo del regolamento
è aggiornato alle modifiche apportate dal
D.L. 13.05.2011, n. 70, così come
convertito, con modificazioni, con L.
12.07.2011, n. 106 (link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
DOTTRINA E
CONTRIBUTI |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
A. Pierobon,
Il SISTRI come governance dei rifuti?
Ortopedie, dermatologie, chirurgie,
immunologie (link a
www.lexambiente.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA -
EDILIZIA PRIVATA:
L. Fanizzi,
Acque meteoriche, acque meteoriche di
dilavamento e di prima pioggia:
approfondimento (link a
www.lexambiente.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
G. Tapetto,
Il Regolamento 333/2011/UE sulla cessazione
di rifiuto e l'interazione con il regime
autorizzativo nazionale (link a
www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
M. Ceruti,
Lo stato della normativa e del contenzioso
amministrativo in materia di inquinamento
elettromagnetico (link a
www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA: M.
Bottone,
La sanatoria paesaggistica permanente per
qualsiasi abuso - Il Dubbio e la Speranza
(27.07.2011). |
EDILIZIA PRIVATA:
M. Grisanti,
La sanatoria paesaggistica permanente per
qualsiasi abuso (analisi degli articoli 146
e 167 del D. Lgs. n. 42/2004 e ss.mm.ii.)
(link a www.lexambiente.it). |
APPALTI:
T. Servetto e R. Maccia,
Gara di appalto e cause di esclusione di cui
all'art. 38, comma 1, lett. c), D.Lgs.
163/2006 (link a www.diritto.it). |
APPALTI:
L. Bellagamba,
Le perle nella determinazione 07.07.2011, n.
4, dell’Autorità: «Linee guida sulla
tracciabilità dei flussi finanziari ai sensi
dell’articolo 3 della legge 13.08.2010, n.
136»
(link a www.linobellagamba.it). |
APPALTI: L.
Bellagamba,
L’aggiudicazione definitiva, la sua
efficacia e la verifica della regolarità
contributiva, dopo l’entrata in vigore del
regolamento
(link a www.linobellagamba.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
M. Cito,
Abuso d'ufficio e dintorni (link
a www.diritto.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
G. Bertagna e M. Catellani,
I COMPENSI PER IL
CENSIMENTO
(tratto
dalla newsletter di www.publika.it n. 43 -
luglio/agosto 2011). |
PUBBLICO IMPIEGO: S.
Facello e M. Tiraboschi,
Congedi, aspettative e permessi: al via il
riordino della normativa (Guida
al Lavoro n. 26/2011 - link a
www.ilsole24ore.com). |
CORTE DEI
CONTI |
CONSIGLIERI COMUNALI: Il
condono tributario «esteso» condanna i
consiglieri comunali.
C'è responsabilità amministrativa per i
consiglieri comunali che hanno votato un
condono tributario illegittimo.
È questo il
principio fissato dalla
sentenza
01.06.2011 n. 976 della Corte dei conti della
Campania.
Con la pronuncia sono stati
condannati i consiglieri del Comune di
Benevento che hanno esteso il condono dei
tributi locali contenuto nell'articolo 13
della legge 289/2002, la finanziaria 2003,
al di là dei limiti fissati dal legislatore.
Condannata anche la società incaricata della
riscossione dei tributi.
Il danno è stato provocato dalla
deliberazione con cui il Comune ha esteso
l'ambito di applicazione del condono
tributario al canone per la depurazione,
nonostante si sia in questo caso in presenza
di un corrispettivo e non di un tributo
proprio, mentre il legislatore riservava
espressamente il condono ai soli tributi.
La responsabilità matura perché «l'esimente
da responsabilità amministrativa prevista
per gli organi politici che abbiano
approvato o fatto eseguire in buona fede
atti ricompresi nelle competenze di uffici
tecnici o amministrativi, non può trovare
applicazione nei casi in cui l'organo
politico abbia esercitato una propria
attribuzione di amministrazione attiva, in
una materia che la legge riserva all'organo
stesso e nella quale gli uffici tecnici o
amministrativi abbiano espletato funzioni
istruttorie ovvero consultive e comunque di
mero supporto strumentale».
I giudici contabili aggiungono che «la buona
fede dell'organo politico è ravvisabile
allorché esso abbia espresso la sua volontà
ignorando di arrecare un pregiudizio
patrimoniale all'erario, quando siano
assenti elementi di segno opposto, ma non
anche allorché abbia violato suoi doveri
specifici, com'è invece avvenuto nel caso di
specie. Va, al contrario, configurata una
responsabilità del Consiglio comunale come
organo collegiale per aver svolto in modo
pesantemente negligente un adempimento che
rientrava nelle sue specifiche incombenze e
vanno nel contempo individuati (come in
realtà è stato fatto) all'interno del
medesimo organo, i singoli soggetti che, col
loro voto espresso, hanno contribuito a dar
vita ad una deliberazione censurabile sotto
il profilo dell'illiceità».
Il danno viene quantificato nella differenza
tra ciò che si sarebbe dovuto riscuotere e
ciò che effettivamente è stato riscosso.
Inoltre, sono stati sommati gli effetti
negativi che determinati dal condono per il
mancato introito Iva da parte dello Stato
sul corrispettivo
(articolo Il Sole 24
Ore del 25.07.2011). |
ENTI LOCALI - SEGRETARIO COMUNALE:
SÌ ALLA RIDUZIONE DEL 10% DELLA
REMUNERAZIONE DEL DIRETTORE GENERALE
DELL’ENTE LOCALE.
Enti locali - Riduzione del 10% della
remunerazione prevista dall’art. 6, co. 3,
del Dl n. 78 del 2010 - Si applica in ogni caso
anche al direttore generale.
La riduzione
percentuale pari al 10% prevista dall’art.
6, co. 3, del Dl n. 78/2010 si applica alla
remunerazione delle funzioni di direttore
generale (anche laddove attribuite al
segretario generale).
NOTA
La sezione lombarda ha precisato che la
soppressione dell’incarico del direttore
generale, tranne che per i comuni con
popolazione superiore a 100mila abitanti,
disposta dall’art. 2, co. 186, lett. d),
della L. n. 191/2009, come modificata dalla
L. n. 42/2010, concerne non solo l’ipotesi
del direttore esterno, ma anche quella del
segretario comunale, cui è impedito di
rivestire il doppio incarico ai sensi
dell’art. 108, co. 4, del Tuel.
L’impossibilità di conferire tali funzioni
al segretario comunale ha come corollario il
divieto di corrispondere il relativo
compenso aggiuntivo al medesimo funzionario.
Specifiche responsabilità gestorie per far
fronte alle esigenze dei comuni interessati
devono essere affidate ai dipendenti in
servizio presso l’amministrazione ovvero al
medesimo segretario comunale nell’ambito
delle competenze di coordinamento ex art.
97, co. 4, del Tuel.
La disposizione soppressiva, di cui all’art.
2, co. 186, lett. d), come modificato dalla
L. n. 42/2010, si applica dalla scadenza dei
singoli incarichi dei direttori generali in
essere alla data di entrata in vigore della
legge di conversione del Dl. È stato,
dunque, espressamente risolto per via
normativa il profilo del regime transitorio,
disciplinando la sorte della figura del
direttore generale in essere all’entrata in
vigore della legge, prevedendo l’esaurimento
del ruolo sino alla scadenza del singolo
incarico.
Per quanto attiene
all’applicazione al compenso del direttore
generale della riduzione percentuale pari al
10% prevista dall’art. 6, co. 3, del Dl n.
78/2010, il legislatore ha disposto che a
decorrere dall'01.01.2011 le indennità,
i compensi, i gettoni, le retribuzioni o le
altre utilità comunque denominate,
corrisposte dalle pubbliche amministrazioni
di cui al co. 3 dell’art. 1 della L. n.
196/2009, incluse le autorità indipendenti,
ai componenti di organi di indirizzo,
direzione e controllo, consigli di
amministrazione e organi collegiali comunque
denominati ed ai titolari di incarichi di
qualsiasi tipo, siano automaticamente
ridotte del 10% rispetto agli importi
risultanti alla data del 30.04.2010.
Al
riguardo, ad avviso dei giudici contabili
lombardi, va valorizzata un’interpretazione
del testo di legge da ultimo indicato nel
senso di una generalizzata applicazione
della decurtazione imposta dal legislatore
nei confronti degli enti locali,
comprendendo in tale riduzione la
remunerazione delle funzioni di direttore
generale (anche laddove attribuite al
segretario generale), atteso l’espresso
riferimento letterale ai titolari di
incarichi di qualsiasi tipo.
Siffatta
esegesi conferisce, altresì, in un’ottica teleologico-sistematica, effettività al
disegno di contenimento dei costi
dell’apparato amministrativo e, quindi, più
in generale nell’ambito delle misure di
razionalizzazione della spesa finalizzate al
rispetto dei principi di coordinamento della
finanza pubblica (cfr. sez. controllo
Toscana n. 67/2011)
(tratto da Guida al Pubblico Impiego n.
7-8/2011 - Corte dei Conti, Sez. reg.
controllo Lombardia,
parere 26.05.2011 n. 315 - link a www.corteconti.it). |
CONSIGLIERI COMUNALI - PUBBLICO IMPIEGO: Responsabilità
da aumento.
Superato il tetto delle retribuzioni di
posizione dei dirigenti.
IL PUNTO -
Decisivo il fatto che l'incremento sia stato
deliberato senza rispettare i vincoli dei
contratti collettivi - MOTIVAZIONE
INSUFFICIENTE - Non basta il richiamo
all'evoluzione della struttura
organizzativa. Servivano ulteriori
indicazioni sulla complessità dell'ente.
Se non rispetta i vincoli dettati dai
contratti collettivi, l'aumento delle
retribuzioni di posizione dei dirigenti fa
nascere la responsabilità amministrativa.
È
questo il principio che, per la prima volta,
ha stabilito la Corte dei conti del Lazio,
con la
sentenza
02.05.2011 n. 714, resa
nota solo nei giorni scorsi.
Da sottolineare
che la sentenza prende spunto dai rilievi
mossi dagli ispettori della Ragioneria
generale dello Stato a una Camera di
commercio.
Nel caso specifico l'ente ha deliberato,
come consentito dal contratto collettivo
nazionale nel caso di strutture che hanno un
elevato grado di complessità, il superamento
del tetto massimo della retribuzione di
posizione per i dirigenti. Tale incremento,
che ovviamente deve essere finanziato dal
fondo per le risorse decentrate della
dirigenza, non risulta però adeguatamente
motivato.
In particolare, il semplice richiamo alla
«evoluzione della struttura organizzativa»
non può in alcun modo essere considerato
sufficiente. Inoltre, nel caso specifico
manca un diretto e immediato collegamento
tra un fatto o, per meglio dire, una
specifica misura organizzativa e la
deliberazione di incremento del fondo per la
contrattazione decentrata integrativa.
Bisogna considerare, ci dicono i giudici
contabili, che non è «ragionevole pensare di
poter incrementare la misura di tale
retribuzione ad ogni accrescimento delle
funzioni dirigenziali, ma occorre in via
aggiuntiva sostanziare la relativa
motivazione con ulteriori e puntuali
indicazioni sulla complessità dell'ente».
L'illegittimità dell'atto è accentuata dalla
scelta dell'ente di incrementare il fondo in
misura da potere finanziare questo onere
aggiuntivo. E, ancora, dal fatto che
l'incremento è stato ulteriormente aumentato
a causa della sua illecita estensione anche
alla 13ª mensilità.
Inoltre, prosegue la Corte dei conti, non si
deve «dimenticare che l'azione
amministrativa deve sempre rispondere ai
canoni di efficacia ed economicità di cui
all'articolo 1, legge 241/1990, criteri che
assumono rilevanza sul piano della
legittimità e non della mera opportunità».
Non è assolutamente sufficiente la volontà
dell'ente, il quale «ritiene comunque di
premiare l'impegno profuso dai dirigenti
nella migliore realizzazione degli obiettivi
strategici fissati dall'Organo di governo e
nella efficace, efficiente ed economica
gestione dell'attività amministrativa». In
questo caso, sempre nell'ambito delle
risorse previste dal fondo, occorreva
provvedere all'aumento della retribuzione di
risultato, ovviamente in presenza della
condizione (che non non si era peraltro
concretizzata nel caso specifico) che
fossero stati preliminarmente assegnati gli
obiettivi.
La responsabilità matura in primo luogo in
capo al segretario generale dell'ente, sia
come beneficiario dell'aumento che come
soggetto proponente la deliberazione. Egli,
dicono i giudici, si è «guardato bene
dall'esprimere dubbi di legittimità della
delibera essendone il diretto beneficiario».
La responsabilità amministrativa si estende
ai vertici politici che hanno assunto il
relativo provvedimento, nonché ai revisori
dei conti che hanno omesso il necessario
controllo: «la delibera è un emblematico
esempio di acrobazia
amministrativo-contabile per mascherare
l'illecita utilizzazione di risorse
finanziarie pubbliche. Specchio della
gravità del comportamento dei membri della
Giunta, ma anche dei revisori dei conti,
oltre a quella del segretario generale, è
proprio la tesi difensiva secondo la quale
il controllo di legittimità del contenuto
deliberativo che si sarebbe dovuto adottare
spettava ad altri». Questo "scaricabarile"
diventa per la Corte dei conti l'elemento
sufficiente per considerare presente il
requisito della colpa grave.
----------------------
La sentenza
01|IL PRINCIPIO
La responsabilità amministrativa è derivata
dal superamento del tetto massimo delle
retribuzioni di posizione dei dirigenti che,
secondo quanto rilevato dalla Corte dei
conti del Lazio (sentenza 714 del 02.05.2011), non rispetta i vincoli dettati dai
contratti collettivi. In particolare,
l'incremento è consentito per le strutture
con un elevato grado di complessità e non
può essere legato al solo accrescimento
delle funzioni dirigenziali.
Nel caso specifico esso non è stato
adeguatamente motivato con ulteriori e
puntuali indicazioni sulla complessità
dell'ente
02|ILLEGITTIMITÀ
L'illegittimità dell'atto è accentuata dalla
scelta di incrementare il fondo per le
risorse decentrate della dirigenza allo
scopo di finanziare l'onere aggiuntivo.
Inoltre, non è sufficiente la volontà
dell'ente di premiare l'impegno profuso dai
dirigenti nella migliore realizzazione degli
obiettivi strategici, nel qual caso,
nell'ambito delle risorse previste dal
fondo, si sarebbe dovuto provvedere
all'aumento della retribuzione di risultato,
a patto che gli obiettivi fossero stati
preliminarmente assegnati (cosa che non si
era verificata nella circostanza specifica)
03|COLPA GRAVE
Il segretario generale viene considerato
responsabile come beneficiario dell'aumento
e come soggetto proponente la deliberazione.
La responsabilità amministrativa si estende
ai membri della Giunta che hanno assunto il
provvedimento e ai revisori dei conti per
omesso controllo.
Secondo i giudici
contabili l'elemento sufficiente per
determinare il requisito della colpa grave
sta in uno "scaricabile" , cioè nella tesi
difensiva, adottata dai vari soggetti
coinvolti, secondo cui
il controllo di legittimità
del contenuto deliberativo spettava ad altri
(articolo Il Sole 24
Ore del 25.07.2011). |
ENTI LOCALI: Enti, decentramento a costo zero.
La delega di funzioni non gonfia i conti del
personale. La Corte conti della Puglia sul
trasferimento di competenze dalle regioni
agli enti locali.
Non vanno computate nelle spese di personale
quelle sostenute dagli enti locali per
effetto di funzioni delegate o trasferite
dalle regioni, cui sia conseguito il
trasferimento del personale regionale con
l'assegnazione dei relativi finanziamenti a
copertura.
È fondamentale il chiarimento fornito dalla
Corte dei conti, Sez. regionale di
controllo per la Puglia col
parere 03.03.2011 n. 11, perché consente a comuni e
province, e in particolare a queste ultime,
di sgravarsi non di poco dal peso dei tetti
di spesa del personale.
In conseguenza delle norme sul decentramento
delle funzioni amministrative adottate a
partire dal dlgs 112/2008, le regioni hanno
attribuito ai comuni, ma soprattutto alle
province, una serie di competenze prima
svolte direttamente dalle regioni medesime.
Ciò è avvenuto prevalentemente nei campi
della formazione, del lavoro,
dell'agricoltura, del turismo, ma non solo.
Con l'attribuzione delle funzioni, le
regioni hanno trasferito agli enti locali le
dotazioni strumentali ed il personale
preposto allo svolgimento delle attività.
Inoltre, in applicazione del fondamentale
principio posto dall'articolo 4, comma 3,
lettera i), della legge 59/1997 secondo il
quale l'ente che trasferisce le funzioni
deve assicurare la copertura finanziaria e
patrimoniale dei costi connessi
all'esercizio delle funzioni trasferite, le
regioni assegnano agli enti locali
trasferimenti finanziari che coprono tra gli
altri anche i costi del personale
transitato.
Si pone, allora, in primo luogo la domanda
se le spese sostenute per retribuire il
personale ex regionale debbano o meno essere
conteggiate, ai fini del rispetto del tetto
di spesa in termini assoluti, previsto
dall'articolo 1, comma 557, della legge
296/2006.
La sezione Puglia risponde di no. Il parere
ricorda che le misure normative per il
contenimento delle spese di personale sono
dettate in funzione dell'impatto che esse
determinano sulla gestione finanziaria
dell'ente. Di conseguenza «non devono essere
considerate ai fini che qui interessano
quelle spese che si caratterizzano per il
fatto di essere assistite da una specifica
fonte di finanziamento proveniente da un
soggetto esterno e, conseguentemente, per il
fatto di non aver alcuna incidenza sugli
equilibri di bilancio». Insomma: se la spesa
di personale trae il suo finanziamento non
dalle risorse proprie dell'ente locale, ma
dalla regione, per altro in conseguenza del
conferimento di competenze, non si vede
perché ciò debba incidere negativamente
sulle misure di contenimento dei costi del
personale.
Un secondo quesito, allora, riguarda
l'eventualità che la spesa del personale
trasferito dalle regioni possa rilevare allo
scopo di rispettare l'indice della spesa di
personale sul totale della spesa corrente,
ai sensi dell'articolo 76, comma 7, della
legge 133/2008.
Coerentemente, la sezione Puglia risponde
negativamente anche in questo caso. Secondo
la sezione «il calcolo del suddetto rapporto
non deve tuttavia essere influenzato
dall'esistenza di voci di entrata
(trasferimenti dalla regione) e di spesa
(retribuzioni per il personale, oneri
riflessi e Irap) che non hanno alcuna
incidenza sugli equilibri di bilancio e che,
pertanto, per le ragioni esposte in
precedenza, sono neutre dal punto di vista
della gestione finanziaria».
Secondo il parere, allora, ai fini della
verifica della percentuale di cui al citato
articolo 76, comma 7, occorre scomputare sia
dalla spesa di personale, sia dal totale
della spesa corrente, le spese per il
personale trasferito dalla regione e
rimborsate ai fini dell'esercizio di
funzioni conferite
(articolo ItaliaOggi
del 29.07.2011 - tratto da www.corteconti.it). |
NEWS |
APPALTI: Appalti
«semplificati» sempre da motivare.
LA CHIAMATA - Necessario coinvolgere almeno
cinque concorrenti per gare fino a 500mila
euro e dieci per soggetti nella soglia
superiore.
Gli appalti di lavori pubblici sino a un
milione di euro possono essere aggiudicati
con procedura negoziata, a seguito di una
gara informale.
Il decreto Sviluppo (Dl
70/2011, convertito dalla legge 106/2011) ha
completamente ridefinito la disciplina
contenuta nell'articolo 122 del Codice dei
contratti pubblici, aumentando il valore
massimo (nella normativa previgente
attestato a 500mila euro) ed eliminando la
precedente distinzione tra il percorso
semplificato (legato al semplice dato di
valore) entro i 100mila euro e quello
fondato su un minimo confronto di mercato
per la fascia di valore superiore.
Le motivazioni.
Le stazioni appaltanti devono motivare il
ricorso alla particolare procedura, che
costituisce comunque deroga rispetto alle
procedure ordinarie (aperte e ristrette),
evidenziando le ragioni nella determinazione
a contrarre, come evidenziato dalla
giurisprudenza e dall'Avcp (Autorità per la
vigilanza sui contratti pubblici) nella
determinazione 2/2011.
Queste motivazioni dovranno essere
riconducibili a situazioni specifiche e
determinanti l'urgenza della realizzazione,
comunque diverse da quelle che possono
consentire l'utilizzo delle più limitate
fattispecie comprese nei commi 2 e 5
dell'articolo 57 del Codice.
La selezione.
La nuova disposizione assume come
riferimento per la selezione il format della
gara informale preceduta da una verifica di
mercato per l'individuazione degli operatori
economici, con esplicito rinvio all'articolo
57, comma 6, dello stesso Dlgs 163/2006,
stabilendo contestualmente il necessario
rispetto dei principi dell'ordinamento
comunitario.
Le amministrazioni devono coinvolgere nel
particolare confronto concorrenziale almeno
cinque soggetti qualificati per
l'affidamento di appalti di valore sino a
500mila euro e almeno dieci per
l'aggiudicazione di quelli con valore
compreso tra 500mila e 1 milione di euro.
Le amministrazioni possono scegliere le
modalità della prequalificazione, ricorrendo
all'indagine di mercato (da pubblicizzare
adeguatamente quando l'importo dell'appalto
sia molto significativo) oppure avvalendosi
di elenchi aperti, da costituire e gestire
nel rispetto delle indicazioni dell'Avcp
prodotte nella determinazione 2/2011 (che
permettono il superamento dei limiti posti
dall'articolo 40, comma 5 del Codice).
L'indagine di mercato.
La selezione del numero minimo di operatori
qualificati da ricondurre alla gara tra
tutti quelli in possesso dei requisiti potrà
avvenire mediante sorteggio o mediante
l'applicazione di criteri reputazionali, che
dovranno in ogni caso essere resi noti
dall'amministrazione.
La gara informale permette alle stazioni
appaltanti di ottimizzare alcuni passaggi
(tempistica ridotta per le offerte, fase
della verifica delle offerte incongrue,
eccetera) che ne riducono i tempi di
svolgimento, ma il suo svolgimento deve
tener conto delle previsioni contenute nel
codice per le procedure negoziate senza
bando, come il termine minimo di dieci
giorni per la presentazione delle offerte
(articolo 122, comma 6, lettera d) e i
contenuti essenziali della lettera di invito
(articolo 64 e allegato IXA).
La gara informale è comunque una procedura
derogatoria rispetto ai percorsi selettivi
di massima evidenza pubblica. Quindi la
stazione appaltante deve applicare il
principio di rotazione, che vieta per un
certo periodo di tempo il coinvolgimento in
successive procedure simili o in economia
dell'operatore economico aggiudicatario.
La pubblicità.
La nuova formulazione del comma 7
dell'articolo 122 del Codice comporta anche
l'effettuazione di adeguata pubblicizzazione
dell'avvenuto affidamento.
Questa si
concretizza, per gli appalti sino a 500mila
euro, mediante la pubblicazione di avviso
sull'albo pretorio, sul sito internet
dell'amministrazione, su quello
dell'osservatorio e su quello del ministero
delle Infrastrutture, mentre per gli appalti
sino a 1 milione di euro è prevista la
pubblicazione (oltre che sui tre siti
internet) anche sulla «Gazzetta Ufficiale»
e, per estratto, su un quotidiano nazionale
e su uno locale.
L'esecuzione dell'appalto.
Sul piano dell'esecuzione dell'appalto la
norma prevede una regola che ne impedisce la
frammentazione, stabilendo che per i lavori
appartenenti alla categoria prevalente
l'appaltatore non possa affidarne la
realizzazione in subappalto o con
subcontratti per una quota superiore al 20%
del valore della stessa (mentre per le opere
specialistiche vale la norma particolare
contenuta nell'articolo 37, comma 11 del
Codice).
Questo limite deve essere evidenziato
chiaramente nella lettere di invito,
affinché gli operatori economici non
producano offerte con indicazione di
subappalti quantitativamente superiori, che
determinerebbero l'esclusione dalla gara
delle stesse.
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CODICE APPALTI
Le nuove regole per la procedura negoziata
per gli appalti di lavori pubblici
permettono alle amministrazioni pubbliche
(enti locali in particolare) di semplificare
i percorsi di affidamento per un'ampia serie
di opere pubbliche. La norma offre nuove
opportunità agli operatori economici con
qualificazioni più basse.
I nuovi riferimenti di valore per la
procedura negoziata sino a un milione di
euro erano già utilizzabili dal 14.05.2011 (data di entrata in vigore del Dl
Sviluppo). I limiti al subappalto e ai
subcontratti per la categoria prevalente si
applicano alle procedure indette dopo il 13.07.2011 (data di entrata in vigore della
legge di conversione)
La procedura negoziata con gara informale
può essere utilizzata per gli appalti di
lavori pubblici (di qualsiasi tipo) con
valore sino a un milione di euro. Per
l'affidamento di appalti sino a 500mila euro
è possibile coinvolgere nella selezione solo
cinque operatori economici, mentre nella
fascia superiore devono esserne coinvolti
almeno dieci
La norma non prevede disposizioni attuative
La gara informale per l'affidamento
dell'appalto di lavori sino a un milione di
euro deve essere svolta nel rispetto del
modulo definito dall'articolo 57, comma 6
del Codice e delle disposizioni (tempistica
minima offerte, contenuti essenziali lettera
d'invito) correlate. La disposizione
comporta l'applicazione all'aggiudicatario
del principio di rotazione (articolo Il Sole 24
Ore
del 30.07.2011). |
APPALTI FORNITURE E SERVIZI: La
correzione dei regolamenti amplia
l'affidamento diretto.
Le stazioni appaltanti possono affidare
direttamente servizi e forniture di beni
sino al limite di 40mila euro.
L'articolo 4
del decreto Sviluppo ha infatti modificato i
limiti di valore per le acquisizioni in
economia mediante aggiudicazione diretta a
un operatore economico, previsti dal comma
11 dell'articolo 125 del Codice dei
contratti pubblici e precedentemente
attestati a 20mila euro.
L'innovazione normativa determina
l'omogeneizzazione della soglia di
riferimento per beni e servizi con quella
per i lavori, innestandosi nel quadro di
riferimento. Le amministrazioni che hanno
regolamenti per la disciplina dei contratti
o delle procedure in economia che prevedono
espressamente la vecchia soglia devono
modificarli, se intendono utilizzare il
nuovo limite dei 40mila euro, poiché più
volte la giurisprudenza ha affermato che un
valore inferiore stabilito dal regolamento
dell'ente rispetto a quello del riferimento
legislativo costituisce norma di
autolimitazione, che deve essere rispettata.
L'affidamento diretto di beni e servizi
entro i 40mila euro può comunque essere
utilizzato dalle stazioni appaltanti solo
quando queste abbiano determinato, mediante
norma regolamentare o atto amministrativo
generale, le tipologie di beni e servizi
acquisibili in economia (e i relativi valori
massimi di acquisto), come richiesto
dall'articolo 125 del Codice (comma 10) e
come evidenziato in termini di rafforzamento
dall'articolo 330 del Dpr 207/2010.
Per rendere più agevole per le
amministrazioni la gestione degli
affidamenti per acquisti di valore limitato,
lo stesso decreto Sviluppo, al comma 14-bis
dell'articolo 4, prevede che per i contratti
di valore inferiore ai 20mila euro la
regolarità contributiva sia accertata
mediante autocertificazione presentata
dall'affidatario.
La nuova soglia per gli affidamenti diretti
non vale tuttavia per i servizi di
ingegneria e architettura, poiché il comma
10 dell'articolo 267 del Dpr 207/2010, che
regola l'applicazione delle procedure in
economia a queste particolari attività, ha
mantenuto il limite dei 20mila euro. A
togliere ogni dubbio residuo su questa
scelta è intervenuta, proprio con la legge
106/2011, una modifica alla norma che ha
soppresso nella stessa disposizione del
regolamento, nel riferimento al comma 11
dell'articolo 125 del Codice, il rinvio al
secondo periodo (che è proprio quello
dell'affidamento diretto), non lasciando
alcun margine interpretativo contrario.
Ha il valore di norma di integrazione e di
specificazione anche quella introdotta nel
comma 2 dell'articolo 92 del regolamento
attuativo del Codice, inerente la
distribuzione dei requisiti nell'ambito di
un raggruppamento temporaneo di imprese. La
nuova disposizione evidenzia come,
nell'ambito dei propri requisiti posseduti,
la mandataria debba in ogni caso assumere,
in sede di offerta, i requisiti in misura
percentuale superiore rispetto a ciascuna
delle mandanti con riferimento alla
specifica gara (comportando correlativamente
la realizzazione dei lavori nella
percentuale corrispondente alle quote di
partecipazione).
Tra gli altri interventi correttivi e
integrativi al Dpr 207/2010 assumono rilievo
le modifiche ad alcuni commi dell'articolo
357, che determinano l'allungamento a un
anno dall'entrata in vigore del regolamento
attuativo del periodo transitorio sia per la
sostituzione dei valori delle attestazioni
Soa rilasciate in base alla precedente
normativa (comma 12), sia per l'adeguamento
dei certificati di esecuzione lavori emessi
in questa fase (commi 14 e 15), sia ancora
per l'utilizzo dei riferimenti delle vecchie
attestazioni e per la gestione delle nuove
in relazione alla predisposizione degli atti
di gara da parte delle stazioni appaltanti
(commi 16 e 17)
(articolo Il Sole 24
Ore
del 30.07.2011). |
APPALTI: Un
freno alle modifiche contrattuali.
IL TETTO - Il limite del 20 per cento per le
contestazioni dell'appaltatore si applica
alle gare indette dopo il 14.07.2011 - IL
SUBENTRO - In caso di fallimento o di
risoluzione causata da gravi inadempienze
l'appaltante può scegliere il secondo in
classifica.
I profili critici relativi all'esecuzione
del contratto di appalto sono sottoposti a
limiti più rigorosi, dei quali devono tener
conto sia la stazione appaltante sia gli
operatori economici appaltatori.
L'articolo 4 della legge 106/2011 ha
introdotto nel Codice dei contratti pubblici
una serie di norme che contengono il
dimensionamento di alcuni tipi di varianti
in corso di esecuzione, specificano
ulteriormente il meccanismo della
compensazione nei prezzi, e pongono uno
sbarramento netto all'apposizione di
riserve.
La prima modifica significativa è nella
previsione inserita all'articolo 132, comma
3 del Codice, dove si stabilisce che
l'importo in aumento delle varianti
migliorative non possa superare il 5 per
cento del valore originario del contratto, e
debba trovare copertura nella somma
stanziata per l'esecuzione dell'opera al
netto del 50 per cento dei ribassi d'asta
conseguiti.
La novità è operativa dall'entrata in
vigore, il 13.07.2011, della legge 106/2011.
La riduzione dei parametri quantitativi di
riferimento per le situazioni eccezionali
relative al contratto torna anche le
modifiche introdotte all'articolo 133 del
Codice, con la revisione della disciplina
della compensazione (commi 4 e 5).
Il meccanismo può essere attivato quando il
prezzo di singoli materiali da costruzione,
per effetto di circostanze eccezionali,
subisca variazioni in aumento o in
diminuzione, superiori al 10 per cento
rispetto al prezzo rilevato con decreto del
ministero delle Infrastrutture e dei
trasporti nell'anno di presentazione
dell'offerta.
In tal caso la compensazione può aver luogo,
in aumento o in diminuzione, ma solo per la
metà della percentuale eccedente il 10 per
cento (con dimezzamento rispetto alla
quantificazione indicata originariamente
dalla norma) e nel limite delle risorse
accantonate per imprevisti. La compensazione
è determinata applicando la metà della
percentuale di variazione che eccede il 10
per cento al prezzo dei singoli materiali da
costruzione impiegati nelle lavorazioni
contabilizzate nell'anno solare precedente
al decreto.
Questa norma risulterà tuttavia applicabile
solo dopo l'entrata in vigore del Dm di
rilevazione delle percentuali di scostamento
per il 2011 (che dovrà essere adottato entro
il 31.03.2012) e ai lavori eseguiti e
contabilizzati a decorrere dall'01.01.2011. I limiti di maggiore impatto in
relazione agli sviluppi operativi
dell'appalto sono tuttavia rinvenibili nella
complessiva rimodulazione dell'articolo
240-bis del Codice dei contratti, che
prevede la disciplina delle riserve.
L'innovazione stabilisce che l'importo
complessivo delle riserve (iscrivibili
dall'appaltatore in caso di problematiche
imputabili alla stazione appaltante) non può
in ogni caso essere superiore al 20 per
cento dell'importo contrattuale.
Questo limite è inderogabile, e
responsabilizza sia gli operatori economici
sia le stazioni appaltanti, analogamente a
quanto previsto dal nuovo comma 1-bis dello
stesso articolo 240-bis, per il quale non
possono essere oggetto di riserva gli
aspetti progettuali che, ai sensi
dell'articolo 112 del regolamento, sono
stati oggetto di verifica.
Da questo quadro consegue che l'esecuzione
dell'appalto non ha più margini di
incertezza, e non lascia più appigli per la
regolazione impropria di aspetti
problematici mediante le riserve. Il nuovo
meccanismo responsabilizza i progettisti, i
verificatori e il responsabile del
procedimento, chiamato a validare (articolo
55 del Dpr 207/2010) la verifica degli
elaborati progettuali.
Queste disposizioni si applicano peraltro ai
contratti le cui gare siano state indette
(con bando o con lettera di invito)
successivamente alla data di entrata in
vigore (14.05.2011) del Dl 70/2011.
Il maggior rigore prefigurato per
l'esecuzione degli appalti e la sussistenza
di un ampio quadro di norme di legge che
prevedono cause determinanti la risoluzione
del contratto rendono molto più probabili
situazioni nelle quali le stazioni
appaltanti saranno chiamate a risolvere il
rapporto con l'operatore economico esecutore
sulla base del percorso delineato
dall'articolo 136 del codice («risoluzione
per grave inadempimento»).
