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AGGIORNAMENTO AL 27.12.2010 |
ã |
I migliori
Auguri di
Buon Anno a Tutti.
LA SEGRETERIA PTPL |
NOVITA' NEL
SITO |
Bottone "CONVEGNI"
n. 6 giornate di studio a Bergamo per il 19-26
gennaio e 02-09-16-23 febbraio 2011 organizzate dal portale
PTPL.
N.B.: leggere attentamente le istruzioni riportate nella
locandina.
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Termine di iscrizione
(solamente) on-line: sabato 15.01.2011. |
UTILITA' |
EDILIZIA
PRIVATA: Lombardia,
Necessita aggiornare il costo di costruzione entro il
31.12.2010 il cui effetto sarà efficace a decorrere
dall'01.01.2011: ecco il fac-simile di determinazione (file
1 -
file 2).
ATTENZIONE:
se non si adotta la determinazione di aggiornamento entro la
suddetta scadenza per tutto il 2011 si dovrà
applicare il medesimo costo di costruzione vigente nell'anno
2010 (cfr. art. 48, comma 2, della L.R. n. 12/2005).
Alcune considerazioni:
è uscito pochi giorni fa il dato ufficiale della variazione
ISTAT relativo al mese di agosto 2010 (ultimo dato
disponibile).
Quindi, si può procedere -senza indugio- ad adottare la
determinazione di aggiornamento del costo di costruzione
poiché da qui a fine mese non uscirà un nuovo indice ISTAT. |
QUESITI &
PARERI |
EDILIZIA PRIVATA:
Richiesta di chiarimenti in merito
all’applicazione del procedimento
semplificato di autorizzazione paesaggistica
ai sensi del D.P.R. 09.07.2010 n. 139.
Recentemente, un Comune ha posto il medesimo
quesito sia alla Soprintendenza di Milano
sia alla Regione Lombardia in merito alla
possibilità -o meno- di applicare la
procedura semplificata dell'autorizzazione
paesaggistica in quei territori paesaggisticamente vincolati con D.M. di
vecchia data che non indica espressamente il
tipo di vincolo di cui alle
lettere a), b), c), d) dell'art. 136,
comma 1, del D.Lgs. n. 42/2004.
Nel caso di specie, il quesito formulato -del
settembre 2010- così recita:
"OGGETTO:
Richiesta di chiarimenti in merito
all’applicazione del procedimento
semplificato di autorizzazione paesaggistica
ai sensi del D.P.R. 09.07.2010 n. 139.
Richiamato il D.P.R. del 09.07.2010 n. 139,
“Regolamento recante procedimento
semplificato di autorizzazione paesaggistica
per gli interventi di lieve entità”;
Considerato che l’intero territorio comunale
è soggetto a tutela paesaggistica in base a
vincolo apposto con Decreto Ministeriale del
06/06/1967 pubblicato sulla Gazzetta
Ufficiale n. 159 del 27/06/1967, che si
allega in copia alla presente;
Considerato che nell’allegato 1 del
regolamento di cui al D.P.R. 139/2010,
vengono escluse dall’applicazione del
procedimento semplificato, tra l’altro, le
opere da realizzarsi su immobili soggetti a
tutela ai sensi dell’art. 136, comma 1,
lett. a) b) e c) del D.L.gs. 42/2004;
con la presente si chiede, con cortese
urgenza, in base a quale casistica letterale
dell’art. 136, comma 1, del D.Lgs 42/2004 è
soggetto il territorio comunale di ...
vincolato ai sensi del D.M 27/06/1967 e,
nella fattispecie, se gli immobili del
territorio comunale rientrano esclusivamente
nella tutela prevista dall’art. 136, comma
1, lett. d).
In attesa di un Vostro cortese riscontro,
colgo l’occasione per porgere cordiali
saluti.".
Ad oggi risulta che abbia risposto solamente
la Regione Lombardia, Direzione Generale
Sistemi Verdi e Paesaggio, con
nota 21.12.2010 n.
15159 di prot..
A Voi il piacere di leggere la risposta ... |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
L’Italia si è adeguata alla direttiva
2008/98/CE? (link a
www.ambientelegale.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Cosa occorre per la consegna dei dispositivi
usb- SISTRI? (link a
www.ambientelegale.it). |
SINDACATI |
PUBBLICO IMPIEGO:
Il foglio dei lavoratori della
Funzione Pubblica
(CGIL-FP di Bergamo,
dicembre 2010). |
GURI - GUUE -
BURL (e anteprima) |
ENTI LOCALI: G.U.
24.12.2010 n. 300 "Differimento del
termine per la deliberazione del bilancio di
previsione per l’anno 2011 da parte degli
enti locali" (Ministero dell'Interno,
decreto 17.12.2010). |
ENTI LOCALI - VARI: G.U.
21.12.2010 n. 297, suppl. ord. n. 281/L, "Disposizioni
per la formazione del bilancio annuale e
pluriennale dello Stato (legge di stabilità
2011)"
(L.
13.12.2010 n. 220). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: G.U.
20.12.2010 n. 296 "Attuazione della
direttiva 2008/105/CE relativa a standard di
qualità ambientale nel settore della
politica delle acque, recante modifica e
successiva abrogazione delle direttive
82/176/CEE, 83/513/CEE, 84/156/CEE, 84/491/
CEE, 86/280/CEE, nonché modifica della
direttiva 2000/60/ CE e recepimento della
direttiva 2009/90/CE che stabilisce,
conformemente alla direttiva 2000/60/CE,
specifiche tecniche per l’analisi chimica e
il monitoraggio dello stato delle acque"
(D.Lgs.
10.12.2010 n. 219). |
APPALTI: G.U.
20.12.2010 n. 296 "Trasmissione dei dati
dei contratti pubblici di lavori, servizi e
forniture - settori ordinari e speciali ed
estensione della rilevazione ai contratti di
importo inferiore o uguale ai 150.000 euro,
ai contratti «Esclusi» di cui agli articoli
19, 20, 21, 22, 23, 24 e 26 del d.lgs. n.
163/2006, di importo superiore ai 150.000
euro, e agli accordi quadro e fattispecie
consimili" (Autorità per la Vigilanza
sui Contratti Pubblici di lavori, servizi e
forniture,
comunicato 14.12.2010). |
DOTTRINA E
CONTRIBUTI |
CONSIGLIERI COMUNALI:
F. Degni,
SUI LIMITI DEL DIRITTO D’ACCESSO ESERCITATO
DA CONSIGLIERI COMUNALI NEI CONFRONTI DEGLI
ATTI ASSUNTI DAL COMUNE (TAR
Campania–Napoli, Sez. VI, 02.12.2010 n.
26573) (link a
www.amministrazioneincammino.luiss.it). |
APPALTI:
F. Degni,
PRESUPPOSTI DI URGENZA PER L’INDIZIONE DI
UNA PROCEDURA NEGOZIATA SENZA PUBBLICAZIONE
DEL BANDO (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 10.11.2010 n. 8006)
(link a
www.amministrazioneincammino.luiss.it). |
URBANISTICA: C.
Cannizzo,
Contenuto e natura giuridica del piano
regolatore generale
(link a www.diritto.it). |
ESPROPRIAZIONE: C.
Cannizzo,
Previsione urbanistica e procedimento
espropriativo
(link a www.diritto.it). |
APPALTI SERVIZI:
L. Lo Biundo,
Presupposti e limiti della partecipazione
dei partecipazione dei comuni in società ed
altri organismi (link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
NEWS |
CONSIGLIERI COMUNALI:
OSSERVATORIO VIMINALE/ Niente
gettoni nei consorzi. Sono forme associative
e non sfuggono alla tagliola. La stretta
sulle indennità disposta dalla manovra si
applica estensivamente.
Un consorzio costituito
tra province e altri enti locali, per lo
svolgimento delle funzioni connesse alla
gestione di un parco regionale, può
ritenersi escluso dall'applicazione delle
disposizioni dell'art. 5, comma 7, ultimo
periodo, del dl n. 78 del 31.05.2010,
convertito nella legge 30.07.2010, n. 122?
Il sistema delle indennità degli
amministratori degli enti locali è stato
modificato dalla norma sopra citata che
prevede, in particolare, che «agli
amministratori di comunità montane e di
unioni di comuni e comunque di forme
associative di enti locali, aventi per
oggetto la gestione di servizi e funzioni
pubbliche, non possono essere attribuite
retribuzioni, gettoni, indennità o
emolumenti in qualsiasi forma siano essi
percepiti».
Considerato che l'art. 31 del decreto
legislativo 18.08.2000, n. 267,
disciplinante i consorzi tra enti locali, è
compreso nel capo V del Titolo II del
medesimo decreto, dedicato alle forme
associative, il divieto riguarda in generale
anche i componenti degli organi dei consorzi
fra enti locali.
L'ente rientra, anche sotto il profilo
funzionale, nella previsione della norma in
questione in quanto svolge funzioni
pubbliche in base alla legge regionale
istitutiva
(articolo
ItaliaOggi del 24.12.2010 - link
a www.ecostampa.com). |
CONSIGLIERI COMUNALI:
OSSERVATORIO VIMINALE/ Incompatibilità.
Sussiste un'ipotesi di incompatibilità nel
caso di un sindaco, sospeso dalla carica ai
sensi dell'art. 59 Tuel perché condannato in
appello con sentenza non definitiva,
successivamente eletto consigliere
regionale, ma in assenza di convalida della
carica regionale? In che modo ed entro quali
termini deve essere esercitata l'opzione tra
le due cariche?
A seguito della modifica del titolo V della
Costituzione con la legge costituzionale n.
3/2001, spetta alle regioni disciplinare le
cause di incompatibilità alle cariche
elettive regionali; fino all'entrata in
vigore delle norme regionali, pertanto,
continuano ad applicarsi le disposizioni
statali in materia, in forza del principio
di cui all'art. 1, comma 2, della legge n.
131/2003.
Se la regione non ha diversamente legiferato
in proposito, a seguito dell'elezione del
sindaco alla carica di consigliere
regionale, si è determinato in capo a tale
figura il cumulo di cariche cui osta l'art.
65 del decreto legislativo n. 267/2000.
Soccorre, per la condizione di
incompatibilità sopravvenuta, l'applicazione
dell'art. 69 del citato decreto legislativo.
Per quanto attiene all'individuazione del
momento in cui si è concretizzata
l'incompatibilità, rileva la data di
proclamazione degli eletti, e non quella di
convalida, secondo i principi generali.
Inoltre, il cumulo delle cariche non viene
meno per effetto della sospensione ai sensi
dell'art. 59 del decreto legislativo n.
267/2000.
Il citato istituto, infatti, non influisce
sulla titolarità della carica, ma solo sul
suo attuale esercizio. Tanto è avvalorato
dalla ulteriore previsione normativa, in
virtù della quale la «sospensione
dall'esercizio della funzione» determina
la sostituzione temporanea dello stesso ad
opera del vicesindaco ai sensi dell'art. 53,
comma 2, del Tuel e cessa di produrre
effetti di diritto con il verificarsi dei
presupposti indicati dal citato art. 59.
Avendone la titolarità, il sindaco può,
pertanto, disporre della carica anche
durante il periodo di sospensione,
avvalendosi della facoltà di dimettersi, se
intende optare per la conservazione della
carica di consigliere regionale.
Diversamente, può essere avviata la
procedura di contestazione prevista
dall'art. 69 del decreto legislativo n.
267/2000
(articolo
ItaliaOggi del 24.12.2010 - link
a www.ecostampa.com). |
CONSIGLIERI COMUNALI:
OSSERVATORIO VIMINALE/ Terzo mandato.
Il cittadino che ha esercitato la carica di
sindaco per due mandati consecutivi, può
candidarsi per ricoprire un ulteriore
mandato?
L'art. 51 del dlgs n. 267/2000, nel
disciplinare la durata del mandato del
sindaco e del presidente della provincia,
prevede che chi ha ricoperto per due mandati
consecutivi la carica non è, allo scadere
del secondo mandato, immediatamente
rieleggibile (comma 2). L'ipotesi di
ineleggibilità, pertanto, è applicabile se
il terzo mandato è consecutivo ai due
precedenti.
Se dopo i due mandati consecutivi ricoperti
dall'ex sindaco è stato eletto alla carica
sindacale un altro amministratore, anche se
l'incarico ha avuto breve durata, si è
interrotta la sequenzialità dei mandati
elettivi consecutivi, come precisato dal
Consiglio di stato con il parere n.
1137/2005.
Pertanto non sussiste, per l'aspirante alla
carica sindacale, l'ipotesi ostativa a
ricoprire l'ulteriore mandato
(articolo
ItaliaOggi del 24.12.2010 - link
a www.ecostampa.com). |
LAVORI PUBBLICI: Niente
fondi alle opere lumaca. Definanziati i
lavori che non iniziano nei tempi previsti.
Le novità in un dlgs approvato dal cdm. Via
alla banca dati degli appalti pubblici.
Automatico
definanziamento in caso di mancato avvio dei
lavori nei tempi previsti; creazione di una
banca dati presso il ministero dell'economia
e la ragioneria generale dello stato che
garantirà il monitoraggio costante di tutte
le opere finanziate con risorse pubbliche;
obbligo di indicazione del Cup e del Cig per
la tracciabilità dei flussi finanziari.
Sono questi alcuni dei punti qualificanti
dello schema di decreto legislativo
approvato in via preliminare dal consiglio
dei ministri del 22 dicembre, che attua la
delega (di cui all'articolo 30 della legge
196/2009) al governo a emanare una
disciplina per la razionalizzazione, la
trasparenza, l'efficacia e l'efficienza
delle procedure di spesa concernenti i
finanziamenti in conto capitale destinati
alla realizzazione di opere pubbliche.
L'obiettivo è quello di effettuare un
monitoraggio costante, anche sugli aspetti
di dettaglio, dell'iter di realizzazione
delle opere pubbliche, con particolare
riguardo all'avanzamento finanziario, fisico
o procedurale degli interventi; tale
monitoraggio sarà a sua volta utile per
valutare il grado di raggiungimento degli
obiettivi previsti negli strumenti di
pianificazione e programmazione.
Per realizzare ciò si stabilisce che vi
siano sistemi gestionali ad hoc con uno
standard informativo minimo che tutte le
amministrazioni e gli enti aggiudicatori
dovranno garantire rispetto a ogni
intervento in corso di realizzazione. In
particolare le stazioni appaltanti dovranno
creare sistemi informatizzati di
registrazione e conservazione dei dati
contabili relativi a ogni transazione posta
in essere anche al fine della tracciabilità
dei flussi finanziari; le amministrazioni
saranno inoltre tenute a prevedere specifici
vincoli tesi ad assicurare ...
(articolo ItaliaOggi
del 24.12.2010 - tratto da www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI: Diritto
all'oblio anche sui siti della p.a.. Le
linee guida del garante della privacy.
Diritto all'oblio da tutelare anche sui siti
internet delle pubbliche amministrazioni: le
PA devono stabilire il termine massimo di
consultazione dei documenti diffusi in rete.
E una volta trascorso il termine, meglio
usare sistemi automatizzati (sistemi di
web publishing e Cms, Content management
systems) per rimuovere i documenti
pubblicati nello Lo precisa il Garante nello
schema delle «Linee guida in materia di
trattamento di dati personali effettuato da
soggetti pubblici per finalità di
pubblicazione e di diffusione sul web di
atti e documenti adottati dalle pubbliche
amministrazioni», disponibile sul sito
dell´autoritá www.garanteprivacy.it.
Prima dell'adozione definitiva, l'Autorità,
presieduta da Francesco Pizzetti, ha
sottoposto il
documento 15.12.2010 a una
consultazione che si concluderà il
31.01.2011.
Ma vediamo i contenuti del provvedimento,
che aggiorna quello analogo del 2007.
Il provvedimento definisce, innanzi tutto,
le diverse possibilitá previste per la
conoscenza degli atti e dell´attivitá delle
pubbliche amministrazioni (trasparenza,
pubblicitá e consultabilitá di atti e
documenti) e precisa le peculiaritá della
pubblicazione su internet: la rete consente
la conoscenza indiscriminata delle
informazioni, anche con duplicazione dei
documenti, in ipotesi senza limiti. Proprio
in relazione ai pericoli della rete, lo
schema di provvedimento si sofferma sui
termini della pubblicazione dei documenti
sui siti istituzionali.
I casi sono due. Il primo é quello in cui la
legge prevede un termine alla pubblicazione:
e allora, una volta trascorso tale termine
il documento va rimosso. E´ quanto capita
per le pubblicazioni all´albo pretorio delle
deliberazioni degli enti locali, che dal
primo gennaio 2011 andranno on line, da
rimuovere trascorsi quindici giorni. Tra
l´altro potrá essere opportuno che il
provvedimento nella sua versione finale
possa prendere posizione su questioni ancora
non chiari come la pubblicazione in rete
delle determinazioni dirigenziali.
Nel caso in cui, invece, la disciplina di
settore non stabilisce un limite temporale
alla pubblicazione degli atti, é la stessa
pubblica amministrazione che deve
individuare congrui periodi di tempo entro i
quali mantenere i documenti on line. A
scadenza, determinati documenti o sezioni
del sito dovranno essere rimossi dal web
ovvero, in alternativa, devono essere
inseriti in un'area di archivio consultabile
solo a partire dal sito stesso e non
raggiungibili utilizzando i motori di
ricerca esterni.
Il Garante, a questo proposito, suggerisce
di utilizzare sistemi di web publishing e
Cms (Content management systems) in grado di
attribuire, anche mediante l'utilizzo di
parole-chiave (meta-dati) un intervallo
temporale di permanenza della documentazione
all'interno del sito istituzionale,
consentendone una sua agevole rimozione,
anche in forma automatica. Se, peró, non si
usano sistemi automatizzati, l´ente deve
individuare al suo interno i responsabili
tenuto alla verifica della validità
temporale e del requisito di disponibilità
al pubblico delle informazioni. Altro
accorgimento che le amministrazioni
pubbliche dovranno adottare é finalizzato ad
evitare la duplicazione massiva dei file
contenenti dati personali, disponibili sui
siti istituzionali delle amministrazioni.
Anche per questo scopo il provvedimento si
spinge a suggerimenti tecnici: utilizzo di
firewall di rete in grado di riconoscere
accessi che risultino anomali per numero
rapportato all'intervallo di tempo di
riferimento oppure filtri applicativi che, a
fronte di anomalie, rallentino l'attività
dell'utente.
Quanto ai documenti pubblicati, per
garantire l´obbligo di conformitá di quanto
riportato sul sito con gli originali
cartacei, sono necessarie misure per
eliminare o ridurre il rischio di
cancellazioni, modifiche, alterazioni o
decontestualizzazioni delle informazioni e
dei documenti resi disponibili tramite
Internet. Gli accorgimenti suggeriti sono i
seguenti: indicazione, tra i dati di
contesto riportati all'interno del contenuto
informativo dei documenti, delle fonti
attendibili per il reperimento dei
documenti; utilizzo di certificati e firma
digitale, in modo da assegnare una data
asseverabile di creazione del documento che
può essere validata con certezza e che
consente, a chi faccia uso di quel
documento, di verificarne l'attendibilità in
qualsiasi momento.
Tra le prescrizioni relative ai motori di
ricerca, è preferibile consentire l´acceso
ai dati mediante notori di ricerca interni
al sito e non con motori di ricerca
generali. Il motore di ricerca interno,
infatti, assicura accessi maggiormente
selettivi
(articolo ItaliaOggi
del 24.12.2010). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Visite
fiscali, rimborsi retroattivi. Gli enti
locali devono pagare anche i costi dei
controlli passati. Una sentenza delle
sezioni unite della Corte conti rischia di
aprire una voragine nei bilanci comunali.
Gli enti locali (ma il
principio può valere per tutte le pubbliche
amministrazioni) debbono rimborsare alle Usl
i costi per le visite fiscali di controllo
ai dipendenti in malattia, anche
retroattivamente.
Lo chiarisce la Corte dei conti, sezioni
riunite, con la
deliberazione 14.12.2010 n. 62,
secondo la quale l'effetto della sentenza
della Corte costituzionale 207/2010, che ha
dichiarato l'illegittimità costituzionale
dell'articolo 71, commi 5-bis e 5-ter, del
dl 112/2008, convertito in legge 133/2008
non può che avere efficacia ex tunc,
come avviene per tutte le sentenze della
Consulta, le quali privano di effetti le
norme sin dal momento della loro vigenza.
E adesso, per gli enti locali si apre un
quadro di forte incertezza ed un rischio di
un vero e proprio buco finanziario, come le
stesse sezioni riunite ammettono.
Il quadro normativo.
Con i due commi dichiarati incostituzionali
dalla Consulta erano stati il tentativo del
legislatore di porre a carico del sistema
sanitario nazionale i costi per le visite
fiscali di controllo effettuati dalle
aziende sanitarie nei confronti dei
dipendenti pubblici in malattia. Ma, la
legislazione statale ha invaso una potestà
legislativa esclusiva delle regioni, non
rientrando le visite fiscali in prestazioni
sanitarie da rendere per la cura della
salute, bensì finalizzate all'interesse
datoriale a verificare il corretto
comportamento dei propri dipendenti. Come
tali, potenzialmente onerose.
Incertezze risolte.
Le sezioni riunite risolvono ogni possibile
incertezza, rispetto agli effetti della
sentenza. Per quanto la sentenza della
Consulta indirettamente indichi che le
regioni possono con propria normativa
disporre diversamente in tema di rimborsi
per le visite fiscali, la declaratoria di
incostituzionalità delle norme viste prima
non consente ai comuni di tergiversare,
laddove le aziende sanitarie richiedano il
rimborso.
La magistratura contabile è chiara: non è
consentito «attendere un nuovo intervento
del legislatore (o più precisamente un
intervento del legislatore regionale, ovvero
dell'organo amministrativo di vertice della
regione, ovvero del dirigente competente)».
I comuni debbono pagare tutto e subito, al
momento della richiesta delle Usl.
Effetto boomerang della
lotta ai «fannulloni».
L'incremento delle visite fiscali, imposto
dalla prima riforma-Brunetta, rischia di
creare un buco finanziario estremamente
rilevante.
Sin dalla sentenza della Consulta, gli enti
del sistema sanitario nazionale non se lo
sono fatti dire due volte: hanno
immediatamente chiesto alle amministrazioni
pubbliche il pagamento per le attività di
controllo sulle malattie. Dopo la pronuncia
della Corte dei conti arriveranno anche le
richieste retroattive, decorrenti dal maggio
2008.
Per gli enti locali si
rischia un salasso.
Infatti, il costo del rimborso chiesto dalle
Asl, sia pure in ordine sparso, si aggira
mediamente intorno ai 45 euro a visita. Il
«conto del personale» nel 2008 ha registrato
circa 470 mila eventi di malattia,
coincidenti col primo giorno di assenza, da
cui deve derivare la richiesta della visita
di controllo. Moltiplicando questa cifra per
il costo medio del rimborso l'onere per gli
enti locali in teoria ammonterebbe a oltre
21 milioni di euro, con buona pace del
federalismo. Solo la circostanza che le asl
non sono in grado di effettuare tutte le
visite richieste attenua nei fatti l'immane
onere.
Gli arretrati non sono
debiti fuori bilancio.
Le sezioni riunite, nel parere escludono che
per gli enti locali il rimborso delle
visite, anche se riferito a quelle risalenti
al 2008, sia da considerare debito fuori
bilancio. Al contrario, si tratta di oneri
straordinari della gestione cui far fronte
con le ordinarie risorse di bilancio, «in
quanto l'esercizio sul quale detti oneri
potranno gravare non può essere anteriore al
2010, poiché solo a decorrere da tale
esercizio, tuttora in corso, le aziende
sanitarie potranno avere titolo a presentare
richieste di rimborso dei costi connessi
alle prestazioni per visite fiscali
effettuate in base alla normativa caducata
dalla sentenza n. 207 del 2010».
Il parere apre, senza risolvere, il dubbio
sulla possibilità di escludere i costi dai
saldi relativi al patto di stabilità,
considerando che sul 2010 possono scaricarsi
all'improvviso oneri ovviamente non previsti
gli anni precedenti.
Esigenza di correre ai
ripari.
Il parere in maniera pacata e prudente
evidenzia gli effetti potenzialmente molto
negativi per la finanza locale. E, dando
atto che il governo, in base all'articolo
17, comma 13, della legge 196/2009, ha la
facoltà di intervenire, in sostanza esorta
l'esecutivo a valutare l'opportunità
(necessità?) di adottare apposite iniziative
legislative specie per quanto riguarda i
profili di copertura di detti oneri
(articolo ItaliaOggi
del 24.12.2010 - tratto da www.corteconti.it). |
PUBBLICO IMPIEGO: Gestione,
obiettivi e performance in un unico
documento. I chiarimenti in una delibera
della Civit.
Il programma esecutivo
di gestione, il piano dettagliato degli
obiettivi ed il piano delle performance
costituiscono un unico documento, che deve
essere redatto sulla base dei principi
dettati dalla legge cd Brunetta. In
particolare, esso deve avere un arco
programmatico triennale e comprendere anche
la performance organizzativa, oltre a quella
individuale.
Il sistema di valutazione deve comprendere
anche il dizionario delle competenze
professionali e delle capacità manageriali.
Possono essere così sintetizzate le
principali indicazioni contenute nella
delibera 09.12.2010 n. 121 della
Civit (Commissione per la valutazione,
l'integrità e la trasparenza delle pubbliche
amministrazioni).
È questa la stessa delibera (vedi ItaliaOggi
di martedì 14) che, con una scelta assai
discutibile e che non tiene conto
dell'esplicito dettato dell'articolo 7 del
dlgs n. 150/2009, vincolante anche per
regioni ed enti locali, ha stabilito che gli
enti locali possono continuare, in luogo
della istituzione dell'Organismo
indipendente di valutazione, ad assegnare
tale incombenza ai nuclei di valutazione.
Il documento di programmazione che gli enti
locali si devono dare deve contenere tanto
gli obiettivi strategici che quelli
operativi e gestionali, fermo restando che
ambedue devono soddisfare i requisiti
previsti dal legislatore; in particolare i
secondi devono essere strettamente
coordinati con i primi, anzi discenderne con
una struttura ad albero, per riprendere il
linguaggio usato dalla stessa Civit. E
inoltre devono esplicitare i risultati
attesi sul terreno del miglioramento della
qualità dei servizi erogati ai cittadini,
nonché su quello degli indicatori
fondamentali della gestione dell'ente.
Devono inoltre indicare le azioni che
concretamente le amministrazioni intendono
intraprendere per realizzare tali obiettivi,
anche avvalendosi degli esiti della
misurazione e valutazione delle performance.
Ad esempio, traducendo in iniziative
concrete le valutazioni espresse sulla
attività dell'ente dai soggetti interessati,
dagli utenti e dai cittadini. E, infine,
devono essere redatti utilizzando un
linguaggio chiaro: la trasparenza
costituisce uno degli elementi essenziali
assunti dal legislatore e che serve a
garantire il cd controllo sociale.
In aderenza al dettato legislativo questo
documento deve avere un carattere «programmatico
triennale»; il che impone una sua
sostanziale riscrittura. In particolare,
come per il bilancio e per la programmazione
del fabbisogno del personale e delle opere
pubbliche, appare opportuno che esso sia
strutturato in parti riferite ai singoli
anni. Quello iniziale deve avere un
carattere immediatamente operativo e
vincolante, quelli dei due anni successivi
caratterizzarsi essenzialmente per la
indicazione di un percorso e, perciò,
congiungendosi direttamente con la relazione
previsionale e programmatica e con
l'eventuale bilancio di mandato.
Al Peg/piano delle performance deve
strettamente connettersi la metodologia per
la valutazione delle performance
organizzativa ed individuale. In
particolare, ciò deve rendere possibile il
percorso di miglioramento che l'ente ha
imboccato, il grado di raggiungimento degli
obiettivi strategici, il miglioramento degli
indicatori riferiti alla condizione «strutturale»
dell'amministrazione.
La deliberazione Civit ci ricorda quanto
alla performance organizzativa sia
strettamente connessa quella individuale:
una parte rilevante della valutazione dei
singoli dirigenti e, anche se in misura
minore, dei dipendenti viene infatti
collegata all'andamento complessivo
dell'ente ed all'apporto dato dai singoli al
raggiungimento degli obiettivi strategici
dell'ente e/o delle sue articolazioni
organizzative. Ed inoltre non dobbiamo
dimenticare che alla performance
organizzativa saranno, con i nuovi contratti
collettivi, legati una parte rilevante delle
risorse destinate alla incentivazione del
trattamento economico accessorio di
dirigenti e dipendenti.
Nella metodologia di valutazione occorre
inoltre prevedere l'assegnazione di pesi
specifici ai singoli obiettivi ed agli
indicatori di capacità gestionale. E
redigere il cosiddetto dizionario delle
competenze, da intendere come «lista dei
comportamenti o come insieme di conoscenze,
capacità e attitudini. In tal modo la
valutazione sarà sempre più orientata al
miglioramento delle capacità professionali e
della organizzazione e sarà meno arbitraria»
(articolo ItaliaOggi
del 24.12.2010). |
ENTI LOCALI: P.a.,
moduli soltanto su Internet. No a richieste
di formulari non presenti sui siti
istituzionali.
Le pubbliche
amministrazioni non potranno richiedere
l'uso di moduli formulari che non siano
stati pubblicati sui propri siti
istituzionali. Il cittadino fornirà una sola
volta i propri dati alla p.a.: sarà onere
delle amministrazioni in possesso di tali
dati assicurare, tramite convenzioni,
l'accessibilità delle informazioni alle
altre amministrazioni richiedenti. Entro tre
mesi le pubbliche amministrazioni
utilizzeranno soltanto la Posta elettronica
certificata (Pec) per tutte le comunicazioni
che richiedono una ricevuta di consegna ai
soggetti che hanno preventivamente
dichiarato il proprio indirizzo.
Entro sei mesi, invece, le pubbliche
amministrazioni centrali pubblicheranno i
bandi di concorso sui propri siti
istituzionali.
Lo prevede, tra l'altro, il decreto
legislativo recante modifiche al Codice
dell'amministrazione digitale, approvato
ieri in via definitiva dal Consiglio dei
ministri.
La nuova road map della p.a. digitale
prevede anche che: entro quattro mesi le
amministrazioni individueranno un unico
ufficio responsabile dell'attività Ict;
entro 12 mesi saranno emanate le ...
(articolo ItaliaOggi
del 23.12.2010 - tratto da www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI: Passa
il milleproroghe, tutti scontenti .
Via libera, ieri, al
decreto «Milleproroghe» in
Consiglio dei ministri. Dei 400 milioni di
euro del 5 per mille, stanziati per il 2011,
100 saranno destinati alla ricerca e
all'assistenza ai malati di Sla. Soddisfatte
a metà le organizzazioni delvolontariato.
Semaforo verde alla liberalizzazione di
Internet, tramite il wi-fi, nei locali
pubblici e negli alberghi. Smentito
l'aumento di 1 euro sui biglietti del
cinema. Dimezzati i contributi a sostegno
dell'editoria, da 100 a 50 milioni, e
azzeramento dei 45 milioni previsti a
sostegno 'dell'eminenza tv e radiofonica
locale. Aumenta il canone Rai di 1,5 euro.
Varato il «milleproroghe»,
scoppia la polemica Al 5 per mille i fondi
dell'editoria, protesta Fieg. Giallo
sull'aumento, poi smentito, dei biglietti
del cinema.
Il decreto «milleproroghe», istituto
tipicamente italico con il quale i governi
rinviano di anno in anno i problemi che non
vogliono o non possono affrontare, fa
discutere di solito più per i rinvii che non
contiene che per quelli effettivamente
previsti. Non fa eccezione il testo
approvato ieri dal Consiglio dei ministri
(che non necessariamente è quello definitivo
da pubblicare in Gazzetta ufficiale):
prevede il finanziamento aggiuntivo del
cinque per mille a beneficio del
volontariato e della ricerca, ottenuto però
a scapito dei fondi per l'editoria e per
l'emittenza radiotelevisiva: una scelta che
ha ovviamente suscitato la delusione degli
interessati, tra cui la Fieg.
Ma soprattutto tra le proroghe inserite nel
provvedimento non ce n'è una che interessa
da vicino gli abitanti dell'Aquila e delle
zone circostanti, devastate dal terremoto
del 6 aprile 2009. Questi contribuenti dal
prossimo primo gennaio dovranno iniziare a
restituire in cinque anni (60 rate mensili)
l'importo delle tasse non pagate a seguito
della sospensione degli adempimenti, decisa
dopo il sisma.
La notizia non è stata presa bene dagli
interessati. Come ha ricordato il deputato
del Pd Giovanni Lolli, c'era un impegno
almeno verbale dello stesso presidente del
Consiglio per garantire agli aquilani lo
stesso trattamento riservato a suo tempo ai
terremotati di Umbria e Marche, che avevano
restituito il dovuto solo dopo vari anni e
non al 100 per cento. Anche il presidente
della Regione Abruzzo Chiodi (Pdl) si è
dichiarato del tutto insoddisfatto della
decisione, annunciando per oggi la propria
presenza a palazzo Chigi insieme al sindaco
dell'Aquila. Chiodi ha già parlato con
dell'argomento con il presidente del
Consiglio. ...
(articolo
Il Mattino
del 23.12.2010 - tratto da www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Concorsi
la speranza continua. L'efficacia delle
graduatorie è spostata fino al 31/12/2011.
Prorogata fino al 31.12.2011 la validità dei
concorsi pubblici. Il decreto mille proroghe
puntualmente, come ogni anno, prolunga
l'efficacia delle graduatorie delle prove
concorsuali delle pubbliche amministrazioni,
accendendo le speranze degli idonei di poter
finalmente essere assunti nei ruoli delle
amministrazioni pubbliche. Impresa che
rimane difficile, considerando i limiti alle
assunzioni da ultimo imposti dalla manovra
estiva 2010.
Si tratta dell'ennesimo intervento posto a
consentire alle amministrazioni pubbliche di
non attivare nuove prove concorsuali e,
dunque, di affrontare i relativi oneri non
solo finanziari, ma anche organizzativi. In
questo periodo di crisi del mercato del
lavoro, le amministrazioni in grado di
assumere hanno visto un incremento
esponenziale delle domande di partecipazione
ai concorsi. Segno evidente che anche chi
prima preferiva rivolgersi al mercato
privato, oggi considera indispensabile
provare ad entrare nella pubblica
amministrazione.
L'articolo 4 dello schema di decreto mille
proroghe interviene sul termine fissato al
31.12.2010 dall'articolo 5, comma 1, del dl
207/2008, convertito in legge 14/2009, poi
modificato dall'articolo 2, comma 8, del dl
194/2009, convertito in legge 26/2010. Nella
realtà, tuttavia, la proroga parte da ben
più lontano: infatti, la norma del 2008
aveva prorogato al 31.12.2010 la validità
delle graduatorie per le assunzioni a tempo
indeterminato approvate successivamente
all'01.01.1999 relative alle amministrazioni
pubbliche soggette a limitazioni delle
assunzioni, allungano i termini a suo tempo
già prorogati dall'articolo 1, comma 100,
della legge 311/2003.
Ormai, tenere il filo rosso che unisce le
varie norme di proroga delle graduatorie
diviene un vero e proprio rompicapo. Anche
la Corte dei conti beneficerà del decreto:
il comma 2 dell'articolo 4, infatti, prevede
che le autorizzazioni alle assunzioni e
l'efficacia ...
(articolo ItaliaOggi
del 22.12.2010 - tratto da www.corteconti.it). |
APPALTI: Aumentano
le tasse sulle gare. Per la fascia alta del
mercato adeguamenti fino al doppio.
Dal 1° gennaio aumenta la tassa sugli
appalti: per i contratti minori si tratta di
piccoli ritocchi, per la fascia alta del
mercato si arriva anche al raddoppio. In
nome della tracciabilità finanziaria poi
tutte le stazioni appaltanti dovranno
richiedere il Cig (codice identificativo di
gara), senza più soglie di esenzione: il Cig
infatti non è più solo lo strumento che
consente di versare la tassa sulle gare,
quanto il sistema che consente di abbinare i
bonifici e i pagamenti a ogni appalto e
quindi deve esser richiesto per tutti i
contratti pubblici di lavori, servizi e
forniture, senza distinzione di importo.
Fanno eccezione solo gli appalti per le armi
e il materiale bellico e le gare per
l'acquisto di energia elettrica e gas. Gli
aumenti e le indicazioni sul Cig sono
contenuti in un decreto del presidente del
Consiglio del 3 dicembre 2010, che fissa
appunto la decorrenza degli aumenti dal l
gennaio.
A richiederli è stata la stessa Autorità di
vigilanza sui contratti pubblici di lavori,
servizi e forniture che ormai -dopo il
taglio dei fondi pubblici- trae la sua
principale fonte di fmanziamento proprio dal
contributo chiesto a operatori e
amministrazioni del mercato degli appalti
sui cui è chiamata a vigilare.
Oltre ad aumentare, gli importi 2011 saranno
anche rimodulati con l'istituzione di
scaglioni: ... (articolo
Il Sole 24 Ore del 22.12.2010 - tratto da www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI: Al
traguardo il codice per la Pa digitale.
Dopo quasi un anno di esame il Consiglio dei
ministri dovrebbe oggi approvare in via
definitiva il nuovo Codice per
l'amministrazione digitale, un decreto
legislativo (57 articoli) che fissa i tempi
e le modalità per garantire la massima
diffusione dell'utilizzo delle tecnologie
Ict in ogni ambito della Pa entro il
prossimo biennio, in coerenza con il piano
e-gov 2012.
Il testo, che è stato corretto sulla base
dei pareri del Garante per la protezione dei
dati personali, della Conferenza unificata,
del Consiglio di stato e delle Commissioni
parlamentari competenti, riconosce a
cittadini e imprese il diritto di interagire
con gli strumenti digitali (posta
elettronica e non solo) con le
amministrazioni e le società interamente
partecipate da enti pubblici o con
prevalente capitale pubblico.
Tutti i pagamenti, per esempio, potranno
essere effettuati online, ad esclusione
delle attività di riscossione tributi,
mentre entro tre mesi dal varo del Dlgs
tutte le amministrazioni dovranno utilizzare
la posta elettronica certificata per tutte
le comunicazioni con obbligo di ricevuta di
ritorno. Ancora, entro un anno, dovrà essere
garantita la piena effettività del processo
di dematerializzazione dei documenti e le
amministrazioni non potranno più chiedere
l'uso di moduli o formulari che non siano
resi disponibili sui propri siti web. Sempre
entro la fine del 2011, inoltre, ai
cittadini non potranno essere più richiesti
dati già in possesso della Pa.
Con l'ulteriore digitalizzazione dell'azione
amministrativa, rispetto al piano varato 5
anni fa dall'allora ministro Lucio Stanca,
si stima una riduzione dei tempi per
l'esecuzione delle pratiche fino all'80% e,
per effetto della de-materializzazione ...
(articolo
Il Sole 24 Ore
del 22.12.2010 - tratto da www.corteconti.it). |
INCENTIVO PROGETTAZIONE: Ai
dipendenti collaudi pagati con l'incentivo.
Non si pub riconoscere
ai dipendenti delle stazioni appaltanti che
fanno parte delle commissioni di collaudo il
compenso secondo le tariffe professionali,
cioè lo stesso assegnato ai commissari
esterni. Non è possibile, poi, lasciare alle
stazioni appaltanti il compito di fissare,
secondo i «criteri di semplificazione», i
requisiti speciali per i servizi e le
forniture che non superano la soglia
comunitaria.
Sono le principali obiezioni mosse dalla
Corte dei conti al regolamento attuativo del
codice appalti, che nel passaggio sui tavoli
dei magistrati contabili si vede bocciare
cinque norme (delibera 28/2010 della sezione
di controllo di legittimità, diffusa ieri).
Non ottiene il visto indispensabile per la
registrazione, prima di tutto, l'articolo
238, comma 1, che riconosce ai collaudatori
dipendenti delle stazioni appaltanti lo
stesso compenso previsto per gli esterni.
Per i magistrati contabili, in pratica, si
tratterebbe di un doppio compenso, perché
per i dipendenti pubblici l'attività di
collaudo è già pagata dagli incentivi "Merloni"
(quelli tagliati dal 2% allo 0,5% del valore
dell'opera e poi ripristinati nella misura
originaria).
È lo stesso codice degli appalti, del resto,
a precisare che questi incentivi remunerano
anche i collaudi (articolo 92, comma 5). A
fissare i requisiti speciali per le
forniture sotto-soglia, poi, deve essere lo
stesso regolamento, e non la stazione
appaltante.
Il regolamento, per i magistrati contabili,
deve anche stabilire con più precisione
l'attività di vigilanza sugli organismi di
attestazione (le Soa); il regolamento,
invece, affidava il compito a un successivo
decreto
(articolo
Il Sole 24 Ore
del 22.12.2010 - tratto da www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI: Spese
minime per missioni, consulenze e
formazione.
Divieto di
sponsorizzazione; drastici tagli alle
consulenze, alle spese di rappresentanza,
alla pubblicità e alle relazioni pubbliche;
forte limitazione della formazione;
riduzioni alla spesa per l'acquisto e
l'esercizio delle autovetture e per le
missioni.
Sono questi i vincoli che gli enti locali,
come tutte le altre Pa, si trovano a dovere
affrontare dal 2011.
Le limitazioni contenute nel Dl 78/2010
determineranno la conseguenza che buona
parte delle iniziative per l'animazione
delle città e delle manifestazioni culturali
dovranno essere eliminate o fortemente
ridotte. Su tutte queste disposizioni pende
il forte sospetto della illegittimità
costituzionale, visto che viene
drasticamente limitata l'autonomia delle
singole amministrazioni. Dubbio che non è
certo fugato dalla possibilità di effettuare
compensazioni tra i tagli, purché si
rispettino i tetti complessivi.
La concreta applicazione di queste
disposizioni richiede preliminarmente alle
amministrazioni di determinare la base di
partenza: nella stragrande maggioranza dei
casi infatti i dati non sono contenuti nei
documenti di bilancio, ma richiedono lo
svolgimento di attività di ricerca
aggiuntive: ad esempio, generalmente la
spesa per il complesso degli autoveicoli è
nota, ma non quella per le sole autovetture.
Nessuna amministrazione dal prossimo i
gennaio potrà effettuare sponsorizzazioni,
cioè erogare contributi a fronte di
pubblicità. Occorre definire ...
(articolo
Il Sole 24 Ore
del 20.12.2010 - tratto da www.corteconti.it). |
PUBBLICO IMPIEGO: La
mancata unità crea confusione e ostacola le
scelte.
La
delibera 09.12.2010 n. 121
emanata dalla Civit giunge in una fase
temporale alquanto problematica per le
autonomie locali, in quanto oltre a essere
alla prese con la predisposizione dei
bilanci e con i problemi connessi ai tagli
imposti dalla finanziaria, si trovano ora a
stringere i tempi relativamente alle
modifiche da apportare ai propri regolamenti
di organizzazione, alla nomina dell'Oiv e al
sistema di valutazione del personale
dirigente e non, imposti dal decreto
Brunetta entro il termine del 31.12.2010.
In tale contesto, è sorta un'ulteriore
diatriba che sta tergiversando nella prassi
degli enti, scaturita dall'avvicendarsi di
indicazioni contrastanti emerse dal
documento di linea guida approvato dall'Anci
e passate al vaglio anche da parte della
Civit, chiamata a esprimere una valutazione
circa i contenuti dello stesso.
Il documento Anci affermava infatti che
nella nomina degli Oiv vi era la possibilità
da parte degli enti di prevedere la presenza
di un soggetto interno, nella veste di
coordinatore della struttura organizzativa
(segretario o direttore generale) e pertanto
conoscitore degli assetti interni: nel giro
di pochi giorni, in seguito ad un noto
parere messo dalla Civit (in risposta a un
quesito avanzato nel mese di novembre dal
comune di Cantù), si era affermato che i
componenti dell'Oiv dovevano risultate tutti
esterni e ciò avrebbe probabilmente
richiesto la preventiva ricerca di soggetti
con i requisiti indicati dalla delibera
Civit 4/2010 e la copertura finanziaria da
ricercarsi possibilmente in altre aree del
bilancio, pur consapevoli della necessità di
mantenere l'invarianza della spesa
(ulteriore aspetto contraddittorio).
La delibera 121/2010, considerando
probabilmente il fatto che la maggior parte
degli enti locali si trova in difficoltà
anche nel cercare di adempiere ...
(articolo
Il Sole 24 Ore
del 20.12.2010 - tratto da www.corteconti.it). |
PUBBLICO IMPIEGO: «Giudici»
facoltativi negli enti. I comuni non devono
istituire il nuovo organismo di valutazione.
La Civit risponde alle indicazioni dell'Anci
su come costruire i piani delle performance.
La Civit risponde all'Anci. Le linee guida
sulla performance dell'associazione dei
comuni sono state passate al setaccio dalla
commissione guidata da Antonio Martone.
Le osservazioni fissano degli elementi
importanti nelle scelte delle autonomie,
soprattutto in questo periodo di adeguamento
dei propri ordinamenti. Non va infatti
dimenticato che gli enti locali hanno tempo
fino al 31 dicembre per individuare e
precisare strumenti propri per applicare
compiutamente la riforma Brunetta. Certo, i
tempi si sono allungati e ora è una corsa al
foto-finish.
Le preziose indicazioni arrivano purtroppo a
oltre un anno dell'entrata in vigore del
Dlgs 150/2009 e dopo tutte le difficoltà
interpretative nella concreta attuazione. La
delibera 09.12.2010 n. 121 della
Civit mette quindi un paletto chiaro a tutta
la riforma con due indicazioni specifiche.
Il principio è fondamentale: gli enti locali
si devono adeguare esclusivamente alle
disposizioni indicate dall'articolo 16 del
decreto (richiamate armonicamente
dall'articolo 74), mentre è facoltà prendere
spunto dalle altre disposizioni per dare
maggiore coerenza al sistema. La prima
questione specifica riguarda il piano della
performance.
L'articolo 10 non è tra le norme di
adeguamento e quindi l'Anci ha ritenuto che
nel piano esecutivo di gestione vi fossero
tutti gli elementi richiesti alla Pa. Tra
l'altro, mentre è chiaro che anche le
autonomie debbano adottare un sistema di
misurazione e valutazione della performance
individuale, quella organizzativa è
disciplinata da un altro articolo (il numero
8) di non diretto adeguamento.
Per la Civit però il Peg degli enti locali è
un po' incompleto per essere equiparato al
piano della performance e propone quindi
tutta una serie di correttivi da porre in
essere. Correttivi interessanti che di fatto
dovrebbero comunque già rientrare ...
(articolo
Il Sole 24 Ore
del 20.12.2010 - tratto da www.corteconti.it). |
CORTE DEI
CONTI |
PUBBLICO IMPIEGO: Bloccate
anche le vecchie progressioni di carriera.
Promozioni. Effetti solo sullo status
giuridico.
Il blocco degli effetti
economici correlati alle progressioni di
carriera ricomprende tutte le vecchie
progressioni, verticali e orizzontali.
La Corte dei conti Lombardia, con il
parere 30.11.2010 n.
1015, interpreta in modo estensivo il
significato delle «progressioni di
carriera comunque denominate» di cui
all'articolo 9, comma 21, del Dl 78/2010.
Progressioni che possono spiegare effetti
solo giuridici e non anche economici nel
triennio 2011/2013.
Secondo la dottrina prevalente, le
progressioni di carriera facevano
riferimento a quelle disciplinate
nell'articolo 24 del Dlgs 150/2009 ovvero le
vecchie progressioni verticali. Al
contrario, la Corte ritiene che la norma
abbia una «estensiòne lata» e debba
trovare concreta applicazione a prescindere
dal nomen juris, nel senso che «ogni
variazione di inquadramento del dipendente
produrrà effetti soltanto sullo status
giuridico, ma non sul trattamento economico
dell'impiegato».
La motivazione si basa sul testo normativo,
il quale parla di progressioni di carriera «comunque
denominate». Poiché la norma non ha
effetti retroattivi, la Corte ammette i
benefici economici delle progressioni
orizzontali disposte nel 2011 con efficacia
retroattiva al 2010 a condizione che i
presupposti per l'inquadramento siano
maturati nel corso del 2010 e che non si
tratti di un comportamento volto a eludere
il divieto di progressione economica nel
triennio 2011-2013 ...
(articolo
Il Sole 24 Ore
del 20.12.2010 - tratto da www.corteconti.it). |
AUTORITA'
VIGILANZA CONTRATTI PUBBLICI |
APPALTI:
Tracciabilità. Pubblicate
ulteriori indicazioni.
Pubblicata la
determinazione 22.12.2010 n. 10
contenente “Ulteriori indicazioni sulla
tracciabilità dei flussi finanziari”.
L’atto fa seguito alla determinazione n. 8
adottata dall’Autorità lo scorso 18.11.2010
“Prime indicazioni sulla tracciabilità
finanziaria ex art. 3, legge 13.08.2010, n.
136, come modificato dal d.l. 12.11.2010, n.
187” (link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI:
Contribuzioni. Emanata la
Delibera per i contributi obbligatori del
2011.
Pubblicata la Delibera che indica per il
2011 le modalità, i termini e le entità per
il versamento dei contributi obbligatori
all’Autorità da parte dei soggetti pubblici
e privati che intendono avviare una
procedura finalizzata alla realizzazione di
lavori o all'acquisizione di servizi e
forniture.
La
deliberazione 03.11.2010 entra in
vigore l'01.01.2011 (link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI SERVIZI:
Istanza di parere ai sensi dell’art. 69,
comma 3, del D.Lgs. n. 163/2006 formulata
dall’Arsenale M.M. di Taranto.
L’Autorità, chiamata più volte ad esprimere
il proprio avviso ai sensi dell’art. 69 del
d.lgs. 12.04.2006, n. 163 ha ritenuto
conformi ai principi comunitari ivi
richiamati ed alle finalità di promozione
dell’occupazione perseguite dal legislatore,
le condizioni di esecuzione del contratto
d’appalto relative all’utilizzo –da parte
dell’aggiudicatario- di cooperative di tipo
B (parere del 08/01/2010), di “persone
svantaggiate” (parere del 14/05/2009 e
parere del 10/09/2008), di lavoratori di
pubblica utilità (parere del 13/05/2009), di
lavoratori socialmente utili (parere del
24/09/2008)
(parere
sulla normativa 31.03.2010 - rif. AG-08/10
- link a www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI:
Procedure negoziate di cui agli articoli
122, commi 7 e 7-bis e 125 del D.Lgs. n.
163/2006 – richiesta di parere.
---------------
Con riferimento alle procedure negoziate,
l’amministrazione è comunque tenuta
all’espletamento di un confronto
concorrenziale, pur con struttura
semplificata, che garantisca una scelta del
contraente rispettosa dei principi di
trasparenza e di par condicio, secondo lo
schema prefigurato nella norma di
riferimento: invito dei candidati a
presentare offerta mediante lettera
contenente chiare indicazioni in ordine alle
modalità di valutazione delle offerte ed ai
termini di aggiudicazione; individuazione
dell'operatore economico che ha offerto le
condizioni migliori (secondo i criteri del
prezzo più basso o dell’offerta
economicamente più vantaggiosa), previa
verifica del possesso dei requisiti di
qualificazione previsti per l'affidamento di
contratti di uguale importo mediante
procedura aperta, ristretta, o negoziata
previo bando; aggiudicazione e stipula del
contratto.
---------------
Il combinato disposto dell’art. 122, commi 7
e 7-bis, con l’art. 57, comma 6, del d.lgs.
12.04.2006, n. 163 non consente, in materia
di procedure negoziate, di costituire ed
utilizzare elenchi o albi di imprese dai
quali attingere per i singoli affidamenti.
Una simile possibilità, infatti, non solo
non è prevista in tali disposizioni, ma in
linea generale non è ammessa per i contratti
pubblici di lavori, come precisato nell’art.
40, comma 5, del Codice, ai sensi del quale
“è vietata, per l'affidamento di lavori
pubblici, l'utilizzazione degli elenchi
predisposti dai soggetti di cui all'articolo
32, salvo quanto disposto per la procedura
ristretta semplificata e per gli affidamenti
in economia”.
L’unica eccezione a tale divieto riguarda,
dunque, (oltre a quanto disposto per la
procedura ristretta semplificata) gli
affidamenti in economia.
---------------
L’indagine di mercato di cui all’art. 56, co.
6, del d.lgs. 12.04.2006, n. 163 deve essere
utilizzata dalla stazione appaltante
esclusivamente per l’acquisizione di
informazioni sull’assetto del mercato e,
dunque, sull’esistenza o meno di operatori
economici idonei per lo svolgimento del
contratto, ma non assume alcuna valenza in
termini di impegno a contrarre da parte
dell’amministrazione.
Tale fase è, dunque, prodromica
all’espletamento della procedura negoziata
ex art. 57, comma 6, la quale pur “semplificata”
rispetto alle altre procedure contemplate
nel Codice, è comunque soggetta ai principi
che devono informare tutta l’attività
contrattuale della pubblica amministrazione.
L’applicazione di tali principi si traduce,
dunque, nell’obbligo di motivazione da parte
della stazione appaltante, in relazione al
ricorso alla procedura negoziata –previsto
dalla norma come “facoltà”- in luogo
di quelle “ordinarie”, quale
esplicitazione del principio di trasparenza;
motivazione da riportare nella
determinazione a contrarre
(parere
sulla normativa 25.03.2010 - rif. AG-05/10
- link a www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI SERVIZI:
Procedimento volto ad accertare
l’osservanza della normativa per
l’affidamento del servizio idrico integrato.
Indagine relativa all’affidamento a società
miste.
La costituzione di una società a capitale
misto, pubblico e privato, rientra
nell’ambito del cosiddetto partenariato
pubblico privato istituzionalizzato (PPPI)
inteso come cooperazione tra partner
pubblici e privati che costituiscono
un’entità a capitale misto per l’esecuzione
di appalti pubblici o di concessioni.
L’apporto privato consiste nel conferimento
di capitali o altri beni e nella
partecipazione attiva all’esecuzione dei
compiti assegnati all’entità a capitale
misto e/o nella gestione di tale entità.
Per la costituzione della società mista, il
partner privato è selezionato nell’ambito di
una procedura ad evidenza pubblica, che ha
per oggetto sia l’appalto pubblico o la
concessione da aggiudicare all’entità a
capitale misto, sia il contributo operativo
del partner privato all’esecuzione di tali
prestazioni.
È necessario, inoltre, che sia previsto un
rinnovo della procedura di selezione “alla
scadenza del periodo di affidamento”,
evitando così che il socio divenga “socio
stabile” della società mista,
possibilmente prescrivendo che sin dagli
atti di gara per la selezione del socio
privato siano chiarite le modalità per
l’uscita del socio stesso (con liquidazione
della sua posizione), nel caso in cui
all’esito della successiva gara egli non
risulti più aggiudicatario.
L’autorità aggiudicatrice, qualora intenda
riservarsi la facoltà di modificare
determinate condizioni dell’appalto dopo la
scelta dell’aggiudicatario, dovrà prevedere
espressamente tale possibilità di
adeguamento, così come le sue modalità di
applicazione, nel bando di gara o nel
capitolato d’oneri e delimitare l’ambito
all’interno del quale la procedura deve
svolgersi, cosicché tutte le imprese
interessate a partecipare all’appalto ne
siano a conoscenza fin dall’inizio e si
trovino pertanto in una situazione di parità
al momento della formulazione dell’offerta.
Qualsiasi modifica delle condizioni
essenziali dell’appalto non prevista nel
capitolato d’oneri impone il ricorso a una
nuova procedura di gara (cfr. Consiglio di
Stato, A.P. 1/2008)
(deliberazione
24.03.2010 n. 15 - link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI:
Richiesta di parere in merito alla
applicabilità del codice nel caso di
contratto misto di compravendita di bene
mobile registrato e contestuale contratto di
locazione dello stesso al venditore-
stazione appaltante.
---------------
Nel caso in cui ricorra un’ipotesi di un
contratto attivo e un contratto passivo
funzionalmente collegati al fine di
realizzare un’unica operazione economica, ai
fini del pagamento delle relative
contribuzioni, evidenti considerazioni di
ragionevolezza suggeriscono di commisurate
le contribuzioni alla sola operazione del
contratto passivo.
---------------
Nel caso in cui ricorra l’ipotesi di un
contratto attivo e un contratto passivo
funzionalmente collegati al fine di
realizzare un’unica operazione economica, i
procedimenti non possono essere disgiunti e
si applicherà all’unitaria operazione la
disciplina del Codice in quanto compatibile,
con particolare riferimento ad un unico
codice identificativo e alla vigilanza
dell’Autorità.
---------------
Nel caso di contratti funzionalmente
collegati, secondo cui due o più contratti
assolvono una funzione economica unitaria e
trovano l’uno causa nell’altro, devono
ritenersi non applicabili le regole che
presiedono alla disciplina dei contratti
misti, di cui all’art. 14, Codice, di tal
ché non si può ritenere applicabile il
criterio della prevalenza di un contratto
rispetto all’altro
(parere
sulla normativa 11.03.2010 - rif. AG-1/10
- link a www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI SERVIZI:
Procedura aperta della Fondazione Musei
Civici di Venezia per l’affidamento, in
appalto, della gestione integrata di servizi
nei Musei Civici di Venezia e procedure
aperte della soc. SMINT S.r.l. per
l’affidamento, in concessione, del servizio
di bookshop e del servizio di caffetteria
nei Musei Civici di Venezia per la durata di
84 mesi.
