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AGGIORNAMENTI PREGRESSI mese di MAGGIO 2011

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aggiornamento al 30.05.2011

aggiornamento al 23.05.2011

aggiornamento al 18.05.2011

aggiornamento al 16.05.2011

aggiornamento al 09.05.2011

aggiornamento al 02.05.2011

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

AGGIORNAMENTO AL 30.05.2011

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NOVITA' NEL SITO

Bottone "CONVEGNI" n. 1 giornata di studio a Milano (ingresso libero) sull'argomento "Energia: Rinnovabili e Nucleare" per mercoledì 08 giugno 2011 organizzata dal WWF Lombardia.

UTILITA'

APPALTI: Modifiche al codice dei contratti e al regolamento n. 207/2010 - D.L. 13.05.2011 n. 70 - Semestre Europeo - recante prime disposizioni urgenti per l'economia - TESTO A FRONTE (fonte ISAC - Istituto Studi Appalti e Concessioni).

APPALTI: NUOVI MODELLI DI DICHIARAZIONI DA UTILIZZARE NELLE GARE PUBBLICHE PER I REQUISITI DI ORDINE GENERALE - ART. 38 DEL D. LGS. N. 163/2006 (link a www.ancebrecia.it).

VARI: Vademecum su adempimenti fiscali e opportunità per cittadini, tecnici e imprese. Dall’agenzia delle Entrate l’Annuario 2011.
L’Agenzia dell’Entrate ha pubblicato l’Annuario del Contribuente 2011 aggiornato a maggio 2011.
Il vademecum è ricco di informazioni utili sia al semplice cittadino che a tecnici ed imprese, in quanto riporta tutti gli adempimenti fiscali per persone fisiche e giuridiche e le agevolazioni fiscali per professionisti e imprese.
In particolare, fornisce indicazioni sulle ultime disposizioni fiscali e regole su ravvedimenti, comunicazioni e sanzioni, imposte sugli immobili, imposte su successioni e cedolare secca.
Questi gli argomenti trattati:
- Le prime scadenze fiscali del 2011
- L’agenzia delle entrate: contatti e servizi informativi
- Il garante: un organo a tutela dei contribuenti
- Le recenti novità tributarie
- La cedolare sulle locazioni
- Legge di stabilità 2011: le novità per contribuenti e imprese
- Le principali misure fiscali del decreto legge 78/2010
- Agevolazioni su produttività, straordinari e lavoro notturno
- L’Irpef e le addizionali
- Le detrazioni Irpef
- Le spese deducibili dal reddito
- Le spese detraibili dall’Irpef
- Le agevolazioni per le persone con disabilità
- Il modello 730
- Il modello unico persone fisiche (link a www.acca.it).

SINDACATI

PUBBLICO IMPIEGO: Tribunale di Trento - Illegittima la trasformazione unilaterale del part-time (CGIL-FP di Bergamo, nota 23.05.2011).

NOTE, CIRCOLARI E COMUNICATI

APPALTI - EDILIZIA PRIVATA: NOTA DI LETTURA DECRETO-LEGGE 13.05.2011 N. 70 “SEMESTRE EUROPEO - PRIME DISPOSIZIONI URGENTI PER L'ECONOMIA” (ANCI, nota 24.05.2011).

SEGRETARI COMUNALI: Oggetto: Rimborso spese di viaggio. Revoca delle deliberazioni del Consiglio Nazionale d'Amministrazione nn. 57/1999, 241/2002, 282/2003,  e 138/2007 (Ministero dell'Interno, ex Agenzia Autonoma per la gestione dell'Albo dei Segretari Comunali e Provinciali, nota 17.05.2011 n. 25402 di prot.).

SEGRETARI COMUNALI: Oggetto: Segretari comunali e provinciali. Quesito su applicabilità art. 6, comma 12, del D.L. n. 78/2010, convertito in L. n. 122/2010 (ndr: rimborso spese di viaggio) (Ministero dell'Economia e delle Finanze, Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato, nota 21.04.2011 n. 54055 di prot.).

LAVORI PUBBLICI: Matteoli dice basta alle strisce pedonali di colore verde in stile Carroccio.
Le strisce pedonali possono essere solo bianche o gialle. Qualsiasi altro colore utilizzato è vietato sia dalle prescrizioni contenute nel codice della strada che dalla normativa vigente a livello europeo.
È quanto ha messo nero su bianco il ministero delle Infrastrutture e Trasporti, nel testo del parere 11.03.2011 n. 1379 di prot., rispondendo ad un quesito posto dal sindaco di Trebaseleghe (Pd) in merito alla colorazione degli attraversamenti pedonali.
Questione molto dibattuta negli ultimi mesi, tenuto conto che diverse amministrazioni guidate dalla Lega Nord hanno utilizzato, in tali casi, il verde. Quando si tratta di attraversamenti pedonali, scrive il ministero, si tratta di verificare cosa prevede, in merito, il codice della strada (in particolare l'artt. 137 e 145 del regolamento di attuazione) a proposito della segnaletica orizzontale.
Ebbene, tali disposizioni prevedono che possono essere utilizzate vernici colorate di bianco e giallo, altre colorazioni sono vietate. Non è solo il nostro codice della strada che vieta colori che non siano il bianco o giallo. Anche la normativa europee non fa cenno a colori che siano diversi dal bianco e dal giallo. Il motivo? Il ministero, richiamando sul punto la direttiva sulla corretta applicazione delle norme del Cds 27.04.2006, rileva che non ci sono studi che dimostrino l'efficienza e l'efficacia di iniziative volte a colorare diversamente le strisce, né in termini di migliorata sicurezza che di maggior aderenza di tali vernici al fondo stradale.
Se proprio si vuole una migliore evidenza della zebratura, il ministero invita le amministrazioni «a utilizzare materiali di più elevate prestazioni e che richiedono una minore manutenzione, piuttosto che modificare il fondo». E poi, una considerazione su tutte il ministero la offre. «Non è inutile rammentare che gli utenti della strada devono riconoscere e rispettare la segnaletica formalmente prevista dal codice della strada che deve essere uniforme su tutto il territorio nazionale» (articolo ItaliaOggi del 16.04.2011).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Oggetto: Regime autorizzativo impianti di conferimento dei RAEE (rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche) domestici (Regione Lombardia, Direzione Generale Territorio e Urbanistica, Pianificazione dei Rifiuti, nota 02.03.2011 n. 5911 di prot.).
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Precisazioni sul conferimento dei Rifiuti elettronici (RAEE).
L'entrata in vigore del Decreto Ministeriale 08.03.2010, n. 65, detto Decreto "uno contro uno", consente al cittadino che acquista una nuova apparecchiatura elettronica di lasciare al negoziante quella vecchia. Il ritiro da parte dei commercianti è obbligatorio e gratuito presso il punto vendita.
La norma prevede che i RAEE (Rifiuti da Apparecchi Elettrici ed Elettronici) così raccolti dal rivenditore, siano stoccati in un luogo apposito per il tempo massimo o per un quantitativo massimo, raggiunto il quale, i RAEE dovranno essere conferiti presso un centro di raccolta di cui all'art. 6, comma 1, lett. a) e c), del D.Lgs 25.07.2005, n. 151.
Al fine di garantire un’applicazione uniforme della disciplina semplificata sul territorio regionale, Regione Lombardia in data 02.03.2011 ha fornito alcune precisazioni agli enti locali regionali indicando che il conferimento dei RAEE domestici, raccolti nell’ambito delle procedure di cui al DM 65/2010 può essere effettuato presso i centri di raccolta di cui all’art. 6, comma 1, lett. a) e c), del D.Lgs 151 del 25.07.2005, autorizzati sia ai sensi del DM 08.04.2008, sia autorizzati in forma ordinaria o semplificata ai sensi del D.lgs. 152 03.04.2006 che rispettino, per quanto riguarda i RAEE, nelle caratteristiche strutturali e nelle modalità gestionali, i requisiti fissati nell’Allegato 1 del DM 08.04.2008 (comunicato regionale 08.03.2011).

DOTTRINA E CONTRIBUTI

SICUREZZA LAVORO: A. Scarcella, D.Lgs. n. 81/2008 e soggetti obbligati - I riflessi del Testo Unico sul ruolo di dirigenti e preposti (Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 4/2011 - link a www.ipsoa.it).).

ATTI AMMINISTRATIVI: S. Giachetti, Diritto d’accesso, processo amministrativo, effetto Fukushima (link a www.giustizia-amministrativa.it).

LAVORI PUBBLICI: L. Bellagamba, Project financing: l’ingessatura rimossa dal “decreto sviluppo (link a www.linobellagamba.it).

LAVORI PUBBLICI: L. Bellagamba, Le innovazioni recate dal “decreto sviluppo” alla finanza di progetto e alla locazione finanziaria (leasing in costruendo): il problema di una scelta corretta “a monte (link a www.linobellagamba.it).

APPALTI: R. Caponigro, Valutazione delle offerte e verifica delle anomalie (link a www.giustizia-amministrativa.it).

QUESITI & PARERI

APPALTI: Interrogazione a risposta immediata n. 3-01670 dell'On. Zeller, concernente chiarimenti in merito alla possibilità di produrre una dichiarazione sostitutiva in luogo del documento unico di regolarità contributiva (DURC) per i contratti pubblici di modesto importo e relativa risposta del 25.05.2011 fornita nell'ambito del "question-time" alla Camera dei Deputati (link a http://nuovo.camera.it).
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Si legga l'interrogazione con relativa risposta anche in formato .PDF cliccando qui (vai alle pagg. 37 e 38).

SICUREZZA LAVORO: Quali sono gli obblighi di sicurezza a carico delle imprese coinvolte?
Domanda.
Quali sono i principali provvedimenti legislativi ai quali deve attenersi l'appaltatore per garantire la sicurezza e l'incolumità delle persone durante l'espletamento delle attività oggetto dell'appalto?
Risposta.
Il lettore non specifica la natura dell'appalto, né tantomeno se esso riguardi l'ambito pubblico o privato. La risposta sarà pertanto dovutamente generica e cercherà di delineare un quadro complessivo degli obblighi a carico dell'appaltatore.
Cominciamo con l'affermare che la riforma operata dall'entrata in vigore del D.Lgs. n. 81/2008 ha notevolmente semplificato la materia, almeno per l'aspetto riguardante le norme a cui riferirsi.
Alla domanda posta dal lettore: "Quali sono i principali provvedimenti legislativi..." oggi si può affermare con sicurezza che abbiamo a che fare sostanzialmente con un'unica norma di legge, ovvero il Testo unico per la sicurezza sul lavoro (D.Lgs. n. 81/2008, per l'appunto).
Nell'ambito del campo di applicazione del Titolo IV del D.Lgs. n. 81/2008, ovvero quando l'attività in appalto si svolga all'interno di un cantiere edile, gli obblighi delle imprese appaltatrici sono contenute essenzialmente nell'articolo 96 del medesimo decreto.
Quando invece le attività in appalto non rientrano nel campo di applicazione della parte speciale del decreto sui cantieri temporanei o mobili, il riferimento normativo è costituito dall'articolo 26. In questo caso si delinea un obbligo di cooperazione e coordinamento a carico di tutte le imprese coinvolte nelle attività in appalto (datore di lavoro committente compreso), restando fermo l'obbligo per tutti questi soggetti di tutelare i propri lavoratori, oltre che dai rischi derivanti dalle interferenze, anche dai rischi specifici delle attività svolte ed oggetto dell'appalto, nei confronti delle quali l'obbligo dell'appaltatore è primariamennte quello di procedere alla valutazione ed alla definizione delle conseguenti misure di prevenzione e protezione, secondo le modalità previste nello stesso D.Lgs. n. 81/2008 (23.05.2011 - tratto da www.ipsoa.it).

APPALTI SERVIZIAppalto pubblico di servizi e concessione di servizi e forniture: quale differenza?
Domanda.
Qual è la differenza tra appalto pubblico di servizi e concessione di servizi e forniture?
Risposta.
La questione se un'operazione debba essere qualificata come concessione di servizi o come appalto pubblico di servizi deve essere valutata esclusivamente alla luce del diritto dell'Unione Europea.
Dal raffronto tra le definizioni di appalto pubblico di servizi e di concessione di servizi, forniture, rispettivamente, dal numero 2, lettere a) e d), e dal numero 4 dell'art. 1 della Dir. 31-03-2004, n. 2004/18/CE, risulta che la differenza tra un appalto pubblico di servizi e una concessione di servizi risiede nel corrispettivo della prestazione di servizi.
L'appalto di servizi comporta un corrispettivo che, senza peraltro essere l'unico, è versato direttamente dall'Amministrazione aggiudicatrice al prestatore di servizi, mentre, nel caso di una concessione di servizi, il corrispettivo della prestazione di servizi consiste nel diritto di gestire il servizio, o da solo o accompagnato da un prezzo.
Nel caso di un contratto avente ad oggetto la prestazione di servizi, la circostanza che la controparte contrattuale non sia direttamente remunerata dall'Amministrazione aggiudicatrice, ma abbia il diritto di riscuotere la remunerazione presso terzi, è sufficiente a soddisfare il requisito di un corrispettivo, previsto dall'art. 1, numero 4, della Dir. 31-03-2004, n. 2004/18/CE.
Se è vero che la modalità di remunerazione è, quindi, uno degli elementi determinanti per la qualificazione come concessione di servizi, dalla Giurisprudenza risulta inoltre che la concessione di servizi implica che il concessionario si assuma il rischio legato alla gestione dei servizi in questione e che il mancato trasferimento al prestatore del rischio legato alla prestazione dei servizi indica che l'operazione in parola rappresenta un appalto pubblico di servizi e non una concessione di servizi (13.05.2011 - tratto da www.ipsoa.it).

APPALTIQuale procedura per la concessione di beni in favore delle ONLUS?
Domanda.
La concessione di beni non utilizzati per fini istituzionali in favore delle ONLUS, sulla base della giurisprudenza amministrativa formatasi in materia, può avvenire con affidamento diretto oppure è comunque sempre necessario pubblicare un bando di gara?
Risposta.
Secondo la definizione di ONLUS contenuta all'art. 10, D.Lgs. 04-12-1997, n. 460 le organizzazioni non lucrative di utilità sociale sono "le associazioni, i comitati, le fondazioni, le società cooperative e gli altri enti di carattere privato, con o senza personalità giuridica" i cui Statuti o atti costitutivi prevedano delle condizioni, prescritte dalla stessa norma, tali da perseguire finalità di solidarietà sociale e l'assenza dello scopo di lucro.
Tuttavia, la semplice configurazione di Enti no profit non significa che la loro attività sia posta al di fuori del mercato e della concorrenza, così come sostenuto nella sentenza della Corte giustizia comunità Europee Sez. III, 29.11.2007, n. 119/2006 che rappresenta una piccola rivoluzione nel modo di configurare i servizi sociali e il loro impatto nel mondo concorrenziale.
Spetta pertanto alle Amministrazioni procedenti verificare se, nel concreto, il servizio reso da un Ente del no profit non abbia caratteristica di impresa, in quanto operante in un ambito nel quale non vi siano altri soggetti operanti nello stesso campo.
In questo caso allora, ma solo in questo caso, la concessione ai sensi dell'art. 32, comma 1, L. 07-12-2000, n. 383 potrebbe avvenire mediante affidamento diretto.
Laddove, invece, le prestazioni ricadano nell'ambito dell'Allegato II A e II B del D.Lgs. 12-04-2006, n. 163 anche gli Enti del terzo settore operano nel mercato e dunque dovrà farsi ricorso ai sistemi di gara disciplinati dalle Direttive Europee e dal Codice dei Contratti.
Sotto soglia, nella legislazione italiana, è comunque possibile procedere ad appalti "riservati". L'art. 52, comma 1, del Codice dei Contratti, infatti, fa salve le norme vigenti sulle cooperative sociali e le imprese sociali (componenti fondamentali e preponderanti del comparto del terzo settore), che permettono, sotto soglia, anche affidamenti diretti o, comunque, ad appalti riservati esclusivamente a soggetti del terzo settore (TAR Basilicata, 29.11.2003, n. 1022) (06.05.2011 - tratto da www.ipsoa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Responsabilità ambientale. Inquinamento di un sito: la culpa in vigilando comporta responsabilità penale?
Domanda.
Sono il rappresentante legale di una società proprietaria di un sito dove è presente una fonte di inquinamento. La culpa in vigilando, comporta una responsabilità penale?
Risposta.
Si, una pronuncia del TAR Piemonte (Tar Piemonte, Sez. I - 21/07/2009, n. 2067) ha chiarito in che modo. A fronte della presenza di una certa fonte di inquinamento è indiscusso ed indiscutibile che l'amministrazione possa ordinarne la rimozione, lo smaltimento e la riduzione in pristino dell'area anche al proprietario, in solido con il responsabile dell'inquinamento, qualora in capo al primo sia ravvisabile un profilo di dolo o di colpa, a prescindere dalla diretta responsabilità per l'inquinamento ovvero l'accumulo sul luogo.
Ovviamente il profilo di colpa rilevante ai fini per cui è causa non è necessariamente coincidente con la commissione di un fatto penalmente rilevante; al di là del fatto che sia o meno ascrivibile all'amministratore della società una fattispecie di reato per il materiale deposito dei detriti, ben potrebbe comunque ravvisarsi una responsabilità colposa omissiva sotto il profilo civilistico, non solo nel proprietario che tollera il deposito di materiale ignoto da parte di ignoti pure colti sul fatto sul proprio terreno, ma ancor di più di colui che civilisticamente risponde del fatto illecito del proprio ausiliario o preposto per non averne controllato debitamente l'operato, e quindi per culpa vuoi in eligendo vuoi in vigilando (04.05.2011 - tratto da www.ipsoa.it).

PUBBLICO IMPIEGOCompensi per lavoro straordinario elettorale.
Domanda.
Un dipendente di Cat. D, titolare di posizione organizzativa, può percepire compensi per lavoro straordinario elettorale, indennità di economato, quale economo e compensi per il censimento della popolazione, quale responsabile?
Risposta.
L'art. 10 del C.C.N.L. 31-03-1999, avente ad oggetto "Retribuzione di posizione e retribuzione di risultato", stabilisce che: "Il trattamento economico accessorio del personale della categoria titolare delle posizioni di cui all'art. 8 è composto dalla retribuzione di posizione e dalla retribuzione di risultato. Tale trattamento assorbe tutte le competenze accessorie e le indennità previste dal vigente contratto collettivo nazionale, compreso il compenso per il lavoro straordinario, secondo la disciplina del C.C.N.L. per il quadriennio 1998-2001".
Successivamente il C.C.N.L. del 14-09-2000, con l'art. 39, ha stabilito che: "Gli enti provvedono a calcolare ed acquisire le risorse finanziarie collegate allo straordinario per consultazioni elettorali o referendarie anche per il personale incaricato delle funzioni dell'area delle posizioni organizzative di cui all'art. 8 e ss. del C.C.N.L. del 31-03-1999. Tali risorse vengono comunque erogate a detto personale in coerenza con la disciplina della retribuzione di risultato di cui all'art. 10 dello stesso C.C.N.L. e, comunque, in aggiunta al relativo compenso, prescindendo dalla valutazione. Analogamente si procede nei casi di cui all'art. 14, comma 5, del C.C.N.L. 01-04-1999" (art. 14, comma 5, C.C.N.L. 01-04-1999: "E' consentita la corresponsione da parte dell'ISTAT e di altri Enti od Organismi pubblici autorizzati per legge o per provvedimento amministrativo, per il tramite degli enti del comparto, di specifici compensi al personale per le prestazioni connesse ad indagini periodiche ed attività di settore rese al di fuori dell'orario ordinario di lavoro").
Pertanto, sulla base del disposto delle normative sopra ricordate, si ritiene che ai titolari di posizione organizzativa:
• possa essere erogato il compenso per lavoro straordinario prestato in occasione di consultazioni elettorali o referendarie, di operazioni censuarie, di indagini ISTAT, nel rispetto, comunque, del disposto dell'art. 39 sopra citato, ovvero come somme aggiuntive rispetto alla retribuzione di risultato, ma che non possono superare il valore massimo teorico della stessa, perché altrimenti si determinerebbe un'incoerenza nella gestione delle risorse attribuite a questa particolare figura, in quanto si attribuirebbero ai titolari di PO compensi per lavoro straordinario maggiori di quelli potenzialmente conseguibili con la retribuzione di risultato, diminuendo quindi le finalità di quest'ultima;
• non possa essere erogata l'indennità di agente contabile (economo), in quanto tale indennità, facendo parte delle indennità previste dai contratti vigenti, è inclusa nel trattamento omnicomprensivo di un titolare di posizione organizzative (27.04.2011 - tratto da www.ipsoa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Documento valutazione rischi. Sopralluogo dei VVF per il rilascio del CPI per una nuova unità commerciale e richiesta del DVR.
Domanda.
Durante il sopralluogo da parte dei VVF per il rilascio del CPI per una nuova unità commerciale, il funzionario ha chiesto copia del DVR.
Gli è stato fatto osservare che, essendo l'unità appena aperta, il DVR era in fase di elaborazione, citando, a sostegno, il comma 3-bis del D.Lgs 81/2008, così come modificato dal D.Lgs. n. 106/09 che dice che "In caso di costituzione di nuova impresa, il datore di lavoro è tenuto ad effettuare immediatamente la valutazione dei rischi elaborando il relativo documento entro novanta giorni dalla data di inizio della propria attività".
Il funzionario ha replicato dicendo che, è vero che l'unità commerciale è nuova, ma l'azienda ha ormai cinque anni di vita e, quindi, non si possono considerare validi i 90 giorni. Devo anche aggiungere che mentre alcune irregolarità rilevate sono state oggetto di verbale, per la mancanza del DVR non ha scritto nulla.
Risposta.
Credo assolutamente rilevante il fatto che, come si dice nel quesito, non abbia "scritto nulla". La valutazione dei rischi prescritta dall'art. 28 del D.Lgs. 81/08 e s.m.i. (che contiene il comma 3-bis da lei citato), da effettuarsi con i criteri del successivo art. 29 può essere effettuata una volta che l'attività è in essere in quanto trattasi di una "valutazione" dei rischi non di una "previsione" dei rischi. Ecco perché il funzionario ha chiesto il documento di valutazione dei rischi, ma si è fermato alla richiesta verbale.
Faccio osservare, anche se la questione non rientra nella domanda, che l'attività di predisposizione di una unità commerciale, attività che spesso dura parecchio tempo, richiede, in quanto attività, una valutazione specifica (26.04.2011 - tratto da www.ipsoa.it).

EDILIZIA PRIVATACertificazione energetica. Rogiti con certificazione energetica: anche se manca la clausola l'atto non è nullo.
Domanda.
Ho uno studio di pratiche immobiliari e sto seguendo la vicenda relativa alle certificazioni energetiche degli edifici e le novità che dovrebbero essere introdotte a breve dal c.d. Decreto Rinnovabili, a seguito della modifica dell'art. 6 del D.Lgs. n. 192/2005. Ho sentito che bisognerà inserire obbligatoriamente nei rogiti (compravendita e locazione di immobili) la clausola che impone (nuovamente) l'obbligo di allegazione del certificato energetico, altrimenti l'atto sarà nullo. Corrisponde al vero tale circostanza?
Risposta.
Sembrerebbe di no. Secondo le note diffuse dal Consiglio Nazionale del Notariato nelle more della pubblicazione del decreto legislativo di recepimento della direttiva 2009/28 sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili (c.d. "Decreto Rinnovabili"), sembrerebbe che il mancato inserimento della clausola prevista dal nuovo comma 2-ter dell'art. 6 del D.Lgs n. 192/2005 -comma che verrà per l'appunto introdotto a seguito della imminente pubblicazione in GU del "Decreto Rinnovabili"- non dovrebbe portare alla nullità del contratto.
Sul punto, comunque, il Consiglio rimanda ad un successivo studio per un maggior approfondimento di tale aspetto.
Il Governo aveva reso noto che la nuova norma risponde all'esigenza di far fronte all'apertura di una procedura di infrazione a carico dell'Italia. Il nostro paese, infatti, aveva in un primo tempo previsto, con i commi 3 e 4 dell'art. 6 e i commi 8 e 9 dell'art. 15 del D.Lgs. n. 192/2005, l'obbligo di allegazione dell'attestato di qualificazione energetica agli "atti di trasferimento a titolo oneroso" (e la messa a disposizione nel caso di locazione), prevedendo anche le rispettive sanzioni di nullità. Successivamente, con l'art. 35 comma 2-bis della L. n. 133/2008, aveva abrogato tali commi.
Poi, a seguito dell'infrazione comunitaria, decideva di inserire di nuovo tale previsione nell'ambito del citato Decreto Rinnovabili, cioè il decreto legislativo di "Attuazione della direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE".
In realtà le nuove norme che più potrebbe interessare la materia di cui lei si occupa sono due e cioè il comma 2-ter e il comma 2-quater all'art. 6 del D.Lgs. n. 192/2005 i quali dispongono, rispettivamente:
- l'inserimento, nei contratti di compravendita/locazione di una "apposita clausola" con cui si dà atto di aver ricevuto le informazioni e la documentazione relativa alla certificazione energetica degli edifici [comma 2-ter];
- che a partire dall'01.01.2012 gli annunci commerciali di vendita di edifici o di singole unità immobiliari indichino l'indice di prestazione energetica che è contenuto nell'attestato di Certificazione Energetica (ACE) [comma 2-quater]; Orbene, più in particolare, il nuovo comma 2-ter dell'art. 6 del D.Lgs n. 192/2005 prevederà che: "Nei contratti di compravendita o di locazione di edifici o di singole unità immobiliari deve essere inserita apposita clausola con la quale l'acquirente o il conduttore danno atto di aver ricevuto le informazioni e la documentazione in ordine alla certificazione energetica degli edifici".
Sul punto, secondo il Consiglio del Notariato "pur essendo formalmente sufficiente la pura e semplice (formale) riproduzione delle parole usate dal legislatore, la migliore e più corretta interpretazione della normativa (in senso sostanziale) suggerisce di inserire nella clausola specifici riferimenti alla documentazione consegnata (numeri di identificazione, data, autore dell'ACE; riferimenti ricognitivi dell'autodichiarazione, se trasmessa all'acquirente in un momento anteriore al rogito)".
Ulteriormente, venendo più da vicino alla questione delle eventuali sanzioni che scatterebbero per il mancato inserimento, nel contratto, dell'"apposita clausola", il Consiglio scrive che "Su questo punto non è possibile, in queste prime note, fornire una risposta esauriente e adeguatamente motivata.
La Commissione Civilistica dell'Ufficio Studi ha già iniziato una riflessione che porterà, nelle prossime settimane, all'emanazione di uno studio. E' solo possibile accennare ad una riflessione critica sulla tesi della nullità, apparsa nei giorni scorsi in alcuni articoli della stampa specializzata, che in base all'art. 1418 c.c. si realizza nei casi in cui la legge non dispone diversamente
".
Il riferimento, qui, è per l'appunto all'opinione espressa da alcuni commentatori che avrebbero reputato che in caso di mancata osservanza della disposizione potesse configurarsi una ipotesi di una nullità dell'atto, accordando alla norma, sotto tale profilo, una natura inderogabile, finalizzata cioè alla tutela di interessi di natura pubblica e non di interessi dell'acquirente.
Il Consiglio, in definitiva, non sembra optare l'interpretazione della nullità del contratto ma si dovrà attendere il suo nuovo studio per conoscere e comprendere meglio le sue argomentazioni (14.04.2011 - tratto da www.ipsoa.it).

CORTE DEI CONTI

ENTI LOCALI: Nella spesa del personale anche le società partecipate.
I VINCOLI IGNORATI - La mancanza di un quadro normativo preciso spinge più alla soluzione dei problemi contingenti che al contenimento dei costi.
Il rebus delle spese di personale delle società degli enti locali rappresenta una vera e propria mina vagante.
Secondo un orientamento consolidato della Corte dei Conti la spesa di personale sostenuta dalle società partecipate deve essere considerata insieme a quella sostenuta dagli enti.
Il tema è stato rilanciato dalle sezioni riunite con il parere 12.05.2011 n. 27 secondo il quale nella quantificazione della spesa di personale non si devono considerare solo quelle contenute nell'intervento I in quanto «non può essere sottaciuto» che la modalità di gestione dei servizi e quindi i processi di esternalizzazione incidono in modo sostanziale: limitarsi al bilancio dell'ente può risultare non equo.
In caso contrario si incentiverebbe un progressivo affidamento all'esterno dei servizi con finalità sostanzialmente elusive dei vincoli di finanza pubblica. Per questo si rende «necessario accedere ad una nozione più ampia di spesa di personale, che vada oltre la rappresentazione in bilancio e tenga conto (…) della spesa del personale impiegato in organismi esterni». Questi concetti non devono essere applicati solo alla riduzione della spesa di personale ma anche al rapporto tra spesa di personale e spesa corrente.
Sempre rimanendo nell'ambito delle sezioni riunite, concetti del tutto analoghi sono contenuti nella delibera 25.01.2011 n. 3 in materia di Unioni di Comuni, Comunità montane e Consorzi. Per quanto attiene alle società in house a totale capitale pubblico, basta citare la Corte dei Conti Campania (parere 08.02.2011 n. 98) quando ribadisce che «sono da considerarsi sostenute direttamente dall'ente locale le spese di personale iscritte nel bilancio della società pubblica in house, tanto nel caso di partecipazione unica totalitaria, quanto nel caso di compartecipazione plurisoggettiva».
La sostanziale assenza di un quadro normativo preciso "legittima" gli enti ad adottare comportamenti più inclini alla soluzione dei problemi contingenti correlati alla gestione dei servizi che non alle osservazioni degli organi di controllo, anche se la partita è decisiva perché il mancato rispetto dei vincoli sul personale blocca le assunzioni e le integrazioni del fondo. Evidentemente la variabile "società partecipate" è decisiva (articolo Il Sole 24 Ore del 23.05.2011 - tratto da www.corteconti.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: La formazione finanziata da esterni dribbla i vincoli.
L'AUSPICIO - Utile la definizione del contesto normativo dopo che sull'argomento sono intervenute pronunce dei giudici contabili.

Le spese relative all'attività formativa interamente finanziate con contributi esterni non sono assoggettate ai vincoli imposti dall'articolo 6, comma 13, del Dl 78/10 convertito nella legge 122/2010, ai sensi del quale –a decorrere dal 2011– la spesa annua sostenuta dalle amministrazioni pubbliche per attività esclusivamente di formazione deve essere non superiore al 50 per cento della spesa sostenuta nel 2009.
Questo importante principio viene sostenuto dalla sezione regionale di controllo della Corte dei Conti del Piemonte che, nel parere 11.05.2011 n. 55, richiama l'autorevole parere espresso dalle sezioni riunite (delibera 07.02.2011 n. 7) in riferimento ai limiti di spesa in materia di studi e consulenze.
Laddove inserite in un organico quadro programmatorio, le spese in questione sono infatti finalizzate a incrementare le competenze e le conoscenze dell'ente locale. Non vi sarebbe dunque ragione di assoggettare ai tagli imposti dalla manovra 2010 le uscite finanziate a carico di soggetti terzi, pubblici o privati. Spetterà a ciascuna amministrazione, sostengono poi i magistrati contabili, operare un'attenta valutazione circa la possibilità di dar seguito o meno alle obbligazioni precedentemente assunte per attività formative, avendo riguardo sia alla compatibilità delle spese rispetto ai vincoli finanziari, sia alla loro essenzialità rispetto alle finalità dell'ente.
Parere analogo, in tema di esclusione di spese finanziate da terzi, è stato espresso anche dalla sezione di controllo della Toscana nel parere 06.04.2011 n. 28, con la quale viene fornita un'indagine conoscitiva organica in tema di collaborazioni autonome e di incarichi esterni.
In un'ottica di armonizzazione delle regole di finanza pubblica, e allo scopo di fornire un quadro sistematico dei vincoli cui assoggettare i bilanci locali, sarebbe dunque auspicabile un'interpretazione univoca, che tenesse conto dei principi espressi su tutte le tipologie di spesa soggette ai tagli dell'articolo 6 del Dl 78/2010 (studi e consulenze, formazione, missioni, spese di rappresentanza e relazioni pubbliche, mostre, pubblicità, convegni e spese per autovetture).
Poiché la violazione delle disposizioni contenute nell'articolo in questione costituisce talvolta illecito disciplinare e determina responsabilità erariale a carico del funzionario che dà avvio al processo di spesa, la definizione del contesto normativo di riferimento appare quanto mai opportuna (articolo Il Sole 24 Ore del 23.05.2011 - tratto da www.corteconti.it).

PUBBLICO IMPIEGO: Dirigenti, turn-over bloccato. I tetti agli incarichi non permettono il rinnovo a molte giunte uscite dal voto.
ALLA SCADENZA - Nel breve periodo si possono affidare ad interim, a medio termine è necessario rivedere la struttura.

Negli enti locali, i dirigenti a contratto sono diventati merce scottante: da un lato possono rappresentare, a seguito dei pareri della Corte dei Conti, personale in eccedenza, dall'altro, per effetto della nuova tornata elettorale, sono figure ricercate.
Si riassume così la situazione dei dirigenti assunti sulla base dell'articolo 110, comma 1, del Tuel. È vero, infatti, che le pronunce delle sezioni riunite della Corte hanno buttato nello scompiglio le diverse Amministrazioni nelle quali si era proceduto alla nomina dei dirigenti a tempo determinato dopo l'entrata in vigore del Dlgs 150/2009. I giudici contabili hanno affermato, infatti, (pareri n. 12, 13 e 14 del 2011) che anche alle autonomie locali si applica il limite della riforma Brunetta, e, quindi, i dirigenti a contratto non possono superare l'8% dei posti di qualifica dirigenziale previsti in dotazione organica.
Sulla sorte dei dirigenti nominati in eccesso rispetto a questo limite, soccorrono i chiarimenti forniti -sempre dalla Corte dei Conti- ma sezione regionale del Piemonte (parere 29.04.2011 n. 52), secondo la quale conservano efficacia, fino a scadenza, i contratti individuali di lavoro sottoscritti prima del 15.11.2009, data di entrata in vigore della riforma, ma non possono essere rinnovati. Per quelli sottoscritti successivamente, la Corte evidenzia come, avendo le pronunce degli stessi giudici contabili valore interpretativo, i contratti non potevano essere stipulati e quindi risultano sottoscritti in violazione a norme imperative di legge.
Nelle amministrazioni dove si è proceduto al rinnovo del Sindaco o del Presidente si è di fronte al problema diametralmente opposto. Con la cessazione delle precedenti amministrazioni sono venuti meno i vecchi incarichi ex articolo 110 del Dlgs 267/2000. In alcuni enti questi incarichi sono in numero esiguo, ma in altri rappresentano una quantità molto elevata rispetto al complesso dei dirigenti presenti. Stante i limiti imposti dal Dlgs 150/2009, nell'interpretazione fornita dalla Corte dei Conti, nella impossibilità di superare la soglia dell'8%, in molti casi non risulta possibile sostituire integralmente i dirigenti cessati.
E la situazione potrebbe risultare ancora più difficile se anche queste tipologie di assunzioni dovessero rientrare in quel limite del 20% della spesa corrispondente alle cessazioni intervenute nell'anno precedente, previsto dall'articolo 14, comma 9, del Dl 78/2010, così come sembra delinearsi dalle interpretazioni fornite da alcuni giudici contabili (Piemonte, parere 09.02.2011 n. 6, Lombardia, parere 31.03.2011 n. 167, Emilia Romagna, parere 24.03.2011 n. 14 - contrario Campania, parere 27.04.2011 n. 246). La struttura deve affrontare, di conseguenza, una grave crisi organizzativa in quanto mancante di un'importante fetta della direzione.
Nel brevissimo periodo, si può far fronte a questa situazione affidando degli incarichi ad interim ai dirigenti a tempo indeterminato, ma nel medio termine, l'amministrazione è costretta a una rivisitazione della propria macrostruttura sulla base del personale dirigente presente e non, come si dovrebbe, fondando le proprie scelte sugli obiettivi che ha posto a base del mandato politico.
Perciò, parecchi sono i dubbi sulla legittimità di queste norme: da un lato, è vero che tali disposizioni sono misure comunque volte al coordinamento della finanza pubblica, dall'altra incidono in maniera pesante su quella autonomia riconosciuta agli enti locali dall'articolo 114 della Costituzione (articolo Il Sole 24 Ore del 23.05.2011 - tratto da www.corteconti.it).

PUBBLICO IMPIEGOUn tetto per i dirigenti a termine. Le assunzioni devono restare entro il limite del 20%. In caso contrario verrebbe aggirata la legge. Senza dimenticare i risparmi imposti dal dl 78.
Le assunzioni di dirigenti a contratto degli enti locali debbono restare entro il limite del 20% del costo del personale cessato l'anno precedente. L'applicazione dell'articolo 19, comma 6, del dlgs 165/2001 anche nell'ordinamento locale, al posto dell'articolo 110, comma 1, del dlgs 267/2000 (da considerare certamente abrogato, nonostante l'avviso diverso, ma non condivisibile, espresso dalle sezioni riunite della Corte dei conti con i pareri 12, 13 e 14 del 2011) impone di contenere le assunzioni a contratto nella soglia di spesa, fissata dall'articolo 14, comma 9, della legge 122/2010.
La disposizione in esame, che consente agli enti soggetti al patto di assumere nuovi dipendenti esclusivamente entro il tetto di spesa del 20% delle cessazioni degli anni precedenti, non si applica con ogni evidenza alle assunzioni a tempo determinato.

I contrari avvisi espressi, in tal senso, dalla Corte dei conti, sezione regionale di controllo della Lombardia col parere 31.03.2011 n. 167 e dalla sezione regionale di controllo dell'Emilia Romagna, col parere 24.03.2011 n. 14, sono già stati smentiti dalle sezioni riunite, con la delibera 04.04.2011 n. 20.
In apparenza, allora, anche i contratti di lavoro a tempo determinato per i dirigenti dovrebbero sfuggire al tetto di spesa. A meglio guardare, tuttavia, le cose non stanno così.
L'articolo 19, comma 6, del dlgs 165/2001, così come del resto l'articolo 110, comma 1, del dlgs 267/2000, consentono alle amministrazioni di assumere dirigenti a tempo determinato non di ruolo nel limite dell'8% della dotazione organica. In altre parole, la norma consente di coprire l'8% dei posti della dotazione organica con rapporti a tempo determinato.
Si tratta di una deroga normativa alla regola che, invece, impone di coprire i posti di ruolo, quelli previsti dalla dotazione organica, esclusivamente con contratti di lavoro a tempo indeterminato, come chiarisce senza ombra di dubbio l'articolo 36, comma 1, del dlgs 165/2001. La norma sulla dirigenza a contratto costituisce, dunque, una specificità dell'ordinamento, da cui discende la possibilità di assumere dirigenti a tempo determinato, non occorrendo allo scopo la ricorrenza delle condizioni previste dall'articolo 1, comma 3, del dlgs 368/2001, cioè la comprovata presenza di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo. V'è un'ulteriore deroga: le assunzioni di dirigenti a contratto vanno a coprire, appunto, posti vacanti della dotazione, mentre tutte le assunzioni a tempo determinato, proprio perché sorrette dalle ragioni temporanee imposte dalla legge, sono necessariamente extra dotazione.
Insomma, l'ente invece di assumere un dirigente in ruolo, può assumerlo a tempo determinato. Ma, il dirigente a contratto va a coprire un posto che se assegnato ad un dirigente reclutato a tempo indeterminato, certamente rientrerebbe nel limite del 20% del costo delle assunzioni dell'anno precedente.
Allora, in questo caso, escludere le assunzioni di dirigenti a contratto dal computo del 20% sarebbe un modo per eludere la legge, non coerente con la normativa derogatoria, che consente di acquisire dirigenti a tempo determinato a copertura della dotazione organica.
Potrebbero uscire dal computo le assunzioni di dirigenti extra dotazione organica, previste dall'articolo 110, comma 2, del dlgs 267/2000, ritenuto, non condivisibilmente, ancora vigente dalla magistratura contabile. In ogni caso, ai sensi dell'articolo 1, comma 557, della legge 296/2006 come novellato dalla manovra economica 2010, il numero ed il costo dei dirigenti deve necessariamente diminuire, insieme con la riduzione del ricorso ai contratti flessibili. Risulta, pertanto, evidente come gli enti locali, per effetto della combinazione delle varie disposizioni viste prima, debbono necessariamente ridurre da subito il ricorso alla dirigenza a contratto (articolo ItaliaOggi del 27.05.2011 - tratto da www.corteconti.it).

INCENTIVO PROGETTAZIONE: Richiesta di parere del Comune di Tortona circa l’individuazione del soggetto (dipendente o datore di lavoro) sul quale grava il pagamento degli oneri riflessi relativi agli incentivi per l’attività di progettazione, previsti dall’art. 18 L. n. 109/1994 e, ora, dall’art. 92 D.Lgs. n. 163/2006 (c.d. Codice degli appalti pubblici).
Sulla questione del computo dell’Irap, al pari degli “oneri riflessi”, nella determinazione dei compensi incentivanti spettanti ai tecnici delle amministrazioni pubbliche, questa Sezione si è già pronunciata con il parere 08.07.2010 n. 48, recependo quanto espresso da questa stessa Corte a Sezioni riunite con la nota delibera 30.06.2010 n. 33, pronuncia di orientamento generale cui le Sezioni regionali della Corte si conformano ai sensi dell’art. 17 D.L. n. 78/2009 conv. in L. n. 102/2009 (Corte dei Conti, Sez. controllo del Piemonte, parere 01.04.2011 n. 41).

ENTI LOCALI: Gli enti locali con popolazione inferiore ai 30.000 abitanti non possono, in via generale, procedere alla costituzione di società di capitali.
Il comma 32 dell’art. 14 del d.l. n. 78 del 2010 prevede testualmente che “fermo quanto previsto dall'art. 3, commi 27, 28 e 29, della legge 24.12.2007, n. 244, i Comuni con popolazione inferiore a 30.000 abitanti non possono costituire società” e che entro il 31.12.2011 gli enti mettono in liquidazione le società già costituite alla data di entrata in vigore del decreto, ovvero ne cedono le partecipazioni.
La norma precisa che il divieto non si applica ai comuni che costituiscano società con “partecipazione paritaria ovvero con partecipazione proporzionale al numero degli abitanti, costituite da più comuni la cui popolazione complessiva superi i 30.000 abitanti” e che i comuni con popolazione compresa tra 30.000 e 50.000 abitanti possono detenere la partecipazione di una sola società, anche in questo caso stabilendo l’onere di mettere in liquidazione le altre società già costituite, sempre entro il 31.12.2011.
La norma, che pone precisi limiti numerici alla costituzione di società partecipate dagli enti locali sulla base del dato dimensionale dell’ente locale individuato dalla popolazione residente, si inserisce, per espresso richiamo, nell’attuale quadro normativo vigente di cui all’art. 3, commi 27, 28 e 29, della legge n. 244 del 2007 (legge finanziaria 2008), che ha introdotto precisi limiti concernenti l’utilizzo dello strumento societario.
La legge n. 244 del 2007 prevede al riguardo che le amministrazioni pubbliche non possano procedere alla costituzione di nuove società che abbiano “per oggetto la produzione di beni e di servizi non strettamente necessari per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali”, mentre è sempre ammessa “la costituzione di società che producono servizi di interesse generale” (art. 3, comma 27), finalità questa il cui accertamento è espressamente demandato all’ente che deve effettuare la necessaria verifica prima di procedere alla costituzione della società (art. 3, comma 28).
Sulla lettura coordinata dell’art. 14, comma 32, del d.l. n. 78 del 2010 con la disciplina recata dall’art. 3, commi 27, 28 e 29, della legge n. 244 del 2007 si è già ripetutamente espressa, in sede consultiva, la Sezione regionale di controllo per la Lombardia.
Nel parere reso con la deliberazione n. 861/2010/PAR, cui hanno fatto seguito analoghi pareri resi dalla medesima Sezione con le deliberazioni n. 952/2010/PAR e 959/2010/PAR, la Sezione Lombardia, nell’affermare che le due norme innanzi richiamate operano su piani diversi, l’una (art. 3, comma 27, della legge n. 244 del 2007) su quello delle finalità e degli scopi che l’ente può raggiungere con la partecipazione societaria, l’altra (art. 14, comma 32, del d.l. n. 78 del 2010) sul piano numerico ed operativo, prevedendo quest’ultima che, in ogni caso, ciascun ente non possa detenere un numero di partecipazioni superiore a quello previsto dalla norma, ha espressamente escluso una lettura dell’art. 14, comma 32, del d.l. n. 78 del 2010 nel senso cui lo stesso Comune di Bordighera farebbe riferimento. Ritiene, infatti, la Sezione regionale di controllo per la Lombardia che interpretare la norma nel senso che la stessa limiterebbe ma non vieterebbe la possibilità per gli enti locali, anche con popolazione inferiore a 30.000 abitanti, di costituire società di capitali semplicemente sulla base del fatto che la norma medesima avrebbe fatto salva la previsione contenuta nell’art. 3, comma 27, della legge n. 244 del 2007, secondo cui sarebbe sempre ammessa la costituzione di società che producono servizi di interesse generale, significherebbe per il legislatore avere posto una norma contraddittoria “perché già l’art. 3, co. 27 ha imposto la limitazione dell’uso dello strumento societario correlandolo alle finalità dell’ente. In sostanza, saremmo in presenza di una disposizione contraddittoria e, nella sostanza, priva di rilievo poiché i Comuni con popolazione inferiore ai 50.000 abitanti potrebbero continuare a costituire … società purché riconoscano la finalità disciplinata dall’art. 3, co. 27”.
Pertanto, il Collegio ritiene di potere aderire all’indirizzo interpretativo espresso dalla Sezione regionale di controllo per la Lombardia, va dunque affermato che a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 14, comma 32, del d.l. n. 78 del 2010 gli enti locali con popolazione inferiore ai 30.000 abitanti non possono in via generale procedere alla costituzione di società di capitali (commento tratto da www.entilocali.provincia.le.it - Corte dei Conti, Sez. controllo Liguria, parere 31.12.2010 n. 166).

INCARICHI PROFESSIONALI - PUBBLICO IMPIEGO: Comune di San Giorgio Jonico (TA) - Il Sindaco chiede il parere di questa Corte in ordine all’ambito applicativo della norma dell’art. 25 della legge n. 724 del 23.12.1994; chiede cioè se il divieto -ivi previsto- di conferimento di incarichi di consulenza, collaborazione, studio e ricerca per chi abbia cessato volontariamente dal servizio a determinate condizioni (privo del requisito previsto per il pensionamento per vecchiaia, ma in presenza di quello per la pensione anticipata di anzianità), da parte dell’amministrazione di provenienza, si riferisca solo ai rapporti di consulenza oppure sia da applicarsi anche ai casi di “incarichi a contratto ex art. 110, comma 2, TUEL”.
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Con riferimento agli “incarichi a contratto ex art. 110, comma 2, TUEL” la norma citata è da disapplicare alla luce dell’intervenuta modifica dell’art. 19 D.Lgs. n. 165/2001 da parte dell’art. 40 D.Lgs. n. 150/2009.
Gli incarichi “a contratto” possono essere conferiti dagli enti locali esclusivamente ai sensi dell’art. 19, commi 6 e 6-ter, del D.Lgs. 165/2001, con relativa necessità di una procedura comparativa volta alla selezione del destinatario dell’incarico.
La ratio della norma di divieto di cui alla legge n. 724/1994 è da ravvisarsi in un duplice obiettivo: da una parte, salvaguardare l’imparzialità e la trasparenza nel conferimento degli incarichi, atteso che è proprio nel particolare caso di ex dipendenti dell’amministrazione che tali esigenze si pongono in modo più pressante; dall’altra, garantire risparmi di spesa, impedendo il cumulo tra pensione e retribuzione.
Orbene, il primo dei due obiettivi –al cui perseguimento contribuiscono oggi l’implicita abrogazione dell’art. 110 TUEL e la previsione, ai sensi dell’intervenuta novella del corrente anno, dell’obbligo di procedura comparativa (art. 19, comma 1-bis, D.Lgs. n. 165 nuovo testo) e di sostanziali restrizioni quantitative di utilizzo dell’istituto (art. 19, comma 6)– è realizzato dalla norma in esame nel senso di seguito esposto. E’ la stessa Corte Costituzionale, supremo giudice delle leggi, che ha avuto modo di chiarire come “la disposizione tende ad arginare il fenomeno di dimissioni accompagnate da incarichi ad ex dipendenti, sì da garantire la piena ed effettiva trasparenza e la imparzialità dell'azione amministrativa” (sentenza n. 406/1995).
Nel contesto dell'art. 25 della legge n. 724/1994, dunque, la “trasparenza” e l'“imparzialità” passano da attributi generali dell’azione amministrativa a specifici beni-valori da tutelare, in relazione agli abusi intrinsecamente presenti nel conferimento di incarichi a chi, già dipendente dall'Amministrazione che attribuisce gli incarichi stessi, ha volontariamente posto fine al suo rapporto di servizio con l’Amministrazione medesima, così manifestando un chiaro disinteresse all’espletamento di ulteriori attività lavorativa con essa (Corte Conti, Sezione Giurisdizionale Umbria, n. 235/2006).
Risulterebbe infatti contraddittorio, e perciò in contrasto con i canoni di giustificatezza e ragionevolezza che presiedono alla trasparenza ed all'imparzialità amministrativa, ex artt. 3 e 97 della Costituzione, affidare incarichi ai dipendenti pubblici che volontariamente cessino dal servizio, dimostrando così di non volere più prestare il proprio operato a vantaggio della loro ex Amministrazione di appartenenza. E’ evidente infatti l'irrazionalità, anche economica, del conferimento di un incarico in simili condizioni, ove si consideri che l’attività commissionata con l’incarico stesso sarebbe stata remunerata con il solo stipendio, se il dipendente fosse rimasto ancora in servizio, laddove -dopo le dimissioni- il compenso per il ripetuto incarico si aggiunge alla pensione, ossia alla “retribuzione differita” dall’ex dipendente medesimo, con un sensibile aumento dei costi complessivi generali e, soprattutto, senza assicurare una nuova professionalità di ricambio, alla conclusione dell’incarico.

... il riferimento contenuto nel quesito agli “incarichi a contratto ex art. 110, comma 2, TUEL” è da considerare improprio alla luce dell’interpretazione, già sostenuta da questa Sezione, secondo la quale la norma citata è da disapplicare alla luce dell’intervenuta modifica dell’art. 19 D.Lgs. n. 165/2001 da parte dell’art. 40 D.Lgs. n. 150/2009.
I commi 1 e 2 dell’art. 110 TUEL risultano non più applicabili, in quanto incompatibili con la cd. riforma Brunetta e con una lettura costituzionalmente orientata delle norme, come riformulate.
Le tesi contrarie, basate essenzialmente sui due elementi della “specialità” dell’art. 110 e della “clausola di rafforzamento” contenuta nell’art. 1, comma 4, dello stesso TUEL, sono così state sconfessate (parere 17.06.2010 n. 44 Sezione Regionale di Controllo Puglia). Ne consegue che gli incarichi “a contratto” possono essere conferiti dagli enti locali esclusivamente ai sensi dell’art. 19, commi 6 e 6-ter, del D.Lgs. 165/2001 (Corte Costituzionale, sentenza 12.11.2010 n. 324), con relativa necessità di una procedura comparativa volta alla selezione del destinatario dell’incarico.
La tendenza del legislatore in questi ultimi anni, infatti, procede nel senso della creazione di un assetto della dirigenza pubblica prevalentemente fondato su rapporti di lavoro a tempo indeterminato ai quali si acceda mediante pubblica procedura selettiva, con conseguente restrizione degli spazi riservati ai contratti a termine, specie se conferiti sulla base di elementi di fiduciarietà.
Tale volontà tendenziale è desumibile anche dalla riduzione delle quote percentuali di dotazione organica entro cui è possibile il conferimento degli incarichi, come previsto dalla legge delega n. 15/2009 (poi sfociata nel D.Lgs. n. 150/2010) rispetto alla normativa previgente.
Occorre a questo punto, al fine di risolvere la questione sottoposta all’odierna analisi, interrogarsi sull’effettiva natura dei cd. “incarichi a contratto” di cui all’art. 110 TUEL.
Tale norma dispone che l'affidamento degli incarichi da parte degli enti locali possa avvenire con contratto a tempo determinato di diritto pubblico o, eccezionalmente e con deliberazione motivata, con contratto di diritto privato, purché il soggetto incaricato disponga dei requisiti necessari per la copertura della qualifica professionale cui è destinato.
Detti incarichi, attribuiti al di fuori della dotazione organica per espressa previsione di legge, non possono avere durata superiore al mandato elettorale del sindaco. La specifica natura dei rapporti di lavoro che ne derivano (chiarita anche dalla rubrica della norma), è contrattuale; essi non danno infatti diritto all'inserimento nella dotazione organica dell'amministrazione conferente, bensì comportano l'affiancamento, alla dirigenza di ruolo, di dirigenti non di ruolo, con incarichi specifici e a tempo determinato.
Che si tratti poi di rapporti di lavoro subordinato, è desumibile dal fatto che i dirigenti o i responsabili di servizio, destinatari della norma, risultano sottoposti alle direttive degli organi politici, elemento che contraddistingue, congiuntamente ad altri indici sintomatici -quali ed esempio l’essere oggetto della prestazione una obbligazione di risultati e non di mezzi- proprio il rapporto di lavoro subordinato.
Sotto questo profilo tali incarichi si differenziano dai contratti d'opera professionale, nei quali, al contrario, non è presente alcuna soggezione alle direttive del committente, né vi è obbligazione di risultato, bensì di mezzi, in quanto il professionista svolge il suo operato fornendo al committente un’opera o un servizio verso un corrispettivo.
Ora, ad avviso della scrivente Sezione, la ratio della norma di divieto di cui alla legge n. 724/1994 è da ravvisarsi in un duplice obiettivo: da una parte, salvaguardare l’imparzialità e la trasparenza nel conferimento degli incarichi, atteso che è proprio nel particolare caso di ex dipendenti dell’amministrazione che tali esigenze si pongono in modo più pressante; dall’altra, garantire risparmi di spesa, impedendo il cumulo tra pensione e retribuzione.
Orbene, il primo dei due obiettivi –al cui perseguimento contribuiscono oggi l’implicita abrogazione dell’art. 110 TUEL e la previsione, ai sensi dell’intervenuta novella del corrente anno, dell’obbligo di procedura comparativa (art. 19, comma 1-bis, D.Lgs. n. 165 nuovo testo) e di sostanziali restrizioni quantitative di utilizzo dell’istituto (art. 19, comma 6)– è realizzato dalla norma in esame nel senso di seguito esposto. E’ la stessa Corte Costituzionale, supremo giudice delle leggi, che ha avuto modo di chiarire come “la disposizione tende ad arginare il fenomeno di dimissioni accompagnate da incarichi ad ex dipendenti, sì da garantire la piena ed effettiva trasparenza e la imparzialità dell'azione amministrativa” (sentenza n. 406/1995).
Nel contesto dell'art. 25 della legge n. 724/1994, dunque, la “trasparenza” e l'“imparzialità” passano da attributi generali dell’azione amministrativa a specifici beni-valori da tutelare, in relazione agli abusi intrinsecamente presenti nel conferimento di incarichi a chi, già dipendente dall'Amministrazione che attribuisce gli incarichi stessi, ha volontariamente posto fine al suo rapporto di servizio con l’Amministrazione medesima, così manifestando un chiaro disinteresse all’espletamento di ulteriori attività lavorativa con essa (Corte Conti, Sezione Giurisdizionale Umbria, n. 235/2006).
Risulterebbe infatti contraddittorio, e perciò in contrasto con i canoni di giustificatezza e ragionevolezza che presiedono alla trasparenza ed all'imparzialità amministrativa, ex artt. 3 e 97 della Costituzione, affidare incarichi ai dipendenti pubblici che volontariamente cessino dal servizio, dimostrando così di non volere più prestare il proprio operato a vantaggio della loro ex Amministrazione di appartenenza. E’ evidente infatti l'irrazionalità, anche economica, del conferimento di un incarico in simili condizioni, ove si consideri che l’attività commissionata con l’incarico stesso sarebbe stata remunerata con il solo stipendio, se il dipendente fosse rimasto ancora in servizio, laddove -dopo le dimissioni- il compenso per il ripetuto incarico si aggiunge alla pensione, ossia alla “retribuzione differita” dall’ex dipendente medesimo, con un sensibile aumento dei costi complessivi generali e, soprattutto, senza assicurare una nuova professionalità di ricambio, alla conclusione dell’incarico.
Così individuati la ratio, le finalità e l’oggetto specifico della tutela del “divieto” posto dall'art. 25 della legge n. 724/1994, è evidente che esso copre ogni forma di incarico, e non solo quelli di consulenza in senso stretto. D’altronde se, ai fini di una diversa conclusione, può indurre a dubbi l'intestazione dell'art. 25, che menziona solo gli “incarichi di consulenza”, la lettera della norma, alla luce dell’indagine appena tratteggiata circa l’intento del legislatore, induce a ritenere, ad avviso di questa Sezione, che essa sia da riferirsi oltre che agli “incarichi di consulenza, studio e ricerca”, anche a quelli che danno luogo ad un rapporto di lavoro subordinato (Corte dei Conti, Sez. regionale di controllo Puglia, parere 15.12.2010 n. 167).

INCENTIVO PROGETTAZIONEIncentivi per la progettazione. Determinazione al lordo di tutti gli oneri accessori. Assoggettamento all'IRAP.
Tutti gli oneri accessori di cui all’art. 12, comma I, L.R. n. 5/2007 della Sardegna non includono gli oneri fiscali quali l’IRAP che restano a carico esclusivo dell’Ente-datore di lavoro e che potranno trovare copertura all’interno del quadro economico dell’intervento.

La L.R. n. 5/2007 disciplinante in Sardegna le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, forniture e servizi prevede, all’art. 12, comma I, che una somma non superiore al 2% dell’importo posto a base della gara sia ripartita tra il responsabile unico del procedimento e i dipendenti interni incaricati della progettazione, della direzione dei lavori, del piano di sicurezza, del collaudo nonché tra i loro collaboratori. La norma in questione precisa, inoltre, che la percentuale effettiva, entro la misura massima sopra indicata, deve essere determinata al lordo di tutti gli oneri accessori connessi all’erogazione, compresa la quota a carico dell’amministrazione erogante.
La questione da affrontare è, dunque, quella di verificare se tra i predetti oneri accessori connessi all’erogazione debba essere ricompresa anche l’IRAP dovuta dall’Ente.
Il presupposto impositivo dell’IRAP si realizza in capo all’Ente tenuto ad erogare il compenso al lavoratore dipendente: è l’Ente il soggetto passivo dell’imposta cioè colui che, in quanto titolare di un’organizzazione diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi, è tenuto a concorrere alle spese pubbliche ai fini di detto tributo (cfr. D.Lgs. n. 446/1997).
Conseguentemente, l’onere fiscale in questione non può gravare sul lavoratore dipendente in relazione ai compensi in esame di cui è pacifica la natura retributiva (cfr. Corte dei Conti Sez. Aut. n. 7/2009/QMIG).
In caso contrario si verificherebbe, infatti, un’anomala ipotesi di rivalsa da parte del soggetto passivo individuato ex lege (art. 3 D.Lgs. n. 446/1997) a carico di un soggetto estraneo al rapporto d’imposta rispetto al quale, attesa la mancanza di un’organizzazione, risulterebbe del tutto carente la manifestazione di capacità contributiva che giustifica il prelievo (art. 2 D.Lgs. n. 446/1997).
In questo senso si sono pronunciate, con riferimento però all’art. 92 comma 5 del Codice dei Contratti D.Lgs. n. 163/2006 vigente nelle Regioni a Statuto Ordinario, le Sezioni Regionali di Controllo per l’Umbria (n. 1/2008), per il Veneto (n. 22/2008) e per il Molise (n. 6/2009).
Peraltro, non vi è motivo di discostarsi dalle considerazioni formulate in quelle sedi perché, al di là di una differente terminologia adoperata dal legislatore regionale, è la stessa natura giuridica dell’IRAP ad escludere che essa possa trovare copertura nell’ambito del fondo incentivante di cui all’art. 12, comma I, L.R. n. 5/2007 (sul punto cfr. Agenzia delle Entrate Risoluzione n. 123/E del 02.04.2008).
Si deve, pertanto, concludere che gli oneri accessori di cui all’art. 12, comma 1, L.R. n. 5/2007 devono essere intesi nel senso dei soli oneri previdenziali ed assistenziali inclusa anche la quota a carico dell’amministrazione erogante.
Cioè, la norma in questione, nell’ottica di un contenimento della spesa pubblica, disciplina la distribuzione del carico contributivo tra ente pubblico-datore di lavoro e dipendente (a conforto di questa soluzione si veda la recente sentenza n. 33/2009 della Corte Costituzionale, seppure relativa al sindacato di legittimità costituzionale di altra norma, l’art. 1, comma 208, della L. n. 266/2005, contenente una disciplina affine a quella oggetto della richiesta di parere) prevedendo una traslazione del peso previdenziale dal datore di lavoro al lavoratore con il risultato che la somma destinata agli incentivi per la progettazione deve essere determinata al lordo, non solo degli oneri previdenziali posti a carico del lavoratore (oneri diretti) ma, anche, di quelli posti a carico del datore di lavoro (oneri riflessi).
E’ in questo senso, quindi, che deve essere intesa l’espressione compresa la quota a carico dell’amministrazione erogante.
Pertanto, con riferimento al quesito formulato dal Sindaco del Comune di Ollastra, si deve concludere che tutti gli oneri accessori di cui all’art. 12, comma I, L.R. n. 5/2007 non includono gli oneri fiscali quali l’IRAP che restano a carico esclusivo dell’Ente-datore di lavoro e che potranno trovare copertura all’interno del quadro economico dell’intervento.
L’eventuale inserimento dell’IRAP nella base di calcolo (lorda) per la determinazione degli incentivi non potrebbe prescindere da un’espressa previsione normativa. Tale soluzione è avvalorata, anche, dalla circostanza che, di regola, nei casi in cui il legislatore ha voluto dettare una disciplina particolare per l’IRAP, ad esempio quando l’ha inclusa nel computo della spesa del personale, ai fini della sua limitazione complessiva, lo ha fatto richiamandola espressamente (artt. 1, comma 198, L. n. 266/2005 e 1, comma 562, L. n. 296/2006) (Corte dei Conti, Sez. controllo Sardegna, parere 10.11.2009 n. 76).

INCENTIVO PROGETTAZIONE: Costituisce danno erariale la liquidazione integrale dell'incentivo per la progettazione interna quando parte delle prestazioni progettuali sono affidate a tecnici esterni all'amministrazione.
... il convenuto ... non ha mai rivestito contestualmente la funzione di progettista, di direttore dei lavori, di responsabile del procedimento e di responsabile del piano della sicurezza, per come affermato dalla difesa.
Nello specifico risulta che nell'appalto liquidato con la determina n. 51 del 26.11.2006 l'arch. ... ha svolto solo la funzione di responsabile del procedimento mentre il progettista ed il direttore dei lavori era l'arch. ...; nei lavori liquidati con la determina n. 49 del 09.07.2001 l'arch. ... ha svolto la sola funzioni di progettista nei lavori liquidati con la determina n. 14 del 22.03.2002 e nella determina n. 46 ha svolto la funzione di responsabile del procedimento.
Non si giustifica pertanto in alcuna maniera la liquidazione del compenso nella percentuale dell'1,50 .
Il legislatore, infatti stabilisce che una somma non superiore all'1,5 per cento dell'importo posto a base di gara di un'opera o di un lavoro, è ripartita, per ogni singola opera o lavoro, con le modalità ed i criteri previsti in sede di contrattazione decentrata ed assunti in un regolamento adottato dall'amministrazione, tra il responsabile unico del procedimento e gli incaricati della redazione del progetto, del piano della sicurezza, della direzione dei lavori, del collaudo, nonché tra i loro collaboratori.
Qualora alcune delle predette prestazioni sono affidate a personale esterno le relative quote costituiscono economie.
Ne discende che il tecnico ... avrebbe dovuto ricevere un compenso per la propria attività ma non certo nella percentuale liquidata.
L'arch. ..., in spregio alla disposizione contenuta dall'art. 18 della l. 109/1994, manifestando quindi una grave negligenza ed indifferenza verso le norme che regolano l'azione amministrativa, si autoliquidava per intero parcelle che avrebbero dovuto essere determinate secondo le modalità ed i criteri previsti in sede di contrattazione decentrata ed assunti in un regolamento adottato dall'amministrazione.
La gravità della sua condotta si rileva altresì dalla circostanza che il tecnico comunale procedeva a liquidarsi le suddette somme anche in violazione dell'art. 6 del codice deontologico approvato in calce al c.c.n.l. n. 5 del 1995.
La suddetta disposizione infatti impone al dipendente comunale di astenersi dal prendere provvedimenti che possano arrecargli un qualsiasi vantaggio (Corte dei Conti, Sez. giurisdiz. Calabria, sentenza 28.09.2007 n. 801 - link a www.corteconti.it).

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CONSIGLIERI COMUNALIOSSERVATORIO VIMINALE/ Rimborsi agli innocenti. Spese legali pagate solo in caso di assoluzione. La giurisprudenza richiede anche l'assenza di un conflitto d'interesse.
Sono rimborsabili a un ex amministratore comunale le spese legali sostenute per il procedimento penale a proprio carico, per il reato di cui all'art. 323 c.p. (abuso d'ufficio), conclusosi con il decreto d'archiviazione del gip, avviato da parte dello stesso comune?
Non esiste una disposizione che obblighi il comune a tenere indenni gli amministratori delle spese processuali sostenute in giudizi penali concernenti imputazioni oggettivamente connesse all'espletamento dell'incarico, espressamente prevista, invece, per i dipendenti comunali.
La disposizione di cui all'art. 28 del Ccnl dei dipendenti degli enti locali del 14.09.2000 è stata considerata dalla giurisprudenza «applicabile in via retroattiva e anche in via estensiva agli amministratori e non solo ai dipendenti pubblici, ma si è ritenuta limitata ai procedimenti giurisdizionali, senza che ciò escluda tuttavia la rimborsabilità delle spese sopportate in sede di indagine penale, potendosi fare ricorso alla azione di ingiustificato arricchimento» (cfr. Cons. di stato, sez. VI, sent. n. 5367/2004).
In forza di tale norma, estesa agli amministratori «in considerazione del loro status di pubblici funzionari», «hanno titolo al rimborso delle spese legali il dipendente e quindi l'amministratore locale, sottoposti a giudizio penale per fatti o atti direttamente connessi all'espletamento del servizio e all'adempimento dei compiti d'ufficio, sempreché il giudizio non sia concluso con una sentenza di condanna e non vi sia conflitto di interessi con l'amministrazione di appartenenza». (cfr. Cons. di stato, sez. V, sent. n. 3946/2001).
Altra parte della giurisprudenza (cfr. Cons. di stato, sez. V n. 2242/00) ha applicato l'analogia iuris tramite il richiamo all'art. 1720, comma 2, c.c., in base al quale «il mandante deve inoltre risarcire i danni che il mandatario ha subito a causa dell'incarico». Il consiglio di stato ha, tuttavia, evidenziato la sostanziale eccezionalità del rimborso delle spese legali e ha ribadito, con richiamo alla giurisprudenza ordinaria, che è necessario accertare che le spese siano state sostenute a causa e non semplicemente in occasione dell'incarico e sempre entro il limite costituito dal positivo e definitivo accertamento della mancanza di responsabilità penale degli amministratori.
Il giudice ordinario ha precisato che il rimborso previsto dal codice civile «concerne solo le spese sostenute dal mandatario in stretta dipendenza dell'adempimento dei propri obblighi e per espletamento di attività che il mandante ha il potere di esigere. Il legislatore si è riferito, pertanto, a spese che, per la loro natura, si collegano necessariamente all' incarico conferito, nel senso che rappresentino il rischio inerente all'esecuzione dello stesso. L'ipotesi non si verifica quando l'attività di esecuzione dell'incarico abbia in qualsiasi modo dato luogo a un'azione penale contro il mandatario, e questi abbia dovuto effettuare spese di difesa delle quali intenda chiedere il rimborso ex art. 1720 cit.; è il caso in cui l'azione si riveli, ad esito del procedimento penale, fondata, e il mandatario-reo venga condannato, giacché la commissione di un reato non può rientrare nei limiti di un mandato validamente conferito (art. 1343 e 1418 c.c), ovvero quando il mandatario-imputato venga prosciolto, in quanto la necessità di effettuare le spese di difesa non si pone in nesso di causalità diretta con l'esecuzione del mandato, ma tra l'uno e l'altro fatto si inserisce un elemento intermedio, dovuto all'attività di una terza persona, pubblica o privata, e dato dall'accusa poi rivelatasi infondata. Anche in questa eventualità non è dunque ravvisabile il nesso di causalità necessaria tra l'adempimento del mandato e la perdita pecuniaria, di cui perciò il mandatario non può pretendere il rimborso» (cfr. Corte suprema Cassazione sez. I civ., 20/12/2007); inoltre non è sufficiente che il processo penale per fatti connessi all'espletamento di compiti d'ufficio si sia concluso con l'assoluzione: deve coesistere l'ulteriore condizione della mancanza di conflitto di interessi con l'ente (cfr. Corte dei conti, sez. Giur. Reg. Liguria, sent. n. 580 del 13/10/2008).
Alla luce degli orientamenti giurisprudenziali espressi dalla Cassazione e dal Consiglio di stato, pertanto, le spese legali possono essere rimborsate solo qualora vi sia una sentenza definitiva che abbia escluso la responsabilità del dipendente o dell'amministratore con una pronuncia di assoluzione nel merito dalle imputazioni contestate che escluda, altresì, un conflitto di interesse con l'ente.
Secondo la giurisprudenza contabile, per non configurare conflitto di interessi occorre una sentenza emessa con formula più ampia possibile, tale da far ritenere il comportamento degli amministratori e/o dipendenti improntato al rispetto del principio cardine dell'art. 97 Cost. (articolo ItaliaOggi del 27.05.2011 - tratto da www.ecostampa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIAPartenza a scaglioni per il Sistri. Per l'Anci già in cantiere una serie di protocolli per l'avvio. Arriva il dm di proroga degli obblighi per la tracciabilità dei rifiuti. Più tempo per i più piccoli.
Un sospiro di sollievo per le imprese e gli enti obbligati ad aderire al Sistri, il nuovo sistema per la tracciabilità dei rifiuti. A pochi giorni da quella che avrebbe dovuto essere la dead-line (1° giugno) delle sperimentazioni, e la piena entrata a regime del nuovo meccanismo di monitoraggio informatico e satellitare, arriva, con decreto, la tanto attesa proroga per consentire, soprattutto agli operatori di minori dimensioni, di risolvere i problemi tecnici e operativi finora emersi. Partiranno prima imprese ed enti più grandi, a seguire i più piccoli individuati in base al numero di dipendenti.
«La rimodulazione in chiave di progressività dell'entrata in vigore», ha spiegato il ministro dell'ambiente, Stefania Prestigiacomo, «sarà utile a collaudare il sistema e aiuterà le aziende a prendere confidenza con le procedure». Il dm con il nuovo calendario è solo uno dei tasselli che compongono l'accordo ministero-imprese finalmente raggiunto. Confermata la necessità di ritardare le sanzioni, che sarà oggetto di una modifica legislativa («forse con un dlgs», ha detto ieri il ministro) e di prevedere una procedura per operare in caso di malfunzionamenti incolpevoli (si veda ItaliaOggi di mercoledì).
I primi a partire, dunque, saranno imprese ed enti produttori di rifiuti speciali pericolosi (e speciali non pericolosi in base alla legge) con più di 500 dipendenti: il sistema diverrà obbligatorio il 1° settembre. Per quella data dovranno essere pronti anche: imprese ed enti che raccolgono o trasportano rifiuti speciali a titolo professionale in quantità annua superiore a 3.000 tonnellate; imprese ed enti che effettuano operazioni di recupero o smaltimento; commercianti e intermediari di rifiuti. Il 1° settembre è anche la data di riferimento per i soggetti obbligati non menzionati nel decreto di proroga e per coloro per i quali l'iscrizione al Sistri è facoltativa.
Un mese dopo, il 1° ottobre 2011, sarà il turno dei produttori di rifiuti che hanno da 251 a 500 dipendenti, nonché dei comuni, enti, imprese che gestiscono i rifiuti urbani in Campania. Il 2 novembre partiranno invece imprese ed enti produttori di rifiuti che hanno da 51 a 250 dipendenti.
Il nuovo sistema di tracciabilità dei rifiuti partirà il 1° dicembre per imprese ed enti che hanno da 11 a 50 dipendenti, chiamati all'appello Sistri assieme a imprese ed enti che raccolgono o trasportano rifiuti speciali a titolo professionale fino a 3.000 tonnellate. Le mini-imprese, con meno di dieci dipendenti, partiranno il 2 gennaio.
«L'accordo di proroga finalmente coglie le gravi difficoltà di funzionamento denunciate dagli imprenditori e dimostrate in occasione del click day», ha ricordato ieri Giorgio Guerrini, presidente di ReteImprese Italia, «il rinvio dovrà servire a individuare, con il ministero, le soluzioni per superare i problemi di impasse tecnologica e garantire l'efficacia del sistema di tracciabilità». «È evidente», ha sottolineato Filippo Bernocchi, vicepresidente Anci con delega alle politiche energetiche e ai rifiuti, «che ogni cambiamento radicale necessita di una preparazione più che adeguata. Come Anci siamo già impegnati con il ministero a definire una serie di protocolli di collaborazione che vedono coinvolte altre istituzioni e organizzazioni, che potranno accompagnare al meglio l'avvio del Sistri» (articolo ItaliaOggi del 27.05.2011).

PUBBLICO IMPIEGO: Scade oggi il termine per le «verifiche» sui vecchi part time. Rischio-annullamento sui provvedimenti per imporre il tempo pieno ai dipendenti.
LA SOLLECITAZIONE - Il Consiglio di Stato aveva richiamato le ragioni a sostegno del diritto di esprimere prima possibile le rappresentanze.

Le autorizzazioni al lavoro part-time, già adottate prima della data di entrata in vigore della riforma dell'istituto nella Pubblica amministrazione, sono state nell'ultimo semestre oggetto di ripensamento da parte del datore di lavoro pubblico. L'evaporazione del diritto al part-time, contenuto nella riforma, sembrava lasciare indenni i rapporti pregressi, basati sulle premesse normative precedenti, prima che in argomento intervenisse l'articolo 16 della legge 183/2010 (il collegato Lavoro), per il quale entro oggi (cioè dopo 180 giorni dall'entrata in vigore della legge) le Pubbliche amministrazioni possono sottoporre a nuova valutazione i provvedimenti di concessione della trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale, nel rispetto dei principi di correttezza e buona fede.
Le amministrazioni si sono mosse in ordine sparso, e non sempre correttamente, poiché la norma ha alimentato dubbi interpretativi ed incertezze applicative. Occorre premettere che l'articolo 16 non conferisce una semplice possibilità di intervento, perché i dirigenti non possono sottrarsi dal compito di portare a verifica gli interessi organizzativi in gioco, secondo le regole di buon andamento, inteso in senso omnicomprensivo di buona amministrazione: efficiente, efficace, economica ed imparziale.
È, poi, pacifico l'ambito di riferimento: i soli part-time trasformati, esclusi i rapporti ex articolo 12-bis, comma 1, del Dlgs 61/2000 (lavoratori affetti da patologie oncologiche).
Riguardo al termine, 180 giorni, pare di poter affermare che sia riferibile all'esito dell'attività di valutazione, il cui oggetto sono i provvedimenti di concessione (terminologia, invero, perplessa per descrivere un atto di natura privatistica), altrimenti verrebbe ammessa una dilazione dei tempi anche consistente.
Ma quale comportamento, sul piano concreto, poteva portare l'accertamento della presenza di pregiudizi funzionali collegati ai vecchi rapporti a tempo parziale?
Il datore di lavoro pubblico non poteva unilateralmente revocare i part-time autorizzati, ovvero modificarli, e neppure richiedere al lavoratore una nuova istanza, quale presupposto per una nuova autorizzazione o per un diniego secondo la vigente disciplina. Una prima conferma a questa lettura arriva dal Tribunale di Trento, che in un'ordinanza depositata il 04.05.2011 ha bocciato il provvedimento di una Pa centrale proprio perché non concordato con il lavoratore interessato.
Depone in tal senso una lettura sistematicamente e costituzionalmente orientata della norma. L'articolo 16 non può, infatti, porsi in contrasto, pena la sua disapplicazione, con la direttiva n. 97/81/CE, che afferma la necessità di interventi attivi degli Stati membri per favorire la flessibilità lavorativa e la rimozione degli ostacoli al part-time. È, inoltre, da segnalare l'esposizione della norma alla censura di incostituzionalità, in quanto incidente su diritti ormai acquisiti, con compressione del legittimo affidamento nutrito dagli interessati.
In ogni caso, tutt'altro che sfumato è il riferimento al rispetto dei principi di correttezza e buona fede, che presumono una lealtà di condotta nel rapporto la quale non può prescindere dal considerare il sacrificio richiesto al dipendente affinché possa adempiere correttamente.
Conclusivamente, il carattere bilaterale della volontà in ordine al cambiamento dell'orario di lavoro è difficilmente negabile. La novella introdotta con il collegato lavoro, ove non interpretata quale sollecitazione verso un'attività manageriale di attenta analisi degli interessi organizzativi e di proposta di soluzioni gestionali, tra le quali anche il ripensamento consensuale dei rapporti part-time, rischia di portare le pubbliche amministrazioni verso onerose controversie giudiziarie (articolo Il Sole 24 Ore del 23.05.2011 - tratto da www.ecostampa.it).

AUTORITA' VIGILANZA CONTRATTI PUBBLICI

APPALTI: Il legislatore nazionale ha espressamente previsto la necessità, ai fini dell’esclusione dalla gara, di una pronuncia definitiva, sia essa resa con sentenza o con decreto penale, ricadente nell’ambito oggettivo di applicazione individuato dall’art. 38, comma 1, lett. c), del D.Lgs. n. 163/2006, (cfr.: deliberazione n. 107 del 04.04.2007; parere n. 27 del 10.02.2010).
Sotto altro profilo appare opportuno rilevare che la lett. b) dell’art. 38 del D. Lgs. n. 163/2006, oltre a menzionare quale causa di esclusione dalla partecipazione alle gare la pendenza di procedimenti per l’irrogazione di misure di prevenzione, fa espresso richiamo alle cause ostative previste dall’art. 10 della legge n. 575/1965, tra le quali, al comma 5-ter, il divieto di stipulare contratti di appalto con la pubblica amministrazione in caso di sentenza non definitiva, confermata in grado di appello, per uno dei delitti di cui all'articolo 51, comma 3-bis del c.p.p. (parere di precontenzioso 16.12.2010 n. 226 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: L’offerta è una dichiarazione unilaterale, contenente l’impegno negoziale di eseguire la prestazione richiesta dalla lex specialis verso un determinato corrispettivo economico. La sottoscrizione ne costituisce elemento essenziale perché ha la funzione di ricondurre al suo autore l’impegno di effettuare la prestazione oggetto dell’appalto verso il corrispettivo indicato nell’offerta medesima, ed ha la funzione di assicurare contemporaneamente la provenienza, la serietà, l’affidabilità dell’offerta stessa (cfr. AVCP parere n. 78 del 30.07.2009).
Proprio tale funzione rende la sottoscrizione condizione essenziale per l’ammissibilità dell’offerta, sia sotto il profilo formale, sia sotto il profilo sostanziale e pertanto la sua mancanza inficia la validità della manifestazione di volontà contenuta nell’offerta, determinando la nullità dell’offerta e la conseguente irricevibilità della stessa anche in mancanza di una esplicita comminatoria della lex specialis, a garanzia della par condicio dei partecipanti nonché dell’attendibilità dell’offerta.
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Se è corretto riportare nella lex specialis il contenuto delle istruzioni operative concernenti il versamento del contributo all’Autorità, prevedendo, altresì, l’esclusione in caso di mancato pagamento, non è, invece, corretto, prevedere la medesima sanzione nel caso di violazione meramente formale delle predette istruzioni.
Osta a ciò, da un lato, il principio di stretta interpretazione della cause di esclusione dalle gare pubbliche –avendo previsto il legislatore l’esclusione solo in caso di mancato versamento del contributo- e dall’altro, i principi di ragionevolezza e proporzionalità dell’azione amministrativa –che sarebbero violati se la stazione appaltante non distinguesse, all’interno della lex specialis, tra inadempimenti di tipo sostanziale, comportanti l’esclusione del concorrente, ed inadempimenti di tipo formali, non aventi le stesse conseguenze dei primi (cfr. TAR Lombardia Brescia, sez. I, sentenza n. 487 del 07.05.2008) (parere di precontenzioso 16.12.2010 n. 225 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: Il legislatore ha inteso tutelare la stazione appaltante e, quindi l’interesse pubblico sotteso alla realizzazione di un appalto, non soltanto per l’eventuale inadempimento dell’appaltatore, ma anche per eventuali ulteriori e distinti danni che la stessa dovesse subire, direttamente o indirettamente, a causa dell’esecuzione del contratto. Si giustifica in tal modo l’espressa previsione di una copertura assicurativa per la responsabilità civile verso terzi.
La richiesta da parte della s.a. di coperture assicurative diverse e ulteriori rispetto a quelle prescritte dalla normativa di settore è ammissibile –secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza amministrativa– nella misura in cui non risulti irragionevole o eccessivamente onerosa (cfr. Cons. Stato, sez. VI 25.01.2008 n. 212) (parere di precontenzioso 16.12.2010 n. 224 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: La pubblica amministrazione, nella predisposizione della lex specialis di gara, ha l'onere di indicare con estrema chiarezza ed inequivocità i requisiti richiesti alle imprese partecipanti, sì da evitare che il principio di massima concorrenza, cui si correla l'interesse pubblico all'individuazione dell'offerta migliore, possa essere in concreto vanificato da clausole equivoche o, quanto meno, dubbie, non percepibili con immediatezza dalle imprese partecipanti, il che comporta altresì la necessaria interpretazione nel senso più favorevole all’ammissione alla gara delle disposizioni con le quali siano prescritti per l'ammissione stessa particolari adempimenti non immediatamente percepibili nel loro effettivo significato (cfr. ad es. Consiglio Stato , sez. IV, 12.03.2007 , n. 1186).
Pertanto, in applicazione di tali principi, gli eventuali errori contenuti nella lex specialis non possono costituire fonte di provvedimenti lesivi delle imprese partecipanti, le quali devono eventualmente essere messe in condizione di fornire chiarimenti od integrazioni documentali, ed occorre altresì che le correzioni apportate agli errori seguano le stesse modalità di pubblicazione, sia formale che temporale, previste e seguite per la legge di gara, affinché le stesse imprese interessate siano tempestivamente messe in condizione di adeguarvisi (parere di precontenzioso 16.12.2010 n. 223 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: Le formalità previste per la presentazione dell’offerta, coerentemente con la finalità di tutelare la par condicio tra i concorrenti, assolvono alla funzione preminente di assicurare l’autenticità della chiusura originaria proveniente dal mittente, nonché di evitare la manomissione del contenuto del plico e di garantire la segretezza dell’offerta.
La ceralacca, in particolare, ha la funzione di evitare ogni possibile contestazione e sospetto di manomissione, data la notoria possibilità di aprire e chiudere agevolmente, senza lacerazioni o segni evidenti, i lembi preincollati delle buste all’uopo comunemente usate (parere di precontenzioso 16.12.2010 n. 222 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: La previsione della documentazione di gara secondo la quale le offerte devono essere spedite all'amministrazione appaltatrice solo a mezzo di raccomandata a.r. è indebitamente limitativa dell’accesso alla procedura di gara, attesa la sostanziale equivalenza tra la raccomandata postale e la posta celere, tenuto conto dell'identità delle relative caratteristiche (parere di precontenzioso 16.12.2010 n. 218 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

LAVORI PUBBLICI: L’errata attribuzione della categoria prevalente costituisce un vulnus al principio di concorrenza e di libero accesso al mercato, in quanto, da un lato, limita la partecipazione alla gara proprio a quei soggetti che sono in possesso della qualificazione necessaria alla realizzazione dei lavori oggetto dell’appalto, e, dall’altro, consente che i lavori vengano affidati ad un soggetto privo delle capacità necessarie alla realizzazione dell’opera.
Del resto, l’individuazione della categoria prevalente, alla quale appartengono le opere da appaltare, non è rimessa ad una mera discrezionalità della stazione appaltante, dovendo essa essere effettuata dal progettista sulla base delle indicazioni contenute nell’art. 3 e nell’allegato A) del D.P.R. n. 34/2000 (parere di precontenzioso 16.12.2010 n. 217 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI SERVIZI: La funzione dell'albo di cui all’art. 53 del D.Lgs. n. 446/1997 appare tesa a garantire l'affidabilità di soggetti privati incaricati di ingerirsi in modo rilevante nelle attività amministrative e contabili degli enti locali dedicate al reperimento delle entrate, e pertanto l'iscrizione può essere considerata necessaria solo se sono attribuite a soggetti terzi potestà tipicamente pubblicistiche, quali la determinazione dell’ammontare del credito, la verifica dei presupposti per la riscossione e l’utilizzo della procedura di riscossione coattiva (in tal senso cfr. TAR Lombardia, Brescia, 14.10.2005, n. 986).
Diversamente, nel caso della concessione del servizio di illuminazione votiva, l’attività di riscossione concerne la mera gestione e non la determinazione del corrispettivo per la gestione del servizio, da inquadrare nel contesto concessorio (parere di precontenzioso 02.12.2010 n. 214 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI SERVIZI: In una gara per l’affidamento della concessione del servizio di illuminazione cimiteriale è corretto l’operato della s.a. che non richieda agli operatori economici l’iscrizione all’albo di cui art. 53 del D.Lgs. 15.12.1997, n. 446.
Tale iscrizione, infatti, è piuttosto condizione necessaria per l'esercizio dell'attività pubblicistica di riscossione –poiché la sua funzione è quella di garantire l'affidabilità di quei soggetti privati che siano incaricati di ingerirsi in modo rilevante nelle attività amministrative e contabili degli enti locali dedicate al reperimento delle entrate– il cui trasferimento a soggetti terzi costituisce la funzione amministrativa tipica del relativo provvedimento concessorio.
Nel caso dell’illuminazione votive, invece, l’attività di riscossione è l’indefettibile corrispettivo economico della gestione del servizio, consistendo in tale sinallagma funzionale la causa del contratto posto in essere a seguito della gara.
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La differenza tra concessione di servizio pubblico e concessione di lavori pubblici discende dal tipo di nesso di accessorietà che lega la gestione del servizio alla realizzazione dell'opera; si avrà perciò concessione di costruzione ed esercizio se la gestione del servizio è strumentale alla costruzione dell'opera, in quanto diretta a consentire il reperimento dei mezzi finanziari necessari alla realizzazione; mentre si versa in tema di concessione di servizi pubblici, come nel caso di specie, quando l'espletamento dei lavori è strumentale, sotto i profili della manutenzione, del restauro e dell'implementazione, alla gestione di un servizio pubblico il cui funzionamento è già assicurato da un'opera esistente.
In particolare, tanto è stato affermato proprio con riguardo al servizio pubblico di illuminazione cimiteriale, ravvisandosi per esso la seconda ipotesi nella considerazione che i lavori affidati al concessionario nell'ambito della gestione del servizio stesso afferiscono non ad un'opera nuova, ma alla manutenzione ed implementazione degli impianti esistenti (cfr. Cons. St. 11.09.2000 n. 4795).
Peraltro, nella fattispecie in esame emerge con chiarezza il tratto distintivo della concessione di pubblico servizio che è dato:
a) dall'assunzione del rischio legato alla gestione del servizio quale modalità di remunerazione dell'attività del prestatore (cfr. da ultimo Corte di Giustizia CE, 18.07.2007, C-382/05; Consiglio di Stato, Sez. V, 05.12.2008, n. 6049; Sez. V, 15.01.2008, n. 36; Sez. V, 09.06.2008, n. 2865);
b) dalla circostanza che il corrispettivo non sia versato dall'amministrazione –come nei contratti di appalto di lavori, servizi e forniture– la quale, anzi, percepisce un canone da parte del concessionario (cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, 05.06.2006, n. 3333);
c) dalla diversità dell’oggetto del rapporto, che nella concessione di servizi è trilaterale (coinvolgendo l'amministrazione, il gestore e gli utenti), mentre nell’appalto è bilaterale (stazione appaltante – appaltatore) (parere di precontenzioso 02.12.2010 n. 212 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: Sulla base degli articoli 71, comma 2 e 90, comma 5 del D.P.R. n. 554/1999 e secondo quanto previsto dalla direttiva comunitaria 93/37/CEE, non può essere imposto al concorrente l'obbligo di acquistare, a pena di esclusione dalla gara, la documentazione inerente l'appalto.
L'unica forma di partecipazione consentita è, per l’appunto, il rimborso delle spese di riproduzione della documentazione di gara. Relativamente a quest’ultimo aspetto, peraltro, la richiesta del rimborso dei costi sostenuti dalla pubblica amministrazione per il rilascio delle suddette copie, deve essere conforme alla normativa generale in materia di accesso alla documentazione amministrativa di cui alla legge 07.08.1991, n. 241.
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Quando per l'aggiudicazione della gara sia stato prescelto il criterio della offerta economicamente più vantaggiosa, rientra nella discrezionalità della stazione appaltante la determinazione della incidenza del prezzo nella valutazione dell'offerta, senza che esista un peso minimo (o massimo) predeterminato per tale elemento, purché la natura propria del criterio, postulante la ricerca di un equilibrio tra prezzo e qualità necessariamente correlato alla specificità di ciascun affidamento, non venga tradita riconoscendosi all’elemento prezzo –ugualmente dicasi per qualsiasi altro elemento- un peso ponderale sproporzionato rispetto a quello attribuito agli altri elementi da valutare (TAR Toscana, Firenze, Sez. I, 21.11.2005, n. 6901).
Trattandosi di attività prettamente discrezionale della stazione appaltante, la stessa è sottratta al sindacato di legittimità del giudice amministrativo, salvo che in relazione alla natura, all'oggetto e alle caratteristiche del contratto, la scelta operata non risulti manifestamente illogica, arbitraria ovvero macroscopicamente viziata da travisamento di fatto (cfr. in tal senso ex plurimis Consiglio Stato, sez. V, 19.11.2009, n. 7259; Consiglio di Stato, Sez. VI,, 31.06.2008, n.3404; TAR Lazio, Roma, sez. III, 29.04.2009, n. 4396; TAR Lazio, Sez. III, 28.01.2009 n. 630) (parere di precontenzioso 18.11.2010 n. 210 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: L’esigenza di rispettare la breve tempistica imposta dall’Ente finanziatore del progetto, ossia evitare il pericolo di perdere i finanziamenti regionali, costituisce una valida motivazione per introdurre nella procedura di gara una disciplina restrittiva in materia di dimostrazione dei requisiti di partecipazione, richiedendo di dimostrare e quindi produrre già nella prima fase della gara idonea documentazione dimostrativa del possesso dei requisiti di partecipazione.
È necessario che tanto la suddetta esigenza quanto le particolari modalità di dimostrazione siano chiaramente indicate nel bando di gara (parere di precontenzioso 18.11.2010 n. 208 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

LAVORI PUBBLICI: Il principio dell’assorbenza fra categorie generali e categorie specializzate trova applicazione esclusivamente in riferimento alla OG11, nel senso che, ove nel bando sia richiesta la qualificazione di cui alle categorie di opere specializzate OS3, OS30, OS28 è consentita la partecipazione anche delle imprese qualificate in categoria OG11.
Ciò in quanto detta categoria generale è in effetti la sommatoria di categorie speciali e pertanto sussiste la presunzione che un soggetto qualificato in OG11 sia in grado di svolgere mediamente tutte le lavorazioni speciali contenute in questa categoria generale (Cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 26.04.2005, n. 1901; 26.05.2003, n. 2857 e TAR Brescia 26.10.2006, n. 1349).
Tuttavia, la qualificazione per la categoria di opere generali OG11 assorbe quella per la categoria di opere speciali, solo nel caso in cui la disciplina speciale della singola gara non rechi alcuna clausola in contrario (parere di precontenzioso 18.11.2010 n. 207 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: In sede di valutazione dell’offerta economica, i criteri di attribuzione del punteggio possono essere molteplici e variabili purché, nell’assegnazione degli stessi, venga utilizzato tutto il potenziale range differenziale previsto per la voce in considerazione, anche al fine di evitare un ingiustificato svuotamento di efficacia sostanziale della componente economica dell’offerta (parere di precontenzioso 18.11.2010 n. 206 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: Qualora il bando commini espressamente l’esclusione dalla gara in conseguenza di determinate prescrizioni, l’Amministrazione è tenuta a dare precisa ed incondizionata esecuzione a dette prescrizioni, restando preclusa all’interprete ogni valutazione circa la rilevanza dell’inadempimento, la sua incidenza sulla regolarità della procedura selettiva e la congruità della sanzione contemplata nella lex specialis, alla cui osservanza la stessa Amministrazione si è autovincolata al momento del bando (cfr., ex multis, pareri n. 215 del 17.09.2008 e n. 262 del 17.12.2008).
Tale principio, peraltro, opera sul presupposto che la previsione a pena di esclusione sia chiara, in quanto laddove, invece, le disposizioni con le quali siano prescritti particolari adempimenti per l’ammissione alla gara siano equivoche (e solo in tal caso) le stesse devono essere interpretate nel senso più favorevole all’ammissione degli aspiranti, corrispondendo al principio del favor partecipationis (da ultimo, Consiglio di Stato, Sez. V, 16.03.2010, n. 1513) (parere di precontenzioso 18.11.2010 n. 205 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: I fondamentali principi della par condicio tra i concorrenti e del regolare, trasparente, ed imparziale svolgimento della gara, esigono che sia garantita l’assoluta segretezza delle offerte economiche fino a quando non siano state valutate l’ammissibilità dei partecipanti e le componenti tecnico-qualitative dell’offerta.
La separazione fisica dell’offerta economica dall’offerta tecnica e dal resto della documentazione amministrativa, infatti, persegue lo scopo di garantire un ordinato svolgimento della gara e di salvaguardare l’esigenza di obiettività e di imparzialità nella disamina dei requisiti di partecipazione, dei relativi documenti probatori e dei contenuti tecnici della prestazione offerta, imponendo al contempo di compiere le verifiche documentali e gli apprezzamenti tecnici in una fase antecedente a quella in cui si conoscerà l’ammontare delle offerte economiche.
Costituisce violazione di tali principi richiamati, l’inserimento di elementi concernenti l’offerta economica all’interno della busta contenente l’offerta tecnica, in quanto tale commistione è di per sé idonea ad introdurre elementi perturbatori della corretta valutazione da parte della Commissione di gara, potendo elementi di valutazione aventi carattere automatico, quali il prezzo, influenzare la valutazione degli elementi contrassegnati da margini di discrezionalità, quali gli aspetti tecnici (parere di precontenzioso 18.11.2010 n. 204 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

LAVORI PUBBLICI: Non è consentito che, al fine di dimostrare da parte della associazione temporanea il possesso del 100% dei requisiti minimi, una mandante “spenda” una quota di importo superiore o uguale a quella della mandataria, rinvenendosi la ratio dall’art. 95, comma 2, del D.P.R. n. 554/1999 nell’esigenza di assicurare che la mandataria sia effettivamente e non astrattamente il soggetto più qualificato in rapporto al complesso dei lavori a base d’asta.
Questo, perché il criterio di verifica della “misura maggioritaria” non si identifica nel “contributo potenziale” della capogruppo alla copertura del requisito, cioè nella capacità della mandataria di assumere una quota dei lavori appaltati, da valutare sulla scorta delle qualificazioni da essa possedute, bensì occorre valorizzare il principio di corrispondenza sostanziale tra la quota di qualificazione, la quota di partecipazione all'associazione e quella di esecuzione dei lavori, desumibile dal combinato disposto dell’art. 37 del D.Lgs. n. 163/2006 e degli artt. 93, comma 4, e 95 del D.P.R. n. 554/1999 e s.m. e dell’art. 3 del D.P.R. n. 34/2000 e s.m..
Proprio al fine di assicurare in concreto tale corrispondenza, il requisito del possesso maggioritario in capo alla capogruppo mandataria non può essere riferito solo all’importo complessivo dei lavori, ma anche all’importo di ciascuna delle singole categorie di cui risulta composto l’appalto (in tal senso, si vedano, fra le tante, C.G.A., sez. giurisdizionale, n. 306 dell’11.04.2008; n. 931 del 12.11.2008; n. 97 dell’08.03.2005; Cons. Stato, sez. V, 19.02.2007, n. 832 e 11.12.2007 n. 6363).
Peraltro, questa Autorità ha anche avuto modo di precisare che, quando all’A.T.I. partecipano due sole imprese, l’aggettivo maggioritario, che connota la percentuale del possesso dei requisiti da parte della capogruppo, indica che la mandataria deve spendere in quella specifica gara una qualifica superiore al 50 per cento dell’importo dei lavori, perché solo in tal modo essa potrà possedere anche una qualifica superiore a quella del suo unico associato (parere n. 236 del 05.11.2008) (parere di precontenzioso 18.11.2010 n. 203 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

LAVORI PUBBLICI: Ai bandi di gara indetti per l’affidamento di appalti di lavori di manutenzione di un’opera rientrante nella categoria generale OG1 -nel caso che prevedano come categoria prevalente una delle categorie specializzate OS6 (Finiture di opere generali in materiali lignei, plastici, metallici e vetrosi), OS7 (Finiture di opere generali di natura edile) e OS8 (Finiture di opere generali di natura tecnica)- possono partecipare, oltre alle imprese qualificate nella categoria di opera specializzata prevalente, anche le imprese qualificate nella categoria di opera generale OG1.
Va precisato che tale possibilità è consentita dal fatto che le suddette categorie specializzate sono a qualificazione non obbligatoria e, pertanto, eseguibili dall’aggiudicatario ancorché privo delle relative qualificazioni; inoltre la stessa va consentita perché comporta una più ampia partecipazione di soggetti alle gare.
Al fine di evitare contestazioni, è necessario, però che tale possibilità sia prevista dal bando che, come è noto, costituisce la lex specialis della gara (determinazione n. 8/2002) (parere di precontenzioso 18.11.2010 n. 201 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

GIURISPRUDENZA

APPALTI: E' legittima l'escussione della garanzia fideiussoria presentata da un concorrente, per mancato possesso anche dei requisiti di ordine generale previsti dall'art. 38 del d.lgs. n. 163/2006.
E' legittimo l'operato di una stazione appaltante che, a seguito dell'accertata carenza dei requisiti di ordine generale di cui all'art. 38 del d.lgs. n. 163/2006, in capo ad un concorrente, abbia provveduto all'escussione della garanzia fideiussoria da questi prestata a corredo della propria offerta.
La triplice sanzione della esclusione dalla gara, segnalazione all'Autorità di Vigilanza ed incameramento della cauzione provvisoria, è contemplata dall'art. 48 del medesimo d.lgs. n. 163/2006, solo con riferimento all'accertata mancanza di requisiti d'ordine speciale, vale a dire quelli relativi alla capacità economico-finanziaria e tecnico-organizzativa. Tuttavia, l'incameramento della cauzione è applicabile anche in ipotesi di accertata carenza di requisiti d'ordine generale, di cui al citato art. 38, come nel caso di specie.
Secondo un recente e consolidato orientamento giurisprudenziale, ai sensi dell'art. 75, c. 6, del d.lgs. n. 163/2006, l'incameramento della cauzione discende come possibile sanzione per ogni circostanza che impedisca l'eventuale sottoscrizione del contratto, che sia imputabile all'affidatario, e ciò vale per l'accertata carenza tanto di requisiti speciali, quanto di quelli d'ordine generale.
Un trattamento diversificato porterebbe a dubitare della legittimità costituzionale della normativa, per violazione dei principi di eguaglianza e ragionevolezza ex art. 3 Cost. Pertanto, la menzione del potere, in capo alla stazione appaltante, di escutere la cauzione provvisoria ai sensi dell'art. 48 d.lgs. n. 163/2006, ha carattere descrittivo di una potestà sussistente anche nell'ipotesi in cui si accerti il mancato possesso di requisiti generali di partecipazione (TAR Toscana, Sez. I, sentenza 26.05.2011 n. 936 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: La semplice pubblicazione sul sito internet della stazione appaltante non è sufficiente a rendere edotti i concorrenti in ordine ad eventuali modifiche della disciplina di gara.
In materia di appalti pubblici, non è sufficiente comunicare eventuali modifiche al disciplinare di gara, attraverso la semplice pubblicazione delle stesse sul sito internet della stazione appaltante, in quanto detto sistema, sebbene animato da ragioni di riduzione degli oneri amministrativi e di celerità dell'azione, non appare rispettoso dei principi di trasparenza e corretta partecipazione alle procedure di gara.
In via generale, ogni rettifica riguardante il contenuto di un bando di gara, è priva di efficacia nei confronti delle imprese concorrenti, ove non sia portata a conoscenza delle stesse nelle medesime forme attraverso le quali è stata data pubblicità al bando.
Tale statuizione è espressione del principio di reciproca correttezza, che deve improntare i rapporti tra stazione appaltante ed imprese partecipanti alla selezione, correttezza idonea a fondare l'affidamento del privato. La possibilità che le modifiche alla disciplina di gara presentino forme di pubblicità attenuata, deve essere giustificata da esigenze cogenti.
Nel caso in specie, non è pertanto condivisibile l'ipotesi secondo cui, la semplice divulgazione di una modifica del disciplinare sul sito internet della stazione appaltante, possa costituire forma fattualmente e giuridicamente idonea di conoscenza (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 25.05.2011 n. 3139 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

EDILIZIA PRIVATALa realizzazione di strutture in muratura, sovrastate da un tetto con copertura in tegole, per il suo carattere di stabilità e permanenza costituisce una vera e propria "costruzione" in senso tecnico del termine.
La realizzazione di strutture in muratura, sovrastate da un tetto con copertura in tegole, per il suo carattere di stabilità e permanenza costituisce una vera e propria "costruzione" in senso tecnico del termine (arg. ex Consiglio Stato, sez. IV, 31.03.2009, n. 1998).
Deve quindi, in linea di principio, condividersi l’assunto fondamentale degli appellanti per cui nella specie il porticato per autorimessa andava comunque ricondotto alla categoria degli "interventi di nuova costruzione", ai sensi della lettera e) dell’art. 3 del T.U. 21.06.2001 n. 380, essendo staccato dall’edificio di cui costituiva “pertinenza” in senso proprio ed implicando una trasformazione edilizia del territorio.
Inoltre, ai sensi dell'art. 904, c.c., nel caso di costruzioni in aderenza ad altre già realizzate, l'esistenza di luci in un muro non impedisce al vicino di costruire in aderenza (cfr. in tal senso Consiglio Stato, sez. V, 23.06.1997, n. 718).
Ciò posto, deve ricordarsi che, come è noto:
- il permesso di costruire rimuove solo il limite allo “ius aedificandi” e la sua rilevanza giuridica va circoscritta infatti al rapporto tra p.a. e costruttore ed ai possibili riflessi sulle correlate posizioni altrui di interesse legittimo;
- l'art. 11, comma 3, d.P.R. 06.06.2001 n. 380  -nell’affermare che il permesso di costruire non comporta limitazione dei diritti dei terzi- configura una clausola generale di salvaguardia.
- l’Amministrazione non ha alcun obbligo, in assenza di una norma ad hoc, né di far luogo ex officio ad un’indagine circa la sussistenza di diritti dei terzi né comunque di tener conto di eventuali possibili limitazioni negoziali al diritto a costruire di colui che richiede il permesso (cfr. Consiglio Stato, sez. IV, 10.12.2007, n. 6332) (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 25.05.2011 n. 3134 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Sulla legittimità dell'esclusione da una gara di un concorrente, che abbia omesso di controfirmare ogni pagina del capitolato speciale, pur avendo dichiarato di accettarne le clausole.
E' legittimo il provvedimento di esclusione da una gara, adottato da una stazione appaltante nei confronti di un concorrente che abbia omesso di controfirmare il capitolato speciale in ogni sua pagina, come richiesto dal bando, pur avendo presentato una dichiarazione contenente l'accettazione delle clausole del capitolato stesso, ciò in quanto, la dichiarazione di accettazione ha mera natura complementare, e non sostitutiva, rispetto alla necessità di produrre il capitolato controfirmato in ogni pagina; detta ultima prescrizione non costituisce un mero aggravio formale, ma assume un contenuto sostanziale, in quanto tale adempimento, alla stregua di un vero e proprio atto negoziale, ha lo scopo di garantire la stazione appaltante, in ordine alla piena accettazione di tutte le clausole (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 25.05.2011 n. 3132 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Modello GAP - Mancata produzione - Causa di esclusione anche in assenza di espressa clausola della lex specialis - Art. 1, c. 5, d.l. n. 629/1982.
La mancata produzione del modello GAP è causa di esclusione anche in assenza di espressa clausola della lex specialis di gara; l'obbligo di produzione è infatti imposto dalla norma imperativa di cui all'articolo 1, comma 5, del d.l. n. 629/1982 (in tal senso, si vedano, fra altre: Tar Palermo, III, sentenza n. 1173 del 23.04.2007; Tar Catania, IV, sentenza n. 1 del 07.01.2010, confermata dal Cga con ordinanza cautelare n. 212 del 16.03.2010; ancora Tar Catania, IV, sentenza 28.10.2010, n. 4249; Idem, sentenza n. 4624 del 07.12.2010, ed ivi ulteriori citazioni di precedenti giurisprudenziali) (TAR Sicilia-Catania, Sez. IV, sentenza 25.05.2011 n. 1279 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Residenza a ufficio: senza opere cambio d'uso regolare.
Il semplice cambio di destinazione d'uso, effettuato senza opere evidenti, non implica necessariamente un mutamento urbanistico-edilizio del territorio comunale e, come tale, non abbisogna di concessione edilizia qualora non sconvolga l’assetto dell’area in cui l’intervento edilizio ricade. Dagli atti depositati in giudizio risulta, per tabulas, che si tratta di un cambio di destinazione d’uso senza opere (da residenziale a funzionale).
Come noto, è stato affermato in giurisprudenza che il semplice cambio di destinazione d'uso, effettuato senza opere evidenti, non implica necessariamente un mutamento urbanistico-edilizio del territorio comunale e, come tale, non abbisogna di concessione edilizia qualora non sconvolga l'assetto dell'area in cui l'intervento edilizio ricade (cfr, tra le tante, Cons. Stato, sez. V., 23.02.2000 n. 949, TAR Liguria, sez. I, 28.01.2004 n. 102, TAR Veneto, Sez. III, 13.11.2001 n. 3699, Cass. Penale, Sez. III, 01.10.1997 n. 3104 e, più di recente, TAR Lazio, sez. II, 07.10.2005 n. 8002 e TAR Abruzzo, sede l'Aquila, 02.04.2009 n. 236).
Sul punto, la Regione Lazio non ha legiferato in materia, né con l’ultima l.r. 38/1999, né con la precedente l.r. 36/1987.
Nella fattispecie in esame, il mutamento da residenza a ufficio non comporta alcun aggravio né una oggettiva modificazione nell'assetto urbanistico-edilizio della zona, dal che consegue che detta attività non è soggetta al previo rilascio della concessione edilizia (ora permesso di costruire) (commento tratto da www.ipsoa.it - TAR Lazio-Roma, Sez. I-quater, sentenza 24.05.2011 n. 4622 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAE' illegittima l'ordinanza di demolizione di lavori edilizi consistenti in: tinteggiatura, sostituzione di alcuni punti luce, rimozione e sostituzione di rivestimenti e servizi del vano WC, rimozione del rivestimento vano cucina e spicconatura dell’impianto idrico.
Ai sensi dell’art. 3 primo comma lett. a) T.U. 06.06.2001 n. 380, si intendono per <interventi di manutenzione ordinaria>, <gli interventi edilizi che riguardano le opere di riparazione, rinnovamento e sostituzione delle finiture degli edifici e quelle necessarie ad integrare o mantenere in efficienza gli impianti tecnologici esistenti>.
Secondo le previsioni del successivo art. 6, comma 1, lett. a), siffatti interventi <sono eseguiti senza alcun titolo abilitativo>.
Orbene, come si apprende dalla lettura della relazione del Vigile urbano 17.01.2001 alla quale fa rinvio il provvedimento impugnato, il sig. ... ha posto in essere all’interno della sua unità abitativa interventi consistenti in <tinteggiatura, sostituzione di alcuni punti luce, rimozione e sostituzione di rivestimenti e servizi del vano WC, rimozione del rivestimento vano cucina e spicconatura dell’impianto idrico>, quest’ultima al fine di sostituire i tubi ammalorati.
Tutto qui.
Appare evidente che sulla base della piana lettura delle norme sopraindicate, effettivamente in relazione a tali interventi, che, giova ribadirlo, non hanno comportato la benché minima modificazione di superfici, volumi, altezze, aspetto esteriore e destinazione funzionale, ma si sono risolti in una mera attività manutentiva rivolta esclusivamente a conservare il buone condizioni di funzionalità e fruibilità il preesistente, non occorreva alcuna preventiva autorizzazione.
Ne consegue che l’impugnato provvedimento, come è stato puntualmente dedotto in ricorso, è illegittimo in quanto, in relazione ai sopra descritti interventi, postula, invece, il previo rilascio di un, non meglio descritto, <necessario titolo abilitativo> ed addirittura applica la sanzione pecuniaria di cui all’art. 37 T.U. cit. (TAR Campania-Salerno, Sez. I, sentenza 24.05.2011 n. 967 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Associazioni ambientaliste, la rivincita delle piccole.
Il giudice amministrativo può riconoscere, caso per caso, la legittimazione ad impugnare atti amministrativi incidenti sull'ambiente ad associazioni locali (indipendentemente dalla loro natura giuridica), purché perseguano statutariamente in modo non occasionale obiettivi di tutela ambientale ed abbiano un adeguato grado di rappresentatività e stabilità in un'area di afferenza ricollegabile alla zona in cui è situato il bene a fruizione collettiva che si assume leso. Nessun dubbio può sorgere quanto alla legittimazione di Italia Nostra, W.W.F. e GREENPEACE, individuate quali associazioni di protezione ambientale nazionali ex art. 13, l. 08.07.1986, n. 349.
Parimenti, quanto agli altri appellanti, merita considerare che, come già in passato dalla Sezione ripetutamente affermato (tra le altre, 13.09.2010, n. 6554), l'esplicita legittimazione, ai sensi del citato art. 13, l. 08.07.1986 n. 349, delle associazioni ambientalistiche di dimensione nazionale e ultraregionale all'azione giudiziale non esclude, di per sé sola, analoga legittimazione ad agire in ambito territoriale ben circoscritto, e ciò anche per i meri comitati spontanei che si costituiscono al precipuo scopo di proteggere l'ambiente, la salute e/o la qualità della vita delle popolazioni residenti su tale circoscritto territorio.
Altrimenti opinando, le località e le relative popolazioni, interessate da minacce alla salute pubblica o all'ambiente in un ambito locale circoscritto, non avrebbero autonoma protezione, in caso di inerzia delle associazioni ambientaliste espressamente legittimate per legge.
Detto altrimenti, le previsioni normative citate hanno creato un criterio di legittimazione "legale" destinato ad aggiungersi a quelli in precedenza elaborati dalla giurisprudenza per l’azionabilità in giudizio dei c.d. interessi diffusi e non li sostituisce.
Ne consegue che il giudice amministrativo può riconoscere, caso per caso, la legittimazione ad impugnare atti amministrativi incidenti sull'ambiente ad associazioni locali (indipendentemente dalla loro natura giuridica), purché perseguano statutariamente in modo non occasionale obiettivi di tutela ambientale ed abbiano un adeguato grado di rappresentatività e stabilità in un'area di afferenza ricollegabile alla zona in cui è situato il bene a fruizione collettiva che si assume leso; che è quanto ad avviso del Collegio è dato riscontrare con riguardo ai Consorzi, al Comitato e all’Associazione appellanti, avuto riguardo ai tre parametri tradizionalmente utilizzati al riguardo in giurisprudenza, rispettivamente relativi alle finalità statutarie dell’ente, alla stabilità del suo assetto organizzativo, nonché alla c.d. vicinitas dello stesso rispetto all’interesse sostanziale che si assume leso per effetto dell’azione amministrativa e a tutela del quale, pertanto, l’ente esponenziale intende agire in giudizio (commento tratto da www.ipsoa.it - Consiglio di Stato,  Sez. VI, sentenza 23.05.2011 n. 3107 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Nel rendere le informazioni antimafia il Prefetto, che ha ampi poteri di accertamento, deve effettuare la propria valutazione sulla scorta di un sufficientemente chiaro, preciso e non arbitrario quadro di indizi.
Ai fini della corretta applicazione dell'art. 10 del DPR 252/1998, è jus receptum che le situazioni relative ai tentativi d'infiltrazione mafiosa vanno desunte o da provvedimenti che dispongano una misura cautelare o il giudizio, o che rechino una condanna anche non definitiva per taluno dei delitti di cui agli artt. 629, 644, 648-bis e 648-ter, c.p. o dall'art. 51, c. 3-bis, c.p.p., oppure dagli accertamenti disposti dal Prefetto nell'esercizio di autonomi poteri o su richiesta di altri Prefetti.
Pertanto, nel rendere le informazioni antimafia, il Prefetto non deve basarsi su specifici elementi, ma effettua la propria valutazione sulla scorta di uno sufficientemente chiaro, preciso e non arbitrario quadro di indizi, ove assumono rilievo preponderante i fattori induttivi della non manifesta infondatezza che i comportamenti e le scelte dell'imprenditore possano rappresentare un veicolo di infiltrazione delle organizzazioni criminali negli appalti delle pubbliche amministrazioni.
L'ampiezza dei poteri di accertamento, giustificata dalla finalità preventiva sottesa all'informativa, consente al Prefetto di ravvisare l'emergenza di tentativi di infiltrazione mafiosa anche (o non solo) in fatti in sé privi dell'assoluta certezza (p.es., condanna non irrevocabile, collegamenti parentali con soggetti malavitosi, dichiarazioni di pentiti, ecc.), seppur tali da fondare, nel loro complesso coordinato, un giudizio di possibilità che l'attività d'impresa, anche in maniera indiretta, agevoli le attività criminali o ne sia in varia guisa condizionata (Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 23.05.2011 n. 3104 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: La regola per cui la nomina della commissione giudicatrice deve avere luogo dopo che è spirato il termine per la presentazione delle offerte tende ad evitare che vi possano essere, con la preventiva conoscenza dei nominativi dei commissari, inaccettabili contatti e collusioni dei candidati con gli stessi commissari, per cui la medesima regola assurge a preventiva salvaguardia della regolarità del procedimento e non può essere considerata come una privativa degli appalti, non essendovi alcuna differenza in ordine all’esame delle offerte con la concessione; anzi, la concessione di servizi, per la maggiore informalità del suo procedimento, presenta, se si vuole, aspetti ancora più evidenti di mancanza di garanzie procedimentali.
La regola per cui la nomina della commissione giudicatrice deve avere luogo dopo che è spirato il termine per la presentazione delle offerte tende (almeno astrattamente) ad evitare che vi possano essere, con la preventiva conoscenza dei nominativi dei commissari, inaccettabili contatti e collusioni dei candidati con gli stessi commissari, per cui la medesima regola assurge a preventiva salvaguardia della regolarità del procedimento e non può essere considerata come una privativa degli appalti, non essendovi alcuna differenza in ordine all’esame delle offerte con la concessione; anzi, la concessione di servizi, per la maggiore informalità del suo procedimento, presenta, se si vuole, aspetti ancora più evidenti di mancanza di garanzie procedimentali.
Da ciò la considerazione per la quale il Collegio condivide il presupposto indicato dal Tribunale amministrativo regionale in ordine al fatto che, al di là di una specifica normativa che ricomprenda anche le concessioni di servizi nell’ambito della regolamentazione degli appalti, l’art. 30 del decreto legislativo n. 163 del 2006, pur derogando, relativamente alle concessioni di servizi, alle altre disposizioni del medesimo provvedimento, non tocchi di quel medesimo provvedimento quelli che possono individuarsi come principi generali di un giusto procedimento, e tra essi vi è, per le ragioni prima esplicitate, quello della nomina della commissione dopo che è scaduto il termine per la presentazione delle offerte (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 23.05.2011 n. 3086 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZI: Si applica anche alle di concessione di servizi la regola secondo cui la nomina della commissione di gara deve avere luogo dopo la scadenza del temine per la presentazione delle offerte.
La regola per cui la nomina della commissione giudicatrice deve avere luogo dopo che è spirato il termine per la presentazione delle offerte tende (almeno astrattamente) ad evitare che vi possano essere, con la preventiva conoscenza dei nominativi dei commissari, inaccettabili contatti e collusioni dei candidati con gli stessi commissari, per cui la medesima regola assurge a preventiva salvaguardia della regolarità del procedimento e non può essere considerata come una privativa degli appalti, non essendovi alcuna differenza in ordine all'esame delle offerte con la concessione; anzi, la concessione di servizi, per la maggiore informalità del suo procedimento, presenta, se si vuole, aspetti ancora più evidenti di mancanza di garanzie procedimentali (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 23.05.2011 n. 3086 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Sull'illegittimità della revoca di aggiudicazione di una gara d'appalto, ad un concorrente che abbia commesso violazioni relative agli obblighi fiscali di cui all'art. 38, c. 1, del d.lgs. n. 163/2006, in quanto non definitivamente accertate.
Ai sensi dell'art. 38, c. 1, lett. g), del d.lgs. n. 163/2006, i soggetti che abbiano commesso violazioni dei doveri relativi al pagamento di imposte e di tasse, definitivamente accertati, sono esclusi dalla partecipazione alle gare di appalto.
Secondo la circolare n. 34/E del 25.05.2007, emanata dall'Agenzia delle Entrate, che ha fornito gli indirizzi operativi ai propri uffici locali in merito alle modalità di attestazione della regolarità fiscale delle imprese partecipanti a procedure di aggiudicazione di appalti pubblici, alla luce della nuova normativa introdotta dal d.lgs. 163/2006, emerge che la violazione fiscale provoca l'esclusione dalla gara allorquando sia "definitivamente accertata", vale a dire sia divenuta incontestabile per decisione giurisdizionale o per intervenuta inoppugnabilità; solo allora, infatti, l'inadempimento tributario è indicativo del mancato rispetto degli obblighi relativi al pagamento di imposte e tasse.
Pertanto, nel caso di specie, è illegittima la determinazione con la quale il comune ha disposto la revoca dell'aggiudicazione nei confronti di un consorzio, motivata dall'affermata esistenza, a carico del consorzio medesimo, di una causa ostativa ex art. 38, c. 1, lett. g), d.lgs. 163/2006, in quanto le violazioni agli obblighi fiscali non potevano reputarsi "definitivamente accertate" (TAR Puglia-Lecce, Sez. III, sentenza 20.05.2011 n. 883 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Sulla legittimità dell'esclusione da una gara di un RTI consortile, la cui impresa designata all'esecuzione dei lavori risulti carente dei requisiti generali inerenti alla regolarità contributiva, previsti dall'art. 38, c. 1, del d.lgs. n. 163/2006.
E' legittimo il provvedimento di esclusione da una gara, adottato da una stazione appaltante nei confronti di un RTI consortile, la cui impresa designata all'esecuzione dei lavori risulti inottemperante in ordine alla regolarità contributiva, prescritta dall'art. 38, c. 1, del d.lgs. n. 163/2006, quale requisito di ordine generale, necessario ai fini della partecipazione alla procedura.
Nonostante il consorzio presenti struttura ed identità autonome rispetto a quella delle cooperative consorziate, il possesso dei requisiti generali e morali di cui al citato art. 38, va verificato anche in capo alle imprese consorziate, dovendosi ritenere cumulabili in capo al consorzio i soli requisiti di idoneità tecnica e finanziaria, ai sensi dell'art. 35 del medesimo decreto. Peraltro, secondo consolidata giurisprudenza amministrativa, mentre i requisiti di idoneità tecnica e finanziaria devono essere riferiti al consorzio, i requisiti generali di partecipazione alla procedura di affidamento previsti dall'art. 38 devono essere posseduti dalle singole imprese consorziate.
Inoltre, ai fini dell'aggiudicazione della gara, non rileva la regolarizzazione successiva della posizione previdenziale, come avvenuto nel caso di specie, in quanto l'impresa deve essere in regola con l'assolvimento degli obblighi prescritti fin dalla presentazione dell'offerta, e conservare tale stato per tutta la durata della procedura e del rapporto con la stazione appaltante, restando irrilevante un eventuale adempimento tardivo, pena la vanificazione della par condicio dei concorrenti. L'opposta interpretazione incentiverebbe le imprese alla violazione di legge, con l'effetto vantaggioso di poter scegliere se procedere o meno alla regolarizzazione, in funzione dell'utile risultato dell'aggiudicazione (TAR Campania-Napoli, Sez. VIII, sentenza 19.05.2011 n. 2786 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

PUBBLICO IMPIEGO: Il pubblico dipendente, nei cui confronti non sia stato promosso procedimento disciplinare in seguito alla pronuncia di sentenza penale di condanna, ha diritto alla restitutio in integrum.
Il Consiglio di Stato ha infatti in più occasioni ritenuto che, in favore del dipendente pubblico definitivamente condannato in sede penale dopo essere stato sospeso cautelarmente in pendenza del relativo processo, è possibile operare la ricostruzione della posizione giuridica ed economica per il periodo di sospensione cautelare, previa deduzione dei periodi di tempo corrispondenti alla sospensione dalla qualifica irrogata in sede disciplinare nonché alla condanna penale inflitta, ancorché non scontata (Cons. Stato, ad. plen., 16.06.1999, n. 15 e 02.05.2002, n. 4).
In tale senso vedasi, anche “Il pubblico dipendente, nei cui confronti non sia stato promosso procedimento disciplinare in seguito alla pronuncia di sentenza penale di condanna, ha diritto alla restitutio in integrum, nel senso che il periodo di sospensione cautelare, sia obbligatoria che facoltativa, deve essere riconosciuto sia agli effetti giuridici sia a quelli economici ma con esclusione per gli eventuali periodi di detenzione, anche se non scontati.” TAR Umbria Perugia, 10.04.2007, n. 299 (TAR Campania-Napoli, Sez. V, sentenza 19.05.2011 n. 2782 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo sulle controversie relative ad oneri concessori non muta a seconda della natura giuridica pubblica o privata del ricorrente.
I giudici del Tribunale amministrativo di Napoli ritengono che non sussistano ragioni valide per discostarsi dall’orientamento giurisprudenziale già espresso dalla stessa Sezione su tale argomento (TAR Campania, Napoli, Sez. VIII, 07.05.2009 n. 2423 e n. 2424; 17.09.2009 n. 4993 e n. 4994) secondo cui l’art. 34 del D.Lgs. 31.03.1998 n. 80 (come sostituito dalla L. 21.07.2000 n. 205 ed in seguito alla sentenza della Corte Costituzionale 06.07.2004 n. 204), nel devolvere alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie aventi per oggetto atti e provvedimenti dell’amministrazione in materia urbanistica ed edilizia, comprende la totalità degli aspetti dell’uso del territorio, nessuno escluso (TAR Campania, Napoli, Sez. I, 26.06.2008 n. 6283, TAR Campania, Salerno, 04.04.2008 n. 475, TAR Piemonte, 17.07.2008 n. 1646).
Peraltro, continuano i giudici amministrativi campani, tale previsione è contenuta anche nell’art. 133, lett. f), del codice del processo amministrativo, secondo cui sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, tra l’altro, “le controversie aventi ad oggetto gli atti e i provvedimenti delle pubbliche amministrazioni in materia urbanistica e edilizia, concernente tutti gli aspetti dell'uso del territorio”.
Sicché, come già previsto dall’art. 16 della L. 28.01.1977 n. 10, rientrano in tale giurisdizione anche le controversie relative alla determinazione, liquidazione e corresponsione degli oneri concessori che risultano, infatti, connessi al rilascio del titolo abilitativo e pertanto discendono dall’adozione di un provvedimento amministrativo (Consiglio di Stato, Sez. V, 21.04.2006 n. 2258).
In altri termini, spiegano i giudici partenopei, la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo sulle controversie attinenti alla corresponsione dei suddetti oneri concessori discende dallo stretto collegamento funzionale tra il rilascio delle concessioni edilizie ed i contributi conseguenti a carico del privato, trattandosi appunto di pretesa del Comune fondata su provvedimenti amministrativi non gravati e divenuti inoppugnabili.
Tali argomentazioni sono state svolte anche dalla Corte di Cassazione, secondo cui “la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo sussiste anche a prescindere dall'instaurazione di una controversia in via di impugnazione diretta del provvedimento amministrativo, di concessione o di determinazione del contributo, purché fra la controversia ed il provvedimento vi sia uno stretto collegamento funzionale”, aggiungendo inoltre che “rientrano quindi nell'ambito della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie in genere aventi ad oggetto l'inadempimento di obblighi nascenti da una concessione. Né rileva che il rapporto concessorio si sia esaurito per decorrenza del termine di durata di esso, poiché la riserva di giurisdizione operata dalla norma a favore del giudice amministrativo riguarda il rapporto di concessione indipendentemente dal fatto che esso sia ancora in vita o sia cessato, purché la controversia ponga in discussione il rapporto nel suo momento genetico o funzionale” (Cassazione civile, Sezioni Unite, 20.11.2007 n. 24009).
Gli stessi giudici concludono, infine, che le conclusioni esposte in ordine alla sussistenza della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo sulle controversie relative ad oneri concessori non mutano a seconda della natura giuridica pubblica o privata del ricorrente, con la conseguenza che appare del tutto indifferente la circostanza che nel giudizio in commento a ricorrere fosse un Comune e non un privato (commento tratto da www.documentazione.ancitel.it - TAR Campania-Napoli, Sez. VIII, sentenza 19.05.2011 n. 2781 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