In tali casi, o quando l'appaltatore
fallisce, le amministrazioni hanno tuttavia
ora la possibilità di ricorrere al soggetto
classificato come secondo nella graduatoria
della gara, poiché l'articolo 140 del Dlgs
163/2006 è stato modificato, eliminando la
regola che in precedenza imponeva la
previsione di questa facoltà nel bando.
-------------------------
I limiti e i vincoli
01|LIMITI
PER VARIANTI
Le varianti in corso di esecuzione,
migliorative rispetto all'appalto, sono
possibili nel limite del 5% dell'importo del
contratto, e possono essere finanziare solo
con il 50% del ribasso d'asta.
02|LIMITI
PER COMPENSAZIONI
Le compensazioni per le variazioni dei
prezzi dei materiali sono possibili
solo per la metà della percentuale eccedente
il valore di scostamento che sarà rilevato
con decreto ministeriale il cui termine di
adozione è fissato per il 31.03.2012.
03|LIMITI
PER RISERVE
Le riserve (cioè le osservazioni che
l'appaltatore fa alla stazione appaltante
rispetto a problemi rilevati nella gestione
dell'appalto) possono essere apposte solo
entro il limite del 20% del valore del
contratto.
Non possono essere oggetto di riserva gli
aspetti progettuali sottoposti alla verifica
ai fini della validazione del progetto,
effettuata dai verificatori nominati dalla
stazione appaltante.
04|SCORRIMENTO DELLA GRADUATORIA DELLA GARA
Quando l'appalto si è risolto per fallimento
dell'appaltatore o per altre cause di
risoluzione, la stazione appaltante può
ricorrere al secondo classificato nella
graduatoria della gara per affidargli la
prosecuzione dell'opera, senza necessità di
doverlo prevedere nel bando.
05|IL COSTO
DEL PERSONALE
Gli appalti vanno aggiudicati a offerte con
valori non inferiori alla spesa sostenuta
dalle imprese concorrenti per il personale e
per la sicurezza sul lavoro. Il decreto
legge Sviluppo stabilisce che l'offerta
migliore è determinata al netto delle spese
relative al costo del personale, valutato
sulla base dei minimi salariali definiti
dalla contrattazione collettiva e delle
misure imposte dalle norme sulla sicurezza
del lavoro.
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CODICE APPALTI
Le novità in materia di varianti, prezzi e
riserve riguardano la regolazione dei
rapporti tra stazioni appaltanti e
appaltatori.
Le innovazioni sulle varianti sono
operative, come quelle sulle riserve, che si
applicano però agli appalti indetti dopo il
14.05.2011. Quelle sulla compensazione
dei prezzi dei materiali si applicheranno
dopo il Dm di rilevazione degli scostamenti.
I limiti per le varianti migliorative e per
la compensazione delle variazioni di prezzo
sono ridotti del 50%. Per le riserve è
stabilito un limite complessivo del 20% del
valore del contratto.
Per poter essere applicate, le novità in
materia di compensazione dei prezzi dei
materiali richiedono un decreto ministeriale
di rilevazione.
I profili operativi su varianti,
compensazione e riserve sono contenute nel
Dpr 207/2010
(articolo Il Sole 24
Ore
del 30.07.2011). |
APPALTI: Sicurezza
e personale senza chance di ribassi.
Gli appalti vanno aggiudicati a offerte con
valori non inferiori alla spesa sostenuta
dalle imprese concorrenti per il personale e
per la sicurezza sul lavoro.
La legge
106/2011 ha introdotto nell'articolo 81 del
Codice una nuova disposizione che sottrae
questi costi al ribasso rispetto alla base
d'asta.
Il comma 3-bis stabilisce che l'offerta
migliore è determinata al netto delle spese
relative al costo del personale, valutato
sulla base dei minimi salariali definiti
dalla contrattazione collettiva. e delle
misure imposte dalle norme sulla sicurezza
del lavoro. Per applicare la regola, ogni
stazione appaltante deve far emergere nella
progettazione dell'appalto il modello
organizzativo di riferimento per la base
d'asta.
Negli appalti di lavori,
l'operazione è sintetizzabile con
l'indicazione del numero degli operatori
impiegato per ogni giornata, basandosi sui
dati di capitolato speciale e Psc. Nei
servizi e forniture l'assetto operativo è
desumibile dalla descrizione dei processi
nel capitolato speciale e dalla loro
quantificazione in termini di monte ore e
risorse umane qualificate. Si arriva così
alla spesa di personale, basata sui minimi
salariali stabiliti dal Ccnl.
Sui costi per la sicurezza, bisogna detrarre
gli oneri per tutti gli obblighi in materia,
organizzativi (medico competente, eccetera),
formativi (decreto legislativo 81/2008) e
funzionali (dispositivi di protezione
individuale, eccetera).
In pratica, occorre individuare un valore
che costituisce la proiezione dei costi
sostenuti per gli adempimenti in materia di
sicurezza sul lavoro dall'impresa
concorrente, con determinazione di una quota
standard.
Negli appalti di lavori pubblici ci si
riferisce al calcolo dei costi della
sicurezza "interni".
Negli appalti di servizi e beni bisogna fare
riferimento a prezziari specifici e
sviluppando indagini di mercato, che
consentano l'elaborazione di valori
standard. Anche questi elementi vanno
evidenziati in rapporto alla base d'asta
come inderogabili
(articolo Il Sole 24
Ore
del 30.07.2011). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO:
MANOVRA CORRETTIVA/ P.a.,
stop ai furbetti del personale.
No alle esternalizzazioni per aggirare i
tetti alla spesa. Si completa il percorso
normativo avviato con il dl 112/2008.
Niente più furbetti sulle spese per il
personale. La manovra fa cadere il velo di
ipocrisia che da anni copriva le spese delle
pubbliche amministrazioni. Non sarà più
possibile utilizzare le esternalizzazioni
per aggirare i tetti di spesa anche se
l'effetto è il blocco totale delle
assunzioni per il superamento della soglia
del 40%.
Il dl 98/2011 completa di fatto un
percorso normativo avviato con il dl
112/2008 diretto a intercettare e a
contenere le spese più rilevanti effettuate
sui bilanci che concorrono al conto
consolidato delle pubbliche amministrazioni
a prescindere dalla natura giuridica
dell'ente pagatore.
Da un lato il
legislatore interviene per ricomprendere nel
concetto di spesa per il personale tutte le
tipologie contrattuali utilizzate dalle
pubbliche amministrazioni, con le modifiche
al comma 557 dell'art. 1 della legge
296/2006, con le disposizioni contenute
all'art. 76 del dl 112/2008, nonché con
quelle previste dall'art. 14 del dl 78/2010,
fino a vietare i «contratti di servizio con
soggetti privati che si configurino come
elusivi della presente disposizione» in
caso di mancato rispetto del patto di
stabilità. Dall'altro comincia a far
riferimento a un ambito soggettivo di
pubbliche amministrazioni, che include tra
le amministrazioni destinatarie pure i
soggetti e società controllate o
partecipate, che sulla base del Regolamento
Ue Sec 95 (Sistema europeo dei conti), sono
inseriti nell'elenco Istat richiamato da
ultimo dall'art. 1 della legge 196/2009.
Un percorso inevitabile con il fiorire delle
partecipate, come la stessa banca dati del
Dipartimento della funzione pubblica ci
conferma, che porta oggi ad avere una
disposizione di modifica dell'art. 76 del
citato dl 112/2008, contenuta all'art. 20
del dl 98/2011, al fine di ricomprendere tra
i tetti sulla spesa per il personale, sempre
più stringenti, anche la spesa effettuata
dalle società partecipate e controllate. Il
comma 9 dell'art. 20 infatti prevede che ai
fini del computo del tetto di spesa del 40%
della spesa corrente si calcolano anche «le
spese sostenute dalle società a
partecipazione pubblica locale totale o di
controllo che sono titolari di affidamento
diretto di servizi pubblici locali senza
gara ovvero che svolgono funzioni volte a
soddisfare esigenze di interesse generale
aventi carattere non industriale, né
commerciale, ovvero che svolgono attività
nei confronti della pubblica amministrazione
a supporto di funzioni amministrative di
natura pubblicistica».
La nuova disposizione pone certamente alcuni
problemi di applicazione, in merito alla
comparazione dell'aggregato spesa corrente
dei bilanci delle partecipate rispetto a
quello definito negli enti locali. Qualche
amministrazione sta procedendo in via
prudenziale ad applicare intanto il tetto
del 40% separatamente ai soggetti
partecipati, per la difficoltà
nell'effettuare un consolidato unico su tale
rapporto di spesa. Ovviamente la nuova norma
va coordinata con le norme precedenti in
materia riassunzioni di partecipate e
dovrebbe consentire di spostare personale da
una partecipata ad un'altra senza computarlo
come nuova assunzione.
Molte amministrazioni soprattutto al centro
sud per i costi eccessivi di personale
rischiano di non poter assumere per i
prossimi anni e di dover accelerare processi
severi di riorganizzazione con numerosi casi
di eccedenza di personale. Il nuovo quadro
normativo imporrà comunque nuovi
comportamenti in capo agli enti, che
dovranno necessariamente monitorare
l'andamento della spesa, al fine di evitare
che eccessi di spesa delle società
impediscano di far assumere all'ente
partecipante e porre attenzione ad
operazioni elusive del divieto di assunzione
quali il distacco e l'assegnazione di
personale tra i soggetti dell'holding.
Gli effetti positivi di questa norma
potranno essere diversi. Certamente
aumenterà il controllo sulle vigilate e
sulle spese per il personale, si dovrà avere
una visione di insieme delle attività e
funzioni svolte all'interno dell'ente e di
quelle affidate alle partecipate; le
amministrazioni pubbliche inoltre
prenderanno seriamente in considerazione la
possibilità di razionalizzare il sistema
delle partecipate sia perché considerato
parametro di virtuosità ai sensi dell'art.
20, comma 2, della manovra sia perché
oggetto di processi virtuosi di
razionalizzazione così come previsto
dall'art. 16 dello stesso decreto (articolo ItaliaOggi
del 30.07.2011 - tratto da www.ecostampa.it). |
ENTI LOCALI:
Bilanci,
sperimentazione a due vie.
Dal 2012 la contabilità finanziaria. Dal
2013 tutto il resto. Tecnici del Mef e del Viminale al lavoro sul
dpcm attuativo del decreto sull'armonizzazione.
Sperimentazione a due vie per la nuova
contabilità degli enti locali. Le
amministrazioni, che a partire da settembre
si candideranno per applicare già dal 2012
le nuove regole introdotte dal federalismo
fiscale per rendere più trasparenti i
bilanci pubblici, dovranno abbracciare
subito la contabilità finanziaria (che
peraltro, imponendo la contabilizzazione
degli accertamenti e degli impegni
nell'esercizio in cui vengono a scadenza,
costituisce il clou della riforma introdotta
dal dlgs 118/2011). Mentre dal 2013 (la
sperimentazione sarà infatti biennale)
entreranno a regime tutte le altre novità
previste dal settimo decreto attuativo del
federalismo tra cui i nuovi modelli di
bilancio, il piano dei conti integrato e
l'obbligo del bilancio consolidato.
Il dlgs
118 non è ancora entrato in vigore (lo sarà
il 10 agosto, essendo stato pubblicato sulla
G.U. n. 172 del 26/07/2011) ma i tecnici del Mef e del Viminale sono già alle prese con
il dpcm che dovrà definire i dettagli della
sperimentazione.
Sul decreto, che è ormai in
avanzata fase di elaborazione, anche se non
sarà emanato prima del 15 settembre, sta
lavorando un tavolo tecnico della Copaff,
coordinato da Salvatore Bilardo e affiancato
da Maurizio Delfino incaricato dal Viminale
di fungere da raccordo con gli enti locali.
Le riunioni in sede tecnica andranno avanti
sino alla prossima settimana e riprenderanno
dopo la pausa estiva. Con un obiettivo
prioritario: ricucire lo strappo con le
regioni che improvvisamente si sono messe di
traverso sulla strada che porta all'avvio
della sperimentazione.
Ai governatori (su
tutti Vasco Errani e Renata Polverini, oltre
all'assessore al bilancio della Lombardia,
Romano Colozzi) non piace la classificazione
delle spese in missioni, programmi e
macroaggregati. In particolare questi ultimi
che, se applicati alle spese per il
personale, costringerebbero i governatori a
uno sforzo di trasparenza, evidentemente
giudicato eccessivo da molti. Per questo
nell'ultima riunione del tavolo tecnico le
regioni hanno chiesto un rinvio della
sperimentazione. Ma la richiesta è stata
rispedita al mittente. La sensazione è che
alla fine il contrasto verrà ricomposto e la
sperimentazione potrà partire quantomeno in
quattro-cinque regioni (Lombardia, Veneto,
Lazio e Sicilia su tutte).
Quanto ai comuni, l'Anci pubblicherà a fine
agosto un invito rivolto ai municipi
intenzionati a presentare la propria
candidatura. E lo stesso dovrebbe fare l'Upi
per le province. Di certo la sperimentazione
partirà in tutte le città metropolitane
(Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna,
Firenze, Bari, Napoli, Reggio Calabria e
Roma) e in molti capoluoghi di provincia
(per esempio Pavia) che già hanno
manifestato il proprio interesse ad
applicare dal 2012 le nuove regole. Per
tutti gli altri enti appuntamento rimandato
al 2014 quando la riforma entrerà a regime (articolo ItaliaOggi
del 30.07.2011 - tratto da www.ecostampa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Sconto
sulla ritenuta per 36 e 55%.
È stata ridotta dal 10% al 4% la ritenuta
d'acconto trattenuta dalle banche e dalle
poste sui bonifici incassati dagli esecutori
dei lavori di ristrutturazioni edilizie e
per il risparmio energetico.
La nuova
percentuale si applica ai bonifici
effettuati dal 06.07.2011, data di
entrata in vigore della manovra (articolo
23, comma 8 del decreto legge 98/2011) e
modifica la misura della trattenuta,
introdotta dall'01.07.2010, sui pagamenti
che devono obbligatoriamente essere
effettuati tramite bonifico bancario o
postale, al fine di consentire al
committente dei lavori la detrazione del 36%
sulle ristrutturazioni edilizie e del 55%
sugli interventi per il risparmio
energetico.
La ritenuta viene applicata
dalla banca o dalla posta in cui viene
accreditato il pagamento, cioè da quella
dell'impresa che ha effettuato i lavori.
Non va applicata la ritenuta, invece, se il
beneficiario della detrazione del 55% è
un'impresa, in quanto in questo caso il
beneficio Irpef/Ires spetta anche se il
pagamento della spesa avviene con mezzi
diversi dal bonifico.
Imponibile, ritenuta del 10%.
Considerando che la banca o la posta che
effettua la ritenuta non conosce l'importo
dell'Iva compreso nel bonifico, l'agenzia
delle Entrate ha chiarito che la base
imponibile, su cui operare la ritenuta, è
forfettariamente calcolata, scorporando
dall'importo del bonifico ricevuto
l'aliquota Iva del 20%, anche se in fattura
è stata applicata un'aliquota diversa.
Altre ritenute d'acconto.
Nei casi in cui sussiste l'obbligo di
applicare la nuova ritenuta, i committenti
devono pagare le fatture dei professionisti
o delle imprese al lordo delle usuali
ritenute d'acconto a essi applicabili, cioè
quella del 20% (se il prestatore è un
professionista) o del 4% (se il committente
è un condominio), in quanto la normativa
speciale della nuova ritenuta, ora del 4%,
prevale su quella generale. La riduzione dal
10% al 4%, quindi, comporta un ulteriore
vantaggio per i professionisti, che
subiscono una riduzione del bonifico solo
del 4%, al posto del 20% dell'usuale
ritenuta (comunque, calcolata su un
imponibile differente), ed elimina l'aumento
di trattenuta dal 4% al 10%, che ha colpito,
dall'01.07.2010, i corrispettivi pagati
dai condomìni per le prestazioni relative a
contratti di appalto, di opere e servizi.
Nuove iniziative.
La ritenuta d'acconto del 4% sui bonifici
necessari per le detrazioni del 36%
(ristrutturazioni edilizie) o del 55%
(risparmio energetico) viene trattenuta
dalle banche e dalle poste anche alle
imprese e ai professionisti che si sono
avvalsi del regime delle nuove iniziative,
ma questi soggetti non possono scomputarla
dalla loro imposta sostitutiva dell'Irpef
del 10%, in quanto nei relativi quadri del
modello Unico PF 2011 non sono stati
previsti nuovi quadri da utilizzare per
indicare queste ritenute e non sono state
cambiate, rispetto allo scorso anno, le
istruzioni dei righi RG30, per le imprese, e
RE22, per i professionisti.
Queste prevedono
che l'imposta sostitutiva del 10%
dell'imponibile debba essere versata con il
modello F24, con il codice tributo 4025, e
non dicono, invece, che questo importo debba
essere ridotto della nuova ritenuta del 10%,
applicabile dall'01.07.2010.
Il modello e
le istruzioni, quindi, non considerano che
la circolare delle Entrate 28.07.2010,
n. 40/E, ha precisato che «nel caso in cui i
destinatari del bonifico usufruiscano di
regimi fiscali per i quali è prevista la
tassazione del reddito mediante imposta
sostitutiva dell'Irpef, la ritenuta del 10%
operata dalla banca o da Poste spa sulle
somme loro accreditate potrà essere
scomputata dalla medesima imposta
sostitutiva».
L'interpretazione dell'Agenzia è generale e
vale per tutti i contribuenti assoggettati a
imposta sostituiva dell'Irpef, tra i quali
non vi rientrano solo i soggetti minimi, ma
anche quelli che hanno optato per il regime
triennale delle nuove iniziative. La
posizione delle Entrate è condivisibile, in
quanto le banche e le poste, incaricate di
trattenere la ritenuta del 10%, non sono
tenute a sapere il tipo di regime fiscale
adottato dal beneficiario del bonifico e
quindi la applicano a tutti i pagamenti con
le causali specifiche delle detrazioni del
36% e del 55%, dopo aver scorporato l'Iva
(forfettariamente al 20%) dall'importo del
pagamento.
Per gli imprenditori e i professionisti che
adottano il regime delle nuove iniziative,
però, non è previsto un campo generale dove
scomputare le ritenute subite, in quanto
l'usuale ritenuta del 20% dei professionisti
non deve essere mai applicata dai
professionisti che applicano questo regime.
Lo stesso dicasi per la ritenuta del 4%
sulle prestazioni di servizi effettuate da
imprese a condomìni.
Si ritiene che la ritenuta possa essere,
comunque, inserita nel rigo RN32,
consentendo lo scomputo dall'eventuale Irpef
dovuta dal contribuente per altri redditi
non soggetti a imposta sostitutiva. In
mancanza di un'Irpef dovuta capiente,
l'eccedenza genererà un credito rimborsabile
o compensabile in F24 con altri tributi o
contributi, magari proprio con il debito
2010 dell'imposta sostitutiva per le nuove
iniziative
(articolo Il Sole 24 Ore del 29.07.2011). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
costo della manodopera scompare dalla
fattura.
Dal 14.05.2011, nelle fatture emesse nei
confronti dei soggetti che intendono
beneficiare della detrazione Irpef del 36%
sulle ristrutturazioni edilizie o di quella
Irpef o Ires del 55% sugli interventi per il
risparmio energetico, non si deve più
indicare obbligatoriamente il costo della
manodopera impiegata nell'esecuzione dei
lavori.
La semplificazione è contenuta nel
decreto Sviluppo (Dl 70/2011), che ha
eliminato anche l'obbligo, da parte dei
beneficiari della detrazione del 36%, di
inviare preventivamente al Centro operativo
di Pescara la comunicazione contenente la
data dell'inizio dei lavori (articolo 7,
comma 2 lettere r) e q) del decreto legge 13.05.2011, n. 70).
In via interpretativa, l'agenzia delle
Entrate potrebbe consentire l'applicazione
delle due semplificazioni anche
retroattivamente rispetto al 14.05.2011,
in base al principio del favor rei.
L'eliminazione dell'obbligo di comunicare
preventivamente al Centro operativo di
Pescara l'inizio dei lavori, ad esempio,
potrebbe essere applicabile anche per i
lavori iniziati dall'01.01.2011 al 13.05.2011, in quanto in tutti questi casi
i dati catastali degli immobili interessati
alle ristrutturazioni potranno essere
indicati nel modello Unico/2012, relativo al
2011. L'applicazione retroattiva al 2010,
invece, non è possibile, in quanto nel
modello Unico/2011, relativo al 2010, non si
possono indicare queste informazioni, le
quali devono essere recepite per forza dalla
comunicazione inviata a Pescara. Per lo
stesso motivo, chi ha acquistato un box auto pertinenziale nel 2010 deve comunque inviare
a Pescara la comunicazione entro il 30.09.2011. Comunicazione che in base,
al favor rei, potrebbe essere eliminata,
invece, per gli acquisti effettuati dall'01.01.2011 al 13.05.2011.
L'applicazione retroattiva dell'abolizione
dell'indicazione del costo della manodopera
nelle fatture emesse dalle imprese che hanno
eseguito i lavori, invece, potrebbe essere
consentita dalle Entrate senza alcun limite
di tempo.
Per usufruire della detrazione Irpef del 36%
sugli interventi di recupero agevolati (non
del 55%), continua a essere obbligatorio
l'invio, prima dell'inizio dei lavori e con
raccomandata con ricevuta di ritorno, alla
Asl territorialmente competente, della
comunicazione prevista dall'articolo 99,
comma 1 del decreto legislativo 81/2008
(Testo unico sulla sicurezza). Questa è
obbligatoria solo se i lavori vengono
svolti:
a) in cantieri in cui è prevista la presenza
di più imprese esecutrici, anche non
contemporanea;
b) in cantieri che, inizialmente non
soggetti all'obbligo di notifica, ricadono
nelle categorie di cui alla lettera a) per
effetto di varianti sopravvenute in corso
d'opera;
c) in cantieri in cui opera un'unica impresa
la cui entità presunta di lavoro non sia
inferiore a 200 uomini-giorno.
Per i cantieri che non ricadono in questi
casi e che quindi non sono soggetti
all'obbligo di notifica preliminare, l'invio
della raccomandata ai fini del 36% non è
previsto.
Ai fini dell'agevolazione Iva del 10% sulle
prestazioni di servizi relative alle
manutenzioni ordinarie e straordinarie, ai
restauri e risanamenti conservativi e alle
ristrutturazioni edilizie (articolo 3, comma
1 lettere a, b, c, d del Dpr 06.06.2001, n.
380), realizzate «su fabbricati a
prevalente destinazione abitativa privata»
(articolo 7, comma 1, lettera b), della
legge 23.12.1999, n. 488), l'indicazione del
costo della manodopera è stata obbligatoria
solo per le operazioni fatturate nel 2007
(articolo 1, comma 387, lettera b della
legge 296/ 2006).
In queste fatture, le imprese edili e
artigiane che hanno eseguito i lavori devono
comunque continuare a indicare la
descrizione e il valore degli eventuali beni
significativi, ai fini del calcolo dell'Iva
agevolata anche su questi beni
(articolo Il Sole 24
Ore
del 29.07.2011). |
ENTI LOCALI: MANOVRA CORRETTIVA/ Raffica di
decreti in arrivo. Ma sono molti i nodi da
sciogliere. Patto, un labirinto senza fine.
Programmazione ferma in attesa dei
provvedimenti attuativi.
L'unica certezza è che il conto totale sarà
salato. Ma per sapere quanto ciascuno dovrà
pagare occorre attendere.
È questa, in
estrema sintesi, la fotografia dell'impatto
della manovra appena varata sugli enti
locali.
La legge 111/2011 (di conversione del dl
98/2011) impone nuovi sacrifici per 1.400
milioni di euro nel 2013 (400 per le
province e 1.000 per i comuni) e 2.800 dal
2014 (800 per le province e 2.000 per i
comuni) a valere sul patto di stabilità
interno.
Essa, inoltre, conferma i tagli previsti
dalla manovra estiva dello scorso anno (dl
78/2010) e li estende agli anni 2014 e
successivi, senza peraltro confermare la
loro nettizzazione ai fini del calcolo degli
obiettivi del Patto (espressamente prevista
solo fino al 2013). Si tratta di una
sforbiciata che, a partire dall'anno
prossimo, varrà altri 3 miliardi (500
milioni per le province e 2.500 per i
comuni), che andranno a cumularsi ai tagli
già subiti negli anni scorsi. Ciò, precisa
il legislatore, fino al varo di un nuovo
Patto «federalista», ma è una promessa che,
col passare del tempo, diventa sempre meno
credibile.
Le cifre in ballo sono imponenti, ma sul
loro riparto regna ancora molta incertezza.
Esso dipende, infatti, da una lunga serie di
variabili, che dovranno essere definite da
futuri provvedimenti del governo, per la cui
adozione, nella maggior parte dei casi, non
è previsto neppure un termine ordinatorio.
Solo alla fine di questo percorso tortuoso,
destinato a intrecciarsi con quello relativo
all'attuazione del federalismo fiscale, le
province ed i circa 2.300 comuni con più di
5.000 abitanti potranno conoscere la loro
sorte.
Innanzitutto, un decreto del Mef, d'intesa
con la Conferenza unificata, dovrà
suddividere tali enti in quattro «classi di
merito», riempiendo di contenuti concreti i
nuovi, ma pur sempre generici, parametri di
virtuosità (che dovrebbero sostituirsi a
quelli previsti dall'art. 14 del dl 78/2010,
tutti peraltro inclusi nel nuovo elenco). Si
tratta di un passaggio decisivo, poiché per
i «primi della classe» è previsto
l'azzeramento delle manovre (sia di quella
del 2010, che di quella del 2011), con il
relativo onere che sarà posto a carico degli
altri, verosimilmente con pesi differenziati
a seconda della rispettiva posizione nel
ranking. Per i comuni la nuova
«meritocrazia» decorrerà pienamente dal
2013, mentre per le province già dal 2012.
Nel 2012, inoltre, i più virtuosi
beneficeranno di uno sconto da 200 milioni,
che verrà erogato con un altro decreto del
Mef, d'intesa con l'Unificata: non è chiaro
se tale bonus, che in ogni caso spetta anche
alle regioni, riguardi anche le province,
considerato che queste beneficeranno fin da
subito di un obiettivo di Patto pari a zero.
Sempre dal prossimo anno partirà anche il
nuovo Patto regionalizzato, in base al quale
ciascuna regione o provincia autonoma potrà
concordare con lo stato le modalità di
raggiungimento degli obiettivi di finanza
pubblica per sé e per gli enti locali del
proprio territorio. Anche in tal caso, sarà
un decreto del Mef a stabilire le modalità
attuative. Ovviamente, la regionalizzazione
del Patto sarà condizionata dalla mappa
della virtuosità, perché la «forza
contrattuale» di ogni territorio, ai fini
della contrattazione dei propri obiettivi,
dipenderà dal numero di enti virtuosi
ospitati.
Altri decreti del Mef dovranno distribuire
le premialità di cui all'art. 1, c. 122,
della legge di stabilità 2011 (l. 220/2010)
per gli enti che abbiano rispettato il
Patto: ciò già nel 2011 e poi in ognuno
degli anni successivi, sulla base delle
risultanze dell'anno precedente. Sarà,
invece, un decreto del Viminale ad applicare
le sanzioni agli enti che abbiano violato il
Patto, decurtando, in misura pari allo
sforamento, le risorse erogate (oltre che
tramite i residui trasferimenti non
fiscalizzati) attraverso i fondi
sperimentali di riequilibrio e perequativi
previsti dai decreti attuativi della l.
42/2009, come previsto dal dl 98/2011 e
confermato dal decreto su «premi e
sanzioni», che però ha introdotto un tetto
pari al 5% delle entrate correnti accertate
nell'ultimo consuntivo.
Invero, le interferenze fra manovra e
federalismo fiscale vanno ben oltre il
terreno delle sanzioni collegate al Patto, giacché i criteri di riparto delle nuove
entrate previste da quest'ultimo (e che
saranno stabiliti con altri decreti
ministeriali) saranno inevitabilmente
influenzati dalla prima, che, come visto,
prefigura una diversa distribuzione dei
tagli introdotti dalla manovra 2010 e
confermati da quella 2011.
Infine, a sparigliare ulteriormente le
carte, c'è il fatto che, dal 2012, non
saranno più applicabili le clausole di
salvaguardia previste dai c. 92 e 93
dell'art. 1 della l. 220/2010, che per molti
enti si erano tradotte in significativi
alleggerimenti del Patto. Ma anche il peso
di tale fattore non è al momento
precisamente quantificabile. Un bel puzzle,
insomma, che rende molto difficile
immaginare una qualsiasi programmazione di
medio periodo
(articolo ItaliaOggi
del 29.07.2011). |
ENTI LOCALI: MANOVRA
CORRETTIVA/ Il federalismo sopprime i contributi
regionali agli enti. Ma la quantificazione è
un rebus. La fiscalizzazione dei
trasferimenti fa i conti con i tagli.
Fra le molte questioni aperte della finanza
locale (si veda l'altro articolo in pagina),
rientra anche quella, finora relativamente
trascurata, della «fiscalizzazione» dei
trasferimenti regionali.
Come noto, in base a quanto previsto dalla
legge 42/2009, l'attuazione del federalismo
fiscale dovrà mettere la parola fine alla
cosiddetta finanza derivata, sostituendo con
entrate proprie i tradizionali trasferimenti
agli enti territoriali.
Nel mirino, oltre che i trasferimenti
erogati dallo stato agli altri livelli di
governo, ci sono anche quelli erogati dalle
regioni agli enti locali.
In tal caso, la partita è particolarmente
complessa, poiché impone di spulciare i
bilanci e la legislazione delle 15 regioni
ordinarie (quelle speciali seguono percorsi
diversi), ciascuna delle quali ha compiuto
scelte (contabili e di decentramento delle
funzioni) autonome e quindi potenzialmente
differenziate.
I numeri in ballo, però, sono significativi:
secondo le stime elaborate dalla Copaff, le
risorse attualmente erogate dalle regioni
(ordinarie) a province e comuni superano i
10 miliardi all'anno, con circa un 60% di
trasferimenti correnti ed un 40% di
trasferimenti in conto capitale.
In base al dlgs 68/2011, a essere fiscalizzati
(a decorrere dal 2013), dovrebbero essere i
trasferimenti (sia di parte corrente che in
conto capitale) aventi caratteri di
generalità e permanenza, con esclusione,
oltre che di quelli perequativi, di quelli
aventi natura di contributi speciali, ovvero
dei contributi erogati a copertura di rate
di ammortamento dei mutui o finanziati
mediante indebitamento.
La ricognizione dei trasferimenti da
sopprimere (e, per differenza, di quelli da
conservare) è già stata avviata in sede
tecnica e si è concertata sui trasferimenti
correnti, data la maggiore complessità
dell'analisi di quelli in conto capitale.
Problemi si sono riscontrati per alcune
tipologie di trasferimenti, come quelli ad
associazioni e consorzi di enti locali,
ovvero quelli aventi caratteristiche di
generalità, ma limitati ad una porzione di
territorio, come le zone montane o quelle
marittime, per i quali si pone l'alternativa
fra escluderli completamente dalla
fiscalizzazione (trattandoli, dunque, come
speciali), oppure prevedere una
«fiscalizzazione differenziata» per
territorio.
I principali nodi, tuttavia, dovranno essere
sciolti in sede politica.
In primo luogo, occorrerà trovare una quadra
fra i dati desumibili dai consuntivi degli
enti locali e quelli ricavati dai bilanci
regionali, considerati i forti scostamenti
fra gli uni e gli altri evidenziati dalla
stessa Copaff.
In secondo luogo, occorrerà verificare
l'applicabilità dell'art. 39, c. 3, del dlgs
68/11, che prevede, «compatibilmente con gli
obiettivi di finanza pubblica», il recupero
dei tagli imposti alle regioni dalla manovra
estiva 2010, che inevitabilmente si
ripercuotono a valle sugli enti locali.
Una volta ultimata la ricognizione,
scatteranno le due fasi successive della
fiscalizzazione e della costruzione dei
sistemi di riequilibrio e perequativi.
Innanzitutto, occorrerà individuare il
tributo o i tributi regionali che
sostituiranno i trasferimenti soppressi,
stabilendo le modalità di compartecipazione
degli enti locali e le relative aliquote. In
base a quanto previsto dagli artt. 12 e 19
del dlgs 68/2011, la fiscalizzazione dei
trasferimenti regionali dovrebbe basarsi,
per i comuni, sull'addizionale regionale
all'Irpef e, per le province, sulla tassa
automobilistica regionale, ma non sono
escluse soluzioni alternative. In ogni caso,
agli enti locali dovrà essere assicurato un
importo corrispondente ai trasferimenti
regionali soppressi e si dovrà tenere conto
delle disposizioni legislative regionali
sopravvenute che dovessero incidere sulle
funzioni conferite dalla regione a province
e comuni e, quindi, sui relativi equilibri
finanziari.
Inoltre, dovrà essere costruito un sistema
che consenta di riequilibrare la situazione
finanziaria tra i diversi livelli di
governo. Il dlgs 68/2011 prevede l'istituzione
di un fondo sperimentale di riequilibrio
separatamente per i comuni e per le
province, delineando una fase transitoria
che durerà fino all'istituzione dei fondi
perequativi veri e propri.
In effetti, il procedimento di
fiscalizzazione dei trasferimenti regionali
agli enti locali dovrà incardinarsi
nell'impianto perequativo generale, che
prevede il superamento del criterio della
spesa storica a favore del fabbisogno
standard per il finanziamento delle funzioni
fondamentali e della capacità fiscale per le
altre funzioni.
