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AGGIORNAMENTO AL 30.05.2011 |
ã |
NOVITA' NEL
SITO |
Bottone "CONVEGNI"
n. 1 giornata di studio a Milano (ingresso libero)
sull'argomento "Energia: Rinnovabili e Nucleare" per
mercoledì 08 giugno
2011 organizzata dal WWF Lombardia. |
UTILITA' |
APPALTI:
Modifiche al codice dei contratti e al
regolamento n. 207/2010 - D.L. 13.05.2011 n.
70 - Semestre Europeo - recante prime
disposizioni urgenti per l'economia -
TESTO A FRONTE (fonte ISAC -
Istituto Studi Appalti e Concessioni). |
APPALTI:
NUOVI MODELLI DI DICHIARAZIONI DA UTILIZZARE
NELLE GARE PUBBLICHE PER I REQUISITI DI
ORDINE GENERALE - ART. 38 DEL D. LGS. N.
163/2006 (link a
www.ancebrecia.it). |
VARI:
Vademecum su adempimenti fiscali e
opportunità per cittadini, tecnici e
imprese. Dall’agenzia delle Entrate
l’Annuario 2011.
L’Agenzia dell’Entrate ha pubblicato
l’Annuario del Contribuente 2011 aggiornato
a maggio 2011.
Il vademecum è ricco di informazioni utili
sia al semplice cittadino che a tecnici ed
imprese, in quanto riporta tutti gli
adempimenti fiscali per persone fisiche e
giuridiche e le agevolazioni fiscali per
professionisti e imprese.
In particolare, fornisce indicazioni sulle
ultime disposizioni fiscali e regole su
ravvedimenti, comunicazioni e sanzioni,
imposte sugli immobili, imposte su
successioni e cedolare secca.
Questi gli argomenti trattati:
- Le prime scadenze fiscali del 2011
- L’agenzia delle entrate: contatti e
servizi informativi
- Il garante: un organo a tutela dei
contribuenti
- Le recenti novità tributarie
- La cedolare sulle locazioni
- Legge di stabilità 2011: le novità per
contribuenti e imprese
- Le principali misure fiscali del decreto
legge 78/2010
- Agevolazioni su produttività, straordinari
e lavoro notturno
- L’Irpef e le addizionali
- Le detrazioni Irpef
- Le spese deducibili dal reddito
- Le spese detraibili dall’Irpef
- Le agevolazioni per le persone con
disabilità
- Il modello 730
- Il modello unico persone fisiche (link a
www.acca.it). |
SINDACATI |
PUBBLICO IMPIEGO:
Tribunale di Trento - Illegittima
la trasformazione unilaterale del part-time
(CGIL-FP di Bergamo,
nota 23.05.2011). |
NOTE,
CIRCOLARI E COMUNICATI |
APPALTI -
EDILIZIA PRIVATA:
NOTA DI LETTURA DECRETO-LEGGE 13.05.2011
N. 70 “SEMESTRE EUROPEO - PRIME DISPOSIZIONI
URGENTI PER L'ECONOMIA” (ANCI,
nota 24.05.2011). |
SEGRETARI COMUNALI:
Oggetto: Rimborso spese di viaggio.
Revoca delle deliberazioni del Consiglio
Nazionale d'Amministrazione nn. 57/1999,
241/2002, 282/2003, e 138/2007
(Ministero dell'Interno, ex Agenzia Autonoma
per la gestione dell'Albo dei Segretari
Comunali e Provinciali,
nota 17.05.2011 n.
25402 di prot.). |
SEGRETARI COMUNALI:
Oggetto:
Segretari comunali e provinciali. Quesito su
applicabilità art. 6, comma 12, del D.L. n.
78/2010, convertito in L. n. 122/2010 (ndr:
rimborso spese di viaggio) (Ministero
dell'Economia e delle Finanze, Dipartimento
della Ragioneria Generale dello Stato,
nota 21.04.2011 n.
54055 di prot.). |
LAVORI PUBBLICI:
Matteoli dice basta alle strisce
pedonali di colore verde in stile Carroccio.
Le strisce pedonali
possono essere solo bianche o gialle.
Qualsiasi altro colore utilizzato è vietato
sia dalle prescrizioni contenute nel codice
della strada che dalla normativa vigente a
livello europeo.
È quanto ha messo nero su bianco il
ministero delle Infrastrutture e Trasporti,
nel testo del
parere 11.03.2011 n. 1379 di prot.,
rispondendo ad un quesito posto dal sindaco
di Trebaseleghe (Pd) in merito alla
colorazione degli attraversamenti pedonali.
Questione molto dibattuta negli ultimi mesi,
tenuto conto che diverse amministrazioni
guidate dalla Lega Nord hanno utilizzato, in
tali casi, il verde. Quando si tratta di
attraversamenti pedonali, scrive il
ministero, si tratta di verificare cosa
prevede, in merito, il codice della strada
(in particolare l'artt. 137 e 145 del
regolamento di attuazione) a proposito della
segnaletica orizzontale.
Ebbene, tali disposizioni prevedono che
possono essere utilizzate vernici colorate
di bianco e giallo, altre colorazioni sono
vietate. Non è solo il nostro codice della
strada che vieta colori che non siano il
bianco o giallo. Anche la normativa europee
non fa cenno a colori che siano diversi dal
bianco e dal giallo. Il motivo? Il
ministero, richiamando sul punto la
direttiva sulla corretta applicazione delle
norme del Cds 27.04.2006, rileva che non ci
sono studi che dimostrino l'efficienza e
l'efficacia di iniziative volte a colorare
diversamente le strisce, né in termini di
migliorata sicurezza che di maggior aderenza
di tali vernici al fondo stradale.
Se proprio si vuole una migliore evidenza
della zebratura, il ministero invita le
amministrazioni «a utilizzare materiali
di più elevate prestazioni e che richiedono
una minore manutenzione, piuttosto che
modificare il fondo». E poi, una
considerazione su tutte il ministero la
offre. «Non è inutile rammentare che gli
utenti della strada devono riconoscere e
rispettare la segnaletica formalmente
prevista dal codice della strada che deve
essere uniforme su tutto il territorio
nazionale» (articolo ItaliaOggi del
16.04.2011). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Oggetto: Regime autorizzativo impianti di
conferimento dei RAEE (rifiuti di
apparecchiature elettriche ed elettroniche)
domestici (Regione Lombardia, Direzione
Generale Territorio e Urbanistica,
Pianificazione dei Rifiuti,
nota 02.03.2011 n.
5911 di prot.).
---------------
Precisazioni sul conferimento dei
Rifiuti elettronici (RAEE).
L'entrata in vigore del Decreto Ministeriale
08.03.2010, n. 65, detto Decreto "uno
contro uno", consente al cittadino che
acquista una nuova apparecchiatura
elettronica di lasciare al negoziante quella
vecchia. Il ritiro da parte dei commercianti
è obbligatorio e gratuito presso il punto
vendita.
La norma prevede che i RAEE (Rifiuti da
Apparecchi Elettrici ed Elettronici) così
raccolti dal rivenditore, siano stoccati in
un luogo apposito per il tempo massimo o per
un quantitativo massimo, raggiunto il quale,
i RAEE dovranno essere conferiti presso un
centro di raccolta di cui all'art. 6, comma
1, lett. a) e c), del D.Lgs 25.07.2005, n.
151.
Al fine di garantire un’applicazione
uniforme della disciplina semplificata sul
territorio regionale, Regione Lombardia in
data 02.03.2011 ha fornito alcune
precisazioni agli enti locali regionali
indicando che il conferimento dei RAEE
domestici, raccolti nell’ambito delle
procedure di cui al DM 65/2010 può essere
effettuato presso i centri di raccolta di
cui all’art. 6, comma 1, lett. a) e c), del
D.Lgs 151 del 25.07.2005, autorizzati sia ai
sensi del DM 08.04.2008, sia autorizzati in
forma ordinaria o semplificata ai sensi del
D.lgs. 152 03.04.2006 che rispettino, per
quanto riguarda i RAEE, nelle
caratteristiche strutturali e nelle modalità
gestionali, i requisiti fissati
nell’Allegato 1 del DM 08.04.2008 (comunicato
regionale 08.03.2011). |
DOTTRINA E
CONTRIBUTI |
SICUREZZA LAVORO:
A. Scarcella,
D.Lgs. n. 81/2008 e soggetti obbligati - I
riflessi del Testo Unico sul ruolo di
dirigenti e preposti (Igiene e
Sicurezza del Lavoro n. 4/2011 - link a
www.ipsoa.it).). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
S. Giachetti,
Diritto d’accesso, processo amministrativo,
effetto Fukushima (link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
LAVORI PUBBLICI:
L. Bellagamba,
Project financing: l’ingessatura rimossa dal
“decreto sviluppo” (link a
www.linobellagamba.it). |
LAVORI PUBBLICI:
L. Bellagamba,
Le innovazioni recate dal “decreto
sviluppo” alla finanza di progetto e
alla locazione finanziaria (leasing in
costruendo): il problema di una scelta
corretta “a monte” (link a
www.linobellagamba.it). |
APPALTI:
R. Caponigro,
Valutazione delle offerte e verifica delle
anomalie (link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
QUESITI &
PARERI |
APPALTI:
Interrogazione a risposta immediata n.
3-01670 dell'On. Zeller, concernente
chiarimenti in merito alla possibilità di
produrre una dichiarazione sostitutiva in
luogo del documento unico di regolarità
contributiva (DURC) per i contratti pubblici
di modesto importo e relativa
risposta del 25.05.2011 fornita
nell'ambito del "question-time" alla
Camera dei Deputati (link a http://nuovo.camera.it).
---------------
Si legga l'interrogazione con relativa
risposta anche in formato .PDF
cliccando qui
(vai alle pagg. 37 e 38). |
SICUREZZA LAVORO:
Quali sono gli obblighi di
sicurezza a carico delle imprese coinvolte?
Domanda.
Quali sono i principali provvedimenti
legislativi ai quali deve attenersi
l'appaltatore per garantire la sicurezza e
l'incolumità delle persone durante
l'espletamento delle attività oggetto
dell'appalto?
Risposta.
Il
lettore non specifica la natura
dell'appalto, né tantomeno se esso riguardi
l'ambito pubblico o privato. La risposta
sarà pertanto dovutamente generica e
cercherà di delineare un quadro complessivo
degli obblighi a carico dell'appaltatore.
Cominciamo con l'affermare che la riforma
operata dall'entrata in vigore del D.Lgs. n.
81/2008 ha notevolmente semplificato la
materia, almeno per l'aspetto riguardante le
norme a cui riferirsi.
Alla domanda posta dal lettore: "Quali
sono i principali provvedimenti
legislativi..." oggi si può affermare
con sicurezza che abbiamo a che fare
sostanzialmente con un'unica norma di legge,
ovvero il Testo unico per la sicurezza sul
lavoro (D.Lgs. n. 81/2008, per l'appunto).
Nell'ambito del campo di applicazione del
Titolo IV del D.Lgs. n. 81/2008, ovvero
quando l'attività in appalto si svolga
all'interno di un cantiere edile, gli
obblighi delle imprese appaltatrici sono
contenute essenzialmente nell'articolo 96
del medesimo decreto.
Quando invece le attività in appalto non
rientrano nel campo di applicazione della
parte speciale del decreto sui cantieri
temporanei o mobili, il riferimento
normativo è costituito dall'articolo 26. In
questo caso si delinea un obbligo di
cooperazione e coordinamento a carico di
tutte le imprese coinvolte nelle attività in
appalto (datore di lavoro committente
compreso), restando fermo l'obbligo per
tutti questi soggetti di tutelare i propri
lavoratori, oltre che dai rischi derivanti
dalle interferenze, anche dai rischi
specifici delle attività svolte ed oggetto
dell'appalto, nei confronti delle quali
l'obbligo dell'appaltatore è primariamennte
quello di procedere alla valutazione ed alla
definizione delle conseguenti misure di
prevenzione e protezione, secondo le
modalità previste nello stesso D.Lgs. n.
81/2008 (23.05.2011 - tratto da
www.ipsoa.it). |
APPALTI SERVIZI: Appalto
pubblico di servizi e concessione di servizi
e forniture: quale differenza?
Domanda.
Qual è la differenza tra appalto pubblico di
servizi e concessione di servizi e
forniture?
Risposta.
La
questione se un'operazione debba essere
qualificata come concessione di servizi o
come appalto pubblico di servizi deve essere
valutata esclusivamente alla luce del
diritto dell'Unione Europea.
Dal raffronto tra le definizioni di appalto
pubblico di servizi e di concessione di
servizi, forniture, rispettivamente, dal
numero 2, lettere a) e d), e dal numero 4
dell'art. 1 della Dir. 31-03-2004, n.
2004/18/CE, risulta che la differenza tra un
appalto pubblico di servizi e una
concessione di servizi risiede nel
corrispettivo della prestazione di servizi.
L'appalto di servizi comporta un
corrispettivo che, senza peraltro essere
l'unico, è versato direttamente
dall'Amministrazione aggiudicatrice al
prestatore di servizi, mentre, nel caso di
una concessione di servizi, il corrispettivo
della prestazione di servizi consiste nel
diritto di gestire il servizio, o da solo o
accompagnato da un prezzo.
Nel caso di un contratto avente ad oggetto
la prestazione di servizi, la circostanza
che la controparte contrattuale non sia
direttamente remunerata dall'Amministrazione
aggiudicatrice, ma abbia il diritto di
riscuotere la remunerazione presso terzi, è
sufficiente a soddisfare il requisito di un
corrispettivo, previsto dall'art. 1, numero
4, della Dir. 31-03-2004, n. 2004/18/CE.
Se è vero che la modalità di remunerazione
è, quindi, uno degli elementi determinanti
per la qualificazione come concessione di
servizi, dalla Giurisprudenza risulta
inoltre che la concessione di servizi
implica che il concessionario si assuma il
rischio legato alla gestione dei servizi in
questione e che il mancato trasferimento al
prestatore del rischio legato alla
prestazione dei servizi indica che
l'operazione in parola rappresenta un
appalto pubblico di servizi e non una
concessione di servizi (13.05.2011 - tratto
da www.ipsoa.it). |
APPALTI: Quale
procedura per la concessione di beni in
favore delle ONLUS?
Domanda.
La
concessione di beni non utilizzati per fini
istituzionali in favore delle ONLUS, sulla
base della giurisprudenza amministrativa
formatasi in materia, può avvenire con
affidamento diretto oppure è comunque sempre
necessario pubblicare un bando di gara?
Risposta.
Secondo la definizione di ONLUS contenuta
all'art. 10, D.Lgs. 04-12-1997, n. 460 le
organizzazioni non lucrative di utilità
sociale sono "le associazioni, i
comitati, le fondazioni, le società
cooperative e gli altri enti di carattere
privato, con o senza personalità giuridica"
i cui Statuti o atti costitutivi prevedano
delle condizioni, prescritte dalla stessa
norma, tali da perseguire finalità di
solidarietà sociale e l'assenza dello scopo
di lucro.
Tuttavia, la semplice configurazione di Enti
no profit non significa che la loro
attività sia posta al di fuori del mercato e
della concorrenza, così come sostenuto nella
sentenza della Corte giustizia comunità
Europee Sez. III, 29.11.2007, n. 119/2006
che rappresenta una piccola rivoluzione nel
modo di configurare i servizi sociali e il
loro impatto nel mondo concorrenziale.
Spetta pertanto alle Amministrazioni
procedenti verificare se, nel concreto, il
servizio reso da un Ente del no profit non
abbia caratteristica di impresa, in quanto
operante in un ambito nel quale non vi siano
altri soggetti operanti nello stesso campo.
In questo caso allora, ma solo in questo
caso, la concessione ai sensi dell'art. 32,
comma 1, L. 07-12-2000, n. 383 potrebbe
avvenire mediante affidamento diretto.
Laddove, invece, le prestazioni ricadano
nell'ambito dell'Allegato II A e II B del
D.Lgs. 12-04-2006, n. 163 anche gli Enti del
terzo settore operano nel mercato e dunque
dovrà farsi ricorso ai sistemi di gara
disciplinati dalle Direttive Europee e dal
Codice dei Contratti.
Sotto soglia, nella legislazione italiana, è
comunque possibile procedere ad appalti "riservati".
L'art. 52, comma 1, del Codice dei
Contratti, infatti, fa salve le norme
vigenti sulle cooperative sociali e le
imprese sociali (componenti fondamentali e
preponderanti del comparto del terzo
settore), che permettono, sotto soglia,
anche affidamenti diretti o, comunque, ad
appalti riservati esclusivamente a soggetti
del terzo settore (TAR Basilicata,
29.11.2003, n. 1022) (06.05.2011 - tratto da www.ipsoa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Responsabilità ambientale.
Inquinamento di un sito: la culpa in
vigilando comporta responsabilità penale?
Domanda.
Sono il rappresentante legale di una società
proprietaria di un sito dove è presente una
fonte di inquinamento. La culpa in
vigilando, comporta una responsabilità
penale?
Risposta.
Si, una pronuncia del TAR Piemonte (Tar
Piemonte, Sez. I - 21/07/2009, n. 2067) ha
chiarito in che modo. A fronte della
presenza di una certa fonte di inquinamento
è indiscusso ed indiscutibile che
l'amministrazione possa ordinarne la
rimozione, lo smaltimento e la riduzione in
pristino dell'area anche al proprietario, in
solido con il responsabile
dell'inquinamento, qualora in capo al primo
sia ravvisabile un profilo di dolo o di
colpa, a prescindere dalla diretta
responsabilità per l'inquinamento ovvero
l'accumulo sul luogo.
Ovviamente il profilo di colpa rilevante ai
fini per cui è causa non è necessariamente
coincidente con la commissione di un fatto
penalmente rilevante; al di là del fatto che
sia o meno ascrivibile all'amministratore
della società una fattispecie di reato per
il materiale deposito dei detriti, ben
potrebbe comunque ravvisarsi una
responsabilità colposa omissiva sotto il
profilo civilistico, non solo nel
proprietario che tollera il deposito di
materiale ignoto da parte di ignoti pure
colti sul fatto sul proprio terreno, ma
ancor di più di colui che civilisticamente
risponde del fatto illecito del proprio
ausiliario o preposto per non averne
controllato debitamente l'operato, e quindi
per culpa vuoi in eligendo vuoi in vigilando
(04.05.2011 - tratto da www.ipsoa.it). |
PUBBLICO IMPIEGO: Compensi
per lavoro straordinario elettorale.
Domanda.
Un
dipendente di Cat. D, titolare di posizione
organizzativa, può percepire compensi per
lavoro straordinario elettorale, indennità
di economato, quale economo e compensi per
il censimento della popolazione, quale
responsabile?
Risposta.
L'art. 10 del C.C.N.L. 31-03-1999, avente ad
oggetto "Retribuzione di posizione e
retribuzione di risultato", stabilisce
che: "Il trattamento economico accessorio
del personale della categoria titolare delle
posizioni di cui all'art. 8 è composto dalla
retribuzione di posizione e dalla
retribuzione di risultato. Tale trattamento
assorbe tutte le competenze accessorie e le
indennità previste dal vigente contratto
collettivo nazionale, compreso il compenso
per il lavoro straordinario, secondo la
disciplina del C.C.N.L. per il quadriennio
1998-2001".
Successivamente il C.C.N.L. del 14-09-2000,
con l'art. 39, ha stabilito che: "Gli
enti provvedono a calcolare ed acquisire le
risorse finanziarie collegate allo
straordinario per consultazioni elettorali o
referendarie anche per il personale
incaricato delle funzioni dell'area delle
posizioni organizzative di cui all'art. 8 e
ss. del C.C.N.L. del 31-03-1999. Tali
risorse vengono comunque erogate a detto
personale in coerenza con la disciplina
della retribuzione di risultato di cui
all'art. 10 dello stesso C.C.N.L. e,
comunque, in aggiunta al relativo compenso,
prescindendo dalla valutazione. Analogamente
si procede nei casi di cui all'art. 14,
comma 5, del C.C.N.L. 01-04-1999" (art.
14, comma 5, C.C.N.L. 01-04-1999: "E'
consentita la corresponsione da parte
dell'ISTAT e di altri Enti od Organismi
pubblici autorizzati per legge o per
provvedimento amministrativo, per il tramite
degli enti del comparto, di specifici
compensi al personale per le prestazioni
connesse ad indagini periodiche ed attività
di settore rese al di fuori dell'orario
ordinario di lavoro").
Pertanto, sulla base del disposto delle
normative sopra ricordate, si ritiene che ai
titolari di posizione organizzativa:
• possa essere erogato il compenso per
lavoro straordinario prestato in occasione
di consultazioni elettorali o referendarie,
di operazioni censuarie, di indagini ISTAT,
nel rispetto, comunque, del disposto
dell'art. 39 sopra citato, ovvero come somme
aggiuntive rispetto alla retribuzione di
risultato, ma che non possono superare il
valore massimo teorico della stessa, perché
altrimenti si determinerebbe un'incoerenza
nella gestione delle risorse attribuite a
questa particolare figura, in quanto si
attribuirebbero ai titolari di PO compensi
per lavoro straordinario maggiori di quelli
potenzialmente conseguibili con la
retribuzione di risultato, diminuendo quindi
le finalità di quest'ultima;
• non possa essere erogata l'indennità di
agente contabile (economo), in quanto tale
indennità, facendo parte delle indennità
previste dai contratti vigenti, è inclusa
nel trattamento omnicomprensivo di un
titolare di posizione organizzative
(27.04.2011 - tratto da www.ipsoa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Documento valutazione rischi.
Sopralluogo dei VVF per il rilascio del CPI
per una nuova unità commerciale e richiesta
del DVR.
Domanda.
Durante il sopralluogo da parte dei VVF per
il rilascio del CPI per una nuova unità
commerciale, il funzionario ha chiesto copia
del DVR.
Gli è stato fatto osservare che, essendo
l'unità appena aperta, il DVR era in fase di
elaborazione, citando, a sostegno, il comma
3-bis del D.Lgs 81/2008, così come
modificato dal D.Lgs. n. 106/09 che dice che
"In caso di costituzione di nuova
impresa, il datore di lavoro è tenuto ad
effettuare immediatamente la valutazione dei
rischi elaborando il relativo documento
entro novanta giorni dalla data di inizio
della propria attività".
Il funzionario ha replicato dicendo che, è
vero che l'unità commerciale è nuova, ma
l'azienda ha ormai cinque anni di vita e,
quindi, non si possono considerare validi i
90 giorni. Devo anche aggiungere che mentre
alcune irregolarità rilevate sono state
oggetto di verbale, per la mancanza del DVR
non ha scritto nulla.
Risposta.
Credo assolutamente rilevante il fatto che,
come si dice nel quesito, non abbia "scritto
nulla". La valutazione dei rischi
prescritta dall'art. 28 del D.Lgs. 81/08 e
s.m.i. (che contiene il comma 3-bis da lei
citato), da effettuarsi con i criteri del
successivo art. 29 può essere effettuata una
volta che l'attività è in essere in quanto
trattasi di una "valutazione" dei
rischi non di una "previsione" dei
rischi. Ecco perché il funzionario ha
chiesto il documento di valutazione dei
rischi, ma si è fermato alla richiesta
verbale.
Faccio osservare, anche se la questione non
rientra nella domanda, che l'attività di
predisposizione di una unità commerciale,
attività che spesso dura parecchio tempo,
richiede, in quanto attività, una
valutazione specifica (26.04.2011 - tratto
da www.ipsoa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Certificazione
energetica. Rogiti con certificazione
energetica: anche se manca la clausola
l'atto non è nullo.
Domanda.
Ho
uno studio di pratiche immobiliari e sto
seguendo la vicenda relativa alle
certificazioni energetiche degli edifici e
le novità che dovrebbero essere introdotte a
breve dal c.d. Decreto Rinnovabili, a
seguito della modifica dell'art. 6 del
D.Lgs. n. 192/2005. Ho sentito che bisognerà
inserire obbligatoriamente nei rogiti
(compravendita e locazione di immobili) la
clausola che impone (nuovamente) l'obbligo
di allegazione del certificato energetico,
altrimenti l'atto sarà nullo. Corrisponde al
vero tale circostanza?
Risposta.
Sembrerebbe di no. Secondo le note diffuse
dal Consiglio Nazionale del Notariato nelle
more della pubblicazione del decreto
legislativo di recepimento della direttiva
2009/28 sulla promozione dell'uso
dell'energia da fonti rinnovabili (c.d. "Decreto
Rinnovabili"), sembrerebbe che il
mancato inserimento della clausola prevista
dal nuovo comma 2-ter dell'art. 6 del D.Lgs
n. 192/2005 -comma che verrà per l'appunto
introdotto a seguito della imminente
pubblicazione in GU del "Decreto
Rinnovabili"- non dovrebbe portare alla
nullità del contratto.
Sul punto, comunque, il Consiglio rimanda ad
un successivo studio per un maggior
approfondimento di tale aspetto.
Il Governo aveva reso noto che la nuova
norma risponde all'esigenza di far fronte
all'apertura di una procedura di infrazione
a carico dell'Italia. Il nostro paese,
infatti, aveva in un primo tempo previsto,
con i commi 3 e 4 dell'art. 6 e i commi 8 e
9 dell'art. 15 del D.Lgs. n. 192/2005,
l'obbligo di allegazione dell'attestato di
qualificazione energetica agli "atti di
trasferimento a titolo oneroso" (e la
messa a disposizione nel caso di locazione),
prevedendo anche le rispettive sanzioni di
nullità. Successivamente, con l'art. 35
comma 2-bis della L. n. 133/2008, aveva
abrogato tali commi.
Poi, a seguito dell'infrazione comunitaria,
decideva di inserire di nuovo tale
previsione nell'ambito del citato Decreto
Rinnovabili, cioè il decreto legislativo di
"Attuazione della direttiva 2009/28/CE
sulla promozione dell'uso dell'energia da
fonti rinnovabili, recante modifica e
successiva abrogazione delle direttive
2001/77/CE e 2003/30/CE".
In realtà le nuove norme che più potrebbe
interessare la materia di cui lei si occupa
sono due e cioè il comma 2-ter e il comma
2-quater all'art. 6 del D.Lgs. n. 192/2005 i
quali dispongono, rispettivamente:
- l'inserimento, nei contratti di
compravendita/locazione di una "apposita
clausola" con cui si dà atto di aver
ricevuto le informazioni e la documentazione
relativa alla certificazione energetica
degli edifici [comma 2-ter];
- che a partire dall'01.01.2012 gli annunci
commerciali di vendita di edifici o di
singole unità immobiliari indichino l'indice
di prestazione energetica che è contenuto
nell'attestato di Certificazione Energetica
(ACE) [comma 2-quater]; Orbene, più in
particolare, il nuovo comma 2-ter dell'art.
6 del D.Lgs n. 192/2005 prevederà che: "Nei
contratti di compravendita o di locazione di
edifici o di singole unità immobiliari deve
essere inserita apposita clausola con la
quale l'acquirente o il conduttore danno
atto di aver ricevuto le informazioni e la
documentazione in ordine alla certificazione
energetica degli edifici".
Sul punto, secondo il Consiglio del
Notariato "pur essendo formalmente
sufficiente la pura e semplice (formale)
riproduzione delle parole usate dal
legislatore, la migliore e più corretta
interpretazione della normativa (in senso
sostanziale) suggerisce di inserire nella
clausola specifici riferimenti alla
documentazione consegnata (numeri di
identificazione, data, autore dell'ACE;
riferimenti ricognitivi
dell'autodichiarazione, se trasmessa
all'acquirente in un momento anteriore al
rogito)".
Ulteriormente, venendo più da vicino alla
questione delle eventuali sanzioni che
scatterebbero per il mancato inserimento,
nel contratto, dell'"apposita clausola",
il Consiglio scrive che "Su questo punto
non è possibile, in queste prime note,
fornire una risposta esauriente e
adeguatamente motivata.
La Commissione Civilistica dell'Ufficio
Studi ha già iniziato una riflessione che
porterà, nelle prossime settimane,
all'emanazione di uno studio. E' solo
possibile accennare ad una riflessione
critica sulla tesi della nullità, apparsa
nei giorni scorsi in alcuni articoli della
stampa specializzata, che in base all'art.
1418 c.c. si realizza nei casi in cui la
legge non dispone diversamente".
Il riferimento, qui, è per l'appunto
all'opinione espressa da alcuni commentatori
che avrebbero reputato che in caso di
mancata osservanza della disposizione
potesse configurarsi una ipotesi di una
nullità dell'atto, accordando alla norma,
sotto tale profilo, una natura inderogabile,
finalizzata cioè alla tutela di interessi di
natura pubblica e non di interessi
dell'acquirente.
Il Consiglio, in definitiva, non sembra
optare l'interpretazione della nullità del
contratto ma si dovrà attendere il suo nuovo
studio per conoscere e comprendere meglio le
sue argomentazioni (14.04.2011 - tratto da www.ipsoa.it). |
CORTE DEI
CONTI |
ENTI LOCALI:
Nella spesa del personale anche
le società partecipate.
I VINCOLI IGNORATI - La mancanza di un
quadro normativo preciso spinge più alla
soluzione dei problemi contingenti che al
contenimento dei costi.
Il rebus delle spese di personale delle
società degli enti locali rappresenta una
vera e propria mina vagante.
Secondo un orientamento consolidato della
Corte dei Conti la spesa di personale
sostenuta dalle società partecipate deve
essere considerata insieme a quella
sostenuta dagli enti.
Il tema è stato
rilanciato dalle sezioni riunite con il
parere
12.05.2011 n. 27 secondo il quale nella
quantificazione della spesa di personale non
si devono considerare solo quelle contenute
nell'intervento I in quanto «non può essere
sottaciuto» che la modalità di gestione dei
servizi e quindi i processi di
esternalizzazione incidono in modo
sostanziale: limitarsi al bilancio dell'ente
può risultare non equo.
In caso contrario si incentiverebbe un
progressivo affidamento all'esterno dei
servizi con finalità sostanzialmente elusive
dei vincoli di finanza pubblica. Per questo
si rende «necessario accedere ad una nozione
più ampia di spesa di personale, che vada
oltre la rappresentazione in bilancio e
tenga conto (…) della spesa del personale
impiegato in organismi esterni». Questi
concetti non devono essere applicati solo
alla riduzione della spesa di personale ma
anche al rapporto tra spesa di personale e
spesa corrente.
Sempre rimanendo nell'ambito delle sezioni
riunite, concetti del tutto analoghi sono
contenuti nella
delibera 25.01.2011 n. 3 in materia di
Unioni di Comuni, Comunità montane e
Consorzi. Per quanto attiene alle società in
house a totale capitale pubblico, basta
citare la Corte dei Conti Campania (parere
08.02.2011 n. 98) quando ribadisce che «sono da
considerarsi sostenute direttamente
dall'ente locale le spese di personale
iscritte nel bilancio della società pubblica
in house, tanto nel caso di partecipazione
unica totalitaria, quanto nel caso di
compartecipazione plurisoggettiva».
La sostanziale assenza di un quadro
normativo preciso "legittima" gli enti ad
adottare comportamenti più inclini alla
soluzione dei problemi contingenti correlati
alla gestione dei servizi che non alle
osservazioni degli organi di controllo,
anche se la partita è decisiva perché il
mancato rispetto dei vincoli sul personale
blocca le assunzioni e le integrazioni del
fondo. Evidentemente la variabile "società
partecipate" è decisiva (articolo
Il Sole 24 Ore del 23.05.2011 -
tratto da www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO:
La formazione finanziata da
esterni dribbla i vincoli.
L'AUSPICIO - Utile la definizione del
contesto normativo dopo che sull'argomento
sono intervenute pronunce dei giudici
contabili.
Le spese relative all'attività formativa
interamente finanziate con contributi
esterni non sono assoggettate ai vincoli
imposti dall'articolo 6, comma 13, del Dl
78/10 convertito nella legge 122/2010, ai
sensi del quale –a decorrere dal 2011– la
spesa annua sostenuta dalle amministrazioni
pubbliche per attività esclusivamente di
formazione deve essere non superiore al 50
per cento della spesa sostenuta nel 2009.
Questo importante principio viene sostenuto
dalla sezione regionale di controllo della
Corte dei Conti del Piemonte che, nel
parere 11.05.2011 n. 55, richiama l'autorevole
parere espresso dalle sezioni riunite
(delibera
07.02.2011 n. 7) in riferimento ai
limiti di spesa in materia di studi e
consulenze.
Laddove inserite in un organico quadro
programmatorio, le spese in questione sono
infatti finalizzate a incrementare le
competenze e le conoscenze dell'ente locale.
Non vi sarebbe dunque ragione di
assoggettare ai tagli imposti dalla manovra
2010 le uscite finanziate a carico di
soggetti terzi, pubblici o privati.
Spetterà a ciascuna amministrazione,
sostengono poi i magistrati contabili,
operare un'attenta valutazione circa la
possibilità di dar seguito o meno alle
obbligazioni precedentemente assunte per
attività formative, avendo riguardo sia alla
compatibilità delle spese rispetto ai
vincoli finanziari, sia alla loro
essenzialità rispetto alle finalità
dell'ente.
Parere analogo, in tema di
esclusione di spese finanziate da terzi, è
stato espresso anche dalla sezione di
controllo della Toscana nel
parere
06.04.2011 n.
28, con la quale viene fornita
un'indagine conoscitiva organica in tema di
collaborazioni autonome e di incarichi
esterni.
In un'ottica di armonizzazione delle regole
di finanza pubblica, e allo scopo di fornire
un quadro sistematico dei vincoli cui
assoggettare i bilanci locali, sarebbe
dunque auspicabile un'interpretazione
univoca, che tenesse conto dei principi
espressi su tutte le tipologie di spesa
soggette ai tagli dell'articolo 6 del Dl
78/2010 (studi e consulenze, formazione,
missioni, spese di rappresentanza e
relazioni pubbliche, mostre, pubblicità,
convegni e spese per autovetture).
Poiché la violazione delle disposizioni
contenute nell'articolo in questione
costituisce talvolta illecito disciplinare e
determina responsabilità erariale a carico
del funzionario che dà avvio al processo di
spesa, la definizione del contesto normativo
di riferimento appare quanto mai opportuna (articolo
Il Sole 24 Ore del 23.05.2011 -
tratto da www.corteconti.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Dirigenti, turn-over bloccato. I
tetti agli incarichi non permettono il
rinnovo a molte giunte uscite dal voto.
ALLA SCADENZA - Nel breve periodo si possono
affidare ad interim, a medio termine è
necessario rivedere la struttura.
Negli enti locali, i dirigenti a contratto
sono diventati merce scottante: da un lato
possono rappresentare, a seguito dei pareri
della Corte dei Conti, personale in
eccedenza, dall'altro, per effetto della
nuova tornata elettorale, sono figure
ricercate.
Si riassume così la situazione
dei dirigenti assunti sulla base
dell'articolo 110, comma 1, del Tuel. È
vero, infatti, che le pronunce delle sezioni
riunite della Corte hanno buttato nello
scompiglio le diverse Amministrazioni nelle
quali si era proceduto alla nomina dei
dirigenti a tempo determinato dopo l'entrata
in vigore del Dlgs 150/2009. I giudici
contabili hanno affermato, infatti, (pareri
n. 12, 13 e 14 del 2011) che anche alle
autonomie locali si applica il limite della
riforma Brunetta, e, quindi, i dirigenti a
contratto non possono superare l'8% dei
posti di qualifica dirigenziale previsti in
dotazione organica.
Sulla sorte dei dirigenti nominati in
eccesso rispetto a questo limite, soccorrono
i chiarimenti forniti -sempre dalla Corte
dei Conti- ma sezione regionale del
Piemonte (parere
29.04.2011 n. 52), secondo la
quale conservano efficacia, fino a scadenza,
i contratti individuali di lavoro
sottoscritti prima del 15.11.2009,
data di entrata in vigore della riforma, ma
non possono essere rinnovati. Per quelli
sottoscritti successivamente, la Corte
evidenzia come, avendo le pronunce degli
stessi giudici contabili valore
interpretativo, i contratti non potevano
essere stipulati e quindi risultano
sottoscritti in violazione a norme
imperative di legge.
Nelle amministrazioni dove si è proceduto al
rinnovo del Sindaco o del Presidente si è di
fronte al problema diametralmente opposto.
Con la cessazione delle precedenti
amministrazioni sono venuti meno i vecchi
incarichi ex articolo 110 del Dlgs 267/2000.
In alcuni enti questi incarichi sono in
numero esiguo, ma in altri rappresentano una
quantità molto elevata rispetto al complesso
dei dirigenti presenti. Stante i limiti
imposti dal Dlgs 150/2009,
nell'interpretazione fornita dalla Corte dei
Conti, nella impossibilità di superare la
soglia dell'8%, in molti casi non risulta
possibile sostituire integralmente i
dirigenti cessati.
E la situazione potrebbe risultare ancora
più difficile se anche queste tipologie di
assunzioni
dovessero rientrare in quel limite del 20%
della spesa corrispondente alle cessazioni
intervenute nell'anno precedente, previsto
dall'articolo 14, comma 9, del Dl 78/2010,
così come sembra delinearsi dalle
interpretazioni fornite da alcuni giudici
contabili (Piemonte,
parere
09.02.2011 n. 6,
Lombardia,
parere
31.03.2011 n. 167, Emilia Romagna,
parere
24.03.2011 n. 14 - contrario Campania,
parere 27.04.2011 n. 246). La struttura deve affrontare, di
conseguenza, una grave crisi organizzativa
in quanto mancante di un'importante fetta
della direzione.
Nel brevissimo periodo, si può far fronte a
questa situazione affidando degli incarichi
ad interim ai dirigenti a tempo
indeterminato, ma nel medio termine,
l'amministrazione è costretta a una
rivisitazione della propria macrostruttura
sulla base del personale dirigente presente
e non, come si dovrebbe, fondando le proprie
scelte sugli obiettivi che ha posto a base
del mandato politico.
Perciò, parecchi sono
i dubbi sulla legittimità di queste norme:
da un lato, è vero che tali disposizioni
sono misure comunque volte al coordinamento
della finanza pubblica, dall'altra incidono
in maniera pesante su quella autonomia
riconosciuta agli enti locali dall'articolo
114 della Costituzione (articolo
Il Sole 24 Ore del 23.05.2011 -
tratto da www.corteconti.it). |
PUBBLICO IMPIEGO: Un
tetto per i dirigenti a termine. Le
assunzioni devono restare entro il limite
del 20%. In caso contrario verrebbe aggirata
la legge. Senza dimenticare i risparmi
imposti dal dl 78.
Le assunzioni di
dirigenti a contratto degli enti locali
debbono restare entro il limite del 20% del
costo del personale cessato l'anno
precedente. L'applicazione dell'articolo 19,
comma 6, del dlgs 165/2001 anche
nell'ordinamento locale, al posto
dell'articolo 110, comma 1, del dlgs
267/2000 (da considerare certamente
abrogato, nonostante l'avviso diverso, ma
non condivisibile, espresso dalle sezioni
riunite della Corte dei conti con i pareri
12, 13 e 14 del 2011) impone di contenere le
assunzioni a contratto nella soglia di
spesa, fissata dall'articolo 14, comma 9,
della legge 122/2010.
La disposizione in esame, che consente agli
enti soggetti al patto di assumere nuovi
dipendenti esclusivamente entro il tetto di
spesa del 20% delle cessazioni degli anni
precedenti, non si applica con ogni evidenza
alle assunzioni a tempo determinato.
I contrari avvisi espressi, in tal senso,
dalla Corte dei conti, sezione regionale di
controllo della Lombardia col
parere
31.03.2011 n. 167 e dalla sezione
regionale di controllo dell'Emilia Romagna,
col
parere 24.03.2011 n. 14, sono già
stati smentiti dalle sezioni riunite, con la
delibera 04.04.2011 n. 20.
In apparenza, allora, anche i contratti di
lavoro a tempo determinato per i dirigenti
dovrebbero sfuggire al tetto di spesa. A
meglio guardare, tuttavia, le cose non
stanno così.
L'articolo 19, comma 6, del dlgs 165/2001,
così come del resto l'articolo 110, comma 1,
del dlgs 267/2000, consentono alle
amministrazioni di assumere dirigenti a
tempo determinato non di ruolo nel limite
dell'8% della dotazione organica. In altre
parole, la norma consente di coprire l'8%
dei posti della dotazione organica con
rapporti a tempo determinato.
Si tratta di una deroga normativa alla
regola che, invece, impone di coprire i
posti di ruolo, quelli previsti dalla
dotazione organica, esclusivamente con
contratti di lavoro a tempo indeterminato,
come chiarisce senza ombra di dubbio
l'articolo 36, comma 1, del dlgs 165/2001.
La norma sulla dirigenza a contratto
costituisce, dunque, una specificità
dell'ordinamento, da cui discende la
possibilità di assumere dirigenti a tempo
determinato, non occorrendo allo scopo la
ricorrenza delle condizioni previste
dall'articolo 1, comma 3, del dlgs 368/2001,
cioè la comprovata presenza di ragioni di
carattere tecnico, produttivo, organizzativo
o sostitutivo. V'è un'ulteriore deroga: le
assunzioni di dirigenti a contratto vanno a
coprire, appunto, posti vacanti della
dotazione, mentre tutte le assunzioni a
tempo determinato, proprio perché sorrette
dalle ragioni temporanee imposte dalla
legge, sono necessariamente extra dotazione.
Insomma, l'ente invece di assumere un
dirigente in ruolo, può assumerlo a tempo
determinato. Ma, il dirigente a contratto va
a coprire un posto che se assegnato ad un
dirigente reclutato a tempo indeterminato,
certamente rientrerebbe nel limite del 20%
del costo delle assunzioni dell'anno
precedente.
Allora, in questo caso, escludere le
assunzioni di dirigenti a contratto dal
computo del 20% sarebbe un modo per eludere
la legge, non coerente con la normativa
derogatoria, che consente di acquisire
dirigenti a tempo determinato a copertura
della dotazione organica.
Potrebbero uscire dal computo le assunzioni
di dirigenti extra dotazione organica,
previste dall'articolo 110, comma 2, del
dlgs 267/2000, ritenuto, non
condivisibilmente, ancora vigente dalla
magistratura contabile. In ogni caso, ai
sensi dell'articolo 1, comma 557, della
legge 296/2006 come novellato dalla manovra
economica 2010, il numero ed il costo dei
dirigenti deve necessariamente diminuire,
insieme con la riduzione del ricorso ai
contratti flessibili. Risulta, pertanto,
evidente come gli enti locali, per effetto
della combinazione delle varie disposizioni
viste prima, debbono necessariamente ridurre
da subito il ricorso alla dirigenza a
contratto
(articolo
ItaliaOggi del 27.05.2011 - tratto da
www.corteconti.it). |
INCENTIVO PROGETTAZIONE:
Richiesta di parere del Comune di Tortona
circa l’individuazione del soggetto
(dipendente o datore di lavoro) sul quale
grava il pagamento degli oneri riflessi
relativi agli incentivi per l’attività di
progettazione, previsti dall’art. 18 L. n.
109/1994 e, ora, dall’art. 92 D.Lgs. n.
163/2006 (c.d. Codice degli appalti
pubblici).
Sulla questione del computo dell’Irap, al
pari degli “oneri riflessi”, nella
determinazione dei compensi incentivanti
spettanti ai tecnici delle amministrazioni
pubbliche, questa Sezione si è già
pronunciata con il
parere 08.07.2010 n. 48,
recependo quanto espresso da questa stessa
Corte a Sezioni riunite con la nota
delibera 30.06.2010 n. 33,
pronuncia di orientamento generale cui le
Sezioni regionali della Corte si conformano
ai sensi dell’art. 17 D.L. n. 78/2009 conv.
in L. n. 102/2009 (Corte dei Conti, Sez.
controllo del Piemonte,
parere 01.04.2011 n. 41). |
ENTI LOCALI:
Gli enti locali con popolazione
inferiore ai 30.000 abitanti non possono, in
via generale, procedere alla costituzione di
società di capitali.
Il comma 32 dell’art. 14 del d.l. n. 78 del
2010 prevede testualmente che “fermo
quanto previsto dall'art. 3, commi 27, 28 e
29, della legge 24.12.2007, n. 244, i Comuni
con popolazione inferiore a 30.000 abitanti
non possono costituire società” e che
entro il 31.12.2011 gli enti mettono in
liquidazione le società già costituite alla
data di entrata in vigore del decreto,
ovvero ne cedono le partecipazioni.
La norma precisa che il divieto non si
applica ai comuni che costituiscano società
con “partecipazione paritaria ovvero con
partecipazione proporzionale al numero degli
abitanti, costituite da più comuni la cui
popolazione complessiva superi i 30.000
abitanti” e che i comuni con popolazione
compresa tra 30.000 e 50.000 abitanti
possono detenere la partecipazione di una
sola società, anche in questo caso
stabilendo l’onere di mettere in
liquidazione le altre società già
costituite, sempre entro il 31.12.2011.
La norma, che pone precisi limiti numerici
alla costituzione di società partecipate
dagli enti locali sulla base del dato
dimensionale dell’ente locale individuato
dalla popolazione residente, si inserisce,
per espresso richiamo, nell’attuale quadro
normativo vigente di cui all’art. 3, commi
27, 28 e 29, della legge n. 244 del 2007
(legge finanziaria 2008), che ha introdotto
precisi limiti concernenti l’utilizzo dello
strumento societario.
La legge n. 244 del 2007 prevede al riguardo
che le amministrazioni pubbliche non possano
procedere alla costituzione di nuove società
che abbiano “per oggetto la produzione di
beni e di servizi non strettamente necessari
per il perseguimento delle proprie finalità
istituzionali”, mentre è sempre ammessa
“la costituzione di società che producono
servizi di interesse generale” (art. 3,
comma 27), finalità questa il cui
accertamento è espressamente demandato
all’ente che deve effettuare la necessaria
verifica prima di procedere alla
costituzione della società (art. 3, comma
28).
Sulla lettura coordinata dell’art. 14, comma
32, del d.l. n. 78 del 2010 con la
disciplina recata dall’art. 3, commi 27, 28
e 29, della legge n. 244 del 2007 si è già
ripetutamente espressa, in sede consultiva,
la Sezione regionale di controllo per la
Lombardia.
Nel parere reso con la deliberazione n.
861/2010/PAR, cui hanno fatto seguito
analoghi pareri resi dalla medesima Sezione
con le deliberazioni n. 952/2010/PAR e
959/2010/PAR, la Sezione Lombardia,
nell’affermare che le due norme innanzi
richiamate operano su piani diversi, l’una
(art. 3, comma 27, della legge n. 244 del
2007) su quello delle finalità e degli scopi
che l’ente può raggiungere con la
partecipazione societaria, l’altra (art. 14,
comma 32, del d.l. n. 78 del 2010) sul piano
numerico ed operativo, prevedendo
quest’ultima che, in ogni caso, ciascun ente
non possa detenere un numero di
partecipazioni superiore a quello previsto
dalla norma, ha espressamente escluso una
lettura dell’art. 14, comma 32, del d.l. n.
78 del 2010 nel senso cui lo stesso Comune
di Bordighera farebbe riferimento. Ritiene,
infatti, la Sezione regionale di controllo
per la Lombardia che interpretare la norma
nel senso che la stessa limiterebbe ma non
vieterebbe la possibilità per gli enti
locali, anche con popolazione inferiore a
30.000 abitanti, di costituire società di
capitali semplicemente sulla base del fatto
che la norma medesima avrebbe fatto salva la
previsione contenuta nell’art. 3, comma 27,
della legge n. 244 del 2007, secondo cui
sarebbe sempre ammessa la costituzione di
società che producono servizi di interesse
generale, significherebbe per il legislatore
avere posto una norma contraddittoria “perché
già l’art. 3, co. 27 ha imposto la
limitazione dell’uso dello strumento
societario correlandolo alle finalità
dell’ente. In sostanza, saremmo in presenza
di una disposizione contraddittoria e, nella
sostanza, priva di rilievo poiché i Comuni
con popolazione inferiore ai 50.000 abitanti
potrebbero continuare a costituire … società
purché riconoscano la finalità disciplinata
dall’art. 3, co. 27”.
Pertanto, il Collegio ritiene di potere
aderire all’indirizzo interpretativo
espresso dalla Sezione regionale di
controllo per la Lombardia, va dunque
affermato che a seguito dell’entrata in
vigore dell’art. 14, comma 32, del d.l. n.
78 del 2010 gli enti locali con popolazione
inferiore ai 30.000 abitanti non possono in
via generale procedere alla costituzione di
società di capitali (commento tratto da
www.entilocali.provincia.le.it - Corte dei
Conti, Sez. controllo Liguria,
parere 31.12.2010 n. 166). |
INCARICHI PROFESSIONALI -
PUBBLICO IMPIEGO: Comune
di San Giorgio Jonico (TA) - Il Sindaco
chiede il parere di questa Corte in
ordine all’ambito applicativo della norma
dell’art. 25 della legge n. 724 del
23.12.1994; chiede cioè se il divieto -ivi
previsto- di conferimento di incarichi di
consulenza, collaborazione, studio e ricerca
per chi abbia cessato volontariamente dal
servizio a determinate condizioni (privo del
requisito previsto per il pensionamento per
vecchiaia, ma in presenza di quello per la
pensione anticipata di anzianità), da parte
dell’amministrazione di provenienza, si
riferisca solo ai rapporti di consulenza
oppure sia da applicarsi anche ai casi di “incarichi
a contratto ex art. 110, comma 2, TUEL”.
---------------
Con riferimento agli
“incarichi a contratto ex art. 110, comma 2,
TUEL” la norma citata è da disapplicare alla
luce dell’intervenuta modifica dell’art. 19
D.Lgs. n. 165/2001 da parte dell’art. 40
D.Lgs. n. 150/2009.
Gli incarichi “a contratto” possono essere
conferiti dagli enti locali esclusivamente
ai sensi dell’art. 19, commi 6 e 6-ter, del
D.Lgs. 165/2001, con relativa necessità di
una procedura comparativa volta alla
selezione del destinatario dell’incarico.
La ratio della norma di divieto di cui alla
legge n. 724/1994 è da ravvisarsi in un
duplice obiettivo: da una parte,
salvaguardare l’imparzialità e la
trasparenza nel conferimento degli
incarichi, atteso che è proprio nel
particolare caso di ex dipendenti
dell’amministrazione che tali esigenze si
pongono in modo più pressante; dall’altra,
garantire risparmi di spesa, impedendo il
cumulo tra pensione e retribuzione.
Orbene, il primo dei due obiettivi –al cui
perseguimento contribuiscono oggi
l’implicita abrogazione dell’art. 110 TUEL e
la previsione, ai sensi dell’intervenuta
novella del corrente anno, dell’obbligo di
procedura comparativa (art. 19, comma 1-bis,
D.Lgs. n. 165 nuovo testo) e di sostanziali
restrizioni quantitative di utilizzo
dell’istituto (art. 19, comma 6)– è
realizzato dalla norma in esame nel senso di
seguito esposto. E’ la stessa Corte
Costituzionale, supremo giudice delle leggi,
che ha avuto modo di chiarire come “la
disposizione tende ad arginare il fenomeno
di dimissioni accompagnate da incarichi ad
ex dipendenti, sì da garantire la piena ed
effettiva trasparenza e la imparzialità
dell'azione amministrativa” (sentenza n.
406/1995).
Nel contesto dell'art. 25 della legge n.
724/1994, dunque, la “trasparenza” e
l'“imparzialità” passano da attributi
generali dell’azione amministrativa a
specifici beni-valori da tutelare, in
relazione agli abusi intrinsecamente
presenti nel conferimento di incarichi a
chi, già dipendente dall'Amministrazione che
attribuisce gli incarichi stessi, ha
volontariamente posto fine al suo rapporto
di servizio con l’Amministrazione medesima,
così manifestando un chiaro disinteresse
all’espletamento di ulteriori attività
lavorativa con essa (Corte Conti, Sezione
Giurisdizionale Umbria, n. 235/2006).
Risulterebbe infatti contraddittorio, e
perciò in contrasto con i canoni di
giustificatezza e ragionevolezza che
presiedono alla trasparenza ed
all'imparzialità amministrativa, ex artt. 3
e 97 della Costituzione, affidare incarichi
ai dipendenti pubblici che volontariamente
cessino dal servizio, dimostrando così di
non volere più prestare il proprio operato a
vantaggio della loro ex Amministrazione di
appartenenza. E’ evidente infatti
l'irrazionalità, anche economica, del
conferimento di un incarico in simili
condizioni, ove si consideri che l’attività
commissionata con l’incarico stesso sarebbe
stata remunerata con il solo stipendio, se
il dipendente fosse rimasto ancora in
servizio, laddove -dopo le dimissioni- il
compenso per il ripetuto incarico si
aggiunge alla pensione, ossia alla
“retribuzione differita” dall’ex dipendente
medesimo, con un sensibile aumento dei costi
complessivi generali e, soprattutto, senza
assicurare una nuova professionalità di
ricambio, alla conclusione dell’incarico.
... il riferimento contenuto nel quesito
agli “incarichi a contratto ex art. 110,
comma 2, TUEL” è da considerare
improprio alla luce dell’interpretazione,
già sostenuta da questa Sezione, secondo la
quale la norma citata è da disapplicare alla
luce dell’intervenuta modifica dell’art. 19
D.Lgs. n. 165/2001 da parte dell’art. 40
D.Lgs. n. 150/2009.
I commi 1 e 2 dell’art. 110 TUEL risultano
non più applicabili, in quanto incompatibili
con la cd. riforma Brunetta e con una
lettura costituzionalmente orientata delle
norme, come riformulate.
Le tesi contrarie, basate essenzialmente sui
due elementi della “specialità”
dell’art. 110 e della “clausola di
rafforzamento” contenuta nell’art. 1,
comma 4, dello stesso TUEL, sono così state
sconfessate (parere
17.06.2010 n. 44 Sezione Regionale di
Controllo Puglia). Ne consegue che gli
incarichi “a contratto” possono
essere conferiti dagli enti locali
esclusivamente ai sensi dell’art. 19, commi
6 e 6-ter, del D.Lgs. 165/2001 (Corte
Costituzionale, sentenza 12.11.2010 n. 324),
con relativa necessità di una procedura
comparativa volta alla selezione del
destinatario dell’incarico.
La tendenza del legislatore in questi ultimi
anni, infatti, procede nel senso della
creazione di un assetto della dirigenza
pubblica prevalentemente fondato su rapporti
di lavoro a tempo indeterminato ai quali si
acceda mediante pubblica procedura
selettiva, con conseguente restrizione degli
spazi riservati ai contratti a termine,
specie se conferiti sulla base di elementi
di fiduciarietà.
Tale volontà tendenziale è desumibile anche
dalla riduzione delle quote percentuali di
dotazione organica entro cui è possibile il
conferimento degli incarichi, come previsto
dalla legge delega n. 15/2009 (poi sfociata
nel D.Lgs. n. 150/2010) rispetto alla
normativa previgente.
Occorre a questo punto, al fine di risolvere
la questione sottoposta all’odierna analisi,
interrogarsi sull’effettiva natura dei cd. “incarichi
a contratto” di cui all’art. 110 TUEL.
Tale norma dispone che l'affidamento degli
incarichi da parte degli enti locali possa
avvenire con contratto a tempo determinato
di diritto pubblico o, eccezionalmente e con
deliberazione motivata, con contratto di
diritto privato, purché il soggetto
incaricato disponga dei requisiti necessari
per la copertura della qualifica
professionale cui è destinato.
Detti incarichi, attribuiti al di fuori
della dotazione organica per espressa
previsione di legge, non possono avere
durata superiore al mandato elettorale del
sindaco. La specifica natura dei rapporti di
lavoro che ne derivano (chiarita anche dalla
rubrica della norma), è contrattuale; essi
non danno infatti diritto all'inserimento
nella dotazione organica
dell'amministrazione conferente, bensì
comportano l'affiancamento, alla dirigenza
di ruolo, di dirigenti non di ruolo, con
incarichi specifici e a tempo determinato.
Che si tratti poi di rapporti di lavoro
subordinato, è desumibile dal fatto che i
dirigenti o i responsabili di servizio,
destinatari della norma, risultano
sottoposti alle direttive degli organi
politici, elemento che contraddistingue,
congiuntamente ad altri indici sintomatici
-quali ed esempio l’essere oggetto della
prestazione una obbligazione di risultati e
non di mezzi- proprio il rapporto di lavoro
subordinato.
Sotto questo profilo tali incarichi si
differenziano dai contratti d'opera
professionale, nei quali, al contrario, non
è presente alcuna soggezione alle direttive
del committente, né vi è obbligazione di
risultato, bensì di mezzi, in quanto il
professionista svolge il suo operato
fornendo al committente un’opera o un
servizio verso un corrispettivo.
Ora, ad avviso della scrivente Sezione, la
ratio della norma di divieto di cui
alla legge n. 724/1994 è da ravvisarsi in un
duplice obiettivo: da una parte,
salvaguardare l’imparzialità e la
trasparenza nel conferimento degli
incarichi, atteso che è proprio nel
particolare caso di ex dipendenti
dell’amministrazione che tali esigenze si
pongono in modo più pressante; dall’altra,
garantire risparmi di spesa, impedendo il
cumulo tra pensione e retribuzione.
Orbene, il primo dei due obiettivi –al cui
perseguimento contribuiscono oggi
l’implicita abrogazione dell’art. 110 TUEL e
la previsione, ai sensi dell’intervenuta
novella del corrente anno, dell’obbligo di
procedura comparativa (art. 19, comma 1-bis,
D.Lgs. n. 165 nuovo testo) e di sostanziali
restrizioni quantitative di utilizzo
dell’istituto (art. 19, comma 6)– è
realizzato dalla norma in esame nel senso di
seguito esposto. E’ la stessa Corte
Costituzionale, supremo giudice delle leggi,
che ha avuto modo di chiarire come “la
disposizione tende ad arginare il fenomeno
di dimissioni accompagnate da incarichi ad
ex dipendenti, sì da garantire la piena ed
effettiva trasparenza e la imparzialità
dell'azione amministrativa” (sentenza n.
406/1995).
Nel contesto dell'art. 25 della legge n.
724/1994, dunque, la “trasparenza” e
l'“imparzialità” passano da attributi
generali dell’azione amministrativa a
specifici beni-valori da tutelare, in
relazione agli abusi intrinsecamente
presenti nel conferimento di incarichi a
chi, già dipendente dall'Amministrazione che
attribuisce gli incarichi stessi, ha
volontariamente posto fine al suo rapporto
di servizio con l’Amministrazione medesima,
così manifestando un chiaro disinteresse
all’espletamento di ulteriori attività
lavorativa con essa (Corte Conti, Sezione
Giurisdizionale Umbria, n. 235/2006).
Risulterebbe infatti contraddittorio, e
perciò in contrasto con i canoni di
giustificatezza e ragionevolezza che
presiedono alla trasparenza ed
all'imparzialità amministrativa, ex artt. 3
e 97 della Costituzione, affidare incarichi
ai dipendenti pubblici che volontariamente
cessino dal servizio, dimostrando così di
non volere più prestare il proprio operato a
vantaggio della loro ex Amministrazione di
appartenenza. E’ evidente infatti
l'irrazionalità, anche economica, del
conferimento di un incarico in simili
condizioni, ove si consideri che l’attività
commissionata con l’incarico stesso sarebbe
stata remunerata con il solo stipendio, se
il dipendente fosse rimasto ancora in
servizio, laddove -dopo le dimissioni- il
compenso per il ripetuto incarico si
aggiunge alla pensione, ossia alla “retribuzione
differita” dall’ex dipendente medesimo,
con un sensibile aumento dei costi
complessivi generali e, soprattutto, senza
assicurare una nuova professionalità di
ricambio, alla conclusione dell’incarico.
Così individuati la ratio, le
finalità e l’oggetto specifico della tutela
del “divieto” posto dall'art. 25
della legge n. 724/1994, è evidente che esso
copre ogni forma di incarico, e non solo
quelli di consulenza in senso stretto.
D’altronde se, ai fini di una diversa
conclusione, può indurre a dubbi
l'intestazione dell'art. 25, che menziona
solo gli “incarichi di consulenza”,
la lettera della norma, alla luce
dell’indagine appena tratteggiata circa
l’intento del legislatore, induce a
ritenere, ad avviso di questa Sezione, che
essa sia da riferirsi oltre che agli “incarichi
di consulenza, studio e ricerca”, anche
a quelli che danno luogo ad un rapporto di
lavoro subordinato (Corte dei Conti, Sez.
regionale di controllo Puglia,
parere 15.12.2010 n. 167). |
INCENTIVO PROGETTAZIONE: Incentivi
per la progettazione. Determinazione al
lordo di tutti gli oneri accessori.
Assoggettamento all'IRAP.
Tutti gli oneri accessori di cui all’art.
12, comma I, L.R. n. 5/2007 della Sardegna
non includono gli oneri fiscali quali l’IRAP
che restano a carico esclusivo dell’Ente-datore
di lavoro e che potranno trovare copertura
all’interno del quadro economico
dell’intervento.
La L.R. n. 5/2007 disciplinante in Sardegna
le procedure di aggiudicazione degli appalti
pubblici di lavori, forniture e servizi
prevede, all’art. 12, comma I, che una somma
non superiore al 2% dell’importo posto a
base della gara sia ripartita tra il
responsabile unico del procedimento e i
dipendenti interni incaricati della
progettazione, della direzione dei lavori,
del piano di sicurezza, del collaudo nonché
tra i loro collaboratori. La norma in
questione precisa, inoltre, che la
percentuale effettiva, entro la misura
massima sopra indicata, deve essere
determinata al lordo di tutti gli oneri
accessori connessi all’erogazione, compresa
la quota a carico dell’amministrazione
erogante.
La questione da affrontare è, dunque, quella
di verificare se tra i predetti oneri
accessori connessi all’erogazione debba
essere ricompresa anche l’IRAP dovuta
dall’Ente.
Il presupposto impositivo dell’IRAP si
realizza in capo all’Ente tenuto ad erogare
il compenso al lavoratore dipendente: è
l’Ente il soggetto passivo dell’imposta cioè
colui che, in quanto titolare di
un’organizzazione diretta alla produzione o
allo scambio di beni ovvero alla prestazione
di servizi, è tenuto a concorrere alle spese
pubbliche ai fini di detto tributo (cfr.
D.Lgs. n. 446/1997).
Conseguentemente, l’onere fiscale in
questione non può gravare sul lavoratore
dipendente in relazione ai compensi in esame
di cui è pacifica la natura retributiva
(cfr. Corte dei Conti Sez. Aut. n. 7/2009/QMIG).
In caso contrario si verificherebbe,
infatti, un’anomala ipotesi di rivalsa da
parte del soggetto passivo individuato ex
lege (art. 3 D.Lgs. n. 446/1997) a
carico di un soggetto estraneo al rapporto
d’imposta rispetto al quale, attesa la
mancanza di un’organizzazione, risulterebbe
del tutto carente la manifestazione di
capacità contributiva che giustifica il
prelievo (art. 2 D.Lgs. n. 446/1997).
In questo senso si sono pronunciate, con
riferimento però all’art. 92 comma 5 del
Codice dei Contratti D.Lgs. n. 163/2006
vigente nelle Regioni a Statuto Ordinario,
le Sezioni Regionali di Controllo per
l’Umbria (n. 1/2008), per il Veneto (n.
22/2008) e per il Molise (n. 6/2009).
Peraltro, non vi è motivo di discostarsi
dalle considerazioni formulate in quelle
sedi perché, al di là di una differente
terminologia adoperata dal legislatore
regionale, è la stessa natura giuridica
dell’IRAP ad escludere che essa possa
trovare copertura nell’ambito del fondo
incentivante di cui all’art. 12, comma I,
L.R. n. 5/2007 (sul punto cfr. Agenzia delle
Entrate Risoluzione n. 123/E del
02.04.2008).
Si deve, pertanto, concludere che gli oneri
accessori di cui all’art. 12, comma 1, L.R.
n. 5/2007 devono essere intesi nel senso dei
soli oneri previdenziali ed assistenziali
inclusa anche la quota a carico
dell’amministrazione erogante.
Cioè, la norma in questione, nell’ottica di
un contenimento della spesa pubblica,
disciplina la distribuzione del carico
contributivo tra ente pubblico-datore di
lavoro e dipendente (a conforto di questa
soluzione si veda la recente sentenza n.
33/2009 della Corte Costituzionale, seppure
relativa al sindacato di legittimità
costituzionale di altra norma, l’art. 1,
comma 208, della L. n. 266/2005, contenente
una disciplina affine a quella oggetto della
richiesta di parere) prevedendo una
traslazione del peso previdenziale dal
datore di lavoro al lavoratore con il
risultato che la somma destinata agli
incentivi per la progettazione deve essere
determinata al lordo, non solo degli oneri
previdenziali posti a carico del lavoratore
(oneri diretti) ma, anche, di quelli posti a
carico del datore di lavoro (oneri
riflessi).
E’ in questo senso, quindi, che deve essere
intesa l’espressione compresa la quota a
carico dell’amministrazione erogante.
Pertanto, con riferimento al quesito
formulato dal Sindaco del Comune di
Ollastra, si deve concludere che tutti gli
oneri accessori di cui all’art. 12, comma I,
L.R. n. 5/2007 non includono gli oneri
fiscali quali l’IRAP che restano a carico
esclusivo dell’Ente-datore di lavoro e che
potranno trovare copertura all’interno del
quadro economico dell’intervento.
L’eventuale inserimento dell’IRAP nella base
di calcolo (lorda) per la determinazione
degli incentivi non potrebbe prescindere da
un’espressa previsione normativa. Tale
soluzione è avvalorata, anche, dalla
circostanza che, di regola, nei casi in cui
il legislatore ha voluto dettare una
disciplina particolare per l’IRAP, ad
esempio quando l’ha inclusa nel computo
della spesa del personale, ai fini della sua
limitazione complessiva, lo ha fatto
richiamandola espressamente (artt. 1, comma
198, L. n. 266/2005 e 1, comma 562, L. n.
296/2006) (Corte dei Conti, Sez. controllo
Sardegna,
parere
10.11.2009 n. 76). |
INCENTIVO PROGETTAZIONE:
Costituisce danno erariale la
liquidazione integrale dell'incentivo per la
progettazione interna quando parte delle
prestazioni progettuali sono affidate a
tecnici esterni all'amministrazione.
... il convenuto ... non ha mai rivestito
contestualmente la funzione di progettista,
di direttore dei lavori, di responsabile del
procedimento e di responsabile del piano
della sicurezza, per come affermato dalla
difesa.
Nello specifico risulta che nell'appalto
liquidato con la determina n. 51 del
26.11.2006 l'arch. ... ha svolto solo la
funzione di responsabile del procedimento
mentre il progettista ed il direttore dei
lavori era l'arch. ...; nei lavori liquidati
con la determina n. 49 del 09.07.2001
l'arch. ... ha svolto la sola funzioni di
progettista nei lavori liquidati con la
determina n. 14 del 22.03.2002 e nella
determina n. 46 ha svolto la funzione di
responsabile del procedimento.
Non si giustifica pertanto in alcuna maniera
la liquidazione del compenso nella
percentuale dell'1,50 .
Il legislatore, infatti stabilisce che una
somma non superiore all'1,5 per cento
dell'importo posto a base di gara di
un'opera o di un lavoro, è ripartita, per
ogni singola opera o lavoro, con le modalità
ed i criteri previsti in sede di
contrattazione decentrata ed assunti in un
regolamento adottato dall'amministrazione,
tra il responsabile unico del procedimento e
gli incaricati della redazione del progetto,
del piano della sicurezza, della direzione
dei lavori, del collaudo, nonché tra i loro
collaboratori.
Qualora alcune delle predette prestazioni
sono affidate a personale esterno le
relative quote costituiscono economie.
Ne discende che il tecnico ... avrebbe
dovuto ricevere un compenso per la propria
attività ma non certo nella percentuale
liquidata.
L'arch. ..., in spregio alla disposizione
contenuta dall'art. 18 della l. 109/1994,
manifestando quindi una grave negligenza ed
indifferenza verso le norme che regolano
l'azione amministrativa, si autoliquidava
per intero parcelle che avrebbero dovuto
essere determinate secondo le modalità ed i
criteri previsti in sede di contrattazione
decentrata ed assunti in un regolamento
adottato dall'amministrazione.
La gravità della sua condotta si rileva
altresì dalla circostanza che il tecnico
comunale procedeva a liquidarsi le suddette
somme anche in violazione dell'art. 6 del
codice deontologico approvato in calce al
c.c.n.l. n. 5 del 1995.
La suddetta disposizione infatti impone al
dipendente comunale di astenersi dal
prendere provvedimenti che possano
arrecargli un qualsiasi vantaggio (Corte dei
Conti, Sez. giurisdiz. Calabria,
sentenza 28.09.2007 n. 801 - link
a www.corteconti.it). |
NEWS |
CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO
VIMINALE/ Rimborsi agli innocenti. Spese
legali pagate solo in caso di assoluzione.
La giurisprudenza richiede anche l'assenza
di un conflitto d'interesse.
Sono rimborsabili a un ex amministratore
comunale le spese legali sostenute per il
procedimento penale a proprio carico, per il
reato di cui all'art. 323 c.p. (abuso
d'ufficio), conclusosi con il decreto
d'archiviazione del gip, avviato da parte
dello stesso comune?
Non esiste una disposizione che obblighi il
comune a tenere indenni gli amministratori
delle spese processuali sostenute in giudizi
penali concernenti imputazioni
oggettivamente connesse all'espletamento
dell'incarico, espressamente prevista,
invece, per i dipendenti comunali.
La disposizione di cui all'art. 28 del Ccnl
dei dipendenti degli enti locali del
14.09.2000 è stata considerata dalla
giurisprudenza «applicabile in via
retroattiva e anche in via estensiva agli
amministratori e non solo ai dipendenti
pubblici, ma si è ritenuta limitata ai
procedimenti giurisdizionali, senza che ciò
escluda tuttavia la rimborsabilità delle
spese sopportate in sede di indagine penale,
potendosi fare ricorso alla azione di
ingiustificato arricchimento» (cfr.
Cons. di stato, sez. VI, sent. n.
5367/2004).
In forza di tale norma, estesa agli
amministratori «in considerazione del
loro status di pubblici funzionari», «hanno
titolo al rimborso delle spese legali il
dipendente e quindi l'amministratore locale,
sottoposti a giudizio penale per fatti o
atti direttamente connessi all'espletamento
del servizio e all'adempimento dei compiti
d'ufficio, sempreché il giudizio non sia
concluso con una sentenza di condanna e non
vi sia conflitto di interessi con
l'amministrazione di appartenenza».
(cfr. Cons. di stato, sez. V, sent. n.
3946/2001).
Altra parte della giurisprudenza (cfr. Cons.
di stato, sez. V n. 2242/00) ha applicato
l'analogia iuris tramite il richiamo
all'art. 1720, comma 2, c.c., in base al
quale «il mandante deve inoltre risarcire
i danni che il mandatario ha subito a causa
dell'incarico». Il consiglio di stato
ha, tuttavia, evidenziato la sostanziale
eccezionalità del rimborso delle spese
legali e ha ribadito, con richiamo alla
giurisprudenza ordinaria, che è necessario
accertare che le spese siano state sostenute
a causa e non semplicemente in occasione
dell'incarico e sempre entro il limite
costituito dal positivo e definitivo
accertamento della mancanza di
responsabilità penale degli amministratori.
Il giudice ordinario ha precisato che il
rimborso previsto dal codice civile «concerne
solo le spese sostenute dal mandatario in
stretta dipendenza dell'adempimento dei
propri obblighi e per espletamento di
attività che il mandante ha il potere di
esigere. Il legislatore si è riferito,
pertanto, a spese che, per la loro natura,
si collegano necessariamente all' incarico
conferito, nel senso che rappresentino il
rischio inerente all'esecuzione dello
stesso. L'ipotesi non si verifica quando
l'attività di esecuzione dell'incarico abbia
in qualsiasi modo dato luogo a un'azione
penale contro il mandatario, e questi abbia
dovuto effettuare spese di difesa delle
quali intenda chiedere il rimborso ex art.
1720 cit.; è il caso in cui l'azione si
riveli, ad esito del procedimento penale,
fondata, e il mandatario-reo venga
condannato, giacché la commissione di un
reato non può rientrare nei limiti di un
mandato validamente conferito (art. 1343 e
1418 c.c), ovvero quando il
mandatario-imputato venga prosciolto, in
quanto la necessità di effettuare le spese
di difesa non si pone in nesso di causalità
diretta con l'esecuzione del mandato, ma tra
l'uno e l'altro fatto si inserisce un
elemento intermedio, dovuto all'attività di
una terza persona, pubblica o privata, e
dato dall'accusa poi rivelatasi infondata.
Anche in questa eventualità non è dunque
ravvisabile il nesso di causalità necessaria
tra l'adempimento del mandato e la perdita
pecuniaria, di cui perciò il mandatario non
può pretendere il rimborso» (cfr. Corte
suprema Cassazione sez. I civ., 20/12/2007);
inoltre non è sufficiente che il processo
penale per fatti connessi all'espletamento
di compiti d'ufficio si sia concluso con
l'assoluzione: deve coesistere l'ulteriore
condizione della mancanza di conflitto di
interessi con l'ente (cfr. Corte dei conti,
sez. Giur. Reg. Liguria, sent. n. 580 del
13/10/2008).
Alla luce degli orientamenti
giurisprudenziali espressi dalla Cassazione
e dal Consiglio di stato, pertanto, le spese
legali possono essere rimborsate solo
qualora vi sia una sentenza definitiva che
abbia escluso la responsabilità del
dipendente o dell'amministratore con una
pronuncia di assoluzione nel merito dalle
imputazioni contestate che escluda, altresì,
un conflitto di interesse con l'ente.
Secondo la giurisprudenza contabile, per non
configurare conflitto di interessi occorre
una sentenza emessa con formula più ampia
possibile, tale da far ritenere il
comportamento degli amministratori e/o
dipendenti improntato al rispetto del
principio cardine dell'art. 97 Cost.
(articolo
ItaliaOggi del 27.05.2011 - tratto da
www.ecostampa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: Partenza
a scaglioni per il Sistri. Per l'Anci già in
cantiere una serie di protocolli per
l'avvio. Arriva il dm di proroga degli
obblighi per la tracciabilità dei rifiuti.
Più tempo per i più piccoli.
Un sospiro di sollievo per le imprese e gli
enti obbligati ad aderire al Sistri, il
nuovo sistema per la tracciabilità dei
rifiuti. A pochi giorni da quella che
avrebbe dovuto essere la dead-line (1°
giugno) delle sperimentazioni, e la piena
entrata a regime del nuovo meccanismo di
monitoraggio informatico e satellitare,
arriva, con decreto, la tanto attesa proroga
per consentire, soprattutto agli operatori
di minori dimensioni, di risolvere i
problemi tecnici e operativi finora emersi.
Partiranno prima imprese ed enti più grandi,
a seguire i più piccoli individuati in base
al numero di dipendenti.
«La rimodulazione in chiave di
progressività dell'entrata in vigore»,
ha spiegato il ministro dell'ambiente,
Stefania Prestigiacomo, «sarà utile a
collaudare il sistema e aiuterà le aziende a
prendere confidenza con le procedure».
Il dm con il nuovo calendario è solo uno dei
tasselli che compongono l'accordo
ministero-imprese finalmente raggiunto.
Confermata la necessità di ritardare le
sanzioni, che sarà oggetto di una modifica
legislativa («forse con un dlgs», ha
detto ieri il ministro) e di prevedere una
procedura per operare in caso di
malfunzionamenti incolpevoli (si veda
ItaliaOggi di mercoledì).
I primi a partire, dunque, saranno imprese
ed enti produttori di rifiuti speciali
pericolosi (e speciali non pericolosi in
base alla legge) con più di 500 dipendenti:
il sistema diverrà obbligatorio il 1°
settembre. Per quella data dovranno essere
pronti anche: imprese ed enti che raccolgono
o trasportano rifiuti speciali a titolo
professionale in quantità annua superiore a
3.000 tonnellate; imprese ed enti che
effettuano operazioni di recupero o
smaltimento; commercianti e intermediari di
rifiuti. Il 1° settembre è anche la data di
riferimento per i soggetti obbligati non
menzionati nel decreto di proroga e per
coloro per i quali l'iscrizione al Sistri è
facoltativa.
Un mese dopo, il 1° ottobre 2011, sarà il
turno dei produttori di rifiuti che hanno da
251 a 500 dipendenti, nonché dei comuni,
enti, imprese che gestiscono i rifiuti
urbani in Campania. Il 2 novembre partiranno
invece imprese ed enti produttori di rifiuti
che hanno da 51 a 250 dipendenti.
Il nuovo sistema di tracciabilità dei
rifiuti partirà il 1° dicembre per imprese
ed enti che hanno da 11 a 50 dipendenti,
chiamati all'appello Sistri assieme a
imprese ed enti che raccolgono o trasportano
rifiuti speciali a titolo professionale fino
a 3.000 tonnellate. Le mini-imprese, con
meno di dieci dipendenti, partiranno il 2
gennaio.
«L'accordo di proroga finalmente coglie
le gravi difficoltà di funzionamento
denunciate dagli imprenditori e dimostrate
in occasione del click day», ha
ricordato ieri Giorgio Guerrini, presidente
di ReteImprese Italia, «il rinvio dovrà
servire a individuare, con il ministero, le
soluzioni per superare i problemi di impasse
tecnologica e garantire l'efficacia del
sistema di tracciabilità». «È
evidente», ha sottolineato Filippo
Bernocchi, vicepresidente Anci con delega
alle politiche energetiche e ai rifiuti, «che
ogni cambiamento radicale necessita di una
preparazione più che adeguata. Come Anci
siamo già impegnati con il ministero a
definire una serie di protocolli di
collaborazione che vedono coinvolte altre
istituzioni e organizzazioni, che potranno
accompagnare al meglio l'avvio del Sistri»
(articolo ItaliaOggi del 27.05.2011). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Scade oggi il termine per le
«verifiche» sui vecchi part time.
Rischio-annullamento sui provvedimenti per
imporre il tempo pieno ai dipendenti.
LA
SOLLECITAZIONE - Il Consiglio di Stato aveva
richiamato le ragioni a sostegno del diritto
di esprimere prima possibile le
rappresentanze.
Le autorizzazioni al lavoro part-time, già
adottate prima della data di entrata in
vigore della riforma dell'istituto nella
Pubblica amministrazione, sono state
nell'ultimo semestre oggetto di ripensamento
da parte del datore di lavoro pubblico.
L'evaporazione del diritto al part-time,
contenuto nella riforma, sembrava lasciare
indenni i rapporti pregressi, basati sulle
premesse normative precedenti, prima che in
argomento intervenisse l'articolo 16 della
legge 183/2010 (il collegato Lavoro), per il
quale entro oggi (cioè dopo 180 giorni
dall'entrata in vigore della legge) le
Pubbliche amministrazioni possono sottoporre
a nuova valutazione i provvedimenti di
concessione della trasformazione del
rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo
parziale, nel rispetto dei principi di
correttezza e buona fede.
Le amministrazioni si sono mosse in ordine
sparso, e non sempre correttamente, poiché
la norma ha alimentato dubbi interpretativi
ed incertezze applicative. Occorre
premettere che l'articolo 16 non conferisce
una semplice possibilità di intervento,
perché i dirigenti non possono sottrarsi dal
compito di portare a verifica gli interessi
organizzativi in gioco, secondo le regole di
buon andamento, inteso in senso
omnicomprensivo di buona amministrazione:
efficiente, efficace, economica ed
imparziale.
È, poi, pacifico l'ambito di riferimento: i
soli part-time trasformati, esclusi i
rapporti ex articolo 12-bis, comma 1, del
Dlgs 61/2000 (lavoratori affetti da
patologie oncologiche).
Riguardo al termine, 180 giorni, pare di
poter affermare che sia riferibile all'esito
dell'attività di valutazione, il cui oggetto
sono i provvedimenti di concessione
(terminologia, invero, perplessa per
descrivere un atto di natura privatistica),
altrimenti verrebbe ammessa una dilazione
dei tempi anche consistente.
Ma quale comportamento, sul piano concreto,
poteva portare l'accertamento della presenza
di pregiudizi funzionali collegati ai vecchi
rapporti a tempo parziale?
Il datore di lavoro pubblico non poteva
unilateralmente revocare i part-time
autorizzati, ovvero modificarli, e neppure
richiedere al lavoratore una nuova istanza,
quale presupposto per una nuova
autorizzazione o per un diniego secondo la
vigente disciplina. Una prima conferma a
questa lettura arriva dal Tribunale di
Trento, che in un'ordinanza depositata il 04.05.2011 ha bocciato il provvedimento
di una Pa centrale proprio perché non
concordato con il lavoratore interessato.
Depone in tal senso una lettura
sistematicamente e costituzionalmente
orientata della norma. L'articolo 16 non
può, infatti, porsi in contrasto, pena la
sua disapplicazione, con la direttiva
n. 97/81/CE, che afferma la necessità di
interventi attivi degli Stati membri per
favorire la flessibilità lavorativa e la
rimozione degli ostacoli al part-time. È,
inoltre, da segnalare l'esposizione della
norma alla censura di incostituzionalità, in
quanto incidente su diritti ormai acquisiti,
con compressione del legittimo affidamento
nutrito dagli interessati.
In ogni caso, tutt'altro che sfumato è il
riferimento al rispetto dei principi di
correttezza e buona fede, che presumono una
lealtà di condotta nel rapporto la quale non
può prescindere dal considerare il
sacrificio richiesto al dipendente affinché
possa adempiere correttamente.
Conclusivamente, il carattere bilaterale
della volontà in ordine al cambiamento
dell'orario di lavoro è difficilmente
negabile. La novella introdotta con il
collegato lavoro, ove non interpretata quale
sollecitazione verso un'attività manageriale
di attenta analisi degli interessi
organizzativi e di proposta di soluzioni
gestionali, tra le quali anche il
ripensamento consensuale dei rapporti part-time, rischia di portare le pubbliche
amministrazioni verso onerose controversie
giudiziarie (articolo
Il Sole 24 Ore del 23.05.2011 -
tratto da www.ecostampa.it). |
AUTORITA'
VIGILANZA CONTRATTI PUBBLICI |
APPALTI: Il
legislatore nazionale ha espressamente
previsto la necessità, ai fini
dell’esclusione dalla gara, di una pronuncia
definitiva, sia essa resa con sentenza o con
decreto penale, ricadente nell’ambito
oggettivo di applicazione individuato
dall’art. 38, comma 1, lett. c), del D.Lgs.
n. 163/2006, (cfr.: deliberazione n. 107 del
04.04.2007; parere n. 27 del 10.02.2010).
Sotto altro profilo appare opportuno
rilevare che la lett. b) dell’art. 38 del D.
Lgs. n. 163/2006, oltre a menzionare quale
causa di esclusione dalla partecipazione
alle gare la pendenza di procedimenti per
l’irrogazione di misure di prevenzione, fa
espresso richiamo alle cause ostative
previste dall’art. 10 della legge n.
575/1965, tra le quali, al comma 5-ter, il
divieto di stipulare contratti di appalto
con la pubblica amministrazione in caso di
sentenza non definitiva, confermata in grado
di appello, per uno dei delitti di cui
all'articolo 51, comma 3-bis del c.p.p.
(parere di
precontenzioso 16.12.2010 n. 226 - link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI: L’offerta
è una dichiarazione unilaterale, contenente
l’impegno negoziale di eseguire la
prestazione richiesta dalla lex specialis
verso un determinato corrispettivo
economico. La sottoscrizione ne costituisce
elemento essenziale perché ha la funzione di
ricondurre al suo autore l’impegno di
effettuare la prestazione oggetto
dell’appalto verso il corrispettivo indicato
nell’offerta medesima, ed ha la funzione di
assicurare contemporaneamente la
provenienza, la serietà, l’affidabilità
dell’offerta stessa (cfr. AVCP parere n. 78
del 30.07.2009).
Proprio tale funzione rende la
sottoscrizione condizione essenziale per
l’ammissibilità dell’offerta, sia sotto il
profilo formale, sia sotto il profilo
sostanziale e pertanto la sua mancanza
inficia la validità della manifestazione di
volontà contenuta nell’offerta, determinando
la nullità dell’offerta e la conseguente
irricevibilità della stessa anche in
mancanza di una esplicita comminatoria della
lex specialis, a garanzia della par
condicio dei partecipanti nonché
dell’attendibilità dell’offerta.
-------------
Se è corretto riportare nella lex
specialis il contenuto delle istruzioni
operative concernenti il versamento del
contributo all’Autorità, prevedendo,
altresì, l’esclusione in caso di mancato
pagamento, non è, invece, corretto,
prevedere la medesima sanzione nel caso di
violazione meramente formale delle predette
istruzioni.
Osta a ciò, da un lato, il principio di
stretta interpretazione della cause di
esclusione dalle gare pubbliche –avendo
previsto il legislatore l’esclusione solo in
caso di mancato versamento del contributo- e
dall’altro, i principi di ragionevolezza e
proporzionalità dell’azione amministrativa
–che sarebbero violati se la stazione
appaltante non distinguesse, all’interno
della lex specialis, tra
inadempimenti di tipo sostanziale,
comportanti l’esclusione del concorrente, ed
inadempimenti di tipo formali, non aventi le
stesse conseguenze dei primi (cfr. TAR
Lombardia Brescia, sez. I, sentenza n. 487
del 07.05.2008)
(parere di
precontenzioso 16.12.2010 n. 225 - link a
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APPALTI: Il
legislatore ha inteso tutelare la stazione
appaltante e, quindi l’interesse pubblico
sotteso alla realizzazione di un appalto,
non soltanto per l’eventuale inadempimento
dell’appaltatore, ma anche per eventuali
ulteriori e distinti danni che la stessa
dovesse subire, direttamente o
indirettamente, a causa dell’esecuzione del
contratto. Si giustifica in tal modo
l’espressa previsione di una copertura
assicurativa per la responsabilità civile
verso terzi.
La richiesta da parte della s.a. di
coperture assicurative diverse e ulteriori
rispetto a quelle prescritte dalla normativa
di settore è ammissibile –secondo il
consolidato insegnamento della
giurisprudenza amministrativa– nella misura
in cui non risulti irragionevole o
eccessivamente onerosa (cfr. Cons. Stato,
sez. VI 25.01.2008 n. 212)
(parere di
precontenzioso 16.12.2010 n. 224 - link a
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APPALTI: La
pubblica amministrazione, nella
predisposizione della lex specialis
di gara, ha l'onere di indicare con estrema
chiarezza ed inequivocità i requisiti
richiesti alle imprese partecipanti, sì da
evitare che il principio di massima
concorrenza, cui si correla l'interesse
pubblico all'individuazione dell'offerta
migliore, possa essere in concreto
vanificato da clausole equivoche o, quanto
meno, dubbie, non percepibili con
immediatezza dalle imprese partecipanti, il
che comporta altresì la necessaria
interpretazione nel senso più favorevole
all’ammissione alla gara delle disposizioni
con le quali siano prescritti per
l'ammissione stessa particolari adempimenti
non immediatamente percepibili nel loro
effettivo significato (cfr. ad es. Consiglio
Stato , sez. IV, 12.03.2007 , n. 1186).
Pertanto, in applicazione di tali principi,
gli eventuali errori contenuti nella lex
specialis non possono costituire fonte
di provvedimenti lesivi delle imprese
partecipanti, le quali devono eventualmente
essere messe in condizione di fornire
chiarimenti od integrazioni documentali, ed
occorre altresì che le correzioni apportate
agli errori seguano le stesse modalità di
pubblicazione, sia formale che temporale,
previste e seguite per la legge di gara,
affinché le stesse imprese interessate siano
tempestivamente messe in condizione di
adeguarvisi
(parere di
precontenzioso 16.12.2010 n. 223 - link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI: Le
formalità previste per la presentazione
dell’offerta, coerentemente con la finalità
di tutelare la par condicio tra i
concorrenti, assolvono alla funzione
preminente di assicurare l’autenticità della
chiusura originaria proveniente dal
mittente, nonché di evitare la manomissione
del contenuto del plico e di garantire la
segretezza dell’offerta.
La ceralacca, in particolare, ha la funzione
di evitare ogni possibile contestazione e
sospetto di manomissione, data la notoria
possibilità di aprire e chiudere
agevolmente, senza lacerazioni o segni
evidenti, i lembi preincollati delle buste
all’uopo comunemente usate
(parere di
precontenzioso 16.12.2010 n. 222 - link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI: La
previsione della documentazione di gara
secondo la quale le offerte devono essere
spedite all'amministrazione appaltatrice
solo a mezzo di raccomandata a.r. è
indebitamente limitativa dell’accesso alla
procedura di gara, attesa la sostanziale
equivalenza tra la raccomandata postale e la
posta celere, tenuto conto dell'identità
delle relative caratteristiche
(parere di
precontenzioso 16.12.2010 n. 218 - link a
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LAVORI PUBBLICI: L’errata
attribuzione della categoria prevalente
costituisce un vulnus al principio di
concorrenza e di libero accesso al mercato,
in quanto, da un lato, limita la
partecipazione alla gara proprio a quei
soggetti che sono in possesso della
qualificazione necessaria alla realizzazione
dei lavori oggetto dell’appalto, e,
dall’altro, consente che i lavori vengano
affidati ad un soggetto privo delle capacità
necessarie alla realizzazione dell’opera.
Del resto, l’individuazione della categoria
prevalente, alla quale appartengono le opere
da appaltare, non è rimessa ad una mera
discrezionalità della stazione appaltante,
dovendo essa essere effettuata dal
progettista sulla base delle indicazioni
contenute nell’art. 3 e nell’allegato A) del
D.P.R. n. 34/2000 (parere di
precontenzioso 16.12.2010 n. 217 - link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI SERVIZI: La
funzione dell'albo di cui all’art. 53 del
D.Lgs. n. 446/1997 appare tesa a garantire
l'affidabilità di soggetti privati
incaricati di ingerirsi in modo rilevante
nelle attività amministrative e contabili
degli enti locali dedicate al reperimento
delle entrate, e pertanto l'iscrizione può
essere considerata necessaria solo se sono
attribuite a soggetti terzi potestà
tipicamente pubblicistiche, quali la
determinazione dell’ammontare del credito,
la verifica dei presupposti per la
riscossione e l’utilizzo della procedura di
riscossione coattiva (in tal senso cfr. TAR
Lombardia, Brescia, 14.10.2005, n. 986).
Diversamente, nel caso della concessione del
servizio di illuminazione votiva, l’attività
di riscossione concerne la mera gestione e
non la determinazione del corrispettivo per
la gestione del servizio, da inquadrare nel
contesto concessorio
(parere di
precontenzioso 02.12.2010 n. 214 - link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI SERVIZI: In
una gara per l’affidamento della concessione
del servizio di illuminazione cimiteriale è
corretto l’operato della s.a. che non
richieda agli operatori economici
l’iscrizione all’albo di cui art. 53 del
D.Lgs. 15.12.1997, n. 446.
Tale iscrizione, infatti, è piuttosto
condizione necessaria per l'esercizio
dell'attività pubblicistica di riscossione
–poiché la sua funzione è quella di
garantire l'affidabilità di quei soggetti
privati che siano incaricati di ingerirsi in
modo rilevante nelle attività amministrative
e contabili degli enti locali dedicate al
reperimento delle entrate– il cui
trasferimento a soggetti terzi costituisce
la funzione amministrativa tipica del
relativo provvedimento concessorio.
Nel caso dell’illuminazione votive, invece,
l’attività di riscossione è l’indefettibile
corrispettivo economico della gestione del
servizio, consistendo in tale sinallagma
funzionale la causa del contratto posto in
essere a seguito della gara.
--------------
La differenza tra concessione di servizio
pubblico e concessione di lavori pubblici
discende dal tipo di nesso di accessorietà
che lega la gestione del servizio alla
realizzazione dell'opera; si avrà perciò
concessione di costruzione ed esercizio se
la gestione del servizio è strumentale alla
costruzione dell'opera, in quanto diretta a
consentire il reperimento dei mezzi
finanziari necessari alla realizzazione;
mentre si versa in tema di concessione di
servizi pubblici, come nel caso di specie,
quando l'espletamento dei lavori è
strumentale, sotto i profili della
manutenzione, del restauro e
dell'implementazione, alla gestione di un
servizio pubblico il cui funzionamento è già
assicurato da un'opera esistente.
In particolare, tanto è stato affermato
proprio con riguardo al servizio pubblico di
illuminazione cimiteriale, ravvisandosi per
esso la seconda ipotesi nella considerazione
che i lavori affidati al concessionario
nell'ambito della gestione del servizio
stesso afferiscono non ad un'opera nuova, ma
alla manutenzione ed implementazione degli
impianti esistenti (cfr. Cons. St.
11.09.2000 n. 4795).
Peraltro, nella fattispecie in esame emerge
con chiarezza il tratto distintivo della
concessione di pubblico servizio che è dato:
a) dall'assunzione del rischio legato alla
gestione del servizio quale modalità di
remunerazione dell'attività del prestatore
(cfr. da ultimo Corte di Giustizia CE,
18.07.2007, C-382/05; Consiglio di Stato,
Sez. V, 05.12.2008, n. 6049; Sez. V,
15.01.2008, n. 36; Sez. V, 09.06.2008, n.
2865);
b) dalla circostanza che il corrispettivo
non sia versato dall'amministrazione –come
nei contratti di appalto di lavori, servizi
e forniture– la quale, anzi, percepisce un
canone da parte del concessionario (cfr.
Consiglio di Stato, Sez. VI, 05.06.2006, n.
3333);
c) dalla diversità dell’oggetto del
rapporto, che nella concessione di servizi è
trilaterale (coinvolgendo l'amministrazione,
il gestore e gli utenti), mentre
nell’appalto è bilaterale (stazione
appaltante – appaltatore)
(parere di
precontenzioso 02.12.2010 n. 212 - link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI: Sulla
base degli articoli 71, comma 2 e 90, comma
5 del D.P.R. n. 554/1999 e secondo quanto
previsto dalla direttiva comunitaria
93/37/CEE, non può essere imposto al
concorrente l'obbligo di acquistare, a pena
di esclusione dalla gara, la documentazione
inerente l'appalto.
L'unica forma di partecipazione consentita
è, per l’appunto, il rimborso delle spese di
riproduzione della documentazione di gara.
Relativamente a quest’ultimo aspetto,
peraltro, la richiesta del rimborso dei
costi sostenuti dalla pubblica
amministrazione per il rilascio delle
suddette copie, deve essere conforme alla
normativa generale in materia di accesso
alla documentazione amministrativa di cui
alla legge 07.08.1991, n. 241.
--------------
Quando per l'aggiudicazione della gara sia
stato prescelto il criterio della offerta
economicamente più vantaggiosa, rientra
nella discrezionalità della stazione
appaltante la determinazione della incidenza
del prezzo nella valutazione dell'offerta,
senza che esista un peso minimo (o massimo)
predeterminato per tale elemento, purché la
natura propria del criterio, postulante la
ricerca di un equilibrio tra prezzo e
qualità necessariamente correlato alla
specificità di ciascun affidamento, non
venga tradita riconoscendosi all’elemento
prezzo –ugualmente dicasi per qualsiasi
altro elemento- un peso ponderale
sproporzionato rispetto a quello attribuito
agli altri elementi da valutare (TAR
Toscana, Firenze, Sez. I, 21.11.2005, n.
6901).
Trattandosi di attività prettamente
discrezionale della stazione appaltante, la
stessa è sottratta al sindacato di
legittimità del giudice amministrativo,
salvo che in relazione alla natura,
all'oggetto e alle caratteristiche del
contratto, la scelta operata non risulti
manifestamente illogica, arbitraria ovvero
macroscopicamente viziata da travisamento di
fatto (cfr. in tal senso ex plurimis
Consiglio Stato, sez. V, 19.11.2009, n.
7259; Consiglio di Stato, Sez. VI,,
31.06.2008, n.3404; TAR Lazio, Roma, sez.
III, 29.04.2009, n. 4396; TAR Lazio, Sez.
III, 28.01.2009 n. 630)
(parere di
precontenzioso 18.11.2010 n. 210 - link a
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APPALTI: L’esigenza
di rispettare la breve tempistica imposta
dall’Ente finanziatore del progetto, ossia
evitare il pericolo di perdere i
finanziamenti regionali, costituisce una
valida motivazione per introdurre nella
procedura di gara una disciplina restrittiva
in materia di dimostrazione dei requisiti di
partecipazione, richiedendo di dimostrare e
quindi produrre già nella prima fase della
gara idonea documentazione dimostrativa del
possesso dei requisiti di partecipazione.
È necessario che tanto la suddetta esigenza
quanto le particolari modalità di
dimostrazione siano chiaramente indicate nel
bando di gara
(parere di
precontenzioso 18.11.2010 n. 208 - link a
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LAVORI PUBBLICI: Il
principio dell’assorbenza fra categorie
generali e categorie specializzate trova
applicazione esclusivamente in riferimento
alla OG11, nel senso che, ove nel bando sia
richiesta la qualificazione di cui alle
categorie di opere specializzate OS3, OS30,
OS28 è consentita la partecipazione anche
delle imprese qualificate in categoria OG11.
Ciò in quanto detta categoria generale è in
effetti la sommatoria di categorie speciali
e pertanto sussiste la presunzione che un
soggetto qualificato in OG11 sia in grado di
svolgere mediamente tutte le lavorazioni
speciali contenute in questa categoria
generale (Cfr. Consiglio di Stato, Sez. V,
26.04.2005, n. 1901; 26.05.2003, n. 2857 e
TAR Brescia 26.10.2006, n. 1349).
Tuttavia, la qualificazione per la categoria
di opere generali OG11 assorbe quella per la
categoria di opere speciali, solo nel caso
in cui la disciplina speciale della singola
gara non rechi alcuna clausola in contrario
(parere di
precontenzioso 18.11.2010 n. 207 - link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI: In
sede di valutazione dell’offerta economica,
i criteri di attribuzione del punteggio
possono essere molteplici e variabili
purché, nell’assegnazione degli stessi,
venga utilizzato tutto il potenziale
range differenziale previsto per la voce
in considerazione, anche al fine di evitare
un ingiustificato svuotamento di efficacia
sostanziale della componente economica
dell’offerta
(parere di
precontenzioso 18.11.2010 n. 206 - link a
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APPALTI: Qualora
il bando commini espressamente l’esclusione
dalla gara in conseguenza di determinate
prescrizioni, l’Amministrazione è tenuta a
dare precisa ed incondizionata esecuzione a
dette prescrizioni, restando preclusa
all’interprete ogni valutazione circa la
rilevanza dell’inadempimento, la sua
incidenza sulla regolarità della procedura
selettiva e la congruità della sanzione
contemplata nella lex specialis, alla
cui osservanza la stessa Amministrazione si
è autovincolata al momento del bando (cfr.,
ex multis, pareri n. 215 del
17.09.2008 e n. 262 del 17.12.2008).
Tale principio, peraltro, opera sul
presupposto che la previsione a pena di
esclusione sia chiara, in quanto laddove,
invece, le disposizioni con le quali siano
prescritti particolari adempimenti per
l’ammissione alla gara siano equivoche (e
solo in tal caso) le stesse devono essere
interpretate nel senso più favorevole
all’ammissione degli aspiranti,
corrispondendo al principio del favor
partecipationis (da ultimo, Consiglio di
Stato, Sez. V, 16.03.2010, n. 1513)
(parere di
precontenzioso 18.11.2010 n. 205 - link a
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APPALTI: I
fondamentali principi della par condicio
tra i concorrenti e del regolare,
trasparente, ed imparziale svolgimento della
gara, esigono che sia garantita l’assoluta
segretezza delle offerte economiche fino a
quando non siano state valutate
l’ammissibilità dei partecipanti e le
componenti tecnico-qualitative dell’offerta.
La separazione fisica dell’offerta economica
dall’offerta tecnica e dal resto della
documentazione amministrativa, infatti,
persegue lo scopo di garantire un ordinato
svolgimento della gara e di salvaguardare
l’esigenza di obiettività e di imparzialità
nella disamina dei requisiti di
partecipazione, dei relativi documenti
probatori e dei contenuti tecnici della
prestazione offerta, imponendo al contempo
di compiere le verifiche documentali e gli
apprezzamenti tecnici in una fase
antecedente a quella in cui si conoscerà
l’ammontare delle offerte economiche.
Costituisce violazione di tali principi
richiamati, l’inserimento di elementi
concernenti l’offerta economica all’interno
della busta contenente l’offerta tecnica, in
quanto tale commistione è di per sé idonea
ad introdurre elementi perturbatori della
corretta valutazione da parte della
Commissione di gara, potendo elementi di
valutazione aventi carattere automatico,
quali il prezzo, influenzare la valutazione
degli elementi contrassegnati da margini di
discrezionalità, quali gli aspetti tecnici
(parere di
precontenzioso 18.11.2010 n. 204 - link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
LAVORI PUBBLICI: Non
è consentito che, al fine di dimostrare da
parte della associazione temporanea il
possesso del 100% dei requisiti minimi, una
mandante “spenda” una quota di
importo superiore o uguale a quella della
mandataria, rinvenendosi la ratio
dall’art. 95, comma 2, del D.P.R. n.
554/1999 nell’esigenza di assicurare che la
mandataria sia effettivamente e non
astrattamente il soggetto più qualificato in
rapporto al complesso dei lavori a base
d’asta.
Questo, perché il criterio di verifica della
“misura maggioritaria” non si
identifica nel “contributo potenziale”
della capogruppo alla copertura del
requisito, cioè nella capacità della
mandataria di assumere una quota dei lavori
appaltati, da valutare sulla scorta delle
qualificazioni da essa possedute, bensì
occorre valorizzare il principio di
corrispondenza sostanziale tra la quota di
qualificazione, la quota di partecipazione
all'associazione e quella di esecuzione dei
lavori, desumibile dal combinato disposto
dell’art. 37 del D.Lgs. n. 163/2006 e degli
artt. 93, comma 4, e 95 del D.P.R. n.
554/1999 e s.m. e dell’art. 3 del D.P.R. n.
34/2000 e s.m..
Proprio al fine di assicurare in concreto
tale corrispondenza, il requisito del
possesso maggioritario in capo alla
capogruppo mandataria non può essere
riferito solo all’importo complessivo dei
lavori, ma anche all’importo di ciascuna
delle singole categorie di cui risulta
composto l’appalto (in tal senso, si vedano,
fra le tante, C.G.A., sez. giurisdizionale,
n. 306 dell’11.04.2008; n. 931 del
12.11.2008; n. 97 dell’08.03.2005; Cons.
Stato, sez. V, 19.02.2007, n. 832 e
11.12.2007 n. 6363).
Peraltro, questa Autorità ha anche avuto
modo di precisare che, quando all’A.T.I.
partecipano due sole imprese, l’aggettivo
maggioritario, che connota la percentuale
del possesso dei requisiti da parte della
capogruppo, indica che la mandataria deve
spendere in quella specifica gara una
qualifica superiore al 50 per cento
dell’importo dei lavori, perché solo in tal
modo essa potrà possedere anche una
qualifica superiore a quella del suo unico
associato (parere n. 236 del 05.11.2008)
(parere di
precontenzioso 18.11.2010 n. 203 - link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
LAVORI PUBBLICI: Ai
bandi di gara indetti per l’affidamento di
appalti di lavori di manutenzione di
un’opera rientrante nella categoria generale
OG1 -nel caso che prevedano come categoria
prevalente una delle categorie specializzate
OS6 (Finiture di opere generali in materiali
lignei, plastici, metallici e vetrosi), OS7
(Finiture di opere generali di natura edile)
e OS8 (Finiture di opere generali di natura
tecnica)- possono partecipare, oltre alle
imprese qualificate nella categoria di opera
specializzata prevalente, anche le imprese
qualificate nella categoria di opera
generale OG1.
Va precisato che tale possibilità è
consentita dal fatto che le suddette
categorie specializzate sono a
qualificazione non obbligatoria e, pertanto,
eseguibili dall’aggiudicatario ancorché
privo delle relative qualificazioni; inoltre
la stessa va consentita perché comporta una
più ampia partecipazione di soggetti alle
gare.
Al fine di evitare contestazioni, è
necessario, però che tale possibilità sia
prevista dal bando che, come è noto,
costituisce la lex specialis della
gara (determinazione n. 8/2002)
(parere di
precontenzioso 18.11.2010 n. 201 - link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
GIURISPRUDENZA |
APPALTI:
E' legittima l'escussione della
garanzia fideiussoria presentata da un
concorrente, per mancato possesso anche dei
requisiti di ordine generale previsti
dall'art. 38 del d.lgs. n. 163/2006.
E' legittimo l'operato di una stazione
appaltante che, a seguito dell'accertata
carenza dei requisiti di ordine generale di
cui all'art. 38 del d.lgs. n. 163/2006, in
capo ad un concorrente, abbia provveduto
all'escussione della garanzia fideiussoria
da questi prestata a corredo della propria
offerta.
La triplice sanzione della esclusione dalla
gara, segnalazione all'Autorità di Vigilanza
ed incameramento della cauzione provvisoria,
è contemplata dall'art. 48 del medesimo
d.lgs. n. 163/2006, solo con riferimento
all'accertata mancanza di requisiti d'ordine
speciale, vale a dire quelli relativi alla
capacità economico-finanziaria e
tecnico-organizzativa. Tuttavia,
l'incameramento della cauzione è applicabile
anche in ipotesi di accertata carenza di
requisiti d'ordine generale, di cui al
citato art. 38, come nel caso di specie.
Secondo un recente e consolidato
orientamento giurisprudenziale, ai sensi
dell'art. 75, c. 6, del d.lgs. n. 163/2006,
l'incameramento della cauzione discende come
possibile sanzione per ogni circostanza che
impedisca l'eventuale sottoscrizione del
contratto, che sia imputabile
all'affidatario, e ciò vale per l'accertata
carenza tanto di requisiti speciali, quanto
di quelli d'ordine generale.
Un trattamento diversificato porterebbe a
dubitare della legittimità costituzionale
della normativa, per violazione dei principi
di eguaglianza e ragionevolezza ex art. 3
Cost. Pertanto, la menzione del potere, in
capo alla stazione appaltante, di escutere
la cauzione provvisoria ai sensi dell'art.
48 d.lgs. n. 163/2006, ha carattere
descrittivo di una potestà sussistente anche
nell'ipotesi in cui si accerti il mancato
possesso di requisiti generali di
partecipazione (TAR Toscana, Sez. I,
sentenza 26.05.2011 n. 936 - link
a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
La semplice pubblicazione sul
sito internet della stazione appaltante non
è sufficiente a rendere edotti i concorrenti
in ordine ad eventuali modifiche della
disciplina di gara.
In materia di appalti pubblici, non è
sufficiente comunicare eventuali modifiche
al disciplinare di gara, attraverso la
semplice pubblicazione delle stesse sul sito
internet della stazione appaltante, in
quanto detto sistema, sebbene animato da
ragioni di riduzione degli oneri
amministrativi e di celerità dell'azione,
non appare rispettoso dei principi di
trasparenza e corretta partecipazione alle
procedure di gara.
In via generale, ogni rettifica riguardante
il contenuto di un bando di gara, è priva di
efficacia nei confronti delle imprese
concorrenti, ove non sia portata a
conoscenza delle stesse nelle medesime forme
attraverso le quali è stata data pubblicità
al bando.
Tale statuizione è espressione del principio
di reciproca correttezza, che deve
improntare i rapporti tra stazione
appaltante ed imprese partecipanti alla
selezione, correttezza idonea a fondare
l'affidamento del privato. La possibilità
che le modifiche alla disciplina di gara
presentino forme di pubblicità attenuata,
deve essere giustificata da esigenze
cogenti.
Nel caso in specie, non è pertanto
condivisibile l'ipotesi secondo cui, la
semplice divulgazione di una modifica del
disciplinare sul sito internet della
stazione appaltante, possa costituire forma
fattualmente e giuridicamente idonea di
conoscenza (Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 25.05.2011 n. 3139 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
realizzazione di strutture in muratura,
sovrastate da un tetto con copertura in
tegole, per il suo carattere di stabilità e
permanenza costituisce una vera e propria
"costruzione" in senso tecnico del termine.
La realizzazione di strutture in muratura,
sovrastate da un tetto con copertura in
tegole, per il suo carattere di stabilità e
permanenza costituisce una vera e propria "costruzione"
in senso tecnico del termine (arg. ex
Consiglio Stato, sez. IV, 31.03.2009, n.
1998).
Deve quindi, in linea di principio,
condividersi l’assunto fondamentale degli
appellanti per cui nella specie il porticato
per autorimessa andava comunque ricondotto
alla categoria degli "interventi di nuova
costruzione", ai sensi della lettera e)
dell’art. 3 del T.U. 21.06.2001 n. 380,
essendo staccato dall’edificio di cui
costituiva “pertinenza” in senso
proprio ed implicando una trasformazione
edilizia del territorio.
Inoltre, ai sensi dell'art. 904, c.c., nel
caso di costruzioni in aderenza ad altre già
realizzate, l'esistenza di luci in un muro
non impedisce al vicino di costruire in
aderenza (cfr. in tal senso Consiglio Stato,
sez. V, 23.06.1997, n. 718).
Ciò posto, deve ricordarsi che, come è noto:
- il permesso di costruire rimuove solo il
limite allo “ius aedificandi” e la
sua rilevanza giuridica va circoscritta
infatti al rapporto tra p.a. e costruttore
ed ai possibili riflessi sulle correlate
posizioni altrui di interesse legittimo;
- l'art. 11, comma 3, d.P.R. 06.06.2001 n.
380 -nell’affermare che il permesso di
costruire non comporta limitazione dei
diritti dei terzi- configura una clausola
generale di salvaguardia.
- l’Amministrazione non ha alcun obbligo, in
assenza di una norma ad hoc, né di
far luogo ex officio ad un’indagine
circa la sussistenza di diritti dei terzi né
comunque di tener conto di eventuali
possibili limitazioni negoziali al diritto a
costruire di colui che richiede il permesso
(cfr. Consiglio Stato, sez. IV, 10.12.2007,
n. 6332)
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 25.05.2011 n. 3134 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Sulla legittimità dell'esclusione
da una gara di un concorrente, che abbia
omesso di controfirmare ogni pagina del
capitolato speciale, pur avendo dichiarato
di accettarne le clausole.
E' legittimo il provvedimento di esclusione
da una gara, adottato da una stazione
appaltante nei confronti di un concorrente
che abbia omesso di controfirmare il
capitolato speciale in ogni sua pagina, come
richiesto dal bando, pur avendo presentato
una dichiarazione contenente l'accettazione
delle clausole del capitolato stesso, ciò in
quanto, la dichiarazione di accettazione ha
mera natura complementare, e non
sostitutiva, rispetto alla necessità di
produrre il capitolato controfirmato in ogni
pagina; detta ultima prescrizione non
costituisce un mero aggravio formale, ma
assume un contenuto sostanziale, in quanto
tale adempimento, alla stregua di un vero e
proprio atto negoziale, ha lo scopo di
garantire la stazione appaltante, in ordine
alla piena accettazione di tutte le clausole
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 25.05.2011 n. 3132 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Modello GAP - Mancata produzione
- Causa di esclusione anche in assenza di
espressa clausola della lex specialis - Art.
1, c. 5, d.l. n. 629/1982.
La mancata produzione del modello GAP è
causa di esclusione anche in assenza di
espressa clausola della lex specialis
di gara; l'obbligo di produzione è infatti
imposto dalla norma imperativa di cui
all'articolo 1, comma 5, del d.l. n.
629/1982 (in tal senso, si vedano, fra
altre: Tar Palermo, III, sentenza n. 1173
del 23.04.2007; Tar Catania, IV, sentenza n.
1 del 07.01.2010, confermata dal Cga con
ordinanza cautelare n. 212 del 16.03.2010;
ancora Tar Catania, IV, sentenza 28.10.2010,
n. 4249; Idem, sentenza n. 4624 del
07.12.2010, ed ivi ulteriori citazioni di
precedenti giurisprudenziali) (TAR
Sicilia-Catania, Sez. IV,
sentenza 25.05.2011 n. 1279 -
link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Residenza a ufficio: senza opere
cambio d'uso regolare.
Il semplice cambio di
destinazione d'uso, effettuato senza opere
evidenti, non implica necessariamente un
mutamento urbanistico-edilizio del
territorio comunale e, come tale, non
abbisogna di concessione edilizia qualora
non sconvolga l’assetto dell’area in cui
l’intervento edilizio ricade. Dagli atti
depositati in giudizio risulta, per tabulas,
che si tratta di un cambio di destinazione
d’uso senza opere (da residenziale a
funzionale).
Come noto, è stato affermato in
giurisprudenza che il semplice cambio di
destinazione d'uso, effettuato senza opere
evidenti, non implica necessariamente un
mutamento urbanistico-edilizio del
territorio comunale e, come tale, non
abbisogna di concessione edilizia qualora
non sconvolga l'assetto dell'area in cui
l'intervento edilizio ricade (cfr, tra le
tante, Cons. Stato, sez. V., 23.02.2000 n.
949, TAR Liguria, sez. I, 28.01.2004 n. 102,
TAR Veneto, Sez. III, 13.11.2001 n. 3699,
Cass. Penale, Sez. III, 01.10.1997 n. 3104
e, più di recente, TAR Lazio, sez. II,
07.10.2005 n. 8002 e TAR Abruzzo, sede
l'Aquila, 02.04.2009 n. 236).
Sul punto, la Regione Lazio non ha
legiferato in materia, né con l’ultima l.r.
38/1999, né con la precedente l.r. 36/1987.
Nella fattispecie in esame, il mutamento da
residenza a ufficio non comporta alcun
aggravio né una oggettiva modificazione
nell'assetto urbanistico-edilizio della
zona, dal che consegue che detta attività
non è soggetta al previo rilascio della
concessione edilizia (ora permesso di
costruire) (commento tratto da www.ipsoa.it
- TAR Lazio-Roma, Sez. I-quater,
sentenza 24.05.2011 n. 4622 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: E'
illegittima l'ordinanza di demolizione di
lavori edilizi consistenti in:
tinteggiatura, sostituzione di alcuni punti
luce, rimozione e sostituzione di
rivestimenti e servizi del vano WC,
rimozione del rivestimento vano cucina e
spicconatura dell’impianto idrico.
Ai sensi dell’art. 3 primo comma lett. a)
T.U. 06.06.2001 n. 380, si intendono per <interventi
di manutenzione ordinaria>, <gli
interventi edilizi che riguardano le opere
di riparazione, rinnovamento e sostituzione
delle finiture degli edifici e quelle
necessarie ad integrare o mantenere in
efficienza gli impianti tecnologici
esistenti>.
Secondo le previsioni del successivo art. 6,
comma 1, lett. a), siffatti interventi <sono
eseguiti senza alcun titolo abilitativo>.
Orbene, come si apprende dalla lettura della
relazione del Vigile urbano 17.01.2001 alla
quale fa rinvio il provvedimento impugnato,
il sig. ... ha posto in essere all’interno
della sua unità abitativa interventi
consistenti in <tinteggiatura,
sostituzione di alcuni punti luce, rimozione
e sostituzione di rivestimenti e servizi del
vano WC, rimozione del rivestimento vano
cucina e spicconatura dell’impianto idrico>,
quest’ultima al fine di sostituire i tubi
ammalorati.
Tutto qui.
Appare evidente che sulla base della piana
lettura delle norme sopraindicate,
effettivamente in relazione a tali
interventi, che, giova ribadirlo, non hanno
comportato la benché minima modificazione di
superfici, volumi, altezze, aspetto
esteriore e destinazione funzionale, ma si
sono risolti in una mera attività
manutentiva rivolta esclusivamente a
conservare il buone condizioni di
funzionalità e fruibilità il preesistente,
non occorreva alcuna preventiva
autorizzazione.
Ne consegue che l’impugnato provvedimento,
come è stato puntualmente dedotto in
ricorso, è illegittimo in quanto, in
relazione ai sopra descritti interventi,
postula, invece, il previo rilascio di un,
non meglio descritto, <necessario titolo
abilitativo> ed addirittura applica la
sanzione pecuniaria di cui all’art. 37 T.U.
cit.
(TAR Campania-Salerno, Sez. I,
sentenza 24.05.2011 n. 967 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Associazioni ambientaliste, la
rivincita delle piccole.
Il giudice
amministrativo può riconoscere, caso per
caso, la legittimazione ad impugnare atti
amministrativi incidenti sull'ambiente ad
associazioni locali (indipendentemente dalla
loro natura giuridica), purché perseguano
statutariamente in modo non occasionale
obiettivi di tutela ambientale ed abbiano un
adeguato grado di rappresentatività e
stabilità in un'area di afferenza
ricollegabile alla zona in cui è situato il
bene a fruizione collettiva che si assume
leso. Nessun dubbio può sorgere quanto alla
legittimazione di Italia Nostra, W.W.F. e
GREENPEACE, individuate quali associazioni
di protezione ambientale nazionali ex art.
13, l. 08.07.1986, n. 349.
Parimenti, quanto agli altri appellanti,
merita considerare che, come già in passato
dalla Sezione ripetutamente affermato (tra
le altre, 13.09.2010, n. 6554), l'esplicita
legittimazione, ai sensi del citato art. 13,
l. 08.07.1986 n. 349, delle associazioni
ambientalistiche di dimensione nazionale e
ultraregionale all'azione giudiziale non
esclude, di per sé sola, analoga
legittimazione ad agire in ambito
territoriale ben circoscritto, e ciò anche
per i meri comitati spontanei che si
costituiscono al precipuo scopo di
proteggere l'ambiente, la salute e/o la
qualità della vita delle popolazioni
residenti su tale circoscritto territorio.
Altrimenti opinando, le località e le
relative popolazioni, interessate da minacce
alla salute pubblica o all'ambiente in un
ambito locale circoscritto, non avrebbero
autonoma protezione, in caso di inerzia
delle associazioni ambientaliste
espressamente legittimate per legge.
Detto altrimenti, le previsioni normative
citate hanno creato un criterio di
legittimazione "legale" destinato ad
aggiungersi a quelli in precedenza elaborati
dalla giurisprudenza per l’azionabilità in
giudizio dei c.d. interessi diffusi e non li
sostituisce.
Ne consegue che il giudice amministrativo
può riconoscere, caso per caso, la
legittimazione ad impugnare atti
amministrativi incidenti sull'ambiente ad
associazioni locali (indipendentemente dalla
loro natura giuridica), purché perseguano
statutariamente in modo non occasionale
obiettivi di tutela ambientale ed abbiano un
adeguato grado di rappresentatività e
stabilità in un'area di afferenza
ricollegabile alla zona in cui è situato il
bene a fruizione collettiva che si assume
leso; che è quanto ad avviso del Collegio è
dato riscontrare con riguardo ai Consorzi,
al Comitato e all’Associazione appellanti,
avuto riguardo ai tre parametri
tradizionalmente utilizzati al riguardo in
giurisprudenza, rispettivamente relativi
alle finalità statutarie dell’ente, alla
stabilità del suo assetto organizzativo,
nonché alla c.d. vicinitas dello
stesso rispetto all’interesse sostanziale
che si assume leso per effetto dell’azione
amministrativa e a tutela del quale,
pertanto, l’ente esponenziale intende agire
in giudizio (commento tratto da www.ipsoa.it
- Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 23.05.2011 n. 3107 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Nel rendere le informazioni
antimafia il Prefetto, che ha ampi poteri di
accertamento, deve effettuare la propria
valutazione sulla scorta di un
sufficientemente chiaro, preciso e non
arbitrario quadro di indizi.
Ai fini della corretta applicazione
dell'art. 10 del DPR 252/1998, è jus
receptum che le situazioni relative ai
tentativi d'infiltrazione mafiosa vanno
desunte o da provvedimenti che dispongano
una misura cautelare o il giudizio, o che
rechino una condanna anche non definitiva
per taluno dei delitti di cui agli artt.
629, 644, 648-bis e 648-ter, c.p. o
dall'art. 51, c. 3-bis, c.p.p., oppure dagli
accertamenti disposti dal Prefetto
nell'esercizio di autonomi poteri o su
richiesta di altri Prefetti.
Pertanto, nel rendere le informazioni
antimafia, il Prefetto non deve basarsi su
specifici elementi, ma effettua la propria
valutazione sulla scorta di uno
sufficientemente chiaro, preciso e non
arbitrario quadro di indizi, ove assumono
rilievo preponderante i fattori induttivi
della non manifesta infondatezza che i
comportamenti e le scelte dell'imprenditore
possano rappresentare un veicolo di
infiltrazione delle organizzazioni criminali
negli appalti delle pubbliche
amministrazioni.
L'ampiezza dei poteri di accertamento,
giustificata dalla finalità preventiva
sottesa all'informativa, consente al
Prefetto di ravvisare l'emergenza di
tentativi di infiltrazione mafiosa anche (o
non solo) in fatti in sé privi dell'assoluta
certezza (p.es., condanna non irrevocabile,
collegamenti parentali con soggetti
malavitosi, dichiarazioni di pentiti, ecc.),
seppur tali da fondare, nel loro complesso
coordinato, un giudizio di possibilità che
l'attività d'impresa, anche in maniera
indiretta, agevoli le attività criminali o
ne sia in varia guisa condizionata
(Consiglio di Stato, Sez. III,
sentenza 23.05.2011 n. 3104 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
La regola per cui la nomina della
commissione giudicatrice deve avere luogo
dopo che è spirato il termine per la
presentazione delle offerte tende ad evitare
che vi possano essere, con la preventiva
conoscenza dei nominativi dei commissari,
inaccettabili contatti e collusioni dei
candidati con gli stessi commissari, per cui
la medesima regola assurge a preventiva
salvaguardia della regolarità del
procedimento e non può essere considerata
come una privativa degli appalti, non
essendovi alcuna differenza in ordine
all’esame delle offerte con la concessione;
anzi, la concessione di servizi, per la
maggiore informalità del suo procedimento,
presenta, se si vuole, aspetti ancora più
evidenti di mancanza di garanzie
procedimentali.
La regola per cui la nomina della
commissione giudicatrice deve avere luogo
dopo che è spirato il termine per la
presentazione delle offerte tende (almeno
astrattamente) ad evitare che vi possano
essere, con la preventiva conoscenza dei
nominativi dei commissari, inaccettabili
contatti e collusioni dei candidati con gli
stessi commissari, per cui la medesima
regola assurge a preventiva salvaguardia
della regolarità del procedimento e non può
essere considerata come una privativa degli
appalti, non essendovi alcuna differenza in
ordine all’esame delle offerte con la
concessione; anzi, la concessione di
servizi, per la maggiore informalità del suo
procedimento, presenta, se si vuole, aspetti
ancora più evidenti di mancanza di garanzie
procedimentali.
Da ciò la considerazione per la quale il
Collegio condivide il presupposto indicato
dal Tribunale amministrativo regionale in
ordine al fatto che, al di là di una
specifica normativa che ricomprenda anche le
concessioni di servizi nell’ambito della
regolamentazione degli appalti, l’art. 30
del decreto legislativo n. 163 del 2006, pur
derogando, relativamente alle concessioni di
servizi, alle altre disposizioni del
medesimo provvedimento, non tocchi di quel
medesimo provvedimento quelli che possono
individuarsi come principi generali di un
giusto procedimento, e tra essi vi è, per le
ragioni prima esplicitate, quello della
nomina della commissione dopo che è scaduto
il termine per la presentazione delle
offerte
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 23.05.2011 n. 3086 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI:
Si applica anche alle di
concessione di servizi la regola secondo cui
la nomina della commissione di gara deve
avere luogo dopo la scadenza del temine per
la presentazione delle offerte.
La regola per cui la nomina della
commissione giudicatrice deve avere luogo
dopo che è spirato il termine per la
presentazione delle offerte tende (almeno
astrattamente) ad evitare che vi possano
essere, con la preventiva conoscenza dei
nominativi dei commissari, inaccettabili
contatti e collusioni dei candidati con gli
stessi commissari, per cui la medesima
regola assurge a preventiva salvaguardia
della regolarità del procedimento e non può
essere considerata come una privativa degli
appalti, non essendovi alcuna differenza in
ordine all'esame delle offerte con la
concessione; anzi, la concessione di
servizi, per la maggiore informalità del suo
procedimento, presenta, se si vuole, aspetti
ancora più evidenti di mancanza di garanzie
procedimentali (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 23.05.2011 n. 3086 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Sull'illegittimità della revoca
di aggiudicazione di una gara d'appalto, ad
un concorrente che abbia commesso violazioni
relative agli obblighi fiscali di cui
all'art. 38, c. 1, del d.lgs. n. 163/2006,
in quanto non definitivamente accertate.
Ai sensi dell'art. 38, c. 1, lett. g), del
d.lgs. n. 163/2006, i soggetti che abbiano
commesso violazioni dei doveri relativi al
pagamento di imposte e di tasse,
definitivamente accertati, sono esclusi
dalla partecipazione alle gare di appalto.
Secondo la circolare n. 34/E del 25.05.2007,
emanata dall'Agenzia delle Entrate, che ha
fornito gli indirizzi operativi ai propri
uffici locali in merito alle modalità di
attestazione della regolarità fiscale delle
imprese partecipanti a procedure di
aggiudicazione di appalti pubblici, alla
luce della nuova normativa introdotta dal
d.lgs. 163/2006, emerge che la violazione
fiscale provoca l'esclusione dalla gara
allorquando sia "definitivamente
accertata", vale a dire sia divenuta
incontestabile per decisione giurisdizionale
o per intervenuta inoppugnabilità; solo
allora, infatti, l'inadempimento tributario
è indicativo del mancato rispetto degli
obblighi relativi al pagamento di imposte e
tasse.
Pertanto, nel caso di specie, è illegittima
la determinazione con la quale il comune ha
disposto la revoca dell'aggiudicazione nei
confronti di un consorzio, motivata
dall'affermata esistenza, a carico del
consorzio medesimo, di una causa ostativa ex
art. 38, c. 1, lett. g), d.lgs. 163/2006, in
quanto le violazioni agli obblighi fiscali
non potevano reputarsi "definitivamente
accertate" (TAR Puglia-Lecce, Sez. III,
sentenza 20.05.2011 n. 883 - link
a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Sulla legittimità dell'esclusione
da una gara di un RTI consortile, la cui
impresa designata all'esecuzione dei lavori
risulti carente dei requisiti generali
inerenti alla regolarità contributiva,
previsti dall'art. 38, c. 1, del d.lgs. n.
163/2006.
E' legittimo il provvedimento di esclusione
da una gara, adottato da una stazione
appaltante nei confronti di un RTI
consortile, la cui impresa designata
all'esecuzione dei lavori risulti
inottemperante in ordine alla regolarità
contributiva, prescritta dall'art. 38, c. 1,
del d.lgs. n. 163/2006, quale requisito di
ordine generale, necessario ai fini della
partecipazione alla procedura.
Nonostante il consorzio presenti struttura
ed identità autonome rispetto a quella delle
cooperative consorziate, il possesso dei
requisiti generali e morali di cui al citato
art. 38, va verificato anche in capo alle
imprese consorziate, dovendosi ritenere
cumulabili in capo al consorzio i soli
requisiti di idoneità tecnica e finanziaria,
ai sensi dell'art. 35 del medesimo decreto.
Peraltro, secondo consolidata giurisprudenza
amministrativa, mentre i requisiti di
idoneità tecnica e finanziaria devono essere
riferiti al consorzio, i requisiti generali
di partecipazione alla procedura di
affidamento previsti dall'art. 38 devono
essere posseduti dalle singole imprese
consorziate.
Inoltre, ai fini dell'aggiudicazione della
gara, non rileva la regolarizzazione
successiva della posizione previdenziale,
come avvenuto nel caso di specie, in quanto
l'impresa deve essere in regola con
l'assolvimento degli obblighi prescritti fin
dalla presentazione dell'offerta, e
conservare tale stato per tutta la durata
della procedura e del rapporto con la
stazione appaltante, restando irrilevante un
eventuale adempimento tardivo, pena la
vanificazione della par condicio dei
concorrenti. L'opposta interpretazione
incentiverebbe le imprese alla violazione di
legge, con l'effetto vantaggioso di poter
scegliere se procedere o meno alla
regolarizzazione, in funzione dell'utile
risultato dell'aggiudicazione (TAR
Campania-Napoli, Sez. VIII,
sentenza 19.05.2011 n. 2786 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Il pubblico dipendente, nei cui
confronti non sia stato promosso
procedimento disciplinare in seguito alla
pronuncia di sentenza penale di condanna, ha
diritto alla restitutio in integrum.
Il Consiglio di Stato ha infatti in più
occasioni ritenuto che, in favore del
dipendente pubblico definitivamente
condannato in sede penale dopo essere stato
sospeso cautelarmente in pendenza del
relativo processo, è possibile operare la
ricostruzione della posizione giuridica ed
economica per il periodo di sospensione
cautelare, previa deduzione dei periodi di
tempo corrispondenti alla sospensione dalla
qualifica irrogata in sede disciplinare
nonché alla condanna penale inflitta,
ancorché non scontata (Cons. Stato, ad. plen.,
16.06.1999, n. 15 e 02.05.2002, n. 4).
In tale senso vedasi, anche “Il pubblico
dipendente, nei cui confronti non sia stato
promosso procedimento disciplinare in
seguito alla pronuncia di sentenza penale di
condanna, ha diritto alla restitutio in
integrum, nel senso che il periodo di
sospensione cautelare, sia obbligatoria che
facoltativa, deve essere riconosciuto sia
agli effetti giuridici sia a quelli
economici ma con esclusione per gli
eventuali periodi di detenzione, anche se
non scontati.” TAR Umbria Perugia,
10.04.2007, n. 299 (TAR Campania-Napoli,
Sez. V,
sentenza 19.05.2011 n. 2782 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La giurisdizione esclusiva del
giudice amministrativo sulle controversie
relative ad oneri concessori non muta a
seconda della natura giuridica pubblica o
privata del ricorrente.
I giudici del Tribunale amministrativo di
Napoli ritengono che non sussistano ragioni
valide per discostarsi dall’orientamento
giurisprudenziale già espresso dalla stessa
Sezione su tale argomento (TAR Campania,
Napoli, Sez. VIII, 07.05.2009 n. 2423 e n.
2424; 17.09.2009 n. 4993 e n. 4994) secondo
cui l’art. 34 del D.Lgs. 31.03.1998 n. 80
(come sostituito dalla L. 21.07.2000 n. 205
ed in seguito alla sentenza della Corte
Costituzionale 06.07.2004 n. 204), nel
devolvere alla giurisdizione esclusiva del
giudice amministrativo le controversie
aventi per oggetto atti e provvedimenti
dell’amministrazione in materia urbanistica
ed edilizia, comprende la totalità degli
aspetti dell’uso del territorio, nessuno
escluso (TAR Campania, Napoli, Sez. I,
26.06.2008 n. 6283, TAR Campania, Salerno,
04.04.2008 n. 475, TAR Piemonte, 17.07.2008
n. 1646).
Peraltro, continuano i giudici
amministrativi campani, tale previsione è
contenuta anche nell’art. 133, lett. f), del
codice del processo amministrativo, secondo
cui sono devolute alla giurisdizione
esclusiva del giudice amministrativo, tra
l’altro, “le controversie aventi ad
oggetto gli atti e i provvedimenti delle
pubbliche amministrazioni in materia
urbanistica e edilizia, concernente tutti
gli aspetti dell'uso del territorio”.
Sicché, come già previsto dall’art. 16 della
L. 28.01.1977 n. 10, rientrano in tale
giurisdizione anche le controversie relative
alla determinazione, liquidazione e
corresponsione degli oneri concessori che
risultano, infatti, connessi al rilascio del
titolo abilitativo e pertanto discendono
dall’adozione di un provvedimento
amministrativo (Consiglio di Stato, Sez. V,
21.04.2006 n. 2258).
In altri termini, spiegano i giudici
partenopei, la giurisdizione esclusiva del
giudice amministrativo sulle controversie
attinenti alla corresponsione dei suddetti
oneri concessori discende dallo stretto
collegamento funzionale tra il rilascio
delle concessioni edilizie ed i contributi
conseguenti a carico del privato,
trattandosi appunto di pretesa del Comune
fondata su provvedimenti amministrativi non
gravati e divenuti inoppugnabili.