LAVORI PUBBLICI: Il non tempestivo esercizio dei poteri pubblicistici di gestione e tutela della strada vicinale non comporta affatto il mutamento di destinazione.
Seppure è consolidato l’orientamento giurisprudenziale che annette all’iscrizione delle strade nell’elenco di quelle vicinali un effetto meramente dichiarativo e non costitutivo, è altresì pacifico che la mancata utilizzazione di essa da parte della generalità degli utenti, protrattasi anche per un lungo lasso di tempo, non depone ex se per la cessata destinazione all’uso pubblico (cfr., Cons. St., sez. IV, 07.09.2006 n. 5209).
Alla medesima stregua, anche il non tempestivo esercizio dei poteri pubblicistici di gestione e tutela della strada vicinale non comporta affatto il mutamento di destinazione.
È semmai rilevante la situazione di fatto, consolidatasi per un lungo tempo, che palesi in modo univoco l’impossibilità da parte della collettività di utilizzare la strada.
Impossibilità di fatto che, -è bene sottolineare- con specifico riguardo a quanto ne occupa, non deve essere imputabile all’esecuzione di opere abusive realizzate dal privato avente interesse contrario all’utilizzazione pubblica.
Proprio alla luce di questi parametri oggettivi risulta che la strada per cui si discute va annoverata fra quelle vicinali: in primo luogo, detta strada fa parte della rete viaria che dalla strada comunale via Mareschino conduce in località Fratin, funzionale al transito di mezzi agricoli per il trasporto di legnami e generi vari (cfr., dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà), né, ad ulteriore testimonianza della permanenza attuale e concreta dell’interesse pubblico all’utilizzazione di essa da parte della collettività, va passato sotto silenzio il fatto che la strada in questione, inclusa negli itinerari del CAI, è altresì funzionale alla pratica turistico-alpina; in secondo luogo, la preclusione all’attuale utilizzo pubblico scaturisce non già da fattori naturali, sedimentatisi nel tempo, bensì esclusivamente dai lavori abusivi eseguiti ricorrente: quali la duplice apposizione di congegni preordinati a precludere l’accesso sia a monte che a valle della strada e la pavimentazione di parte del suolo di transito.
La realizzazione di tale opere pregiudica l’uso pubblico, la cui tutela è presidiata dal potere pubblicistico di cui all’art. 14 l. 20.03.1865 n. 2248, correttamente esercitato dal Comune resistente (ex multis, Tar Liguria, sez. II, 08.01.2003 n. 23).
Infine la natura vincolata del potere esercitato dal Comune, in ragione degli interessi in gioco, depone nel senso che il contenuto del provvedimento impugnato non avrebbe potuto essere diverso da quello adottato anche qualora fosse stato preceduto dal contraddittorio con il ricorrente, sollecitato a mezzo della comunicazione d’avvio del procedimento (TAR Liguria, Sez. II, sentenza 19.05.2011 n. 799 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Il ricorso in materia di accesso ai documenti deve essere notificato ad almeno un controinteressato.
Ai sensi dell'articolo 116 c.p.a., il ricorso in materia di accesso ai documenti deve essere notificato ad almeno un controinteressato, secondo il generale principio caratterizzante i ricorsi amministrativi, e fatto salvo il potere di integrazione del contraddittorio nei confronti di ulteriori controinteressati, atteso che detta norma, a prescindere dalla qualificazione della posizione giuridica soggettiva azionata, ricostruisce il rito in materia sulla scorta dell'ordinario rito impugnatorio (TAR Piemonte, Torino, sez. I, 16.12.2010, n. 4556).
Né può trovare, nel caso di specie, applicazione il principio giurisprudenziale secondo cui “In sede giurisdizionale non può essere dichiarato inammissibile il ricorso per l'accesso, per omessa notifica al controinteressato, quando la stessa amministrazione non abbia ritenuto di dover consentire la partecipazione di altri in sede procedimentale, atteso che ai sensi dell'articolo 3, comma 1, d.P.R. 12.04.2006, n. 184, la pubblica amministrazione, cui è indirizzata la richiesta di accesso, se individua soggetti controinteressati, è tenuta a darne comunicazione agli stessi, mediante invio di copia con raccomandata con avviso di ricevimento o per via telematica per coloro che abbiano consentito tale forma di comunicazione” (Consiglio di Stato, sez. IV, 14.04.2010, n. 2093, e idem 30.07.2010, n. 5062) (TAR Lazio-Roma, Sez. II-ter, sentenza 18.05.2011 n. 4326 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Chi invoca la formazione del silenzio assenso deve dimostrare la ricorrenza dei requisiti soggettivi ed oggettivi necessari per lo svolgimento dell'attività cui si riferisce l'istanza.
Con il provvedimento impugnato nella pronuncia in esame il comune ha denegato alla società ricorrente il rilascio di una nuova autorizzazione per la somministrazione al pubblico di alimenti e bevande. La difesa del ricorrente, suffragata dalla decisione presa dal Tribunale amministrativo di Roma, è stata incardinata sull’intervenuta formazione del silenzio assenso sull’istanza in questione.
I giudici capitolini, infatti, rilevano che, per consolidato orientamento della giurisprudenza sul punto, l'articolo 20 della legge n. 241 del 1990 -come riformato dall'articolo 3, comma 6-ter, del D.L. 14.03.2005, n. 35, convertito con modificazioni, in legge 14.05.2005, n. 80- prevede che, al di fuori dalle esclusioni espressamente indicate al comma 4, il titolo implicito venga a formazione in via generalizzata sulle domande dei privati tendenti ad ottenere il rilascio di autorizzazioni allo svolgimento di attività private, tra le quali è da ricomprendere l'esercizio dell'attività di vendita e somministrazione di alimenti e bevande (cfr. da ultimo, TAR Sicilia, Catania, sez. II, 26.10.2009, n. 1716; TAR Veneto, Venezia, sez. III, 18.06.2008, n. 1799); nel caso in cui si sia formato il silenzio assenso rispetto ad una domanda di autorizzazione per la somministrazione di alimenti e bevande, l'autorità comunale può procedere, ai sensi del comma 3 del richiamato articolo 20, all'annullamento dell'autorizzazione assentita qualora sussistano i presupposti per l’adozione di un atto di autotutela, ma non ha più il potere di pronunciarsi sulla domanda.
Il perfezionamento del titolo abilitativo determina, pertanto, l'illegittimità di ogni successivo atto di diniego, considerato che il potere di provvedere sulla domanda si è consumato e residua solo eventualmente in capo all'ente pubblico la potestà di autotutela da attuarsi con provvedimento di annullamento e in presenza dei relativi presupposti.
Peraltro il titolo implicito può venire a formazione solo quando risulti che l'interessato sia in possesso dei requisiti soggettivi ed oggettivi necessari per l’accoglimento della domanda, non potendosi consentire, attraverso il meccanismo del silenzio assenso, l’elusione delle prescrizioni fissate dalla legge o dai regolamenti comunali (TAR Lazio, Roma, sez. II, 18.01.2011, n. 401).
Spetta, quindi, all'interessato, il quale intenda invocare la formazione del silenzio assenso ai sensi dell'articolo 20 della legge n. 241 del 1990, dimostrare, oltre al decorso del tempo, la ricorrenza di tutti gli elementi costitutivi della fattispecie disciplinata dalla legge, integrati dai requisiti soggettivi ed oggettivi necessari per lo svolgimento dell'attività cui si riferiva l'istanza (Cons. giust. amm. Sicilia , sez. giurisd., 05.10.2010, n. 1239; TAR Lombardia, Milano, sez. IV, 11.06.2007, n. 4917) (commento tratto da www.documentazione.ancitel.it - TAR Lazio-Roma, Sez. II-ter, sentenza 18.05.2011 n. 4311 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Danno curriculare - Nozione - Valutazione equitativa - Possibilità.
Il fatto stesso di eseguire un appalto pubblico, anche a prescindere dal lucro che l’impresa ne ricava grazie al corrispettivo pagato dalla stazione appaltante, costituisce fonte per l’impresa di un vantaggio non patrimoniale ma -comunque- economicamente valutabile, poiché di per sé accresce la capacità di competere sul mercato e quindi la chance di aggiudicarsi ulteriori e futuri appalti.
In tale ottica deve pertanto ritenersi risarcibile il “danno curriculare”, il quale consiste nel pregiudizio subito dall’impresa in dipendenza del mancato arricchimento del proprio “curriculum” professionale, ossia per la circostanza di non poter indicare in esso l’avvenuta esecuzione dell’appalto sfumato a causa del comportamento illegittimo dell’Amministrazione (così, ad es., Cons. Stato, Sez. VI, 09.06.2008 n. 2751).
Tale pregiudizio, a prescindere dalla carenza di prove offerte dalla ricorrente in ordine alle perdite economiche da essa subite, fuoriesce -altresì- dagli ambiti meramente probabilistici della valutazione delle chances e si pone in termini obiettivi per il fatto stesso dell’intervenuta esclusione della ricorrente dal mercato “pubblico”, ed è pertanto intrinsecamente d necessariamente valutabile dal giudice in termini equitativi ai sensi dell’art. 1226 c.c. (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 16.05.2011 n. 2955 - link a www.ambientediritto.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Non può ravvisarsi a carico della p.a. un obbligo giuridico di estendere gli effetti del giudicato a soggetti ad esso estranei, che non vantino nessun diritto soggettivo a tale estensione.
E’ stato più volte affermato infatti che non può ravvisarsi a carico della p.a. un obbligo giuridico di estendere gli effetti del giudicato a soggetti ad esso estranei, che non vantano nessun diritto soggettivo a tale estensione, né tale posizione soggettiva può trovare fondamento nella disposizione di cui all'art. 22 d.P.R. 11.02.1986 n. 13, che, nel dettare norme sul procedimento volto alla estensione del giudicato, riconosce all'amministrazione la potestà di attivare o meno il procedimento stesso (C.d..S., sez. sez. VI, 10.10.2005 , n. 5457; 26.10.2006, n. 6410; sez. V, 17.09.2008, n. 4390) (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 16.05.2011 n. 2951 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Nella licitazione privata l’individuazione in capo alle imprese partecipanti dei requisiti sostanziali richiesti dalla lettera di invito deve essere riferita al momento dell’aggiudicazione dell’appalto.
Nella licitazione privata la prequalificazione ha natura di autonoma fase sub procedimentale funzionalmente diretta ad una prima selezione dei soggetti da invitare sicché l’individuazione in capo alle imprese partecipanti dei requisiti sostanziali richiesti dalla lettera di invito non può essere anticipata alla preliminare fase della preselezione, ma deve essere riferita al momento della vera e propria individuazione del contraente, ossia al momento dell’aggiudicazione dell’appalto (cfr. sul punto, per tutte, Cons. Stato, sez. V, 10.12.1999, n. 811).
In ordine all’assunto di parte ricorrente che la stazione appaltante avrebbe dovuto richiedere l’integrazione della documentazione e delle dichiarazioni presentate in ordine al possesso dei requisiti, va considerato che l’integrazione non è utilizzabile in caso di totale assenza della dichiarazione del pregiudizio penale (cfr. Cons. Stato, V, 12.12.1997, n. 1185).
Peraltro, trattasi di requisito richiesto dalla legge in materia di appalti, prima ancora che dalla lex di gara a pena di esclusione e completamente omesso, rispetto al quale, come precisato dal giudice di prime cure, l’esercizio del c.d. potere di soccorso dell’amministrazione incontra l’invalicabile limite della par condicio, per definizione prevalente sul favor partecipationis invocato dal Consorzio ricorrente
(Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 16.05.2011 n. 2945 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZI: Servizi di pulizia degli edifici - Direttive 17/2004 e 18/2004 - Assoggettabilità alla disciplina dettata per i settori speciali - Parametro oggettivo - Pulizia di proprietà immobiliari ed edifici costituenti parte integrante delle reti di produzione, distribuzione e trasporto.
I servizi di pulizia degli edifici e di gestione delle proprietà immobiliari sono previsti negli allegati sia della direttiva europea n. 17/2004, che coordina le procedure di appalto degli enti erogatori di acqua e di energia, degli enti che forniscono servizi di trasporto e servizi postali, sia della n. 18/2004, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi.
Ne deriva che l’assoggettabilità dell’affidamento del servizio di pulizia alla disciplina dettata per i settori speciali non può essere desunta sulla base di un criterio solo soggettivo, relativo cioè al fatto che ad affidare l’appalto sia un ente operante nei settori speciali, ma anche in applicazione di un parametro di tipo oggettivo, attento alla riferibilità della pulizia all’attività speciale.
In altri termini, la pulizia rientra nella normativa dei settori speciali quando è funzionale a detta attività, il che si verifica qualora si tratti di proprietà immobiliari ed edifici che costituiscano parte integrante delle reti di produzione, distribuzione e trasporto indicate negli articoli 208 e ss. del d.lgs. n. 163 del 2006 (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 13.05.2011 n. 2919 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il carattere di unifamiliarità di un fabbricato a destinazione abitativa è ricavabile dalle caratteristiche architettoniche dell’edificio, in ragione del volume, della superficie, del numero e della funzione e caratteristica dei vani, in rapporto alle esigenze ed alla possibilità di utilizzo da parte di un unico nucleo familiare.
La circostanza che l’edificio non sia completamente isolato non vale ad escludere il carattere di unifamiliarità.
La nozione di edificio unifamiliare assunta dalla norma, non è nella sua accezione strutturale, ma socio economica e coincide con la piccola proprietà immobiliare meritevole, per gli interventi di ristrutturazione, di un trattamento differenziato rispetto alle altre tipologie edilizie.
Deve ritenersi irrilevante la comunione di talune strutture portanti o di qualche muro di confine e devono conseguentemente essere considerate unifamiliari, per tipologia obiettiva, anche le case realizzate a schiera o in blocco ma strutturalmente funzionalmente indipendenti.
Il D.P.R. 06.06.2001 n. 380, all’art. 17, disciplina la “Riduzione o esonero dal contributo di costruzione”, prevedendo, al comma 3, che “Il contributo di costruzione non è dovuto:… b) per gli interventi di ristrutturazione e di ampliamento, in misura non superiore al 20%, di edifici unifamiliari;”.
La norma riprende sostanzialmente il contenuto dell’art. 9, comma 1, della legge 28.01.1977, n. 10, in relazione al quale la giurisprudenza (cfr. TAR 07.09.1999 n. 770; TAR Veneto 30.03.1996 n. 480) aveva avuto modo di chiarire che il carattere di unifamiliarità di un fabbricato a destinazione abitativa è ricavabile dalle caratteristiche architettoniche dell’edificio, in ragione del volume, della superficie, del numero e della funzione e caratteristica dei vani, in rapporto alle esigenze ed alla possibilità di utilizzo da parte di un unico nucleo familiare.
Va rilevato che la normativa regionale della Lombardia conferma l’esonero. Infatti, la L.R. 11.03.2005 n. 12 nel disciplinare, all’art. 43, le modalità di pagamento del “Contributo di costruzione”, espressamente dispone, al 2° comma, che “Il contributo di costruzione di cui al comma 1 non è dovuto, ovvero è ridotto, nei casi espressamente previsti dalla legge”, così rinviando alle previsioni della legge nazionale.
Nella fattispecie all’esame viene in rilievo la ristrutturazione, senza aumento di volumetria, di una porzione di un tipico fabbricato rurale a corte, già da tempo convertito a destinazione residenziale.
Confermando l’indirizzo già espresso al riguardo (cfr. TAR Brescia, 03.03.2006 n. 268) il Collegio ritiene che la circostanza che l’edificio non sia completamente isolato non valga ad escludere il carattere di unifamiliarità.
Invero, la norma di cui all'art. 17, comma 3, lett. b), del DPR 06.06.2001, n. 380, va riferita alle costruzioni unifamiliari che hanno destinazione residenziale, con esclusione delle unità immobiliari che siano ricomprese in più ampi edifici, quali i condomini, caratterizzati dall'esistenza di parti e servizi funzionalmente comuni, ma non richiede il completo isolamento dell'edificio.
La ratio che ispira la specifica esenzione è infatti di derivazione sociale e pertanto la nozione di edificio unifamiliare assunta dalla norma, non è nella sua accezione strutturale, ma socio economica e coincide con la piccola proprietà immobiliare meritevole, per gli interventi di ristrutturazione, di un trattamento differenziato rispetto alle altre tipologie edilizie (cfr. Tar Lombardia, Milano, Sez. II, 10.10.1996, n. 1480).
Deve pertanto ritenersi irrilevante la comunione di talune strutture portanti o di qualche muro di confine e devono conseguentemente essere considerate unifamiliari, per tipologia obiettiva, anche le case realizzate a schiera o in blocco ma strutturalmente funzionalmente indipendenti (cfr. Tar Lombardia, Brescia, 01.03.1995, n. 185; id. 07.09.1999, n. 770) (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 13.05.2011 n. 713 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATASono riconducibili al novero delle urbanizzazioni secondarie le strutture sanitarie private. L'ampliamento di una clinica privata non soggiace al pagamento del contributo di costruzione.
L’ipotesi di esonero considerata nella seconda parte dell’art. 17, co 3, lett. c), D.P.R. 380/2001 è testualmente riferita ad opere di urbanizzazione eseguite anche da privati, coerentemente con l’intento di agevolare la realizzazione di opere di urbanizzazione e di evitare un illogico addebito al privato realizzatore di queste di contributi per opere di urbanizzazione che, in parte, egli stesso contribuisce a creare.

Il concretarsi dell’ipotesi di esenzione dal contributo concessorio ex art. 17, comma 3, lett. c), del D.P.R. n. 380 del 2001, ora considerata, si riscontra in presenza di opere classificabili come di urbanizzazione, purché esse siano realizzate, anche da privati, “in attuazione di strumenti urbanistici”. Rileva, dunque, ed è sufficiente, non ponendo la norma altre condizioni, che l’opera attui, ossia ponga in essere, quanto previsto dallo strumento, realizzando la configurazione di opere di urbanizzazione in esso contemplata.
Nella specie può considerarsi pacifico che il PRG prevedesse una destinazione a servizi e attrezzature di proprietà pubblica o privata ma di uso pubblico, nell’accezione specifica di “servizi ospedalieri e sanitari” (Sh), stabilendo i corrispondenti indici, all’interno dei quali l’ampliamento realizzato si colloca. Risulta, quindi, riduttivo parlare di sola conformità urbanistica dell’opera, atteso che essa comporta, oltre che, ovviamente, una trasformazione rispondente agli intendimenti della proprietà, anche, al contempo, la traduzione in opera di quanto previsto dallo strumento urbanistico in punto destinazione a strutture di urbanizzazione secondaria e relativo dimensionamento.
Sulla riconducibilità al novero delle urbanizzazioni secondarie delle strutture sanitarie private si concorda con la sentenza; del resto l’ipotesi di esonero considerata nella seconda parte dell’art. 17, co. 3, lett. c), D.P.R. cit. è testualmente riferita ad opere di urbanizzazione eseguite anche da privati, coerentemente con l’intento di agevolare la realizzazione di opere di urbanizzazione e di evitare un illogico addebito al privato realizzatore di queste di contributi per opere di urbanizzazione che, in parte, egli stesso contribuisce a creare.
Argomenti in contrario non si rinvengono nelle difese dell’amministrazione appellata, che si limita, sul punto, ad osservare che la conformità tra quanto edificato e le previsioni urbanistiche comporta la legittimità dell’intervento edilizio ma non rende qualificabili le attrezzature come opere pubbliche.
Non può, infine, considerarsi determinante la circostanza che non si tratti nella specie della costruzione di una nuova clinica ma della realizzazione di un ampliamento, medesima essendo la funzione ospedaliera.
Spettano, quindi, per la realizzazione della c.d. nuova piastra l’esenzione dal contributo e la restituzione del contributo già corrisposto
Quanto detto circa l’ampliamento ha influenza anche in relazione all’ulteriore aspetto della debenza di contributi relativi alle opere realizzate nella parte preesistente della struttura, che va esclusa.
Non viene contestato che si tratti di opere meramente interne, ossia che il preesistente edifico permanga, nello stato modificato di cui alle tre DIA, inalterato quanto a superficie, sagoma, prospetti, destinazione sanitaria, ma si sottolinea nelle difese del Comune ed è stato considerato dai primi giudici che dai progetti oggetto delle denunce di inizio attività risulta che tali opere sono il necessario completamento alle trasformazioni che hanno ridisegnato il complesso delle cliniche attraverso la realizzazione della nuova piastra; le opere, configuranti un insieme unitario, devono, quindi, secondo la sentenza, essere considerate congiuntamente per qualificare la tipologia dell’intervento, ai fini della valutazione della sua incidenza territoriale e del relativo regime contributivo.
La considerazione unitaria dei lavori che, come puntualizza la sentenza, sono stati realizzati “per stralci, con diversi titoli abilitativi richiesti a brevi intervalli di tempo (il permesso di costruire è della fine del 2001, mentre le tre denunce di inizio attività sono del 2002 e del 2003)”, non può, peraltro, contrariamente all’avviso del TAR, condurre a ritenere dovuti i contributi per le opere di cui alle DIA.
Il maggior carico urbanistico è indotto dall’ampliamento che ha consentito di introdurre nuove funzioni, tra cui il pronto soccorso, ed a questo va ricondotto, rimanendo indifferente la distribuzione interna delle varie funzioni tra il preesistente edifico e la nuova “piastra”, ossia la traslazione nel nuovo edificio di funzioni prima esercitate nelle preesistenti volumetrie, rifunzionalizzate per accogliere le nuove funzioni sanitarie, trattandosi di aspetto che attiene alla organizzazione dei lavori edili e della attività sanitaria, ma rimane indifferente sul piano urbanistico, essendo, sì, il carico complessivo aumentato ma, appunto, in dipendenza dell’aumento volumetrico generato dall’ampliamento.
Se, quindi, l’ampliamento, che determina il maggior carico urbanistico, non è soggetto, come detto in precedenza, a contributo, non può sostenersi che esso vada applicato alle opere interne nello stabile preesistente, senza incorrere in una duplicazione che non ha ragion d’essere; né può ipotizzarsi che il maggior carico urbanistico derivante dalle nuove funzioni sanitarie non comporti contributo ove esse siano allocate nella nuova piastra di ampliamento e lo imponga, invece, ove quelle stesse funzioni siano collocate nella parte preesistente del complesso, poiché la soluzione allocativa prescelta è neutra sotto il profilo urbanistico (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 12.05.2011 n. 2870 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Obbligo di provvedere - Assenza di specifica disposizione normativa - Ragioni di giustizia ed equità che impongono l’adozione di un provvedimento - Rilevanza.
L’obbligo di provvedere deriva di regola da una norma di legge o di regolamento, ma può talora desumersi anche da prescrizioni di carattere generale o dai principi generali dell’ordinamento che regolano l’azione amministrativa, sicché, ad esempio, può originare dal rispetto del principio di imparzialità o trovare fondamento nel principio di buon andamento dell’azione amministrativa o nel principio di legalità della stessa azione amministrativa.
Pertanto, si può ritenere che, a prescindere dall'esistenza di una specifica disposizione normativa, l’obbligo di provvedere sussiste in tutte quelle fattispecie particolari nelle quali ragioni di giustizia ed equità impongano l’adozione di un provvedimento, cioè in tutte quelle ipotesi in cui, in relazione al dovere di correttezza e di buona amministrazione della parte pubblica, sorga per il privato una legittima aspettativa a conoscere il contenuto e le ragioni delle determinazioni (qualunque esse siano) di quest’ultima (Tar Catanzaro, sez. I, 17.11.2010, n. 2704) (TAR Puglia-Lecce, Sez. I, sentenza 12.05.2011 n. 830 - link a www.ambientediritto.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: AMIANTO - Ordinanza di bonifica emessa ai sensi dell’art. 54 d.lgs. n. 267/2000- Termine di sessanta giorni - Incongruità - Ragioni.
Deve ritenersi illegittimo l’ordine di rimozione e smaltimento, entro sessanta giorni, di tutto l’amianto presente in uno stabilimento amianto imposto, ex art. 54, comma secondo, del decreto legislativo 28.08.2000 n. 267.
A prescindere dalla sussistenza del presupposto della situazione di necessità grave e urgente, non appaiono infatti congrui i termini assegnati dall'ordinanza per la realizzazione della bonifica, che non tengono conto dei delicati passaggi procedurali, necessitati non solo dall'esigenza di prescegliere in modo ponderato e di pianificare attentamente le modalità delle operazioni (D.M. 06.09.1994), ma anche da quella di tutelare i lavoratori impiegati nella pericolosa attività a contatto con fibre di amianto (legge n. 257/1992; decreto legislativo n. 277/1991) (TAR Puglia-Bari, Sez. I, sentenza 12.05.2011 n. 718 - link a www.ambientediritto.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Bonifiche terreni, per gli illeciti altrui proprietari senza responsabilità.
La nuova fattispecie di omessa comunicazione -prevista dall'art. 257, comma primo, D.Lgs. n. 152 del 2006, in relazione all'art. 242 del medesimo decreto- non e' configurabile nei confronti di colui che, pur proprietario del terreno, non abbia cagionato l'inquinamento del sito stesso. La Corte di cassazione si pronuncia, per la prima volta, su una interessante questione giuridica afferente il tema (in realtà, poco “arato” dalla giurisprudenza di legittimità dopo l’entrata in vigore del T.U.A.) della bonifica dei siti inquinati.
Questa volta, a cadere sotto l’attenta lente dei giudici della Suprema Corte è la fattispecie penale, prima non contemplata dall’abrogato decreto Ronchi n. 22/1997, rappresentata dal reato di “omessa comunicazione”, disciplinato dal combinato disposto degli artt. 242 e 257 del D.Lgs. 03.04.2006, n. 152.
La Corte, dopo aver affrontato con dovizia di particolari ed il consueto scrupolo esegetico l’attuale disciplina normativa, giunge alla conclusione che del nuovo reato non può essere chiamato a rispondere il proprietario del sito inquinato che non abbia cagionato l’inquinamento.
Costui, tuttavia, precisano i giudici di Piazza Cavour, pur essendo sottratto alla sanzione penale prevista dalla richiamata disposizione, in caso di mancato adempimento dell’obbligo di comunicazione, si espone alle conseguenze sanzionatorie di natura risarcitoria previste dall’art. 311, comma 2, del T.U.A., in quanto sarà esercitabile nei suoi confronti l’azione risarcitoria in forma specifica e per equivalente patrimoniale atteso che la citata norma punisce l’omissione di attività o comportamenti doverosi con violazione di legge, di regolamento amministrativo, con negligenza, imperizia, imprudenza o violazione di norme specifiche, posta in essere da chiunque arrechi danno all’ambiente, alterandolo, deteriorandolo o distruggendolo in tutto o in parte.
Il fatto.
La vicenda processuale che ha offerto l’occasione alla Corte per affermare tale innovativo principio vedeva imputato il proprietario di un terreno inquinato il quale, secondo l’accusa, aveva omesso di effettuare la comunicazione agli uffici territorialmente competenti dell’accertamento di inquinamento storico dell’area di sua proprietà provocato da sostanze pericolose, nella specie idrocarburi con concentrazioni comunque superiori a 1000 mg/kg.
In sede di merito, il proprietario era stato condannato per aver violato il disposto dell’art. 257 in relazione all’art. 242 del D.Lgs. n. 152/2006, oltre al risarcimento del danno in favore della Provincia territorialmente competente.
Il ricorso.
Il ricorrente, proprietario del terreno cui tuttavia non era addebitabile la causazione dell’inquinamento del sito, proponeva ricorso per cassazione avverso la decisione d condanna, sostenendo che la fattispecie di omessa comunicazione, prevista dall’art. 257 T.U.A., si riferisce esclusivamente alla persona che cagiona l’inquinamento, richiamando espressamente l’art. 242, anch’esso incentrato sull’autore della condotta di inquinamento. A ragionare, invece, come ha fatto il tribunale, ci si troverebbe di fronte ad una classica ipotesi di analogia “in malam partem”.
La decisione della Cassazione.
La Corte, nel risolvere la questione proposta, ha pianamente condiviso la prospettazione difensiva. Per meglio chiarire il ragionamento della Corte sarà utile richiamare le disposizioni normative applicate. La fattispecie penale di cui si controverte è rappresentata dall’art. 257 del T.U.A. che, sotto la rubrica «Bonifica dei siti», così recita:
1. Chiunque cagiona l'inquinamento del suolo, del sottosuolo, delle acque superficiali o delle acque sotterranee con il superamento delle concentrazioni soglia di rischio è punito con la pena dell'arresto da sei mesi a un anno o con l'ammenda da 2.600 euro a 26.000 euro, se non provvede alla bonifica in conformità al progetto approvato dall'autorità competente nell'ambito del procedimento di cui agli articoli 242 e seguenti. In caso di mancata effettuazione della comunicazione di cui all'articolo 242, il trasgressore è punito con la pena dell'arresto da tre mesi a un anno o con l’ammenda da 1.000 euro a 26.000 euro.
2. Si applica la pena dell'arresto da un anno a due anni e la pena dell'ammenda da 5.200 euro a 52.000 euro se l'inquinamento è provocato da sostanze pericolose.
3. Nella sentenza di condanna per la contravvenzione di cui ai commi 1 e 2, o nella sentenza emessa ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale, il beneficio della sospensione condizionale della pena può essere subordinato alla esecuzione degli interventi di emergenza, bonifica e ripristino ambientale.
4. L'osservanza dei progetti approvati ai sensi degli articoli 242 e seguenti costituisce condizione di non punibilità per i reati ambientali contemplati da altre leggi per il medesimo evento e per la stessa condotta di inquinamento di cui al comma 1
”.
La norma, quindi, come è agevole desumere dalla stessa formulazione, prevede due distinte ipotesi di reato.
Da un lato, il reato di omessa bonifica del sito inquinato; dall’altro, il reato di omessa comunicazione dell’evento inquinante alle autorità competenti, secondo le modalità indicate dall’art. 242 T.U.A. Quest’ultima disposizione, richiamata dall’art. 257 in relazione alla fattispecie di omessa comunicazione, sotto la rubrica «Procedure operative ed amministrative» stabilisce, appunto, quali procedure devono essere seguite al verificarsi di un evento che sia potenzialmente in grado di contaminare il sito, ponendo a carico del “responsabile dell'inquinamento” l’obbligo di attivarsi entro 24 ore, predisponendo le misure necessarie di prevenzione e dandone immediata comunicazione ai sensi e con le modalità di cui all'articolo 304, comma 2; tale obbligo, per espressa previsione del comma 1 dell’art. 242, si applica “all'atto di individuazione di contaminazioni storiche che possano ancora comportare rischi di aggravamento della situazione di contaminazione”.
Così inquadrato giuridicamente il tema, è agevole comprendere il significato del principio di diritto affermato dalla Cassazione. Bene evidenziano, infatti, gli ermellini come nel caso in esame il destinatario del precetto normativo è il soggetto che cagiona l’inquinamento. Quest’ultimo ha una posizione autonoma rispetto a chi si limita semplicemente ad accertare la sussistenza di contaminazioni sul suolo, come del resto si desume dalla lettura dell’art. 245 T.U.A. che, sotto la rubrica «Obblighi di intervento e di notifica da parte dei soggetti non responsabili della potenziale contaminazione», prevede che le procedure per gli interventi di messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino ambientale possano comunque attivate su iniziativa degli interessati non responsabili, aggiungendo (comma 2) che “fatti salvi gli obblighi del responsabile della potenziale contaminazione di cui all'articolo 242”, il proprietario o il gestore dell'area che rilevi il superamento o il pericolo concreto e attuale del superamento della concentrazione soglia di contaminazione (CSC) deve darne comunicazione alla regione, alla provincia ed al comune territorialmente competenti e attuare le misure di prevenzione secondo la procedura di cui all'art. 242.
La medesima disposizione, peraltro, riconosce al proprietario (o ad altro soggetto interessato) la facoltà di intervenire in qualunque momento volontariamente per la realizzazione degli interventi di bonifica necessari nell'ambito del sito in proprietà o disponibilità. Logico ed ineccepibile, sul punto, è il ragionamento della Corte.
L’obbligo di comunicazione per gli “interessati non responsabili” risiede nell’art. 245 T.U.A. e non nell’art. 242, richiamato da tale ultima disposizione solo per quanto riguarda gli aspetti procedimentali.
Se il legislatore avesse voluto fare riferimento nell’art. 257 T.U.A. anche a coloro che non hanno cagionato l’inquinamento lo avrebbe fatto, provvedendo non solo a menzionare gli stessi quali soggetti attivi del reato, ma anche a richiamare espressamente anche l’art. 245 per individuare l’obbligo di comunicazione gravante sugli stessi. Residua, peraltro, secondo la Corte, un profilo di responsabilità, ma solo di natura civilistica nei confronti del proprietario non responsabile.
Ed infatti, il mancato adempimento dell’obbligo di comunicazione per colui che non abbia cagionato l’inquinamento espone senz’altro l’autore dell’omissione alle conseguenze indicate dall’art. 311, comma 2 T.U.A. Tale disposizione, sotto la rubrica «Azione risarcitoria in forma specifica e per equivalente patrimoniale», sanziona -al comma 2- “Chiunque realizzando un fatto illecito, o omettendo attività o comportamenti doverosi, con violazione di legge, di regolamento, o di provvedimento amministrativo, con negligenza, imperizia, imprudenza o violazione di norme tecniche, arrechi danno all'ambiente, alterandolo, deteriorandolo o distruggendolo in tutto o in parte”, obbligandolo “all’effettivo ripristino a sue spese della precedente situazione e, in mancanza, all’adozione di misure di riparazione complementare e compensativa di cui alla direttiva 2004/35/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21.04.2004, secondo le modalità prescritte dall’Allegato II alla medesima direttiva, da effettuare entro il termine congruo di cui all’articolo 314, comma 2, del presente decreto.
Quando l’effettivo ripristino o l’adozione di misure di riparazione complementare o compensativa risultino in tutto o in parte omessi, impossibili o eccessivamente onerosi ai sensi dell’articolo 2058 del codice civile o comunque attuati in modo incompleto o difforme rispetto a quelli prescritti, il danneggiante è obbligato in via sostitutiva al risarcimento per equivalente patrimoniale nei confronti dello Stato, determinato conformemente al comma 3 del presente articolo, per finanziare gli interventi di cui all’articolo 317, comma 5
”.
Il che vuol dire, in ultima analisi, che per l’omissione può essere comunque autonoma sanzione indipendentemente dall’applicazione di sanzioni penali.
Si noti che, in precedenza, la Corte, in relazione al reato di omessa comunicazione, aveva affermato che lo stesso “è configurabile anche nel caso in cui intervengano sul luogo dell'inquinamento gli operatori di vigilanza preposti alla tutela ambientale, in quanto tale circostanza non esime l'operatore interessato dall'obbligo di comunicare agli organi preposti le misure di prevenzione e messa in sicurezza che intende adottare, entro 24 ore ed a proprie spese, per impedire che il danno ambientale si verifichi” (Cass. pen., sez. 3, n. 40856 del 18/11/2010, P. in Ced Cass. 248708) ed, ancora, che “ai fini della configurabilità del reato omissivo previsto dall'art. 257, comma primo, del D.Lgs. 03.04.2006, n. 152, la segnalazione che il responsabile dell'inquinamento è obbligato ad effettuare alle autorità indicate in base all'art. 242 del medesimo decreto è dovuta a prescindere dal superamento delle soglie di contaminazione” (Cass. pen., sez. 3, n. 40191 del 30/10/2007, S., in Ced Cass. 238055) (commento tratto da www.ipsoa.it - Corte di Cassazione penale, sentenza 11.05.2011 n. 18503).

URBANISTICA: È illegittimo un piano di recupero urbano che preveda la costruzione di un numero di nuove residenze superiore a quelle da risanare.
La giurisprudenza amministrativa ha chiarito che “è illegittimo un piano di recupero urbano (PRU) che prevede la costruzione di un numero di nuove residenze superiore a quelle da risanare; infatti la finalità propria del programma di recupero consiste nel recupero e nella riqualificazione dell’edificazione esistente e non già nella modifica dell’assetto urbanistico, con la realizzazione di un numero di abitazioni del tutto sproporzionato” (CS, IV, 03.04.2001 n. 1913) (TAR Lazio-Roma, Sez. II, sentenza 11.05.2011 n. 4096 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI - ATTI AMMINISTRATIVI: Diritto di accesso agli atti di una gara pubblica.
E’ legittimo l’operato di una stazione appaltante che abbia negato l’accesso agli atti di gara ad una società che non ha partecipato alla procedura concorsuale.

Così ha deciso il TAR Lazio-Roma, Sez. III-ter, con la sentenza 10.05.2011 n. 4081.
Nel caso di specie le Poste Italiane spa avevano indetto una gara per l’individuazione dei soggetti con cui sottoscrivere accordi quadro di fornitura di autoveicoli, alla quale aveva partecipato una sola concorrente, poi risultata aggiudicataria.
Un’impresa operante nel settore di mercato coincidente con quello oggetto dell’appalto aveva presentato istanza di accesso agli atti di gara, sulla base delle seguenti motivazioni:
…di essere titolare di un interesse qualificato all’accesso, in qualità di primaria operatrice nel settore della locazione a lungo termine di veicoli senza conducente, aspirando, attraverso l’impugnativa di tali atti, alla rinnovazione della procedura concorsuale ed alla partecipazione a seguito di rinnovazione della gara.”
La stazione appaltante aveva tuttavia negato l’accesso.
I giudici amministrativi, investiti della questione, ritengono che l’amministrazione abbia legittimamente agito, in quanto:
L’art. 13, del richiamato codice dei contratti, premesso un generale rinvio alle norme di cui alla legge n. 241 del 1990, indica, poi, una disciplina che diverge da quest'ultima per alcuni profili, evidenziando previsioni peculiari, e, dunque, speciali rispetto a quelle di cui all'art. 24 della legge n. 241/1990.
Il comma 6 dell'art. 13 in esame, infatti, consente l'accesso agli atti coperti da segreti tecnici e commerciali, contenuti nelle offerte, riservandolo, però "al concorrente che lo chieda in vista della difesa in giudizio dei propri interessi in relazione alla procedura di affidamento del contratto nell’ambito della quale viene formulata la richiesta di accesso
".
E’ evidente la diversità rispetto alla corrispondente regola dettata dall'art. 24, comma 7, che può cogliersi già alla lettura testuale della seconda norma ora in esame, ove si prevede il diritto all’accesso nei casi in cui questo sia necessario per curare o per difendere "i propri interessi giuridici", con una formulazione più ampia rispetto a quella di cui al comma 6, dell'art. 13, che, invece, collega l’interesse all’accesso alla posizione giuridica non di chiunque vi abbia interesse, ma del solo concorrente che abbia intrapreso un giudizio avente ad oggetto la procedura di gara in cui l'istanza di accesso è formulata.
In conclusione, l’accesso ai documenti amministrativi, che trova una regolamentazione specifica nel settore dei contratti pubblici, non può risolversi in un controllo generalizzato sull’attività della pubblica amministrazione e tanto meno può essere consentito a soggetti che non abbiano partecipato alla procedura poiché non sono titolari di quella posizione differenziata e qualificata richiesta dalla normativa in oggetto (commento tratto da www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Il termine per l'impugnazione del provvedimento di aggiudicazione della gara deve ritenersi decorrente dalla relativa comunicazione.
Premesso che l’omissione di comunicazione dell’aggiudicazione definitiva ai sensi dell’articolo 79, comma 5, del codice dei contratti -che impone che l’avvenuta aggiudicazione definitiva sia comunicata entro un termine non superiore a cinque giorni- non incide sulla legittimità dell’aggiudicazione, ma semplicemente sulla decorrenza del termine per l’impugnazione, il momento da cui decorre il termine per l'impugnazione dell'aggiudicazione definitiva è quello della comunicazione obbligatoria di cui al comma 5 dell'articolo 79 del d.lgs. n. 163 del 2006, e non quello di cui al comma 2 della medesima disposizione (TAR Emilia Romagna, Parma, sez. I, 05.04.2011, n. 97).
Nel vigore della nuovo testo del richiamato articolo 79 è stato affermato il principio secondo cui è tardivo il ricorso notificato oltre il termine decadenziale decorrente dalla ricezione del fax recante comunicazione dell'aggiudicazione definitiva di una gara, e ciò anche qualora il destinatario non abbia espressamente autorizzato l'utilizzo del fax ai sensi dell'art. 79, comma 5-bis, del d.lgs. 12.04.2006, n. 163, come modificato dal d.lgs. 20.03.2010, n. 53; invero, quest'ultima norma va coordinata con il principio, oggi contenuto nell'articolo 41 del d.lgs. 02.07.2010, secondo cui detto termine decadenziale decorre non soltanto dalla notificazione o comunicazione del provvedimento lesivo, ma anche dalla sua piena conoscenza, da ritenersi realizzata anche attraverso la ricezione di un fax (TAR Lazio, Latina, sez. I, 19.11.2010, n. 1903).
Se, pertanto, il provvedimento lesivo, da cui decorrono i termini per l'impugnazione, è quello dell’aggiudicazione definitiva, ne consegue che, nelle ipotesi in cui la piena conoscenza dello stesso avvenga mediante la ricezione della comunicazione individuale di cui all'articolo 79, è a tale comunicazione che deve farsi riferimento ai fini della proposizione dell'azione impugnatoria, posto che essa contiene gli elementi essenziali della decisione e del suo contenuto lesivo, potendo la conoscenza di ulteriori atti della procedura consentire la proposizione di eventuali motivi aggiunti.
Conseguentemente, al di là di inutili formalismi inerenti la qualificazione degli atti, il termine per l'impugnazione del provvedimento di aggiudicazione della gara deve ritenersi decorrente dalla relativa comunicazione, dovendo l'azione impugnatoria intendersi riferita al contenuto sostanziale della decisione di cui si dà notizia, e cioè all'aggiudicazione definitiva di cui parte ricorrente si duole, anche nella considerazione della mancata conoscenza di ulteriori e diversi provvedimenti (TAR Lazio, Roma, sez. I, 08.07.2009, n. 6681) (TAR Lazio-Roma, Sez. II-ter, sentenza 10.05.2011 n. 4070 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATA: Qualsiasi soggetto abitante in zona vicina a quella interessata dal permesso di costruire ha diritto di accedere ai titoli abilitativi rilasciati e ai relativi atti progettuali.
In materia di accesso ai titoli edilizi rilasciati ed ai relativi progetti, l'art. 5 del D.P.R. n. 380 del 2001, nello stabilire le competenze dello sportello unico per l'edilizia, pone l'obiettivo di consentire, a chiunque vi abbia interesse, l'accesso gratuito all'elenco delle domande presentate e a tutte le informazioni utili disponibili. Coerentemente, secondo l’orientamento consolidato della giurisprudenza qualsiasi soggetto abitante in zona vicina a quella interessata dal permesso di costruire (ancorché non proprietario dell'area in cui ricade l'intervento edilizio) ha diritto di accedere ai titoli abilitativi rilasciati e ai relativi atti progettuali, rilevando la sussistenza di un interesse personale e concreto per la tutela di posizioni giuridicamente rilevanti (cfr. Cons. Stato, sez. V, 07.05.2008, n. 2086; idem, sez. IV, 14.04.2010, n. 2092; TAR Puglia, Lecce, sez. II, 17.09.2009, n. 2121).
Ne discende che, poiché la proprietà del signor Donato ricade comunque nella stessa zona in cui è collocata l’unità immobiliare della parte controinteressata, lo scopo, dichiarato nell'istanza, di valutare la legittimità delle autorizzazioni rilasciate, è sufficiente a giustificare l'accesso a tutti i documenti elencati nell'istanza stessa (cfr. TAR Puglia, Lecce, cit. n. 2121/2009) (TAR Lazio-Roma, Sez. II-bis, sentenza 10.05.2011 n. 4053 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Codice del processo amministrativo: Il Cds apre all'annullamento ex nunc. Cds: legittime le azioni di annullamento senza efficacia ex tunc.
Inizia a vacillare uno dei cardini del processo amministrativo: l’efficacia ex tunc delle azioni di annullamento.
Con la sentenza 10.05.2011 n. 2755, Sez. VI, il Consiglio di Stato, sviluppando una decisione di poco precedente (sezione VI, n. 1488/2011), ha osservato che nessuna norma impone sempre e comunque di attribuire all'annullamento effetti retroattivi. A suo tempo, anche questa è stata una costruzione giurisprudenziale che aveva una giustificazione rispetto al contesto normativo dell’epoca.
Oggi, il giudice amministrativo deve tenere conto del principio di effettività -posto simbolicamente nel primo articolo del codice del processo amministrativo- e deve dosare l’efficacia temporale dell’annullamento in modo da non arrivare a conseguenze «manifestamente incongrue o ingiuste». Sino al punto, quando occorra, di attribuire alla sentenza di annullamento il solo effetto conformativo, pro futuro.
La sentenza trova vari indizi della coerenza di questa soluzione col sistema di giustizia amministrativa. Il codice del processo, nel rispetto della direttiva “ricorsi”, consente pronunce d’inefficacia dei contratti di appalto limitate nel tempo. La giustizia europea, più in generale, prevede espressamente che la Corte di giustizia possa modulare nel tempo gli effetti delle decisioni di annullamento degli atti delle istituzioni dell’Unione.
Si potrebbe aggiungere che a conclusioni simili era già arrivato il Conseil d’État francese (sentenza Association AC et autres del 2004) e che anche nel nostro sistema di diritto civile non c’è una regola univoca quanto all’efficacia temporale dell’annullamento. L’annullamento del contratto, ad esempio, è retroattivo ma questo non toglie che la ripetizione delle prestazioni incontri alcuni limiti, specie negli obblighi di fare.
Occorrerà a questo punto vedere se la decisione resti isolata o trovi altre conferme. Il caso deciso dal Consiglio di Stato era in effetti molto particolare. I ricorrenti lamentavano un atto di pianificazione insufficiente a tutelare gli interessi ambientali. L’annullamento con effetti retroattivi avrebbe dunque eliminato anche questa tutela, sia pure inadeguata, e avrebbe travolto una pluralità di situazioni giuridiche che nel frattempo si erano formate. Potrebbe darsi che in futuro la regola resti sempre di gran lunga quella dell’annullamento retroattivo e che decisioni simili siano riservate a casi eccezionali.
Sta di fatto che il giudice amministrativo avrebbe comunque acquisito un nuovo strumento per modellare la tutela sul caso concreto, secondo una logica che innegabilmente emerge dalle pieghe del codice del processo amministrativo. A conferma che, molto spesso, i codici e le leggi valgono più per quanto non vi è scritto che per ciò che vi si legge espressamente (commento tratto da www.diritto24.ilsole24ore.com - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: La normativa sopravvenuta non può essere applicata alla gara il cui bando sia stato pubblicato precedentemente all'entrata in vigore della stessa.
E' costante l'orientamento giurisprudenziale secondo il quale le disposizioni normative sopravvenute non trovano applicazione relativamente alle procedure in itinere alla data della loro entrata in vigore, in quanto il principio tempus regit actum attiene alle sequenze procedimentali composte di atti dotati di propria autonomia funzionale e non anche ad attività (quale è quella di espletamento di una procedura concorsuale di selezione contrassegnata, come nella fattispecie, dal carattere di unitarietà) interamente disciplinate dalle norme vigenti al momento in cui essa ha inizio.
Pertanto, mentre le norme legislative o regolamentari vigenti al momento dell'indizione della procedura devono essere applicate anche se non espressamente richiamate nel bando, le norme sopravvenute non modificano, di regola, le procedure già bandite, a meno che diversamente non sia espressamente stabilito dalle norme stesse (TAR Sardegna, Sezione I, 11.08.2009, n. 1439, TAR Lazio Roma, sez. I, 03.05.2007, n. 3893).
Quindi nelle procedure di gara per l’aggiudicazione di appalti pubblici è inapplicabile la normativa sopravvenuta alla pubblicazione del bando di gara. Infatti, dalla circostanza che il bando, come corpo di norme regolatrici la gara genera affidamento nei soggetti che vi partecipano consegue che la relativa normativa deve ritenersi cristallizzata al momento della pubblicazione dello stesso (TAR Campania, Napoli Sezione I, 11.05.2004 n. 8559). D’altronde costituisce ius receptum il principio in base al quale “il procedimento amministrativo è regolato dal principio tempus regit actum, e ciò comporta che la legittimità di un provvedimento va valutata in relazione alle norme vigenti al tempo in cui lo stesso è adottato, in relazione agli interessi sostanziali tutelati in quella fase del procedimento e quindi, nelle gare pubbliche, dalla fase delle offerte alla fase decisoria e conclusiva dell'avvenuta aggiudicazione” (Consiglio Stato , sez. IV, 12.03.2009, n. 1458).
E’ fuor di dubbio, in definitiva, che la normativa sopravvenuta non può essere applicata alla gara il cui bando sia stato pubblicato precedentemente all'entrata in vigore della stessa, dato che in caso contrario si perverrebbe alla conclusione di applicare al procedimento una regola diversa da quella voluta ex ante dall'Amministrazione in sede di regolamentazione della gara e conosciuta come tale dalle imprese partecipanti, con evidente vulnus dell'affidamento ingenerato nelle concorrenti (commento tratto da www.documentazione.ancitel.it - TAR Sardegna, Sez. I, sentenza 10.05.2011 n. 458 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - AMBIENTE-ECOLOGIA: I meri comitati spontanei che si costituiscono al precipuo scopo di proteggere l’ambiente, la salute e/o la qualità della vita delle popolazioni residenti su un territorio circoscritto sono legittimati a ricorrere.
Il collegio osserva che il riconoscimento delle associazioni di protezione ambientale da parte del Ministero dell’Ambiente non preclude che siano legittimate a proporre ricorso anche associazioni non riconosciute dal Ministero previa verifica, da effettuarsi in sede giurisdizionale caso per caso, della titolarità dell’interesse alla protezione ambientale sulla base degli indici di rappresentatività posseduti in concreto (così Consiglio di Stato VI n. 6554 del 2010).
Una diversa opinione non sarebbe conforme a Costituzione (artt. 24, 103 e 113), se si intendesse attribuire in via esclusiva all’Amministrazione il potere di selezionare i soggetti legittimati ad agire in giudizio, così impedendo l’accesso alla tutela giurisdizionale ad enti esponenziali di posizioni soggettive differenziate e qualificate, definibili quali interessi legittimi.
La legittimazione a ricorrere spetta anche ai meri comitati spontanei che si costituiscono al precipuo scopo di proteggere l’ambiente, la salute e/o la qualità della vita delle popolazioni residenti su un territorio circoscritto. Altrimenti opinando le località e le relative popolazioni, interessate da minacce alla salute pubblica o all’ambiente in un ambito locale circoscritto, non avrebbero autonoma protezione in caso di inerzia delle associazioni ambientaliste riconosciute dal Ministero dell’Ambiente (così Consiglio di Stato VI n. 6554 del 2010).
D’altro canto dalla previsione di cui all’art. 9 della legge n. 241 del 1990 consegue la legittimazione alla proposizione del ricorso da parte non solo di associazioni, ma anche di comitati che abbiano partecipato al procedimento che si sia concluso con provvedimenti che si siano discostati dal contenuto del consenso prestato (così Consiglio di Stato IV n. 2174 del 2009).
Infatti l’orientamento giurisprudenziale che non ammette la legittimazione al ricorso da parte di coloro che siano intervenuti al procedimento si riferisce al caso in cui l’intervento abbia finalità collaborative (ad esempio nel caso di presentazione di osservazioni rispetto all’adozione degli strumenti urbanistici comunali).
Spetta invece la legittimazione a ricorrere quando l’intervento endoprocedimentale sia avvenuto in chiave difensiva degli interessi perseguiti dall’interventore per prevenire eventuali possibili lesioni che potrebbero essere arrecate per effetto dell’adozione dei provvedimenti amministrativi.
Tale quadro normativo è anche coerente con la direttiva europea 27.06.1985 85/337/CEE concernente la valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati, che riconosce alle associazioni ambientali la legittimazione a ricorrere avverso i provvedimenti che autorizzano progetti che hanno impatto ambientale.
Tale direttiva non consente infatti che il legislatore nazionale possa limitare l’accesso al ricorso giurisdizionale ad associazioni con un numero minimo di componenti, tale da comprimere indebitamente la legittimazione al ricorso e così impedendo di fatto che gli interessi collettivi possano essere azionati in giudizio (così Corte di Giustizia CE II 15.10.2009) (TAR Veneto, Sez. III , sentenza 09.05.2011 n. 803 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: L'invalidità di un atto per vizi procedurali può essere riconosciuta solo quando gli adempimenti formali omessi non ammettano equipollenti, per il raggiungimento dello scopo perseguito.
Osserva il Collegio che il principio di strumentalità delle forme, di cui sono oggi espressione gli artt. 21-octies e 21-nonies della l. n. 241 del 1990, opera con riferimento a qualsivoglia adempimento da rendere ai fini della partecipazione alle pubbliche gare, con la conseguenza che non ogni violazione comporta l’automatica esclusione del concorrente che ne è risultato autore, ma l'invalidità di un atto per vizi procedurali può essere riconosciuta solo quando gli adempimenti formali omessi non ammettano equipollenti, per il raggiungimento dello scopo perseguito (Consiglio Stato, sez. VI, 19.03.2009, n. 1670).
In attuazione di detto principio, in presenza di vizi procedurali (nella specie, carenze documentali) può di norma determinarsi la non invalidità della procedura ove il vizio rientri tra quelli che consentono la successiva regolarizzazione, in assenza di una esplicita e non equivoca previsione di esclusione rapportata alla carenza documentale di cui trattasi.

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L'annullamento d'ufficio da parte della stessa Amministrazione che abbia adottato un atto amministrativo illegittimo, salvo taluni casi espressamente previsti dalle norme, costituisce una facoltà discrezionale nella quale l'Amministrazione procedente è tenuta a tenere in considerazione non solo l'interesse pubblico alla rimozione degli effetti prodotti dall'atto illegittimo ma anche la situazione del privato che abbia beneficiato di tale illegittimità, nonché, in senso più lato, anche delle situazioni di terzi che abbiano fatto affidamento sulla presunzione di legittimità dell'atto medesimo.
Dalla natura discrezionale di tale potere scaturisce l'ulteriore corollario che l'Amministrazione è tenuta ad esaminare la possibilità di conservare la situazione giuridica originata dall'atto in tutti quei casi nei quali sia possibile correggere o integrare aspetti e momenti del procedimento, senza che pregiudizio per l'interesse pubblico sostanziale.
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Con riguardo alla responsabilità della Pubblica Amministrazione per i danni causati dall’esercizio illegittimo dell’attività amministrativa, può aderirsi a quell’orientamento favorevole a restare all'interno dei più sicuri confini dello schema e della disciplina della responsabilità aquiliana, che rivelano una maggiore coerenza della struttura e delle regole di accertamento dell'illecito extracontrattuale con i caratteri oggettivi della lesione di interessi legittimi e con le connesse esigenze di tutela, (Cons. Stato, VI, 23.06.2006 n. 3981 e 09.11.2006 n. 6607; IV, 06.07.2004 n. 5012; 10.08.2004 n. 5500)
(Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 06.05.2011 n. 2725 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: L'inosservanza di una determinata prescrizione contenuta nella "lex specialis" circa le modalità di presentazione dell'offerta implica, invero, la doverosa esclusione del concorrente solo quando si tratta di clausole rispondenti ad un particolare interesse dell'Amministrazione appaltante o poste a garanzia della par condicio tra i concorrenti e del correlato principio della segretezza delle offerte, giacché tra più interpretazioni delle norme di gara è da preferire quella che conduca alla partecipazione del maggior numero possibile di aspiranti, al fine di consentire, nell'interesse pubblico, una selezione più accurata tra un ventaglio più ampio di offerte
L'inosservanza di una determinata prescrizione contenuta nella "lex specialis" circa le modalità di presentazione dell'offerta implica, invero, la doverosa esclusione del concorrente solo quando si tratta di clausole rispondenti ad un particolare interesse dell'Amministrazione appaltante o poste a garanzia della par condicio tra i concorrenti e del correlato principio della segretezza delle offerte, giacché tra più interpretazioni delle norme di gara è da preferire quella che conduca alla partecipazione del maggior numero possibile di aspiranti, al fine di consentire, nell'interesse pubblico, una selezione più accurata tra un ventaglio più ampio di offerte (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 06.05.2011 n. 2725 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: L’amministrazione statale non può annullare il nulla-osta paesaggistico per motivi di merito.
Come questo Consiglio di Stato ha già avuto modo di rilevare, l'art. 82 del d.P.R. 24.07.1977, n. 616, sul trasferimento di funzioni statali alle Regioni e agli Enti locali, come modificato dalla l. 08.08.1985, n. 431, (successivamente trasfuso nell'art. 151, comma 4, secondo periodo, del d.lgs. 29.10.1999, n. 490), attribuiva al Ministero dei beni e delle attività culturali la potestà di annullare l'autorizzazione rilasciata dalla Regione o dall'ente sub regionale competente quando la stessa fosse risultata illegittima, anche per eccesso di potere, mentre non consentiva di disporre l'annullamento per ragioni di merito, né di modificare il contenuto dell'autorizzazione o di imporre modifiche progettuali (Cons. Stato, sez. II, 10.06.2010 n. 1246).
Tale potere di annullamento andava esercitato entro il termine perentorio di sessanta giorni, termine che si riferisce non alla comunicazione, ma alla sola adozione del provvedimento, non avendo lo stesso natura recettizia (Cons. Stato, sez. VI, 09.06.2009 n. 3557 e 29.12.2008 n. 6586)).
Tali affermazioni sono state ribadite anche in riferimento alla natura (perentoria) del termine per l’annullamento del parere favorevole reso dall’amministrazione cui compete esprimersi ai sensi dell’art. 32 l. n. 47/1985, ribadendosi altresì la natura non recettizia dell’atto di annullamento (Cons. Stato, sez. VI, 13.02.2009 n. 769)
Da quanto sin qui esposto, consegue:
- che il parere sui profili di compatibilità con il vincolo paesaggistico deve essere reso ai fini della possibilità di emettere concessione edilizia in sanatoria ex l. n. 47/1985;
- che tale parere è sottoposto all’eventuale esercizio del potere di annullamento da parte della competente amministrazione statale;
- che il provvedimento di annullamento, di natura non recettizia, deve essere emanato entro il termine perentorio di sessanta giorni.
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Come si è già avuto modo di affermare, è indubbio che l’amministrazione statale non può disporre l'annullamento dell’autorizzazione paesaggistica o del nulla-osta paesaggistico adottato dall’amministrazione competente per ragioni di merito né ha il potere di modificare il contenuto dell'autorizzazione o di imporre modifiche progettuali (Cons. Stato, sez. II, 10.06.2010 n. 1246) (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 04.05.2011 n. 2664 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA - URBANISTICA: Il sindacato giurisdizionale del piano di classificazione acustica è ammesso limitatamente ai casi di gravi illogicità, irrazionalità o travisamenti sintomatici del vizio di eccesso di potere.
Mutuando le conclusioni della giurisprudenza consolidata in tema di pianificazione urbanistica, le scelte pianificatorie effettuate dalla P.A. possono formare oggetto di sindacato di legittimità da parte del giudice amministrativo laddove risultino inficiate da arbitrarietà, irrazionalità od irragionevolezza, o dal travisamento dei fatti in relazione alle esigenze che si intendono concretamente soddisfare (cfr., ex multis, C.d.S., Sez. IV, 26.04.2006, n. 2291; id., 18.06.2009, n. 4024).
Con specifico riferimento alla zonizzazione acustica, poi, si è chiarito che le scelte effettuate dal Comune in materia di classificazione acustica non afferiscono al merito dell’attività pianificatoria/programmatoria dell’Ente, insindacabile in sede di giudizio di legittimità, ma sono espressione di discrezionalità tecnica, ancorata all’accertamento di specifici presupposti di fatto, il primo dei quali è il preuso del territorio: ciò, poiché non è possibile sacrificare oltremodo le aspettative consolidate di coloro che si sono legittimamente insediati in zone qualificate industriali e, quindi, funzionalmente deputate all’espletamento di attività produttive, che non debbono subire limitazioni, a causa della classificazione acustica, non adeguatamente giustificate, diversamente da ciò che potrebbe avvenire, ad es., per le attività industriali localizzate in zona impropria (cfr. TAR Veneto, Sez. III, 24.01.2007, n. 187).
Donde la sindacabilità di tali scelte, nei limiti, appunto, in cui è ammesso il sindacato degli atti che costituiscono espressione di discrezionalità tecnica (per illogicità manifesta, travisamento dei fatti, palese disparità di trattamento: TAR Lazio, Roma, Sez. I, 30.09.2010, n. 32618).
Del resto, sempre con riguardo al piano di classificazione acustica, la più recente giurisprudenza del Consiglio di Stato ne ha ammesso il sindacato giurisdizionale, ancorché negli stessi limiti degli altri atti di pianificazione del territorio, al fine di non invadere il merito delle scelte discrezionali adottate dalla P.A. e, dunque, limitatamente ai casi di gravi illogicità, irrazionalità o travisamenti sintomatici del vizio di eccesso di potere (C.d.S., Sez. IV, 31.12.2009, n. 9301)
(TAR Toscana, Sez. II, sentenza 04.05.2011 n. 776 - (link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: L’eventuale annullamento dell’atto di adozione esplica effetti automaticamente caducanti, e non già meramente vizianti, sul successivo provvedimento di approvazione, nella parte in cui lo stesso conferma le previsioni già contenute nel piano adottato e fatto oggetto di impugnativa: ciò giacché l’annullamento dell’atto di adozione implica il venir meno di uno degli elementi necessari di un atto complesso, il cui procedimento si conclude solo con l’approvazione.
La giurisprudenza è costante nel ritenere che l’eventuale annullamento dell’atto di adozione esplica effetti automaticamente caducanti, e non già meramente vizianti, sul successivo provvedimento di approvazione, nella parte in cui lo stesso conferma le previsioni già contenute nel piano adottato e fatto oggetto di impugnativa (C.d.S., Sez. IV, 08.03.2010, n. 1361): ciò giacché l’annullamento dell’atto di adozione implica il venir meno di uno degli elementi necessari di un atto complesso, il cui procedimento si conclude solo con l’approvazione (C.d.S. Sez. IV, 13.04.2005, n. 1743).
L’atto di adozione e quello di approvazione, che andranno a comporre l’atto complesso di pianificazione, restano comunque due atti distinti, tanto che, da un lato, l’impugnazione dell’atto di adozione è una semplice facoltà, il cui mancato esercizio non comporta alcuna preclusione in ordine all’impugnazione della successiva approvazione del piano; dall’altro lato, la mancata impugnazione dell’atto di approvazione non comporta di regola cessazione di interesse al ricorso presentato contro il primo, a meno che l’approvazione non abbia determinato modifiche delle prescrizioni e previsioni impugnate (C.d.S., Sez. IV, 13.01.2010, n. 50) (
TAR Toscana, Sez. II, sentenza 04.05.2011 n. 776 - (link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Impianti fotovoltaici - Disciplina urbanistica comunale - Indifferenziato divieto di installazione - Illegittimità - Autorizzazione ex art. 12 d.lgs. n. 387/2003 - Valenza di variante urbanistica.
Il corretto fine e onere di tutelare il paesaggio non può tradursi in un indifferenziato o generalizzato divieto di installazione di impianti fotovoltaici nella quasi totalità delle aree agricole del Comune e prescindendo da peculiarità specifiche delle aree, poiché tali impianti sono comunque oggetto di particolari discipline incentivate a più livelli.
Ne deriva la correttezza della scelta della Provincia, amministrazione procedente, di disattendere la disciplina urbanistica comunale che produca un simile risultato, invocando anche la specifica valenza di variante urbanistica del procedimento di cui all’art. 12 del d.lgs. n. 387/2003 (TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 04.05.2011 n. 451 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Condono edilizio e requisiti igienico-sanitari. Non è possibile derogare ai igienico-sanitari per le costruzioni oggetto di condono edilizio.
Il rilascio del certificato di abitabilità di un fabbricato, conseguente al condono edilizio, ai sensi dell'art. 35 comma 20, della L. 47/1985, può legittimamente avvenire in deroga solo a norme regolamentari e non anche quando siano carenti condizioni di salubrità richieste invece da fonti normative di livello primario, in quanto la disciplina del condono edilizio, per il suo carattere di eccezionalità e derogatorio, non è suscettibile di interpretazioni estensive e, soprattutto, tali da incidere sul fondamentale principio della tutela della salute, con evidenti riflessi sul piano della legittimità costituzionale.
Questo in sintesi il principio ribadito dal Consiglio di Stato, Sez. IV, con la sentenza 03.05.2011 n. 2620, che, sulla scorta di precedenti pronunce, aggiunge che non è possibile ritenere che l’art. 35, comma 20, della L. 47/1985 contenga una deroga generale ed indiscriminata alle norme che presidiano i requisiti di abitabilità degli edifici, e ciò proprio perché la detta legge intende contemperare valori tutti costituzionalmente garantiti, quali, tra gli altri, da un lato il diritto alla salute e dall’altro il diritto all’abitazione e al lavoro (commento tratto da www.legislazionetecnica.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIl rilascio del certificato di abitabilità di un fabbricato, conseguente al condono edilizio, ai sensi del citato art. 35, comma 20, l. n. 47 del 1985, può legittimamente avvenire in deroga solo a norme regolamentari e non anche quando siano carenti condizioni di salubrità richieste invece da fonti normative di livello primario, in quanto la disciplina del condono edilizio, per il suo carattere di eccezionalità e derogatorio, non è suscettibile di interpretazioni estensive e, soprattutto, tali da incidere sul fondamentale principio della tutela della salute, con evidenti riflessi sul piano della legittimità costituzionale.
La deroga introdotta dall’art. 35, comma 20, non riguarda i requisiti richiesti da disposizioni legislative e deve, pertanto, escludersi una automaticità assoluta nel rilascio del certificato di abitabilità ... a seguito di concessione in sanatoria, dovendo invece il Comune verificare che al momento del rilascio del certificato di abitabilità siano osservate non solo le disposizioni di cui all'art. 221 T.U. delle leggi sanitarie (rectius, di cui all'art. 4 del D.p.r. 425/1994), ma, altresì quelle previste da altre disposizioni di legge in materia di abitabilità e servizi essenziali relativi e rispettiva normativa tecnica .... Permangono, infatti, in capo ai Comuni tutti gli obblighi inerenti alla verifica delle condizioni igienico-sanitarie per l'abitabilità degli edifici, con l'unica possibile deroga ai requisiti fissati da norme regolamentari.
Non è possibile ritenere che l’art. 35, comma 20, l. n. 47/1985 contenga una deroga generale ed indiscriminata alle norme che presidiano i requisiti di abitabilità degli edifici, e ciò proprio perché la detta legge intende contemperare valori tutti costituzionalmente garantiti, quali, tra gli altri, da un lato il diritto alla salute e dall’altro il diritto all’abitazione e al lavoro.
Laddove le condizioni concrete di un immobile rendano il medesimo tale da non essere ritenuto abitabile, poiché esse si pongono in contrasto con il rispetto della dignità umana (art. 2 Cost.) e del diritto alla salute (art. 32 Cost.), o, più specificamente, con le condizioni richiamate dagli artt. 218 e 221 TULS, non rileva che la specifica condizione di inabitabilità trovi letterale richiamo in una norma di regolamento comunale (o che ad essere citata negli atti amministrativi sia proprio e solo quella norma), poiché quanto obiettivamente constatato contrasta direttamente con le indicate norme primarie e con il contenuto precettivo di disposizioni costituzionali. Ne consegue che, in tali ipotesi, non può trovare applicazione la deroga prevista dal più volte citato art. 35, comma 20, l. n. 47/1985.

L’art. 35, comma 20 (già comma 14) della legge 47/1985, prevede che:
A seguito della concessione o autorizzazione in sanatoria viene altresì rilasciato il certificato di abitabilità o agibilità anche in deroga ai requisiti fissati da norme regolamentari, qualora le opere sanate non contrastino con le disposizioni vigenti in materia di sicurezza statica, attestata dal certificato di idoneità di cui alla lettera b) del terzo comma e di prevenzione degli incendi e degli infortuni”.
La giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, in merito all’interpretazione di detta norma, ha già avuto modo di affermare che il rilascio del certificato di abitabilità di un fabbricato, conseguente al condono edilizio, ai sensi del citato art. 35, comma 20, l. n. 47 del 1985, può legittimamente avvenire in deroga solo a norme regolamentari e non anche quando siano carenti condizioni di salubrità richieste invece da fonti normative di livello primario, in quanto la disciplina del condono edilizio, per il suo carattere di eccezionalità e derogatorio, non è suscettibile di interpretazioni estensive e, soprattutto, tali da incidere sul fondamentale principio della tutela della salute, con evidenti riflessi sul piano della legittimità costituzionale (Cons. Stato, sez. V, 15.04.2004 n. 2140; 13.04.1999 n. 414).
Tale orientamento risulta, peraltro, del tutto coerente con quello espresso dalla Corte Costituzionale, che, con sentenza 18.07.1996 n. 256, ha affermato che la deroga introdotta dall’art. 35, comma 20, "non riguarda i requisiti richiesti da disposizioni legislative e deve, pertanto, escludersi una automaticità assoluta nel rilascio del certificato di abitabilità ... a seguito di concessione in sanatoria, dovendo invece il Comune verificare che al momento del rilascio del certificato di abitabilità siano osservate non solo le disposizioni di cui all'art. 221 T.U. delle leggi sanitarie (rectius, di cui all'art. 4 del D.p.r. 425/1994), ma, altresì quelle previste da altre disposizioni di legge in materia di abitabilità e servizi essenziali relativi e rispettiva normativa tecnica .... Permangono, infatti, in capo ai Comuni tutti gli obblighi inerenti alla verifica delle condizioni igienico-sanitarie per l'abitabilità degli edifici, con l'unica possibile deroga ai requisiti fissati da norme regolamentari".
Orbene, alla luce della giurisprudenza riportata e della lettura costituzionalmente orientata della norma, resa dalla Corte Costituzionale, appare evidente che non è possibile ritenere che l’art. 35, comma 20, l. n. 47/1985 contenga una deroga generale ed indiscriminata alle norme che presidiano i requisiti di abitabilità degli edifici, e ciò proprio perché –come chiarito sempre dalla Corte Costituzionale con la sentenza citata (e già prima con sentenza n. 427/1995)– la detta legge intende contemperare valori tutti costituzionalmente garantiti, quali, tra gli altri, da un lato il diritto alla salute e dall’altro il diritto all’abitazione e al lavoro.
Una interpretazione che validi una deroga “generale” alla normativa a tutela della salute, con particolare riguardo al luogo di abitazione, si porrebbe, dunque, in contrasto non solo con l’art. 32 Cost., ma anche con quelle stesse esigenze di contemperamento tra diversi valori costituzionali, proprie della legge n. 47/1995.
Pertanto, mentre possono essere derogate norme regolamentari, non possono esserlo norme di legge, in quanto rispetto ad esse la deroga non è evocata nell’art. 35, comma 20.
Tanto precisato, appare evidente come –nel definire l’ambito della deroga– non può assumere esclusiva rilevanza il mero dato formale dell’appartenenza della disposizione (e della norma da essa espressa) ad una fonte primaria (come tale non derogabile) ovvero ad una fonte secondaria (quindi derogabile), ma occorre verificare se le specifiche condizioni igienico-sanitarie violino norme regolamentari imposte, ad esempio, dai regolamenti comunali, quale ulteriore e specifica esigenza da essi rappresentata con riferimento a specificità di quel singolo territorio, ovvero si tratti di norme regolamentari che attuano precedenti disposizioni primarie.
In altre parole, l’art. 35, comma 20, l. n. 47/1985 ha inteso evitare che singole, specifiche disposizioni regolamentari –espressione di esigenze locali e comunque non attuative di norme di legge gerarchicamente sovraordinate– possano costituire, ex post, mediante il diniego del certificato di abitabilità, ostacolo al condono, e quindi alla regolarizzazione, delle costruzioni abusive, frustrando l’esigenza di “rientro nella legalità”, che, per il tramite della detta legge, si è inteso attuare.
Ma, allo stesso tempo, la citata disposizione non ha inteso porre nel nulla la tutela igienico-sanitaria degli edifici e, quindi, il diritto alla salute dei cittadini.
In tal senso, occorre ricordare che l’art. 218 R.D. 27.07.1934 n. 1265 (Testo unico delle leggi sanitarie) prevede, tra l’altro:
I regolamenti locali di igiene e sanità stabiliscono le norme per la salubrità dell'aggregato urbano e rurale e delle abitazioni, secondo le istruzioni di massima emanate dal Ministro della sanità.
I detti regolamenti debbono contenere le norme dirette ad assicurare che nelle abitazioni:
a) non vi sia difetto di aria e di luce;
b) lo smaltimento delle acque immonde, delle materie escrementizie e di altri rifiuti avvenga in modo da non inquinare il sottosuolo;
c) le latrine, gli acquai e gli scaricatoi siano costruiti e collocati in modo da evitare esalazioni dannose o infiltrazioni;
d) l'acqua potabile nei pozzi, in altri serbatoi e nelle condutture sia garantita da inquinamento
”.
Appare evidente come tale disposizione, per un verso, affida ai regolamenti, in generale, di stabilire le norme per la salubrità delle abitazioni; per altro verso, impone a tali regolamenti (con ciò esprimendo un precetto normativo di rango primario) di assicurare che nelle abitazioni, tra l’altro, non vi sia “difetto di aria e di luce”, vi siano congrui servizi igienici, etc.
Allo stesso modo, il successivo art. 221 prevede che possa essere concessa l’abitabilità ad un edificio, allorchè, tra l’altro, “non sussistano altre cause di insalubrità”.
In definitiva, laddove le condizioni concrete di un immobile rendano il medesimo tale da non essere ritenuto abitabile, poiché esse si pongono in contrasto con il rispetto della dignità umana (art. 2 Cost.) e del diritto alla salute (art. 32 Cost.), o, più specificamente, con le condizioni richiamate dagli artt. 218 e 221 TULS, non rileva che la specifica condizione di inabitabilità trovi letterale richiamo in una norma di regolamento comunale (o che ad essere citata negli atti amministrativi sia proprio e solo quella norma), poiché quanto obiettivamente constatato contrasta direttamente con le indicate norme primarie e con il contenuto precettivo di disposizioni costituzionali.
Ne consegue che, in tali ipotesi, non può trovare applicazione la deroga prevista dal più volte citato art. 35, comma 20, l. n. 47/1985.
In tal senso si è già pronunciato questo Consiglio di Stato che, con la già citata sentenza n. 2140/2004, ha valutato che “le deficienze igienico sanitarie (umidità diffusa, scarsa aereazione ed illuminazione) riscontrate nei locali di cui si tratta dai competenti uffici della U.s.l. integrano la violazione di prescrizioni poste a tutela della salubrità degli ambienti adibiti ad abitazione da fonti normative di carattere primario, quali gli artt. 218 e 221 del T.U. delle leggi sanitarie 27.07.1934 n. 1265.”
Né deve sorprendere la circostanza che il provvedimento abbia fatto salva una funzione accessoria dell’immobile –quindi condonandolo sul piano edilizio-urbanistico ma interdicendolo all’uso abitativo– posto che è del tutto evidente come possano esservi ambienti accessori ad ambienti ad uso abitativo (ad es., cantine), per i quali sono ragionevolmente diversi i requisiti igienici
Come ha chiarito la Corte Costituzionale (sent. n. 256/1996 cit.), “d'altro canto, il certificato di abitabilità non deve necessariamente autorizzare in maniera uniforme tutto l'edificio o parte di esso, dovendo essere distinti gli usi abitativi o di semplice agibilità, quando alcuni locali siano utilizzabili solo come accessori o come locali non destinabili a usi abitativi stabili o come depositi o con altri usi non abitativi, quando non siano strutturalmente idonei sotto il profilo igienico-sanitario per una abitabilità piena, ancorché oggetto di concessione edilizia in sanatoria.” (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 03.05.2011 n. 2620 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA I lavori di ricostruzione di un edificio demolito non sono ricompresi né tra gli interventi di manutenzione straordinaria, per i quali è prevista l'autorizzazione del sindaco, né tra quelli di restauro o di risanamento conservativo, ma rientrano, semmai, fra gli interventi di ristrutturazione edilizia: per tali interventi è richiesta la concessione.
Secondo una consolidata giurisprudenza, i lavori di ricostruzione di un edificio demolito, come quello in questione, ove la stessa ricorrente ha ammesso che le mura di sostegno sono crollate, non sono ricompresi né tra gli interventi di manutenzione straordinaria, per i quali è prevista l'autorizzazione del sindaco, né tra quelli di restauro o di risanamento conservativo, ma rientrano, semmai, fra gli interventi di ristrutturazione edilizia: per tali interventi è richiesta la concessione (cfr., ex multis, Cassazione penale, III, 21.12.1998, n. 1218; VI, 05.03.1997, n. 5987; TAR Liguria, I, 03.04.2003, n. 451).
Va anche rilevato che la ricorrente non ha fornito alcun elemento, anche soltanto indiziario, idoneo a dimostrare che il crollo sia avvenuto del tutto casualmente, per effetto dei lavori, come labialmente asserito (TAR Sicilia-Palermo, Sez. III, sentenza 03.05.2011 n. 820 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Non è dovuta la comunicazione di avvio del procedimento, ex art. 7, l. n. 241 del 1990, rispetto ad una ordinanza avente carattere contingibile ed urgente ai sensi dell'art. 54, d.lg. n. 267 del 2000.
Il potere di adozione di un'ordinanza contingibile ed urgente di cui all'art. 54, d.lgs. n. 267 del 2000 presuppone la necessità di provvedere in via d'urgenza con strumenti extra ordinem per far fronte a situazioni di natura eccezionale ed imprevedibile di pericolo attuale ed imminente per l'incolumità pubblica, cui non si può provvedere con gli strumenti ordinari apprestati dall'ordinamento.
Il potere di emanare ordinanze contingibili ed urgenti conserva la sua connotazione atipica e residuale, ed è pertanto esercitabile, sussistendone le condizioni, tutte le volte in cui non sia conferito dalla legge il potere di emanare atti tipici, in presenza di presupposti indicati da specifiche normative di settore.

Afferma costante giurisprudenza che non è dovuta la comunicazione di avvio del procedimento, ex art. 7, l. n. 241 del 1990, rispetto ad una ordinanza avente carattere contingibile ed urgente ai sensi dell'art. 54, d.lg. n. 267 del 2000 (cfr., da ultimo, TAR Lazio Roma, sez. II, 14.05.2010, n. 11327).
In tal caso, infatti, l'urgenza di provvedere è connaturata alla funzione stessa del provvedimento adottato (cfr. TAR Piemonte Torino, sez. II, 18.02.2010, n. 965). 
Come questo Tribunale ha osservato, il potere di adozione di un'ordinanza contingibile ed urgente di cui all'art. 54, d.lgs. n. 267 del 2000 presuppone la necessità di provvedere in via d'urgenza con strumenti extra ordinem per far fronte a situazioni di natura eccezionale ed imprevedibile di pericolo attuale ed imminente per l'incolumità pubblica, cui non si può provvedere con gli strumenti ordinari apprestati dall'ordinamento (cfr. TAR Calabria Catanzaro, sez. II, 09.09.2010, n. 2556).
Del resto, il potere di emanare ordinanze contingibili ed urgenti, pur dopo il suo ampliamento ad opera del d.l. n. 92 del 2008, convertito con modificazioni in l. n. 125 del 2008, conserva la sua connotazione atipica e residuale, ed è pertanto esercitabile, sussistendone le condizioni, tutte le volte in cui non sia conferito dalla legge il potere di emanare atti tipici, in presenza di presupposti indicati da specifiche normative di settore (cfr. TAR Toscana Firenze, sez. II, 24.08.2010, n. 4876) (TAR Calabria-Catanzaro, Sez. I, sentenza 03.05.2011 n. 607 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: Il trasferimento della proprietà delle opere di urbanizzazione in capo al comune costituisce un'obbligazione ex lege -inderogabile e indisponibile per le parti della convenzione di lottizzazione in base alla quale le opere stesse sono state realizzate-, ex art. 28 della L. n. 1150 del 17.08.1942, con la conseguenza che le parti non potrebbero legittimamente accordarsi sul loro mantenimento in capo al lottizzante, essendo tali opere strumentali allo svolgimento di pubblici servizi fisiologicamente rientranti nelle competenze dell'autorità amministrativa (mentre la gestione degli stessi per mezzo di privati sarebbe teoricamente concepibile solo previo atto di concessione di pubblico servizio, contenente le regole da osservare per garantire l'ottimale soddisfacimento del servizio offerto ai cittadini).
La convenzione di lottizzazione non può contenere clausole ostative al trasferimento delle opere in capo all'Ente locale, non potendosi ragionevolmente affermare che il Comune possa sottrarsi all'acquisizione delle aree ove insistono le opere di urbanizzazione, "stante il fatto che l'obbligo di tale acquisizione risulta puntualmente enunciato dall'anzidetto art. 28 della L. 1150 del 1942", ove al quinto comma si prevede che la convenzione di lottizzazione debba contemplare, comunque, "la cessione gratuita entro termini prestabiliti delle aree necessarie per le opere di urbanizzazione primaria, precisate dall'articolo 4 della legge 29.09.1964, n. 847".
E’ un dato pacifico che gli oneri di manutenzione ordinaria e straordinaria connessi alle opere di urbanizzazione ricadono interamente sull'ente locale una volta acquisite al suo patrimonio per cessione (previo collaudo sulla loro regolare esecuzione) da parte del lottizzante.

Il trasferimento della proprietà delle opere di urbanizzazione in capo al comune costituisce un'obbligazione ex lege -inderogabile e indisponibile per le parti della convenzione di lottizzazione in base alla quale le opere stesse sono state realizzate-, ex art. 28 della L. n. 1150 del 17.08.1942, con la conseguenza che le parti non potrebbero legittimamente accordarsi sul loro mantenimento in capo al lottizzante, essendo tali opere strumentali allo svolgimento di pubblici servizi fisiologicamente rientranti nelle competenze dell'autorità amministrativa (mentre la gestione degli stessi per mezzo di privati sarebbe teoricamente concepibile solo previo atto di concessione di pubblico servizio, contenente le regole da osservare per garantire l'ottimale soddisfacimento del servizio offerto ai cittadini); ove, infatti, si ammettesse la possibilità di mantenere la gestione delle opere di urbanizzazione primaria in capo al lottizzante, i cittadini interessati (che hanno diritto di pretendere servizi di qualità, che solo l'ente pubblico può garantire, non essendo la sua azione finalizzata ad ottenere un utile d'impresa) resterebbero sostanzialmente "in balia" del privato gestore, il quale avrebbe tutto l'interesse a contenere i costi di manutenzione, con presumibile decadimento della qualità dei servizi offerti (cfr. TAR Sardegna Cagliari, sez. II, 19.02.2010, n. 187).
Si consideri che il TAR Veneto, con sentenza n. 1373/2004, ha avuto modo di chiarire che, la convenzione di lottizzazione non può contenere clausole ostative al trasferimento delle opere in capo all'Ente locale, non potendosi ragionevolmente affermare che il Comune possa sottrarsi all'acquisizione delle aree ove insistono le opere di urbanizzazione, "stante il fatto che l'obbligo di tale acquisizione risulta puntualmente enunciato dall'anzidetto art. 28 della L. 1150 del 1942", ove al quinto comma si prevede -nel testo conseguente alle sostituzioni disposte per effetto dell'art. 8 della L. 765 del 1967- che la convenzione di lottizzazione debba contemplare, comunque, "la cessione gratuita entro termini prestabiliti delle aree necessarie per le opere di urbanizzazione primaria, precisate dall'articolo 4 della legge 29.09.1964, n. 847".
Così come deve ancora osservarsi che il legislatore, nel disciplinare le opere di urbanizzazione, ha confermato la possibilità della realizzazione diretta c.d. a scomputo dal contributo di concessione ma non ha lasciato alcun dubbio in merito al passaggio della proprietà delle stesse, una volta realizzate, in capo all'ente pubblico territoriale di riferimento, prevedendone la confluenza nel patrimonio indisponibile (art. 16, comma 2, d.lgs. n. 380 del 2001); ciò ad ulteriore riprova che si tratti di beni destinati alla fruizione pubblica. In altri termini per le dette opere di urbanizzazione si registra una presunzione iuris et de iure di proprietà pubblica, con la conseguenza che per tali interventi, a seguito dell'entrata in vigore del T.U. edilizia, non può ipotizzarsi la permanenza in capo ai privati della relativa proprietà (cfr. TAR Puglia Bari, sez. II, 01.07.2010, n. 2815). Quanto alle relative aree, l'esecuzione delle ricordate opere di urbanizzazione (in osservanza di un obbligo imposto dalla convenzione di lottizzazione), comporta l’asservimento all'uso pubblico delle relative aree, che, per tale motivo, non possono rimanere nella disponibilità dei privati (cfr. TAR Marche Ancona, 06.08.2003, n. 939).
E’ un dato, quindi, pacifico che gli oneri di manutenzione ordinaria e straordinaria connessi alle opere di urbanizzazione ricadono interamente sull'ente locale una volta acquisite al suo patrimonio per cessione (previo collaudo sulla loro regolare esecuzione) da parte del lottizzante (cfr. TAR Sardegna Cagliari, sez. II, 26.01.2009, n. 89)
(TAR Calabria-Catanzaro, Sez. I, sentenza 03.05.2011 n. 607 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Gare, un'impresa per proprietario. Cassazione: vietato presentare più aziende.
Stretta della Cassazione sugli appalti pubblici. Commette il reato di turbata libertà degli incanti il proprietario di diverse aziende che si presentano a una gara simultaneamente e con offerte concordate (Corte di Cassazione, Sez. VI penale, sentenza 29.04.2011 n. 16333).

EDILIZIA PRIVATAIl divieto di costruzione di opere ad una determinata distanza dagli argini dei corsi d'acqua, previsto dall'art. 96, lett. f), t.u. 25.07.1904, n. 523, ha carattere assoluto ed inderogabile, in quanto teso a consentire le normali operazioni di ripulitura e di manutenzione, e di impedire le esondazioni delle acque.
Occorre ricordare che il divieto di costruzione di opere ad una determinata distanza dagli argini dei corsi d'acqua, previsto dall'art. 96, lett. f), t.u. 25.07.1904, n. 523, abbia carattere assoluto ed inderogabile, in quanto teso a consentire le normali operazioni di ripulitura e di manutenzione, e di impedire le esondazioni delle acque (Cassazione civile, sez. I, 22.04.2005, n. 8536; Consiglio di Stato, sez. IV, 23.07.2009, n. 4663; Consiglio di Stato, sez. V, 26.03.2009, n. 1814).
La deroga contenuta nella lettera F del citato art. 96, per cui la distanza minima si applica in mancanza di “discipline vigenti nelle diverse località” è quindi di carattere eccezionale. Come è stato chiarito dalla giurisprudenza della Suprema corte, “ciò significa che la normativa locale, per prevalere sulla norma generale, deve avere carattere specifico, ossia essere una normativa espressamente dedicata alla regolamentazione della tutela delle acque e alla distanza dagli argini delle costruzioni, che tenga esplicitamente conto della regola generale espressa dalla normativa statale e delle peculiari condizioni delle acque e degli argini che la norma locale prende in considerazione al fine di stabilirvi l'eventuale deroga.
Nulla vieta che la norma locale sia espressa anche mediante l'utilizzo di uno strumento urbanistico, come può essere il piano regolatore generale, ma occorre che tale strumento contenga una norma esplicitamente dedicata alla regolamentazione delle distanze delle costruzioni dagli argini anche in eventuale deroga al R.D. 25.07.1904, n. 523, art. 96, lett. f), in relazione alla specifica condizione locale delle acque di cui trattasi
” (Cassazione civile, sez. un., 18.07.2008, n. 19813) (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 29.04.2011 n. 2544 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa “ratio” dell’art. 64 della LR Lombardia 12/2005, laddove vieta il superamento dei limiti di altezza previsti dagli strumenti urbanistici, è senza dubbio quella di evitare che attraverso il recupero abitativo dei sottotetti esistenti vengano nei fatti eluse o violate le prescrizioni urbanistiche vincolanti in tema di altezza massima di edifici, giacché tale superamento finirebbe per aggravare carichi urbanistici spesso assai consistenti, ponendo così in discussione equilibri urbanistici talora fragili, soprattutto nell’agglomerato urbano milanese.
Di conseguenza, laddove uno stabile già supera l’altezza massima prevista da disposizioni di piano successive alla sua edificazione, non può consentirsi un ulteriore innalzamento, derivante dal recupero del sottotetto, in quanto ciò sarebbe eccessivamente lesivo dell’interesse della collettività al rispetto dei carichi urbanistici della zona.

La circostanza che il nuovo progetto preveda la non abitabilità dell’immobile realizzato, in quanto sono state tamponate le finestre, non può indurre a ritenere che il nuovo edificato non venga computato ai fini dell’altezza.
Sul profilo dell’altezza si richiama l’orientamento di questa Sezione (n. 7612/2010) laddove si è affermato, in un caso simile in cui le NTA prevedono il limite di altezza di 10 metri, che “la “ratio” dell’art. 64 della LR 12/2005, laddove vieta il superamento dei limiti di altezza previsti dagli strumenti urbanistici, è senza dubbio quella di evitare che attraverso il recupero abitativo dei sottotetti esistenti vengano nei fatti eluse o violate le prescrizioni urbanistiche vincolanti in tema di altezza massima di edifici, giacché tale superamento finirebbe per aggravare carichi urbanistici spesso assai consistenti, ponendo così in discussione equilibri urbanistici talora fragili, soprattutto nell’agglomerato urbano milanese.
Di conseguenza, laddove uno stabile già supera l’altezza massima prevista da disposizioni di piano successive alla sua edificazione, non può consentirsi un ulteriore innalzamento, derivante dal recupero del sottotetto, in quanto ciò sarebbe eccessivamente lesivo dell’interesse della collettività al rispetto dei carichi urbanistici della zona
.”
(TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 29.04.2011 n. 1105 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAVanno considerati come dei volumi tecnici (come tali non rilevanti ai fini della volumetria di un immobile) quei volumi destinati esclusivamente agli impianti necessari per l'utilizzo dell'abitazione e che non possono essere ubicati al suo interno, mentre non sono tali -e sono quindi computabili ai fini della volumetria consentita- le soffitte, gli stenditori chiusi e quelli «di sgombero», nonché il piano di copertura, impropriamente definito sottotetto, ma costituente in realtà una mansarda, in quanto dotato di rilevante altezza media rispetto al piano di gronda.
La realizzazione di un locale sottotetto con vani distinti e comunicanti con il piano sottostante mediante una scala interna è indice rivelatore dell'intento di rendere abitabile detto locale, non potendosi considerare volumi tecnici i vani in esso ricavati.

Per quanto attiene la possibilità di non considerare, ai fini dei parametri edilizi, un vano privo dei requisiti della abitabilità, si ritiene di poter fare applicazione della recente decisione del Consiglio di Stato sez. IV n. 812 del 07.02.2011, in cui sono stati affermati due principi particolarmente rilevanti anche per il caso de quo: “Vanno considerati come dei volumi tecnici (come tali non rilevanti ai fini della volumetria di un immobile) quei volumi destinati esclusivamente agli impianti necessari per l'utilizzo dell'abitazione e che non possono essere ubicati al suo interno, mentre non sono tali -e sono quindi computabili ai fini della volumetria consentita- le soffitte, gli stenditori chiusi e quelli «di sgombero», nonché il piano di copertura, impropriamente definito sottotetto, ma costituente in realtà una mansarda, in quanto dotato di rilevante altezza media rispetto al piano di gronda.
La realizzazione di un locale sottotetto con vani distinti e comunicanti con il piano sottostante mediante una scala interna è indice rivelatore dell'intento di rendere abitabile detto locale, non potendosi considerare volumi tecnici i vani in esso ricavati
”.
Pertanto nel caso di specie è innegabile che si sia voluto creare un locale con requisiti di abitabilità, rendendolo non abitabile con una semplice operazione di tamponamento delle finestre.
Ciò non può portare, ad avviso del Collegio, a considerare l’opera realizzata come locale accessorio non abitabile ai sensi dell’art. 31 del Regolamento Edilizio, e in quanto tale da non considerare ai fini dell’altezza, escludendo in tal modo che si tratti di un recupero del sottotetto.
L’opera presenta infatti i caratteri di un sottotetto abitabile e l’idoneità ad essere utilizzato a scopi residenziali
(TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 29.04.2011 n. 1105 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ESPROPRIAZIONE: Fine dell'accessione invertita, si applica il C.C.. Espropriazione per P.U., il diritto romano salva la P.A..
Nel caso di esecuzione di un'opera pubblica con una procedura espropriativa illegittima, la specificazione ex art. 940 c.c. consente alla P.A. di acquisire, a titolo originario, la proprietà della medesima al proprio patrimonio indisponibile.
Molto interessante la decisione qui segnalata del TAR di Lecce circa il regime dell’espropriazioni per p.u. illegittime a seguito dell’abrogazione costituzionale dell’art. 43 del T.U. sulle espropriazioni.
Ha infatti osservato il G.A. pugliese che, venuto meno l’istituto dell’accessione invertita e quello dell'acquisizione sanante (a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 293 del 2010, che ha dichiarato la illegittimità costituzionale dell’art. 43 del T.U. espropriazione), deve ritenersi che, nel caso sia stata realizzata un’opera pubblica in assenza del compimento nei termini della procedura espropriativa o in assenza di una valida procedura, debba trovare applicazione l’istituto della "specificazione" di cui all’art. 940 c.c..
Per effetto della specificazione del fondo la proprietà dell’opera pubblica viene acquistata, a titolo originario, dall’ente specificatore nel momento in cui l’opera di specificazione è completata, cioè si è avuta la specificazione.
Questo non in conseguenza di un illecito, ma di un istituto che affonda le sue radici nel diritto romano e costituisce un fatto che dà diritto a un indennizzo (e non un illecito che dà diritto al risarcimento del danno).
Indennizzo che va necessariamente commisurato al valore venale del bene che per effetto della specificazione non esiste più, cioè il fondo: che costituisce il prezzo della materia (commento tratto da www.ipsoa.it - TAR Puglia-Lecce, Sez. I, sentenza 29.04.2011 n. 785 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: INCENDI - BOSCHI E FORESTE - Realizzazione di costruzioni in soprasuoli percorsi dal fuoco - Specifica localizzazione dell'area antecedente all'incendio dagli strumenti urbanistici - Art. 10 L. n. 353/2000.
L'articolo 10 della Legge n. 353/2000, laddove consente la realizzazione di edifici, strutture ed infrastrutture finalizzate ad insediamenti civili ed attività produttive nei soprassuoli percorsi dal fuoco nei casi in cui la realizzazione sia stata prevista in data antecedente all'incendio dagli strumenti urbanistici vigenti a tale data, si riferisce alla specifica localizzazione dell'area riservata all'intervento da parte dello strumento urbanistico e non anche alla previsione di zona, con la conseguenza che non rileva, ai fini della speciale deroga, la generica compatibilità dell'intervento con la destinazione dell'area, essendo al contrario richiesto che l'area medesima sia già riservata dallo strumento urbanistico alla realizzazione delle predette opere.
INCENDI - BOSCHI E FORESTE - Aree percorse dal fuoco - Divieto decennale di inedificabilità - Applicazione e limiti - Localizzazione di area e PRG - Art. 7 L. n. 1150/1942 - Art. 27 L. n. 457/1978 - Art. 10 L. n. 353/2000.
In tema di aree percorse dal fuoco, ai sensi dell'articolo 10 della Legge 21.11.2000, n. 353, l'ipotesi di esclusione del divieto decennale di inedificabilità deve essere affrontata e risolta tenendo presente che il richiamo alla previsione della realizzazione delle infrastrutture, in data precedente l'incendio, dagli strumenti urbanistici vigenti - non si riferisce ad una previsione di zona, bensì ad una localizzazione di area (Cass. Sez. III n. 7608, 25/02/2010).
In particolare, il riferimento riguarda l'articolo 7 della Legge 17.08.1942, n. 1150, il quale indica i contenuti essenziali dello strumento urbanistico generale.
Tali contenuti sono individuati, per quanto attiene alla localizzazione: - nella rete delle principali vie di comunicazione stradali, ferroviarie e navigabili e dei relativi impianti; - nelle aree destinate a formare spazi di uso pubblico o sottoposte a speciali servitù; - nelle aree da riservare ad edifici pubblici o di uso pubblico nonché ad opere ed impianti di interesse collettivo o sociale.
Sono invece contenuti riferiti alla zonizzazione: - la divisione in zone del territorio comunale con la precisazione delle zone destinate all'espansione dell'aggregato urbano e la determinazione dei vincoli e dei caratteri da osservare in ciascuna zona; - i vincoli da osservare nelle zone a carattere storico, ambientale, paesistico; - le norme per l'attuazione del piano.
Ad essi deve aggiungersi, inoltre, l'individuazione delle zone di recupero del patrimonio edilizio esistente di cui tratta l'articolo 27 della Legge 05.08.1978, n. 457 recante "Norme per l'edilizia residenziale".
BOSCHI E FORESTE - INCENDI - Zona boscata - Natura e tutela - Art. 142, c. 1°, lett. g) D. L.vo n. 42/2004.
La natura di zona boscata, comporta la sua collocazione nelle aree tutelate per legge, in ragione di quanto disposto dall'articolo 142, comma primo, lettera g) D. L.vo n. 42/2004 (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 28.04.2011 n. 16592 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Opere abusive, ordine di demolizione in eredità.
L'ordine di demolizione di una costruzione abusiva, avendo natura sostanzialmente amministrativa e ''reale'', prescinde dalle vicende soggettive del bene in ordine al quale e' stato disposto.
La Suprema Corte conferma la consolidata giurisprudenza di legittimità circa la natura dell'ordine di demolizione emesso dal giudice penale ex art. 31 T.U. edilizia. Il fatto oggetto di giudizio è così ricostruibile.
Nell'ambito di un procedimento per la revoca di un ordine di demolizione –emesso in seguito a condanna per violazioni edilizie– la Corte d'appello di Salerno, quale giudice dell'esecuzione, dichiara estinta la procedura per morte del condannato.
Accogliendo il ricorso presentato dal Procuratore Generale presso la Corte d'appello, la Corte di Cassazione annulla senza rinvio tale ordinanza, disponendo la trasmissione degli atti alla Corte d'appello per l'ulteriore corso della procedura.
Richiamando il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, la Corte ha affermato che l'ordine di demolizione non si estingue per morte del condannato, in quanto costituisce un atto ablatorio “dovuto” e di natura “reale”.
Tale ordine, emesso dal giudice con la sentenza di condanna per violazioni edilizie in relazione all'opera abusivamente realizzata, ha natura “sostanzialmente amministrativa”, ed è insuscettibile di valutazione discrezionale.
Questa lettura conferma il consolidato orientamento della Corte di Cassazione, che emerge con particolare evidenza in tema di applicazione della pena su richiesta delle parti.
La Suprema Corte, infatti, afferma che l'ordine di demolizione deve essere disposto dal giudice anche ove non abbia formato oggetto dell'accordo tra le parti.
Trattandosi di “atto dovuto” (non configurabile né come pena accessoria né come misura di sicurezza), è infatti sottratto alla disponibilità delle parti, oltre che alla valutazione discrezionale del giudice (in questo senso, recentemente, Cass., sez. III, 23.03.2011, n. 16574; si v. anche ex multis Cass., sez. III, 18.01.2011, n. 5360; Cass., sez. II, 07.01.2011, n. 1579, in Guida dir., 2011, 12, 73; Cass., sez. III, 19.09.1997, n. 2896, in Cass. pen. 1998, 1479).
La Suprema Corte, nella pronuncia in commento, ha inoltre richiamato la costante giurisprudenza di legittimità che attribuisce “natura 'reale' e ripristinatoria” all'ordine di demolizione, richiedendone l'esecuzione “nei confronti di tutti i soggetti che sono in rapporto col bene e vantano su di esso un diritto reale o personale di godimento, anche se si tratti di soggetti estranei alla commissione del reato” (così Cass., sez. III, 21.10.2009, n. 47281, Arrigoni; si v. anche Cass., sez. III, 13.07.2009, n. 39322, Berardi e altri; Cass., sez. III, 24.04.2001, n. 35525, Consolo).
L'ordine trova dunque applicazione in relazione all'opera abusiva, “prescinde[ndo] dalle vicende soggettive” della stessa; pertanto, esso “conserva ... la sua efficacia anche nei confronti dell'erede del condannato” (commento tratto da www.ipsoa.it - Corte di Cassazione penale, sentenza 28.04.2011 n. 16581).

EDILIZIA PRIVATA: Titolo abilitativo edilizio illegittimo - Poteri del Giudice penale - Disapplicazione dell'atto amministrativo - Esclusione - Identificazione fattispecie e sanzione.
In presenza di un titolo abilitativo edilizio illegittimo, l'attività svolta dal giudice consiste nel valutare la sussistenza dell'elemento normativo della fattispecie e non nel disapplicare l'atto amministrativo o effettuare comunque valutazioni proprie della P.A..
Pertanto, quando il giudice penale accerta profili di illegittimità sostanziale del titolo abilitativo edilizio procede ad una identificazione in concreto della fattispecie sanzionata e non pone in essere alcuna "disapplicazione" né incide, con indebita ingerenza, sulla sfera riservata alla P.A. poiché esercita un potere che trova fondamento e giustificazione nella stessa previsione normativa incriminatrice (Cass. Sez. III, 21/06/2006 n. 21487; Cass. Sez. III 12/12/2006 n. 40425; Conf. Cass. Sez., 23/01/2007 III n. 1894; Cass. Sez. III, 13/11/2007 n. 41620; Cass. Sez. III, , 10/07/2008 n. 28225; Cass. Sez. III, 16/09/2008 n. 35389; Cass. Sez. III, 02/03/2009 n. 9177; Cass. Sez. III, 02/04/2009 n. 14504; Cass. Sez. III, 08/09/2009 n. 34809; Cass. Sez. III, 30/09/2010 n. 35391) (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 28.04.2011 n. 16592 - link a www.ambientediritto.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: RIFIUTI - Discarica di rifiuti in area a destinazione agricola - Limiti - Attività di gestione di rifiuti - Specifica localizzazione - PRG - Giurisprudenza amministrativa condivisa.
La realizzazione di un impianto destinato a discarica ed attività di gestione di rifiuti in area a destinazione agricola non può non riguardare opere per le quali gli strumenti urbanistici non prevedano una specifica localizzazione e che, per loro natura, non possono essere ubicati altro che in zona agricola.
Diversamente argomentando, verrebbe vanificata la zonizzazione del territorio e l'individuazione delle diverse destinazioni d'uso. Tale opzione ermeneutica pare peraltro condivisa anche dalla giurisprudenza amministrativa (Cons. Stato Sez. V n. 7243, 01.10.2010; Sez. V n. 1557, 18.03.2002) (Cass. Sez. III, 10/04/2002 n. 13641) (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 28.04.2011 n. 16592 - link a www.ambientediritto.it).

URBANISTICA: Le varianti a contenuto generale devono essere contestate nel termine decadenziale decorrente dalla data di pubblicazione.
Secondo il consolidato indirizzo di questo Consiglio (cfr., fra le tante, sez. IV, 23.12.2010, n. 9375; sez. IV, 21.05.2010, n. 3233; sez. V, 10.02.2010, n. 663 cui si rinvia a mente dell’art. 74 c.p.a.), l'art. 21, co. 1, l. n. 1034 del 1974 (applicabile ratione temporis alla vicenda in trattazione, oggi art. 42, co. 2, c.p.a.), stabilisce che in tutti i casi in cui non sia necessaria la notificazione individuale del provvedimento e sia al contempo prescritta da una norma di legge o di regolamento la pubblicazione dell'atto in un apposito albo, il termine per proporre l'impugnazione decorre dal giorno in cui sia scaduto il periodo della pubblicazione.
Viene confermato quell'indirizzo giurisprudenziale secondo il quale il normale termine decadenziale per ricorrere contro gli atti amministrativi soggetti a pubblicazione necessaria, decorre per i soggetti non espressamente nominati, dalla pubblicazione medesima, non essendo indispensabile la notificazione individuale o la piena conoscenza.
Sotto tale angolazione sono sicuramente atti pianificatori, soggetti a pubblicazione necessaria, quelli recanti l'approvazione di piani regolatori generali o loro varianti (a contenuto generale o di ampie zone e comparti territoriali come nel caso di specie), i quali, secondo la costante giurisprudenza, devono essere contestati in giudizio nel termine decadenziale decorrente dalla data di pubblicazione, non essendo richiesta la notificazione agli interessati né il decorso dell'ulteriore termine di efficacia.
Per mitigare il rigore del principio la giurisprudenza ha coniato due deroghe agli effetti della decorrenza del termine per impugnare:
a) la prima esige che qualora lo strumento urbanistico (di solito una variante) abbia ad oggetto un bene immobile specifico sul quale viene imposto un vincolo espropriativo, è necessario che l’atto sia notificato all’interessato ovvero che si dia la prova della conoscenza piena (cfr. da ultimo Cons. Stato, sez. IV, 21.05.2010, n. 3233);
b) la seconda deroga distingue, in considerazione della previsione dell’art. 7, co. 2, n. 2), l.u., fra le prescrizioni che in via immediata stabiliscono le caratteristiche urbanistiche e gli assetti generali del territorio (zonizzazioni, destinazioni a standard, localizzazioni di opere pubbliche o di interesse collettivo, indici fondiari, di fabbricabilità, obblighi di pianificazione esecutiva o sufficienza dell’intervento diretto ecc.), e le prescrizioni di dettaglio che disciplinano l’attività edificatoria in senso stretto (ad es. parametri volumetrici, di altezza, di ornato): le prime sono impugnabili nel termine decadenziale decorrente dalla loro pubblicazione; le seconde, invece, solo a decorrere dal momento in cui diventano lesive per il ricorrente, ovvero dal momento della conoscenza del titolo edilizio che le recepisce (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 28.04.2011 n. 2534 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: L’amministrazione non è obbligata a un effettivo sopralluogo per il rilascio del nulla-osta paesaggistico.
In tema di rilascio di nulla-osta paesaggistico, l’attività di verifica della correttezza del giudizio espresso dall’amministrazione preposta alla tutela del vincolo e del conseguente provvedimento comunale non implica necessariamente il compimento di un effettivo sopralluogo, ben potendo limitarsi alla valutazione documentale della condotta tenuta dalle amministrazioni interessate (C.d.S., sez. VI, 27.04.2010, n. 2377) (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 27.04.2011 n. 2497 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il diniego di sanatoria delle opere abusive per incompatibilità ambientale è espressione di una valutazione tecnica ampiamente discrezionale, tipica manifestazione del potere autoritativo dell’amministrazione, che come tale si sottrae al sindacato di legittimità, tranne le ipotesi di manifesta illogicità, arbitrarietà, irragionevolezza, irrazionalità ovvero di macroscopico travisamento dei fatti.
Il diniego di sanatoria delle opere abusive per incompatibilità ambientale è espressione di una valutazione tecnica ampiamente discrezionale, tipica manifestazione del potere autoritativo dell’amministrazione, che come tale si sottrae al sindacato di legittimità, tranne le ipotesi di manifesta illogicità, arbitrarietà, irragionevolezza, irrazionalità ovvero di macroscopico travisamento dei fatti (C.d.S., sez. VI, 07.10.2008, n. 4823), che non si rinvengono nel caso di specie e che peraltro non sono state neppure dedotte e provate dagli appellanti.
Le contestazioni di genericità del parere della Commissione per la tutela dei beni ambientali, fatto proprio dall’amministrazione comunale di Orbetello, in ordine alla forma ed ai materiali delle opere realizzate (degrado estetico), nonché sullo stato di degrado della zona, sull’insanabile contrasto con la bellezza dell’ambiente e sull’incontrollato aumento del carico antropico pertanto, lungi dall’evidenziare eventuali effettivi vizi di formazione del giudizio dell’amministrazione, si atteggiano a mere opinioni dissenzienti, volte a sovrapporre e/o sostituire alle valutazioni dell’amministrazione competente le proprie soggettive considerazioni, cosa che le rende gratuite ed apodittiche, prive di qualsiasi elemento obiettivo di riscontro (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 27.04.2011 n. 2497 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: L'ordine di demolizione, come tutti i provvedimenti sanzionatori in materia edilizia, è atto vincolato che non richiede una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico, né una comparazione di quest’ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati, né una motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione, non potendo neppure ammettersi l’esistenza di alcun affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva, che il tempo non può giammai legittimare.
Quanto alla legittimità del provvedimento di demolizione, la Sezione osserva che esso, come tutti i provvedimenti sanzionatori in materia edilizia, è atto vincolato che non richiede una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico, né una comparazione di quest’ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati, né una motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione, non potendo neppure ammettersi l’esistenza di alcun affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva, che il tempo non può giammai legittimare (C.d.S., sez. IV, 01.10.2007, n. 5049; 10.12.2007, n. 6344; 31.08.2010, n. 3955; sez. V, 07.09.2009, n. 5229).
  (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 27.04.2011 n. 2497 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Revoca concordata con l'aggiudicatario.
Nell'esercizio del potere di autotutela dopo l'adozione del provvedimento di aggiudicazione definitiva, la stazione appaltante deve coinvolgere il soggetto che subirà gli effetti della revoca, notificandogli l'atto di avvio del relativo procedimento ex articolo 7 legge 241/1990.
È quanto afferma il Consiglio di Stato che, nella sentenza 27.04.2011 n. 2456, ha evidenziato come il perfezionamento della procedura di gara a evidenza pubblica, contrassegnato dall'adozione del provvedimento di aggiudicazione definitiva, vale a differenziare e qualificare la posizione conseguita dall'aggiudicatario, rispetto, ad esempio, all'ipotesi dell'aggiudicazione soltanto provvisoria.
L'articolo 11 del Dlgs 163/2006 stabilisce, infatti, che a seguito della selezione dell'offerta migliore, e previa verifica dell'aggiudicazione provvisoria, l'amministrazione conclude l'iter di gara con l'adozione dell'atto di aggiudicazione definitiva, fatto salvo l'esercizio dei poteri di autotutela.
Sulla base di queste premesse, i giudici di Palazzo Spada -muovendo dall'accoglimento dell'impugnativa proposta avverso un provvedimento di revoca di un'aggiudicazione definitiva, adottato senza il coinvolgimento dell'interessato– hanno messo in rilievo come il destinatario del provvedimento di vera e propria aggiudicazione (qual è quella «definitiva» ex articolo 11, commi 7-8-9 del Dlgs 163/2006) ha diritto, in virtù della posizione di vantaggio acquisita, a interloquire con l'autorità sull'effettiva sussistenza delle ragioni di interesse pubblico presupposte all'esercizio del potere di autotutela prima che sia formalizzata la revoca dell'aggiudicazione.
La sezione ha, così, esteso a questa ipotesi l'applicazione del generale principio partecipativo, posto dall'articolo 7 della legge 241/990 in base al quale l'avvio del procedimento deve essere sempre comunicato ai soggetti nei confronti dei quali il provvedimento di secondo grado è destinato a produrre i propri effetti, a meno che non sussistano ragioni di impedimento derivanti da particolari esigenze di celerità del procedimento.
Con la pronuncia in esame, se da un lato viene confermata la possibilità per la pubblica amministrazione di esercitare, in presenza dei presupposti richiesti dalla legge, i poteri discrezionali di revoca e/o annullamento di un atto precedentemente emanato, viene d'altro canto osservato che questo potere non può essere esercitato dalla stazione appaltante in piena ed esclusiva autonomia, quando andrebbe direttamente a incidere sulla posizione di vantaggio cristallizzata dall'atto di individuazione del vincitore della gara.
In altri termini, per essere legittimo, il potere discrezionale della pubblica amministrazione in autotutela deve essere sì speso in conformità ai principi di legalità, di economicità e di razionalità, ma anche nel rispetto del contraddittorio con chi, al termine del procedimento di gara, ha raggiunto una posizione consolidata di vantaggio e ha pertanto un oggettivo e concreto interesse al mantenimento del provvedimento attestante la graduatoria finale dell'appalto (articolo Il Sole 24 Ore del 23.05.2011 - tratto da www.corteconti.it).

EDILIZIA PRIVATA: Impianti per radiofrequenze, silenzio-assenso ad ostacoli.
Il silenzio assenso nei procedimenti ad istanza di parte e' divenuto istituto di carattere generale, nel senso che esso opera senza necessità di una espressa previsione. Ma I problemi applicativi del silenzio assenso sono spesso legati al verificarsi dei suoi presupposti.
L'art. 87, comma 9, D.Lgs. 01.08.2003, n. 259 stabilisce che le istanze di autorizzazione e le denunce di attività concernenti l'installazione di infrastrutture per impianti radioelettrici e la modifica delle caratteristiche di emissione di questi ultimi e, in specie, l'installazione di torri, di tralicci, di impianti radio-trasmittenti, di ripetitori di servizi di comunicazione elettronica, di stazioni radio base per reti di comunicazioni elettroniche mobili GSM/UMTS, per reti di diffusione, distribuzione e contribuzione dedicate alla televisione digitale terrestre, per reti a radiofrequenza dedicate alle emergenze sanitarie ed alla protezione civile, nonché per reti radio a larga banda punto-multipunto nelle bande di frequenza all'uopo assegnate, nonché quelle relative alla modifica delle caratteristiche di emissione degli impianti già esistenti, si intendono accolte qualora, entro novanta giorni dalla presentazione del progetto e della relativa domanda, fatta eccezione per il dissenso di cui al comma 8, non sia stato comunicato un provvedimento di diniego.
Secondo l'interpretazione costante della giurisprudenza, ai sensi della norma richiamata il titolo abilitativo per la realizzazione degli impianti di telefonia mobile si costituisce in forza di una d.i.a. ovvero di un silenzio-assenso, atteso che istanze e denunce di inizio di attività si intendono accolte qualora, entro novanta giorni dalla relativa domanda, non sia stato comunicato un provvedimento di diniego (TAR Sardegna, Sez. II, 03.03.2011, n. 188).
La norma trova il proprio fondamento nell'art. 41, L. n. 166 del 2002 e prima ancora nelle direttive comunitarie da recepire, che imponevano per le comunicazioni elettroniche procedure tempestive, non discriminatorie e trasparenti per la concessione del diritto di installazione di infrastrutture e ricorso alla condivisione delle strutture, riduzione dei termini per la conclusione dei procedimenti amministrativi, nonché regolazione uniforme dei medesimi procedimenti anche con riguardo a quelli relativi al rilascio di autorizzazioni per l'installazione delle infrastrutture di reti mobili, in conformità ai principi di cui alla L. 07.08.1990, n. 241.
Essa prevede un'ipotesi di silenzio significativo con valore di accoglimento dell'istanza del privato.
La figura del silenzio assenso è, oggi, la più rilevante tra le ipotesi di silenzio significativo, in considerazione dell'ampia previsione di carattere generale contenuta nell'attuale testo dell'art. 20, L. n. 241 del 1990, come modificata dall'art. 3, comma 6-ter, D.L. n. 35 del 2005, convertito nella L. n. 80 del 2005, il quale stabilisce che "Fatta salva l'applicazione dell'art. 19, nei procedimenti ad istanza di parte per il rilascio di provvedimenti amministrativi il silenzio dell'amministrazione competente equivale a provvedimento di accoglimento della domanda, senza necessità di ulteriori istanze o diffide, se la medesima amministrazione non comunica all'interessato, nel termine di cui all'art. 2, commi 2 o 3, il provvedimento di diniego, ovvero non procede ai sensi del comma 2.".
Il silenzio assenso nei procedimenti ad istanza di parte è, dunque, divenuto istituto di carattere generale, nel senso che esso opera senza necessità di una espressa previsione.
Continuano però a sopravvivere le ipotesi normative previgenti di silenzio assenso purché le stesse non risultino in contrasto con le previsioni di esclusione contenute nell'art. 20, L. n. 241 del 1990.
I problemi applicativi del silenzio assenso sono spesso legati al verificarsi dei suoi presupposti.
Sebbene la figura si presti ad essere letta nel senso che basti la presentazione di una domanda ed il decorso del termine di conclusione del procedimento, la giurisprudenza ha chiarito che l'istanza dev'essere corredata in modo completo dalla documentazione prescritta eventualmente dalla disposizione che la prevede (Cons. di Stato Sez. VI, 20.10.2005, n. 5921).
Tornando al silenzio assenso previsto dall'art. 87, comma 9, D.Lgs. 01.08.2003, n. 259 la giurisprudenza ha chiarito che il termine di cui all'art. 87, comma 9, del D.Lgs. 01.08.2003, n. 259 decorre dalla presentazione della domanda corredata dal progetto (Cons. di Stato, Sez. VI, 24.09.2010, n. 7128).
Ulteriormente la sentenza in commento ricorda che "la giurisprudenza è concorde nel ritenere che tale disposizione, facendo espresso richiamo al "dissenso di cui al comma 8" -che prevede il motivato dissenso espresso da un'amministrazione preposta alla tutela ambientale, alla tutela della salute o alla tutela del patrimonio storico-artistico- chiarisca che l'automaticità del silenzio assenso non opera qualora sia necessaria la pronuncia di un'autorità preposta alla tutela dei particolari beni di rilevante importanza sociale individuati dal richiamato comma 8, dovendosi attendere una pronuncia espressa in tal senso (TAR Toscana, Firenze, Sez. II, 03.03.2010, n. 589)".
A ciò si aggiunge la previsione dell'art. 87, comma 8, D.Lgs. n. 259 del 2003, secondo il quale "Qualora il motivato dissenso, a fronte di una decisione positiva assunta dalla conferenza di servizi, sia espresso da un'Amministrazione preposta alla tutela ambientale, alla tutela della salute o alla tutela del patrimonio storico-artistico, la decisione è rimessa al Consiglio dei Ministri e trovano applicazione, in quanto compatibili con il Codice, le disposizioni di cui agli artt. 14 e seguenti della L. 07.08.1990, n. 241, e successive modificazioni".
Da tale disposizione la giurisprudenza ha desunto che l'obbligo di indire una conferenza di servizi in caso di motivato dissenso può spiegarsi solo con il fatto che non si sia formato il silenzio assenso (TAR Campania, Napoli, Sez. VII, 06.04.2006, n. 3454; TAR Sicilia, Palermo, Sez. II, 22.02.2005, n. 203).
Tuttavia la norma medesima impedisce all'amministrazione titolare del potere di autorizzazione di chiudere sic et simpliciter il procedimento autorizzativo con un provvedimento negativo in quanto le impone di attivare il procedimento aggravato previsto dall'art. 87, commi 6-9, D.Lgs. n. 259 del 2003 costituito da una conferenza dei servizi e della successiva rimessione della questione, nel caso il parere negativo persistesse, alla decisione al Consiglio dei Ministri (commento tratto da www.ipsoa.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 27.04.2011 n. 1080 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIl concetto di “nuova costruzione” non riguarda soltanto la realizzazione di un manufatto su area libera, ma include, altresì, ogni intervento di ristrutturazione che renda un manufatto oggettivamente diverso da quello preesistente.
Il concetto di “nuova costruzione” non riguarda soltanto la realizzazione di un manufatto su area libera, ma include, altresì, ogni intervento di ristrutturazione che renda un manufatto oggettivamente diverso da quello preesistente.
Con la precisazione che, tale oggettiva diversità, sussiste ogniqualvolta si abbia un mutamento di destinazione d’uso che implichi la variazione degli standard, poiché detta destinazione d’uso rappresenta un elemento determinante della tipologia del manufatto (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 08.09.2008, n. 4256; TAR Lombardia Milano, sez. IV, 10.06.2010, n. 1787; TAR Piemonte Torino, sez. I, 15.02.2010, n. 940)
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Passando ad esaminare il caso che qui occupa, giova constatare come l’intervento oggetto di sanatoria abbia sicuramente comportato (cfr. documentazione versata in atti dalla difesa comunale, all. 9 e ss.) l’attribuzione di una destinazione ad uso residenziale ad un sottotetto che in precedenza ne era privo, con conseguente creazione di un volume edilizio di tipo residenziale dapprima inesistente. Nell’originaria concessione edilizia, infatti (C.E.n. 7325/1991 agli atti), il volume del vano sottotetto non era stato considerato nel calcolo del volume esistente e, quindi, non era stato computato nel calcolo degli standard dovuti.
Risulta, pertanto, corretta la decisione assunta dall’intimata amministrazione comunale che, preso atto dell’aggravio degli standard urbanistici provocato dall’intervento di che trattasi, l’ha incluso nella tipologia di abuso 1, ai fini della determinazione degli oneri dovuti (cfr., sulla rilevanza del mutamento di destinazione d’uso, in caso di aumento del carico urbanistico, Consiglio di Stato, sez. IV, 13.07.2010, n. 4546; TAR Lombardia, Milano, II, 28.03.2011, n. 818).
Tale modus operandi risulta coerente con la cit. disciplina regionale in materia di recupero ai fini abitativi dei sottotetti esistenti (legge regionale n. 12/2005 cit.) che, pur classificando tale recupero come ristrutturazione edilizia (art. 64 comma 2), stabilisce che la realizzazione di tali interventi “comporta la corresponsione degli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria nonché del contributo commisurato al costo di costruzione, calcolati sulla volumetria o sulla superficie lorda di pavimento resa abitativa secondo le tariffe approvate e vigenti in ciascun comune per le opere di nuova costruzione (art. 64, comma 7)"
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 27.04.2011 n. 1069 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa determinazione degli oneri previsti per il rilascio del titolo in sanatoria non necessita di particolare motivazione, in quanto costituisce il risultato di un calcolo materiale, essendo la misura concreta direttamente ricollegata dalla legge al carico urbanistico accertato, secondo parametri rigorosamente stabiliti.
Secondo un costante orientamento giurisprudenziale, condiviso da questo TAR, la determinazione degli oneri previsti per il rilascio del titolo in sanatoria non necessita di particolare motivazione, in quanto costituisce il risultato di un calcolo materiale, essendo la misura concreta direttamente ricollegata dalla legge al carico urbanistico accertato, secondo parametri rigorosamente stabiliti (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 09.02.2001, n. 584; TAR Sicilia Catania, sez. I, 07.07.2010, n. 2847; TAR Emilia Romagna Parma, sez. I, 06.07.2010, n. 351; TAR Lazio Roma, sez. II, 15.04.2009, n. 3862; TAR Campania Napoli, sez. VIII, 03.09.2008, n. 10035; TAR Abruzzo Pescara, sez. I, 20.02.2008, n. 113; TAR Lombardia Milano, sez. II, 26.04.2006, n. 1065; TAR Campania Salerno, sez. II, 04.07.2005, n. 1082; TAR Calabria, 24.06.1994, n. 758; TAR Lombardia, Brescia, 16.04.1992, n. 425) (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 27.04.2011 n. 1069 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAL’accertamento di conformità previsto a suo tempo dall’art. 13 della l. 28.02.1985 n. 47 ed ora dall’art. 36 T.U. 380/2001, “nel fare riferimento al concetto di opera eseguita rinvia chiaramente ad una modificazione del mondo materiale prodotta da un manufatto completo”; ne segue, quindi, secondo logica che l’accertamento medesimo non può essere parziale, ovvero riferito ad alcune soltanto delle opere eseguite.
Come stabilito in termini di principio da ultimo da TAR PugliaLecce sez. I 08.10.2009 n. 228, infatti, l’accertamento di conformità previsto a suo tempo dall’art. 13 della l. 28.02.1985 n. 47 ed ora dall’art. 36 T.U. 380/2001, “nel fare riferimento al concetto di opera eseguita rinvia chiaramente ad una modificazione del mondo materiale prodotta da un manufatto completo”; ne segue, quindi, secondo logica che l’accertamento medesimo non può essere parziale, ovvero riferito ad alcune soltanto delle opere eseguite.
Non hanno quindi pregio gli argomenti della ricorrente, secondo i quali (v. ricorso per motivi aggiunti, p. 20, settimo e ottavo rigo) si sarebbe dovuta comunque concedere una sanatoria parziale, per le opere eventualmente ritenute conformi.
Va invece affermato che l’impossibilità di ritenere conforme alle previsioni urbanistiche l’opera anche per una soltanto delle sue caratteristiche comporta l’impossibilità pura e semplice di rilasciare la sanatoria richiesta (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 22.04.2011 n. 612 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

LAVORI PUBBLICINon sussiste il vizio di mancata distinzione e redazione del progetto preliminare e definitivo ai sensi dell’art. 16 L. 109/1994 in quanto i tre livelli di progettazione non vanno intesi come inderogabili ed autonomi adempimenti tecnico-amministrativi, rigidamente definiti nei contenuti e nella sequenza temporale, bensì come tappe significative di un unico processo identificativo e creativo, nelle quali si definiscono compiutamente particolari momenti del processo medesimo.
L'approvazione del progetto di opere pubbliche, ove interessi aree che dal piano regolatore non siano destinate a pubblici servizi anche a causa della decadenza di vincoli preordinati all'esproprio, costituisce variante al piano stesso solo dopo che sia intervenuta l'approvazione regionale, secondo le modalità previste dagli artt. 1 e ss. l. 18.04.1962 n. 167, richiamati dall'art. 1 comma 5, l. 03.01.1978 n. 1; pertanto, la mera adozione della variante urbanistica, connessa all'approvazione del progetto, non comporta la dichiarazione di pubblica utilità delle opere in questione e, di conseguenza, non legittima le successive procedure ablatorie.