---------------
L’istituto del raggruppamento trova la sua
ratio nell’esigenza di consentire il
cumulo dei requisiti speciali frazionabili,
consentendo così anche alle imprese di
minori dimensioni di prendere parte a gare
dalle quali sarebbero altrimenti escluse ed
accrescendo, per tale via, la concorrenza
per il mercato.
Tanto è evidente la natura
pro-concorrenziale dell’istituto, che la
giurisprudenza è di recente giunta a
ritenere legittima la clausola del bando che
ponga il divieto di partecipare in ATI ad
imprese che, da sole, siano in grado di
soddisfare singolarmente il possesso dei
requisiti.
Impedire il cumulo di requisiti per
antonomasia frazionabili, quali il fatturato
globale (indice della solidità del gruppo) e
l’organico medio annuo, non appare in linea
con i principi di concorrenza, parità di
trattamento e proporzionalità, oltre che con
la ratio stessa dell’istituto del
raggruppamento; diverso può essere il
discorso per requisiti non frazionabili,
quale il c.d. “servizio di punta”.
---------------
Nell’ambito della gestione dei beni
culturali, i servizi aggiuntivi devono
essere affidati in concessione, mentre i
servizi strumentali in appalto.
Il diverso regime giuridico applicabile alle
due fattispecie deriva dal fatto che
l'amministrazione che affida i servizi
aggiuntivi non corrisponde alcun prezzo
all'affidatario per l'erogazione mentre
l’affidatario deve pagare un canone di
concessione, accollandosi, dunque, il
rischio dell’attività.
Diversamente, nel servizio strumentale di
biglietteria il costo, apparentemente
finanziato direttamente dagli utenti, in
realtà è posto a carico delle risorse
dell'amministrazione, poiché il prezzo del
biglietto, che dovrebbe essere riversato
direttamente e per intero allo stesso
committente pubblico, viene in parte
trattenuto dal gestore del servizio (cfr.
Cass. SS. UU. Civ., ordinanza 12252/2009).
---------------
La scelta della stazione appaltante in
merito alla durata del contratto si dovrebbe
informare ad una ponderata analisi economica
del trade off tra i vantaggi traibili
a breve ed a medio/lungo termine dagli
affidamenti proiettati in un orizzonte
temporale ampio.
Se l’obiettivo della stazione appaltante è
quello di ottenere i maggiori benefici al
“momento della gara” allora i contratti di
lunga durata potrebbero permettere di
ottenere maggiore rendita all’aggiudicatario
grazie all’ottenimento di maggiori ribassi
sul prezzo posto a base d’asta.
Peraltro, gli affidamenti a lungo termine
finiscono per vincolare i soggetti pubblici
per molto tempo con lo stesso affidatario,
aumentando il rischio di lock-in, senza
considerare il fenomeno dell’obsolescenza
delle tecnologie impiegate nell’erogazione
dei servizi o delle metodologie con cui
vengono espletati i processi produttivi.
Le stazioni appaltanti, in altri termini,
rischiano di precludersi la possibilità di
rimettere l’operazione sul mercato,
avvantaggiandosi dei minori costi ottenibili
grazie all’impiego di nuove tecnologie e/o
di nuove formule organizzative/gestionali
nell’erogazione dei servizi stessi.
---------------
Nelle procedure di affidamento di appalti di
servizi, pur restando il principio della
cumulabilità la regola generale conforme
alla ratio stessa del raggruppamento,
permane la facoltà della stazione appaltante
di stabilire, nella lex specialis,
una soglia minima quantitativa per ciascuna
impresa, al fine di evitare un eccessivo
frazionamento tale da rendere inattendibile
il giudizio sull’affidabilità del
concorrente e ridurre la tutela
dell’interesse pubblico, con l’unico limite,
peraltro, del rispetto dei principi di
proporzionalità, ragionevolezza e non
eccedenza rispetto all’oggetto dell’appalto.
Ciò in considerazione del fatto che l’art.
37 del d.lgs. 163/2006 non prevede regole
dettagliate circa il riparto dei requisiti
all’interno dei raggruppamenti nel settore
dei servizi e delle forniture, limitandosi a
distinguere i raggruppamenti verticali da
quelli orizzontali.
Né, del resto, appare possibile applicare
per via analogica, agli appalti di servizi,
le disposizioni secondarie dettate per il
settore dei lavori pubblici in tema di quote
relative al possesso dei requisiti
all’interno di un raggruppamento, non
essendo tali disposizioni espressione di
principi generali dell’ordinamento
applicabili a tutte le gare pubbliche
(deliberazione
11.03.2010 n. 13 - link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI SERVIZI:
Bandi di gara per l'affidamento
dell'incarico di medico competente per
l'espletamento del servizio di sorveglianza
sanitaria di cui al D.Lgs. 81/2008 per gli
Uffici Provinciali del Dipartimento
Regionale Azienda Foreste Demaniali,
Assessorato Regionale Agricoltura e Foreste
della Regione Sicilia.
---------------
La necessità di mantenere chiuse le buste
contenti le offerte economiche presentate d
soggetti esclusi dalla gara può desumersi in
via indiretta dall’art. 48, comma 1, del
d.lgs. 12.04.2006, n. 163, il quale prevede
che la comprova del possesso dei requisiti
avvenga prima dell’apertura delle buste
contenenti l’offerta economica, ma anche
dall’art. 266, comma 3, dell’attuale Schema
di Regolamento Attuativo del d.lgs.
163/2006.
Con riferimento alle modalità di svolgimento
della gara per i servizi di architettura ed
ingegneria nei settori ordinari, viene
previsto che “la stazione appaltante apre
le buste contenenti l’offerta economica
relativamente alle offerte che abbiano
superato una soglia minima di punteggio
relativa all’offerta tecnica, eventualmente
fissata nel bando di gara”.
L’art. 266, comma 3, vieta implicitamente
l’apertura delle buste contenenti i prezzi
dei concorrenti che non hanno superato
eventuali soglie di sbarramento per il
punteggio tecnico, e quindi, a fortiori di
quelli che, in una fase ancora precedente,
non sono risultati in regola con la
documentazione amministrativa
---------------
Nella predisposizione delle gare di appalto
e nella valutazione dell’anomalia delle
offerte nelle procedure di affidamento di
appalti di lavori pubblici, di servizi e di
forniture, gli enti aggiudicatori sono
tenuti a valutare che il valore economico
sia adeguato e sufficiente rispetto al costo
del lavoro e al costo relativo alla
sicurezza, il quale deve essere
specificamente indicato.
Ciò significa che nella predisposizione
delle gare, cioè dei bandi e della
documentazione, il costo per la sicurezza
deve essere specificamente indicato,
separato dalla base d’asta, anche se pari a
zero (cfr. Determinazione 3/2008).
---------------
In materia di affidamento di servizi di cui
all’allegato IIB, la deroga all’applicazione
di una larga parte degli articoli del codice
non implica che tali disposizioni non
possano essere applicate dalle stazioni
appaltanti.
Nel rispetto del principio di “auto
vincolo”, le norme del codice
espressamente citate nella lex specialis
devono essere applicate integralmente.
---------------
Il bando di gara non può operare
un’illegittima commistione tra i requisiti
soggettivi di partecipazione alla gara e gli
elementi oggettivi di valutazione
dell’offerta.
La distinzione, come richiamato
dall’Autorità nella Determina 4/2009, è
stata recentemente confermata dalla sentenza
della Corte di Giustizia, Sez. I.,
24.01.2008, causa C – 532/06 e,
nell'ordinamento interno, dalla circolare
della Presidenza del Consiglio dei Ministri
– Dipartimento Politiche Comunitarie, del 1
marzo 2007, “Principi da applicare, da
parte delle stazioni appaltanti, nella
scelta dei criteri di selezione e di
aggiudicazione di un appalto di pubblico
servizio”.
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Il d.lgs. 12.04.2006, n. 163 e la
giurisprudenza lasciano ampi margini di
discrezionalità alla stazione appaltante
rispetto alla scelta del criterio di
aggiudicazione, indipendentemente dal fatto
che il servizio sia o meno incluso
nell’Allegato IIB.
Nella disciplina degli appalti esclusi (in
tutto o in parte), il codice non fa espresso
riferimento al criterio di aggiudicazione
ma, limitandosi ad indicare le norme cui
sono soggetti (art. 20, 65, 68 e 225),
lascia intendere che la scelta del criterio
continua ad essere rimessa alle valutazioni
della stazione appaltante, cioè
all’obiettivo che questa intende perseguire
con lo specifico appalto.
Il codice dei contratti ha stabilito che
sussiste una perfetta equiparazione tra i
due criteri di aggiudicazione del prezzo più
basso e dell'offerta economicamente più
vantaggiosa e ha liberalizzato la scelta, da
parte delle stazioni appaltanti, del
criterio di aggiudicazione degli appalti,
rendendola indipendente dalla tipologia di
procedura adottata (cfr. determinazione
4/2009).
---------------
In una procedura per l’affidamento di un
contratto di servizi diviso in più lotti, il
limite all’aggiudicazione di un solo lotto
per concorrente va attentamente valutato e
ponderato in quanto, specialmente nel caso
di mercati caratterizzati da un numero
ristretto di potenziali concorrenti, tende a
ridurre la competizione in gara e a
peggiorare il risultato finale per la
stazione appaltante.
La scelta deve avvenire in modo tale da
valutare opportunamente la possibilità di
incorretta esecuzione del contratto
potenzialmente derivante dall’affidamento ad
un unico contraente, con il rischio di
compressione della concorrenza in gara e di
peggioramento del risultato finale per la
stazione appaltante.
---------------
La verifica di congruità dell’offerta è un
potere tecnico-discrezionale che spetta alla
stazione appaltante.
L’esercizio di tale potere prevede, in via
generale, che la stazione appaltante
verifichi la congruità delle offerte sulla
base delle giustificazioni rese e di
ulteriori integrazioni eventualmente
ritenute necessarie; che il giudizio di
congruità possa essere sindacato unicamente
sotto il profilo della illogicità o della
manifesta infondatezza; e che, conformemente
con quanto previsto dall’art. 86 comma 3 del
d.lgs. 12.04.2006, n. 163, sia possibile, in
ogni caso, verificare la congruità di ogni
altra offerta che appaia anormalmente bassa
(deliberazione
25.02.2010 n. 10 - link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI SERVIZI:
Regione siciliana. Azienda Sanitaria
Provinciale di Enna. Richiesta di parere in
ordine alla possibilità di estensione del
contratto di servizio di pulizia.
In attesa dell’emanazione del regolamento di
attuazione del d.lgs. 12.04.2006, n. 163,
appare possibile, nel rispetto della vigente
disciplina di contabilità di Stato, la
stipula di un atto aggiuntivo al fine di
apportare variazioni all’oggetto di un
contratto di servizi, a condizione che
l’impresa titolare del rapporto contrattuale
possieda i requisiti di idoneità economica,
finanziaria, tecnica e professionale
richiesti per l’affidamento dell’ulteriore
servizio
(parere
sulla normativa 14.01.2010 - rif. AG-43/09
- link a www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI SERVIZI:
Servizi Legali.
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La stazione appaltante può fissare
discrezionalmente i requisiti di
partecipazione, anche superiori rispetto a
quelli previsti dalla legge, purché essi non
siano manifestamente irragionevoli,
irrazionali, sproporzionati, illogici,
nonché lesivi della concorrenza, in
violazione quindi dell’articolo 2 del d.lgs.
12.04.2006, n. 163.
La ragionevolezza dei requisiti non deve
essere valutata in astratto, ma in
correlazione al valore dell’appalto ed alle
specifiche peculiarità dell’oggetto della
gara. In merito al fatturato, è considerata
non incongrua o sproporzionata, né
limitativa dell’accesso alla gara la
richiesta di un fatturato, nel triennio
pregresso, sino al doppio dell’importo posto
a base della stessa.
---------------
I servizi analoghi di cui all’art. 57, comma 5, lettera b), per i quali si
può procedere ad una nuova aggiudicazione
senza pubblicazione di un bando di gara,
devono essere conformi ad un progetto di
base e l’importo stimato dei servizi
successivi deve essere computato per la
determinazione globale del contratto.
In ogni caso, l’eventuale affidamento della
gestione di nuovi interventi non può
comportare un innalzamento artificioso dei
requisiti di partecipazione. Ove il bando
preveda la possibilità di ripetizione di
servizi analoghi, infatti, i requisiti di
partecipazione alla gara e la garanzia
richiesta a corredo dell’offerta vanno
dimensionati in riferimento all’importo
dell’appalto principale, non esclusa la
possibilità di fissare ragionevoli e
proporzionati requisiti specifici anche per
i servizi analoghi.
Se fosse diversamente, d’altronde, si
darebbe luogo ad una restrizione del
possibile novero dei partecipanti. contraria
al principio di proporzionalità poiché i
requisiti di ammissione verrebbero a
risultare inaspriti in funzione di un
innalzamento dell’importo della gara che è
invece solo eventuale.
---------------
In una procedura per l’affidamento di
servizi di consulenza legale, non è conforme
alla normativa di settore la previsione dei
documenti di gara che vieti la
partecipazione dei raggruppamenti temporanei
di professionisti, consentendo allo stesso
tempo quella degli studi associati.
Infatti, stante il principio della
personalità della prestazione professionale,
non è ravvisabile alcuna ontologica e
rilevante differenza tra le due figure in
esame che possa giustificare un diverso
regime giuridico ai fini dell’ammissione
alla gara.
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Nell’affidamento di servizi di cui
all’allegato II B, la stazione appaltante
deve seguire anche le norme che, sebbene non
richiamate nell’art. 20 del d.lgs.
12.04.2006, n. 163, siano state
espressamente inserite nel bando e negli
altri documenti di gara, poiché in questo
caso la stazione appaltante si “autovincola”
al rispetto di tali norme
(deliberazione
14.01.2010 n. 4 - link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI SERVIZI:
Procedimento di accertamento della
legittimità degli affidamenti in house ai
soggetti gestori pubblici del Servizio di
Gestione Integrata dei rifiuti urbani.
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Nel caso di affidamento in house la
giurisprudenza comunitaria considera
sussistente il requisito del “controllo
analogo” quando l’ente pubblico può
esercitare sul soggetto gestore maggiori
poteri rispetto a quelli che il diritto
societario riconosce alla maggioranza
sociale e le decisioni più importanti sono
sottoposte al vaglio preventivo dell’ente
affidante.
Il requisito dell’attività prevalente a
favore dell’ente affidante si ha quando la
parte di attività prestata per soggetti
diversi dall’ente controllante sia
quantitativamente irrisoria e
qualitativamente irrilevante sulle strategie
aziendali.
Come affermato dalla Corte di Giustizia
(sentenza Coditel 13/11/2008 in causa
C-324/07), il controllo analogo non è
escluso dalla circostanza che il pacchetto
azionario sia posseduto da una pluralità di
enti pubblici. In tal caso, il controllo può
essere esercitato congiuntamente,
eventualmente a maggioranza, mentre la
condizione relativa alla parte più
importante della sua attività può ricorrere
considerando l'attività che l’organismo in
house svolge con l'insieme di detti enti.
---------------
L'in house rappresenta il tentativo
di conciliare il principio di
auto-organizzazione amministrativa (che
trova corrispondenza nel più generale
principio comunitario di autonomia
istituzionale), con i principi di tutela
della concorrenza e del mercato.
L'Amministrazione si rivolge per reperire
una determinata prestazione ad un soggetto
che, pur essendo formalmente dotato di
personalità giuridica diversa
dall'Amministrazione stessa, è sottoposto
tuttavia ad un controllo gerarchico da parte
dell'Ente, che può essere assimilato al
controllo che l'Amministrazione esercita
sulle proprie strutture interne. In virtù di
tali elementi l'ente in house non va
considerato "terzo" rispetto
all'amministrazione procedente, ma piuttosto
come uno dei servizi propri
dell'amministrazione stessa.
In presenza di tali condizioni, quindi, non
c'è neppure un contratto, perché esso
implica l'esistenza di almeno due soggetti
che siano sostanzialmente distinti e tra i
quali vi sia una relazione intersoggettiva.
C'è, al contrario, un rapporto organico o di
delegazione interorganica; la delega
interorganica e il conseguente rapporto di
strumentalità dell'ente affidatario rispetto
all'amministrazione aggiudicatrice rendono
lo svolgimento della prestazione una vicenda
tutta interna alla pubblica amministrazione
(deliberazione
13.01.2010 n. 2 - link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
GIURISPRUDENZA |
APPALTI:
Sulla legittimità del
provvedimento di esclusione di un
concorrente disposto per la omessa
apposizione del sigillo con ceralacca sulla
busta contenente l'offerta economica.
Nel caso in cui il bando di gara commini
espressamente l'esclusione obbligatoria,
quale conseguenza di talune specifiche
violazioni, la stazione appaltante è tenuta
a dare precisa ed incondizionata esecuzione
a tale previsione, restando preclusa, per
l'interprete, qualsiasi diversa valutazione
relativamente all'inadempimento.
Pertanto, nel caso di specie, è legittimo il
provvedimento di esclusione di un
concorrente disposto per la omessa
apposizione del sigillo con ceralacca sulla
busta contenente l'offerta economica, in
quanto nelle gare indette per
l'aggiudicazione di un appalto con la p.a.
il sigillo con ceralacca del plico
contenente le offerte, richiesto a pena di
esclusione dal bando, risponde all'esigenza
di garantire che il plico non possa essere
aperto se non a prezzo di manometterne
visibilmente la chiusura (TAR
Campania-Napoli, Sez. VIII,
sentenza 17.12.2010 n. 27650 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Rilascio del titolo edilizio -
Amministrazione comunale - Ricognizioni
giuridico-documentali sul titolo di
proprietà del richiedente - Necessità -
Esclusione - Esibizione del titolo
legittimante - Sufficienza.
In sede di rilascio del titolo edilizio,
l’amministrazione non è tenuta a svolgere
complesse ricognizioni giuridico-documentali
sul titolo di proprietà del richiedente,
ovvero a risolvere controversie circa i
diritti reali vantati da terzi
sull’immobile, essendo sufficiente
l’esibizione di un titolo che formalmente
abiliti al rilascio dell’autorizzazione e
facendo ovviamente salvi i diritti dei terzi
(Consiglio di Stato, Sez. V, 07.09.2009 n.
5223; Sez. V, 02.10.2002 n. 5165; TAR
Campania, Napoli, Sez. III, 30.07.2007 n.
7099 e Sez. II, 18.11.2008 n. 19795) (TAR
Campania-Napoli, Sez. VIII,
sentenza 16.12.2010 n. 27527 - link a www.ambientediritto.it). |
APPALTI:
Sull'illegittimità
dell'esclusione da una gara di un
concorrente che abbia tempestivamente
effettuato il versamento dovuto all'AVCP,
anche se con modalità differenti rispetto a
quelle contemplate dalla lex specialis di
gara.
E' illegittimo il provvedimento di
esclusione adottato da una stazione
appaltante nei confronti di un'impresa che
abbia provveduto tempestivamente ad
effettuare il versamento dovuto all'AVCP,
secondo, tuttavia, modalità differenti
rispetto a quelle prescritte dal
disciplinare di gara, in quanto ciò vìola il
principio di proporzionalità in materia di
appalti pubblici; quest'ultimo, elaborato
dalla dottrina e dalla giurisprudenza
tedesche, e successivamente assunto come
principio generale del diritto comunitario,
trova ingresso e rilievo anche nel nostro
ordinamento, in specie per il richiamo ad
esso effettuato dagli artt. 2, 27 e 30 del
d.lgs. n. 163/2006.
Peraltro, ai sensi dell'art. 23 L. n.
262/2005, detto principio va inteso quale
criterio di esercizio del potere adeguato al
raggiungimento del fine, con il minor
sacrificio degli interessi dei destinatari.
Infatti, la verifica del rispetto del
principio di proporzionalità deve svolgersi,
da un lato, accertando la funzionalità della
determinazione amministrativa agli obiettivi
perseguiti dalla p.a.; dall'altro, vagliando
se essa non risulti spropositata rispetto al
perseguimento dell'interesse pubblico
primario, e tale da sacrificare gli
ulteriori interessi coinvolti nella
procedura amministrativa (TAR Toscana, Sez.
I,
sentenza 16.12.2010 n. 6770 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Procedimento amministrativo -
Termine per la conclusione del procedimento
- Natura ordinatoria - Intervento nel
procedimento in corso, successivamente alla
scadenza del termine, dei soggetti aventi
titolo - Legittimità.
Il termine per la conclusione del
procedimento è di tipo ordinatorio, il cui
inutile decorso non è idoneo a determinare
l’illegittimità del provvedimento
successivamente adottato (Cons. Stato Sez.
VI: 25.06.2008, n. 3215; 14.01.2009, n.
140), per cui se l’Amministrazione conserva
la potestà di provvedere anche dopo la
scadenza del termine suddetto non vi è
motivo di ritenere che, fino a quando non
abbia provveduto, non possano intervenire
nel procedimento tuttora in corso i soggetti
aventi titolo a farlo (salvo che
l’intervento non risulti in concreto svolto
a ridosso della emanazione del
provvedimento, dovendosi salvaguardare il
principio di buon andamento della pubblica
amministrazione) (Consiglio di Stato, Sez.
VI,
sentenza 15.12.2010 n. 8931 -
link a www.ambientediritto.it). |
APPALTI:
Sull'inammissibilità di una
domanda di risarcimento per equivalente per
mancanza del danno ingiusto.
E' infondata la domanda di risarcimento per
equivalente, esperita per l'annullamento di
una delibera con la quale l'amministrazione
comunale abbia annullato la gara indetta per
la manutenzione dell'impianto di pubblica
illuminazione, nel caso in cui sia
intervenuto l'annullamento giurisdizionale
del provvedimento di autotutela
amministrativa adottato dall'ente comunale.
Tale annullamento, consentendo al ricorrente
di partecipare alla procedura di affidamento
del contratto e quindi la reintegrazione in
forma specifica nella posizione giuridica
lesa, comporta l'inammissibilità della
domanda di risarcimento per equivalente per
mancanza del danno ingiusto (TAR
Calabria-Catanzaro, Sez. II,
sentenza 14.12.2010 n. 2942 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Le mansioni superiori non
assumono rilievo neppure per ciò che
riguarda la mera maggiorazione retributiva.
Il pacifico e consolidato orientamento della
giurisprudenza amministrativa formatosi
nella materia per cui è causa trova ampio ed
esaustiva esposizione nella sentenza n. 332
dell’08.02.2005 della V Sezione del
Consiglio di Stato, dalla quale il Collegio
non ravvisa motivo per discostarsi, e della
quale, per chiarezza espositiva, è opportuno
riportare i passaggi essenziali alla
definizione della controversia:
“…le… mansioni superiori non assumono
rilievo neppure per ciò che riguarda la mera
maggiorazione retributiva;
- è già stato autorevolmente affermato che
l'art. 36 Cost., che sancisce il principio
di corrispondenza della retribuzione dei
lavoratori alla qualità e quantità di lavoro
prestato, non può trovare incondizionata
applicazione nel rapporto di pubblico
impiego, concorrendo in detto ambito altri
principi di pari rilevanza costituzionale,
quali quelli previsti dall' art. 98 Cost.
(che nel disporre che «i pubblici impiegati
sono al servizio esclusivo della Nazione»
vieta che la valutazione del rapporto di
pubblico impiego sia ridotta alla pura
logica del rapporto di scambio ) e dall'
art. 97 Cost. (contrastando l'esercizio di
mansioni superiori rispetto alla qualifica
rivestita con il buon andamento e l'
imparzialità dell' Amministrazione, nonché
con la rigida determinazione delle sfere di
competenza, attribuzioni e responsabilità
proprie dei funzionari) (sul punto, già A.P.
n. 22 del 19.11.1999);
- il Supremo consesso della giurisdizione
amministrativa, già con la citata decisione
(e successivamente con le decisioni nn. 10
ed 11 del 2000) ha avuto modo di precisare
che nell'ambito del pubblico impiego è la
qualifica e non le mansioni il parametro al
quale la retribuzione è inderogabilmente
riferita, considerato anche l'assetto rigido
della Pubblica amministrazione sotto il
profilo organizzatorio, collegato anch'esso,
secondo il paradigma dell'art. 97, ad
esigenze primarie di controllo e
contenimento della spesa pubblica; con la
conseguenza che l'Amministrazione é tenuta
ad erogare la retribuzione corrispondente
alle mansioni superiori solo quando una
norma speciale consenta tale assegnazione e
la maggiorazione retributiva;
-ciò non sussiste nel caso in esame, che
verte sulla pretesa retributiva di
dipendente di Ente locale;
- sulla materia, infatti, a parte i principi
generali sopra enunciati, giova rilevare che
tutte le disposizioni dei regolamenti
organici dei dipendenti degli Enti locali
che, ai sensi dell'art. 220 T.U. 03.03.1934
n. 383, attribuivano rilevanza allo
svolgimento di mansioni superiori svolte,
sono state abrogate per incompatibilità
dall' art. 6 D.L. 29.12.1977 n. 946, come
convertito dalla L. 27.02.1978 n. 43, ( con
il quale è stato vietato agli Enti predetti
di erogare ogni trattamento economico
previsto dagli accordi nazionali), il cui
contenuto è stato più volte ribadito e da
ultimo confermato dall'art. 11 L. 09.02.1983
n. 93 (in termini, Sez. V. n. 3326 del
15.06.2000 e, già prima, n. 1307 del
04.11.1996);
- nella ricostruzione storica
dell’evoluzione dell’istituto, con riguardo
al graduale passaggio alla «privatizzazione»
del rapporto di impiego dei pubblici
dipendenti, è stato anche osservato come
soltanto l'art. 57 del D.L.vo 03.02.1993 n.
29 ha introdotto (in attuazione della delega
legislativa contenuta nell'art. 2, lett. n),
della L. 23.10.1992 n. 421) una nuova,
completa disciplina dell'attribuzione
temporanea di mansioni superiori,
riconoscendo entro certi limiti rilevanza
economica a detta attribuzione, con
disposizioni peraltro innovative del
pregresso sistema (IV Sez., n. 1205 del
12.11.1996 n. 1205);
- è stato però rilevato come la norma sia
stata poi abrogata dall'art. 43 del D.L.vo
31.03.1998 n. 80, senza avere avuto mai
applicazione (la sua operatività è stata più
volte differita, da ultimo, al 31.12.1998
con l'art. 39, comma 17, della L. 27.12.1997
n. 449); la materia è stata poi disciplinata
dall'art. 56 del D.L.vo n. 29 del 1993 (nel
testo sostituito con l'art. 25 del D.L.vo n.
80 del 1998), che (come già l'art. 56 comma
2 nel testo originario) ha confermato
l'indirizzo elaborato dal Consiglio di
Stato;
- detta norma, nella sua originaria
formulazione, prevedeva espressamente la
retribuibilità dello svolgimento delle
mansioni superiori, ma (comma 6) ne rinvia
l'applicazione in sede di attuazione della
nuova disciplina degli ordinamenti
professionali prevista dai contratti
collettivi e con la decorrenza da questi
stabilita;
- essa disponeva, infatti che «fino a tale
data, in nessun caso lo svolgimento di
mansioni superiori rispetto alla qualifica
di appartenenza può comportare il diritto a
differenze retributive o ad avanzamenti
automatici nell'inquadramento professionale
del lavoratore» (art. 56 citato comma 6);
- le parole «a differenze retributive o»
sono state soppresse dall'art. 15 del D.L.
vo 29.10.1998 n. 387 (pubblicato sulla G.U.
07.11.1998 n. 261), ma ovviamente con
effetto dalla sua entrata in vigore, sicché
l'innovazione, esulando dall'ambito
temporale coinvolto dalla presente vertenza,
non esplica su di essa alcuna efficacia (in
termini, le già citate decisione dell’AP. n.
10 ed 11 del 2000 e 22 del 1999);
- non vi è ragione di dubitare della
legittimità costituzionale dell’art. 15
citato, per la parte in cui con conferisce
al riconoscimento in questione una portata
retroattiva, innanzitutto perché è
nell’ordine generale della funzione, che le
nuove norme non dispongano altro che per
l’avvenire, salvo differente scelta del
legislatore che (ove non sia espressamente
vietato dallo stesso sistema dei principi
costituzionali) è insindacabile anche dalla
Corte costituzionale e, sul piano logico, in
quanto, come ricostruito nelle citate
decisioni dell’Adunanza Plenaria (dalle
quali non vi è ragione di discostarsi)
altrettanti rilevanti principi
costituzionali, di pari grado rispetto a
quelli invocati da parte ricorrente,
precludevano, nel sistema del pubblico
impiego, la generalizzata applicazione del
differente principio affermato, in via
ordinaria, nel rapporto di lavoro
disciplinato dalla normativa privatistica
(art. 2103 Cod. civ., come sostituito
dall'art. 13 della legge 20.05.1970 n. 300
che, per quanto riguarda l'obbligo di
adeguare il trattamento economico alle
mansioni esercitate, è stato ritenuto
applicabile al settore dell'impiego pubblico
–in termini, per tutte, V Sez., 11.05.1989
n. 274- soltanto nei limiti previsti da
norme speciali);
…
ciò vale anche indipendentemente dalla
sussistenza o meno di disponibilità di
organico vacante e dello svolgimento in
concreto delle pretese mansioni superiori,
in quanto, il principio della irrilevanza
giuridica ed economica dello svolgimento, in
tutte le sue forme, di mansioni superiori
nell'ambito del pubblico impiego -salvo che
tali effetti derivino da un'espressa
previsione normativa- è un dato acquisito
alla giurisprudenza amministrativa (già
prima dell’insegnamento dell’Adunanza
Plenaria, fra le tante, IV Sez., 17.05.1997
n. 647; C.G.A.R.S. 27.05.1997 n. 197; V
Sez., 30.04.1997 n. 429, 24.03.1997 n. 290,
28.01.1997 n. 99; VI Sez., 26.06.1996 n. 860
e 10.02.1996 n. 189), che risponde
testualmente al dettato normativo (come
desumibile dalle fonti normative sopra
citate) e che, per ciò che concerne
specificamente i dipendenti degli enti
locali, trova conferma ulteriore, a
contrario, nella norma speciale, contenuta
nell’art. 72 D.P.R. 13.05.1987 n. 268, che
in via eccezionale (e dunque non
analogicamente estensibile), prevede la
corresponsione della retribuzione per lo
svolgimento di funzioni superiori, soltanto
allorché si tratti di incarichi di livello
dirigenziale, formalmente attribuiti,
relativamente a posti di responsabili delle
massime strutture organizzative dell’Ente,
subordinandola peraltro, al formale
conferimento dell’incarico da parte dei
competenti organi di vertice (non essendo
sufficiente la disposizione organizzativa
impartita dal superiore gerarchico)”.
Gli anzidetti consolidati principi
giurisprudenziali sono stati successivamente
confermati dall’Adunanza Plenaria del
Consiglio di Stato n. 3 del 23.03.2006 (TAR
Sardegna, Sez. II,
sentenza 14.12.2010 n. 2685 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI:
Sul diritto alla liquidazione e
corresponsione delle somme spettanti a
titolo di revisione periodica del prezzo del
contratto di appalto in materia di rifiuti.
Ai sensi dell'art. 6, L. n. 537/1993, tutti
i contratti ad esecuzione periodica o
continuativa devono recare una clausola di
revisione periodica del prezzo.
La predetta norma ha carattere imperativo,
come tale non suscettibile di deroga
pattizia, atteso che la sua finalità
primaria è quella di salvaguardare
l'interesse pubblico a che le prestazioni di
beni e servizi alla P.A. non subiscano, con
il tempo, una diminuzione qualitativa per
eccessiva onerosità sopravvenuta della
prestazione e della conseguente incapacità
del fornitore di farvi fronte; pertanto, una
eventuale deroga ad opera delle parti
contraenti deve considerarsi nulla.
Le norme concernenti la revisione dei prezzi
in materia di appalti di servizi,
costituendo una disciplina specifica di
settore, prevalgono sul regime generale di
cui all'art. 1664 c.c.; ne consegue che le
clausole difformi sono nulle, pur se la
nullità non investe l'intero contratto, in
applicazione del principio utile per
inutile non vitiatur.
Nel caso di specie, il contratto costituisce
applicazione dell'art. 4, comma 4, della
legge n. 724/1994, il quale dispone che
tutti i contratti ad esecuzione periodica o
continuativa debbono recare una clausola di
revisione periodica del prezzo, prevedendo
espressamente che la revisione dei prezzi
del contratto avvenga mediante le rilevate
variazioni ISTAT (TAR Puglia-Lecce, Sez. III,
sentenza 13.12.2010 n. 2826 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
COMPETENZE GESTIONALI: Il
sindaco non necessita dell’autorizzazione
della giunta o del consiglio per stare in
giudizio.
Quanto alla lamentata mancanza di
autorizzazione al sindaco a stare in
giudizio, è ampiamente noto che nel nuovo
ordinamento delle autonomie locali delineato
dalla legge n. 142/1990 e dal T.U. EE. LL.
n. 267/2000, il Sindaco e il Presidente
della Provincia hanno assunto (anche in
relazione alla legge 25.03.1993, n. 81, che
ne ha previsto l'elezione diretta) un ruolo
di vertice politico-amministrativo centrale,
in quanto titolari di funzioni di direzione
e di coordinamento dell'esecutivo comunale e
provinciale, onde l'autorizzazione del
Consiglio prima e della Giunta poi, se
trovava ragione in un assetto in cui essi
erano eletti dal Consiglio e la Giunta
costituiva espressione del Consiglio stesso,
non ha più ragione di esistere in un assetto
nel quale i medesimi traggono direttamente
la propria investitura dal corpo elettorale
e costituiscono loro stessi la fonte di
legittimazione degli assessori che
compongono la Giunta, cui il citato T.U.
affida il compito di collaborare (con il
Sindaco o con il Presidente della Provincia)
e di compiere tutti gli atti rientranti
nelle funzioni degli organi di governo che
non siano riservati dalla legge al Consiglio
e che non ricadono nelle competenze,
previste dalla legge o dallo statuto, del
Sindaco (o del Presidente della Provincia) o
degli organi di decentramento (cfr. in tal
senso: Cons. Stato, sez. VI, 07.01.2008, n.
33; sez. IV, 19.06.2006, n. 3622; Cass.
SS.UU. 16.06.2005 n. 12868) (Consiglio di Stato,
Sez. IV,
sentenza 10.12.2010 n. 8730 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Legge Tognoli - Aree
pertinenziali esterne - Parcheggi realizzati
nel sottosuolo - Esigenze di tutela del
paesaggio.
La legge n. 122/1989 (cd. Tognoli)
riguarda esclusivamente aree e costruzioni
destinate a parcheggio, con esclusione di
qualsiasi altra destinazione incompatibile
con il vincolo pubblicistico di natura
funzionale introdotto dalla stessa legge (Cons. Stato, sez. V, 24.04.2009, n.
2609; Cass., sez. II, 22.08.2006 n.
18255).
La medesima legge prevede peraltro
la realizzazione dei parcheggi in aree pertinenziali esterne soltanto se realizzati
nel sottosuolo, per contemperare le esigenze
di decongestionamento del traffico urbano,
dichiaratamente perseguite dalla normativa
di settore, con le esigenze di tutela del
paesaggio, che, anzi, la stessa legge
Tognoli prefigura in termini di prevalenza,
lasciando “in ogni caso fermi i vincoli
previsti dalla legislazione in materia
paesaggistica ed ambientale ed i poteri
attribuiti dalla medesima legislazione“
alle amministrazioni regionali e statali
(art. 9, comma 1, l. n. 122 cit.) (Consiglio
di Stato,
Sez. IV,
sentenza 10.12.2010 n. 8729 - link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
BENI CULTURALI E
AMBIENTALI - Principio di leale
collaborazione tra Stato, Regioni ed enti
locali - Autorità comunale - Poteri di
verifica e controllo in materia di tutela
ambientale e paesistica.
Lo svolgimento
delle funzioni in materia di tutela
ambientale e paesistica avviene in ambiti
oggettivi caratterizzati da un complesso
intreccio di competenze concorrenti dello
Stato, delle regioni (o delle province
autonome) e degli enti locali, in ragione
del quale si impongono fra i predetti
soggetti adeguate forme di collaborazione,
in ossequio al generale principio di leale
cooperazione (v., ad esempio, Corte Cost. sentt. nn. 378 del 2000; 366 del 1992, 1029
del 1988, 337 del 1989; Ad. pl., 14.12.2001, n. 9; cfr. anche Cons. St., sez. VI,
20.01.2003, n. 204).
Questo
orientamento riceve definitivo
riconoscimento nel nuovo regime di controllo
e gestione dei beni sottoposti a tutela,
introdotto dal Codice dei beni culturali e
del paesaggio di cui al D.Lgs. 22.01.2004, n. 42 e, particolare, dall’articolo
146 per quanto attiene alla tutela diretta e
dall’articolo 145 relativamente alla tutela
di carattere pianificatorio.
Tanto ciò è
vero, che il rispetto delle autonomie
comunali deve armonizzarsi con la verifica e
la protezione di concorrenti interessi
generali, collegati ad una valutazione più
ampia delle esigenze diffuse nel territorio,
con conseguente possibilità e legittimità
dell'eventuale emanazione di disposizioni
legislative, statali e regionali, le quali
intersechino le ordinarie funzioni pianificatorie attribuite agli enti locali (Corte cost., 27.07.2000, n. 378; cfr.
anche sentenza n. 286 del 1997).
Conseguentemente e necessariamente, anche in
sede di rilascio ovvero di controllo
successivo del titolo edilizio e del
controllo dell’attività edilizia spettano
all’autorità comunale poteri di verifica e
controllo finalizzati al medesimo tipo di
tutela (cfr. artt. 12, co. 1, 14, co. 1, 27,
co. 2, T.U. n. 380 del 2001) (Consiglio di
Stato,
Sez. IV,
sentenza 10.12.2010 n. 8729 - link a www.ambientediritto.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Potere di autotutela -
Decorso di considerevole lasso di tempo -
Criterio di ragionevolezza - Temperamento.
Al potere di autotutela,
esercitato dopo un “considerevole lasso di
tempo“ (in applicazione dell'art. 21-nonies,
l. n. 241 del 1990), deve comunque essere
applicato il criterio di ragionevolezza,
secondo cui in presenza di posizioni oramai
consolidate e a fronte di vizi di
legittimità meramente formali, occorre
procedere ad un puntuale apprezzamento del
ragionevole affidamento suscitato
nell'amministrato sulla regolarità della sua
posizione (cfr.: Cons. St., sez. VI, 18.08.2009, n. 4958; sez. VI,
02.10.2007, n. 5074).
Pur tuttavia allorché
vengano in rilievo contrastanti interessi di
terzi, o superiori interessi pubblici, tali
principi devono contemperarsi con quello,
secondo cui per gli atti che esplicano
effetti giuridici permanenti o ripetuti nel
tempo il principio di legalità impone
all'amministrazione il loro adeguamento in
ogni momento al quadro normativo di
riferimento.
In questi casi l'interesse
pubblico all'esercizio dell' autotutela è
"in re ipsa" e si identifica nella
cessazione di ulteriori effetti "contra legem" (Cons. St. , sez. VI, 17.01.2008, n. 106; v. anche sez. VI n. 4958/2009,
cit.) (Consiglio di Stato,
Sez. IV,
sentenza 10.12.2010 n. 8729 - link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Anche in sede di rilascio ovvero
di controllo successivo del titolo edilizio
e del controllo dell’attività edilizia
spettano all’autorità comunale poteri di
verifica e controllo finalizzati alla tutela
ambientale.
Trascuriamo di proposito gli aspetti
fattuali di questa pronuncia per riportare
le importanti osservazioni ricavate dal
Consiglio di Stato riguardo al principio in
evidenza.
Su questo tema, l’appellante assumeva che
solo gli organi periferici del Ministero
possono addurre motivazioni di ordine
ambientale, paesistico e storico. Tuttavia,
i giudici di Palazzo Spada, nel considerare
tale assunto privo di ogni supporto
normativo e, quindi, di ogni pregio,
ricordano che in via generale, secondo un
consolidato orientamento della Corte
Costituzionale, lo svolgimento delle
funzioni in materia di tutela ambientale e
paesistica avviene in ambiti oggettivi
caratterizzati da un complesso intreccio di
competenze concorrenti dello Stato, delle
regioni (o delle province autonome) e degli
enti locali, in ragione del quale si
impongono fra i predetti soggetti adeguate
forme di collaborazione, in ossequio al
generale principio di leale cooperazione
(v., ad esempio, sentt. nn. 378 del 2000;
366 del 1992, 1029 del 1988, 337 del 1989).
La tutela dell’ambiente e del paesaggio,
continuano i giudici d’appello, è affidata
ad un regime soggettivo di cogestione fra
Stato, Regioni ed enti locali, come già
magistralmente ricostruito dall’Adunanza
Plenaria di questo Consiglio ( Ad. pl., 14
dicembre 2001, n. 9; cfr. anche Cons. St.,
sez. VI, 20.01.2003, n. 204).
Questo orientamento -che trova(va) preciso
riscontro nelle disposizioni del T.U. n.
490/1999- all’epoca dei fatti ancora
vigente, come l’articolo 150, il cui comma 3
dispone(va) che le regioni e i comuni
possono concordare con il Ministero speciali
forme di collaborazione delle competenti
soprintendenze alla formazione dei piani, o
come l’articolo 151, che affida(va) alle
Regioni ed enti subdelegati, in prima
battuta, la tutela dei beni ambientali-
riceve oggi definitivo riconoscimento nel
nuovo regime di controllo e gestione dei
beni sottoposti a tutela, introdotto dal
Codice dei beni culturali e del paesaggio di
cui al D.Lgs. 22.01.2004, n. 42 e,
in particolare, dall’articolo 146 per quanto
attiene alla tutela diretta e dall’articolo
145 relativamente alla tutela di carattere pianificatorio.
Sotto quest’ultimo aspetto, va inoltre
rilevato che il principio di distribuzione
delle competenze dei beni ambientali secondo
livelli istituzionali differenziati è
chiaramente ribadito dalla legge urbanistica
n. 1150 del 1942, come successivamente
novellata, il cui art. 10, comma 1, dispone
che in sede di approvazione degli strumenti
urbanistici ben possono essere prodotte
quelle varianti riconosciute indispensabili
per assicurare, tra l’altro, (lett. c) la
tutela del paesaggio e di complessi storici,
monumentali, ambientali ed archeologici, la
quale perciò raffigura una delle finalità
fondamentali del potere di pianificazione
territoriale.
Nondimeno, la stessa legge urbanistica
attribuisce direttamente anche agli enti
locali, già in sede di adozione dello
strumento urbanistico, la custodia, la
preservazione e la tutela dei beni
ambientali, individuando tra i contenuti
necessari del piano regolatore i vincoli da
osservare nelle zone a carattere storico,
ambientale, paesistico (art. 7. co. 1, n. 5
).
D’altra parte, che lo strumento urbanistico
comunale non solo possa, ma debba perseguire
finalità anche di tutela ambientale in senso
lato è dato acquisito nell’esperienza
giurisprudenziale del Consiglio di Stato
(fra le tante sentenze v.: sez. IV,
13.10.2010, n. 7478; sez. IV, n. 5478 del
2008; sez. IV, n. 1226 del 1998).
Tanto ciò è vero, che il rispetto delle
autonomie comunali deve armonizzarsi con la
verifica e la protezione di concorrenti
interessi generali, collegati ad una
valutazione più ampia delle esigenze diffuse
nel territorio, con conseguente possibilità
e legittimità dell'eventuale emanazione di
disposizioni legislative, statali e
regionali, le quali intersechino le
ordinarie funzioni pianificatorie attribuite
agli enti locali (commento tratto da
www.documentazione.ancitel.it - Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 10.12.2010 n. 8729 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
LAVORI PUBBLICI:
E’ illegittima l’adozione di atto
comportante dichiarazione di pubblica
utilità, che non sia stata preceduta dalla
comunicazione di avvio del procedimento ai
proprietari dell’area interessata dalla
costruzione, non potendosi ritenere
sufficiente la comunicazione dell’avvio per
la fase successiva.
La reiterazione di un vincolo preordinato
all’esproprio finalizzato ad uno specifico
intervento, poiché destinato ad incidere su
una posizione giuridica determinata, deve
essere preceduto dall’avviso di avvio del
procedimento (Adunanza Plenaria Consiglio di
Stato, n. 7 del 2007).
Tale obbligo di comunicare l’avvio del
procedimento non può considerarsi superfluo,
in via di fatto, neanche se afferente ad una
procedura di rinnovazione di precedente
progetto di opera pubblica o di
dichiarazione di pubblica utilità stante la
precedente conoscenza da parte dei
proprietari di una precedente procedura
ablatoria.
Quando l’amministrazione attivi una nuova
procedura ablatoria (rinnovo della
dichiarazione di pubblica utilità e vincoli
decaduti) deve indefettibilmente comunicare
l’avviso di inizio del procedimento, per
stimolare l’eventuale apporto collaborativo
del privato (così, Consiglio di Stato, IV,
17.04.2003, n. 2004 e Plenaria n. 7/2007).
La comunicazione di avvio del procedimento
deve avvenire non al momento dell'adozione
del decreto di occupazione di urgenza, ma in
relazione ai precedenti atti di approvazione
del progetto e di dichiarazione della
pubblica utilità dell'opera. Quando ciò non
avviene, anche il decreto di occupazione di
urgenza è viziato per illegittimità
derivata, essendo necessario che la
partecipazione degli interessati sia
garantita già nell'ambito del pregresso
procedimento autorizzatorio, in cui vengono
assunte le determinazioni discrezionali in
ordine all'approvazione del progetto
dell'opera e alla localizzazione della
stessa (così, per esempio, Consiglio Stato,
sez. IV, 18.03.010, n. 1616).
Inoltre, anche nella ipotesi in cui fosse
ancora efficace il vincolo preordinato, ma
fossero venuti meno gli effetti della
dichiarazione di pubblica utilità, per il
rinnovo di questa occorrerebbe il rispetto
della normativa riguardante tale specifica
fase del procedimento, possibile solo
consentendo una rinnovata partecipazione
dell'espropriando nel rispetto dei principi
desumibili dal t.u. 08.06.2001 n. 327 e
dall'art. 7, l. 07.08.1990 n. 241 (Consiglio
Stato , sez. IV, 12.05.2009, n. 2931).
La dichiarazione di pubblica utilità non è
un subprocedimento del procedimento
espropriativo ma costituisce un procedimento
autonomo che si conclude con un atto di
natura provvedimentale, che incide
direttamente sulla sfera giuridica del
proprietario ed è immediatamente lesivo, con
la conseguenza che appare necessaria la
partecipazione degli interessati, nel corso
della fase che precede la dichiarazione di
pubblica utilità, avendo il fine di
consentire la rappresentazione degli
interessi privati coinvolti prima che sia
disposta la dichiarazione di pubblica
utilità per realizzare una ponderata
valutazione degli interessi in conflitto
(così Consiglio Stato, sez. III,
07.04.2009, n. 479 e Adunanza Plenaria n. 7
del 2007 su menzionata).
Costituisce principio generale ed
inderogabile dell'ordinamento vigente che al
privato, proprietario di un'area sottoposta
a procedimento espropriativo per la
realizzazione di un'opera pubblica, deve
essere garantita, mediante la formale
comunicazione dell'avviso di avvio del
procedimento, la possibilità di interloquire
con l'amministrazione procedente sulla sua
localizzazione e, quindi, sull'apposizione
del vincolo, prima della dichiarazione di
pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza
e, quindi, dell'approvazione del progetto
definitivo, né sarebbe invocabile come
esimente dal dovere in questione il disposto
dell'art. 13, comma 1, l. 07.08.1990 n. 241,
in quanto detta norma si riferisce ai soli
atti a contenuto generale (Consiglio Stato,
sez. IV, 29.07.2008, n. 3760) (commento
tratto da www.documentazione.ancitel.it
- Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 09.12.2010 n. 8688 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA: La
finalità delle misure di salvaguardia è
evidentemente quella di impedire che, nelle
more del complesso procedimento di
approvazione definitiva dello strumento
urbanistico, siano posti in essere
interventi edilizi che comportino una
modificazione del territorio tale da rendere
estremamente difficile se non addirittura
impossibile l’attuazione del piano
urbanistico in itinere.
Proprio per tale finalità di carattere
conservativo, le misure devono ritenersi
operative sin dal momento in cui l’organo
deliberativo dell’ente locale –nel caso di
specie il Consiglio Comunale– ha manifestato
la propria volontà sull’adozione del piano,
quand’anche la relativa deliberazione non
sia ancora esecutiva.
La mera adozione della delibera, infatti, al
di là della sua esecutività, configura
inequivocabilmente l’assetto che
l’Amministrazione intende imprimere al
territorio e tale assetto non può –nelle
more del procedimento che dovrebbe portare
alla definitiva approvazione del piano–
essere messo in discussione o addirittura
vanificato per effetto di interventi edilizi
con esso contrastanti.
La finalità delle misure di salvaguardia è
evidentemente quella di impedire che, nelle
more del complesso procedimento di
approvazione definitiva dello strumento
urbanistico, siano posti in essere
interventi edilizi che comportino una
modificazione del territorio tale da rendere
estremamente difficile se non addirittura
impossibile l’attuazione del piano
urbanistico in itinere.
Proprio per tale finalità di carattere
conservativo, le misure devono ritenersi
operative sin dal momento in cui l’organo
deliberativo dell’ente locale –nel caso di
specie il Consiglio Comunale– ha manifestato
la propria volontà sull’adozione del piano,
quand’anche la relativa deliberazione non
sia ancora esecutiva.
La mera adozione della delibera, infatti, al
di là della sua esecutività, configura
inequivocabilmente l’assetto che
l’Amministrazione intende imprimere al
territorio e tale assetto non può –nelle
more del procedimento che dovrebbe portare
alla definitiva approvazione del piano–
essere messo in discussione o addirittura
vanificato per effetto di interventi edilizi
con esso contrastanti.
A tale conclusione si perviene anche
dall’esegesi della specifica disciplina
sulle misure di salvaguardia.
In primo luogo, deve rilevarsi che
l’abrogato articolo unico della legge
1902/1952 stabiliva espressamente che le
misure fossero disposte <<A decorrere
dalla data della deliberazione comunale di
adozione dei piani (…)>>; mentre
l’attuale art. 12, comma 3, del DPR 380/2001
fissa la durata massima delle misure con
decorrenza <<(…) dalla data di adozione
dello strumento urbanistico>>,
prescindendo quindi dall’esecutività della
suddetta delibera di adozione.
Del resto, anche la giurisprudenza
amministrativa ha ammesso l’operatività
delle misure <<(…) prima che la delibera
divenga esecutiva per effetto della
pubblicazione>> (così, TAR Lombardia,
Brescia, 17.05.2001, n. 358).
Tale normativa speciale deve reputarsi
prevalente sulla eventuale difforme
normativa generale, come quella citata dalla
società esponente, vale a dire l’art.
21-quater della legge 241/1990, che del
resto, al primo comma, fa salvo quanto <<(...)
sia diversamente stabilito dalla legge>>
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 03.12.2010 n. 7475 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
CONSIGLIERI COMUNALI: Doppio
gettone per i sindaci-consiglieri
provinciali. Il TAR Piemonte sconfessa la
tesi del governo e della corte dei conti.
Doppio compenso per i
sindaci che sono anche consiglieri
provinciali. I sindaci hanno il diritto di
percepire anche il gettone di presenza per
la partecipazione ai consigli provinciali.
Il cumulo non è vietato dall'articolo 82 del
Testo unico per gli enti locali, neppure
dopo la modifica apportata dalla Finanziaria
per il 2008, che ha inserito una espressa
disposizione sulla non cumulabilità.
Questa la decisione del TAR Piemonte, Sez.
I,
sentenza 03.12.2010 n. 4377, che
ha ribaltato i diversi orientamenti espressi
dal ministero e dalla Corte dei conti.
Il divieto, ha precisato la decisione in
esame, riguarda i gettoni previsti per le
sedute di organi dello stesso ente; mentre
la norma in esame blocca il cumulo di
indennità (e non dei gettoni di presenza)
con quelle di funzione. Ma vediamo di
illustrare la sentenza.
Alcuni consiglieri provinciali hanno chiesto
al Tribunale amministrativo di accertare il
loro diritto a percepire il gettone di
presenza da ritenere cumulabile con
l'indennità di funzione connessa alla carica
di sindaco dagli stessi ricoperta.
La provincia coinvolta ha, invece, negato la
cumulabilità delle indennità di carica con i
gettoni di presenza maturati per le giornate
di partecipazione alle adunanze consiliari.
Al centro del contendere è l'articolo 82 del
Testo unico degli enti locali (Tuel), il
quale al comma 5 afferma la non cumulabilità
di indennità di funzioni pubbliche e al
comma 7, però, prescrive che agli
amministratori titolari di una indennità di
funzione non è dovuto alcun gettone per la
partecipazione a sedute degli organi
collegiali «del medesimo ente, né di
commissioni che di quell'organo
costituiscono articolazioni interne ed
esterne».
La sentenza, nel ricostruire la normativa,
ha evidenziato che è stato abrogato il sesto
comma del medesimo articolo 82, che sanciva
espressamente la possibilità del cumulo tra
indennità di carica e gettone di presenza:
tuttavia, evidenzia la decisione,
nell'articolo 82 non c'è una norma che
stabilisca chiaramente il divieto di cumulo
tra indennità e gettone.
Anzi proprio il comma 7 è indizio che va
nella direzione della cumulabilità di
indennità e gettone di presenza per il caso
in cui il sindaco sia anche consigliere
provinciale. Il comma settimo, infatti,
vieta il cumulo se il sindaco è anche
consigliere o assessore nel medesimo ente.
La norma blocca l'amministratore che
approfitta delle cariche rivestite e abuso
della facoltà di convocare adunanze degli
organi collegiali dello stesso ente nel
quale il sindaco sia anche consigliere
comunale o assessore.
In sostanza il legislatore ha conservato il
divieto di cumulo per il caso in cui le
funzioni di sindaco e di membro di organo
collegiale vangano svolte nell'interesse del
medesimo ente locale; diverso è il caso di
funzioni siano svolte per enti locali
diversi.
Il sindaco può quindi percepire il gettone
di presenza come consigliere provinciale, ma
non come consigliere comunale.
La sentenza del Tar smentisce due pareri del
ministero degli interni n. 15900 e 4552 del
2008, e altri pareri espressi da alcune
sezioni controllo della Corte dei conti, che
invocano il comma quinto del Tuel, inteso
nel senso della onnicomprensività
dell'indennità di funzione.
A questo orientamento la decisione in esame
risponde che il divieto fondato
sull'onnicomprensività riguarda le indennità
di funzione, mentre non opera nel caso di
cumulo di un'indennità di funzione (o di
carica) e il gettone di presenza per la
partecipazione alle adunanze del consiglio
provinciale.
Inoltre proprio il confronto con l'articolo
82, comma 7, chiarisce che il legislatore ha
voluto bloccare solo il cumulo nel caso di
partecipazione a organi dello stesso ente:
quindi se non espressamente derogato e
vietato da specifiche disposizioni, il
cumulo tra indennità di funzione e gettone
di presenza deve ritenersi consentito
(articolo ItaliaOggi
del 24.12.2010 - tratto da www.corteconti.it). |
APPALTI:
Sull'omissione dell'adempimento
prescritto dall'art. 79, d.lgs. n. 163/2006,
che obbliga di comunicare l'avvenuta
aggiudicazione definitiva al secondo
classificato prima di stipulare il
contratto.
Sulle false dichiarazioni rese in fase di
gara e sul giudizio di congruità
dell'offerta.
L'omissione dell'adempimento prescritto
dall'art. 79, d.lgs. n. 163/2006, che impone
di comunicare l'avvenuta aggiudicazione
definitiva al secondo classificato prima di
stipulare il contratto, non incide sulla
legittimità dell'aggiudicazione ma
semplicemente sulla decorrenza del termine
per l'impugnazione anche in ragione della
natura ordinatoria del termine previsto dal
citato art. 79 ult. comma.
---------------
Le false dichiarazioni rese in fase di gara
e rilevanti ai fini dell'adozione delle
misure sanzionatorie di cui all'art. 75 dpr
554/1999, recepito nell'attuale art. 38 del
d.lgs. n. 163/2006, sono solo quelle
relative al possesso dei requisiti di
partecipazione, sia di carattere speciale
che di carattere generale; mentre, nel caso
di specie, la presunta falsa dichiarazione
riguarda soltanto, relativamente all'offerta
tecnica, l'impiego di personale rilevante ai
fini dell'attribuzione di un maggior
punteggio.
Peraltro, l'eventuale mancata indicazione,
in sede di giustificativi, dei costi
relativi ad alcune voci dell'offerta, non
costituisce elemento da cui potere dedurre
la falsità della dichiarazione contenuta
nell'offerta tecnica, potendo piuttosto
assumere rilevanza soltanto in seno alla
procedura di verifica della congruità
complessiva dell'offerta.
---------------
Ai sensi dell'art. 86 del d.lgs. n.