Tali argomentazioni sono state svolte anche
dalla Corte di Cassazione, secondo cui “la
giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo sussiste anche a prescindere
dall'instaurazione di una controversia in
via di impugnazione diretta del
provvedimento amministrativo, di concessione
o di determinazione del contributo, purché
fra la controversia ed il provvedimento vi
sia uno stretto collegamento funzionale”,
aggiungendo inoltre che “rientrano quindi
nell'ambito della giurisdizione esclusiva
del giudice amministrativo le controversie
in genere aventi ad oggetto l'inadempimento
di obblighi nascenti da una concessione. Né
rileva che il rapporto concessorio si sia
esaurito per decorrenza del termine di
durata di esso, poiché la riserva di
giurisdizione operata dalla norma a favore
del giudice amministrativo riguarda il
rapporto di concessione indipendentemente
dal fatto che esso sia ancora in vita o sia
cessato, purché la controversia ponga in
discussione il rapporto nel suo momento
genetico o funzionale” (Cassazione
civile, Sezioni Unite, 20.11.2007 n. 24009).
Gli stessi giudici concludono, infine, che
le conclusioni esposte in ordine alla
sussistenza della giurisdizione esclusiva
del giudice amministrativo sulle
controversie relative ad oneri concessori
non mutano a seconda della natura giuridica
pubblica o privata del ricorrente, con la
conseguenza che appare del tutto
indifferente la circostanza che nel giudizio
in commento a ricorrere fosse un Comune e
non un privato (commento tratto da
www.documentazione.ancitel.it - TAR
Campania-Napoli, Sez. VIII,
sentenza
19.05.2011 n.
2781 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
LAVORI PUBBLICI:
Il non tempestivo esercizio dei
poteri pubblicistici di gestione e tutela
della strada vicinale non comporta affatto
il mutamento di destinazione.
Seppure è consolidato l’orientamento
giurisprudenziale che annette all’iscrizione
delle strade nell’elenco di quelle vicinali
un effetto meramente dichiarativo e non
costitutivo, è altresì pacifico che la
mancata utilizzazione di essa da parte della
generalità degli utenti, protrattasi anche
per un lungo lasso di tempo, non depone
ex se per la cessata destinazione
all’uso pubblico (cfr., Cons. St., sez. IV,
07.09.2006 n. 5209).
Alla medesima stregua, anche il non
tempestivo esercizio dei poteri
pubblicistici di gestione e tutela della
strada vicinale non comporta affatto il
mutamento di destinazione.
È semmai rilevante la situazione di fatto,
consolidatasi per un lungo tempo, che palesi
in modo univoco l’impossibilità da parte
della collettività di utilizzare la strada.
Impossibilità di fatto che, -è bene
sottolineare- con specifico riguardo a
quanto ne occupa, non deve essere imputabile
all’esecuzione di opere abusive realizzate
dal privato avente interesse contrario
all’utilizzazione pubblica.
Proprio alla luce di questi parametri
oggettivi risulta che la strada per cui si
discute va annoverata fra quelle vicinali:
in primo luogo, detta strada fa parte della
rete viaria che dalla strada comunale via
Mareschino conduce in località Fratin,
funzionale al transito di mezzi agricoli per
il trasporto di legnami e generi vari (cfr.,
dichiarazione sostitutiva di atto di
notorietà), né, ad ulteriore testimonianza
della permanenza attuale e concreta
dell’interesse pubblico all’utilizzazione di
essa da parte della collettività, va passato
sotto silenzio il fatto che la strada in
questione, inclusa negli itinerari del CAI,
è altresì funzionale alla pratica
turistico-alpina; in secondo luogo, la
preclusione all’attuale utilizzo pubblico
scaturisce non già da fattori naturali,
sedimentatisi nel tempo, bensì
esclusivamente dai lavori abusivi eseguiti
ricorrente: quali la duplice apposizione di
congegni preordinati a precludere l’accesso
sia a monte che a valle della strada e la
pavimentazione di parte del suolo di
transito.
La realizzazione di tale opere pregiudica
l’uso pubblico, la cui tutela è presidiata
dal potere pubblicistico di cui all’art. 14
l. 20.03.1865 n. 2248, correttamente
esercitato dal Comune resistente (ex
multis, Tar Liguria, sez. II, 08.01.2003
n. 23).
Infine la natura vincolata del potere
esercitato dal Comune, in ragione degli
interessi in gioco, depone nel senso che il
contenuto del provvedimento impugnato non
avrebbe potuto essere diverso da quello
adottato anche qualora fosse stato preceduto
dal contraddittorio con il ricorrente,
sollecitato a mezzo della comunicazione
d’avvio del procedimento (TAR Liguria, Sez.
II,
sentenza 19.05.2011 n. 799 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Il ricorso in materia di accesso
ai documenti deve essere notificato ad
almeno un controinteressato.
Ai sensi dell'articolo 116 c.p.a., il
ricorso in materia di accesso ai documenti
deve essere notificato ad almeno un
controinteressato, secondo il generale
principio caratterizzante i ricorsi
amministrativi, e fatto salvo il potere di
integrazione del contraddittorio nei
confronti di ulteriori controinteressati,
atteso che detta norma, a prescindere dalla
qualificazione della posizione giuridica
soggettiva azionata, ricostruisce il rito in
materia sulla scorta dell'ordinario rito
impugnatorio (TAR Piemonte, Torino, sez. I,
16.12.2010, n. 4556).
Né può trovare, nel caso di specie,
applicazione il principio giurisprudenziale
secondo cui “In sede giurisdizionale non
può essere dichiarato inammissibile il
ricorso per l'accesso, per omessa notifica
al controinteressato, quando la stessa
amministrazione non abbia ritenuto di dover
consentire la partecipazione di altri in
sede procedimentale, atteso che ai sensi
dell'articolo 3, comma 1, d.P.R. 12.04.2006,
n. 184, la pubblica amministrazione, cui è
indirizzata la richiesta di accesso, se
individua soggetti controinteressati, è
tenuta a darne comunicazione agli stessi,
mediante invio di copia con raccomandata con
avviso di ricevimento o per via telematica
per coloro che abbiano consentito tale forma
di comunicazione” (Consiglio di Stato,
sez. IV, 14.04.2010, n. 2093, e idem
30.07.2010, n. 5062) (TAR Lazio-Roma, Sez.
II-ter,
sentenza 18.05.2011 n. 4326 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Chi invoca la formazione del
silenzio assenso deve dimostrare la
ricorrenza dei requisiti soggettivi ed
oggettivi necessari per lo svolgimento
dell'attività cui si riferisce l'istanza.
Con il provvedimento impugnato nella
pronuncia in esame il comune ha denegato
alla società ricorrente il rilascio di una
nuova autorizzazione per la somministrazione
al pubblico di alimenti e bevande. La difesa
del ricorrente, suffragata dalla decisione
presa dal Tribunale amministrativo di Roma,
è stata incardinata sull’intervenuta
formazione del silenzio assenso sull’istanza
in questione.
I giudici capitolini, infatti, rilevano che,
per consolidato orientamento della
giurisprudenza sul punto, l'articolo 20
della legge n. 241 del 1990 -come riformato
dall'articolo 3, comma 6-ter, del D.L.
14.03.2005, n. 35, convertito con
modificazioni, in legge 14.05.2005, n. 80-
prevede che, al di fuori dalle esclusioni
espressamente indicate al comma 4, il titolo
implicito venga a formazione in via
generalizzata sulle domande dei privati
tendenti ad ottenere il rilascio di
autorizzazioni allo svolgimento di attività
private, tra le quali è da ricomprendere
l'esercizio dell'attività di vendita e
somministrazione di alimenti e bevande (cfr.
da ultimo, TAR Sicilia, Catania, sez. II,
26.10.2009, n. 1716; TAR Veneto, Venezia,
sez. III, 18.06.2008, n. 1799); nel caso in
cui si sia formato il silenzio assenso
rispetto ad una domanda di autorizzazione
per la somministrazione di alimenti e
bevande, l'autorità comunale può procedere,
ai sensi del comma 3 del richiamato articolo
20, all'annullamento dell'autorizzazione
assentita qualora sussistano i presupposti
per l’adozione di un atto di autotutela, ma
non ha più il potere di pronunciarsi sulla
domanda.
Il perfezionamento del titolo abilitativo
determina, pertanto, l'illegittimità di ogni
successivo atto di diniego, considerato che
il potere di provvedere sulla domanda si è
consumato e residua solo eventualmente in
capo all'ente pubblico la potestà di
autotutela da attuarsi con provvedimento di
annullamento e in presenza dei relativi
presupposti.
Peraltro il titolo implicito può venire a
formazione solo quando risulti che
l'interessato sia in possesso dei requisiti
soggettivi ed oggettivi necessari per
l’accoglimento della domanda, non potendosi
consentire, attraverso il meccanismo del
silenzio assenso, l’elusione delle
prescrizioni fissate dalla legge o dai
regolamenti comunali (TAR Lazio, Roma, sez.
II, 18.01.2011, n. 401).
Spetta, quindi, all'interessato, il quale
intenda invocare la formazione del silenzio
assenso ai sensi dell'articolo 20 della
legge n. 241 del 1990, dimostrare, oltre al
decorso del tempo, la ricorrenza di tutti
gli elementi costitutivi della fattispecie
disciplinata dalla legge, integrati dai
requisiti soggettivi ed oggettivi necessari
per lo svolgimento dell'attività cui si
riferiva l'istanza (Cons. giust. amm.
Sicilia , sez. giurisd., 05.10.2010, n.
1239; TAR Lombardia, Milano, sez. IV,
11.06.2007, n. 4917) (commento tratto da
www.documentazione.ancitel.it - TAR
Lazio-Roma, Sez. II-ter,
sentenza
18.05.2011 n.
4311 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Danno curriculare - Nozione -
Valutazione equitativa - Possibilità.
Il fatto stesso di eseguire un appalto
pubblico, anche a prescindere dal lucro che
l’impresa ne ricava grazie al corrispettivo
pagato dalla stazione appaltante,
costituisce fonte per l’impresa di un
vantaggio non patrimoniale ma -comunque-
economicamente valutabile, poiché di per sé
accresce la capacità di competere sul
mercato e quindi la chance di aggiudicarsi
ulteriori e futuri appalti.
In tale ottica deve pertanto ritenersi
risarcibile il “danno curriculare”,
il quale consiste nel pregiudizio subito
dall’impresa in dipendenza del mancato
arricchimento del proprio “curriculum”
professionale, ossia per la circostanza di
non poter indicare in esso l’avvenuta
esecuzione dell’appalto sfumato a causa del
comportamento illegittimo
dell’Amministrazione (così, ad es., Cons.
Stato, Sez. VI, 09.06.2008 n. 2751).
Tale pregiudizio, a prescindere dalla
carenza di prove offerte dalla ricorrente in
ordine alle perdite economiche da essa
subite, fuoriesce -altresì- dagli ambiti
meramente probabilistici della valutazione
delle chances e si pone in termini
obiettivi per il fatto stesso
dell’intervenuta esclusione della ricorrente
dal mercato “pubblico”, ed è pertanto
intrinsecamente d necessariamente valutabile
dal giudice in termini equitativi ai sensi
dell’art. 1226 c.c. (Consiglio di Stato,
Sez. IV,
sentenza 16.05.2011 n. 2955 -
link a www.ambientediritto.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Non può ravvisarsi a carico della
p.a. un obbligo giuridico di estendere gli
effetti del giudicato a soggetti ad esso
estranei, che non vantino nessun diritto
soggettivo a tale estensione.
E’ stato più volte affermato infatti che non
può ravvisarsi a carico della p.a. un
obbligo giuridico di estendere gli effetti
del giudicato a soggetti ad esso estranei,
che non vantano nessun diritto soggettivo a
tale estensione, né tale posizione
soggettiva può trovare fondamento nella
disposizione di cui all'art. 22 d.P.R.
11.02.1986 n. 13, che, nel dettare norme sul
procedimento volto alla estensione del
giudicato, riconosce all'amministrazione la
potestà di attivare o meno il procedimento
stesso (C.d..S., sez. sez. VI, 10.10.2005 ,
n. 5457; 26.10.2006, n. 6410; sez. V,
17.09.2008, n. 4390) (Consiglio di Stato, Sez.
V,
sentenza
16.05.2011 n. 2951
- link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Nella licitazione privata
l’individuazione in capo alle imprese
partecipanti dei requisiti sostanziali
richiesti dalla lettera di invito deve
essere riferita al momento
dell’aggiudicazione dell’appalto.
Nella licitazione privata la
prequalificazione ha natura di autonoma fase
sub procedimentale funzionalmente diretta ad
una prima selezione dei soggetti da invitare
sicché l’individuazione in capo alle imprese
partecipanti dei requisiti sostanziali
richiesti dalla lettera di invito non può
essere anticipata alla preliminare fase
della preselezione, ma deve essere riferita
al momento della vera e propria
individuazione del contraente, ossia al
momento dell’aggiudicazione dell’appalto
(cfr. sul punto, per tutte, Cons. Stato,
sez. V, 10.12.1999, n. 811).
In ordine
all’assunto di parte ricorrente che la
stazione appaltante avrebbe dovuto
richiedere l’integrazione della
documentazione e delle dichiarazioni
presentate in ordine al possesso dei
requisiti, va considerato che l’integrazione
non è utilizzabile in caso di totale assenza
della dichiarazione del pregiudizio penale
(cfr. Cons. Stato, V, 12.12.1997, n. 1185).
Peraltro, trattasi di requisito richiesto
dalla legge in materia di appalti, prima
ancora che dalla lex di gara a pena
di esclusione e completamente omesso,
rispetto al quale, come precisato dal
giudice di prime cure, l’esercizio del c.d.
potere di soccorso dell’amministrazione
incontra l’invalicabile limite della par
condicio, per definizione prevalente sul
favor partecipationis invocato dal
Consorzio ricorrente (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza
16.05.2011 n. 2945 - link a
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APPALTI SERVIZI:
Servizi di pulizia degli edifici
- Direttive 17/2004 e 18/2004 -
Assoggettabilità alla disciplina dettata per
i settori speciali - Parametro oggettivo -
Pulizia di proprietà immobiliari ed edifici
costituenti parte integrante delle reti di
produzione, distribuzione e trasporto.
I servizi di pulizia degli edifici e di
gestione delle proprietà immobiliari sono
previsti negli allegati sia della direttiva
europea n. 17/2004, che coordina le
procedure di appalto degli enti erogatori di
acqua e di energia, degli enti che
forniscono servizi di trasporto e servizi
postali, sia della n. 18/2004, relativa al
coordinamento delle procedure di
aggiudicazione degli appalti pubblici di
lavori, di forniture e di servizi.
Ne deriva che l’assoggettabilità
dell’affidamento del servizio di pulizia
alla disciplina dettata per i settori
speciali non può essere desunta sulla base
di un criterio solo soggettivo, relativo
cioè al fatto che ad affidare l’appalto sia
un ente operante nei settori speciali, ma
anche in applicazione di un parametro di
tipo oggettivo, attento alla riferibilità
della pulizia all’attività speciale.
In altri termini, la pulizia rientra nella
normativa dei settori speciali quando è
funzionale a detta attività, il che si
verifica qualora si tratti di proprietà
immobiliari ed edifici che costituiscano
parte integrante delle reti di produzione,
distribuzione e trasporto indicate negli
articoli 208 e ss. del d.lgs. n. 163 del
2006 (Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 13.05.2011 n. 2919 -
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EDILIZIA PRIVATA:
Il carattere di unifamiliarità di
un fabbricato a destinazione abitativa è
ricavabile dalle caratteristiche
architettoniche dell’edificio, in ragione
del volume, della superficie, del numero e
della funzione e caratteristica dei vani, in
rapporto alle esigenze ed alla possibilità
di utilizzo da parte di un unico nucleo
familiare.
La circostanza che l’edificio non
sia completamente isolato non vale ad
escludere il carattere di unifamiliarità.
La nozione di edificio unifamiliare assunta
dalla norma, non è nella sua accezione
strutturale, ma socio economica e coincide
con la piccola proprietà immobiliare
meritevole, per gli interventi di
ristrutturazione, di un trattamento
differenziato rispetto alle altre tipologie
edilizie.
Deve ritenersi irrilevante la comunione di
talune strutture portanti o di qualche muro
di confine e devono conseguentemente essere
considerate unifamiliari, per tipologia
obiettiva, anche le case realizzate a
schiera o in blocco ma strutturalmente
funzionalmente indipendenti.
Il D.P.R. 06.06.2001 n. 380, all’art. 17,
disciplina la “Riduzione o esonero dal
contributo di costruzione”, prevedendo,
al comma 3, che “Il contributo di
costruzione non è dovuto:… b) per gli
interventi di ristrutturazione e di
ampliamento, in misura non superiore al 20%,
di edifici unifamiliari;”.
La norma riprende sostanzialmente il
contenuto dell’art. 9, comma 1, della legge
28.01.1977, n. 10, in relazione al quale la
giurisprudenza (cfr. TAR 07.09.1999 n. 770;
TAR Veneto 30.03.1996 n. 480) aveva avuto
modo di chiarire che il carattere di
unifamiliarità di un fabbricato a
destinazione abitativa è ricavabile dalle
caratteristiche architettoniche
dell’edificio, in ragione del volume, della
superficie, del numero e della funzione e
caratteristica dei vani, in rapporto alle
esigenze ed alla possibilità di utilizzo da
parte di un unico nucleo familiare.
Va rilevato che la normativa regionale della
Lombardia conferma l’esonero. Infatti, la
L.R. 11.03.2005 n. 12 nel disciplinare,
all’art. 43, le modalità di pagamento del “Contributo
di costruzione”, espressamente dispone,
al 2° comma, che “Il contributo di
costruzione di cui al comma 1 non è dovuto,
ovvero è ridotto, nei casi espressamente
previsti dalla legge”, così rinviando
alle previsioni della legge nazionale.
Nella fattispecie all’esame viene in rilievo
la ristrutturazione, senza aumento di
volumetria, di una porzione di un tipico
fabbricato rurale a corte, già da tempo
convertito a destinazione residenziale.
Confermando l’indirizzo già espresso al
riguardo (cfr. TAR Brescia, 03.03.2006 n.
268) il Collegio ritiene che la circostanza
che l’edificio non sia completamente isolato
non valga ad escludere il carattere di
unifamiliarità.
Invero, la norma di cui all'art. 17, comma
3, lett. b), del DPR 06.06.2001, n. 380, va
riferita alle costruzioni unifamiliari che
hanno destinazione residenziale, con
esclusione delle unità immobiliari che siano
ricomprese in più ampi edifici, quali i
condomini, caratterizzati dall'esistenza di
parti e servizi funzionalmente comuni, ma
non richiede il completo isolamento
dell'edificio.
La ratio che ispira la specifica
esenzione è infatti di derivazione sociale e
pertanto la nozione di edificio unifamiliare
assunta dalla norma, non è nella sua
accezione strutturale, ma socio economica e
coincide con la piccola proprietà
immobiliare meritevole, per gli interventi
di ristrutturazione, di un trattamento
differenziato rispetto alle altre tipologie
edilizie (cfr. Tar Lombardia, Milano, Sez.
II, 10.10.1996, n. 1480).
Deve pertanto ritenersi irrilevante la
comunione di talune strutture portanti o di
qualche muro di confine e devono
conseguentemente essere considerate
unifamiliari, per tipologia obiettiva, anche
le case realizzate a schiera o in blocco ma
strutturalmente funzionalmente indipendenti
(cfr. Tar Lombardia, Brescia, 01.03.1995, n.
185; id. 07.09.1999, n. 770) (TAR Lombardia-Brescia,
Sez. I,
sentenza 13.05.2011 n. 713 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Sono riconducibili al novero delle
urbanizzazioni secondarie le strutture
sanitarie private. L'ampliamento di una
clinica privata non soggiace al pagamento
del contributo di costruzione.
L’ipotesi di esonero
considerata nella seconda parte dell’art.
17, co 3, lett. c), D.P.R. 380/2001 è
testualmente riferita ad opere di
urbanizzazione eseguite anche da privati,
coerentemente con l’intento di agevolare la
realizzazione di opere di urbanizzazione e
di evitare un illogico addebito al privato
realizzatore di queste di contributi per
opere di urbanizzazione che, in parte, egli
stesso contribuisce a creare.
Il concretarsi dell’ipotesi di esenzione dal
contributo concessorio ex art. 17, comma 3,
lett. c), del D.P.R. n. 380 del 2001, ora
considerata, si riscontra in presenza di
opere classificabili come di urbanizzazione,
purché esse siano realizzate, anche da
privati, “in attuazione di strumenti
urbanistici”. Rileva, dunque, ed è
sufficiente, non ponendo la norma altre
condizioni, che l’opera attui, ossia ponga
in essere, quanto previsto dallo strumento,
realizzando la configurazione di opere di
urbanizzazione in esso contemplata.
Nella specie può considerarsi pacifico che
il PRG prevedesse una destinazione a servizi
e attrezzature di proprietà pubblica o
privata ma di uso pubblico, nell’accezione
specifica di “servizi ospedalieri e
sanitari” (Sh), stabilendo i
corrispondenti indici, all’interno dei quali
l’ampliamento realizzato si colloca.
Risulta, quindi, riduttivo parlare di sola
conformità urbanistica dell’opera, atteso
che essa comporta, oltre che, ovviamente,
una trasformazione rispondente agli
intendimenti della proprietà, anche, al
contempo, la traduzione in opera di quanto
previsto dallo strumento urbanistico in
punto destinazione a strutture di
urbanizzazione secondaria e relativo
dimensionamento.
Sulla riconducibilità al novero delle
urbanizzazioni secondarie delle strutture
sanitarie private si concorda con la
sentenza; del resto l’ipotesi di esonero
considerata nella seconda parte dell’art.
17, co. 3, lett. c), D.P.R. cit. è
testualmente riferita ad opere di
urbanizzazione eseguite anche da privati,
coerentemente con l’intento di agevolare la
realizzazione di opere di urbanizzazione e
di evitare un illogico addebito al privato
realizzatore di queste di contributi per
opere di urbanizzazione che, in parte, egli
stesso contribuisce a creare.
Argomenti in contrario non si rinvengono
nelle difese dell’amministrazione appellata,
che si limita, sul punto, ad osservare che
la conformità tra quanto edificato e le
previsioni urbanistiche comporta la
legittimità dell’intervento edilizio ma non
rende qualificabili le attrezzature come
opere pubbliche.
Non può, infine, considerarsi determinante
la circostanza che non si tratti nella
specie della costruzione di una nuova
clinica ma della realizzazione di un
ampliamento, medesima essendo la funzione
ospedaliera.
Spettano, quindi, per la realizzazione della
c.d. nuova piastra l’esenzione dal
contributo e la restituzione del contributo
già corrisposto
Quanto detto circa l’ampliamento ha
influenza anche in relazione all’ulteriore
aspetto della debenza di contributi relativi
alle opere realizzate nella parte
preesistente della struttura, che va
esclusa.
Non viene contestato che si tratti di opere
meramente interne, ossia che il preesistente
edifico permanga, nello stato modificato di
cui alle tre DIA, inalterato quanto a
superficie, sagoma, prospetti, destinazione
sanitaria, ma si sottolinea nelle difese del
Comune ed è stato considerato dai primi
giudici che dai progetti oggetto delle
denunce di inizio attività risulta che tali
opere sono il necessario completamento alle
trasformazioni che hanno ridisegnato il
complesso delle cliniche attraverso la
realizzazione della nuova piastra; le opere,
configuranti un insieme unitario, devono,
quindi, secondo la sentenza, essere
considerate congiuntamente per qualificare
la tipologia dell’intervento, ai fini della
valutazione della sua incidenza territoriale
e del relativo regime contributivo.
La considerazione unitaria dei lavori che,
come puntualizza la sentenza, sono stati
realizzati “per stralci, con diversi
titoli abilitativi richiesti a brevi
intervalli di tempo (il permesso di
costruire è della fine del 2001, mentre le
tre denunce di inizio attività sono del 2002
e del 2003)”, non può, peraltro,
contrariamente all’avviso del TAR, condurre
a ritenere dovuti i contributi per le opere
di cui alle DIA.
Il maggior carico urbanistico è indotto
dall’ampliamento che ha consentito di
introdurre nuove funzioni, tra cui il pronto
soccorso, ed a questo va ricondotto,
rimanendo indifferente la distribuzione
interna delle varie funzioni tra il
preesistente edifico e la nuova “piastra”,
ossia la traslazione nel nuovo edificio di
funzioni prima esercitate nelle preesistenti
volumetrie, rifunzionalizzate per accogliere
le nuove funzioni sanitarie, trattandosi di
aspetto che attiene alla organizzazione dei
lavori edili e della attività sanitaria, ma
rimane indifferente sul piano urbanistico,
essendo, sì, il carico complessivo aumentato
ma, appunto, in dipendenza dell’aumento
volumetrico generato dall’ampliamento.
Se, quindi, l’ampliamento, che determina il
maggior carico urbanistico, non è soggetto,
come detto in precedenza, a contributo, non
può sostenersi che esso vada applicato alle
opere interne nello stabile preesistente,
senza incorrere in una duplicazione che non
ha ragion d’essere; né può ipotizzarsi che
il maggior carico urbanistico derivante
dalle nuove funzioni sanitarie non comporti
contributo ove esse siano allocate nella
nuova piastra di ampliamento e lo imponga,
invece, ove quelle stesse funzioni siano
collocate nella parte preesistente del
complesso, poiché la soluzione allocativa
prescelta è neutra sotto il profilo
urbanistico
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 12.05.2011 n. 2870 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Obbligo di provvedere - Assenza
di specifica disposizione normativa -
Ragioni di giustizia ed equità che impongono
l’adozione di un provvedimento - Rilevanza.
L’obbligo di provvedere deriva di regola da
una norma di legge o di regolamento, ma può
talora desumersi anche da prescrizioni di
carattere generale o dai principi generali
dell’ordinamento che regolano l’azione
amministrativa, sicché, ad esempio, può
originare dal rispetto del principio di
imparzialità o trovare fondamento nel
principio di buon andamento dell’azione
amministrativa o nel principio di legalità
della stessa azione amministrativa.
Pertanto, si può ritenere che, a prescindere
dall'esistenza di una specifica disposizione
normativa, l’obbligo di provvedere sussiste
in tutte quelle fattispecie particolari
nelle quali ragioni di giustizia ed equità
impongano l’adozione di un provvedimento,
cioè in tutte quelle ipotesi in cui, in
relazione al dovere di correttezza e di
buona amministrazione della parte pubblica,
sorga per il privato una legittima
aspettativa a conoscere il contenuto e le
ragioni delle determinazioni (qualunque esse
siano) di quest’ultima (Tar Catanzaro, sez.
I, 17.11.2010, n. 2704) (TAR Puglia-Lecce,
Sez. I,
sentenza 12.05.2011 n. 830 - link
a www.ambientediritto.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
AMIANTO - Ordinanza di bonifica
emessa ai sensi dell’art. 54 d.lgs. n.
267/2000- Termine di sessanta giorni -
Incongruità - Ragioni.
Deve ritenersi illegittimo l’ordine di
rimozione e smaltimento, entro sessanta
giorni, di tutto l’amianto presente in uno
stabilimento amianto imposto, ex art. 54,
comma secondo, del decreto legislativo
28.08.2000 n. 267.
A prescindere dalla sussistenza del
presupposto della situazione di necessità
grave e urgente, non appaiono infatti
congrui i termini assegnati dall'ordinanza
per la realizzazione della bonifica, che non
tengono conto dei delicati passaggi
procedurali, necessitati non solo
dall'esigenza di prescegliere in modo
ponderato e di pianificare attentamente le
modalità delle operazioni (D.M. 06.09.1994),
ma anche da quella di tutelare i lavoratori
impiegati nella pericolosa attività a
contatto con fibre di amianto (legge n.
257/1992; decreto legislativo n. 277/1991)
(TAR Puglia-Bari, Sez. I,
sentenza 12.05.2011 n. 718 - link
a www.ambientediritto.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Bonifiche terreni, per gli
illeciti altrui proprietari senza
responsabilità.
La nuova fattispecie di omessa comunicazione
-prevista dall'art. 257, comma primo, D.Lgs.
n. 152 del 2006, in relazione all'art. 242
del medesimo decreto- non e' configurabile
nei confronti di colui che, pur proprietario
del terreno, non abbia cagionato
l'inquinamento del sito stesso. La Corte di
cassazione si pronuncia, per la prima volta,
su una interessante questione giuridica
afferente il tema (in realtà, poco “arato”
dalla giurisprudenza di legittimità dopo
l’entrata in vigore del T.U.A.) della
bonifica dei siti inquinati.
Questa volta, a cadere sotto l’attenta lente
dei giudici della Suprema Corte è la
fattispecie penale, prima non contemplata
dall’abrogato decreto Ronchi n. 22/1997,
rappresentata dal reato di “omessa
comunicazione”, disciplinato dal
combinato disposto degli artt. 242 e 257 del
D.Lgs. 03.04.2006, n. 152.
La Corte, dopo aver affrontato con dovizia
di particolari ed il consueto scrupolo
esegetico l’attuale disciplina normativa,
giunge alla conclusione che del nuovo reato
non può essere chiamato a rispondere il
proprietario del sito inquinato che non
abbia cagionato l’inquinamento.
Costui, tuttavia, precisano i giudici di
Piazza Cavour, pur essendo sottratto alla
sanzione penale prevista dalla richiamata
disposizione, in caso di mancato adempimento
dell’obbligo di comunicazione, si espone
alle conseguenze sanzionatorie di natura
risarcitoria previste dall’art. 311, comma
2, del T.U.A., in quanto sarà esercitabile
nei suoi confronti l’azione risarcitoria in
forma specifica e per equivalente
patrimoniale atteso che la citata norma
punisce l’omissione di attività o
comportamenti doverosi con violazione di
legge, di regolamento amministrativo, con
negligenza, imperizia, imprudenza o
violazione di norme specifiche, posta in
essere da chiunque arrechi danno
all’ambiente, alterandolo, deteriorandolo o
distruggendolo in tutto o in parte.
Il fatto.
La vicenda processuale che ha offerto
l’occasione alla Corte per affermare tale
innovativo principio vedeva imputato il
proprietario di un terreno inquinato il
quale, secondo l’accusa, aveva omesso di
effettuare la comunicazione agli uffici
territorialmente competenti
dell’accertamento di inquinamento storico
dell’area di sua proprietà provocato da
sostanze pericolose, nella specie
idrocarburi con concentrazioni comunque
superiori a 1000 mg/kg.
In sede di merito, il proprietario era stato
condannato per aver violato il disposto
dell’art. 257 in relazione all’art. 242 del
D.Lgs. n. 152/2006, oltre al risarcimento
del danno in favore della Provincia
territorialmente competente.
Il ricorso.
Il ricorrente, proprietario del terreno cui
tuttavia non era addebitabile la causazione
dell’inquinamento del sito, proponeva
ricorso per cassazione avverso la decisione
d condanna, sostenendo che la fattispecie di
omessa comunicazione, prevista dall’art. 257
T.U.A., si riferisce esclusivamente alla
persona che cagiona l’inquinamento,
richiamando espressamente l’art. 242,
anch’esso incentrato sull’autore della
condotta di inquinamento. A ragionare,
invece, come ha fatto il tribunale, ci si
troverebbe di fronte ad una classica ipotesi
di analogia “in malam partem”.
La decisione della
Cassazione.
La Corte, nel risolvere la questione
proposta, ha pianamente condiviso la
prospettazione difensiva. Per meglio
chiarire il ragionamento della Corte sarà
utile richiamare le disposizioni normative
applicate. La fattispecie penale di cui si
controverte è rappresentata dall’art. 257
del T.U.A. che, sotto la rubrica «Bonifica
dei siti», così recita:
“1. Chiunque cagiona l'inquinamento del
suolo, del sottosuolo, delle acque
superficiali o delle acque sotterranee con
il superamento delle concentrazioni soglia
di rischio è punito con la pena dell'arresto
da sei mesi a un anno o con l'ammenda da
2.600 euro a 26.000 euro, se non provvede
alla bonifica in conformità al progetto
approvato dall'autorità competente
nell'ambito del procedimento di cui agli
articoli 242 e seguenti. In caso di mancata
effettuazione della comunicazione di cui
all'articolo 242, il trasgressore è punito
con la pena dell'arresto da tre mesi a un
anno o con l’ammenda da 1.000 euro a 26.000
euro.
2. Si applica la pena dell'arresto da un
anno a due anni e la pena dell'ammenda da
5.200 euro a 52.000 euro se l'inquinamento è
provocato da sostanze pericolose.
3. Nella sentenza di condanna per la
contravvenzione di cui ai commi 1 e 2, o
nella sentenza emessa ai sensi dell'articolo
444 del codice di procedura penale, il
beneficio della sospensione condizionale
della pena può essere subordinato alla
esecuzione degli interventi di emergenza,
bonifica e ripristino ambientale.
4. L'osservanza dei progetti approvati ai
sensi degli articoli 242 e seguenti
costituisce condizione di non punibilità per
i reati ambientali contemplati da altre
leggi per il medesimo evento e per la stessa
condotta di inquinamento di cui al comma 1”.
La norma, quindi, come è agevole desumere
dalla stessa formulazione, prevede due
distinte ipotesi di reato.
Da un lato, il reato di omessa bonifica del
sito inquinato; dall’altro, il reato di
omessa comunicazione dell’evento inquinante
alle autorità competenti, secondo le
modalità indicate dall’art. 242 T.U.A.
Quest’ultima disposizione, richiamata
dall’art. 257 in relazione alla fattispecie
di omessa comunicazione, sotto la rubrica «Procedure
operative ed amministrative» stabilisce,
appunto, quali procedure devono essere
seguite al verificarsi di un evento che sia
potenzialmente in grado di contaminare il
sito, ponendo a carico del “responsabile
dell'inquinamento” l’obbligo di
attivarsi entro 24 ore, predisponendo le
misure necessarie di prevenzione e dandone
immediata comunicazione ai sensi e con le
modalità di cui all'articolo 304, comma 2;
tale obbligo, per espressa previsione del
comma 1 dell’art. 242, si applica “all'atto
di individuazione di contaminazioni storiche
che possano ancora comportare rischi di
aggravamento della situazione di
contaminazione”.
Così inquadrato giuridicamente il tema, è
agevole comprendere il significato del
principio di diritto affermato dalla
Cassazione. Bene evidenziano, infatti, gli
ermellini come nel caso in esame il
destinatario del precetto normativo è il
soggetto che cagiona l’inquinamento.
Quest’ultimo ha una posizione autonoma
rispetto a chi si limita semplicemente ad
accertare la sussistenza di contaminazioni
sul suolo, come del resto si desume dalla
lettura dell’art. 245 T.U.A. che, sotto la
rubrica «Obblighi di intervento e di
notifica da parte dei soggetti non
responsabili della potenziale contaminazione»,
prevede che le procedure per gli interventi
di messa in sicurezza, di bonifica e di
ripristino ambientale possano comunque
attivate su iniziativa degli interessati non
responsabili, aggiungendo (comma 2) che “fatti
salvi gli obblighi del responsabile della
potenziale contaminazione di cui
all'articolo 242”, il proprietario o il
gestore dell'area che rilevi il superamento
o il pericolo concreto e attuale del
superamento della concentrazione soglia di
contaminazione (CSC) deve darne
comunicazione alla regione, alla provincia
ed al comune territorialmente competenti e
attuare le misure di prevenzione secondo la
procedura di cui all'art. 242.
La medesima disposizione, peraltro,
riconosce al proprietario (o ad altro
soggetto interessato) la facoltà di
intervenire in qualunque momento
volontariamente per la realizzazione degli
interventi di bonifica necessari nell'ambito
del sito in proprietà o disponibilità.
Logico ed ineccepibile, sul punto, è il
ragionamento della Corte.
L’obbligo di comunicazione per gli “interessati
non responsabili” risiede nell’art. 245
T.U.A. e non nell’art. 242, richiamato da
tale ultima disposizione solo per quanto
riguarda gli aspetti procedimentali.
Se il legislatore avesse voluto fare
riferimento nell’art. 257 T.U.A. anche a
coloro che non hanno cagionato
l’inquinamento lo avrebbe fatto, provvedendo
non solo a menzionare gli stessi quali
soggetti attivi del reato, ma anche a
richiamare espressamente anche l’art. 245
per individuare l’obbligo di comunicazione
gravante sugli stessi. Residua, peraltro,
secondo la Corte, un profilo di
responsabilità, ma solo di natura
civilistica nei confronti del proprietario
non responsabile.
Ed infatti, il mancato adempimento
dell’obbligo di comunicazione per colui che
non abbia cagionato l’inquinamento espone
senz’altro l’autore dell’omissione alle
conseguenze indicate dall’art. 311, comma 2
T.U.A. Tale disposizione, sotto la rubrica «Azione
risarcitoria in forma specifica e per
equivalente patrimoniale», sanziona -al
comma 2- “Chiunque realizzando un fatto
illecito, o omettendo attività o
comportamenti doverosi, con violazione di
legge, di regolamento, o di provvedimento
amministrativo, con negligenza, imperizia,
imprudenza o violazione di norme tecniche,
arrechi danno all'ambiente, alterandolo,
deteriorandolo o distruggendolo in tutto o
in parte”, obbligandolo “all’effettivo
ripristino a sue spese della precedente
situazione e, in mancanza, all’adozione di
misure di riparazione complementare e
compensativa di cui alla direttiva
2004/35/CE del Parlamento europeo e del
Consiglio, del 21.04.2004, secondo le
modalità prescritte dall’Allegato II alla
medesima direttiva, da effettuare entro il
termine congruo di cui all’articolo 314,
comma 2, del presente decreto.
Quando l’effettivo ripristino o l’adozione
di misure di riparazione complementare o
compensativa risultino in tutto o in parte
omessi, impossibili o eccessivamente onerosi
ai sensi dell’articolo 2058 del codice
civile o comunque attuati in modo incompleto
o difforme rispetto a quelli prescritti, il
danneggiante è obbligato in via sostitutiva
al risarcimento per equivalente patrimoniale
nei confronti dello Stato, determinato
conformemente al comma 3 del presente
articolo, per finanziare gli interventi di
cui all’articolo 317, comma 5”.
Il che vuol dire, in ultima analisi, che per
l’omissione può essere comunque autonoma
sanzione indipendentemente dall’applicazione
di sanzioni penali.
Si noti che, in precedenza, la Corte, in
relazione al reato di omessa comunicazione,
aveva affermato che lo stesso “è
configurabile anche nel caso in cui
intervengano sul luogo dell'inquinamento gli
operatori di vigilanza preposti alla tutela
ambientale, in quanto tale circostanza non
esime l'operatore interessato dall'obbligo
di comunicare agli organi preposti le misure
di prevenzione e messa in sicurezza che
intende adottare, entro 24 ore ed a proprie
spese, per impedire che il danno ambientale
si verifichi” (Cass. pen., sez. 3, n.
40856 del 18/11/2010, P. in Ced Cass.
248708) ed, ancora, che “ai fini della
configurabilità del reato omissivo previsto
dall'art. 257, comma primo, del D.Lgs.
03.04.2006, n. 152, la segnalazione che il
responsabile dell'inquinamento è obbligato
ad effettuare alle autorità indicate in base
all'art. 242 del medesimo decreto è dovuta a
prescindere dal superamento delle soglie di
contaminazione” (Cass. pen., sez. 3, n.
40191 del 30/10/2007, S., in Ced Cass.
238055) (commento tratto da www.ipsoa.it -
Corte di Cassazione penale, sentenza
11.05.2011 n. 18503). |
URBANISTICA:
È illegittimo un piano di
recupero urbano che preveda la costruzione
di un numero di nuove residenze superiore a
quelle da risanare.
La giurisprudenza amministrativa ha chiarito
che “è illegittimo un piano di recupero
urbano (PRU) che prevede la costruzione di
un numero di nuove residenze superiore a
quelle da risanare; infatti la finalità
propria del programma di recupero consiste
nel recupero e nella riqualificazione
dell’edificazione esistente e non già nella
modifica dell’assetto urbanistico, con la
realizzazione di un numero di abitazioni del
tutto sproporzionato” (CS, IV,
03.04.2001 n. 1913) (TAR Lazio-Roma, Sez. II,
sentenza 11.05.2011 n. 4096 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI - ATTI AMMINISTRATIVI:
Diritto di accesso agli atti di
una gara pubblica.
E’ legittimo l’operato di una stazione
appaltante che abbia negato l’accesso agli
atti di gara ad una società che non ha
partecipato alla procedura concorsuale.
Così ha deciso il TAR Lazio-Roma, Sez.
III-ter, con la
sentenza 10.05.2011 n. 4081.
Nel caso di specie le Poste Italiane spa
avevano indetto una gara per
l’individuazione dei soggetti con cui
sottoscrivere accordi quadro di fornitura di
autoveicoli, alla quale aveva partecipato
una sola concorrente, poi risultata
aggiudicataria.
Un’impresa operante nel settore di mercato
coincidente con quello oggetto dell’appalto
aveva presentato istanza di accesso agli
atti di gara, sulla base delle seguenti
motivazioni:
“…di essere titolare di un interesse
qualificato all’accesso, in qualità di
primaria operatrice nel settore della
locazione a lungo termine di veicoli senza
conducente, aspirando, attraverso
l’impugnativa di tali atti, alla
rinnovazione della procedura concorsuale ed
alla partecipazione a seguito di
rinnovazione della gara.”
La stazione appaltante aveva tuttavia negato
l’accesso.
I giudici amministrativi, investiti della
questione, ritengono che l’amministrazione
abbia legittimamente agito, in quanto:
“L’art. 13, del richiamato codice dei
contratti, premesso un generale rinvio alle
norme di cui alla legge n. 241 del 1990,
indica, poi, una disciplina che diverge da
quest'ultima per alcuni profili,
evidenziando previsioni peculiari, e,
dunque, speciali rispetto a quelle di cui
all'art. 24 della legge n. 241/1990.
Il comma 6 dell'art. 13 in esame, infatti,
consente l'accesso agli atti coperti da
segreti tecnici e commerciali, contenuti
nelle offerte, riservandolo, però "al
concorrente che lo chieda in vista della
difesa in giudizio dei propri interessi in
relazione alla procedura di affidamento del
contratto nell’ambito della quale viene
formulata la richiesta di accesso".
E’ evidente la diversità rispetto alla
corrispondente regola dettata dall'art. 24,
comma 7, che può cogliersi già alla lettura
testuale della seconda norma ora in esame,
ove si prevede il diritto all’accesso nei
casi in cui questo sia necessario per curare
o per difendere "i propri interessi
giuridici", con una formulazione più
ampia rispetto a quella di cui al comma 6,
dell'art. 13, che, invece, collega
l’interesse all’accesso alla posizione
giuridica non di chiunque vi abbia
interesse, ma del solo concorrente che abbia
intrapreso un giudizio avente ad oggetto la
procedura di gara in cui l'istanza di
accesso è formulata.
In conclusione, l’accesso ai documenti
amministrativi, che trova una
regolamentazione specifica nel settore dei
contratti pubblici, non può risolversi in un
controllo generalizzato sull’attività della
pubblica amministrazione e tanto meno può
essere consentito a soggetti che non abbiano
partecipato alla procedura poiché non sono
titolari di quella posizione differenziata e
qualificata richiesta dalla normativa in
oggetto (commento tratto da
www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Il termine per l'impugnazione del
provvedimento di aggiudicazione della gara
deve ritenersi decorrente dalla relativa
comunicazione.
Premesso che l’omissione di comunicazione
dell’aggiudicazione definitiva ai sensi
dell’articolo 79, comma 5, del codice dei
contratti -che impone che l’avvenuta
aggiudicazione definitiva sia comunicata
entro un termine non superiore a cinque
giorni- non incide sulla legittimità
dell’aggiudicazione, ma semplicemente sulla
decorrenza del termine per l’impugnazione,
il momento da cui decorre il termine per
l'impugnazione dell'aggiudicazione
definitiva è quello della comunicazione
obbligatoria di cui al comma 5 dell'articolo
79 del d.lgs. n. 163 del 2006, e non quello
di cui al comma 2 della medesima
disposizione (TAR Emilia Romagna, Parma,
sez. I, 05.04.2011, n. 97).
Nel vigore della nuovo testo del richiamato
articolo 79 è stato affermato il principio
secondo cui è tardivo il ricorso notificato
oltre il termine decadenziale decorrente
dalla ricezione del fax recante
comunicazione dell'aggiudicazione definitiva
di una gara, e ciò anche qualora il
destinatario non abbia espressamente
autorizzato l'utilizzo del fax ai sensi
dell'art. 79, comma 5-bis, del d.lgs.
12.04.2006, n. 163, come modificato dal
d.lgs. 20.03.2010, n. 53; invero,
quest'ultima norma va coordinata con il
principio, oggi contenuto nell'articolo 41
del d.lgs. 02.07.2010, secondo cui detto
termine decadenziale decorre non soltanto
dalla notificazione o comunicazione del
provvedimento lesivo, ma anche dalla sua
piena conoscenza, da ritenersi realizzata
anche attraverso la ricezione di un fax (TAR
Lazio, Latina, sez. I, 19.11.2010, n. 1903).
Se, pertanto, il provvedimento lesivo, da
cui decorrono i termini per l'impugnazione,
è quello dell’aggiudicazione definitiva, ne
consegue che, nelle ipotesi in cui la piena
conoscenza dello stesso avvenga mediante la
ricezione della comunicazione individuale di
cui all'articolo 79, è a tale comunicazione
che deve farsi riferimento ai fini della
proposizione dell'azione impugnatoria, posto
che essa contiene gli elementi essenziali
della decisione e del suo contenuto lesivo,
potendo la conoscenza di ulteriori atti
della procedura consentire la proposizione
di eventuali motivi aggiunti.
Conseguentemente, al di là di inutili
formalismi inerenti la qualificazione degli
atti, il termine per l'impugnazione del
provvedimento di aggiudicazione della gara
deve ritenersi decorrente dalla relativa
comunicazione, dovendo l'azione impugnatoria
intendersi riferita al contenuto sostanziale
della decisione di cui si dà notizia, e cioè
all'aggiudicazione definitiva di cui parte
ricorrente si duole, anche nella
considerazione della mancata conoscenza di
ulteriori e diversi provvedimenti (TAR
Lazio, Roma, sez. I, 08.07.2009, n. 6681) (TAR Lazio-Roma,
Sez. II-ter,
sentenza 10.05.2011 n. 4070 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI -
EDILIZIA PRIVATA:
Qualsiasi soggetto abitante in
zona vicina a quella interessata dal
permesso di costruire ha diritto di accedere
ai titoli abilitativi rilasciati e ai
relativi atti progettuali.
In materia di accesso ai titoli edilizi
rilasciati ed ai relativi progetti, l'art. 5
del D.P.R. n. 380 del 2001, nello stabilire
le competenze dello sportello unico per
l'edilizia, pone l'obiettivo di consentire,
a chiunque vi abbia interesse, l'accesso
gratuito all'elenco delle domande presentate
e a tutte le informazioni utili disponibili.
Coerentemente, secondo l’orientamento
consolidato della giurisprudenza qualsiasi
soggetto abitante in zona vicina a quella
interessata dal permesso di costruire
(ancorché non proprietario dell'area in cui
ricade l'intervento edilizio) ha diritto di
accedere ai titoli abilitativi rilasciati e
ai relativi atti progettuali, rilevando la
sussistenza di un interesse personale e
concreto per la tutela di posizioni
giuridicamente rilevanti (cfr. Cons. Stato,
sez. V, 07.05.2008, n. 2086; idem, sez. IV,
14.04.2010, n. 2092; TAR Puglia, Lecce, sez.
II, 17.09.2009, n. 2121).
Ne discende che, poiché la proprietà del
signor Donato ricade comunque nella stessa
zona in cui è collocata l’unità immobiliare
della parte controinteressata, lo scopo,
dichiarato nell'istanza, di valutare la
legittimità delle autorizzazioni rilasciate,
è sufficiente a giustificare l'accesso a
tutti i documenti elencati nell'istanza
stessa (cfr. TAR Puglia, Lecce, cit. n.
2121/2009) (TAR Lazio-Roma, Sez. II-bis,
sentenza 10.05.2011 n. 4053 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Codice del processo
amministrativo: Il Cds apre all'annullamento
ex nunc. Cds: legittime le azioni di
annullamento senza efficacia ex tunc.
Inizia a vacillare uno
dei cardini del processo amministrativo:
l’efficacia ex tunc delle azioni di
annullamento.
Con la
sentenza 10.05.2011 n. 2755, Sez.
VI, il Consiglio di Stato, sviluppando una
decisione di poco precedente (sezione VI, n.
1488/2011), ha osservato che nessuna norma
impone sempre e comunque di attribuire
all'annullamento effetti retroattivi. A suo
tempo, anche questa è stata una costruzione
giurisprudenziale che aveva una
giustificazione rispetto al contesto
normativo dell’epoca.
Oggi, il giudice amministrativo deve tenere
conto del principio di effettività -posto
simbolicamente nel primo articolo del codice
del processo amministrativo- e deve dosare
l’efficacia temporale dell’annullamento in
modo da non arrivare a conseguenze «manifestamente
incongrue o ingiuste». Sino al punto,
quando occorra, di attribuire alla sentenza
di annullamento il solo effetto conformativo,
pro futuro.
La sentenza trova vari indizi della coerenza
di questa soluzione col sistema di giustizia
amministrativa. Il codice del processo, nel
rispetto della direttiva “ricorsi”,
consente pronunce d’inefficacia dei
contratti di appalto limitate nel tempo. La
giustizia europea, più in generale, prevede
espressamente che la Corte di giustizia
possa modulare nel tempo gli effetti delle
decisioni di annullamento degli atti delle
istituzioni dell’Unione.
Si potrebbe aggiungere che a conclusioni
simili era già arrivato il Conseil d’État
francese (sentenza Association AC et autres
del 2004) e che anche nel nostro sistema di
diritto civile non c’è una regola univoca
quanto all’efficacia temporale
dell’annullamento. L’annullamento del
contratto, ad esempio, è retroattivo ma
questo non toglie che la ripetizione delle
prestazioni incontri alcuni limiti, specie
negli obblighi di fare.
Occorrerà a questo punto vedere se la
decisione resti isolata o trovi altre
conferme. Il caso deciso dal Consiglio di
Stato era in effetti molto particolare. I
ricorrenti lamentavano un atto di
pianificazione insufficiente a tutelare gli
interessi ambientali. L’annullamento con
effetti retroattivi avrebbe dunque eliminato
anche questa tutela, sia pure inadeguata, e
avrebbe travolto una pluralità di situazioni
giuridiche che nel frattempo si erano
formate. Potrebbe darsi che in futuro la
regola resti sempre di gran lunga quella
dell’annullamento retroattivo e che
decisioni simili siano riservate a casi
eccezionali.
Sta di fatto che il giudice amministrativo
avrebbe comunque acquisito un nuovo
strumento per modellare la tutela sul caso
concreto, secondo una logica che
innegabilmente emerge dalle pieghe del
codice del processo amministrativo. A
conferma che, molto spesso, i codici e le
leggi valgono più per quanto non vi è
scritto che per ciò che vi si legge
espressamente (commento tratto da
www.diritto24.ilsole24ore.com - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: La
normativa sopravvenuta non può essere
applicata alla gara il cui bando sia stato
pubblicato precedentemente all'entrata in
vigore della stessa.
E' costante l'orientamento giurisprudenziale
secondo il quale le disposizioni normative
sopravvenute non trovano applicazione
relativamente alle procedure in itinere alla
data della loro entrata in vigore, in quanto
il principio tempus regit actum
attiene alle sequenze procedimentali
composte di atti dotati di propria autonomia
funzionale e non anche ad attività (quale è
quella di espletamento di una procedura
concorsuale di selezione contrassegnata,
come nella fattispecie, dal carattere di
unitarietà) interamente disciplinate dalle
norme vigenti al momento in cui essa ha
inizio.
Pertanto, mentre le norme
legislative o regolamentari vigenti al
momento dell'indizione della procedura
devono essere applicate anche se non
espressamente richiamate nel bando, le norme
sopravvenute non modificano, di regola, le
procedure già bandite, a meno che
diversamente non sia espressamente stabilito
dalle norme stesse (TAR Sardegna, Sezione I,
11.08.2009, n. 1439, TAR Lazio Roma, sez. I,
03.05.2007, n. 3893).
Quindi nelle procedure di gara per
l’aggiudicazione di appalti pubblici è
inapplicabile la normativa sopravvenuta alla
pubblicazione del bando di gara. Infatti,
dalla circostanza che il bando, come corpo
di norme regolatrici la gara genera
affidamento nei soggetti che vi partecipano
consegue che la relativa normativa deve
ritenersi cristallizzata al momento della
pubblicazione dello stesso (TAR Campania,
Napoli Sezione I, 11.05.2004 n. 8559).
D’altronde costituisce ius receptum
il principio in base al quale “il
procedimento amministrativo è regolato dal
principio tempus regit actum, e ciò comporta
che la legittimità di un provvedimento va
valutata in relazione alle norme vigenti al
tempo in cui lo stesso è adottato, in
relazione agli interessi sostanziali
tutelati in quella fase del procedimento e
quindi, nelle gare pubbliche, dalla fase
delle offerte alla fase decisoria e
conclusiva dell'avvenuta aggiudicazione”
(Consiglio Stato , sez. IV, 12.03.2009, n.
1458).
E’ fuor di dubbio, in definitiva, che la
normativa sopravvenuta non può essere
applicata alla gara il cui bando sia stato
pubblicato precedentemente all'entrata in
vigore della stessa, dato che in caso
contrario si perverrebbe alla conclusione di
applicare al procedimento una regola diversa
da quella voluta ex ante
dall'Amministrazione in sede di
regolamentazione della gara e conosciuta
come tale dalle imprese partecipanti, con
evidente vulnus dell'affidamento ingenerato
nelle concorrenti (commento tratto da
www.documentazione.ancitel.it - TAR
Sardegna, Sez. I,
sentenza
10.05.2011 n. 458 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI - AMBIENTE-ECOLOGIA:
I meri comitati spontanei che si
costituiscono al precipuo scopo di
proteggere l’ambiente, la salute e/o la
qualità della vita delle popolazioni
residenti su un territorio circoscritto sono
legittimati a ricorrere.
Il collegio osserva che il riconoscimento
delle associazioni di protezione ambientale
da parte del Ministero dell’Ambiente non
preclude che siano legittimate a proporre
ricorso anche associazioni non riconosciute
dal Ministero previa verifica, da
effettuarsi in sede giurisdizionale caso per
caso, della titolarità dell’interesse alla
protezione ambientale sulla base degli
indici di rappresentatività posseduti in
concreto (così Consiglio di Stato VI n. 6554
del 2010).
Una diversa opinione non sarebbe conforme a
Costituzione (artt. 24, 103 e 113), se si
intendesse attribuire in via esclusiva
all’Amministrazione il potere di selezionare
i soggetti legittimati ad agire in giudizio,
così impedendo l’accesso alla tutela
giurisdizionale ad enti esponenziali di
posizioni soggettive differenziate e
qualificate, definibili quali interessi
legittimi.
La legittimazione a ricorrere spetta anche
ai meri comitati spontanei che si
costituiscono al precipuo scopo di
proteggere l’ambiente, la salute e/o la
qualità della vita delle popolazioni
residenti su un territorio circoscritto.
Altrimenti opinando le località e le
relative popolazioni, interessate da minacce
alla salute pubblica o all’ambiente in un
ambito locale circoscritto, non avrebbero
autonoma protezione in caso di inerzia delle
associazioni ambientaliste riconosciute dal
Ministero dell’Ambiente (così Consiglio di
Stato VI n. 6554 del 2010).
D’altro canto dalla previsione di cui
all’art. 9 della legge n. 241 del 1990
consegue la legittimazione alla proposizione
del ricorso da parte non solo di
associazioni, ma anche di comitati che
abbiano partecipato al procedimento che si
sia concluso con provvedimenti che si siano
discostati dal contenuto del consenso
prestato (così Consiglio di Stato IV n. 2174
del 2009).
Infatti l’orientamento giurisprudenziale che
non ammette la legittimazione al ricorso da
parte di coloro che siano intervenuti al
procedimento si riferisce al caso in cui
l’intervento abbia finalità collaborative
(ad esempio nel caso di presentazione di
osservazioni rispetto all’adozione degli
strumenti urbanistici comunali).
Spetta invece la legittimazione a ricorrere
quando l’intervento endoprocedimentale sia
avvenuto in chiave difensiva degli interessi
perseguiti dall’interventore per prevenire
eventuali possibili lesioni che potrebbero
essere arrecate per effetto dell’adozione
dei provvedimenti amministrativi.
Tale quadro normativo è anche coerente con
la direttiva europea 27.06.1985 85/337/CEE
concernente la valutazione dell’impatto
ambientale di determinati progetti pubblici
e privati, che riconosce alle associazioni
ambientali la legittimazione a ricorrere
avverso i provvedimenti che autorizzano
progetti che hanno impatto ambientale.
Tale direttiva non consente infatti che il
legislatore nazionale possa limitare
l’accesso al ricorso giurisdizionale ad
associazioni con un numero minimo di
componenti, tale da comprimere indebitamente
la legittimazione al ricorso e così
impedendo di fatto che gli interessi
collettivi possano essere azionati in
giudizio (così Corte di Giustizia CE II
15.10.2009) (TAR Veneto, Sez. III
,
sentenza 09.05.2011
n. 803 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
L'invalidità di un atto per vizi
procedurali può essere riconosciuta solo
quando gli adempimenti formali omessi non
ammettano equipollenti, per il
raggiungimento dello scopo perseguito.
Osserva il Collegio che il principio di
strumentalità delle forme, di cui sono oggi
espressione gli artt. 21-octies e 21-nonies
della l. n. 241 del 1990, opera con
riferimento a qualsivoglia adempimento da
rendere ai fini della partecipazione alle
pubbliche gare, con la conseguenza che non
ogni violazione comporta l’automatica
esclusione del concorrente che ne è
risultato autore, ma l'invalidità di un atto
per vizi procedurali può essere riconosciuta
solo quando gli adempimenti formali omessi
non ammettano equipollenti, per il
raggiungimento dello scopo perseguito
(Consiglio Stato, sez. VI, 19.03.2009, n.
1670).
In attuazione di detto principio, in
presenza di vizi procedurali (nella specie,
carenze documentali) può di norma
determinarsi la non invalidità della
procedura ove il vizio rientri tra quelli
che consentono la successiva
regolarizzazione, in assenza di una
esplicita e non equivoca previsione di
esclusione rapportata alla carenza
documentale di cui trattasi.
---------------
L'annullamento
d'ufficio da parte della stessa
Amministrazione che abbia adottato un atto
amministrativo illegittimo, salvo taluni
casi espressamente previsti dalle norme,
costituisce una facoltà discrezionale nella
quale l'Amministrazione procedente è tenuta
a tenere in considerazione non solo
l'interesse pubblico alla rimozione degli
effetti prodotti dall'atto illegittimo ma
anche la situazione del privato che abbia
beneficiato di tale illegittimità, nonché,
in senso più lato, anche delle situazioni di
terzi che abbiano fatto affidamento sulla
presunzione di legittimità dell'atto
medesimo.
Dalla natura discrezionale di tale potere
scaturisce l'ulteriore corollario che
l'Amministrazione è tenuta ad esaminare la
possibilità di conservare la situazione
giuridica originata dall'atto in tutti quei
casi nei quali sia possibile correggere o
integrare aspetti e momenti del
procedimento, senza che pregiudizio per
l'interesse pubblico sostanziale.
---------------
Con riguardo
alla responsabilità della Pubblica
Amministrazione per i danni causati
dall’esercizio illegittimo dell’attività
amministrativa, può aderirsi a
quell’orientamento favorevole a restare
all'interno dei più sicuri confini dello
schema e della disciplina della
responsabilità aquiliana, che rivelano una
maggiore coerenza della struttura e delle
regole di accertamento dell'illecito
extracontrattuale con i caratteri oggettivi
della lesione di interessi legittimi e con
le connesse esigenze di tutela, (Cons.
Stato, VI, 23.06.2006 n. 3981 e 09.11.2006
n. 6607; IV, 06.07.2004 n. 5012; 10.08.2004
n. 5500) (Consiglio di Stato, Sez.
V,
sentenza
06.05.2011 n. 2725 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
L'inosservanza di una determinata
prescrizione contenuta nella "lex specialis"
circa le modalità di presentazione
dell'offerta implica, invero, la doverosa
esclusione del concorrente solo quando si
tratta di clausole rispondenti ad un
particolare interesse dell'Amministrazione
appaltante o poste a garanzia della par
condicio tra i concorrenti e del correlato
principio della segretezza delle offerte,
giacché tra più interpretazioni delle norme
di gara è da preferire quella che conduca
alla partecipazione del maggior numero
possibile di aspiranti, al fine di
consentire, nell'interesse pubblico, una
selezione più accurata tra un ventaglio più
ampio di offerte
L'inosservanza
di una determinata prescrizione contenuta
nella "lex specialis" circa le
modalità di presentazione dell'offerta
implica, invero, la doverosa esclusione del
concorrente solo quando si tratta di
clausole rispondenti ad un particolare
interesse dell'Amministrazione appaltante o
poste a garanzia della par condicio tra i
concorrenti e del correlato principio della
segretezza delle offerte, giacché tra più
interpretazioni delle norme di gara è da
preferire quella che conduca alla
partecipazione del maggior numero possibile
di aspiranti, al fine di consentire,
nell'interesse pubblico, una selezione più
accurata tra un ventaglio più ampio di
offerte (Consiglio di Stato, Sez.
V,
sentenza
06.05.2011 n. 2725 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L’amministrazione statale non può
annullare il nulla-osta paesaggistico per
motivi di merito.
Come questo Consiglio di Stato ha già avuto
modo di rilevare, l'art. 82 del d.P.R.
24.07.1977, n. 616, sul trasferimento di
funzioni statali alle Regioni e agli Enti
locali, come modificato dalla l. 08.08.1985,
n. 431, (successivamente trasfuso nell'art.
151, comma 4, secondo periodo, del d.lgs.
29.10.1999, n. 490), attribuiva al Ministero
dei beni e delle attività culturali la
potestà di annullare l'autorizzazione
rilasciata dalla Regione o dall'ente sub
regionale competente quando la stessa fosse
risultata illegittima, anche per eccesso di
potere, mentre non consentiva di disporre
l'annullamento per ragioni di merito, né di
modificare il contenuto dell'autorizzazione
o di imporre modifiche progettuali (Cons.
Stato, sez. II, 10.06.2010 n. 1246).
Tale potere di annullamento andava
esercitato entro il termine perentorio di
sessanta giorni, termine che si riferisce
non alla comunicazione, ma alla sola
adozione del provvedimento, non avendo lo
stesso natura recettizia (Cons. Stato, sez.
VI, 09.06.2009 n. 3557 e 29.12.2008 n.
6586)).
Tali affermazioni sono state ribadite anche
in riferimento alla natura (perentoria) del
termine per l’annullamento del parere
favorevole reso dall’amministrazione cui
compete esprimersi ai sensi dell’art. 32 l.
n. 47/1985, ribadendosi altresì la natura
non recettizia dell’atto di annullamento
(Cons. Stato, sez. VI, 13.02.2009 n. 769)
Da quanto sin qui esposto, consegue:
- che il parere sui profili di compatibilità
con il vincolo paesaggistico deve essere
reso ai fini della possibilità di emettere
concessione edilizia in sanatoria ex l. n.
47/1985;
- che tale parere è sottoposto all’eventuale
esercizio del potere di annullamento da
parte della competente amministrazione
statale;
- che il provvedimento di annullamento, di
natura non recettizia, deve essere emanato
entro il termine perentorio di sessanta
giorni.
---------------
Come si è già avuto modo di affermare, è
indubbio che l’amministrazione statale non
può disporre l'annullamento
dell’autorizzazione paesaggistica o del
nulla-osta paesaggistico adottato
dall’amministrazione competente per ragioni
di merito né ha il potere di modificare il
contenuto dell'autorizzazione o di imporre
modifiche progettuali (Cons. Stato, sez. II,
10.06.2010 n. 1246) (Consiglio di Stato,
Sez. V,
sentenza 04.05.2011 n. 2664 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA - URBANISTICA:
Il sindacato giurisdizionale del
piano di classificazione acustica è ammesso
limitatamente ai casi di gravi illogicità,
irrazionalità o travisamenti sintomatici del
vizio di eccesso di potere.
Mutuando le conclusioni della giurisprudenza
consolidata in tema di pianificazione
urbanistica, le scelte pianificatorie
effettuate dalla P.A. possono formare
oggetto di sindacato di legittimità da parte
del giudice amministrativo laddove risultino
inficiate da arbitrarietà, irrazionalità od
irragionevolezza, o dal travisamento dei
fatti in relazione alle esigenze che si
intendono concretamente soddisfare (cfr.,
ex multis, C.d.S., Sez. IV, 26.04.2006,
n. 2291; id., 18.06.2009, n. 4024).
Con specifico riferimento alla zonizzazione
acustica, poi, si è chiarito che le scelte
effettuate dal Comune in materia di
classificazione acustica non afferiscono al
merito dell’attività pianificatoria/programmatoria
dell’Ente, insindacabile in sede di giudizio
di legittimità, ma sono espressione di
discrezionalità tecnica, ancorata
all’accertamento di specifici presupposti di
fatto, il primo dei quali è il preuso del
territorio: ciò, poiché non è possibile
sacrificare oltremodo le aspettative
consolidate di coloro che si sono
legittimamente insediati in zone qualificate
industriali e, quindi, funzionalmente
deputate all’espletamento di attività
produttive, che non debbono subire
limitazioni, a causa della classificazione
acustica, non adeguatamente giustificate,
diversamente da ciò che potrebbe avvenire,
ad es., per le attività industriali
localizzate in zona impropria (cfr. TAR
Veneto, Sez. III, 24.01.2007, n. 187).
Donde la sindacabilità di tali scelte, nei
limiti, appunto, in cui è ammesso il
sindacato degli atti che costituiscono
espressione di discrezionalità tecnica (per
illogicità manifesta, travisamento dei
fatti, palese disparità di trattamento: TAR
Lazio, Roma, Sez. I, 30.09.2010, n. 32618).
Del resto, sempre con riguardo al piano di
classificazione acustica, la più recente
giurisprudenza del Consiglio di Stato ne ha
ammesso il sindacato giurisdizionale,
ancorché negli stessi limiti degli altri
atti di pianificazione del territorio, al
fine di non invadere il merito delle scelte
discrezionali adottate dalla P.A. e, dunque,
limitatamente ai casi di gravi illogicità,
irrazionalità o travisamenti sintomatici del
vizio di eccesso di potere (C.d.S., Sez. IV,
31.12.2009, n. 9301) (TAR Toscana,
Sez. II,
sentenza 04.05.2011 n. 776 - (link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
L’eventuale annullamento
dell’atto di adozione esplica effetti
automaticamente caducanti, e non già
meramente vizianti, sul successivo
provvedimento di approvazione, nella parte
in cui lo stesso conferma le previsioni già
contenute nel piano adottato e fatto oggetto
di impugnativa: ciò giacché l’annullamento
dell’atto di adozione implica il venir meno
di uno degli elementi necessari di un atto
complesso, il cui procedimento si conclude
solo con l’approvazione.
La
giurisprudenza è costante nel ritenere che
l’eventuale annullamento dell’atto di
adozione esplica effetti automaticamente caducanti, e non già meramente vizianti, sul
successivo provvedimento di approvazione,
nella parte in cui lo stesso conferma le
previsioni già contenute nel piano adottato
e fatto oggetto di impugnativa (C.d.S., Sez.
IV, 08.03.2010, n. 1361): ciò giacché
l’annullamento dell’atto di adozione implica
il venir meno di uno degli elementi
necessari di un atto complesso, il cui
procedimento si conclude solo con
l’approvazione (C.d.S. Sez. IV, 13.04.2005,
n. 1743).
L’atto di adozione e quello di approvazione,
che andranno a comporre l’atto complesso di
pianificazione, restano comunque due atti
distinti, tanto che, da un lato,
l’impugnazione dell’atto di adozione è una
semplice facoltà, il cui mancato esercizio
non comporta alcuna preclusione in ordine
all’impugnazione della successiva
approvazione del piano; dall’altro lato, la
mancata impugnazione dell’atto di
approvazione non comporta di regola
cessazione di interesse al ricorso
presentato contro il primo, a meno che
l’approvazione non abbia determinato
modifiche delle prescrizioni e previsioni
impugnate (C.d.S., Sez. IV, 13.01.2010, n.
50) (TAR Toscana,
Sez. II,
sentenza 04.05.2011 n. 776 - (link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Impianti fotovoltaici -
Disciplina urbanistica comunale -
Indifferenziato divieto di installazione -
Illegittimità - Autorizzazione ex art. 12
d.lgs. n. 387/2003 - Valenza di variante
urbanistica.
Il corretto fine e onere di tutelare il
paesaggio non può tradursi in un
indifferenziato o generalizzato divieto di
installazione di impianti fotovoltaici nella
quasi totalità delle aree agricole del
Comune e prescindendo da peculiarità
specifiche delle aree, poiché tali impianti
sono comunque oggetto di particolari
discipline incentivate a più livelli.
Ne deriva la correttezza della scelta della
Provincia, amministrazione procedente, di
disattendere la disciplina urbanistica
comunale che produca un simile risultato,
invocando anche la specifica valenza di
variante urbanistica del procedimento di cui
all’art. 12 del d.lgs. n. 387/2003 (TAR
Piemonte, Sez. I,
sentenza 04.05.2011 n. 451 - link
a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Condono edilizio e requisiti
igienico-sanitari. Non è possibile derogare
ai igienico-sanitari per le costruzioni
oggetto di condono edilizio.
Il rilascio del certificato di abitabilità
di un fabbricato, conseguente al condono
edilizio, ai sensi dell'art. 35 comma 20,
della L. 47/1985, può legittimamente
avvenire in deroga solo a norme
regolamentari e non anche quando siano
carenti condizioni di salubrità richieste
invece da fonti normative di livello
primario, in quanto la disciplina del
condono edilizio, per il suo carattere di
eccezionalità e derogatorio, non è
suscettibile di interpretazioni estensive e,
soprattutto, tali da incidere sul
fondamentale principio della tutela della
salute, con evidenti riflessi sul piano
della legittimità costituzionale.
Questo in sintesi il principio ribadito dal
Consiglio di Stato, Sez. IV, con la
sentenza 03.05.2011 n. 2620, che,
sulla scorta di precedenti pronunce,
aggiunge che non è possibile ritenere che
l’art. 35, comma 20, della L. 47/1985
contenga una deroga generale ed
indiscriminata alle norme che presidiano i
requisiti di abitabilità degli edifici, e
ciò proprio perché la detta legge intende
contemperare valori tutti costituzionalmente
garantiti, quali, tra gli altri, da un lato
il diritto alla salute e dall’altro il
diritto all’abitazione e al lavoro (commento
tratto da www.legislazionetecnica.it - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
rilascio del certificato di abitabilità di
un fabbricato, conseguente al condono
edilizio, ai sensi del citato art. 35, comma
20, l. n. 47 del 1985, può legittimamente
avvenire in deroga solo a norme
regolamentari e non anche quando siano
carenti condizioni di salubrità richieste
invece da fonti normative di livello
primario, in quanto la disciplina del
condono edilizio, per il suo carattere di
eccezionalità e derogatorio, non è
suscettibile di interpretazioni estensive e,
soprattutto, tali da incidere sul
fondamentale principio della tutela della
salute, con evidenti riflessi sul piano
della legittimità costituzionale.
La deroga introdotta dall’art. 35, comma 20,
non riguarda i requisiti richiesti da
disposizioni legislative e deve, pertanto,
escludersi una automaticità assoluta nel
rilascio del certificato di abitabilità ...
a seguito di concessione in sanatoria,
dovendo invece il Comune verificare che al
momento del rilascio del certificato di
abitabilità siano osservate non solo le
disposizioni di cui all'art. 221 T.U. delle
leggi sanitarie (rectius, di cui all'art. 4
del D.p.r. 425/1994), ma, altresì quelle
previste da altre disposizioni di legge in
materia di abitabilità e servizi essenziali
relativi e rispettiva normativa tecnica ....
Permangono, infatti, in capo ai Comuni tutti
gli obblighi inerenti alla verifica delle
condizioni igienico-sanitarie per
l'abitabilità degli edifici, con l'unica
possibile deroga ai requisiti fissati da
norme regolamentari.
Non è possibile ritenere che l’art. 35,
comma 20, l. n. 47/1985 contenga una deroga
generale ed indiscriminata alle norme che
presidiano i requisiti di abitabilità degli
edifici, e ciò proprio perché la detta legge
intende contemperare valori tutti
costituzionalmente garantiti, quali, tra gli
altri, da un lato il diritto alla salute e
dall’altro il diritto all’abitazione e al
lavoro.
Laddove le condizioni concrete di un
immobile rendano il medesimo tale da non
essere ritenuto abitabile, poiché esse si
pongono in contrasto con il rispetto della
dignità umana (art. 2 Cost.) e del diritto
alla salute (art. 32 Cost.), o, più
specificamente, con le condizioni richiamate
dagli artt. 218 e 221 TULS, non rileva che
la specifica condizione di inabitabilità
trovi letterale richiamo in una norma di
regolamento comunale (o che ad essere citata
negli atti amministrativi sia proprio e solo
quella norma), poiché quanto obiettivamente
constatato contrasta direttamente con le
indicate norme primarie e con il contenuto
precettivo di disposizioni costituzionali.
Ne consegue che, in tali ipotesi, non può
trovare applicazione la deroga prevista dal
più volte citato art. 35, comma 20, l. n.
47/1985.
L’art. 35, comma 20 (già comma 14) della
legge 47/1985, prevede che:
“A seguito della concessione o
autorizzazione in sanatoria viene altresì
rilasciato il certificato di abitabilità o
agibilità anche in deroga ai requisiti
fissati da norme regolamentari, qualora le
opere sanate non contrastino con le
disposizioni vigenti in materia di sicurezza
statica, attestata dal certificato di
idoneità di cui alla lettera b) del terzo
comma e di prevenzione degli incendi e degli
infortuni”.
La giurisprudenza di questo Consiglio di
Stato, in merito all’interpretazione di
detta norma, ha già avuto modo di affermare
che il rilascio del certificato di
abitabilità di un fabbricato, conseguente al
condono edilizio, ai sensi del citato art.
35, comma 20, l. n. 47 del 1985, può
legittimamente avvenire in deroga solo a
norme regolamentari e non anche quando siano
carenti condizioni di salubrità richieste
invece da fonti normative di livello
primario, in quanto la disciplina del
condono edilizio, per il suo carattere di
eccezionalità e derogatorio, non è
suscettibile di interpretazioni estensive e,
soprattutto, tali da incidere sul
fondamentale principio della tutela della
salute, con evidenti riflessi sul piano
della legittimità costituzionale (Cons.
Stato, sez. V, 15.04.2004 n. 2140;
13.04.1999 n. 414).
Tale orientamento risulta, peraltro, del
tutto coerente con quello espresso dalla
Corte Costituzionale, che, con sentenza
18.07.1996 n. 256, ha affermato che la
deroga introdotta dall’art. 35, comma 20, "non
riguarda i requisiti richiesti da
disposizioni legislative e deve, pertanto,
escludersi una automaticità assoluta nel
rilascio del certificato di abitabilità ...
a seguito di concessione in sanatoria,
dovendo invece il Comune verificare che al
momento del rilascio del certificato di
abitabilità siano osservate non solo le
disposizioni di cui all'art. 221 T.U. delle
leggi sanitarie (rectius, di cui all'art. 4
del D.p.r. 425/1994), ma, altresì quelle
previste da altre disposizioni di legge in
materia di abitabilità e servizi essenziali
relativi e rispettiva normativa tecnica ....
Permangono, infatti, in capo ai Comuni tutti
gli obblighi inerenti alla verifica delle
condizioni igienico-sanitarie per
l'abitabilità degli edifici, con l'unica
possibile deroga ai requisiti fissati da
norme regolamentari".
Orbene, alla luce della giurisprudenza
riportata e della lettura costituzionalmente
orientata della norma, resa dalla Corte
Costituzionale, appare evidente che non è
possibile ritenere che l’art. 35, comma 20,
l. n. 47/1985 contenga una deroga generale
ed indiscriminata alle norme che presidiano
i requisiti di abitabilità degli edifici, e
ciò proprio perché –come chiarito sempre
dalla Corte Costituzionale con la sentenza
citata (e già prima con sentenza n.
427/1995)– la detta legge intende
contemperare valori tutti costituzionalmente
garantiti, quali, tra gli altri, da un lato
il diritto alla salute e dall’altro il
diritto all’abitazione e al lavoro.
Una interpretazione che validi una deroga “generale”
alla normativa a tutela della salute, con
particolare riguardo al luogo di abitazione,
si porrebbe, dunque, in contrasto non solo
con l’art. 32 Cost., ma anche con quelle
stesse esigenze di contemperamento tra
diversi valori costituzionali, proprie della
legge n. 47/1995.
Pertanto, mentre possono essere derogate
norme regolamentari, non possono esserlo
norme di legge, in quanto rispetto ad esse
la deroga non è evocata nell’art. 35, comma
20.
Tanto precisato, appare evidente come –nel
definire l’ambito della deroga– non può
assumere esclusiva rilevanza il mero dato
formale dell’appartenenza della disposizione
(e della norma da essa espressa) ad una
fonte primaria (come tale non derogabile)
ovvero ad una fonte secondaria (quindi
derogabile), ma occorre verificare se le
specifiche condizioni igienico-sanitarie
violino norme regolamentari imposte, ad
esempio, dai regolamenti comunali, quale
ulteriore e specifica esigenza da essi
rappresentata con riferimento a specificità
di quel singolo territorio, ovvero si tratti
di norme regolamentari che attuano
precedenti disposizioni primarie.
In altre parole, l’art. 35, comma 20, l. n.
47/1985 ha inteso evitare che singole,
specifiche disposizioni regolamentari
–espressione di esigenze locali e comunque
non attuative di norme di legge
gerarchicamente sovraordinate– possano
costituire, ex post, mediante il
diniego del certificato di abitabilità,
ostacolo al condono, e quindi alla
regolarizzazione, delle costruzioni abusive,
frustrando l’esigenza di “rientro nella
legalità”, che, per il tramite della
detta legge, si è inteso attuare.
Ma, allo stesso tempo, la citata
disposizione non ha inteso porre nel nulla
la tutela igienico-sanitaria degli edifici
e, quindi, il diritto alla salute dei
cittadini.
In tal senso, occorre ricordare che l’art.
218 R.D. 27.07.1934 n. 1265 (Testo unico
delle leggi sanitarie) prevede, tra l’altro:
“I regolamenti locali di igiene e sanità
stabiliscono le norme per la salubrità
dell'aggregato urbano e rurale e delle
abitazioni, secondo le istruzioni di massima
emanate dal Ministro della sanità.
I detti regolamenti debbono contenere le
norme dirette ad assicurare che nelle
abitazioni:
a) non vi sia difetto di aria e di luce;
b) lo smaltimento delle acque immonde, delle
materie escrementizie e di altri rifiuti
avvenga in modo da non inquinare il
sottosuolo;
c) le latrine, gli acquai e gli scaricatoi
siano costruiti e collocati in modo da
evitare esalazioni dannose o infiltrazioni;
d) l'acqua potabile nei pozzi, in altri
serbatoi e nelle condutture sia garantita da
inquinamento”.
Appare evidente come tale disposizione, per
un verso, affida ai regolamenti, in
generale, di stabilire le norme per la
salubrità delle abitazioni; per altro verso,
impone a tali regolamenti (con ciò
esprimendo un precetto normativo di rango
primario) di assicurare che nelle
abitazioni, tra l’altro, non vi sia “difetto
di aria e di luce”, vi siano congrui
servizi igienici, etc.
Allo stesso modo, il successivo art. 221
prevede che possa essere concessa
l’abitabilità ad un edificio, allorchè, tra
l’altro, “non sussistano altre cause di
insalubrità”.
In definitiva, laddove le condizioni
concrete di un immobile rendano il medesimo
tale da non essere ritenuto abitabile,
poiché esse si pongono in contrasto con il
rispetto della dignità umana (art. 2 Cost.)
e del diritto alla salute (art. 32 Cost.),
o, più specificamente, con le condizioni
richiamate dagli artt. 218 e 221 TULS, non
rileva che la specifica condizione di
inabitabilità trovi letterale richiamo in
una norma di regolamento comunale (o che ad
essere citata negli atti amministrativi sia
proprio e solo quella norma), poiché quanto
obiettivamente constatato contrasta
direttamente con le indicate norme primarie
e con il contenuto precettivo di
disposizioni costituzionali.
Ne consegue che, in tali ipotesi, non può
trovare applicazione la deroga prevista dal
più volte citato art. 35, comma 20, l. n.
47/1985.
In tal senso si è già pronunciato questo
Consiglio di Stato che, con la già citata
sentenza n. 2140/2004, ha valutato che “le
deficienze igienico sanitarie (umidità
diffusa, scarsa aereazione ed illuminazione)
riscontrate nei locali di cui si tratta dai
competenti uffici della U.s.l. integrano la
violazione di prescrizioni poste a tutela
della salubrità degli ambienti adibiti ad
abitazione da fonti normative di carattere
primario, quali gli artt. 218 e 221 del T.U.
delle leggi sanitarie 27.07.1934 n. 1265.”
Né deve sorprendere la circostanza che il
provvedimento abbia fatto salva una funzione
accessoria dell’immobile –quindi
condonandolo sul piano edilizio-urbanistico
ma interdicendolo all’uso abitativo– posto
che è del tutto evidente come possano
esservi ambienti accessori ad ambienti ad
uso abitativo (ad es., cantine), per i quali
sono ragionevolmente diversi i requisiti
igienici
Come ha chiarito la Corte Costituzionale
(sent. n. 256/1996 cit.), “d'altro canto,
il certificato di abitabilità non deve
necessariamente autorizzare in maniera
uniforme tutto l'edificio o parte di esso,
dovendo essere distinti gli usi abitativi o
di semplice agibilità, quando alcuni locali
siano utilizzabili solo come accessori o
come locali non destinabili a usi abitativi
stabili o come depositi o con altri usi non
abitativi, quando non siano strutturalmente
idonei sotto il profilo igienico-sanitario
per una abitabilità piena, ancorché oggetto
di concessione edilizia in sanatoria.”
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 03.05.2011 n. 2620 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
I lavori di ricostruzione di un
edificio demolito non sono ricompresi né tra
gli interventi di manutenzione
straordinaria, per i quali è prevista
l'autorizzazione del sindaco, né tra quelli
di restauro o di risanamento conservativo,
ma rientrano, semmai, fra gli interventi di
ristrutturazione edilizia: per tali
interventi è richiesta la concessione.
Secondo una consolidata giurisprudenza, i
lavori di ricostruzione di un edificio
demolito, come quello in questione, ove la
stessa ricorrente ha ammesso che le mura di
sostegno sono crollate, non sono ricompresi
né tra gli interventi di manutenzione
straordinaria, per i quali è prevista
l'autorizzazione del sindaco, né tra quelli
di restauro o di risanamento conservativo,
ma rientrano, semmai, fra gli interventi di
ristrutturazione edilizia: per tali
interventi è richiesta la concessione (cfr.,
ex multis, Cassazione penale, III,
21.12.1998, n. 1218; VI, 05.03.1997, n.
5987; TAR Liguria, I, 03.04.2003, n. 451).
Va anche rilevato che la ricorrente non ha
fornito alcun elemento, anche soltanto
indiziario, idoneo a dimostrare che il
crollo sia avvenuto del tutto casualmente,
per effetto dei lavori, come labialmente
asserito
(TAR Sicilia-Palermo, Sez. III,
sentenza 03.05.2011 n. 820 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Non è dovuta la comunicazione di
avvio del procedimento, ex art. 7, l. n. 241
del 1990, rispetto ad una ordinanza avente
carattere contingibile ed urgente ai sensi
dell'art. 54, d.lg. n. 267 del 2000.
Il potere di adozione di un'ordinanza
contingibile ed urgente di cui all'art. 54,
d.lgs. n. 267 del 2000 presuppone la
necessità di provvedere in via d'urgenza con
strumenti extra ordinem per far fronte a
situazioni di natura eccezionale ed
imprevedibile di pericolo attuale ed
imminente per l'incolumità pubblica, cui non
si può provvedere con gli strumenti ordinari
apprestati dall'ordinamento.
Il potere di emanare ordinanze contingibili
ed urgenti conserva la sua connotazione
atipica e residuale, ed è pertanto
esercitabile, sussistendone le condizioni,
tutte le volte in cui non sia conferito
dalla legge il potere di emanare atti
tipici, in presenza di presupposti indicati
da specifiche normative di settore.
Afferma costante giurisprudenza che non è
dovuta la comunicazione di avvio del
procedimento, ex art. 7, l. n. 241 del 1990,
rispetto ad una ordinanza avente carattere
contingibile ed urgente ai sensi dell'art.
54, d.lg. n. 267 del 2000 (cfr., da ultimo,
TAR Lazio Roma, sez. II, 14.05.2010, n.
11327).
In tal caso, infatti, l'urgenza di
provvedere è connaturata alla funzione
stessa del provvedimento adottato (cfr. TAR
Piemonte Torino, sez. II, 18.02.2010, n.
965).
Come questo Tribunale ha osservato, il
potere di adozione di un'ordinanza
contingibile ed urgente di cui all'art. 54,
d.lgs. n. 267 del 2000 presuppone la
necessità di provvedere in via d'urgenza con
strumenti extra ordinem per far
fronte a situazioni di natura eccezionale ed
imprevedibile di pericolo attuale ed
imminente per l'incolumità pubblica, cui non
si può provvedere con gli strumenti ordinari
apprestati dall'ordinamento (cfr. TAR
Calabria Catanzaro, sez. II, 09.09.2010, n.
2556).
Del resto, il potere di emanare ordinanze
contingibili ed urgenti, pur dopo il suo
ampliamento ad opera del d.l. n. 92 del
2008, convertito con modificazioni in l. n.
125 del 2008, conserva la sua connotazione
atipica e residuale, ed è pertanto
esercitabile, sussistendone le condizioni,
tutte le volte in cui non sia conferito
dalla legge il potere di emanare atti
tipici, in presenza di presupposti indicati
da specifiche normative di settore (cfr. TAR
Toscana Firenze, sez. II, 24.08.2010, n.
4876) (TAR Calabria-Catanzaro, Sez. I,
sentenza 03.05.2011 n. 607 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
Il
trasferimento della proprietà delle opere di
urbanizzazione in capo al comune costituisce
un'obbligazione ex lege -inderogabile e
indisponibile per le parti della convenzione
di lottizzazione in base alla quale le opere
stesse sono state realizzate-, ex art. 28
della L. n. 1150 del 17.08.1942, con la
conseguenza che le parti non potrebbero
legittimamente accordarsi sul loro
mantenimento in capo al lottizzante, essendo
tali opere strumentali allo svolgimento di
pubblici servizi fisiologicamente rientranti
nelle competenze dell'autorità
amministrativa (mentre la gestione degli
stessi per mezzo di privati sarebbe
teoricamente concepibile solo previo atto di
concessione di pubblico servizio, contenente
le regole da osservare per garantire
l'ottimale soddisfacimento del servizio
offerto ai cittadini).
La convenzione di lottizzazione non può
contenere clausole ostative al trasferimento
delle opere in capo all'Ente locale, non
potendosi ragionevolmente affermare che il
Comune possa sottrarsi all'acquisizione
delle aree ove insistono le opere di
urbanizzazione, "stante il fatto che
l'obbligo di tale acquisizione risulta
puntualmente enunciato dall'anzidetto art.
28 della L. 1150 del 1942", ove al quinto
comma si prevede che la convenzione di
lottizzazione debba contemplare, comunque,
"la cessione gratuita entro termini
prestabiliti delle aree necessarie per le
opere di urbanizzazione primaria, precisate
dall'articolo 4 della legge 29.09.1964, n.
847".
E’ un dato pacifico che gli oneri di
manutenzione ordinaria e straordinaria
connessi alle opere di urbanizzazione
ricadono interamente sull'ente locale una
volta acquisite al suo patrimonio per
cessione (previo collaudo sulla loro
regolare esecuzione) da parte del
lottizzante.
Il
trasferimento della proprietà delle opere di
urbanizzazione in capo al comune costituisce
un'obbligazione ex lege -inderogabile
e indisponibile per le parti della
convenzione di lottizzazione in base alla
quale le opere stesse sono state
realizzate-, ex art. 28 della L. n. 1150 del
17.08.1942, con la conseguenza che le parti
non potrebbero legittimamente accordarsi sul
loro mantenimento in capo al lottizzante,
essendo tali opere strumentali allo
svolgimento di pubblici servizi
fisiologicamente rientranti nelle competenze
dell'autorità amministrativa (mentre la
gestione degli stessi per mezzo di privati
sarebbe teoricamente concepibile solo previo
atto di concessione di pubblico servizio,
contenente le regole da osservare per
garantire l'ottimale soddisfacimento del
servizio offerto ai cittadini); ove,
infatti, si ammettesse la possibilità di
mantenere la gestione delle opere di
urbanizzazione primaria in capo al
lottizzante, i cittadini interessati (che
hanno diritto di pretendere servizi di
qualità, che solo l'ente pubblico può
garantire, non essendo la sua azione
finalizzata ad ottenere un utile d'impresa)
resterebbero sostanzialmente "in balia"
del privato gestore, il quale avrebbe tutto
l'interesse a contenere i costi di
manutenzione, con presumibile decadimento
della qualità dei servizi offerti (cfr. TAR
Sardegna Cagliari, sez. II, 19.02.2010, n.
187).
Si consideri che il TAR Veneto, con sentenza
n. 1373/2004, ha avuto modo di chiarire che,
la convenzione di lottizzazione non può
contenere clausole ostative al trasferimento
delle opere in capo all'Ente locale, non
potendosi ragionevolmente affermare che il
Comune possa sottrarsi all'acquisizione
delle aree ove insistono le opere di
urbanizzazione, "stante il fatto che
l'obbligo di tale acquisizione risulta
puntualmente enunciato dall'anzidetto art.
28 della L. 1150 del 1942", ove al
quinto comma si prevede -nel testo
conseguente alle sostituzioni disposte per
effetto dell'art. 8 della L. 765 del 1967-
che la convenzione di lottizzazione debba
contemplare, comunque, "la cessione
gratuita entro termini prestabiliti delle
aree necessarie per le opere di
urbanizzazione primaria, precisate
dall'articolo 4 della legge 29.09.1964, n.
847".
Così come deve ancora osservarsi che il
legislatore, nel disciplinare le opere di
urbanizzazione, ha confermato la possibilità
della realizzazione diretta c.d. a scomputo
dal contributo di concessione ma non ha
lasciato alcun dubbio in merito al passaggio
della proprietà delle stesse, una volta
realizzate, in capo all'ente pubblico
territoriale di riferimento, prevedendone la
confluenza nel patrimonio indisponibile
(art. 16, comma 2, d.lgs. n. 380 del 2001);
ciò ad ulteriore riprova che si tratti di
beni destinati alla fruizione pubblica. In
altri termini per le dette opere di
urbanizzazione si registra una presunzione
iuris et de iure di proprietà
pubblica, con la conseguenza che per tali
interventi, a seguito dell'entrata in vigore
del T.U. edilizia, non può ipotizzarsi la
permanenza in capo ai privati della relativa
proprietà (cfr. TAR Puglia Bari, sez. II,
01.07.2010, n. 2815). Quanto alle relative
aree, l'esecuzione delle ricordate opere di
urbanizzazione (in osservanza di un obbligo
imposto dalla convenzione di lottizzazione),
comporta l’asservimento all'uso pubblico
delle relative aree, che, per tale motivo,
non possono rimanere nella disponibilità dei
privati (cfr. TAR Marche Ancona, 06.08.2003,
n. 939).
E’ un dato, quindi, pacifico che gli oneri
di manutenzione ordinaria e straordinaria
connessi alle opere di urbanizzazione
ricadono interamente sull'ente locale una
volta acquisite al suo patrimonio per
cessione (previo collaudo sulla loro
regolare esecuzione) da parte del
lottizzante (cfr. TAR Sardegna Cagliari,
sez. II, 26.01.2009, n. 89) (TAR
Calabria-Catanzaro, Sez. I,
sentenza 03.05.2011 n. 607 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Gare, un'impresa per
proprietario. Cassazione: vietato presentare
più aziende.
Stretta della Cassazione sugli appalti
pubblici. Commette il reato di turbata
libertà degli incanti il proprietario di
diverse aziende che si presentano a una gara
simultaneamente e con offerte concordate
(Corte di Cassazione, Sez. VI penale,
sentenza 29.04.2011 n.
16333). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
divieto di costruzione di opere ad una
determinata distanza dagli argini dei corsi
d'acqua, previsto dall'art. 96, lett. f),
t.u. 25.07.1904, n. 523, ha carattere
assoluto ed inderogabile, in quanto teso a
consentire le normali operazioni di
ripulitura e di manutenzione, e di impedire
le esondazioni delle acque.
Occorre ricordare che il divieto di
costruzione di opere ad una determinata
distanza dagli argini dei corsi d'acqua,
previsto dall'art. 96, lett. f), t.u.
25.07.1904, n. 523, abbia carattere assoluto
ed inderogabile, in quanto teso a consentire
le normali operazioni di ripulitura e di
manutenzione, e di impedire le esondazioni
delle acque (Cassazione civile, sez. I,
22.04.2005, n. 8536; Consiglio di Stato,
sez. IV, 23.07.2009, n. 4663; Consiglio di
Stato, sez. V, 26.03.2009, n. 1814).
La deroga contenuta nella lettera F del
citato art. 96, per cui la distanza minima
si applica in mancanza di “discipline
vigenti nelle diverse località” è quindi
di carattere eccezionale. Come è stato
chiarito dalla giurisprudenza della Suprema
corte, “ciò significa che la normativa
locale, per prevalere sulla norma generale,
deve avere carattere specifico, ossia essere
una normativa espressamente dedicata alla
regolamentazione della tutela delle acque e
alla distanza dagli argini delle
costruzioni, che tenga esplicitamente conto
della regola generale espressa dalla
normativa statale e delle peculiari
condizioni delle acque e degli argini che la
norma locale prende in considerazione al
fine di stabilirvi l'eventuale deroga.
Nulla vieta che la norma locale sia espressa
anche mediante l'utilizzo di uno strumento
urbanistico, come può essere il piano
regolatore generale, ma occorre che tale
strumento contenga una norma esplicitamente
dedicata alla regolamentazione delle
distanze delle costruzioni dagli argini
anche in eventuale deroga al R.D.
25.07.1904, n. 523, art. 96, lett. f), in
relazione alla specifica condizione locale
delle acque di cui trattasi” (Cassazione
civile, sez. un., 18.07.2008, n. 19813)
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 29.04.2011 n. 2544 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
“ratio” dell’art. 64 della LR Lombardia
12/2005, laddove vieta il superamento dei
limiti di altezza previsti dagli strumenti
urbanistici, è senza dubbio quella di
evitare che attraverso il recupero abitativo
dei sottotetti esistenti vengano nei fatti
eluse o violate le prescrizioni urbanistiche
vincolanti in tema di altezza massima di
edifici, giacché tale superamento finirebbe
per aggravare carichi urbanistici spesso
assai consistenti, ponendo così in
discussione equilibri urbanistici talora
fragili, soprattutto nell’agglomerato urbano
milanese.
Di conseguenza, laddove uno stabile già
supera l’altezza massima prevista da
disposizioni di piano successive alla sua
edificazione, non può consentirsi un
ulteriore innalzamento, derivante dal
recupero del sottotetto, in quanto ciò
sarebbe eccessivamente lesivo dell’interesse
della collettività al rispetto dei carichi
urbanistici della zona.
La circostanza che il nuovo progetto preveda
la non abitabilità dell’immobile realizzato,
in quanto sono state tamponate le finestre,
non può indurre a ritenere che il nuovo
edificato non venga computato ai fini
dell’altezza.
Sul profilo dell’altezza si richiama
l’orientamento di questa Sezione (n.
7612/2010) laddove si è affermato, in un
caso simile in cui le NTA prevedono il
limite di altezza di 10 metri, che “la
“ratio” dell’art. 64 della LR 12/2005,
laddove vieta il superamento dei limiti di
altezza previsti dagli strumenti
urbanistici, è senza dubbio quella di
evitare che attraverso il recupero abitativo
dei sottotetti esistenti vengano nei fatti
eluse o violate le prescrizioni urbanistiche
vincolanti in tema di altezza massima di
edifici, giacché tale superamento finirebbe
per aggravare carichi urbanistici spesso
assai consistenti, ponendo così in
discussione equilibri urbanistici talora
fragili, soprattutto nell’agglomerato urbano
milanese.
Di conseguenza, laddove uno stabile già
supera l’altezza massima prevista da
disposizioni di piano successive alla sua
edificazione, non può consentirsi un
ulteriore innalzamento, derivante dal
recupero del sottotetto, in quanto ciò
sarebbe eccessivamente lesivo dell’interesse
della collettività al rispetto dei carichi
urbanistici della zona.”
(TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 29.04.2011 n. 1105 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Vanno
considerati come dei volumi tecnici (come
tali non rilevanti ai fini della volumetria
di un immobile) quei volumi destinati
esclusivamente agli impianti necessari per
l'utilizzo dell'abitazione e che non possono
essere ubicati al suo interno, mentre non
sono tali -e sono quindi computabili ai fini
della volumetria consentita- le soffitte,
gli stenditori chiusi e quelli «di
sgombero», nonché il piano di copertura,
impropriamente definito sottotetto, ma
costituente in realtà una mansarda, in
quanto dotato di rilevante altezza media
rispetto al piano di gronda.
La realizzazione di un locale sottotetto con
vani distinti e comunicanti con il piano
sottostante mediante una scala interna è
indice rivelatore dell'intento di rendere
abitabile detto locale, non potendosi
considerare volumi tecnici i vani in esso
ricavati.
Per quanto
attiene la possibilità di non considerare,
ai fini dei parametri edilizi, un vano privo
dei requisiti della abitabilità, si ritiene
di poter fare applicazione della recente
decisione del Consiglio di Stato sez. IV n.
812 del 07.02.2011, in cui sono stati
affermati due principi particolarmente
rilevanti anche per il caso de quo: “Vanno
considerati come dei volumi tecnici (come
tali non rilevanti ai fini della volumetria
di un immobile) quei volumi destinati
esclusivamente agli impianti necessari per
l'utilizzo dell'abitazione e che non possono
essere ubicati al suo interno, mentre non
sono tali -e sono quindi computabili ai fini
della volumetria consentita- le soffitte,
gli stenditori chiusi e quelli «di
sgombero», nonché il piano di copertura,
impropriamente definito sottotetto, ma
costituente in realtà una mansarda, in
quanto dotato di rilevante altezza media
rispetto al piano di gronda.
La realizzazione di un locale sottotetto con
vani distinti e comunicanti con il piano
sottostante mediante una scala interna è
indice rivelatore dell'intento di rendere
abitabile detto locale, non potendosi
considerare volumi tecnici i vani in esso
ricavati”.
Pertanto nel caso di specie è innegabile che
si sia voluto creare un locale con requisiti
di abitabilità, rendendolo non abitabile con
una semplice operazione di tamponamento
delle finestre.
Ciò non può portare, ad avviso del Collegio,
a considerare l’opera realizzata come locale
accessorio non abitabile ai sensi dell’art.
31 del Regolamento Edilizio, e in quanto
tale da non considerare ai fini
dell’altezza, escludendo in tal modo che si
tratti di un recupero del sottotetto.
L’opera presenta infatti i caratteri di un
sottotetto abitabile e l’idoneità ad essere
utilizzato a scopi residenziali
(TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 29.04.2011 n. 1105 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ESPROPRIAZIONE:
Fine dell'accessione invertita,
si applica il C.C.. Espropriazione per P.U.,
il diritto romano salva la P.A..
Nel caso di esecuzione
di un'opera pubblica con una procedura
espropriativa illegittima, la specificazione
ex art. 940 c.c. consente alla P.A. di
acquisire, a titolo originario, la proprietà
della medesima al proprio patrimonio
indisponibile.
Molto interessante la decisione qui
segnalata del TAR di Lecce circa il regime
dell’espropriazioni per p.u. illegittime a
seguito dell’abrogazione costituzionale
dell’art. 43 del T.U. sulle espropriazioni.
Ha infatti osservato il G.A. pugliese che,
venuto meno l’istituto dell’accessione
invertita e quello dell'acquisizione sanante
(a seguito della sentenza della Corte
costituzionale n. 293 del 2010, che ha
dichiarato la illegittimità costituzionale
dell’art. 43 del T.U. espropriazione), deve
ritenersi che, nel caso sia stata realizzata
un’opera pubblica in assenza del compimento
nei termini della procedura espropriativa o
in assenza di una valida procedura, debba
trovare applicazione l’istituto della "specificazione"
di cui all’art. 940 c.c..
Per effetto della specificazione del fondo
la proprietà dell’opera pubblica viene
acquistata, a titolo originario, dall’ente
specificatore nel momento in cui l’opera di
specificazione è completata, cioè si è avuta
la specificazione.
Questo non in conseguenza di un illecito, ma
di un istituto che affonda le sue radici nel
diritto romano e costituisce un fatto che dà
diritto a un indennizzo (e non un illecito
che dà diritto al risarcimento del danno).
Indennizzo che va necessariamente
commisurato al valore venale del bene che
per effetto della specificazione non esiste
più, cioè il fondo: che costituisce il
prezzo della materia (commento tratto da
www.ipsoa.it - TAR Puglia-Lecce, Sez. I,
sentenza 29.04.2011 n. 785 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
INCENDI - BOSCHI E FORESTE -
Realizzazione di costruzioni in soprasuoli
percorsi dal fuoco - Specifica
localizzazione dell'area antecedente
all'incendio dagli strumenti urbanistici -
Art. 10 L. n. 353/2000.
L'articolo 10 della Legge n. 353/2000,
laddove consente la realizzazione di
edifici, strutture ed infrastrutture
finalizzate ad insediamenti civili ed
attività produttive nei soprassuoli percorsi
dal fuoco nei casi in cui la realizzazione
sia stata prevista in data antecedente
all'incendio dagli strumenti urbanistici
vigenti a tale data, si riferisce alla
specifica localizzazione dell'area riservata
all'intervento da parte dello strumento
urbanistico e non anche alla previsione di
zona, con la conseguenza che non rileva, ai
fini della speciale deroga, la generica
compatibilità dell'intervento con la
destinazione dell'area, essendo al contrario
richiesto che l'area medesima sia già
riservata dallo strumento urbanistico alla
realizzazione delle predette opere.
INCENDI - BOSCHI E
FORESTE - Aree percorse dal fuoco - Divieto
decennale di inedificabilità - Applicazione
e limiti - Localizzazione di area e PRG -
Art. 7 L. n. 1150/1942 - Art. 27 L. n.
457/1978 - Art. 10 L. n. 353/2000.
In tema di aree percorse dal fuoco, ai sensi
dell'articolo 10 della Legge 21.11.2000, n.
353, l'ipotesi di esclusione del divieto
decennale di inedificabilità deve essere
affrontata e risolta tenendo presente che il
richiamo alla previsione della realizzazione
delle infrastrutture, in data precedente
l'incendio, dagli strumenti urbanistici
vigenti - non si riferisce ad una previsione
di zona, bensì ad una localizzazione di area
(Cass. Sez. III n. 7608, 25/02/2010).
In particolare, il riferimento riguarda
l'articolo 7 della Legge 17.08.1942, n.
1150, il quale indica i contenuti essenziali
dello strumento urbanistico generale.
Tali contenuti sono individuati, per quanto
attiene alla localizzazione: - nella rete
delle principali vie di comunicazione
stradali, ferroviarie e navigabili e dei
relativi impianti; - nelle aree destinate a
formare spazi di uso pubblico o sottoposte a
speciali servitù; - nelle aree da riservare
ad edifici pubblici o di uso pubblico nonché
ad opere ed impianti di interesse collettivo
o sociale.
Sono invece contenuti riferiti alla
zonizzazione: - la divisione in zone del
territorio comunale con la precisazione
delle zone destinate all'espansione
dell'aggregato urbano e la determinazione
dei vincoli e dei caratteri da osservare in
ciascuna zona; - i vincoli da osservare
nelle zone a carattere storico, ambientale,
paesistico; - le norme per l'attuazione del
piano.
Ad essi deve aggiungersi, inoltre,
l'individuazione delle zone di recupero del
patrimonio edilizio esistente di cui tratta
l'articolo 27 della Legge 05.08.1978, n. 457
recante "Norme per l'edilizia
residenziale".
BOSCHI E FORESTE -
INCENDI - Zona boscata - Natura e tutela -
Art. 142, c. 1°, lett. g) D. L.vo n.
42/2004.
La natura di zona boscata, comporta la sua
collocazione nelle aree tutelate per legge,
in ragione di quanto disposto dall'articolo
142, comma primo, lettera g) D. L.vo n.
42/2004 (Corte di Cassazione, Sez. III
penale,
sentenza 28.04.2011 n. 16592 -
link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Opere abusive, ordine di
demolizione in eredità.
L'ordine di demolizione
di una costruzione abusiva, avendo natura
sostanzialmente amministrativa e ''reale'',
prescinde dalle vicende soggettive del bene
in ordine al quale e' stato disposto.
La Suprema Corte conferma la consolidata
giurisprudenza di legittimità circa la
natura dell'ordine di demolizione emesso dal
giudice penale ex art. 31 T.U. edilizia. Il
fatto oggetto di giudizio è così
ricostruibile.
Nell'ambito di un procedimento per la revoca
di un ordine di demolizione –emesso in
seguito a condanna per violazioni edilizie–
la Corte d'appello di Salerno, quale giudice
dell'esecuzione, dichiara estinta la
procedura per morte del condannato.
Accogliendo il ricorso presentato dal
Procuratore Generale presso la Corte
d'appello, la Corte di Cassazione annulla
senza rinvio tale ordinanza, disponendo la
trasmissione degli atti alla Corte d'appello
per l'ulteriore corso della procedura.
Richiamando il consolidato orientamento
della giurisprudenza di legittimità, la
Corte ha affermato che l'ordine di
demolizione non si estingue per morte del
condannato, in quanto costituisce un atto
ablatorio “dovuto” e di natura “reale”.
Tale ordine, emesso dal giudice con la
sentenza di condanna per violazioni edilizie
in relazione all'opera abusivamente
realizzata, ha natura “sostanzialmente
amministrativa”, ed è insuscettibile di
valutazione discrezionale.
Questa lettura conferma il consolidato
orientamento della Corte di Cassazione, che
emerge con particolare evidenza in tema di
applicazione della pena su richiesta delle
parti.
La Suprema Corte, infatti, afferma che
l'ordine di demolizione deve essere disposto
dal giudice anche ove non abbia formato
oggetto dell'accordo tra le parti.
Trattandosi di “atto dovuto” (non
configurabile né come pena accessoria né
come misura di sicurezza), è infatti
sottratto alla disponibilità delle parti,
oltre che alla valutazione discrezionale del
giudice (in questo senso, recentemente,
Cass., sez. III, 23.03.2011, n. 16574; si v.
anche ex multis Cass., sez. III,
18.01.2011, n. 5360; Cass., sez. II,
07.01.2011, n. 1579, in Guida dir., 2011,
12, 73; Cass., sez. III, 19.09.1997, n.
2896, in Cass. pen. 1998, 1479).
La Suprema Corte, nella pronuncia in
commento, ha inoltre richiamato la costante
giurisprudenza di legittimità che
attribuisce “natura 'reale' e
ripristinatoria” all'ordine di
demolizione, richiedendone l'esecuzione “nei
confronti di tutti i soggetti che sono in
rapporto col bene e vantano su di esso un
diritto reale o personale di godimento,
anche se si tratti di soggetti estranei alla
commissione del reato” (così Cass., sez.
III, 21.10.2009, n. 47281, Arrigoni; si v.
anche Cass., sez. III, 13.07.2009, n. 39322,
Berardi e altri; Cass., sez. III,
24.04.2001, n. 35525, Consolo).
L'ordine trova dunque applicazione in
relazione all'opera abusiva, “prescinde[ndo]
dalle vicende soggettive” della stessa;
pertanto, esso “conserva ... la sua
efficacia anche nei confronti dell'erede del
condannato” (commento tratto da
www.ipsoa.it - Corte di Cassazione penale,
sentenza 28.04.2011 n. 16581). |
EDILIZIA PRIVATA:
Titolo abilitativo edilizio
illegittimo - Poteri del Giudice penale -
Disapplicazione dell'atto amministrativo -
Esclusione - Identificazione fattispecie e
sanzione.
In presenza di un titolo abilitativo
edilizio illegittimo, l'attività svolta dal
giudice consiste nel valutare la sussistenza
dell'elemento normativo della fattispecie e
non nel disapplicare l'atto amministrativo o
effettuare comunque valutazioni proprie
della P.A..
Pertanto, quando il giudice penale accerta
profili di illegittimità sostanziale del
titolo abilitativo edilizio procede ad una
identificazione in concreto della
fattispecie sanzionata e non pone in essere
alcuna "disapplicazione" né incide,
con indebita ingerenza, sulla sfera
riservata alla P.A. poiché esercita un
potere che trova fondamento e
giustificazione nella stessa previsione
normativa incriminatrice (Cass. Sez. III,
21/06/2006 n. 21487; Cass. Sez. III
12/12/2006 n. 40425; Conf. Cass. Sez.,
23/01/2007 III n. 1894; Cass. Sez. III,
13/11/2007 n. 41620; Cass. Sez. III, ,
10/07/2008 n. 28225; Cass. Sez. III,
16/09/2008 n. 35389; Cass. Sez. III,
02/03/2009 n. 9177; Cass. Sez. III,
02/04/2009 n. 14504; Cass. Sez. III,
08/09/2009 n. 34809; Cass. Sez. III,
30/09/2010 n. 35391) (Corte di Cassazione,
Sez. III penale,
sentenza 28.04.2011 n. 16592 -
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AMBIENTE-ECOLOGIA:
RIFIUTI - Discarica di rifiuti in
area a destinazione agricola - Limiti -
Attività di gestione di rifiuti - Specifica
localizzazione - PRG - Giurisprudenza
amministrativa condivisa.
La realizzazione di un impianto destinato a
discarica ed attività di gestione di rifiuti
in area a destinazione agricola non può non
riguardare opere per le quali gli strumenti
urbanistici non prevedano una specifica
localizzazione e che, per loro natura, non
possono essere ubicati altro che in zona
agricola.
Diversamente argomentando, verrebbe
vanificata la zonizzazione del territorio e
l'individuazione delle diverse destinazioni
d'uso. Tale opzione ermeneutica pare
peraltro condivisa anche dalla
giurisprudenza amministrativa (Cons. Stato
Sez. V n. 7243, 01.10.2010; Sez. V n. 1557,
18.03.2002) (Cass. Sez. III, 10/04/2002 n.
13641) (Corte di Cassazione, Sez. III
penale,
sentenza 28.04.2011 n. 16592 -
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URBANISTICA:
Le varianti a contenuto generale
devono essere contestate nel termine
decadenziale decorrente dalla data di
pubblicazione.
Secondo il consolidato indirizzo di questo
Consiglio (cfr., fra le tante, sez. IV,
23.12.2010, n. 9375; sez. IV, 21.05.2010, n.
3233; sez. V, 10.02.2010, n. 663 cui si
rinvia a mente dell’art. 74 c.p.a.), l'art.
21, co. 1, l. n. 1034 del 1974 (applicabile
ratione temporis alla vicenda in
trattazione, oggi art. 42, co. 2, c.p.a.),
stabilisce che in tutti i casi in cui non
sia necessaria la notificazione individuale
del provvedimento e sia al contempo
prescritta da una norma di legge o di
regolamento la pubblicazione dell'atto in un
apposito albo, il termine per proporre
l'impugnazione decorre dal giorno in cui sia
scaduto il periodo della pubblicazione.
Viene confermato quell'indirizzo
giurisprudenziale secondo il quale il
normale termine decadenziale per ricorrere
contro gli atti amministrativi soggetti a
pubblicazione necessaria, decorre per i
soggetti non espressamente nominati, dalla
pubblicazione medesima, non essendo
indispensabile la notificazione individuale
o la piena conoscenza.
Sotto tale angolazione sono sicuramente atti
pianificatori, soggetti a pubblicazione
necessaria, quelli recanti l'approvazione di
piani regolatori generali o loro varianti (a
contenuto generale o di ampie zone e
comparti territoriali come nel caso di
specie), i quali, secondo la costante
giurisprudenza, devono essere contestati in
giudizio nel termine decadenziale decorrente
dalla data di pubblicazione, non essendo
richiesta la notificazione agli interessati
né il decorso dell'ulteriore termine di
efficacia.
Per mitigare il rigore del principio la
giurisprudenza ha coniato due deroghe agli
effetti della decorrenza del termine per
impugnare:
a)
la prima esige che qualora lo strumento
urbanistico (di solito una variante) abbia
ad oggetto un bene immobile specifico sul
quale viene imposto un vincolo
espropriativo, è necessario che l’atto sia
notificato all’interessato ovvero che si dia
la prova della conoscenza piena (cfr. da
ultimo Cons. Stato, sez. IV, 21.05.2010, n.
3233);
b)
la seconda deroga distingue, in
considerazione della previsione dell’art. 7,
co. 2, n. 2), l.u., fra le prescrizioni che
in via immediata stabiliscono le
caratteristiche urbanistiche e gli assetti
generali del territorio (zonizzazioni,
destinazioni a standard, localizzazioni di
opere pubbliche o di interesse collettivo,
indici fondiari, di fabbricabilità, obblighi
di pianificazione esecutiva o sufficienza
dell’intervento diretto ecc.), e le
prescrizioni di dettaglio che disciplinano
l’attività edificatoria in senso stretto (ad
es. parametri volumetrici, di altezza, di
ornato): le prime sono impugnabili nel
termine decadenziale decorrente dalla loro
pubblicazione; le seconde, invece, solo a
decorrere dal momento in cui diventano
lesive per il ricorrente, ovvero dal momento
della conoscenza del titolo edilizio che le
recepisce (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza
28.04.2011 n. 2534 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L’amministrazione non è obbligata
a un effettivo sopralluogo per il rilascio
del nulla-osta paesaggistico.
In tema di rilascio di nulla-osta
paesaggistico, l’attività di verifica della
correttezza del giudizio espresso
dall’amministrazione preposta alla tutela
del vincolo e del conseguente provvedimento
comunale non implica necessariamente il
compimento di un effettivo sopralluogo, ben
potendo limitarsi alla valutazione
documentale della condotta tenuta dalle
amministrazioni interessate (C.d.S., sez. VI,
27.04.2010, n. 2377) (Consiglio di Stato,
Sez. V,
sentenza 27.04.2011 n. 2497 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il diniego di sanatoria delle
opere abusive per incompatibilità ambientale
è espressione di una valutazione tecnica
ampiamente discrezionale, tipica
manifestazione del potere autoritativo
dell’amministrazione, che come tale si
sottrae al sindacato di legittimità, tranne
le ipotesi di manifesta illogicità,
arbitrarietà, irragionevolezza,
irrazionalità ovvero di macroscopico
travisamento dei fatti.
Il diniego di sanatoria delle opere abusive
per incompatibilità ambientale è espressione
di una valutazione tecnica ampiamente
discrezionale, tipica manifestazione del
potere autoritativo dell’amministrazione,
che come tale si sottrae al sindacato di
legittimità, tranne le ipotesi di manifesta
illogicità, arbitrarietà, irragionevolezza,
irrazionalità ovvero di macroscopico
travisamento dei fatti (C.d.S., sez. VI,
07.10.2008, n. 4823), che non si rinvengono
nel caso di specie e che peraltro non sono
state neppure dedotte e provate dagli
appellanti.
Le contestazioni di genericità del parere
della Commissione per la tutela dei beni
ambientali, fatto proprio
dall’amministrazione comunale di Orbetello,
in ordine alla forma ed ai materiali delle
opere realizzate (degrado estetico), nonché
sullo stato di degrado della zona,
sull’insanabile contrasto con la bellezza
dell’ambiente e sull’incontrollato aumento
del carico antropico pertanto, lungi
dall’evidenziare eventuali effettivi vizi di
formazione del giudizio
dell’amministrazione, si atteggiano a mere
opinioni dissenzienti, volte a sovrapporre
e/o sostituire alle valutazioni
dell’amministrazione competente le proprie
soggettive considerazioni, cosa che le rende
gratuite ed apodittiche, prive di qualsiasi
elemento obiettivo di riscontro (Consiglio di Stato,
Sez. V,
sentenza 27.04.2011 n. 2497 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L'ordine di demolizione, come
tutti i provvedimenti sanzionatori in
materia edilizia, è atto vincolato che non
richiede una specifica valutazione delle
ragioni di interesse pubblico, né una
comparazione di quest’ultimo con gli
interessi privati coinvolti e sacrificati,
né una motivazione sulla sussistenza di un
interesse pubblico concreto ed attuale alla
demolizione, non potendo neppure ammettersi
l’esistenza di alcun affidamento tutelabile
alla conservazione di una situazione di
fatto abusiva, che il tempo non può giammai
legittimare.
Quanto alla
legittimità del provvedimento di
demolizione, la Sezione osserva che esso,
come tutti i provvedimenti sanzionatori in
materia edilizia, è atto vincolato che non
richiede una specifica valutazione delle
ragioni di interesse pubblico, né una
comparazione di quest’ultimo con gli
interessi privati coinvolti e sacrificati,
né una motivazione sulla sussistenza di un
interesse pubblico concreto ed attuale alla
demolizione, non potendo neppure ammettersi
l’esistenza di alcun affidamento tutelabile
alla conservazione di una situazione di
fatto abusiva, che il tempo non può giammai
legittimare (C.d.S., sez. IV, 01.10.2007, n.
5049; 10.12.2007, n. 6344; 31.08.2010, n.
3955; sez. V, 07.09.2009, n. 5229).
(Consiglio di Stato,
Sez. V,
sentenza 27.04.2011 n. 2497 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Revoca concordata con
l'aggiudicatario.
Nell'esercizio del potere di autotutela dopo
l'adozione del provvedimento di
aggiudicazione definitiva, la stazione
appaltante deve coinvolgere il soggetto che
subirà gli effetti della revoca,
notificandogli l'atto di avvio del relativo
procedimento ex articolo 7 legge 241/1990.
È quanto afferma il Consiglio di Stato che,
nella
sentenza
27.04.2011 n. 2456, ha evidenziato
come il perfezionamento della procedura di
gara a evidenza pubblica, contrassegnato
dall'adozione del provvedimento di
aggiudicazione definitiva, vale a
differenziare e qualificare la posizione
conseguita dall'aggiudicatario, rispetto, ad
esempio, all'ipotesi dell'aggiudicazione
soltanto provvisoria.
L'articolo 11 del Dlgs 163/2006 stabilisce,
infatti, che a seguito della selezione
dell'offerta migliore, e previa verifica
dell'aggiudicazione provvisoria,
l'amministrazione conclude l'iter di gara
con l'adozione dell'atto di aggiudicazione
definitiva, fatto salvo l'esercizio dei
poteri di autotutela.
Sulla base di queste premesse, i giudici di
Palazzo Spada -muovendo dall'accoglimento
dell'impugnativa proposta avverso un
provvedimento di revoca di un'aggiudicazione
definitiva, adottato senza il coinvolgimento
dell'interessato– hanno messo in rilievo
come il destinatario del provvedimento di
vera e propria aggiudicazione (qual è quella
«definitiva» ex articolo 11, commi 7-8-9 del Dlgs 163/2006) ha diritto, in virtù della
posizione di vantaggio acquisita, a
interloquire con l'autorità sull'effettiva
sussistenza delle ragioni di interesse
pubblico presupposte all'esercizio del
potere di autotutela prima che sia
formalizzata la revoca dell'aggiudicazione.
La sezione ha, così, esteso a questa ipotesi
l'applicazione del generale principio
partecipativo, posto dall'articolo 7 della
legge 241/990 in base al quale l'avvio del
procedimento deve essere sempre comunicato
ai soggetti nei confronti dei quali il
provvedimento di secondo grado è destinato a
produrre i propri effetti, a meno che non
sussistano ragioni di impedimento derivanti
da particolari esigenze di celerità del
procedimento.
Con la pronuncia in esame, se da un lato
viene confermata la possibilità per la
pubblica amministrazione di esercitare, in
presenza dei presupposti richiesti dalla
legge, i poteri discrezionali di revoca e/o
annullamento di un atto precedentemente
emanato, viene d'altro canto osservato che
questo potere non può essere esercitato
dalla stazione appaltante in piena ed
esclusiva autonomia, quando andrebbe
direttamente a incidere sulla posizione di
vantaggio cristallizzata dall'atto di
individuazione del vincitore della gara.
In altri termini, per essere legittimo, il
potere discrezionale della pubblica
amministrazione in autotutela deve essere sì
speso in conformità ai principi di legalità,
di economicità e di razionalità, ma anche
nel rispetto del contraddittorio con chi, al
termine del procedimento di gara, ha
raggiunto una posizione consolidata di
vantaggio e ha pertanto un oggettivo e
concreto interesse al mantenimento del
provvedimento attestante la graduatoria
finale dell'appalto (articolo
Il Sole 24 Ore del 23.05.2011 -
tratto da www.corteconti.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Impianti per radiofrequenze,
silenzio-assenso ad ostacoli.
Il silenzio assenso nei procedimenti ad
istanza di parte e' divenuto istituto di
carattere generale, nel senso che esso opera
senza necessità di una espressa previsione.
Ma I problemi applicativi del silenzio
assenso sono spesso legati al verificarsi
dei suoi presupposti.
L'art. 87, comma 9, D.Lgs. 01.08.2003, n.
259 stabilisce che le istanze di
autorizzazione e le denunce di attività
concernenti l'installazione di
infrastrutture per impianti radioelettrici e
la modifica delle caratteristiche di
emissione di questi ultimi e, in specie,
l'installazione di torri, di tralicci, di
impianti radio-trasmittenti, di ripetitori
di servizi di comunicazione elettronica, di
stazioni radio base per reti di
comunicazioni elettroniche mobili GSM/UMTS,
per reti di diffusione, distribuzione e
contribuzione dedicate alla televisione
digitale terrestre, per reti a
radiofrequenza dedicate alle emergenze
sanitarie ed alla protezione civile, nonché
per reti radio a larga banda
punto-multipunto nelle bande di frequenza
all'uopo assegnate, nonché quelle relative
alla modifica delle caratteristiche di
emissione degli impianti già esistenti, si
intendono accolte qualora, entro novanta
giorni dalla presentazione del progetto e
della relativa domanda, fatta eccezione per
il dissenso di cui al comma 8, non sia stato
comunicato un provvedimento di diniego.
Secondo l'interpretazione costante della
giurisprudenza, ai sensi della norma
richiamata il titolo abilitativo per la
realizzazione degli impianti di telefonia
mobile si costituisce in forza di una d.i.a.
ovvero di un silenzio-assenso, atteso che
istanze e denunce di inizio di attività si
intendono accolte qualora, entro novanta
giorni dalla relativa domanda, non sia stato
comunicato un provvedimento di diniego (TAR
Sardegna, Sez. II, 03.03.2011, n. 188).
La norma trova il proprio fondamento
nell'art. 41, L. n. 166 del 2002 e prima
ancora nelle direttive comunitarie da
recepire, che imponevano per le
comunicazioni elettroniche procedure
tempestive, non discriminatorie e
trasparenti per la concessione del diritto
di installazione di infrastrutture e ricorso
alla condivisione delle strutture, riduzione
dei termini per la conclusione dei
procedimenti amministrativi, nonché
regolazione uniforme dei medesimi
procedimenti anche con riguardo a quelli
relativi al rilascio di autorizzazioni per
l'installazione delle infrastrutture di reti
mobili, in conformità ai principi di cui
alla L. 07.08.1990, n. 241.
Essa prevede un'ipotesi di silenzio
significativo con valore di accoglimento
dell'istanza del privato.
La figura del silenzio assenso è, oggi, la
più rilevante tra le ipotesi di silenzio
significativo, in considerazione dell'ampia
previsione di carattere generale contenuta
nell'attuale testo dell'art. 20, L. n. 241
del 1990, come modificata dall'art. 3, comma
6-ter, D.L. n. 35 del 2005, convertito nella
L. n. 80 del 2005, il quale stabilisce che "Fatta
salva l'applicazione dell'art. 19, nei
procedimenti ad istanza di parte per il
rilascio di provvedimenti amministrativi il
silenzio dell'amministrazione competente
equivale a provvedimento di accoglimento
della domanda, senza necessità di ulteriori
istanze o diffide, se la medesima
amministrazione non comunica
all'interessato, nel termine di cui all'art.
2, commi 2 o 3, il provvedimento di diniego,
ovvero non procede ai sensi del comma 2.".
Il silenzio assenso nei procedimenti ad
istanza di parte è, dunque, divenuto
istituto di carattere generale, nel senso
che esso opera senza necessità di una
espressa previsione.
Continuano però a sopravvivere le ipotesi
normative previgenti di silenzio assenso
purché le stesse non risultino in contrasto
con le previsioni di esclusione contenute
nell'art. 20, L. n. 241 del 1990.
I problemi applicativi del silenzio assenso
sono spesso legati al verificarsi dei suoi
presupposti.
Sebbene la figura si presti ad essere letta
nel senso che basti la presentazione di una
domanda ed il decorso del termine di
conclusione del procedimento, la
giurisprudenza ha chiarito che l'istanza dev'essere
corredata in modo completo dalla
documentazione prescritta eventualmente
dalla disposizione che la prevede (Cons. di
Stato Sez. VI, 20.10.2005, n. 5921).
Tornando al silenzio assenso previsto
dall'art. 87, comma 9, D.Lgs. 01.08.2003, n.
259 la giurisprudenza ha chiarito che il
termine di cui all'art. 87, comma 9, del
D.Lgs. 01.08.2003, n. 259 decorre dalla
presentazione della domanda corredata dal
progetto (Cons. di Stato, Sez. VI,
24.09.2010, n. 7128).
Ulteriormente la sentenza in commento
ricorda che "la giurisprudenza è concorde
nel ritenere che tale disposizione, facendo
espresso richiamo al "dissenso di cui al
comma 8" -che prevede il motivato dissenso
espresso da un'amministrazione preposta alla
tutela ambientale, alla tutela della salute
o alla tutela del patrimonio
storico-artistico- chiarisca che
l'automaticità del silenzio assenso non
opera qualora sia necessaria la pronuncia di
un'autorità preposta alla tutela dei
particolari beni di rilevante importanza
sociale individuati dal richiamato comma 8,
dovendosi attendere una pronuncia espressa
in tal senso (TAR Toscana, Firenze, Sez. II,
03.03.2010, n. 589)".
A ciò si aggiunge la previsione dell'art.
87, comma 8, D.Lgs. n. 259 del 2003, secondo
il quale "Qualora il motivato dissenso, a
fronte di una decisione positiva assunta
dalla conferenza di servizi, sia espresso da
un'Amministrazione preposta alla tutela
ambientale, alla tutela della salute o alla
tutela del patrimonio storico-artistico, la
decisione è rimessa al Consiglio dei
Ministri e trovano applicazione, in quanto
compatibili con il Codice, le disposizioni
di cui agli artt. 14 e seguenti della L.
07.08.1990, n. 241, e successive
modificazioni".
Da tale disposizione la giurisprudenza ha
desunto che l'obbligo di indire una
conferenza di servizi in caso di motivato
dissenso può spiegarsi solo con il fatto che
non si sia formato il silenzio assenso (TAR
Campania, Napoli, Sez. VII, 06.04.2006, n.
3454; TAR Sicilia, Palermo, Sez. II,
22.02.2005, n. 203).
Tuttavia la norma medesima impedisce
all'amministrazione titolare del potere di
autorizzazione di chiudere sic et
simpliciter il procedimento
autorizzativo con un provvedimento negativo
in quanto le impone di attivare il
procedimento aggravato previsto dall'art.
87, commi 6-9, D.Lgs. n. 259 del 2003
costituito da una conferenza dei servizi e
della successiva rimessione della questione,
nel caso il parere negativo persistesse,
alla decisione al Consiglio dei Ministri
(commento tratto da www.ipsoa.it - TAR
Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 27.04.2011 n. 1080 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
concetto di “nuova costruzione” non riguarda
soltanto la realizzazione di un manufatto su
area libera, ma include, altresì, ogni
intervento di ristrutturazione che renda un
manufatto oggettivamente diverso da quello
preesistente.
Il concetto di “nuova costruzione”
non riguarda soltanto la realizzazione di un
manufatto su area libera, ma include,
altresì, ogni intervento di ristrutturazione
che renda un manufatto oggettivamente
diverso da quello preesistente.
Con la precisazione che, tale oggettiva
diversità, sussiste ogniqualvolta si abbia
un mutamento di destinazione d’uso che
implichi la variazione degli standard,
poiché detta destinazione d’uso rappresenta
un elemento determinante della tipologia del
manufatto (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V,
08.09.2008, n. 4256; TAR Lombardia Milano,
sez. IV, 10.06.2010, n. 1787; TAR Piemonte
Torino, sez. I, 15.02.2010, n. 940).
Passando ad esaminare il caso che qui
occupa, giova constatare come l’intervento
oggetto di sanatoria abbia sicuramente
comportato (cfr. documentazione versata in
atti dalla difesa comunale, all. 9 e ss.)
l’attribuzione di una destinazione ad uso
residenziale ad un sottotetto che in
precedenza ne era privo, con conseguente
creazione di un volume edilizio di tipo
residenziale dapprima inesistente.
Nell’originaria concessione edilizia,
infatti (C.E.n. 7325/1991 agli atti), il
volume del vano sottotetto non era stato
considerato nel calcolo del volume esistente
e, quindi, non era stato computato nel
calcolo degli standard dovuti.
Risulta, pertanto, corretta la decisione
assunta dall’intimata amministrazione
comunale che, preso atto dell’aggravio degli
standard urbanistici provocato
dall’intervento di che trattasi, l’ha
incluso nella tipologia di abuso 1, ai fini
della determinazione degli oneri dovuti
(cfr., sulla rilevanza del mutamento di
destinazione d’uso, in caso di aumento del
carico urbanistico, Consiglio di Stato, sez.
IV, 13.07.2010, n. 4546; TAR Lombardia,
Milano, II, 28.03.2011, n. 818).
Tale modus operandi risulta coerente con la
cit. disciplina regionale in materia di
recupero ai fini abitativi dei sottotetti
esistenti (legge regionale n. 12/2005 cit.)
che, pur classificando tale recupero come
ristrutturazione edilizia (art. 64 comma 2),
stabilisce che la realizzazione di tali
interventi “comporta la corresponsione
degli oneri di urbanizzazione primaria e
secondaria nonché del contributo commisurato
al costo di costruzione, calcolati sulla
volumetria o sulla superficie lorda di
pavimento resa abitativa secondo le tariffe
approvate e vigenti in ciascun comune per le
opere di nuova costruzione (art. 64, comma
7)" (TAR
Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 27.04.2011 n. 1069 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
determinazione degli oneri previsti per il
rilascio del titolo in sanatoria non
necessita di particolare motivazione, in
quanto costituisce il risultato di un
calcolo materiale, essendo la misura
concreta direttamente ricollegata dalla
legge al carico urbanistico accertato,
secondo parametri rigorosamente stabiliti.
Secondo un
costante orientamento giurisprudenziale,
condiviso da questo TAR, la determinazione
degli oneri previsti per il rilascio del
titolo in sanatoria non necessita di
particolare motivazione, in quanto
costituisce il risultato di un calcolo
materiale, essendo la misura concreta
direttamente ricollegata dalla legge al
carico urbanistico accertato, secondo
parametri rigorosamente stabiliti (cfr.
Consiglio di Stato, Sez. V, 09.02.2001, n.
584; TAR Sicilia Catania, sez. I,
07.07.2010, n. 2847; TAR Emilia Romagna
Parma, sez. I, 06.07.2010, n. 351; TAR Lazio
Roma, sez. II, 15.04.2009, n. 3862; TAR
Campania Napoli, sez. VIII, 03.09.2008, n.
10035; TAR Abruzzo Pescara, sez. I,
20.02.2008, n. 113; TAR Lombardia Milano,
sez. II, 26.04.2006, n. 1065; TAR Campania
Salerno, sez. II, 04.07.2005, n. 1082; TAR
Calabria, 24.06.1994, n. 758; TAR Lombardia,
Brescia, 16.04.1992, n. 425)
(TAR
Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 27.04.2011 n. 1069 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L’accertamento
di conformità previsto a suo tempo dall’art.