Non sussiste il vizio di mancata distinzione e redazione del progetto preliminare e definitivo ai sensi dell’art. 16 L. 109/1994 in quanto i tre livelli di progettazione non vanno intesi come inderogabili ed autonomi adempimenti tecnico-amministrativi, rigidamente definiti nei contenuti e nella sequenza temporale, bensì come tappe significative di un unico processo identificativo e creativo, nelle quali si definiscono compiutamente particolari momenti del processo medesimo: le caratteristiche qualitative e funzionali dei lavori, il quadro delle esigenze da soddisfare e delle prestazioni da fornire -progetto preliminare- gli elementi necessari ai fini del rilascio delle prescritte autorizzazioni ed approvazioni -progetto definitivo- il dettaglio dei lavori da realizzare ed il relativo costo in modo da consentire che ogni elemento sia identificabile in forma, tipologia, qualità, dimensione e prezzo -progetto esecutivo- (art. 16, commi 3, 4 e 5 della legge 109/1994).
Ne consegue che è possibile l’unificazione di un livello progettuale con quello successivo ed, in particolare, del progetto preliminare e di quello definitivo. Era quindi onere non adempiuto del ricorrente indicare in concreto quali fossero le differenze tra la progettazione realizzata e quella ritenuta in vigore.
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Nel caso, come quello in questione, di approvazione della variante urbanistica ai sensi dell'art. 1, comma 5, l. 03.01.1978 n. 1 la giurisprudenza (TAR Basilicata Potenza, sez. I, 18.10.2008, n. 645; Cons. Stato, IV, 16.03.2010 n. 1540) ha chiarito che l'approvazione del progetto di opere pubbliche, ove interessi aree che dal piano regolatore non siano destinate a pubblici servizi anche a causa della decadenza di vincoli preordinati all'esproprio, costituisce variante al piano stesso solo dopo che sia intervenuta l'approvazione regionale, secondo le modalità previste dagli artt. 1 e ss. l. 18.04.1962 n. 167, richiamati dall'art. 1 comma 5, l. 03.01.1978 n. 1; pertanto, la mera adozione della variante urbanistica, connessa all'approvazione del progetto, non comporta la dichiarazione di pubblica utilità delle opere in questione e, di conseguenza, non legittima le successive procedure ablatorie
(TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 21.04.2011 n. 1019 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICAIl vincolo di inedificabilità relativo alla “fascia di rispetto stradale” non ha natura espropriativa, ma unicamente conformativa, in quanto riguarda una generalità di beni e di soggetti ed ha una funzione di salvaguardia della circolazione, indipendentemente dalla eventuale instaurazione di procedure espropriative; esso quindi non è soggetto a scadenze temporali.
La giurisprudenza (Cons. Stato, IV, 13/03/2008 n. 1095) ha chiarito che il vincolo di inedificabilità relativo alla “fascia di rispetto stradale”, come nella specie, non ha natura espropriativa, ma unicamente conformativa, in quanto riguarda una generalità di beni e di soggetti ed ha una funzione di salvaguardia della circolazione, indipendentemente dalla eventuale instaurazione di procedure espropriative; esso quindi non è soggetto a scadenze temporali (TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 21.04.2011 n. 1019 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICANel procedimento di formazione dei piani regolatori generali, la pubblicazione dei P.R.G. stessi, prevista dall'art. 9 L. 17.08.1942, n. 1150, è finalizzata alla presentazione delle osservazioni da parte dei soggetti interessati al progetto di piano adottato dal comune, ma non è richiesta, di regola, per le successive fasi del procedimento, anche se il piano originario risulti modificato a seguito dell'accoglimento di alcune osservazioni o di modifiche introdotte in sede di approvazione regionale.
Sulla discrasia tra parte lessicale (o normativa) e parte grafica del piano regolatore, la giurisprudenza ha evidenziato che entrambe le parti hanno natura prescrittiva: esse infatti contribuiscono a determinare il contenuto effettivo del piano ed a dettare la disciplina del territorio. Da ciò consegue che la parte grafica e la parte normativa risultano in rapporto di complementarità posto che le prime integrano le disposizioni della seconda, potendosi leggere le une alla luce delle altre.
Secondo la giurisprudenza (Consiglio di Stato sez. IV, 05.09.2003, n. 4980) “Nel procedimento di formazione dei piani regolatori generali, la pubblicazione dei P.R.G. stessi, prevista dall'art. 9 L. 17.08.1942, n. 1150, è finalizzata alla presentazione delle osservazioni da parte dei soggetti interessati al progetto di piano adottato dal comune, ma non è richiesta, di regola, per le successive fasi del procedimento, anche se il piano originario risulti modificato a seguito dell'accoglimento di alcune osservazioni o di modifiche introdotte in sede di approvazione regionale; a quest’ultima regola si fa tuttavia eccezione:
a) nel caso in cui per effetto dell’accoglimento delle osservazioni formulate dai privati, comportanti una profonda deviazione dai criteri posti a base del piano adottato, si renda necessaria una modifica immediata del testo del piano stesso (in tal caso, infatti, si dovrà fare luogo a nuova pubblicazione ed alla conseguente raccolta delle ulteriori osservazioni);
b) nell’ipotesi in cui il Comune, controdeducendo alle proposte di modifica regionali, introduca variazioni rilevanti al piano adottato (in tal caso, infatti, la delibera si presenta come una sostanziale nuova adozione che necessita di pubblicazione)
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In merito al quarto motivo, incentrato sulla discrasia tra parte lessicale (o normativa) e parte grafica del piano regolatore, la giurisprudenza (TAR Puglia, Lecce 22/04/2010 n. 985; Cass. civ. sez. II 09.06.1999 n. 5666) ha evidenziato che entrambe le parti hanno natura prescrittiva: esse infatti contribuiscono a determinare il contenuto effettivo del piano ed a dettare la disciplina del territorio. Da ciò consegue che la parte grafica e la parte normativa risultano in rapporto di complementarità posto che le prime integrano le disposizioni della seconda, potendosi leggere le une alla luce delle altre.
Le indicazioni grafiche delle planimetrie allegate al piano regolatore, più in particolare, svolgono la funzione di localizzare le previsioni di piano e, di conseguenza, svolgono la funzione di individuare graficamente le aree nelle quali si applicano alcune disposizioni contenute nella parte normativa del piano, piuttosto di altre. Esse quindi svolgono la funzione di individuare l’ambito spaziale di applicazione delle norme del piano che non abbiano carattere generale. Per tale ragione spesso le n.t.a. del prg contengono disposizioni generali, valide su tutto il territorio comunale e norme di zona, relative a singoli ambiti.
La parte normativa del piano costituisce, comunque, la parte fondamentale del piano in quanto la funzione del piano regolatore è quella di dettare la disciplina d’uso del territorio, attraverso l’individuazione di apposite norme.
Da ciò consegue, ai nostri fini, che le prescrizioni grafiche contenute nel piano sono da interpretare ed applicare alla luce e nei limiti delle prescrizioni normative contenute nello stesso piano (TAR Puglia, Lecce 22/04/2010 n. 985)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 21.04.2011 n. 1019 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Affidamento diretto senza bando, prova a carico della PA.
Il Consiglio di Stato adotta una nozione estensiva di interesse all'impugnazione nel caso degli affidamenti diretti, che avvengono senza pubblicazione di un bando.
La fattispecie oggetto della sentenza in esame è costituita da una procedura negoziata senza la previa pubblicazione del bando di gara, consentita per i contratti pubblici di lavori, servizi e forniture entro determinati limiti dall’art. 57 del d.lgs. n. 163/2006.
La pubblica amministrazione nello specifico caso aveva giustificato l'affidamento diretto sulla base della previsione del secondo comma lett. b) di tale norma poiché, per ragioni di natura tecnica o artistica ovvero attinenti alla tutela dei diritti esclusivi, il contratto poteva essere affidato unicamente ad un operatore economico determinato.
L'aggiudicazione senza gara si basava, in particolare, sull'unicità del fornitore, in grado di produrre un determinato macchinario con certe caratteristiche tecniche.
Il Consiglio di Stato ha ribadito che l'onere di dimostrare l'esistenza dei presupposti per il ricorso alla procedura negoziata, senza pubblicazione del bando, grava sulla stessa pubblica amministrazione nel momento della determinazione a contrarre.
Il ricorso a tale procedura ha infatti carattere di eccezionalità rispetto all’obbligo della pubblica amministrazione di individuare il privato contraente attraverso il confronto concorrenziale.
Il privato che intende impugnare tale genere di aggiudicazione non deve, dunque, dimostrare ai fini dell'esistenza dell'interesse ad agire di essere in grado di fornire un prodotto dalle medesime caratteristiche di quello oggetto del contratto.
Secondo la giurisprudenza amministrativa, ai fini del riconoscimento della legittimazione all’impugnativa da parte di una impresa del settore non occorre documentare una capacità operativa paragonabile a quella del soggetto prescelto, trattandosi di elemento che assume rilevanza solo in sede di partecipazione alla gara e di valutazione comparativa delle offerte presentate dalle imprese concorrenti.
Nei casi in cui sia consentito la procedura negoziata diretta senza pubblicazione di un bando, l'impresa operante nel medesimo settore è dunque titolare di un interesse giuridicamente rilevante alla impugnativa, e non solo di un interesse di mero fatto.
Tale interpretazione è ricondotta dalla stessa sentenza in esame all'orientamento giurisprudenziale secondo cui le imprese operanti in un determinato settore sono legittimate ad impugnare le determinazioni che riguardino le modalità di conferimento del servizio anche al solo fine di ottenere l’annullamento della gara e dell’eventuale aggiudicazione, ed il rinnovo della procedura cui aspirano a partecipare (commento tratto da www.ipsoa.it - Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 19.04.2011 n. 2404 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Condono mediante silenzio assenso nei reati edilizi.
Il termine di un anno per la formazione del silenzio assenso nel procedimento per condono edilizio introdotto con l'art. 39 della l. 23.04.1994, n. 724 non decorre se non viene prodotta la documentazione richiesta, impedendo l'estinzione dei reati integrati con la costruzione abusiva dell'immobile.

Secondo la sentenza che può leggersi in calce, è inammissibile il ricorso per Cassazione proposto dall'imputato per il riconoscimento della formazione tacita, mediante silenzio assenso, di un provvedimento di c.d. “condono edilizio”, ai sensi e per gli effetti dei quali all'art. 39 della l. 23.04.1994, n. 724, con conseguente estinzione della contravvenzione di costruzione in assenza di autorizzazione paesaggistica, qualora all'istanza di condono presentata in sede amministrativa non sia allegata tutta la documentazione richiesta per la concessione del provvedimento eccezionale di sanatoria.
Non consentendo, inoltre, l'inammissibilità del ricorso, il formarsi di un valido rapporto di impugnazione, la prescrizione maturata dopo la pronuncia della sentenza di appello, in conseguenza della presentazione dell'atto di gravame, non può essere rilevata dalla Corte di Cassazione (sul punto richiamata la Cassazione, Sezioni Unite, 22.11.2000 (dep. 21.12.2000), n. 32).
Questo il fatto oggetto del giudizio: con sentenza pronunziata nel gennaio del 1997, la Corte d'Appello di Napoli, in parziale riforma della sentenza di primo grado, rilevata la prescrizione del reato di costruzione in assenza di concessione edilizia, condannava l'imputato per la sola contravvenzione di costruzione in assenza di autorizzazione paesaggistica di cui, allora, agli artt. 1-sexies del d.l. 27.06.1985 n. 312 (conv. l. 431/1985) e 20 l. 28.02.1985, n. 431.
Con il ricorso in Cassazione l'imputato lamenta, dal punto di vista sostanziale, l'inoffensività del fatto contestato; la formazione del silenzio assenso rispetto alla domanda di condono edilizio presentata al Comune di Napoli in relazione all'immobile oggetto del reato, da ritenersi, quindi, estinto; nonché l'intervenuta prescrizione della contravvenzione contestata nelle more della presentazione e decisione del ricorso per cassazione. La Suprema Corte ha dichiarato inammissibili tutti i motivi di gravame.
Quanto all'inidoneità della realizzata costruzione abusiva ad incidere sull'originario assetto dei luoghi sottoposti a vincolo paesaggistico, il ricorrente afferma che la diffusa urbanizzazione dell'area vincolata escluderebbe, in concreto, il pericolo di lesione del bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice, rendendo, quindi, inoffensivo il fatto contestato all'imputato.
La Cassazione sottolinea, tuttavia, che la contravvenzione di costruzione in assenza di autorizzazione paesaggistica è un reato di pericolo astratto, posto a tutela del paesaggio e dell'aspetto esteriore degli edifici, ritenuti valori meritevoli di tutela anche mediante la sanzione penale. Rileva, poi, la Suprema Corte, con motivazione invero fin troppo sintetica, come nel caso di specie la consistenza e la tipologia dell'intervento realizzato siano sicuramente, anche in concreto, idonee a recare pregiudizio a siffatti valori.
Anche l'asserita estinzione del reato per maturazione del termine massimo per l'adozione di un provvedimento di diniego al condono edilizio, e, quindi in forza della formazione del provvedimento implicito di sanatoria mediante silenzio assenso, secondo la procedura di cui all'art. 39 della l. 724/1994, è stato reputato motivo di ricorso inammissibile alla luce degli accertamenti compiuti in sede di legittimità.
Durante il giudizio di Cassazione, infatti, a seguito di sospensione del procedimento di legittimità, veniva richiesta all'amministrazione comunale competente, l'attestazione di congruità del procedimento di condono attivato, in sede amministrativa, dall'imputato, al fine di valutare se potesse ritenersi implicitamente formato un provvedimento favorevole all'istanza di condono a suo tempo presentata.
Il Comune di Napoli comunicava alla Suprema Corte che, pur rientrando astrattamente l'immobile oggetto del reato tra le opere condonabili sia per quanto riguarda la superficie edificata, sia per la data di ultimazione della costruzione, nonché la tempestività della domanda di condono e la congruità dell'oblazione già versata, la documentazione prodotta dall'imputato risultava carente dei riferimenti catastali dell'immobile abusivo.
L'imputato, pertanto, non poteva, allo stato, fruire della sanatoria, che, tuttavia, sarebbe stata concessa dall'amministrazione procedente a seguito di integrazione della documentazione allegata, qualora anche degli enti preposti alla tutela del vincolo paesaggistico avessero espresso parere favorevole al condono.
L'imputato, nonostante il Comune gli avesse concesso termini per produrre il documento mancante, non ha inviato alla pubblica amministrazione la quanto richiesto e, di conseguenza, il Comune di Napoli non ha dato corso al procedimento. L'incompletezza della documentazione, rendendo improcedibile l'istanza di condono edilizio, ha, quindi, impedito, secondo la Cassazione, la formazione del silenzio assenso nel procedimento amministrativo, che, pur essendo equipollente ad un provvedimento espresso di “condono”, non avrebbe comunque sanato la mancanza di parere favorevole dell'autorità preposta alla tutela del vincolo paesaggistico.
La contravvenzione contestata, quindi, non può essere considerata estinta, né per intervento del provvedimento di condono edilizio, né per prescrizione, atteso che l'inammissibilità del ricorso proposto dall'imputato, precludendo il valido formarsi di un rapporto di impugnazione, ha cristallizzato il giudizio al momento della pronuncia della sentenza di appello, allorquando non era ancora decorso il termine di prescrizione.
La sentenza in commento impone di ripercorrere, seppur sinteticamente, i passaggi fondamentali del procedimento amministrativo di condono edilizio previsto dall'art. 39 della l. 724/1994, per comprendere la natura di tale provvedimento ed i limiti del sindacato del giudice penale ed amministrativo in ordine all'accertamento della formazione implicita di un provvedimento di concessione edilizia in sanatoria. L'art. 39 della l. 724/1994 descrive puntualmente sia la tipologia di manufatti astrattamente suscettibili di condono (commi 1 e 2), sia la misura della c.d. “oblazione” da versare prima della presentazione dell'istanza (comma 3).
Vengono specificamente indicati, altresì, i requisiti essenziali dell'istanza di condono ed i relativi allegati, ossia la prova del pagamento dell'oblazione, una dichiarazione sostitutiva dei documenti indicati all'art. 35 comma 3 della l 28.02.1985, n. 47 (ossia la normativa che ha introdotto, precedentemente il condono edilizio a cui si è saldato quello previsto nel 1994), il fascicolo fotografico relativo all'abuso, il progetto di adeguamento statico dell'edificio ed il pagamento di oneri di concessione, nonché copia della denuncia in catasto relativa alla costruzione dell'immobile. Se l'istanza, corredata dei necessari allegati, è stata redatta correttamente e la costruzione abusiva rientra tra quelle condonabili, è espressamente previsto che, il decorso un anno (ovvero due anni nei comuni con più di 500.000 abitanti) dalla presentazione della domanda, senza l'adozione di un provvedimento negativo da parte del Comune, equivalga a concessione edilizia in sanatoria, fermo restando che, per successive modifiche dell'art. 39 l. 724/1994, ai fini della formazione del silenzio assenso, è consentito il pagamento degli oneri concessori ovvero la denuncia al catasto anche successivamente rispetto alla presentazione della domanda, purché entro un anno dalla data di presentazione dell'istanza di condono.
Per quanto riguarda i manufatti abusivamente costruiti in aree coperte da vincolo paesaggistico, solo in alcuni casi specifici previsti all'art. 32 della l. 47/1985 (come modificato dall'art. 39, comma 7, della l 724/1994) è consentita la formazione di silenzio assenso, equiparabile anche al parere favorevole dell'autorità posta a tutela del vincolo, la quale, altrimenti, deve sempre assumere determinazioni espresse. Il c.d. “condono edilizio” previsto dalla l. 724/1994 (come già dagli artt. 31 ss. l. 28.02.1985, n. 47 e poi dall'art. 32 del d.l. 269/2003, convertito in l. 326/2003) è un provvedimento amministrativo eccezionale che consente di sanare lo status amministrativo di una costruzione realizzata in assenza dei prescritti titoli abilitativi.
Diversamente dal permesso di costruire in sanatoria (già concessione edilizia in sanatoria ai sensi dall'art. 13 l. 47/1985, ora previsto all'art. 36 d.P.R. 380/2001 – Testo Unico dell'Edilizia), strumento ordinario per l'accertamento di conformità urbanistica di immobili costruirti in assenza dei prescritti titoli abilitativi e, tuttavia, in conformità alla disciplina edilizia ed urbanistica vigente, il condono edilizio rappresenta una sorta di “perdonoex lege per la realizzazione senza titolo abilitativo di un manufatto, in violazione sostanziale delle prescrizioni urbanistiche, legali e regolamentari, previste a livello statale, regionale e locale.
Pertanto il provvedimento di condono edilizio può essere adottato solo in presenza di espressa previsione di legge che, eccezionalmente, consenta di derogare alla disciplina, legale e regolamentare, in materia edilizia ed urbanistica, sanando una pregressa situazione di sostanziale antigiuridicità (così TAR Campania–Napoli, Sez. VI, 03.09.2010, n. 17282 in DeJure).
Proprio l'eccezionalità del condono edilizio non consente un'applicazione analogica delle norme relative al procedimento ed all'adozione del provvedimento di sanatoria, che ha l'effetto di determinare l'estinzione dei reati connessi alla costruzione in assenza di titoli abilitativi.
Pacificamente la giurisprudenza, penale ed amministrativa, subordina “l'inverarsi della concessione tacitamente assentita, tra l'altro, alla completezza della documentazione da allegare alla domanda” (così TAR Toscana–Firenze, 06.04.2010, n. 925 in DeJure), posto che la carenza di documentazione, ancor di più se non integrata dall'istante su richiesta dalla pubblica amministrazione, determina l'improcedibilità della domanda di sanatoria, precludendo tanto la formazione del silenzio assenso, quanto, conseguentemente, l'estinzione del reato (cfr. Cass. Pen., Sez. III, 25.11.2008, n. 3583 in DeJure; Cass. Pen., Sez. III, 11.07.2000, n. 10969, in Plurisonline).
Non rileva, quindi, nel caso di specie, che i riferimenti catastali dell'immobile oggetto del reato potessero essere, astrattamente, autonomamente accertabili dalla pubblica amministrazione, a consentire di superare il dato testuale, e quindi ineludibile, attesa la eccezionalità dell'istituto del condono edilizio, che preclude la formazione implicita del provvedimento di concessione edilizia in sanatoria in mancanza dell'allegazione dei documenti prescritti dalla legge (commento tratto da www.ipsoa.it - Corte di Cassazione penale, sentenza 18.04.2011 n. 15601).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Chi inquina paga: anche prima di inquinare ... Tutti i costi su chi esercita l'attività.
Il fatto che l’art. 124 del d.lgs. 152/2006 non ponga espressamente a carico del richiedente i costi per il controllo ma solo quelli per l’effettuazione di rilievi, accertamenti, sopralluoghi necessari per l’istruttoria, non può comportare che questi costi debbano essere posti a carico dell’ente autorizzante o della struttura pubblica che effettua i controlli, proprio perché, in applicazione del principio di cui sopra, gli oneri per il controllo devono essere a carico di chi pone in essere l’attività da controllare.
A seguito dell’attenzione alle problematiche ambientali e nella prospettiva di uno sviluppo eco-compatibile si sono venuti affermando una serie di principi, elaborati prevalentemente in sede comunitaria e individuati nell’art. 174 del Trattato CEE, per i quali le politiche ambientali perseguite all’interno della Comunità europea devono tendere alla salvaguardia e, contestualmente, al miglioramento dell’ambiente.
Per il pieno conseguimento di questi obiettivi i principi che rilevano più direttamente in relazione agli strumenti di controllo ambientale sono essenzialmente il principio della precauzione, quello della prevenzione e quello del “chi inquina paga”.
In particolare, questo ultimo è stato espressamente sancito dall’art. 3-ter del Codice dell’Ambiente per il quale “La tutela dell'ambiente e degli ecosistemi naturali e del patrimonio culturale deve essere garantita da tutti gli enti pubblici e privati e dalle persone fisiche e giuridiche pubbliche o private, mediante una adeguata azione che sia informata ai principi della precauzione, dell'azione preventiva, della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all'ambiente, nonché al principio «chi inquina paga» che, ai sensi dell'articolo 174, comma 2, del Trattato delle unioni europee, regolano la politica della comunità in materia ambientale”.
Questo principio, consiste in definitiva nell’imputazione dei costi ambientali (c.d. esternalità ovvero costi sociali estranei alla contabilità ordinaria dell'impresa) al soggetto che ha causato la compromissione ecologica o il pericolo di essa, sia nel quadro di una logica risarcitoria ex post factum, che nel quadro di una logica preventiva dei fatti dannosi (Tar Catanzaro, sez. I, 20.10.2009, n. 1118).
Il principio comunitario “chi inquina paga”, piuttosto che ricondursi alla fattispecie illecita integrata dal concorso dell’elemento soggettivo del dolo o della colpa e dall’elemento materiale, imputa il danno a chi si trovi nelle condizioni di controllare i rischi, cioè imputa il costo del danno al soggetto che ha la possibilità della “cost - benefit analysis”, per cui lo stesso deve sopportarne le responsabilità per essersi trovato, prima del suo verificarsi, nella situazione più adeguata per evitarlo nel modo più conveniente (Tar Napoli, sez. V, 02.11.2009, n. 6758).
In sostanza, in materia ambientale, i necessari principi di proporzionalità e del “chi inquina paga” impongono di addossare gli eventuali costi di un sistema di tutela in modo proporzionale all’incidenza negativa che ogni soggetto esercita sull'ambiente complessivo.
Il fatto che l’art. 124 del d.lgs. 152/2006 non ponga espressamente a carico del richiedente i costi per il controllo ma solo quelli per l’effettuazione di rilievi, accertamenti, sopralluoghi necessari per l’istruttoria, non può comportare che questi costi debbano essere posti a carico dell’ente autorizzante o della struttura pubblica che effettua i controlli, proprio perché, in applicazione del principio di cui sopra, gli oneri per il controllo devono essere a carico di chi pone in essere l’attività da controllare.
Pertanto, si deve ritenere che i costi delle attività di controllo finalizzati a garantire il rispetto delle modalità di scarico e quindi il corretto esercizio dell’attività autorizzata sono di competenza del soggetto che esegue quest’attività (commento tratto da www.ipsoa.it - TAR Puglia-Lecce, Sez. I, sentenza 13.04.2011 n. 664 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZI: Gare, affidamenti a società pubblico-private senza divieti.
Il Consiglio di Stato ha stabilito che l'art. 23-bis, comma 9, del decreto legge n. 112/2008 (cd. manovra estiva 2008), convertito con legge n. 133/2008 e successive modifiche, non si applica alle società miste pubblico-private costituite ai sensi del comma 2, lettera b), del medesimo articolo.
Tale articolo prevede, al comma 2, che il conferimento della gestione dei servizi pubblici locali avviene, in via ordinaria:
a) a favore di imprenditori o di società in qualunque forma costituite individuati mediante procedure competitive ad evidenza pubblica, nel rispetto dei principi del Trattato che istituisce la Comunità europea e dei principi generali relativi ai contratti pubblici e, in particolare, dei principi di economicità, efficacia, imparzialità, trasparenza, adeguata pubblicità, non discriminazione, parità di trattamento, mutuo riconoscimento e proporzionalità;
b) a società a partecipazione mista pubblica e privata, a condizione che la selezione del socio avvenga mediante procedure competitive ad evidenza pubblica, nel rispetto dei principi di cui alla lettera a), le quali abbiano ad oggetto, al tempo stesso, la qualità di socio e l'attribuzione di specifici compiti operativi connessi alla gestione del servizio e che al socio sia attribuita una partecipazione non inferiore al 40 per cento.
Il successivo comma 9 prevede che le società, le loro controllate, controllanti e controllate da una medesima controllante, anche non appartenenti a Stati membri dell'Unione europea, che, in Italia o all'estero, gestiscono di fatto o per disposizioni di legge, di atto amministrativo o per contratto servizi pubblici locali in virtù di affidamento diretto, di una procedura non ad evidenza pubblica, nonché i soggetti cui è affidata la gestione delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni patrimoniali degli enti locali, qualora separata dall'attività di erogazione dei servizi, non possono acquisire la gestione di servizi ulteriori ovvero in ambiti territoriali diversi, né svolgere servizi o attività per altri enti pubblici o privati, né direttamente, né tramite loro controllanti o altre società che siano da essi controllate o partecipate, né partecipando a gare. Il divieto opera per tutta la durata della gestione e non si applica alle società quotate in mercati regolamentati e al socio selezionato.
I soggetti affidatari diretti di servizi pubblici locali possono comunque concorrere su tutto il territorio nazionale alla prima gara successiva alla cessazione del servizio, svolta mediante procedura competitiva ad evidenza pubblica, avente ad oggetto i servizi da essi forniti.
Il caso posto all’attenzione del CdS.
La vicenda nasce a seguito del fatto che una società per azione proponeva ricorso avverso un Comune della Regione Calabria a seguito della sentenza del TAR della Regione stessa concernente una gara per la gestione del servizio di raccolta di rifiuti solidi urbani.
In particolare la società ricorrente impugnava la determinazione del Comune del 2009 con cui era stata indetta una gara a procedura aperta, con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, per la gestione del servizio di raccolta dei rifiuti solidi urbani con la sola modalità differenziata e connesse attività ed oneri sul territorio del Comune stesso; le successive integrazioni al disciplinare di gara e, dunque, le determinazioni di rettifica avevano consentito la partecipazione alla gara della società che era risultata essere l’affidataria del servizio.
La ditta ricorrente deduceva , in particolare, che la società risultata “vincitrice” era già affidataria diretta del servizio di raccolta e trasporto dei rifiuti solidi urbani, di quello di pulizia delle aree mercantili e di quello di spazzamento del Comune e non avrebbe potuto partecipare, ai sensi delle disposizioni contenute nell’art. 23-bis, d.l. n. 112/2008, e s.m.i., a procedure di gara per l’affidamento di servizi ulteriori né gestire il servizio di raccolta differenziata, avendo un socio di minoranza non selezionato per gestire il servizio, e meno che mai quello della raccolta differenziata, neppure inserito nell’oggetto sociale della società affidataria, “esclusivo”, in quanto limitato ai servizi affidati direttamente.
La partecipazione della società affidataria alla gara in questione avrebbe determinato effetti distorsivi della concorrenza, per l’evidente vantaggio sui costi, determinato dalla posizione di affidataria dei servizi di raccolta dei rifiuti urbani indifferenziati.
L’analisi dei giudici amministrativi.
Per i giudici di Palazzo Spada l'affidamento di servizi pubblici locali a società miste pubblico-private, va equiparato, ai fini della tutela della concorrenza e del mercato, all'affidamento a terzi mediante gara (articolo 23-bis, commi 2, lettera b), e 9, Dl 112/2008).
Il Consiglio di Stato dopo una lunga disamina ha respinto un ricorso contro l'affidamento del servizio di raccolta di rifiuti solidi urbani.
Per i giudici amministrativi il divieto ex articolo 23-bis, comma 9, del Decreto legge n. 112/2008, convertito in legge 133/2008, di partecipare a gare per l'affidamento di servizi ulteriori a quelli già gestiti per il Comune, vale solo per chi già gestisce i servizi locali a seguito di affidamento diretto o comunque non tramite gara.
L'affidamento a una società mista pubblico-privata ex articolo 23-bis, comma 2, lettera a), va equiparato, secondo i giudici di Palazzo Spada , all'affidamento mediante pubblica gara: la società in questione, già affidataria di servizi del Comune, in sintesi può partecipare alla gara per l'affidamento di ulteriori servizi locali.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, respinge l’appello e condanna l’appellante a rifondere al Comune e, alla società affidataria, le spese e gli onorari del secondo grado di giudizio (commento tratto da www.ipsoa.it - Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 11.04.2011 n. 2222 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Concetto giuridico di costruzione - Accezione materiale - Accezione funzionale.
Il concetto giuridico di costruzione può essere inteso in una duplice accezione: in senso materiale, allorquando la nuova edificazione sia dotata di elementi portanti che ne sorreggano il peso, siano essi di qualunque materiale, ovvero in senso funzionale, allorquando una nuova edificazione abbia una funzione statica, ed essa rimanga in quiete e saldamente ancorata al suolo in modo tale che non sia facilmente amovibile (TRIBUNALE di Salerno, Sez. distaccata di Eboli, sentenza 11.04.2011 n. 205 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Normativa antisismica - Opere a struttura metallica - Assenza della funzione statica - Applicabilità delle norme di cui agli artt. 93 e 94 del D.P.R. n. 380/2001 - Esclusione - Fattispecie.
Allorquando manchi la funzione statica della costruzione, l'apposizione dell'opera non deve essere preceduta, ai sensi della normativa antisismica, dagli adempimenti di cui agli artt. 93 e 94 del D.P.R. n. 380/2001, la cui disciplina trova pertanto applicazione esclusivamente allorquando le opere a struttura metallica costituiscano elementi strutturali dell'edificio (fattispecie relativa all’installazione su parete di un cartellone pubblicitario sorretto da aste riflesse impiantate in una struttura metallica) (TRIBUNALE di Salerno, Sez. distaccata di Eboli, sentenza 11.04.2011 n. 205 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Abusi edilizi in zona soggetta a tutela. Opere realizzate in data antecedente alla c.d. "legge Galasso".
Sono assoggettate al regime sanzionatorio di cui all’art. 4 della legge n. 47 del 1985 anche le opere abusive realizzate anteriormente alla c.d. "legge Galasso" per le quali non sia stata presentata domanda di condono o nel caso in cui tale domanda sia stata respinta; sicché, una volta accertata la violazione, la sanzione va doverosamente applicata, né occorre motivazione specifica sull’interesse pubblico alla demolizione dell’opera, e neppure il previo accertamento della sua conformità o meno alla vigente disciplina urbanistica, tenuto conto che il potere repressivo comunale non incontra alcun termine di prescrizione o decadenza (massima tratta da www.regione.piemonte.it - Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 07.04.2011 n. 2159 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Nozione di pertinenza urbanistica e differenze rispetto alla sua nozione civilistica.
Nel campo urbanistico, la nozione di pertinenzialità ha peculiarità sue proprie che la differenziano da quella civilistica, atteso che il manufatto deve essere non solo preordinato ad una oggettiva esigenza dell’edificio principale e funzionalmente inserito al suo servizio, ma deve essere, oltre che di volume modesto affinché non comporti il c.d. carico urbanistico, altresì sfornito di autonoma destinazione ed autonomo valore di mercato in virtù dell’instaurazione di un legame giuridico-funzionale stabile tra pertinenza e singola unità immobiliare; legame a causa del quale l’una e l’altra non possano utilizzarsi e disporsi separatamente (Cfr., tra le tante, Cons. Stato, Sez. IV 17.05.2010, n. 3127; id., 15.09.2009, n. 5509, 23.07.2009, n. 4636 e 07.07.2009, n. 3379).
Non possono essere considerate pertinenze, sotto il profilo urbanistico, dei box che sarebbero asserviti ad alloggi IACP, ma che non sono legati a questi ultimi da alcun vincolo di natura giuridico-funzionale, dal momento che nulla è di ostacolo al loro utilizzo e diposizione separata dall’alloggio (1).
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(1) Ha osservato la sentenza in rassegna che, nella specie, doveva escludersi anche la ricorrenza della pertinenzialità ai sensi dell’art. 817 cod. civ. costituita, com’è noto, non solo dall’elemento oggettivo della destinazione di una cosa al servizio (o ornamento) dell’altra, ma pure dall’elemento soggettivo inteso quale volontà del proprietario della cosa principale ad imprimere la destinazione in parola, atteso che le unità immobiliari a cui i box accederebbero non appartengono agli stessi soggetti proprietari dei medesimi box, bensì allo IACP (o oggi l’organismo ad esso succeduto), di cui detti proprietari sono affittuari.
Pertanto, è stata esclusa la stessa configurabilità di pertinenza anche nella più ampia nozione civilistica, dunque a maggior ragione sotto il profilo urbanistico-edilizio
(massima tratta da www.regione.piemonte.it - Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 07.04.2011 n. 2159 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

CONSIGLIERI COMUNALI: Riduzione dell’indennità di carica prevista dallo Statuto comunale per il Presidente del Consiglio comunale disposta con provvedimento del Responsabile dell’area Affari generali del Comune.
E’ legittimo il provvedimento con il quale il responsabile dell’area affari generali di un ente locale, in forza di specifiche disposizioni normative sopravvenute, senza la preventiva adozione di una deliberazione del Consiglio comunale di modifica delle norme statutarie, ha ridotto l’ammontare dell’indennità di carica del Presidente del Consiglio comunale prevista dallo statuto; infatti, in base alla legge vigente (art. 82, commi 1 e 8, d.lgs. 267 del 2000, Testo unico sull’ordinamento degli enti locali) la misura dell’indennità di funzione degli amministratori è quella (e soltanto quella) stabilita nel decreto emesso dal Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23.08.1988, n. 400, sentita la Conferenza Stato-città ed autonomie locali, e s.m.i., questo essendo il solo regime giuridico applicabile alla fattispecie che, fondandosi su norma di legge, prevale su quello dettato da atti amministrativi anteriori (massima tratta da www.regione.piemonte.it - TAR Campania-Napoli, Sez. I, sentenza 06.04.2011 n. 1972 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Individuazione di casi in cui è ammissibile l’impugnazione del bando di gara.
L’impugnazione del bando di gara è consentito alle imprese che non abbiano presentato domanda di partecipazione alla gara medesima soltanto quando il bando stesso preveda delle norme che non consentono la partecipazione alla gara indetta, nel senso che se le imprese suddette avessero partecipato alla gara, sarebbero state sicuramente escluse (Cfr. Cons. Stato, Ad. Plen., n. 1 del 2003 e Sez. V, n. 4338 del 2009.).
E’ inammissibile un ricorso avverso il bando di una gara di appalto, fondato sulla doglianza secondo cui il termine previsto dal bando per la presentazione delle offerte è eccessivamente breve, e, per tale ragione, non consente di formulare l’offerta, nel caso in cui l’impresa ricorrente non abbia presentato domanda di partecipazione alla gara; infatti, in tal caso le censure si appuntano non sulla impossibilità di partecipare alla gara, ma sulla ritenuta difficoltà di poter formulare un’offerta remunerativa a cagione della esiguità del termine concesso dal bando, il che è assolutamente diverso dalla presenza di norme che non consentono neppure la partecipazione.
L’art. 133 del decreto legislativo n. 163 del 2006 (Codice dei contratti pubblici), il quale prevede l’onere dell’aggiornamento dei prezzari, non è una norma cogente, ma soltanto una indicazione alle amministrazioni aggiudicatrici di prendere in considerazione le variazione dei prezzi secondo un costante aggiornamento (Ha osservato, in particolare, la Sez. V che le amministrazioni non sono obbligate a porre a base del loro computo estimativo i suddetti prezzari, anche in considerazione della generale illegittimità comunitaria dei minimi tariffari inderogabili; le stazioni appaltanti possono scegliere una base di calcolo che ritengano più opportuna in ordine alle contingenze che riguardano l’appalto che va in gara, per cui, le imprese che valutano di non poter partecipare alla gara sulla base di quel computo estimativo, possono decidere di non presentare offerte, mentre mai possono imporre all’amministrazione una base d’asta che possa essere per loro maggiormente conveniente da un punto di vista economico) (massima tratta da www.regione.piemonte.it - Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 01.04.2011 n. 2033 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Rifiuti e deroghe per il deposito temporaneo: ma quando?
Perché possa applicarsi il regime giuridico derogatorio previsto dal D.Lgs. 03.04.2006, n. 152 per le attività integranti deposito temporaneo è necessario il rispetto delle condizioni oggettive, cronologiche e quanti-qualitative sulla natura dei rifiuti, la cui violazione qualifica la gestione dei rifiuti come attività di deposito preliminare o di stoccaggio, necessitanti del rilascio di preventiva autorizzazione.
La Suprema Corte torna a pronunciarsi sulla annosa questione della disciplina giuridica applicabile in relazione alla fattispecie di deposito temporaneo, ribadendo i criteri distintivi oggetto di previsione normativa, interpretati con chiarezza dalla giurisprudenza di legittimità progressivamente consolidatasi nel corso degli anni.
La sentenza appare, inoltre, particolarmente significativa in quanto si inserisce in una complessa vicenda nella quale l'attività abusiva di gestione di rifiuti aveva riguardato una cosiddetta ecopiazzola (o isola ecologica), sul cui regime giuridico e sulla cui evoluzione, normativa e giurisprudenziale, la stessa Corte è recentemente intervenuta con altra decisione, oggetto di separato commento su Sistema Ambiente & Sicurezza (sez. 3, n. 7950/2011).
Il fatto.
Come anticipato, la vicenda processuale, da cui la Corte ha preso le mosse per fare chiarezza sul tema del rapporto tra deposito preliminare e temporaneo, vedeva imputati il Sindaco ed il dirigente tecnico di un Comune umbro che, a seguito di un sopralluogo dei carabinieri appartenenti all'allora N.O.E. (Nucleo operativo ecologico, oggi Comando carabinieri tutela ambiente), erano stati individuati come responsabili dell'attività di gestione abusiva di una stazione ecologica comunale, costituita da una superficie di circa 3000 mq. distinta in due zone, la prima delle quali adibita per rimessaggio di mezzi adibiti per la raccolta di rifiuti urbani e, la seconda, utilizzata per la raccolta differenziata dei rifiuti.
Quest'ultima, in particolare, risultava svolta senza autorizzazione, nonostante la Provincia, all'epoca competente per il rilascio del titolo abilitativo, avesse opposto un diniego al rilascio dell'autorizzazione per inidoneità dell'area in cui la stessa era stata localizzata.
L'area era stata, quindi, sottoposta a sequestro preventivo, revocato solo a seguito del rilascio dell'autorizzazione da parte della Provincia. All'esito del giudizio di merito, tuttavia, il sindaco era stato assolto in quanto aveva conferito regolare delega al dirigente tecnico comunale; quest'ultimo, invece, era stato condannato per non essersi attivato nonostante il diniego del rilascio dell'autorizzazione da parte della Provincia, continuando a gestire l'ecopiazzola senza autorizzazione.
Il ricorso.
Avverso la decisione di condanna proponeva impugnazione la difesa del dirigente tecnico, mentre il Procuratore della Repubblica proponeva ricorso per cassazione contro l'assoluzione del Sindaco.
Per quanto qui di interesse, le difese sostenevano la contraddittorietà della tenuta motivazionale della sentenza nonché l'inesatto inquadramento giuridico della fattispecie, contestando in particolare che la gestione dell'ecopiazzola potesse essere inquadrata nell'attività abusiva di gestione dei rifiuti; più specificamente, poi, le difese degli imputati sostenevano che detta isola ecologica avesse in realtà funzionato come deposito temporaneo dei rifiuti prodotti dal Comune, dovendosi quindi applicare il regime derogatorio previsto dall'allora vigente art. 6, lett. m), del D.Lgs. n. 22/1997.
La decisione della Cassazione.
La Corte, pur annullando la sentenza senza rinvio per intervenuta prescrizione, medio - tempore, del reato contestato agli imputati, opera una interessante analisi della disciplina giuridica applicabile, pervenendo alla conclusione che, nel caso in esame, non potesse configurarsi un'ipotesi di deposito temporaneo e controllato dei rifiuti.
Sul punto, infatti, bene osserva il Supremo Collegio come, al fine di poterlo ritenere configurabile, occorre il rispetto delle seguenti condizioni:
a) raggruppamento dei rifiuti nel luogo di produzione (e tale non poteva ritenersi l'ecopiazzola, luogo dove vengono normalmente conferiti i rifiuti comunali);
b) rispetto dei tempi di giacenza (nel caso in esame, individuati dal giudice di merito in due settimane);
c) natura e quantità dei rifiuti. Diversamente, ove non sia ravvisabile il mancato rispetto di tali indefettibili condizioni, si deve parlare non più di deposito temporaneo, ma di deposito preliminare o stoccaggio, attività per le quali è necessaria una preventiva autorizzazione.
La soluzione della Corte è assolutamente condivisibile (avendo, peraltro, affrontato il Giudice di legittimità la questione della necessità dell'autorizzazione provinciale per l'installazione dell'ecopiazzola, ritenendo irrilevante la modifica normativa introdotta dal D.Lgs. n. 4/2008 con l'inserimento dell'art. 183, lett. cc), che ha introdotto la definizione di "centri di raccolta", posto che questi ultimi si riferiscono ad attività di raggruppamento di rifiuti urbani omogenei, mentre, nel caso in esame, l'eterogeneità dei rifiuti ne escludeva l'omogeneità e la esclusiva origine urbana).
Com'è noto, infatti, la giurisprudenza di legittimità ha avuto il merito di procedere ad una corretta esegesi della disciplina giuridica applicabile al deposito di rifiuti, costituente una delle fasi di gestione previste dalla legge. Sul punto, anche con recenti decisioni, i giudici di Piazza Cavour hanno ben chiarito come allorché il deposito dei rifiuti manchi dei requisiti fissati dall'art. 183 per essere qualificato quale temporaneo, si realizzano, secondo i casi:
a) un deposito preliminare, sanzionato dall'art. 256, comma primo, se il collocamento dei rifiuti è prodromico ad una operazione di smaltimento;
b) una messa in riserva in attesa di recupero, sanzionata dall'art. 256, comma primo, che, quale forma di gestione, richiede il titolo autorizzativo;
c) un deposito incontrollato od abbandono, sanzionato, amministrativamente o penalmente, secondo i casi, dagli artt. 255 e 256, comma secondo, quando i rifiuti non sono destinati ad operazioni di smaltimento o di recupero;
d) una discarica abusiva, sanzionata dall'art. 256, comma terzo, quando l'abbandono è reiterato nel tempo e rilevante in termini spaziali e quantitativi (Cass. pen., sez. 3, n. 49911 del 30/12/2009, M., in Ced Cass. 245865).
L'attuale disciplina normativa, oggetto della novella legislativa attuata con il D.Lgs. n. 205/2010, distingue tra:
a)smaltimento” (art. 183, lett. z): qualsiasi operazione diversa dal recupero anche quando l’operazione ha come conseguenza secondaria il recupero di sostanze o di energia. L’Allegato B alla parte IV del presente decreto riporta un elenco non esaustivo delle operazioni di smaltimento);
b)stoccaggio” (art. 183, lett. aa): le attività di smaltimento consistenti nelle operazioni di deposito preliminare di rifiuti di cui al punto D15 dell'allegato B alla parte quarta del presente decreto, nonché le attività di recupero consistenti nelle operazioni di messa in riserva di rifiuti di cui al punto R13 dell'allegato C alla medesima parte quarta);
c)deposito temporaneo” (art. 183, lett. bb): il raggruppamento dei rifiuti effettuato, prima della raccolta, nel luogo in cui gli stessi sono prodotti, alle seguenti condizioni:
1) i rifiuti contenenti gli inquinanti organici persistenti di cui al regolamento (CE) 850/2004, e successive modificazioni, devono essere depositati nel rispetto delle norme tecniche che regolano lo stoccaggio e l’imballaggio dei rifiuti contenenti sostanze pericolose e gestiti conformemente al suddetto regolamento;
2) i rifiuti devono essere raccolti ed avviati alle operazioni di recupero o di smaltimento secondo una delle seguenti modalità alternative, a scelta del produttore dei rifiuti: con cadenza almeno trimestrale, indipendentemente dalle quantità in deposito; quando il quantitativo di rifiuti in deposito raggiunga complessivamente i 30 metri cubi di cui al massimo 10 metri cubi di rifiuti pericolosi. In ogni caso, allorché il quantitativo di rifiuti non superi il predetto limite all'anno, il deposito temporaneo non può avere durata superiore ad un anno;
3) il “deposito temporaneo” deve essere effettuato per categorie omogenee di rifiuti e nel rispetto delle relative norme tecniche, nonché, per i rifiuti pericolosi, nel rispetto delle norme che disciplinano il deposito delle sostanze pericolose in essi contenute;
4) devono essere rispettate le norme che disciplinano l'imballaggio e l'etichettatura delle sostanze pericolose;
5) per alcune categorie di rifiuto, individuate con decreto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministero per lo sviluppo economico, sono fissate le modalità di gestione del deposito temporaneo).
Le regole in tema di autorizzazioni (art. 208, comma 17) non si applicano al deposito temporaneo effettuato nel rispetto delle condizioni stabilite dall'articolo 183, comma 1, lettera m) «fatti salvi l'obbligo di tenuta dei registri di carico e scarico da parte dei soggetti di cui all'articolo 190 ed il divieto di miscelazione di cui all'articolo 187»; analogamente, il deposito temporaneo degli oli usati deve essere realizzato in modo da tenere costantemente separate, per quanto tecnicamente possibile, tipologie di oli usati da destinare, secondo l´ordine di priorità di cui all’articolo 179, comma 1, a processi di trattamento diversi fra loro (art. 216-bis) (commento tratto da www.ipsoa.it - Corte di Cassazione penale, sentenza 23.03.2011 n. 11650).

EDILIZIA PRIVATA: Certificati di destinazione urbanistica, contestazioni al G.O..
La sentenza affronta il caso di una società che ha impugnato davanti al Tribunale Amministrativo Regionale il certificato di destinazione urbanistica, sostenendone l'illegittimità, in quanto nell'atto sarebbe erroneamente indicato come saturo un comparto edificatorio, privando così ingiustificatamente un mappale della propria volumetria e di conseguenza rendendo non attuabile un progetto edilizio proposto dalla ricorrente. La sentenza, conformandosi alla giurisprudenza assolutamente prevalente, afferma il difetto di giurisdizione in merito alla controversia, che rientra, invece, nella giurisdizione del giudice ordinario.
A favore della tesi sostenuta dal TAR militano diversi elementi.
In primo luogo deve ritenersi che il certificato in questione non sia un vero e proprio provvedimento amministrativo, bensì un mero atto.
Sin dagli inizi del secolo scorso la dottrina e la giurisprudenza amministrative distinguono la nozione di provvedimento da quella più generale di atto amministrativo.
Il primo riassume tutti i requisiti propri delle manifestazioni della funzione pubblica, è l'atto conclusivo del procedimento e produce effetti nei confronti dei destinatari: è quindi la più importante specie di atto amministrativo.
Il termine atto amministrativo in senso stretto è stato spesso utilizzato, invece, per individuare gli atti posti in essere dalla pubblica amministrazione, ma che sono privi dei caratteri propri dei provvedimenti.
Secondo la teoria classica sono atti amministrativi non provvedimentali:
a) gli atti paritetici, cioè gli atti di volontà privi del carattere dell'autoritarietà;
b) gli atti di mero accertamento (ad es. certificazioni, registrazioni, verbalizzazioni).
Secondo la dottrina prevalente i caratteri propri del provvedimento sono i seguenti:
a) unilateralità;
b) tipicità e nominatività;
c) imperatività o autoritarietà;
d) inoppugnabilità;
e) esecutività.
L'unilateralità segnala che il provvedimento non ha bisogno del concorso della volontà dei destinatari per esistere.
Ciò lo distingue dai contratti, anche di diritto pubblico, che richiedono il concorso della volontà di due parti.
Si differenzia, invece, dai negozi unilaterali di diritto privato perché, essendo espressione di un potere amministrativo, il provvedimento può modificare unilateralmente le posizioni giuridiche dei terzi anche in senso negativo, mentre gli atti unilaterali di diritto privato possono modificare la sfera giuridica dei terzi senza il loro consenso solo in senso favorevole.
La tipicità significa che i provvedimenti sono definiti nei loro elementi costitutivi dalla legge, mentre con il termine nominatività si sottolinea che essi solo quelli previsti dal legislatore.
La tipicità è espressione del principio di legalità, in quanto il potere di sacrificare unilateralmente le posizioni giuridiche dei terzi dev'essere espressamente previsto dalla legge, che ne determina anche i presupposti e gli effetti.
Il principio di tipicità comporta che il provvedimento è legittimo solo vi è corrispondenza tra potere amministrativo e provvedimento: qualora un atto sia posto in essere per perseguire un interesse, anche pubblico, diverso da quello per il quale è previsto, esso è viziato da eccesso di potere per sviamento dall'interesse pubblico o dalla causa tipica.
Ulteriore conseguenza del principio di tipicità, secondo la giurisprudenza, è che la qualificazione del provvedimento va operata in base all'esclusiva considerazione del potere effettivamente esercitato, e non in base alla qualificazione ad esso attribuita dalle parti o alle norme in esso citate.
Il requisito dell'imperatività o autoritarietà è il più discusso.
Secondo la teoria classica il provvedimento è la manifestazione di un potere d'impero della pubblica amministrazione e tale potere è l'essenza stessa del provvedimento.
Con questo termine si intende il potere di costituire, modificare ed estinguere le posizioni giuridiche dei terzi mediante un proprio atto unilaterale, esercizio di quel potere.
La dottrina della fine dell'ottocento e del primo novecento ha identificato nell'imperatività il carattere tipico del provvedimento.
Diverse erano le conseguenze che si desumevano dal requisito dell'imperatività del provvedimento.
In primo luogo il divieto del giudice ordinario di modificare il provvedimento; in secondo luogo la sua esecutorietà, cioè la possibilità di portarlo ad esecuzione forzata senza bisogno dell'intervento del giudice; in terzo luogo l'autotutela, cioè il potere della p.a. di modificare o revocare una sua precedente manifestazione di volontà unilateralmente; in quarto luogo il potere di degradare i diritti soggettivi ad interessi legittimi per assoggettarli al potere amministrativo.
Gran parte di questi poteri della p.a., oggi, però sono stati ridimensionati. In particolare, come vedremo, la L. 11.02.2005, n. 15, che ha dettato lo statuto del provvedimento amministrativo, ha escluso che tali poteri siano insiti nel potere amministrativo, ma li ha ricondotti all'unica fonte che in un regime democratico li può giustificare, cioè la legge.
Così l'esecutorietà non è più un principio generale ma si applica ai soli provvedimenti ai quali la legge la conferisce (art. 21-ter, L. n. 241 del 1990); l'autotutela trova fondamento e disciplina nella legge (artt. 21-quinquies e 21-octies, L. n. 241 del 1990); il divieto imposto al giudice ordinario di modificare e revocare il provvedimento consegue al principio di separazione dei poteri e trova nella legge diverse eccezioni; la teoria della degradazione è ormai superata a favore della teoria secondo cui le situazione soggettive di diritto e di interesse legittimo convivono dall'inizio e si manifestano a secondo del soggetto (pubblico o privato) che pone in essere l'aggressione del bene tutelato. Sembra lecito quindi concludere che l'autorità o imperatività del provvedimento consiste oggi nella sua idoneità a modificare situazioni giuridiche altrui, senza necessità dell'altrui consenso.
Il concetto di autoritatività resta, in ogni caso, centrale quale criterio di riparto di giurisdizione in quanto la Corte costituzionale (Sent. 06.07.2004, n. 204) ha affermato che una materia può essere oggetto di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo solo se in essa la pubblica amministrazione agisce anche esercitando il suo potere autoritativo.
Ha elevato così l'autoritatività a criterio di riparto di giurisdizione.
Le certificazioni, invece, sono prive del requisito dell'imperatività in quanto non esprimono una volontà dell'amministrazione e non hanno effetto costitutivo sulle posizioni giuridiche dei privati.
Dai certificati ordinari vanno poi distinti gli atti di accertamento costitutivo i quali, pur avendo contenuto di accertamento, producono effetti costitutivi e, quindi, sono inquadrati tra i provvedimenti.
La sentenza in commento riconosce che il certificato di destinazione urbanistica è un certificato ordinario "in quanto atto di certificazione redatto da un pubblico ufficiale, ha natura ed effetti meramente dichiarativi e non costitutivi di posizioni giuridiche, che discendono in realtà da altri provvedimenti, che hanno a loro volta determinato la situazione giuridica acclarata dal certificato stesso. Di conseguenza, essendo sfornito di ogni efficacia provvedimentale, è altresì privo di concreta lesività, il che rende impossibile la sua autonoma impugnazione".
Parzialmente diverso, nel contenuto ma non negli effetti, è l'orientamento della Cassazione (Cass. Civile, Sez. Unite, 23.09.2010, n. 20072) la quale ha chiarito che "la controversia in merito al contenuto del certificato di destinazione urbanistica esula dal campo riservato alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, non controvertendosi, nella specie, in ordine ad alcuna ipotesi di gestione del territorio, che del D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 34, riserva alla competenza esclusiva del G.A.
Infatti il rilascio della certificazione in parola integra gli estremi non già dello svolgimento di una qualsivoglia attività provvedimentale della P.A., bensì del comportamento (sicuramente colposo) del funzionario, riconducibile all'ente di appartenenza, astrattamente idoneo a risolversi in un illecito civile, con la conseguenza che spetta al giudice ordinario la cognizione (e l'accertamento in concreto) della sussistenza e della tutelabilità, sul piano risarcitorio, delle posizioni di diritto soggettivo che si assumono lese da un certificato errato
".
Vediamo quindi come la Cassazione abbia regredito il certificato in questione addirittura a mero comportamento amministrativo, che, in quanto tale non costituisce attività illegittima dell'amministrazione ma solo un comportamento foriero di danni lesivi di diritti soggettivi.
Questa degradazione è la conseguenza del carattere meramente compilativo dell'atto, nel quale non si rinviene alcun esercizio della funzione amministrativa, neppure vincolata.
Infatti esso è la mera sintesi di precedenti provvedimenti (le concessione edilizie che hanno disposto della volumetria) e non produce alcun effetto vincolante, neppure nei confronti dell'amministrazione che potrà discostarsene.
Si tratta quindi, secondo la Cassazione, di una mera operazione che non comporta alcuna elaborazione mentale e tecnica con la conseguenza che non rientra neppure negli atti amministrativi.
Le conseguenze sul riparto della giurisdizione sono però le medesime: degli eventuali errori del certificato conosce il giudice ordinario perché ledono una posizione di diritto soggettivo (commento tratto da www.ipsoa.it -
TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 14.03.2011 n. 729 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Impianto calcestruzzo amovibile.
E' illegittima l'autorizzazione provvisoria riguardante opere trasferibili e precarie (impianto di calcestruzzo amovibile) installate sul suolo agricolo posto che il concetto di opera contingente, momentanea e transitoria va parametrato con riferimento non alle dimensioni ma alla durata nel tempo dei bisogni che l'edificazione dell'opera intende soddisfare.
Pertanto, l'assenza di permesso a costruire comporta la sussistenza del reato di cui all'art. 44, lett. b, DPR 380/2001. Di converso, tale illegittimità non costituisce violazione di legge macroscopica idonea a provare ex se il dolo intenzionale del delitto di abuso d'ufficio (TRIBUNALE Santa Maria C.V., sentenza 10.03.2011 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: Impugnazione titolo edilizio e vicinanza a struttura commerciale all'ingrosso.
Tenendo conto della distanza, delle dimensioni e delle caratteristiche dell'attività svolta, l'avvio di un nuovo esercizio di vendita all'ingrosso risulta potenzialmente idoneo ad introdurre elementi di squilibrio nel tessuto commerciale della zona nella quale altri operatori abbiano già acquisito legittimamente una posizione di mercato.
Il fatto che gli esercizi siano ubicati in Comuni diversi non fa venir meno l'interesse ad impedire lo svolgimento di un'attività economica potenzialmente concorrenziale la quale, per la natura dei prodotti offerti, è idonea a soddisfare parte della medesima domanda del pubblico, considerato che la clientela potrebbe essere attratta dal nuovo insediamento per l'oggettiva e relativa vicinanza dei punti vendita.

L'attività di commercio all'ingrosso, infatti, sebbene sia caratterizzata da un numero di transazioni più limitato rispetto alla vendita al dettaglio, contempla lo spostamento di copiose quantità di merci e prodotti con l'impiego di capienti mezzi di trasporto su gomma, ove per l'economia di ciascun viaggio è del tutto indifferente percorrere dieci o venti chilometri in aggiunta, dove la differenza è -viceversa- fatta dal prezzo, nonché dalla quantità e dalla qualità dei prodotti disponibili.
Tale circostanza, pertanto, è idonea ex se a legittimare un'azione di annullamento di un titolo edilizio abilitativo alla costruzione, non necessitandosi una comprova dell'identità del bacino di utenza delle medesime ricorrenti con quello della struttura per cui è causa sotto il profilo dell'identità dei prodotti alimentari e dei marchi rispettivamente commercializzati.
Nella specie, non può soccorrere l'orientamento giurisprudenziale secondo il quale, in tema di impugnazione di un titolo edilizio, la legittimazione a ricorrere va individuata applicando il criterio dello stabile collegamento tra il ricorrente e la zona interessata dall'attività assentita dalla concessione asseritamente illegittima, ove tale relazione può derivare dalla residenza nella zona interessata, dalla proprietà, possesso o detenzione di immobili nella zona medesima, ovvero da altro titolo di radicata frequentazione di quest'ultima.
Tale indirizzo, infatti, riconosce la legittimazione a ricorrere unicamente a salvaguardia dei valori urbanistici, e quindi apprezza l'insediamento come stabile ubicazione delle aspirazioni di vita dei cittadini, nel mentre nella fattispecie qui disaminata affiorano interessi di natura precipuamente commerciale, autonomamente idonei a radicare una pretesa tutelabile in sede giurisdizionale.
In relazione all'istituto della DIA, il moltiplicarsi della normativa in materia ha condotto ad una vera e propria frantumazione dell'istituto medesimo in una pluralità di forme applicative per diversi settori, ciascuno dei quali assoggettato ad un regime più o meno peculiare ma -nondimeno- razionalizzabile secondo una sua ricostruzione unitaria.
Una pregressa interpretazione ha a suo tempo escluso che dalla DIA potesse scaturire un atto amministrativo, perché si tratterebbe di atto soggettivamente e oggettivamente privato, il quale avrebbe soltanto il valore di una comunicazione fatta dal privato alla Pubblica Amministrazione circa la propria intenzione di realizzare un'attività direttamente conformata dalla legge e che non necessiterebbe di titoli provvedimentali.
Tuttavia, da tale tesi sono derivati rilevanti problemi sostanziali e processuali:
- il problema dell'esatta natura giuridica del silenzio eventualmente mantenuto dall'Amministrazione Comunale nei giorni successivi alla presentazione di una denuncia di inizio attività (e ciò, nello specifico modulo delineato in materia edilizia dall'art. 2, comma 60, L. n. 662 del 1996 -sostituito, in seguito da quello delineato nell'art. 23, T.U. n. 380 del 2001);
- la questione dei rimedi giurisdizionali di cui il terzo disponesse per opporsi all'esecuzione dei lavori intrapresi in base alla semplice denuncia del loro inizio da parte dell'interessato (in particolare nel caso che l'Amministrazione Comunale non avesse adottato un formale provvedimento inibitorio nel termine dei venti giorni prescritti dalla norma, prima che l'attività denunciata possa essere intrapresa dall'interessato) e, dunque, se il comportamento silente in questione fosse qualificabile come inadempimento e come tale fosse quindi impugnabile (solo) secondo il rito speciale di cui all'art. 21-bis, L. n. 1034 del 1971.
Atteso quanto sopra, si rileva che la DIA, anche nei termini generali di cui all'art. 19, L. n. 241 del 1990, si configura quale istituto del tutto peculiare che consente al privato l'esercizio di una certa attività comunque rilevante per l'ordinamento, già subordinato a qualsivoglia forma di autorizzazione e -per l'appunto- assimilabile ad un'istanza autorizzatoria, la quale, con il decorso del términe di legge, provoca la formazione di un titolo che rende lecito l'esercizio dell'attività, ossia di un provvedimento tacito di accoglimento dell'istanza del privato.
L'atto di comunicazione dell'avvio dell'attività, a differenza di quanto accade nel caso del silenzio-assenso, a sua volta disciplinato dall'art. 20, L. n. 241 del 1990, non è, quindi, una domanda ma un'informativa, cui è subordinato l'esercizio del diritto.
Il provvedimento, rispetto al quale l'Amministrazione Comunale può esercitare poteri di autotutela (non solo vincolati a carattere repressivo, ma anche discrezionali di secondo grado) si forma, dunque, con l'esperimento di un ben delineato modulo procedimentale, all'interno del quale la DIA costituisce pur sempre un'autocertificazione della sussistenza delle condizioni stabilite dalla legge per la realizzazione dell'intervento, sulla quale la Pubblica Amministrazione svolge una attività eventuale di controllo, al tempo stesso prodromica e funzionale al formarsi, a seguito del mero decorso del periodo di tempo normativamente prefissato (e non, dunque, dell'effettivo svolgimento della attività medesima), del titolo necessario per il lecito dispiegarsi della attività del privato.
Alla DIA si deve, quindi, riconoscere una valenza sicuramente provvedimentale a formazione tacita.
Confortano tale tesi:
- il fatto che l'art. 21, comma 2, L. n. 241 del 1990 stabilisca che le sanzioni già previste per le attività svolte senza la prescritta autorizzazione siano applicate quando l'attività, pur dopo la comunicazione all'Amministrazione, venga iniziata in mancanza dei requisiti richiesti o comunque in contrasto con le disposizioni di legge;
- la circostanza che lo stesso art. 21, al comma 2-bis, configuri l'inizio della attività, ai sensi degli artt. 19-20, non preclusivo dell'esercizio delle attribuzioni di vigilanza, prevenzione e controllo su attività soggette ad atti di assenso da parte di pubbliche amministrazioni previste da leggi vigenti;
- l'ulteriore circostanza che la previsione espressa del potere dell'Amministrazione di assumere determinazioni in via di autotutela presupponga comunque la sussistenza di un provvedimento su cui intervenire (e ciò anche con riferimento a quanto stabilito per la DIA edilizia dall'art. 38, comma 2-bis, T.U. n. 380 del 2001, laddove l'accertamento dell'inesistenza dei presupposti per la formazione del titolo è espressis verbis equiparata ai casi di permesso annullato).
Prima dell'entrata in vigore del nuovo processo amministrativo, l'appello incidentale "proprio" o "subordinato", conformemente al combinato disposto di cui all'art. 37, T.U. n. 1054 del 1924 ed all'art. 28, L. n. 1034 del 1971, costituiva il rimedio incidentale di carattere subordinato volto ad eliminare la soccombenza dell'appellato nei confronti dell'appellante, e si poneva quale strumento geneticamente subordinato rispetto alla proposizione del ricorso principale ed allo scopo di paralizzare l'azione ex adverso proposta, per l'ipotesi della sua ritenuta fondatezza in sede di gravame, secondo la logica della c.d. impugnazione condizionata.
L'appello incidentale "improprio", invece, si caratterizzava soprattutto per una marcata autonomia tanto nei presupposti (autonomia dell'interesse alla proposizione dell'appello), tanto sotto il profilo funzionale, configurandosi in tal senso quale conseguenza dell'introduzione nell'ordinamento processuale amministrativo della previsione di cui art. 333 c.p.c., nella logica del simultaneus processus.
A logica conclusione di ciò, nel processo amministrativo l'appello incidentale autonomo o improprio, in quanto sostenuto da un interesse non dipendente dall'impugnativa principale, assumeva di per sé la mera veste formale del gravame incidentale al solo fine di realizzare il simultaneus processus, con la conseguenza che esso andava proposto nei termini stabiliti per quello principale.
Ciò in quanto non assoggettato alla disciplina prevista dall'art. 37, T.U. n. 1054 del 1924, né a quella sancita art. 327 c.p.c..
Al riguardo, la giurisprudenza affermava che, proprio perché l'interesse alla proposizione del gravame sorge non già con la notifica dell'appello principale, bensì direttamente dalle sfavorevoli (ovvero non pienamente favorevoli) statuizioni delle sentenza oggetto di impugnazione, ne consegue che il termine per esperire il rimedio è quello previsto in via generale per la proposizione dell'appello principale, ai sensi del secondo comma dell'art. 28, L. n. 1034 del 1971, reputando in tal senso inapplicabile nel processo amministrativo l'istituto di cui art. 334 c.p.c..
Con l'entrata in vigore del nuovo processo amministrativo, l'art. 96 del codice medesimo ammette, invece, la proposizione del ricorso incidentale improprio mediante un espresso richiamo art. 334 c.p.c. (commento tratto da www.ipsoa.it - Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 08.03.2011 n. 1423 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Rifiuti, sversamento di percolato: quale disciplina applicabile?
Integra il reato previsto dall’art. 137 del D.Lgs. 03.04.2006, n. 152 la condotta consistente nello sversamento di “percolato” da un impianto di smaltimento di rifiuti solidi urbani in un corso d’acqua superficiale, sussistendo un nesso funzionale e diretto del refluo con il corpo idrico recettore; non sussiste la violazione del principio di correlazione tra fatto contestato e fatto ritenuto in sentenza (art. 521 c.p.p.) ove l’imputato sia condannato per il reato di scarico di acque reflue senza autorizzazione a fronte dell’imputazione originaria di scarico di “percolato”; sussiste la responsabilità penale del legale rappresentante di società esercente l’attività di smaltimento di RSU in caso di sversamento di “percolato” in un corso d’acqua superficiale; il reato di scarico senza autorizzazione di percolato concorre con il reato paesaggistico.
Ben quattro i principi di diritto affermati dalla Corte di Cassazione con la sentenza qui commentata. I giudici di legittimità, muovendo da un caso “anonimo” che vedeva imputato il legale rappresentante di una società di gestione di un impianto di smaltimento di RSU, ha affermato alcuni importanti principi dando nuovo vigore e vitalità ad un tema, quello del rapporto tra disciplina delle acque e disciplina dei rifiuti liquidi, da tempo ormai non più affrontato in maniera innovativa dalla Corte, essendo infatti venuti meno i punti problematici che avevano caratterizzato la controversa nozione di “scarico” all’indomani del varo del T.U.A., superati con la modifica di detta nozione per effetto del D.Lgs. n. 4 del 2008.
Il fatto.
La vicenda processuale che ha offerto lo spunto alla Cassazione per articolare i numerosi principi di diritto enunciati vedeva imputato il gestore di un impianto di smaltimento dei rifiuti solidi urbani di un comune, di proprietà della locale Comunità montana, al quale era stato contestato di aver effettuato, senza autorizzazione, lo scarico del percolato prodotto in detto impianto in un corso d’acqua superficiale sito all’interno di un famoso parco nazionale.
Al predetto erano stati, quindi, contestati sia la violazione della disciplina in materia di inquinamento idrico che la violazione paesaggistica. In sede di merito, sia il giudice di primo grado che quello d’appello, avevano ritenuto l’imputato penalmente responsabile di entrambi i reati contestati.
Il ricorso.
L’imputato proponeva ricorso per cassazione avverso la pronuncia di condanna articolando alcuni motivi. Per quanto qui di interesse, in particolare, egli contestava la violazione dell’art. 521 c.p.p. (principio della correlazione tra fatto contestato e fatto ritenuto in sentenza) in quanto il giudice, a fronte di un’imputazione originaria di scarico di percolato, lo aveva invece condannato per lo sversamento di acque reflue: tale soluzione sarebbe errata, a giudizio del reo, poiché i liquami provenienti dall’interno di un impianto di trattamento di rifiuti non sarebbero identificabili come acque reflue né industriali né urbane.
In secondo luogo, poi, contestava l’affermazione della sua responsabilità penale, non essendo stata valutata la presenza di organi tecnici preposti a specifici compiti connessi alle varie fasi dello smaltimento; infine, contestava la configurabilità del reato paesaggistico, non essendo possibile individuare “lavori” incidenti sul bene paesaggistico offeso, peraltro nemmeno agevolmente individuabile.
La decisione della Cassazione.
La Corte, nel disattendere tutti i motivi, ha rigettato il ricorso, affermando i principi in precedenza esposti. Osserva, anzitutto, la Cassazione come i giudici di merito abbiano correttamente inquadrato la vicenda da un punto di vista giuridico, applicando cioè la disciplina delle acque e non quella dei rifiuti.
Sul punto, precisano gli ermellini, è ben vero che la nozione di “percolato” viene definita dal decreto di recepimento della direttiva discariche (D.Lgs. 13.01.2006, n. 36) come il “liquido che si origina prevalentemente dall'infiltrazione di acqua nella massa dei rifiuti o dalla decomposizione degli stessi” (art. 2, lett. m, sicché lo stesso ben può assumere la natura di rifiuto «ma ciò soltanto allorquando lo stesso non si configuri quale acqua sostanzialmente “di processo” direttamente smaltita in corpo idrico recettore».
Nel caso in esame, invece, sottolineano i giudici di legittimità, non adducendosi nel ricorso l’insussistenza di un nesso funzionale e diretto delle acque reflue con il corpo idrico recettore (che ricondurrebbe la gestione delle acque reflue medesime nell’ambito dei rifiuti), trova applicazione la disciplina dettata dal Titolo III° del T.U.A., con conseguente assoggettamento della vicenda alla fattispecie sanzionatoria prevista dall’art. 137, D.Lgs. n. 152 del 2006.
Quanto, poi, alla ipotizzata violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza (art. 521 c.p.p.) bene osserva la Corte come per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume la ipotesi astratta prevista dalla legge, sì da pervenire ad un'incertezza sull'oggetto dell'imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa; ne consegue che l'indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perché, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione e' del tutto insussistente quando l'imputato, attraverso l'"iter" del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all'oggetto dell'imputazione (v., per tutte: Sez. U, 22.10.1996, n. 16, Di Francesco, in Ced Cass. 205619).
Facendo coerente applicazione di tale principio alla vicenda in esame, si evidenzia come corretta sia la qualificazione giuridica operata dai giudici di merito, poiché i contenuti essenziali dell’addebito risultano riferiti all’effettuazione dello scarico, nel corso d’acqua superficiale, del percolato prodotto nell’impianto di smaltimento dei rifiuti solidi urbani, ed in relazione a tale condotta illecita l’imputato si è difeso ed è stato condannato previa qualificazione corretta del percolato come “acqua di scarico non domestica”, senza alcun mutamento dell’addebito.
Quanto, ancora, alla contestazione relativa all’individuazione del gestore dell’impianto quale soggetto responsabile, nessun dubbio ha la Corte nel ribadire un principio fondamentale in materia ambientale secondo il quale il reato di scarico senza autorizzazione è configurabile non solo nei confronti del titolare dell'insediamento, ma anche nei confronti del gestore dell'impianto, in quanto su quest'ultimo grava l'onere di controllare che l'impianto da lui gestito sia munito dell'autorizzazione, presupposto di legittimità della gestione (Sez. 3, 03.03.2009, n. 9497, M., in Ced Cass. 243119; Sez. 3, 07.02.2002, n. 4535, S., in Ced Cass. 220845).
In sostanza, dunque, tutti i soggetti che di fatto esercitano funzioni di amministrazione e di gestione dell'insediamento dal quale originano i reflui sono responsabili, senza che tale responsabilità assuma carattere oggettivo ed automatico, ma a titolo di colpa, intesa in senso ampio, ovvero conseguente non soltanto a comportamenti commissivi, ma anche per inosservanza del dovere di adottare tutte le misure tecniche ed organizzative di prevenzione del danno da inquinamento (così, in precedenza: Sez. 3, 01.06.2005, n. 20512, B., in Ced Cass. 231654).
Infine, quanto alla configurabilità del concorso tra reato paesaggistico e violazione in materia di inquinamento idrico, i giudici di Piazza Cavour liquidano agevolmente la pratica, evidenziando come il reato previsto dall’art. 181 del decreto Urbani (D.Lgs. n. 42 del 2004) punisce qualsiasi alterazione dell’assetto territoriale senza autorizzazione attuata con “interventi di qualsiasi genere”, rientrando in tale nozione anche il caso dell’effettiva compromissione dei valori paesaggistici indotta dall’insudiciamento evidente delle acque di un torrente e dell’invaso di un diga, come nel caso di specie (in precedenza, nel senso del concorso tra tali violazioni, si era espressa Sez. 3, n. 23779 del 13/06/2001, C. ed altro, in Ced Cass. 219931, ritenendolo ammissibile in quanto il bene giuridico protetto dalla disciplina in tema di inquinamento idrico riguarda la risorsa naturale presa in considerazione nella sua composizione fisica, mentre le altre disposizioni apprestano tutela al paesaggio, ovvero all'insieme di valori estetici e naturali considerati come un insieme in una determinata area) (commento tratto da www.ipsoa.it - Corte di Cassazione penale, sentenza 25.02.2011 n. 7214).

ATTI AMMINISTRATIVIPiù privacy sulle liste elettorali. Le richieste di accesso vanno adeguatamente motivate. Secondo il Tar Sardegna i comuni hanno voce in capitolo sulla valutazione delle domande.
La richiesta di ottenere copia della lista degli elettori deve essere adeguatamente motivata; in caso contrario è legittimo il provvedimento con cui un comune rigetta tale richiesta. Il fatto che tale documento sia pubblico non legittima in alcun modo le richieste di accesso generiche.
Sono queste le principali indicazioni contenute nella recente sentenza 17.02.2011 n. 148 della Sez. II del TAR Sardegna.
L'importanza della pronuncia è data dalla nettezza con cui si stabilisce l'assoluta necessità della motivazione della richiesta di accesso avanzata da soggetti privati, peraltro sulla base delle indicazioni dettate dalla legge n. 241/1990, per come modificata dalla legge n. 15/2005. Ed ancora che tale motivazione deve fare riferimento alle indicazioni dettate in modo assai preciso da parte dello stesso legislatore.
Nel caso specifico il comune di Monastir (provincia di Cagliari) ha rigettato la richiesta di ottenere l'accesso alla lista degli elettori presentata da una associazione e motivata con le seguenti considerazioni: «ci servono gli elenchi degli elettori sia per eventualmente agire direttamente nei loro confronti (ogni singolo elettore) per sensibilizzarli sui singoli problemi, sia per tentare d'indirizzarli (in occasione delle elezioni di qualunque tipo), verso candidati e/o partiti, che nei contatti con noi o nelle loro altre manifestazioni, abbiano dimostrato interesse per le nostre rivendicazioni».
La sentenza ricorda, in premessa, che le disposizioni legislative da assumere come base di riferimento, oltre alla prima citata legge n. 241/1990, sono costituite dal nuovo testo dell'articolo 51 del dpr n. 223 del 20.03.1967, così come modificato dall'articolo 177 del dlgs 30.06.2003 n. 196. Quest'ultimo articolo stabilisce in modo espresso che «le liste elettorali possono essere rilasciata in copia solamente per le finalità indicate dalla norma medesima».
E tali motivazioni possono essere così riassunte: «Le liste elettorali possono essere rilasciate in copia per finalità di applicazione della disciplina in materia di elettorato attivo e passivo, di studio, di ricerca statistica, scientifica o storica, o carattere socio-assistenziale o per il perseguimento di un interesse collettivo o diffuso». Come si vede, siamo in presenza di motivazioni che sono molto precise.
Su questa base, la sentenza ci dice che il comune non può che «entrare nel merito della richiesta e valutare se la specifica finalità del loro successivo utilizzo, dichiarata da parte del richiedente, sia conforme all'attività del soggetto medesimo, nonché se rientri effettivamente tra le ipotesi di cui al citato articolo 177 del dlgs n. 196/2003. Deve infatti ritenersi che sia preciso onere del richiedente di indicare chiaramente e specificatamente nella propria istanza l'uso che intende fare dei dati delle liste elettorali, non essendo assolutamente sufficiente il richiamo alle espressioni generali utilizzate dalla disposizione in esame per indicare le finalità consentite. In sostanza, il richiedente deve indicare chiaramente e specificatamente il concreto uso che intende fare dei dati delle liste elettorali, spettando poi al soggetto che deve applicare la norma (il comune e in seconda istanza il giudice), di valutare e stabilire se tale concreto utilizzo rientra o meno nelle finalità ammesse dalla norma di legge».
Nel caso specifico, dall'esame delle motivazioni poste a base della richiesta e delle indicazioni dettate dal legislatore, la sentenza «ritiene che l'utilizzo indicato dal ricorrente risulti astratto e generico e, come tale, non riconducibile alle finalità di legge» (articolo ItaliaOggi del 27.05.2011).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Bonifica dei siti contaminati e responsabilità dell'inquinamento.
La giurisprudenza torna ad occuparsi dell’annosa questione relativa agli obblighi di bonifica dei siti inquinati.
L’interrogativo, già affrontato in passato, riguarda la possibilità di assoggettare il proprietario dell’area a specifici obblighi di bonifica nei casi in cui lo stesso non si sia reso responsabile dell’inquinamento.
La questione è stata affrontata in maniera non sempre univoca e, secondo un primo orientamento giurisprudenziale, sarebbe da considerarsi illegittimo l’ordine di bonifica, messa in sicurezza e ripristino ambientale indiscriminatamente rivolto al proprietario del fondo in ragione della sua sola qualità, in mancanza di adeguata dimostrazione da parte dell’Amministrazione procedente, sulla base di un’istruttoria completa e di una esauriente motivazione, dell’imputabilità soggettiva della condotta (TAR Toscana, Sez. II - sentenza 24.08.2009 n. 1398; Cfr. anche CdS, Sez. V, 19.03.2009, n. 1612).
La sentenza in commento, TAR Piemonte, Sez. II - sentenza 12.02.2011 n. 136, sembra sostenere invece l’opposta tesi, secondo cui l’ordine imposto direttamente alla società proprietaria dell’area (oltre che a quella affittuaria, responsabile dell’inquinamento) di effettuare gli interventi di bonifica di un sito inquinato, è da reputarsi legittimo (Cfr. anche CdS, Sez. VI, dec. 4561/2010).
Secondo i Giudici amministrativi, la responsabilità del proprietario troverebbe la fonte normativa nelle prescrizioni di cui al “… comma 10 dell'art. 17, che dispone che gli interventi di messa in sicurezza, bonifica e ripristino ambientale costituiscono onere reale sulle aree inquinate; il comma 11 del medesimo articolo dispone poi altresì che le spese sostenute per la messa in sicurezza, la bonifica e il ripristino ambientale sono assistite da privilegio speciale immobiliare sulle aree medesime, esercitabile anche in pregiudizio dei diritti acquistati dai terzi sull'immobile”.
In relazione poi ai profili di compatibilità con i noti principi costituzionali di colpevolezza, i Giudici aggiungono che la responsabilità del proprietario andrebbe configurata come “ … una responsabilità ‘da posizione’, non solo svincolata dai profili soggettivi del dolo o della colpa, ma che non richiede neppure l'apporto causale del proprietario responsabile al superamento o pericolo di superamento dei valori limite di contaminazione".
Secondo i Giudici amministrativi, il coinvolgimento del proprietario, pur “incolpevole”, è reso possibile attraverso gli istituti dell’onere reale e del privilegio speciale immobiliare sulle aree, ed è volto a responsabilizzare il soggetto che ha un particolare legame con le aree.
Tale ricostruzione evidenzia una ricostruzione del concetto di proprietà che finisce con il comprimerne l’estensione, ma, secondo l’orientamento da ultimo richiamato, “la deminutio che, in tal modo, il diritto di proprietà è costretto a sopportare è, pertanto, ampiamente inquadrabile nella natura funzionale di quest’ultimo, ai sensi dell’art. 42, comma 2, Cost., trattandosi, in definitiva, di una vera e propria "funzione sociale" che il proprietario, nel partecipare agli interventi volti a ripristinare la salubrità, è chiamato dalla legge a compiere.” (commento tratto da www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com - TAR Piemonte, Sez. II, sentenza 12.02.2011 n. 136 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

CONSIGLIERI COMUNALI: Richiesta dei consiglieri comunali di accesso a tutti gli atti della gara per l’affidamento del servizio di mensa scolastica.
È illegittimo il diniego opposto alla richiesta, avanzata da un consigliere comunale, di accesso a tutti gli atti della gara per l’affidamento del servizio di mensa scolastica (documentazione delle ditte concorrenti, verbali, provvedimenti di aggiudicazione e altri atti relativi), motivato in ragione dell’assenza del responsabile del servizio.
Ribadita l’ampiezza del diritto del consigliere comunale a conoscere gli atti utili all’espletamento del suo mandato (cfr., da ultimo, Cons. Stato, sez. V, 17.09.2010, n. 6963), la risposta fornita dal comune si palesa elusiva del diritto medesimo, sia in quanto l’assenza del responsabile del Servizio non è giustificazione tale da paralizzare l’attività dell’ufficio anche con riguardo agli adempimenti ordinari (quale il rilascio di copia degli atti conservati), sia perché la risposta medesima è stata fornita una volta trascorso più di un mese dalla richiesta.
Con riguardo agli atti accessibili, il consigliere comunale ricorrente ha diritto ad ottenere copia dei verbali, dei provvedimenti di aggiudicazione e degli altri atti relativi alla gara, mentre l’accesso ai documenti delle ditte concorrenti deve limitarsi alla sola documentazione prodotta dalla ditta aggiudicataria, individuata dal ricorrente quale unica controinteressata, alla quale il ricorso è stato notificato (massima tratta da www.entilocali.provincia.le.it - TAR Puglia-Lecce, Sez. II, sentenza 09.02.2011 n. 264 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

PUBBLICO IMPIEGO: LAVORO PUBBLICO - DIVIETO DI CUMULO TRA PENSIONE ANTICIPATA DI ANZIANITÀ E INCARICHI DI CONSULENZA PER L´AMMINISTRAZIONE DI PROVENIENZA.
Il divieto di cumulo tra pensione anticipata di anzianità e lo svolgimento o la prosecuzione, successivamente alla cessazione del rapporto, di incarichi di consulenza per l'amministrazione di provenienza si estende anche allo svolgimento dell’incarico di direttore amministrativo presso un'istituzione ospedaliera, in ragione della trasparenza nel conferimento degli incarichi e dell’ulteriore fine di garantire risparmi di spesa impedendo il cumulo tra pensione e retribuzione (massima tratta da www.lavoroprevidenza.com - Corte di cassazione, sentenza 28.07.2008).

EDILIZIA PRIVATASulla legittimazione di un promissario acquirente a richiedere la concessione edilizia a proprio nome a fronte di una clausola contrattuale che autorizza “a presentare domanda di progettazioni”, cui ha fatto seguito, successivamente al diniego impugnato in prime cure, atto notarile di acquisto dell’area nell’ottobre 2005.
In punto di legittimazione a svolgere attività edilizia il Collegio osserva che l’art. 4 della legge 28/01/1977, n. 10, enuncia che “…..la concessione è data dal Sindaco al proprietario dell’area o a chi abbia titolo per richiederla….” (confermato, ora, come permesso di costruire, dall’art. 11, comma 1, D.P.R. 06.06.2001, n. 380).
Questo disposto, secondo l’esegesi consolidata della norma, richiede per edificare la “disponibilità” dell’area e implica una relazione qualificata a contenuto reale con il bene (come proprietario, superficiario, affittuario di fondi rustici, usufruttuario), anche se in formazione, non essendo sufficiente il solo rapporto obbligatorio, in quanto il diritto a costruire è una proiezione del diritto di proprietà o di altro diritto reale di godimento che autorizzi a disporre con un intervento costruttivo (Cons. di Stato, V, 04.02.2004, n. 368).
In questo senso la giurisprudenza ammette la richiesta da parte di altro titolare del diritto, reale o anche obbligatorio, ma ciò quando, per effetto di essi, l’interessato abbia obbligo o facoltà di eseguire i lavori per cui è chiesta la concessione edilizia: in altre parole, quando il richiedente sia autorizzato in base al contratto o abbia ricevuto espresso consenso da parte del proprietario (Cons. St., V, 15.03.2001, n. 1507).
L
a verifica del possesso del titolo a costruire costituisce un presupposto, la cui mancanza impedisce all’Amministrazione di procedere oltre nell’esame del progetto (V, 12/05/2003, n. 2506; IV, 22/06/2000, n. 3525) (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 08.06.2007 n. 3027 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

INCARICHI PROGETTUALI - URBANISTICA: Chi nomina l'esperto che deve redigere il P.R.G.?
Il Consiglio di Stato ha stabilito che spetti ai dirigenti.

La Giunta Comunale delibera di affidare l'incarico per la redazione del P.R.G. a due architetti, scelti intuitus personae.
Il TAR annulla detta delibera in quanto resa da organo incompetente a decidere sulla materia in oggetto.
Il Consiglio di Stato rigetta l'appello proposto dal Comune, confermando la sentenza di primo grado,e precisa che correttamente il TAR ha stabilito che spettano alla Giunta, in base agli artt. 48 e 107 del T.U. 18.08.2000 n. 267, funzioni di indirizzo e di controllo politico-amministrativo e non già quelle di attribuzione di un incarico professionale.
Infatti ,la scelta del contraente per l'affidamento di un incarico per lo svolgimento di una prestazione d'opera intellettuale, ai sensi dell'art. 2230 del codice civile, sia a seguito di una gara informale o privata o anche per trattativa privata, è atto di gestione e non ha alcuna finalità di indirizzo.
Non è altro che l'individuazione del soggetto o dei soggetti che appaiono più quotati, secondo regole obiettive prefissate, per il conseguimento delle finalità che la p.a. intende perseguire.
L'attività di indirizzo, invece, riservata agli organi elettivi o politici del comune, si risolve e si esplica nella sola fissazione delle linee generali da seguire e degli scopi da raggiungere con l'attività di gestione.
Nell'attività di indirizzo,riservata alla Giunta, quindi, non rientra la scelta di un contraente qualsiasi dell'ente e, ancor meno, quella di professionisti forniti di titoli adeguati per la redazione di strumenti di pianificazione del territorio.
Questa scelta, invece, è attribuita per legge ai dirigenti, secondo il disposto dell'art. 107 del t.u. già citato o ad una commissione composta da soggetti aventi adeguata esperienza professionale che siano in grado di condurre un'attenta selezione ispirata al soddisfacimento di così peculiari esigenze tecniche (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 09.09.2005 n. 4654 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AGGIORNAMENTO AL 23.05.2011

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Bottone "CONVEGNI" n. 1 giornata di studio a Bergamo (ingresso libero) sul cosiddetto "decreto sviluppo" per martedì 31 maggio 2011 organizzata dal portale PTPL. TERMINE DI ISCRIZIONE: VENERDI' 27.05.2011.
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SICUREZZA LAVORO: Stress lavoro-correlato: Manuale Inail. Disponibile un portale dedicato e un manuale di valutazione e gestione del rischio da stress lavoro-correlato.
L'Inail ha pubblicato il documento «Valutazione e gestione del rischio da stress lavoro-correlato. Manuale ad uso delle aziende in attuazione del D. Leg.vo 81/2008», disponibile nel portale «Valutazione e gestione del rischio da stress lavoro-correlato» presente all'interno del sito istituzionale dell'Istituto.
Il portale, oltre a contenere il citato manuale, contiene una serie di risorse e strumenti finalizzata a supportare, con strumenti scientificamente validati, le aziende nel processo di valutazione e gestione del rischio da stress lavoro-correlato, nel rispetto della normativa vigente.
L'Inail -Dipartimento Medicina del Lavoro (DML)- ex ISPESL, ha scelto di definire un percorso metodologico basato sul Modello Management Standards approntato dall'Health and Safety Executive (HSE), contestualizzato al D. Leg.vo 81/2008 e raccordato con le esperienze del «Coordinamento Tecnico Interregionale della prevenzione nei luoghi di lavoro» e del «Network Nazionale per la Prevenzione del Disagio Psicosociale nei luoghi di lavoro» sulla specifica tematica, nell'ottica di offrire all'utenza un «metodo unico integrato» per la valutazione e gestione del rischio da stress lavoro-correlato.
Nel portale è disponibile documentazione di approfondimento e, previa registrazione, si ha accesso a strumenti per effettuare la valutazione e la conseguente gestione del rischio da stress lavoro-correlato.
L'indirizzo del portale è: www.ispesl.it/focusstresslavorocorrelato (commento tratto da www.legislazionetecnica.it).

EDILIZIA PRIVATA: LE AGEVOLAZIONI FISCALI PER IL RISPARMIO ENERGETICO (Agenzia delle Entrate, marzo 2011).

EDILIZIA PRIVATA: RISTRUTTURAZIONI EDILIZIE: LE AGEVOLAZIONI FISCALI  (Agenzia delle Entrate, marzo 2011).

EDILIZIA PRIVATA: Dal Comitato Termotecnico Italiano le Linee guida sui Camini.
Linee guida camino nasce dalla collaborazione tra CTI (Comitato Termotecnico Italiano), WIT (Wöhler Institute of Technology) e Sezione degli spazzacamini (LVH – APA), per fare chiarezza nella moltitudine di norme su come installare, manutenere e controllare le canne fumarie.
Nel documento sono riportate tabelle esplicative per ogni tipo di combustibile, con informazioni relative alla classe di resistenza al fuoco, al tipo di materiale da costruzione previsto dalle norme e agli spessori minimi dei camini.
La linea guida è corredata da disegni e schemi di installazione tratti dalle norme UNI, che descrivono il posizionamento dei terminali e le relative zone di rispetto in presenza di abbaini e lucernari apribili o in presenza di ostacoli.
Particolare attenzione viene data agli elementi che compongono un sistema fumario e alla scelta dei materiali da utilizzare.
Sono presenti, inoltre, alcuni particolari costruttivi a colori con chiara descrizione degli attraversamenti di pareti e solai.
Infine, viene ribadito che l'impianto deve essere realizzato da imprese specializzate in possesso dei requisiti previsti dal D.M. 37/20208, al fine di garantire la sicurezza pubblica (link a www.acca.it).

SICUREZZA LAVORO: Vademecum sulla sicurezza dei lavoratori nelle opere di asfaltatura. DVR, verifiche interne e autoanalisi.
La Regione Lombardia ha pubblicato un Vademecum per il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori nelle opere di asfaltatura, realizzato dal laboratorio Tumori Professionali.
Il documento ha lo scopo di individuare e promuovere soluzioni tecnologiche in grado di eliminare le sostanze cancerogene o, quanto meno, di ridurre l'esposizione dei lavoratori a tali sostanze.
Il vademecum può essere utilizzato per verifiche interne e autoanalisi da parte di datori di lavoro, servizi di prevenzione e protezione aziendali, rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza, medici competenti, organi di vigilanza delle ASL, operatori delle UOOML (Unità Operativa Ospedaliera di Medicina del Lavoro), consulenti, organizzazioni sindacali dei lavoratori, etc.
Il vademecum non si limita ad analizzare la gestione del rischio da agenti cancerogeni ma approfondisce in maniera dettagliata la gestione dei rischi per la sicurezza derivanti da:
- agenti chimici pericolosi;
- utilizzo di macchine;
- movimentazione carichi. ... (link a www.acca.it).

SICUREZZA LAVORO: Scavi e movimentazione terre: messa in sicurezza, modalità operative e PSC.
Il Coordinamento Tecnico Provinciale di Verona, su proposta dello SPISAL (Servizio Prevenzione Igiene Sicurezza Ambienti di Lavoro), ha pubblicato un lavoro di ricerca sulle tecniche di scavo e movimentazione terre e sugli aspetti legati alla sicurezza.
Le informazioni contenute sono un utile supporto per la redazione del PSC (Piano di Sicurezza e Coordinamento), nel quale è necessario definire le modalità di messa in sicurezza dello scavo, corredando il documento con elaborati grafici e tavole esplicative.
Lo studio è stato impostato sull'edilizia civile (villette a schiera e piccoli condomini), individuando le seguenti lavorazioni:
- scavi con sbancamento e splateamento per nuove costruzioni;
- scavi in trincea per la posa di tubazioni e/o sottoservizi in genere. ... (link a www.acca.it).

LAVORI PUBBLICI: Schede di valutazione dei danni post sisma: ai lettori di BibLus-net l’applicativo per la compilazione, archiviazione ed invio.
In Gazzetta Ufficiale n. 113 del 17.05.2011 è stato pubblicato il D.P.C.M. del 05.005.2011 che approva i modelli per il rilevamento dei danni da sisma (AeDES).
Ricordiamo che nell’emergenza post terremoto risulta prioritario:
- individuare e classificare i danni;
- definire l’agibilità degli edifici (quali costruzioni possano essere utilizzate e quali costituiscano un rischio per la popolazione);
- predisporre i provvedimenti pronto intervento.
Il Decreto approva le Schede Aedes che saranno adottate da Amministrazioni dello Stato, Regioni, Province autonome di Trento e Bolzano ed enti locali in caso di sisma per il rilevamento speditivo dei danni e per valutare l’agibilità degli edifici e i provvedimenti relativi.
Inoltre, Stato e Regioni potranno creare appositi elenchi di tecnici abilitati per le campagne di sopralluogo post-sisma. ... (link a www.acca.it).

EDILIZIA PRIVATA: In Gazzetta Ufficiale il Nuovo Conto Energia. Novità e criteri di incentivazione su Building ACCAdemy.
È stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 109 del 12.05.2011 il Decreto Interministeriale relativo al Quarto Conto Energia.
Ricordiamo che il decreto stabilisce i criteri di incentivazione per gli impianti solari fotovoltaici che entrano in esercizio dal 31.05.2011 al 31.12.2016.
Per maggiori informazioni sul Nuovo Conto Energia, si rinviano i lettori all'articolo Finalmente arriva il Quarto Conto Energia, in cui vengono riportati gli aspetti principali e le novità del nuovo decreto.
In allegato a questo articolo il testo definitivo del nuovo Conto Energia e le utili tabelle sinottiche sugli incentivi realizzate dalla redazione di BibLus-net.
La redazione di BibLus-net propone ai lettori un estratto del corso di formazione di Building ACCAdemy dedicato al quarto conto Energia, tenuto dall'Ing. Andrea Presciutti, ricercatore presso l’Università degli Studi di Perugia.
Nella prima lezione del video-corso vengono analizzate in dettaglio le nuove tariffe incentivanti, i premi aggiuntivi per un uso efficiente dell’energia, le novità introdotte sul posizionamento dei moduli sugli edifici, gli impianti con caratteristiche innovative.
Nella seconda lezione viene trattato il meccanismo dello scambio sul posto, con definizioni, funzionamento e sistema agevolativo (link a www.acca.it).

GURI - GUUE - BURL (e anteprima)

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI: G.U. 17.05.2011 n. 113, suppl. ord. n. 123, "Approvazione del modello per il rilevamento dei danni, pronto intervento e agibilità per edifici ordinari nell’emergenza post-sismica e del relativo manuale di compilazione" (D.P.C.M. 05.05.2011).

SINDACATI

PUBBLICO IMPIEGO: Il blocco 2011-2013 delle risorse destinate al trattamento economico accessorio (CGIL-FP di Bergamo, nota 16.05.2011).

DOTTRINA E CONTRIBUTI

APPALTI: A. Graziano, Note minime in tema di inefficacia del contratto d’appalto nel Codice del processo amministrativo (link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: L. Bellagamba, DURC ED EFFICACIA DELLA DEFINITIVA AGGIUDICAZIONE - La previsione di cui all’art. 6, comma 3, lett. b), del regolamento attuativo del codice e l’ordinamento degli enti locali (link a www.linobellagamba.it).

CORTE DEI CONTI

ENTI LOCALI: Assunzioni, chi ha avuto ha avuto. Comuni non sanzionabili per i contratti prima del 30/5/2010. La Corte conti del Veneto esclude che la stretta del dl 78 possa avere effetti retroattivi.
I comuni che hanno effettuato assunzioni in deroga ai tetti di spesa prima del 30 maggio 2010, data di entrata in vigore del dl 78/2010, non possono subire le sanzioni fissate dal medesimo decreto legge, nel caso di aumento della spesa di personale tra 2010 e 2009.
Lo chiarisce la Corte dei Conti, Sez. regionale di controllo per il Veneto, col parere 04.05.2011 n. 287.
La sezione ricorda che gli enti locali sono tenuti a rispettare, per il contenimento della spesa di personale, sostanzialmente due principi.
Il primo è quello della riduzione in termini assoluti della spesa del personale, ai sensi dell'articolo 1, commi 557, 557-bis e 557 della legge 296/2006. Il parere evidenzia che «gli obiettivi rinvenibili nella formulazione del comma 557 cit., si connotano come veri e propri vincoli che gli enti locali sono tenuti ad osservare e la cui violazione, ai sensi del comma 557-ter, fa scattare la conseguenza del divieto di procedere ad assunzioni di personale a qualsiasi titolo nonché di stipulare contratti elusivi di tale divieto».
Dunque, contrariamente alla lettura che molti operatori ed interpreti danno dell'articolo 1, comma 557, esso, pur lasciando all'autonomia degli enti la decisione sul come applicare le regole per il contenimento delle spese, costituisce una norma precettiva, che obbliga gli enti ad attenersi a tutte le regole ivi contenute.
Il secondo principio generale è l'obbligo della riduzione, in termini relativi, dell'incidenza della spesa di personale sul totale delle spese correnti, in modo comunque da rispettare il tetto massimo del 40%.
Discende da queste regole che le assunzioni sono ammesse, purché non determinino comunque un aumento del volume della voce della spesa per il personale in termini assoluti e di incidenza sulle spese correnti.
Come è noto, l'articolo 3, comma 120, della legge 244/2007 aveva introdotto per gli enti soggetti al patto di stabilità la possibilità di assumere in deroga all'obbligo di ridurre la spesa di personale, nel rispetto delle condizioni poste dall'articolo 19, comma 8, della legge 448/2001. Tale possibilità di deroga è stata eliminata dalla manovra estiva 2010. Che, però, è entrata in vigore il 30.05.2010. Dunque, alcuni enti avevano effettuato, nel lasso di tempo in cui la deroga è stata consentita dalla legge, assunzioni oltre i tetti di spesa fissati dalla legge.
La manovra estiva 2010, con la riforma dell'articolo 1, commi 557, 557-bis e 557-ter, della legge 296/2006 impone la conseguenza del blocco totale delle assunzioni per gli enti non rispettosi dei limiti di spesa.
Secondo la sezione Veneto, tuttavia, le conseguenze della manovra estiva non possono applicarsi irrazionalmente allo stesso modo a tutti gli enti che si siano avvalsi legittimamente della deroga. Infatti, «a fronte di un attività normativamente consentita (l'assunzione di personale in regime di deroga), l'ente non può subire delle preclusioni introdotte da una normativa entrata in vigore successivamente».
Spiega il parere della sezione che il comma 557-ter, introdotto dall'articolo 14, comma 7, del dl 78/2011, in base all'articolo 11 delle disposizioni sulla legge in generale «non può spiegare effetti che per l'avvenire e per tale motivo non può che essere applicata a quelle situazioni gestionali (assunzioni di personale o mancata adozione di azioni miranti alla riduzione della spesa di personale) poste in essere dopo la relativa entrata in vigore».
Dunque, gli enti locali che nel corso dei primi mesi del 2010 hanno legittimamente utilizzato il regime derogatorio all'epoca vigente portando a termini i procedimenti che hanno dato luogo alle assunzioni di personale, già programmate, entro la data di entrata in vigore della manovra estiva non vanno incontro alle sanzioni della norma. Sicché la sezione ritiene che «la maggiore spesa conseguente ad assunzioni effettuate in regime di deroga dal 1° gennaio al 30.05.2010, debba essere imputata alle spese di personale dello stesso esercizio».
Conseguenze opposte valgono per gli enti che, una volta entrata in vigore la manovra estiva 2010, non abbiano posto in essere i necessari accorgimenti, come l'annullamento delle prove concorsuali, per evitare assunzioni in deroga una volta che il regime derogatorio fosse stato eliminato. In questo caso, la maggiore spesa di personale dovrà essere sanzionata col blocco assoluto delle assunzioni (articolo ItaliaOggi del 20.05.2011 - tratto da www.corteconti.it).

INCENTIVO PROGETTAZIONE: Blocco totale per i fondi decentrati.
CONFINI RIGIDI - Il congelamento degli stipendi impedisce anche gli aumenti legati agli incentivi Merloni o ai risparmi conseguiti nel lavoro straordinario.

Il fondo per le risorse decentrate del 2011 non può contenere aumenti rispetto al 2010, neppure se derivanti dalla applicazione della legge Merloni o dai risparmi conseguiti nello straordinario o nella erogazione delle indennità.
Sono le rigide indicazioni dettate dalla sezione regionale del Veneto della Corte dei Conti con il parere 03.05.2011 n. 285.
Viene così fornita un'interpretazione assai restrittiva del tetto imposto dalla manovra estiva (articolo 9, comma 2 bis, Dl 78/2010)) ai fondi per le risorse decentrate degli anni 2011-2013. Interpretazione che si dovrebbe definitivamente affermare con l'annunciata circolare del Ministero dell'Economia e delle Finanze, che attende il via libera della stessa magistratura contabile.
Il fondo per la contrattazione decentrata comprende, nella parte variabile, anche le risorse provenienti da specifiche disposizioni legislative, quali ad esempio l'incentivo della realizzazione di opere pubbliche e una quota dei proventi derivanti da sponsorizzazioni. È già stato chiarito dalle sezioni riunite di controllo della Corte dei Conti che queste risorse non entrano a fare parte della spesa del personale, in quanto alimentate da risorse provenienti da privati o affluenti all'ente ad altro titolo.
La sezione di controllo del Veneto ha affermato che, essendo spesa per il personale, non vanno comprese nel tetto al trattamento economico individuale, anche al fine del taglio previsto per i compensi più elevati. Ciò nonostante, essi vanno compresi nel tetto dettato al fondo per le risorse decentrate di tutte le Pa. E ciò in quanto il vincolo legislativo non ammette eccezioni di sorta. Il che è destinato a sollevare un vero vespaio, visto che il collegato Lavoro dalla fine dello scorso mese di novembre ne ha quadruplicato l'ammontare massimo, riportandolo al 2% dell'importo posto a base d'asta del lavoro pubblico.
Il parere chiarisce anche che i risparmi conseguiti sul lavoro straordinario e sull'erogazione delle indennità non possono essere, per la stessa ragione, utilizzati nel triennio 2011/2013. A nulla vale che in questi casi l'aumento sia solo formale e non sostanziale, visto che siamo comunque in presenza di risorse già destinate alla incentivazione del trattamento accessorio del personale.
Ovviamente, tali vincoli si applicano solo sulle parti che eccedono l'ammontare delle risorse previste allo stesso titolo nel fondo 2010 (articolo Il Sole 24 Ore del 16.05.2011 - tratto da www.corteconti.it).

NEWS

SEGRETARI COMUNALI: Il cartellino va timbrato. Si rischia la falsa attestazione della presenza. È l'effetto del codice disciplinare che richiama il dlgs 150.
È opportuno che i segretari comunali e provinciali timbrino la propria presenza per evitare il rischio di incorrere nella sanzione introdotta dal dlgs n. 150/2009 per i dipendenti pubblici che si rendono responsabili di «falsa attestazione della presenza in servizio, mediante l'alterazione dei sistemi di rilevamento delle presenze o con altre modalità fraudolente».
Tale opportunità è rimarcata dalle disposizioni contenute nell'articolo 5, codice disciplinare, comma 10, del Ccnl 14/2/2010. Tale disposizione richiama espressamente la sanzione del licenziamento con preavviso per il segretario che incorra nella fattispecie prevista dal nuovo testo dell'articolo 55-quater del dlgs n. 165/2001 introdotto dal dlgs n. 150/2009, cosiddetta legge Brunetta, e che prevede il licenziamento in tronco per i dipendenti pubblici che imbrogliano sull'effettiva presenza in servizio.
Ricordiamo che l'articolo 19 del Ccnl dei segretari del 16.05.2001 ha assegnato agli stessi un'ampia autonomia nella gestione del proprio orario di lavoro: infatti lo stesso non è predeterminato ed i singoli possono gestirlo in modo flessibile rispetto «alle esigenze connesse all'espletamento dell'incarico affidato alla sua responsabilità in relazione agli obiettivi e programmi da realizzare». Il che induce a letture diversificate sulla presenza di un tale obbligo, negato dalla ex Agenzia per la gestione dell'albo autonomo dei segretari comunali e provinciali ed affermato, anche se con riferimento alla disciplina in vigore prima del contratto, dalla sentenza della sesta sezione del Consiglio di stato n. 1763/2007.
L'opportunità della attestazione della presenza tramite i sistemi di rilevazione delle presenze nell'ente è suggerita dalla nuova disposizione contrattuale, che ripropone la sanzione del licenziamento cosiddetto in tronco, cioè senza preavviso, in capo al segretario che si renda responsabile di raggiri nella attestazione della sua presenza in servizio. Il fatto che questa indicazione legislativa sia riproposta nella disposizione contrattuale induce a pervenire a tale conclusione. Infatti, la riproposizione in un contratto di una norma di legge in materia di lavoro pubblico, alla luce del principio della imperatività di tali disposizioni e della impossibilità per i contratti collettivi di modificare le norme di legge, è superfluo e, quindi, deve necessariamente essere interpretata in modo produttivo di effetti.
Il che si traduce pressoché automaticamente nella conseguenza che il contratto chiarisce che anche il segretario deve potere dimostrare la sua effettiva presenza in servizio attraverso riscontri documentali e certi. I quali non sono sicuramente dati dalla sua autodichiarazione, ma che devono essere effettivamente e concretamente verificabili, cioè basarsi su elementi certi e incontrovertibili.
Talvolta, ciò è possibile sulla base di elementi probanti indiretti, quale, per esempio, la presenza a una riunione di consiglio o di commissione in cui l'ora risulti in modo certo. Ma il più delle volte richiede una dimostrazione tramite documentazione certa e automatica.
Questo non vuol dire che il segretario sia privato della flessibilità nella gestione del proprio orario voluta dal contratto: le amministrazioni possono su questo aspetto dettare specifiche disposizioni, fermi restando gli ampi margini di autonomia da riconoscere allo stesso, anche alla luce del divieto assoluto di erogargli compensi per lo straordinario.
Si deve infine ricordare che l'attestazione della presenza in servizio e dell'orario svolto costituisce la condizione essenziale per potere fruire dei ticket sostitutivi della mensa (articolo ItaliaOggi del 20.05.2011).

CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO VIMINALE/ Il consigliere comunale può svolgere il censimento dell'agricoltura.
La carica di consigliere comunale è compatibile con l'incarico di rilevatore esterno per il 6° censimento generale dell'agricoltura, se questo viene svolto presso il comune ove l'amministratore locale è stato eletto?

Alla fattispecie non è applicabile alcuna delle disposizioni in materia di incandidabilità, ineleggibilità e incompatibilità dettate dagli artt. 55 e ss. del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267.
Il caso non rientra, infatti, nell'ipotesi di ineleggibilità individuata dall'art. 60, comma 1, n. 7, il quale dispone che sono ineleggibili alla carica di consigliere comunale i dipendenti del comune, atteso che, al momento dell'elezione non esisteva alcun rapporto di lavoro tra l'ente locale ed il consigliere comunale.
All'ipotesi in esame non è, peraltro, applicabile la previsione dell'art. 63 comma 1, n. 7 Tuel, ove è previsto che non può ricoprire la carica di consigliere comunale colui che, nel corso del mandato, viene a trovarsi in una delle condizioni di ineleggibilità previste nei precedenti articoli ed in particolare in quella di cui all'art. 60, comma 1, n. 7, atteso che le collaborazioni coordinate e continuative sono caratterizzate dall'elemento qualificatorio essenziale rappresentato dall'autonomia del collaboratore nello svolgimento dell'attività lavorativa dedotta nel contratto che esclude, quindi, qualsiasi vincolo di subordinazione, nonché dalla necessaria coordinazione con il committente (ministero del lavoro con circolare n. 1 del 2004).
Inoltre, il dettato dell'art. 78, comma 5, dispone che ai consiglieri comunali è vietato ricoprire incarichi e assumere consulenze presso enti ed istituzioni dipendenti o comunque sottoposti al controllo e alla vigilanza dei relativi comuni e province. Nel caso di specie l'incarico di rilevatore esterno, per il quale il consigliere comunale ha concorso, verrebbe svolto per conto dello stesso ente locale e non per un ente o istituzione dipendente o comunque sottoposto al controllo del comune preso il quale l'amministratore locale è stato eletto.
Pertanto non si riscontrano cause ostative tipizzate allo svolgimento del citato incarico, fatte salve le situazioni di potenziale conflittualità che dovessero emergere nel corso del mandato (articolo ItaliaOggi del 20.05.2011 - tratto da www.ecostampa.it).

ENTI LOCALI: OSSERVATORIO VIMINALE/ Indennità del CDA di un consorzio.
Qual è l'indennità da corrispondere ai componenti e ai consiglieri esterni del consiglio di amministrazione di un Consorzio?

L'art. 5, comma 7, del dl 31.05.2010, n. 78, come convertito dall'art. 1, comma 1, della legge 30.07.2010, n. 122, stabilisce che «agli amministratori di forme associative di enti locali aventi per oggetto la gestione dei servizi e funzioni pubbliche non possono essere attribuite retribuzioni, gettoni, e indennità o emolumenti in qualsiasi forma siano essi percepiti».
Poiché l'art. 31 del decreto legislativo n. 267/2000, disciplinante i consorzi degli enti locali, è compreso nel Capo V del titolo II del medesimo decreto, dedicato alle forme associative, il divieto riguarda in genere anche i componenti degli organi dei consorzi fra enti locali; il tenore letterale della norma in questione infatti appare indicativo di una precisa volontà del legislatore, nel senso di escludere qualsiasi forma retributiva per gli amministratori di comunità montane, unioni e altre forme associative, ivi compresi i consorzi degli enti locali.
La norma recata dal comma 7 del dl n. 78 interviene in termini generali su tutto il panorama degli amministratori locali, attraverso una duplice direttrice: da un lato, prevedendo che attraverso apposito Decreto interministeriale siano fissate le entità retributive degli amministratori di province e comuni, con riduzioni percentuali rispetto ai valori attualmente vigenti; dall'altro escludendo che gli amministratori degli altri enti locali possano essere a qualsiasi titolo remunerati.
Pertanto, dalla data di entrata in vigore della citata norma, gli amministratori interessati non hanno diritto al percepimento di alcun compenso per le predette cariche (articolo ItaliaOggi del 20.05.2011 - tratto da www.ecostampa.it).

CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO VIMINALE/ Qualificazione di un vice-ispettore.
Un vice-ispettore della Polizia di stato, in servizio presso la Questura, può rientrare tra gli «amministratori locali» di cui al comma 2 dell'art. 77 del decreto legislativo n. 267/2000, e quindi essere destinatario del disposto di cui al successivo art. 78, ai fini della istanza di trasferimento dal medesimo prodotta in quanto delegato a rappresentare il comune come consigliere presso un consorzio tra enti locali a cui partecipa il comune?

Il dipendente della polizia di stato può ritenersi un amministratore locale, in quanto «componente degli organi dei consorzi tra enti locali», ai sensi del comma 2 dell'art. 77 del citato decreto legislativo n. 267/2000 (articolo ItaliaOggi del 20.05.2011 - tratto da www.ecostampa.it).

APPALTI: Le gare scordano i disabili. Appalti, addio al certificato di ottemperanza. Il decreto sviluppo ha eliminato il documento rilasciato dalle province.
Addio al certificato di ottemperanza alla normativa sui disabili per le gare d'appalto. L'articolo 4, comma 2, lettera b), del decreto-legge 70/2011 (il cosiddetto decreto sviluppo) ha modificato l'articolo 38, comma 1, lettera l), del dlgs 163/2006, decretando la scomparsa della certificazione del rispetto della legge 68/1999, di competenza dei servizi per l'impiego operanti presso le amministrazioni provinciali.
La precedente formulazione della lettera l) dell'articolo 38 prevedeva l'esclusione dalla partecipazione agli appalti e, comunque, il divieto di essere affidatari delle procedure o di stipulare i contratti conseguenti, nei confronti degli operatori economici che non presentassero «la certificazione di cui all'articolo 17 della legge 12.03.1999, n. 68, salvo il disposto del comma 2».
Pertanto, nel precedente sistema, gli appaltatori potevano presentare in fase di gara la dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà in merito al rispetto della normativa sulle assunzioni di disabili, ma le amministrazioni appaltanti, ai fini dell'attribuzione di efficacia all'aggiudicazione provvisoria, dovevano acquisire dalle amministrazioni provinciali il certificato di ottemperanza.
Il nuovo testo della lettera l) dell'articolo 38 prevede, invece, adesso l'esclusione e il divieto di stipulare contratti per gli operatori economici «che non sono in regola con le norme che disciplinano il diritto al lavoro dei disabili di cui alla legge 12.03.1999, n. 68».
Non si parla più, come si nota, di presentazione di certificazione.
La differenza è sottile, ma sostanziale. Gli appaltatori continueranno a presentare dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà attestante il rispetto della legge 69/1999, in applicazione delle norme contenute nel dpr 445/2000, ma la loro dichiarazione diviene definitivamente sostitutiva di ogni certificato: dunque, né le amministrazioni appaltanti potranno più chiedere i certificati di ottemperanza, né le amministrazioni provinciali saranno tenute a emetterli.
Ai fini, allora, dei controlli della veridicità delle dichiarazioni rilasciate dagli appaltatori in fase di gara relativamente al rispetto della legge 68/1999 si applica il comma 3 dell'articolo 38 del codice dei contratti: dunque, le amministrazioni appaltanti non potranno chiedere più il certificato di ottemperanza, ma potranno esercitare l'accertamento d'ufficio alle banche dati delle amministrazioni provinciali, ai sensi dell'articolo 43 del dpr 445/2000.
In conseguenza di ciò le amministrazioni provinciali potranno mettere a disposizione delle amministrazioni appaltanti l'accesso telematico alle banche dati relative alle aziende obbligate alla legge 68/1999. Oppure, in mancanza di software che permettano l'accesso online, sarà sufficiente che l'amministrazione appaltante richieda non l'emanazione del certificato di ottemperanza, ma la verifica della veridicità di quanto dichiarato dall'appaltatore.
Le amministrazioni provinciali, dunque, non dovranno certificare nulla, ma confermare o meno quanto dichiarato dall'appaltatore, entro 30 giorni dalla richiesta dell'amministrazione appaltante (articolo ItaliaOggi del 20.05.2011 - tratto da www.ecostampa.it).

APPALTI: Solo le violazioni «gravi» escludono il concorrente.
I CRITERI - L'infedeltà fiscale diventa rilevante quando supera i 10mila euro Semplificate le dichiarazioni sull'assunzione di disabili.
Anche bandi e disciplinari di gara vanno adeguati alle nuove norme del Dl sviluppo, che modificano molti elementi dei requisiti di ordine generale.
Il Dl (articolo 4, comma 3) stabilisce che le modifiche all'articolo 38 del codice appalti si applicano alle gare indette dopo la sua entrata in vigore. Le amministrazioni sono quindi chiamate a reimpostare le parti degli atti di gara che disciplinano la resa delle dichiarazioni sull'assenza di cause ostative a contrattare, in quanto l'utilizzo di format non attualizzati potrebbe determinare comportamenti diversi da parte dei concorrenti e, pertanto, mettere a rischio la gara.
Il Dl sviluppo, anzitutto, amplia e chiarisce il novero dei soggetti per i quali vanno rese le dichiarazioni sull'insussistenza di misure di prevenzione e di condanne penali: ad esempio, queste devono essere prodotte nelle Snc per tutti i soci e nelle società di capitali per il socio unico. Il periodo di riferimento per i soggetti cessati dalle cariche non è più di tre anni, ma di uno, comunque antecedente alla data di pubblicazione del bando.
Sulla situazione penale, in base al nuovo articolo 38, comma 2, il concorrente non è tenuto a indicare nella dichiarazione le condanne quando il reato è stato depenalizzato o se è intervenuta la riabilitazione, quando il reato è stato dichiarato estinto dopo la condanna oppure la condanna è stata revocata.
Le stazioni appaltanti devono reimpostare le dichiarazioni dei requisiti relative alle violazioni di norme sulla sicurezza sul lavoro (la norma ora non prevede più la limitazione a quelle inserite del casellario informatico) e di quelle relative agli obblighi tributari, per le quali è ora previsto che siano gravi. Il comma 2 individua le soglie di gravità per le violazioni di obblighi di sicurezza sul lavoro, contributivi e previdenziali (riferendole a norme vigenti), ma soprattutto determina l'indicatore di gravità per le violazioni di obblighi tributari e fiscali, stabilendolo nel valore superiore ai 10mila euro.
I concorrenti devono evidenziare in modo più preciso la sussistenza dell'iscrizione nel casellario informatico per aver reso false dichiarazioni in sede di gara o per l'ottenimento della Soa, e non più ad attestare genericamente il comportamento virtuoso.
Il nuovo comma 1-ter precisa anche i compiti della stazione appaltante, che deve segnalare all'autorità se ritiene che le dichiarazioni false siano state rese con dolo o colpa grave, valutando la rilevanza o la gravità della falsa dichiarazione o della presentazione di falsa documentazione.
Le amministrazioni devono correggere anche le indicazioni dei disciplinari relative alle dichiarazioni sul rispetto delle norme in materia di assunzioni obbligatorie dei disabili (semplificata in questi termini) e sull'eventuale mancata denuncia di estorsioni.
Le stazioni appaltanti devono evidenziare agli operatori economici anche il nuovo sistema di dichiarazioni alternative in merito alla partecipazione alla gara con società con cui si trovino in condizioni di controllo (articolo Il Sole 24 Ore del 16.05.2011 - tratto da www.corteconti.it).

APPALTI: La trattativa privata va motivata. Vanno dimostrati i presupposti che giustificano l'iter semplificato.
Le pubbliche amministrazioni possono affidare appalti di lavori entro il valore di un milione di euro con procedura negoziata, ma devono assicurare un minimo confronto concorrenziale con la gara informale.
Il Dl Sviluppo riformula l'articolo 122 del Dlgs 163/2006, razionalizza la disciplina della procedura negoziata ed elimina la norma che prevedeva un tetto massimo a 100mila euro, ma non indicava regole selettive.
I lavori fino a un milione di euro possono quindi essere affidati dal responsabile del procedimento tramite procedura negoziata, ma rispettando alcuni dei principi dell'ordinamento Ue (trasparenza, parità di trattamento, non discriminazione, proporzionalità) e dovendo effettuare una gara informale fra un numero minimo di operatori economici. Anche nel nuovo quadro, comunque, la procedura negoziata è considerata una fattispecie eccezionale, che si integra con le altre ipotesi previste dall'articolo 57 del codice. Le stazioni appaltanti devono quindi dimostrare l'esistenza di adeguati presupposti per poter utilizzare il percorso semplificato (ad esempio l'urgenza derivante dall'esigenza di avviare il cantiere entro termini prefissati per non perdere finanziamenti comunitari).
Il modulo operativo che la stazione appaltante deve seguire per la selezione è espressamente stabilito nel format disciplinato dall'articolo 57, comma 6 dello stesso codice dei contratti. La stazione appaltante deve quindi prima di tutto procedere all'individuazione degli operatori economici da invitare alla gara ufficiosa, mediante indagine di mercato. L'Avcp ha evidenziato (documento istruttorio del dicembre 2010) che questa fase deve avere un'adeguata pubblicità, e che la concreta individuazione dei soggetti da invitare al confronto possa essere effettuata mediante l'applicazione di criteri reputazionali o mediante sorteggio.
La stessa autorità ha anche ammesso la formazione di elenchi di operatori economici, dai quali estrapolare i soggetti da invitare: per essere compatibili con il divieto previsto dall'articolo 40, comma 5, del codice, gli elenchi devono essere configurati come "aperti" e non devono determinare la condizione esclusiva per l'ammissione alle gare informali.
Secondo la nuova regola, il responsabile del procedimento deve rivolgere l'invito ad almeno cinque soggetti quando l'importo dell'appalto è inferiore a 500mila euro, e ad almeno dieci quando il valore è tra 500mila e un milione di euro.
Nello svolgimento delle gare il rispetto dei principi dell'ordinamento Ue richiede che alcune fasi abbiano adeguata trasparenza: l'apertura delle offerte dovrà pertanto avvenire in seduta pubblica. La tempistica per la presentazione delle offerte è individuata dallo stesso articolo 122 del codice (comma 6, lettera d) in 10 giorni dall'invio della lettera di invito, salvo che non vi siano ragioni di urgenza (che andranno evidenziate).
Nell'area tra 500mila e un milione di euro, quando utilizzano come criterio di valutazione quello del prezzo più basso, le Pa possono esplicitare nella lettera di invito che si opererà l'esclusione automatica delle offerte anormalmente basse (in base all'articolo 122, comma 9), a condizione comunque che pervengano almeno dieci offerte.
L'applicazione della gara informale definita dall'articolo 57, comma 6, del codice comporta anche l'applicazione del principio di rotazione (richiamato nella norma), per cui le stazioni appaltanti non possono affidare lavori ulteriori all'aggiudicatario della gara informale per un certo periodo (che va dichiarato), e non lo possono invitare alle procedure selettive ufficiose.
La nuova norma introduce anche obblighi di pubblicità dell'aggiudicazione, che va resa nota con pubblicazione sul sito internet della stazione appaltante, sul sito del ministero delle infrastrutture (www.serviziobandipubblici.it) e sul sito dell'osservatorio regionale (articolo Il Sole 24 Ore del 16.05.2011 - tratto da www.corteconti.it).