163/2006, nelle gare indette per
l'aggiudicazione di appalti con la P.A., le
offerte debbono essere corredate, sin dalla
presentazione, delle giustificazioni di cui
al successivo art. 87, c. 2, relative alle
voci di prezzo che concorrono a formare
l'importo complessivo, e se queste non sono
ritenute sufficienti ad escludere
l'incongruità dell'offerta, la stazione
appaltante provvede a richiedere
l'integrazione dei documenti giustificativi,
procedendo all'esclusione solo all'esito
dell'ulteriore verifica, da svolgersi in
contraddittorio con l'impresa interessata;
nella valutazione dei giustificativi,
l'amministrazione è tenuta a considerare
l'affidabilità complessiva dell'offerta, e
non già a limitarsi ad aspetti risultanti da
singole voci che, in ipotesi, si discostino
dai valori medi di mercato.
La verifica di congruità dell'offerta,
quindi, è espressione di un potere
discrezionale del committente, sindacabile
entro limiti segnati dalla manifesta
illogicità, erroneità o travisamento dei
fatti, e si sostanzia in un giudizio globale
e sintetico sulla serietà o meno
dell'offerta nel suo insieme.
La sua motivazione, pertanto, non deve
essere puntuale ed analitica nel caso di
offerta ritenuta congrua, essendo
sufficiente che la stessa sia sintetica ed
espressa "per relationem" alle
giustificazioni rese dall'impresa
interessata.
Quindi, qualora l'Amministrazione ritenga
convincenti le giustificazioni fornite,
incombe, sul concorrente che contesta
l'aggiudicazione, l'onere di individuare
specifici elementi da cui il G.A. possa
evincere che la valutazione effettuata dalla
P.A. sia manifestamente irragionevole (TAR
Lazio-Roma, Sez. II,
sentenza 02.12.2010 n. 35031 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Energia eolica:
all'autorizzazione unica non si applica
l'art. 15 del T.U. edilizia ai fini della
decadenza.
Lo sviluppo delle energie rinnovabili in
Italia si accompagna, evidentemente, anche
ad una sempre più intensa attività del
giudice amministrativo, a considerare la
proliferazione di pronunce in questa
materia.
In particolare, per quanto attiene l’eolico,
il TAR Lazio-Roma, Sez. II-quater,
sentenza 02.12.2010 n. 34945 è
intervenuto a chiarire un aspetto di non
poco conto relativo alla normativa cui
riferirsi ai fini della decadenza dalla
realizzazione di detti impianti.
Il giudice di prime cure ha avuto modi di
affermare che, con riferimento alla
realizzazione di impianti eolici, trova
applicazione la norma speciale di cui
all’art. 12 D.Lgs. n. 387/2003 che prevede
una autorizzazione unica per la
realizzazione di questi impianti, e non già
l’art. 15 del D.P.R. n. 380/2001 -c.d. TU
Edilizia– che attiene sì alla decadenza, ma
con riferimento alla concessione edilizia
per mancato inizio dei lavori entro un anno
dal rilascio.
“Il particolare per cui l’autorizzazione
unica sostituisce e cumula in sé tutti i
vari titoli abilitativi in precedenza
richiesti dalla legge per la realizzazione
di impianti del genere” afferma il
collegio “è del resto dimostrata dalla
stessa determina dirigenziale
..(autorizzazione unica)…che in nessun caso
richiama il TU n. 380/2001”.
Con riferimento, invece, al momento in cui
può dirsi concretamente avviata la
realizzazione dell’iniziativa, i giudici
romani richiamano l’applicazione del comma
159 dell’art. 2 della L. 240/2007 (Legge
finanziaria 2008) “Per gli impianti
alimentati da fonti rinnovabili la
dimostrazione di avere concretamente avviato
la realizzazione dell’iniziativa ai fini del
rispetto del termine di inizio dei lavori è
fornita anche con la prova di avere svolto
le attività previste dal terzo periodo del
comma 1 dell’articolo 15 del decreto
legislativo 16.03.1999, n. 79, introdotto
dall’articolo 1, comma 75, della legge
23.08.2004, n. 239”.
In base a tale norma l’avvio della
realizzazione si considera, sul piano
formale, effettuato quando sussiste:
- l’acquisizione della disponibilità delle
aree destinate ad ospitare l’impianto;
- l’accettazione del preventivo di
allacciamento alla rete elettrica formulato
dal gestore competente;
- l’indizione di gare di appalto o la
stipulazione di contratti per l’acquisizione
di macchinari o per la costruzione di opere
relative all’impianto, ovvero la
stipulazione di contratti di finanziamento
dell’iniziativa o l’ottenimento in loro
favore di misure di incentivazione previste
da altre leggi a carico del bilancio dello
stato.
Il quadro così definito consente di
affermare, onde integrare l’effettivo inizio
dei lavori di realizzazione di un impianto
eolico e dunque scongiurare l’ipotesi di
decadenza dell’autorizzazione ex art. 12
D.Lgs. n. 387/2003, che risulta sufficiente
anche solo l’accettazione del preventivo di
allacciamento alla rete elettrica ovvero
l’avvenuta realizzazione di attività di
costruzione in stabilimento dei generatori,
a prescindere dall’inizio delle opere di
installazione dei macchinari sul territorio
(commento tratto da
www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La DIA produce effetti al 30°
giorno dalla sua presentazione, purché, come
già affermato da questa Sezione sia completa
di tutti gli elementi richiesti dalla legge
(sentenza n. 5737/2008) .
Nello spatium deliberandi dei 30 giorni
dalla presentazione della denuncia, periodo
durante il quale l’Amministrazione ha un
compito di controllo, a conclusione del
quale può esercitare poteri inibitori dei
lavori non ancora avviati, le eventuali
modifiche normative devono trovare
applicazione, in quanto il procedimento non
è ancora perfezionato e la DIA non può
produrre effetti: vige allora il principio
del tempus regit actum, per cui
l'Amministrazione è tenuta ad applicare la
normativa in vigore al momento dell'adozione
del provvedimento definitivo, quand'anche
sopravvenuta, e non già, salvo che espresse
norme statuiscano diversamente, quella in
vigore al momento dell'avvio del
procedimento.
Le innovazioni normative introdotte medio
tempore non sono irrilevanti, giacché un
intervento edilizio, ancorché conforme alla
normativa vigente al tempo della denuncia,
ben può essere interdetto ove non sia più in
linea con la normativa sopravvenuta, entrata
in vigore (o destinata a entrare in vigore)
prima del compimento del 30° giorno dalla
presentazione della denuncia stessa.
Rispetto alle censure articolate nei motivi
successivi, in cui si contesta la scelta
dell’Amministrazione di applicare le tariffe
vigenti al momento del decorso dei 30 giorni
di efficacia, in violazione alle
disposizioni regionali in materia di d.i.a.,
si richiama l’orientamento di questa Sezione
(sentenze nn. 2029/2009, 2030/2009)
confermato in sede di appello ( Consiglio di
Stato sez. IV, 2922 del 13.05.2010).
Nelle decisione di primo grado i
provvedimenti del Comune sono stati ritenuti
legittimi, in base alle seguenti
motivazioni, che qui si riportano
integralmente: “la DIA, indipendentemente
dalla qualifica giuridica assegnata –punto
su cui come noto si contrappongono due
differenti orientamenti che sostengono
rispettivamente la natura di autorizzazione
implicita (Cons. Stato sez IV 5811/2008) e
di atto privato (Cons. Stato sez. VI
717/2009)– produce effetti al 30° giorno
dalla sua presentazione, purché, come già
affermato da questa Sezione sia completa di
tutti gli elementi richiesti dalla legge
(sentenza n. 5737/2008) .
Nello spatium deliberandi dei 30 giorni
dalla presentazione della denuncia, periodo
durante il quale l’Amministrazione ha un
compito di controllo, a conclusione del
quale può esercitare poteri inibitori dei
lavori non ancora avviati, le eventuali
modifiche normative devono trovare
applicazione, in quanto il procedimento non
è ancora perfezionato e la DIA non può
produrre effetti: vige allora il principio
del tempus regit actum, per cui
l'Amministrazione è tenuta ad applicare la
normativa in vigore al momento dell'adozione
del provvedimento definitivo, quand'anche
sopravvenuta, e non già, salvo che espresse
norme statuiscano diversamente, quella in
vigore al momento dell'avvio del
procedimento.
Tale posizione è stata ampiamente espressa
da questa Sezione nella sentenza richiamata
dalla difesa Comunale (n. 588/2006), in cui
si è affermato il principio secondo cui “le
innovazioni normative introdotte medio
tempore non sono irrilevanti, giacché un
intervento edilizio, ancorché conforme alla
normativa vigente al tempo della denuncia,
ben può essere interdetto ove non sia più in
linea con la normativa sopravvenuta, entrata
in vigore (o destinata a entrare in vigore)
prima del compimento del 30° giorno dalla
presentazione della denuncia stessa.”
E il principio della “sensibilità”
della DIA alle modifiche legislative nei 30
giorni tra la presentazione e l’inizio
dell’efficacia, deve trovare applicazione
anche rispetto ad eventuali variazioni delle
disposizioni regolamentari, tra cui la
disciplina pianificatoria e le tariffe degli
oneri.
Pare quindi corretta la posizione
dell’Amministrazione Comunale laddove
ritiene che la nuova disciplina introdotta
con un atto deliberativo che produce effetti
dall'08.01.2008 vada applicato anche alle
DIA per le quali non è decorso il termine di
30 giorni.
A tale conclusione non osta la disciplina
regionale di riferimento, invocata da parte
ricorrente, la quale, con puntuali
argomentazioni, sostiene che il momento
dell’efficacia non sarebbe rilevante ai fini
del calcolo degli oneri di urbanizzazione,
in quanto l’obbligazione contributiva a
carico del privato troverebbe il proprio
momento genetico all’atto della
presentazione della DIA.
In tal senso vengono invocate le seguenti
disposizioni della L.R. 12/2005:
a) l’art. 42, commi 2 e 3, in materia di
disciplina della denuncia di inizio
attività, in cui si stabilisce che “Nel
caso in cui siano dovuti oneri di
urbanizzazione e costo di costruzione, il
relativo calcolo è allegato alla denuncia di
inizio attività e il pagamento è effettuato
con le modalità previste dalla vigente
normativa, fatta comunque salva la
possibilità per il comune di richiedere le
eventuali integrazioni.
La quota relativa agli oneri di
urbanizzazione è corrisposta al comune entro
trenta giorni successivi alla presentazione
della denuncia di inizio attività, fatta
salva la facoltà di rateizzazione”;
b) l’art. 44, comma 12, in materia di oneri
di urbanizzazione, laddove per gli
interventi comportanti modificazioni delle
destinazioni d'uso su edifici esistenti
stabilisce che “per quanto attiene
all'incidenza degli oneri di urbanizzazione
primaria e secondaria, il contributo dovuto
è commisurato alla eventuale maggior somma
determinata in relazione alla nuova
destinazione rispetto a quella che sarebbe
dovuta per la destinazione precedente e alla
quota dovuta per le opere relative ad
edifici esistenti, determinata con le
modalità di cui ai commi 8 e 9”,
precisando poi nel successivo comma che
“L'ammontare dell'eventuale maggior somma va
sempre riferito ai valori stabiliti dal
comune alla data del rilascio del permesso
di costruire, ovvero di presentazione della
denuncia di inizio attività.”
c) l’art. 48, comma 7, in materia di costo
di costruzione, che così recita: “La
quota di contributo relativa al costo di
costruzione, determinata all'atto del
rilascio, ovvero per effetto della
presentazione della denuncia di inizio
attività, è corrisposta in corso d'opera,
con le modalità e le garanzie stabilite dal
comune e comunque non oltre sessanta giorni
dalla data dichiarata di ultimazione dei
lavori”.
A giudizio del Collegio le disposizioni
regionali richiamate non derogano al
principio generale secondo cui nel caso di
intervento edilizio assentito in forza di
una DIA la normativa da applicare è quella
vigente alla data di efficacia: infatti gli
artt. 42 e 48 si limitano a disciplinare il
procedimento di presentazione della DIA,
stabilendo che il costo di costruzione va
allegato alla DIA (mentre l’art. 44
disciplina una fattispecie specifica), ma
non introducono una disciplina derogatoria
speciale, rispetto al principio generale
della efficacia della DIA dopo il decorso
del termine di 30 giorni.
Va invece dato particolare rilievo alla
modifica apportata in materia dalla L.R. n.
4/2008, che ha introdotto nell’art. 38 il
comma 7-bis, stabilendo, per il permesso di
costruire, che gli oneri di urbanizzazione
primaria e secondaria vengano determinati
alla data di presentazione della richiesta
di permesso di costruire, purché vi sia la
completezza documentale.
Da ciò si deduce che prima della modifica
legislativa gli oneri andassero determinati
al momento del rilascio del titolo, mentre a
seguito della modifica legislativa la
determinazione è anticipata all’atto della
presentazione della richiesta di permesso.
Applicando questo principio alla DIA, si
deve ritenere che prima della nuova
disciplina valesse il principio sopra
esposto, per cui erano rilevanti le
eventuali innovazioni legislative
intervenute nei trenta giorni ed anche
l’introduzione di nuove tariffe, se
approvate nel corso dei 30 giorni. Dopo
l’introduzione del comma 7-bis all’art. 38
il calcolo deve essere effettuato con
riferimento alle sole leggi vigenti al
momento della presentazione della DIA,
momento equiparabile a quello della
presentazione della domanda del permesso di
costruire.
I Giudici di Palazzo Spada, confermando la
decisione di primo grado hanno evidenziato
che “nessuna delle disposizioni indicate
(n.d.r. cioè le disposizioni della L.R.
12/2005 richiamate anche nel presente
ricorso) è destinata ad incidere sulla
vicenda in scrutinio, che deve quindi essere
esaminata solo in rapporto alla disciplina
generale, fondata sul testo unico
dell’edilizia.”
Proprio in ragione di tale evenienza, è
stato evidenziato che, in disparte l’annosa
questione sulla ricostruzione dell’istituto,
in termini pubblicistici o in termini
privatistici, la lettera della norma (art.
23, comma 1, del testo unico sull’edilizia)
permette la realizzazione delle opere solo
allo spirare del termine di 30 giorni.
“Poiché i contributi urbanistici sono
collegati alla realizzazione delle opere”,
il giudice di appello ha osservato che “deve
convenirsi con la ricostruzione del giudice
di primo grado che vede un nesso tra
l’intervenuta efficacia, data dalla
possibilità effettiva di realizzare
l’intervento, e l’applicazione della
disciplina del calcolo dei costi, che non
può che avvenire in quel momento, in
rispetto di un’ordinaria logica di
corrispettività.”
Da questa impostazione discende che “fino
al momento dell’attribuzione di efficacia,
secondo ed ultimo momento della
realizzazione della fattispecie precettiva,
la vicenda non è ancora conclusa ed è quindi
ancora possibile, ed anzi doveroso, dare
risalto agli eventi esterni sopravvenuti,
quale è il mutamento dei parametri di
calcolo, come qui esaminato, ma come anche
potrebbe essere il sopraggiungere di una
nuova disciplina urbanistica” (TAR
Lombardia-Milano, sez. II,
sentenza 02.12.2010 n. 7467 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA: L’art.
38, c. 7-bis, l. reg. Lombardia n. 12/2005
-nel prevedere che “nel caso di piani
attuativi o di atti di programmazione
negoziata con valenza territoriale,
l’ammontare degli oneri è determinato al
momento della loro approvazione, a
condizione che la richiesta del permesso di
costruire, ovvero la denuncia di inizio
attività siano presentate entro e non oltre
trentasei mesi dalla data della approvazione
medesima”- dispone, invero, solo per il
futuro: esso non può, pertanto, trovare
applicazione laddove, come è accaduto nel
caso di specie, prima della sua entrata in
vigore sia già stato approvato il programma
integrato di intervento e sia già stata
stipulata la relativa convenzione, nella
quale sia stato previsto il criterio per la
determinazione degli oneri in conformità
alle disposizioni a quell’epoca vigenti.
La previsione di cui all’art. 38, c. 7-bis,
l. reg. Lombardia n. 12/2005, così come
modificata dalla l. reg. Lombardia n. 4 del
14.03.2008 non trova, invero, applicazione
nel caso di specie.
Il provvedimento impugnato ha, difatti,
correttamente calcolato l’importo degli
oneri di urbanizzazione sulla base del
criterio previsto dall’accordo stipulato tra
il Comune di Milano e la Ida s.p.a. il
21.01.2008 il quale, a sua volta, ha dato
applicazione alla normativa all’epoca
vigente (secondo cui gli oneri sono
determinati sulla base delle tariffe vigenti
al momento del rilascio del permesso di
costruire o del perfezionamento della d.i.a.),
non essendo ancora entrate in vigore le
modifiche apportate all’art. 38 della l.
reg. Lombardia n. 12/2005 dalla l. reg.
Lombardia n. 4/2008.
L’art. 7.3 della convenzione stipulata tra
il Comune di Milano e la Ida s.p.a. per
l’attuazione del programma integrato di
intervento -approvato in data 02.04.2007,
con delibera del Consiglio Comunale n.
20/2007- ha, invero, stabilito che l’importo
degli oneri di urbanizzazione “sarà
quantificato in base ai valori vigenti al
momento del rilascio dei titoli abilitativi
edilizi, in coerenza, in particolare, con
quanto previsto dalla deliberazione del
Consiglio Comunale n. 73/2007 del 21.12.2007
e suoi eventuali adeguamenti ed integrazioni”.
Questa previsione ha forza di legge tra le
parti, ai sensi dell’art. 1372 c.c., ed è
insensibile ai mutamenti legislativi
intervenuti successivamente (cfr. Cons.
Stato, sez. V, 08.07.1998, n. 1032).
L’art. 38, c. 7-bis, l. reg. Lombardia n.
12/2005 -nel prevedere che “nel caso di
piani attuativi o di atti di programmazione
negoziata con valenza territoriale,
l’ammontare degli oneri è determinato al
momento della loro approvazione, a
condizione che la richiesta del permesso di
costruire, ovvero la denuncia di inizio
attività siano presentate entro e non oltre
trentasei mesi dalla data della approvazione
medesima”- dispone, invero, solo per il
futuro: esso non può, pertanto, trovare
applicazione laddove, come è accaduto nel
caso di specie, prima della sua entrata in
vigore sia già stato approvato il programma
integrato di intervento e sia già stata
stipulata la relativa convenzione, nella
quale sia stato previsto il criterio per la
determinazione degli oneri in conformità
alle disposizioni a quell’epoca vigenti.
Né opera il meccanismo di inserzione
automatica delle clausole previsto dall’art.
1339 c.c. poiché si verte in tema di diritti
disponibili (cfr. la giurisprudenza in tema
di scomputo dagli oneri di urbanizzazione
dovuti dei costi sostenuti per l’esecuzione
diretta delle opere di urbanizzazione,
secondo cui la parte promettente ben può
liberamente assumere impegni patrimoniali
più onerosi rispetto a quelli astrattamente
previsti dalla legge: Cons. Stato, sez. V,
29.09.1999, n. 1209; sez. IV, 28.07.2005,
4015; Tar Lombardia, Milano, sent. n.
196/2010)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 02.12.2010 n. 7461 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Le
distanze tra pareti di edifici ex art. 9
D.M. 1444/1968 valgono anche per le luci,
non solo per le finestre.
La norma delle N.T.A. del P.R.G., nella
parte in cui prescrive che “non
s’intenderanno come pareti finestrate quelle
in cui siano praticate esclusivamente luci
(art. 901 c.c.)”, è illegittima per
violazione del citato art. 9, comma 1, del
D.M 02.04.1968 n. 1444, il quale non
consente di escludere dal concetto di
“pareti finestrate” le ipotesi in cui nella
parere siano presenti esclusivamente “luci”.
Considerato, in punto di diritto:
- che l’art. 9, comma 1, n. 2, del D.M.
02.04.1968 n. 1444 prescrive, per i “nuovi
edifici” ricadenti in zone diverse dalla
zona A), il rispetto di una distanza minima
assoluta di metri 10 tra pareti finestrate e
pareti di edifici antistanti;
- che la norma in esame, in quanto
finalizzata alla salvaguardia dell'interesse
pubblico-sanitario a mantenere una
determinata intercapedine tra gli edifici
che si fronteggiano quando uno dei due abbia
una parete finestrata, ha carattere
tassativo ed inderogabile, non eludibile da
parte dello strumento urbanistico comunale,
il quale può solo prescrivere distanze
maggiori, ma non limitarne l’applicazione
(Cons. Stato, sez. IV; 05.12.2005, n. 6909;
Cons. Stato, sez. IV, 12.07.2002, n. 3929;
Cass. Civ., sez. II, 10.01.2006, n. 145; TAR
Piemonte, sez. I, 17.01.2007, n. 22);
- che la suddetta prescrizione, data la
finalità igienico-sanitaria che intende
perseguire, vale anche per la distanza da
edificio adibito ad autorimessa, come nel
caso di specie;
- che il concetto di “parete finestrata”
va interpretato in conformità a quanto
previsto dall’art. 900 c.c., secondo cui il
concetto di “finestra” include, oltre
alle vedute, anche le luci (cfr. Consiglio
di Stato, sez. IV, 18.06.2009, n. 4015; TAR
Campania Napoli, sez. II, 02.12.2009, n.
8326; TAR Puglia Lecce, sez. III,
07.07.2008, n. 2058; TAR Piemonte, sez. I,
17.01.2007, n. 22),
alla luce di quanto esposto:
- la norma di cui all’art. 15 delle N.T.A.
del P.R.G.C del Comune di Almese, nella
parte in cui prescrive che “non
s’intenderanno come pareti finestrate quelle
in cui siano praticate esclusivamente luci
(art. 901 c.c.)”, è illegittima per
violazione del citato art. 9, comma 1, del
D.M 02.04.1968 n. 1444, il quale,
correttamente interpretato nei termini sopra
esposti, non consente di escludere dal
concetto di “pareti finestrate” le
ipotesi in cui nella parere siano presenti
esclusivamente “luci”;
- il permesso di costruire impugnato nel
presente giudizio è parimenti illegittimo
avendo consentito l’edificazione di una
nuova costruzione (non qualificabile come
intervento edilizio “minore”) a
distanza inferiore a quella inderogabile di
10 metri dalla “parere finestrata”
dell’antistante edificio di proprietà dei
ricorrenti
(TAR Piemonte, Sez. I,
sentenza 02.12.2010 n. 4374 - link a www.ambientediritto.it). |
LAVORI PUBBLICI:
Strade pubbliche - Danni da
insidia - Comportamento colpo del soggetto
danneggiato - Esclusione di responsabilità
per la P.A. - Artt. 2043 e 2051 c.c..
In tema di responsabilità della Pubblica
Amministrazione, per danni subiti dai
cittadini, e, in particolare, dagli utenti
delle strade pubbliche, derivanti da c.d.
insidia e/o trabocchetto stradale, deve
ritenersi che l'uso del bene demaniale in
modo poco diligente, costituisce un fatto
comunque idoneo ad escludere il nesso di
causalità fonte di responsabilità per la
p.a. dell’evento lesivo di cui il
danneggiato sia rimasto vittima e ciò sul
rilievo che sia nel caso in cui trovi
applicazione l'art. 2051 c.c, sia nel caso
in cui la fattispecie concreta possa essere
ricondotta alla regola generale dl
neminem laedere, ex art. 2043 c.c., il
comportamento colposo osservato dal medesimo
soggetto danneggiato -che sussiste sia
nell'ipotesi di uso del bene demaniale senza
la dovuta diligenza, sia nell'ipotesi di un
affidamento soggettivo anomalo- esclude la
responsabilità della p.a. se è idoneo ad
interrompere il nesso eziologico (TRIBUNALE
di Bari, Sez. III civile,
sentenza 29.11.2010 n. 3567 -
link a www.ambientediritto.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
DIRITTO DELL'ACQUE - Scarico -
Autorizzazione allo scarico -Violazione
delle prescrizioni - Art. 59 d.lgs. n.
152/99 (art. 137 d.lgs. n. 152/2006 -
Configurabilità - Presupposti - Scarico di
sostanze pericolose comprese nelle tabelle 5
e 3/A dell’allegato 5.
Per la configurabilità della contravvenzione
di cui all’art. 59 D.L.vo n. 152/1999 (art.
137 D.L.vo n. 152/2006) non è sufficiente la
mancata osservanza delle prescrizioni
dell’autorizzazione, essendo invece
necessario che le acque di scarico
contengano le sostanze pericolose comprese
nelle famiglie e nei gruppi di sostanze
indicate nelle tabelle 5 e 3/A dell’allegato
5, posto che, in caso contrario, si rientra
nell’ipotesi più generale dell’art. 54,
comma 3° del D.L.vo n. 152/1999, che prevede
un semplice illecito amministrativo (vd. in
tal senso Cass. pen., sez. III, n. 32847
dell’08.07-02.09.2005, Germiniasi).
DIRITTO DELL'ACQUE -
ACQUA - Scarico - Sostanze cancerogene -
Prova - Effetti sull’uomo e non sugli
animali in genere - punto 18, tab. 5 d.lgs.
n. 152/1999.
La corretta interpretazione della previsione
di chiusura del punto 18 della tabella 5 del
d.lgs. n. 152/99 non richiede soltanto la
possibilità o la probabilità che una
determinata sostanza possa avere un potere
cancerogeno, ma esige che questo sia provato
(vd. sul punto Cass. pen. sez. II, n. 13694
del 13.01.1999, Tanghetti; sez. III, n.
12362 del 04.02.2003, Grilli, sez. III, n.
34899 del 06.06.2007, Ghisolfi ed a.); il
potere cancerogeno va valutato
esclusivamente nei confronti dell’uomo, e
non anche nei confronti degli animali in
genere (posto che una diversa
interpretazione renderebbe la fattispecie
penale del tutto priva della necessaria
chiarezza, precisione e determinatezza,
introducendo un elemento di integrazione non
normativamente previsto, e contrario al
principio di tipicità).
DIRITTO DELL'ACQUE -
ACQUA - Avvelenamento di acque - Artt.
439-452 c.p. - Reato di pericolo presunto -
Immissione di sostanze inquinanti di qualità
e quantità tali da determinare pericolo per
la salute.
Per la configurabilità del reato di
avvelenamento di acque o sostanze destinate
all’alimentazione (artt. 439 - 452 c.p.),
pur dovendosi ritenere che trattasi di reato
di pericolo presunto, è tuttavia necessario
che un “avvelenamento”, di per sé
produttivo, come tale, di pericolo per la
salute pubblica, via sia comunque stato; il
che richiede che vi sia stata immissione di
sostanze inquinanti di qualità ed in
quantità tali da determinare il pericolo,
scientificamente accertato, di effetti
tossico-nocivi per la salute (vd. in tal
senso Cass. pen. sez. IV, n. 15216 del
13.02-17.04.2007, Della Torre) (TRIBUNALE di
Udine, Sez. staccata di Palmanova,
sentenza 25.11.2010 n. 314 - link
a www.ambientediritto.it). |
APPALTI SERVIZI:
Negli appalti di servizi di
ingegneria e architettura la stazione
appaltante non può richiedere che i singoli
mandanti siano in possesso di una
percentuale minima predeterminata di
requisiti di qualificazione superiore a
quella di volta in volta commisurata al
segmento di attività di rispettiva
competenza.
Da una lettura coordinata degli articoli 65,
comma 4, del D.P.R. 554/1999 e 37, comma 13,
del Codice dei Contratti, deve evincersi il
principio per cui, nel caso di
raggruppamenti temporanei tra progettisti
finalizzati all’espletamento di servizi
attinenti all’architettura e all’ingegneria
anche integrata, la stazione appaltante può
richiedere, in capo a ciascuno dei detti
raggruppamenti, il concorso dei seguenti
requisiti:
a) che il mandatario sia in possesso dei
requisiti finanziari e tecnici in misura non
superiore al 60%;
b) che la restante parte sia posseduta
cumulativamente dalla parte mandante;
c) che i singoli mandanti siano in possesso
di una quota di requisiti commisurata alla
quota individuale di partecipazione al
raggruppamento e alla corrispondente quota
di esecuzione dei lavori o del servizio.
La stazione appaltante non può invece
richiedere che i singoli mandanti siano in
possesso di una percentuale minima
predeterminata di requisiti di
qualificazione superiore a quella di volta
in volta commisurata al segmento di attività
di rispettiva competenza (TAR Piemonte, Sez.
I,
sentenza 19.11.2010 n. 4155 -
link a www.mediagraphic.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Se dico al capo "non mi rompere
il c....", cosa succede? Nulla.
Dire al capo "non
mi rompere il c...." è legittimo secondo
la Corte di Cassazione: "assoluzione
piena", quindi, per la frase incriminata
(Cassazione di cassazione, Sez. lavoro,
sentenza 16.11.2010 n. 23132 -
link a www.altalex.com). |
AGGIORNAMENTO AL 20.12.2010 |
ã |
Auguri di
Buon Natale a Tutti.
LA SEGRETERIA PTPL |
NOVITA' NEL
SITO |
Bottone "CONVEGNI"
n. 6 giornate di studio a Bergamo per il 19-26
gennaio e 02-09-16-23 febbraio 2011 organizzate dal portale
PTPL.
N.B.: leggere attentamente le istruzioni riportate nella
locandina.
---------------
Termine di iscrizione
(solamente) on-line: sabato 15.01.2011. |
UTILITA' |
EDILIZIA
PRIVATA: Lombardia,
Necessita aggiornare il costo di costruzione entro il
31.12.2010 il cui effetto sarà efficace a decorrere
dall'01.01.2011: ecco il fac-simile di determinazione (file
1 -
file 2).
ATTENZIONE:
se non si adotta la determinazione di aggiornamento entro la
suddetta scadenza per tutto il 2011 si dovrà
applicare il medesimo costo di costruzione vigente nell'anno
2010 (cfr. art. 48, comma 2, della L.R. n. 12/2005).
Alcune considerazioni:
è uscito pochi giorni fa il dato ufficiale della variazione
ISTAT relativo al mese di agosto 2010 (ultimo dato
disponibile).
Quindi, si può procedere -senza indugio- ad adottare la
determinazione di aggiornamento del costo di costruzione
poiché da qui a fine mese non uscirà un nuovo indice ISTAT. |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Pubblicate le modifiche al Codice Ambiente:
nessun adempimento per terre e rocce da
scavo riutilizzate in loco e registro di
carico e scarico rifiuti.
Con il D.Lgs. 205/2010, pubblicato sulla
Gazzetta Ufficiale n. 288 del 10.12.2010,
sono state apportate importanti modifiche
alla Parte Quarta del Codice dell'Ambiente (D.Lgs.
152/2006).
In particolare si è provveduto a coordinare
la stessa con il nuovo sistema di
tracciabilità dei rifiuti SISTRI, del quale
è stato predisposto anche il regime
sanzionatorio, la cui operatività è prevista
a decorrere dall'01.01.2011.
Per quanto attiene ai cantieri occorre
evidenziare che:
- in materia di terre e rocce da scavo
continuano ad applicarsi le disposizioni
dell'articolo 186 del D.Lgs. n. 152/2006. Si
precisa, inoltre, che la procedura non si
applica (art. 185, comma 1, lett. c) al “suolo
non contaminato e altro materiale allo stato
naturale escavato nel corso di attività di
costruzione, riutilizzato a fini di
costruzione allo stato naturale e nello
stesso sito in cui è stato escavato”.
- coloro i quali intendono trasportare i
propri rifiuti non pericolosi, senza aderire
su base volontaria al SISTRI, a seguito
delle modifiche introdotte, dovranno dotarsi
di un registro di carico e scarico per ogni
cantiere.
Il D.Lgs. 205/2010, in attuazione della
Direttiva europea 2008/98/CE, ricomprende i
materiali da scavo nel concetto di
sottoprodotto, ma rimanda l'applicazione
della relativa disciplina all'emanazione di
successivi decreti ministeriali (link a
www.acca.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Detrazione 55%: la procedura per i lavori
che continuano nel 2011.
La Legge di Stabilità (già Legge
Finanziaria), approvata in via definitiva
dal Senato ed ora in attesa di pubblicazione
in Gazzetta Ufficiale, ha prorogato la
detrazione fiscale del 55% per gli
interventi di riqualificazione energetica
degli edifici fino al 31.12.2011 imponendo,
tuttavia, la ripartizione della detrazione
in 10 rate annuali anziché 5 come in
precedenza previsto.
I contribuenti che hanno in corso dei lavori
di riqualificazione, per i quali intendono
usufruire della detrazione, che non
termineranno entro il 2010 si chiedono come
comportarsi per operare correttamente.
La prima risposta arriva dall’ENEA che ha
aggiornato la Sezione FAQ (Frequently Asked
Questions – Domande Ricorrenti) del proprio
sito con la risposta al suddetto quesito
(FAQ 65).
L’ENEA precisa che tutte le spese pagate
entro il 2010 saranno detraibili in cinque
anni (a partire dalla denuncia dei redditi
dell'estate 2011); le spese effettivamente
sostenute (pagate) nel 2011 saranno invece
detraibili in 10 anni a partire dalla
denuncia dei redditi dell'estate 2012.
La mancata conclusione dei lavori nel 2010
deve essere comunicata all'Agenzia delle
Entrate con un’apposita comunicazione
telematica entro il 31.03.2011, specificando
le spese sostenute nel 2010. La
documentazione degli interventi eseguiti,
come al solito, deve essere trasmessa ad
ENEA entro 90 giorni dal termine dei lavori
(link a www.acca.it). |
SICUREZZA LAVORO:
Dal Ministero del Lavoro chiarimenti su
requisiti degli RSPP e sulle imprese
familiari.
Nell’apposita sezione FAQ del proprio sito
internet il Ministero del Lavoro ha fornito
le risposte ai nuovi quesiti in materia di
RSPP e Impresa Familiare. Le risposte
elaborate dal Ministero sono disponibili in
allegato.
In particolare è stata data risposta ai
seguenti quesiti:
- Quali sono gli obblighi di sicurezza che
gravano sull’impresa familiare ai sensi
dell’art.21 del D.Lgs. 81/2008?
- Quali sono i requisiti professionali
necessari allo svolgimento delle funzioni di
Responsabile del servizio di prevenzione e
protezione ai sensi dell’art. 32, comma 5
del D.Lgs. 81/2008 e s.m.i.? (link a
www.acca.it). |
GURI - GUUE -
BURL (e anteprima) |
APPALTI:
G.U. 18.12.2010 n. 295 "Testo del
decreto-legge
12.11.2010, n. 187 coordinato con la legge
di conversione 17.12.2010, n. 217,
recante: «Misure urgenti in materia di
sicurezza»". |
ENTI LOCALI: G.U.
17.12.2010 n. 294 "Disposizioni in
materia di determinazione dei costi e dei
fabbisogni standard di Comuni, Città
metropolitane e Province" (D.Lgs.
26.11.2010 n. 216). |
ENTI LOCALI - VARI:
G.U. 15.12.2010 n. 292, suppl. ord. n.
276/L, "Modifiche ed integrazioni al
decreto legislativo 01.12.2009, n. 179,
recante disposizioni legislative statali
anteriori al 1° gennaio 1970, di cui si
ritiene indispensabile la permanenza in
vigore" (D.Lgs.
13.12.2010 n. 213). |
ENTI LOCALI - VARI:
G.U. 15.12.2010 n. 292, suppl. ord. n. 276/L
"Abrogazione di disposizioni legislative
statali, a norma dell’articolo 14, comma
14-quater, della legge 28.11.2005, n. 246)"
(D.Lgs. 13.12.2010 n. 212:
file 1 -
file 2). |
ENTI LOCALI: G.U.
15.12.2010 n. 292 "Riduzione dei
trasferimenti erariali per l’anno 2011 a
province e comuni superiori a 5000 abitanti,
ex articolo 14, comma 2, del decreto-legge
31.05.2010, n. 78" (Ministero
dell'Interno,
decreto
09.12.2010). |
ENTI LOCALI - VARI:
G.U. 15.12.2010 n. 292 "Misura del saggio
di interesse legale, con decorrenza dal 1°
gennaio 2011" (Ministero dell'Economia e
delle Finanze,
decreto
07.12.2010). |
APPALTI: G.U.
15.12.2010 n. 292 "Comunicato relativo al
decreto del Presidente della Repubblica
05.10.2010, n. 207, riguardante:
«Regolamento di esecuzione ed attuazione del
decreto legislativo 12.04.2006, n. 163,
recante “Codice dei contratti pubblici
relativi a lavori, servizi e forniture in
attuazione delle direttive 2004/17/CE e
2004/18/CE”». (Decreto pubblicato nel
supplemento ordinario n. 270/L alla Gazzetta
Ufficiale - serie generale - n. 288 del
10.12.2010)" (errata-corrige). |
NEWS |
ENTI LOCALI - VARI:
Anno nuovo, interessi legali nuovi.
Aggiornata dal Mef la percentuale. La
modifica è rilevante anche ai fini fiscali,
ma attenzione, il tasso ritoccato decorre
solo dal 1° gennaio 2011.
Cambia la percentuale di calcolo per la
determinazione degli interessi legali. Con
un decreto del 07.12.2010 firmato dal
ministro dell’Economia e delle Finanze,
pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 292
del 15.12.2010, il tasso passa, infatti,
dall’attuale 1% all’1,5%. Il valore
aggiornato dovrà essere applicato dal 1°
gennaio 2011, coefficiente fermo all’1%,
quindi, fino a tutto il 2010.
Il calcolo di variazione è presto fatto,
lieve aumento, mezzo punto in più, rispetto
al saggio fissato l’anno scorso (decreto Mef
del 4 dicembre 2009), che resta valido, è
bene ribadirlo, fino al 31 dicembre di
quest’anno. ... (link a
www.nuovofiscooggi.it). |
CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO
VIMINALE/ Niente conflitti in comune.
Incompatibile il consigliere che cita in
giudizio l'ente. La qualità di parte
processuale è sufficiente a far scattare la
causa ostativa.
Sussiste la causa di
incompatibilità ex art. 63, comma 1, n. 4
del Tuel nel caso di un consigliere comunale
che ha proposto ricorso al Tar per
l'annullamento di una delibera con la quale
la giunta comunale ha individuato in parte
di una proprietà dell'amministratore locale
stesso il nuovo sito ove esercitare un
servizio pubblico locale del comune?
La Corte di cassazione ha più volte ribadito
che l'espressione «essere parte di un
procedimento» va inteso in senso
tecnico, per cui la pendenza di una lite va
accertata con riferimento alla qualità di
parte processuale; quindi, agli effetti
della sussistenza della causa di
incompatibilità della lite pendente con il
comune, non sono sindacabili i motivi del
giudizio pendente, dovendo unicamente
rilevarsi il dato formale e obiettivo di
tale pendenza, che esaurisce ex se il
presupposto dell'incompatibilità (cfr. Cass.
civ., sez. I, 16.02.1991, n. 1666).
Secondo un orientamento giurisprudenziale
più recente è stato ritenuto che, a
integrare gli estremi della causa di
incompatibilità di cui al comma 1, n. 4)
dell'articolo 63 del Tuel, «non basta la
pura e semplice constatazione dell'esistenza
di un procedimento civile o amministrativo
nel quale risultino coinvolti, attivamente o
passivamente, l'eletto o l'ente, ma occorre
che a tale dato formale corrisponda una
concreta contrapposizione di parti, ossia
una reale situazione di conflitto: solo in
tal caso sussiste l'esigenza di evitare che
il conflitto di interessi nella lite
medesima possa orientare le scelte
dell'eletto in pregiudizio dell'ente, o
comunque possa ingenerare all'esterno
sospetti al riguardo» (cfr. Cass. civ.,
sez. I, 28.07.2001, n. 10335).
Pertanto, la finalità della norma è quella
di garantire che l'esercizio del mandato
elettorale sia corretto e non impedito da
pericolose interferenze di finalità
individuali con esigenze di pubblico
interesse.
Nella fattispecie in esame il procedimento
giudiziario avviato dal consigliere comunale
nei confronti dell'amministrazione presso la
quale svolge il mandato elettivo fa assumere
allo stesso la qualità di «parte
processuale», e tale situazione pone il
consigliere nella condizione di
incompatibilità di cui all'art. 63, comma 1,
n. 4 del Tuel non potendosi invocare per il
medesimo l'esimente prevista dall'art. 63,
comma 3, del dlgs n. 267/2000 in quanto il
giudizio non è stato instaurato per fatto
connesso con l'esercizio del mandato, ma per
tutelare un interesse di natura individuale
che, in quanto contrapposto a quello
dell'ente di appartenenza
dell'amministratore, vale a configurare
anche l'ulteriore presupposto del conflitto
di interesse, necessario per la sussistenza
della causa ostativa in questione (articolo
ItaliaOggi del 17.12.2010). |
CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO
VIMINALE/ Indennità
di funzione.
È dovuto, a far data dall'01/01/2007, il
pagamento dell'indennità di funzione ai
presidenti dei consigli circoscrizionali di
comuni non capoluogo di provincia?
L'art. 1, comma 731, della legge 27.12.2006,
n. 296 ha apportato modifiche all'art. 82
del decreto legislativo 18.08.2000, n. 267
disponendo, per quanto attiene i consigli
circoscrizionali, che i soli presidenti dei
consigli circoscrizionali dei comuni
capoluogo di provincia hanno diritto a
percepire l'indennità di funzione.
Tale disposizione, tenuto conto di quanto
previsto in linea generale dall'art. 10
delle preleggi, è entrata in vigore il
quindicesimo giorno successivo alla sua
pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale della
repubblica italiana.
Successivamente l'art. 2, comma 29, della
legge 24.12.2007, n. 244 ha apportato
modifiche all'art. 17 del citato decreto
legislativo n. 267/2000 prevedendo che i
soli comuni con popolazione superiore ai 250
mila abitanti possano istituire
circoscrizioni di decentramento; tale norma,
per espressa disposizione dell'art. 42-bis
del dl 31/12/2007, n. 248, trova
applicazione a decorrere dalla prima
elezione per la nomina del sindaco e del
consiglio comunale successiva alla data di
entrata in vigore della legge di conversione
del decreto legge stesso.
Pertanto, considerati i diversi tempi di
entrata in vigore delle due diverse
disposizioni, in applicazione del novellato
art. 82, comma 1, del decreto legislativo n.
267/2000, a decorrere dall'01/01/2007 nei
comuni non capoluogo di provincia è venuto
meno il diritto dei presidenti
circoscrizionali di percepire l'indennità di
funzione
(articolo ItaliaOggi del 17.12.2010). |
ENTI LOCALI: Partecipate,
o dentro o fuori. Entro fine anno la
ricognizione delle società strumentali. La
delibera comunale deve evidenziare il
rapporto di stretta necessità per le
finalità dell'ente.
Entro fine dicembre i
consigli degli enti locali devono effettuare
la ricognizione delle proprie società
partecipate per verificare se vi sono i
presupposti di legge per il loro
mantenimento; in caso negativo occorre anche
avviare il procedimento per l'alienazione
delle quote o delle azioni, oppure la messa
in liquidazione della società.
Lo prevede l'art. 3, commi 28 e 29, della
legge 244 del 2007 (Finanziaria 2008).
In pratica bisogna passare ai raggi X ogni
società partecipata, indipendentemente dalla
quota di partecipazione, analizzando caso
per caso se è consentito o meno l'utilizzo
dello strumento societario per l'attività
svolta dalla società stessa.
Ciò deriva dal fatto che, per gli enti
locali, la possibilità di ricorrere a
società è circoscritta alle effettive
necessità istituzionali e strettamente
connessa alle attività di competenza (si
veda in proposito il parere della Corte dei
conti, sez. di controllo della Lombardia,
par. n. 48 del 25/06/2008).
Le finalità del legislatore sono chiare:
evitare, quando non necessario, il ricorso a
società e soprattutto impedirne l'utilizzo
per eludere procedure ad evidenza pubblica o
vincoli di finanza pubblica. Quindi la
ricognizione è mirata, in primo luogo,
all'individuazione delle partecipazioni
vietate dalla legge.
Il passo successivo riguarda il metodo:
l'analisi va fatta sia sotto l'aspetto
formale, che sostanziale.
Molto importante è la motivazione della
delibera, come peraltro indicato nello
stesso art. 3, comma 28: la giustificazione
del mantenimento della partecipazione non
può limitarsi al riconoscimento della «strumentalità»
della società, ma deve anche evidenziare il
«rapporto di stretta necessità» per
il perseguimento delle attività
istituzionali dell'ente (si veda in
proposito il parere della Corte dei conti,
sez. di controllo del Veneto, par. 5 del
14/01/2009).
Sotto il profilo formale, l'analisi si
effettua paragonando lo statuto della
società, ed in particolare l'oggetto
sociale, con attività di competenza
dell'ente come individuate dal Tuel agli
artt. 3, 13 e 112, rispettivamente,
sull'autonomia degli enti locali e sulle
funzioni e sui servizi pubblici locali,
nonché dal dpr 194/96 che definisce la
struttura dei bilanci e in particolare,
funzioni, servizi e interventi di spesa;
ulteriori elementi di valutazione potrebbero
rinvenirsi anche nello statuto dell'ente.
Giova ricordare che lo stesso art. 3, comma
27, riconosce espressamente in linea con la
legge le società che producono servizi di
interesse generale e quindi anche i servizi
pubblici locali, che ne sono ricompresi (si
veda anche la circolare Anci del
03/11/2010).
Sotto il profilo sostanziale, invece, si
dovranno valutare:
1) aspetti tecnici relativi, ad esempio,
alle difficoltà di recuperare direttamente
sul mercato beni o servizi necessari alle
attività istituzionali o alla necessità di
disporre di livelli di qualità non
facilmente reperibili; si potrebbero
considerare in questa sede anche altri
aspetti legati all'ambiente e all'impatto
sulla comunità di riferimento.
2) aspetti di carattere economico, ad
esempio, la convenienza dell'autoproduzione
(tramite il modello societario) rispetto ai
livelli normali dei prezzi di mercato,
oppure alle caratteristiche morfologiche del
territorio che potrebbero comportare costi
aggiuntivi di trasporto; anche in questo
caso si potrebbero considerare anche altri
costi legati all'inquinamento e all'ambiente
(esternalità).
In pratica occorre effettuare una vera e
propria analisi costi benefici
ricomprendendo anche un altro aspetto molto
delicato: la necessità di garantire
l'equilibrio economico, ovvero gestioni non
in perdita, altrimenti potrebbe esse messo
in discussione lo stesso utilizzo del
modello societario. Sotto questo profilo,
occorre evidenziare nella delibera di
ricognizione le risultanze dei bilanci degli
ultimi anni, valutandone gli aspetti
salienti anche alla luce del divieto di
aumenti di capitale, trasferimenti
straordinari, aperture di credito e garanzie
a favore delle società partecipate se hanno
registrato per tre esercizi consecutivi
perdite di esercizio di cui all'art. 6,
comma 19 della legge 122/10 di conversione
del decreto legge 78/2010.
Se la delibera di ricognizione individua
società vietate dalla legge, occorre avviare
entro fine anno 2010 la procedura di
dismissione: si tratta certamente di un
termine ordinatorio e non perentorio, per
evitare possibili svendite o speculazioni.
La delibera, una volta esecutiva, va inviata
alla Corte dei conti come prescritto
dall'art. 3, comma 28 della citata legge
244/2007
(articolo ItaliaOggi
del 17.12.2010 - tratto da www.corteconti.it). |
CORTE DEI
CONTI |
ENTI LOCALI: La
stretta alle indennità. Gettone ridotto
anche ai revisori.
Anche i revisori dei conti negli enti locali
devono partecipare alla cura imposta dalla
manovra correttiva alle indennità pubbliche,
e devono subire il taglio del 10% ai
compensi a partire dal i gennaio. La
sforbiciata, introdotta dall'articolo 6,
comma 3 del Dl 78/2010, colpirà tutti, anche
chi era stato già attento ai conti pubblici
e aveva già chiesto in passato una riduzione
in «busta paga»: per tutti la somma su cui
operare il taglio sarà quella effettivamente
erogata al 30 aprile scorso, e l'indennità
rimarrà congelata al nuovo livello fino al
2013.
L'indicazione arriva dal
parere 09.12.2010 n.
204 della Corte dei conti della
Toscana, la prima sezione regionale di
controllo a pronunciarsi sul tema.
Il punto è controverso, e le stesse
associazioni dei revisori erano intervenute
nelle ultime settimane per sostenere una
«specialità» nel loro trattamento, sulla
base del fatto che il trattamento economico
del guardiano dei conti (organismo previsto
dal testo unico degli enti locali) è
affidato al ministero dell'Economia, su
proposta del consiglio nazionale dei dottori
commercialisti e degli esperti contabili (il
meccanismo è previsto dal Dlgs 139/2005,
articolo 29, comma i, lettera n).
Un altro argomento dei professionisti
puntava sul fatto che la stessa manovra,
quando ha voluto coinvolgerei revisori li ha
citati espressamente (come accade due commi
dopo la norma incriminata, quando si parla
di riduzione dei membri degli organi
collegiali).
I magistrati contabili seguono un'altra
linea, secondo l'approccio tradizionale che
tende a un'interpretazione il più possibile
estensiva quando si tratta di riduzione di
costi pubblici. Le cifre in gioco non sono
da capogiro (il revisore di una metropoli,
con bilanci da miliardi di euro, guadagna
18mila euro lordi all'anno), ma la norma non
prevede esclusioni, per cui la Corte ne
sottolinea un'applicazione generalizzata.
Niente sconti per chi già in passato si era
autoridotto il compenso: come sempre accade
nei tagli lineari, il riferimento è uguale
per tutti, e finisce per colpire di più chi
in passato aveva già risparmiato (articolo
Il Sole 24 Ore del 16.12.2010 -
tratto da www.corteconti.it). |
INCENTIVO PROGETTAZIONE:
Modalità di computo dell'Irap in
sede di liquidazione dei compensi dovuti ai
propri dipendenti che rivestono le
qualifiche di avvocato e a quelli di profilo
tecnico che svolgono incarichi di
progettazione e direzione dei lavori, alla
luce dell'indirizzo espresso dalle Sezioni
Riunite in sede di controllo con
deliberazione n. 33 adottata nell'adunanza
del 07.06.2010.
Il parere
concerne le modalità di computo dell'Irap in
sede di liquidazione dei compensi dovuti ai
propri dipendenti che rivestono le
qualifiche di avvocato e a quelli di profilo
tecnico che svolgono incarichi di
progettazione e direzione dei lavori, alla
luce dell'indirizzo espresso dalle Sezioni
Riunite in sede di controllo con
deliberazione n. 33 adottata nell'adunanza
del 07.06.2010.
La Sezione ha chiarito che l'orientamento
manifestato dalle Sezioni Riunite della
Corte va inteso nel senso che tutti gli
oneri, inclusa l'Irap, dovuti dall'Ente in
relazione al pagamento degli incentivi ad
avvocati e tecnici dipendenti, devono
trovare copertura nell'ambito dei relativi
fondi appositamente costituiti e non nel
senso che l'Ente abbia l'onere di finanziare
un'ulteriore spesa a titolo di Irap al di
fuori dei suddetti fondi
(Corte dei Conti, Sez. giurisdiz. Emilia
Romagna,
parere
02.12.2010 n. 543). |
GIURISPRUDENZA |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
INQUINAMENTO - CIRCOLAZIONE
STRADALE - ZTL - Provvedimenti limitativi
della circolazione veicolare - Interessi
contrapposti - Contemperamento - Criteri di
ragionevolezza - Fattispecie.
In materia di provvedimenti limitativi della
circolazione veicolare all'interno dei
centri abitati, è consolidato nella
giurisprudenza amministrativa
l’orientamento, secondo il quale tali atti
sono espressione di scelte latamente
discrezionali, che coprono un arco molto
esteso di soluzioni possibili, incidenti su
valori costituzionali spesso contrapposti,
che devono essere contemperati, secondo
criteri di ragionevolezza (tra le tante
Consiglio di Stato, V, 13.02.2009, n. 825 e
03.02.2009, n. 596; TAR Puglia Bari, III,
13.05.2010, n. 1869; TAR Campania Napoli, I,
17.12.2009, n. 8874) (nella specie è
stato ritenuto illegittima la
regolamentazione dell’accesso e sosta in ZTL
per effetto della quale risultava precluso
l’accesso al centro storico da parte dei
possessori di garage e dei disabili)
(TAR Sicilia-Palermo, Sez. I,
sentenza 15.12.2010 n. 14299 -
link a www.ambientediritto.it). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Legittime
le limitazioni sul danno d'immagine alla Pa.
Corte costituzionale. Respinte dieci cause
riunite.
La Corte costituzionale
"salva" la limitazione della responsabilità
dei dipendenti pubblici per il «danno
d'immagine» provocato all'amministrazione di
appartenenza, così come ridisegnata e
ridotta dal decreto legge "anticrisi"
78/2009.
I giudici della Consulta hanno respinto, con
la
sentenza 15.12.2010
n. 355, ben dieci ricorsi riuniti sul
tema, per fatti molto eterogenei si va dalla
pretesa risarcitoria contro poliziotti
penitenziari accusati di violenza sessuale
su detenuti, agli amministratori di aziende
municipalizzate troppo sbrigativi
nell'aprire centri "salute", dal
direttore regionale per la sanità che spende
troppo e male, ai dirigenti comunali che non
raggiungono le quote di raccolta
differenziata, fino al poliziotto che
pretendeva di entrare gratis nei locali
pubblici.
Tutte ipotesi, queste, che dallo scorso anno
non sono più perseguibili dalla procure
presso la Corte dei conti per «danno
d'immagine», appunto, perché o non si
tratta di reati, oppure sono reati ma' fuori
dal novero di quelli che il dl 78 ha
previsto "con aggravio" erariale (una
dozzina di fattispecie che partono dal
peculato e dalla malversazione, passano
dalla corruzione e dall'abuso di ufficio e
arrivano all'interruzione di pubblico
servizio con le altre varianti del capo I,
titolo H del libro II del codice: delitti
dei pubblici ufficiali contro la pubblica
amministrazione). ...
(articolo Il Sole 24
Ore del 16.12.2010 - tratto da www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Indennizzo
per la lesione all'immagine solo se c'è
reato. P.a., risarcimento danni limitato.
Il risarcimento del
danno all'immagine della pubblica
amministrazione resta limitato ai soli casi
in cui sia stato commesso (e accertato con
sentenza di condanna passata in giudicato)
un reato contro la stessa p.a..
A nulla sono valsi i ricorsi della prima
sezione giurisdizionale centrale d'appello
della Corte conti e di ben sei sezioni
regionali (Umbria, Calabria, Campania,
Toscana, Sicilia e Lombardia) per scardinare
la mini-riforma dei giudizi contabili
inserita dal parlamento in sede di
conversione del decreto anticrisi del 2009
(dl 78/2009) e subito corretta col
successivo decreto legge n. 103/2009 (si
veda ItaliaOggi dell'01/08/2009).
Lo ha stabilito la Consulta nella
sentenza 15.12.2010 n.
355, depositata ieri in cancelleria e
redatta da Alfonso Quaranta, con cui le
censure mosse dalla Corte conti sono state
giudicate in parte infondate e in parte
inammissibili.
Le norme impugnate, sin dalla loro
approvazione, hanno suscitato subito forti
polemiche per i presunti paletti introdotti
all'azione del pubblico ministero contabile
che ora, per poter iniziare l'attività di
indagine, ha la necessità di avere in mano
una notizia di danno «specifica e
concreta».
Venivano fatte salve le fattispecie di danno
erariale di tipo sanzionatorio in cui è la
legge stessa ad affermare che una
determinata condotta (per esempio, affidare
consulenze o, nei comuni, contrarre debiti
per finanziare la spesa corrente)
costituisce danno erariale.
Sul danno all'immagine la riforma (art. 17,
comma 30-ter, del dl 78/2009) ha previsto
che il pm contabile possa esercitare
l'azione pér il risarcimento solo dopo
sentenza irrevocabile di condanna del
dipendente pubblico per reati contro la
pubblica amministrazione. E ha stabilito nel
contempo che il decorso del termine di
prescrizione (5 anni) sia sospeso fino alla
conclusione del processo penale.
Le sei sezioni regionali della Corte conti
hanno sollevato la questione di legittimità
ritenendo le norme lesive di un folto gruppo
di disposizioni costituzionali. ...
(articolo ItaliaOggi
del 16.12.2010 - tratto da www.corteconti.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
INQUINAMENTO ACUSTICO -
Classificazione acustica - Zonizzazione
urbanistica - Corrispondenza - Necessità -
Esclusione.
Non esiste piena corrispondenza tra
zonizzazione urbanistica ed acustica: la
finalità principale del Piano di
zonizzazione acustica è infatti quella della
tutela della salute umana in relazione
all'inquinamento acustico e deve pertanto
ritenersi differente dagli scopi propri
della pianificazione urbanistica (TAR
Lombardia Milano, sez. IV, 27.12.2007, n.
6819), con la conseguenza che la
classificazione ai fini urbanistici non deve
corrispondere pienamente con quella acustica
(TAR Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 13.12.2010 n. 7545 -
link a www.ambientediritto.it). |
APPALTI:
Sulla legittimità dell'esclusione
di un concorrente che abbia presentato la
dichiarazione relativa al possesso dei
requisiti di capacità economico-finanziaria
oltre il termine di 10 giorni dalla
richiesta inoltrata dalla stazione
appaltante.
E' legittimo il provvedimento di esclusione
adottato da una stazione appaltante nei
confronti di un concorrente che, sorteggiato
a campione per il controllo in ordine al
possesso dei requisiti di capacità
economico-finanziaria e
tecnico-organizzativa, ne abbia presentato
la relativa dichiarazione oltre il termine
di dieci giorni dalla richiesta, in quanto,
secondo un consolidato principio
giurisprudenziale, ai sensi dell'art. 48, c.