13 della l. 28.02.1985 n. 47 ed ora
dall’art. 36 T.U. 380/2001, “nel fare
riferimento al concetto di opera eseguita
rinvia chiaramente ad una modificazione del
mondo materiale prodotta da un manufatto
completo”; ne segue, quindi, secondo logica
che l’accertamento medesimo non può essere
parziale, ovvero riferito ad alcune soltanto
delle opere eseguite.
Come stabilito in termini di principio da
ultimo da TAR PugliaLecce sez. I 08.10.2009
n. 228, infatti, l’accertamento di
conformità previsto a suo tempo dall’art. 13
della l. 28.02.1985 n. 47 ed ora dall’art.
36 T.U. 380/2001, “nel fare riferimento
al concetto di opera eseguita rinvia
chiaramente ad una modificazione del mondo
materiale prodotta da un manufatto completo”;
ne segue, quindi, secondo logica che
l’accertamento medesimo non può essere
parziale, ovvero riferito ad alcune soltanto
delle opere eseguite.
Non hanno quindi pregio gli argomenti della
ricorrente, secondo i quali (v. ricorso per
motivi aggiunti, p. 20, settimo e ottavo
rigo) si sarebbe dovuta comunque concedere
una sanatoria parziale, per le opere
eventualmente ritenute conformi.
Va invece affermato che l’impossibilità di
ritenere conforme alle previsioni
urbanistiche l’opera anche per una soltanto
delle sue caratteristiche comporta
l’impossibilità pura e semplice di
rilasciare la sanatoria richiesta
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 22.04.2011 n. 612 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
LAVORI PUBBLICI: Non
sussiste il vizio di mancata distinzione e
redazione del progetto preliminare e
definitivo ai sensi dell’art. 16 L. 109/1994
in quanto i tre livelli di progettazione non
vanno intesi come inderogabili ed autonomi
adempimenti tecnico-amministrativi,
rigidamente definiti nei contenuti e nella
sequenza temporale, bensì come tappe
significative di un unico processo
identificativo e creativo, nelle quali si
definiscono compiutamente particolari
momenti del processo medesimo.
L'approvazione del progetto di opere
pubbliche, ove interessi aree che dal piano
regolatore non siano destinate a pubblici
servizi anche a causa della decadenza di
vincoli preordinati all'esproprio,
costituisce variante al piano stesso solo
dopo che sia intervenuta l'approvazione
regionale, secondo le modalità previste
dagli artt. 1 e ss. l. 18.04.1962 n. 167,
richiamati dall'art. 1 comma 5, l.
03.01.1978 n. 1; pertanto, la mera adozione
della variante urbanistica, connessa
all'approvazione del progetto, non comporta
la dichiarazione di pubblica utilità delle
opere in questione e, di conseguenza, non
legittima le successive procedure ablatorie.
Non sussiste il vizio di mancata distinzione
e redazione del progetto preliminare e
definitivo ai sensi dell’art. 16 L. 109/1994
in quanto i tre livelli di progettazione non
vanno intesi come inderogabili ed autonomi
adempimenti tecnico-amministrativi,
rigidamente definiti nei contenuti e nella
sequenza temporale, bensì come tappe
significative di un unico processo
identificativo e creativo, nelle quali si
definiscono compiutamente particolari
momenti del processo medesimo: le
caratteristiche qualitative e funzionali dei
lavori, il quadro delle esigenze da
soddisfare e delle prestazioni da fornire
-progetto preliminare- gli elementi
necessari ai fini del rilascio delle
prescritte autorizzazioni ed approvazioni
-progetto definitivo- il dettaglio dei
lavori da realizzare ed il relativo costo in
modo da consentire che ogni elemento sia
identificabile in forma, tipologia, qualità,
dimensione e prezzo -progetto esecutivo-
(art. 16, commi 3, 4 e 5 della legge
109/1994).
Ne consegue che è possibile l’unificazione
di un livello progettuale con quello
successivo ed, in particolare, del progetto
preliminare e di quello definitivo. Era
quindi onere non adempiuto del ricorrente
indicare in concreto quali fossero le
differenze tra la progettazione realizzata e
quella ritenuta in vigore.
---------------
Nel caso, come quello in questione, di
approvazione della variante urbanistica ai
sensi dell'art. 1, comma 5, l. 03.01.1978 n.
1 la giurisprudenza (TAR Basilicata Potenza,
sez. I, 18.10.2008, n. 645; Cons. Stato, IV,
16.03.2010 n. 1540) ha chiarito che
l'approvazione del progetto di opere
pubbliche, ove interessi aree che dal piano
regolatore non siano destinate a pubblici
servizi anche a causa della decadenza di
vincoli preordinati all'esproprio,
costituisce variante al piano stesso solo
dopo che sia intervenuta l'approvazione
regionale, secondo le modalità previste
dagli artt. 1 e ss. l. 18.04.1962 n. 167,
richiamati dall'art. 1 comma 5, l.
03.01.1978 n. 1; pertanto, la mera adozione
della variante urbanistica, connessa
all'approvazione del progetto, non comporta
la dichiarazione di pubblica utilità delle
opere in questione e, di conseguenza, non
legittima le successive procedure ablatorie (TAR
Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 21.04.2011 n. 1019 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA: Il
vincolo di inedificabilità relativo alla “fascia di
rispetto stradale”
non ha natura espropriativa, ma unicamente conformativa, in quanto riguarda una
generalità di beni e di soggetti ed ha una
funzione di salvaguardia della circolazione,
indipendentemente dalla eventuale
instaurazione di procedure espropriative;
esso quindi non è soggetto a scadenze
temporali.
La
giurisprudenza (Cons. Stato, IV, 13/03/2008
n. 1095) ha chiarito che il vincolo di
inedificabilità relativo alla “fascia di
rispetto stradale”, come nella specie,
non ha natura espropriativa, ma unicamente
conformativa, in quanto riguarda una
generalità di beni e di soggetti ed ha una
funzione di salvaguardia della circolazione,
indipendentemente dalla eventuale
instaurazione di procedure espropriative;
esso quindi non è soggetto a scadenze
temporali
(TAR
Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 21.04.2011 n. 1019 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA: Nel
procedimento di formazione dei piani
regolatori generali, la pubblicazione dei
P.R.G. stessi, prevista dall'art. 9 L.
17.08.1942, n. 1150, è finalizzata alla
presentazione delle osservazioni da parte
dei soggetti interessati al progetto di
piano adottato dal comune, ma non è
richiesta, di regola, per le successive fasi
del procedimento, anche se il piano
originario risulti modificato a seguito
dell'accoglimento di alcune osservazioni o
di modifiche introdotte in sede di
approvazione regionale.
Sulla discrasia tra parte lessicale (o
normativa) e parte grafica del piano
regolatore, la giurisprudenza ha evidenziato
che entrambe le parti hanno natura
prescrittiva: esse infatti contribuiscono a
determinare il contenuto effettivo del piano
ed a dettare la disciplina del territorio.
Da ciò consegue che la parte grafica e la
parte normativa risultano in rapporto di
complementarità posto che le prime integrano
le disposizioni della seconda, potendosi
leggere le une alla luce delle altre.
Secondo la
giurisprudenza (Consiglio di Stato sez. IV,
05.09.2003, n. 4980) “Nel procedimento di
formazione dei piani regolatori generali, la
pubblicazione dei P.R.G. stessi, prevista
dall'art. 9 L. 17.08.1942, n. 1150, è
finalizzata alla presentazione delle
osservazioni da parte dei soggetti
interessati al progetto di piano adottato
dal comune, ma non è richiesta, di regola,
per le successive fasi del procedimento,
anche se il piano originario risulti
modificato a seguito dell'accoglimento di
alcune osservazioni o di modifiche
introdotte in sede di approvazione
regionale; a quest’ultima regola si fa
tuttavia eccezione:
a) nel caso in cui per effetto
dell’accoglimento delle osservazioni
formulate dai privati, comportanti una
profonda deviazione dai criteri posti a base
del piano adottato, si renda necessaria una
modifica immediata del testo del piano
stesso (in tal caso, infatti, si dovrà fare
luogo a nuova pubblicazione ed alla
conseguente raccolta delle ulteriori
osservazioni);
b) nell’ipotesi in cui il Comune,
controdeducendo alle proposte di modifica
regionali, introduca variazioni rilevanti al
piano adottato (in tal caso, infatti, la
delibera si presenta come una sostanziale
nuova adozione che necessita di
pubblicazione)".
---------------
In merito al
quarto motivo, incentrato sulla discrasia
tra parte lessicale (o normativa) e parte
grafica del piano regolatore, la giurisprudenza (TAR
Puglia, Lecce 22/04/2010 n. 985; Cass. civ.
sez. II 09.06.1999 n. 5666) ha evidenziato
che entrambe le parti hanno natura
prescrittiva: esse infatti contribuiscono a
determinare il contenuto effettivo del piano
ed a dettare la disciplina del territorio.
Da ciò consegue che la parte grafica e la
parte normativa risultano in rapporto di
complementarità posto che le prime integrano
le disposizioni della seconda, potendosi
leggere le une alla luce delle altre.
Le indicazioni grafiche delle planimetrie
allegate al piano regolatore, più in
particolare, svolgono la funzione di
localizzare le previsioni di piano e, di
conseguenza, svolgono la funzione di
individuare graficamente le aree nelle quali
si applicano alcune disposizioni contenute
nella parte normativa del piano, piuttosto
di altre. Esse quindi svolgono la funzione
di individuare l’ambito spaziale di
applicazione delle norme del piano che non
abbiano carattere generale. Per tale ragione
spesso le n.t.a. del prg contengono
disposizioni generali, valide su tutto il
territorio comunale e norme di zona,
relative a singoli ambiti.
La parte normativa del piano costituisce,
comunque, la parte fondamentale del piano in
quanto la funzione del piano regolatore è
quella di dettare la disciplina d’uso del
territorio, attraverso l’individuazione di
apposite norme.
Da ciò consegue, ai nostri fini, che le
prescrizioni grafiche contenute nel piano
sono da interpretare ed applicare alla luce
e nei limiti delle prescrizioni normative
contenute nello stesso piano (TAR Puglia,
Lecce 22/04/2010 n. 985) (TAR
Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 21.04.2011 n. 1019 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Affidamento diretto senza bando,
prova a carico della PA.
Il Consiglio di Stato
adotta una nozione estensiva di interesse
all'impugnazione nel caso degli affidamenti
diretti, che avvengono senza pubblicazione
di un bando.
La fattispecie oggetto della sentenza in
esame è costituita da una procedura
negoziata senza la previa pubblicazione del
bando di gara, consentita per i contratti
pubblici di lavori, servizi e forniture
entro determinati limiti dall’art. 57 del
d.lgs. n. 163/2006.
La pubblica amministrazione nello specifico
caso aveva giustificato l'affidamento
diretto sulla base della previsione del
secondo comma lett. b) di tale norma poiché,
per ragioni di natura tecnica o artistica
ovvero attinenti alla tutela dei diritti
esclusivi, il contratto poteva essere
affidato unicamente ad un operatore
economico determinato.
L'aggiudicazione senza gara si basava, in
particolare, sull'unicità del fornitore, in
grado di produrre un determinato macchinario
con certe caratteristiche tecniche.
Il Consiglio di Stato ha ribadito che
l'onere di dimostrare l'esistenza dei
presupposti per il ricorso alla procedura
negoziata, senza pubblicazione del bando,
grava sulla stessa pubblica amministrazione
nel momento della determinazione a
contrarre.
Il ricorso a tale procedura ha infatti
carattere di eccezionalità rispetto
all’obbligo della pubblica amministrazione
di individuare il privato contraente
attraverso il confronto concorrenziale.
Il privato che intende impugnare tale genere
di aggiudicazione non deve, dunque,
dimostrare ai fini dell'esistenza
dell'interesse ad agire di essere in grado
di fornire un prodotto dalle medesime
caratteristiche di quello oggetto del
contratto.
Secondo la giurisprudenza amministrativa, ai
fini del riconoscimento della legittimazione
all’impugnativa da parte di una impresa del
settore non occorre documentare una capacità
operativa paragonabile a quella del soggetto
prescelto, trattandosi di elemento che
assume rilevanza solo in sede di
partecipazione alla gara e di valutazione
comparativa delle offerte presentate dalle
imprese concorrenti.
Nei casi in cui sia consentito la procedura
negoziata diretta senza pubblicazione di un
bando, l'impresa operante nel medesimo
settore è dunque titolare di un interesse
giuridicamente rilevante alla impugnativa, e
non solo di un interesse di mero fatto.
Tale interpretazione è ricondotta dalla
stessa sentenza in esame all'orientamento
giurisprudenziale secondo cui le imprese
operanti in un determinato settore sono
legittimate ad impugnare le determinazioni
che riguardino le modalità di conferimento
del servizio anche al solo fine di ottenere
l’annullamento della gara e dell’eventuale
aggiudicazione, ed il rinnovo della
procedura cui aspirano a partecipare
(commento tratto da www.ipsoa.it - Consiglio
di Stato, Sez. III,
sentenza 19.04.2011 n.
2404 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Condono mediante silenzio assenso
nei reati edilizi.
Il termine di un anno per la formazione del
silenzio assenso nel procedimento per
condono edilizio introdotto con l'art. 39
della l. 23.04.1994, n. 724 non decorre se
non viene prodotta la documentazione
richiesta, impedendo l'estinzione dei reati
integrati con la costruzione abusiva
dell'immobile.
Secondo la sentenza che può leggersi in
calce, è inammissibile il ricorso per
Cassazione proposto dall'imputato per il
riconoscimento della formazione tacita,
mediante silenzio assenso, di un
provvedimento di c.d. “condono edilizio”,
ai sensi e per gli effetti dei quali
all'art. 39 della l. 23.04.1994, n. 724, con
conseguente estinzione della contravvenzione
di costruzione in assenza di autorizzazione
paesaggistica, qualora all'istanza di
condono presentata in sede amministrativa
non sia allegata tutta la documentazione
richiesta per la concessione del
provvedimento eccezionale di sanatoria.
Non consentendo, inoltre, l'inammissibilità
del ricorso, il formarsi di un valido
rapporto di impugnazione, la prescrizione
maturata dopo la pronuncia della sentenza di
appello, in conseguenza della presentazione
dell'atto di gravame, non può essere
rilevata dalla Corte di Cassazione (sul
punto richiamata la Cassazione, Sezioni
Unite, 22.11.2000 (dep. 21.12.2000), n. 32).
Questo il fatto oggetto del giudizio: con
sentenza pronunziata nel gennaio del 1997,
la Corte d'Appello di Napoli, in parziale
riforma della sentenza di primo grado,
rilevata la prescrizione del reato di
costruzione in assenza di concessione
edilizia, condannava l'imputato per la sola
contravvenzione di costruzione in assenza di
autorizzazione paesaggistica di cui, allora,
agli artt. 1-sexies del d.l. 27.06.1985 n.
312 (conv. l. 431/1985) e 20 l. 28.02.1985,
n. 431.
Con il ricorso in Cassazione l'imputato
lamenta, dal punto di vista sostanziale,
l'inoffensività del fatto contestato; la
formazione del silenzio assenso rispetto
alla domanda di condono edilizio presentata
al Comune di Napoli in relazione
all'immobile oggetto del reato, da
ritenersi, quindi, estinto; nonché
l'intervenuta prescrizione della
contravvenzione contestata nelle more della
presentazione e decisione del ricorso per
cassazione. La Suprema Corte ha dichiarato
inammissibili tutti i motivi di gravame.
Quanto all'inidoneità della realizzata
costruzione abusiva ad incidere
sull'originario assetto dei luoghi
sottoposti a vincolo paesaggistico, il
ricorrente afferma che la diffusa
urbanizzazione dell'area vincolata
escluderebbe, in concreto, il pericolo di
lesione del bene giuridico tutelato dalla
norma incriminatrice, rendendo, quindi,
inoffensivo il fatto contestato
all'imputato.
La Cassazione sottolinea, tuttavia, che la
contravvenzione di costruzione in assenza di
autorizzazione paesaggistica è un reato di
pericolo astratto, posto a tutela del
paesaggio e dell'aspetto esteriore degli
edifici, ritenuti valori meritevoli di
tutela anche mediante la sanzione penale.
Rileva, poi, la Suprema Corte, con
motivazione invero fin troppo sintetica,
come nel caso di specie la consistenza e la
tipologia dell'intervento realizzato siano
sicuramente, anche in concreto, idonee a
recare pregiudizio a siffatti valori.
Anche l'asserita estinzione del reato per
maturazione del termine massimo per
l'adozione di un provvedimento di diniego al
condono edilizio, e, quindi in forza della
formazione del provvedimento implicito di
sanatoria mediante silenzio assenso, secondo
la procedura di cui all'art. 39 della l.
724/1994, è stato reputato motivo di ricorso
inammissibile alla luce degli accertamenti
compiuti in sede di legittimità.
Durante il giudizio di Cassazione, infatti,
a seguito di sospensione del procedimento di
legittimità, veniva richiesta
all'amministrazione comunale competente,
l'attestazione di congruità del procedimento
di condono attivato, in sede amministrativa,
dall'imputato, al fine di valutare se
potesse ritenersi implicitamente formato un
provvedimento favorevole all'istanza di
condono a suo tempo presentata.
Il Comune di Napoli comunicava alla Suprema
Corte che, pur rientrando astrattamente
l'immobile oggetto del reato tra le opere
condonabili sia per quanto riguarda la
superficie edificata, sia per la data di
ultimazione della costruzione, nonché la
tempestività della domanda di condono e la
congruità dell'oblazione già versata, la
documentazione prodotta dall'imputato
risultava carente dei riferimenti catastali
dell'immobile abusivo.
L'imputato, pertanto, non poteva, allo
stato, fruire della sanatoria, che,
tuttavia, sarebbe stata concessa
dall'amministrazione procedente a seguito di
integrazione della documentazione allegata,
qualora anche degli enti preposti alla
tutela del vincolo paesaggistico avessero
espresso parere favorevole al condono.
L'imputato, nonostante il Comune gli avesse
concesso termini per produrre il documento
mancante, non ha inviato alla pubblica
amministrazione la quanto richiesto e, di
conseguenza, il Comune di Napoli non ha dato
corso al procedimento. L'incompletezza della
documentazione, rendendo improcedibile
l'istanza di condono edilizio, ha, quindi,
impedito, secondo la Cassazione, la
formazione del silenzio assenso nel
procedimento amministrativo, che, pur
essendo equipollente ad un provvedimento
espresso di “condono”, non avrebbe comunque
sanato la mancanza di parere favorevole
dell'autorità preposta alla tutela del
vincolo paesaggistico.
La contravvenzione contestata, quindi, non
può essere considerata estinta, né per
intervento del provvedimento di condono
edilizio, né per prescrizione, atteso che
l'inammissibilità del ricorso proposto
dall'imputato, precludendo il valido
formarsi di un rapporto di impugnazione, ha
cristallizzato il giudizio al momento della
pronuncia della sentenza di appello,
allorquando non era ancora decorso il
termine di prescrizione.
La sentenza in commento impone di
ripercorrere, seppur sinteticamente, i
passaggi fondamentali del procedimento
amministrativo di condono edilizio previsto
dall'art. 39 della l. 724/1994, per
comprendere la natura di tale provvedimento
ed i limiti del sindacato del giudice penale
ed amministrativo in ordine all'accertamento
della formazione implicita di un
provvedimento di concessione edilizia in
sanatoria. L'art. 39 della l. 724/1994
descrive puntualmente sia la tipologia di
manufatti astrattamente suscettibili di
condono (commi 1 e 2), sia la misura della
c.d. “oblazione” da versare prima
della presentazione dell'istanza (comma 3).
Vengono specificamente indicati, altresì, i
requisiti essenziali dell'istanza di condono
ed i relativi allegati, ossia la prova del
pagamento dell'oblazione, una dichiarazione
sostitutiva dei documenti indicati all'art.
35 comma 3 della l 28.02.1985, n. 47 (ossia
la normativa che ha introdotto,
precedentemente il condono edilizio a cui si
è saldato quello previsto nel 1994), il
fascicolo fotografico relativo all'abuso, il
progetto di adeguamento statico
dell'edificio ed il pagamento di oneri di
concessione, nonché copia della denuncia in
catasto relativa alla costruzione
dell'immobile. Se l'istanza, corredata dei
necessari allegati, è stata redatta
correttamente e la costruzione abusiva
rientra tra quelle condonabili, è
espressamente previsto che, il decorso un
anno (ovvero due anni nei comuni con più di
500.000 abitanti) dalla presentazione della
domanda, senza l'adozione di un
provvedimento negativo da parte del Comune,
equivalga a concessione edilizia in
sanatoria, fermo restando che, per
successive modifiche dell'art. 39 l.
724/1994, ai fini della formazione del
silenzio assenso, è consentito il pagamento
degli oneri concessori ovvero la denuncia al
catasto anche successivamente rispetto alla
presentazione della domanda, purché entro un
anno dalla data di presentazione
dell'istanza di condono.
Per quanto riguarda i manufatti abusivamente
costruiti in aree coperte da vincolo
paesaggistico, solo in alcuni casi specifici
previsti all'art. 32 della l. 47/1985 (come
modificato dall'art. 39, comma 7, della l
724/1994) è consentita la formazione di
silenzio assenso, equiparabile anche al
parere favorevole dell'autorità posta a
tutela del vincolo, la quale, altrimenti,
deve sempre assumere determinazioni
espresse. Il c.d. “condono edilizio”
previsto dalla l. 724/1994 (come già dagli
artt. 31 ss. l. 28.02.1985, n. 47 e poi
dall'art. 32 del d.l. 269/2003, convertito
in l. 326/2003) è un provvedimento
amministrativo eccezionale che consente di
sanare lo status amministrativo di una
costruzione realizzata in assenza dei
prescritti titoli abilitativi.
Diversamente dal permesso di costruire in
sanatoria (già concessione edilizia in
sanatoria ai sensi dall'art. 13 l. 47/1985,
ora previsto all'art. 36 d.P.R. 380/2001 –
Testo Unico dell'Edilizia), strumento
ordinario per l'accertamento di conformità
urbanistica di immobili costruirti in
assenza dei prescritti titoli abilitativi e,
tuttavia, in conformità alla disciplina
edilizia ed urbanistica vigente, il condono
edilizio rappresenta una sorta di “perdono”
ex lege per la realizzazione senza
titolo abilitativo di un manufatto, in
violazione sostanziale delle prescrizioni
urbanistiche, legali e regolamentari,
previste a livello statale, regionale e
locale.
Pertanto il provvedimento di condono
edilizio può essere adottato solo in
presenza di espressa previsione di legge
che, eccezionalmente, consenta di derogare
alla disciplina, legale e regolamentare, in
materia edilizia ed urbanistica, sanando una
pregressa situazione di sostanziale
antigiuridicità (così TAR Campania–Napoli,
Sez. VI, 03.09.2010, n. 17282 in DeJure).
Proprio l'eccezionalità del condono edilizio
non consente un'applicazione analogica delle
norme relative al procedimento ed
all'adozione del provvedimento di sanatoria,
che ha l'effetto di determinare l'estinzione
dei reati connessi alla costruzione in
assenza di titoli abilitativi.
Pacificamente la giurisprudenza, penale ed
amministrativa, subordina “l'inverarsi
della concessione tacitamente assentita, tra
l'altro, alla completezza della
documentazione da allegare alla domanda”
(così TAR Toscana–Firenze, 06.04.2010, n.
925 in DeJure), posto che la carenza di
documentazione, ancor di più se non
integrata dall'istante su richiesta dalla
pubblica amministrazione, determina
l'improcedibilità della domanda di
sanatoria, precludendo tanto la formazione
del silenzio assenso, quanto,
conseguentemente, l'estinzione del reato
(cfr. Cass. Pen., Sez. III, 25.11.2008, n.
3583 in DeJure; Cass. Pen., Sez. III,
11.07.2000, n. 10969, in Plurisonline).
Non rileva, quindi, nel caso di specie, che
i riferimenti catastali dell'immobile
oggetto del reato potessero essere,
astrattamente, autonomamente accertabili
dalla pubblica amministrazione, a consentire
di superare il dato testuale, e quindi
ineludibile, attesa la eccezionalità
dell'istituto del condono edilizio, che
preclude la formazione implicita del
provvedimento di concessione edilizia in
sanatoria in mancanza dell'allegazione dei
documenti prescritti dalla legge (commento
tratto da www.ipsoa.it - Corte di Cassazione
penale, sentenza 18.04.2011 n. 15601). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Chi inquina paga: anche prima di
inquinare ... Tutti i costi su chi esercita
l'attività.
Il fatto che l’art. 124 del d.lgs. 152/2006
non ponga espressamente a carico del
richiedente i costi per il controllo ma solo
quelli per l’effettuazione di rilievi,
accertamenti, sopralluoghi necessari per
l’istruttoria, non può comportare che questi
costi debbano essere posti a carico
dell’ente autorizzante o della struttura
pubblica che effettua i controlli, proprio
perché, in applicazione del principio di cui
sopra, gli oneri per il controllo devono
essere a carico di chi pone in essere
l’attività da controllare.
A seguito dell’attenzione alle problematiche
ambientali e nella prospettiva di uno
sviluppo eco-compatibile si sono venuti
affermando una serie di principi, elaborati
prevalentemente in sede comunitaria e
individuati nell’art. 174 del Trattato CEE,
per i quali le politiche ambientali
perseguite all’interno della Comunità
europea devono tendere alla salvaguardia e,
contestualmente, al miglioramento
dell’ambiente.
Per il pieno conseguimento di questi
obiettivi i principi che rilevano più
direttamente in relazione agli strumenti di
controllo ambientale sono essenzialmente il
principio della precauzione, quello della
prevenzione e quello del “chi inquina
paga”.
In particolare, questo ultimo è stato
espressamente sancito dall’art. 3-ter del
Codice dell’Ambiente per il quale “La
tutela dell'ambiente e degli ecosistemi
naturali e del patrimonio culturale deve
essere garantita da tutti gli enti pubblici
e privati e dalle persone fisiche e
giuridiche pubbliche o private, mediante una
adeguata azione che sia informata ai
principi della precauzione, dell'azione
preventiva, della correzione, in via
prioritaria alla fonte, dei danni causati
all'ambiente, nonché al principio «chi
inquina paga» che, ai sensi dell'articolo
174, comma 2, del Trattato delle unioni
europee, regolano la politica della comunità
in materia ambientale”.
Questo principio, consiste in definitiva
nell’imputazione dei costi ambientali (c.d.
esternalità ovvero costi sociali estranei
alla contabilità ordinaria dell'impresa) al
soggetto che ha causato la compromissione
ecologica o il pericolo di essa, sia nel
quadro di una logica risarcitoria ex post
factum, che nel quadro di una logica
preventiva dei fatti dannosi (Tar Catanzaro,
sez. I, 20.10.2009, n. 1118).
Il principio comunitario “chi inquina
paga”, piuttosto che ricondursi alla
fattispecie illecita integrata dal concorso
dell’elemento soggettivo del dolo o della
colpa e dall’elemento materiale, imputa il
danno a chi si trovi nelle condizioni di
controllare i rischi, cioè imputa il costo
del danno al soggetto che ha la possibilità
della “cost - benefit analysis”, per
cui lo stesso deve sopportarne le
responsabilità per essersi trovato, prima
del suo verificarsi, nella situazione più
adeguata per evitarlo nel modo più
conveniente (Tar Napoli, sez. V, 02.11.2009,
n. 6758).
In sostanza, in materia ambientale, i
necessari principi di proporzionalità e del
“chi inquina paga” impongono di
addossare gli eventuali costi di un sistema
di tutela in modo proporzionale
all’incidenza negativa che ogni soggetto
esercita sull'ambiente complessivo.
Il fatto che l’art. 124 del d.lgs. 152/2006
non ponga espressamente a carico del
richiedente i costi per il controllo ma solo
quelli per l’effettuazione di rilievi,
accertamenti, sopralluoghi necessari per
l’istruttoria, non può comportare che questi
costi debbano essere posti a carico
dell’ente autorizzante o della struttura
pubblica che effettua i controlli, proprio
perché, in applicazione del principio di cui
sopra, gli oneri per il controllo devono
essere a carico di chi pone in essere
l’attività da controllare.
Pertanto, si deve ritenere che i costi delle
attività di controllo finalizzati a
garantire il rispetto delle modalità di
scarico e quindi il corretto esercizio
dell’attività autorizzata sono di competenza
del soggetto che esegue quest’attività
(commento tratto da www.ipsoa.it - TAR
Puglia-Lecce, Sez. I,
sentenza 13.04.2011 n.
664 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI:
Gare, affidamenti a società
pubblico-private senza divieti.
Il Consiglio di Stato ha
stabilito che l'art. 23-bis, comma 9, del
decreto legge n. 112/2008 (cd. manovra
estiva 2008), convertito con legge n.
133/2008 e successive modifiche, non si
applica alle società miste pubblico-private
costituite ai sensi del comma 2, lettera b),
del medesimo articolo.
Tale articolo prevede, al comma 2, che il
conferimento della gestione dei servizi
pubblici locali avviene, in via ordinaria:
a) a favore di imprenditori o di società in
qualunque forma costituite individuati
mediante procedure competitive ad evidenza
pubblica, nel rispetto dei principi del
Trattato che istituisce la Comunità europea
e dei principi generali relativi ai
contratti pubblici e, in particolare, dei
principi di economicità, efficacia,
imparzialità, trasparenza, adeguata
pubblicità, non discriminazione, parità di
trattamento, mutuo riconoscimento e
proporzionalità;
b) a società a partecipazione mista pubblica
e privata, a condizione che la selezione del
socio avvenga mediante procedure competitive
ad evidenza pubblica, nel rispetto dei
principi di cui alla lettera a), le quali
abbiano ad oggetto, al tempo stesso, la
qualità di socio e l'attribuzione di
specifici compiti operativi connessi alla
gestione del servizio e che al socio sia
attribuita una partecipazione non inferiore
al 40 per cento.
Il successivo comma 9 prevede che le
società, le loro controllate, controllanti e
controllate da una medesima controllante,
anche non appartenenti a Stati membri
dell'Unione europea, che, in Italia o
all'estero, gestiscono di fatto o per
disposizioni di legge, di atto
amministrativo o per contratto servizi
pubblici locali in virtù di affidamento
diretto, di una procedura non ad evidenza
pubblica, nonché i soggetti cui è affidata
la gestione delle reti, degli impianti e
delle altre dotazioni patrimoniali degli
enti locali, qualora separata dall'attività
di erogazione dei servizi, non possono
acquisire la gestione di servizi ulteriori
ovvero in ambiti territoriali diversi, né
svolgere servizi o attività per altri enti
pubblici o privati, né direttamente, né
tramite loro controllanti o altre società
che siano da essi controllate o partecipate,
né partecipando a gare. Il divieto opera per
tutta la durata della gestione e non si
applica alle società quotate in mercati
regolamentati e al socio selezionato.
I soggetti affidatari diretti di servizi
pubblici locali possono comunque concorrere
su tutto il territorio nazionale alla prima
gara successiva alla cessazione del
servizio, svolta mediante procedura
competitiva ad evidenza pubblica, avente ad
oggetto i servizi da essi forniti.
Il caso posto
all’attenzione del CdS.
La
vicenda nasce a seguito del fatto che una
società per azione proponeva ricorso avverso
un Comune della Regione Calabria a seguito
della sentenza del TAR della Regione stessa
concernente una gara per la gestione del
servizio di raccolta di rifiuti solidi
urbani.
In particolare la società ricorrente
impugnava la determinazione del Comune del
2009 con cui era stata indetta una gara a
procedura aperta, con il criterio
dell’offerta economicamente più vantaggiosa,
per la gestione del servizio di raccolta dei
rifiuti solidi urbani con la sola modalità
differenziata e connesse attività ed oneri
sul territorio del Comune stesso; le
successive integrazioni al disciplinare di
gara e, dunque, le determinazioni di
rettifica avevano consentito la
partecipazione alla gara della società che
era risultata essere l’affidataria del
servizio.
La ditta ricorrente deduceva , in
particolare, che la società risultata “vincitrice”
era già affidataria diretta del servizio di
raccolta e trasporto dei rifiuti solidi
urbani, di quello di pulizia delle aree
mercantili e di quello di spazzamento del
Comune e non avrebbe potuto partecipare, ai
sensi delle disposizioni contenute nell’art.
23-bis, d.l. n. 112/2008, e s.m.i., a
procedure di gara per l’affidamento di
servizi ulteriori né gestire il servizio di
raccolta differenziata, avendo un socio di
minoranza non selezionato per gestire il
servizio, e meno che mai quello della
raccolta differenziata, neppure inserito
nell’oggetto sociale della società
affidataria, “esclusivo”, in quanto
limitato ai servizi affidati direttamente.
La partecipazione della società affidataria
alla gara in questione avrebbe determinato
effetti distorsivi della concorrenza, per
l’evidente vantaggio sui costi, determinato
dalla posizione di affidataria dei servizi
di raccolta dei rifiuti urbani
indifferenziati.
L’analisi dei giudici
amministrativi.
Per i giudici di Palazzo Spada l'affidamento
di servizi pubblici locali a società miste
pubblico-private, va equiparato, ai fini
della tutela della concorrenza e del
mercato, all'affidamento a terzi mediante
gara (articolo 23-bis, commi 2, lettera b), e
9, Dl 112/2008).
Il Consiglio di Stato dopo una lunga
disamina ha respinto un ricorso contro
l'affidamento del servizio di raccolta di
rifiuti solidi urbani.
Per i giudici amministrativi il divieto ex
articolo 23-bis, comma 9, del Decreto legge
n. 112/2008, convertito in legge 133/2008,
di partecipare a gare per l'affidamento di
servizi ulteriori a quelli già gestiti per
il Comune, vale solo per chi già gestisce i
servizi locali a seguito di affidamento
diretto o comunque non tramite gara.
L'affidamento a una società mista
pubblico-privata ex articolo 23-bis, comma
2, lettera a), va equiparato, secondo i
giudici di Palazzo Spada , all'affidamento
mediante pubblica gara: la società in
questione, già affidataria di servizi del
Comune, in sintesi può partecipare alla gara
per l'affidamento di ulteriori servizi
locali.
Il Consiglio di Stato in sede
giurisdizionale, respinge l’appello e
condanna l’appellante a rifondere al Comune
e, alla società affidataria, le spese e gli
onorari del secondo grado di giudizio
(commento tratto da www.ipsoa.it - Consiglio
di Stato, Sez. V,
sentenza 11.04.2011 n. 2222 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Concetto giuridico di costruzione
- Accezione materiale - Accezione
funzionale.
Il concetto giuridico di costruzione può
essere inteso in una duplice accezione: in
senso materiale, allorquando la nuova
edificazione sia dotata di elementi portanti
che ne sorreggano il peso, siano essi di
qualunque materiale, ovvero in senso
funzionale, allorquando una nuova
edificazione abbia una funzione statica, ed
essa rimanga in quiete e saldamente ancorata
al suolo in modo tale che non sia facilmente
amovibile (TRIBUNALE di Salerno, Sez.
distaccata di Eboli,
sentenza 11.04.2011 n. 205 - link
a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Normativa antisismica - Opere a
struttura metallica - Assenza della funzione
statica - Applicabilità delle norme di cui
agli artt. 93 e 94 del D.P.R. n. 380/2001 -
Esclusione - Fattispecie.
Allorquando manchi la funzione statica della
costruzione, l'apposizione dell'opera non
deve essere preceduta, ai sensi della
normativa antisismica, dagli adempimenti di
cui agli artt. 93 e 94 del D.P.R. n.
380/2001, la cui disciplina trova pertanto
applicazione esclusivamente allorquando le
opere a struttura metallica costituiscano
elementi strutturali dell'edificio
(fattispecie relativa all’installazione su
parete di un cartellone pubblicitario
sorretto da aste riflesse impiantate in una
struttura metallica) (TRIBUNALE di Salerno,
Sez. distaccata di Eboli,
sentenza 11.04.2011 n. 205 - link
a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Abusi edilizi in zona soggetta a
tutela. Opere realizzate in data antecedente
alla c.d. "legge Galasso".
Sono assoggettate al regime sanzionatorio di
cui all’art. 4 della legge n. 47 del 1985
anche le opere abusive realizzate
anteriormente alla c.d. "legge Galasso"
per le quali non sia stata presentata
domanda di condono o nel caso in cui tale
domanda sia stata respinta; sicché, una
volta accertata la violazione, la sanzione
va doverosamente applicata, né occorre
motivazione specifica sull’interesse
pubblico alla demolizione dell’opera, e
neppure il previo accertamento della sua
conformità o meno alla vigente disciplina
urbanistica, tenuto conto che il potere
repressivo comunale non incontra alcun
termine di prescrizione o decadenza (massima
tratta da www.regione.piemonte.it -
Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 07.04.2011 n. 2159 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Nozione di pertinenza urbanistica
e differenze rispetto alla sua nozione
civilistica.
Nel campo urbanistico, la nozione di
pertinenzialità ha peculiarità sue proprie
che la differenziano da quella civilistica,
atteso che il manufatto deve essere non solo
preordinato ad una oggettiva esigenza
dell’edificio principale e funzionalmente
inserito al suo servizio, ma deve essere,
oltre che di volume modesto affinché non
comporti il c.d. carico urbanistico, altresì
sfornito di autonoma destinazione ed
autonomo valore di mercato in virtù
dell’instaurazione di un legame
giuridico-funzionale stabile tra pertinenza
e singola unità immobiliare; legame a causa
del quale l’una e l’altra non possano
utilizzarsi e disporsi separatamente (Cfr.,
tra le tante, Cons. Stato, Sez. IV
17.05.2010, n. 3127; id., 15.09.2009, n.
5509, 23.07.2009, n. 4636 e 07.07.2009, n.
3379).
Non possono essere considerate pertinenze,
sotto il profilo urbanistico, dei box che
sarebbero asserviti ad alloggi IACP, ma che
non sono legati a questi ultimi da alcun
vincolo di natura giuridico-funzionale, dal
momento che nulla è di ostacolo al loro
utilizzo e diposizione separata
dall’alloggio (1).
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(1) Ha osservato la sentenza in rassegna
che, nella specie, doveva escludersi anche
la ricorrenza della pertinenzialità ai sensi
dell’art. 817 cod. civ. costituita, com’è
noto, non solo dall’elemento oggettivo della
destinazione di una cosa al servizio (o
ornamento) dell’altra, ma pure dall’elemento
soggettivo inteso quale volontà del
proprietario della cosa principale ad
imprimere la destinazione in parola, atteso
che le unità immobiliari a cui i box
accederebbero non appartengono agli stessi
soggetti proprietari dei medesimi box, bensì
allo IACP (o oggi l’organismo ad esso
succeduto), di cui detti proprietari sono
affittuari.
Pertanto, è stata esclusa la stessa
configurabilità di pertinenza anche nella
più ampia nozione civilistica, dunque a
maggior ragione sotto il profilo
urbanistico-edilizio (massima tratta da
www.regione.piemonte.it - Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 07.04.2011 n. 2159 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
CONSIGLIERI COMUNALI:
Riduzione dell’indennità di
carica prevista dallo Statuto comunale per
il Presidente del Consiglio comunale
disposta con provvedimento del Responsabile
dell’area Affari generali del Comune.
E’ legittimo il provvedimento con il quale
il responsabile dell’area affari generali di
un ente locale, in forza di specifiche
disposizioni normative sopravvenute, senza
la preventiva adozione di una deliberazione
del Consiglio comunale di modifica delle
norme statutarie, ha ridotto l’ammontare
dell’indennità di carica del Presidente del
Consiglio comunale prevista dallo statuto;
infatti, in base alla legge vigente (art.
82, commi 1 e 8, d.lgs. 267 del 2000, Testo
unico sull’ordinamento degli enti locali) la
misura dell’indennità di funzione degli
amministratori è quella (e soltanto quella)
stabilita nel decreto emesso dal Ministro
dell'interno, di concerto con il Ministro
del tesoro, del bilancio e della
programmazione economica, ai sensi
dell'articolo 17, comma 3, della legge
23.08.1988, n. 400, sentita la Conferenza
Stato-città ed autonomie locali, e s.m.i.,
questo essendo il solo regime giuridico
applicabile alla fattispecie che, fondandosi
su norma di legge, prevale su quello dettato
da atti amministrativi anteriori (massima
tratta da www.regione.piemonte.it - TAR
Campania-Napoli, Sez. I,
sentenza 06.04.2011 n. 1972 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Individuazione di casi in cui è
ammissibile l’impugnazione del bando di
gara.
L’impugnazione del bando di gara è
consentito alle imprese che non abbiano
presentato domanda di partecipazione alla
gara medesima soltanto quando il bando
stesso preveda delle norme che non
consentono la partecipazione alla gara
indetta, nel senso che se le imprese
suddette avessero partecipato alla gara,
sarebbero state sicuramente escluse (Cfr.
Cons. Stato, Ad. Plen., n. 1 del 2003 e Sez.
V, n. 4338 del 2009.).
E’ inammissibile un ricorso avverso il bando
di una gara di appalto, fondato sulla
doglianza secondo cui il termine previsto
dal bando per la presentazione delle offerte
è eccessivamente breve, e, per tale ragione,
non consente di formulare l’offerta, nel
caso in cui l’impresa ricorrente non abbia
presentato domanda di partecipazione alla
gara; infatti, in tal caso le censure si
appuntano non sulla impossibilità di
partecipare alla gara, ma sulla ritenuta
difficoltà di poter formulare un’offerta
remunerativa a cagione della esiguità del
termine concesso dal bando, il che è
assolutamente diverso dalla presenza di
norme che non consentono neppure la
partecipazione.
L’art. 133 del decreto legislativo n. 163
del 2006 (Codice dei contratti pubblici), il
quale prevede l’onere dell’aggiornamento dei
prezzari, non è una norma cogente, ma
soltanto una indicazione alle
amministrazioni aggiudicatrici di prendere
in considerazione le variazione dei prezzi
secondo un costante aggiornamento (Ha
osservato, in particolare, la Sez. V che le
amministrazioni non sono obbligate a porre a
base del loro computo estimativo i suddetti
prezzari, anche in considerazione della
generale illegittimità comunitaria dei
minimi tariffari inderogabili; le stazioni
appaltanti possono scegliere una base di
calcolo che ritengano più opportuna in
ordine alle contingenze che riguardano
l’appalto che va in gara, per cui, le
imprese che valutano di non poter
partecipare alla gara sulla base di quel
computo estimativo, possono decidere di non
presentare offerte, mentre mai possono
imporre all’amministrazione una base d’asta
che possa essere per loro maggiormente
conveniente da un punto di vista economico)
(massima tratta da www.regione.piemonte.it -
Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 01.04.2011 n. 2033 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Rifiuti e deroghe per il deposito
temporaneo: ma quando?
Perché possa applicarsi
il regime giuridico derogatorio previsto dal
D.Lgs. 03.04.2006, n. 152 per le attività
integranti deposito temporaneo è necessario
il rispetto delle condizioni oggettive,
cronologiche e quanti-qualitative sulla
natura dei rifiuti, la cui violazione
qualifica la gestione dei rifiuti come
attività di deposito preliminare o di
stoccaggio, necessitanti del rilascio di
preventiva autorizzazione.
La Suprema Corte torna a pronunciarsi sulla
annosa questione della disciplina giuridica
applicabile in relazione alla fattispecie di
deposito temporaneo, ribadendo i criteri
distintivi oggetto di previsione normativa,
interpretati con chiarezza dalla
giurisprudenza di legittimità
progressivamente consolidatasi nel corso
degli anni.
La sentenza appare, inoltre, particolarmente
significativa in quanto si inserisce in una
complessa vicenda nella quale l'attività
abusiva di gestione di rifiuti aveva
riguardato una cosiddetta ecopiazzola (o
isola ecologica), sul cui regime giuridico e
sulla cui evoluzione, normativa e
giurisprudenziale, la stessa Corte è
recentemente intervenuta con altra
decisione, oggetto di separato commento su
Sistema Ambiente & Sicurezza (sez. 3, n.
7950/2011).
Il fatto.
Come anticipato, la vicenda processuale, da
cui la Corte ha preso le mosse per fare
chiarezza sul tema del rapporto tra deposito
preliminare e temporaneo, vedeva imputati il
Sindaco ed il dirigente tecnico di un Comune
umbro che, a seguito di un sopralluogo dei
carabinieri appartenenti all'allora N.O.E.
(Nucleo operativo ecologico, oggi Comando
carabinieri tutela ambiente), erano stati
individuati come responsabili dell'attività
di gestione abusiva di una stazione
ecologica comunale, costituita da una
superficie di circa 3000 mq. distinta in due
zone, la prima delle quali adibita per
rimessaggio di mezzi adibiti per la raccolta
di rifiuti urbani e, la seconda, utilizzata
per la raccolta differenziata dei rifiuti.
Quest'ultima, in particolare, risultava
svolta senza autorizzazione, nonostante la
Provincia, all'epoca competente per il
rilascio del titolo abilitativo, avesse
opposto un diniego al rilascio
dell'autorizzazione per inidoneità dell'area
in cui la stessa era stata localizzata.
L'area era stata, quindi, sottoposta a
sequestro preventivo, revocato solo a
seguito del rilascio dell'autorizzazione da
parte della Provincia. All'esito del
giudizio di merito, tuttavia, il sindaco era
stato assolto in quanto aveva conferito
regolare delega al dirigente tecnico
comunale; quest'ultimo, invece, era stato
condannato per non essersi attivato
nonostante il diniego del rilascio
dell'autorizzazione da parte della
Provincia, continuando a gestire l'ecopiazzola
senza autorizzazione.
Il ricorso.
Avverso la decisione di condanna proponeva
impugnazione la difesa del dirigente
tecnico, mentre il Procuratore della
Repubblica proponeva ricorso per cassazione
contro l'assoluzione del Sindaco.
Per quanto qui di interesse, le difese
sostenevano la contraddittorietà della
tenuta motivazionale della sentenza nonché
l'inesatto inquadramento giuridico della
fattispecie, contestando in particolare che
la gestione dell'ecopiazzola potesse essere
inquadrata nell'attività abusiva di gestione
dei rifiuti; più specificamente, poi, le
difese degli imputati sostenevano che detta
isola ecologica avesse in realtà funzionato
come deposito temporaneo dei rifiuti
prodotti dal Comune, dovendosi quindi
applicare il regime derogatorio previsto
dall'allora vigente art. 6, lett. m), del
D.Lgs. n. 22/1997.
La decisione della
Cassazione.
La Corte, pur annullando la sentenza senza
rinvio per intervenuta prescrizione, medio -
tempore, del reato contestato agli imputati,
opera una interessante analisi della
disciplina giuridica applicabile, pervenendo
alla conclusione che, nel caso in esame, non
potesse configurarsi un'ipotesi di deposito
temporaneo e controllato dei rifiuti.
Sul punto, infatti, bene osserva il Supremo
Collegio come, al fine di poterlo ritenere
configurabile, occorre il rispetto delle
seguenti condizioni:
a)
raggruppamento dei rifiuti nel luogo di
produzione (e tale non poteva ritenersi l'ecopiazzola,
luogo dove vengono normalmente conferiti i
rifiuti comunali);
b)
rispetto dei tempi di giacenza (nel caso in
esame, individuati dal giudice di merito in
due settimane);
c)
natura e quantità dei rifiuti. Diversamente,
ove non sia ravvisabile il mancato rispetto
di tali indefettibili condizioni, si deve
parlare non più di deposito temporaneo, ma
di deposito preliminare o stoccaggio,
attività per le quali è necessaria una
preventiva autorizzazione.
La soluzione della Corte è assolutamente
condivisibile (avendo, peraltro, affrontato
il Giudice di legittimità la questione della
necessità dell'autorizzazione provinciale
per l'installazione dell'ecopiazzola,
ritenendo irrilevante la modifica normativa
introdotta dal D.Lgs. n. 4/2008 con
l'inserimento dell'art. 183, lett. cc), che
ha introdotto la definizione di "centri
di raccolta", posto che questi ultimi si
riferiscono ad attività di raggruppamento di
rifiuti urbani omogenei, mentre, nel caso in
esame, l'eterogeneità dei rifiuti ne
escludeva l'omogeneità e la esclusiva
origine urbana).
Com'è noto, infatti, la giurisprudenza di
legittimità ha avuto il merito di procedere
ad una corretta esegesi della disciplina
giuridica applicabile al deposito di
rifiuti, costituente una delle fasi di
gestione previste dalla legge. Sul punto,
anche con recenti decisioni, i giudici di
Piazza Cavour hanno ben chiarito come
allorché il deposito dei rifiuti manchi dei
requisiti fissati dall'art. 183 per essere
qualificato quale temporaneo, si realizzano,
secondo i casi:
a)
un deposito preliminare, sanzionato
dall'art. 256, comma primo, se il
collocamento dei rifiuti è prodromico ad una
operazione di smaltimento;
b)
una messa in riserva in attesa di recupero,
sanzionata dall'art. 256, comma primo, che,
quale forma di gestione, richiede il titolo
autorizzativo;
c)
un deposito incontrollato od abbandono,
sanzionato, amministrativamente o
penalmente, secondo i casi, dagli artt. 255
e 256, comma secondo, quando i rifiuti non
sono destinati ad operazioni di smaltimento
o di recupero;
d)
una discarica abusiva, sanzionata dall'art.
256, comma terzo, quando l'abbandono è
reiterato nel tempo e rilevante in termini
spaziali e quantitativi (Cass. pen., sez. 3,
n. 49911 del 30/12/2009, M., in Ced Cass.
245865).
L'attuale disciplina normativa, oggetto
della novella legislativa attuata con il
D.Lgs. n. 205/2010, distingue tra:
a)
“smaltimento” (art. 183, lett. z):
qualsiasi operazione diversa dal recupero
anche quando l’operazione ha come
conseguenza secondaria il recupero di
sostanze o di energia. L’Allegato B alla
parte IV del presente decreto riporta un
elenco non esaustivo delle operazioni di
smaltimento);
b)
“stoccaggio” (art. 183, lett. aa): le
attività di smaltimento consistenti nelle
operazioni di deposito preliminare di
rifiuti di cui al punto D15 dell'allegato B
alla parte quarta del presente decreto,
nonché le attività di recupero consistenti
nelle operazioni di messa in riserva di
rifiuti di cui al punto R13 dell'allegato C
alla medesima parte quarta);
c)
“deposito temporaneo” (art. 183,
lett. bb): il raggruppamento dei rifiuti
effettuato, prima della raccolta, nel luogo
in cui gli stessi sono prodotti, alle
seguenti condizioni:
1) i rifiuti contenenti gli inquinanti
organici persistenti di cui al regolamento
(CE) 850/2004, e successive modificazioni,
devono essere depositati nel rispetto delle
norme tecniche che regolano lo stoccaggio e
l’imballaggio dei rifiuti contenenti
sostanze pericolose e gestiti conformemente
al suddetto regolamento;
2) i rifiuti devono essere raccolti ed
avviati alle operazioni di recupero o di
smaltimento secondo una delle seguenti
modalità alternative, a scelta del
produttore dei rifiuti: con cadenza almeno
trimestrale, indipendentemente dalle
quantità in deposito; quando il quantitativo
di rifiuti in deposito raggiunga
complessivamente i 30 metri cubi di cui al
massimo 10 metri cubi di rifiuti pericolosi.
In ogni caso, allorché il quantitativo di
rifiuti non superi il predetto limite
all'anno, il deposito temporaneo non può
avere durata superiore ad un anno;
3) il “deposito temporaneo” deve
essere effettuato per categorie omogenee di
rifiuti e nel rispetto delle relative norme
tecniche, nonché, per i rifiuti pericolosi,
nel rispetto delle norme che disciplinano il
deposito delle sostanze pericolose in essi
contenute;
4) devono essere rispettate le norme che
disciplinano l'imballaggio e l'etichettatura
delle sostanze pericolose;
5) per alcune categorie di rifiuto,
individuate con decreto del Ministero
dell'ambiente e della tutela del territorio
e del mare, di concerto con il Ministero per
lo sviluppo economico, sono fissate le
modalità di gestione del deposito
temporaneo).
Le regole in tema di autorizzazioni (art.
208, comma 17) non si applicano al deposito
temporaneo effettuato nel rispetto delle
condizioni stabilite dall'articolo 183,
comma 1, lettera m) «fatti salvi
l'obbligo di tenuta dei registri di carico e
scarico da parte dei soggetti di cui
all'articolo 190 ed il divieto di
miscelazione di cui all'articolo 187»;
analogamente, il deposito temporaneo degli
oli usati deve essere realizzato in modo da
tenere costantemente separate, per quanto
tecnicamente possibile, tipologie di oli
usati da destinare, secondo l´ordine di
priorità di cui all’articolo 179, comma 1, a
processi di trattamento diversi fra loro
(art. 216-bis) (commento tratto da
www.ipsoa.it - Corte di Cassazione penale,
sentenza 23.03.2011 n. 11650). |
EDILIZIA PRIVATA:
Certificati di destinazione
urbanistica, contestazioni al G.O..
La sentenza affronta il caso di una società
che ha impugnato davanti al Tribunale
Amministrativo Regionale il certificato di
destinazione urbanistica, sostenendone
l'illegittimità, in quanto nell'atto sarebbe
erroneamente indicato come saturo un
comparto edificatorio, privando così
ingiustificatamente un mappale della propria
volumetria e di conseguenza rendendo non
attuabile un progetto edilizio proposto
dalla ricorrente. La sentenza, conformandosi
alla giurisprudenza assolutamente
prevalente, afferma il difetto di
giurisdizione in merito alla controversia,
che rientra, invece, nella giurisdizione del
giudice ordinario.
A favore della tesi sostenuta dal TAR
militano diversi elementi.
In primo luogo deve ritenersi che il
certificato in questione non sia un vero e
proprio provvedimento amministrativo, bensì
un mero atto.
Sin dagli inizi del secolo scorso la
dottrina e la giurisprudenza amministrative
distinguono la nozione di provvedimento da
quella più generale di atto amministrativo.
Il primo riassume tutti i requisiti propri
delle manifestazioni della funzione
pubblica, è l'atto conclusivo del
procedimento e produce effetti nei confronti
dei destinatari: è quindi la più importante
specie di atto amministrativo.
Il termine atto amministrativo in senso
stretto è stato spesso utilizzato, invece,
per individuare gli atti posti in essere
dalla pubblica amministrazione, ma che sono
privi dei caratteri propri dei
provvedimenti.
Secondo la teoria classica sono atti
amministrativi non provvedimentali:
a) gli atti paritetici, cioè gli atti di
volontà privi del carattere
dell'autoritarietà;
b) gli atti di mero accertamento (ad es.
certificazioni, registrazioni,
verbalizzazioni).
Secondo la dottrina prevalente i caratteri
propri del provvedimento sono i seguenti:
a) unilateralità;
b) tipicità e nominatività;
c) imperatività o autoritarietà;
d) inoppugnabilità;
e) esecutività.
L'unilateralità segnala che il provvedimento
non ha bisogno del concorso della volontà
dei destinatari per esistere.
Ciò lo distingue dai contratti, anche di
diritto pubblico, che richiedono il concorso
della volontà di due parti.
Si differenzia, invece, dai negozi
unilaterali di diritto privato perché,
essendo espressione di un potere
amministrativo, il provvedimento può
modificare unilateralmente le posizioni
giuridiche dei terzi anche in senso
negativo, mentre gli atti unilaterali di
diritto privato possono modificare la sfera
giuridica dei terzi senza il loro consenso
solo in senso favorevole.
La tipicità significa che i provvedimenti
sono definiti nei loro elementi costitutivi
dalla legge, mentre con il termine
nominatività si sottolinea che essi solo
quelli previsti dal legislatore.
La tipicità è espressione del principio di
legalità, in quanto il potere di sacrificare
unilateralmente le posizioni giuridiche dei
terzi dev'essere espressamente previsto
dalla legge, che ne determina anche i
presupposti e gli effetti.
Il principio di tipicità comporta che il
provvedimento è legittimo solo vi è
corrispondenza tra potere amministrativo e
provvedimento: qualora un atto sia posto in
essere per perseguire un interesse, anche
pubblico, diverso da quello per il quale è
previsto, esso è viziato da eccesso di
potere per sviamento dall'interesse pubblico
o dalla causa tipica.
Ulteriore conseguenza del principio di
tipicità, secondo la giurisprudenza, è che
la qualificazione del provvedimento va
operata in base all'esclusiva considerazione
del potere effettivamente esercitato, e non
in base alla qualificazione ad esso
attribuita dalle parti o alle norme in esso
citate.
Il requisito dell'imperatività o
autoritarietà è il più discusso.
Secondo la teoria classica il provvedimento
è la manifestazione di un potere d'impero
della pubblica amministrazione e tale potere
è l'essenza stessa del provvedimento.
Con questo termine si intende il potere di
costituire, modificare ed estinguere le
posizioni giuridiche dei terzi mediante un
proprio atto unilaterale, esercizio di quel
potere.
La dottrina della fine dell'ottocento e del
primo novecento ha identificato
nell'imperatività il carattere tipico del
provvedimento.
Diverse erano le conseguenze che si
desumevano dal requisito dell'imperatività
del provvedimento.
In primo luogo il divieto del giudice
ordinario di modificare il provvedimento; in
secondo luogo la sua esecutorietà, cioè la
possibilità di portarlo ad esecuzione
forzata senza bisogno dell'intervento del
giudice; in terzo luogo l'autotutela, cioè
il potere della p.a. di modificare o
revocare una sua precedente manifestazione
di volontà unilateralmente; in quarto luogo
il potere di degradare i diritti soggettivi
ad interessi legittimi per assoggettarli al
potere amministrativo.
Gran parte di questi poteri della p.a.,
oggi, però sono stati ridimensionati. In
particolare, come vedremo, la L. 11.02.2005,
n. 15, che ha dettato lo statuto del
provvedimento amministrativo, ha escluso che
tali poteri siano insiti nel potere
amministrativo, ma li ha ricondotti
all'unica fonte che in un regime democratico
li può giustificare, cioè la legge.
Così l'esecutorietà non è più un principio
generale ma si applica ai soli provvedimenti
ai quali la legge la conferisce (art.
21-ter, L. n. 241 del 1990); l'autotutela
trova fondamento e disciplina nella legge
(artt. 21-quinquies e 21-octies, L. n. 241
del 1990); il divieto imposto al giudice
ordinario di modificare e revocare il
provvedimento consegue al principio di
separazione dei poteri e trova nella legge
diverse eccezioni; la teoria della
degradazione è ormai superata a favore della
teoria secondo cui le situazione soggettive
di diritto e di interesse legittimo
convivono dall'inizio e si manifestano a
secondo del soggetto (pubblico o privato)
che pone in essere l'aggressione del bene
tutelato. Sembra lecito quindi concludere
che l'autorità o imperatività del
provvedimento consiste oggi nella sua
idoneità a modificare situazioni giuridiche
altrui, senza necessità dell'altrui
consenso.
Il concetto di autoritatività resta, in ogni
caso, centrale quale criterio di riparto di
giurisdizione in quanto la Corte
costituzionale (Sent. 06.07.2004, n. 204) ha
affermato che una materia può essere oggetto
di giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo solo se in essa la pubblica
amministrazione agisce anche esercitando il
suo potere autoritativo.
Ha elevato così l'autoritatività a criterio
di riparto di giurisdizione.
Le certificazioni, invece, sono prive del
requisito dell'imperatività in quanto non
esprimono una volontà dell'amministrazione e
non hanno effetto costitutivo sulle
posizioni giuridiche dei privati.
Dai certificati ordinari vanno poi distinti
gli atti di accertamento costitutivo i
quali, pur avendo contenuto di accertamento,
producono effetti costitutivi e, quindi,
sono inquadrati tra i provvedimenti.
La sentenza in commento riconosce che il
certificato di destinazione urbanistica è un
certificato ordinario "in quanto atto di
certificazione redatto da un pubblico
ufficiale, ha natura ed effetti meramente
dichiarativi e non costitutivi di posizioni
giuridiche, che discendono in realtà da
altri provvedimenti, che hanno a loro volta
determinato la situazione giuridica
acclarata dal certificato stesso. Di
conseguenza, essendo sfornito di ogni
efficacia provvedimentale, è altresì privo
di concreta lesività, il che rende
impossibile la sua autonoma impugnazione".
Parzialmente diverso, nel contenuto ma non
negli effetti, è l'orientamento della
Cassazione (Cass. Civile, Sez. Unite,
23.09.2010, n. 20072) la quale ha chiarito
che "la controversia in merito al
contenuto del certificato di destinazione
urbanistica esula dal campo riservato alla
giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo, non controvertendosi, nella
specie, in ordine ad alcuna ipotesi di
gestione del territorio, che del D.Lgs. n.
80 del 1998, art. 34, riserva alla
competenza esclusiva del G.A.
Infatti il rilascio della certificazione in
parola integra gli estremi non già dello
svolgimento di una qualsivoglia attività
provvedimentale della P.A., bensì del
comportamento (sicuramente colposo) del
funzionario, riconducibile all'ente di
appartenenza, astrattamente idoneo a
risolversi in un illecito civile, con la
conseguenza che spetta al giudice ordinario
la cognizione (e l'accertamento in concreto)
della sussistenza e della tutelabilità, sul
piano risarcitorio, delle posizioni di
diritto soggettivo che si assumono lese da
un certificato errato".
Vediamo quindi come la Cassazione abbia
regredito il certificato in questione
addirittura a mero comportamento
amministrativo, che, in quanto tale non
costituisce attività illegittima
dell'amministrazione ma solo un
comportamento foriero di danni lesivi di
diritti soggettivi.
Questa degradazione è la conseguenza del
carattere meramente compilativo dell'atto,
nel quale non si rinviene alcun esercizio
della funzione amministrativa, neppure
vincolata.
Infatti esso è la mera sintesi di precedenti
provvedimenti (le concessione edilizie che
hanno disposto della volumetria) e non
produce alcun effetto vincolante, neppure
nei confronti dell'amministrazione che potrà
discostarsene.
Si tratta quindi, secondo la Cassazione, di
una mera operazione che non comporta alcuna
elaborazione mentale e tecnica con la
conseguenza che non rientra neppure negli
atti amministrativi.
Le conseguenze sul riparto della
giurisdizione sono però le medesime: degli
eventuali errori del certificato conosce il
giudice ordinario perché ledono una
posizione di diritto soggettivo (commento
tratto da www.ipsoa.it -
TAR
Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 14.03.2011 n. 729 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Impianto calcestruzzo amovibile.
E' illegittima l'autorizzazione provvisoria
riguardante opere trasferibili e precarie
(impianto di calcestruzzo amovibile)
installate sul suolo agricolo posto che il
concetto di opera contingente, momentanea e
transitoria va parametrato con riferimento
non alle dimensioni ma alla durata nel tempo
dei bisogni che l'edificazione dell'opera
intende soddisfare.
Pertanto, l'assenza di permesso a costruire
comporta la sussistenza del reato di cui
all'art. 44, lett. b, DPR 380/2001. Di
converso, tale illegittimità non costituisce
violazione di legge macroscopica idonea a
provare ex se il dolo intenzionale
del delitto di abuso d'ufficio (TRIBUNALE
Santa Maria C.V.,
sentenza 10.03.2011 - link a
www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Impugnazione titolo edilizio e
vicinanza a struttura commerciale
all'ingrosso.
Tenendo conto della
distanza, delle dimensioni e delle
caratteristiche dell'attività svolta,
l'avvio di un nuovo esercizio di vendita
all'ingrosso risulta potenzialmente idoneo
ad introdurre elementi di squilibrio nel
tessuto commerciale della zona nella quale
altri operatori abbiano già acquisito
legittimamente una posizione di mercato.
Il fatto che gli esercizi siano ubicati in
Comuni diversi non fa venir meno l'interesse
ad impedire lo svolgimento di un'attività
economica potenzialmente concorrenziale la
quale, per la natura dei prodotti offerti, è
idonea a soddisfare parte della medesima
domanda del pubblico, considerato che la
clientela potrebbe essere attratta dal nuovo
insediamento per l'oggettiva e relativa
vicinanza dei punti vendita.
L'attività di commercio all'ingrosso,
infatti, sebbene sia caratterizzata da un
numero di transazioni più limitato rispetto
alla vendita al dettaglio, contempla lo
spostamento di copiose quantità di merci e
prodotti con l'impiego di capienti mezzi di
trasporto su gomma, ove per l'economia di
ciascun viaggio è del tutto indifferente
percorrere dieci o venti chilometri in
aggiunta, dove la differenza è -viceversa-
fatta dal prezzo, nonché dalla quantità e
dalla qualità dei prodotti disponibili.
Tale circostanza, pertanto, è idonea ex
se a legittimare un'azione di
annullamento di un titolo edilizio
abilitativo alla costruzione, non
necessitandosi una comprova dell'identità
del bacino di utenza delle medesime
ricorrenti con quello della struttura per
cui è causa sotto il profilo dell'identità
dei prodotti alimentari e dei marchi
rispettivamente commercializzati.
Nella specie, non può soccorrere
l'orientamento giurisprudenziale secondo il
quale, in tema di impugnazione di un titolo
edilizio, la legittimazione a ricorrere va
individuata applicando il criterio dello
stabile collegamento tra il ricorrente e la
zona interessata dall'attività assentita
dalla concessione asseritamente illegittima,
ove tale relazione può derivare dalla
residenza nella zona interessata, dalla
proprietà, possesso o detenzione di immobili
nella zona medesima, ovvero da altro titolo
di radicata frequentazione di quest'ultima.
Tale indirizzo, infatti, riconosce la
legittimazione a ricorrere unicamente a
salvaguardia dei valori urbanistici, e
quindi apprezza l'insediamento come stabile
ubicazione delle aspirazioni di vita dei
cittadini, nel mentre nella fattispecie qui
disaminata affiorano interessi di natura
precipuamente commerciale, autonomamente
idonei a radicare una pretesa tutelabile in
sede giurisdizionale.
In relazione all'istituto della DIA, il
moltiplicarsi della normativa in materia ha
condotto ad una vera e propria frantumazione
dell'istituto medesimo in una pluralità di
forme applicative per diversi settori,
ciascuno dei quali assoggettato ad un regime
più o meno peculiare ma -nondimeno-
razionalizzabile secondo una sua
ricostruzione unitaria.
Una pregressa interpretazione ha a suo tempo
escluso che dalla DIA potesse scaturire un
atto amministrativo, perché si tratterebbe
di atto soggettivamente e oggettivamente
privato, il quale avrebbe soltanto il valore
di una comunicazione fatta dal privato alla
Pubblica Amministrazione circa la propria
intenzione di realizzare un'attività
direttamente conformata dalla legge e che
non necessiterebbe di titoli provvedimentali.
Tuttavia, da tale tesi sono derivati
rilevanti problemi sostanziali e
processuali:
- il problema dell'esatta natura giuridica
del silenzio eventualmente mantenuto
dall'Amministrazione Comunale nei giorni
successivi alla presentazione di una
denuncia di inizio attività (e ciò, nello
specifico modulo delineato in materia
edilizia dall'art. 2, comma 60, L. n. 662
del 1996 -sostituito, in seguito da quello
delineato nell'art. 23, T.U. n. 380 del
2001);
- la questione dei rimedi giurisdizionali di
cui il terzo disponesse per opporsi
all'esecuzione dei lavori intrapresi in base
alla semplice denuncia del loro inizio da
parte dell'interessato (in particolare nel
caso che l'Amministrazione Comunale non
avesse adottato un formale provvedimento
inibitorio nel termine dei venti giorni
prescritti dalla norma, prima che l'attività
denunciata possa essere intrapresa
dall'interessato) e, dunque, se il
comportamento silente in questione fosse
qualificabile come inadempimento e come tale
fosse quindi impugnabile (solo) secondo il
rito speciale di cui all'art. 21-bis, L. n.
1034 del 1971.
Atteso quanto sopra, si rileva che la DIA,
anche nei termini generali di cui all'art.
19, L. n. 241 del 1990, si configura quale
istituto del tutto peculiare che consente al
privato l'esercizio di una certa attività
comunque rilevante per l'ordinamento, già
subordinato a qualsivoglia forma di
autorizzazione e -per l'appunto-
assimilabile ad un'istanza autorizzatoria,
la quale, con il decorso del términe di
legge, provoca la formazione di un titolo
che rende lecito l'esercizio dell'attività,
ossia di un provvedimento tacito di
accoglimento dell'istanza del privato.
L'atto di comunicazione dell'avvio
dell'attività, a differenza di quanto accade
nel caso del silenzio-assenso, a sua volta
disciplinato dall'art. 20, L. n. 241 del
1990, non è, quindi, una domanda ma
un'informativa, cui è subordinato
l'esercizio del diritto.
Il provvedimento, rispetto al quale
l'Amministrazione Comunale può esercitare
poteri di autotutela (non solo vincolati a
carattere repressivo, ma anche discrezionali
di secondo grado) si forma, dunque, con
l'esperimento di un ben delineato modulo
procedimentale, all'interno del quale la DIA
costituisce pur sempre un'autocertificazione
della sussistenza delle condizioni stabilite
dalla legge per la realizzazione
dell'intervento, sulla quale la Pubblica
Amministrazione svolge una attività
eventuale di controllo, al tempo stesso
prodromica e funzionale al formarsi, a
seguito del mero decorso del periodo di
tempo normativamente prefissato (e non,
dunque, dell'effettivo svolgimento della
attività medesima), del titolo necessario
per il lecito dispiegarsi della attività del
privato.
Alla DIA si deve, quindi, riconoscere una
valenza sicuramente provvedimentale a
formazione tacita.
Confortano tale tesi:
- il fatto che l'art. 21, comma 2, L. n. 241
del 1990 stabilisca che le sanzioni già
previste per le attività svolte senza la
prescritta autorizzazione siano applicate
quando l'attività, pur dopo la comunicazione
all'Amministrazione, venga iniziata in
mancanza dei requisiti richiesti o comunque
in contrasto con le disposizioni di legge;
- la circostanza che lo stesso art. 21, al
comma 2-bis, configuri l'inizio della
attività, ai sensi degli artt. 19-20, non
preclusivo dell'esercizio delle attribuzioni
di vigilanza, prevenzione e controllo su
attività soggette ad atti di assenso da
parte di pubbliche amministrazioni previste
da leggi vigenti;
- l'ulteriore circostanza che la previsione
espressa del potere dell'Amministrazione di
assumere determinazioni in via di autotutela
presupponga comunque la sussistenza di un
provvedimento su cui intervenire (e ciò
anche con riferimento a quanto stabilito per
la DIA edilizia dall'art. 38, comma 2-bis,
T.U. n. 380 del 2001, laddove l'accertamento
dell'inesistenza dei presupposti per la
formazione del titolo è espressis verbis
equiparata ai casi di permesso annullato).
Prima dell'entrata in vigore del nuovo
processo amministrativo, l'appello
incidentale "proprio" o "subordinato",
conformemente al combinato disposto di cui
all'art. 37, T.U. n. 1054 del 1924 ed
all'art. 28, L. n. 1034 del 1971, costituiva
il rimedio incidentale di carattere
subordinato volto ad eliminare la
soccombenza dell'appellato nei confronti
dell'appellante, e si poneva quale strumento
geneticamente subordinato rispetto alla
proposizione del ricorso principale ed allo
scopo di paralizzare l'azione ex adverso
proposta, per l'ipotesi della sua ritenuta
fondatezza in sede di gravame, secondo la
logica della c.d. impugnazione condizionata.
L'appello incidentale "improprio",
invece, si caratterizzava soprattutto per
una marcata autonomia tanto nei presupposti
(autonomia dell'interesse alla proposizione
dell'appello), tanto sotto il profilo
funzionale, configurandosi in tal senso
quale conseguenza dell'introduzione
nell'ordinamento processuale amministrativo
della previsione di cui art. 333 c.p.c.,
nella logica del simultaneus processus.
A logica conclusione di ciò, nel processo
amministrativo l'appello incidentale
autonomo o improprio, in quanto sostenuto da
un interesse non dipendente dall'impugnativa
principale, assumeva di per sé la mera veste
formale del gravame incidentale al solo fine
di realizzare il simultaneus processus,
con la conseguenza che esso andava proposto
nei termini stabiliti per quello principale.
Ciò in quanto non assoggettato alla
disciplina prevista dall'art. 37, T.U. n.
1054 del 1924, né a quella sancita art. 327
c.p.c..
Al riguardo, la giurisprudenza affermava
che, proprio perché l'interesse alla
proposizione del gravame sorge non già con
la notifica dell'appello principale, bensì
direttamente dalle sfavorevoli (ovvero non
pienamente favorevoli) statuizioni delle
sentenza oggetto di impugnazione, ne
consegue che il termine per esperire il
rimedio è quello previsto in via generale
per la proposizione dell'appello principale,
ai sensi del secondo comma dell'art. 28, L.
n. 1034 del 1971, reputando in tal senso
inapplicabile nel processo amministrativo
l'istituto di cui art. 334 c.p.c..
Con l'entrata in vigore del nuovo processo
amministrativo, l'art. 96 del codice
medesimo ammette, invece, la proposizione
del ricorso incidentale improprio mediante
un espresso richiamo art. 334 c.p.c.
(commento tratto da www.ipsoa.it - Consiglio
di Stato, Sez. IV,
sentenza 08.03.2011 n. 1423 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Rifiuti, sversamento di
percolato: quale disciplina applicabile?
Integra il reato
previsto dall’art. 137 del D.Lgs.
03.04.2006, n. 152 la condotta consistente
nello sversamento di “percolato” da un
impianto di smaltimento di rifiuti solidi
urbani in un corso d’acqua superficiale,
sussistendo un nesso funzionale e diretto
del refluo con il corpo idrico recettore;
non sussiste la violazione del principio di
correlazione tra fatto contestato e fatto
ritenuto in sentenza (art. 521 c.p.p.) ove
l’imputato sia condannato per il reato di
scarico di acque reflue senza autorizzazione
a fronte dell’imputazione originaria di
scarico di “percolato”; sussiste la
responsabilità penale del legale
rappresentante di società esercente
l’attività di smaltimento di RSU in caso di
sversamento di “percolato” in un corso
d’acqua superficiale; il reato di scarico
senza autorizzazione di percolato concorre
con il reato paesaggistico.
Ben quattro i principi di diritto affermati
dalla Corte di Cassazione con la sentenza
qui commentata. I giudici di legittimità,
muovendo da un caso “anonimo” che
vedeva imputato il legale rappresentante di
una società di gestione di un impianto di
smaltimento di RSU, ha affermato alcuni
importanti principi dando nuovo vigore e
vitalità ad un tema, quello del rapporto tra
disciplina delle acque e disciplina dei
rifiuti liquidi, da tempo ormai non più
affrontato in maniera innovativa dalla
Corte, essendo infatti venuti meno i punti
problematici che avevano caratterizzato la
controversa nozione di “scarico”
all’indomani del varo del T.U.A., superati
con la modifica di detta nozione per effetto
del D.Lgs. n. 4 del 2008.
Il fatto.
La vicenda processuale che ha offerto lo
spunto alla Cassazione per articolare i
numerosi principi di diritto enunciati
vedeva imputato il gestore di un impianto di
smaltimento dei rifiuti solidi urbani di un
comune, di proprietà della locale Comunità
montana, al quale era stato contestato di
aver effettuato, senza autorizzazione, lo
scarico del percolato prodotto in detto
impianto in un corso d’acqua superficiale
sito all’interno di un famoso parco
nazionale.
Al predetto erano stati, quindi, contestati
sia la violazione della disciplina in
materia di inquinamento idrico che la
violazione paesaggistica. In sede di merito,
sia il giudice di primo grado che quello
d’appello, avevano ritenuto l’imputato
penalmente responsabile di entrambi i reati
contestati.
Il ricorso.
L’imputato proponeva ricorso per cassazione
avverso la pronuncia di condanna articolando
alcuni motivi. Per quanto qui di interesse,
in particolare, egli contestava la
violazione dell’art. 521 c.p.p. (principio
della correlazione tra fatto contestato e
fatto ritenuto in sentenza) in quanto il
giudice, a fronte di un’imputazione
originaria di scarico di percolato, lo aveva
invece condannato per lo sversamento di
acque reflue: tale soluzione sarebbe errata,
a giudizio del reo, poiché i liquami
provenienti dall’interno di un impianto di
trattamento di rifiuti non sarebbero
identificabili come acque reflue né
industriali né urbane.
In secondo luogo, poi, contestava
l’affermazione della sua responsabilità
penale, non essendo stata valutata la
presenza di organi tecnici preposti a
specifici compiti connessi alle varie fasi
dello smaltimento; infine, contestava la
configurabilità del reato paesaggistico, non
essendo possibile individuare “lavori”
incidenti sul bene paesaggistico offeso,
peraltro nemmeno agevolmente individuabile.
La decisione della
Cassazione.
La Corte, nel disattendere tutti i motivi,
ha rigettato il ricorso, affermando i
principi in precedenza esposti. Osserva,
anzitutto, la Cassazione come i giudici di
merito abbiano correttamente inquadrato la
vicenda da un punto di vista giuridico,
applicando cioè la disciplina delle acque e
non quella dei rifiuti.
Sul punto, precisano gli ermellini, è ben
vero che la nozione di “percolato”
viene definita dal decreto di recepimento
della direttiva discariche (D.Lgs.
13.01.2006, n. 36) come il “liquido che
si origina prevalentemente
dall'infiltrazione di acqua nella massa dei
rifiuti o dalla decomposizione degli stessi”
(art. 2, lett. m, sicché lo stesso ben può
assumere la natura di rifiuto «ma ciò
soltanto allorquando lo stesso non si
configuri quale acqua sostanzialmente “di
processo” direttamente smaltita in corpo
idrico recettore».
Nel caso in esame, invece, sottolineano i
giudici di legittimità, non adducendosi nel
ricorso l’insussistenza di un nesso
funzionale e diretto delle acque reflue con
il corpo idrico recettore (che ricondurrebbe
la gestione delle acque reflue medesime
nell’ambito dei rifiuti), trova applicazione
la disciplina dettata dal Titolo III° del
T.U.A., con conseguente assoggettamento
della vicenda alla fattispecie sanzionatoria
prevista dall’art. 137, D.Lgs. n. 152 del
2006.
Quanto, poi, alla ipotizzata violazione del
principio di correlazione tra accusa e
sentenza (art. 521 c.p.p.) bene osserva la
Corte come per aversi mutamento del fatto
occorre una trasformazione radicale, nei
suoi elementi essenziali, della fattispecie
concreta nella quale si riassume la ipotesi
astratta prevista dalla legge, sì da
pervenire ad un'incertezza sull'oggetto
dell'imputazione da cui scaturisca un reale
pregiudizio dei diritti della difesa; ne
consegue che l'indagine volta ad accertare
la violazione del principio suddetto non va
esaurita nel pedissequo e mero confronto
puramente letterale fra contestazione e
sentenza perché, vertendosi in materia di
garanzie e di difesa, la violazione e' del
tutto insussistente quando l'imputato,
attraverso l'"iter" del processo, sia
venuto a trovarsi nella condizione concreta
di difendersi in ordine all'oggetto
dell'imputazione (v., per tutte: Sez. U,
22.10.1996, n. 16, Di Francesco, in Ced
Cass. 205619).
Facendo coerente applicazione di tale
principio alla vicenda in esame, si
evidenzia come corretta sia la
qualificazione giuridica operata dai giudici
di merito, poiché i contenuti essenziali
dell’addebito risultano riferiti
all’effettuazione dello scarico, nel corso
d’acqua superficiale, del percolato prodotto
nell’impianto di smaltimento dei rifiuti
solidi urbani, ed in relazione a tale
condotta illecita l’imputato si è difeso ed
è stato condannato previa qualificazione
corretta del percolato come “acqua di
scarico non domestica”, senza alcun
mutamento dell’addebito.
Quanto, ancora, alla contestazione relativa
all’individuazione del gestore dell’impianto
quale soggetto responsabile, nessun dubbio
ha la Corte nel ribadire un principio
fondamentale in materia ambientale secondo
il quale il reato di scarico senza
autorizzazione è configurabile non solo nei
confronti del titolare dell'insediamento, ma
anche nei confronti del gestore
dell'impianto, in quanto su quest'ultimo
grava l'onere di controllare che l'impianto
da lui gestito sia munito
dell'autorizzazione, presupposto di
legittimità della gestione (Sez. 3,
03.03.2009, n. 9497, M., in Ced Cass.
243119; Sez. 3, 07.02.2002, n. 4535, S., in
Ced Cass. 220845).
In sostanza, dunque, tutti i soggetti che di
fatto esercitano funzioni di amministrazione
e di gestione dell'insediamento dal quale
originano i reflui sono responsabili, senza
che tale responsabilità assuma carattere
oggettivo ed automatico, ma a titolo di
colpa, intesa in senso ampio, ovvero
conseguente non soltanto a comportamenti
commissivi, ma anche per inosservanza del
dovere di adottare tutte le misure tecniche
ed organizzative di prevenzione del danno da
inquinamento (così, in precedenza: Sez. 3,
01.06.2005, n. 20512, B., in Ced Cass.
231654).
Infine, quanto alla configurabilità del
concorso tra reato paesaggistico e
violazione in materia di inquinamento
idrico, i giudici di Piazza Cavour liquidano
agevolmente la pratica, evidenziando come il
reato previsto dall’art. 181 del decreto
Urbani (D.Lgs. n. 42 del 2004) punisce
qualsiasi alterazione dell’assetto
territoriale senza autorizzazione attuata
con “interventi di qualsiasi genere”,
rientrando in tale nozione anche il caso
dell’effettiva compromissione dei valori
paesaggistici indotta dall’insudiciamento
evidente delle acque di un torrente e
dell’invaso di un diga, come nel caso di
specie (in precedenza, nel senso del
concorso tra tali violazioni, si era
espressa Sez. 3, n. 23779 del 13/06/2001, C.
ed altro, in Ced Cass. 219931, ritenendolo
ammissibile in quanto il bene giuridico
protetto dalla disciplina in tema di
inquinamento idrico riguarda la risorsa
naturale presa in considerazione nella sua
composizione fisica, mentre le altre
disposizioni apprestano tutela al paesaggio,
ovvero all'insieme di valori estetici e
naturali considerati come un insieme in una
determinata area) (commento tratto da
www.ipsoa.it - Corte di Cassazione penale,
sentenza 25.02.2011 n. 7214). |
ATTI AMMINISTRATIVI: Più
privacy sulle liste elettorali. Le richieste
di accesso vanno adeguatamente motivate.
Secondo il Tar Sardegna i comuni hanno voce
in capitolo sulla valutazione delle domande.
La richiesta di ottenere
copia della lista degli elettori deve essere
adeguatamente motivata; in caso contrario è
legittimo il provvedimento con cui un comune
rigetta tale richiesta. Il fatto che tale
documento sia pubblico non legittima in
alcun modo le richieste di accesso
generiche.
Sono queste le principali indicazioni
contenute nella recente
sentenza 17.02.2011 n. 148 della
Sez. II del TAR Sardegna.
L'importanza della pronuncia è data dalla
nettezza con cui si stabilisce l'assoluta
necessità della motivazione della richiesta
di accesso avanzata da soggetti privati,
peraltro sulla base delle indicazioni
dettate dalla legge n. 241/1990, per come
modificata dalla legge n. 15/2005. Ed ancora
che tale motivazione deve fare riferimento
alle indicazioni dettate in modo assai
preciso da parte dello stesso legislatore.
Nel caso specifico il comune di Monastir
(provincia di Cagliari) ha rigettato la
richiesta di ottenere l'accesso alla lista
degli elettori presentata da una
associazione e motivata con le seguenti
considerazioni: «ci servono gli elenchi
degli elettori sia per eventualmente agire
direttamente nei loro confronti (ogni
singolo elettore) per sensibilizzarli sui
singoli problemi, sia per tentare
d'indirizzarli (in occasione delle elezioni
di qualunque tipo), verso candidati e/o
partiti, che nei contatti con noi o nelle
loro altre manifestazioni, abbiano
dimostrato interesse per le nostre
rivendicazioni».
La sentenza ricorda, in premessa, che le
disposizioni legislative da assumere come
base di riferimento, oltre alla prima citata
legge n. 241/1990, sono costituite dal nuovo
testo dell'articolo 51 del dpr n. 223 del
20.03.1967, così come modificato
dall'articolo 177 del dlgs 30.06.2003 n.
196. Quest'ultimo articolo stabilisce in
modo espresso che «le liste elettorali
possono essere rilasciata in copia solamente
per le finalità indicate dalla norma
medesima».
E tali motivazioni possono essere così
riassunte: «Le liste elettorali possono
essere rilasciate in copia per finalità di
applicazione della disciplina in materia di
elettorato attivo e passivo, di studio, di
ricerca statistica, scientifica o storica, o
carattere socio-assistenziale o per il
perseguimento di un interesse collettivo o
diffuso». Come si vede, siamo in
presenza di motivazioni che sono molto
precise.
Su questa base, la sentenza ci dice che il
comune non può che «entrare nel merito
della richiesta e valutare se la specifica
finalità del loro successivo utilizzo,
dichiarata da parte del richiedente, sia
conforme all'attività del soggetto medesimo,
nonché se rientri effettivamente tra le
ipotesi di cui al citato articolo 177 del
dlgs n. 196/2003. Deve infatti ritenersi che
sia preciso onere del richiedente di
indicare chiaramente e specificatamente
nella propria istanza l'uso che intende fare
dei dati delle liste elettorali, non essendo
assolutamente sufficiente il richiamo alle
espressioni generali utilizzate dalla
disposizione in esame per indicare le
finalità consentite. In sostanza, il
richiedente deve indicare chiaramente e
specificatamente il concreto uso che intende
fare dei dati delle liste elettorali,
spettando poi al soggetto che deve applicare
la norma (il comune e in seconda istanza il
giudice), di valutare e stabilire se tale
concreto utilizzo rientra o meno nelle
finalità ammesse dalla norma di legge».
Nel caso specifico, dall'esame delle
motivazioni poste a base della richiesta e
delle indicazioni dettate dal legislatore,
la sentenza «ritiene che l'utilizzo
indicato dal ricorrente risulti astratto e
generico e, come tale, non riconducibile
alle finalità di legge»
(articolo ItaliaOggi del 27.05.2011). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Bonifica dei siti contaminati e
responsabilità dell'inquinamento.
La giurisprudenza torna ad occuparsi
dell’annosa questione relativa agli obblighi
di bonifica dei siti inquinati.
L’interrogativo, già affrontato in passato,
riguarda la possibilità di assoggettare il
proprietario dell’area a specifici obblighi
di bonifica nei casi in cui lo stesso non si
sia reso responsabile dell’inquinamento.
La questione è stata affrontata in maniera
non sempre univoca e, secondo un primo
orientamento giurisprudenziale, sarebbe da
considerarsi illegittimo l’ordine di
bonifica, messa in sicurezza e ripristino
ambientale indiscriminatamente rivolto al
proprietario del fondo in ragione della sua
sola qualità, in mancanza di adeguata
dimostrazione da parte dell’Amministrazione
procedente, sulla base di un’istruttoria
completa e di una esauriente motivazione,
dell’imputabilità soggettiva della condotta
(TAR Toscana, Sez. II - sentenza 24.08.2009
n. 1398; Cfr. anche CdS, Sez. V, 19.03.2009,
n. 1612).
La sentenza in commento, TAR Piemonte, Sez.
II - sentenza 12.02.2011 n. 136, sembra
sostenere invece l’opposta tesi, secondo cui
l’ordine imposto direttamente alla società
proprietaria dell’area (oltre che a quella
affittuaria, responsabile dell’inquinamento)
di effettuare gli interventi di bonifica di
un sito inquinato, è da reputarsi legittimo
(Cfr. anche CdS, Sez. VI, dec. 4561/2010).
Secondo i Giudici amministrativi, la
responsabilità del proprietario troverebbe
la fonte normativa nelle prescrizioni di cui
al “… comma 10 dell'art. 17, che dispone
che gli interventi di messa in sicurezza,
bonifica e ripristino ambientale
costituiscono onere reale sulle aree
inquinate; il comma 11 del medesimo articolo
dispone poi altresì che le spese sostenute
per la messa in sicurezza, la bonifica e il
ripristino ambientale sono assistite da
privilegio speciale immobiliare sulle aree
medesime, esercitabile anche in pregiudizio
dei diritti acquistati dai terzi
sull'immobile”.
In relazione poi ai profili di compatibilità
con i noti principi costituzionali di
colpevolezza, i Giudici aggiungono che la
responsabilità del proprietario andrebbe
configurata come “ … una responsabilità
‘da posizione’, non solo svincolata dai
profili soggettivi del dolo o della colpa,
ma che non richiede neppure l'apporto
causale del proprietario responsabile al
superamento o pericolo di superamento dei
valori limite di contaminazione".
Secondo i Giudici amministrativi, il
coinvolgimento del proprietario, pur “incolpevole”,
è reso possibile attraverso gli istituti
dell’onere reale e del privilegio speciale
immobiliare sulle aree, ed è volto a
responsabilizzare il soggetto che ha un
particolare legame con le aree.
Tale ricostruzione evidenzia una
ricostruzione del concetto di proprietà che
finisce con il comprimerne l’estensione, ma,
secondo l’orientamento da ultimo richiamato,
“la deminutio che, in tal modo, il
diritto di proprietà è costretto a
sopportare è, pertanto, ampiamente
inquadrabile nella natura funzionale di
quest’ultimo, ai sensi dell’art. 42, comma
2, Cost., trattandosi, in definitiva, di una
vera e propria "funzione sociale" che il
proprietario, nel partecipare agli
interventi volti a ripristinare la
salubrità, è chiamato dalla legge a compiere.”
(commento tratto da
www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com -
TAR Piemonte, Sez. II,
sentenza 12.02.2011 n. 136 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
CONSIGLIERI COMUNALI:
Richiesta dei consiglieri
comunali di accesso a tutti gli atti della
gara per l’affidamento del servizio di mensa
scolastica.
È illegittimo il diniego opposto alla
richiesta, avanzata da un consigliere
comunale, di accesso a tutti gli atti della
gara per l’affidamento del servizio di mensa
scolastica (documentazione delle ditte
concorrenti, verbali, provvedimenti di
aggiudicazione e altri atti relativi),
motivato in ragione dell’assenza del
responsabile del servizio.
Ribadita l’ampiezza del diritto del
consigliere comunale a conoscere gli atti
utili all’espletamento del suo mandato
(cfr., da ultimo, Cons. Stato, sez. V,
17.09.2010, n. 6963), la risposta fornita
dal comune si palesa elusiva del diritto
medesimo, sia in quanto l’assenza del
responsabile del Servizio non è
giustificazione tale da paralizzare
l’attività dell’ufficio anche con riguardo
agli adempimenti ordinari (quale il rilascio
di copia degli atti conservati), sia perché
la risposta medesima è stata fornita una
volta trascorso più di un mese dalla
richiesta.
Con riguardo agli atti accessibili, il
consigliere comunale ricorrente ha diritto
ad ottenere copia dei verbali, dei
provvedimenti di aggiudicazione e degli
altri atti relativi alla gara, mentre
l’accesso ai documenti delle ditte
concorrenti deve limitarsi alla sola
documentazione prodotta dalla ditta
aggiudicataria, individuata dal ricorrente
quale unica controinteressata, alla quale il
ricorso è stato notificato (massima tratta
da www.entilocali.provincia.le.it - TAR
Puglia-Lecce, Sez. II,
sentenza 09.02.2011 n. 264 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
LAVORO PUBBLICO - DIVIETO DI
CUMULO TRA PENSIONE ANTICIPATA DI ANZIANITÀ
E INCARICHI DI CONSULENZA PER
L´AMMINISTRAZIONE DI PROVENIENZA.
Il divieto di cumulo tra pensione anticipata
di anzianità e lo svolgimento o la
prosecuzione, successivamente alla
cessazione del rapporto, di incarichi di
consulenza per l'amministrazione di
provenienza si estende anche allo
svolgimento dell’incarico di direttore
amministrativo presso un'istituzione
ospedaliera, in ragione della trasparenza
nel conferimento degli incarichi e
dell’ulteriore fine di garantire risparmi di
spesa impedendo il cumulo tra pensione e
retribuzione (massima tratta da
www.lavoroprevidenza.com - Corte di
cassazione,
sentenza 28.07.2008). |
EDILIZIA PRIVATA: Sulla
legittimazione di un promissario acquirente
a richiedere la concessione edilizia a
proprio nome a fronte di una clausola
contrattuale che autorizza “a presentare
domanda di progettazioni”, cui ha fatto
seguito, successivamente al diniego
impugnato in prime cure, atto notarile di
acquisto dell’area nell’ottobre 2005.
In punto di
legittimazione a svolgere attività edilizia
il Collegio osserva che l’art. 4 della legge
28/01/1977, n. 10, enuncia che “…..la
concessione è data dal Sindaco al
proprietario dell’area o a chi abbia titolo
per richiederla….” (confermato, ora,
come permesso di costruire, dall’art. 11,
comma 1, D.P.R. 06.06.2001, n. 380).
Questo disposto, secondo l’esegesi
consolidata della norma, richiede per
edificare la “disponibilità”
dell’area e implica una relazione
qualificata a contenuto reale con il bene
(come proprietario, superficiario,
affittuario di fondi rustici,
usufruttuario), anche se in formazione, non
essendo sufficiente il solo rapporto
obbligatorio, in quanto il diritto a
costruire è una proiezione del diritto di
proprietà o di altro diritto reale di
godimento che autorizzi a disporre con un
intervento costruttivo (Cons. di Stato, V,
04.02.2004, n. 368).
In questo senso la giurisprudenza ammette la
richiesta da parte di altro titolare del
diritto, reale o anche obbligatorio, ma ciò
quando, per effetto di essi, l’interessato
abbia obbligo o facoltà di eseguire i lavori
per cui è chiesta la concessione edilizia:
in altre parole, quando il richiedente sia
autorizzato in base al contratto o abbia
ricevuto espresso consenso da parte del
proprietario (Cons. St., V, 15.03.2001, n.
1507).
La
verifica del possesso del titolo a costruire
costituisce un presupposto, la cui mancanza
impedisce all’Amministrazione di procedere
oltre nell’esame del progetto (V,
12/05/2003, n. 2506; IV, 22/06/2000, n.
3525) (Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 08.06.2007 n. 3027 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
INCARICHI PROGETTUALI - URBANISTICA:
Chi nomina l'esperto che deve
redigere il P.R.G.?
Il Consiglio di Stato ha stabilito che
spetti ai dirigenti.
La Giunta Comunale delibera di affidare
l'incarico per la redazione del P.R.G. a due
architetti, scelti intuitus personae.
Il TAR annulla detta delibera in quanto resa
da organo incompetente a decidere sulla
materia in oggetto.
Il Consiglio di Stato rigetta l'appello
proposto dal Comune, confermando la sentenza
di primo grado,e precisa che correttamente
il TAR ha stabilito che spettano alla
Giunta, in base agli artt. 48 e 107 del T.U.
18.08.2000 n. 267, funzioni di indirizzo e
di controllo politico-amministrativo e non
già quelle di attribuzione di un incarico
professionale.
Infatti ,la scelta del contraente per
l'affidamento di un incarico per lo
svolgimento di una prestazione d'opera
intellettuale, ai sensi dell'art. 2230 del
codice civile, sia a seguito di una gara
informale o privata o anche per trattativa
privata, è atto di gestione e non ha alcuna
finalità di indirizzo.
Non è altro che l'individuazione del
soggetto o dei soggetti che appaiono più
quotati, secondo regole obiettive
prefissate, per il conseguimento delle
finalità che la p.a. intende perseguire.
L'attività di indirizzo, invece, riservata
agli organi elettivi o politici del comune,
si risolve e si esplica nella sola
fissazione delle linee generali da seguire e
degli scopi da raggiungere con l'attività di
gestione.
Nell'attività di indirizzo,riservata alla
Giunta, quindi, non rientra la scelta di un
contraente qualsiasi dell'ente e, ancor
meno, quella di professionisti forniti di
titoli adeguati per la redazione di
strumenti di pianificazione del territorio.
Questa scelta, invece, è attribuita per
legge ai dirigenti, secondo il disposto
dell'art. 107 del t.u. già citato o ad una
commissione composta da soggetti aventi
adeguata esperienza professionale che siano
in grado di condurre un'attenta selezione
ispirata al soddisfacimento di così
peculiari esigenze tecniche (Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 09.09.2005 n. 4654 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AGGIORNAMENTO AL 23.05.2011 |
ã |
NOVITA' NEL
SITO |
Bottone "CONVEGNI"
n. 1 giornata di studio a Bergamo (ingresso libero)
sul cosiddetto "decreto sviluppo" per
martedì 31 maggio
2011 organizzata dal portale PTPL. TERMINE DI
ISCRIZIONE: VENERDI' 27.05.2011.
N.B.: leggere attentamente le istruzioni riportate nella
locandina. |
UTILITA' |
SICUREZZA LAVORO:
Stress lavoro-correlato: Manuale
Inail. Disponibile un portale dedicato e un
manuale di valutazione e gestione del
rischio da stress lavoro-correlato.
L'Inail ha pubblicato il documento «Valutazione
e gestione del rischio da stress
lavoro-correlato. Manuale ad uso delle
aziende in attuazione del D. Leg.vo 81/2008»,
disponibile nel portale «Valutazione e
gestione del rischio da stress
lavoro-correlato» presente all'interno
del sito istituzionale dell'Istituto.
Il portale, oltre a contenere il citato
manuale, contiene una serie di risorse e
strumenti finalizzata a supportare, con
strumenti scientificamente validati, le
aziende nel processo di valutazione e
gestione del rischio da stress
lavoro-correlato, nel rispetto della
normativa vigente.
L'Inail -Dipartimento Medicina del Lavoro (DML)-
ex ISPESL, ha scelto di definire un percorso
metodologico basato sul Modello Management
Standards approntato dall'Health and Safety
Executive (HSE), contestualizzato al D.
Leg.vo 81/2008 e raccordato con le
esperienze del «Coordinamento Tecnico
Interregionale della prevenzione nei luoghi
di lavoro» e del «Network Nazionale
per la Prevenzione del Disagio Psicosociale
nei luoghi di lavoro» sulla specifica
tematica, nell'ottica di offrire all'utenza
un «metodo unico integrato» per la
valutazione e gestione del rischio da stress
lavoro-correlato.
Nel portale è disponibile documentazione di
approfondimento e, previa registrazione, si
ha accesso a strumenti per effettuare la
valutazione e la conseguente gestione del
rischio da stress lavoro-correlato.
L'indirizzo del portale è:
www.ispesl.it/focusstresslavorocorrelato
(commento tratto da
www.legislazionetecnica.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
LE AGEVOLAZIONI
FISCALI PER IL RISPARMIO ENERGETICO
(Agenzia delle Entrate, marzo 2011). |
EDILIZIA PRIVATA:
RISTRUTTURAZIONI
EDILIZIE: LE AGEVOLAZIONI FISCALI
(Agenzia delle Entrate, marzo 2011). |
EDILIZIA PRIVATA:
Dal Comitato Termotecnico Italiano le Linee
guida sui Camini.
Linee guida camino nasce dalla
collaborazione tra CTI (Comitato
Termotecnico Italiano), WIT (Wöhler
Institute of Technology) e Sezione degli
spazzacamini (LVH – APA), per fare chiarezza
nella moltitudine di norme su come
installare, manutenere e controllare le
canne fumarie.
Nel documento sono riportate tabelle
esplicative per ogni tipo di combustibile,
con informazioni relative alla classe di
resistenza al fuoco, al tipo di materiale da
costruzione previsto dalle norme e agli
spessori minimi dei camini.
La linea guida è corredata da disegni e
schemi di installazione tratti dalle norme
UNI, che descrivono il posizionamento dei
terminali e le relative zone di rispetto in
presenza di abbaini e lucernari apribili o
in presenza di ostacoli.
Particolare attenzione viene data agli
elementi che compongono un sistema fumario e
alla scelta dei materiali da utilizzare.
Sono presenti, inoltre, alcuni particolari
costruttivi a colori con chiara descrizione
degli attraversamenti di pareti e solai.
Infine, viene ribadito che l'impianto deve
essere realizzato da imprese specializzate
in possesso dei requisiti previsti dal D.M.
37/20208, al fine di garantire la sicurezza
pubblica (link a www.acca.it). |
SICUREZZA LAVORO:
Vademecum sulla sicurezza dei lavoratori
nelle opere di asfaltatura. DVR, verifiche
interne e autoanalisi.
La Regione Lombardia ha pubblicato un
Vademecum per il miglioramento della
sicurezza e della salute dei lavoratori
nelle opere di asfaltatura, realizzato dal
laboratorio Tumori Professionali.
Il documento ha lo scopo di individuare e
promuovere soluzioni tecnologiche in grado
di eliminare le sostanze cancerogene o,
quanto meno, di ridurre l'esposizione dei
lavoratori a tali sostanze.
Il vademecum può essere utilizzato per
verifiche interne e autoanalisi da parte di
datori di lavoro, servizi di prevenzione e
protezione aziendali, rappresentanti dei
lavoratori per la sicurezza, medici
competenti, organi di vigilanza delle ASL,
operatori delle UOOML (Unità Operativa
Ospedaliera di Medicina del Lavoro),
consulenti, organizzazioni sindacali dei
lavoratori, etc.
Il vademecum non si limita ad analizzare la
gestione del rischio da agenti cancerogeni
ma approfondisce in maniera dettagliata la
gestione dei rischi per la sicurezza
derivanti da:
- agenti chimici pericolosi;
- utilizzo di macchine;
- movimentazione carichi. ... (link a
www.acca.it). |
SICUREZZA LAVORO:
Scavi e movimentazione terre: messa in
sicurezza, modalità operative e PSC.
Il Coordinamento Tecnico Provinciale di
Verona, su proposta dello SPISAL (Servizio
Prevenzione Igiene Sicurezza Ambienti di
Lavoro), ha pubblicato un lavoro di ricerca
sulle tecniche di scavo e movimentazione
terre e sugli aspetti legati alla sicurezza.
Le informazioni contenute sono un utile
supporto per la redazione del PSC (Piano di
Sicurezza e Coordinamento), nel quale è
necessario definire le modalità di messa in
sicurezza dello scavo, corredando il
documento con elaborati grafici e tavole
esplicative.
Lo studio è stato impostato sull'edilizia
civile (villette a schiera e piccoli
condomini), individuando le seguenti
lavorazioni:
- scavi con sbancamento e splateamento per
nuove costruzioni;
- scavi in trincea per la posa di tubazioni
e/o sottoservizi in genere. ... (link a
www.acca.it). |
LAVORI PUBBLICI:
Schede di valutazione dei danni post sisma:
ai lettori di BibLus-net l’applicativo per
la compilazione, archiviazione ed invio.
In Gazzetta Ufficiale n. 113 del 17.05.2011
è stato pubblicato il D.P.C.M. del
05.005.2011 che approva i modelli per il
rilevamento dei danni da sisma (AeDES).
Ricordiamo che nell’emergenza post terremoto
risulta prioritario:
- individuare e classificare i danni;
- definire l’agibilità degli edifici (quali
costruzioni possano essere utilizzate e
quali costituiscano un rischio per la
popolazione);
- predisporre i provvedimenti pronto
intervento.
Il Decreto approva le Schede Aedes che
saranno adottate da Amministrazioni dello
Stato, Regioni, Province autonome di Trento
e Bolzano ed enti locali in caso di sisma
per il rilevamento speditivo dei danni e per
valutare l’agibilità degli edifici e i
provvedimenti relativi.
Inoltre, Stato e Regioni potranno creare
appositi elenchi di tecnici abilitati per le
campagne di sopralluogo post-sisma. ...
(link a www.acca.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
In Gazzetta Ufficiale il Nuovo Conto
Energia. Novità e criteri di incentivazione
su Building ACCAdemy.
È stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale
n. 109 del 12.05.2011 il Decreto
Interministeriale relativo al Quarto Conto
Energia.
Ricordiamo che il decreto stabilisce i
criteri di incentivazione per gli impianti
solari fotovoltaici che entrano in esercizio
dal 31.05.2011 al 31.12.2016.
Per maggiori informazioni sul Nuovo Conto
Energia, si rinviano i lettori all'articolo
Finalmente arriva il Quarto Conto Energia,
in cui vengono riportati gli aspetti
principali e le novità del nuovo decreto.
In allegato a questo articolo il testo
definitivo del nuovo Conto Energia e le
utili tabelle sinottiche sugli incentivi
realizzate dalla redazione di BibLus-net.
La redazione di BibLus-net propone ai
lettori un estratto del corso di formazione
di Building ACCAdemy dedicato al quarto
conto Energia, tenuto dall'Ing. Andrea
Presciutti, ricercatore presso l’Università
degli Studi di Perugia.
Nella prima lezione del video-corso vengono
analizzate in dettaglio le nuove tariffe
incentivanti, i premi aggiuntivi per un uso
efficiente dell’energia, le novità
introdotte sul posizionamento dei moduli
sugli edifici, gli impianti con
caratteristiche innovative.
Nella seconda lezione viene trattato il
meccanismo dello scambio sul posto, con
definizioni, funzionamento e sistema
agevolativo (link a www.acca.it). |
GURI - GUUE -
BURL (e anteprima) |
EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI:
G.U. 17.05.2011 n. 113, suppl. ord. n. 123,
"Approvazione del modello per il
rilevamento dei danni, pronto intervento e
agibilità per edifici ordinari
nell’emergenza post-sismica e del relativo
manuale di compilazione" (D.P.C.M.
05.05.2011). |
SINDACATI |
PUBBLICO IMPIEGO:
Il blocco 2011-2013 delle risorse
destinate al trattamento economico
accessorio
(CGIL-FP di Bergamo,
nota 16.05.2011). |
DOTTRINA E
CONTRIBUTI |
APPALTI:
A. Graziano,
Note minime in tema di inefficacia del
contratto d’appalto nel Codice del processo
amministrativo (link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
L. Bellagamba,
DURC ED EFFICACIA DELLA DEFINITIVA
AGGIUDICAZIONE - La previsione di cui
all’art. 6, comma 3, lett. b), del
regolamento attuativo del codice e
l’ordinamento degli enti locali
(link a www.linobellagamba.it). |
CORTE DEI
CONTI |
ENTI LOCALI:
Assunzioni, chi ha avuto ha
avuto. Comuni non sanzionabili per i
contratti prima del 30/5/2010. La Corte
conti del Veneto esclude che la stretta del
dl 78 possa avere effetti retroattivi.
I comuni che hanno effettuato assunzioni in
deroga ai tetti di spesa prima del 30 maggio
2010, data di entrata in vigore del dl
78/2010, non possono subire le sanzioni
fissate dal medesimo decreto legge, nel caso
di aumento della spesa di personale tra 2010
e 2009.
Lo chiarisce la Corte dei Conti, Sez.
regionale di controllo per il Veneto, col
parere 04.05.2011 n. 287.
La sezione ricorda che gli enti locali sono
tenuti a rispettare, per il contenimento
della spesa di personale, sostanzialmente
due principi.
Il primo è quello della riduzione in termini
assoluti della spesa del personale, ai sensi
dell'articolo 1, commi 557, 557-bis e 557
della legge 296/2006. Il parere evidenzia
che «gli obiettivi rinvenibili nella
formulazione del comma 557 cit., si
connotano come veri e propri vincoli che gli
enti locali sono tenuti ad osservare e la
cui violazione, ai sensi del comma 557-ter,
fa scattare la conseguenza del divieto di
procedere ad assunzioni di personale a
qualsiasi titolo nonché di stipulare
contratti elusivi di tale divieto».
Dunque,
contrariamente alla lettura che molti
operatori ed interpreti danno dell'articolo
1, comma 557, esso, pur lasciando
all'autonomia degli enti la decisione sul
come applicare le regole per il contenimento
delle spese, costituisce una norma precettiva, che obbliga gli enti ad
attenersi a tutte le regole ivi contenute.
Il secondo principio generale è l'obbligo
della riduzione, in termini relativi,
dell'incidenza della spesa di personale sul
totale delle spese correnti, in modo
comunque da rispettare il tetto massimo del
40%.
Discende da queste regole che le assunzioni
sono ammesse, purché non determinino
comunque un aumento del volume della voce
della spesa per il personale in termini
assoluti e di incidenza sulle spese
correnti.
Come è noto, l'articolo 3, comma 120, della
legge 244/2007 aveva introdotto per gli enti
soggetti al patto di stabilità la
possibilità di assumere in deroga
all'obbligo di ridurre la spesa di
personale, nel rispetto delle condizioni
poste dall'articolo 19, comma 8, della legge
448/2001. Tale possibilità di deroga è stata
eliminata dalla manovra estiva 2010. Che,
però, è entrata in vigore il 30.05.2010.
Dunque, alcuni enti avevano effettuato, nel
lasso di tempo in cui la deroga è stata
consentita dalla legge, assunzioni oltre i
tetti di spesa fissati dalla legge.
La manovra estiva 2010, con la riforma
dell'articolo 1, commi 557, 557-bis e
557-ter, della legge 296/2006 impone la
conseguenza del blocco totale delle
assunzioni per gli enti non rispettosi dei
limiti di spesa.
Secondo la sezione Veneto, tuttavia, le
conseguenze della manovra estiva non possono
applicarsi irrazionalmente allo stesso modo
a tutti gli enti che si siano avvalsi
legittimamente della deroga. Infatti, «a
fronte di un attività normativamente
consentita (l'assunzione di personale in
regime di deroga), l'ente non può subire
delle preclusioni introdotte da una
normativa entrata in vigore
successivamente».
Spiega il parere della sezione che il comma
557-ter, introdotto dall'articolo 14, comma
7, del dl 78/2011, in base all'articolo 11
delle disposizioni sulla legge in generale
«non può spiegare effetti che per l'avvenire
e per tale motivo non può che essere
applicata a quelle situazioni gestionali
(assunzioni di personale o mancata adozione
di azioni miranti alla riduzione della spesa
di personale) poste in essere dopo la
relativa entrata in vigore».
Dunque, gli enti locali che nel corso dei
primi mesi del 2010 hanno legittimamente
utilizzato il regime derogatorio all'epoca
vigente portando a termini i procedimenti
che hanno dato luogo alle assunzioni di
personale, già programmate, entro la data di
entrata in vigore della manovra estiva non
vanno incontro alle sanzioni della norma.
Sicché la sezione ritiene che «la maggiore
spesa conseguente ad assunzioni effettuate
in regime di deroga dal 1° gennaio al 30.05.2010, debba essere imputata alle
spese di personale dello stesso esercizio».
Conseguenze opposte valgono per gli enti
che, una volta entrata in vigore la manovra
estiva 2010, non abbiano posto in essere i
necessari accorgimenti, come l'annullamento
delle prove concorsuali, per evitare
assunzioni in deroga una volta che il regime
derogatorio fosse stato eliminato. In questo
caso, la maggiore spesa di personale dovrà
essere sanzionata col blocco assoluto delle
assunzioni (articolo
ItaliaOggi del 20.05.2011 - tratto da
www.corteconti.it). |
INCENTIVO PROGETTAZIONE:
Blocco totale per i fondi decentrati.
CONFINI RIGIDI - Il congelamento degli
stipendi impedisce anche gli aumenti legati
agli incentivi Merloni o ai risparmi
conseguiti nel lavoro straordinario.
Il fondo per le risorse decentrate del 2011
non può contenere aumenti rispetto al 2010,
neppure se derivanti dalla applicazione
della legge Merloni o dai risparmi
conseguiti nello straordinario o nella
erogazione delle indennità.
Sono le rigide
indicazioni dettate dalla sezione regionale
del Veneto della Corte dei Conti con il
parere 03.05.2011 n. 285.
Viene così
fornita un'interpretazione assai restrittiva
del tetto imposto dalla manovra estiva
(articolo 9, comma 2 bis, Dl 78/2010)) ai
fondi per le risorse decentrate degli anni
2011-2013. Interpretazione che si dovrebbe
definitivamente affermare con l'annunciata
circolare del Ministero dell'Economia e
delle Finanze, che attende il via libera
della stessa magistratura contabile.
Il fondo per la contrattazione decentrata
comprende, nella parte variabile, anche le
risorse provenienti da specifiche
disposizioni legislative, quali ad esempio
l'incentivo della realizzazione di opere
pubbliche e una quota dei proventi derivanti
da sponsorizzazioni. È già stato chiarito
dalle sezioni riunite di controllo della
Corte dei Conti che queste risorse non
entrano a fare parte della spesa del
personale, in quanto alimentate da risorse
provenienti da privati o affluenti all'ente
ad altro titolo.
La sezione di controllo del
Veneto ha affermato che, essendo spesa per
il personale, non vanno comprese nel tetto
al trattamento economico individuale, anche
al fine del taglio previsto per i compensi
più elevati. Ciò nonostante, essi vanno
compresi nel tetto dettato al fondo per le
risorse decentrate di tutte le Pa. E ciò in
quanto il vincolo legislativo non ammette
eccezioni di sorta. Il che è destinato a
sollevare un vero vespaio, visto che il
collegato Lavoro dalla fine dello scorso
mese di novembre ne ha quadruplicato
l'ammontare massimo, riportandolo al 2%
dell'importo posto a base d'asta del lavoro
pubblico.
Il parere chiarisce anche che i
risparmi conseguiti sul lavoro straordinario
e sull'erogazione delle indennità non
possono essere, per la stessa ragione,
utilizzati nel triennio 2011/2013. A nulla
vale che in questi casi l'aumento sia solo
formale e non sostanziale, visto che siamo
comunque in presenza di risorse già
destinate alla incentivazione del
trattamento accessorio del personale.
Ovviamente, tali vincoli si applicano solo
sulle parti che eccedono l'ammontare delle
risorse previste allo stesso titolo nel
fondo 2010 (articolo Il Sole 24 Ore del 16.05.2011
- tratto da www.corteconti.it). |
NEWS |
SEGRETARI COMUNALI:
Il
cartellino va timbrato.
Si rischia la falsa attestazione della
presenza. È l'effetto del codice
disciplinare che richiama il dlgs 150.
È opportuno che i segretari comunali e
provinciali timbrino la propria presenza per
evitare il rischio di incorrere nella
sanzione introdotta dal dlgs n. 150/2009 per
i dipendenti pubblici che si rendono
responsabili di «falsa attestazione della
presenza in servizio, mediante
l'alterazione dei sistemi di rilevamento
delle presenze o con altre modalità
fraudolente».
Tale opportunità è rimarcata dalle
disposizioni contenute nell'articolo 5,
codice disciplinare, comma 10, del Ccnl
14/2/2010. Tale disposizione richiama
espressamente la sanzione del licenziamento
con preavviso per il segretario che incorra
nella fattispecie prevista dal nuovo testo
dell'articolo 55-quater del dlgs n. 165/2001
introdotto dal dlgs n. 150/2009, cosiddetta
legge Brunetta, e che prevede il
licenziamento in tronco per i dipendenti
pubblici che imbrogliano sull'effettiva
presenza in servizio.
Ricordiamo che l'articolo 19 del Ccnl dei
segretari del 16.05.2001 ha assegnato
agli stessi un'ampia autonomia nella
gestione del proprio orario di lavoro:
infatti lo stesso non è predeterminato ed i
singoli possono gestirlo in modo flessibile
rispetto «alle esigenze connesse
all'espletamento dell'incarico affidato alla
sua responsabilità in relazione agli
obiettivi e programmi da realizzare». Il che
induce a letture diversificate sulla
presenza di un tale obbligo, negato dalla ex
Agenzia per la gestione dell'albo autonomo
dei segretari comunali e provinciali ed
affermato, anche se con riferimento alla
disciplina in vigore prima del contratto,
dalla sentenza della sesta sezione del
Consiglio di stato n. 1763/2007.
L'opportunità della attestazione della
presenza tramite i sistemi di rilevazione
delle presenze nell'ente è suggerita dalla
nuova disposizione contrattuale, che
ripropone la sanzione del licenziamento
cosiddetto in tronco, cioè senza preavviso,
in capo al segretario che si renda
responsabile di raggiri nella attestazione
della sua presenza in servizio. Il fatto che
questa indicazione legislativa sia
riproposta nella disposizione contrattuale
induce a pervenire a tale conclusione.
Infatti, la riproposizione in un contratto
di una norma di legge in materia di lavoro
pubblico, alla luce del principio della
imperatività di tali disposizioni e della
impossibilità per i contratti collettivi di
modificare le norme di legge, è superfluo e,
quindi, deve necessariamente essere
interpretata in modo produttivo di effetti.
Il che si traduce pressoché automaticamente
nella conseguenza che il contratto chiarisce
che anche il segretario deve potere
dimostrare la sua effettiva presenza in
servizio attraverso riscontri documentali e
certi. I quali non sono sicuramente dati
dalla sua autodichiarazione, ma che devono
essere effettivamente e concretamente
verificabili, cioè basarsi su elementi certi
e incontrovertibili.
Talvolta, ciò è possibile sulla base di
elementi probanti indiretti, quale, per
esempio, la presenza a una riunione di
consiglio o di commissione in cui l'ora
risulti in modo certo. Ma il più delle volte
richiede una dimostrazione tramite
documentazione certa e automatica.
Questo non vuol dire che il segretario sia
privato della flessibilità nella gestione
del proprio orario voluta dal contratto: le
amministrazioni possono su questo aspetto
dettare specifiche disposizioni, fermi
restando gli ampi margini di autonomia da
riconoscere allo stesso, anche alla luce del
divieto assoluto di erogargli compensi per
lo straordinario.
Si deve infine ricordare
che l'attestazione della presenza in
servizio e dell'orario svolto costituisce la
condizione essenziale per potere fruire dei
ticket sostitutivi della mensa (articolo ItaliaOggi del 20.05.2011). |
CONSIGLIERI COMUNALI:
OSSERVATORIO VIMINALE/ Il
consigliere comunale può svolgere il
censimento dell'agricoltura.
La carica di consigliere comunale è
compatibile con l'incarico di rilevatore
esterno per il 6° censimento generale
dell'agricoltura, se questo viene svolto
presso il comune ove l'amministratore locale
è stato eletto?
Alla fattispecie non è applicabile alcuna
delle disposizioni in materia di
incandidabilità, ineleggibilità e
incompatibilità dettate dagli artt. 55 e ss.
del decreto legislativo 18 agosto 2000, n.
267.
Il caso non rientra, infatti, nell'ipotesi
di ineleggibilità individuata dall'art. 60,
comma 1, n. 7, il quale dispone che sono
ineleggibili alla carica di consigliere
comunale i dipendenti del comune, atteso
che, al momento dell'elezione non esisteva
alcun rapporto di lavoro tra l'ente locale
ed il consigliere comunale.
All'ipotesi in esame non è, peraltro,
applicabile la previsione dell'art. 63 comma
1, n. 7 Tuel, ove è previsto che non può
ricoprire la carica di consigliere comunale
colui che, nel corso del mandato, viene a
trovarsi in una delle condizioni di
ineleggibilità previste nei precedenti
articoli ed in particolare in quella di cui
all'art. 60, comma 1, n. 7, atteso che le
collaborazioni coordinate e continuative
sono caratterizzate dall'elemento
qualificatorio essenziale rappresentato
dall'autonomia del collaboratore nello
svolgimento dell'attività lavorativa dedotta
nel contratto che esclude, quindi, qualsiasi
vincolo di subordinazione, nonché dalla
necessaria coordinazione con il committente
(ministero del lavoro con circolare n. 1 del
2004).
Inoltre, il dettato dell'art. 78, comma 5,
dispone che ai consiglieri comunali è
vietato ricoprire incarichi e assumere
consulenze presso enti ed istituzioni
dipendenti o comunque sottoposti al
controllo e alla vigilanza dei relativi
comuni e province. Nel caso di specie
l'incarico di rilevatore esterno, per il
quale il consigliere comunale ha concorso,
verrebbe svolto per conto dello stesso ente
locale e non per un ente o istituzione
dipendente o comunque sottoposto al
controllo del comune preso il quale
l'amministratore locale è stato eletto.
Pertanto non si riscontrano cause ostative
tipizzate allo svolgimento del citato
incarico, fatte salve le situazioni di
potenziale conflittualità che dovessero
emergere nel corso del mandato (articolo ItaliaOggi del 20.05.2011
- tratto da www.ecostampa.it). |
ENTI LOCALI:
OSSERVATORIO VIMINALE/ Indennità
del CDA di un consorzio.
Qual è l'indennità da corrispondere ai
componenti e ai consiglieri esterni del
consiglio di amministrazione di un
Consorzio?
L'art. 5, comma 7, del dl 31.05.2010, n.
78, come convertito dall'art. 1, comma 1,
della legge 30.07.2010, n. 122,
stabilisce che «agli amministratori di forme
associative di enti locali aventi per
oggetto la gestione dei servizi e funzioni
pubbliche non possono essere attribuite
retribuzioni, gettoni, e indennità o
emolumenti in qualsiasi forma siano essi
percepiti».
Poiché l'art. 31 del decreto legislativo n.
267/2000, disciplinante i consorzi degli
enti locali, è compreso nel Capo V del
titolo II del medesimo decreto, dedicato
alle forme associative, il divieto riguarda
in genere anche i componenti degli organi
dei consorzi fra enti locali; il tenore
letterale della norma in questione infatti
appare indicativo di una precisa volontà del
legislatore, nel senso di escludere
qualsiasi forma retributiva per gli
amministratori di comunità montane, unioni e
altre forme associative, ivi compresi i
consorzi degli enti locali.
La norma recata dal comma 7 del dl n. 78
interviene in termini generali su tutto il
panorama degli amministratori locali,
attraverso una duplice direttrice: da un
lato, prevedendo che attraverso apposito
Decreto interministeriale siano fissate le
entità retributive degli amministratori di
province e comuni, con riduzioni percentuali
rispetto ai valori attualmente vigenti;
dall'altro escludendo che gli amministratori
degli altri enti locali possano essere a
qualsiasi titolo remunerati.
Pertanto, dalla data di entrata in vigore
della citata norma, gli amministratori
interessati non hanno diritto al
percepimento di alcun compenso per le
predette cariche (articolo ItaliaOggi del 20.05.2011
- tratto da www.ecostampa.it). |
CONSIGLIERI COMUNALI:
OSSERVATORIO VIMINALE/ Qualificazione
di un vice-ispettore.
Un vice-ispettore della Polizia di stato, in
servizio presso la Questura, può rientrare
tra gli «amministratori locali» di cui al
comma 2 dell'art. 77 del decreto legislativo
n. 267/2000, e quindi essere destinatario
del disposto di cui al successivo art. 78,
ai fini della istanza di trasferimento dal
medesimo prodotta in quanto delegato a
rappresentare il comune come consigliere
presso un consorzio tra enti locali a cui
partecipa il comune?
Il dipendente della polizia di stato può
ritenersi un amministratore locale, in
quanto «componente degli organi dei consorzi
tra enti locali», ai sensi del comma 2
dell'art. 77 del citato decreto legislativo
n. 267/2000 (articolo ItaliaOggi del 20.05.2011
- tratto da www.ecostampa.it). |
APPALTI:
Le gare scordano i disabili.
Appalti, addio al certificato di
ottemperanza. Il decreto sviluppo ha
eliminato il documento rilasciato dalle
province.
Addio al certificato di ottemperanza alla
normativa sui disabili per le gare
d'appalto. L'articolo 4, comma 2, lettera
b), del decreto-legge 70/2011 (il cosiddetto
decreto sviluppo) ha modificato l'articolo
38, comma 1, lettera l), del dlgs 163/2006,
decretando la scomparsa della certificazione
del rispetto della legge 68/1999, di
competenza dei servizi per l'impiego
operanti presso le amministrazioni
provinciali.
La precedente formulazione della lettera l)
dell'articolo 38 prevedeva l'esclusione
dalla partecipazione agli appalti e,
comunque, il divieto di essere affidatari
delle procedure o di stipulare i contratti
conseguenti, nei confronti degli operatori
economici che non presentassero «la
certificazione di cui all'articolo 17 della
legge 12.03.1999, n. 68, salvo il
disposto del comma 2».
Pertanto, nel precedente sistema, gli
appaltatori potevano presentare in fase di
gara la dichiarazione sostitutiva dell'atto
di notorietà in merito al rispetto della
normativa sulle assunzioni di disabili, ma
le amministrazioni appaltanti, ai fini
dell'attribuzione di efficacia
all'aggiudicazione provvisoria, dovevano
acquisire dalle amministrazioni provinciali
il certificato di ottemperanza.
Il nuovo testo della lettera l)
dell'articolo 38 prevede, invece, adesso
l'esclusione e il divieto di stipulare
contratti per gli operatori economici «che
non sono in regola con le norme che
disciplinano il diritto al lavoro dei
disabili di cui alla legge 12.03.1999, n.
68».
Non si parla più, come si nota, di
presentazione di certificazione.
La differenza è sottile, ma sostanziale. Gli
appaltatori continueranno a presentare
dichiarazione sostitutiva dell'atto di
notorietà attestante il rispetto della legge
69/1999, in applicazione delle norme
contenute nel dpr 445/2000, ma la loro
dichiarazione diviene definitivamente
sostitutiva di ogni certificato: dunque, né
le amministrazioni appaltanti potranno più
chiedere i certificati di ottemperanza, né
le amministrazioni provinciali saranno
tenute a emetterli.
Ai fini, allora, dei controlli della
veridicità delle dichiarazioni rilasciate
dagli appaltatori in fase di gara
relativamente al rispetto della legge
68/1999 si applica il comma 3 dell'articolo
38 del codice dei contratti: dunque, le
amministrazioni appaltanti non potranno
chiedere più il certificato di ottemperanza,
ma potranno esercitare l'accertamento
d'ufficio alle banche dati delle
amministrazioni provinciali, ai sensi
dell'articolo 43 del dpr 445/2000.
In
conseguenza di ciò le amministrazioni
provinciali potranno mettere a disposizione
delle amministrazioni appaltanti l'accesso
telematico alle banche dati relative alle
aziende obbligate alla legge 68/1999.
Oppure, in mancanza di software che
permettano l'accesso online, sarà
sufficiente che l'amministrazione appaltante
richieda non l'emanazione del certificato di
ottemperanza, ma la verifica della
veridicità di quanto dichiarato
dall'appaltatore.
Le amministrazioni
provinciali, dunque, non dovranno
certificare nulla, ma confermare o meno
quanto dichiarato dall'appaltatore, entro 30
giorni dalla richiesta dell'amministrazione
appaltante (articolo
ItaliaOggi del 20.05.2011 - tratto da
www.ecostampa.it). |
APPALTI:
Solo le violazioni «gravi» escludono il
concorrente.
I CRITERI - L'infedeltà fiscale diventa
rilevante quando supera i 10mila euro
Semplificate le dichiarazioni
sull'assunzione di disabili.
Anche bandi e disciplinari di gara vanno
adeguati alle nuove norme del Dl sviluppo,
che modificano molti elementi dei requisiti
di ordine generale.
Il Dl (articolo 4, comma 3) stabilisce che
le modifiche all'articolo 38 del codice
appalti si applicano alle gare indette dopo
la sua entrata in vigore. Le amministrazioni
sono quindi chiamate a reimpostare le parti
degli atti di gara che disciplinano la resa
delle dichiarazioni sull'assenza di cause
ostative a contrattare, in quanto l'utilizzo
di format non attualizzati potrebbe
determinare comportamenti diversi da parte
dei concorrenti e, pertanto, mettere a
rischio la gara.
Il Dl sviluppo, anzitutto, amplia e
chiarisce il novero dei soggetti per i quali
vanno rese le dichiarazioni
sull'insussistenza di misure di prevenzione
e di condanne penali: ad esempio, queste
devono essere prodotte nelle Snc per tutti i
soci e nelle società di capitali per il
socio unico. Il periodo di riferimento per i
soggetti cessati dalle cariche non è più di
tre anni, ma di uno, comunque antecedente
alla data di pubblicazione del bando.
Sulla situazione penale, in base al nuovo
articolo 38, comma 2, il concorrente non è
tenuto a indicare nella dichiarazione le
condanne quando il reato è stato
depenalizzato o se è intervenuta la
riabilitazione, quando il reato è stato
dichiarato estinto dopo la condanna oppure
la condanna è stata revocata.
Le stazioni appaltanti devono reimpostare le
dichiarazioni dei requisiti relative alle
violazioni di norme sulla sicurezza sul
lavoro (la norma ora non prevede più la
limitazione a quelle inserite del casellario
informatico) e di quelle relative agli
obblighi tributari, per le quali è ora
previsto che siano gravi. Il comma 2
individua le soglie di gravità per le
violazioni di obblighi di sicurezza sul
lavoro, contributivi e previdenziali
(riferendole a norme vigenti), ma
soprattutto determina l'indicatore di
gravità per le violazioni di obblighi
tributari e fiscali, stabilendolo nel valore
superiore ai 10mila euro.
I concorrenti devono evidenziare in modo più
preciso la sussistenza dell'iscrizione nel
casellario informatico per aver reso false
dichiarazioni in sede di gara o per
l'ottenimento della Soa, e non più ad
attestare genericamente il comportamento
virtuoso.
Il nuovo comma 1-ter precisa anche i compiti
della stazione appaltante, che deve
segnalare all'autorità se ritiene che le
dichiarazioni false siano state rese con
dolo o colpa grave, valutando la rilevanza o
la gravità della falsa dichiarazione o della
presentazione di falsa documentazione.
Le amministrazioni devono correggere anche
le indicazioni dei disciplinari relative
alle dichiarazioni sul rispetto delle norme
in materia di assunzioni obbligatorie dei
disabili (semplificata in questi termini) e
sull'eventuale mancata denuncia di
estorsioni.
Le stazioni appaltanti devono evidenziare
agli operatori economici anche il nuovo
sistema di dichiarazioni alternative in
merito alla partecipazione alla gara con
società con cui si trovino in condizioni di
controllo (articolo Il Sole 24 Ore del 16.05.2011
- tratto da www.corteconti.it). |
APPALTI:
La trattativa privata va motivata.
Vanno dimostrati i presupposti che
giustificano l'iter semplificato.
Le pubbliche amministrazioni possono
affidare appalti di lavori entro il valore
di un milione di euro con procedura
negoziata, ma devono assicurare un minimo
confronto concorrenziale con la gara
informale.
Il Dl Sviluppo riformula l'articolo 122 del
Dlgs 163/2006, razionalizza la disciplina
della procedura negoziata ed elimina la
norma che prevedeva un tetto massimo a
100mila euro, ma non indicava regole
selettive.
I lavori fino a un milione di euro possono
quindi essere affidati dal responsabile del
procedimento tramite procedura negoziata, ma
rispettando alcuni dei principi
dell'ordinamento Ue (trasparenza, parità di
trattamento, non discriminazione,
proporzionalità) e dovendo effettuare una
gara informale fra un numero minimo di
operatori economici. Anche nel nuovo quadro,
comunque, la procedura negoziata è
considerata una fattispecie eccezionale, che
si integra con le altre ipotesi previste
dall'articolo 57 del codice. Le stazioni
appaltanti devono quindi dimostrare
l'esistenza di adeguati presupposti per
poter utilizzare il percorso semplificato
(ad esempio l'urgenza derivante
dall'esigenza di avviare il cantiere entro
termini prefissati per non perdere
finanziamenti comunitari).
Il modulo operativo che la stazione
appaltante deve seguire per la selezione è
espressamente stabilito nel format
disciplinato dall'articolo 57, comma 6 dello
stesso codice dei contratti. La stazione
appaltante deve quindi prima di tutto
procedere all'individuazione degli operatori
economici da invitare alla gara ufficiosa,
mediante indagine di mercato. L'Avcp ha
evidenziato (documento istruttorio del
dicembre 2010) che questa fase deve avere
un'adeguata pubblicità, e che la concreta
individuazione dei soggetti da invitare al
confronto possa essere effettuata mediante
l'applicazione di criteri reputazionali o
mediante sorteggio.
La stessa autorità ha anche ammesso la
formazione di elenchi di operatori
economici, dai quali estrapolare i soggetti
da invitare: per essere compatibili con il
divieto previsto dall'articolo 40, comma 5,
del codice, gli elenchi devono essere
configurati come "aperti" e non devono
determinare la condizione esclusiva per
l'ammissione alle gare informali.
Secondo la nuova regola, il responsabile del
procedimento deve rivolgere l'invito ad
almeno cinque soggetti quando l'importo
dell'appalto è inferiore a 500mila euro, e
ad almeno dieci quando il valore è tra
500mila e un milione di euro.