APPALTI: Da cancellare le clausole non sostenute da leggi.
I LIMITI - Le richieste possono riguardare adempimenti necessari a garantire la completezza e la segretezza delle offerte.

I bandi e i disciplinari di gara non possono contenere clausole di esclusione dei concorrenti che non siano fondate su obblighi normativi o su adempimenti che garantiscano i principi di completezza e di segretezza delle offerte.
Il Dl sviluppo introduce nel l'articolo 46 del codice appalti una nuova disposizione (comma 1-bis) che stabilisce la tassatività dei casi in cui la violazione delle regole di una procedura selettiva possono determinare l'esclusione del concorrente.
La norma stabilisce anzitutto che la stazione appaltante esclude i candidati o i concorrenti in caso di mancato adempimento alle prescrizioni previste dal Dlgs 163/2006, dal Dpr 207/2010 e da altre disposizioni di legge vigenti.
Nell'ambito del codice dei contratti pubblici sono facilmente individuabili varie disposizioni che esplicitano l'esclusione in caso di mancato rispetto dell'adempimento, come ad esempio in caso di partecipazione alla stessa gara del consorzio e del consorziato (articolo 37, comma 7), oppure in caso di mancato impegno del fideiussore nella garanzia provvisoria a rilasciare garanzia definitiva (articolo 75, comma 8).
Le cause di esclusione esplicite sono rilevabili anche in altre fonti, come all'articolo 1, comma 67, della legge 266/2005, in base al quale l'obbligo di versamento del contributo da parte degli operatori economici all'Avcp è condizione di ammissibilità dell'offerta nell'ambito delle procedure finalizzate alla realizzazione di appalti; quindi il mancato pagamento del contributo costituisce causa di esclusione dalla gara.
Le stazioni appaltanti possono prevedere clausole di esclusione anche in relazione ad adempimenti relativi alla presentazione delle offerte, quando vi sia incertezza assoluta sul contenuto (ad esempio se un plico non fa riferimento alla gara) o sulla provenienza dell'offerta (come quando mancano i riferimenti del mittente), ma anche quando l'offerta non sia stata sottoscritta o manchino altri elementi essenziali (che devono essere esplicitamente indicati).
Le clausole di esclusione possono essere correlate a obblighi o condizioni richiesti dalle amministrazioni aggiudicatrici. In tal senso possono essere riferite all'integrità dei plichi contenenti le offerte o le domande di partecipazione, ma anche alla loro chiusura, quando il mancato rispetto della previsione possa far ritenere, secondo circostanze concrete, che sia stato violato il principio di segretezza delle offerte.
Al di fuori di questi presupposti, i bandi, i disciplinari di gara e le lettere di invito non possono contenere ulteriori prescrizioni a pena di esclusione.
Pertanto non potrà essere più prevista l'esclusione in caso di mancato sopralluogo, così come non potrà aversi esclusione in caso di mancato raggiungimento dell'eventuale soglia di sbarramento qualitativo, riportata alla parte tecnico-qualitativa delle offerte.
Qualora l'amministrazione intendesse comunque prevedere clausole di esclusione correlate a obblighi non previsti normativamente o non tutelanti integrità e segretezza dei plichi, deve tener conto che l'articolo 46, comma 1-bis, del codice ne prevede la nullità (articolo Il Sole 24 Ore del 16.05.2011 - tratto da www.corteconti.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Il rebus dei precari sul turn over. Corti dei conti divise sull'inclusione del lavoro flessibile nel calcolo della spesa.
Il dibattito sul turn-over degli enti locali si è incagliato sulle forme di lavoro flessibile. Nella percentuale del 20% della spesa delle cessazioni dell'anno precedente sono da ricomprendere anche i rapporti di lavoro a tempo determinato? La questione è stata sottoposta a diverse Sezioni regionali della Corte dei conti e le risposte non sono univoche.
La manovra estiva ha cambiato radicalmente le possibilità di assumere personale negli enti soggetti al Patto. Mentre i piccoli Comuni devono solo rispettare la regola delle cessazioni dell'anno precedente (delibera 3/11 della Corte dei conti, Sezioni riunite), alle Province e ai Comuni sopra i 5mila abitanti è stato imposto il rigido meccanismo di turn-over.
L'articolo 14, comma 9, del Dl 78/2010 ha però usato genericamente il termine «assunzioni» senza precisare ulteriori caratteristiche. Ed è da qui che nascono i dubbi. Nella stessa disposizione, oltre alla regola del turn-over, il legislatore ha previsto che negli enti in cui il rapporto tra le spese di personale e le spese correnti sia superiore al 40% vi sia un divieto assoluto di assunzione a qualsiasi titolo e con qualsivoglia tipologia contrattuale.
Facendo leva su tale aspetto, la Corte dei conti della Lombardia (deliberazione 167/2011) ha affermato che la ratio di contenimento della spesa induce a ritenere che il riferimento di questa parte della norma (il divieto) debba valere anche per la seconda parte (il turn-over). Il 20% è quindi da calcolarsi anche in relazione ai rapporti di lavoro a termine. L'esclusione dal calcolo delle spese per questo personale cessato nel 2010, oltre a non essere conforme al dettato normativo, potrebbe condurre a conseguenze contrarie all'impostazione della regola stessa.
È di avviso diverso la Corte dei conti della Campania. La delibera 246/2011 sostiene che la regola del turn-over, introdotta quale limite legislativo alle assunzioni che comportano un consolidamento della spesa, deve, ragionevolmente, comprendere in via esclusiva le assunzioni a tempo indeterminato. La Corte dei conti Sezioni Riunite ha avuto modo di toccare la questione nella delibera 20/2011, precisando che «il limite alle assunzioni di personale nell'ambito delle cessazioni avvenute nell'anno precedente si riferisce ai soli rapporti di lavoro a tempo indeterminato».
Questa tesi, supportata anche dall'Anci, sembra essere la più convincente. In primo luogo va sottolineato che il legislatore non ha mai introdotto limiti al turn-over per il lavoro flessibile, ma solo per le assunzioni a tempo indeterminato. Il lavoro flessibile è però elencato come elemento utile al fine del contenimento della spesa previsto dal comma 557 della Finanziaria 2007.
C'è poi da evidenziare che l'articolo 36 del Dlgs 165/01 prevede l'attivazione del lavoro flessibile solo in presenza di situazioni temporanee ed eccezionali. Una regola del turn-over in questi casi appare discutibile.
Inoltre, andando proprio nella logica di tutta la manovra estiva, è evidente che il Governo ha adottato azioni nell'unica direzione di ridurre in maniera consolidata le spese del personale della Pa. Il modo più certo per raggiungere l'obiettivo è proprio quello di evitare assunzioni a tempo indeterminato che comportano il consolidamento della spesa anche per gli anni futuri. Se nel limite del 20% fossero inclusi anche i rapporti a termine, si potrebbe giungere al paradosso di utilizzare la spesa delle cessazioni a tempo determinato per legittimare assunzioni a tempo indeterminato.
Dalle Sezioni riunite della Corte, nella stessa delibera 20/2011, arriva un'ulteriore conferma: nel turn-over non rientrano i co.co.co. È invece della Corte dei conti della Lombardia un'apertura interessante: gli eventuali margini di spesa originati da cessazione di personale non utilizzati nell'anno in corso si possono riportare nell'anno successivo (articolo Il Sole 24 Ore del 16.05.2011 - tratto da www.corteconti.it).

SEGRETARI COMUNALI: Niente ferie pagate al segretario che cambia ente.
IL PRINCIPIO - I giorni non goduti non possono essere liquidati perché il rapporto con il ministero dell'Interno rimane inalterato.

La Unità di missione del ministero dell'Interno per la gestione dell'Albo dei segretari ha iniziato a rispondere quesiti posti dalle autonomie locali.
Dopo la soppressione dell'Agenzia è infatti in capo a tale organismo il coordinamento delle questioni relative al trattamento giuridico ed economico dei segretari degli enti locali. I pareri sono stati pubblicati nei giorni scorsi e vertono sul pagamento sostitutivo delle ferie non godute e la possibilità di incremento della retribuzione di posizione.
In entrambi i casi incide la variabilità dell'attività dei segretari. È infatti frequente che vi siano repentini trasferimenti di sede, dovuti spesso anche a razionalizzazioni sulla spesa di personale.
Accade quindi spesso che il segretario non riesca a fruire delle ferie presso l'amministrazione in cui prestava l'attività lavorativa. Nasce da qui il dubbio se possano essere pagate.
La risposta dell'Unità di missione è negativa. Tutto si basa sulla distinzione tra rapporto di lavoro e rapporto di servizio. Il segretario instaura un rapporto di lavoro con il Viminale al momento della sottoscrizione del contratto individuale, ma è anche titolare di un rapporto di servizio a tempo determinato con l'ente locale. Al momento dell'interruzione del rapporto di servizio non si genera la condizione prevista dall'articolo 20 del contratto nazionale del 16.05.2001 per il pagamento sostitutivo delle ferie, che invece potranno essere corrisposte in busta paga solo alla data di estinzione del rapporto di lavoro e in particolare con la cancellazione dall'Albo. Fermo restando che le ferie dovrebbero essere fruite al massimo entro il primo semestre dell'anno successivo, si applica quindi al segretario il «trascinamento». Se si succedono più rapporti di servizio con diversi enti -intervallati o meno da un periodo di disponibilità- il segretario porta con sé le ferie maturate e non godute in quanto il rapporto di lavoro è continuo e unico con la Ex-Agenzia.
Il frequente convenzionamento tra enti per avvalersi di un'unica figura di segretario porta con sé anche il dubbio di come sia possibile riconoscere la maggiorazione del 50% della retribuzione di posizione in godimento a seconda della classe dell'ente e delle funzioni effettivamente svolte.
L'Unità di missione fornisce un chiaro esempio. Se viene attivata una convenzione di segreteria la cui popolazione è compresa tra 3.001 e 10mila abitanti, la percentuale erogabile non potrà essere superiore al 50%, calcolata sul compenso spettante in base alla classe della convenzione. Ciò per evitare che ogni Comune individui una maggiorazione in via autonoma che globalmente potrebbe anche più che raddoppiare (articolo Il Sole 24 Ore del 16.05.2011 - tratto da www.ecostampa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La SCIA in edilizia.
L’entrata in vigore del decreto legge 13.05.2011, n. 70, noto come “decreto sviluppo”, ha esteso l’istituto della segnalazione certificata di inizio attività (SCIA) anche al settore degli interventi edilizi prima oggetto di denuncia di inizio attività (DIA).
Si ricorderà che la legge del 30.07.2010, n. 122, di conversione al D.l. 78/2010 (c.d. maxiemendamento), tra le diverse ed articolate novità introdotte alla sua versione originaria, all’art. 48-quater, aveva riscritto l’art. 19 della legge 07.08.1990 n. 241, riguardante la c.d. dichiarazione di inizio attività (DIA).
Tuttavia, contemporaneamente al vigore della richiamata riforma, erano stati manifestati orientamenti contrastanti circa il campo di applicazione della richiamata SCIA.
In particolare il dibattito era incentrato sulla possibilità di estendere la riforma anche al settore edilizio, ritenendo sostituita non solo la dia (dichiarazione di inizio attività) di cui al citato art. 19 della legge 241/1990, ma anche la dia (denuncia di inizio attività) di cui all’art. 22 del Dpr 380/2001.
Sul punto era intervenuta la nota esplicativa del Ministero per la semplificazione normativa, pubblicata il 16.09.2010, la quale riteneva che la “nuova” SCIA doveva ritenersi applicabile anche al settore degli interventi edilizi.
Tuttavia, nonostante tali chiarimenti e considerato il dato letterale, il dubbio restava e veniva manifestato anche dal Consiglio di Stato che, con ordinanza del 05.01.2011 n. 14, aveva rilevato il dubbio applicativo.
Come anticipato, il c.d. decreto sviluppo, all’art. 5 incide sul tema e prevede definitivamente l’estensione della SCIA agli interventi edilizi: la norma già nelle battute iniziali chiarisce che uno degli obbiettivi che intende perseguire è la “estensione della segnalazione certificata di inizio attività (SCIA) agli interventi edilizi precedentemente compiuti con denuncia di inizio attività (DIA);”.
In dettaglio, viene dapprima aggiunto il comma 6-bis dell’art. 19 della legge 07.08.1990, n. 241, il quale prevede che “Nei casi di Scia in materia edilizia, il termine di sessanta giorni di cui al primo periodo del comma 3 è ridotto a trenta giorni. Fatta salva l'applicazione delle disposizioni di cui al comma 6, restano altresì ferme le disposizioni relative alla vigilanza sull'attività urbanistico-edilizia, alle responsabilità e alle sanzioni previste dal d.P.R. 06.06.2001, n. 380, e dalle leggi regionali.”.
Il decreto sviluppo chiarisce inoltre che “Le disposizioni di cui all'articolo 19 della legge 07.08.1990, n. 241 si interpretano nel senso che le stesse si applicano alle denunce di inizio attività in materia edilizia disciplinate dal decreto del Presidente della Repubblica 06.06.2001, n. 380, con esclusione dei casi in cui le denunce stesse, in base alla normativa statale o regionale, siano alternative o sostitutive del permesso di costruire. Le disposizioni di cui all'articolo 19 della legge 07.08.1990, n. 241 si interpretano altresì nel senso che non sostituiscono la disciplina prevista dalle leggi regionali che, in attuazione dell'articolo 22, comma 4, del decreto del Presidente della Repubblica 06.06.2001, n. 380, abbiano ampliato l'ambito applicativo delle disposizioni di cui all'articolo 22, comma 3, del medesimo decreto e nel senso che, nei casi in cui sussistano vincoli ambientali, paesaggistici o culturali, non sostituisce gli atti di autorizzazione o nulla osta, comunque denominati, delle amministrazioni preposte alla tutela dell'ambiente e del patrimonio culturale.” (tratto e link a www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com).

AUTORITA' VIGILANZA CONTRATTI PUBBLICI

APPALTI: Nel caso delle procedure negoziate, il principio di trasparenza trova attuazione anteriormente all’inizio del procedimento di selezione, nella effettuazione di una corretta ed adeguata pubblicità sia dell’oggetto della selezione che si intende esperire sia dei criteri obiettivi che si intende utilizzare per la valutazione delle offerte; al termine del procedimento negoziato, invece, il principio stesso troverà la propria effettiva applicazione nel corrispondente obbligo da parte della stazione appaltante di motivare la scelta effettuata sulla base degli stessi criteri inizialmente adottati (determinazione dell’Autorità n. 1 del 19.01.2006).
Il principio in questione comporta, inoltre, che debba essere resa nota la scelta dell’affidatario mediante pubblicazione dell’esito della selezione, come previsto del resto dall’art. 267, comma 9 dell’emanando Regolamento di attuazione del Codice dei contratti pubblici (parere di precontenzioso 18.11.2010 n. 200 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: Eventuali violazioni dei limiti del subappalto consentito possono valere solo nella successiva fase di autorizzazione da parte della stazione appaltante e non in quella in cui si valuta l’ammissibilità dell’offerta.
Inoltre, l’incompletezza delle indicazioni e dei documenti concernenti le prestazioni da subappaltare, l’identità e la qualificazione dei subappaltatori, resi in sede di offerta, precludono la possibilità di esercitare la facoltà di subappalto, ma non determinano l’esclusione dell’offerente che partecipa alla procedura, in mancanza di un’espressa previsione al riguardo, allorché risulti che quest’ultimo sia autonomamente dotato dei requisiti prescritti per l’esecuzione diretta dell’appalto (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, n. 3969 del 12.06.2009; Consiglio di Stato, sez. IV, n. 2683 del 06.06.2008; TAR Lazio, sez. I, n. 499 del 02.05.2008).
Analogamente allora è ragionevole sostenere che quando un concorrente manifesta la volontà di avvalersi del subappalto per prestazioni che la legge o la specifica disciplina di gara impongono siano eseguite direttamente dall’appaltatore, la conseguenza sia solo quella di far carico di dette prestazioni al concorrente in possesso dei requisiti per provvedere in proprio all’esecuzione dell’appalto, e non anche l’esclusione dalla gara, e ciò in conformità al generale principio di conservazione degli atti giuridici.
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Le disposizioni con le quali sono prescritti particolari adempimenti per l’ammissione alla gara, ove indichino in modo equivoco taluni dei detti adempimenti, vanno interpretate nel senso più favorevole all’ammissione degli aspiranti, corrispondendo all’interesse pubblico di assicurare un ambito più vasto di valutazioni, e, quindi, un’aggiudicazione alle condizioni migliori possibili (cfr. AVCP pareri n. 188 del 20.10.2010 e n. 126 del 23.04.2008) (parere di precontenzioso 18.11.2010 n. 199 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: La stazione appaltante, in presenza di un dubbio circa il significato da attribuire alle clausole negoziali della polizza già acquisita agli atti di gara, può avvalersi della facoltà ex art. 46 del Codice dei contratti pubblici e chiedere al concorrente chiarimenti in ordine al vincolo negoziale assunto, sussistendo nello specifico caso in esame tutti i presupposti per agire in tal senso.
Va al riguardo ricordato che nelle gare per l’aggiudicazione dei contratti pubblici, a tutela della par condicio dei concorrenti, è preclusa alla Commissione giudicatrice la possibilità di consentire l’integrazione successiva di documenti non allegati all’offerta, la cui presentazione è fissata dalla lex specialis a pena di esclusione, essendo tale facoltà consentita solo con riguardo a documenti presentati tempestivamente e che attengono a requisiti di partecipazione e non all’offerta (cfr. AVCP parere n. 54 del 23.04.2009).
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In presenza di un dubbio interpretativo circa l’effettivo contenuto di una polizza, scaturito dalla contraddittorietà delle clausole contenute nel corpo di un unico documento, “soccorre nella valutazione del corretto operato della stazione appaltante l’orientamento seguito dal Giudice Amministrativo (Consiglio di Stato, sez. V, 04.05.2004, n. 2725) che, in una fattispecie analoga, ha affermato il principio secondo cui le clausole contenute in una polizza fideiussoria, conformemente ai principi generali in materia di interpretazione del negozio giuridico, vanno considerate nel loro complesso, indagando sulla reale intenzione dei contraenti e valutando il loro comportamento anche posteriore alla conclusione del contratto, ai sensi degli articoli 1362 e 1363 del Codice civile” (AVCP parere n. 138 del 22.07.2007).
La corretta applicazione delle norme appena menzionate impone, da un lato, di non limitarsi al senso letterale delle parole (art. 1362 c.c.) e, dall’altro, di interpretare le clausole le une per mezzo delle altre, attribuendo a ciascuna il senso che risulta dal complesso dell’atto (art. 1363 c.c.) (parere di precontenzioso 03.11.2010 n. 198 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: E’ noto che la previsione da parte della lex specialis di esplicite ed inequivoche cause di esclusione rende di per sé superflua ogni indagine circa il carattere sostanziale o meno della prescrizione inosservata, in base al principio di recessività del criterio teleologico rispetto a quello letterale (cfr. ex multis: Consiglio di Stato, Sez. V, 01.09.2009, n. 5144).
In tale contesto, è erronea la tesi volta ad escludere dall’ambito soggettivo delle dichiarazioni in questione i soci di società di capitali in presenza di una clausola della lex specialis che prevede che l’impresa concorrente debba attestare, a pena di esclusione, tra l’altro, le generalità complete dei suoi rappresentanti legali, dei soci, dei direttori tecnici, degli amministratori muniti di potere di rappresentanza (parere di precontenzioso 03.11.2010 n. 197 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: L’esercizio da parte di una s.a. della facoltà, espressamente prevista dall’art. 83, comma 2, del D.Lgs. n. 163/2006 (che recita: “Il bando di gara ovvero, in caso di dialogo competitivo, il bando o il documento descrittivo, elencano i criteri di valutazione e precisano la ponderazione relativa attribuita a ciascuno di essi, anche mediante una soglia, espressa con un valore numerico determinato, in cui lo scarto tra il punteggio della soglia e quello massimo relativo all’elemento cui si riferisce la soglia deve essere appropriato”) consente alla stazione appaltante, nel rispetto del principio di par condicio tra i concorrenti, di selezionare soltanto quelle offerte che superino la soglia qualitativa minima predeterminata, al fine di garantire un livello qualitativo al di sotto del quale l’amministrazione ritiene non accettabile la prestazione.
Tale previsione, del resto, è perfettamente in linea con la ratio del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa e con l’ampia discrezionalità di cui dispone la stazione appaltante nel dosare i diversi elementi di valutazione (prezzo ed elementi qualitativi) in relazione agli obiettivi e all’oggetto del contratto (parere di precontenzioso 03.11.2010 n. 196 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: Se interpretato secondo un canone di ragionevolezza, l’art. 84, comma 2, del D.Lgs. n. 163/2006 rileva essenzialmente nella parte in cui richiede che i membri della Commissione siano “esperti nello specifico settore cui si riferisce l'oggetto del contratto”, nel senso che i commissari abbiano un background di competenze tali da consentire ad essi di apprezzare i contenuti tecnici delle proposte provenienti dai concorrenti; per il che è sufficiente che i componenti la Commissione posseggano un bagaglio di conoscenze e di esperienza tali da poter valutare, con sufficiente grado di consapevolezza, i contenuti delle proposte sottoposte al loro esame (cfr. TAR Piemonte, Torino, sez. I, 08.04.2009, n. 954).
Il successivo comma 8, laddove pone a presupposto della selezione di un soggetto esterno “l'accertata carenza in organico di adeguate professionalità”, risponde essenzialmente ad una logica di economia di spesa, mediante il prioritario utilizzo delle risorse umane interne alla stazione appaltante (cfr. TAR Lazio, Roma, sez. III-ter, 04.02.2008, n. 905; TAR Lazio, Roma, sez. III, 21.11.2008, n.10565) e va, peraltro, interpretato in termini di carenza in senso relativo, e non già assoluto, vale a dire parametrata alla specificità del caso concreto (cfr. TAR Marche, Ancona, sez. I, 30.09.2009, n. 908) (parere di precontenzioso 03.11.2010 n. 195 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: L’omessa allegazione di un documento o di una dichiarazione previsti a pena di esclusione non può considerarsi alla stregua di un’irregolarità sanabile e, quindi, non ne è permessa l’integrazione o la regolarizzazione postuma, non trattandosi di rimediare a vizi puramente formali.
Ciò tanto più quando non sussistano equivoci o incertezze generati dall’ambiguità di clausole della legge di gara (Cons. Stato, Sez. V, 02.02.2010, n. 428; 15.01.2008, n. 36; 06.03.2006, n. 1068; 30.05.2006, n. 3280). In presenza di una prescrizione chiara la regolarizzazione costituirebbe violazione della par condicio fra i concorrenti (parere di precontenzioso 03.11.2010 n. 194 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: Il DURC è qualificato dalla giurisprudenza come una dichiarazione di scienza, resa però con riguardo al periodo considerato, per cui lo stesso non può essere inteso che come attestante la regolarità contributiva soltanto fino alla propria scadenza, senza alcuna possibilità di essere considerato valido al di là del termine in esso espressamente stabilito (si veda, in tal senso Cons. Stato, Sez. V, 26.02.2010, n. 1141).
Come ritenuto anche da questa Autorità (parere n. 112 del 16.06.2010), il DURC privo di un requisito intrinseco, ossia l’essere in corso di validità, è per ciò stesso inidoneo a comprovare il possesso della regolarità contributiva.
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Se è vero che rientra nella discrezionalità amministrativa l’individuazione dei criteri di valutazione e la ponderazione relativa attribuita a ciascuno di essi, nel rispetto della proporzionalità e della ragionevolezza (parere di questa Autorità del 20.04.2008 n. 93), è anche vero che, una volta effettuata tale scelta discrezionale, attribuendo un massimo di 60 punti all’offerta tecnica ed un massimo di 40 punti all’offerta economica, la stazione appaltante non può adottare una formula matematica che, nella sostanza finisca, per rendere totalmente ininfluente l’offerta economica, riducendo da 40 a 13 punti il possibile scarto tra il minimo ribasso e il massimo ribasso.
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Il possesso della certificazione di qualità può documentarsi mediante dichiarazione sostitutiva di certificazione, resa ai sensi dell’art. 46 del DPR 445/2000 ovvero con una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà da rendersi ai sensi del combinato disposto degli artt. 47, co. 1, e 38, co. 3, del DPR 445/2000.
E’ dunque consentito, salva ogni successiva verifica, dichiarare il possesso della certificazione di qualità (quale titolo di “qualificazione tecnica” ai sensi e per gli effetti dell’art. 46, co. 1, lett. n), senza dover produrre anche la copia della relativa certificazione; peraltro, qualora la certificazione di qualità non si ritenga qualificabile come “titolo” di “qualificazione tecnica” ai sensi dell’art. 46 cit., il possesso della stessa è comunque certificabile attraverso dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà ai sensi dell’art. 47 cit.
La certificazione di qualità non rientra tra le ipotesi per le quali l’articolo 49 del d.p.r. 28.12.2000, n. 445, ha esplicitamente previsto dei limiti di utilizzo delle misure di semplificazione. In concreto i “certificati medici, sanitari, veterinari, di origine, di conformità CE, di marchi o brevetti” non possono essere sostituiti da altro documento. La certificazione di qualità è riconducibile alla lettera n) dell’art. 46, co. 1, del DPR 445/2000.
In conseguenza, in quanto rientrante tra i titoli di qualificazione tecnica, la certificazione di qualità ben può essere documentata con una dichiarazione sostitutiva di certificazione, resa ai sensi dell’art. 46 cit. del cit. del DPR 445 (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 19.04.2007, n. 1790; Cons. Stato, Sez. VI, 19.01.2007, n. 121) (TAR Lazio, sez. III-quater, 01.02.2008, n. 899).
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In materia di appalti pubblici, la ratio del differimento del diritto di accesso è da individuarsi nella necessità di mantenere la competizione indenne da meccanismi di collusione, di impedire intese tra operatori economici volte a concordare i rispettivi comportamenti per influenzare l’esito della selezione, di evitare flussi informativi (anche involontari) tra potenziali concorrenti, e di eliminare il rischio di condizionamenti commerciali, economici e tecnici nella formulazione e presentazione delle offerte.
Ciò premesso, la giurisprudenza amministrativa evocata dall’impresa istante –e dalla stessa stazione appaltante– ha coerentemente escluso la possibilità di applicare il principio del differimento, quando la richiesta di accesso abbia ad oggetto i documenti attestanti i requisiti di ammissione, i verbali di gara e i provvedimenti della stazione appaltante nella parte in cui sanciscono l’esclusione dalla procedura delle imprese concorrenti, ovvero la loro riammissione (TAR Puglia, Bari, Sez. I, 18.11.2008, n. 2612; TAR Puglia, Lecce, Sez. II, 31.01.2009, n. 178); trattasi, invero, di atti che, non potendo affatto minare gli equilibri concorrenziali e la correttezza dell’andamento del procedimento, non giustificano il differimento (parere di precontenzioso 03.11.2010 n. 193 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: Il d.lgs. n. 163 del 2006, all'art. 83, regola il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa e demanda a successiva attività regolamentare l'individuazione delle metodologie da utilizzare per l'individuazione, con unico parametro numerico, dell'offerta più vantaggiosa; rilevano, peraltro, anche i successivi artt. 253, comma 13, e 256, comma 4, recanti disposizioni transitorie nelle more della entrata in vigore del regolamento di cui dianzi, circa la persistente vigenza dei criteri indicati nel d.P.C.M. n. 117/1999 (Regolamento recante norme per la determinazione degli elementi di valutazione e dei parametri di ponderazione dell'offerta economicamente più vantaggiosa per l'aggiudicazione degli appalti di servizi di pulizia).
Il citato d.P.C.M. all'art. 4, commi 1 e 2, al fine dell'attribuzione dei punteggi ai singoli contenuti del progetto tecnico, riserva all'amministrazione appaltante la facoltà di assegnare un coefficiente all'interno di una forcella compresa tra 0 ed 1 (valori limite che, in ogni caso, vincolano la p.a. con riguardo, rispettivamente, alla prestazione minima possibile ed a quella massima offerta); quanto, invece, alla determinazione del coefficiente relativo al parametro prezzo, il comma 3 del medesimo art. 4 rinvia esclusivamente alla formula indicata nell'allegato A al medesimo d.P.C.M., senza che, pertanto, residuino a tali fini ulteriori possibilità valutative (cfr. TAR Lazio, Roma, sez. I-bis, 24.10.2007, n. 10463).
Si può convenire, quindi, che l’applicazione del regolamento di cui al D.P.C.M. n. 117/1999 non rappresenti, nella materia dei servizi oggetto di esame, una scelta della stazione appaltante bensì un preciso obbligo, in assenza dell’emanando regolamento che, in ogni caso, dovrà tenere conto dei criteri fissati in detto decreto indicati dall’art. 4, comma 3, e dall’Allegato A per la determinazione del coefficiente “prezzo”, in relazione alle procedure concorsuali per l’aggiudicazione dei servizi di pulizia con il metodo dell’offerta economicamente più vantaggiosa (parere di precontenzioso 03.11.2010 n. 192 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: Come chiaramente affermato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 411/2008 la disciplina degli appalti pubblici, intesa in senso complessivo, include diversi “ambiti di legislazione” che si qualificano a seconda dell’oggetto al quale afferiscono: in essa pertanto si profila una interferenza tra materie di competenza statale e materie di competenza regionale, che, tuttavia, si atteggia in modo peculiare, non realizzandosi normalmente in un intreccio in senso stretto ma “con la prevalenza della disciplina statale su ogni altra fonte normativa (sentenza n. 401 del 2007) in relazione agli oggetti riconducibili alla competenza esclusiva statale, esercitata con le norme recate dal d.lgs. n. 163 del 2006”.
Alla luce di quanto sopra, la Corte costituzionale, nella citata sentenza, ha affermato che l’art. 4, comma 5, del codice dei contratti, il quale, nella parte in cui stabilisce che le Regioni a statuto speciale adeguano la propria legislazione secondo le disposizioni contenute negli statuti e nelle relative norme di attuazione, “impone alle Regioni ad autonomia speciale, in assenza di norme statutarie attributive di competenze nelle materie cui afferiscono le norme del codice dei contratti, di conformare la propria legislazione in materia di appalti pubblici a quanto stabilito dal Codice stesso”.
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La Corte di giustizia, con la sentenza del 15.05.2008, cause riunite C-147/06 e C-148/06, Secap, ha affermato che i principi comunitari ostano ad una normativa che, per quanto concerne gli appalti di valore inferiore alla soglia comunitaria e che presentano un interesse transfrontaliero certo, imponga tassativamente alle amministrazioni aggiudicatrici, qualora il numero delle offerte valide sia superiore a cinque, di procedere all’esclusione automatica delle offerte considerate anormalmente basse rispetto alla prestazione da fornire, in base all’applicazione di un criterio matematico previsto da tale normativa, precludendo alle suddette amministrazioni aggiudicatrici qualsiasi possibilità di verificare la composizione di tali offerte richiedendo agli offerenti interessati precisazioni in merito a queste ultime.
Il Giudice comunitario ha tuttavia precisato che l’esistenza di un interesse transfrontaliero potrebbe essere esclusa nel caso, ad esempio, di un valore economico molto limitato dell’appalto in questione (punto 31) e che, anche in presenza di un interesse transfrontaliero certo, l’esclusione automatica delle offerte anomale potrebbe rivelarsi accettabile qualora il ricorso a tale regola sia giustificato dal numero eccessivamente elevato delle offerte, circostanza questa che potrebbe obbligare l’amministrazione aggiudicatrice interessata a procedere alla verifica in contraddittorio di un numero di offerte talmente alto da eccedere la sua capacità amministrativa ovvero da poter compromettere la realizzazione del progetto a causa del ritardo che tale verifica potrebbe comportare (punto 32) (parere di precontenzioso 03.11.2010 n. 191 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: La mera pendenza di uno o più procedimenti penali a carico del concorrente ad una gara di appalto non è di per sé motivo ostativo alla partecipazione alle procedure di gara, come si evince dal dettato della lettera c) dell’art. 38 del D.Lgs. n. 163/2006 che, ai fini dell’esclusione, postula la pronuncia di “sentenza di condanna passata in giudicato” ovvero di “decreto penale di condanna irrevocabile” ovvero di “sentenza di applicazione della pena su richiesta, ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale” per reati gravi in danno dello Stato o della Comunità che incidono sulla moralità professionale.
Non è conforme alla normativa di settore, pertanto, l’esclusione disposta da un s.a. sulla base di un’operazione ermeneutica di tipo analogico, orientata alla tutela della pubblica amministrazione, in relazione all’elemento della fiducia, nei suoi rapporti economico-contrattuali con i privati, che si pone in contrasto sia con l’ordinamento comunitario che con quello nazionale, i quali circondano di particolari garanzie la posizione delle imprese partecipanti alle gare escludendo poteri discrezionali delle Amministrazioni appaltanti ed indicando in modo puntuale ed analitico le cause di esclusione (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 22.08.2003, n. 4750) (parere di precontenzioso 03.11.2010 n. 190 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: In materia di requisiti di partecipazione alle gare di progettazione è stato affermato che la disposizione (art. 66, d.p.R. 554/1999), nonostante la sua complessa e non chiara formulazione, non chiede affatto che i due servizi richiesti (chiamati “servizi di punta”) debbano necessariamente comprendere, ciascuno, tutte le classi e categorie dei lavori cui si riferiscono i servizi oggetto della gara, cioè, in definitiva, debbano essere due servizi identici a quelli da affidare.
Tale interpretazione, del resto, appare coerente con il principio del favor partecipationis, sempre affermato in giurisprudenza con riguardo alle ipotesi dubbie –come certamente è quella in discorso– ove si precisa che «in sede di interpretazione di prescrizioni equivoche del bando di gara, deve farsi applicazione del principio secondo cui le stesse devono interpretarsi nel senso più favorevole all'ammissione alla gara ed alla massima partecipazione, e ciò per soddisfare lo specifico interesse dell'Amministrazione ad un confronto più ampio possibile tra le offerte» (cfr.: Consiglio di Stato, Sez. V, 04.11.2004, n. 7140 e TAR Abruzzo-Pescara 20.05.2005, n. 311) (parere di precontenzioso 03.11.2010 n. 189 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: Le disposizioni con le quali sono prescritti particolari adempimenti per l’ammissione alla gara, ove indichino in modo equivoco taluni dei detti adempimenti, vanno interpretate nel senso più favorevole all’ammissione degli aspiranti, corrispondendo all’interesse pubblico di assicurare un ambito più vasto di valutazioni, e quindi, un’aggiudicazione alle condizioni migliori possibili (cfr. parere n. 126 del 23.04.2008) (parere di precontenzioso 20.10.2010 n. 188 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

GIURISPRUDENZA

EDILIZIA PRIVATA I proprietari di fabbricati vicini possono chiedere il rispetto delle norme che prescrivono distanze tra le costruzioni innanzi al giudice ordinario, allorquando la controversia sia instaurata nei soli confronti di altri soggetti privati, vertendosi in tal caso su questioni di diritto soggettivo, ovvero innanzi al giudice amministrativo quando sia contestata la legittimità del titolo abilitativo rilasciato in violazione delle norme sulle distanza, vertendosi in tal caso in tema di interessi legittimi.
Il termine per l'impugnazione di un titolo edilizio ad opera del confinante non decorre dall'avvio dei lavori, ma dalla ultimazione di questi, affinché gli interessati siano in grado di avere cognizione dell'esistenza e dell'entità delle violazioni urbanistico-edilizie eventualmente derivanti dalla concessione.

E' opinione comune nella giurisprudenza che i proprietari di fabbricati vicini possono chiedere il rispetto delle norme che prescrivono distanze tra le costruzioni innanzi al giudice ordinario, allorquando la controversia sia instaurata nei soli confronti di altri soggetti privati, vertendosi in tal caso su questioni di diritto soggettivo, ovvero innanzi al giudice amministrativo quando sia contestata la legittimità del titolo abilitativo rilasciato in violazione delle norme sulle distanza, vertendosi in tal caso in tema di interessi legittimi (Consiglio Stato, sez. IV, 16.11.2007, n. 5837).
Il termine per l'impugnazione di un titolo edilizio ad opera del confinante non decorre dall'avvio dei lavori, ma dalla ultimazione di questi, affinché gli interessati siano in grado di avere cognizione dell'esistenza e dell'entità delle violazioni urbanistico-edilizie eventualmente derivanti dalla concessione; l'effettiva conoscenza dell'atto, infatti, si verifica quando la costruzione realizzata rivela in modo certo ed univoco le essenziali caratteristiche dell'opera e l'eventuale non conformità della stessa al titolo o alla disciplina urbanistica, con la conseguenza che in mancanza di altri ed inequivoci elementi probatori il termine decorre non con il mero inizio dei lavori, ma con il loro completamento (cfr. ad es. Cons. Stato, sez. V, 04.03.2008, n. 885; TAR Liguria, sez. II, 09.01.2009, n. 43). A ciò si aggiunge che l’amministrazione non ha dato prova certa della conoscenza in data anteriore
(TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 19.05.2011 n. 1282 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAPer "pareti finestrate", ai sensi dell'art. 9 d.m. 02.04.1968 n. 1444 e di tutti quei regolamenti edilizi locali che ad esso si richiamano, devono intendersi non (soltanto) le pareti munite di "vedute" ma più in generale tutte le pareti munite di aperture di qualsiasi genere verso l'esterno, quali porte, balconi, finestre di ogni tipo (di veduta o di luce) e considerato altresì che basta che sia finestrata anche una sola delle due pareti.
L’art. 9 del D.M. 1444/1968 misura le distanze con riferimento alle pareti finestrate con riferimento a: 2) Nuovi edifici ricadenti zone diverse dalla zona A: è prescritta in tutti i casi la distanza minima assoluta di m. 10 tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti; Zone C): è altresì prescritta, tra pareti finestrate di edifici antistanti, la distanza minima pari all'altezza del fabbricato più alto.
La giurisprudenza ha costantemente affermato che il d.m. 02.04.1968 n. 1444 -emanato in virtù dell'art. 41-quinquies l. n. 1150 del 1942 introdotto a sua volta dall'art. 17 l. 06.08.1967 n. 765 (c.d. L. Ponte)- ripete dal rango di fonte primaria della norma delegante la forza di legge, suscettibile di integrare con efficacia precettiva il regime delle distanze dalle costruzioni di cui all'art. 872 c.c.: la regola della distanza di 10 metri tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti vincola anche i comuni in sede di formazione e di revisione degli strumenti urbanistici, con la conseguenza che ogni previsione regolamentare in contrasto con l'anzidetto limite minimo è illegittima e va disapplicata, essendo consentita alle amministrazioni locali solo la fissazione di distanze superiori (TAR Lombardia Brescia, sez. I, 30.08.2007, n. 832).
Con riferimento alla nozione di pareti finestrate la giurisprudenza afferma che “per "pareti finestrate", ai sensi dell'art. 9 d.m. 02.04.1968 n. 1444 e di tutti quei regolamenti edilizi locali che ad esso si richiamano, devono intendersi, non (soltanto) le pareti munite di "vedute", ma più in generale tutte le pareti munite di aperture di qualsiasi genere verso l'esterno, quali porte, balconi, finestre di ogni tipo (di veduta o di luce)” (Corte d’Appello Catania, 22.11.2003) e considerato altresì che basta che sia finestrata anche una sola delle due pareti (TAR Toscana, Sez. III, 04.12.2001, n. 1734; TAR Piemonte, 10/10/2008 n. 2565).
Il secondo motivo è infondato in quanto la norma delle n.t.a. riprende l’art. 873 c.c. e non interferisce con l’applicazione delle disposizioni previste da norme speciali in materia di distanze. La distanza prevista dall’art. 873 c.c., infatti, non può essere inferiore a quella prevista dall'art. 9 del D.M. 02.04.1968, n. 1444 in quanto la norma è obbligatoria e vincolante per la potestà regolamentare comunale e prevale sulla norma locale con il sistema dell’inserzione automatica di clausole (Cass. civ., sez. II, 24.01.2006, n. 1282)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 19.05.2011 n. 1282 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Lombardia, sottotetti e distanze: la Corte Costituzionale ribadisce l'obbligatorietà del rispetto dell'art. 9 D.M. 1444/1968.
Con l'ordinanza 19.05.2011 n. 173 la Corte Costituzionale ha rigettato la questione di incostituzionalità dell'articolo 64, c. 2°, della legge della Regione Lombardia 11/03/2005, n. 12, come sostituito dall'art. 1, c. 1°, lett. d), della legge della Regione Lombardia 27/12/2005, n. 20, sollevata dal
Tribunale civile di Brescia, Sez. III, con l'ordinanza 22.02.2010.
Il Tribunale rilevava che se si dovesse, come impone l'articolo 64 in questione, qualificare ^ristrutturazione^ la realizzazione di sottotetti anche quando la modificazione della sagoma dell'edificio preesistente comportasse una diminuzione delle distanze da edifici esistenti inferiore a quella di cui al D.M. 1444/1968, art. 9, ciò si risolverebbe nella disapplicazione di una normativa di rango superiore quale, per l'appunto, il D.M. 1444, nonché lo stesso Testo Unico dell'Edilizia, per il quale la ristrutturazione edilizia non può comportare aumento di sagoma e volume (art. 3 D.P.R. 380/2001), diversamente essendo in presenza di nuova costruzione, come tale computabile ai fini della applicazione degli standard edilizi indicati dagli strumenti urbanistici locali, a loro volta, invece, disapplicati.
Non è vero, quindi, come afferma il TAR Lombardia nella decisione 153/2009, che la lettura comparata delle disposizioni regionali e nazionali deve suggerire una interpretazione delle prime conforme a legittimità a scapito di una non di legittimità, poiché nella fattispecie il legislatore regionale ha intenzionalmente qualificato il recupero dei sottotetti come ristrutturazione, al fine di sottrarli alla applicazione delle disposizioni di rango superiore.
Nulla di tutto ciò, afferma la Corte, è rinvenibile nella fattispecie, che circoscrivendo la questione alla disapplicazione del D.M. 1444 in punto distanze, rileva che che l’art. 64, comma 2, della legge della Regione Lombardia n. 12 del 2005, in accordo con la giurisprudenza assolutamente maggioritaria, deve interpretarsi nel senso che esso consente sì la deroga dei parametri e indici urbanistici ed edilizi di cui al regolamento locale ovvero al piano regolatore comunale, ma fatto salvo il rispetto della disciplina sulle distanze tra fabbricati, essendo quest’ultima materia inerente all’ordinamento civile e rientrante nella competenza legislativa esclusiva dello Stato.
Da ciò la manifesta inammissibilità della questione, avendo il giudice rimettente fondato il proprio ragionamento in ordine alla rilevanza su un erroneo presupposto interpretativo, ossia che la normativa lombarda sui sottotetti consentisse la deroga a norme di rango superiore, quale, per l'appunto, il D.M. 1444 in tema di distanze.
Nulla cambia, dunque, in materia ed anzi la decisione della Corte costituisce ultima e definitiva conferma dell'orientamento diffuso secondo cui nessuna normativa liberalizzatrice in tema di recupero sottotetti (e per estensione anche di ristrutturazione edilizia) non può estendersi sino a derogare le distanze fissate dall'articolo 9 del D.M. 1444/1968, recepito o meno negli strumenti urbanistici.
Va puntualizzato che restano invece, queste sì, derogate, le disposizioni locali diverse dalla mera riproposizione dell'articolo 9 in materia di distanze tra fabbricati, ad esempio nel caso di distanze dai confini, che il D.M., per l'appunto, non tratta (commento tratto da http://studiospallino.blogspot.com - link a www.studiospallino.it).

APPALTI: In materia di appalti pubblici, è insufficiente ed inadeguata la motivazione inerente alla classifica delle concorrenti, elaborata dalla commissione di gara alla stregua di un punteggio numerico globale per ciascuna impresa.
In materia di gare d'appalto, il ricorso a giudizi espressi in numeri è sufficiente a motivare le scelte della commissione solo laddove nella lex specialis vi sia una previsione sufficientemente analitica in ordine alla divisione delle offerte in sottovoci ancorate a parametri di valutazione, tra un minimo ed un massimo, tali da rendere comprensibile le ragioni di scelta, le quali vanno differentemente esplicitate. Pertanto, la motivazione, ancorché in forma numerica, deve estendersi ai sub elementi dell'offerta, così come definiti dal bando o dalla commissione.
Pertanto, nel caso di specie, poiché la valutazione delle offerte tecniche è stata rappresentata da punteggi numerici complessivi attribuiti a ciascun progetto in gara senza l'estensione valutativa di cui si è detto, ovvero non essendo stata espressa, l'intera gara risulta viziata da lacune negli aspetti motivi delle scelte operate (TAR Lazio-Roma, Sez. II-bis, sentenza 18.05.2011 n. 4302 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

EDILIZIA PRIVATA: Condono edilizio: le indicazioni ministeriali non eliminano il rischio demolizione.
Il rispetto della indicazioni contenute in una circolare ministeriale non mette al riparo dal rischio abbattimento dell’opera abusiva. Infatti, se le indicazioni non sono conformi alla legge non hanno alcun valore.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, Sez. III penale, con la sentenza 17.05.2011 n. 19330.
Per la Suprema corte, infatti, nella valutazione della domanda di sospensione dell’esecuzione -a seguito della presentazione di una istanza di condono- il giudice deve innanzi tutto verificare la sussistenza dei “requisiti di condonabilità delle opereex lege. E siccome la norma si riferisce espressamente alle “nuove costruzioni residenziali”, “nessuna rilevanza può assumere il contenuto della circolare”.
Infatti, come chiarito anche dalle Sezioni unite civili (23031/2007), le circolari hanno “natura di atti meramente interni alla pubblica amministrazione” ed “esprimono esclusivamente un parere dell’amministrazione medesima non vincolante per il contribuente, per gli uffici, per la stessa autorità che l’ha emanata e per il giudice”.
Dunque, per i giudici di Piazza Cavour la circolare interpretativa “si risolve in un mero ausilio interpretativo e non esplica alcun effetto vincolante non solo per il giudice penale, ma anche per gli stessi destinatari poiché non può comunque porsi in contrasto con l’evidenza del dato normativo” (massima tratta da www.diritto24.ilsole24ore.com).
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Condono edilizio, le indicazioni ministeriali non mettono al riparo dall'abbattimento.
Non si ferma l'ordine di demolizione dell'opera abusiva anche se la costruzione è conforme alle indicazioni contenute in una circolare ministeriale. A nulla vale, dunque, che il ministero delle Infrastrutture, con un proprio atto interpretativo, abbia esteso la portata del condono del 2003 anche agli immobili non residenziali.
Per la Cassazione, sentenza n. 19330/2011, infatti, i paletti rimangono quelli fissati dalla legge e dunque l'opera abusiva "non residenziale" va abbattuta, anche in pendenza di regolare domanda di condono edilizio.
La circolare ha solo valore interpretativo.
Niente da fare dunque per una signora di Cava dei Tirreni che aveva basato la richiesta di sospensiva dell'ordine di abbattimento sulle indicazioni contenute nella circolare del ministero dei Trasporti e delle Infrastrutture n. 2699/2005 che «espressamente ammetteva la condonabilità degli interventi aventi destinazione non residenziale».
Verificare la condonabilità delle opere.
Per la Cassazione, nella valutazione della domanda di sospensione dell'esecuzione -a seguito della presentazione di una istanza di condono- il giudice deve innanzi tutto verificare la sussistenza dei «requisiti di condonabilità delle opere» ex lege. E siccome la norma si riferisce espressamente alle «nuove costruzioni residenziali», «nessuna rilevanza può assumere il contenuto della circolare».
Infatti, come chiarito anche dalle Sezioni unite civili (23031/2007), le circolari hanno «natura di atti meramente interni alla pubblica amministrazione» ed «esprimono esclusivamente un parere dell'amministrazione medesima non vincolante per il contribuente, per gli uffici, per la stessa autorità che l'ha emanata e per il giudice».
Dunque, per la Suprema corte la circolare interpretativa «si risolve in un mero ausilio interpretativo e non esplica alcun effetto vincolante non solo per il giudice penale, ma anche per gli stessi destinatari poiché non può comunque porsi in contrasto con l'evidenza del dato normativo».
Ecco i principi fissati dalla Sezioni unite nel 2007.
1) La circolare emanata nella materia tributaria non vincola il contribuente, che resta pienamente libero di non adottare un comportamento ad essa uniforme, in piena coerenza con la regola che in un sistema tributario basato essenzialmente sull'auto tassazione, la soluzione delle questioni interpretative è affidata (almeno in una prima fase, quella, appunto, della determinazione dell'imposta da corrispondere) direttamente al contribuente.
2) La circolare nemmeno vincola, a ben vedere, gli uffici gerarchicamente sottordinati, ai quali non è vietato di disattenderla (evenienza, questa, che, peraltro, è raro che si verifichi nella pratica), senza che per questo il provvedimento concreto adottato dall'ufficio (atto impositivo, diniego di rimborso, ecc.) possa essere ritenuto illegittimo «per violazione della circolare»: infatti, se la (interpretazione contenuta nella) circolare è errata, l'atto emanato sarà legittimo perché conforme alla legge, se, invece, la (interpretazione contenuta nella) circolare è corretta, l'atto emanato sarà illegittimo per violazione di legge.
3) La circolare non vincola addirittura la stessa autorità che l'ha emanata, la quale resta libera di modificare, correggere e anche completamente disattendere l'interpretazione adottata. Tutt'al più, come è stato pure affermato, potrebbe ammettersi che il mutamento da parte dell'amministrazione di un precedente indirizzo (interpretativo) sul quale il contribuente possa aver fatto affidamento, eventualmente rilevi (o possa esse valutato) ai fini della applicazione delle sanzioni.
4) La circolare non vincola, infine, come già si è detto, il Giudice tributario (e, a maggior ragione, la Corte di Cassazione) dato che per l'annullamento di un atto impositivo emesso sulla base di una interpretazione data dall'amministrazione e ritenuta non conforme alla legge, non dovrà essere disapplicata la circolare, in quanto l'ordinamento affida esclusivamente al Giudice il compito di interpretare la norma (del resto, al Giudice tributario e' attribuita, nella materia tributaria, la giurisdizione esclusiva) (commento tratto da www.ilsole24ore.com).

EDILIZIA PRIVATA: L'assenza dello Sportello unico per l'edilizia non esonera dalle autorizzazioni.
Per salvarsi dal reato di abuso edilizio non basta invocare la mancata costituzione dello Sportello unico da parte del comune.
Lo ha chiarito la Corte di Cassazione, Sez. III penale, con la sentenza 17.05.2011 n. 19315.
Una signora condannata per aver eseguito dei lavori di ampliamento del garage in totale difformità al permesso a costruire ha sostenuto "la mancata istituzione dello Sportello Unico presso l'amministrazione comunale di Riposto e la conseguente impossibilità di presentare le dovute comunicazioni".
Una giustificazione che non ha convinto i giudici di legittimità che hanno affermato il seguente principio di diritto: "Lo Sportello Unico per l'edilizia previsto dell'articolo 5 del Dpr 380/2001 (Testo unico per l'edilizia) ha unicamente finalità di semplificazione procedimentale ed organizzativa, con la conseguenza che la mancata istituzione da parte dell'amministrazione comunale non ha alcuna incidenza sul regime autorizzativo dell'attività edilizia e non esonera, pertanto, dal conseguimento dei necessari titoli abilitativi" (massima tratta e link a www.diritto24.ilsole24ore.com).

APPALTI: La fissazione dei criteri idonei all'individuazione dell'offerta economicamente più vantaggiosa, ai sensi dell'art. 83 del d.lgs. n. 163/2006 (Codice dei contratti), rientra nella discrezionalità della stazione appaltante.
La scelta dei criteri più adeguati per l'individuazione dell'offerta economicamente più vantaggiosa, ai sensi dell'art. 83 del d.lgs. n. 163/2006 (Codice dei contratti), costituisce espressione tipica della discrezionalità della stazione appaltante e impingendo nel merito dell'azione amministrativa,è sottratta al sindacato di legittimità del G.A., salvo il caso in cui, in relazione a natura, oggetto e caratteristiche del contratto, non risulti manifestamente illogica, arbitraria, ovvero palesemente viziata da travisamento di fatto.
Nel caso di appalto integrato, come quello di specie, la stessa ampia possibilità di presentare varianti al progetto da parte dei candidati, comporta necessariamente un ampio margine di discrezionalità in capo alla Commissione, in quanto il bando e la lettera di invito non possono disciplinare totalmente le varianti che saranno presentate dai vari concorrenti.
Inoltre, anche la fissazione di sotto criteri da parte del bando, rientra nella discrezionalità tecnica della stazione appaltante. Non sussiste, infatti, alcun obbligo in capo alla stazione appaltante di fissazione di sub-criteri, atteso il disposto dell'art. 83 c. 4, del d.lgs. n. 163/06, il quale non prevede necessariamente l'esercizio di alcun obbligatorio esercizio di tale facoltà, alla quale può ricorrersi solo "ove necessario" (TAR Lazio-Roma, Sez. III, sentenza 17.05.2011 n. 4251 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Danno curriculare - Nozione - Valutazione equitativa - Possibilità.
Il fatto stesso di eseguire un appalto pubblico, anche a prescindere dal lucro che l’impresa ne ricava grazie al corrispettivo pagato dalla stazione appaltante, costituisce fonte per l’impresa di un vantaggio non patrimoniale ma -comunque- economicamente valutabile, poiché di per sé accresce la capacità di competere sul mercato e quindi la chance di aggiudicarsi ulteriori e futuri appalti.
In tale ottica deve pertanto ritenersi risarcibile il “danno curriculare”, il quale consiste nel pregiudizio subito dall’impresa in dipendenza del mancato arricchimento del proprio “curriculum” professionale, ossia per la circostanza di non poter indicare in esso l’avvenuta esecuzione dell’appalto sfumato a causa del comportamento illegittimo dell’Amministrazione (così, ad es., Cons. Stato, Sez. VI, 09.06.2008 n. 2751).
Tale pregiudizio, a prescindere dalla carenza di prove offerte dalla ricorrente in ordine alle perdite economiche da essa subite, fuoriesce -altresì- dagli ambiti meramente probabilistici della valutazione delle chances e si pone in termini obiettivi per il fatto stesso dell’intervenuta esclusione della ricorrente dal mercato “pubblico”, ed è pertanto intrinsecamente d necessariamente valutabile dal giudice in termini equitativi ai sensi dell’art. 1226 c.c. (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 16.05.2011 n. 2955 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTI: Sulla risarcibilità del danno curriculare derivante da illegittimi provvedimenti di esclusione da appalti pubblici.
La partecipazione ad un appalto pubblico, nonché la fase di esecuzione dello stesso, rappresentano per l'impresa concorrente un vantaggio economicamente valutabile, in quanto accresce la capacità di competere sul mercato e, dunque, la chance di ottenere l'affidamento di futuri appalti.
Pertanto, deve ritenersi risarcibile il danno c.d. "curriculare", il quale consiste nel pregiudizio subito dall'impresa in dipendenza del mancato arricchimento del proprio "curriculum" professionale, ossia per la circostanza di non poter indicare in esso l'avvenuta esecuzione di un appalto dal quale si sia stati esclusi a causa del comportamento illegittimo dell'amministrazione.
Tale pregiudizio, peraltro, prescinde dalla carenza di prove offerte dal concorrente in ordine alle perdite economiche da esso patite, ponendosi in termini obiettivi per il fatto stesso dell'intervenuta esclusione dal mercato "pubblico", ed è quindi necessariamente valutabile dal giudice in termini equitativi, ai sensi dell'art. 1226 c.c.. (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 16.05.2011 n. 2955 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

SICUREZZA LAVORO: Pubblico dipendente - Lesioni subite a causa di caduta dalle scale - Assenza del dispositivo antiscivolo - Violazione dell’art. 2087 c.c..
Deve essere accolta, ai sensi dell’art. 2087 c.c., la domanda di risarcimento del danno avanzata da un pubblico dipendente, per lesioni subite a causa di caduta verificatasi durante lo svolgimento del servizio, determinata dell’assenza, sulle scale dell’ufficio, del dispositivo antiscivolo (bande); il fatto che le scale siano prive del dispositivo antiscivolo è idoneo, infatti, quantomeno, ad agevolare una caduta, e tanto integra una violazione dell’art. 2087 c.c., in ragione dell’onere del datore di lavoro di adottare ogni accorgimento idoneo a prevenire infortuni, tanto più che l’accorgimento in questione è di semplice applicazione (TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 14.05.2011 n. 482 - link a www.ambientediritto.it).

URBANISTICA: PRG - Modifiche introdotte d’ufficio dall’amministrazione regionale a tutela del paesaggio in coerenza con il P.U.T.T.- Obbligo di ripubblicazione - Esclusione.
Le modifiche allo strumento urbanistico generale, introdotte d’ufficio dall’amministrazione regionale al fine specifico della tutela del paesaggio e dell’ambiente in coerenza con il Piano urbanistico territoriale tematico (P.U.T.T.), non comportano l’obbligo per il Comune interessato a riavviare il procedimento di approvazione dello strumento, con conseguente ripubblicazione dello stesso (così Consiglio di Stato, IV, 07.04.2008, n.1417) (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 12.05.2011 n. 2865 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTI: Nell'ipotesi di errori materiali nelle domande di partecipazione anche di tipo omissivo, commessi in buona fede, non è possibile da parte della stazione appaltante disporre la sanzione espulsiva peraltro se neppure contemplata dalla normativa di gara.
Nell'ipotesi in cui nelle domande di partecipazione ad una gara pubblica si riscontrino dei meri errori materiali che non vanno ad inficiare la regolarità della fase procedurale ed in particolare non incidono su aspetti di tipo sostanziale del rapporto contrattuale che in fieri si va a formare, non può attuarsi la misura sanzionatoria, quale quella dell'esclusione dalla gara che risulterebbe del tutto sproporzionata ed illogica, oltreché non rispettosa del principio del favor partecipationis.
Pertanto, a fronte di errori materiali, anche di tipo omissivo, commessi in buona fede ed irrilevanti per i quali non si richiede neppure la integrazione o regolarizzazione, a fortiori, non è possibile da parte della stazione appaltante disporre la sanzione espulsiva, peraltro se neanche contemplata dalla normativa di gara (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 12.05.2011 n. 2860 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

URBANISTICAIl Comune non può ritenersi permanentemente vincolato da una preesistente convenzione urbanistica.
Nella vicenda che ha dato luogo alla pronuncia in rassegna la società resistente è proprietaria di un’area inserita nel piano particolareggiato di iniziativa pubblica approvato da un Comune emiliano, mentre il ricorrente era proprietario di un’area -anch’essa inserita nel medesimo piano- che egli aveva ceduto gratuitamente al Comune, come standard a verde pubblico, in attuazione di un piano particolareggiato di iniziativa privata.
Ebbene, il ricorrente impugna gli atti relativi alla vendita delle aree facenti parte del piano particolareggiato e l’approvazione del bando di asta pubblica, e l’avviso di vendita di aree edificabili. Con uno dei motivi di ricorso il ricorrente lamenta, in particolare, che il piano particolareggiato include l’area che è stata ceduta dallo stesso al Comune -quale standard urbanistico (verde pubblico)- destinandola illegittimamente alla edificazione residenziale ed alla successiva vendita. Poiché l’area non viene destinata alla realizzazione di opere di pubblica utilità ma all’utilizzazione privata, il ricorrente afferma di avere diritto al ripristino della destinazione pubblica o alla restituzione dell’area.
Ad avviso dei giudici del Tribunale amministrativo di Parma il motivo è infondato, la giurisprudenza è costante, infatti, nell’affermare che le convenzioni urbanistiche devono sempre considerarsi rebus sic stantibus, e, persino durante la piena efficacia di un piano urbanistico e della relativa convenzione urbanistica, legittimamente l'amministrazione, in presenza di un interesse pubblico sopravvenuto, ha la facoltà di introdurre nuove previsioni, con il solo onere di motivare le esigenze che le determinano.
In presenza di nuove esigenze non sussiste, quindi, preclusione a nuovi interventi, atteso che lo ius variandi relativo alle prescrizioni di piano regolatore generale include anche un ius poenitendi relativo ai vincoli precedentemente assunti, rispetto ai quali il Comune non può ritenersi permanentemente vincolato nemmeno da una preesistente convenzione di lottizzazione (fra le tante Cons. Stato, Sez. IV, 29.07.2008, n. 3766; n. 711 del 13.07.1993; 25.07.2001, n. 4073).
La vigenza di una convenzione di lottizzazione si riflette, semmai, solamente in termini di obbligo di motivazione nell'esercizio della potestas variandi, in quanto incidente su aspettative qualificate del privato parte della convenzione (Cons. Stato, Sez. IV, 28.02.2005, n. 719) (commento tratto da www.documentazione.ancitel.it - TAR Emilia Romagna-Parma, sentenza 11.05.2011 n. 141 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: L'art. 121 del D.Lgs. n. 163 del 2006, opera una sostanziale unificazione della disciplina dei contratti sopra soglia comunitaria con quelli sotto soglia, sancendo l'applicabilità a quest'ultimi di gran parte delle norme del codice dei contratti.
L'art. 121 del D.Lgs. n. 163 del 2006 dispone che ai contratti pubblici aventi per oggetto lavori, servizi, forniture, di importo inferiore alle soglie di rilevanza comunitaria, si applicano oltre alle disposizioni della parte 1, della parte 4 e della parte 5, anche le disposizioni della parte 2, in quanto non derogate dalle norme del presente titolo 2.
Detto articolo, pertanto, opera una sostanziale unificazione della disciplina dei contratti sopra soglia comunitaria con quelli sotto soglia, sancendo l'applicabilità a quest'ultimi di gran parte delle norme del codice dei contratti.
Tra le norme di applicazione generale, valevoli anche per i contratti sotto soglia di particolare rilievo, è l'art. 244 contenuto nel titolo 4 sul contenzioso, richiamato dal menzionato art. 121, il quale demanda alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie relative a procedure di affidamento di lavori, servizi e forniture, svolte da soggetti comunque tenuti, nella scelta del contraente, ad applicare la normativa comunitaria o ad osservare i procedimenti di evidenza pubblica previsti dalla normativa statale o regionale (Corte di Cassazione, SS.UU. civili, sentenza 09.05.2011 n. 10068 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

ATTI AMMINISTRATIVIL’esercizio del potere regolamentare comunale, quando determini l’imposizione di divieti, deve essere rispettoso del principio generale della ragionevolezza intrinseca.
Con la deliberazione impugnata nella causa in commento, che ha modificato il regolamento comunale sulla vendita del “Tartufo Bianco di Alba” in occasione della Fiera annuale che si svolge in città, il Comune ha stabilito, come regola generale, di non consentire più la vendita del tartufo su area pubblica. L’unica eccezione prevista, è che la vendita del tartufo è consentita (oltre che presso gli esercizi in sede fissa autorizzati), su un’area pubblica specifica.
Nel difendersi dalle contestazioni mosse dalla società ricorrente il Comune ha messo in evidenza che la ratio dell’intervenuta modifica regolamentare sarebbe da individuare, per un verso, nella “particolarità” del prodotto venduto (il quale è dall’amministrazione equiparato ai beni di lusso, come tale non suscettibile di essere venduto in sede di commercio ambulante, al fine di preservare l’immagine di “esclusività” che ne ha il consumatore) e, per altro verso, nell’esigenza di tutelare il consumatore dalle truffe al fine di garantire l’autenticità del prodotto venduto (ciò, perché presso l’unica area pubblica adibita alla vendita ambulante del tartufo, è presente un’apposita commissione con compiti certificativi della bontà del prodotto esposto e venduto).
Nessuna delle due giustificazioni, tuttavia, addotte dal Comune a difesa della norma regolamentare impugnata, è idonea, secondo i giudici del Tribunale amministrativo di Torino a resistere alle censure della società ricorrente. Per un verso, infatti, spiegano i giudici sabaudi, è chiaramente irragionevole sostenere che il Tartufo Bianco d’Alba (per la sua natura di prodotto pregiato e “di nicchia”) non è compatibile con la vendita su aree pubbliche in sede di commercio ambulante e consentire, allo stesso tempo, che esso possa invece essere esposto e venduto presso le bancarelle site in un determinato luogo. Se la modalità del commercio ambulante non è praticabile come regola generale, ciò deve valere per tutte le aree pubbliche, senza possibilità di ammettere eccezioni che non siano adeguatamente giustificate in base ad altre esigenze pubbliche rilevanti le quali risultino collegate ad una particolare conformazione del territorio.
Per altro verso, continuano gli stessi giudici, non è spiegazione appropriata quella che fa leva sulla presenza, nel luogo prescelto, di una commissione deputata al controllo dell’autenticità del prodotto venduto: le pur sottese esigenze di tutela del consumatore dalle truffe (esigenze che, prese di per sé sole, sono senz’altro meritevoli di protezione) devono infatti essere perseguite mirando ad un necessario bilanciamento con la libertà di iniziativa economica degli imprenditori, ossia mediante strumenti che consentano di garantire equamente la parità di trattamento tra i vari operatori del mercato.
Restringere la libertà di esposizione e di vendita del tartufo ad una sola, delimitata, area pubblica, in quanto solo in quel luogo il Comune ha apprestato (o si serve di) un servizio di controllo contro le truffe, comporta uno sbilanciamento tra le due suddette esigenze di tutela, entrambe di rango costituzionale: in tal modo, infatti, si appresta bensì una tutela (in tesi) efficace per i consumatori, ma si penalizza del tutto l’esigenza sottesa alla libertà di iniziativa economica di tutti i potenziali imprenditori del settore, i quali si vedono così irrimediabilmente precluso il loro diritto protetto invece dall’art. 41 Cost.
Del resto, come evidenziato dalla giurisprudenza amministrativa in subiecta materia, il potere del Comune di sottoporre a limitazioni od a restrizioni l’esercizio dell’attività di vendita e di somministrazione di prodotti alimentari sulle aree pubbliche (ricavabile, implicitamente, dall’art. 28, comma 7, del d.lgs. n. 114 del 1998) può ritenersi giustificato in base ad esigenze di rilievo pubblicistico volte ad evitare possibili “inconvenienti” nel corso della celebrazione di determinate manifestazioni o di fiere (cfr. TAR Valle d’Aosta, n. 189 del 2001; TAR Lazio, Roma, sez. II-ter, n. 6014 del 2005): ciò, tuttavia, purché si tratti di esigenze qualificate (come quelle di viabilità, di igiene pubblica, di carattere ambientale o storico, artistico, archeologico indicate dall’art. 28, comma 16, del d.lgs. n. 114 del 1998) come tali idonee a confrontarsi con l’interesse privato sotteso alla libertà di intrapresa economica ed al correlato diritto alla pari concorrenza.
L’esercizio del potere regolamentare da parte del Comune, pertanto, soprattutto laddove determini l’imposizione di divieti (riconducibili, anch’essi, alla nozione di “prestazione personale” di cui all’art. 23 Cost.: cfr. Corte cost., sent. n. 115 del 2011) deve essere rispettoso, oltre che dei limiti indicati dalla legge, anche del generale canone della ragionevolezza intrinseca, che non consente di far prevalere del tutto un interesse a totale discapito di un altro parimenti degno di tutela (commento tratto da www.documentazione.ancitel.it - TAR Piemonte, Sez. II, sentenza 09.05.2011 n. 469 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

CONDOMINIO - EDILIZIA PRIVATA: Lavori edilizi interessanti parti comuni di un fabbricato - Assenso dei comproprietari - Art. 11, c. 1, d.P.R. n. 380/2001 - Verifica dell’esistenza in capo al richiedente di un titolo attributivo dello ius aedificandi.
Ove i lavori edilizi interessino anche parti comuni del fabbricato e si tratti di opere non connesse all’uso normale della cosa comune, essi abbisognano del previo assenso dei comproprietari anche in relazione agli aspetti pubblicistici dell’attività edificatoria, con particolare riguardo alle norme (art. 4 della legge n. 10 del 1977 e art. 11, comma 1, del d.P.R. n. 380 del 2001), che prevedono la verifica dell'esistenza, in capo al richiedente, di titolo un attributivo dello ius aedificandi sull'immobile oggetto di trasformazione edilizia (fattispecie: locale tecnico addossato al muro comune) (cfr. Cons. Stato, Sez. IV 11.04.2007 n. 1654) (TAR LOMBARDIA-Brescia, Sez. I, sentenza 05.05.2011 n. 662 - link a www.ambientediritto.it).

PUBBLICO IMPIEGO: Lavoro, il part-time non si tocca. La p.a. non può passare unilateralmente al tempo pieno. Dal tribunale di Trento una spallata al collegato: valgono le regole dell'Unione europea.
Il part-time non si tocca: valgono le regole dell'Unione europea. E quindi la p.a. non può trasformare d'imperio un contratto da tempo parziale a tempo pieno.
Il TRIBUNALE di Trento ha assunto una significativa decisione in tema di rapporto di lavoro presso la pubblica amministrazione accogliendo il ricorso di una dipendente con l'ordinanza 04.05.2011. Il giudice ha ritenuto inapplicabile una legge italiana perché contrastante con una direttiva comunitaria.
IL CASO.
Una dipendente statale, in regime di part-time, aveva subito d'imperio una trasformazione in rapporto di lavoro a tempo pieno con un provvedimento adottato dal proprio dirigente amministrativo che le assegnava, di conseguenza, un nuovo e più ampio orario di lavoro. Le disposizioni, impugnate davanti al tribunale, erano state adottate sulla base della legge nazionale n. 183 del 04/11/2010 (art. 16) che sostanzialmente consente alla p.a. di sottoporre a nuova valutazione i provvedimenti (già adottati) di «concessione della trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale» nel solo rispetto dei principi di correttezza e buona fede.
LA PROCEDURA D'URGENZA.
La lavoratrice, colta d'impatto dal provvedimento di revoca della modalità del part-time, adiva con ricorso d'urgenza (art. 700 c.p.c.) il giudice del lavoro che, come da norma procedurale, ha il primario compito di valutare due elementi: il pericolo che possa derivare dall'efficacia dell'atto impugnato e le fondamenta di diritto sulle quali si basa.
Sotto il primo profilo, il giudice trentino ha osservato che, dopo oltre dieci anni di lavoro svolto in part-time, l'improvvisa modifica avrebbe «arrecato danni non riparabili per equivalente» (ossia in termini risarcitori) nella vita privata della ricorrente, ritenendo dunque sussistente il primo requisito.
Quanto al cosiddetto fumus boni juris, invero, il tribunale non ha del tutto condiviso le lagnanze della dipendente sulla mancanza della citata «buona fede e correttezza» per non aver ricevuto pre-avviso della trasformazione e per non aver tenuto conto delle esigenze di vita, poiché agli atti risultava emessa una nota, del dirigente dell'ufficio, che invitava i dipendenti a rappresentare eventuali situazioni personali, che fossero ostative alla modifica. Sotto questo profilo, dunque, la «correttezza» non veniva lesa.
IL RILIEVO DI DIRITTO.
Più interessante, e vincente, si è rilevata invece un'arguta argomentazione di diritto relativa al rapporto tra la normativa europea e quella italiana.
Il giudice si è interrogato, infatti, sulla conformità alla legislazione comunitaria dell'art. 16 della legge 183/2010, applicato nel caso in questione, nella parte in cui attribuisce alla pubblica amministrazione il potere di trasformare il rapporto di lavoro part-time in rapporto di lavoro a tempo pieno alla sola condizione del rispetto dei detti principi di correttezza e buona fede, «a prescindere dal consenso del lavoratore, e quindi anche contro la sua volontà».
LA NORMA EUROPEA.
Assume particolare significato la direttiva n. 97/81/Ce emessa il 15/12/1997 adottata avvertendo «l'esigenza di adottare misure volte ad incrementare l'intensità occupazionale della crescita, in particolare mediante un'organizzazione più flessibile del lavoro che risponda sia a i desideri dei lavoratori che alle esigenze della competitività».
Tale direttiva è stata recepita nell'ordinamento giuridico italiano con il decreto legislativo n. 61 del 25/2/2000 che (art. 5) il giudice di Trento così interpreta: «La trasformazione del rapporto di lavoro da tempo parziale a tempo pieno può aver luogo solo con il consenso del lavoratore».
CONCLUSIONE.
L'ordinanza del magistrato del lavoro accoglie il ricorso ed annulla il provvedimento amministrativo sulla base della considerazione che, in caso di conflitto con l'ordinamento interno (nazionale) prevale quello comunitario trattandosi di caso di efficacia verticale, vale a dire tra cittadino e lo stato (o parte di esso, come la p.a.).
Sul punto il giudice approfitta, mediante un excursus su alcune sentenze della Corte di giustizia europea, per sottolineare come sia «opportuno evitare che lo stato possa trarre vantaggio dalla sua trasgressione del diritto comunitario» (articolo ItaliaOggi del 20.05.2011 - tratto da www.corte.it).

APPALTI: Gare d'appalto, incompatibile il doppio ruolo di progettista e commissario.
Il progettista o il consulente della stazione appaltante non possono partecipare alla gara oggetto della progettazione o della consulenza svolte, anche se il divieto non è previsto dalla legge; l'incompatibilità vige anche per i commissari di gara, se hanno partecipato alla redazione del progetto preliminare posto a base di gara.
E' quanto affermano Il Consiglio di Stato, Sez. IV, con la sentenza 03.05.2011 n. 2650, che ha confermato la sentenza del Tar del Lazio n. 33194 del 13.12.2010 e il parere n. 1498/2010 dell'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici.
La sentenza di Palazzo Spada prende in considerazione la situazione di un soggetto che aveva predisposto delle linee guida per una gara di progettazione e che aveva partecipato alla gara successiva. I giudici rilevano l'incompatibilità della posizione del soggetto (risultato affidatario della gara) basandosi su una interpreta-zione estensiva dei contenuti dell'articolo 90, comma 8, del Codice dei contratti pubblici (che prevede il divieto per il progettista di partecipare a gare di appalto di lavori odi concessioni): «anche se la norma si riferisce al rapporto tra appalti di lavori e preventiva progettazione, non si può non ritenere applicabile il principio generale del divieto di partecipazione di chi abbia una posizione di vantaggio anche relativamente agli appalti di servizi».
La regola è, secondo la sentenza, «espressione del principio generale di trasparenza ed imparzialità, la cui applicazione è necessaria per garantire parità di trattamento, che ha per suo indefettibile presupposto il fatto che i concorrenti ad una procedura di evidenza pubblica debbano rivestire la medesima posizione.» «», dice la sentenza, «vale ad escludere il pregiudizio della par conditio il fatto oggettivo della conoscenza (da parte dei concorrenti tutti) dell'elaborato sulla cui base occorre procedere per lo svolgimento dell'appalto (le linee guida) bensì, in senso soggettivo, l'avere redatto un documento che costituisce il presupposto per la valutazione delle offerte, che a quello devono conformarsi».
All'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici era stato invece posto un caso ben più delicato, dal momento che il progetto preliminare era stato predisposto da una società risultata aggiudicataria, in raggruppamento, della successiva gara di progettazione e direzione dei lavori del Centro agroalimentare di Roma (importo a base di gara 2,2 milioni), in cui, peraltro (stando agli atti dell'Autorità), uno dei commissari di gara aveva partecipato alla redazione di una parte del progetto preliminare posto a base di gara.
Anche in questo caso si conclude per l'esistenza di una evidente incompatibilità per il commissario di gara (per violazione dell'articolo 84, comma 4, del Codice dei contratti pubblici), nonché perla società aggiudicataria della gara.
In quest'ultimo caso il parere dell'Authority pur non rilevando una diretta violazione dell'articolo 90, comma 8 del Codice ha ritenuto di individuare in linea generale una violazione della par conditio fra concorrenti e della «simmetria informativa» fra operatori economici, ancorché da verificare caso per caso.
In sostanza, l'avere svolto la progettazione e avere seguito tutto lo sviluppo fino all'approvazione potrebbe avere posto il concorrente in una posizione privilegiata, di vantaggio, rispetto agli altri concorrenti: Essendo «sufficiente il solo sospetto della possibile lesione della trasparenza nella circolazione delle informazioni» l'Autorità individua un «vulnns al principio della par conditio». E' quindi là disomogeneità di partenza a determinare la violazione del principio di parità di trattamento (articolo ItaliaOggi del 18.05.2011 - tratto da www.corteconti.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: INQUINAMENTO - Emissioni odorigene - Normativa vigente - Mancata previsione di limiti o di metodi di misura - Applicazione delle migliori tecniche disponibili - Art. 2, punto 7, DPR 24.05.1988, n. 203.
In base alla normativa vigente non è prevista la fissazione di limiti di emissione né di metodi o di parametri idonei a misurare la portata delle emissioni odorigene, perché manca allo stato la possibilità tecnica di elaborare indicatori sufficientemente validi dal punto di vista tecnico-scientifico.
Per tali ragioni è possibile riferirsi alle migliori tecniche disponibili che l'art. 2, punto 7, del DPR 24.05.1988, n. 203, definisce come "sistema tecnologico adeguatamente verificato e sperimentato che consente il contenimento e/o la riduzione delle emissioni a livelli accettabili per la protezione della salute e dell'ambiente, sempreché l'applicazione di tali misure non comporti costi eccessivi".
L’applicazione del criterio comporta che devono essere adottate tutte le tecniche e le modalità di progettazione, costruzione, manutenzione ed esercizio degli impianti più efficaci al fine di migliorare la sostenibilità ambientale dell’attività produttiva, e al fine di ottenere le massime performance ambientali esigibili, tenendo conto delle specifiche caratteristiche degli impianti e delle potenzialità economiche aziendali (TAR Veneto, Sez. III, sentenza 03.05.2011 n. 741 - link a www.ambientediritto.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: RIFIUTI - Provvedimenti di localizzazione di discarica - Comune - Interesse a ricorrere - Titolarità.
Il comune nel cui territorio è localizzata una discarica di rifiuti è titolare dell'interesse a ricorrere avverso la delibera di localizzazione, sia in quanto ente esponenziale dei residenti, sia in quanto titolare del potere di pianificazione urbanistica su cui incide il provvedimento di localizzazione, sia in quanto soggetto che per legge può partecipare al procedimento amministrativo e che in quanto tale può impugnarne il provvedimento conclusivo (C. Stato, sez. V, 02.03.1999, n. 217; in senso analogo CdS IV 06/10/2001 n. 5296) (TAR Veneto, Sez. III, sentenza 03.05.2011 n. 721 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTI: Il verbale redatto dalla commissione di gara fa fede fino a querela di falso.
Con sentenza 02.05.2011 n. 2579 la Sez. VI del Consiglio di Stato ha precisato come il verbale redatto dalla commissione di gara fa fede fino a querela di falso delle operazioni effettuate da essa, in relazione alla constatazione degli atti e dei documenti inseriti dalle partecipanti alla gara nelle relative buste.
Nell'ambito di una gara per l'assegnazione di concessioni demaniali a scopo turistico e ricreativo, una delle concorrenti veniva esclusa in quanto la commissione rilevava l'irregolarità della domanda di partecipazione, oltre che il mancato rispetto delle forme richieste dall'articolo 38 del d.p.r. 445/2000 in materia di dichiarazione sostitutiva, poiché la domanda risultava priva di copia del documento di identità.
La partecipante chiedeva l'annullamento in autotutela sostenendo, tra l'altro, la regolarità della propria domanda in considerazione del fatto che nel medesimo verbale della commissione di gara si dava atto della presenza del documento di identità.
La richiesta di annullamento veniva respinta in quanto il segretario della commissione di gara dava atto della circostanza che, per mero errore materiale, nei verbali di gara era stata indicata la presenza della fotocopia del documento di identità mentre in realtà tale documento rappresentava la fotocopia del verbale di presa visione dello stato dei luoghi. Avverso tale esclusione la ricorrente proponeva ricorso.
Il TAR adito confermava la legittimità dell'operato della commissione e di conseguenza rigettava il ricorso.
Avverso la sentenza, la ricorrente proponeva appello al Consiglio di Stato. Il Consiglio di Stato, dopo aver ribadito che l'indicazione del documento di identità nel verbale di gara era stata determinata da un mero errore materiale della commissione, circostanza confermata anche dalla documentazione acquisita agli atti del giudizio di 1° grado, ha chiarito che “[...]si deve rilevare che la mancanza della prescritta fotocopia del documento di identità non è stata certificata dalla nota del segretario della commissione, ma già dalla commissione stessa nella sua responsabilità collegiale asseverata nel verbale n. 5 del 05.03.2007, che è atto anch'esso facente fede, formato nell'esercizio della attività propria della Commissione di accertamento della regolarità del procedimento ad essa affidato, e perciò di doverosa revisione dei relativi presupposti, non contestato con querela di falso, neppure essendo stata prodotta dall'appellante alcuna prova contraria a fronte della documentazione acquisita in sede istruttoria. Sotto tale profilo, il Collegio ritiene di dover precisare che:
- il verbale redatto dalla commissione di gara fa fede fino a querela di falso delle operazioni effettuate da essa, in relazione alla constatazione degli atti e dei documenti inseriti dalle partecipanti alla gara nelle relative buste;
- qualora la medesima commissione constati di aver redatto il verbale sulla base di erronei accertamenti o comunque di errori di fatto, in coerenza col principio di legalità essa stessa può constatare l'accaduto e redigere un verbale (che a sua volta fa fede fino a querela di falso), il quale spieghi le circostanze emerse e adotti le relative determinazioni.
In altri termini, la commissione ben può prevenire la proposizione di contestazioni e di ricorsi, constatando i propri precedenti errori di percezione e redigendo l'ulteriore verbale con cui sia ripristinata la legalità
”.
Dopo aver affrontato tale questione il Consiglio di Stato, richiamando la costante giurisprudenza amministrativa, ha chiarito come la mancata allegazione, alla dichiarazione sostitutiva, della copia del documento di identità del sottoscrittore, rende l'atto nullo per difetto di una forma essenziale stabilita dalla legge, e tale omissione, non integrando una mera irregolarità, non è suscettibile di correzione per mero errore materiale (commento tratto da www.immobili24.ilsole24ore.com - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: RIFIUTI - Gestione dei rifiuti - Materiali provenienti da demolizioni - Assoggettamento a disposizioni più favorevoli - Dimostrazione della sussistenza di tutti i presupposti di legge - Necessità.
In tema di gestione dei rifiuti, i materiali provenienti da demolizioni rientrano nel novero dei rifiuti in quanto oggettivamente destinati all'abbandono, l'eventuale recupero è condizionato a precisi adempimenti, in mancanza dei quali detti materiali vanno considerati, comunque, cose di cui il detentore ha l'obbligo di disfarsi.
L'eventuale assoggettamento di detti materiali a disposizioni più favorevoli che derogano alla disciplina ordinaria implica la dimostrazione, da parte di chi lo invoca, della sussistenza di tutti i presupposti previsti dalla legge.
RIFIUTI - Sottoprodotti - Regime gestionale in condizioni di favore - Sussistenza delle condizioni, criteri e requisiti indicate dalla norma.
La norma riguardante i sottoprodotti è una disciplina che prevede l'applicazione di un diverso regime gestionale in condizioni di favore, con la conseguenza che l'onere di dimostrare l'effettiva sussistenza di tutte le condizioni di legge incombe comunque su colui che l'invoca.
Pertanto, la sussistenza delle condizioni, criteri e requisiti indicate dalla norma per i sottoprodotti, deve essere contestuale e, anche in mancanza di una sola di esse, il residuo rimane soggetto alle disposizioni sui rifiuti (Cass. Sez. III n. 47085, 19/12/2008) (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 29.04.2011 n. 16727 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Autorizzazioni paesistiche - Controllo di legittimità - Competenza - Direttore generale.
La competenza circa il controllo di legittimità sulle autorizzazioni paesistiche rilasciate dagli enti locali è validamente incardinata nel direttore generale, sulla base dell’ordinamento interno degli uffici ministeriali. Il fatto che l’art. 82, comma 9, del DPR 616/1977 indichi quale titolare del potere direttamente il ministro è del tutto irrilevante. In un testo normativo dedicato al trasferimento di funzioni amministrative dallo Stato alle regioni l’utilizzo di richiami alla figura del ministro non identifica infatti la carica politica ma semplicemente l’amministrazione statale in contrapposizione a quella regionale.
Autorizzazione paesaggistica - Caratteristiche igienico sanitarie degli edifici - Rilevanza - Esclusione.
Il fatto che la costruzione si presenti esteticamente sgradevole per la scarsa qualità dei materiali impiegati non può avere importanza decisiva nell’esame paesistico, in quanto il vincolo riguarda la concatenazione delle forme che si presentano alla vista e non le caratteristiche igienico-sanitarie degli edifici singolarmente considerati (v. TAR Brescia Sez. I 17.01.2011 n. 73).
La sanatoria paesistica non può quindi essere negata se la costruzione, pur non pregevole in sé, esercita un impatto limitato rispetto al contesto; d’altra parte il Comune, anche su segnalazione della Soprintendenza, può comunque formulare prescrizioni che impongano il risanamento degli edifici oggetto di sanatoria, in modo da renderli conformi al regolamento locale di igiene (TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 29.04.2011 n. 654 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Demolizione in tema di violazioni antisismiche - Esecuzione e competenza (P.M. e G.E.) - Art. 7 L. n. 47/1985 (ora art. 31 D.P.R. n. 380/2001) - Art. 665 cod. proc. pen..
L'ordine di demolizione adottato dal giudice ai sensi dell'art. 7 legge 28.02.1985 n. 47 (ora art. 31 DPR n. 380/2001), al pari delle altre sanzioni contenute nella sentenza definitiva, è soggetto all'esecuzione nelle forme previste dal codice di procedura penale (Cass. pen. sez. un. n. 15 del 19.06.1990).
Ai sensi dell'art. 665 cod. proc. pen., l'organo promotore dell'esecuzione è il pubblico ministero il quale, ove il condannato non ottemperi all'ingiunzione a demolire, è tenuto ad investire, per la fissazione delle modalità di esecuzione, il giudice dell'esecuzione.
La competenza ad eseguire detto ordine appartiene al pubblico ministero, come organo promotore, ed al giudice della esecuzione. E tale competenza, non viene meno per la competenza riconosciuta alla Regione in tema di violazioni antisismiche.
Ordine di demolizione - Potere-dovere della A.G. con quello della P.A. - Sussistenza - Valutazioni del G.E. di compatibilità con le determinazioni dell'Amministrazione - Art. 31 DPR n. 380/2001.
In relazione all'ordine di demolizione ex art. 7 legge 28.02.1985 n. 47 (ora art. 31 DPR n. 380/2001), si è costantemente riconosciuto che il potere-dovere della A.G. "concorre" con quello della P.A. titolare anch'essa, in base alla normativa urbanistica, del potere dovere di demolire il manufatto abusivo ovvero di acquisirlo al proprio patrimonio.
Il coordinamento tra l'intervento specifico giudiziario e quello generale, di carattere amministrativo si realizza non già a livello dei rispettivi poteri, bensì nella fase esecutiva dei provvedimenti, spettando al giudice dell'esecuzione valutare la compatibilità del provvedimento di demolizione con le determinazioni dell'Amministrazione, al fine di decidere se vi siano i presupposti per metterlo in esecuzione e con quali modalità (Cass. pen. sez. 3 n. 702 del 14.02.2000).
Ordine di demolizione - Soggetto destinatario dell’ordine ed acquisizione del bene al patrimonio comunale.
A prescindere dall’acquisizione del bene al patrimonio comunale, il soggetto condannato resta comunque il destinatario dell’ordine di demolizione, con conseguente onere da parte del medesimo di dare esecuzione, nelle forme di rito, all’ordine di demolizione a proprie cure e spese (Cass. pen. Sez. 3, n. 43294 del 29.09.2005; Cass. pen. sez. 3 n. 37120 dell'11.5.2005).
Ordine di demolizione - Esecuzione.
La competenza ad eseguire l'ordine di demolizione emesso dal giudice ai sensi dell'articolo 31 D.P.R. n. 380/2001 appartiene al pubblico ministero, come organo promotore, ed al giudice dell'esecuzione.
Tale competenza, non viene meno per la concorrente competenza riconosciuta alla Regione in tema di violazioni antisismiche (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 28.04.2011 n. 16582 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: INQUINAMENTO ELETTROMAGNETICO - Impianti di telecomunicazione - L.r. Lombardia n. 11/2001, art. 7, c. 9, - Aumento della potenza di emissione - Nuovo procedimento autorizzativo.
In tema di impianti di telecomunicazione, il “nuovo procedimento autorizzativo” di cui all’art. 7, c. 9, della L.r. Lombardia n. 11/2001 è richiesto non per qualunque modifica degli impianti esistenti, ma solo per quelle modifiche che si risolvano in un “aumento”, quale che ne sia l’entità, della “potenza di emissione”.
La norma regionale non distingue in base alla misura dell’incremento di potenza di cui si ragiona, con valutazione che rientra senz’altro nell’ampia discrezionalità del legislatore.
La modifica di un impianto esistente in caso di aumento di potenza, non può pertanto essere apprezzata come opera di manutenzione ordinaria, non soggetta ad autorizzazione alcuna.
INQUINAMENTO ELETTROMAGNETICO - Misure di minimizzazione di cui all’art. 8, c. 6, L. n. 36/2001 - Estensione.
L’art. 8, c. 6, della legge quadro in materia di protezione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici (L. 22.02.2001 n. 36) prevede “misure di minimizzazione”, che quindi non possono tradursi in limiti generalizzati di esposizione diversi da quelli previsti dallo Stato ovvero costituire deroga generalizzata a tali limiti, ma devono tradursi in specifiche e diverse misure, la cui idoneità emerga dallo svolgimento di compiuti e approfonditi rilievi istruttori sulla base di risultanze di carattere scientifico (C.d.S. sez. VI 15.07.2010 n. 4557).
Dette misure non possono in particolare essere incompatibili con la possibilità di realizzare una rete completa di infrastrutture per la telecomunicazione e debbono tener conto della nozione di "rete di telecomunicazione”, che richiede una diffusione capillare sul territorio, e del fatto che l'assimilazione in via normativa delle infrastrutture di reti pubbliche di telecomunicazione alle opere di urbanizzazione primaria, implica che le medesime non siano avulse dall'insediamento abitativo, ma debbano porsi al servizio dello stesso.
INQUINAMENTO ELETTROMAGNETICO - Impianti radiobase di potenza inferiore a 300 W - Art. 4, c. 7, L.r. Lombardia n. 11/2001 - Regolamentazione urbanistica - Facoltà.
In forza dell’art. 4, c. 7, della L.r. Lombardia n. 11/2001, non è necessaria una regolamentazione urbanistica specifica per gli impianti radiobase per telefonia mobile di potenza inferiore a 300 W; la norma non intende tuttavia proibirla, e fa quindi salvo l’esercizio, da parte dei Comuni, delle competenze loro proprie (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 22.04.2011 n. 618 - link a www.ambientediritto.it).

URBANISTICAI vincoli espropriativi sono preordinati all'esproprio dei beni di proprietà privata per la realizzazione delle opere pubbliche oggetto di localizzazione e comportano una totale inedificabilità; a detti sono assimilabili i vincoli che, pur non importando il trasferimento coattivo del bene, incidono in maniera pesante sul godimento dello stesso tanto da renderlo inutilizzabile in rapporto alla sua naturale destinazione ovvero ne fanno venir meno il suo valore di scambio.
I vincoli conformativi, invece, incidono sulla proprietà privata funzionalizzando o limitando la stessa a motivi di interesse generale, che hanno validità temporale indeterminata e non sono indennizzabili; essi attengono ad una politica amministrativa programmatoria che regola la relazione tra i beni e gli interessi pubblici. Laddove, poi, sia consentito anche ad una iniziativa del proprietario la realizzazione di opere o strutture intese al godimento del bene e, dunque, permanga l'utilizzabilità dell'area rispetto alla sua naturale destinazione, il vincolo non può ritenersi idoneo né ad escludere in capo al privato l'utilizzabilità del bene, né ad azzerarne o ridurne in modo decisivo il valore di scambio.

Si osserva che i vincoli espropriativi sono preordinati all'esproprio dei beni di proprietà privata per la realizzazione delle opere pubbliche oggetto di localizzazione e comportano una totale inedificabilità; a detti sono assimilabili i vincoli che, pur non importando il trasferimento coattivo del bene, incidono in maniera pesante sul godimento dello stesso tanto da renderlo inutilizzabile in rapporto alla sua naturale destinazione ovvero ne fanno venir meno il suo valore di scambio.
I vincoli conformativi, invece, incidono sulla proprietà privata funzionalizzando o limitando la stessa a motivi di interesse generale, che hanno validità temporale indeterminata e non sono indennizzabili; essi attengono ad una politica amministrativa programmatoria che regola la relazione tra i beni e gli interessi pubblici. Laddove, poi, sia consentito anche ad una iniziativa del proprietario la realizzazione di opere o strutture intese al godimento del bene e, dunque, permanga l'utilizzabilità dell'area rispetto alla sua naturale destinazione, il vincolo non può ritenersi idoneo né ad escludere in capo al privato l'utilizzabilità del bene, né ad azzerarne o ridurne in modo decisivo il valore di scambio.
Sono, infatti, "fuori dallo schema ablatorio-espropriativo con le connesse garanzie costituzionali ... i vincoli che importano una destinazione (anche di contenuto specifico) realizzabile ad iniziativa privata o promiscua pubblico-privata, che non comportino necessariamente espropriazione od interventi di esclusiva iniziativa pubblica e, quindi, siano attuabili anche dal soggetto privato e senza necessità di previa ablazione del bene", pur se accompagnati da strumenti di convenzionamento (Corte Cost. 179/1999, 15616/2007) (TRIBUNALE di Bergamo, sentenza 02.04.2011 n. 854).

EDILIZIA PRIVATA: Realizzazione in zona a verde agricolo di una strada posta al servizio di un nuovo immobile a destinazione residenziale, nel caso in cui la normativa regionale consenta esclusivamente la realizzazione di opere funzionali alla conduzione del fondo agricolo.
Ove una disposizione normativa regionale preveda espressamente che nelle zone agricole possono realizzarsi esclusivamente opere funzionali alla conduzione del fondo agricolo e, pertanto, limiti gli interventi in tali zone non solo dal punto di vista della realizzazione di volumetria fruibile, ma anche in relazione a qualsiasi tipo di attrezzatura o infrastruttura che possa comunque incidere sulla copertura della superficie, deve ritenersi che anche l’intervento consistente nella realizzazione di una strada, debba essere subordinato e/o possa essere assentito all’esito positivo della preventiva verifica della effettiva necessità della medesima strada per la conduzione del fondo; in tal caso, pertanto, è legittimo il provvedimento con il quale l’ente locale ha evidenziato la non compatibilità con la destinazione agricola della zona, di una strada costruita per essere posta al servizio di un nuovo immobile a destinazione residenziale, non sussistendo alcun collegamento tra l’opera realizzata e la funzionalizzazione imposta dalla norma regionale (1).
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(1) Nella motivazione della sentenza in rassegna si ammette lealmente che, secondo il più diffuso orientamento giurisprudenziale, "non può riconoscersi incompatibilità –e pertanto non occorre la preventiva approvazione di una variante– fra la destinazione a zona agricola contenuta in uno strumento urbanistico e la costruzione di una strada che l’attraversi, qualora la destinazione specifica non sia alterata e turbata" (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 09.12.1983 n. 907; TAR Sicilia-Catania, 18.11.1987, n. 1395), sebbene tale impostazione conti anche decisioni in senso contrario (si veda TAR Campania-Napoli, sez. V, 11.09.2001, n. 4102).
Tuttavia, il criterio generale, di carattere interpretativo, non può trovare applicazione ove questo venga a scontrarsi con espresse previsioni normative in senso opposto.
Nella specie infatti era applicabile (ratione temporis), la legge regionale della Lombardia 07.06.1980, n. 93 recante "Norme in materia di edificazione nelle zone agricole", che all’art. 2, comma 1, recita: "In tutte le aree destinate dagli strumenti urbanistici generali a zona agricola sono ammesse esclusivamente le opere realizzate in funzione della conduzione del fondo e destinate alle residenze dell'imprenditore agricolo e dei dipendenti dell'azienda, nonché alle attrezzature e infrastrutture produttive quali stalle, silos, serre, magazzini, locali per la lavorazione e la conservazione e vendita dei prodotti agricoli secondo i criteri e le modalità previsti dal successivo art. 3".
Lo stesso articolo, al comma 3, precisa: "Nel computo dei volumi realizzabili non sono conteggiate le attrezzature e le infrastrutture produttive di cui al comma 1° del presente articolo, le quali non sono sottoposte a limiti volumetrici; esse comunque non possono superare il rapporto di copertura del 10% dell'intera superficie aziendale, salvo che per le serre per le quali tale rapporto non può superare il 40% della predetta superficie".
Dalla lettura della norma, secondo la sentenza in rassegna, appare palese l’attenzione del legislatore a limitare gli interventi nelle aree agricole non solo dal punto di vista della realizzazione di volumetria fruibile, ma anche in relazione a qualsiasi tipo di attrezzatura o infrastruttura che possa comunque incidere sulla copertura della superficie. In questa ottica, anche una strada, sebbene tipologia di intervento non indicata nella casistica non esaustiva del comma 1, va certamente fatta ricadere nella tipologia di opere ivi regolate (massima tratta da www.regione.piemonte.it - Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 01.04.2011 n. 2041 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Accesso ai documenti - Enti locali - Modalità di esercizio - Artt. 22 e segg. L. n. 241 del 1990 - Si applicano - Ragioni.
L’articolo 10 del Dlgs 18.08.2000, n. 267 (e prima di esso l’articolo 7 della legge 08.06.1990, n. 142) contiene una deroga all’articolo 24 della legge 07.08.1990, n. 241, ma non alle disposizioni di cui al successivo articolo 25; pertanto, per quanto riguarda i requisiti di accoglimento della domanda di accesso ad atti delle amministrazioni locali non sussiste alcuna ragione per discostarsi da quelli contenuti nella disciplina generale di cui agli articoli 22 e seguenti della legge 07.08.1990, n. 241, che richiedono la motivazione dell’istanza con riguardo alla sussistenza di un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente a una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso.
Accesso ai documenti - Enti locali - Potere regolamentare - Natura e funzione.
Il potere riconosciuto all’amministrazione locale, ai sensi dell’articolo 7, comma 3, della legge 08.06.1990, n. 142, e del successivo articolo 10, comma 2, del Dlgs 18.08.2000, n. 267, di disciplinare in concreto il diritto di accesso ai propri atti, non si configura come potere normativo libero e autonomo, derogatorio dei princìpi generali in materia, bensì si colloca armonicamente come strumentale all’applicazione dei principi fondamentali della materia (nel rispetto, quindi, del fondamentale rispetto del principio di legalità cui è subordinato l’esercizio del potere regolamentare), essendo espressamente diretto ad assicurare ai cittadini, singoli e associati, il diritto di accesso ai documenti attraverso la disciplina del rilascio delle copie di atti previo pagamento dei soli costi; individuando, anche attraverso norme di organizzazione, gli uffici e i servizi e i responsabili del procedimento; dettando le norme per assicurare ai cittadini l’informazione sugli atti, procedure e provvedimenti che li riguardano e in generale l’accesso alle informazioni in possesso dell’informazione.
Accesso ai documenti - Modalità di esercizio - Presupposto legittimante - Interesse all’accesso - Nozione.
La nozione di interesse all’accesso ai documenti amministrativi è diversa e più ampia di quella dell’interesse all’impugnativa, non presupponendo necessariamente una posizione soggettiva qualificabile come diritto soggettivo o interesse legittimo, in quanto la legittimazione all’accesso può essere riconosciuta a chi possa dimostrare che gli atti -anche procedimentali- richiesti abbiano spiegato o siano idonei a spiegare effetti diretti o indiretti nei suoi confronti, indipendentemente dalla lesione di una posizione giuridica, stante l’autonomia del diritto di accesso, inteso come interesse a un bene della vita distinto rispetto a quello relativo alla situazione legittimante eventualmente l’impugnativa dell’atto (massima tratta da Diritto e Pratica Amministrativa n. 5/2011 - Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 24.03.2011 n. 1772 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICILa classificazione ufficiale delle strade ha efficacia presuntiva e dichiarativa, ma non costitutiva della pubblicità o meno del passaggio.
Una strada può rientrare nella nozione di strada vicinale di uso pubblico quando sussistono alcuni elementi, quali:
- le condizioni effettive della via, atte a dimostrare la sussistenza dei requisiti del generale passaggio, direttamente collegato e non limitato da vincoli di proprietà o condominio, nonché esercitato “iure servitutis publicae” da una collettività indeterminata di persone in assenza di restrizioni all’accesso;
- la concreta idoneità della strada a soddisfare, attraverso il collegamento anche indiretto alla pubblica via, esigenze di interesse generale;
- la sussistenza di titoli validi ad affermare il diritto di uso pubblico, identificabili anche nella protrazione dell'uso stesso da tempo immemorabile;
- l’effettuazione di interventi di manutenzione della via o l’installazione sopra o sotto di essa di infrastrutture di servizio da parte dell’ente pubblico.

Ai sensi dell’art. 20 della L. 20/03/1865, n. 2248, parte 2^, la classificazione ufficiale delle strade ha efficacia presuntiva e dichiarativa, ma non costitutiva della pubblicità o meno del passaggio.
Al riguardo deve ricordarsi come una strada può rientrare nella nozione di strada vicinale di uso pubblico quando sussistono alcuni elementi, quali:
- le condizioni effettive della via, atte a dimostrare la sussistenza dei requisiti del generale passaggio, direttamente collegato e non limitato da vincoli di proprietà o condominio, nonché esercitato “iure servitutis publicae” da una collettività indeterminata di persone in assenza di restrizioni all’accesso;
- la concreta idoneità della strada a soddisfare, attraverso il collegamento anche indiretto alla pubblica via, esigenze di interesse generale;
- la sussistenza di titoli validi ad affermare il diritto di uso pubblico, identificabili anche nella protrazione dell'uso stesso da tempo immemorabile;
- l’effettuazione di interventi di manutenzione della via o l’installazione sopra o sotto di essa di infrastrutture di servizio da parte dell’ente pubblico (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 24.02.2011 n. 1240 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

CONSIGLIERI COMUNALI: Amministratori locali - Obbligo di astensione - Ex art. 78 Dlgs n. 267 del 18.08.2000 - Sussistenza – Accertamento e valutazione - Fattispecie.
L’obbligo dell’amministratore pubblico di astenersi dal prendere parte alla discussione e alla votazione relativamente agli atti a carattere generale (quali gli strumenti urbanistici) nei casi in cui sussista una correlazione immediata e diretta fra il contenuto della deliberazione e specifici interessi dell’amministratore o di parenti o affini fino al quarto grado, in base al disposto dell’art. 78 del Dlgs n. 267 del 18.08.2000, sorge per il solo fatto che l’amministratore rivesta una posizione suscettibile di determinare, anche in astratto, un conflitto di interesse, a nulla rilevando che lo specifico fine privato sia stato o meno realizzato e che si sia prodotto o meno un concreto pregiudizio per la PA; la sussistenza di tale obbligo è agevolmente accertabile in caso di adozione di piani attuativi (e di loro varianti: nella specie si tratta di piano esecutivo convenzionato) e deve essere verificato prima che inizi la discussione sul progetto proposto (massima tratta da Diritto e Pratica Amministrativa n. 4/2011 -
Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 28.01.2011 n. 693 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: Piani esecutivi convenzionati - Varianti - Presupposti - Consenso unanime dei proprietari convenzionati - Necessità.
Gli impegni assunti dai privati in una convenzione di lottizzazione deve essere ricostruita in termini di accordo sostitutivo del provvedimento di cui all’art. 11, L. n. 241 del 07.08.1990, la cui natura negoziale richiede, per la loro modifica, la manifestazione di volontà di tutti i soggetti che hanno concorso alla loro formazione, ivi compresi, ovviamente, anche i soggetti privati che, pur non essendo proprietari dei lotti incisi dalla variante, hanno proposto il piano e hanno sottoscritto la relativa convenzione urbanistica; a identica regola soggiacciono, nella regione Piemonte, i piani esecutivi convenzionati, indipendentemente dalla regola fissata dall’art. 5, comma 4, L.reg. n. 18 del 1996, che richiede invece un consenso meramente maggioritario, per di più nel caso in cui la stessa convenzione prescriva (come nel caso in esame) l’unanimità dei consensi per ogni variazione delle previsioni di piano (massima tratta da Diritto e Pratica Amministrativa n. 4/2011 -
Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 28.01.2011 n. 693 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Responsabilità - Danno alla concorrenza - Definizione
La violazione delle regole della concorrenza e della trasparenza, lesiva dei principi tutelati dagli artt. 41 e 97 Cost. e dalla L. 241/1990, realizza un vulnus all’obbligo di servizio del funzionario preposto alla gestione della procedura concorsuale e, cioè, il c.d. “danno alla concorrenza”.
Ciò in quanto i valori dell’economicità, dell’efficacia e dell’efficienza dell’attività amministrativa rappresentano, ormai, i profili di maggior rilievo della legalità sostanziale del sistema giuscontabile e, in relazione a essi, non è più consentito omettere un minimo di confronto concorrenziale per qualsiasi procedura contrattuale a oggetto pubblico.
Appalti pubblici - Lavori di completamento di una precedente opera (secondo lotto) - Unicum inscindibile dalla primigenia parte.
Qualora i lavori oggetto di un appalto pubblico concernano il mero completamento di una precedente opera, trattandosi di un secondo lotto, essi devono essere considerati un unicum inscindibile con quelli di cui alla primigenia parte, sia ai fini della determinazione della soglia di rilevanza comunitaria, sia -conseguentemente- in ordine all’eventuale ammissibilità del ricorso alla trattativa privata, in base a quanto previsto dall’art. 24,L. 109/1994 (ora confluito nell’art. 57, Dlgs. 163/2006).
Appalti pubblici - Responsabilità dei dirigenti - Nel caso di attuazione dell’illegittimo indirizzo della Giunta - Sussiste.
Ai sensi dell’art. 107 del Dlgs 267 del 2000, spettano ai dirigenti la direzione degli uffici e servizi, nonché tutti i compiti compresa l’adozione di atti amministrativi, tra cui la responsabilità delle procedure di appalto e di concorso.
Non vale, quindi, a escludere la responsabilità del funzionario posto al vertice del pertinente settore comunale la circostanza di essersi costui limitato a seguire l’illegittimo indirizzo dato in proposito dalla Giunta con apposito atto generale, potendo quest’ultimo soltanto fungere da indicazione di massima, giammai peraltro prevalente sul contrario dettato legislativo (massima tratta da Diritto e Pratica Amministrativa n. 5/2011 - Corte dei Conti, Sez. giurisdiz. Abruzzo,
sentenza 20.01.2011 n. 23 - - link a www.corteconti.it).
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ATTENZIONE: celarsi dietro al paravento "... me l'ha detto la Giunta (o Sindaco che sia)" non serve a niente!!
Dare attuazione ad un illegittimo indirizzo da parte della Giunta Comunale non mette al riparo da ipotetici danni da pagare di tasca propria.
E' proprio il caso di ricordare il detto popolare: "Uomo avvisato mezzo salvato!!".

ATTI AMMINISTRATIVI: Finanze e tributi - Norma tributaria - Soluzione di questioni interpretative - Circolare dell'amministrazione finanziaria - Vincolatività per il contribuente - Esclusione - Natura dell'atto - Semplice parere - Impugnabilità di fronte al giudice tributario - Esclusione.
La circolare emanata dall'amministrazione finanziaria in materia fiscale non vincola il contribuente, che resta libero di non adottare un comportamento a essa uniforme, in coerenza con il sistema tributario basato sull'autotassazione che, nella fase di determinazione dell'imposta, lascia al contribuente stesso la soluzione delle questioni interpretative.
La circolare nemmeno vincola gli uffici gerarchicamente sottordinati che ben possono disattenderla senza che per tale ragione l'eventuale provvedimento adottato sia da ritenersi illegittimo. La circolare, poi, non vincola nemmeno l'amministrazione stessa che l'ha emanata, che è infatti libera di modificare, correggere e disattendere l'interpretazione adottata.
Infine, la circolare non è vincolante né per il giudice tributario, né a maggior ragione per la Corte di cassazione, in quanto per annullare un atto impositivo emanato in base all'interpretazione fornita nell'atto interno dall'amministrazione non dovrà essere disapplicata la circolare, poiché l'ordinamento affida solo al giudice la competenza d'interpretare la legge.
Giurisdizione - Difetto di giurisdizione - Difetto assoluto di giurisdizione - Circolare dell'agenzia delle entrate - Atto privo di forza normativa.
Deve essere escluso che le circolari esplicative emanate in ambito tributario possano assumere natura ed efficacia di atto normativo, essendo provvedimenti dotati di efficacia meramente interna e destinati ad assumere ruolo di direttiva impartita agli uffici gerarchicamente subordinati (Corte di Cassazione, Sezz. Unite Civile, sentenza 02.11.2007 n. 23031 - massima tratta da www.diritto24.ilsole24ore.com).

EDILIZIA PRIVATA: Contravvenzioni - Sanatoria edilizia - Sospensione del procedimento.
In materia di reati edilizi, la sospensione di cui all'art. 44 della legge 28.02.1985, n. 47 non è automatica e non va astrattamente applicata a tutti i procedimenti per reati urbanistici astrattamente interessati al condono, ma solo a quelli aventi ad oggetto opere che abbiano oggettivamente i requisiti per la condonabilità ex art. 32 del D.L. 30.09.2003 n. 269 (nel caso di specie l'opera abusiva non risultava suscettibile di sanatoria, in quanto nuova costruzione di tipo non-residenziale, realizzata in assenza del titolo abilitativo) (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 07.05.2004 n. 21679 - massima tratta da www.diritto24.ilsole24ore.com).

AGGIORNAMENTO AL 18.05.2011

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NOVITA' NEL SITO

Bottone "CONVEGNI" n. 1 giornata di studio a Bergamo (ingresso libero) per il 31 maggio 2011 organizzata dal portale PTPL. TERMINE DI ISCRIZIONE: VENERDI' 27.05.2011.
N.B.: leggere attentamente le istruzioni riportate nella locandina.

NOTE, CIRCOLARI E COMUNICATI

URBANISTICA: Oggetto: Individuazione delle Autorità per la procedura di valutazione ambientale VAS della variante 2 al Piano di Governo del Territorio del Comune di ... (Regione Lombardia, Direzione Generale Territorio e Urbanistica, Programmazione e Pianificazione Territoriale, Strumenti per il Governo del Territorio, nota 11.05.2011 n. 13303 di prot.).
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Ancora una censura sull'operato di un'Amministrazione Comunale lombarda, nell'ambito di un procedimento di variante al vigente P.G.T., laddove in materia di VAS:
- è stato individuato il Sindaco quale Autorità procedente (comune con più di 5.000 abitanti);
- è stato individuato il tecnico comunale di altro comune quale Autorità competente.

DOTTRINA E CONTRIBUTI

EDILIZIA PRIVATA: N. Durante, Il procedimento autorizzativo per la realizzazione di impianti alimentati da fonti energetiche rinnovabili: complessità e spunti di riflessione, alla luce delle recenti linee guida nazionali (link a www.giustizia-amministrativa.it).

UTILITA'

APPALTI - ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA: In merito al cosiddetto "decreto sviluppo" (D.L. 13.05.2011 n. 70) si legga anche l'interessante relazione di accompagnamento al decreto-legge per la relativa conversione in legge al fine di poter comprendere appieno la ratio dell'articolato.

AUTORITA' VIGILANZA CONTRATTI PUBBLICI

APPALTI: Non può essere imposto al concorrente l'obbligo di acquistare, a pena di esclusione dalla gara, la documentazione inerente l'appalto. L'unica forma di partecipazione consentita è il rimborso delle spese di riproduzione della documentazione di gara. Relativamente a quest’ultimo aspetto, peraltro, la richiesta del rimborso dei costi sostenuti dalla pubblica amministrazione per il rilascio delle suddette copie, deve essere conforme alla normativa generale in materia di accesso alla documentazione amministrativa di cui alla legge 07.08.1991, n. 241.
Ai sensi dell’articolo 25 della sopra citata legge, infatti, il rilascio delle copie dei documenti è subordinato soltanto al rimborso del costo di riproduzione. Ne consegue che stabilire forfettariamente un rimborso spese a carico del concorrente, svincolandolo dall’effettivo costo di riproduzione degli elaborati, costituisce un ostacolo alla libera partecipazione agli appalti da parte degli operatori economici.
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Sia la scelta del criterio più idoneo per l'aggiudicazione di un appalto (tra quello dell'offerta economicamente più vantaggiosa e quello del prezzo più basso), sia la scelta dei criteri più adeguati (tra quelli esemplificativamente indicati dall'art. 83 del D.Lgs. n. 163/2006) per l'individuazione dell'offerta economicamente più vantaggiosa, costituiscono espressione tipica della discrezionalità della stazione appaltante e, impingendo nel merito dell'azione amministrativa, sono sottratte al sindacato di legittimità del giudice amministrativo, tranne che, in relazione alla natura, all'oggetto e alle caratteristiche del contratto, non siano manifestamente illogiche, arbitrarie ovvero macroscopicamente viziate da travisamento di fatto (cfr. in tal senso ex plurimis Consiglio Stato, sez. V, 19.11.2009, n. 7259; TAR Lazio, Roma, sez. III, 29.04.2009, n. 4396) (parere di precontenzioso 20.10.2010 n. 187 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: In sede di sub-procedimento di verifica di cui all'articolo 48, comma 1, del D.Lgs. n. 163/2006, è necessario che l'operatore economico dimostri con la documentazione di supporto esclusivamente quanto dichiarato in sede di partecipazione alla gara, relativamente al possesso dei requisiti minimi, non potendo presentare nuovi e diversi elementi rispetto a quelli già indicati in gara, a prescindere dalla circostanza che la documentazione prodotta supporti l'effettivo possesso dei requisiti minimi richiesti dal bando.
Infatti, il legislatore, nel prevedere espressamente la corrispondenza fra quanto dichiarato e quanto dimostrato, ha voluto garantire la par condicio dei partecipanti alla procedura di gara e tutelare la stazione appaltante sul fatto che il concorrente interessato dal procedimento di verifica sia in possesso dei requisiti richiesti per la partecipazione alla gara alla data della pubblicazione del bando di gara (cfr. determinazione dell’Autorità del 21.05.2009, n. 5) (parere di precontenzioso 20.10.2010 n. 186 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: Nel caso in cui dalla documentazione di gara, per errore commesso nella predisposizione dei modelli di dichiarazione, non vi sia alcun riferimento alle dichiarazioni previste dalle lettere m-bis), m-ter), m-quater) dell'art. 38 del D.Lgs. n. 163/2006, introdotte dalle ultime modifiche legislative, la stazione appaltante medesima non è legittimata ad escludere automaticamente i concorrenti che non abbiano prodotto le citate dichiarazioni, non richieste nella lex specialis né annoverate nel predisposto schema di istanza di partecipazione allegato al bando di gara, sussistendo semmai, nella fattispecie in esame, le condizioni per procedere alla richiesta di un’integrazione documentale.
Ciò in ragione del fatto che la tutela dell’affidamento e la correttezza dell’azione amministrativa impediscono che le conseguenze di una condotta colposa della stazione appaltante possano essere traslate a carico del soggetto concorrente, comminando la sanzione dell’esclusione dalla gara (parere di precontenzioso 20.10.2010 n. 185 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: Qualora il bando commini espressamente l’esclusione dalla gara in conseguenza di determinate prescrizioni, l’Amministrazione è tenuta a dare precisa ed incondizionata esecuzione a dette prescrizioni, restando preclusa all’interprete ogni valutazione circa la rilevanza dell’inadempimento, la sua incidenza sulla regolarità della procedura selettiva e la congruità della sanzione contemplata nella lex specialis, alla cui osservanza la stessa Amministrazione si è autovincolata al momento del bando (cfr., ex multis, pareri n. 215 del 17.09.2008 e n. 262 del 17.12.2008).
Ciò va ribadito in specie laddove la clausola sia chiaramente evidenziata nell’ambito della lex specialis, nonché formulata in termini letterali che non presentano profili di dubbio interpretativo (parere di precontenzioso 20.10.2010 n. 184 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: Lo scopo delle limitazioni temporali all’accesso è rinvenibile sia nell’esigenza di tutelare la riservatezza dei partecipanti alle procedure concorsuali, sia nella necessità di salvaguardare la libera concorrenza e la trasparenza delle offerte (Cons. Stato, sez. VI, 12.04.2005, n. 1678).
E’ evidente, quindi, che gli atti ad accesso differito non riguardano in alcun modo le informazioni inerenti alle motivazioni dell’esclusione di un partecipante, insuscettibili di arrecare un pregiudizio alla libera concorrenza.
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La comunicazione d’ufficio di cui all’art. 79, co. 5, del d.lgs. 12.04.2006, n. 163, lungi dall’essere meramente ripetitiva della comunicazione delle medesime informazioni a domanda, si traduce in uno strumento di accelerazione del contenzioso.
Tale previsione, finalizzata a garantire una celere tutela giurisdizionale del concorrente escluso, nell’interesse pubblico teso ad assicurare la più ampia partecipazione alla gara, prescinde quindi dalla richiesta della parte interessata ed impone un obbligo di tempestiva comunicazione dell’avvenuta esclusione a carico dell’amministrazione, sebbene non sia espressamente previsto che detta comunicazione debba avvenire per iscritto, né che debbano essere esplicitati i motivi dell’esclusione.
L’omessa tempestiva comunicazione dei motivi di esclusione o di rigetto dell’offerta produce, quindi, non solo un danno per il richiedente, che non è messo in condizione di esperire celermente i relativi rimedi giurisdizionali, ma anche per l’interesse pubblico alla stabilizzazione degli effetti degli atti di gara ai fini della stipulazione del contratto (parere di precontenzioso 20.10.2010 n. 183 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

LAVORI PUBBLICI: Negli appalti di lavori, qualora determinate lavorazioni siano di importo superiore al 15% dell’importo totale dei lavori e appartengano ad una delle categorie c.d. “superspecialistiche” o ad una categoria generale ad esse assimilata, l’aggiudicatario deve eseguirle direttamente nella misura non inferiore al settanta per cento –come evidenziato da questa Autorità nella determinazione n. 31/2002 e nella precedente determinazione n. 25/2001– potendo subappaltarle solo nei limiti, stabiliti dalla legge, del trenta per cento dell’importo delle lavorazioni medesime (parere di precontenzioso 20.10.2010 n. 182 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: Le copie delle certificazioni di qualità potrebbero cadere sotto il disposto dell’art. 19 d.P.R. 445/2000 in materia di dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà, giacché gli organismi deputati a tale certificazione, sebbene di natura privata, rilascerebbero attestazioni aventi contenuto vincolato e rilievo pubblicistico (CdS, VI, 19.01.2007, n. 121).
Di conseguenza, il certificato di qualità potrebbe essere prodotto in gara sia tramite una autocertificazione (CdS, V, 17.04.2007, n. 1790 e 11.05.2007, n. 2355), sia mediante una copia conforme all’originale. Pertanto, la modalità di presentazione del certificato ISO 9001 tramite la produzione di copia del certificato di qualità con l’attestazione della veridicità dello stesso da parte del rappresentante legale della concorrente, unitamente alla copia del proprio documento d’identità, risulta costituire comportamento conforme alla citata normativa di settore in materia (parere di precontenzioso 20.10.2010 n. 180 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: Costituisce regola generale che l’offerta giudicata potenzialmente incongrua non possa essere immediatamente esclusa, ma che su di essa la stazione appaltante deve al contrario muoversi nell’ottica di un’indagine volta a verificare l’eventuale anomalia, attraverso la richiesta di chiarimenti atti a giustificare l’offerta stessa e l’apparente anomalia, provvedendo poi all’eventuale esclusione soltanto nel caso in cui abbia valutato inadeguate le giustificazioni (cfr. C.d.S., Sez. V, 28.11.2005, n. 6651) (parere di precontenzioso 20.10.2010 n. 179 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: Occorre tener presente, da un lato, che il legislatore, pur avendo codificato l’onere dell’allegazione preventiva delle giustificazioni, non aveva previsto alcuna sanzione in caso di violazione dell’art. 86, comma 5 del d.lgs. 12.04.2006, n.163 e, dall’altro, che questa Autorità e costante giurisprudenza amministrativa –sotto la vigenza del precedente art. 86- hanno evidenziato come le clausole del bando, che richiedono la presentazione di giustificazioni già a corredo dell’offerta, non possono mai essere intese, pena la loro illegittimità, come prescrizioni di un requisito o adempimento a pena di esclusione, in quanto rispondenti a mere esigenze pratiche di accelerazione e semplificazione del procedimento di verifica dell’anomalia dell’offerta, che per espressa volontà del legislatore comunitario e nazionale, deve avvenire in contradditorio (AVCP parere n. 176 del 5.6.2008).
Pertanto le giustificazioni in questione non assurgono a requisito di partecipazione, ma vengono in rilievo –solo in via eventuale– nella fase successiva di verifica dell'anomalia, se ed in quanto l'offerta ne risulti sospetta. Ne consegue che la relativa previsione, comportante l'obbligo di presentazione delle giustificazioni si configura quale impositiva, nei confronti delle imprese partecipanti, di un onere in chiave eminentemente collaborativa e pertanto la sanzione dell’esclusione in caso di mancato assolvimento dello stesso appare eccessiva e del tutto sproporzionata allo scopo dell’art. 86, comma 5 (Cons. Stato, sez. IV, 15.09.2010 n. 6904; Cons. Stato, sez. VI, 21.05.2009 n. 3146; TAR Piemonte, sez. I, 11.02.2009 n. 401; Cons. Stato, sez. IV, 12.12.2005 n. 7034).
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Le disposizioni con le quali sono prescritti particolari adempimenti per l’ammissione alla gara, ove indichino in modo equivoco taluni dei detti adempimenti, vanno interpretate nel senso più favorevole all’ammissione degli aspiranti, corrispondendo all’interesse pubblico di assicurare un ambito più vasto di valutazioni, e quindi, un’aggiudicazione alle condizioni migliori possibili (cfr. parere n. 126 del 23.04.2008).
Non giova, invece, l’ulteriore principio –ribadito più volte anche da questa Autorità– secondo cui, qualora il bando commini espressamente l’esclusione dalla gara in conseguenza di determinate prescrizioni, l’Amministrazione è tenuta a dare precisa ed incondizionata esecuzione a dette prescrizioni, restando preclusa all’interprete ogni valutazione circa la rilevanza dell’inadempimento, la sua incidenza sulla regolarità della procedura selettiva e la congruità della sanzione contemplata nella lex specialis, alla cui osservanza la stessa Amministrazione si è autovincolata al momento del bando (AVCP pareri n. 139 del 19.11.2009, n. 215 del 17.09.2008 e n. 262 del 17.12.2008), in quanto la corretta applicazione di tale principio postula che non vi sia alcun dubbio sulla volontà della stazione appaltante di sanzionare con l’esclusione la violazione della regola dettata nei documenti di gara, circostanza quest’ultima che non si riscontra nel caso in esame (parere di precontenzioso 20.10.2010 n. 178 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI FORNITURE E SERVIZI: L’art. 42 del d.lgs 163/2006 relativo alla capacità tecnica e professionale dei fornitori e dei prestatori di servizio, nel riprodurre il contenuto dell’art. 48 Direttiva 18/2004 CEE, dispone al comma 2 che la stazione appaltante precisa nel bando di gara o nella lettera di invito quali dei documenti e dei requisiti indicati al comma 1 debbono essere presentati e dimostrati dai concorrenti.
L’elenco contenuto nella norma in esame, a differenza di quello dell’art. 41, è stato considerato tassativo, tanto è vero che la Corte di giustizia europea, ha già da tempo affermato l’illegittimità della prescrizione da parte dell’amministrazione aggiudicatrice di mezzi di prova di capacità tecniche e professionali dei concorrenti diversi da quelli contemplati dalle direttive, pena non solo la violazione del principio di parità di trattamento, ma anche il netto contrasto con le esigenze di integrazione comunitaria (Corte giust. com. eu. 17.11.1993 causa C-71/92) (parere di precontenzioso 20.10.2010 n. 177 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

GIURISPRUDENZA

COMPETENZE PROGETTUALIE' illegittimo il titolo a costruire assentito sul progetto, redatto da un geometra, che preveda strutture in cemento armato, se non siano specificate, con motivazione adeguata, le ragioni per cui le caratteristiche dell'opera e le sue modalità costruttive rientrano nella sfera di competenza professionale del progettista, spettando al g.a. il sindacato sulla valutazione circa l'entità quantitativa e qualitativa della costruzione, al fine di stabilire se la stessa, ancorché prevista con struttura in cemento armato, rientri o meno nella nozione di "modesta costruzione civile", alla cui progettazione è limitata la competenza professionale del geometra, ai sensi degli art. 16 ss. r.d. 274/1929.
Il geometra è sempre abilitato alla progettazione di “modeste costruzioni civili”; e che tale competenza permane anche per le costruzioni a struttura metallica o per quelle che richiedano l’impiego di conglomerato cementizio armato normale o precompresso, a condizione –in questo caso- che persista la qualificazione di edificio civile “modesto".
E' illegittimo il progetto firmato da un geometra per la realizzazione di un grande capannone industriale, poggiante su una fondazione di pali e pilastri in cemento armato e con solai in laterocemento e, comunque, di natura e dimensioni tali da non poter esser definito come una modesta costruzione civile.
In materia di progettazione delle opere private, lo scopo perseguito dalla disciplina legislativa che stabilisce i limiti di competenza dei geometri e periti edili e indica i progetti per i quali è invece necessario l'intervento di un ingegnere o di un architetto (art. 16 r.d. 11.02.1929, n. 275, art. 1 r.d. 16.11.1939 n. 2229, l. 24.06.1923 n. 1395 e r.d. 23.10.1925 n. 2537) consiste non nel garantire una buona qualità delle opere sotto il profilo estetico e funzionale ma unicamente nell'assicurare l'incolumità delle persone; pertanto, per le opere per le quali è prescritto l'intervento di un ingegnere o di un architetto, non è necessario che quest'ultimo abbia ideato il progetto assumendone la paternità, ma è sufficiente che, mediante la sottoscrizione, abbia effettuato la supervisione del progetto stesso elaborato da un geometra o da un perito, assumendone la responsabilità dopo aver verificato l'esattezza di tutti i calcoli statici delle strutture, nonché l'idoneità di tutte le soluzioni tecniche e architettoniche sotto il profilo della tutela della pubblica incolumità.