1, d.lgs. n. 163/2006, il predetto termine
entro cui l'impresa è tenuta ad ottemperare
alla richiesta della stazione appaltante, ha
natura perentoria; inoltre, la non
applicabilità delle sanzioni conseguenti
alla sua inosservanza, od un'eventuale
proroga dello stesso, si giustificano nei
soli casi di comprovata ed oggettiva
impossibilità.
Peraltro, il termine di cui sopra non può
ritenersi eccessivamente breve, giacché
rientra nella normale diligenza di ciascun
concorrente il dovere di attivarsi
tempestivamente al fine di procurarsi la
necessaria documentazione da esibire per
tempo, allorquando, dopo il sorteggio,
sopravvenga una richiesta in tal senso da
parte della stazione appaltante (Consiglio
di Stato, Sez. V,
sentenza 13.12.2010 n. 8739 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
INQUINAMENTO ACUSTICO -
Classificazione acustica - Art. 4 L. n.
447/1995 - L.R. toscana n. 89/1998 -
Rapporto con il pre-uso del territorio -
Rilevanza.
In forza delle disposizioni di cui all’art.
4, c. 1, lett. a), della L. n. 447/1995,
nonché della L.reg. Toscana n. 89/1998, le
scelte inerenti la classificazione acustica,
sono espressione di discrezionalità tecnica
che va ancorata all'accertamento di
specifici presupposti di fatto, tra i quali,
in primo luogo il pre-uso del territorio, al
fine di non sacrificare le consolidate
aspettative di coloro che si sono
legittimamente insidiati.
Va escluso che una mera situazione di fatto
(nella specie, impianto di frantumazione
situato in zona a destinazione agricola)
possa essere avallata dalle successive
scelte operate dall'amministrazione in
materia di classificazione acustica.
INQUINAMENTO ACUSTICO -
Classificazione acustica - Strada
extraurbana - Automatica attribuzione di una
predefinita classe acustica - Esclusione -
Classificazione adottata - Motivazione.
La mera qualificazione di una strada come
extraurbana non comporta l’automatica
attribuzione di una certa classificazione
dal punto di visto acustico: nondimeno
l’Amministrazione comunale è tenuta a
fornire adeguate argomentazioni, in
relazione al volume di traffico coinvolto,
che consenta di giustificare la
classificazione adottata (TAR Toscana, Sez.
II,
sentenza 11.12.2010 n. 6724 -
link a www.ambientediritto.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA -
EDILIZIA PRIVATA:
INQUINAMENTO - SALUTE - Amianto -
Obbligo cogente e generalizzato di rimozione
- Sussistenza - Esclusione - Parere tecnico
in ordine allo stato di manutenzione -
Competenza - ASL - Artt. 3 e 12 L. n.
257/1992.
Dalla lettura degli artt. 3, c. 1 e 12 della
legge 27.03.1992, n. 257 non pare potersi
evincere un obbligo cogente e generalizzato
di rimuovere il materiale contenente amianto
già utilizzato negli edifici privati prima
dell'entrata in vigore della legge n.
257/1994, salvo che lo stato di manutenzione
del medesimo ne renda evidente l'opportunità
(TAR Campania, Napoli, sez. V, 07.06.2006,
n. 6786); la competenza ad emettere il
parere tecnico necessario è assegnata dalla
legge agli uffici delle Aziende sanitarie
locali e non all’Agenzia per la protezione
dell’ambiente (TAR Toscana, Sez. II,
sentenza 11.12.2010 n. 6722 -
link a www.ambientediritto.it). |
APPALTI:
Sull'esclusione dalla
partecipazione alle procedure di affidamento
delle concessioni e degli appalti pubblici
dei soggetti che hanno commesso violazioni,
definitivamente accertate, rispetto agli
obblighi di pagamento delle imposte e tasse.
Il disposto normativo di cui all'art. 38,
comma primo, lett. g), del Codice dei
Contratti Pubblici (D.Lgs. n. 163 del 2006),
nella parte in cui dispone l'esclusione
dalla partecipazione alle procedure di
affidamento delle concessioni e degli
appalti pubblici dei soggetti che hanno
commesso violazioni, definitivamente
accertate, rispetto agli obblighi di
pagamento delle imposte e tasse, tende a
porre sul medesimo piano ontologico tutte le
condotte comunque finalizzate all'evasione
dell'imposta, senza alcuna distinzione in
ordine agli strumenti ed agli eventuali
raggiri adoperati e, dunque, al grado di
pericolosità delle condotte poste in essere.
Ciò che rileva in materia, invero, non è la
tutela del corretto prelievo fiscale come
previsto nell'ordinamento tributario, ma
soltanto l'affidabilità dei soggetti che
contrattano con l'amministrazione,
affidabilità che viene meno tanto nel caso
di omessi e ritardati pagamenti quanto nel
caso di sottrazione di materia imponibile
caratterizzata da artifici e raggiri
contabili e quale che sia l'entità
dell'evasione accertata (TAR Emilia
Romagna-Bologna, Sez. I,
sentenza 10.12.2010 n. 8108 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Una
veranda è da considerarsi, in senso
tecnico-giuridico, un nuovo locale
autonomamente utilizzabile e difetta
normalmente del carattere di precarietà,
trattandosi di opera destinata non a
sopperire ad esigenze temporanee e
contingenti con la sua successiva rimozione,
ma a durare nel tempo, ampliando così il
godimento dell'immobile.
La trasformazione di un balcone o di un
terrazzino circondato da muri perimetrali in
veranda, mediante chiusura a mezzo di
installazione di pannelli di vetro su
intelaiatura metallica, non ha natura
precaria né costituisce intervento di
manutenzione straordinaria o di restauro, ma
è opera soggetta a permesso di costruire.
Secondo la Cassazione penale, sez. III,
10.01.2008, n. 14329: “In materia
edilizia, una veranda è da considerarsi, in
senso tecnico-giuridico, un nuovo locale
autonomamente utilizzabile e difetta
normalmente del carattere di precarietà,
trattandosi di opera destinata non a
sopperire ad esigenze temporanee e
contingenti con la sua successiva rimozione,
ma a durare nel tempo, ampliando così il
godimento dell'immobile"; analogamente
Cassazione penale, sez. III, 26.04.2007, n.
35011, per cui: “La trasformazione di un
balcone o di un terrazzino circondato da
muri perimetrali in veranda, mediante
chiusura a mezzo di installazione di
pannelli di vetro su intelaiatura metallica,
non ha natura precaria né costituisce
intervento di manutenzione straordinaria o
di restauro, ma è opera soggetta a permesso
di costruire”.
In terminis: Consiglio Stato, sez. VI,
27.01.2003, n. 419, secondo cui: “La
nozione di costruzione, ai fini del rilascio
della concessione edilizia, si configura in
presenza di opere che attuino una
trasformazione urbanistico-edilizia del
territorio, con perdurante modifica dello
stato dei luoghi, a prescindere dal fatto
che essa avvenga mediante realizzazione di
opere murarie; infatti è irrilevante che le
dette opere siano realizzate in metallo, in
laminati di plastica, in legno o altro
materiale, laddove comportino la
trasformazione del tessuto urbanistico ed
edilizio (nella specie il C.d.S. ha
considerato nuova costruzione o ampliamento
della costruzione esistente una veranda
stabilmente infissa al suolo con profondità
dalla parete esterna al pilastro di sostegno
di mt. 5,20, con dimensioni planimetriche di
mt. 7,15 x 5,07 avente un'altezza nella
parte superiore di mt. 2,85 e nella parte
inferiore di mt. 2,80, sotto il profilo
funzionale preordinata a soddisfare la non
precaria esigenza del titolare di un
pubblico esercizio”. Infine, tra le
tante: TAR Campania Napoli, sez. VI,
03.08.2007, n. 7258; TAR Campania Napoli,
sez. IV, 08.06.2007, n. 6038)
(TAR
Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 10.12.2010 n. 7497 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
nozione di completamento funzionale di un
fabbricato da condonare è idonea a
comprendere esclusivamente ciò che è
necessario ad una sua più idonea e
funzionale utilizzazione, ferma restando la
originaria struttura del medesimo.
La giurisprudenza amministrativa, infatti,
ha in proposito rilevato come non possano
qualificarsi come opere di completamento
funzionale quelle che si traducono nella
creazione di un quid novi rispetto alla
consistenza strutturale e tipologica del
manufatto già realizzato e che attribuiscono
una diversa caratterizzazione funzionale
allo stesso.
Secondo il
consolidato orientamento della
giurisprudenza amministrativa in tema di
ultimazione delle opere condonabili,
infatti, gli artt. 31, comma 2 e 43, comma 5
della L. n. 47 del 1985 dettano -in
alternativa al criterio della esecuzione al
rustico e completamento della copertura
dell'edificio- il criterio del completamento
funzionale dell'opera, secondo il quale, per
i mutamenti di destinazioni d'uso di edifici
non residenziali, è condonabile la struttura
in cui le opere, pur se non perfette fin
nelle finiture, possano dirsi individuabili
nei loro elementi strutturali con le
caratteristiche necessarie e sufficienti ad
assolvere la funzione cui sono destinate
(cfr., in tal senso, da ultimo, Consiglio
Stato, sez. IV, 25.06.2010, n. 4118, per
cui: “I lavori di completamento di un
edificio abusivamente iniziato, non
preclusivi della sanatoria, sono quelli che
servono a rendere funzionale il rustico di
per sé già ultimato, senza intervenire sulla
conformazione strutturale del manufatto, che
deve rimanere intatto nella sua originaria
consistenza”; analogamente Cons. Stato,
sez. V, 18/12/2002 n. 7021; TAR Lazio -LT-
18/04/2006 n. 264).
La nozione di completamento funzionale di un
fabbricato, in definitiva, è idonea a
comprendere esclusivamente ciò che è
necessario ad una sua più idonea e
funzionale utilizzazione, ferma restando la
originaria struttura del medesimo.
La giurisprudenza amministrativa, infatti,
ha in proposito rilevato come non possano
qualificarsi come opere di completamento
funzionale quelle che si traducono nella
creazione di un quid novi rispetto
alla consistenza strutturale e tipologica
del manufatto già realizzato e che
attribuiscono una diversa caratterizzazione
funzionale allo stesso (facendo applicazione
di tali criteri, con la sentenza del TAR
Lazio n. 4843/2001, riportata nella memoria
conclusiva dell’ente resistente, si è
ritenuto che le opere perimetrali di
chiusura di una tettoia non siano
riconducibili a quelle di completamento
funzionale, in quanto trasformano
radicalmente il manufatto in un locale
chiuso con un diverso grado di funzionalità.
Ciò, aggiungendosi che, da un punto di vista
urbanistico ed edilizio, una cosa è
procedere alla sanatoria di una tettoia ed
altra cosa è condonare un locale chiuso, che
evidentemente presenta una ben maggiore
incidenza negativa sulla realtà dei luoghi
con conseguente possibile mutamento degli
standards urbanistici) (TAR
Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 10.12.2010 n. 7497 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Sulla esclusione della
possibilità di partecipare alla gara in più
di un raggruppamento temporaneo o consorzio
ordinario di concorrenti ovvero in forma
individuale qualora il medesimo soggetto
abbia partecipato alla medesima gara in
raggruppamento o consorzio ordinario.
Il divieto di cui all'art. 37, comma 7, del
D.Lgs. n. 163 del 2006 -che esclude la
possibilità di partecipare alla gara in più
di un raggruppamento temporaneo o consorzio
ordinario di concorrenti, ovvero, ancora, in
forma individuale qualora il medesimo
soggetto abbia partecipato alla medesima
gara in raggruppamento o consorzio
ordinario- non può trovare applicazione
rispetto a quelle gare caratterizzate dalla
divisione dell'appalto in più lotti, con la
facoltà, per gli eventuali concorrenti, di
partecipare anche per un singolo lotto
risultando ammissibile, quindi, che di
questi possa avere un diverso
aggiudicatario.
In tali ipotesi, nelle quali si può
affermare che il bando di gara sia un atto
ad oggetto plurimo (più gare, tante quante
sono i lotti, svolte nell'ambito del
medesimo contesto temporale), venuta meno
l'unitarietà della gara, nulla impedisce ad
una impresa di partecipare in forma singola
per determinati lotti ed in raggruppamento
temporaneo per altri escludendo, in tal
senso, l'applicabilità della norma sopra
richiamata.
In tema di appalti pubblici, costituiscono
elementi sintomatici della circostanza che
la gara indetta non abbia carattere unitario
ma si caratterizzi, piuttosto, quale
pluralità di gare svolte nel medesimo
contesto temporale, da un lato, la
suddivisione dell'appalto in singoli lotti
caratterizzati da autonoma aggiudicabilità
-ovvero dal fatto che le procedure
concorsuali siano dirette alla conclusione
di tanti contratti di appalto quanti sono i
lotti- e dall'altro lato, come riscontro
esterno a siffatto regime, la formazione di
distinte graduatorie in relazione ad ognuno
dei lotti.
In siffatta ipotesi, posto che l'offerta
relativa ad un lotto non è in grado di
interferire con le offerte riguardanti gli
altri lotti e, quindi, di inficiare il
risultato della procedura con violazione
della concorrenza, deve essere esclusa
l'applicabilità dell'art. 37, comma 7, del
D.Lgs. n. 163 del 2006 (TAR Lazio-Roma, Sez.
I-ter,
sentenza 09.12.2010 n. 35960 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Condono - Diniego - Motivazione
in forma sintetica - Caratteristiche
concrete dei manufatti - Rilevanza.
In materia di dinieghi di condono, le
specifiche caratteristiche dei manufatti,
nel concreto spazio in cui insistono,
possono consentire al giudice, cui sia
offerto un adeguato supporto probatorio, di
intendere ed eventualmente approvare (nei
limiti del sindacato di legittimità) le
ragioni del diniego stesso, per quanto solo
compendiate nel provvedimento (cfr. TAR
Veneto, II, 24.01.2009, n. 151, in cui la
Sezione ha rammentato che l'obbligo di
motivazione, ex art. 3 l. 241/1990, può
essere assolto in forma sintetica, laddove
le ragioni della determinazione
amministrativa risultino dal contesto
evidenti) (TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 09.12.2010 n. 6427 -
link a www.ambientediritto.it). |
URBANISTICA:
Piani regolatori generali e
varianti - Impugnazione - Termine di
decadenza - Decorrenza - Individuazione.
L'atto d’approvazione dei piani regolatori
generali, o loro varianti di contenuto
generale o riguardanti ampie zone e comparti
territoriali, deve essere impugnato nel
termine di decadenza decorrente dalla data
di pubblicazione, non essendo richiesta la
notificazione individuale agli interessati.
(Consiglio Stato, sez. IV, 19.07.2004, n.
5225, ma si veda anche Sez. IV, 08.07.2003,
n. 4040; 23.11.2002, n. 6436; 30.07.2002, n.
4075, e Sez. VI, 15.05.2002, n. 2646); solo
quando la variante è particolare -il che si
verifica quando le previsioni urbanistiche
costituiscano atti di pianificazione a
contenuto singolo, e i vincoli espropriativi
vengano a incidere in modo diretto e
immediato sui soggetti destinatari del
vincolo reiterato (così C.d.S., IV,
23.12.1998, n. 1904)- il termine di
impugnazione deve farsi decorrere dalla
notifica individuale (C.d.S., IV,
14.06.2001, n. 3149) (TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 07.12.2010 n. 6376 -
link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L'Amministrazione
comunale, cui è rimessa sul piano
istruttorio la delibazione di conformità
urbanistica di ogni progetto edilizio, deve
verificare, tra l’altro, che esista un
idoneo titolo per eseguire le opere, che
assurge a presupposto di legittimità sia
degli interventi che implicano il rilascio
del permesso di costruire sia di quelli
soggetti al regime semplificato della d.i.a..
Va anzitutto osservato che il primo comma
dell’evocato art. 11 del T.U. sull’edilizia
(e già prima l’art. 4 della legge n. 10 del
1977) dispone –ed analoga previsione è
contenuta nel primo comma dell’art. 23 per
gli interventi soggetti a d.i.a.– che “Il
permesso di costruire è rilasciato al
proprietario dell'immobile o a chi abbia
titolo per richiederlo”.
Tanto premesso, il Collegio ritiene che,
sulla base della normativa richiamata,
l'Amministrazione comunale, cui è rimessa
sul piano istruttorio la delibazione di
conformità urbanistica di ogni progetto
edilizio, deve verificare, tra l’altro, che
esista un idoneo titolo per eseguire le
opere, che assurge a presupposto di
legittimità sia degli interventi che
implicano il rilascio del permesso di
costruire sia di quelli soggetti al regime
semplificato della d.i.a. (cfr. TAR
Campania, Sezione II, 22.09.2006, n. 8243).
Vero è che la giurisprudenza amministrativa
esclude l’esistenza di un obbligo del Comune
di effettuare complessi accertamenti diretti
a ricostruire tutte le vicende riguardanti
l'immobile e, soprattutto in passato, era
prevalentemente orientata nel senso che il
parametro valutativo dell'attività
amministrativa in materia edilizia fosse
solo quello dell'accertamento della
conformità dell'opera alla disciplina
pubblicistica che ne regola la
realizzazione, salvi i diritti dei terzi,
senza che la mancata considerazione di tali
diritti potesse in qualche modo incidere
sulla legittimità dell'atto.
Tuttavia, più recentemente (cfr. per tutte
Consiglio di Stato, Sezione V, 15.03.2001,
n. 1507 e 21.10.2003, n.6529; TAR Campania,
Sezione II, 29.03.2007 n. 2902), ha avuto
occasione di precisare che la necessaria
distinzione tra gli aspetti civilistici e
quelli pubblicistici dell'attività
edificatoria non impedisce di rilevare la
presenza di significativi punti di contatto
tra i due diversi profili.
In proposito ha, pertanto, chiarito che non
è seriamente contestabile che nel
procedimento di rilascio dei titoli edilizi
l'amministrazione abbia il potere ed il
dovere di verificare l'esistenza, in capo al
richiedente, di un idoneo titolo di
godimento sull'immobile, interessato dal
progetto di trasformazione urbanistica,
trattandosi di un’attività istruttoria che
non è diretta, in via principale, a
risolvere i conflitti di interesse tra le
parti private in ordine all'assetto
proprietario degli immobili interessati, ma
che risulta finalizzata, più semplicemente,
ad accertare il requisito della
legittimazione del richiedente.
Ha, pertanto, concluso nel senso che, in
caso di opere che vadano ad incidere sul
diritto di altri comproprietari, è legittimo
esigere il consenso degli stessi (che può
essere manifestato anche per fatti
concludenti) e che, a maggior ragione,
qualora vi sia un conclamato dissidio fra i
comproprietari in ordine all'intervento
progettato, la scelta dell'amministrazione
di assentire comunque le opere (in base al
mero riscontro della conformità agli
strumenti urbanistici) evidenzia un grave
difetto istruttorio e motivazionale, perché
non dà conto dell’effettiva corrispondenza
tra l’istanza edificatoria e la titolarità
del prescritto diritto di godimento
(TAR Campania-Napoli, Sez. II,
sentenza 06.12.2010 n. 26817 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Legittimamente
il dirigente comunale non ha rilasciato il
richiesto permesso di costruire, attesa la
mancanza del titolo a disporre in via
esclusiva del suolo interessato dai lavori,
per la natura condominiale di parte del
lastrico solare ed in mancanza di delibera
assembleare.
Ai sensi
dell’art. 1117 c.c., il lastrico solare è
oggetto di proprietà comune “se il
contrario non risulta dal titolo”. Come
chiarito dalla costante giurisprudenza
(cfr., per tutte, Cassazione civile, Sezione
II, 16.07.2004 n.13279; 16.02.2005 n. 3102;
29.03.2007 n. 7709), per titolo devono
intendersi non soltanto gli atti di acquisto
delle varie unità immobiliari incluse nel
fabbricato ma anche il regolamento di
condominio accettato dai singoli condomini.
E’ altrettanto pacifico in giurisprudenza
che il regolamento di condominio, di cui
all’art. 1138 c.c., predisposto
dall’originario unico proprietario
dell’intero edificio ed accettato dagli
iniziali acquirenti o assegnatari dei
singoli appartamenti, se trascritto nei
registri immobiliari o oggetto di esplicito
richiamo nei singoli atti di acquisto,
vincola tutti i successivi acquirenti per le
clausole che disciplinano l’uso o il
godimento dei servizi o delle parti comuni.
In conclusione, alla luce delle disposizioni
normative sopra evocate e della
documentazione versata in atti, il Collegio
ritiene che legittimamente il dirigente
comunale non ha rilasciato il richiesto
permesso di costruire, atteso che la
mancanza del titolo a disporre in via
esclusiva del suolo interessato dai lavori,
per la natura condominiale di parte del
lastrico solare ed in mancanza di delibera
assembleare (cfr. Cassazione civile, Sezione
II, 29.08.1992, n. 6529), costituisce
ragione da sola preclusiva alla
realizzazione dell’intervento
(TAR Campania-Napoli, Sez. II,
sentenza 06.12.2010 n. 26817 -
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EDILIZIA PRIVATA:
Permesso di costruire -
Impugnazione - Decorrenza del termine -
Individuazione.
Ai fini della decorrenza dei termini per
l’impugnazione di una concessione edilizia
(oggi permesso di costruire), occorre che le
opere rivelino , in modo certo ed univoco,
le loro caratteristiche e, quindi, l’entità
delle violazioni urbanistiche e della
lesione eventualmente derivante dal
provvedimento (cfr. Cons.Stato, IV,
23-7-2009, n. 4616).
Di conseguenza, in mancanza di altri ed
inequivoci elementi probatori, il termine
decorre con il completamento dei lavori, a
meno che non venga provata una conoscenza
anticipata o si deducano censure di assoluta
inedificabilità dell’area o analoghe
censure, nel qual caso risulta sufficiente
la conoscenza dell’iniziativa in corso (cfr.
Cons. Stato, IV, 10-12-2007, n. 6342).
Invero, l’effetto lesivo si atteggia
diversamente (e, come tale, viene percepito)
a seconda che si contesti l’illegittimità
del titolo edilizio per il solo fatto che
esso sia stato rilasciato (ad esempio, per
contrasto con l’inedificabilità assoluta
dell’area) ovvero per il contenuto specifico
del progetto edilizio assentito, come nel
caso in cui l’opera non rispetti le distanze
dalle costruzioni (cfr. TAR Liguria, Genova,
I, 25-01-2010, n. 192) (TAR Campania-Salerno,
Sez. II,
sentenza 03.12.2010 n. 13083 -
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APPALTI:
Art. 38 e doveri della stazione
appaltante.
La stazione appaltante ha il dovere di
esprimere un giudizio rispetto alle condanne
dichiarate dai concorrenti in sede di gara.
Così ha deciso il Consiglio di Stato, Sez.
V, con la
sentenza 03.12.2010 n. 8535.
Nel caso di specie, relativo all’affidamento
dei lavori di rifacimento di un tratto
stradale, uno dei concorrenti aveva
impugnato l’esclusione dalla gara comminata
per violazione dell’articolo 38 del Codice
dei contratti.
I giudici di Palazzo Spada affrontando la
questione, posta all’esame del Tar Piemonte
in primo grado, affermano un principio
fondamentale per l’agire delle stazioni
appaltanti.
Mettendo in luce la discrezionalità delle
amministrazioni nella valutazione delle
condanne riportate dai concorrenti “fermo
restando, pertanto, il dovere dei
concorrenti di dichiarare lealmente tutte le
condanne subite”, si sostiene che da
questo principio “non può non discendere
il dovere della stazione appaltante di
motivare in maniera congrua il proprio
giudizio, non solo quando questo propenda
per il carattere ostativo delle eventuali
condanne, ma anche nella diversa ipotesi in
cui una condanna penale –pur sussistente–
sia reputata irrilevante e comunque non
incidente sull’affidabilità del concorrente.”
La decisione della stazione appaltante circa
l’incisione o meno della condanna dichiarata
dal concorrente sulla sua moralità
professionale deve essere necessariamente
supportata da un giudizio conoscibile per
coloro che interagiscono con
l’amministrazione, “il problema, infatti,
non è la logicità o meno del giudizio nella
specie espresso dalla stazione appaltante,
ma la mancanza di tale giudizio, ossia
l’impossibilità di interpretare in un senso
o nell’altro il silenzio serbato sulla
condanna riportata da uno dei concorrenti.”.
In conclusione, il dovere per le
amministrazioni aggiudicatrici, illustrato
nella sentenza, discende da elementari
principi di trasparenza e par condicio, in
quanto deve essere tutelato l’interesse
degli altri concorrenti a conoscere il
perché determinati pregiudizi penali siano
giudicati ostativi ed altri no (commento
tratto da
www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com -
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EDILIZIA PRIVATA: Nel
rideterminarsi a seguito di annullamento
giurisdizionale di un diniego di permesso di
costruire, l’Amministrazione deve tener
conto anche della nuova disciplina
urbanistica intervenuta nelle more del
giudizio.
E' principio giurisprudenziale pacifico che,
nel rideterminarsi a seguito di annullamento
giurisdizionale di un diniego di permesso di
costruire, l’Amministrazione deve tener
conto anche della nuova disciplina
urbanistica intervenuta nelle more del
giudizio (cfr. Cons. Stato, Ad. Pl.,
08.01.1996, nr. 1; Cons. Stato, sez. IV,
24.12.2008, nr. 6538) (Consiglio di Stato,
Sez. IV,
sentenza 03.12.2010 n. 8533 -
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EDILIZIA PRIVATA: Spetta
al Comune, nella propria veste di soggetto
istituzionalmente titolare del potere di
conformazione e governo del territorio, la
facoltà di dettare prescrizioni al permesso
di costruire che siano strettamente inerenti
alle modalità realizzative dell’intervento e
risultino oggettivamente e ragionevolmente
giustificate da interessi di carattere
pubblicistico.
Se è vero che
la giurisprudenza ha più volte affermato
l’impossibilità in generale di apporre
condizioni, sia sospensive che risolutive,
al permesso di costruire, salvi i casi
espressamente previsti dalla legge (cfr. ad
esempio Cons. Stato, sez. V, 24.03.2001, nr.
1702), l’analisi della casistica su cui si è
formato tale indirizzo svela che sono state
ritenute illegittime, di regola, le
condizioni e prescrizioni che risultavano
del tutto estranee all’intervento ed alle
sue modalità realizzative e finalizzate al
perseguimento di obiettivi del tutto
estranei e diversi rispetto a quelli cui è
funzionale la valutazione sull’assentibilità
dell’intervento edificatorio richiesto.
Deve invece ritenersi spettante al Comune,
nella propria veste di soggetto
istituzionalmente titolare del potere di
conformazione e governo del territorio, la
facoltà di dettare prescrizioni che siano
strettamente inerenti alle modalità
realizzative dell’intervento e risultino
oggettivamente e ragionevolmente
giustificate da interessi di carattere
pubblicistico
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 03.12.2010 n. 8533 -
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EDILIZIA PRIVATA: Tanto
maggiore è il lasso di tempo trascorso tra
l'avvio dell'attività edilizia e l'esercizio
del potere di autotutela, maggiore deve
essere il grado di motivazione sulle ragioni
di pubblico interesse, diverse da quelle al
mero ripristino della legalità, che deve
connotare il relativo provvedimento
amministrativo.
In caso di DIA, una volta decorso il termine
perentorio di 30 giorni previsto dall’art.
23, d.P.R. n. 380/2001, la p.a., per potere
esercitare il potere sanzionatorio, deve,
prima, incidere sul titolo edilizio,
intervenendo su di esso in autotutela,
sempre che ne ricorrano i presupposti. E di
ciò ne è riprova il comma 2-bis dell'art. 38
del d.P.R. n. 380/2001 che, con specifico
riferimento alla d.i.a. edilizia, equipara
l’ipotesi dell’“accertamento
dell'inesistenza dei presupposti per la
formazione del titolo” ai casi di interventi
eseguiti in base a “permesso annullato”.
Tanto maggiore è il lasso di tempo trascorso
tra l'avvio dell'attività e l'esercizio del
potere di autotutela, maggiore deve, dunque,
essere il grado di motivazione sulle ragioni
di pubblico interesse, diverse da quelle al
mero ripristino della legalità, che deve
connotare il relativo provvedimento
amministrativo (Cons. Stato, Sez. IV,
31.10.2006, n. 6465, Sez. V, 25.09.2006, n.
5622 e Sez. VI, 27.02.2006, n. 846).
Nel caso di specie, l’amministrazione si è
limitata a motivare il provvedimento di
annullamento della denuncia di inizio
attività indicando i motivi per i quali il
progetto edilizio si pone in contrasto con
la normativa urbanistica ed edilizia vigente
e ravvisando l’interesse pubblico alla
rimozione dell’atto nell’esigenza di
imparzialità di trattamento e nell’interesse
all’ordinato assetto territoriale.
Queste ragioni, attesa la loro genericità,
coincidono di fatto con una mera esigenza di
ripristino della legalità, non identificando
un interesse concreto ed attuale
all’annullamento dell’atto.
L’amministrazione non ha, inoltre,
effettuato alcuna comparazione tra
l’interesse perseguito e quello privato
sacrificato, adempimento ancor più
necessario in considerazione della posizione
di affidamento ingenerata nel privato dal
decorso di un ampio lasso di tempo (oltre
cinque anni) dal consolidarsi del titolo
edilizio e della circostanza che i
principali vizi riscontrati erano evincibili
già dalle indicazioni del progettista e
dagli elaborati grafici e non richiedevano,
dunque, lo svolgimento di una particolare e
complessa attività istruttoria.
Né l’amministrazione può invocare il potere
di repressione degli abusi edilizi per
giustificare un intervento finalizzato a
ristabilire una situazione di regolarità
urbanistica ed edilizia in mancanza di un
interesse pubblico ulteriore.
Come questo Tar ha già affermato, una volta
decorso il termine perentorio di 30 giorni
previsto dall’art. 23, d.P.R. n. 380/2001,
la p.a., per potere esercitare il potere
sanzionatorio, deve, prima, incidere sul
titolo edilizio, intervenendo su di esso in
autotutela, sempre che ne ricorrano i
presupposti. E di ciò ne è riprova il comma
2-bis dell'art. 38 del d.P.R. n. 380/2001
che, con specifico riferimento alla d.i.a.
edilizia, equipara l’ipotesi dell’“accertamento
dell'inesistenza dei presupposti per la
formazione del titolo” ai casi di
interventi eseguiti in base a “permesso
annullato” (Tar Lombardia, Milano,
22.01.2010, n. 135)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 03.12.2010 n. 7474 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Soggetto legittimamente escluso
dalla gara - Fasi ulteriori della procedura
concorsuale - Deduzione di vizi -
Legittimazione - Esclusione - Ragioni.
Sulla scorta dei principi espressi nell’A.P.
n. 1/2010, il soggetto legittimamente
escluso dalla gara risulta privo di
legittimazione e/o carente di interesse con
riferimento alla deduzione dei vizi relativi
alle ulteriori fasi della procedura
concorsuale in quanto, tenuto conto che
l'accoglimento del ricorso con riferimento
al provvedimento di aggiudicazione
definitiva in favore dell'impresa
controinteressata comporterebbe non già
l'aggiudicazione dell'appalto in favore
della ricorrente, ma la ripetizione della
gara, l'interesse strumentale alla
rinnovazione della gara può essere
perseguito soltanto dall'impresa che non è
stata esclusa dalla gara: l'offerente che è
stato legittimamente escluso dalla
selezione, infatti, non può vantare
un'aspettativa giuridica diversa e più
qualificata di quella che si può riconoscere
ad un qualunque altro soggetto che non abbia
partecipato alla selezione stessa e che
aspira ad eseguire l'appalto, previa
partecipazione ad una successiva gara e sua
conseguente aggiudicazione(cfr. TAR Veneto,
I, n. 2313/2010 e n. 6015/2010) (TAR Veneto,
Sez. I,
sentenza 03.12.2010 n. 6340 -
link a www.ambientediritto.it). |
APPALTI:
Sussiste l'obbligo, in capo ad un
RTI, di indicare le parti del servizio che
saranno eseguite da ciascuna delle imprese
associate.
In materia di gare pubbliche per
l'affidamento di un appalto di servizi, ai
sensi dell'art. 37, c. 4, d.lgs. n.
163/2006, sussiste l'obbligo, in capo ad un
RTI, di indicare nella propria offerta le
parti del servizio che saranno eseguite da
ciascuna delle imprese facenti parte del
raggruppamento, trattandosi, per la stazione
appaltante, di un dato conoscitivo
essenziale al fine di verificare il possesso
dei richiesti requisiti di idoneità.
La ratio del predetto obbligo
consiste nel consentire una maggiore
speditezza nella fase di esecuzione del
contratto, essendo in tal modo più agevole
individuare il responsabile della
prestazione delle singole parti dell'appalto
(TAR Sicilia-Catania, Sez. III,
sentenza 03.12.2010 n. 4613 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Offerte anomale - RUP - Pronuncia
sull’anomalia dell’offerta - Incompetenza.
Non è compito del RUP pronunciare
sull’anomalia dell’offerta di gara: la
Commissione deve operare un proprio, diretto
apprezzamento della relazione tecnica
redatta dal RUP e degli specifici contenuti
di essa.
L’ufficio (anche se competente nel settore
al quale attiene l’oggetto della gara) può,
infatti, dare pareri d’ordine tecnico,
ragguagli ed altri elementi utili alla
valutazione delle offerte presentate in sede
di gara con aggiudicazione all’offerta più
vantaggiosa, ma non può essere rimesso allo
stesso il giudizio definitivo sulla
congruità delle offerte allorché sia stata
costituita un’apposita Commissione
valutatrice, la cui semplice presa d’atto
dell’attività compiuta dal RUP non soddisfa
all’esigenza che la valutazione delle
offerte non venga -nei suoi contenuti
concreti e, in special modo, nelle sue
tematiche di rilevanza
giuridico-interpretativa- sottratta al
vaglio dell’organo specificamente deputato a
valutare i contenuti delle offerte stesse.
Attraverso la valutazione dell’anomalia,
infatti, viene posta in essere una concreta
attività valutativa dei contenuti
dell’offerta non di carattere comparativo,
ma pur sempre preordinata ad indagare sugli
specifici contenuti dell’offerta stessa,
sulla sua affidabilità e sulla piena
rispondenza, a questo stesso fine, delle
giustificazioni addotte originariamente o di
quelle integrative eventualmente richieste
(Consiglio di Stato, sez. VI, 15.07.2010, n.
4584) (TAR Sicilia-Palermo, Sez. II,
sentenza 02.12.2010 n. 14243 -
link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
fascia di rispetto cimiteriale costituisce
un vincolo di inedificabilità rinveniente
direttamente dalla legge, che si impone ex
se, con efficacia diretta ed immediata,
indipendentemente da qualsiasi recepimento
negli strumenti urbanistici ed eventualmente
anche in contrasto con i medesimi, i quali
non sono idonei, per la loro natura, ad
incidere sulla esistenza o sui limiti
operativi del vincolo stesso.
Per giurisprudenza costante, la fascia di
rispetto cimiteriale costituisce un vincolo
di inedificabilità rinveniente direttamente
dalla legge, che si impone ex se, con
efficacia diretta ed immediata,
indipendentemente da qualsiasi recepimento
negli strumenti urbanistici ed eventualmente
anche in contrasto con i medesimi, i quali
non sono idonei, per la loro natura, ad
incidere sulla esistenza o sui limiti
operativi del vincolo stesso (cfr., tra le
tante, Consiglio di Stato, Sezione V,
07.05.1996 n.519).
Infatti, il divieto di costruire nuovi
edifici e di ampliare quelli esistenti
risulta sancito dall'art. 338, comma 1, del
R.D. 27.07.1934 n. 1265, e si configura, in
via ordinaria, come un vincolo di
inedificabilità assoluta (cfr. Consiglio di
Stato, Sezione V, 12.11.1999 n. 1871), per
cui di regola non vi è la necessità di
compiere valutazioni in ordine alla concreta
compatibilità dell'opera con i valori
tutelati dal vincolo.
Qualora, però, si tratti di immobile
edificato prima dell’imposizione del
vincolo, la disciplina applicabile è quella
di cui all'art. 32 della legge 47/1985 e
l'opera diventa sanabile ove intervenga il
parere favorevole dell’autorità preposta
alla gestione del vincolo (in termini, TAR
Campania, Sezione II, 25.01.2007 n. 708,
confermata da Consiglio di Stato, Sezione IV,
06.11.2008 n. 5489)
(TAR
Campania-Napoli, Sez. II,
sentenza 01.12.2010 n. 26459 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L’onere
della prova circa l’ultimazione dei lavori
ai fini del conseguimento del condono
edilizio spetta al richiedente, le cui
dichiarazioni non sono sufficienti a tale
scopo, essendo necessari ulteriori riscontri
documentali anche indiziari.
Va, anzitutto,
richiamato il pacifico orientamento
giurisprudenziale in base al quale l’onere
della prova circa l’ultimazione dei lavori
ai fini del conseguimento del condono
edilizio spetta al richiedente, le cui
dichiarazioni non sono sufficienti a tale
scopo, essendo necessari ulteriori riscontri
documentali anche indiziari (cfr. Consiglio
di Stato, Sezione V, 14.03.2007 n. 1249;
Sezione IV, 12.02.2010 n.772; TAR Campania,
Sezione II, 28.04.2008 n. 2591).
In sede processuale, il principio dell’onere
della prova risulta ora espressamente
enunciato in via generale nel codice del
processo amministrativo (approvato con il
D.Lgs. 02.07.2010 n. 104), che ai primi due
commi dell’art. 64 dispone quanto segue:
“1. Spetta alle parti l'onere di fornire
gli elementi di prova che siano nella loro
disponibilità riguardanti i fatti posti a
fondamento delle domande e delle eccezioni.
2. Salvi i casi previsti dalla legge, il
giudice deve porre a fondamento della
decisione le prove proposte dalle parti
nonché i fatti non specificatamente
contestati dalle parti costituite”
(TAR
Campania-Napoli, Sez. II,
sentenza 01.12.2010 n. 26459 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L'indennità prevista dall'art. 15
l. 29.06.1939 n. 1497, può essere irrogata
anche a distanza di tempo e senza la
necessità di motivazione in ordine al
ritardo dell'esercizio del potere.
È ben vero, infatti, che “Per gli
illeciti in materia paesistica ed
urbanistico-edilizia puniti con sanzione
pecuniaria, la prescrizione quinquennale ex
art. 28 l. 24.11.1981 n. 689, inizia a
decorrere solo dalla cessazione della
situazione di illiceità, sicché vertendosi
in materia di illecito permanente,
l'indennità prevista dall'art. 15 l.
29.06.1939 n. 1497, può essere irrogata
anche a distanza di tempo e senza la
necessità di motivazione in ordine al
ritardo dell'esercizio del potere” (così
Consiglio di Stato, sez. V, 4420/2006), e
che “Il parere favorevole rilasciato
dall'Amministrazione preposta alla tutela
del paesaggio nell'ambito del procedimento
di sanatoria edilizia non è atto idoneo a
far decorrere il termine di prescrizione
previsto dall'art. 28 l. n. 689 del 1981 per
l'applicazione della sanzione di cui
all'art. 15 l. n. 1497 del 1939”
(Consiglio di Stato, sez. IV, 395/2004).
Tuttavia, il rilascio della concessione
edilizia in accoglimento dell’istanza di
condono –dietro parere favorevole
dell’autorità preposta alla tutela del
vincolo paesaggistico– è atto idoneo a
determinare la cessazione della situazione
di illiceità (TAR Campania-Napoli, Sez. VII,
sentenza 01.12.2010 n. 26430 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
INQUINAMENTO ACUSTICO -
Disciplina degli orari di apertura e della
potenza dei diffusori acustici - Pari
opportunità tra operatori dello stesso
settore - Differenziazione degli strumenti
di controllo - Fattispecie: street bar.
A parità di fenomeni di inquinamento
acustico che comportano il disturbo della
quiete pubblica e privata, l’equo
contemperamento tra gli opposti interessi,
attraverso una dettagliata disciplina degli
orari di apertura e della potenza dei
diffusori acustici, che rientra nelle
competenze comunali, deve avvenire
attraverso una disciplina dell’attività
commerciale che consenta una pari
opportunità tra gli operatori che operano
nello stesso settore.
La regolamentazione di settore deve essere
pertanto sostanzialmente identica, essendo
identica la finalità della regolamentazione
degli orari degli esercizi commerciali e
della potenza della diffusione sonora, fermo
restando la possibile differenziazione degli
strumenti di controllo, in relazioni alla
peculiarità delle situazioni (nella specie,
street bar), per accertare che non
sussistano violazione della regolamentazione
da parte degli operatori del settore (TAR
Emilia Romagna-Bologna, Sez. II,
sentenza 01.12.2010 n. 8094 -
link a www.ambientediritto.it). |
URBANISTICA:
Convenzione di lottizzazione -
Trasferimento dei suoli previsti dalla
convenzione - Ricorso allo strumento di cui
all’art. 2932 c.c. - Ammissibilità.
Lo strumento di cui all'art. 2932 c.c. è
utilizzabile non solo nel caso di
inadempimento di obblighi di stipulazione
discendenti da un contratto preliminare, ma
anche di obblighi aventi titolo nella legge.
Ne consegue che è ammissibile una sentenza
costitutiva ai sensi dell'art. 2932 c.c., a
carico del Comune, che disponga il
trasferimento al medesimo dei suoli previsti
in convenzione di lottizzazione, trattandosi
di obbligo che trova titolo nella previsione
di legge (nella specie dall'art. 28, comma
5, della legge n. 1150/1942 che subordina
l'autorizzazione comunale per la
lottizzazione di un'area alla stipula di una
convenzione, da trascriversi a cura del
proprietario, che preveda, tra l'altro, la
cessione gratuita entro termini prestabiliti
delle aree necessarie per le opere di
urbanizzazione primaria) (TAR Veneto, Sez.
II,
sentenza 01.12.2010 n. 6321 -
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EDILIZIA PRIVATA:
Demolizione delle opere abusive - Revoca o
sospensione - Istanza di condono o di
sanatoria successiva al passaggio in
giudicato della sentenza di condanna -
Giudice dell'esecuzione - Poteri e verifiche
- Fattispecie: manufatto abusivo ubicato in
zona vincolata - Art. 7, u.c., L. n. 47/1985
oggi art. 31, c. 9, D.P.R. n. 380/2001 -
Art. 32, c. 27, lett. d), D.L. n. 269/2003, conv. in L. n. 326/2003.
In materia urbanistica, ai fini della revoca
o sospensione dell'ordine di demolizione
delle opere abusive, (art. 7, ultimo comma,
della L. 28.02.1985, n. 47, oggi previsto
dall'art. 31, comma nono, del D.P.R.
06.06.2001, n. 380), in presenza di una
istanza di condono o di sanatoria successiva
al passaggio in giudicato della sentenza di
condanna, il giudice dell'esecuzione
investito della questione è tenuto ad una
attenta disamina dei possibili esiti e dei
tempi di definizione della procedura ed, in
particolare:
a) ad accertare il possibile risultato
dell'istanza e se esistono cause ostative al
suo accoglimento;
b) nel caso di insussistenza di tali cause,
a valutare i tempi di definizione del
procedimento amministrativo e sospendere
l'esecuzione solo in prospettiva di un
rapido esaurimento dello stesso (Cass. sez.
III, 26.09.2007 n. 38997, Di Somma; conf.
Cass. sez. IV, 05.03.2008 n. 15210, Romano;
Cass. sez. III, 12.12.2003 n. 3992 del 2004,
Russetti) (fattispecie: manufatto abusivo
ubicato in zona vincolata, non suscettibile
di sanatoria ai sensi dell'art. 32, comma
27, lett. d), del D.L. n. 269/2003,
convertito in L. n. 326/2003) (Corte di
Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 29.11.2010 n. 42189 -
link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Pertinenza urbanistica - Nozione -
Ampliamento di un edificio - Conducibilità
alla nozione di pertinenza - Esclusione.
La nozione di "pertinenza urbanistica"
ha peculiarità sue proprie, che la
distinguono da quella civilistica: deve
trattarsi, invero, di un'opera -che abbia
comunque una propria individualità fisica ed
una propria conformazione strutturale e non
sia parte integrante o costitutiva di altro
fabbricato- preordinata ad un'oggettiva
esigenza dell'edificio principale,
funzionalmente ed oggettivamente inserita al
servizio dello stesso, sfornita di un
autonomo valore di mercato, non valutabile
in termini di cubatura o comunque dotata di
un volume minimo tale da non consentire, in
relazione anche alle caratteristiche
dell'edificio principale, una sua
destinazione autonoma e diversa da quella a
servizio dell'immobile cui accede.
La relazione con la costruzione preesistente
deve essere, in ogni caso, non di
integrazione ma "di servizio", allo
scopo di renderne più agevole e funzionale
l'uso (carattere di strumentalità
funzionale), sicché non può ricondursi alla
nozione in esame l'ampliamento di un
edificio che per la relazione di connessione
fisica, costituisce parte di esso quale
elemento che attiene all'essenza
dell'immobile e lo completa affinché
soddisfi ai bisogni cui è destinato (Cass.,
Sez. 3: 29.05.2007, Rossi; 11.05.2005,
Grida; 17.01.2003, Chiappatone. Nello stesso
senso anche C. Stato, Sez. 5, 22.10.2007, n.
5515) (Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 29.11.2010 n. 42163 -
link a www.ambientediritto.it). |
APPALTI: Nel
bando di gara possono essere previsti
requisiti di partecipazione ristretti e
selettivi solo quando tali criteri
rispondano ad esigenze oggettive
dell'Amministrazione e non appaiano
sproporzionati, specie avuto riguardo
all’oggetto dell’appalto e all'esigenza di
non ridurre, oltre lo stretto
indispensabile, la platea dei potenziali
concorrenti e di non precostituire
situazioni di privilegio.
E' vero che la stazione appaltante ha il
potere discrezionale di fissare i requisiti
di partecipazione ad una gara, ma tale
potere va esercitato secondo criteri di
ragionevolezza, parità di trattamento ed
efficienza della azione amministrativa,
nonché dei principi, di derivazione
comunitaria, di concorrenza ed apertura del
mercato degli appalti pubblici (TAR
Lombardia Milano, sez. III, 27.08.2006, n.
1877).
Ne deriva che possono essere previsti
requisiti di partecipazione ristretti e
selettivi solo quando tali criteri
rispondano ad esigenze oggettive
dell'Amministrazione e non appaiano
sproporzionati, specie avuto riguardo
all’oggetto dell’appalto e all'esigenza di
non ridurre, oltre lo stretto
indispensabile, la platea dei potenziali
concorrenti e di non precostituire
situazioni di privilegio (TAR Lombardia,
Milano, Sez. I, 18.06.2007, n. 5269; cfr.,
più di recente: Cons. Stato, sez. V,
04.08.2010, n. 5201)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 29.11.2010 n. 7404 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: In
merito ai princìpi che governano l’esercizio
del potere di autoannullamento dei titoli
edilizi.
Giova premettere una breve sintesi dei
principi che governano l’esercizio del
potere di autoannullamento dei titoli
edilizi, enucleati dalla giurisprudenza di
questo Consiglio e sostanzialmente confluiti
nell’art. 21-nonies, l. n. 241 del 1990,
inapplicabile ratione temporis (cfr.
Cons. St., sez. IV, 21.12.2009, n. 8529;
sez. V, 06.12.2007, n. 6252; sez. V,
12.11.2003, n. 7218; sez. V, 24.09.2003, n.
5445; sez. V, 05.12.1995, n. 1782, cui si
rinvia a mente dell’art. 74 c.p.a.):
a)
presupposti dell’esercizio del potere di
annullamento d’ufficio con effetti ex
tunc sono l’illegittimità originaria del
provvedimento, l’interesse pubblico concreto
ed attuale alla sua rimozione diverso dal
mero ripristino della legalità, l’assenza di
posizioni consolidate in capo ai destinatari
(sotto tale angolazione si reputa
illegittimo l’annullamento di un titolo
edilizio fondato sopra un mutamento della
interpretazione consolidata di prescrizioni
di p.r.g. in assenza di qualsivoglia
condotta colpevole dell’interessato);
b)
l’esercizio del potere di autotutela è
espressione di rilevante discrezionalità che
non esime, tuttavia, l’amministrazione dal
dare conto, sia pure sinteticamente, della
sussistenza dei su menzionati presupposti;
c)
l’ambito della motivazione esigibile è
integrato dalla allegazione del vizio che
inficia il titolo edilizio dovendosi tenere
conto, per il resto:
I) del particolare atteggiarsi
dell’interesse pubblico in materia di tutela
del territorio e dei valori che su di esso
insistono (ambiente, paesaggio, salute,
sicurezza, beni storici e culturali) che
quasi sempre sono prevalenti rispetto a
quelli contrapposti dei privati;
II) della eventuale negligenza o della
malafede del privato che ha indotto in
errore l’amministrazione o ha approfittato
di un suo errore (ad es. rappresentando in
modo erroneo la situazione di fatto in base
alla quale è stato rilasciato il titolo o
sono stati individuati i legittimati
attivi);
d)
rimane ferma l’esigenza di assicurare che la
tutela del governo del territorio avvenga
senza imporre sacrifici inutili al privato
(tale profilo si coglie nell’art. 38 t.u.
ed. –inapplicabile ratione temporis-
che impone la sanzione pecuniaria solo in
caso di non emendabilità del vizio della
procedura o di impossibilità della
rimessione in pristino);
e)
pur non riscontrandosi un termine di
decadenza del potere di auto annullamento
del titolo edilizio, la caducazione che
intervenga ad una notevole distanza di tempo
e dopo che le opere sono state completate,
esige una più puntuale e convincente
motivazione a tutela del legittimo
affidamento
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 27.11.2010 n. 8291 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
salvaguardia dell'area di rispetto
cimiteriale di 200 metri prevista dall'art.
338 del R.D. 1265/1934 consiste in un
vincolo assoluto di inedificabilità che non
consente la collocazione di edifici o
comunque di opere ad esso incompatibili, in
considerazione dei molteplici interessi
pubblici che s’intendono tutelare e che
possono enuclearsi nelle esigenze di natura
igienico-sanitaria, nella salvaguardia della
peculiare sacralità che connota i luoghi
destinati all'inumazione ed alla sepoltura,
nel mantenimento di un'area di possibile
espansione della cinta cimiteriale.
La salvaguardia dell'area di rispetto
cimiteriale di 200 metri prevista dall'art.
338 del R.D. 1265/1934 consiste in un
vincolo assoluto di inedificabilità che non
consente la collocazione di edifici o
comunque di opere ad esso incompatibili, in
considerazione dei molteplici interessi
pubblici che s’intendono tutelare e che
possono enuclearsi nelle esigenze di natura
igienico-sanitaria, nella salvaguardia della
peculiare sacralità che connota i luoghi
destinati all'inumazione ed alla sepoltura,
nel mantenimento di un'area di possibile
espansione della cinta cimiteriale (cfr.,
altresì, TAR Lombardia Milano, sez. IV,
02.04.2010, n. 962; Cons. Stato, sez. IV,
08.10.2007, n. 5210, secondo cui il suolo
rientrante nella zona di rispetto
cimiteriale ed assoggettato al relativo
vincolo è da qualificare non edificabile ai
sensi dell'art. 5-bis, d.l. n. 333 del 1992
(conv. con modificazioni nella l. n. 359 del
1992), e determina una tipica situazione di
inedificabilità legale, assoluta, che non
richiede valutazioni in ordine alla concreta
compatibilità dell'uso con i valori tutelati
dal vincolo e non può dare ingresso ad
ipotesi alcuna di disparità di trattamento)
(TAR Sicilia-Palermo, Sez. II,
sentenza 26.11.2010 n. 14146 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: E'
carente di motivazione il diniego di
concessione in sanatoria fondato su un
generico contrasto dell’opera con leggi o
regolamenti in materia edilizia, dovendo
invece il diniego stesso soffermarsi sulle
disposizioni che si assumano ostative al
rilascio del titolo e sulle previsioni di
riferimento contenute negli strumenti
urbanistici, in modo da consentire
all’interessato da un lato di rendersi conto
degli impedimenti che si frappongono alla
regolarizzazione ed al mantenimento
dell’opera abusiva, dall’altro di confutare
in giudizio, in maniera pienamente
consapevole ed esaustiva, la legittimità del
provvedimento impugnato.
Il diniego di sanatoria risulta del tutto
privo di qualsiasi motivazione idonea a far
comprendere le ragioni in base alle quali si
è ritenuto di respingere la domanda proposta
dal ricorrente.
Ciò concreta la violazione dell’art. 3,
comma 1, della legge n. 241/1990, il quale
impone di esplicitare le ragioni di fatto e
di diritto giustificanti il provvedimento,
ovvero di individuare le norme applicate e
di evidenziare in maniera intellegibile il
contrasto dell’opera con le disposizioni che
si attaglino alla fattispecie, contenute
nella legge e/o nello strumento urbanistico
(TAR Toscana, III, 09/04/2009, n. 605; Cons.
Stato, V, 04/04/2006, n. 1750; idem,
23/04/1993, n. 502; TAR Puglia, Lecce, I,
25/03/1997, n. 206; idem, III, 21/11/2007,
n. 3932).
Invero, è carente di motivazione il diniego
di concessione in sanatoria fondato su un
generico contrasto dell’opera con leggi o
regolamenti in materia edilizia, dovendo
invece il diniego stesso soffermarsi sulle
disposizioni che si assumano ostative al
rilascio del titolo e sulle previsioni di
riferimento contenute negli strumenti
urbanistici, in modo da consentire
all’interessato da un lato di rendersi conto
degli impedimenti che si frappongono alla
regolarizzazione ed al mantenimento
dell’opera abusiva, dall’altro di confutare
in giudizio, in maniera pienamente
consapevole ed esaustiva, la legittimità del
provvedimento impugnato (TAR Toscana, III,
09/04/2009, n. 605; Cons. Stato, V,
23/04/1993, n. 502; TAR Toscana, II,
31/01/2000, n. 22; TAR Marche, 18/04/2001,
n. 996; TAR Lazio, Latina, 01/09/2004, n.
690)
(TAR Toscana, Sez. III,
sentenza 26.11.2010 n. 6646 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Una
pertinenza, per poter essere definita tale
dal punto di vista urbanistico, deve
possedere una propria individualità fisica
ed una propria conformazione strutturale e
non essere parte integrante o costitutiva di
altro fabbricato, ed inoltre essere
preordinata ad un'oggettiva esigenza
dell'edificio principale, funzionalmente ed
oggettivamente inserita al servizio dello
stesso, sfornita di un autonomo valore di
mercato, non valutabile in termini di
cubatura o comunque dotata di un volume
minimo tale da non consentire, in relazione
anche alle caratteristiche dell'edificio
principale, una sua destinazione autonoma e
diversa da quella a servizio dell'immobile
cui accede.
Una pertinenza, per poter essere definita
tale dal punto di vista urbanistico, deve
possedere una propria individualità fisica
ed una propria conformazione strutturale e
non essere parte integrante o costitutiva di
altro fabbricato, ed inoltre essere
preordinata ad un'oggettiva esigenza
dell'edificio principale, funzionalmente ed
oggettivamente inserita al servizio dello
stesso, sfornita di un autonomo valore di
mercato, non valutabile in termini di
cubatura o comunque dotata di un volume
minimo tale da non consentire, in relazione
anche alle caratteristiche dell'edificio
principale, una sua destinazione autonoma e
diversa da quella a servizio dell'immobile
cui accede.
In sostanza, la pertinenza esaurisce la
propria destinazione d'uso nel rapporto
funzionale con l'edificio principale, così
da non incidere sul carico urbanistico (tra
le tante, Consiglio di Stato, sez. IV,
05.03.2010, n. 1277; sez. IV, 31.03.2010, n.
1842)
(TAR Abruzzo-Pescara,
sentenza 17.11.2010 n. 1221 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: In
pendenza della domanda di sanatoria è
preclusa l'adozione di provvedimenti
repressivi dell'abuso edilizio, atteso che
nell'ipotesi di diniego della domanda di
sanatoria, l'Amministrazione dovrà adottare
nuova ingiunzione di demolizione, con
fissazione di nuovi termini per la spontanea
esecuzione.
Non può ritenersi che il comune sia tenuto a
valutare d’ufficio la sanabilità dell’opera
ai sensi dell’art. 36 del d.P.R. 380/2001,
atteso che tale previsione non risulta
contenuta in alcuna disposizione della
normativa vigente, secondo la quale è
rimessa all'esclusiva iniziativa della parte
interessata l'attivazione del procedimento
di accertamento di conformità urbanistica.
Il presupposto per l'adozione dell'ordine di
demolizione è costituto soltanto dalla
constatata esecuzione dell'opera in totale
difformità dalla concessione o in assenza
della medesima, con la conseguenza che tale
provvedimento è sufficientemente motivato
con l'affermazione dell'accertata abusività
dell'opera, essendo in re ipsa l'interesse
pubblico alla sua rimozione né, trattandosi
di atti del tutto vincolati, è necessaria
una comparazione di interessi ed una
motivazione sulla sussistenza di in
interesse pubblico concreto ed attuale alla
demolizione: è pacifico che l'interesse
pubblico alla demolizione di opere abusive è
in re ipsa.
Ai sensi degli artt. 38 e 44 della legge n.
47/1985, contenuti nel capo IV della legge
medesima, in pendenza della domanda di
sanatoria, è preclusa l'adozione di
provvedimenti repressivi dell'abuso
edilizio, atteso che nell'ipotesi di diniego
della domanda di sanatoria,
l'Amministrazione dovrà adottare nuova
ingiunzione di demolizione, con fissazione
di nuovi termini per la spontanea esecuzione
(ex multis, TAR Campania Napoli, sez.