Nello svolgimento delle gare il rispetto dei
principi dell'ordinamento Ue richiede che
alcune fasi abbiano adeguata trasparenza:
l'apertura delle offerte dovrà pertanto
avvenire in seduta pubblica. La tempistica
per la presentazione delle offerte è
individuata dallo stesso articolo 122 del
codice (comma 6, lettera d) in 10 giorni
dall'invio della lettera di invito, salvo
che non vi siano ragioni di urgenza (che
andranno evidenziate).
Nell'area tra 500mila e un milione di euro,
quando utilizzano come criterio di
valutazione quello del prezzo più basso, le
Pa possono esplicitare nella lettera di
invito che si opererà l'esclusione
automatica delle offerte anormalmente basse
(in base all'articolo 122, comma 9), a
condizione comunque che pervengano almeno
dieci offerte.
L'applicazione della gara informale definita
dall'articolo 57, comma 6, del codice
comporta anche l'applicazione del principio
di rotazione (richiamato nella norma), per
cui le stazioni appaltanti non possono
affidare lavori ulteriori all'aggiudicatario
della gara informale per un certo periodo
(che va dichiarato), e non lo possono
invitare alle procedure selettive ufficiose.
La nuova norma introduce anche obblighi di
pubblicità dell'aggiudicazione, che va resa
nota con pubblicazione sul sito internet
della stazione appaltante, sul sito del
ministero delle infrastrutture
(www.serviziobandipubblici.it) e sul sito
dell'osservatorio regionale (articolo Il Sole 24 Ore del 16.05.2011
- tratto da www.corteconti.it). |
APPALTI:
Da cancellare le clausole non sostenute da
leggi.
I LIMITI - Le richieste possono riguardare
adempimenti necessari a garantire la
completezza e la segretezza delle offerte.
I bandi e i disciplinari di gara non possono
contenere clausole di esclusione dei
concorrenti che non siano fondate su
obblighi normativi o su adempimenti che
garantiscano i principi di completezza e di
segretezza delle offerte.
Il Dl sviluppo introduce nel l'articolo 46
del codice appalti una nuova disposizione
(comma 1-bis) che stabilisce la tassatività
dei casi in cui la violazione delle regole
di una procedura selettiva possono
determinare l'esclusione del concorrente.
La norma stabilisce anzitutto che la
stazione appaltante esclude i candidati o i
concorrenti in caso di mancato adempimento
alle prescrizioni previste dal Dlgs
163/2006, dal Dpr 207/2010 e da altre
disposizioni di legge vigenti.
Nell'ambito del codice dei contratti
pubblici sono facilmente individuabili varie
disposizioni che esplicitano l'esclusione in
caso di mancato rispetto dell'adempimento,
come ad esempio in caso di partecipazione
alla stessa gara del consorzio e del
consorziato (articolo 37, comma 7), oppure
in caso di mancato impegno del fideiussore
nella garanzia provvisoria a rilasciare
garanzia definitiva (articolo 75, comma 8).
Le cause di esclusione esplicite sono
rilevabili anche in altre fonti, come
all'articolo 1, comma 67, della legge
266/2005, in base al quale l'obbligo di
versamento del contributo da parte degli
operatori economici all'Avcp è condizione di
ammissibilità dell'offerta nell'ambito delle
procedure finalizzate alla realizzazione di
appalti; quindi il mancato pagamento del
contributo costituisce causa di esclusione
dalla gara.
Le stazioni appaltanti possono prevedere
clausole di esclusione anche in relazione ad
adempimenti relativi alla presentazione
delle offerte, quando vi sia incertezza
assoluta sul contenuto (ad esempio se un
plico non fa riferimento alla gara) o sulla
provenienza dell'offerta (come quando
mancano i riferimenti del mittente), ma
anche quando l'offerta non sia stata
sottoscritta o manchino altri elementi
essenziali (che devono essere esplicitamente
indicati).
Le clausole di esclusione possono essere
correlate a obblighi o condizioni richiesti
dalle amministrazioni aggiudicatrici. In tal
senso possono essere riferite all'integrità
dei plichi contenenti le offerte o le
domande di partecipazione, ma anche alla
loro chiusura, quando il mancato rispetto
della previsione possa far ritenere, secondo
circostanze concrete, che sia stato violato
il principio di segretezza delle offerte.
Al di fuori di questi presupposti, i bandi,
i disciplinari di gara e le lettere di
invito non possono contenere ulteriori
prescrizioni a pena di esclusione.
Pertanto non potrà essere più prevista
l'esclusione in caso di mancato sopralluogo,
così come non potrà aversi esclusione in
caso di mancato raggiungimento
dell'eventuale soglia di sbarramento
qualitativo, riportata alla parte
tecnico-qualitativa delle offerte.
Qualora l'amministrazione intendesse
comunque prevedere clausole di esclusione
correlate a obblighi non previsti
normativamente o non tutelanti integrità e
segretezza dei plichi, deve tener conto che
l'articolo 46, comma 1-bis, del codice ne
prevede la nullità (articolo Il Sole 24 Ore del 16.05.2011
- tratto da www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO:
Il rebus dei precari sul turn over.
Corti dei conti divise sull'inclusione del
lavoro flessibile nel calcolo della spesa.
Il dibattito sul turn-over degli enti locali
si è incagliato sulle forme di lavoro
flessibile. Nella percentuale del 20% della
spesa delle cessazioni dell'anno precedente
sono da ricomprendere anche i rapporti di
lavoro a tempo determinato? La questione è
stata sottoposta a diverse Sezioni regionali
della Corte dei conti e le risposte non sono
univoche.
La manovra estiva ha cambiato radicalmente
le possibilità di assumere personale negli
enti soggetti al Patto. Mentre i piccoli
Comuni devono solo rispettare la regola
delle cessazioni dell'anno precedente
(delibera 3/11 della Corte dei conti,
Sezioni riunite), alle Province e ai Comuni
sopra i 5mila abitanti è stato imposto il
rigido meccanismo di turn-over.
L'articolo 14, comma 9, del Dl 78/2010 ha
però usato genericamente il termine
«assunzioni» senza precisare ulteriori
caratteristiche. Ed è da qui che nascono i
dubbi. Nella stessa disposizione, oltre alla
regola del turn-over, il legislatore ha
previsto che negli enti in cui il rapporto
tra le spese di personale e le spese
correnti sia superiore al 40% vi sia un
divieto assoluto di assunzione a qualsiasi
titolo e con qualsivoglia tipologia
contrattuale.
Facendo leva su tale aspetto, la Corte dei
conti della Lombardia (deliberazione
167/2011) ha affermato che la ratio di
contenimento della spesa induce a ritenere
che il riferimento di questa parte della
norma (il divieto) debba valere anche per la
seconda parte (il turn-over). Il 20% è
quindi da calcolarsi anche in relazione ai
rapporti di lavoro a termine. L'esclusione
dal calcolo delle spese per questo personale
cessato nel 2010, oltre a non essere
conforme al dettato normativo, potrebbe
condurre a conseguenze contrarie
all'impostazione della regola stessa.
È di avviso diverso la Corte dei conti della
Campania. La delibera 246/2011 sostiene che
la regola del turn-over, introdotta quale
limite legislativo alle assunzioni che
comportano un consolidamento della spesa,
deve, ragionevolmente, comprendere in via
esclusiva le assunzioni a tempo
indeterminato. La Corte dei conti Sezioni
Riunite ha avuto modo di toccare la
questione nella delibera 20/2011, precisando
che «il limite alle assunzioni di personale
nell'ambito delle cessazioni avvenute
nell'anno precedente si riferisce ai soli
rapporti di lavoro a tempo indeterminato».
Questa tesi, supportata anche dall'Anci,
sembra essere la più convincente. In primo
luogo va sottolineato che il legislatore non
ha mai introdotto limiti al turn-over per il
lavoro flessibile, ma solo per le assunzioni
a tempo indeterminato. Il lavoro flessibile
è però elencato come elemento utile al fine
del contenimento della spesa previsto dal
comma 557 della Finanziaria 2007.
C'è poi da evidenziare che l'articolo 36 del
Dlgs 165/01 prevede l'attivazione del lavoro
flessibile solo in presenza di situazioni
temporanee ed eccezionali. Una regola del
turn-over in questi casi appare discutibile.
Inoltre, andando proprio nella logica di
tutta la manovra estiva, è evidente che il
Governo ha adottato azioni nell'unica
direzione di ridurre in maniera consolidata
le spese del personale della Pa. Il modo più
certo per raggiungere l'obiettivo è proprio
quello di evitare assunzioni a tempo
indeterminato che comportano il
consolidamento della spesa anche per gli
anni futuri. Se nel limite del 20% fossero
inclusi anche i rapporti a termine, si
potrebbe giungere al paradosso di utilizzare
la spesa delle cessazioni a tempo
determinato per legittimare assunzioni a
tempo indeterminato.
Dalle Sezioni riunite della Corte, nella
stessa delibera 20/2011, arriva un'ulteriore
conferma: nel turn-over non rientrano i
co.co.co. È invece della Corte dei conti
della Lombardia un'apertura interessante:
gli eventuali margini di spesa originati da
cessazione di personale non utilizzati
nell'anno in corso si possono riportare
nell'anno successivo (articolo Il Sole 24 Ore del 16.05.2011
- tratto da www.corteconti.it). |
SEGRETARI COMUNALI:
Niente ferie pagate al segretario che cambia
ente.
IL PRINCIPIO - I giorni non goduti non
possono essere liquidati perché il rapporto
con il ministero dell'Interno rimane
inalterato.
La Unità di missione del ministero
dell'Interno per la gestione dell'Albo dei
segretari ha iniziato a rispondere quesiti
posti dalle autonomie locali.
Dopo la soppressione dell'Agenzia è infatti
in capo a tale organismo il coordinamento
delle questioni relative al trattamento
giuridico ed economico dei segretari degli
enti locali. I pareri sono stati pubblicati
nei giorni scorsi e vertono sul pagamento
sostitutivo delle ferie non godute e la
possibilità di incremento della retribuzione
di posizione.
In entrambi i casi incide la variabilità
dell'attività dei segretari. È infatti
frequente che vi siano repentini
trasferimenti di sede, dovuti spesso anche a
razionalizzazioni sulla spesa di personale.
Accade quindi spesso che il segretario non
riesca a fruire delle ferie presso
l'amministrazione in cui prestava l'attività
lavorativa. Nasce da qui il dubbio se
possano essere pagate.
La risposta dell'Unità di missione è
negativa. Tutto si basa sulla distinzione
tra rapporto di lavoro e rapporto di
servizio. Il segretario instaura un rapporto
di lavoro con il Viminale al momento della
sottoscrizione del contratto individuale, ma
è anche titolare di un rapporto di servizio
a tempo determinato con l'ente locale. Al
momento dell'interruzione del rapporto di
servizio non si genera la condizione
prevista dall'articolo 20 del contratto
nazionale del 16.05.2001 per il
pagamento sostitutivo delle ferie, che
invece potranno essere corrisposte in busta
paga solo alla data di estinzione del
rapporto di lavoro e in particolare con la
cancellazione dall'Albo. Fermo restando che
le ferie dovrebbero essere fruite al massimo
entro il primo semestre dell'anno
successivo, si applica quindi al segretario
il «trascinamento». Se si succedono più
rapporti di servizio con diversi enti -intervallati o meno da un periodo di
disponibilità- il segretario porta con sé
le ferie maturate e non godute in quanto il
rapporto di lavoro è continuo e unico con la
Ex-Agenzia.
Il frequente convenzionamento tra enti per
avvalersi di un'unica figura di segretario
porta con sé anche il dubbio di come sia
possibile riconoscere la maggiorazione del
50% della retribuzione di posizione in
godimento a seconda della classe dell'ente e
delle funzioni effettivamente svolte.
L'Unità di missione fornisce un chiaro
esempio. Se viene attivata una convenzione
di segreteria la cui popolazione è compresa
tra 3.001 e 10mila abitanti, la percentuale
erogabile non potrà essere superiore al 50%,
calcolata sul compenso spettante in base
alla classe della convenzione. Ciò per
evitare che ogni Comune individui una
maggiorazione in via autonoma che
globalmente potrebbe anche più che
raddoppiare (articolo Il Sole 24 Ore del 16.05.2011
- tratto da www.ecostampa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La SCIA in edilizia.
L’entrata in vigore del decreto legge
13.05.2011, n. 70, noto come “decreto
sviluppo”, ha esteso l’istituto della
segnalazione certificata di inizio attività
(SCIA) anche al settore degli interventi
edilizi prima oggetto di denuncia di inizio
attività (DIA).
Si ricorderà che la legge del 30.07.2010, n.
122, di conversione al D.l. 78/2010 (c.d.
maxiemendamento), tra le diverse ed
articolate novità introdotte alla sua
versione originaria, all’art. 48-quater,
aveva riscritto l’art. 19 della legge
07.08.1990 n. 241, riguardante la c.d.
dichiarazione di inizio attività (DIA).
Tuttavia, contemporaneamente al vigore della
richiamata riforma, erano stati manifestati
orientamenti contrastanti circa il campo di
applicazione della richiamata SCIA.
In particolare il dibattito era incentrato
sulla possibilità di estendere la riforma
anche al settore edilizio, ritenendo
sostituita non solo la dia (dichiarazione di
inizio attività) di cui al citato art. 19
della legge 241/1990, ma anche la dia
(denuncia di inizio attività) di cui
all’art. 22 del Dpr 380/2001.
Sul punto era intervenuta la nota
esplicativa del Ministero per la
semplificazione normativa, pubblicata il
16.09.2010, la quale riteneva che la “nuova”
SCIA doveva ritenersi applicabile anche al
settore degli interventi edilizi.
Tuttavia, nonostante tali chiarimenti e
considerato il dato letterale, il dubbio
restava e veniva manifestato anche dal
Consiglio di Stato che, con ordinanza del
05.01.2011 n. 14, aveva rilevato il dubbio
applicativo.
Come anticipato, il c.d. decreto sviluppo,
all’art. 5 incide sul tema e prevede
definitivamente l’estensione della SCIA agli
interventi edilizi: la norma già nelle
battute iniziali chiarisce che uno degli
obbiettivi che intende perseguire è la “estensione
della segnalazione certificata di inizio
attività (SCIA) agli interventi edilizi
precedentemente compiuti con denuncia di
inizio attività (DIA);”.
In dettaglio, viene dapprima aggiunto il
comma 6-bis dell’art. 19 della legge
07.08.1990, n. 241, il quale prevede che “Nei
casi di Scia in materia edilizia, il termine
di sessanta giorni di cui al primo periodo
del comma 3 è ridotto a trenta giorni. Fatta
salva l'applicazione delle disposizioni di
cui al comma 6, restano altresì ferme le
disposizioni relative alla vigilanza
sull'attività urbanistico-edilizia, alle
responsabilità e alle sanzioni previste dal
d.P.R. 06.06.2001, n. 380, e dalle leggi
regionali.”.
Il decreto sviluppo chiarisce inoltre che “Le
disposizioni di cui all'articolo 19 della
legge 07.08.1990, n. 241 si interpretano nel
senso che le stesse si applicano alle
denunce di inizio attività in materia
edilizia disciplinate dal decreto del
Presidente della Repubblica 06.06.2001, n.
380, con esclusione dei casi in cui le
denunce stesse, in base alla normativa
statale o regionale, siano alternative o
sostitutive del permesso di costruire. Le
disposizioni di cui all'articolo 19 della
legge 07.08.1990, n. 241 si interpretano
altresì nel senso che non sostituiscono la
disciplina prevista dalle leggi regionali
che, in attuazione dell'articolo 22, comma
4, del decreto del Presidente della
Repubblica 06.06.2001, n. 380, abbiano
ampliato l'ambito applicativo delle
disposizioni di cui all'articolo 22, comma
3, del medesimo decreto e nel senso che, nei
casi in cui sussistano vincoli ambientali,
paesaggistici o culturali, non sostituisce
gli atti di autorizzazione o nulla osta,
comunque denominati, delle amministrazioni
preposte alla tutela dell'ambiente e del
patrimonio culturale.” (tratto e link a
www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com). |
AUTORITA'
VIGILANZA CONTRATTI PUBBLICI |
APPALTI:
Nel caso delle procedure negoziate, il
principio di trasparenza trova attuazione
anteriormente all’inizio del procedimento di
selezione, nella effettuazione di una
corretta ed adeguata pubblicità sia
dell’oggetto della selezione che si intende
esperire sia dei criteri obiettivi che si
intende utilizzare per la valutazione delle
offerte; al termine del procedimento
negoziato, invece, il principio stesso
troverà la propria effettiva applicazione
nel corrispondente obbligo da parte della
stazione appaltante di motivare la scelta
effettuata sulla base degli stessi criteri
inizialmente adottati (determinazione
dell’Autorità n. 1 del 19.01.2006).
Il principio in questione comporta, inoltre,
che debba essere resa nota la scelta
dell’affidatario mediante pubblicazione
dell’esito della selezione, come previsto
del resto dall’art. 267, comma 9
dell’emanando Regolamento di attuazione del
Codice dei contratti pubblici (parere
di precontenzioso 18.11.2010 n. 200
- link a www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI:
Eventuali violazioni dei limiti del
subappalto consentito possono valere solo
nella successiva fase di autorizzazione da
parte della stazione appaltante e non in
quella in cui si valuta l’ammissibilità
dell’offerta.
Inoltre, l’incompletezza delle indicazioni e
dei documenti concernenti le prestazioni da
subappaltare, l’identità e la qualificazione
dei subappaltatori, resi in sede di offerta,
precludono la possibilità di esercitare la
facoltà di subappalto, ma non determinano
l’esclusione dell’offerente che partecipa
alla procedura, in mancanza di un’espressa
previsione al riguardo, allorché risulti che
quest’ultimo sia autonomamente dotato dei
requisiti prescritti per l’esecuzione
diretta dell’appalto (cfr. Consiglio di
Stato, sez. IV, n. 3969 del 12.06.2009;
Consiglio di Stato, sez. IV, n. 2683 del
06.06.2008; TAR Lazio, sez. I, n. 499 del
02.05.2008).
Analogamente allora è ragionevole sostenere
che quando un concorrente manifesta la
volontà di avvalersi del subappalto per
prestazioni che la legge o la specifica
disciplina di gara impongono siano eseguite
direttamente dall’appaltatore, la
conseguenza sia solo quella di far carico di
dette prestazioni al concorrente in possesso
dei requisiti per provvedere in proprio
all’esecuzione dell’appalto, e non anche
l’esclusione dalla gara, e ciò in conformità
al generale principio di conservazione degli
atti giuridici.
---------------
Le disposizioni con le quali sono prescritti
particolari adempimenti per l’ammissione
alla gara, ove indichino in modo equivoco
taluni dei detti adempimenti, vanno
interpretate nel senso più favorevole
all’ammissione degli aspiranti,
corrispondendo all’interesse pubblico di
assicurare un ambito più vasto di
valutazioni, e, quindi, un’aggiudicazione
alle condizioni migliori possibili (cfr.
AVCP pareri n. 188 del 20.10.2010 e n. 126
del 23.04.2008) (parere
di precontenzioso 18.11.2010 n. 199
- link a www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI:
La stazione appaltante, in presenza di un
dubbio circa il significato da attribuire
alle clausole negoziali della polizza già
acquisita agli atti di gara, può avvalersi
della facoltà ex art. 46 del Codice dei
contratti pubblici e chiedere al concorrente
chiarimenti in ordine al vincolo negoziale
assunto, sussistendo nello specifico caso in
esame tutti i presupposti per agire in tal
senso.
Va al riguardo ricordato che nelle gare per
l’aggiudicazione dei contratti pubblici, a
tutela della par condicio dei concorrenti, è
preclusa alla Commissione giudicatrice la
possibilità di consentire l’integrazione
successiva di documenti non allegati
all’offerta, la cui presentazione è fissata
dalla lex specialis a pena di
esclusione, essendo tale facoltà consentita
solo con riguardo a documenti presentati
tempestivamente e che attengono a requisiti
di partecipazione e non all’offerta (cfr.
AVCP parere n. 54 del 23.04.2009).
---------------
In presenza di un dubbio interpretativo
circa l’effettivo contenuto di una polizza,
scaturito dalla contraddittorietà delle
clausole contenute nel corpo di un unico
documento, “soccorre nella valutazione
del corretto operato della stazione
appaltante l’orientamento seguito dal
Giudice Amministrativo (Consiglio di Stato,
sez. V, 04.05.2004, n. 2725) che, in una
fattispecie analoga, ha affermato il
principio secondo cui le clausole contenute
in una polizza fideiussoria, conformemente
ai principi generali in materia di
interpretazione del negozio giuridico, vanno
considerate nel loro complesso, indagando
sulla reale intenzione dei contraenti e
valutando il loro comportamento anche
posteriore alla conclusione del contratto,
ai sensi degli articoli 1362 e 1363 del
Codice civile” (AVCP parere n. 138 del
22.07.2007).
La corretta applicazione delle norme appena
menzionate impone, da un lato, di non
limitarsi al senso letterale delle parole
(art. 1362 c.c.) e, dall’altro, di
interpretare le clausole le une per mezzo
delle altre, attribuendo a ciascuna il senso
che risulta dal complesso dell’atto (art.
1363 c.c.) (parere
di precontenzioso 03.11.2010 n. 198
- link a www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI:
E’ noto che la previsione da parte della
lex specialis di esplicite ed
inequivoche cause di esclusione rende di per
sé superflua ogni indagine circa il
carattere sostanziale o meno della
prescrizione inosservata, in base al
principio di recessività del criterio
teleologico rispetto a quello letterale
(cfr. ex multis: Consiglio di Stato,
Sez. V, 01.09.2009, n. 5144).
In tale contesto, è erronea la tesi volta ad
escludere dall’ambito soggettivo delle
dichiarazioni in questione i soci di società
di capitali in presenza di una clausola
della lex specialis che prevede che
l’impresa concorrente debba attestare, a
pena di esclusione, tra l’altro, le
generalità complete dei suoi rappresentanti
legali, dei soci, dei direttori tecnici,
degli amministratori muniti di potere di
rappresentanza (parere
di precontenzioso 03.11.2010 n. 197
- link a www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI:
L’esercizio da parte di una s.a. della
facoltà, espressamente prevista dall’art.
83, comma 2, del D.Lgs. n. 163/2006 (che
recita: “Il bando di gara ovvero, in caso
di dialogo competitivo, il bando o il
documento descrittivo, elencano i criteri di
valutazione e precisano la ponderazione
relativa attribuita a ciascuno di essi,
anche mediante una soglia, espressa con un
valore numerico determinato, in cui lo
scarto tra il punteggio della soglia e
quello massimo relativo all’elemento cui si
riferisce la soglia deve essere appropriato”)
consente alla stazione appaltante, nel
rispetto del principio di par condicio tra i
concorrenti, di selezionare soltanto quelle
offerte che superino la soglia qualitativa
minima predeterminata, al fine di garantire
un livello qualitativo al di sotto del quale
l’amministrazione ritiene non accettabile la
prestazione.
Tale previsione, del resto, è perfettamente
in linea con la ratio del criterio
dell’offerta economicamente più vantaggiosa
e con l’ampia discrezionalità di cui dispone
la stazione appaltante nel dosare i diversi
elementi di valutazione (prezzo ed elementi
qualitativi) in relazione agli obiettivi e
all’oggetto del contratto (parere
di precontenzioso 03.11.2010 n. 196
- link a www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI:
Se interpretato secondo un canone di
ragionevolezza, l’art. 84, comma 2, del
D.Lgs. n. 163/2006 rileva essenzialmente
nella parte in cui richiede che i membri
della Commissione siano “esperti nello
specifico settore cui si riferisce l'oggetto
del contratto”, nel senso che i
commissari abbiano un background di
competenze tali da consentire ad essi di
apprezzare i contenuti tecnici delle
proposte provenienti dai concorrenti; per il
che è sufficiente che i componenti la
Commissione posseggano un bagaglio di
conoscenze e di esperienza tali da poter
valutare, con sufficiente grado di
consapevolezza, i contenuti delle proposte
sottoposte al loro esame (cfr. TAR Piemonte,
Torino, sez. I, 08.04.2009, n. 954).
Il successivo comma 8, laddove pone a
presupposto della selezione di un soggetto
esterno “l'accertata carenza in organico
di adeguate professionalità”, risponde
essenzialmente ad una logica di economia di
spesa, mediante il prioritario utilizzo
delle risorse umane interne alla stazione
appaltante (cfr. TAR Lazio, Roma, sez.
III-ter, 04.02.2008, n. 905; TAR Lazio,
Roma, sez. III, 21.11.2008, n.10565) e va,
peraltro, interpretato in termini di carenza
in senso relativo, e non già assoluto, vale
a dire parametrata alla specificità del caso
concreto (cfr. TAR Marche, Ancona, sez. I,
30.09.2009, n. 908) (parere
di precontenzioso 03.11.2010 n. 195
- link a www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI:
L’omessa allegazione di un documento o di
una dichiarazione previsti a pena di
esclusione non può considerarsi alla stregua
di un’irregolarità sanabile e, quindi, non
ne è permessa l’integrazione o la
regolarizzazione postuma, non trattandosi di
rimediare a vizi puramente formali.
Ciò tanto più quando non sussistano equivoci
o incertezze generati dall’ambiguità di
clausole della legge di gara (Cons. Stato,
Sez. V, 02.02.2010, n. 428; 15.01.2008, n.
36; 06.03.2006, n. 1068; 30.05.2006, n.
3280). In presenza di una prescrizione
chiara la regolarizzazione costituirebbe
violazione della par condicio fra i
concorrenti (parere
di precontenzioso 03.11.2010 n. 194
- link a www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI:
Il DURC è qualificato dalla giurisprudenza
come una dichiarazione di scienza, resa però
con riguardo al periodo considerato, per cui
lo stesso non può essere inteso che come
attestante la regolarità contributiva
soltanto fino alla propria scadenza, senza
alcuna possibilità di essere considerato
valido al di là del termine in esso
espressamente stabilito (si veda, in tal
senso Cons. Stato, Sez. V, 26.02.2010, n.
1141).
Come ritenuto anche da questa Autorità
(parere n. 112 del 16.06.2010), il DURC
privo di un requisito intrinseco, ossia
l’essere in corso di validità, è per ciò
stesso inidoneo a comprovare il possesso
della regolarità contributiva.
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Se è vero che rientra nella discrezionalità
amministrativa l’individuazione dei criteri
di valutazione e la ponderazione relativa
attribuita a ciascuno di essi, nel rispetto
della proporzionalità e della ragionevolezza
(parere di questa Autorità del 20.04.2008 n.
93), è anche vero che, una volta effettuata
tale scelta discrezionale, attribuendo un
massimo di 60 punti all’offerta tecnica ed
un massimo di 40 punti all’offerta
economica, la stazione appaltante non può
adottare una formula matematica che, nella
sostanza finisca, per rendere totalmente
ininfluente l’offerta economica, riducendo
da 40 a 13 punti il possibile scarto tra il
minimo ribasso e il massimo ribasso.
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Il possesso della certificazione di qualità
può documentarsi mediante dichiarazione
sostitutiva di certificazione, resa ai sensi
dell’art. 46 del DPR 445/2000 ovvero con una
dichiarazione sostitutiva di atto di
notorietà da rendersi ai sensi del combinato
disposto degli artt. 47, co. 1, e 38, co. 3,
del DPR 445/2000.
E’ dunque consentito, salva ogni successiva
verifica, dichiarare il possesso della
certificazione di qualità (quale titolo di “qualificazione
tecnica” ai sensi e per gli effetti
dell’art. 46, co. 1, lett. n), senza dover
produrre anche la copia della relativa
certificazione; peraltro, qualora la
certificazione di qualità non si ritenga
qualificabile come “titolo” di “qualificazione
tecnica” ai sensi dell’art. 46 cit., il
possesso della stessa è comunque
certificabile attraverso dichiarazione
sostitutiva di atto di notorietà ai sensi
dell’art. 47 cit.
La certificazione di qualità non rientra tra
le ipotesi per le quali l’articolo 49 del
d.p.r. 28.12.2000, n. 445, ha esplicitamente
previsto dei limiti di utilizzo delle misure
di semplificazione. In concreto i “certificati
medici, sanitari, veterinari, di origine, di
conformità CE, di marchi o brevetti” non
possono essere sostituiti da altro
documento. La certificazione di qualità è
riconducibile alla lettera n) dell’art. 46,
co. 1, del DPR 445/2000.
In conseguenza, in quanto rientrante tra i
titoli di qualificazione tecnica, la
certificazione di qualità ben può essere
documentata con una dichiarazione
sostitutiva di certificazione, resa ai sensi
dell’art. 46 cit. del cit. del DPR 445 (cfr.
Cons. Stato, Sez. V, 19.04.2007, n. 1790;
Cons. Stato, Sez. VI, 19.01.2007, n. 121)
(TAR Lazio, sez. III-quater, 01.02.2008, n.
899).
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In materia di appalti pubblici, la ratio
del differimento del diritto di accesso è da
individuarsi nella necessità di mantenere la
competizione indenne da meccanismi di
collusione, di impedire intese tra operatori
economici volte a concordare i rispettivi
comportamenti per influenzare l’esito della
selezione, di evitare flussi informativi
(anche involontari) tra potenziali
concorrenti, e di eliminare il rischio di
condizionamenti commerciali, economici e
tecnici nella formulazione e presentazione
delle offerte.
Ciò premesso, la giurisprudenza
amministrativa evocata dall’impresa istante
–e dalla stessa stazione appaltante– ha
coerentemente escluso la possibilità di
applicare il principio del differimento,
quando la richiesta di accesso abbia ad
oggetto i documenti attestanti i requisiti
di ammissione, i verbali di gara e i
provvedimenti della stazione appaltante
nella parte in cui sanciscono l’esclusione
dalla procedura delle imprese concorrenti,
ovvero la loro riammissione (TAR Puglia,
Bari, Sez. I, 18.11.2008, n. 2612; TAR
Puglia, Lecce, Sez. II, 31.01.2009, n. 178);
trattasi, invero, di atti che, non potendo
affatto minare gli equilibri concorrenziali
e la correttezza dell’andamento del
procedimento, non giustificano il
differimento (parere
di precontenzioso 03.11.2010 n. 193
- link a www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI:
Il d.lgs. n. 163 del 2006, all'art. 83,
regola il criterio dell'offerta
economicamente più vantaggiosa e demanda a
successiva attività regolamentare
l'individuazione delle metodologie da
utilizzare per l'individuazione, con unico
parametro numerico, dell'offerta più
vantaggiosa; rilevano, peraltro, anche i
successivi artt. 253, comma 13, e 256, comma
4, recanti disposizioni transitorie nelle
more della entrata in vigore del regolamento
di cui dianzi, circa la persistente vigenza
dei criteri indicati nel d.P.C.M. n.
117/1999 (Regolamento recante norme per la
determinazione degli elementi di valutazione
e dei parametri di ponderazione dell'offerta
economicamente più vantaggiosa per
l'aggiudicazione degli appalti di servizi di
pulizia).
Il citato d.P.C.M. all'art. 4, commi 1 e 2,
al fine dell'attribuzione dei punteggi ai
singoli contenuti del progetto tecnico,
riserva all'amministrazione appaltante la
facoltà di assegnare un coefficiente
all'interno di una forcella compresa tra 0
ed 1 (valori limite che, in ogni caso,
vincolano la p.a. con riguardo,
rispettivamente, alla prestazione minima
possibile ed a quella massima offerta);
quanto, invece, alla determinazione del
coefficiente relativo al parametro prezzo,
il comma 3 del medesimo art. 4 rinvia
esclusivamente alla formula indicata
nell'allegato A al medesimo d.P.C.M., senza
che, pertanto, residuino a tali fini
ulteriori possibilità valutative (cfr. TAR
Lazio, Roma, sez. I-bis, 24.10.2007, n.
10463).
Si può convenire, quindi, che l’applicazione
del regolamento di cui al D.P.C.M. n.
117/1999 non rappresenti, nella materia dei
servizi oggetto di esame, una scelta della
stazione appaltante bensì un preciso
obbligo, in assenza dell’emanando
regolamento che, in ogni caso, dovrà tenere
conto dei criteri fissati in detto decreto
indicati dall’art. 4, comma 3, e
dall’Allegato A per la determinazione del
coefficiente “prezzo”, in relazione
alle procedure concorsuali per
l’aggiudicazione dei servizi di pulizia con
il metodo dell’offerta economicamente più
vantaggiosa (parere
di precontenzioso 03.11.2010 n. 192
- link a www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI:
Come chiaramente affermato dalla Corte
costituzionale con la sentenza n. 411/2008
la disciplina degli appalti pubblici, intesa
in senso complessivo, include diversi “ambiti
di legislazione” che si qualificano a
seconda dell’oggetto al quale afferiscono:
in essa pertanto si profila una interferenza
tra materie di competenza statale e materie
di competenza regionale, che, tuttavia, si
atteggia in modo peculiare, non
realizzandosi normalmente in un intreccio in
senso stretto ma “con la prevalenza della
disciplina statale su ogni altra fonte
normativa (sentenza n. 401 del 2007) in
relazione agli oggetti riconducibili alla
competenza esclusiva statale, esercitata con
le norme recate dal d.lgs. n. 163 del 2006”.
Alla luce di quanto sopra, la Corte
costituzionale, nella citata sentenza, ha
affermato che l’art. 4, comma 5, del codice
dei contratti, il quale, nella parte in cui
stabilisce che le Regioni a statuto speciale
adeguano la propria legislazione secondo le
disposizioni contenute negli statuti e nelle
relative norme di attuazione, “impone
alle Regioni ad autonomia speciale, in
assenza di norme statutarie attributive di
competenze nelle materie cui afferiscono le
norme del codice dei contratti, di
conformare la propria legislazione in
materia di appalti pubblici a quanto
stabilito dal Codice stesso”.
--------------
La Corte di giustizia, con la sentenza del
15.05.2008, cause riunite C-147/06 e
C-148/06, Secap, ha affermato che i principi
comunitari ostano ad una normativa che, per
quanto concerne gli appalti di valore
inferiore alla soglia comunitaria e che
presentano un interesse transfrontaliero
certo, imponga tassativamente alle
amministrazioni aggiudicatrici, qualora il
numero delle offerte valide sia superiore a
cinque, di procedere all’esclusione
automatica delle offerte considerate
anormalmente basse rispetto alla prestazione
da fornire, in base all’applicazione di un
criterio matematico previsto da tale
normativa, precludendo alle suddette
amministrazioni aggiudicatrici qualsiasi
possibilità di verificare la composizione di
tali offerte richiedendo agli offerenti
interessati precisazioni in merito a queste
ultime.
Il Giudice comunitario ha tuttavia precisato
che l’esistenza di un interesse
transfrontaliero potrebbe essere esclusa nel
caso, ad esempio, di un valore economico
molto limitato dell’appalto in questione
(punto 31) e che, anche in presenza di un
interesse transfrontaliero certo,
l’esclusione automatica delle offerte
anomale potrebbe rivelarsi accettabile
qualora il ricorso a tale regola sia
giustificato dal numero eccessivamente
elevato delle offerte, circostanza questa
che potrebbe obbligare l’amministrazione
aggiudicatrice interessata a procedere alla
verifica in contraddittorio di un numero di
offerte talmente alto da eccedere la sua
capacità amministrativa ovvero da poter
compromettere la realizzazione del progetto
a causa del ritardo che tale verifica
potrebbe comportare (punto 32) (parere
di precontenzioso 03.11.2010 n. 191
- link a www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI:
La mera pendenza di uno o più procedimenti
penali a carico del concorrente ad una gara
di appalto non è di per sé motivo ostativo
alla partecipazione alle procedure di gara,
come si evince dal dettato della lettera c)
dell’art. 38 del D.Lgs. n. 163/2006 che, ai
fini dell’esclusione, postula la pronuncia
di “sentenza di condanna passata in
giudicato” ovvero di “decreto penale
di condanna irrevocabile” ovvero di “sentenza
di applicazione della pena su richiesta, ai
sensi dell’articolo 444 del codice di
procedura penale” per reati gravi in
danno dello Stato o della Comunità che
incidono sulla moralità professionale.
Non è conforme alla normativa di settore,
pertanto, l’esclusione disposta da un s.a.
sulla base di un’operazione ermeneutica di
tipo analogico, orientata alla tutela della
pubblica amministrazione, in relazione
all’elemento della fiducia, nei suoi
rapporti economico-contrattuali con i
privati, che si pone in contrasto sia con
l’ordinamento comunitario che con quello
nazionale, i quali circondano di particolari
garanzie la posizione delle imprese
partecipanti alle gare escludendo poteri
discrezionali delle Amministrazioni
appaltanti ed indicando in modo puntuale ed
analitico le cause di esclusione (cfr.
Consiglio di Stato, Sez. V, 22.08.2003, n.
4750) (parere
di precontenzioso 03.11.2010 n. 190
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APPALTI:
In materia di requisiti di partecipazione
alle gare di progettazione è stato affermato
che la disposizione (art. 66, d.p.R.
554/1999), nonostante la sua complessa e non
chiara formulazione, non chiede affatto che
i due servizi richiesti (chiamati “servizi
di punta”) debbano necessariamente
comprendere, ciascuno, tutte le classi e
categorie dei lavori cui si riferiscono i
servizi oggetto della gara, cioè, in
definitiva, debbano essere due servizi
identici a quelli da affidare.
Tale interpretazione, del resto, appare
coerente con il principio del favor
partecipationis, sempre affermato in
giurisprudenza con riguardo alle ipotesi
dubbie –come certamente è quella in
discorso– ove si precisa che «in sede di
interpretazione di prescrizioni equivoche
del bando di gara, deve farsi applicazione
del principio secondo cui le stesse devono
interpretarsi nel senso più favorevole
all'ammissione alla gara ed alla massima
partecipazione, e ciò per soddisfare lo
specifico interesse dell'Amministrazione ad
un confronto più ampio possibile tra le
offerte» (cfr.: Consiglio di Stato, Sez.
V, 04.11.2004, n. 7140 e TAR Abruzzo-Pescara
20.05.2005, n. 311) (parere
di precontenzioso 03.11.2010 n. 189
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APPALTI: Le
disposizioni con le quali sono prescritti
particolari adempimenti per l’ammissione
alla gara, ove indichino in modo equivoco
taluni dei detti adempimenti, vanno
interpretate nel senso più favorevole
all’ammissione degli aspiranti,
corrispondendo all’interesse pubblico di
assicurare un ambito più vasto di
valutazioni, e quindi, un’aggiudicazione
alle condizioni migliori possibili (cfr.
parere n. 126 del 23.04.2008)
(parere di
precontenzioso 20.10.2010 n. 188 - link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
GIURISPRUDENZA |
EDILIZIA PRIVATA:
I proprietari di fabbricati
vicini possono chiedere il rispetto delle
norme che prescrivono distanze tra le
costruzioni innanzi al giudice ordinario,
allorquando la controversia sia instaurata
nei soli confronti di altri soggetti
privati, vertendosi in tal caso su questioni
di diritto soggettivo, ovvero innanzi al
giudice amministrativo quando sia contestata
la legittimità del titolo abilitativo
rilasciato in violazione delle norme sulle
distanza, vertendosi in tal caso in tema di
interessi legittimi.
Il termine per l'impugnazione di un titolo
edilizio ad opera del confinante non decorre
dall'avvio dei lavori, ma dalla ultimazione
di questi, affinché gli interessati siano in
grado di avere cognizione dell'esistenza e
dell'entità delle violazioni
urbanistico-edilizie eventualmente derivanti
dalla concessione.
E' opinione comune nella giurisprudenza che
i proprietari di fabbricati vicini possono
chiedere il rispetto delle norme che
prescrivono distanze tra le costruzioni
innanzi al giudice ordinario, allorquando la
controversia sia instaurata nei soli
confronti di altri soggetti privati,
vertendosi in tal caso su questioni di
diritto soggettivo, ovvero innanzi al
giudice amministrativo quando sia contestata
la legittimità del titolo abilitativo
rilasciato in violazione delle norme sulle
distanza, vertendosi in tal caso in tema di
interessi legittimi (Consiglio Stato, sez. IV, 16.11.2007, n. 5837).
Il termine per l'impugnazione di un titolo
edilizio ad opera del confinante non decorre
dall'avvio dei lavori, ma dalla ultimazione
di questi, affinché gli interessati siano in
grado di avere cognizione dell'esistenza e
dell'entità delle violazioni
urbanistico-edilizie eventualmente derivanti
dalla concessione; l'effettiva conoscenza
dell'atto, infatti, si verifica quando la
costruzione realizzata rivela in modo certo
ed univoco le essenziali caratteristiche
dell'opera e l'eventuale non conformità
della stessa al titolo o alla disciplina
urbanistica, con la conseguenza che in
mancanza di altri ed inequivoci elementi
probatori il termine decorre non con il mero
inizio dei lavori, ma con il loro
completamento (cfr. ad es. Cons. Stato, sez.
V, 04.03.2008, n. 885; TAR Liguria, sez. II,
09.01.2009, n. 43). A ciò si aggiunge che
l’amministrazione non ha dato prova certa
della conoscenza in data anteriore
(TAR Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 19.05.2011 n. 1282 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Per
"pareti finestrate", ai sensi dell'art. 9
d.m. 02.04.1968 n. 1444 e di tutti quei
regolamenti edilizi locali che ad esso si
richiamano, devono intendersi non (soltanto)
le pareti munite di "vedute" ma più in
generale tutte le pareti munite di aperture
di qualsiasi genere verso l'esterno, quali
porte, balconi, finestre di ogni tipo (di
veduta o di luce) e considerato altresì che
basta che sia finestrata anche una sola
delle due pareti.
L’art. 9 del
D.M. 1444/1968 misura le distanze con
riferimento alle pareti finestrate con
riferimento a: 2) Nuovi edifici ricadenti
zone diverse dalla zona A: è prescritta in
tutti i casi la distanza minima assoluta di
m. 10 tra pareti finestrate e pareti di
edifici antistanti; Zone C): è altresì
prescritta, tra pareti finestrate di edifici
antistanti, la distanza minima pari
all'altezza del fabbricato più alto.
La giurisprudenza ha costantemente affermato
che il d.m. 02.04.1968 n. 1444 -emanato in
virtù dell'art. 41-quinquies l. n. 1150 del
1942 introdotto a sua volta dall'art. 17 l.
06.08.1967 n. 765 (c.d. L. Ponte)- ripete
dal rango di fonte primaria della norma
delegante la forza di legge, suscettibile di
integrare con efficacia precettiva il regime
delle distanze dalle costruzioni di cui
all'art. 872 c.c.: la regola della distanza
di 10 metri tra pareti finestrate e pareti
di edifici antistanti vincola anche i comuni
in sede di formazione e di revisione degli
strumenti urbanistici, con la conseguenza
che ogni previsione regolamentare in
contrasto con l'anzidetto limite minimo è
illegittima e va disapplicata, essendo
consentita alle amministrazioni locali solo
la fissazione di distanze superiori (TAR
Lombardia Brescia, sez. I, 30.08.2007, n.
832).
Con riferimento alla nozione di pareti
finestrate la giurisprudenza afferma che “per
"pareti finestrate", ai sensi dell'art.
9 d.m. 02.04.1968 n. 1444 e di tutti quei
regolamenti edilizi locali che ad esso si
richiamano, devono intendersi, non
(soltanto) le pareti munite di "vedute",
ma più in generale tutte le pareti munite di
aperture di qualsiasi genere verso
l'esterno, quali porte, balconi, finestre di
ogni tipo (di veduta o di luce)” (Corte
d’Appello Catania, 22.11.2003) e considerato
altresì che basta che sia finestrata anche
una sola delle due pareti (TAR Toscana, Sez.
III, 04.12.2001, n. 1734; TAR Piemonte,
10/10/2008 n. 2565).
Il secondo motivo è infondato in quanto la
norma delle n.t.a. riprende l’art. 873 c.c.
e non interferisce con l’applicazione delle
disposizioni previste da norme speciali in
materia di distanze. La distanza prevista
dall’art. 873 c.c., infatti, non può essere
inferiore a quella prevista dall'art. 9 del
D.M. 02.04.1968, n. 1444 in quanto la norma
è obbligatoria e vincolante per la potestà
regolamentare comunale e prevale sulla norma
locale con il sistema dell’inserzione
automatica di clausole (Cass. civ., sez. II,
24.01.2006, n. 1282)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 19.05.2011 n. 1282 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Lombardia, sottotetti
e distanze: la Corte Costituzionale
ribadisce l'obbligatorietà del rispetto
dell'art. 9 D.M. 1444/1968.
Con l'ordinanza
19.05.2011 n. 173 la Corte
Costituzionale ha rigettato la questione di
incostituzionalità dell'articolo 64, c. 2°,
della legge della Regione Lombardia
11/03/2005, n. 12, come sostituito dall'art.
1, c. 1°, lett. d), della legge della
Regione Lombardia 27/12/2005, n. 20,
sollevata dal
Tribunale
civile di Brescia, Sez. III, con l'ordinanza
22.02.2010.
Il Tribunale rilevava che se si dovesse,
come impone l'articolo 64 in questione,
qualificare ^ristrutturazione^ la
realizzazione di sottotetti anche quando la
modificazione della sagoma dell'edificio
preesistente comportasse una diminuzione
delle distanze da edifici esistenti
inferiore a quella di cui al D.M. 1444/1968,
art. 9, ciò si risolverebbe nella
disapplicazione di una normativa di rango
superiore quale, per l'appunto, il D.M.
1444, nonché lo stesso Testo Unico
dell'Edilizia, per il quale la
ristrutturazione edilizia non può comportare
aumento di sagoma e volume (art. 3 D.P.R.
380/2001), diversamente essendo in presenza
di nuova costruzione, come tale computabile
ai fini della applicazione degli standard
edilizi indicati dagli strumenti urbanistici
locali, a loro volta, invece, disapplicati.
Non è vero, quindi, come afferma il TAR
Lombardia nella decisione 153/2009, che la
lettura comparata delle disposizioni
regionali e nazionali deve suggerire una
interpretazione delle prime conforme a
legittimità a scapito di una non di
legittimità, poiché nella fattispecie il
legislatore regionale ha intenzionalmente
qualificato il recupero dei sottotetti come
ristrutturazione, al fine di sottrarli alla
applicazione delle disposizioni di rango
superiore.
Nulla di tutto ciò, afferma la Corte, è
rinvenibile nella fattispecie, che
circoscrivendo la questione alla
disapplicazione del D.M. 1444 in punto
distanze, rileva che che l’art. 64, comma 2,
della legge della Regione Lombardia n. 12
del 2005, in accordo con la giurisprudenza
assolutamente maggioritaria, deve
interpretarsi nel senso che esso consente sì
la deroga dei parametri e indici urbanistici
ed edilizi di cui al regolamento locale
ovvero al piano regolatore comunale, ma
fatto salvo il rispetto della disciplina
sulle distanze tra fabbricati, essendo
quest’ultima materia inerente
all’ordinamento civile e rientrante nella
competenza legislativa esclusiva dello
Stato.
Da ciò la manifesta inammissibilità della
questione, avendo il giudice rimettente
fondato il proprio ragionamento in ordine
alla rilevanza su un erroneo presupposto
interpretativo, ossia che la normativa
lombarda sui sottotetti consentisse la
deroga a norme di rango superiore, quale,
per l'appunto, il D.M. 1444 in tema di
distanze.
Nulla cambia, dunque, in materia ed anzi la
decisione della Corte costituisce ultima e
definitiva conferma dell'orientamento
diffuso secondo cui nessuna normativa
liberalizzatrice in tema di recupero
sottotetti (e per estensione anche di
ristrutturazione edilizia) non può
estendersi sino a derogare le distanze
fissate dall'articolo 9 del D.M. 1444/1968,
recepito o meno negli strumenti urbanistici.
Va puntualizzato che restano invece, queste
sì, derogate, le disposizioni locali diverse
dalla mera riproposizione dell'articolo 9 in
materia di distanze tra fabbricati, ad
esempio nel caso di distanze dai confini,
che il D.M., per l'appunto, non tratta
(commento tratto da http://studiospallino.blogspot.com
- link a www.studiospallino.it). |
APPALTI:
In materia di appalti pubblici, è
insufficiente ed inadeguata la motivazione
inerente alla classifica delle concorrenti,
elaborata dalla commissione di gara alla
stregua di un punteggio numerico globale per
ciascuna impresa.
In materia di gare d'appalto, il ricorso a
giudizi espressi in numeri è sufficiente a
motivare le scelte della commissione solo
laddove nella lex specialis vi sia
una previsione sufficientemente analitica in
ordine alla divisione delle offerte in
sottovoci ancorate a parametri di
valutazione, tra un minimo ed un massimo,
tali da rendere comprensibile le ragioni di
scelta, le quali vanno differentemente
esplicitate. Pertanto, la motivazione,
ancorché in forma numerica, deve estendersi
ai sub elementi dell'offerta, così come
definiti dal bando o dalla commissione.
Pertanto, nel caso di specie, poiché la
valutazione delle offerte tecniche è stata
rappresentata da punteggi numerici
complessivi attribuiti a ciascun progetto in
gara senza l'estensione valutativa di cui si
è detto, ovvero non essendo stata espressa,
l'intera gara risulta viziata da lacune
negli aspetti motivi delle scelte operate
(TAR Lazio-Roma, Sez. II-bis,
sentenza 18.05.2011 n. 4302 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Condono edilizio: le indicazioni
ministeriali non eliminano il rischio
demolizione.
Il rispetto della
indicazioni contenute in una circolare
ministeriale non mette al riparo dal rischio
abbattimento dell’opera abusiva. Infatti, se
le indicazioni non sono conformi alla legge
non hanno alcun valore.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, Sez.
III penale, con la
sentenza 17.05.2011 n. 19330.
Per la Suprema corte, infatti, nella
valutazione della domanda di sospensione
dell’esecuzione -a seguito della
presentazione di una istanza di condono- il
giudice deve innanzi tutto verificare la
sussistenza dei “requisiti di
condonabilità delle opere” ex lege.
E siccome la norma si riferisce
espressamente alle “nuove costruzioni
residenziali”, “nessuna rilevanza può
assumere il contenuto della circolare”.
Infatti, come chiarito anche dalle Sezioni
unite civili (23031/2007), le circolari
hanno “natura di atti meramente interni
alla pubblica amministrazione” ed “esprimono
esclusivamente un parere
dell’amministrazione medesima non vincolante
per il contribuente, per gli uffici, per la
stessa autorità che l’ha emanata e per il
giudice”.
Dunque, per i giudici di Piazza Cavour la
circolare interpretativa “si risolve in
un mero ausilio interpretativo e non esplica
alcun effetto vincolante non solo per il
giudice penale, ma anche per gli stessi
destinatari poiché non può comunque porsi in
contrasto con l’evidenza del dato normativo”
(massima tratta da
www.diritto24.ilsole24ore.com).
---------------
Condono edilizio, le
indicazioni ministeriali non mettono al
riparo dall'abbattimento.
Non si ferma l'ordine di demolizione
dell'opera abusiva anche se la costruzione è
conforme alle indicazioni contenute in una
circolare ministeriale. A nulla vale,
dunque, che il ministero delle
Infrastrutture, con un proprio atto
interpretativo, abbia esteso la portata del
condono del 2003 anche agli immobili non
residenziali.
Per la Cassazione, sentenza n. 19330/2011,
infatti, i paletti rimangono quelli fissati
dalla legge e dunque l'opera abusiva "non
residenziale" va abbattuta, anche in
pendenza di regolare domanda di condono
edilizio.
La circolare ha solo valore
interpretativo.
Niente da fare dunque per una signora di
Cava dei Tirreni che aveva basato la
richiesta di sospensiva dell'ordine di
abbattimento sulle indicazioni contenute
nella circolare del ministero dei Trasporti
e delle Infrastrutture n. 2699/2005 che «espressamente
ammetteva la condonabilità degli interventi
aventi destinazione non residenziale».
Verificare la condonabilità
delle opere.
Per la Cassazione, nella valutazione della
domanda di sospensione dell'esecuzione -a
seguito della presentazione di una istanza
di condono- il giudice deve innanzi tutto
verificare la sussistenza dei «requisiti
di condonabilità delle opere» ex lege.
E siccome la norma si riferisce
espressamente alle «nuove costruzioni
residenziali», «nessuna rilevanza può
assumere il contenuto della circolare».
Infatti, come chiarito anche dalle Sezioni
unite civili (23031/2007), le circolari
hanno «natura di atti meramente interni
alla pubblica amministrazione» ed «esprimono
esclusivamente un parere
dell'amministrazione medesima non vincolante
per il contribuente, per gli uffici, per la
stessa autorità che l'ha emanata e per il
giudice».
Dunque, per la Suprema corte la circolare
interpretativa «si risolve in un mero
ausilio interpretativo e non esplica alcun
effetto vincolante non solo per il giudice
penale, ma anche per gli stessi destinatari
poiché non può comunque porsi in contrasto
con l'evidenza del dato normativo».
Ecco i principi fissati
dalla Sezioni unite nel 2007.
1) La circolare emanata nella materia
tributaria non vincola il contribuente, che
resta pienamente libero di non adottare un
comportamento ad essa uniforme, in piena
coerenza con la regola che in un sistema
tributario basato essenzialmente sull'auto
tassazione, la soluzione delle questioni
interpretative è affidata (almeno in una
prima fase, quella, appunto, della
determinazione dell'imposta da
corrispondere) direttamente al contribuente.
2) La circolare nemmeno vincola, a ben
vedere, gli uffici gerarchicamente
sottordinati, ai quali non è vietato di
disattenderla (evenienza, questa, che,
peraltro, è raro che si verifichi nella
pratica), senza che per questo il
provvedimento concreto adottato dall'ufficio
(atto impositivo, diniego di rimborso, ecc.)
possa essere ritenuto illegittimo «per
violazione della circolare»: infatti, se
la (interpretazione contenuta nella)
circolare è errata, l'atto emanato sarà
legittimo perché conforme alla legge, se,
invece, la (interpretazione contenuta nella)
circolare è corretta, l'atto emanato sarà
illegittimo per violazione di legge.
3) La circolare non vincola addirittura la
stessa autorità che l'ha emanata, la quale
resta libera di modificare, correggere e
anche completamente disattendere
l'interpretazione adottata. Tutt'al più,
come è stato pure affermato, potrebbe
ammettersi che il mutamento da parte
dell'amministrazione di un precedente
indirizzo (interpretativo) sul quale il
contribuente possa aver fatto affidamento,
eventualmente rilevi (o possa esse valutato)
ai fini della applicazione delle sanzioni.
4) La circolare non vincola, infine, come
già si è detto, il Giudice tributario (e, a
maggior ragione, la Corte di Cassazione)
dato che per l'annullamento di un atto
impositivo emesso sulla base di una
interpretazione data dall'amministrazione e
ritenuta non conforme alla legge, non dovrà
essere disapplicata la circolare, in quanto
l'ordinamento affida esclusivamente al
Giudice il compito di interpretare la norma
(del resto, al Giudice tributario e'
attribuita, nella materia tributaria, la
giurisdizione esclusiva) (commento tratto da
www.ilsole24ore.com). |
EDILIZIA PRIVATA:
L'assenza dello Sportello unico
per l'edilizia non esonera dalle
autorizzazioni.
Per salvarsi dal reato
di abuso edilizio non basta invocare la
mancata costituzione dello Sportello unico
da parte del comune.
Lo ha chiarito la Corte di Cassazione, Sez.
III penale, con la
sentenza 17.05.2011 n. 19315.
Una signora condannata per aver eseguito dei
lavori di ampliamento del garage in totale
difformità al permesso a costruire ha
sostenuto "la mancata istituzione dello
Sportello Unico presso l'amministrazione
comunale di Riposto e la conseguente
impossibilità di presentare le dovute
comunicazioni".
Una giustificazione che non ha convinto i
giudici di legittimità che hanno affermato
il seguente principio di diritto: "Lo
Sportello Unico per l'edilizia previsto
dell'articolo 5 del Dpr 380/2001 (Testo
unico per l'edilizia) ha unicamente finalità
di semplificazione procedimentale ed
organizzativa, con la conseguenza che la
mancata istituzione da parte
dell'amministrazione comunale non ha alcuna
incidenza sul regime autorizzativo
dell'attività edilizia e non esonera,
pertanto, dal conseguimento dei necessari
titoli abilitativi" (massima tratta e
link a www.diritto24.ilsole24ore.com). |
APPALTI:
La fissazione dei criteri idonei
all'individuazione dell'offerta
economicamente più vantaggiosa, ai sensi
dell'art. 83 del d.lgs. n. 163/2006 (Codice
dei contratti), rientra nella
discrezionalità della stazione appaltante.
La scelta dei criteri più adeguati per
l'individuazione dell'offerta economicamente
più vantaggiosa, ai sensi dell'art. 83 del
d.lgs. n. 163/2006 (Codice dei contratti),
costituisce espressione tipica della
discrezionalità della stazione appaltante e
impingendo nel merito dell'azione
amministrativa,è sottratta al sindacato di
legittimità del G.A., salvo il caso in cui,
in relazione a natura, oggetto e
caratteristiche del contratto, non risulti
manifestamente illogica, arbitraria, ovvero
palesemente viziata da travisamento di
fatto.
Nel caso di appalto integrato, come quello
di specie, la stessa ampia possibilità di
presentare varianti al progetto da parte dei
candidati, comporta necessariamente un ampio
margine di discrezionalità in capo alla
Commissione, in quanto il bando e la lettera
di invito non possono disciplinare
totalmente le varianti che saranno
presentate dai vari concorrenti.
Inoltre, anche la fissazione di sotto
criteri da parte del bando, rientra nella
discrezionalità tecnica della stazione
appaltante. Non sussiste, infatti, alcun
obbligo in capo alla stazione appaltante di
fissazione di sub-criteri, atteso il
disposto dell'art. 83 c. 4, del d.lgs. n.
163/06, il quale non prevede necessariamente
l'esercizio di alcun obbligatorio esercizio
di tale facoltà, alla quale può ricorrersi
solo "ove necessario" (TAR Lazio-Roma,
Sez. III,
sentenza 17.05.2011 n. 4251 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Danno curriculare - Nozione -
Valutazione equitativa - Possibilità.
Il fatto stesso di eseguire un appalto
pubblico, anche a prescindere dal lucro che
l’impresa ne ricava grazie al corrispettivo
pagato dalla stazione appaltante,
costituisce fonte per l’impresa di un
vantaggio non patrimoniale ma -comunque-
economicamente valutabile, poiché di per sé
accresce la capacità di competere sul
mercato e quindi la chance di aggiudicarsi
ulteriori e futuri appalti.
In tale ottica deve pertanto ritenersi
risarcibile il “danno curriculare”,
il quale consiste nel pregiudizio subito
dall’impresa in dipendenza del mancato
arricchimento del proprio “curriculum”
professionale, ossia per la circostanza di
non poter indicare in esso l’avvenuta
esecuzione dell’appalto sfumato a causa del
comportamento illegittimo
dell’Amministrazione (così, ad es., Cons.
Stato, Sez. VI, 09.06.2008 n. 2751).
Tale pregiudizio, a prescindere dalla
carenza di prove offerte dalla ricorrente in
ordine alle perdite economiche da essa
subite, fuoriesce -altresì- dagli ambiti
meramente probabilistici della valutazione
delle chances e si pone in termini
obiettivi per il fatto stesso
dell’intervenuta esclusione della ricorrente
dal mercato “pubblico”, ed è pertanto
intrinsecamente d necessariamente valutabile
dal giudice in termini equitativi ai sensi
dell’art. 1226 c.c. (Consiglio di Stato,
Sez. IV,
sentenza 16.05.2011 n. 2955 -
link a www.ambientediritto.it). |
APPALTI:
Sulla risarcibilità del danno
curriculare derivante da illegittimi
provvedimenti di esclusione da appalti
pubblici.
La partecipazione ad un appalto pubblico,
nonché la fase di esecuzione dello stesso,
rappresentano per l'impresa concorrente un
vantaggio economicamente valutabile, in
quanto accresce la capacità di competere sul
mercato e, dunque, la chance di ottenere
l'affidamento di futuri appalti.
Pertanto, deve ritenersi risarcibile il
danno c.d. "curriculare", il quale
consiste nel pregiudizio subito dall'impresa
in dipendenza del mancato arricchimento del
proprio "curriculum" professionale,
ossia per la circostanza di non poter
indicare in esso l'avvenuta esecuzione di un
appalto dal quale si sia stati esclusi a
causa del comportamento illegittimo
dell'amministrazione.
Tale pregiudizio, peraltro, prescinde dalla
carenza di prove offerte dal concorrente in
ordine alle perdite economiche da esso
patite, ponendosi in termini obiettivi per
il fatto stesso dell'intervenuta esclusione
dal mercato "pubblico", ed è quindi
necessariamente valutabile dal giudice in
termini equitativi, ai sensi dell'art. 1226
c.c.. (Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 16.05.2011 n. 2955 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
SICUREZZA LAVORO:
Pubblico dipendente - Lesioni
subite a causa di caduta dalle scale -
Assenza del dispositivo antiscivolo -
Violazione dell’art. 2087 c.c..
Deve essere accolta, ai sensi dell’art. 2087
c.c., la domanda di risarcimento del danno
avanzata da un pubblico dipendente, per
lesioni subite a causa di caduta
verificatasi durante lo svolgimento del
servizio, determinata dell’assenza, sulle
scale dell’ufficio, del dispositivo
antiscivolo (bande); il fatto che le scale
siano prive del dispositivo antiscivolo è
idoneo, infatti, quantomeno, ad agevolare
una caduta, e tanto integra una violazione
dell’art. 2087 c.c., in ragione dell’onere
del datore di lavoro di adottare ogni
accorgimento idoneo a prevenire infortuni,
tanto più che l’accorgimento in questione è
di semplice applicazione (TAR Piemonte, Sez.
I,
sentenza 14.05.2011 n. 482 - link
a www.ambientediritto.it). |
URBANISTICA:
PRG - Modifiche introdotte
d’ufficio dall’amministrazione regionale a
tutela del paesaggio in coerenza con il
P.U.T.T.- Obbligo di ripubblicazione -
Esclusione.
Le modifiche allo strumento urbanistico
generale, introdotte d’ufficio
dall’amministrazione regionale al fine
specifico della tutela del paesaggio e
dell’ambiente in coerenza con il Piano
urbanistico territoriale tematico (P.U.T.T.),
non comportano l’obbligo per il Comune
interessato a riavviare il procedimento di
approvazione dello strumento, con
conseguente ripubblicazione dello stesso
(così Consiglio di Stato, IV, 07.04.2008,
n.1417) (Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 12.05.2011 n. 2865 -
link a www.ambientediritto.it). |
APPALTI:
Nell'ipotesi di errori materiali
nelle domande di partecipazione anche di
tipo omissivo, commessi in buona fede, non è
possibile da parte della stazione appaltante
disporre la sanzione espulsiva peraltro se
neppure contemplata dalla normativa di gara.
Nell'ipotesi in cui nelle domande di
partecipazione ad una gara pubblica si
riscontrino dei meri errori materiali che
non vanno ad inficiare la regolarità della
fase procedurale ed in particolare non
incidono su aspetti di tipo sostanziale del
rapporto contrattuale che in fieri si va a
formare, non può attuarsi la misura
sanzionatoria, quale quella dell'esclusione
dalla gara che risulterebbe del tutto
sproporzionata ed illogica, oltreché non
rispettosa del principio del favor
partecipationis.
Pertanto, a fronte di errori materiali,
anche di tipo omissivo, commessi in buona
fede ed irrilevanti per i quali non si
richiede neppure la integrazione o
regolarizzazione, a fortiori, non è
possibile da parte della stazione appaltante
disporre la sanzione espulsiva, peraltro se
neanche contemplata dalla normativa di gara
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 12.05.2011 n. 2860 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
URBANISTICA: Il
Comune non può ritenersi permanentemente
vincolato da una preesistente convenzione
urbanistica.
Nella vicenda che ha dato luogo alla
pronuncia in rassegna la società resistente
è proprietaria di un’area inserita nel piano
particolareggiato di iniziativa pubblica
approvato da un Comune emiliano, mentre il
ricorrente era proprietario di un’area -anch’essa
inserita nel medesimo piano- che egli aveva
ceduto gratuitamente al Comune, come
standard a verde pubblico, in attuazione di
un piano particolareggiato di iniziativa
privata.
Ebbene, il ricorrente impugna gli atti
relativi alla vendita delle aree facenti
parte del piano particolareggiato e
l’approvazione del bando di asta pubblica, e
l’avviso di vendita di aree edificabili. Con
uno dei motivi di ricorso il ricorrente
lamenta, in particolare, che il piano
particolareggiato include l’area che è stata
ceduta dallo stesso al Comune -quale
standard urbanistico (verde pubblico)-
destinandola illegittimamente alla
edificazione residenziale ed alla successiva
vendita. Poiché l’area non viene destinata
alla realizzazione di opere di pubblica
utilità ma all’utilizzazione privata, il
ricorrente afferma di avere diritto al
ripristino della destinazione pubblica o
alla restituzione dell’area.
Ad avviso dei giudici del Tribunale
amministrativo di Parma il motivo è
infondato, la giurisprudenza è costante,
infatti, nell’affermare che le convenzioni
urbanistiche devono sempre considerarsi
rebus sic stantibus, e, persino durante
la piena efficacia di un piano urbanistico e
della relativa convenzione urbanistica,
legittimamente l'amministrazione, in
presenza di un interesse pubblico
sopravvenuto, ha la facoltà di introdurre
nuove previsioni, con il solo onere di
motivare le esigenze che le determinano.
In presenza di nuove esigenze non sussiste,
quindi, preclusione a nuovi interventi,
atteso che lo ius variandi relativo
alle prescrizioni di piano regolatore
generale include anche un ius poenitendi
relativo ai vincoli precedentemente assunti,
rispetto ai quali il Comune non può
ritenersi permanentemente vincolato nemmeno
da una preesistente convenzione di
lottizzazione (fra le tante Cons. Stato,
Sez. IV, 29.07.2008, n. 3766; n. 711 del
13.07.1993; 25.07.2001, n. 4073).
La vigenza di una convenzione di
lottizzazione si riflette, semmai, solamente
in termini di obbligo di motivazione
nell'esercizio della potestas variandi,
in quanto incidente su aspettative
qualificate del privato parte della
convenzione (Cons. Stato, Sez. IV,
28.02.2005, n. 719)
(commento tratto da
www.documentazione.ancitel.it - TAR Emilia
Romagna-Parma,
sentenza
11.05.2011 n. 141 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
L'art. 121 del D.Lgs. n. 163 del
2006, opera una sostanziale unificazione
della disciplina dei contratti sopra soglia
comunitaria con quelli sotto soglia,
sancendo l'applicabilità a quest'ultimi di
gran parte delle norme del codice dei
contratti.
L'art. 121 del D.Lgs. n. 163 del 2006
dispone che ai contratti pubblici aventi per
oggetto lavori, servizi, forniture, di
importo inferiore alle soglie di rilevanza
comunitaria, si applicano oltre alle
disposizioni della parte 1, della parte 4 e
della parte 5, anche le disposizioni della
parte 2, in quanto non derogate dalle norme
del presente titolo 2.
Detto articolo, pertanto, opera una
sostanziale unificazione della disciplina
dei contratti sopra soglia comunitaria con
quelli sotto soglia, sancendo
l'applicabilità a quest'ultimi di gran parte
delle norme del codice dei contratti.
Tra le norme di applicazione generale,
valevoli anche per i contratti sotto soglia
di particolare rilievo, è l'art. 244
contenuto nel titolo 4 sul contenzioso,
richiamato dal menzionato art. 121, il quale
demanda alla giurisdizione esclusiva del
giudice amministrativo le controversie
relative a procedure di affidamento di
lavori, servizi e forniture, svolte da
soggetti comunque tenuti, nella scelta del
contraente, ad applicare la normativa
comunitaria o ad osservare i procedimenti di
evidenza pubblica previsti dalla normativa
statale o regionale (Corte di Cassazione,
SS.UU. civili,
sentenza 09.05.2011 n. 10068 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI: L’esercizio
del potere regolamentare comunale, quando
determini l’imposizione di divieti, deve
essere rispettoso del principio generale
della ragionevolezza intrinseca.
Con la deliberazione impugnata nella causa
in commento, che ha modificato il
regolamento comunale sulla vendita del “Tartufo
Bianco di Alba” in occasione della Fiera
annuale che si svolge in città, il Comune ha
stabilito, come regola generale, di non
consentire più la vendita del tartufo su
area pubblica. L’unica eccezione prevista, è
che la vendita del tartufo è consentita
(oltre che presso gli esercizi in sede fissa
autorizzati), su un’area pubblica specifica.
Nel difendersi dalle contestazioni mosse
dalla società ricorrente il Comune ha messo
in evidenza che la ratio
dell’intervenuta modifica regolamentare
sarebbe da individuare, per un verso, nella
“particolarità” del prodotto venduto
(il quale è dall’amministrazione equiparato
ai beni di lusso, come tale non suscettibile
di essere venduto in sede di commercio
ambulante, al fine di preservare l’immagine
di “esclusività” che ne ha il
consumatore) e, per altro verso,
nell’esigenza di tutelare il consumatore
dalle truffe al fine di garantire
l’autenticità del prodotto venduto (ciò,
perché presso l’unica area pubblica adibita
alla vendita ambulante del tartufo, è
presente un’apposita commissione con compiti
certificativi della bontà del prodotto
esposto e venduto).
Nessuna delle due giustificazioni, tuttavia,
addotte dal Comune a difesa della norma
regolamentare impugnata, è idonea, secondo i
giudici del Tribunale amministrativo di
Torino a resistere alle censure della
società ricorrente. Per un verso, infatti,
spiegano i giudici sabaudi, è chiaramente
irragionevole sostenere che il Tartufo
Bianco d’Alba (per la sua natura di prodotto
pregiato e “di nicchia”) non è
compatibile con la vendita su aree pubbliche
in sede di commercio ambulante e consentire,
allo stesso tempo, che esso possa invece
essere esposto e venduto presso le
bancarelle site in un determinato luogo. Se
la modalità del commercio ambulante non è
praticabile come regola generale, ciò deve
valere per tutte le aree pubbliche, senza
possibilità di ammettere eccezioni che non
siano adeguatamente giustificate in base ad
altre esigenze pubbliche rilevanti le quali
risultino collegate ad una particolare
conformazione del territorio.
Per altro verso, continuano gli stessi
giudici, non è spiegazione appropriata
quella che fa leva sulla presenza, nel luogo
prescelto, di una commissione deputata al
controllo dell’autenticità del prodotto
venduto: le pur sottese esigenze di tutela
del consumatore dalle truffe (esigenze che,
prese di per sé sole, sono senz’altro
meritevoli di protezione) devono infatti
essere perseguite mirando ad un necessario
bilanciamento con la libertà di iniziativa
economica degli imprenditori, ossia mediante
strumenti che consentano di garantire
equamente la parità di trattamento tra i
vari operatori del mercato.
Restringere la libertà di esposizione e di
vendita del tartufo ad una sola, delimitata,
area pubblica, in quanto solo in quel luogo
il Comune ha apprestato (o si serve di) un
servizio di controllo contro le truffe,
comporta uno sbilanciamento tra le due
suddette esigenze di tutela, entrambe di
rango costituzionale: in tal modo, infatti,
si appresta bensì una tutela (in tesi)
efficace per i consumatori, ma si penalizza
del tutto l’esigenza sottesa alla libertà di
iniziativa economica di tutti i potenziali
imprenditori del settore, i quali si vedono
così irrimediabilmente precluso il loro
diritto protetto invece dall’art. 41 Cost.
Del resto, come evidenziato dalla
giurisprudenza amministrativa in subiecta
materia, il potere del Comune di
sottoporre a limitazioni od a restrizioni
l’esercizio dell’attività di vendita e di
somministrazione di prodotti alimentari
sulle aree pubbliche (ricavabile,
implicitamente, dall’art. 28, comma 7, del
d.lgs. n. 114 del 1998) può ritenersi
giustificato in base ad esigenze di rilievo
pubblicistico volte ad evitare possibili “inconvenienti”
nel corso della celebrazione di determinate
manifestazioni o di fiere (cfr. TAR Valle
d’Aosta, n. 189 del 2001; TAR Lazio, Roma,
sez. II-ter, n. 6014 del 2005): ciò,
tuttavia, purché si tratti di esigenze
qualificate (come quelle di viabilità, di
igiene pubblica, di carattere ambientale o
storico, artistico, archeologico indicate
dall’art. 28, comma 16, del d.lgs. n. 114
del 1998) come tali idonee a confrontarsi
con l’interesse privato sotteso alla libertà
di intrapresa economica ed al correlato
diritto alla pari concorrenza.
L’esercizio del potere regolamentare da
parte del Comune, pertanto, soprattutto
laddove determini l’imposizione di divieti
(riconducibili, anch’essi, alla nozione di “prestazione
personale” di cui all’art. 23 Cost.:
cfr. Corte cost., sent. n. 115 del 2011)
deve essere rispettoso, oltre che dei limiti
indicati dalla legge, anche del generale
canone della ragionevolezza intrinseca, che
non consente di far prevalere del tutto un
interesse a totale discapito di un altro
parimenti degno di tutela
(commento tratto da
www.documentazione.ancitel.it - TAR
Piemonte, Sez. II,
sentenza
09.05.2011 n. 469 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
CONDOMINIO - EDILIZIA PRIVATA:
Lavori edilizi interessanti parti
comuni di un fabbricato - Assenso dei
comproprietari - Art. 11, c. 1, d.P.R. n.
380/2001 - Verifica dell’esistenza in capo
al richiedente di un titolo attributivo
dello ius aedificandi.
Ove i lavori edilizi interessino anche parti
comuni del fabbricato e si tratti di opere
non connesse all’uso normale della cosa
comune, essi abbisognano del previo assenso
dei comproprietari anche in relazione agli
aspetti pubblicistici dell’attività
edificatoria, con particolare riguardo alle
norme (art. 4 della legge n. 10 del 1977 e
art. 11, comma 1, del d.P.R. n. 380 del
2001), che prevedono la verifica
dell'esistenza, in capo al richiedente, di
titolo un attributivo dello ius
aedificandi sull'immobile oggetto di
trasformazione edilizia (fattispecie: locale
tecnico addossato al muro comune) (cfr.
Cons. Stato, Sez. IV 11.04.2007 n. 1654)
(TAR LOMBARDIA-Brescia, Sez. I,
sentenza 05.05.2011 n. 662 - link
a www.ambientediritto.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Lavoro, il part-time non si
tocca. La p.a. non può passare
unilateralmente al tempo pieno. Dal
tribunale di Trento una spallata al
collegato: valgono le regole dell'Unione
europea.
Il part-time non si
tocca: valgono le regole dell'Unione
europea. E quindi la p.a. non può
trasformare d'imperio un contratto da tempo
parziale a tempo pieno.
Il TRIBUNALE di Trento ha assunto una
significativa decisione in tema di rapporto
di lavoro presso la pubblica amministrazione
accogliendo il ricorso di una dipendente con
l'ordinanza 04.05.2011.
Il giudice ha ritenuto inapplicabile una
legge italiana perché contrastante con una
direttiva comunitaria.
IL CASO.
Una dipendente statale, in regime di
part-time, aveva subito d'imperio una
trasformazione in rapporto di lavoro a tempo
pieno con un provvedimento adottato dal
proprio dirigente amministrativo che le
assegnava, di conseguenza, un nuovo e più
ampio orario di lavoro. Le disposizioni,
impugnate davanti al tribunale, erano state
adottate sulla base della legge nazionale n.
183 del 04/11/2010 (art. 16) che
sostanzialmente consente alla p.a. di
sottoporre a nuova valutazione i
provvedimenti (già adottati) di «concessione
della trasformazione del rapporto di lavoro
da tempo pieno a tempo parziale» nel solo
rispetto dei principi di correttezza e buona
fede.
LA PROCEDURA D'URGENZA.
La
lavoratrice, colta d'impatto dal
provvedimento di revoca della modalità del
part-time, adiva con ricorso d'urgenza (art.
700 c.p.c.) il giudice del lavoro che, come
da norma procedurale, ha il primario compito
di valutare due elementi: il pericolo che
possa derivare dall'efficacia dell'atto
impugnato e le fondamenta di diritto sulle
quali si basa.
Sotto il primo profilo, il giudice trentino
ha osservato che, dopo oltre dieci anni di
lavoro svolto in part-time, l'improvvisa
modifica avrebbe «arrecato danni non
riparabili per equivalente» (ossia in
termini risarcitori) nella vita privata
della ricorrente, ritenendo dunque
sussistente il primo requisito.
Quanto al cosiddetto fumus boni juris,
invero, il tribunale non ha del tutto
condiviso le lagnanze della dipendente sulla
mancanza della citata «buona fede e
correttezza» per non aver ricevuto
pre-avviso della trasformazione e per non
aver tenuto conto delle esigenze di vita,
poiché agli atti risultava emessa una nota,
del dirigente dell'ufficio, che invitava i
dipendenti a rappresentare eventuali
situazioni personali, che fossero ostative
alla modifica. Sotto questo profilo, dunque,
la «correttezza» non veniva lesa.
IL RILIEVO DI DIRITTO.
Più interessante, e vincente, si è rilevata
invece un'arguta argomentazione di diritto
relativa al rapporto tra la normativa
europea e quella italiana.
Il giudice si è interrogato, infatti, sulla
conformità alla legislazione comunitaria
dell'art. 16 della legge 183/2010, applicato
nel caso in questione, nella parte in cui
attribuisce alla pubblica amministrazione il
potere di trasformare il rapporto di lavoro
part-time in rapporto di lavoro a tempo
pieno alla sola condizione del rispetto dei
detti principi di correttezza e buona fede,
«a prescindere dal consenso del
lavoratore, e quindi anche contro la sua
volontà».
LA NORMA EUROPEA.
Assume particolare significato la direttiva
n. 97/81/Ce emessa il 15/12/1997 adottata
avvertendo «l'esigenza di adottare misure
volte ad incrementare l'intensità
occupazionale della crescita, in particolare
mediante un'organizzazione più flessibile
del lavoro che risponda sia a i desideri dei
lavoratori che alle esigenze della
competitività».
Tale direttiva è stata recepita
nell'ordinamento giuridico italiano con il
decreto legislativo n. 61 del 25/2/2000 che
(art. 5) il giudice di Trento così
interpreta: «La trasformazione del
rapporto di lavoro da tempo parziale a tempo
pieno può aver luogo solo con il consenso
del lavoratore».
CONCLUSIONE.
L'ordinanza del magistrato del lavoro
accoglie il ricorso ed annulla il
provvedimento amministrativo sulla base
della considerazione che, in caso di
conflitto con l'ordinamento interno
(nazionale) prevale quello comunitario
trattandosi di caso di efficacia verticale,
vale a dire tra cittadino e lo stato (o
parte di esso, come la p.a.).
Sul punto il giudice approfitta, mediante un
excursus su alcune sentenze della Corte di
giustizia europea, per sottolineare come sia
«opportuno evitare che lo stato possa
trarre vantaggio dalla sua trasgressione del
diritto comunitario» (articolo
ItaliaOggi del 20.05.2011 - tratto da
www.corte.it). |
APPALTI:
Gare d'appalto, incompatibile il
doppio ruolo di progettista e commissario.
Il progettista o il
consulente della stazione appaltante non
possono partecipare alla gara oggetto della
progettazione o della consulenza svolte,
anche se il divieto non è previsto dalla
legge; l'incompatibilità vige anche per i
commissari di gara, se hanno partecipato
alla redazione del progetto preliminare
posto a base di gara.
E' quanto affermano Il Consiglio di Stato,
Sez. IV, con la
sentenza 03.05.2011 n. 2650, che
ha confermato la sentenza del Tar del Lazio
n. 33194 del 13.12.2010 e il parere n.
1498/2010 dell'Autorità per la vigilanza sui
contratti pubblici.
La sentenza di Palazzo Spada prende in
considerazione la situazione di un soggetto
che aveva predisposto delle linee guida per
una gara di progettazione e che aveva
partecipato alla gara successiva. I giudici
rilevano l'incompatibilità della posizione
del soggetto (risultato affidatario della
gara) basandosi su una interpreta-zione
estensiva dei contenuti dell'articolo 90,
comma 8, del Codice dei contratti pubblici
(che prevede il divieto per il progettista
di partecipare a gare di appalto di lavori
odi concessioni): «anche se la norma si
riferisce al rapporto tra appalti di lavori
e preventiva progettazione, non si può non
ritenere applicabile il principio generale
del divieto di partecipazione di chi abbia
una posizione di vantaggio anche
relativamente agli appalti di servizi».
La regola è, secondo la sentenza, «espressione
del principio generale di trasparenza ed
imparzialità, la cui applicazione è
necessaria per garantire parità di
trattamento, che ha per suo indefettibile
presupposto il fatto che i concorrenti ad
una procedura di evidenza pubblica debbano
rivestire la medesima posizione.» «Né»,
dice la sentenza, «vale ad escludere il
pregiudizio della par conditio il fatto
oggettivo della conoscenza (da parte dei
concorrenti tutti) dell'elaborato sulla cui
base occorre procedere per lo svolgimento
dell'appalto (le linee guida) bensì, in
senso soggettivo, l'avere redatto un
documento che costituisce il presupposto per
la valutazione delle offerte, che a quello
devono conformarsi».
All'Autorità per la vigilanza sui contratti
pubblici era stato invece posto un caso ben
più delicato, dal momento che il progetto
preliminare era stato predisposto da una
società risultata aggiudicataria, in
raggruppamento, della successiva gara di
progettazione e direzione dei lavori del
Centro agroalimentare di Roma (importo a
base di gara 2,2 milioni), in cui, peraltro
(stando agli atti dell'Autorità), uno dei
commissari di gara aveva partecipato alla
redazione di una parte del progetto
preliminare posto a base di gara.
Anche in questo caso si conclude per
l'esistenza di una evidente incompatibilità
per il commissario di gara (per violazione
dell'articolo 84, comma 4, del Codice dei
contratti pubblici), nonché perla società
aggiudicataria della gara.
In quest'ultimo caso il parere dell'Authority
pur non rilevando una diretta violazione
dell'articolo 90, comma 8 del Codice ha
ritenuto di individuare in linea generale
una violazione della par conditio fra
concorrenti e della «simmetria
informativa» fra operatori economici,
ancorché da verificare caso per caso.
In sostanza, l'avere svolto la progettazione
e avere seguito tutto lo sviluppo fino
all'approvazione potrebbe avere posto il
concorrente in una posizione privilegiata,
di vantaggio, rispetto agli altri
concorrenti: Essendo «sufficiente il solo
sospetto della possibile lesione della
trasparenza nella circolazione delle
informazioni» l'Autorità individua un «vulnns
al principio della par conditio». E'
quindi là disomogeneità di partenza a
determinare la violazione del principio di
parità di trattamento (articolo
ItaliaOggi del 18.05.2011 -
tratto da www.corteconti.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
INQUINAMENTO - Emissioni
odorigene - Normativa vigente - Mancata
previsione di limiti o di metodi di misura -
Applicazione delle migliori tecniche
disponibili - Art. 2, punto 7, DPR
24.05.1988, n. 203.
In base alla normativa vigente non è
prevista la fissazione di limiti di
emissione né di metodi o di parametri idonei
a misurare la portata delle emissioni
odorigene, perché manca allo stato la
possibilità tecnica di elaborare indicatori
sufficientemente validi dal punto di vista
tecnico-scientifico.
Per tali ragioni è possibile riferirsi alle
migliori tecniche disponibili che l'art. 2,
punto 7, del DPR 24.05.1988, n. 203,
definisce come "sistema tecnologico
adeguatamente verificato e sperimentato che
consente il contenimento e/o la riduzione
delle emissioni a livelli accettabili per la
protezione della salute e dell'ambiente,
sempreché l'applicazione di tali misure non
comporti costi eccessivi".
L’applicazione del criterio comporta che
devono essere adottate tutte le tecniche e
le modalità di progettazione, costruzione,
manutenzione ed esercizio degli impianti più
efficaci al fine di migliorare la
sostenibilità ambientale dell’attività
produttiva, e al fine di ottenere le massime
performance ambientali esigibili, tenendo
conto delle specifiche caratteristiche degli
impianti e delle potenzialità economiche
aziendali (TAR Veneto, Sez. III,
sentenza 03.05.2011 n. 741 - link
a www.ambientediritto.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
RIFIUTI - Provvedimenti di
localizzazione di discarica - Comune -
Interesse a ricorrere - Titolarità.
Il comune nel cui territorio è localizzata
una discarica di rifiuti è titolare
dell'interesse a ricorrere avverso la
delibera di localizzazione, sia in quanto
ente esponenziale dei residenti, sia in
quanto titolare del potere di pianificazione
urbanistica su cui incide il provvedimento
di localizzazione, sia in quanto soggetto
che per legge può partecipare al
procedimento amministrativo e che in quanto
tale può impugnarne il provvedimento
conclusivo (C. Stato, sez. V, 02.03.1999, n.
217; in senso analogo CdS IV 06/10/2001 n.
5296) (TAR Veneto, Sez. III,
sentenza 03.05.2011 n. 721 - link
a www.ambientediritto.it). |
APPALTI:
Il verbale redatto dalla
commissione di gara fa fede fino a querela
di falso.
Con
sentenza 02.05.2011 n. 2579 la
Sez. VI del Consiglio di Stato ha precisato
come il verbale redatto dalla commissione di
gara fa fede fino a querela di falso delle
operazioni effettuate da essa, in relazione
alla constatazione degli atti e dei
documenti inseriti dalle partecipanti alla
gara nelle relative buste.
Nell'ambito di una gara per l'assegnazione
di concessioni demaniali a scopo turistico e
ricreativo, una delle concorrenti veniva
esclusa in quanto la commissione rilevava
l'irregolarità della domanda di
partecipazione, oltre che il mancato
rispetto delle forme richieste dall'articolo
38 del d.p.r. 445/2000 in materia di
dichiarazione sostitutiva, poiché la domanda
risultava priva di copia del documento di
identità.
La partecipante chiedeva l'annullamento in
autotutela sostenendo, tra l'altro, la
regolarità della propria domanda in
considerazione del fatto che nel medesimo
verbale della commissione di gara si dava
atto della presenza del documento di
identità.
La richiesta di annullamento veniva respinta
in quanto il segretario della commissione di
gara dava atto della circostanza che, per
mero errore materiale, nei verbali di gara
era stata indicata la presenza della
fotocopia del documento di identità mentre
in realtà tale documento rappresentava la
fotocopia del verbale di presa visione dello
stato dei luoghi. Avverso tale esclusione la
ricorrente proponeva ricorso.
Il TAR adito confermava la legittimità
dell'operato della commissione e di
conseguenza rigettava il ricorso.
Avverso la sentenza, la ricorrente proponeva
appello al Consiglio di Stato. Il Consiglio
di Stato, dopo aver ribadito che
l'indicazione del documento di identità nel
verbale di gara era stata determinata da un
mero errore materiale della commissione,
circostanza confermata anche dalla
documentazione acquisita agli atti del
giudizio di 1° grado, ha chiarito che “[...]si
deve rilevare che la mancanza della
prescritta fotocopia del documento di
identità non è stata certificata dalla nota
del segretario della commissione, ma già
dalla commissione stessa nella sua
responsabilità collegiale asseverata nel
verbale n. 5 del 05.03.2007, che è atto
anch'esso facente fede, formato
nell'esercizio della attività propria della
Commissione di accertamento della regolarità
del procedimento ad essa affidato, e perciò
di doverosa revisione dei relativi
presupposti, non contestato con querela di
falso, neppure essendo stata prodotta
dall'appellante alcuna prova contraria a
fronte della documentazione acquisita in
sede istruttoria. Sotto tale profilo, il
Collegio ritiene di dover precisare che:
- il verbale redatto dalla commissione di
gara fa fede fino a querela di falso delle
operazioni effettuate da essa, in relazione
alla constatazione degli atti e dei
documenti inseriti dalle partecipanti alla
gara nelle relative buste;
- qualora la medesima commissione constati
di aver redatto il verbale sulla base di
erronei accertamenti o comunque di errori di
fatto, in coerenza col principio di legalità
essa stessa può constatare l'accaduto e
redigere un verbale (che a sua volta fa fede
fino a querela di falso), il quale spieghi
le circostanze emerse e adotti le relative
determinazioni.
In altri termini, la commissione ben può
prevenire la proposizione di contestazioni e
di ricorsi, constatando i propri precedenti
errori di percezione e redigendo l'ulteriore
verbale con cui sia ripristinata la legalità”.
Dopo aver affrontato tale questione il
Consiglio di Stato, richiamando la costante
giurisprudenza amministrativa, ha chiarito
come la mancata allegazione, alla
dichiarazione sostitutiva, della copia del
documento di identità del sottoscrittore,
rende l'atto nullo per difetto di una forma
essenziale stabilita dalla legge, e tale
omissione, non integrando una mera
irregolarità, non è suscettibile di
correzione per mero errore materiale
(commento tratto da
www.immobili24.ilsole24ore.com - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
RIFIUTI - Gestione dei rifiuti -
Materiali provenienti da demolizioni -
Assoggettamento a disposizioni più
favorevoli - Dimostrazione della sussistenza
di tutti i presupposti di legge - Necessità.
In tema di gestione dei rifiuti, i materiali
provenienti da demolizioni rientrano nel
novero dei rifiuti in quanto oggettivamente
destinati all'abbandono, l'eventuale
recupero è condizionato a precisi
adempimenti, in mancanza dei quali detti
materiali vanno considerati, comunque, cose
di cui il detentore ha l'obbligo di
disfarsi.
L'eventuale assoggettamento di detti
materiali a disposizioni più favorevoli che
derogano alla disciplina ordinaria implica
la dimostrazione, da parte di chi lo invoca,
della sussistenza di tutti i presupposti
previsti dalla legge.
RIFIUTI - Sottoprodotti
- Regime gestionale in condizioni di favore
- Sussistenza delle condizioni, criteri e
requisiti indicate dalla norma.
La norma riguardante i sottoprodotti è una
disciplina che prevede l'applicazione di un
diverso regime gestionale in condizioni di
favore, con la conseguenza che l'onere di
dimostrare l'effettiva sussistenza di tutte
le condizioni di legge incombe comunque su
colui che l'invoca.
Pertanto, la sussistenza delle condizioni,
criteri e requisiti indicate dalla norma per
i sottoprodotti, deve essere contestuale e,
anche in mancanza di una sola di esse, il
residuo rimane soggetto alle disposizioni
sui rifiuti (Cass. Sez. III n. 47085,
19/12/2008) (Corte di Cassazione, Sez. III
penale,
sentenza 29.04.2011 n. 16727 -
link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Autorizzazioni paesistiche -
Controllo di legittimità - Competenza -
Direttore generale.
La competenza circa il controllo di
legittimità sulle autorizzazioni paesistiche
rilasciate dagli enti locali è validamente
incardinata nel direttore generale, sulla
base dell’ordinamento interno degli uffici
ministeriali. Il fatto che l’art. 82, comma
9, del DPR 616/1977 indichi quale titolare
del potere direttamente il ministro è del
tutto irrilevante. In un testo normativo
dedicato al trasferimento di funzioni
amministrative dallo Stato alle regioni
l’utilizzo di richiami alla figura del
ministro non identifica infatti la carica
politica ma semplicemente l’amministrazione
statale in contrapposizione a quella
regionale.
Autorizzazione
paesaggistica - Caratteristiche igienico
sanitarie degli edifici - Rilevanza -
Esclusione.
Il fatto che la costruzione si presenti
esteticamente sgradevole per la scarsa
qualità dei materiali impiegati non può
avere importanza decisiva nell’esame
paesistico, in quanto il vincolo riguarda la
concatenazione delle forme che si presentano
alla vista e non le caratteristiche
igienico-sanitarie degli edifici
singolarmente considerati (v. TAR Brescia
Sez. I 17.01.2011 n. 73).
La sanatoria paesistica non può quindi
essere negata se la costruzione, pur non
pregevole in sé, esercita un impatto
limitato rispetto al contesto; d’altra parte
il Comune, anche su segnalazione della
Soprintendenza, può comunque formulare
prescrizioni che impongano il risanamento
degli edifici oggetto di sanatoria, in modo
da renderli conformi al regolamento locale
di igiene (TAR Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 29.04.2011 n. 654 - link
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EDILIZIA PRIVATA:
Demolizione in tema di
violazioni antisismiche - Esecuzione e
competenza (P.M. e G.E.) - Art. 7 L.
n. 47/1985 (ora art. 31 D.P.R. n. 380/2001) -
Art. 665 cod. proc. pen..
L'ordine di
demolizione adottato dal giudice ai sensi
dell'art. 7 legge 28.02.1985 n. 47 (ora
art. 31 DPR n. 380/2001), al pari delle altre
sanzioni contenute nella sentenza
definitiva, è soggetto all'esecuzione nelle
forme previste dal codice di procedura
penale (Cass. pen. sez. un. n. 15 del
19.06.1990).
Ai sensi dell'art. 665 cod. proc. pen.,
l'organo promotore dell'esecuzione è il
pubblico ministero il quale, ove il
condannato non ottemperi all'ingiunzione a
demolire, è tenuto ad investire, per la
fissazione delle modalità di esecuzione, il
giudice dell'esecuzione.
La competenza ad eseguire detto ordine
appartiene al pubblico ministero, come
organo promotore, ed al giudice della
esecuzione. E tale competenza, non viene
meno per la competenza riconosciuta alla
Regione in tema di violazioni antisismiche.
Ordine di demolizione
- Potere-dovere della A.G. con quello della
P.A. - Sussistenza - Valutazioni del G.E. di
compatibilità con le determinazioni
dell'Amministrazione - Art. 31 DPR n. 380/2001.
In relazione all'ordine di demolizione ex
art. 7 legge 28.02.1985 n. 47 (ora
art. 31 DPR n. 380/2001), si è costantemente
riconosciuto che il potere-dovere della A.G.
"concorre" con quello della P.A. titolare
anch'essa, in base alla normativa
urbanistica, del potere dovere di demolire
il manufatto abusivo ovvero di acquisirlo al
proprio patrimonio.
Il coordinamento tra
l'intervento specifico giudiziario e quello
generale, di carattere amministrativo si
realizza non già a livello dei rispettivi
poteri, bensì nella fase esecutiva dei
provvedimenti, spettando al giudice
dell'esecuzione valutare la compatibilità
del provvedimento di demolizione con le
determinazioni dell'Amministrazione, al fine
di decidere se vi siano i presupposti per
metterlo in esecuzione e con quali modalità
(Cass. pen. sez. 3 n. 702 del 14.02.2000).
Ordine di demolizione -
Soggetto destinatario dell’ordine ed
acquisizione del bene al patrimonio
comunale.
A prescindere dall’acquisizione
del bene al patrimonio comunale, il soggetto
condannato resta comunque il destinatario
dell’ordine di demolizione, con conseguente
onere da parte del medesimo di dare
esecuzione, nelle forme di rito, all’ordine
di demolizione a proprie cure e spese (Cass. pen. Sez. 3, n. 43294 del 29.09.2005; Cass. pen. sez. 3 n. 37120 dell'11.5.2005).
Ordine di demolizione -
Esecuzione.
La competenza ad eseguire
l'ordine di demolizione emesso dal giudice
ai sensi dell'articolo 31 D.P.R. n. 380/2001
appartiene al pubblico ministero, come
organo promotore, ed al giudice
dell'esecuzione.
Tale competenza, non viene
meno per la concorrente competenza
riconosciuta alla Regione in tema di
violazioni antisismiche (Corte di Cassazione, Sez. III
penale,
sentenza 28.04.2011 n. 16582 -
link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
INQUINAMENTO ELETTROMAGNETICO -
Impianti di telecomunicazione - L.r.
Lombardia n. 11/2001, art. 7, c. 9, -
Aumento della potenza di emissione - Nuovo
procedimento autorizzativo.
In tema di impianti di telecomunicazione, il
“nuovo procedimento autorizzativo” di
cui all’art. 7, c. 9, della L.r. Lombardia
n. 11/2001 è richiesto non per qualunque
modifica degli impianti esistenti, ma solo
per quelle modifiche che si risolvano in un
“aumento”, quale che ne sia l’entità,
della “potenza di emissione”.
La norma regionale non distingue in base
alla misura dell’incremento di potenza di
cui si ragiona, con valutazione che rientra
senz’altro nell’ampia discrezionalità del
legislatore.
La modifica di un impianto esistente in caso
di aumento di potenza, non può pertanto
essere apprezzata come opera di manutenzione
ordinaria, non soggetta ad autorizzazione
alcuna.
INQUINAMENTO
ELETTROMAGNETICO - Misure di minimizzazione
di cui all’art. 8, c. 6, L. n. 36/2001 -
Estensione.
L’art. 8, c. 6, della legge quadro in
materia di protezione dalle esposizioni a
campi elettrici, magnetici ed
elettromagnetici (L. 22.02.2001 n. 36)
prevede “misure di minimizzazione”,
che quindi non possono tradursi in limiti
generalizzati di esposizione diversi da
quelli previsti dallo Stato ovvero
costituire deroga generalizzata a tali
limiti, ma devono tradursi in specifiche e
diverse misure, la cui idoneità emerga dallo
svolgimento di compiuti e approfonditi
rilievi istruttori sulla base di risultanze
di carattere scientifico (C.d.S. sez. VI
15.07.2010 n. 4557).
Dette misure non possono in particolare
essere incompatibili con la possibilità di
realizzare una rete completa di
infrastrutture per la telecomunicazione e
debbono tener conto della nozione di "rete
di telecomunicazione”, che richiede una
diffusione capillare sul territorio, e del
fatto che l'assimilazione in via normativa
delle infrastrutture di reti pubbliche di
telecomunicazione alle opere di
urbanizzazione primaria, implica che le
medesime non siano avulse dall'insediamento
abitativo, ma debbano porsi al servizio
dello stesso.
INQUINAMENTO
ELETTROMAGNETICO - Impianti radiobase di
potenza inferiore a 300 W - Art. 4, c. 7,
L.r. Lombardia n. 11/2001 - Regolamentazione
urbanistica - Facoltà.
In forza dell’art. 4, c. 7, della L.r.
Lombardia n. 11/2001, non è necessaria una
regolamentazione urbanistica specifica per
gli impianti radiobase per telefonia mobile
di potenza inferiore a 300 W; la norma non
intende tuttavia proibirla, e fa quindi
salvo l’esercizio, da parte dei Comuni,
delle competenze loro proprie (TAR
Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 22.04.2011 n. 618 - link
a www.ambientediritto.it). |
URBANISTICA: I
vincoli espropriativi sono preordinati
all'esproprio dei beni di proprietà privata
per la realizzazione delle opere pubbliche
oggetto di localizzazione e comportano una
totale inedificabilità; a detti sono
assimilabili i vincoli che, pur non
importando il trasferimento coattivo del
bene, incidono in maniera pesante sul
godimento dello stesso tanto da renderlo
inutilizzabile in rapporto alla sua naturale
destinazione ovvero ne fanno venir meno il
suo valore di scambio.
I vincoli conformativi, invece, incidono
sulla proprietà privata funzionalizzando o
limitando la stessa a motivi di interesse
generale, che hanno validità temporale
indeterminata e non sono indennizzabili;
essi attengono ad una politica
amministrativa programmatoria che regola la
relazione tra i beni e gli interessi
pubblici. Laddove, poi, sia consentito anche
ad una iniziativa del proprietario la
realizzazione di opere o strutture intese al
godimento del bene e, dunque, permanga
l'utilizzabilità dell'area rispetto alla sua
naturale destinazione, il vincolo non può
ritenersi idoneo né ad escludere in capo al
privato l'utilizzabilità del bene, né ad
azzerarne o ridurne in modo decisivo il
valore di scambio.
Si osserva che i vincoli espropriativi sono
preordinati all'esproprio dei beni di
proprietà privata per la realizzazione delle
opere pubbliche oggetto di localizzazione e
comportano una totale inedificabilità; a
detti sono assimilabili i vincoli che, pur
non importando il trasferimento coattivo del
bene, incidono in maniera pesante sul
godimento dello stesso tanto da renderlo
inutilizzabile in rapporto alla sua naturale
destinazione ovvero ne fanno venir meno il
suo valore di scambio.
I vincoli conformativi, invece, incidono
sulla proprietà privata funzionalizzando o
limitando la stessa a motivi di interesse
generale, che hanno validità temporale
indeterminata e non sono indennizzabili;
essi attengono ad una politica
amministrativa programmatoria che regola la
relazione tra i beni e gli interessi
pubblici. Laddove, poi, sia consentito anche
ad una iniziativa del proprietario la
realizzazione di opere o strutture intese al
godimento del bene e, dunque, permanga
l'utilizzabilità dell'area rispetto alla sua
naturale destinazione, il vincolo non può
ritenersi idoneo né ad escludere in capo al
privato l'utilizzabilità del bene, né ad
azzerarne o ridurne in modo decisivo il
valore di scambio.
Sono, infatti, "fuori dallo schema
ablatorio-espropriativo con le connesse
garanzie costituzionali ... i vincoli che
importano una destinazione (anche di
contenuto specifico) realizzabile ad
iniziativa privata o promiscua
pubblico-privata, che non comportino
necessariamente espropriazione od interventi
di esclusiva iniziativa pubblica e, quindi,
siano attuabili anche dal soggetto privato e
senza necessità di previa ablazione del bene",
pur se accompagnati da strumenti di
convenzionamento (Corte Cost. 179/1999,
15616/2007)
(TRIBUNALE di Bergamo,
sentenza 02.04.2011 n. 854). |
EDILIZIA PRIVATA:
Realizzazione in zona a verde
agricolo di una strada posta al servizio di
un nuovo immobile a destinazione
residenziale, nel caso in cui la normativa
regionale consenta esclusivamente la
realizzazione di opere funzionali alla
conduzione del fondo agricolo.
Ove una disposizione normativa regionale
preveda espressamente che nelle zone
agricole possono realizzarsi esclusivamente
opere funzionali alla conduzione del fondo
agricolo e, pertanto, limiti gli interventi
in tali zone non solo dal punto di vista
della realizzazione di volumetria fruibile,
ma anche in relazione a qualsiasi tipo di
attrezzatura o infrastruttura che possa
comunque incidere sulla copertura della
superficie, deve ritenersi che anche
l’intervento consistente nella realizzazione
di una strada, debba essere subordinato e/o
possa essere assentito all’esito positivo
della preventiva verifica della effettiva
necessità della medesima strada per la
conduzione del fondo; in tal caso, pertanto,
è legittimo il provvedimento con il quale
l’ente locale ha evidenziato la non
compatibilità con la destinazione agricola
della zona, di una strada costruita per
essere posta al servizio di un nuovo
immobile a destinazione residenziale, non
sussistendo alcun collegamento tra l’opera
realizzata e la funzionalizzazione imposta
dalla norma regionale (1).
---------------
(1) Nella motivazione della sentenza in
rassegna si ammette lealmente che, secondo
il più diffuso orientamento
giurisprudenziale, "non può riconoscersi
incompatibilità –e pertanto non occorre la
preventiva approvazione di una variante– fra
la destinazione a zona agricola contenuta in
uno strumento urbanistico e la costruzione
di una strada che l’attraversi, qualora la
destinazione specifica non sia alterata e
turbata" (cfr. Cons. Stato, sez. IV,
09.12.1983 n. 907; TAR Sicilia-Catania,
18.11.1987, n. 1395), sebbene tale
impostazione conti anche decisioni in senso
contrario (si veda TAR Campania-Napoli, sez.
V, 11.09.2001, n. 4102).
Tuttavia, il criterio generale, di carattere
interpretativo, non può trovare applicazione
ove questo venga a scontrarsi con espresse
previsioni normative in senso opposto.
Nella specie infatti era applicabile (ratione
temporis), la legge regionale della
Lombardia 07.06.1980, n. 93 recante "Norme
in materia di edificazione nelle zone
agricole", che all’art. 2, comma 1,
recita: "In tutte le aree destinate dagli
strumenti urbanistici generali a zona
agricola sono ammesse esclusivamente le
opere realizzate in funzione della
conduzione del fondo e destinate alle
residenze dell'imprenditore agricolo e dei
dipendenti dell'azienda, nonché alle
attrezzature e infrastrutture produttive
quali stalle, silos, serre, magazzini,
locali per la lavorazione e la conservazione
e vendita dei prodotti agricoli secondo i
criteri e le modalità previsti dal
successivo art. 3".
Lo stesso articolo, al comma 3, precisa: "Nel
computo dei volumi realizzabili non sono
conteggiate le attrezzature e le
infrastrutture produttive di cui al comma 1°
del presente articolo, le quali non sono
sottoposte a limiti volumetrici; esse
comunque non possono superare il rapporto di
copertura del 10% dell'intera superficie
aziendale, salvo che per le serre per le
quali tale rapporto non può superare il 40%
della predetta superficie".
Dalla lettura della norma, secondo la
sentenza in rassegna, appare palese
l’attenzione del legislatore a limitare gli
interventi nelle aree agricole non solo dal
punto di vista della realizzazione di
volumetria fruibile, ma anche in relazione a
qualsiasi tipo di attrezzatura o
infrastruttura che possa comunque incidere
sulla copertura della superficie. In questa
ottica, anche una strada, sebbene tipologia
di intervento non indicata nella casistica
non esaustiva del comma 1, va certamente
fatta ricadere nella tipologia di opere ivi
regolate (massima tratta da
www.regione.piemonte.it - Consiglio di
Stato, Sez. IV,
sentenza 01.04.2011 n. 2041 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Accesso ai documenti - Enti
locali - Modalità di esercizio - Artt. 22 e
segg. L. n. 241 del 1990 - Si applicano -
Ragioni.
L’articolo 10 del Dlgs 18.08.2000, n. 267 (e
prima di esso l’articolo 7 della legge
08.06.1990, n. 142) contiene una deroga
all’articolo 24 della legge 07.08.1990, n.
241, ma non alle disposizioni di cui al
successivo articolo 25; pertanto, per quanto
riguarda i requisiti di accoglimento della
domanda di accesso ad atti delle
amministrazioni locali non sussiste alcuna
ragione per discostarsi da quelli contenuti
nella disciplina generale di cui agli
articoli 22 e seguenti della legge
07.08.1990, n. 241, che richiedono la
motivazione dell’istanza con riguardo alla
sussistenza di un interesse diretto,
concreto e attuale, corrispondente a una
situazione giuridicamente tutelata e
collegata al documento al quale è chiesto
l’accesso.
Accesso ai documenti -
Enti locali - Potere regolamentare - Natura
e funzione.
Il potere riconosciuto all’amministrazione
locale, ai sensi dell’articolo 7, comma 3,
della legge 08.06.1990, n. 142, e del
successivo articolo 10, comma 2, del Dlgs
18.08.2000, n. 267, di disciplinare in
concreto il diritto di accesso ai propri
atti, non si configura come potere normativo
libero e autonomo, derogatorio dei princìpi
generali in materia, bensì si colloca
armonicamente come strumentale
all’applicazione dei principi fondamentali
della materia (nel rispetto, quindi, del
fondamentale rispetto del principio di
legalità cui è subordinato l’esercizio del
potere regolamentare), essendo espressamente
diretto ad assicurare ai cittadini, singoli
e associati, il diritto di accesso ai
documenti attraverso la disciplina del
rilascio delle copie di atti previo
pagamento dei soli costi; individuando,
anche attraverso norme di organizzazione,
gli uffici e i servizi e i responsabili del
procedimento; dettando le norme per
assicurare ai cittadini l’informazione sugli
atti, procedure e provvedimenti che li
riguardano e in generale l’accesso alle
informazioni in possesso dell’informazione.
Accesso ai documenti -
Modalità di esercizio - Presupposto
legittimante - Interesse all’accesso -
Nozione.
La nozione di interesse all’accesso ai
documenti amministrativi è diversa e più
ampia di quella dell’interesse
all’impugnativa, non presupponendo
necessariamente una posizione soggettiva
qualificabile come diritto soggettivo o
interesse legittimo, in quanto la
legittimazione all’accesso può essere
riconosciuta a chi possa dimostrare che gli
atti -anche procedimentali- richiesti
abbiano spiegato o siano idonei a spiegare
effetti diretti o indiretti nei suoi
confronti, indipendentemente dalla lesione
di una posizione giuridica, stante
l’autonomia del diritto di accesso, inteso
come interesse a un bene della vita distinto
rispetto a quello relativo alla situazione
legittimante eventualmente l’impugnativa
dell’atto (massima tratta da Diritto e
Pratica Amministrativa n. 5/2011 -
Consiglio
di Stato, Sez. V,
sentenza 24.03.2011 n. 1772 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI: La
classificazione ufficiale delle strade ha
efficacia presuntiva e dichiarativa, ma non
costitutiva della pubblicità o meno del
passaggio.
Una strada può rientrare nella nozione di
strada vicinale di uso pubblico quando
sussistono alcuni elementi, quali:
- le condizioni effettive della via, atte a
dimostrare la sussistenza dei requisiti del
generale passaggio, direttamente collegato e
non limitato da vincoli di proprietà o
condominio, nonché esercitato “iure
servitutis publicae” da una collettività
indeterminata di persone in assenza di
restrizioni all’accesso;
- la concreta idoneità della strada a
soddisfare, attraverso il collegamento anche
indiretto alla pubblica via, esigenze di
interesse generale;
- la sussistenza di titoli validi ad
affermare il diritto di uso pubblico,
identificabili anche nella protrazione
dell'uso stesso da tempo immemorabile;
- l’effettuazione di interventi di
manutenzione della via o l’installazione
sopra o sotto di essa di infrastrutture di
servizio da parte dell’ente pubblico.
Ai sensi dell’art. 20 della L. 20/03/1865,
n. 2248, parte 2^, la classificazione
ufficiale delle strade ha efficacia
presuntiva e dichiarativa, ma non
costitutiva della pubblicità o meno del
passaggio.
Al riguardo deve ricordarsi come una strada
può rientrare nella nozione di strada
vicinale di uso pubblico quando sussistono
alcuni elementi, quali:
- le condizioni effettive della via, atte a
dimostrare la sussistenza dei requisiti del
generale passaggio, direttamente collegato e
non limitato da vincoli di proprietà o
condominio, nonché esercitato “iure
servitutis publicae” da una collettività
indeterminata di persone in assenza di
restrizioni all’accesso;
- la concreta idoneità della strada a
soddisfare, attraverso il collegamento anche
indiretto alla pubblica via, esigenze di
interesse generale;
- la sussistenza di titoli validi ad
affermare il diritto di uso pubblico,
identificabili anche nella protrazione
dell'uso stesso da tempo immemorabile;
- l’effettuazione di interventi di
manutenzione della via o l’installazione
sopra o sotto di essa di infrastrutture di
servizio da parte dell’ente pubblico
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 24.02.2011 n. 1240 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
CONSIGLIERI COMUNALI:
Amministratori locali - Obbligo
di astensione - Ex art. 78 Dlgs n. 267 del
18.08.2000 - Sussistenza – Accertamento e
valutazione - Fattispecie.
L’obbligo dell’amministratore pubblico di
astenersi dal prendere parte alla
discussione e alla votazione relativamente
agli atti a carattere generale (quali gli
strumenti urbanistici) nei casi in cui
sussista una correlazione immediata e
diretta fra il contenuto della deliberazione
e specifici interessi dell’amministratore o
di parenti o affini fino al quarto grado, in
base al disposto dell’art. 78 del Dlgs n.
267 del 18.08.2000, sorge per il solo fatto
che l’amministratore rivesta una posizione
suscettibile di determinare, anche in
astratto, un conflitto di interesse, a nulla
rilevando che lo specifico fine privato sia
stato o meno realizzato e che si sia
prodotto o meno un concreto pregiudizio per
la PA; la sussistenza di tale obbligo è
agevolmente accertabile in caso di adozione
di piani attuativi (e di loro varianti:
nella specie si tratta di piano esecutivo
convenzionato) e deve essere verificato
prima che inizi la discussione sul progetto
proposto (massima tratta da Diritto e
Pratica Amministrativa n. 4/2011 -
Consiglio
di Stato, Sez. IV,
sentenza 28.01.2011 n. 693 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
Piani esecutivi convenzionati -
Varianti - Presupposti - Consenso unanime
dei proprietari convenzionati - Necessità.
Gli impegni assunti dai privati in una
convenzione di lottizzazione deve essere
ricostruita in termini di accordo
sostitutivo del provvedimento di cui
all’art. 11, L. n. 241 del 07.08.1990, la
cui natura negoziale richiede, per la loro
modifica, la manifestazione di volontà di
tutti i soggetti che hanno concorso alla
loro formazione, ivi compresi, ovviamente,
anche i soggetti privati che, pur non
essendo proprietari dei lotti incisi dalla
variante, hanno proposto il piano e hanno
sottoscritto la relativa convenzione
urbanistica; a identica regola soggiacciono,
nella regione Piemonte, i piani esecutivi
convenzionati, indipendentemente dalla
regola fissata dall’art. 5, comma 4, L.reg.
n. 18 del 1996, che richiede invece un
consenso meramente maggioritario, per di più
nel caso in cui la stessa convenzione
prescriva (come nel caso in esame)
l’unanimità dei consensi per ogni variazione
delle previsioni di piano (massima tratta da
Diritto e Pratica Amministrativa n. 4/2011 -
Consiglio
di Stato, Sez. IV,
sentenza 28.01.2011 n. 693 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Responsabilità - Danno alla
concorrenza - Definizione
La violazione delle regole della concorrenza
e della trasparenza, lesiva dei principi
tutelati dagli artt. 41 e 97 Cost. e dalla
L. 241/1990, realizza un vulnus
all’obbligo di servizio del funzionario
preposto alla gestione della procedura
concorsuale e, cioè, il c.d. “danno alla
concorrenza”.
Ciò in quanto i valori dell’economicità,
dell’efficacia e dell’efficienza
dell’attività amministrativa rappresentano,
ormai, i profili di maggior rilievo della
legalità sostanziale del sistema
giuscontabile e, in relazione a essi, non è
più consentito omettere un minimo di
confronto concorrenziale per qualsiasi
procedura contrattuale a oggetto pubblico.
Appalti pubblici -
Lavori di completamento di una precedente
opera (secondo lotto) - Unicum inscindibile
dalla primigenia parte.
Qualora i lavori oggetto di un appalto
pubblico concernano il mero completamento di
una precedente opera, trattandosi di un
secondo lotto, essi devono essere
considerati un unicum inscindibile con
quelli di cui alla primigenia parte, sia ai
fini della determinazione della soglia di
rilevanza comunitaria, sia
-conseguentemente- in ordine all’eventuale
ammissibilità del ricorso alla trattativa
privata, in base a quanto previsto dall’art.
24,L. 109/1994 (ora confluito nell’art. 57,
Dlgs. 163/2006).
Appalti pubblici -
Responsabilità dei dirigenti - Nel caso di
attuazione dell’illegittimo indirizzo della
Giunta - Sussiste.
Ai sensi dell’art. 107 del Dlgs 267 del
2000, spettano ai dirigenti la direzione
degli uffici e servizi, nonché tutti i
compiti compresa l’adozione di atti
amministrativi, tra cui la responsabilità
delle procedure di appalto e di concorso.
Non vale, quindi, a escludere la
responsabilità del funzionario posto al
vertice del pertinente settore comunale la
circostanza di essersi costui limitato a
seguire l’illegittimo indirizzo dato in
proposito dalla Giunta con apposito atto
generale, potendo quest’ultimo soltanto
fungere da indicazione di massima, giammai
peraltro prevalente sul contrario dettato
legislativo (massima tratta da Diritto e
Pratica Amministrativa n. 5/2011 - Corte dei
Conti, Sez. giurisdiz. Abruzzo,
sentenza 20.01.2011 n. 23 - -
link a www.corteconti.it).
---------------
ATTENZIONE:
celarsi dietro al paravento "... me l'ha
detto la Giunta (o Sindaco che sia)" non
serve a niente!!
Dare attuazione ad un illegittimo indirizzo
da parte della Giunta Comunale non mette al
riparo da ipotetici danni da pagare di tasca
propria.
E' proprio il caso di ricordare il detto
popolare: "Uomo avvisato mezzo salvato!!". |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Finanze e tributi - Norma
tributaria - Soluzione di questioni
interpretative - Circolare
dell'amministrazione finanziaria -
Vincolatività per il contribuente -
Esclusione - Natura dell'atto - Semplice
parere - Impugnabilità di fronte al giudice
tributario - Esclusione.
La circolare emanata dall'amministrazione
finanziaria in materia fiscale non vincola
il contribuente, che resta libero di non
adottare un comportamento a essa uniforme,
in coerenza con il sistema tributario basato
sull'autotassazione che, nella fase di
determinazione dell'imposta, lascia al
contribuente stesso la soluzione delle
questioni interpretative.
La circolare nemmeno vincola gli uffici
gerarchicamente sottordinati che ben possono
disattenderla senza che per tale ragione
l'eventuale provvedimento adottato sia da
ritenersi illegittimo. La circolare, poi,
non vincola nemmeno l'amministrazione stessa
che l'ha emanata, che è infatti libera di
modificare, correggere e disattendere
l'interpretazione adottata.
Infine, la circolare non è vincolante né per
il giudice tributario, né a maggior ragione
per la Corte di cassazione, in quanto per
annullare un atto impositivo emanato in base
all'interpretazione fornita nell'atto
interno dall'amministrazione non dovrà
essere disapplicata la circolare, poiché
l'ordinamento affida solo al giudice la
competenza d'interpretare la legge.
Giurisdizione - Difetto
di giurisdizione - Difetto assoluto di
giurisdizione - Circolare dell'agenzia delle
entrate - Atto privo di forza normativa.
Deve essere escluso che le circolari
esplicative emanate in ambito tributario
possano assumere natura ed efficacia di atto
normativo, essendo provvedimenti dotati di
efficacia meramente interna e destinati ad
assumere ruolo di direttiva impartita agli
uffici gerarchicamente subordinati (Corte di
Cassazione, Sezz. Unite Civile, sentenza
02.11.2007 n. 23031 - massima tratta da
www.diritto24.ilsole24ore.com). |
EDILIZIA PRIVATA:
Contravvenzioni - Sanatoria
edilizia - Sospensione del procedimento.
In materia di reati edilizi, la sospensione
di cui all'art. 44 della legge 28.02.1985,
n. 47 non è automatica e non va
astrattamente applicata a tutti i
procedimenti per reati urbanistici
astrattamente interessati al condono, ma
solo a quelli aventi ad oggetto opere che
abbiano oggettivamente i requisiti per la
condonabilità ex art. 32 del D.L. 30.09.2003
n. 269 (nel caso di specie l'opera
abusiva non risultava suscettibile di
sanatoria, in quanto nuova costruzione di
tipo non-residenziale, realizzata in assenza
del titolo abilitativo) (Corte di
Cassazione, Sez. III penale, sentenza
07.05.2004 n. 21679 - massima tratta da
www.diritto24.ilsole24ore.com). |
AGGIORNAMENTO AL 18.05.2011 |
ã |
NOVITA' NEL
SITO |
Bottone "CONVEGNI"
n. 1 giornata di studio a Bergamo (ingresso libero) per il 31 maggio
2011 organizzata dal portale PTPL. TERMINE DI
ISCRIZIONE: VENERDI' 27.05.2011.
N.B.: leggere attentamente le istruzioni riportate nella
locandina. |
NOTE,
CIRCOLARI E COMUNICATI |
URBANISTICA:
Oggetto: Individuazione delle Autorità
per la procedura di valutazione ambientale
VAS della variante 2 al Piano di Governo del
Territorio del Comune di ... (Regione
Lombardia, Direzione Generale Territorio e
Urbanistica, Programmazione e Pianificazione
Territoriale, Strumenti per il Governo del
Territorio,
nota 11.05.2011 n. 13303 di prot.).
---------------
Ancora una censura sull'operato di
un'Amministrazione Comunale lombarda,
nell'ambito di un procedimento di variante
al vigente P.G.T., laddove in materia di VAS:
- è stato individuato il Sindaco quale
Autorità procedente (comune con più di
5.000 abitanti);
- è stato individuato il tecnico comunale di
altro comune quale Autorità competente. |
DOTTRINA E
CONTRIBUTI |
EDILIZIA PRIVATA:
N. Durante,
Il procedimento autorizzativo per la
realizzazione di impianti alimentati da
fonti energetiche rinnovabili: complessità e
spunti di riflessione, alla luce delle
recenti linee guida nazionali
(link a www.giustizia-amministrativa.it). |
UTILITA' |
APPALTI -
ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA:
In merito al cosiddetto "decreto sviluppo"
(D.L.
13.05.2011 n. 70) si legga anche
l'interessante
relazione di accompagnamento al
decreto-legge per la relativa conversione in
legge al fine di poter comprendere appieno
la ratio dell'articolato. |
AUTORITA'
VIGILANZA CONTRATTI PUBBLICI |
APPALTI: Non
può essere imposto al concorrente l'obbligo
di acquistare, a pena di esclusione dalla
gara, la documentazione inerente l'appalto.
L'unica forma di partecipazione consentita è
il rimborso delle spese di riproduzione
della documentazione di gara. Relativamente
a quest’ultimo aspetto, peraltro, la
richiesta del rimborso dei costi sostenuti
dalla pubblica amministrazione per il
rilascio delle suddette copie, deve essere
conforme alla normativa generale in materia
di accesso alla documentazione
amministrativa di cui alla legge 07.08.1991,
n. 241.
Ai sensi dell’articolo 25 della sopra citata
legge, infatti, il rilascio delle copie dei
documenti è subordinato soltanto al rimborso
del costo di riproduzione. Ne consegue che
stabilire forfettariamente un rimborso spese
a carico del concorrente, svincolandolo
dall’effettivo costo di riproduzione degli
elaborati, costituisce un ostacolo alla
libera partecipazione agli appalti da parte
degli operatori economici.
---------------
Sia la scelta del criterio più idoneo per
l'aggiudicazione di un appalto (tra quello
dell'offerta economicamente più vantaggiosa
e quello del prezzo più basso), sia la
scelta dei criteri più adeguati (tra quelli
esemplificativamente indicati dall'art. 83
del D.Lgs. n. 163/2006) per l'individuazione
dell'offerta economicamente più vantaggiosa,
costituiscono espressione tipica della
discrezionalità della stazione appaltante e,
impingendo nel merito dell'azione
amministrativa, sono sottratte al sindacato
di legittimità del giudice amministrativo,
tranne che, in relazione alla natura,
all'oggetto e alle caratteristiche del
contratto, non siano manifestamente
illogiche, arbitrarie ovvero
macroscopicamente viziate da travisamento di
fatto (cfr. in tal senso ex plurimis
Consiglio Stato, sez. V, 19.11.2009, n.
7259; TAR Lazio, Roma, sez. III, 29.04.2009,
n. 4396)
(parere di
precontenzioso 20.10.2010 n. 187 - link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI: In
sede di sub-procedimento di verifica di cui
all'articolo 48, comma 1, del D.Lgs. n.
163/2006, è necessario che l'operatore
economico dimostri con la documentazione di
supporto esclusivamente quanto dichiarato in
sede di partecipazione alla gara,
relativamente al possesso dei requisiti
minimi, non potendo presentare nuovi e
diversi elementi rispetto a quelli già
indicati in gara, a prescindere dalla
circostanza che la documentazione prodotta
supporti l'effettivo possesso dei requisiti
minimi richiesti dal bando.
Infatti, il legislatore, nel prevedere
espressamente la corrispondenza fra quanto
dichiarato e quanto dimostrato, ha voluto
garantire la par condicio dei partecipanti
alla procedura di gara e tutelare la
stazione appaltante sul fatto che il
concorrente interessato dal procedimento di
verifica sia in possesso dei requisiti
richiesti per la partecipazione alla gara
alla data della pubblicazione del bando di
gara (cfr. determinazione dell’Autorità del
21.05.2009, n. 5)
(parere di
precontenzioso 20.10.2010 n. 186 - link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI: Nel
caso in cui dalla documentazione di gara,
per errore commesso nella predisposizione
dei modelli di dichiarazione, non vi sia
alcun riferimento alle dichiarazioni
previste dalle lettere m-bis), m-ter),
m-quater) dell'art. 38 del D.Lgs. n.
163/2006, introdotte dalle ultime modifiche
legislative, la stazione appaltante medesima
non è legittimata ad escludere
automaticamente i concorrenti che non
abbiano prodotto le citate dichiarazioni,
non richieste nella lex specialis né
annoverate nel predisposto schema di istanza
di partecipazione allegato al bando di gara,
sussistendo semmai, nella fattispecie in
esame, le condizioni per procedere alla
richiesta di un’integrazione documentale.
Ciò in ragione del fatto che la tutela
dell’affidamento e la correttezza
dell’azione amministrativa impediscono che
le conseguenze di una condotta colposa della
stazione appaltante possano essere traslate
a carico del soggetto concorrente,
comminando la sanzione dell’esclusione dalla
gara
(parere di
precontenzioso 20.10.2010 n. 185 - link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI: Qualora
il bando commini espressamente l’esclusione
dalla gara in conseguenza di determinate
prescrizioni, l’Amministrazione è tenuta a
dare precisa ed incondizionata esecuzione a
dette prescrizioni, restando preclusa
all’interprete ogni valutazione circa la
rilevanza dell’inadempimento, la sua
incidenza sulla regolarità della procedura
selettiva e la congruità della sanzione
contemplata nella lex specialis, alla
cui osservanza la stessa Amministrazione si
è autovincolata al momento del bando (cfr.,
ex multis, pareri n. 215 del
17.09.2008 e n. 262 del 17.12.2008).
Ciò va ribadito in specie laddove la
clausola sia chiaramente evidenziata
nell’ambito della lex specialis,
nonché formulata in termini letterali che
non presentano profili di dubbio
interpretativo
(parere di
precontenzioso 20.10.2010 n. 184 - link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI: Lo
scopo delle limitazioni temporali
all’accesso è rinvenibile sia nell’esigenza
di tutelare la riservatezza dei partecipanti
alle procedure concorsuali, sia nella
necessità di salvaguardare la libera
concorrenza e la trasparenza delle offerte
(Cons. Stato, sez. VI, 12.04.2005, n. 1678).
E’ evidente, quindi, che gli atti ad accesso
differito non riguardano in alcun modo le
informazioni inerenti alle motivazioni
dell’esclusione di un partecipante,
insuscettibili di arrecare un pregiudizio
alla libera concorrenza.
---------------
La comunicazione d’ufficio di cui all’art.
79, co. 5, del d.lgs. 12.04.2006, n. 163,
lungi dall’essere meramente ripetitiva della
comunicazione delle medesime informazioni a
domanda, si traduce in uno strumento di
accelerazione del contenzioso.
Tale previsione, finalizzata a garantire una
celere tutela giurisdizionale del
concorrente escluso, nell’interesse pubblico
teso ad assicurare la più ampia
partecipazione alla gara, prescinde quindi
dalla richiesta della parte interessata ed
impone un obbligo di tempestiva
comunicazione dell’avvenuta esclusione a
carico dell’amministrazione, sebbene non sia
espressamente previsto che detta
comunicazione debba avvenire per iscritto,
né che debbano essere esplicitati i motivi
dell’esclusione.
L’omessa tempestiva comunicazione dei motivi
di esclusione o di rigetto dell’offerta
produce, quindi, non solo un danno per il
richiedente, che non è messo in condizione
di esperire celermente i relativi rimedi
giurisdizionali, ma anche per l’interesse
pubblico alla stabilizzazione degli effetti
degli atti di gara ai fini della
stipulazione del contratto
(parere di
precontenzioso 20.10.2010 n. 183 - link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
LAVORI PUBBLICI: Negli
appalti di lavori, qualora determinate
lavorazioni siano di importo superiore al
15% dell’importo totale dei lavori e
appartengano ad una delle categorie c.d. “superspecialistiche”
o ad una categoria generale ad esse
assimilata, l’aggiudicatario deve eseguirle
direttamente nella misura non inferiore al
settanta per cento –come evidenziato da
questa Autorità nella determinazione n.
31/2002 e nella precedente determinazione n.
25/2001– potendo subappaltarle solo nei
limiti, stabiliti dalla legge, del trenta
per cento dell’importo delle lavorazioni
medesime
(parere di
precontenzioso 20.10.2010 n. 182 - link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI: Le
copie delle certificazioni di qualità
potrebbero cadere sotto il disposto
dell’art. 19 d.P.R. 445/2000 in materia di
dichiarazione sostitutiva dell’atto di
notorietà, giacché gli organismi deputati a
tale certificazione, sebbene di natura
privata, rilascerebbero attestazioni aventi
contenuto vincolato e rilievo pubblicistico
(CdS, VI, 19.01.2007, n. 121).
Di conseguenza, il certificato di qualità
potrebbe essere prodotto in gara sia tramite
una autocertificazione (CdS, V, 17.04.2007,
n. 1790 e 11.05.2007, n. 2355), sia mediante
una copia conforme all’originale. Pertanto,
la modalità di presentazione del certificato
ISO 9001 tramite la produzione di copia del
certificato di qualità con l’attestazione
della veridicità dello stesso da parte del
rappresentante legale della concorrente,
unitamente alla copia del proprio documento
d’identità, risulta costituire comportamento
conforme alla citata normativa di settore in
materia
(parere di
precontenzioso 20.10.2010 n. 180 - link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI: Costituisce
regola generale che l’offerta giudicata
potenzialmente incongrua non possa essere
immediatamente esclusa, ma che su di essa la
stazione appaltante deve al contrario
muoversi nell’ottica di un’indagine volta a
verificare l’eventuale anomalia, attraverso
la richiesta di chiarimenti atti a
giustificare l’offerta stessa e l’apparente
anomalia, provvedendo poi all’eventuale
esclusione soltanto nel caso in cui abbia
valutato inadeguate le giustificazioni (cfr.
C.d.S., Sez. V, 28.11.2005, n. 6651)
(parere di
precontenzioso 20.10.2010 n. 179 - link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI: Occorre
tener presente, da un lato, che il
legislatore, pur avendo codificato l’onere
dell’allegazione preventiva delle
giustificazioni, non aveva previsto alcuna
sanzione in caso di violazione dell’art. 86,
comma 5 del d.lgs. 12.04.2006, n.163 e,
dall’altro, che questa Autorità e costante
giurisprudenza amministrativa –sotto la
vigenza del precedente art. 86- hanno
evidenziato come le clausole del bando, che
richiedono la presentazione di
giustificazioni già a corredo dell’offerta,
non possono mai essere intese, pena la loro
illegittimità, come prescrizioni di un
requisito o adempimento a pena di
esclusione, in quanto rispondenti a mere
esigenze pratiche di accelerazione e
semplificazione del procedimento di verifica
dell’anomalia dell’offerta, che per espressa
volontà del legislatore comunitario e
nazionale, deve avvenire in contradditorio (AVCP
parere n. 176 del 5.6.2008).
Pertanto le giustificazioni in questione non
assurgono a requisito di partecipazione, ma
vengono in rilievo –solo in via eventuale–
nella fase successiva di verifica
dell'anomalia, se ed in quanto l'offerta ne
risulti sospetta. Ne consegue che la
relativa previsione, comportante l'obbligo
di presentazione delle giustificazioni si
configura quale impositiva, nei confronti
delle imprese partecipanti, di un onere in
chiave eminentemente collaborativa e
pertanto la sanzione dell’esclusione in caso
di mancato assolvimento dello stesso appare
eccessiva e del tutto sproporzionata allo
scopo dell’art. 86, comma 5 (Cons. Stato,
sez. IV, 15.09.2010 n. 6904; Cons. Stato,
sez. VI, 21.05.2009 n. 3146; TAR Piemonte,
sez. I, 11.02.2009 n. 401; Cons. Stato, sez.
IV, 12.12.2005 n. 7034).
---------------
Le disposizioni con le quali sono prescritti
particolari adempimenti per l’ammissione
alla gara, ove indichino in modo equivoco
taluni dei detti adempimenti, vanno
interpretate nel senso più favorevole
all’ammissione degli aspiranti,
corrispondendo all’interesse pubblico di
assicurare un ambito più vasto di
valutazioni, e quindi, un’aggiudicazione
alle condizioni migliori possibili (cfr.
parere n. 126 del 23.04.2008).