Il progetto relativo alla costruzione di tre piccole unità immobiliari presentato dal geometra ricorrente si compone di diverse tavole tecnico/progettuali; alcune di queste (ed in particolare, “calcolo balcone, solaio, gradino scala”; “disegno armature, travi di fondazione, pilastri”; “disegno armature travi del 1° e unico impalcato”; “piante degli impalcati, armatura setti; armatura solaio; armatura gradino; armatura setti”) sono redatte da un ingegnere abilitato; invece, il cd. “progetto architettonico” è stato redatto direttamente dal ricorrente, nella qualità di geometra, ed è stato solo sottoscritto “per presa visione” dall’ingegnere.
E’ questa l’anomalia riscontrata dall’Ufficio del Genio civile, che ha negato il rilascio del nulla osta ex art. 18 L. 64/1974 ritenendo che anche quest’ultima tavola avrebbe dovuto essere redatta e sottoscritta da un ingegnere (o, comunque, da un tecnico laureato).
Nel merito il ricorso risulta fondato per la dedotta “violazione e falsa applicazione delle disposizioni contenute nell’art. 17 della L. 64/1974 e negli artt. 2 e 4 della L. 1086/1971 – eccesso di potere per travisamento dei fatti”.
Va premesso che in zona sismica, ai sensi dell’art. 17 della L. 64/1974, possono essere eseguite costruzioni su progetto di ingegneri, architetti, geometri o periti edili iscritti nell'albo, nei limiti delle rispettive competenze. Per delineare, allora, le competenze dei geometri occorre fare riferimento alle norme che disciplinano la specifica figura professionale, e quindi all’art. 16 lett. m del R.D. 274/1929 (Regolamento per la professione di geometra) che contempla chiaramente –tra le varie ipotesi- le attività di “progetto, direzione e vigilanza di modeste costruzioni civili”.
Nei limiti del carattere “modesto” dell’edificio civile, la progettazione può essere eseguita quindi in zona sismica anche da un geometra. Si può aggiungere poi che tale competenza del professionista permane anche –ai sensi dell’art. 2 della L. 1086/1971 (Norme per la disciplina delle opere di conglomerato cementizio armato, normale e precompresso ed a struttura metallica), ora ribadito anche dall’art. 64. co. 2, del T.U. Edilizia approvato con D.P.R. 380/2001– nelle ipotesi in cui il progetto (di edificio modesto) preveda l’impiego di cemento armato.
E’ stato in proposito affermato in giurisprudenza che “(…) è dunque illegittimo il titolo a costruire assentito sul progetto, redatto da un geometra, che preveda strutture in cemento armato, se non siano specificate, con motivazione adeguata, le ragioni per cui le caratteristiche dell'opera e le sue modalità costruttive rientrano nella sfera di competenza professionale del progettista, spettando al g.a. il sindacato sulla valutazione circa l'entità quantitativa e qualitativa della costruzione, al fine di stabilire se la stessa, ancorché prevista con struttura in cemento armato, rientri o meno nella nozione di "modesta costruzione civile", alla cui progettazione è limitata la competenza professionale del geometra, ai sensi degli art. 16 ss. r.d. 274/1929.” (Tar Salerno 9772/2010); che “il geometra è sempre abilitato alla progettazione di “modeste costruzioni civili”; e che tale competenza permane anche per le costruzioni a struttura metallica o per quelle che richiedano l’impiego di conglomerato cementizio armato normale o precompresso, a condizione –in questo caso- che persista la qualificazione di edificio civile “modesto”.” (Tar Catania, I, 1253/2010).
Anche il Consiglio di Stato (sezione V, 779/1998) ha posto l’accento sul carattere modesto della costruzione, quale limite alla competenza del geometra, affermando che “è illegittimo il progetto firmato da un geometra per la realizzazione di un grande capannone industriale, poggiante su una fondazione di pali e pilastri in cemento armato e con solai in laterocemento e, comunque, di natura e dimensioni tali da non poter esser definito come una modesta costruzione civile”.
Il Collegio non ignora la sussistenza di un contrario orientamento, manifestato dalla giurisprudenza civile (Cass., II, 17028/2006, e 19292/2009), che ha considerato nulli sul piano civilistico i contratti d’opera professionale stipulati da geometri in quanto aventi ad oggetto la realizzazione di opere in cemento armato. Si tratta, tuttavia, di una ricostruzione del dato normativo non condividibile in quanto non tiene conto del fatto che anche le norme relative alle costruzioni in cemento armato, così come quelle dettate per le zone sismiche, fanno espresso richiamo per relationem alle competenze stabilite dall’ordinamento professionale dei geometri.
Quanto fin qui esposto vale come inquadramento generale della problematica sulla quale si incentra il giudizio.
Deve essere, tuttavia, evidenziato col dovuto risalto il fatto che nel caso a mani sono presenti delle peculiari circostanze di grande rilievo, che conferiscono alla vicenda una specifica singolarità: ci si riferisce al fatto che solo il progetto architettonico –ossia, quello concernente l’aspetto estetico, la collocazione spaziale, e l’immagine dimensionale dell’edificio– è stato redatto da un geometra (e poi sottoscritto “per presa visione” da un ingegnere); mentre tutte le altre tavole progettuali, che potremmo definire come veri “progetti strutturali” (elencate come tavole nn. 4, 5, 6 e 7), sono state regolarmente redatte da un ingegnere. Cioè, in altri termini, non siamo in presenza di un progetto ascritto solo al geometra; ma di una progettazione effettuata a più mani, nella quale l’apporto dell’ingegnere risulta prevalente sul piano quantitativo e tecnico, mentre quello del progettista/geometra è secondario e per certi versi atecnico, essendo limitato a definire l’aspetto esteriore dell’edificio.
Va sottolineato il fatto –dirimente- che tutto ciò che attiene alla sicurezza, staticità e robustezza dell’edificio è stato regolarmente progettato da un tecnico laureato in ingegneria, di guisa che appare giuridicamente irrilevante la circostanza che il geometra abbia semplicemente confezionato l’aspetto esteriore della costruzione, lasciando correttamente all’ingegnere il compito di determinare gli aspetti tecnico/costruttivi del “disegno” proposto.
La predetta conclusione risulta avvalorata anche dalla giurisprudenza (Cons. Stato, V, 83/1999) che ha precisato il ruolo da attribuire, nella progettazione, all’intervento del tecnico laureato: “In materia di progettazione delle opere private, lo scopo perseguito dalla disciplina legislativa che stabilisce i limiti di competenza dei geometri e periti edili e indica i progetti per i quali è invece necessario l'intervento di un ingegnere o di un architetto (art. 16 r.d. 11.02.1929, n. 275, art. 1 r.d. 16.11.1939 n. 2229, l. 24.06.1923 n. 1395 e r.d. 23.10.1925 n. 2537) consiste non nel garantire una buona qualità delle opere sotto il profilo estetico e funzionale ma unicamente nell'assicurare l'incolumità delle persone; pertanto, per le opere per le quali è prescritto l'intervento di un ingegnere o di un architetto, non è necessario che quest'ultimo abbia ideato il progetto assumendone la paternità, ma è sufficiente che, mediante la sottoscrizione, abbia effettuato la supervisione del progetto stesso elaborato da un geometra o da un perito, assumendone la responsabilità dopo aver verificato l'esattezza di tutti i calcoli statici delle strutture, nonché l'idoneità di tutte le soluzioni tecniche e architettoniche sotto il profilo della tutela della pubblica incolumità.” (in termini analoghi Tar Marche Ancona, 1241/2001).
Se dunque il legislatore ha richiesto l’intervento dell’ingegnere (o architetto) al fine di tutelare direttamente la staticità dell’edificio e, indirettamente, la sicurezza pubblica; e se –a tali fini– viene ritenuta sufficiente in giurisprudenza la “ratifica, con assunzione di responsabilità” ad opera di un ingegnere del progetto redatto da un geometra; allora si deve ritenere che –a maggior ragione– sia legittimo ed ammissibile il progetto che un geometra abbia redatto solo per la parte architettonica, allorquando lo stesso contempli gli elaborati tecnico strutturali firmati tutti da un ingegnere.
Né d’altra parte si può concordare con la difesa dell’Amministrazione resistente, laddove dichiara l’inammissibilità della figura di un ingegnere mero “calcolista” che affianchi il progettista senza assumersi la responsabilità della progettazione e dell’esecuzione (v. memoria Avvocatura Stato del 20.10.2009): come si è già evidenziato, nel caso in esame l’ingegnere non è intervenuto con una forma di supporto collaterale ed interno limitato ai soli calcoli delle strutture in cemento armato, ma si è direttamente assunto, anche verso l’esterno, la responsabilità di tutti i progetti tecnici sottoscritti, che altro non sono se non una traduzione in termini tecnici del progetto esteriore confezionato dal geometra (TAR Sicilia-Catania, Sez. I, sentenza 22.04.2011 n. 1022 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA: Anche il promissario acquirente può avanzare domanda volta all'adozione di uno strumento urbanistico convenzionato, sempre che abbia l'effettiva disponibilità del bene, a nulla rilevando che detta disponibilità possa essere acquisita, nella sua pienezza, solo dopo la stipula del rogito notarile di trasferimento della proprietà, dovendo il concetto di disponibilità essere inteso nel senso della sussistenza di requisiti oggettivi tali da far ritenere che il trasferimento di proprietà sia destinato a verificarsi con sufficienti margini di certezza.
Legittimato a richiedere la concessione edilizia è o il titolare del diritto reale di proprietà sul fondo o chi, pur essendo titolare di altro diritto, reale o di obbligazione, abbia, per effetto di questo, obbligo o facoltà di eseguire i lavori per cui chiede la concessione. Tale legittimazione, invece, non compete a colui il quale, in base ad un contratto preliminare, abbia avuto la promessa di futura vendita del terreno sul quale dovrebbe sorgere la costruzione

La figura del promissario acquirente di terreni interessati da una richiesta di concessione edilizia non implica l'esistenza di una posizione di interesse legittimo utile a rendere ammissibile l'impugnazione di un provvedimento di diniego della concessione stessa; invece, può radicare comunque una posizione dipendente da quella del ricorrente principale, "ad adiuvandum" del quale può dunque essere legittimamente dispiegato intervento in giudizio, se ed in quanto non miri ad eludere i termini di impugnazione da parte di chi risulti titolare di una posizione tutelabile con una propria autonoma impugnativa (Consiglio Stato sez. IV, 30.06.2005 n. 3594).
La giurisprudenza ha sostenuto che anche il promissario acquirente può avanzare domanda volta all'adozione di uno strumento urbanistico convenzionato, sempre che abbia l'effettiva disponibilità del bene, a nulla rilevando che detta disponibilità possa essere acquisita, nella sua pienezza, solo dopo la stipula del rogito notarile di trasferimento della proprietà, dovendo il concetto di disponibilità essere inteso nel senso della sussistenza di requisiti oggettivi tali da far ritenere che il trasferimento di proprietà sia destinato a verificarsi con sufficienti margini di certezza (così, per esempio, Consiglio Stato sez. V, 24.08.2007, n. 4485).
Tale disponibilità giuridica e materiale nella specie non sussiste, né è stata mai dedotta.
Anche in relazione alla possibilità di richiedere titoli abilitativi, si sostiene che legittimato a richiedere la concessione edilizia è o il titolare del diritto reale di proprietà sul fondo o chi, pur essendo titolare di altro diritto, reale o di obbligazione, abbia, per effetto di questo, obbligo o facoltà di eseguire i lavori per cui chiede la concessione.
Tale legittimazione, invece, non compete a colui il quale, in base ad un contratto preliminare, abbia avuto la promessa di futura vendita del terreno sul quale dovrebbe sorgere la costruzione (nel senso che la voltura della concessione edilizia non può essere chiesta dal promissario acquirente cfr. Cass. 10.10.1997 n. 9850).
Nel vigore dell'art. 4, l. 28.01.1977 n. 10 (sostanzialmente corrispondente all'art. 11, t.u. 06.06.2001 n. 380), la concessione edilizia, potendo essere rilasciata "al proprietario dell'area o a chi abbia titolo per richiederla", poteva essere chiesta anche dal promissario acquirente dell'immobile, purché avesse a ciò consentito il proprietario (Consiglio Stato, sez. V, 24.08.2007, n. 4485).
Ne consegue che, anche con riferimento alla impugnazione dell’autoannullamento di un piano di lottizzazione, legittimato ad impugnare non può ritenersi il promissario acquirente tout court, in assenza tra l’altro della disponibilità materiale del bene, che si potrebbe configurare in caso di preliminare cosiddetto ad effetti anticipati, con il quale quantomeno si anticipa l’effetto della consegna del bene (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 12.04.2011 n. 2275 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AGGIORNAMENTO AL 16.05.2011

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SINDACATI

PUBBLICO IMPIEGO: La costituzione dei comitati unici di garanzia (CGIL-FP di Bergamo, nota 11.05.2011).

NOTE, CHIARIMENTI E COMUNICATI

EDILIZIA PRIVATA: SPORTELLO UNICO PER LE ATTIVITA’ PRODUTTIVE - chiarimenti sui contenuti presenti nelle disposizioni di cui al DPR 160/2010 e al suo allegato tecnico (ANCI, nota 05.05.2011).

EDILIZIA PRIVATA: Oggetto: chiarimenti sui contenuti presenti nelle disposizioni di cui al D.P.R. n. 160/2010 (SUAP) e al suo allegato tecnico (Ministero dello Sviluppo Economico, Ufficio Legislativo, e Ministro della Semplificazione Normativa, Ufficio Legislativo, nota 03.05.2011 n. 810 di prot.).

DOTTRINA E CONTRIBUTI

ATTI AMMINISTRATIVI: G. Penzo Doria e B. Montini, Albo on-line: serve la firma digitale, lo affermano il Viminale e il Garante privacy (link a www.filodiritto.com).

AMBIENTE-ECOLOGIA: R. Bertuzzi, NOVITA’ SISTRI - IL TESTO UNICO - ABROGATE TUTTE LE NORME PRECEDENTI (link a www.lexambiente.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: G. Bertagna e M. Ferrari, La revisione del part-time (tratto dalla newsletter di www.publika.it n. 41 - maggio 2011).

PUBBLICO IMPIEGO: Il blocco delle assunzioni si applica alle progressioni verticali? Il TAR Sicilia-Palermo “libera” i concorsi interni dalle norme finanziarie, sentenza 647 del 2011 (link a www.leggioggi.it).

EDILIZIA PRIVATA: Lombardia, Corso di specializzazione sull'applicazione della L.R. n. 12/2005: 5^ lezione (parte B) - Titoli abilitativi (Geometra Orobico n. 1/2011).

EDILIZIA PRIVATASegnalazione certificata di inizio attività (Geometra Orobico n. 1/2011).

EDILIZIA PRIVATA: Produzione di energia da fonti rinnovabili: novità per l'AU - Decreto rinnovabili, semplificare l'autorizzazione significa agevolare (link a www.ipsoa.it).

APPALTI: R. Codebò, Criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa - Appalti, la linea di confine tra offerta tecnica e offerta economica (link a www.ipsoa.it).

APPALTI FORNITURE E SERVIZI: F. Ballardin, Contratti pubblici: l’ammissibilità del rinnovo nei contratti della P.A. (link a www.altalex.com).

GURI - GUUE - BURL (e anteprima)

APPALTI - ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA: G.U. 13.05.2011 n. 110 "Semestre Europeo - Prime disposizioni urgenti per l’economia" (D.L. 13.05.2011 n. 70).
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In Gazzetta Ufficiale il "decreto sviluppo".
Molte le novità importanti e, tra le tante, in merito:
- agli appalti (art. 4 - Costruzione di opere pubbliche) e precisamente:
a) estensione del campo di applicazione della finanza di progetto, anche con riferimento al cosiddetto "leasing in costruendo";
b) limite alla possibilità' di iscrivere "riserve";
c) introduzione di un tetto di spesa per le "varianti";
d) introduzione di un tetto di spesa per le opere cosiddette "compensative";
e) contenimento della spesa per compensazione,in caso di variazione del prezzo dei singoli materiali di costruzione;
f) riduzione della spesa per gli accordi bonari;
g) istituzione nelle Prefetture di un elenco di fornitori e prestatori di servizi non soggetti a rischio di inquinamento mafioso;
h) disincentivo per le liti "temerarie";
i) individuazione, accertamento e prova dei requisiti di partecipazione alle gare mediante collegamento telematico alla Banca dati nazionale dei contratti pubblici;
l) estensione del criterio di autocertificazione per la dimostrazione dei requisiti richiesti per l'esecuzione dei lavori pubblici;
m) controlli essenzialmente "ex post" sul possesso dei requisiti di partecipazione alle gare da parte delle stazioni appaltanti;
n) tipizzazione delle cause di esclusione dalle gare, cause che possono essere solo quelle previste dal codice dei contratti pubblici e dal relativo regolamento di esecuzione e attuazione, con irrilevanza delle clausole addizionali eventualmente previste dalle stazioni appaltanti nella documentazione di gara;
o) obbligo di scorrimento della graduatoria, in caso di risoluzione del contratto;
p) razionalizzazione e semplificazione del procedimento per la realizzazione di infrastrutture strategiche di preminente interesse nazionale ("Legge obiettivo");
q) innalzamento dei limiti di importo per l'affidamento degli appalti di lavori mediante procedura negoziata;
r)
innalzamento dei limiti di importo per l'accesso alla procedura semplificata ristretta per gli appalti di lavori. Inoltre, e' elevata da cinquanta a settanta anni la soglia per la presunzione di interesse culturale degli immobili pubblici;
- al rilascio del permesso di costruire ed in  materia di SCIA (art. 5 - Costruzioni private) e precisamente:
a) introduzione del "silenzio assenso" per il rilascio del permesso di costruire, ad eccezione dei casi in cui sussistano vincoli ambientali, paesaggistici e culturali;
b) estensione della segnalazione certificata di inizio attività (SCIA) agli interventi edilizi precedentemente compiuti con denuncia di inizio attività' (DIA);
c) tipizzazione di un nuovo schema contrattuale diffuso nella prassi: la "cessione di cubatura";
d) la registrazione dei contratti di compravendita immobiliare assorbe l'obbligo di comunicazione all'autorità locale di pubblica sicurezza;
e) per gli edifici adibiti a civile abitazione l'"autocertificazione" asseverata da un tecnico abilitato sostituisce la cosiddetta relazione "acustica";
f) obbligo per i Comuni di pubblicare sul proprio sito istituzionale gli allegati tecnici agli strumenti urbanistici;
g)esclusione della procedura di valutazione ambientale strategica (VAS) per gli strumenti attuativi di piani urbanistici già sottoposti a valutazione ambientale strategica;
h)
legge nazionale quadro per la riqualificazione incentivata delle aree urbane. Termine fisso per eventuali normative regionali;
- agli adempimenti burocratici di atti amministrativi (art. 6 - Ulteriori riduzione e semplificazione degli adempimenti burocratici) e precisamente:
a) in corretta applicazione della normativa europea le comunicazioni relative alla riservatezza dei dati personali sono limitate alla tutela dei cittadini, conseguentemente non trovano applicazione nei rapporti tra imprese;
b) le pubbliche amministrazioni devono pubblicare sul proprio sito istituzionale l'elenco degli atti e documenti necessari per ottenere provvedimenti amministrativi; altri atti o documenti possono essere richiesti solo se strettamente necessari e non possono costituire ragione di rigetto dell'istanza del privato;
c) riduzione degli adempimenti concernenti l'utilizzo di piccoli serbatoi di GPL;
d) facoltà di effettuare "on line" qualunque transazione finanziaria ASL-imprese e cittadini;
e) per i trasporti eccezionali l'attuale autorizzazione prevista per ciascun trasporto e' sostituita, per i trasporti della medesima tipologia ripetuti nel tempo, da un autorizzazione periodica da rilasciarsi con modalità semplificata;
f)
riduzione degli oneri amministrativi da parte delle amministrazioni territoriali.
Orbene, evidenziamo che il decreto legge in questione è in vigore già da sabato scorso (14.05.2011) e che da oggi ci si pone il problema, uno fra tanti, di come istruire le richieste di permesso di costruire pervenute: si applica il novellato art. 20 del D.P.R. n. 380/2011 oppure l'art. 38 della L.R. n. 12/2005??
Inoltre, adesso è chiaro, certo, incontrovertibile che la SCIA si applica anche in  materia edilizia??

Abbiamo già sollecitato telefonicamente -nei giorni scorsi e non appena di dominio pubblico la bozza di decreto-legge- l'Ufficio Giuridico della Regione Lombardia affinché intervenga tempestivamente con una nota chiarificatrice al fine di non lasciare allo "sbando operativo" i 1.546 comuni lombardi così come già successo l'anno scorso con l'introduzione -nel panorama legislativo nazionale (e regionale)- della famigerata SCIA, per la quale la Regione Lombardia intervenne, fugando affatto i dubbi che ancora oggi permangono in merito alla sussistenza della stessa in materia edilizia, con il proprio comunicato 08.10.2010 dopo la bellezza di 70 giorni che la SCIA era già entrata in vigore (il 31.07.2010).
16.05.2011 - LA SEGRETERIA PTPL

ENTI LOCALI: G.U. 12.05.2011 n. 109 "Disposizioni in materia di autonomia di entrata delle regioni a statuto ordinario e delle province, nonché di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard nel settore sanitario" (D.Lgs. 06.05.2011 n. 68).

VARI: G.U. 12.05.2011 n. 109 "Incentivazione della produzione di energia elettrica da impianti solari fotovoltaici" (D.M. 05.05.2011).

UTILITA'

URBANISTICA: GIORNATA DI STUDIO 08.04.2011 a Como: I nuovi strumenti della programmazione urbanistica, perequazioni, compensazioni e diritti edificatori (gli atti del convegno) (link a www.notaicomolecco.it).

SICUREZZA LAVORO: Linee operative sulla valutazione del rischio stress lavoro correlato.
Lo stress da lavoro correlato è un disagio non nuovo ma sicuramente attuale, visto il costante aumento dei casi riscontrati. Il fenomeno ha un costo economico per le aziende stimato in miliardi di euro.
Le cause sono legate a:
- tipologie contrattuali sempre meno stabili;
- elevati carichi lavorativi;
- violenze e molestie sul lavoro;
- interferenze tra lavoro e vita privata.
Il datore di lavoro è tenuto a valutare il rischio da stress da lavoro correlato per la propria azienda, come prevede il D.Lgs n. 81/2008 e s.m.i.
La valutazione del rischi si articola in due fasi: una fase di valutazione preliminare, dalla quale possono emergere o non emergere elementi di rischio, e una approfondita, da attuare quando gli interventi della prima risultano inefficaci.
La Provincia di Verona ha definito una linea operativa per la valutazione del rischio stress partendo dalle direttive del Network Nazionale per la Prevenzione Disagio Psicosociale nei Luoghi di Lavoro dell'ISPESL.
Il documento ha lo scopo di coadiuvare le imprese con meno di 30 lavoratori, attraverso opportune chek-list (link a www.acca.it).

APPALTI: Domande e risposte sui contratti pubblici. Una interessante pubblicazione del Ministero delle Infrastrutture.
"...è consentito l'affidamento diretto da parte del responsabile del procedimento?”
“...è obbligatoria o facoltativa la vidimazione del registro di contabilità di cui all'art. 183, DPR 554/1999?”
“...cosa si intende per stazione appaltante di ambito statale e/o di interesse nazionale o sovra regionale?”
“... qualora si ricorra alla procedura negoziata, è obbligatoria la fase di preselezione (sul tipo delle procedure ristrette) o è possibile richiedere direttamente ai concorrenti di presentare l'offerta?”
(...)

A queste domande (e non solo) risposte chiare e precise dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, che ha pubblicato un utile documento che si prefigge lo scopo di fornire risposte ai quesiti più frequenti in materia di contratti pubblici.
Il volume contiene una selezione dei quesiti pubblicati dal Servizio di Supporto Giuridico con le relative risposte e pareri di interesse generale resi alle stazioni appaltanti per la corretta applicazione della normativa nazionale e regionale in materia di appalti pubblici.
Esso rappresenta un utile strumento di consultazione per tutti gli operatori del settore.
Le principali sezioni di cui si compone il documento con domande e relative risposte sono:
- Affidamenti in economia - Anomalia dell'offerta - Appalti integrati - Associazioni temporanee di impresa - Criteri di aggiudicazione - DURC - DUVRI - Esecuzione del contratto - Prezzo - Procedura negoziata - Procedure di aggiudicazione - Progettazione - Risoluzione del contratto - Sicurezza - Subappalto - Altro (link a www.acca.it).

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI:Il massetto come lo metto?” La guida pratica con regole e suggerimenti per la scelta e la posa dei massetti cementizi.
Dopo “Usa e Isola” e i materiali isolanti è la volta dei massetti cementizi.
Il massetto come lo metto” è un manualetto pratico di semplice comprensione realizzato dalla Scuola Edile di Bergamo, in collaborazione con Calcestruzzi S.p.A. e ANCE Bergamo, che fornisce regole e suggerimenti per la posa dei massetti cementizi.
Come i precedenti manuali, anche questo ha le caratteristiche della snellezza e della praticità, indicando quali sono gli accorgimenti e i passaggi da rispettare per eseguire le opere a regola d'arte.
E' così strutturato: ... (link a www.acca.it).

CORTE DEI CONTI

INCARICHI PROFESSIONALI: CONSULENZE/ Nuovi limiti se la spesa è stata zero.
Se un ente locale ha fatto registrare nel 2009 una spesa per incarichi e consulenze pari a zero (il che rende impossibile applicare la riduzione dell'80% imposta dal dl 78/2010), bisognerà trovare un nuovo parametro per il calcolo dei tagli. Il nuovo limite sarà rappresentato dalla spesa strettamente indispensabile che l'ente sosterrà nell'anno in cui si verifica l'assoluta necessità di conferire l'incarico. E questa nuova soglia costituirà a sua volta il punto di riferimento per applicare i tagli negli anni successivi.

Lo ha chiarito la Corte dei conti della Lombardia nel parere 29.04.2011 n. 227.
I giudici lombardi hanno fatto notare che, se non si adottasse questa interpretazione, «la riduzione lineare prevista dall'art. 6, comma 7 (del dl 78 ndr), finirebbe per premiare gli enti meno virtuosi che nel corso del 2009 hanno sostenuto una spesa per consulenze rilevante. Mentre al contrario si penalizzerebbero gli enti più virtuosi che nello stesso periodo hanno sostenuto una spesa pari a zero».
In ogni caso, ha concluso la Corte, gli enti dovranno sempre motivare in ordine alle ragioni che hanno reso necessario il ricorso agli incarichi (articolo ItaliaOggi dell'11.05.2011 - tratto da www.corteconti.it).

URBANISTICAPEEP, determinazione della misura del corrispettivo da pagare all’amministrazione comunale per la cessione in proprietà di aree.
Il corrispettivo per la trasformazione del diritto di superficie in diritto di piena proprietà, su aree comprese nei piani approvati ai sensi della legge n. 167/1962 o delimitate ai sensi dell’art. 51 della legge n. 865/1971, deve essere determinato dai comuni, su parere del proprio ufficio tecnico, al netto degli oneri di concessione del diritto di superficie rivalutati, applicando la riduzione del 60 per cento al valore individuato facendo riferimento ai vigenti criteri di calcolo dell’indennità di espropriazione, ovvero all’art. 37, commi 1 e 2, del DPR n. 327/2001, come modificati dalla legge 24.12.2007, 8 n. 244.
In ogni caso, il costo dell'area non deve risultare maggiore di quello stabilito dal comune per le aree cedute direttamente in diritto di proprietà, al momento della trasformazione di cui al comma 47 (Corte dei Conti, Sezz. riunite di controllo, delibera 14.04.2011 n. 22).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Via libera dalla Corte dei Conti - Utilizzo del mezzo proprio per il dipendente pubblico in servizio, quali limiti per le PA?
Una importante pronuncia della Corte dei Conti torna sulla questione dell'utilizzo del mezzo proprio per motivi di servizio da parte del dipendente pubblico.
Sulla questione spinosa dell’utilizzo del mezzo proprio per motivi di servizio da parte del dipendente pubblico c’è stata una importante e recente pronuncia della Corte dei Conti che si ritiene utile portare a conoscenza del lettore; i giudici contabili con la delibera, a sezioni riunite di controllo, n. 21 depositata in segreteria il 5 aprile scorso hanno affermato che anche a seguito dell'entrata in vigore della disciplina recata dall'art. 6, comma 12, del decreto legge n. 78 del 2010 (cd. Manovra estiva 2010), convertito con modificazioni dalla legge n. 122 del 2010, le amministrazioni pubbliche possono continuare ad autorizzare i propri dipendenti all'utilizzo del mezzo proprio, con il limitato fine di ottenere la copertura assicurativa dovuta in base alle vigenti disposizioni; le stesse pubbliche amministrazioni non possono più riconoscere agli stessi il rimborso delle spese sostenute nella misura antecedentemente stabilita dall’ art. 8 della legge n. 417 del 1988, anche nell'ipotesi in cui tale mezzo costituisca lo strumento più idoneo a garantire il più efficace ed economico perseguimento dell'interesse pubblico.
La norma contenute nella manovra estiva 2010.
Si ricorda brevemente che l’art. 6, comma 12 del decreto legge 31.05.2010, n. 78 convertito in legge con la legge 30.07.2010, n. 122, recante: “Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica” prevede che: “dall'anno 2011 le amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi del comma 3 dell'articolo 1 della legge 31.12.2009, n. 196, incluse le autorità indipendenti (…) a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto, gli articoli 15 della legge 18.12.1973, n. 836 e 8 della legge 26.07.1978, n. 417 e relative disposizioni di attuazione, non si applicano al personale contrattualizzato di cui al d.lgs. n. 165 del 2001 e cessano di avere effetto eventuali analoghe disposizioni contenute nei contratti collettivi”.
In virtù di detta norma, dal 31.05.2010 (data di entrata in vigore del decreto legge n. 78 del 2010) non sarebbero più applicabili né l'articolo 15 della legge 18.12.1973 n. 836 (recante disposizioni sul trattamento economico di missione e di trasferimento dei dipendenti statali), con cui si stabiliva un’indennità chilometrica per il personale che, svolgendo funzioni ispettive, avesse necessità di recarsi in località comprese nell'ambito della circoscrizione territoriale dell'ufficio di appartenenza e comunque non oltre i limiti di quella provinciale, utilizzando il proprio mezzo di trasporto, né l'art. 8 della legge 26.07.1978, n. 417 (recante disposizioni di adeguamento del trattamento economico di missione e di trasferimento dei dipendenti statali), che disciplinava l'entità dell'indennità chilometrica (un quinto del prezzo di un litro di benzina super vigente nel tempo, nonché rimborso dell'eventuale spesa sostenuta per pedaggio autostradale).
Il chiarimento dei giudici contabili.
L’intervento delle Sezioni riunite su un argomento, oggetto di grande attualità nelle pubbliche amministrazioni dopo l’approvazione della Manovra estiva 2010 che, tra l’altro, ha dato adito a molte interpretazioni interne ad ogni pubblica amministrazione, è la conseguenza di due quesiti rivolti dalla Sezione di controllo per la Regione Liguria.
I giudici contabili sull’argomento oggetto del presente commento ritengono di dover richiamare la propria deliberazione n. 8/CONTR/2011 del 16.12.2010 con la quale è stato chiarito che, a seguito dell’entrata in vigore del disposto dell’art. 6, comma 12, del decreto legge n. 78 del 2010, convertito con modificazioni dalla legge n. 122 del 2010, il dipendente può ancora essere autorizzato all’utilizzo del mezzo proprio, con il limitato fine di ottenere la copertura assicurativa dovuta in base alle vigenti disposizioni, mentre non gli può più essere riconosciuto il rimborso delle spese sostenute nella misura antecedentemente stabilita dal disapplicato art. 8 della legge n. 417 del 1988, anche nell’ipotesi in cui tale mezzo costituisca lo strumento più idoneo a garantire il più efficace ed economico perseguimento dell’interesse pubblico.
Un comportamento diverso da parte della pubblica amministrazione svuoterebbe di significato la portata dell’innovazione introdotta dall’art. 6, comma 12, della Manovra estiva 2010 considerato che anche nel sistema pregresso, l’uso del mezzo proprio da parte del dipendente pubblico presupponeva un’accurata valutazione dei benefici per l’ente.
E’ da ritenere non legittimo, secondo i giudici della Corte dei Conti, che una amministrazione reintroduca , attraverso una regolamentazione interna, il rimborso delle spese sostenute dal dipendente sulla base delle indicazioni fornite dal disapplicato art. 8 della legge n. 417 del 1988; tale modo di operare, infatti, costituirebbe una chiara elusione del dettato e della ratio del disposto del richiamato art. 6, comma 12, del decreto legge n. 78 del 2010.
I giudici contabili, tuttavia, evidenziano che al fine anche di evitare i rischi, ritengono possibile il ricorso a regolamentazioni interne volte a disciplinare, per i soli casi in cui l’utilizzo del mezzo proprio risulti economicamente più conveniente per l’Amministrazione, forme di ristoro del dipendente dei costi dallo stesso sostenuti che, però, dovranno necessariamente tenere conto delle finalità di contenimento della spesa introdotte con la Manovra estiva 2010 e degli oneri che in concreto avrebbe sostenuto l’Ente per le sole spese di trasporto in ipotesi di utilizzo dei mezzi pubblici di trasporto (commento tratto da www.ipsoa.it - Corte dei Conti, Sezz. riunite di controllo, delibera 05.04.2011 n. 21).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Contenimento della spesa di personale. Piccoli Comuni, limiti di assunzione per i rapporti di collaborazione?
Secondo le Sezioni Riunite i vincoli assunzionali previsti per gli Enti non soggetti al patto di stabilità sono solo per le assunzioni a tempo indeterminato o tempo determinato e non, invece, per le collaborazioni.

La Corte dei Conti, Sezz. riunite in sede di controllo, con delibera 04.04.2011 n. 20, ha affrontato e reso il proprio parere, in ordine al contenimento della spesa di personale ed alla possibilità di assunzioni con rapporti di collaborazione negli Enti non soggetti al patto di stabilità.
Ovviamente la questione giunge alle Sezioni Riunite, a seguito di remissione da parte della Sezione Regionale di Controllo per la Liguria.
Il Parere de quo è ampiamente articolato e formulato, merita la massima fedeltà nell'esposizione:
Tematica - Questione di massima.
Il Comune istante riprende gli artt. 1, commi 557 e 557-bis, 562, L. n. 296 del 2006 (finanziaria per l'anno 2007) che impongono agli enti locali non sottoposti al patto di stabilità, quindi quelli inferiori a 5.000 abitanti, di non superare la spesa di personale dell'anno 2004 e che limitano la possibilità di assunzioni nel solo limite delle cessazioni di rapporti di lavoro a tempo indeterminato, avvenute nell'anno precedente.
La specifica richiesta è quella di sapere se tale limitazione trova applicazione per i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa od a progetto.
Inquadramento normativo esposto.
La Sezione remittente (Liguria) ha disaminato la questione avanti esposta concludendo che le spese per rapporti di collaborazione, sono sempre da comprendere nella più ampia categoria delle spese di personale, concludendo che non si pone il vincolo del limite assunzionale, ma solo quello del limite di spesa, per i rapporti di collaborazione.
Inquadramento delle sezioni riunite.
Il Giudice Contabile ha premesso alla valutazione del quesito posto l'analisi dei vincoli di legge per spesa di personale ed assunzioni, per come di seguito:
- Comma 562, L. n. 296 del 2006 - enti non sottoposti al patto di stabilità- dispongono del limite di spesa e delle assunzioni nel limite delle cessazioni dei rapporti di lavoro verificatisi nell'anno precedente, con richiamo a Sezioni Riunite Deliberazione n. 52/2010;
- Comma 557 e comma 557-bis - enti sottoposti a patto di stabilità - la spesa di personale comprende anche quella per i rapporti di collaborazione;
- Art. 76, comma 7, D.L. n. 112 del 2008, nel testo convertito in legge dall'art. 14, comma 9, D.L. n. 78 del 2010 che per il 2011 introduce il limite di spesa per enti sottoposti e non sottoposti al patto di stabilità, del 40% della spesa di personale rispetto al totale delle spese correnti che impedisce di procedere ad assunzioni a qualsiasi titolo e con qualsivoglia tipologia contrattuale. Nel caso in cui la spesa di personale sia inferiore al 40% del totale delle spese correnti, si può procedere ad assunzioni solo nel limite del 20% della spesa corrispondente alle cessazioni di servizio dell'anno precedente.
Sintetizzano, quindi, le Sezioni Riunite che, sono vincoli assunzionali per gli enti non sottoposti al patto di stabilità la spesa di personale (del limite di spesa come avanti definito e secondo quanto di seguito riportato). In tale logica precisano le Sezioni che la configurazione giuridica del rapporto di lavoro che prevede l'assunzione (soggetta ai limiti assunzionali propri di legge) è diversa da quella della collaborazione che è un fatto episodico e non permanente per l'Ente.
Alla luce di ciò i vincoli assunzionali sono solo per le assunzioni a Tempo Indeterminato o Tempo Determinato e non, invece, per le collaborazioni.
Concludono, quindi, le Sezioni Riunite che nel rispetto della spesa storica del personale, per enti non soggetti al patto di stabilità, dell'anno 2004, anche se non vi sono stati pensionamenti nell'anno precedente a quello nel quale si intendono attivare rapporti di collaborazione, gli stessi sono possibili.
Tuttavia le Sezioni precisano che il ricorso alle collaborazioni può avvenire solo alle seguenti condizioni:
- deve essere di carattere temporaneo, nel mentre si provvede ad adeguare la programmazione del personale nell'Ente, anche con l'eventuale organizzazione dei servizi in forma associata;
- le funzioni pubbliche indefettibili devono essere assicurate con personale in dotazione organica;
- non deve esservi superamento del limite di spesa di personale e della spesa per incarichi di consulenza.
Non mancano le Sezioni di ricordare la necessità per i piccoli Enti di perseguire modelli organizzativi quali le convenzioni e/o l'Unione dei Comuni, giusta previsione dell'art. 14, comma 30, D.L. n. 78 del 2010, secondo i principi di economicità e di riduzione delle spese, in armonia con le previsioni dell'art. 117, comma 2, lett. p), ed art. 118, comma 2, della Costituzione Italiana.
Ricordano le Sezioni Unite anche il limite massimo della spesa annua per incarichi di collaborazione da riportare nel bilancio di previsione, per come stabilito dall'art. 3, comma 56, L. n. 244 del 24.12.2007, per come sostituito dall'art. 46, comma 3, D.L. n. 112 del 25.06.2008, convertito in L. n. 133 del 06.08.2008 (commento tratto da link a www.ipsoa.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOQuando l'ispezione diventa una condanna.
Attenzione alle contestazioni degli ispettori della Ragioneria generale dello Stato: possono determinare il maturare di responsabilità amministrativa per amministratori, dirigenti e segretari. Per la prima volta arriva una sentenza di condanna definitiva in seguito a un'ispezione ministeriale.

La III Sezione di appello della Corte dei Conti con la sentenza 17.12.2010 n. 853 ha confermato la condanna ad amministratori, revisori dei conti e dirigenti del comune di Rho (provincia di Milano) per clausole illegittime del contratto decentrato.
Secondo la Corte, le posizioni organizzative possono essere istituite solo dopo la preventiva «individuazione e attribuzione di obiettivi specifici». Non possono essere inoltre istituite con decorrenza retroattiva. Viene poi ribadito che l'erogazione "a pioggia" della produttività determina il maturare di responsabilità: «poiché la dannosità è implicita ex se nella scelta difforme dai parametri prefissati».
E ancora «l'attribuzione di un beneficio sganciato dai risultati appare antitetica alla finalità premiale e, anzi, avalla un appiattimento verso il basso delle prestazioni disincentivando i migliori ad assumere iniziative comportanti maggior impegno che non verrebbe, comunque, riconosciuto».
Infine, l'aumento dell'indennità di posizione dei dirigenti per sterilizzarne la diminuzione voluta dal contratto nazionale a seguito dell'aumento dello stipendio non costituisce esercizio legittimo di autonomia, ma un modo per aumentare surrettiziamente il trattamento economico.
La sentenza ha ridotto le sanzioni poiché è stato giudicato che alcune condotte illegittime hanno determinato effetti positivi sulla attività dell'ente. Inoltre, la responsabilità individuale matura per non avere marcato le proprie distanze dalle scelte effettuate e anche nel caso della colpa professionale: «la diligenza deve valutarsi con riferimento alla natura dell'attività esercitata e della prestazione richiesta».
Infine, la compensazione tra i danni ed i benefici conseguiti dal l'ente matura solamente «quando il danno e il vantaggio sono conseguenza immediata e diretta dello stesso fatto che deve essere idoneo a produrre entrambi gli effetti» (articolo Il Sole 24 Ore del 09.05.2011).

AUTORITA' VIGILANZA CONTRATTI PUBBLICI

APPALTIIl Segretario Comunale non può essere il R.U.P..
Non è conforme al disposto dell’articolo 10 del Dlgs 12.04.2006 n. 163 l’individuazione del segretario comunale quale responsabile unico del procedimento (R.U.P.) in quanto, ancorché in possesso di ultradecennale esperienza, per espressa previsione normativa tale ruolo può essere rivestito solo da un tecnico dipendente dell’amministrazione aggiudicatrice abilitato all’esercizio della professione o, quando l’abilitazione non sia prevista dalla normativa vigente, da un funzionario con idonea professionalità e con anzianità di servizio in ruolo non inferiore a 5 anni.
Solo subordinatamente, in caso di accertata carenza di dipendenti di ruolo in possesso di professionalità adeguate, le amministrazioni aggiudicatrici nominano il responsabile del procedimento tra i propri dipendenti in servizio, supportati nello svolgimento dei compiti così attribuiti da funzionari in possesso delle specifiche professionalità necessarie allo svolgimento di tali compiti ovvero da tecnici esterni.

Ritenuto in diritto:
L’art. 47 del D.P.R. 554/1999, in merito alla validazione dei progetti, prevede che ”Prima della approvazione, il responsabile del procedimento procede in contraddittorio con i progettisti a verificare la conformità del progetto esecutivo alla normativa vigente ed al documento preliminare alla progettazione.” e che “La validazione riguarda fra l’altro (…) l’acquisizione di tutte le approvazioni ed autorizzazioni di legge, necessarie ad assicurare l’immediata cantierabilità del progetto".
L’esame degli atti prevenuti fa emergere con evidenza che il Comune non ha seguito le disposizioni normative in materia di validazione, discostandosi notevolmente dall’iter usuale senza alcuna particolare motivazione espressa.
Infatti, il verbale di validazione è stato redatto nella stessa data in cui sono state richieste agli Enti competenti le prescritte autorizzazioni (20.11.2009), i quali in esito a tali richieste hanno imposto delle prescrizioni che hanno previsto la redazione di proposte alternative a quelle progettate (cfr. nota del 22.06.2010, prot. n. 13117, della Soprintendenza per i Beni Architettonici, Paesaggistici, Storici, Artistici ed Etnoantropologici per le Provincie di Caserta e Benevento).
Inoltre, l’attestazione del progettista allegata al verbale, che riguarda il progetto definitivo e non quello esecutivo, non appare rilevare, in realtà, alcun valore di validazione del progetto in quanto non può sostituirsi alle autorizzazioni delle Autorità preposte alla tutela dei vincoli. Per supposto si potrebbe teorizzare un potere surrogatorio o sostitutivo del libero professionista riguardo tali Enti, che, allo stato non appare esistere in alcun grado dell’ordinamento.
Ed ancora, l’aver posto in gara un progetto non ancora definitivamente approvato dagli organi competenti, come appare ricorrere nella fattispecie in esame, ha esposto la S.A. ad eventuali successive problematiche con l’impresa esecutrice, con la redazione obbligatoria di varianti in corso d’opera, in quanto non vi è certezza riguardo la piena e sicura cantierabilità del progetto posto a base di gara. Su tale argomento l’Autorità si è già ampiamente espressa (ex plurimus, Deliberazioni n. 124/2001 e n. 97/2004) ribadendo il contrasto di tale comportamento con l’art. 47 del D.P.R. 21.12.1999, n. 554 e s.m.i., quando viene indetto e, quindi, aggiudicato un appalto sulla base di una progettazione esecutiva non corredata di tutte le prescritte approvazioni ed autorizzazioni di legge necessarie ad assicurare l’immediata cantierabilità del progetto.
Per quanto attiene l’attribuzione delle funzioni del responsabile unico del procedimento si rileva che, non è conforme al disposto dell’art. 10 del D.Lgs. 12.04.2006 n. 163, e dell’art. 7 del D.P.R. 21.12.1999, n. 554, l’individuazione del segretario comunale quale responsabile unico del procedimento in quanto, ancorché in possesso di ultradecennale esperienza, per espressa previsione normativa tale ruolo può essere rivestito solo da un tecnico dipendente dell’amministrazione aggiudicatrice abilitato all’esercizio della professione o, quando l’abilitazione non sia prevista dalla normativa vigente, da un funzionario con idonea professionalità e con anzianità di servizio in ruolo non inferiore a 5 anni.
Solo subordinatamente, in caso di accertata carenza di dipendenti di ruolo in possesso di professionalità adeguate, le amministrazioni aggiudicatrici nominano il responsabile del procedimento tra i propri dipendenti in servizio, supportati nello svolgimento dei compiti così attribuiti da funzionari in possesso delle specifiche professionalità necessarie allo svolgimento di tali compiti ovvero da tecnici esterni. In caso di particolare necessità ai sensi dell’art. 7, co. 5, del DPR 554/1999 le competenze del responsabile del procedimento sono attribuite al responsabile dell’ufficio tecnico e della struttura corrispondente e, ove non sia presente tale figura, al responsabile del servizio al quale attiene il lavoro da realizzare.
Su tale argomento l’Autorità si è già espressa con la Deliberazione n. 21/2006, nella quale si afferma che l’individuazione del segretario comunale quale responsabile del procedimento non risulta conforme alle disposizioni di cui all’art. 7 della legge 11.02.1994, n. 109 e s.m., che invece richiede la qualifica di tecnico per ricoprire tale incarico. Una diversa interpretazione della norma ne sminuirebbe il contenuto precettivo-indicativo per gli operatori del settore, svuotandola di significato effettivo.
In base a quanto sopra considerato,
Il Consiglio:
• rileva il contrasto con l’art. 47 del D.P.R. 554/1999 inerente le modalità di validazione della progettazione in carenza dell’acquisizione di tutte le prescritte autorizzazioni di legge al fine della effettiva cantierabilità dei lavori;
• rileva il contrasto con l’art 10 del D.Lgs. 12.04.2006 n. 163 e con l’art. 7 del D.P.R. 21.12.1999, n. 554, per quanto attiene la nomina di responsabile unico del procedimento del segretario comunale;
• censura il comportamento della stazione appaltante e richiama la stessa al rispetto delle norme vigenti;
• manda alla Direzione Generale Vigilanza Lavori affinché notifichi la presente deliberazione alla stazione appaltante ed all’esponente
(deliberazione 23.02.2011 n. 24 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

LAVORI PUBBLICI: Non è compito dei candidati redigere un proprio computo metrico per valutare le quantità definite da ciascun corpo di lavorazione, trattandosi di un documento di computo che deve esse previsto, invece, in progetto, mentre è compito delle imprese verificare le quantità previste in progetto in base agli elementi forniti dallo stesso.
Diversamente opinando, verrebbe ad essere ingiustificatamente compresso il diritto dell’aspirante appaltatore di effettuare corrette e ponderate valutazioni dell’appalto, con conseguenti ricadute negative sulla formulazione dell’offerta, essendo fondamentale, in particolare in un lavoro da appaltare e contabilizzare a corpo, la definizione qualitativa e quantitativa del lavoro da eseguire, in corrispondenza del quale è indicato un prezzo complessivo ed invariabile; per altro verso verrebbe a mancare un criterio di uniformità di valutazione rispetto alle quantità effettivamente stimate dal progettista per la valutazione del corpo, con impossibilità anche di fornire giustificativi rispondenti a quanto previsto dal progettista (parere di precontenzioso 20.10.2010 n. 176 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: Qualora il bando commini espressamente l’esclusione dalla gara in conseguenza di determinate prescrizioni, l’Amministrazione è tenuta a dare precisa ed incondizionata esecuzione a dette prescrizioni, restando preclusa all’interprete ogni valutazione circa la rilevanza dell’inadempimento, la sua incidenza sulla regolarità della procedura selettiva e la congruità della sanzione contemplata nella lex specialis, alla cui osservanza la stessa Amministrazione si è autovincolata al momento del bando (cfr., ex multis, pareri n. 215 del 17.09.2008 e n. 262 del 17.12.2008).
Ciò va ribadito in specie laddove la clausola sia chiaramente evidenziata nell’ambito della lex specialis, nonché formulata in termini letterali che non presentano profili di dubbio interpretativo (parere di precontenzioso 20.10.2010 n. 175 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: Questa Autorità ha chiarito, con specifico riferimento alle Associazioni Temporanee di Impresa di tipo orizzontale, disciplinate dall’art. 95, comma 2 del D.P.R. n. 554/1999, che “ai sensi dell’articolo 3, comma 2, del D.P.R. n. 34/2000, nel caso di associazione temporanea orizzontale, le mandanti possono incrementare di un quinto la loro classifica soltanto se essa è almeno pari al 20% dell’importo complessivo dell’appalto, mentre la partecipazione all’associazione può avvenire anche se la classifica è pari al 10 per cento” (deliberazione n. 75, del 06.03.2007), con ciò sottolineando, come appare incontestabile, che il dato contenuto nel regolamento di qualificazione subordina il beneficio dell’incremento al possesso del 20 per cento dell’importo dell’appalto: fattispecie che, ovviamente, non si verifica allorché la mandante partecipi all’A.T.I. in misura inferiore al 20 per cento (parere di precontenzioso 20.10.2010 n. 174 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: In relazione alla valutazione in concreto dell’anomalia dell’offerta, questa Autorità si è già pronunciata nel senso che compete all’Amministrazione il giudizio tecnico sulla congruità, serietà e realizzabilità dell’offerta, non essendo ammissibile una sindacabilità nel merito con effetto sostitutivo nell’esercizio di tale potere di valutazione.
Gli apprezzamenti compiuti dalla Commissione giudicatrice in sede di riscontro dell’anomalia dell’offerta costituiscono, infatti, espressione di un potere di natura tecnico–discrezionale, improntato a criteri di ragionevolezza, logicità e proporzionalità, che resta prerogativa di esclusiva competenza della stazione appaltante (pareri n. 17 del 12.02.2009; n. 169 del 21.05.2008 e n. 213 del 31.07.2008) (parere di precontenzioso 20.10.2010 n. 173 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI SERVIZI: Le Tabelle ministeriali relative al costo del lavoro pongono delle regole di azione della P.A. ai fini della corretta predisposizione dei bandi di gara, nonché della valutazione delle soglie di anomalia delle offerte dei partecipanti a gare d’appalto, e non si propongono, invece, di determinare una misura del costo del lavoro rilevante agli effetti degli appalti pubblici in via autoritativa, quale intervento regolatorio sui prezzi a fini amministrativi (in tal senso, Consiglio di Stato, Sez. VI, 21.11.2002, n. 6415: TAR Lombardia, Brescia, 23.10.2007, n. 915; TRGA Trentino Alto Adige, Trento, 23.06.2008, n. 154).
E’ pertanto sempre necessario che venga consentito all’impresa di fornire le proprie giustificazioni, anche in riferimento al superamento di detti limiti minimi, dato che tale insopprimibile esigenza di contraddittorio costituisce specifica espressione del più generale principio di partecipazione e trova corrispondenza nel dovere dell’Amministrazione di motivare in ordine alla ritenuta incongruità dell’offerta (Cfr. Consiglio di Stato, n.4847/2008 cit.; Corte Giustizia CE, Sez. II, 03.04.2008 in C-346/06) (parere di precontenzioso 20.10.2010 n. 172 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: L’obbligo della dichiarazione di cui all’art. 38, lett. c, del d.lgs. 12.04.2006, n. 163 risponde alla fondamentale esigenza di consentire alla stazione appaltante di valutare la sussistenza del requisito della moralità professionale –in caso di società per azioni, come nella specie– sia in capo al direttore tecnico sia in capo agli amministratori muniti di poteri di rappresentanza.
La ratio legis risiede nell'esigenza di verificare l’affidabilità complessivamente considerata dell’operatore economico scelto per la stipula del contratto e dunque il possesso dei suddetti requisiti di moralità in capo ai soggetti dell’operatore economico medesimo che, in quanto titolari di poteri di rappresentanza, siano in grado di trasmettere con il proprio personale comportamento la riprovazione dell’ordinamento al soggetto rappresentato e che abbiano altresì un significativo ruolo decisionale e gestionale, compresi gli institori e i vicari, per cui ai fini di una corretta applicazione della normativa in questione occorre necessariamente fare riferimento alle funzioni sostanziali di tali soggetti più che alle qualifiche formali, compiendo a tal fine un’operazione interpretativa, altrimenti la evidenziata ratio potrebbe essere agevolmente elusa e dunque vanificata (pareri dell’Autorità: n. 5 del 15.01.2009; n. 47 dell’11.03.2010 e n. 79 del 15.04.2010; Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 523 dell'08.02.2007; Sez. V, n. 36 del 15.01.2008; sulla necessità che anche l’institore renda la dichiarazione concernente i requisiti di moralità: TAR Sardegna, Sez. I, n. 971 del 19.05.2008) (parere di precontenzioso 20.10.2010 n. 171 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: Se è vero che, nel caso di avvalimento nei confronti di un’impresa che appartiene al medesimo gruppo, si prescinde dalla presentazione di copia del contratto tra avvalente ed avvalso, in virtù del quale l'impresa ausiliaria si obbliga nei confronti del concorrente a fornire i requisiti ed a mettere a disposizione le risorse necessarie per tutta la durata dell'appalto (art. 49, lettera f), del D.Lgs. n. 163/2006), consentendosi all’impresa concorrente di presentare una dichiarazione sostitutiva attestante il legame giuridico ed economico esistente nel gruppo (art. 49, lettera g), del D.Lgs. n. 163/2006), nondimeno è necessaria, anche in questo caso, la presentazione di una dichiarazione sottoscritta dall'impresa ausiliaria, con cui quest'ultima si obbliga verso il concorrente e, soprattutto, verso la stazione appaltante a mettere a disposizione per tutta la durata dell’appalto le risorse necessarie di cui è carente il concorrente (art. 49, lettera d), del D.Lgs. n. 163/2006) come pure rimangono necessarie le altre dichiarazioni di cui alle lettere c) ed e) del citato art. 49 del D.Lgs. n. 163/2006 (parere di precontenzioso 20.10.2010 n. 170 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: Anche una dichiarazione sintetica è pienamente in grado di assolvere le finalità perseguite dalla stazione appaltante, vale a dire di escludere –salvo verifica– la presenza delle circostanze ostative alla partecipazione alle gare, di cui all’art. 38 del D.Lgs. n. 163/2006.
Si impone, pertanto, una interpretazione non formalistica del dato positivo anche in conformità al principio, pacifico in tema di contratti ad evidenza pubblica, secondo cui le disposizioni del bando devono essere interpretate in modo da consentire la più ampia partecipazione dei concorrenti(cfr. parere n. 6 del 16.01.2008; parere n. 4 del 14.01.2010 e parere n. 140 del 22.07.2010) (parere di precontenzioso 20.10.2010 n. 169 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

GIURISPRUDENZA

APPALTI SERVIZI: Sulla legittimità dell'affidamento della gestione della sede farmaceutica rurale ad un concorrente nonostante la dichiarazione che ha reso non riproduca esattamente la formulazione prevista dal bando.
Non si applicano le specifiche disposizioni previste dal d.lgs. n.163/2006 (codice dei contratti) per l'affidamento di una farmacia da parte della amministrazione comunale, trattandosi di concessione di un servizio pubblico.

Le clausole della "lex specialis", ancorché contenenti comminatorie di esclusione, non possono essere applicate meccanicisticamente, ma secondo il principio di ragionevolezza, e debbono essere valutate alla stregua dell'interesse che la norma violata è destinata a presidiare per cui, ove non sia ravvisabile la lesione di un interesse pubblico effettivo e rilevante, deve essere accordata la preferenza al "favor partecipationis".
Pertanto, nel caso di specie, è legittimo l'affidamento della gestione della sede farmaceutica rurale al concorrente che si è comunque impegnato a fornire la garanzia che gli veniva richiesta, precisando che lo avrebbe fatto mediante dichiarazione bancaria, ed anzi ha semmai aggiunto qualcosa di più, a dimostrazione della propria affidabilità, avendo dato atto di essere in possesso di una solida situazione patrimoniale.
In sostanza la dichiarazione resa dall'aggiudicatario, anche se non esattamente conforme al modello indicato nel bando, è tale da soddisfare pienamente l'interesse della amministrazione appaltante ad acquisire l'impegno del concorrente alla prestazione della garanzia che gli veniva richiesta.
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Considerato che, l'affidamento della farmacia da parte della amministrazione comunale si risolve nella concessione di un servizio pubblico, a norma di quanto stabilito dall'art. 30 del d.lgs. n.163/2006 non si applicano le specifiche disposizioni previste dal codice dei contratti, ma semmai "i principi generali relativi ai contratti pubblici" (Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 12.05.2011 n. 2851 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Anche nei cottimi appalti la dichiarazione in materia di tutela dei diritti dei disabili va presentata a pena di esclusione, pur in assenza di espressa previsione nel bando di gara.
La dichiarazione di cui all'art. 17, l. 12.03.1999 n. 68, in materia di tutela dei disabili, costituisce requisito di partecipazione per qualsiasi tipologia di gara, sia essa sopra soglia o sotto soglia comunitaria; ne consegue che la omissione di detta dichiarazione costituisce causa di esclusione per la forza cogente propria della legge, anche se non richiamata dalla lex specialis (Cons. Stato, sez. V, 10.01.2007 n. 33; 24.01.2007 n. 2566 e 06.07.2002 n. 3733; Sez IV, 14.05.2004 n. 3148) (massima tratta da www.dirittodegliappaltipubblici.it - TAR Sicilia-Catania, Sez. I, sentenza 12.05.2011 n. 1160 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Sono devolute alla giurisdizione esclusiva del g.a le controversie concernenti la determinazione, liquidazione e corresponsione degli oneri concessori.
Per consolidata giurisprudenza le controversie in tema di oneri di urbanizzazione e di costo di costruzione introducono un giudizio su un rapporto prescindendo dalla impugnazione di atti (Cons. St., Sez. V, 19.07.2004 n. 5197): tutte le controversie concernenti, l’an e il quantum delle somme dovute a titolo di contributo in dipendenza di norme di legge e regolamentari attengono a diritti soggettivi azionabili nei termini di prescrizione (Cons. St., Sez. V, 10.07.2003 n. 4102), giacché, l’amministrazione, nella determinazione delle somme dovute a titolo di contributo non esercita poteri autoritativi discrezionali ma compie attività di mero accertamento della fattispecie in base ai parametri fissati da leggi e da regolamenti.
Le relative controversie, dunque, rientrano nella categoria di quelle attinenti l'impugnativa di atti paritetici, investe diritti soggettivi e non è sottoposta ai termini decadenziali propri dei giudizi impugnatori (Cons. St. Sez. V, 17.10.2002, n. 5678).
Inoltre, le controversie concernenti la determinazione, liquidazione e corresponsione degli oneri concessori già devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ai sensi dell'art. 16 l. 28.01.1977 n. 10, abrogato a seguito dell’entrata in vigore del D.Lgs. 104/2010, rientrano oggi nella previsione dell’art. 133, lett. f), del codice del processo amministrativo secondo cui sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, tra l'altro, "le controversie aventi ad oggetto gli atti e i provvedimenti delle pubbliche amministrazioni in materia urbanistica e edilizia, concernente tutti gli aspetti dell'uso del territorio" (massima tratta da www.dirittodegliappaltipubblici.it - TAR Sicilia-Catania, Sez. I, sentenza 12.05.2011 n. 1159 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Appartiene alla giurisdizione del g.o. l'opposizione avverso il provvedimento di rimozione della pubblicità abusiva lungo le strade.
Per giurisprudenza costante della Suprema Corte di Cassazione in caso di violazione del divieto, previsto dall'art. 23 c. strad., di collocare cartelli e altri mezzi pubblicitari lungo le strade in assenza di autorizzazione, l'opposizione avverso il provvedimento di irrogazione sia della sanzione pecuniaria che di quella, accessoria, della rimozione della pubblicità abusiva, appartiene alla giurisdizione del g.o., poiché in entrambi i casi la p.a. non esercita alcun potere autoritativo, ma si limita all'applicazione, scevra da discrezionalità, delle disposizioni di legge (Cassazione civile, s.u., 23.06.2010, n. 15170; Cassazione civile, s.u., 03.03.2010, n. 5020; Cass., S.U. 14.01.2009 n. 563) (massima tratta da www.dirittodegliappaltipubblici.it - TAR Sicilia-Catania, Sez. II, sentenza 12.05.2011 n. 1116 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Sulla legittimità da parte della stazione appaltante di una verifica delle offerte approfondita nel caso di un'offerta anomala che presenti un ribasso particolarmente consistente.
E' legittima una verifica dell'anomalia approfondita, in ordine alla congruità di un' offerta che presenti un ribasso particolarmente consistente, e ciò al fine di accertare che l'offerente, nonostante il ridotto margine di utile, sia in grado di fornire una prestazione adeguata a soddisfare l'interesse pubblico alla regolare esecuzione.
In tema di verifica in ordine all'anomalia delle offerte presentate in sede di gara, secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale, la stazione appaltante gode di ampia discrezionalità, per cui la relativa valutazione, inerendo al merito amministrativo, è da ritenersi insindacabile in sede di legittimità, se non per aspetti di manifesta irrazionalità od evidente travisamento dei fatti, che non sussistono, alla luce anche del concreto procedimento svolto per la verifica di attendibilità dell'offerta.
Nel caso di specie, con riguardo alla soglia di anomalia individuata, si è ritenuto ingiustificato il ribasso offerto in considerazione di una pluralità di ragioni, che nel loro insieme sorreggono la valutazione avanzata dalla stazione appaltante. Tali motivazioni evidenziano l'inattendibilità economica dell'offerta per eccessivo ribasso, ai fini di un corretto esercizio in fase di esecuzione del contratto.
Peraltro, il concorrente non risulta in grado di fornire una prestazione adeguata a soddisfare l'interesse pubblico alla regolare esecuzione dei lavori in appalto, secondo i dovuti livelli e standards di efficienza e qualità (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 09.05.2011 n. 2751 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

EDILIZIA PRIVATA La legge condonistica estende la possibilità di sanatoria pure agli edifici che, anche se non ancora ultimati, hanno già acquisito una fisionomia tale da rendere individuabile il disegno progettuale e la destinazione abitativa e che necessita solo di lavori di completamento per la sua funzionalità.
Per completamento funzionale deve intendersi la realizzazione delle principali opere necessarie per attuare il mutamento di destinazione, incompatibili con l'originaria destinazione assentita, ancorché non siano stati ancora realizzati gli impianti e le rifiniture di carattere complementare ed accessorio; pertanto, gli indicatori principali del completamento funzionale in caso di mutamento d'uso da alberghiero ad abitativo di un edificio sono dati dalla individuazione e definizione degli ambienti costituenti l'unità residenziale e dalla presenza degli impianti per l'installazione delle cucine, non occorrendo l'effettiva utilizzazione della nuova destinazione.

Come ritenuto da questo Consiglio, la legge condonistica estende la possibilità di sanatoria pure agli edifici che, anche se non ancora ultimati, hanno già acquisito una fisionomia tale da rendere individuabile il disegno progettuale e la destinazione abitativa e che necessita solo di lavori di completamento per la sua funzionalità (V, 03.07.1995, n. 1002; II, 14.03.1990, n. 669).
Deve essere rammentato quanto ritenuto da questo Consiglio in casi consimili:
- “per completamento funzionale deve intendersi la realizzazione delle principali opere necessarie per attuare il mutamento di destinazione, incompatibili con l'originaria destinazione assentita, ancorché non siano stati ancora realizzati gli impianti e le rifiniture di carattere complementare ed accessorio; pertanto, gli indicatori principali del completamento funzionale in caso di mutamento d'uso da alberghiero ad abitativo di un edificio sono dati dalla individuazione e definizione degli ambienti costituenti l'unità residenziale e dalla presenza degli impianti per l'installazione delle cucine, non occorrendo l'effettiva utilizzazione della nuova destinazione” (V, 04.07.2002, n. 3679);
- “per ottenere il condono edilizio in caso di mutamento di destinazione d'uso di un fabbricato è sufficiente (in base al combinato disposto degli art. 4, comma 1, e 18, comma 1 e 5, l. 28.01.1977 n. 10 e dell'art. 31, comma 2, l. 28.02.1985 n. 47) che quest'ultimo venga funzionalmente completato entro l'01.10.1983, ossia che entro tale data, pur se le attività costruttive siano ancora in corso, il fabbricato sia comunque già fornito delle opere indispensabili a renderne effettivamente possibile un uso diverso da quello a suo tempo assentito...cioè di opere del tutto incompatibili con l'originaria destinazione d'uso, e ciò per l'evidente ragione di non incorrere nell'eventuale disparità di trattamento, che potrebbe scaturire tra le ipotesi di nuova costruzione totalmente abusiva -per la cui sanabilità bastano l'esecuzione del rustico ed il completamento della copertura- e i casi di opere interne con mutamento di destinazione d'uso, per le quali è appunto sufficiente il completamento funzionale” (V, 14.07.1995, n. 1071);
- “per il condono dell'abusivo mutamento della destinazione d'uso di un immobile è sufficiente che, ai sensi dell'art. 31, comma 2, l. 28.02.1985 n. 47, lo stesso sia stato "completato funzionalmente" entro il termine dell'01.10.1983, vale a dire che entro tale data (anche se le attività costruttive siano ancora in corso) l'immobile deve essere comunque già fornito delle opere indispensabili a rendere effettivamente possibile un uso diverso da quello assentito” (V, 16.12.1994, n. 1514).
Dunque, il determinato mutamento di destinazione d’uso a residenziale abitativo, non è di ostacolo alla condonabilità, perché concomitante all’esecuzione dei lavori per stessa ammissione di parte appellante
(Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 09.05.2011 n. 2750 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: L'art. 9 del d.m. 20.04.1968 n. 1444, il quale detta le citate disposizioni in tema di distanze tra le costruzioni, stante la sua natura di norma primaria, sostituisce eventuali disposizioni contrarie contenute nelle norme tecniche di attuazione di un piano regolatore e la prescritta distanza di 10 metri tra pareti finestrate di edifici antistanti va rispettata in tutti i casi, trattandosi di norma volta ad impedire la formazione di intercapedini nocive sotto il profilo igienico-sanitario e della sicurezza, per cui esso disposto non è eludibile in funzione della natura giuridica dell'intercapedine stessa.
In tema di distanze legali nelle costruzioni, le prescrizioni contenute nei piani regolatori e nei regolamenti edilizi comunali, essendo dettate, contrariamente a quelle del codice civile, a tutela dell'interesse generale a un prefigurato modello urbanistico, non tollerano deroghe convenzionali da parte dei privati e tali deroghe, se concordate, sono invalide, né tale invalidità può venire meno per l'avvenuto rilascio di concessione edilizia, poiché il singolo atto non può consentire la violazione dei principi generali dettati, una volta per tutte, con gli indicati strumenti urbanistici.
Qualora gli strumenti urbanistici stabiliscano determinate distanze dal confine e nulla aggiungano sulla possibilità di costruire “in aderenza” od “in appoggio”, la preclusione di dette facoltà non consente l'operatività del principio della prevenzione, mentre, nel caso in cui invece tali facoltà siano previste, si versa in ipotesi del tutto analoga a quella disciplinata dagli art. 873 e ss. c.c., con la conseguenza che è consentito al preveniente costruire sul confine, ponendo il vicino, che intenda a sua volta edificare, nell'alternativa di chiedere la comunione del muro e di costruire in aderenza (eventualmente esercitando le opzioni previste dagli art. 875 e 877, comma 2, c.c.), ovvero di arretrare la sua costruzione sino a rispettare la maggiore intera distanza imposta dallo strumento urbanistico.
La giurisprudenza (cfr. Cons. St., IV, 02.11.2010 n. 7731), da tempo ha chiarito che l'art. 9 del d.m. 20.04.1968 n. 1444, il quale detta le citate disposizioni in tema di distanze tra le costruzioni, stante la sua natura di norma primaria, sostituisce eventuali disposizioni contrarie contenute nelle norme tecniche di attuazione di un piano regolatore e la prescritta distanza di 10 metri tra pareti finestrate di edifici antistanti va rispettata in tutti i casi, trattandosi di norma volta ad impedire la formazione di intercapedini nocive sotto il profilo igienico-sanitario e della sicurezza, per cui esso disposto non è eludibile in funzione della natura giuridica dell'intercapedine stessa.
Segue da ciò -a prescindere dalla rilevanza o incidenza connesse alle ventilate disposizioni del regolamento edilizio comunale e poiché la norma di cui all'art. 9, d.m. n. 1444 del 1968 è finalizzata a stabilire un'idonea intercapedine tra edifici nell'interesse pubblico, non a salvaguardare l'interesse privato del frontista alla riservatezza- che al giudice non è lasciato alcun margine di discrezionalità nell'applicazione della disciplina in materia di distanze e comunque non possano dispiegare alcun effetto distintivo la circostanza che si tratti di corpi di uno stesso edificio ovvero di edifici distinti oppure assumere ruolo interpretazioni intorno alle caratteristiche dello spazio interno, quantunque chiostrina o cortile o pozzo luce, specie in zona sismica nella quale occorre in ogni caso garantire l’intervallo di sicurezza.
Va richiamata consolidata giurisprudenza civile in ordine alla sopravvenienza di norme urbanistiche e relativamente all’applicabilità di un regime edificatorio in deroga convenzionale, secondo la quale:
- in tema di distanze legali nelle costruzioni, le prescrizioni contenute nei piani regolatori e nei regolamenti edilizi comunali, essendo dettate, contrariamente a quelle del codice civile, a tutela dell'interesse generale a un prefigurato modello urbanistico, non tollerano deroghe convenzionali da parte dei privati e tali deroghe, se concordate, sono invalide, né tale invalidità può venire meno per l'avvenuto rilascio di concessione edilizia, poiché il singolo atto non può consentire la violazione dei principi generali dettati, una volta per tutte, con gli indicati strumenti urbanistici (Cassazione civile , sez. II, 23.04.2010, n. 9751);
- qualora gli strumenti urbanistici stabiliscano determinate distanze dal confine e nulla aggiungano sulla possibilità di costruire “in aderenza” od “in appoggio”, la preclusione di dette facoltà non consente l'operatività del principio della prevenzione, mentre, nel caso in cui invece tali facoltà siano previste, si versa in ipotesi del tutto analoga a quella disciplinata dagli art. 873 e ss. c.c., con la conseguenza che è consentito al preveniente costruire sul confine, ponendo il vicino, che intenda a sua volta edificare, nell'alternativa di chiedere la comunione del muro e di costruire in aderenza (eventualmente esercitando le opzioni previste dagli art. 875 e 877, comma 2, c.c.), ovvero di arretrare la sua costruzione sino a rispettare la maggiore intera distanza imposta dallo strumento urbanistico (Cassazione civile , sez. II, 09.04.2010, n. 8465)
(Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 09.05.2011 n. 2749 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ENTI LOCALI: La mancata dimora effettiva e stabile costituisce adeguato presupposto per la dichiarazione di decadenza dall'assegnazione dell'alloggio popolare.
La mancata dimora effettiva e stabile costituisce adeguato presupposto per la dichiarazione di decadenza dall'assegnazione dell'alloggio popolare. Tale decadenza non ha carattere sanzionatorio, ma è un provvedimento di autotutela adottato a garanzia del perseguimento del pubblico interesse all'effettiva destinazione di un certo patrimonio pubblico immobiliare alla soddisfazione del bisogno abitativo sociale.
Ai fini della revoca è sufficiente la mancata occupazione dell'immobile da parte dell'assegnatario, intendendosi per occupazione non la semplice tenuta a disposizione, ma la dimora effettiva e abituale.
Pertanto, nel caso di specie, è infondato il ricorso promosso al fine di ottenere l'annullamento del provvedimento con cui si è ordinato al ricorrente di rilasciare l'alloggio E.R.P. precedentemente assegnatogli, laddove risulti accertato che il medesimo non dimori più stabilmente nell'alloggio in parola, in quanto è irrilevante che l'alloggio sia usato per brevi periodi durante l'anno, è inconferente che l'allontanamento sia avvenuto per ragioni più che motivate e valide ed è altresì inconferente la volontà del ricorrente di ritornarvi, una volta cessati i motivi dell'allontanamento (TAR Molise, sentenza 09.05.2011 n. 233 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Esclusione dalle gare pubbliche: chi ha interesse a riottenere la riedizione.
Se da un lato è sufficiente l'interesse strumentale del partecipante ad una gara pubblica di appalto per ottenere la riedizione della gara stessa, dall'altro lato deve ritenersi che un tale interesse non sussista in capo al soggetto legittimamente escluso dato che questi, per effetto della esclusione, rimane privo non soltanto del titolo legittimante a partecipare alla gara, ma anche a contestarne gli esiti e la legittimità delle distinte scansioni procedimentali.
Questa Sezione del Consiglio di Stato ha rilevato che se è sufficiente l’interesse strumentale del partecipante ad una gara pubblica di appalto ad ottenere la riedizione della gara stessa, “... deve in ogni caso ritenersi che un tale interesse non sussista in capo al soggetto legittimamente escluso dato che tale soggetto, per effetto di tale esclusione, rimane privo non soltanto del titolo legittimante a partecipare alla gara, ma anche a contestarne gli esiti e la legittimità delle distinte scansioni procedimentali “ (Cons. Stato, V, 22.06.2010 n. 3889).
E’ stato altresì rilevato che: “se fosse accettabile l’assunto che l’interesse strumentale, cioè la prospettiva del vantaggio consistente nella semplice possibilità di partecipare alla riedizione della gara, basti a legittimare il candidato estromesso ad impugnare gli atti di gara, occorrerebbe con coerenza dichiarare qualunque operatore economico legittimato ad impugnare ogni gara consona al proprio ambito merceologico, a prescindere da qualsivoglia candidatura, in presenza di vizi atti a travolgere radicalmente il procedimento ed prepararne il rinnovo” (Cons. Stato IV, 26.11.2009 n. 7441).
Sotto altro profilo va rilevato che nel caso in cui l’impresa partecipi alla gara l’interesse da riconoscere è quello alla vittoria nella specifica gara a cui ha partecipato e non anche quello al rinnovo della gara previo un nuovo bando, altrimenti si perviene in concreto a rimettere in corsa un concorrente di cui è stato accertato il difetto dei requisiti di partecipazione
(Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 06.05.2011 n. 2716 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIInformativa prefettizia atipica, la revoca dell'aggiudicazione richiede un'adeguata istruttoria.
Pur condividendosi l’affermazione di principio, secondo la quale ai fini della revoca della aggiudicazione di un appalto a seguito della acquisizione di una informativa antimafia atipica è sufficiente l’esistenza di elementi sintomatici del pericolo di collegamento tra l'impresa e le organizzazioni criminali, non può non sottolinearsi la necessità di una adeguata istruttoria, dalla quale emergano elementi indiziari che, complessivamente considerati, rendano attendibile l'ipotesi del tentativo di ingerenza da parte di tali organizzazioni.
Un diverso modus procedendi comporta, infatti, il rischio della estromissione dal circuito degli appalti pubblici di imprese non collegate con il contesto mafioso, con conseguente alterazione dei meccanismi della concorrenza (massima tratta da www.dirittodegliappaltipubblici.it - TAR Sicilia-Palermo, Sez. I, sentenza 06.05.2011 n. 883 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: In presenza di una informativa antimafia atipica l'amministrazione che decida di recedere dai contratti o escludere una concorrente dall'ambito delle procedure in corso, deve fornire un'adeguata motivazione.
In presenza di una informativa antimafia atipica, l'amministrazione che decida di recedere dai contratti o escludere una concorrente dall'ambito delle procedure in corso deve fornire un'adeguata motivazione, non potendo essa fare mero riferimento all'esistenza della predetta informativa.
Pertanto, nel caso di specie, deve essere annullato il provvedimento del Comune essendosi limitato a richiamare la nota prefettizia per giustificare la propria decisione di non invitare la ricorrente alla presentazione di offerte nell'ambito delle procedure ristrette bandite (TAR Sicilia-Palermo, Sez. I, sentenza 06.05.2011 n. 862 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATA: Il vicino, autore di un esposto o di una denuncia, non assume la veste di controinteressato nel giudizio contro l'annullamento di un determinato provvedimento amministrativo, anche se all'esposto ed al suo autore la p.a. faccia espresso riferimento nel provvedimento impugnato, poiché il disposto annullamento, effettuato nell'esercizio del potere di autotutela, costituisce un provvedimento d'ufficio, emesso per il raggiungimento di finalità di pubblico interesse.
L'annullamento del provvedimento illegittimo non può essere disposto per la sola esigenza di ristabilire la legalità dell'azione amministrativa, posto che tale interesse, pur rilevante, deve essere comparato con altri interessi posti a tutela della stabilità delle relazioni giuridiche, anche se basate su provvedimenti illegittimi. L'annullamento d'ufficio è, dunque, un provvedimento discrezionale, che può essere disposto quando sussistano ragioni di pubblico interesse all'eliminazione del provvedimento.

Il Collegio, conformemente al costante orientamento giurisprudenziale, sottolinea che il vicino, autore di un esposto o di una denuncia, non assume la veste di controinteressato nel giudizio contro l'annullamento di un determinato provvedimento amministrativo, anche se all'esposto ed al suo autore la p.a. faccia espresso riferimento nel provvedimento impugnato, poiché il disposto annullamento, effettuato nell'esercizio del potere di autotutela, costituisce un provvedimento d'ufficio, emesso per il raggiungimento di finalità di pubblico interesse (cfr., ex multis, TAR Lazio-Latina, 16.03.2010, n. 293; TAR Puglia-Bari, sez. I, 21.02.2006, n. 558).
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L’art. 21-nonies della l. n. 241 del 1990 subordina l’esercizio del potere di annullamento d’ufficio a specifici presupposti.
Primo fondamentale presupposto è costituito dalla sussistenza di ragioni di interesse pubblico le quali, tuttavia, devono essere diverse ed ulteriori rispetto al mero ripristino della legalità.
Ciò in quanto non sono da escludere ipotesi nelle quali l’atto illegittimo sia funzionale al perseguimento dell’interesse pubblico ovvero la permanenza dell’atto e della sua efficacia si giustifichi in rapporto alla tutela degli affidamenti.
L’interesse pubblico inoltre, deve essere apprezzato nella sua configurazione attuale; ciò implica la necessità di procedere ad una nuova istruttoria nella quale esaminare e comparare tanto l’interesse primario quanto gli altri interessi coinvolti, pure considerati nell’attuale loro consistenza, come anche gli eventuali ulteriori interessi non considerati in primo grado.
Nella valutazione circa la sussistenza delle ragioni di interesse pubblico l’amministrazione è, altresì, tenuta a rispettare i principi che governano l’esercizio dell’attività amministrativa tra i quali, in particolare, il principio di proporzionalità, che impone canoni di stretta necessità, in rapporto alle situazioni giuridiche soggettive ascrivibili in capo ai privati.
Nella fattispecie oggetto di giudizio emerge, da un attento esame del provvedimento di annullamento d’ufficio gravato, la radicale assenza di motivazione in ordine all’interesse pubblico concreto, attuale e prevalente alla base della sua adozione.
Emblematiche, sul punto, risultano le locuzioni utilizzate dall’amministrazione; nel suddetto provvedimento si afferma, infatti, che l’annullamento d’ufficio è stato disposto a motivo della ritenuta “attualità del contrasto dell’atto amministrativo rilasciato con la normativa richiamata e quindi l’esigenza del ripristino della legalità per le richiamate superiori esigenze pubbliche”.
Il provvedimento di annullamento in autotutela pone, dunque, a proprio fondamento esclusivamente l’esigenza di ripristino della legalità violata.
Tale motivazione, tuttavia, per le ragioni sopra esposte, non può ritenersi adeguata; come evidenziato dalla consolidata giurisprudenza, l'annullamento del provvedimento illegittimo non può essere disposto per la sola esigenza di ristabilire la legalità dell'azione amministrativa, posto che tale interesse, pur rilevante, deve essere comparato con altri interessi posti a tutela della stabilità delle relazioni giuridiche, anche se basate su provvedimenti illegittimi. L'annullamento d'ufficio è, dunque, un provvedimento discrezionale, che può essere disposto quando sussistano ragioni di pubblico interesse all'eliminazione del provvedimento (cfr., ex multis, Cons. St., sez. VI, 30.07.2009, n. 4812).
Tali ragioni di interesse pubblico non sono affatto indicate, né argomentate né articolate nel provvedimento gravato che si limita apoditticamente ad affermare la prevalenza dell’interesse pubblico “al rispetto delle condizioni di igiene e salubrità dei cittadini ed in particolare dei futuri abitanti dell’edificio da ritenersi interesse pubblico superiore non sopprimibile”.
E’ di tutta evidenza che, nella fattispecie, è mancata una ponderazione attenta e doverosa dei vari interessi coinvolti e lo stesso interesse pubblico non è stato assolutamente individuato nella sua concretezza e attualità.
Non ignora il Collegio l’esistenza di talune fattispecie in relazione alle quali l’interesse pubblico all’annullamento viene considerato in re ipsa. Ciò ricorrente, ad esempio, nell’ipotesi di ottemperanza ad una decisione del giudice ordinario passata in giudicato nel caso in cui abbia proceduto alla disapplicazione dell’atto ritenendolo illegittimo; di decisione negativa dell’autorità di controllo alla quale non compete direttamente il potere di annullamento; di annullamento di un atto consequenziale come necessaria conseguenza dell’annullamento dell’atto presupposto.
La fattispecie oggetto di giudizio non rientra in alcuno dei suddetti casi.
La difesa dell’amministrazione resistente non manca, invero, di sostenere, appellandosi ad un consolidato indirizzo interpretativo, che nella fattispecie de qua assume primario rilevo la natura dell’interesse pubblico che entra in considerazione –tutela della salute– con la conseguenza che l’onere di motivazione può ritenersi adempiuto anche in forma sintetica, non avendo gli interessi configgenti la stessa dignità.
Al fine di corroborare tale assunto parte resistente sottolinea la natura di industria insalubre dell’allevamento condotto dall’Azienda Iseo e la possibilità, sulla base di tale presupposto, di ricorrere ad una presunzione assoluta di nocività e pericolosità.
In tale quadro la difesa dell’amministrazione evidenzia, ancora, la particolare valenza delle norme del regolamento di igiene, delle quali la giurisprudenza ammette finanche l’applicazione retroattiva.
Le deduzioni della difesa dell’amministrazione, condivisibili ed apprezzabili in linea generale e di principio, non possono essere, tuttavia, considerate pertinenti nella fattispecie oggetto di giudizio.
Il Collegio osserva, in primo luogo, che il pregiudizio per la salute non risulta, nella fattispecie che ne occupa, evidente come, invece, la difesa dell’amministrazione pretende di sostenere.
Ciò, in specie, considerando le circostanze di fatto; la distanza dell’allevamento del complesso immobiliare edificato non può essere ritenuta irrisoria, soprattutto ove si consideri che la distanza prescritta risulta rispettata in relazione ai locali di stabulazione ed il contrasto con la disposizione contenuta nel regolamento di igiene emerge solo in relazione ai locali accessori (sala mungitura e deposito latte).
Già tale dato induce a ritenere insufficiente il mero riferimento alla disposizione violata ed alla sua natura per sostenere che l’interesse pubblico sia implicitamente sussistente.
Il Collegio deve anche evidenziare che lo stesso art. 96 del Regolamento di Igiene fa salva la facoltà del Sindaco di fissare caso per caso le condizioni ritenute opportune per la salvaguardia della pubblica igiene, con ciò, dunque, ammettendo, la possibilità di valutazioni specifiche in relazione alle peculiarità della fattispecie di volta in volta considerata.
Deve essere altresì sottolineato che solo in esito ad una laboriosa attività interpretativa la disposizione suddetta si presta ad essere interpretata nel senso di affermare la reciprocità mentre, ad un primo esame, la ratio ad essa sottesa sembra essere quella di impedire l’insediamento di nuovi allevamenti con conseguente creazione del pericolo e non anche quella di escludere l’accettazione di disagi connessi all’edificazione di edifici residenziali in prossimità degli allevamenti stessi.
Tali considerazioni, unitamente agli ulteriori specifici elementi desumibili dalla documentazione versata in atti, inducono a ritenere che, nella fattispecie, emerge, al più, una situazione di disagio e non già di vero e proprio pericolo per la salute, con la conseguenza che, per quanto in questa sede rileva, l’amministrazione comunale non era esonerata dall’obbligo di adeguatamente e doverosamente rappresentare, con concretezza ed esaustività, le ragioni di interesse pubblico alla base del provvedimento di annullamento d’ufficio. Come pure non era esonerata dall’obbligo di procedere alla comparazione tra l’interesse pubblico e quello privato, nel rispetto, peraltro, del principio di proporzionalità
(TAR Veneto, Sez. II, sentenza 06.05.2011 n. 682 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Giudizio amministrativo, spese senza soccombenza.
Vi è una palese tendenza del legislatore a rendere sempre più stringente la deroga alla regola secondo cui le spese seguono la soccombenza.
La giurisprudenza ha ripetutamente chiarito che il TAR ha amplissimi poteri discrezionali in ordine al riconoscimento, sul piano equitativo, dei giusti motivi per far luogo alla compensazione delle spese giudiziali ovvero per escluderla, con il solo limite, in pratica, che non può condannare, totalmente o parzialmente alle spese la parte risultata vittoriosa in giudizio o disporre statuizioni abnormi.
Nel caso di specie (Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 05.05.2011 n. 2695) i giudici di Palazzo Spada hanno esaminato il capo degli appelli volto a censurare la compensazione delle spese resa nel giudizio di primo grado, e che la Sezione ha ritenuto non meritevole di accoglimento, intendendo conformarsi al pacifico orientamento del Consiglio (cfr., da ultimo, Sezione VI, n. 892, 14.12.2010, depositata il 09.02.2011).
L’articolo 26 del codice del processo amministrativo stabilisce, al comma 1, la regola secondo cui, “quando emette una decisione, il giudice provvede anche sulle spese del giudizio, secondo gli articoli 91, 92, 93, 94, 96 e 97 del codice di procedura civile”, quindi confermando il principio secondo cui la pronuncia sulle spese del giudizio è soggetta alla stessa disciplina prevista per il processo civile e, in linea generale, in base all’art. 91 dello stesso codice, le spese seguono la soccombenza.
Tuttavia, in forza dell’articolo 92, comma secondo, del codice, nel testo originario “Se vi è soccombenza reciproca o concorrono altri giusti motivi, il giudice può compensare, parzialmente o per intero, le spese tra le parti”.
Successivamente, la legge 28.12.2005 n. 263 ha modificato la disposizione prevedendo che “Se vi è soccombenza reciproca o concorrono altri giusti motivi, esplicitamente indicati nella motivazione, il giudice può compensare, parzialmente o per intero, le spese tra le parti”.
Infine, il testo attualmente vigente, derivante dalle ulteriori modifiche disposte dalla legge n. 69/2009, stabilisce che “Se vi è soccombenza reciproca o concorrono altre gravi ed eccezionali ragioni, esplicitamente indicati nella motivazione, il giudice può compensare, parzialmente o per intero, le spese tra le parti”.
Vi è quindi una palese tendenza del legislatore a rendere sempre più stringente la deroga alla regola secondo cui le spese seguono la soccombenza.
In tale quadro di riferimento, la giurisprudenza ha ripetutamente chiarito che il TAR ha amplissimi poteri discrezionali in ordine al riconoscimento, sul piano equitativo, dei giusti motivi per far luogo alla compensazione delle spese giudiziali ovvero per escluderla, con il solo limite, in pratica, che non può condannare, totalmente o parzialmente alle spese la parte risultata vittoriosa in giudizio o disporre statuizioni abnormi (cfr., fra le altre, citato Cons. Stato, VI, n. 892/2011), e la valutazione di merito sulla compensazione delle spese non è sindacabile neppure per difetto di motivazione.
Quanto detto vale sia in riferimento alle sentenze di merito che a quelle meramente processuali nelle quali, infatti, pur sussiste una soccombenza virtuale nei confronti del soggetto che ha agito con un atto poi dichiarato inammissibile o improcedibile (Cons. Stato, Sez. VI, 24.11.2010 n. 8224) (commento tratto da www.ipsoa.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Responsabilità della P.A. - P.A. acquirente, al G.O. il risarcimento precontrattuale.
Rientra nella giurisdizione dell'A.G.O. la controversia avente a oggetto la richiesta di risarcimento del danno da responsabilità precontrattuale della P.A., conseguente all'annullamento in autotutela di una procedura di gara esperita per l'acquisto di un immobile.

Viene celebrata una gara per l’acquisto di un immobile da parte della P.A.; dopo l’aggiudicazione, quest’ultima annulla tutti gli atti di sua indizione. Il soggetto dichiarato provvisoriamente aggiudicatario, trascorsi circa due anni, adisce per ottenere il danno da culpa in contrahendo il TAR di Catanzaro il quale, con la segnalata sentenza, declina la propria giurisdizione.
Ha infatti rilevato il Collegio calabrese, delineando il principio su in massima, che in tal caso, trattandosi di un procedimento a evidenza pubblica per la scelta del contraente con il quale la P.A. deve concludere un contratto di compravendita immobiliare, non si verte in materia di procedure di affidamento di appalti di lavori, forniture e servizi pubblici che consente al G.A. di conoscere le domande risarcitorie fondate sulla responsabilità precontrattuale.
Ha inoltre rilevato come, in siffatta evenienza, il danno sofferto non deriva direttamente dal ritardo nell’emanazione del provvedimento amministrativo richiesto –l’aggiudicazione definitiva-, ma dal ritardo nella stipulazione del contratto, quindi da una condotta della P.A., in ipotesi scorretta, che, protraendo in maniera irragionevole le trattative per giungere alla conclusione del contratto a distanza di quasi due anni dall’aggiudicazione provvisoria, sarebbe incorsa nella violazione del dovere, sancito dall’art. 1337 c.c., di comportarsi secondo buona fede nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto.
La conseguenza di tanto, per l’adito G.A. è che la giurisdizione sulle domande di risarcimento del danno per responsabilità precontrattuale appartiene all’Autorità giudiziaria ordinaria, essendo stato chiesto il risarcimento per l’asserita lesione della libertà negoziale e, dunque, di una posizione soggettiva diversa dall’interesse legittimo (massima tratta da www.ipsoa.it - TAR Calabria-Catanzaro, Sez. II, sentenza 03.05.2011 n. 601 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTILa commissione di gara può correggere i propri errori di percezione e redigere un nuovo verbale che ha efficacia di piena prova.
Qualora la commissione di gara constati di aver redatto il verbale sulla base di erronei accertamenti o comunque di errori di fatto, in coerenza col principio di legalità essa stessa può constatare l’accaduto e redigere un verbale (che a sua volta fa fede fino a querela di falso), il quale spieghi le circostanze emerse e adotti le relative determinazioni.
In altri termini, la commissione ben può prevenire la proposizione di contestazioni e di ricorsi, constatando i propri precedenti errori di percezione e redigendo l’ulteriore verbale con cui sia ripristinata la legalità (massima tratta da www.dirittodegliappaltipubblici.it - Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 02.05.2011 n. 2579 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVISulle conseguenze della mancata allegazione della copia del documento di identità alla dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà.
"La mancata allegazione, alla dichiarazione sostitutiva od all'istanza, della copia del documento di identità del sottoscrittore rende l'atto non in grado di spiegare gli effetti certificativi previsti dalla corrispondente fattispecie normativa, in quanto nullo per difetto di una forma essenziale stabilita dalla legge” (Cons. Stato, V, 12.06.2009, n. 3690), essendo stato chiarito che “l'allegazione al testo della dichiarazione sostitutiva di volta in volta rilasciata di un valido documento di identità, lungi dal costituire un vuoto formalismo, costituisce piuttosto un fondamentale onere del sottoscrittore, configurandosi come l'elemento della fattispecie normativa teleologicamente diretto a comprovare (per di più, con la surricordata valenza di monito), non tanto (melius, non soltanto) le generalità del dichiarante, ma ancor prima l'imprescindibile nesso di imputabilità soggettiva della dichiarazione ad una determinata persona fisica” (Cons. Stato, V, 04.11.2004, n. 7140; cfr. anche: VI, 04.06.2009 n. 3442; 13.07.2009, n. 4420);
Da ciò consegue che l’omessa allegazione del documento di identità non integra una mera irregolarità della dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà come tale suscettibile di correzione per errore materiale, dovendo invece opinarsi “che la dichiarazione formalmente difforme dal modello tipico delineato dagli artt. 38 e 47 d.p.r. n. 445/2000 non possa mai tener luogo dell'atto alternativo pubblicistico poiché, in tal caso, la mancata instaurazione di un nesso biunivocamente rilevante tra dichiarazione e responsabilità personale del sottoscrittore, comporta la radicale improduttività di qualunque effetto giuridico di "certezza" (Sez. V, n. 7140 del 2004, cit.);
Il requisito, infine, dell'"unità" della fotocopia del documento di identità e della dichiarazione sostituiva, prescritto dal comma 3 dell’art. 38 del d.P.R. n. 445 del 2000, “deve ritenersi soddisfatto ogniqualvolta possa stabilirsi un nitido collegamento tra il documento e la singola dichiarazione” (idem) (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 02.05.2011 n. 2579 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ESPROPRIAZIONE: Occupazione illegittima di aree private - Somme dovute e titolo di risarcimento del danno - Corresponsione di interessi anatocistici - Esclusione.
Il valore del ristoro spettante per l’ipotesi di occupazione illegittima di aree private deve essere integrale e, pertanto, sulla somma spettante a titolo di risarcimento danni, costituente la sorte capitale di un debito di valore, vanno corrisposti la rivalutazione monetaria, secondo gli indici ISTAT dei prezzi al consumo, e gli interessi legali (di natura compensativa) sulle somme anno per anno rivalutate fino alla data di deposito della sentenza con cui viene riconosciuto il diritto, e soltanto gli interessi legali da tale data fino a quella di effettivo soddisfo, con esclusione degli interessi anatocistici in quanto non espressamente previsti dalle legge (fattispecie in tema di richiesta di risarcimento dei danni prodotti dalla trasformazione di fondi e dall’illegittima perdita della proprietà, a seguito di occupazione in via temporanea ed urgente di terreni per la durata di cinque anni, allo scadere dei quali non veniva adottato il decreto di esproprio) (C.G.A.R.S., sentenza 02.05.2011 n. 352 - link a www.ambientediritto.it).

ESPROPRIAZIONE: Espropriazione per pubblica utilità - Occupazione senza titolo - Danni conseguenti - Risarcibilità.
L’utilizzazione senza titolo di un bene di proprietà privata comporta, normalmente, due distinti danni, i quali vanno entrambi risarciti, avuto riguardo, altresì, ai principi espressi dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU), relativi alla necessaria integrità del ristoro del pregiudizio derivante da attività illecita dell’amministrazione.
Il primo attiene alla perdita (definitiva) della proprietà, che avviene nel momento in cui è adottato il provvedimento di cui all’articolo 43 del D.P.R. 08.06.2001, n. 327 (norma dichiarata costituzionalmente illegittima con sentenza C. Cost. 293/2010) o quando il privato “rinuncia” alla proprietà.
Il secondo danno riguarda la mancata utilizzazione del bene (o del suo corrispondente valore monetario) per il periodo compreso tra l’inizio della occupazione senza titolo e la perdita della proprietà (CGA per la regione Siciliana, 18.02.2009, n. 49) (C.G.A.R.S., sentenza 02.05.2011 n. 351 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTI: Negli appalti comunali l'impresa inadempiente deve risarcire anche il "danno sociale" arrecato alla comunità rappresentata dal Comune.
Segnaliamo l'innovativa sentenza 02.05.2011 n. 195 del TRIBUNALE civile di Belluno, che applica il principio enunciato nel titolo, in conseguenza del ritardo nel completamento di un'opera pubblica da parte della ditta appaltatrice.
Scrive il Tribunale: "Inoltre, la condotta dell'attrice ha comportato un pregiudizio alla comunità di cui il Comune di Feltre è espressione e rappresentante, per cui va riconosciuto anche il ristoro del "danno sociale" arrecato alla stessa per il ritardo nel completamento del Centro Alzhaimer, a causa del mancato adempimento dell'appaltatrice agli impegni contrattuali, che hanno prodotto una lesione dei diritti della comunità, che vantano una specifica posizione giuridica soggettiva di tutela oggi riconosciuta dalla Costituzione (cfr. artt. 117 e 120 Cost.), la cui offesa è meritevole d'esser risarcita a norma degli artt. 2056 e 1226 c.c..
Negli appalti comunali, infatti, ogni anomalia gestionale si ripercuote inevitabilmente sugli utenti dell’opera, oltre ad incidere sulla Comunità intera in ragione del conseguente esborso di pubblico denaro, sottratto ad altri servizi essenziali. L’impresa responsabile è quindi tenuta a rispondere dei danni causati alla Comunità e, per essa, all’Ente esponenziale, vale a dire al Comune di Feltre.
Ne discende il diritto del Comune, quale ente "che rappresenta la comunità, ne cura gli interessi e ne promuove lo sviluppo" (art. 3, 2° comma, D.lgs. n. 267/2000), di ottenere il risarcimento del pregiudizio di cui la collettività è stata ingiustamente onerata (cfr. TAR Calabria Catanzaro, sez. II, 06.10.2005, n. 1631, in Foro amm. TAR 2005, 10, 3296: con riguardo al danno subito dalla comunità a causa di un appalto relativo ad una casa di riposo gestita dall'A.S.L: competente, è stato riconosciuto che "il Comune, quale ente esponenziale degli interessi collettivi riferibili alla collettività dei residenti sul suo territorio, è legittimato all'impugnazione dei provvedimenti amministrativi aventi effetti pregiudizievoli nonché alle azioni dirette alla tutela degli interessi dei cittadini; pertanto, va affermata la legittimazione del Comune ad agire per il risarcimento dei danni arrecati alla comunità dei residenti a causa del ritardo nella ultimazione dei lavori di costruzione di una residenza per anziani oggetto di un contratto di appalto, danni che vengono analiticamente indicati nel ricorso").
Tenuto conto di tutte le circostanze sopra richiamate, il risarcimento del danno sociale può essere liquidato in via equitativa nella somma capitale di euro 40.000,00 in valori attuali
" (commento tratto e link a http://venetoius.myblog.it).

APPALTI: Sulla legittimità della revoca dell'aggiudicazione dell'appalto, per ragione di pubblico interesse, nei confronti di un'impresa il cui legale rappresentante abbia riportato una condanna per il reato di aggiotaggio.
E' legittimo il provvedimento con il quale il Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco ha revocato l'aggiudicazione dell'appalto triennale del servizio di pulizia delle varie sedi dello stesso comando, per ragione di pubblico interesse nei confronti di un'impresa il cui legale rappresentante abbia riportato una condanna per il reato di aggiotaggio.
Il suddetto reato, infatti, benché non rientrante fra quelli nominativamente menzionati dall'art. 38, lett. c), del d.lvo n. 163 del 2006, stante la latitudine della clausola contenuta nella prima parte della norma di cui al summenzionato art. 38, lett. c), è un reato commesso in danno dello Stato (per la precisione, contro l'economia nazionale) e certamente qualificabile come grave.
Quanto alla incidenza del reato in questione sulla moralità professionale della ditta, deve essere valutata di volta in volta, salvo il caso che non si tratti di violazioni di norme sulla sicurezza nei luoghi di lavoro o di fattispecie in cui il reato riguarda proprio l'oggetto dell'appalto. Ma nel procedere all'esegesi ed all'applicazione della norma non si può in radice negare la incidenza sulla moralità professionale della ditta per il solo fatto che il reato è stato commesso dal legale rappresentante dell'impresa nella sua veste di privato cittadino.
Non si può infatti costringere la Pubblica Amministrazione a contrattare con imprese i cui legali rappresentanti (ossia i soggetti che di fatto personificano le ditte nei rapporti con la P.A.) abbiano in qualche modo macchiato la propria reputazione morale, avendo commesso reati che riguardano, anche in senso lato, settori rilevanti della vita associata (TAR Marche, sentenza 30.04.2011 n. 276 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: Rifiuti. Materiali provenienti da demolizioni.
I materiali provenienti da demolizioni rientrano nel novero dei rifiuti in quanto oggettivamente destinati all’abbandono, l’eventuale recupero è condizionato a precisi adempimenti, in mancanza dei quali detti materiali vanno considerati, comunque, cose di cui il detentore ha l’obbligo di disfarsi; l’eventuale assoggettamento di detti materiali a disposizioni più favorevoli che derogano alla disciplina ordinaria implica la dimostrazione, da parte di chi lo invoca, della sussistenza di tutti i presupposti previsti dalla legge (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 29.04.2011 n. 16727 - link a www.lexambiente.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Rifiuti. Fresato di asfalto.
Il fresato d’asfalto proveniente dal disfacimento del manto stradale rientra nella definizione del materiale proveniente da demolizioni e costruzioni, incluso nel novero del rifiuti speciali non pericolosi (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 29.04.2011 n. 16705 - link a www.lexambiente.it).

APPALTI: Il Tar Campania sull'avvalimento. Appalti, la qualità non è un ostacolo.
La certificazione di qualità aziendale può essere oggetto di avvalimento negli appalti pubblici.

E' quanto afferma il TAR Campania-Salerno, Sez. I, con la sentenza 29.04.2011 n. 813 che ha esaminato l'applicabilità dell'istituto, chiarendo in primis che la disciplina dei Codice «non pone alcuna limitazione all'avvalimento se non per i requisiti strettamente personali di carattere generale».
Da ciò quindi la portata generale dell'avvalimento, introdotto nell'ordinamento comunitario e nazionale al fine di rimuovere ogni ostacolo al libero esercizio dell'imprenditorialità e garantire la massima partecipazione alle procedure di gara e la par conditio dei concorrenti.
Per quel che attiene lo specifico profilo legato alla certificazione di qualità aziendale, la sentenza lo inquadra come «requisito speciale di carattere (pur sempre) tecnico-organizzativo», in quanto funzionale a garantire la stazione appaltante in fase esecutiva del contratto, rispetto alle modalità di gestione della struttura aziendale e alla sua efficacia sul processo operatore. Il Tar evidenzia come la certificazione di qualità è sempre intesa a garantire la (obiettiva) qualità dell'adempimento e non solo la (mera e soggettiva) idoneità professionale del concorrente pur sempre strumentale alla prima.
I giudici quindi non aderiscono alla tesi giurisprudenziale per cui (una volta chiarito che l'avvilimento è la regola e le sue limitazioni le eccezioni) che la detta certificazione debba necessariamente far capo (salvo il riscontro di abusi e la doverosa verifica di effettività) unicamente al concorrente con conseguente impossibilità di ausilio per avvalimento.
Dal punto di vista operativo il soggetto che finirebbe per prestare la certificazione non dovrà limitarsi al prestito del solo «documento» contenente la certificazione, ma sarà tenuto a mettere a disposizione del soggetto avvalente, «il complesso della propria organizzazione aziendale ovvero il complesso di beni organizzati dall'imprenditore per l'esercizio dell'impresa».
I giudici ammettono quindi che, in questo caso, l'impresa concorrente possa assumere le vesti di un mero centro di imputazione di rapporti giuridici e limitare la sua attività al coordinamento delle prestazioni dell'impresa ausiliaria. Rimane ferma però la responsabilità di carattere solidale tra l'impresa concorrente e l'impresa ausiliaria (articolo ItaliaOggi dell'11.05.2011 - tratto da www.corteconti.it).

EDILIZIA PRIVATA: Costruzioni in soprasuoli percorsi dal fuoco.
L’articolo 10 della Legge 353/2000, laddove consente la realizzazione di edifici, strutture ed infrastrutture finalizzate ad insediamenti civili ed attività produttive nei soprassuoli percorsi dal fuoco nei casi in cui la realizzazione sia stata prevista in data antecedente all’incendio dagli strumenti urbanistici vigenti a tale data, si riferisce alla specifica localizzazione dell’area riservata all’intervento da parte dello strumento urbanistico e non anche alla previsione di zona, con la conseguenza che non rileva, ai fini della speciale deroga, la generica compatibilità dell’intervento con la destinazione dell’area, essendo al contrario richiesto che l’area medesima sia già riservata dallo strumento urbanistico alla realizzazione delle predette opere (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 28.04.2011 n. 16592 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: Permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici.
Il permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici è istituto di carattere eccezionale giustificato dalla necessità di soddisfare esigenze straordinarie rispetto agli interessi primari garantiti dalla disciplina urbanistica generale e, in quanto tale, applicabile esclusivamente entro i limiti tassativamente previsti dall’articolo 14 D.P.R. 380/2001 e mediante la specifica procedura.
Tale sua particolare natura porta ad escludere che possa essere rilasciato “in sanatoria” dopo l’esecuzione delle opere (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 28.04.2011 n. 16591 - link a www.lexambiente.it).

APPALTI FORNITURE E SERVIZI: Contratti pubblici - Revisione prezzi nei contratti di appalto - Art. 44 Legge finanziaria 724/1994 - Contratti per l'esecuzione di lavori pubblici e contratti aventi ad oggetto la prestazione di servizi - Applicabilità per la Regione Sicilia - Esclusione.
L’istituto della revisione dei prezzi nei contratti di appalto, prima oggetto di divieto, è stato reintrodotto, a livello statale, dall’art. 44 della legge finanziaria 23.12.1994, n. 724. Deve però escludersi che questa disciplina legislativa statale abbia spiegato efficacia automaticamente abrogante nei confronti della previgente difforme disciplina legislativa regionale (legge regionale per la regione Sicilia, 12.01.1993, n. 10 artt. 56 e 70).
Depone in tal senso il comma 3 del citato articolo il quale prevede che, in riferimento alla materia di cui trattasi, "le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano provvedono in base alle loro competenze nei limiti stabiliti dai rispettivi statuti e dalle relative norme di attuazione". La norma richiamata non riguarda soltanto le ipotesi di competenza esclusiva delle Regioni a statuto speciale, ma fa invece salvo anche l’esercizio della potestà legislativa concorrente, ovviamente entro i limiti all’uopo tracciati dallo Statuto e dalle norme di attuazione.
In particolare, dal momento che la materia della revisione prezzi fruisce, nella Regione siciliana, di una disciplina unitaria, sia con riguardo agli appalti di lavori che a quelli di servizi, non è pensabile che la sopravvenuta disciplina statale, riferita indistintamente a tutti i contratti ad esecuzione continuata o periodica, esplichi effetto discriminante sul regime del corrispettivo contrattuale a seconda che questo si riferisca all’esecuzione di lavori pubblici (materia attribuita alla competenza legislativa primaria della Regione, ex art. 14, lett. g, dello Statuto), ovvero alla prestazione di servizi (C.G.A. n. 184 del 2002) (C.G.A.R.S., sentenza 28.04.2011 n. 332 - link a www.ambientediritto.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Acque. Reflui provenienti da attività domestiche.
L’indicatore della provenienza dei reflui da attività domestiche è concetto chiaramente riferito alla convivenza e coabitazioni di persone ma non può prescindere, specie quando riguarda grandi comunità (alberghi, ospedali etc.), da una considerazione anche delle effettive caratteristiche chimiche e fisiche delle acque reflue, che devono essere corrispondenti non tanto per quantità, quanto per qualità a quelli derivanti dai comuni nuclei abitativi (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 27.04.2011 n. 16446 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: ACQUA - Art. 133 r.d. 368/1904 - Distanze dal piede esterno e interno degli argini - Divieto di piantagione di alberi di edificazione e di movimento del terreno - Corsi d’acqua tombinati - Applicabilità del divieto - Fondamento.
Il divieto di piantagione di alberi, di edificazioni o fabbriche e di movimento del terreno del piede esterno e interno degli argini ad una certa distanza dal corso d’acqua (che per i manufatti è da 4 a 10 metri “secondo l’importanza del corso d’acqua” medesimo) vale non solo per i corsi d’acqua superficiali, ma anche per le altre opere di bonificazione (primo comma dell’art. 133 del r.d. 08.05.1904, n. 368), tra le quali va certamente compresa anche la tombinatura che non può dirsi come tale opera definitiva, essendo possibile riportare in qualunque momento il corso d’acqua allo stato precedente.
In definitiva, il rispetto delle distanze deve ritenersi inderogabile anche per i corsi d’acqua tombinati, al fine di consentire uno spazio di manovra nel caso di necessità di porre in essere attività di manutenzione delle condutture (Cons. Stato, Sez. IV, 23.07.2009, n. 4663) (TAR Veneto, Sez. II, sentenza 26.04.2011 n. 698 - link a www.ambientediritto.it).

URBANISTICA: AREE PROTETTE - SIC e ZPS - DPR 357/1997, art. 5, c. 3 - Intervento di lottizzazione - Inderogabile assoggettamento a previa valutazione di incidenza ambientale - Prescrizioni di cui all’All. G del DPR 357/1997.
L'intervento di lottizzazione ricadente nella perimetrazione di un SIC e, per di più, nell'ambito di una zona speciale di conservazione, era inderogabilmente soggetto, nelle more della definizione a livello comunitario delle procedure istitutive della rete Natura 2000, in forza dell’art. 5 comma 3^ del DPR 357/1997, come modificato dall’art. 6 del DPR 120/2003 (che non ammette esenzioni, se non nei limiti di cui ai commi 9 e 10), alla previa valutazione d'incidenza ambientale, i cui contenuti non solo non possono essere generici od approssimativi, ma devono al contrario risultare puntuali ed esaurienti, dal punto di vista tecnico-scientifico, rispetto alle analitiche prescrizioni dell'Allegato G del DPR 357/1997; e ciò con riferimento a tutti i possibili effetti sulla flora, sulla fauna e sugli habitat d'interesse comunitario presenti nel sito (TAR Veneto, Sez. II, sentenza 26.04.2011 n. 695 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Sanzioni in materia edilizia ed urbanistica: prescrizione quinquennale. Il termine decorre però dal momento in cui la violazione è stata rimossa o sanata.
Nell'ambito edilizio-urbanistico, la prescrizione del diritto a riscuotere le somme dovute per le violazioni amministrative punite con pena pecuniaria, stabilita nel termine di 5 anni dal giorno in cui è stata commessa la violazione ai sensi dell'art. 28 della L. 689/1981, decorre dal giorno in cui la violazione è stata rimossa.
Lo ha chiarito il TAR Veneto, Sez. II, con la sentenza 22.04.2011 n. 678.
La Corte ha in primo luogo ribadito come la prescrizione quinquennale, per costante giurisprudenza, si applica anche a tutte le violazioni punite con sanzioni amministrative pecuniarie, seppure non previste in sostituzione di una sanzione penale, e quindi anche agli illeciti amministrativi in materia urbanistica, edilizia e paesistica puniti con sanzione pecuniaria.
Nell'applicare tale regola, tuttavia, con riguardo all'individuazione del dies a quo della decorrenza della prescrizione, occorre tener conto della particolare natura degli illeciti in materia urbanistica, edilizia e paesistica, i quali, ove consistano nella realizzazione di opere senza le prescritte concessioni e autorizzazioni, hanno carattere di illeciti permanenti, di talché la commissione degli illeciti medesimi si protrae nel tempo, e viene meno solo con il cessare della situazione di illiceità, vale a dire con il conseguimento delle prescritte autorizzazioni.
Inoltre, per la decorrenza della prescrizione dell'illecito amministrativo permanente, trova applicazione il principio relativo al reato permanente, secondo cui il termine della prescrizione decorre dal giorno in cui è cessata la permanenza; pertanto, per gli illeciti amministrativi in materia paesistica, urbanistica ed edilizia la prescrizione quinquennale inizia a decorrere solo dalla cessazione della permanenza, con la conseguenza che, vertendosi in materia di illeciti permanenti, il potere amministrativo repressivo, come la determinazione di applicare la sanzione pecuniaria, può essere esercitato senza limiti di tempo e senza necessità di motivazione in ordine al ritardo nell'esercizio del potere (commento tratto da www.legislazionetecnica.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: AMIANTO - Diniego di sanatoria per la presenta di ondulati in cemento amianto - Illegittimità - Ragioni.
La circostanza che un manufatto sia composto da ondulati in cemento amianto non basta a giustificare il diniego di sanatoria, giacché l’attuale ordinamento vieta bensì di utilizzare ulteriormente tale materiale per nuove costruzioni, ma non ne impone senz’altro lo smaltimento controllato per le costruzioni civili esistenti (fatti salvi gli obblighi d’ incapsulamento, sovracopertura e rimozione in caso di rilascio di fibre d'amianto), che non sono dunque per ciò stesso incompatibili con il contesto in cui si trovano (TAR Veneto, Sez. II, sentenza 22.04.2011 n. 673 - link a www.ambientediritto.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: RIFIUTI - Albo nazionale dei gestori ambientali - Cancellazione per condanne riportate - Art. 17, c. 1, DM n. 406/1998 - Deroga per effetto della riabilitazione o della sospensione della pena - Estensione della deroga all’indulto - Esclusione.
L’art. 17, comma 1, lett. a), del DM 28.04.1998 n. 406 prevede la cancellazione dall’Albo Nazionale dei Gestori Ambientali nel caso del venir meno di uno dei requisiti di cui al precedente art. 10 (ovvero, nella specie, una condanna definitiva per reati in materia ambientale), fatti salvi, gli effetti della riabilitazione e della sospensione della pena.
La deroga in base alla quale viene meno l’effetto preclusivo all’accesso all’albo a causa di condanne riportate presuppone, in entrambi i casi contemplati -riabilitazione e sospensione della pena- una specifica pronuncia del giudice di minor disvalore del reato commesso, successiva nel caso della riabilitazione, preventiva e prognostica nel caso della sospensione della pena: ciò non accade viceversa per l’indulto, la cui applicazione avviene in via automatica senza alcuna valutazione discrezionale da parte del giudice; ne deriva che in tale ultima ipotesi deve ritenersi legittima la sanzione della cancellazione irrogata (TAR Veneto, Sez. I, sentenza 18.04.2011 n. 656 - link a www.ambientediritto.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: INQUINAMENTO ACUSTICO - Zonizzazione - Interessi tutelati - Attività economiche precedentemente insediate sul territorio - Rilevanza.
Il fine perspicuo della zonizzazione acustica del territorio consiste nella tutela della salute dei cittadini, in quanto gli interessi protetti dalla normativa in esame sono desumibili dall’articolo 2, comma 1, lettera a), della legge 26.10.1995, n. 447, che appresta la tutela del riposo e della salute, la conservazione degli ecosistemi, dei beni materiali, dei monumenti, dell’ambiente abitativo e dell’ambiente esterno; gli interessi menzionati nella normativa di riferimento non possono tuttavia non tener conto delle attività economiche precedentemente insediate sul territorio, le cui esigenze trovano tutela in virtù della loro risalente ubicazione e non sono dunque cedevoli rispetto agli insediamenti che si radichino sul territorio in una fase temporale successiva.
INQUINAMENTO ACUSTICO - Classificazione acustica - Pianificazione urbanistica - Rapporti.
La classificazione acustica del territorio non deve meccanicamente sovrapporsi alla pianificazione urbanistica; in tal senso dispone l’art. 6 della legge 26.10.1995, n. 447, che prevede il solo “coordinamento” con gli strumenti urbanistici (cfr., in merito, TAR Lombardia, Milano, sez. IV, 27.12.2007, n. 6819).
Il piano regolatore con le destinazioni d’uso esistenti e quelle previste deve costituire un termine di riferimento per la classificazione del territorio (cfr. l’articolo 4, comma 1, lettera a), della legge n. 447 del 1995, il D.P.C.M. 1.3.1991 e il D.P.C.M. 14.11.1997), con la necessaria precisazione che la stessa deve essere comunque ancorata all’assetto urbanistico, cioè all’esistente situazione in fatto che può divergere da quella di diritto.
INQUINAMENTO ACUSTICO - Classificazione acustica - Discrezionalità tecnica - Presupposti di fatto - Preuso del territorio.
Le scelte inerenti alla classificazione acustica non afferiscono al merito dell'attività pianificatoria/programmatoria del Comune, ma sono espressione di discrezionalità tecnica, ancorata all'accertamento di specifici presupposti di fatto, il primo dei quali è il preuso del territorio, proprio per non sacrificare oltremodo le consolidate aspettative di coloro che si sono legittimamente insediati in zone qualificate industriali e, quindi, funzionalmente deputate all'espletamento di attività produttive, che non debbono subire limitazioni, a causa della classificazione acustica, non adeguatamente giustificate (cfr. TAR Veneto, sez. III, 24.01.2007, n. 187) (TAR Veneto, Sez. I, sentenza 18.04.2011 n. 649 - link a www.ambientediritto.it).

PUBBLICO IMPIEGOSì alle progressioni fuori dal «patto».
Le progressioni verticali non possono essere considerate assunzioni di personale e, di conseguenza, possono essere effettuate anche dai Comuni che non hanno rispettato il patto di stabilità.

Questa l'inedita conclusione della sentenza 01.04.2011 n. 647 del TAR Sicilia-Palermo che sposa la tesi che le progressioni verticali costituiscono una mera modificazione del rapporto di lavoro.
I giudici chiariscono che non osta a questa conclusione il fatto che la giurisprudenza già dal 2003 considera le progressioni verticali come assunzioni ai fini del riparto della giurisdizione: i Tar possono occuparsi solo delle assunzioni e non delle modificazioni del rapporto di lavoro. Viene specificato che «una cosa è considerare le progressioni verticali o concorsi interni, equiparate ai concorsi pubblici (questi finalizzati a una nuova assunzione) ai fini del riparto di giurisdizione, altra cosa è la parificazione della progressione (che si genera nell'ambito di un rapporto già preesistente) a un nuovo reclutamento ai fini del rispetto delle norme finanziarie».
La sentenza supera il parere 09.11.2055 n. 3556/2005 della Commissione speciale pubblico impiego del Consiglio di Stato, Sez. III, per le quali le progressioni verticali sono nuove assunzioni. Viene poi evidenziato che le progressioni economiche possono non determinare oneri aggiuntivi e che le leggi finanziarie sono "inidonee" a incidere sulla natura giuridica dei rapporti di lavoro.
Infine la sentenza non considera che per gli enti che non hanno rispettato il patto di stabilità matura il divieto di effettuare nuove assunzioni «a qualsiasi titolo», quindi con una estensione assai ampia e che ha una natura sostanziale (articolo Il Sole 24 Ore del 09.05.2011).