È pertanto opportuno, in tale contesto,
distinguere i trasferimenti regionali da
fiscalizzare connessi al finanziamento delle
funzioni fondamentali da quelli connessi al
finanziamento delle funzioni non
fondamentali. Il che al momento è pressoché
impossibile, in mancanza di quella mappatura
delle funzioni fondamentali cui dovrebbe
provvedere il codice delle autonomie. Senza
questo importante tassello anche questo
mosaico rimarrà quindi incompleto
(articolo ItaliaOggi
del 29.07.2011). |
PUBBLICO IMPIEGO - VARI: Famiglia,
più semplice l'istanza per le detrazioni.
Il Decreto sviluppo (dl n.
70/2011), convertito nella legge n. 160 del
12.07.2011, modifica per i pensionati e
i dipendenti le modalità per la richiesta
delle detrazioni fiscali per i familiari a
carico.
Non è più prevista infatti la
consegna annuale della modulistica per le
detrazioni, ma fa fede quella presentata in
precedenza, purché non vi siano stati
cambiamenti nella situazione familiare del
contribuente.
Normativa in vigore prima della modifica
legislativa.
La disciplina precedente prevedeva (art. 23
del dpr n. 600/73) la possibilità, per i
pensionati e i dipendenti con familiari
fiscalmente a carico, di presentare la
richiesta annuale delle detrazioni fiscali.
Tutti i datori di lavoro, in qualità di
sostituti d'imposta, ricevevano annualmente
la specifica modulistica in oggetto al fine
di poter provvedere all'inserimento delle
detrazioni in busta paga.
Nuova normativa dettata dal decreto sviluppo
convertito nella legge 160 del 12 luglio
2011.
La legge n. 160/2011 all'articolo 7 ha
semplificato la procedura e i dipendenti /
pensionati non hanno più l'obbligo di
presentare annualmente la suddetta richiesta
per aver diritto alle detrazioni in quanto
la modulistica deve essere presentata solo
in presenza di variazioni rispetto alla
domanda già consegnata in precedenza al
datore di lavoro.
La normativa ha previsto infine delle
sanzioni in capo al contribuente che non
ottempera all'obbligo di comunicare (in
maniera tempestiva) le eventuali variazioni
della propria situazione familiare che
incidono sull'attribuzione delle suddette
detrazioni fiscali (sanzione da 258 euro a
2.065 euro)
(articolo ItaliaOggi
del 29.07.2011). |
CONSIGLIERI COMUNALI - ENTI LOCALI: Sindaci in balìa
della Corte conti.
Incandidabile chi provoca il dissesto con
dolo o colpa grave. Le novità per comuni e
province del dlgs su premi e sanzioni varato
dal consiglio dei ministri.
Sarà la Corte dei conti l'arbitro del
destino dei sindaci e dei presidenti di
provincia che abbiano portato al dissesto le
proprie amministrazioni.
Il decreto
legislativo su premi e sanzioni (ultimo
provvedimento attuativo della legge delega
sul federalismo fiscale), approvato ieri in
via definitiva dal consiglio dei ministri,
chiama in causa esclusivamente i magistrati
contabili a cui assegna il compito di
accertare le responsabilità degli
amministratori che porteranno poi, come
conseguenza necessaria, alla loro incandidabilità per dieci anni.
Chi sarà infatti riconosciuto responsabile,
anche solo in primo grado, di danni
cagionati con dolo o colpa grave da cui sia
derivato il dissesto dell'ente non potrà
ricandidarsi per 10 anni alla carica di
sindaco, presidente provinciale e regionale,
assessore o consigliere in qualsiasi ente. E
anche la poltrona di parlamentare diventerà
una chimera.
La Corte dovrà giudicare sulla procedura di
dissesto che scatterà una volta decorso
inutilmente il termine di 30 giorni
assegnato all'ente per correggere i conti. A
quel punto il prefetto assegnerà al
consiglio un termine di 20 giorni per
deliberare il dissesto. E se anche questa
volta il sindaco resterà con le mani in mano
verrà nominato un commissario per deliberare
lo stato di dissesto e avviare lo
scioglimento dell'ente.
Relazione di fine mandato.
Ma non si tratta dell'unico boccone amaro
ingoiato dagli enti locali, non a caso tutti
uniti in un coro di critiche che il ministro
della semplificazione Roberto Calderoli ha
dichiarato di aver abbondantemente messo in
conto («non si può chiedere all'oste se il
suo vino è buono o agli automobilisti se
siano contenti di essere multati, tuttavia
siamo e restiamo convinti che si tratti di
un decreto molto equilibrato e comunque
assolutamente necessario»).
Al pari dei
governatori anche i sindaci e i presidenti
di provincia non potranno sfuggire
all'obbligo di redigere la relazione di fine
mandato. Questa sorta di testamento
contabile di fine legislatura dovrà essere
sottoscritto al massimo 90 giorni prima
della scadenza del mandato e certificato
dall'organo di revisione dell'ente.
Dopodiché andrà trasmesso al Tavolo tecnico
interistituzionale istituito presso la
Conferenza permanente per il coordinamento
della finanza pubblica e composto da
rappresentanti ministeriali e degli enti
locali. Il Tavolo verificherà la
corrispondenza dei dati indicati nella
relazione con quelli in suo possesso.
La
relazione dovrà fare luce: sull'esito dei
controlli interni, sul rispetto dei saldi di
finanza pubblica e la convergenza verso i
fabbisogni standard, sulla situazione
finanziaria e patrimoniale e sull'entità
dell'indebitamento. Entro 90 giorni
dall'entrata in vigore del dlgs il Viminale
dovrà mettere a punto uno schema tipo di
relazione di fine mandato, prevedendo anche
una forma semplificata dello stesso per i
piccoli comuni.
Mancato rispetto del Patto.
La terza novità contenuta nel decreto
riguarda il mancato rispetto del patto di
stabilità. Che verrà punito con la riduzione
del fondo di riequilibrio prima e del fondo
perequativo quando il federalismo fiscale
andrà a regime. La decurtazione sarà pari
alla differenza tra il risultato registrato
e l'obiettivo programmatico e in ogni caso
non potrà superare il 5% delle entrate
correnti registrate nell'ultimo bilancio
consuntivo.
Le sanzioni però non si fermeranno qui.
Perché gli enti che sforeranno il Patto non
potranno spendere più della media degli
impegni effettuati nell'ultimo triennio, non
potranno ricorrere all'indebitamento per gli
investimenti, non potranno assumere
personale a qualsiasi titolo e dovranno
ridurre del 30% le indennità di funzione e i
gettoni di presenza degli amministratori
locali.
Contrasto all'evasione
fiscale.
Un'altra novità introdotta dal decreto
riguarda la partecipazione delle province
alla lotta all'evasione fiscale.
Agli enti
intermedi andrà il 50% dei tributi statali
(ancora da individuare) riscossi a titolo
definitivo grazie alle segnalazioni inviate
all'Agenzia delle entrate e alla Guardia di
finanza.
Interventi a favore delle
imprese creditrici della p.a.
Per attenuare lo stato di sofferenza in cui
versano le imprese creditrici delle
pubbliche amministrazioni, il dlgs
istituisce un tavolo tecnico (tra Mef, Abi,
regioni ed enti locali) per sopperire alla
crisi di liquidità delle imprese e valutare
forme di compensazione all'interno del patto
di stabilità regionale e agevolare la
cessione dei crediti certi, liquidi ed
esigibili maturati dalle imprese nei
confronti della p.a.
Infine, verranno anche
definiti i casi in cui poter considerare le
locazioni finanziarie, stipulate dall'ente
per la realizzazione e il successivo
utilizzo di un immobile, non elusive delle
regole del patto di stabilità.
Città metropolitane.
Come anticipato da ItaliaOggi il 27/07/2011,
il consiglio dei ministri di ieri ha anche
approvato il regolamento per l'indizione e
lo svolgimento dei referendum sulla
costituzione delle città metropolitane
(articolo ItaliaOggi
del 29.07.2011 - tratto da www.corteconti.it). |
CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO
VIMINALE/
Parcheggio ai consiglieri.
Il comune può concedere il posto auto gratis.
Le modalità per fruire del servizio vanno
specificate nel regolamento.
Un comune può concedere ai propri
amministratori l'accesso gratuito ad un
parcheggio sito nel centro storico della
città, gestito da una Società partecipata al
100% dal comune?
L'art. 38 del Tuel prevede, al comma 3, che
i consigli comunali sono dotati di autonomia
organizzativa. In particolare i comuni
fissano, con apposite norme regolamentari,
le modalità per fornire servizi ai consigli.
Nell'ambito di tale autonomia regolamentare,
l'ente può prevedere la concessione
dell'accesso gratuito, con le modalità che
verranno fissate dal regolamento medesimo
(articolo ItaliaOggi
del 29.07.2011 - tratto da www.ecostampa.it). |
CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO
VIMINALE/ Indennità dei
consiglieri.
Alla luce della normativa relativa ai
compensi spettanti ai consiglieri comunali e
circoscrizionali, come modificata dal
decreto-legge 31.05.2010, n. 78,
convertito con modificazioni dalla legge 30.07.2010, n. 122 -e nelle more
dell'emanazione del nuovo regolamento per la
determinazione della misura delle indennità
di funzione e dei gettoni di presenza da
corrispondere agli amministratori degli enti
locali- gli importi delle indennità di
funzione devono essere decurtati a decorrere
dall'01.01.2011, in forza del disposto
di cui all'art. 6, comma 3, del citato
decreto-legge?
Deve essere corrisposta
l'indennità di funzione ai presidenti dei
consigli circoscrizionali, ai sensi
dell'art. 82 dlgs n. 267/2000, dopo la
modifica introdotta dal dl n. 78/2010?
Il decreto-legge 31.05.2010, n. 78
convertito con modificazioni dalla legge 30.07.2010, n. 122, ha disposto, all'art. 5
comma 7, che con decreto del ministro
dell'interno, da emanarsi ai sensi dell'art.
82, comma 8, del decreto legislativo 18.08.2000, n. 267 e successive
modificazioni ed integrazioni, di concerto
con il ministero dell'economia e delle
finanze, siano rideterminati in riduzione
gli importi delle indennità di funzione
degli amministratori comunali e provinciali
già previsti nel decreto ministeriale 4
aprile 2000, n. 119, e siano determinati gli
importi dei gettoni di presenza per i
consiglieri comunali e provinciali per la
partecipazione a consigli e commissioni.
Il successivo art. 6, comma 3, del
decreto-legge statuisce che, «fermo restando
quanto previsto dall'art. 1, comma 58, della
legge 23.12.2005, n. 266, a decorrere
dal 1° gennaio 2011 le indennità, i
compensi, i gettoni, le retribuzioni o le
altre utilità comunque denominate,
corrisposti dalle pubbliche amministrazioni
di cui al comma 3 dell'art. 1 della legge 31.12.2009, n. 196, incluse le autorità
indipendenti, ai componenti di organi di
indirizzo, direzione e controllo, consigli
di amministrazione e collegiali comunque
denominati ed ai titolari di incarichi di
qualsiasi tipo, sono automaticamente ridotte
del 10% rispetto agli importi risultanti
alla data del 30.04.2010. Sino al 31.12.2013, gli emolumenti di cui al
presente comma non possono superare gli
importi risultanti alla data del 30.04.2010, come ridotti ai sensi del presente
comma».
In merito al primo quesito, nelle more
dell'emanazione del nuovo regolamento per la
determinazione della misura dell' indennità
di funzione e dei gettoni di presenza da
corrispondere agli amministratori degli enti
locali, ai fini del calcolo dell'indennità
spettante agli amministratori locali devono
trovare applicazione le disposizioni
dell'art. 5, comma 7, essendo espressamente
individuati i destinatari di tale norma,
mentre la norma di cui all'art. 6, comma 3,
dello stesso decreto sembra avere un più
ampio ambito di applicazione e comunque
essere destinato a soggetti giuridici
diversi da quelli espressamente individuati
dal citato art. 5, comma 7.
Tale interpretazione è in linea con il
generale principio dell'ordinamento in base
al quale, quando più leggi o più
disposizioni regolano la stessa materia, la
legge o la disposizione di legge speciale
deroga alla legge o alla disposizione di
legge generale.
Quanto al secondo quesito, il comma 6
dell'art. 5 del decreto-legge 31 maggio
2010, n. 78 ha statuito che nessuna
indennità è più dovuta ai consiglieri
circoscrizionali, ad eccezione dei
consiglieri circoscrizionali delle città
metropolitane.
Nessuna nuova disposizione è stata inoltre
dettata dalla normativa di riforma con
riferimento ai presidenti dei consigli
circoscrizionali, pertanto permane, a norma
del primo comma dell'art. 82 del Tuel, il
diritto all'indennità di funzione per i
presidenti dei consigli circoscrizionali dei
comuni capoluogo di provincia
(articolo ItaliaOggi
del 29.07.2011 - tratto da www.ecostampa.it). |
PUBBLICO IMPIEGO: Assistenza,
primo il coniuge.
Cura del disabile: la riforma riconosce la
priorità sugli altri familiari - ASSENZE
«LUNGHE» - Questi periodi non fanno maturare
le ferie, e non valgono ai fini del
trattamento di fine rapporto e della
tredicesima.
Il coniuge che convive con un disabile
"grave" ha la precedenza sulla richiesta di
congedo straordinario. Solo in caso di
mancanza, decesso o gravi patologie
invalidanti dello stesso subentrano, in
ordine di priorità: il padre o la madre
anche adottivi, uno dei figli conviventi o,
in ultima ratio, uno dei fratelli o sorelle
a condizione che vivano con il disabile.
È
quanto mette nero su bianco il decreto
legislativo 119/2011 pubblicato in Gazzetta
il 27.07.2011 che modifica il Dlgs
151/2001.
Nel decreto un'altra importante
conferma: durante il periodo di congedo
straordinario non si maturano ferie,
tredicesima e trattamento di fine rapporto.
Nella prassi già era così, ma ora è previsto
espressamente dalla legge.
In caso di disabili in famiglia la legge
104/1992, già modificata recentemente dal
Collegato lavoro, prevede inoltre la
possibilità di assentarsi per periodi brevi
e ripetuti (permessi) retribuiti. Vediamo le
misure in dettaglio.
Permessi.
L'articolo 33 della legge 104/1992 riconosce
al lavoratore dipendente il diritto di
fruire di tre giorni di permesso mensile
retribuito per assistere il coniuge o un
parente o affine entro il 2° grado in
situazione di gravità, diritto che può
essere esteso a parenti o affini entro il 3°
grado qualora il coniuge o i genitori della
persona con handicap in situazione di
gravità abbiano compiuto i 65 anni di età
oppure siano affetti da patologie
invalidanti o siano deceduti o mancanti.
Anche il lavoratore subordinato maggiorenne
in situazione di gravità ha diritto di
usufruire, alternativamente, di due ore di
permesso giornaliero, oppure di tre giorni
di permesso mensile e ha, altresì, il
diritto a scegliere, ove possibile, la sede
di lavoro più vicina al proprio domicilio e
non può essere trasferita in altra sede,
senza il suo consenso.
Dal 24.11.2010, data di entrata in
vigore del Collegato lavoro, il diritto ai
tre giorni non può essere riconosciuto a più
di un lavoratore con riferimento alla stessa
persona disabile, salvo il caso dei figli
con handicap in condizione di gravità, che
potranno essere assistiti, alternativamente,
da entrambi i genitori.
Che la norma debba essere tassativamente
interpretata in questo senso trova conferma
nella risposta del ministero del Lavoro a
interpello n. 24 del 17 giugno scorso.
Precisa, infatti il Ministero che il
concetto di esclusività introdotto dalla
legge 183/2010 deve essere inteso nel senso
che i permessi possono essere accordati a un
unico lavoratore per assistere la stessa
persona.
Nello stesso senso si esprime il
Dipartimento della funzione pubblica con la
circolare 13/2010. E rispondendo con
l'interpello 21 del 17.06.2011, la
Direzione generale dei servizi ispettivi del
ministero del Lavoro ha chiarito che i
permessi in questione non devono essere
riproporzionati qualora il lavoratore
fruisca, nello stesso mese, di un periodo di
ferie.
Congedo straordinario.
Per assistere un familiare gravemente
disabile può anche essere chiesto un periodo
di congedo straordinario (articolo 42, comma
5, Dlgs 151/2001), per massimo di due anni,
anche non continuativi, nell'arco della vita
lavorativa. Tale richiesta, fino ad oggi,
poteva essere fatta dalla lavoratrice madre
o, in alternativa, dal lavoratore padre o,
dopo la loro scomparsa, da uno dei fratelli
o sorelle conviventi di soggetto con
handicap grave (articolo 3, comma 3, legge
104/1992).
Con le sentenze 158/2007 e 19/2009 la Corte
costituzionale ha, però, dichiarato
l'illegittimità del comma 3, nella parte in
cui non prevede, in via prioritaria rispetto
agli altri congiunti, il coniuge convivente
e nella parte in cui non include, nel novero
dei soggetti che possono richiedere il
congedo, il figlio convivente. Di queste
sentenze ha tenuto conto l'articolo 4 del
Dlgs 18.07.2011, n. 119 - di attuazione
della delega di cui all'articolo 23 del
Collegato).
Durante il periodo di congedo, il
richiedente ha diritto a percepire
un'indennità corrispondente all'ultima
retribuzione e il periodo medesimo è coperto
da contribuzione figurativa; l'indennità e
la contribuzione figurativa spettano fino a
un importo complessivo massimo annualmente
rivalutato e pari, per il 2011, a 44.276,32
euro, di cui 33.290 euro a titolo di
indennità economica. L'indennità è
corrisposta dal datore di lavoro secondo le
modalità previste per la corresponsione dei
trattamenti economici di maternità. I datori
di lavoro privati, nella denuncia
contributiva, detraggono l'importo
dell'indennità dall'ammontare dei contributi
previdenziali dovuti all'ente previdenziale
competente.
Con il messaggio n. 13013 del 17.06.2011
l'Inps ha espresso parere che durante tale
periodo non maturi il Tfr (parere confermato
dal Dlgs 119/2011 appena pubblicato) che è
espressamente previsto nei periodi di
assenza dal lavoro per una delle cause
elencate dall'articolo 2120 del Codice
civile, vale a dire in caso di infortunio,
malattia, gravidanza o puerperio, oppure nei
casi di sospensione del rapporto di lavoro
con diritto all'integrazione salariale.
Come sopra accennato il comma 5-quinquies,
articolo 4, Dlgs 119/2011 prevede
esplicitamente che il periodo di congedo
straordinario non rilevi ai fini del Tfr,
della maturazione delle ferie e della
tredicesima mensilità.
Per tutto quanto non espressamente previsto
si applica l'articolo 4 della legge
n. 53/2000, che stabilisce che durante i
periodi di assenza straordinaria per gravi e
documentati motivi familiari, di cui il
congedo straordinario indennizzato fa parte,
il dipendente conserva il posto di lavoro,
ma il periodo non è computato nell'anzianità
di servizio né ai fini previdenziali
(articolo Il Sole 24
Ore
del 29.07.2011 - tratto da
www.ecostampa.it). |
PUBBLICO IMPIEGO: Ecco
la «stretta» sulle assenze dal lavoro.
Figli, politica e cure sospendono
l'attività: operative dall'11 agosto le
nuove regole contro gli abusi.
Novità in arrivo per i congedi e permessi
dei lavoratori, dopo la pubblicazione in
Gazzetta Ufficiale, il 27 luglio, del
decreto legislativo di riordino -che
entrerà in vigore l'11 agosto. Una materia
che rappresenta un "universo" legislativo
complesso, fatto da tanti tasselli spesso
difficili da coordinare tra loro: alle norme
si sovrappongono poi gli interventi di
prassi che dettano le modalità operative per
la fruizione degli stessi.
Queste fonti disciplinano i requisiti per
l'esercizio del diritto ai congedi, la loro
durata, la retribuzione spettante ma anche
l'utilizzo della modulistica, le tempistiche
e le regole per richiederli, i meccanismi
per la loro gestione e i conseguenti
riflessi sull'azienda che gestisce il
rapporto di lavoro con l'interessato.
Intento di questa Guida è una ricognizione
delle diverse fattispecie di permessi,
analizzandone i tratti distintivi e
individuando la platea degli aventi diritto,
i percorsi da seguire per l'effettivo
godimento e i trattamenti spettanti.
Il decreto legislativo 119/2011, pubblicato
sulla Gazzetta Ufficiale 173 del 27 luglio
scorso, ha apportato un parziale riordino
della materia, andando a toccare alcune
tipologie: si tratta più che altro di una
"stretta" volta a evitare possibili abusi
nel l'utilizzo dei permessi, attraverso una
ridefinizione dei criteri e delle modalità
di fruizione, in particolare rivolta ai
congedi per assistere i familiari disabili.
Altre disposizioni innovano il congedo di
maternità, introducendo la possibilità del
rientro flessibile al lavoro, in caso di
eventi quali l'interruzione di gravidanza.
In sostanza, il provvedimento ha apportato
qualche "sistemazione" alla materia, anche
con l'obiettivo di raccogliere gli indirizzi
dettati dalla Corte costituzionale,
intervenuta negli ultimi anni per dirimere
le questioni di legittimità su alcuni
passaggi legislativi.
Il collegato lavoro (legge 183/2010) aveva
invece delegato il Governo a riordinare la
materia, per giungere alla stesura di un
Testo unico: in effetti, è sentita
l'esigenza di avere un "raccoglitore" delle
diverse regole, anche per far fronte alle
difficoltà interpretative e per conferire
maggiore organicità a norme per lo più
sparpagliate. Si pensi, infatti, che per
certe tipologie di permessi si fa ancora
riferimento alla legge 300/1970, come per
quelli sindacali, mentre per altre, quali i
congedi per assistere persone con
disabilità, le norme hanno vissuto diversi
passaggi: dalla legge 104/1992 alla
388/2000, dal Dlgs 151/2001 alla legge
350/2003 al Dlgs 119/2011.
La Guida punta così a fare il punto sullo
"stato dell'arte" delle principali
casistiche: oltre a quelli già citati,
vengono analizzati i permessi per attività
formative, quelli per il volontariato, i
congedi parentali, i riposi giornalieri, il
congedo matrimoniale, i permessi sindacali e
politici, quelli per i donatori di sangue.
Sulla strada della conciliazione tra i tempi
di vita e quelli di lavoro si è mosso il
Dpcm n. 277/2010 (pubblicato in Gazzetta
Ufficiale il 3 maggio scorso), individuando
azioni positive ad hoc, e l'avviso comune
sottoscritto dal ministero del Lavoro con le
parti sociali il 07.03.2011, puntando
sulla flessibilità degli orari di lavoro per
la cura dei familiari.
Anche il sistema del welfare contrattuale
deve essere visto come opportunità e sta
muovendo i primi passi, per modellare
l'impianto legislativo sulla materia dei
permessi mediante l'istituzione di regole
collettive, anche aziendali.
L'accordo tra Confindustria e le
organizzazioni sindacali del 28 giugno potrà
favorire queste politiche e far sì che il
ruolo del cosiddetto secondo livello non si
esaurisca in uno sterile rimando
all'impianto legislativo, bensì in
un'attività di integrazione e adattamento
delle diverse tipologie di congedi alle
singole realtà imprenditoriali, così da
creare una stretta correlazione tra il
livello contrattuale e quello legislativo.
In questo modo si potrebbero sfruttare
appieno le potenzialità di alcune forme di
permessi spesso inutilizzati –come ad
esempio il congedo di paternità– e creare
altresì le condizioni per soddisfare non
solo le esigenze del lavoratore ma anche per
contemperare queste ultime con quelle della
realtà aziendale
(articolo Il Sole 24
Ore
del 29.07.2011). |
PUBBLICO IMPIEGO: Dai
giudici i paletti per giocare in difesa.
LE LITI PIÙ FREQUENTI - Molte cause
riguardano le autorizzazioni sindacali
perché i comportamenti illegittimi
prescindono dall'intento lesivo.
Nel mondo del lavoro sono tante le
circostanze che consentono ai dipendenti di
usufruire di permessi per far fronte a
esigenze, personali o familiari, di diversa
natura. La legge prevede specificamente
varie ipotesi di "astensione", ma non sempre
i diritti dei lavoratori collimano con le
aspettative aziendali, dando luogo a un
contenzioso che quasi sempre privilegia le
necessità dei singoli.
Una delle violazioni più ricorrenti riguarda
il rilascio di permessi sindacali. La
definizione della condotta antisindacale
prevista dall'articolo 28 dello Statuto dei
lavoratori non è analitica ma teleologica,
poiché individua il comportamento
illegittimo non in base a caratteristiche
strutturali, bensì alla sua idoneità a
ledere i beni protetti. Ne consegue che per
integrare gli estremi della condotta
antisindacale è sufficiente che tale
comportamento leda oggettivamente gli
interessi collettivi di cui sono portatrici
le organizzazioni sindacali, non essendo
necessario (ma neppure sufficiente) uno
specifico intento lesivo da parte del datore
di lavoro.
L'esigenza di una tutela della
libertà sindacale, infatti, può sorgere
anche in relazione a un'errata valutazione
del datore di lavoro circa la portata della
sua condotta. In questo contesto è stato,
quindi, considerato illegittimo il
licenziamento per asserita assenza
arbitraria dal lavoro di un dipendente che
si trovava in permesso sindacale non
retribuito, regolarmente comunicato
(Cassazione, sentenza 9250/2007).
Vìola
inoltre la libertà sindacale e la
possibilità di razionalizzare il servizio il
comportamento dell'imprenditore che non
comunica ai sindacati, cinque giorni prima
di uno sciopero, quali lavoratori dovranno
garantire le prestazioni indispensabili in
azienda. (Cassazione, sentenza 13780/2011).
Grandi "conquiste" si riscontrano nelle aule
di giustizia anche sul fronte dei congedi
parentali. In tema di permessi giornalieri
retribuiti per i lavoratori, ai sensi
dell'articolo 33, comma 2, della legge 05.02.1992 n. 104, la lavoratrice madre o
il lavoratore padre di una pluralità di
minori portatori di handicap grave hanno
diritto, in alternativa al prolungamento
fino a tre anni del congedo parentale, ad
usufruire di due ore di permesso giornaliero
retribuito per ciascun bambino sino al
compimento del terzo anno di età, dovendosi
ritenere prevalente rispetto alle esigenze
connesse alla prestazione lavorativa
l'interesse del bambino e la tutela,
prioritaria, del suo sviluppo e della sua
salute quali diritti fondamentali
dell'individuo costituzionalmente garantiti.
In applicazione di questo principio, la
Cassazione, con la sentenza 4623/2010 ha
riconosciuto a un padre di due gemelli
affetti da handicap grave il diritto a
usufruire di un permesso giornaliero di due
ore retribuite per ciascuno dei figli.
Nel comparto scuola, infine, le disposizioni
in materia di congedi parentali hanno
portata generale e si applicano anche ai
dipendenti con contratto a tempo
determinato, a maggior tutela e sostegno
della maternità e paternità
(articolo Il Sole 24
Ore
del 29.07.2011). |
CONSIGLIERI COMUNALI - PUBBLICO IMPIEGO: Il
datore anticipa i compensi dei giorni spesi
per la politica. Pagati anche contributi e oneri, rimborsati
poi dall'Inps - Lo stesso vale per il
sindacato.
Quando il lavoratore dipendente di aziende
pubbliche o private, ricopre cariche
politiche o sindacali, il datore di lavoro è
tenuto a concedergli i permessi necessari
per l'espletamento del mandato. Il
legislatore, infatti, prevede a favore del
lavoratore dipendente una serie di tutele
per consentire lo svolgimento dell'attività
nel migliore dei modi ponendone il costo a
carico della collettività.
Oltre al diritto a fruire di permessi non
retribuiti, poi, per l'espletamento di
questi incarichi i lavoratori hanno diritto
a permessi retribuiti e coperti spesso da
contribuzione figurativa per la maturazione
della pensione. Certo il disagio per i
datori di lavoro è concreto e, per certi
versi, esiste anche un danno economico,
quanto meno in termini di modificazione
dell'organizzazione interna del lavoro.
Tuttavia il datore di lavoro non può
esimersi dal concedere i permessi, avendo,
ove previsto, la sola possibilità di
recuperare le somme anticipate, spesso con
modalità non del tutto automatiche al
contrario di come avviene, ad esempio, per
l'indennità di malattia.
Permessi per cariche elettive.
I lavoratori chiamati a ricoprire cariche
pubbliche (ad esempio consiglieri comunali,
provinciali, sindaci) possono fruire di
permessi e di periodi di aspettativa con il
diritto di assentarsi dal servizio per
l'intera giornata nella quale sono convocati
gli organi cui appartengono. La norma che
regola svolgimento, limiti e concessione è
il Testo unico delle leggi sull'ordinamento
degli enti locali (Dlgs 267/2000).
Spesso i lavori si svolgono in orario
serale, in queste ipotesi è previsto il
diritto di non riprendere il lavoro prima
delle ore 8 del giorno successivo e, ove gli
stessi si protraggano oltre la mezzanotte,
il diritto di assentarsi dal servizio per
l'intera giornata successiva.
In generale il diritto di assentarsi dal
servizio per partecipare alle riunioni è
limitato alla loro effettiva durata e
comprende il tempo per raggiungere il luogo
della riunione e rientrare al posto di
lavoro. Per alcuni incarichi, in funzione
del numero di abitanti nel territorio di
riferimento dell'ente, oltre a questi
permessi, il lavoratore potrà assentarsi dal
lavoro per un massimo di 24 o 48 ore
lavorative al mese.
Per le giornate di assenza, il lavoratore ha
diritto all'intera retribuzione anticipata
dal datore di lavoro che ha la facoltà di
chiedere il rimborso, compresi contributi e
oneri differiti. L'ente lo deve erogare
entro 30 giorni sulla base di apposita
richiesta documentata. In alternativa, è
possibile richiedere un'aspettativa non
retribuita per tutto il periodo del mandato
e tale periodo è considerato a tutti i
effetti come servizio effettivamente
prestato.
Permessi sindacali.
Scatta il diritto a permessi retribuiti e
non retribuiti anche per la partecipazione
dei lavoratori alle riunioni degli organi
direttivi delle associazioni sindacali e
delle rappresentanze sindacali aziendali (Rsa)
e unitarie (Rsu).
I limiti sono dettati dalle dimensioni
aziendali (legge 300/1970), mentre le regole
sono stabilite dai relativi contratti
collettivi di riferimento. In ogni caso la
contrattazione collettiva non può tramutare
la concessione dei permessi in una facoltà
del datore, o condizionare il riconoscimento
del diritto del lavoratore all'assenza di
impedimenti di ordine tecnico aziendale. Al
datore, quindi, non è lasciato alcun potere
discrezionale, ma i nominativi del
lavoratori legittimati a fruirne e la
comunicazione preventiva obbligatoria, sono
finalizzate alla possibilità di sostituzione
del soggetto assente dal lavoro.
I lavoratori chiamati a ricoprire le cariche
sindacali provinciali o nazionali, possono
chiedere di essere posti in aspettativa non
retribuita per la durata del loro mandato.
Per i permessi sindacali non vige il
principio del riproporzionamento che regola
i rapporti part-time, pertanto in caso di
prestazione ad orario ridotto il permesso
sarà intero.
I Consiglieri di parità, lavoratori
dipendenti che ricoprano tale ruolo a
livello nazionale o regionale, hanno diritto
per l'esercizio delle loro funzioni, ad
assentarsi dal posto di lavoro per un
massimo di 50 ore lavorative mensili medie
retribuite, i consiglieri provinciali di
parità per un massimo di 30 ore (Dlgs
196/2000)
(articolo Il Sole 24
Ore
del 29.07.2011 - tratto da www.ecostampa.it). |
PUBBLICO IMPIEGO: Congedi, nuove norme dall'11/08/2011.
Riforma in g.u..
Via libera al riordino della disciplina in
materia di congedi, aspettative e permessi
dei lavoratori del settore pubblico e
privato. Le nuove norme, approvate dal
consiglio dei ministri lo scorso 9 giugno,
entreranno in vigore dal prossimo 11 agosto
a seguito della pubblicazione in gazzetta
ufficiale n. 173/2011 (dlgs 18.07.2011 n. 119).
Diverse sono le novità previste dal
provvedimento che dà attuazione all'articolo
23 della legge n. 183/2010 (il collegato
lavoro).
Per quanto riguarda il congedo di
maternità, nei casi di interruzione
spontanea o terapeutica della gravidanza,
successivamente a 180 giorni dalla
gestazione, è prevista la facoltà per la
lavoratrice di riprendere in qualunque
momento l'attività lavorativa. A tal fine, è
necessario tuttavia che un medico
specialista (Ssn o in convenzione) e il
medico competente (per la sicurezza lavoro)
attestino che il rientro anticipato non
arreca pregiudizio al suo stato di salute.
In merito al congedo straordinario per
assistenza a familiari portatori di handicap
grave (la cui durata complessiva è pari a
due anni nell'arco della vita lavorativa)
viene innanzitutto riscritta la platea dei
soggetti legittimati a fruirne. Ha diritto
al congedo, prima di altri, il coniuge
convivente del soggetto disabile. In caso di
mancanza, decesso o in presenza di patologie
invalidanti del coniuge, ha diritto a
fruirne il padre o la madre anche se
adottivi. In caso decesso, mancanza o in
presenza di patologie invalidanti del padre
o della madre, anche se adottivi, il diritto
passa a uno dei figli conviventi. In caso di
mancanza, decesso o in presenza di patologie
invalidanti dei figli, infine, il congedo
spetta a uno dei fratelli o delle sorelle
conviventi.
Altra novità è la previsione,
allo scopo di consentire una reale
assistenza, che il congedo possa essere
fruito anche se la persona disabile è
ricoverata a tempo pieno e qualora i
sanitari della struttura ne attestino
l'esigenza.