Non giova, invece, l’ulteriore principio
–ribadito più volte anche da questa
Autorità– secondo cui, qualora il bando
commini espressamente l’esclusione dalla
gara in conseguenza di determinate
prescrizioni, l’Amministrazione è tenuta a
dare precisa ed incondizionata esecuzione a
dette prescrizioni, restando preclusa
all’interprete ogni valutazione circa la
rilevanza dell’inadempimento, la sua
incidenza sulla regolarità della procedura
selettiva e la congruità della sanzione
contemplata nella lex specialis, alla
cui osservanza la stessa Amministrazione si
è autovincolata al momento del bando (AVCP
pareri n. 139 del 19.11.2009, n. 215 del
17.09.2008 e n. 262 del 17.12.2008), in
quanto la corretta applicazione di tale
principio postula che non vi sia alcun
dubbio sulla volontà della stazione
appaltante di sanzionare con l’esclusione la
violazione della regola dettata nei
documenti di gara, circostanza quest’ultima
che non si riscontra nel caso in esame
(parere di
precontenzioso 20.10.2010 n. 178 - link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI FORNITURE E SERVIZI: L’art.
42 del d.lgs 163/2006 relativo alla capacità
tecnica e professionale dei fornitori e dei
prestatori di servizio, nel riprodurre il
contenuto dell’art. 48 Direttiva 18/2004
CEE, dispone al comma 2 che la stazione
appaltante precisa nel bando di gara o nella
lettera di invito quali dei documenti e dei
requisiti indicati al comma 1 debbono essere
presentati e dimostrati dai concorrenti.
L’elenco contenuto nella norma in esame, a
differenza di quello dell’art. 41, è stato
considerato tassativo, tanto è vero che la
Corte di giustizia europea, ha già da tempo
affermato l’illegittimità della prescrizione
da parte dell’amministrazione aggiudicatrice
di mezzi di prova di capacità tecniche e
professionali dei concorrenti diversi da
quelli contemplati dalle direttive, pena non
solo la violazione del principio di parità
di trattamento, ma anche il netto contrasto
con le esigenze di integrazione comunitaria
(Corte giust. com. eu. 17.11.1993 causa
C-71/92)
(parere di
precontenzioso 20.10.2010 n. 177 - link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
GIURISPRUDENZA |
COMPETENZE PROGETTUALI: E'
illegittimo il titolo a costruire assentito
sul progetto, redatto da un geometra, che
preveda strutture in cemento armato, se non
siano specificate, con motivazione adeguata,
le ragioni per cui le caratteristiche
dell'opera e le sue modalità costruttive
rientrano nella sfera di competenza
professionale del progettista, spettando al
g.a. il sindacato sulla valutazione circa
l'entità quantitativa e qualitativa della
costruzione, al fine di stabilire se la
stessa, ancorché prevista con struttura in
cemento armato, rientri o meno nella nozione
di "modesta costruzione civile", alla cui
progettazione è limitata la competenza
professionale del geometra, ai sensi degli
art. 16 ss. r.d. 274/1929.
Il geometra è sempre abilitato alla
progettazione di “modeste costruzioni
civili”; e che tale competenza permane anche
per le costruzioni a struttura metallica o
per quelle che richiedano l’impiego di
conglomerato cementizio armato normale o
precompresso, a condizione –in questo caso-
che persista la qualificazione di edificio
civile “modesto".
E' illegittimo il progetto firmato da un
geometra per la realizzazione di un grande
capannone industriale, poggiante su una
fondazione di pali e pilastri in cemento
armato e con solai in laterocemento e,
comunque, di natura e dimensioni tali da non
poter esser definito come una modesta
costruzione civile.
In materia di progettazione delle opere
private, lo scopo perseguito dalla
disciplina legislativa che stabilisce i
limiti di competenza dei geometri e periti
edili e indica i progetti per i quali è
invece necessario l'intervento di un
ingegnere o di un architetto (art. 16 r.d.
11.02.1929, n. 275, art. 1 r.d. 16.11.1939
n. 2229, l. 24.06.1923 n. 1395 e r.d.
23.10.1925 n. 2537) consiste non nel
garantire una buona qualità delle opere
sotto il profilo estetico e funzionale ma
unicamente nell'assicurare l'incolumità
delle persone; pertanto, per le opere per le
quali è prescritto l'intervento di un
ingegnere o di un architetto, non è
necessario che quest'ultimo abbia ideato il
progetto assumendone la paternità, ma è
sufficiente che, mediante la sottoscrizione,
abbia effettuato la supervisione del
progetto stesso elaborato da un geometra o
da un perito, assumendone la responsabilità
dopo aver verificato l'esattezza di tutti i
calcoli statici delle strutture, nonché
l'idoneità di tutte le soluzioni tecniche e
architettoniche sotto il profilo della
tutela della pubblica incolumità.
Il progetto relativo alla costruzione di tre
piccole unità immobiliari presentato dal
geometra ricorrente si compone di diverse
tavole tecnico/progettuali; alcune di queste
(ed in particolare, “calcolo balcone,
solaio, gradino scala”; “disegno
armature, travi di fondazione, pilastri”;
“disegno armature travi del 1° e unico
impalcato”; “piante degli impalcati,
armatura setti; armatura solaio; armatura
gradino; armatura setti”) sono redatte
da un ingegnere abilitato; invece, il cd. “progetto
architettonico” è stato redatto
direttamente dal ricorrente, nella qualità
di geometra, ed è stato solo sottoscritto “per
presa visione” dall’ingegnere.
E’ questa l’anomalia riscontrata
dall’Ufficio del Genio civile, che ha negato
il rilascio del nulla osta ex art. 18 L.
64/1974 ritenendo che anche quest’ultima
tavola avrebbe dovuto essere redatta e
sottoscritta da un ingegnere (o, comunque,
da un tecnico laureato).
Nel merito il ricorso risulta fondato per la
dedotta “violazione e falsa applicazione
delle disposizioni contenute nell’art. 17
della L. 64/1974 e negli artt. 2 e 4 della
L. 1086/1971 – eccesso di potere per
travisamento dei fatti”.
Va premesso che in zona sismica, ai sensi
dell’art. 17 della L. 64/1974, possono
essere eseguite costruzioni su progetto di
ingegneri, architetti, geometri o periti
edili iscritti nell'albo, nei limiti delle
rispettive competenze. Per delineare,
allora, le competenze dei geometri occorre
fare riferimento alle norme che disciplinano
la specifica figura professionale, e quindi
all’art. 16 lett. m del R.D. 274/1929
(Regolamento per la professione di geometra)
che contempla chiaramente –tra le varie
ipotesi- le attività di “progetto,
direzione e vigilanza di modeste costruzioni
civili”.
Nei limiti del carattere “modesto”
dell’edificio civile, la progettazione può
essere eseguita quindi in zona sismica anche
da un geometra. Si può aggiungere poi che
tale competenza del professionista permane
anche –ai sensi dell’art. 2 della L.
1086/1971 (Norme per la disciplina delle
opere di conglomerato cementizio armato,
normale e precompresso ed a struttura
metallica), ora ribadito anche dall’art. 64.
co. 2, del T.U. Edilizia approvato con
D.P.R. 380/2001– nelle ipotesi in cui il
progetto (di edificio modesto) preveda
l’impiego di cemento armato.
E’ stato in proposito affermato in
giurisprudenza che “(…) è dunque
illegittimo il titolo a costruire assentito
sul progetto, redatto da un geometra, che
preveda strutture in cemento armato, se non
siano specificate, con motivazione adeguata,
le ragioni per cui le caratteristiche
dell'opera e le sue modalità costruttive
rientrano nella sfera di competenza
professionale del progettista, spettando al
g.a. il sindacato sulla valutazione circa
l'entità quantitativa e qualitativa della
costruzione, al fine di stabilire se la
stessa, ancorché prevista con struttura in
cemento armato, rientri o meno nella nozione
di "modesta costruzione civile", alla cui
progettazione è limitata la competenza
professionale del geometra, ai sensi degli
art. 16 ss. r.d. 274/1929.” (Tar Salerno
9772/2010); che “il geometra è sempre
abilitato alla progettazione di “modeste
costruzioni civili”; e che tale competenza
permane anche per le costruzioni a struttura
metallica o per quelle che richiedano
l’impiego di conglomerato cementizio armato
normale o precompresso, a condizione –in
questo caso- che persista la qualificazione
di edificio civile “modesto”.” (Tar
Catania, I, 1253/2010).
Anche il Consiglio di Stato (sezione V,
779/1998) ha posto l’accento sul carattere
modesto della costruzione, quale limite alla
competenza del geometra, affermando che “è
illegittimo il progetto firmato da un
geometra per la realizzazione di un grande
capannone industriale, poggiante su una
fondazione di pali e pilastri in cemento
armato e con solai in laterocemento e,
comunque, di natura e dimensioni tali da non
poter esser definito come una modesta
costruzione civile”.
Il Collegio non ignora la sussistenza di un
contrario orientamento, manifestato dalla
giurisprudenza civile (Cass., II,
17028/2006, e 19292/2009), che ha
considerato nulli sul piano civilistico i
contratti d’opera professionale stipulati da
geometri in quanto aventi ad oggetto la
realizzazione di opere in cemento armato. Si
tratta, tuttavia, di una ricostruzione del
dato normativo non condividibile in quanto
non tiene conto del fatto che anche le norme
relative alle costruzioni in cemento armato,
così come quelle dettate per le zone
sismiche, fanno espresso richiamo per
relationem alle competenze stabilite
dall’ordinamento professionale dei geometri.
Quanto fin qui esposto vale come
inquadramento generale della problematica
sulla quale si incentra il giudizio.
Deve essere, tuttavia, evidenziato col
dovuto risalto il fatto che nel caso a mani
sono presenti delle peculiari circostanze di
grande rilievo, che conferiscono alla
vicenda una specifica singolarità: ci si
riferisce al fatto che solo il progetto
architettonico –ossia, quello concernente
l’aspetto estetico, la collocazione
spaziale, e l’immagine dimensionale
dell’edificio– è stato redatto da un
geometra (e poi sottoscritto “per presa
visione” da un ingegnere); mentre tutte
le altre tavole progettuali, che potremmo
definire come veri “progetti strutturali”
(elencate come tavole nn. 4, 5, 6 e 7), sono
state regolarmente redatte da un ingegnere.
Cioè, in altri termini, non siamo in
presenza di un progetto ascritto solo al
geometra; ma di una progettazione effettuata
a più mani, nella quale l’apporto
dell’ingegnere risulta prevalente sul piano
quantitativo e tecnico, mentre quello del
progettista/geometra è secondario e per
certi versi atecnico, essendo limitato a
definire l’aspetto esteriore dell’edificio.
Va sottolineato il fatto –dirimente- che
tutto ciò che attiene alla sicurezza,
staticità e robustezza dell’edificio è stato
regolarmente progettato da un tecnico
laureato in ingegneria, di guisa che appare
giuridicamente irrilevante la circostanza
che il geometra abbia semplicemente
confezionato l’aspetto esteriore della
costruzione, lasciando correttamente
all’ingegnere il compito di determinare gli
aspetti tecnico/costruttivi del “disegno”
proposto.
La predetta conclusione risulta avvalorata
anche dalla giurisprudenza (Cons. Stato, V,
83/1999) che ha precisato il ruolo da
attribuire, nella progettazione,
all’intervento del tecnico laureato: “In
materia di progettazione delle opere
private, lo scopo perseguito dalla
disciplina legislativa che stabilisce i
limiti di competenza dei geometri e periti
edili e indica i progetti per i quali è
invece necessario l'intervento di un
ingegnere o di un architetto (art. 16 r.d.
11.02.1929, n. 275, art. 1 r.d. 16.11.1939
n. 2229, l. 24.06.1923 n. 1395 e r.d.
23.10.1925 n. 2537) consiste non nel
garantire una buona qualità delle opere
sotto il profilo estetico e funzionale ma
unicamente nell'assicurare l'incolumità
delle persone; pertanto, per le opere per le
quali è prescritto l'intervento di un
ingegnere o di un architetto, non è
necessario che quest'ultimo abbia ideato il
progetto assumendone la paternità, ma è
sufficiente che, mediante la sottoscrizione,
abbia effettuato la supervisione del
progetto stesso elaborato da un geometra o
da un perito, assumendone la responsabilità
dopo aver verificato l'esattezza di tutti i
calcoli statici delle strutture, nonché
l'idoneità di tutte le soluzioni tecniche e
architettoniche sotto il profilo della
tutela della pubblica incolumità.” (in
termini analoghi Tar Marche Ancona,
1241/2001).
Se dunque il legislatore ha richiesto
l’intervento dell’ingegnere (o architetto)
al fine di tutelare direttamente la
staticità dell’edificio e, indirettamente,
la sicurezza pubblica; e se –a tali fini–
viene ritenuta sufficiente in giurisprudenza
la “ratifica, con assunzione di
responsabilità” ad opera di un ingegnere
del progetto redatto da un geometra; allora
si deve ritenere che –a maggior ragione– sia
legittimo ed ammissibile il progetto che un
geometra abbia redatto solo per la parte
architettonica, allorquando lo stesso
contempli gli elaborati tecnico strutturali
firmati tutti da un ingegnere.
Né d’altra parte si può concordare con la
difesa dell’Amministrazione resistente,
laddove dichiara l’inammissibilità della
figura di un ingegnere mero “calcolista”
che affianchi il progettista senza assumersi
la responsabilità della progettazione e
dell’esecuzione (v. memoria Avvocatura Stato
del 20.10.2009): come si è già evidenziato,
nel caso in esame l’ingegnere non è
intervenuto con una forma di supporto
collaterale ed interno limitato ai soli
calcoli delle strutture in cemento armato,
ma si è direttamente assunto, anche verso
l’esterno, la responsabilità di tutti i
progetti tecnici sottoscritti, che altro non
sono se non una traduzione in termini
tecnici del progetto esteriore confezionato
dal geometra (TAR Sicilia-Catania, Sez. I,
sentenza 22.04.2011 n. 1022 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA:
Anche il promissario acquirente
può avanzare domanda volta all'adozione di
uno strumento urbanistico convenzionato,
sempre che abbia l'effettiva disponibilità
del bene, a nulla rilevando che detta
disponibilità possa essere acquisita, nella
sua pienezza, solo dopo la stipula del
rogito notarile di trasferimento della
proprietà, dovendo il concetto di
disponibilità essere inteso nel senso della
sussistenza di requisiti oggettivi tali da
far ritenere che il trasferimento di
proprietà sia destinato a verificarsi con
sufficienti margini di certezza.
Legittimato a richiedere la concessione
edilizia è o il titolare del diritto reale
di proprietà sul fondo o chi, pur essendo
titolare di altro diritto, reale o di
obbligazione, abbia, per effetto di questo,
obbligo o facoltà di eseguire i lavori per
cui chiede la concessione. Tale
legittimazione, invece, non compete a colui
il quale, in base ad un contratto
preliminare, abbia avuto la promessa di
futura vendita del terreno sul quale
dovrebbe sorgere la costruzione
La figura del promissario acquirente di
terreni interessati da una richiesta di
concessione edilizia non implica l'esistenza
di una posizione di interesse legittimo
utile a rendere ammissibile l'impugnazione
di un provvedimento di diniego della
concessione stessa; invece, può radicare
comunque una posizione dipendente da quella
del ricorrente principale, "ad adiuvandum"
del quale può dunque essere legittimamente
dispiegato intervento in giudizio, se ed in
quanto non miri ad eludere i termini di
impugnazione da parte di chi risulti
titolare di una posizione tutelabile con una
propria autonoma impugnativa (Consiglio
Stato sez. IV, 30.06.2005 n. 3594).
La giurisprudenza ha sostenuto che anche il
promissario acquirente può avanzare domanda
volta all'adozione di uno strumento
urbanistico convenzionato, sempre che abbia
l'effettiva disponibilità del bene, a nulla
rilevando che detta disponibilità possa
essere acquisita, nella sua pienezza, solo
dopo la stipula del rogito notarile di
trasferimento della proprietà, dovendo il
concetto di disponibilità essere inteso nel
senso della sussistenza di requisiti
oggettivi tali da far ritenere che il
trasferimento di proprietà sia destinato a
verificarsi con sufficienti margini di
certezza (così, per esempio, Consiglio Stato
sez. V, 24.08.2007, n. 4485).
Tale disponibilità giuridica e materiale
nella specie non sussiste, né è stata mai
dedotta.
Anche in relazione alla possibilità di
richiedere titoli abilitativi, si sostiene
che legittimato a richiedere la concessione
edilizia è o il titolare del diritto reale
di proprietà sul fondo o chi, pur essendo
titolare di altro diritto, reale o di
obbligazione, abbia, per effetto di questo,
obbligo o facoltà di eseguire i lavori per
cui chiede la concessione.
Tale legittimazione, invece, non compete a
colui il quale, in base ad un contratto
preliminare, abbia avuto la promessa di
futura vendita del terreno sul quale
dovrebbe sorgere la costruzione (nel senso
che la voltura della concessione edilizia
non può essere chiesta dal promissario
acquirente cfr. Cass. 10.10.1997 n. 9850).
Nel vigore dell'art. 4, l. 28.01.1977 n. 10
(sostanzialmente corrispondente all'art. 11,
t.u. 06.06.2001 n. 380), la concessione
edilizia, potendo essere rilasciata "al
proprietario dell'area o a chi abbia titolo
per richiederla", poteva essere chiesta
anche dal promissario acquirente
dell'immobile, purché avesse a ciò
consentito il proprietario (Consiglio Stato,
sez. V, 24.08.2007, n. 4485).
Ne consegue che, anche con riferimento alla
impugnazione dell’autoannullamento di un
piano di lottizzazione, legittimato ad
impugnare non può ritenersi il promissario
acquirente tout court, in assenza tra
l’altro della disponibilità materiale del
bene, che si potrebbe configurare in caso di
preliminare cosiddetto ad effetti
anticipati, con il quale quantomeno si
anticipa l’effetto della consegna del bene
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 12.04.2011 n. 2275 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AGGIORNAMENTO AL 16.05.2011 |
ã |
SINDACATI |
PUBBLICO IMPIEGO:
La costituzione dei comitati
unici di garanzia
(CGIL-FP di Bergamo,
nota 11.05.2011). |
NOTE,
CHIARIMENTI E COMUNICATI |
EDILIZIA PRIVATA:
SPORTELLO UNICO PER LE ATTIVITA’
PRODUTTIVE - chiarimenti sui contenuti
presenti nelle disposizioni di cui al DPR
160/2010 e al suo allegato tecnico
(ANCI,
nota
05.05.2011). |
EDILIZIA PRIVATA:
Oggetto: chiarimenti sui contenuti
presenti nelle disposizioni di cui al D.P.R.
n. 160/2010 (SUAP) e al suo allegato tecnico
(Ministero dello Sviluppo Economico, Ufficio
Legislativo, e Ministro della Semplificazione
Normativa, Ufficio Legislativo,
nota 03.05.2011 n. 810
di prot.). |
DOTTRINA E
CONTRIBUTI |
ATTI AMMINISTRATIVI:
G. Penzo Doria e B. Montini,
Albo on-line: serve la firma digitale, lo
affermano il Viminale e il Garante privacy
(link a www.filodiritto.com). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
R. Bertuzzi,
NOVITA’ SISTRI - IL TESTO UNICO - ABROGATE
TUTTE LE NORME PRECEDENTI (link a
www.lexambiente.it). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO:
G. Bertagna e M. Ferrari,
La revisione del part-time
(tratto dalla newsletter di www.publika.it
n. 41 - maggio 2011). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Il blocco delle assunzioni si applica alle
progressioni verticali? Il TAR
Sicilia-Palermo “libera” i concorsi
interni dalle norme finanziarie, sentenza
647 del 2011 (link a
www.leggioggi.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Lombardia, Corso di specializzazione
sull'applicazione della L.R. n. 12/2005: 5^
lezione (parte B) - Titoli abilitativi
(Geometra Orobico n. 1/2011). |
EDILIZIA PRIVATA: Segnalazione
certificata di inizio attività
(Geometra Orobico n. 1/2011). |
EDILIZIA PRIVATA:
Produzione di energia da fonti rinnovabili:
novità per l'AU - Decreto rinnovabili,
semplificare l'autorizzazione significa
agevolare (link a www.ipsoa.it). |
APPALTI:
R. Codebò,
Criterio dell'offerta economicamente più
vantaggiosa - Appalti, la linea di confine
tra offerta tecnica e offerta economica
(link a www.ipsoa.it). |
APPALTI FORNITURE E SERVIZI:
F. Ballardin,
Contratti pubblici: l’ammissibilità del
rinnovo nei contratti della P.A.
(link a www.altalex.com). |
GURI - GUUE -
BURL (e anteprima) |
APPALTI -
ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA:
G.U. 13.05.2011 n. 110 "Semestre
Europeo - Prime disposizioni urgenti per
l’economia" (D.L.
13.05.2011 n. 70).
---------------
In Gazzetta Ufficiale il "decreto
sviluppo".
Molte le novità importanti e, tra le tante,
in merito:
- agli appalti
(art. 4 - Costruzione di opere pubbliche) e
precisamente:
a)
estensione del campo di applicazione della
finanza di progetto, anche con riferimento
al cosiddetto "leasing in costruendo";
b)
limite alla possibilità' di iscrivere
"riserve";
c)
introduzione di un tetto di spesa per le
"varianti";
d)
introduzione di un tetto di spesa per le
opere cosiddette "compensative";
e)
contenimento della spesa per
compensazione,in caso di variazione del
prezzo dei singoli materiali di costruzione;
f)
riduzione della spesa per gli accordi
bonari;
g)
istituzione nelle Prefetture di un elenco di
fornitori e prestatori di servizi non
soggetti a rischio di inquinamento mafioso;
h)
disincentivo per le liti "temerarie";
i)
individuazione, accertamento e prova dei
requisiti di partecipazione alle gare
mediante collegamento telematico alla Banca
dati nazionale dei contratti pubblici;
l)
estensione del criterio di
autocertificazione per la dimostrazione dei
requisiti richiesti per l'esecuzione dei
lavori pubblici;
m)
controlli essenzialmente "ex post" sul
possesso dei requisiti di partecipazione
alle gare da parte delle stazioni
appaltanti;
n)
tipizzazione delle cause di esclusione dalle
gare, cause che possono essere solo quelle
previste dal codice dei contratti pubblici e
dal relativo regolamento di esecuzione e
attuazione, con irrilevanza delle clausole
addizionali eventualmente previste dalle
stazioni appaltanti nella documentazione di
gara;
o)
obbligo di scorrimento della graduatoria, in
caso di risoluzione del contratto;
p)
razionalizzazione e semplificazione del
procedimento per la realizzazione di
infrastrutture strategiche di preminente
interesse nazionale ("Legge obiettivo");
q)
innalzamento dei limiti di importo per
l'affidamento degli appalti di lavori
mediante procedura negoziata;
r)
innalzamento dei limiti di importo per
l'accesso alla procedura semplificata
ristretta per gli appalti di lavori.
Inoltre, e' elevata da cinquanta a settanta
anni la soglia per la presunzione di
interesse culturale degli immobili pubblici;
- al rilascio del
permesso di costruire ed in materia di
SCIA
(art. 5 - Costruzioni private) e
precisamente:
a)
introduzione del "silenzio assenso" per il
rilascio del permesso di costruire, ad
eccezione dei casi in cui sussistano vincoli
ambientali, paesaggistici e culturali;
b)
estensione della segnalazione certificata di
inizio attività (SCIA) agli interventi
edilizi precedentemente compiuti con
denuncia di inizio attività' (DIA);
c)
tipizzazione di un nuovo schema contrattuale
diffuso nella prassi: la "cessione di
cubatura";
d)
la registrazione dei contratti di
compravendita immobiliare assorbe l'obbligo
di comunicazione all'autorità locale di
pubblica sicurezza;
e)
per gli edifici adibiti a civile abitazione
l'"autocertificazione" asseverata da un
tecnico abilitato sostituisce la cosiddetta
relazione "acustica";
f)
obbligo per i Comuni di pubblicare sul
proprio sito istituzionale gli allegati
tecnici agli strumenti urbanistici;
g)esclusione
della procedura di valutazione ambientale
strategica (VAS) per gli strumenti attuativi
di piani urbanistici già sottoposti a
valutazione ambientale strategica;
h)
legge nazionale quadro per la
riqualificazione incentivata delle aree
urbane. Termine fisso per eventuali
normative regionali;
- agli adempimenti
burocratici di atti amministrativi
(art. 6 - Ulteriori riduzione e
semplificazione degli adempimenti
burocratici) e precisamente:
a)
in corretta applicazione della normativa
europea le comunicazioni relative alla
riservatezza dei dati personali sono
limitate alla tutela dei cittadini,
conseguentemente non trovano applicazione
nei rapporti tra imprese;
b)
le pubbliche amministrazioni devono
pubblicare sul proprio sito istituzionale
l'elenco degli atti e documenti necessari
per ottenere provvedimenti amministrativi;
altri atti o documenti possono essere
richiesti solo se strettamente necessari e
non possono costituire ragione di rigetto
dell'istanza del privato;
c)
riduzione degli adempimenti concernenti
l'utilizzo di piccoli serbatoi di GPL;
d)
facoltà di effettuare "on line" qualunque
transazione finanziaria ASL-imprese e
cittadini;
e)
per i trasporti eccezionali l'attuale
autorizzazione prevista per ciascun
trasporto e' sostituita, per i trasporti
della medesima tipologia ripetuti nel tempo,
da un autorizzazione periodica da
rilasciarsi con modalità semplificata;
f)
riduzione degli oneri amministrativi da
parte delle amministrazioni territoriali.
Orbene, evidenziamo che il decreto legge in
questione è in vigore già da sabato scorso
(14.05.2011) e che da oggi ci si pone il
problema, uno fra tanti, di come istruire le
richieste di permesso di costruire
pervenute:
si applica il
novellato art. 20 del D.P.R. n. 380/2011
oppure l'art. 38 della L.R. n. 12/2005??
Inoltre, adesso è chiaro, certo,
incontrovertibile che la SCIA si applica
anche in materia edilizia??
Abbiamo già sollecitato telefonicamente -nei
giorni scorsi e non appena di dominio
pubblico la bozza di decreto-legge- l'Ufficio Giuridico della
Regione Lombardia affinché intervenga
tempestivamente con una nota
chiarificatrice al fine di non lasciare allo
"sbando operativo" i 1.546 comuni
lombardi così come già successo l'anno
scorso con l'introduzione -nel panorama
legislativo nazionale (e regionale)- della
famigerata SCIA, per la quale la Regione
Lombardia intervenne, fugando affatto i
dubbi che ancora oggi permangono in merito
alla sussistenza della stessa in materia
edilizia, con il proprio
comunicato 08.10.2010 dopo la
bellezza di 70 giorni che la SCIA era già
entrata in vigore (il 31.07.2010).
16.05.2011 - LA SEGRETERIA PTPL |
ENTI LOCALI: G.U.
12.05.2011 n. 109 "Disposizioni in
materia di autonomia di entrata delle
regioni a statuto ordinario e delle
province, nonché di determinazione dei costi
e dei fabbisogni standard nel settore
sanitario"
(D.Lgs. 06.05.2011 n.
68). |
VARI: G.U.
12.05.2011 n. 109 "Incentivazione della
produzione di energia elettrica da impianti
solari fotovoltaici"
(D.M. 05.05.2011). |
UTILITA' |
URBANISTICA:
GIORNATA DI STUDIO 08.04.2011 a Como: I
nuovi strumenti della programmazione
urbanistica, perequazioni, compensazioni e
diritti edificatori (gli
atti del convegno) (link a
www.notaicomolecco.it). |
SICUREZZA LAVORO:
Linee operative sulla valutazione del
rischio stress lavoro correlato.
Lo stress da lavoro correlato è un disagio
non nuovo ma sicuramente attuale, visto il
costante aumento dei casi riscontrati. Il
fenomeno ha un costo economico per le
aziende stimato in miliardi di euro.
Le cause sono legate a:
- tipologie contrattuali sempre meno
stabili;
- elevati carichi lavorativi;
- violenze e molestie sul lavoro;
- interferenze tra lavoro e vita privata.
Il datore di lavoro è tenuto a valutare il
rischio da stress da lavoro correlato per la
propria azienda, come prevede il D.Lgs n.
81/2008 e s.m.i.
La valutazione del rischi si articola in due
fasi: una fase di valutazione preliminare,
dalla quale possono emergere o non emergere
elementi di rischio, e una approfondita, da
attuare quando gli interventi della prima
risultano inefficaci.
La Provincia di Verona ha definito una linea
operativa per la valutazione del rischio
stress partendo dalle direttive del Network
Nazionale per la Prevenzione Disagio
Psicosociale nei Luoghi di Lavoro dell'ISPESL.
Il documento ha lo scopo di coadiuvare le
imprese con meno di 30 lavoratori,
attraverso opportune chek-list (link
a www.acca.it). |
APPALTI:
Domande e risposte sui contratti pubblici.
Una interessante pubblicazione del Ministero
delle Infrastrutture.
"...è consentito l'affidamento diretto da
parte del responsabile del procedimento?”
“...è obbligatoria o facoltativa la
vidimazione del registro di contabilità di
cui all'art. 183, DPR 554/1999?”
“...cosa si intende per stazione appaltante
di ambito statale e/o di interesse nazionale
o sovra regionale?”
“... qualora si ricorra alla procedura
negoziata, è obbligatoria la fase di
preselezione (sul tipo delle procedure
ristrette) o è possibile richiedere
direttamente ai concorrenti di presentare
l'offerta?”
(...)
A queste domande (e non solo) risposte
chiare e precise dal Ministero delle
Infrastrutture e dei Trasporti, che ha
pubblicato un utile documento che si
prefigge lo scopo di fornire risposte ai
quesiti più frequenti in materia di
contratti pubblici.
Il volume contiene una selezione dei quesiti
pubblicati dal Servizio di Supporto
Giuridico con le relative risposte e pareri
di interesse generale resi alle stazioni
appaltanti per la corretta applicazione
della normativa nazionale e regionale in
materia di appalti pubblici.
Esso rappresenta un utile strumento di
consultazione per tutti gli operatori del
settore.
Le principali sezioni di cui si compone il
documento con domande e relative risposte
sono:
- Affidamenti in economia - Anomalia
dell'offerta - Appalti integrati -
Associazioni temporanee di impresa - Criteri
di aggiudicazione - DURC - DUVRI -
Esecuzione del contratto - Prezzo -
Procedura negoziata - Procedure di
aggiudicazione - Progettazione - Risoluzione
del contratto - Sicurezza - Subappalto -
Altro (link a www.acca.it). |
EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI:
“Il massetto come lo metto?” La guida
pratica con regole e suggerimenti per la
scelta e la posa dei massetti cementizi.
Dopo “Usa e Isola” e i materiali
isolanti è la volta dei massetti cementizi.
“Il massetto come lo metto” è un
manualetto pratico di semplice comprensione
realizzato dalla Scuola Edile di Bergamo, in
collaborazione con Calcestruzzi S.p.A. e
ANCE Bergamo, che fornisce regole e
suggerimenti per la posa dei massetti
cementizi.
Come i precedenti manuali, anche questo ha
le caratteristiche della snellezza e della
praticità, indicando quali sono gli
accorgimenti e i passaggi da rispettare per
eseguire le opere a regola d'arte.
E' così strutturato: ... (link a
www.acca.it). |
CORTE DEI
CONTI |
INCARICHI PROFESSIONALI:
CONSULENZE/ Nuovi limiti se la
spesa è stata zero.
Se un ente locale ha fatto registrare nel
2009 una spesa per incarichi e consulenze
pari a zero (il che rende impossibile
applicare la riduzione dell'80% imposta dal
dl 78/2010), bisognerà trovare un nuovo
parametro per il calcolo dei tagli. Il nuovo
limite sarà rappresentato dalla spesa
strettamente indispensabile che l'ente
sosterrà nell'anno in cui si verifica
l'assoluta necessità di conferire
l'incarico. E questa nuova soglia costituirà
a sua volta il punto di riferimento per
applicare i tagli negli anni successivi.
Lo ha chiarito la Corte dei conti della
Lombardia nel
parere 29.04.2011 n. 227.
I giudici lombardi hanno fatto notare che,
se non si adottasse questa interpretazione,
«la riduzione lineare prevista dall'art.
6, comma 7 (del dl 78 ndr), finirebbe per
premiare gli enti meno virtuosi che nel
corso del 2009 hanno sostenuto una spesa per
consulenze rilevante. Mentre al contrario si
penalizzerebbero gli enti più virtuosi che
nello stesso periodo hanno sostenuto una
spesa pari a zero».
In ogni caso, ha concluso la Corte, gli enti
dovranno sempre motivare in ordine alle
ragioni che hanno reso necessario il ricorso
agli incarichi (articolo
ItaliaOggi dell'11.05.2011 -
tratto da www.corteconti.it). |
URBANISTICA: PEEP,
determinazione della misura del
corrispettivo da pagare all’amministrazione
comunale per la cessione in proprietà di
aree.
Il corrispettivo per la trasformazione del
diritto di superficie in diritto di piena
proprietà, su aree comprese nei piani
approvati ai sensi della legge n. 167/1962 o
delimitate ai sensi dell’art. 51 della legge
n. 865/1971, deve essere determinato dai
comuni, su parere del proprio ufficio
tecnico, al netto degli oneri di concessione
del diritto di superficie rivalutati,
applicando la riduzione del 60 per cento al
valore individuato facendo riferimento ai
vigenti criteri di calcolo dell’indennità di
espropriazione, ovvero all’art. 37, commi 1
e 2, del DPR n. 327/2001, come modificati
dalla legge 24.12.2007, 8 n. 244.
In ogni caso, il costo dell'area non deve
risultare maggiore di quello stabilito dal
comune per le aree cedute direttamente in
diritto di proprietà, al momento della
trasformazione di cui al comma 47
(Corte dei Conti, Sezz. riunite di
controllo,
delibera
14.04.2011 n. 22). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO:
Via libera dalla Corte dei Conti
- Utilizzo del mezzo proprio per il
dipendente pubblico in servizio, quali
limiti per le PA?
Una importante pronuncia
della Corte dei Conti torna sulla questione
dell'utilizzo del mezzo proprio per motivi
di servizio da parte del dipendente
pubblico.
Sulla questione spinosa dell’utilizzo del
mezzo proprio per motivi di servizio da
parte del dipendente pubblico c’è stata una
importante e recente pronuncia della Corte
dei Conti che si ritiene utile portare a
conoscenza del lettore; i giudici contabili
con la delibera, a sezioni riunite di
controllo, n. 21 depositata in segreteria il
5 aprile scorso hanno affermato che anche a
seguito dell'entrata in vigore della
disciplina recata dall'art. 6, comma 12, del
decreto legge n. 78 del 2010 (cd. Manovra
estiva 2010), convertito con modificazioni
dalla legge n. 122 del 2010, le
amministrazioni pubbliche possono continuare
ad autorizzare i propri dipendenti
all'utilizzo del mezzo proprio, con il
limitato fine di ottenere la copertura
assicurativa dovuta in base alle vigenti
disposizioni; le stesse pubbliche
amministrazioni non possono più riconoscere
agli stessi il rimborso delle spese
sostenute nella misura antecedentemente
stabilita dall’ art. 8 della legge n. 417
del 1988, anche nell'ipotesi in cui tale
mezzo costituisca lo strumento più idoneo a
garantire il più efficace ed economico
perseguimento dell'interesse pubblico.
La norma contenute nella
manovra estiva 2010.
Si ricorda brevemente che l’art. 6, comma 12
del decreto legge 31.05.2010, n. 78
convertito in legge con la legge 30.07.2010,
n. 122, recante: “Misure urgenti in
materia di stabilizzazione finanziaria e di
competitività economica” prevede che: “dall'anno
2011 le amministrazioni pubbliche inserite
nel conto economico consolidato della
pubblica amministrazione, come individuate
dall'Istituto nazionale di statistica
(ISTAT) ai sensi del comma 3 dell'articolo 1
della legge 31.12.2009, n. 196, incluse le
autorità indipendenti (…) a decorrere dalla
data di entrata in vigore del presente
decreto, gli articoli 15 della legge
18.12.1973, n. 836 e 8 della legge
26.07.1978, n. 417 e relative disposizioni
di attuazione, non si applicano al personale
contrattualizzato di cui al d.lgs. n. 165
del 2001 e cessano di avere effetto
eventuali analoghe disposizioni contenute
nei contratti collettivi”.
In virtù di detta norma, dal 31.05.2010
(data di entrata in vigore del decreto legge
n. 78 del 2010) non sarebbero più
applicabili né l'articolo 15 della legge
18.12.1973 n. 836 (recante disposizioni sul
trattamento economico di missione e di
trasferimento dei dipendenti statali), con
cui si stabiliva un’indennità chilometrica
per il personale che, svolgendo funzioni
ispettive, avesse necessità di recarsi in
località comprese nell'ambito della
circoscrizione territoriale dell'ufficio di
appartenenza e comunque non oltre i limiti
di quella provinciale, utilizzando il
proprio mezzo di trasporto, né l'art. 8
della legge 26.07.1978, n. 417 (recante
disposizioni di adeguamento del trattamento
economico di missione e di trasferimento dei
dipendenti statali), che disciplinava
l'entità dell'indennità chilometrica (un
quinto del prezzo di un litro di benzina
super vigente nel tempo, nonché rimborso
dell'eventuale spesa sostenuta per pedaggio
autostradale).
Il chiarimento dei giudici
contabili.
L’intervento delle Sezioni riunite su un
argomento, oggetto di grande attualità nelle
pubbliche amministrazioni dopo
l’approvazione della Manovra estiva 2010
che, tra l’altro, ha dato adito a molte
interpretazioni interne ad ogni pubblica
amministrazione, è la conseguenza di due
quesiti rivolti dalla Sezione di controllo
per la Regione Liguria.
I giudici contabili sull’argomento oggetto
del presente commento ritengono di dover
richiamare la propria deliberazione n. 8/CONTR/2011
del 16.12.2010 con la quale è stato chiarito
che, a seguito dell’entrata in vigore del
disposto dell’art. 6, comma 12, del decreto
legge n. 78 del 2010, convertito con
modificazioni dalla legge n. 122 del 2010,
il dipendente può ancora essere autorizzato
all’utilizzo del mezzo proprio, con il
limitato fine di ottenere la copertura
assicurativa dovuta in base alle vigenti
disposizioni, mentre non gli può più essere
riconosciuto il rimborso delle spese
sostenute nella misura antecedentemente
stabilita dal disapplicato art. 8 della
legge n. 417 del 1988, anche nell’ipotesi in
cui tale mezzo costituisca lo strumento più
idoneo a garantire il più efficace ed
economico perseguimento dell’interesse
pubblico.
Un comportamento diverso da parte della
pubblica amministrazione svuoterebbe di
significato la portata dell’innovazione
introdotta dall’art. 6, comma 12, della
Manovra estiva 2010 considerato che anche
nel sistema pregresso, l’uso del mezzo
proprio da parte del dipendente pubblico
presupponeva un’accurata valutazione dei
benefici per l’ente.
E’ da ritenere non legittimo, secondo i
giudici della Corte dei Conti, che una
amministrazione reintroduca , attraverso una
regolamentazione interna, il rimborso delle
spese sostenute dal dipendente sulla base
delle indicazioni fornite dal disapplicato
art. 8 della legge n. 417 del 1988; tale
modo di operare, infatti, costituirebbe una
chiara elusione del dettato e della ratio
del disposto del richiamato art. 6, comma
12, del decreto legge n. 78 del 2010.
I giudici contabili, tuttavia, evidenziano
che al fine anche di evitare i rischi,
ritengono possibile il ricorso a
regolamentazioni interne volte a
disciplinare, per i soli casi in cui
l’utilizzo del mezzo proprio risulti
economicamente più conveniente per
l’Amministrazione, forme di ristoro del
dipendente dei costi dallo stesso sostenuti
che, però, dovranno necessariamente tenere
conto delle finalità di contenimento della
spesa introdotte con la Manovra estiva 2010
e degli oneri che in concreto avrebbe
sostenuto l’Ente per le sole spese di
trasporto in ipotesi di utilizzo dei mezzi
pubblici di trasporto (commento tratto da
www.ipsoa.it - Corte dei Conti, Sezz.
riunite di controllo,
delibera 05.04.2011 n. 21). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO:
Contenimento della spesa di
personale. Piccoli Comuni, limiti di
assunzione per i rapporti di collaborazione?
Secondo le Sezioni Riunite i vincoli
assunzionali previsti per gli Enti non
soggetti al patto di stabilità sono solo per
le assunzioni a tempo indeterminato o tempo
determinato e non, invece, per le
collaborazioni.
La Corte dei Conti, Sezz. riunite in sede di
controllo, con
delibera 04.04.2011 n. 20, ha
affrontato e reso il proprio parere, in
ordine al contenimento della spesa di
personale ed alla possibilità di assunzioni
con rapporti di collaborazione negli Enti
non soggetti al patto di stabilità.
Ovviamente la questione giunge alle Sezioni
Riunite, a seguito di remissione da parte
della Sezione Regionale di Controllo per la
Liguria.
Il Parere de quo è ampiamente
articolato e formulato, merita la massima
fedeltà nell'esposizione:
Tematica - Questione di
massima.
Il Comune istante riprende gli artt. 1,
commi 557 e 557-bis, 562, L. n. 296 del 2006
(finanziaria per l'anno 2007) che impongono
agli enti locali non sottoposti al patto di
stabilità, quindi quelli inferiori a 5.000
abitanti, di non superare la spesa di
personale dell'anno 2004 e che limitano la
possibilità di assunzioni nel solo limite
delle cessazioni di rapporti di lavoro a
tempo indeterminato, avvenute nell'anno
precedente.
La specifica richiesta è quella di sapere se
tale limitazione trova applicazione per i
rapporti di collaborazione coordinata e
continuativa od a progetto.
Inquadramento normativo
esposto.
La Sezione remittente (Liguria) ha
disaminato la questione avanti esposta
concludendo che le spese per rapporti di
collaborazione, sono sempre da comprendere
nella più ampia categoria delle spese di
personale, concludendo che non si pone il
vincolo del limite assunzionale, ma solo
quello del limite di spesa, per i rapporti
di collaborazione.
Inquadramento delle sezioni
riunite.
Il Giudice Contabile ha premesso alla
valutazione del quesito posto l'analisi dei
vincoli di legge per spesa di personale ed
assunzioni, per come di seguito:
- Comma 562, L. n. 296 del 2006 - enti non
sottoposti al patto di stabilità- dispongono
del limite di spesa e delle assunzioni nel
limite delle cessazioni dei rapporti di
lavoro verificatisi nell'anno precedente,
con richiamo a Sezioni Riunite Deliberazione
n. 52/2010;
- Comma 557 e comma 557-bis - enti
sottoposti a patto di stabilità - la spesa
di personale comprende anche quella per i
rapporti di collaborazione;
- Art. 76, comma 7, D.L. n. 112 del 2008,
nel testo convertito in legge dall'art. 14,
comma 9, D.L. n. 78 del 2010 che per il 2011
introduce il limite di spesa per enti
sottoposti e non sottoposti al patto di
stabilità, del 40% della spesa di personale
rispetto al totale delle spese correnti che
impedisce di procedere ad assunzioni a
qualsiasi titolo e con qualsivoglia
tipologia contrattuale. Nel caso in cui la
spesa di personale sia inferiore al 40% del
totale delle spese correnti, si può
procedere ad assunzioni solo nel limite del
20% della spesa corrispondente alle
cessazioni di servizio dell'anno precedente.
Sintetizzano, quindi, le Sezioni Riunite
che, sono vincoli assunzionali per gli enti
non sottoposti al patto di stabilità la
spesa di personale (del limite di spesa come
avanti definito e secondo quanto di seguito
riportato). In tale logica precisano le
Sezioni che la configurazione giuridica del
rapporto di lavoro che prevede l'assunzione
(soggetta ai limiti assunzionali propri di
legge) è diversa da quella della
collaborazione che è un fatto episodico e
non permanente per l'Ente.
Alla luce di ciò i vincoli assunzionali sono
solo per le assunzioni a Tempo Indeterminato
o Tempo Determinato e non, invece, per le
collaborazioni.
Concludono, quindi, le Sezioni Riunite che
nel rispetto della spesa storica del
personale, per enti non soggetti al patto di
stabilità, dell'anno 2004, anche se non vi
sono stati pensionamenti nell'anno
precedente a quello nel quale si intendono
attivare rapporti di collaborazione, gli
stessi sono possibili.
Tuttavia le Sezioni precisano che il ricorso
alle collaborazioni può avvenire solo alle
seguenti condizioni:
- deve essere di carattere temporaneo, nel
mentre si provvede ad adeguare la
programmazione del personale nell'Ente,
anche con l'eventuale organizzazione dei
servizi in forma associata;
- le funzioni pubbliche indefettibili devono
essere assicurate con personale in dotazione
organica;
- non deve esservi superamento del limite di
spesa di personale e della spesa per
incarichi di consulenza.
Non mancano le Sezioni di ricordare la
necessità per i piccoli Enti di perseguire
modelli organizzativi quali le convenzioni
e/o l'Unione dei Comuni, giusta previsione
dell'art. 14, comma 30, D.L. n. 78 del 2010,
secondo i principi di economicità e di
riduzione delle spese, in armonia con le
previsioni dell'art. 117, comma 2, lett. p),
ed art. 118, comma 2, della Costituzione
Italiana.
Ricordano le Sezioni Unite anche il limite
massimo della spesa annua per incarichi di
collaborazione da riportare nel bilancio di
previsione, per come stabilito dall'art. 3,
comma 56, L. n. 244 del 24.12.2007, per come
sostituito dall'art. 46, comma 3, D.L. n.
112 del 25.06.2008, convertito in L. n. 133
del 06.08.2008 (commento tratto da link a
www.ipsoa.it). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Quando
l'ispezione diventa una condanna.
Attenzione alle contestazioni degli
ispettori della Ragioneria generale dello
Stato: possono determinare il maturare di
responsabilità amministrativa per
amministratori, dirigenti e segretari. Per
la prima volta arriva una sentenza di
condanna definitiva in seguito a
un'ispezione ministeriale.
La III Sezione
di appello della Corte dei Conti con la
sentenza
17.12.2010 n. 853 ha confermato la
condanna ad amministratori, revisori dei
conti e dirigenti del comune di Rho
(provincia di Milano) per clausole
illegittime del contratto decentrato.
Secondo la Corte, le posizioni organizzative
possono essere istituite solo dopo la
preventiva «individuazione e attribuzione di
obiettivi specifici». Non possono essere
inoltre istituite con decorrenza
retroattiva. Viene poi ribadito che
l'erogazione "a pioggia" della produttività
determina il maturare di responsabilità:
«poiché la dannosità è implicita ex se nella
scelta difforme dai parametri prefissati».
E
ancora «l'attribuzione di un beneficio
sganciato dai risultati appare antitetica
alla finalità premiale e, anzi, avalla un
appiattimento verso il basso delle
prestazioni disincentivando i migliori ad
assumere iniziative comportanti maggior
impegno che non verrebbe, comunque,
riconosciuto».
Infine, l'aumento dell'indennità di
posizione dei dirigenti per sterilizzarne la
diminuzione voluta dal contratto nazionale a
seguito dell'aumento dello stipendio non
costituisce esercizio legittimo di
autonomia, ma un modo per aumentare
surrettiziamente il trattamento economico.
La sentenza ha ridotto le sanzioni poiché è
stato giudicato che alcune condotte
illegittime hanno determinato effetti
positivi sulla attività dell'ente. Inoltre,
la responsabilità individuale matura per non
avere marcato le proprie distanze dalle
scelte effettuate e anche nel caso della
colpa professionale: «la diligenza deve
valutarsi con riferimento alla natura
dell'attività esercitata e della prestazione
richiesta».
Infine, la compensazione tra i
danni ed i benefici conseguiti dal l'ente
matura solamente «quando il danno e il
vantaggio sono conseguenza immediata e
diretta dello stesso fatto che deve essere
idoneo a produrre entrambi gli effetti»
(articolo Il Sole 24
Ore del 09.05.2011). |
AUTORITA'
VIGILANZA CONTRATTI PUBBLICI |
APPALTI: Il
Segretario Comunale non può essere il R.U.P..
Non è conforme al disposto dell’articolo 10
del Dlgs 12.04.2006 n. 163 l’individuazione
del segretario comunale quale responsabile
unico del procedimento (R.U.P.) in quanto,
ancorché in possesso di ultradecennale
esperienza, per espressa previsione
normativa tale ruolo può essere rivestito
solo da un tecnico dipendente
dell’amministrazione aggiudicatrice
abilitato all’esercizio della professione o,
quando l’abilitazione non sia prevista dalla
normativa vigente, da un funzionario con
idonea professionalità e con anzianità di
servizio in ruolo non inferiore a 5 anni.
Solo subordinatamente, in caso di accertata
carenza di dipendenti di ruolo in possesso
di professionalità adeguate, le
amministrazioni aggiudicatrici nominano il
responsabile del procedimento tra i propri
dipendenti in servizio, supportati nello
svolgimento dei compiti così attribuiti da
funzionari in possesso delle specifiche
professionalità necessarie allo svolgimento
di tali compiti ovvero da tecnici esterni.
Ritenuto in diritto:
L’art. 47 del D.P.R. 554/1999, in merito
alla validazione dei progetti, prevede che ”Prima
della approvazione, il responsabile del
procedimento procede in contraddittorio con
i progettisti a verificare la conformità del
progetto esecutivo alla normativa vigente ed
al documento preliminare alla progettazione.”
e che “La validazione riguarda fra
l’altro (…) l’acquisizione di tutte le
approvazioni ed autorizzazioni di legge,
necessarie ad assicurare l’immediata
cantierabilità del progetto".
L’esame degli atti prevenuti fa emergere con
evidenza che il Comune non ha seguito le
disposizioni normative in materia di
validazione, discostandosi notevolmente
dall’iter usuale senza alcuna particolare
motivazione espressa.
Infatti, il verbale di validazione è stato
redatto nella stessa data in cui sono state
richieste agli Enti competenti le prescritte
autorizzazioni (20.11.2009), i quali in
esito a tali richieste hanno imposto delle
prescrizioni che hanno previsto la redazione
di proposte alternative a quelle progettate
(cfr. nota del 22.06.2010, prot. n. 13117,
della Soprintendenza per i Beni
Architettonici, Paesaggistici, Storici,
Artistici ed Etnoantropologici per le
Provincie di Caserta e Benevento).
Inoltre, l’attestazione del progettista
allegata al verbale, che riguarda il
progetto definitivo e non quello esecutivo,
non appare rilevare, in realtà, alcun valore
di validazione del progetto in quanto non
può sostituirsi alle autorizzazioni delle
Autorità preposte alla tutela dei vincoli.
Per supposto si potrebbe teorizzare un
potere surrogatorio o sostitutivo del libero
professionista riguardo tali Enti, che, allo
stato non appare esistere in alcun grado
dell’ordinamento.
Ed ancora, l’aver posto in gara un progetto
non ancora definitivamente approvato dagli
organi competenti, come appare ricorrere
nella fattispecie in esame, ha esposto la
S.A. ad eventuali successive problematiche
con l’impresa esecutrice, con la redazione
obbligatoria di varianti in corso d’opera,
in quanto non vi è certezza riguardo la
piena e sicura cantierabilità del progetto
posto a base di gara. Su tale argomento
l’Autorità si è già ampiamente espressa (ex
plurimus, Deliberazioni n. 124/2001 e n.
97/2004) ribadendo il contrasto di tale
comportamento con l’art. 47 del D.P.R.
21.12.1999, n. 554 e s.m.i., quando viene
indetto e, quindi, aggiudicato un appalto
sulla base di una progettazione esecutiva
non corredata di tutte le prescritte
approvazioni ed autorizzazioni di legge
necessarie ad assicurare l’immediata
cantierabilità del progetto.
Per quanto attiene l’attribuzione delle
funzioni del responsabile unico del
procedimento si rileva che, non è conforme
al disposto dell’art. 10 del D.Lgs.
12.04.2006 n. 163, e dell’art. 7 del D.P.R.
21.12.1999, n. 554, l’individuazione del
segretario comunale quale responsabile unico
del procedimento in quanto, ancorché in
possesso di ultradecennale esperienza, per
espressa previsione normativa tale ruolo può
essere rivestito solo da un tecnico
dipendente dell’amministrazione
aggiudicatrice abilitato all’esercizio della
professione o, quando l’abilitazione non sia
prevista dalla normativa vigente, da un
funzionario con idonea professionalità e con
anzianità di servizio in ruolo non inferiore
a 5 anni.
Solo subordinatamente, in caso di accertata
carenza di dipendenti di ruolo in possesso
di professionalità adeguate, le
amministrazioni aggiudicatrici nominano il
responsabile del procedimento tra i propri
dipendenti in servizio, supportati nello
svolgimento dei compiti così attribuiti da
funzionari in possesso delle specifiche
professionalità necessarie allo svolgimento
di tali compiti ovvero da tecnici esterni.
In caso di particolare necessità ai sensi
dell’art. 7, co. 5, del DPR 554/1999 le
competenze del responsabile del procedimento
sono attribuite al responsabile dell’ufficio
tecnico e della struttura corrispondente e,
ove non sia presente tale figura, al
responsabile del servizio al quale attiene
il lavoro da realizzare.
Su tale argomento l’Autorità si è già
espressa con la Deliberazione n. 21/2006,
nella quale si afferma che l’individuazione
del segretario comunale quale responsabile
del procedimento non risulta conforme alle
disposizioni di cui all’art. 7 della legge
11.02.1994, n. 109 e s.m., che invece
richiede la qualifica di tecnico per
ricoprire tale incarico. Una diversa
interpretazione della norma ne sminuirebbe
il contenuto precettivo-indicativo per gli
operatori del settore, svuotandola di
significato effettivo.
In base a quanto sopra considerato,
Il Consiglio:
• rileva il contrasto con l’art. 47 del
D.P.R. 554/1999 inerente le modalità di
validazione della progettazione in carenza
dell’acquisizione di tutte le prescritte
autorizzazioni di legge al fine della
effettiva cantierabilità dei lavori;
• rileva il contrasto con l’art 10 del
D.Lgs. 12.04.2006 n. 163 e con l’art. 7 del
D.P.R. 21.12.1999, n. 554, per quanto
attiene la nomina di responsabile unico del
procedimento del segretario comunale;
• censura il comportamento della stazione
appaltante e richiama la stessa al rispetto
delle norme vigenti;
• manda alla Direzione Generale Vigilanza
Lavori affinché notifichi la presente
deliberazione alla stazione appaltante ed
all’esponente
(deliberazione
23.02.2011 n. 24 - link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
LAVORI PUBBLICI: Non
è compito dei candidati redigere un proprio
computo metrico per valutare le quantità
definite da ciascun corpo di lavorazione,
trattandosi di un documento di computo che
deve esse previsto, invece, in progetto,
mentre è compito delle imprese verificare le
quantità previste in progetto in base agli
elementi forniti dallo stesso.
Diversamente opinando, verrebbe ad essere
ingiustificatamente compresso il diritto
dell’aspirante appaltatore di effettuare
corrette e ponderate valutazioni
dell’appalto, con conseguenti ricadute
negative sulla formulazione dell’offerta,
essendo fondamentale, in particolare in un
lavoro da appaltare e contabilizzare a
corpo, la definizione qualitativa e
quantitativa del lavoro da eseguire, in
corrispondenza del quale è indicato un
prezzo complessivo ed invariabile; per altro
verso verrebbe a mancare un criterio di
uniformità di valutazione rispetto alle
quantità effettivamente stimate dal
progettista per la valutazione del corpo,
con impossibilità anche di fornire
giustificativi rispondenti a quanto previsto
dal progettista (parere di
precontenzioso 20.10.2010 n. 176 - link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI: Qualora
il bando commini espressamente l’esclusione
dalla gara in conseguenza di determinate
prescrizioni, l’Amministrazione è tenuta a
dare precisa ed incondizionata esecuzione a
dette prescrizioni, restando preclusa
all’interprete ogni valutazione circa la
rilevanza dell’inadempimento, la sua
incidenza sulla regolarità della procedura
selettiva e la congruità della sanzione
contemplata nella lex specialis, alla
cui osservanza la stessa Amministrazione si
è autovincolata al momento del bando (cfr.,
ex multis, pareri n. 215 del
17.09.2008 e n. 262 del 17.12.2008).
Ciò va ribadito in specie laddove la
clausola sia chiaramente evidenziata
nell’ambito della lex specialis,
nonché formulata in termini letterali che
non presentano profili di dubbio
interpretativo
(parere di
precontenzioso 20.10.2010 n. 175 - link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI: Questa
Autorità ha chiarito, con specifico
riferimento alle Associazioni Temporanee di
Impresa di tipo orizzontale, disciplinate
dall’art. 95, comma 2 del D.P.R. n.
554/1999, che “ai sensi dell’articolo 3,
comma 2, del D.P.R. n. 34/2000, nel caso di
associazione temporanea orizzontale, le
mandanti possono incrementare di un quinto
la loro classifica soltanto se essa è almeno
pari al 20% dell’importo complessivo
dell’appalto, mentre la partecipazione
all’associazione può avvenire anche se la
classifica è pari al 10 per cento”
(deliberazione n. 75, del 06.03.2007), con
ciò sottolineando, come appare
incontestabile, che il dato contenuto nel
regolamento di qualificazione subordina il
beneficio dell’incremento al possesso del 20
per cento dell’importo dell’appalto:
fattispecie che, ovviamente, non si verifica
allorché la mandante partecipi all’A.T.I. in
misura inferiore al 20 per cento
(parere di
precontenzioso 20.10.2010 n. 174 - link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI: In
relazione alla valutazione in concreto
dell’anomalia dell’offerta, questa Autorità
si è già pronunciata nel senso che compete
all’Amministrazione il giudizio tecnico
sulla congruità, serietà e realizzabilità
dell’offerta, non essendo ammissibile una
sindacabilità nel merito con effetto
sostitutivo nell’esercizio di tale potere di
valutazione.
Gli apprezzamenti compiuti dalla Commissione
giudicatrice in sede di riscontro
dell’anomalia dell’offerta costituiscono,
infatti, espressione di un potere di natura
tecnico–discrezionale, improntato a criteri
di ragionevolezza, logicità e
proporzionalità, che resta prerogativa di
esclusiva competenza della stazione
appaltante (pareri n. 17 del 12.02.2009; n.
169 del 21.05.2008 e n. 213 del 31.07.2008)
(parere di
precontenzioso 20.10.2010 n. 173 - link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI SERVIZI: Le
Tabelle ministeriali relative al costo del
lavoro pongono delle regole di azione della
P.A. ai fini della corretta predisposizione
dei bandi di gara, nonché della valutazione
delle soglie di anomalia delle offerte dei
partecipanti a gare d’appalto, e non si
propongono, invece, di determinare una
misura del costo del lavoro rilevante agli
effetti degli appalti pubblici in via
autoritativa, quale intervento regolatorio
sui prezzi a fini amministrativi (in tal
senso, Consiglio di Stato, Sez. VI,
21.11.2002, n. 6415: TAR Lombardia, Brescia,
23.10.2007, n. 915; TRGA Trentino Alto
Adige, Trento, 23.06.2008, n. 154).
E’ pertanto sempre necessario che venga
consentito all’impresa di fornire le proprie
giustificazioni, anche in riferimento al
superamento di detti limiti minimi, dato che
tale insopprimibile esigenza di
contraddittorio costituisce specifica
espressione del più generale principio di
partecipazione e trova corrispondenza nel
dovere dell’Amministrazione di motivare in
ordine alla ritenuta incongruità
dell’offerta (Cfr. Consiglio di Stato,
n.4847/2008 cit.; Corte Giustizia CE, Sez.
II, 03.04.2008 in C-346/06)
(parere di
precontenzioso 20.10.2010 n. 172 - link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI: L’obbligo
della dichiarazione di cui all’art. 38,
lett. c, del d.lgs. 12.04.2006, n. 163
risponde alla fondamentale esigenza di
consentire alla stazione appaltante di
valutare la sussistenza del requisito della
moralità professionale –in caso di società
per azioni, come nella specie– sia in capo
al direttore tecnico sia in capo agli
amministratori muniti di poteri di
rappresentanza.
La ratio legis risiede nell'esigenza
di verificare l’affidabilità
complessivamente considerata dell’operatore
economico scelto per la stipula del
contratto e dunque il possesso dei suddetti
requisiti di moralità in capo ai soggetti
dell’operatore economico medesimo che, in
quanto titolari di poteri di rappresentanza,
siano in grado di trasmettere con il proprio
personale comportamento la riprovazione
dell’ordinamento al soggetto rappresentato e
che abbiano altresì un significativo ruolo
decisionale e gestionale, compresi gli
institori e i vicari, per cui ai fini di una
corretta applicazione della normativa in
questione occorre necessariamente fare
riferimento alle funzioni sostanziali di
tali soggetti più che alle qualifiche
formali, compiendo a tal fine un’operazione
interpretativa, altrimenti la evidenziata
ratio potrebbe essere agevolmente elusa
e dunque vanificata (pareri dell’Autorità:
n. 5 del 15.01.2009; n. 47 dell’11.03.2010 e
n. 79 del 15.04.2010; Consiglio di Stato,
Sez. VI, n. 523 dell'08.02.2007; Sez. V, n.
36 del 15.01.2008; sulla necessità che anche
l’institore renda la dichiarazione
concernente i requisiti di moralità: TAR
Sardegna, Sez. I, n. 971 del 19.05.2008)
(parere di
precontenzioso 20.10.2010 n. 171 - link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI: Se
è vero che, nel caso di avvalimento nei
confronti di un’impresa che appartiene al
medesimo gruppo, si prescinde dalla
presentazione di copia del contratto tra
avvalente ed avvalso, in virtù del quale
l'impresa ausiliaria si obbliga nei
confronti del concorrente a fornire i
requisiti ed a mettere a disposizione le
risorse necessarie per tutta la durata
dell'appalto (art. 49, lettera f), del
D.Lgs. n. 163/2006), consentendosi
all’impresa concorrente di presentare una
dichiarazione sostitutiva attestante il
legame giuridico ed economico esistente nel
gruppo (art. 49, lettera g), del D.Lgs. n.
163/2006), nondimeno è necessaria, anche in
questo caso, la presentazione di una
dichiarazione sottoscritta dall'impresa
ausiliaria, con cui quest'ultima si obbliga
verso il concorrente e, soprattutto, verso
la stazione appaltante a mettere a
disposizione per tutta la durata
dell’appalto le risorse necessarie di cui è
carente il concorrente (art. 49, lettera d),
del D.Lgs. n. 163/2006) come pure rimangono
necessarie le altre dichiarazioni di cui
alle lettere c) ed e) del citato art. 49 del
D.Lgs. n. 163/2006
(parere di
precontenzioso 20.10.2010 n. 170 - link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI: Anche
una dichiarazione sintetica è pienamente in
grado di assolvere le finalità perseguite
dalla stazione appaltante, vale a dire di
escludere –salvo verifica– la presenza delle
circostanze ostative alla partecipazione
alle gare, di cui all’art. 38 del D.Lgs. n.
163/2006.
Si impone, pertanto, una interpretazione non
formalistica del dato positivo anche in
conformità al principio, pacifico in tema di
contratti ad evidenza pubblica, secondo cui
le disposizioni del bando devono essere
interpretate in modo da consentire la più
ampia partecipazione dei concorrenti(cfr.
parere n. 6 del 16.01.2008; parere n. 4 del
14.01.2010 e parere n. 140 del 22.07.2010)
(parere di
precontenzioso 20.10.2010 n. 169 - link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
GIURISPRUDENZA |
APPALTI SERVIZI:
Sulla legittimità
dell'affidamento della gestione della sede
farmaceutica rurale ad un concorrente
nonostante la dichiarazione che ha reso non
riproduca esattamente la formulazione
prevista dal bando.
Non si applicano le specifiche disposizioni
previste dal d.lgs. n.163/2006 (codice dei
contratti) per l'affidamento di una farmacia
da parte della amministrazione comunale,
trattandosi di concessione di un servizio
pubblico.
Le clausole della "lex specialis",
ancorché contenenti comminatorie di
esclusione, non possono essere applicate
meccanicisticamente, ma secondo il principio
di ragionevolezza, e debbono essere valutate
alla stregua dell'interesse che la norma
violata è destinata a presidiare per cui,
ove non sia ravvisabile la lesione di un
interesse pubblico effettivo e rilevante,
deve essere accordata la preferenza al "favor
partecipationis".
Pertanto, nel caso di specie, è legittimo
l'affidamento della gestione della sede
farmaceutica rurale al concorrente che si è
comunque impegnato a fornire la garanzia che
gli veniva richiesta, precisando che lo
avrebbe fatto mediante dichiarazione
bancaria, ed anzi ha semmai aggiunto
qualcosa di più, a dimostrazione della
propria affidabilità, avendo dato atto di
essere in possesso di una solida situazione
patrimoniale.
In sostanza la dichiarazione resa
dall'aggiudicatario, anche se non
esattamente conforme al modello indicato nel
bando, è tale da soddisfare pienamente
l'interesse della amministrazione appaltante
ad acquisire l'impegno del concorrente alla
prestazione della garanzia che gli veniva
richiesta.
---------------
Considerato che, l'affidamento della
farmacia da parte della amministrazione
comunale si risolve nella concessione di un
servizio pubblico, a norma di quanto
stabilito dall'art. 30 del d.lgs. n.163/2006
non si applicano le specifiche disposizioni
previste dal codice dei contratti, ma semmai
"i principi generali relativi ai
contratti pubblici" (Consiglio di Stato,
Sez. III,
sentenza 12.05.2011 n. 2851 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Anche nei cottimi appalti la
dichiarazione in materia di tutela dei
diritti dei disabili va presentata a pena di
esclusione, pur in assenza di espressa
previsione nel bando di gara.
La dichiarazione di cui all'art. 17, l. 12.03.1999 n. 68, in materia di tutela dei
disabili, costituisce requisito di
partecipazione per qualsiasi tipologia di
gara, sia essa sopra soglia o sotto soglia
comunitaria; ne consegue che la omissione di
detta dichiarazione costituisce causa di
esclusione per la forza cogente propria
della legge, anche se non richiamata dalla
lex specialis (Cons. Stato, sez. V, 10.01.2007 n. 33; 24.01.2007 n. 2566
e 06.07.2002 n. 3733; Sez IV, 14.05.2004 n.
3148) (massima tratta da www.dirittodegliappaltipubblici.it -
TAR Sicilia-Catania, Sez. I,
sentenza 12.05.2011 n. 1160 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Sono devolute alla giurisdizione
esclusiva del g.a le controversie
concernenti la determinazione, liquidazione
e corresponsione degli oneri concessori.
Per consolidata giurisprudenza le
controversie in tema di oneri di
urbanizzazione e di costo di costruzione
introducono un giudizio su un rapporto
prescindendo dalla impugnazione di atti
(Cons. St., Sez. V, 19.07.2004 n.
5197): tutte le controversie concernenti, l’an
e il quantum delle somme dovute a titolo di
contributo in dipendenza di norme di legge e
regolamentari attengono a diritti soggettivi
azionabili nei termini di prescrizione
(Cons. St., Sez. V, 10.07.2003 n. 4102),
giacché, l’amministrazione, nella
determinazione delle somme dovute a titolo
di contributo non esercita poteri autoritativi discrezionali ma compie
attività di mero accertamento della
fattispecie in base ai parametri fissati da
leggi e da regolamenti.
Le relative
controversie, dunque, rientrano nella
categoria di quelle attinenti l'impugnativa
di atti paritetici, investe diritti
soggettivi e non è sottoposta ai termini decadenziali propri dei giudizi impugnatori
(Cons. St. Sez. V, 17.10.2002,
n. 5678).
Inoltre, le controversie
concernenti la determinazione, liquidazione
e corresponsione degli oneri concessori già
devolute alla giurisdizione esclusiva del
giudice amministrativo ai sensi dell'art. 16
l. 28.01.1977 n. 10, abrogato a seguito
dell’entrata in vigore del D.Lgs. 104/2010,
rientrano oggi nella previsione dell’art.
133, lett. f), del codice del processo
amministrativo secondo cui sono devolute
alla giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo, tra l'altro, "le
controversie aventi ad oggetto gli atti e i
provvedimenti delle pubbliche
amministrazioni in materia urbanistica e
edilizia, concernente tutti gli aspetti
dell'uso del territorio" (massima tratta da www.dirittodegliappaltipubblici.it -
TAR Sicilia-Catania, Sez. I,
sentenza 12.05.2011 n. 1159 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Appartiene alla giurisdizione del
g.o. l'opposizione avverso il provvedimento
di rimozione della pubblicità abusiva lungo
le strade.
Per giurisprudenza costante della Suprema
Corte di Cassazione in caso di violazione
del divieto, previsto dall'art. 23 c. strad.,
di collocare cartelli e altri mezzi
pubblicitari lungo le strade in assenza di
autorizzazione, l'opposizione avverso il
provvedimento di irrogazione sia della
sanzione pecuniaria che di quella,
accessoria, della rimozione della pubblicità
abusiva, appartiene alla giurisdizione del
g.o., poiché in entrambi i casi la p.a. non
esercita alcun potere autoritativo, ma si
limita all'applicazione, scevra da
discrezionalità, delle disposizioni di legge
(Cassazione civile, s.u., 23.06.2010, n.
15170; Cassazione civile, s.u., 03.03.2010, n. 5020; Cass., S.U. 14.01.2009
n. 563) (massima tratta da www.dirittodegliappaltipubblici.it -
TAR Sicilia-Catania, Sez. II,
sentenza 12.05.2011 n. 1116 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Sulla legittimità da parte della
stazione appaltante di una verifica delle
offerte approfondita nel caso di un'offerta
anomala che presenti un ribasso
particolarmente consistente.
E' legittima una verifica dell'anomalia
approfondita, in ordine alla congruità di
un' offerta che presenti un ribasso
particolarmente consistente, e ciò al fine
di accertare che l'offerente, nonostante il
ridotto margine di utile, sia in grado di
fornire una prestazione adeguata a
soddisfare l'interesse pubblico alla
regolare esecuzione.
In tema di verifica in ordine all'anomalia
delle offerte presentate in sede di gara,
secondo un consolidato indirizzo
giurisprudenziale, la stazione appaltante
gode di ampia discrezionalità, per cui la
relativa valutazione, inerendo al merito
amministrativo, è da ritenersi insindacabile
in sede di legittimità, se non per aspetti
di manifesta irrazionalità od evidente
travisamento dei fatti, che non sussistono,
alla luce anche del concreto procedimento
svolto per la verifica di attendibilità
dell'offerta.
Nel caso di specie, con riguardo alla soglia
di anomalia individuata, si è ritenuto
ingiustificato il ribasso offerto in
considerazione di una pluralità di ragioni,
che nel loro insieme sorreggono la
valutazione avanzata dalla stazione
appaltante. Tali motivazioni evidenziano
l'inattendibilità economica dell'offerta per
eccessivo ribasso, ai fini di un corretto
esercizio in fase di esecuzione del
contratto.
Peraltro, il concorrente non risulta in
grado di fornire una prestazione adeguata a
soddisfare l'interesse pubblico alla
regolare esecuzione dei lavori in appalto,
secondo i dovuti livelli e standards di
efficienza e qualità (Consiglio di Stato,
Sez. IV,
sentenza 09.05.2011 n. 2751 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La legge condonistica estende la
possibilità di sanatoria pure agli edifici
che, anche se non ancora ultimati, hanno già
acquisito una fisionomia tale da rendere
individuabile il disegno progettuale e la
destinazione abitativa e che necessita solo
di lavori di completamento per la sua
funzionalità.
Per completamento funzionale deve intendersi
la realizzazione delle principali opere
necessarie per attuare il mutamento di
destinazione, incompatibili con l'originaria
destinazione assentita, ancorché non siano
stati ancora realizzati gli impianti e le
rifiniture di carattere complementare ed
accessorio; pertanto, gli indicatori
principali del completamento funzionale in
caso di mutamento d'uso da alberghiero ad
abitativo di un edificio sono dati dalla
individuazione e definizione degli ambienti
costituenti l'unità residenziale e dalla
presenza degli impianti per l'installazione
delle cucine, non occorrendo l'effettiva
utilizzazione della nuova destinazione.
Come ritenuto da questo Consiglio, la legge
condonistica estende la possibilità di
sanatoria pure agli edifici che, anche se
non ancora ultimati, hanno già acquisito una
fisionomia tale da rendere individuabile il
disegno progettuale e la destinazione
abitativa e che necessita solo di lavori di
completamento per la sua funzionalità (V,
03.07.1995, n. 1002; II, 14.03.1990, n.
669).
Deve essere
rammentato quanto ritenuto da questo
Consiglio in casi consimili:
- “per completamento funzionale deve
intendersi la realizzazione delle principali
opere necessarie per attuare il mutamento di
destinazione, incompatibili con l'originaria
destinazione assentita, ancorché non siano
stati ancora realizzati gli impianti e le
rifiniture di carattere complementare ed
accessorio; pertanto, gli indicatori
principali del completamento funzionale in
caso di mutamento d'uso da alberghiero ad
abitativo di un edificio sono dati dalla
individuazione e definizione degli ambienti
costituenti l'unità residenziale e dalla
presenza degli impianti per l'installazione
delle cucine, non occorrendo l'effettiva
utilizzazione della nuova destinazione”
(V, 04.07.2002, n. 3679);
- “per ottenere il condono edilizio in
caso di mutamento di destinazione d'uso di
un fabbricato è sufficiente (in base al
combinato disposto degli art. 4, comma 1, e
18, comma 1 e 5, l. 28.01.1977 n. 10 e
dell'art. 31, comma 2, l. 28.02.1985 n. 47)
che quest'ultimo venga funzionalmente
completato entro l'01.10.1983, ossia
che entro tale data, pur se le attività
costruttive siano ancora in corso, il
fabbricato sia comunque già fornito delle
opere indispensabili a renderne
effettivamente possibile un uso diverso da
quello a suo tempo assentito...cioè di opere
del tutto incompatibili con l'originaria
destinazione d'uso, e ciò per l'evidente
ragione di non incorrere nell'eventuale
disparità di trattamento, che potrebbe
scaturire tra le ipotesi di nuova
costruzione totalmente abusiva -per la cui
sanabilità bastano l'esecuzione del rustico
ed il completamento della copertura- e i
casi di opere interne con mutamento di
destinazione d'uso, per le quali è appunto
sufficiente il completamento funzionale”
(V, 14.07.1995, n. 1071);
- “per il condono dell'abusivo mutamento
della destinazione d'uso di un immobile è
sufficiente che, ai sensi dell'art. 31,
comma 2, l. 28.02.1985 n. 47, lo stesso sia
stato "completato funzionalmente" entro il
termine dell'01.10.1983, vale a dire che
entro tale data (anche se le attività
costruttive siano ancora in corso)
l'immobile deve essere comunque già fornito
delle opere indispensabili a rendere
effettivamente possibile un uso diverso da
quello assentito” (V, 16.12.1994, n.
1514).
Dunque, il determinato mutamento di
destinazione d’uso a residenziale abitativo,
non è di ostacolo alla condonabilità, perché
concomitante all’esecuzione dei lavori per
stessa ammissione di parte appellante
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 09.05.2011 n. 2750 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L'art. 9 del d.m. 20.04.1968 n. 1444, il
quale detta le citate disposizioni in tema
di distanze tra le costruzioni, stante la
sua natura di norma primaria, sostituisce
eventuali disposizioni contrarie contenute
nelle norme tecniche di attuazione di un
piano regolatore e la prescritta distanza di
10 metri tra pareti finestrate di edifici
antistanti va rispettata in tutti i casi,
trattandosi di norma volta ad impedire la
formazione di intercapedini nocive sotto il
profilo igienico-sanitario e della
sicurezza, per cui esso disposto non è
eludibile in funzione della natura giuridica
dell'intercapedine stessa.
In tema di distanze legali nelle
costruzioni, le prescrizioni contenute nei
piani regolatori e nei regolamenti edilizi
comunali, essendo dettate, contrariamente a
quelle del codice civile, a tutela
dell'interesse generale a un prefigurato
modello urbanistico, non tollerano deroghe
convenzionali da parte dei privati e tali
deroghe, se concordate, sono invalide, né
tale invalidità può venire meno per
l'avvenuto rilascio di concessione edilizia,
poiché il singolo atto non può consentire la
violazione dei principi generali dettati,
una volta per tutte, con gli indicati
strumenti urbanistici.
Qualora gli strumenti urbanistici
stabiliscano determinate distanze dal
confine e nulla aggiungano sulla possibilità
di costruire “in aderenza” od “in appoggio”,
la preclusione di dette facoltà non consente
l'operatività del principio della
prevenzione, mentre, nel caso in cui invece
tali facoltà siano previste, si versa in
ipotesi del tutto analoga a quella
disciplinata dagli art. 873 e ss. c.c., con
la conseguenza che è consentito al
preveniente costruire sul confine, ponendo
il vicino, che intenda a sua volta
edificare, nell'alternativa di chiedere la
comunione del muro e di costruire in
aderenza (eventualmente esercitando le
opzioni previste dagli art. 875 e 877, comma
2, c.c.), ovvero di arretrare la sua
costruzione sino a rispettare la maggiore
intera distanza imposta dallo strumento
urbanistico.
La giurisprudenza (cfr. Cons. St., IV,
02.11.2010 n. 7731), da tempo ha chiarito
che l'art. 9 del d.m. 20.04.1968 n. 1444, il
quale detta le citate disposizioni in tema
di distanze tra le costruzioni, stante la
sua natura di norma primaria, sostituisce
eventuali disposizioni contrarie contenute
nelle norme tecniche di attuazione di un
piano regolatore e la prescritta distanza di
10 metri tra pareti finestrate di edifici
antistanti va rispettata in tutti i casi,
trattandosi di norma volta ad impedire la
formazione di intercapedini nocive sotto il
profilo igienico-sanitario e della
sicurezza, per cui esso disposto non è
eludibile in funzione della natura giuridica
dell'intercapedine stessa.
Segue da ciò -a prescindere dalla rilevanza
o incidenza connesse alle ventilate
disposizioni del regolamento edilizio
comunale e poiché la norma di cui all'art.
9, d.m. n. 1444 del 1968 è finalizzata a
stabilire un'idonea intercapedine tra
edifici nell'interesse pubblico, non a
salvaguardare l'interesse privato del
frontista alla riservatezza- che al giudice
non è lasciato alcun margine di
discrezionalità nell'applicazione della
disciplina in materia di distanze e comunque
non possano dispiegare alcun effetto
distintivo la circostanza che si tratti di
corpi di uno stesso edificio ovvero di
edifici distinti oppure assumere ruolo
interpretazioni intorno alle caratteristiche
dello spazio interno, quantunque chiostrina
o cortile o pozzo luce, specie in zona
sismica nella quale occorre in ogni caso
garantire l’intervallo di sicurezza.
Va richiamata
consolidata giurisprudenza civile in ordine
alla sopravvenienza di norme urbanistiche e
relativamente all’applicabilità di un regime
edificatorio in deroga convenzionale,
secondo la quale:
- in tema di distanze legali nelle
costruzioni, le prescrizioni contenute nei
piani regolatori e nei regolamenti edilizi
comunali, essendo dettate, contrariamente a
quelle del codice civile, a tutela
dell'interesse generale a un prefigurato
modello urbanistico, non tollerano deroghe
convenzionali da parte dei privati e tali
deroghe, se concordate, sono invalide, né
tale invalidità può venire meno per
l'avvenuto rilascio di concessione edilizia,
poiché il singolo atto non può consentire la
violazione dei principi generali dettati,
una volta per tutte, con gli indicati
strumenti urbanistici (Cassazione civile ,
sez. II, 23.04.2010, n. 9751);
- qualora gli strumenti urbanistici
stabiliscano determinate distanze dal
confine e nulla aggiungano sulla possibilità
di costruire “in aderenza” od “in
appoggio”, la preclusione di dette
facoltà non consente l'operatività del
principio della prevenzione, mentre, nel
caso in cui invece tali facoltà siano
previste, si versa in ipotesi del tutto
analoga a quella disciplinata dagli art. 873
e ss. c.c., con la conseguenza che è
consentito al preveniente costruire sul
confine, ponendo il vicino, che intenda a
sua volta edificare, nell'alternativa di
chiedere la comunione del muro e di
costruire in aderenza (eventualmente
esercitando le opzioni previste dagli art.
875 e 877, comma 2, c.c.), ovvero di
arretrare la sua costruzione sino a
rispettare la maggiore intera distanza
imposta dallo strumento urbanistico
(Cassazione civile , sez. II, 09.04.2010, n.
8465)
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 09.05.2011 n. 2749 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ENTI LOCALI:
La mancata dimora effettiva e
stabile costituisce adeguato presupposto per
la dichiarazione di decadenza
dall'assegnazione dell'alloggio popolare.
La mancata dimora effettiva e stabile
costituisce adeguato presupposto per la
dichiarazione di decadenza dall'assegnazione
dell'alloggio popolare. Tale decadenza non
ha carattere sanzionatorio, ma è un
provvedimento di autotutela adottato a
garanzia del perseguimento del pubblico
interesse all'effettiva destinazione di un
certo patrimonio pubblico immobiliare alla
soddisfazione del bisogno abitativo sociale.
Ai fini della revoca è sufficiente la
mancata occupazione dell'immobile da parte
dell'assegnatario, intendendosi per
occupazione non la semplice tenuta a
disposizione, ma la dimora effettiva e
abituale.
Pertanto, nel caso di specie, è infondato il
ricorso promosso al fine di ottenere
l'annullamento del provvedimento con cui si
è ordinato al ricorrente di rilasciare
l'alloggio E.R.P. precedentemente
assegnatogli, laddove risulti accertato che
il medesimo non dimori più stabilmente
nell'alloggio in parola, in quanto è
irrilevante che l'alloggio sia usato per
brevi periodi durante l'anno, è inconferente
che l'allontanamento sia avvenuto per
ragioni più che motivate e valide ed è
altresì inconferente la volontà del
ricorrente di ritornarvi, una volta cessati
i motivi dell'allontanamento (TAR Molise,
sentenza 09.05.2011 n. 233 - link
a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Esclusione dalle gare pubbliche:
chi ha interesse a riottenere la riedizione.
Se da un lato è
sufficiente l'interesse strumentale del
partecipante ad una gara pubblica di appalto
per ottenere la riedizione della gara
stessa, dall'altro lato deve ritenersi che
un tale interesse non sussista in capo al
soggetto legittimamente escluso dato che
questi, per effetto della esclusione, rimane
privo non soltanto del titolo legittimante a
partecipare alla gara, ma anche a
contestarne gli esiti e la legittimità delle
distinte scansioni procedimentali.
Questa Sezione
del Consiglio di Stato ha rilevato che se è
sufficiente l’interesse strumentale del
partecipante ad una gara pubblica di appalto
ad ottenere la riedizione della gara stessa,
“... deve in ogni caso ritenersi che un
tale interesse non sussista in capo al
soggetto legittimamente escluso dato che
tale soggetto, per effetto di tale
esclusione, rimane privo non soltanto del
titolo legittimante a partecipare alla gara,
ma anche a contestarne gli esiti e la
legittimità delle distinte scansioni
procedimentali “ (Cons. Stato, V,
22.06.2010 n. 3889).
E’ stato altresì rilevato che: “se fosse
accettabile l’assunto che l’interesse
strumentale, cioè la prospettiva del
vantaggio consistente nella semplice
possibilità di partecipare alla riedizione
della gara, basti a legittimare il candidato
estromesso ad impugnare gli atti di gara,
occorrerebbe con coerenza dichiarare
qualunque operatore economico legittimato ad
impugnare ogni gara consona al proprio
ambito merceologico, a prescindere da
qualsivoglia candidatura, in presenza di
vizi atti a travolgere radicalmente il
procedimento ed prepararne il rinnovo”
(Cons. Stato IV, 26.11.2009 n. 7441).
Sotto altro profilo va rilevato che nel caso
in cui l’impresa partecipi alla gara
l’interesse da riconoscere è quello alla
vittoria nella specifica gara a cui ha
partecipato e non anche quello al rinnovo
della gara previo un nuovo bando, altrimenti
si perviene in concreto a rimettere in corsa
un concorrente di cui è stato accertato il
difetto dei requisiti di partecipazione
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 06.05.2011 n. 2716 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Informativa
prefettizia atipica, la revoca
dell'aggiudicazione richiede un'adeguata istruttoria.
Pur condividendosi l’affermazione di
principio, secondo la quale ai fini della
revoca della aggiudicazione di un appalto a
seguito della acquisizione di una
informativa antimafia atipica è sufficiente
l’esistenza di elementi sintomatici del
pericolo di collegamento tra l'impresa e le
organizzazioni criminali, non può non
sottolinearsi la necessità di una adeguata
istruttoria, dalla quale emergano elementi
indiziari che, complessivamente considerati,
rendano attendibile l'ipotesi del tentativo
di ingerenza da parte di tali
organizzazioni.
Un diverso modus procedendi comporta,
infatti, il rischio della estromissione dal
circuito degli appalti pubblici di imprese
non collegate con il contesto mafioso, con
conseguente alterazione dei meccanismi della
concorrenza
(massima tratta da
www.dirittodegliappaltipubblici.it -
TAR Sicilia-Palermo, Sez. I,
sentenza
06.05.2011 n. 883 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
In presenza di una informativa antimafia
atipica l'amministrazione che decida di
recedere dai contratti o escludere una
concorrente dall'ambito delle procedure in
corso, deve fornire un'adeguata motivazione.
In presenza di una informativa antimafia
atipica, l'amministrazione che decida di
recedere dai contratti o escludere una
concorrente dall'ambito delle procedure in
corso deve fornire un'adeguata motivazione,
non potendo essa fare mero riferimento
all'esistenza della predetta informativa.
Pertanto, nel caso di specie, deve essere
annullato il provvedimento del Comune
essendosi limitato a richiamare la nota
prefettizia per giustificare la propria
decisione di non invitare la ricorrente alla
presentazione di offerte nell'ambito delle
procedure ristrette bandite (TAR
Sicilia-Palermo, Sez. I,
sentenza 06.05.2011 n. 862 - link
a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI -
EDILIZIA PRIVATA:
Il vicino, autore di un esposto o
di una denuncia, non assume la veste di
controinteressato nel giudizio contro
l'annullamento di un determinato
provvedimento amministrativo, anche se
all'esposto ed al suo autore la p.a. faccia
espresso riferimento nel provvedimento
impugnato, poiché il disposto annullamento,
effettuato nell'esercizio del potere di
autotutela, costituisce un provvedimento
d'ufficio, emesso per il raggiungimento di
finalità di pubblico interesse.
L'annullamento del provvedimento illegittimo
non può essere disposto per la sola esigenza
di ristabilire la legalità dell'azione
amministrativa, posto che tale interesse,
pur rilevante, deve essere comparato con
altri interessi posti a tutela della
stabilità delle relazioni giuridiche, anche
se basate su provvedimenti illegittimi.
L'annullamento d'ufficio è, dunque, un
provvedimento discrezionale, che può essere
disposto quando sussistano ragioni di
pubblico interesse all'eliminazione del
provvedimento.
Il Collegio, conformemente al costante
orientamento giurisprudenziale, sottolinea
che il vicino, autore di un esposto o di una
denuncia, non assume la veste di
controinteressato nel giudizio contro
l'annullamento di un determinato
provvedimento amministrativo, anche se
all'esposto ed al suo autore la p.a. faccia
espresso riferimento nel provvedimento
impugnato, poiché il disposto annullamento,
effettuato nell'esercizio del potere di
autotutela, costituisce un provvedimento
d'ufficio, emesso per il raggiungimento di
finalità di pubblico interesse (cfr., ex
multis, TAR Lazio-Latina, 16.03.2010, n.
293; TAR Puglia-Bari, sez. I, 21.02.2006, n.
558).
---------------
L’art.
21-nonies della l. n. 241 del 1990 subordina
l’esercizio del potere di annullamento
d’ufficio a specifici presupposti.
Primo fondamentale presupposto è costituito
dalla sussistenza di ragioni di interesse
pubblico le quali, tuttavia, devono essere
diverse ed ulteriori rispetto al mero
ripristino della legalità.
Ciò in quanto non sono da escludere ipotesi
nelle quali l’atto illegittimo sia
funzionale al perseguimento dell’interesse
pubblico ovvero la permanenza dell’atto e
della sua efficacia si giustifichi in
rapporto alla tutela degli affidamenti.
L’interesse pubblico inoltre, deve essere
apprezzato nella sua configurazione attuale;
ciò implica la necessità di procedere ad una
nuova istruttoria nella quale esaminare e
comparare tanto l’interesse primario quanto
gli altri interessi coinvolti, pure
considerati nell’attuale loro consistenza,
come anche gli eventuali ulteriori interessi
non considerati in primo grado.
Nella valutazione circa la sussistenza delle
ragioni di interesse pubblico
l’amministrazione è, altresì, tenuta a
rispettare i principi che governano
l’esercizio dell’attività amministrativa tra
i quali, in particolare, il principio di
proporzionalità, che impone canoni di
stretta necessità, in rapporto alle
situazioni giuridiche soggettive ascrivibili
in capo ai privati.
Nella fattispecie oggetto di giudizio
emerge, da un attento esame del
provvedimento di annullamento d’ufficio
gravato, la radicale assenza di motivazione
in ordine all’interesse pubblico concreto,
attuale e prevalente alla base della sua
adozione.
Emblematiche, sul punto, risultano le
locuzioni utilizzate dall’amministrazione;
nel suddetto provvedimento si afferma,
infatti, che l’annullamento d’ufficio è
stato disposto a motivo della ritenuta “attualità
del contrasto dell’atto amministrativo
rilasciato con la normativa richiamata e
quindi l’esigenza del ripristino della
legalità per le richiamate superiori
esigenze pubbliche”.
Il provvedimento di annullamento in
autotutela pone, dunque, a proprio
fondamento esclusivamente l’esigenza di
ripristino della legalità violata.
Tale motivazione, tuttavia, per le ragioni
sopra esposte, non può ritenersi adeguata;
come evidenziato dalla consolidata
giurisprudenza, l'annullamento del
provvedimento illegittimo non può essere
disposto per la sola esigenza di ristabilire
la legalità dell'azione amministrativa,
posto che tale interesse, pur rilevante,
deve essere comparato con altri interessi
posti a tutela della stabilità delle
relazioni giuridiche, anche se basate su
provvedimenti illegittimi. L'annullamento
d'ufficio è, dunque, un provvedimento
discrezionale, che può essere disposto
quando sussistano ragioni di pubblico
interesse all'eliminazione del provvedimento
(cfr., ex multis, Cons. St., sez. VI,
30.07.2009, n. 4812).
Tali ragioni di interesse pubblico non sono
affatto indicate, né argomentate né
articolate nel provvedimento gravato che si
limita apoditticamente ad affermare la
prevalenza dell’interesse pubblico “al
rispetto delle condizioni di igiene e
salubrità dei cittadini ed in particolare
dei futuri abitanti dell’edificio da
ritenersi interesse pubblico superiore non
sopprimibile”.
E’ di tutta evidenza che, nella fattispecie,
è mancata una ponderazione attenta e
doverosa dei vari interessi coinvolti e lo
stesso interesse pubblico non è stato
assolutamente individuato nella sua
concretezza e attualità.
Non ignora il Collegio l’esistenza di talune
fattispecie in relazione alle quali
l’interesse pubblico all’annullamento viene
considerato in re ipsa. Ciò
ricorrente, ad esempio, nell’ipotesi di
ottemperanza ad una decisione del giudice
ordinario passata in giudicato nel caso in
cui abbia proceduto alla disapplicazione
dell’atto ritenendolo illegittimo; di
decisione negativa dell’autorità di
controllo alla quale non compete
direttamente il potere di annullamento; di
annullamento di un atto consequenziale come
necessaria conseguenza dell’annullamento
dell’atto presupposto.
La fattispecie oggetto di giudizio non
rientra in alcuno dei suddetti casi.
La difesa dell’amministrazione resistente
non manca, invero, di sostenere,
appellandosi ad un consolidato indirizzo
interpretativo, che nella fattispecie de qua
assume primario rilevo la natura
dell’interesse pubblico che entra in
considerazione –tutela della salute– con la
conseguenza che l’onere di motivazione può
ritenersi adempiuto anche in forma
sintetica, non avendo gli interessi
configgenti la stessa dignità.
Al fine di corroborare tale assunto parte
resistente sottolinea la natura di industria
insalubre dell’allevamento condotto
dall’Azienda Iseo e la possibilità, sulla
base di tale presupposto, di ricorrere ad
una presunzione assoluta di nocività e
pericolosità.
In tale quadro la difesa
dell’amministrazione evidenzia, ancora, la
particolare valenza delle norme del
regolamento di igiene, delle quali la
giurisprudenza ammette finanche
l’applicazione retroattiva.
Le deduzioni della difesa
dell’amministrazione, condivisibili ed
apprezzabili in linea generale e di
principio, non possono essere, tuttavia,
considerate pertinenti nella fattispecie
oggetto di giudizio.
Il Collegio osserva, in primo luogo, che il
pregiudizio per la salute non risulta, nella
fattispecie che ne occupa, evidente come,
invece, la difesa dell’amministrazione
pretende di sostenere.
Ciò, in specie, considerando le circostanze
di fatto; la distanza dell’allevamento del
complesso immobiliare edificato non può
essere ritenuta irrisoria, soprattutto ove
si consideri che la distanza prescritta
risulta rispettata in relazione ai locali di
stabulazione ed il contrasto con la
disposizione contenuta nel regolamento di
igiene emerge solo in relazione ai locali
accessori (sala mungitura e deposito latte).
Già tale dato induce a ritenere
insufficiente il mero riferimento alla
disposizione violata ed alla sua natura per
sostenere che l’interesse pubblico sia
implicitamente sussistente.
Il Collegio deve anche evidenziare che lo
stesso art. 96 del Regolamento di Igiene fa
salva la facoltà del Sindaco di fissare caso
per caso le condizioni ritenute opportune
per la salvaguardia della pubblica igiene,
con ciò, dunque, ammettendo, la possibilità
di valutazioni specifiche in relazione alle
peculiarità della fattispecie di volta in
volta considerata.
Deve essere altresì sottolineato che solo in
esito ad una laboriosa attività
interpretativa la disposizione suddetta si
presta ad essere interpretata nel senso di
affermare la reciprocità mentre, ad un primo
esame, la ratio ad essa sottesa
sembra essere quella di impedire
l’insediamento di nuovi allevamenti con
conseguente creazione del pericolo e non
anche quella di escludere l’accettazione di
disagi connessi all’edificazione di edifici
residenziali in prossimità degli allevamenti
stessi.
Tali considerazioni, unitamente agli
ulteriori specifici elementi desumibili
dalla documentazione versata in atti,
inducono a ritenere che, nella fattispecie,
emerge, al più, una situazione di disagio e
non già di vero e proprio pericolo per la
salute, con la conseguenza che, per quanto
in questa sede rileva, l’amministrazione
comunale non era esonerata dall’obbligo di
adeguatamente e doverosamente rappresentare,
con concretezza ed esaustività, le ragioni
di interesse pubblico alla base del
provvedimento di annullamento d’ufficio.
Come pure non era esonerata dall’obbligo di
procedere alla comparazione tra l’interesse
pubblico e quello privato, nel rispetto,
peraltro, del principio di proporzionalità
(TAR
Veneto, Sez. II,
sentenza 06.05.2011 n. 682 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Giudizio amministrativo, spese
senza soccombenza.
Vi è una palese tendenza del legislatore a
rendere sempre più stringente la deroga alla
regola secondo cui le spese seguono la
soccombenza.
La giurisprudenza ha ripetutamente chiarito
che il TAR ha amplissimi poteri
discrezionali in ordine al riconoscimento,
sul piano equitativo, dei giusti motivi per
far luogo alla compensazione delle spese
giudiziali ovvero per escluderla, con il
solo limite, in pratica, che non può
condannare, totalmente o parzialmente alle
spese la parte risultata vittoriosa in
giudizio o disporre statuizioni abnormi.
Nel caso di specie (Consiglio di Stato, Sez.
III,
sentenza 05.05.2011 n. 2695) i
giudici di Palazzo Spada hanno esaminato il
capo degli appelli volto a censurare la
compensazione delle spese resa nel giudizio
di primo grado, e che la Sezione ha ritenuto
non meritevole di accoglimento, intendendo
conformarsi al pacifico orientamento del
Consiglio (cfr., da ultimo, Sezione VI, n.
892, 14.12.2010, depositata il 09.02.2011).
L’articolo 26 del codice del processo
amministrativo stabilisce, al comma 1, la
regola secondo cui, “quando emette una
decisione, il giudice provvede anche sulle
spese del giudizio, secondo gli articoli 91,
92, 93, 94, 96 e 97 del codice di procedura
civile”, quindi confermando il principio
secondo cui la pronuncia sulle spese del
giudizio è soggetta alla stessa disciplina
prevista per il processo civile e, in linea
generale, in base all’art. 91 dello stesso
codice, le spese seguono la soccombenza.
Tuttavia, in forza dell’articolo 92, comma
secondo, del codice, nel testo originario “Se
vi è soccombenza reciproca o concorrono
altri giusti motivi, il giudice può
compensare, parzialmente o per intero, le
spese tra le parti”.
Successivamente, la legge 28.12.2005 n. 263
ha modificato la disposizione prevedendo che
“Se vi è soccombenza reciproca o
concorrono altri giusti motivi,
esplicitamente indicati nella motivazione,
il giudice può compensare, parzialmente o
per intero, le spese tra le parti”.
Infine, il testo attualmente vigente,
derivante dalle ulteriori modifiche disposte
dalla legge n. 69/2009, stabilisce che “Se
vi è soccombenza reciproca o concorrono
altre gravi ed eccezionali ragioni,
esplicitamente indicati nella motivazione,
il giudice può compensare, parzialmente o
per intero, le spese tra le parti”.
Vi è quindi una palese tendenza del
legislatore a rendere sempre più stringente
la deroga alla regola secondo cui le spese
seguono la soccombenza.
In tale quadro di riferimento, la
giurisprudenza ha ripetutamente chiarito che
il TAR ha amplissimi poteri discrezionali in
ordine al riconoscimento, sul piano
equitativo, dei giusti motivi per far luogo
alla compensazione delle spese giudiziali
ovvero per escluderla, con il solo limite,
in pratica, che non può condannare,
totalmente o parzialmente alle spese la
parte risultata vittoriosa in giudizio o
disporre statuizioni abnormi (cfr., fra le
altre, citato Cons. Stato, VI, n. 892/2011),
e la valutazione di merito sulla
compensazione delle spese non è sindacabile
neppure per difetto di motivazione.
Quanto detto vale sia in riferimento alle
sentenze di merito che a quelle meramente
processuali nelle quali, infatti, pur
sussiste una soccombenza virtuale nei
confronti del soggetto che ha agito con un
atto poi dichiarato inammissibile o
improcedibile (Cons. Stato, Sez. VI,
24.11.2010 n. 8224) (commento tratto da
www.ipsoa.it - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Responsabilità della P.A. - P.A.
acquirente, al G.O. il risarcimento
precontrattuale.
Rientra nella giurisdizione dell'A.G.O. la
controversia avente a oggetto la richiesta
di risarcimento del danno da responsabilità
precontrattuale della P.A., conseguente
all'annullamento in autotutela di una
procedura di gara esperita per l'acquisto di
un immobile.
Viene celebrata una gara per l’acquisto di
un immobile da parte della P.A.; dopo
l’aggiudicazione, quest’ultima annulla tutti
gli atti di sua indizione. Il soggetto
dichiarato provvisoriamente aggiudicatario,
trascorsi circa due anni, adisce per
ottenere il danno da culpa in contrahendo
il TAR di Catanzaro il quale, con la
segnalata sentenza, declina la propria
giurisdizione.
Ha infatti rilevato il Collegio calabrese,
delineando il principio su in massima, che
in tal caso, trattandosi di un procedimento
a evidenza pubblica per la scelta del
contraente con il quale la P.A. deve
concludere un contratto di compravendita
immobiliare, non si verte in materia di
procedure di affidamento di appalti di
lavori, forniture e servizi pubblici che
consente al G.A. di conoscere le domande
risarcitorie fondate sulla responsabilità
precontrattuale.
Ha inoltre rilevato come, in siffatta
evenienza, il danno sofferto non deriva
direttamente dal ritardo nell’emanazione del
provvedimento amministrativo richiesto
–l’aggiudicazione definitiva-, ma dal
ritardo nella stipulazione del contratto,
quindi da una condotta della P.A., in
ipotesi scorretta, che, protraendo in
maniera irragionevole le trattative per
giungere alla conclusione del contratto a
distanza di quasi due anni
dall’aggiudicazione provvisoria, sarebbe
incorsa nella violazione del dovere, sancito
dall’art. 1337 c.c., di comportarsi secondo
buona fede nello svolgimento delle
trattative e nella formazione del contratto.
La conseguenza di tanto, per l’adito G.A. è
che la giurisdizione sulle domande di
risarcimento del danno per responsabilità
precontrattuale appartiene all’Autorità
giudiziaria ordinaria, essendo stato chiesto
il risarcimento per l’asserita lesione della
libertà negoziale e, dunque, di una
posizione soggettiva diversa dall’interesse
legittimo (massima tratta da www.ipsoa.it -
TAR Calabria-Catanzaro, Sez. II,
sentenza 03.05.2011 n.
601 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: La
commissione di gara può correggere i propri
errori di percezione e redigere un nuovo
verbale che ha efficacia di piena prova.
Qualora la commissione di gara constati di
aver redatto il verbale sulla base di
erronei accertamenti o comunque di errori di
fatto, in coerenza col principio di legalità
essa stessa può constatare l’accaduto e
redigere un verbale (che a sua volta fa fede
fino a querela di falso), il quale spieghi
le circostanze emerse e adotti le relative
determinazioni.
In altri termini, la commissione ben può
prevenire la proposizione di contestazioni e
di ricorsi, constatando i propri precedenti
errori di percezione e redigendo l’ulteriore
verbale con cui sia ripristinata la legalità
(massima tratta da
www.dirittodegliappaltipubblici.it -
Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza
02.05.2011 n. 2579 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI: Sulle
conseguenze della mancata allegazione della
copia del documento di identità alla
dichiarazione sostitutiva dell'atto di
notorietà.
"La mancata allegazione, alla
dichiarazione sostitutiva od all'istanza,
della copia del documento di identità del
sottoscrittore rende l'atto non in grado di
spiegare gli effetti certificativi previsti
dalla corrispondente fattispecie normativa,
in quanto nullo per difetto di una forma
essenziale stabilita dalla legge” (Cons.
Stato, V, 12.06.2009, n. 3690), essendo
stato chiarito che “l'allegazione al
testo della dichiarazione sostitutiva di
volta in volta rilasciata di un valido
documento di identità, lungi dal costituire
un vuoto formalismo, costituisce piuttosto
un fondamentale onere del sottoscrittore,
configurandosi come l'elemento della
fattispecie normativa teleologicamente
diretto a comprovare (per di più, con la
surricordata valenza di monito), non tanto (melius,
non soltanto) le generalità del dichiarante,
ma ancor prima l'imprescindibile nesso di
imputabilità soggettiva della dichiarazione
ad una determinata persona fisica”
(Cons. Stato, V, 04.11.2004, n. 7140; cfr.
anche: VI, 04.06.2009 n. 3442; 13.07.2009,
n. 4420);
Da ciò consegue che l’omessa allegazione del
documento di identità non integra una mera
irregolarità della dichiarazione sostitutiva
dell'atto di notorietà come tale
suscettibile di correzione per errore
materiale, dovendo invece opinarsi “che
la dichiarazione formalmente difforme dal
modello tipico delineato dagli artt. 38 e 47
d.p.r. n. 445/2000 non possa mai tener luogo
dell'atto alternativo pubblicistico poiché,
in tal caso, la mancata instaurazione di un
nesso biunivocamente rilevante tra
dichiarazione e responsabilità personale del
sottoscrittore, comporta la radicale
improduttività di qualunque effetto
giuridico di "certezza" (Sez. V, n. 7140
del 2004, cit.);
Il requisito, infine, dell'"unità"
della fotocopia del documento di identità e
della dichiarazione sostituiva, prescritto
dal comma 3 dell’art. 38 del d.P.R. n. 445
del 2000, “deve ritenersi soddisfatto
ogniqualvolta possa stabilirsi un nitido
collegamento tra il documento e la singola
dichiarazione” (idem) (Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza
02.05.2011 n. 2579 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ESPROPRIAZIONE:
Occupazione illegittima di aree
private - Somme dovute e titolo di
risarcimento del danno - Corresponsione di
interessi anatocistici - Esclusione.
Il valore del ristoro spettante per
l’ipotesi di occupazione illegittima di aree
private deve essere integrale e, pertanto,
sulla somma spettante a titolo di
risarcimento danni, costituente la sorte
capitale di un debito di valore, vanno
corrisposti la rivalutazione monetaria,
secondo gli indici ISTAT dei prezzi al
consumo, e gli interessi legali (di natura
compensativa) sulle somme anno per anno
rivalutate fino alla data di deposito della
sentenza con cui viene riconosciuto il
diritto, e soltanto gli interessi legali da
tale data fino a quella di effettivo
soddisfo, con esclusione degli interessi
anatocistici in quanto non espressamente
previsti dalle legge (fattispecie in tema
di richiesta di risarcimento dei danni
prodotti dalla trasformazione di fondi e
dall’illegittima perdita della proprietà, a
seguito di occupazione in via temporanea ed
urgente di terreni per la durata di cinque
anni, allo scadere dei quali non veniva
adottato il decreto di esproprio) (C.G.A.R.S.,
sentenza 02.05.2011 n. 352 - link
a www.ambientediritto.it). |
ESPROPRIAZIONE:
Espropriazione per pubblica
utilità - Occupazione senza titolo - Danni
conseguenti - Risarcibilità.
L’utilizzazione senza titolo di un bene di
proprietà privata comporta, normalmente, due
distinti danni, i quali vanno entrambi
risarciti, avuto riguardo, altresì, ai
principi espressi dalla giurisprudenza della
Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU),
relativi alla necessaria integrità del
ristoro del pregiudizio derivante da
attività illecita dell’amministrazione.
Il primo attiene alla perdita (definitiva)
della proprietà, che avviene nel momento in
cui è adottato il provvedimento di cui
all’articolo 43 del D.P.R. 08.06.2001, n.
327 (norma dichiarata costituzionalmente
illegittima con sentenza C. Cost. 293/2010)
o quando il privato “rinuncia” alla
proprietà.
Il secondo danno riguarda la mancata
utilizzazione del bene (o del suo
corrispondente valore monetario) per il
periodo compreso tra l’inizio della
occupazione senza titolo e la perdita della
proprietà (CGA per la regione Siciliana,
18.02.2009, n. 49) (C.G.A.R.S.,
sentenza 02.05.2011 n. 351 - link
a www.ambientediritto.it). |
APPALTI:
Negli appalti comunali l'impresa
inadempiente deve risarcire anche il "danno
sociale" arrecato alla comunità
rappresentata dal Comune.
Segnaliamo l'innovativa
sentenza 02.05.2011 n. 195 del
TRIBUNALE civile di Belluno, che applica il
principio enunciato nel titolo, in
conseguenza del ritardo nel completamento di
un'opera pubblica da parte della ditta
appaltatrice.
Scrive il Tribunale: "Inoltre, la
condotta dell'attrice ha comportato un
pregiudizio alla comunità di cui il Comune
di Feltre è espressione e rappresentante,
per cui va riconosciuto anche il ristoro del
"danno sociale" arrecato alla stessa per il
ritardo nel completamento del Centro
Alzhaimer, a causa del mancato adempimento
dell'appaltatrice agli impegni contrattuali,
che hanno prodotto una lesione dei diritti
della comunità, che vantano una specifica
posizione giuridica soggettiva di tutela
oggi riconosciuta dalla Costituzione (cfr.
artt. 117 e 120 Cost.), la cui offesa è
meritevole d'esser risarcita a norma degli
artt. 2056 e 1226 c.c..
Negli appalti comunali, infatti, ogni
anomalia gestionale si ripercuote
inevitabilmente sugli utenti dell’opera,
oltre ad incidere sulla Comunità intera in
ragione del conseguente esborso di pubblico
denaro, sottratto ad altri servizi
essenziali. L’impresa responsabile è quindi
tenuta a rispondere dei danni causati alla
Comunità e, per essa, all’Ente esponenziale,
vale a dire al Comune di Feltre.
Ne discende il diritto del Comune, quale
ente "che rappresenta la comunità, ne cura
gli interessi e ne promuove lo sviluppo"
(art. 3, 2° comma, D.lgs. n. 267/2000), di
ottenere il risarcimento del pregiudizio di
cui la collettività è stata ingiustamente
onerata (cfr. TAR Calabria Catanzaro, sez.
II, 06.10.2005, n. 1631, in Foro amm. TAR
2005, 10, 3296: con riguardo al danno subito
dalla comunità a causa di un appalto
relativo ad una casa di riposo gestita dall'A.S.L:
competente, è stato riconosciuto che "il
Comune, quale ente esponenziale degli
interessi collettivi riferibili alla
collettività dei residenti sul suo
territorio, è legittimato all'impugnazione
dei provvedimenti amministrativi aventi
effetti pregiudizievoli nonché alle azioni
dirette alla tutela degli interessi dei
cittadini; pertanto, va affermata la
legittimazione del Comune ad agire per il
risarcimento dei danni arrecati alla
comunità dei residenti a causa del ritardo
nella ultimazione dei lavori di costruzione
di una residenza per anziani oggetto di un
contratto di appalto, danni che vengono
analiticamente indicati nel ricorso").
Tenuto conto di tutte le circostanze sopra
richiamate, il risarcimento del danno
sociale può essere liquidato in via
equitativa nella somma capitale di euro
40.000,00 in valori attuali" (commento
tratto e link a http://venetoius.myblog.it). |
APPALTI:
Sulla legittimità della revoca
dell'aggiudicazione dell'appalto, per
ragione di pubblico interesse, nei confronti
di un'impresa il cui legale rappresentante
abbia riportato una condanna per il reato di
aggiotaggio.
E' legittimo il provvedimento con il quale
il Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco
ha revocato l'aggiudicazione dell'appalto
triennale del servizio di pulizia delle
varie sedi dello stesso comando, per ragione
di pubblico interesse nei confronti di
un'impresa il cui legale rappresentante
abbia riportato una condanna per il reato di
aggiotaggio.
Il suddetto reato, infatti, benché non
rientrante fra quelli nominativamente
menzionati dall'art. 38, lett. c), del d.lvo
n. 163 del 2006, stante la latitudine della
clausola contenuta nella prima parte della
norma di cui al summenzionato art. 38, lett.
c), è un reato commesso in danno dello Stato
(per la precisione, contro l'economia
nazionale) e certamente qualificabile come
grave.
Quanto alla incidenza del reato in questione
sulla moralità professionale della ditta,
deve essere valutata di volta in volta,
salvo il caso che non si tratti di
violazioni di norme sulla sicurezza nei
luoghi di lavoro o di fattispecie in cui il
reato riguarda proprio l'oggetto
dell'appalto. Ma nel procedere all'esegesi
ed all'applicazione della norma non si può
in radice negare la incidenza sulla moralità
professionale della ditta per il solo fatto
che il reato è stato commesso dal legale
rappresentante dell'impresa nella sua veste
di privato cittadino.
Non si può infatti costringere la Pubblica
Amministrazione a contrattare con imprese i
cui legali rappresentanti (ossia i soggetti
che di fatto personificano le ditte nei
rapporti con la P.A.) abbiano in qualche
modo macchiato la propria reputazione
morale, avendo commesso reati che
riguardano, anche in senso lato, settori
rilevanti della vita associata (TAR Marche,
sentenza 30.04.2011 n. 276 - link
a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA:
Rifiuti. Materiali provenienti da
demolizioni.
I materiali provenienti da demolizioni
rientrano nel novero dei rifiuti in quanto
oggettivamente destinati all’abbandono,
l’eventuale recupero è condizionato a
precisi adempimenti, in mancanza dei quali
detti materiali vanno considerati, comunque,
cose di cui il detentore ha l’obbligo di
disfarsi; l’eventuale assoggettamento di
detti materiali a disposizioni più
favorevoli che derogano alla disciplina
ordinaria implica la dimostrazione, da parte
di chi lo invoca, della sussistenza di tutti
i presupposti previsti dalla legge (Corte di
Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 29.04.2011 n. 16727 -
link a www.lexambiente.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Rifiuti. Fresato di asfalto.
Il fresato d’asfalto proveniente dal
disfacimento del manto stradale rientra
nella definizione del materiale proveniente
da demolizioni e costruzioni, incluso nel
novero del rifiuti speciali non pericolosi
(Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 29.04.2011 n. 16705 -
link a www.lexambiente.it). |
APPALTI:
Il Tar Campania sull'avvalimento. Appalti,
la qualità non è un ostacolo.
La certificazione di qualità aziendale può
essere oggetto di avvalimento negli appalti
pubblici.
E' quanto afferma il TAR Campania-Salerno,
Sez. I, con la
sentenza 29.04.2011 n. 813 che ha
esaminato l'applicabilità dell'istituto,
chiarendo in primis che la disciplina
dei Codice «non pone alcuna limitazione
all'avvalimento se non per i requisiti
strettamente personali di carattere generale».
Da ciò quindi la portata generale dell'avvalimento,
introdotto nell'ordinamento comunitario e
nazionale al fine di rimuovere ogni ostacolo
al libero esercizio dell'imprenditorialità e
garantire la massima partecipazione alle
procedure di gara e la par conditio
dei concorrenti.
Per quel che attiene lo specifico profilo
legato alla certificazione di qualità
aziendale, la sentenza lo inquadra come «requisito
speciale di carattere (pur sempre)
tecnico-organizzativo», in quanto
funzionale a garantire la stazione
appaltante in fase esecutiva del contratto,
rispetto alle modalità di gestione della
struttura aziendale e alla sua efficacia sul
processo operatore. Il Tar evidenzia come la
certificazione di qualità è sempre intesa a
garantire la (obiettiva) qualità
dell'adempimento e non solo la (mera e
soggettiva) idoneità professionale del
concorrente pur sempre strumentale alla
prima.
I giudici quindi non aderiscono alla tesi
giurisprudenziale per cui (una volta
chiarito che l'avvilimento è la regola e le
sue limitazioni le eccezioni) che la detta
certificazione debba necessariamente far
capo (salvo il riscontro di abusi e la
doverosa verifica di effettività) unicamente
al concorrente con conseguente impossibilità
di ausilio per avvalimento.
Dal punto di vista operativo il soggetto che
finirebbe per prestare la certificazione non
dovrà limitarsi al prestito del solo «documento»
contenente la certificazione, ma sarà tenuto
a mettere a disposizione del soggetto
avvalente, «il complesso della propria
organizzazione aziendale ovvero il complesso
di beni organizzati dall'imprenditore per
l'esercizio dell'impresa».
I giudici ammettono quindi che, in questo
caso, l'impresa concorrente possa assumere
le vesti di un mero centro di imputazione di
rapporti giuridici e limitare la sua
attività al coordinamento delle prestazioni
dell'impresa ausiliaria. Rimane ferma però
la responsabilità di carattere solidale tra
l'impresa concorrente e l'impresa ausiliaria
(articolo
ItaliaOggi dell'11.05.2011 -
tratto da www.corteconti.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Costruzioni in soprasuoli
percorsi dal fuoco.
L’articolo 10 della Legge 353/2000, laddove
consente la realizzazione di edifici,
strutture ed infrastrutture finalizzate ad
insediamenti civili ed attività produttive
nei soprassuoli percorsi dal fuoco nei casi
in cui la realizzazione sia stata prevista
in data antecedente all’incendio dagli
strumenti urbanistici vigenti a tale data,
si riferisce alla specifica localizzazione
dell’area riservata all’intervento da parte
dello strumento urbanistico e non anche alla
previsione di zona, con la conseguenza che
non rileva, ai fini della speciale deroga,
la generica compatibilità dell’intervento
con la destinazione dell’area, essendo al
contrario richiesto che l’area medesima sia
già riservata dallo strumento urbanistico
alla realizzazione delle predette opere
(Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 28.04.2011 n. 16592 -
link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Permesso di costruire in deroga
agli strumenti urbanistici.
Il permesso di costruire in deroga agli
strumenti urbanistici è istituto di
carattere eccezionale giustificato dalla
necessità di soddisfare esigenze
straordinarie rispetto agli interessi
primari garantiti dalla disciplina
urbanistica generale e, in quanto tale,
applicabile esclusivamente entro i limiti
tassativamente previsti dall’articolo 14
D.P.R. 380/2001 e mediante la specifica
procedura.
Tale sua particolare natura porta ad
escludere che possa essere rilasciato “in
sanatoria” dopo l’esecuzione delle opere
(Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 28.04.2011 n. 16591 -
link a www.lexambiente.it). |
APPALTI FORNITURE E SERVIZI:
Contratti pubblici - Revisione
prezzi nei contratti di appalto - Art. 44
Legge finanziaria 724/1994 - Contratti per
l'esecuzione di lavori pubblici e contratti
aventi ad oggetto la prestazione di servizi
- Applicabilità per la Regione Sicilia -
Esclusione.
L’istituto della revisione dei prezzi nei
contratti di appalto, prima oggetto di
divieto, è stato reintrodotto, a livello
statale, dall’art. 44 della legge
finanziaria 23.12.1994, n. 724. Deve però
escludersi che questa disciplina legislativa
statale abbia spiegato efficacia
automaticamente abrogante nei confronti
della previgente difforme disciplina
legislativa regionale (legge regionale per
la regione Sicilia, 12.01.1993, n. 10 artt.
56 e 70).
Depone in tal senso il comma 3 del citato
articolo il quale prevede che, in
riferimento alla materia di cui trattasi, "le
regioni a statuto speciale e le province
autonome di Trento e di Bolzano provvedono
in base alle loro competenze nei limiti
stabiliti dai rispettivi statuti e dalle
relative norme di attuazione". La norma
richiamata non riguarda soltanto le ipotesi
di competenza esclusiva delle Regioni a
statuto speciale, ma fa invece salvo anche
l’esercizio della potestà legislativa
concorrente, ovviamente entro i limiti
all’uopo tracciati dallo Statuto e dalle
norme di attuazione.
In particolare, dal momento che la materia
della revisione prezzi fruisce, nella
Regione siciliana, di una disciplina
unitaria, sia con riguardo agli appalti di
lavori che a quelli di servizi, non è
pensabile che la sopravvenuta disciplina
statale, riferita indistintamente a tutti i
contratti ad esecuzione continuata o
periodica, esplichi effetto discriminante
sul regime del corrispettivo contrattuale a
seconda che questo si riferisca
all’esecuzione di lavori pubblici (materia
attribuita alla competenza legislativa
primaria della Regione, ex art. 14, lett. g,
dello Statuto), ovvero alla prestazione di
servizi (C.G.A. n. 184 del 2002) (C.G.A.R.S.,
sentenza 28.04.2011 n. 332 - link
a www.ambientediritto.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Acque. Reflui provenienti da
attività domestiche.
L’indicatore della provenienza dei reflui da
attività domestiche è concetto chiaramente
riferito alla convivenza e coabitazioni di
persone ma non può prescindere, specie
quando riguarda grandi comunità (alberghi,
ospedali etc.), da una considerazione anche
delle effettive caratteristiche chimiche e
fisiche delle acque reflue, che devono
essere corrispondenti non tanto per
quantità, quanto per qualità a quelli
derivanti dai comuni nuclei abitativi (Corte
di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 27.04.2011 n. 16446 -
link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
ACQUA - Art. 133 r.d. 368/1904 -
Distanze dal piede esterno e interno degli
argini - Divieto di piantagione di alberi di
edificazione e di movimento del terreno -
Corsi d’acqua tombinati - Applicabilità del
divieto - Fondamento.
Il divieto di piantagione di alberi, di
edificazioni o fabbriche e di movimento del
terreno del piede esterno e interno degli
argini ad una certa distanza dal corso
d’acqua (che per i manufatti è da 4 a 10
metri “secondo l’importanza del corso
d’acqua” medesimo) vale non solo per i
corsi d’acqua superficiali, ma anche per le
altre opere di bonificazione (primo comma
dell’art. 133 del r.d. 08.05.1904, n. 368),
tra le quali va certamente compresa anche la
tombinatura che non può dirsi come tale
opera definitiva, essendo possibile
riportare in qualunque momento il corso
d’acqua allo stato precedente.
In definitiva, il rispetto delle distanze
deve ritenersi inderogabile anche per i
corsi d’acqua tombinati, al fine di
consentire uno spazio di manovra nel caso di
necessità di porre in essere attività di
manutenzione delle condutture (Cons. Stato,
Sez. IV, 23.07.2009, n. 4663) (TAR Veneto,
Sez. II,
sentenza 26.04.2011 n. 698 - link
a www.ambientediritto.it). |
URBANISTICA:
AREE PROTETTE - SIC e ZPS - DPR
357/1997, art. 5, c. 3 - Intervento di
lottizzazione - Inderogabile assoggettamento
a previa valutazione di incidenza ambientale
- Prescrizioni di cui all’All. G del DPR
357/1997.
L'intervento di lottizzazione ricadente
nella perimetrazione di un SIC e, per di
più, nell'ambito di una zona speciale di
conservazione, era inderogabilmente
soggetto, nelle more della definizione a
livello comunitario delle procedure
istitutive della rete Natura 2000, in forza
dell’art. 5 comma 3^ del DPR 357/1997, come
modificato dall’art. 6 del DPR 120/2003 (che
non ammette esenzioni, se non nei limiti di
cui ai commi 9 e 10), alla previa
valutazione d'incidenza ambientale, i cui
contenuti non solo non possono essere
generici od approssimativi, ma devono al
contrario risultare puntuali ed esaurienti,
dal punto di vista tecnico-scientifico,
rispetto alle analitiche prescrizioni
dell'Allegato G del DPR 357/1997; e ciò con
riferimento a tutti i possibili effetti
sulla flora, sulla fauna e sugli habitat
d'interesse comunitario presenti nel sito
(TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 26.04.2011 n. 695 - link
a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Sanzioni in materia edilizia ed
urbanistica: prescrizione quinquennale. Il
termine decorre però dal momento in cui la
violazione è stata rimossa o sanata.
Nell'ambito
edilizio-urbanistico, la prescrizione del
diritto a riscuotere le somme dovute per le
violazioni amministrative punite con pena
pecuniaria, stabilita nel termine di 5 anni
dal giorno in cui è stata commessa la
violazione ai sensi dell'art. 28 della L.
689/1981, decorre dal giorno in cui la
violazione è stata rimossa.
Lo ha chiarito il TAR Veneto, Sez. II, con la
sentenza 22.04.2011 n. 678.
La Corte ha in primo luogo ribadito come la
prescrizione quinquennale, per costante
giurisprudenza, si applica anche a tutte le
violazioni punite con sanzioni
amministrative pecuniarie, seppure non
previste in sostituzione di una sanzione
penale, e quindi anche agli illeciti
amministrativi in materia urbanistica,
edilizia e paesistica puniti con sanzione
pecuniaria.
Nell'applicare tale regola, tuttavia, con
riguardo all'individuazione del dies a
quo della decorrenza della prescrizione,
occorre tener conto della particolare natura
degli illeciti in materia urbanistica,
edilizia e paesistica, i quali, ove
consistano nella realizzazione di opere
senza le prescritte concessioni e
autorizzazioni, hanno carattere di illeciti
permanenti, di talché la commissione degli
illeciti medesimi si protrae nel tempo, e
viene meno solo con il cessare della
situazione di illiceità, vale a dire con il
conseguimento delle prescritte
autorizzazioni.
Inoltre, per la decorrenza della
prescrizione dell'illecito amministrativo
permanente, trova applicazione il principio
relativo al reato permanente, secondo cui il
termine della prescrizione decorre dal
giorno in cui è cessata la permanenza;
pertanto, per gli illeciti amministrativi in
materia paesistica, urbanistica ed edilizia
la prescrizione quinquennale inizia a
decorrere solo dalla cessazione della
permanenza, con la conseguenza che,
vertendosi in materia di illeciti
permanenti, il potere amministrativo
repressivo, come la determinazione di
applicare la sanzione pecuniaria, può essere
esercitato senza limiti di tempo e senza
necessità di motivazione in ordine al
ritardo nell'esercizio del potere (commento
tratto da www.legislazionetecnica.it - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
AMIANTO - Diniego di sanatoria
per la presenta di ondulati in cemento
amianto - Illegittimità - Ragioni.
La circostanza che un manufatto sia composto
da ondulati in cemento amianto non basta a
giustificare il diniego di sanatoria,
giacché l’attuale ordinamento vieta bensì di
utilizzare ulteriormente tale materiale per
nuove costruzioni, ma non ne impone
senz’altro lo smaltimento controllato per le
costruzioni civili esistenti (fatti salvi
gli obblighi d’ incapsulamento,
sovracopertura e rimozione in caso di
rilascio di fibre d'amianto), che non sono
dunque per ciò stesso incompatibili con il
contesto in cui si trovano (TAR Veneto, Sez.
II,
sentenza 22.04.2011 n. 673 - link
a www.ambientediritto.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
RIFIUTI - Albo nazionale dei
gestori ambientali - Cancellazione per
condanne riportate - Art. 17, c. 1, DM n.
406/1998 - Deroga per effetto della
riabilitazione o della sospensione della
pena - Estensione della deroga all’indulto -
Esclusione.
L’art. 17, comma 1, lett. a), del DM
28.04.1998 n. 406 prevede la cancellazione
dall’Albo Nazionale dei Gestori Ambientali
nel caso del venir meno di uno dei requisiti
di cui al precedente art. 10 (ovvero, nella
specie, una condanna definitiva per reati in
materia ambientale), fatti salvi, gli
effetti della riabilitazione e della
sospensione della pena.
La deroga in base alla quale viene meno
l’effetto preclusivo all’accesso all’albo a
causa di condanne riportate presuppone, in
entrambi i casi contemplati -riabilitazione
e sospensione della pena- una specifica
pronuncia del giudice di minor disvalore del
reato commesso, successiva nel caso della
riabilitazione, preventiva e prognostica nel
caso della sospensione della pena: ciò non
accade viceversa per l’indulto, la cui
applicazione avviene in via automatica senza
alcuna valutazione discrezionale da parte
del giudice; ne deriva che in tale ultima
ipotesi deve ritenersi legittima la sanzione
della cancellazione irrogata (TAR Veneto,
Sez. I,
sentenza 18.04.2011 n. 656 - link
a www.ambientediritto.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
INQUINAMENTO ACUSTICO -
Zonizzazione - Interessi tutelati - Attività
economiche precedentemente insediate sul
territorio - Rilevanza.
Il fine perspicuo della zonizzazione
acustica del territorio consiste nella
tutela della salute dei cittadini, in quanto
gli interessi protetti dalla normativa in
esame sono desumibili dall’articolo 2, comma
1, lettera a), della legge 26.10.1995, n.
447, che appresta la tutela del riposo e
della salute, la conservazione degli
ecosistemi, dei beni materiali, dei
monumenti, dell’ambiente abitativo e
dell’ambiente esterno; gli interessi
menzionati nella normativa di riferimento
non possono tuttavia non tener conto delle
attività economiche precedentemente
insediate sul territorio, le cui esigenze
trovano tutela in virtù della loro risalente
ubicazione e non sono dunque cedevoli
rispetto agli insediamenti che si radichino
sul territorio in una fase temporale
successiva.
INQUINAMENTO ACUSTICO -
Classificazione acustica - Pianificazione
urbanistica - Rapporti.
La classificazione acustica del territorio
non deve meccanicamente sovrapporsi alla
pianificazione urbanistica; in tal senso
dispone l’art. 6 della legge 26.10.1995, n.
447, che prevede il solo “coordinamento”
con gli strumenti urbanistici (cfr., in
merito, TAR Lombardia, Milano, sez. IV,
27.12.2007, n. 6819).
Il piano regolatore con le destinazioni
d’uso esistenti e quelle previste deve
costituire un termine di riferimento per la
classificazione del territorio (cfr.
l’articolo 4, comma 1, lettera a), della
legge n. 447 del 1995, il D.P.C.M. 1.3.1991
e il D.P.C.M. 14.11.1997), con la necessaria
precisazione che la stessa deve essere
comunque ancorata all’assetto urbanistico,
cioè all’esistente situazione in fatto che
può divergere da quella di diritto.
INQUINAMENTO ACUSTICO -
Classificazione acustica - Discrezionalità
tecnica - Presupposti di fatto - Preuso del
territorio.
Le scelte inerenti alla classificazione
acustica non afferiscono al merito
dell'attività pianificatoria/programmatoria
del Comune, ma sono espressione di
discrezionalità tecnica, ancorata
all'accertamento di specifici presupposti di
fatto, il primo dei quali è il preuso del
territorio, proprio per non sacrificare
oltremodo le consolidate aspettative di
coloro che si sono legittimamente insediati
in zone qualificate industriali e, quindi,
funzionalmente deputate all'espletamento di
attività produttive, che non debbono subire
limitazioni, a causa della classificazione
acustica, non adeguatamente giustificate
(cfr. TAR Veneto, sez. III, 24.01.2007, n.
187) (TAR Veneto, Sez. I,
sentenza 18.04.2011 n. 649 - link
a www.ambientediritto.it). |
PUBBLICO IMPIEGO: Sì
alle progressioni fuori dal «patto».
Le progressioni verticali non possono essere
considerate assunzioni di personale e, di
conseguenza, possono essere effettuate anche
dai Comuni che non hanno rispettato il patto
di stabilità.
Questa l'inedita conclusione
della
sentenza
01.04.2011 n. 647 del TAR Sicilia-Palermo che
sposa la tesi che le progressioni verticali
costituiscono una mera modificazione del
rapporto di lavoro.
I giudici chiariscono che non osta a questa
conclusione il fatto che la giurisprudenza
già dal 2003 considera le progressioni
verticali come assunzioni ai fini del
riparto della giurisdizione: i Tar possono
occuparsi solo delle assunzioni e non delle
modificazioni del rapporto di lavoro. Viene
specificato che «una cosa è considerare le
progressioni verticali o concorsi interni,
equiparate ai concorsi pubblici (questi
finalizzati a una nuova assunzione) ai fini
del riparto di giurisdizione, altra cosa è
la parificazione della progressione (che si
genera nell'ambito di un rapporto già
preesistente) a un nuovo reclutamento ai
fini del rispetto delle norme finanziarie».
La sentenza supera il
parere
09.11.2055 n. 3556/2005 della
Commissione speciale pubblico impiego del
Consiglio di Stato, Sez. III, per le quali le
progressioni verticali sono nuove
assunzioni. Viene poi evidenziato che le
progressioni economiche possono non
determinare oneri aggiuntivi e che le leggi
finanziarie sono "inidonee" a incidere sulla
natura giuridica dei rapporti di lavoro.
Infine la sentenza non considera che per gli
enti che non hanno rispettato il patto di
stabilità matura il divieto di effettuare
nuove assunzioni «a qualsiasi titolo»,
quindi con una estensione assai ampia e che
ha una natura sostanziale
(articolo Il Sole 24
Ore del 09.05.2011). |
EDILIZIA PRIVATA:
Distanze legali, prova del danno
influenzata dall'urbe locale.
La S.C. ritorna sulla discussa questione
delle condizioni di risarcibilità del danno
in caso di opere illegittime che violano i
limiti legali di vicinato. Mentre in tema di
violazioni di norme prescrittive di distanze
legali la giurisprudenza della S.C. ritiene
configurabile un danno “in re ipsa”,
per le altre violazioni è necessario provare
in concreto il danno subito.
E’ stato, infatti, statuito, in materia di
violazione delle distanze tra costruzioni
previste dal codice civile e dalle norme
integrative dello stesso, quali i
regolamenti edilizi comunali, al
proprietario confinante che lamenti tale
violazione compete sia la tutela in forma
specifica, finalizzata al ripristino della
situazione antecedente al verificarsi
dell'illecito, sia quella risarcitoria, e,
determinando la suddetta violazione un
asservimento di fatto del fondo del vicino,
il danno deve ritenersi "in re ipsa",
senza necessità di una specifica attività
probatoria.