EDILIZIA PRIVATA: Distanze legali, prova del danno influenzata dall'urbe locale.
La S.C. ritorna sulla discussa questione delle condizioni di risarcibilità del danno in caso di opere illegittime che violano i limiti legali di vicinato. Mentre in tema di violazioni di norme prescrittive di distanze legali la giurisprudenza della S.C. ritiene configurabile un danno “in re ipsa”, per le altre violazioni è necessario provare in concreto il danno subito.
E’ stato, infatti, statuito, in materia di violazione delle distanze tra costruzioni previste dal codice civile e dalle norme integrative dello stesso, quali i regolamenti edilizi comunali, al proprietario confinante che lamenti tale violazione compete sia la tutela in forma specifica, finalizzata al ripristino della situazione antecedente al verificarsi dell'illecito, sia quella risarcitoria, e, determinando la suddetta violazione un asservimento di fatto del fondo del vicino, il danno deve ritenersi "in re ipsa", senza necessità di una specifica attività probatoria.
In altri termini, ricorrendo tali violazioni, al proprietario confinante che deduca il superamento delle distanze legali spetta sia la tutela in forma specifica, finalizzata al ripristino della situazione antecedente al verificarsi dell'illecito, sia quella risarcitoria, ed il danno che egli subisce (danno conseguenza e non danno evento), essendo l'effetto, certo ed indiscutibile, dell'abusiva imposizione di una servitù nel proprio fondo e, quindi, della limitazione del relativo godimento, che si traduce in una diminuzione temporanea del valore della proprietà medesima, deve ritenersi "in re ipsa", senza necessità di una specifica attività probatoria.
Per contro, la realizzazione di opere in violazione di norme recepite dagli strumenti urbanistici locali, diverse da quelle in materia di distanze, non comportano immediato e contestuale danno per i vicini, il cui diritto al risarcimento presuppone l'accertamento di un nesso tra la violazione contestata e l'effettivo pregiudizio subito.
La prova di tale pregiudizio deve essere fornita dagli interessati in modo preciso, con riferimento alla sussistenza del danno ed all'entità dello stesso.
Con la segnalata sentenza è stato, altresì, precisato che, in tema di "servitus non aedificandi", il contenuto del diritto si concreta nel corrispondente dovere del proprietario del fondo servente di astenersi da qualsiasi attività edificatoria che abbia come risultato quello di comprimere o ridurre le condizioni di vantaggio derivanti al fondo dominante dalla costituzione di detta servitù, quale che sia, in concreto, l'entità di siffatta compressione o riduzione e indipendentemente dalla misura dell'interesse del titolare del diritto a far cessare impedimenti e turbative del medesimo; ne consegue che non è possibile subordinare la tutela giudiziale di una tale servitù, come, in genere, di ogni diritto reale, all'esistenza di un concreto pregiudizio derivante dagli atti lesivi, attesa l'assolutezza propria di tali situazioni giuridiche soggettive, tutelate da ogni forma di compressione o ingerenza da parte di terzi, col solo limite del divieto di atti emulativi e salva la rilevanza dell'entità del pregiudizio al solo fine della quantificazione dell'eventuale risarcimento.
Per opportuni riferimenti cfr. Cass. n. 7909 del 2001 e, da ultimo, Cass. n. 24387 del 2010 (commento tratto da www.ipsoa.it - Corte di Cassazione civile,  sentenza 31.03.2011 n. 7479).

INCARICHI PROFESSIONALIConferimento da parte della P.A. di un incarico professionale di direttore dei lavori e coordinatore per la sicurezza. La controversia esula dalla giurisdizione del Giudice amministrativo.
Una controversia avente ad oggetto la revoca dell’incarico di direttore dei lavori e coordinatore per la sicurezza, conferito ad un professionista esterno dalla P.A., che sia intervenuta successivamente alla stipula del relativo contratto, esula dalla giurisdizione del Giudice amministrativo, ai sensi dell'art. 7 del Codice del processo amministrativo, approvato con D.L.vo 02.07.2010 n. 104, poiché concerne la fase esecutiva del contratto con la P.A., in cui si configurano posizioni di diritto soggettivo inerenti a rapporti di natura privatistica, nelle quali non hanno incidenza i poteri discrezionali e autoritativi della P.A. stessa (Cfr. Cass., SS.UU., 19.11.2001, n. 14539; TAR Lazio, I, 19.02.2003, n. 1269; TAR Puglia-Lecce, 07.02.2003, n. 420; TAR Campania-Napoli, 22.09.2003, n. 11539 e da ultimo Cass. SS.UU. 12.05.2006 n. 10998).
Il conferimento, da parte di un Ente pubblico, di un incarico ad un professionista non inserito nella struttura organica dell'Ente medesimo (e che mantenga, pertanto, la propria autonomia organizzativa e l'iscrizione al relativo albo) costituisce espressione non di una potestà amministrativa, bensì di semplice autonomia privata (Cfr. TAR Puglia-Bari 27.10.1997, n. 715) (massima tratta da www.regione.piemonte.it - TAR Calabria-Catanzaro, Sez. I, sentenza 29.03.2011 n. 415 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

PUBBLICO IMPIEGO: Diniego di assunzione per il fatto che l’aspirante ha riportato una condanna definitiva per delitto non colposo. L’estinzione di condanne penali non preclude alla P.A. di valutare la sentenza di condanna.
E’ legittimo il provvedimento di diniego di assunzione nel ruolo dei Vigili del Fuoco motivato con riferimento al fatto che l’aspirante ha riportato una condanna definitiva per un delitto non colposo (nella specie si trattava di una condanna per furto), atteso che l’art. 88 del d.lgs. n. 217 del 2005, recante la disciplina per l’accesso al ruolo degli operatori dei Vigili del Fuoco, stabilisce, al comma 1, lett. e), che per le assunzioni è necessario il possesso delle qualità morali e di condotta previste dall’art. 26 della legge 01.02.1989, n. 53 e cioè quelle richieste per l’ammissione ai concorsi per l’accesso alla magistratura ordinaria, che individua una causa tassativa di esclusione (in presenza della quale non vi è, di conseguenza, alcuna facoltà di valutazione), nella condanna a pena detentiva per delitto non colposo (Ha aggiunto in particolare la sentenza in rassegna che non valeva in contrario la previsione del comma 2 dell’art. 88 del d.lgs. n. 217 del 2005, per il quale non possono essere assunti coloro "che hanno riportato condanna a pena detentiva per delitto non colposo", trattandosi di previsione aggiuntiva a quella di cui al comma 1 dello stesso articolo).
L’estinzione del reato, pur comportando l'estinzione delle incapacità giuridiche e degli altri effetti penali che conseguono automaticamente ad una sentenza di condanna, non elimina la condanna in sé quale fatto storico rilevante, che continua ad esistere e a produrre integralmente tutti quegli effetti giuridici che non sono rimossi dal beneficio estintivo, per cui non è precluso che l’Amministrazione eserciti le sue valutazioni discrezionali, considerando negativamente la condanna penale, né che tale condanna sia autonomamente valutata in senso ostativo (Cfr. Cons. Stato, VI, 25.09.2009, n. 5793) (massima tratta da www.regione.piemonte.it - Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 25.03.2011 n. 1841 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Esclusione per non aver sottoscritto il capitolato in ogni pagina - Illegittimità.
È illegittima l’esclusione del concorrente che non ha presentato copia del capitolato siglato e sottoscritto in ogni pagina, come richiesto della lettera d’invito, pur avendo la stessa società prodotto in gara la dichiarazione di accettazione, senza condizione e riserva alcuna, di tutte le norme contenute nel bando, nel disciplinare e nel capitolato speciale d’appalto.
La clausola del disciplinare che impone la presentazione del capitolato sottoscritto, infatti, costituisce «un’inutile duplicazione e, quindi, un aggravio ingiustificato del procedimento», in quanto le esigenze sottese alla (omessa) sottoscrizione «pagina per pagina» del capitolato speciale d’appalto, sono comunque soddisfatte dalla specifica dichiarazione sostitutiva -resa ai sensi del Dpr 445/2000- di presa visione e accettazione integrale e incondizionata di tutte le disposizioni contenute negli atti di gara (TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 23.03.2011 n. 461 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: La valutazione del requisito in ordine all’esclusione del concorrente.
La stazione appaltante ha la facoltà di escludere un concorrente da una gara qualora quest'ultimo non possieda il requisito di moralità professionale, come recita l'art. 38, primo comma, lett. c), del D.Lgs. 163/2006.
La sentenza 21.03.2011 n. 458 del TAR Veneto, Sez. I,  ritiene illegittima l'esclusione quando la stazione appaltante ometta le motivazioni per la quale la condanna penale faccia decadere il requisito di moralità professionale.
Riportare il tipo di condanna non è sufficiente ad escludere un concorrente da una gara se non rientra tra i reati considerati incidenti sulla moralità professionale (link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Appalti e moralità professionale: esclusione sì, ma con motivazione.
E' illegittima l’esclusione automatica di una ditta da una gara di appalto che sia motivata con riferimento al difetto del requisito della moralità professionale, ex art. 38 del d.lgs. n. 163 del 2006 (Codice dei contratti pubblici), per l’esistenza, a carico dell’amministratore di un decreto penale di condanna per falso ideologico, nel caso in cui la stazione appaltante abbia omesso di esplicitare il motivo per il quale il precedente penale rivesta i caratteri di gravità ed effettiva incidenza sulla moralità professionale.

Ai sensi dell'art. 38, primo comma, lett. c), del D.Lgs. 163/2006, sono esclusi dalla partecipazione alle procedure di affidamento delle concessioni e degli appalti di lavori, forniture e servizi, né possono essere affidatari di subappalti, e non possono stipulare i relativi contratti i soggetti nei cui confronti è stata pronunciata sentenza di condanna passata in giudicato, o emesso decreto penale di condanna divenuto irrevocabile, oppure sentenza di applicazione della pena su richiesta, ai sensi dell'art. 444 c.p.p., per reati gravi in danno dello Stato o della Comunità che incidono sulla moralità professionale.
E' comunque causa di esclusione la condanna, con sentenza passata in giudicato, per uno o più reati di partecipazione a un'organizzazione criminale, corruzione, frode, riciclaggio, quali definiti dagli atti comunitari citati all'art. 45, paragrafo 1, direttiva CE 2004/18.
L'amministrazione non può escludere la ditta solo attraverso la menzione del suddetto tipo di condanna subita dall'interessato, se questa non rientra tra i reati automaticamente qualificati come incidenti sulla moralità professionale.
Nella fattispecie l'imputato era stato condannato, con decreto penale del 2006, per falso ideologico, avendo attestato, in una gara, l'insussistenza di cause di esclusione, mentre era stato omesso un versamento INPS, ritenuto effettuato (TAR Veneto, Sez. I, sentenza 21.03.2011 n. 458 - link a www.altalex.com).

APPALTICessione di ramo di azienda - Subingresso del cessionario nei rapporti attivi e passivi del cedente.
Con la cessione del ramo di azienda si determina il subingresso del cessionario nel complesso dei rapporti, attivi e passivi del cedente tra i quali deve ricomprendersi anche il possesso dei titoli, referenze o
requisiti maturati nello svolgimento dell’attività cui il ramo ceduto è riferito. Si rende così possibile l’utilizzo dei requisiti riferiti al ramo d’azienda ceduto in quanto aventi natura oggettiva.
È ammessa la circolazione oggettiva di alcune referenze proprie dell’operatore economico in quanto non strettamente personali dell’imprenditore, che possono quindi essere fatte valere da un diverso soggetto, secondo il principio dell’avvalimento, a condizione che questo dimostri di poterne effettivamente disporne.
La possibilità di subentro nel contratto da parte del cessionario di un ramo di azienda è subordinata, in base all’articolo 116 del Dlgs 163/2006, al positivo accertamento del possesso sia dei requisiti di ordine soggettivo che dei requisiti di ordine speciale previsti in sede di gara, al fine di garantire la stazione appaltante circa la permanenza, in caso di modificazione soggettiva dell’esecutore del contratto, dei requisiti accertati in capo al soggetto affidatario del contratto, quale diretta conseguenza della peculiarità del contratto posto in essere dall’Amministrazione in esito alla particolare procedura a evidenza pubblica (TAR Lazio-Roma, Sez. I, sentenza 10.03.2011 n. 2187 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Smaltimento e stoccaggio rifiuti - Ecopiazzole senza autorizzazione regionale.
A seguito delle modifiche apportate all'art. 183, D.Lgs. 03.04.2006, n. 152 e dell'entrata in vigore del D.M. 08.04.2008 non è più prevista dalla legge come reato l'attivazione di un centro di raccolta comunale (detti ecopiazzole o isole ecologiche) in assenza di autorizzazione regionale o provinciale, non essendo più necessaria detta autorizzazione in quanto nessuna attività di stoccaggio rifiuti viene ad essere svolta presso gli stessi.

La Cassazione si pronuncia, per la prima volta dopo le modifiche introdotte al T.U.A. dal D.Lgs. n. 4 del 2008, sulla nuova disciplina normativa riguardante i cosiddetti centri di raccolta comunali, meglio noti come ecopiazzole o isole ecologiche, affermando l'irrilevanza penale dell'attivazione da parte dei Comuni in assenza di autorizzazione regionale o provinciale.
La decisione, pur nella sinteticità del suo contenuto, appare di grande rilievo, in quanto contribuisce a fare chiarezza su una materia che, soprattutto in passato, aveva creato disarmonie applicative, superando, nel contempo, l'interpretazione giurisprudenziale a ritenere necessaria tale autorizzazione, pena la configurabilità del reato di gestione abusiva di rifiuti.
Il fatto.
La vicenda processuale è assai semplice da descrivere. Il sindaco di un Comune umbro era stato rinviato a giudizio e condannato in sede di merito per aver posto in esercizio un'attività di recupero e di stoccaggio di rifiuti non pericolosi in un'area recintata di circa 3000 mq., destinata a stazione ecologica per la raccolta differenziata dei rifiuti, in assenza della prescritta autorizzazione.
Il ricorso.
Fa difesa del Sindaco proponeva ricorso per cassazione affidandolo ad una serie di motivi, tra i quali, per quanto qui di interesse, l'intervenuta depenalizzazione della condotta contestata a seguito delle modifiche normative introdotte dal D.Lgs. n. 4 del 2008 alla disciplina giuridica delle ecopiazzole che, anche a seguito dell'entrata in vigore del D.M. attuativo (D.M. 08.04.2008), non necessitano più di alcuna autorizzazione regionale o provinciale, spettandone ai comuni il rilascio.
La decisione della Cassazione.
La Corte, nell'annullare la sentenza senza rinvio, disattende la tesi difensiva, ritenendo che, nella specie, il Comune non si sarebbe limitato ad attivare un centro di raccolta, ma avrebbe realizzato invece una vera e propria stazione di stoccaggio in cui venivano ammassati, anche alla rinfusa, rifiuti pericolosi e non, non tutti peraltro distinti secondo una raccolta differenziata ed anche depositati sul terreno senza alcuna protezione, con conseguente fondatezza della prospettazione accusatoria che ha indotto, dunque, il Collegio a dichiarare la prescrizione del reato e non l'annullamento per sopravvenuta irrilevanza penale del fatto.
Ma, al di là della decisione, la Corte condivide le argomentazioni difensive poste a sostegno dell'intervenuta depenalizzazione della condotta contestata, non ritenendo più necessaria alcuna autorizzazione regionale o provinciale per l'installazione delle isole ecologiche comunali. Per meglio comprendere le ragioni, è utile una pur sintetica ricognizione della normativa applicabile.
Sotto la vigenza del D.Lgs. n. 22 del 1997, era pacifico che le piazzole comunali destinate alla raccolta differenziata dei rifiuti urbani, cosiddette piazzole ecologiche o ecopiazzole, avessero natura di centri di stoccaggio ai sensi dell'art. 6, comma 1, del decreto Ronchi, in quanto si riteneva che nelle stesse si effettuassero attività di smaltimento, consistenti nel deposito preliminare in vista di altre operazioni di smaltimento definitive ex punto D15 dell'allegato B al citato decreto n. 22, o attività di recupero, consistenti nella messa in riserva ex punto R13 dello stesso allegato B.
Tale tesi, si noti, era condivisa dalla giurisprudenza di legittimità che, infatti, a più riprese aveva avuto modo di affermare che l'attività di gestione dei rifiuti operata dal Comune nelle cosiddette piazzole ecologiche o ecopiazzole, ove i rifiuti vengono conferiti dai cittadini in modo differenziato, configurando un deposito preliminare in vista dello smaltimento o una messa in riserva in vista del recupero, necessitasse della preventiva autorizzazione, la cui mancanza configurava il reato di cui all'art. 51, comma 1, D.Lgs. 05.02.1997 n. 22 (V., tra le tante: Cass. pen., sez. 3, n. 26379 del 18/07/2005, P.M. in proc. Z., in Ced Cass. 231938; sez. 3, n. 34665 del 28/09/2005, R., in Ced Cass. 232178).
La stessa giurisprudenza, inoltre, escludeva che l'attività di raccolta differenziata di rifiuti urbani ad opera dei cittadini nelle piazzole ecologiche comunali fosse qualificabile in termini di deposito temporaneo ai sensi dell'art. 6, lett. m), del citato decreto n. 22 del 1997 "atteso che nel concetto di luogo di produzione dei rifiuti non rientra l'intero territorio comunale rispetto ai rifiuti prodotti dai suoi cittadini, ma lo stesso si estende al massimo sino a ricomprendere siti infrastrutturali collegati tra loro all'interno di un'area delimitata.
Conseguentemente si verte in tema di stoccaggio quale fase preliminare alle attività di smaltimento o recupero, e come tale necessitante la prevista autorizzazione
" (Cass. pen., sez. 3, n. 45084 del 12/12/2005, M., in Ced Cass. 232353).
La tesi della necessità dell'autorizzazione regionale, in difetto della quale trovava applicazione il reato contravvenzionale di gestione abusiva di rifiuti, era stata peraltro ribadita anche dopo l'entrata in vigore del D.Lgs. n. 152 del 2006.
La Corte, sul punto, aveva infatti precisato che anche dopo l'entrata in vigore del T.U.A. le piazzole comunali destinate alla raccolta differenziata dei rifiuti urbani, cosiddette ecopiazzole o piazzole ecologiche, necessitassero della prevista autorizzazione, costituendo le medesime centri di stoccaggio in cui si svolge una fase preliminare alle attività di smaltimento o di recupero dei rifiuti (Cass. pen., sez. 3, n. 9103 del 28/02/2008, G. e altro, in Ced Cass. 238996).
Il T.U.A., nella sua originaria versione, non conteneva alcuna disciplina ad hoc sui centri di raccolta. Si dovette attendere l'entrata in vigore del c.d. secondo correttivo per vedere disciplinata più nel dettaglio la normativa sui centri di raccolta, a partire dalla definizione, contenuta nell'art. 183, lett. cc), di «centro di raccolta», oggi ripresa, senza modifiche sostanziali, dall'art. 183, lett. mm), del T.U.A., come modificato dal D.Lgs. n. 205 del 2010 (che definisce come «centro di raccolta», l'area presidiata ed allestita, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, per l'attività di raccolta mediante raggruppamento differenziato dei rifiuti urbani per frazioni omogenee conferiti dai detentori per il trasporto agli impianti di recupero e trattamento, aggiungendo che la disciplina dei centri di raccolta è data con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, sentita la Conferenza unificata, di cui al decreto legislativo 28.08.1997, n. 281).
L'ambito delle competenze comunali con l'attesa definizione del regime giuridico delle cosiddette ecopiazzole, venne poi disciplinato a seguito dell'entrata in vigore del D.M. 08.04.2008, il quale prevedeva che i centri di raccolta comunali o intercomunali siano costituiti da aree presidiate ed allestite ove si svolge unicamente attività di raccolta, mediante raggruppamento per frazioni omogenee per il trasporto agli impianti di recupero, trattamento e, per le frazioni non recuperabili, di smaltimento, dei rifiuti urbani e assimilati elencati in allegato I, paragrafo 4.2, conferiti in maniera differenziata rispettivamente dalle utenze domestiche e non domestiche, nonché dagli altri soggetti tenuti in base alle vigenti normative settoriali al ritiro di specifiche tipologie di rifiuti dalle utenze domestiche.
Lo stesso decreto, innovando sulla previgente disciplina, stabiliva che "la realizzazione dei centri di raccolta è approvata dal Comune territorialmente competente ai sensi della normativa vigente", così sancendo definitivamente il superamento della previgente disciplina che riteneva necessaria l'autorizzazione regionale o provinciale.
Rimaneva ferma, peraltro, la necessità che i centri di raccolta dovessero essere allestiti e gestiti in conformità alle disposizioni di cui all'allegato I e che il soggetto chiamato a gestirli dovesse essere iscritto all'Albo nazionale gestori ambientali di cui all'art. 212 del T.U.A. nella Categoria 1 "Raccolta e trasporto dei rifiuti urbani" di cui all'art. 8 del decreto del Ministro dell'ambiente 28.04.1998, n. 406. Tale ultima indicazione, peraltro, era stata contraddetta dalla Circolare del 28.10.2008, n. 1656, con cui il Comitato Nazionale dell'Albo Nazionale Gestori Rifiuti aveva invece escluso che i comuni fossero ricompresi tra i soggetti destinatari dell'obbligo d'iscrizione all'Albo gestori ambientali per la gestione dei centri di raccolta.
Con nota dell'Ufficio legislativo del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare (prot. n. GAB - 2008 - 16947 del 04.11.2008) era tuttavia stato reso noto che il D.M. 08.04.2008, al momento della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del 28.04.2008, non poteva produrre effetti in quanto era privo dei necessari riscontri da parte degli organi di controllo (visto dell'UCB acquisito in data 27.07.2008 - registrato alla Corte dei Conti il 29.08.2008), conseguendone pertanto la dichiarazione di inefficacia. Il D.M. 08.04.2008 rivive, tuttavia, per effetto del D.M. 08.03.2010, n. 65, entrato in vigore il 19.05.2010: ed infatti, l’art. 8 (Realizzazione e gestione dei centri di raccolta) del citato D.M. stabilisce che la realizzazione e la gestione di centri di raccolta, si svolge con le modalità previste dal decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare dell'08.04.2008.
Infine, il T.U.A. "novellato" dal D.Lgs. n. 205/2010, stabilisce (art. 190, u. co.) che le operazioni di gestione dei centri di raccolta di cui all’articolo 183, comma 1, lettera mm), sono escluse dagli obblighi previsti per la tenuta dei registri di carico e scarico del presente articolo limitatamente ai rifiuti non pericolosi. Per i rifiuti pericolosi, invece, la registrazione del carico e dello scarico può essere effettuata contestualmente al momento dell’uscita dei rifiuti stessi dal centro di raccolta e in maniera cumulativa per ciascun codice dell’elenco dei rifiuti.
Tale previsione dev'essere coordinata con la nuova disciplina in materia di SISTRI, che, com'è noto, facoltizza i comuni, i centri di raccolta e le imprese di raccolta e trasporto dei rifiuti urbani nel territorio di regioni diverse dalla regione Campania ad iscriversi al nuovo sistema di tracciabilità dei rifiuti. Si conferma, dunque, come del resto la Cassazione afferma con limpidezza, il venir meno della necessità dell'autorizzazione regionale o comunale per le ecopiazzole (commento tratto da www.ipsoa.it - Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 01.03.2011 n. 7950 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAConcessione implicita ammessa solo in casi-limite
I semplici atti preparatori di regola non possono sostituire il provvedimento a meno che non ci siano tutti gli elementi costitutivi.

In linea di massima nel nostro ordinamento non è possibile ottenere un permesso di costruire in forma "implicita", ma ciò può accadere in ipotesi assai particolari, come nel caso esaminato dalla IV Sez. del Consiglio di Stato (sentenza 07.02.2011 n. 813) e riferito all'annullamento di una ordinanza di rimessione in pristino –cioè di demolizione– per la realizzazione di opere in difformità dai titoli assentiti.
Nel giudizio era intervenuto anche il vicino di casa della parte ricorrente, sostenendo che non si trattava di una semplice difformità dal titolo rilasciato, ma che l'intera opera era abusiva, in quanto carente della concessione edilizia.
La sentenza richiama innanzitutto il costante orientamento giurisprudenziale in base al quale deve oggi tendenzialmente escludersi il provvedimento concessorio implicito. Infatti, nell'ordinamento preesistente alla legge 10/1977, vigeva il principio di libertà delle forme, che consentiva la sostanziale equiparazione della comunicazione del parere favorevole della commissione edilizia al rilascio della licenza.
Tuttavia, dopo l'entrata in vigore della legge Bucalossi, la normativa ha stabilito il contenuto minimo inderogabile della concessione, che deve includere elementi determinativi e conformativi della volontà dell'ente locale, non sostituibili dalla semplice comunicazione del parere (Consiglio di Stato, sezione V, 6256/2002, 6476/2002 e 881/2008).
L'autorizzazione di altri organi e il parere favorevole della commissione edilizia comunale non hanno, di norma, alcuna valenza provvedimentale, ma soltanto valore di atti preparatori, e non possono né sostituire la concessione edilizia, né, tantomeno, giustificare una pretesa buona fede di colui che abbia costruito senza attendere il formale rilascio del titolo abilitativo (Consiglio di Stato, sezione IV, 3594/2005; Tar Campania-Salerno, sezione II, 8154/2010).
I giudici di Palazzo Spada hanno però ammesso la configurabilità di una concessione edilizia "provvedimento implicito", osservando che tale istituto opererebbe tutte le volte in cui la Pa, pur non adottando formalmente un provvedimento, «ne determina univocamente i contenuti sostanziali, o attraverso un comportamento conseguente, ovvero determinandosi in una direzione, anche con riferimento a fasi istruttorie coerentemente svolte, a cui non può essere ricondotto altro volere che quello equivalente al contenuto del provvedimento formale corrispondente».
Nel caso esaminato, prosegue la pronuncia, emerge chiaramente che il Comune, con l'ordinanza impugnata, «ha voluto sanare definitivamente sanare la struttura, esprimendo assenso alla sua avvenuta realizzazione con una determinazione la cui valenza giuridica ed effettuale deve essere ricondotta all'ipotesi, univocamente emergente dagli atti di causa, del rilascio implicito della concessione edilizia». E questo anche perché il Comune, acquisito il parere della commissione, aveva quantificato gli oneri concessori, «il cui pagamento com'è noto è univocamente connesso al rilascio della concessione edilizia» (articolo Il Sole 24 Ore del 09.05.2011).

APPALTIAvvalimento.
L’avvalimento di garanzia, figura nella quale l’impresa ausiliaria mette in campo la propria solidità economica e finanziaria a servizio dell’aggiudicataria avvalente, può essere ontologicamente ammessa solo in relazione alla dimostrazione del possesso di idonei requisiti economici e finanziari, come nel caso del volume di affari o del fatturato, ma non per requisiti di indole soggettiva, quali l’esperienza pregressa in un dato settore.
E’ quanto affermato dal TAR Campania-Napoli, Sez. I, nella sentenza 02.02.2011 n. 644, ove viene ben chiarito l’alveo applicativo dell’avvalimento, anche attraverso un’anticipazione delle disposizioni normative contenute nel nuovo Regolamento attuativo.
Il Tar Campania, con la sentenza in esame, interviene in tale delicato dibattito, attraverso un preciso percorso argomentativo.
In primo luogo, il Tar ricorda che l'istituto dell' avvalimento, di origine comunitaria, si delinea quale strumento in grado di consentire la massima partecipazione dei concorrenti alle gare pubbliche, consentendo alle imprese, non in possesso dei richiesti requisiti tecnici o economici, di sommare, esclusivamente per la gara in corso, le proprie capacità tecniche ed economico-finanziarie a quelle di altre imprese. Ovviamente, il ricorso all'avvalimento non determina il trasferimento definitivo dei requisiti dell'impresa ausiliaria a quella avvalente, ma, al contrario, la loro cessione ai soli fini della partecipazione alla gara.
Dunque, l’avvalimento non implica alcun effetto permanente: “In caso di avvalimento, l'impresa ausiliata non potrà fruire dei requisiti fatti oggetto di prestito in altre future gare e ciò a conferma del carattere non permanente dell'istituto, il quale esplica i propri effetti singolarmente”.
Il Tar Campania evidenzia che l’istituto dell’avvalimento è integralmente animato da un chiaro principio di favor verso la partecipazione alle gare, in virtù del quale il concorrente, per dimostrare le capacità tecniche, finanziarie ed economiche nonché il possesso dei mezzi necessari all'esecuzione del contratto, può fare riferimento alla capacità ed ai mezzi di uno o più soggetti diversi, ai quali conta di ricorrere. Conseguentemente, deve sempre essere consentito ai partecipanti a procedure concorsuali, al fine di dimostrare il possesso dei requisiti tecnici, economici ed organizzativi di partecipazione, qualunque sia la natura giuridica dei vincoli intercorrenti con questi ultimi.
Venendo alla concreta questione, cioè la possibilità di ricorrere all’avvalimento per il requisito dell’esperienza quinquennale, i giudici amministrativi campani prendono atto che esso consiste in una “condizione soggettiva, del tutto disancorata dalla messa a disposizione di risorse materiali, economiche o gestionali”. Il Tar ritiene che il punto essenziale della problematica sia proprio questo: il requisito dell’esperienza quinquennale pregressa non sembra avere apprezzabili collegamenti con le “risorse”, che vengono trasferite dall’impresa ausiliaria a quella avvalente e che costituiscono il punto nodale dell’avvalimento.
In merito il Tar compie un’anticipazione di riferimento alle disposizioni normative contenute nel nuovo Regolamento attuativo del Codice, non ancora in vigore, affermando che “la centralità della messa a disposizione delle risorse all’interno del sinallagma, tipizzante il contratto di avvalimento, è peraltro ribadita dall’articolo 88 del Regolamento di attuazione del Codice dei Contratti (d.P.R. n. 207 del 05.10.2010), che prescrive l’indicazione puntuale ed analitica delle risorse e dei mezzi prestati”.
Si tratta, invero, di un punto molto importante. Infatti, il richiamato articolo 88 del nuovo Regolamento completa la disciplina del Codice, ponendo enfasi sull’elemento dell’imprestito di risorse, oltre che di requisiti, quale profilo fondante dell’avvalimento. Precisamente, l’articolo 88 stabilisce che il contratto di avvalimento, ai fini della qualificazione in gara, deve riportare in modo compiuto, esplicito ed esauriente i seguenti elementi:
a) l’oggetto, cioè le risorse ed i mezzi prestati in modo determinato e specifico;
b) la durata;
c) ogni altro utile elemento ai fini dell’avvalimento.
Declamata la centralità dell’elemento “risorse” nell’ambito dell’avvalimento, il Tar Campania perviene ad una chiara conclusione: “esclusa l’ipotesi dell’avvalimento operativo, di portata generale, la fattispecie in esame è da ricondurre al cosiddetto avvalimento di garanzia, figura nella quale l’ausiliaria mette in campo la propria solidità economica e finanziaria a servizio dell’aggiudicataria ausiliata, ampliando così lo spettro della responsabilità per la corretta esecuzione dell’appalto”.
Tuttavia, secondo i giudici amministrativi, l’avvalimento di garanzia incontra limiti nell’ordinamento, in ragione della sua peculiare funzione di estensione della base patrimoniale della responsabilità dell’esecuzione del contratto. Di conseguenza, tale figura può trovare legittimo riconoscimento solo in relazione alla dimostrazione del possesso di idonei requisiti economici e finanziari, come nel caso del volume di affari o del fatturato. In questa ipotesi l’avvalimento di garanzia dispiega una apprezzabile funzione, nel senso di assicurare alla stazione appaltante un operatore economico, che goda di una complessiva solidità finanziaria, come dimostrato da recente giurisprudenza in tema di capitale sociale minimo.
Pertanto, al di fuori di tale ipotesi, cioè dell’esistenza di un chiaro collegamento con le risorse fornite dall’impresa ausiliaria all’impresa avvalente, “la messa a disposizione di requisiti soggettivi snatura e stravolge l’istituto dell’avvalimento per piegarlo ad un logica di elusione dei requisiti stabiliti nel bando di gara” (tratto dalla newsletter di www.centrostudimarangoni.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZIClausola riassorbimento personale.
L’obbligo imposto all’impresa aggiudicataria della nuova gara di mantenere in servizio i medesimi autisti già assunti dal gestore uscente integra un’evidente violazione del principio di autonomia contrattuale, di cui all’articolo 1322 del codice civile, dal momento che determina, in via unilaterale, l’imposizione di un vincolo a contrarre, al di fuori dei casi tassativamente tipizzati dal Legislatore.
E’ quanto stabilito dal TAR Piemonte, Sez. I, nella sentenza 27.01.2011 n. 114, ove viene affrontata una peculiare questione, quale quella della clausola di riassorbimento del personale del gestore uscente, oggetto di una non irrilevante diffusione nella concreta prassi delle stazioni appaltanti.
Invero, i reali ostacoli alla legittimità della clausola di riassorbimento derivano proprio dai principi declinati dall’articolo 2, comma 1°, del Codice dei contratti pubblici , oltre che da quelli consacrati in Costituzione.
Infatti, la clausola di riassorbimento del personale dell’impresa uscente si palesa pienamente contrastante con il principio costituzionale di libertà di iniziativa economica. L’articolo 41, comma 1°, della vigente Carta costituzionale, stabilisce che l'iniziativa economica privata è libera. Si tratta di un postulato della massima importanza, che costituisce, senza dubbio, il fondamento primo dell’economia di mercato.
Orbene, la contestata clausola viola l’indicato principio sotto un duplice aspetto. In primo luogo, per quanto concerne l’aspetto generale di libertà di iniziativa economica, cioè libertà delle scelte organizzative e gestionali, che costituiscono un ineludibile contraltare al principio del rischio di impresa. Orbene, l’imprenditore deve essere libero, nel rispetto dei limiti legalmente previsti, di assumere personale, che risponda a specifici requisiti di professionalità. Il voler imporre l’assunzione obbligatoria di personale di altra azienda costituisce una ingiustificata e pericolosa intrusione nel suo ambito di libertà di scelta organizzativa.
In secondo luogo, il principio di libera iniziativa economica viene violato per quel che riguarda l’aggravamento economico dell’iniziativa medesima. In altri termini, la clausola di riassorbimento impone degli oneri economici, che si manifestano gravosi ed alteranti l’equilibrio economico dell’azienda. In buona sostanza, il vincitore della gara deve essere libero di poter assumere o non assumere altro personale, in conseguenza del nuovo appalto o concessione. Infatti, è ben possibile che il vincitore abbia personale, momentaneamente e parzialmente sotto-occupato, che troverà pieno utilizzo proprio con la nuova concessione.
Occorre, poi, tener conto del principio di libera concorrenza, di chiara derivazione comunitaria ed involgente l’intero settore dei pubblici contratti. Obiettivo fondamentale della Comunità europea è, ai sensi dell’articolo 2 del Trattato di Roma, la creazione di un’Unione economica e, ancor prima, di un mercato comune, da intendersi come vero e proprio “mercato interno” nell’accezione propria dell’articolo 14 del Trattato medesimo. Un mercato, cioè, in cui sia effettivamente ed efficacemente assicurata la libera circolazione di persone, merci, servizi e capitali. Venendo al settore dei pubblici contratti e ripercorrendo le novità introdotte dal Codice e le trasformazioni indotte dalle direttive comunitarie, sembra emergere un dato ben chiaro: la disciplina degli contratti pubblici si presenta adesso, alla stregua di una rinnovata concezione dell’interesse pubblico, quale strumento funzionale al mercato, come passaggio obbligato per garantire la piena operatività del confronto concorrenziale, inteso quale valore da promuovere, oltre che da tutelare.
Competitività e trasparenza dei mercati costituiscono, infatti, un binomio inscindibile nel consentire alle Pubbliche autorità di acquistare beni e servizi e di realizzare opere a prezzi più bassi e di qualità migliore, con una consistente semplificazione dei processi di acquisto e, dunque, con una benefica riduzione dei costi amministrativi e delle altre inefficienze del settore. Pertanto, la presenza della clausola di riassorbimento, quale clausola palesemente alterante l’imprescindibile valutazione dell’interesse economico, che ogni impresa deve liberamente effettuare, costituisce una chiara violazione del principio di libera concorrenza.
Orbene, la violazione del principio di libera concorrenza cagiona, quasi sempre, un’eguale violazione del principio di economicità, che costituisce un’articolazione del principio costituzionale di buona amministrazione dell’azione amministrativa (art. 97 Cost.). Tale principio impone alla Pubblica amministrazione di perseguire la realizzazione del massimo risultato con il minor dispendio di mezzi e, quindi, l’adozione, di procedure, volte ad individuare offerte convenienti.
Quindi, la presenza della clausola di riassorbimento ha l'effetto di alterare il percorso logico e, quindi, il connesso calcolo di convenienza economica, che l'impresa segue nella formulazione dell'offerta. L'impresa partecipante alla gara effettua, sulla base anche delle clausole contenute nel bando, una valutazione di convenienza relativa alla partecipazione alla gara ed al contenuto dell'offerta. Inoltre, l'impresa medesima elabora l'offerta, inserendovi le condizioni che essa reputa migliori. A ben vedere, è proprio con la formulazione dell'offerta che l'impresa manifesta la sua efficienza, la sua capacità di stare sul mercato, in altre parole la sua concorrenzialità. Pertanto, da quanto detto, emerge, chiaramente, che la clausola di riassorbimento ha l'effetto di distorcere le capacità di concorrenzialità dell'impresa efficiente, a vantaggio di quelle meno efficienti.
Infine, occorre prestare la massima attenzione all’illegittima creazione di un favor per l’impresa uscente, che viene determinato dalla clausola in esame. L’articolo 97 della Costituzione stabilisce che l’azione amministrativa deve esplicarsi secondo sicuri canoni di imparzialità. In ossequio a tale principio, l’attività amministrativa deve esplicarsi senza dar luogo ad alcuna discriminazione.
Orbene, la clausola di riassorbimento si presenta come palesemente avvantaggiante, in quanto favorisce l’impresa uscente in base ad una banale, ma solido ragionamento: l’impresa uscente parteciperà alla gara e formulerà la propria offerta, non subendo alcuna coartazione della propria libertà organizzativa, in quanto i dipendenti da riassorbire sono già propri. In tal modo, i principi di parità di trattamento e di non discriminazione sono palesemente vulnerati (tratto dalla newsletter di www.centrostudimarangoni.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTISottoscrizione offerta.
La sottoscrizione dell’offerta si configura come lo strumento idoneo a renderne nota la paternità dell’atto ed a vincolare l’autore alla manifestazione di volontà in esso contenuta. La sua mancanza inficia, pertanto, la validità e la ricevibilità della manifestazione di volontà e non può ritenersi equivalente ad essa l’apposizione della controfirma sui lembi sigillati della busta che la contiene.

E’ quanto affermato dal Consiglio di Stato, Sez. V, nella sentenza 25.01.2011 n. 528, ove, confermando un solido orientamento, si perviene, correttamente in ragione delle diverse funzioni, a negare la possibilità di equivalenza fra la sottoscrizione dell’offerta e la sottoscrizione apposta sui lembi sigillati del plico di offerta.
I giudici amministrativi di appello ricordano che la sottoscrizione di un atto o di un documento, in linea generale, esplica diverse funzioni. In primo luogo, va osservato che la sottoscrizione di un documento costituisce lo strumento, mediante il quale l’autore fa propria la dichiarazione contenuta nel documento medesimo. Da un punto di vista sostanziale, la sottoscrizione, comunemente intesa come scrittura manuale del proprio nome e cognome in calce ad un documento, consente di risalire alla paternità dell’atto e di ricondurre al suo autore tutti gli effetti, che l’ordinamento indirizza verso la sfera giuridica dello stesso. I principi di trasparenza ed imparzialità, giustamente operanti e dominanti nelle gare pubbliche, esigono che sia certa ed inequivoca l’imputazione dell’offerta e di qualsiasivoglia altra documentazione al soggetto concorrente.
Dunque, in considerazione del fatto che la sottoscrizione è elemento essenziale della dichiarazione, la sua mancanza, anche su una sola delle parti indispensabili costituenti l’offerta, o altro documento dichiarativo, intesa quale manifestazione di volontà negoziale, inficia la validità della medesima. In secondo luogo, il CdS fa osservare che la certa e sicura riconducibilità di tutti gli elementi costitutivi l’offerta, anche di quelli che possano apparire prima facie non essenziali o puramente formali, al soggetto autore, garantisce la serietà e l’affidabilità dell’offerta medesima, intesa quale dichiarazione del partecipante alla gara, finalizzata alla costituzione di un rapporto contrattuale.
Infine, la sottoscrizione esplica una funzione di chiusura e di immodificabilità del documento, in modo tale da non consentire riaperture di ulteriori trattative negoziali. Da tale considerazione, consegue l’ammissibilità delle correzioni, contenute in un’offerta, purché espressamente confermate con specifica sottoscrizione a margine.
Oltre tali funzioni, i giudici amministrativi di appello pongono enfasi su di un corollario delle funzioni medesime: l’effetto di vincolo. In altri termini, con la sottoscrizione di un atto, di un’offerta, il soggetto si obbliga, si vincola a rispettare il preciso contenuto della manifestazione di volontà esternalizzata e scritta. Ciò comporta, tenuto conto del naturale “formalismo” insito nelle procedure di gara, la necessarietà della sottoscrizione dell’offerta, affinché si possa considerare il soggetto sottoscrittore come puntualmente obbligato a rispettare e ad adempiere tutto quanto ciò che precede la sottoscrizione medesima.
Al riguardo, non è privo di rilievo ed, anzi, assume un ruolo decisivo, il chiaro tenore letterale dell’illustrata disposizione normativa contenuta nell’articolo 74, comma 1°: le offerte debbono essere sottoscritte, manualmente o digitalmente. Dunque, una sottoscrizione deve esserci, in quanto richiesta espressamente da una inequivoca disposizione e deve sussistere indipendentemente da un’espressa previsione del bando di gara. La previsione normativa risponde ad ovvie esigente di pubblica certezza, per cui non può che assumere valenza di norma imperativa, con sua immediata ed assoluta applicabilità, a prescindere dalle regole di gara, in ragione del noto principio dell’eterointegrazione precettiva.
Acclarata la necessarietà legale della sottoscrizione dell’offerta, il Consiglio di Stato perviene ad affrontare il problema della sua eventuale surrogabilità, cioè se sia possibile considerare come equivalente (alla sottoscrizione dell’offerta) la sottoscrizione apposta sui lembi sigillati del plico di offerta. Al riguardo, i giudici amministrativi di appello pongono in risalto le diverse funzioni espletate dalle due sottoscrizioni, che non possono essere non tenute in differenziazione.
Precisamente, la sottoscrizione dell’offerta, imposta dal Codice, assolve alle illustrate funzioni: imputazione di paternità dell’atto; garanzia di serietà ed affidabilità; chiusura ed immodificabilità del documento; effetto di vincolo. Viceversa, la sottoscrizione apposta sui lembi di chiusura del plico di offerta esplica una ben diversa funzione: garantire la segretezza dell’offerta e l’integrità del plico di offerta. Come si può ben vedere, si tratta di differenti funzioni, cioè di diverse “esigenze pubbliche da soddisfare”.
Da un lato, vi è la problematica della paternità dell’atto e dei connessi vincoli; dall’altro, vi è l’esigenza di assicurare la segretezza e, soprattutto, l’integrità del plico di offerta. In presenza di tale netta diversità di funzioni, il Consiglio di Stato ritiene che non sia possibile alcuna forma di surrogazione o di equipollenza. Ciò, in aderenza, fra l’altro, ad una propria giurisprudenza (CdS, sez. V, n. 364/2004 e sez. IV, n. 1832/2010), ove si è negata la possibilità di sostituire la mancante sottoscrizione con il timbro dell’impresa e la fotocopia del documento di identità del titolare della medesima (tratto dalla newsletter di www.centrostudimarangoni.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Nel caso di pattuizione di pagamento rateizzato degli oo.uu. e costo di costruzione con scadenze diverse da quelle previste dalla legge, non può ad una pattuizione negoziale essere applicata una sanzione che presuppone l’applicazione dei termini di adempimento legali, in quanto la sanzione è legata al termine legale.
L’agire dell’Amministrazione rischia di violare altresì il principio di legalità in tema di sanzioni amministrative di cui all’art. 1 l. 24.11.1981 n. 689, in quanto verrebbe estesa la sanzione ad una violazione non prevista dalla legge.
La sanzione comminata per ritardato pagamento deve essere annullata, mentre sono stati correttamente applicati gli interessi legali, calcolati sui 55 giorni di ritardo.

La società ricorrente ha impugnato l’atto di inflizione della sanzione per ritardato pagamento della seconda rata degli oneri dovuti a titolo di urbanizzazione primaria, secondaria e il costo di costruzione.
Come emerge dalla ricostruzione in fatto, tra le parti era intervenuto un accordo in forza del quale il versamento di detta somma era stata ripartita in due rate, la prima al ritiro del titolo e la seconda entro il 31.03.2010. Poiché la seconda rata veniva invece versata in data 27.05.2010, l’Amministrazione ha applicato la sanzione per il ritardato pagamento, in forza dell’art. 42, comma 2, DPR 380/2001, nonché gli interessi di mora.
Il ricorso è fondato e va accolto.
Il quadro normativo di riferimento è rappresentato dagli artt. 16 e 42 del DPR 380/2001.
L’art. 16 prevede che il contributo dovuto a titolo di urbanizzazione e di costo di costruzione possa essere rateizzato: infatti il comma secondo stabilisce testualmente che la quota di contributo relativa agli oneri di urbanizzazione è corrisposta al comune all'atto del rilascio del permesso di costruire e, su richiesta dell'interessato, può essere rateizzata.
Il successivo comma quarto prevede invece che la quota di contributo relativa al costo di costruzione venga determinata all'atto del rilascio e corrisposta in corso d'opera, con le modalità e le garanzie stabilite dal comune, non oltre sessanta giorni dalla ultimazione della costruzione.
L’art. 42, comma 2, del suddetto T.U., contiene il regime sanzionatorio, stabilendo che, il mancato versamento, nei termini stabiliti, del contributo di costruzione comporta:
a) l'aumento del contributo in misura pari al 10 per cento qualora il versamento del contributo sia effettuato nei successivi centoventi giorni;
b) l'aumento del contributo in misura pari al 20 per cento quando, superato il termine di cui alla lettera a), il ritardo si protrae non oltre i successivi sessanta giorni;
c) l'aumento del contributo in misura pari al 40 per cento quando, superato il termine di cui alla lettera b), il ritardo si protrae non oltre i successivi sessanta giorni.
Il successivo IV comma statuisce che nel caso di pagamento rateizzato le norme di cui al secondo comma si applicano ai ritardi nei pagamenti delle singole rate.
L’Amministrazione Comunale di Peschiera Borromeo ha approvato, con delibera della G.C. n. 99 del 1994, una disciplina generale di rateizzazione del versamento del contributo di urbanizzazione e di costruzione, prevedendo tre rate: la prima al momento del ritiro del titolo edilizio, la seconda a 6 mesi dal rilascio dello stesso e l’ultima entro un anno.
Nel caso di specie tuttavia l’Amministrazione ha approvato una rateizzazione differente, in accordo con il titolare del permesso di costruire, dando espressamente atto che la rateizzazione era maggiormente favorevole all’Amministrazione Comunale, “in quanto prevede l’incasso in tempi più brevi rispetto a quelli previsti nella deliberazione di G.C. n. 99/1994”.
Vale fin da ora un raffronto: se le parti avessero applicato la regola generale di rateizzazione in tre scaglioni, la società Ametista avrebbe dovuto versare il 50% al momento del ritiro del titolo (cioè il 29.12.2009), la seconda rata del 25% entro il 29.06.2010 e l’ultima rata al 29.12.2010.
Di fatto la società ha invece versato il 50 % al momento del ritiro del titolo e il residuo il 27.5.2010, quindi in ogni caso prima della scadenza sia della seconda sia della terza rata previste dalla disciplina generale.
Il provvedimento nella parte in cui applica la sanzione è illegittimo.
Infatti la fonte dell’obbligazione è la norma di legge, ma i termini di adempimento dell’obbligazione pecuniaria sono stati stabiliti in base all’accordo tra le parti.
Alla pattuizione negoziale, che ha introdotto una disciplina diversa rispetto a quella legale, ad avviso del Collegio, non può applicarsi la norma che introduce il regime sanzionatorio per violazione di scadenze previste dalla legge.
In altri termini non può ad una pattuizione negoziale essere applicata una sanzione che presuppone l’applicazione dei termini di adempimento legali, in quanto la sanzione è legata al termine legale.
Qui è stato violato il termine convenzionale: il ritardo nel versamento del conguaglio si è infatti verificato rispetto ad una scadenza negoziale, non a quella legale.
L’agire dell’Amministrazione rischia di violare altresì il principio di legalità in tema di sanzioni amministrative di cui all’art. 1 l. 24.11.1981 n. 689, in quanto verrebbe estesa la sanzione ad una violazione non prevista dalla legge.
Pertanto la sanzione deve essere annullata, mentre sono stati correttamente applicati gli interessi legali, calcolati sui 55 giorni di ritardo (TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 10.12.2010 n. 7504 - link a www.giustizia-mministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Pertinenza urbanistica.
In materia edilizia, per pertinenza deve intendersi un'opera che non sia parte integrante o costitutiva di un altro fabbricato, bensì al servizio dello stesso onde renderne più agevole e funzionale l'uso (in applicazione di tale principio la Corte ha escluso la natura pertinenziale di un locale residenziale, ricavato dalla chiusura su due lati di un lavatoio-stenditoio, collegato tramite scala esterna con l'appartamento sottostante) (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 28.05.2010 n. 20349 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: Elettrosmog. Installazione impianti di radiodiffusione.
Non integra il reato di installazione e/o esercizio senza autorizzazione di impianti di radiodiffusione sonora o televisiva in ambito locale (art. 98, comma terzo, Codice delle comunicazioni elettroniche di cui al D.Lgs. 01.08.2003, n. 259) la modifica "in riduzione" di un impianto già assentito, non essendo necessaria in tale ipotesi l'autorizzazione preventiva, ma una semplice comunicazione da parte del soggetto che ne è titolare (in motivazione la Corte, in una fattispecie nella quale si era verificata la delocalizzazione e riduzione dell'area originariamente servita dall'impianto autorizzato, ha precisato che a tale ipotesi è applicabile il principio del silenzio assenso, da ritenersi formato una volta decorso il termine di 60 giorni dalla comunicazione) (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 14.04.2010 n. 14284 - link a www.lexambiente.it).

URBANISTICA: Lottizzazione abusiva.
Il reato di lottizzazione abusiva è configurabile anche in relazione a condotte di cessione poste in essere in data antecedente al 17.03.1985, data di entrata in vigore della L. 28.02.1985, n. 47, in quanto la previsione del comma decimo dell'art. 30, d.P.R. 06.06.2001, n. 380, la quale sancisce l'applicabilità delle "disposizioni di cui sopra" ai fatti successivi a tale data, riguarda unicamente le disposizioni strumentali ad impedire condotte lottizzatorie ed il successivo trasferimento dei beni, contenute nei commi secondo e seguenti del predetto articolo (nella specie l'acquisto della particella ed il relativo atto di frazionamento risalivano all'anno 1981) (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 08.04.2010 n. 13214 - link a www.lexambiente.it).

AGGIORNAMENTO AL 09.05.2011

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A V V I S O

Con riferimento alle n. 7 giornate di studio programmate in quel di Bergamo, si avvisano i Sigg. partecipanti che la giornata dell'11.05.2011 è stata annullata causa LUTTO e sarà recuperata mercoledì 01.06.2011 (stessi orario e sala).
Pertanto, il programma delle lezioni slitterà riprendendo da mercoledì 18.05.2011.
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aggiornamento delle ore 17,45 - LA SEGRETERIA PTPL

GURI - GUUE - BURL (e anteprima)

EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 18 del 06.05.2011 "Testo coordinato della l.r. 11.03.2005, n. 12 «Legge per il governo del territorio»".

SINDACATI

PUBBLICO IMPIEGOCCNL Enti Locali - Lavoro in turni e festività infrasettimanale (CGIL-FP di Bergamo, nota 02.05.2011).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Schema di contratto collettivo decentrato integrativo anni 2011-2012 (CGIL-FP di Bergamo, nota 02.05.2011).

NOTE, CIRCOLARI E COMUNICATI

ENTI LOCALI: OGGETTO: Addizionale comunale all’IRPEF di cui all’art. 1, del D.Lgs. 28.09.1998, n. 360. Art. 5 del D.Lgs. 14.03.2011, n. 23, in materia di cessazione graduale del potere di deliberare aumenti del tributo (Ministero dell'Economie e delle Finanze, Dipartimento delle Finanze, Direzione Federalismo Fiscale, risoluzione 02.05.2011 n. 1/DF).

UTILITA'

EDILIZIA PRIVATA - VARI: Finalmente arriva il IV Conto Energia.
Il Quarto Conto Energia è stato finalmente approvato dal Consiglio dei Ministri in data 05.05.2011.
Ecco in breve i contenuti del Decreto.
Nuovo regime di programmazione degli incentivi ed entrata in esercizio dell'impianto.
Il testo elimina ogni limite alla produzione che lascia invece il posto ad un sistema di regolazione automatica del livello degli incentivi in relazione alla potenza installata che entrerà a regime a partire dal 2013. Nel periodo transitorio è previsto un decremento progressivo della tariffa.
Rimane confermata l'erogazione dell'incentivo dal momento dell'entrata in esercizio dell'impianto, con la garanzia del rispetto dell'iter di connessione da parte del gestore di rete. Nei casi in cui il mancato rispetto, da parte del gestore di rete, dei tempi per il completamento della realizzazione della connessione e per l'attivazione della connessione comporti una perdita economica del richiedente, si applicano misure di indennizzo.
Rimane anche la distinzione dei premi in funzione della dimensione degli impianti (piccoli e grandi impianti).
Premi per uso efficiente dell'energia e per applicazioni specifiche.
Previsti incrementi fino al 30% della tariffa per uso efficiente dell'energia; fissato a 5 centesimi di euro/kWh il premio aggiuntivo per gli impianti installati in sostituzione di coperture contenenti amianto.
Nuovi requisiti richiesti per i produttori.
Per gli impianti che entrano in esercizio successivamente al 30.06.2012, il soggetto responsabile è tenuto a trasmettere la seguente ulteriore documentazione:
certificato rilasciato dal produttore dei moduli fotovoltaici attestante l’adesione dello stesso a un sistema o consorzio europeo che garantisca il riciclo dei moduli fotovoltaici utilizzati al termine della vita utile dei moduli;
certificato rilasciato dal produttore dei moduli fotovoltaici, attestante che l’azienda produttrice possiede le certificazioni ISO 9001 (Sistema di gestione della qualità), OHSAS 18001 (Sistema di gestione della salute e sicurezza del lavoro) e ISO 14000 (Sistema di gestione ambientale);
certificato di ispezione di fabbrica relativo a moduli e inverter rilasciato da ente terzo notificato a livello europeo o nazionale, a verifica del rispetto della qualità del processo produttivo e dei materiali utilizzati.
Nessuna proroga al 31 agosto.
Nel nuovo testo non c’è traccia della proroga al 31.08.2011 della scadenza del terzo Conto Energia annunciata nei giorni scorsi. Se il testo sarà confermato, il quarto Conto Energia entrerà in vigore l'01.06.2011.
La redazione di BibLus-net propone in allegato al presente articolo, oltre al testo approvato dal Consiglio dei Ministri, una utile tavola sinottica con le tariffe e i bonus aggiuntivi previste dal nuovo Conto Energia (link a www.acca.it).

SICUREZZA LAVORO: Testo Unico sulla Sicurezza e verifiche periodiche delle attrezzature.
Pubblicato in Gazzetta il Decreto 11.04.2011 che disciplina le modalità di verifica sulle attrezzature da lavoro eseguite da INAIL e ASL territoriali e definisce i criteri per l'abilitazione dei soggetti verificatori.
Ricordiamo che il Testo Unico sulla Sicurezza, relativamente agli obblighi del datore di lavoro (art. 71 - D.Lgs. 81/2008) recita che questi deve sottoporre le attrezzature di lavoro riportate nell'Allegato VII (quali scale, ponti mobili, generatori di calore, tubazioni, forni per industrie chimiche, etc.) a verifiche periodiche per valutarne l'effettivo stato di conservazione e di efficienza ai fini di sicurezza, con una certa frequenza.
Tale verifica deve essere effettuata dall'INAIL ex ISPESL che vi provvede nel termine di 60 giorni dalla richiesta.
Decorso tale termine, il datore di lavoro può avvalersi delle ASL e o di soggetti pubblici o privati abilitati. Il Testo Unico per la sicurezza stabilisce, inoltre, che i criteri per l'abilitazione dei soggetti pubblici o privati ad effettuare tali verifiche saranno stabiliti con Decreto del Ministro del Lavoro.
Il Decreto 11.04.2011, quindi in ottemperanza a quanto previsto dal Testo Unico sulla Sicurezza, definisce modalità, tempistiche, passaggi burocratici e amministrativi per l'accreditamento di soggetti terzi pubblici o privati alla verifica delle attrezzature da lavoro (link a www.acca.it).

APPALTI - EDILIZIA PRIVATA - VARI: Decreto Sviluppo: in arrivo tante novità su interventi edilizi e non solo.
E' stato approvato dal Consiglio dei Ministri il Decreto Sviluppo che ha l'obiettivo di rilanciare l'economia con una serie di misure che interessano diversi settori tra cui l'edilizia, i mutui bancari e gli appalti pubblici.
Vediamo le novità contenute nel provvedimento.
Piano Casa.
Introdotta una disciplina nazionale a cui le Regioni dovranno adeguarsi. Per interventi di abbattimento e ricostruzione con libertà di sagoma è previsto un premio volumetrico del 20% per edifici residenziale e del 10% per edifici non residenziali.
Permesso a costruire e silenzio assenso.
Altra novità è rappresentata dal silenzio-assenso per il rilascio del Permesso a Costruire, per il quale viene fissato un termine ultimo per i vari comuni in funzione del numero di abitanti. Il silenzio assenso è applicabile nel caso in cui non sussistano vincoli ambientali, paesaggistici o culturali.
Scia.
Confermata la sostituzione della Dia con la Scia (Segnalazione Certificata di Inizio Attività), che resta in vigore solo per quei casi in cui sostituisce il Permesso di Costruire.
Appalti pubblici.
Viene esteso da 500.000 euro a un milione di euro l’importo dei lavori che possono essere affidati senza gara d’appalto e con procedura negoziata. In particolare, per i lavori di importo superiore a 500.000 euro l’affidamento da parte del Responsabile del Procedimento dovrà prevedere l’invito di almeno dieci soggetti, per quelli di importo inferiore almeno cinque.
Modificati anche i requisiti delle imprese che possono partecipare alle gare di appalto, (i cosiddetti requisiti di moralità), per ridurre la discrezionalità degli enti appaltanti.
Opere conservative, riserve e varianti.
Per le opere compensative è fissato un tetto al 2% , mentre le riserve non sono ammesse se il progetto è stato validato e comunque non possono essere superiori al 20% dell'importo contrattuale.
Per le varianti in corso d'opera è previsto un taglio del 50% delle somme a disposizione. Dimezzati anche i rimborsi agli appaltatori per gli aumenti eccezionali dei prezzi dei materiali.
Variazione destinazione d'uso e sanatoria.
Il decreto introduce anche una piccola sanatoria per i lavori eseguiti in difformità al titolo abilitativo per una differenza inferiore al 2% per cubatura, superficie o altezze; inoltre, è prevista la possibilità di variazione di destinazione d’uso.
Rinegoziazione dei mutui.
I cittadini che hanno contratto un mutuo a tasso variabile e che ora devono far fronte a rate più elevate a causa dell'aumento dei tassi, potranno rinegoziare i mutui fino a 150 mila euro. Con la rinegoziazione il tasso viene trasformato da variabile in fisso per la durata residua del mutuo. Il mutuatario e la banca possono concordare anche l'allungamento del mutuo per un periodo massimo di cinque anni (link a www.acca.it).

DOTTRINA E CONTRIBUTI

URBANISTICA: W. Fumagalli, La VAS dei Piani di Governo del Territorio e R. Marletta, Separata in casa: lo strano caso dell’autorità competente per la valutazione ambientale strategica (AL n. 03-04/2011).

AMBIENTE-ECOLOGIA: A. Gagliardi, Immissioni acustiche: il doppio binario nella valutazione della tollerabilità delle immissioni ed il nuovo criterio della Legge 13/2009 - Nota a Corte di Cassazione, Sez. II civile, sentenza 17.01.2011 n. 939 e Sez. VI civile, sentenza 01.02.2011 n. 2319 (link a www.filodiritto.com).

CORTE DEI CONTI

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOPa locale. Corte dei Conti Campania. Fuori dal blocco del turn over i dipendenti a tempo.
I limiti al turn over nel personale degli enti locali introdotti dalla manovra estiva del 2010 non riguardano il personale a tempo determinato.
L'affermazione, nuova, arriva dalla sezione regionale della Corte dei conti della Campania, nel parere 27.04.2011 n. 246 diffusa ieri. Di opinione opposta la magistratura contabile della Lombardia, che in una delibera di un paio di settimane fa (parere 31.03.2011 n. 167) aveva affermato l'esatto contrario.
La questione è spinosa, e incide in maniera profonda sulle politiche del personale nelle amministrazioni locali.
La regola, fissata dall'articolo 14, comma 9, del Dl 78/2010, impedisce le «assunzioni a qualsiasi titolo e con qualsiasi contratto» negli enti che dedicano alle buste paga più del 40% delle spese correnti, e consente alle altre amministrazioni di effettuare «assunzioni» nel limite del 20% dei risparmi ottenuti con le cessazioni intervenute nell'anno precedente. Ma quali sono queste seconde «assunzioni»?
I magistrati contabili della Lombardia non hanno dubbi: secondo la loro lettura si tratta delle stesse «assunzioni a qualsiasi titolo» citate nella prima frase del comma, e di conseguenza anche i contratti a termine rientrano nei vincoli al turn over. A supporto della propria tesi, la Corte lombarda richiama lo scopo «sostanziale» della regola, che consiste nel contenimento della spesa di personale e, dunque, dovrebbe assorbire tutte le tipologie di uscite per stipendi.
La Campania non è d'accordo, e sposa invece la tesi caldeggiata anche dalla nota Anci del 29.07.2010, di commento alla manovra estiva, secondo cui il limite si applica alle sole assunzioni a tempo indeterminato. Sul punto, la Corte campana richiama anche una delibera delle sezioni riunite di controllo (la 20/2011), che però si era concentrata sull'esclusione dai vincoli dei co.co.co. nei Comuni sotto i 5mila abitanti; in quel caso, inoltre, il riferimento è al tetto al turn over del 100% e non del 20%, perché gli enti non soggetti al Patto erano già stati esclusi tout court dal nuovo vincolo dalle stesse sezioni Riunite (delibera 3/2011).
La via campana non è necessariamente più "generosa" di quella lombarda; quest'ultima, infatti, inserendo pienamente i contratti a termine nel raggio d'azione del turn over, potrebbe permettere di utilizzare i "risparmi" ottenuti con la scadenza dei contratti per finanziare nuove assunzioni a tempo indeterminato (articolo Il Sole 24 Ore 03.05.2011 - tratto da www.corteconti.it).

NEWS

ENTI LOCALIOSSERVATORIO VIMINALE/ Unioni, parola allo statuto. Enti autonomi sulle modalità di scioglimento. Il Tuel ha disciplinato solo gli elementi inderogabili delle forme associative.
Quali sono le modalità di liquidazione di una unione di comuni se gli atti di recessione degli enti locali aderenti all'unione stessa non risultano concomitanti? Se la regione non ha legiferato in materia, qual è la procedura corretta per la liquidazione dell'ente, con riferimento agli aspetti connessi alle pendenze in atto ed alla situazione dei dipendenti?
Il legislatore, con l'art 32 del Testo unico n. 267/2000, ha delineato l'istituto dell'Unione dei comuni disciplinandolo nei suoi elementi inderogabili, demandando all'autonomia statutaria e regolamentare dell'Unione medesima la disciplina dei propri organi e della propria organizzazione.
Se lo statuto dell'unione dei comuni ha regolamentato il recesso di un comune, lo scioglimento dell'unione e l'adesione di nuovi comuni e non soccorre la legislazione regionale che disciplini le modalità di estinzione degli enti locali territoriali a natura associativa, e se non è dato ravvisare una qualche forma di intervento dello stato, e per esso dell'organo periferico, considerato che la legge collega detto intervento a situazioni schematizzate e tipizzate, in virtù di quella ampia potestà regolamentare riconosciuta all'Unione, anche per l'estinzione e la relativa liquidazione non può che farsi riferimento alla disciplina che l'ente stesso ha dettato (articolo ItaliaOggi del 06.05.2011).

CONSIGLIERI COMUNALIOSSERVATORIO VIMINALE/ Sostituzione di consiglieri.
Sussiste una causa di incompatibilità, ai sensi dell'art. 65, comma 3, del dlgs 18.08.2000, n. 267, per un consigliere circoscrizionale che è chiamato, ai sensi dell'art. 45, comma 2, del Tuel, alla temporanea sostituzione di un consigliere comunale sospeso ai sensi dell'art. 59 del medesimo decreto legislativo, in quanto sottoposto alla misura cautelare degli arresti domiciliari?

La fattispecie in esame riguarda la possibilità che il carattere temporaneo della supplenza, cui il consigliere subentrante è chiamato, possa escludere che venga in essere l'ipotesi di incompatibilità contestata. In merito l'art. 45, comma 2, del dlgs 18.08.2000, n. 267 dispone che, nel caso di sospensione di un consigliere ai sensi dell'art. 59, il consiglio, nella prima adunanza successiva alla notifica del provvedimento di sospensione, procede alla temporanea sostituzione affidando la supplenza per l'esercizio delle funzioni di consigliere al candidato della stessa lista che ha riportato, dopo gli eletti, il maggior numero di voti. La supplenza ha termine con la cessazione della sospensione. Qualora sopravvenga la decadenza si fa luogo alla surrogazione a norma del comma 1 del medesimo art. 45.
L'art. 65, comma 3, del medesimo Tuel stabilisce poi che la carica di consigliere comunale è incompatibile con quella di consigliere di una circoscrizione del comune. Le cause di incompatibilità, a differenza delle cause d'ineleggibilità, si riferiscono a situazioni inconciliabili con lo svolgimento del mandato elettorale e l'espletamento delle funzioni di consigliere, ed impediscono all'eletto di ricoprire la relativa carica, venendo in rilievo solo al momento in cui la carica è assunta, salvo la possibilità di rimozione della causa d'incompatibilità nei modi e nei termini previsti.
La giurisprudenza (cfr. Tar Lazio Roma sez. II, 23.02.2005, n. 1443) ha chiarito che la disciplina delle incompatibilità si pone quale inderogabile limite di ordine pubblico a rispetto della volontà elettorale, rispondendo alla fondamentale esigenza dell'ordinamento democratico a che siano evitate situazioni, anche potenziali, di conflitto di interessi, ovvero indebite sovrapposizioni fra ruoli istituzionali distinti, discendendone quale conseguenza, in caso di mancata tempestiva rimozione della causa, la definitiva decadenza dal pubblico ufficio.
In particolare, l'art. 65, comma 3, del dlgs n. 267/2000, al fine di evitare di vanificare le esigenze di decentramento e autogoverno perseguite con l'introduzione dei municipi ed in conformità all'ormai costituzionalizzato principio di sussidiarietà, sancisce che «la carica di consigliere comunale è incompatibile con quella di consigliere di una circoscrizione del comune». Le cause di incompatibilità sono tassativamente individuate dal legislatore e sulle stesse è precluso l'esercizio di una lettura interpretativa che ne ampli o ne corregga la portata. Ove il legislatore abbia voluto apportare eccezioni o esclusioni, lo ha fatto con espressa previsione, senza lasciare margini interpretativi.
Nel caso di specie il consigliere subentrante potrà comunque esercitare, anche durante la procedura di contestazione avviata dal consiglio, la facoltà di opzione per l'una o l'altra carica che intende conservare, come espressamente previsto dall'art. 69 Tuel nelle ipotesi di incompatibilità sopravvenuta, non essendo sufficiente l'eventuale dichiarazione resa dall'interessato al consiglio di volersi astenere dall'esercizio delle funzioni di consigliere circoscrizionale per tutto il periodo della supplenza (articolo ItaliaOggi del 06.05.2011).

EDILIZIA PRIVATADECRETO SVILUPPO/ Tutte le novità di interesse per le amministrazioni e gli enti locali. Edilizia, permessi in 90 giorni. Procedure sprint per costruire. Dopo scatta il silenzio-assenso.
Permesso di costruire sprint: in 90 giorni la pratica si chiude, anche con il silenzio-assenso. Cresce la responsabilità (anche penale) del progettista che deve asseverare la conformità del progetto alla normativa. Ma l'amministrazione non può limitarsi a prendere atto della attestazione del progettista; deve, invece, controllare le pratiche per evitare situazioni di incertezza e per ridurre al minimo i casi di annullamento successivo al maturare del silenzio-assenso.

Sono questi gli effetti del decreto sviluppo (bozza), che innova il procedimento per il rilascio della concessione edilizia. Vediamo come.
Innanzitutto la domanda di permesso di costruire deve essere asseverata dal progettista. Alla domanda deve essere allegata una dichiarazione del tecnico abilitato che asseveri la conformità del progetto a tutta la normativa urbanistica ed edilizia: e quindi la conformità agli strumenti urbanistici approvati ed adottati, ai regolamenti edilizi vigenti, alle altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell'attività edilizia (norme antisismiche, di sicurezza, antincendio, igienico-sanitarie, efficienza energetica).
L'ufficio tecnico passa, dunque, da istruttore della pratica edilizia a controllore della istruttoria fatta da progettista privato.
Rimane sempre a carico dell'ufficio tecnico la comunicazione, entro dieci giorni, del nominativo del responsabile del procedimento.
Dalla presentazione della domanda scatta il termine di 60 giorni, che nell'intento della novella è il termine per concludere l'istruttoria: il funzionario incaricato acquisisce i pareri e nulla osta, a meno che non siano già stati allegati alla domanda dal richiedente, valuta la conformità del progetto alla normativa, e infine formula una proposta di provvedimento.
Il termine di 60 giorni può dilatarsi nel caso di richiesta da parte dell'ufficio tecnico di modifiche progettuali: in questo caso l'interessato deve decidere se aderire o meno alla richiesta.
Un altro caso di allungamento del termine è collegata alla richiesta, sempre da parte dell'ufficio tecnico, di integrazioni documentali: rimane confermato che il termine viene interrotto una sola volta.
Terminata l'istruttoria il responsabile del procedimento dovrà formulare la proposta di provvedimento finale, che dovrà essere adottato entro 30 giorni, se favorevole. Il termine passa a 40 giorni, se invece l'amministrazione ha preannunciato il diniego.
Quindi, in sostanza, se tutto fila liscio in novanta giorni si ha il permesso di costruire in mano. I giorni si raddoppiano, però, per i comuni con più di 100 mila abitanti e per i progetti particolarmente complessi.
La grossa novità scatta nel caso in cui il termine per l'adozione del provvedimento conclusivo decorra inutilmente: il decreto sviluppo prevede che, se il dirigente o il responsabile dell'ufficio non oppone motivato diniego, sulla domanda di permesso di costruire si intende formato il silenzio-assenso, tranne casi in cui sussistano vincoli ambientali, paesaggistici o culturali.
Gli uffici tecnici dovranno stare molto attenti al calendario: il decorso del termine significherà perfezionamento del titolo abilitativo. Certo il comune potrà sempre intervenire successivamente con un annullamento del permesso di costruire rilasciato con il silenzio-assenso, ma bisogna evitare situazioni di incertezza. In effetti il silenzio-assenso se è un meccanismo che se da un lato garantisce tempi certi di definizione della pratica, dall'altro può lasciare margini di dubbio sulla legittimità della edificazione.
Si può, invece, ritenere che il silenzio assenso non possa maturare se la pratica non è completa in tutti i suoi elementi. In particolare se mancano documenti essenziali, come ad esempio quelli comprovanti la legittimazione del richiedente o l'asseverazione del progettista, difficilmente si potrà sostenere che la sola inerzia del comune è sufficiente per conseguire il titolo abilitativo. Quanto ai rapporti tra privati è da presumere che la richiesta protocollata del permesso sia la prova del titolo edilizio.
Da Confedilizia, la Confederazione storica che raggruppa i proprietari immobiliari, arriva un plauso alle misure contenute nel decreto sviluppo che «pongono uno stop agli aggravi sugli immobili storici». Per questo, il presidente dell'associazione, Corrado Sforza Fogliani ha espressamente ringraziato i ministri Calderoli e Galan «ai quali», ha detto, «si devono queste innovazioni». In particolare, viene abolita la denuncia che i proprietari di tali immobili dovevano fare alla Soprintendenza in occasione di ogni locazione e il cui inadempimento era punito financo con la pena della reclusione» (articolo ItaliaOggi del 06.05.2011).

APPALTIDecreto sviluppo/ Le novità sulle opere pubbliche. Liti temerarie, sanzioni a 4 mila €. Appalti vincolati ai bandi-tipo. Tetto del 20% per le riserve in sede di esecuzione lavori.
Tetto del 20% per le riserve in sede di esecuzione dei lavori; sanzione di almeno 4 mila euro per le liti temerarie in materia di appalti; divieto di varianti per progetti validati; trattativa privata fino a un milione ma con invito di dieci soggetti e pubblicità dei risultati; tassatività delle cause di esclusione; bandi di gara da predisporre sulla base di bandi-tipo; limiti alle variazioni per aumenti dei costi dei materiali da costruzione; verifica on line dei requisiti dei concorrenti tramite la banca dati dei contratti pubblici.
Sono queste alcune delle principali novità relative al Codice dei contratti pubblici inserite nella bozza di decreto legge sullo sviluppo che ieri sera è stata discussa nel pre-Consiglio dei ministri in vista de] Consiglio di oggi.
La bozza di decreto prevede innanzitutto un venti per cento di tetto alle riserve che le imprese possono apporre in sede di esecuzione del contratto e introduce il divieto di apporre riserve su aspetti progettuali oggetto di verifica. Viene anche introdotto il divieto di approvare progetti ... (articolo ItaliaOggi del 05.05.2011 - tratto da www.corteconti.it).

ENTI LOCALISblocco addizionale Irpef dal 07/06/2011. È la data da cui si può modificare parzialmente l'aliquota. Una risoluzione del dipartimento delle finanze interviene sul potere di deliberare dei comuni.
Tutti i comuni interessati al parziale sblocco del potere di deliberare in materia tributaria devono necessariamente attendere il 07.06.2011 per deliberare l'aumento o l'istituzione dell'addizionale Irpef. Quelli che hanno già deliberato devono procedere ad una nuova deliberazione.
A precisarlo è stata la risoluzione 02.05.2011 n. 1/DF della Direzione federalismo fiscale del Dipartimento delle finanze del Ministero dell'economia e delle finanze.
L'intervento, da tempo annunciato, arriva a dare certezze in una materia in cui molti si sono cimentati a offrire interpretazioni più o meno fondate sull'art. 5 del dlgs. 23/2011, sul federalismo fiscale municipale, che dispone che con un regolamento (art. 17, comma 2, della legge 400/1988), da emanare entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore del decreto -e cioè entro il 06.06.2011- andrà disciplinata la graduale cessazione, anche parziale, della sospensione del potere dei comuni di istituire l'ADDIRPEF o anche di aumentarla nell'ipotesi in cui sia già stata istituita.
La norma precisa, poi che nel caso in cui entro il suddetto termine il decreto non venga emanato il regolamento possono comunque esercitare i poteri in questione soltanto: - i comuni che non hanno istituito l'addizionale; - i comuni che l'hanno istituita e hanno deliberato un'aliquota inferiore allo 0,4 %.
Su quest'ultimo aspetto si sono concentrate le attenzioni dei comuni interessati al parziale sblocco che sono stati spesso indotti a deliberare in materia di addizionale prima ancora dell'arrivo del prescritto regolamento. Ed infatti, contrariamente a quanto sostenuto da altri organi di stampa, i tecnici del Ministero si sono precipitati ad affermare che ... (articolo ItaliaOggi del 03.05.2011 - tratto da www.corteconti.it).

ATTI AMMINISTRATIVIAl giudice civile l'affidamento su atto illegittimo.
Anche dopo il Codice del processo amministrativo, le azioni risarcitorie contro la pubblica amministrazione sono un terreno conteso tra il giudice ordinario e il giudice amministrativo.
Proprio in questi giorni la Corte di Cassazione ha segnato un punto a favore del primo. Con due ordinanze le Sezioni unite (n. 6594 e 6596 del 2011) hanno infatti stabilito che il danno subito da un privato per aver confidato nella legittimità di un atto amministrativo poi annullato va fatto valere in sede civile.
Le due vicende sono emblematiche. Ottenuta la concessione edilizia, il proprietario del terreno iniziava i lavori. Il Comune però annullava d'ufficio l'atto e il proprietario, nonostante una serie di istanze di sanatoria e di ricorsi giurisdizionali, non riusciva a ottenere un titolo per completare la costruzione. Anzi il comune ordinava la demolizione. Da qui l'azione per danni proposta davanti al giudice civile.
La seconda vicenda riguardava invece un appalto di servizi di ristorazione scolastica aggiudicato a un'impresa e poi annullato, mentre era in corso l'esecuzione, dal giudice amministrativo. Subentrava dunque nel contratto un'altra impresa concorrente. L'impresa proponeva un'analoga azione per danni perla rifusione delle spese sostenute per l'esecuzione interrotta del contratto e per il riconoscimento di un indennizzo per aver confidato nella legittimità degli atti di gara.
Sollevata la questione di giurisdizione, la Cassazione conclude per la tutela in sede civile in base a un ragionamento lineare. Il risarcimento del danno da lesione di interessi legittimi ad opera di atti amministrativi attribuita, al giudice amministrativo da una decina d'anni (dal decreto legislativo n. 80/1998 e ... (articolo Il Sole 24 Ore del 03.05.2011 - tratto da www.corteconti.it).

AUTORITA' VIGILANZA CONTRATTI PUBBLICI

APPALTI: Codice Identificativo Gara (C.I.G.): carnet prestampati e modalità semplificata.
Dal 02.05.2011 è disponibile il nuovo servizio Smart CIG, tramite il quale le stazioni appaltanti possono ottenere i Codici Identificativi Gara in modalità semplificata o carnet di 50 certificati (si legga, in merito, il comunicato del Presidente AVCP del 02.05.2011).
Il nuovo sistema si applica solo ad alcune tipologie contrattuali, ossia:
- contratti di lavori di importo inferiore a € 40.000, ovvero contratti di servizi e forniture di importo inferiore a € 20.000, affidati ai sensi dell'art. 125 del Dlgs 163/2006 (Codice) o mediante procedura negoziata senza previa pubblicazione del bando;
- contratti di cui agli articoli 16, 17 e 18 del Codice, indipendentemente dall'importo;
- altri contratti esclusi in tutto o in parte dall'ambito di applicazione del Codice fino ad un importo di € 150.000;
- contratti affidati direttamente da un ente aggiudicatore o da un concessionario di lavori pubblici ad imprese collegate, ai sensi, rispettivamente, degli articoli 218 e 149 del Codice.
Sono previste due modalità di rilascio semplificato del codice CIG:
- acquisizione del CIG a fronte dell'immissione di un numero ridotto di informazioni (procedura semplificata);
- richiesta fino a due carnet prestampati di 50 CIG ciascuno, con validità limitata nel tempo.
Una volta accettata la richiesta, il sistema trasmette al richiedente, via posta elettronica certificata, un documento in formato PDF che riporta la data di generazione del carnet, il responsabile del procedimento assegnatario, l'elenco dei CIG che compongono il carnet e la data di scadenza del carnet entro la quale i CIG possono essere utilizzati.
Il responsabile di procedimento potrà disporre di un massimo di due carnet contemporaneamente attivi per ciascun centro di costo di stazione appaltante presso il quale opera.
L'accesso al sistema è consentito agli utenti già abilitati al sistema SIMOG; i nuovi utenti dovranno invece registrarsi con le consuete modalità di registrazione all'indirizzo http://anagrafe.avcp.it (link a www.acca.it).

APPALTI: L’ampia discrezionalità di cui gode la stazione appaltante in merito alla fissazione dei requisiti di partecipazione ad una gara, che ben possono essere diversi, ulteriori e più restrittivi di quelli legali, conosce il limite della logicità e della ragionevolezza dei requisiti richiesti e della loro pertinenza e congruità rispetto all’oggetto dell’appalto ed all’interesse pubblico perseguito.
Non è conforme a tali principi la richiesta della s.a. che la certificazione di qualità dei partecipanti rechi una esplicita e specifica dicitura, posseduta, peraltro, da una sola impresa sul territorio nazionale (parere di precontenzioso 23.09.2010 n. 168 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: La disposizione di cui all’art. 90, comma 7 del D.P.R. n. 554/1999, prevede in sostanza una regola di “chiusura” del sistema per rimuovere le incongruenze interne dell’offerta, in modo da definirne esattamente i contenuti ai fini dell’esecuzione del contratto; e infatti la norma regolamentare in esame prevede che la prescritta operazione di verifica –affidata alla stazione appaltante– si svolga in un momento successivo all’aggiudicazione definitiva e prima della stipulazione del contratto. (cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, 11.07.2003, n. 4145).
In tale ottica, pertanto, va ribadito che dal disposto dell’art. 90, comma 7, del D.P.R. n. 554/1999, interpretato in coerenza con quanto prescritto nel precedente comma 6, è desumibile il principio di valenza generale secondo cui “l’elemento dell’offerta che assume carattere vincolante per la stazione appaltante è il ribasso percentuale” (TAR Abruzzo, Pescara 14.03.2007 n. 325), che costituisce, pertanto, il dato decisivo di riferimento in base al quale, non solo si identifica l'offerta (comma 6), ma si effettua (“dopo l’aggiudicazione definitiva e prima della stipulazione del contratto”, comma 7) la correzione delle eventuali discordanze tra i prezzi unitari, comunque indicati, e la detta percentuale, adeguandoli a quest’ultima (cfr. ad es. Consiglio Stato, Sez. V, 10.11.2003, n. 7134) (parere di precontenzioso 23.09.2010 n. 166 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: Il rigore della disposizione di cui all’art. 49 del d.lgs. 12.04.2006, n. 163 nell’allegazione dei documenti necessari ai fini dell’avvalimento si giustifica in relazione alla ratio della norma in esame, che è quella di consentire, da un lato, la massima partecipazione possibile alle procedure di aggiudicazione, e, dall’altro, di evitare che l’istituto in questione, diventi uno strumento per eludere la disciplina in materia di requisiti di partecipazione fissata dal codice dei contratti pubblici (cfr. Cons. Stato, Sez. V, sentenza n. 1589 del 13.03.2009; Cons. Stato, Sez. IV, sentenza n. 5742 del 20.11.2008).
Qualora la stazione appaltante richieda di provare ex art. 48 il possesso di tutti i requisiti dichiarati, l’operatore economico è tenuto a dare la prova sia di quelli posseduti in proprio sia di quelli posseduti tramite l’impresa ausiliaria (ossia dell’attestazione SOA). In quest’ultimo caso, dalla lettura in combinato disposto degli artt. 48 e 49 del Dlgs. 163/2006 risulta necessario dimostrare non solo il possesso del requisito avvalso in capo all’impresa ausiliaria ma anche l’effettiva disponibilità e fruibilità di quest’ultimo da parte del concorrente avvalente (parere di precontenzioso 23.09.2010 n. 164 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: Il versamento del contributo costituisce condizione di ammissibilità e, pertanto, la mancata dimostrazione dell’avvenuto pagamento è causa di esclusione dalla procedura di gara secondo quanto divisato, ancor più di recente, nel parere 19.06.2008, n. 189.
Infatti, gli operatori economici che intendono partecipare a procedure di gara per l’appalto di commesse pubbliche sono tenuti al pagamento della contribuzione quale condizione di ammissibilità alla procedura di selezione del contraente. Essi sono tenuti a dimostrare, al momento di presentazione dell’offerta, di avere versato la somma dovuta a titolo di contribuzione.
La mancata dimostrazione dell’avvenuto versamento di tale somma è causa di esclusione dalla procedura di gara (parere di precontenzioso 23.09.2010 n. 163 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: Il nostro sistema ordinamentale attribuisce all’Amministrazione il potere di disporre l’integrazione documentale, allo scopo precipuo di favorire la massima partecipazione alle procedure di gara, evitando che carenze meramente formali nella documentazione –come quella di cui trattasi– impoveriscano la platea dei concorrenti (art. 46 del D.Lgs. n. 163/2006). L’invito ai concorrenti alla regolarizzazione documentale può, in particolare, essere attivato, per la parte che qui interessa, in caso di dichiarazioni, documenti e certificati non chiari o di dubbio contenuto.
Diversi sono i casi in cui il concorrente non abbia affatto presentato la documentazione richiesta a pena di esclusione o essa risulti del tutto mancante o fisicamente incompleta; casi questi in cui non è ammessa alcuna forma di integrazione documentale perché ciò altererebbe la par condicio tra i concorrenti (parere di precontenzioso 23.09.2010 n. 162 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI FORNITURE E SERVIZI: Il triennio inerente alla capacità economico-finanziaria di cui all’art. 41, comma 1, lett. c), del D.Lgs. n. 163/2006 si riferisce ai documenti tributari e fiscali relativi ai tre esercizi annuali antecedenti alla data di pubblicazione del bando, che risultano depositati, mentre, in relazione ai requisiti di capacità tecnica e professionale di cui all’art. 42, comma 1, lett. a) del Codice dei contratti pubblici, il triennio di riferimento è quello effettivamente antecedente alla data di pubblicazione del bando e, quindi, non coincide necessariamente con il triennio relativo al requisito di capacità economico-finanziaria (parere di precontenzioso 23.09.2010 n. 161 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: In tema di autocertificazione, quale che sia il disposto del bando, è legittima l'esclusione da una gara di appalto per la mancata allegazione, da parte del concorrente, della fotocopia del documento di riconoscimento alla dichiarazione sostitutiva ed ai documenti prodotti in fotocopia autocertificata, atteso che alla produzione della copia del documento di identità va attribuito valore di elemento costitutivo dell’autocertificazione (cfr., da ultimo, Consiglio di Stato, Sez. VI, 23.07.2008, n. 3651).
E’ stato, infatti, evidenziato che nella previsione di cui al combinato disposto degli art. 21, comma 1, e 38, commi 2 e 3, del D.P.R. n. 445/2000, l’allegazione della copia fotostatica, sia pure non autenticata, del documento di identità dell’interessato vale a conferire legale autenticità alla sua sottoscrizione apposta in calce a una istanza o a una dichiarazione, e non rappresenta un vuoto formalismo ma semmai si configura come l’elemento della fattispecie normativa diretto a comprovare, oltre alle generalità del dichiarante, l’imprescindibile nesso di imputabilità soggettiva della dichiarazione a una determinata persona fisica.
Pertanto, la mancata allegazione del documento di identità non costituisce una mera irregolarità sanabile con la sua produzione postuma, ma integra gli estremi di una palese e insanabile violazione della disciplina regolatrice della procedura amministrativa (Consiglio di Stato, Sez. V, n. 5761/2007 e n. 5677/2003; Sez. IV, n. 435/2005; Sez. VI, n. 2745/2005) (parere di precontenzioso 23.09.2010 n. 160 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: Ai fini della individuazione dei soggetti tenuti alle dichiarazioni di cui all’art. 38, co. 1, lett. b e c, occorre necessariamente fare riferimento alle funzioni sostanziali di tali soggetti più che alle qualifiche formali, compiendo a tal fine un’operazione interpretativa, altrimenti la evidenziata ratio potrebbe essere agevolmente elusa e dunque vanificata (pareri dell’Autorità: n. 5 del 15.01.2009; n. 47 dell’11.03.2010 e n. 79 del 15.04.2010; Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 523 dell'08.02.2007; Sez. V, n. 36 del 15.01.2008; sulla necessità che anche l’institore renda la dichiarazione concernente i requisiti di moralità: TAR Sardegna , Sez. I, n. 971 del 19.05.2008) (parere di precontenzioso 23.09.2010 n. 158 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

LAVORI PUBBLICI: La corrispondenza tra le lavorazioni certificate e le lavorazioni da eseguire rappresenta il presupposto per avvalersi della riduzione della cauzione.
Difatti, se è vero, come affermato più volte in giurisprudenza, che non c’è una perfetta coincidenza tra le categorie della qualificazione SOA e l’attestazione di qualità aziendale, è, tuttavia, ormai jus receptum che deve esserci una corrispondenza tra la categoria prevalente dei lavori posti in gara e quella a cui si riferisce la certificazione di qualità (cfr. TAR Campania Salerno, sez. I, sentenza n. 6538 del 14.05.2010; TAR Puglia Bari, sez. I, sentenza n. 1379 del 03.06.2009; TAR Campania Napoli, sez. I, sentenza n. 8841 del 28.06.2005).
Solo in questo caso, infatti, la certificazione in esame è in grado di “sostituire” in parte qua la garanzia richiesta dal legislatore a tutela della Stazione Appaltante in virtù della capacità riconosciuto alla certificazione di attestare la maggiore affidabilità strutturale ed operativa dell'impresa nell’esecuzione delle lavorazioni da realizzare (parere di precontenzioso 09.09.2010 n. 157 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

LAVORI PUBBLICI: La corrispondenza tra le lavorazioni certificate e le lavorazioni da eseguire rappresenta il presupposto per avvalersi della riduzione della cauzione.
Difatti, se è vero, come affermato più volte in giurisprudenza, che non c’è una perfetta coincidenza tra le categorie della qualificazione SOA e l’attestazione di qualità aziendale, è, tuttavia, ormai jus receptum che deve esserci una corrispondenza tra la categoria prevalente dei lavori posti in gara e quella a cui si riferisce la certificazione di qualità (cfr. TAR Campania Salerno, sez. I, sentenza n. 6538 del 14.05.2010; TAR Puglia Bari, sez. I, sentenza n. 1379 del 03.06.2009; TAR Campania Napoli, sez. I, sentenza n. 8841 del 28.06.2005).
Solo in questo caso, infatti, la certificazione in esame è in grado di “sostituire” in parte qua la garanzia richiesta dal legislatore a tutela della Stazione Appaltante in virtù della capacità riconosciuta alla certificazione di attestare la maggiore affidabilità strutturale ed operativa dell'impresa nell’esecuzione delle lavorazioni da realizzare (parere di precontenzioso 09.09.2010 n. 156 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

LAVORI PUBBLICI: La corrispondenza tra le lavorazioni certificate e le lavorazioni da eseguire che rappresenta il presupposto per avvalersi della riduzione della cauzione.
Difatti, se è vero, come affermato più volte in giurisprudenza, che non c’è una perfetta coincidenza tra le categorie della qualificazione SOA e l’attestazione di qualità aziendale, è, tuttavia, ormai jus receptum che deve esserci una corrispondenza tra la categoria prevalente dei lavori posti in gara e quella a cui si riferisce la certificazione di qualità (cfr. TAR Campania Salerno, sez. I, sentenza n. 6538 del 14.05.2010; TAR Puglia Bari, sez. I, sentenza n. 1379 del 03.06.2009; TAR Campania Napoli, sez. I, sentenza n. 8841 del 28.06.2005).
Solo in questo caso, infatti, la certificazione in esame è in grado di “sostituire” in parte qua la garanzia richiesta dal legislatore a tutela della Stazione Appaltante in virtù della capacità riconosciuto alla certificazione di attestare la maggiore affidabilità strutturale ed operativa dell'impresa nell’esecuzione delle lavorazioni da realizzare (parere di precontenzioso 09.09.2010 n. 155 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: Ai fini dell’individuazione del criterio interpretativo da seguire per individuare specificamente la persona fisica rispetto alla quale, nell’ambito del rapporto societario, assume rilievo la causa di esclusione e, dunque, il soggetto tenuto alla dichiarazione sostitutiva richiesta, la giurisprudenza amministrativa (Consiglio di Stato, sez. V, sentenza n. 5913 del 28.11.2008, sentenza n. 36 del 15.01.2008 e sentenza n. 4856 del 20.09.2005) e la prassi dell’Autorità (si vedano i pareri n. 164 del 21.05.2008, n. 193 del 10.07.2008, n. 5 del 15.01.2009 e n. 35 dell'11.03.2009) hanno individuato tale criterio nella necessità di ricercare nello statuto della persona giuridica quali siano i soggetti dotati del potere di rappresentanza.
Ciò in quanto, indipendentemente dalla titolarità dei poteri di gestione societaria, i soggetti titolari del potere di rappresentanza della persona giuridica sono comunque in grado di trasmettere, con il proprio comportamento, la riprovazione dell’ordinamento nei riguardi della loro personale condotta al soggetto rappresentato (si vedano i pareri n. 77 del 09.07.2009 e n. 35 dell’11.03.2009).
Con riferimento al direttore tecnico però –sempre previsto, anche per le imprese individuali, come soggetto “rilevante” ai fini che interessano– non sussiste alcun dubbio interpretativo né dibattito giurisprudenziale che introduca elementi di differenziazione in ordine all’obbligo di dichiarazione in questione a seconda della categoria di lavorazione per cui il direttore tecnico è qualificato, con conseguente limitazione soggettiva dell’obbligo dichiarativo in parola ove il direttore tecnico, non sia qualificato per l’attività oggetto di gara (parere di precontenzioso 09.09.2010 n. 154 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

LAVORI PUBBLICI: Nel caso di appalti di lavori di valore inferiore al milione di euro, la disciplina di cui all’art. 86, comma 1, del D.Lgs. n. 163/2006 deve essere coordinata con la previsione di cui all’art. 122, comma 9, relativa all’esclusione automatica delle offerte.
Come chiarito anche da questa Autorità nella Determinazione n. 6 dell’08.07.2009 “non si procede all’esclusione automatica, ancorché sia previsto nel bando, qualora il numero delle offerte ammesse e quindi ritenute valide sia inferiore a dieci; in tal caso non si procede al calcolo della soglia di anomalia ma resta impregiudicata la facoltà di procedere alla verifica della congruità ai sensi dell’art. 86, comma 3, del Codice".
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L’operazione matematica disciplinata dall’art. 86, comma 1, del D.Lgs. n. 163/2006 all’interno del procedimento per la determinazione della soglia di anomalia e richiamata dalla stazione appaltante nella disciplina di gara, il cosiddetto “taglio delle ali”, prevede in realtà solo un accantonamento provvisorio del 10% rispettivamente delle offerte di maggior ribasso e di minor ribasso; la “esclusione” di cui parla la citata disposizione è da ritenersi tale ai soli fini della procedura di computo della soglia di anomalia. In questo senso si è espressa una consolidata giurisprudenza sostenendo che “ai sensi dell’art. 86, comma 1, il taglio delle ali serve, unitamente ad altri elementi, solo per individuare la soglia di anomalia delle offerte e non per escludere automaticamente dalla gara le imprese che hanno presentato offerte nel detto taglio” (Cfr. tra le altre TAR Puglia, Lecce, sezione III, n. 1460 del 2009, TAR Liguria, sezione II, n. 1554 del 2006) (parere di precontenzioso 09.09.2010 n. 153 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI SERVIZI: Con riferimento alla richiesta, nel bando di gara, concernente l’aver svolto, nel triennio 2007-2008-2009, senza demerito, servizi analoghi a quello oggetto dell’appalto per un importo per ciascun anno pari almeno a € 1.200.000,00, occorre rilevare che dal semplice confronto tra l’importo a base d’asta del servizio da appaltare (€ 150.000,00 annui per tre) e il suddetto importo richiesto come fatturato annuo per servizi analoghi nel triennio in questione (corrispondente a otto volte l’importo annuo del servizio in affidamento) risulta in tutta evidenza l’oggettiva sproporzione del requisito (parere di precontenzioso 09.09.2010 n. 152 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: Non può essere considerata in linea con le disposizioni contenute nell’allegato B del D.P.R. n. 554/1999 la formula adottata per l’attribuzione del punteggio relativo al prezzo offerto che comporta, nel caso l’offerta corrisponda al prezzo a base di gara, che il coefficiente di interpolazione risulti diverso da zero.
L’Autorità ha osservato che l’espressione che meglio risponde alle disposizioni vigenti è la seguente: “a) nel caso in cui il prezzo offerto è espresso in Euro: PPi = PPmax x (Pbase – Pi)/ (Pbase-Pmin), nella quale: PPi è il punteggio attribuito all’offerta del concorrente in rapporto all’elemento prezzo; Pmin è il prezzo minimo offerto; Pi è il prezzo offerto dal concorrente; PPmax è il punteggio massimo attribuibile all’elemento prezzo; Pbase è il prezzo posto a base di gara;
b) nel caso l’offerta è espressa in termini di ribasso percentuale rispetto all’importo a base di appalto: PPi = PPmax x (Pr%i / Pr%max), nella quale: PPi è il punteggio attribuito all’offerta del concorrente in rapporto all’elemento prezzo; PPmax è il punteggio massimo attribuibile all’elemento prezzo; Pr%i è il ribasso offerto dal concorrente; Pr%max è il massimo ribasso offerto
” (cfr. deliberazione 218/2007) (parere di precontenzioso 09.09.2010 n. 151 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI FORNITURE: In una gara per la fornitura di autobus, la scelta della stazione appaltante di assegnare ben 4 punti all’operatore economico offerente mezzi più uniformi al parco veicoli esistenti, è suscettibile di produrre effetti lesivi della concorrenza, riducendo la partecipazione alla gara degli operatori economici del settore.
È altresì necessario che la lex specialis tenga adeguatamente conto degli ordinari tempi di consegna dei mezzi oggetto di fornitura, soprattutto nell’ipotesi in cui la stazione appaltante richieda un prodotto con caratteristiche specifiche e distinte rispetto a quelle ordinariamente reperibili sul mercato per quel medesimo bene (parere di precontenzioso 09.09.2010 n. 150 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: La scelta del peso da attribuire a ciascun elemento dell’offerta è rimessa, quindi, caso per caso alla stazione appaltante, in relazione alle peculiarità specifiche dell’appalto e, dunque, all’importanza che, nel caso concreto, hanno il fattore prezzo e gli elementi qualitativi. Conseguentemente, le scelte concretamente poste in essere nelle clausole della lex specialis rientrano nella discrezionalità della stazione appaltante, che può essere sindacata solo se manifestamente illogica o irragionevole (ex multis, da ultimo TAR Lazio, Sez. III, 28.01.2009 n. 630).
Unico vincolo posto dal legislatore, comunitario e nazionale, è che sia il prezzo sia gli aspetti di carattere qualitativo dell’offerta siano oggetto di valutazione, atteso che l’aggiudicazione con il sistema dell’offerta economicamente più vantaggiosa, anche nel “considerando” n. 46 della citata direttiva n. 18/2004, è definita quella che tende a garantire il miglior rapporto tra qualità e prezzo.
La decisione di una s.a. di attribuire al prezzo un peso di 5 punti su 100, tale da far perdere sostanziale rilievo all’elemento prezzo (e, quindi, al dato economico) ai fini della scelta dell’aggiudicatario, senza alcuna esplicita motivazione correlata alle peculiarità specifiche dell’appalto oggetto di affidamento, è idonea a produrre uno “squilibrio” nella scelta razionale del peso relativo a ciascun elemento (parere di precontenzioso 09.09.2010 n. 149 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: Nell'ambito dei requisiti di ordine generale di partecipazione alle gare, l'art. 38 del d.lgs. 12.04.2006, n. 163 prevede ipotesi per le quali la situazione ostativa, per essere tale, deve avere carattere di gravità, come in materia di gravità dei reati (lett. c) e sicurezza del lavoro (lett. e) nonché in caso di negligenza e malafede nell'esecuzione delle prestazioni (lett. f) e di irregolarità contributiva (lett. i) ed altre situazioni per le quali, invece, il requisito della gravità non è richiesto, quali le irregolarità fiscali di cui alla lett. g), con la conseguenza che il legislatore ha inteso attribuire all'Amministrazione il potere di valutare l'entità dell'infrazione, ai fini della sussistenza del requisito di affidabilità, soltanto nelle ipotesi caratterizzate dalla gravità, mentre nelle altre la sussistenza dell'infrazione è di per sé sufficiente ad impedire la partecipazione alla procedura (cfr. ad es. Consiglio Stato, Sez. V, 23.03.2009, n. 1755).
Compete alla stazione appaltante l’accertamento, di natura discrezionale e comportante l’obbligo di motivazione, della esistenza e della gravità della violazione commessa e sostenendo, in particolare, che la “gravità”, prevista come presupposto sia dalla lettera c) che dalla lettera e), debba essere desunta dalla specifica tipologia dell’infrazione commessa, sulla base del tipo di sanzione (arresto o ammenda) per essa irrogata, dell’eventuale reiterazione della condotta, del grado di colpevolezza e delle ulteriori conseguenze dannose che ne sono derivate (es. infortunio sul lavoro).
Si precisa, altresì, come rilevato nel parere n. 138/2008, che la stazione appaltante è legittimata ad effettuare le suddette valutazioni anche in presenza di un ricorso giurisdizionale o amministrativo avverso gli accertamenti effettuati dagli Organi agli stessi deputati (cfr., sul punto, anche il parere n. 239/2008) (parere di precontenzioso 09.09.2010 n. 148 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: Le dichiarazioni rese dall’impresa concorrente ai sensi dell’art. 75, comma 1, lett. c) del D.P.R. 554/1999, nel testo vigenze nella Regione Sicilia, devono essere espressamente riferite anche agli amministratori e ai direttori tecnici di un impresa estranea alla gara, dalla quale la partecipante abbia acquisito il ramo di azienda prima della partecipazione alla gara medesima, in base al presupposto che i requisiti soggettivi negativi propri dell’impresa cedente si trasmettano all’impresa cessionaria.
Ciò anche allo scopo precipuo di evitare –come evidenziato dalla giurisprudenza– possibili strumentalizzazioni delle disposizioni normative o di consentire soluzioni surrettizie volte ad eludere precisi obblighi di legge attraverso il ricorso a modificazioni soggettive delle parti (Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Sicilia n. 389/2008; n. 518/2009; n. 100/2010 e n. 101/2010) (parere di precontenzioso 09.09.2010 n. 147 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

GIURISPRUDENZA

APPALTI: Non è necessaria la verifica in ordine ai requisiti morali e, in particolare, il requisito della regolarità contributiva, anche con riferimento alla società incorporata.
La cessione di un ramo d'azienda realizza una successione di alcuni elementi soggettivi, con la conseguenza che l'influenza negativa del cedente si esplica anche nei confronti del cessionario e, l'eventuale inquinamento della gestione, si riflette negativamente anche sull'attuale struttura dell'intera compagine societaria. Pertanto, la dichiarazione resa da un'impresa concorrente in una gara d'appalto, va espressamente riferita anche agli amministratori e direttori tecnici di altra impresa, dalla quale la partecipante abbia acquisito un ramo di azienda, precedentemente alla partecipazione alla gara, in base al presupposto che i requisiti soggettivi negativi propri dell'impresa cedente si trasmettano all'impresa cessionaria. E ciò, anche al fine di evitare possibili strumentalizzazioni delle disposizioni normative volte ad eludere precisi obblighi di legge, attraverso il ricorso a modificazioni soggettive, in grado di alterare il libero gioco della concorrenza.
L'art. 75 d.P.R. n. 554 del 1999 (ora art. 38 d.lgs. n. 163 del 2006), prevedendo requisiti di ordine morale, in linea di principio li riferisce al concorrente, senza che questi possa rispondere del fatto altrui. Una deroga espressa si ha per il requisito della lett. c) dell'art. 75 d.P.R. n. 554 del 1999 (ora art. 38, lett. c), d.lgs. n. 163 del 2006). Per gli altri requisiti, occorre verificare caso per caso se la vicenda societaria sia volta ad eludere il possesso dei requisiti mediante fittizie modifiche soggettive delle parti. Si tratta allora di verificare, al di là del velo della forma societaria, quale sia l'impresa che si esprime dietro di essa e, dunque, se la vicenda societaria (trasformazione, fusione, incorporazione), comporti estinzione o continuità del soggetto privo dei requisiti morali; se la vicenda societaria è tale per cui in concreto risulti la sostanziale identità del soggetto originario e di quello successivo, è evidente che il nuovo soggetto incorre nel difetto di requisiti morali del precedente, perché la novità soggettiva è solo formale, essendovi nella sostanza identità.
Se invece vi è una fusione per incorporazione, con estinzione del soggetto privo dei requisiti morali, e assorbimento di esso in un soggetto preesistente, senza continuità con il soggetto estinto, non si può ritenere che il soggetto incorporante erediti il difetto di requisiti di ordine morale. Ovviamente resta ferma la responsabilità patrimoniale, a fini previdenziali, del soggetto incorporante (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 04.05.2011 n. 2662 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Sull'illegittimità dell'esclusione da una gara di un concorrente, per mancanza dell'abilitazione complessiva e del NOS (nulla osta sicurezza).
Ai fini della partecipazione alle gare di appalto, è sufficiente il possesso dell'abilitazione preventiva in capo alle imprese partecipanti, essendo, invece, la abilitazione complessiva, richiesta soltanto in fase di esecuzione. Quanto, poi, al nulla osta sicurezza, lo stesso è previsto dalla L. n. 124/2007, solo con riguardo alle informazioni classificate quali "Segretissime, Segrete o Riservatissime" e non già, come nel caso di specie, meramente "Riservate".
Pertanto, è illegittimo il provvedimento di esclusione adottato da un'amministrazione che abbia richiesto il possesso del NOS relativamente ad una fattispecie non rientrante in quelle espressamente disciplinate dal legislatore. La stessa AVCP ha precisato che il NOS non può essere previsto come requisito di partecipazione alla procedura di gara, in quanto ciò determinerebbe una limitazione della concorrenza (TAR Lazio-Roma, Sez. II-quater, sentenza 03.05.2011 n. 3834 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

EDILIZIA PRIVATA: Legittimo il diniego di concessione edilizia se il PRG subordina l'edificabilità all'adozione di uno strumento attuativo.
Ai fini della legittimità del diniego di concessione edilizia che rimandi alla redazione di un piano di lottizzazione è sufficiente la sola previsione, nell’ambito del P.R.G., dell’adozione di uno strumento attuativo (massima tratta da www.dirittodegliappaltipubblici.it - C.G.A.R.S., sentenza 02.05.2011 n. 339 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZI: Sulla rimessione all'Adunanza Plenaria della questione sull'applicabilità del d.lgs. 12.04.2006, n. 163, codice dei contratti pubblici, agli appalti indetti da società pubbliche che operano nell'ambito dei settori speciali.
La questione della applicabilità del d.lgs. 12.04.2006, n. 163, codice dei contratti pubblici, alla procedura selettiva espletata da EniServizi s.p.a., in nome e per conto di Eni s.p.a., per l'affidamento dei servizi di sicurezza e vigilanza privata a mezzo di guardie particolari giurate presenta due possibili ed opposte soluzioni.
La prima soluzione conduce a ritenere applicabile alla fattispecie il Codice dei contratti pubblici. Secondo tale approccio interpretativo, l'impresa pubblica, in quanto ente sottoposto all'influenza dominante di un'amministrazione aggiudicatrice, non può mai dirsi sottratta dalla osservanza delle regole minimali dell'evidenza pubblica di diritto interno, cui soggiacciono d'altra parte financo gli enti ecclesiastici che fruiscano di finanziamenti pubblici (in tema, Cons. Stato, VI, 04.06.2004, n. 3478). In tal caso, non vi sarebbero dubbi circa la necessaria attrazione delle controversie nell'alveo cognitorio del giudice amministrativo, ai sensi dell'art. 133 Cod. proc. amm..
La seconda soluzione non ritiene applicabile alla fattispecie il Codice dei contratti pubblici per la ragione che si tratta dell'affidamento di un contratto di diritto comune svolto da una impresa pubblica che, quanto all'attività in questione (non-strumentale a quella propria di un settore speciale), è estranea a quelli oggetto del Codice stesso.
Secondo tale soluzione le imprese pubbliche, a differenza delle amministrazioni aggiudicatrici, sono soggetti aggiudicatori solo laddove e nella misura in cui svolgono attività nei settori speciali.
Tenuto conto della situazione di possibile divergenza interpretativa, la suddetta questione deve essere rimessa all'esame all'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 29.04.2011 n. 2543 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI SERVIZI: Sulla natura di concessione di pubblico servizio del servizio di illuminazione votiva, con conseguente applicabilità della normativa limitativa della durata delle concessioni assegnate senza pubblica gara ex art. 23-bis, c. 8, del dl 112/2008.
Il comune che si avvalga dell'opera di un privato, per le attività connesse all'illuminazione votiva cimiteriale, pone di regola in essere una concessione di pubblico servizio e non di opera pubblica, poiché normalmente detto impianto costituisce un semplice strumento rispetto all'esigenza prioritaria di consentire il culto dei defunti, anche attraverso la gestione del servizio di illuminazione.
Ciò vale, anche, nel caso di specie, connotato dalla realizzazione di opere destinate a consentire l'illuminazione (come la posa di una serie di cavi elettrici del tutto analoghi a quelli usati per l'illuminazione civile ed il loro collegamento ad un punto luce per ciascuna sepoltura), le quali rientrano a buon diritto in quelle ordinariamente necessarie per lo svolgimento del servizio medesimo, senza assunzione di un particolare rilievo o impegno economico.
Pertanto, è legittimo il provvedimento con cui un comune ha anticipato il termine di scadenza del contratto relativo all'affidamento del servizio di illuminazione votiva cimiteriale, non potendo essere smentita la natura di concessione di pubblico servizio assunta dal servizio di illuminazione votiva affidato alla società ricorrente, con conseguente applicabilità della normativa limitativa della durata delle concessioni assegnate senza pubblica gara ex art. 23-bis, c. 8, del dl 112/2008, convertito dalla l. n. 133/2008 (TAR Campania-Napoli, Sez. I, sentenza 29.04.2011 n. 2409 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: In presenza di una clausola del bando di gara che detta prescrizioni a pena di esclusione per l'ammissione dei concorrenti, le relative determinazioni della commissione giudicatrice sono prive di carattere discrezionale.
Sull'illegittimità della clausola che prevede, a pena di esclusione, la indicazione di nome, cognome e qualifica del funzionario di banca/intermediario che sottoscrive la referenza bancaria.
In presenza di una clausola che detta prescrizioni a pena di esclusione per l'ammissione dei concorrenti ad una procedura concorsuale, le relative determinazioni della commissione giudicatrice sono prive di carattere discrezionale, avendo natura strettamente vincolata all'osservanza delle disposizioni di gara, in quanto la stazione appaltante non può disapplicare le regole che essa stessa ha posto.
Ciò esclude che, nel caso di specie, vi sia spazio per una integrazione o regolarizzazione postuma del documento palesemente privo di un elemento che espressamente il disciplinare di gara ha stabilito come necessario per l'utilizzabilità della referenza bancaria.
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La legge lascia alla stazione appaltante un ampio margine discrezionale per conformare il procedimento concorsuale alle proprie esigenze, disciplinando nella maniera più opportuna i requisiti e gli adempimenti posti a carico dei concorrenti che aspirano a partecipare alla gara. Tali determinazioni, quando non siano in contrasto con norme particolari di rango superiore, non sono censurabili nel merito, fatto salvo il sindacato di legittimità quando si manifesti una palese irragionevolezza o ingiustizia o incongruità delle disposizioni di gara.
Pertanto, nel caso di specie, è fondata la censura dedotta dalla società ricorrente, sotto questi profili, contro la clausola che prevede, a pena di esclusione, la indicazione di nome, cognome e qualifica del funzionario di banca/intermediario che sottoscrive la referenza bancaria. Infatti, tale disposizione, che sembra avere lo scopo di scoraggiare la produzione di documenti non genuini, è essenzialmente inutile in quanto, quand'anche le indicazioni richieste compaiano nel documento, nessuna garanzia vi è che "nome, cognome e qualifica" apposti siano veritieri e che il soggetto apparentemente firmatario sia effettivamente abilitato a rilasciare quella dichiarazione per la banca (TAR Campania-Napoli, Sez. I, sentenza 29.04.2011 n. 2399 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTII procuratori speciali non sono tenuti a rendere le dichiarazioni di cui all'art. 38 del Codice dei Contratti.
L'obbligo di dichiarazione ai sensi dell'art. 38 del Codice dei Contratti si applica ai soli amministratori della società, e non anche ai procuratori speciali, in quanto ai sensi dell’art. 2380-bis c.c., la gestione dell’impresa spetta esclusivamente agli amministratori e può essere concentrata in un unico soggetto (amministratore unico) o affidata a più persone, che sono i componenti del consiglio di amministrazione (in caso di scelta del sistema monistico ex artt. 2380 e 2409-sexiesdecies c.c.) o del consiglio di gestione (in caso di opzione in favore del sistema dualistico ex artt. 2380 e 2409-octies c.c.): ad essi, o a taluni tra essi, spetta la rappresentanza istituzionale della società.
I procuratori speciali (o ad negotia) sono invece soggetti cui può essere conferita la rappresentanza –di diritto comune- della società, ma che non sono amministratori e ciò a prescindere dall’esame dei poteri loro assegnati. L’art. 38 del d.lgs. n. 163/2006 richiede la compresenza della qualifica di amministratore e del potere di rappresentanza e non vi è alcuna possibilità per estendere l’applicabilità della disposizione a soggetti, quali i procuratori, che amministratori non sono.
Del resto, si tratta di una norma che limita la partecipazione alle gare e la libertà di iniziativa economica delle imprese, essendo prescrittiva dei requisiti di partecipazione e che, in quanto tale, assume carattere eccezionale ed è, quindi, insuscettibile di applicazione analogica a situazioni diverse, quale è quella dei procuratori. Peraltro, anche l’applicazione analogica sarebbe opinabile, in presenza di una radicale diversità della situazione dell’amministratore, cui spettano compiti gestionali e decisionali di indirizzi e scelte imprenditoriali e quella del procuratore, il quale, benché possa essere munito di poteri di rappresentanza, è soggetto dotato di limitati poteri rappresentativi e gestionali, ma non decisionali (nel senso che i poteri di gestione sono pur sempre circoscritti dalle direttive fornite dagli amministratori).
In altri termini le manifestazioni di volontà del procuratore possono produrre effetti nella sfera giuridica della società, ma ciò non significa che egli abbia un ruolo nella determinazione delle scelte imprenditoriali, lasciate all'amministratore. Pertanto, l'art. 38 del d.lgs. n. 163/06 -nell'individuare i soggetti tenuti a rendere la dichiarazione- fa riferimento soltanto agli "amministratori muniti di potere di rappresentanza": ossia, ai soggetti che siano titolari di ampi e generali poteri di amministrazione, senza estendere l’obbligo ai procuratori.
La soluzione accolta, oltre ad essere maggiormente rispondente al dato letterale del citato art. 38, evita che l’obbligo della dichiarazione possa dipendere da sottili distinzioni circa l'ampiezza dei poteri del procuratore, inidonee a garantire la certezza del diritto sotto un profilo di estrema rilevanza per la libertà di iniziativa economica delle imprese, costituito dalla possibilità di partecipare ai pubblici appalti (fin qui, testualmente, Cons. Stato, V, n. 513/2011) (massima tratta da www.dirittodegliappaltipubblici.it -  TAR Sicilia-Catania, Sez. III, sentenza 29.04.2011 n. 1071 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

COMPETENZE PROGETTUALIEsula dalla competenza dei geometri la progettazione di costruzioni civili con strutture in cemento armato.
Il Collegio dei geometri di una provincia lombarda ha impugnato il bando di progettazione per la riqualificazione e messa in sicurezza di 5 km di una strada provinciale, nella parte in cui ha riservato l’affidamento della progettazione ai soli ingegneri, architetti e geologi (nella specie la progettazione aveva ad oggetto indagini geognostiche e di prospezione, l’allargamento della strada, le opere di risanamento e consolidamento dei terreni residuati di una roggia, nonché la realizzazione di nove ponti in cemento armato anche precompresso, di cui due in attraversamento alla strada provinciale).
Secondo i ricorrenti i geometri possono progettare (e dirigerne l’esecuzione) opere edilizie in conglomerato cementizio nell’ambito delle loro competenze da individuarsi in chiave evolutiva alla luce delle innovazioni e dello sviluppo della normativa antisismica, delle tecnologie costruttive, dei programmi di studio professionali riservati ai geometri.
Considerando l’appello infondato i giudici del Consiglio di Stato ribadiscono di non voler discostarsi dal consolidato quadro ermeneutico tracciato dalla più recente giurisprudenza civile, amministrativa e penale, cui si rinvia a mente dell’art. 74 c.p.a. (cfr. Cass. civ., sez. II, 07.09.2009, n. 19292; 08.04.2009, n. 8543; 26.07.2006, n. 17028; 22.04.2005, n. 8545; 30.03.2005, n. 6649; Cons. St., sez. IV, 05.09.2007, n. 4652; sez. IV, 22.05.2006, n. 3006; Cass. pen., sez. III, 26.09.2000, Brena, secondo cui anche in tali ipotesi sussiste il reato di esercizio abusivo della professione di ingegnere o architetto).
I giudici di Palazzo Spada segnalano, infatti, che a norma dell’art. 16, lett. m), r.d. 11.02.1929 n. 274, e come si desume anche dalle ll. 05.11.1971 n. 1086 e 02.02.1974 n. 64, che hanno rispettivamente disciplinato le opere in conglomerato cementizio e le costruzioni in zone sismiche, nonché dalla l. 02.03.1949 n. 144 (recante la tariffa professionale), esula dalla competenza dei geometri la progettazione di costruzioni civili con strutture in cemento armato, trattandosi di attività che, qualunque ne sia l’importanza, è riservata solo agli ingegneri ed architetti iscritti nei relativi albi professionali. Solo le opere in cemento armato relative a piccole costruzioni accessorie rientrano nella competenza dei geometri, risultando ininfluente che il calcolo del cemento armato sia stato affidato ad un ingegnere o ad un architetto.
In buona sostanza, la competenza dei geometri è limitata alla progettazione, direzione e vigilanza di modeste costruzioni civili, con esclusione di quelle che comportino l’adozione -anche parziale- di strutture in cemento armato; solo in via di eccezione, si estende anche a queste strutture, a norma della lett. l) del medesimo articolo 16, r.d. n. 274 cit., purché si tratti di piccole costruzioni accessorie nell’ambito di edifici rurali o destinati alle industrie agricole, che non richiedano particolari operazioni di calcolo e che per la loro destinazione non comportino pericolo per le persone.
Per il resto, la suddetta competenza è comunque esclusa nel campo delle costruzioni civili ove si adottino strutture in cemento armato, la cui progettazione e direzione, qualunque ne sia l’importanza è pertanto riservata solo agli ingegneri ed architetti iscritti nei relativi albi professionali; sotto tale angolazione deve escludersi che le innovazioni introdotte nei programmi scolastici degli istituti tecnici possano ritenersi avere ampliato, mediante l’inclusione tra le materie di studio di alcuni argomenti attinenti alle strutture in cemento armato, le competenze professionali dei medesimi.
I limiti posti dall’art. 16, lett. m) cit. alla competenza professionale dei geometri:
a) rispondono ad una scelta inequivoca del legislatore, dettata da evidenti ragioni di pubblico interesse, che lascia all’interprete ristretti margini di discrezionalità, attinenti alla valutazione dei requisiti della modestia della costruzione, della non necessità di complesse operazioni di calcolo e dell’assenza di implicazioni per la pubblica incolumità;
b) indicano, d contro, un preciso requisito, ovverosia la natura di annesso agricolo dei manufatti, per le opere eccezionalmente progettabili dai predetti tecnici anche nei casi di impiego di cemento armato.
E’ pertanto esclusa la possibilità di un’interpretazione estensiva o «evolutiva» di tale disposizione, che, in quanto norma eccezionale, non si presta ad applicazione analogica, non potendosi pervenire ad una diversa conclusione neppure in virtù delle norme -art. 2, l. 05.11.1971 n. 1086 e art. 17, l. 02.02.1974 n. 64- che disciplinano le costruzioni in cemento armato e quelle in zone sismiche, in quanto le stesse richiamano i limiti delle competenze professionali stabiliti per i geometri dalla vigente normativa professionale (commento tratto da www.documentazione.ancitel.it - Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 28.04.2011 n. 2537 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Il giudizio relativo alla regolarità dei documenti allegati all’offerta non ha efficacia di piena prova.
I verbali provenienti da pubblici ufficiali hanno efficacia di piena prova, fino a querela di falso (art. 2700 c.c.) solo relativamente alla provenienza dell'atto dal pubblico ufficiale che lo ha formato, alle dichiarazioni delle parti e agli altri fatti che il pubblico ufficiale attesti avvenuti in sua presenza o da lui compiuti, mentre tale fede privilegiata non si estende né agli apprezzamenti del pubblico ufficiale ovvero alle sue ulteriori valutazioni e deduzioni. (ex multis VI sez., n. 7129 del 2010).
In applicazione del suddetto principio, il CGA ha raffermato che un giudizio formulato dalla Commissione di gara in ordine alla regolarità dei documenti allegati all’offerta costituisce il frutto di valutazioni non assistite da fidefacienza ma piuttosto da presunzione semplice di veridicità. (C.G.A. n. 35 del 2006) (massima tratta da www.dirittodegliappaltipubblici.it -  C.G.A.R.S., sentenza 28.04.2011 n. 333 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Polizza digitale, valida solo se prodotta in originale o in copia autenticata da un pubblico ufficiale.
La garanzia provvisoria in formato digitale deve essere presentata in originale e cioè su supporto informatico e sottoscritta con firma digitale.
In alternativa la concorrente può presentare una copia su supporto cartaceo della polizza generata informaticamente, la conformità della copia all'originale in tutte le sue componenti sia attestata da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato.
Mancando l’attestazione di conformità non è possibile, infatti, risalire al soggetto che ha sottoscritto l’originale informatico con firma digitale. Né, come già chiarito in giurisprudenza, la conformità di cui si discute poteva essere autocertificata poiché la polizza, in quanto scrittura privata, non rientra fra i documenti per i quali l’art. 19 del T.U. n. 445 del 2000 consente di attestare la conformità all’originale mediante dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà (massima tratta da www.dirittodegliappaltipubblici.it - C.G.A.R.S., sentenza 28.04.2011 n. 330 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: In base al principio di strumentalità delle forme l'invalidità di un atto per vizi procedurali può essere riconosciuta, solo quando gli adempimenti formali omessi non ammettano equipollenti, per il raggiungimento dello scopo perseguito.
La pubblica autorità è chiamata a rendere conto, in modo sempre più incisivo, della ratio sottesa alle proprie determinazioni.