VII, 21.03.2008, n. 1472).
Non può
ritenersi che il comune sia tenuto a
valutare d’ufficio la sanabilità dell’opera
ai sensi dell’art. 36 del d.P.R. 380/2001,
atteso che tale previsione non risulta
contenuta in alcuna disposizione della
normativa vigente, secondo la quale è
rimessa all'esclusiva iniziativa della parte
interessata l'attivazione del procedimento
di accertamento di conformità urbanistica
(cfr., ex multis, TAR Campania
Napoli, sez. VI, 06.11.2008, n. 19290).
Come più volte affermato in giurisprudenza,
infatti, “… in caso di ordine di
demolizione delle opere abusive non solo non
è necessaria la comunicazione di avvio del
procedimento ex art. 7, l. n. 241 del 1990
(trattasi, infatti, di atto dovuto e
rigorosamente vincolato, sicché non sono
richiesti apporti partecipativi del
destinatario), ma soprattutto, in quanto
atto vincolato -al pari di tutti i
provvedimenti sanzionatori in materia
edilizia- non richiede una specifica
valutazione delle ragioni di interesse
pubblico né una comparazione di quest'ultimo
con gli interessi privati coinvolti e
sacrificati.
Infatti, il presupposto per l'adozione
dell'ordine di demolizione è costituto
soltanto dalla constatata esecuzione
dell'opera in totale difformità dalla
concessione o in assenza della medesima, con
la conseguenza che tale provvedimento -ove
ricorrano i predetti requisiti- è
sufficientemente motivato con l'affermazione
dell'accertata abusività dell'opera, essendo
in re ipsa l'interesse pubblico alla sua
rimozione né, trattandosi di atti del tutto
vincolati, è necessaria una comparazione di
interessi ed una motivazione sulla
sussistenza di in interesse pubblico
concreto ed attuale alla demolizione: è
pacifico che l'interesse pubblico alla
demolizione di opere abusive è in re ipsa”
(cfr. TAR Campania Napoli, sez. VIII,
29.01.2009, n. 501)
(TAR Campania-Napoli, Sez. VI,
sentenza 15.11.2010 n. 24409 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
INQUINAMENTO ACUSTICO -
Classificazione acustica del territorio
comunale - Assenza - Applicazione dei limiti
differenziali - Esclusione.
Nelle more della classificazione del
territorio comunale ai sensi dell'art. 6,
comma 1, lett. a), della L. n. 447 del 1995,
sono operativi i soli limiti c.d. "assoluti"
di rumorosità, ma non anche quelli c.d. "differenziali"
(TAR per l’Emilia Romagna, sez. staccata di
Parma, sent. 18/09/2008, n. 385, 04/05/2005
n. 244 e 21/05/2008 n. 259; TAR Puglia -LE-
sez. I, 13/06/2007 n. 2334; TAR Friuli V.G.
24.04.2009, n. 275; TAR Lombardia -MI- sez.
I, 01/03/2004 n. 813; TAR Veneto, sez. III,
31/03/2004 n. 847) (TAR Emilia
Romagna-Bologna, Sez. II,
sentenza 15.11.2010 n. 8045 -
link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
presentazione dell’istanza di accertamento
di conformità ai sensi dell’art. 36 del
D.P.R. n. 380/2001, dopo l’impugnazione
dell’ordine di demolizione, produce
l’effetto di rendere improcedibile
l’impugnazione stessa per sopravvenuta
carenza di interesse deve mantenersi fermo
nel caso in cui le opere abusive realizzate
su un’area oggetto di un vincolo
paesaggistico-ambientale non abbiano
determinato la creazione di superfici utili
o volumi ovvero un aumento di quelli
legittimamente realizzati.
Trattandosi di opere abusive realizzate in
zona vincolata, che hanno comportato la
creazione di nuovi volumi e superfici,
nessuna rilevanza può assumere in questa
sede la domanda di accertamento di
conformità presentata dal ricorrente.
Infatti, secondo la giurisprudenza di questa
Sezione (ex multis, TAR Campania
Napoli, Sez. VII, 28.12.2007, n. 16540):
- l’orientamento giurisprudenziale secondo
il quale la presentazione dell’istanza di
accertamento di conformità ai sensi
dell’art. 36 del D.P.R. n. 380/2001, dopo
l’impugnazione dell’ordine di demolizione,
produce l’effetto di rendere improcedibile
l’impugnazione stessa per sopravvenuta
carenza di interesse deve mantenersi fermo
nel caso in cui le opere abusive realizzate
su un’area oggetto di un vincolo
paesaggistico-ambientale non abbiano
determinato la creazione di superfici utili
o volumi ovvero un aumento di quelli
legittimamente realizzati.
Infatti l’articolo 146, comma 4, del decreto
legislativo n. 42/2004 (applicabile anche al
procedimento autorizzatorio previsto per la
fase transitoria in base al successivo
articolo 159, comma 5) esclude dal divieto
di rilasciare l’autorizzazione paesaggistica
in sanatoria (ossia successivamente alla
realizzazione, anche parziale, degli
interventi) i casi previsti dall’articolo
167, comma 4, del medesimo decreto
legislativo, costituiti -oltre che
dall’impiego di materiali in difformità
dall’autorizzazione paesaggistica e dai
lavori comunque configurabili quali
interventi di manutenzione ordinaria o
straordinaria- dai “lavori, realizzati in
assenza o difformità dall’autorizzazione
paesaggistica, che non abbiano determinato
creazione di superfici utili o volumi ovvero
aumento di quelli legittimamente realizzati”;
- di converso, per i lavori realizzati in
assenza o difformità dall’autorizzazione
paesaggistica che -come nel caso in esame-
hanno determinato la creazione di superfici
utili o volumi devono mantenersi ferme le
conclusioni alle quali è pervenuta la
giurisprudenza (TAR Campania Napoli, Sez. VI,
21.11.2006, n. 10112), formatasi sulla base
del previgente testo dell’articolo 146,
comma 10, lettera c), del decreto
legislativo n. 42/2004 (che prevedeva il
divieto assoluto di rilasciare
l’autorizzazione paesaggistica in
sanatoria), in merito all’inidoneità della
presentazione dell’istanza di accertamento
di conformità a determinare l’inefficacia
dell’ordine di demolizione relativo a tali
lavori.
Infatti -a fronte del divieto di rilasciare
l’autorizzazione paesaggistica in sanatoria
per i lavori che hanno determinato la
creazione di superfici utili o volumi ovvero
un aumento di quelli legittimamente
realizzati- un’eventuale istanza di
accertamento di conformità ai sensi
dell’art. 36 del D.P.R. n. 380/2001 avrebbe
un intento meramente dilatorio, posto che
l’articolo 146, comma 4, del decreto
legislativo n. 42/2004 prevede espressamente
che “l’autorizzazione paesaggistica
costituisce atto … presupposto rispetto al
permesso di costruire”, e quindi il
giudice amministrativo -che nei casi di
attività vincolata deve oramai essere
considerato giudice del rapporto (ex
multis, TAR Campania Napoli, Sez. IV,
27.03.2006, n. 3200; 20.11.2006, n. 9983;
TAR Campania Napoli, Sez. VII, 20.11.2007,
n. 14442)- può senz’altro escluderne ogni
rilevanza, perché in tal caso è palese che
il contenuto dispositivo del provvedimento
impugnato (ossia l’ordine di demolizione)
non potrebbe essere diverso se
l’Amministrazione fosse chiamata a
pronunciarsi sulla richiesta di sanatoria
(TAR Campania-Napoli, Sez. VII,
sentenza 12.11.2010 n. 24213 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI:
Il possesso di un'impresa da
parte di una amministrazione pubblica è solo
uno degli elementi per verificarne
l'assoggettabilità obbligatoria alle
procedure di evidenza pubblica, essendo
decisiva la qualificazione del suo scopo
sociale.
Il possesso di un'impresa da parte di una
amministrazione pubblica è solo uno degli
elementi per verificarne l'assoggettabilità
obbligatoria alle procedure di evidenza
pubblica, essendo decisiva la qualificazione
del suo scopo sociale.
Nel caso di specie, relativa all'impugnativa
di una procedura selettiva indetta dalla
società intimata (costituita in forma di
società a responsabilità con unico socio, il
quale ultimo è identificabile nella Investia
s.r.l. il cui capitale appartiene a sua
volta al Comune) per acquisire i servizi
necessari alla gestione di due teatri, uno
di sua proprietà e un altro in proprietà del
Comune, lo scopo sociale dell'intimata
consiste nell'acquisto, gestione e
amministrazione di sale cinematografiche per
pubblici spettacoli nonché nella
compravendita e conduzione di terreni
agricoli; tali attività sono dirette alla
produzione di servizi e beni destinati ad
essere collocati sul mercato in regime di
libera concorrenza e pertanto l'intimata non
può qualificarsi come organismo di diritto
pubblico, né può comunque reputarsi tenuta
al rispetto delle procedure di evidenza
pubblica ai sensi dell'art. 32, comma 1,
lett. c), del d.lgs. 12.04.2006, n. 163.
Pertanto, sussiste, nel caso di specie,
difetto di giurisdizione a favore del
giudice ordinario ex art. 131, c. 1, lett.
e), del d.lgs. 02.07.2010 n. 104 (TAR
Toscana, Sez. I,
sentenza 20.10.2010 n. 6473 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
AGGIORNAMENTO AL 15.12.2010 |
ã |
NOTE,
CIRCOLARI E COMUNICATI |
EDILIZIA PRIVATA:
Codice dei beni culturali:
proposte emendative.
La Conferenza delle
Regioni e delle Province autonome ha
elaborato un documento di proposte
emendative riguardanti gli articoli 146 e
149 del Codice dei beni culturali e del
paesaggio.
Il testo è stato
licenziato nella riunione del 18.11.2010.
Le Regioni e le Province Autonome in esito
al lavoro compiuto dal gruppo di lavoro
istituito dal MIBAC, costituito a seguito
dell’intesa resa in occasione del confronto
per l’approvazione del DPR 139/2010, recante
disposizioni sulla semplificazione delle
procedure per gli interventi di lieve
entità, propongono di seguito modifiche agli
articoli 146 e 149 del Codice dei beni
culturali e del paesaggio.
Tali modifiche vanno nella direzione di una
migliore applicazione della norma superando
le attuali difficoltà interpretative.
In tal senso si vuole addivenire ad una
maggiore semplificazione delle procedure,
nella chiarezza del quadro delle competenze
dei livelli di Governo coinvolti nella
gestione del paesaggio.
Tale necessità è stata più volte
rappresentata al Governo negli ultimi anni,
anche in occasione della stipula dell’intesa
sul Piano per il rilancio dell’edilizia
privata, richiedendo oltre ad interventi
normativi semplificatori un potenziamento
delle strutture periferiche del MIBAC
finalizzato a superare le gravi difficoltà
operative delle sovrintendenze.
Nel merito la proposta si caratterizza, per
i seguenti punti:
- mantenimento del DPCM 12.12.2005 in attesa
della definitiva individuazione dei
contenuti dello studio paesaggistico;
- esclusione della preventiva verifica
urbanistico-edilizia oggetto di differenti
competenze e di distinto procedimento;
- ridefinizione dell’esercizio dei poteri
sostitutivi delle sovrintendenze;
- eliminazione del termine di 30 giorni di
sospensione dell’efficacia
dell’autorizzazione paesaggistica, poiché
chiunque sia legittimato potrà ricorrere ai
competenti organi giudiziari per
l’impugnativa dell’atto.
- quanto alle testo dell’art. 149, le
indicazioni proposte consistono in semplici
correzioni e precisazioni dei concetti in
esso contenuti (comunicato
18.11.2010 - link a
www.regioni.it). |
GURI - GUUE -
BURL (e anteprima) |
ENTI LOCALI - VAR: B.U.R.
Lombardia, 1° suppl. ord. al n. 49 del
10.12.2010, "Disciplina del Difensore
regionale"
(L.R.
06.12.2010 n. 18 - link a www.infopoint.it). |
NEWS |
APPALTI:
Contratti pubblici nulli senza tracciabilità
dei pagamenti.
Tutti i contratti di fornitura di beni e
servizi, nonché gli appalti di opere
pubbliche, stipulati dal 07.09.2010 in poi
tra un imprenditore e una pubblica
amministrazione devono contenere
l'indicazione del conto dedicato sul quale
transiteranno i relativi pagamenti,
attraverso bonifico bancario o postale o
altri strumenti di pagamento, idonei a
consentire la tracciabilità delle
operazioni.
Sono state emanate dall'Autorità di
vigilanza sui contratti pubblici, le linee
guida relative all'operatività della
normativa, per dare indicazioni puntuali
sulla concreta applicabilità degli obblighi
legislativi.
I soggetti sottoposti alle norme sulla
tracciabilità sono obbligati: ad utilizzare
conti correnti bancari o postali dedicati
alle commesse pubbliche, anche in via non
esclusiva; ad effettuare movimenti
finanziari relativi alle medesime commesse
pubbliche esclusivamente con bonifico
bancario o postale o con altri strumenti di
pagamento idonei a consentire la
tracciabilità delle operazioni; a indicare,
negli strumenti di pagamento relativi ad
ogni transazione, il codice identificativo
di gara e, ove obbligatorio ai sensi
dell’articolo 11 della legge 16.01.2003, n.
3, il codice unico di progetto.
La tracciabilità dei flussi finanziari trova
applicazione nei seguenti contratti:
contratti di appalto di lavori, servizi e
forniture; concessioni di lavori pubblici e
di servizi; contratti di partenariato
pubblico-privato, compresi i contratti di
locazione finanziaria; di subappalto e
subfornitura; contratti in economia,
compresi gli affidamenti diretti (link a
www.governo.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Permessi per l'assistenza a familiari
disabili, modificata la L. 104/1992.
Varie modifiche alla disciplina dei permessi
per l’assistenza alle persone con gravi
disabilità sono introdotte nell’ordinamento
dalla L. 183/2010 entrata in vigore il
24.11.2010. È stata parzialmente innovata la
disciplina dettata dalla Legge n. 104/1992,
e dal decreto legislativo n. 151/2001.
Tra le principali novità: restrizione dei
soggetti legittimati a fruire dei permessi;
eliminazione del requisito della convivenza;
decadenza nel caso di insussistenza dei
requisiti; istituzione della banca dati
presso il Dipartimento della funzione
pubblica.
Due circolari, del Dipartimento della
Funzione Pubblica (n. 13 del 06.12.2010), e
dell’INPS (n. 155, del 03.12.2010)
chiariscono le nuove norme.
Con la nuova norma la legittimazione alla
fruizione dei permessi per assistere una
persona in situazione di handicap grave
spetta al coniuge e ai parenti e affini
entro il secondo grado. La nuova
disposizione menziona espressamente il
coniuge tra i lavoratori titolari della
prerogativa; si passa inoltre dal terzo al
secondo grado di parentela.
È prevista un’eccezione per i casi in cui i
genitori o il coniuge della persona da
assistere abbiano compiuto i 65 anni di età
o siano anch’essi affetti da “patologie
invalidanti” oppure siano deceduti o “mancanti”:
in tali casi la legittimazione alla
titolarità di permessi è estesa anche ai
parenti e affini entro il terzo grado.
L’espressione “mancanti” deve essere
intesa non solo come situazione di assenza
naturale e giuridica (celibato o stato di
figlio naturale non riconosciuto), ma
comprende anche ogni altra condizione ad
essa giuridicamente assimilabile,
continuativa e debitamente certificata
dall’autorità giudiziaria o da altra
pubblica autorità, quale: divorzio,
separazione legale o abbandono.
Il concetto di “patologia invalidante”
consente l’estensione dal secondo al terzo
grado di parentela o affinità. Possono
considerarsi invalidanti: le patologie acute
o croniche che determinano temporanea o
permanente riduzione o perdita
dell'autonomia personale; le patologie acute
o croniche che richiedono assistenza
continuativa o frequenti monitoraggi
clinici; le patologie acute o croniche che
richiedono la partecipazione attiva del
familiare nel trattamento sanitario (link a
www.governo.it). |
VARI:
In viaggio con i bambini, una guida utile
per tutti i genitori.
Viaggiare, magari in Paesi lontani, è
certamente un’occasione di crescita per i
nostri figli ma può presentare anche dei
rischi, soprattutto per la salute dei più
piccoli.
I viaggi possono offrire ai bambini grandi
opportunità di divertimento, permettendo la
conoscenza di nuovi Paesi e tradizioni, che
possono arricchire il loro bagaglio
culturale; ogni viaggio può però
rappresentare anche un rischio per la
salute. Prima di intraprendere un viaggio è
necessario che i genitori siano
adeguatamente informati in merito ai più
frequenti rischi e alle patologie più comuni
che possono essere contratte.
Il ministro del turismo, Michela Vittoria
Brambilla, ha presentato, il 10.12.2010, un
vademecum “In viaggio con i bambini”
con l’obiettivo ridurre al minimo gli
imprevisti legati al viaggio e consentire ai
bambini e alle loro famiglie di vivere
l’esperienza della vacanza con la massima
serenità.
Un manuale pratico che affronta quattro
argomenti: le vaccinazioni necessarie per
viaggiare senza problemi nella maggior parte
dei Paesi in via di sviluppo, dove sono
endemiche malattie fortunatamente rare nei
Paesi sviluppati; la valutazione dei rischi
prima di mettersi in viaggio, quelli legati
al viaggio stesso e quelli legati
all’ambiente che per qualche tempo ci
ospiterà; il classico problema di che cosa
mettere in valigia; le precauzioni da
prendere una volta ritornati a casa (spesso
è consigliabile una visita di controllo
perché certe malattie possono manifestarsi
anche a distanza di tempo).
Questa regola vale soprattutto per bambini
affetti da patologie croniche (malattie
cardiorespiratorie, diabete mellito,
immunodeficienza), per coloro che sono stati
esposti ad una malattia infettiva durante il
viaggio o che hanno trascorso più di 3 mesi
in un Paese in via di sviluppo (link a
www.governo.it). |
GIURISPRUDENZA |
URBANISTICA:
La destinazione di un'area a zona
agricola ben può essere disposta a
salvaguardia del paesaggio o dell'ambiente.
La giurisprudenza è costante nel ritenere
che le scelte effettuate
dall'amministrazione in sede di
adozione-approvazione degli atti di
pianificazione del territorio costituiscano
apprezzamento di merito o, comunque,
espressione di ampia potestà discrezionale,
sottratto al sindacato di legittimità salvo
che non siano inficiate da errori di fatto o
abnormi illogicità (cfr., fra le tante,
Cons. Stato, Sez. IV, 21.05.2007, n. 2571).
Per giurisprudenza costante, invero, la
destinazione di un'area a zona agricola ben
può essere disposta a salvaguardia del
paesaggio o dell'ambiente e non presuppone
necessariamente che l'area stessa venga
utilizzata ad uso agricolo (cfr. Cons. St.,
sez. IV, 03.11.2008, n. 5478; Tar Trentino
Alto Adige-Trento, 09.02.2010, n. 41; Tar
Abruzzo, Pescara, sez. I, 12.01.2009, n. 33;
Tar Campania Napoli, sez. II, 23.09.2009, n.
5043) (TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 10.12.2010 n. 7508 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
Le scelte effettuate
dall'Amministrazione nell'adozione degli
strumenti urbanistici costituiscono
apprezzamento di merito sottratto al
sindacato di legittimità.
La tecnica di vietare -per le zone che hanno
una destinazione speciale- tutte le
destinazioni diverse è coerente con quanto
disposto dall’art. 1 comma 2 della LR
1/2001, in quanto la definizione in
dettaglio delle destinazioni ammesse in aree
specifiche è più chiara dell’elencazione di
tutte le destinazioni escluse.
Per giurisprudenza consolidata (cfr. da
ultimo Cons. St., Sez. IV, 13.10.2010 n.
7492), le scelte effettuate
dall'Amministrazione nell'adozione degli
strumenti urbanistici costituiscono
apprezzamento di merito sottratto al
sindacato di legittimità, salvo che esse
siano inficiate da errori di fatto o abnormi
illogicità. In particolare, la destinazione
data alle singole aree non necessita di
apposita motivazione, oltre quella che si
può evincere dai criteri generali, di ordine
tecnico discrezionale, seguiti
nell'impostazione del piano stesso, essendo
sufficiente l'espresso riferimento alla
relazione di accompagnamento al progetto di
modificazione al piano regolatore generale.
La Sezione ha già avuto modo di precisare
(cfr. TAR Brescia 20.06.2005 n. 628) che: “la
tecnica di vietare -per le zone che hanno
una destinazione speciale- tutte le
destinazioni diverse è coerente con quanto
disposto dall’art. 1 comma 2 della LR
1/2001, in quanto la definizione in
dettaglio delle destinazioni ammesse in aree
specifiche è più chiara dell’elencazione di
tutte le destinazioni escluse”,
soggiungendo che: “Quando le facoltà di
edificazione e utilizzazione di un’area sono
circoscritte per la natura stessa dell’area,
che ha già ricevuto un’impronta urbanistica
precisa, la formula che esclude le altre
destinazioni d’uso ha valore soltanto
formale, in quanto ribadisce la
particolarità della scelta urbanistica"
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 09.12.2010 n. 4809 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La semplice indicazione di una
strada nell’elenco delle strade comunali non
è sufficiente a comprovarne la natura
pubblica o privata.
La complessa vicenda processuale di cui ci
occupiamo trae origine dal ricorso proposto
dagli appellanti, proprietari di immobili
interessati da una determinata strada,
contro la Deliberazione del Consiglio
Comunale di un Comune piemontese avente ad
oggetto: la costituzione di un Consorzio
sulla stessa.
Invero, ad avviso degli appellanti, la
strada in questione avrebbe natura comunale
e, pertanto, risulterebbe illegittima la
costituzione del Consorzio in questione, in
quanto esclusivamente in ipotesi di strade
vicinali l’istituzione di un Consorzio per
la loro manutenzione, sistemazione e
ricostruzione sarebbe ammissibile.
Il Comune, invece, sostiene, di aver
dimostrato, nel corso del giudizio di primo
grado, la natura privata della strada in
questione e la conseguente legittimità della
costituzione del Consorzio, ribadendo che la
strada in menzione, oltre a non essere mai
stata inclusa negli elenchi delle vie
comunali (essendo stata, al contrario,
inserita nelle liste delle vie private), non
possiede le caratteristiche ed i requisiti
richiesti dalla normativa e dalla
giurisprudenza formatasi in materia al fine
di tale qualificazione.
Ma a tale riguardo, i giudici del Consiglio
di Stato osservano che la semplice
indicazione di una strada nell’elenco delle
strade comunali (o vicinali) non risulta
dirimente, considerato che tali elenchi
hanno natura meramente dichiarativa, e non
costitutiva, per cui detta inclusione non è
di per sé sufficiente a comprovare la natura
pubblica o privata di una strada.
In tal senso, infatti, ricordano i giudici
d’appello, si è espressa recentemente la
Corte di Cassazione, secondo cui "L’iscrizione
di una strada nell'elenco delle vie
pubbliche o gravate da uso pubblico non ha
natura costitutiva e portata assoluta, ma
riveste funzione puramente dichiarativa
della pretesa del Comune, ponendo una
semplice presunzione di pubblicità dell’uso,
superabile con la prova contraria della
natura della strada e dell’inesistenza di un
diritto di godimento da parte della
collettività mediante un’azione negatoria di
servitù” (Cass. Civ., Sez. Un.,
27.01.2010, n. 1624).
Considerata la natura meramente dichiarativa
degli elenchi in questione, la
giurisprudenza ha elencato ulteriori
requisiti da valutarsi al fine
dell’accertamento della natura di una
strada, quali l’uso pubblico (inteso come
l’utilizzo da parte di un numero
indeterminato di persone), l’ubicazione
della strada all’interno di luoghi abitati,
nonché il comportamento tenuto dalla
Pubblica Amministrazione nel settore
dell’edilizia e dell’urbanistica.
Di recente, inoltre, un’ulteriore pronuncia
della Suprema Corte ha affermato che “L’appartenenza
di una strada ad un ente pubblico
territoriale può essere desunta da una serie
di elementi presuntivi aventi i requisiti di
gravità, precisione e concordanza prescritti
dall’art. 2729 c.c., non potendo reputarsi,
a tal fine, elemento da solo sufficiente
l’inclusione o meno della strada stessa nel
relativo elenco, già previsto dall’art. 8
della legge n. 126 del 1958, avente natura
dichiarativa e non costitutiva, ed avendo
carattere relativo la presunzione di
demanialità di cui all’art. 22 della legge
n. 2248 del 1865, all. F” (nella specie,
la Suprema Corte ha confermato la sentenza
di merito che aveva riconosciuto ad una
strada natura comunale in forza di plurime
circostanze e, segnatamente, dall’inclusione
nelle mappe catastali, dalla classificazione
come comunale da parte del Consiglio
dell’ente territoriale, dall’attività di
manutenzione effettuata dall’ente,
dall’inclusione nella top onomastica
cittadina con attribuzione di numerazione
civica e, infine, dalla mancanza di elementi
validi a sostegno del contrario assunto
sulla natura privata della strada medesima:
Cass. Civ., Sez. II, 09.11.2009, n. 23705)
(commento tratto da
www.documentazione.ancitel.it - Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 07.12.2010 n. 8624 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il cambio di destinazione d’uso
di un immobile senza opere edilizie è
soggetto ad autorizzazione se non è
incompatibile con le previsioni funzionali
di zona.
La mancanza di un intervento legislativo
regionale volto a disciplinare criteri e
modalità del mutamento delle destinazioni
d’uso non significa che siffatta attività
possa considerarsi libera, atteso che la
lacuna non autorizza la violazione delle
regole generali che affidano alla
strumentazione urbanistica comunale il
corretto ed ordinato assetto del territorio
(cfr. Cons. St., sez. IV, 29.05.2008 n.
2561).
E' noto che il
cambio di destinazione d’uso di un immobile
senza opere edilizie non costituisce
immutazione urbanistica ai sensi dell’art. 1
della legge n. 10 del 1977 ed è, pertanto,
soggetto ad autorizzazione, non già
concessione, esclusivamente alle condizioni
che non implichi situazioni di
incompatibilità con le previsioni funzionali
di zona ed il piano regolatore non
diversifichi gli indici di edificazione a
seconda delle destinazioni (cfr. Cons. St.,
sez. V, 03.01.1998 n. 24 e 28.01.1997 n. 77)
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 07.12.2010 n. 8620 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Le valutazioni in ordine alla
gravità delle condanne e alla loro incidenza
sulla moralità professionale spettano
esclusivamente alla stazione appaltante.
La mancata allegazione di un documento o di
una dichiarazione previsti a pena di
esclusione non può considerarsi alla stregua
di un’irregolarità sanabile e, quindi, non
ne è permessa l’integrazione o la
regolarizzazione postuma, non trattandosi di
rimediare a vizi puramente formali, tanto
più quando non sussistano equivoci o
incertezze generati dall’ambiguità di
clausole della legge di gara, sicché la
fattispecie normativa di cui all’art. 46 del
d.lgs. n. 163 del 2006 non può servire a
sopperire alla carenza di un documento o di
una dichiarazione sostitutiva, pena la
violazione della par condicio tra i
concorrenti.
La comunicazione all’Autorità va fatta non
solo nel caso di riscontrato difetto dei
requisiti di ordine speciale in sede di
controllo a campione, ma anche in caso di
riscontrato difetto dei requisiti di ordine
generale senza necessità quindi di una
particolare motivazione per un onere di
natura vincolata, espressione dell’obbligo
di segnalazione all’Autorità di Vigilanza
sui contratti pubblici di tutte le false
dichiarazioni rese in sede di gara, ivi
comprese quelle relative ai requisiti di
carattere generale.
La giurisprudenza ha ripetutamente rilevato
che, per avere corredato l’offerta di
un’attestazione falsa o comunque non
conforme al modello imposto dalle norme di
gara, la ditta è per ciò solo soggetta
all’esclusione, posto che la mancata
dichiarazione incide non già sugli effetti
delle condanne taciute quanto piuttosto
sulla situazione di infedeltà, reticenza o
inaffidabilità della ditta stessa (v., da
ultimo, Cons. Stato, Sez. V, 08.10.2010 n.
7349).
Né ostava all’esclusione dalla gara
l’asserita circostanza che il pregresso
illecito penale fosse intrinsecamente
inidoneo ad incidere sulla moralità
professionale della concorrente.
Ribadito che l’esistenza di false
dichiarazioni circa i precedenti penali si
configura come causa autonoma di esclusione,
va altresì ricordato che, per costante
giurisprudenza (v., ex multis, Cons.
Stato, Sez. V, 11.05.2010 n. 2822), le
valutazioni in ordine alla gravità delle
condanne e alla loro incidenza sulla
moralità professionale spettano
esclusivamente alla stazione appaltante e
non già all’impresa, la quale è pertanto
obbligata ad indicare tutte le condanne
riportate, senza poterne autonomamente
operare una selezione sulla base di meri
criteri personali; è necessario, in altri
termini, che gli offerenti rendano
dichiarazioni complete e veritiere, con
l’esatta indicazione di tutti i precedenti
penali –salvo quelli espressamente esclusi
dalla lex specialis di gara–, in modo
da mettere la stazione appaltante in
condizione di svolgere la prescritta
valutazione sulla moralità professionale
dell’impresa concorrente.
Il che è tanto più vero, così escludendo
anche eventuali incertezze in chi è chiamato
a compilare il modello, quando –come nella
fattispecie– le norme di gara specifichino,
con apposita clausola, che vanno dichiarate
tutte le condanne penali e che è riservato
alla stazione appaltante ogni apprezzamento
in merito alla rilevanza degli illeciti
accertati dal giudice penale, onde il
silenzio del concorrente diviene causa di
estromissione dalla gara perché frutto
dell’inosservanza di una prescrizione della
lex specialis posta a pena di
esclusione (v. Cons. Stato, Sez. VI,
24.06.2010 n. 4019).
Né si tratta,
del resto, di prescrizione illegittima,
anche se impone ai concorrenti di informare
l’Amministrazione di qualsiasi precedente
penale, indipendentemente dalla natura del
reato e della pena irrogata.
Come la giurisprudenza ha avuto occasione di
precisare, simili disposizioni si presentano
ragionevoli, proporzionate e non
discriminatorie, perché mirano ad accelerare
la procedura di gara e a dare alla stazione
appaltante la certezza che non vengano
commesse omissioni che rischiano se non
altro di ritardare il corso del procedimento
e di aumentare il contenzioso, neppure
potendosi ipotizzare un contrasto con il
diritto comunitario –secondo il quale è
causa di esclusione solo la condanna per
gravi reati incidenti sulla moralità
professionale–, per non ostare il diritto
comunitario a che ulteriori cause di
esclusione siano previste dal legislatore
nazionale o dal bando di gara, purché
proporzionate e ragionevoli, e a che la
lex specialis imponga adempimenti
formali a pena di esclusione in funzione di
accelerazione della procedura di gara (v.
Cons. Stato, Sez. VI, n. 4019/2010 cit.).
-------------
Non ha poi ragione la ricorrente di invocare
la facoltà di cui all’art. 46 del d.lgs. n.
163 del 2006, e quindi l’indebita omessa sua
ammissione a fornire chiarimenti o a
completare la dichiarazione presentata in
sede di gara. Ed invero –come è stato ancora
di recente osservato (v. Cons. Stato, Sez.
V, 02.08.2010 n. 5084)– la mancata
allegazione di un documento o di una
dichiarazione previsti a pena di esclusione
non può considerarsi alla stregua di
un’irregolarità sanabile e, quindi, non ne è
permessa l’integrazione o la
regolarizzazione postuma, non trattandosi di
rimediare a vizi puramente formali, tanto
più quando non sussistano equivoci o
incertezze generati dall’ambiguità di
clausole della legge di gara, sicché la
fattispecie normativa di cui all’art. 46 del
d.lgs. n. 163 del 2006 non può servire a
sopperire alla carenza di un documento o di
una dichiarazione sostitutiva, pena la
violazione della par condicio tra i
concorrenti.
---------------
Le restanti censure investono la
segnalazione all’Autorità di Vigilanza sui
contratti pubblici e l’escussione della
garanzia provvisoria, misure che la
ricorrente ritiene prive di copertura
normativa o comunque non assistite da idonea
motivazione.
Sennonché, quanto alla prima, è stato già
rilevato che la comunicazione all’Autorità
va fatta non solo nel caso di riscontrato
difetto dei requisiti di ordine speciale in
sede di controllo a campione, ma anche in
caso di riscontrato difetto dei requisiti di
ordine generale (v. Cons. Stato, Sez. VI,
04.08.2009 n. 4907), senza necessità quindi
di una particolare motivazione per un onere
di natura vincolata, espressione
dell’obbligo di segnalazione all’Autorità di
Vigilanza sui contratti pubblici di tutte le
false dichiarazioni rese in sede di gara,
ivi comprese quelle relative ai requisiti di
carattere generale (v. TAR Valle d’Aosta
10.03.2010 n. 21); quanto alla seconda,
invece, va ricordato che la possibilità di
incamerare la cauzione discende direttamente
dall’art. 75, comma 6, del d.lgs. n. 163 del
2006, a tenore del quale la cauzione copre “…la
mancata sottoscrizione del contratto per
fatto dell’affidatario …”, posto che è
da considerare tale qualunque ostacolo alla
stipulazione riconducibile all’impresa, e
quindi non solo il rifiuto di stipulare o il
difetto di requisiti speciali, ma anche il
difetto di requisiti generali (v. Cons.
Stato, Sez. VI, n. 4907/2009 cit.; v.,
inoltre, TAR Umbria 26.06.2009 n. 361)
(TAR Emilia Romagna-Parma,
sentenza 07.12.2010 n. 523 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L’ordine di demolizione di
un’opera edilizia abusiva è sufficientemente
motivato con l’affermazione dell’accertata
abusività dell'opera.
Costituisce orientamento consolidato della
giurisprudenza quello secondo il quale,
l’ordine di demolizione di un’opera edilizia
abusiva è sufficientemente motivato con
l’affermazione dell’accertata abusività
dell'opera, salva l’ipotesi in cui, per il
lungo lasso di tempo trascorso dalla
commissione dell’abuso ed il protrarsi
dell’inerzia dell’amministrazione preposta
alla vigilanza, si sia ingenerata una
posizione d’affidamento nel privato; in
relazione a detta ultima ipotesi, si ravvisa
un onere di congrua motivazione che, avuto
riguardo anche all’entità e alla tipologia
dell’abuso, indichi il pubblico interesse,
diverso da quello al ripristino della
legalità, idoneo a giustificare il
sacrificio del contrapposto interesse
privato (cfr., Cons. Stato, IV, 14.05.2007,
n. 2441; V, 29.05.2006, n. 3270; C.si.,
23.04.2001 n. 183) (TAR Umbria,
sentenza 07.12.2010 n. 522 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: I
volumi tecnici non possono essere ubicati
all’interno della parte abitativa, sicché
non sono tali i locali complementari
all’abitazione come i bagni, destinati a
formare un’unica unità abitativa e privi di
una effettiva destinazione ad impianti
tecnologici.
L’intervento autorizzato in favore del
controinteresato determina un sensibile
aumento di volumetria non riconducibile al
concetto di volume tecnico, trattandosi di
vano adibito, non già alla allocazione di
impianti strumentali alla costruzione
(impianti idrici, termici ecc.), bensì a
cucina.
Inoltre, da parte della giurisprudenza è
stato sottolineato che i volumi tecnici non
possono essere ubicati all’interno della
parte abitativa, sicché non sono tali i
locali complementari all’abitazione (cfr.
Cons. St. Sez. V 13.05.1997, n. 483), come i
bagni, destinati a formare un’unica unità
abitativa e privi di una effettiva
destinazione ad impianti tecnologici (TAR
Puglia-Bari, Sez. II,
sentenza 30.11.2010 n. 3997 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI: La
pubblicazione all’albo pretorio per 15
giorni consecutivi di una deliberazione
comunale implica presunzione di conoscenza,
con la conseguenza che è dall’ultimo giorno
di pubblicazione che decorre il termine
decadenziale di 60 giorni per proporre
impugnazione avverso detto atto per i terzi
interessati, ossia per quei soggetti non
contemplati nell’atto o comunque ai quali
quest’ultimo non sia in ogni caso
riferibile.
Si richiama l’insegnamento della
giurisprudenza secondo il quale la
pubblicazione all’albo pretorio per 15
giorni consecutivi di una deliberazione
comunale implica presunzione di conoscenza,
con la conseguenza che è dall’ultimo giorno
di pubblicazione che decorre il termine
decadenziale di sessanta giorni per proporre
impugnazione avverso detto atto per i terzi
interessati, ossia per quei soggetti non
contemplati nell’atto o comunque ai quali
quest’ultimo non sia in ogni caso riferibile
(per tutte, da ultimo, Cons. di Stato, sez.
IV, n. 2287/2006).
L’intervento autorizzato in favore del
controinteresato determina un sensibile
aumento di volumetria non riconducibile al
concetto di volume tecnico, trattandosi di
vano adibito, non già alla allocazione di
impianti strumentali alla costruzione
(impianti idrici, termici ecc.), bensì a
cucina.
Inoltre, da parte della giurisprudenza è
stato sottolineato che i volumi tecnici non
possono essere ubicati all’interno della
parte abitativa, sicché non sono tali i
locali complementari all’abitazione (cfr.
Cons. St. Sez. V 13.05.1997, n. 483), come i
bagni, destinati a formare un’unica unità
abitativa e privi di una effettiva
destinazione ad impianti tecnologici (TAR
Puglia-Bari, Sez. II,
sentenza 30.11.2010 n. 3997 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Gli
atti sanzionatori in materia edilizia
–attesa la loro natura rigidamente
vincolata– non risultano viziati ove non
preceduti dalla comunicazione di avvio del
procedimento.
L’ordine di demolizione di opera edilizia
abusiva è sufficientemente motivato con la
affermazione della accertata abusività
dell'opera, salva la l'ipotesi in cui, per
il protrarsi e il lungo lasso di tempo
trascorso dalla commissione dell'abuso e il
protrarsi della inerzia dell'amministrazione
preposta alla vigilanza, si sia ingenerata
una posizione di affidamento nel privato,
ipotesi questa sola, in relazione alla quale
si ravvisa un onere di congrua motivazione
che, avuto riguardo anche alla entità e alla
tipologia dell'abuso, indichi il pubblico
interesse, evidentemente diverso da quello
al ripristino della legalità, idoneo a
giustificare il sacrificio del contrapposto
interesse privato.
Per giurisprudenza consolidata gli atti
sanzionatori in materia edilizia –attesa la
loro natura rigidamente vincolata– non
risultano viziati ove non preceduti dalla
comunicazione di avvio del procedimento
(cfr., ex multis, Cons. Stato, sez.
IV, 26.09.2008, n. 4659; sez. V, 19.09.2008,
n. 4530), e ciò anche alla luce delle
disposizioni recate dall’art. 21-octies
della stessa legge n. 241/1990 (cfr., Cons.
Stato, sez. IV, 15.05.2009, n. 3029.
Per giurisprudenza consolidata, l’ordine di
demolizione di opera edilizia abusiva è
sufficientemente motivato con la
affermazione della accertata abusività
dell'opera, salva la l'ipotesi in cui, per
il protrarsi e il lungo lasso di tempo
trascorso dalla commissione dell'abuso e il
protrarsi della inerzia dell'amministrazione
preposta alla vigilanza, si sia ingenerata
una posizione di affidamento nel privato,
ipotesi questa sola, in relazione alla quale
si ravvisa un onere di congrua motivazione
che, avuto riguardo anche alla entità e alla
tipologia dell'abuso, indichi il pubblico
interesse, evidentemente diverso da quello
al ripristino della legalità, idoneo a
giustificare il sacrificio del contrapposto
interesse privato (Consiglio Stato, sez. IV,
06.06.2008, n. 2705; Consiglio Stato, sez.
V, 04.03.2008, n. 883) (TAR Toscana, Sez.
III,
sentenza 26.11.2010 n. 6644 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La costruzione di una tettoria
non può essere qualificata come intervento
di ristrutturazione, né, tantomeno, come
intervento “conservativo degli edifici
esistenti”, mancandone il presupposto
principale, ovvero la preesistenza di un
organismo edilizio da recuperare.
Infatti, la ristrutturazione, sia essa
riferita a immobili o a strutture precarie,
presuppone la sussistenza in atto
dell’organismo edilizio da trasformare.
La costruzione della tettoia da parte dei
ricorrenti non può essere qualificata come
intervento di ristrutturazione, né,
tantomeno, come intervento “conservativo
degli edifici esistenti”, mancandone il
presupposto principale, ovvero la
preesistenza di un organismo edilizio da
recuperare.
Infatti, la ristrutturazione, sia essa
riferita a immobili o a strutture precarie,
presuppone la sussistenza in atto
dell’organismo edilizio da trasformare
(cfr., ex multis, TAR Toscana, sez.
III, 18.02.2005 n. 846; Cons. di Stato, sez.
IV, 05.07.2000 n. 3735; TAR Liguria, sez. I,
18.11.2004 n. 1556; TAR Piemonte, sez. I,
14.01.2004 n. 15; Cons. di Stato, sez. V,
15.01.1997 n. 45).
Preesistenza in atto riferibile sia al
momento della formulazione della domanda che
a quello successivo di concessione del
titolo abilitativo l’intervento.
È sintomatica a riguardo la lettera
dell’art. 10, lett. c), t.u. d.P.R. n. 380
del 2001 laddove, in continuità con la
previsione dell’art. 31, lett. c), l. n. 457
del 1978, qualifica l’intervento di
ristrutturazione come volto alla
realizzazione di un organismo edilizio
diverso dal precedente, non precisando il
momento temporale entro il quale si debba
accertare la preesistenza.
Tant’è che un orientamento giurisprudenziale
–condiviso dal Collegio- assume che, anche
in corso di esecuzione dei lavori di
ristrutturazione, la struttura essenziale
dell’immobile, oggetto di intervento, debba
essere ancora in loco sussistente (Cons.
St., sez. V, 15.01.1997 n. 45; Cons. St.,
sez. IV, 05.07.2000 n. 3735), dovendosi in
mancanza ritenere che l’intervento non sia
di ristrutturazione ma di nuova costruzione
(TAR Toscana, Sez. III,
sentenza 26.11.2010 n. 6643 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AGGIORNAMENTO AL 14.12.2010 |
ã |
NOTE,
CIRCOLARI E COMUNICATI |
URBANISTICA:
Circolare Valutazione Ambientale
Strategica - VAS nel contesto comunale.
In data 10.11.2010 la Giunta regionale con
atto n. 9/761, ha approvato la “Determinazione
della procedura di Valutazione ambientale di
piani e programmi – VAS (art. 4, l.r. n.
12/2005; d.c.r. n. 351/2007) – Recepimento
delle disposizioni di cui al d.lgs.
29.06.2010, n. 128, con modifica ed
integrazione delle dd.g.r. 27.12.2008, n.
8/6420 e 30.12.2009, n. 8/10971“,
pubblicata sul BURL n. 47, 2° SS del
25.11.2010.
Al fine di assicurare il necessario supporto
operativo ai Comuni impegnati nella
predisposizione dei PGT è stata predisposta
ed approvata con
decreto
D.S. la
circolare “L’applicazione
della Valutazione ambientale di piani e
programmi – VAS nel contesto comunale”,
che fornisce risposte concrete ai quesiti
formulati agli uffici comunali.
Sul sito web regionale alla sezione VAS e
sul sito sivas alla sezione normativa
regionale, oltre alla circolare sopra citata
è altresì disponibile il testo coordinato
della deliberazione sulla Valutazione
ambientale – VAS, comprendente tutti gli
allegati e modelli approvati (comunicato
10.12.2010 - link a
www.regione.lombardia.it). |
DOTTRINA &
CONTRIBUTI |
EDILIZIA PRIVATA:
W. Fumagalli,
Il
procedimento semplificato di autorizzazione
paesaggistica (1^ parte) (AL n.
09-10/2010). |
NEWS |
APPALTI: Appalti,
progetti con il bollino blu. Livelli più
definiti e verifica affidabile anche a terzi
con gara.
Al via la verifica dei
progetti anche affidabile a terzi con gara;
maggiore definizione nei livelli
progettuali, nel documento preliminare alla
progettazione e negli studi di fattibilità;
applicabilità alle regioni di tutte le norme
del regolamento, tranne quelle
sull'organizzazione amministrativa oggetto
di competenza regionale: sono queste alcune
delle maggiori novità contenute nel
regolamento del codice dei contratti
pubblici, pubblicato sul supplemento
all'ordinario alla Gazzetta ufficiale n. 288
del 10/12/2010.
Si conclude così un iter durato più di tre
anni e si potrà mandare in soffitta
l'attuale dpr 554/1999 (nonché altri
numerosi provvedimenti fra cui anche il dpr
34/2000 sulla qualificazione Soa, tutti
inglobati nel nuovo regolamento), a sua
volta nato come regolamento dell'ormai
abrogata legge Merloni, oggi sostituita dal
Codice dei contratti pubblici (digs
163/2006).
Ambito di applicazione.
Sul piano soggettivo il regolamento si
applica ai contratti delle amministrazioni
ed enti statali, ma anche, relativamente
agli ambiti indicati nell'articolo 4, comma
3, del codice e rientranti in materie di
competenza legislativa esclusiva dello stato
ai sensi dell'articolo 117, comma 2, della
Costituzione, ai contratti di altre
amministrazioni o soggetti equiparati.
Nei riguardi delle regioni e province
autonome la fonte regolamentare fissa quali
disposizioni siano applicabili anche alle
regioni. Nella sostanza, in relazione ai
contenuti specifici del regolamento, risulta
attratta nella competenza esclusiva statale
la totalità della disciplina prevista dal
regolamento, ad esclusione delle
disposizioni relative agli organi del
procedimento e alla programmazione nei
contratti relativi a lavori, servizi e
forniture che rimane attratta nella
competenza delle regioni. Responsabile del
procedimento. ...
(articolo ItaliaOggi
del 13.12.2010 - tratto da www.corteconti.it). |
APPALTI: Piccoli
affidamenti, Più trasparenza.
Gare di progettazione
con tetto al ribasso; scelta del progettista
con il criterio dell'offerta economicamente
più vantaggiosa; nuova formula per
attribuire i punteggi per le offerte
economiche; più trasparenza per i piccoli
affidamenti; nell'appalto integrato
obbligatoria la qualificazione progettuale e
maggiori tutele per il pagamento del
compenso del progettista.
Sono questi alcuni dei punti di maggiore
rilievo contenuti nel regolamento del Codice
dei contratti pubblici.
Le gare di progettazione.
Uno degli elementi di maggiore rilievo è
l'obbligo per le stazioni appaltanti di
indicare un limite massimo ai ribassi sul
prezzo; l'effetto sarà quello di rendere
tale elemento ininfluente rimanendo la
scelta del progettista fondata su
valutazioni di tipo prevalentemente
qualitativo.
Le amministrazioni potranno stabilire nel
bando che l'apertura delle buste economiche
avvenga soltanto a condizione che il
concorrente abbia superato un determinato
valore del punteggio per la parte tecnica.
L'aggiudicazione degli incarichi per servizi
di ingegneria e architettura verrà
effettuata con il criterio dell'offerta
economicamente più vantaggiosa, anche se il
Codice prevede anche il massimo ribasso.
Viene introdotta una nuova formula per
attribuire i punteggi all'elemento prezzo
quando si aggiudica con il criterio
dell'offerta economicamente più vantaggiosa,
che avrà l'effetto di limitare i ribassi
eccessivi attribuendo in maniera non lineare
i punteggi. ...
(articolo ItaliaOggi
del 13.12.2010 - tratto da www.corteconti.it). |
PUBBLICO IMPIEGO: Stretta
sui congedi per assistere i disabili.
Abrogata la norma che consentiva
l'astensione anche ai familiari non
conviventi entro il terzo grado.
Per il figlio portatore di handicap entrambi
i genitori hanno diritto ad assentarsi dal
posto di lavoro: il permesso, tuttavia, può
essere fruito dai genitori solo
alternativamente.
Lo stabilisce l'art. 24 della legge 183/2010
che apporta sostanziali modifiche ...
(articolo
Il Sole 24 Ore del 13.12.2010 -
link a www.ecostampa.com). |
CORTE DEI
CONTI |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Mobilità
in uscita senza sostituzione. Non è
possibile indire concorsi per coprire il
personale trasferito ad altro ente. Corte
dei conti/1. La pronuncia delle sezioni
riunite di controllo rischia di limitare il
ricorso a tali procedure.
La mobilità in uscita non costituisce
cessazione e, quindi, non consente là
sostituzione tramite concorsi, ma solamente
con assunzioni in mobilità. E può essere
sostituita tramite concorso solo se è
diretta a un ente che non ha vincoli alle
assunzioni.
È questa la principale indicazione contenuta
nel
parere 06.12.2010
n. 59 della Corte dei conti, sezioni
riunite di controllo.
Una pronuncia che limiterà fortemente le
autorizzazioni alla mobilità in uscita e
spingerà molte amministrazioni locali a
stabilire nei propri regolamenti il divieto
di concedere il trasferimento ad altro ente
prima che siano decorsi alcuni anni dalla
assunzione.
La Corte dei conti, con questa pronuncia, in
parte ribadisce e in parte modifica
l'orientamento già assunto dalla sezione
autonomie con il parere n. 21/2009,
orientamento messo di recente in discussione
dalle sezioni regionali della Sardegna e
della Liguria, per le quali «il
trasferimento per mobilità sarebbe a tutti
gli effetti da considerare, da un lato,
quale cessazione per l'ente di partenza e,
dall'altro, quale assunzione per l'ente di
destinazione». ...
(articolo ItaliaOggi
del 13.12.2010 - tratto da www.corteconti.it). |
GIURISPRUDENZA |
EDILIZIA PRIVATA:
L'autorizzazione paesaggistica
costituisce atto autonomo e presupposto
rispetto al permesso di costruire, che
secondo consolidata giurisprudenza si
sostanzia in un rapporto di presupposizione
necessitato e strumentale tra valutazioni
paesistiche e urbanistiche.
La tutela del paesaggio, avente valore
costituzionale e funzione di preminente
interesse pubblico, non è riducibile a
quella dell’urbanistica, la quale risponde
ad esigenze diverse e che, in ogni caso, non
inquadra in una visione globale il
territorio sotto il profilo
paesaggistico-ambientale, rispetto al quale
l’edificabilità dei suoli, seppure
consentita dal PRG in vigore, va comunque
coordinata quantomeno in relazione al dovuto
nulla osta (Consiglio Stato, VI, 21.06.2006,
n. 1903).
A norma dell’art. 146 del d.lvo 22.01.2004
n. 42, inoltre, l'autorizzazione
paesaggistica costituisce atto autonomo e
presupposto rispetto al permesso di
costruire, che secondo consolidata
giurisprudenza si sostanzia in un rapporto
di presupposizione necessitato e strumentale
tra valutazioni paesistiche e urbanistiche
(Consiglio Stato, VI, 03.12.2009, n. 7570;
Corte Cost., 23.07.1997, n. 262): vale a
dire che questi due apprezzamenti si
esprimono entrambi sullo stesso oggetto,
l’uno, in termini di compatibilità
paesaggistica dell’intervento edilizio
proposto e, l’altro, in termini di sua
conformità urbanistico-edilizia
di causa
(Consiglio
di Stato, Sez. IV,
sentenza 27.11.2010 n. 8260 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La realizzazione di autorimesse e
parcheggi è soggetta alla disciplina
urbanistica dettata per le ordinarie nuove
costruzioni fuori terra, “se non effettuata
totalmente al di sotto del piano di campagna
naturale”.
A termini
dell’art. 9 della legge 24.03.1989, n. 122,
la realizzazione di autorimesse e parcheggi
è soggetta alla disciplina urbanistica
dettata per le ordinarie nuove costruzioni
fuori terra, “se non effettuata
totalmente al di sotto del piano di campagna
naturale” (Cons. St., IV, 11.11.2006, n.
6065; V, 29.03.2004, n. 1662).
Nel caso in esame, a quanto consta, il
parcheggio è interrato (corrispondente al
terzo o quarto o quinto livello, a secondo
delle prospettazioni), che non comporta la
creazione di nuova volumetria esterna e non
è opera rilevante ai fini delle altezze
perché, l’apertura di un varco carrabile
fuori terra per l’accesso all’autorimessa
interrata (trincea), non fa mutare le
caratteristiche strutturali della
costruzione principale a livello di
superficie, in quanto mero accessorio
pertinenziale dell’edificio stesso
(Consiglio
di Stato, Sez. IV,
sentenza 27.11.2010 n. 8260 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il muro
di contenimento, quale entità corrispondente
senza alcuna variazione al dislivello
naturale dei fondi, non può essere presa in
considerazione nel calcolo dell'altezza
della costruzione, da misurarsi dal piano di
campagna al fine di determinarne la distanza
da osservare rispetto alle costruzioni del
vicino, sia perché le costruzioni
sottostanti al piano di campagna che separa
i fondi in dislivello non può per
definizione considerarsi <frontistante> e
quindi in violazione del disposto della
norma di cui all'art. 17 della legge n. 765
del 1967 come inteso a distanziare le
costruzioni in rapporto alla reciproca
altezza.
“Il muro di contenimento, quale entità
corrispondente senza alcuna variazione al
dislivello naturale dei fondi, non può
essere presa in considerazione nel calcolo
dell'altezza della costruzione, da misurarsi
dal piano di campagna al fine di
determinarne la distanza da osservare
rispetto alle costruzioni del vicino, sia
perché le costruzioni sottostanti al piano
di campagna che separa i fondi in dislivello
non può per definizione considerarsi <frontistante>
e quindi in violazione del disposto della
norma di cui all'art. 17 della legge n. 765
del 1967 come inteso a distanziare le
costruzioni in rapporto alla reciproca
altezza” (Cass. Civ., sez. II,
17.10.1992, n. 11435).
Come emerge dagli atti processuali, trattasi
di costruzione completamente interrata con
coronatura di muro a secco, avente unica ed
esclusiva funzione di contenimento del
terreno esistente nel dislivello, nella
fattispecie necessitato proprio dalla
significativa acclività del suolo,
assolvendo così alla specifica finalità di
protezione del fondo da smottamenti del
terreno ovvero da possibili movimenti
franosi
(Consiglio
di Stato, Sez. IV,
sentenza 27.11.2010 n. 8260 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L'Amministrazione,
nell’annullare d’ufficio la licenza, deve
adottare la soluzione che in concreto si
palesa meno pregiudizievole per l’insieme
delle esigenze da considerare, tenendo anche
conto che alla realizzazione della
situazione ha per lo meno concorso la stessa
Amministrazione ed ispirandosi all’esigenza
che il provvedimento non risulti incongruo o
iniquo.
"Nei casi in
cui il Comune rilascia licenze di
costruzione per edifici di altezza eccedente
le misure massime consentite dagli strumenti
urbanistici vigenti, l’eventuale
annullamento in via amministrativa o
giurisdizionale non deve investire le
licenze stesse nella loro interezza, bensì
solo per la parte irregolare del progetto”
ed, inoltre, “l’Amministrazione,
nell’annullare d’ufficio la licenza, deve
adottare la soluzione che in concreto si
palesa meno pregiudizievole per l’insieme
delle esigenze da considerare, tenendo anche
conto che alla realizzazione della
situazione ha per lo meno concorso la stessa
Amministrazione ed ispirandosi all’esigenza
che il provvedimento non risulti incongruo o
iniquo” (Cons. St., sez. V: 11.01.1980,
n. 2; 03.02.1978, n. 150; 22.02.1974, n.
191; 30.11.1973, n. 958);
“La misura repressiva in materia
urbanistica presuppone una preventiva
valutazione, sotto il profilo qualitativo e
quantitativo, dell'entità dell'abuso
edilizio e, pertanto, essa può essere
correttamente adottata soltanto quando siano
state stabilite in via definitiva le
modalità costruttive assentite
dall'amministrazione, perché solo da quel
momento può determinarsi, in via
differenziale, l'entità dell'abuso sulla
base di un raffronto tra l'attività
edilizia, formalmente assentita (sia pure ex
post) e l'attività edilizia in concreto
realizzata” (C.G.A., 27.01.1987, n. 2)
(Consiglio
di Stato, Sez. IV,
sentenza 27.11.2010 n. 8260 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L'incremento dell'altezza e del
volume di un fabbricato, dovuta
all'emersione fuori terra di volumi tecnici
o di cubature accessorie, a seguito di una
diversa ubicazione dell'edificio sul lotto,
rispetto a quella in precedenza assentita,
non comporta una variazione essenziale del
progetto, posto che la normativa nazionale
di cui all'art. 8 l. n. 47 del 1985 esclude
espressamente volumi e cubature di tale
natura dal computo del volume assentibile.
Si verifica la difformità totale di un
manufatto allorché i lavori riguardino
un'opera diversa da quella prevista
dall'atto di concessione: diversa per
conformazione, strutturazione, destinazione,
ubicazione; mentre si configura la
difformità parziale quando le modificazioni
incidano su elementi particolari e non
essenziali della costruzione e si
concretizzino in divergenze qualitative e
quantitative non incidenti sulle strutture
essenziali dell'opera.