In altri termini, ricorrendo tali
violazioni, al proprietario confinante che
deduca il superamento delle distanze legali
spetta sia la tutela in forma specifica,
finalizzata al ripristino della situazione
antecedente al verificarsi dell'illecito,
sia quella risarcitoria, ed il danno che
egli subisce (danno conseguenza e non danno
evento), essendo l'effetto, certo ed
indiscutibile, dell'abusiva imposizione di
una servitù nel proprio fondo e, quindi,
della limitazione del relativo godimento,
che si traduce in una diminuzione temporanea
del valore della proprietà medesima, deve
ritenersi "in re ipsa", senza
necessità di una specifica attività
probatoria.
Per contro, la realizzazione di opere in
violazione di norme recepite dagli strumenti
urbanistici locali, diverse da quelle in
materia di distanze, non comportano
immediato e contestuale danno per i vicini,
il cui diritto al risarcimento presuppone
l'accertamento di un nesso tra la violazione
contestata e l'effettivo pregiudizio subito.
La prova di tale pregiudizio deve essere
fornita dagli interessati in modo preciso,
con riferimento alla sussistenza del danno
ed all'entità dello stesso.
Con la segnalata sentenza è stato, altresì,
precisato che, in tema di "servitus non
aedificandi", il contenuto del diritto
si concreta nel corrispondente dovere del
proprietario del fondo servente di astenersi
da qualsiasi attività edificatoria che abbia
come risultato quello di comprimere o
ridurre le condizioni di vantaggio derivanti
al fondo dominante dalla costituzione di
detta servitù, quale che sia, in concreto,
l'entità di siffatta compressione o
riduzione e indipendentemente dalla misura
dell'interesse del titolare del diritto a
far cessare impedimenti e turbative del
medesimo; ne consegue che non è possibile
subordinare la tutela giudiziale di una tale
servitù, come, in genere, di ogni diritto
reale, all'esistenza di un concreto
pregiudizio derivante dagli atti lesivi,
attesa l'assolutezza propria di tali
situazioni giuridiche soggettive, tutelate
da ogni forma di compressione o ingerenza da
parte di terzi, col solo limite del divieto
di atti emulativi e salva la rilevanza
dell'entità del pregiudizio al solo fine
della quantificazione dell'eventuale
risarcimento.
Per opportuni riferimenti cfr. Cass. n. 7909
del 2001 e, da ultimo, Cass. n. 24387 del
2010 (commento tratto da www.ipsoa.it -
Corte di Cassazione civile,
sentenza 31.03.2011 n. 7479). |
INCARICHI PROFESSIONALI: Conferimento
da parte della P.A. di un incarico
professionale di direttore dei lavori e
coordinatore per la sicurezza. La
controversia esula dalla giurisdizione del
Giudice amministrativo.
Una controversia avente ad oggetto la revoca
dell’incarico di direttore dei lavori e
coordinatore per la sicurezza, conferito ad
un professionista esterno dalla P.A., che
sia intervenuta successivamente alla stipula
del relativo contratto, esula dalla
giurisdizione del Giudice amministrativo, ai
sensi dell'art. 7 del Codice del processo
amministrativo, approvato con D.L.vo
02.07.2010 n. 104, poiché concerne la fase
esecutiva del contratto con la P.A., in cui
si configurano posizioni di diritto
soggettivo inerenti a rapporti di natura
privatistica, nelle quali non hanno
incidenza i poteri discrezionali e
autoritativi della P.A. stessa (Cfr. Cass.,
SS.UU., 19.11.2001, n. 14539; TAR Lazio, I,
19.02.2003, n. 1269; TAR Puglia-Lecce,
07.02.2003, n. 420; TAR Campania-Napoli,
22.09.2003, n. 11539 e da ultimo Cass. SS.UU.
12.05.2006 n. 10998).
Il conferimento, da parte di un Ente
pubblico, di un incarico ad un
professionista non inserito nella struttura
organica dell'Ente medesimo (e che mantenga,
pertanto, la propria autonomia organizzativa
e l'iscrizione al relativo albo) costituisce
espressione non di una potestà
amministrativa, bensì di semplice autonomia
privata (Cfr. TAR Puglia-Bari 27.10.1997, n.
715)
(massima tratta da www.regione.piemonte.it -
TAR Calabria-Catanzaro, Sez. I,
sentenza 29.03.2011 n. 415 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Diniego di assunzione per il
fatto che l’aspirante ha riportato una
condanna definitiva per delitto non colposo.
L’estinzione di condanne penali non preclude
alla P.A. di valutare la sentenza di
condanna.
E’ legittimo il provvedimento di diniego di
assunzione nel ruolo dei Vigili del Fuoco
motivato con riferimento al fatto che
l’aspirante ha riportato una condanna
definitiva per un delitto non colposo (nella
specie si trattava di una condanna per
furto), atteso che l’art. 88 del d.lgs. n.
217 del 2005, recante la disciplina per
l’accesso al ruolo degli operatori dei
Vigili del Fuoco, stabilisce, al comma 1,
lett. e), che per le assunzioni è necessario
il possesso delle qualità morali e di
condotta previste dall’art. 26 della legge
01.02.1989, n. 53 e cioè quelle richieste
per l’ammissione ai concorsi per l’accesso
alla magistratura ordinaria, che individua
una causa tassativa di esclusione (in
presenza della quale non vi è, di
conseguenza, alcuna facoltà di valutazione),
nella condanna a pena detentiva per delitto
non colposo (Ha aggiunto in particolare la
sentenza in rassegna che non valeva in
contrario la previsione del comma 2
dell’art. 88 del d.lgs. n. 217 del 2005, per
il quale non possono essere assunti coloro "che
hanno riportato condanna a pena detentiva
per delitto non colposo", trattandosi di
previsione aggiuntiva a quella di cui al
comma 1 dello stesso articolo).
L’estinzione del reato, pur comportando
l'estinzione delle incapacità giuridiche e
degli altri effetti penali che conseguono
automaticamente ad una sentenza di condanna,
non elimina la condanna in sé quale fatto
storico rilevante, che continua ad esistere
e a produrre integralmente tutti quegli
effetti giuridici che non sono rimossi dal
beneficio estintivo, per cui non è precluso
che l’Amministrazione eserciti le sue
valutazioni discrezionali, considerando
negativamente la condanna penale, né che
tale condanna sia autonomamente valutata in
senso ostativo (Cfr. Cons. Stato, VI,
25.09.2009, n. 5793) (massima tratta da
www.regione.piemonte.it - Consiglio di
Stato, Sez. VI,
sentenza 25.03.2011 n. 1841 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Esclusione per non aver
sottoscritto il capitolato in ogni pagina -
Illegittimità.
È illegittima l’esclusione del concorrente
che non ha presentato copia del capitolato
siglato e sottoscritto in ogni pagina, come
richiesto della lettera d’invito, pur avendo
la stessa società prodotto in gara la
dichiarazione di accettazione, senza
condizione e riserva alcuna, di tutte le
norme contenute nel bando, nel disciplinare
e nel capitolato speciale d’appalto.
La clausola del disciplinare che impone la
presentazione del capitolato sottoscritto,
infatti, costituisce «un’inutile
duplicazione e, quindi, un aggravio
ingiustificato del procedimento», in
quanto le esigenze sottese alla (omessa)
sottoscrizione «pagina per pagina»
del capitolato speciale d’appalto, sono
comunque soddisfatte dalla specifica
dichiarazione sostitutiva -resa ai sensi del
Dpr 445/2000- di presa visione e
accettazione integrale e incondizionata di
tutte le disposizioni contenute negli atti
di gara (TAR Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 23.03.2011 n. 461 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
La valutazione del requisito in
ordine all’esclusione del concorrente.
La stazione appaltante
ha la facoltà di escludere un concorrente da
una gara qualora quest'ultimo non possieda
il requisito di moralità professionale, come
recita l'art. 38, primo comma, lett. c), del
D.Lgs. 163/2006.
La
sentenza 21.03.2011 n. 458 del
TAR Veneto, Sez. I, ritiene
illegittima l'esclusione quando la stazione
appaltante ometta le motivazioni per la
quale la condanna penale faccia decadere il
requisito di moralità professionale.
Riportare il tipo di condanna non è
sufficiente ad escludere un concorrente da
una gara se non rientra tra i reati
considerati incidenti sulla moralità
professionale (link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Appalti e moralità professionale:
esclusione sì, ma con motivazione.
E' illegittima l’esclusione
automatica di una ditta da una gara di
appalto che sia motivata con riferimento al
difetto del requisito della moralità
professionale, ex art. 38 del d.lgs. n. 163
del 2006 (Codice dei contratti pubblici),
per l’esistenza, a carico
dell’amministratore di un decreto penale di
condanna per falso ideologico, nel caso in
cui la stazione appaltante abbia omesso di
esplicitare il motivo per il quale il
precedente penale rivesta i caratteri di
gravità ed effettiva incidenza sulla
moralità professionale.
Ai sensi dell'art. 38, primo comma, lett.
c), del D.Lgs. 163/2006, sono esclusi dalla
partecipazione alle procedure di affidamento
delle concessioni e degli appalti di lavori,
forniture e servizi, né possono essere
affidatari di subappalti, e non possono
stipulare i relativi contratti i soggetti
nei cui confronti è stata pronunciata
sentenza di condanna passata in giudicato, o
emesso decreto penale di condanna divenuto
irrevocabile, oppure sentenza di
applicazione della pena su richiesta, ai
sensi dell'art. 444 c.p.p., per reati gravi
in danno dello Stato o della Comunità che
incidono sulla moralità professionale.
E' comunque causa di esclusione la condanna,
con sentenza passata in giudicato, per uno o
più reati di partecipazione a
un'organizzazione criminale, corruzione,
frode, riciclaggio, quali definiti dagli
atti comunitari citati all'art. 45,
paragrafo 1, direttiva CE 2004/18.
L'amministrazione non può escludere la ditta
solo attraverso la menzione del suddetto
tipo di condanna subita dall'interessato, se
questa non rientra tra i reati
automaticamente qualificati come incidenti
sulla moralità professionale.
Nella fattispecie l'imputato era stato
condannato, con decreto penale del 2006, per
falso ideologico, avendo attestato, in una
gara, l'insussistenza di cause di
esclusione, mentre era stato omesso un
versamento INPS, ritenuto effettuato (TAR
Veneto, Sez. I,
sentenza 21.03.2011 n. 458 - link
a www.altalex.com). |
APPALTI: Cessione
di ramo di azienda - Subingresso del
cessionario nei rapporti attivi e passivi
del cedente.
Con la cessione del ramo di azienda si
determina il subingresso del cessionario nel
complesso dei rapporti, attivi e passivi del
cedente tra i quali deve ricomprendersi
anche il possesso dei titoli, referenze o
requisiti maturati nello svolgimento
dell’attività cui il ramo ceduto è riferito.
Si rende così possibile l’utilizzo dei
requisiti riferiti al ramo d’azienda ceduto
in quanto aventi natura oggettiva.
È ammessa la circolazione oggettiva di
alcune referenze proprie dell’operatore
economico in quanto non strettamente
personali dell’imprenditore, che possono
quindi essere fatte valere da un diverso
soggetto, secondo il principio dell’avvalimento,
a condizione che questo dimostri di poterne
effettivamente disporne.
La possibilità di subentro nel contratto da
parte del cessionario di un ramo di azienda
è subordinata, in base all’articolo 116 del
Dlgs 163/2006, al positivo accertamento del
possesso sia dei requisiti di ordine
soggettivo che dei requisiti di ordine
speciale previsti in sede di gara, al fine
di garantire la stazione appaltante circa la
permanenza, in caso di modificazione
soggettiva dell’esecutore del contratto, dei
requisiti accertati in capo al soggetto
affidatario del contratto, quale diretta
conseguenza della peculiarità del contratto
posto in essere dall’Amministrazione in
esito alla particolare procedura a evidenza
pubblica
(TAR Lazio-Roma, Sez. I,
sentenza 10.03.2011 n. 2187 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Smaltimento e stoccaggio rifiuti
- Ecopiazzole senza autorizzazione
regionale.
A seguito delle modifiche apportate all'art.
183, D.Lgs. 03.04.2006, n. 152 e
dell'entrata in vigore del D.M. 08.04.2008
non è più prevista dalla legge come reato
l'attivazione di un centro di raccolta
comunale (detti ecopiazzole o isole
ecologiche) in assenza di autorizzazione
regionale o provinciale, non essendo più
necessaria detta autorizzazione in quanto
nessuna attività di stoccaggio rifiuti viene
ad essere svolta presso gli stessi.
La Cassazione si pronuncia, per la prima
volta dopo le modifiche introdotte al T.U.A.
dal D.Lgs. n. 4 del 2008, sulla nuova
disciplina normativa riguardante i
cosiddetti centri di raccolta comunali,
meglio noti come ecopiazzole o isole
ecologiche, affermando l'irrilevanza penale
dell'attivazione da parte dei Comuni in
assenza di autorizzazione regionale o
provinciale.
La decisione, pur nella sinteticità del suo
contenuto, appare di grande rilievo, in
quanto contribuisce a fare chiarezza su una
materia che, soprattutto in passato, aveva
creato disarmonie applicative, superando,
nel contempo, l'interpretazione
giurisprudenziale a ritenere necessaria tale
autorizzazione, pena la configurabilità del
reato di gestione abusiva di rifiuti.
Il fatto.
La vicenda processuale è assai semplice da
descrivere. Il sindaco di un Comune umbro
era stato rinviato a giudizio e condannato
in sede di merito per aver posto in
esercizio un'attività di recupero e di
stoccaggio di rifiuti non pericolosi in
un'area recintata di circa 3000 mq.,
destinata a stazione ecologica per la
raccolta differenziata dei rifiuti, in
assenza della prescritta autorizzazione.
Il ricorso.
Fa difesa del Sindaco proponeva ricorso per
cassazione affidandolo ad una serie di
motivi, tra i quali, per quanto qui di
interesse, l'intervenuta depenalizzazione
della condotta contestata a seguito delle
modifiche normative introdotte dal D.Lgs. n.
4 del 2008 alla disciplina giuridica delle
ecopiazzole che, anche a seguito
dell'entrata in vigore del D.M. attuativo
(D.M. 08.04.2008), non necessitano più di
alcuna autorizzazione regionale o
provinciale, spettandone ai comuni il
rilascio.
La decisione della
Cassazione.
La Corte, nell'annullare la sentenza senza
rinvio, disattende la tesi difensiva,
ritenendo che, nella specie, il Comune non
si sarebbe limitato ad attivare un centro di
raccolta, ma avrebbe realizzato invece una
vera e propria stazione di stoccaggio in cui
venivano ammassati, anche alla rinfusa,
rifiuti pericolosi e non, non tutti peraltro
distinti secondo una raccolta differenziata
ed anche depositati sul terreno senza alcuna
protezione, con conseguente fondatezza della
prospettazione accusatoria che ha indotto,
dunque, il Collegio a dichiarare la
prescrizione del reato e non l'annullamento
per sopravvenuta irrilevanza penale del
fatto.
Ma, al di là della decisione, la Corte
condivide le argomentazioni difensive poste
a sostegno dell'intervenuta depenalizzazione
della condotta contestata, non ritenendo più
necessaria alcuna autorizzazione regionale o
provinciale per l'installazione delle isole
ecologiche comunali. Per meglio comprendere
le ragioni, è utile una pur sintetica
ricognizione della normativa applicabile.
Sotto la vigenza del D.Lgs. n. 22 del 1997,
era pacifico che le piazzole comunali
destinate alla raccolta differenziata dei
rifiuti urbani, cosiddette piazzole
ecologiche o ecopiazzole, avessero natura di
centri di stoccaggio ai sensi dell'art. 6,
comma 1, del decreto Ronchi, in quanto si
riteneva che nelle stesse si effettuassero
attività di smaltimento, consistenti nel
deposito preliminare in vista di altre
operazioni di smaltimento definitive ex
punto D15 dell'allegato B al citato decreto
n. 22, o attività di recupero, consistenti
nella messa in riserva ex punto R13 dello
stesso allegato B.
Tale tesi, si noti, era condivisa dalla
giurisprudenza di legittimità che, infatti,
a più riprese aveva avuto modo di affermare
che l'attività di gestione dei rifiuti
operata dal Comune nelle cosiddette piazzole
ecologiche o ecopiazzole, ove i rifiuti
vengono conferiti dai cittadini in modo
differenziato, configurando un deposito
preliminare in vista dello smaltimento o una
messa in riserva in vista del recupero,
necessitasse della preventiva
autorizzazione, la cui mancanza configurava
il reato di cui all'art. 51, comma 1, D.Lgs.
05.02.1997 n. 22 (V., tra le tante: Cass.
pen., sez. 3, n. 26379 del 18/07/2005, P.M.
in proc. Z., in Ced Cass. 231938; sez. 3, n.
34665 del 28/09/2005, R., in Ced Cass.
232178).
La stessa giurisprudenza, inoltre, escludeva
che l'attività di raccolta differenziata di
rifiuti urbani ad opera dei cittadini nelle
piazzole ecologiche comunali fosse
qualificabile in termini di deposito
temporaneo ai sensi dell'art. 6, lett. m),
del citato decreto n. 22 del 1997 "atteso
che nel concetto di luogo di produzione dei
rifiuti non rientra l'intero territorio
comunale rispetto ai rifiuti prodotti dai
suoi cittadini, ma lo stesso si estende al
massimo sino a ricomprendere siti
infrastrutturali collegati tra loro
all'interno di un'area delimitata.
Conseguentemente si verte in tema di
stoccaggio quale fase preliminare alle
attività di smaltimento o recupero, e come
tale necessitante la prevista autorizzazione"
(Cass. pen., sez. 3, n. 45084 del
12/12/2005, M., in Ced Cass. 232353).
La tesi della necessità dell'autorizzazione
regionale, in difetto della quale trovava
applicazione il reato contravvenzionale di
gestione abusiva di rifiuti, era stata
peraltro ribadita anche dopo l'entrata in
vigore del D.Lgs. n. 152 del 2006.
La Corte, sul punto, aveva infatti precisato
che anche dopo l'entrata in vigore del
T.U.A. le piazzole comunali destinate alla
raccolta differenziata dei rifiuti urbani,
cosiddette ecopiazzole o piazzole
ecologiche, necessitassero della prevista
autorizzazione, costituendo le medesime
centri di stoccaggio in cui si svolge una
fase preliminare alle attività di
smaltimento o di recupero dei rifiuti (Cass.
pen., sez. 3, n. 9103 del 28/02/2008, G. e
altro, in Ced Cass. 238996).
Il T.U.A., nella sua originaria versione,
non conteneva alcuna disciplina ad hoc sui
centri di raccolta. Si dovette attendere
l'entrata in vigore del c.d. secondo
correttivo per vedere disciplinata più nel
dettaglio la normativa sui centri di
raccolta, a partire dalla definizione,
contenuta nell'art. 183, lett. cc), di «centro
di raccolta», oggi ripresa, senza
modifiche sostanziali, dall'art. 183, lett.
mm), del T.U.A., come modificato dal D.Lgs.
n. 205 del 2010 (che definisce come «centro
di raccolta», l'area presidiata ed
allestita, senza nuovi o maggiori oneri a
carico della finanza pubblica, per
l'attività di raccolta mediante
raggruppamento differenziato dei rifiuti
urbani per frazioni omogenee conferiti dai
detentori per il trasporto agli impianti di
recupero e trattamento, aggiungendo che la
disciplina dei centri di raccolta è data con
decreto del Ministro dell'ambiente e della
tutela del territorio e del mare, sentita la
Conferenza unificata, di cui al decreto
legislativo 28.08.1997, n. 281).
L'ambito delle competenze comunali con
l'attesa definizione del regime giuridico
delle cosiddette ecopiazzole, venne poi
disciplinato a seguito dell'entrata in
vigore del D.M. 08.04.2008, il quale
prevedeva che i centri di raccolta comunali
o intercomunali siano costituiti da aree
presidiate ed allestite ove si svolge
unicamente attività di raccolta, mediante
raggruppamento per frazioni omogenee per il
trasporto agli impianti di recupero,
trattamento e, per le frazioni non
recuperabili, di smaltimento, dei rifiuti
urbani e assimilati elencati in allegato I,
paragrafo 4.2, conferiti in maniera
differenziata rispettivamente dalle utenze
domestiche e non domestiche, nonché dagli
altri soggetti tenuti in base alle vigenti
normative settoriali al ritiro di specifiche
tipologie di rifiuti dalle utenze
domestiche.
Lo stesso decreto, innovando sulla
previgente disciplina, stabiliva che "la
realizzazione dei centri di raccolta è
approvata dal Comune territorialmente
competente ai sensi della normativa vigente",
così sancendo definitivamente il superamento
della previgente disciplina che riteneva
necessaria l'autorizzazione regionale o
provinciale.
Rimaneva ferma, peraltro, la necessità che i
centri di raccolta dovessero essere
allestiti e gestiti in conformità alle
disposizioni di cui all'allegato I e che il
soggetto chiamato a gestirli dovesse essere
iscritto all'Albo nazionale gestori
ambientali di cui all'art. 212 del T.U.A.
nella Categoria 1 "Raccolta e trasporto
dei rifiuti urbani" di cui all'art. 8
del decreto del Ministro dell'ambiente
28.04.1998, n. 406. Tale ultima indicazione,
peraltro, era stata contraddetta dalla
Circolare del 28.10.2008, n. 1656, con cui
il Comitato Nazionale dell'Albo Nazionale
Gestori Rifiuti aveva invece escluso che i
comuni fossero ricompresi tra i soggetti
destinatari dell'obbligo d'iscrizione
all'Albo gestori ambientali per la gestione
dei centri di raccolta.
Con nota dell'Ufficio legislativo del
Ministero dell'ambiente e della tutela del
territorio e del mare (prot. n. GAB - 2008 -
16947 del 04.11.2008) era tuttavia stato
reso noto che il D.M. 08.04.2008, al momento
della sua pubblicazione nella Gazzetta
Ufficiale del 28.04.2008, non poteva
produrre effetti in quanto era privo dei
necessari riscontri da parte degli organi di
controllo (visto dell'UCB acquisito in data
27.07.2008 - registrato alla Corte dei Conti
il 29.08.2008), conseguendone pertanto la
dichiarazione di inefficacia. Il D.M.
08.04.2008 rivive, tuttavia, per effetto del
D.M. 08.03.2010, n. 65, entrato in vigore il
19.05.2010: ed infatti, l’art. 8
(Realizzazione e gestione dei centri di
raccolta) del citato D.M. stabilisce che la
realizzazione e la gestione di centri di
raccolta, si svolge con le modalità previste
dal decreto del Ministro dell'ambiente e
della tutela del territorio e del mare
dell'08.04.2008.
Infine, il T.U.A. "novellato" dal
D.Lgs. n. 205/2010, stabilisce (art. 190, u.
co.) che le operazioni di gestione dei
centri di raccolta di cui all’articolo 183,
comma 1, lettera mm), sono escluse dagli
obblighi previsti per la tenuta dei registri
di carico e scarico del presente articolo
limitatamente ai rifiuti non pericolosi. Per
i rifiuti pericolosi, invece, la
registrazione del carico e dello scarico può
essere effettuata contestualmente al momento
dell’uscita dei rifiuti stessi dal centro di
raccolta e in maniera cumulativa per ciascun
codice dell’elenco dei rifiuti.
Tale previsione dev'essere coordinata con la
nuova disciplina in materia di SISTRI, che,
com'è noto, facoltizza i comuni, i centri di
raccolta e le imprese di raccolta e
trasporto dei rifiuti urbani nel territorio
di regioni diverse dalla regione Campania ad
iscriversi al nuovo sistema di tracciabilità
dei rifiuti. Si conferma, dunque, come del
resto la Cassazione afferma con limpidezza,
il venir meno della necessità
dell'autorizzazione regionale o comunale per
le ecopiazzole (commento tratto da
www.ipsoa.it - Corte di Cassazione, Sez. III
penale, sentenza 01.03.2011 n. 7950 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Concessione
implicita ammessa solo in casi-limite
I semplici atti preparatori
di regola non possono sostituire il
provvedimento a meno che non ci siano tutti
gli elementi costitutivi.
In linea di massima nel nostro ordinamento
non è possibile ottenere un permesso di
costruire in forma "implicita", ma ciò può
accadere in ipotesi assai particolari, come
nel caso esaminato dalla IV Sez. del
Consiglio di Stato (sentenza
07.02.2011 n. 813) e
riferito all'annullamento di una ordinanza
di rimessione in pristino –cioè di
demolizione– per la realizzazione di opere
in difformità dai titoli assentiti.
Nel
giudizio era intervenuto anche il vicino di
casa della parte ricorrente, sostenendo che
non si trattava di una semplice difformità
dal titolo rilasciato, ma che l'intera opera
era abusiva, in quanto carente della
concessione edilizia.
La sentenza richiama innanzitutto il
costante orientamento giurisprudenziale in
base al quale deve oggi tendenzialmente
escludersi il provvedimento concessorio
implicito. Infatti, nell'ordinamento
preesistente alla legge 10/1977, vigeva il
principio di libertà delle forme, che
consentiva la sostanziale equiparazione
della comunicazione del parere favorevole
della commissione edilizia al rilascio della
licenza.
Tuttavia, dopo l'entrata in vigore
della legge Bucalossi, la normativa ha
stabilito il contenuto minimo inderogabile
della concessione, che deve includere
elementi determinativi e conformativi della
volontà dell'ente locale, non sostituibili
dalla semplice comunicazione del parere
(Consiglio di Stato, sezione V, 6256/2002,
6476/2002 e 881/2008).
L'autorizzazione di altri organi e il parere
favorevole della commissione edilizia
comunale non hanno, di norma, alcuna valenza
provvedimentale, ma soltanto valore di atti
preparatori, e non possono né sostituire la
concessione edilizia, né, tantomeno,
giustificare una pretesa buona fede di colui
che abbia costruito senza attendere il
formale rilascio del titolo abilitativo
(Consiglio di Stato, sezione IV, 3594/2005;
Tar Campania-Salerno, sezione II,
8154/2010).
I giudici di Palazzo Spada hanno però
ammesso la configurabilità di una
concessione edilizia "provvedimento
implicito", osservando che tale istituto
opererebbe tutte le volte in cui la Pa, pur
non adottando formalmente un provvedimento,
«ne determina univocamente i contenuti
sostanziali, o attraverso un comportamento
conseguente, ovvero determinandosi in una
direzione, anche con riferimento a fasi
istruttorie coerentemente svolte, a cui non
può essere ricondotto altro volere che
quello equivalente al contenuto del
provvedimento formale corrispondente».
Nel
caso esaminato, prosegue la pronuncia,
emerge chiaramente che il Comune, con
l'ordinanza impugnata, «ha voluto sanare
definitivamente sanare la struttura,
esprimendo assenso alla sua avvenuta
realizzazione con una determinazione la cui
valenza giuridica ed effettuale deve essere
ricondotta all'ipotesi, univocamente
emergente dagli atti di causa, del rilascio
implicito della concessione edilizia». E
questo anche perché il Comune, acquisito il
parere della commissione, aveva quantificato
gli oneri concessori, «il cui pagamento
com'è noto è univocamente connesso al
rilascio della concessione edilizia»
(articolo Il Sole 24
Ore del 09.05.2011). |
APPALTI: Avvalimento.
L’avvalimento di garanzia, figura nella
quale l’impresa ausiliaria mette in campo la
propria solidità economica e finanziaria a
servizio dell’aggiudicataria avvalente, può
essere ontologicamente ammessa solo in
relazione alla dimostrazione del possesso di
idonei requisiti economici e finanziari,
come nel caso del volume di affari o del
fatturato, ma non per requisiti di indole
soggettiva, quali l’esperienza pregressa in
un dato settore.
E’ quanto affermato dal TAR Campania-Napoli,
Sez. I, nella
sentenza
02.02.2011 n. 644, ove
viene ben chiarito l’alveo applicativo dell’avvalimento,
anche attraverso un’anticipazione delle
disposizioni normative contenute nel nuovo
Regolamento attuativo.
Il Tar Campania, con la sentenza in esame,
interviene in tale delicato dibattito,
attraverso un preciso percorso
argomentativo.
In primo luogo, il Tar ricorda che
l'istituto dell' avvalimento, di origine
comunitaria, si delinea quale strumento in
grado di consentire la massima
partecipazione dei concorrenti alle gare
pubbliche, consentendo alle imprese, non in
possesso dei richiesti requisiti tecnici o
economici, di sommare, esclusivamente per la
gara in corso, le proprie capacità tecniche
ed economico-finanziarie a quelle di altre
imprese. Ovviamente, il ricorso all'avvalimento
non determina il trasferimento definitivo
dei requisiti dell'impresa ausiliaria a
quella avvalente, ma, al contrario, la loro
cessione ai soli fini della partecipazione
alla gara.
Dunque, l’avvalimento non implica
alcun effetto permanente: “In caso di avvalimento, l'impresa ausiliata non potrà
fruire dei requisiti fatti oggetto di
prestito in altre future gare e ciò a
conferma del carattere non permanente
dell'istituto, il quale esplica i propri
effetti singolarmente”.
Il Tar Campania evidenzia che l’istituto
dell’avvalimento è integralmente animato da
un chiaro principio di favor verso la
partecipazione alle gare, in virtù del quale
il concorrente, per dimostrare le capacità
tecniche, finanziarie ed economiche nonché
il possesso dei mezzi necessari
all'esecuzione del contratto, può fare
riferimento alla capacità ed ai mezzi di uno
o più soggetti diversi, ai quali conta di
ricorrere. Conseguentemente, deve sempre
essere consentito ai partecipanti a
procedure concorsuali, al fine di dimostrare
il possesso dei requisiti tecnici, economici
ed organizzativi di partecipazione,
qualunque sia la natura giuridica dei
vincoli intercorrenti con questi ultimi.
Venendo alla concreta questione, cioè la
possibilità di ricorrere all’avvalimento per
il requisito dell’esperienza quinquennale, i
giudici amministrativi campani prendono atto
che esso consiste in una “condizione
soggettiva, del tutto disancorata dalla
messa a disposizione di risorse materiali,
economiche o gestionali”. Il Tar ritiene che
il punto essenziale della problematica sia
proprio questo: il requisito dell’esperienza
quinquennale pregressa non sembra avere
apprezzabili collegamenti con le “risorse”,
che vengono trasferite dall’impresa
ausiliaria a quella avvalente e che
costituiscono il punto nodale dell’avvalimento.
In merito il Tar compie un’anticipazione di
riferimento alle disposizioni normative
contenute nel nuovo Regolamento attuativo
del Codice, non ancora in vigore, affermando
che “la centralità della messa a
disposizione delle risorse all’interno del
sinallagma, tipizzante il contratto di avvalimento, è peraltro ribadita
dall’articolo 88 del Regolamento di
attuazione del Codice dei Contratti (d.P.R.
n. 207 del 05.10.2010), che prescrive
l’indicazione puntuale ed analitica delle
risorse e dei mezzi prestati”.
Si tratta, invero, di un punto molto
importante. Infatti, il richiamato articolo
88 del nuovo Regolamento completa la
disciplina del Codice, ponendo enfasi
sull’elemento dell’imprestito di risorse,
oltre che di requisiti, quale profilo
fondante dell’avvalimento. Precisamente,
l’articolo 88 stabilisce che il contratto di
avvalimento, ai fini della qualificazione in
gara, deve riportare in modo compiuto,
esplicito ed esauriente i seguenti elementi:
a) l’oggetto, cioè le risorse ed i mezzi
prestati in modo determinato e specifico;
b)
la durata;
c) ogni altro utile elemento ai
fini dell’avvalimento.
Declamata la
centralità dell’elemento “risorse”
nell’ambito dell’avvalimento, il Tar
Campania perviene ad una chiara conclusione:
“esclusa l’ipotesi dell’avvalimento
operativo, di portata generale, la
fattispecie in esame è da ricondurre al
cosiddetto avvalimento di garanzia, figura
nella quale l’ausiliaria mette in campo la
propria solidità economica e finanziaria a
servizio dell’aggiudicataria ausiliata,
ampliando così lo spettro della
responsabilità per la corretta esecuzione
dell’appalto”.
Tuttavia, secondo i giudici
amministrativi, l’avvalimento di garanzia
incontra limiti nell’ordinamento, in ragione
della sua peculiare funzione di estensione
della base patrimoniale della responsabilità
dell’esecuzione del contratto. Di
conseguenza, tale figura può trovare
legittimo riconoscimento solo in relazione
alla dimostrazione del possesso di idonei
requisiti economici e finanziari, come nel
caso del volume di affari o del fatturato.
In questa ipotesi l’avvalimento di garanzia
dispiega una apprezzabile funzione, nel
senso di assicurare alla stazione appaltante
un operatore economico, che goda di una
complessiva solidità finanziaria, come
dimostrato da recente giurisprudenza in tema
di capitale sociale minimo.
Pertanto, al di
fuori di tale ipotesi, cioè dell’esistenza
di un chiaro collegamento con le risorse
fornite dall’impresa ausiliaria all’impresa
avvalente, “la messa a disposizione di
requisiti soggettivi snatura e stravolge
l’istituto dell’avvalimento per piegarlo ad
un logica di elusione dei requisiti
stabiliti nel bando di gara”
(tratto dalla newsletter di
www.centrostudimarangoni.it - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI: Clausola
riassorbimento personale.
L’obbligo imposto all’impresa aggiudicataria
della nuova gara di mantenere in servizio i
medesimi autisti già assunti dal gestore
uscente integra un’evidente violazione del
principio di autonomia contrattuale, di cui
all’articolo 1322 del codice civile, dal
momento che determina, in via unilaterale,
l’imposizione di un vincolo a contrarre, al
di fuori dei casi tassativamente tipizzati
dal Legislatore.
E’ quanto stabilito dal TAR Piemonte, Sez.
I, nella
sentenza
27.01.2011 n. 114, ove viene
affrontata una peculiare questione, quale
quella della clausola di riassorbimento del
personale del gestore uscente, oggetto di
una non irrilevante diffusione nella
concreta prassi delle stazioni appaltanti.
Invero, i reali ostacoli alla legittimità
della clausola di riassorbimento derivano
proprio dai principi declinati dall’articolo
2, comma 1°, del Codice dei contratti
pubblici , oltre che da quelli consacrati in
Costituzione.
Infatti, la clausola di riassorbimento del
personale dell’impresa uscente si palesa
pienamente contrastante con il principio
costituzionale di libertà di iniziativa
economica. L’articolo 41, comma 1°, della
vigente Carta costituzionale, stabilisce che
l'iniziativa economica privata è libera. Si
tratta di un postulato della massima
importanza, che costituisce, senza dubbio,
il fondamento primo dell’economia di
mercato.
Orbene, la contestata clausola
viola l’indicato principio sotto un duplice
aspetto. In primo luogo, per quanto concerne
l’aspetto generale di libertà di iniziativa
economica, cioè libertà delle scelte
organizzative e gestionali, che
costituiscono un ineludibile contraltare al
principio del rischio di impresa. Orbene,
l’imprenditore deve essere libero, nel
rispetto dei limiti legalmente previsti, di
assumere personale, che risponda a specifici
requisiti di professionalità. Il voler
imporre l’assunzione obbligatoria di
personale di altra azienda costituisce una
ingiustificata e pericolosa intrusione nel
suo ambito di libertà di scelta
organizzativa.
In secondo luogo, il
principio di libera iniziativa economica
viene violato per quel che riguarda
l’aggravamento economico dell’iniziativa
medesima. In altri termini, la clausola di
riassorbimento impone degli oneri economici,
che si manifestano gravosi ed alteranti
l’equilibrio economico dell’azienda. In
buona sostanza, il vincitore della gara deve
essere libero di poter assumere o non
assumere altro personale, in conseguenza del
nuovo appalto o concessione. Infatti, è ben
possibile che il vincitore abbia personale,
momentaneamente e parzialmente
sotto-occupato, che troverà pieno utilizzo
proprio con la nuova concessione.
Occorre, poi, tener conto del principio di
libera concorrenza, di chiara derivazione
comunitaria ed involgente l’intero settore
dei pubblici contratti. Obiettivo
fondamentale della Comunità europea è, ai
sensi dell’articolo 2 del Trattato di Roma,
la creazione di un’Unione economica e, ancor
prima, di un mercato comune, da intendersi
come vero e proprio “mercato interno”
nell’accezione propria dell’articolo 14 del
Trattato medesimo. Un mercato, cioè, in cui
sia effettivamente ed efficacemente
assicurata la libera circolazione di
persone, merci, servizi e capitali. Venendo
al settore dei pubblici contratti e
ripercorrendo le novità introdotte dal
Codice e le trasformazioni indotte dalle
direttive comunitarie, sembra emergere un
dato ben chiaro: la disciplina degli
contratti pubblici si presenta adesso, alla
stregua di una rinnovata concezione
dell’interesse pubblico, quale strumento
funzionale al mercato, come passaggio
obbligato per garantire la piena operatività
del confronto concorrenziale, inteso quale
valore da promuovere, oltre che da tutelare.
Competitività e trasparenza dei mercati
costituiscono, infatti, un binomio
inscindibile nel consentire alle Pubbliche
autorità di acquistare beni e servizi e di
realizzare opere a prezzi più bassi e di
qualità migliore, con una consistente
semplificazione dei processi di acquisto e,
dunque, con una benefica riduzione dei costi
amministrativi e delle altre inefficienze
del settore. Pertanto, la presenza della
clausola di riassorbimento, quale clausola
palesemente alterante l’imprescindibile
valutazione dell’interesse economico, che
ogni impresa deve liberamente effettuare,
costituisce una chiara violazione del
principio di libera concorrenza.
Orbene, la violazione del principio di
libera concorrenza cagiona, quasi sempre,
un’eguale violazione del principio di
economicità, che costituisce
un’articolazione del principio
costituzionale di buona amministrazione
dell’azione amministrativa (art. 97 Cost.).
Tale principio impone alla Pubblica
amministrazione di perseguire la
realizzazione del massimo risultato con il
minor dispendio di mezzi e, quindi,
l’adozione, di procedure, volte ad
individuare offerte convenienti.
Quindi, la
presenza della clausola di riassorbimento ha
l'effetto di alterare il percorso logico e,
quindi, il connesso calcolo di convenienza
economica, che l'impresa segue nella
formulazione dell'offerta. L'impresa
partecipante alla gara effettua, sulla base
anche delle clausole contenute nel bando,
una valutazione di convenienza relativa alla
partecipazione alla gara ed al contenuto
dell'offerta. Inoltre, l'impresa medesima
elabora l'offerta, inserendovi le condizioni
che essa reputa migliori. A ben vedere, è
proprio con la formulazione dell'offerta che
l'impresa manifesta la sua efficienza, la
sua capacità di stare sul mercato, in altre
parole la sua concorrenzialità. Pertanto, da
quanto detto, emerge, chiaramente, che la
clausola di riassorbimento ha l'effetto di
distorcere le capacità di concorrenzialità
dell'impresa efficiente, a vantaggio di
quelle meno efficienti.
Infine, occorre prestare la massima
attenzione all’illegittima creazione di un
favor per l’impresa uscente, che viene
determinato dalla clausola in esame.
L’articolo 97 della Costituzione stabilisce
che l’azione amministrativa deve esplicarsi
secondo sicuri canoni di imparzialità. In
ossequio a tale principio, l’attività
amministrativa deve esplicarsi senza dar
luogo ad alcuna discriminazione.
Orbene, la
clausola di riassorbimento si presenta come
palesemente avvantaggiante, in quanto
favorisce l’impresa uscente in base ad una
banale, ma solido ragionamento: l’impresa
uscente parteciperà alla gara e formulerà la
propria offerta, non subendo alcuna
coartazione della propria libertà
organizzativa, in quanto i dipendenti da
riassorbire sono già propri. In tal modo, i
principi di parità di trattamento e di non
discriminazione sono palesemente vulnerati
(tratto dalla newsletter di
www.centrostudimarangoni.it - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Sottoscrizione
offerta.
La sottoscrizione dell’offerta si configura
come lo strumento idoneo a renderne nota la
paternità dell’atto ed a vincolare l’autore
alla manifestazione di volontà in esso
contenuta. La sua mancanza inficia,
pertanto, la validità e la ricevibilità
della manifestazione di volontà e non può
ritenersi equivalente ad essa l’apposizione
della controfirma sui lembi sigillati della
busta che la contiene.
E’ quanto affermato
dal Consiglio di Stato, Sez. V, nella
sentenza
25.01.2011 n. 528, ove, confermando un
solido orientamento, si perviene,
correttamente in ragione delle diverse
funzioni, a negare la possibilità di
equivalenza fra la sottoscrizione
dell’offerta e la sottoscrizione apposta sui
lembi sigillati del plico di offerta.
I giudici amministrativi di appello
ricordano che la sottoscrizione di un atto o
di un documento, in linea generale, esplica
diverse funzioni. In primo luogo, va
osservato che la sottoscrizione di un
documento costituisce lo strumento, mediante
il quale l’autore fa propria la
dichiarazione contenuta nel documento
medesimo. Da un punto di vista sostanziale,
la sottoscrizione, comunemente intesa come
scrittura manuale del proprio nome e cognome
in calce ad un documento, consente di
risalire alla paternità dell’atto e di
ricondurre al suo autore tutti gli effetti,
che l’ordinamento indirizza verso la sfera
giuridica dello stesso. I principi di
trasparenza ed imparzialità, giustamente
operanti e dominanti nelle gare pubbliche,
esigono che sia certa ed inequivoca
l’imputazione dell’offerta e di
qualsiasivoglia altra documentazione al
soggetto concorrente.
Dunque, in
considerazione del fatto che la
sottoscrizione è elemento essenziale della
dichiarazione, la sua mancanza, anche su una
sola delle parti indispensabili costituenti
l’offerta, o altro documento dichiarativo,
intesa quale manifestazione di volontà
negoziale, inficia la validità della
medesima. In secondo luogo, il CdS fa
osservare che la certa e sicura
riconducibilità di tutti gli elementi
costitutivi l’offerta, anche di quelli che
possano apparire prima facie non essenziali
o puramente formali, al soggetto autore,
garantisce la serietà e l’affidabilità
dell’offerta medesima, intesa quale
dichiarazione del partecipante alla gara,
finalizzata alla costituzione di un rapporto
contrattuale.
Infine, la sottoscrizione
esplica una funzione di chiusura e di immodificabilità del documento, in modo tale
da non consentire riaperture di ulteriori
trattative negoziali. Da tale
considerazione, consegue l’ammissibilità
delle correzioni, contenute in un’offerta,
purché espressamente confermate con
specifica sottoscrizione a margine.
Oltre tali funzioni, i giudici
amministrativi di appello pongono enfasi su
di un corollario delle funzioni medesime:
l’effetto di vincolo. In altri termini, con
la sottoscrizione di un atto, di un’offerta,
il soggetto si obbliga, si vincola a
rispettare il preciso contenuto della
manifestazione di volontà esternalizzata e
scritta. Ciò comporta, tenuto conto del
naturale “formalismo” insito nelle procedure
di gara, la necessarietà della
sottoscrizione dell’offerta, affinché si
possa considerare il soggetto sottoscrittore
come puntualmente obbligato a rispettare e
ad adempiere tutto quanto ciò che precede la
sottoscrizione medesima.
Al riguardo, non è privo di rilievo ed,
anzi, assume un ruolo decisivo, il chiaro
tenore letterale dell’illustrata
disposizione normativa contenuta
nell’articolo 74, comma 1°: le offerte
debbono essere sottoscritte, manualmente o
digitalmente. Dunque, una sottoscrizione
deve esserci, in quanto richiesta
espressamente da una inequivoca disposizione
e deve sussistere indipendentemente da
un’espressa previsione del bando di gara. La
previsione normativa risponde ad ovvie
esigente di pubblica certezza, per cui non
può che assumere valenza di norma
imperativa, con sua immediata ed assoluta
applicabilità, a prescindere dalle regole di
gara, in ragione del noto principio dell’eterointegrazione
precettiva.
Acclarata la necessarietà legale della
sottoscrizione dell’offerta, il Consiglio di
Stato perviene ad affrontare il problema
della sua eventuale surrogabilità, cioè se
sia possibile considerare come equivalente
(alla sottoscrizione dell’offerta) la
sottoscrizione apposta sui lembi sigillati
del plico di offerta. Al riguardo, i giudici
amministrativi di appello pongono in risalto
le diverse funzioni espletate dalle due
sottoscrizioni, che non possono essere non
tenute in differenziazione.
Precisamente, la sottoscrizione
dell’offerta, imposta dal Codice, assolve
alle illustrate funzioni: imputazione di
paternità dell’atto; garanzia di serietà ed
affidabilità; chiusura ed immodificabilità
del documento; effetto di vincolo.
Viceversa, la sottoscrizione apposta sui
lembi di chiusura del plico di offerta
esplica una ben diversa funzione: garantire
la segretezza dell’offerta e l’integrità del
plico di offerta. Come si può ben vedere, si
tratta di differenti funzioni, cioè di
diverse “esigenze pubbliche da soddisfare”.
Da un lato, vi è la problematica della
paternità dell’atto e dei connessi vincoli;
dall’altro, vi è l’esigenza di assicurare la
segretezza e, soprattutto, l’integrità del
plico di offerta. In presenza di tale netta
diversità di funzioni, il Consiglio di Stato
ritiene che non sia possibile alcuna forma
di surrogazione o di equipollenza. Ciò, in
aderenza, fra l’altro, ad una propria
giurisprudenza (CdS, sez. V, n. 364/2004 e
sez. IV, n. 1832/2010), ove si è negata la
possibilità di sostituire la mancante
sottoscrizione con il timbro dell’impresa e
la fotocopia del documento di identità del
titolare della medesima
(tratto dalla newsletter di
www.centrostudimarangoni.it - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Nel caso di pattuizione di
pagamento rateizzato degli oo.uu. e costo di
costruzione con scadenze diverse da quelle
previste dalla legge, non può ad una
pattuizione negoziale essere applicata una
sanzione che presuppone l’applicazione dei
termini di adempimento legali, in quanto la
sanzione è legata al termine legale.
L’agire dell’Amministrazione rischia di
violare altresì il principio di legalità in
tema di sanzioni amministrative di cui
all’art. 1 l. 24.11.1981 n. 689, in quanto
verrebbe estesa la sanzione ad una
violazione non prevista dalla legge.
La sanzione comminata per ritardato
pagamento deve essere annullata, mentre sono
stati correttamente applicati gli interessi
legali, calcolati sui 55 giorni di ritardo.
La società ricorrente ha impugnato l’atto di
inflizione della sanzione per ritardato
pagamento della seconda rata degli oneri
dovuti a titolo di urbanizzazione primaria,
secondaria e il costo di costruzione.
Come emerge dalla ricostruzione in fatto,
tra le parti era intervenuto un accordo in
forza del quale il versamento di detta somma
era stata ripartita in due rate, la prima al
ritiro del titolo e la seconda entro il
31.03.2010. Poiché la seconda rata veniva
invece versata in data 27.05.2010,
l’Amministrazione ha applicato la sanzione
per il ritardato pagamento, in forza
dell’art. 42, comma 2, DPR 380/2001, nonché
gli interessi di mora.
Il ricorso è fondato e va accolto.
Il quadro normativo di riferimento è
rappresentato dagli artt. 16 e 42 del DPR
380/2001.
L’art. 16 prevede che il contributo dovuto a
titolo di urbanizzazione e di costo di
costruzione possa essere rateizzato: infatti
il comma secondo stabilisce testualmente che
la quota di contributo relativa agli oneri
di urbanizzazione è corrisposta al comune
all'atto del rilascio del permesso di
costruire e, su richiesta dell'interessato,
può essere rateizzata.
Il successivo comma quarto prevede invece
che la quota di contributo relativa al costo
di costruzione venga determinata all'atto
del rilascio e corrisposta in corso d'opera,
con le modalità e le garanzie stabilite dal
comune, non oltre sessanta giorni dalla
ultimazione della costruzione.
L’art. 42, comma 2, del suddetto T.U.,
contiene il regime sanzionatorio, stabilendo
che, il mancato versamento, nei termini
stabiliti, del contributo di costruzione
comporta:
a) l'aumento del contributo in misura pari
al 10 per cento qualora il versamento del
contributo sia effettuato nei successivi
centoventi giorni;
b) l'aumento del contributo in misura pari
al 20 per cento quando, superato il termine
di cui alla lettera a), il ritardo si
protrae non oltre i successivi sessanta
giorni;
c) l'aumento del contributo in misura pari
al 40 per cento quando, superato il termine
di cui alla lettera b), il ritardo si
protrae non oltre i successivi sessanta
giorni.
Il successivo IV comma statuisce che nel
caso di pagamento rateizzato le norme di cui
al secondo comma si applicano ai ritardi nei
pagamenti delle singole rate.
L’Amministrazione Comunale di Peschiera
Borromeo ha approvato, con delibera della
G.C. n. 99 del 1994, una disciplina generale
di rateizzazione del versamento del
contributo di urbanizzazione e di
costruzione, prevedendo tre rate: la prima
al momento del ritiro del titolo edilizio,
la seconda a 6 mesi dal rilascio dello
stesso e l’ultima entro un anno.
Nel caso di specie tuttavia
l’Amministrazione ha approvato una
rateizzazione differente, in accordo con il
titolare del permesso di costruire, dando
espressamente atto che la rateizzazione era
maggiormente favorevole all’Amministrazione
Comunale, “in quanto prevede l’incasso in
tempi più brevi rispetto a quelli previsti
nella deliberazione di G.C. n. 99/1994”.
Vale fin da ora un raffronto: se le parti
avessero applicato la regola generale di
rateizzazione in tre scaglioni, la società
Ametista avrebbe dovuto versare il 50% al
momento del ritiro del titolo (cioè il
29.12.2009), la seconda rata del 25% entro
il 29.06.2010 e l’ultima rata al 29.12.2010.
Di fatto la società ha invece versato il 50
% al momento del ritiro del titolo e il
residuo il 27.5.2010, quindi in ogni caso
prima della scadenza sia della seconda sia
della terza rata previste dalla disciplina
generale.
Il provvedimento nella parte in cui applica
la sanzione è illegittimo.
Infatti la fonte dell’obbligazione è la
norma di legge, ma i termini di adempimento
dell’obbligazione pecuniaria sono stati
stabiliti in base all’accordo tra le parti.
Alla pattuizione negoziale, che ha
introdotto una disciplina diversa rispetto a
quella legale, ad avviso del Collegio, non
può applicarsi la norma che introduce il
regime sanzionatorio per violazione di
scadenze previste dalla legge.
In altri termini non può ad una pattuizione
negoziale essere applicata una sanzione che
presuppone l’applicazione dei termini di
adempimento legali, in quanto la sanzione è
legata al termine legale.
Qui è stato violato il termine
convenzionale: il ritardo nel versamento del
conguaglio si è infatti verificato rispetto
ad una scadenza negoziale, non a quella
legale.
L’agire dell’Amministrazione rischia di
violare altresì il principio di legalità in
tema di sanzioni amministrative di cui
all’art. 1 l. 24.11.1981 n. 689, in quanto
verrebbe estesa la sanzione ad una
violazione non prevista dalla legge.
Pertanto la sanzione deve essere annullata,
mentre sono stati correttamente applicati
gli interessi legali, calcolati sui 55
giorni di ritardo
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 10.12.2010 n. 7504 - link a www.giustizia-mministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Pertinenza urbanistica.
In materia edilizia, per pertinenza deve
intendersi un'opera che non sia parte
integrante o costitutiva di un altro
fabbricato, bensì al servizio dello stesso
onde renderne più agevole e funzionale l'uso
(in applicazione di tale principio la
Corte ha escluso la natura pertinenziale di
un locale residenziale, ricavato dalla
chiusura su due lati di un
lavatoio-stenditoio, collegato tramite scala
esterna con l'appartamento sottostante)
(Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 28.05.2010 n. 20349 -
link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Elettrosmog. Installazione
impianti di radiodiffusione.
Non integra il reato di installazione e/o
esercizio senza autorizzazione di impianti
di radiodiffusione sonora o televisiva in
ambito locale (art. 98, comma terzo, Codice
delle comunicazioni elettroniche di cui al
D.Lgs. 01.08.2003, n. 259) la modifica "in
riduzione" di un impianto già assentito,
non essendo necessaria in tale ipotesi
l'autorizzazione preventiva, ma una semplice
comunicazione da parte del soggetto che ne è
titolare (in motivazione la Corte, in una
fattispecie nella quale si era verificata la
delocalizzazione e riduzione dell'area
originariamente servita dall'impianto
autorizzato, ha precisato che a tale ipotesi
è applicabile il principio del silenzio
assenso, da ritenersi formato una volta
decorso il termine di 60 giorni dalla
comunicazione) (Corte di Cassazione,
Sez. III penale,
sentenza 14.04.2010 n. 14284 -
link a www.lexambiente.it). |
URBANISTICA:
Lottizzazione abusiva.
Il reato di lottizzazione abusiva è
configurabile anche in relazione a condotte
di cessione poste in essere in data
antecedente al 17.03.1985, data di entrata
in vigore della L. 28.02.1985, n. 47, in
quanto la previsione del comma decimo
dell'art. 30, d.P.R. 06.06.2001, n. 380, la
quale sancisce l'applicabilità delle "disposizioni
di cui sopra" ai fatti successivi a tale
data, riguarda unicamente le disposizioni
strumentali ad impedire condotte
lottizzatorie ed il successivo trasferimento
dei beni, contenute nei commi secondo e
seguenti del predetto articolo (nella
specie l'acquisto della particella ed il
relativo atto di frazionamento risalivano
all'anno 1981) (Corte di Cassazione,
Sez. III penale,
sentenza 08.04.2010 n. 13214 -
link a www.lexambiente.it). |
AGGIORNAMENTO AL 09.05.2011 |
ã |
A V V I S O |
Con riferimento
alle n. 7 giornate di studio programmate in
quel di Bergamo, si avvisano i Sigg.
partecipanti che la giornata dell'11.05.2011
è stata annullata causa LUTTO e sarà
recuperata mercoledì 01.06.2011 (stessi
orario e sala).
Pertanto, il programma delle lezioni
slitterà riprendendo da mercoledì
18.05.2011.
---------------
aggiornamento delle ore 17,45 - LA
SEGRETERIA PTPL |
GURI - GUUE -
BURL (e anteprima) |
EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA:
B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 18 del
06.05.2011 "Testo
coordinato della l.r. 11.03.2005, n. 12
«Legge per il governo del territorio»". |
SINDACATI |
PUBBLICO IMPIEGO: CCNL
Enti Locali - Lavoro in turni e festività
infrasettimanale
(CGIL-FP di Bergamo,
nota 02.05.2011). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO:
Schema di contratto collettivo
decentrato integrativo anni 2011-2012
(CGIL-FP di Bergamo,
nota 02.05.2011). |
NOTE,
CIRCOLARI E COMUNICATI |
ENTI LOCALI:
OGGETTO: Addizionale comunale all’IRPEF
di cui all’art. 1, del D.Lgs. 28.09.1998, n.
360. Art. 5 del D.Lgs. 14.03.2011, n. 23, in
materia di cessazione graduale del potere di
deliberare aumenti del tributo
(Ministero dell'Economie e delle Finanze,
Dipartimento delle Finanze, Direzione
Federalismo Fiscale,
risoluzione 02.05.2011 n. 1/DF). |
UTILITA' |
EDILIZIA PRIVATA - VARI:
Finalmente arriva il IV Conto Energia.
Il Quarto Conto Energia è stato finalmente
approvato dal Consiglio dei Ministri in data
05.05.2011.
Ecco in breve i contenuti del Decreto.
Nuovo regime di
programmazione degli incentivi ed entrata in
esercizio dell'impianto.
Il testo elimina ogni limite alla produzione
che lascia invece il posto ad un sistema di
regolazione automatica del livello degli
incentivi in relazione alla potenza
installata che entrerà a regime a partire
dal 2013. Nel periodo transitorio è previsto
un decremento progressivo della tariffa.
Rimane confermata l'erogazione
dell'incentivo dal momento dell'entrata in
esercizio dell'impianto, con la garanzia del
rispetto dell'iter di connessione da parte
del gestore di rete. Nei casi in cui il
mancato rispetto, da parte del gestore di
rete, dei tempi per il completamento della
realizzazione della connessione e per
l'attivazione della connessione comporti una
perdita economica del richiedente, si
applicano misure di indennizzo.
Rimane anche la distinzione dei premi in
funzione della dimensione degli impianti
(piccoli e grandi impianti).
Premi per uso efficiente
dell'energia e per applicazioni specifiche.
Previsti incrementi fino al 30% della
tariffa per uso efficiente dell'energia;
fissato a 5 centesimi di euro/kWh il premio
aggiuntivo per gli impianti installati in
sostituzione di coperture contenenti
amianto.
Nuovi requisiti richiesti
per i produttori.
Per gli impianti che entrano in esercizio
successivamente al 30.06.2012, il soggetto
responsabile è tenuto a trasmettere la
seguente ulteriore documentazione:
certificato rilasciato dal produttore dei
moduli fotovoltaici attestante l’adesione
dello stesso a un sistema o consorzio
europeo che garantisca il riciclo dei moduli
fotovoltaici utilizzati al termine della
vita utile dei moduli;
certificato rilasciato dal produttore dei
moduli fotovoltaici, attestante che
l’azienda produttrice possiede le
certificazioni ISO 9001 (Sistema di gestione
della qualità), OHSAS 18001 (Sistema di
gestione della salute e sicurezza del
lavoro) e ISO 14000 (Sistema di gestione
ambientale);
certificato di ispezione di fabbrica
relativo a moduli e inverter rilasciato da
ente terzo notificato a livello europeo o
nazionale, a verifica del rispetto della
qualità del processo produttivo e dei
materiali utilizzati.
Nessuna proroga al 31
agosto.
Nel nuovo testo non c’è traccia della
proroga al 31.08.2011 della scadenza del
terzo Conto Energia annunciata nei giorni
scorsi. Se il testo sarà confermato, il
quarto Conto Energia entrerà in vigore
l'01.06.2011.
La redazione di BibLus-net propone in
allegato al presente articolo, oltre al
testo approvato dal Consiglio dei Ministri,
una utile tavola sinottica con le tariffe e
i bonus aggiuntivi previste dal nuovo Conto
Energia (link a www.acca.it). |
SICUREZZA LAVORO:
Testo Unico sulla Sicurezza e verifiche
periodiche delle attrezzature.
Pubblicato in Gazzetta il Decreto 11.04.2011
che disciplina le modalità di verifica sulle
attrezzature da lavoro eseguite da INAIL e
ASL territoriali e definisce i criteri per
l'abilitazione dei soggetti verificatori.
Ricordiamo che il Testo Unico sulla
Sicurezza, relativamente agli obblighi del
datore di lavoro (art. 71 - D.Lgs. 81/2008)
recita che questi deve sottoporre le
attrezzature di lavoro riportate
nell'Allegato VII (quali scale, ponti
mobili, generatori di calore, tubazioni,
forni per industrie chimiche, etc.) a
verifiche periodiche per valutarne
l'effettivo stato di conservazione e di
efficienza ai fini di sicurezza, con una
certa frequenza.
Tale verifica deve essere effettuata
dall'INAIL ex ISPESL che vi provvede nel
termine di 60 giorni dalla richiesta.
Decorso tale termine, il datore di lavoro
può avvalersi delle ASL e o di soggetti
pubblici o privati abilitati. Il Testo Unico
per la sicurezza stabilisce, inoltre, che i
criteri per l'abilitazione dei soggetti
pubblici o privati ad effettuare tali
verifiche saranno stabiliti con Decreto del
Ministro del Lavoro.
Il Decreto 11.04.2011, quindi in
ottemperanza a quanto previsto dal Testo
Unico sulla Sicurezza, definisce modalità,
tempistiche, passaggi burocratici e
amministrativi per l'accreditamento di
soggetti terzi pubblici o privati alla
verifica delle attrezzature da lavoro (link
a www.acca.it). |
APPALTI -
EDILIZIA PRIVATA - VARI:
Decreto Sviluppo: in arrivo tante novità su
interventi edilizi e non solo.
E' stato approvato dal Consiglio dei
Ministri il Decreto Sviluppo che ha
l'obiettivo di rilanciare l'economia con una
serie di misure che interessano diversi
settori tra cui l'edilizia, i mutui bancari
e gli appalti pubblici.
Vediamo le novità contenute nel
provvedimento.
Piano Casa.
Introdotta una disciplina nazionale a cui le
Regioni dovranno adeguarsi. Per interventi
di abbattimento e ricostruzione con libertà
di sagoma è previsto un premio volumetrico
del 20% per edifici residenziale e del 10%
per edifici non residenziali.
Permesso a costruire e
silenzio assenso.
Altra novità è rappresentata dal
silenzio-assenso per il rilascio del
Permesso a Costruire, per il quale viene
fissato un termine ultimo per i vari comuni
in funzione del numero di abitanti. Il
silenzio assenso è applicabile nel caso in
cui non sussistano vincoli ambientali,
paesaggistici o culturali.
Scia.
Confermata la sostituzione della Dia con la
Scia (Segnalazione Certificata di Inizio
Attività), che resta in vigore solo per quei
casi in cui sostituisce il Permesso di
Costruire.
Appalti pubblici.
Viene esteso da 500.000 euro a un milione di
euro l’importo dei lavori che possono essere
affidati senza gara d’appalto e con
procedura negoziata. In particolare, per i
lavori di importo superiore a 500.000 euro
l’affidamento da parte del Responsabile del
Procedimento dovrà prevedere l’invito di
almeno dieci soggetti, per quelli di importo
inferiore almeno cinque.
Modificati anche i requisiti delle imprese
che possono partecipare alle gare di
appalto, (i cosiddetti requisiti di
moralità), per ridurre la discrezionalità
degli enti appaltanti.
Opere conservative, riserve
e varianti.
Per le opere compensative è fissato un tetto
al 2% , mentre le riserve non sono ammesse
se il progetto è stato validato e comunque
non possono essere superiori al 20%
dell'importo contrattuale.
Per le varianti in corso d'opera è previsto
un taglio del 50% delle somme a
disposizione. Dimezzati anche i rimborsi
agli appaltatori per gli aumenti eccezionali
dei prezzi dei materiali.
Variazione destinazione
d'uso e sanatoria.
Il decreto introduce anche una piccola
sanatoria per i lavori eseguiti in
difformità al titolo abilitativo per una
differenza inferiore al 2% per cubatura,
superficie o altezze; inoltre, è prevista la
possibilità di variazione di destinazione
d’uso.
Rinegoziazione dei mutui.
I cittadini che hanno contratto un mutuo a
tasso variabile e che ora devono far fronte
a rate più elevate a causa dell'aumento dei
tassi, potranno rinegoziare i mutui fino a
150 mila euro. Con la rinegoziazione il
tasso viene trasformato da variabile in
fisso per la durata residua del mutuo. Il
mutuatario e la banca possono concordare
anche l'allungamento del mutuo per un
periodo massimo di cinque anni (link a
www.acca.it). |
DOTTRINA E
CONTRIBUTI |
URBANISTICA:
W. Fumagalli,
La VAS dei Piani di
Governo del Territorio e R.
Marletta,
Separata in casa: lo strano caso
dell’autorità competente per la valutazione
ambientale strategica
(AL n. 03-04/2011). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
A. Gagliardi,
Immissioni acustiche: il doppio binario
nella valutazione della tollerabilità delle
immissioni ed il nuovo criterio della Legge
13/2009 - Nota a Corte di Cassazione, Sez.
II civile, sentenza 17.01.2011 n. 939 e Sez.
VI civile, sentenza 01.02.2011 n. 2319
(link a www.filodiritto.com). |
CORTE DEI
CONTI |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Pa
locale. Corte dei Conti Campania. Fuori dal
blocco del turn over i dipendenti a tempo.
I limiti al turn over
nel personale degli enti locali introdotti
dalla manovra estiva del 2010 non riguardano
il personale a tempo determinato.
L'affermazione, nuova, arriva dalla sezione
regionale della Corte dei conti della
Campania, nel
parere 27.04.2011 n. 246 diffusa
ieri. Di opinione opposta la magistratura
contabile della Lombardia, che in una
delibera di un paio di settimane fa (parere
31.03.2011 n. 167) aveva
affermato l'esatto contrario.
La questione è spinosa, e incide in maniera
profonda sulle politiche del personale nelle
amministrazioni locali.
La regola, fissata dall'articolo 14, comma
9, del Dl 78/2010, impedisce le «assunzioni
a qualsiasi titolo e con qualsiasi contratto»
negli enti che dedicano alle buste paga più
del 40% delle spese correnti, e consente
alle altre amministrazioni di effettuare «assunzioni»
nel limite del 20% dei risparmi ottenuti con
le cessazioni intervenute nell'anno
precedente. Ma quali sono queste seconde «assunzioni»?
I magistrati contabili della Lombardia non
hanno dubbi: secondo la loro lettura si
tratta delle stesse «assunzioni a
qualsiasi titolo» citate nella prima
frase del comma, e di conseguenza anche i
contratti a termine rientrano nei vincoli al
turn over. A supporto della propria
tesi, la Corte lombarda richiama lo scopo «sostanziale»
della regola, che consiste nel contenimento
della spesa di personale e, dunque, dovrebbe
assorbire tutte le tipologie di uscite per
stipendi.
La Campania non è d'accordo, e sposa invece
la tesi caldeggiata anche dalla nota Anci
del 29.07.2010, di commento alla manovra
estiva, secondo cui il limite si applica
alle sole assunzioni a tempo indeterminato.
Sul punto, la Corte campana richiama anche
una delibera delle sezioni riunite di
controllo (la 20/2011), che però si era
concentrata sull'esclusione dai vincoli dei
co.co.co. nei Comuni sotto i 5mila abitanti;
in quel caso, inoltre, il riferimento è al
tetto al turn over del 100% e non del
20%, perché gli enti non soggetti al Patto
erano già stati esclusi tout court
dal nuovo vincolo dalle stesse sezioni
Riunite (delibera 3/2011).
La via campana non è necessariamente più "generosa"
di quella lombarda; quest'ultima, infatti,
inserendo pienamente i contratti a termine
nel raggio d'azione del turn over,
potrebbe permettere di utilizzare i "risparmi"
ottenuti con la scadenza dei contratti per
finanziare nuove assunzioni a tempo
indeterminato
(articolo
Il Sole 24 Ore 03.05.2011 - tratto da www.corteconti.it). |
NEWS |
ENTI LOCALI: OSSERVATORIO
VIMINALE/ Unioni, parola allo statuto. Enti
autonomi sulle modalità di scioglimento. Il
Tuel ha disciplinato solo gli elementi
inderogabili delle forme associative.
Quali sono le modalità
di liquidazione di una unione di comuni se
gli atti di recessione degli enti locali
aderenti all'unione stessa non risultano
concomitanti? Se la regione non ha
legiferato in materia, qual è la procedura
corretta per la liquidazione dell'ente, con
riferimento agli aspetti connessi alle
pendenze in atto ed alla situazione dei
dipendenti?
Il legislatore, con l'art 32 del Testo unico
n. 267/2000, ha delineato l'istituto
dell'Unione dei comuni disciplinandolo nei
suoi elementi inderogabili, demandando
all'autonomia statutaria e regolamentare
dell'Unione medesima la disciplina dei
propri organi e della propria
organizzazione.
Se lo statuto dell'unione dei comuni ha
regolamentato il recesso di un comune, lo
scioglimento dell'unione e l'adesione di
nuovi comuni e non soccorre la legislazione
regionale che disciplini le modalità di
estinzione degli enti locali territoriali a
natura associativa, e se non è dato
ravvisare una qualche forma di intervento
dello stato, e per esso dell'organo
periferico, considerato che la legge collega
detto intervento a situazioni schematizzate
e tipizzate, in virtù di quella ampia
potestà regolamentare riconosciuta
all'Unione, anche per l'estinzione e la
relativa liquidazione non può che farsi
riferimento alla disciplina che l'ente
stesso ha dettato
(articolo ItaliaOggi
del 06.05.2011). |
CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO
VIMINALE/ Sostituzione di
consiglieri.
Sussiste una causa di incompatibilità, ai
sensi dell'art. 65, comma 3, del dlgs
18.08.2000, n. 267, per un consigliere
circoscrizionale che è chiamato, ai sensi
dell'art. 45, comma 2, del Tuel, alla
temporanea sostituzione di un consigliere
comunale sospeso ai sensi dell'art. 59 del
medesimo decreto legislativo, in quanto
sottoposto alla misura cautelare degli
arresti domiciliari?
La fattispecie in esame riguarda la
possibilità che il carattere temporaneo
della supplenza, cui il consigliere
subentrante è chiamato, possa escludere che
venga in essere l'ipotesi di incompatibilità
contestata. In merito l'art. 45, comma 2,
del dlgs 18.08.2000, n. 267 dispone che, nel
caso di sospensione di un consigliere ai
sensi dell'art. 59, il consiglio, nella
prima adunanza successiva alla notifica del
provvedimento di sospensione, procede alla
temporanea sostituzione affidando la
supplenza per l'esercizio delle funzioni di
consigliere al candidato della stessa lista
che ha riportato, dopo gli eletti, il
maggior numero di voti. La supplenza ha
termine con la cessazione della sospensione.
Qualora sopravvenga la decadenza si fa luogo
alla surrogazione a norma del comma 1 del
medesimo art. 45.
L'art. 65, comma 3, del medesimo Tuel
stabilisce poi che la carica di consigliere
comunale è incompatibile con quella di
consigliere di una circoscrizione del
comune. Le cause di incompatibilità, a
differenza delle cause d'ineleggibilità, si
riferiscono a situazioni inconciliabili con
lo svolgimento del mandato elettorale e
l'espletamento delle funzioni di
consigliere, ed impediscono all'eletto di
ricoprire la relativa carica, venendo in
rilievo solo al momento in cui la carica è
assunta, salvo la possibilità di rimozione
della causa d'incompatibilità nei modi e nei
termini previsti.
La giurisprudenza (cfr. Tar Lazio Roma sez.
II, 23.02.2005, n. 1443) ha chiarito che la
disciplina delle incompatibilità si pone
quale inderogabile limite di ordine pubblico
a rispetto della volontà elettorale,
rispondendo alla fondamentale esigenza
dell'ordinamento democratico a che siano
evitate situazioni, anche potenziali, di
conflitto di interessi, ovvero indebite
sovrapposizioni fra ruoli istituzionali
distinti, discendendone quale conseguenza,
in caso di mancata tempestiva rimozione
della causa, la definitiva decadenza dal
pubblico ufficio.
In particolare, l'art. 65, comma 3, del dlgs
n. 267/2000, al fine di evitare di
vanificare le esigenze di decentramento e
autogoverno perseguite con l'introduzione
dei municipi ed in conformità all'ormai
costituzionalizzato principio di
sussidiarietà, sancisce che «la carica di
consigliere comunale è incompatibile con
quella di consigliere di una circoscrizione
del comune». Le cause di incompatibilità
sono tassativamente individuate dal
legislatore e sulle stesse è precluso
l'esercizio di una lettura interpretativa
che ne ampli o ne corregga la portata. Ove
il legislatore abbia voluto apportare
eccezioni o esclusioni, lo ha fatto con
espressa previsione, senza lasciare margini
interpretativi.
Nel caso di specie il consigliere
subentrante potrà comunque esercitare, anche
durante la procedura di contestazione
avviata dal consiglio, la facoltà di opzione
per l'una o l'altra carica che intende
conservare, come espressamente previsto
dall'art. 69 Tuel nelle ipotesi di
incompatibilità sopravvenuta, non essendo
sufficiente l'eventuale dichiarazione resa
dall'interessato al consiglio di volersi
astenere dall'esercizio delle funzioni di
consigliere circoscrizionale per tutto il
periodo della supplenza
(articolo ItaliaOggi
del 06.05.2011). |
EDILIZIA PRIVATA: DECRETO
SVILUPPO/ Tutte le novità di interesse per
le amministrazioni e gli enti locali.
Edilizia, permessi in 90 giorni. Procedure
sprint per costruire. Dopo scatta il
silenzio-assenso.
Permesso di costruire sprint: in 90 giorni
la pratica si chiude, anche con il
silenzio-assenso. Cresce la responsabilità
(anche penale) del progettista che deve
asseverare la conformità del progetto alla
normativa. Ma l'amministrazione non può
limitarsi a prendere atto della attestazione
del progettista; deve, invece, controllare
le pratiche per evitare situazioni di
incertezza e per ridurre al minimo i casi di
annullamento successivo al maturare del
silenzio-assenso.
Sono questi gli effetti
del
decreto sviluppo
(bozza), che innova il
procedimento per il rilascio della
concessione edilizia. Vediamo come.
Innanzitutto la domanda di permesso di
costruire deve essere asseverata dal
progettista. Alla domanda deve essere
allegata una dichiarazione del tecnico
abilitato che asseveri la conformità del
progetto a tutta la normativa urbanistica ed
edilizia: e quindi la conformità agli
strumenti urbanistici approvati ed adottati,
ai regolamenti edilizi vigenti, alle altre
normative di settore aventi incidenza sulla
disciplina dell'attività edilizia (norme
antisismiche, di sicurezza, antincendio,
igienico-sanitarie, efficienza energetica).
L'ufficio tecnico passa, dunque, da
istruttore della pratica edilizia a
controllore della istruttoria fatta da
progettista privato.
Rimane sempre a carico dell'ufficio tecnico
la comunicazione, entro dieci giorni, del
nominativo del responsabile del
procedimento.
Dalla presentazione della domanda scatta il
termine di 60 giorni, che nell'intento della
novella è il termine per concludere
l'istruttoria: il funzionario incaricato
acquisisce i pareri e nulla osta, a meno che
non siano già stati allegati alla domanda
dal richiedente, valuta la conformità del
progetto alla normativa, e infine formula
una proposta di provvedimento.
Il termine di 60 giorni può dilatarsi nel
caso di richiesta da parte dell'ufficio
tecnico di modifiche progettuali: in questo
caso l'interessato deve decidere se aderire
o meno alla richiesta.
Un altro caso di allungamento del termine è
collegata alla richiesta, sempre da parte
dell'ufficio tecnico, di integrazioni
documentali: rimane confermato che il
termine viene interrotto una sola volta.
Terminata l'istruttoria il responsabile del
procedimento dovrà formulare la proposta di
provvedimento finale, che dovrà essere
adottato entro 30 giorni, se favorevole. Il
termine passa a 40 giorni, se invece
l'amministrazione ha preannunciato il
diniego.
Quindi, in sostanza, se tutto fila liscio in
novanta giorni si ha il permesso di
costruire in mano. I giorni si raddoppiano,
però, per i comuni con più di 100 mila
abitanti e per i progetti particolarmente
complessi.
La grossa novità scatta nel caso in cui il
termine per l'adozione del provvedimento
conclusivo decorra inutilmente: il decreto
sviluppo prevede che, se il dirigente o il
responsabile dell'ufficio non oppone
motivato diniego, sulla domanda di permesso
di costruire si intende formato il
silenzio-assenso, tranne casi in cui
sussistano vincoli ambientali, paesaggistici
o culturali.
Gli uffici tecnici dovranno stare molto
attenti al calendario: il decorso del
termine significherà perfezionamento del
titolo abilitativo. Certo il comune potrà
sempre intervenire successivamente con un
annullamento del permesso di costruire
rilasciato con il silenzio-assenso, ma
bisogna evitare situazioni di incertezza. In
effetti il silenzio-assenso se è un
meccanismo che se da un lato garantisce
tempi certi di definizione della pratica,
dall'altro può lasciare margini di dubbio
sulla legittimità della edificazione.
Si può, invece, ritenere che il silenzio
assenso non possa maturare se la pratica non
è completa in tutti i suoi elementi. In
particolare se mancano documenti essenziali,
come ad esempio quelli comprovanti la
legittimazione del richiedente o
l'asseverazione del progettista,
difficilmente si potrà sostenere che la sola
inerzia del comune è sufficiente per
conseguire il titolo abilitativo. Quanto ai
rapporti tra privati è da presumere che la
richiesta protocollata del permesso sia la
prova del titolo edilizio.
Da Confedilizia, la Confederazione storica
che raggruppa i proprietari immobiliari,
arriva un plauso alle misure contenute nel
decreto sviluppo che «pongono uno stop
agli aggravi sugli immobili storici».
Per questo, il presidente dell'associazione,
Corrado Sforza Fogliani ha espressamente
ringraziato i ministri Calderoli e Galan «ai
quali», ha detto, «si devono queste
innovazioni». In particolare, viene abolita
la denuncia che i proprietari di tali
immobili dovevano fare alla Soprintendenza
in occasione di ogni locazione e il cui
inadempimento era punito financo con la pena
della reclusione»
(articolo ItaliaOggi
del 06.05.2011). |
APPALTI: Decreto
sviluppo/ Le novità sulle opere pubbliche.
Liti temerarie, sanzioni a 4 mila €. Appalti
vincolati ai bandi-tipo. Tetto del 20% per
le riserve in sede di esecuzione lavori.
Tetto del 20% per le
riserve in sede di esecuzione dei lavori;
sanzione di almeno 4 mila euro per le liti
temerarie in materia di appalti; divieto di
varianti per progetti validati; trattativa
privata fino a un milione ma con invito di
dieci soggetti e pubblicità dei risultati;
tassatività delle cause di esclusione; bandi
di gara da predisporre sulla base di
bandi-tipo; limiti alle variazioni per
aumenti dei costi dei materiali da
costruzione; verifica on line dei requisiti
dei concorrenti tramite la banca dati dei
contratti pubblici.
Sono queste alcune delle principali novità
relative al Codice dei contratti pubblici
inserite nella
bozza di decreto legge sullo sviluppo
che ieri sera è stata discussa nel
pre-Consiglio dei ministri in vista de]
Consiglio di oggi.
La bozza di decreto prevede innanzitutto un
venti per cento di tetto alle riserve che le
imprese possono apporre in sede di
esecuzione del contratto e introduce il
divieto di apporre riserve su aspetti
progettuali oggetto di verifica. Viene anche
introdotto il divieto di approvare progetti
...
(articolo ItaliaOggi
del 05.05.2011 - tratto da www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI: Sblocco
addizionale Irpef dal 07/06/2011. È la data
da cui si può modificare parzialmente
l'aliquota. Una risoluzione del dipartimento
delle finanze interviene sul potere di
deliberare dei comuni.
Tutti i comuni interessati al parziale
sblocco del potere di deliberare in materia
tributaria devono necessariamente attendere
il 07.06.2011 per deliberare l'aumento o
l'istituzione dell'addizionale Irpef. Quelli
che hanno già deliberato devono procedere ad
una nuova deliberazione.
A precisarlo è stata la
risoluzione 02.05.2011 n. 1/DF
della Direzione federalismo fiscale del
Dipartimento delle finanze del Ministero
dell'economia e delle finanze.
L'intervento, da tempo annunciato, arriva a
dare certezze in una materia in cui molti si
sono cimentati a offrire interpretazioni più
o meno fondate sull'art. 5 del dlgs.
23/2011, sul federalismo fiscale municipale,
che dispone che con un regolamento (art. 17,
comma 2, della legge 400/1988), da emanare
entro 60 giorni dalla data di entrata in
vigore del decreto -e cioè entro il
06.06.2011- andrà disciplinata la graduale
cessazione, anche parziale, della
sospensione del potere dei comuni di
istituire l'ADDIRPEF o anche di aumentarla
nell'ipotesi in cui sia già stata istituita.
La norma precisa, poi che nel caso in cui
entro il suddetto termine il decreto non
venga emanato il regolamento possono
comunque esercitare i poteri in questione
soltanto: - i comuni che non hanno istituito
l'addizionale; - i comuni che l'hanno
istituita e hanno deliberato un'aliquota
inferiore allo 0,4 %.
Su quest'ultimo aspetto si sono concentrate
le attenzioni dei comuni interessati al
parziale sblocco che sono stati spesso
indotti a deliberare in materia di
addizionale prima ancora dell'arrivo del
prescritto regolamento. Ed infatti,
contrariamente a quanto sostenuto da altri
organi di stampa, i tecnici del Ministero si
sono precipitati ad affermare che ...
(articolo ItaliaOggi
del 03.05.2011 - tratto da www.corteconti.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI: Al
giudice civile l'affidamento su atto
illegittimo.
Anche dopo il Codice del
processo amministrativo, le azioni
risarcitorie contro la pubblica
amministrazione sono un terreno conteso tra
il giudice ordinario e il giudice
amministrativo.
Proprio in questi giorni la Corte di
Cassazione ha segnato un punto a favore del
primo. Con due ordinanze le Sezioni unite
(n. 6594 e 6596 del 2011) hanno infatti
stabilito che il danno subito da un privato
per aver confidato nella legittimità di un
atto amministrativo poi annullato va fatto
valere in sede civile.
Le due vicende sono emblematiche. Ottenuta
la concessione edilizia, il proprietario del
terreno iniziava i lavori. Il Comune però
annullava d'ufficio l'atto e il
proprietario, nonostante una serie di
istanze di sanatoria e di ricorsi
giurisdizionali, non riusciva a ottenere un
titolo per completare la costruzione. Anzi
il comune ordinava la demolizione. Da qui
l'azione per danni proposta davanti al
giudice civile.
La seconda vicenda riguardava invece un
appalto di servizi di ristorazione
scolastica aggiudicato a un'impresa e poi
annullato, mentre era in corso l'esecuzione,
dal giudice amministrativo. Subentrava
dunque nel contratto un'altra impresa
concorrente. L'impresa proponeva un'analoga
azione per danni perla rifusione delle spese
sostenute per l'esecuzione interrotta del
contratto e per il riconoscimento di un
indennizzo per aver confidato nella
legittimità degli atti di gara.
Sollevata la questione di giurisdizione, la
Cassazione conclude per la tutela in sede
civile in base a un ragionamento lineare. Il
risarcimento del danno da lesione di
interessi legittimi ad opera di atti
amministrativi attribuita, al giudice
amministrativo da una decina d'anni (dal
decreto legislativo n. 80/1998 e ...
(articolo Il
Sole 24 Ore
del 03.05.2011 - tratto da www.corteconti.it). |
AUTORITA'
VIGILANZA CONTRATTI PUBBLICI |
APPALTI:
Codice Identificativo Gara (C.I.G.): carnet
prestampati e modalità semplificata.
Dal 02.05.2011 è disponibile il nuovo
servizio Smart CIG, tramite il quale le
stazioni appaltanti possono ottenere i
Codici Identificativi Gara in modalità
semplificata o carnet di 50 certificati (si
legga, in merito, il
comunicato del Presidente AVCP del
02.05.2011).
Il nuovo sistema si applica solo ad alcune
tipologie contrattuali, ossia:
- contratti di lavori di importo inferiore a
€ 40.000, ovvero contratti di servizi e
forniture di importo inferiore a € 20.000,
affidati ai sensi dell'art. 125 del Dlgs
163/2006 (Codice) o mediante procedura
negoziata senza previa pubblicazione del
bando;
- contratti di cui agli articoli 16, 17 e 18
del Codice, indipendentemente dall'importo;
- altri contratti esclusi in tutto o in
parte dall'ambito di applicazione del Codice
fino ad un importo di € 150.000;
- contratti affidati direttamente da un ente
aggiudicatore o da un concessionario di
lavori pubblici ad imprese collegate, ai
sensi, rispettivamente, degli articoli 218 e
149 del Codice.
Sono previste due modalità di rilascio
semplificato del codice CIG:
- acquisizione del CIG a fronte
dell'immissione di un numero ridotto di
informazioni (procedura semplificata);
- richiesta fino a due carnet prestampati di
50 CIG ciascuno, con validità limitata nel
tempo.
Una volta accettata la richiesta, il sistema
trasmette al richiedente, via posta
elettronica certificata, un documento in
formato PDF che riporta la data di
generazione del carnet, il responsabile del
procedimento assegnatario, l'elenco dei CIG
che compongono il carnet e la data di
scadenza del carnet entro la quale i CIG
possono essere utilizzati.
Il responsabile di procedimento potrà
disporre di un massimo di due carnet
contemporaneamente attivi per ciascun centro
di costo di stazione appaltante presso il
quale opera.
L'accesso al sistema è consentito agli
utenti già abilitati al sistema SIMOG; i
nuovi utenti dovranno invece registrarsi con
le consuete modalità di registrazione
all'indirizzo
http://anagrafe.avcp.it (link a
www.acca.it). |
APPALTI: L’ampia
discrezionalità di cui gode la stazione
appaltante in merito alla fissazione dei
requisiti di partecipazione ad una gara, che
ben possono essere diversi, ulteriori e più
restrittivi di quelli legali, conosce il
limite della logicità e della ragionevolezza
dei requisiti richiesti e della loro
pertinenza e congruità rispetto all’oggetto
dell’appalto ed all’interesse pubblico
perseguito.
Non è conforme a tali principi la richiesta
della s.a. che la certificazione di qualità
dei partecipanti rechi una esplicita e
specifica dicitura, posseduta, peraltro, da
una sola impresa sul territorio nazionale
(parere di
precontenzioso 23.09.2010 n. 168 - link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI: La
disposizione di cui all’art. 90, comma 7 del
D.P.R. n. 554/1999, prevede in sostanza una
regola di “chiusura” del sistema per
rimuovere le incongruenze interne
dell’offerta, in modo da definirne
esattamente i contenuti ai fini
dell’esecuzione del contratto; e infatti la
norma regolamentare in esame prevede che la
prescritta operazione di verifica –affidata
alla stazione appaltante– si svolga in un
momento successivo all’aggiudicazione
definitiva e prima della stipulazione del
contratto. (cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI,
11.07.2003, n. 4145).
In tale ottica, pertanto, va ribadito che
dal disposto dell’art. 90, comma 7, del
D.P.R. n. 554/1999, interpretato in coerenza
con quanto prescritto nel precedente comma
6, è desumibile il principio di valenza
generale secondo cui “l’elemento
dell’offerta che assume carattere vincolante
per la stazione appaltante è il ribasso
percentuale” (TAR Abruzzo, Pescara
14.03.2007 n. 325), che costituisce,
pertanto, il dato decisivo di riferimento in
base al quale, non solo si identifica
l'offerta (comma 6), ma si effettua (“dopo
l’aggiudicazione definitiva e prima della
stipulazione del contratto”, comma 7) la
correzione delle eventuali discordanze tra i
prezzi unitari, comunque indicati, e la
detta percentuale, adeguandoli a
quest’ultima (cfr. ad es. Consiglio Stato,
Sez. V, 10.11.2003, n. 7134)
(parere di
precontenzioso 23.09.2010 n. 166 - link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI: Il
rigore della disposizione di cui all’art. 49
del d.lgs. 12.04.2006, n. 163
nell’allegazione dei documenti necessari ai
fini dell’avvalimento si giustifica in
relazione alla ratio della norma in
esame, che è quella di consentire, da un
lato, la massima partecipazione possibile
alle procedure di aggiudicazione, e,
dall’altro, di evitare che l’istituto in
questione, diventi uno strumento per eludere
la disciplina in materia di requisiti di
partecipazione fissata dal codice dei
contratti pubblici (cfr. Cons. Stato, Sez.
V, sentenza n. 1589 del 13.03.2009; Cons.
Stato, Sez. IV, sentenza n. 5742 del
20.11.2008).
Qualora la stazione appaltante richieda di
provare ex art. 48 il possesso di tutti i
requisiti dichiarati, l’operatore economico
è tenuto a dare la prova sia di quelli
posseduti in proprio sia di quelli posseduti
tramite l’impresa ausiliaria (ossia
dell’attestazione SOA). In quest’ultimo
caso, dalla lettura in combinato disposto
degli artt. 48 e 49 del Dlgs. 163/2006
risulta necessario dimostrare non solo il
possesso del requisito avvalso in capo
all’impresa ausiliaria ma anche l’effettiva
disponibilità e fruibilità di quest’ultimo
da parte del concorrente avvalente
(parere di
precontenzioso 23.09.2010 n. 164 - link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI: Il
versamento del contributo costituisce
condizione di ammissibilità e, pertanto, la
mancata dimostrazione dell’avvenuto
pagamento è causa di esclusione dalla
procedura di gara secondo quanto divisato,
ancor più di recente, nel parere 19.06.2008,
n. 189.
Infatti, gli operatori economici che
intendono partecipare a procedure di gara
per l’appalto di commesse pubbliche sono
tenuti al pagamento della contribuzione
quale condizione di ammissibilità alla
procedura di selezione del contraente. Essi
sono tenuti a dimostrare, al momento di
presentazione dell’offerta, di avere versato
la somma dovuta a titolo di contribuzione.
La mancata dimostrazione dell’avvenuto
versamento di tale somma è causa di
esclusione dalla procedura di gara
(parere di
precontenzioso 23.09.2010 n. 163 - link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI: Il
nostro sistema ordinamentale attribuisce
all’Amministrazione il potere di disporre
l’integrazione documentale, allo scopo
precipuo di favorire la massima
partecipazione alle procedure di gara,
evitando che carenze meramente formali nella
documentazione –come quella di cui trattasi–
impoveriscano la platea dei concorrenti
(art. 46 del D.Lgs. n. 163/2006). L’invito
ai concorrenti alla regolarizzazione
documentale può, in particolare, essere
attivato, per la parte che qui interessa, in
caso di dichiarazioni, documenti e
certificati non chiari o di dubbio
contenuto.
Diversi sono i casi in cui il concorrente
non abbia affatto presentato la
documentazione richiesta a pena di
esclusione o essa risulti del tutto mancante
o fisicamente incompleta; casi questi in cui
non è ammessa alcuna forma di integrazione
documentale perché ciò altererebbe la par
condicio tra i concorrenti
(parere di
precontenzioso 23.09.2010 n. 162 - link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI FORNITURE E SERVIZI: Il
triennio inerente alla capacità
economico-finanziaria di cui all’art. 41,
comma 1, lett. c), del D.Lgs. n. 163/2006 si
riferisce ai documenti tributari e fiscali
relativi ai tre esercizi annuali antecedenti
alla data di pubblicazione del bando, che
risultano depositati, mentre, in relazione
ai requisiti di capacità tecnica e
professionale di cui all’art. 42, comma 1,
lett. a) del Codice dei contratti pubblici,
il triennio di riferimento è quello
effettivamente antecedente alla data di
pubblicazione del bando e, quindi, non
coincide necessariamente con il triennio
relativo al requisito di capacità
economico-finanziaria
(parere di
precontenzioso 23.09.2010 n. 161 - link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI: In
tema di autocertificazione, quale che sia il
disposto del bando, è legittima l'esclusione
da una gara di appalto per la mancata
allegazione, da parte del concorrente, della
fotocopia del documento di riconoscimento
alla dichiarazione sostitutiva ed ai
documenti prodotti in fotocopia
autocertificata, atteso che alla produzione
della copia del documento di identità va
attribuito valore di elemento costitutivo
dell’autocertificazione (cfr., da ultimo,
Consiglio di Stato, Sez. VI, 23.07.2008, n.
3651).
E’ stato, infatti, evidenziato che nella
previsione di cui al combinato disposto
degli art. 21, comma 1, e 38, commi 2 e 3,
del D.P.R. n. 445/2000, l’allegazione della
copia fotostatica, sia pure non autenticata,
del documento di identità dell’interessato
vale a conferire legale autenticità alla sua
sottoscrizione apposta in calce a una
istanza o a una dichiarazione, e non
rappresenta un vuoto formalismo ma semmai si
configura come l’elemento della fattispecie
normativa diretto a comprovare, oltre alle
generalità del dichiarante,
l’imprescindibile nesso di imputabilità
soggettiva della dichiarazione a una
determinata persona fisica.
Pertanto, la mancata allegazione del
documento di identità non costituisce una
mera irregolarità sanabile con la sua
produzione postuma, ma integra gli estremi
di una palese e insanabile violazione della
disciplina regolatrice della procedura
amministrativa (Consiglio di Stato, Sez. V,
n. 5761/2007 e n. 5677/2003; Sez. IV, n.
435/2005; Sez. VI, n. 2745/2005)
(parere di
precontenzioso 23.09.2010 n. 160 - link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI: Ai
fini della individuazione dei soggetti
tenuti alle dichiarazioni di cui all’art.
38, co. 1, lett. b e c, occorre
necessariamente fare riferimento alle
funzioni sostanziali di tali soggetti più
che alle qualifiche formali, compiendo a tal
fine un’operazione interpretativa,
altrimenti la evidenziata ratio
potrebbe essere agevolmente elusa e dunque
vanificata (pareri dell’Autorità: n. 5 del
15.01.2009; n. 47 dell’11.03.2010 e n. 79
del 15.04.2010; Consiglio di Stato, Sez. VI,
n. 523 dell'08.02.2007; Sez. V, n. 36 del
15.01.2008; sulla necessità che anche
l’institore renda la dichiarazione
concernente i requisiti di moralità: TAR
Sardegna , Sez. I, n. 971 del 19.05.2008)
(parere di
precontenzioso 23.09.2010 n. 158 - link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
LAVORI PUBBLICI: La
corrispondenza tra le lavorazioni
certificate e le lavorazioni da eseguire
rappresenta il presupposto per avvalersi
della riduzione della cauzione.
Difatti, se è vero, come affermato più volte
in giurisprudenza, che non c’è una perfetta
coincidenza tra le categorie della
qualificazione SOA e l’attestazione di
qualità aziendale, è, tuttavia, ormai jus
receptum che deve esserci una
corrispondenza tra la categoria prevalente
dei lavori posti in gara e quella a cui si
riferisce la certificazione di qualità (cfr.
TAR Campania Salerno, sez. I, sentenza n.
6538 del 14.05.2010; TAR Puglia Bari, sez.
I, sentenza n. 1379 del 03.06.2009; TAR
Campania Napoli, sez. I, sentenza n. 8841
del 28.06.2005).
Solo in questo caso, infatti, la
certificazione in esame è in grado di “sostituire”
in parte qua la garanzia richiesta dal
legislatore a tutela della Stazione
Appaltante in virtù della capacità
riconosciuto alla certificazione di
attestare la maggiore affidabilità
strutturale ed operativa dell'impresa
nell’esecuzione delle lavorazioni da
realizzare
(parere di
precontenzioso 09.09.2010 n. 157 - link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
LAVORI PUBBLICI: La
corrispondenza tra le lavorazioni
certificate e le lavorazioni da eseguire
rappresenta il presupposto per avvalersi
della riduzione della cauzione.
Difatti, se è vero, come affermato più volte
in giurisprudenza, che non c’è una perfetta
coincidenza tra le categorie della
qualificazione SOA e l’attestazione di
qualità aziendale, è, tuttavia, ormai jus
receptum che deve esserci una
corrispondenza tra la categoria prevalente
dei lavori posti in gara e quella a cui si
riferisce la certificazione di qualità (cfr.
TAR Campania Salerno, sez. I, sentenza n.
6538 del 14.05.2010; TAR Puglia Bari, sez.
I, sentenza n. 1379 del 03.06.2009; TAR
Campania Napoli, sez. I, sentenza n. 8841
del 28.06.2005).
Solo in questo caso, infatti, la
certificazione in esame è in grado di “sostituire”
in parte qua la garanzia richiesta dal
legislatore a tutela della Stazione
Appaltante in virtù della capacità
riconosciuta alla certificazione di
attestare la maggiore affidabilità
strutturale ed operativa dell'impresa
nell’esecuzione delle lavorazioni da
realizzare
(parere di
precontenzioso 09.09.2010 n. 156 - link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
LAVORI PUBBLICI: La
corrispondenza tra le lavorazioni
certificate e le lavorazioni da eseguire che
rappresenta il presupposto per avvalersi
della riduzione della cauzione.
Difatti, se è vero, come affermato più volte
in giurisprudenza, che non c’è una perfetta
coincidenza tra le categorie della
qualificazione SOA e l’attestazione di
qualità aziendale, è, tuttavia, ormai jus
receptum che deve esserci una
corrispondenza tra la categoria prevalente
dei lavori posti in gara e quella a cui si
riferisce la certificazione di qualità (cfr.
TAR Campania Salerno, sez. I, sentenza n.
6538 del 14.05.2010; TAR Puglia Bari, sez.
I, sentenza n. 1379 del 03.06.2009; TAR
Campania Napoli, sez. I, sentenza n. 8841
del 28.06.2005).
Solo in questo caso, infatti, la
certificazione in esame è in grado di “sostituire”
in parte qua la garanzia richiesta
dal legislatore a tutela della Stazione
Appaltante in virtù della capacità
riconosciuto alla certificazione di
attestare la maggiore affidabilità
strutturale ed operativa dell'impresa
nell’esecuzione delle lavorazioni da
realizzare
(parere di
precontenzioso 09.09.2010 n. 155 - link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI: Ai
fini dell’individuazione del criterio
interpretativo da seguire per individuare
specificamente la persona fisica rispetto
alla quale, nell’ambito del rapporto
societario, assume rilievo la causa di
esclusione e, dunque, il soggetto tenuto
alla dichiarazione sostitutiva richiesta, la
giurisprudenza amministrativa (Consiglio di
Stato, sez. V, sentenza n. 5913 del
28.11.2008, sentenza n. 36 del 15.01.2008 e
sentenza n. 4856 del 20.09.2005) e la prassi
dell’Autorità (si vedano i pareri n. 164 del
21.05.2008, n. 193 del 10.07.2008, n. 5 del
15.01.2009 e n. 35 dell'11.03.2009) hanno
individuato tale criterio nella necessità di
ricercare nello statuto della persona
giuridica quali siano i soggetti dotati del
potere di rappresentanza.
Ciò in quanto, indipendentemente dalla
titolarità dei poteri di gestione
societaria, i soggetti titolari del potere
di rappresentanza della persona giuridica
sono comunque in grado di trasmettere, con
il proprio comportamento, la riprovazione
dell’ordinamento nei riguardi della loro
personale condotta al soggetto rappresentato
(si vedano i pareri n. 77 del 09.07.2009 e
n. 35 dell’11.03.2009).
Con riferimento al direttore tecnico però
–sempre previsto, anche per le imprese
individuali, come soggetto “rilevante”
ai fini che interessano– non sussiste alcun
dubbio interpretativo né dibattito
giurisprudenziale che introduca elementi di
differenziazione in ordine all’obbligo di
dichiarazione in questione a seconda della
categoria di lavorazione per cui il
direttore tecnico è qualificato, con
conseguente limitazione soggettiva
dell’obbligo dichiarativo in parola ove il
direttore tecnico, non sia qualificato per
l’attività oggetto di gara (parere di
precontenzioso 09.09.2010 n. 154 - link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
LAVORI PUBBLICI: Nel
caso di appalti di lavori di valore
inferiore al milione di euro, la disciplina
di cui all’art. 86, comma 1, del D.Lgs. n.
163/2006 deve essere coordinata con la
previsione di cui all’art. 122, comma 9,
relativa all’esclusione automatica delle
offerte.
Come chiarito anche da questa Autorità nella
Determinazione n. 6 dell’08.07.2009 “non
si procede all’esclusione automatica,
ancorché sia previsto nel bando, qualora il
numero delle offerte ammesse e quindi
ritenute valide sia inferiore a dieci; in
tal caso non si procede al calcolo della
soglia di anomalia ma resta impregiudicata
la facoltà di procedere alla verifica della
congruità ai sensi dell’art. 86, comma 3,
del Codice".
---------------
L’operazione matematica disciplinata
dall’art. 86, comma 1, del D.Lgs. n.
163/2006 all’interno del procedimento per la
determinazione della soglia di anomalia e
richiamata dalla stazione appaltante nella
disciplina di gara, il cosiddetto “taglio
delle ali”, prevede in realtà solo un
accantonamento provvisorio del 10%
rispettivamente delle offerte di maggior
ribasso e di minor ribasso; la “esclusione”
di cui parla la citata disposizione è da
ritenersi tale ai soli fini della procedura
di computo della soglia di anomalia. In
questo senso si è espressa una consolidata
giurisprudenza sostenendo che “ai sensi
dell’art. 86, comma 1, il taglio delle ali
serve, unitamente ad altri elementi, solo
per individuare la soglia di anomalia delle
offerte e non per escludere automaticamente
dalla gara le imprese che hanno presentato
offerte nel detto taglio” (Cfr. tra le
altre TAR Puglia, Lecce, sezione III, n.
1460 del 2009, TAR Liguria, sezione II, n.
1554 del 2006)
(parere di
precontenzioso 09.09.2010 n. 153 - link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI SERVIZI: Con
riferimento alla richiesta, nel bando di
gara, concernente l’aver svolto, nel
triennio 2007-2008-2009, senza demerito,
servizi analoghi a quello oggetto
dell’appalto per un importo per ciascun anno
pari almeno a € 1.200.000,00, occorre
rilevare che dal semplice confronto tra
l’importo a base d’asta del servizio da
appaltare (€ 150.000,00 annui per tre) e il
suddetto importo richiesto come fatturato
annuo per servizi analoghi nel triennio in
questione (corrispondente a otto volte
l’importo annuo del servizio in affidamento)
risulta in tutta evidenza l’oggettiva
sproporzione del requisito
(parere di
precontenzioso 09.09.2010 n. 152 - link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI: Non
può essere considerata in linea con le
disposizioni contenute nell’allegato B del
D.P.R. n. 554/1999 la formula adottata per
l’attribuzione del punteggio relativo al
prezzo offerto che comporta, nel caso
l’offerta corrisponda al prezzo a base di
gara, che il coefficiente di interpolazione
risulti diverso da zero.
L’Autorità ha osservato che l’espressione
che meglio risponde alle disposizioni
vigenti è la seguente: “a) nel caso in
cui il prezzo offerto è espresso in Euro:
PPi = PPmax x (Pbase – Pi)/ (Pbase-Pmin),
nella quale: PPi è il punteggio attribuito
all’offerta del concorrente in rapporto
all’elemento prezzo; Pmin è il prezzo minimo
offerto; Pi è il prezzo offerto dal
concorrente; PPmax è il punteggio massimo
attribuibile all’elemento prezzo; Pbase è il
prezzo posto a base di gara;
b) nel caso l’offerta è espressa in termini
di ribasso percentuale rispetto all’importo
a base di appalto: PPi = PPmax x (Pr%i /
Pr%max), nella quale: PPi è il punteggio
attribuito all’offerta del concorrente in
rapporto all’elemento prezzo; PPmax è il
punteggio massimo attribuibile all’elemento
prezzo; Pr%i è il ribasso offerto dal
concorrente; Pr%max è il massimo ribasso
offerto” (cfr. deliberazione 218/2007)
(parere di
precontenzioso 09.09.2010 n. 151 - link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI FORNITURE: In
una gara per la fornitura di autobus, la
scelta della stazione appaltante di
assegnare ben 4 punti all’operatore
economico offerente mezzi più uniformi al
parco veicoli esistenti, è suscettibile di
produrre effetti lesivi della concorrenza,
riducendo la partecipazione alla gara degli
operatori economici del settore.
È altresì necessario che la lex specialis
tenga adeguatamente conto degli ordinari
tempi di consegna dei mezzi oggetto di
fornitura, soprattutto nell’ipotesi in cui
la stazione appaltante richieda un prodotto
con caratteristiche specifiche e distinte
rispetto a quelle ordinariamente reperibili
sul mercato per quel medesimo bene
(parere di
precontenzioso 09.09.2010 n. 150 - link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI: La
scelta del peso da attribuire a ciascun
elemento dell’offerta è rimessa, quindi,
caso per caso alla stazione appaltante, in
relazione alle peculiarità specifiche
dell’appalto e, dunque, all’importanza che,
nel caso concreto, hanno il fattore prezzo e
gli elementi qualitativi. Conseguentemente,
le scelte concretamente poste in essere
nelle clausole della lex specialis
rientrano nella discrezionalità della
stazione appaltante, che può essere
sindacata solo se manifestamente illogica o
irragionevole (ex multis, da ultimo
TAR Lazio, Sez. III, 28.01.2009 n. 630).
Unico vincolo posto dal legislatore,
comunitario e nazionale, è che sia il prezzo
sia gli aspetti di carattere qualitativo
dell’offerta siano oggetto di valutazione,
atteso che l’aggiudicazione con il sistema
dell’offerta economicamente più vantaggiosa,
anche nel “considerando” n. 46 della
citata direttiva n. 18/2004, è definita
quella che tende a garantire il miglior
rapporto tra qualità e prezzo.
La decisione di una s.a. di attribuire al
prezzo un peso di 5 punti su 100, tale da
far perdere sostanziale rilievo all’elemento
prezzo (e, quindi, al dato economico) ai
fini della scelta dell’aggiudicatario, senza
alcuna esplicita motivazione correlata alle
peculiarità specifiche dell’appalto oggetto
di affidamento, è idonea a produrre uno “squilibrio”
nella scelta razionale del peso relativo a
ciascun elemento
(parere di
precontenzioso 09.09.2010 n. 149 - link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI: Nell'ambito
dei requisiti di ordine generale di
partecipazione alle gare, l'art. 38 del
d.lgs. 12.04.2006, n. 163 prevede ipotesi
per le quali la situazione ostativa, per
essere tale, deve avere carattere di
gravità, come in materia di gravità dei
reati (lett. c) e sicurezza del lavoro
(lett. e) nonché in caso di negligenza e
malafede nell'esecuzione delle prestazioni
(lett. f) e di irregolarità contributiva
(lett. i) ed altre situazioni per le quali,
invece, il requisito della gravità non è
richiesto, quali le irregolarità fiscali di
cui alla lett. g), con la conseguenza che il
legislatore ha inteso attribuire
all'Amministrazione il potere di valutare
l'entità dell'infrazione, ai fini della
sussistenza del requisito di affidabilità,
soltanto nelle ipotesi caratterizzate dalla
gravità, mentre nelle altre la sussistenza
dell'infrazione è di per sé sufficiente ad
impedire la partecipazione alla procedura
(cfr. ad es. Consiglio Stato, Sez. V,
23.03.2009, n. 1755).
Compete alla stazione appaltante
l’accertamento, di natura discrezionale e
comportante l’obbligo di motivazione, della
esistenza e della gravità della violazione
commessa e sostenendo, in particolare, che
la “gravità”, prevista come
presupposto sia dalla lettera c) che dalla
lettera e), debba essere desunta dalla
specifica tipologia dell’infrazione
commessa, sulla base del tipo di sanzione
(arresto o ammenda) per essa irrogata,
dell’eventuale reiterazione della condotta,
del grado di colpevolezza e delle ulteriori
conseguenze dannose che ne sono derivate
(es. infortunio sul lavoro).
Si precisa, altresì, come rilevato nel
parere n. 138/2008, che la stazione
appaltante è legittimata ad effettuare le
suddette valutazioni anche in presenza di un
ricorso giurisdizionale o amministrativo
avverso gli accertamenti effettuati dagli
Organi agli stessi deputati (cfr., sul
punto, anche il parere n. 239/2008)
(parere di
precontenzioso 09.09.2010 n. 148 - link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI: Le
dichiarazioni rese dall’impresa concorrente
ai sensi dell’art. 75, comma 1, lett. c) del
D.P.R. 554/1999, nel testo vigenze nella
Regione Sicilia, devono essere espressamente
riferite anche agli amministratori e ai
direttori tecnici di un impresa estranea
alla gara, dalla quale la partecipante abbia
acquisito il ramo di azienda prima della
partecipazione alla gara medesima, in base
al presupposto che i requisiti soggettivi
negativi propri dell’impresa cedente si
trasmettano all’impresa cessionaria.
Ciò anche allo scopo precipuo di evitare
–come evidenziato dalla giurisprudenza–
possibili strumentalizzazioni delle
disposizioni normative o di consentire
soluzioni surrettizie volte ad eludere
precisi obblighi di legge attraverso il
ricorso a modificazioni soggettive delle
parti (Consiglio di Giustizia Amministrativa
per la Regione Sicilia n. 389/2008; n.
518/2009; n. 100/2010 e n. 101/2010)
(parere di
precontenzioso 09.09.2010 n. 147 - link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
GIURISPRUDENZA |
APPALTI:
Non è necessaria la verifica in
ordine ai requisiti morali e, in
particolare, il requisito della regolarità
contributiva, anche con riferimento alla
società incorporata.
La cessione di un ramo d'azienda realizza
una successione di alcuni elementi
soggettivi, con la conseguenza che
l'influenza negativa del cedente si esplica
anche nei confronti del cessionario e,
l'eventuale inquinamento della gestione, si
riflette negativamente anche sull'attuale
struttura dell'intera compagine societaria.
Pertanto, la dichiarazione resa da
un'impresa concorrente in una gara
d'appalto, va espressamente riferita anche
agli amministratori e direttori tecnici di
altra impresa, dalla quale la partecipante
abbia acquisito un ramo di azienda,
precedentemente alla partecipazione alla
gara, in base al presupposto che i requisiti
soggettivi negativi propri dell'impresa
cedente si trasmettano all'impresa
cessionaria. E ciò, anche al fine di evitare
possibili strumentalizzazioni delle
disposizioni normative volte ad eludere
precisi obblighi di legge, attraverso il
ricorso a modificazioni soggettive, in grado
di alterare il libero gioco della
concorrenza.
L'art. 75 d.P.R. n. 554 del 1999 (ora art.
38 d.lgs. n. 163 del 2006), prevedendo
requisiti di ordine morale, in linea di
principio li riferisce al concorrente, senza
che questi possa rispondere del fatto
altrui. Una deroga espressa si ha per il
requisito della lett. c) dell'art. 75 d.P.R.
n. 554 del 1999 (ora art. 38, lett. c),
d.lgs. n. 163 del 2006). Per gli altri
requisiti, occorre verificare caso per caso
se la vicenda societaria sia volta ad
eludere il possesso dei requisiti mediante
fittizie modifiche soggettive delle parti.
Si tratta allora di verificare, al di là del
velo della forma societaria, quale sia
l'impresa che si esprime dietro di essa e,
dunque, se la vicenda societaria
(trasformazione, fusione, incorporazione),
comporti estinzione o continuità del
soggetto privo dei requisiti morali; se la
vicenda societaria è tale per cui in
concreto risulti la sostanziale identità del
soggetto originario e di quello successivo,
è evidente che il nuovo soggetto incorre nel
difetto di requisiti morali del precedente,
perché la novità soggettiva è solo formale,
essendovi nella sostanza identità.
Se invece
vi è una fusione per incorporazione, con
estinzione del soggetto privo dei requisiti
morali, e assorbimento di esso in un
soggetto preesistente, senza continuità con
il soggetto estinto, non si può ritenere che
il soggetto incorporante erediti il difetto
di requisiti di ordine morale. Ovviamente
resta ferma la responsabilità patrimoniale,
a fini previdenziali, del soggetto
incorporante (Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 04.05.2011 n. 2662 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Sull'illegittimità
dell'esclusione da una gara di un
concorrente, per mancanza dell'abilitazione
complessiva e del NOS (nulla osta
sicurezza).
Ai fini della partecipazione alle gare di
appalto, è sufficiente il possesso
dell'abilitazione preventiva in capo alle
imprese partecipanti, essendo, invece, la
abilitazione complessiva, richiesta soltanto
in fase di esecuzione. Quanto, poi, al nulla
osta sicurezza, lo stesso è previsto dalla
L. n. 124/2007, solo con riguardo alle
informazioni classificate quali "Segretissime,
Segrete o Riservatissime" e non già,
come nel caso di specie, meramente
"Riservate".
Pertanto, è illegittimo il provvedimento di
esclusione adottato da un'amministrazione
che abbia richiesto il possesso del NOS
relativamente ad una fattispecie non
rientrante in quelle espressamente
disciplinate dal legislatore. La stessa AVCP
ha precisato che il NOS non può essere
previsto come requisito di partecipazione
alla procedura di gara, in quanto ciò
determinerebbe una limitazione della
concorrenza (TAR Lazio-Roma, Sez. II-quater,
sentenza 03.05.2011 n. 3834 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Legittimo il diniego di
concessione edilizia se il PRG subordina
l'edificabilità all'adozione di uno strumento
attuativo.
Ai fini della legittimità del diniego di
concessione edilizia che rimandi alla
redazione di un piano di lottizzazione è
sufficiente la sola previsione, nell’ambito
del P.R.G., dell’adozione di uno strumento
attuativo (massima
tratta da www.dirittodegliappaltipubblici.it
-
C.G.A.R.S.,
sentenza 02.05.2011 n. 339
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI:
Sulla rimessione all'Adunanza
Plenaria della questione sull'applicabilità
del d.lgs. 12.04.2006, n. 163, codice dei
contratti pubblici, agli appalti indetti da
società pubbliche che operano nell'ambito
dei settori speciali.
La questione della applicabilità del d.lgs.
12.04.2006, n. 163, codice dei contratti
pubblici, alla procedura selettiva espletata
da EniServizi s.p.a., in nome e per conto di
Eni s.p.a., per l'affidamento dei servizi di
sicurezza e vigilanza privata a mezzo di
guardie particolari giurate presenta due
possibili ed opposte soluzioni.
La prima soluzione conduce a ritenere
applicabile alla fattispecie il Codice dei
contratti pubblici. Secondo tale approccio
interpretativo, l'impresa pubblica, in
quanto ente sottoposto all'influenza
dominante di un'amministrazione
aggiudicatrice, non può mai dirsi sottratta
dalla osservanza delle regole minimali
dell'evidenza pubblica di diritto interno,
cui soggiacciono d'altra parte financo gli
enti ecclesiastici che fruiscano di
finanziamenti pubblici (in tema, Cons.
Stato, VI, 04.06.2004, n. 3478). In tal
caso, non vi sarebbero dubbi circa la
necessaria attrazione delle controversie
nell'alveo cognitorio del giudice
amministrativo, ai sensi dell'art. 133 Cod.
proc. amm..
La seconda soluzione non ritiene applicabile
alla fattispecie il Codice dei contratti
pubblici per la ragione che si tratta
dell'affidamento di un contratto di diritto
comune svolto da una impresa pubblica che,
quanto all'attività in questione
(non-strumentale a quella propria di un
settore speciale), è estranea a quelli
oggetto del Codice stesso.
Secondo tale soluzione le imprese pubbliche,
a differenza delle amministrazioni
aggiudicatrici, sono soggetti aggiudicatori
solo laddove e nella misura in cui svolgono
attività nei settori speciali.
Tenuto conto della situazione di possibile
divergenza interpretativa, la suddetta
questione deve essere rimessa all'esame
all'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 29.04.2011 n. 2543 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI SERVIZI:
Sulla natura di concessione di
pubblico servizio del servizio di
illuminazione votiva, con conseguente
applicabilità della normativa limitativa
della durata delle concessioni assegnate
senza pubblica gara ex art. 23-bis, c. 8,
del dl 112/2008.
Il comune che si avvalga dell'opera di un
privato, per le attività connesse
all'illuminazione votiva cimiteriale, pone
di regola in essere una concessione di
pubblico servizio e non di opera pubblica,
poiché normalmente detto impianto
costituisce un semplice strumento rispetto
all'esigenza prioritaria di consentire il
culto dei defunti, anche attraverso la
gestione del servizio di illuminazione.
Ciò vale, anche, nel caso di specie,
connotato dalla realizzazione di opere
destinate a consentire l'illuminazione (come
la posa di una serie di cavi elettrici del
tutto analoghi a quelli usati per
l'illuminazione civile ed il loro
collegamento ad un punto luce per ciascuna
sepoltura), le quali rientrano a buon
diritto in quelle ordinariamente necessarie
per lo svolgimento del servizio medesimo,
senza assunzione di un particolare rilievo o
impegno economico.
Pertanto, è legittimo il provvedimento con
cui un comune ha anticipato il termine di
scadenza del contratto relativo
all'affidamento del servizio di
illuminazione votiva cimiteriale, non
potendo essere smentita la natura di
concessione di pubblico servizio assunta dal
servizio di illuminazione votiva affidato
alla società ricorrente, con conseguente
applicabilità della normativa limitativa
della durata delle concessioni assegnate
senza pubblica gara ex art. 23-bis, c. 8,
del dl 112/2008, convertito dalla l. n.
133/2008 (TAR Campania-Napoli, Sez. I,
sentenza 29.04.2011 n. 2409 -
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APPALTI:
In presenza di una clausola del
bando di gara che detta prescrizioni a pena
di esclusione per l'ammissione dei
concorrenti, le relative determinazioni
della commissione giudicatrice sono prive di
carattere discrezionale.
Sull'illegittimità della clausola che
prevede, a pena di esclusione, la
indicazione di nome, cognome e qualifica del
funzionario di banca/intermediario che
sottoscrive la referenza bancaria.
In presenza di una clausola che detta
prescrizioni a pena di esclusione per
l'ammissione dei concorrenti ad una
procedura concorsuale, le relative
determinazioni della commissione
giudicatrice sono prive di carattere
discrezionale, avendo natura strettamente
vincolata all'osservanza delle disposizioni
di gara, in quanto la stazione appaltante
non può disapplicare le regole che essa
stessa ha posto.
Ciò esclude che, nel caso di specie, vi sia
spazio per una integrazione o
regolarizzazione postuma del documento
palesemente privo di un elemento che
espressamente il disciplinare di gara ha
stabilito come necessario per
l'utilizzabilità della referenza bancaria.
---------------
La legge lascia alla stazione appaltante un
ampio margine discrezionale per conformare
il procedimento concorsuale alle proprie
esigenze, disciplinando nella maniera più
opportuna i requisiti e gli adempimenti
posti a carico dei concorrenti che aspirano
a partecipare alla gara. Tali
determinazioni, quando non siano in
contrasto con norme particolari di rango
superiore, non sono censurabili nel merito,
fatto salvo il sindacato di legittimità
quando si manifesti una palese
irragionevolezza o ingiustizia o incongruità
delle disposizioni di gara.
Pertanto, nel caso di specie, è fondata la
censura dedotta dalla società ricorrente,
sotto questi profili, contro la clausola che
prevede, a pena di esclusione, la
indicazione di nome, cognome e qualifica del
funzionario di banca/intermediario che
sottoscrive la referenza bancaria. Infatti,
tale disposizione, che sembra avere lo scopo
di scoraggiare la produzione di documenti
non genuini, è essenzialmente inutile in
quanto, quand'anche le indicazioni richieste
compaiano nel documento, nessuna garanzia vi
è che "nome, cognome e qualifica"
apposti siano veritieri e che il soggetto
apparentemente firmatario sia effettivamente
abilitato a rilasciare quella dichiarazione
per la banca (TAR Campania-Napoli, Sez. I,
sentenza 29.04.2011 n. 2399 -
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APPALTI: I
procuratori speciali non sono tenuti a
rendere le dichiarazioni di cui all'art. 38
del Codice dei Contratti.
L'obbligo di dichiarazione ai sensi
dell'art. 38 del Codice dei Contratti si
applica ai soli amministratori della
società, e non anche ai procuratori
speciali, in quanto ai sensi dell’art.
2380-bis c.c., la gestione dell’impresa
spetta esclusivamente agli amministratori e
può essere concentrata in un unico soggetto
(amministratore unico) o affidata a più
persone, che sono i componenti del consiglio
di amministrazione (in caso di scelta del
sistema monistico ex artt. 2380 e
2409-sexiesdecies c.c.) o del consiglio di
gestione (in caso di opzione in favore del
sistema dualistico ex artt. 2380 e
2409-octies c.c.): ad essi, o a taluni tra
essi, spetta la rappresentanza istituzionale
della società.
I procuratori speciali (o ad negotia) sono invece soggetti cui può essere
conferita la rappresentanza –di diritto
comune- della società, ma che non sono
amministratori e ciò a prescindere
dall’esame dei poteri loro assegnati. L’art.
38 del d.lgs. n. 163/2006 richiede la
compresenza della qualifica di
amministratore e del potere di
rappresentanza e non vi è alcuna possibilità
per estendere l’applicabilità della
disposizione a soggetti, quali i
procuratori, che amministratori non sono.
Del resto, si tratta di una norma che limita
la partecipazione alle gare e la libertà di
iniziativa economica delle imprese, essendo
prescrittiva dei requisiti di partecipazione
e che, in quanto tale, assume carattere
eccezionale ed è, quindi, insuscettibile di
applicazione analogica a situazioni diverse,
quale è quella dei procuratori. Peraltro,
anche l’applicazione analogica sarebbe
opinabile, in presenza di una radicale
diversità della situazione
dell’amministratore, cui spettano compiti
gestionali e decisionali di indirizzi e
scelte imprenditoriali e quella del
procuratore, il quale, benché possa essere
munito di poteri di rappresentanza, è
soggetto dotato di limitati poteri
rappresentativi e gestionali, ma non
decisionali (nel senso che i poteri di
gestione sono pur sempre circoscritti dalle
direttive fornite dagli amministratori).
In
altri termini le manifestazioni di volontà
del procuratore possono produrre effetti
nella sfera giuridica della società, ma ciò
non significa che egli abbia un ruolo nella
determinazione delle scelte imprenditoriali,
lasciate all'amministratore. Pertanto,
l'art. 38 del d.lgs. n. 163/06 -nell'individuare i soggetti tenuti a rendere
la dichiarazione- fa riferimento soltanto
agli "amministratori muniti di potere di
rappresentanza": ossia, ai soggetti che
siano titolari di ampi e generali poteri di
amministrazione, senza estendere l’obbligo
ai procuratori.
La soluzione accolta, oltre ad essere
maggiormente rispondente al dato letterale
del citato art. 38, evita che l’obbligo
della dichiarazione possa dipendere da
sottili distinzioni circa l'ampiezza dei
poteri del procuratore, inidonee a garantire
la certezza del diritto sotto un profilo di
estrema rilevanza per la libertà di
iniziativa economica delle imprese,
costituito dalla possibilità di partecipare
ai pubblici appalti (fin qui, testualmente,
Cons. Stato, V, n. 513/2011)
(massima tratta da
www.dirittodegliappaltipubblici.it -
TAR Sicilia-Catania, Sez. III,
sentenza 29.04.2011 n. 1071
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
COMPETENZE PROGETTUALI: Esula
dalla competenza dei geometri la
progettazione di costruzioni civili con
strutture in cemento armato.
Il Collegio dei geometri di una provincia
lombarda ha impugnato il bando di
progettazione per la riqualificazione e
messa in sicurezza di 5 km di una strada
provinciale, nella parte in cui ha riservato
l’affidamento della progettazione ai soli
ingegneri, architetti e geologi (nella
specie la progettazione aveva ad oggetto
indagini geognostiche e di prospezione,
l’allargamento della strada, le opere di
risanamento e consolidamento dei terreni
residuati di una roggia, nonché la
realizzazione di nove ponti in cemento
armato anche precompresso, di cui due in
attraversamento alla strada provinciale).
Secondo i ricorrenti i geometri possono
progettare (e dirigerne l’esecuzione) opere
edilizie in conglomerato cementizio
nell’ambito delle loro competenze da
individuarsi in chiave evolutiva alla luce
delle innovazioni e dello sviluppo della
normativa antisismica, delle tecnologie
costruttive, dei programmi di studio
professionali riservati ai geometri.
Considerando l’appello infondato i giudici
del Consiglio di Stato ribadiscono di non
voler discostarsi dal consolidato quadro
ermeneutico tracciato dalla più recente
giurisprudenza civile, amministrativa e
penale, cui si rinvia a mente dell’art. 74
c.p.a. (cfr. Cass. civ., sez. II,
07.09.2009, n. 19292; 08.04.2009, n. 8543;
26.07.2006, n. 17028; 22.04.2005, n. 8545;
30.03.2005, n. 6649; Cons. St., sez. IV,
05.09.2007, n. 4652; sez. IV, 22.05.2006, n.
3006; Cass. pen., sez. III, 26.09.2000,
Brena, secondo cui anche in tali ipotesi
sussiste il reato di esercizio abusivo della
professione di ingegnere o architetto).
I giudici di Palazzo Spada segnalano,
infatti, che a norma dell’art. 16, lett. m),
r.d. 11.02.1929 n. 274, e come si desume
anche dalle ll. 05.11.1971 n. 1086 e
02.02.1974 n. 64, che hanno rispettivamente
disciplinato le opere in conglomerato
cementizio e le costruzioni in zone
sismiche, nonché dalla l. 02.03.1949 n. 144
(recante la tariffa professionale), esula
dalla competenza dei geometri la
progettazione di costruzioni civili con
strutture in cemento armato, trattandosi di
attività che, qualunque ne sia l’importanza,
è riservata solo agli ingegneri ed
architetti iscritti nei relativi albi
professionali. Solo le opere in cemento
armato relative a piccole costruzioni
accessorie rientrano nella competenza dei
geometri, risultando ininfluente che il
calcolo del cemento armato sia stato
affidato ad un ingegnere o ad un architetto.
In buona sostanza, la competenza dei
geometri è limitata alla progettazione,
direzione e vigilanza di modeste costruzioni
civili, con esclusione di quelle che
comportino l’adozione -anche parziale- di
strutture in cemento armato; solo in via di
eccezione, si estende anche a queste
strutture, a norma della lett. l) del
medesimo articolo 16, r.d. n. 274 cit.,
purché si tratti di piccole costruzioni
accessorie nell’ambito di edifici rurali o
destinati alle industrie agricole, che non
richiedano particolari operazioni di calcolo
e che per la loro destinazione non
comportino pericolo per le persone.
Per il resto, la suddetta competenza è
comunque esclusa nel campo delle costruzioni
civili ove si adottino strutture in cemento
armato, la cui progettazione e direzione,
qualunque ne sia l’importanza è pertanto
riservata solo agli ingegneri ed architetti
iscritti nei relativi albi professionali;
sotto tale angolazione deve escludersi che
le innovazioni introdotte nei programmi
scolastici degli istituti tecnici possano
ritenersi avere ampliato, mediante
l’inclusione tra le materie di studio di
alcuni argomenti attinenti alle strutture in
cemento armato, le competenze professionali
dei medesimi.
I limiti posti dall’art. 16, lett. m) cit.
alla competenza professionale dei geometri:
a) rispondono ad una scelta inequivoca del
legislatore, dettata da evidenti ragioni di
pubblico interesse, che lascia
all’interprete ristretti margini di
discrezionalità, attinenti alla valutazione
dei requisiti della modestia della
costruzione, della non necessità di
complesse operazioni di calcolo e
dell’assenza di implicazioni per la pubblica
incolumità;
b) indicano, d contro, un preciso requisito,
ovverosia la natura di annesso agricolo dei
manufatti, per le opere eccezionalmente
progettabili dai predetti tecnici anche nei
casi di impiego di cemento armato.
E’ pertanto esclusa la possibilità di
un’interpretazione estensiva o «evolutiva»
di tale disposizione, che, in quanto norma
eccezionale, non si presta ad applicazione
analogica, non potendosi pervenire ad una
diversa conclusione neppure in virtù delle
norme -art. 2, l. 05.11.1971 n. 1086 e art.
17, l. 02.02.1974 n. 64- che disciplinano le
costruzioni in cemento armato e quelle in
zone sismiche, in quanto le stesse
richiamano i limiti delle competenze
professionali stabiliti per i geometri dalla
vigente normativa professionale (commento
tratto da www.documentazione.ancitel.it -
Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 28.04.2011 n. 2537 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Il giudizio relativo alla
regolarità dei documenti allegati
all’offerta non ha efficacia di piena prova.
I verbali provenienti da pubblici ufficiali
hanno efficacia di piena prova, fino a
querela di falso (art. 2700 c.c.) solo
relativamente alla provenienza dell'atto dal
pubblico ufficiale che lo ha formato, alle
dichiarazioni delle parti e agli altri fatti
che il pubblico ufficiale attesti avvenuti
in sua presenza o da lui compiuti, mentre
tale fede privilegiata non si estende né
agli apprezzamenti del pubblico ufficiale
ovvero alle sue ulteriori valutazioni e
deduzioni. (ex multis VI sez., n. 7129 del
2010).
In applicazione del suddetto principio, il
CGA ha raffermato che un giudizio formulato
dalla Commissione di gara in ordine alla
regolarità dei documenti allegati
all’offerta costituisce il frutto di
valutazioni non assistite da fidefacienza ma
piuttosto da presunzione semplice di
veridicità. (C.G.A. n. 35 del 2006) (massima tratta da www.dirittodegliappaltipubblici.it -
C.G.A.R.S.,
sentenza 28.04.2011 n. 333
- link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Polizza digitale, valida solo se
prodotta in originale o in copia autenticata
da un pubblico ufficiale.
La garanzia provvisoria in formato digitale
deve essere presentata in originale e cioè
su supporto informatico e sottoscritta con
firma digitale.
In alternativa la concorrente può presentare
una copia su supporto cartaceo della polizza
generata informaticamente, la conformità
della copia all'originale in tutte le sue
componenti sia attestata da un pubblico
ufficiale a ciò autorizzato.
Mancando l’attestazione di conformità non è
possibile, infatti, risalire al soggetto che
ha sottoscritto l’originale informatico con
firma digitale. Né, come già chiarito in
giurisprudenza, la conformità di cui si
discute poteva essere autocertificata poiché
la polizza, in quanto scrittura privata, non
rientra fra i documenti per i quali l’art.
19 del T.U. n. 445 del 2000 consente di
attestare la conformità all’originale
mediante dichiarazione sostitutiva dell’atto
di notorietà (massima tratta da
www.dirittodegliappaltipubblici.it -
C.G.A.R.S.,
sentenza 28.04.2011 n. 330
- link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
In base al principio di
strumentalità delle forme l'invalidità di un
atto per vizi procedurali può essere
riconosciuta, solo quando gli adempimenti
formali omessi non ammettano equipollenti,
per il raggiungimento dello scopo
perseguito.
La pubblica autorità è chiamata a rendere
conto, in modo sempre più incisivo, della
ratio sottesa alle proprie determinazioni.
In base al principio di strumentalità delle
forme (di cui sono attuale espressione gli
artt. 21-octies e 21-nonies della l. n.
241/1990, nel testo introdotto dalla l. n.
15/2005, ma che era già in precedenza
oggetto di giurisprudenza consolidata)
l'invalidità di un atto per vizi procedurali
può essere riconosciuta, solo quando gli
adempimenti formali omessi non ammettano
equipollenti, per il raggiungimento dello
scopo perseguito.
Tale circostanza non è rilevabile, nel caso
di specie, in quanto il concorrente ha
esibito la documentazione contabile
(cosiddetti "mastrini"), contenenti
l'elenco delle fatture emesse e dunque dei
servizi prestati, con specificazione della
natura degli stessi e del relativo importo,
in luogo di un elenco contenente i singoli
servizi, identici o analoghi, svolti in
precedenti gare.
Inoltre, la commissione aggiudicatrice
poteva chiedere eventuali chiarimenti, senza
incidere sull'effettivo possesso dei
requisiti di partecipazione di cui trattasi
alla data della domanda e dovendosi solo, in
ipotesi, puntualizzare attestazioni comunque
prodotte, con valenza probatoria anche
maggiore di una semplice dichiarazione.
---------------
Secondo un'evoluzione interpretativa in
linea con i principi costituzionali e
comunitari del "giusto processo"
-inscindibile dalla effettività della
tutela- e del "giusto procedimento
amministrativo", la pubblica autorità è
chiamata a rendere conto, in modo sempre più
incisivo, della ratio sottesa alle
proprie determinazioni.
Le tradizionali formule, che limitavano il
sindacato giurisdizionale di legittimità
sugli atti discrezionali all'esatta
rappresentazione dei fatti ed alla congruità
dell'iter logico seguito dall'autorità
emanante il provvedimento, debbono ritenersi
superate dai parametri di attendibilità
della valutazione, frutto di discrezionalità
tecnica, e di non arbitrarietà della scelta,
ove sia stata esercitata una discrezionalità
amministrativa.
E' infatti, ormai, pacificamente censurabile
la valutazione che si ponga al di fuori
dell'ambito di esattezza o attendibilità,
qualora non appaiano rispettati parametri
tecnici di univoca lettura, ovvero
orientamenti già oggetto di giurisprudenza
consolidata, o di dottrina dominante in
materia. Una evoluzione analoga investe
anche la discrezionalità amministrativa,
sotto il profilo del "quomodo",
soprattutto ove le scelte si proiettino su
valutazioni comparative, legate al parametro
costituzionale dell'imparzialità.
Un criterio di scelta, formulato come
discrezionale e pertanto insindacabile nel
merito, può infatti ritenersi funzionalmente
deviato, e sindacabile sul piano della
legittimità, qualora non renda esplicita e
verificabile la logica interna che lo
ispira, consentendo conclusioni di cui sia
impossibile appurare l'effettiva rispondenza
all'interesse pubblico (Consiglio di Stato,
Sez. VI,
sentenza 27.04.2011 n. 2482 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Sulla necessità del possesso dei
requisiti esclusivamente in capo ai consorzi
stabili.