Il dlgs n. 119/2001, ancora, disciplina il
congedo straordinario per motivi di studio
dei pubblici dipendente ammessi ai corsi di
dottorato di ricerca; restringe la platea
dei dipendenti con diritto a prestare
assistenza nei confronti di più disabili
(legge n. 104/1992); prevede l'obbligo di
attestare il raggiungimento del luogo di
residenza della persona assistita, qualora
distante oltre 150 km
(articolo ItaliaOggi
del 29.07.2011 - tratto da www.corteconti.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Lombardia, Legge parchi: via libera in
Consiglio regionale alla nuova legge.
La trasformazione degli attuali consorzi di
gestione dei parchi in enti di diritto
pubblico, la semplificazione delle procedure
di pianificazione delle aree protette, la
parificazione delle procedure di modifica
dei confini, la valorizzazione dei parchi
locali di interesse sovraccomunale (PLIS),
la razionalizzazione delle spese gestionali,
l’istituzione di un apposito albo regionale
per i direttori dei parchi, la designazione
di un componente del comitato di gestione
dei parchi da parte della Giunta regionale
(prima i componenti erano eletti solo da
Comuni e Enti locali coinvolti): sono queste
le novità principali della nuova legge
regionale che modifica le competenze e
l’organizzazione degli enti gestori dei
parchi lombardi, approvata oggi in Consiglio
regionale, con 44 voti a favore, 5 contrari
e 20 astenuti: voto favorevole espresso da
PdL e Lega Nord, astensione dell’UdC e del
PD, voto contrario di IdV e SEL. ... (28.07.2011
- link a
www.consiglio.regione.lombardia.it). |
EDILIZIA PRIVATA: In
arrivo nuove regole per la prevenzione
incendi.
Il Consiglio dei Ministri ha approvato il
Regolamento per la semplificazione di
procedimenti in materia di prevenzione
incendi.
Si tratta del primo testo, emanato sulla
base di quanto previsto dal Decreto-Legge
n.78 del 2010, teso a semplificare le
procedure e ridurre gli oneri
amministrativi, mantenendo inalterati i
livelli di garanzia e di sicurezza.
Sul testo sono stati acquisiti i pareri del
Consiglio di Stato e delle Commissioni
parlamentari ed è stato approvato dal
Consiglio dei Ministri senza alcuna
modifica.
Il regolamento sarà applicabile alle
attività soggette alle visite e ai controlli
di prevenzione incendi di cui al Decreto del
Ministro dell'Interno 16 febbraio 1982.
Le attività da sottoporre a controlli di
prevenzione incendi saranno suddivise in tre
categorie:
►
Attività di tipo A (basso rischio): attività
non soggette a rischi significativi;
►
Attività di tipo B (rischio medio): attività
soggette a rischio medio;
►
Attività di tipo C (rischio elevato):
attività che presentano un elevato rischio.
Gli adempimenti amministrativi saranno
diversificati in relazione alla dimensione,
al settore in cui opera l'impresa e
all'effettiva esigenza di tutela degli
interessi pubblici.
Nel caso di attività a basso rischio (Tipo
A), non sarà più necessario il parere di
conformità e sarà sufficiente utilizzare la
segnalazione certificata di inizio attività
(SCIA); i controlli saranno effettuati a
campione successivamente all’inizio
dell’attività.
Nel caso, invece, di attività a medio e alto
rischio (Tipo B e Tipo C) la valutazione di
conformità dei progetti ai criteri di
sicurezza antincendio dovrà essere
rilasciata entro 60 giorni; i controlli
successivi saranno effettuati a campione
entro 60 giorni.
Anche per le attività a medio rischio e ad
alto rischio sarà possibile utilizzare la
SCIA ; le modalità di presentazione delle
istanze, il loro contenuto e la relativa
documentazione da allegare saranno
disciplinate con un apposito decreto del
Ministro dell'Interno
(28.07.2011 - link a www.acca.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: L'inquinamento
autocertificato.
Le pmi potranno attestare la regolarità di
scarichi e acustica. In Consiglio dei
ministri un dpr di semplificazione. Online
tutta la documentazione ambientale.
Pmi e microimprese dovranno autocertificare
la loro dimensione. Una volta, fatto,
basterà loro una mera autodichiarazione per
incassare il rinnovo delle autorizzazioni
agli scarichi di acque reflue industriali.
Ovviamente, solo laddove non si siano
verificate modifiche nell'impianto e nelle
sostanze utilizzate nel processo produttivo,
rispetto al rilascio della prima
autorizzazione.
È quanto prevede uno
schema
di regolamento (il n. 369/2011), contenente
misure di semplificazione degli adempimenti
amministrativi in materia ambientale.
Il testo, già approvato in via preliminare
dal Consiglio dei ministri il 3 marzo
scorso, ha poi guadagnato i prescritti
pareri del consiglio di stato, della
Conferenza unificata e delle competenti
commissioni parlamentari. Stamane, il dpr
torna al vaglio del preconsiglio, per poi
finire venerdì prossimo sul tavolo del Cdm,
per il via libera definitivo.
Rumore.
Tra le altre novità, è prevista una
semplificazione burocratica in fatto di
inquinamento acustico, con la possibilità,
anche qui, di autocertificare che la propria
attività non superi i limiti di emissione di
rumore stabiliti dal comune attraverso la
classificazione acustica.
Un vincolo, questo, che impone alle attività
«a basso volume» di esibire una
documentazione di impatto acustico, prevista
dall'art. 8, commi 2-4, della legge quadro
447/1995. E che, una volta approvato il
regolamento, potrà essere soddisfatto
attraverso la mera presentazione di una
dichiarazione sostitutiva della propria
bassa rumorosità.
La semplificazione, in sostanza, agevolerà
tutti quegli esercizi (come ristoranti,
pizzerie, trattorie, bar, mense,
stabilimenti balneari ecc.), che hanno
impianti di diffusione musicale o
organizzano eventi musicali. Tra questi, il
regolamento include anche le sale gioco e le
attività agrituristiche. Ma non finisce qui.
Acque reflue domestiche.
Il dpr detta una nuova classificazione delle
cosiddette acque reflue domestiche, a cui
sono state assimilate anche «le acque
reflue provenienti da imprese dedite alla
trasformazione di olive in olio», cioè
le acque di scarico dei frantoi. Attenzione,
però. Questo allargamento, ovviamente, non
riguarda tutte le attività industriali del
settore, ma solo quelle imprese che
trasformano in prevalenza olive «per
conto di chi coltiva uliveti siti nella
stessa provincia dove è ubicato il frantoio
o in provincia confinante».
Inoltre, l'agevolazione sarà accessibile
dalle stesse attività, purché «i sistemi
depurativi siano dotati di tecnologie idonee
al trattamento di tali acque», così da
garantire la qualità finale delle acque
scaricate nella rete.
Istanze online.
Il regolamento, contiene, quindi, una norma
di servizio, a carattere generale. E cioè
che, d'ora in poi, le imprese tutte dovranno
presentare le loro «istanze di
autorizzazione, la documentazione, le
dichiarazioni e le altre attestazioni
richieste in materia ambientale
esclusivamente per via telematica allo
sportello unico per le attività produttive,
competente per territorio». Di
conseguenza, ogni altra modalità di
presentazione dei documenti sarà esclusa.
Monitoraggio e modello
semplificato.
Infine, l'ultimo articolo del dpr dispone un
monitoraggio sulle nuove misure di
semplificazione adottate.
Il compito di deciderne modalità e strumenti
viene affidato a una messe di istituzioni e
soggetti economici: i ministeri
dell'ambiente e dello sviluppo economico, i
ministri per la pubblica amministrazione e
per la semplificazione normativa, la
Conferenza Unificata, le associazioni
imprenditoriali.
Tutti assieme, questi organismi dovranno
predisporre, secondo il dpr, «forme di
monitoraggio sull'attuazione del regolamento
e un modello semplificato e unificato per la
richiesta di autorizzazione».
Anche questo, ovviamente, «da adottare,
con decreto del ministro dell'ambiente e
della tutela del territorio e del mare, di
concerto con il ministro dello sviluppo
economico, con il ministro per la pubblica
amministrazione e l'innovazione e con il
ministro per la semplificazione normativa,
previa intesa con la Conferenza Unificata».
A conti fatti, vista la congerie di soggetti
competenti in materia, decidere su
monitoraggio e modello di semplificazione
sarà piuttosto complesso
(articolo ItaliaOggi
del 26.07.2011). |
PUBBLICO IMPIEGO: Ancora
una picconata allo spoils system.
Ancora una picconata allo spoils system.
L'opera di demolizione dell'istituto,
iniziata dalla Corte costituzionale nel
2007, è proseguita ieri con l'ennesima
decisione contraria alla rimozione
automatica dei dirigenti quando cambia il
governo. Anche questa volta a ricorrere alla
Consulta è stato il tribunale di Roma poco
convinto della legittimità dell'art. 19,
comma 8, del dlgs 165/2001 (nel testo
modificato dal dl 262/2006).
Rispetto alla fattispecie esaminata dalla
sentenza n. 81/2010 (si veda ItaliaOggi del
06/03/2010) il contenuto non cambia. L'unica
differenza è che la norma del decreto Visco-Bersani, cassata l'anno scorso,
dettava un regime transitorio dello spoils
system, mentre questa volta è finita nel
mirino della Corte la disciplina a regime. E
le motivazioni del ricorso non mutano:
violazione degli articoli 97 e 98 della
Costituzione perché l'interruzione del
rapporto di ufficio prima della scadenza
priva gli incarichi dirigenziali delle
garanzie necessarie ad assicurare
l'imparzialità e il buon andamento della
p.a..
Nella sentenza n. 246/2011, depositata
ieri in cancelleria e redatta da Sabino Cassese,
la Corte ha ribadito la necessità, già
espressa nel 2010 e nelle precedenti
sentenze n. 104/2007 e n. 103/2008, di
prevedere «un confronto dialettico tra le
parti nell'ambito del quale, da un lato,
l'amministrazione esterni le ragioni per le
quali ritenga di non consentire la
prosecuzione sino alla scadenza
contrattualmente prevista, e, dall'altro, al
dirigente sia assicurata la possibilità di
far valere il diritto di difesa,
prospettando i risultati delle proprie
prestazioni»
(articolo ItaliaOggi
del 26.07.2011). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: Rifiuti,
regioni fuorigioco sulle discariche.
Non esiste nella legislazione ambientale
italiana il principio dell'autosmaltimento
dei rifiuti speciali. È dunque illegittima
una legge regionale che limiti la
percentuale di rifiuti che le discariche
locali possono accogliere dall'esterno,
ossia da soggetti diversi da coloro che
hanno realizzato l'impianto. Una norma del
genere contrasta innanzitutto con gli
articoli 117 e 3 della Costituzione, ma
anche con l'articolo 41 perché i rifiuti
possono a pieno titolo essere considerati
«beni commercialmente rilevanti». E ogni
limite alla loro circolazione comprime «la
libera facoltà di svolgere un'iniziativa
economica» sancita dalla Carta.
È questo il
principio ricavabile dalla sentenza n.
244/2011 della Corte costituzionale che ha
bocciato il combinato disposto di due norme
della legge regionale del Veneto n. 3/2000
in materia di gestione dei rifiuti.
Le disposizioni censurate prevedevano che
nelle discariche realizzate per smaltire
rifiuti speciali fosse riservata una quota
non superiore al 25% della capacità
ricettiva per lo smaltimento dei rifiuti
conferiti da soggetti diversi dai
realizzatori dell'impianto.
La Consulta ha accolto le tesi del Tar
Veneto e ha bocciato il principio dell'autosmaltimento
(o responsabilità del produttore che dir si
voglia) trasposto dal legislatore veneto
nella norma impugnata. Si tratta di un
principio, ha osservato la Corte nella
sentenza redatta da Paolo Maria Napolitano,
«estraneo alla legislazione statale in
materia ambientale, la quale esclude la
sussistenza del principio
dell'autosufficienza locale con riferimento
ai rifiuti speciali anche non pericolosi».
E
per di più, non si tratta neppure di una
materia di competenza regionale perché «non
emergono elementi specifici ed obiettivi in
base ai quali ancorare l'intervento
legislativo né alla materia del governo del
territorio né a quella della salute
pubblica».
Inoltre, nota la Consulta,
restringere la fruibilità delle discariche
incrementa i movimenti dei rifiuti sul
territorio (vista l'indisponibilità di
idonei siti di stoccaggio) in violazione di
quanto previsto dal dlgs n. 152/2006 che
impone invece di ridurli
(articolo ItaliaOggi
del 26.07.2011). |
PUBBLICO IMPIEGO: Malattie,
le visite fiscali non sono più obbligatorie.
Nel decreto legge 98/2011, convertito nella
legge 111/2011, contenente disposizioni in
materia di manovra economica, il governo ha
modificato nuovamente la disciplina (comma 5
dell'art. 55-septies del d.lgs. 165/2001)
sui controlli delle assenze per malattia di
tutti i dipendenti pubblici, ivi compreso il
personale della scuola, finalizzata
chiaramente ad una riduzione delle spese
derivanti dal costo delle visite fiscali.
Il
comma 9 dell'art. 16 del citato decreto
legge 98/2001 attenua notevolmente l'obbligo
dell'amministrazione di disporre il
controllo in ordine alla sussistenza della
malattia del dipendente anche nel caso di
assenza di un solo giorno. Tenendo conto
dell'esigenza di contrastare e prevenire
l'assenteismo, le pubbliche amministrazioni,
recita il comma 9, nel disporre il controllo
sulle assenze per malattia dovranno valutare
la condotta complessiva del dipendente e gli
oneri connessi all'effettuazione della
visita. L'obbligo di disporre la visita di
controllo sin dal primo giorno permane solo
quando l'assenza si verifica nelle giornate
precedenti o successive a quelle non
lavorative.
Il predetto comma 9 nel
disporre, inoltre, che le fasce orarie di
reperibilità e il relativo regime delle
esenzioni dovranno essere stabilite con
decreto del ministro Brunetta, precisa che
qualora il dipendente debba allontanarsi
dall'indirizzo comunicato durante le fasce
di reperibilità per effettuare visite
mediche, prestazioni o accertamenti
specifici o per altri giustificati motivi,
da documentare a richiesta, sarà tenuto a
darne preventiva comunicazione
all'amministrazione.
Un'altra importante
precisazione riguarda il caso in cui
l'assenza per malattia abbia luogo per
l'espletamento di visite, terapie,
prestazioni specialistiche od esami
diagnostici. In tali casi l'assenza dovrà
essere giustificata mediante la
presentazione di attestazione rilasciata dal
medico o dalla struttura, anche privati.
L'applicazione delle nuove disposizioni in
materia di visite fiscali e il nuovo decreto
del ministro per la pubblica amministrazione
e l'innovazione, oltre a comportare una
riduzione delle spese, dovrebbe poter
ridurre lo stato di tensione che da tempo si
registra nelle scuole, sia negli uffici di
segreteria che nei rapporti tra i dirigenti
scolastici e personale
(articolo ItaliaOggi
del 26.07.2011). |
SICUREZZA LAVORO: SICUREZZA/
Volontariato a prova di sicurezza.
Prevenzione garantita, ma senza causare
omissioni e ritardi. In Gazzetta Ufficiale
il decreto sulle organizzazioni che dà
attuazione all'art. 3 del Testo unico.
Pronte le regole di
sicurezza nel volontariato. È la peculiarità
delle attività svolte a dovere guidare le
norme di sicurezza dei volontariati di
protezione civile, della croce rossa
italiana, del soccorso alpino e vigili del
fuoco. Così pure quelle dei lavoratori, soci
e volontari, delle cooperative sociali. In
ogni caso, però, prevale la mission delle
organizzazioni: l'applicazione delle
disposizioni sulla sicurezza, infatti, non
può comportare omissione o ritardo delle
attività e dei compiti di protezione civile.
Lo stabilisce, tra l'altro, il decreto
13.04.2011 pubblicato sulla G.U. n.
159/2011, che dà attuazione all'articolo 3
del Tu sicurezza (dlgs n. 81/2008). La nuova
disciplina entrerà a regime a partire dal
prossimo 8 gennaio.
Sicurezza sul lavoro a 360
gradi.
Una delle novità della riforma della
sicurezza del lavoro (Tu sicurezza di cui al
dlgs n. 81/2008 e successive modifiche) è
stata l'estensione dell'applicazione delle
norme a ogni settore di attività. E a
seguito delle modifiche del dlgs n. 106/2009
(in vigore dal 20.08.2009) pure a volontari
e alle cooperative sociali.
L'articolo 3 del Tu, in merito, è
sufficientemente chiaro: le norme di
sicurezza si applicano in tutti i settori,
sia pubblici che privati.
Soggetto tenuto all'osservanza delle norme è
il datore di lavoro: chi è titolare del
rapporto di lavoro con il lavoratore (il
beneficiario delle misure di sicurezza) o
comunque il soggetto che, secondo il tipo e
l'assetto dell'organizzazione nel cui ambito
il lavoratore presta la propria attività, ha
la responsabilità dell'organizzazione
medesima o dell'unità produttiva in quanto
esercita i poteri decisionali e di spesa.
Nelle pubbliche amministrazioni, per datore
di lavoro si intende il dirigente al quale
spettano i poteri di gestione, ovvero il
funzionario non avente qualifica
dirigenziale, nei soli casi in cui
quest'ultimo sia preposto ad un ufficio
avente autonomia gestionale, individuato
dall'organo di vertice delle singole
amministrazioni tenendo conto
dell'ubicazione e dell'ambito funzionale
degli uffici nei quali viene svolta
l'attività, e dotato di autonomi poteri
decisionali e di spesa. In caso di omessa
individuazione, o di individuazione non
conforme ai criteri sopra indicati, il
datore di lavoro coincide con l'organo di
vertice medesimo. Per alcuni datori di
lavoro le norme sono semplificate, per altri
invece vanno applicate con alcuni correttivi
fissati in sede amministrativa.
E' il caso dei vigili del fuoco, dei
volontari della croce rossa e via dicendo
per il quale è previsto che le nuove norme
trovino applicazione tenendo conto delle
effettive particolari esigenze connesse al
servizio espletato o alle peculiarità
organizzative, «particolarità» da
individuarsi con specifici provvedimenti.
Dopo alcune proroghe (l'ultima con il dpcm
25.03.2011), il decreto 13.04.2011 ha
fissato le norme di attuazione della
sicurezza nei settori del volontariato e
della cooperazione sociale.
Campo di applicazione. In base alla nuova
disciplina, pienamente operativa trascorsi
180 giorni (dall'08.01.2012), le norme in
materia di salute e sicurezza sul lavoro del
Tu sicurezza (dlgs n. 81/2008) vanno
applicate tenendo conto delle particolari
esigenze che caratterizzano le attività e
gli interventi svolti dai volontari della
protezione civile, dai volontari della croce
rossa italiana e del corpo nazionale
soccorso alpino e speleologico e dai
volontari dei vigili del fuoco, quali:
a) necessità di intervento immediato anche
in assenza di preliminare pianificazione;
b) organizzazione di uomini, mezzi e
logistica, improntata a carattere di
immediatezza operativa;
c) imprevedibilità e indeterminatezza del
contesto degli scenari emergenziali nei
quali il volontario viene chiamato ad
operare tempestivamente e conseguente
impossibilità pratica di valutare tutti i
rischi connessi (secondo quanto disposto
dagli articoli 28 e 29 del Tu sicurezza);
d) necessità di derogare, prevalentemente
per gli aspetti formali, alle procedure ed
agli adempimenti riguardanti le scelte da
operare in materia di prevenzione e
protezione, pur osservando ed adottando
sostanziali e concreti criteri operativi in
grado di garantire la tutela dei volontari e
delle persone comunque coinvolte.
In ogni caso, ciò non può comportare
omissione o ritardo delle attività e dei
compiti di protezione civile.
Con riferimento alle cooperative sociali (di
cui alla legge n. 381/1991), inoltre, il
decreto stabilisce che le norme di sicurezza
nei luoghi di lavoro del Tu sono applicate
tenendo conto delle peculiari esigenze
relative alle prestazioni che si svolgono in
luoghi diversi dalle sedi di lavoro e alle
attività che sono realizzate da persone con
disabilità
(articolo ItaliaOggi
del 25.07.2011). |
PUBBLICO IMPIEGO: Ferie,
malattia a effetto sospensivo. Da verificare
l'incompatibilità effettiva
vacanze-indisposizione. Gli effetti del
principio stabilito dalla Corte
costituzionale ed elaborato dalla
giurisprudenza.
Ferie sospese se ci si
ammala. La malattia
insorta durante le ferie, infatti, ne
sospende il decorso, salvo che il datore di
lavoro riesca a provare che l'infermità è
compatibile con la finalità delle ferie. In
tal caso in altre parole la malattia non
pregiudica la fruizione del riposo come
recupero di energie psicofisiche del
lavoratore e, dunque, l'una (ferie) e
l'altra (malattia) diventano compatibili.
Il principio stabilito dalla Corte
costituzionale ed elaborato dalla
giurisprudenza ha messo fine alla sventura
degli sfortunati vacanzieri che, costretti a
letto durante la villeggiatura, vedevano
perdere i giorni di ferie per ritornare al
lavoro più stanchi di prima.
Le ferie.
La normativa sulle ferie è contenuta in
primo luogo nella Costituzione che,
all'articolo 36, disciplina questo periodo
annuale come diritto fondamentale e
irrinunciabile dei lavoratori al fine del
recupero delle energie psicofisiche.
Il codice civile (articolo 2109) aggiunge
che la durata delle ferie è fissata dalla
legge, dai contratti collettivi, dagli usi e
secondo equità; che l'epoca del godimento è
stabilita dal datore di lavoro tenendo conto
delle esigenze dell'impresa e degli
interessi del lavoratore; che il periodo di
ferie deve essere possibilmente continuativo
e con pieno diritto alla retribuzione.
Ferie e malattia.
La malattia insorta durante le ferie ne
sospende il decorso, salvo che il datore di
lavoro provi che la stessa risulta in
concreto compatibile con le finalità delle
ferie.
È questo il risultato del principio
enunciato dalla Corte costituzionale
(sentenza n. 616/1987) in aderenza al quale
l'Inps (circolare n. 11/1991) aveva
stabilito idonee a interrompere le ferie le
infermità di durata superiore a tre giorni,
a patto di aver comportato necessità di
ricovero oppure tempestivamente e
adeguatamente notificate all'istituto e al
datore di lavoro, nei modi e nei termini
previsti ordinariamente per la malattia.
La questione è stata poi affrontata in
giurisprudenza sviluppando un contrasto
risolto, infine, da una pronuncia delle
sezioni unite (sentenza n. 1947/1998) che ha
definitivamente individuato le linee da
seguire. In primo luogo, è da ritenersi non
assoluto, ma tollerante di alcune eccezioni,
il principio dell'effetto sospensivo delle
ferie in caso di malattia insorta durante il
decorso.
In particolare, per l'individuazione delle
eccezioni va avuto riguardo alla specificità
degli stati morbosi e delle cure di volta in
volta considerate, al fine di accertare
l'incompatibilità della malattia con la
salvaguardia dell'essenziale funzione di
riposo, cioè del recupero delle energie
psico-fisiche e di ricreazione propria delle
ferie. Dal punto di vista pratico
(operativo), il lavoratore, il quale nel
presupposto della incompatibilità della
sopravvenuta malattia con le finalità delle
ferie, intenda modificare il titolo della
sua assenza da ferie a malattia, ha solo
l'onere di comunicare lo stato di malattia
al proprio datore di lavoro.
E tale comunicazione è idonea di per sé a
determinare, dalla data di conoscenza da
parte del datore di lavoro, la conversione
dell'assenza per ferie in assenza per
malattia, salvo che il datore di lavoro
provi, per mezzo dei previsti controlli
sanitari, l'infondatezza del presupposto e,
quindi, l'inidoneità della malattia a
impedire la prosecuzione del periodo
feriale.
La visita fiscale.
Il datore di lavoro che intenda verificare
l'effettiva incompatibilità della malattia
con le ferie può ricorrere alla visita
fiscale. In tal caso, deve precisare
espressamente, all'atto della richiesta del
controllo, che si tratta di lavoratore
ammalatosi durante un periodo di ferie per
il quale si chiede di accertare le
condizioni per l'interruzione delle ferie, a
partire da una data da indicare e che
coincide con quella di ricezione della
comunicazione dello stato di malattia (Inps,
circolare n. 109/1999). Se la verifica non è
possibile per fatto imputabile al lavoratore
cade ogni possibilità di considerare la
malattia come interruttiva delle ferie.
Nel caso di controlli di ufficio, qualora il
datore di lavoro riconosca (autonomamente o
a seguito di specifica, diversa visita di
controllo) l'effetto sospensivo in
questione, le assenze rilevate sono
sanzionabili soltanto per il periodo
qualificabile ai fini previdenziali come
malattia, e cioè per il periodo che si
colloca dal momento in cui esplica efficacia
l'effetto sospensivo delle ferie (giorno di
ricezione, da parte del datore di lavoro,
della comunicazione dello stato di
malattia).
L'accertamento sanitario.
La particolare finalità del controllo è
l'accertamento della compatibilità o meno
della malattia con il riposo annuale.
Pertanto, l'idoneità della malattia ad
interrompere le ferie è valutata
rapportandola al cosiddetto danno biologico,
del quale la capacità lavorativa specifica è
solo una estrinsecazione e che, da sola, non
è sufficiente a definire la reale incidenza
sulla facoltà di svolgere attività
ricreativa.
Lo stato d'incapacità temporanea assoluta al
lavoro specifico non sempre quindi è idoneo
all'interruzione del periodo feriale, ma
solo quando, incidendo sulla sfera biologica
dell'individuo, contestualmente, diventi
causa di un parziale, ma sostanziale e
apprezzabile pregiudizio alle finalità delle
ferie, cioè al ristoro e reintegro delle
energie psicofisiche.
A titolo semplificativo, l'Inps ha affermato
che laddove è presente un'inabilità
temporanea assoluta generica, come si può
verificare in seguito ad elevati stati
febbrili, ricoveri ospedalieri, ingessature
di grandi articolazioni, malattie gravi di
apparati e organi ecc., viene di regola
inibita la possibilità di godimento delle
ferie; mentre nel caso di inabilità
temporanea assoluta al lavoro specifico si
possono riscontrare due possibilità: la
prima quando la menomazione funzionale,
ancorché importante per lo svolgimento del
lavoro specifico, ha riflessi marginali sul
ristoro proprio delle ferie e pertanto non
risulta idonea a interromperle (come nei
casi di cefalea, stress psicofisico,
sindromi ansioso depressive reattive
all'ambiente di lavoro e in genere quelle
patologie che spesso trovano nelle attività
ludico ricreative un valido sostegno alla
risoluzione della sintomatologia); la
seconda quando la stessa menomazione
funzionale, producendo un sostanziale e
apprezzabile pregiudizio alle funzioni
biologiche preposte al ristoro e al
reintegro delle energie psicofisiche,
influenza negativamente il godimento delle
ferie e risulta pertanto idonea ad
interromperle
(articolo ItaliaOggi
del 25.07.2011 - tratto da www.corteconti.it). |
CONDOMINIO: Condominio,
stop all'abuso.
L'amministratore può intimare la fine delle
violazioni al regolamento - IL CASO - Un
avvocato era stato sollecitato
dall'amministratore a togliere dall'androne
la targa dello studio.
L'emissione dei provvedimenti da parte
dell'amministratore di condominio,
soprattutto se finalizzati a far cessare le
trasgressioni al regolamento, non richiede
una delibera ad hoc. L'amministratore, anche
quando vi siano incertezze o dubbi
interpretativi, può adottare provvedimenti
obbligatori per il condominio (articolo 1133
del Codice civile) contro i quali il
condomino può ricorrere all'assemblea o
proporre direttamente impugnativa ex
articolo 1137. Inoltre, questi provvedimenti
sono atti autoritativi, contenenti
manifestazione di volontà e per essere tali,
devono avere portata precettiva, il che
richiede anche la fissazione di un termine
per adempiere, restando altrimenti meri
pareri e non esercizio di poteri
legittimamente attribuiti
all'amministratore.
L'obbligatorietà non significa però
esecutività, dal momento che contro tali
provvedimenti è ammesso il ricorso
all'assemblea senza pregiudizio del ricorso
all'autorità giudiziaria.
Nella sentenza n. 13689/2011 la Cassazione ha
affrontato il caso di un amministratore che,
con apposita lettera (sollecitata dai
condomini), aveva chiesto a un
condomino-avvocato di rimuovere una targa
professionale apposta, in violazione del
regolamento, nel vano antistante il portone,
e a sostituire la lastra di marmo così
danneggiata.
La targa veniva asportata da ignoti, contro
i quali l'avvocato sporgeva denuncia per
furto e veniva riposizionata; lo stesso
agiva in giudizio contro il condominio e
contro l'amministratore in proprio,
chiedendo, tra l'altro, la nullità del
provvedimento perché adottato in eccesso di
potere e la condanna dei convenuti al
risarcimento dei danni.
Il tribunale rigettava le domande mentre
l'appello degli attori veniva accolto dalla
corte secondo la quale «l'amministratore
avrebbe potuto dar seguito alla
sollecitazione raccolta nel verbale di
assemblea solo prudentemente» e con una
lettera contenente una «mera segnalazione
del problema costituito dalla collocazione
della targa in luogo ritenuto non
consentito».
Una lettera di «chiaro contenuto
precettivo», trasmessa in forma di
raccomandata e con determinazione di un
tempo (dieci giorni) per l'adempimento,
costituirebbe atto illecito con conseguente
responsabilità dell'amministratore (sia
perché l'emissione non era stata autorizzata
dall'assemblea sia perché, anche qualora
l'autorizzazione vi fosse stata,
l'amministratore avrebbe dovuto comunque
prudentemente valutare l'illiceità delle
iniziative affidategli dall'assemblea,
rifiutandosi, se del caso, di darvi
seguito).
Tale prospettazione non è stata condivisa
dalla Cassazione che ha precisato che la
corte di merito aveva sostanzialmente
vanificato il potere dell'amministratore,
per la cui esplicazione non è necessaria una
preventiva delibera assembleare; aveva
trascurato di considerare che, comunque,
l'iniziativa era legittimata dal dovere di
curare l'osservanza del regolamento e che,
al fine di attivarsi per far cessare gli
abusi del condomino, l'amministratore
condominiale non necessita di alcuna previa
delibera condominiale, posto che egli è
tenuto ex lege a curare l'osservanza del
regolamento di condominio al fine di
tutelare l'interesse generale al decoro,
alla tranquillità e all'abitabilità
dell'edificio (Cassazione, sentenza
14735/2006).
Va quindi escluso che l'iniziativa
dell'amministratore costituisse iniziativa
negligente, estranea alla funzione ricoperta
e al rapporto organico con il condominio, al
quale restava imputabile l'atto di difesa
del regolamento.
---------------
Così il Codice civile.
Articolo 1133
I provvedimenti presi dall'amministratore
sono obbligatori per i condomini. Contro
tali provvedimenti è ammesso ricorso
all'assemblea, senza pregiudizio del ricorso
all'autorità giudiziaria nei casi e nel
termine previsti dall'articolo 1137.
Articolo 1137
Contro le deliberazioni contrarie alla legge
o al regolamento di condominio ogni
condomino dissenziente può fare ricorso
all'autorità giudiziaria, ma il ricorso non
sospende l'esecuzione del provvedimento,
salvo che la sospensione sia ordinata
dall'autorità stessa.
Il ricorso deve essere proposto entro 30
giorni, che decorrono dalla data della
deliberazione per i dissenzienti e dalla
data di comunicazione per gli assenti
(articolo Il Sole 24
Ore del 25.07.2011). |
GIURISPRUDENZA |
EDILIZIA PRIVATA: Aumentano
le tutele dei terzi sull'applicazione della
«Scia».
Da sempre, la dichiarazione d'inizio di
attività (la Dia) è un animale giuridico
strano che crea difficoltà applicative. Ora
l'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato
(sentenza
29.07.2011 n. 15)
interviene a porre alcuni paletti, forse
opinabili, ma che almeno fanno chiarezza.
Il fatto è piuttosto semplice. Un'impresa
presenta al Comune di Venezia una Dia
edilizia per rendere carrabile il transito
sotto un porticato gravato da servitù di
passaggio pedonale pubblico. Il
comproprietario del porticato impugna la Dia
in quanto produttiva di un aggravio
illegittimo della servitù. Il Tar Veneto,
nell'accogliere il ricorso, annulla la Dia,
qualificata come provvedimento autorizzativo.
In sede di appello il Consiglio di Stato
conferma la sentenza con diversa
motivazione. I giudici di Palazzo Spada,
infatti, negano anzitutto che la Dia, dal
2010 sostituita dalla segnalazione
certificata d'inizio di attività (Scia),
possa essere assimilata a un provvedimento
amministrativo impugnabile. Essa è solo una
dichiarazione privata presentata a una
pubblica amministrazione. La Scia attua una
liberalizzazione delle attività private, in
precedenza assoggettate a un regime di
autorizzazione preventiva. Essa è diversa
anche dal silenzio-assenso, che serve solo a
equiparare l'inerzia protratta oltre un
certo termine a un'autorizzazione tacita.
Il
Consiglio di Stato si sofferma sul regime
della Scia e ricorda che l'amministrazione
può vietare l'attività entro 30 giorni (con
la Scia, 60 giorni), ove accerti che essa
viola la legge. Quest'ultimo è un termine
perentorio: successivamente
l'amministrazione può intervenire solo con i
poteri di autotutela (annullamento
d'ufficio) che hanno però natura
discrezionale e devono rispettare gli
affidamenti creati.
E qui interviene la prima novità che ha
un'implicazione pratica processuale per il
terzo che vuole contestare la Scia.
La
sentenza equipara l'inerzia
dell'amministrazione protratta oltre il
termine di 30 giorni a un «atto tacito di
diniego del provvedimento inibitorio».