“L'incremento dell'altezza e del volume
di un fabbricato, dovuta all'emersione fuori
terra di volumi tecnici o di cubature
accessorie, a seguito di una diversa
ubicazione dell'edificio sul lotto, rispetto
a quella in precedenza assentita, non
comporta una variazione essenziale del
progetto, posto che la normativa nazionale
di cui all'art. 8 l. n. 47 del 1985 esclude
espressamente volumi e cubature di tale
natura dal computo del volume assentibile”
(Cons. St., sez. V, 27.04.2006, n. 2363).
Ai sensi della legge 28.01.1977, n. 10 sulla
edificabilità dei suoli, ed in modo non
dissimile gli artt. 8, 20 e 32 della legge
28.02.1985, n. 47 (salvo l’aggravamento
delle sanzioni), si verifica la difformità
totale di un manufatto allorché i lavori
riguardino un'opera diversa da quella
prevista dall'atto di concessione: diversa
per conformazione, strutturazione,
destinazione, ubicazione; mentre si
configura la difformità parziale quando le
modificazioni incidano su elementi
particolari e non essenziali della
costruzione e si concretizzino in divergenze
qualitative e quantitative non incidenti
sulle strutture essenziali dell'opera
(Cassazione penale, sez. III, 07.10.1987),
come al limite accade nella vicenda di causa
(Consiglio
di Stato, Sez. IV,
sentenza 27.11.2010 n. 8260 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI: Atti
illegittimi. La P.A. risarcisce solo i casi
gravi.
In sede di accertamento della responsabilità
della pubblica Amministrazione per danno a
privati conseguenti ad un atto illegittimo
da essa adottato il Giudice amministrativo
può quindi affermare la responsabilità solo
quando la violazione risulti grave e
commessa in un contesto di circostanze di
fatto e in un quadro di riferimenti
normativi e giuridici tali da palesare la
negligenza e l'imperizia dell'organo
nell'assunzione del provvedimento viziato,
negandola invece quando l'indagine conduce
al riconoscimento dell'errore scusabile per
la sussistenza di contrasti giudiziari, per
l'incertezza del quadro normativo di
riferimento o per la complessità della
situazione di fatto (in termini: Consiglio
Stato, sez. V, 13.04.2010, n. 2029).
Così il Consiglio di Stato, Sez. V, nella
sentenza 25.11.2010 n. 8229 ...
(articolo
Il Sole 24 Ore del 13.12.2010 -
link a www.ecostampa.com). |
AGGIORNAMENTO AL 13.12.2010 |
ã |
UTILITA' |
SICUREZZA LAVORO:
Disponibili gli atti del convegno "D.Lgs.
81/2008 - due anni dopo".
L'Osservatorio per il monitoraggio
permanente della legislazione e
giurisprudenza sulla sicurezza del lavoro
(OLYMPUS) presso il Dipartimento di Scienze
Giuridiche della Facoltà di Giurisprudenza
dell'Università "Carlo Bò" di Urbino ha reso
disponibili on-line gli atti dell'incontro "Il
D.Lgs. 81/2008: due anni dopo - i "sistemi"
del diritto della sicurezza sul lavoro".
L'incontro, tenutosi ad Urbino nei giorni
dal 14 al 15.05.2010, ha visto la
partecipazione di numerosi esperti della
materia.
Tra gli interventi più interessanti
segnaliamo: ... (link a www.acca.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA -
EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI:
Nuovi criteri per l’ammissibilità dei
rifiuti in discarica. Le novità per
l’edilizia.
Il D.M. 27.09.2010, che definisce i nuovi
criteri di ammissibilità dei rifiuti in
discarica, è stato pubblicato sulla Gazzetta
Ufficiale dell'01.12.2010, n. 281.
Vediamo quali sono le novità del
provvedimento, con particolare attenzione
alle disposizioni di interesse per gli
operatori dell’edilizia.
Il decreto ribadisce l'obbligo (per il
produttore) di effettuare la
caratterizzazione di base dei rifiuti, già
previsto dalla precedente regolamentazione.
Dal suddetto obbligo sono esclusi alcuni
rifiuti inerti in quanto considerati già
conformi ai criteri di ammissibilità
stabiliti nel decreto stesso, tra i quali i
seguenti rifiuti provenienti da costruzioni
e demolizioni: ... (link a www.acca.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Terzo conto energia: la guida per
l'integrazione architettonica del
fotovoltaico del GSE in inchiesta pubblica.
Il GSE ha pubblicato la "Guida alle
applicazioni innovative finalizzate
all'integrazione architettonica del
fotovoltaico" prevista dal Decreto
Ministeriale 06.08.2010 (terzo conto
energia).
Ricordiamo che, con il terzo conto energia,
il premio per l´integrazione architettonica
sarà riservato esclusivamente agli impianti
fotovoltaici che utilizzano moduli e
componenti speciali sviluppati per
sostituire elementi architettonici
integrandosi perfettamente negli edifici.
Con questa guida, attualmente in "inchiesta
pubblica", il GSE intende definire
univocamente i requisiti che deve avere un
modulo o un componente fotovoltaico per
essere considerato integrato
architettonicamente.
Secondo il documento elaborato dal GSE, per
poter accedere alle tariffe "premio",
gli impianti fotovoltaici dovranno
utilizzare moduli e componenti con le
seguenti caratteristiche: ... (link a
www.acca.it). |
SINDACATI |
PUBBLICO IMPIEGO:
La paradossale situazione dell'uso del mezzo
proprio
(CGIL-FP di Bergamo, nota 09.12.2010). |
PUBBLICO IMPIEGO:
ADEGUAMENTO REGIONI ED ENTI LOCALI AL D.LGS.
150/2009 (CISL-FPS di Bergamo,
nota dicembre 2010). |
GURI - GUUE -
BURL (e anteprima) |
APPALTI: G.U.
10.12.2010 n. 288, suppl. ord. n. 270/L, "Regolamento
di esecuzione ed attuazione del decreto
legislativo 12.04.2006, n. 163, recante
«Codice dei contratti pubblici relativi a
lavori, servizi e forniture in attuazione
delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE»"
(D.P.R. 05.10.2010 n. 207):
-
1^ parte -
2^ parte -
3^ parte.
---------------
ATTENZIONE:
in vigore dall'08.06.2011 e NON dal
09.06.2011 (siccome evidenziato qua e là nel
web ...). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: G.U.
10.12.2010 n. 288, suppl. ord. n. 269/L, "Disposizioni
di attuazione della direttiva 2008/98/CE del
Parlamento europeo e del Consiglio del
19.11.2008 relativa ai rifiuti e che abroga
alcune direttive" (D.Lgs.
03.12.2010 n. 205).
---------------
Il testo può essere scaricato
anche qui (link a
www.lexambiente.it). |
LAVORI PUBBLICI: B.U.R.
Lombardia, 3° suppl. straord. al n. 49 del
10.12.2010, "Schema di Convenzione tipo
per la realizzazione e gestione di
interventi destinati ai servizi abitativi a
canone convenzionato (art. 43 l.r. n.
27/2009) – Modifiche alla d.g.r. n.
9060/2009"
(deliberazione
G.R. 24.11.2010 n. 834 - link a www.infopoint.it). |
EDILIZIA PRIVATA - VARI:
Le novità della Legge di STABILITÀ 2011 (ex
Finanziaria) approvata definitivamente al
Senato e in attesa di pubblicazione.
Il Senato ha definitivamente approvato il
Disegno di Legge di Stabilità (già Legge
Finanziaria).
Il testo approvato a Palazzo Madama coincide
con quello approvato dalla Camera dei
Deputati nelle scorse settimane.
Riportiamo alcune delle disposizioni del
provvedimento in attesa di pubblicazione che
risultano di maggior interesse per il mondo
dell'Edilizia:
- Detrazione 55%:
Conferma fino al 31.12.2011 (articolo 1,
comma 48).
Confermata la detrazione fiscale del 55% per
le spese sostenute entro il 31.12.2011
relative ad interventi di riqualificazione
energetica di edifici esistenti. Prevista la
ripartizione in dieci quote annuali di pari
importo (anziché cinque).
Questo il testo della disposizione: "Le
disposizioni di cui all'articolo 1, commi da
344 a 347, della legge 27.12.2006, n. 296,
si applicano nella misura ivi prevista,
anche alle spese sostenute entro il
31.12.2011.
La detrazione spettante ai sensi del
presente comma è ripartita in dieci quote
annuali di pari importo. Si applicano, per
quanto compatibili, le disposizioni di cui
all'articolo 1, comma 24, della legge
24.12.2007, n. 244, e successive
modificazioni, e all'articolo 29, comma 6,
del decreto-legge 29.11.2008, n. 185,
convertito, con modificazioni, dalla legge
28.01.2009, n. 2."
- Regime Iva per le
cessioni di immobili
(articolo 1, comma 86). Si interviene sul
regime Iva per le cessioni di fabbricati:
non sono esenti da Iva le cessioni di
fabbricati effettuate dalle imprese
costruttrici entro cinque anni (in luogo dei
quattro anni attualmente previsti) dal
termine della costruzione.
- Fisco
(articolo 1, commi 17-22). Aumentano le
sanzioni, anche quelle dovute alle diverse
ipotesi di ravvedimento operoso. Ampliati i
poteri del Fisco in tema di accertamento
parziale.
- Ricerca e sviluppo
(articolo 1, comma 25). Previsto un credito
d'imposta in favore di imprese che affidano
attività di ricerca e sviluppo a università
o enti pubblici di ricerca (nel limite di
spesa di 100 milioni). Il credito spetta per
investimenti realizzati dall'01.01.2011 al
31.12.2011; limiti e modalità sono demandati
ad un apposito decreto interministeriale.
- Detassazione premi di
produttività
(articolo 1, comma 47). Prorogato al 2011 il
regime di detassazione dei contratti di
produttività (articolo 5 del Dl 185/2008,
con modificazioni, dalla legge 28.01.2009,
n. 2). Il lavoratore dipendente può optare
per l'applicazione di un'imposta sostitutiva
(10%) in luogo dell'Irpef e relative
addizionali, sui redditi percepiti in
relazione a incrementi di produttività e
lavoro straordinario.
- Fondo pagamenti dei
comuni alle imprese
(articolo 1, commi 59 e 60). Prevista
l'istituzione di un Fondo per rendere più
rapidi i pagamenti da parte delle
amministrazioni comunali alle imprese
fornitrici. Il fondo, dotato di 60 milioni
di euro per il 2011, è finalizzato al
pagamento degli interessi passivi maturati
dai comuni per il ritardato pagamento dei
fornitori.
- Fondi Fas
(articolo 1, comma 5). Una quota pari a 1,5
miliardi di euro delle risorse FAS (Fondo
Aree Sottosviluppate) per il 2012 è
destinata a interventi di edilizia sanitaria
pubblica. Tale cifra andrà così ripartita:
l'85% alle regioni del Sud e il restante 15%
alle regioni del Centro Nord.
- Leasing immobiliare
(articolo 1, commi 15-16). Si interviene sul
regime fiscale (imposte di registro,
ipotecarie e catastali) dei contratti di
locazione finanziaria di beni immobili (link
a www.acca.it). |
CORTE DEI
CONTI |
INCENTIVO PROGETTAZIONE:
Collaudi, compensi da decurtare.
Il taglio del 50% va a beneficio di
dipendenti e dirigenti. Le indicazioni
in un parere delle sezioni riunite di
controllo della Corte dei conti.
I compensi riconosciuti ai dipendenti degli
enti locali che sono chiamati a collaudare
opere pubbliche e che svolgono i compiti di
segretari di commissioni arbitrali devono
essere tagliati del 50% e tali somme essere
acquisite dall'ente per incrementare il
fondo per le risorse decentrate del
personale e dei dirigenti.
Sono queste le principali indicazioni che si
ricavano dal
parere
06.12.2010 n. 58 delle sezioni
riunite di controllo della Corte dei conti.
In tal modo, si introduce una decurtazione
assai rilevante su alcune fonti di
trattamento economico accessorio del
personale degli uffici tecnici, decurtazioni
che non vanno a beneficio dell'ente, ma del
complesso dei dirigenti e dei dipendenti.
Il quesito, posto alla sezione di controllo
della magistratura contabile del Veneto,
riguarda la applicabilità agli enti locali
dell'articolo 61, comma 9, del dl n.
112/2008.
I dubbi interpretativi nascono dal fatto che
la norma è ambigua, in quanto prevede che i
risparmi debbano essere versati al bilancio
dello stato per essere riassegnati «al
fondo di amministrazione per il
finanziamento del trattamento economico
accessorio». Per cui dalla lettura della
disposizione, in primo luogo, «non risulta
del tutto chiaro se le categorie dei
destinatari debbano avere un rapporto di
impiego soltanto con le amministrazioni
statali ovvero anche con gli enti
territoriali».
In secondo luogo, deve essere chiarita la
destinazione dei risparmi, alla luce della
considerazione che «la previsione del
versamento all'entrata del bilancio dello
stato degli emolumenti suddetti non appare
compatibile con la riconosciuta autonomia
finanziaria degli enti territoriali».
Su questo punto si è già espressa la Corte
costituzionale che, con la sentenza n.
341/2009, ha escluso che l'obbligo di
versamento di tali risparmi possa ritenersi
esteso anche agli enti locali e alle
regioni, in quanto livelli istituzionali che
sono dotati di un'ampia autonomia
finanziaria sia sul versante delle entrate
sia su quello delle spese.
L'importanza di tale sentenza è data anche
dall'affermazione che siamo «nel contesto
di una manovra di risanamento della finanza
pubblica di ampio respiro, imperniata
sull'applicazione di numerose misure di
contenimento della spesa corrente, fra cui
sono da comprendersi quelle imposte
dall'art. 61 del dl n. 112/2008 a carico di
tutte le amministrazioni inserite nel conto
economico consolidato della pubblica
amministrazione». Per cui si deve
arrivare alla conclusione di «ritenere
direttamente applicabili anche agli enti
territoriali le misure previste dalla norma
in questione, salvo una diversa volontà
espressamente manifestata dal legislatore».
Peraltro siamo nell'ambito di una parte del
testo dedicata alla stabilizzazione della
finanza pubblica e quando il legislatore in
tale disposizione ha voluto escludere gli
enti locali e le regioni lo ha fatto in modo
esplicito. A conclusioni diverse non
spingono le considerazioni che le nuove
disposizioni possono «risolversi in
mortificazione delle professionalità interne
e in probabili logiche incrementali del
ricorso all'esternalizzazione delle attività
professionali, provocando incremento anziché
riduzione della spesa».
Preoccupazione che per i giudici contabili
sono probabilmente alla base del recente
intervento contenuto nel cosiddetto
collegato sul lavoro che ha riportato al 2%
il tetto della incentivazione dei dipendenti
di tutte le p.a. per la realizzazione di
opere pubbliche, ricordiamo che tale misura
proprio a partire dal dl n. 112/2008 era
stata ridotta allo 0,50%.
La sentenza della Corte costituzionale ha
risolto per le sezioni riunite di controllo
della Corte dei conti, in senso negativo,
ogni residuo dubbio sull'obbligo del
versamento dei risparmi al bilancio dello
stato: tali cifre devono essere acquisite
dal bilancio dell'ente ed essere destinate
al fondo per le risorse decentrate dei
dirigenti o dei dipendenti, a secondo della
qualifica di colui che ha svolto tale
attività
(articolo ItaliaOggi
del 10.12.2010 - tratto da www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Niente
dirigenti a tempo privi di laurea.
Illegittima l'assunzione di dirigenti a
tempo determinato non appartenenti alla
dotazione organica, se privi di laurea.
L'ulteriore colpo allo spoils system
lo assesta la Corte dei conti, Sez.
regionale di controllo del Veneto, che,
anche alla luce della riforma-Brunetta,
boccia senza appello la possibilità di
assumere dirigenti a tempo determinato senza
laurea, anche se in staff al sindaco.
E' il
parere 24.11.2010 n.
275 a privare definitivamente di ogni
pregio la teoria secondo la quale sarebbe
possibile per le amministrazioni locali
attribuire incarichi dirigenziali a
contratto anche a non laurèati, sulla base
della considerazione esclusiva
dell'esperienza professionale.
Indirettamente, il parere della sezione
disvela come la potestà regolamentare degli
enti locali, in materia, sia ben poco
rilevante.
I regolamenti di organizzazione, infatti,
non possono riferirsi alla materia
dell'accesso agli impieghi, riservata alla
legge statale come ha avuto modo di chiarire
la sentenza della Corte costituzionale
324/2010, in tema di legittimità
costituzionale dell'articolo 19, comma
6-ter, che, disapplicando l'articolo 110 del
dlgs 267/2000, ha esteso anche agli enti
locali la disciplina degli incarichi a
contratto contenuta nel comma 6
dell'articolo 19 del digs 165/2001.
La prassi, per la verità piuttosto diffusa,
di attribuire incarichi dirigenziali a
soggetti privi di laurea si rivela, dunque,
in contrasto con l'attuale assetto
normativo. E si risolve una questione che
avrebbe dovuto considerarsi chiusa da tempo.
A ben vedere, la normativa da sempre, prima
ancora della vigenza del dlgs 150/2009 non
consente di attribuire incarichi
dirigenziali a personale privo di laurea.
Dunque, sono da considerare illegittimi
incarichi dirigenziali a tempo determinato a
soggetti privi della laurea. I sindaci non
dispongono del potere di assegnare incarichi
dirigenziali a soggetti estranei ai ruoli,
sulla base della sola particolare «esperienza
professionale».
La sezione Veneto riafferma l'avvenuta
disapplicazione dell'articolo 110 del digs
267/2000, cagionata dalla previsione
contenuta nell'articolo 19, comma 6-ter, del
digs 165/2001, che ha esteso espressamente
anche agli enti locali la disciplina
contenuta nel precedente comma 6 ...
(articolo ItaliaOggi
del 10.12.2010 - tratto da www.corteconti.it). |
AUTORITA'
VIGILANZA CONTRATTI PUBBLICI |
APPALTI:
Dall’Autorità le regole per l’affidamento
dei contratti pubblici mediante procedura
negoziata.
Il Codice dei Contratti (D.Lgs. 163/2006)
limita il ricorso alla procedura negoziata,
in particolare quella senza previa
pubblicazione di un bando di gara, a
situazioni ben definite che possono
definirsi “eccezionali”.
Dall’esame degli elementi acquisiti
nell’ambito dell’attività dell'Autorità per
la Vigilanza sui Contratti Pubblici (AVCP),
sono emersi -secondo quanto evidenziato
dalla stessa Autorità- dati preoccupanti
circa il ricorso “disinvolto” allo
strumento della procedura negoziata
effettuato da alcune stazioni appaltanti.
In particolare sono state evidenziate
problematiche relative:
- all’obbligatorietà della motivazione;
- all’artificioso frazionamento dell’importo
degli appalti;
- all’insussistenza dei motivi d’urgenza
assunti a fondamento del ricorso alla
procedura negoziata ex articolo 57, comma 2,
lettera c;
- alla gestione delle gare con modalità non
conformi alle disposizioni del Codice.
Data la rilevanza dell’argomento l'Autorità
ha predisposto
un vademecum (29.11.2010) per
l’affidamento di appalti sotto soglia con
procedura negoziata,
approfondendo gli aspetti di maggior
rilievo, tra i quali:
- le modalità di selezione degli operatori
economici da invitare a presentare
un’offerta;
- il significato da attribuire
all’espressione “indagine di mercato”;
la necessità o meno di motivare
espressamente il ricorso alla procedura
negoziata;
- le forme di pubblicità da seguire per
ampliare la possibilità di accesso alle
commesse pubbliche.
Entro il 14.12.2010 è possibile inviare
osservazioni e/o segnalazioni di difficoltà
applicative all’Autorità (link a
www.acca.it). |
NEWS |
CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO
VIMINALE/ In consiglio senza conflitti.
Ineleggibile chi siede nel cda di una
partecipata. Ma per far scattare la causa
ostativa l'ente deve possedere più del 50%
della spa.
Sussiste una causa di
ineleggibilità e/o di incompatibilità nei
confronti di un consigliere circoscrizionale
eletto componente del consiglio di
amministrazione di una società per azioni
che gestisce il servizio di trasporto
pubblico urbano del comune?
La fattispecie va analizzata alla luce
dell'art. 60, comma 1, n. 10 del decreto
legislativo n. 267/2000, il quale prevede
che non sono eleggibili, tra l'altro, a
consigliere circoscrizionale i legali
rappresentanti ed i dirigenti delle società
per azioni con capitale superiore al 50 per
cento rispettivamente del comune o della
provincia.
Il legislatore, con la disposizione di cui
al citato art. 60 «ha inteso contemplare
in modo espresso un caso di ineleggibilità
per i legali rappresentanti e i dirigenti di
un tipo specifico di società (le società per
azioni), caratterizzate da un capitale
maggioritario del comune. Ciò,
evidentemente, perché con riferimento alla
società per azioni -costituente il tipo di
società più importante nella realtà
economica, sia per la sua ampia diffusione,
sia perché è la forma elettiva delle imprese
di medie e grandi dimensioni- e in presenza
di una partecipazione maggioritaria
dell'ente territoriale, si è avvertita la
necessità di una netta separazione tra i
soggetti che operano, con funzioni di legale
rappresentanza o di dirigenza, nelle dette
società e gli amministratori degli enti
territoriali» (cfr. Cass. civile, sent.
n. 17981 del 25/11/2003).
Pertanto, se la partecipazione del comune al
capitale della spa è superiore al 50%,
ricorre l'ipotesi di ineleggibilità di cui
al citato art. 60, comma 1, n. 10 del
decreto legislativo n. 267/2000
(articolo ItaliaOggi del 10.12.2010). |
CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO
VIMINALE/
Incompatibilità.
Sussiste la fattispecie dell'incompatibilità
nei confronti di un consigliere comunale
contemporaneamente assessore con delega ai
lavori pubblici presso un comune avente
popolazione inferiore ai 5.000 abitanti e,
contestualmente socio, con poteri di
rappresentanza, di una società di capitali
aggiudicataria di appalti di lavoro per
conto dell'ente locale e di appalti per
l'esecuzione di opere di urbanizzazione, in
corso di collaudo, previste nel piano
urbanistico comunale?
La fattispecie in esame rientra nell'ambito
previsionale dell'art. 63, comma 1 n. 2, del
decreto legislativo 18.08.2000, n. 267 ove è
disposto che non può ricoprire la carica di
sindaco, presidente della provincia,
consigliere comunale, provinciale o
circoscrizionale colui che, come titolare,
amministratore, dipendente con poteri di
rappresentanza o di coordinamento ha parte,
direttamente o indirettamente, in servizi,
esazioni di diritti, somministrazioni o
appalti, nell'interesse del comune o della
provincia.
La Corte di cassazione ha da tempo chiarito
che la causa di incompatibilità di cui
all'art. 63, comma 1, n. 2, Tuel –la cui
ratio risiede nell'esigenza di impedire
che possano concorrere all'esercizio delle
funzioni dei consigli comunali soggetti
portatori di interessi configgenti con
quelli del comune o i quali si trovino
comunque in situazioni che possano
comprometterne l'imparzialità– pone per la
sua sussistenza, una duplice condizione: una
di natura soggettiva e l'altra di natura
oggettiva.
La prima richiede che il soggetto rivesta la
qualità di titolare, o di amministratore,
ovvero di dipendente con poteri di
rappresentanza o di coordinamento e si debba
trovare in una situazione incompatibile con
l'esercizio della carica elettiva: la
seconda, di natura oggettiva, che ricorre in
caso di partecipazione (eventualmente
insieme con altri soggetti, anche pubblici),
allo svolgimento di un qualsiasi tipo di
servizio nell'interesse del comune.
La norma, pertanto, comprende tutte le
ipotesi in cui la partecipazione in servizi
imputabili al comune, e quindi di interesse
generale, possa dar luogo, nell'esercizio
della carica del partecipante, eletto
amministratore locale, ad un conflitto tra
interesse particolare di questo soggetto e
quello generale dell'ente locale (cfr. sent.
Cass. civ. sez. I, ord. n. 550 del
16/01/2004).
Nel caso in esame sussistono tutte e due le
condizioni evidenziate dalla giurisprudenza,
quella soggettiva determinata dal fatto che
l'amministratore della società di capitali è
stato poi eletto consigliere comunale;
quella oggettiva, rappresentata dalla
circostanza che la società dalla stesso
amministrata è risultata aggiudicataria di
appalti di lavoro per conto dello stesso
ente in cui è stato eletto consigliere
comunale.
La circostanza che per le opere siano in
corso le operazioni di collaudo non comporta
che le stesse possano ritenersi concluse.
La stessa Corte di cassazione, con
orientamento costante (Cass. sez. I civ. nn.
7063/1992; 11959/2003) ha, infatti,
affermato il principio secondo cui «è
incontestabile che l'appalto di opere
pubbliche deve ritenersi pendente finché non
sia intervenuto il certificato di collaudo
(o di regolare esecuzione delle opere)
approvato dall'ente pubblico»
(articolo ItaliaOggi del 10.12.2010). |
GIURISPRUDENZA |
VARI: Sulle
multe i tempi si accorciano. Il termine di
notifica scatta dalla comunicazione
all'anagrafe. Una sentenza delle sezioni
unite della Cassazione sul cambio di
residenza dell'automobilista.
Un automobilista, che
dopo essere stato pizzicato dall'autovelox,
cambia residenza, dovrà solo far annotare la
variazione anagrafica nei registri del
comune (indicando anche i dati del veicolo
intestato) per avere la coscienza a posto.
Non sarà tenuto, infatti, a darne
comunicazione anche agli uffici della
motorizzazione civile, perché quest'onere
«spetta alla p.a.».
Con la conseguenza che il termine di 150
giorni (ridotto a 90 dalla recente riforma
del codice della strada, legge n. 120/2010)
per la notifica del verbale decorre dalla
data di aggiornamento dei registri di stato
civile e non invece dalla relativa
annotazione nel Pra.
Con la
sentenza
09.12.2010 n. 24851 le sezioni unite
civili della Cassazione hanno scritto la
parola fine sulla querelle relativa alla
corretta individuazione del «dies a quo»
per calcolare la tempestiva notifica delle
multe. E hanno optato per un orientamento
più favorevole agli automobilisti a cui
basterà aver fatto annotare il nuovo
indirizzo per sentirsi in una botte di
ferro. Chi riceverà la notifica del verbale
oltre i 150 (90) giorni dalla variazione
anagrafica sarà legittimato a fare annullare
la multa. Anche se questa arriverà entro il
termine di 150 (90) giorni dalla
comunicazione del nuovo indirizzo al Pra.
I giudici di piazza Cavour sono stati
chiamati in causa dalla prefettura di
Gorizia che aveva impugnato la sentenza con
cui il giudice di pace di Monfalcone aveva
annullato una multa per eccesso di velocità
accertata dalla polizia stradale di Udine
tramite autovelox. La prima notifica non era
andata a buon fine perché effettuata nel
vecchio indirizzo di residenza
dell'automobilista. Mentre la seconda,
avvenuta invece regolarmente, risultava
essere fuori tempo massimo in quanto era
ormai decorso il termine di 150 giorni dal
momento in cui, come previsto dal Codice
della strada, la p.a. era in grado di «provvedere
all'identificazione del veicolo».
La seconda sezione civile della Cassazione,
investita della controversia, ha rimesso gli
atti alle sezioni unite, avendo rilevato un
contrasto interpretativo nella
giurisprudenza degli Ermellini, divisa tra
due opposte tesi. Il primo orientamento,
secondo cui il termine decorre «sempre e
comunque da quando il trasgressore abbia
chiesto l'annotazione del cambio di
residenza agli uffici dello stato civile del
comune, indipendentemente dall'eventuale
analoga segnalazione anche all'archivio
nazionale dei veicoli tenuto dalla
Motorizzazione civile».
Secondo un orientamento più restrittivo,
invece, il cittadino che cambia residenza ha
l'obbligo di segnalarlo sia agli uffici di
stato civile che alla Motorizzazione e,
qualora non lo faccia, il termine per la
notifica decorrerà dall'annotazione nei
registri del Pra.
Le sezioni unite hanno accolto il primo
orientamento sostenendo che «le
comunicazioni al Pra del cambio di residenza
ritualmente dichiarato dal proprietario
all'anagrafe comunale devono essere eseguite
d'ufficio a cura della p.a.». Ragion per
cui, prosegue la Cassazione, «ove la p.a.
non abbia proceduto all'aggiornamento dei
relativi archivi, la notifica della
contestazione effettuata al precedente
indirizzo del contravventore risultante
dagli archivi non aggiornati, non può
ritenersi correttamente eseguita»
(articolo ItaliaOggi del 10.12.2010). |
APPALTI:
Nell'ipotesi in cui concorrente
di una gara d'appalto sia un RTI, è
sufficiente che il possesso della
certificazione ISO 14001 sia valutato con
riferimento alla sola impresa capogruppo.
Sull'illegittimità della specificazione dei
sub-criteri e sub-punteggi svolta da una
commissione di gara, in assenza di
un'espressa previsione del bando in tal
senso.
Nell'ipotesi in cui, in materia di appalti
pubblici, concorrente sia un raggruppamento
temporaneo di imprese, la valutazione
relativa ai requisiti di idoneità tecnica ed
economica può farsi cumulando i connotati
posseduti da ciascuna impresa, salvo si
tratti di requisiti che, per prescrizione di
legge, o espressa disposizione della
normativa di gara o, ancora, per loro
intrinseca natura, debbano essere
necessariamente posseduti da ciascuna delle
concorrenti riunite. Dette forme di
aggregazione di imprese mirano ad ampliare
la dinamica concorrenziale, consentendo di
sommare tra loro i requisiti posseduti dai
singoli membri del raggruppamento. Nel caso
di specie, ai fini del possesso della
certificazione ISO 14001, è sufficiente
valutarne la sussistenza in capo alla sola
capogruppo mandataria, in mancanza di una
specifica previsione.
E' illegittima l'attività di articolazione e
specificazione dei sub-pesi e sub-punteggi,
svolta dalla commissione di gara, in quanto
la stessa vìola l'art. 83 del d.lgs. n.
163/2006; la Commissione CE ha aperto, sul
punto, una procedura d'infrazione nei
confronti dell'Italia, in quanto ha ritenuto
che la predetta norma sia incompatibile con
le direttive comunitarie, secondo cui i
criteri di aggiudicazione dell'appalto,
nonché la relativa ponderazione ed il loro
ordine di importanza, devono essere
espressamente prescritti dal bando e dalla
documentazione di gara (TAR Toscana, Sez. I,
sentenza 07.12.2010 n. 6717 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Sul divieto di avvalimento a
cascata.
E' legittimo il provvedimento di esclusione
adottato da una stazione appaltante nei
confronti di un concorrente che, al fine di
integrare il possesso dei requisiti
richiesti dal bando di gara, sia ricorso ad
un soggetto che, a sua volta, abbia fatto
riferimento ad un altro, in quanto ciò
realizza una fattispecie vietata di
avvalimento a cascata.
Nel caso di specie, l'impresa ausiliaria ha
indicato i servizi svolti da un'altra
società, che, a sua volta, ha usufruito dei
requisiti posseduti da un soggetto
giuridicamente distinto, ma ad essa
collegata da vincoli di gruppo societario.
L'ordinamento prevede il collegamento
societario quale presupposto per l'avvalimento,
da parte di un concorrente, dei requisiti
posseduti da un altro soggetto. In siffatta
ipotesi, l'art. 49 del d.lgs. n. 163/2006
consente di provare la sussistenza del
vincolo giuridico mediante una dichiarazione
di appartenenza al gruppo societario,
dispensando l'ausiliata dalla produzione di
apposito contratto di avvalimento.
Il collegamento societario non si cumula con
l'avvalimento, ma ne rappresenta un
possibile fattore, atto a dimostrare una
comunanza di interessi fra i due soggetti
ricorrenti al prestito dei requisiti (TAR
Campania, Napoli, Sez. I,
sentenza 06.12.2010 n. 26798 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Inadempimento contrattuale della
P.A. Si alla liquidazione della svalutazione
monetaria.
Nell’ipotesi di impresa illegittimamente
pretermessa e che sicuramente sarebbe
divenuta l’aggiudicataria dell’appalto, va
riconosciuto il lucro cessante, rapportato
all’utile che l’impresa avrebbe conseguito
ove vi fosse stata l’aggiudicazione in suo
favore, da determinarsi in via equitativa
nella misura del 10% dell’offerta effettuata
dalla ricorrente, comprensiva sia dei costi
affrontati dalla società per la
presentazione dell’offerta, sia della
diminuzione del peso imprenditoriale della
società per omessa acquisizione
dell’appalto, tenendo conto della mancata
dimostrazione da parte della ricorrente di
non aver potuto utilizzare mezzi e
maestranze.
In tali casi la quantificazione deve
necessariamente fondarsi sul criterio
equitativo e presuntivo, non potendosi a
fornire principi di prova diversi da quelli,
fondamentali, dell’offerta effettuata nella
procedura di gara e dal fatto di esercitare
professionalmente attività d’impresa.
Il risarcimento dei danni da inadempimento
contrattuale, cui va ricondotta la
fattispecie in esame, costituisca un debito
non di valuta ma di valore. Pertanto, deve
tenersi conto della svalutazione monetaria
intervenuta, senza la necessità di
dimostrare il danno maggiore. Sulla somma
rivalutata decorrono gli interessi, che non
costituiscono una duplicazione risarcitoria,
atteso che la rivalutazione e gli interessi
adempiono funzioni diverse (Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 06.12.2010 n. 8549 -
link a www.litis.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Sentenza di annullamento -
Riesame della istanza concessoria - Ius
superveniens - Notifica della sentenza di
primo grado - Atti adottati in pendenza del
ricorso giurisdizionale - Opponibilità.
In ipotesi di ius superveniens in
materia urbanistica l'effetto demolitorio
della sentenza di annullamento (posto anche
a tutela del principio secondo cui la durata
del processo non può andare a danno
dell'attore che ha ragione) deve coordinarsi
ed equilibrarsi con i principi di continuità
e necessità dell'azione amministrativa,
scaturendo da detto contemperamento la
regola secondo cui l'obbligo per
l'amministrazione di riesaminare l'istanza
concessoria denegata con il provvedimento
annullato va riferito alla situazione di
fatto e di diritto vigente al momento in cui
viene notificata la sentenza di 1° grado,
restando opponibili al privato eventuali
atti adottati in pendenza del ricorso
giurisdizionale (C.S. V 08.06.2000 n. 3249,
C.S. 345/1999, C.S. 53/1998, C.S. a.p.
1/1986, TAR Puglia, Bari, 03.02.2004 n.
380).
Ne consegue che la pretesa della ricorrente
di ottenere la rinnovazione dell’istruttoria
con applicazione della normativa vigente al
momento della presentazione dell’istanza è
infondata (TAR Liguria, Sez. I,
sentenza 03.12.2010 n. 10730 -
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APPALTI: Massimo
ribasso cum grano salis. Sentenza del
Consiglio di stato sugli appalti.
Illegittimo prevedere
nelle gare d'appalto il criterio di
aggiudicazione del massimo ribasso, se le
prestazioni previste nel capitolato non
siano standardizzate, ma richiedano
completamenti o miglioramenti da parte delle
ditte offerenti. In questo caso, infatti, è
illogico riferirsi solo al prezzo e risulta,
simmetricamente, necessario utilizzare il
criterio dell'offerta economicamente più
vantaggiosa.
Lo dice il Consiglio di stato, Sez. V, nella
sentenza 03.12.2010 n. 8408.
Palazzo Spada non nega che la scelta del
criterio di aggiudicazione da utilizzare per
ogni singola gara rientri nel pieno
apprezzamento discrezionale di ciascuna
amministrazione, considerando che, ai sensi
della normativa comunitaria e del d.lgs
163/2006 il massimo ribasso e l'offerta
economicamente più vantaggiosa sono
equiordinati.
Esiste, tuttavia, un principio di logica
tecnica al quale riferirsi.
Il criterio del prezzo più basso è
caratterizzato da un notevole automatismo ed
è l'unico elemento preso in considerazione
per l'aggiudicazione: si presta, dunque, a
un utilizzo coerente se le obbligazioni
contrattuali siano univocamente considerate.
L'offerta economicamente più vantaggiosa si
basa su una pluralità di elementi variabili
(prezzo, qualità, pregio tecnico, servizi
successivi) ed è più idonea per prestazioni
non precisamente individuate in modo
immodificabile e chiuso dal capitolato.
Pertanto, laddove la legge speciale della
gara attribuisca particolare rilievo ad
aspetti qualitativi e variabili
dell'offerta, la scelta del criterio del
massimo ribasso appare illogica e, come
tale, illegittima.
Nel caso esaminato dalla sentenza,
l'amministrazione appaltante aveva scelto il
criterio del massimo ribasso per un noleggio
di attrezzature informatiche, arricchito da
servizi di manutenzione, rifacimento di
locali e impiantistica, assistenza tecnica e
formazione professionale. Il capitolato per
molte delle voci componenti la prestazione
ha previsto che le specifiche tecniche
descritte fossero soltanto soluzioni «minime»,
soggette a miglioramento progettuale, da
parte degli offerenti; oppure, il capitolato
richiedeva agli offerenti di proporre
soluzioni tecniche alternative e
migliorative di quelle indicate.
Pertanto, il capitolato ha descritto in modo
analitico le specifiche tecniche, ma non le
ha considerate fisse o «standard»,
richiedendo espressamente addirittura
migliorie progettuali o qualitative
(articolo ItaliaOggi
del 10.12.2010 - tratto da www.corteconti.it). |
APPALTI:
Limiti alla scelta del criterio
di aggiudicazione.
La scelta del criterio di aggiudicazione
–prezzo più basso o offerta economicamente
più vantaggiosa– rientra tra i poteri
discrezionali della stazione appaltante che
si determina a ciò in base alle
caratteristiche dell’appalto, avendo di mira
unicamente il rispetto del principio di
libera concorrenza e della selezione della
migliore offerta (Corte di Giustizia C.E.
sent. 7 ottobre causa C- 247/02, Cons. St.
Sez. IV, 23.09.2008, n. 4613, Sez. VI,
03.06.2009, n. 3404).
Se dunque i criteri sono astrattamente
equiordinati, la scelta deve orientarsi
tenendo presente l’unicità e l’automatismo
del criterio del prezzo più basso e la
pluralità e variabilità dei criteri
dell’offerta economicamente più vantaggiosa,
quali il prezzo, la qualità, il pregio
tecnico, il servizio successivo alla
vendita, l’assistenza tecnica, ecc..
Ricorda il Consiglio di Stato, Sez. V, con
la recente
sentenza 03.12.2010 n. 8408 che,
il criterio così prescelto
dall’amministrazione appaltante, può essere
oggetto di sindacato solo in caso di
manifesta illogicità, inadeguatezza o
travisamento.
Ed è manifestamente illogica la scelta del
criterio di aggiudicazione del prezzo più
basso, quando la lex specialis di
gara conferisce rilievo ad aspetti
qualitativi variabili dell’offerta, in
riferimento al particolare valore
tecnologico delle prestazioni, al loro
numero, al livello quantitativo e
qualitativo dei servizi di formazione del
personale e di manutenzione delle
apparecchiature.
In questi casi, infatti, la pluralità di
elementi presi in considerazione si pone in
contrasto con la caratteristica unicità del
criterio del prezzo più basso, comportando
la violazione degli articoli 81 e 82 del
d.lgs. n. 163 del 2006.
Nel caso di specie, il collegio ha avuto
modo di ribadire che la scelta del criterio
del prezzo più basso, non può giustificarsi
facendo riferimento ad esigenze di
contenimento della spesa pubblica; tale
motivazione non consente infatti di superare
il principio di adeguatezza del criterio di
aggiudicazione rispetto alle caratteristiche
dell’oggetto dell’appalto sancito dall’art.
81, c. 2 del Codice dei contratti (cfr.
Cons. Stato, Sez. V, 26.02.2010 n. 1154)
(commento tratto da
www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com -
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APPALTI:
La valutazione di congruità di
un'offerta può essere motivata per
relationem.
Il giudizio di anomalia dell'offerta
richiede una motivazione rigorosa ed
analitica ove si concluda in senso negativo;
nel caso, invece, di valutazione di
congruità dell'offerta anomala, non occorre
che la relativa determinazione sia fondata
su un'articolata motivazione ripetitiva
delle medesime giustificazioni ritenute
accettabili o espressiva di ulteriori
apprezzamenti, essendo sufficiente anche una
motivazione espressa per relationem
alla giustificazioni rese dall'impresa
vincitrice, sempre che queste siano a loro
volta congrue ed adeguate (TAR Piemonte,
Sez. I,
sentenza 02.12.2010 n. 4370 -
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APPALTI:
Sull'illegittimità
dell'esclusione di un concorrente che abbia
omesso di rispettare una procedura meramente
formale con riguardo alla produzione dei
documenti richiesti dalla legge di gara.
In materia di appalti pubblici sussiste
l'obbligo, in capo alla stazione appaltante,
di invitare il concorrente ad integrare la
documentazione prodotta, nell'ipotesi di
mera irregolarità della stessa.
E' illegittimo il provvedimento di
esclusione adottato da una stazione
appaltante nei confronti di un concorrente
che pur avendo presentato la documentazione
richiesta dalla lex specialis di
gara, abbia tuttavia omesso di allegarla
all'offerta secondo le modalità previste dal
bando, ciò in quanto, se, da un lato, per
pacifica giurisprudenza, la presenza di
un'espressa comminatoria di esclusione della
domanda di partecipazione, a fronte del
mancato rispetto di determinate
prescrizioni, impone l'esecuzione
incondizionata della previsione, d'altra
parte, qualora la formulazione letterale del
bando risulti dubbia, va prescelta
l'interpretazione più favorevole ad
agevolare la massima partecipazione alla
gara, anche alla luce dei principi
comunitari in detta materia.
Peraltro, in base all'interpretazione
letterale e logica, la predetta clausola,
nella parte in cui abbia previsto una causa
di esclusione, non può riguardare anche le
modalità di presentazione della
documentazione.
-------------
E' illegittimo l'operato di una stazione
appaltante che, a fronte di una mera
irregolarità da parte di un concorrente,
abbia omesso di inoltrare l'invito ad
integrare la documentazione, in applicazione
dell'art. 76 del d.lgs. n. 163/2006, ciò in
quanto la L. n. 241/1990 tende a
semplificare al massimo il procedimento
amministrativo e le sue formalità e, quindi,
a rendere sanabili tutte le irregolarità
documentali non espressamente sanzionate dal
bando e non incidenti sul procedimento,
ovvero sulla par condicio di coloro che vi
partecipano.
E ciò, tanto più nell'ipotesi in cui tali
irregolarità appaiano riconducibili ad una
non perspicua formulazione delle regole del
procedimento da parte dell'Amministrazione
appaltante (TAR Lazio-Roma, Sez. I-ter,
sentenza 01.12.2010 n. 34856 -
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APPALTI:
Non è necessaria la previa
comunicazione di avvio del procedimento
nell'ipotesi di emissione di informativa
interdittiva.
Sulla portata della norma introduttiva
dell'informativa prefettizia, in riferimento
alla tutela anticipata nella lotta alla
criminalità organizzata, al fine di cogliere
l'affidabilità dell'impresa aggiudicataria
di un appalto pubblico. In particolare: sul
potere discrezionale del Prefetto in ordine
all'accertamento dell'infiltrazione mafiosa.
Secondo un consolidato orientamento
giurisprudenziale, in materia di procedure
per l'affidamento di appalti pubblici, non
si ravvisa la necessità della previa
comunicazione di avvio del procedimento
nell'ipotesi di emissione dell'informativa
interdittiva e delle conseguenti delibere
incidenti sul rapporto concessorio e/o
contrattuale, in quanto trattasi di
procedimenti in materia di tutela antimafia,
come tali caratterizzati intrinsecamente da
riservatezza ed urgenza.
-------------
Secondo consolidata giurisprudenza,
l'istituto dell'informativa prefettizia, di
cui agli artt. 4 del d.lgs. n. 490/1994 e 10
del D.P.R. n. 252/1998, è una tipica misura
cautelare di polizia, preventiva ed
interdittiva, che prescinde
dall'accertamento, in sede penale, di uno o
più reati connessi all'associazione di tipo
mafioso; non occorre la prova dell'effettiva
infiltrazione mafiosa all'interno
dell'impresa, né del reale condizionamento
delle scelte del concorrente da parte di
soggetti mafiosi; è, invero, sufficiente il
"tentativo di infiltrazione"; tale
scelta è coerente con le caratteristiche del
fenomeno mafioso, il quale non
necessariamente si concreta in fatti
univocamente illeciti, potendosi arrestare
alla soglia dell'intimidazione; la
formulazione generica del tentativo di
infiltrazione mafiosa, rilevante ai fini del
diritto, comporta l'attribuzione, in capo al
Prefetto, di un ampio margine discrezionale
in sede di accertamento; ne consegue che la
valutazione prefettizia è sindacabile in
sede giurisdizionale solo nell'ipotesi di
manifesti vizi di eccesso di potere per
illogicità, irragionevolezza e travisamento
dei fatti.
Tuttavia, al fine di salvaguardare i
principi di legalità e certezza del diritto,
non possono reputarsi sufficienti
fattispecie fondate su mere congetture prive
di riscontro fattuale, occorrendo invece
l'individuazione di circostanze sintomatiche
di concreti collegamenti con la criminalità
organizzata (TAR Campania-Napoli, Sez. I,
sentenza 01.12.2010 n. 26527 -
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ATTI AMMINISTRATIVI:
Rilascio di un provvedimento
concessorio - Acquisizione di un parere -
Annullamento del titolo - Principio del
contrarius actus - Necessità di nuova
acquisizione del parere - Eccezioni.
In base al principio del contrarius actus
qualora in sede di rilascio della
concessione sia stato acquisito il parere
della Commissione tale parere va acquisito
anche all'atto dell'annullamento del titolo,
fatte salve le ipotesi in cui il
provvedimento di autotutela sia supportato
da ragioni formali o di tipo esclusivamente
giuridico (Consiglio di Stato, IV,
31.03.2009, n. 1909) (TAR Liguria, Sez. I,
sentenza 01.12.2010 n. 10722 -
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PUBBLICO IMPIEGO:
Permessi ex L. 104/1992. Gli
impedimenti dei familiari devono derivare da
oggettive situazioni di ostacolo.
Gli impedimenti dei familiari a prestare la
necessaria assistenza, idonei a rendere
oggettivamente esclusiva quella
dell’istante, devono derivare da particolari
situazioni di ostacolo desunte da elementi
oggettivi ritenendo che non possano
consistere in normali impegni di lavoro o
motivi di salute genericamente indicati
presenti in famiglia, poiché essi non
assurgono al rango di particolari ed
oggettivi impedimenti all‘assistenza, non
essendo sufficienti, perciò, semplici
dichiarazioni di carattere formale, magari
attestanti impegni generici, ma attraverso
la produzione di dati ed elementi di
carattere oggettivo, concernenti
eventualmente anche stati psico-fisici
connotati da una certa gravità, idonei a
giustificare l’indisponibilità sulla base di
criteri di ragionevolezza e tali da
concretizzare un’effettiva esimente da
vincoli di assistenza familiare.
Quindi la regola è nel senso che la
esclusività non può sussistere in presenza
di altri congiunti in grado di assistere
l’infermo e tale regola può essere derogata
solo se il dipendente produce elementi
probatori atti veramente a dimostrare che i
congiunti stessi sono nell’impossibilità di
supportare il portatore di handicap
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 01.12.2010 n. 8382 -
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APPALTI:
Sulla legittimità dell'esclusione
di un'impresa risultata inadempiente, dopo
l'aggiudicazione provvisoria della gara, in
ordine agli obblighi contributivi di cui
all'art. 38 del d.lgs. n. 163/2006.
La regolarità contributiva delle imprese che
partecipano a gare pubbliche è requisito
indispensabile non solo per la
partecipazione, ma soprattutto ai fini della
stipulazione del contratto d'appalto, sicché
l'impresa è tenuta ad essere in regola con
gli obblighi contributivi dall'istanza di
partecipazione e per tutto il periodo di
esecuzione del contratto, essendo siffatta
regolarità sicuro indice della correttezza
dell'impresa nei rapporti con le maestranze.
Inoltre, è irrilevante un eventuale
adempimento tardivo dell'obbligazione
contributiva, pur se ricondotto,
retroattivamente, al momento della scadenza
del termine di pagamento, posto che ciò
gioverebbe soltanto nell'ambito delle
reciproche relazioni sottostanti al rapporto
obbligatorio, e non già nei confronti della
stazione appaltante, in relazione alla quale
rileva, per contro, soltanto l'esigenza di
un puntuale rispetto degli obblighi
incombenti sull'appaltatore, per effetto di
parametri normativi e/o contrattuali
espressione di affidabilità dell'impresa.
Ne consegue che, è legittimo il
provvedimento di esclusione adottato da una
stazione appaltante nei confronti di
un'impresa risultata inadempiente nei
confronti degli obblighi contributivi ai
sensi dell'art. 38 del d.lgs. n. 163/2006, a
seguito di verifica effettuata
successivamente all'aggiudicazione
provvisoria della gara. Peraltro, il bando
di gara imponeva alla P.A. di non
considerare rilevanti eventuali
regolarizzazioni successive del DURC (TAR
Puglia-Lecce, Sez. III,
sentenza 01.12.2010 n. 2768 -
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APPALTI:
Sull'ambito di applicazione
dell'obbligo previsto dall'art. 38, c. 1,
lett. b) e c), del d.lgs. n. 163/2006,
nell'ipotesi di cessione d'azienda o di un
ramo di essa.
Sull'illegittimità dell'ammissione di
un'impresa ad una gara d'appalto,
nell'ipotesi in cui la stessa abbia omesso
di rendere la dichiarazione relativa ad una
eventuale fusione, incorporazione od
acquisizione totale o parziale, a "qualsiasi
titolo", di altra impresa.
Le dichiarazioni di cui all'art. 75 del
D.P.R. n. 554/1999, trasposto nel d.lgs. n.
163/2006, riguardando la soggettività,
affidabilità e serietà del dichiarante,
devono coinvolgere anche l'imprenditore
cedente, il quale è assoggettato ai medesimi
oneri declaratori degli amministratori e
direttori tecnici cessati; tuttavia, in
difetto di una previsione legislativa in tal
senso o della stessa lex specialis, i
suddetti obblighi non possono imputarsi
anche alle altre imprese che, in quanto
interessate da siffatti mutamenti in via
indiretta, non sono da considerarsi
"cessionarie".
---------------
E' illegittima l'ammissione di un
concorrente ad una gara, nell'ipotesi in cui
lo stesso abbia omesso di rendere la
dichiarazione relativa ad un'eventuale
fusione, incorporazione od acquisizione
totale o parziale, a qualsiasi titolo, di
altra impresa, ciò in quanto, qualora la
lex specialis preveda l'obbligo di
rilasciare la predetta dichiarazione a pena
di esclusione, nonché i nominativi dei
soggetti tenuti alla dichiarazione di cui
all'art. 38, comma 1, lett. b) e c), del
d.lgs. n. 163/2006, con riferimento al
triennio antecedente la data di
pubblicazione del bando, tale obbligo
assumerà rilievo anche in ordine alle
acquisizioni di aziende, o rami di esse,
avvenute per effetto della partecipazione a
procedure fallimentari di vendita coattiva.
A maggior ragione nell'ipotesi in cui, come
nel caso di specie, l'avvenuta acquisizione
del ramo d'azienda abbia dato luogo ad un
vero e proprio trasferimento di proprietà
(TAR Sicilia-Palermo, Sez. III,
sentenza 29.11.2010 n. 14196 -
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ATTI AMMINISTRATIVI:
Associazioni ambientaliste -
Legittimazione ex artt. 13 e 18 L. n.
349/1986 - Limite alla proposizione di
censure - Atti e profili aventi valenza
meramente urbanistica - Esclusione.
La legittimazione ad agire di cui agli artt.
13 e 18 L. 349/1986, stante la sua natura
eccezionale (in quanto derogatoria del
principio generale di cui all’art. 81 c.p.c.),
deve essere limitata alla deduzione di
censure che concernono l’assetto normativo
di tutela dell’ambiente o la violazione di
norme poste a salvaguardia dell’ambiente,
con esclusione degli atti e dei profili che
abbiano una valenza meramente urbanistica.
(Cons. Stato, IV Sez. n. 8234 del 2003;
Cons. Stato, IV, 09.11.2004, n. 7246; TAR
Veneto, I, 19.01.2006, n. 97; TAR
Lombardia-Milano, II, 08.10.2004, n. 5515)
(TAR Liguria, Sez. I,
sentenza 29.11.2010 n. 10667 -
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EDILIZIA PRIVATA: La
giurisprudenza ammette la legittimità
dell’apposizione di condizioni agli atti
amministrativi ed anche ai titoli edilizi
purché, in quest’ultimo caso, la condizione
trovi fondamento anche indirettamente in una
norma di legge o di regolamento ed attenga
alle modalità dell’intervento e non a
profili totalmente estranei all’attività
edificatoria assentita.
Nel ricorso viene contestata, sotto una
molteplicità di profili, la decisione del
Comune di condizionare il permesso di
costruire in sanatoria alla copertura
dell’immobile a doppia falda, evitando
l’inserimento di motivi architettonici
estranei alla tipologia architettonica
attuale.
Sul punto, deve dapprima il Collegio
rilevare come la giurisprudenza ammetta la
legittimità dell’apposizione di condizioni
agli atti amministrativi ed anche ai titoli
edilizi purché, in quest’ultimo caso, la
condizione trovi fondamento anche
indirettamente in una norma di legge o di
regolamento ed attenga alle modalità
dell’intervento e non a profili totalmente
estranei all’attività edificatoria assentita
(si vedano, sul punto, TAR Lombardia,
Milano, sez. IV, 10.09.2010, n. 5655 e
Consiglio di Stato, sez. IV, 06.10.2010, n.
7344).
Nel caso di specie, si tratta del rilascio
non di un permesso di costruire per così
dire “ordinario” ma di un titolo a
sanatoria adottato doppio l’accertamento
della c.d. doppia conformità di cui all’art.
36 del DPR 380/2001 (vale a dire conformità
dell’opera agli strumenti urbanistici
vigenti sia al momento della realizzazione
dell’abuso sia a quello di presentazione
della domanda di sanatoria), il che induce
la ricorrente ad affermare l’impossibilità
assoluta di sottoposizione del titolo a
condizione, pena anche la violazione del
principio di legalità e tipicità degli atti
amministrativi (a tal proposito l’esponente
richiama la sentenza di questa Sezione II
del 09.06.2006 n. 1352, che attiene però
alla differente fattispecie della c.d.
sanatoria edilizia giurisprudenziale, che il
TAR ha ritenuto in contrasto con l’attuale
assetto ordinamentale).
Ritiene però il Collegio che, al di là del
profilo dell’astratta ammissibilità
dell’apposizione di condizioni al permesso a
sanatoria, occorra valutare, nel caso di
specie, la legittimità della stessa, alla
luce dell’indirizzo giurisprudenziale sopra
ricordato, che ammette, seppure con cautela,
l’apposizione di condizioni ai titoli
edilizi.
Sotto tale aspetto, la scelta del Comune di
Lurago d’Erba non si sottrae alle censure di
difetto di motivazione e di istruttoria,
esposte soprattutto al motivo n. 3 del
ricorso.
Risulta infatti, dall’esame degli atti di
causa, che l’immobile della ricorrente è
collocato in zona B2-residenziale, non
soggetta a particolari vincoli paesaggistici
e senza che gli strumenti urbanistici o il
regolamento edilizio contengano, per le
suddette zone, prescrizioni particolari
sulle caratteristiche delle falde.
La stessa documentazione fotografica
depositata in giudizio (cfr. doc. 3 della
ricorrente), dimostra come nella zona di via
San Bernardino esistano immobili con le più
varie tipologie di tetto, non
necessariamente quindi tutti con copertura a
falda doppia.
Del resto né il provvedimento impugnato né
l’avviso di rilascio dello stesso (cfr. doc.
5 della ricorrente), indicano in alcun modo
le ragioni che hanno indotto
l’Amministrazione comunale ad imporre una
simile condizione, né quali siano i concreti
elementi di contrasto della falda attuale
con le prescrizioni urbanistiche o edilizie
del Comune o con altri elementi attinenti,
ad esempio, alla tutela del paesaggio.
Neppure potrebbe sostenersi, come
sembrerebbe desumersi dalla lettura del
permesso in sanatoria (il condizionale è
d’obbligo, vista la lacunosità sul punto
della determinazione comunale), che il
requisito della doppia falda sia necessario
soltanto perché tale era la caratteristica
del tetto preesistente, giacché in tale caso
il rilascio del permesso in sanatoria
costringerebbe la ricorrente a ricostruire
il tetto originario –anteriore agli abusi
invece sanati– e ciò appare illogico ed in
contrasto con la stessa finalità
dell’accertamento di conformità di cui
all’art. 36 del DPR 380/2001.
Il gravame merita pertanto accoglimento, con
assorbimento di ogni altra censura.
Deve, di conseguenza, essere annullato il
permesso di costruire del 27.08.2007 non
nella sua interezza ma limitatamente alla
condizione in esso apposta e contestata col
presente ricorso.