In base al principio di strumentalità delle forme (di cui sono attuale espressione gli artt. 21-octies e 21-nonies della l. n. 241/1990, nel testo introdotto dalla l. n. 15/2005, ma che era già in precedenza oggetto di giurisprudenza consolidata) l'invalidità di un atto per vizi procedurali può essere riconosciuta, solo quando gli adempimenti formali omessi non ammettano equipollenti, per il raggiungimento dello scopo perseguito.
Tale circostanza non è rilevabile, nel caso di specie, in quanto il concorrente ha esibito la documentazione contabile (cosiddetti "mastrini"), contenenti l'elenco delle fatture emesse e dunque dei servizi prestati, con specificazione della natura degli stessi e del relativo importo, in luogo di un elenco contenente i singoli servizi, identici o analoghi, svolti in precedenti gare.
Inoltre, la commissione aggiudicatrice poteva chiedere eventuali chiarimenti, senza incidere sull'effettivo possesso dei requisiti di partecipazione di cui trattasi alla data della domanda e dovendosi solo, in ipotesi, puntualizzare attestazioni comunque prodotte, con valenza probatoria anche maggiore di una semplice dichiarazione.
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Secondo un'evoluzione interpretativa in linea con i principi costituzionali e comunitari del "giusto processo" -inscindibile dalla effettività della tutela- e del "giusto procedimento amministrativo", la pubblica autorità è chiamata a rendere conto, in modo sempre più incisivo, della ratio sottesa alle proprie determinazioni.
Le tradizionali formule, che limitavano il sindacato giurisdizionale di legittimità sugli atti discrezionali all'esatta rappresentazione dei fatti ed alla congruità dell'iter logico seguito dall'autorità emanante il provvedimento, debbono ritenersi superate dai parametri di attendibilità della valutazione, frutto di discrezionalità tecnica, e di non arbitrarietà della scelta, ove sia stata esercitata una discrezionalità amministrativa.
E' infatti, ormai, pacificamente censurabile la valutazione che si ponga al di fuori dell'ambito di esattezza o attendibilità, qualora non appaiano rispettati parametri tecnici di univoca lettura, ovvero orientamenti già oggetto di giurisprudenza consolidata, o di dottrina dominante in materia. Una evoluzione analoga investe anche la discrezionalità amministrativa, sotto il profilo del "quomodo", soprattutto ove le scelte si proiettino su valutazioni comparative, legate al parametro costituzionale dell'imparzialità.
Un criterio di scelta, formulato come discrezionale e pertanto insindacabile nel merito, può infatti ritenersi funzionalmente deviato, e sindacabile sul piano della legittimità, qualora non renda esplicita e verificabile la logica interna che lo ispira, consentendo conclusioni di cui sia impossibile appurare l'effettiva rispondenza all'interesse pubblico (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 27.04.2011 n. 2482 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Sulla necessità del possesso dei requisiti esclusivamente in capo ai consorzi stabili.
Nel caso di partecipazione ad una gara di appalto di un consorzio stabile, non è necessario verificare il possesso dei requisiti di partecipazione, oltre che in capo al consorzio stesso, anche in testa all'impresa consorziata indicata come esecutrice. La tesi, infatti, della necessità del possesso dei requisiti solo in capo ai consorzi stabili sembra la più coerente con la stessa individuazione di tali figure soggettive.
Queste hanno una loro qualificazione, che consente ai medesimi di partecipare alle gare pubbliche, e pertanto sono gli stessi che assumono su di sé, e con le qualificazioni possedute, l'onere della esecuzione delle prestazioni contrattuali, a nulla rilevando che abbiano designato una consorziata non in possesso delle qualificazioni necessarie, essendo la prestazione "in toto" ricadente sul medesimo consorzio stabile, che potrà provvedervi o direttamente o per il tramite di un'altra impresa consorziata.
Solo così ha un senso la qualificazione da parte della società organismo di attestazione /SOA in capo direttamente al consorzio stabile; questo, in quanto titolare della necessaria qualificazione, è il contraente del contratto e solo alla sua qualificazione occorre fare riferimento (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 27.04.2011 n. 2454 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

EDILIZIA PRIVATAA fronte di un annullamento giurisdizionale del permesso di costruire il Comune deve valutare se è necessario applicare la sanzione pecuniaria in luogo della riduzione in pristino.
La pronuncia in commento nasce da una precedente del giudice amministrativo che aveva annullato una concessione edilizia relativa ad un intervento edilizio di restauro e risanamento conservativo presso un immobile.
Ritenendo che, per effetto dell’integrale caducazione dei titoli edilizi, l’intero intervento dovesse oramai considerarsi come abusivo, il Comune in causa, anche alla luce dell’esito della Conferenza dei servizi all’uopo convocata, disponeva doversi procedere all’ingiunzione del ripristino dello stato dei luoghi ai sensi dell’art. 38 del d.P.R. n. 380 del 2001, e a tal fine stabiliva un termine di sessanta giorni perché i ricorrenti, responsabili dell’intervento, provvedessero alla rimozione delle opere abusive.
In merito a questa circostanza i ricorrenti lamentano l’inadeguatezza della comunicazione di avvio del procedimento, l’inosservanza dell’art. 23 della legge reg. n. 23 del 2004 e dell’art. 38 del d.P.R. n. 380 del 2001 nella parte in cui –a fronte di un annullamento giurisdizionale del permesso di costruire– impongono all’Amministrazione di accertare innanzi tutto se è possibile rimuovere i vizi della procedura (valutazione che il Comune ha omesso di effettuare relativamente all’allora mancanza di sottoscrizione/delega da parte di tutti i comproprietari della richiesta di concessione edilizia, vizio a suo tempo rilevato dalla pronuncia di primo grado) e se è necessario poi applicare la sanzione pecuniaria in luogo della riduzione in pristino (verifica che il Comune non ha compiuto nonostante i ricorrenti avessero documentato l’impossibilità tecnica del ripristino del sopralzo della copertura, e nonostante fossero stati medio tempore sanati vari interventi edilizi inerenti il medesimo fabbricato).
Di qui la richiesta di annullamento dell’atto impugnato. A suffragio della fondatezza di tale argomentazione i giudici del TAR Parma riportano testualmente, innanzitutto, l’art. 38, comma 1, del d.P.R. n. 380 del 2001 che stabilisce “in caso di annullamento del permesso di costruire, qualora non sia possibile, in base a motivata valutazione, la rimozione dei vizi delle procedure amministrative o la restituzione in pristino, il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale applica una sanzione pecuniaria …”.
La norma reca la medesima disciplina già contenuta nell’art. 11 della legge n. 47 del 1985 e ora fatta propria anche dall’art. 19 della legge Reg. Emilia-Romagna n. 23 del 2004. La giurisprudenza, spiegano i giudici ducali, ha chiarito che tale previsione trova applicazione sia in caso di annullamento in autotutela sia in caso di annullamento in sede giurisdizionale (v., tra le altre, TAR Sardegna, Sez. II, 26.07.2004 n. 1169).
Ha altresì rilevato, continuano gli stessi giudici, che, se l’annullamento sia stato disposto per meri vizi formali, l’Amministrazione ha titolo ad emettere un nuovo titolo abilitativo rimuovendo –quando possibile– le irregolarità procedimentali precedentemente commesse, mentre nel caso in cui l’annullamento sia scaturito dall’accertato contrasto sostanziale del progetto con le norme urbanistico-edilizie vigenti l’Amministrazione è chiamata ad operare la scelta tra la sanzione demolitoria e quella pecuniaria attraverso una valutazione preventiva della possibilità che la rimozione della parte abusiva avvenga senza pregiudizio di quella regolare o comunque del restante manufatto (v., ex multis, TAR Abruzzo, Pescara, 03.11.2007 n. 865), il tutto in esito ad un’approfondita istruttoria e a mezzo di puntuale motivazione (v. TAR Campania, Napoli, Sez. VIII, 12.04.2010 n. 1918; TAR Calabria, Catanzaro, Sez. II, 01.07.2010 n. 1417) (commento tratto da www.documentazione.ancitel.it -  TAR Emilia Romagna-Parma, sentenza 21.04.2011 n. 114 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Lottizzazione e qualifica di imprenditore agricolo.
La qualifica di imprenditore agricolo o bracciante agricolo non è da sola sufficiente per escludere la legittimità dell’intervento edilizio poiché ciò che effettivamente rileva è la esistenza di un effettiva relazione diretta tra edificio e conduzione del fondo, con la conseguenza che il possesso di tali qualifiche è indifferente allorquando un terreno agricolo venga frazionato e predisposto alla realizzazione di più edifici aventi destinazione residenziale snaturandone la originaria vocazione agricola in quanto l'attività edificatoria è solo fittiziamente connessa alla coltivazione ed allo sfruttamento produttivo del fondo (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 19.04.2011 n. 15605 - link a www.lexambiente.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA - ATTI AMMINISTRATIVI: Solo il sovrapporsi alla situazione ordinaria di eventi calamitosi giustifica l’uso dell’ordinanza contingibile ed urgente in materia di rifiuti.
Il ricorso è fondato con riferimento al primo dei motivi dedotti che lamenta la illegittimità dell’ordinanza sindacale impugnata per violazione dell’art. 54 del decreto legislativo n. 267/2000.
La semplice lettura del laconico testo dell’ordinanza dà ragione dell’uso improprio del rimedio utilizzato dal Sindaco del comune intimato.
La motivazione della ordinanza è racchiusa e limitata ad una riga, nella quale in maniera del tutto generica si afferma “Ritenuta l’urgenza di provvedere in merito, costituendo tale inconveniente pericolo per la privata e pubblica incolumità”.
Come ben rappresentato nella memoria conclusiva della società, il potere di emanare ordinanze extra ordinem, proprio per la loro atipicità, può essere consentito nell’ordinamento solo in assenza di norme specifiche che disciplinino la materia trattata o quando, l’improvviso insorgere di una emergenza non conosciuta in precedenza, imponga l’attivazione di un rimedio che nell’immediatezza sia in grado di eliminare o ridurre i pericoli per l’incolumità pubblica e privata.
Nessuna delle due ipotesi può rinvenirsi nel caso di specie.
La materia dei rifiuti infatti è oggetto di una minuziosa normazione che trova il suo testo base nel decreto legislativo n. 22/1997 e, per ciò che riguarda la regione Liguria, nelle leggi n. 18/1999 e nel D.Lgs. n. 152/2006.
E’ pur vero che la giurisprudenza ha ammesso l’utilizzo dell’ordinanza contingibile ed urgente anche in questa materia, ma quando lo ha fatto (vedi per tutte TAR Abruzzo L'Aquila, sez. I, 24.07.2010, n. 548; TAR Veneto Venezia, sez. III, 20.10.2009 , n. 2623) ciò è avvenuto per il sovrapporsi alla situazione ordinaria di eventi calamitosi (incendio nell’immobile usato come deposito rifiuti; oppure per il manifestarsi di un forte, concreto e immediato rischio di propagazione degli inquinanti nell'ambiente circostante, con conseguente rischio di sviluppo di reazioni chimiche tra rifiuti differenti e di emissioni tossiche in atmosfera).
Nel caso di specie nulla di tutto questo è avvenuto o, quantomeno viene rappresentato nell’atto impugnato.
Anche questa sezione con sentenza n. 248 del 17.03.2006 ha ribadito i principi sopra ricordati sottolineando come, anche in presenza di un tessuto normativo completo e diffuso la giustificazione dell’uso dell’ordinanza contingibile va correlata a comprovate situazioni di pericolosità per la salute pubblica e privata che impongono un’azione immediata (nella specie rimozione dall’immobile di apparecchiatura clinica potenzialmente idonea al rilascio di emissioni radioattive).
Nel caso di specie poi, ed è l’altro parametro di grave illegittimità dell’atto impugnato, manca una chiara indicazione delle opere oggetto della ordinata bonifica, con una sostanziale indeterminatezza delle operazioni da compiere per eliminare il supposto pericolo per la pubblica salute.
Il ricorso va conclusivamente accolto, potendosi ritenere pienamente soddisfatta la domanda della ricorrente con l’accoglimento del primo motivo, esaustivo dell’interesse azionato, avendo la società specificato in ricorso che le ulteriori censure avevano una funzione subordinata e residuale rispetto alla censura principale accolta (TAR Liguria, Sez. I, sentenza 19.04.2011 n. 617 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: È motivo di semplice irregolarità la mancata traduzione del provvedimento amministrativo in una lingua conosciuta dallo straniero.
Come da conclusione giurisprudenziale ormai pacifica, la mancata traduzione del provvedimento amministrativo in una lingua conosciuta dallo straniero non è motivo di illegittimità del provvedimento stesso ma di semplice irregolarità, tutt’al più rilevante solo ai fini del riconoscimento dell’errore scusabile (di questa Sezione, da ult: 02.03.2011, n. 398; nonché TAR Lazio, Sez. II-quater, 07.09.2010, n. 32130; TAR Toscana, Sez. I, 25.05.2005, n. 2578; TAR Liguria, Sez. II, 24.06.2005, n. 961; Cons. Stato, Sez. IV, 17.01.2002, n. 238), nel caso di specie non necessario in quanto il ricorrente ha impugnato nei termini di legge il provvedimento, articolando specifici motivi di censura (TAR Toscana, Sez. II, sentenza 13.04.2011 n. 681 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTILa sentenza emessa all'esito della procedura di cui agli artt. 444 e segg. c.p.p. poiché è, ai sensi dell'art. 445, comma 1-bis, equiparata "salvo diverse disposizioni di legge a una pronuncia di condanna", costituisce titolo idoneo per la revoca, a norma dell'art. 168, 1° comma, n. 1, c.p., della sospensione condizionale della pena precedentemente concessa.
Per quanto riguarda l’equiparazione a sentenza di condanna della pronuncia ex art. 444 c.p.p., si ricorda che recentemente il Consiglio di Stato ha precisato quanto segue: “Si consideri, peraltro, che…la così detta sentenza di patteggiamento prevista dall'art. 444, comma 2, del c.p.p., anche se non ha efficacia nei giudizi civili o amministrativi, "è equiparata a una pronuncia di condanna" salve diverse disposizioni di legge, come disposto dall'art. 445, comma 1, del c.p.p. nel testo in vigore all'epoca della sentenza penale e del provvedimento impugnato in primo grado (sez. IV, 30.05.2007, n. 2744; 06.05.2003, n. 2366 e 02.04.1998, n. 428; sez. I, 27.05.1992, n. 1647)".
E' vero che, per diverso indirizzo (condiviso da Cons. Stato, sez. VI, 02.05.2006, n. 2437 e 07.10.2005, n. 5811), "la non equivalenza della sentenza di patteggiamento alla sentenza di condanna deriva in effetti dalla funzione stessa dell'istituto dell'applicazione della pena su richiesta delle parti, che non è quella di accertare, con gli effetti propri del giudicato, l'esistenza del reato, bensì quella di risolvere in tempi brevi il procedimento con l'irrogazione della sanzione derivante dall'accordo fra le parti in giudizio, approvato dall'autorità giudicante".
Senonché, l'art. 445, co. 1-bis, c.p.p., dispone espressamente che "Salvo quanto previsto dall'articolo 653, la sentenza prevista dall'articolo 444, comma 2, anche quando è pronunciata dopo la chiusura del dibattimento, non ha efficacia nei giudizi civili o amministrativi. Salve diverse disposizioni di legge, la sentenza è equiparata a una pronuncia di condanna".
E' quanto, del resto, spiega la ragione per la quale le Sezioni unite della Corte di cassazione, ribaltando il precedente orientamento, e valorizzando per l'appunto le profonde modifiche subite nel corso del tempo dall'istituto del patteggiamento, hanno sostenuto che "la sentenza emessa all'esito della procedura di cui agli artt. 444 e segg. c.p.p. poiché è, ai sensi dell'art. 445, comma 1-bis, equiparata "salvo diverse disposizioni di legge a una pronuncia di condanna", costituisce titolo idoneo per la revoca, a norma dell'art. 168, 1° comma, n. 1, c.p., della sospensione condizionale della pena precedentemente concessa" (29.11.2005, n. 17781/2006).
Invero -hanno puntualizzato le Sezioni unite- pur non potendosi affermare che i mutamenti di disciplina che hanno interessato l'istituto del patteggiamento, abbiano condotto ad un processo di vera e propria identificazione tra sentenza pronunciata all'esito del dibattimento e sentenza c.d. patteggiata, gli stessi stanno comunque "univocamente a significare che il regime della equiparazione,..., non consente di rifuggire dall'applicazione di tutte le conseguenze penali della sentenza di condanna che non siano categoricamente escluse".
Come di recente osservato dalla Corte costituzionale, spetta dunque al legislatore, in questa prospettiva, prescegliere, nei confini che contraddistinguono il normale esercizio della discrezionalità legislativa, quali siano gli effetti che -in deroga al principio "di sistema" che parifica le due sentenze- diversificano, fra loro, la sentenza di condanna pronunciata all'esito del patteggiamento rispetto alla condanna pronunciata all'esito del giudizio ordinario (18.12.2009, n. 336).
Invero, mutata la configurazione originaria del patteggiamento come rito circoscritto alle vicende di criminalità "minore", ed assunta una dimensione più "matura", anche per ciò che attiene allo spazio delibativo riservato al giudice e, conseguentemente, alla relativa "base fattuale" -basti pensare ai nuovi e più ampi poteri in tema di confisca ed a quelli previsti in tema di cosiddetto "patteggiamento allargato"- ben si potevano prefigurare corrispondenti ampliamenti anche sul versante degli effetti "esterni" del giudicato scaturente dal rito speciale” (Cons. Stato, Sez. VI, 27.08.2010, n. 5981).
Alla luce di tali considerazioni che il Collegio condivide in pieno, quindi, non appare condivisibile la tesi del ricorrente che esclude l’equiparazione a condanna, sotto i profili di cui al provvedimento impugnato, della pronuncia ai sensi dell’art. 444 c.p.p. (TAR Toscana, Sez. II, sentenza 13.04.2011 n. 681 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

SICUREZZA LAVORO: Cassazione Penale, obblighi e responsabilità del coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione.
L'operato del coordinatore per l'esecuzione deve mirare ad un effettivo controllo, anche se non necessariamente costante, dell'applicazione da parte delle imprese delle disposizioni del PSC e dei POS.
E' quanto sottolineato dalla Corte di Cassazione, Sez. IV penale, nella sentenza 12.04.2011 n. 14654 relativa ad un infortunio su un cantiere.
Ribadisce, inoltre, tre principi ormai consolidati nella giurisprudenza in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro:
Il coordinatore per la sicurezza è garante insieme al datore di lavoro della sicurezza dei lavoratori che vengono a trovarsi ad operare in un cantiere;
il lavoratore non risponde del suo operato, se pure ha commesso una imprudenza, se comunque l'infortunio accadutogli è legato a delle carenze in materia di salute e di sicurezza sul lavoro;
nel caso in cui ci siano più persone titolari della garanzia di sicurezza e dell'obbligo di evitare un evento, ciascuno è destinatario per intero di quell'obbligo con la conseguenza che, se un intervento è eseguito da uno dei garanti, è necessario che l'altro o gli altri si accertino che il primo sia effettivamente intervenuto e nel caso in cui l'intervento non risulti adeguato questi versano in colpa se hanno confidato nello stesso.
La sentenza di condanna.
Una sentenza di primo grado ha condannato per il reato di omicidio colposo:
il responsabile dei lavori nonché coordinatore per la progettazione e per l'esecuzione di un cantiere edile durante i lavori di ampliamento di uno stabilimento industriale (violazione degli articoli 2 e 4, commi 1 e 2, e 5, del D. Lgs. n. 494 del 1996);
il legale rappresentante dell'impresa appaltatrice per aver cagionato la morte di un lavoratore dipendente della ditta appaltatrice stessa (violazione degli articoli 4 ed 8 del medesimo D. Lgs. n. 494 del 1996).
L'operaio infortunato, salito sulla copertura di un capannone senza alcun mezzo di protezione né individuale né collettivo, poggiando il proprio peso su uno dei pannelli in vetroresina, è precipitato al suolo da un'altezza di circa dieci metri, riportando trauma cranio-encefalico e trauma toracico che ne hanno determinato il decesso.
La Corte d'Appello ha confermato la sentenza di condanna emessa dal Tribunale di primo grado, ribadendo le responsabilità sia del datore di lavoro che del responsabile per la sicurezza.
Entrambi gli imputati hanno fatto ricorso alla Corte di Cassazione.
Nel ricorso il coordinatore ha sostenuto che è il datore di lavoro ad avere la responsabilità dell'operato dei lavoratori, con l'obbligo di individuare i rischi e prevenirli, mentre al coordinatore spetterebbe principalmente la verifica circa il rispetto delle regole dettate dal piano di sicurezza e di coordinamento, senza alcun obbligo di una sua continua e giornaliera presenza in cantiere.
Il datore di lavoro ha sostenuto, invece, che i lavori appaltati non erano da eseguirsi in quota ma solo esclusivamente a terra, essendo stati i lavori di copertura affidati dal committente ad altra impresa.
Entrambi i ricorsi degli imputati sono stati rigettati dalla suprema Corte che ha pertanto confermato la condanna (link a www.acca.it).

CONSIGLIERI COMUNALI: Non sussiste alcun divieto per il sindaco di delegare le proprie funzioni in materia edilizia agli assessori.
La materia edilizia non è attribuita al Sindaco come ufficiale di governo, ma come capo dell’amministrazione comunale, sicché non sussiste alcun divieto per il sindaco di delegare le proprie funzioni agli assessori (Consiglio di stato, sez. V, 08.01.2007, n. 1; Consiglio di Stato, sez. V, 30.06.1984, n. 540; TAR Piemonte, sez. I, 06.04.2007, n. 1581; TAR Trentino Alto Adige Bolzano, 20.08.1999, n. 250).
Nei provvedimenti impugnati è chiaramente indicato il settore di appartenenza dell’assessore delegato (“Settore amministrativo XVII Edilizia Privata”).
La mancata indicazione degli estremi della delega di firma e delle ragioni di impedimento del Sindaco non inficia l’atto impugnato in mancanza di norme che prescrivano tale obbligo. Era onere della ricorrente provare il fatto negativo della insussistenza della delega o della ragione di impedimento (Cass. Civ., sez. II, 10.5.2010, n. 11283; Cass. Civ., sez. I, 02.02.2005, n. 2085)
(TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 07.04.2011 n. 357 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Gli atti sanzionatori in materia edilizia, tra cui l'ordine di demolizione di costruzione abusiva, non devono essere preceduti dalla comunicazione d'avvio del relativo procedimento.
L'ordine di demolizione di opere abusive è adeguatamente motivato a mezzo dell'affermazione della realizzazione di una serie di opere in assenza di titolo, con contestuale richiamo alla normativa violata.

In ragione del contenuto rigidamente vincolato che li caratterizza, gli atti sanzionatori in materia edilizia, tra cui l'ordine di demolizione di costruzione abusiva, non devono essere preceduti dalla comunicazione d'avvio del relativo procedimento (Consiglio Stato, sez. VI, 24.09.2010, n. 7129; TAR Campania Napoli, sez. IV, 13.01.2011, n. 84; TAR Lazio Roma, sez. II, 06.122010, n. 35404; TAR Puglia Lecce, sez. I, 17.11.2010, n. 2660; TAR Umbria Perugia, sez. I, 28.10.2010 , n. 499; TAR Piemonte Torino, sez. I, 04.09.2009 , n. 2253).
In ogni caso, nella specie in esame la comunicazione di avvio del procedimento è stata utilmente surrogata dall'ordinanza di sospensione dei lavori (TAR Liguria Genova, sez. I, 28.01.2011, n. 169; TAR Lazio Latina, sez. I, 26.01.2009, n. 56; TAR Sardegna Cagliari, sez. II, 03.09.2008, n. 1738; TAR Basilicata Potenza, sez. I, 19.01.2008, n. 16; Consiglio Stato, sez. IV, 27.1.2006, n. 399).
E' principio consolidato quello per cui l'ordine di demolizione di opere abusive è adeguatamente motivato a mezzo dell'affermazione della realizzazione di una serie di opere in assenza di titolo, con contestuale richiamo alla normativa violata (Consiglio Stato, sez. V, 07.9.2009, n. 5229; TAR Liguria Genova, sez. I, 28.01.2011, n. 169; TAR Campania Napoli, sez. VII, 15.12.2010, n. 27377; TAR Puglia Lecce, sez. III, 09.11.2010, n. 2631; TAR Lombardia Milano, sez. IV, 02.11.2010, n. 7175; TAR Puglia Bari, sez. II, 16.07.2010, n. 3102; TAR Piemonte Torino, sez. I, 16.07.2010, n. 3131)
(TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 07.04.2011 n. 357 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Una modalità di sottoscrizione differente da quella in calce può essere ugualmente ed in concreto idonea ad individuare inequivocabilmente la paternità del documento di autocertificazione.
Con il primo motivo di ricorso parte ricorrente deduce che la prescrizione di cui agli artt. 46-47 del d.p.r. 445/2000 non impone necessariamente la sottoscrizione in calce al documento recante l’autocertificazione di stati e qualità; con la seconda censura il ricorrente deduce una erronea valutazione in fatto in quanto la prescritta documentazione risultava correttamente ascrivibile al suo autore.
Ritiene il collegio che gli assunti difensivi siano condivisibili.
Il disposto normativo impone la “sottoscrizione” dell’autocertificazione; pare al collegio che “la sottoscrizione” possa astrattamente essere idonea purché raggiunga lo specifico scopo cui è destinata, ossia individuare la inequivoca provenienza e paternità delle dichiarazioni “sottoscritte”. Sebbene a tal fine evidentemente la sottoscrizione in calce costituisca la modalità più ovvia e frequente non è in assoluto da escludersi che una differente modalità (basti pensare alla sottoscrizione a margine piuttosto che, ad esempio, su foglio spillato e indiscutibilmente congiunto per mancanza di spazio in calce) risulti ugualmente ed in concreto idonea ad inequivocabilmente individuare la paternità del documento.
Nel caso di specie il ricorrente ha scritto a mano il foglio contenente le prescritte attestazioni di stato e qualità, lo ha unito ad una copia fotostatica di documento in corso di validità (requisito legale necessario ai fini dell’idoneità a creare un vincolo giuridico da parte dell’autocertificazione) e lo ha inserito in una busta sigillata, recante sottoscrizione autografa su entrambe i lembi di chiusura. La busta in questione era quella contenente propriamente la documentazione amministrativa, essendo stata anche sottoscritta la ulteriore busta contenente l’intera documentazione dell’offerta (cfr. doc. 6 di parte ricorrente; la circostanza per altro non è contestata dall’amministrazione).
Pare al collegio che tale modalità di sottoscrizione, se pure non ortodossa, sia idonea ad attribuire la inequivoca paternità della dichiarazione resa. Non si pone nel caso di specie neppure il problema circa la possibilità di collegare la sottoscrizione sulla busta contenente l’intera offerta con la documentazione specificatamente contenuta nella diversa busta della documentazione amministrativa; come detto, infatti, la sottoscrizione è stata apposta anche sulla busta contenente propriamente la documentazione amministrativa, ossia l’autocertificazione, sicché non vi può essere dubbio che, con tale sottoscrizione, l’interessato volesse anche affermare la paternità dei documenti ivi contenuti (TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 06.04.2011 n. 352 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI FORNITURE E SERVIZI: Presupposti e condizioni per la procedura negoziata senza la previa pubblicazione del bando -ex art. 57, comma 5, lett. b), D.Lgs. n. 163 del 2006- nel caso di ripetizione di servizi analoghi.
Qualsiasi impresa del settore è legittimata ad impugnare la delibera con la quale la P.A. dispone il rinnovo o la proroga di un contratto d’appalto di servizi o di forniture stipulato da un’Amministrazione pubblica, al di fuori dei casi contemplati dall'ordinamento (Cfr. Cons. Stato, Sez. V, 08.07.2008 n. 3391).
Anche in materia del rinnovo o della proroga dei contratti pubblici di appalto non vi è spazio per l'autonomia contrattuale delle parti, in relazione alla normativa inderogabile stabilita dal legislatore per ragioni di interesse pubblico; al contrario, vige il principio in forza del quale, salve espresse previsioni dettate dalla legge in conformità della normativa comunitaria, l'Amministrazione, una volta scaduto il contratto, deve, qualora abbia ancora la necessità di avvalersi dello stesso tipo di prestazioni, effettuare una nuova gara (Cfr. Cons. Stato, Sez. V, 02.02.2010, n. 445).
L’art. 57, comma 5, lett. b), D.Lgs. n. 163 del 2006, che consente la procedura negoziata senza previa pubblicazione di un bando di gara nel caso di "ripetizione di servizi analoghi", può operare solo se è sufficientemente chiaro a priori che ne ricorra il presupposto applicativo, e non invece se occorra una profonda e complessa indagine comparativa e di mercato per giungere ad una siffatta conclusione. La logica insita nella norma, che eccezionalmente deroga al principio della gara, è infatti quella di non imporre una gara, appunto, il cui esito sia pressoché scontato a priori perché solo un operatore è in grado di assicurare la prestazione richiesta; in casi del genere, l'unicità del fornitore deve essere certa prima di addivenire a trattativa privata e l'indagine di mercato può avere il solo scopo di acquisire la certezza di tale unicità o di escluderla (1).
E’ illegittima una delibera con la quale un Comune ha rinnovato per tre anni il contratto di trasporto scolastico alla ditta in precedente aggiudicataria del servizio ai sensi dell’art. 57, comma 5, lett. b), del D.L.vo n. 163/2006, che consente la procedura negoziata senza previa pubblicazione di un bando di gara nel caso di "ripetizione di servizi analoghi", atteso che, nel caso di specie, non ricorrono i presupposti né della presenza sul mercato di un solo operatore in grado di espletare il servizio di trasporto scolastico, né, quindi, della prospettiva di una gara dall’esito scontato.
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(1) TAR Lazio-Roma, Sez. III, 16.01.2010, n. 286.
Dispone l'art. 57, comma 5, lett. b), del D.L.vo n. 163 del 2006, che: "Nei contratti pubblici relativi a lavori e negli appalti pubblici relativi a servizi, la procedura del presente articolo è, inoltre, consentita: (…) b) per nuovi servizi consistenti nella ripetizione di servizi analoghi già affidati all'operatore economico aggiudicatario del contratto iniziale dalla medesima stazione appaltante, a condizione che tali servizi siano conformi a un progetto di base e che tale progetto sia stato oggetto di un primo contratto aggiudicato secondo una procedura aperta o ristretta; in questa ipotesi la possibilità del ricorso alla procedura negoziata senza bando è consentita solo nei tre anni successivi alla stipulazione del contratto iniziale e deve essere indicata nel bando del contratto originario; l'importo complessivo stimato dei servizi successivi è computato per la determinazione del valore globale del contratto, ai fini delle soglie di cui all'articolo 28" (massima tratta da www.regione.piemonte.it - TAR Lazio-Latina, Sez. I, sentenza 04.04.2011 n. 310 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Nel concetto di documento amministrativo, che può formare oggetto di accesso, rientrano anche gli atti provenienti da soggetti diversi dalla P.A. procedente, nonché quelli di diritto privato.
Nel concetto ampio di documento amministrativo, che può formare oggetto di accesso, rientrano anche gli atti provenienti da soggetti diversi dalla P.A. procedente, nonché quelli di diritto privato, perché correlati al perseguimento degli interessi pubblici affidati alla cura della stessa Amministrazione e da questa detenuti.
Pertanto, la normativa sull'accesso ai documenti amministrativi ha il medesimo ambito di applicazione dell'art. 97 Cost. e riguarda, quindi, gli atti dell'amministrazione in quanto tali, a nulla rilevando, ai fini dell'accesso, la loro disciplina sostanziale pubblicistica o privatistica e neppure se, nel caso di controversia, vi sia la giurisdizione ordinaria o quella amministrativa (cfr. Cons. Stato, A.P., 22.04.1999, n. 4; Sez. V, 26.09.2000, n. 5105) (TAR Sardegna, Sez. II, sentenza 31.03.2011 n. 295 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: L'annullamento in autotutela di una gara d’appalto non legittima il Comune a non avvisare i concorrenti della revoca.
La giurisprudenza della Sezione, da cui non sussiste motivo per discostarsi, ha già avuto modo di precisare (cfr. Sez. V, 07.07.2009, n. 17) che con la presentazione della domanda di partecipazione e, ancor più, con la predisposizione e l’inoltro dell’offerta, i soggetti concorrenti assumono una posizione differenziata e qualificata che giustifica la posizione di contro interessati ai quali è necessario comunicare l’avviso di avvio del procedimento ai sensi della legge sulla trasparenza amministrativa, al fine di consentire la difesa del bene della vita dato dalla chance di aggiudicazione.
Detti principi sono aderenti alla fattispecie in parola, posto che l’amministrazione ha annullato in autotutela la gara dopo che era già stata presentata l’offerta da parte della odierna appellata.
Né può accedersi alla tesi sostenuta dalla difesa del Comune di Fiumicino, secondo cui nel caso di specie l’Associazione Nuovo Domani non poteva essere, anche volendo, nemmeno individuata quale partecipante alla gara, perché “non era stata nominata la commissione esaminatrice, né verificata la tempestività di presentazione dei plichi, né quindi verificati i nominativi dei partecipanti“ e, pertanto, non sarebbe applicabile quella giurisprudenza che richiede di comunicare ai concorrenti l’avvio del procedimento di revoca della gara quando quest’ultima sia in corso di avanzato espletamento.
Al riguardo, infatti, è appena il caso di rilevare come il plico contenente le offerte dei concorrenti ad una gara debba sempre recare, all’esterno, la ragione sociale e l’indirizzo del singolo concorrente. E nel caso di specie, giust’appunto, il bando revocato all’art. 10 dal titolo -“modalità di partecipazione”– prescriveva che ”: il plico contenete l’offerta e la documentazione ….. a pena di esclusione dovrà essere controfirmato su tutti i lembi di chiusura e di costruzione della busta, recare all’esterno la ragione sociale e l’indirizzo del concorrente, nonché la dicitura: offerta per la gara d’appalto per il servizio comunale di Protezione Civile”.
A ciò aggiungasi che, come precisato nella memoria difensiva e non contestato dall’appellante, l’Associazione Nuovo Domani era l’unica concorrente, per cui la tesi in esame risulta vieppiù priva di consistenza. Ne rileva, ai fini che qui interessano, che nell’art. 15 del bando l’Amministrazione si fosse espressamente riservata di “non aggiudicare l’appalto e comunque di aggiudicarlo a proprio insindacabile giudizio”.
Tale clausola infatti, al contrario di quanto assume la difesa del Comune, non legittima certamente l’Amministrazione appaltante a revocare il bando a suo insindacabile giudizio, bensì si limita a rendere noto ai concorrenti che l’offerta è vincolante per il concorrente, mentre l’Amministrazione si riserva di non aggiudicare l’appalto di servizi se nessuna delle offerte sarà ritenuta conveniente o idonea in relazione all’appalto. Il richiamo all’art. 15 del bando, operato dall’appellante a sostegno del vizio dedotto, è pertanto inconferente. Né peraltro è invocabile, al fine di escludere l’effetto invalidante del vizio procedimentale in parola, la disciplina recata dall’art. 21-octies della L. 241/1990 considerato che, come esattamente affermato nella sentenza appellata, il legislatore esclude l’annullabilità del provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento solo quando esso ha natura vincolata e non può quindi essere diverso, mentre la revoca di una gara già bandita è chiaramente espressione di un potere discrezionale della P.A.
Nel caso di specie, inoltre, né dalla motivazione dei provvedimenti impugnati, né dalle ulteriori argomentazioni sviluppate dalla difesa dell’Amministrazione, si desume che l’apporto del privato non avrebbe potuto influire sull’esito del procedimento, portando all’adozione di un atto diverso non confliggente con gli interessi dell’Associazione ricorrente. Infatti non è sufficiente affermare che “il contributo partecipativo dell’Associazione” non avrebbe potuto mutare il contenuto dei provvedimenti sia“ rispetto alla scelta dell’Amministrazione di svolgere in gestione diretta il servizio” sia “rispetto al semplice ritiro del bando, di portata meramente attuativa”.
L’Amministrazione, infatti, per sostenere l’applicabilità dell’art. 21-octies al caso di specie, avrebbe dovuto quanto meno dimostrare che effettivamente il Comune era in grado di provvedere autonomamente all’erogazione dei servizi di Protezione Civile, come affermato nelle determine impugnate, e nel contempo provare che il mancato affidamento ad un unico soggetto di tutti i servizi oggetto di gara avrebbe comportato un risparmio di spesa.
Ma tale prova non è stata offerta dall’Amministrazione, si che l’apporto dell’Associazione ricorrente sarebbe stato essenziale nel caso di specie visto che quest’ultima, da oltre 20 anni, espleta servizi di Protezione Civile ed è a conoscenza non solo della complessità degli interventi, ma anche della situazione logistica dei luoghi visto che per molti anni ha effettuato il servizio proprio in favore del Comune di Fiumicino (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza  29.03.2011 n. 1922 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZI: L'illuminazione elettrica votiva di aree cimiteriali da parte del privato rappresenta oggetto di concessione di servizio pubblico locale a rilevanza economica.
E’ del tutto pacifico in giurisprudenza che l'illuminazione elettrica votiva di aree cimiteriali da parte del privato rappresenti oggetto di concessione di servizio pubblico locale a rilevanza economica perché richiede che il concessionario impegni capitali, mezzi, personale da destinare ad un'attività economicamente rilevante in quanto suscettibile, almeno potenzialmente, di generare un utile di gestione e, quindi, di riflettersi sull'assetto concorrenziale del mercato di settore (Cons. Stato, sez. V, 11/08/2010, n. 5620; sez. V, 05/12/2008, n. 6049).
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Ai sensi dell'art. 30 del codice dei contratti pubblici, la disciplina sull'anomalia delle offerte non si estende alle concessioni di servizi in quanto le disposizioni in esso contenute non si applicano alle concessioni di servizi, salvo quelle della Parte IV (sul contenzioso) e l'art. 143, co. 7, (durata della concessione superiore a trenta anni) in quanto compatibile (TAR Umbria Perugia, sez. I, 21/01/2010, n. 26).
Per quanto attiene agli appalti di servizi, la giurisprudenza afferma che l'applicazione di norme, non direttamente richiamate dall'art. 30, D.Lgs. n. 163/2006, non può che rientrare nella discrezionalità della stazione appaltante, la quale può decidere di autovincolarsi ed assoggettarsi al sub-procedimento di verifica dell'anomalia dell'offerta: laddove la legge di gara non abbia fatto nessun richiamo alla procedura di valutazione dell'anomalia dell'offerta, gli art. 86-88 del codice dei contratti non possono trovare diretta applicazione (TAR Sicilia Palermo, sez. III, 11/01/2010, n. 232)
Nel bando di gara riportato negli atti del primo grado non è prevista alcuna verifica di anomalia: il Comune pertanto non aveva alcun obbligo di procedervi nonostante il superamento da parte dell’offerta dell’aggiudicataria della soglia dell’anomalia, fissato dall’art. 86, co. 2, D.Lgs. n. 163/2006 nei quattro quinti dei corrispondenti punti massimi previsti dal bando di gara.
E ciò tanto più se si considera che, come esattamente rilevato dal TAR, nella lex specialis la stazione appaltante aveva già ex ante delimitato l’ambito delle offerte in aumento accettabili (sino al 45%).
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La nomina della commissione giudicatrice dopo la scadenza del termine fissato per la presentazione delle offerte, è posta a presidio dell’imparzialità della procedura di gara, onde evitare possibili collusioni tra commissari e concorrenti ed è espressione dei più generali principi di imparzialità e di trasparenza, ritenuto applicabile anche in materia di affidamento delle concessioni (TAR Molise Campobasso, sez. I, 23/09/2009, n. 651).
In considerazione del suo carattere, il Collegio ritiene che siffatta violazione possa costituire vizio dell'intera procedura di gara solo se la nomina anteriore alla scadenza del termine di presentazione delle offerte sia in concreto suscettibile di incidere sulla indipendenza dei commissari e sugli elementi discrezionali delle loro valutazioni
(Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 24.03.2011 n. 1784 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

CONSIGLIERI COMUNALI: I consiglieri comunali dissenzienti non hanno un interesse protetto e differenziato all’impugnazione delle deliberazioni dell’organismo del quale fanno parte.
Secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale, da cui non vi è motivo per discostarsi, i consiglieri comunali dissenzienti non hanno un interesse protetto e differenziato all’impugnazione delle deliberazioni dell’organismo del quale fanno parte, salvo il caso in cui venga lesa in modo diretto ed immediato la propria sfera giuridica per effetto di atti, direttamente incidenti sul diritto all’ufficio o sullo status ad essi spettante della carica di consigliere, che compromettano il corretto esercizio del loro mandato, come nel caso di erronee modalità di convocazione dell’organo, della violazione dell’ordine del giorno, dell’inosservanza del deposito della documentazione necessaria per poter liberamente e consapevolmente deliberare e, più in generale, per tutte quelle circostanze che precludano in tutto o in parte l’esercizio delle funzioni relative all’incarico rivestito, oltre ovviamente ai casi in cui gli atti collegiali riguardano direttamente e personalmente il consigliere stesso (C.d.S., sez. V, 12.06.2009, n. 3744; 15.12.2005, n. 7122; 31.01.2001, n. 358); ciò anche in considerazione del fatto che il giudizio amministrativo non è di regola aperto alle controversie tra organi o componenti di organi di uno stesso ente, ma è diretto a risolvere controversie intersoggettive (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 24.03.2011 n. 1771 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI FORNITURE E SERVIZI: Termini di pagamento derogabili con il bando di gara ma non con il contratto. Inversione di rotta del Consiglio di Stato che apre alla possibilità di indicare tempi diversi da quelli di legge, a patto che siano esplicitati nel bando. Nel febbraio 2010 i giudici di Palazzo Spada avevano bocciato tout court qualsiasi ipotesi di deroga.
Con la sentenza del 21.03.2011 n. 1728, il Consiglio di Stato affronta di nuovo il tema dei termini di pagamento nei contratti pubblici, in relazione ai vincoli e alle prescrizioni contenuti in specifiche disposizioni legislative e regolamentari.
Con questa pronuncia i giudici di Palazzo Spada, da una parte ribadiscono un principio già affermato in precedenza (Consiglio di Stato 469/2010) e cioè che in sede di stipulazione del contratto non sono ammessi accordi sui termini di pagamento derogatori rispetto a quanto previsto dal Dlgs 231/2002 ma, dall’altra ammettono la possibilità che termini diversi siano inseriti nel bando di gara in modo da consentire da subito la verifica della legittimità.
Si tratta di una parziale, ma importante, inversione di tendenza rispetto alla sentenza n. 469 del 02.02.2010 con la quale il Consiglio di Stato aveva bocciato tout court la possibilità di deroga ai termini previsti dal Dlgs 231/2002.
Con quest’ultima pronuncia invece i giudici di Palazzo Spada aprono alla deroga, a patto che i diversi termini di pagamento siano esplicitati nel bando di gara e quindi sia possibile impugnarli da subito (link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il provvedimento di annullamento del nulla-osta paesistico non ha natura di atto recettizio.
Il Collegio ritiene di aderire al consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui il provvedimento di annullamento del nulla-osta paesistico non ha natura di atto recettizio, con la conseguenza che il termine -perentorio- di 60 giorni previsto per la sua adozione attiene al solo esercizio del potere di annullamento da parte dell'Amministrazione statale e non anche alla comunicazione o notificazione ai destinatari del provvedimento stesso (in tal senso, ex plurimis, Cons. Stato, Sez. VI, sent. 09.10.2007, n. 5237; id., Sez. VI, sent. 05.03.2007, n. 1027).
D’altra parte, a diversa conclusione non può pervenirsi assegnando rilievo al decreto direttoriale del 18.12.1996, che, nel delegare alle locali soprintendenze il potere di adottare i provvedimenti di annullamento dei nulla osta paesistici, stabilisce che nel termine di legge di 60 giorni il provvedimento va non solo adottato, ma anche comunicato ai destinatari.
Come già chiarito dalla Sezione, posto che la natura recettizia o meno di un provvedimento è stabilita dalla legge e che il regolamento ministeriale che disciplina i procedimenti di competenza del Ministero per i beni e le attività culturali non incide sulla natura non recettizia del provvedimento di annullamento di nulla osta paesistico, il decreto direttoriale del 18.12.1996 che delega il potere di annullamento ai Soprintendenti si pone, nella parte in cui detta le regole dell'esercizio del potere, come circolare esplicativa.
In conformità ai principi generali in materia di circolari, pertanto, le stesse sono atti interni all'amministrazione, prive di rilevanza esterna, non vincolanti se contrarie alle leggi.
In conclusione, la circolare citata non è idonea ad alterare la natura giuridica non recettizia del provvedimento di annullamento di nulla osta paesistico (in termini, Cons. Stato, sez. VI, 04.09.2001, n. 4639) (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 18.03.2011 n. 1661 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

PUBBLICO IMPIEGO: È illegittima la normativa concorsuale che preveda espressamente quale causa di esclusione dalla partecipazione al concorso il mancato pagamento della relativa tassa.
La tassa di concorso non attiene ai requisiti soggettivi di partecipazione al concorso ma costituisce il corrispettivo per la prestazione di un servizio, con la conseguenza che è illegittima la normativa concorsuale (nella specie il bando di concorso ed il regolamento comunale dei concorsi) che preveda espressamente quale causa di esclusione dalla partecipazione al concorso il mancato pagamento della relativa tassa, potendo l'Amministrazione richiedere la regolarizzazione documentale da effettuarsi in un termine dalla stessa stabilito, mediante l'effettuazione del relativo versamento e la presentazione della ricevuta nel termine di cui sopra, trattandosi di una irregolarità meramente formale.
Il tardivo versamento della tassa di concorso costituisce pertanto un’irregolarità sanabile e, quindi, è da ritenere che, ricorrendone i presupposti, l'amministrazione debba consentirne la regolarizzazione, sussistendo semmai il dovere dell'amministrazione di procedere alla verifica dell’avvenuto pagamento della tassa in un arco temporale antecedente allo svolgimento delle prove di concorso e chiedere al concorrente la regolarizzazione documentale da effettuarsi in un termine a tal fine stabilito(TAR Lazio-Roma, sez. II, 28.06.2006, n. 5308; TAR Toscana, sez. III, 13.06.1991, n. 285).
Né può ipotizzarsi la violazione di un principio di par condicio nella partecipazione al concorso pubblico finalizzato all’assunzione del dipendente pubblico, derivante dal mancato pagamento di Euro 3,87, in quanto detto adempimento formale non ha nulla a che vedere con lo svolgimento della procedura e con il rispetto del principio di buon andamento ed imparzialità dell’azione amministrativa di cui agli articoli 97 e 98 della Costituzione.
Del resto la normativa di fonte primaria, ossia l’articolo 27, comma 6, del decreto-legge 28.02.1983, n. 55, convertito, con modificazioni, dalla legge 26.04.1983, n. 131, come novellato dalla legge 24.11.2000, n. 340, nel prevedere il potere impositivo della tassa di concorso alle amministrazione, per effetto di una scelta eventuale e discrezionale, non dispone l’esclusione dei candidati che non vi ottemperino e, conseguentemente, appare sproporzionata la sanzione dell’esclusione dal concorso conseguente alla ritardata corresponsione di una somma di euro 3,87 prevista dal regolamento comunale e dal bando, in mancanza di un obbligo di legge in tal senso (TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. I, sentenza 18.03.2011 n. 258 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Cade sul soggetto che ha compiuto l’abuso edilizio l’onere della prova in ordine alla ricorrenza del presupposto temporale per la concessione del beneficio.
L’inesattezza riscontrata nella domanda di condono in punto di epoca della realizzazione dell’abuso è idonea a configurare un’ipotesi di dolosa infedeltà di cui all’art. 40 della L. n. 47/1985, con conseguente inapplicabilità del silenzio-assenso che, invece, presuppone una domanda non solo adeguatamente documentata, ma anche veritiera (TAR Emilia-Romagna, II, n. 4445/2008; TAR Sardegna, II n. 973/2007).
Inoltre, come ha chiarito la giurisprudenza, anche in presenza di dichiarazione sostitutiva di atto notorio presentata dall’interessato, l’amministrazione può legittimamente respingere l’istanza ove non riscontri elementi dai quali risulti univocamente la data di ultimazione dell’edificio, in quanto la dichiarazione sostitutiva non ha rango di prova (C. St. IV, n. 6548/2008).
Più in generale ai fini del conseguimento della sanatoria per costruzioni abusive, l'onere di fornire la prova in ordine alla ricorrenza del presupposto temporale richiesto per la concessione del beneficio incombe sul soggetto che ha compiuto l'abuso edilizio, mentre all'Amministrazione spetta l'onere di controllare l'attendibilità degli elementi dedotti, compiendo ogni opportuna verifica istruttoria ed, eventualmente, contrapponendo ad essi le risultanze di proprie verifiche ed accertamenti (TAR Marche 11/03/1995 n. 118).
In sintesi, quindi, la prova sulla realizzazione delle opere entro la data del 31.12.1993 grava sul richiedente la sanatoria, che, specie nel caso in cui sussistano elementi, anche indiziari, a disposizione dell'Amministrazione che attestino il contrario deve provare, attraverso elementi certi (quali fotografie aeree, fatture, sopralluoghi, e così via) l'effettiva realizzazione dei lavori entro il termine previsto dalla legge per poter fruire del beneficio, non potendo limitarsi a contestare i dati in possesso dell'Amministrazione senza fornire alcun elemento di prova a corredo della propria tesi, in quanto l'Amministrazione - in assenza di elementi di prova contrari - non può che dichiarare inammissibile o respingere la domanda di sanatoria (Tar Lazio Roma, II, n. 35404/2010).
Nel caso di specie, la ricorrente non ha prodotto né in sede procedimentale, né processuale, alcun elemento di prova in merito al rispetto del termine di scadenza del 31.12.1993, limitandosi a sostenere che la fotografia utilizzata dall’amministrazione non avrebbe alcun valore probatorio (TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. II, sentenza 18.03.2011 n. 257 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: La pubblicazione all’albo pretorio non determina la presunzione assoluta di piena conoscenza nei confronti dei soggetti destinatari interessati a impugnare l’atto pubblicato.
La pubblicazione all’albo pretorio non è sufficiente a determinare la presunzione assoluta di piena conoscenza dell’atto da parte dei soggetti, ai quali l’atto direttamente si riferisce e interessati a impugnarlo, ai quali il provvedimento, ai fini della decorrenza del termine d’impugnazione, deve essere notificato o comunicato direttamente (v. in tal senso, per tutte, C.d.S., Sez. V, 23.06.2008, n. 3112);
Ai fini della decorrenza del termine d’impugnazione del provvedimento non era dunque sufficiente la pubblicazione all’albo pretorio, ma occorreva la notificazione all’istante, mai avvenuta prima dell’instaurazione del giudizio di primo grado (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 15.03.2011 n. 1589 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il certificato di destinazione urbanistica è privo di efficacia provvedimentale, perciò non può essere impugnato autonomamente.
Secondo l’indirizzo giurisprudenziale assolutamente prevalente, al quale aderisce anche la scrivente Sezione, il certificato di destinazione urbanistica (di cui ai commi 2° e seguenti dell’art. 30 del D.Lgs. 380/2001, Testo Unico dell’Edilizia), in quanto atto di certificazione redatto da un pubblico ufficiale, ha natura ed effetti meramente dichiarativi e non costitutivi di posizioni giuridiche, che discendono in realtà da altri provvedimenti, che hanno a loro volta determinato la situazione giuridica acclarata dal certificato stesso.
Di conseguenza, essendo sfornito di ogni efficacia provvedimentale, è altresì privo di concreta lesività, il che rende impossibile la sua autonoma impugnazione.
Gli eventuali errori contenuti nel certificato possono semmai essere corretti dalla stessa Amministrazione, su istanza del privato, oppure quest’ultimo potrà impugnare davanti al giudice amministrativo gli eventuali successivi provvedimenti concretamente lesivi, adottati in base all’erroneo certificato di destinazione urbanistica.
Su tali conclusioni, come già ricordato, la giurisprudenza appare largamente maggioritaria: si vedano in particolare, TAR Lombardia, Milano, sez. II, 12.01.2010, n. 21; TAR Campania, Napoli, sez. II, 20.09.2010, n. 17479; TAR Toscana, sez. I, 28.01.2008, n. 55; TAR Valle d’Aosta, 15.02.2008, n. 16; TAR Lombardia, Milano, sez. II, 04.11.2004, n. 5585 e TAR Lazio, sez. I, 28.05.1999, n. 542.
Nel Comune di Milano, tale orientamento risulta confermato dalla lettura dell’art. 114 del Regolamento Edilizio (norma espressamente richiamata nell’atto impugnato, cfr. doc. 1 della ricorrente), in forza del quale (vedesi comma 2°), il documento ivi gravato <<...ha carattere certificativo rispetto alla disciplina vigente al momento del suo rilascio, ma non vincola i futuri atti che l’Amministrazione Comunale può emanare nel rispetto delle norme vigenti in materia>>; il che esclude che un eventuale certificato erroneo possa avere effetti cogenti sulle successive determinazioni del Comune (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 14.03.2011 n. 729 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Oneri di urbanizzazione. Esenzione ex art. 9, lett. f), della legge n. 10 del 1977 per gli edifici destinati al soddisfacimento di interessi pubblici. Applicabilità nel caso di opera destinata a fini di culto che deve essere realizzata da un ente religioso.
Ai fini dell'applicabilità della esenzione dal pagamento del contributo concessorio prevista dall'art. 9, lettera f), della legge n. 10 del 1977, sono necessari i due seguenti presupposti:
a) che si tratti dell'esecuzione di opere destinate al soddisfacimento di interessi pubblici da cui la collettività possa trarre una utilità;
b) che l'esecuzione dell'opera sia compiuta da un ente istituzionalmente competente; tali presupposti garantiscono il perseguimento di interessi di ordine generale e giustificano la concessione di un beneficio economico che, non contribuendo alla formazione di un utile di impresa, si riverbera a vantaggio di tutta la collettività che fruisce dell’opera una volta compiuta (Cfr. Cons. Stato, Sez. V, 11.01.2006, n. 51).
E’ illegittimo il provvedimento di diniego di restituzione del contributo versato per il rilascio di una concessione edilizia per la realizzazione di un edificio da destinare al culto od attività similari (nella specie, si trattava di un "centro sociale della spiritualità", annesso ad una oasi francescana); in tal caso, infatti, deve essere applicata la esenzione prevista dall’art. 9, lett. f), della legge n. 10 del 1977, per la realizzazione di opere di interesse generale, tali dovendosi considerare tutti gli edifici direttamente destinati alla fruizione della collettività dei fedeli indipendentemente da ogni denominazione (V. in termini Cons. Stato, Sez. I, n. 62751/2001).
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(v. tuttavia in senso diverso, TAR Marche, Sez. I, sentenza 08.07.2003 n. 899, riguardante una fattispecie di mutamento di destinazione d’uso di un immobile da magazzino a sede di una Congregazione Cristiana dei Testimoni di Geova) (massima tratta da www.regione.piemonte.it - TAR Puglia-Bari, Sez. II, sentenza 10.03.2011 n. 407 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZISERVIZI PUBBLICI LOCALI/ Tar Toscana: necessario prevedere forti poteri di indirizzo da parte del comune. Servizi in house con regole di controllo certe.
Le concessionarie di servizi in house devono avere regole di controllo certe. Il servizio, svolto in house, dal concessionario costituito con una società a controllo pubblico deve prevedere forti poteri di indirizzo della gestione da parte del comune, pena la sua illegittimità.
Questa in buona sintesi è la massima della recente decisione del TAR Toscana, Sez.  I (sentenza 01.03.2011 n. 377) che ha così deciso su un ricorso di una privato che chiedeva l'annullamento della deliberazione di un comune che aveva provveduto ad affidare direttamente il servizio di accertamento, liquidazione e riscossione del canone di pubblicità e del servizio delle pubbliche affissioni.
La parte lamentava, nel caso specifico, l'illegittimità della procedura di affidamento, sotto alcuni profili, tra i quali la violazione del giusto procedimento, l'irragionevolezza e la disparità di trattamento, non ultimo anche l'eccesso di potere dell'amministrazione locale.
L'affidamento in house, ad avviso del Tar della Toscana è legittimo, ed è prassi consolidata negli enti locali; e lo può essere anche in riferimento alla revoca di una gara già indetta per una procedura di affidamento di gestione di pubblici servizi, allorquando l'ente locale ravvisi che la gestione e la riscossione di entrate comunali possa essere maggiormente convenientemente gestita in house da una società a capitale pubblico.
Ciò è confermato anche dalla sentenza n. 6137 del 30/11/2007 del Consiglio di stato.
Neppure è inibito al comune di procedere in tal senso, avendo riguardo alla particolare attività di gestione di tali servizi che avendo caratteristiche di strumentalità non rientra nei servizi di pubblica rilevanza, sanciti dall'art. 23-bis del dl 112/2008 che pone particolari norme all'affidamento a soggetti sia pubblici che privati o anche a composizione mista, di alcuni servizi aventi rilevanza economica.
Infatti, osservano i giudici amministrativi toscani, «trattandosi di attività strumentale che esula dall'ambito di applicazione dell'art. 23-bis, e che è invece disciplinata dall'art. 52 legge n. 446/97 e dall'art. 13 dlgs 223/06, deve quindi concludersi per la teorica ammissibilità dell'istituto dell'in house».
I giudici ritengono però che devono osservarsi le modalità di gestione del servizio per giudicare sulla concreta possibilità dell'affidamento in proprio.
La giurisprudenza, sul punto, verificando anche le precedenti decisioni del Consiglio di stato, ha chiarito che «il ricorso all'affidamento in house è legittimo solo allorché l'amministrazione pubblica eserciti sull'ente distinto un controllo analogo a quello che esercita sui propri servizi e qualora l'ente svolga la parte più importante della sua attività con l'amministrazione o con gli enti pubblici che lo detengono».
L'analisi è stata poi rivolta sui poteri gestionali in seno alla società affidataria del pubblico servizio di accertamento e riscossione dei tributi locali, la quale deve poter consentire all'ente pubblico, un controllo analogo a quello effettuato per altri tipologie di pubblici servizi.
In altre parole, occorre verificare che il consiglio di amministrazione della società di capitali affidataria in house non abbia rilevanti poteri gestionali, e che l'ente pubblico affidante (rispettivamente la totalità dei soci pubblici) eserciti, pur se con moduli societari su base statutaria, poteri di ingerenza e di condizionamento superiori a quelli tipici del diritto societario, caratterizzati da un margine di rilevante autonomia della governance rispetto alla maggioranza azionaria, sicché risulti indispensabile, che le decisioni più importanti siano sottoposte al vaglio preventivo dell'ente affidante o, in caso di in house frazionato, della totalità degli enti pubblici soci.
Nel caso in esame, invece il Tar ha riscontrato dallo statuto sociale che il consiglio di amministrazione della società in house godeva di poteri decisori pressoché assoluti, rispetto al vaglio dell'organo amministrativo, lasciando aspetti puramente formali all'ente locale, che non consentivano ad esso il controllo richiesto in merito alle decisioni prese dai vertici, ciò in stridente contrasto con i principi adesso elencati.
Del resto, la decisione del Consiglio di stato dell'11/08/2010 n. 5620, a cui il Tar implicitamente si richiama aveva stabilito, che «gli enti partecipi alla società in house possono esercitare il controllo collettivamente, deliberando a maggioranza all'interno degli organi sociali in cui siedono i loro rappresentanti» e che i requisiti dell'in house providing, costituendo una eccezione alle regole generali del diritto comunitario, vanno interpretati in modo restrittivo.
Tale fatto, che riveste una importanza generale, è stato ritenuto rilevante ai fini della decisione nel caso in esame, conseguendone, in concreto, che la procedura di affidamento mediante il ricorso all'istituto dell'in house è illegittima, difettando il requisito del controllo analogo in concreto richiesto per la sua applicazione (articolo ItaliaOggi del 06.05.2011 - tratto da www.corteconti.it).

AGGIORNAMENTO AL 02.05.2011

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SINDACATI

PUBBLICO IMPIEGO: La trasformazione unilaterale da part-time a full-time (CGIL-FP di Bergamo, nota 23.04.2011).

DOTTRINA E CONTRIBUTI

URBANISTICA: P. L. Portaluri, IL PRINCIPIO DI PIANIFICAZIONE (link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: R. D'Isa, Le luci e vedute (link a www.iussit.eu).

EDILIZIA PRIVATA: R. D'Isa, LE DISTANZE TRA LE COSTRUZIONI ex artt. 873 e ss. c.c. (link a www.iussit.eu).

CONSIGLIERI COMUNALI: G. Andreassi, LA REVOCABILITA' AD NUTUM DELL'ASSESSORE NELLE AUTONOMIE LOCALI (link a www.iussit.eu).

INCARICHI PROGETTUALI: Determinazione dell’Autorità per la Vigilanza sui Contratti Pubblici di lavori, servizi e forniture n. 5 del 27.07.2010 recante “Linee guida per l’affidamento dei servizi attinenti all’architettura ed all’ingegneria” - Analisi e commenti (link a www.centrostudicni.it).

UTILITA'

SICUREZZA LAVORO: Opere provvisionali e rischi di cadute dall’alto.
L’ASL di Pavia ha pubblicato un documento per la formazione degli studenti che tratta le problematiche relative alle opere provvisionali e ai rischi di caduta dall’alto.
La pubblicazione è sintetica e di semplice lettura; per ciascuna tipologia di opera provvisionale vengono indicate tutte le misure di sicurezza da adottare e i riferimenti alle normative tecniche.
E’ così strutturata:
- Classificazione delle opere provvisionali in base al loro utilizzo: opere di servizio, opere di sicurezza e opere di sostegno;
- Definizione degli elementi costitutivi di un ponteggio: elementi metallici (diagonale, corrente, corrente di testata, cavalletto, etc.), tipologie di parapetti, intavolati, tipologie e modalità di ancoraggio;
- Altre tipologie di opere provvisionali: ponti su cavalletti, trabattelli, scale, etc. (link a www.acca.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Tracciabilità dei rifiuti (SISTRI), finalmente il Testo Unico coordinato. Prospetto di confronto e Tabella comparativa.
Pubblicato in Gazzetta Ufficiale il Decreto del Ministero dell'Ambiente n. 52 del 18/02/2011, contenente il Nuovo Regolamento sul sistema informatico di controllo della tracciabilità dei rifiuti.
Il SISTRI (Sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti) nasce nel 2009 su iniziativa del Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare per permettere l'informatizzazione dell'intera filiera dei rifiuti speciali a livello nazionale.
Il quadro normativo in materia di tracciabilità dei rifiuti è stato piuttosto frammentato; diversi sono i provvedimenti che si sono susseguiti e hanno mutato la disciplina del SISTRI, rinviando più volte la data di avvio del sistema stesso.
Il nuovo regolamento si propone di raccogliere in un testo unico e coordinato i diversi decreti che hanno via via modificato la disciplina del SISTRI, “...raggruppando le definizioni, ridefinendo il testo delle varie disposizioni che sono state modificate” ed eliminando i riferimenti a norme non più in vigore.
Il SISTRI è entrato in vigore il 10.10.2010, ma sarà operativo in via esclusiva a partire dal primo giungo 2011. Nel frattempo è previsto un periodo transitorio (art. 12, comma 2, del D.M. 17/12/2009).
In allegato a questo articolo, oltre al testo del nuovo regolamento, vengono proposti:
- un prospetto sintetico di confronto tra gli articoli del nuovo testo e quelli dei precedenti decreti;
- una tabella comparativa che evidenzia in modo analitico le differenze tra i singoli articoli (link a www.acca.it).

GURI - GUUE - BURL (e anteprima)

AMBIENTE-ECOLOGIA: G.U. 26.04.2011 n. 95, suppl. ord. n. 107/L, "Regolamento recante istituzione del sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti, ai sensi dell’articolo 189 del decreto legislativo 03.04.2006, n. 152 e dell’articolo 14-bis del decreto-legge 01.07.2009, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 03.08.2009, n. 102" (Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, decreto 18.02.2011 n. 52).
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Testo Unico Sistri.
Dopo una lunga attesa è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il Decreto Ministeriale N. 52 del 18.02.2011 che riunifica in un Testo Unico i 5 decreti emanati fino ad oggi sul SISTRI, il Sistema automatico di tracciabilità dei rifiuti.
A partire dal prossimo 11 maggio, tali decreti cesseranno di produrre effetti per essere sostituiti dal testo citato, che contiene una coordinata e completa normativa in materia.
E' importante sottolineare che comunque restano invariate le proroghe finora intervenute per l'avvio operativo del sistema (01.06.2011) e per la trasmissione dei dati di quanto prodotto e smaltito o recuperato nel 2010 e nel 2011 (rispettivamente, 30 aprile e 31.12.2011). Rimane intatto anche l'obbligo della tenuta dei registri e dei formulari fino alla piena funzionalità del Sistri.
Il Decreto ministeriale non interviene invece sulla data di effettivo avvio del sistema che resta fissata all'01.06.2011.
Il nuovo regolamento chiarisce che le imprese e gli enti che effettuano operazioni di recupero o di smaltimento e che sono produttori di rifiuti derivanti da tali attività devono iscriversi "anche" come produttori indipendentemente dal numero dei dipendenti. Ulteriori modifiche sono state effettuate nei seguenti settori: trasporto conto terzi, trasporto marittimo, rifiuti pericolosi, rifiuti non pericolosi (commento tratto da www.ecosportello.org).
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Pubblicato in Gazzetta il Testo Unico SISTRI.
E’ stato pubblicato nel Supplemento Ordinario n. 107 della Gazzetta Ufficiale n. 95 del 26.04.2011, il Decreto del Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare del 18.02.2011 n. 52 “Regolamento recante istituzione del sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti”.
Il provvedimento riunifica in un solo testo tutti i cinque decreti finora emanati sul Sistri che, dal prossimo 11 maggio (data di entrata in vigore del Testo Unico), cesseranno di produrre effetti. Resteranno salve, tuttavia, le proroghe intervenute per:
- l’avvio operativo del sistema fissato all'01.06.2011;
- la trasmissione dei dati di quanto prodotto e smaltito o recuperato nel 2010 e nel 2011 (da effettuarsi rispettivamente entro il 30 aprile ed il 31.12.2011).
Il Dm non incide nella sostanza sul quadro esistente relativo al nuovo sistema di tracciabilità dei rifiuti. Vengono, tuttavia, introdotte importanti modifiche che è opportuno evidenziare:
• viene spostato dal 31 gennaio al 30 aprile il temine entro il quale è possibile versare il contributo annuo. Si tratta di un vero e proprio mutamento della disciplina di base. Infatti, il 30 aprile rappresenterà il nuovo termine per i versamenti da effettuare anche in futuro. Per il 2011 è evidente il disallineamento temporale tra il pagamento entro il 30 aprile e l'entrata in vigore del Dm (11 maggio). Tale disallineamento non genererà però conseguenze dato che il quadro sanzionatorio entrerà in vigore a partire dall'01.06.2011;
• è prevista la possibilità per i trasportatori in conto terzi (articolo 212, comma 5, Dlgs 152/2006) di dotarsi del dispositivo Usb (la chiavetta) relativo alla sola sede legale oppure, in alternativa, di un'ulteriore chiavetta per ciascuna unità locale. In questo secondo caso, il contributo va versato per ogni unità locale dotata di chiavetta. Resta fermo l'obbligo di pagare il contributo annuale e di dotarsi di una chiavetta per ogni veicolo a motore adibito al trasporto di rifiuti;
• viene confermata per la microraccolta ed estesa alle attività di raccolta dei rifiuti prodotti da attività di manutenzione (purché i rifiuti siano trasportati direttamente all'impianto di recupero o smaltimento da parte del soggetto che ha effettuato la manutenzione) la possibilità per il trasportatore che intende movimentare rifiuti pericolosi di non dover accedere necessariamente almeno due ore prima al sistema per la compilazione della scheda Sistri Area movimentazione. L’importante è che tale scheda venga compilata prima della movimentazione medesima;
• per il trasporto marittimo dei rifiuti è previsto che l'armatore o il noleggiatore che effettuano il trasporto, possano delegare gli adempimenti Sistri al raccomandatario marittimo di cui alla legge 135/1977. In tal caso, il raccomandatario consegna al comandante della nave la copia compilata della scheda Sistri - Area movimentazione. All'arrivo, il comandante consegna la copia della scheda al raccomandatario rappresentante l'armatore o il noleggiatore presso il porto di destino;
• per i produttori di rifiuti pericolosi non inquadrati in un'organizzazione di ente o di impresa è prevista la possibilità di adempiere all'obbligo di tenuta del registro di carico e scarico attraverso la conservazione, in ordine cronologico, delle copie della scheda Sistri Area movimentazione, relative ai rifiuti prodotti.
Restano soggetti al registro di carico e scarico i produttori di rifiuti non pericolosi non obbligati ad iscriversi al Sistri.
Si informa, inoltre, che sul sito www.sistri.it, nella Sezione “Manuali e Guide”, è disponibile l’edizione aggiornata del Manuale Operativo 2.4 del 26 aprile u.s., in cui è stata aggiunta la procedura per la gestione degli autoveicoli fuori uso (ELV) e chiarimenti circa le modalità per allineare il registro cronologico alle giacenze reali prima dell'01.06.2011 (commento tratto da www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com).

CORTE DEI CONTI

INCARICHI PROGETTUALI: No ai mutui per dare incarichi. La spesa non può essere giustificata come investimento. La Corte dei conti bacchetta gli enti locali: l'elenco della Finanziaria 2004 è tassativo.
La spesa per il conferimento di un incarico professionale per la redazione di un piano urbanistico non può essere finanziata dal comune attraverso l'accensione di un mutuo o di un'altra forma di indebitamento, in quanto non può essere considerata quale spesa per investimento.
Questo, perché l'elenco delle operazioni economiche che costituiscono investimenti, contenuto all'art. 3, comma 18, della legge Finanziaria 2004, è da considerasi tassativo e, tra queste, non vi è menzionata la spesa per la progettazione di un piano urbanistico.

E' quanto hanno affermato le Sezz. riunite di controllo della Corte dei Conti, nel testo della deliberazione 28.04.2011 n. 25, dirimendo una questione di massima rilevanza in merito alla possibilità di ricorrere all'indebitamento per poter procedere all'affidamento di un incarico professionale per la redazione di un piano urbanistico. ... (articolo ItaliaOggi del 30.04.2011 - tratto da www.ecostampa.com).

PUBBLICO IMPIEGO: Dirigenti, i limiti agli incarichi a tempo determinato.
Gli Enti locali possono conferire incarichi dirigenziali a tempo determinato entro il tetto dell’8% della dotazione organica dei dirigenti; nel calcolo dei resti devono procedere all’arrotondamento all’unità superiore solamente se si supera lo 0,5 per cento.
Si possono utilizzare tali possibilità solamente a condizione che le amministrazioni non abbiano quelle professionalità tra i dirigenti in servizio.
La mancata abrogazione delle previsioni dettate dal Tuel sulla copertura dei posti dirigenziali vacanti tramite assunzioni a tempo determinato, non si pone in contrasto con il vincolo, introdotto dal Dlgs 150/2009, ad applicare le stesse regole dettate per le amministrazioni statali.
Non vi sono invece novità sulla possibilità offerta a tutte le amministrazioni locali, ivi compresi i Comuni sprovvisti di dirigenti, di conferire incarichi dirigenziali a tempo determinato al di fuori della propria dotazione organica entro il tetto del 5% della stessa.

Sono queste le principali indicazioni che si possono ricavare dalle deliberazioni 08.03.2011 n. 12, n. 13 e n. 14, per molti aspetti eguali, delle Sezz. riunite di controllo della Corte dei Conti.
Siamo in presenza di un orientamento assai restrittivo, che limita in misura molto drastica l’autonomia regolamentare delle singole amministrazioni locali.
Queste indicazioni possono creare numerosi problemi a quegli enti in cui il numero dei dirigenti a tempo determinato è superiore alla soglia, assai bassa peraltro, fissata dal legislatore.
È per molti versi evidente che la magistratura contabile arriva a queste conclusioni sulla base delle indicazioni dettate dalla sentenza 324/2010 con cui la Corte costituzionale ha ritenuto applicabili alle Regioni (e di conseguenza si può aggiungere anche agli Enti locali) queste disposizioni e le ha giudicate come costituzionalmente legittime.
LE PRONUNCE.
Queste pronunce risolvono i contrasti interpretativi emersi tra la sezione regionale di controllo della Lombardia, da un lato, e quelle della Puglia e del Veneto, dall’altra. Esse sono state sollecitate dalle sezioni regionali del Piemonte, del Friuli Venezia Giulia e del Molise.
Per la sezione di controllo lombarda, le nuove regole limitative dettate dalla legge Brunetta devono essere applicate in modo da non limitare l’autonomia garantita agli Enti locali dalla Costituzione.
Per le sezioni pugliese e molisana, invece, le limitazioni vanno applicate tout court, in quanto tale è la volontà del legislatore.
Le sezioni riunite di controllo hanno inteso sciogliere una «questione di massima di particolare rilevanza» e, pertanto, le sue indicazioni hanno un carattere vincolante per tutte le sezioni regionali di controllo della magistratura contabile.
Viene ribadito che i quesiti posti devono essere considerati ammissibili in quanto, anche se non riguardano direttamente la contabilità pubblica, toccano una materia, il personale, che ha una notevole rilevanza sulla spesa degli Enti locali e, di conseguenza, ha grande importanza sul coordinamento della finanza pubblica.
Lo stesso dubbio sulla estensione agli Enti locali dei limiti dettati per lo Stato in materia di conferimento di incarichi dirigenziali a tempo determinato produce effetti significativi sulla spesa dei Comuni e delle Province.
In particolare, si ricorda che "la conservazione o la perdita di strumenti che offrono agli Enti locali una maggiore flessibilità nella definizione degli assetti organizzativi e nella gestione delle risorse umane, è infatti destinata a incidere sulla attività di programmazione del fabbisogno di personale (quale complesso delle professionalità necessarie all’esercizio delle funzioni attribuite) a sua volta correlata alle disponibilità di bilancio dell’ente e improntata a principi di contenimento degli organici e della spesa programmata".
Viene inoltre evidenziato, con riferimento al caso specifico, che «l’attuale vigenza o meno della specifica disciplina dettata dall’art. 110, con riferimento in particolare alla possibilità di continuare a effettuare conferimenti di incarichi dirigenziali al di fuori della dotazione organica, presenta evidenti riflessi di diretta incidenza anche sulla sana gestione finanziaria sulla tenuta degli equilibri di bilancio».
LE NORME.
Ricordiamo che il nuovo testo dell’articolo 19 del Dlgs 165/2001 introdotto dalla legge Brunetta, Dlgs 150/2009, ha stabilito che in tutte le pubbliche amministrazioni si deve applicare lo stesso tetto previsto per le amministrazioni dello Stato per il conferimento di incarichi dirigenziali a tempo determinato, cioè il 10% per i dirigenti di prima fascia e l’8% per quelli di seconda fascia.
E ancora, tale disposizione ha stabilito, riprendendone il contenuto sintetizzato dalla Corte dei conti, che viene «consentito il ricorso agli incarichi esterni nelle sole ipotesi in cui non si rinvengono, all’interno delle amministrazioni, persone dotate della qualificazione professionale richiesta; introdotto la necessità di motivare in modo esplicito le ragioni per le quali si intende attingere a professionalità esterne; precisato il meccanismo di computo dei limiti percentuali della dotazione organica (il quoziente derivante dall’applicazione di tale percentuale, è arrotondato all’unità inferiore, se il primo decimale è inferiore a cinque, o all’unità superiore, se esso è uguale o superiore a cinque)».
Il dubbio affrontato dalle deliberazioni delle sezioni riunite di controllo della Corte dei conti riguarda la sopravvivenza o meno delle disposizioni contenute nell’articolo 110, commi 1 e 2, del Dlgs 267/2000. Il comma 1 stabilisce che i regolamenti possono prevedere la copertura, senza limiti, dei posti dirigenziali vacanti attraverso il conferimento di incarichi a tempo determinato. Il comma 2 stabilisce che, in tutti gli enti -ivi compresi quelli senza dirigenti-, possono essere conferiti incarichi dirigenziali a tempo determinato per posti extra dotazione organica entro il tetto del 5% della stessa e comunque per almeno una unità.
LE INDICAZIONI.
Per la citata sentenza della Corte costituzionale, 324/2010, «il conferimento di incarichi dirigenziali a soggetti esterni si realizza mediante la stipulazione di un contratto di lavoro di diritto privato», il che determina la conseguenza che la «disciplina della fase costitutiva di tale contratto, così come quella del rapporto che sorge per effetto della conclusione di quel negozio giuridico, appartengono alla materia dell’ordinamento civile».
Il parere ci dice inoltre che «la disciplina dettata dall’art. 19, comma 6, del Dlgs 165/2001 non riguarda né procedure concorsuali pubblicistiche per l’accesso al pubblico impiego, né la scelta delle modalità di costituzione di quel rapporto giuridico.
Essa, valutata nel suo complesso, attiene ai requisiti soggettivi che debbono essere posseduti dal contraente privato, alla durata massima del rapporto, ad alcuni aspetti del regime economico e giuridico ed è pertanto riconducibile alla regolamentazione del particolare contratto che l’amministrazione stipula con il soggetto, a essa esterno, cui conferisce l’incarico dirigenziale
»… «l’art. 19, comma 6 del Dlgs 165/2001 non riguarda né procedure concorsuali pubblicistiche per l’accesso al pubblico impiego né la scelta delle modalità di costituzione di quel rapporto, con la conseguenza che non può rilevarsi alcuna violazione degli art. 117 e 119 della Costituzione giacché la norma impugnata non attiene a materie di competenza concorrente (coordinamento della finanza pubblica) né di competenza residuale regionale (organizzazione delle Regioni e degli uffici regionali, organizzazione degli Enti locali)».
I POSTI VACANTI.
Su questa base i pareri delle sezioni riunite di controllo della Corte dei conti risolvono il contrasto con le previsioni contenute nell’articolo 110 del Dlgs 267/2000. Il parere n. 12 espressamente chiarisce che le nuove disposizioni legislative non possono essere considerate come «completamente sovrapponibili» con quelle dettate nel comma 1; da qui la conseguenza che non si deve parlare di «abrogazione tacita».
Nonostante la mancata abrogazione in modo espresso il nuovo tetto massimo alle assunzioni a tempo determinato di dirigenti negli Enti locali è pienamente operante perché previsto in disposizioni di carattere generale e di principio del Dlgs 150/2009.
Esse peraltro riguardano «presupposti di fatto attinenti la costituzione del rapporto di lavoro»; per cui si deve arrivare alla conclusione che «appare coerente con l’interpretazione accolta dalla Corte costituzionale ritenere che siano immediatamente vincolanti per gli enti territoriali». In questo senso vanno anche i principi di limitazione dello spoil system previsti dalla legge 15/2009, cioè dalla norma di delega, e ancora le indicazioni dettate dalla giurisprudenza della Corte costituzionale, cioè «l’orientamento restrittivo nei confronti della c.d. dirigenza fiduciaria, privilegiando, per l’accesso alla dirigenza, il ricorso a procedure selettive pubbliche e, per il conferimento dei relativi incarichi, la dirigenza di ruolo».
Il parere non contiene indicazioni sulla applicabilità delle nuove limitazioni alla assunzione di responsabili negli enti sprovvisti di dirigenza, anche se tra le righe sembra propendere per una lettura estensiva.
EXTRA DOTAZIONE.
Il successivo parere n. 14 chiarisce che il comma 2 di tale articolo si occupa di «una fattispecie del tutto diversa da quella disciplinata dal comma precedente, in quanto volta a sopperire a esigenze gestionali straordinarie che, sole, determinano l’opportunità di affidare funzioni, anche dirigenziali, extra dotationem e quindi al di là delle previsioni della pianta organica dell’ente locale che, invece, cristallizza il fabbisogno ordinario di risorse umane.
La possibilità riconosciuta agli enti territoriali, in ragione della propria autonomia organizzativa, di reperire dirigenti, alte specializzazioni e funzionari dell’area direttiva al di fuori della dotazione organica rappresenta dunque un peculiare strumento gestionale di grande flessibilità che, calibrato alle esigenze strutturali degli Enti locali, appare funzionale soprattutto agli enti di ridotte dimensioni
». Siamo in presenza di una disposizione che non si deve considerare compresa tra quelle dettate per le amministrazioni statali.
La conferma del carattere particolare di questa disposizione è ulteriormente sottolineata, ci dice la deliberazione, dalla presenza, in questo caso, di limiti più stringenti per l’autonomia dei singoli enti. Per cui si «esclude la configurazione, nel caso all’esame, di una ipotesi di incompatibilità tra norme tali da rendere impossibile la loro contemporanea applicazione alla luce del rispettivo principio ispiratore».
TETTO NUMERICO.
Tutte e tre le deliberazioni chiariscono che il tetto deve essere considerato all’8% in quanto nel comparto Regioni ed Enti locali non vi è la differenziazione in 2 fasce prevista per le amministrazioni statali e non si può assumere come base di riferimento l’aliquota destinata alla prima fascia, in cui sono inquadrati i dirigenti generali, in quanto tali figure non sono previste in tale comparto.
E infine viene chiarito che si deve applicare negli Enti locali la disposizione che detta le regole da seguire per il calcolo dei resti, con approssimazione all’unità inferiore se minore di 0,5 e all’unità maggiore se più elevato di tale aliquota (commento tratto da
www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com).
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Si legga anche l'articolo 27.04.2011 di ItaliaOggi.

SEGRETARI COMUNALISegretari, Ccnl senza ulteriori oneri.
Il galleggiamento degli stipendi dei segretari comunali e provinciali non gonfierà le pensioni e il trattamento di fine rapporto. Perché se così fosse si determinerebbe un aggravio per il sistema pensionistico, in assenza di una specifica copertura finanziaria.

Il chiarimento, per certi versi implicito, sugli effetti del meccanismo retributivo individuato dal nuovo contratto dei segretari (firmato il 1 marzo scorso, si veda ItaliaOggi del 02/03/2011) per equipararne la retribuzione a quella dei dirigenti degli enti locali, arriva dalle sezioni unite di controllo della Corte dei conti.
Nella deliberazione 02.03.2011 n. 11, ma pubblicata sul sito internet della magistratura contabile solo ieri, i giudici erariali hanno accolto la richiesta di palazzo Chigi di inserire nel Ccnl relativo al biennio economico 2008-2009 una clausola che espressamente chiarisca che il «conglobamento nello stipendio tabellare della retribuzione di posizione (l'escamotage individuato per realizzare il galleggiamento ndr) di cui all'art. 3, comma 5; dell'ipotesi di accordo non modifica le modalità di determinazione della base di calcolo in atto del trattamento pensionistico e dei trattamenti di fine servizio comunque denominati».
Com'è noto, il nuovo contratto dei segretari, nell'impossibilità di completare l'allineamento stipendiale utilizzando esclusivamente le risorse disponibili, ha previsto all'art. 3, comma 5, il conglobamento nello stipendio tabellare dei segretari di una quota della retribuzione di posizione, disponendo contestualmente una riduzione di pari valore di quest'ultimo emolumento. In questo modo è stata assicurata l'equiparazione del trattamento retributivo dei segretari a quello stabilito «per la funzione dirigenziale più elevata nell'ente in base al contratto collettivo dell'area della dirigenza».
La cautela richiesta dalla presidenza del consiglio per non gravare sui conti pubblici nasce dal fatto che incrementi dello stipendio tabellare, realizzati, come nel caso di specie, attraverso riduzioni del valore di altre componenti retributive, avrebbero potuto determinare, a giudizio della Corte, un aumento della base di riferimento (costituita dall'ultimo stipendio e da altri assegni tassativamente indicati dalla legge n. 177/1976) su cui applicare la maggiorazione del 18% prevista dalla legge. Con evidenti effetti deleteri a carico del sistema pensionistico in assenza di copertura finanziaria. La Corte ha condiviso tale cautela e ha chiesto, e ottenuto, che un'assicurazione in tal senso venisse recepita nel testo del contratto (articolo ItaliaOggi del 28.04.2011 - link a www.corteconti.it).

CONSIGLIERI COMUNALIIl sindaco condannato deve risarcire il danno.
Se il sindaco, all'atto della presentazione della sua candidatura, ha omesso di dichiarare la presenza di condanne a suo carico tali da renderlo, per espressa previsione normativa, incandidabile, oltre a subire la rimozione immediata dalla carica, deve altresì risarcire l'amministrazione locale di tutte le spese da questa sostenuta per garantire 11 corretto svolgimento della consultazione elettorale, vale a dire i compensi dei componenti dei seggi elettorali e gli straordinari del personale comunale.

È quanto ha sancito la sezione giurisdizionale della Corte dei Conti siciliana, nel testo della sentenza 28.12.2010 n. 2959, da poco resa nota, con la quale ha condannato l'ex sindaco del comune di Forza d'Agro (Me) che nel giugno 2006 si era candidato, con successo, alla carica di primo cittadino.
Il tutto, nonostante lo stesso avesse omesso, all'atto della candidatura, di dichiarare il fatto che era stato condannato (con sentenza poi divenuta definitiva) per una pena superiore ai sei mesi a seguito della commissione di un reato con violazione dei doveri inerenti a una pubblica funzione. Reato questo che la legge prevede come causa ostativa allo svolgimento del mandato elettorale e che gli è, ovviamente, costato la poltrona di primo cittadino, ma solo nel giugno del 2007.
La procura siciliana, pertanto, alla luce delle risultanze del processo penale, richiedeva nei confronti dell'ex primo cittadino, la rifusione a favore delle casse dell'ente locale di tutti i compensi erogati ai componenti delle sezioni elettorali e di quei dipendenti che, a titolo di lavoro straordinario, avevano reso possibile il regolare svolgimento della tornata elettorale, in quanto, nei confronti dell'ex sindaco, si individuava «una dolosa violazione delle regole finalizzate al conseguimento della carica di sindaco» e, quindi, il danno derivante al comune per aver inutilmente sostenuto le spese indicate per la tornata elettorale del giugno 2006.
Il collegio giudicante della magistratura contabile siciliana ha pienamente accolto le tesi del requirente. Infatti, come affermato anche dalla suprema corte di Cassazione, qualora un candidato, eletto alla carica di sindaco, sia successivamente dichiarato decaduto per aver subito in precedenza una condanna penale ostativa all'elezione, questo si traduce in un difetto di un requisito soggettivo per l'elettorato passivo che non può nemmeno essere sanato da un eventuale indulto intervenuto nel frattempo.
Ne deriva, pertanto, che «le spese sostenute dal comune sono state del tutto inutili e, pertanto, costituiscono danno erariale riconducibile alla condotta dolosa del convenuto» (articolo ItaliaOggi del 26.04.2011 - link a www.corteconti.it).

NEWS

CONSIGLIERI COMUNALIOSSERVATORIO VIMINALE/ Consiglieri nella pro loco. Incompatibilità da valutare caso per caso. Necessario esaminare la natura dei rapporti tra l'ente locale e l'associazione.
Sussiste una causa d'incompatibilità per un consigliere comunale che è componente del consiglio direttivo della locale pro loco, costituita per finalità di promozione sociale e turistica del comune?
La fattispecie deve essere esaminata in ragione di entrambe le statuizioni recate dal comma 1, nn. 1 e 2, dell'art. 63 del dlgs n. 267/2000 e non solo in ragione di quella recata dal numero 1 del citato comma. In merito alla posizione del consigliere comunale rispetto al consiglio direttivo dell'associazione, se, cioè lo stesso possa esserne ritenuto amministratore, occorre precisare che, in genere, i poteri del consiglio direttivo sono quelli di gestire l'associazione, promuoverne le attività e amministrarla.
Se dalla lettura degli articoli dello statuto dell'associazione dedicati agli organi, si evince che il consiglio direttivo è investito dei poteri per la gestione ordinaria della pro loco, mentre il presidente dell'associazione ha la responsabilità dell'amministrazione e rappresenta l'associazione di fronte ai terzi ed in giudizio e che lo stesso consiglio direttivo, su proposta del presidente, può deliberare di attribuire speciali incarichi ai singoli componenti in determinati, specifici settori di competenza, appare delinearsi il conferimento al consiglio direttivo dei poteri ordinari di amministrazione dell'ente, che spettano ai componenti di norma collegialmente, mentre sono esclusivi di ciascun membro in caso di attribuzione di specifica competenza.
Secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale, con il termine «amministratore» il legislatore ha inteso alludere a tutti i componenti dell'organo collegiale cui è affidata l'amministrazione di un ente, istituto, azienda, muniti o meno di poteri di rappresentanza.
L'espressione «con poteri di rappresentanza o di coordinamento» contenuta nel comma 1 dell'art. 63 del Tuel, che sembrerebbe limitare l'ambito applicativo della norma, «è riferibile ai soli dipendenti e non già agli amministratori». È stato osservato, infatti, che la qualifica di amministratore è di per sé rilevante ai fini della determinazione del potenziale conflitto d'interessi che la norma mira a scongiurare e prescinde finanche dalla concreta partecipazione alle sedute del consiglio (cfr. Cass., sez. I civ., 25/06/1987, n. 5594).
Dunque, la posizione dell'amministratore locale dovrà essere esaminata in relazione ai rapporti che concretamente legano l'ente locale all'associazione pro loco.
Qualora il comune avesse instaurato con l'associazione un rapporto di sovvenzione, la posizione del consigliere comunale in questione deve essere esaminata alla luce del disposto di cui all'art. 63, comma 1, n. 1; qualora, invece, fosse stato stipulato un contratto per l'assolvimento di un servizio nell'interesse del comune, la situazione giuridica del consigliere comunale deve essere disciplinata secondo quanto disposto all'art. 63, comma 1, n. 2, prima parte, mentre sarebbe priva di rilievo, in relazione alla posizione del consigliere, l'insussistenza di qualsiasi rapporto di natura giuridica fra comune e associazione.
L'assenza della finalità di lucro nell'associazione non è sufficiente ad escludere la sussistenza dell'ipotesi d'incompatibilità. Il comma 2 dell'art. 63 ha, infatti, escluso l'applicazione della suddetta ipotesi solo per coloro che hanno parte in cooperative sociali, iscritte regolarmente nei registri pubblici, dal momento che solo tali forme organizzative offrono adeguate garanzie per evitare il pericolo di deviazioni nell'esercizio del mandato da parte degli eletti e il conflitto, anche solo potenziale, che la medesima persona sarebbe chiamata a dirimere se dovesse scegliere tra l'interesse che deve tutelare in quanto amministratore dell'ente che gestisce il servizio e quello che deve garantire in quanto consigliere del comune che di quel servizio fruisce.
In conformità al principio generale secondo cui ogni organo collegiale deve deliberare innanzitutto sulla regolarità dei titoli di appartenenza dei propri componenti, la contestazione della causa ostativa all'espletamento del mandato è compiuta con la procedura consiliare prevista dall'art. 69 del citato decreto legislativo, che garantisce comunque il corretto contraddittorio tra organo e amministratore, assicurando a quest'ultimo l'esercizio del diritto di difesa e la possibilità di rimuovere entro un congruo termine la causa d'incompatibilità contestata (articolo ItaliaOggi del 29.04.2011).

ENTI LOCALIMulte a bilancio con prudenza. Nei preventivi solo i proventi incassati negli ultimi anni. Gli introiti vanno destinati all'incentivazione dei vigili e inseriti nel fondo risorse decentrate.
Nei bilanci preventivi i comuni devono inserire la quantità stimata di proventi derivanti dalle sanzioni per le violazioni al codice della strada; nella eventuale erogazione di una quota di tali entrate ai vigili urbani devono essere ancora più rigorosi e corrispondere risorse il cui incasso sia certo.
Si deve invece chiarire se, alla luce del tetto dettato al fondo per le risorse decentrate negli anni 2011, 2012 e 2013 le amministrazioni comunali possano prevedere un aumento, rispetto al 2010, della quota destinata alla incentivazione del personale. Tali somme non vanno inserite nella spesa del personale. Queste risorse possono essere spese unicamente attraverso gli istituti contrattuali esistenti, ivi compreso il lavoro straordinario.

La possibilità di destinare alla incentivazione dei vigili una quota dei proventi derivanti dalle sanzioni al codice della strada è stata introdotta dal legislatore nella scorsa estate. La destinazione a tale finalità di una quota di tali risorse determina la diminuzione del quantum va alle altre voci, quali la segnaletica, la manutenzione delle strade, le assunzioni flessibili ecc. Come per tutte le altre voci occorre essere assolutamente certi della quantità di risorse disponibili. A tale cifra si deve arrivare non considerando né le previsioni di multe irrogate né di quelle riscosse, ma degli incassi effettivi. Il modo migliore per soddisfare questa esigenza è costituito dalla quantificazione sulla base dei proventi effettivamente incassati negli ultimi anni.
I proventi derivanti dalle sanzioni per le violazioni al codice della strada destinati alla incentivazione dei vigili devono affluire al fondo per le risorse decentrate e ciò perché, sulla base dei principi dettati dal dlgs n. 165/2001, tutte le forme di trattamento economico del personale, siano esse accessorie o fondamentali, devono essere oggetto di contrattazione collettiva. Si deve chiarire se queste entrate del fondo devono essere qualificate come risorse provenienti da specifiche norme di legge ovvero dalla attivazione di nuovi servizi. In ogni caso, la incentivazione dei vigili deve essere direttamente connessa a prestazioni aggiuntive, vuoi in termini di aumento dell'orario vuoi nei servizi resi.
Si pone, sulla base delle previsioni dell'articolo 9, comma 2-bis, del dl n. 78/2010, la cd manovra estiva, cioè il tetto posto all'ammontare del fondo per la contrattazione decentrata, il dubbio se queste risorse possano superare quanto stanziato allo stesso titolo nell'anno 2010. Tema che peraltro si pone anche per tutte le altre forme di incentivazione del personale previste da specifiche norme di legge. I primi orientamenti sono negativi: in questo senso vanno le indicazioni fornite dalla sezione regionale di controllo della Corte dei conti del Piemonte.
Indicazione che, se confermata, si applicherà anche alle incentivazioni previste per il personale degli uffici tecnici per la realizzazione di opere pubbliche e la progettazione di strumenti urbanistici, ai dipendenti degli uffici tributi per i maggiori gettiti Ici, agli avvocati per i contenziosi che hanno visto l'ente vincitore e ai dipendenti utilizzati per la istruzione delle domande di condono edilizio. E che, di fatto, visto che la novità legislativa è della scorsa estate, determinerebbe la impossibilità di utilizzazione di questo strumento nel prossimo triennio. Sulla base dei principi dettati dalle sezioni riunite di controllo della Corte dei conti che escludono dalla spesa per il personale quelle che sono finanziate da privati e del parere del ministero dell'interno che esclude da tale computo le quote destinate alle assunzioni flessibili, si deve ritenere che anche la incentivazione dei vigili non debba entrare nella spesa del personale.
Si deve infine evidenziare che queste risorse devono essere utilizzate o come incremento a destinazione vincolata del fondo per il lavoro straordinario o con uno degli istituti previsti dal contratto nazionale. E cioè la erogazione della indennità di turno, in particolare delle maggiorazioni per quelli notturni e/o festivi ovvero della produttività. Il che richiede la assegnazione preventiva di obiettivi aggiuntivi e la verifica del loro effettivo raggiungimento (articolo ItaliaOggi del 29.04.2011 - link a www.corteconti.it).

VARILe multe stradali si pagano a rate. La dilazione oltre i 200 euro. Ma l'iter può durare a lungo. Circolare del ministero dell'interno sulla riforma del codice. Il ricorso al giudice di pace.
I trasgressori stradali in difficoltà possono già accedere alla rateizzazione delle sanzioni pecuniarie e proporre ricorso al giudice di pace in caso di rigetto della domanda di ammissione al beneficio. Ma per chi incorre nella sospensione della patente di guida la speranza di ottenere un permesso di guida ad ore viene limitato alle ipotesi di semplice infrazioni amministrative e non più ammesso per i reati.
Sono queste le novità più interessanti in materia di circolazione stradale diramate dal Ministero dell'interno con la circolare 22.04.2011 n. 6535 integralmente dedicata alla legge 120/2010.
A seguito della riforma stradale dello scorso agosto sono tante le questioni irrisolte per le quali l'organo di coordinamento dei servizi di polizia stradale tenta di fornire precise indicazioni operative, anche per la mancanza dei decreti attuativi previsti per legge.
Con la nota pasquale sono state fornite innanzitutto indicazioni sulla possibilità di rateizzare le multe. In questo caso anche in mancanza del previsto decreto a parere del ministero le novità introdotte con l'art. 202-bis del codice stradale possono già trovare applicazione concreta. Per le sanzioni di importo superiore a 200 euro l'interessato può quindi già chiedere, entro 30 giorni, la ripartizione del pagamento in rate mensili, qualora si trovi in condizioni economiche disagiate. La presentazione dell'istanza preclude la facoltà di ricorrere al prefetto o al giudice di pace. Entro novanta giorni l'autorità deve adottare un provvedimento di accoglimento o di rigetto contro il quale a parere del Mininterno è possibile proporre ricorso entro 30 giorni al giudice di pace nonostante il silenzio della legge in proposito. In caso di accoglimento della richiesta il pagamento potrà essere ripartito fino a 60 rate, con l'applicazione di interessi. L'ammontare di ciascuna rata comunque non può essere inferiore a 100 euro. L'organo accertatore dovrà poi verificare la regolarità dei pagamenti rateali in quanto il beneficio decadrà in caso di mancato pagamento della prima rata o successivamente di due rate.
Novità sfavorevoli ai trasgressori interessati invece ad ottenere il permesso di guida ad ore. Nonostante il silenzio dell'art. 218 cds a parere dell'organo di coordinamento dei servizi di polizia stradale questo discusso beneficio non può essere rilasciato in caso di sospensione della patente derivante da reato (e in caso di sinistro).
A seguito dell'entrata in vigore della legge n. 120/2010, dal 13 agosto 2010 in caso di violazione grave, per la quale è prevista la sanzione accessoria della sospensione della patente, il titolare può chiedere al prefetto, entro cinque giorni dal ritiro effettuato dall'organo di vigilanza stradale, un permesso per guidare in determinate fasce orarie. In pratica l'interessato può essere ammesso a circolare al massimo tre ore al giorno, per motivi di lavoro, se è impossibile o estremamente gravoso raggiungere il posto di impiego con mezzi pubblici o comunque non propri oppure se deve assistere una persona disabile.
Per l'esame della richiesta la prefettura è tenuta a valutare i motivi documentati, oltre alla gravità della violazione commessa e al pericolo che potrebbe derivare dall'ulteriore circolazione dell'interessato. In caso di accoglimento della richiesta, il conducente verrà autorizzato a guidare per non più di tre ore al giorno, con precisa indicazione delle fasce orarie e dei giorni. Nel contempo, però, il periodo di sospensione della patente subirà l'aumento per un numero di giorni pari al doppio delle ore complessive per le quali viene autorizzata la guida, arrotondato per eccesso. L'autorizzazione alla guida in caso di sospensione della licenza può essere concessa però una sola volta. Chi circolerà in difformità dalle prescrizioni del prefetto sarà punito con le stesse sanzioni previste per chi guida con la patente sospesa: multa da 1.842 a 7.369 euro, revoca della patente, fermo amministrativo del veicolo per tre mesi e, in caso di reiterazione, confisca amministrativa.
A parere del ministero l'inasprimento delle misure contro la guida alterata contrasta però con la possibilità di ammettere al beneficio i trasgressori incorsi in reati stradali. Quindi non si può concedere alcun permesso di guida ai conducenti più negligenti (articolo ItaliaOggi del 29.04.2011).

LAVORI PUBBLICIFinanza di progetto anche per opere fuori programmazione. Nel decreto sviluppo molte modifiche al codice appalti già all'esame del parlamento.
Finanza di progetto anche per opere non in programmazione, tetti alle riserve in fase di esecuzione dell'appalto, esclusione automatica sotto soglia fino al 2013, procedura negoziata fino a 1 milione di euro ma con dieci imprese invitate e post-informazione, semplificazione della disciplina sulle cause di esclusione.
Sono questi alcuni dei punti principali, relativi alle opere pubbliche, sui quali si articolerà il prossimo decreto legge sullo sviluppo, ferma restando l'attenta verifica dei requisiti di necessità e urgenza che andrà fatta per non incorrere in censure da parte del Quirinale.
Si tratta, nella sostanza, di modifiche al Codice dei contratti pubblici che investono materie sulle quali sta, in alcuni casi, già discutendo il parlamento. È il caso, per esempio, delle modifiche alla procedura negoziata senza bando di gara (la più nota trattativa privata) per la quale al senato, nell'ambito del ddl statuto di impresa, si prevede l'innalzamento della soglia dei 500 mila euro fino a un milione e mezzo. ... (articolo ItaliaOggi del 29.04.2011 - link a www.corteconti.it).

AMBIENTE-ECOLOGIAUna deregulation sul rumore. Autorizzazioni alleggerite per le piccole e medie imprese.
Deregulation sul rumore. Grazie a un alleggerimento delle procedure autorizzative in particolare per le piccole imprese, per le quali saranno anche ridotti gli impegni economici necessari per contenere l'inquinamento acustico. Un esempio: nel settore dell'edilizia dovrà esserci, attraverso una delega al governo, la semplificazione delle autorizzazioni in materia di requisiti acustici passivi degli edifici.

Sono queste alcune delle novità contenute nel disegno di legge 4059-A, la legge Comunitaria 2010, che la 14 Commissione permanente (Politiche dell'Unione europea) della camera ha appena approvato e che, quindi, è pronto per il passaggio in aula.
Il ddl (si veda ItaliaOggi del 22 e 23 aprile), oltre ad aggiornare la disciplina in materia di inquinamento acustico, stabilisce nuovi requisiti per l'installazione degli impianti di distribuzione di benzina, riordina la disciplina in materia di emissioni industriali e sostituisce le norme in materia di etichettatura con particolare riferimento agli aromi.
Diverse le modifiche proposte rispetto il testo a suo tempo approvato dal senato in prima lettura il 2 febbraio scorso. In alcuni casi, peraltro, il testo contiene interi nuovi articoli relativi a materie che non erano state nemmeno prese in considerazione dal senato. Uno di questi è l'articolo 32 del disegno di legge che dà delega al governo di armonizzare il diritto interno in materia di inquinamento acustico, ovvero il Testo unico 447/1995. In particolare, ... (articolo ItaliaOggi del 26.04.2011 - link a www.corteconti.it).

AUTORITA' VIGILANZA CONTRATTI PUBBLICI

APPALTI: Chiarimenti in ordine all’applicazione delle sanzioni alle imprese previste dall’articolo 74 del D.P.R. 05.10.2010, n. 207 (determinazione 06.04.2011 n. 3 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: Indicazioni operative inerenti la procedura negoziata senza previa pubblicazione del bando di gara nei contratti di importo inferiore alla soglia comunitaria, con particolare riferimento all’ipotesi di cui all’articolo 122, comma 7-bis del decreto legislativo 12.04.2006, n. 163 (determinazione 06.04.2011 n. 2 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: Comunicazioni relative ai Certificati di esecuzione dei lavori pubblici (comunicato del Presidente 02.02.2011 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: Questioni interpretative concernenti la disciplina dell’articolo 34 del d.lgs. 163/2006 relativa ai soggetti a cui possono essere affidati i contratti pubblici (determinazione 21.10.2010 n. 7 - link a www.autoritalavoripubblici.it).
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IL CONSIGLIO Ritiene che:
1. l’elenco riportato nell’articolo 34 del D.lgs. 163/2006 non è da considerarsi esaustivo dei soggetti di cui è ammessa la partecipazione alle gare indette per l’affidamento dei contratti pubblici;
2. gli accordi tra amministrazioni non possono essere stipulati in contrasto con la normativa comunitaria, in particolare non devono interferire con il perseguimento dell’obiettivo della libera circolazione dei servizi e dell’apertura del mercato degli appalti pubblici alla concorrenza, nel rispetto dei principi illustrati nella presente determinazione.

INCARICHI PROGETTUALI: LINEE GUIDA PER L'AFFIDAMENTO DEI SERVIZI ATTINENTI ALL'ARCHITETTURA ED ALL'INGEGNERIA (determinazione 27.07.2010 n. 5 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI SERVIZI: In linea di principio, non è possibile in un unico contesto aggiudicare la gestione delle camere mortuarie agli stessi soggetti che svolgono sul libero mercato l’attività di onoranze funebri a causa della differente natura delle attività che vengono in rilievo, l’una con connotati pubblicistici, volta ad adempiere agli obblighi che discendono dalle disposizioni di polizia mortuaria a tutela delle esigenze di igiene e salute pubblica, l’altra di natura economico imprenditoriale, volta a garantire a chi l’esercita un profitto economico (Cfr. Cons. Stato, Sez. V, sentenza n. 1639 del 12.04.2005; TAR Liguria, Sez. II, sentenza n. 977 del 26.06.2005; TAR Liguria, Sez. II, sentenza n. 1781 del 30.12.2003).
La commistione tra tali attività ontologicamente diverse può, infatti, creare un’alterazione della libera concorrenza sia nel settore dei servizi di gestione delle camere mortuarie e delle attività connesse al decesso dei pazienti sia nel settore dei servizi funebri, in quanto l’impresa che opera in quest’ultimo ambito potrebbe presentare in una gara per l’affidamento della gestione delle camere mortuarie un’offerta particolarmente bassa, che non garantisce l’effettiva qualità dei servizi resi all’Amministrazione, ovvero che non rispecchia il reale rapporto tra prezzi e prestazioni, pur di assicurarsi all’interno dei locali ospedalieri una posizione di indubbio privilegio, che le consente di entrare in contatto con la potenziale clientela delle proprie attività privatistiche (parere di precontenzioso 22.07.2010 n. 146 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

LAVORI PUBBLICI: In virtù di quanto disposto all’art. 40, co. 4, lett. f, del Codice dei contratti e dall’art. 15-bis del D.P.R. 34/2000 la durata di efficacia dell’attestazione SOA è complessivamente di cinque anni, purché prima dello scadere del terzo anno dalla data del rilascio dell’attestazione (almeno 60 giorni), l’impresa si sottoponga a verifica e questa dia esito positivo. Solo in questo caso, infatti, gli effetti della verifica, decorrono dalla data di scadenza del triennio e, quindi, l’impresa rimane in possesso della qualificazione senza soluzione di continuità (cfr. parere n. 99 del 8 ottobre 2009).
Invece, ove la verifica sia compiuta dopo il predetto triennio, benché abbia esito positivo, i suoi effetti decorrono dalla ricezione della comunicazione sul relativo esito, che l’impresa interessata ha ottenuto. Ciò significa che, decorso inutiliter il termine della verifica triennale, l’attestazione originaria non è più efficace, e, il concorrente resta privo del requisito di qualificazione fino al rilascio di una nuova attestazione.
Conseguentemente l’impresa medesima non può partecipare alle gare nel periodo decorrente dalla data di scadenza del triennio alla data di effettuazione della verifica con esito positivo (cfr. AVCP Determinazione n. 6 del 21.04.2004, parere n. 227 del 09.10.2008) (parere di precontenzioso 22.07.2010 n. 145 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

LAVORI PUBBLICI: Le imprese qualificate nella categoria OG11 possono partecipare a gare per l’affidamento di lavori riconducibili alle categorie specialistiche OS3, OS5, OS28 e OS30, purché la disciplina speciale della singola gara non lo vieti (cfr. AVCP parere n. 6 del 14.01.2010, parere n. 146 del 03.12.2009, parere n. 207 del 31.07.2008) (parere di precontenzioso 22.07.2010 n. 144 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: In conformità al costante insegnamento della giurisprudenza e sulla base del principio di correttezza dell’azione amministrativa, come correlato alla clausola generale di buona fede, non è possibile traslare a carico del soggetto partecipante alla gara le conseguenze della condotta colposa della s.a., attesa la duplice necessità di tutelare sia l'affidamento ingenerato nelle imprese partecipanti, sia l'interesse pubblico al più ampio possibile confronto concorrenziale, al fine di ottenere le prestazioni richieste ad un prezzo quanto più vantaggioso, in termini qualitativi e quantitativi, per l’Amministrazione (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza n. 3384 del 21.06.2007, Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza n. 5064 del 17.10.2008, Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza n. 1186 del 12.03.2007).
Per cui, in caso di errore commesso nella redazione degli atti di gara, il conflitto tra gli opposti interessi è stato correttamente risolto dando applicazione e prevalenza ai principi di tutela dell’affidamento e della più ampia partecipazione alla gara, potendosi ricorrere in tal caso all’integrazione documentale (parere di precontenzioso 22.07.2010 n. 143 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

LAVORI PUBBLICI: Dal tenore letterale dell’art. 37, co. 13, del Codice dei contratti risulta chiaramente che deve sussistere una perfetta simmetria tra quota di esecuzione dei lavori e quota di effettiva partecipazione al raggruppamento, mentre è imposta a livello sistematico l’interpretazione secondo cui la quota di partecipazione deve essere stabilita e manifestata dai componenti del raggruppamento in uno con la partecipazione alla gara. Infatti, la definizione delle quote di partecipazione ad un’A.T.I. non riguarda la fase esecutiva del rapporto, bensì il suo momento genetico; cosicché è nella proposta contrattuale della parte che deve risultare esplicitata l'identità del soggetto contraente ossia, nel caso appunto di partecipazione in associazione temporanea, le quote attribuite a ciascun componente.
La funzione della disposizione in esame è del tutto evidente: tendere ad escludere (fin dalla fase di celebrazione della gara e non nel solo momento esecutivo) partecipazioni fittizie o di comodo, come spesso avveniva nella comune esperienza prima dell'entrata in vigore dell’art. 13 della L. n. 109/1994 (cfr. C.G.A., 31.03.2006, n. 116).
È onere dell'associazione, peraltro, indicare nella domanda di partecipazione ovvero nella dichiarazione nella quale rappresentano all'Amministrazione l'intendimento di costituire una associazione temporanea di imprese, le rispettive quote di partecipazione. Detto adempimento vale anche in mancanza di un'esplicita indicazione in tal senso del bando di gara, che deve intendersi integrato dalla inderogabile previsione di cui all'articolo 37, commi 3 e 13, del D.Lgs. n. 163/2006 (parere di precontenzioso 22.07.2010 n. 142 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: Il divieto generale di commistione tra le caratteristiche oggettive dell’offerta e i requisiti soggettivi dell’impresa concorrente, conosce un’applicazione per così dire “attenuata” solo quando consente di rispondere in concreto alle possibili specificità che le procedure di affidamento degli appalti pubblici in talune ipotesi presentano, come nel caso in cui l’offerta tecnica non consista in un progetto o in un prodotto ma si sostanzi invece in un’attività, un facere (cfr. parere n. 5 del 14.01.2010).
In tal senso, peraltro, si esprime anche il costante e consolidato orientamento della giurisprudenza del giudice amministrativo, secondo cui, in materia di procedimenti ad evidenza pubblica, il divieto di commistione tra requisiti di partecipazione alla gara e criteri di valutazione dell'offerta costituisce un sicuro principio di derivazione nazionale e comunitaria (cfr. TAR Veneto, Venezia, Sez. I, 11.02.2009, n. 340; TAR Piemonte, Torino, Sez. I, 12.12.2008, n. 3135; TAR Sicilia, Catania, Sez. III, 05.05.2008, n. 735; Cons. Stato, Sez. V, 04.03.2008, n. 912; 08.03.2006, n. 1194; 13.11.2003, n. 7237; 16.04.2003, n. 1993) con la sola eccezione del diverso caso in cui in cui gli aspetti organizzativi o le esperienze pregresse, per il loro stretto collegamento con lo specifico oggetto dell’appalto, non vengano considerati in quanto tali, ma come elemento incidente sulle modalità esecutive dello specifico servizio e, quindi, come parametro afferente alle caratteristiche oggettive dell’offerta (Cons. Stato, Sez. V, 12.06.2009, n. 3716) (parere di precontenzioso 22.07.2010 n. 141 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: Anche una dichiarazione sintetica è pienamente in grado di assolvere le finalità perseguite dalla stazione appaltante, vale a dire di escludere –salvo verifica– la presenza delle circostanze ostative alla partecipazione alle gare, di cui all’art. 38 del D.Lgs. n. 163/2006, per cui si impone una interpretazione non formalistica del dato positivo anche in conformità al principio, pacifico in tema di contratti ad evidenza pubblica, secondo cui le disposizioni del bando devono essere interpretate in modo da consentire la più ampia partecipazione dei concorrenti (cfr. parere n. 6 del 16.01.2008 e parere n. 4 del 14.01.2010) (parere di precontenzioso 22.07.2010 n. 140 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: Anche se non è indispensabile in caso di consorzi stabili ex art. 34, comma 1, lett. b), D.Lgs. n. 163/2006, indicare nel contratto di fideiussione l’impresa consorziata esecutrice dell’appalto, deve ritenersi che richiedere l’espressa indicazione nella polizza fideiussoria dell’impresa che svolgerà in concreto il servizio, non è in contrasto né con il principio di proporzionalità, né con l’art. 74 del D.Lgs. n. 163/2006, che disciplina la forma ed il contenuto dell’offerta, perché, da una parte, non pone un onere particolarmente gravoso a carico dell’operatore economico e, dall’altra, la clausola è finalizzata a fornire una garanzia alla stazione appaltante senza incidere sulla forma ed il contenuto dell’offerta (parere di precontenzioso 22.07.2010 n. 139 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: Le clausole contenute in una polizza fideiussoria, conformemente ai principi generali in materia di interpretazione del negozio giuridico, vanno considerate nel loro complesso, indagando sulla reale intenzione dei contraenti e valutando il loro comportamento anche posteriore alla conclusione del contratto, ai sensi degli articoli 1362 e 1363 del Codice civile (cfr., in tal senso parere n. 54 del 23.04.2009).
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È evidente l’intento perseguito dal legislatore del Codice dei contratti pubblici con la previsione, al comma 4 dell’art. 75, della rinuncia all’eccezione di cui al comma 2 del citato art. 1957 del codice civile: offrire alla stazione appaltante una garanzia maggiore, riconducendola alla fattispecie disciplinata dal primo comma dell’articolo 1957 del codice civile (parere di precontenzioso 22.07.2010 n. 138 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: La stazione appaltante può, in ragione della preminente tutela dell’interesse pubblico alla selezione di un concorrente moralmente e professionalmente affidabile, chiedere ai partecipanti una dichiarazione sostitutiva, resa dagli stessi sotto la loro responsabilità, molto più ampia rispetto alla dichiarazione di insussistenza delle specifiche condizioni previste dal comma 1, lett. c) dell’art. 38 del D.Lgs. n. 163/2006, onerando i concorrenti ad una dettagliata elencazione di tutte le condanne subite, senza eccezione alcuna, compresi i reati estinti e depenalizzati, con l’ulteriore specificazione delle condanne contenenti il beneficio della non menzione (cfr. parere 09.07.2009, n. 75) (parere di precontenzioso 22.07.2010 n. 137 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: Il comma 4 dell’art. 83 del d.lgs. 12.04.2006, n. 163 stabilisce che «il bando per ciascun criterio di valutazione prescelto prevede, ove necessario, i sub-criteri e i sub-pesi o i sub-punteggi».
La suddetta locuzione “ove necessario” fa ritenere che l’inserimento di tali ulteriori elementi di valutazione dell’offerta con il relativo punteggio non sia di per sé indispensabile, ma diviene obbligatorio nel momento in cui la stazione appaltante fissa dei criteri di attribuzione del punteggio aleatori che lasciano spazio decisionale soggettivo alla Commissione giudicatrice.
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È da considerarsi legittima la richiesta, ai fini dell’ammissione alla gara, di un’iscrizione alla Camera di Commercio comprensiva di tutte le differenti tipologie qualitative del servizio oggetto di affidamento (deliberazione n. 88 de 28.11.2006, deliberazione n. 6 del 18.01.2007, parere n. 17 del 12.02.2009) (parere di precontenzioso 22.07.2010 n. 136 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: Con riguardo alle dichiarazioni di cui all’art. 38, co. 1, lett. c, ai sensi dell'art. 47, comma 2, del D.P.R. n. 445/2000, al legale rappresentante è consentito produrre una dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà "per quanto a propria conoscenza", specificando le circostanze che rendono impossibile (ad esempio, in caso di decesso) o eccessivamente gravosa (ad esempio, in caso di irreperibilità o immotivato rifiuto) la produzione della dichiarazione da parte dei soggetti interessati.
Pertanto, ad eccezione di tali ipotesi, deve ritenersi che gli altri soggetti (direttori tecnici, amministratori muniti di poteri di rappresentanza, e soggetti cessati dalla carica nell'ultimo triennio, per i quali non ricorrano circostanze che rendono impossibile o eccessivamente gravosa la produzione della dichiarazione) siano tenuti a rendere personalmente la dichiarazione in questione, considerato che si tratta di soggetti che fanno parte della compagine dell'operatore economico concorrente e che non sussistono ostacoli in ordine all'acquisizione della loro autodichiarazione.
In tali ipotesi, pertanto, non si rinvengono ragioni per ritenere che le autodichiarazioni personali debbano o possano essere sostituite da una dichiarazione che, in quanto sottoscritta dal legale rappresentante della concorrente, non può che avere ad oggetto circostanze relative a terzi e, quindi, è resa "per quanto a conoscenza" del dichiarante, con conseguente rischio per la stazione appaltante di acquisire informazioni inesatte o incomplete, seppure rese in buona fede (cfr. parere dell'Autorità n. 99 del 13.05.2010) (parere di precontenzioso 07.07.2010 n. 135 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: Con riguardo alle dichiarazioni di cui all’art. 38, co. 1, lett. c, ai sensi dell'art. 47, comma 2, del D.P.R. n. 445/2000, al legale rappresentante è consentito produrre una dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà "per quanto a propria conoscenza", specificando le circostanze che rendono impossibile (ad esempio, in caso di decesso) o eccessivamente gravosa (ad esempio, in caso di irreperibilità o immotivato rifiuto) la produzione della dichiarazione da parte dei soggetti interessati.
Pertanto, ad eccezione di tali ipotesi, deve ritenersi che gli altri soggetti (direttori tecnici, amministratori muniti di poteri di rappresentanza, e soggetti cessati dalla carica nell'ultimo triennio, per i quali non ricorrano circostanze che rendono impossibile o eccessivamente gravosa la produzione della dichiarazione) siano tenuti a rendere personalmente la dichiarazione in questione, considerato che si tratta di soggetti che fanno parte della compagine dell'operatore economico concorrente e che non sussistono ostacoli in ordine all'acquisizione della loro autodichiarazione.
In tali ipotesi, pertanto, non si rinvengono ragioni per ritenere che le autodichiarazioni personali debbano o possano essere sostituite da una dichiarazione che, in quanto sottoscritta dal legale rappresentante della concorrente, non può che avere ad oggetto circostanze relative a terzi e, quindi, è resa "per quanto a conoscenza" del dichiarante, con conseguente rischio per la stazione appaltante di acquisire informazioni inesatte o incomplete, seppure rese in buona fede (cfr. parere dell'Autorità n. 99 del 13.05.2010) (parere di precontenzioso 07.07.2010 n. 134 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: Le s.a. non devono prevedere il NOS (Nulla Osta Segretezza) come requisito di partecipazione alla procedura di gara, determinando una siffatta richiesta una restrizione dell’accesso alla gara e, conseguentemente, una limitazione della concorrenza, ma, più correttamente, limitarsi a richiedere il predetto certificato come requisito di esecuzione del contratto, dal momento che esso attiene alla fase di esecuzione.
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L’art. 113 del Codice dei contratti prevede ipotesi tipiche e tassative di innalzamento del parametro percentuale fissato per la garanzia definitiva, che non avrebbe senso stabilire se la misura base potesse determinarsi discrezionalmente da parte dei concorrenti o da parte della stazione appaltante (in tal senso cfr. Cons. Stato, Sez. II, parere 19.02.2003, n. 2222 reso su analoga disposizione contenuta nell’allora vigente art. 30 della legge n. 109/1994).
Conseguentemente, le previsioni di un bando che indichi, tra gli elementi convenzionali ai fini dell’individuazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa “l’incremento della garanzia definitiva ex art. 113 D.Lgs. n. 163/2006”, assegnando a tale elemento il punteggio massimo di 20/100 punti, appaiono in contrasto con la richiamata disciplina, che determina in via diretta e puntuale l’ammontare di tale garanzia (parere di precontenzioso 07.07.2010 n. 133 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

INCARICHI PROGETTUALI: La caratteristica precipua del concorso di progettazione è, quella di individuare la migliore soluzione progettuale in vista della sua possibile esecuzione e, proprio in considerazione di ciò, ai sensi dell’art. 61 del D.P.R. n. 554/1999, la valutazione delle proposte progettuali presentate in tale concorso deve essere eseguita sulla base dei criteri e dei metodi indicati nell’allegato C al medesimo D.P.R. n. 554/1999, in forza del quale sono oggetto di coerente valutazione, accanto agli elementi di qualità della proposta progettuale (caratteristiche architettoniche, funzionali, tecnologiche, innovative), unicamente gli ulteriori profili di natura “quantitativa” inerenti all’opera da costruire, volti a garantire un risparmio dei costi nella realizzazione dell’intervento.
Invece, nell’appalto di progettazione, oggetto del contratto è una prestazione professionale intesa ad un risultato, ossia alla redazione di un progetto.
Pertanto, la prestazione professionale richiesta ben può essere oggetto di valutazioni economico-temporali inerenti lo specifico opus commissum, cioè la redazione di un progetto, tendendo la procedura, in questo caso, alla selezione di un soggetto cui affidare la progettazione di dettaglio nei vari livelli di cui si compone (parere di precontenzioso 07.07.2010 n. 132 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: L’omissione della dichiarazione di insussistenza dei motivi di esclusione di cui all’art. 38, comma 1, lett. b) e c), del D.Lgs. n. 163/2006, da rendersi, da parte di ogni soggetto ivi indicato, al momento della presentazione dell’offerta è insuscettibile di sanatoria con integrazione documentale (parere di precontenzioso 07.07.2010 n. 131 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: La richiesta del disciplinare di gara secondo cui è richiesto all’aggiudicataria “l’impegno di uno degli Istituti bancari o intermediari (..) di aprire a favore del concorrente -in caso di aggiudicazione- una linea di credito (…) a garanzia di eventuali pagamenti di stipendi e contributi assicurativi e previdenziali da parte dell’impresa verso i propri dipendenti occupati nel servizio” si appalesa illegittima, poiché prevede quale condizione di partecipazione, a pena di esclusione, un requisito strettamente connesso alla fase contrattuale (parere di precontenzioso 07.07.2010 n. 130 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI SERVIZI: Nel caso di un appalto per la gestione di un impianto di depurazione, caratterizzato dall’utilizzo all’interno del depuratore stesso dell’impianto di ultrafiltrazione che deve consentire il riuso dell’acqua depurata per usi civili ed industriali, nell’osservanza della vigente normativa di settore (D.M. n. 185 del 12.06.2003), la quale prevede il rispetto di caratteristiche chimico-fisiche delle acque di riuso, la richiesta della specifica esperienza nella gestione di questi impianti, nonché del possesso da parte del direttore tecnico responsabile dell’impianto di specifici titoli di studio e professionali risulta: coerente con la richiamata normativa; proporzionata alla tipologia del servizio da appaltare; nonché strettamente funzionale a garantire il prioritario interesse della s.a alla corretta gestione dell’impianto stesso.
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In tema di requisiti di capacità tecnico-professionale dei prestatori di servizi, la stazione appaltante vanta un apprezzabile margine di discrezionalità che le consente di chiedere requisiti ulteriori e più severi rispetto a quelli indicati nella disciplina di legge, ma deve osservare il limite del rispetto dei principi di proporzionalità e ragionevolezza; sicché non è consentito pretendere il possesso di requisiti sproporzionati o estranei rispetto all’oggetto della gara (parere di precontenzioso 07.07.2010 n. 129 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: Quando l’aggiudicazione avviene con il criterio del prezzo più basso, ossia con un procedimento di tipo automatico che non implica valutazioni discrezionali, è senz’altro consentita la rinnovazione dell’esame comparativo delle offerte pervenute, ancorché già conosciute dalla Commissione di gara, ponendosi l’effettiva esigenza di garantire la segretezza delle offerte solo nella diversa ipotesi di aggiudicazione con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, laddove si riconoscono alla Commissione di gara ampi poteri valutativi discrezionali.
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Quando la disciplina di gara sia formulata in termini letterali che non presentano profili di dubbio interpretativo e sia accompagnata dall’espressa previsione della comminatoria di esclusione, non può trovare applicazione l’ulteriore principio del favor partecipationis e appare corretta l’esclusione degli operatori economici che, pur debitamente informati, non hanno corredato la domanda di partecipazione con gli elementi richiesti (parere di precontenzioso 07.07.2010 n. 128 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: L’omessa menzione in tutti i documenti di gara predisposti dalla stazione appaltante della necessità di attestare anche i requisiti di cui alle lettere m-bis), m-ter) ed m-quater) costituisce un comportamento equivoco in grado di trarre in errore i concorrenti e idoneo a rendere legittimo il ricorso all’integrazione documentale da parte della stazione appaltante (parere di precontenzioso 07.07.2010 n. 127 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