Pertanto, in quanto atto amministrativo, il
terzo può impugnarlo davanti al Tar nel
termine ordinario di 60 giorni. Se il
ricorso viene accolto, il giudice può, non
solo annullare questa finzione di atto, ma
anche ordinare all'amministrazione di
inibire l'attività oggetto della Scia.
Vengono così ribaltati alcuni precedenti che
avevano consentito al terzo di esperire
un'azione di accertamento atipica (sezione VI, n. 717/2009 e n. 2139/2010).
La sentenza si pone, poi, il problema se il
terzo possa promuovere un giudizio prima dei
30 giorni, in modo da impedire l'avvio
dell'attività oggetto della Scia o di farla
cessare subito.
E qui, con un'ulteriore piroetta
interpretativa, superando alcuni ostacoli
contenuti nel Codice del processo
amministrativo (articolo 34, comma 2), la
sentenza ammette un'azione di accertamento
atipica che consente solo la richiesta di
misure cautelari immediate.
Decorso il termine di 30 giorni, se
l'amministrazione emana il provvedimento
inibitorio, cessa la materia del contendere
e il processo si estingue. Se invece
l'amministrazione resta inerte, l'azione di
accertamento si converte nell'azione di
annullamento dell'atto tacito di diniego di
esercizio del potere inibitorio.
Insomma, la tutela del terzo è piena e
completa: altro miracolo del nuovo Codice,
unito alla fantasia creativa del giudice
amministrativo
(articolo Il Sole 24
Ore
del 30.07.2011). |
APPALTI:
Onde
stabilire la necessità o meno di rendere
pubbliche le operazioni compiute in
determinate fasi di un procedimento
amministrativo finalizzato alla scelta di un
contraente, occorre distinguere il momento
inderogabile, costituito dall'apertura dei
plichi contenenti le offerte, che è
operazione preliminare, rispetto alla
diversa operazione costituita dalla
valutazione delle offerte stesse che,
invece, a certe condizioni, può svolgersi
senza la presenza delle parti.
- Il regolamento di attuazione del codice
degli appalti (d.P.R. 05.10.2010 n. 207),
confermando nella sostanza la disciplina già
dettata dal d.P.R. n. 554 del 1999, risulta
orientato a garantire la pubblicità per
tutte le operazioni di gara, compresa la
comunicazione dell’eventuale anomalia
dell’offerta (art. 121), e prevede la seduta
riservata per le valutazioni di natura
tecnico-discrezionale. Nel senso che si
debba comunque svolgere in pubblico la
verifica della integrità di tutti i plichi
contenenti l’offerta presentata, con
esplicita menzione anche di quello
riguardante l’offerta tecnica, si è
pronunciata anche la giurisprudenza
successiva.
- La giurisprudenza amministrativa ha avuto
modo di approfondire la tematica delle
operazioni preliminari da svolgere in seduta
pubblica, affermando che la “verifica della
integrità dei plichi” non esaurisce la sua
funzione nella constatazione che gli stessi
non hanno subito manomissioni o alterazioni,
ma è destinata a garantire che il materiale
documentario trovi correttamente ingresso
nella procedura di gara, giacché la
pubblicità delle sedute risponde
all'esigenza di tutela non solo della parità
di trattamento dei concorrenti, ai quali
deve essere permesso di effettuare gli
opportuni riscontri sulla regolarità formale
degli atti prodotti e di avere così la
garanzia che non siano successivamente
intervenute indebite alterazioni, ma anche
dell'interesse pubblico alla trasparenza ed
all'imparzialità dell'azione amministrativa,
le cui conseguenze negative sono
difficilmente apprezzabili ex post una volta
rotti i sigilli ed aperti i plichi, in
mancanza di un riscontro immediato.
L’Adunanza Plenaria ritiene che la regola
affermata dalla giurisprudenza appena
richiamata costituisca corretta
interpretazione dei principi comunitari e di
diritto interno sopra ricordati in materia
di trasparenza e di pubblicità nelle gare
per i pubblici appalti e, come tale, meriti
di essere confermata e ribadita con
specifico riferimento all’apertura della
busta dell’offerta tecnica. Tale operazione,
infatti, come per la documentazione
amministrativa e per l’offerta economica,
costituisce passaggio essenziale e
determinante dell’esito della procedura
concorsuale, e quindi richiede di essere
presidiata dalle medesime garanzie, a tutela
degli interessi privati e pubblici coinvolti
dal procedimento.
- La verifica dei documenti contenuti nella
busta consiste in un semplice controllo
preliminare degli atti inviati, che non può
eccedere la funzione, che ad essa riconosce
la giurisprudenza, di ufficializzare la
acquisizione della documentazione di cui si
compone l’offerta tecnica. L’operazione non
deve andare al di là del mero riscontro
degli atti prodotti dall’impresa
concorrente, restando esclusa ogni facoltà
degli interessati presenti di prenderne
visione del contenuto. La garanzia di
trasparenza richiesta in questa fase si
considera assicurata quando la commissione,
aperta la busta del singolo concorrente,
abbia proceduto ad un esame della
documentazione leggendo il solo titolo degli
atti rinvenuti, e dandone atto nel verbale
della seduta. Così circoscritte le formalità
da compiere, la verifica della
documentazione non incorre nella denunciata
violazione dell’art. 13 del d.lgs. n. 163
del 2006
Il quesito non concerne la fase di
valutazione del pregio tecnico dell’offerta,
essendo pacifico che tale operazione debba
svolgersi in seduta riservata.
L’indirizzo frequentemente seguito dalle
Sezioni giurisdizionali, nel senso –come
ricordato dall’ordinanza di rimessione- del
riconoscimento di un preciso obbligo di
svolgimento in seduta pubblica, a pena di
illegittimità della procedura, delle
operazioni di apertura delle sole buste
contenenti la documentazione amministrativa
e l’offerta economica, è certamente sorretto
da puntuali previsioni normative di
pubblicità (artt. 64, comma 5, 67, comma 5,
91, comma 3, d.P.R. n. 554 del 1999,
applicabile alla fattispecie ratione
temporis, e ora d.P.R. n. 207 del 2010,
artt. 117, 119, comma 6, 120, comma 2), che
non si rinvengono con riguardo all’apertura
della busta dell’offerta tecnica.
I dati normativi citati, imponendo la
valutazione dell’offerta tecnica in seduta
riservata, senza dettare alcun precetto in
ordine all’apertura del plico, sembrano
accreditare l’avviso che tale operazione,
diversamente da quanto ritenuto e disposto
per la busta della documentazione
amministrativa e quella dell’offerta
economica, non debba necessariamente
svolgersi in seduta pubblica e sia
tacitamente rinviata al momento della
valutazione di merito in separata sede.
Occorre tuttavia verificare se tale
conclusione sia compatibile con un riscontro
di ordine sistematico condotto alla stregua
dei principi che reggono l’affidamento degli
appalti pubblici, ed in particolare quello
di pubblicità.
Il principio di pubblicità delle gare per i
contratti pubblici è radicato in canoni di
diritto comunitario e interno costantemente
applicati dalla giurisprudenza
amministrativa.
In proposito è agevole il richiamo, oltre
che all’art. 97 della Costituzione, alle
Direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE, da cui è
scaturito il Codice italiano dei contratti
pubblici, le quali agli articoli,
rispettivamente, 10 e 2, stabiliscono, con
espressione di portata ineludibile: “Le
amministrazioni aggiudicatrici …agiscono con
trasparenza”.
“La pubblicità delle sedute è la
principale manifestazione della trasparenza
amministrativa …”, –afferma una
decisione della Sezione remittente
(16.06.2005 n. 3166), poi confermata dal
d.lgs. n. 163 del 2006, che, nel recepire le
Direttive ricordate, all’art. 2, comma 1,
specifica il precetto comunitario imponendo
che l’aggiudicazione degli appalti pubblici
avvenga nel rispetto del principio, oltre
che di trasparenza, di “pubblicità con le
modalità indicate dal presente codice”.
E se è vero che il d.lgs. n. 163 non enuncia
direttamente alcuna regola specifica in
materia di svolgimento delle sedute di gara,
per un verso, al comma 3 dello stesso art. 2
rende applicabili le disposizioni sul
procedimento amministrativo di cui alla
legge n. 241 del 1990 “per tutto quanto
non espressamente previsto nel presente
codice”; per altro verso, rimette al
regolamento la disciplina delle modalità con
le quali devono operare le commissioni che
procedono alla scelta dell’offerta
economicamente più vantaggiosa (art. 84).
Sul richiamo alla trasparenza nella
disciplina del procedimento amministrativo
non è il caso di indugiare.
Quanto alla normativa regolamentare,
l’attenta analisi che ne ha condotto la
giurisprudenza, sia con riguardo all’art. 89
del R.D. 23.05.1924 n. 827 che al d.P.R. n.
554 del 1999 in materia di appalti di lavori
pubblici (sez. V, 09.10.2002 n. 5421,
16.06.2005 n. 3166; 11.05.2007 n. 2355), pur
rilevando l’insufficienza dei dati normativi
disponibili, è pervenuta alla conclusione,
confortata anche dall’orientamento della
giurisdizione contabile (Corte dei conti,
sez. contr. St., 09.12.1999, n. 108),
secondo cui, onde stabilire la necessità o
meno di rendere pubbliche le operazioni
compiute in determinate fasi di un
procedimento amministrativo finalizzato alla
scelta di un contraente, occorre distinguere
il momento inderogabile, costituito
dall'apertura dei plichi contenenti le
offerte, che è operazione preliminare,
rispetto alla diversa operazione costituita
dalla valutazione delle offerte stesse che,
invece, a certe condizioni, può svolgersi
senza la presenza delle parti.
Il regolamento di attuazione del codice
degli appalti (d.P.R. 05.10.2010 n. 207),
confermando nella sostanza la disciplina già
dettata dal d.P.R. n. 554 del 1999, risulta
orientato a garantire la pubblicità per
tutte le operazioni di gara, compresa la
comunicazione dell’eventuale anomalia
dell’offerta (art. 121), e prevede la seduta
riservata per le valutazioni di natura
tecnico-discrezionale.
Nel senso che si debba comunque svolgere in
pubblico la verifica della integrità di
tutti i plichi contenenti l’offerta
presentata, con esplicita menzione anche di
quello riguardante l’offerta tecnica, si è
pronunciata anche la giurisprudenza
successiva (Cons. Stato, sez. V, 23.12.2010,
n. 8155; 28.10.2008 n. 5386; sez. VI,
22.04.2008 n. 1856).
Ciò premesso, e con specifico riguardo al
quesito sottoposto all’Adunanza Plenaria, va
sottolineato che la giurisprudenza
amministrativa ha avuto modo di approfondire
la tematica delle operazioni preliminari da
svolgere in seduta pubblica, affermando che
la “verifica della integrità dei plichi”
non esaurisce la sua funzione nella
constatazione che gli stessi non hanno
subito manomissioni o alterazioni, ma è
destinata a garantire che il materiale
documentario trovi correttamente ingresso
nella procedura di gara, giacché la
pubblicità delle sedute risponde
all'esigenza di tutela non solo della parità
di trattamento dei concorrenti, ai quali
deve essere permesso di effettuare gli
opportuni riscontri sulla regolarità formale
degli atti prodotti e di avere così la
garanzia che non siano successivamente
intervenute indebite alterazioni, ma anche
dell'interesse pubblico alla trasparenza ed
all'imparzialità dell'azione amministrativa,
le cui conseguenze negative sono
difficilmente apprezzabili ex post
una volta rotti i sigilli ed aperti i
plichi, in mancanza di un riscontro
immediato (Cons. Stato, sez. V, 17.09.2010,
n. 6939; 10.11.2010, n. 8006; 04.03.2008, n.
901; sez. VI, 22.04.2008, n. 1856; sez. V,
03.12.2008, n. 5943; sez. IV, 11.10.2007, n.
5354; sez. V, 18.03.2004, n. 1427).
L’Adunanza Plenaria ritiene che la regola
affermata dalla giurisprudenza appena
richiamata costituisca corretta
interpretazione dei principi comunitari e di
diritto interno sopra ricordati in materia
di trasparenza e di pubblicità nelle gare
per i pubblici appalti e, come tale, meriti
di essere confermata e ribadita con
specifico riferimento all’apertura della
busta dell’offerta tecnica. Tale operazione,
infatti, come per la documentazione
amministrativa e per l’offerta economica,
costituisce passaggio essenziale e
determinante dell’esito della procedura
concorsuale, e quindi richiede di essere
presidiata dalle medesime garanzie, a tutela
degli interessi privati e pubblici coinvolti
dal procedimento.
---------------
Con riferimento
specifico alla paventata ostensione di
documenti al pubblico presente, in pretesa
violazione dell’art. 13 del d.lgs. n. 163
del 2006, va precisato che la verifica dei
documenti contenuti nella busta consiste in
un semplice controllo preliminare degli atti
inviati, che non può eccedere la funzione,
che ad essa riconosce la giurisprudenza, di
ufficializzare la acquisizione della
documentazione di cui si compone l’offerta
tecnica. L’operazione non deve andare al di
là del mero riscontro degli atti prodotti
dall’impresa concorrente, restando esclusa
ogni facoltà degli interessati presenti di
prenderne visione del contenuto.
La garanzia di trasparenza richiesta in
questa fase si considera assicurata quando
la commissione, aperta la busta del singolo
concorrente, abbia proceduto ad un esame
della documentazione leggendo il solo titolo
degli atti rinvenuti, e dandone atto nel
verbale della seduta.
Così circoscritte le formalità da compiere,
la verifica della documentazione non incorre
nella denunciata violazione dell’art. 13 del
d.lgs. n. 163 del 2006
(Consiglio di Stato, ad. plenaria,
sentenza 28.07.2011 n. 13 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
“Berceau” - Permesso di costruire
- Necessità - Esclusione.
Per la costruzione di manufatti di tipo “berceau”,
formati da intelaiatura metallica scoperta,
non appare necessario un titolo edilizio
costituito dal permesso di costruire (o
dalla denuncia di inizio attività
alternativa a quest’ultimo): si tratta,
infatti, di strutture precarie e
semplicemente poggiate al suolo, facilmente
amovibili, non idonee a creare nuovi volumi
e quindi a determinare la <<trasformazione
urbanistica ed edilizia del territorio>>,
che ai sensi dell’art. 10 del DPR 380/2001
impone il permesso di costruire.
La giurisprudenza ha del resto qualificato
il c.d. “berceau” come un’opera
edilizia leggera, tipo pergolato, costituita
soltanto da una intelaiatura metallica o di
legno, priva di pareti e copertura, con
eventuali piante rampicanti che hanno però
funzione meramente ornamentale (cfr. TAR
Lombardia, Brescia, sez. I, 17.11.2010, n.
4638) (TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 26.07.2011 n. 1995 -
link a www.ambientediritto.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA - LAVORI PUBBLICI:
INQUINAMENTO - Approvazione di
nuovo tracciato stradale - Incremento
dell’inquinamento acustico e atmosferico -
Singoli incisi - Legittimazione a ricorrere
- Criterio della vicinitas - Diritto alla
salute.
In tema di approvazione del tracciato di una
nuova strada destinata a creare un
significativo incremento del traffico
veicolare potenzialmente idoneo ad incidere
in senso pregiudizievole sui terreni
agricoli immediatamente limitrofi (cfr.
Cons. Stato, sez. V, 16.06.2009, n. 3849),
sussiste, anche sulla base del criterio
della "vicinitas", la legittimazione
ad agire dei singoli a tutela di interessi
incisi da atti e comportamenti
dell'amministrazione che li ledono
direttamente e personalmente (nella
fattispecie i ricorrenti lamentavano il
concreto pregiudizio che il consistente
incremento del traffico sulle vie in
prossimità delle quali risiedono causerebbe
alla loro salute, alla loro incolumità ed in
generale alle loro condizioni di vita).
Appare inoltre evidente l’incidenza delle
misure in contestazione con primari diritti
dei medesimi, anche di ordine
costituzionale, quali quello alla salute, e
la conseguente sussistenza di legittimazione
ed interesse a ricorrere.
INQUINAMENTO - Modifiche
alla viabilità - Incremento di traffico -
Studi e verifiche istruttorie.
Le modifiche alla viabilità comportanti
incremento di traffico e, dunque, di
emissioni inquinanti e rumorose ed
influenti, per tali motivi, sulla salute,
sull’incolumità e sui comportamenti di vita
dei soggetti incisi devono essere precedute
da studi specifici o da altre verifiche
istruttorie che diano conto della concreta
situazione e delle ragioni di interesse
pubblico per le quali solo la soluzione poi
adottata, e non altre alternative, sarebbe
stata quella rispondente alle esigenze da
soddisfare, pur comportando le conseguenze
deleterie alla stessa connesse (TAR
Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 26.07.2011 n. 1982 -
link a www.ambientediritto.it). |
URBANISTICA:
Piani di lottizzazione - Termine
di validità decennale - Parte inattuata -
Inefficacia - Artt. 16 e 17 L. n. 1150/1942
- Comune - Stipula di nuova convenzione -
Procedure previste per l’approvazione di
piani attuativi.
Le disposizioni di cui agli artt. 16 e 17 l.
17.08.1942 n. 1150, si applicano anche ai
piani di lottizzazione, con la conseguenza
che va riconosciuta anche ad essi
l'applicabilità del termine massimo di
validità decennale entro il quale devono
essere attuati e decorso il quale divengono
inefficaci per la parte inattuata (Cons.
Stato, sez. VI, 20.01.2003, n. 200).
Una volta sopraggiunta l’inefficacia del
piano, l’art. 17, l. 17/08/1942 n. 1150
prevede, al comma 2, che “ove il Comune
non provveda a presentare un nuovo piano per
il necessario assetto della parte di piano
particolareggiato che sia rimasta inattuata
per decorso di termine, la compilazione
potrà essere disposta dal prefetto a norma
del secondo comma dell'art. 14”.
Il Comune può, dunque, disciplinare la parte
di piano che non ha avuto attuazione
mediante un nuovo piano e dovrà, quindi,
agire nel rispetto delle procedure previste
dalla legge per l’approvazione dei piani
attuativi: non può, perciò, limitarsi ad
addivenire alla stipula di una nuova
convenzione che modifichi quanto previsto
dai piani attuativi divenuti inefficaci
(cfr. Cons. Stato, sez. VI, 20.01.2003, n.
200; TAR Sicilia Catania, sez. I,
10.06.2010, n. 2274; TAR Sardegna Cagliari,
sez. II, 19.02.2010, n. 187) (TAR
Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 26.07.2011 n. 1979 -
link a www.ambientediritto.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
DIRITTO PROCESSUALE
AMMINISTRATIVO - Computo dei termini -
Sabato - Equiparazione ai giorni festivi -
Limiti - Art. 52, c. 5 c.p.a.
Il sabato è equiparato ai giorni festivi (in
virtù della novella di cui all'art. 2, co.
11, d.l. n. 263 del 2005, in vigore
dall'01.03.2006) solo al fine del compimento
degli atti processuali svolti fuori
dell'udienza che scadono di sabato, onde
consentire agli avvocati di procedere ai
relativi adempimenti, concernenti i termini
di notifica e deposito che scadono di
sabato, il successivo lunedì; a tutti gli
altri effetti il sabato è considerato giorno
lavorativo. Il c.p.a. esplicita
l'applicabilità della disciplina sul sabato
anche al processo amministrativo (art. 52,
co. 5, c.p.a).
Questa regola, però, vale solo per i termini
che si calcolano in avanti, e non anche per
i termini che si calcolano a ritroso;
infatti l'art. 52, co. 5, c.p.a. estende al
sabato solo la proroga di cui al comma 3,
ossia la proroga dei giorni che scadono di
giorno festivo, e dunque non anche il
meccanismo di anticipazione di cui al co. 4;
ne consegue che se un termine a ritroso
scade di sabato, esso non va anticipato al
venerdì, così come se il termine a ritroso
scade di domenica, va anticipato al sabato e
non al venerdì (Cons. St. Sez. V, 31.05.2011
n. 3252) (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 25.07.2011 n. 4454 -
link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Autorizzazione alla costruzione
ed esercizio di impianti di energia da fonti
rinnovabili - Art. 12 d.lgs. n. 387/2003 -
Conferenza di servizi - Proprietari dei
terreni interessati da servitù di
elettrodotto - Titolarità di diritti
partecipativi - Esclusione.
In tema di autorizzazione alla costruzione
ed all’esercizio degli impianti di energia
elettrica prodotta da fonti rinnovabili,
l’art. 12 del d.lgs. n. 387/2003 prevede un
procedimento ispirato a principi di
semplificazione e accelerazione, che
sostituisce tutti i pareri e le
autorizzazioni necessari, tramite il modulo
della conferenza di servizi (Cons. St. Sez.
VI, 22.02.2010 n. 1020).
La lettera e la ratio dell’art.
14-ter della legge n. 241/1990 sul
funzionamento della conferenza di servizi,
richiamata dall’art. 12, prevede la
partecipazione delle sole autorità
amministrative interessate direttamente al
provvedimento da emanare, che sono
destinatarie immediate e beneficiarie delle
garanzie partecipative previste per i lavori
della conferenza (Cons. St. Sez. V,
13.09.2010, n. 6562; 04.03.2008, n. 824).
E’ pertanto da escludersi che le società
proprietarie dei terreni interessati da
servitù di elettrodotto, in quanto non
destinatarie dell’atto finale, siano
titolari di diritti partecipativi al
procedimento di rilascio di autorizzazione
unica prevista dal citato art. 12.
Impianti di energia da
fonti rinnovabili - Autorizzazione -
Conferenza di servizi - Partecipazione dei
proprietari di terreni interessati da
servitù di elettrodotto - Termini
applicabili.
Anche ove si ritenesse che la determinazione
dell’amministrazione di invitare alla
conferenza di servizi i soggetti proprietari
dei terreni interessati da servitù di
elettrodotto comportasse l’accettazione di
un loro coinvolgimento anche nel
procedimento di autorizzazione, non si
potrebbe comunque loro applicare altro
termine se non quello di cinque giorni di
cui le stesse amministrazioni partecipanti
beneficiano, stabilito dall’art. 14-ter
della L n. 241/1990.
Non può, invero, ritenersi applicabile
l’art. 10-bis della legge n. 241/1990 sul
preavviso di rigetto (che prevede un termine
di dieci giorni), nei confronti di soggetti
diversi dal richiedente l’autorizzazione.
Art. 12 d.lgs. n.
387/2003 - Comunicazione di avvio del
procedimento - Destinatari - Proprietari di
suoli confinanti con l’area di intervento -
Esclusione.
La p.a. è tenuta a notificare la
comunicazione di avvio del procedimento
amministrativo ai soli soggetti nei
confronti dei quali il provvedimento finale
è destinato a produrre effetti diretti e a
quelli che per legge debbono intervenirvi
(Cons. Stato Sez. IV Sent., 03-03-2009, n.
1213), tra cui non sono ricompresi, in base
al chiaro disposto dell’art. 12 d.lgs. n.
387/2003, i proprietari di suoli confinanti
con l’area di intervento.
Conferenza di servizi ex
art. 12, c. 3, d.lgs. n. 387/2003 -
Convocazione - Termine di trenta giorni -
Termine di 180 gg. per la conclusione del
procedimento - Natura acceleratoria.
Il termine di trenta giorni entro il quale
la conferenza di servizi deve essere
convocata ai sensi dell’art. 12, c. 3 del
d.lgs. n. 387/2003 ha natura acceleratoria,
non potendosi considerare il mancato
rispetto di tale termine, per di più
giustificato dalla complessità
dell’istruttoria, come vizio del
provvedimento finale.
Parimenti, il superamento del termine finale
di 180 giorni previsto dall’art. 12, comma 4
(nel testo all’epoca vigente), per la
conclusione del procedimento di
autorizzazione non priva l’amministrazione
del potere di adottare il provvedimento
finale, dovendo essere riconosciuta anche a
questo termine natura acceleratoria e non
perentoria (Cons. St. 11.05.2010, n. 2825).
Impianti a fonti
rinnovabili - Ubicazione in zona agricola -
Possibilità - Art. 12 d.lgs. n. 387/2003.
L’art. 12 d.lgs. n. 387/2003 consente
l’ubicazione di impianti a fonti rinnovabili
anche in zone classificate agricole
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 25.07.2011 n. 4454 -
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EDILIZIA PRIVATA:
VIA - Provvedimento di esclusione
- Efficacia - Pubblicazione sul B.U.R. -
Necessità - Esclusione - Art. 32 d.lgs. n.
152/2006.
L’efficacia del provvedimento regionale di
esclusione dalla procedura di VIA, ai sensi
dell’art. 32 d.lgs. n. 152 del 2006 (nel
testo all’epoca vigente), non dipende dalla
sua pubblicazione, che non risulta
prescritta come obbligatoria per legge.
E’ pertanto irrilevante la mancata
pubblicazione sul B.U.R. ai fini della
decorrenza del termine per l’impugnazione,
che deve farsi pertanto decorrere per il
soggetto che si ritenga leso dalla piena
conoscenza dei suoi elementi essenziali,
quali l’autorità emanante, la data, il
contenuto dispositivo ed il suo effetto
lesivo, salva la possibilità di proporre
motivi aggiunti ove dalla conoscenza
integrale del provvedimento emergano profili
di illegittimità specifici ed ulteriori
relativi al suo contenuto (Cons. St. Sez. IV,
13.06.2011, n. 3583, Sez. V, 23.05.2011, n.
2842) (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 25.07.2011 n. 4454 -
link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Vincolo paesaggistico -
Apposizione sull’intero territorio di un
comune - Motivazione.
La giurisprudenza ha da tempo riconosciuto
allo Stato il potere di porre un vincolo
paesaggistico sull'intero territorio di un
comune (Cons. Stato, IV, 06.12.1985, n. 596;
VI, 04.04.1997, n. 553, IV, 20.03.2006, n.
1470): il provvedimento deve però essere
motivato sulla base di concreti e specifici
indici dell'interesse paesistico dominante e
non già con riferimento ad un mero rapporto
di vicinanza delle aree più urbanizzate
rispetto a quelle di più diretto ed
immediato rilievo paesistico.
In particolare, il decreto di vincolo non
potrà imporre limiti su di un intero
territorio comunale, qualora il
provvedimento sia motivato con richiamo a
ragioni ed apprezzamenti che, per la loro
genericità, potrebbero giustificare
l'imposizione del vincolo in questione su
qualsiasi territorio dello Stato (Consiglio
di Stato, Sez. VI,
sentenza 21.07.2011 n. 4429 -
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EDILIZIA PRIVATA:
Vincolo paesaggistico -
Compromissione della bellezza naturale ad
opera di preesistenti realizzazioni - Nuove
costruzioni - Effettiva e reale tutela del
paesaggio.
Pur dovendo l’intervento della
Sovrintendenza tendere alla conservazione
dei valori presidiati dal vincolo al fine di
evitare ulteriori interventi deturpanti, a
prescindere dall’esistenza di eventuali
altre evidenze abusive, dal momento che la
situazione di compromissione della bellezza
naturale ad opera di preesistenti
realizzazioni, anziché impedire,
maggiormente richiede che nuove costruzioni
non alterino maggiormente l’ambito protetto,
nondimeno, la prevenzione di ulteriori
deturpamenti deve essere effettiva e non
solo teorica.
La valutazione dell’Amministrazione va
necessariamente, quindi, riferita alla
circostante, anche se circoscritta, realtà
dei luoghi nei quali il manufatto
considerato viene ad inserirsi, dal momento
che l’effettiva tutela del paesaggio, e non
l’inutile evocazione di un valore astratto
ed irreale, è l’obiettivo da perseguire
nell’esercizio della funzione di tutela: il
giudizio di comparazione dell’opera al
contesto da difendere va compiuto, in
conclusione, tenendo presente le effettive e
reali condizioni di sistema dell’area in cui
il manufatto è stato inserito (sul punto,
cfr. Cons. Stato, VI, 29.12.2010, n. 9578)
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 21.07.2011 n. 4418 -
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EDILIZIA PRIVATA:
Pannelli fotovoltaici - Incisione
negativa sulla fruibilità paesaggistica -
Assenza di misure idonee a mitigare
l’impatto - Parere negativo della
Soprintendenza- Illogicità - Esclusione.
Non è implausibile -potendo pertanto
escludersi vizi di illogicità del parere
contrario dell’autorità tutoria- ritenere
che la disposizione dei pannelli
fotovoltaici in maniera da costituire un
unico piano di rilevanti dimensioni e di
altezza significativa possa incidere
negativamente sulla fruibilità paesaggistica
dei luoghi, in assenza di misure, indicate
dalla Soprintendenza, idonee a mitigare
l’impatto ambientale (nella specie,
frazionamento della struttura con chiome di
alberi) (TAR Campania-Salerno, Sez. II,
sentenza 21.07.2011 n. 1346 -
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ATTI AMMINISTRATIVI:
E' riservato a Poste Italiane
l'invio dei plichi raccomandati relativi a
procedure sanzionatorie adottate dalla p.a..
In virtù dell'art. 10 comma 1, l. 03.08.1999
n. 265, e dell'art. 4, d.lgs. 22.07.1999 n.
261, l'invio dei plichi raccomandati,
relativi a procedure sanzionatorie adottate
dalle p.a., è riservato alle Poste Italiane
(salvo che la notifica avvenga tramite messi
comunali), con la conseguenza che, da un
canto, le Pubbliche Amministrazioni, ove
intendano avvalersi delle Poste Italiane,
aderendo ad un'opzione già effettuata a
livello legislativo, non hanno alcun onere
motivazionale (TAR Sicilia Palermo, sez. III,
04.02.2008, n. 178), dall’altro,
l'amministrazione che si avvalga del
servizio postale per la notificazione degli
estremi della violazione, ai sensi dell'art.
14 della legge n. 689 del 1981, è tenuta ad
osservare le norme sulla notificazione degli
atti giudiziari a mezzo della posta, come
dettate dalla legge n. 980 del 20.11.1982,
sicché i relativi adempimenti non possono
formare oggetto di concessione a privati,
come prevista per taluni servizi postali
dall'art. 29 d.P.R. 29.03.1973 n. 156 e
dagli art. 121 e 148 del regolamento di
esecuzione approvato con d.P.R. 29.05.1982
n. 655.
La legge n. 890 del 1982, riserva infatti
all'amministrazione postale tutti gli
adempimenti del procedimento di
notificazione e il d.lgs. n. 261 del 1999,
che ha liberalizzato i servizi postali, ha
continuato a riservare in via esclusiva
(art. 4, comma 5) al fornitore del servizio
universale (e cioè all'Ente Poste) gli invii
raccomandati attinenti alle procedure
amministrative e giudiziarie.
Conseguentemente, la notificazione affidata
all'agenzia privata concessionaria, a norma
dell'art. 29 del codice postale, ed eseguita
dai dipendenti della stessa, si deve
considerare giuridicamente inesistente e ad
essa consegue l'effetto dell'estinzione
dell'obbligazione di pagare la somma dovuta
per la violazione, secondo la previsione
dell'art. 14 della legge n. 689 del 1981
(Cassazione civile , sez. I, 19.10.2006, n.
22375; Idem, 21.09.2006 n. 20440; Cassazione
civile, sez. trib., 07.05.2008 n. 11095)
(massima tratta da
www.dirittodegliappaltipubblici.it - TAR
Sicilia-Catania, Sez. III,
sentenza 21.07.2011 n. 1942 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Sulla possibilità di modificare
la composizione di un RTI concorrente in una
gara d'appalto prima della fase di
presentazione dell'offerta.
In materia di composizione dei
raggruppamenti temporanei e di loro
modificazione la norma di riferimento è
l'art. 37, c. 9, del D.Lgs. n. 163/2006 che
dispone: "… Salvo quanto disposto ai
commi 18 e 19, è vietata qualsiasi
modificazione alla composizione dei
raggruppamenti temporanei e dei consorzi
ordinari di concorrenti rispetto a quella
risultante dall'impegno presentato in sede
di offerta".
Se il divieto di modificazioni è correlato
all'assunzione dell'impegno che consegue
alla presentazione dell'offerta è logico
ritenere che l'ordinamento non esclude la
possibilità di modificazioni prima che
l'offerta sia presentata, anche se la
procedura è già stata avviata (ed è il caso
della procedura ristretta, che contempla una
previa fase di qualificazione).
Nella fase precedente la formulazione
dell'offerta, d'altra parte, il concorrente
non assume nessun impegno particolare: non
quello alla partecipazione (che dipende
dalle valutazioni della stazione
appaltante), né quello di presentare
un'offerta in caso di invito (che il
concorrente resta libero di accogliere o
meno) (TAR Toscana, Sez. I,
sentenza 20.07.2011 n. 1254 -
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APPALTI:
La clausola di un bando che,
preveda requisiti soggettivi di ammissione
tali da precludere in modo sicuro l'utile
partecipazione di determinate categorie di
soggetti è direttamente lesiva e deve,
pertanto, essere immediatamente impugnata.
Nel caso in cui la clausola della "lex
specialis" preveda requisiti soggettivi
di ammissione tali da precludere in modo
sicuro l'utile partecipazione di determinate
categorie di soggetti, com'è il caso
dell'impossibilità di far ricorso
all'istituto dell'avvalimento, deve essere
immediatamente impugnata dall'impresa che
risulti priva di siffatti requisiti, in
quanto il bando è immediatamente lesivo;
soltanto nell'ipotesi in cui la predetta
clausola presenti, invece, un profilo di
ambiguità, nel senso di non rendere
immediatamente percepibile l'effetto
preclusivo della partecipazione per le
imprese prive di un determinato requisito
soggettivo, il bando non assume carattere
immediatamente lesivo e, pertanto, deve
essere impugnato unitamente all'atto con il
quale l'impresa è stata esclusa dalla gara,
in applicazione proprio della clausola
suscettibile di diverse interpretazioni (TAR
Lazio-Roma, Sez. II-ter,
sentenza 19.07.2011 n. 6478 -
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APPALTI FORNITURE E SERVIZI:
Sull'istituto della revisione dei
prezzi negli appalti di servizi o forniture
ad esecuzione periodica o continuativa:
finalità e termine di prescrizione.