Nel caso di partecipazione ad una gara di
appalto di un consorzio stabile, non è
necessario verificare il possesso dei
requisiti di partecipazione, oltre che in
capo al consorzio stesso, anche in testa
all'impresa consorziata indicata come
esecutrice. La tesi, infatti, della
necessità del possesso dei requisiti solo in
capo ai consorzi stabili sembra la più
coerente con la stessa individuazione di
tali figure soggettive.
Queste hanno una loro qualificazione, che
consente ai medesimi di partecipare alle
gare pubbliche, e pertanto sono gli stessi
che assumono su di sé, e con le
qualificazioni possedute, l'onere della
esecuzione delle prestazioni contrattuali, a
nulla rilevando che abbiano designato una
consorziata non in possesso delle
qualificazioni necessarie, essendo la
prestazione "in toto" ricadente sul
medesimo consorzio stabile, che potrà
provvedervi o direttamente o per il tramite
di un'altra impresa consorziata.
Solo così ha un senso la qualificazione da
parte della società organismo di
attestazione /SOA in capo direttamente al
consorzio stabile; questo, in quanto
titolare della necessaria qualificazione, è
il contraente del contratto e solo alla sua
qualificazione occorre fare riferimento
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 27.04.2011 n. 2454 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
EDILIZIA PRIVATA: A
fronte di un annullamento giurisdizionale
del permesso di costruire il Comune deve
valutare se è necessario applicare la
sanzione pecuniaria in luogo della riduzione
in pristino.
La pronuncia in commento nasce da una
precedente del giudice amministrativo che
aveva annullato una concessione edilizia
relativa ad un intervento edilizio di
restauro e risanamento conservativo presso
un immobile.
Ritenendo che, per effetto dell’integrale
caducazione dei titoli edilizi, l’intero
intervento dovesse oramai considerarsi come
abusivo, il Comune in causa, anche alla luce
dell’esito della Conferenza dei servizi
all’uopo convocata, disponeva doversi
procedere all’ingiunzione del ripristino
dello stato dei luoghi ai sensi dell’art. 38
del d.P.R. n. 380 del 2001, e a tal fine
stabiliva un termine di sessanta giorni
perché i ricorrenti, responsabili
dell’intervento, provvedessero alla
rimozione delle opere abusive.
In merito a questa circostanza i ricorrenti
lamentano l’inadeguatezza della
comunicazione di avvio del procedimento,
l’inosservanza dell’art. 23 della legge reg.
n. 23 del 2004 e dell’art. 38 del d.P.R. n.
380 del 2001 nella parte in cui –a fronte di
un annullamento giurisdizionale del permesso
di costruire– impongono all’Amministrazione
di accertare innanzi tutto se è possibile
rimuovere i vizi della procedura
(valutazione che il Comune ha omesso di
effettuare relativamente all’allora mancanza
di sottoscrizione/delega da parte di tutti i
comproprietari della richiesta di
concessione edilizia, vizio a suo tempo
rilevato dalla pronuncia di primo grado) e
se è necessario poi applicare la sanzione
pecuniaria in luogo della riduzione in
pristino (verifica che il Comune non ha
compiuto nonostante i ricorrenti avessero
documentato l’impossibilità tecnica del
ripristino del sopralzo della copertura, e
nonostante fossero stati medio tempore
sanati vari interventi edilizi inerenti il
medesimo fabbricato).
Di qui la richiesta di annullamento
dell’atto impugnato. A suffragio della
fondatezza di tale argomentazione i giudici
del TAR Parma riportano testualmente,
innanzitutto, l’art. 38, comma 1, del d.P.R.
n. 380 del 2001 che stabilisce “in caso
di annullamento del permesso di costruire,
qualora non sia possibile, in base a
motivata valutazione, la rimozione dei vizi
delle procedure amministrative o la
restituzione in pristino, il dirigente o il
responsabile del competente ufficio comunale
applica una sanzione pecuniaria …”.
La norma reca la medesima disciplina già
contenuta nell’art. 11 della legge n. 47 del
1985 e ora fatta propria anche dall’art. 19
della legge Reg. Emilia-Romagna n. 23 del
2004. La giurisprudenza, spiegano i giudici
ducali, ha chiarito che tale previsione
trova applicazione sia in caso di
annullamento in autotutela sia in caso di
annullamento in sede giurisdizionale (v.,
tra le altre, TAR Sardegna, Sez. II,
26.07.2004 n. 1169).
Ha altresì rilevato, continuano gli stessi
giudici, che, se l’annullamento sia stato
disposto per meri vizi formali,
l’Amministrazione ha titolo ad emettere un
nuovo titolo abilitativo rimuovendo –quando
possibile– le irregolarità procedimentali
precedentemente commesse, mentre nel caso in
cui l’annullamento sia scaturito
dall’accertato contrasto sostanziale del
progetto con le norme urbanistico-edilizie
vigenti l’Amministrazione è chiamata ad
operare la scelta tra la sanzione
demolitoria e quella pecuniaria attraverso
una valutazione preventiva della possibilità
che la rimozione della parte abusiva avvenga
senza pregiudizio di quella regolare o
comunque del restante manufatto (v., ex
multis, TAR Abruzzo, Pescara, 03.11.2007
n. 865), il tutto in esito ad
un’approfondita istruttoria e a mezzo di
puntuale motivazione (v. TAR Campania,
Napoli, Sez. VIII, 12.04.2010 n. 1918; TAR
Calabria, Catanzaro, Sez. II, 01.07.2010 n.
1417)
(commento tratto da
www.documentazione.ancitel.it - TAR
Emilia Romagna-Parma,
sentenza 21.04.2011 n. 114 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Lottizzazione e qualifica di
imprenditore agricolo.
La qualifica di imprenditore agricolo o
bracciante agricolo non è da sola
sufficiente per escludere la legittimità
dell’intervento edilizio poiché ciò che
effettivamente rileva è la esistenza di un
effettiva relazione diretta tra edificio e
conduzione del fondo, con la conseguenza che
il possesso di tali qualifiche è
indifferente allorquando un terreno agricolo
venga frazionato e predisposto alla
realizzazione di più edifici aventi
destinazione residenziale snaturandone la
originaria vocazione agricola in quanto
l'attività edificatoria è solo fittiziamente
connessa alla coltivazione ed allo
sfruttamento produttivo del fondo (Corte di
Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 19.04.2011 n. 15605 -
link a www.lexambiente.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA - ATTI AMMINISTRATIVI:
Solo il sovrapporsi alla
situazione ordinaria di eventi calamitosi
giustifica l’uso dell’ordinanza contingibile
ed urgente in materia di rifiuti.
Il ricorso è fondato con riferimento al
primo dei motivi dedotti che lamenta la
illegittimità dell’ordinanza sindacale
impugnata per violazione dell’art. 54 del
decreto legislativo n. 267/2000.
La semplice lettura del laconico testo
dell’ordinanza dà ragione dell’uso improprio
del rimedio utilizzato dal Sindaco del
comune intimato.
La motivazione della ordinanza è racchiusa e
limitata ad una riga, nella quale in maniera
del tutto generica si afferma “Ritenuta
l’urgenza di provvedere in merito,
costituendo tale inconveniente pericolo per
la privata e pubblica incolumità”.
Come ben rappresentato nella memoria
conclusiva della società, il potere di
emanare ordinanze extra ordinem,
proprio per la loro atipicità, può essere
consentito nell’ordinamento solo in assenza
di norme specifiche che disciplinino la
materia trattata o quando, l’improvviso
insorgere di una emergenza non conosciuta in
precedenza, imponga l’attivazione di un
rimedio che nell’immediatezza sia in grado
di eliminare o ridurre i pericoli per
l’incolumità pubblica e privata.
Nessuna delle due ipotesi può rinvenirsi nel
caso di specie.
La materia dei rifiuti infatti è oggetto di
una minuziosa normazione che trova il suo
testo base nel decreto legislativo n.
22/1997 e, per ciò che riguarda la regione
Liguria, nelle leggi n. 18/1999 e nel D.Lgs.
n. 152/2006.
E’ pur vero che la giurisprudenza ha ammesso
l’utilizzo dell’ordinanza contingibile ed
urgente anche in questa materia, ma quando
lo ha fatto (vedi per tutte TAR Abruzzo
L'Aquila, sez. I, 24.07.2010, n. 548; TAR
Veneto Venezia, sez. III, 20.10.2009 , n.
2623) ciò è avvenuto per il sovrapporsi alla
situazione ordinaria di eventi calamitosi
(incendio nell’immobile usato come deposito
rifiuti; oppure per il manifestarsi di un
forte, concreto e immediato rischio di
propagazione degli inquinanti nell'ambiente
circostante, con conseguente rischio di
sviluppo di reazioni chimiche tra rifiuti
differenti e di emissioni tossiche in
atmosfera).
Nel caso di specie nulla di tutto questo è
avvenuto o, quantomeno viene rappresentato
nell’atto impugnato.
Anche questa sezione con sentenza n. 248 del
17.03.2006 ha ribadito i principi sopra
ricordati sottolineando come, anche in
presenza di un tessuto normativo completo e
diffuso la giustificazione dell’uso
dell’ordinanza contingibile va correlata a
comprovate situazioni di pericolosità per la
salute pubblica e privata che impongono
un’azione immediata (nella specie rimozione
dall’immobile di apparecchiatura clinica
potenzialmente idonea al rilascio di
emissioni radioattive).
Nel caso di specie poi, ed è l’altro
parametro di grave illegittimità dell’atto
impugnato, manca una chiara indicazione
delle opere oggetto della ordinata bonifica,
con una sostanziale indeterminatezza delle
operazioni da compiere per eliminare il
supposto pericolo per la pubblica salute.
Il ricorso va conclusivamente accolto,
potendosi ritenere pienamente soddisfatta la
domanda della ricorrente con l’accoglimento
del primo motivo, esaustivo dell’interesse
azionato, avendo la società specificato in
ricorso che le ulteriori censure avevano una
funzione subordinata e residuale rispetto
alla censura principale accolta (TAR
Liguria, Sez. I,
sentenza 19.04.2011 n. 617 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
È motivo di semplice irregolarità
la mancata traduzione del provvedimento
amministrativo in una lingua conosciuta
dallo straniero.
Come da conclusione giurisprudenziale ormai
pacifica, la mancata traduzione del
provvedimento amministrativo in una lingua
conosciuta dallo straniero non è motivo di
illegittimità del provvedimento stesso ma di
semplice irregolarità, tutt’al più rilevante
solo ai fini del riconoscimento dell’errore
scusabile (di questa Sezione, da ult:
02.03.2011, n. 398; nonché TAR Lazio, Sez.
II-quater, 07.09.2010, n. 32130; TAR
Toscana, Sez. I, 25.05.2005, n. 2578; TAR
Liguria, Sez. II, 24.06.2005, n. 961; Cons.
Stato, Sez. IV, 17.01.2002, n. 238), nel
caso di specie non necessario in quanto il
ricorrente ha impugnato nei termini di legge
il provvedimento, articolando specifici
motivi di censura (TAR Toscana, Sez. II,
sentenza 13.04.2011 n. 681 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: La
sentenza emessa all'esito della procedura di
cui agli artt. 444 e segg. c.p.p. poiché è,
ai sensi dell'art. 445, comma 1-bis,
equiparata "salvo diverse disposizioni di
legge a una pronuncia di condanna",
costituisce titolo idoneo per la revoca, a
norma dell'art. 168, 1° comma, n. 1, c.p.,
della sospensione condizionale della pena
precedentemente concessa.
Per quanto riguarda l’equiparazione a
sentenza di condanna della pronuncia ex art.
444 c.p.p., si ricorda che recentemente il
Consiglio di Stato ha precisato quanto
segue: “Si consideri, peraltro, che…la
così detta sentenza di patteggiamento
prevista dall'art. 444, comma 2, del c.p.p.,
anche se non ha efficacia nei giudizi civili
o amministrativi, "è equiparata a una
pronuncia di condanna" salve diverse
disposizioni di legge, come disposto
dall'art. 445, comma 1, del c.p.p. nel testo
in vigore all'epoca della sentenza penale e
del provvedimento impugnato in primo grado
(sez. IV, 30.05.2007, n. 2744; 06.05.2003,
n. 2366 e 02.04.1998, n. 428; sez. I,
27.05.1992, n. 1647)".
E' vero che, per diverso indirizzo
(condiviso da Cons. Stato, sez. VI,
02.05.2006, n. 2437 e 07.10.2005, n. 5811),
"la non equivalenza della sentenza di
patteggiamento alla sentenza di condanna
deriva in effetti dalla funzione stessa
dell'istituto dell'applicazione della pena
su richiesta delle parti, che non è quella
di accertare, con gli effetti propri del
giudicato, l'esistenza del reato, bensì
quella di risolvere in tempi brevi il
procedimento con l'irrogazione della
sanzione derivante dall'accordo fra le parti
in giudizio, approvato dall'autorità
giudicante".
Senonché, l'art. 445, co. 1-bis, c.p.p.,
dispone espressamente che "Salvo quanto
previsto dall'articolo 653, la sentenza
prevista dall'articolo 444, comma 2, anche
quando è pronunciata dopo la chiusura del
dibattimento, non ha efficacia nei giudizi
civili o amministrativi. Salve diverse
disposizioni di legge, la sentenza è
equiparata a una pronuncia di condanna".
E' quanto, del resto, spiega la ragione per
la quale le Sezioni unite della Corte di
cassazione, ribaltando il precedente
orientamento, e valorizzando per l'appunto
le profonde modifiche subite nel corso del
tempo dall'istituto del patteggiamento,
hanno sostenuto che "la sentenza emessa
all'esito della procedura di cui agli artt.
444 e segg. c.p.p. poiché è, ai sensi
dell'art. 445, comma 1-bis, equiparata
"salvo diverse disposizioni di legge a una
pronuncia di condanna", costituisce titolo
idoneo per la revoca, a norma dell'art. 168,
1° comma, n. 1, c.p., della sospensione
condizionale della pena precedentemente
concessa" (29.11.2005, n. 17781/2006).
Invero -hanno puntualizzato le Sezioni
unite- pur non potendosi affermare che i
mutamenti di disciplina che hanno
interessato l'istituto del patteggiamento,
abbiano condotto ad un processo di vera e
propria identificazione tra sentenza
pronunciata all'esito del dibattimento e
sentenza c.d. patteggiata, gli stessi stanno
comunque "univocamente a significare che
il regime della equiparazione,..., non
consente di rifuggire dall'applicazione di
tutte le conseguenze penali della sentenza
di condanna che non siano categoricamente
escluse".
Come di recente osservato dalla Corte
costituzionale, spetta dunque al
legislatore, in questa prospettiva,
prescegliere, nei confini che
contraddistinguono il normale esercizio
della discrezionalità legislativa, quali
siano gli effetti che -in deroga al
principio "di sistema" che parifica
le due sentenze- diversificano, fra loro, la
sentenza di condanna pronunciata all'esito
del patteggiamento rispetto alla condanna
pronunciata all'esito del giudizio ordinario
(18.12.2009, n. 336).
Invero, mutata la configurazione originaria
del patteggiamento come rito circoscritto
alle vicende di criminalità "minore",
ed assunta una dimensione più "matura",
anche per ciò che attiene allo spazio
delibativo riservato al giudice e,
conseguentemente, alla relativa "base
fattuale" -basti pensare ai nuovi e più
ampi poteri in tema di confisca ed a quelli
previsti in tema di cosiddetto "patteggiamento
allargato"- ben si potevano prefigurare
corrispondenti ampliamenti anche sul
versante degli effetti "esterni" del
giudicato scaturente dal rito speciale”
(Cons. Stato, Sez. VI, 27.08.2010, n. 5981).
Alla luce di tali considerazioni che il
Collegio condivide in pieno, quindi, non
appare condivisibile la tesi del ricorrente
che esclude l’equiparazione a condanna,
sotto i profili di cui al provvedimento
impugnato, della pronuncia ai sensi
dell’art. 444 c.p.p. (TAR Toscana, Sez. II,
sentenza 13.04.2011 n. 681 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
SICUREZZA LAVORO:
Cassazione Penale, obblighi e
responsabilità del coordinatore per la
sicurezza in fase di esecuzione.
L'operato del
coordinatore per l'esecuzione deve mirare ad
un effettivo controllo, anche se non
necessariamente costante, dell'applicazione
da parte delle imprese delle disposizioni
del PSC e dei POS.
E' quanto sottolineato dalla Corte di
Cassazione, Sez. IV penale, nella
sentenza 12.04.2011 n. 14654
relativa ad un infortunio su un cantiere.
Ribadisce, inoltre, tre principi ormai
consolidati nella giurisprudenza in materia
di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro:
Il coordinatore per la sicurezza è garante
insieme al datore di lavoro della sicurezza
dei lavoratori che vengono a trovarsi ad
operare in un cantiere;
il lavoratore non risponde del suo operato,
se pure ha commesso una imprudenza, se
comunque l'infortunio accadutogli è legato a
delle carenze in materia di salute e di
sicurezza sul lavoro;
nel caso in cui ci siano più persone
titolari della garanzia di sicurezza e
dell'obbligo di evitare un evento, ciascuno
è destinatario per intero di quell'obbligo
con la conseguenza che, se un intervento è
eseguito da uno dei garanti, è necessario
che l'altro o gli altri si accertino che il
primo sia effettivamente intervenuto e nel
caso in cui l'intervento non risulti
adeguato questi versano in colpa se hanno
confidato nello stesso.
La sentenza di condanna.
Una sentenza di primo grado ha condannato
per il reato di omicidio colposo:
il responsabile dei lavori nonché
coordinatore per la progettazione e per
l'esecuzione di un cantiere edile durante i
lavori di ampliamento di uno stabilimento
industriale (violazione degli articoli 2 e
4, commi 1 e 2, e 5, del D. Lgs. n. 494 del
1996);
il legale rappresentante dell'impresa
appaltatrice per aver cagionato la morte di
un lavoratore dipendente della ditta
appaltatrice stessa (violazione degli
articoli 4 ed 8 del medesimo D. Lgs. n. 494
del 1996).
L'operaio infortunato, salito sulla
copertura di un capannone senza alcun mezzo
di protezione né individuale né collettivo,
poggiando il proprio peso su uno dei
pannelli in vetroresina, è precipitato al
suolo da un'altezza di circa dieci metri,
riportando trauma cranio-encefalico e trauma
toracico che ne hanno determinato il
decesso.
La Corte d'Appello ha confermato la sentenza
di condanna emessa dal Tribunale di primo
grado, ribadendo le responsabilità sia del
datore di lavoro che del responsabile per la
sicurezza.
Entrambi gli imputati hanno fatto ricorso
alla Corte di Cassazione.
Nel ricorso il coordinatore ha sostenuto che
è il datore di lavoro ad avere la
responsabilità dell'operato dei lavoratori,
con l'obbligo di individuare i rischi e
prevenirli, mentre al coordinatore
spetterebbe principalmente la verifica circa
il rispetto delle regole dettate dal piano
di sicurezza e di coordinamento, senza alcun
obbligo di una sua continua e giornaliera
presenza in cantiere.
Il datore di lavoro ha sostenuto, invece,
che i lavori appaltati non erano da
eseguirsi in quota ma solo esclusivamente a
terra, essendo stati i lavori di copertura
affidati dal committente ad altra impresa.
Entrambi i ricorsi degli imputati sono stati
rigettati dalla suprema Corte che ha
pertanto confermato la condanna (link a
www.acca.it). |
CONSIGLIERI COMUNALI:
Non sussiste alcun divieto per il
sindaco di delegare le proprie funzioni in
materia edilizia agli assessori.
La materia edilizia non è attribuita al
Sindaco come ufficiale di governo, ma come
capo dell’amministrazione comunale, sicché
non sussiste alcun divieto per il sindaco di
delegare le proprie funzioni agli assessori
(Consiglio di stato, sez. V, 08.01.2007, n.
1; Consiglio di Stato, sez. V, 30.06.1984,
n. 540; TAR Piemonte, sez. I, 06.04.2007, n.
1581; TAR Trentino Alto Adige Bolzano,
20.08.1999, n. 250).
Nei provvedimenti impugnati è chiaramente
indicato il settore di appartenenza
dell’assessore delegato (“Settore
amministrativo XVII Edilizia Privata”).
La mancata indicazione degli estremi della
delega di firma e delle ragioni di
impedimento del Sindaco non inficia l’atto
impugnato in mancanza di norme che
prescrivano tale obbligo. Era onere della
ricorrente provare il fatto negativo della
insussistenza della delega o della ragione
di impedimento (Cass. Civ., sez. II,
10.5.2010, n. 11283; Cass. Civ., sez. I,
02.02.2005, n. 2085)
(TAR Piemonte, Sez. I,
sentenza 07.04.2011 n. 357 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Gli atti sanzionatori in materia
edilizia, tra cui l'ordine di demolizione di
costruzione abusiva, non devono essere
preceduti dalla comunicazione d'avvio del
relativo procedimento.
L'ordine di demolizione di opere abusive è
adeguatamente motivato a mezzo
dell'affermazione della realizzazione di una
serie di opere in assenza di titolo, con
contestuale richiamo alla normativa violata.
In ragione del
contenuto rigidamente vincolato che li
caratterizza, gli atti sanzionatori in
materia edilizia, tra cui l'ordine di
demolizione di costruzione abusiva, non
devono essere preceduti dalla comunicazione
d'avvio del relativo procedimento (Consiglio
Stato, sez. VI, 24.09.2010, n. 7129; TAR
Campania Napoli, sez. IV, 13.01.2011, n. 84;
TAR Lazio Roma, sez. II, 06.122010, n.
35404; TAR Puglia Lecce, sez. I, 17.11.2010,
n. 2660; TAR Umbria Perugia, sez. I,
28.10.2010 , n. 499; TAR Piemonte Torino,
sez. I, 04.09.2009 , n. 2253).
In ogni caso, nella specie in esame la
comunicazione di avvio del procedimento è
stata utilmente surrogata dall'ordinanza di
sospensione dei lavori (TAR Liguria Genova,
sez. I, 28.01.2011, n. 169; TAR Lazio
Latina, sez. I, 26.01.2009, n. 56; TAR
Sardegna Cagliari, sez. II, 03.09.2008, n.
1738; TAR Basilicata Potenza, sez. I,
19.01.2008, n. 16; Consiglio Stato, sez. IV,
27.1.2006, n. 399).
E' principio consolidato quello per cui
l'ordine di demolizione di opere abusive è
adeguatamente motivato a mezzo
dell'affermazione della realizzazione di una
serie di opere in assenza di titolo, con
contestuale richiamo alla normativa violata
(Consiglio Stato, sez. V, 07.9.2009, n.
5229; TAR Liguria Genova, sez. I,
28.01.2011, n. 169; TAR Campania Napoli,
sez. VII, 15.12.2010, n. 27377; TAR Puglia
Lecce, sez. III, 09.11.2010, n. 2631; TAR
Lombardia Milano, sez. IV, 02.11.2010, n.
7175; TAR Puglia Bari, sez. II, 16.07.2010,
n. 3102; TAR Piemonte Torino, sez. I,
16.07.2010, n. 3131)
(TAR Piemonte, Sez. I,
sentenza 07.04.2011 n. 357 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Una modalità di sottoscrizione
differente da quella in calce può essere
ugualmente ed in concreto idonea ad
individuare inequivocabilmente la paternità
del documento di autocertificazione.
Con il primo motivo di ricorso parte
ricorrente deduce che la prescrizione di cui
agli artt. 46-47 del d.p.r. 445/2000 non
impone necessariamente la sottoscrizione in
calce al documento recante
l’autocertificazione di stati e qualità; con
la seconda censura il ricorrente deduce una
erronea valutazione in fatto in quanto la
prescritta documentazione risultava
correttamente ascrivibile al suo autore.
Ritiene il collegio che gli assunti
difensivi siano condivisibili.
Il disposto normativo impone la “sottoscrizione”
dell’autocertificazione; pare al collegio
che “la sottoscrizione” possa
astrattamente essere idonea purché raggiunga
lo specifico scopo cui è destinata, ossia
individuare la inequivoca provenienza e
paternità delle dichiarazioni
“sottoscritte”. Sebbene a tal fine
evidentemente la sottoscrizione in calce
costituisca la modalità più ovvia e
frequente non è in assoluto da escludersi
che una differente modalità (basti pensare
alla sottoscrizione a margine piuttosto che,
ad esempio, su foglio spillato e
indiscutibilmente congiunto per mancanza di
spazio in calce) risulti ugualmente ed in
concreto idonea ad inequivocabilmente
individuare la paternità del documento.
Nel caso di specie il ricorrente ha scritto
a mano il foglio contenente le prescritte
attestazioni di stato e qualità, lo ha unito
ad una copia fotostatica di documento in
corso di validità (requisito legale
necessario ai fini dell’idoneità a creare un
vincolo giuridico da parte
dell’autocertificazione) e lo ha inserito in
una busta sigillata, recante sottoscrizione
autografa su entrambe i lembi di chiusura.
La busta in questione era quella contenente
propriamente la documentazione
amministrativa, essendo stata anche
sottoscritta la ulteriore busta contenente
l’intera documentazione dell’offerta (cfr.
doc. 6 di parte ricorrente; la circostanza
per altro non è contestata
dall’amministrazione).
Pare al collegio che tale modalità di
sottoscrizione, se pure non ortodossa, sia
idonea ad attribuire la inequivoca paternità
della dichiarazione resa. Non si pone nel
caso di specie neppure il problema circa la
possibilità di collegare la sottoscrizione
sulla busta contenente l’intera offerta con
la documentazione specificatamente contenuta
nella diversa busta della documentazione
amministrativa; come detto, infatti, la
sottoscrizione è stata apposta anche sulla
busta contenente propriamente la
documentazione amministrativa, ossia
l’autocertificazione, sicché non vi può
essere dubbio che, con tale sottoscrizione,
l’interessato volesse anche affermare la
paternità dei documenti ivi contenuti (TAR Piemonte,
Sez. I,
sentenza 06.04.2011 n. 352 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI FORNITURE E SERVIZI:
Presupposti e condizioni per la
procedura negoziata senza la previa
pubblicazione del bando -ex art. 57, comma
5, lett. b), D.Lgs. n. 163 del 2006- nel
caso di ripetizione di servizi analoghi.
Qualsiasi impresa del settore è legittimata
ad impugnare la delibera con la quale la
P.A. dispone il rinnovo o la proroga di un
contratto d’appalto di servizi o di
forniture stipulato da un’Amministrazione
pubblica, al di fuori dei casi contemplati
dall'ordinamento (Cfr. Cons. Stato, Sez. V,
08.07.2008 n. 3391).
Anche in materia del rinnovo o della proroga
dei contratti pubblici di appalto non vi è
spazio per l'autonomia contrattuale delle
parti, in relazione alla normativa
inderogabile stabilita dal legislatore per
ragioni di interesse pubblico; al contrario,
vige il principio in forza del quale, salve
espresse previsioni dettate dalla legge in
conformità della normativa comunitaria,
l'Amministrazione, una volta scaduto il
contratto, deve, qualora abbia ancora la
necessità di avvalersi dello stesso tipo di
prestazioni, effettuare una nuova gara (Cfr.
Cons. Stato, Sez. V, 02.02.2010, n. 445).
L’art. 57, comma 5, lett. b), D.Lgs. n. 163
del 2006, che consente la procedura
negoziata senza previa pubblicazione di un
bando di gara nel caso di "ripetizione di
servizi analoghi", può operare solo se è
sufficientemente chiaro a priori che ne
ricorra il presupposto applicativo, e non
invece se occorra una profonda e complessa
indagine comparativa e di mercato per
giungere ad una siffatta conclusione. La
logica insita nella norma, che
eccezionalmente deroga al principio della
gara, è infatti quella di non imporre una
gara, appunto, il cui esito sia pressoché
scontato a priori perché solo un operatore è
in grado di assicurare la prestazione
richiesta; in casi del genere, l'unicità del
fornitore deve essere certa prima di
addivenire a trattativa privata e l'indagine
di mercato può avere il solo scopo di
acquisire la certezza di tale unicità o di
escluderla (1).
E’ illegittima una delibera con la quale un
Comune ha rinnovato per tre anni il
contratto di trasporto scolastico alla ditta
in precedente aggiudicataria del servizio ai
sensi dell’art. 57, comma 5, lett. b), del
D.L.vo n. 163/2006, che consente la
procedura negoziata senza previa
pubblicazione di un bando di gara nel caso
di "ripetizione di servizi analoghi",
atteso che, nel caso di specie, non
ricorrono i presupposti né della presenza
sul mercato di un solo operatore in grado di
espletare il servizio di trasporto
scolastico, né, quindi, della prospettiva di
una gara dall’esito scontato.
---------------
(1) TAR Lazio-Roma, Sez. III, 16.01.2010, n.
286.
Dispone l'art. 57, comma 5, lett. b), del
D.L.vo n. 163 del 2006, che: "Nei
contratti pubblici relativi a lavori e negli
appalti pubblici relativi a servizi, la
procedura del presente articolo è, inoltre,
consentita: (…) b) per nuovi servizi
consistenti nella ripetizione di servizi
analoghi già affidati all'operatore
economico aggiudicatario del contratto
iniziale dalla medesima stazione appaltante,
a condizione che tali servizi siano conformi
a un progetto di base e che tale progetto
sia stato oggetto di un primo contratto
aggiudicato secondo una procedura aperta o
ristretta; in questa ipotesi la possibilità
del ricorso alla procedura negoziata senza
bando è consentita solo nei tre anni
successivi alla stipulazione del contratto
iniziale e deve essere indicata nel bando
del contratto originario; l'importo
complessivo stimato dei servizi successivi è
computato per la determinazione del valore
globale del contratto, ai fini delle soglie
di cui all'articolo 28" (massima tratta
da www.regione.piemonte.it - TAR
Lazio-Latina, Sez. I,
sentenza 04.04.2011 n. 310 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Nel concetto di documento amministrativo,
che può formare oggetto di accesso,
rientrano anche gli atti provenienti da
soggetti diversi dalla P.A. procedente,
nonché quelli di diritto privato.
Nel concetto ampio di documento
amministrativo, che può formare oggetto di
accesso, rientrano anche gli atti
provenienti da soggetti diversi dalla P.A.
procedente, nonché quelli di diritto
privato, perché correlati al perseguimento
degli interessi pubblici affidati alla cura
della stessa Amministrazione e da questa
detenuti.
Pertanto, la normativa sull'accesso ai
documenti amministrativi ha il medesimo
ambito di applicazione dell'art. 97 Cost. e
riguarda, quindi, gli atti
dell'amministrazione in quanto tali, a nulla
rilevando, ai fini dell'accesso, la loro
disciplina sostanziale pubblicistica o
privatistica e neppure se, nel caso di
controversia, vi sia la giurisdizione
ordinaria o quella amministrativa (cfr.
Cons. Stato, A.P., 22.04.1999, n. 4; Sez. V,
26.09.2000, n. 5105) (TAR Sardegna, Sez. II,
sentenza 31.03.2011 n. 295 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
L'annullamento in autotutela di
una gara d’appalto non legittima il Comune a
non avvisare i concorrenti della revoca.
La giurisprudenza della Sezione, da cui non
sussiste motivo per discostarsi, ha già
avuto modo di precisare (cfr. Sez. V,
07.07.2009, n. 17) che con la presentazione
della domanda di partecipazione e, ancor
più, con la predisposizione e l’inoltro
dell’offerta, i soggetti concorrenti
assumono una posizione differenziata e
qualificata che giustifica la posizione di
contro interessati ai quali è necessario
comunicare l’avviso di avvio del
procedimento ai sensi della legge sulla
trasparenza amministrativa, al fine di
consentire la difesa del bene della vita
dato dalla chance di aggiudicazione.
Detti principi sono aderenti alla
fattispecie in parola, posto che
l’amministrazione ha annullato in autotutela
la gara dopo che era già stata presentata
l’offerta da parte della odierna appellata.
Né può accedersi alla tesi sostenuta dalla
difesa del Comune di Fiumicino, secondo cui
nel caso di specie l’Associazione Nuovo
Domani non poteva essere, anche volendo,
nemmeno individuata quale partecipante alla
gara, perché “non era stata nominata la
commissione esaminatrice, né verificata la
tempestività di presentazione dei plichi, né
quindi verificati i nominativi dei
partecipanti“ e, pertanto, non sarebbe
applicabile quella giurisprudenza che
richiede di comunicare ai concorrenti
l’avvio del procedimento di revoca della
gara quando quest’ultima sia in corso di
avanzato espletamento.
Al riguardo, infatti, è appena il caso di
rilevare come il plico contenente le offerte
dei concorrenti ad una gara debba sempre
recare, all’esterno, la ragione sociale e
l’indirizzo del singolo concorrente. E nel
caso di specie, giust’appunto, il bando
revocato all’art. 10 dal titolo -“modalità
di partecipazione”– prescriveva che ”:
il plico contenete l’offerta e la
documentazione ….. a pena di esclusione
dovrà essere controfirmato su tutti i lembi
di chiusura e di costruzione della busta,
recare all’esterno la ragione sociale e
l’indirizzo del concorrente, nonché la
dicitura: offerta per la gara d’appalto per
il servizio comunale di Protezione Civile”.
A ciò aggiungasi che, come precisato nella
memoria difensiva e non contestato
dall’appellante, l’Associazione Nuovo Domani
era l’unica concorrente, per cui la tesi in
esame risulta vieppiù priva di consistenza.
Ne rileva, ai fini che qui interessano, che
nell’art. 15 del bando l’Amministrazione si
fosse espressamente riservata di “non
aggiudicare l’appalto e comunque di
aggiudicarlo a proprio insindacabile
giudizio”.
Tale clausola infatti, al contrario di
quanto assume la difesa del Comune, non
legittima certamente l’Amministrazione
appaltante a revocare il bando a suo
insindacabile giudizio, bensì si limita a
rendere noto ai concorrenti che l’offerta è
vincolante per il concorrente, mentre
l’Amministrazione si riserva di non
aggiudicare l’appalto di servizi se nessuna
delle offerte sarà ritenuta conveniente o
idonea in relazione all’appalto. Il richiamo
all’art. 15 del bando, operato
dall’appellante a sostegno del vizio
dedotto, è pertanto inconferente. Né
peraltro è invocabile, al fine di escludere
l’effetto invalidante del vizio
procedimentale in parola, la disciplina
recata dall’art. 21-octies della L. 241/1990
considerato che, come esattamente affermato
nella sentenza appellata, il legislatore
esclude l’annullabilità del provvedimento
adottato in violazione di norme sul
procedimento solo quando esso ha natura
vincolata e non può quindi essere diverso,
mentre la revoca di una gara già bandita è
chiaramente espressione di un potere
discrezionale della P.A.
Nel caso di specie, inoltre, né dalla
motivazione dei provvedimenti impugnati, né
dalle ulteriori argomentazioni sviluppate
dalla difesa dell’Amministrazione, si desume
che l’apporto del privato non avrebbe potuto
influire sull’esito del procedimento,
portando all’adozione di un atto diverso non
confliggente con gli interessi
dell’Associazione ricorrente. Infatti non è
sufficiente affermare che “il contributo
partecipativo dell’Associazione” non avrebbe
potuto mutare il contenuto dei provvedimenti
sia“ rispetto alla scelta
dell’Amministrazione di svolgere in gestione
diretta il servizio” sia “rispetto al
semplice ritiro del bando, di portata
meramente attuativa”.
L’Amministrazione, infatti, per sostenere
l’applicabilità dell’art. 21-octies al caso
di specie, avrebbe dovuto quanto meno
dimostrare che effettivamente il Comune era
in grado di provvedere autonomamente
all’erogazione dei servizi di Protezione
Civile, come affermato nelle determine
impugnate, e nel contempo provare che il
mancato affidamento ad un unico soggetto di
tutti i servizi oggetto di gara avrebbe
comportato un risparmio di spesa.
Ma tale prova non è stata offerta
dall’Amministrazione, si che l’apporto
dell’Associazione ricorrente sarebbe stato
essenziale nel caso di specie visto che
quest’ultima, da oltre 20 anni, espleta
servizi di Protezione Civile ed è a
conoscenza non solo della complessità degli
interventi, ma anche della situazione
logistica dei luoghi visto che per molti
anni ha effettuato il servizio proprio in
favore del Comune di Fiumicino (Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 29.03.2011 n. 1922
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI:
L'illuminazione elettrica votiva di aree
cimiteriali da parte del privato rappresenta
oggetto di concessione di servizio pubblico
locale a rilevanza economica.
E’ del tutto pacifico in giurisprudenza che
l'illuminazione elettrica votiva di aree
cimiteriali da parte del privato rappresenti
oggetto di concessione di servizio pubblico
locale a rilevanza economica perché richiede
che il concessionario impegni capitali,
mezzi, personale da destinare ad un'attività
economicamente rilevante in quanto
suscettibile, almeno potenzialmente, di
generare un utile di gestione e, quindi, di
riflettersi sull'assetto concorrenziale del
mercato di settore (Cons. Stato, sez. V,
11/08/2010, n. 5620; sez. V, 05/12/2008, n.
6049).
---------------
Ai sensi dell'art. 30 del codice dei
contratti pubblici, la disciplina
sull'anomalia delle offerte non si estende
alle concessioni di servizi in quanto le
disposizioni in esso contenute non si
applicano alle concessioni di servizi, salvo
quelle della Parte IV (sul contenzioso) e
l'art. 143, co. 7, (durata della concessione
superiore a trenta anni) in quanto
compatibile (TAR Umbria Perugia, sez. I,
21/01/2010, n. 26).
Per quanto attiene agli appalti di servizi,
la giurisprudenza afferma che l'applicazione
di norme, non direttamente richiamate
dall'art. 30, D.Lgs. n. 163/2006, non può
che rientrare nella discrezionalità della
stazione appaltante, la quale può decidere
di autovincolarsi ed assoggettarsi al
sub-procedimento di verifica dell'anomalia
dell'offerta: laddove la legge di gara non
abbia fatto nessun richiamo alla procedura
di valutazione dell'anomalia dell'offerta,
gli art. 86-88 del codice dei contratti non
possono trovare diretta applicazione (TAR
Sicilia Palermo, sez. III, 11/01/2010, n.
232)
Nel bando di gara riportato negli atti del
primo grado non è prevista alcuna verifica
di anomalia: il Comune pertanto non aveva
alcun obbligo di procedervi nonostante il
superamento da parte dell’offerta
dell’aggiudicataria della soglia
dell’anomalia, fissato dall’art. 86, co. 2,
D.Lgs. n. 163/2006 nei quattro quinti dei
corrispondenti punti massimi previsti dal
bando di gara.
E ciò tanto più se si considera che, come
esattamente rilevato dal TAR, nella lex
specialis la stazione appaltante aveva
già ex ante delimitato l’ambito delle
offerte in aumento accettabili (sino al
45%).
--------------
La nomina della
commissione giudicatrice dopo la scadenza
del termine fissato per la presentazione
delle offerte, è posta a presidio
dell’imparzialità della procedura di gara,
onde evitare possibili collusioni tra
commissari e concorrenti ed è espressione
dei più generali principi di imparzialità e
di trasparenza, ritenuto applicabile anche
in materia di affidamento delle concessioni
(TAR Molise Campobasso, sez. I, 23/09/2009,
n. 651).
In considerazione del suo carattere, il
Collegio ritiene che siffatta violazione
possa costituire vizio dell'intera procedura
di gara solo se la nomina anteriore alla
scadenza del termine di presentazione delle
offerte sia in concreto suscettibile di
incidere sulla indipendenza dei commissari e
sugli elementi discrezionali delle loro
valutazioni
(Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 24.03.2011 n. 1784 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
CONSIGLIERI COMUNALI:
I consiglieri comunali dissenzienti non
hanno un interesse protetto e differenziato
all’impugnazione delle deliberazioni
dell’organismo del quale fanno parte.
Secondo un consolidato indirizzo
giurisprudenziale, da cui non vi è motivo
per discostarsi, i consiglieri comunali
dissenzienti non hanno un interesse protetto
e differenziato all’impugnazione delle
deliberazioni dell’organismo del quale fanno
parte, salvo il caso in cui venga lesa in
modo diretto ed immediato la propria sfera
giuridica per effetto di atti, direttamente
incidenti sul diritto all’ufficio o sullo
status ad essi spettante della carica di
consigliere, che compromettano il corretto
esercizio del loro mandato, come nel caso di
erronee modalità di convocazione
dell’organo, della violazione dell’ordine
del giorno, dell’inosservanza del deposito
della documentazione necessaria per poter
liberamente e consapevolmente deliberare e,
più in generale, per tutte quelle
circostanze che precludano in tutto o in
parte l’esercizio delle funzioni relative
all’incarico rivestito, oltre ovviamente ai
casi in cui gli atti collegiali riguardano
direttamente e personalmente il consigliere
stesso (C.d.S., sez. V, 12.06.2009, n. 3744;
15.12.2005, n. 7122; 31.01.2001, n. 358);
ciò anche in considerazione del fatto che il
giudizio amministrativo non è di regola
aperto alle controversie tra organi o
componenti di organi di uno stesso ente, ma
è diretto a risolvere controversie
intersoggettive (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 24.03.2011 n. 1771 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI FORNITURE E SERVIZI:
Termini di pagamento derogabili
con il bando di gara ma non con il
contratto. Inversione di rotta del Consiglio
di Stato che apre alla possibilità di
indicare tempi diversi da quelli di legge, a
patto che siano esplicitati nel bando. Nel
febbraio 2010 i giudici di Palazzo Spada
avevano bocciato tout court qualsiasi
ipotesi di deroga.
Con la
sentenza del 21.03.2011 n. 1728,
il Consiglio di Stato affronta di nuovo il
tema dei termini di pagamento nei contratti
pubblici, in relazione ai vincoli e alle
prescrizioni contenuti in specifiche
disposizioni legislative e regolamentari.
Con questa pronuncia i giudici di Palazzo
Spada, da una parte ribadiscono un principio
già affermato in precedenza (Consiglio di
Stato 469/2010) e cioè che in sede di
stipulazione del contratto non sono ammessi
accordi sui termini di pagamento derogatori
rispetto a quanto previsto dal Dlgs 231/2002
ma, dall’altra ammettono la possibilità che
termini diversi siano inseriti nel bando di
gara in modo da consentire da subito la
verifica della legittimità.
Si tratta di una parziale, ma importante,
inversione di tendenza rispetto alla
sentenza n. 469 del 02.02.2010 con la quale
il Consiglio di Stato aveva bocciato tout
court la possibilità di deroga ai
termini previsti dal Dlgs 231/2002.
Con quest’ultima pronuncia invece i giudici
di Palazzo Spada aprono alla deroga, a patto
che i diversi termini di pagamento siano
esplicitati nel bando di gara e quindi sia
possibile impugnarli da subito (link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il provvedimento di annullamento del
nulla-osta paesistico non ha natura di atto recettizio.
Il Collegio ritiene di aderire al
consolidato orientamento giurisprudenziale
secondo cui il provvedimento di annullamento
del nulla-osta paesistico non ha natura di
atto recettizio, con la conseguenza che il
termine -perentorio- di 60 giorni previsto
per la sua adozione attiene al solo
esercizio del potere di annullamento da
parte dell'Amministrazione statale e non
anche alla comunicazione o notificazione ai
destinatari del provvedimento stesso (in tal
senso, ex plurimis, Cons. Stato, Sez.
VI, sent. 09.10.2007, n. 5237; id., Sez. VI,
sent. 05.03.2007, n. 1027).
D’altra parte, a diversa conclusione non può
pervenirsi assegnando rilievo al decreto
direttoriale del 18.12.1996, che, nel
delegare alle locali soprintendenze il
potere di adottare i provvedimenti di
annullamento dei nulla osta paesistici,
stabilisce che nel termine di legge di 60
giorni il provvedimento va non solo
adottato, ma anche comunicato ai
destinatari.
Come già chiarito dalla Sezione, posto che
la natura recettizia o meno di un
provvedimento è stabilita dalla legge e che
il regolamento ministeriale che disciplina i
procedimenti di competenza del Ministero per
i beni e le attività culturali non incide
sulla natura non recettizia del
provvedimento di annullamento di nulla osta
paesistico, il decreto direttoriale del
18.12.1996 che delega il potere di
annullamento ai Soprintendenti si pone,
nella parte in cui detta le regole
dell'esercizio del potere, come circolare
esplicativa.
In conformità ai principi generali in
materia di circolari, pertanto, le stesse
sono atti interni all'amministrazione, prive
di rilevanza esterna, non vincolanti se
contrarie alle leggi.
In conclusione, la circolare citata non è
idonea ad alterare la natura giuridica non
recettizia del provvedimento di annullamento
di nulla osta paesistico (in termini, Cons.
Stato, sez. VI, 04.09.2001, n. 4639) (Consiglio di Stato,
Sez. VI,
sentenza 18.03.2011 n. 1661 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
È illegittima la normativa concorsuale che
preveda espressamente quale causa di
esclusione dalla partecipazione al concorso
il mancato pagamento della relativa tassa.
La tassa di concorso non attiene ai
requisiti soggettivi di partecipazione al
concorso ma costituisce il corrispettivo per
la prestazione di un servizio, con la
conseguenza che è illegittima la normativa
concorsuale (nella specie il bando di
concorso ed il regolamento comunale dei
concorsi) che preveda espressamente quale
causa di esclusione dalla partecipazione al
concorso il mancato pagamento della relativa
tassa, potendo l'Amministrazione richiedere
la regolarizzazione documentale da
effettuarsi in un termine dalla stessa
stabilito, mediante l'effettuazione del
relativo versamento e la presentazione della
ricevuta nel termine di cui sopra,
trattandosi di una irregolarità meramente
formale.
Il tardivo versamento della tassa di
concorso costituisce pertanto
un’irregolarità sanabile e, quindi, è da
ritenere che, ricorrendone i presupposti,
l'amministrazione debba consentirne la
regolarizzazione, sussistendo semmai il
dovere dell'amministrazione di procedere
alla verifica dell’avvenuto pagamento della
tassa in un arco temporale antecedente allo
svolgimento delle prove di concorso e
chiedere al concorrente la regolarizzazione
documentale da effettuarsi in un termine a
tal fine stabilito(TAR Lazio-Roma, sez. II,
28.06.2006, n. 5308; TAR Toscana, sez. III,
13.06.1991, n. 285).
Né può ipotizzarsi la violazione di un
principio di par condicio nella
partecipazione al concorso pubblico
finalizzato all’assunzione del dipendente
pubblico, derivante dal mancato pagamento di
Euro 3,87, in quanto detto adempimento
formale non ha nulla a che vedere con lo
svolgimento della procedura e con il
rispetto del principio di buon andamento ed
imparzialità dell’azione amministrativa di
cui agli articoli 97 e 98 della
Costituzione.
Del resto la normativa di fonte primaria,
ossia l’articolo 27, comma 6, del
decreto-legge 28.02.1983, n. 55, convertito,
con modificazioni, dalla legge 26.04.1983,
n. 131, come novellato dalla legge
24.11.2000, n. 340, nel prevedere il potere
impositivo della tassa di concorso alle
amministrazione, per effetto di una scelta
eventuale e discrezionale, non dispone
l’esclusione dei candidati che non vi
ottemperino e, conseguentemente, appare
sproporzionata la sanzione dell’esclusione
dal concorso conseguente alla ritardata
corresponsione di una somma di euro 3,87
prevista dal regolamento comunale e dal
bando, in mancanza di un obbligo di legge in
tal senso (TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez.
I,
sentenza 18.03.2011 n. 258 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Cade sul soggetto che ha compiuto l’abuso
edilizio l’onere della prova in ordine alla
ricorrenza del presupposto temporale per la
concessione del beneficio.
L’inesattezza riscontrata nella domanda di
condono in punto di epoca della
realizzazione dell’abuso è idonea a
configurare un’ipotesi di dolosa infedeltà
di cui all’art. 40 della L. n. 47/1985, con
conseguente inapplicabilità del
silenzio-assenso che, invece, presuppone una
domanda non solo adeguatamente documentata,
ma anche veritiera (TAR Emilia-Romagna, II,
n. 4445/2008; TAR Sardegna, II n. 973/2007).
Inoltre, come ha chiarito la giurisprudenza,
anche in presenza di dichiarazione
sostitutiva di atto notorio presentata
dall’interessato, l’amministrazione può
legittimamente respingere l’istanza ove non
riscontri elementi dai quali risulti
univocamente la data di ultimazione
dell’edificio, in quanto la dichiarazione
sostitutiva non ha rango di prova (C. St. IV,
n. 6548/2008).
Più in generale ai fini del conseguimento
della sanatoria per costruzioni abusive,
l'onere di fornire la prova in ordine alla
ricorrenza del presupposto temporale
richiesto per la concessione del beneficio
incombe sul soggetto che ha compiuto l'abuso
edilizio, mentre all'Amministrazione spetta
l'onere di controllare l'attendibilità degli
elementi dedotti, compiendo ogni opportuna
verifica istruttoria ed, eventualmente,
contrapponendo ad essi le risultanze di
proprie verifiche ed accertamenti (TAR
Marche 11/03/1995 n. 118).
In sintesi, quindi, la prova sulla
realizzazione delle opere entro la data del
31.12.1993 grava sul richiedente la
sanatoria, che, specie nel caso in cui
sussistano elementi, anche indiziari, a
disposizione dell'Amministrazione che
attestino il contrario deve provare,
attraverso elementi certi (quali fotografie
aeree, fatture, sopralluoghi, e così via)
l'effettiva realizzazione dei lavori entro
il termine previsto dalla legge per poter
fruire del beneficio, non potendo limitarsi
a contestare i dati in possesso
dell'Amministrazione senza fornire alcun
elemento di prova a corredo della propria
tesi, in quanto l'Amministrazione - in
assenza di elementi di prova contrari - non
può che dichiarare inammissibile o
respingere la domanda di sanatoria (Tar
Lazio Roma, II, n. 35404/2010).
Nel caso di specie, la ricorrente non ha
prodotto né in sede procedimentale, né
processuale, alcun elemento di prova in
merito al rispetto del termine di scadenza
del 31.12.1993, limitandosi a sostenere che
la fotografia utilizzata
dall’amministrazione non avrebbe alcun
valore probatorio (TAR Emilia
Romagna-Bologna, Sez. II,
sentenza 18.03.2011 n. 257 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
La pubblicazione all’albo pretorio non
determina la presunzione assoluta di piena
conoscenza nei confronti dei soggetti
destinatari interessati a impugnare l’atto
pubblicato.
La pubblicazione all’albo pretorio non è
sufficiente a determinare la presunzione
assoluta di piena conoscenza dell’atto da
parte dei soggetti, ai quali l’atto
direttamente si riferisce e interessati a
impugnarlo, ai quali il provvedimento, ai
fini della decorrenza del termine
d’impugnazione, deve essere notificato o
comunicato direttamente (v. in tal senso,
per tutte, C.d.S., Sez. V, 23.06.2008, n.
3112);
Ai fini della decorrenza del termine
d’impugnazione del provvedimento non era
dunque sufficiente la pubblicazione all’albo
pretorio, ma occorreva la notificazione
all’istante, mai avvenuta prima
dell’instaurazione del giudizio di primo
grado (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 15.03.2011 n. 1589 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il certificato di destinazione urbanistica è
privo di efficacia provvedimentale, perciò
non può essere impugnato autonomamente.
Secondo l’indirizzo giurisprudenziale
assolutamente prevalente, al quale aderisce
anche la scrivente Sezione, il certificato
di destinazione urbanistica (di cui ai commi
2° e seguenti dell’art. 30 del D.Lgs.
380/2001, Testo Unico dell’Edilizia), in
quanto atto di certificazione redatto da un
pubblico ufficiale, ha natura ed effetti
meramente dichiarativi e non costitutivi di
posizioni giuridiche, che discendono in
realtà da altri provvedimenti, che hanno a
loro volta determinato la situazione
giuridica acclarata dal certificato stesso.
Di conseguenza, essendo sfornito di ogni
efficacia provvedimentale, è altresì privo
di concreta lesività, il che rende
impossibile la sua autonoma impugnazione.
Gli eventuali errori contenuti nel
certificato possono semmai essere corretti
dalla stessa Amministrazione, su istanza del
privato, oppure quest’ultimo potrà impugnare
davanti al giudice amministrativo gli
eventuali successivi provvedimenti
concretamente lesivi, adottati in base
all’erroneo certificato di destinazione
urbanistica.
Su tali conclusioni, come già ricordato, la
giurisprudenza appare largamente
maggioritaria: si vedano in particolare, TAR
Lombardia, Milano, sez. II, 12.01.2010, n.
21; TAR Campania, Napoli, sez. II,
20.09.2010, n. 17479; TAR Toscana, sez. I,
28.01.2008, n. 55; TAR Valle d’Aosta,
15.02.2008, n. 16; TAR Lombardia, Milano,
sez. II, 04.11.2004, n. 5585 e TAR Lazio,
sez. I, 28.05.1999, n. 542.
Nel Comune di Milano, tale orientamento
risulta confermato dalla lettura dell’art.
114 del Regolamento Edilizio (norma
espressamente richiamata nell’atto
impugnato, cfr. doc. 1 della ricorrente), in
forza del quale (vedesi comma 2°), il
documento ivi gravato <<...ha carattere
certificativo rispetto alla disciplina
vigente al momento del suo rilascio, ma non
vincola i futuri atti che l’Amministrazione
Comunale può emanare nel rispetto delle
norme vigenti in materia>>; il che
esclude che un eventuale certificato erroneo
possa avere effetti cogenti sulle successive
determinazioni del Comune (TAR Lombardia-Milano,
Sez. II,
sentenza 14.03.2011 n. 729 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Oneri di urbanizzazione.
Esenzione ex art. 9, lett. f), della legge
n. 10 del 1977 per gli edifici destinati al
soddisfacimento di interessi pubblici.
Applicabilità nel caso di opera destinata a
fini di culto che deve essere realizzata da
un ente religioso.
Ai fini dell'applicabilità della esenzione
dal pagamento del contributo concessorio
prevista dall'art. 9, lettera f), della
legge n. 10 del 1977, sono necessari i due
seguenti presupposti:
a) che si tratti dell'esecuzione di opere
destinate al soddisfacimento di interessi
pubblici da cui la collettività possa trarre
una utilità;
b) che l'esecuzione dell'opera sia compiuta
da un ente istituzionalmente competente;
tali presupposti garantiscono il
perseguimento di interessi di ordine
generale e giustificano la concessione di un
beneficio economico che, non contribuendo
alla formazione di un utile di impresa, si
riverbera a vantaggio di tutta la
collettività che fruisce dell’opera una
volta compiuta (Cfr. Cons. Stato, Sez. V,
11.01.2006, n. 51).
E’ illegittimo il provvedimento di diniego
di restituzione del contributo versato per
il rilascio di una concessione edilizia per
la realizzazione di un edificio da destinare
al culto od attività similari (nella specie,
si trattava di un "centro sociale della
spiritualità", annesso ad una oasi
francescana); in tal caso, infatti, deve
essere applicata la esenzione prevista
dall’art. 9, lett. f), della legge n. 10 del
1977, per la realizzazione di opere di
interesse generale, tali dovendosi
considerare tutti gli edifici direttamente
destinati alla fruizione della collettività
dei fedeli indipendentemente da ogni
denominazione (V. in termini Cons. Stato,
Sez. I, n. 62751/2001).
-------------
(v. tuttavia in senso diverso, TAR
Marche, Sez. I, sentenza 08.07.2003 n. 899,
riguardante una fattispecie di mutamento di
destinazione d’uso di un immobile da
magazzino a sede di una Congregazione
Cristiana dei Testimoni di Geova)
(massima tratta da www.regione.piemonte.it -
TAR Puglia-Bari, Sez. II,
sentenza 10.03.2011 n. 407 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI: SERVIZI
PUBBLICI LOCALI/ Tar Toscana: necessario
prevedere forti poteri di indirizzo da parte
del comune. Servizi in house con regole di
controllo certe.
Le concessionarie di servizi in house devono
avere regole di controllo certe. Il
servizio, svolto in house, dal
concessionario costituito con una società a
controllo pubblico deve prevedere forti
poteri di indirizzo della gestione da parte
del comune, pena la sua illegittimità.
Questa in buona sintesi è la massima della
recente decisione del TAR Toscana, Sez.
I (sentenza
01.03.2011 n. 377) che ha così
deciso su un ricorso di una privato che
chiedeva l'annullamento della deliberazione
di un comune che aveva provveduto ad
affidare direttamente il servizio di
accertamento, liquidazione e riscossione del
canone di pubblicità e del servizio delle
pubbliche affissioni.
La parte lamentava, nel caso specifico,
l'illegittimità della procedura di
affidamento, sotto alcuni profili, tra i
quali la violazione del giusto procedimento,
l'irragionevolezza e la disparità di
trattamento, non ultimo anche l'eccesso di
potere dell'amministrazione locale.
L'affidamento in house, ad avviso del
Tar della Toscana è legittimo, ed è prassi
consolidata negli enti locali; e lo può
essere anche in riferimento alla revoca di
una gara già indetta per una procedura di
affidamento di gestione di pubblici servizi,
allorquando l'ente locale ravvisi che la
gestione e la riscossione di entrate
comunali possa essere maggiormente
convenientemente gestita in house da una
società a capitale pubblico.
Ciò è confermato anche dalla sentenza n.
6137 del 30/11/2007 del Consiglio di stato.
Neppure è inibito al comune di procedere in
tal senso, avendo riguardo alla particolare
attività di gestione di tali servizi che
avendo caratteristiche di strumentalità non
rientra nei servizi di pubblica rilevanza,
sanciti dall'art. 23-bis del dl 112/2008 che
pone particolari norme all'affidamento a
soggetti sia pubblici che privati o anche a
composizione mista, di alcuni servizi aventi
rilevanza economica.
Infatti, osservano i giudici amministrativi
toscani, «trattandosi di attività
strumentale che esula dall'ambito di
applicazione dell'art. 23-bis, e che è
invece disciplinata dall'art. 52 legge n.
446/97 e dall'art. 13 dlgs 223/06, deve
quindi concludersi per la teorica
ammissibilità dell'istituto dell'in house».
I giudici ritengono però che devono
osservarsi le modalità di gestione del
servizio per giudicare sulla concreta
possibilità dell'affidamento in proprio.
La giurisprudenza, sul punto, verificando
anche le precedenti decisioni del Consiglio
di stato, ha chiarito che «il ricorso
all'affidamento in house è legittimo solo
allorché l'amministrazione pubblica eserciti
sull'ente distinto un controllo analogo a
quello che esercita sui propri servizi e
qualora l'ente svolga la parte più
importante della sua attività con
l'amministrazione o con gli enti pubblici
che lo detengono».
L'analisi è stata poi rivolta sui poteri
gestionali in seno alla società affidataria
del pubblico servizio di accertamento e
riscossione dei tributi locali, la quale
deve poter consentire all'ente pubblico, un
controllo analogo a quello effettuato per
altri tipologie di pubblici servizi.
In altre parole, occorre verificare che il
consiglio di amministrazione della società
di capitali affidataria in house non abbia
rilevanti poteri gestionali, e che l'ente
pubblico affidante (rispettivamente la
totalità dei soci pubblici) eserciti, pur se
con moduli societari su base statutaria,
poteri di ingerenza e di condizionamento
superiori a quelli tipici del diritto
societario, caratterizzati da un margine di
rilevante autonomia della governance
rispetto alla maggioranza azionaria, sicché
risulti indispensabile, che le decisioni più
importanti siano sottoposte al vaglio
preventivo dell'ente affidante o, in caso di
in house frazionato, della totalità degli
enti pubblici soci.
Nel caso in esame, invece il Tar ha
riscontrato dallo statuto sociale che il
consiglio di amministrazione della società
in house godeva di poteri decisori pressoché
assoluti, rispetto al vaglio dell'organo
amministrativo, lasciando aspetti puramente
formali all'ente locale, che non
consentivano ad esso il controllo richiesto
in merito alle decisioni prese dai vertici,
ciò in stridente contrasto con i principi
adesso elencati.
Del resto, la decisione del Consiglio di
stato dell'11/08/2010 n. 5620, a cui il Tar
implicitamente si richiama aveva stabilito,
che «gli enti partecipi alla società in
house possono esercitare il controllo
collettivamente, deliberando a maggioranza
all'interno degli organi sociali in cui
siedono i loro rappresentanti» e che i
requisiti dell'in house providing,
costituendo una eccezione alle regole
generali del diritto comunitario, vanno
interpretati in modo restrittivo.
Tale fatto, che riveste una importanza
generale, è stato ritenuto rilevante ai fini
della decisione nel caso in esame,
conseguendone, in concreto, che la procedura
di affidamento mediante il ricorso
all'istituto dell'in house è illegittima,
difettando il requisito del controllo
analogo in concreto richiesto per la sua
applicazione
(articolo ItaliaOggi
del 06.05.2011 - tratto da www.corteconti.it). |
AGGIORNAMENTO AL 02.05.2011 |
ã |
SINDACATI |
PUBBLICO IMPIEGO:
La trasformazione unilaterale da
part-time a full-time
(CGIL-FP di Bergamo,
nota 23.04.2011). |
DOTTRINA E
CONTRIBUTI |
URBANISTICA:
P. L. Portaluri,
IL PRINCIPIO DI PIANIFICAZIONE
(link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: R.
D'Isa,
Le luci e vedute
(link a www.iussit.eu). |
EDILIZIA PRIVATA:
R. D'Isa,
LE DISTANZE TRA LE COSTRUZIONI ex artt. 873
e ss. c.c.
(link a www.iussit.eu). |
CONSIGLIERI COMUNALI:
G. Andreassi,
LA REVOCABILITA' AD NUTUM
DELL'ASSESSORE NELLE AUTONOMIE LOCALI
(link a www.iussit.eu). |
INCARICHI PROGETTUALI:
Determinazione dell’Autorità per la
Vigilanza sui Contratti Pubblici di lavori,
servizi e forniture n. 5 del 27.07.2010
recante “Linee guida per l’affidamento
dei servizi attinenti all’architettura ed
all’ingegneria” - Analisi e commenti
(link a www.centrostudicni.it). |
UTILITA' |
SICUREZZA LAVORO:
Opere provvisionali e rischi di cadute
dall’alto.
L’ASL di Pavia ha pubblicato un documento
per la formazione degli studenti che tratta
le problematiche relative alle opere
provvisionali e ai rischi di caduta
dall’alto.
La pubblicazione è sintetica e di semplice
lettura; per ciascuna tipologia di opera
provvisionale vengono indicate tutte le
misure di sicurezza da adottare e i
riferimenti alle normative tecniche.
E’ così strutturata:
- Classificazione delle opere provvisionali
in base al loro utilizzo: opere di servizio,
opere di sicurezza e opere di sostegno;
- Definizione degli elementi costitutivi di
un ponteggio: elementi metallici (diagonale,
corrente, corrente di testata, cavalletto,
etc.), tipologie di parapetti, intavolati,
tipologie e modalità di ancoraggio;
- Altre tipologie di opere provvisionali:
ponti su cavalletti, trabattelli, scale,
etc. (link a www.acca.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Tracciabilità dei rifiuti (SISTRI),
finalmente il Testo Unico coordinato.
Prospetto di confronto e Tabella comparativa.
Pubblicato in Gazzetta Ufficiale il Decreto
del Ministero dell'Ambiente n. 52 del
18/02/2011, contenente il Nuovo Regolamento
sul sistema informatico di controllo della
tracciabilità dei rifiuti.
Il SISTRI (Sistema di controllo della
tracciabilità dei rifiuti) nasce nel 2009 su
iniziativa del Ministero dell'Ambiente e
della Tutela del Territorio e del Mare per
permettere l'informatizzazione dell'intera
filiera dei rifiuti speciali a livello
nazionale.
Il quadro normativo in materia di
tracciabilità dei rifiuti è stato piuttosto
frammentato; diversi sono i provvedimenti
che si sono susseguiti e hanno mutato la
disciplina del SISTRI, rinviando più volte
la data di avvio del sistema stesso.
Il nuovo regolamento si propone di
raccogliere in un testo unico e coordinato i
diversi decreti che hanno via via modificato
la disciplina del SISTRI, “...raggruppando
le definizioni, ridefinendo il testo delle
varie disposizioni che sono state modificate”
ed eliminando i riferimenti a norme non più
in vigore.
Il SISTRI è entrato in vigore il 10.10.2010,
ma sarà operativo in via esclusiva a partire
dal primo giungo 2011. Nel frattempo è
previsto un periodo transitorio (art. 12,
comma 2, del D.M. 17/12/2009).
In allegato a questo articolo, oltre al
testo del nuovo regolamento, vengono
proposti:
- un prospetto sintetico di confronto tra
gli articoli del nuovo testo e quelli dei
precedenti decreti;
- una tabella comparativa che evidenzia in
modo analitico le differenze tra i singoli
articoli (link a www.acca.it). |
GURI - GUUE -
BURL (e anteprima) |
AMBIENTE-ECOLOGIA: G.U.
26.04.2011 n. 95, suppl. ord. n. 107/L, "Regolamento
recante istituzione del sistema di controllo
della tracciabilità dei rifiuti, ai sensi
dell’articolo 189 del decreto legislativo
03.04.2006, n. 152 e dell’articolo 14-bis
del decreto-legge 01.07.2009, n. 78,
convertito, con modificazioni, dalla legge
03.08.2009, n. 102"
(Ministero dell'Ambiente e della Tutela del
Territorio e del Mare,
decreto 18.02.2011 n. 52).
---------------
Testo Unico Sistri.
Dopo una lunga attesa è stato pubblicato in
Gazzetta Ufficiale il Decreto Ministeriale
N. 52 del 18.02.2011 che riunifica in un
Testo Unico i 5 decreti emanati fino ad oggi
sul SISTRI, il Sistema automatico di
tracciabilità dei rifiuti.
A partire dal prossimo 11 maggio, tali
decreti cesseranno di produrre effetti per
essere sostituiti dal testo citato, che
contiene una coordinata e completa normativa
in materia.
E' importante sottolineare che comunque
restano invariate le proroghe finora
intervenute per l'avvio operativo del
sistema (01.06.2011) e per la trasmissione
dei dati di quanto prodotto e smaltito o
recuperato nel 2010 e nel 2011
(rispettivamente, 30 aprile e 31.12.2011).
Rimane intatto anche l'obbligo della tenuta
dei registri e dei formulari fino alla piena
funzionalità del Sistri.
Il Decreto ministeriale non interviene
invece sulla data di effettivo avvio del
sistema che resta fissata all'01.06.2011.
Il nuovo regolamento chiarisce che le
imprese e gli enti che effettuano operazioni
di recupero o di smaltimento e che sono
produttori di rifiuti derivanti da tali
attività devono iscriversi "anche"
come produttori indipendentemente dal numero
dei dipendenti. Ulteriori modifiche sono
state effettuate nei seguenti settori:
trasporto conto terzi, trasporto marittimo,
rifiuti pericolosi, rifiuti non pericolosi
(commento tratto da www.ecosportello.org).
---------------
Pubblicato in Gazzetta il
Testo Unico SISTRI.
E’ stato pubblicato nel Supplemento
Ordinario n. 107 della Gazzetta Ufficiale n.
95 del 26.04.2011, il Decreto del Ministero
dell'Ambiente e della Tutela del Territorio
e del Mare del 18.02.2011 n. 52 “Regolamento
recante istituzione del sistema di controllo
della tracciabilità dei rifiuti”.
Il provvedimento riunifica in un solo testo
tutti i cinque decreti finora emanati sul
Sistri che, dal prossimo 11 maggio (data di
entrata in vigore del Testo Unico),
cesseranno di produrre effetti. Resteranno
salve, tuttavia, le proroghe intervenute
per:
- l’avvio operativo del sistema fissato
all'01.06.2011;
- la trasmissione dei dati di quanto
prodotto e smaltito o recuperato nel 2010 e
nel 2011 (da effettuarsi rispettivamente
entro il 30 aprile ed il 31.12.2011).
Il Dm non incide nella sostanza sul quadro
esistente relativo al nuovo sistema di
tracciabilità dei rifiuti. Vengono,
tuttavia, introdotte importanti modifiche
che è opportuno evidenziare:
• viene spostato dal 31 gennaio al 30 aprile
il temine entro il quale è possibile versare
il contributo annuo. Si tratta di un vero e
proprio mutamento della disciplina di base.
Infatti, il 30 aprile rappresenterà il nuovo
termine per i versamenti da effettuare anche
in futuro. Per il 2011 è evidente il
disallineamento temporale tra il pagamento
entro il 30 aprile e l'entrata in vigore del
Dm (11 maggio). Tale disallineamento non
genererà però conseguenze dato che il quadro
sanzionatorio entrerà in vigore a partire
dall'01.06.2011;
• è prevista la possibilità per i
trasportatori in conto terzi (articolo 212,
comma 5, Dlgs 152/2006) di dotarsi del
dispositivo Usb (la chiavetta) relativo alla
sola sede legale oppure, in alternativa, di
un'ulteriore chiavetta per ciascuna unità
locale. In questo secondo caso, il
contributo va versato per ogni unità locale
dotata di chiavetta. Resta fermo l'obbligo
di pagare il contributo annuale e di dotarsi
di una chiavetta per ogni veicolo a motore
adibito al trasporto di rifiuti;
• viene confermata per la microraccolta ed
estesa alle attività di raccolta dei rifiuti
prodotti da attività di manutenzione (purché
i rifiuti siano trasportati direttamente
all'impianto di recupero o smaltimento da
parte del soggetto che ha effettuato la
manutenzione) la possibilità per il
trasportatore che intende movimentare
rifiuti pericolosi di non dover accedere
necessariamente almeno due ore prima al
sistema per la compilazione della scheda
Sistri Area movimentazione. L’importante è
che tale scheda venga compilata prima della
movimentazione medesima;
• per il trasporto marittimo dei rifiuti è
previsto che l'armatore o il noleggiatore
che effettuano il trasporto, possano
delegare gli adempimenti Sistri al
raccomandatario marittimo di cui alla legge
135/1977. In tal caso, il raccomandatario
consegna al comandante della nave la copia
compilata della scheda Sistri - Area
movimentazione. All'arrivo, il comandante
consegna la copia della scheda al
raccomandatario rappresentante l'armatore o
il noleggiatore presso il porto di destino;
• per i produttori di rifiuti pericolosi non
inquadrati in un'organizzazione di ente o di
impresa è prevista la possibilità di
adempiere all'obbligo di tenuta del registro
di carico e scarico attraverso la
conservazione, in ordine cronologico, delle
copie della scheda Sistri Area
movimentazione, relative ai rifiuti
prodotti.
Restano soggetti al registro di carico e
scarico i produttori di rifiuti non
pericolosi non obbligati ad iscriversi al
Sistri.
Si informa, inoltre, che sul sito
www.sistri.it,
nella Sezione “Manuali e Guide”, è
disponibile l’edizione aggiornata del
Manuale Operativo 2.4 del 26 aprile u.s., in
cui è stata aggiunta la procedura per la
gestione degli autoveicoli fuori uso (ELV) e
chiarimenti circa le modalità per allineare
il registro cronologico alle giacenze reali
prima dell'01.06.2011 (commento tratto da
www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com). |
CORTE DEI
CONTI |
INCARICHI PROGETTUALI:
No ai mutui per dare incarichi.
La spesa non può essere giustificata come
investimento. La Corte dei conti bacchetta
gli enti locali: l'elenco della Finanziaria
2004 è tassativo.
La spesa per il
conferimento di un incarico professionale
per la redazione di un piano urbanistico non
può essere finanziata dal comune attraverso
l'accensione di un mutuo o di un'altra forma
di indebitamento, in quanto non può essere
considerata quale spesa per investimento.
Questo, perché l'elenco delle operazioni
economiche che costituiscono investimenti,
contenuto all'art. 3, comma 18, della legge
Finanziaria 2004, è da considerasi tassativo
e, tra queste, non vi è menzionata la spesa
per la progettazione di un piano
urbanistico.
E' quanto hanno affermato le Sezz. riunite
di controllo della Corte dei Conti, nel
testo della
deliberazione 28.04.2011 n. 25,
dirimendo una questione di massima rilevanza
in merito alla possibilità di ricorrere
all'indebitamento per poter procedere
all'affidamento di un incarico professionale
per la redazione di un piano urbanistico.
...
(articolo
ItaliaOggi del 30.04.2011 -
tratto da www.ecostampa.com). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Dirigenti, i limiti agli
incarichi a tempo determinato.
Gli Enti locali possono
conferire incarichi dirigenziali a tempo
determinato entro il tetto dell’8% della
dotazione organica dei dirigenti; nel
calcolo dei resti devono procedere
all’arrotondamento all’unità superiore
solamente se si supera lo 0,5 per cento.
Si possono utilizzare tali possibilità
solamente a condizione che le
amministrazioni non abbiano quelle
professionalità tra i dirigenti in servizio.
La mancata abrogazione delle previsioni
dettate dal Tuel sulla copertura dei posti
dirigenziali vacanti tramite assunzioni a
tempo determinato, non si pone in contrasto
con il vincolo, introdotto dal Dlgs
150/2009, ad applicare le stesse regole
dettate per le amministrazioni statali.
Non vi sono invece novità sulla possibilità
offerta a tutte le amministrazioni locali,
ivi compresi i Comuni sprovvisti di
dirigenti, di conferire incarichi
dirigenziali a tempo determinato al di fuori
della propria dotazione organica entro il
tetto del 5% della stessa.
Sono queste le principali indicazioni che si
possono ricavare dalle
deliberazioni 08.03.2011 n. 12,
n. 13 e
n. 14, per molti
aspetti eguali, delle Sezz. riunite di
controllo della Corte dei Conti.
Siamo in presenza di un orientamento assai
restrittivo, che limita in misura molto
drastica l’autonomia regolamentare delle
singole amministrazioni locali.
Queste indicazioni possono creare numerosi
problemi a quegli enti in cui il numero dei
dirigenti a tempo determinato è superiore
alla soglia, assai bassa peraltro, fissata
dal legislatore.
È per molti versi evidente che la
magistratura contabile arriva a queste
conclusioni sulla base delle indicazioni
dettate dalla sentenza 324/2010 con cui la
Corte costituzionale ha ritenuto applicabili
alle Regioni (e di conseguenza si può
aggiungere anche agli Enti locali) queste
disposizioni e le ha giudicate come
costituzionalmente legittime.
LE PRONUNCE.
Queste pronunce risolvono i contrasti
interpretativi emersi tra la sezione
regionale di controllo della Lombardia, da
un lato, e quelle della Puglia e del Veneto,
dall’altra. Esse sono state sollecitate
dalle sezioni regionali del Piemonte, del
Friuli Venezia Giulia e del Molise.
Per la sezione di controllo lombarda, le
nuove regole limitative dettate dalla legge
Brunetta devono essere applicate in modo da
non limitare l’autonomia garantita agli Enti
locali dalla Costituzione.
Per le sezioni pugliese e molisana, invece,
le limitazioni vanno applicate tout court,
in quanto tale è la volontà del legislatore.
Le sezioni riunite di controllo hanno inteso
sciogliere una «questione di massima di
particolare rilevanza» e, pertanto, le sue
indicazioni hanno un carattere vincolante
per tutte le sezioni regionali di controllo
della magistratura contabile.
Viene ribadito che i quesiti posti devono
essere considerati ammissibili in quanto,
anche se non riguardano direttamente la
contabilità pubblica, toccano una materia,
il personale, che ha una notevole rilevanza
sulla spesa degli Enti locali e, di
conseguenza, ha grande importanza sul
coordinamento della finanza pubblica.
Lo stesso dubbio sulla estensione agli Enti
locali dei limiti dettati per lo Stato in
materia di conferimento di incarichi
dirigenziali a tempo determinato produce
effetti significativi sulla spesa dei Comuni
e delle Province.
In particolare, si ricorda che "la
conservazione o la perdita di strumenti che
offrono agli Enti locali una maggiore
flessibilità nella definizione degli assetti
organizzativi e nella gestione delle risorse
umane, è infatti destinata a incidere sulla
attività di programmazione del fabbisogno di
personale (quale complesso delle
professionalità necessarie all’esercizio
delle funzioni attribuite) a sua volta
correlata alle disponibilità di bilancio
dell’ente e improntata a principi di
contenimento degli organici e della spesa
programmata".
Viene inoltre evidenziato, con riferimento
al caso specifico, che «l’attuale vigenza
o meno della specifica disciplina dettata
dall’art. 110, con riferimento in
particolare alla possibilità di continuare a
effettuare conferimenti di incarichi
dirigenziali al di fuori della dotazione
organica, presenta evidenti riflessi di
diretta incidenza anche sulla sana gestione
finanziaria sulla tenuta degli equilibri di
bilancio».
LE NORME.
Ricordiamo che il nuovo testo dell’articolo
19 del Dlgs 165/2001 introdotto dalla legge
Brunetta, Dlgs 150/2009, ha stabilito che in
tutte le pubbliche amministrazioni si deve
applicare lo stesso tetto previsto per le
amministrazioni dello Stato per il
conferimento di incarichi dirigenziali a
tempo determinato, cioè il 10% per i
dirigenti di prima fascia e l’8% per quelli
di seconda fascia.
E ancora, tale disposizione ha stabilito,
riprendendone il contenuto sintetizzato
dalla Corte dei conti, che viene «consentito
il ricorso agli incarichi esterni nelle sole
ipotesi in cui non si rinvengono,
all’interno delle amministrazioni, persone
dotate della qualificazione professionale
richiesta; introdotto la necessità di
motivare in modo esplicito le ragioni per le
quali si intende attingere a professionalità
esterne; precisato il meccanismo di computo
dei limiti percentuali della dotazione
organica (il quoziente derivante
dall’applicazione di tale percentuale, è
arrotondato all’unità inferiore, se il primo
decimale è inferiore a cinque, o all’unità
superiore, se esso è uguale o superiore a
cinque)».
Il dubbio affrontato dalle deliberazioni
delle sezioni riunite di controllo della
Corte dei conti riguarda la sopravvivenza o
meno delle disposizioni contenute
nell’articolo 110, commi 1 e 2, del Dlgs
267/2000. Il comma 1 stabilisce che i
regolamenti possono prevedere la copertura,
senza limiti, dei posti dirigenziali vacanti
attraverso il conferimento di incarichi a
tempo determinato. Il comma 2 stabilisce
che, in tutti gli enti -ivi compresi quelli
senza dirigenti-, possono essere conferiti
incarichi dirigenziali a tempo determinato
per posti extra dotazione organica entro il
tetto del 5% della stessa e comunque per
almeno una unità.
LE INDICAZIONI.
Per la citata sentenza della Corte
costituzionale, 324/2010, «il
conferimento di incarichi dirigenziali a
soggetti esterni si realizza mediante la
stipulazione di un contratto di lavoro di
diritto privato», il che determina la
conseguenza che la «disciplina della fase
costitutiva di tale contratto, così come
quella del rapporto che sorge per effetto
della conclusione di quel negozio giuridico,
appartengono alla materia dell’ordinamento
civile».
Il parere ci dice inoltre che «la
disciplina dettata dall’art. 19, comma 6,
del Dlgs 165/2001 non riguarda né procedure
concorsuali pubblicistiche per l’accesso al
pubblico impiego, né la scelta delle
modalità di costituzione di quel rapporto
giuridico.
Essa, valutata nel suo complesso, attiene ai
requisiti soggettivi che debbono essere
posseduti dal contraente privato, alla
durata massima del rapporto, ad alcuni
aspetti del regime economico e giuridico ed
è pertanto riconducibile alla
regolamentazione del particolare contratto
che l’amministrazione stipula con il
soggetto, a essa esterno, cui conferisce
l’incarico dirigenziale»… «l’art. 19,
comma 6 del Dlgs 165/2001 non riguarda né
procedure concorsuali pubblicistiche per
l’accesso al pubblico impiego né la scelta
delle modalità di costituzione di quel
rapporto, con la conseguenza che non può
rilevarsi alcuna violazione degli art. 117 e
119 della Costituzione giacché la norma
impugnata non attiene a materie di
competenza concorrente (coordinamento della
finanza pubblica) né di competenza residuale
regionale (organizzazione delle Regioni e
degli uffici regionali, organizzazione degli
Enti locali)».
I POSTI VACANTI.
Su questa base i pareri delle sezioni
riunite di controllo della Corte dei conti
risolvono il contrasto con le previsioni
contenute nell’articolo 110 del Dlgs
267/2000. Il parere n. 12 espressamente
chiarisce che le nuove disposizioni
legislative non possono essere considerate
come «completamente sovrapponibili»
con quelle dettate nel comma 1; da qui la
conseguenza che non si deve parlare di «abrogazione
tacita».
Nonostante la mancata abrogazione in modo
espresso il nuovo tetto massimo alle
assunzioni a tempo determinato di dirigenti
negli Enti locali è pienamente operante
perché previsto in disposizioni di carattere
generale e di principio del Dlgs 150/2009.
Esse peraltro riguardano «presupposti di
fatto attinenti la costituzione del rapporto
di lavoro»; per cui si deve arrivare
alla conclusione che «appare coerente con
l’interpretazione accolta dalla Corte
costituzionale ritenere che siano
immediatamente vincolanti per gli enti
territoriali». In questo senso vanno
anche i principi di limitazione dello
spoil system previsti dalla legge
15/2009, cioè dalla norma di delega, e
ancora le indicazioni dettate dalla
giurisprudenza della Corte costituzionale,
cioè «l’orientamento restrittivo nei
confronti della c.d. dirigenza fiduciaria,
privilegiando, per l’accesso alla dirigenza,
il ricorso a procedure selettive pubbliche
e, per il conferimento dei relativi
incarichi, la dirigenza di ruolo».
Il parere non contiene indicazioni sulla
applicabilità delle nuove limitazioni alla
assunzione di responsabili negli enti
sprovvisti di dirigenza, anche se tra le
righe sembra propendere per una lettura
estensiva.
EXTRA DOTAZIONE.
Il successivo parere n. 14 chiarisce che il
comma 2 di tale articolo si occupa di «una
fattispecie del tutto diversa da quella
disciplinata dal comma precedente, in quanto
volta a sopperire a esigenze gestionali
straordinarie che, sole, determinano
l’opportunità di affidare funzioni, anche
dirigenziali, extra dotationem e quindi al
di là delle previsioni della pianta organica
dell’ente locale che, invece, cristallizza
il fabbisogno ordinario di risorse umane.
La possibilità riconosciuta agli enti
territoriali, in ragione della propria
autonomia organizzativa, di reperire
dirigenti, alte specializzazioni e
funzionari dell’area direttiva al di fuori
della dotazione organica rappresenta dunque
un peculiare strumento gestionale di grande
flessibilità che, calibrato alle esigenze
strutturali degli Enti locali, appare
funzionale soprattutto agli enti di ridotte
dimensioni». Siamo in presenza di una
disposizione che non si deve considerare
compresa tra quelle dettate per le
amministrazioni statali.
La conferma del carattere particolare di
questa disposizione è ulteriormente
sottolineata, ci dice la deliberazione,
dalla presenza, in questo caso, di limiti
più stringenti per l’autonomia dei singoli
enti. Per cui si «esclude la
configurazione, nel caso all’esame, di una
ipotesi di incompatibilità tra norme tali da
rendere impossibile la loro contemporanea
applicazione alla luce del rispettivo
principio ispiratore».
TETTO NUMERICO.
Tutte e tre le deliberazioni chiariscono che
il tetto deve essere considerato all’8% in
quanto nel comparto Regioni ed Enti locali
non vi è la differenziazione in 2 fasce
prevista per le amministrazioni statali e
non si può assumere come base di riferimento
l’aliquota destinata alla prima fascia, in
cui sono inquadrati i dirigenti generali, in
quanto tali figure non sono previste in tale
comparto.
E infine viene chiarito che si deve
applicare negli Enti locali la disposizione
che detta le regole da seguire per il
calcolo dei resti, con approssimazione
all’unità inferiore se minore di 0,5 e
all’unità maggiore se più elevato di tale
aliquota (commento tratto da
www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com).
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Si legga anche l'articolo
27.04.2011 di ItaliaOggi. |
SEGRETARI COMUNALI: Segretari,
Ccnl senza ulteriori oneri.
Il galleggiamento degli stipendi dei
segretari comunali e provinciali non
gonfierà le pensioni e il trattamento di
fine rapporto. Perché se così fosse si
determinerebbe un aggravio per il sistema
pensionistico, in assenza di una specifica
copertura finanziaria.
Il chiarimento, per certi versi implicito,
sugli effetti del meccanismo retributivo
individuato dal nuovo contratto dei
segretari (firmato il 1 marzo scorso, si
veda ItaliaOggi del 02/03/2011) per
equipararne la retribuzione a quella dei
dirigenti degli enti locali, arriva dalle
sezioni unite di controllo della Corte dei
conti.
Nella
deliberazione 02.03.2011 n. 11,
ma pubblicata sul sito internet della
magistratura contabile solo ieri, i giudici
erariali hanno accolto la richiesta di
palazzo Chigi di inserire nel Ccnl relativo
al biennio economico 2008-2009 una clausola
che espressamente chiarisca che il «conglobamento
nello stipendio tabellare della retribuzione
di posizione (l'escamotage individuato per
realizzare il galleggiamento ndr) di cui
all'art. 3, comma 5; dell'ipotesi di accordo
non modifica le modalità di determinazione
della base di calcolo in atto del
trattamento pensionistico e dei trattamenti
di fine servizio comunque denominati».
Com'è noto, il nuovo contratto dei
segretari, nell'impossibilità di completare
l'allineamento stipendiale utilizzando
esclusivamente le risorse disponibili, ha
previsto all'art. 3, comma 5, il
conglobamento nello stipendio tabellare dei
segretari di una quota della retribuzione di
posizione, disponendo contestualmente una
riduzione di pari valore di quest'ultimo
emolumento. In questo modo è stata
assicurata l'equiparazione del trattamento
retributivo dei segretari a quello stabilito
«per la funzione dirigenziale più elevata
nell'ente in base al contratto collettivo
dell'area della dirigenza».
La cautela richiesta dalla presidenza del
consiglio per non gravare sui conti pubblici
nasce dal fatto che incrementi dello
stipendio tabellare, realizzati, come nel
caso di specie, attraverso riduzioni del
valore di altre componenti retributive,
avrebbero potuto determinare, a giudizio
della Corte, un aumento della base di
riferimento (costituita dall'ultimo
stipendio e da altri assegni tassativamente
indicati dalla legge n. 177/1976) su cui
applicare la maggiorazione del 18% prevista
dalla legge. Con evidenti effetti deleteri a
carico del sistema pensionistico in assenza
di copertura finanziaria. La Corte ha
condiviso tale cautela e ha chiesto, e
ottenuto, che un'assicurazione in tal senso
venisse recepita nel testo del contratto
(articolo
ItaliaOggi del 28.04.2011 - link a www.corteconti.it). |
CONSIGLIERI COMUNALI: Il
sindaco condannato deve risarcire il danno.
Se il sindaco, all'atto della presentazione
della sua candidatura, ha omesso di
dichiarare la presenza di condanne a suo
carico tali da renderlo, per espressa
previsione normativa, incandidabile, oltre a
subire la rimozione immediata dalla carica,
deve altresì risarcire l'amministrazione
locale di tutte le spese da questa sostenuta
per garantire 11 corretto svolgimento della
consultazione elettorale, vale a dire i
compensi dei componenti dei seggi elettorali
e gli straordinari del personale comunale.
È quanto ha sancito la sezione
giurisdizionale della Corte dei Conti
siciliana, nel testo della
sentenza 28.12.2010 n. 2959, da
poco resa nota, con la quale ha condannato
l'ex sindaco del comune di Forza d'Agro (Me)
che nel giugno 2006 si era candidato, con
successo, alla carica di primo cittadino.
Il tutto, nonostante lo stesso avesse
omesso, all'atto della candidatura, di
dichiarare il fatto che era stato condannato
(con sentenza poi divenuta definitiva) per
una pena superiore ai sei mesi a seguito
della commissione di un reato con violazione
dei doveri inerenti a una pubblica funzione.
Reato questo che la legge prevede come causa
ostativa allo svolgimento del mandato
elettorale e che gli è, ovviamente, costato
la poltrona di primo cittadino, ma solo nel
giugno del 2007.
La procura siciliana, pertanto, alla luce
delle risultanze del processo penale,
richiedeva nei confronti dell'ex primo
cittadino, la rifusione a favore delle casse
dell'ente locale di tutti i compensi erogati
ai componenti delle sezioni elettorali e di
quei dipendenti che, a titolo di lavoro
straordinario, avevano reso possibile il
regolare svolgimento della tornata
elettorale, in quanto, nei confronti dell'ex
sindaco, si individuava «una dolosa
violazione delle regole finalizzate al
conseguimento della carica di sindaco»
e, quindi, il danno derivante al comune per
aver inutilmente sostenuto le spese indicate
per la tornata elettorale del giugno 2006.
Il collegio giudicante della magistratura
contabile siciliana ha pienamente accolto le
tesi del requirente. Infatti, come affermato
anche dalla suprema corte di Cassazione,
qualora un candidato, eletto alla carica di
sindaco, sia successivamente dichiarato
decaduto per aver subito in precedenza una
condanna penale ostativa all'elezione,
questo si traduce in un difetto di un
requisito soggettivo per l'elettorato
passivo che non può nemmeno essere sanato da
un eventuale indulto intervenuto nel
frattempo.
Ne deriva, pertanto, che «le spese
sostenute dal comune sono state del tutto
inutili e, pertanto, costituiscono danno
erariale riconducibile alla condotta dolosa
del convenuto»
(articolo
ItaliaOggi del 26.04.2011 - link a www.corteconti.it). |
NEWS |
CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO
VIMINALE/ Consiglieri nella pro loco.
Incompatibilità da valutare caso per caso.
Necessario esaminare la natura dei rapporti
tra l'ente locale e l'associazione.
Sussiste una causa
d'incompatibilità per un consigliere
comunale che è componente del consiglio
direttivo della locale pro loco, costituita
per finalità di promozione sociale e
turistica del comune?
La fattispecie deve essere esaminata in
ragione di entrambe le statuizioni recate
dal comma 1, nn. 1 e 2, dell'art. 63 del
dlgs n. 267/2000 e non solo in ragione di
quella recata dal numero 1 del citato comma.
In merito alla posizione del consigliere
comunale rispetto al consiglio direttivo
dell'associazione, se, cioè lo stesso possa
esserne ritenuto amministratore, occorre
precisare che, in genere, i poteri del
consiglio direttivo sono quelli di gestire
l'associazione, promuoverne le attività e
amministrarla.
Se dalla lettura degli articoli dello
statuto dell'associazione dedicati agli
organi, si evince che il consiglio direttivo
è investito dei poteri per la gestione
ordinaria della pro loco, mentre il
presidente dell'associazione ha la
responsabilità dell'amministrazione e
rappresenta l'associazione di fronte ai
terzi ed in giudizio e che lo stesso
consiglio direttivo, su proposta del
presidente, può deliberare di attribuire
speciali incarichi ai singoli componenti in
determinati, specifici settori di
competenza, appare delinearsi il
conferimento al consiglio direttivo dei
poteri ordinari di amministrazione
dell'ente, che spettano ai componenti di
norma collegialmente, mentre sono esclusivi
di ciascun membro in caso di attribuzione di
specifica competenza.
Secondo un consolidato indirizzo
giurisprudenziale, con il termine
«amministratore» il legislatore ha inteso
alludere a tutti i componenti dell'organo
collegiale cui è affidata l'amministrazione
di un ente, istituto, azienda, muniti o meno
di poteri di rappresentanza.
L'espressione «con poteri di
rappresentanza o di coordinamento» contenuta
nel comma 1 dell'art. 63 del Tuel, che
sembrerebbe limitare l'ambito applicativo
della norma, «è riferibile ai soli
dipendenti e non già agli amministratori».
È stato osservato, infatti, che la qualifica
di amministratore è di per sé rilevante ai
fini della determinazione del potenziale
conflitto d'interessi che la norma mira a
scongiurare e prescinde finanche dalla
concreta partecipazione alle sedute del
consiglio (cfr. Cass., sez. I civ.,
25/06/1987, n. 5594).
Dunque, la posizione dell'amministratore
locale dovrà essere esaminata in relazione
ai rapporti che concretamente legano l'ente
locale all'associazione pro loco.
Qualora il comune avesse instaurato con
l'associazione un rapporto di sovvenzione,
la posizione del consigliere comunale in
questione deve essere esaminata alla luce
del disposto di cui all'art. 63, comma 1, n.
1; qualora, invece, fosse stato stipulato un
contratto per l'assolvimento di un servizio
nell'interesse del comune, la situazione
giuridica del consigliere comunale deve
essere disciplinata secondo quanto disposto
all'art. 63, comma 1, n. 2, prima parte,
mentre sarebbe priva di rilievo, in
relazione alla posizione del consigliere,
l'insussistenza di qualsiasi rapporto di
natura giuridica fra comune e associazione.
L'assenza della finalità di lucro
nell'associazione non è sufficiente ad
escludere la sussistenza dell'ipotesi
d'incompatibilità. Il comma 2 dell'art. 63
ha, infatti, escluso l'applicazione della
suddetta ipotesi solo per coloro che hanno
parte in cooperative sociali, iscritte
regolarmente nei registri pubblici, dal
momento che solo tali forme organizzative
offrono adeguate garanzie per evitare il
pericolo di deviazioni nell'esercizio del
mandato da parte degli eletti e il
conflitto, anche solo potenziale, che la
medesima persona sarebbe chiamata a dirimere
se dovesse scegliere tra l'interesse che
deve tutelare in quanto amministratore
dell'ente che gestisce il servizio e quello
che deve garantire in quanto consigliere del
comune che di quel servizio fruisce.
In conformità al principio generale secondo
cui ogni organo collegiale deve deliberare
innanzitutto sulla regolarità dei titoli di
appartenenza dei propri componenti, la
contestazione della causa ostativa
all'espletamento del mandato è compiuta con
la procedura consiliare prevista dall'art.
69 del citato decreto legislativo, che
garantisce comunque il corretto
contraddittorio tra organo e amministratore,
assicurando a quest'ultimo l'esercizio del
diritto di difesa e la possibilità di
rimuovere entro un congruo termine la causa
d'incompatibilità contestata
(articolo ItaliaOggi del 29.04.2011). |
ENTI LOCALI: Multe
a bilancio con prudenza. Nei preventivi solo
i proventi incassati negli ultimi anni. Gli
introiti vanno destinati all'incentivazione
dei vigili e inseriti nel fondo risorse
decentrate.
Nei bilanci preventivi i
comuni devono inserire la quantità stimata
di proventi derivanti dalle sanzioni per le
violazioni al codice della strada; nella
eventuale erogazione di una quota di tali
entrate ai vigili urbani devono essere
ancora più rigorosi e corrispondere risorse
il cui incasso sia certo.
Si deve invece chiarire se, alla luce del
tetto dettato al fondo per le risorse
decentrate negli anni 2011, 2012 e 2013 le
amministrazioni comunali possano prevedere
un aumento, rispetto al 2010, della quota
destinata alla incentivazione del personale.
Tali somme non vanno inserite nella spesa
del personale. Queste risorse possono essere
spese unicamente attraverso gli istituti
contrattuali esistenti, ivi compreso il
lavoro straordinario.
La possibilità di destinare alla
incentivazione dei vigili una quota dei
proventi derivanti dalle sanzioni al codice
della strada è stata introdotta dal
legislatore nella scorsa estate. La
destinazione a tale finalità di una quota di
tali risorse determina la diminuzione del
quantum va alle altre voci, quali la
segnaletica, la manutenzione delle strade,
le assunzioni flessibili ecc. Come per tutte
le altre voci occorre essere assolutamente
certi della quantità di risorse disponibili.
A tale cifra si deve arrivare non
considerando né le previsioni di multe
irrogate né di quelle riscosse, ma degli
incassi effettivi. Il modo migliore per
soddisfare questa esigenza è costituito
dalla quantificazione sulla base dei
proventi effettivamente incassati negli
ultimi anni.
I proventi derivanti dalle sanzioni per le
violazioni al codice della strada destinati
alla incentivazione dei vigili devono
affluire al fondo per le risorse decentrate
e ciò perché, sulla base dei principi
dettati dal dlgs n. 165/2001, tutte le forme
di trattamento economico del personale,
siano esse accessorie o fondamentali, devono
essere oggetto di contrattazione collettiva.
Si deve chiarire se queste entrate del fondo
devono essere qualificate come risorse
provenienti da specifiche norme di legge
ovvero dalla attivazione di nuovi servizi.
In ogni caso, la incentivazione dei vigili
deve essere direttamente connessa a
prestazioni aggiuntive, vuoi in termini di
aumento dell'orario vuoi nei servizi resi.
Si pone, sulla base delle previsioni
dell'articolo 9, comma 2-bis, del dl n.
78/2010, la cd manovra estiva, cioè il tetto
posto all'ammontare del fondo per la
contrattazione decentrata, il dubbio se
queste risorse possano superare quanto
stanziato allo stesso titolo nell'anno 2010.
Tema che peraltro si pone anche per tutte le
altre forme di incentivazione del personale
previste da specifiche norme di legge. I
primi orientamenti sono negativi: in questo
senso vanno le indicazioni fornite dalla
sezione regionale di controllo della Corte
dei conti del Piemonte.
Indicazione che, se confermata, si
applicherà anche alle incentivazioni
previste per il personale degli uffici
tecnici per la realizzazione di opere
pubbliche e la progettazione di strumenti
urbanistici, ai dipendenti degli uffici
tributi per i maggiori gettiti Ici, agli
avvocati per i contenziosi che hanno visto
l'ente vincitore e ai dipendenti utilizzati
per la istruzione delle domande di condono
edilizio. E che, di fatto, visto che la
novità legislativa è della scorsa estate,
determinerebbe la impossibilità di
utilizzazione di questo strumento nel
prossimo triennio. Sulla base dei principi
dettati dalle sezioni riunite di controllo
della Corte dei conti che escludono dalla
spesa per il personale quelle che sono
finanziate da privati e del parere del
ministero dell'interno che esclude da tale
computo le quote destinate alle assunzioni
flessibili, si deve ritenere che anche la
incentivazione dei vigili non debba entrare
nella spesa del personale.
Si deve infine evidenziare che queste
risorse devono essere utilizzate o come
incremento a destinazione vincolata del
fondo per il lavoro straordinario o con uno
degli istituti previsti dal contratto
nazionale. E cioè la erogazione della
indennità di turno, in particolare delle
maggiorazioni per quelli notturni e/o
festivi ovvero della produttività. Il che
richiede la assegnazione preventiva di
obiettivi aggiuntivi e la verifica del loro
effettivo raggiungimento
(articolo
ItaliaOggi del 29.04.2011 - link a www.corteconti.it). |
VARI: Le
multe stradali si pagano a rate. La
dilazione oltre i 200 euro. Ma l'iter può
durare a lungo. Circolare del ministero
dell'interno sulla riforma del codice. Il
ricorso al giudice di pace.
I trasgressori stradali
in difficoltà possono già accedere alla
rateizzazione delle sanzioni pecuniarie e
proporre ricorso al giudice di pace in caso
di rigetto della domanda di ammissione al
beneficio. Ma per chi incorre nella
sospensione della patente di guida la
speranza di ottenere un permesso di guida ad
ore viene limitato alle ipotesi di semplice
infrazioni amministrative e non più ammesso
per i reati.
Sono queste le novità più interessanti in
materia di circolazione stradale diramate
dal Ministero dell'interno con la
circolare 22.04.2011 n. 6535
integralmente dedicata alla legge 120/2010.
A seguito della riforma stradale dello
scorso agosto sono tante le questioni
irrisolte per le quali l'organo di
coordinamento dei servizi di polizia
stradale tenta di fornire precise
indicazioni operative, anche per la mancanza
dei decreti attuativi previsti per legge.
Con la nota pasquale sono state fornite
innanzitutto indicazioni sulla possibilità
di rateizzare le multe. In questo caso anche
in mancanza del previsto decreto a parere
del ministero le novità introdotte con
l'art. 202-bis del codice stradale possono
già trovare applicazione concreta. Per le
sanzioni di importo superiore a 200 euro
l'interessato può quindi già chiedere, entro
30 giorni, la ripartizione del pagamento in
rate mensili, qualora si trovi in condizioni
economiche disagiate. La presentazione
dell'istanza preclude la facoltà di
ricorrere al prefetto o al giudice di pace.
Entro novanta giorni l'autorità deve
adottare un provvedimento di accoglimento o
di rigetto contro il quale a parere del
Mininterno è possibile proporre ricorso
entro 30 giorni al giudice di pace
nonostante il silenzio della legge in
proposito. In caso di accoglimento della
richiesta il pagamento potrà essere
ripartito fino a 60 rate, con l'applicazione
di interessi. L'ammontare di ciascuna rata
comunque non può essere inferiore a 100
euro. L'organo accertatore dovrà poi
verificare la regolarità dei pagamenti
rateali in quanto il beneficio decadrà in
caso di mancato pagamento della prima rata o
successivamente di due rate.
Novità sfavorevoli ai trasgressori
interessati invece ad ottenere il permesso
di guida ad ore. Nonostante il silenzio
dell'art. 218 cds a parere dell'organo di
coordinamento dei servizi di polizia
stradale questo discusso beneficio non può
essere rilasciato in caso di sospensione
della patente derivante da reato (e in caso
di sinistro).
A seguito dell'entrata in vigore della legge
n. 120/2010, dal 13 agosto 2010 in caso di
violazione grave, per la quale è prevista la
sanzione accessoria della sospensione della
patente, il titolare può chiedere al
prefetto, entro cinque giorni dal ritiro
effettuato dall'organo di vigilanza
stradale, un permesso per guidare in
determinate fasce orarie. In pratica
l'interessato può essere ammesso a circolare
al massimo tre ore al giorno, per motivi di
lavoro, se è impossibile o estremamente
gravoso raggiungere il posto di impiego con
mezzi pubblici o comunque non propri oppure
se deve assistere una persona disabile.
Per l'esame della richiesta la prefettura è
tenuta a valutare i motivi documentati,
oltre alla gravità della violazione commessa
e al pericolo che potrebbe derivare
dall'ulteriore circolazione
dell'interessato. In caso di accoglimento
della richiesta, il conducente verrà
autorizzato a guidare per non più di tre ore
al giorno, con precisa indicazione delle
fasce orarie e dei giorni. Nel contempo,
però, il periodo di sospensione della
patente subirà l'aumento per un numero di
giorni pari al doppio delle ore complessive
per le quali viene autorizzata la guida,
arrotondato per eccesso. L'autorizzazione
alla guida in caso di sospensione della
licenza può essere concessa però una sola
volta. Chi circolerà in difformità dalle
prescrizioni del prefetto sarà punito con le
stesse sanzioni previste per chi guida con
la patente sospesa: multa da 1.842 a 7.369
euro, revoca della patente, fermo
amministrativo del veicolo per tre mesi e,
in caso di reiterazione, confisca
amministrativa.
A parere del ministero l'inasprimento delle
misure contro la guida alterata contrasta
però con la possibilità di ammettere al
beneficio i trasgressori incorsi in reati
stradali. Quindi non si può concedere alcun
permesso di guida ai conducenti più
negligenti
(articolo ItaliaOggi
del 29.04.2011). |
LAVORI PUBBLICI: Finanza
di progetto anche per opere fuori
programmazione. Nel decreto sviluppo molte
modifiche al codice appalti già all'esame
del parlamento.
Finanza di progetto
anche per opere non in programmazione, tetti
alle riserve in fase di esecuzione
dell'appalto, esclusione automatica sotto
soglia fino al 2013, procedura negoziata
fino a 1 milione di euro ma con dieci
imprese invitate e post-informazione,
semplificazione della disciplina sulle cause
di esclusione.
Sono questi alcuni dei punti principali,
relativi alle opere pubbliche, sui quali si
articolerà il prossimo decreto legge sullo
sviluppo, ferma restando l'attenta verifica
dei requisiti di necessità e urgenza che
andrà fatta per non incorrere in censure da
parte del Quirinale.
Si tratta, nella sostanza, di modifiche al
Codice dei contratti pubblici che investono
materie sulle quali sta, in alcuni casi, già
discutendo il parlamento. È il caso, per
esempio, delle modifiche alla procedura
negoziata senza bando di gara (la più nota
trattativa privata) per la quale al senato,
nell'ambito del ddl statuto di impresa, si
prevede l'innalzamento della soglia dei 500
mila euro fino a un milione e mezzo. ...
(articolo
ItaliaOggi del 29.04.2011 - link a www.corteconti.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: Una
deregulation sul rumore. Autorizzazioni
alleggerite per le piccole e medie imprese.
Deregulation sul rumore. Grazie a un
alleggerimento delle procedure autorizzative
in particolare per le piccole imprese, per
le quali saranno anche ridotti gli impegni
economici necessari per contenere
l'inquinamento acustico. Un esempio: nel
settore dell'edilizia dovrà esserci,
attraverso una delega al governo, la
semplificazione delle autorizzazioni in
materia di requisiti acustici passivi degli
edifici.
Sono queste alcune delle novità contenute
nel disegno di legge 4059-A, la legge
Comunitaria 2010, che la 14 Commissione
permanente (Politiche dell'Unione europea)
della camera ha appena approvato e che,
quindi, è pronto per il passaggio in aula.
Il ddl (si veda ItaliaOggi del 22 e 23
aprile), oltre ad aggiornare la disciplina
in materia di inquinamento acustico,
stabilisce nuovi requisiti per
l'installazione degli impianti di
distribuzione di benzina, riordina la
disciplina in materia di emissioni
industriali e sostituisce le norme in
materia di etichettatura con particolare
riferimento agli aromi.
Diverse le modifiche proposte rispetto il
testo a suo tempo approvato dal senato in
prima lettura il 2 febbraio scorso. In
alcuni casi, peraltro, il testo contiene
interi nuovi articoli relativi a materie che
non erano state nemmeno prese in
considerazione dal senato. Uno di questi è
l'articolo 32 del disegno di legge che dà
delega al governo di armonizzare il diritto
interno in materia di inquinamento acustico,
ovvero il Testo unico 447/1995. In
particolare, ...
(articolo
ItaliaOggi del 26.04.2011 - link a www.corteconti.it). |
AUTORITA'
VIGILANZA CONTRATTI PUBBLICI |
APPALTI:
Chiarimenti in ordine all’applicazione
delle sanzioni alle imprese previste
dall’articolo 74 del D.P.R. 05.10.2010, n.
207 (determinazione
06.04.2011 n. 3 - link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI:
Indicazioni operative inerenti la
procedura negoziata senza previa
pubblicazione del bando di gara nei
contratti di importo inferiore alla soglia
comunitaria, con particolare riferimento
all’ipotesi di cui all’articolo 122, comma
7-bis del decreto legislativo 12.04.2006, n.
163
(determinazione
06.04.2011 n. 2 - link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI:
Comunicazioni relative ai Certificati di
esecuzione dei lavori pubblici (comunicato
del Presidente 02.02.2011 - link
a www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI:
Questioni interpretative concernenti la
disciplina dell’articolo 34 del d.lgs.
163/2006 relativa ai soggetti a cui possono
essere affidati i contratti pubblici (determinazione
21.10.2010 n. 7 - link a
www.autoritalavoripubblici.it).
---------------
IL CONSIGLIO Ritiene che:
1.
l’elenco riportato nell’articolo 34 del
D.lgs. 163/2006 non è da considerarsi
esaustivo dei soggetti di cui è ammessa la
partecipazione alle gare indette per
l’affidamento dei contratti pubblici;
2.
gli accordi tra amministrazioni non possono
essere stipulati in contrasto con la
normativa comunitaria, in particolare non
devono interferire con il perseguimento
dell’obiettivo della libera circolazione dei
servizi e dell’apertura del mercato degli
appalti pubblici alla concorrenza, nel
rispetto dei principi illustrati nella
presente determinazione. |
INCARICHI PROGETTUALI:
LINEE GUIDA PER L'AFFIDAMENTO DEI SERVIZI
ATTINENTI ALL'ARCHITETTURA ED ALL'INGEGNERIA
(determinazione
27.07.2010 n. 5 - link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI SERVIZI: In
linea di principio, non è possibile in un
unico contesto aggiudicare la gestione delle
camere mortuarie agli stessi soggetti che
svolgono sul libero mercato l’attività di
onoranze funebri a causa della differente
natura delle attività che vengono in
rilievo, l’una con connotati pubblicistici,
volta ad adempiere agli obblighi che
discendono dalle disposizioni di polizia
mortuaria a tutela delle esigenze di igiene
e salute pubblica, l’altra di natura
economico imprenditoriale, volta a garantire
a chi l’esercita un profitto economico (Cfr.
Cons. Stato, Sez. V, sentenza n. 1639 del
12.04.2005; TAR Liguria, Sez. II, sentenza
n. 977 del 26.06.2005; TAR Liguria, Sez. II,
sentenza n. 1781 del 30.12.2003).
La commistione tra tali attività
ontologicamente diverse può, infatti, creare
un’alterazione della libera concorrenza sia
nel settore dei servizi di gestione delle
camere mortuarie e delle attività connesse
al decesso dei pazienti sia nel settore dei
servizi funebri, in quanto l’impresa che
opera in quest’ultimo ambito potrebbe
presentare in una gara per l’affidamento
della gestione delle camere mortuarie
un’offerta particolarmente bassa, che non
garantisce l’effettiva qualità dei servizi
resi all’Amministrazione, ovvero che non
rispecchia il reale rapporto tra prezzi e
prestazioni, pur di assicurarsi all’interno
dei locali ospedalieri una posizione di
indubbio privilegio, che le consente di
entrare in contatto con la potenziale
clientela delle proprie attività
privatistiche
(parere
di precontenzioso 22.07.2010 n. 146
- link a www.autoritalavoripubblici.it). |
LAVORI PUBBLICI: In
virtù di quanto disposto all’art. 40, co. 4,
lett. f, del Codice dei contratti e
dall’art. 15-bis del D.P.R. 34/2000 la
durata di efficacia dell’attestazione SOA è
complessivamente di cinque anni, purché
prima dello scadere del terzo anno dalla
data del rilascio dell’attestazione (almeno
60 giorni), l’impresa si sottoponga a
verifica e questa dia esito positivo. Solo
in questo caso, infatti, gli effetti della
verifica, decorrono dalla data di scadenza
del triennio e, quindi, l’impresa rimane in
possesso della qualificazione senza
soluzione di continuità (cfr. parere n. 99
del 8 ottobre 2009).
Invece, ove la verifica sia compiuta dopo il
predetto triennio, benché abbia esito
positivo, i suoi effetti decorrono dalla
ricezione della comunicazione sul relativo
esito, che l’impresa interessata ha
ottenuto. Ciò significa che, decorso
inutiliter il termine della verifica
triennale, l’attestazione originaria non è
più efficace, e, il concorrente resta privo
del requisito di qualificazione fino al
rilascio di una nuova attestazione.
Conseguentemente l’impresa medesima non può
partecipare alle gare nel periodo decorrente
dalla data di scadenza del triennio alla
data di effettuazione della verifica con
esito positivo (cfr. AVCP Determinazione n.
6 del 21.04.2004, parere n. 227 del
09.10.2008)
(parere
di precontenzioso 22.07.2010 n. 145
- link a www.autoritalavoripubblici.it). |
LAVORI PUBBLICI: Le
imprese qualificate nella categoria OG11
possono partecipare a gare per l’affidamento
di lavori riconducibili alle categorie
specialistiche OS3, OS5, OS28 e OS30, purché
la disciplina speciale della singola gara
non lo vieti (cfr. AVCP parere n. 6 del
14.01.2010, parere n. 146 del 03.12.2009,
parere n. 207 del 31.07.2008)
(parere
di precontenzioso 22.07.2010 n. 144
- link a www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI: In
conformità al costante insegnamento della
giurisprudenza e sulla base del principio di
correttezza dell’azione amministrativa, come
correlato alla clausola generale di buona
fede, non è possibile traslare a carico del
soggetto partecipante alla gara le
conseguenze della condotta colposa della
s.a., attesa la duplice necessità di
tutelare sia l'affidamento ingenerato nelle
imprese partecipanti, sia l'interesse
pubblico al più ampio possibile confronto
concorrenziale, al fine di ottenere le
prestazioni richieste ad un prezzo quanto
più vantaggioso, in termini qualitativi e
quantitativi, per l’Amministrazione
(Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza n.
3384 del 21.06.2007, Consiglio di Stato,
Sez. V, sentenza n. 5064 del 17.10.2008,
Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza n.
1186 del 12.03.2007).
Per cui, in caso di errore commesso nella
redazione degli atti di gara, il conflitto
tra gli opposti interessi è stato
correttamente risolto dando applicazione e
prevalenza ai principi di tutela
dell’affidamento e della più ampia
partecipazione alla gara, potendosi
ricorrere in tal caso all’integrazione
documentale
(parere
di precontenzioso 22.07.2010 n. 143
- link a www.autoritalavoripubblici.it). |
LAVORI PUBBLICI: Dal
tenore letterale dell’art. 37, co. 13, del
Codice dei contratti risulta chiaramente che
deve sussistere una perfetta simmetria tra
quota di esecuzione dei lavori e quota di
effettiva partecipazione al raggruppamento,
mentre è imposta a livello sistematico
l’interpretazione secondo cui la quota di
partecipazione deve essere stabilita e
manifestata dai componenti del
raggruppamento in uno con la partecipazione
alla gara. Infatti, la definizione delle
quote di partecipazione ad un’A.T.I. non
riguarda la fase esecutiva del rapporto,
bensì il suo momento genetico; cosicché è
nella proposta contrattuale della parte che
deve risultare esplicitata l'identità del
soggetto contraente ossia, nel caso appunto
di partecipazione in associazione
temporanea, le quote attribuite a ciascun
componente.
La funzione della disposizione in esame è
del tutto evidente: tendere ad escludere
(fin dalla fase di celebrazione della gara e
non nel solo momento esecutivo)
partecipazioni fittizie o di comodo, come
spesso avveniva nella comune esperienza
prima dell'entrata in vigore dell’art. 13
della L. n. 109/1994 (cfr. C.G.A.,
31.03.2006, n. 116).
È onere dell'associazione, peraltro,
indicare nella domanda di partecipazione
ovvero nella dichiarazione nella quale
rappresentano all'Amministrazione
l'intendimento di costituire una
associazione temporanea di imprese, le
rispettive quote di partecipazione. Detto
adempimento vale anche in mancanza di
un'esplicita indicazione in tal senso del
bando di gara, che deve intendersi integrato
dalla inderogabile previsione di cui
all'articolo 37, commi 3 e 13, del D.Lgs. n.
163/2006
(parere
di precontenzioso 22.07.2010 n. 142
- link a www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI: Il
divieto generale di commistione tra le
caratteristiche oggettive dell’offerta e i
requisiti soggettivi dell’impresa
concorrente, conosce un’applicazione per
così dire “attenuata” solo quando
consente di rispondere in concreto alle
possibili specificità che le procedure di
affidamento degli appalti pubblici in talune
ipotesi presentano, come nel caso in cui
l’offerta tecnica non consista in un
progetto o in un prodotto ma si sostanzi
invece in un’attività, un facere
(cfr. parere n. 5 del 14.01.2010).
In tal senso, peraltro, si esprime anche il
costante e consolidato orientamento della
giurisprudenza del giudice amministrativo,
secondo cui, in materia di procedimenti ad
evidenza pubblica, il divieto di commistione
tra requisiti di partecipazione alla gara e
criteri di valutazione dell'offerta
costituisce un sicuro principio di
derivazione nazionale e comunitaria (cfr.
TAR Veneto, Venezia, Sez. I, 11.02.2009, n.
340; TAR Piemonte, Torino, Sez. I,
12.12.2008, n. 3135; TAR Sicilia, Catania,
Sez. III, 05.05.2008, n. 735; Cons. Stato,
Sez. V, 04.03.2008, n. 912; 08.03.2006, n.
1194; 13.11.2003, n. 7237; 16.04.2003, n.
1993) con la sola eccezione del diverso caso
in cui in cui gli aspetti organizzativi o le
esperienze pregresse, per il loro stretto
collegamento con lo specifico oggetto
dell’appalto, non vengano considerati in
quanto tali, ma come elemento incidente
sulle modalità esecutive dello specifico
servizio e, quindi, come parametro afferente
alle caratteristiche oggettive dell’offerta
(Cons. Stato, Sez. V, 12.06.2009, n. 3716)
(parere
di precontenzioso 22.07.2010 n. 141
- link a www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI: Anche
una dichiarazione sintetica è pienamente in
grado di assolvere le finalità perseguite
dalla stazione appaltante, vale a dire di
escludere –salvo verifica– la presenza delle
circostanze ostative alla partecipazione
alle gare, di cui all’art. 38 del D.Lgs. n.
163/2006, per cui si impone una
interpretazione non formalistica del dato
positivo anche in conformità al principio,
pacifico in tema di contratti ad evidenza
pubblica, secondo cui le disposizioni del
bando devono essere interpretate in modo da
consentire la più ampia partecipazione dei
concorrenti (cfr. parere n. 6 del 16.01.2008
e parere n. 4 del 14.01.2010)
(parere
di precontenzioso 22.07.2010 n. 140
- link a www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI: Anche
se non è indispensabile in caso di consorzi
stabili ex art. 34, comma 1, lett. b),
D.Lgs. n. 163/2006, indicare nel contratto
di fideiussione l’impresa consorziata
esecutrice dell’appalto, deve ritenersi che
richiedere l’espressa indicazione nella
polizza fideiussoria dell’impresa che
svolgerà in concreto il servizio, non è in
contrasto né con il principio di
proporzionalità, né con l’art. 74 del D.Lgs.
n. 163/2006, che disciplina la forma ed il
contenuto dell’offerta, perché, da una
parte, non pone un onere particolarmente
gravoso a carico dell’operatore economico e,
dall’altra, la clausola è finalizzata a
fornire una garanzia alla stazione
appaltante senza incidere sulla forma ed il
contenuto dell’offerta
(parere
di precontenzioso 22.07.2010 n. 139
- link a www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI: Le
clausole contenute in una polizza
fideiussoria, conformemente ai principi
generali in materia di interpretazione del
negozio giuridico, vanno considerate nel
loro complesso, indagando sulla reale
intenzione dei contraenti e valutando il
loro comportamento anche posteriore alla
conclusione del contratto, ai sensi degli
articoli 1362 e 1363 del Codice civile
(cfr., in tal senso parere n. 54 del
23.04.2009).
---------------
È evidente l’intento perseguito dal
legislatore del Codice dei contratti
pubblici con la previsione, al comma 4
dell’art. 75, della rinuncia all’eccezione
di cui al comma 2 del citato art. 1957 del
codice civile: offrire alla stazione
appaltante una garanzia maggiore,
riconducendola alla fattispecie disciplinata
dal primo comma dell’articolo 1957 del
codice civile
(parere
di precontenzioso 22.07.2010 n. 138
- link a www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI: La
stazione appaltante può, in ragione della
preminente tutela dell’interesse pubblico
alla selezione di un concorrente moralmente
e professionalmente affidabile, chiedere ai
partecipanti una dichiarazione sostitutiva,
resa dagli stessi sotto la loro
responsabilità, molto più ampia rispetto
alla dichiarazione di insussistenza delle
specifiche condizioni previste dal comma 1,
lett. c) dell’art. 38 del D.Lgs. n.
163/2006, onerando i concorrenti ad una
dettagliata elencazione di tutte le condanne
subite, senza eccezione alcuna, compresi i
reati estinti e depenalizzati, con
l’ulteriore specificazione delle condanne
contenenti il beneficio della non menzione
(cfr. parere 09.07.2009, n. 75)
(parere
di precontenzioso 22.07.2010 n. 137
- link a www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI: Il
comma 4 dell’art. 83 del d.lgs. 12.04.2006,
n. 163 stabilisce che «il bando per
ciascun criterio di valutazione prescelto
prevede, ove necessario, i sub-criteri e i
sub-pesi o i sub-punteggi».
La suddetta locuzione “ove necessario”
fa ritenere che l’inserimento di tali
ulteriori elementi di valutazione
dell’offerta con il relativo punteggio non
sia di per sé indispensabile, ma diviene
obbligatorio nel momento in cui la stazione
appaltante fissa dei criteri di attribuzione
del punteggio aleatori che lasciano spazio
decisionale soggettivo alla Commissione
giudicatrice.
---------------
È da considerarsi legittima la richiesta, ai
fini dell’ammissione alla gara, di
un’iscrizione alla Camera di Commercio
comprensiva di tutte le differenti tipologie
qualitative del servizio oggetto di
affidamento (deliberazione n. 88 de
28.11.2006, deliberazione n. 6 del
18.01.2007, parere n. 17 del 12.02.2009)
(parere
di precontenzioso 22.07.2010 n. 136
- link a www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI: Con
riguardo alle dichiarazioni di cui all’art.
38, co. 1, lett. c, ai sensi dell'art. 47,
comma 2, del D.P.R. n. 445/2000, al legale
rappresentante è consentito produrre una
dichiarazione sostitutiva dell'atto di
notorietà "per quanto a propria
conoscenza", specificando le circostanze
che rendono impossibile (ad esempio, in caso
di decesso) o eccessivamente gravosa (ad
esempio, in caso di irreperibilità o
immotivato rifiuto) la produzione della
dichiarazione da parte dei soggetti
interessati.
Pertanto, ad eccezione di tali ipotesi, deve
ritenersi che gli altri soggetti (direttori
tecnici, amministratori muniti di poteri di
rappresentanza, e soggetti cessati dalla
carica nell'ultimo triennio, per i quali non
ricorrano circostanze che rendono
impossibile o eccessivamente gravosa la
produzione della dichiarazione) siano tenuti
a rendere personalmente la dichiarazione in
questione, considerato che si tratta di
soggetti che fanno parte della compagine
dell'operatore economico concorrente e che
non sussistono ostacoli in ordine
all'acquisizione della loro
autodichiarazione.
In tali ipotesi, pertanto, non si rinvengono
ragioni per ritenere che le
autodichiarazioni personali debbano o
possano essere sostituite da una
dichiarazione che, in quanto sottoscritta
dal legale rappresentante della concorrente,
non può che avere ad oggetto circostanze
relative a terzi e, quindi, è resa "per
quanto a conoscenza" del dichiarante,
con conseguente rischio per la stazione
appaltante di acquisire informazioni
inesatte o incomplete, seppure rese in buona
fede (cfr. parere dell'Autorità n. 99 del
13.05.2010)
(parere
di precontenzioso 07.07.2010 n. 135
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APPALTI: Con
riguardo alle dichiarazioni di cui all’art.
38, co. 1, lett. c, ai sensi dell'art. 47,
comma 2, del D.P.R. n. 445/2000, al legale
rappresentante è consentito produrre una
dichiarazione sostitutiva dell'atto di
notorietà "per quanto a propria
conoscenza", specificando le circostanze
che rendono impossibile (ad esempio, in caso
di decesso) o eccessivamente gravosa (ad
esempio, in caso di irreperibilità o
immotivato rifiuto) la produzione della
dichiarazione da parte dei soggetti
interessati.
Pertanto, ad eccezione di tali ipotesi, deve
ritenersi che gli altri soggetti (direttori
tecnici, amministratori muniti di poteri di
rappresentanza, e soggetti cessati dalla
carica nell'ultimo triennio, per i quali non
ricorrano circostanze che rendono
impossibile o eccessivamente gravosa la
produzione della dichiarazione) siano tenuti
a rendere personalmente la dichiarazione in
questione, considerato che si tratta di
soggetti che fanno parte della compagine
dell'operatore economico concorrente e che
non sussistono ostacoli in ordine
all'acquisizione della loro
autodichiarazione.
In tali ipotesi, pertanto, non si rinvengono
ragioni per ritenere che le
autodichiarazioni personali debbano o
possano essere sostituite da una
dichiarazione che, in quanto sottoscritta
dal legale rappresentante della concorrente,
non può che avere ad oggetto circostanze
relative a terzi e, quindi, è resa "per
quanto a conoscenza" del dichiarante,
con conseguente rischio per la stazione
appaltante di acquisire informazioni
inesatte o incomplete, seppure rese in buona
fede (cfr. parere dell'Autorità n. 99 del
13.05.2010)
(parere
di precontenzioso 07.07.2010 n. 134
- link a www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI: Le
s.a. non devono prevedere il NOS (Nulla Osta
Segretezza) come requisito di partecipazione
alla procedura di gara, determinando una
siffatta richiesta una restrizione
dell’accesso alla gara e, conseguentemente,
una limitazione della concorrenza, ma, più
correttamente, limitarsi a richiedere il
predetto certificato come requisito di
esecuzione del contratto, dal momento che
esso attiene alla fase di esecuzione.
---------------
L’art. 113 del Codice dei contratti prevede
ipotesi tipiche e tassative di innalzamento
del parametro percentuale fissato per la
garanzia definitiva, che non avrebbe senso
stabilire se la misura base potesse
determinarsi discrezionalmente da parte dei
concorrenti o da parte della stazione
appaltante (in tal senso cfr. Cons. Stato,
Sez. II, parere 19.02.2003, n. 2222 reso su
analoga disposizione contenuta nell’allora
vigente art. 30 della legge n. 109/1994).
Conseguentemente, le previsioni di un bando
che indichi, tra gli elementi convenzionali
ai fini dell’individuazione dell’offerta
economicamente più vantaggiosa “l’incremento
della garanzia definitiva ex art. 113 D.Lgs.
n. 163/2006”, assegnando a tale elemento
il punteggio massimo di 20/100 punti,
appaiono in contrasto con la richiamata
disciplina, che determina in via diretta e
puntuale l’ammontare di tale garanzia
(parere
di precontenzioso 07.07.2010 n. 133
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INCARICHI PROGETTUALI: La
caratteristica precipua del concorso di
progettazione è, quella di individuare la
migliore soluzione progettuale in vista
della sua possibile esecuzione e, proprio in
considerazione di ciò, ai sensi dell’art. 61
del D.P.R. n. 554/1999, la valutazione delle
proposte progettuali presentate in tale
concorso deve essere eseguita sulla base dei
criteri e dei metodi indicati nell’allegato
C al medesimo D.P.R. n. 554/1999, in forza
del quale sono oggetto di coerente
valutazione, accanto agli elementi di
qualità della proposta progettuale
(caratteristiche architettoniche,
funzionali, tecnologiche, innovative),
unicamente gli ulteriori profili di natura “quantitativa”
inerenti all’opera da costruire, volti a
garantire un risparmio dei costi nella
realizzazione dell’intervento.
Invece, nell’appalto di progettazione,
oggetto del contratto è una prestazione
professionale intesa ad un risultato, ossia
alla redazione di un progetto.
Pertanto, la prestazione professionale
richiesta ben può essere oggetto di
valutazioni economico-temporali inerenti lo
specifico opus commissum, cioè la
redazione di un progetto, tendendo la
procedura, in questo caso, alla selezione di
un soggetto cui affidare la progettazione di
dettaglio nei vari livelli di cui si compone
(parere
di precontenzioso 07.07.2010 n. 132
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APPALTI: L’omissione
della dichiarazione di insussistenza dei
motivi di esclusione di cui all’art. 38,
comma 1, lett. b) e c), del D.Lgs. n.
163/2006, da rendersi, da parte di ogni
soggetto ivi indicato, al momento della
presentazione dell’offerta è insuscettibile
di sanatoria con integrazione documentale
(parere
di precontenzioso 07.07.2010 n. 131
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APPALTI: La
richiesta del disciplinare di gara secondo
cui è richiesto all’aggiudicataria “l’impegno
di uno degli Istituti bancari o intermediari
(..) di aprire a favore del concorrente -in
caso di aggiudicazione- una linea di credito
(…) a garanzia di eventuali pagamenti di
stipendi e contributi assicurativi e
previdenziali da parte dell’impresa verso i
propri dipendenti occupati nel servizio”
si appalesa illegittima, poiché prevede
quale condizione di partecipazione, a pena
di esclusione, un requisito strettamente
connesso alla fase contrattuale
(parere
di precontenzioso 07.07.2010 n. 130
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APPALTI SERVIZI: Nel
caso di un appalto per la gestione di un
impianto di depurazione, caratterizzato
dall’utilizzo all’interno del depuratore
stesso dell’impianto di ultrafiltrazione che
deve consentire il riuso dell’acqua depurata
per usi civili ed industriali,
nell’osservanza della vigente normativa di
settore (D.M. n. 185 del 12.06.2003), la
quale prevede il rispetto di caratteristiche
chimico-fisiche delle acque di riuso, la
richiesta della specifica esperienza nella
gestione di questi impianti, nonché del
possesso da parte del direttore tecnico
responsabile dell’impianto di specifici
titoli di studio e professionali risulta:
coerente con la richiamata normativa;
proporzionata alla tipologia del servizio da
appaltare; nonché strettamente funzionale a
garantire il prioritario interesse della s.a
alla corretta gestione dell’impianto stesso.
---------------
In tema di requisiti di capacità
tecnico-professionale dei prestatori di
servizi, la stazione appaltante vanta un
apprezzabile margine di discrezionalità che
le consente di chiedere requisiti ulteriori
e più severi rispetto a quelli indicati
nella disciplina di legge, ma deve osservare
il limite del rispetto dei principi di
proporzionalità e ragionevolezza; sicché non
è consentito pretendere il possesso di
requisiti sproporzionati o estranei rispetto
all’oggetto della gara
(parere
di precontenzioso 07.07.2010 n. 129
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APPALTI: Quando
l’aggiudicazione avviene con il criterio del
prezzo più basso, ossia con un procedimento
di tipo automatico che non implica
valutazioni discrezionali, è senz’altro
consentita la rinnovazione dell’esame
comparativo delle offerte pervenute,
ancorché già conosciute dalla Commissione di
gara, ponendosi l’effettiva esigenza di
garantire la segretezza delle offerte solo
nella diversa ipotesi di aggiudicazione con
il criterio dell’offerta economicamente più
vantaggiosa, laddove si riconoscono alla
Commissione di gara ampi poteri valutativi
discrezionali.
---------------
Quando la disciplina di gara sia formulata
in termini letterali che non presentano
profili di dubbio interpretativo e sia
accompagnata dall’espressa previsione della
comminatoria di esclusione, non può trovare
applicazione l’ulteriore principio del
favor partecipationis e appare corretta
l’esclusione degli operatori economici che,
pur debitamente informati, non hanno
corredato la domanda di partecipazione con
gli elementi richiesti
(parere
di precontenzioso 07.07.2010 n. 128
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APPALTI: L’omessa
menzione in tutti i documenti di gara
predisposti dalla stazione appaltante della
necessità di attestare anche i requisiti di
cui alle lettere m-bis), m-ter) ed m-quater)
costituisce un comportamento equivoco in
grado di trarre in errore i concorrenti e
idoneo a rendere legittimo il ricorso
all’integrazione documentale da parte della
stazione appaltante
(parere
di precontenzioso 07.07.2010 n. 127
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LAVORI PUBBLICI: Nel
caso di appalto di lavori di importo sotto
soglia e inferiore a cinquecentomila euro
–salvo oggettiva complessità della
prestazione oggetto del contratto (elemento
che va allegato oltre che dimostrato)- la
pubblicazione del bando per ventotto giorni
è conforme alla normativa di settore e
garantisce la partecipazione alla procedura
di gara a tutti gli operatori economici
interessati
(parere
di precontenzioso 07.07.2010 n. 126
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APPALTI SERVIZI: Nel
caso di una gara di servizi in uno dei
settori speciali di cui agli artt. 206 ss,
Codice, non si applica l’art. 75, co. 7,
relativamente alla riduzione del 50%
dell’importo della garanzia per gli
operatori in possesso della certificazione
del sistema di qualità, a meno che tale
norma non sia richiamata, ai sensi dell’art.
206, co. 3, dall’avviso con cui si indice la
gara.
---------------
Laddove la gara per servizi di pulizia,
bandita da una stazione appaltante che
gestisce il servizio di trasporto pubblico,
sia rivolta, oltre che ai locali uso
ufficio, anche alle officine, ai depositi,
ai chioschi e alle pensiline di transito,
l’appalto è strettamente correlato agli
scopi istituzionali dell’ente aggiudicatore
e, considerato che è legittima oltre che
oggettiva l’attrazione della disciplina di
gara alla normativa operante nei settori
speciali, di cui agli artt. 206 ss, si
applica, dunque la disciplina dei suddetti
articoli, con esclusione delle norme del
Codice che non sono richiamate ivi o dalla
lex specialis
(parere
di precontenzioso 07.07.2010 n. 125
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APPALTI: I
provvedimenti in autotutela relativi
all’ammissione e/o all’esclusione dalla gara
di concorrenti, nel caso di aggiudicazione
con il criterio del prezzo più basso,
consentono la rinnovazione della valutazione
comparativa delle offerte presentate,
ancorché già conosciute dalla Commissione di
gara, senza necessità di una loro
ripresentazione.