LAVORI PUBBLICI: Nel caso di appalto di lavori di importo sotto soglia e inferiore a cinquecentomila euro –salvo oggettiva complessità della prestazione oggetto del contratto (elemento che va allegato oltre che dimostrato)- la pubblicazione del bando per ventotto giorni è conforme alla normativa di settore e garantisce la partecipazione alla procedura di gara a tutti gli operatori economici interessati (parere di precontenzioso 07.07.2010 n. 126 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI SERVIZI: Nel caso di una gara di servizi in uno dei settori speciali di cui agli artt. 206 ss, Codice, non si applica l’art. 75, co. 7, relativamente alla riduzione del 50% dell’importo della garanzia per gli operatori in possesso della certificazione del sistema di qualità, a meno che tale norma non sia richiamata, ai sensi dell’art. 206, co. 3, dall’avviso con cui si indice la gara.
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Laddove la gara per servizi di pulizia, bandita da una stazione appaltante che gestisce il servizio di trasporto pubblico, sia rivolta, oltre che ai locali uso ufficio, anche alle officine, ai depositi, ai chioschi e alle pensiline di transito, l’appalto è strettamente correlato agli scopi istituzionali dell’ente aggiudicatore e, considerato che è legittima oltre che oggettiva l’attrazione della disciplina di gara alla normativa operante nei settori speciali, di cui agli artt. 206 ss, si applica, dunque la disciplina dei suddetti articoli, con esclusione delle norme del Codice che non sono richiamate ivi o dalla lex specialis (parere di precontenzioso 07.07.2010 n. 125 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: I provvedimenti in autotutela relativi all’ammissione e/o all’esclusione dalla gara di concorrenti, nel caso di aggiudicazione con il criterio del prezzo più basso, consentono la rinnovazione della valutazione comparativa delle offerte presentate, ancorché già conosciute dalla Commissione di gara, senza necessità di una loro ripresentazione.
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L’amministrazione appaltante dispone della facoltà di rilevare eventuali errori compiuti nel corso della procedura e provvedere ad emendarli riportando il procedimento entro un alveo di rigorosa legittimità. L’unico limite che incontra questo potere-dovere di autocontrollo della legalità della propria azione è costituito dalla manifesta sproporzione tra il rilievo e l’entità del vizio riscontrato (che non deve essere solo formale e minimo) e le conseguenze pregiudizievoli sulla par condicio tra i concorrenti e sull’efficienza ed efficacia dell’azione amministrativa.
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La comminatoria dell’esclusione dalla gara per una irregolarità che è stata indubbiamente determinata dalla formulazione ambigua del bando di gara appare senz’altro eccessiva e contraria ai principi specifici della materia, quali il favor partecipationis, nonché a quelli generali dell’ordinamento, come il principio di conservazione degli atti, ben potendosi sanare la suddetta irregolarità ammettendo il concorrente alla c.d. integrazione documentale (nella specie, il bando di gara –nel rinvio alla clausola di esclusione di cui all’art. 38 lett. c) prima parte e seconda parte- utilizzava l’espressione “ovvero” nell’improprio significato di “anche” e induceva alcuni dei partecipanti in errore).
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E’ incompleta la dichiarazione ex art. 38, co. 1, lett. c), circa l’inesistenza a proprio carico di sentenze di condanna per reati che incidono sull’affidabilità morale e professionale, quando manca dell’ulteriore dichiarazione –pure richiesta dall’avviso di selezione e dall’art. 38, comma 1, lettera c), seconda parte– relativa ai reati di frode, corruzione, riciclaggio e partecipazione ad organizzazione criminale (parere di precontenzioso 07.07.2010 n. 124 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: La disposizione dell’art. 38, co. 2, D.lgs. 163/2006 stabilisce espressamente l’obbligo di dichiarare tutte le condanne subite (salvo che non sia intervenuta la riabilitazione), essendo la valutazione della loro incidenza rimessa alla stazione appaltante.
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Non può ritenersi oggettivamente oscura la clausola del disciplinare di gara, del bando o della lettera di invito (lex specialis) che -pur richiamando espressamente il solo co. 1 dell’art. 38, Codice – si riferisca al combinato disposto con il comma 2 dell’art. 38, in quanto norma imperativa che integra il bando, e che richiede che il concorrente debba indicare “anche le eventuali condanne per le quali abbia beneficiato della non menzione” (parere di precontenzioso 16.06.2010 n. 123 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: Quando l’impresa concorrente ha fornito, nel termine previsto dalla disciplina di settore, quantomeno un principio di prova in ordine al possesso del requisito concernente il servizio analogo richiesto dalla lex specialis, la stazione appaltante può acquisire la piena prova al riguardo ammettendo l’integrazione documentale.
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Non pare potersi attribuire rilievo ostativo alla circostanza per cui la dichiarazione in cui è attestata una regolare esecuzione di servizio analogo è stata resa da un soggetto legale rappresentante di una società che all’epoca del rilascio dello stesso non era più iscritta al Registro delle Imprese, in quanto ciò che rileva nella fattispecie in esame è la dimostrazione del dato storico relativo allo svolgimento pregresso del servizio in un periodo in cui l’impresa che ha rilasciato l’attestazione era regolarmente operante (parere di precontenzioso 16.06.2010 n. 122 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: Il principio del favor partecipationis e quello di tutela dell’affidamento ostano all’esclusione di un’impresa, nel caso in cui la compilazione dell’offerta risulti conforme al modulo approntato dalla stazione appaltante, quando questo –pur recando le dichiarazioni sul possesso dei requisiti generali di cui all’art. 38- non riporta le prescrizioni di cui alle lett. m-ter e m-quater, laddove il riferimento a queste ultime non è rinvenibile in qualche modo in altre clausole degli atti di gara, potendo eventuali parziali difformità rispetto al disciplinare costituire oggetto di richiesta di integrazione (parere di precontenzioso 16.06.2010 n. 121 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: La richiesta, da parte della stazione appaltante, di un requisito tecnico di resa superiore alla soglia fissata dal legislatore impedisce la partecipazione alla gara a tutte quelle imprese che, pur avendo rispettato la specifica normativa di settore, non hanno, tuttavia, raggiunto nello specifico servizio una resa così elevata, perché non richiesta per gli anni in questione né dal legislatore nazionale né da quello regionale.
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Appare illogico richiedere ai fini della partecipazione alla gara all’impresa un livello di resa del servizio superiore a quello che si impone alla medesima impresa in sede di esecuzione del contratto.
In particolare, non si comprende il motivo per cui la Stazione appaltante ritiene sufficiente, in relazione all’oggetto del contratto, ottenere nel corso del primo anno di svolgimento del servizio una resa dell’attività pari al 40% del totale, mentre, ai fine della partecipazione alla gara, richiede che l’impresa abbia raggiunto nel precedente triennio un livello di resa superiore al 50%.
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Rientra nella discrezionalità dell’Amministrazione la fissazione di requisiti di partecipazione ad una gara di appalto diversi, ulteriori e più restrittivi di quelli legali, salvo però il limite della logicità e ragionevolezza degli stessi e della loro pertinenza e congruità a fronte dello scopo perseguito, in modo tale da non restringere oltre lo stretto indispensabile la platea dei potenziali concorrenti e da non precostituire situazioni di assoluto privilegio (parere di precontenzioso 16.06.2010 n. 120 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: Nelle procedure di gara, il mancato rispetto dei minimi tabellari del costo del lavoro o, in mancanza, dei valori indicati dalla contrattazione collettiva non determina l'automatica esclusione dalla gara, ma costituisce un importante indice di anomalia dell'offerta, che dovrà essere poi verificata attraverso un giudizio complessivo di remuneratività; infatti, è sempre necessario che venga consentito all'impresa di fornire le proprie giustificazioni, anche in riferimento al superamento di detti limiti minimi, dato che tale insopprimibile esigenza di contraddittorio costituisce specifica espressione del più generale principio di partecipazione e trova corrispondenza nel dovere dell'Amministrazione di motivare in ordine alla apparente incongruità dell'offerta.
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La previsione di un limite insuperabile (tanto da essere dettato addirittura a pena d’esclusione) per il numero di pagine di composizione dell’offerta progettuale appare in piena e diretta contraddizione con il ricorso al criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, da cui emerge l’esigenza di attribuire rilievo al dato qualitativo e tecnico dell’offerta progettuale.
La limitazione quantitativa dell’estensione appare pregiudizievole per gli stessi interessi perseguiti dall’amministrazione, dovendo la stessa garantire la piena comprensione ed esplicazione degli elementi progettuali offerti.
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In caso di partecipazione alle gare dei consorzi stabili, è conforme ai principi generali la verifica della sussistenza dei requisiti di carattere generale, di ordine pubblico e di moralità, anche in capo al concorrente consorzio stabile e non solo in capo alle consorziate designate esecutrici del servizio (parere di precontenzioso 16.06.2010 n. 119 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: Il debitore obbligato a dare un fideiussore deve presentare persona capace (art. 1943 c.c.), ma l’obbligo in questione non può dirsi assolto, allorché il soggetto presentato sia una persona giuridica, se il sottoscrittore del documento in cui è portata la garanzia, non sia titolare del potere di obbligare il soggetto in questione (e cioè un organo della stessa dotato dei poteri di rappresentanza, un institore, o anche procuratore munito del potere di impegnare il soggetto proposto).
Pertanto, la norma dell’art. 1943 c.c. deve essere integrata dalla disposizione contenuta nell’art. 1393 dello stesso codice, il quale statuisce che “il terzo che contratta col rappresentante può sempre esigere che questi giustifichi i suoi poteri”.
Ciò premesso, la clausola del bando che richiede l'autentica di firma del soggetto sottoscrittore della polizza fideiussoria con l’accertamento dei relativi poteri non appare viziata, avendo la finalità sostanziale di garantire la stazione appaltante in merito alla validità della garanzia sotto il profilo della legittimazione all'assunzione dell'impegno da parte del funzionario sottoscrittore in nome e per conto dell'istituto fideiubente (parere di precontenzioso 16.06.2010 n. 118 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: Nel caso in cui la stazione appaltante abbia ritenuto di adottare moduli, schede e/o schemi di documenti e sia incorsa in errore, producendo un modulo difforme dalle prescrizioni del disciplinare di gara, l’eventuale integrazione documentale non integra una violazione del principio della parità di trattamento, spettando alla stazione appaltante il compito di verificare l’effettivo possesso del requisito di cui alla dichiarazione omessa alla data della presentazione della domanda da parte del concorrente (parere di precontenzioso 16.06.2010 n. 117 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI SERVIZI: Il riconoscimento di un diritto di prelazione in capo ad una società, già concessionaria di altri servizi con il medesimo ente, quand’anche possa dispiegare i propri effetti esclusivamente in caso di parità di punteggi e di posizione paritaria nella graduatoria finale, in modo tale da consentire il confronto concorrenziale e l’aggiudicazione della gara ad altra società, appare comunque idoneo, nel caso di ex aequo, ad assicurare alla società attualmente concessionaria una posizione di vantaggio di per sé lesiva dei principi di parità di trattamento e non discriminazione di cui all’art. 2 del D.Lgs. n. 163/2006.
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L’art. 42, co. 3, D.lgs. 12.04.2006, n. 163 -nel prescrivere che i requisiti di capacità tecnica e professionale dei prestatori dei servizi non possono eccedere l'oggetto- implicitamente richiede che l'individuazione di tali requisiti sia proporzionata al valore presuntivo posto a base d'asta e sia comunque idonea a fornire in concreto maggiori garanzie alla stazione appaltante, in quanto una diversa previsione si risolve in una ingiustificata limitazione della platea dei possibili concorrenti.
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In presenza di clausole escludenti, cioè di clausole che precludono la partecipazione alla gara, impedendo l’ammissione alla stessa, e di quelle che non consentono di effettuare un’offerta concorrenziale, l’onere di presentare la domanda di partecipazione costituisce un inutile aggravio a carico dell’impresa.
Pertanto, laddove la richiesta di parere ex art. 6, co. 7, lett. n), investa questioni di massima che riguardino aspetti cruciali delle regole di concorrenza, sulla cui corretta osservanza l’Autorità è deputata a vigilare, sussiste l’interesse strumentale di un soggetto non partecipante all’enunciazione dei principi che possano orientare anche in futuro le stazioni appaltanti nella stesura di bandi di gara nel rispetto delle regole di mercato (parere di precontenzioso 16.06.2010 n. 116 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

LAVORI PUBBLICI: Per quanto attiene ai requisiti di partecipazione alla gara, il possesso della qualificazione attestata dalla certificazione SOA è sufficiente ad assolvere ogni onere documentale circa la dimostrazione dell’esistenza dei requisiti di capacità tecnica e finanziaria ai fini dell’affidamento dei lavori pubblici.
I requisiti di ordine generale, tecnico ed organizzativo che devono essere posseduti dalle imprese per poter partecipare alle gare di appalto di lavori pubblici, dettagliatamente individuati dagli artt. 17 e ss. del d.P.R. 34/2000, devono intendersi come inderogabili da parte della stazione appaltante, che non può prevedere requisiti maggiori od ulteriori rispetto a quelli fissati già dalla legge (parere di precontenzioso 16.06.2010 n. 115 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: Sono da considerare legittimi i requisiti richiesti dalle stazioni appaltanti che, pur essendo ulteriori e più restrittivi di quelli previsti dalla legge, rispettino il limite della logicità e della ragionevolezza e, cioè, della loro pertinenza e congruità a fronte dello scopo perseguito.
Tali requisiti possono essere censurati solo allorché appaiano viziati da eccesso di potere, ad esempio per illogicità o per incongruenza rispetto al fine pubblico della gara (Cons. Stato, Sez. V, 15.12.2005, n. 7139).
Deve ritenersi non in linea con la normativa di settore la richiesta di aver svolto servizi simili a quelli oggetto di gara in favore soltanto di “soggetti pubblici”, e non anche di soggetti privati (parere di precontenzioso 16.06.2010 n. 114 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: In una procedura per l’affidamento dei servizi di pulizia, con un valore a base d’asta di circa 670.000 €, è stata ritenuta conforme alla normativa di settore la richiesta di un patrimonio netto iscritto nell’ultimo bilancio non inferiore a 300.000 €.
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Nei casi in cui la richiesta di parere investa questioni di massima che riguardino aspetti cruciali delle regole della concorrenza, sulla corretta osservanza delle quali l’Autorità è istituzionalmente deputata a vigilare nel settore di propria competenza, può sussistere un interesse strumentale di un soggetto non partecipante alla gara all’enunciazione di principi che possano orientare, anche in futuro, le stazioni appaltanti nella stesura dei bandi di gara nel pieno rispetto delle regole del mercato.
Come già evidenziato nel parere n. 95 del 20.03.2008, l’Autorità è infatti competente ad esaminare l’avvenuto rispetto della concorrenza sotto il profilo della garanzia di un’ampia apertura al mercato a tutti gli operatori economici del settore ed in particolare è chiamata a vigilare su un’effettiva concorrenza che, come recentemente statuito dalla Corte costituzionale nella sentenza del 22.11.2007, n. 401, deve essere intesa come concorrenza “per” il mercato, in cui il contraente venga scelto mediante procedure di garanzia che assicurino il rispetto dei valori comunitari e costituzionali (parere di precontenzioso 16.06.2010 n. 113 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: Il DURC è qualificato dalla giurisprudenza come una dichiarazione di scienza, resa però con riguardo al periodo considerato, per cui lo stesso non può essere inteso che come attestante la regolarità contributiva soltanto fino alla propria scadenza, senza alcuna possibilità di essere considerato valido al di là del termine in esso espressamente stabilito (si veda, in tal senso Consiglio di Stato, Sez. V, 26.02.2010, n. 1141) (parere di precontenzioso 16.06.2010 n. 112 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: A fronte di un dato generico del bando e del disciplinare di gara, i chiarimenti forniti dal responsabile del procedimento non sono affatto idonei ad integrare o modificare la lex specialis, che ha carattere imperativo, per cui siffatti chiarimenti non possono assumere alcun valore ostativo alla partecipazione alla procedura di gara (parere di precontenzioso 27.05.2010 n. 111 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: Rientra nella discrezionalità dell’Amministrazione la fissazione di requisiti di partecipazione ad una gara di appalto diversi, ulteriori e più restrittivi di quelli legali, salvo però il limite della logicità e ragionevolezza degli stessi e della loro pertinenza e congruità a fronte dello scopo perseguito, in modo tale da non restringere oltre lo stretto indispensabile la platea dei potenziali concorrenti e da non precostituire situazioni di assoluto privilegio (AVCP, parere n. 83 del 29.04.2010, Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza n. 8914 del 29.12.2009, Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza n. 2304 del 03.04.2007, Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza n. 6534 del 23.12.2008).
Nella procedura di affidamento di un servizio di igiene ambientale è stata ritenuta conforme alla normativa di settore la richiesta di aver raggiunto una resa della raccolta differenziata, in precedenti servizi, pari al 35%, a fronte delle percentuali minime del 35%, 40%, 45% fissate dal legislatore per gli anni 2006, 2007, 2008 (parere di precontenzioso 27.05.2010 n. 110 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: Rientra nella discrezionalità dell’Amministrazione la fissazione di requisiti di partecipazione ad una gara di appalto diversi, ulteriori e più restrittivi di quelli legali, salvo però il limite della logicità e ragionevolezza degli stessi e della loro pertinenza e congruità a fronte dello scopo perseguito, in modo tale da non restringere oltre lo stretto indispensabile la platea dei potenziali concorrenti e da non precostituire situazioni di assoluto privilegio (AVCP, parere n. 83 del 29.04.2010, Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza n. 8914 del 29.12.2009, Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza n. 2304 del 03.04.2007, Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza n. 6534 del 23.12.2008).
Nella procedura di affidamento di un servizio di igiene ambientale è stata ritenuta non conforme alla normativa di settore la richiesta di aver raggiunto una resa della raccolta differenziata, in precedenti servizi, pari al 55%, a fronte delle percentuali minime del 35%, 40%, 45% fissate dal legislatore per gli anni 2006, 2007, 2008 (parere di precontenzioso 27.05.2010 n. 109 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: L’obbligo imposto dal bando di gara alle imprese di disporre di una sede operativa in ciascuna delle province in cui esse intendono esercitare la loro attività costituisce un ostacolo ingiustificato alla libera prestazione dei servizi ed è quindi incompatibile con l'articolo 49 del trattato CE, cosicché tale previsione va dichiarata illegittima dato che questa limitazione territoriale produce effetti restrittivi sulla libertà di stabilimento (cfr. ad es. Consiglio Stato, Sez. V, 05.02.2007, n. 447).
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In sede di presentazione della domanda di partecipazione ad una gara d'appalto pubblico, opera il c.d. principio di equivalenza, avente la funzione di garantire e promuovere la maggior apertura concorrenziale tanto nell'ambito del singolo procedimento di affidamento (il che si collega col tradizionale principio del favor partecipationis nelle gare pubbliche), quanto nel generale mercato degli appalti pubblici; tale principio è altresì riconosciuto esplicitamente, sul piano legislativo, dai commi 4 e 7 dell'art. 68 citato, i quali introducono anche l'onere dell'offerente di fornire la prova (con qualsiasi mezzo appropriato, ritenuto soddisfacente dalla stazione appaltante) circa l'equivalenza del prodotto offerto rispetto a quello indicato nel capitolato.
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L’imposizione dell’aumento dei termini per il pagamento rispetto ai 30 giorni fissati dal d.lgs. 231/2002, senza un accordo tra i contraenti inteso a delineare un regolamento negoziale più consono alla situazione finanziaria del debitore, sulla base di determinati parametri (ossia corretta prassi commerciale, natura dei beni o servizi, condizione dei contraenti e rapporti commerciali tra i medesimi), in realtà introduce un vantaggio per l’Amministrazione che deve considerarsi “indebito”, atteso che la decorrenza degli interessi moratori segue il meccanismo automatico stabilito dall’art. 4 del D.Lgs. n. 231/2002, senza che neppure sia necessaria la costituzione in mora.
Analogamente, pur se in termini comparativi rispetto ai limiti imperativi dettati dalla norma sulla nullità, è stato di recente ribadito che sussiste la grave iniquità, di cui all’art. 7 D.Lgs. n. 231/2002, delle clausole di contratto inserite dalle strutture sanitarie negli atti di gara per pubbliche forniture per la mancanza di qualsiasi giustificazione che renda costantemente e reiteratamente possibili termini di pagamento, decorrenza degli interessi moratori e saggio degli interessi diversi da quelli stabiliti negli arti 4 e 5 d.lgs. n. 231 del 2002 (cfr., ad es., TAR Lazio Roma, Sez. III, 22.12.2008, n. 12229) (parere di precontenzioso 27.05.2010 n. 108 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: Le offerte economiche, nel caso di aggiudicazione secondo il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa, devono restare segrete per tutta la fase procedimentale per evitare che gli elementi di valutazione aventi carattere automatico (quali il prezzo) possano influenzare la valutazione degli elementi discrezionali; conseguentemente ove dovesse esistere siffatta commistione sarebbe violata la regola della par condicio, espressamente sancita dall'art. 2 del Codice dei contratti pubblici.
Pertanto, costituisce violazione degli essenziali principi della par condicio tra i concorrenti e di segretezza delle offerte l'inserimento, da parte delle imprese partecipanti alla procedura di gara, di elementi concernenti l'offerta economica all'interno della busta contenente l'offerta tecnica.
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Ai sensi dell’articolo 76 del D.Lgs. n. 163/2006 le stazioni appaltanti, quando il criterio di aggiudicazione è quello dell’offerta economicamente più vantaggiosa, precisano nel bando di gara se autorizzano o meno le varianti e menzionano i requisiti minimi che le stesse devono rispettare e le modalità per la loro presentazione.
La variazione migliorativa, tuttavia, è legittimamente ammessa sempre che sia riconducibile nella sfera delle migliori modalità esecutive del progetto base, da individuare in quelle soluzioni tecniche che consentano di realizzare quanto progettato in modo da garantire una migliore qualità delle lavorazioni dedotte in contratto, salve restando le scelte progettuali fondamentali già effettuate dall'Amministrazione. Attiene ai compiti della Commissione di gara valutare la rispondenza delle varianti ai livelli prestazionali stabili dal progetto posto a base di gara. Alla variante progettuale migliorativa non può non corrispondere, nell’offerta economica, la relativa voce di nuovo prezzo o la modifica delle quantità nelle lavorazioni già previste nella lista delle categorie ovvero il non utilizzo di determinate lavorazioni.
E’, pertanto, conforme alla normativa vigente l’offerta del concorrente che, in relazione alle varianti migliorative introdotte nell'offerta tecnica, valutate dalla Commissione di gara coerenti con il progetto, ha conseguentemente introdotto nuovi prezzi nell'offerta economica (cfr. ad es. deliberazione dell’Autorità n. 253 del 12.07.2007) (parere di precontenzioso 27.05.2010 n. 107 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: I costi della sicurezza, sia nel comparto dei lavori che in quello dei servizi e delle forniture, devono essere dalla stazione appaltante adeguatamente valutati ed indicati nei bandi; a loro volta le imprese dovranno nelle loro offerte indicare i costi specifici connessi con la loro attività.
Naturalmente, in sede di verifica dell’anomalia di tali offerte, la stazione appaltante dovrà valutarne la congruità rispetto all’entità e alle caratteristiche del lavoro, servizio o fornitura (parere di precontenzioso 27.05.2010 n. 105 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: In una procedura di gara che, ai sensi dell’art. 77 del d.lgs. 12.04.2006, n. 163 si svolga con l’utilizzo di comunicazioni per via elettronica, è conforme alla normativa di settore l’operato della s.a. che abbia considerato come non prodotto un documento comprovante l’esistenza di valida polizza fideiussoria che non poteva essere aperto con nessun programma di verifica della firma digitale per una corruzione del file “all’origine”, e quindi imputabile alla concorrente (parere di precontenzioso 27.05.2010 n. 104 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

INCARICHI PROGETTUALI: In una procedura relativa all’affidamento dell’incarico di redazione dell’elaborato tecnico inerente al rischio di incidenti rilevanti di cui al Decreto interministeriale 09.05.2001 in una città sede di porto, è conforme alla normativa di settore e non discriminatoria la richiesta da parte della stazione appaltante che almeno uno dei componenti del gruppo di lavoro di esperti specialisti da istituire per lo svolgimento dell’attività oggetto di affidamento sia stato incaricato, negli cinque anni antecedenti la pubblicazione del bando di gara, della redazione di “almeno un piano (elaborato tecnico inerente al Rischio di Incidenti Rilevanti “R.I.R”)… relativo a città sede di Porto Industriale”.
La previsione di gara appare coerente con la peculiare tipologia del servizio da affidare in appalto e con la specificità dei luoghi (Città sede di Porto) nonché con la destinazione industriale alla quale detti luoghi si riferiscono.
È, altresì, conforme alla normativa di settore la previsione che almeno uno degli esperti specialisti costituenti il predetto gruppo di lavoro sia stato incaricato, nei cinque anni antecedenti la pubblicazione del bando di gara, della “redazione di un Piano di Sicurezza ai sensi della legge n. 84/1994” di riordino della legislazione in materia portuale.
Stante la peculiare tipologia del servizio da affidare, la prescrizione di tale requisito risponde all’esigenza fondamentale di fornire in concreto maggiori garanzie alla stazione appaltante in termini di professionalità e di esperienza del futuro contraente, senza in alcun modo restringere la più ampia partecipazione alla gara anche in relazione al periodo di tempo, sufficientemente ampio, preso a riferimento, pari a cinque anni (parere di precontenzioso 27.05.2010 n. 103 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: In caso di erronea indicazione da parte della stazione appaltante nei documenti di gara, l’inesattezza dell’importo pagato a titolo di contributo all’Autorità non può comportare l’esclusione dalla gara degli operatori economici.
Permane l’obbligo della stazione appaltante di provvedere sia a versare essa stessa l’integrazione dell’importo erroneamente corrisposto, pena l’avvio della relativa procedura di riscossione coattiva, sia a richiedere tale integrazione ai concorrenti medesimi, a pena di esclusione dalla gara (parere di precontenzioso 27.05.2010 n. 102 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

GIURISPRUDENZA

APPALTI: L'inserimento dell'inciso "per quanto a propria conoscenza" nella dichiarazione riguardante gli amm. cessati dalla carica nel triennio antecedente la data di pubblicazione del bando rende del tutto priva di valore la dichiarazione rilasciata.
L'inciso "per quanto a propria conoscenza" riportato nella dichiarazione riguardante gli amministratori cessati dalla carica nel triennio antecedente la data di pubblicazione del bando dal legale rappresentante di una società concorrente, rende del tutto priva di valore e tanquam non esset la dichiarazione rilasciata, in quanto si pone in contrasto con le norme in materia di dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà di cui al D.P.R. n. 445/2000, mancando in tal caso, una vera e propria assunzione di responsabilità che dovrebbe, invece, essere alla base dell'affidamento che è chiamata a riporvi l'amministrazione.
L'AVCP con la det. n. 1 del 12.01.2010 ha precisato, altresì, che la legittimità di una dichiarazione riportante l'inciso in argomento, può essere ammessa solo qualora il dichiarante specifichi espressamente "le circostanze che rendono impossibile o eccessivamente gravosa la produzione della dichiarazione da parte dei soggetti interessati".
Nel caso di specie, tali ulteriori specificazioni nella dichiarazione resa dal legale rappresentante non sono state riportate; pertanto, l'inciso "per quanto a propria conoscenza" comporta l'inesistenza della dichiarazione stessa, con la conseguenza della legittima esclusione della concorrente dalla gara. Né gioverebbe un eventuale richiamo al c.d. "falso innocuo", che comunque afferisce a diversa fattispecie, giacché tale principio sostanzialistico elaborato dalla giurisprudenza non può trovare applicazione a fronte di espressa ed inequivoca prescrizione della lex specialis (TAR Lazio-Roma, Sez. III-quater, sentenza 27.04.2011 n. 3620 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI SERVIZI: E' illegittima la clausola di un bando di gara per l'affidamento del servizio di mensa scolastica che richieda, quale requisito di partecipazione, la disponibilità di un centro cottura a distanza non superiore a Km 15 dalla sede municipale.
L'amministrazione appaltante può introdurre, nella lex specialis, disposizioni atte a limitare la platea dei partecipanti, al fine di consentire la partecipazione alla gara stessa di soggetti altamente qualificati, specie in relazione al possesso dei requisiti di capacità tecnica e finanziaria, ma tale scelta non deve limitare eccessivamente la concorrenza.
Pertanto, nel caso di specie, è illegittimo l'operato di un comune che abbia inserito nella lex specialis di gara per l'affidamento del servizio di mensa scolastica, una clausola che preveda, quale requisito di partecipazione, la disponibilità di un centro cottura a distanza non superiore a 15 Km dalla sede municipale.
Tale disposizione è irragionevole e fortemente limitativa della concorrenza; infatti, secondo un condivisibile orientamento giurisprudenziale, la predetta categoria di clausole è, da un lato, manifestamente distorsiva della concorrenza e, dall'altro, non idonea ai fini dell'individuazione del miglior contraente, in quanto pretendere la presenza del servizio oggetto d'appalto nel comune, importa l'imposizione di un dispendio economico ed organizzativo, come tale incoerente con qualsiasi canone di economicità.
Invero, sarebbe irragionevole pretendere che, in ambiti territoriali circoscritti, un operatore del settore sia costretto ad attivare centri di cottura in ogni comune in cui siano presenti scuole pubbliche, determinando, in tal modo, un indubbio favoritismo per i pochi soggetti presenti in quel preciso ambito territoriale (TAR Puglia-Lecce, Sez. III, sentenza 21.04.2011 n. 719 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

PUBBLICO IMPIEGOTrattative, gli enti fanno da sé. Sì ad atti unilaterali se non c'è accordo con i sindacati. Il giudice del lavoro di Verona ritiene immediatamente operativa la riforma Brunetta.
Legittima l'adozione di atti unilaterali laddove non si raggiunga, nel corso delle trattative, l'accordo tra amministrazione pubblica datore di lavoro e le organizzazioni sindacali. Inoltre, le norme del dlgs 150/2009 sono da considerare immediatamente applicabili e imperative.
Il decreto 21.04.2011 del giudice del lavoro di Verona fa cadere i principali baluardi eretti dalle organizzazioni sindacali contro la riforma-Brunetta, incentrati proprio sulla sua presunta inoperatività e sulla conseguente impossibilità per le pubbliche amministrazioni di avvalersi dell'articolo 40, comma 3-ter, del dlgs 165/2001.
Atto unilaterale.
Tale ultima norma prevede espressamente l'atto unilaterale, disponendo: «al fine di assicurare la continuità e il migliore svolgimento della funzione pubblica, qualora non si raggiunga l'accordo per la stipulazione di un contratto collettivo integrativo, l'amministrazione interessata può provvedere, in via provvisoria, sulle materie oggetto del mancato accordo, fino alla successiva sottoscrizione. Agli atti adottati unilateralmente si applicano le procedure di controllo di compatibilità economico-finanziaria previste dall'articolo 40-bis».
Il decreto del giudice veronese in modo molto chiaro sancisce che «è legittimo, invero, ogni provvedimento che disciplini provvisoriamente una materia sulla quale non sia raggiunto l'accordo in sede di contrattazione collettiva», aggiungendo «l'ente territoriale può senza dubbio adottare i provvedimenti urgenti e provvisori per colmare il vuoto generato dall'assenza di accordo fra le parti collettive».
La giurisprudenza del lavoro va sempre più allineandosi, dunque, alle interpretazioni fornite dal dipartimento della funzione pubblica, in particolare con la circolare 7/2010 e più di recente con la direttiva rivolta all'Aran 18/02/2011, n. 10790, nella quale si afferma: «Con riferimento agli ambiti di intervento della contrattazione rilevano, in particolare, l'art. 45 del dlgs n. 165 del 2001, in base al quale a) il trattamento economico fondamentale e accessorio è definito dai contratti collettivi (fermo restando le disposizioni in ordine all'adottabilità di atti unilaterali qualora non si raggiunga l'accordo nei termini di cui all'art. 40, comma 3-ter dlgs n. 165 del 2001)».
Secondo il decreto, tuttavia, costituisce condotta antisindacale recepire l'atto unilaterale come accordo decentrato, in sostituzione del contratto, in quanto ciò significherebbe svilire il dissenso della parte sindacale, considerato come tamquam non esset. Dunque, l'atto unilaterale può colmare il vuoto dell'assenza di accordo, ma non sostituirsi ad esso, mediante il recepimento dell'atto stesso come fosse un contratto.
Piena applicabilità della riforma-Brunetta.
Sull'operatività del dlgs 150/2009 il decreto del giudice veronese si pone in linea col nuovo orientamento giurisprudenziale avviato dalla sentenza del Tribunale di Pesaro Sez. Lavoro, n. 417/2010, andando anche oltre. Infatti, per la prima volta si afferma che la riforma-Brunetta ha immediatamente disapplicato le clausole dei contratti collettivi incompatibili col dlgs 150/2009.
Secondo il decreto del giudice di Verona l'articolo 65 del dlgs 150/2009, dai sindacati considerato come norma che bloccherebbe l'attuazione della riforma, non può essere letto sì da fargli derivare l'effetto di congelare e salvaguardare l'efficacia delle norme della contrattazione decentrata, vigenti prima dell'entrata in vigore del dlgs 150/2009, fino al 31/12/2011 in modo tale che «la contrattazione collettiva (antecedente) possa operare in deroga a disposizioni (successive) di legge a carattere imperativo; quanto meno, si deve ritenere che le disposizioni di carattere imperativo siano immediatamente efficaci, tali da porre nel nulla contrarie norme contenute nel contratto collettivo».
Poiché tutte le disposizioni del dlgs 165/2001, novellato dalla riforma-Brunetta, sono a carattere imperativo, esse non solo sono immediatamente applicabili, ma appunto prevalgono sulle disposizioni contrarie contenute nei contratti collettivi, tanto nazionali, quanto decentrati. Per queste ragioni, i contratti collettivi, sia nazionali, sia decentrati, pur non essendo stati disapplicati integralmente dalla riforma, esplicano effetti solo «nelle parti residue, non incompatibili con disposizioni imperative di legge» (articolo ItaliaOggi del 29.04.2011).

APPALTIImprenditore risarcito per la perdita di appalti e fidi bancari.
Diciotto giorni di carcere, oltre quattro mesi agli arresti domiciliare. Poi l'imprenditore calabrese è definitivamente assolto dall'accusa di associazione a delinquere e ottiene una riparazione di 30 mila euro per l'ingiusta detenzione (300 euro per ogni giornata di carcere, 200 per i «domiciliare»).
Ma l'indennizzo non basta: è escluso che il giudice possa cavarsela con un semplice criterio aritmetico senza verificare se l'azienda dell'uomo d'affari, incriminato e scagionato, abbia subito perdite o perso occasioni d'affari riconducibili alla reclusione del titolare. E se il danno esistenziale è intrinseco alla privazione della libertà, non si può evitare di verificare la sussistenza del danno alla salute di chi lamenta di essere stato per anni esposto alla «gogna mediatica» su giornali e televisioni locali.

È quanto emerge dalla sentenza 20.04.2011 n. 15665 della III Sez. penale della Corte di Cassazione.
Danno emergente e lucro cessante. Il primo giudice del rinvio non si attiene ai principi già indicati dalla Suprema corte: sarà allora un'altra sezione della Corte d'appello di Catanzaro a provvedere. La perizia contabile del richiedente lamenta perdite secche per l'impresa: durante la reclusione del titolare l'azienda è esclusa da tutti gli appalti e si vede negare i fidi dalle banche. Ma la Corte d'appello la ignora e si limita a escludere che vi sia stata una diminuzione di profitti o un aumento delle perdite: avrebbe dovuto invece verificare se, per il solo fatto che l'imprenditore era stato ingiustamente arrestato, a carico della società fossero ... (articolo ItaliaOggi del 26.04.2011 - link a www.corteconti.it).

APPALTI SERVIZI: Sulla possibilità di derogare al principio di pubblicità delle sedute in materia di concessione di servizi pubblici.
In materia di procedure aventi ad oggetto una concessione di servizi pubblici, l'omessa lettura in seduta pubblica delle offerte economiche non vìola il principio di pubblicità delle sedute sancito a presidio delle gare ad evidenza pubblica.
Nel caso di specie, riguardante la gestione di un asilo comunale, detto principio risulta comunque rispettato, in ragione dell'apertura in seduta pubblica dei plichi contenenti la documentazione amministrativa e di quelli contenenti le offerte economiche; la mancata lettura delle offerte economiche in seduta pubblica è giustificata dalla circostanza secondo cui, l'esame delle offerte economiche, in tal caso non si esaurisce nel mero riscontro oggettivo del dato numerico, ma implica la valutazione del tenore dell'offerta, alla luce del collegato piano economico-finanziario, costituente parte integrante dell'offerta.
Pertanto, risulta applicabile l'orientamento giurisprudenziale che consente la deroga al principio della pubblicità, nelle ipotesi in cui venga in rilievo una procedura di gara retta dal metodo dell'offerta economicamente più vantaggiosa, implicante un'attività valutativa estesa anche alla componente economica (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 20.04.2011 n. 2447 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Sulla legittimità dell'esclusione da una gara di un concorrente, per mancata apposizione dell'autentica notarile alla polizza fideiussoria e per successiva regolarizzazione della stessa.
E' legittimo il provvedimento di esclusione da una gara adottato da una stazione appaltante nei confronti di un concorrente per aver presentato la polizza fideiussoria priva di autentica notarile della firma dell'agente della società rilasciante dell'agente della società stessa, e che abbia provveduto alla regolarizzazione della stessa solo in data successiva alla scadenza del termine utile ai fini della presentazione dell'offerta.
Tale garanzia copre, infatti, i rischi per la mancata sottoscrizione del contratto dovuta a fatto dell'aggiudicatario e, sul piano dei rapporti di diritto privato, solo l'autenticazione della sottoscrizione della fideiussione prestata tutela pienamente la stazione appaltante, in quanto fornisce la prova in ordine alla provenienza da chi l'ha sottoscritta, ai sensi degli artt. 2702 e 2703 c.c., impedendo il successivo disconoscimento della stessa.
Nel caso di specie, peraltro, tale prescrizione è richiesta dal disciplinare di gara a pena di esclusione, il che rende illegittima un'eventuale regolarizzazione postuma, anche a garanzia dell'interesse degli altri concorrenti alla correttezza dell'intero procedimento di aggiudicazione (Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 19.04.2011 n. 2387 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Avvalimento della certificazione ISO.
L’ampia operatività dell’istituto dell’avvalimento, più volte ribadita dalla giurisprudenza comunitaria, deve essere estesa, oltre che ai requisiti di ordine finanziario ed economico, anche a quelli che attestano elementi qualitativi, quali, ad esempio, la certificazione ISO.
Queste le conclusioni contenute nella sentenza 18.04.2011 n. 2344 resa dal Consiglio di Stato, Sez. III.
Il ragionamento giuridico seguito dai giudici amministrativi prende spunto dall’esigenza di considerare l’avvalimento nell’ottica dell’ordinamento comunitario, poi trasfuso nelle disposizioni di cui all’art. 49 del D.lgs. 12.04.2006, n. 163.
Così strutturato, l’istituto in esame assume una funzione incentivante della concorrenza, agevolando l’ingresso nel mercato di nuovi soggetti e, pertanto, deve essere evitata ogni lettura aprioristicamente restrittiva dell’ambito di operatività della disciplina richiamata.
Sulla base di queste considerazioni generali, l’istituto dell'avvalimento può essere utilizzato per dimostrare la disponibilità dei requisiti soggettivi di “qualità”, considerato che la disciplina del codice non contiene alcuno specifico divieto in ordine ai requisiti soggettivi che possono essere comprovati mediante tale strumento.
Viene tuttavia precisato che il requisito considerato non può essere oggetto di un “prestito” astratto.
Infatti è onere del concorrente dimostrare, in sede di presentazione dell’offerta, che l’impresa ausiliaria non si impegna semplicemente a “prestare” il requisito soggettivo richiesto, “ma assume l’obbligazione di mettere a disposizione dell’impresa ausiliata, in relazione all’esecuzione dell’appalto, le proprie risorse e il proprio apparato organizzativo, in tutte le parti che giustificano l’attribuzione del requisito di qualità (a seconda dei casi: mezzi, personale, prassi e tutti gli altri elementi aziendali qualificanti)”.
Nel caso esaminato dai giudici, tale ultimo dato assume particolare importanza processuale, poiché la dimostrazione del presupposto sostanziale (impegno globale dell’ausiliaria) prescinde da una specifica eccezione della controparte (commento tratto da
www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com - link a www.giustizia-amministrativa.it).

VARI: Spiare i vicini può comportare una condanna per molestie.
Spiare sistematicamente i propri vicini da una terrazza può comportare una sanzione penale in quanto tale comportamento integra gli estremi del reato di molestie. L’art. 660 del codice penale, infatti, punisce “chiunque, in luogo pubblico o aperto al pubblico, ovvero col mezzo del telefono, per petulanza o altro biasimevole motivo, reca a taluno molestia o disturbo".
Nel caso di specie, è stata inflitta una condanna al pagamento di una ammenda di 600 euro ad un tizio che spiava i suoi vicini di casa, posizionandosi su di un terrazzo posto a brevissima distanza dall’appartamento abitato dai predetti, scrutando in continuazione all’interno di esso, che aveva cinque finestre prospicienti su detto terrazzo, in tal modo costringendo le parti offese a tirare i tendaggi ed ad accendere la luce anche in pieno giorno per proteggersi dalla sua intrusione.
Per la Cassazione non è, poi, idonea a scriminare la condotta del ricorrente la circostanza che fra la famiglia di quest’ultimo e le parti offese fossero insorte nel passato delle liti connesse proprio alla utilizzazione della terrazza, dalla quale esso ricorrente aveva posto in essere il comportamento sanzionato.
Privo di rilievo è pure il fatto che la terrazza dalla quale l’imputato ha posto in essere il comportamento penalmente sanzionato sia di proprietà esclusiva dei condomini proprietari degli appartamenti siti al primo ed al secondo piano dello stabile –mancando così il luogo pubblico o aperto al pubblico– dal momento che è stato accertato che alla detta terrazza si accedeva attraverso un’apertura del comune vano scale condominiale, sicché la terrazza in questione ben poteva qualificarsi come luogo aperto alla generalità dei condomini (Corte di Cassazione, Sez. I penale, sentenza 15.04.2011 n. 15450 - link a www.litis.it).

VARI: Autovelox: tutti i casi in cui la multa è nulla secondo la Cassazione.
Paletti più rigidi per l’accertamento delle infrazioni al limite di velocità tramite autovelox. Le ultime sentenze della Cassazione, infatti, definiscono meglio il quadro delle tutele per gli automobilisti.
Così, per esempio, se il dovere di segnalare in anticipo il dispositivo elettronico è uno dei punti ormai acclarati dalla giurisprudenza, per la prima volta, è stato riconosciuto un uguale obbligo informativo anche a beneficio di chi proviene da strade laterali.
Infatti, i giudici di Piazza Cavour, con una recente sentenza, hanno riconosciuto le ragioni del guidatore in quanto il cartello segnaletico era apposto unicamente sulla strada principale e non anche sulla provinciale che più avanti l’intersecava.
Con un’altra recente pronuncia, invece, la Suprema Corte ha annullato una multa in quanto dal verbale non emergeva la presenza dell’agente di polizia municipale nella fase di “elaborazione dell’accertamento”, avendo il comune interamente esternalizzato la gestione del servizio.
Mentre, per quanto riguarda i rilevamenti in città, le multe elevate su percorsi urbani “ordinari” sono sempre annullabili anche quando vi è stato il placet del prefetto all’installazione.
Vale quindi la pena ripercorre le principali decisioni in materia ed i punti fermi sui cui gli automobilisti, almeno fino ad oggi, possono contare.
Il dispositivo va sempre segnalato.
Non basta la segnalazione in anticipo della presenza del dispositivo quando fra il cartello e l’autovelox vi siano degli incroci con altre strade. Infatti, in tal caso il soggetto che si immette sulla strada “controllata” può correttamente sostenere di non essere stato informato.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, Sez. VI civile, con l’ordinanza 13.01.2011 n. 680 riconoscendo le ragioni dell’automobilista che lamentava, dopo essersi immesso sulla statale, “di non aver incontrato alcun cartello segnalante la successiva presenza dell’autovelox”.
Per i giudici: “In siffatto contesto, non sarebbe stato, dunque, sufficiente, accertare l’esistenza di un unico e qualsiasi cartello premonitore, sulla strada statale, essendo necessario verificarne invece, in coerenza alle finalità perseguite dalla legge: la presenza specifica ed a congrua distanza tra la suddetta intersezione e la successiva postazione fissa”. Non solo ma “il relativo onere probatorio, in mancanza di attestazione fidefacente al riguardo contenuta nel verbale, incombeva sull’amministrazione opposta, trattandosi di una condizione di legittimità della pretesa sanzionatoria”.
No alla indicazione del cartello nel verbale.
Invece, la circostanza che nel verbale di contestazione di una violazione dei limiti di velocità, accertata mediante autovelox, non sia indicato che la presenza dell'apparecchio era stata preventivamente segnalata mediante apposito cartello non rende nullo il verbale stesso “sempre che di detta segnaletica sia stata accertata o ammessa l'esistenza”, Corte di Cassazione, Sez. VI civile, ordinanza 13.01.2011 n. 680.
L’"elaborazione" della sanzione va fatta dai vigili.
Se ad elaborare la multa fatta con l’autovelox non è stato un agente della municipale allora ci sono speranze di vedersi annullata la sanzione. Infatti, dal verbale di accertamento deve emergere "adeguatamente" che il rilevamento è stato fatto da “un agente preposto al servizio di polizia”.
Lo ha deciso la Corte di Cassazione, Sez. II civile, con l'ordinanza 05.04.2011 n. 7785.
I Supremi giudici hanno infatti accolto le doglianze dell’automobilista che lamentava la mancata partecipazione della polizia municipale nelle fasi di “elaborazione dell'accertamento”.
Il comune aveva esternalizzato l'intera gestione a una ditta esterna, indicando poi soltanto genericamente una "supervisione" da parte della Polizia municipale. Così facendo, però, risultava “indimostrata” l'esistenza di quell'elemento “di certezza e legalità” che “solo la presenza del pubblico ufficiale può garantire al cittadino”.
Sul Comune, dunque, incombeva l’onere -non assolto- di provare che la presenza del privato era limitata alla fase di installazione ed impostazione degli apparecchi; mentre la gestione degli stessi era “rimasta riservata ai pubblici ufficiali”; e che comunque il ruolo degli operatori tecnici fosse sempre “subordinato a quello dei vigili urbani".
In città rilevamenti solo su strade ad “alto scorrimento”.
Secondo l’articolo 4 della legge 168/2002 che disciplina i controlli di velocità da ”remoto”, questi sono sempre possibili sulle strade “extraurbane principali” ma non sulle strade “urbane ordinarie”, mentre per quelle “extraurbane ordinarie” e per quelle “urbane di scorrimento” occorre l’autorizzazione del prefetto. L’autorità di governo può, dunque, autorizzare gli autovelox sulla base di alcuni elementi quali: la pericolosità, il traffico o la difficoltà di fermare il veicolo.
È accaduto però, secondo la Corte di Cassazione, Sez. II civile, sentenza 15.02.2011 n. 3701, che alcuni comuni hanno forzato un po’ la mano ai prefetti ottenendo un lasciapassare all’installazione anche in strade prive delle caratteristiche previste dalla legge. Ragion per cui i giudici, pur riconoscendo l’autonomia dei prefetti, hanno annullato i verbali.
Secondo l’altra sentenza 06.04.2011 n. 7872, i margini di manovra del prefetto nel definire i tratti di viabilità ordinaria su cui autorizzare le postazioni fisse “trovano come limite insuperabile il tipo di strada, che è individuato con certezza dalla legge 168/2002”.
L’omologazione dell’apparecchio non “scade” mai.
In relazione alle apparecchiature di controllo automatico, il legislatore non ha adottato nessuna disposizione che commini la decadenza delle omologazioni rilasciate.
Secondo la Corte di Cassazione, Sez. II civile, sentenza 25.06.2008 n. 17361, ne consegue che “nel giudizio di opposizione alla sanzione amministrativa, non sussiste alcun ulteriore onere probatorio, a carico dell'Amministrazione, relativo alla perdurante funzionalità delle predette apparecchiature”.
No alla taratura periodica.
Non vi sono neppure norme che impongono un obbligo di taratura periodica dell’autovelox. Dunque, l'attendibilità degli accertamenti effettuati non può ritenersi inficiata dalla assenza di controlli periodici. Non solo ma l'efficacia probatoria rimane sino a che non risulti accertato, in quanto dedotto ed espressamente provato, il mal funzionamento dello strumento, o il difetto di costruzione, installazione, Tribunale di Potenza, Sez. civile, sentenza 11.12.2010 n. 1496.
E sempre il Tribunale di Potenza, Sez. civile, sentenza 11.11.2010 n. 1305, ha chiarito che “il sistema nazionale di taratura di cui alla L. n. 273/1991 non si applica alle apparecchiature per la rilevazione delle violazioni dei limiti di velocità fissati dal codice della strada, le quali, invece, sono soggette esclusivamente ad una verifica di perfetta funzionalità (omologazione) da parte del ministero dei Trasporti e delle Infrastrutture. Tale verifica, peraltro, è indispensabile solo in relazione al "modello" di apparecchio e non deve essere effettuata di volta in volta sul singolo esemplare”.
E, dunque, “il verbale […] fa piena prova della sussistenza della violazione anche quando i dati relativi all'omologazione, riportati, non si riferiscano specificamente all'apparecchio utilizzato ed a prescindere dal rispetto della taratura periodica”.
Concetto espresso anche dalla Corte di Cassazione, Sez. II civile, ordinanza 29.10.2010 n. 22207, “In materia di accertamento di violazioni delle norme sui limiti di velocità la necessità di omologazione dell'apparecchiatura di rilevazione automatica -ai fini della validità del relativo accertamento- va riferita al singolo modello e non al singolo esemplare“.
Non necessaria la contestazione immediata.
L'eccesso di velocità deve essere contestato immediatamente soltanto se verificato mediante strumenti che consentono la misurazione ad una congrua distanza prima del transito del veicolo davanti agli agenti.
L'utilizzazione di apparecchiature diverse, quali l'"autovelox", invece, “rientra di per sé tra le ipotesi di esenzione da tale obbligo e l'attestazione del loro impiego, contenuta nel verbale di accertamento, costituisce valida ragione giustificatrice della mancanza di una contestazione immediata, né sono sindacabili in sede giudiziaria le modalità di organizzazione del servizio di polizia stradale, come quelle relative al numero delle pattuglie operanti”, Corte di Cassazione, Sez. II civile, sentenza 18.04.2007 n. 9308 (articolo 22.04.2011 tratto e link a www.diritto24.ilsole24ore.com).

AMBIENTE-ECOLOGIA: INQUINAMENTO ACUSTICO - Immissioni ex art. 844 c.c. - Conflitto tra esigenze della produzione e diritto alla salute - Criterio del c.d. "preuso" - Natura - Limiti di applicabilità.
Il criterio del c.d. "preuso", come evidenziato dalla collocazione della disposizione nell'ultima parte dell'articolo 844 c.c., ha natura meramente sussidiaria e costituisce soltanto una extrema ratio cui il giudicante può, con prudente apprezzamento di fatto, ricorrere nel contemperare le opposte esigenze inerenti l'esercizio delle facoltà di godimento di un immobile adibito ad uso abitativo e quelle produttive di un immobile destinato ad uso industriale, tenendo comunque presente, nell'ambito di una doverosa interpretazione costituzionalmente orientata della norma civilistica, che quando le esigenze della produzione entrino in diretto conflitto con quelle del diritto alla salute, connesse alla fruibilità dell'immobile soggetto alle immissioni, é a quest'ultimo che va attribuita preminenza, costituendo il rispetto di tale primario diritto un limite intrinseco all'esercizio di quello di iniziativa economica e libero esercizio dell'attività imprenditoriale (Cass. nn. 5564/2010, 8420/2006, 9865/2005, 161/1996).
INQUINAMENTO ACUSTICO - Immissioni - Limiti di tollerabilità stabiliti dalla normativa speciale in materia di inquinamento acustico - Irrilevanza ai fini della valutazione ex art. 844 c.c..
I limiti di tollerabilità ambientale previsti dalla normativa speciale in materia di inquinamento acustico, perseguendo interessi pubblici e di tutela ambientale dirette a contenere la diffusività verso una cerchia indeterminata di persone e non, specificamente, verso il fondo del vicino, fissano soltanto dei limiti minimi di accettabilità dei rumori, la cui osservanza tuttavia, sul piano civilistico, agli effetti dell'articolo 844 c.c., non può essere dirimente, dovendo tenersi conto a tal fine della più diretta e continua esposizione dei soggetti passivi, in ragione della vicinanza tra il fondo di provenienza e quello di ricezione, con conseguente necessità di una accurata indagine diretta ad accertarne, secondo la particolarità della situazione concreta, la normale tollerabilità (Cass. nn. 6223/2002, 1151/2003, 2166/2006).
Con la conseguenza che la valutazione della normale tollerabilità non può che essere riferita al luogo in cui le "propagazioni" vengano percepite da coloro che fruiscono del bene, in conformità alla destinazione propria dello stesso, e non anche alla relativa fonte di provenienza (Corte di Cassazione, Sez. II civile, sentenza 12.04.2011 n. 8367 - link a www.ambientediritto.it).

SICUREZZA LAVORO: APPALTI - Infortuni sul lavoro - Imprenditore - Posizione di garanzia - Ambito di operatività.
La posizione di garante della sicurezza, che l'ordinamento addossa all'imprenditore, non é operativa nei soli confronti dei lavoratori subordinati o dei soggetti a questi equiparati (Decreto del Presidente della Repubblica 27.04.1955, n. 547 , articolo 3, comma 2), ma si estende alle persone estranee all'ambito imprenditoriale che possano, comunque, venire a contatto o trovarsi ad operare nel campo di loro funzionalità (Cass. pen., sez. IV, 04.02.2004, n. 31303).
APPALTI - Infortuni sul lavoro - Inidoneità delle misure di prevenzione - Responsabilità del datore di lavoro - Sussistenza.
L'obbligo di prevenzione si estende agli incidenti che possono derivare da negligenza, imprudenza e imperizia dell'infortunato, essendo esclusa, la responsabilità del datore di lavoro e, in generale, del destinatario del presidio, solo in presenza di comportamenti che presentino i caratteri dell'eccezionalità, dell'abnormità, dell'esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo, alle direttive organizzative ricevute e alla comune prudenza.
In ogni caso, nell'ipotesi di infortunio sul lavoro originato dall'assenza o dall'inidoneità delle misure di prevenzione, nessuna efficacia causale viene attribuita al comportamento del lavoratore infortunato, che abbia dato occasione all'evento, quando questo sia da ricondurre, comunque, alla mancanza o insufficienza di quelle cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare proprio il rischio di siffatto comportamento (Cass., n. 31303 del 2004).
APPALTI - Infortuni sul lavoro - Rappresentante della ditta appaltante - Subappaltante - Obblighi di protezione - Ambito di operatività.
La responsabilità del rappresentante della ditta appaltante si estende alle persone estranee all'ambito imprenditoriale che possano, comunque, venire a contatto o trovarsi ad operare nel campo di loro funzionalità. Mentre il subappaltante é esonerato dagli obblighi di protezione solo nel caso in cui i lavori subappaltati rivestano una completa autonomia, sicché non possa verificarsi alcuna sua ingerenza rispetto ai compiti del subappaltatore (Cass. 20.11.2009 n. 1490) (conferma sentenza n. 109/2009 Corte di Appello di Cagliari Sez. Dist. di Sassari, del 23/03/2010) (fattispecie in tema di omicidio colposo ex art. 589 c.p. ult. co. in riferimento agli artt. 168 e 169 D.P.R. n. 547/1955 contestato al direttore del cantiere rappresentante del datore di lavoro, e responsabile della sicurezza del lavoro, nei confronti di dipendenti di ditte subappaltatrici) (Corte di cassazione, Sez. IV penale, sentenza 11.04.2011 n. 14527 - link a www.ambientediritto.it).

SICUREZZA LAVORO: Infortuni sul lavoro - Esclusione da responsabilità del datore di lavoro - Presupposti.
Affinché la condotta colposa del lavoratore faccia venire meno la responsabilità del datore di lavoro, occorre un vero e proprio contegno abnorme del lavoratore medesimo, che esuli dalle normali operazioni produttive e che esorbiti rispetto al procedimento lavorativo e alle direttive organizzative ricevute (Cass., Sez. IV, 23.05.2007, n. 25532, n. 15009 del 17.02.2009, n. 727 del 10.11.2009).
In altre parole, la condotta del lavoratore, per giungere ad interrompere il nesso causale (tra condotta colposa del datore di lavoro o chi per esso, ed evento lesivo) e ad escludere, in definitiva, la responsabilità del garante, deve configurarsi come un fatto assolutamente eccezionale, del tutto al di fuori della normale prevedibilità (Cass., Sez. IV, n. 952 del 27.11.1996).
Infortuni sul lavoro - Comportamento abnorme del lavoratore - Definizione.
Il datore di lavoro é esonerato da responsabilità soltanto quando il comportamento del dipendente sia abnorme, dovendo definirsi tale il comportamento imprudente del lavoratore che o sia stato posto in essere da quest'ultimo del tutto autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidategli -e, pertanto, al di fuori di ogni prevedibilità per il datore di lavoro- o rientri nelle mansioni che gli sono proprie ma sia consistito in qualcosa di radicalmente, ontologicamente, lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro).
Infortuni sul lavoro - Risarcimento eseguito dal comune datore di lavoro dell'imputato e del lavoratore persona offesa - Attenuante del risarcimento del danno ex art. 62 n. 6 c.p. - Sussistenza.
Ai fini della sussistenza dell'attenuante di cui all'articolo 62 n. 6 c.p., il risarcimento, ancorché eseguito dalla società assicuratrice, deve ritenersi effettuato personalmente dall'imputato tutte le volte in cui questi ne abbia conoscenza e mostri la volontà di farlo proprio (Cass., Sez. IV, n. 13870 del 06.02.2009).
Deve, pertanto, ritenersi che l'attenuante in questione possa operare laddove il risarcimento sia stato effettuato dal comune datore di lavoro dell'imputato e del lavoratore persona offesa (Corte di Cassazione, Sez. IV penale, sentenza 11.04.2011 n. 14523 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTI: Chiarimenti e integrazioni ai sensi dell'art. 46 del Codice dei contratti pubblici.
Il Consiglio di Stato, Sez. V, con sentenza 11.04.2011 n. 2230 ha riconosciuto la legittimità dell’operato di una stazione appaltante che, in presenza di clausole del bando che non comminavano in modo univoco l’esclusione, ha esercitato il potere istruttorio previsto dall’articolo 46 del d.lgs. 163/2006.
Avverso l’aggiudicazione definitiva di una gara per l’affidamento della ristrutturazione e messa a norma di ascensori, una società partecipante all’appalto proponeva ricorso contestando, tra l’altro, l’operato della Commissione di gara che, secondo la ricorrente, aveva illegittimamente richiesto alcune integrazioni documentali alla società prima classificata anziché procedere alla sua esclusione.
Il TAR del Lazio rigettava la richiesta della ricorrente e avverso tale sentenza veniva proposto appello.
Il Consiglio di Stato adito, condividendo le conclusioni del primo giudice, ha rigettato le richieste dell’appellante ponendo alla base della sua decisione il contenuto ambiguo del bando di gara. Ed infatti il bando di gara prevedeva, come condizione di partecipazione, l’assenza di determinate condizioni preclusive da dimostrare “…a pena di esclusione dalla gara, con le modalità, le forme ed in contenuti previsti nel disciplinare di gara”.
Ad avviso del Collegio le disposizioni del bando non prevedevano quale condizione di partecipazione la presentazione di una dichiarazione di assenza delle condizioni preclusive, ma al contrario veniva richiesta direttamente la sussistenza del requisito sostanziale dell’assenza di tali condizioni. Secondariamente i giudici osservavano come nel disciplinare di gara non era stata data alcuna indicazione in merito alle modalità di presentazione dei documenti, con la conseguenza che il rinvio posto dal bando di gara era caduto nel vuoto.
L’ambiguità del bando e il silenzio del disciplinare, ad avviso del Consiglio di Stato, legittimavano la stazione appaltante ad effettuare una richiesta di integrazione documentale in ossequio al principio del favor partecipationis.
Ed infatti ad avviso dei giudici “Il Tribunale ha quindi giustamente condiviso le osservazioni dell’Avvocatura regionale per cui, in sintesi: la lacuna del disciplinare di gara poteva avere ingenerato incertezza circa la prova dell’assenza delle condizioni preclusive in questione, atteso che, secondo quanto stabilito dal bando, tale prova doveva proprio avvenire con le modalità, le forme ed i contenuti previsti nel disciplinare; in materia di esclusione dalle gare di appalto, che sono dominate dal principio dell’interesse pubblico alla più ampia partecipazione dei concorrenti; inoltre, l’insegnamento della giurisprudenza è nel senso che le clausole del bando che non comminino in modo univoco l’esclusione per inosservanza di determinate prescrizioni vanno interpretate nel senso di assicurare la partecipazione dei concorrenti.[…] Il caso all'esame della Sezione integrava, in conclusione, un caso paradigmatico di doveroso esercizio del potere di soccorso istruttorio previsto dall’art. 46 del d.lgs. n. 163/2006, istituto che rinviene uno dei suoi ambiti elettivi di operatività proprio nell’esigenza di porre rimedio ad equivocità ed ambiguità della lex specialis in ordine alle dichiarazioni e documenti da presentare”.
In conclusione la sentenza in oggetto chiarisce come in presenza di una disciplina di gara ambigua e lacunosa deve prevalere il principio del favor partecipationis e quindi in tale situazione è legittimo e doveroso l’esercizio del potere istruttorio da parte della stazione appaltante (link a
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APPALTI SERVIZI: Il tenore letterale dell'art. 23-bis, c. 9, dl n. 112/2008 non esclude dalla possibilità di acquisire ulteriori servizi pubblici le società miste costituite con socio scelto con gara tesa a definire anche le modalità operative di gestione del servizio.
Il tenore letterale dell'art. 23-bis, c. 9, d.l. n. 112/2008, convertito con l. n. 133/2008 e ss.mm., non esclude dalla possibilità di acquisire ulteriori servizi pubblici le società miste costituite con socio scelto con gara tesa a definire anche le modalità operative di gestione del servizio (fattispecie di cui all'art. 23-bis, c. 2, lett. b).
L'affidamento a società mista costituita con le modalità indicate dal c. 2, lett. b), dell'art. 23-bis si appalesa, infatti, ai fini della tutela della concorrenza e del mercato, del tutto equivalente a quello mediante pubblica gara, pertanto risulta irragionevole ed immotivata -anche alla luce dei principi dettati dall'Unione europea in materia di partenariato pubblico privato- l'applicazione, nei confronti di società di tale specie, del divieto di partecipazione alle gare bandite per l'affidamento di servizi diversi da quelli in esecuzione.
Va, dunque, preferita l'interpretazione della disposizione secondo cui il divieto in parola si applica solamente alle società che già gestiscono servizi pubblici locali a seguito di affidamento diretto o comunque a seguito di procedura non ad evidenza pubblica, con la precisazione che rientrano nel concetto di evidenza pubblica ("ovvero") anche le forme previste dal c. 2, lett. b), dell'art. 23-bis., cit. (TAR Calabria-Reggio Calabria, sentenza 11.04.2011 n. 298 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

EDILIZIA PRIVATA: La nozione urbanistica di pertinenzialità richiede che il manufatto sia altresì sfornito di autonoma destinazione ed autonomo valore di mercato.
Com’è noto, in materia urbanistica la nozione di pertinenzialità ha peculiarità sue proprie che la differenziano da quella civilistica, atteso che il manufatto deve essere non solo preordinato ad una oggettiva esigenza dell’edificio principale e funzionalmente inserito al suo servizio, ma deve essere, oltre che di volume modesto affinché non comporti il c.d. carico urbanistico, altresì sfornito di autonoma destinazione ed autonomo valore di mercato in virtù dell’instaurazione di un legame giuridico-funzionale stabile tra pertinenza e singola unità immobiliare; legame a causa del quale l’una e l’altra non possano utilizzarsi e disporsi separatamente (cfr., tra le tante, Cons. Stato, Sez. IV 17.05.2010 n. 3127, 15.09.2009 n. 5509, 23.07.2009 n. 4636 e 07.07.2009 n. 3379).
Nella specie, deve escludersi la ricorrenza di tali precise condizioni per le circostanze descritte dallo stesso ricorrente in primo grado, ossia per il fatto che i box di cui si controverte, che sarebbero asserviti ad alloggi IACP, non sono legati da alcun vincolo di natura giuridico-funzionale, dal momento che nulla è di ostacolo al loro utilizzo e diposizione separata dall’alloggio; ciò dal momento che solo in forza di “un’organizzazione volontaristica” accadrebbe che “allorquando un affittuario lascia i locali dello IACP, nel godimento e proprietà del box subentra il nuovo affittuario”.
Peraltro, a ben vedere nel caso in esame manca lo stesso fondamento della pertinenzialità ai sensi dell’art. 817 cod. civ. costituito, com’è, non solo dall’elemento oggettivo della destinazione di una cosa al servizio (o ornamento) dell’altra, ma pure dall’elemento soggettivo inteso quale volontà del proprietario della cosa principale ad imprimere la destinazione in parola, atteso che le unità immobiliari a cui i box accederebbero non appartengono agli stessi soggetti proprietari dei medesimi box, bensì allo IACP (o oggi l’organismo ad esso succeduto), di cui detti proprietari sono affittuari.
Pertanto, va esclusa la stessa configurabilità di pertinenza anche nella più ampia nozione civilistica, dunque a maggior ragione sotto il profilo urbanistico-edilizio (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 07.04.2011 n. 2159 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI FORNITURE E SERVIZI: Divieto di proroga automatica dei contratti pubblici.
Con sentenza del 07.04.2011 n. 2151 la V sezione del Consiglio di Stato, richiamando il principio sancito dall’articolo dall’art. 57, comma 7, del codice dei contratti pubblici ha riconosciuto come la legislazione vigente non consenta di procedere al rinnovo o alla proroga automatica dei contratti in corso, ma solo alla loro proroga espressa per il tempo strettamente necessario alla stipula dei nuovi contratti a seguito di espletamento di gare ad evidenza pubblica.
Nel 1989 un Comune concedeva ad una società, per un periodo di 10 anni, la coltivazione di una cava per inerti ricadente all’interno dell’area comunale.
Nel 1999 veniva concessa una proroga della concessione per un ulteriore periodo di 10 anni dove tuttavia veniva specificato come tale concessione non avrebbe potuto superare il periodo di 20 anni stabilito dalla L.R. n. 54 del 26.07.1983. Nel medesimo provvedimento veniva precisato che nell’ipotesi in cui al termine del 10° anno lo sfruttamento della cava non fosse terminato secondo quanto disposto dal progetto già autorizzato dalla Regione, la convenzione sarebbe stata rinnovata automaticamente di ulteriori 10 anni.
Nel 2009 la società concessionaria della cava, comunicava alla Regione ed al Comune l’intento di avvalersi della prevista proroga decennale della concessione. Tale proroga veniva negata poiché ai sensi dell’articolo 20 della L.R. n. 54/1983 non era possibile rilasciare la concessione o l’autorizzazione all’esercizio dell’attività di coltivazione dei giacimenti per un periodo superiore a venti anni.
In seguito a tale provvedimento veniva attivata la procedura per l’emanazione di un bando di gara finalizzato ad una nuova concessione dell’attività estrattiva.
Contro i provvedimenti adottati dal Comune la concessionaria proponeva ricorso dinanzi al TAR.
Il TAR adito accoglieva il ricorso della società concessionaria, e avverso tale sentenza veniva proposto appello da parte dell’ente comunale.
I giudici della V sezione ribaltando la decisione del TAR, hanno sostenuto come la proroga della concessione in oggetto non fosse possibile sia per il limite ventennale fissato dalla normativa regionale che in forza del principio generale del divieto di rinnovo tacito dei contratti pubblici.
Sul punto i giudici dell’appello hanno precisato come “Dall’esame della disposizione si ricava:
a) la regola generale secondo cui la durata della concessione non può valicare il limite ventennale;
b) l’eccezionale possibilità della proroga solo per effetto di determinazione espressa a seguito di domanda di parte.
Dalla combinazione di tali prescrizioni si ricava il divieto di proroga tacita delle concessioni a seguito del decorso dell’arco temporale di venti anni.[…] Si deve quindi convenire che la regola esposta dalla legge regionale si armonizza con il principio generale, da ultimo sancito dall’art. 57, comma 7, del codice dei contratti pubblici che vieta il rinnovo tacito delle stipulazioni contrattuali. Il rinnovo tacito altro non è che una forma di trattativa privata che esula dalle ipotesi ammesse dal diritto comunitario (Cons. di Stato, sez. VI, n. 6458 del 31.10.2006).
L’eliminazione della possibilità di provvedere al rinnovo dei contratti di appalto scaduti, disposta con l’art. 6 della legge n. 537/1993 e poi con l’art. 23 legge 62/2005 al fine di adeguare l’ordinamento interno ai precetti comunitari, ha quindi valenza generale e portata preclusiva di opzioni ermeneutiche ed applicative di altre disposizioni dell'ordinamento che si risolvono, di fatto, nell'elusione del divieto di rinnovazione dei contratti pubblici.[…]
In definitiva la legislazione vigente, partendo dal presupposto che la procrastinazione meccanica del termine originario di durata di un contratto sottrarrebbe in modo intollerabilmente lungo un bene economicamente contendibile alle dinamiche fisiologiche del mercato, non consente di procedere al rinnovo o alla proroga automatica dei contratti in corso, ma solo alla loro proroga espressa per il tempo strettamente necessario alla stipula dei nuovi contratti a seguito di espletamento di gare ad evidenza pubblica
”.
L’analisi dei giudici della V sezione non si ferma solo a livello della normativa nazionale, ma analizzando in maniera dettagliata la normativa e la giurisprudenza comunitaria viene altresì precisato come il divieto di proroga tacita dei contratti pubblici sia espressione di un principio generale attuativo di un vincolo comunitario discendente dal Trattato e, come tale, operante per la generalità dei contratti pubblici ed estensibile quindi anche alle concessioni di beni pubblici (così Cons. Stato , sez. VI, 21.05.2009, n. 3145; n. 3642/2008; Cons. Stato, V, n. 2825/2007; VI, n. 168/2005).
Ed infatti i giudici precisano come l’applicazione al caso di specie dei principi di evidenza pubblica trova il suo presupposto sufficiente nella circostanza che con la concessione di area pubblica si fornisce un'occasione di guadagno a soggetti operanti sul mercato, e di conseguenza anche in tal caso deve essere adottata una procedura competitiva ispirata ai principi di trasparenza e non discriminazione.
In base alle considerazioni sopra esposte i giudici hanno dunque riconosciuto la legittimità del divieto di proroga disposto dal Comune proprio in considerazione del superamento del tetto dei venti anni, precisando altresì come l’originale clausola convenzionale recante la proroga tacita, in quanto contrastante con il ricordato precetto normativo di derivazione comunitaria, debba considerarsi nulla di pieno diritto con conseguente sostituzione con la norma regionale che consente la proroga solo in via espressa e limitatamente al tempo strettamente necessario per la definizione delle procedure di evidenza pubblica finalizzate alla scelta del concessionario (commento tratto da
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EDILIZIA PRIVATA: DIRITTO DELL’ENERGIA - Impianti alimentati da fonti rinnovabili - Art. 12 d.lgs. n. 387/2003 - Procedimento autorizzatorio - Regione - Indicazione di aree e siti non idonei all’installazione - Linee guida da adottarsi in Conferenza unificata.
L’art. 12 del d.lgs. n. 387/2003, nel dettare la disciplina del procedimento autorizzatorio per la realizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili, da un lato riconosce a detti impianti carattere di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza (co. 1) e conferisce all’autorità procedente -la Regione, ovvero la Provincia da questa delegata- il potere di rilasciare l’autorizzazione in variante agli strumenti urbanistici vigenti (co. 3); ma, per altro verso, non trascura di garantire il corretto inserimento degli impianti nell’ambiente, rimettendo a linee-guida da adottarsi in Conferenza unificata l’approvazione dei criteri in applicazione dei quali consentire alle Regioni di indicare di aree e siti non idonei alla installazione di specifiche tipologie di impianti (cfr., fra le altre, Corte Cost. 26.03.2010, n. 119; 06.11.2009, n. 282; 29.05.2009, n. 166).
DIRITTO DELL’ENERGIA - Impianti di produzione da fonti rinnovabili - Normativa statale - Mancata previsione di limitazioni specifiche o di divieti inderogabili - Legislatore regionale - Autonoma localizzazione dei siti inidonei - Preclusione - Enti locali - Previsione di limitazioni attraverso la pianificazione urbanistica - Illegittimità.
In presenza di una normativa statale che non contempla alcuna limitazione specifica alla localizzazione degli impianti per la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, né pone divieti inderogabili, ma rinvia all’adozione di criteri comuni per tutto il territorio nazionale, è negata al legislatore regionale la possibilità di provvedere autonomamente alla localizzazione dei siti inidonei all’installazione di specifiche tipologie di impianti, a maggior ragione sembra doversi escludere che risultati analoghi possano venire perseguiti dagli enti locali in sede di pianificazione urbanistica, con conseguente illegittimità -per contrasto non solo con l’art. 12 D.Lgs. n. 387/2003, ma con gli stessi principi costituzionali che governano l’allocazione della funzioni normative e amministrative- degli atti di normazione secondaria che ponessero in ambito comunale limitazioni sconosciute alla legge statale.
DIRITTO DELL’ENERGIA - Impianti di produzione da fonti rinnovabili - Disciplina urbanistica - Favor per la diffusione di energie alternative - Capovolgimento del rapporto tra pianificazione e variante.
Ma se anche, in astratto, si volesse ipotizzare la facoltà del Comune di individuare per regolamento zone sottratte e zone destinate all’installazione di impianti energetici alimentati da fonti rinnovabili, come pure in passato la giurisprudenza ha fatto (per tutte cfr. TAR Umbria, 15.06.2007, n. 518), nondimeno il diniego frapposto dalla Provincia sulla sola base del divieto posto dallo strumento urbanistico dovrebbe reputarsi illegittimo, in difetto di specifica motivazione circa il mancato esercizio dei poteri di variante urbanistica previsti dall’art. 12 D.Lgs. n. 387/2003, a conferma del fatto che la disciplina urbanistica rappresenta un ostacolo per definizione non insormontabile alla realizzazione degli impianti in questione: non potrebbe, infatti, trovare applicazione il tradizionale indirizzo interpretativo secondo cui il diniego di variante urbanistica non richiede un apparato motivazionale particolarmente pregnante, giacché il chiaro favore per la diffusione delle energie alternative impone di capovolgere i termini del rapporto fra regola (pianificazione urbanistica vigente) ed eccezione (variante), nel senso che -a fronte dell’istanza volta ad ottenere il titolo per l’installazione di un impianto di produzione di energia “pulita”, e degli incentivi all’uopo apprestati dal legislatore- non è il sovvertimento della regola, ma la sua conservazione, a dover essere appropriatamente giustificata dall’amministrazione (TAR Toscana, Sez. II, sentenza 07.04.2011 n. 629 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTI SERVIZI: Il solo controllo societario totalitario non è garanzia della ricorrenza dei presupposti dell’in house.
La questione centrale del ricorso in esame è posta nei primi tre motivi, con i quali la società ricorrente deduce, essenzialmente, la violazione dei principi affermati dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia CE sulla ammissibilità degli affidamenti diretti senza una previa gara pubblica, a società pubbliche o miste, di appalti di servizi pubblici.
Tale doglianza, ad avviso dei giudici del Tribunale amministrativo di Cagliari, è infondata, l’art. 113 del d.lgs. n. 267/2000 (intitolato «Gestione delle reti ed erogazione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica»), nel testo vigente ratione temporis, disponeva, infatti, al comma 5, lett. c), quanto segue: «c) a società a capitale interamente pubblico a condizione che l'ente o gli enti pubblici titolari del capitale sociale esercitino sulla società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e che la società realizzi la parte più importante della propria attività con l'ente o gli enti pubblici che la controllano».
La questione della compatibilità con l'ordinamento dell’Unione Europea dell'affidamento diretto a società con capitale interamente pubblico, di un servizio pubblico locale a rilevanza economica (come nella specie), deve essere vagliata essenzialmente, spiegano i giudici sardi, come noto, alla luce della giurisprudenza della Corte di Giustizia delle Comunità Europee (a partire dalla sentenza 17.11.1999, in causa C-107/98, nota come sentenza Teckal), che ha posto i principi giuridici che governano la materia, affermando un affidamento senza previa gara pubblica è consentito solo se:
a) la società pubblica affidataria sia totalmente partecipata dall’amministrazione aggiudicatrice (ma si veda sul punto specifico, di recente, la sentenza Corte giustizia CE, sez. III, 15.10.2009, in causa C-196/08, che ammette l'affidamento diretto di un servizio pubblico a una società a capitale misto, pubblico e privato, nella quale il socio privato sia selezionato mediante una procedura ad evidenza pubblica);
b) l'amministrazione aggiudicatrice eserciti sull'affidatario un “controllo analogo” a quello esercitato sui propri servizi;
c) l'affidatario svolga la maggior parte della propria attività in favore dell'ente pubblico di appartenenza (cfr. anche Corte Giust. C.E. 13.10.2005, in causa C-458/03, Parking Brixen).
In presenza di tali condizioni –partecipazione totalmente pubblica, controllo analogo e destinazione prevalente dell'attività all'ente di appartenenza- il legame che unisce quest'ultimo all'affidatario del servizio ha carattere organizzativo, cosicché non è richiesto l'esperimento di procedure ad evidenza pubblica. I giudici isolani ricordano, inoltre, che secondo la giurisprudenza amministrativa e comunitaria, premesso che la partecipazione pubblica totalitaria è elemento necessario ma non sufficiente ad integrare il c.d. "controllo analogo", quest'ultimo si sostanzia in «un rapporto equivalente, ai fini degli effetti pratici, ad una relazione di subordinazione gerarchica; tale situazione si verifica quando sussiste un controllo gestionale e finanziario stringente dell'ente pubblico sull'ente societario» (così Cons. Stato, VI, 25.01.2005 n. 168, si veda anche Cons. Stato, V Sez., 03/04/2007 n. 1514; Corte Giust. C.E. 18/11/1999, in causa C-107/98; 06/04/2006 in causa C-410/04; 11/05/2006, in causa C-340/04).
Con la sentenza da ultimo menzionata, la Corte di Giustizia ha, in particolare, precisato che il "controllo analogo" è configurabile allorché l'ente pubblico detentore del capitale, abbia la possibilità di esercitare una «influenza determinante sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni importanti della società» (in termini anche la citata sentenza Parking Brixen).
Sulla questione è successivamente intervenuta l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (03.03.2008, n. 1) che ha così sintetizzato le condizioni per la legittima sussistenza del controllo analogo: «a) lo statuto della società non deve consentire che una quota del capitale sociale, anche minoritaria, possa essere alienata a soggetti privati (Cons. Stato, sez. V, 30.08.2006, n. 5072);
b) il consiglio di amministrazione della società non deve avere rilevanti poteri gestionali e all’ente pubblico controllante deve essere consentito esercitare poteri maggiori rispetto a quelli che il diritto societario riconosce normalmente alla maggioranza sociale (Cons. Stato, sez. VI, 03.04.007, n. 1514);
c) l’impresa non deve avere acquisito una vocazione commerciale che rende precario il controllo dell’ente pubblico e che risulterebbe, tra l’altro: dall’ampliamento dell’oggetto sociale; dall’apertura obbligatoria della società, a breve termine, ad altri capitali; dall’espansione territoriale dell’attività della società a tutta l’Italia e all’estero (C. giust. CE: 10.11.2005, C-29/04, Mödling o Commissione c. Austria; 13.10.2005, C-458/03, Parking Brixen); d) le decisioni più importanti devono essere sottoposte al vaglio preventivo dell’ente affidante (Cons. Stato, sez. V, 08.01.2007, n. 5).
In sostanza si ritiene che il solo controllo societario totalitario non sia garanzia della ricorrenza dei presupposti dell’in house, occorrendo anche un’influenza determinante da parte del socio pubblico, sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni importanti (C. giust. CE, 11.05.2006, C-340/04, società Carbotermo e Consorzio Alisei c. Comune di Busto Arsizio).
» (commento tratto da www.documentazione.ancitel.it - TAR Sardegna, Sez. I, sentenza 07.04.2011 n. 304 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATARecupero dei sottotetti - Distanza inderogabile di 10 metri tra i fabbricati.
Le porzioni di edificio risultanti dal recupero ai fini abitativi dei sottotetti esistenti devono considerarsi, ai fini del rispetto dell'art. 9 DM 1444/1968, quali nuove costruzioni, con la conseguenza che dovranno necessariamente essere collocate ad almeno 10 metri dalla parete dell’edificio antistante.
Questa conclusione si fonda sull’indirizzo giurisprudenziale pacifico, costantemente seguito da questa Sezione e confermato costantemente dal Consiglio di Stato (cfr. TAR Lombardia, Milano, sez. II, 26.04.2007, n. 1991; 26.07.2010, n. 3262; 10.12.2010, n. 7511; 28.01.2011, n. 264; Consiglio di Stato, sez. V, 02.11.2010, n. 7731; TAR Liguria, sez. I, 03.11.2010, n. 10243 e TAR Lombardia, Brescia, sez. I, 27.08.2010, n. 3240), secondo cui l’art. 9 menzionato è norma di ordine pubblico, insuscettibile di deroga negli strumenti urbanistici e nei regolamenti locali (salvo peculiari eccezioni, non riscontrabili però nel caso di specie), volta ad impedire la realizzazione di intercapedini nocive sotto il profilo igienico, sicché deve essere rispettata anche in caso di sopraelevazioni o di recupero di sottotetti (si veda anche, con specifico riguardo alla Regione Lombardia, l’art. 103 comma 1-bis della legge regionale 12/2005, per il quale: <<Ai fini dell'adeguamento, ai sensi dell'articolo 26, commi 2 e 3, degli strumenti urbanistici vigenti, non si applicano le disposizioni del decreto ministeriale 02.04.1968, n. 1444 (...), fatto salvo, limitatamente agli interventi di nuova costruzione, il rispetto della distanza minima tra fabbricati pari a dieci metri, derogabile all'interno di piani attuativi>>).
La circostanza che gli edifici delle ricorrenti e quello oggetto dell’intervento di recupero siano tutte inserite nel medesimo condominio appare assolutamente irrilevante, tenuto conto della finalità della citata norma del DM 1444/1968, finalità di stampo pubblicistico che non può certo essere derogata per il solo fatto che esistono porzioni immobiliari comuni ai tre edifici, tali da realizzare un condominio.
Ciò premesso, sono evidenti sia l’inosservanza dell’art. 9 sopra richiamato, sia il difetto di istruttoria in cui è incorsa l’Amministrazione resistente.
L’accoglimento dei motivi sopra indicati relativi alla violazione dell’art. 9 del DM 1444/1968 ha carattere assorbente rispetto alle altre censure, in particolare rispetto a quelle relative all’inosservanza dell’art. 63 della LR 12/2005 ed alla presunta proprietà comune –e non individuale– del tetto dell’immobile oggetto dell’intervento di recupero.
Non appare, infatti, possibile procedere in ogni caso al recupero del sottotetto, ostandovi la previsione inderogabile del citato art. 9 sulla distanza minima fra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 05.04.2011 n. 902 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: L’istituto del silenzio assenso esige che la domanda (di condono edilizio) sia corredata dalla indispensabile documentazione prevista dalla normativa.
L’art. 35 della legge n. 47/1985, nel testo risultante dalla modifica intervenuta per effetto dell’entrata in vigore del DL 12.01.1988, n. 2, prescrive che “decorso il termine di 24 mesi dalla presentazione della domanda, quest’ultima si intende accolta ove l’interessato provveda al pagamento di tutte le somme eventualmente dovute a conguaglio ed alla presentazione all’ufficio tecnico erariale della documentazione necessaria all’accatastamento. Trascorsi 36 mesi si prescrive l’eventuale diritto al conguaglio o al rimborso spettanti.”
I due termini (per la formazione del silenzio-assenso e di prescrizione del diritto al conguaglio) decorrono dalla presentazione di domanda completa della necessaria documentazione, non essendo, in caso di documentazione incompleta, il Comune tenuto a richiedere l’integrazione entro il termine biennale (cfr. Cons. St. Sez. IV, 23-07-2009, n. 4672, 07.04.2006, n. 1910).
Ciò risponde, peraltro, ad un generale principio in materia di silenzio assenso, per cui ogni qualvolta il legislatore preveda per la definizione di istanze tale strumento di semplificazione e di snellimento dell'azione amministrativa, non è sufficiente la sola presentazione della domanda ed il decorso del tempo indicato dalla norma che lo prevede, ma è necessario altresì che essa sia corredata dalla indispensabile documentazione prevista dalla normativa , non implicando il meccanismo del silenzio assenso alcuna deroga al potere-dovere dell'amministrazione pubblica di curare gli interessi pubblici nel rispetto dei principi fondamentali sanciti dall’art. 97 della Costituzione e presupponendo quindi che l'amministrazione sia posta nella condizione di verificare la sussistenza di tutti i presupposti legali per il rilascio dell’autorizzazione (Cons. St. Sez. V, 29.12.2009, n. 8831) (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 01.04.2011 n. 2019 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Incidente di esecuzione e legittimazione.
Anche dopo l’acquisizione al patrimonio del competente comune del manufatto abusivo e della relativa area sedime il soggetto condannato resta comunque il destinatario dell’ordine di demolizione, con conseguente onere da parte del medesimo di dare esecuzione, nelle forme di rito, all’ordine di demolizione a propria cura e spese.
Egli è pertanto legittimato a proporre incidente di esecuzione (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 31.03.2011 n. 13345 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: Abuso edilizio. Ricorso straordinario al Presidente della Repubblica e ordine di demolizione.
La presentazione di un ricorso straordinario al Presidente della Repubblica (procedura che non è soggetta a definizione entro termini perentori) non è di per sé sufficiente per poter disporre la sospensione dell’esecuzione dell'ordine di demolizione, non essendo prevedibile né se si verificherà in concreto una causa estintiva del reato né comunque se questa sì verificherà in tempi brevi (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 31.03.2011 n. 13337 - link a www.lexambiente.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Il criterio della vicinitas sottende lo stabile e significativo collegamento, da indagare caso per caso, del ricorrente con la zona il cui ambiente si intende proteggere.
Secondo la recente e condivisibile giurisprudenza della Sezione (Cons. Stato, sez. V 26.02.2010, n. 1134), relativa proprio a fattispecie di interventi asseritamente lesivi sul piano dell’impatto ambientale, il criterio della vicinitas costituisce la base del riconoscimento della legittimazione dei singoli che agiscano a tutela del bene ambiente e, in particolare, a tutela di interessi incisi da atti che li ledono direttamente e personalmente, unitamente all’intera collettività che insiste sul territorio (cfr. Cons. St., Sez. V, 16.06.2009, n. 3849); vicinitas cui va però attributo il senso non di stretta contiguità, bensì di stabile e significativo collegamento, da indagare caso per caso, del ricorrente con la zona il cui ambiente si intende proteggere (cfr. Cons. St., Sez. VI, 27.03.2003, n. 1600).
Nel caso esaminato da questa Sezione con la citata decisione n. 1134/2010 si è ritenuto che la “distanza da 600 a 2000 metri non sia di ostacolo alla configurazione della ripetuta situazione di vicinitas, intesa nel significato predetto, avuto riguardo alla natura ed alla potenzialità dell’impianto autorizzato con gli atti regionali impugnati in primo grado, in particolare all’enorme quantità ed eterogeneità dei rifiuti di cui si consente lo smaltimento o il recupero (1.705.960 t/a) e di quelli da stoccare. In altri termini, tanto basta a qualificare e differenziare la posizione giuridica soggettiva dei ricorrenti in primo grado ed il loro interesse a far valere l’illegittimità dell’autorizzazione alla installazione ed al funzionamento dell’impianto di cui trattasi a tutela dell’integrità delle proprie attività, siano esse agricole o zootecniche, anche con connotati industriali, svolte sui fondi di pertinenza” (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 31.03.2011 n. 1979 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Pertinenza di manufatto rispetto ad azienda agricola.
Non è possibile parlare di pertinenza di un manufatto rispetto ad una azienda agricola in quanto questa esula dal concetto di “cosa” nell’accezione di cui all’art. 817 c.c..
In ogni caso per esplicita volontà legislativa il vincolo pertinenziale riguarda edifici e non fondi rustici (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 30.03.2011 n. 13125 - link a www.lexambiente.it).

APPALTI: Non è consentita l’instaurazione di un giudizio in materia di appalti pubblici quando risulti che il ricorrente non potrebbe esserne l’aggiudicatario.
Giova precisare, in una con la giurisprudenza di questo Consiglio (cfr., ex plurimis, Cons. Stato, sez. V, 07.09.2009, n. 5244; sez. IV, 22.12.2007, n. 6613; sez. V, 07.11.2005, n. 6200), che l’azione di annullamento davanti al giudice amministrativo è soggetta –sulla falsariga del processo civile– a tre condizioni fondamentali: il c.d. titolo o possibilità giuridica dell’azione (cioè la posizione giuridica configurabile in astratto da una norma come di interesse legittimo, ovvero come altri dice la legittimazione a ricorrere discendente dalla speciale posizione qualificata del soggetto che lo distingue dal quisque de populo rispetto all’esercizio del potere amministrativo); l’interesse ad agire (ex art. 100 c.p.c.); e la legitimatio ad causam (o legittimazione attiva/passiva, discendente dall’affermazione di colui che agisce/resiste in giudizio di essere titolare del rapporto controverso dal lato attivo o passivo).
Tali condizioni devono sussistere al momento della proposizione della domanda e permanere fino al momento della decisione.
Nella specie, come si vedrà meglio in prosieguo, non viene in discussione, in senso proprio, la legittimazione ad agire dell’originario ricorrente (che è pacifica), bensì la carenza, in capo a quest’ultimo e relativamente alle censure in concreto mosse avverso i provvedimenti impugnati, di una posizione differenziata rispetto al quivis de populo, qualificabile in termini astratti come di interesse legittimo, nonché la mancanza dell’interesse ad agire, in relazione sia alla data di proposizione del ricorso che a quella della decisione di primo grado.
La configurabilità della prima condizione dell’azione, il c.d. titolo, non è consentita ove l’instaurazione o la prosecuzione di un giudizio sia finalizzata a tutela di interessi illegittimi o pretese emulative (cfr. da ultimo, sul principio generale, Cons. St., sez. V, 12.02.2010, n. 746; sez. V, 07.09.2009, n. 5244).
Tale principio è declinato, nel processo in materia di appalti pubblici, nel senso che è inammissibile, per carenza di interesse, il ricorso contro l’aggiudicazione di una gara d’appalto quando, dall’esperimento della c.d. prova di resistenza, risulti con certezza che il ricorrente non sarebbe comunque risultato a sua volta aggiudicatario neppure in caso di accoglimento del ricorso (cfr. Cons. St., sez. VI, 10.09.2008, n. 4326; sez. IV, 11.12.1998, n. 1629).
In tali casi, infatti, l’eventuale rinnovo procedimentale all’esito dell’annullamento giurisdizionale, rimanendo intatta la clausola precettiva della lex specialis, dovrebbe riprendere dall’esame dell’offerta esclusa ma, al quel punto, risulterebbe evidente l’impossibilità giuridica per l’impresa stessa di risultare aggiudicataria, di stipulare il contratto e di svolgere le prestazioni oggetto dell’appalto.
Facendo applicazione dei su esposti principi all’odierna fattispecie, emerge che nessuna posizione di interesse legittimo è astrattamente enucleabile dall’esame della causa petendi dell’originario ricorso della società Tebe perché esso si risolve, all’evidenza, nella richiesta di tutela di un interesse materiale a contenuto impossibile (o contra ius se messo in relazione alla su riferita clausola del bando), in quanto non consente all’impresa di conseguire il bene della vita cui aspira (l’aggiudicazione della gara d’appalto); del resto costituisce affermazione di principio ricorrente quella secondo cui l’interesse tutelato a livello procedimentale prima e processuale poi, in materia di appalti pubblici, non può essere quello generico al rifacimento della gara d’appalto, proprio di tutte le imprese di settore rimaste estranee alla specifica selezione, bensì quello specifico ad una competizione finalizzata all’ottenimento dell’aggiudicazione, cui possono aspirare soltanto i legittimi partecipanti alla gara, anche attraverso l’eliminazione di clausole della lex specialis eventualmente lesive (cfr. da ultimo Cons. St., sez. V, 12.10.2010, n. 7402) (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 29.03.2011 n. 1928 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: Lottizzazione e responsabilità dell’acquirente.
La condotta dello acquirente può inserire un contributo causale alla concreta attuazione del disegno criminoso di lottizzazione anche senza una azione concordata con il venditore: è sufficiente una adesione al detto programma mediante la violazione (deliberata o per trascuratezza) di specifici doveri di informazione e conoscenza che gravano sui privati in vista dell’osservanza dei precetti penali (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 25.03.2011 n. 12016 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: Opere abusive realizzate su fondo altrui: quando é legittima la sanzione indirizzata al proprietario incolpevole.
Quali iniziative deve porre in atto il proprietario che intenda sottrarsi all'ordine di demolizione di opere abusivamente realizzate sul suo fondo da terzi in assenza di titolo autorizzativo e in contrasto con le previsioni dello strumento urbanistico generale?
Lo spiega la sentenza 25.03.2011 n. 278 del TAR Piemonte, Sez. I, che affronta il caso di opere di manutenzione straordinaria consistenti in recinzioni metalliche con annessi cancelli pedonali e una piccola pavimentazione, realizzati sulla proprietà di un soggetto incolpevole e sanzionate dall'A.C. ex art. 22 e 37 D.P.R. 380/2001.
Anzitutto non é sufficiente recarsi presso l’ufficio tecnico del Comune per segnalare l’esistenza delle predette opere abusive e chiedere delucidazioni sul da farsi, come non é sufficiente proporre querela contro ignoti. E' necessario, invece, segnalare tempestivamente all’Amministrazione l’esistenza degli interventi abusivi e fornire alla stessa gli elementi utili all’identificazione dei responsabili dei predetti illeciti.
Afferma il TAR Piemonte che se è indubitabile la legittimità di un ordine di demolizione indirizzato nei soli confronti del proprietario, ove non siano immediatamente rinvenuti altri elementi utili all'identificazione del diverso responsabile dell'abuso, nel qual caso l'ingiunzione andrà indirizzata ad entrambi, come da lettera dell'art. 31, comma 2, d.P.R. n. 380 del 2001 (o al solo responsabile e però con le possibili preclusioni per l'acquisizione dell'area di sedime), "va escluso che ciò possa accadere allorquando il proprietario, come nel caso di specie, abbia avuto modo di fornire, prima dell'emanazione dell'ingiunzione, all'Amministrazione procedente ogni elemento utile all'identificazione del soggetto responsabile dell'abuso (TAR Campania Napoli, sez. VII, 03.11.2009, n. 6808)", mentre "il proprietario incolpevole di un abuso edilizio commesso da altri che voglia sfuggire all’effetto sanzionatorio della demolizione, deve provare l’intrapresa di iniziative che, oltre a rendere palese la sua estraneità all’abuso, siano anche idonee a costringere il responsabile dell’attività illecita a ripristinare lo stato dei luoghi nei sensi e nei modi richiesti dall’autorità amministrativa (cfr. TAR Sardegna, sez. II, 19.11.2009, n. 1835)".
Nel caso di specie, la ricorrente aveva sì dedotto di aver informato della situazione l’ufficio tecnico comunale, ma la circostanza non risultava provata, così come alla querela non risultava fossero seguite "concrete iniziative" volte a far cessare l’abuso.
Fisso il principio secondo cui l'ordinanza di demolizione di una costruzione abusiva ben può essere emanata nei confronti del proprietario attuale, anche se non responsabile dell'abuso, considerando che l'abuso edilizio costituisce un illecito permanente e che l'ordinanza stessa ha carattere ripristinatorio e non prevede l'accertamento del dolo o della colpa del soggetto (TAR Campania Napoli, sez. IV, 24.05.2010, n. 8343; TAR Piemonte, sez. I, 25.10.2006, n. 3836), il mezzo é stato quindi respinto (commento tratto da http://studiospallino.blogspot.com - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Interventi in difformità totale. Sugli interventi edilizi in totale difformità dal permesso di costruire.
La fattispecie in oggetto é caratterizzata dalla trasformazione di locali autorizzati come sottotetti costituenti volumi tecnici in unità immobiliari residenziali, di altezza più elevata rispetto alle previsioni progettuali e di superficie corrispondente al piano sottostante, divise in ambienti separati, munite di aperture finestrate, dotate di impianti elettrico ed idrico.
La Corte ha rilevato, pertanto, l’intervenuta realizzazione di opere non rientranti tra quelle autorizzate, per le diverse caratteristiche tipologiche e di utilizzazione, che hanno una loro autonomia e novità, oltre che sul piano costruttivo, anche su quello della valutazione economico-sociale (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 24.03.2011 n. 11956 - link a www.lexambiente.it).

APPALTI: Non è escluso dalla gara il concorrente che fornisca false dichiarazioni quando sia ugualmente in possesso di tutti i requisiti previsti.
Con riguardo alla circostanza che causa di esclusione è stata quella, formale, di aver omesso una dichiarazione prescritta dal bando osserva il Collegio che, pur dando atto del non univoco orientamento della giurisprudenza della Sezione e delle ragioni che presiedono alla tesi restrittiva e formalistica, basate sulla necessità di ordinaria verifica sull'affidabilità dei soggetti partecipanti (Cons. St. Sez. V, sent. n. 3742/2009), deve ritenersi, in presenza delle circostanze di fatto di cui alla presente controversia, di aderire all'orientamento di numerose recenti sentenze orientate nel senso della doverosità della effettuazione di una valutazione sostanzialistica della sussistenza delle cause ostative (in particolare Cons. St. Sez. V, 13.02.2009, n. 829; Sez. VI 04.08.2009, n. 4906, 22.02.2010, n. 1017), nella considerazione che il primo comma dell'art. 38 del D.Lgs. n. 163/2006 ricollega l'esclusione dalla gara al dato sostanziale del mancato possesso dei requisiti indicati, mentre il secondo comma non prevede analoga sanzione per l'ipotesi della mancata o non perspicua dichiarazione.
Da ciò discende che solo l'insussistenza, in concreto, delle cause di esclusione previste dall'art. 38 citato comporta, “ope legis”, l'effetto espulsivo.
Quando invece il partecipante sia in possesso di tutti i requisiti richiesti e la “lex specialis” non preveda espressamente la pena dell'esclusione in relazione alla mancata osservanza delle puntuali prescrizioni sulle modalità e sull'oggetto delle dichiarazioni da fornire, l'omissione non produce alcun pregiudizio agli interessi presidiati dalla norma, ricorrendo un'ipotesi di "falso innocuo", come tale insuscettibile, in carenza di una espressa previsione legislativa o della legge di gara, a fondare l'esclusione, le cui ipotesi sono tassative .
In senso conforme alla prospettata soluzione depone anche l'art. 45 della direttiva 2004/18/CE che ricollega l'esclusione alle sole ipotesi di grave colpevolezza di false dichiarazioni nel fornire informazioni, non rinvenibile nel caso in cui il concorrente non consegua alcun vantaggio in termini competitivi , essendo in possesso di tutti i requisiti previsti (Cons. St., Sez. VI, 22.02.2010, n. 1017) ( – Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 24.03.2011 n. 1795 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: TAR Lombardia: principi generali in tema di ampliamenti di attività produttive in variante al PRG.
Presupposto per la convocazione della conferenza di servizi volta all'approvazione di una variante urbanistica ex art. 5 del d.P.R. n. 447 del 1998 è la verifica, da parte del responsabile del procedimento, dell'assenza o dell'insufficienza di aree già destinate agli insediamenti produttivi nel p.r.g. in vigore. La disposizione in questione, infatti, prevede che allorché il progetto sia conforme alle norme vigenti in materia ambientale, sanitaria e di sicurezza del lavoro ma lo strumento urbanistico "non individui aree destinate all'insediamento di impianti produttivi ovvero queste siano insufficienti in relazione al progetto presentato", il responsabile del procedimento può, motivatamente, convocare una conferenza di servizi per l'esame della domanda.
Ma come deve essere letta la disposizione? Quali sono, cioè, i suoi margini interpretativi?
Ignorando l'utilizzo dell'espressione ^ovvero^ -che ha un significato diverso a seconda che venga utilizzata nel linguaggio normativo piuttosto che nell'utilizzo comune (v. G. Acerboni, Abolire 'ovvero', 2008)- può essere utile la sentenza 24.03.2011 n. 773 del TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, che -chiamato a pronunciarsi su un diniego opposto da un Comune in ragione dell'esistenza di aree inedificate a destinazione produttiva all'interno del territorio comunale- ha sancito che:
• tanto il provvedimento con cui si decide di accedere alla conferenza di servizi tanto quello di diniego debbono essere motivati;
• il provvedimento deve essere motivato con riferimento non alla astratta disponibilità di aree a destinazione industriale sul territorio, ma con riferimento alla tipologia di progetto presentata;
• l'area da destinare all'ampliamento della relativa attività non può quindi essere rinvenuta altrove, ma deve trovarsi in stabile e diretto collegamento con quella dell'insediamento principale e da ampliare.

Nella fattispecie in questione "il comune intimato non avrebbe dovuto, quindi, limitarsi ad affermare la realizzabilità dell'intervento in presenza di aree astrattamente (ma non concretamente) idonee all'insediamento, cioè avrebbe dovuto valutare se le aree presenti con destinazione produttiva fossero o meno utilizzabili in concreto per la realizzazione del progetto di ampliamento presentato. Avrebbe, dunque, dovuto fornire analitica motivazione circa le proprie determinazioni, anche in considerazione del fatto che la zona produttiva D1 individuata dallo strumento urbanistico non era contigua allo stabilimento della ricorrente, il cui ampliamento sarebbe, quindi, risultato impossibile mediante l’utilizzazione di tale area" (commento tratto da http://studiospallino.blogspot.com - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZIÈ del giudice ordinario la competenza sul risarcimento danni per la lesione dell'affidamento ingenerato da un provvedimento, apparentemente legittimo, di aggiudicazione di una gara per l'affidamento di un pubblico servizio.
La controversia in merito alla domanda autonoma di risarcimento danni avanzata da colui che, avendo conseguito l'aggiudicazione in una gara per l'affidamento di un pubblico servizio, in seguito annullata dal Tar perché illegittima su ricorso di un altro concorrente, deduca la lesione dell'affidamento originato dal provvedimento di aggiudicazione apparentemente legittimo, rientra nella giurisdizione del giudice ordinario (Corte di Cassazione, Sezz. unite civili, sentenza 23.03.2011 n. 6596).

EDILIZIA PRIVATAÈ del giudice ordinario la competenza sul risarcimento danni del beneficiario di una concessione edilizia che aveva confidato nella apparente legittimità della stessa.
La controversia nella quale il beneficiario di una concessione edilizia, annullata d'ufficio o su ricorso di altro soggetto in quanto illegittima, richieda il risarcimento dei danni sofferti per avere confidato nella apparente legittimità della stessa, che aveva prodotto in lui l'incolpevole convinzione di poter edificare legittimamente, rientra nella giurisdizione del giudice ordinario, avendo ad oggetto un comportamento illecito della P.A. per violazione del principio del "neminem laedere" (Corte di Cassazione, sentenza 23.03.2011 n. 6594).

APPALTI: Esclusione dalla gara di una ditta per difetto del requisito della capacità economica e finanziaria.
Nel caso in cui il disciplinare di gara imponga, a pena di esclusione, la dimostrazione del possesso del requisito della capacità economica e finanziaria mediante almeno due dichiarazioni di istituti di credito attestanti, espressamente, la disponibilità di mezzi finanziari adeguati per l’assunzione dello specifico servizio oggetto della procedura di evidenza pubblica, è legittima l’esclusione dalla gara di una ditta che abbia presentato due referenze bancarie attestanti esclusivamente e genericamente la complessiva affidabilità della ditta stessa sotto il profilo finanziario; in tal caso, infatti, le referenze presentate dal concorrente escluso devono ritenersi del tutto generiche e non corrispondenti a quanto richiesto a pena di esclusione dal disciplinare di gara e, in quanto tali, inidonee a dimostrare l’effettivo possesso dei requisiti di carattere economico-finanziario richiesti dalla P.A. per la corretta gestione del servizio da appaltare (1).
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(1) Ha aggiunto la sentenza in rassegna che nella specie non era applicabile l’art. 46 del D.lgs. n. 163/2006 e quindi la possibilità per la concorrente di integrare le dichiarazioni presentate benché carenti nei contenuti, atteso che, proprio alla luce delle previsioni del disciplinare, detta facoltà non era esercitabile da parte dell’Amministrazione, in quanto era stata prevista espressamente quale causa di esclusione dalla gara l’ipotesi in cui le dichiarazioni rese dagli istituti bancari o intermediari autorizzati non avessero attestato specificatamente quanto richiesto.
Un diverso comportamento, volto a consentire l’integrazione di una dichiarazione resa in termini difformi da quanto richiesto dalla lex specialis, con espressa previsione della sanzione dell’esclusione, si sarebbe rivelato in palese violazione del bando di gara e della par condicio fra i concorrenti
(massima tratta da www.regione.piemonte.it - TAR Veneto, Sez. I, sentenza 11.03.2011 n. 413 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Beni ambientali. Boschi e radure.
Il bosco è caratterizzato dalla presenza di vegetazione e da un’estensione minima, mentre per le radure e le altre superfici che interrompono il bosco, rientranti tra le “aree assimilate”, è previsto un limite massimo di estensione superato il quale viene meno l’assimilazione. E’ poi evidente che dette aree vengono, appunto, assimilate al bosco perché non posseggono le caratteristiche indicate nella definizione. Le radure, in particolare, presentano, evidentemente, l’assenza di vegetazione del tipo di quella che caratterizza il bosco altrimenti, come le altre aree indicate, non potrebbero interromperlo.
Con riferimento specifico alle ipotesi contemplate dall’articolo 149 D.Lv. 42/2004, la valutazione circa la non soggezione dell’intervento ad autorizzazione paesaggistica in base alla tipologia dei lavori non può essere lasciata ad una soggettiva interpretazione della normativa di settore da parte del privato che detti lavori intende eseguire, sottraendo ogni possibilità di controllo preventivo all’autorità amministrativa (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 10.03.2011 n. 9690 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: Beni ambientali. Valutazione di incidenza e permesso di costruire.
La valutazione incidenza prevista dal D.P.R. 08.09.1997, n. 357 per gli interventi da eseguirsi nelle zone individuate come SIC (siti di interesse comunitario) avendo ad oggetto l’analisi dei possibili effetti che gli interventi medesimi possono avere su detti siti con riferimento agli obiettivi di conservazione, deve necessariamente precedere il rilascio del titolo abilitativo edilizio del quale costituisce requisito di efficacia (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 09.03.2011 n. 9308 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: Lavori in totale difformità dal permesso di costruire.
La costruzione in totale difformità dal permesso di costruire può derivare, oltre che da consistenti aumenti di volumetria o altre rilevanti modificazioni della struttura esterna dell’immobile, anche dalla esecuzione di interventi all’interno di un fabbricato che determinino la modificazione di parte dell’edificio, allorché tale modificazione abbia rilevanza urbanistica (in quanto incidente sull’assetto del territorio, aumentando il cosiddetto carico urbanistico), quali ad esempio la modificazione della destinazione d’uso di parte dell’immobile rispetto a quanto assentito con il provvedimento autorizzatorio (Cote di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 09.03.2011 n. 9282 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: Doveri del responsabile o dirigente dell’ufficio tecnico comunale.
In materia edilizia non c'e' dubbio che l'art. 27 dpr 380/2001 ponga a carico del dirigente o del responsabile del competente ufficio comunale un obbligo di vigilanza sull’attività urbanistico-edilizia nel territorio comunale per assicurarne la rispondenza alle norme di legge e di regolamento, alle prescrizioni degli strumenti urbanistici ed alle modalità esecutive fissate nei titoli abilitativi, imponendogli di intervenire ogni qualvolta venga accertato l’inizio o l’esecuzione di opere eseguite senza titolo o in difformità della normativa urbanistica, attraverso la emanazione di provvedimenti interdittivi e cautelari (cfr. anche art. 31 DPR 380/2001).
Egli è quindi certamente titolare di una posizione di garanzia che gli impone di attivarsi per impedire l'evento dannoso (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 09.03.2011 n. 9281 - link a www.lexambiente.it).

PUBBLICO IMPIEGO: Procedimento disciplinare a seguito della condanna in sede penale.
Dopo la conclusione del procedimento penale nei confronti di un dipendente pubblico a seguito del quale lo stesso è stato condannato, l’Amministrazione deve valutare se iniziare o meno il procedimento disciplinare a carico del dipendente già sospeso in via cautelare, e può iniziarlo ancorché il dipendente sia cessato dal servizio anteriormente al giudicato penale, e ciò al fine precipuo di regolare gli effetti della sospensione cautelare, che è titolo per sua natura provvisorio; tale potere va esercitato nei termini previsti per l’esercizio dell’azione disciplinare nei confronti dell’impiegato in servizio con la conseguenza che il mancato inizio dell’azione disciplinare nei termini comporta il venire meno con effetto ex tunc del provvedimento di sospensione cautelare (1).
Il mancato inizio del procedimento disciplinare nei prescritti termini nei confronti di un dipendente pubblico che sia stato condannato, comporta il venir meno del provvedimento di sospensione cautelare con effetto ex tunc, sicché in caso di cessazione dal servizio del dipendente sottoposto a sospensione cautelare a seguito di procedimento penale, qualora l’amministrazione decida di non iniziare l’azione disciplinare dopo l’intervento del giudicato penale al fine di regolare gli effetti della stessa sospensione cautelare, al medesimo dipendente compete la differenza tra la retribuzione spettante e l’assegno alimentare. La sospensione cautelare dall’impiego, infatti, per sua natura interinale e provvisoria, è destinata a produrre effetti solo fino a quando non intervenga un provvedimento definitivo, ravvisabile esclusivamente in quello adottato al termine del procedimento disciplinare.
Al pubblico dipendente sottoposto a sospensione cautelare a cui non è seguito il provvedimento di destituzione deve essere concessa la "restituito in integrum", dedotto il periodo della eventuale detenzione sofferta e dedotti tutti i compensi percepiti a qualsiasi titolo sul periodo di allontanamento dal lavoro.
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(1) Cfr. Consiglio Stato, Ad. Plen., 06.03.1997 n. 8, riportata nella banca dati della rivista.
Ha osservato la sentenza in rassegna che, in forza di una interpretazione estensiva dell’art. 118 t.u. imp. Civ. Stato –che consente espressamente la prosecuzione del procedimento disciplinare anche in caso di dimissioni del dipendente se la sua definizione influisce sul trattamento di quiescenza e previdenza– la giurisprudenza amministrativa assolutamente prevalente, avallata dalla Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, ha ritenuto doverosa la esperibilità del procedimento disciplinare, anche dopo la cessazione del rapporto di servizio, in presenza di una pregressa sospensione cautelare del dipendente pubblico (così Cons. Stato, comm. Spec. 05.02.2001, n. 482; Ad. Plen. 06.03.1997, n. 8; sezione V, 24.05.1995, n. 360).
Tanto sul presupposto che la sospensione cautelare, quale ne sia il tipo, debba essere sempre sostituita da un diverso titolo giuridico costituito dal provvedimento disciplinare; sicché la sorte del provvedimento cautelare è rimessa alla iniziativa dell’amministrazione, cui spetta il potere di valutare, anche ai fini della eventuale destituzione, il comportamento del dipendente, onde regolare in maniera definitiva l’assetto degli interessi provvisoriamente determinati dalla sospensione cautelare, ben potendo retroagire gli effetti della destituzione al momento della sospensione, anche dopo le dimissioni o il collocamento in quiescenza del dipendente, per evitare pericolose richieste di restituito in integrum (cfr. Consiglio Stato, Ad. Plen., nn. 2 e 4 del 2002; commissione speciale 05.02.2001, n. 482; Ad. Plen. n. 8 del 1997 citata).
Nell’esercitare l’azione punitiva l’amministrazione è comunque astretta al rispetto dei termini perentori di inizio e conclusione del procedimento disciplinare (Cons. Stato, IV, 30.05.2005, n. 2830)
(massima tratta da www.regione.piemonte.it - Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 09.03.2011 n. 1505 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

PUBBLICO IMPIEGO: Controversie in materia di nomine delle Commissioni giudicatrici.
Il provvedimento di nomina della commissione giudicatrice può essere impugnato dal candidato solo nel momento in cui, con l'approvazione delle operazioni concorsuali e la nomina del vincitore, si esaurisce il relativo procedimento amministrativo e diviene compiutamente riscontrabile la lesione della sfera giuridica altrui: la verifica effettiva del pregiudizio sofferto dal candidato può difatti utilmente compiersi solo al momento dell'approvazione della graduatoria (1).
L’art. 51, commi 2 e 3, della legge n. 142 del 1990, nel testo riformato dalla legge n. 127 del 1997, secondo il quale ai dirigenti spettano tutti i compiti che la legge e lo statuto dell'ente locale non riservino espressamente agli organi di governo dell'ente, costituisce disposizione immediatamente applicabile senza bisogno dell'interposizione di apposite fonti secondarie, cui spetta solo la determinazione delle modalità d'esercizio della competenza, comunque indefettibile e tale da non tollerare impedimenti o soluzioni di continuità (2) (in applicazione del principio nella specie è stata ritenuto illegittimo il provvedimento di nomina di una commissione di concorso effettuata dalla Giunta provinciale e non già dal competente dirigente, a nulla rilevando le specifiche norme regolamentari della Provincia).
Quando il giudice amministrativo si trovi a dover applicare un regolamento che risulti confliggente con norme di legge, e la norma regolamentare o non sia stata impugnata, o costituisca il fondamento della pretesa dedotta, ad esso è consentito, anche in mancanza di richiesta delle parti, sindacare gli atti di normazione secondaria al fine di stabilire se essi abbiano attitudine, in generale, ad innovare l'ordinamento e, in concreto, a fornire la regola di giudizio per risolvere la questione controversa (Cfr. Cons. Stato, Sez. V, n. 154 del 1992).
Il potere del giudice amministrativo di disapplicare atti non ritualmente impugnati è ammesso nei riguardi di regolamenti illegittimi, sia quando il provvedimento impugnato sia contrastante con il regolamento, sia quando non sia conforme al presupposto atto normativo (Cfr. Cons. Stato, Sez. V, 24.07.1993, n. 799), e questo anche quando si verte in materia di interessi legittimi (Cfr. Cons. Stato, Sez. V, 19.09.1995, n. 1332).
E' illegittima, per incompetenza, la delibera di nomina della Commissione giudicatrice di una procedura concorsuale adottata dalla Giunta provinciale, piuttosto che dal dirigente, non essendo rilevante la circostanza che il regolamento dei concorsi di detto ente prevedeva la competenza della Giunta, essendo tale norma regolamentare illegittima perché in contrasto con la competenza dirigenziale prevista dall'art. 51, commi 2 e 3, della legge n. 142 del 1990. La riconosciuta incompetenza alla nomina della Commissione comporta, quale riflesso dell’annullamento della relativa delibera, la caducazione di tutte le operazioni di valutazione eseguite da tale organo (Cfr. Cons. Stato, Sez. V, n. 5625 del 2006 e n. 5279 del 2002).
È inammissibile e comunque infondata la domanda risarcitoria formulata in maniera del tutto generica, senza alcuna allegazione dei fatti costitutivi (Cfr. Cons. Stato, Sez. V, 06.04.2009, n. 2143 e 13.06.2008, n. 2967). Anche se può ammettersi il ricorso alle presunzioni semplici ex art. 2729 c.c. per fornire la prova del danno subìto e della sua entità, è comunque ineludibile l'obbligo, a monte, di allegare circostanze di fatto precise (Cfr. Cons. Stato, Sez. V, 13.06.2008, n. 2967).
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(1) Cfr. Cons. Stato, Sez. V, n. 5279 del 2002 e n. 1589 del 1999. V. anche Cons. Stato, Sez. V, n. 232 del 1996, secondo cui in un procedimento amministrativo concernente un pubblico concorso, il candidato leso da un provvedimento della Commissione lo può ben impugnare unitamente all'atto di nomina dei componenti di quest'ultima, in quanto detta nomina ha natura endoprocedimentale ed è adottata in esito ad uno specifico sub-procedimento, volto a consentire che i candidati siano valutati, nell'ulteriore corso, proprio da coloro che le norme reputano più idonei e siano in possesso dei prescritti requisiti, per cui l'interesse dei candidati stessi alla rimozione dei componenti illegittimamente nominati si attualizza solo dopo l'adozione dell'atto che ha preso in esame la loro posizione e approvato la relativa graduatoria.
(2) Cons. Stato, Sez. V, 23.03.2000, n. 1617; in termini si vedano anche Sez. V, nn. 5603 e 5833 del 2001 e 2694 del 2004.
Ha osservato in particolare la sentenza in rassegna che il comma 3 dell’art. 51 cit., con la sua precisa formula "Spettano ai dirigenti tutti i compiti, compresa l'adozione di atti che impegnano l'amministrazione verso l'esterno, che la legge e lo statuto espressamente non riservino gli organi di governo dell'ente", permette con una chiara logica di riservare competenze, pur in via di principio dirigenziali, agli organi di governo dell'ente alla sola fonte statutaria (oltre che alla legge), quale fonte locale primaria cui l’art. 4 della stessa legge n. 142 affida la definizione delle norme fondamentali dell'organizzazione dell'ente locale, ed in particolare delle attribuzioni degli organi. Ai regolamenti, che sono fonti subordinate allo statuto, lo stesso comma 3 consente, invece, solo la definizione delle "modalità" di esercizio delle competenze enumerate nel medesimo comma (sulla differenza di gerarchia tra statuto e regolamenti cfr., in generale, ad es., C.d.S., V, 25.01.2005, n. 148)
(massima tratta da www.regione.piemonte.it - Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 04.03.2011 n. 1408 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

PUBBLICO IMPIEGO: Controversia relativa al provvedimento con il quale la P.A. indice un concorso piuttosto che utilizzare una graduatoria di altro concorso.
La giurisdizione del giudice ordinario sullo scorrimento della graduatoria di un concorso pubblico e sull'assunzione è comunque esclusa quando venga contestato un provvedimento di indizione di un nuovo concorso da chi ha interesse allo scorrimento della graduatoria; in tal caso, infatti, l'interessato chiede tutela nei confronti dell'esercizio del potere amministrativo, con la conseguenza che a quest'ultimo corrisponde una situazione di interesse legittimo, la cui tutela deve essere accordata dal giudice amministrativo, ai sensi dell'art. 63, comma 4, d.P.R. n. 165/2001 (Cfr. Cass., Sez. un., 18.10.2005, n. 20107; 20.08.2009 n. 18499).
E’ illegittima la delibera con la quale una P.A. indice un concorso pubblico, piuttosto che utilizzare una graduatoria di un precedente concorso per la copertura dei posti banditi, nel caso in cui la stessa graduatoria sia stata in precedenza utilizzata per la copertura di altri posti e la scelta di procedere per gli ulteriori posti con un nuovo concorso non trovi alcuna ragionevole giustificazione, ponendosi in contrasto con il già avvenuto utilizzo della graduatoria (1).
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(1) Nella motivazione della sentenza in rassegna si dà lealmente atto del fatto che in materia, anche di recente, la giurisprudenza amministrativa si è divisa tra la tesi della non necessità della motivazione della indizione di una nuova procedura concorsuale in luogo dello scorrimento di una precedente graduatoria ancora efficace (Cons. Stato, sez. V, 19.11.2009, n. 7243) e l’opposto orientamento, secondo cui quando l’amministrazione, nell’esercizio della sua discrezionalità, ritenga di procedere a nuove assunzioni, essa, in ossequio al principio di buon andamento di cui all’art. 97 Cost., è tenuta a utilizzare la graduatoria ancora efficace, non potendo indire un nuovo concorso, a meno che non ricorrano particolari ragioni, da esplicitare adeguatamente nella motivazione del bando (Cons. Stato, sez. VI, 19.02.2010, n. 668).
Nella specie la peculiarità del caso è stata tuttavia ritenuta decisiva per la soluzione della controversia.
Infatti, il ricorrente era risultato idoneo (9° posto) nella graduatoria del concorso pubblico per n. 6 posti di Dirigente Amministrativo, indetto dall’A.S.L. e la suddetta graduatoria era stata immediatamente utilizzata, mediante scorrimento, per coprire un posto di dirigente amministrativo rimasto scoperto a seguito di rinunzia all’assunzione del primo classificato del concorso con assunzione del candidato classificatosi al settimo posto
(massima tratta da www.regione.piemonte.it - Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 04.03.2011 n. 1395 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Acquisizione immobili abusivi per omessa demolizione.
La ingiustificata inottemperanza all’ordine di demolizione di una costruzione abusiva, emesso dall’autorità comunale, comporta l’automatica acquisizione gratuita dell’immobile al patrimonio disponibile del Comune, indipendentemente dalla notifica all’interessato dell’accertamento formale della inottemperanza (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 02.03.2011 n. 8082 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: Nozione di volume tecnico.
Per l’identificazione della nozione di “volume tecnico”, assumono valore tre ordini di parametri: il primo, positivo, di tipo funzionale, relativo al rapporto di strumentalità necessaria del manufatto con l’utilizzo della costruzione alla quale si connette; il secondo ed il terzo, negativi, ricollegati da un lato all’impossibilità di soluzioni progettuali diverse (nel senso che tali costruzioni non devono potere essere ubicate all’interno della parte abitativa) e dall’altro lato ad un rapporto di necessaria proporzionalità tra tali volumi e le esigenze effettivamente presenti.
Ne deriva che la nozione in esame può essere applicata solo alle opere edilizie completamente prive di una propria autonomia funzionale, anche potenziale, ed invece esclusa rispetto a locali, in specie laddove di ingombro rilevante, oggettivamente incidenti in modo significativo sui luoghi esterni (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 25.02.2011 n. 7217 - link a www.lexambiente.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Rumore. Immissioni e codice civile.
In particolare va ribadito il principio a termini del quale in materia di immissioni, mentre è senz‘altro illecito il superamento dei limiti di accettabilità stabiliti dalla leggi e dai regolamenti che, disciplinando le attività produttive, fìssano nell‘interesse della collettività le modalità di rilevamento dei rumori e i limiti massimi di tollerabililà, l‘eventuale rispetto degli stessi non può far considerare senz‘altro lecite le immissioni dovendo il giudizio sulla loro tollerabilità formularsi alla stregua dei principi di cui all’art. 844 c.c. (Corte di Cassazione, Sez. II civile, sentenza 17.01.2011 n. 939 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: Ponteggio e furto in appartamento. Di chi è la responsabilità?
Un’impresa edile, nei primi due gradi di giudizio, è stata ritenuta responsabile del furto ad opera di ignoti nei confronti degli abitanti di un appartamento adiacente ad un cantiere edile allestito dall’impresa stessa.
Le considerazioni dei Giudici si basano sul fatto che i ladri si erano serviti di un’impalcatura del cantiere attiguo all’edificio per entrare nell’appartamento derubato.
L’impresa decide di ricorrere alla Cassazione Civile che rigetta il ricorso affermando, ex art. 2043 del Codice Civile, che è l’imprenditore che risponde del furto in appartamento da parte di ignoti che usano il ponteggio installato per lavori di manutenzione, se egli abbia omesso di adottare misure opportune atte a impedirne l’uso anomalo da parte di terzi, creando, così un agevole accesso ai ladri (Corte di Cassazione, Sez. III civile, sentenza 10.01.2011 n. 292).
Quindi l’impresa costruttrice deve risarcire tutti i danni.
Sembrerebbe, quindi, che in casi analoghi la responsabilità risulti sempre dell’imprenditore che installa il ponteggio; ma non è così!
Analizzando la giurisprudenza, esistono precedenti contrari, come la sentenza 18.10.2005, n. 20133, in cui la stessa Cassazione Civile stabiliva che, nel caso in cui una persona subisca un furto nel proprio appartamento ad opera di ladri che vi si sono introdotti attraverso impalcature lasciate incustodite, il proprietario delle impalcature non può essere ritenuto civilmente corresponsabile del furto.
In particolare, la Corte Suprema affermava che l’imprenditore non può essere ritenuto responsabile:
- né per esercizio di attività pericolosa ex art. 2050 C.C., poiché tali attività danno luogo a responsabilità solo se il danno si sia prodotto durante il loro espletamento;
- né per cose in custodia ex art. 2051 C.C.,poiché le cose in custodia non danno luogo a responsabilità quando i danni siano cagionati dall’attività illecita di terzi;
- né per omissione di cautele ex art. 2043 C.C., poiché tale responsabilità sorge solo se si sia contravvenuto ad uno specifico obbligo di fare (link a www.acca.it).

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