Le spese seguono la
soccombenza e sono liquidate come da
dispositivo a carico del Comune di Lurago
d’Erba ma non del Responsabile dell’Area
Edilizia Privata-Urbanistica, al quale il
ricorso è stato notificato ma senza che sia
stata proposta, contro il medesimo, alcuna
domanda giudiziale, fermo restando che, in
tale ultimo caso, sussisterebbero forti
dubbi sulla giurisdizione del giudice
amministrativo
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 22.11.2010 n. 7307 -
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EDILIZIA PRIVATA: L'onere
della prova in ordine alla data di
realizzazione dell'abuso ricade su chi lo ha
commesso, e intende dimostrare la
legittimità del proprio operato, mentre
detto onere non grava sul Comune, che, in
presenza di un'opera edilizia non assistita
da un titolo che la legittimi, ha solo il
potere-dovere di sanzionarla ai sensi di
legge.
Tale onere può ritenersi soddisfatto solo
quando le prove addotte risultano
obiettivamente inconfutabili sulla base di
atti e documenti che, da soli o unitamente
ad altri elementi probatori, offrono la
ragionevole certezza dell'epoca di
realizzazione del manufatto, trasferendosi,
in tal modo il relativo onere probatorio
sull’epoca di realizzazione dell’abuso in
capo all’amministrazione.
Per pacifico orientamento della
giurisprudenza –che il Collegio condivide-
l'onere della prova in ordine alla data di
realizzazione dell'abuso ricade su chi lo ha
commesso, e intende dimostrare la
legittimità del proprio operato, mentre
detto onere non grava sul Comune, che, in
presenza di un'opera edilizia non assistita
da un titolo che la legittimi, ha solo il
potere-dovere di sanzionarla ai sensi di
legge (ex plurimis: Consiglio di
Stato, IV, 13.01.2010, n. 45; V, 09.11.2009,
n. 6984; TAR Umbria, 26.03.2010, n. 219;
10.07.2003, n. 589; TAR Campania, Napoli,
VII, 24.07.2008, n. 9347; TAR Basilicata,
29.04.2003, n. 370).
Tale onere può ritenersi soddisfatto solo
quando le prove addotte risultano
obiettivamente inconfutabili sulla base di
atti e documenti che, da soli o unitamente
ad altri elementi probatori, offrono la
ragionevole certezza dell'epoca di
realizzazione del manufatto, trasferendosi,
in tal modo il relativo onere probatorio
sull’epoca di realizzazione dell’abuso in
capo all’amministrazione (Consiglio di
Stato, V, 06.05.2008, n. 2010, n. 1440; TAR
Umbria, n. 589/2003 cit.)
(TAR Sicilia-Palermo, Sez. III,
sentenza 18.11.2010 n. 14099 -
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EDILIZIA PRIVATA: L'ampliamento
di vano-finestra non rientra nell'ambito
degli interventi di manutenzione
straordinaria, né di restauro o risanamento
conservativo (i quali presuppongono, ai
sensi dell'art. 3, lett. b-c, d.P.R. n.
380/2001, la sostituzione o la conservazione
di elementi -anche strutturali- degli
edifici, che siano comunque preesistenti,
ovvero l'inserimento di elementi nuovi, che
abbiano tuttavia carattere accessorio), ma
nel novero degli interventi di
ristrutturazione edilizia, di cui alla lett.
c) del comma 1 dell'art. 10 del medesimo
d.P.R. n. 380/2001, dal momento che realizza
un'oggettiva trasformazione della facciata
del palazzo mediante la sostituzione e
l'inserimento di elementi, nonché la
modifica di altri.
Come
costantemente osservato in giurisprudenza, "...
l'ampliamento di vano-finestra non rientra
nell'ambito degli interventi di manutenzione
straordinaria, né di restauro o risanamento
conservativo (i quali presuppongono, ai
sensi dell'art. 3, lett. b-c, d.P.R. n.
380/2001, la sostituzione o la conservazione
di elementi -anche strutturali- degli
edifici, che siano comunque preesistenti,
ovvero l'inserimento di elementi nuovi, che
abbiano tuttavia carattere accessorio), ma
nel novero degli interventi di
ristrutturazione edilizia, di cui alla lett.
c) del comma 1 dell'art. 10 del medesimo
d.P.R. n. 380/2001, dal momento che realizza
un'oggettiva trasformazione della facciata
del palazzo mediante la sostituzione e
l'inserimento di elementi, nonché la
modifica di altri" (cfr. TAR Sicilia
Catania, I, 02.07.2010, n. 2641; TAR
Campania Napoli, IV, 19.02.2009, n. 895;
29.01.2009, n. 505; Cassazione penale, III,
04.12.2008, n. 834)
(TAR Sicilia-Palermo, Sez. III,
sentenza 18.11.2010 n. 14099 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il proprietario o il possessore
dell'immobile o il semplice residente o
domiciliato nella zona interessata è
legittimato a ricorrere in ragione di tale
stabile collegamento, idoneo a radicare una
posizione d'interesse, differenziata
rispetto a quella posseduta dal "quisque de
populo", all'impugnazione di una concessione
edilizia in sanatoria, a prescindere da ogni
indagine sulla sussistenza di un ulteriore
specifico interesse.
Ancora recentemente il Consiglio di Stato ha
ribadito che il proprietario o il possessore
dell'immobile o il semplice residente o
domiciliato nella zona interessata è
legittimato a ricorrere in ragione di tale
stabile collegamento, idoneo a radicare una
posizione d'interesse, differenziata
rispetto a quella posseduta dal "quisque
de populo", all'impugnazione di una
concessione edilizia in sanatoria, a
prescindere da ogni indagine sulla
sussistenza di un ulteriore specifico
interesse (cfr. Cons. Stato, sez. IV,
30.11.2009, n. 7491; nello stesso senso cfr.
id., V, 07.05.2008, n. 2086; entrambe le
decisioni concernono fattispecie in tema di
concessioni edilizie in sanatoria) (TAR
Liguria, Sez. I,
sentenza 18.11.2010 n. 10389 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
I volumi tecnici sono solo quelli
destinati esclusivamente agli impianti
necessari per l’utilizzo dell’abitazione e
che non possono essere ubicati al suo
interno mentre la realizzazione di un locale
sottotetto mediante vani distinti e
comunicanti con il piano sottostante
mediante una scala interna è indice
rivelatore dell'intento di rendere abitabile
detto locale, non potendosi considerare
volumi tecnici i vani in esso ricavati.
Per costante giurisprudenza, i volumi
tecnici sono solo quelli destinati
esclusivamente agli impianti necessari per
l’utilizzo dell’abitazione e che non possono
essere ubicati al suo interno (Cons. di St.,
V, 02.11.2010, n. 7731), mentre la
realizzazione di un locale sottotetto
mediante vani distinti e comunicanti con il
piano sottostante mediante una scala interna
è indice rivelatore dell'intento di rendere
abitabile detto locale, non potendosi
considerare volumi tecnici i vani in esso
ricavati (Cons. di St., V, 31.01.2006, n.
354 e TAR Calabria, II, 07.02.2006, n. 125).
Nel caso di specie, la qualificazione come
volume tecnico è affidata non già alle
caratteristiche edilizie del fabbricato,
bensì –inammissibilmente– alla buona fede
del richiedente, che si è impegnato a non
destinarlo ad abitazione (TAR Liguria, Sez.
I,
sentenza 18.11.2010 n. 10389 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Ai fini della sanatoria edilizia
rileva che il manufatto abusivo risulti
“ultimato”, con tale locuzione
individuandosi gli edifici dei quali sia
stato eseguito il rustico e completata la
copertura; rileva, infatti, che sia definito
l'ingombro della struttura e il volume
esprimibile dall'edificio abusivo, il che
viene determinato dall'esistenza del piano
di copertura, a prescindere dalla sua
completezza e definitività secondo buona
tecnica.
Per costante giurisprudenza, “ai fini
della sanatoria edilizia rileva che il
manufatto abusivo risulti “ultimato”, con
tale locuzione individuandosi gli edifici
dei quali sia stato eseguito il rustico e
completata la copertura; rileva, infatti,
che sia definito l'ingombro della struttura
e il volume esprimibile dall'edificio
abusivo, il che viene determinato
dall'esistenza del piano di copertura, a
prescindere dalla sua completezza e
definitività secondo buona tecnica”
(così, per tutte, TAR Puglia Lecce, I,
19.05.2010, n. 1185).
Stando così le cose, è evidente come non sia
affatto irrilevante la circostanza che, in
pendenza della prima domanda di condono, il
ricorrente abbia posto in essere un
intervento di manutenzione straordinaria
(consistente nel parziale rifacimento della
copertura) in assenza di titolo edilizio.
Trattandosi di un manufatto pacificamente
abusivo, per il quale pendeva domanda di
condono (non ancora definita per inerzia del
richiedente), soltanto la preventiva
denuncia dell’intervento manutentivo avrebbe
consentito all’amministrazione comunale di
verificare la effettiva consistenza della
copertura in termini di esistenza,
estensione e stato di conservazione, onde
determinarsi sulla domanda di condono.
In buona sostanza, ostativa al condono non è
tanto la circostanza -in sé– del rifacimento
della struttura di copertura del locale
cantina, bensì il fatto che da un lato il
ricorrente non abbia documentato lo stato di
fatto esistente all’atto della domanda di
condono, dall’altro non abbia -neppure
successivamente- notificato l’intervento
manutentivo al comune, con ciò impedendo in
radice agli uffici comunali di accertare la
effettiva consistenza dell’immobile alla
data dell'01.10.1983
(TAR Liguria, Sez. I,
sentenza 18.11.2010 n. 10388 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
COMPETENZE GESTIONALI:
Il principio di separazione
dell’attività di governo da quella
gestionale di cui all’art. 107 del D.Lgs. n.
267/2000, corollario del principio di buon
andamento ed imparzialità
dell’amministrazione, implica che la
commissione edilizia comunale non possa
essere composta né presieduta da organi
politici dell’ente locale.
Come
recentemente chiarito dalla giurisprudenza,
anche di questa Sezione, il principio di
separazione dell’attività di governo da
quella gestionale di cui all’art. 107 del
D.Lgs. n. 267/2000, corollario del principio
di buon andamento ed imparzialità
dell’amministrazione, implica che la
commissione edilizia comunale non possa
essere composta né presieduta da organi
politici dell’ente locale (TAR Liguria, I,
15.05.2010, n. 2584; nello stesso senso cfr.
TAR Sicilia-Catania, I, 80.05.2008, n. 866;
TAR Liguria, I, 11.07.2007, n. 1376; TAR
Piemonte, I, 10.05.2006, n. 2022; id.,
23.03.2005, n. 657)
(TAR Liguria, Sez. I,
sentenza 18.11.2010 n. 10388 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L'area
sita in fascia di rispetto, sebbene
inedificabile, esprime una volumetria
concentrabile sulle aree adiacenti esterne a
detta fascia, secondo i parametri nelle
stesse fissate e, quindi, concorre per
intero alla determinazione della superficie
utile ai fini del calcolo della cubatura
assentibile e della superficie che può
essere coperta.
Ciò corrisponde ad un principio pacifico e
consolidato in giurisprudenza, secondo cui
la fascia di rispetto partecipa, come regola
generale e salvi gli specifici obblighi da
essa nascenti, della natura e della
disciplina della zona nella quale essa è
inserita, concorrendo alla determinazione
delle capacità edificatorie della più vasta
area in cui essa è inclusa.
Il vincolo derivante da una fascia di
rispetto stradale ha l'effetto urbanistico
di prescrivere un semplice obbligo di
distanza, ma non quello di rendere
inedificabile l'area che vi ricade, posto
che la "ratio" delle disposizioni che danno
origine alla cosiddetta "zona di rispetto
viario" sono quelle di garantire la
sicurezza della circolazione stradale, con
la conseguenza che tali aree possono essere
computabili ai fini della volumetria
edificabile.
Le norme che impongono vincoli di rispetto
dalla sede stradale operano al pari della
disciplina sulle distanze tra costruzioni e
tra costruzioni e confini, che hanno natura
edilizia ed impongono arretramenti e
distacchi, senza incidenza sulla vocazione
edificatoria del suolo compreso nella
distanza, la quale, a sua volta, trae
origine dalla disciplina a natura
urbanistica.
La “fascia di rispetto stradale”
costituisce un vincolo al quale è
riconosciuta natura “conformativa”,
per essere configurato in maniera obiettiva
e rispetto alla totalità dei soggetti e beni
che si trovano nelle suddette condizioni
nonché in considerazione del fatto che esso
non è funzionale ad alcuna vicenda ablatoria,
per cui non incide sulla qualità
edificatoria della superficie, che deriva
esclusivamente dalla destinazione impressa
dalla zonizzazione nello strumento
urbanistico.
L’amministrazione sostiene, nella specie,
che l’area derivante dalla fascia di
rispetto stradale, essendo graficizzata come
zona bianca, non potrebbe essere computata
ai fini volumetrici, non essendo compresa
tra le aree a destinazione agricola.
Osserva il Collegio che l'area sita in
fascia di rispetto, sebbene inedificabile,
esprime una volumetria concentrabile sulle
aree adiacenti esterne a detta fascia,
secondo i parametri nelle stesse fissate e,
quindi, concorre per intero alla
determinazione della superficie utile ai
fini del calcolo della cubatura assentibile
e della superficie che può essere coperta.
Ciò corrisponde ad un principio pacifico e
consolidato in giurisprudenza, secondo cui
la fascia di rispetto partecipa, come regola
generale e salvi gli specifici obblighi da
essa nascenti, della natura e della
disciplina della zona nella quale essa è
inserita, concorrendo alla determinazione
delle capacità edificatorie della più vasta
area in cui essa è inclusa (conf: Cons.
Stato Sez. IV 31.01.2005 n. 253; TAR
Campania-Salerno, Sez. I, 27/11/2006, n.
2178; TAR Catania, I, 15.10.2007 n. 1663, in
cui si richiama Cass. Civ., Sez. I
06.09.2006 n. 19132; TAR Toscana n. 1982 del
2000).
In definitiva, il vincolo derivante da una
fascia di rispetto stradale ha l'effetto
urbanistico di prescrivere un semplice
obbligo di distanza, ma non quello di
rendere inedificabile l'area che vi ricade,
posto che la "ratio" delle
disposizioni che danno origine alla
cosiddetta "zona di rispetto viario"
sono quelle di garantire la sicurezza della
circolazione stradale, con la conseguenza
che tali aree possono essere computabili ai
fini della volumetria edificabile.
La tesi del Comune e la conclusione della
relazione, posta alla base dell’attività
amministrativa svolta in via di autotutela
non è condivisibile, poiché la ricostruzione
della cubatura assentibile effettuata appare
viziata dal medesimo errore di fondo e,
cioè, l'aver escluso, dalla superficie "utile"
dell’unità culturale, quella oggetto della
fascia di rispetto stradale.
In particolare, le norme che impongono
vincoli di rispetto dalla sede stradale
operano al pari della disciplina sulle
distanze tra costruzioni e tra costruzioni e
confini, che hanno natura edilizia ed
impongono arretramenti e distacchi, senza
incidenza sulla vocazione edificatoria del
suolo compreso nella distanza, la quale, a
sua volta, trae origine dalla disciplina a
natura urbanistica.
Nella specie, la volumetria derivante dalla
fascia di rispetto (pari a quella agricola
0,03) non determina un superamento della
densità fondiaria: infatti per le residenze
è previsto un indice di densità fondiaria di
edificazione=0,03 mc/mq che è il medesimo
previsto anche per la restante proprietà.
Pertanto, non risultando dimostrato che
l’accorpamento della volumetria, derivante
anche dal computo della fascia di rispetto,
abbia superato i limiti della densità
fondiaria, non esiste alcuna valida ragione
per ritenere i provvedimenti autorizzativi a
suo tempo assentiti non conformi alle
previsioni legislative e regolamentari
disciplinati la fattispecie, trattandosi,
peraltro, di situazioni urbanistiche
assolutamente equiparabili (TAR
Calabria-Catanzaro, Sez. I,
sentenza 17.11.2010 n. 2709 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La nozione di ristrutturazione
comprende interventi che, pur mantenendo
inalterati gli elementi strutturali che
individuano e qualificano l’edificio
preesistente, possono comportare anche
modifiche non stravolgenti alla sagoma
nonché limitati incrementi di superficie e
volume.
L’identità della volumetria e della sagoma
costituisce un limite solo per gli
interventi di ristrutturazione che
comportano la previa demolizione
dell’edificio; viceversa tali limiti non
valgono per quegli interventi di
ristrutturazione ordinaria (cioè senza
previa demolizione) i quali devono mantenere
inalterati gli elementi strutturali che
individuano e qualificano l’edificio
preesistente, potendo però comportare
integrazioni strutturali e cioè in pratica
anche modifiche non stravolgenti alla sagoma
nonché limitati incrementi di superficie e
volume.
La giurisprudenza amministrativa ha avuto
modo di osservare (cfr. TAR Emilia Romagna,
Sez. II, 25.02.2010 n. 1613 e TAR Marche
28.12.2006 n. 1568) che la nozione di
ristrutturazione comprende interventi che,
pur mantenendo inalterati gli elementi
strutturali che individuano e qualificano
l’edificio preesistente, possono comportare
anche modifiche non stravolgenti alla sagoma
nonché limitati incrementi di superficie e
volume.
In particolare, il Supremo Consesso
amministrativo ha osservato (cfr. Cons. St.
Sez. IV 08.08.2007 n. 5214): <<Come è
noto, la nozione di ristrutturazione
edilizia si rinviene oggi nell’art. 3, comma
1, lettera d), del T.U. n. 380 del 2001
(interventi rivolti a trasformare gli
organismi edilizi mediante un insieme di
opere che possono portare ad un organismo in
tutto o in parte diverso dal precedente) e
nell’art. 10, comma 1, lettera c), del
citato T.U. (interventi .. che comportino
modifiche del volume, della sagoma, dei
prospetti e delle superfici..)
Per quanto riguarda invece la ipotesi
specifica di derivazione giurisprudenziale
della ristrutturazione mediante demolizione
e ricostruzione, la relativa disciplina è
stata per la prima volta introdotta
nell’ordinamento positivo con l’art. 3,
comma 1, lettera d), del T.U. n. 380 del
2001, il quale richiedeva la fedele
ricostruzione (sagoma, volume, sedime e
materiali) della preesistenza.
Successivamente, l’art. 1, comma 6, lettera
b), della legge delega sulle infrastrutture
n. 443 del 2001 ha richiesto identità di
volume e sagoma.
Da ultimo, riprendendo tale impostazione, il
D.L.vo n. 301 del 2002 ha eliminato
dall’art. 3 del T.U. edilizia l’originario
riferimento alla “fedele ricostruzione”
(espungendo così ad es. il richiamo alle
caratteristiche dei materiali) ma ha tenuto
fermo che la ricostruzione costituisce
ristrutturazione solo se il risultato finale
coincide con la volumetria e sagoma
preesistenti.
Dal raffronto fra i corpi normativi ora
richiamati emerge con chiarezza, a giudizio
del Collegio, che l’identità della
volumetria e della sagoma costituisce un
limite solo per gli interventi di
ristrutturazione che comportano la previa
demolizione dell’edificio; viceversa tali
limiti non valgono per quegli interventi di
ristrutturazione ordinaria (cioè senza
previa demolizione) i quali devono mantenere
inalterati gli elementi strutturali che
individuano e qualificano l’edificio
preesistente, potendo però comportare
integrazioni strutturali e cioè in pratica
anche modifiche non stravolgenti alla sagoma
nonché limitati incrementi di superficie e
volume.
Né le limitazioni suddette, apposte ora
dalla legge solo all’ipotesi di
ristrutturazione con previa demolizione,
possono considerarsi irrazionali, in quanto
si rapportano agli evidenti vantaggi (si
pensi all’ipotesi di più restrittivi
strumenti urbanistici sopravvenuti) che
discendono dall’inquadramento dell’attività
ricostruttiva di ciò che è stato demolito
nell’ambito della ristrutturazione anziché
in quello della nuova costruzione.>>
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 02.11.2010 n. 4525 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Sulla struttura bifasica della
procedura di gara e sulla necessità di
apposita motivazione sull’interesse pubblico
nel caso di annullamento o revoca
dell’aggiudicazione di una gara.
1.
Quantunque nei contratti della P.A.
l’aggiudicazione, quale atto conclusivo del
procedimento di scelta del contraente, segni
di norma il momento dell’incontro della
volontà della stessa Amministrazione di
concludere il contratto e del privato,
manifestata con l’individuazione
dell’offerta ritenuta migliore, non è
tuttavia precluso all’Amministrazione di
procedere, con atto successivo, purché
adeguatamente motivato con richiamo ad un
preciso e concreto interesse pubblico, alla
revoca d’ufficio o all’annullamento
dell’aggiudicazione, fondandosi detta
potestà di annullamento in autotutela sul
principio costituzionale di buon andamento
che impegna la P.A. ad adottare atti il più
possibile rispondenti ai fini da conseguire.
2.
E’ illegittimo il provvedimento di revoca
dell’aggiudicazione di una gara di appalto
(nella specie si trattava di un appalto del
servizio di trasporto scolastico), motivato
non già con riferimento ad elementi,
preesistenti alla procedura di gara o
sopravvenuti nelle more della stipula del
contratto riguardanti la ditta
aggiudicataria (quali per esempio la
obiettiva carenza o l’inidoneità dei mezzi
indicati per l’espletamento della gara,
ovvero la mancanza delle autorizzazioni di
legge all’esercizio del trasporto di
studenti, ovvero la sopravvenuta incapacità
finanziaria), quanto piuttosto ad un
giudizio prognostico, ma meramente
ipotetico, di incapacità dell’aggiudicataria
di espletare il servizio aggiudicato a causa
delle irregolarità ed inadempienze nel
periodo di prova.
Le eventuali inadempienze od irregolarità
nel periodo di prova, infatti, appartengono
alla fase di esecuzione del rapporto, così
che esse possono dar luogo alla risoluzione
contrattuale e non già all’esercizio di
poteri pubblicistici di revoca
dell’aggiudicazione (massima tratta da
http://doc.sspal.it - Consiglio di Stato,
Sez V,
sentenza
10.09.2009 n. 5427 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Sulla natura eccezionale della
procedura negoziata senza previa
pubblicazione del bando e sulla
illegittimità del ricorso ad essa nel caso
di urgenza derivante da carenza di adeguata
organizzazione o programmazione ovvero da
mera inerzia o responsabilità della P.A..
1.
Il ricorso al sistema di scelta del
contraente mediante procedura negoziata
senza previa pubblicazione del bando,
previsto dall’art. 55, comma 2, lett. c),
del D.Lgs. 12.04.2006, n. 163, il quale si
sostanzia in una vera e propria trattativa
privata, rappresenta un’eccezione al
principio generale della pubblicità e della
massima concorsualità tipica della procedura
aperta, con la conseguenza che i presupposti
fissati dalla legge per la sua ammissibilità
devono essere accertati con il massimo
rigore e non sono suscettibili di
interpretazione estensiva.
2.
Ai fini di poter fare ricorso legittimamente
al sistema della procedura negoziata senza
previa pubblicazione del bando, previsto
dall’art. 55, comma 2, lett. c), del D.Lgs.
12.04.2006, n. 163, in considerazione
dell’urgenza di provvedere, occorre che tale
urgenza non sia addebitabile in alcun modo
all’Amministrazione per carenza di adeguata
organizzazione o programmazione ovvero per
sua inerzia o responsabilità (alla stregua
del principio è stato ritenuto illegittimo
il ricorso al suddetto sistema, atteso che
non erano stati indicati eventi
oggettivamente imprevedibili, risultando per
contro che il ricorso alla procedura
negoziata era addebitabile esclusivamente
alla lentezza ed alla farraginosità
dell’azione amministrativa; d’altra parte,
il riferimento alla ricorrenza del periodo
feriale e dunque ad una minore operatività
degli uffici, non costituiva fatto
imprevedibile, idoneo a legittimare
l’utilizzo di un sistema eccezionale di
scelta del contraente) (massima tratta da
http://doc.sspal.it - Consiglio di Stato,
Sez. V,
sentenza 10.09.2009 n. 5426 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Sull’annullamento dell’aggiudicazione di
una gara a trattativa privata in quanto
la ditta aggiudicataria era diversa da
quella invitata alla trattativa.
1.
Il nostro ordinamento prevede che vi sia un
principio di immodificabilità
soggettiva dei partecipanti alle gare
pubbliche, così da consentire
all’Amministrazione la conoscenza dei
requisiti di idoneità tecnico-organizzativa
ed
economico-finanziaria dei concorrenti.
Tale
principio nasce dall'esigenza di
assicurare alle Amministrazioni
aggiudicatrici un controllo preliminare dei
requisiti
dei concorrenti e di impedire che tale
verifica venga vanificata o elusa con
modificazioni soggettive in corso di gara
delle imprese candidate.
2. E’ legittima la delibera con la quale la
P.A. appaltante, dopo essersi resa conto che
la ditta cui era stata aggiudicata la gara
di appalto non corrispondeva alla ditta
destinataria dell’invito alla gara mediante
trattativa privata, ha disposto
l’annullamento dell’aggiudicazione e del
relativo contratto.
E’ irrilevante a tal
fine la
circostanza che si trattava di trattativa
privata, atteso che l’Amministrazione
comunque aveva previamente selezionato le
ditte da invitare, apprezzandone i
requisiti di capacità tecnica, solidità,
economica, serietà, affidabilità e che,
pertanto,
non poteva ritenersi ammessa la
partecipazione alla gara di una ditta non
invitata (massima
tratta da http://doc.sspal.it - Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza
07.09.2009 n. 5224 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Sulla portata del favor partecipationis e
sulla possibilità di integrazione.
1.
Il favor partecipationis ed il c.d.
dovere di soccorso recedono a fronte di una
specifica disposizione della legge di gara
che prevede un adempimento a pena di
esclusione, dovendo in tal caso far
prevalere il diritto alla parità di
trattamento; in
particolare, va disposta l’esclusione dalla
gara di una ditta che ha prestato una
cauzione provvisoria d’importo inferiore a
quello previsto dal bando a pena di
esclusione, non essendo consentito in tale
ipotesi alla stazione appaltante formulare
una richiesta di integrazione della
documentazione, trattandosi di adempimento
univocamente previsto dal bando con espressa
comminatoria.
2. L'esclusione dalla gara
dell'aggiudicataria provvisoria in
conseguenza della
verifica del possesso dei requisiti
autocertificati non deve essere preceduta
dalla
comunicazione di avvio del procedimento,
atteso che tale verifica rientra
nell'unitario procedimento di gara già in
corso e del quale i partecipanti sono già a
conoscenza (massima
tratta da http://doc.sspal.it - Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza
03.09.2009 n. 5171 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Sul divieto di commistione fra i
criteri soggettivi di pre-qualificazione e
quelli oggettivi afferenti alla valutazione
dell’offerta.
1.
Costituisce principio generale regolatore
delle gare pubbliche il divieto di
commistione fra i criteri soggettivi di
pre-qualificazione e quelli oggettivi
afferenti alla valutazione dell’offerta ai
fini dell’aggiudicazione.
Tale principio, che affonda le sue radici
nell’esigenza di aprire il mercato premiando
le offerte più competitive ove presentate da
imprese comunque affidabili, unitamente al
canone di par condicio che osta ad
asimmetrie pregiudiziali di tipo meramente
soggettivo, trova il suo sostanziale
supporto logico nel bisogno di tenere
separati i requisiti richiesti per la
partecipazione alla gara da quelli che
invece attengono all'offerta e
all'aggiudicazione.
2.
E’ illegittimo un bando di gara di appalto,
da aggiudicare con il sistema dell’offerta
economicamente più vantaggiosa, nella parte
in cui ha attribuito rilevanza, in sede di
assegnazione del punteggio, ai requisiti
soggettivi in sé considerati, ossia avulsi
dalla valutazione dell’incidenza
dell’organizzazione sullo specifico
espletamento del servizio da aggiudicare
(nella specie si attribuiva rilievo al
possesso di certificazioni di qualità ed
all’attività di intermediazione svolta negli
ultimi tre anni, ossia ad aspetti che non
attengono all’organizzazione specifica
concreta bensì alle qualità soggettive
astratte).
--------------------------------
Secondo il Giudice amministrativo il filo
che separa il canone oggettivo di
valutazione dell’offerta ed il requisito
soggettivo del competitore è particolarmente
sottile, stante la potenziale idoneità dei
profili di organizzazione soggettiva a
riverberarsi sull’affidabilità e
sull’efficienza dell’offerta e, quindi,
della prestazione.
Tale commistione apparentemente
inestricabile, che rende in concreto non
pertinente il principio astratto fin qui
enucleato, viene tuttavia in rilievo quante
volte la lex specialis valorizzi non già i
requisiti soggettivi in sé intesi bensì quei
profili soggettivi diretti a riverberarsi in
modo specifico sull’espletamento
dell’attività appaltata, con riferimento
precipuo alle caratteristiche del personale
e delle attrezzature da adibire alle
prestazioni interessate dell’appalto
(massima tratta da http://doc.sspal.it -
Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 28.08.2009 n.
5105 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Sul presupposto della colpa della P.A.
necessario per riconoscere il risarcimento
dei danni, nel caso di violazione delle
regole partecipative di cui agli artt. 7 e
segg.
della L. n. 241 del 1990 e sulla
quantificazione del danno nel caso di
illegittima aggiudicazione di una gara di
appalto.
1.
L’omesso rispetto delle regole partecipative
di cui agli artt. 7 e segg. della legge n.
241 del 1990, anche alla luce del principio
comunitario di tutela del legittimo
affidamento (cd. legittimate expectation),
integra gli estremi dell’errore qualificato
e
caratterizzato, e, in definitiva, sostanzia
la nozione normativa di "colpa" che viene
in rilievo ai fini del risarcimento dei
danni prodotti dalla P.A. per lesione di
interessi
legittimi.
2. Nel caso di illegittima aggiudicazione di
una gara di appalto di lavori pubblici
(nella specie si trattava di lavori
stradali), aggiudicazione alla quale la ricorrente
vittoriosa avrebbe avuto diritto, appare
equo quantificare il danno, in ossequio ad
una
consolidata giurisprudenza del Consiglio di
Stato e in considerazione delle
caratteristiche dell’appalto, nella misura
del 10% dell’offerta economica presentata
dalla parte ricorrente.
Su detta somma
andranno computati gli interessi legali
dalla
data di pubblicazione della decisione fino
al soddisfo (massima
tratta da http://doc.sspal.it - Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 21.08.2009 n. 5004
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Sulla portata della dichiarazione
dell’insussistenza delle cause di esclusione
previste dall’art. 38 del d.lgs. n.
163/2006.
1.
Nel caso in cui il bando non si limiti a
chiedere una generica dichiarazione di
insussistenza delle cause di esclusione di
cui all’art. 38 del d.lgs. n. 163/2006, ma
specifichi che vanno dichiarate tutte le
condanne penali, o tutte le violazioni
contributive, si richiede una dichiarazione
dal contenuto più ampio e più puntuale
rispetto a quanto prescritto dall’art. 38
del Codice, all’evidente fine di riservare
alla
stazione appaltante la valutazione di
gravità o meno dell’illecito, al fine
dell’esclusione.
In siffatta ipotesi, la
causa di esclusione non è solo quella,
sostanziale, dell’essere stata commessa una
grave violazione, ma anche quella,
formale, di aver omesso una dichiarazione
prescritta dal bando.
2. Nel caso in cui il bando di gara richieda
una dichiarazione da cui risulti
"l’insussistenza, ai sensi dell’art. 38, c.
1, del d.lgs. 163/2006, di una delle cause
di
esclusione dalle gare di appalto", non
costituisce di per sé dichiarazione falsa, e
non
dà luogo ad autonoma causa di esclusione, la
omessa menzione di condanne penali
non gravi e la omessa menzione di violazioni
contributive che non sono gravi o non
sono state definitivamente accertate, atteso
che, nell’ipotesi in questione, il bando,
per come è formulato, non impone di
dichiarare qualsivoglia condanna penale o
violazione contributiva, tenuto conto
peraltro del fatto che le cause di
esclusione
dalle gare sono da ritenere tassative, e che
va applicato il principio di massima partecipazione alle gare
(massima tratta da http://doc.sspal.it -
Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 04.08.2009 n. 4906
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Sui limiti del potere delle Stazioni
appaltanti di prevedere condizioni di
partecipazione più restrittive rispetto a
quelle stabilite dal Codice dei contratti.
1.
Il Codice dei contratti pubblici (D.L.vo
12.04.2006 n. 163), con le norme in
esso contenute, non ha inteso introdurre la
possibilità in favore delle stazioni
appaltanti di prevedere disposizioni nella
lex specialis di gara volte a ridurre,
ingiustificatamente, la platea dei
potenziali concorrenti, relegando al
contrario la
possibilità per l’Amministrazione di
introdurre delle “clausole-ostacolo” nel
bando o
nel capitolato solo laddove tali
disposizioni siano motivate espressamente e
trovino
ragione nelle peculiarità dell’oggetto
dell’appalto da affidarsi (tanto che l’art.
74,
comma 5, del Codice dei contratti pubblici
impone alle stazioni appaltanti di
richiedere alle concorrenti, nel
confezionare l’offerta, di corredarla dei
soli elementi
essenziali prescritti dallo stesso Codice,
nonché degli altri elementi e documenti
necessari o utili, ma pur sempre "nel
rispetto del principio di proporzionalità in
relazione all’oggetto del contratto e alle
finalità dell’offerta").
2. L'art. 46 del D.L.vo n. 163 del 2006, nel
disporre che le Amministrazioni invitano,
se necessario, le ditte partecipanti a gare
per l'aggiudicazione di appalto di servizi a
fornire chiarimenti e ad integrare la
carente documentazione presentata, non ha
inteso assegnare alle stesse una mera
facoltà o un potere eventuale, ma piuttosto
codificare un ordinario modo di procedere,
volto a far valere, entro certi limiti e nel
rispetto della par condicio dei concorrenti,
la sostanza sulla forma, orientando
l'azione amministrativa sulla concreta
verifica dei requisiti di partecipazione e
della
capacità tecnica ed economica, coerentemente
con la disposizione di carattere
generale contenuta nell'art. 6 della L. 07.08.1990 n. 241
(massima tratta da http://doc.sspal.it - TAR Lazio-Roma, Sez. II,
sentenza 30.07.2009 n. 7706
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Sulla possibilità di annullare
l’aggiudicazione quando i lavori siano in
corso.
Sussiste il potere della P.A. appaltante di
disporre l’annullamento d’ufficio in
autotutela dell’aggiudicazione, pur se in
epoca successiva alla stipulazione del
contratto di appalto con l’aggiudicatario,
persino quando siano in corso i lavori; né
costituisce di per sé un ostacolo
all'esercizio del generale potere di riesame
in un
momento successivo alla conclusione del
procedimento la presenza, nel
procedimento di aggiudicazione degli appalti
pubblici, di strumenti tipici di verifica
immediata dell'attività compiuta
dall’amministrazione, come, ad es.,
l'approvazione
degli atti di gara e l'eventuale controllo
(massima tratta da http://doc.sspal.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 20.07.2009 n. 4398
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Sul divieto di introdurre nuovi criteri o
sub-criteri di valutazione delle offerte e
sulla determinazione dei danni nel caso di
illegittima aggiudicazione di una gara.
1.
Nel caso di gare svolte secondo il criterio
dell’offerta economicamente più
vantaggiosa, deve escludersi la possibilità
dell’introduzione da parte della
commissione di nuovi criteri o sub criteri
oltre quelli già fissati e indicati nel
bando, dovendosi limitare al massimo la
discrezionalità della medesima
commissione, atteso peraltro che
l’introduzione di nuovi criteri di
valutazione delle
offerte si porrebbe in contrasto con il
principio di parità di trattamento e di par
condicio tra imprese.
2. Il risarcimento del danno per illegittima
aggiudicazione è riferito sostanzialmente
alla "perdita di chance", ovvero al guadagno
che l'impresa avrebbe potuto ottenere,
in base ad una ragionevole valutazione di
probabilità e alle regole del mercato.
3. In sede di risarcimento del danno
arrecato dalla illegittimità della mancata
aggiudicazione, il "lucro cessante" può
essere direttamente rapportato all'utile
che l'impresa avrebbe conseguito a seguito
dell'aggiudicazione illegittimamente
negata, che la prevalente giurisprudenza
mutua dall'art. 345 della legge 20.03.1865, n. 2248, all. F, nella misura del 10%
dell'importo dell'appalto.
La somma
risultante deve considerarsi compensativa
anche del "danno emergente", identificato
nel costo affrontato dalla società per la
presentazione dell'offerta.
4. In linea di massima deve ammettersi che
una impresa illegittimamente
privata dell'esecuzione di un appalto possa
rivendicare, a titolo di lucro
cessante, anche la perdita della possibilità
di arricchire il proprio curriculum
professionale (c.d. "danno curriculare"),
che consiste nel pregiudizio subito
dall'impresa a causa del mancato
arricchimento del curriculum professionale
per non
poter indicare in esso l'avvenuta esecuzione
dell'appalto sfumato a causa del
comportamento illegittimo
dell'Amministrazione.
La quantificazione di
tale voce di
danno va operata in via equitativa,
riconoscendo una somma pari ad una
percentuale (variabile dall'1% al 5%)
applicata sulla somma già liquidata a titolo
di lucro cessante
(massima tratta da http://doc.sspal.it - TAR Lazio-Roma, Sez. III-quater,
sentenza
18.07.2009 n. 7103 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Sulla possibilità per le fondazioni private
di partecipare a gare di appalto.
Una fondazione può partecipare ad una gara
di appalto, atteso che la legislazione
nazionale (art. 3, punto 19, del D. Lgs. 12.04.2006 n. 163) riferisce i termini di
imprenditore, fornitore e prestatore di
servizi ad "una persona fisica, o una
persona
giuridica, o un ente senza personalità
giuridica, ivi compreso il gruppo europeo di
interesse economico (GEIE) costituito ai
sensi del decreto legislativo 23.07.1991,
n. 240, che offra sul mercato,
rispettivamente, la realizzazione di lavori
o opere, la
fornitura di prodotti, la prestazione di
servizi"; parimenti la norma comunitaria
(art.
1, par. 8, della direttiva n. 2004/18/CE)
indica che "i termini «imprenditore»,
«fornitore» e «prestatore di servizi»
designano una persona fisica o giuridica o
un
ente pubblico o un raggruppamento di tali
persone e/o enti che offra sul mercato,
rispettivamente, la realizzazione di lavori
e/o opere, prodotti o servizi".
Non v’è
quindi ragione di escludere che anche
soggetti economici senza scopo di lucro,
quali
le fondazioni, possano soddisfare i
necessari requisiti ed essere qualificati
come
"imprenditori", "fornitori" o "prestatori di
servizi" ai sensi della citata normativa
(massima tratta da http://doc.sspal.it -
Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 16.06.2009 n. 3897
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Sul divieto di rendere nota l’offerta
economica.
1.
Nella procedura dell’appalto-concorso,
connotata da una netta separazione tra le
fasi di valutazione dell’offerta tecnica e
dell’offerta economica, il principio di
segretezza dell'offerta economica impone che
sia interdetto al seggio di gara,
finché non sia stata ultimata la valutazione
delle offerte tecniche, la conoscenza delle
percentuali di ribasso offerte dai
concorrenti, onde scongiurare che il seggio
di gara
sia influenzato, nella valutazione
dell’offerta tecnica, dalla conoscenza di
elementi
dell’offerta economica; alla eventuale
violazione del principio di segretezza
dell'offerta economica consegue
necessariamente l’esclusione del concorrente
dalla
gara, anche in assenza di espresse
previsioni della lex specialis.
2. Va esclusa una ditta che ha violato il
principio di segretezza dell’offerta
economica, inserendo all’interno del plico
contenente l’offerta tecnica anche il
computo metrico estimativo, in tal modo
palesando al seggio di gara, prima
dell’apertura della busta con l’offerta
economica, i termini economici della stessa (massima tratta da http://doc.sspal.it
- Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 09.06.2009 n. 3575
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Sulla responsabilità
pre-contrattuale della P.A..
1.
E’ configurabile una responsabilità
precontrattuale della P.A. nel caso di
ingiustificata interruzione delle
trattative, atteso che l’esistenza di un procedimento amministrativo non esclude
l’autonomia del momento procedimentale
negoziale nel corso del quale la P.A. è
obbligata ad osservare le regole di condotta
della buona fede e della diligenza in
relazione alle quali non sussistono limiti
di
sindacato connessi allo status pubblicistico
di una delle parti.
Inoltre, la presenza di
un modello formativo della volontà negoziale
predeterminato nei suoi profili
procedimentali mediante la scansione degli
atti, che vede normalmente la presenza di
più soggetti potenzialmente interessati al
contratto, non rappresenta un ostacolo
all’applicazione delle regole della
responsabilità precontrattuale.
2. Affinché possa dirsi integrata la
fattispecie di cui all’art. 1337 cod. civ.,
occorre
che sussistano due elementi: uno positivo,
rappresentato dall’affidamento senza
colpa ingenerato nella controparte dal
comportamento del soggetto recedente;
l’altro negativo, rappresentato dalla
mancanza di una giusta causa.
In altri
termini, il recesso dalle trattative
determina responsabilità precontrattuale
quando le stesse sono interrotte in assenza
di una giusta causa, con lesione
dell’affidamento creato nell’altro
contraente.
3. Non è sufficiente ad esonerare da
responsabilità precontrattuale la P.A. ed a
ritenere specularmente non meritevole di
protezione l’affidamento del privato la
circostanza che con l’avviso pubblico i
partecipanti alla procedura concorsuale
erano
stati informati circa la necessità che il
"progetto esecutivo" oggetto della gara
avrebbe dovuto essere sottoposto a tutte le
"necessarie approvazioni".
4. In materia di responsabilità
precontrattuale è risarcibile il solo
interesse negativo
e cioè l’interesse a non intraprendere o
proseguire trattative inutili.
Più
precisamente, è risarcibile sia il danno
emergente, rappresento dalla spese
inutilmente sostenute, sia il lucro
cessante, rappresento dalle altre occasioni
favorevoli perse. La prova di tali danni
spetta, in linea con l’inquadramento di
tale responsabilità nell’ambito della
responsabilità civile, alla parte lesa.
5. In sede di determinazione del danno
derivante da responsabilità precontrattuale
della P.A., non può applicarsi in via
equitativa il metodo di determinazione del
danno rappresentato dalla liquidazione
forfettaria di una somma pari al 10%
dell’ammontare dell’offerta.
Tale metodo,
infatti, è astrattamente utilizzabile, con i
dovuti correttivi di natura equitativa,
soltanto per la definizione delle misure
risarcitorie da lesione dell’interesse
positivo.
6. In sede di determinazione del danno
derivante da responsabilità precontrattuale
della P.A., occorre fornire la prova del
danno derivante dalle occasioni di lavoro
perse a causa dell’impegno profuso nello
svolgimento di trattative rilevatesi poi
inutili, essendo il danneggiato onerato a
provare, sulla base di circostanze di fatto
certe e puntualmente allegate, il nesso
causale tra la condotta lesiva e il
vantaggio
alternativo perduto
(massima tratta da http://doc.sspal.it - TAR Calabria-Catanzaro, Sez. II,
sentenza
09.06.2009 n. 627 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Sulla distinzione tra informative antimafia
"atipiche" e "tipiche", sul carattere
vincolante di queste ultime e sui
presupposti per la loro adozione.
1.
Mentre mediante l’informativa antimafia "atipica"
viene inviata
all’amministrazione destinataria
dell’informativa stessa una raccolta di
elementi di
fatto rimessi alla sua valutazione in vista
dell’adozione di determinazioni di sua
esclusiva competenza, nel caso di
informativa "tipica" viene espresso
direttamente,
da parte della stessa autorità prefettizia
il maturato convincimento circa la reale
sussistenza del pericolo di infiltrazioni
mafiose o della criminalità organizzata; con
la
conseguenza che l’amministrazione
destinataria dell’informativa tipica non può
non
tenerne conto ed adottare gli atti
conseguenziali, in altre parole, vincolati
al giudizio
circa il pericolo di infiltrazione maturato
dal Prefetto.
2. L’adozione di una informativa antimafia
"tipica" non deve necessariamente
collegarsi ad accertamenti in sede penale di
carattere definitivo e certo sull’esistenza
della contiguità con organizzazioni
malavitose e del condizionamento in atto
dell’attività di impresa, ma può essere
sorretta da elementi sintomatici ed
indiziari da
cui emergano gli elementi di pericolo di
dette evenienze e non necessita, quindi, di
dimostrazione nell’attualità delle
infiltrazioni mafiose.
3. L’informativa antimafia tipica non deve
provare l'intervenuta infiltrazione,
essendo questa un quid pluris non richiesto,
ma deve solo sufficientemente
dimostrare la sussistenza di elementi dai
quali è deducibile il tentativo di ingerenza
(alla stregua del principio nella specie è
stato ritenuto che costituivano sufficienti
indizi delle infiltrazioni le frequentazioni
tra un socio della società ed esponenti
di primo piano di un clan camorristico e la
rilevata presenza, all’interno della cava
di cui disponeva la società di un
pluripregiudicato per mafia, omicidio
volontario,
porto e detenzione di armi etc.; con la
conseguenza che il reputato pericolo di
infiltrazione mafiosa appariva sorretto da
elementi non privi di consistenza)
(massima tratta da http://doc.sspal.it -
Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 08.06.2009 n. 3491
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Sull’illegittima
valutazione delle offerte economiche prima
di quelle tecniche.
L'esame da parte della commissione delle
offerte economiche prima di quelle
tecniche costituisce una palese violazione
dei principi di trasparenza e di
imparzialità
che devono presiedere le gare (cfr. art. 91
del D.P.R. n. 554 del 1999), in quanto la
conoscenza preventiva dell'offerta economica
consente di modulare il giudizio
sull'offerta tecnica in modo non conforme
alla parità di trattamento dei
concorrenti e tale possibilità, ancorché
remota, inficia la della procedura (massima tratta da http://doc.sspal.it
- Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 25.05.2009 n. 3217
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Sulla portata e natura dell’istituto dell’avvalimento
e sul corredo documentale da produrre da
parte dell’impresa.
1.
Gli artt. 31 e 32 della direttiva del
Consiglio 18.06.1992, 92/50 CEE, che
coordina le procedure di aggiudicazione
degli appalti pubblici di servizi, vanno
interpretata nel senso che consentono ad un
concorrente, per comprovare il possesso
dei requisiti economici, finanziari e
tecnici di partecipazione ad una gara
d'appalto ai
fini dell'aggiudicazione di un appalto
pubblico di servizi, di far riferimento alle
capacità di altri soggetti, qualunque sia la
natura giuridica dei vincoli che ha con
essi,
a condizione che sia in grado di provare di
disporre effettivamente dei mezzi di tali
soggetti necessari all'esecuzione
dell'appalto.
2. In materia di requisiti di partecipazione
alle gare pubbliche, la potestà di
avvalimento costituisce un principio di
fonte comunitaria non limitato al solo
settore
degli appalti di servizi, ma di portata
generale.
3. La potestà di avvalimento delle ditte
partecipanti alle gare pubbliche,
costituisce un principio di fonte
comunitaria di portata generale, il che
consente
di trarre il significativo corollario che
dall'ambito di applicazione del principio di
avvalimento non possono implicitamente
ritenersi esclusi gli affidamenti per i
quali
la lex specialis di gara non abbia stabilito
una disciplina derogatoria in alcun senso,
ogni eventuale ipotesi di esclusione
dell'applicazione di detto principio (anche
a
volerne per ipotesi ammettere la
praticabilità) non potendo che rivestire i
caratteri
espressi dell'eccezionalità specificamente
motivata.
4. Ai fini dell’applicabilità dell’istituto
dell’avvalimento non è sufficiente una
semplice proposta, ma occorre che siano
prodotti appositi documenti probatori
costituiti non solo dall'impegno (in forma
scritta) della impresa ausiliaria nei
confronti sia dell'impresa ausiliata che
della stazione appaltante, ma anche dal
contratto tra quest'ultima e l'impresa
ausiliata che preveda l'obbligo
sinallagmatico di
corrispondere all'impresa ausiliaria il
corrispettivo dovuto per le sue prestazioni,
anche in ciò potendosi agevolmente
individuare un rafforzamento della garanzia
per
la stazione appaltante del buon esito
dell'appalto nella parte di questo da
eseguirsi a
cura dell'impresa ausiliaria.
5. Nel caso di mancata produzione di
documenti probatori idonei atti a dimostrare
l’avvalimento, le carenze documentali non
possono formare oggetto di richiesta di
chiarimenti ai sensi dell'art. 46 del D.
l.vo n. 163/2006; infatti, nell’ipotesi
considerata,
l'unica possibile integrazione sarebbe non
già la semplice regolarizzazione formale di
un documento per il resto esistente, quanto
la sostituzione integrale di un documento
da ritenersi radicalmente privo di validità
alcuna in mancanza di una conforme e
definitiva volontà in tal senso da parte dei
due contraenti, il che costituirebbe una
sicura violazione della par condicio tra i
partecipanti
(massima tratta da http://doc.sspal.it - TAR Campania-Napoli, Sez. VIII,
sentenza
22.05.2009 n. 2852 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Sul procedimento di
verifica dell’offerta anomala.
1.
Nelle gare di appalto il procedimento di
verifica delle offerte anomale non ha
per oggetto la ricerca di specifiche e
singole inesattezze dell’offerta economica,
mirando, invece, ad accertare se l’offerta,
nel suo complesso, sia attendibile o
inattendibile, e dunque se dia o meno serio
affidamento circa la corretta esecuzione
dell’appalto.
Tale principio, già affermato
dalla giurisprudenza nel vigore della l. n.
109/1994, risulta ora codificato dall’art.
88, comma 7, del d.lgs. n. 163/2006.
2. Il procedimento di verifica delle offerte
anomale è avulso da ogni formalismo
inutile ed è invece improntato alla massima
collaborazione tra stazione
appaltante e offerente; in esso il
contraddittorio deve essere effettivo e non
vi
sono preclusioni alla presentazione di
giustificazioni ancorate al momento della
scadenza del termine di presentazione delle
offerte; mentre l’offerta è
immodificabile, modificabili sono le
giustificazioni, e sono ammesse
giustificazioni
sopravvenute e compensazioni tra sottostime
e sovrastime, purché l’offerta risulti nel
suo complesso affidabile al momento
dell’aggiudicazione, e a tale momento dia
garanzia di una seria esecuzione del
contratto.
3. In sede di procedimento di verifica delle
offerte anomale, deve ritenersi possibile
che, a fronte di determinate voci di prezzo
giudicate eccessivamente basse e dunque
inattendibili, l’impresa dimostri che, per
converso, altre voci di prezzo sono state
inizialmente sopravvalutate, e che in
relazione alle stesse è in grado di
conseguire un
concreto, effettivo, documentato e credibile
risparmio che compensa il maggior costo
di altre voci.
4. Occorre nettamente distinguere tra
modifica dell’offerta nel suo complesso,
inammissibile, e modifica delle
giustificazioni, invece ammissibile;
infatti, la
presenza, nella fase del contraddittorio
successivo, di eventuali significativi elementi
di novità e di difformità rispetto alla
prima e preventiva giustificazione non
comporta
una inammissibile modifica dell’offerta
originaria, dovendosi in proposito
distinguere tra immodificabilità
dell’offerta e parametri dimostrativi della
affidabilità
e remuneratività dell’offerta, che non
possono certo dirsi predeterminati e fissati
una
volta per tutte con la presentazione della
stessa, essendo essi influenzati da una
molteplicità di elementi per loro natura
variabili (condizioni di mercato delle
materie
prime e dei semilavorati, credito
contrattuale, andamento del mercato del
lavoro,
economie di scala, costi di mano d’opera,
legislazione fiscale e previdenziale, ecc.)
(massima tratta da http://doc.sspal.it -
Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 21.05.2009 n. 3146
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Sul presupposto della
colpa della P.A..
1.
In sede di risarcimento dei danni per
lesione di interessi legittimi, ai fini
della
dimostrazione del necessario presupposto
della colpa della P.A., non è comunque
richiesto al privato danneggiato un
particolare impegno probatorio, potendo
quest’ultimo invocare l’illegittimità del
provvedimento quale indice presuntivo
della colpa o anche allegare circostanze
ulteriori, idonee a dimostrare che si è
trattato di un errore non scusabile.
Spetterà a questo punto alla P.A. dimostrare
che si è trattato di un errore scusabile,
configurabile in caso di contrasti
giurisprudenziali sull’interpretazione di
una norma, di formulazione incerta di
norme da poco entrate in vigore, di
rilevante complessità del fatto, di
influenza
determinante di comportamenti di altri
soggetti, di illegittimità derivante da
una successiva dichiarazione di
incostituzionalità della norma applicata.
2. Nel caso di annullamento in sede
giurisdizionale di una gara, non spetta
all’impresa ricorrente, a titolo di
risarcimento dei danni, il rimborso dei
costi di
partecipazione alla gara, atteso che
mediante il risarcimento non può farsi
conseguire
all’impresa un beneficio maggiore di quello
che deriverebbe dall’aggiudicazione.
3. Nel caso di annullamento in sede
giurisdizionale dell’aggiudicazione di una
gara
di appalto, va riconosciuto a titolo di
lucro cessante il profitto che l’impresa
avrebbe ricavato dall’esecuzione
dell’appalto.
La quantificazione di tale
danno
non può essere effettuata applicando, in
maniera automatica e indifferenziata, il
criterio (spesso utilizzato dalla
giurisprudenza amministrativa) del 10% del
prezzo a
base d’asta, ai sensi dell’art. 345, l. n.
2248 del 1865 All. F.
In tal modo, infatti,
il
ricorrente non ha più interesse a provare in
modo puntuale il danno subito quanto al
lucro cessante, perché presumibilmente
otterrebbe di meno.
Appare allora
preferibile l’indirizzo che esige la prova
rigorosa, a carico dell’impresa, della
percentuale di utile effettivo che avrebbe
conseguito se fosse risultata
aggiudicataria dell’appalto; prova
desumibile, in primis, dall’esibizione
dell’offerta economica presentata al seggio
di gara.
4. In sede di risarcimento del danno
derivante da mancata aggiudicazione di una
gara
di appalto, l’onere di provare (l’assenza
del) l’aliunde perceptum grava non
sull’Amministrazione, ma sull’impresa.
In
sede di quantificazione del danno,
pertanto, spetterà all’impresa dimostrare,
anche mediante l’esibizione
all’Amministrazione di libri contabili, di
non aver eseguito, nel periodo che
sarebbe stato impegnato dall’appalto in
questione, altre attività lucrative
incompatibili con quella per la cui mancata
esecuzione chiede il risarcimento del
danno.
5. In sede di risarcimento del danno
derivante da illegittima aggiudicazione di
una
gara, può riconoscersi anche il c.d. danno
curriculare; infatti, il fatto stesso di
eseguire un appalto (anche a prescindere dal
lucro che l’impresa ne ricava grazie al
corrispettivo pagato dalla stazione
appaltante), può essere comunque fonte per
l’impresa di un vantaggio economicamente
valutabile, perché accresce la capacità
di competere sul mercato e, quindi, la
chance di aggiudicarsi ulteriori appalti
(massima tratta da http://doc.sspal.it -
Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 21.05.2009 n. 3144
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Sulla valenza dei processi verbali e sulla
comunicazione di avio del procedimento di
annullamento della procedura.
1.
Nelle gare pubbliche, i processi verbali di
aggiudicazione, qualora si riferiscano ad
un’aggiudicazione pura e semplice (come
quella avvenuta ordinariamente, in assenza
di riserve espresse o di rinvio a successive
gare da effettuarsi in completamento), si
qualificano come processi verbali di
aggiudicazione definitiva.
2. L’aggiudicazione provvisoria crea
immediatamente obblighi contrattuali
vincolanti a carico del privato contraente,
mentre non è efficace per
l’amministrazione finché non intervenga
l’approvazione (art. 19 R.D. n. 2440/1923:
c.d. efficacia claudicante).
3. E’ illegittimo l’annullamento dell’intera
procedura (dal bando di gara all’atto
finale di aggiudicazione) ed il diniego di
approvazione del verbale d’asta, ove non
siano stati preceduti dalla comunicazione di
avvio del procedimento ex art. 7
della L. n. 241 del 1990 al soggetto che, in
buona fede, aveva formulato una valida
offerta e si era aggiudicato la gara
(massima tratta da http://doc.sspal.it -
Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 19.05.2009 n. 3064
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Sul contrasto con la normativa comunitaria
dell’esclusione doverosa delle imprese
collegate.
1.
L’art. 29, c. 1, della direttiva del
Consiglio 18.06.1992, 92/50/CEE, che
coordina le procedure di aggiudicazione
degli appalti pubblici di servizi, deve
essere
interpretato nel senso che esso non osta a
che uno Stato membro, in aggiunta alle
cause di esclusione contemplate da tale
disposizione, preveda ulteriori cause di
esclusione finalizzate a garantire il
rispetto dei principi di parità di
trattamento e di
trasparenza, a condizione che tali misure
non eccedano quanto necessario per
conseguire la suddetta finalità.
2. Il diritto comunitario osta ad una
disposizione nazionale che stabilisca un
divieto assoluto, a carico di imprese tra le
quali sussista un rapporto di controllo
o che siano tra loro collegate, di
partecipare in modo simultaneo e concorrente
ad una medesima gara d’appalto, senza
lasciare loro la possibilità di dimostrare
che il rapporto suddetto non ha influito sul
loro rispettivo comportamento
nell’ambito di tale gara
(massima tratta da http://doc.sspal.it -
Corte di Giustizia CE, Sez. IV, sentenza 19.05.2009 n. C-538/07
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Sulla portata vincolante delle formalità
previste dal bando.
1.