La natura dell'istituto della revisione dei
prezzi negli appalti di servizi o forniture
ad esecuzione periodica o continuativa
disciplinata dall'art. 115 del Codice dei
Contratti Pubblici (d.lgs. n. 163 del 2006)
ha una duplice funzione: da un lato di
tutela dell'esigenza dell'Amministrazione di
evitare che il corrispettivo del contratto
di durata subisca aumenti incontrollati nel
corso del tempo tali da sconvolgere il
quadro finanziario sulla cui base è avvenuta
la stipulazione del contratto; dall'altro di
tutela dell'interesse dell'impresa a non
subire l'alterazione dell'equilibrio
contrattuale conseguente alle modifiche dei
costi che si verifichino durante l'arco del
rapporto e che potrebbero indurla ad una
surrettizia riduzione degli standard
qualitativi delle prestazioni.
La disciplina dettata in materia di
revisione prezzi negli appalti di servizi o
forniture ad esecuzione periodica o
continuativa, di cui all'art. 115 del d.lgs.
n. 163/2006, ha carattere imperativo ed
un'eventuale clausola contrattuale difforme
rispetto alla disciplina normativamente
prevista, deve ritenersi nulla. La legge non
ha, invece, provveduto a stabilire
espressamente un periodo massimo oltre il
quale non sia possibile richiedere di
procedere alla revisione del prezzo.
Considerata la natura indisponibile del
diritto in questione, nonché la mancanza di
un espresso termine normativo entro il quale
il diritto possa essere fatto valere, la
richiesta può essere effettuata entro il
termine di prescrizione quinquennale dettato
dall'art. 2948, n. 4) c.c..
Pertanto, nel caso di specie, la relativa
richiesta della società di revisione dei
prezzi non poteva essere respinta in quanto
non era decorso il suddetto termine di
prescrizione e conseguentemente le deve
essere riconosciuto il diritto al pagamento
degli importi dovuti a titolo di revisione
prezzi (Consiglio di Stato, Sez. III,
sentenza 19.07.2011 n. 4362 -
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AMBIENTE-ECOLOGIA:
INQUINAMENTO - Intervento di
messa in sicurezza - Artt. 240, 242 e 244
d.lgs. n. 152/2006 - Presupposto -
Condizione di emergenza.
In assenza di rischio di una diffusione
immediata della contaminazione -e quindi
della necessità di un intervento urgente-,
presentando l’inquinamento le
caratteristiche di un fenomeno endemico, è
richiesto un intervento organico di bonifica
che ricostruisca le cause del fenomeno, sia
in grado di risalire a chi ha la
responsabilità dell’inquinamento e individui
le misure opportune per eliminare
l’inquinamento presente.
Tutto ciò non può essere ottenuto attraverso
un intervento di messa in sicurezza, che
peraltro, ai sensi degli artt. 240, 242 e
244 d.lgs. n. 152/2006, presuppone una
condizione di emergenza (TAR
Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 19.07.2011 n. 1937 -
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AMBIENTE-ECOLOGIA:
RIFIUTI - Abbandono - Art. 193
d.lgs. n. 152/2006 - Proprietario dell’area
- Ipotesi legale di responsabilità oggettiva
- Esclusione - Accertamenti -
Contraddittorio - Omissione colpevole.
In tema di abbandono di rifiuti, la
giurisprudenza amministrativa, già con
riferimento alla misura prevista dall'art.
14 dell’abrogato D.Lgs. n. 22/1997, riteneva
che il proprietario dell'area fosse tenuto a
provvedere allo smaltimento, ma solo a
condizione che ne fosse dimostrata la
corresponsabilità almeno a titolo di colpa
con gli autori dell'illecito, e,
conseguentemente, escludeva che la norma
configurasse un'ipotesi legale di
responsabilità oggettiva, affermando
l'illegittimità degli ordini di smaltimento
di rifiuti indiscriminatamente rivolti al
proprietario di un fondo in mancanza di
adeguata dimostrazione dell’imputabilità
soggettiva della condotta, sulla base di
un'istruttoria completa e di un'esauriente
motivazione.
I medesimi principi si traggono, oggi, dalla
previsione di cui all'art. 192 del D.Lgs. n.
152/2006, che non soltanto riproduce il
tenore dell'art. 14 cit. circa la necessaria
imputabilità dell’abbandono a titolo di dolo
o colpa, ma integra il precedente precetto,
precisando che l'ordine di rimozione può
essere adottato esclusivamente in base agli
accertamenti effettuati, in contraddittorio
con i soggetti interessati, dai soggetti
preposti al controllo (Cons. Stato, sez. V,
19.03.2009, n. 1612); con il corollario
secondo cui, anche se si ritenga
sufficiente, ad integrare la
corresponsabilità del proprietario per lo
smaltimento di rifiuti abbandonati su un
fondo di sua proprietà, la semplice
omissione di cautele suggerite
dall'ordinaria diligenza, sono pur sempre
necessari indizi concreti che permettano di
addebitare una omissione colpevole, non
essendo a tal fine sufficiente la mera
assenza di comportamenti volti a rimuovere i
rifiuti (Cons. Stato, sez. V, 16.07.2010, n.
4614) (TAR TOSCANA, Sez. II -
sentenza 19.07.2011 n. 1245 -
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EDILIZIA PRIVATA:
Permesso di costruire in
sanatoria - Termine di sessanta giorni -
Provvedimento tacito di diniego - Art. 36,
c. 3 d.P.R. n. 380/2001 - Art. 140 L.r.
Toscana n. 1/2005 - Interpretazione.
L’art. 36, comma 3, del D.P.R. n. 380/2001
prevede che, decorsi 60 giorni dalla
richiesta di permesso di costruire in
sanatoria, la stessa si intende rifiutata.
Pertanto, trascorso il suddetto termine, si
forma un tacito provvedimento di diniego
(TAR Toscana, III, 2/3/2011, n. 418).
Non depone in senso contrario l’art. 140
della L.R. Toscana n. 1/2005, il quale non
qualifica espressamente il silenzio
mantenuto dal Comune sulla richiesta di
attestazione di conformità.
Invero la predetta norma regionale va
interpretata in modo costituzionalmente
orientato, nel senso della sua neutralità
circa la qualificazione del silenzio sulla
domanda di sanatoria edilizia, dovendosi
tenere conto che la qualificazione, da parte
del legislatore nazionale, del silenzio come
atto tacito di diniego esprime un principio
fondamentale della materia urbanistica, come
tale non derogabile dal legislatore
regionale (TAR Campania, Napoli, III,
17/09/2010, n. 17440).
Ordine di demolizione -
Comunicazione di avvio del procedimento -
Necessità - Esclusione.
L’ordine di demolizione non presuppone
necessariamente la comunicazione di avvio
del procedimento, stante il suo carattere di
atto dovuto e vincolato, basato su meri
accertamenti tecnici e privo di
apprezzamenti discrezionali.
Invero la giurisprudenza amministrativa ha
ripetutamente precisato che gli atti
repressivi di abusi edilizi hanno natura
urgente e strettamente vincolata, con la
conseguenza che, ai fini della loro
adozione, non sono richiesti apporti
partecipativi del destinatario e quindi non
devono necessariamente essere preceduti
dalla comunicazione di avvio del
procedimento (ex multis: Cons. Stato,
VI, 24/09/2010, n. 7129; TAR Puglia, Lecce,
III, 09/02/2011, n. 240; TAR Campania,
Napoli, IV, 13/01/2011, n. 84) (TAR Toscana,
Sez. III,
sentenza 15.07.2011 n. 1214 -
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EDILIZIA PRIVATA:
Creazione di un dislivello
mediante accumulo di terra - Modifica
dell’andamento naturale del terreno
-Alterazione dello scolo naturale delle
acque - Nuova costruzione - Assoggettamento
alle norme sulle distanze.
La creazione di un dislivello, mediante
accumulo di terra, che non trova riscontro
in un preesistente stato del luogo, comporta
una rilevante modifica dell’andamento
naturale del terreno e altera il naturale
scolo delle acque, assumendo, quale non
esigua modifica dell’andamento naturale del
terreno, le caratteristiche di nuova
costruzione (Cass., II, 21/05/1997, n. 4511;
Cons. Stato, V, 12/04/2005, n. 1619), come
tale assoggettata alle norme sulle distanze
(TAR Toscana, Sez. III,
sentenza 15.07.2011 n. 1203 -
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AMBIENTE-ECOLOGIA:
RIFIUTI - Abbandono sull’area di
sedime della strada - Abbandono nelle
vicinanze dell’area stradale - Ente
Proprietario o ente gestore - Obbligo di
rimozione - Diversità.
L'Ente proprietario (e, in sua vece, l’Ente
gestore) della strada ha l'obbligo di
provvedere alla pulizia della stessa in modo
da non creare danno o pericoli alla
circolazione; pertanto spetta alla detta
P.A. procedere alla raccolta dei rifiuti
abbandonati da terzi “sull'area di sedime
della strada stessa” a prescindere dalla
sussistenza dell'elemento soggettivo del
dolo o della colpa del detto proprietario
(Cfr. Cons. Stato Sez. IV 18.06.2009 n.
4005).
La soluzione è invece diversa allorché si
tratti di rifiuti solidi non pericolosi
abusivamente depositati nelle “vicinanze”
dell'area stradale e non risulti
riscontrabile né tanto meno denunciato alcun
profilo soggettivo di dolo o quanto meno di
colpa in capo all' Ente proprietario o
gestore (TAR Campania, Napoli, V,
05.12.2008, n.21013).
RIFIUTI - Abbandono -
Art. 192 d.lgs. n. 152/2006 - Sanzione
amministrativa di tipo reintegratorio -
Responsabilità - Individuazione.
L’art. 192 del Decr. Legisl. n. 152/2006,
attualmente vigente e che ha riprodotto
l'art. 14, comma 3, del Decr. Legisl. n.
22/1997 (per la sua esegesi, cfr. Cons.
Stato, V, 25.08.2008, n.4061) ha introdotto
una sanzione amministrativa di tipo
reintegratorio, potendo essere adottata
anche in assenza di una situazione in cui
sussista l’urgente necessità di provvedere
con efficacia e immediatezza (TAR Veneto,
III, 29.09.2009, n.2454) e avente a
contenuto l’obbligo di rimozione, di
recupero o di smaltimento e di ripristino a
carico del responsabile del fatto di
discarica o immissione abusiva, a carico,
cioè, di “chiunque viola i divieti di
abbandono e di deposito incontrollato di
rifiuti sul suolo”, in solido con il
proprietario e con i titolari di diritti
reali o personali di godimento sull’area ai
quali tale violazione sia imputabile a
titolo di dolo o di colpa. (ex multis,
TAR Calabria, Catanzaro, I, 20.10.2009, n.
1118; Cons. Stato, V, 19.03.2009, n. 1612;
TAR Sardegna, 18.05.2007, n. 975;
19.09.2004, n. 1076; TAR Puglia, Bari,
27.02.2003, n. 872; TAR Lombardia, Milano,
I, 26.01.2000, n. 292).
RIFIUTI - Abbandono su
aree stradali - Comune - Imposizione
all’ente gestore dell’obbligo di pulizia -
Illegittimità.
Nessuna norma di legge nel settore specifico
della viabilità attribuisce ai Comuni il
potere di assicurare la pulizia delle strade
imponendo autoritativamente obblighi di
facere al gestore al fine di garantire "la
sicurezza e la fluidità della circolazione",
né un tal potere può desumersi
implicitamente dalla natura del Comune quale
ente locale a fini generali atteso che tra
gli interessi pubblici affidati alla cura
dei comuni non v'è anche quello di garantire
la sicurezza e la fluidità della
circolazione delle strade.
RIFIUTI - Abbandono su
aree stradali - Ordine di rimozione rivolto
al proprietario della strada - Assenza di
adeguata istruttoria - Imputabilità
soggettiva - Art. 14, cc. 1 e 3, cod. strada
- Attività naturalmente connesse con la
gestione della strada.
E’ Illegittimo l’ordine di rimozione dei
rifiuti rivolto al proprietario della strada
in assenza di adeguata istruttoria e di
idonea motivazione circa l'imputabilità
soggettiva di una qualche condotta attiva od
omissiva che abbia anche solo agevolato la
violazione del divieto di abbandono di
rifiuti: dall'ente gestore sono piuttosto
esigibili, ai sensi del combinato disposto
dei commi 1 e 3 dell’art.14 del Codice della
strada, solo le attività ordinarie e
straordinarie naturalmente connesse alla
gestione della sede stradale (a titolo di
mero quanto non esaustivo esempio:
manutenzione dell'asfalto, della segnaletica
orizzontale e verticale, delle eventuali
infrastrutture a corredo, potatura degli
arbusti prospicienti e delle aiuole
divisorie e pulizia connessa, eliminazione
di pericoli, ect.) (TAR Campania-Napoli,
Sez. V,
sentenza 14.07.2011 n. 3835 -
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ATTI AMMINISTRATIVI:
Sì all’accertamento
dell’illegittimità degli atti anche se la
materia del contendere è cessata.
La cessazione della materia del contendere
per atto sopravvenuto dell’Amministrazione
in corso di giudizio non rimuove l’interesse
del ricorrente all’ottenimento di una
pronuncia di merito sulla legittimità degli
atti originariamente impugnati. Il
ricorrente può, infatti, chiedere il
risarcimento del danno derivante dagli atti
impugnati, rispetto al quale l’accertamento
dell’illegittimità ne è presupposto.
A questo principio, riconosciuto a livello
di diritto positivo dall’articolo 34, comma
3, del Codice del processo amministrativo,
il TAR Lombardia-Milano, Sez. III, con la
sentenza 14.07.2011 n.
1887 aggiunge che per ottenere la
pronuncia di accertamento dell’illegittimità
degli atti impugnati non è necessario aver
richiesto il risarcimento del danno già in
corso di giudizio, potendo tale azione
essere esercitata in futuro.
Il contenzioso è derivato da un
provvedimento di revoca della patente di
guida. In particolare, il ricorrente ha
impugnato gli atti relativi alla visita
medica dell’Asl che ne aveva accertato
l’inidoneità e il conseguente provvedimento
di revoca da parte della Motorizzazione
civile. Nel corso del giudizio,
l’Amministrazione, all’esito delle rinnovate
visite mediche, ha restituito la patente
all’interessato. Ciò nonostante, il Tar
Milano si è pronunciato anche
sull’illegittimità della revoca della
patente, poiché il ricorrente ha chiesto
comunque l’adozione di una pronuncia di
accertamento degli atti impugnati –sulla
base del richiamato art. 34, comma 3, del
Codice del processo amministrativo– ai fini
di una successiva azione risarcitoria.
In una situazione di fatto come quella
descritta, l’annullamento della revoca
impugnata non avrebbe alcuna utilità per il
ricorrente. Infatti, gli effetti
ripristinatori e conformativi derivanti
dalla sentenza di annullamento sono stati
anticipati dal contegno tenuto dalla
Motorizzazione che ha restituito la patente
al ricorrente. Né la sentenza di
annullamento in casi del genere avrebbe
altre utilità, quand’anche strumentali.
Abolita, infatti, la pregiudizialità
amministrativa, non è più necessario
ottenere una pronuncia di annullamento per
chiedere il risarcimento del danno.
Residua, invece, l’interesse ad ottenere la
pronuncia di accertamento dell’illegittimità
degli atti impugnati in vista di una
successiva azione risarcitoria ai sensi
dell’articolo 34, comma 3, del Codice del
processo amministrativo. La disposizione
richiamata stabilisce, infatti, che “Quando,
nel corso del giudizio, l'annullamento del
provvedimento impugnato non risulta più
utile per il ricorrente, il giudice accerta
l'illegittimità dell'atto se sussiste
l'interesse ai fini risarcitori”.
Il punto innovativo della sentenza –in ciò
contrastante con la precedente sentenza del
Tar Brescia n. 373/2011– sta nel ritenere
sussistente l’interesse all’accertamento
dell’illegittimità degli atti
originariamente impugnati, senza che al
contempo sia stata già formulata la domanda
di risarcimento del danno rispetto alla
quale l’accertamento dell’illegittimità è
strumentale.
Invece, secondo il TAR Lombardia-Brescia,
Sez. I,
sentenza
03.03.2011 n. 373, la mancata
presentazione della domanda di risarcimento
rende astratto e ipotetico l’interesse alla
pronuncia sull’illegittimità degli atti
impugnati.
Il Tar Milano, nella sentenza in commento ha
cercato di superare il precedente contrario,
rilevando che l’art. 34, comma 3, non
configura “una condanna risarcitoria
sull’an debeatur” rispetto alla quale
sarebbe necessario dimostrare gli altri
presupposti della responsabilità civile
della Pa. La norma garantisce, invece,
un’utilità residuale alla domanda di
annullamento, quando le sue utilità
principali sono state anticipate da eventi
sopravvenuti. In particolare, l’accertamento
dell’illegittimità precostituisce il
giudicato sulla sussistenza di uno dei
presupposti oggettivi dell’illecito nel
futuro eventuale giudizio risarcitorio.
La sentenza conferma l’ampliamento degli
strumenti processuali di tutela del privato.
Se ciò rende meno imbrigliato il processo
amministrativo rispetto al canone
annullatorio tradizionale, al contempo,
però, si verificano combinazioni processuali
nuove e ricche di questioni applicative
incerte sulle quali la giurisprudenza sarà
chiamata a fare chiarezza (tratto da
www.diritto24.ilsole24ore.com - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
Convenzione di lottizzazione -
Esecuzione di obbligazioni - Controversia -
Giurisdizione del giudice amministrativo -
Art. 11 L. n. 241/1990 - Art. 34 d.lgs. n.
80/1998 - Art. 133 cod. proc. amm.
Appartiene alla giurisdizione del giudice
amministrativo la controversia attinente
all'esecuzione di obbligazioni derivanti da
una convenzione di lottizzazione, stipulata
ex art. 28, commi 5, e segg., della legge n.
1150/1942, la quale integra uno strumento di
pianificazione di tipo attuativo del piano
regolatore, e rientra tra gli accordi
sostitutivi di provvedimento ex art. 11
della legge n. 241/1990.
Quest'ultimo, in particolare, al comma 5
devolve al giudice amministrativo la
giurisdizione esclusiva sulle controversie
relative alla formazione, conclusione ed
esecuzione degli accordi conclusi, nel
pubblico interesse, dall’amministrazione con
i soggetti privati (cfr. Cons. Stato, sez.
IV, 29.02.2008, n. 781; Cass. S.U.,
25.05.2007, n. 10186).
Inoltre, coinvolgendo la controversia atti e
provvedimenti in materia urbanistica, essa
rientra nella giurisdizione esclusiva del
TAR anche ex art. 34 del d.lgs. n. 80/1998
(cfr. TAR Veneto, II, 01.12.2010, n. 6321;
TAR Veneto, II, 11.06.2009, n. 1731). Tali
principi valgono anche con riferimento al
nuovo art. 133 del cod. proc. amm., relativo
alle materie di giurisdizione esclusiva, che
ha sostituito le rammentate disposizioni.
Esecuzione delle
obbligazioni derivanti da convenzione di
lottizzazione - Richiesta di sentenza
costitutiva ex art. 2932 c.c. al giudice
amministrativo - Ammissibilità.
Non si ravvisano ostacoli alla pronuncia di
una sentenza costitutiva ex art. 2932 c.c.,
da parte del giudice amministrativo,in tema
di obbligazioni derivanti da convenzione di
lottizzazione, considerato che la
convenzione ha natura tipicamente negoziale,
e non ha pertanto i requisiti di
esecutorietà ex art. 21-ter della legge n.
241/1990: in altri termini, per dare forzata
attuazione alle obbligazioni patrimoniali,
assunte con la convenzione, è comunque
necessario un provvedimento giurisdizionale,
e non v’è ragione di escluderne quelli
avente efficacia costitutiva, come appunto
la sentenza ex art. 2932 c.c., dovendo
comunque l’ordinamento garantire la piena
tutela effettiva delle posizione soggettive
paritetiche, incluse naturalmente quelle
degli Enti pubblici (cfr. in termini TAR
Veneto, II, 11.6.2009, n. 1731).
D’altro canto, il citato art. 11 della legge
n. 241/1990 attribuisce, senza alcuna
limitazione, al giudice amministrativo la
decisione delle controversie per
l’esecuzione degli accordi conclusi, e tale
è inequivocabilmente quella in esame (cfr.
TAR Liguria, 19.10.2007, n. 1760; TAR
Campania, Napoli, 23.03.2007, n. 2773) (TAR
Veneto, Sez. II,
sentenza 13.07.2011 n. 1219 -
link a www.ambientediritto.it). |
LAVORI PUBBLICI - PUBBLICO IMPIEGO:
Il funzionario comunale
responsabile dell'ufficio manutenzioni
stradali non può pensare di eludere le
responsabilità connesse con la qualifica
ricoperta, adducendo di non avere avuto
notizia di insidie stradali, perché le
funzioni affidategli comportano l'onere di
attivarsi in maniera autonoma per prevenire
qualunque situazione di pericolo si
verifichi sulle strade di propria
competenza, senza attendere passivamente la
segnalazione da parte di terzi.
Attesa la qualifica ricoperta di
responsabile dell'ufficio manutenzione del
comune, proprio allo stesso dipendente
incombeva il dovere di intervenire per
eliminare l'insidia creatasi sulla strada,
peraltro priva di illuminazione, a causa
dell'assenza della copertura di un tombino.
Il dipendente ricorrente non può pensare di
eludere le responsabilità connesse con tale
qualifica, adducendo di non avere avuto
notizia di tale assenza. In realtà, le
funzioni affidategli e la posizione di
garanzia che da esse per lui derivava,
avrebbero dovuto indurlo non ad attendere
passivamente la segnalazione di terzi ma ad
attivarsi in maniera autonoma per prevenire
ogni possibile incidente.
In realtà, ha in proposito giustamente
osservato il primo giudice che, alla stregua
delle disposizioni vigenti in materia di
svolgimento dell'attività amministrativa e
di organizzazione degli uffici della
pubblica amministrazione, lo ... era
portatore di poteri, oltre, che di
organizzazione e di intervento, anche di
controllo. Circostanza che delinea un
preciso profilo di colpa a carico
dell'imputato poiché ne denuncia una
gestione meramente passiva ed attendista
dell'ufficio ricoperto, laddove una corretta
e dinamica interpretazione delle funzioni
avrebbe dovuto indurlo ad attivarsi, a
prescindere dalle segnalazioni di terzi, per
organizzare uno specifico servizio di
controllo del territorio al fine di
verificare e prevenire eventuali situazioni
di pericolo.
Controllo che, peraltro, nel caso specifico
non avrebbe dovuto riguardare l'assenza solo
delle coperture dei tombini, ma anche di
segnali che avvertissero del pericolo
rappresentato dalle buche scoperte, ed anche
la mancanza di illuminazione, che rendeva la
zona ancor più a rischio per i cittadini
(Corte di Cassazione, Sez. IV penale,
sentenza 11.07.2011 n.
27035). |
EDILIZIA PRIVATA: La
cessione di cubatura «neutralizza» le
varianti.
Niente volumi extra in caso di modifiche al
Prg.
LO SNODO CHIAVE - Il Dl 70/2011
consente la trascrizione dei diritti di
costruzione ma non disciplina la tipologia
contrattuale.
I terreni da cui è stata "prelevata" la
cubatura non beneficiano degli incrementi di
potenzialità edificatoria dettati in un
secondo tempo dal piano regolatore.
La IV
sezione del Consiglio di Stato, con la
sentenza 09.07.2011 n. 4134, affronta il problema
delle conseguenze degli atti costitutivi del
vincolo di asservimento, cioè le cosiddette
"cessioni di cubatura", negando la
possibilità per le aree asservite di
esprimere ulteriore capacità edificatoria in
caso di variante del Prg migliorativa degli
indici di fabbricabilità.
È una tematica che
diventa oggi di particolare interesse, dopo
l'emanazione del decreto sviluppo. Infatti,
tra gli interventi normativi volti a
liberalizzare le costruzioni private,
l'articolo 5, comma 1, lettera c), del Dl n.
70/2011 ha previsto anche la tipizzazione di
un nuovo schema contrattuale diffuso nella
prassi: la "cessione di cubatura".
In realtà la norma non definisce con
particolari dettagli alcun modello
negoziale, ma, al fine di garantire la
certezza nella circolazione dei diritti
edificatori, l'articolo 5, comma 3, si
limita ad aggiungere all'articolo 2643 del
Codice civile il numero 2-bis), stabilendo
che debbano essere soggetti a trascrizione
anche «i contratti che trasferiscono i
diritti edificatori comunque denominati
nelle normative regionali e nei conseguenti
strumenti di pianificazione territoriale,
nonché nelle convenzioni urbanistiche a essi
relative». La legge di conversione n.
106/2011 ha poi eliminato il richiamo alle
convenzioni urbanistiche e disposto la
registrazione anche dei contratti che
«costituiscono o modificano» tali «diritti
edificatori».
La norma del decreto è stata scritta tenendo
a mente l'esperienza del Pgt di Milano, che
sfrutta il meccanismo della perequazione
urbanistica e prevede un vero e proprio
"borsino" dei diritti edificatori. La
previsione offre una copertura normativa di
livello nazionale alla perequazione, ma non
contiene ancora quel quadro di regole
completo auspicato dal Consiglio di Stato
con la sentenza n. 4545/2010. Resta da
chiedersi, ad esempio, in quanto tempo debba
essere realizzata la cubatura acquistata con
la perequazione e cosa succeda se –prima
dell'edificazione– il Comune ne modifichi o
ne limiti l'utilizzo con una variante al Prg
(si veda Il Sole 24 Ore del 16 maggio).
Nella pratica negoziale così come si è
strutturata prima del decreto sviluppo, la
cessione di cubatura è quel contratto con
cui il proprietario di un suolo (cedente)
presta il proprio consenso affinché tutta o
parte della volumetria, che quel suolo può
esprimere sulla base degli strumenti
urbanistici, venga attribuita dalla pubblica
amministrazione al proprietario del fondo
vicino (cessionario), purché ricompreso
nella medesima zona urbanistica. Il vincolo
di asservimento si traduce in una sorta di
servitù di non edificabilità di tipo
relativo, in quanto limitata e correlata
alla volumetria consentita dal Prg, che si
riflette negativamente sul valore venale del
bene anche, nel caso di una sua eventuale
espropriazione, comportando un regime di
inedificabilità ope legis.
La cessione di cubatura, per univoca
giurisprudenza (da ultimo, Cassazione n.
20623/2009), è una fattispecie negoziale a
formazione progressiva, nella quale, sul
piano dei presupposti, le dichiarazioni dei
privati confluiscono nel procedimento
amministrativo volto al rilascio del titolo
edilizio. A determinare realmente il
trasferimento di cubatura, con effetto tra
le parti e nei confronti dei terzi, «è
esclusivamente il provvedimento concessorio,
discrezionale e non vincolato, che, a
seguito della rinuncia del cedente, può
essere emanato dall'ente pubblico a favore
del cessionario, non essendo configurabile
tra le parti un contratto traslativo».
La nuova previsione legislativa non appare
del tutto compatibile con quest'ultimo
rilievo della Suprema Corte. Da un lato, la
norma prevede la trascrizione del diritto
edificatorio. Dall'altro, l'accordo per la
cessione di cubatura tra i privati viene
configurato dai giudici come un contratto
atipico a effetti obbligatori. Per costante
orientamento giurisprudenziale, infatti, la
costituzione o la modificazione del "diritto
edificatorio" resta comunque subordinata
all'adozione di un provvedimento
amministrativo: di conseguenza, fino al
rilascio del titolo abilitativo, il
proprietario del l'area è titolare non di un
diritto, ma solo di un interesse legittimo
di tipo pretensivo, cioè di una aspettativa
qualificata ad edificare.
---------------
Anche le
aree asservite si considerano già edificate.
IL PRINCIPIO - I terreni che hanno venduto
la capacità edificatoria sono considerati
«occupati» anche se non ospitano immobili.
Il caso affrontato dal Consiglio di Stato
con la
sentenza
09.07.2011 n. 4134 trae origine
una variante al Prg, attraverso cui un
Comune aveva aumentato i previgenti indici
di fabbricabilità da 3 a 5 metri cubi per
metro quadrato.
La fattispecie esaminata riguarda un fondo,
in origine costituente un unico compendio
immobiliare, che era stato completamente
asservito alla realizzazione di un
fabbricato, con atto trascritto nei pubblici
registri immobiliari. Dopo la costruzione
dell'edificio il suolo venne poi frazionato
in tre particelle: una sulla quale era
posizionata l'area di sedime del fabbricato
e le altre due libere da manufatti, ma
asservite alla prima, alienate dagli
originari proprietari a una società.
Quest'ultima, a seguito della variante e per
effetto dell'innalzamento della potenzialità
edificatoria, ha ritenuto che anche la
particella beneficiaria della cessione di
cubatura potesse esprimere una maggiore
volumetria e che, conseguentemente, dovesse
essere ridotta la quota di asservimento
delle due particelle divenute di sua
proprietà.
La società chiedeva quindi al Comune il
rilascio di due concessioni edilizie, una
per sfruttare la nuova cubatura che le due
particelle asservite potevano autonomamente
esprimere a seguito della variante, l'altra
per utilizzare il differenziale di
volumetria della particella non di loro
proprietà. L'ente rilasciava la prima
concessione, ma negava la seconda,
escludendo che l'aumento degli indici di
edificabilità previsti dalla variante
potesse comportare la parziale retrocessione
della volumetria a suo tempo ceduta con
l'atto di asservimento, il quale aveva
"cristallizzato" le quote edificatorie delle
varie particelle rivenienti dal
frazionamento, onde la maggiore cubatura
andava distribuita in misura proporzionale
tra i tre fondi contigui.
La società impugnava il diniego e il Tar ne
accoglieva il ricorso, affermando che la
modifica dell'indice edificabile in senso
migliorativo dovesse applicarsi anche alla
particella destinata a sedime
dell'originario fabbricato, con conseguente
riduzione proporzionale della misura
dell'asservimento per i suoli di proprietà
della ricorrente.
La sentenza è stata però annullata in
appello e i giudici di Palazzo Spada hanno
ricordato che, sulla base delle legge
urbanistica, le previsioni del Prg «servono
a conformare l'edificazione futura e non
anche le costruzioni esistenti al momento
dell'entrata in vigore del piano o di una
sua variante (Consiglio di Stato, sezione IV,
18.06.2009 n. 4009)». Per tale ragione
lo strumento urbanistico, nel disporre le
future conformazioni del territorio,
considera le sole «aree libere», cioè
soltanto quelle "disponibili" al momento
della pianificazione, perché non ancora
edificate.
La sentenza precisa al riguardo
che, per «aree edificate» devono intendersi
non solo quelle costituenti aree di sedime
di fabbricati o utilizzate per opere di
urbanizzazione, ma anche quelle che, «nel
rispetto degli standard urbanistici,
risultano comunque già utilizzate per
l'edificazione, in quanto asservite alla
realizzazione di fabbricati, onde
consentirne lo sviluppo volumetrico».
Ne
viene fatto discendere che le eventuali
variazioni degli indici di fabbricazione in
termini più favorevoli ai privati
proprietari non possono riguardare aree già
utilizzate a fini edificatori, come nel caso
dell'asservimento, ancorché le stesse si
presentino "fisicamente" libere
da immobili. L'ulteriore conseguenza è che
il Comune non solo ha legittimamente negato
alla società la seconda concessione
edilizia, ma non avrebbe potuto neanche
rilasciare la prima, poiché relativa a
un'area giuridicamente non libera: il titolo
abilitativo, quindi, sarebbe annullabile in
sede di autotutela
(articolo Il Sole 24
Ore del 25.07.2011). |
EDILIZIA PRIVATA:
Condono - Titolo abilitativo
edilizio - Soggetti legittimati al rilascio
del titolo - Differenza - Fattispecie:
promissario acquirente o conduttore.
Il novero dei soggetti legittimati al
rilascio del titolo in sanatoria è più ampio
rispetto a quanto concerne il rilascio
dell’ordinario titolo abilitativo edilizio,
per il quale occorre la titolarità del
diritto di proprietà, ovvero di altro
diritto reale o anche obbligatorio a
condizione del riconoscimento della
disponibilità giuridica e materiale del bene
nonché della relativa potestà edificatoria
(Consiglio di Stato V 28.05.2001 n. 2881,
TAR Emilia Romagna Bologna 21.02.2007 n. 53,
TAR Lombardia Milano sez. II 31.03.2010 n.
842), non essendo pacifica la legittimazione
del promissario acquirente (anche in ipotesi
di preliminare ad effetti anticipati) non
autorizzato dal proprietario promissario
venditore (in senso negativo Consiglio
Stato, sez. IV, 18.01.2010, n. 144,
Cassazione civile sez. III 15.03.2007, n.
6005, in senso affermativo TAR Puglia Lecce
sez. I 29.07.2010 n. 1834, TAR Campania
Napoli sez. IV 12.01.2000, n. 45).
Il regime, infatti, della concessione
edilizia è del tutto diversificato, quanto a
presupposti ed elementi propri, da quello
della sanatoria. Va pertanto affermato che
legittimati all’istanza di condono edilizio
ex l. 724/1994 sono oltre coloro che hanno
titolo a richiedere la concessione
edilizia/permesso di costruire, anche il
promissario acquirente o il conduttore
(Corte di Appello Firenze, sez II, 04.05.2010
n. 594) e più in generale tutti coloro che
vi abbiano interesse, senza il necessario
consenso ed anche, al limite, contro la
volontà del proprietario del bene.
Condono - Limiti di
distanza ex art. 9 d.m. 1444/1968 - Vincolo
di inedificabilità assoluto - Esclusione.