---------------
L’amministrazione appaltante dispone della
facoltà di rilevare eventuali errori
compiuti nel corso della procedura e
provvedere ad emendarli riportando il
procedimento entro un alveo di rigorosa
legittimità. L’unico limite che incontra
questo potere-dovere di autocontrollo della
legalità della propria azione è costituito
dalla manifesta sproporzione tra il rilievo
e l’entità del vizio riscontrato (che non
deve essere solo formale e minimo) e le
conseguenze pregiudizievoli sulla par
condicio tra i concorrenti e sull’efficienza
ed efficacia dell’azione amministrativa.
---------------
La comminatoria dell’esclusione dalla gara
per una irregolarità che è stata
indubbiamente determinata dalla formulazione
ambigua del bando di gara appare senz’altro
eccessiva e contraria ai principi specifici
della materia, quali il favor
partecipationis, nonché a quelli
generali dell’ordinamento, come il principio
di conservazione degli atti, ben potendosi
sanare la suddetta irregolarità ammettendo
il concorrente alla c.d. integrazione
documentale (nella specie, il bando di gara
–nel rinvio alla clausola di esclusione di
cui all’art. 38 lett. c) prima parte e
seconda parte- utilizzava l’espressione “ovvero”
nell’improprio significato di “anche”
e induceva alcuni dei partecipanti in
errore).
--------------
E’ incompleta la dichiarazione ex art. 38,
co. 1, lett. c), circa l’inesistenza a
proprio carico di sentenze di condanna per
reati che incidono sull’affidabilità morale
e professionale, quando manca dell’ulteriore
dichiarazione –pure richiesta dall’avviso di
selezione e dall’art. 38, comma 1, lettera
c), seconda parte– relativa ai reati di
frode, corruzione, riciclaggio e
partecipazione ad organizzazione criminale (parere
di precontenzioso 07.07.2010 n. 124
- link a www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI: La
disposizione dell’art. 38, co. 2, D.lgs.
163/2006 stabilisce espressamente l’obbligo
di dichiarare tutte le condanne subite
(salvo che non sia intervenuta la
riabilitazione), essendo la valutazione
della loro incidenza rimessa alla stazione
appaltante.
---------------
Non può ritenersi oggettivamente oscura la
clausola del disciplinare di gara, del bando
o della lettera di invito (lex specialis)
che -pur richiamando espressamente il solo
co. 1 dell’art. 38, Codice – si riferisca al
combinato disposto con il comma 2 dell’art.
38, in quanto norma imperativa che integra
il bando, e che richiede che il concorrente
debba indicare “anche le eventuali
condanne per le quali abbia beneficiato
della non menzione”
(parere
di precontenzioso 16.06.2010 n. 123
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APPALTI: Quando
l’impresa concorrente ha fornito, nel
termine previsto dalla disciplina di
settore, quantomeno un principio di prova in
ordine al possesso del requisito concernente
il servizio analogo richiesto dalla lex
specialis, la stazione appaltante può
acquisire la piena prova al riguardo
ammettendo l’integrazione documentale.
--------------
Non pare potersi attribuire rilievo ostativo
alla circostanza per cui la dichiarazione in
cui è attestata una regolare esecuzione di
servizio analogo è stata resa da un soggetto
legale rappresentante di una società che
all’epoca del rilascio dello stesso non era
più iscritta al Registro delle Imprese, in
quanto ciò che rileva nella fattispecie in
esame è la dimostrazione del dato storico
relativo allo svolgimento pregresso del
servizio in un periodo in cui l’impresa che
ha rilasciato l’attestazione era
regolarmente operante
(parere
di precontenzioso 16.06.2010 n. 122
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APPALTI: Il
principio del favor partecipationis e
quello di tutela dell’affidamento ostano
all’esclusione di un’impresa, nel caso in
cui la compilazione dell’offerta risulti
conforme al modulo approntato dalla stazione
appaltante, quando questo –pur recando le
dichiarazioni sul possesso dei requisiti
generali di cui all’art. 38- non riporta le
prescrizioni di cui alle lett. m-ter e
m-quater, laddove il riferimento a queste
ultime non è rinvenibile in qualche modo in
altre clausole degli atti di gara, potendo
eventuali parziali difformità rispetto al
disciplinare costituire oggetto di richiesta
di integrazione
(parere
di precontenzioso 16.06.2010 n. 121
- link a www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI: La
richiesta, da parte della stazione
appaltante, di un requisito tecnico di resa
superiore alla soglia fissata dal
legislatore impedisce la partecipazione alla
gara a tutte quelle imprese che, pur avendo
rispettato la specifica normativa di
settore, non hanno, tuttavia, raggiunto
nello specifico servizio una resa così
elevata, perché non richiesta per gli anni
in questione né dal legislatore nazionale né
da quello regionale.
---------------
Appare illogico richiedere ai fini della
partecipazione alla gara all’impresa un
livello di resa del servizio superiore a
quello che si impone alla medesima impresa
in sede di esecuzione del contratto.
In particolare, non si comprende il motivo
per cui la Stazione appaltante ritiene
sufficiente, in relazione all’oggetto del
contratto, ottenere nel corso del primo anno
di svolgimento del servizio una resa
dell’attività pari al 40% del totale,
mentre, ai fine della partecipazione alla
gara, richiede che l’impresa abbia raggiunto
nel precedente triennio un livello di resa
superiore al 50%.
---------------
Rientra nella discrezionalità
dell’Amministrazione la fissazione di
requisiti di partecipazione ad una gara di
appalto diversi, ulteriori e più restrittivi
di quelli legali, salvo però il limite della
logicità e ragionevolezza degli stessi e
della loro pertinenza e congruità a fronte
dello scopo perseguito, in modo tale da non
restringere oltre lo stretto indispensabile
la platea dei potenziali concorrenti e da
non precostituire situazioni di assoluto
privilegio
(parere
di precontenzioso 16.06.2010 n. 120
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APPALTI: Nelle
procedure di gara, il mancato rispetto dei
minimi tabellari del costo del lavoro o, in
mancanza, dei valori indicati dalla
contrattazione collettiva non determina
l'automatica esclusione dalla gara, ma
costituisce un importante indice di anomalia
dell'offerta, che dovrà essere poi
verificata attraverso un giudizio
complessivo di remuneratività; infatti, è
sempre necessario che venga consentito
all'impresa di fornire le proprie
giustificazioni, anche in riferimento al
superamento di detti limiti minimi, dato che
tale insopprimibile esigenza di
contraddittorio costituisce specifica
espressione del più generale principio di
partecipazione e trova corrispondenza nel
dovere dell'Amministrazione di motivare in
ordine alla apparente incongruità
dell'offerta.
---------------
La previsione di un limite insuperabile
(tanto da essere dettato addirittura a pena
d’esclusione) per il numero di pagine di
composizione dell’offerta progettuale appare
in piena e diretta contraddizione con il
ricorso al criterio dell’offerta
economicamente più vantaggiosa, da cui
emerge l’esigenza di attribuire rilievo al
dato qualitativo e tecnico dell’offerta
progettuale.
La limitazione quantitativa dell’estensione
appare pregiudizievole per gli stessi
interessi perseguiti dall’amministrazione,
dovendo la stessa garantire la piena
comprensione ed esplicazione degli elementi
progettuali offerti.
---------------
In caso di partecipazione alle gare dei
consorzi stabili, è conforme ai principi
generali la verifica della sussistenza dei
requisiti di carattere generale, di ordine
pubblico e di moralità, anche in capo al
concorrente consorzio stabile e non solo in
capo alle consorziate designate esecutrici
del servizio
(parere
di precontenzioso 16.06.2010 n. 119
- link a www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI: Il
debitore obbligato a dare un fideiussore
deve presentare persona capace (art. 1943
c.c.), ma l’obbligo in questione non può
dirsi assolto, allorché il soggetto
presentato sia una persona giuridica, se il
sottoscrittore del documento in cui è
portata la garanzia, non sia titolare del
potere di obbligare il soggetto in questione
(e cioè un organo della stessa dotato dei
poteri di rappresentanza, un institore, o
anche procuratore munito del potere di
impegnare il soggetto proposto).
Pertanto, la norma dell’art. 1943 c.c. deve
essere integrata dalla disposizione
contenuta nell’art. 1393 dello stesso
codice, il quale statuisce che “il terzo
che contratta col rappresentante può sempre
esigere che questi giustifichi i suoi poteri”.
Ciò premesso, la clausola del bando che
richiede l'autentica di firma del soggetto
sottoscrittore della polizza fideiussoria
con l’accertamento dei relativi poteri non
appare viziata, avendo la finalità
sostanziale di garantire la stazione
appaltante in merito alla validità della
garanzia sotto il profilo della
legittimazione all'assunzione dell'impegno
da parte del funzionario sottoscrittore in
nome e per conto dell'istituto fideiubente
(parere
di precontenzioso 16.06.2010 n. 118
- link a www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI: Nel
caso in cui la stazione appaltante abbia
ritenuto di adottare moduli, schede e/o
schemi di documenti e sia incorsa in errore,
producendo un modulo difforme dalle
prescrizioni del disciplinare di gara,
l’eventuale integrazione documentale non
integra una violazione del principio della
parità di trattamento, spettando alla
stazione appaltante il compito di verificare
l’effettivo possesso del requisito di cui
alla dichiarazione omessa alla data della
presentazione della domanda da parte del
concorrente
(parere
di precontenzioso 16.06.2010 n. 117
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APPALTI SERVIZI: Il
riconoscimento di un diritto di prelazione
in capo ad una società, già concessionaria
di altri servizi con il medesimo ente,
quand’anche possa dispiegare i propri
effetti esclusivamente in caso di parità di
punteggi e di posizione paritaria nella
graduatoria finale, in modo tale da
consentire il confronto concorrenziale e
l’aggiudicazione della gara ad altra
società, appare comunque idoneo, nel caso di
ex aequo, ad assicurare alla società
attualmente concessionaria una posizione di
vantaggio di per sé lesiva dei principi di
parità di trattamento e non discriminazione
di cui all’art. 2 del D.Lgs. n. 163/2006.
---------------
L’art. 42, co. 3, D.lgs. 12.04.2006, n. 163
-nel prescrivere che i requisiti di capacità
tecnica e professionale dei prestatori dei
servizi non possono eccedere l'oggetto-
implicitamente richiede che l'individuazione
di tali requisiti sia proporzionata al
valore presuntivo posto a base d'asta e sia
comunque idonea a fornire in concreto
maggiori garanzie alla stazione appaltante,
in quanto una diversa previsione si risolve
in una ingiustificata limitazione della
platea dei possibili concorrenti.
---------------
In presenza di clausole escludenti, cioè di
clausole che precludono la partecipazione
alla gara, impedendo l’ammissione alla
stessa, e di quelle che non consentono di
effettuare un’offerta concorrenziale,
l’onere di presentare la domanda di
partecipazione costituisce un inutile
aggravio a carico dell’impresa.
Pertanto, laddove la richiesta di parere ex
art. 6, co. 7, lett. n), investa questioni
di massima che riguardino aspetti cruciali
delle regole di concorrenza, sulla cui
corretta osservanza l’Autorità è deputata a
vigilare, sussiste l’interesse strumentale
di un soggetto non partecipante
all’enunciazione dei principi che possano
orientare anche in futuro le stazioni
appaltanti nella stesura di bandi di gara
nel rispetto delle regole di mercato
(parere
di precontenzioso 16.06.2010 n. 116
- link a www.autoritalavoripubblici.it). |
LAVORI PUBBLICI: Per
quanto attiene ai requisiti di
partecipazione alla gara, il possesso della
qualificazione attestata dalla
certificazione SOA è sufficiente ad
assolvere ogni onere documentale circa la
dimostrazione dell’esistenza dei requisiti
di capacità tecnica e finanziaria ai fini
dell’affidamento dei lavori pubblici.
I requisiti di ordine generale, tecnico ed
organizzativo che devono essere posseduti
dalle imprese per poter partecipare alle
gare di appalto di lavori pubblici,
dettagliatamente individuati dagli artt. 17
e ss. del d.P.R. 34/2000, devono intendersi
come inderogabili da parte della stazione
appaltante, che non può prevedere requisiti
maggiori od ulteriori rispetto a quelli
fissati già dalla legge
(parere
di precontenzioso 16.06.2010 n. 115
- link a www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI: Sono
da considerare legittimi i requisiti
richiesti dalle stazioni appaltanti che, pur
essendo ulteriori e più restrittivi di
quelli previsti dalla legge, rispettino il
limite della logicità e della ragionevolezza
e, cioè, della loro pertinenza e congruità a
fronte dello scopo perseguito.
Tali requisiti possono essere censurati solo
allorché appaiano viziati da eccesso di
potere, ad esempio per illogicità o per
incongruenza rispetto al fine pubblico della
gara (Cons. Stato, Sez. V, 15.12.2005, n.
7139).
Deve ritenersi non in linea con la normativa
di settore la richiesta di aver svolto
servizi simili a quelli oggetto di gara in
favore soltanto di “soggetti pubblici”,
e non anche di soggetti privati
(parere
di precontenzioso 16.06.2010 n. 114
- link a www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI: In
una procedura per l’affidamento dei servizi
di pulizia, con un valore a base d’asta di
circa 670.000 €, è stata ritenuta conforme
alla normativa di settore la richiesta di un
patrimonio netto iscritto nell’ultimo
bilancio non inferiore a 300.000 €.
---------------
Nei casi in cui la richiesta di parere
investa questioni di massima che riguardino
aspetti cruciali delle regole della
concorrenza, sulla corretta osservanza delle
quali l’Autorità è istituzionalmente
deputata a vigilare nel settore di propria
competenza, può sussistere un interesse
strumentale di un soggetto non partecipante
alla gara all’enunciazione di principi che
possano orientare, anche in futuro, le
stazioni appaltanti nella stesura dei bandi
di gara nel pieno rispetto delle regole del
mercato.
Come già evidenziato nel parere n. 95 del
20.03.2008, l’Autorità è infatti competente
ad esaminare l’avvenuto rispetto della
concorrenza sotto il profilo della garanzia
di un’ampia apertura al mercato a tutti gli
operatori economici del settore ed in
particolare è chiamata a vigilare su
un’effettiva concorrenza che, come
recentemente statuito dalla Corte
costituzionale nella sentenza del
22.11.2007, n. 401, deve essere intesa come
concorrenza “per” il mercato, in cui
il contraente venga scelto mediante
procedure di garanzia che assicurino il
rispetto dei valori comunitari e
costituzionali
(parere
di precontenzioso 16.06.2010 n. 113
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APPALTI: Il
DURC è qualificato dalla giurisprudenza come
una dichiarazione di scienza, resa però con
riguardo al periodo considerato, per cui lo
stesso non può essere inteso che come
attestante la regolarità contributiva
soltanto fino alla propria scadenza, senza
alcuna possibilità di essere considerato
valido al di là del termine in esso
espressamente stabilito (si veda, in tal
senso Consiglio di Stato, Sez. V,
26.02.2010, n. 1141)
(parere
di precontenzioso 16.06.2010 n. 112
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APPALTI: A
fronte di un dato generico del bando e del
disciplinare di gara, i chiarimenti forniti
dal responsabile del procedimento non sono
affatto idonei ad integrare o modificare la
lex specialis, che ha carattere
imperativo, per cui siffatti chiarimenti non
possono assumere alcun valore ostativo alla
partecipazione alla procedura di gara
(parere
di precontenzioso 27.05.2010 n. 111
- link a www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI: Rientra
nella discrezionalità dell’Amministrazione
la fissazione di requisiti di partecipazione
ad una gara di appalto diversi, ulteriori e
più restrittivi di quelli legali, salvo però
il limite della logicità e ragionevolezza
degli stessi e della loro pertinenza e
congruità a fronte dello scopo perseguito,
in modo tale da non restringere oltre lo
stretto indispensabile la platea dei
potenziali concorrenti e da non
precostituire situazioni di assoluto
privilegio (AVCP, parere n. 83 del
29.04.2010, Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza n. 8914 del 29.12.2009, Consiglio
di Stato, Sez. VI, sentenza n. 2304 del
03.04.2007, Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza n. 6534 del 23.12.2008).
Nella procedura di affidamento di un
servizio di igiene ambientale è stata
ritenuta conforme alla normativa di settore
la richiesta di aver raggiunto una resa
della raccolta differenziata, in precedenti
servizi, pari al 35%, a fronte delle
percentuali minime del 35%, 40%, 45% fissate
dal legislatore per gli anni 2006, 2007,
2008
(parere
di precontenzioso 27.05.2010 n. 110
- link a www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI: Rientra
nella discrezionalità dell’Amministrazione
la fissazione di requisiti di partecipazione
ad una gara di appalto diversi, ulteriori e
più restrittivi di quelli legali, salvo però
il limite della logicità e ragionevolezza
degli stessi e della loro pertinenza e
congruità a fronte dello scopo perseguito,
in modo tale da non restringere oltre lo
stretto indispensabile la platea dei
potenziali concorrenti e da non
precostituire situazioni di assoluto
privilegio (AVCP, parere n. 83 del
29.04.2010, Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza n. 8914 del 29.12.2009, Consiglio
di Stato, Sez. VI, sentenza n. 2304 del
03.04.2007, Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza n. 6534 del 23.12.2008).
Nella procedura di affidamento di un
servizio di igiene ambientale è stata
ritenuta non conforme alla normativa di
settore la richiesta di aver raggiunto una
resa della raccolta differenziata, in
precedenti servizi, pari al 55%, a fronte
delle percentuali minime del 35%, 40%, 45%
fissate dal legislatore per gli anni 2006,
2007, 2008
(parere
di precontenzioso 27.05.2010 n. 109
- link a www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI: L’obbligo
imposto dal bando di gara alle imprese di
disporre di una sede operativa in ciascuna
delle province in cui esse intendono
esercitare la loro attività costituisce un
ostacolo ingiustificato alla libera
prestazione dei servizi ed è quindi
incompatibile con l'articolo 49 del trattato
CE, cosicché tale previsione va dichiarata
illegittima dato che questa limitazione
territoriale produce effetti restrittivi
sulla libertà di stabilimento (cfr. ad es.
Consiglio Stato, Sez. V, 05.02.2007, n.
447).
---------------
In sede di presentazione della domanda di
partecipazione ad una gara d'appalto
pubblico, opera il c.d. principio di
equivalenza, avente la funzione di garantire
e promuovere la maggior apertura
concorrenziale tanto nell'ambito del singolo
procedimento di affidamento (il che si
collega col tradizionale principio del
favor partecipationis nelle gare
pubbliche), quanto nel generale mercato
degli appalti pubblici; tale principio è
altresì riconosciuto esplicitamente, sul
piano legislativo, dai commi 4 e 7 dell'art.
68 citato, i quali introducono anche l'onere
dell'offerente di fornire la prova (con
qualsiasi mezzo appropriato, ritenuto
soddisfacente dalla stazione appaltante)
circa l'equivalenza del prodotto offerto
rispetto a quello indicato nel capitolato.
---------------
L’imposizione dell’aumento dei termini per
il pagamento rispetto ai 30 giorni fissati
dal d.lgs. 231/2002, senza un accordo tra i
contraenti inteso a delineare un regolamento
negoziale più consono alla situazione
finanziaria del debitore, sulla base di
determinati parametri (ossia corretta prassi
commerciale, natura dei beni o servizi,
condizione dei contraenti e rapporti
commerciali tra i medesimi), in realtà
introduce un vantaggio per l’Amministrazione
che deve considerarsi “indebito”,
atteso che la decorrenza degli interessi
moratori segue il meccanismo automatico
stabilito dall’art. 4 del D.Lgs. n.
231/2002, senza che neppure sia necessaria
la costituzione in mora.
Analogamente, pur se in termini comparativi
rispetto ai limiti imperativi dettati dalla
norma sulla nullità, è stato di recente
ribadito che sussiste la grave iniquità, di
cui all’art. 7 D.Lgs. n. 231/2002, delle
clausole di contratto inserite dalle
strutture sanitarie negli atti di gara per
pubbliche forniture per la mancanza di
qualsiasi giustificazione che renda
costantemente e reiteratamente possibili
termini di pagamento, decorrenza degli
interessi moratori e saggio degli interessi
diversi da quelli stabiliti negli arti 4 e 5
d.lgs. n. 231 del 2002 (cfr., ad es., TAR
Lazio Roma, Sez. III, 22.12.2008, n. 12229)
(parere
di precontenzioso 27.05.2010 n. 108
- link a www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI: Le
offerte economiche, nel caso di
aggiudicazione secondo il criterio
dell'offerta economicamente più vantaggiosa,
devono restare segrete per tutta la fase
procedimentale per evitare che gli elementi
di valutazione aventi carattere automatico
(quali il prezzo) possano influenzare la
valutazione degli elementi discrezionali;
conseguentemente ove dovesse esistere
siffatta commistione sarebbe violata la
regola della par condicio, espressamente
sancita dall'art. 2 del Codice dei contratti
pubblici.
Pertanto, costituisce violazione degli
essenziali principi della par condicio tra i
concorrenti e di segretezza delle offerte
l'inserimento, da parte delle imprese
partecipanti alla procedura di gara, di
elementi concernenti l'offerta economica
all'interno della busta contenente l'offerta
tecnica.
---------------
Ai sensi dell’articolo 76 del D.Lgs. n.
163/2006 le stazioni appaltanti, quando il
criterio di aggiudicazione è quello
dell’offerta economicamente più vantaggiosa,
precisano nel bando di gara se autorizzano o
meno le varianti e menzionano i requisiti
minimi che le stesse devono rispettare e le
modalità per la loro presentazione.
La variazione migliorativa, tuttavia, è
legittimamente ammessa sempre che sia
riconducibile nella sfera delle migliori
modalità esecutive del progetto base, da
individuare in quelle soluzioni tecniche che
consentano di realizzare quanto progettato
in modo da garantire una migliore qualità
delle lavorazioni dedotte in contratto,
salve restando le scelte progettuali
fondamentali già effettuate
dall'Amministrazione. Attiene ai compiti
della Commissione di gara valutare la
rispondenza delle varianti ai livelli
prestazionali stabili dal progetto posto a
base di gara. Alla variante progettuale
migliorativa non può non corrispondere,
nell’offerta economica, la relativa voce di
nuovo prezzo o la modifica delle quantità
nelle lavorazioni già previste nella lista
delle categorie ovvero il non utilizzo di
determinate lavorazioni.
E’, pertanto, conforme alla normativa
vigente l’offerta del concorrente che, in
relazione alle varianti migliorative
introdotte nell'offerta tecnica, valutate
dalla Commissione di gara coerenti con il
progetto, ha conseguentemente introdotto
nuovi prezzi nell'offerta economica (cfr. ad
es. deliberazione dell’Autorità n. 253 del
12.07.2007)
(parere
di precontenzioso 27.05.2010 n. 107
- link a www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI: I
costi della sicurezza, sia nel comparto dei
lavori che in quello dei servizi e delle
forniture, devono essere dalla stazione
appaltante adeguatamente valutati ed
indicati nei bandi; a loro volta le imprese
dovranno nelle loro offerte indicare i costi
specifici connessi con la loro attività.
Naturalmente, in sede di verifica
dell’anomalia di tali offerte, la stazione
appaltante dovrà valutarne la congruità
rispetto all’entità e alle caratteristiche
del lavoro, servizio o fornitura
(parere
di precontenzioso 27.05.2010 n. 105
- link a www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI: In
una procedura di gara che, ai sensi
dell’art. 77 del d.lgs. 12.04.2006, n. 163
si svolga con l’utilizzo di comunicazioni
per via elettronica, è conforme alla
normativa di settore l’operato della s.a.
che abbia considerato come non prodotto un
documento comprovante l’esistenza di valida
polizza fideiussoria che non poteva essere
aperto con nessun programma di verifica
della firma digitale per una corruzione del
file “all’origine”, e quindi
imputabile alla concorrente
(parere
di precontenzioso 27.05.2010 n. 104
- link a www.autoritalavoripubblici.it). |
INCARICHI PROGETTUALI: In
una procedura relativa all’affidamento
dell’incarico di redazione dell’elaborato
tecnico inerente al rischio di incidenti
rilevanti di cui al Decreto
interministeriale 09.05.2001 in una città
sede di porto, è conforme alla normativa di
settore e non discriminatoria la richiesta
da parte della stazione appaltante che
almeno uno dei componenti del gruppo di
lavoro di esperti specialisti da istituire
per lo svolgimento dell’attività oggetto di
affidamento sia stato incaricato, negli
cinque anni antecedenti la pubblicazione del
bando di gara, della redazione di “almeno
un piano (elaborato tecnico inerente al
Rischio di Incidenti Rilevanti “R.I.R”)…
relativo a città sede di Porto Industriale”.
La previsione di gara appare coerente con la
peculiare tipologia del servizio da affidare
in appalto e con la specificità dei luoghi
(Città sede di Porto) nonché con la
destinazione industriale alla quale detti
luoghi si riferiscono.
È, altresì, conforme alla normativa di
settore la previsione che almeno uno degli
esperti specialisti costituenti il predetto
gruppo di lavoro sia stato incaricato, nei
cinque anni antecedenti la pubblicazione del
bando di gara, della “redazione di un
Piano di Sicurezza ai sensi della legge n.
84/1994” di riordino della legislazione
in materia portuale.
Stante la peculiare tipologia del servizio
da affidare, la prescrizione di tale
requisito risponde all’esigenza fondamentale
di fornire in concreto maggiori garanzie
alla stazione appaltante in termini di
professionalità e di esperienza del futuro
contraente, senza in alcun modo restringere
la più ampia partecipazione alla gara anche
in relazione al periodo di tempo,
sufficientemente ampio, preso a riferimento,
pari a cinque anni
(parere
di precontenzioso 27.05.2010 n. 103
- link a www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI: In
caso di erronea indicazione da parte della
stazione appaltante nei documenti di gara,
l’inesattezza dell’importo pagato a titolo
di contributo all’Autorità non può
comportare l’esclusione dalla gara degli
operatori economici.
Permane l’obbligo della stazione appaltante
di provvedere sia a versare essa stessa
l’integrazione dell’importo erroneamente
corrisposto, pena l’avvio della relativa
procedura di riscossione coattiva, sia a
richiedere tale integrazione ai concorrenti
medesimi, a pena di esclusione dalla gara
(parere
di precontenzioso 27.05.2010 n. 102
- link a www.autoritalavoripubblici.it). |
GIURISPRUDENZA |
APPALTI:
L'inserimento dell'inciso "per
quanto a propria conoscenza" nella
dichiarazione riguardante gli amm. cessati
dalla carica nel triennio antecedente la
data di pubblicazione del bando rende del
tutto priva di valore la dichiarazione
rilasciata.
L'inciso "per quanto a propria conoscenza"
riportato nella dichiarazione riguardante
gli amministratori cessati dalla carica nel
triennio antecedente la data di
pubblicazione del bando dal legale
rappresentante di una società concorrente,
rende del tutto priva di valore e tanquam
non esset la dichiarazione rilasciata,
in quanto si pone in contrasto con le norme
in materia di dichiarazioni sostitutive di
atto di notorietà di cui al D.P.R. n.
445/2000, mancando in tal caso, una vera e
propria assunzione di responsabilità che
dovrebbe, invece, essere alla base
dell'affidamento che è chiamata a riporvi
l'amministrazione.
L'AVCP con la det. n. 1 del 12.01.2010 ha
precisato, altresì, che la legittimità di
una dichiarazione riportante l'inciso in
argomento, può essere ammessa solo qualora
il dichiarante specifichi espressamente "le
circostanze che rendono impossibile o
eccessivamente gravosa la produzione della
dichiarazione da parte dei soggetti
interessati".
Nel caso di specie, tali ulteriori
specificazioni nella dichiarazione resa dal
legale rappresentante non sono state
riportate; pertanto, l'inciso "per quanto
a propria conoscenza" comporta
l'inesistenza della dichiarazione stessa,
con la conseguenza della legittima
esclusione della concorrente dalla gara. Né
gioverebbe un eventuale richiamo al c.d. "falso
innocuo", che comunque afferisce a
diversa fattispecie, giacché tale principio
sostanzialistico elaborato dalla
giurisprudenza non può trovare applicazione
a fronte di espressa ed inequivoca
prescrizione della lex specialis (TAR
Lazio-Roma, Sez. III-quater,
sentenza 27.04.2011 n. 3620 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI SERVIZI:
E' illegittima la clausola di un
bando di gara per l'affidamento del servizio
di mensa scolastica che richieda, quale
requisito di partecipazione, la
disponibilità di un centro cottura a
distanza non superiore a Km 15 dalla sede
municipale.
L'amministrazione appaltante può introdurre,
nella lex specialis, disposizioni
atte a limitare la platea dei partecipanti,
al fine di consentire la partecipazione alla
gara stessa di soggetti altamente
qualificati, specie in relazione al possesso
dei requisiti di capacità tecnica e
finanziaria, ma tale scelta non deve
limitare eccessivamente la concorrenza.
Pertanto, nel caso di specie, è illegittimo
l'operato di un comune che abbia inserito
nella lex specialis di gara per
l'affidamento del servizio di mensa
scolastica, una clausola che preveda, quale
requisito di partecipazione, la
disponibilità di un centro cottura a
distanza non superiore a 15 Km dalla sede
municipale.
Tale disposizione è irragionevole e
fortemente limitativa della concorrenza;
infatti, secondo un condivisibile
orientamento giurisprudenziale, la predetta
categoria di clausole è, da un lato,
manifestamente distorsiva della concorrenza
e, dall'altro, non idonea ai fini
dell'individuazione del miglior contraente,
in quanto pretendere la presenza del
servizio oggetto d'appalto nel comune,
importa l'imposizione di un dispendio
economico ed organizzativo, come tale
incoerente con qualsiasi canone di
economicità.
Invero, sarebbe irragionevole pretendere
che, in ambiti territoriali circoscritti, un
operatore del settore sia costretto ad
attivare centri di cottura in ogni comune in
cui siano presenti scuole pubbliche,
determinando, in tal modo, un indubbio
favoritismo per i pochi soggetti presenti in
quel preciso ambito territoriale (TAR
Puglia-Lecce, Sez. III,
sentenza 21.04.2011 n. 719 - link
a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
PUBBLICO IMPIEGO: Trattative,
gli enti fanno da sé. Sì ad atti unilaterali
se non c'è accordo con i sindacati. Il
giudice del lavoro di Verona ritiene
immediatamente operativa la riforma
Brunetta.
Legittima l'adozione di
atti unilaterali laddove non si raggiunga,
nel corso delle trattative, l'accordo tra
amministrazione pubblica datore di lavoro e
le organizzazioni sindacali. Inoltre, le
norme del dlgs 150/2009 sono da considerare
immediatamente applicabili e imperative.
Il decreto 21.04.2011 del giudice del
lavoro di Verona fa cadere i principali
baluardi eretti dalle organizzazioni
sindacali contro la riforma-Brunetta,
incentrati proprio sulla sua presunta
inoperatività e sulla conseguente
impossibilità per le pubbliche
amministrazioni di avvalersi dell'articolo
40, comma 3-ter, del dlgs 165/2001.
Atto unilaterale.
Tale ultima norma prevede espressamente
l'atto unilaterale, disponendo: «al fine
di assicurare la continuità e il migliore
svolgimento della funzione pubblica, qualora
non si raggiunga l'accordo per la
stipulazione di un contratto collettivo
integrativo, l'amministrazione interessata
può provvedere, in via provvisoria, sulle
materie oggetto del mancato accordo, fino
alla successiva sottoscrizione. Agli atti
adottati unilateralmente si applicano le
procedure di controllo di compatibilità
economico-finanziaria previste dall'articolo
40-bis».
Il decreto del giudice veronese in modo
molto chiaro sancisce che «è legittimo,
invero, ogni provvedimento che disciplini
provvisoriamente una materia sulla quale non
sia raggiunto l'accordo in sede di
contrattazione collettiva», aggiungendo «l'ente
territoriale può senza dubbio adottare i
provvedimenti urgenti e provvisori per
colmare il vuoto generato dall'assenza di
accordo fra le parti collettive».
La giurisprudenza del lavoro va sempre più
allineandosi, dunque, alle interpretazioni
fornite dal dipartimento della funzione
pubblica, in particolare con la circolare
7/2010 e più di recente con la direttiva
rivolta all'Aran 18/02/2011, n. 10790, nella
quale si afferma: «Con riferimento agli
ambiti di intervento della contrattazione
rilevano, in particolare, l'art. 45 del dlgs
n. 165 del 2001, in base al quale a) il
trattamento economico fondamentale e
accessorio è definito dai contratti
collettivi (fermo restando le disposizioni
in ordine all'adottabilità di atti
unilaterali qualora non si raggiunga
l'accordo nei termini di cui all'art. 40,
comma 3-ter dlgs n. 165 del 2001)».
Secondo il decreto, tuttavia, costituisce
condotta antisindacale recepire l'atto
unilaterale come accordo decentrato, in
sostituzione del contratto, in quanto ciò
significherebbe svilire il dissenso della
parte sindacale, considerato come tamquam
non esset. Dunque, l'atto unilaterale
può colmare il vuoto dell'assenza di
accordo, ma non sostituirsi ad esso,
mediante il recepimento dell'atto stesso
come fosse un contratto.
Piena applicabilità della
riforma-Brunetta.
Sull'operatività del dlgs 150/2009 il
decreto del giudice veronese si pone in
linea col nuovo orientamento
giurisprudenziale avviato dalla sentenza del
Tribunale di Pesaro Sez. Lavoro, n.
417/2010, andando anche oltre. Infatti, per
la prima volta si afferma che la
riforma-Brunetta ha immediatamente
disapplicato le clausole dei contratti
collettivi incompatibili col dlgs 150/2009.
Secondo il decreto del giudice di Verona
l'articolo 65 del dlgs 150/2009, dai
sindacati considerato come norma che
bloccherebbe l'attuazione della riforma, non
può essere letto sì da fargli derivare
l'effetto di congelare e salvaguardare
l'efficacia delle norme della contrattazione
decentrata, vigenti prima dell'entrata in
vigore del dlgs 150/2009, fino al 31/12/2011
in modo tale che «la contrattazione
collettiva (antecedente) possa operare in
deroga a disposizioni (successive) di legge
a carattere imperativo; quanto meno, si deve
ritenere che le disposizioni di carattere
imperativo siano immediatamente efficaci,
tali da porre nel nulla contrarie norme
contenute nel contratto collettivo».
Poiché tutte le disposizioni del dlgs
165/2001, novellato dalla riforma-Brunetta,
sono a carattere imperativo, esse non solo
sono immediatamente applicabili, ma appunto
prevalgono sulle disposizioni contrarie
contenute nei contratti collettivi, tanto
nazionali, quanto decentrati. Per queste
ragioni, i contratti collettivi, sia
nazionali, sia decentrati, pur non essendo
stati disapplicati integralmente dalla
riforma, esplicano effetti solo «nelle
parti residue, non incompatibili con
disposizioni imperative di legge»
(articolo ItaliaOggi del 29.04.2011). |
APPALTI: Imprenditore
risarcito per la perdita di appalti e fidi
bancari.
Diciotto giorni di carcere, oltre quattro
mesi agli arresti domiciliare. Poi
l'imprenditore calabrese è definitivamente
assolto dall'accusa di associazione a
delinquere e ottiene una riparazione di 30
mila euro per l'ingiusta detenzione (300
euro per ogni giornata di carcere, 200 per i
«domiciliare»).
Ma l'indennizzo non basta: è escluso che il
giudice possa cavarsela con un semplice
criterio aritmetico senza verificare se
l'azienda dell'uomo d'affari, incriminato e
scagionato, abbia subito perdite o perso
occasioni d'affari riconducibili alla
reclusione del titolare. E se il danno
esistenziale è intrinseco alla privazione
della libertà, non si può evitare di
verificare la sussistenza del danno alla
salute di chi lamenta di essere stato per
anni esposto alla «gogna mediatica» su
giornali e televisioni locali.
È quanto emerge dalla sentenza 20.04.2011
n. 15665 della III Sez. penale della
Corte di Cassazione.
Danno emergente e lucro
cessante.
Il primo giudice del rinvio non si attiene
ai principi già indicati dalla Suprema
corte: sarà allora un'altra sezione della
Corte d'appello di Catanzaro a provvedere.
La perizia contabile del richiedente lamenta
perdite secche per l'impresa: durante la
reclusione del titolare l'azienda è esclusa
da tutti gli appalti e si vede negare i fidi
dalle banche. Ma la Corte d'appello la
ignora e si limita a escludere che vi sia
stata una diminuzione di profitti o un
aumento delle perdite: avrebbe dovuto invece
verificare se, per il solo fatto che
l'imprenditore era stato ingiustamente
arrestato, a carico della società fossero
...
(articolo
ItaliaOggi del 26.04.2011 - link a www.corteconti.it). |
APPALTI SERVIZI:
Sulla possibilità di derogare al
principio di pubblicità delle sedute in
materia di concessione di servizi pubblici.
In materia di procedure aventi ad oggetto
una concessione di servizi pubblici,
l'omessa lettura in seduta pubblica delle
offerte economiche non vìola il principio di
pubblicità delle sedute sancito a presidio
delle gare ad evidenza pubblica.
Nel caso di specie, riguardante la gestione
di un asilo comunale, detto principio
risulta comunque rispettato, in ragione
dell'apertura in seduta pubblica dei plichi
contenenti la documentazione amministrativa
e di quelli contenenti le offerte
economiche; la mancata lettura delle offerte
economiche in seduta pubblica è giustificata
dalla circostanza secondo cui, l'esame delle
offerte economiche, in tal caso non si
esaurisce nel mero riscontro oggettivo del
dato numerico, ma implica la valutazione del
tenore dell'offerta, alla luce del collegato
piano economico-finanziario, costituente
parte integrante dell'offerta.
Pertanto, risulta applicabile l'orientamento
giurisprudenziale che consente la deroga al
principio della pubblicità, nelle ipotesi in
cui venga in rilievo una procedura di gara
retta dal metodo dell'offerta economicamente
più vantaggiosa, implicante un'attività
valutativa estesa anche alla componente
economica (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 20.04.2011 n. 2447 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Sulla legittimità dell'esclusione
da una gara di un concorrente, per mancata
apposizione dell'autentica notarile alla
polizza fideiussoria e per successiva
regolarizzazione della stessa.
E' legittimo il provvedimento di esclusione
da una gara adottato da una stazione
appaltante nei confronti di un concorrente
per aver presentato la polizza fideiussoria
priva di autentica notarile della firma
dell'agente della società rilasciante
dell'agente della società stessa, e che
abbia provveduto alla regolarizzazione della
stessa solo in data successiva alla scadenza
del termine utile ai fini della
presentazione dell'offerta.
Tale garanzia copre, infatti, i rischi per
la mancata sottoscrizione del contratto
dovuta a fatto dell'aggiudicatario e, sul
piano dei rapporti di diritto privato, solo
l'autenticazione della sottoscrizione della
fideiussione prestata tutela pienamente la
stazione appaltante, in quanto fornisce la
prova in ordine alla provenienza da chi l'ha
sottoscritta, ai sensi degli artt. 2702 e
2703 c.c., impedendo il successivo
disconoscimento della stessa.
Nel caso di specie, peraltro, tale
prescrizione è richiesta dal disciplinare di
gara a pena di esclusione, il che rende
illegittima un'eventuale regolarizzazione
postuma, anche a garanzia dell'interesse
degli altri concorrenti alla correttezza
dell'intero procedimento di aggiudicazione
(Consiglio di Stato, Sez. III,
sentenza 19.04.2011 n. 2387 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Avvalimento della certificazione
ISO.
L’ampia operatività
dell’istituto dell’avvalimento, più volte
ribadita dalla giurisprudenza comunitaria,
deve essere estesa, oltre che ai requisiti
di ordine finanziario ed economico, anche a
quelli che attestano elementi qualitativi,
quali, ad esempio, la certificazione ISO.
Queste le conclusioni contenute nella
sentenza 18.04.2011 n.
2344 resa dal Consiglio di Stato,
Sez. III.
Il ragionamento giuridico seguito dai
giudici amministrativi prende spunto
dall’esigenza di considerare l’avvalimento
nell’ottica dell’ordinamento comunitario,
poi trasfuso nelle disposizioni di cui
all’art. 49 del D.lgs. 12.04.2006, n. 163.
Così strutturato, l’istituto in esame assume
una funzione incentivante della concorrenza,
agevolando l’ingresso nel mercato di nuovi
soggetti e, pertanto, deve essere evitata
ogni lettura aprioristicamente restrittiva
dell’ambito di operatività della disciplina
richiamata.
Sulla base di queste considerazioni
generali, l’istituto dell'avvalimento può
essere utilizzato per dimostrare la
disponibilità dei requisiti soggettivi di “qualità”,
considerato che la disciplina del codice non
contiene alcuno specifico divieto in ordine
ai requisiti soggettivi che possono essere
comprovati mediante tale strumento.
Viene tuttavia precisato che il requisito
considerato non può essere oggetto di un “prestito”
astratto.
Infatti è onere del concorrente dimostrare,
in sede di presentazione dell’offerta, che
l’impresa ausiliaria non si impegna
semplicemente a “prestare” il
requisito soggettivo richiesto, “ma
assume l’obbligazione di mettere a
disposizione dell’impresa ausiliata, in
relazione all’esecuzione dell’appalto, le
proprie risorse e il proprio apparato
organizzativo, in tutte le parti che
giustificano l’attribuzione del requisito di
qualità (a seconda dei casi: mezzi,
personale, prassi e tutti gli altri elementi
aziendali qualificanti)”.
Nel caso esaminato dai giudici, tale ultimo
dato assume particolare importanza
processuale, poiché la dimostrazione del
presupposto sostanziale (impegno globale
dell’ausiliaria) prescinde da una specifica
eccezione della controparte (commento tratto
da
www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
VARI:
Spiare i vicini può comportare
una condanna per molestie.
Spiare sistematicamente
i propri vicini da una terrazza può
comportare una sanzione penale in quanto
tale comportamento integra gli estremi del
reato di molestie. L’art. 660 del codice
penale, infatti, punisce “chiunque, in luogo
pubblico o aperto al pubblico, ovvero col
mezzo del telefono, per petulanza o altro
biasimevole motivo, reca a taluno molestia o
disturbo".
Nel caso di specie, è stata inflitta una
condanna al pagamento di una ammenda di 600
euro ad un tizio che spiava i suoi vicini di
casa, posizionandosi su di un terrazzo posto
a brevissima distanza dall’appartamento
abitato dai predetti, scrutando in
continuazione all’interno di esso, che aveva
cinque finestre prospicienti su detto
terrazzo, in tal modo costringendo le parti
offese a tirare i tendaggi ed ad accendere
la luce anche in pieno giorno per
proteggersi dalla sua intrusione.
Per la Cassazione non è, poi, idonea a
scriminare la condotta del ricorrente la
circostanza che fra la famiglia di
quest’ultimo e le parti offese fossero
insorte nel passato delle liti connesse
proprio alla utilizzazione della terrazza,
dalla quale esso ricorrente aveva posto in
essere il comportamento sanzionato.
Privo di rilievo è pure il fatto che la
terrazza dalla quale l’imputato ha posto in
essere il comportamento penalmente
sanzionato sia di proprietà esclusiva dei
condomini proprietari degli appartamenti
siti al primo ed al secondo piano dello
stabile –mancando così il luogo pubblico o
aperto al pubblico– dal momento che è stato
accertato che alla detta terrazza si
accedeva attraverso un’apertura del comune
vano scale condominiale, sicché la terrazza
in questione ben poteva qualificarsi come
luogo aperto alla generalità dei condomini
(Corte di Cassazione, Sez. I penale,
sentenza 15.04.2011 n. 15450 -
link a www.litis.it). |
VARI:
Autovelox: tutti i casi in cui la
multa è nulla secondo la Cassazione.
Paletti più rigidi per
l’accertamento delle infrazioni al limite di
velocità tramite autovelox. Le ultime
sentenze della Cassazione, infatti,
definiscono meglio il quadro delle tutele
per gli automobilisti.
Così, per esempio, se il dovere di segnalare
in anticipo il dispositivo elettronico è uno
dei punti ormai acclarati dalla
giurisprudenza, per la prima volta, è stato
riconosciuto un uguale obbligo informativo
anche a beneficio di chi proviene da strade
laterali.
Infatti, i giudici di Piazza Cavour, con una
recente sentenza, hanno riconosciuto le
ragioni del guidatore in quanto il cartello
segnaletico era apposto unicamente sulla
strada principale e non anche sulla
provinciale che più avanti l’intersecava.
Con un’altra recente pronuncia, invece, la
Suprema Corte ha annullato una multa in
quanto dal verbale non emergeva la presenza
dell’agente di polizia municipale nella fase
di “elaborazione dell’accertamento”,
avendo il comune interamente esternalizzato
la gestione del servizio.
Mentre, per quanto riguarda i rilevamenti in
città, le multe elevate su percorsi urbani “ordinari”
sono sempre annullabili anche quando vi è
stato il placet del prefetto
all’installazione.
Vale quindi la pena ripercorre le principali
decisioni in materia ed i punti fermi sui
cui gli automobilisti, almeno fino ad oggi,
possono contare.
Il dispositivo va sempre
segnalato.
Non basta la segnalazione in anticipo della
presenza del dispositivo quando fra il
cartello e l’autovelox vi siano degli
incroci con altre strade. Infatti, in tal
caso il soggetto che si immette sulla strada
“controllata” può correttamente
sostenere di non essere stato informato.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, Sez.
VI civile, con l’ordinanza
13.01.2011 n. 680 riconoscendo le
ragioni dell’automobilista che lamentava,
dopo essersi immesso sulla statale, “di non
aver incontrato alcun cartello segnalante la
successiva presenza dell’autovelox”.
Per i giudici: “In siffatto contesto, non
sarebbe stato, dunque, sufficiente,
accertare l’esistenza di un unico e
qualsiasi cartello premonitore, sulla strada
statale, essendo necessario verificarne
invece, in coerenza alle finalità perseguite
dalla legge: la presenza specifica ed a
congrua distanza tra la suddetta
intersezione e la successiva postazione
fissa”. Non solo ma “il relativo onere
probatorio, in mancanza di attestazione
fidefacente al riguardo contenuta nel
verbale, incombeva sull’amministrazione
opposta, trattandosi di una condizione di
legittimità della pretesa sanzionatoria”.
No alla indicazione del
cartello nel verbale.
Invece, la circostanza che nel verbale di
contestazione di una violazione dei limiti
di velocità, accertata mediante autovelox,
non sia indicato che la presenza
dell'apparecchio era stata preventivamente
segnalata mediante apposito cartello non
rende nullo il verbale stesso “sempre che
di detta segnaletica sia stata accertata o
ammessa l'esistenza”, Corte di
Cassazione, Sez. VI civile,
ordinanza 13.01.2011 n. 680.
L’"elaborazione"
della sanzione va fatta dai vigili.
Se
ad elaborare la multa fatta con l’autovelox
non è stato un agente della municipale
allora ci sono speranze di vedersi annullata
la sanzione. Infatti, dal verbale di
accertamento deve emergere "adeguatamente"
che il rilevamento è stato fatto da “un
agente preposto al servizio di polizia”.
Lo ha deciso la Corte di Cassazione, Sez. II
civile, con l'ordinanza
05.04.2011 n. 7785.
I Supremi giudici hanno infatti accolto le
doglianze dell’automobilista che lamentava
la mancata partecipazione della polizia
municipale nelle fasi di “elaborazione
dell'accertamento”.
Il comune aveva esternalizzato l'intera
gestione a una ditta esterna, indicando poi
soltanto genericamente una "supervisione"
da parte della Polizia municipale. Così
facendo, però, risultava “indimostrata”
l'esistenza di quell'elemento “di
certezza e legalità” che “solo la
presenza del pubblico ufficiale può
garantire al cittadino”.
Sul Comune, dunque, incombeva l’onere -non
assolto- di provare che la presenza del
privato era limitata alla fase di
installazione ed impostazione degli
apparecchi; mentre la gestione degli stessi
era “rimasta riservata ai pubblici
ufficiali”; e che comunque il ruolo
degli operatori tecnici fosse sempre “subordinato
a quello dei vigili urbani".
In città rilevamenti solo
su strade ad “alto scorrimento”.
Secondo l’articolo 4 della legge 168/2002
che disciplina i controlli di velocità da ”remoto”,
questi sono sempre possibili sulle strade “extraurbane
principali” ma non sulle strade “urbane
ordinarie”, mentre per quelle “extraurbane
ordinarie” e per quelle “urbane di
scorrimento” occorre l’autorizzazione del
prefetto. L’autorità di governo può, dunque,
autorizzare gli autovelox sulla base di
alcuni elementi quali: la pericolosità, il
traffico o la difficoltà di fermare il
veicolo.
È accaduto però, secondo la Corte di
Cassazione, Sez. II civile,
sentenza 15.02.2011 n. 3701, che
alcuni comuni hanno forzato un po’ la mano
ai prefetti ottenendo un lasciapassare
all’installazione anche in strade prive
delle caratteristiche previste dalla legge.
Ragion per cui i giudici, pur riconoscendo
l’autonomia dei prefetti, hanno annullato i
verbali.
Secondo l’altra
sentenza 06.04.2011 n. 7872, i
margini di manovra del prefetto nel definire
i tratti di viabilità ordinaria su cui
autorizzare le postazioni fisse “trovano
come limite insuperabile il tipo di strada,
che è individuato con certezza dalla legge
168/2002”.
L’omologazione
dell’apparecchio non “scade” mai.
In
relazione alle apparecchiature di controllo
automatico, il legislatore non ha adottato
nessuna disposizione che commini la
decadenza delle omologazioni rilasciate.
Secondo la Corte di Cassazione, Sez. II
civile,
sentenza 25.06.2008 n. 17361, ne
consegue che “nel giudizio di opposizione
alla sanzione amministrativa, non sussiste
alcun ulteriore onere probatorio, a carico
dell'Amministrazione, relativo alla
perdurante funzionalità delle predette
apparecchiature”.
No alla taratura periodica.
Non vi sono neppure norme che impongono un
obbligo di taratura periodica
dell’autovelox. Dunque, l'attendibilità
degli accertamenti effettuati non può
ritenersi inficiata dalla assenza di
controlli periodici. Non solo ma l'efficacia
probatoria rimane sino a che non risulti
accertato, in quanto dedotto ed
espressamente provato, il mal funzionamento
dello strumento, o il difetto di
costruzione, installazione, Tribunale di
Potenza, Sez. civile,
sentenza 11.12.2010 n. 1496.
E sempre il Tribunale di Potenza, Sez.
civile,
sentenza 11.11.2010 n. 1305, ha
chiarito che “il sistema nazionale di
taratura di cui alla L. n. 273/1991 non si
applica alle apparecchiature per la
rilevazione delle violazioni dei limiti di
velocità fissati dal codice della strada, le
quali, invece, sono soggette esclusivamente
ad una verifica di perfetta funzionalità
(omologazione) da parte del ministero dei
Trasporti e delle Infrastrutture. Tale
verifica, peraltro, è indispensabile solo in
relazione al "modello" di apparecchio e non
deve essere effettuata di volta in volta sul
singolo esemplare”.
E, dunque, “il verbale […] fa piena prova
della sussistenza della violazione anche
quando i dati relativi all'omologazione,
riportati, non si riferiscano specificamente
all'apparecchio utilizzato ed a prescindere
dal rispetto della taratura periodica”.
Concetto espresso anche dalla Corte di
Cassazione, Sez. II civile,
ordinanza 29.10.2010 n. 22207, “In
materia di accertamento di violazioni delle
norme sui limiti di velocità la necessità di
omologazione dell'apparecchiatura di
rilevazione automatica -ai fini della
validità del relativo accertamento- va
riferita al singolo modello e non al singolo
esemplare“.
Non necessaria la
contestazione immediata.
L'eccesso di velocità deve essere contestato
immediatamente soltanto se verificato
mediante strumenti che consentono la
misurazione ad una congrua distanza prima
del transito del veicolo davanti agli
agenti.
L'utilizzazione di apparecchiature diverse,
quali l'"autovelox", invece, “rientra
di per sé tra le ipotesi di esenzione da
tale obbligo e l'attestazione del loro
impiego, contenuta nel verbale di
accertamento, costituisce valida ragione
giustificatrice della mancanza di una
contestazione immediata, né sono sindacabili
in sede giudiziaria le modalità di
organizzazione del servizio di polizia
stradale, come quelle relative al numero
delle pattuglie operanti”, Corte di
Cassazione, Sez. II civile,
sentenza 18.04.2007 n. 9308 (articolo
22.04.2011 tratto e link a
www.diritto24.ilsole24ore.com). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
INQUINAMENTO ACUSTICO -
Immissioni ex art. 844 c.c. - Conflitto tra
esigenze della produzione e diritto alla
salute - Criterio del c.d. "preuso" - Natura
- Limiti di applicabilità.
Il criterio del c.d. "preuso", come
evidenziato dalla collocazione della
disposizione nell'ultima parte dell'articolo
844 c.c., ha natura meramente sussidiaria e
costituisce soltanto una extrema ratio
cui il giudicante può, con prudente
apprezzamento di fatto, ricorrere nel
contemperare le opposte esigenze inerenti
l'esercizio delle facoltà di godimento di un
immobile adibito ad uso abitativo e quelle
produttive di un immobile destinato ad uso
industriale, tenendo comunque presente,
nell'ambito di una doverosa interpretazione
costituzionalmente orientata della norma
civilistica, che quando le esigenze della
produzione entrino in diretto conflitto con
quelle del diritto alla salute, connesse
alla fruibilità dell'immobile soggetto alle
immissioni, é a quest'ultimo che va
attribuita preminenza, costituendo il
rispetto di tale primario diritto un limite
intrinseco all'esercizio di quello di
iniziativa economica e libero esercizio
dell'attività imprenditoriale (Cass. nn.
5564/2010, 8420/2006, 9865/2005, 161/1996).
INQUINAMENTO ACUSTICO -
Immissioni - Limiti di tollerabilità
stabiliti dalla normativa speciale in
materia di inquinamento acustico -
Irrilevanza ai fini della valutazione ex
art. 844 c.c..
I limiti di tollerabilità ambientale
previsti dalla normativa speciale in materia
di inquinamento acustico, perseguendo
interessi pubblici e di tutela ambientale
dirette a contenere la diffusività verso una
cerchia indeterminata di persone e non,
specificamente, verso il fondo del vicino,
fissano soltanto dei limiti minimi di
accettabilità dei rumori, la cui osservanza
tuttavia, sul piano civilistico, agli
effetti dell'articolo 844 c.c., non può
essere dirimente, dovendo tenersi conto a
tal fine della più diretta e continua
esposizione dei soggetti passivi, in ragione
della vicinanza tra il fondo di provenienza
e quello di ricezione, con conseguente
necessità di una accurata indagine diretta
ad accertarne, secondo la particolarità
della situazione concreta, la normale
tollerabilità (Cass. nn. 6223/2002,
1151/2003, 2166/2006).
Con la conseguenza che la valutazione della
normale tollerabilità non può che essere
riferita al luogo in cui le "propagazioni"
vengano percepite da coloro che fruiscono
del bene, in conformità alla destinazione
propria dello stesso, e non anche alla
relativa fonte di provenienza (Corte di
Cassazione, Sez. II civile,
sentenza 12.04.2011 n. 8367 -
link a www.ambientediritto.it). |
SICUREZZA LAVORO:
APPALTI - Infortuni sul lavoro -
Imprenditore - Posizione di garanzia -
Ambito di operatività.
La posizione di garante della sicurezza, che
l'ordinamento addossa all'imprenditore, non
é operativa nei soli confronti dei
lavoratori subordinati o dei soggetti a
questi equiparati (Decreto del Presidente
della Repubblica 27.04.1955, n. 547 ,
articolo 3, comma 2), ma si estende alle
persone estranee all'ambito imprenditoriale
che possano, comunque, venire a contatto o
trovarsi ad operare nel campo di loro
funzionalità (Cass. pen., sez. IV,
04.02.2004, n. 31303).
APPALTI - Infortuni sul
lavoro - Inidoneità delle misure di
prevenzione - Responsabilità del datore di
lavoro - Sussistenza.
L'obbligo di prevenzione si estende agli
incidenti che possono derivare da
negligenza, imprudenza e imperizia
dell'infortunato, essendo esclusa, la
responsabilità del datore di lavoro e, in
generale, del destinatario del presidio,
solo in presenza di comportamenti che
presentino i caratteri dell'eccezionalità,
dell'abnormità, dell'esorbitanza rispetto al
procedimento lavorativo, alle direttive
organizzative ricevute e alla comune
prudenza.
In ogni caso, nell'ipotesi di infortunio sul
lavoro originato dall'assenza o
dall'inidoneità delle misure di prevenzione,
nessuna efficacia causale viene attribuita
al comportamento del lavoratore infortunato,
che abbia dato occasione all'evento, quando
questo sia da ricondurre, comunque, alla
mancanza o insufficienza di quelle cautele
che, se adottate, sarebbero valse a
neutralizzare proprio il rischio di siffatto
comportamento (Cass., n. 31303 del 2004).
APPALTI - Infortuni sul
lavoro - Rappresentante della ditta
appaltante - Subappaltante - Obblighi di
protezione - Ambito di operatività.
La responsabilità del rappresentante della
ditta appaltante si estende alle persone
estranee all'ambito imprenditoriale che
possano, comunque, venire a contatto o
trovarsi ad operare nel campo di loro
funzionalità. Mentre il subappaltante é
esonerato dagli obblighi di protezione solo
nel caso in cui i lavori subappaltati
rivestano una completa autonomia, sicché non
possa verificarsi alcuna sua ingerenza
rispetto ai compiti del subappaltatore
(Cass. 20.11.2009 n. 1490) (conferma
sentenza n. 109/2009 Corte di Appello di
Cagliari Sez. Dist. di Sassari, del
23/03/2010) (fattispecie in tema di omicidio
colposo ex art. 589 c.p. ult. co. in
riferimento agli artt. 168 e 169 D.P.R. n.
547/1955 contestato al direttore del
cantiere rappresentante del datore di
lavoro, e responsabile della sicurezza del
lavoro, nei confronti di dipendenti di ditte
subappaltatrici) (Corte di cassazione,
Sez. IV penale,
sentenza 11.04.2011 n. 14527 -
link a www.ambientediritto.it). |
SICUREZZA LAVORO:
Infortuni sul lavoro - Esclusione
da responsabilità del datore di lavoro -
Presupposti.
Affinché la condotta colposa del lavoratore
faccia venire meno la responsabilità del
datore di lavoro, occorre un vero e proprio
contegno abnorme del lavoratore medesimo,
che esuli dalle normali operazioni
produttive e che esorbiti rispetto al
procedimento lavorativo e alle direttive
organizzative ricevute (Cass., Sez. IV,
23.05.2007, n. 25532, n. 15009 del
17.02.2009, n. 727 del 10.11.2009).
In altre parole, la condotta del lavoratore,
per giungere ad interrompere il nesso
causale (tra condotta colposa del datore di
lavoro o chi per esso, ed evento lesivo) e
ad escludere, in definitiva, la
responsabilità del garante, deve
configurarsi come un fatto assolutamente
eccezionale, del tutto al di fuori della
normale prevedibilità (Cass., Sez. IV, n.
952 del 27.11.1996).
Infortuni sul lavoro -
Comportamento abnorme del lavoratore -
Definizione.
Il datore di lavoro é esonerato da
responsabilità soltanto quando il
comportamento del dipendente sia abnorme,
dovendo definirsi tale il comportamento
imprudente del lavoratore che o sia stato
posto in essere da quest'ultimo del tutto
autonomamente e in un ambito estraneo alle
mansioni affidategli -e, pertanto, al di
fuori di ogni prevedibilità per il datore di
lavoro- o rientri nelle mansioni che gli
sono proprie ma sia consistito in qualcosa
di radicalmente, ontologicamente, lontano
dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili,
imprudenti scelte del lavoratore nella
esecuzione del lavoro).
Infortuni sul lavoro -
Risarcimento eseguito dal comune datore di
lavoro dell'imputato e del lavoratore
persona offesa - Attenuante del risarcimento
del danno ex art. 62 n. 6 c.p. -
Sussistenza.
Ai fini della sussistenza dell'attenuante di
cui all'articolo 62 n. 6 c.p., il
risarcimento, ancorché eseguito dalla
società assicuratrice, deve ritenersi
effettuato personalmente dall'imputato tutte
le volte in cui questi ne abbia conoscenza e
mostri la volontà di farlo proprio (Cass.,
Sez. IV, n. 13870 del 06.02.2009).
Deve, pertanto, ritenersi che l'attenuante
in questione possa operare laddove il
risarcimento sia stato effettuato dal comune
datore di lavoro dell'imputato e del
lavoratore persona offesa (Corte di
Cassazione, Sez. IV penale,
sentenza 11.04.2011 n. 14523 -
link a www.ambientediritto.it). |
APPALTI:
Chiarimenti e integrazioni ai
sensi dell'art. 46 del Codice dei contratti
pubblici.
Il Consiglio di Stato, Sez. V, con
sentenza 11.04.2011 n.
2230 ha riconosciuto la legittimità
dell’operato di una stazione appaltante che,
in presenza di clausole del bando che non
comminavano in modo univoco l’esclusione, ha
esercitato il potere istruttorio previsto
dall’articolo 46 del d.lgs. 163/2006.
Avverso l’aggiudicazione definitiva di una
gara per l’affidamento della
ristrutturazione e messa a norma di
ascensori, una società partecipante
all’appalto proponeva ricorso contestando,
tra l’altro, l’operato della Commissione di
gara che, secondo la ricorrente, aveva
illegittimamente richiesto alcune
integrazioni documentali alla società prima
classificata anziché procedere alla sua
esclusione.
Il TAR del Lazio rigettava la richiesta
della ricorrente e avverso tale sentenza
veniva proposto appello.
Il Consiglio di Stato adito, condividendo le
conclusioni del primo giudice, ha rigettato
le richieste dell’appellante ponendo alla
base della sua decisione il contenuto
ambiguo del bando di gara. Ed infatti il
bando di gara prevedeva, come condizione di
partecipazione, l’assenza di determinate
condizioni preclusive da dimostrare “…a
pena di esclusione dalla gara, con le
modalità, le forme ed in contenuti previsti
nel disciplinare di gara”.
Ad avviso del Collegio le disposizioni del
bando non prevedevano quale condizione di
partecipazione la presentazione di una
dichiarazione di assenza delle condizioni
preclusive, ma al contrario veniva richiesta
direttamente la sussistenza del requisito
sostanziale dell’assenza di tali condizioni.
Secondariamente i giudici osservavano come
nel disciplinare di gara non era stata data
alcuna indicazione in merito alle modalità
di presentazione dei documenti, con la
conseguenza che il rinvio posto dal bando di
gara era caduto nel vuoto.
L’ambiguità del bando e il silenzio del
disciplinare, ad avviso del Consiglio di
Stato, legittimavano la stazione appaltante
ad effettuare una richiesta di integrazione
documentale in ossequio al principio del
favor partecipationis.
Ed infatti ad avviso dei giudici “Il
Tribunale ha quindi giustamente condiviso le
osservazioni dell’Avvocatura regionale per
cui, in sintesi: la lacuna del disciplinare
di gara poteva avere ingenerato incertezza
circa la prova dell’assenza delle condizioni
preclusive in questione, atteso che, secondo
quanto stabilito dal bando, tale prova
doveva proprio avvenire con le modalità, le
forme ed i contenuti previsti nel
disciplinare; in materia di esclusione dalle
gare di appalto, che sono dominate dal
principio dell’interesse pubblico alla più
ampia partecipazione dei concorrenti;
inoltre, l’insegnamento della giurisprudenza
è nel senso che le clausole del bando che
non comminino in modo univoco l’esclusione
per inosservanza di determinate prescrizioni
vanno interpretate nel senso di assicurare
la partecipazione dei concorrenti.[…] Il
caso all'esame della Sezione integrava, in
conclusione, un caso paradigmatico di
doveroso esercizio del potere di soccorso
istruttorio previsto dall’art. 46 del d.lgs.
n. 163/2006, istituto che rinviene uno dei
suoi ambiti elettivi di operatività proprio
nell’esigenza di porre rimedio ad equivocità
ed ambiguità della lex specialis in ordine
alle dichiarazioni e documenti da presentare”.
In conclusione la sentenza in oggetto
chiarisce come in presenza di una disciplina
di gara ambigua e lacunosa deve prevalere il
principio del favor partecipationis e
quindi in tale situazione è legittimo e
doveroso l’esercizio del potere istruttorio
da parte della stazione appaltante (link a
www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI:
Il tenore letterale dell'art.
23-bis, c. 9, dl n. 112/2008 non esclude
dalla possibilità di acquisire ulteriori
servizi pubblici le società miste costituite
con socio scelto con gara tesa a definire
anche le modalità operative di gestione del
servizio.
Il tenore letterale dell'art. 23-bis, c. 9,
d.l. n. 112/2008, convertito con l. n.
133/2008 e ss.mm., non esclude dalla
possibilità di acquisire ulteriori servizi
pubblici le società miste costituite con
socio scelto con gara tesa a definire anche
le modalità operative di gestione del
servizio (fattispecie di cui all'art.
23-bis, c. 2, lett. b).
L'affidamento a società mista costituita con
le modalità indicate dal c. 2, lett. b),
dell'art. 23-bis si appalesa, infatti, ai
fini della tutela della concorrenza e del
mercato, del tutto equivalente a quello
mediante pubblica gara, pertanto risulta
irragionevole ed immotivata -anche alla luce
dei principi dettati dall'Unione europea in
materia di partenariato pubblico privato-
l'applicazione, nei confronti di società di
tale specie, del divieto di partecipazione
alle gare bandite per l'affidamento di
servizi diversi da quelli in esecuzione.
Va, dunque, preferita l'interpretazione
della disposizione secondo cui il divieto in
parola si applica solamente alle società che
già gestiscono servizi pubblici locali a
seguito di affidamento diretto o comunque a
seguito di procedura non ad evidenza
pubblica, con la precisazione che rientrano
nel concetto di evidenza pubblica ("ovvero")
anche le forme previste dal c. 2, lett. b),
dell'art. 23-bis., cit. (TAR Calabria-Reggio
Calabria,
sentenza 11.04.2011 n. 298 - link
a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La nozione urbanistica di pertinenzialità
richiede che il manufatto sia altresì
sfornito di autonoma destinazione ed
autonomo valore di mercato.
Com’è noto, in materia urbanistica la
nozione di pertinenzialità ha peculiarità
sue proprie che la differenziano da quella
civilistica, atteso che il manufatto deve
essere non solo preordinato ad una oggettiva
esigenza dell’edificio principale e
funzionalmente inserito al suo servizio, ma
deve essere, oltre che di volume modesto
affinché non comporti il c.d. carico
urbanistico, altresì sfornito di autonoma
destinazione ed autonomo valore di mercato
in virtù dell’instaurazione di un legame
giuridico-funzionale stabile tra pertinenza
e singola unità immobiliare; legame a causa
del quale l’una e l’altra non possano
utilizzarsi e disporsi separatamente (cfr.,
tra le tante, Cons. Stato, Sez. IV
17.05.2010 n. 3127, 15.09.2009 n. 5509,
23.07.2009 n. 4636 e 07.07.2009 n. 3379).
Nella specie, deve escludersi la ricorrenza
di tali precise condizioni per le
circostanze descritte dallo stesso
ricorrente in primo grado, ossia per il
fatto che i box di cui si controverte, che
sarebbero asserviti ad alloggi IACP, non
sono legati da alcun vincolo di natura
giuridico-funzionale, dal momento che nulla
è di ostacolo al loro utilizzo e diposizione
separata dall’alloggio; ciò dal momento che
solo in forza di “un’organizzazione
volontaristica” accadrebbe che “allorquando
un affittuario lascia i locali dello IACP,
nel godimento e proprietà del box subentra
il nuovo affittuario”.
Peraltro, a ben vedere nel caso in esame
manca lo stesso fondamento della
pertinenzialità ai sensi dell’art. 817 cod.
civ. costituito, com’è, non solo
dall’elemento oggettivo della destinazione
di una cosa al servizio (o ornamento)
dell’altra, ma pure dall’elemento soggettivo
inteso quale volontà del proprietario della
cosa principale ad imprimere la destinazione
in parola, atteso che le unità immobiliari a
cui i box accederebbero non appartengono
agli stessi soggetti proprietari dei
medesimi box, bensì allo IACP (o oggi
l’organismo ad esso succeduto), di cui detti
proprietari sono affittuari.
Pertanto, va esclusa la stessa
configurabilità di pertinenza anche nella
più ampia nozione civilistica, dunque a
maggior ragione sotto il profilo
urbanistico-edilizio (Consiglio di Stato,
Sez. V,
sentenza 07.04.2011 n. 2159 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI FORNITURE E SERVIZI:
Divieto di proroga automatica dei
contratti pubblici.
Con
sentenza del
07.04.2011 n. 2151 la V sezione del
Consiglio di Stato, richiamando il principio
sancito dall’articolo dall’art. 57, comma 7,
del codice dei contratti pubblici ha
riconosciuto come la legislazione vigente
non consenta di procedere al rinnovo o alla
proroga automatica dei contratti in corso,
ma solo alla loro proroga espressa per il
tempo strettamente necessario alla stipula
dei nuovi contratti a seguito di
espletamento di gare ad evidenza pubblica.
Nel 1989 un Comune concedeva ad una società,
per un periodo di 10 anni, la coltivazione
di una cava per inerti ricadente all’interno
dell’area comunale.
Nel 1999 veniva concessa una proroga della
concessione per un ulteriore periodo di 10
anni dove tuttavia veniva specificato come
tale concessione non avrebbe potuto superare
il periodo di 20 anni stabilito dalla L.R.
n. 54 del 26.07.1983. Nel medesimo
provvedimento veniva precisato che
nell’ipotesi in cui al termine del 10° anno
lo sfruttamento della cava non fosse
terminato secondo quanto disposto dal
progetto già autorizzato dalla Regione, la
convenzione sarebbe stata rinnovata
automaticamente di ulteriori 10 anni.
Nel 2009 la società concessionaria della
cava, comunicava alla Regione ed al Comune
l’intento di avvalersi della prevista
proroga decennale della concessione. Tale
proroga veniva negata poiché ai sensi
dell’articolo 20 della L.R. n. 54/1983 non
era possibile rilasciare la concessione o
l’autorizzazione all’esercizio dell’attività
di coltivazione dei giacimenti per un
periodo superiore a venti anni.
In seguito a tale provvedimento veniva
attivata la procedura per l’emanazione di un
bando di gara finalizzato ad una nuova
concessione dell’attività estrattiva.
Contro i provvedimenti adottati dal Comune
la concessionaria proponeva ricorso dinanzi
al TAR.
Il TAR adito accoglieva il ricorso della
società concessionaria, e avverso tale
sentenza veniva proposto appello da parte
dell’ente comunale.
I giudici della V sezione ribaltando la
decisione del TAR, hanno sostenuto come la
proroga della concessione in oggetto non
fosse possibile sia per il limite ventennale
fissato dalla normativa regionale che in
forza del principio generale del divieto di
rinnovo tacito dei contratti pubblici.
Sul punto i giudici dell’appello hanno
precisato come “Dall’esame della
disposizione si ricava:
a) la regola generale secondo cui la durata
della concessione non può valicare il limite
ventennale;
b) l’eccezionale possibilità della proroga
solo per effetto di determinazione espressa
a seguito di domanda di parte.
Dalla combinazione di tali prescrizioni si
ricava il divieto di proroga tacita delle
concessioni a seguito del decorso dell’arco
temporale di venti anni.[…] Si deve quindi
convenire che la regola esposta dalla legge
regionale si armonizza con il principio
generale, da ultimo sancito dall’art. 57,
comma 7, del codice dei contratti pubblici
che vieta il rinnovo tacito delle
stipulazioni contrattuali. Il rinnovo tacito
altro non è che una forma di trattativa
privata che esula dalle ipotesi ammesse dal
diritto comunitario (Cons. di Stato, sez. VI,
n. 6458 del 31.10.2006).
L’eliminazione della possibilità di
provvedere al rinnovo dei contratti di
appalto scaduti, disposta con l’art. 6 della
legge n. 537/1993 e poi con l’art. 23 legge
62/2005 al fine di adeguare l’ordinamento
interno ai precetti comunitari, ha quindi
valenza generale e portata preclusiva di
opzioni ermeneutiche ed applicative di altre
disposizioni dell'ordinamento che si
risolvono, di fatto, nell'elusione del
divieto di rinnovazione dei contratti
pubblici.[…]
In definitiva la legislazione vigente,
partendo dal presupposto che la
procrastinazione meccanica del termine
originario di durata di un contratto
sottrarrebbe in modo intollerabilmente lungo
un bene economicamente contendibile alle
dinamiche fisiologiche del mercato, non
consente di procedere al rinnovo o alla
proroga automatica dei contratti in corso,
ma solo alla loro proroga espressa per il
tempo strettamente necessario alla stipula
dei nuovi contratti a seguito di
espletamento di gare ad evidenza pubblica”.
L’analisi dei giudici della V sezione non si
ferma solo a livello della normativa
nazionale, ma analizzando in maniera
dettagliata la normativa e la giurisprudenza
comunitaria viene altresì precisato come il
divieto di proroga tacita dei contratti
pubblici sia espressione di un principio
generale attuativo di un vincolo comunitario
discendente dal Trattato e, come tale,
operante per la generalità dei contratti
pubblici ed estensibile quindi anche alle
concessioni di beni pubblici (così Cons.
Stato , sez. VI, 21.05.2009, n. 3145; n.
3642/2008; Cons. Stato, V, n. 2825/2007; VI,
n. 168/2005).
Ed infatti i giudici precisano come
l’applicazione al caso di specie dei
principi di evidenza pubblica trova il suo
presupposto sufficiente nella circostanza
che con la concessione di area pubblica si
fornisce un'occasione di guadagno a soggetti
operanti sul mercato, e di conseguenza anche
in tal caso deve essere adottata una
procedura competitiva ispirata ai principi
di trasparenza e non discriminazione.
In base alle considerazioni sopra esposte i
giudici hanno dunque riconosciuto la
legittimità del divieto di proroga disposto
dal Comune proprio in considerazione del
superamento del tetto dei venti anni,
precisando altresì come l’originale clausola
convenzionale recante la proroga tacita, in
quanto contrastante con il ricordato
precetto normativo di derivazione
comunitaria, debba considerarsi nulla di
pieno diritto con conseguente sostituzione
con la norma regionale che consente la
proroga solo in via espressa e limitatamente
al tempo strettamente necessario per la
definizione delle procedure di evidenza
pubblica finalizzate alla scelta del
concessionario (commento tratto da
www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
DIRITTO DELL’ENERGIA - Impianti
alimentati da fonti rinnovabili - Art. 12
d.lgs. n. 387/2003 - Procedimento
autorizzatorio - Regione - Indicazione di
aree e siti non idonei all’installazione -
Linee guida da adottarsi in Conferenza
unificata.
L’art. 12 del d.lgs. n. 387/2003, nel
dettare la disciplina del procedimento
autorizzatorio per la realizzazione degli
impianti alimentati da fonti rinnovabili, da
un lato riconosce a detti impianti carattere
di pubblica utilità, indifferibilità ed
urgenza (co. 1) e conferisce all’autorità
procedente -la Regione, ovvero la Provincia
da questa delegata- il potere di rilasciare
l’autorizzazione in variante agli strumenti
urbanistici vigenti (co. 3); ma, per altro
verso, non trascura di garantire il corretto
inserimento degli impianti nell’ambiente,
rimettendo a linee-guida da adottarsi in
Conferenza unificata l’approvazione dei
criteri in applicazione dei quali consentire
alle Regioni di indicare di aree e siti non
idonei alla installazione di specifiche
tipologie di impianti (cfr., fra le altre,
Corte Cost. 26.03.2010, n. 119; 06.11.2009,
n. 282; 29.05.2009, n. 166).
DIRITTO DELL’ENERGIA -
Impianti di produzione da fonti rinnovabili
- Normativa statale - Mancata previsione di
limitazioni specifiche o di divieti
inderogabili - Legislatore regionale -
Autonoma localizzazione dei siti inidonei -
Preclusione - Enti locali - Previsione di
limitazioni attraverso la pianificazione
urbanistica - Illegittimità.
In presenza di una normativa statale che non
contempla alcuna limitazione specifica alla
localizzazione degli impianti per la
produzione di energia elettrica da fonti
rinnovabili, né pone divieti inderogabili,
ma rinvia all’adozione di criteri comuni per
tutto il territorio nazionale, è negata al
legislatore regionale la possibilità di
provvedere autonomamente alla localizzazione
dei siti inidonei all’installazione di
specifiche tipologie di impianti, a maggior
ragione sembra doversi escludere che
risultati analoghi possano venire perseguiti
dagli enti locali in sede di pianificazione
urbanistica, con conseguente illegittimità
-per contrasto non solo con l’art. 12 D.Lgs.
n. 387/2003, ma con gli stessi principi
costituzionali che governano l’allocazione
della funzioni normative e amministrative-
degli atti di normazione secondaria che
ponessero in ambito comunale limitazioni
sconosciute alla legge statale.
DIRITTO DELL’ENERGIA -
Impianti di produzione da fonti rinnovabili
- Disciplina urbanistica - Favor per la
diffusione di energie alternative -
Capovolgimento del rapporto tra
pianificazione e variante.
Ma se anche, in astratto, si volesse
ipotizzare la facoltà del Comune di
individuare per regolamento zone sottratte e
zone destinate all’installazione di impianti
energetici alimentati da fonti rinnovabili,
come pure in passato la giurisprudenza ha
fatto (per tutte cfr. TAR Umbria,
15.06.2007, n. 518), nondimeno il diniego
frapposto dalla Provincia sulla sola base
del divieto posto dallo strumento
urbanistico dovrebbe reputarsi illegittimo,
in difetto di specifica motivazione circa il
mancato esercizio dei poteri di variante
urbanistica previsti dall’art. 12 D.Lgs. n.
387/2003, a conferma del fatto che la
disciplina urbanistica rappresenta un
ostacolo per definizione non insormontabile
alla realizzazione degli impianti in
questione: non potrebbe, infatti, trovare
applicazione il tradizionale indirizzo
interpretativo secondo cui il diniego di
variante urbanistica non richiede un
apparato motivazionale particolarmente
pregnante, giacché il chiaro favore per la
diffusione delle energie alternative impone
di capovolgere i termini del rapporto fra
regola (pianificazione urbanistica vigente)
ed eccezione (variante), nel senso che -a
fronte dell’istanza volta ad ottenere il
titolo per l’installazione di un impianto di
produzione di energia “pulita”, e
degli incentivi all’uopo apprestati dal
legislatore- non è il sovvertimento della
regola, ma la sua conservazione, a dover
essere appropriatamente giustificata
dall’amministrazione (TAR Toscana, Sez. II,
sentenza 07.04.2011 n. 629 - link
a www.ambientediritto.it). |
APPALTI SERVIZI:
Il solo controllo societario
totalitario non è garanzia della ricorrenza
dei presupposti dell’in house.
La questione centrale del ricorso in esame è
posta nei primi tre motivi, con i quali la
società ricorrente deduce, essenzialmente,
la violazione dei principi affermati dalla
giurisprudenza della Corte di Giustizia CE
sulla ammissibilità degli affidamenti
diretti senza una previa gara pubblica, a
società pubbliche o miste, di appalti di
servizi pubblici.
Tale doglianza, ad avviso dei giudici del
Tribunale amministrativo di Cagliari, è
infondata, l’art. 113 del d.lgs. n. 267/2000
(intitolato «Gestione delle reti ed
erogazione dei servizi pubblici locali di
rilevanza economica»), nel testo vigente
ratione temporis, disponeva, infatti, al
comma 5, lett. c), quanto segue: «c) a
società a capitale interamente pubblico a
condizione che l'ente o gli enti pubblici
titolari del capitale sociale esercitino
sulla società un controllo analogo a quello
esercitato sui propri servizi e che la
società realizzi la parte più importante
della propria attività con l'ente o gli enti
pubblici che la controllano».
La questione della compatibilità con
l'ordinamento dell’Unione Europea
dell'affidamento diretto a società con
capitale interamente pubblico, di un
servizio pubblico locale a rilevanza
economica (come nella specie), deve essere
vagliata essenzialmente, spiegano i giudici
sardi, come noto, alla luce della
giurisprudenza della Corte di Giustizia
delle Comunità Europee (a partire dalla
sentenza 17.11.1999, in causa C-107/98, nota
come sentenza Teckal), che ha posto i
principi giuridici che governano la materia,
affermando un affidamento senza previa gara
pubblica è consentito solo se:
a) la società pubblica affidataria sia
totalmente partecipata dall’amministrazione
aggiudicatrice (ma si veda sul punto
specifico, di recente, la sentenza Corte
giustizia CE, sez. III, 15.10.2009, in causa
C-196/08, che ammette l'affidamento diretto
di un servizio pubblico a una società a
capitale misto, pubblico e privato, nella
quale il socio privato sia selezionato
mediante una procedura ad evidenza
pubblica);
b) l'amministrazione aggiudicatrice eserciti
sull'affidatario un “controllo analogo”
a quello esercitato sui propri servizi;
c) l'affidatario svolga la maggior parte
della propria attività in favore dell'ente
pubblico di appartenenza (cfr. anche Corte
Giust. C.E. 13.10.2005, in causa C-458/03,
Parking Brixen).
In presenza di tali condizioni
–partecipazione totalmente pubblica,
controllo analogo e destinazione prevalente
dell'attività all'ente di appartenenza- il
legame che unisce quest'ultimo
all'affidatario del servizio ha carattere
organizzativo, cosicché non è richiesto
l'esperimento di procedure ad evidenza
pubblica. I giudici isolani ricordano,
inoltre, che secondo la giurisprudenza
amministrativa e comunitaria, premesso che
la partecipazione pubblica totalitaria è
elemento necessario ma non sufficiente ad
integrare il c.d. "controllo analogo",
quest'ultimo si sostanzia in «un rapporto
equivalente, ai fini degli effetti pratici,
ad una relazione di subordinazione
gerarchica; tale situazione si verifica
quando sussiste un controllo gestionale e
finanziario stringente dell'ente pubblico
sull'ente societario» (così Cons. Stato,
VI, 25.01.2005 n. 168, si veda anche Cons.
Stato, V Sez., 03/04/2007 n. 1514; Corte
Giust. C.E. 18/11/1999, in causa C-107/98;
06/04/2006 in causa C-410/04; 11/05/2006, in
causa C-340/04).
Con la sentenza da ultimo menzionata, la
Corte di Giustizia ha, in particolare,
precisato che il "controllo analogo"
è configurabile allorché l'ente pubblico
detentore del capitale, abbia la possibilità
di esercitare una «influenza determinante
sia sugli obiettivi strategici che sulle
decisioni importanti della società» (in
termini anche la citata sentenza Parking
Brixen).
Sulla questione è successivamente
intervenuta l’Adunanza Plenaria del
Consiglio di Stato (03.03.2008, n. 1) che ha
così sintetizzato le condizioni per la
legittima sussistenza del controllo analogo:
«a) lo statuto della società non deve
consentire che una quota del capitale
sociale, anche minoritaria, possa essere
alienata a soggetti privati (Cons. Stato,
sez. V, 30.08.2006, n. 5072);
b) il consiglio di amministrazione della
società non deve avere rilevanti poteri
gestionali e all’ente pubblico controllante
deve essere consentito esercitare poteri
maggiori rispetto a quelli che il diritto
societario riconosce normalmente alla
maggioranza sociale (Cons. Stato, sez. VI,
03.04.007, n. 1514);
c) l’impresa non deve avere acquisito una
vocazione commerciale che rende precario il
controllo dell’ente pubblico e che
risulterebbe, tra l’altro: dall’ampliamento
dell’oggetto sociale; dall’apertura
obbligatoria della società, a breve termine,
ad altri capitali; dall’espansione
territoriale dell’attività della società a
tutta l’Italia e all’estero (C. giust. CE:
10.11.2005, C-29/04, Mödling o Commissione
c. Austria; 13.10.2005, C-458/03, Parking
Brixen); d) le decisioni più importanti
devono essere sottoposte al vaglio
preventivo dell’ente affidante (Cons. Stato,
sez. V, 08.01.2007, n. 5).
In sostanza si ritiene che il solo controllo
societario totalitario non sia garanzia
della ricorrenza dei presupposti dell’in
house, occorrendo anche un’influenza
determinante da parte del socio pubblico,
sia sugli obiettivi strategici che sulle
decisioni importanti (C. giust. CE,
11.05.2006, C-340/04, società Carbotermo e
Consorzio Alisei c. Comune di Busto
Arsizio).» (commento tratto da
www.documentazione.ancitel.it - TAR
Sardegna, Sez. I,
sentenza
07.04.2011 n.
304 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Recupero
dei sottotetti - Distanza inderogabile di 10
metri tra i fabbricati.
Le porzioni di edificio risultanti dal
recupero ai fini abitativi dei sottotetti
esistenti devono considerarsi, ai fini del
rispetto dell'art. 9 DM 1444/1968, quali
nuove costruzioni, con la conseguenza che
dovranno necessariamente essere collocate ad
almeno 10 metri dalla parete dell’edificio
antistante.
Questa conclusione si fonda sull’indirizzo
giurisprudenziale pacifico, costantemente
seguito da questa Sezione e confermato
costantemente dal Consiglio di Stato (cfr.
TAR Lombardia, Milano, sez. II, 26.04.2007,
n. 1991; 26.07.2010, n. 3262; 10.12.2010, n.
7511; 28.01.2011, n. 264; Consiglio di
Stato, sez. V, 02.11.2010, n. 7731; TAR
Liguria, sez. I, 03.11.2010, n. 10243 e TAR
Lombardia, Brescia, sez. I, 27.08.2010, n.
3240), secondo cui l’art. 9 menzionato è
norma di ordine pubblico, insuscettibile di
deroga negli strumenti urbanistici e nei
regolamenti locali (salvo peculiari
eccezioni, non riscontrabili però nel caso
di specie), volta ad impedire la
realizzazione di intercapedini nocive sotto
il profilo igienico, sicché deve essere
rispettata anche in caso di sopraelevazioni
o di recupero di sottotetti (si veda anche,
con specifico riguardo alla Regione
Lombardia, l’art. 103 comma 1-bis della
legge regionale 12/2005, per il quale: <<Ai
fini dell'adeguamento, ai sensi
dell'articolo 26, commi 2 e 3, degli
strumenti urbanistici vigenti, non si
applicano le disposizioni del decreto
ministeriale 02.04.1968, n. 1444 (...),
fatto salvo, limitatamente agli interventi
di nuova costruzione, il rispetto della
distanza minima tra fabbricati pari a dieci
metri, derogabile all'interno di piani
attuativi>>).
La circostanza che gli edifici delle
ricorrenti e quello oggetto dell’intervento
di recupero siano tutte inserite nel
medesimo condominio appare assolutamente
irrilevante, tenuto conto della finalità
della citata norma del DM 1444/1968,
finalità di stampo pubblicistico che non può
certo essere derogata per il solo fatto che
esistono porzioni immobiliari comuni ai tre
edifici, tali da realizzare un condominio.
Ciò premesso, sono evidenti sia
l’inosservanza dell’art. 9 sopra richiamato,
sia il difetto di istruttoria in cui è
incorsa l’Amministrazione resistente.
L’accoglimento dei motivi sopra indicati
relativi alla violazione dell’art. 9 del DM
1444/1968 ha carattere assorbente rispetto
alle altre censure, in particolare rispetto
a quelle relative all’inosservanza dell’art.
63 della LR 12/2005 ed alla presunta
proprietà comune –e non individuale– del
tetto dell’immobile oggetto dell’intervento
di recupero.
Non appare, infatti, possibile procedere in
ogni caso al recupero del sottotetto,
ostandovi la previsione inderogabile del
citato art. 9 sulla distanza minima fra
pareti finestrate e pareti di edifici
antistanti
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 05.04.2011 n. 902 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L’istituto del silenzio assenso esige che la
domanda (di condono edilizio) sia corredata dalla indispensabile
documentazione prevista dalla normativa.
L’art. 35 della legge n. 47/1985, nel testo
risultante dalla modifica intervenuta per
effetto dell’entrata in vigore del DL
12.01.1988, n. 2, prescrive che “decorso
il termine di 24 mesi dalla
presentazione della domanda, quest’ultima si
intende accolta ove l’interessato provveda
al pagamento di tutte le somme eventualmente
dovute a conguaglio ed alla presentazione
all’ufficio tecnico erariale della
documentazione necessaria
all’accatastamento. Trascorsi 36 mesi
si prescrive l’eventuale diritto al
conguaglio o al rimborso spettanti.”
I due termini (per la formazione del
silenzio-assenso e di prescrizione del
diritto al conguaglio) decorrono dalla
presentazione di domanda completa della
necessaria documentazione, non essendo, in
caso di documentazione incompleta, il Comune
tenuto a richiedere l’integrazione entro il
termine biennale (cfr. Cons. St. Sez. IV,
23-07-2009, n. 4672, 07.04.2006, n. 1910).
Ciò risponde, peraltro, ad un generale
principio in materia di silenzio assenso,
per cui ogni qualvolta il legislatore
preveda per la definizione di istanze tale
strumento di semplificazione e di
snellimento dell'azione amministrativa, non
è sufficiente la sola presentazione della
domanda ed il decorso del tempo indicato
dalla norma che lo prevede, ma è necessario
altresì che essa sia corredata dalla
indispensabile documentazione prevista dalla
normativa , non implicando il meccanismo del
silenzio assenso alcuna deroga al
potere-dovere dell'amministrazione pubblica
di curare gli interessi pubblici nel
rispetto dei principi fondamentali sanciti
dall’art. 97 della Costituzione e
presupponendo quindi che l'amministrazione
sia posta nella condizione di verificare la
sussistenza di tutti i presupposti legali
per il rilascio dell’autorizzazione (Cons.
St. Sez. V, 29.12.2009, n. 8831) (Consiglio
di Stato, Sez. V,
sentenza 01.04.2011 n. 2019 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Incidente di esecuzione e
legittimazione.
Anche dopo l’acquisizione al patrimonio del
competente comune del manufatto abusivo e
della relativa area sedime il soggetto
condannato resta comunque il destinatario
dell’ordine di demolizione, con conseguente
onere da parte del medesimo di dare
esecuzione, nelle forme di rito, all’ordine
di demolizione a propria cura e spese.
Egli è pertanto legittimato a proporre
incidente di esecuzione (Corte di
Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 31.03.2011 n. 13345 -
link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Abuso edilizio. Ricorso
straordinario al Presidente della Repubblica
e ordine di demolizione.
La presentazione di un ricorso straordinario
al Presidente della Repubblica (procedura
che non è soggetta a definizione entro
termini perentori) non è di per sé
sufficiente per poter disporre la
sospensione dell’esecuzione dell'ordine di
demolizione, non essendo prevedibile né se
si verificherà in concreto una causa
estintiva del reato né comunque se questa sì
verificherà in tempi brevi (Corte di
Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 31.03.2011 n. 13337 -
link a www.lexambiente.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Il criterio della vicinitas
sottende lo stabile e significativo
collegamento, da indagare caso per caso, del
ricorrente con la zona il cui ambiente si
intende proteggere.
Secondo la recente e condivisibile
giurisprudenza della Sezione (Cons. Stato,
sez. V 26.02.2010, n. 1134), relativa
proprio a fattispecie di interventi
asseritamente lesivi sul piano dell’impatto
ambientale, il criterio della vicinitas
costituisce la base del riconoscimento della
legittimazione dei singoli che agiscano a
tutela del bene ambiente e, in particolare,
a tutela di interessi incisi da atti che li
ledono direttamente e personalmente,
unitamente all’intera collettività che
insiste sul territorio (cfr. Cons. St., Sez.
V, 16.06.2009, n. 3849); vicinitas
cui va però attributo il senso non di
stretta contiguità, bensì di stabile e
significativo collegamento, da indagare caso
per caso, del ricorrente con la zona il cui
ambiente si intende proteggere (cfr. Cons.
St., Sez. VI, 27.03.2003, n. 1600).
Nel caso esaminato da questa Sezione con la
citata decisione n. 1134/2010 si è ritenuto
che la “distanza da 600 a 2000 metri non
sia di ostacolo alla configurazione della
ripetuta situazione di vicinitas, intesa nel
significato predetto, avuto riguardo alla
natura ed alla potenzialità dell’impianto
autorizzato con gli atti regionali impugnati
in primo grado, in particolare all’enorme
quantità ed eterogeneità dei rifiuti di cui
si consente lo smaltimento o il recupero
(1.705.960 t/a) e di quelli da stoccare. In
altri termini, tanto basta a qualificare e
differenziare la posizione giuridica
soggettiva dei ricorrenti in primo grado ed
il loro interesse a far valere
l’illegittimità dell’autorizzazione alla
installazione ed al funzionamento
dell’impianto di cui trattasi a tutela
dell’integrità delle proprie attività, siano
esse agricole o zootecniche, anche con
connotati industriali, svolte sui fondi di
pertinenza” (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 31.03.2011 n. 1979 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Pertinenza di manufatto rispetto
ad azienda agricola.
Non è possibile parlare di pertinenza di un
manufatto rispetto ad una azienda agricola
in quanto questa esula dal concetto di “cosa”
nell’accezione di cui all’art. 817 c.c..
In ogni caso per esplicita volontà
legislativa il vincolo pertinenziale
riguarda edifici e non fondi rustici (Corte
di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 30.03.2011 n. 13125 -
link a www.lexambiente.it). |
APPALTI:
Non è consentita l’instaurazione di un
giudizio in materia di appalti pubblici
quando risulti che il ricorrente non
potrebbe esserne l’aggiudicatario.
Giova precisare, in una con la
giurisprudenza di questo Consiglio (cfr.,
ex plurimis, Cons. Stato, sez. V,
07.09.2009, n. 5244; sez. IV, 22.12.2007, n.
6613; sez. V, 07.11.2005, n. 6200), che
l’azione di annullamento davanti al giudice
amministrativo è soggetta –sulla falsariga
del processo civile– a tre condizioni
fondamentali: il c.d. titolo o possibilità
giuridica dell’azione (cioè la posizione
giuridica configurabile in astratto da una
norma come di interesse legittimo, ovvero
come altri dice la legittimazione a
ricorrere discendente dalla speciale
posizione qualificata del soggetto che lo
distingue dal quisque de populo
rispetto all’esercizio del potere
amministrativo); l’interesse ad agire (ex
art. 100 c.p.c.); e la legitimatio ad
causam (o legittimazione attiva/passiva,
discendente dall’affermazione di colui che
agisce/resiste in giudizio di essere
titolare del rapporto controverso dal lato
attivo o passivo).
Tali condizioni devono sussistere al momento
della proposizione della domanda e permanere
fino al momento della decisione.
Nella specie, come si vedrà meglio in
prosieguo, non viene in discussione, in
senso proprio, la legittimazione ad agire
dell’originario ricorrente (che è pacifica),
bensì la carenza, in capo a quest’ultimo e
relativamente alle censure in concreto mosse
avverso i provvedimenti impugnati, di una
posizione differenziata rispetto al
quivis de populo, qualificabile in
termini astratti come di interesse
legittimo, nonché la mancanza dell’interesse
ad agire, in relazione sia alla data di
proposizione del ricorso che a quella della
decisione di primo grado.
La configurabilità della prima condizione
dell’azione, il c.d. titolo, non è
consentita ove l’instaurazione o la
prosecuzione di un giudizio sia finalizzata
a tutela di interessi illegittimi o pretese
emulative (cfr. da ultimo, sul principio
generale, Cons. St., sez. V, 12.02.2010, n.
746; sez. V, 07.09.2009, n. 5244).
Tale principio è declinato, nel processo in
materia di appalti pubblici, nel senso che è
inammissibile, per carenza di interesse, il
ricorso contro l’aggiudicazione di una gara
d’appalto quando, dall’esperimento della
c.d. prova di resistenza, risulti con
certezza che il ricorrente non sarebbe
comunque risultato a sua volta
aggiudicatario neppure in caso di
accoglimento del ricorso (cfr. Cons. St.,
sez. VI, 10.09.2008, n. 4326; sez. IV,
11.12.1998, n. 1629).
In tali casi, infatti, l’eventuale rinnovo
procedimentale all’esito dell’annullamento
giurisdizionale, rimanendo intatta la
clausola precettiva della lex specialis,
dovrebbe riprendere dall’esame dell’offerta
esclusa ma, al quel punto, risulterebbe
evidente l’impossibilità giuridica per
l’impresa stessa di risultare
aggiudicataria, di stipulare il contratto e
di svolgere le prestazioni oggetto
dell’appalto.
Facendo applicazione dei su esposti principi
all’odierna fattispecie, emerge che nessuna
posizione di interesse legittimo è
astrattamente enucleabile dall’esame della
causa petendi dell’originario ricorso
della società Tebe perché esso si risolve,
all’evidenza, nella richiesta di tutela di
un interesse materiale a contenuto
impossibile (o contra ius se messo in
relazione alla su riferita clausola del
bando), in quanto non consente all’impresa
di conseguire il bene della vita cui aspira
(l’aggiudicazione della gara d’appalto); del
resto costituisce affermazione di principio
ricorrente quella secondo cui l’interesse
tutelato a livello procedimentale prima e
processuale poi, in materia di appalti
pubblici, non può essere quello generico al
rifacimento della gara d’appalto, proprio di
tutte le imprese di settore rimaste estranee
alla specifica selezione, bensì quello
specifico ad una competizione finalizzata
all’ottenimento dell’aggiudicazione, cui
possono aspirare soltanto i legittimi
partecipanti alla gara, anche attraverso
l’eliminazione di clausole della lex
specialis eventualmente lesive (cfr. da
ultimo Cons. St., sez. V, 12.10.2010, n.
7402) (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 29.03.2011 n. 1928 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
Lottizzazione e responsabilità
dell’acquirente.
La condotta dello acquirente può inserire un
contributo causale alla concreta attuazione
del disegno criminoso di lottizzazione anche
senza una azione concordata con il
venditore: è sufficiente una adesione al
detto programma mediante la violazione
(deliberata o per trascuratezza) di
specifici doveri di informazione e
conoscenza che gravano sui privati in vista
dell’osservanza dei precetti penali (Corte
di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 25.03.2011 n. 12016 -
link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Opere abusive realizzate su fondo
altrui: quando é legittima la sanzione
indirizzata al proprietario incolpevole.
Quali iniziative deve
porre in atto il proprietario che intenda
sottrarsi all'ordine di demolizione di opere
abusivamente realizzate sul suo fondo da
terzi in assenza di titolo autorizzativo e
in contrasto con le previsioni dello
strumento urbanistico generale?
Lo spiega la
sentenza 25.03.2011 n. 278 del
TAR Piemonte, Sez. I, che affronta il caso
di opere di manutenzione straordinaria
consistenti in recinzioni metalliche con
annessi cancelli pedonali e una piccola
pavimentazione, realizzati sulla proprietà
di un soggetto incolpevole e sanzionate
dall'A.C. ex art. 22 e 37 D.P.R. 380/2001.
Anzitutto non é sufficiente recarsi presso
l’ufficio tecnico del Comune per segnalare
l’esistenza delle predette opere abusive e
chiedere delucidazioni sul da farsi, come
non é sufficiente proporre querela contro
ignoti. E' necessario, invece, segnalare
tempestivamente all’Amministrazione
l’esistenza degli interventi abusivi e
fornire alla stessa gli elementi utili
all’identificazione dei responsabili dei
predetti illeciti.
Afferma il TAR Piemonte che se è
indubitabile la legittimità di un ordine di
demolizione indirizzato nei soli confronti
del proprietario, ove non siano
immediatamente rinvenuti altri elementi
utili all'identificazione del diverso
responsabile dell'abuso, nel qual caso
l'ingiunzione andrà indirizzata ad entrambi,
come da lettera dell'art. 31, comma 2,
d.P.R. n. 380 del 2001 (o al solo
responsabile e però con le possibili
preclusioni per l'acquisizione dell'area di
sedime), "va escluso che ciò possa
accadere allorquando il proprietario, come
nel caso di specie, abbia avuto modo di
fornire, prima dell'emanazione
dell'ingiunzione, all'Amministrazione
procedente ogni elemento utile
all'identificazione del soggetto
responsabile dell'abuso (TAR Campania
Napoli, sez. VII, 03.11.2009, n. 6808)",
mentre "il proprietario incolpevole di un
abuso edilizio commesso da altri che voglia
sfuggire all’effetto sanzionatorio della
demolizione, deve provare l’intrapresa di
iniziative che, oltre a rendere palese la
sua estraneità all’abuso, siano anche idonee
a costringere il responsabile dell’attività
illecita a ripristinare lo stato dei luoghi
nei sensi e nei modi richiesti dall’autorità
amministrativa (cfr. TAR Sardegna, sez. II,
19.11.2009, n. 1835)".
Nel caso di specie, la ricorrente aveva sì
dedotto di aver informato della situazione
l’ufficio tecnico comunale, ma la
circostanza non risultava provata, così come
alla querela non risultava fossero seguite "concrete
iniziative" volte a far cessare l’abuso.
Fisso il principio secondo cui l'ordinanza
di demolizione di una costruzione abusiva
ben può essere emanata nei confronti del
proprietario attuale, anche se non
responsabile dell'abuso, considerando che
l'abuso edilizio costituisce un illecito
permanente e che l'ordinanza stessa ha
carattere ripristinatorio e non prevede
l'accertamento del dolo o della colpa del
soggetto (TAR Campania Napoli, sez. IV,
24.05.2010, n. 8343; TAR Piemonte, sez. I,
25.10.2006, n. 3836), il mezzo é stato
quindi respinto (commento tratto da http://studiospallino.blogspot.com
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Interventi in difformità totale.
Sugli interventi edilizi in totale
difformità dal permesso di costruire.
La fattispecie in oggetto é caratterizzata
dalla trasformazione di locali autorizzati
come sottotetti costituenti volumi tecnici
in unità immobiliari residenziali, di
altezza più elevata rispetto alle previsioni
progettuali e di superficie corrispondente
al piano sottostante, divise in ambienti
separati, munite di aperture finestrate,
dotate di impianti elettrico ed idrico.
La Corte ha rilevato, pertanto,
l’intervenuta realizzazione di opere non
rientranti tra quelle autorizzate, per le
diverse caratteristiche tipologiche e di
utilizzazione, che hanno una loro autonomia
e novità, oltre che sul piano costruttivo,
anche su quello della valutazione
economico-sociale (Corte di Cassazione, Sez.
III penale,
sentenza 24.03.2011 n. 11956 -
link a www.lexambiente.it). |
APPALTI:
Non è escluso dalla gara il concorrente che
fornisca false dichiarazioni quando sia
ugualmente in possesso di tutti i requisiti
previsti.
Con riguardo alla circostanza che causa di
esclusione è stata quella, formale, di aver
omesso una dichiarazione prescritta dal
bando osserva il Collegio che, pur dando
atto del non univoco orientamento della
giurisprudenza della Sezione e delle ragioni
che presiedono alla tesi restrittiva e
formalistica, basate sulla necessità di
ordinaria verifica sull'affidabilità dei
soggetti partecipanti (Cons. St. Sez. V,
sent. n. 3742/2009), deve ritenersi, in
presenza delle circostanze di fatto di cui
alla presente controversia, di aderire
all'orientamento di numerose recenti
sentenze orientate nel senso della
doverosità della effettuazione di una
valutazione sostanzialistica della
sussistenza delle cause ostative (in
particolare Cons. St. Sez. V, 13.02.2009, n.
829; Sez. VI 04.08.2009, n. 4906,
22.02.2010, n. 1017), nella considerazione
che il primo comma dell'art. 38 del D.Lgs.
n. 163/2006 ricollega l'esclusione dalla
gara al dato sostanziale del mancato
possesso dei requisiti indicati, mentre il
secondo comma non prevede analoga sanzione
per l'ipotesi della mancata o non perspicua
dichiarazione.
Da ciò discende che solo l'insussistenza, in
concreto, delle cause di esclusione previste
dall'art. 38 citato comporta, “ope legis”,
l'effetto espulsivo.
Quando invece il partecipante sia in
possesso di tutti i requisiti richiesti e la
“lex specialis” non preveda
espressamente la pena dell'esclusione in
relazione alla mancata osservanza delle
puntuali prescrizioni sulle modalità e
sull'oggetto delle dichiarazioni da fornire,
l'omissione non produce alcun pregiudizio
agli interessi presidiati dalla norma,
ricorrendo un'ipotesi di "falso innocuo",
come tale insuscettibile, in carenza di una
espressa previsione legislativa o della
legge di gara, a fondare l'esclusione, le
cui ipotesi sono tassative .
In senso conforme alla prospettata soluzione
depone anche l'art. 45 della direttiva
2004/18/CE che ricollega l'esclusione alle
sole ipotesi di grave colpevolezza di false
dichiarazioni nel fornire informazioni, non
rinvenibile nel caso in cui il concorrente
non consegua alcun vantaggio in termini
competitivi , essendo in possesso di tutti i
requisiti previsti (Cons. St., Sez. VI,
22.02.2010, n. 1017) ( – Consiglio di Stato,
Sez. V,
sentenza 24.03.2011 n. 1795 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
TAR Lombardia: principi generali
in tema di ampliamenti di attività
produttive in variante al PRG.
Presupposto per la
convocazione della conferenza di servizi
volta all'approvazione di una variante
urbanistica ex art. 5 del d.P.R. n. 447 del
1998 è la verifica, da parte del
responsabile del procedimento, dell'assenza
o dell'insufficienza di aree già destinate
agli insediamenti produttivi nel p.r.g. in
vigore. La disposizione in questione,
infatti, prevede che allorché il progetto
sia conforme alle norme vigenti in materia
ambientale, sanitaria e di sicurezza del
lavoro ma lo strumento urbanistico "non
individui aree destinate all'insediamento di
impianti produttivi ovvero queste siano
insufficienti in relazione al progetto
presentato", il responsabile del
procedimento può, motivatamente, convocare
una conferenza di servizi per l'esame della
domanda.
Ma come deve essere letta la disposizione?
Quali sono, cioè, i suoi margini
interpretativi?
Ignorando l'utilizzo dell'espressione ^ovvero^
-che ha un significato diverso a seconda che
venga utilizzata nel linguaggio normativo
piuttosto che nell'utilizzo comune (v. G.
Acerboni,
Abolire 'ovvero', 2008)-
può essere utile la
sentenza 24.03.2011 n. 773 del
TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, che -chiamato
a pronunciarsi su un diniego opposto da un
Comune in ragione dell'esistenza di aree
inedificate a destinazione produttiva
all'interno del territorio comunale- ha
sancito che:
• tanto il provvedimento con cui si
decide di accedere alla conferenza di
servizi tanto quello di diniego debbono
essere motivati;
• il provvedimento deve essere motivato con
riferimento non alla astratta disponibilità
di aree a destinazione industriale sul
territorio, ma con riferimento alla
tipologia di progetto presentata;
• l'area da destinare all'ampliamento della
relativa attività non può quindi essere
rinvenuta altrove, ma deve trovarsi in
stabile e diretto collegamento con quella
dell'insediamento principale e da ampliare.
Nella fattispecie in questione "il comune
intimato non avrebbe dovuto, quindi,
limitarsi ad affermare la realizzabilità
dell'intervento in presenza di aree
astrattamente (ma non concretamente) idonee
all'insediamento, cioè avrebbe dovuto
valutare se le aree presenti con
destinazione produttiva fossero o meno
utilizzabili in concreto per la
realizzazione del progetto di ampliamento
presentato. Avrebbe, dunque, dovuto fornire
analitica motivazione circa le proprie
determinazioni, anche in considerazione del
fatto che la zona produttiva D1 individuata
dallo strumento urbanistico non era contigua
allo stabilimento della ricorrente, il cui
ampliamento sarebbe, quindi, risultato
impossibile mediante l’utilizzazione di tale
area" (commento tratto da http://studiospallino.blogspot.com
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI: È
del giudice ordinario la competenza sul
risarcimento danni per la lesione
dell'affidamento ingenerato da un
provvedimento, apparentemente legittimo, di
aggiudicazione di una gara per l'affidamento
di un pubblico servizio.
La controversia in merito alla domanda
autonoma di risarcimento danni avanzata da
colui che, avendo conseguito
l'aggiudicazione in una gara per
l'affidamento di un pubblico servizio, in
seguito annullata dal Tar perché illegittima
su ricorso di un altro concorrente, deduca
la lesione dell'affidamento originato dal
provvedimento di aggiudicazione
apparentemente legittimo, rientra nella
giurisdizione del giudice ordinario
(Corte di Cassazione, Sezz. unite civili,
sentenza 23.03.2011 n.
6596). |
EDILIZIA PRIVATA: È
del giudice ordinario la competenza sul
risarcimento danni del beneficiario di una
concessione edilizia che aveva confidato
nella apparente legittimità della stessa.
La controversia nella quale il beneficiario
di una concessione edilizia, annullata
d'ufficio o su ricorso di altro soggetto in
quanto illegittima, richieda il risarcimento
dei danni sofferti per avere confidato nella
apparente legittimità della stessa, che
aveva prodotto in lui l'incolpevole
convinzione di poter edificare
legittimamente, rientra nella giurisdizione
del giudice ordinario, avendo ad oggetto un
comportamento illecito della P.A. per
violazione del principio del "neminem
laedere" (Corte di Cassazione,
sentenza 23.03.2011 n.
6594). |
APPALTI:
Esclusione dalla gara di una
ditta per difetto del requisito della
capacità economica e finanziaria.
Nel caso in cui il disciplinare di gara
imponga, a pena di esclusione, la
dimostrazione del possesso del requisito
della capacità economica e finanziaria
mediante almeno due dichiarazioni di
istituti di credito attestanti,
espressamente, la disponibilità di mezzi
finanziari adeguati per l’assunzione dello
specifico servizio oggetto della procedura
di evidenza pubblica, è legittima
l’esclusione dalla gara di una ditta che
abbia presentato due referenze bancarie
attestanti esclusivamente e genericamente la
complessiva affidabilità della ditta stessa
sotto il profilo finanziario; in tal caso,
infatti, le referenze presentate dal
concorrente escluso devono ritenersi del
tutto generiche e non corrispondenti a
quanto richiesto a pena di esclusione dal
disciplinare di gara e, in quanto tali,
inidonee a dimostrare l’effettivo possesso
dei requisiti di carattere
economico-finanziario richiesti dalla P.A.
per la corretta gestione del servizio da
appaltare (1).
---------------
(1) Ha aggiunto la sentenza in rassegna
che nella specie non era applicabile l’art.
46 del D.lgs. n. 163/2006 e quindi la
possibilità per la concorrente di integrare
le dichiarazioni presentate benché carenti
nei contenuti, atteso che, proprio alla luce
delle previsioni del disciplinare, detta
facoltà non era esercitabile da parte
dell’Amministrazione, in quanto era stata
prevista espressamente quale causa di
esclusione dalla gara l’ipotesi in cui le
dichiarazioni rese dagli istituti bancari o
intermediari autorizzati non avessero
attestato specificatamente quanto richiesto.
Un diverso comportamento, volto a consentire
l’integrazione di una dichiarazione resa in
termini difformi da quanto richiesto dalla
lex specialis, con espressa previsione della
sanzione dell’esclusione, si sarebbe
rivelato in palese violazione del bando di
gara e della par condicio fra i concorrenti
(massima tratta da www.regione.piemonte.it -
TAR Veneto, Sez. I,
sentenza 11.03.2011 n. 413 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Beni ambientali. Boschi e radure.
Il bosco è caratterizzato dalla presenza di
vegetazione e da un’estensione minima,
mentre per le radure e le altre superfici
che interrompono il bosco, rientranti tra le
“aree assimilate”, è previsto un
limite massimo di estensione superato il
quale viene meno l’assimilazione. E’ poi
evidente che dette aree vengono, appunto,
assimilate al bosco perché non posseggono le
caratteristiche indicate nella definizione.
Le radure, in particolare, presentano,
evidentemente, l’assenza di vegetazione del
tipo di quella che caratterizza il bosco
altrimenti, come le altre aree indicate, non
potrebbero interromperlo.
Con riferimento specifico alle ipotesi
contemplate dall’articolo 149 D.Lv. 42/2004,
la valutazione circa la non soggezione
dell’intervento ad autorizzazione
paesaggistica in base alla tipologia dei
lavori non può essere lasciata ad una
soggettiva interpretazione della normativa
di settore da parte del privato che detti
lavori intende eseguire, sottraendo ogni
possibilità di controllo preventivo
all’autorità amministrativa (Corte di
Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 10.03.2011 n. 9690 -
link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Beni ambientali. Valutazione di
incidenza e permesso di costruire.
La valutazione incidenza prevista dal D.P.R.
08.09.1997, n. 357 per gli interventi da
eseguirsi nelle zone individuate come SIC
(siti di interesse comunitario) avendo ad
oggetto l’analisi dei possibili effetti che
gli interventi medesimi possono avere su
detti siti con riferimento agli obiettivi di
conservazione, deve necessariamente
precedere il rilascio del titolo abilitativo
edilizio del quale costituisce requisito di
efficacia (Corte di Cassazione, Sez. III
penale,
sentenza 09.03.2011 n. 9308 -
link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Lavori in totale difformità dal
permesso di costruire.
La costruzione in totale difformità dal
permesso di costruire può derivare, oltre
che da consistenti aumenti di volumetria o
altre rilevanti modificazioni della
struttura esterna dell’immobile, anche dalla
esecuzione di interventi all’interno di un
fabbricato che determinino la modificazione
di parte dell’edificio, allorché tale
modificazione abbia rilevanza urbanistica
(in quanto incidente sull’assetto del
territorio, aumentando il cosiddetto carico
urbanistico), quali ad esempio la
modificazione della destinazione d’uso di
parte dell’immobile rispetto a quanto
assentito con il provvedimento
autorizzatorio (Cote di Cassazione, Sez. III
penale,
sentenza 09.03.2011 n. 9282 -
link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Doveri del responsabile o
dirigente dell’ufficio tecnico comunale.
In materia edilizia non c'e' dubbio che
l'art. 27 dpr 380/2001 ponga a carico del
dirigente o del responsabile del competente
ufficio comunale un obbligo di vigilanza
sull’attività urbanistico-edilizia nel
territorio comunale per assicurarne la
rispondenza alle norme di legge e di
regolamento, alle prescrizioni degli
strumenti urbanistici ed alle modalità
esecutive fissate nei titoli abilitativi,
imponendogli di intervenire ogni qualvolta
venga accertato l’inizio o l’esecuzione di
opere eseguite senza titolo o in difformità
della normativa urbanistica, attraverso la
emanazione di provvedimenti interdittivi e
cautelari (cfr. anche art. 31 DPR 380/2001).
Egli è quindi certamente titolare di una
posizione di garanzia che gli impone di
attivarsi per impedire l'evento dannoso
(Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 09.03.2011 n. 9281 -
link a www.lexambiente.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Procedimento disciplinare a
seguito della condanna in sede penale.
Dopo la conclusione del procedimento penale
nei confronti di un dipendente pubblico a
seguito del quale lo stesso è stato
condannato, l’Amministrazione deve valutare
se iniziare o meno il procedimento
disciplinare a carico del dipendente già
sospeso in via cautelare, e può iniziarlo
ancorché il dipendente sia cessato dal
servizio anteriormente al giudicato penale,
e ciò al fine precipuo di regolare gli
effetti della sospensione cautelare, che è
titolo per sua natura provvisorio; tale
potere va esercitato nei termini previsti
per l’esercizio dell’azione disciplinare nei
confronti dell’impiegato in servizio con la
conseguenza che il mancato inizio
dell’azione disciplinare nei termini
comporta il venire meno con effetto ex
tunc del provvedimento di sospensione
cautelare (1).
Il mancato inizio del procedimento
disciplinare nei prescritti termini nei
confronti di un dipendente pubblico che sia
stato condannato, comporta il venir meno del
provvedimento di sospensione cautelare con
effetto ex tunc, sicché in caso di
cessazione dal servizio del dipendente
sottoposto a sospensione cautelare a seguito
di procedimento penale, qualora
l’amministrazione decida di non iniziare
l’azione disciplinare dopo l’intervento del
giudicato penale al fine di regolare gli
effetti della stessa sospensione cautelare,
al medesimo dipendente compete la differenza
tra la retribuzione spettante e l’assegno
alimentare. La sospensione cautelare
dall’impiego, infatti, per sua natura
interinale e provvisoria, è destinata a
produrre effetti solo fino a quando non
intervenga un provvedimento definitivo,
ravvisabile esclusivamente in quello
adottato al termine del procedimento
disciplinare.
Al pubblico dipendente sottoposto a
sospensione cautelare a cui non è seguito il
provvedimento di destituzione deve essere
concessa la "restituito in integrum",
dedotto il periodo della eventuale
detenzione sofferta e dedotti tutti i
compensi percepiti a qualsiasi titolo sul
periodo di allontanamento dal lavoro.
---------------
(1) Cfr. Consiglio Stato, Ad. Plen.,
06.03.1997 n. 8, riportata nella banca dati
della rivista.
Ha osservato la sentenza in rassegna che, in
forza di una interpretazione estensiva
dell’art. 118 t.u. imp. Civ. Stato –che
consente espressamente la prosecuzione del
procedimento disciplinare anche in caso di
dimissioni del dipendente se la sua
definizione influisce sul trattamento di
quiescenza e previdenza– la giurisprudenza
amministrativa assolutamente prevalente,
avallata dalla Adunanza Plenaria del
Consiglio di Stato, ha ritenuto doverosa la
esperibilità del procedimento disciplinare,
anche dopo la cessazione del rapporto di
servizio, in presenza di una pregressa
sospensione cautelare del dipendente
pubblico (così Cons. Stato, comm. Spec.
05.02.2001, n. 482; Ad. Plen. 06.03.1997, n.
8; sezione V, 24.05.1995, n. 360).
Tanto sul presupposto che la sospensione
cautelare, quale ne sia il tipo, debba
essere sempre sostituita da un diverso
titolo giuridico costituito dal
provvedimento disciplinare; sicché la sorte
del provvedimento cautelare è rimessa alla
iniziativa dell’amministrazione, cui spetta
il potere di valutare, anche ai fini della
eventuale destituzione, il comportamento del
dipendente, onde regolare in maniera
definitiva l’assetto degli interessi
provvisoriamente determinati dalla
sospensione cautelare, ben potendo
retroagire gli effetti della destituzione al
momento della sospensione, anche dopo le
dimissioni o il collocamento in quiescenza
del dipendente, per evitare pericolose
richieste di restituito in integrum (cfr.
Consiglio Stato, Ad. Plen., nn. 2 e 4 del
2002; commissione speciale 05.02.2001, n.
482; Ad. Plen. n. 8 del 1997 citata).
Nell’esercitare l’azione punitiva
l’amministrazione è comunque astretta al
rispetto dei termini perentori di inizio e
conclusione del procedimento disciplinare
(Cons. Stato, IV, 30.05.2005, n. 2830)
(massima tratta da www.regione.piemonte.it -
Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 09.03.2011 n. 1505 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Controversie in materia di nomine
delle Commissioni giudicatrici.
Il provvedimento di nomina della commissione
giudicatrice può essere impugnato dal
candidato solo nel momento in cui, con
l'approvazione delle operazioni concorsuali
e la nomina del vincitore, si esaurisce il
relativo procedimento amministrativo e
diviene compiutamente riscontrabile la
lesione della sfera giuridica altrui: la
verifica effettiva del pregiudizio sofferto
dal candidato può difatti utilmente
compiersi solo al momento dell'approvazione
della graduatoria (1).
L’art. 51, commi 2 e 3, della legge n. 142
del 1990, nel testo riformato dalla legge n.
127 del 1997, secondo il quale ai dirigenti
spettano tutti i compiti che la legge e lo
statuto dell'ente locale non riservino
espressamente agli organi di governo
dell'ente, costituisce disposizione
immediatamente applicabile senza bisogno
dell'interposizione di apposite fonti
secondarie, cui spetta solo la
determinazione delle modalità d'esercizio
della competenza, comunque indefettibile e
tale da non tollerare impedimenti o
soluzioni di continuità (2) (in applicazione
del principio nella specie è stata ritenuto
illegittimo il provvedimento di nomina di
una commissione di concorso effettuata dalla
Giunta provinciale e non già dal competente
dirigente, a nulla rilevando le specifiche
norme regolamentari della Provincia).
Quando il giudice amministrativo si trovi a
dover applicare un regolamento che risulti
confliggente con norme di legge, e la norma
regolamentare o non sia stata impugnata, o
costituisca il fondamento della pretesa
dedotta, ad esso è consentito, anche in
mancanza di richiesta delle parti, sindacare
gli atti di normazione secondaria al fine di
stabilire se essi abbiano attitudine, in
generale, ad innovare l'ordinamento e, in
concreto, a fornire la regola di giudizio
per risolvere la questione controversa (Cfr.
Cons. Stato, Sez. V, n. 154 del 1992).
Il potere del giudice amministrativo di
disapplicare atti non ritualmente impugnati
è ammesso nei riguardi di regolamenti
illegittimi, sia quando il provvedimento
impugnato sia contrastante con il
regolamento, sia quando non sia conforme al
presupposto atto normativo (Cfr. Cons.
Stato, Sez. V, 24.07.1993, n. 799), e questo
anche quando si verte in materia di
interessi legittimi (Cfr. Cons. Stato, Sez.
V, 19.09.1995, n. 1332).
E' illegittima, per incompetenza, la
delibera di nomina della Commissione
giudicatrice di una procedura concorsuale
adottata dalla Giunta provinciale, piuttosto
che dal dirigente, non essendo rilevante la
circostanza che il regolamento dei concorsi
di detto ente prevedeva la competenza della
Giunta, essendo tale norma regolamentare
illegittima perché in contrasto con la
competenza dirigenziale prevista dall'art.
51, commi 2 e 3, della legge n. 142 del
1990. La riconosciuta incompetenza alla
nomina della Commissione comporta, quale
riflesso dell’annullamento della relativa
delibera, la caducazione di tutte le
operazioni di valutazione eseguite da tale
organo (Cfr. Cons. Stato, Sez. V, n. 5625
del 2006 e n. 5279 del 2002).
È inammissibile e comunque infondata la
domanda risarcitoria formulata in maniera
del tutto generica, senza alcuna allegazione
dei fatti costitutivi (Cfr. Cons. Stato,
Sez. V, 06.04.2009, n. 2143 e 13.06.2008, n.
2967). Anche se può ammettersi il ricorso
alle presunzioni semplici ex art. 2729 c.c.
per fornire la prova del danno subìto e
della sua entità, è comunque ineludibile
l'obbligo, a monte, di allegare circostanze
di fatto precise (Cfr. Cons. Stato, Sez. V,
13.06.2008, n. 2967).
---------------
(1) Cfr. Cons. Stato, Sez. V, n. 5279 del
2002 e n. 1589 del 1999. V. anche Cons.
Stato, Sez. V, n. 232 del 1996, secondo cui
in un procedimento amministrativo
concernente un pubblico concorso, il
candidato leso da un provvedimento della
Commissione lo può ben impugnare unitamente
all'atto di nomina dei componenti di
quest'ultima, in quanto detta nomina ha
natura endoprocedimentale ed è adottata in
esito ad uno specifico sub-procedimento,
volto a consentire che i candidati siano
valutati, nell'ulteriore corso, proprio da
coloro che le norme reputano più idonei e
siano in possesso dei prescritti requisiti,
per cui l'interesse dei candidati stessi
alla rimozione dei componenti
illegittimamente nominati si attualizza solo
dopo l'adozione dell'atto che ha preso in
esame la loro posizione e approvato la
relativa graduatoria.
(2) Cons. Stato, Sez. V, 23.03.2000, n.
1617; in termini si vedano anche Sez. V, nn.
5603 e 5833 del 2001 e 2694 del 2004.
Ha osservato in particolare la sentenza in
rassegna che il comma 3 dell’art. 51 cit.,
con la sua precisa formula "Spettano ai
dirigenti tutti i compiti, compresa
l'adozione di atti che impegnano
l'amministrazione verso l'esterno, che la
legge e lo statuto espressamente non
riservino gli organi di governo dell'ente",
permette con una chiara logica di riservare
competenze, pur in via di principio
dirigenziali, agli organi di governo
dell'ente alla sola fonte statutaria (oltre
che alla legge), quale fonte locale primaria
cui l’art. 4 della stessa legge n. 142
affida la definizione delle norme
fondamentali dell'organizzazione dell'ente
locale, ed in particolare delle attribuzioni
degli organi. Ai regolamenti, che sono fonti
subordinate allo statuto, lo stesso comma 3
consente, invece, solo la definizione delle
"modalità" di esercizio delle competenze
enumerate nel medesimo comma (sulla
differenza di gerarchia tra statuto e
regolamenti cfr., in generale, ad es.,
C.d.S., V, 25.01.2005, n. 148) (massima
tratta da www.regione.piemonte.it -
Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 04.03.2011 n. 1408 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Controversia relativa al
provvedimento con il quale la P.A. indice un
concorso piuttosto che utilizzare una
graduatoria di altro concorso.
La giurisdizione del giudice ordinario sullo
scorrimento della graduatoria di un concorso
pubblico e sull'assunzione è comunque
esclusa quando venga contestato un
provvedimento di indizione di un nuovo
concorso da chi ha interesse allo
scorrimento della graduatoria; in tal caso,
infatti, l'interessato chiede tutela nei
confronti dell'esercizio del potere
amministrativo, con la conseguenza che a
quest'ultimo corrisponde una situazione di
interesse legittimo, la cui tutela deve
essere accordata dal giudice amministrativo,
ai sensi dell'art. 63, comma 4, d.P.R. n.
165/2001 (Cfr. Cass., Sez. un., 18.10.2005,
n. 20107; 20.08.2009 n. 18499).
E’ illegittima la delibera con la quale una
P.A. indice un concorso pubblico, piuttosto
che utilizzare una graduatoria di un
precedente concorso per la copertura dei
posti banditi, nel caso in cui la stessa
graduatoria sia stata in precedenza
utilizzata per la copertura di altri posti e
la scelta di procedere per gli ulteriori
posti con un nuovo concorso non trovi alcuna
ragionevole giustificazione, ponendosi in
contrasto con il già avvenuto utilizzo della
graduatoria (1).
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(1) Nella motivazione della sentenza in
rassegna si dà lealmente atto del fatto che
in materia, anche di recente, la
giurisprudenza amministrativa si è divisa
tra la tesi della non necessità della
motivazione della indizione di una nuova
procedura concorsuale in luogo dello
scorrimento di una precedente graduatoria
ancora efficace (Cons. Stato, sez. V,
19.11.2009, n. 7243) e l’opposto
orientamento, secondo cui quando
l’amministrazione, nell’esercizio della sua
discrezionalità, ritenga di procedere a
nuove assunzioni, essa, in ossequio al
principio di buon andamento di cui all’art.
97 Cost., è tenuta a utilizzare la
graduatoria ancora efficace, non potendo
indire un nuovo concorso, a meno che non
ricorrano particolari ragioni, da
esplicitare adeguatamente nella motivazione
del bando (Cons. Stato, sez. VI, 19.02.2010,
n. 668).
Nella specie la peculiarità del caso è stata
tuttavia ritenuta decisiva per la soluzione
della controversia.
Infatti, il ricorrente era risultato idoneo
(9° posto) nella graduatoria del concorso
pubblico per n. 6 posti di Dirigente
Amministrativo, indetto dall’A.S.L. e la
suddetta graduatoria era stata
immediatamente utilizzata, mediante
scorrimento, per coprire un posto di
dirigente amministrativo rimasto scoperto a
seguito di rinunzia all’assunzione del primo
classificato del concorso con assunzione del
candidato classificatosi al settimo posto
(massima tratta da www.regione.piemonte.it -
Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 04.03.2011 n. 1395 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Acquisizione immobili abusivi per
omessa demolizione.
La ingiustificata inottemperanza all’ordine
di demolizione di una costruzione abusiva,
emesso dall’autorità comunale, comporta
l’automatica acquisizione gratuita
dell’immobile al patrimonio disponibile del
Comune, indipendentemente dalla notifica
all’interessato dell’accertamento formale
della inottemperanza (Corte di Cassazione,
Sez. III penale,
sentenza 02.03.2011 n. 8082 -
link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Nozione di volume tecnico.
Per l’identificazione della nozione di “volume
tecnico”, assumono valore tre ordini di
parametri: il primo, positivo, di tipo
funzionale, relativo al rapporto di
strumentalità necessaria del manufatto con
l’utilizzo della costruzione alla quale si
connette; il secondo ed il terzo, negativi,
ricollegati da un lato all’impossibilità di
soluzioni progettuali diverse (nel senso che
tali costruzioni non devono potere essere
ubicate all’interno della parte abitativa) e
dall’altro lato ad un rapporto di necessaria
proporzionalità tra tali volumi e le
esigenze effettivamente presenti.
Ne deriva che la nozione in esame può essere
applicata solo alle opere edilizie
completamente prive di una propria autonomia
funzionale, anche potenziale, ed invece
esclusa rispetto a locali, in specie laddove
di ingombro rilevante, oggettivamente
incidenti in modo significativo sui luoghi
esterni (Corte di Cassazione, Sez. III
penale,
sentenza 25.02.2011 n. 7217 -
link a www.lexambiente.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Rumore. Immissioni e codice
civile.
In particolare va ribadito il principio a
termini del quale in materia di immissioni,
mentre è senz‘altro illecito il superamento
dei limiti di accettabilità stabiliti dalla
leggi e dai regolamenti che, disciplinando
le attività produttive, fìssano
nell‘interesse della collettività le
modalità di rilevamento dei rumori e i
limiti massimi di tollerabililà, l‘eventuale
rispetto degli stessi non può far
considerare senz‘altro lecite le immissioni
dovendo il giudizio sulla loro tollerabilità
formularsi alla stregua dei principi di cui
all’art. 844 c.c. (Corte di Cassazione, Sez.
II civile,
sentenza 17.01.2011 n. 939 - link
a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Ponteggio e furto in
appartamento. Di chi è la responsabilità?
Un’impresa edile, nei primi due gradi di
giudizio, è stata ritenuta responsabile del
furto ad opera di ignoti nei confronti degli
abitanti di un appartamento adiacente ad un
cantiere edile allestito dall’impresa
stessa.
Le considerazioni dei Giudici si basano sul
fatto che i ladri si erano serviti di
un’impalcatura del cantiere attiguo
all’edificio per entrare nell’appartamento
derubato.
L’impresa decide di ricorrere alla
Cassazione Civile che rigetta il ricorso
affermando, ex art. 2043 del Codice Civile,
che è l’imprenditore che risponde del furto
in appartamento da parte di ignoti che usano
il ponteggio installato per lavori di
manutenzione, se egli abbia omesso di
adottare misure opportune atte a impedirne
l’uso anomalo da parte di terzi, creando,
così un agevole accesso ai ladri (Corte di
Cassazione, Sez. III civile,
sentenza 10.01.2011 n. 292).
Quindi l’impresa costruttrice deve risarcire
tutti i danni.
Sembrerebbe, quindi, che in casi analoghi la
responsabilità risulti sempre
dell’imprenditore che installa il ponteggio;
ma non è così!
Analizzando la giurisprudenza, esistono
precedenti contrari, come la sentenza
18.10.2005, n. 20133, in cui la stessa
Cassazione Civile stabiliva che, nel caso in
cui una persona subisca un furto nel proprio
appartamento ad opera di ladri che vi si
sono introdotti attraverso impalcature
lasciate incustodite, il proprietario delle
impalcature non può essere ritenuto
civilmente corresponsabile del furto.
In particolare, la Corte Suprema affermava
che l’imprenditore non può essere ritenuto
responsabile:
- né per esercizio di attività pericolosa ex
art. 2050 C.C., poiché tali attività danno
luogo a responsabilità solo se il danno si
sia prodotto durante il loro espletamento;
- né per cose in custodia ex art. 2051
C.C.,poiché le cose in custodia non danno
luogo a responsabilità quando i danni siano
cagionati dall’attività illecita di terzi;
- né per omissione di cautele ex art. 2043
C.C., poiché tale responsabilità sorge solo
se si sia contravvenuto ad uno specifico
obbligo di fare (link a www.acca.it). |
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