I limiti di distanza prescritta dall’art. 9
d.m. 1444/1968, non costituiscono un vincolo
di inedificabilità assoluto ai fini della
condonabilità (TAR Lazio Roma sez II
22.12.2004, n. 17180), fermo comunque
restando l’eventuale azione in sede civile,
non avendo il condono edilizio così come la
stessa sanatoria impropria di cui all’art.
36 t.u. edilizia alcun effetto sul piano
c.d. orizzontale dei rapporti interprivati
(Consiglio di Stato sez. IV 16.10.1998, n.
1306, TAR Toscana sez. III 11.03.2004, n.
675, TAR Lazio-Roma sez. II 22.12.2004, n.
17180) (TAR Puglia-Bari, Sez. III,
sentenza 09.07.2011 n. 1057 -
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COMPETENZE PROGETTUALI:
Progettazione di opere viarie -
Competenza degli ingegneri - Affidamento
della progettazione ad un architetto -
Illegittimità - Artt. 51 e 54 R.D. n.
2437/1925.
Ai sensi degli artt. 51-54 del R.D.
23.10.1925, n. 2437, individuanti le
rispettive competenze degli ingegneri e
degli architetti ed in modo particolare le
specifiche prescrizioni che vietano a
quest’ultimi la progettazione di opere di
urbanizzazione primaria (opere viarie), deve
ritenersi precluso agli architetti la
progettazione di un tratto di strada
comunale, anche se di dimensioni contenute
(TAR Veneto, Sez. I,
sentenza 08.07.2011 n. 1153 -
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AMBIENTE-ECOLOGIA:
RIFIUTI - Compostaggio - Impiego
dello stallatico - Art. 5, c. 2, lett. e)
Reg. CE 03.10.2002, n. 1174 - Comune e
Provincia - Compatibilità
igienico-ambientale della lavorazione -
Principi di gradualità e proporzionalità.
L’impiego dello stallatico per finalità di
compostaggio è consentito dall’art. 5, comma
2, lett. e), del Reg. CE 03.10.2002 n. 1174;
la produzione di terriccio deve rispettare
le norme tecniche della materia (cfr. DGR
Lombardia n. 7/12764 del 16.04.2002).
Il Comune e la Provincia, secondo le
rispettive competenze, svolgono attività di
controllo e possono adottare provvedimenti
per garantire la compatibilità
igenico-ambientale della lavorazione, ma, in
ogni caso, eventuali misure volte a ridurre
il disagio per i cittadini devono rispettare
i principi di gradualità, proporzionalità e
garanzia del contraddittorio (TAR
Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 08.07.2011 n. 1025 -
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EDILIZIA PRIVATA:
Impianti alimentati da fonti
rinnovabili - Strumenti urbanistici -
Limitazione alla realizzazione nelle zone
agricole di rispetto - Legittimità -
Condizioni.
La normativa statale (cfr. art. 12, c. 7,
d.lgs. n. 387/2007) lascia la potestà ai
comuni di disciplinare ragionevolmente
l’ubicazione degli impianti di produzione di
energia elettrica da fonti rinnovabili, in
salvaguardia degli interessi ambientali,
purché non si ponga un divieto generalizzato
e illogico.
Ne deriva la legittimità della norma tecnica
di attuazione del piano regolatore comunale
la quale, con riferimento alle zone agricole
di rispetto, limita la possibilità di
realizzazione di siffatti impianti ai soli
già autorizzati alla data di entrata in
vigore dello strumento urbanistico (TAR
Abruzzo-Pescara, Sez. I,
sentenza 08.07.2011 n. 422 - link
a www.ambientediritto.it). |
URBANISTICA:
Lottizzazione abusiva ed
irrilevanza verifiche da parte di notaio o
istituto bancario.
In tema di lottizzazione, il fatto che il
notaio abbia garantito la commerciabilità
del bene (o che l’istituto bancario abbia
fatto eseguire una perizia per la
concessione del mutuo non determina una
situazione di immediata evidenza di buona
fede, trattandosi di accertamenti aventi
diverse finalità, per cui il terzo
acquirente versa in una situazione quanto
meno di colpa, penalmente rilevante, quando
non sia stato cauto ed attento nel
verificare le previsioni urbanistiche e
pianificatorie della zona (Corte di
Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 07.07.2011 n. 26728 -
link a www.lexambiente.it). |
URBANISTICA:
Lottizzazione abusiva - Terzo
acquirente - Buona fede - Commerciabilità
del bene - Verifiche da parte del notaio o
istituto bancario – Irrilevanza - Art. 44
D.P.R. n. 380/2001.
In tema di lottizzazione abusiva, il fatto
che il notaio abbia garantito la
commerciabilità del bene (o che l'istituto
bancario del ricorrente abbia fatto eseguire
una perizia per la concessione del mutuo)
non determina una situazione di immediata
evidenza di buona fede, trattandosi di
accertamenti aventi diverse finalità, per
cui il terzo acquirente versa in una
situazione quanto meno di colpa, penalmente
rilevante, quando non sia stato cauto e
attento a verificare le previsioni
urbanistiche e pianificatorie della zona,
(Cass. sez. 3., n. 18537 del 16/03/2010,
Pellis, in un caso relativo proprio a zona
agricola) e che pertanto l'acquirente ha
l'obbligo di acquisire elementi circa le
previsioni urbanistiche e pianificatorie di
zona, ed in caso contrario deve rispondere
dell'illecito edilizio a titolo di colpa
(Cass. Sez. 3, n. 37472 del 26/06/2008,
Belloi e altri).
Ordinanze di sequestro
preventivo o probatorio - Ricorso per
cassazione – Limiti - Violazione di legge -
Errores in iudicando o in procedendo.
Il ricorso per cassazione contro le
ordinanze emesse in materia di sequestro
preventivo o probatorio è ammesso solo per
violazione di legge, in tale nozione
dovendosi comprendere sia gli "errores in
iudicando" o "in procedendo", sia
quei vizi della motivazione così radicali da
rendere l'apparato argomentativo posto a
sostegno del provvedimento o del tutto
mancante o privo dei requisiti minimi di
coerenza, completezza e ragionevolezza e
quindi inidoneo a rendere comprensibile
l'itinerario logico seguito dal giudice
(Cass., Sez. U, n. 25932 26/06/2008, Ivanov;
in precedenza, Cass. Sez. U, n. 5876
13/02/2004, P.C. Ferazzi in proc.
Bevilacqua, è stato precisato che mentre
rientra nel sindacato di legittimità la
mancanza di motivazione o la presenza di una
motivazione meramente apparente, non vi
rientra la sua eventuale illogicità
manifesta) (Corte di Cassazione, Sez. III
penale,
sentenza 07.07.2011 n. 26728 -
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EDILIZIA PRIVATA:
Aree agricole - Divieti assoluti
di edificazione - Specifica e particolare
motivazione.
Eventuali divieti assoluti di edificazione
nelle aree agricole richiedono una specifica
e particolare motivazione, in quanto le
stesse ledono la legittima aspettativa
dell’imprenditore agricolo allo sviluppo
della propria attività (cfr. TAR Lombardia,
Brescia, 27.06.2005, n. 674; TAR Lombardia,
Milano, sez. II, 29.09.2009 n. 4749 e
08.01.2010, n. 3, dove si specifica che la
potestà pianificatoria comunale in area
agricola coesiste e si armonizza con le
prevalenti previsioni legislative).
Presenza del bosco -
Esclusione del carattere agricolo dell’area
- Inconfigurabilità.
La presenza del bosco non esclude il
carattere agricolo dell’area -e
dell’attività in essa svolta- tanto è vero
che l’art. 59, comma 3°, lett. b), della
l.r. Lombardia n. 12/2005 riconosce un
indice fondiario anche su <<terreni a
bosco>>.
Salvaguardia delle aree
boschive - Regione Lombardia - Competenza -
Province, comunità montane e enti gestori di
parchi.
La salvaguardia delle aree boschive, nella
Regione Lombardia, non appartiene in via
esclusiva ai comuni, ma è riconosciuta in
primo luogo alle province, alle comunità
montane ed agli enti gestori di parchi e
riserve regionali (TAR Lombardia-Milano,
Sez. II,
sentenza 07.07.2011 n. 1843 -
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EDILIZIA PRIVATA:
Ristrutturazione rudere.
La ricostruzione di un “rudere”
costituisce nuova costruzione e non
ristrutturazione di edifico preesistente,
atteso che il concetto di ristrutturazione
sottende necessariamente la preesistenza di
un fabbricato da ristrutturare, inteso quale
organismo edilizio dotato delle mura
perimetrali, delle strutture orizzontali e
della copertura. In mancanza di tali
elementi strutturali non è possibile
valutare l’esistenza e la consistenza
dell’edifico da consolidare ed i ruderi non
possono che considerarsi alla stregua di
un’area non identificata.
La qualificazione di un immobile come rudere
non richiede, inoltre, necessariamente
un’indagine sulla volontà del proprietario
di abbandonare o comunque disfarsi del
manufatto non essendo previsto da alcuna
disposizione e risultando assorbente
l’impossibilità di individuare le
caratteristiche del manufatto preesistente
(Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 06.07.2011 n. 26379 -
link a www.lexambiente.it). |
APPALTI:
Cause di esclusione ex art. 38
d.lgs n. 163/2006 - Bando - Generica
richiesta di dichiarazione di insussistenza
- Valutazione di gravità compiuta dal
concorrente - Cause di esclusione formali e
sostanziali.
Laddove il bando richiede genericamente una
dichiarazione di insussistenza delle cause
di esclusione dell’art. 38 del d.lgs. n.
163/2006, esso giustifica una valutazione di
gravità/non gravità compiuta dal
concorrente, sicché il concorrente non può
essere escluso per il solo fatto
dell’omissione formale, cioè di non aver
dichiarato tutte le condanne penali o tutte
le violazioni contributive; andrà escluso
solo ove la stazione appaltante ritenga che
le condanne o le violazioni contributive
siano gravi e definitivamente accertate. La
dichiarazione del concorrente, in tale caso,
non può essere ritenuta <<falsa>>
(Cons. St., sez. V, 08.09.2008 n. 4244;
Cons. St., sez. V, 07.10.2008 n. 4897; Cons.
St., sez. V, 22.02.2007 n. 945,).
Diverso discorso deve essere fatto quando il
bando sia più preciso, e non si limiti a
chiedere una generica dichiarazione di
insussistenza delle cause di esclusione di
cui all’art. 38, codice, ma specifichi che
vanno dichiarate tutte le condanne penali, o
tutte le violazioni contributive: in tal
caso, il bando esige una dichiarazione dal
contenuto più ampio e più puntuale rispetto
a quanto prescritto dall’art. 38 codice,
all’evidente fine di riservare alla stazione
appaltante la valutazione di gravità o meno
dell’illecito, al fine dell’esclusione.
In siffatta ipotesi, la causa di esclusione
non è solo quella, sostanziale, dell’essere
stata commessa una grave violazione, ma
anche quella, formale, di aver omesso una
dichiarazione prescritta dal bando (TAR
Puglia-Bari, Sez. I,
sentenza 06.07.2011 n. 1021 -
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APPALTI:
Nella materia delle procedure di
evidenza pubblica, la nozione di "offerta
condizionata" non coincide con la figura
civilistica della "condizione" intesa come
evento futuro ed incerto da cui si fa
dipendere l'efficacia del negozio, ma
ricorre quando l'offerente subordina il
proprio impegno contrattuale a che la
controparte accetti una controproposta
concernente un patto aggiuntivo o
modificativo rispetto allo schema proposto
dalla stazione appaltante; di conseguenza
essa è inammissibile, atteso che le regole
dell'evidenza pubblica esigono la perfetta
conformità tra il regolamento contrattuale
predisposto dalla stazione appaltante e
l'offerta presentata dal candidato. In
sostanza, dunque, l'offerta dell'impresa
partecipante può dirsi condizionata e,
quindi, inammissibile, quando il concorrente
subordina la sua adesione al contratto a
condizioni estranee all'oggetto del
procedimento ovvero ad elementi non previsti
nelle norme di gara o di capitolato.
Recenti pronunce giurisprudenziali hanno
chiarito che, nella materia delle procedure
di evidenza pubblica, la nozione di "offerta
condizionata" non coincide con la figura
civilistica della "condizione" intesa
come evento futuro ed incerto da cui si fa
dipendere l'efficacia del negozio, ma
ricorre quando l'offerente subordina il
proprio impegno contrattuale a che la
controparte accetti una controproposta
concernente un patto aggiuntivo o
modificativo rispetto allo schema proposto
dalla stazione appaltante; di conseguenza
essa è inammissibile, atteso che le regole
dell'evidenza pubblica esigono la perfetta
conformità tra il regolamento contrattuale
predisposto dalla stazione appaltante e
l'offerta presentata dal candidato (TAR
Umbria Perugia, sez. I, 11.06.2010, n. 369).
In sostanza, dunque, l'offerta dell'impresa
partecipante può dirsi condizionata e,
quindi, inammissibile, quando il concorrente
subordina la sua adesione al contratto a
condizioni estranee all'oggetto del
procedimento ovvero ad elementi non previsti
nelle norme di gara o di capitolato (TAR
Umbria Perugia, sez. I, 13.04.2010, n. 239)
(TAR Lazio-Roma, Sez.
II-quater,
sentenza 04.07.2011 n.
5827 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
La cauzione provvisoria deve
essere riportata all’istituto della caparra
cofirmataria: la sua ratio consiste infatti
nell’garantire la serietà e affidabilità
dell'offerta ovvero nel fornire una garanzia
per la mancata sottoscrizione del contratto
per fatto dell'aggiudicatario.
Le stazioni appaltanti non sono libere di
decidere di non avvalersi della cauzione
provvisoria, richiedendo ad esempio solo la
cauzione definitiva, di cui all’art. 113
d.lgs. n. 163/2006 ovvero consentendo
comunque la partecipazione anche delle
imprese che non l’abbiano prestata.
Pertanto, anche nel caso in cui il bando non
contempli la sanzione dell’esclusione per la
mancata prestazione della cauzione
provvisoria, l’offerta che non sia corredata
dalla cauzione provvisoria deve ugualmente
essere dichiarata inammissibile, essendo la
cauzione provvisoria un elemento essenziale
dell’offerta.
La regolarizzazione documentale (in sede di
gara) può riguardare solo gli aspetti non
essenziali dell’offerta. Invece, la cauzione
provvisoria costituisce un elemento
essenziale dell'offerta e, pertanto, non può
esserne richiesta la regolarizzazione dopo
che siano scaduti i termini per la
presentazione di essa. La giurisprudenza,
inoltre, ha chiarito che la regolarizzazione
è ammissibile, nel rispetto della par
condicio tra i concorrenti, solo per
l'integrazione e la regolarizzazione della
documentazione di gara che sia già stata
prodotta.
L’art. 75 del
codice dei contratti prevede al comma 1 come
obbligatoria la prestazione della cauzione
provvisoria, che deve corredare l’offerta.
Essa, pari al 2% del prezzo base indicato
nel bando o nell’invito, può avere la forma
di cauzione o di fideiussione. L’art. 75,
comma 8, prevede inoltre che l’offerta debba
essere inoltre corredata, a pena di
esclusione, dall’impegno di un fideiussore a
rilasciare la garanzia fideiussoria per
l’esecuzione del contratto, qualora
l’offerente risultasse aggiudicatario.
Rileva in primo luogo il collegio che la
cauzione provvisoria, secondo l’orientamento
prevalente della giurisprudenza
amministrativa e confermato dalle Sezioni
Unite della Cassazione, deve essere
riportata all’istituto della caparra
cofirmataria: la sua ratio consiste
infatti nell’garantire la serietà e
affidabilità dell'offerta (cfr. Cassazione
civile, sez. un., 04.02.2009, n. 2634 e TAR
Lazio Roma, sez. I, 19.03.2010, n. 4321),
ovvero nel fornire una garanzia per la
mancata sottoscrizione del contratto per
fatto dell'aggiudicatario (TAR Lazio Roma,
sez. III, 15.01.2010, n. 280).
Si tratta di un istituto di rilevante
importanza in quanto è posto a presidio
dell’interesse della amministrazione a non
essere coinvolta in contrattazioni non
serie.
La norma, data la sua centralità nel sistema
disegnato dal codice dei contratti, non può
essere derogata dal bando poiché altrimenti
verrebbe ad essere vanificato il controllo
sulla sussistenza dei requisiti dei
partecipanti alla gara ai sensi dell’art.
48, che prevede come sanzione appunto
l’incameramento della cauzione provvisoria e
l’amministrazione inoltre verrebbe ad essere
privata della possibilità di rivalersi
immediatamente su di una somma già
disponibile per il caso di mancata
sottoscrizione del contratto per fatto
dell’affidatario (salva la possibilità di
agire per l’ulteriore danno).
Va inoltre rilevato che l’art. 75 è
costruito come norma imperativa, in quanto
la possibilità per le amministrazioni
procedenti di disporre –nel bando-
diversamente da quanto in essa previsto è
limitata alla sola questione della durata
della garanzia (art. 75, comma 5). Per il
resto, lo stesso art. 75 disciplina in modo
completo e dettagliato ogni aspetto della
prestazione della cauzione.
Sulla base di tali argomentazioni deve
affermarsi –come peraltro già rilevato in
giurisprudenza– che le stazioni appaltanti
non siano libere di decidere di non
avvalersi della cauzione provvisoria,
richiedendo ad esempio solo la cauzione
definitiva, di cui all’art. 113 d.lgs. n.
163/2006 (cfr. Consiglio di Stato, sez. V,
12.06.2009, n. 3746) ovvero consentendo
comunque la partecipazione anche delle
imprese che non l’abbiano prestata.
Pertanto, anche nel caso in cui il bando non
contempli la sanzione dell’esclusione per la
mancata prestazione della cauzione
provvisoria, l’offerta che non sia corredata
dalla cauzione provvisoria deve ugualmente
essere dichiarata inammissibile, essendo la
cauzione provvisoria un elemento essenziale
dell’offerta (Cons. di Stato sez. IV, n.
7380 del 15.11.2004).
Nel caso in esame, peraltro, al punto 7 del
bando, la stazione appaltante aveva
espressamente richiamato l’art. 75 del
codice dei contratti. Risulta pertanto
irrilevante la circostanza che non fosse
espressamente prevista anche la sanzione
dell’inammissibilità per la mancata
prestazione della cauzione provvisoria,
giacché –come si è visto– l’art. 75 deve
essere letto nel senso di imporre
l’esclusione di una impresa che non abbia
prestato la dovuta cauzione provvisoria.
Tanto chiarito, appare evidente come non
fosse possibile ricorrere alla
regolarizzazione di cui all’art. 46 del
codice dei contratti.
Infatti, la regolarizzazione può –secondo il
più recente indirizzo giurisprudenziale–
riguardare solo gli aspetti non essenziali
dell’offerta. Invece, la cauzione
provvisoria costituisce –come si è visto- un
elemento essenziale dell'offerta e, pertanto
non può esserne richiesta la
regolarizzazione dopo che siano scaduti i
termini per la presentazione di essa (cfr.
in termini TAR Campania Salerno, sez. I,
17.01.02008, n. 55, Cons. di Stato sez. V,
n. 1495 del 13.03.2002, TAR Veneto n. 1145
del 21.04.2004; TAR Veneto n. 1325 del
13.04.2002 e in un caso di difformità della
cauzione provvisoria prestata rispetto alle
prescrizioni del bando, TAR Lazio Roma, sez.
III, 04.08.2006, n. 6915).
La giurisprudenza, inoltre, ha chiarito che
la regolarizzazione è ammissibile, nel
rispetto della par condicio tra i
concorrenti, solo per l'integrazione e la
regolarizzazione della documentazione di
gara che sia già stata prodotta (cfr. TAR
Lazio Roma, sez. III, 14.02.2006, n. 1066
che non ha consentito, dopo lo spirare del
prescritto termine, la sostituzione della
polizza fideiussoria costituente cauzione).
Nemmeno può valorizzarsi, infine, ad avviso
del collegio, quell’orientamento
giurisprudenziale secondo il quale la
sussistenza di un affidamento incolpevole da
parte della controinteressata a fronte di
clausole ambigue del bando giustifica il
ricorso alla regolarizzazione, nel rispetto
del favor partecipationis (cfr. TAR
Sicilia Catania, sez. III, 16.12.2008, n.
2355) (TAR Lazio-Roma, Sez.
II-quater,
sentenza 04.07.2011 n.
5827 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
DIMISSIONI: REVOCABILI FINO ALLA
COMUNICAZIONE DELLA LORO ACCETTAZIONE DA
PARTE DELLA PA.
Dimissioni -
Revocabilità - È ammissibile sino al momento
della formale comunicazione della loro
accettazione da parte dell’amministrazione.
Le dimissioni del pubblico dipendente
possono essere legittimamente revocate
dall’interessato fino al momento in cui non
gli sia stata formalmente comunicata la loro
accettazione da parte dell’amministrazione
di appartenenza, né possono avere rilievo
alcuno modalità conoscitive ritenute
dall’amministrazione equivalenti.
NOTA
La sesta sezione, con la decisione in esame,
ha chiarito come il Consiglio di Stato abbia
più volte precisato che le dimissioni del
pubblico dipendente possono essere
legittimamente revocate dall’interessato
fino al momento in cui non gli sia stata
formalmente comunicata la loro accettazione
da parte dell’amministrazione di
appartenenza (Cons. Stato, sez. IV, 16.01.2008, n. 73; 27.11.2008, n.
5860 e 28.04.2010, n. 1927).
La legge 11.02.2005, n. 15 ha inoltre
introdotto con l’art. 15 un art. 21-bis alla
L. n. 241 del 07.08.1990, il quale
statuisce che “il provvedimento limitativo
della sfera giuridica dei privati acquista
efficacia nei confronti di ciascun
destinatario con la comunicazione allo
stesso […]”.
E come ricorda Palazzo Spada nella decisione
della quarta sezione 16.01.2008, n. 73,
la conoscenza del provvedimento ad effetti
negativi sul destinatario, collegata
all’accettazione delle dimissioni, è
essenziale e non può che avvenire attraverso
la sua effettiva comunicazione, né possono
avere rilievo alcuno modalità conoscitive
ritenute dall’amministrazione equivalenti
(tratto da Guida al Pubblico Impiego n.
7-8/2011 -
Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 04.07.2011 n.
3968 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Mutamento funzionale della
destinazione d’uso da residenziale a
professionale - Presupposto - Modifiche
della tipologia costruttiva o
dell’organizzazione interna degli spazi.
Per poter parlare di un mutamento funzionale
della destinazione d'uso di un immobile da
residenziale a professionale -direzionale,
occorre riferirsi alle oggettive
caratteristiche dei locali interessati
dall’intervento di trasformazione, dovendosi
escludere tale mutamento quando
l’utilizzazione lavorativa dei locali non
abbia comportato una modifica della
tipologia costruttiva o, quantomeno,
dell'organizzazione interna degli spazi (TAR
Parma Emilia Romagna, sez. 1^ 26.11.2009, n.
792, sentenza che richiama anche: TRGA
Trentino-Alto Adige, Trento, 07.05.2009, n.
150).
Diversamente opinando si dovrebbe invero
concludere che anche lo svolgimento di
un'attività professionale svolta senza alcun
apparato organizzativo e strumentale nello
studio della propria abitazione, ne comporta
la trasformazione in immobile ad uso
direzionale (TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 01.07.2011 n. 1110 -
link a www.ambientediritto.it). |
APPALTI SERVIZI: Riscossione,
gare con più requisiti.
I bandi di gara per l'affidamento
dell'accertamento e della riscossione dei
tributi locali possono prevedere ulteriori
requisiti di partecipazione, oltre
all'iscrizione nell'albo ministeriale
previsto dall'articolo 53 del Dlgs 446/1997 e
dal Dm 289/2000.
È quanto emerge dalla
sentenza 23.06.2011 n. 3809 del
Consiglio di Stato, Sez. V, che ha ritenuto
legittimo il bando pubblicato dal Comune di
Lecce nella parte in cui chiedeva che le
società partecipanti avessero svolto
nell'ultimo quinquennio lo stesso servizio
oggetto di gara in almeno un comune con
popolazione pari o superiore a 90mila
abitanti.
In primo grado il Tar Lecce aveva
evidenziato che l'iscrizione nell'albo dei
concessionari costituiva presunzione di
idoneità alla gestione del servizio, e
quindi la previsione di ulteriori requisiti
restringeva il numero dei partecipanti alla
gara e comprimeva i principi di
proporzionalità, libera concorrenza e non
discriminazione. Di qui l'annullamento del
bando, considerato peraltro che il Comune
non aveva dimostrato la sussistenza di
situazioni particolari, tali da rendere
necessario un restringimento delle
condizioni partecipative.
Il Consiglio di Stato ha respinto queste
censure, sostenendo che l'iscrizione
nell'albo costituisce un'astratta
presunzione del possesso dei requisiti di
capacità tecnica ed economico-finanziaria,
non potendo escludersi il potere
dell'amministrazione di fissare ulteriori
requisiti, tenuto conto dell'oggetto del
contratto (tributi da gestire e popolazione
residente) e al fine di rendere il servizio
più efficiente ed efficace.
In realtà la questione delle clausole
restrittive si trascina da una decina
d'anni, cioè da quando è operativo l'albo
nazionale di cui al Dm 289/2000, al quale
risultano iscritte un centinaio di società
(comprese quelle del gruppo Equitalia).
Inizialmente alcune pronunce (tra cui Tar
Lecce 2499/2004 e Tar Milano 2676/2004) hanno
escluso la possibilità di richiedere il
possesso di requisiti ulteriori rispetto
all'iscrizione all'albo.
Si è poi sviluppato
un orientamento favorevole alla richiesta di
requisiti aggiuntivi (Tar Bologna 100/2004,
Tar Bari 995/2005, Tar L'Aquila 454/2005),
confermato dal Consiglio di Stato prima con
la sentenza 5318/2005 e poi con la pronuncia
7247/2009, che ha ritenuto legittima la
richiesta di aver gestito nell'ultimo
quinquennio servizi uguali in comuni oltre i
50mila abitanti.
Alcuni Tar sono comunque rimasti fermi sulle
loro posizioni. Ora, tuttavia, deve
prevalere la linea possibilista del
Consiglio di Stato. Ma ad alcune condizioni.
Si deve trattare di clausole non arbitrarie
o sproporzionate rispetto all'oggetto e al
valore del contratto, tali da non limitare
–oltre lo stretto indispensabile– la platea
dei concorrenti, evitando di precostituire
situazioni di privilegio
(articolo Il Sole 24
Ore del 25.07.2011 - tratto da
www.ecostampa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Scappo dalla città, ma l'abuso
edilizio sul rustico non s'ha da fare.
Escluso lo stato di necessità derivante da
patologie respiratorie.
Non e' configurabile la
causa di esclusione del reato prevista
dall'art. 54 c.p. nel caso di opera edilizia
abusivamente eseguita sul presupposto del
cattivo stato di salute dell'agente.
La terza sezione penale della Cassazione,
nel confermare la sentenza di merito, ha
escluso la possibilità che operasse la
scriminante dello stato di necessità nel
caso di persona che, avendo abusivamente
eseguito, in violazione del d.p.r. n. 380
del 2001, opere di ampliamento della propria
residenza collinare, si era difesa asserendo
che era stata necessaria una sorta di “fuga
dalla città” per consentire al marito,
affetto da patologia respiratoria, di
respirare aria meno inquinata.
La motivazione è stata correttamente
incentrata sull’insussistenza di un pericolo
attuale e concreto per l’incolumità fisica
della persona.
In tal modo la S.C. ha confermato il suo
oramai “proverbiale” orientamento in
materia edilizia, maturato nella vigenza del
d.p.r. del 2001 a seguito dell’abrogazione
della l. n. 47 del 1985, per cui
l'operatività dello stato di necessità per
il reato di costruzione abusiva –sebbene non
vada esclusa in linea di principio,
potendosi riconnettere anche a situazioni
strumentali strettamente della persona,
quali l'esigenza di un alloggio- impone il
controllo rigoroso dei requisiti della
scriminante, così che essa non è
ipotizzabile allorché il pericolo di restare
senza abitazione sia concretamente evitabile
attraverso i meccanismi del mercato o dello
Stato sociale, dovendosi escludere la
sussistenza di ogni altra, concreta,
possibilità di evitare il danno grave.
In linea vedasi Cass. pen., Sez. III,
sentenza n. 35919 del 26/06/2008, in CED
CASS, 241094, secondo la quale non è
configurabile l'esimente dello stato di
necessità in quanto, pur essendo
ipotizzabile un danno grave alla persona in
cui rientri anche il danno al diritto
all'abitazione, difetta in ogni caso il
requisito dell'inevitabilità del pericolo.
Ed ancora significativa è Sez. III, n. 41577
del 20/09/2007, ivi, n. 238258, per cui in
materia di abusi edilizi e ambientali la
configurabilità della scriminante dello
stato di necessità, nella specie consistente
nella mancanza di una casa, appare in
concreto esclusa dal fatto che il pericolo
del danno grave alla persona è evitabile
chiedendo, in caso di terreno edificabile,
la relativa autorizzazione mentre, in caso
di terreno non edificabile, il diritto del
cittadino a disporre di un'abitazione non
può prevalere sull'interesse della
collettività alla tutela del paesaggio e
dell'ambiente. Pienamente adesiva è, infine,
anche Sez. III, n. 19811 del 26/01/2006,
ivi, n. 234316 (Corte di Cassazione penale,
sentenza 22.06.2011 n. 25010 - tratto
da www.ipsoa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Impugnazione permesso di
costruire.
Ai fini della decorrenza del termine per
l’impugnazione di un permesso di costruire
rilasciato a terzi, occorre in generale la
sua piena conoscenza, che si verifica con la
consapevolezza del contenuto specifico del
titolo autorizzatorio o del progetto
edilizio o ancora con il verificarsi di una
situazione per cui la costruzione realizzata
riveli in modo certo ed inequivoco le
essenziali caratteristiche dell’opera e
l’eventuale non conformità della stessa alla
disciplina urbanistica, sicché la prova
della piena ed effettiva conoscenza del
titolo edilizio può essere desunta anche da
elementi presuntivi, come l’intervenuta
ultimazione dei lavori o la circostanza che
questi sono giunti almeno ad un punto tale
che non si possa avere più alcun dubbio
sulla consistenza, entità e reale portata
dell’intervento edilizio assentito, essendo
necessario, in altri termini, che le opere
abbiano raggiunto uno stadio e uno spessore
tali da renderne chiara l’illegittimità e la
lesività per le posizioni soggettive del
confinante, mentre non è sufficiente il mero
inizio dei lavori, né tanto meno
l’apposizione di un cartello recante gli
estremi e l’oggetto del titolo
autorizzatorio edilizio (TAR Emilia
Romagna-Parma,
sentenza 15.06.2011 n. 194 - link
a www.lexambiente.it). |
SICUREZZA LAVORO: Ecco
perché occorre dotare i propri dipendenti di
opportuni D.P.I. (dispositivi di protezione
individuale).
La Corte di Cassazione, Sez. IV penale, con
la
sentenza 07.06.2011 n. 22514
ha condannato un datore di lavoro per
lesioni personali colpose gravi in danno di
un proprio dipendente.
In particolare, il cuoco di un ristorante ha
riportato ustioni di secondo grado dopo
essere scivolato sul pavimento della cucina
mentre procedeva a riempire una
lavastoviglie con una pentola d’acqua
bollente.
Tutto questo perché non indossava calzature
anti-scivolo.
L’imputato ha sostenuto la propria difesa
affermando che la condotta del lavoratore
fosse da considerarsi “abnorme ed
imprevedibile”; inoltre il datore di
lavoro non era presente al momento
dell’incidente e quindi la condotta omissiva
e negligente non poteva essergli addebitata.
La Cassazione ha rigettato integralmente le
motivazioni dell'imputato e ha confermato la
ricostruzione dei gradi precedenti,
condannando il datore di lavoro.
Si è rivelata determinante la mancata
fornitura al cuoco delle scarpe
antisdrucciolevoli, dotate di valenza
antinfortunistica con riferimento alle
mansioni svolte in un contesto scivoloso,
qual è la cucina di un ristorante (link a www.acca.it). |
URBANISTICA:
Piano Regolatore Comunale:
vincoli espropriativi e vincoli
conformativi.
Non costituisce vincolo
preordinato all’esproprio la destinazione
urbanistica di un’area a servizi pubblici di
interesse locale a servizio delle residenze.
La Sez. I civile della Corte di Appello di
Roma, con la
sentenza
06.06.2011 n. 2521, richiamando la
giurisprudenza costituzionale (sentenza
179/1999) in materia di reiterazione dei
vincoli espropriativi, ha dichiarato che la
destinazione di un’area a «costruzioni
pubbliche d'importanza locale a servizio
delle residenze quali: asili nido, scuole
dell'obbligo, edifici per ti culto, mercati
rionali, centri sociali, unità sanitarie
locali, assistenziali, culturali,
amministrative», atteso che tale vincolo
non comporta l'inedificabilità assoluta, non
costituisce un vincolo di natura
espropriativa della proprietà privata bensì
un vincolo di natura conformativa della
proprietà privata alle previsioni di piano.
In precedenza numerose sentenze, sia della
giustizia amministrativa sia della giustizia
civile, sono arrivate alla medesima
conclusione, con riferimento costante alla
sentenza 179/1999 della Corte
Costituzionale; la quale, in riferimento
alla reiterazione dei vincoli preordinati
all’esproprio, ha dichiarato indispensabile
indennizzare lo «svuotamento, di
rilevante entità ed incisività, del
contenuto della proprietà stessa, mediante
imposizione, immediatamente operativa, di
vincoli a titolo particolare su beni
determinati, ..., comportanti
inedificabilità assoluta, qualora non siano
stati discrezionalmente delimitati nel tempo
dal legislatore dello Stato e delle Regioni»,
affermando contestualmente che, viceversa, «sono
al di fuori dello schema
ablatorio-espropriativo i vincoli che
importano una destinazione (anche di
contenuto specifico) realizzabile ad
iniziativa privata o promiscua
pubblico-privata, che non comportino
necessariamente espropriazione o interventi
ad esclusiva iniziativa pubblica e quindi
siano attuabili anche dal soggetto privato e
senza necessità di previa ablazione del bene».
Per identificare le destinazioni a carattere
conformativo, nella medesima sentenza la
Corte Costituzionale fa riferimento, a
titolo esemplificativo, a parcheggi,
impianti sportivi, mercati e complessi per
la distribuzione commerciale, edifici per
iniziative di cura e sanitarie, ecc., che
possono agevolmente essere ricompresi nei
servizi di quartiere oggetto della
pianificazione urbanistica comunale. La
sentenza attualmente in esame fa rientrare
in tale categoria, oltre ai parcheggi (opere
di urbanizzazione primaria), tutte le
tipologie di opere di urbanizzazione
secondaria elencate nel comma 8
dell’articolo 16 del D.P.R. 380/2001 TU
edilizia.
Ci troviamo quindi di fronte ad una
significativa ricaduta in ambito urbanistico
dell’evoluzione del concetto sia di opera
pubblica sia di servizio pubblico, che, a
partire dalla introduzione del Codice dei
contratti pubblici, sono state riunificate
nella nozione di infrastrutture, delle quali
da ultimo è stata data la innovativa
definizione di «beni strumentali dotati
della prevalente finalità di fornitura di
servizi collettivi, a domanda individuale o
aggregata rivolti alle famiglie e alle
imprese, … indipendentemente dalla natura
proprietaria dei soggetti titolari dei
diritti reali su tali beni», contenuta
nel D.M. 26/11/2010 in materia di
perequazione infrastrutturale, che, in
attuazione della legge 42/2009 in materia di
federalismo fiscale, disciplina la
ricognizione della consistenza delle
dotazioni infrastrutturali, in grado di
calcolare le disparità tra territori da
compensare con i finanziamenti aggiuntivi e
gli interventi speciali (di cui al recente
D. Leg.vo 88/2011) (commento tratto da
www.legislazionetecnica.it). |
APPALTI:
Revoca di una gara in base ad una
nuova valutazione interesse pubblico.
E' legittima la revoca di una gara di
appalto adottata allorché la procedura
concorsuale non era ancora conclusa, che era
stata indetta in base a un bando che
legittimava l’Amministrazione appaltante a
revocare la gara in qualsiasi fase, senza
che i concorrenti avessero nulla a
pretendere, motivata con riferimento ad un
atto di indirizzo finalizzato a dare
preferenza a quelle scelte tecniche idonee a
comportare un minor dispendio di risorse;
infatti, anche prescindendo dalla clausola
appena citata, l’esercizio del potere di
revoca, in tal caso, non è legato alla sola
sopravvenienza di nuovi elementi, ma anche
ad una nuova valutazione dell’interesse
pubblico originario (c.d. jus poenitendi)
(massima tratta da ww.regione.piemonte.it -
Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 25.05.2011 n. 3131 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La regola della distanza di 10
metri tra pareti finestrate vincola anche i
Comuni in sede di formazione e di revisione
degli strumenti urbanistici.
Il d.m. 02.04.1968 n. 1444 -emanato in virtù
dell'art. 41-quinquies l. n. 1150 del 1942
introdotto a sua volta dall'art. 17 l.
06.08.1967 n. 765 (c.d. L. Ponte)- ripete
dal rango di fonte primaria della norma
delegante la forza di legge, suscettibile di
integrare con efficacia precettiva il regime
delle distanze dalle costruzioni di cui
all'art. 872 c.c.; la regola della distanza
di 10 metri tra pareti finestrate e pareti
di edifici antistanti prevista dalla
suddetta norma vincola anche i Comuni in
sede di formazione e di revisione degli
strumenti urbanistici, con la conseguenza
che ogni previsione regolamentare in
contrasto con l'anzidetto limite minimo è
illegittima e va disapplicata, essendo
consentita alle amministrazioni locali solo
la fissazione di distanze superiori (TAR
Lombardia Brescia, sez. I, 30.08.2007, n.
832).
Per "pareti finestrate", ai sensi
dell'art. 9 d.m. 02.04.1968 n. 1444 e di
tutti quei regolamenti edilizi locali che ad
esso si richiamano, devono intendersi, non
(soltanto) le pareti munite di "vedute",
ma più in generale tutte le pareti munite di
aperture di qualsiasi genere verso
l'esterno, quali porte, balconi, finestre di
ogni tipo (di veduta o di luce) (Corte
d’Appello di Catania, 22.11.2003); ai fini
dell’applicazione della norma è inoltre
sufficiente che sia finestrata anche una
sola delle due pareti (TAR Toscana, Sez. III,
04.12.2001, n. 1734 e TAR Piemonte,
10.10.2008 n. 2565)
(massima
tratta da www.regione.piemonte.it - TAR
Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 19.05.2011 n. 1282 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Annullamento del provvedimento
impugnato inutile: permane diritto al
risarcimento.
Il Consiglio di Stato in sede
giurisdizionale ha riformato la decisione
del Tar Campania n. 16615/2010 nella quale
era stato rigettato il ricorso presentato da
una società che si era collocata al sesto
posto della graduatoria, in una gara della
quale si chiedeva la rinnovazione. Il
Consiglio di Stato ha ritenuto l’appello
fondato per violazione del principio di
trasparenza di cui all’art. 97 Costituzione
poiché i verbali non contenevano indicazioni
in ordine al soggetto affidatario dei plichi
contenenti la documentazione della gara, e
quindi attestando la carenza delle doverose
misure di custodia delle offerte.
Nella seconda parte della pronuncia il
Consiglio di Stato evidenzia che sia il
ricorso al Tar che l’appello erano stati
proposti in ragione dell’interesse della
società ricorrente ad ottenere la
rinnovazione della gara, a cui poter in
seguito partecipare. Rileva inoltre che non
era stata avanzata alcuna richiesta di
risarcimento dei danni subiti, né di
declatoria di inefficacia del contratto
stipulato dall’amministrazione pubblica col
soggetto aggiudicatario che, peraltro,
risulta in avanzato stato di esecuzione.
Il Consiglio richiama l’art. 34 del codice
del processo amministrativo, che al comma
terzo recita “quando, nel corso del
giudizio, l’annullamento del provvedimento
impugnato non risulta più utile per il
ricorrente, il giudice accerta
l’illegittimità dell’atto se sussiste
l’interesse ai fini risarcitori”.
Siffatto principio impedisce l’annullamento
di atti che nel corso della causa hanno
esaurito i loro effetti, tutelando nel
contempo l’interesse del ricorrente
all’accertamento.
In particolare il comma V del predetto
articolo legittima la proposizione
dell’istanza risarcitoria fino ai 120 giorni
successivi al passaggio in giudicato della
sentenza che ha deciso sull’azione di
annullamento. Il Consiglio di Stato, nella
fattispecie, desume l’interesse della
ricorrente a fini risarcitori dalla natura e
dagli atti della controversia, precisando
inoltre che l’eventuale danno risarcibile si
suddistingue in: danno emergente (spese e
costi sostenuti per la partecipazione alla
gara), lucro cessante (10% del valore
dell’appalto), ulteriore percentuale del
valore dell’appalto a titolo di perdita di
chance.
Il Consiglio ha quindi accolto il ricorso,
oltre che per l’accertata violazione del
principio di trasparenza, riconoscendo
d’ufficio l’interesse della ricorrente a
fini risarcitori, in quanto nel caso di
specie sono risultati presenti tutti i
presupposti per un’eventuale sentenza da
rendere ai sensi del comma terzo dell’art.
34 c.p.a. (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 12.05.2011 n. 2817 -
link a www.altalex.com). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Non impugnare l'atto
amministrativo non sempre costituisce
negligenza.
La tenuta da parte del
soggetto danneggiato di una condotta, attiva
od omissiva, contraria al principio di buona
fede ed al parametro della diligenza, che
consenta la produzione di danni che
altrimenti sarebbero stati evitati, recide,
in tutto o in parte, il nesso causale che ai
sensi dell’art. 1223 del cod. civ. deve
legare la condotta antigiuridica alle
conseguenze dannose risarcibili.
E’ il principio, già stabilito dal Consiglio
di Stato (Ad. Plen. 23.03.2011, n. 3),
riaffermato dal TAR Lazio-Roma, Sez. II, con
la
sentenza 03.05.2011 n. 3766.
Si tratta dell’applicazione dei principi
contenuti nelle norme processuali di cui
agli artt. 30 e 34 del Codice processuale
amministrativo (cpa) e che dispongono a
carico del giudice amministrativo l’obbligo
di valutare tutte le circostanze di fatto e
il comportamento complessivo delle parti,
escludendo il risarcimento dei danni che si
sarebbero potuti evitare usando l’ordinaria
diligenza, anche attraverso l’esperimento
degli strumenti di tutela previsti (art. 30,
comma 3 cpa).
L’obbligo di cooperazione di cui al comma 2
dell'art. 1227 del cod. civ. ha fondamento
nel canone di buona fede ex art. 1175 cod.
civ. e, quindi, nel principio costituzionale
di solidarietà. Anche le scelte processuali
di tipo omissivo possono costituire in
astratto comportamenti apprezzabili ai fini
della esclusione o della mitigazione del
danno in quei casi in cui si appuri, alla
stregua del giudizio di causalità ipotetica,
che le condotte attive trascurate non
avrebbero implicato un sacrificio
significativo ed avrebbero verosimilmente
inciso, in senso preclusivo o limitativo,
sul perimetro del danno.
In particolare, nella valutazione del
giudice assumono rilevanza sostanziale le
eventuali condotte negligenti,
eziologicamente pregnanti, tenute dalle
parte anche con riferimento alle scelte
processuali percorse. Al riguardo,
riferendosi espressamente al caso deciso dal
TAR Lazio con la sentenza n. 3766/2011,
vengono in rilievo sia l’art. 124 del codice
del processo amministrativo sia l’art.
243-bis del Codice dei contratti pubblici di
cui al decreto legislativo 12.04.2006, n.
163. Infatti, nel caso di specie, la
ricorrente, collocata al secondo posto in
una procedura di evidenza pubblica per la
realizzazione di soggiorni estivi per
anziani autosufficienti e parzialmente
autosufficienti, diffidava la stazione
appaltante dal procedere all’affidamento del
servizio all’aggiudicataria, in quanto priva
di un requisito previsto a pena di
esclusione dal bando.
La diffida rimaneva peraltro priva di
riscontro, così come l’informativa data dal
ricorrente alla stazione appaltante in
ordine all’intento di proporre ricorso
giurisdizionale, in conformità a quanto
previsto dal Codice degli appalti (art.
243-bis).
A seguito dell’inerzia della stazione
appaltante, la ricorrente proponeva ricorso
volto all’accertamento del diritto al
risarcimento del danno. Il TAR Lazio
giudicava fondate le ragioni della
ricorrente in quanto la condotta della
parte, con specifico riferimento alla omessa
tempestiva impugnazione degli atti di gara,
non può essere valutata ai fini della
esclusione o della mitigazione del danno
evitabile con l’ordinaria diligenza. Come si
è visto, la ricorrente aveva sia diffidato
la stazione appaltante dal procedere
all’affidamento del servizio
all’aggiudicataria sia notificato alla
stazione appaltante l’informativa di cui
all’art. 243-bis del Codice degli appalti.
La proposizione di tempestiva impugnazione
intesa all’annullamento degli atti di gara
rischiava di non essere di alcuna utilità
sul piano del conseguimento di un
risarcimento in forma specifica. Pertanto,
secondo Il TAR Lazio, l’omessa impugnativa
degli atti di gara non rileva nel caso de
quo ai fini dell’esclusione o della
mitigazione del danno che deve essere
risarcito.
Conclusivamente, il TAR ha condannato la
stazione appaltante al pagamento in favore
della ricorrente, a titolo di risarcimento
del danno, dell’importo di € 20.000,00,
secondo una determinazione equitativa della
somma dovuta (link a www.altalex.com). |
APPALTI:
Revoca dell'aggiudicazione
annullabile senza comunicazione avvio
procedimento.
Il provvedimento di
revoca adottato in seguito al precedente
provvedimento di aggiudicazione definitiva
di una procedura ad evidenza pubblica è
illegittimo, e dunque annullabile, se manca
la comunicazione di avvio del procedimento
al soggetto risultato aggiudicatario.
È questo, in estrema sintesi, quanto
affermato dalla
sentenza 27.04.2011 n. 2456 resa
dalla V Sezione del Consiglio di Stato.
Un ente pubblico aveva indetto una gara per
l’affidamento di un servizio.
La procedura di evidenza pubblica si era poi
perfezionata con l’emanazione del relativo
provvedimento di aggiudicazione.
Tuttavia, a distanza di oltre un mese
dall’intervento della delibera direttoriale
che aveva disposto l’aggiudicazione
definitiva in favore della Società risultata
vincitrice, l’ente pubblico revocava detta
aggiudicazione.
In seguito alla pronuncia del Giudice
territoriale (TAR del Lazio), la questione è
approdata al Consiglio di Stato, il quale si
è pronunciato in merito alla legittimità del
provvedimento di revoca adottato in seguito
al precedente provvedimento di
aggiudicazione definitiva della gara.
Al riguardo i Giudici hanno ravvisato la
violazione dell’obbligo di comunicazione di
avvio del procedimento ai sensi dell’art. 7
della legge 07.08.1990, n. 241/1990 [1].
Come noto, l’art. 7 della legge sul
procedimento amministrativo prevede, tra
l’altro, l’obbligo per la pubblica
amministrazione che avvia un procedimento
amministrativo di comunicare l’avvio del
procedimento stesso ai soggetti nei
confronti dei quali il provvedimento finale
è destinato a produrre effetti diretti,
nonché ai soggetti individuati o facilmente
individuabili, diversi dai suoi diretti
destinatari, cui possa derivare un
pregiudizio.
Ciò considerato, in armonia con il proprio
consolidato orientamento interpretativo, i
Giudici hanno rilevato che il
perfezionamento della procedura di evidenza
pubblica, segnato dall’adozione del
provvedimento di aggiudicazione definitiva,
vale a differenziare e qualificare la
posizione dell’aggiudicatario ai fini
dell’applicazione dei canoni partecipativi
di cui agli artt. 7 e ss. l. n. 241 del
1990.
Difatti, argomenta il Consiglio di Stato
richiamando la pronuncia n. 5925 del 2007
[2], l’amministrazione che intenda procedere
al riesame in autotutela del provvedimento
di aggiudicazione definitiva, con il quale
si sia concluso il procedimento di
affidamento di contratti pubblici, “deve
adempiere alla prescrizione imposta
dall’art. 7 della legge n. 241/1990
provvedendo alla comunicazione dell’avvio
del procedimento quantomeno nei confronti
dell’aggiudicatario la cui sfera giuridica
potrebbe essere incisa dagli effetti
sfavorevoli derivanti dall’adozione
dell’atto di revoca”.
Il provvedimento di revoca, pertanto,
sarebbe annullabile in quanto, incidendo in
via estintiva sulla posizione di vantaggio
consacrata dall’atto di aggiudicazione
definitiva, “ha impedito alla società
ricorrente di interloquire sull’effettiva
sussistenza e consistenza di ragioni di
interesse pubblico” sottese al
provvedimento di revoca stesso.
Al fine però di rilevare l’illegittimità, e
dunque l’annullabilità, di un provvedimento
amministrativo occorre affrontare
un’ulteriore questione: l’applicabilità o
meno dell’art. 21-octies della medesima
legge sul procedimento amministrativo n. 241
del 1990 il quale, in sostanza, afferma la
natura non invalidante delle violazioni
formali e procedurali non influenti
sull’esito finale del procedimento [3].
Detta disposizione prevede infatti, al comma
secondo, che “non è annullabile il
provvedimento adottato in violazione di
norme sul procedimento o sulla forma degli
atti qualora, per la natura vincolata del
provvedimento, sia palese che il suo
contenuto dispositivo non avrebbe potuto
essere diverso da quello in concreto
adottato”.
La seconda parte del medesimo comma,
inoltre, dispone che “il provvedimento
amministrativo non è comunque annullabile
per mancata comunicazione dell’avvio del
procedimento qualora l’amministrazione
dimostri in giudizio che il contenuto del
provvedimento non avrebbe potuto essere
diverso da quello in concreto adottato”.
Sul punto, il Consiglio di Stato rileva che
la “regola conservativa” di cui al
citato art. 21-octies, comma 2, l. n. 241
del 1990 non è applicabile al caso in esame;
e ciò in ragione:
● della caratterizzazione discrezionale del
provvedimento di revoca;
● dell’esigenza di ponderare
comparativamente con gli interessi pubblici
in rilievo la posizione di vantaggio
conseguita dal ricorrente a seguito della
partecipazione con esito vittorioso alla
procedura.
La quinta sezione del Consiglio di Stato,
pertanto, ha ravvisato l’illegittimità del
provvedimento di revoca adottato a distanza
di oltre un mese dal provvedimento di
aggiudicazione definitiva per violazione
dell’obbligo di comunicazione di avvio del
procedimento ai sensi dell’art. 7 della
legge 07.08.1990, n. 241.
I giudici, di conseguenza, hanno accolto il
ricorso e annullato la delibera di revoca,
facendo salvo, ad ogni modo, il riesercizio
del potere amministrativo all’esito di una
procedura che consenta la piena esplicazione
del contraddittorio ai fini dei una congrua
comparazione degli interessi in
considerazione.
---------------
[1] Legge 07.08.1990, n. 241 recante
“Nuove norme in materia di procedimento
amministrativo e di diritto di accesso ai
documenti amministrativi”.
[2] Cons. St, sez. V, 21.11.2007, n. 5925.
[3] Con riferimento ai rilievi critici in
ordine al rapporto tra detta disposizione ed
i principi di garanzia procedimentale si
rimanda a D.U. Galetta, Notazioni critiche
sul nuovo art. 21-octies della legge n.
241/1990, in Giustizia amministrativa,
2005/2, 1-10 (link a www.altalex.com). |
URBANISTICA: 1. -
Controinteressato - Piano regolatore -
Variante - Oggetto specifico e circoscritto
- Posizioni specifiche di soggetti
interessati - Natura di controinteressato -
Sussiste.
2. - Controinteressato - Omessa notificazione -
Intervento in giudizio - Ad opponendum -
Sanatoria - Esclusione.
1. - Il principio secondo cui non sussistono
controinteressati rispetto all'impugnazione
degli strumenti urbanistici generali non può
trovare applicazione ove la variante al
piano regolatore abbia un oggetto del tutto
specifico e circoscritto nonché quando, pur
trattandosi di ricorsi contro strumenti
urbanistici, vi sia l'evidenza di posizioni
specifiche di soggetti interessati, tali da
determinare, in loro favore, la qualità di
controinteressati.
2. - Non vale a superare l'inammissibilità
dell'impugnazione l'avvenuto intervento in
giudizio del controinteressato in difetto di
notificazione del ricorso, atteso che la
costituzione in giudizio del
controinteressato ha effetto sanante non già
della omessa notificazione bensì delle
eventuali irregolarità della stessa.
_________________
2. - Cfr. Cons. Stato, sez. IV, 10.09.1991, n. 710, in Rass. Cons. Stato, 1991, I,
1302 e TAR Liguria, sez. I, 30.04.1997, n. 172 in Rass.
TAR, 1997, I - 3, 2495
(massima tratta da www.sentenzetoscane.it -
TAR Toscana, Sez. III,
sentenza 19.07.2000 n. 1713
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA: 1. - Piano
di zona per l'edilizia economica e popolare
- Contenuto - Limiti - Attendibile
previsione del fabbisogno abitativo -
Necessità - Riferimento a dati non attuali o
ipotetici - Illegittimità.
2. - Piano
di zona per l'edilizia economica e popolare
- Quota di edilizia residenziale pubblica ex
art. 3 L. 167/1962 - Determinazione -
Motivazione - Necessità.
1. - Posto che la discrezionalità
dell'Amministrazione riguardo alle
dimensioni del piano di zona per l'edilizia
economica e popolare incontra il duplice
limite della proporzione fra fabbisogno
abitativo complessivo calcolato e quota di
alloggi riservato all'intervento pubblico e
della proporzione tra alloggi progettati e
la superficie a tal fine vincolata, deve
ritenersi illegittimo il piano che risulti
adottato senza un'attendibile previsione del
fabbisogno abitativo ed al dichiarato scopo
di consentire il ritorno della popolazione
emigrata (con la conseguenza di essere
sovradimensionato rispetto alle esigenze
effettive) e che sia sorretto da una
relazione che assuma dati non attuali o
ipotetici (il cui "aggiornamento" è anche
effettuato ignorando elementi necessari
quali la "pregressa presentazione di domande
di alloggi" o "la capacità dell'industria
privata", utili anche ai fini
dell'individuazione della quota di edilizia
pubblica).
2. - Non può considerarsi assolto l'obbligo
di motivazione nel caso in cui il piano di
zona per l'edilizia economica e popolare
individui nella percentuale massima del 70%
la quota spettante all'edilizia residenziale
pubblica senza addurre altre ragioni oltre a
quella che la scelta appare necessitata
dalle particolari condizioni del mercato
immobiliare.
_________________
1. - Cfr. Cons. Stato, sez. IV, 21.06.1982, n. 398, in Rass. Cons. Stato, 1982, I,
796 e Cons. Stato, sez. IV, 27.07.1987,
n. 452, in Rass. Cons. Stato, 1987, I, 1051;
di conseguenza, devono ritenersi
"illegittimi i piani fondati su previsioni
di incremento demografico eccessive ed
erronee" (Cons. Stato, sez. IV, 27.03.1995, n. 190 in Rass. Cons. Stato, 1995, I,
324) e comunque, in presenza di un andamento
demografico in costante diminuzione, il
Comune è tenuto a valutare con particolare
attenzione i fattori in base ai quali ha
previsto un aumento della domanda di
abitazione (Cons. Stato, sez. IV, 28.03.1995, n. 209 in Rass. Cons. Stato, 1995, I,
339); né può esserci tra le finalità del
P.E.E.P. quella di facilitare un ritorno di
popolazione nell'ambito del territorio
comunale (Cons. Stato, sez. IV, 08.04.1991, n. 238 in Rass. Cons. Stato, 1991, I,
590)
(massima tratta da www.sentenzetoscane.it - TAR
Toscana, Sez. III,
sentenza
18.07.2000 n. 1700
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Concessione - Necessità
- Recinzione priva di opere murarie - Non
occorre.
1. - La concessione edilizia non è
necessaria per modeste recinzioni di fondi
rustici senza opere murarie, e cioè solo con
una rete metallica sorretta da pali in legno
infissi al suolo, perché entro tali limiti
l'opera rientra tra le manifestazioni del
diritto di proprietà che comprende lo jus
excludendi alios.
____________________
1.- Cfr. Cons. di Stato, sez. V, 26.10.1998 n. 1537
(massima tratta da www.sentenzetoscane.it -
TAR Toscana, Sez. I,
sentenza
11.07.2000 n. 1602 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI: 1. - Processo amministrativo - Impugnazione
- Legittimazione attiva - Ordine
professionale - Quando sussiste.
2. - Processo amministrativo - Impugnazione
- Legittimazione attiva - Vizi afferenti
singole prescrizioni del bando di gara -
Ordine professionale - Inammissibilità.
1. - Gli ordini e i Collegi professionali,
per la loro peculiare posizione esponenziale
della rispettiva categoria, devono ritenersi
abilitati a far valere in giudizio, oltre ai
propri interessi di enti giuridici in quanto
tali, anche l'interesse del gruppo
professionale nel suo complesso.
In
particolare la posizione legittimante
dell'Ordine professionale sussiste
nell'ipotesi in cui si contesti la
legittimità di un atto amministrativo, in
quanto suscettibile di recare danno ad un
interesse generale della categoria
rappresentata, comprimendo arbitrariamente
la sfera delle attribuzioni professionali o,
comunque, incidendo negativamente sulla
stessa.
2. - Le singole prescrizioni del bando di
concorso possono formare oggetto di censura,
in presenza di una concreta e attuale
lesione della sfera giuridica del soggetto
interessato, soltanto ad opera del singolo
partecipante alla gara, la cui individuale
posizione, per effetto della domanda di
ammissione alla procedura stessa, viene ad
essere giuridicamente qualificata e
differenziata rispetto a quella vantata
dagli altri professionisti, con conseguente
legittimazione a sottoporre al sindacato
giurisdizionale le indicazioni del bando asseritamente inficiate.
E' inammissibile,
invece, il gravame proposto da un Ordine
professionale avverso le suddette
prescrizioni del bando di gara, attesa
l'omessa dimostrazione di un pregiudizio per
la categoria professionale -unitariamente
considerata- dal medesimo rappresentata,
derivante dalle censurate disposizioni della
"lex specialis".
__________________
2. - Si vedano, Tar Toscana, sez. II,
14.07.1998 n. 658; Tar Toscana, sez. II,
14.07.1998 n. 661; Tar Toscana, sez. II,
10.11.1998 n. 1038; Tar Toscana, sez. II,
01.02.1999 n. 179
(massima tratta da www.sentenzetoscane.it -
TAR Toscana, Sez. II,
sentenza
23.05.2000 n. 944
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
LAVORI PUBBLICI: Impugnazione -
Decorrenza del termine - Opere pubbliche -
Approvazione progetto - Persone direttamente
contemplate - Dies a quo - Notificazione -
Soggetti non destinatari del provvedimento -
Decorrenza dalla pubblicazione.
1. - Il termine per impugnare la delibera di
approvazione di un progetto di opera
pubblica decorre per le persone direttamente
interessate dal procedimento di
espropriazione dal momento della notifica
dell'atto, mentre nei confronti di tutti gli
"altri soggetti" -ossia per quelli che non
sono destinatari del provvedimento e per i
quali, conseguentemente, non occorra la
comunicazione individuale del medesimo- il
termine per la proposizione del ricorso
decorre dalla pubblicazione dell'atto, a
condizione che questa sia espressamente
prevista ed avvenga nei modi indicati (nella
fattispecie mediante affissione all'albo
pretorio).
__________________
1. - Conforme Tar Toscana II Sez. 14.02.2000 n. 174
(massima tratta da www.sentenzetoscane.it -
TAR Toscana, Sez. II,
sentenza
23.05.2000 n. 943 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
CONSIGLIERI COMUNALI: Impugnazione
- Legittimazione - Consiglieri comunali -
Limiti.
I componenti del Consiglio Comunale
sono legittimati ad impugnare atti dello
stesso organo al quale appartengono, ovvero
di altro organo del Comune, con riferimento
alle determinazioni idonee ad incidere
direttamente sulla sfera giuridica degli
interessati o sulla posizione di essi
all'interno del consesso, giacché nessuna
norma o principio conferisce loro un
autonomo potere di azione popolare tale da
consentire di agire sempre e comunque in
giudizio al fine di ottenere il ripristino
della legalità che assumono violata; mentre
i Consiglieri di minoranza, in relazione
alle delibere di Giunta comunale che
assumano illegittime, hanno il solo potere
di provocare l'esercizio del potere di
controllo nei limiti ed alle condizioni
previsti dalla l. 08.06.1990 n. 142 e
successive modificazioni (massima tratta da
www.sentenzetoscane.it - TAR Toscana, Sez. II,
sentenza 23.05.2000 n.
943 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: 1 - Concessione - Distanze legali
tra edifici - Ratio della norma.
2 - Concessione - Distanze legali
tra edifici - Violazione del D.M. 1444/1968
- Annullamento in via di autotutela
-Legittimità - Irrilevanza della
destinazione dello spazio tra edifici e
dell'unicità del fabbricato.
1 - La disciplina legale delle distanze è
preordinata alla tutela di interessi
generali sussumibili nell'esigenza di
evitare la creazione di intercapedini tra
fabbricati dannose dal punto di vista
igienico ma anche alla tutela di privati
diritti soggettivi da individuarsi nella
pretesa per ciascun proprietario o
possessore di un edificio di godere di
sufficiente veduta e di luce.
2 - E' legittimo l'annullamento in via di
autotutela della concessione edilizia
rilasciata in violazione dell'art. 9 del
D.M. 1444/1968 in quanto, ai fini
dell'osservanza delle distanze legali, la
realizzazione di una sopraelevazione (e più
precisamente il piano rialzato di un
edificio) costituisce una nuova costruzione
(o nuovo edificio, i due termini devono
considerarsi sinonimi) che va ad occupare
nuovi spazi a fronte dei quali sorge
l'indefettibile esigenza, affermata dal
legislatore, di assicurare al proprietario
frontista un "minimum" di distacco
commisurato appunto nei 10 metri di cui
all'art. 9 del D.M. 1444/1968.
A tal fine,
non rileva né l'eventuale circostanza che
trattasi di un unico edificio, né la
funzione riservata dai proprietari agli
spazi esistenti tra edifici vicini, ma solo
la loro oggettiva idoneità a costruire
intercapedini vietate dalla legge, cosicché
la distanza tra costruzioni imposta ex
lege deve essere osservata anche
nell'ipotesi in cui lo spazio tra detti
edifici abbia funzione di cortile,
costituendo questo, se largo meno della
distanza minima prescritta, una
intercapedine vietata.
__________________
1. - Sulla rilevanza pubblicistica degli
standard imposti dal D.M. 1444/1968 con
riguardo ai distacchi tra fabbricati e i
confini, si veda Tar Toscana, sez. III, 02.12.1999 n. 676 in Rass.
TAR 2000 pag. 773 (massima tratta da
www.sentenzetoscane.it - TAR Toscana, Sez. III,
sentenza 19.05.2000 n.
922 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Sanzioni - Ingiunzione
di dismissione di attività di
autodemolizione - Principio di tipicità
degli atti repressivi di tipo edilizio -
Illegittimità della sanzione.
Deve ritenersi illegittima l'ordinanza
con cui il Comune ordina la dismissione di
un'attività di autodemolizione e riparazione
auto sul presupposto del contrasto con la
destinazione urbanistica del terreno
prevista nel prg dal momento che l'esercizio
di tale attività non può farsi rientrare nel
concetto di abuso edilizio come definito nel
sistema sanzionatorio vigente.
Stante il
principio di tipicità degli atti repressivi
di tipo edilizio, tali atti devono ritenersi
inapplicabili a situazioni o comportamenti
diversi dagli abusi edilizi in senso stretto
e la potestà di repressione degli abusi
edilizi (ai sensi e per gli effetti
dell'art. 4 della legge n. 47/1985) non
comprende pure la dismissione di un'attività
di autodemolizione (fermo restando la tutelabilità
in altra sede delle norme di natura
ambientale e/o igienico-sanitarie che si
ritengano eventualmente violate
dall'anzidetta attività) (massima tratta da
www.sentenzetoscane.it - TAR Toscana, Sez. III,
sentenza 19.05.2000 n.
919 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ESPROPRIAZIONE: 1 - Vincolo conformativo
contenuto nel piano particolareggiato -
Procedura ex art. 20 L. 1150/1942 -
Necessità - Mancanza - Illegittimità.
2 - Procedura in
attuazione di prg - Giurisdizione esclusiva
del g.a.
3 - Risarcimento del danno -
Necessità della prova.
1 - In presenza di vincolo conformativo che
importa una destinazione non realizzabile
esclusivamente a iniziativa pubblica, previa
espropriazione, ma attuabile anche dal
soggetto privato senza necessità di
ablazione del bene (sentenza n. 179/1999 C.
Cost.), qualora tale conformazione dell'area
e dell'intervento in essa realizzabile sia
contenuta in un piano particolareggiato,
l'amministrazione non può procedere
all'espropriazione, senza aver previamente
esperito nei confronti del privato la
procedura di attuazione coattiva del piano
particolareggiato prevista dall'art. 20 L.
1150/1942 (ingiunzione ai proprietari di
eseguire i lavori e successiva diffida).
Deve ritenersi pertanto illegittima la
delibera con la quale viene avviato il
procedimento espropriativo dell'area, senza
la preventiva attivazione della procedura
suddetta (fattispecie relativa ad area
destinata dagli strumenti urbanistici
vigenti in ambito comunale alla istallazione
di un impianto -stazione di servizio- per
la distribuzione di carburanti).
2 - Le procedure espropriative di attuazione
delle previsioni di prg devono ritenersi
ricomprese nella materia "urbanistica" come
individuata dall'art. 34 del D. Lgv. 80/1998,
intesa come ambito di azioni, provvedimenti
ed interessi comunque attinenti al
territorio e quindi includente anche gli
strumenti operativi sul piano tecnico
amministrativo (quali le procedure
espropriative di attuazione di previsioni di
P.R.G.) per l'acquisizione, da parte
dell'Amministrazione pubblica, di porzioni
del territorio stesso al fine della loro
trasformazione e destinazione a scopi di
pubblica utilità.
Sussiste quindi la
giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo ed a questo compete di
conoscere, ai sensi dell'art. 35 del
medesimo Decreto Legislativo, di tutte le
questioni relative a diritti, ivi comprese
quelle riguardanti la richiesta di
risarcimento del danno ingiusto derivante da
lesione di interesse legittimo.
3 - Ai fini dell'accoglimento della domanda
risarcitoria, il ricorrente deve provare il
proprio diritto al risarcimento, dimostrando
in concreto il danno patrimoniale subito e
il nesso eziologico con il provvedimento
annullato, non essendo di per sé sufficiente
l'illegittimità dell'atto e la lesione
dell'interesse legittimo a far sorgere il
diritto al risarcimento: non vi è alcuna
deminutio patrimoniale a seguito dell'avvio
del procedimento espropriativo ove il
terreno sia rimasto in possesso del
ricorrente (per essere stata concessa
l'ordinanza di sospensione cautelare) e non
risultando che vi siano state concrete
trattative di vendita o di utilizzazione
economica del bene sfumate per il
procedimento attivato dalla P.A.
(massima tratta da www.sentenzetoscane.it -
TAR Toscana, Sez. I,
sentenza
15.05.2000 n. 888
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
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