Nelle procedure di affidamento degli appalti
pubblici, il principio che ravvisa nel
rispetto puntuale delle formalità prescritte
dalla lex specialis un efficace
presidio a garanzia della par condicio tra i
partecipanti può essere oggetto di
temperamenti, perché del formalismo
procedurale che sorregge il sistema delle
gare
d'appalto va scongiurata un'applicazione
meccanica che contraddica, alla luce delle
specifiche circostanze del caso concreto, la
fondamentale ed immanente esigenza di
ragionevolezza dell'attività amministrativa,
finendo così per porsi in contrasto con le
stesse finalità di tutela cui sono
preordinati i generali canoni applicativi
delle regole
della contrattualistica pubblica.
2. E’ legittima la clausola di un bando che
preveda la produzione di apposita
documentazione, non prevedendo nel contempo
che tale documentazione possa
essere surrogata mediante dichiarazione
sostitutiva ai sensi degli artt. 43, 46 e
47 del DPR 445/2000.
Infatti, l’applicazione
indiscriminata alle gare d’appalto della
normativa in materia di semplificazione
amministrativa può portare ad una
inammissibile violazione del principio della
par condicio competitorum tutte le volte
che gli atti generali che compendiano le
regole di gara non abbiano espressamente
previsto (anche a mezzo di generica
dichiarazione di equipollenza) la
possibilità di
attingere a tale modalità semplificata ai
fini della dimostrazione di fatti rilevanti
ai
fini partecipativi.
Il meccanismo
competitivo proprio della gara d’appalto è
infatti
tale per cui la lettera della lex specialis
non è passibile di interpretazioni
estensive,
dato che le stesse si tradurrebbero in una
violazione procedimentale in danno di quei
concorrenti che si sono allineati alla legge
di gara in modo pedissequo, osservandone
alla lettera le prescrizioni.
Se il
capitolato d’appalto prescrive, come appunto
nello
specifico, che la potenza dei mezzi può
essere provata soltanto con la produzione di
determinati documenti, ammettere la
dichiarazione sostitutiva di atto notorio
(peraltro a prescindere da una specifica
impugnativa avverso la clausola di lex
specialis prescrittiva dell’obbligo
incondizionato e dal conseguente giudizio
sulla
ragionevolezza di detta clausola)
significherebbe forzare inammissibilmente il
meccanismo delle regole di gara
(massima tratta da http://doc.sspal.it -
Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 11.05.2009 n. 2871
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Sulle modalità di composizione della
composizione della Commissione di gara e
sulla professionalità dei singoli
componenti.
1.
La nomina dei componenti della commissione
di una gara d’appalto può essere
sindacata solo qualora ricada su soggetti
palesemente privi dei requisiti minimi.
2. L’art. 84, comma 2, del d.lgs. n. 163 del
2006 -il quale impone, nella formazione
delle commissioni di gara, la nomina di
"esperti nello specifico settore cui si
riferisce
l’oggetto dell’appalto"- richiede, al fine
di potersene assumere la violazione, un
giudizio condotto non ex post, ma
affidandosi ad una valutazione c.d. ex ante;
e cioè
ad una valutazione da collocarsi idealmente
in una fase anteriore alla conoscenza
concreta dei progetti tecnici al fine di
appurare se, già in tale fase, la lettura
della lex
specialis e del relativo capitolato
deponevano inequivocamente per la natura ed
il
tenore tecnico dei progetti sui quali la
commissione è chiamata ad esprimersi.
3. L’art. 84, comma 8, del d.lgs. n. 163 del
2006 impone alle stazioni appaltanti che i
membri delle commissioni, con la sola
eccezione del presidente, siano selezionati
tra
propri funzionari.
Solo in caso di accertata
carenza in organico di tali
professionalità, ne è consentita la ricerca
all’esterno, secondo le indicazioni
fornite nel secondo periodo del medesimo
comma 8 dell’art. 84 del Codice.
4. L’art. 84, comma 2, del Codice degli
appalti pubblici va interpretato secondo un
criterio logico, non potendosi pretendere il
possesso, da parte di ogni membro,
delle cognizioni tecnico-scientifiche per
valutare ogni aspetto, potenzialmente
includibile nell’ambito di un progetto che
richiede, primariamente, per il tema
affrontato e trattato, cognizioni e
conoscenze del tutto diverse.
E ciò anche
perché
rimane sempre aperta la possibilità per la
stazione appaltante di affiancare,
all’uopo, la commissione con uno o più
esperti esterni con funzioni di
consulenza e di assistenza professionale nel
circoscritto settore in cui l’organo
collegiale viene eventualmente a necessitare
di supporto (massima
tratta da http://doc.sspal.it - TAR Lazio-Roma, Sez. I-ter,
sentenza 08.05.2009 n. 5035
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Sull’illegittimità della
composizione preventiva della Commissione di
gara.
1.
In base ai principi desumibili
dall’ordinamento, è da ritenere illegittimo
l’affidamento della conduzione della
procedura di gara non già ad un organo
tecnico straordinario e temporaneo,
appositamente costituito, bensì ad una
commissione stabile e permanente, costituita
prima dell’indizione della gara.
2. E’ illegittima una commissione di una
gara di appalto nel caso in cui i membri
esterni chiamati a farne parte non siano
stati scelti sulla base di specifiche
competenze rapportate alla complessità dei
problemi di tipo tecnico, ma siano in
possesso solo di una generica esperienza
(massima tratta da http://doc.sspal.it -
Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 30.04.2009 n. 2761
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Sull’illegittima commistione tra
requisiti di partecipazione e criteri di
valutazione. Sui criteri di interpretazione
della clausola equivoca del bando.
1.
In tema di gare di appalto, è illegittima la
commistione fra requisiti di ammissione
delle domande e valutazione di merito ed in
particolare tra elementi soggettivi di
qualificazione del concorrente ed elementi
oggettivi attinenti alla qualità
dell’offerta.
In particolare, è illegittima la previsione
di un rilevante punteggio per elementi che
nulla hanno a che vedere con il merito
tecnico dell’offerta e che attengano,
invece, all’esperienza professionale
acquisita dal concorrente (es. curriculum,
licenze o certificazioni di qualità ovvero
servizi analoghi prestati in precedenza).
2.
In base al principio di parità di
trattamento degli operatori economici e per
l’obbligo di trasparenza, un’amministrazione
aggiudicatrice non può applicare regole di
ponderazione e sottocriteri per i criteri di
aggiudicazione che non abbia preventivamente
portato a conoscenza degli offerenti (alla
stregua del principio nella specie è stata
ritenuta illegittima l’introduzione ad opera
dell’organo istruttore di nuovi criteri
rispetto a quelli previsti nel bando).
3.
Il difetto di chiarezza di una clausola del
bando impone un’interpretazione nel senso
dell’ammissione del maggior numero di
concorrenti e, viceversa, nel senso della
non legittimità dell’esclusione delle
imprese.
-----------------------------------------
Nella motivazione della sentenza in
rassegna si ricorda che la confusione fra i
requisiti soggettivi di partecipazione alla
gara e gli elementi oggettivi di valutazione
dell’offerta è stata di recente
stigmatizzata dalla circolare della
Presidenza del Consiglio dei Ministri –
Dipartimento per le Politiche Comunitarie
01.03.2007 (recante "Principi da applicare,
da parte delle stazioni appaltanti, nella
scelta dei criteri di selezione e di
aggiudicazione di un appalto pubblico di
servizi") pubblicata sulla Gazzetta
Ufficiale n. 111 del 15.05.2007.
L’Autorità per la vigilanza sui contratti,
con deliberazione n. 209 del 27.06.2007,
evidenzia che in un precedente intervento
dell’Autorità (deliberazione n. 30/2007) era
stato precisato che la stazione appaltante,
nell’individuare i punteggi da attribuire
nel caso di aggiudicazione dell’offerta
economicamente più vantaggiosa, non deve
confondere i requisiti soggettivi di
partecipazione alla gara, con gli elementi
oggettivi di valutazione dell’offerta.
Per giurisprudenza costante della Corte di
Giustizia, la distinzione tra criteri di
idoneità, ovvero di "selezione
dell’offerente", e criteri di aggiudicazione
e quindi di "selezione dell’offerta" è
rigorosa. Quando l’aggiudicazione è a favore
dell’offerta economicamente più vantaggiosa,
possono essere utilizzati diversi criteri
variabili, ma collegati sempre ed
esclusivamente all’oggetto dell’appalto. La
scelta, in tal caso, è limitata e può
riguardare soltanto i criteri effettivamente
volti ad individuare l’offerta
economicamente più vantaggiosa e non quelli
relativi alla capacità del prestatore.
L’offerta deve, invece, essere valutata in
base a criteri che hanno una diretta
connessione con l’oggetto dell’appalto e che
servono a misurare il valore, ciò che
esclude che si possa fare riferimento alle
qualità soggettive dell’offerente; per
alcune recenti applicazioni (massima
tratta da http://doc.sspal.it - Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 07.04.2009 n. 2147 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
AGGIORNAMENTO AL 09.12.2010 |
ã |
UTILITA' |
EDILIZIA
PRIVATA: Lombardia,
Necessita aggiornare il costo di costruzione entro il
31.12.2010 il cui effetto sarà efficace a decorrere
dall'01.01.2011: ecco il fac-simile di determinazione (file
1 -
file 2).
ATTENZIONE:
se non si adotta la determinazione di aggiornamento entro la
suddetta scadenza per tutto il 2011 si dovrà
applicare il medesimo costo di costruzione vigente nell'anno
2010 (cfr. art. 48, comma 2, della L.R. n. 12/2005).
Alcune considerazioni:
ad oggi, il dato ufficiale ISTAT è quello relativo alla
variazione del mese di maggio 2010, mentre quello di giugno
2010 è ufficioso e, come tale, non utilizzabile.
Abbiamo scritto all'ISTAT di Roma e ci hanno risposto come
segue:
L'ultimo
comunicato contenente il dato provvisorio di Giugno e' stato
pubblicato il 13.09.2010 al
seguente link.
Pur non disponendo di un calendario per questo tipo di
uscite, presumo che la pubblicazione dei 3 mesi successivi
(e quindi anche del dato definitivo di giugno)
avverrà entro la fine del 2010.
Cordiali saluti
Luigi Di Gennaro
Pertanto, si consiglia di adottare la
determinazione di aggiornamento del costo di costruzione,
per l'anno 2011, verso la fine di dicembre 2010
poiché è verosimile che, entro il 31.12.2010, possa essere
pubblicato dall'ISTAT il dato ufficiale relativo a giugno
2010 ed avere, così, un valore maggiore (rispetto a maggio
2010) della variazione ISTAT per il calcolo del costo di
costruzione (e, quindi, non perdere soldi per le casse
comunali ...).
|
GURI - GUUE -
BURL (e anteprima) |
AMBIENTE-ECOLOGIA: B.U.R.
Lombardia, serie ordinaria del 06.12.2010 n.
49, "Individuazione, ai sensi del 1º
comma dell’art. 34 della l. 14/1998, dei
servizi regionali, componenti il Comitato
Tecnico Consultivo per le attività
estrattive di cava e modifica dell’allegato
3) alla d.g.r. 8/10964 del 30.12.2009"
(deliberazione
G.R. 24.11.2010 n. 831 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
SINDACATI |
PUBBLICO IMPIEGO:
La ricongiunzione dei contributi
dopo la manovra estiva: una vera e propria
truffa
(CGIL-FP di Bergamo,
nota 02.12.2010). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Speciale pensioni
(CSA-FIADEL di Milano,
Il Faro n. 3/2010). |
DIPARTIMENTO
FUNZIONE PUBBLICA |
PUBBLICO IMPIEGO: Oggetto:
modifiche alla disciplina in materia di
permessi per l'assistenza alle persone con
disabilità - banca dati informativa presso
il Dipartimento della funzione pubblica -
legge 04.11.2010 n. 183, art. 24 (Dipartimento
della Funzione pubblica,
circolare 06.12.2010
n. 13/2010). |
NOTE,
CIRCOLARI E COMUNICATI |
PUBBLICO IMPIEGO:
OGGETTO: Legge n. 183 del 04.11.2010,
art. 24. Modifiche alla disciplina in
materia di permessi per l’assistenza a
portatori di handicap in situazione di
gravità (INPS,
circolare 03.12.2010 n. 155). |
SEGRETARI COMUNALI E PROVINCIALI:
ARAN: firmata l’ipotesi del II
biennio economico del contratto di lavoro
dei segretari comunali.
Nel pomeriggio è stata firmata dall’Aran e
dalle Organizzazioni sindacali
rappresentative l’ipotesi del secondo
biennio 2008-2009 del contratto di lavoro
degli oltre 4 mila segretari comunali.
Gli incrementi stipendiali previsti sono
pari a 168 euro per le fasce A e B e a 136
euro per la fascia C, a decorrere dal 1°
gennaio 2009.
“Con la firma di oggi –ha commentato
il commissario dell’Aran Antonio Naddeo-
oltre a concludersi la tornata negoziale
2006–2009, si chiude anche il modello di
contratto articolato su quadrienni normativi
e su due bienni economici in vigore dal
1994, anno in cui per la prima volta i
dipendenti pubblici hanno avuto il rapporto
di lavoro non più regolato da decreti ma da
contratti, come i lavoratori del privato;
infatti con l’entrata in vigore della “legge
Brunetta” i contratti saranno rinnovati ogni
tre anni sia per la parte economica sia per
quella normativa ed inoltre la riduzione dei
comparti da undici a quattro e la
semplificazione delle procedure
permetteranno tempi più brevi per l’iter
contrattuale” (comunicato
stampa 02.12.2010 - link a
www.aranagenzia.it). |
NEWS |
APPALTI:
Appalti pubblici, regolamento in
Gazzetta il 10 dicembre.
Il regolamento del Codice dei contratti
pubblici sarà pubblicato sulla gazzetta
Ufficiale del 10.12.2010 e il testo entrerà
in vigore il 09.06.2011, cioè 180 gg. dopo
la pubblicazione in gazzetta.
Il corposo testo regolamentare verrà
pubblicato in un supplemento ordinario alla
gazzetta di venerdì p.v. con le note
normative ... (articolo
ItaliaOggi dell'08.12.2010 - link
a www.ecostampa.com). |
APPALTI:
Sì al regolamento appalti.
Via libera della Corte dei conti al
Regolamento appalti che però bocciando
alcuni articoli del testo riapre la partita
della qualificazione per i lavori
specialistici. Il testo di attuazione del
codice degli appalti si avvia così verso la
pubblicazione in «Gazzetta Ufficiale»
che potrebbe già avvenire nel corso della
settimana.
La Corte però non ha ammesso a registrazione
una delle norme più controverse del
Regolamento: l'articolo 79, comma 21. Si
tratta di quella disposizione inserita dopo
lo stralcio dell'allegato A1, che conteneva
l'elenco di attrezzature obbligatorie per
qualificarsi nei lavori specialistici.
Il tentativo di mettere un freno alla
possibilità anche per le imprese generali di
ottenere la qualificazione nelle
specialistiche si era arenato, un po' per le
proteste dei costruttori generali di Ance e
Agi, un po' per i rilievi dell'Autorità di
vigilanza sui contratti. Matteoli aveva
stralciato l'allegato e rinviato la
difficile partita a un successivo decreto.
Ma i giudici contabili non hanno accettato
un ulteriore rinvio.
Pollice verso anche per un altro articolo
del testo, quello che apriva la possibilità
ai tecnici degli enti locali di essere
remunerati con le tariffe professionali. ...
(articolo Il Sole 24
Ore del 06.12.2010 - tratto da
www.corteconti.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Scatta il test sullo stress da
lavoro. Entro fine anno i datori devono
avviare il meccanismo di valutazione dei
fattori di rischio. Per il nuovo obbligo più
certezze con le linee guida vincolanti
emanate dalla commissione consultiva del
Welfare.
Da gennaio è operativo l'obbligo di valutare
lo stress lavoro-correlato. Una novità per
tutti i datori, pubblici e privati, prevista
dal Testo unico sulla sicurezza che trova
finalmente, dopo numerosi rinvii, un po' più
di certezze: dalla commissione consultiva
permanente per la salute nei luoghi di
lavoro (istituita presso il ministero del
Welfare) arrivano, infatti, le linee guida
che permetteranno alle imprese di adeguarsi
alle norme. Cominciando, da subito, a
programmare le fasi della valutazione dei
rischi da stress. ... (articolo
Il Sole 24 Ore del 06.12.2010 -
tratto da www.corteconti.it). |
GIURISPRUDENZA |
INCARICHI PROFESSIONALI:
Incarichi esterni ma solo dopo
una comparazione.
Gli enti pubblici possono affidare incarichi
professionali di collaborazione esterna solo
dopo una scelta comparativa: questo è il
principio sottolineato dal TAR
Campania-Napoli, Sez. II,
sentenza 06.12.2010 n. 26815 ...
(articolo
Il Sole 24 Ore dell'08.12.2010 -
link a www.ecostampa.com). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Non compete al messo notificatore un
compenso aggiuntivo.
La Sezione osserva che la questione della
spettanza ai dipendenti comunali addetti
alle notifiche dell’indennità per i diritti
delle notifiche di atti, effettuate per
conto di amministrazione diverse dall’ente
locale presso il quale prestano servizio, in
particolare, dell’amministrazione
finanziaria, ha formato oggetto di propri
recentissimi arresti (02.08.2010, n. 5090 –
5099; 12.02.2008, n. 493), dalle cui
convincenti conclusioni non vi ragione di
discostarsi.
E’ stato sottolineato che “il principio
di omnicomprensività della retribuzione
impedisce di attribuire compensi aggiuntivi
per lo svolgimento di attività lavorative
comunque riconducibili ai doveri
istituzionali dei dipendenti pubblici” e
che in “in tale ambito si colloca anche
l’attività di notificazione svolta dai messi
comunali nell’interesse dell’amministrazione
finanziaria o di altre amministrazioni dello
Stato, tenendo conto della evoluzione
dell’ordinamento”: infatti le mansioni
concretamente attribuite ai dipendenti
addetti al servizio di notificazione
consistono proprio nella funzione di
notificazione degli atti di pertinenza del
comune e nelle altre incombenze spettanti
per legge e per regolamento al messo
comunale, con la conseguenza che la
notificazione degli atti nell’interesse
dell’amministrazione finanziaria o di altra
amministrazione dello Stato si svolge nel
normale orario di ufficio e mediante
l’utilizzo degli strumenti organizzativi
messi a disposizione dall’amministrazione
(né nel caso di specie tali decisive
circostanze sono state oggetto di prova
contraria) (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 06.12.2010 n. 8542 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
In caso di impugnazione dell’esclusione da
un concorso pubblico l’azione di risarcimento del
danno è ipotizzabile a prescindere dalla
impugnazione della aggiudicazione ad altro
concorrente.
In caso di impugnazione della esclusione da
un concorso, è ipotizzabile l’azione di
risarcimento del danno a prescindere dalla
impugnazione degli atti ad essa successivi
ed in particolare della aggiudicazione ad
altro concorrente (Consiglio Stato, Sezione
V, 03.10.2002, n. 5196), non potendo
derivare la improcedibilità del ricorso
dalla mancata impugnazione dell'atto
conclusivo del procedimento atteso che il
concorrente illegittimamente escluso
conserva comunque un interesse
processualmente rilevante a conseguire
l'annullamento dell'esclusione, posto che da
esso può ricavare, quantomeno, il
significativo vantaggio, sufficiente a
sostenere la procedibilità del gravame, di
poter pretendere il risarcimento del
pregiudizio patrimoniale sofferto in
conseguenza della determinazione giudicata
illegittima.
Anche in presenza di sopravvenuta carenza di
interesse attuale all'annullamento, può
invero ancora sorreggere l'impugnativa
l'interesse residuale finalizzato al
risarcimento del danno (Consiglio Stato,
sez. VI, 27.10.2009, n. 6577).
Se è vero che la domanda di risarcimento del
danno derivante da provvedimento non
impugnato è ammissibile, ma è infondata nel
merito in quanto la mancata impugnazione
dell'atto fonte del danno impedisce che il
danno stesso possa essere considerato
ingiusto o illecita la condotta tenuta
dall'Amministrazione in esecuzione dell'atto
in oppugnato (Consiglio Stato, sez. VI,
21.04.2009, n. 2436), va tuttavia
considerato che, diversamente da quanto
sostenuto dal TAR, nei casi in cui ad un
soggetto è preclusa in radice la
partecipazione ad un concorso, e non sia
possibile dimostrare ex post né la
certezza della vittoria, né la certezza
della non vittoria, la situazione soggettiva
tutelabile è infatti la chance, cioè
l’astratta possibilità di un esito
favorevole, di cui può essere richiesto il
ristoro o mediante la ripetizione
dell’occasione perduta o, come nel caso che
occupa, per equivalente monetario (Consiglio
Stato, Sezione VI, 05.12.2005, n. 6990).
Il danno da perdita di "chance" va
invero tenuto distinto da quello derivante
da mancata promozione; in quest'ultimo caso,
il dipendente che agisca per il risarcimento
deve provare sia l'illegittimità della
procedura concorsuale sia il fatto che, in
caso di legittimo espletamento, sarebbe
stato certamente incluso nell'elenco dei
promossi, mentre nel danno da perdita di “chance”,
sul presupposto della irrimediabilità di
tale perdita, in ragione dell'irripetibilità
della procedura con le stesse modalità e gli
stessi partecipanti di quella ritenuta
illegittima, fa valere il danno associato
alla perdita di una probabilità non
trascurabile di conseguire il risultato
utile.
Ne consegue che, mentre il danno da mancata
promozione può trovare un ristoro
corrispondente in pieno con la perdita dei
vantaggi connessi alla superiore qualifica
(non solo di natura economica, ma anche
normativa), il danno da perdita di “chance”
può solo commisurarsi, ma non identificarsi,
nella perdita di quei vantaggi, in ragione
del grado di probabilità -esistente al
momento della esclusione- di conseguire la
promozione (Cassazione civile, sez. lav.,
18.01.2006, n. 852).
Ovviamente se la esclusione non sia
illegittima tale probabilità è del tutto
insussistente, atteso che il pregiudizio
connesso alla perdita di “chance” non
può che derivare dalla perdita
dell'occasione di vincere un concorso per
effetto dell'illegittima selezione di un
altro concorrente, o della propria indebita
esclusione dal procedimento (Consiglio
Stato, sez. VI, 15.02.2005, n. 478) (Consiglio di Stato,
Sez. V,
sentenza 03.12.2010 n. 8418 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Deve essere esclusa la legittimazione ad
agire dei comitati istituiti in forma
associativa temporanea, con scopo specifico
e limitato.
Il Collegio ritiene che il comitato
ricorrente non sia legittimato ad agire,
stante l’assenza di personalità giuridica
che lo caratterizza.
La legittimazione a ricorrere sussiste
infatti in tanto in quanto un soggetto
giuridico possa vantare la titolarità di una
posizione incisa dell’azione amministrativa
nel caso di specie.
Il comitato è invece caratterizzato da una
forma associativa temporanea, essendo volto
alla protezione dei soggetti che ne sono
parte e non ha una sua personalità giuridica
distinta da questi ultimi, né può ritenersi
dotato di quel carattere di stabilità
consistente nel fatto di svolgere
all’esterno la propria attività in via
continuativa (C.d.S. V, 23.04.2007 n. 1830;
VI, 11.07.2008 n. 3507). A quest’ultimo
proposito rileva la circostanza che la sua
costituzione sia avvenuta il 23.02.2010.
La giurisprudenza ha affermato che deve
essere esclusa la legittimazione ad agire
dei comitati istituiti in forma associativa
temporanea, con scopo specifico e limitato,
costituenti una mera proiezione degli
interessi dei soggetti che ne fanno parte e
che quindi non sono portatori in modo
continuativo di interessi diffusi radicati
nel territorio. Diversamente si
consentirebbe una sorta di azione popolare
che non é ammessa dall’ordinamento (TAR
Lazio Latina I, 08.07.2009 n. 670).
Il Comitato La Fontina -per un quartiere e
un territorio vivibili- non può ritenersi
quindi legittimato ad agire in giudizio nei
confronti del provvedimento impugnato e deve
essere estromesso dal processo. Questo però
non è destinato ad arrestarsi perché
l’impugnazione è stata proposta anche da
soggetti residenti nella zona interessata
dagli effetti dei provvedimenti impugnato e
nella materia in esame rileva, ai fini della
legittimazione ad agire, la vicinanza del
ricorrente con il territorio inciso dalle
scelte urbanistiche.
E’ infatti orientamento giurisprudenziale
consolidato che in materia di impugnazione
dei piani territoriali l’interesse a
ricorrere vada documentato con riferimento
alla titolarità di aree direttamente incise
dalle scelte pianificatorie (C.d.S. IV,
31.12.2009 n. 9301) (TAR Toscana, Sez. I,
sentenza 02.12.2010 n. 6712 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
Il rigetto delle osservazioni proposte dagli
interessati nella formazione dei piani non
richiede una motivazione analitica: è
sufficiente che vengano ritenute in
contrasto con gli interessi generali dello
strumento pianificatorio.
Le scelte urbanistiche sono espressione di
un'ampia discrezionalità rimessa all'ente
pianificatore, che possono essere sindacate
dal giudice amministrativo solo in caso di
palese irragionevolezza o violazione di
legittime aspettative derivanti, ad esempio,
dalla pregressa approvazione di una
convenzione di lottizzazione o dalla
reiterazione di un vincolo espropriativo
scaduto (C.d.S. IV, 13.02.2009 n. 811).
E’ principio consolidato, poi, che il
rigetto delle osservazioni proposte dagli
interessati nella formazione dei piani non
richieda una motivazione analitica, essendo
sufficiente che le stesse vengano esaminate
e ritenute in contrasto con gli interessi
generali dello strumento pianificatorio
(C.d.S. IV, 06.06.2008 n. 2709) (TAR
Toscana, Sez. I,
sentenza 02.12.2010 n. 6709 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Le
quote di partecipazione devono essere
indicate già al momento della presentazione
della domanda.
La legittimazione di un’impresa ad eseguire
l’appalto deve essere tale da garantire
affidabilità e professionalità mediante il
possesso di requisiti di capacità tecnica,
organizzativa e finanziaria adeguati e
corrispondenti ai servizi (o lavori) da
svolgere; tale garanzia viene invece ad
essere disattesa ove si opini diversamente
in omaggio a criteri che privilegino
l’unicità dell’ATI, unicità che invece
risulta irrilevante quando vi è il
frazionamento delle prestazioni fra le varie
imprese componenti della stessa, salvo il
riferimento alla flessibilità organizzativa
propria dell’avvalimento, istituto
ammissibile solo in presenza di particolari
condizioni, nella specie insussistenti.
Tale regola si pone a presidio della
garanzia che le commesse pubbliche vengano
affidate a persone fisiche o giuridiche che
dimostrino affidabilità e professionalità
commisurate all’entità dei lavori o dei
servizi che devono svolgere, in ossequio ai
principi di buon andamento, efficienza ed
efficacia dell’azione amministrativa, sicché
non vi è ragione per ritenere tale garanzia
non necessaria negli appalti di servizi,
tanto più ove gli stessi riguardino attività
di rilevante e preminente interesse
pubblico, ove vengono in gioco interessi e
diritti primari della collettività.
L'indicazione delle quote di partecipazione
si rivela dunque requisito di ammissione
alla gara e deve quindi provvedersi a tale
incombente nella domanda di partecipazione
alla gara e non in sede di esecuzione del
contratto (commento tratto da
www.documentazione.ancitel.it - TAR Puglia-Lecce,
Sez. III,
sentenza 29.11.2010 n. 2733 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI: La
procedura competitiva è la via ordinaria per
l’affidamento dei servizi pubblici locali.
Il caso in oggetto attiene ad un affidamento
di servizio pubblico locale quand’era ancora
vigente l’ormai abrogato art. 113 D.Lgs
267/2000. Nello specifico si è trattato
dell’affidamento diretto a Enel del
servizio di illuminazione delle strade
comunali.
Servizio che attiene al novero dei
servizi pubblici locali: già storicamente la
pubblica illuminazione era, infatti, inclusa
fra i servizi pubblici comunali ex art. 1,
lett. c), r.d. n. 2578/1925 e nel t.u.l.c.p.
n. 383/1934 -e ribadito dal divieto di
cessione della proprietà degli impianti,
delle reti e delle altre dotazioni destinati
all'esercizio dei servizi pubblici,
introdotto nell'art. 113 del T.U.E.L.
267/2000 (l. n. 448/2001 e d.l. n.
269/2003).
Alla luce dei principi comunitari
che informano la materia, la regola della
selezione competitiva costituisce l’opzione
naturale e primaria (art. 113, comma 5,
lett. a) alla quale è possibile derogare nei
soli casi espressamente previsti dalla
legge.
Alla luce di detti principi, da ultimo
recepiti dall’art. 23-bis, comma 11, del
d.l. n. 112/2008, conv. dalla legge n.
133/2008, deve accedersi ad
un’interpretazione restrittiva
dell’eccezione contemplata dal richiamato
art. 113, comma 14, laddove si consente (rectius,
si consentiva, prima dell’abrogazione della
norma disposta per effetto dell’ art. 12 del
d.P.R. 07.09.2010, n. 168)
l’affidamento diretto del servizio in favore
del proprietario dei beni strumentali
necessari ai fini dell’erogazione del
servizio pubblico.
Detta norma, ratione
temporis vigente, va interpretata nel senso
di consentire l’affidamento diretto solo
nell’ipotesi in cui i beni strumentali siano
integralmente nella proprietà di soggetto
privato diverso dall’amministrazione locale.
Nel caso, oggetto della sentenza, in cui i
beni patrimoniali siano invece solo in parte
nella proprietà di soggetto diverso
dall’amministrazione locale, si riespande la
regola generale in forza della quale, ove il
Comune intenda affidare il servizio nella
sua unitarietà senza procedere ad un
frazionamento (ammesso dal testo del comma
14 cit. prima della sua abrogazione), non è
percorribile la via dell’affidamento diretto
ma occorre seguire la via ordinaria della
procedura competitiva
(commento tratto da
www.documentazione.ancitel.it - Consiglio di Stato,
Sez. V,
sentenza 25.11.2010 n. 8232
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
La condotta gravemente colpevole di false
dichiarazioni può essere ravvisata solo a
fronte di comportamenti posti in essere al
fine di ottenere un vantaggio in termini
competitivi.
La giurisprudenza ha affermato, per le
società, che il principio
(dichiarazione/esclusione) debba estendersi
nei confronti di tutti i soggetti muniti di
concreti poteri di amministrazione.
Sussistono peraltro casi di attenuazione del
rigore della formalità, ove
l’Amministrazione nel predisporre i moduli
di partecipazione induca in qualche modo in
errore il partecipante (con conseguente
ammissibilità di facoltà di regolarizzazione
successiva) –cfr. Tar Sardegna 2273 del
28.08.2010-.
L’orientamento decisamente prevalente -per i
contratti (ordinari)- è nel senso, invece,
che l’obbligo di rendere la dichiarazione
sussiste anche per vicepresidente (cfr.
Consiglio Stato, sez. V, 15.01.2008, n. 36;
TAR Emilia Romagna Bologna, sez. I,
22.04.2010, n. 3795; TAR Campania Napoli,
sez. I, 27.05.2010, n. 9649 e 01.03.2010, n.
1206; TAR Calabria Catanzaro, sez. II,
08.03.2010, n. 311; TAR Sicilia Palermo,
sez. III, 14.12.2009, n. 1910).
Il Tar Lazio 2007 n. 4315 ha sostenuto
invece che “in assenza d'una rigorosa e
specifica norma della lex specialis nei
riguardi pure dei soggetti vicari, non
sussiste alcun obbligo di formulare detta
dichiarazione anche per costoro i cui poteri
siano meramente eccezionali ed occasionali”.
Ma anche il Tar Basilicata, ancor più
recentemente, nella pronunzia sez. I,
22.04.2009, n. 131, ha articolato un
distinguo analogo, sostenendo che “fra
gli amministratori muniti di potere di
rappresentanza rientrano anche i Vice
Presidenti o gli amministratori che
esercitano il potere di rappresentanza in
funzione vicaria, <ma solo quando lo statuto
della persona giuridica li abilita a
sostituire in qualsiasi momento e per
qualsiasi atto il legale rappresentante
della persona giuridica, senza
intermediazione di autorizzazione o di
investitura ulteriore e senza controllo
sull'effettività dell'impedimento e
dell'assenza del legale rappresentante della
persona giuridica>, in quanto l'esercizio
della funzione vicaria conferita al Vice
Presidente può avvenire in qualsiasi momento.”
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La predisposizione di un Modello (incompleto
nelle indicazioni delle dichiarazioni da
rendere –da parte di altri soggetti, oltre
al legale rappresentante-) non può
determinare l’esclusione del concorrente che
si è attenuto a tali indicazioni, in quanto
va riconosciuto sussistente un affidamento
(meritevole di tutela) del partecipante che
ha agito coerentemente alle prescrizioni.
L’omessa indicazione (nel bando e nel
modello) di tutti i soggetti che dovevano
compiere la dichiarazione non può ricadere
in danno al partecipante, con conseguente
ammissibilità della verifica/controllo
successivo, come in effetti è stato
richiesto, in questo caso, fra
aggiudicazione provvisoria e aggiudicazione
definitiva.
Se è vero che la norma di legge può
integrare il bando (integrazione automatica)
non può ignorarsi l’affidamento che questo
crea in ordine alle modalità di redazione
della domanda e delle autodichiarazioni
espressamente contemplate e riportate nel
modulo di partecipazione (che andava solo “completato”
e sottoscritto dalla parte, indicata quale “legale
rappresentante” della Cooperativa
sociale).
L'applicazione dei principi in materia di
favor partecipationis e di tutela
dell'affidamento osta all'esclusione di un
impresa in caso di compilazione dell'offerta
in conformità al facsimile all'uopo
approntato dalla stazione appaltante (cfr.
CS, sez. VI, 10.11.2004, n. 7278).
Peraltro va segnalato che recentemente lo
stesso Consiglio di Stato (cfr. CS, VI,
22.02.2010 n. 1017) esaminando
approfonditamente la reale portata
(sostanziale) della norma (art. 38), in
materia di omessa/erronea dichiarazione e
conseguente rilevanza o meno –a fini
escludenti immediati-, ha inteso aderire
(riconoscendo la sussistenza di pronunzie
non univoche sul punto dello stesso organo
d’appello) ad un orientamento meno
formalistico e più sostanzialistico,
riformando una sentenza del TAR Lombardia,
Brescia, del 2009 n. 1499 (che aveva,
invece, applicato in modo classico e
tradizionale l’art. 38, annullando
l’aggiudicazione per avere l’aggiudicataria
omesso, in sede di domanda di
partecipazione, di rendere in modo integrale
una delle dichiarazioni di cui all’art. 38)
e valorizzando i seguenti aspetti:
- preferendo il diverso orientamento secondo
cui una dichiarazione resa ai sensi della
lettera c) del comma 1 dell’art. 38, d.lgs.
163 anche se radicalmente omessa (ovvero,
non corrispondente alla realtà sottostante)
<non comporti comunque l’esclusione dalla
gara dell’impresa interessata quando non
sussistano in concreto situazioni ostative
alla partecipazione>;
- riconoscendo la necessità di assicurare
che le ipotesi di esclusione vengano
ispirate al canone della tassatività e che
le relative previsioni rispondano ad
effettive esigenze di interesse pubblico, a
fronte di inequivoche previsioni normative;
- attribuendo valore e rilievo all’elemento
che la stessa lex specialis di gara
non prevedeva in alcun modo che la
dichiarazione relativa ai fatti e alle
circostanze di cui all’art. 38, comma 1,
lettera c) del ‘codice’ fosse richiesta a
pena di esclusione.
Ciò significa che lo stesso Consiglio di
Stato ha ritenuto di dover ridurre
drasticamente l’area dell’esclusione
automatica, richiamando anche la figura del
falso innocuo, affrontando la problematica
in termini più sostanzialistici e meno
formalistici, sulla base di una attenta
lettura delle norme, “abbandonando”
l’orientamento tradizionale (dello stesso CS
Sez. V, sent. 3742/2009) che voleva che “il
carattere obbligatorio della dichiarazione
comporterebbe in via necessaria l’esclusione
dalla gara quale mera conseguenza
dell’omessa dichiarazione, a prescindere da
qualunque vaglio in concreto in ordine alla
sussistenza o meno dei requisiti di ordine
generale sottesi alla dichiarazione omessa o
non conforme al vero”.
Spingendosi a sostenere che “trattandosi
di <falso innocuo>, privo di qualsivoglia
offensività rispetto agli interessi
presidiati dalle regole che governano la
procedura di evidenza pubblica, come tale
non è sanzionabile con l’esclusione (Cons.
Stato, Sez. V, sent. 829/2009)” (così CS
2010 n. 1017).
In tale pronunzia il CS ha affermato inoltre
che “un rilevante argomento in favore
della tesi qui condivisa viene fornito dal
diritto comunitario, e segnatamente dalla
previsione di cui all’art. 45 della
direttiva 2004/18/CE in tema di appalti nei
c.d. ‘settori classici’. Secondo la
disposizione da ultimo richiamata, infatti,
il rimedio dell’esclusione dalla gara è
offerto solo in danno dei soggetti i quali
si siano resi ‘gravemente colpevoli di false
dichiarazioni nel fornire le informazioni’
rilevanti ai fini della partecipazione alla
gara. Il che, com’è evidente, depone
univocamente nel senso che la condotta
gravemente colpevole di false dichiarazioni
possa essere ravvisata solo a fronte di
comportamenti posti in essere al fine di
ottenere un vantaggio in termini
competitivi, e non anche in caso di condotte
verosimilmente poste in essere (come nel
caso di specie) per mera dimenticanza o
disattenzione o per inesatta interpretazione
della disposizione, le quali nulla abbiano
arrecato in termini di vantaggio al soggetto
agente, il quale risultava in possesso dei
necessari requisiti di partecipazione, pure
a prescindere dal contenuto (in ipotesi, non
conforme alla realtà sottostante) delle
dichiarazioni in concreto rese” (TAR Sardegna,
Sez. I,
sentenza 25.11.2010 n. 2626 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
LAVORI PUBBLICI:
Il tombino sporge? Il Comune paga
se non c’è il segnale di pericolo.
Nel caso in esame è stato affermato che
l’instabilità di un tombino costituisce, in
mancanza di qualsivoglia segnalazione dei
lavori in corso e di recinzione della zona
interessata, un pericolo occulto e
imprevedibile.
La Cassazione ha ricordato che in tema di
responsabilità per danni da beni di
proprietà della Pubblica Amministrazione,
qualora non sia applicabile la disciplina di
cui all’art. 2051 cod. civ., in quanto sia
accertata in concreto l’impossibilità
dell’effettiva custodia del bene, a causa
della notevole estensione dello stesso e
delle modalità di uso da parte di terzi,
l’ente pubblico risponde dei pregiudizi
subiti dall’utente, secondo la regola
generale dell’art. 2043 cod. civ., norma che
non limita affatto la responsabilità della
P.A. per comportamento colposo alle sole
ipotesi di esistenza di un’insidia o di un
trabocchetto.
Conseguentemente, secondo i principi che
governano l’illecito aquiliano, graverà sul
danneggiato l’onere della prova
dell’anomalia del bene, che va considerata
fatto di per sé idoneo –in linea di
principio– a configurare il comportamento
colposo della P.A., mentre spetterà a questa
dimostrare i fatti impeditivi della propria
responsabilità, quali la possibilità in cui
l’utente si sia trovato di percepire o
prevedere con l’ordinaria diligenza la
suddetta anomalia o l’impossibilità di
rimuovere, adottando tutte le misure idonee,
la situazione di pericolo.
Non è superfluo aggiungere che siffatto
ordine di idee ha a suo tempo ricevuto il
significativo avallo della Corte
costituzionale la quale, chiamata a
scrutinare la conformità con gli artt. 3, 24
e 97 della Costituzione degli artt. 2051,
2043 e 1227 cod. civ., ha ritenuto infondato
il dubbio proprio in ragione della aderenza
ai principi della Carta fondamentale del
nostro Stato dell’interpretazione
affermatasi nella giurisprudenza di
legittimità (confr. Corte cost. n. 156 del
1999).
Principio altrettanto pacifico è poi che,
allorquando si faccia valere la
responsabilità extracontrattuale della
pubblica amministrazione per danni subiti
dall’utente a causa delle condizioni di
manutenzione di una strada pubblica, la
valutazione della sussistenza di un’insidia,
caratterizzata oggettivamente dalla non
visibilità e soggettivamente dalla non
prevedibilità del pericolo, costituisce un
giudizio di fatto, incensurabile in sede di
legittimità se adeguatamente e logicamente
motivato (Corte di Cassazione, Sez. III
civile,
sentenza 18.11.2010 n. 23277 -
link a www.litis.it). |
VARI:
Gli sms sono top secret, è
vietata la richiesta di copie. Il Tar
Campania ha stabilito i limiti del diritto
di accesso previsto dalla 12.41/1990.
Gli sms sono segreti.
Non si può chiedere copia dei messaggi
utilizzando la legge sulla trasparenza
amministrativa.
Lo ha precisato il TAR Campania-Napoli, Sez.
VI, con la
sentenza 15.11.2010 n. 24405, che
pure ha confermato che l'sms è un documento
amministrativo, ma solo se è riferito a
un'attività di pubblico interesse.
Ma vediamo di illustrare la sentenza.
Una signora ha chiesto alla società di
telecomunicazioni Tim (Telecom Italia
Mobile) l'accesso al testo di un messaggio
di testo «sms» (short messaging
service), inviato all'indirizzo del
cellulare in uso al figlio, ma intestato a
lei medesima. La richiesta di accesso si è
inserita in una drammatica vicenda. La
signora ha spiegato che il soggetto autore
del messaggio ha ucciso il figlio e che la
conoscenza dell'sms in questione le
consentirebbe di azionare ulteriori «sviluppi
processuali» nella vicenda giudiziaria,
seguita al grave fatto omicidario, già
concluso con la sentenza definitiva di
condanna del responsabile.
La società Tim non ha risposto alla
richiesta e la signora ha presentato un
ricorso al Tribunale amministrativo,
contestando il silenzio del gestore
telefonico. In effetti la Tim rientra tra i
soggetti passivi del diritto di accesso
quale «gestore di pubblico servizio»
(articolo 23 legge sulla trasparenza n.
241/1990) e gli sms possono assumere
astrattamente la qualificazione di
«documento» ai sensi dell'articolo 22 della
legge 241 citata. Tuttavia il Tribunale
amministrativo ha ritenuto che la domanda
non potesse essere accolta per la mancanza
di altri requisiti previsti dalla legge per
l'esercizio del diritto di accesso ai
documenti amministrativi.
In primo luogo, l'articolo 22 della legge
241/1990 richiede che il documento di cui si
chiede la copia concerna attività di
pubblico interesse; inoltre i soggetti di
diritto privato, come la Tim, rientrano tra
i soggetti obbligati alla trasparenza
amministrativa solo limitatamente alla loro
attività di pubblico interesse disciplinata
dal diritto nazionale o comunitario. Non si
applica la trasparenza amministrativa,
invece, se il servizio di sms è reso nello
svolgimento di un singolo rapporto di
carattere privatistico e l'interesse alla
conoscenza del testo del messaggio non è
riferibile all'attività di gestione del
servizio pubblico né ad atti funzionalmente
inerenti alla gestione di interessi
collettivi.
In secondo luogo il tribunale ha evidenziato
un ostacolo nel principio di segretezza
della corrispondenza.
L'sms in questione, anche se inviato a
un'utenza intestata alla signora, ha
rappresentato una comunicazione avvenuta tra
altri soggetti: la segretezza e libertà di
corrispondenza sono costituzionalmente
protette, salvo le possibili limitazioni,
mediante atto motivato dall'autorità
giudiziaria (articolo 15 Costituzione).
Quindi l'sms potrà al massimo essere oggetto
di un sequestro (articoli 254 e 254-bis
codice di procedura penale) o di
intercettazione (articoli 266 e seguenti
codice di procedura penale).
Così il diritto di accesso di cui agli
articoli 22 e seguenti della legge 241/1990
non può essere azionato per conoscere il
contenuto di sms scambiati tra altri
soggetti. Si sarebbe, probabilmente,
arrivati a un risultato diverso se la
signora avesse esercitato il diritto di
accesso ai sensi dell'articolo 9 del codice
della privacy (digs 196/2003).
Questa disposizione prevede che il diritto
di conoscere i dati personali (tra cui
risulta il contenuto dell'sms) riferito a
dati personali concernenti persone decedute
può essere esercitato da chi ha un interesse
proprio, o agisce a tutela dell'interessato
o per ragioni familiari meritevoli di
protezione. Quindi se è sbarrata la strada
dell'accesso al documento (che contiene
informazioni) non è detto che sia chiusa la
possibilità di ottenere le informazioni
stesse, facendo uso della legislazione sulla
privacy: nel caso specifico la mamma avrebbe
potuto chiedere di conoscere i dati
personali del figlio contenuti nell'sms in
questione (articolo
ItaliaOggi del 07.12.2010 - tratto da
www.corteconti.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Concorsi. I test a risposta
multipla non devono contenere ambiguità ed
incertezza di soluzione.
Nelle prove concorsuali articolate su
quesiti a risposta multipla, da svolgersi
entro un ristretto arco temporale (nel caso
di specie nell’arco di un ora e trenta
minuti), deve privilegiarsi la chiarezza del
contenuto di ciascun quesito, che va
formulato entro i limiti del programma di
esame, secondo canoni di certa e pronta
comprensibilità.
A sua volta la risposta, indicata come
esatta fra quelle riportate nel
questionario, deve raccordarsi ad una
plausibile e corretta applicazione delle
acquisizione delle scienze umane che vengono
in gioco, ovvero di regole giuridiche, o di
altri ordinamenti di settore, di cui è
richiesta la conoscenza da parte del
candidato, con esclusione di ogni ambiguità
ed incertezza di soluzione.
Se, pertanto, appartiene alla sfera di
discrezionalità dell’Amministrazione la
selezione del coacervo di domande da
sottoporre ai candidati ai fini della
verifica del grado di professionalità e del
livello culturale che si reputa necessario
per il conseguimento del giudizio
indoneativo, con scelte la cui sindacabilità
può aver luogo nei soli limiti esterni della
ragionevolezza e dell’osservanza del limite
oggettivo del programma di esame, parimenti
non può ricondursi –diversamente da quanto
ritenuto dal Tribunale regionale–
all’esclusiva discrezionalità tecnica
dell’ente, una volta posta la domanda,
l’individuazione del contenuto coerente ed
esatto della risposta (Consiglio di Stato,
Sez. IV,
sentenza 09.11.2010 n. 7984 -
link a www.litis.it). |
LAVORI PUBBLICI:
Chiesa demolita? Ne risponde il
comune. Per l'amministrazione culpa in
vigilando e in eligendo.
E' responsabile, per cattiva scelta e
mancato controllo, il comune che ha
appaltato l'allargamento di una strada a una
società di costruzioni che nel corso dei
lavori ha demolito un immobile sottoposto a
vincolo storico-artistico.
Così ha deciso il Consiglio di Stato, Sez.
VI, con
sentenza 28.10.2010 n. 7635, che
ha stabilito le linee della responsabilità
del comune quando agisce come stazione
appaltante ... (articolo
Il Sole 24 Ore del 06.12.2010 -
link a www.ecostampa.com). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
1. Istanza
revoca - obbligo di pronuncia - non sussiste.
2. Nuovo provvedimento
non recante nuova acquisizione di elementi
di fatto, né nuova valutazione - Natura
confermativa di un provvedimento precedente
- Sussiste - Procedibilità - Non sussiste.
3. Nuovo provvedimento
- Riesame della situazione di fatto e di
diritto - Natura meramente confermativa -
Esclusione. Autonoma impugnazione.
1. L'istanza diretta a provocare la revoca
di un provvedimento amministrativo non
determina il potere-dovere
dell'amministrazione di pronunciare e una
siffatta pronuncia, ove intervenuta, non ha
natura provvedimentale ove si riduca ad un
mero atto confermativo del precedente, privo
di una nuova ed autonoma valutazione dei
fatti.
2. Il provvedimento amministrativo ha natura
confermativa quando, senza acquisizione di
nuovi elementi di fatto e senza alcuna nuova
valutazione, tiene ferme le statuizioni in
precedenza adottate; pertanto, in presenza
di un provvedimento che si limita a
richiamare il precedente provvedimento e a
confermarlo integralmente il ricorso è
inammissibile perché è proposto contro un
atto privo di reale ed autonoma capacità
lesiva.
L'atto meramente confermativo,
infatti, non riapre i termini per impugnare:
esso non rappresenta, infatti, un'autonoma
determinazione dell'Amministrazione, sia
pure identica nel contenuto alla precedente,
ma solo la manifestazione della decisione
dell'Amministrazione di non ritornare sulle
scelte già effettuate.
3. Il provvedimento amministrativo ha
carattere di nuovo provvedimento se viene
condotta un'ulteriore istruttoria, anche per
la sola verifica dei fatti o con un nuovo
apprezzamento di essi, il mantenimento
dell'assetto degli interessi già disposto,
poiché esprime un diverso esercizio del
medesimo potere.
Solo l'esperimento di un
ulteriore adempimento istruttorio, sia pure
attraverso la rivalutazione degli interessi
in gioco ed un nuovo esame degli elementi di
fatto e diritto che caratterizzano la
fattispecie considerata, può dar luogo ad un
atto non propriamente confermativo in grado,
come tale, di dar vita ad un provvedimento
diverso dal precedente e, quindi,
suscettibile di autonoma impugnazione
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez.
I,
sentenza
30.04.2010 n.
1641 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Contratto
- appalto - gara - illegittimità
aggiudicazione - conclusione contratto -
inefficacia - trattazione unitaria per
connessione - giurisdizione amministrativa.
Il giudice amministrativo è competente a
pronunciarsi sia sulla domanda di invalidità
dell'aggiudicazione che sulla privazione
degli effetti del contratto concluso con
l'affidatario: la loro trattazione unitaria
avanti ad un medesimo giudice garantisce
l'attuazione dei principi di concentrazione,
effettività e ragionevole durata del giusto
processo: conseguentemente la cognizione del
giudice amministrativo sulla domanda di
annullamento dell'affidamento di un appalto
pubblico, per le illegittime modalità con
cui si è svolto il relativo procedimento,
comporta che lo stesso giudice adito per
l'annullamento degli atti di gara -che abbia
deciso su tale prima domanda- possa decidere
pure sull'istanza del contraente
illecitamente pretermesso dal contratto di
essere reintegrato nella sua posizione, con
la privazione di effetti del contratto
eventualmente stipulato dall'aggiudicante
con il concorrente alla gara scelto in modo
illegittimo
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez.
II,
sentenza
23.04.2010 n.
1610 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Procedimento- Imposizione vincolo
storico-artistico - omessa comunicazione
avvio - invalidità del provvedimento.
Qualora si inizi il procedimento di
assoggettamento di un bene immobile o mobile
al vincolo ex L. 01.06.1939 n. 1089, occorre
previamente comunicare l'avvio del
procedimento ai soggetti interessati, in
applicazione della l. 07.08.1990 n. 241
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez.
I,
sentenza
22.04.2010 n.
1599 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Strade
- autorizzazione collocamento cartelli
pubblicitari - regolamento comunale - divieto
generalizzato - illegittimità - limiti -
proporzionalità al pubblico interesse.
Il potere regolamentare del Comune in
materia di rilascio di autorizzazioni a
collocare cartelli ed altri mezzi
pubblicitari non può giungere ad un divieto
generalizzato di collocare mezzi
pubblicitari, esteso indistintamente a tutto
il territorio comunale in quanto lesivo
della libertà di iniziativa economica
privata, ma deve essere esercitato secondo
proporzionalità e adeguatezza, prevedendo in
via generale le limitazioni necessarie al "pubblico
interesse" (ad es. vincoli ambientali o
paesaggistici, sicurezza stradale) di volta
in volta specificamente individuato
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez.
II,
sentenza
21.04.2010 n.
1596 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
D.i.a. - Potere dell'amministrazione di
inibire l'esecuzione dei lavori - Termine di
30 giorni - Decorrenza - Intervento
inibitorio e autotutela - Differenze.
Oltre il termine di 30 gg. di cui
all'art. 42, co. 9, l.r. 12/2005, il potere
dell'amministrazione comunale di inibire
l'esecuzione dei lavori oggetto di d.i.a.
deve ritenersi consumato, salvo l'esercizio
dei poteri di revoca ed annullamento in
autotutela.
Ciò non significa che il potere
di vigilanza e controllo sull'attività
edilizia attribuito all'autorità comunale
dall'art. 27, co. 1, del d.p.r 380/2001 sia
limitato da tale previsione; si tratta,
infatti, di un potere generale attribuito
all'autorità amministrativa per tutti i tipi
di interventi edilizi che avvengono sul
territorio di competenza, ma tale potere -decorsi i 30 gg.- non deve svolgersi più
nelle forme dell'intervento inibitorio, ma
in quelle della procedura di autotutela di
cui agli artt. 21-quinquies e 21-nonies
della l. 241/1990, come modificata dalla l.
15/2005.
Lo schema dei poteri spettanti
all'autorità comunale a seguito della
presentazione della d.i.a. presenta,
infatti, una bipartizione di regime: nei
primi 30 gg. decorrenti dalla data di
presentazione della denuncia il Comune può
intervenire con il potere inibitorio
dell'attività edilizia che impedisce il
perfezionarsi della fattispecie della d.ia.;
decorso tale termine, invece, tale potere
può svolgersi soltanto nelle forme del
provvedimento di autotutela, e quindi
seguendo differenti presupposti (in tema di
motivazione sull'interesse pubblico) e
procedure (comunicazioni ex artt. 7 e 10-bis
l. 241/1990) (massima tratta
da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez.
I,
sentenza
21.04.2010 n.
1585 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Annullamento per
vizi di ordine formale che non escludono il riesercizio del potere - Danno risarcibile
immediato - Non sussiste.
Nel caso in cui in sede di giurisdizione
viene annullato un provvedimento per vizi di
ordine formale, o comunque per vizi di
difetto di istruttoria e di motivazione che
non escludono, e, anzi, consentono, il riesercizio
del potere, la domanda di risarcimento del
danno non può essere valutata se non
all'esito del nuovo esercizio del potere,
tenendo presente che, se l'atto negativo
viene reiterato, per ragioni diverse dal
precedente, il sopravvenuto provvedimento
negativo esclude, allo stato, la sussistenza
di un danno risarcibile derivante dal primo
provvedimento, salva la verifica degli
estremi del danno in caso di annullamento
giurisdizionale anche del secondo
provvedimento (massima tratta
da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez.
I,
sentenza
21.04.2010 n.
1585 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Ricorso sulla condizione urbanistica
dell'immobile - Promissario acquirente -
Legittimazione - Condizioni.
La posizione di promissario acquirente
normalmente consente di proporre ricorso
sulla condizione urbanistica dell'immobile
oggetto della contrattazione.
Dal momento che il titolo edilizio può
essere chiesto anche quando l'acquisto della
proprietà sia soltanto in itinere se il
promittente venditore non si oppone, la
medesima situazione permette di coltivare in
sede giudiziale la pretesa al riconoscimento
di ulteriori diritti edificatori o
l'opposizione alla perdita di tali diritti (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza
21.04.2010 n.
1580 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
Variante
urbanistica - Osservazioni - Comparazione
tra i contrapposti interessi dei privati -
Criterio di prevalenza
Nell'esame delle diverse osservazioni
sulla variante urbanistica adottata
l'amministrazione deve effettuare una
comparazione tra i contrapposti interessi
dei privati, tenendo conto che il criterio
di prevalenza non può essere costituito
dalla precedenza temporale dell'insediamento
ma esclusivamente dalla maggiore affinità
con gli interessi pubblici.
Certamente costituisce interesse pubblico
rilevante l'opportunità di non accostare
attività imprenditoriali incompatibili, ma
se tali attività possono essere rese
compatibili attraverso la tecnologia
disponibile vengono in rilievo altri
obiettivi di interesse pubblico, come ad
esempio la diffusione dei servizi sul
territorio (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza
21.04.2010 n.
1580 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Oneri di
urbanizzazione secondaria - Perequazione
urbanistica - Significato.
Gli oneri di urbanizzazione secondaria e
la cessione di aree rientrano anche nel
concetto di perequazione urbanistica, nel
senso che attraverso queste voci si
determina il giusto prezzo dovuto dai
proprietari per il riconoscimento dei
diritti edificatori.
Certamente una frazione
dell'importo va commisurata (secondo
l'impostazione tradizionale) alle opere e
alle aree pubbliche necessarie al fine di
garantire alla nuova edificazione un ambito
territoriale dotato di adeguati servizi, ma
i proprietari che edificano devono pagare un
prezzo anche per il fatto che attraverso
l'assegnazione dei diritti edificatori
l'ente pubblico sacrifica beni collettivi
(quali l'ambiente, il paesaggio, la
naturalità degli spazi liberi, la qualità
della vita urbana, il minore livello di
traffico e di inquinamento) e impone ad
altri proprietari di non edificare per non
compromettere in modo eccessivo i suddetti
beni su scala comunale (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza
21.04.2010 n.
1580 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: 1.
Insegne e pubblicità - Mancata approvazione
del Piano generale degli impianti
pubblicitari entro il termine previsto dal
D.Lgs. 507/1993 - Divieto di installazioni
pubblicitarie - Legittimità.
2. Insegne e pubblicità - Divieto di
installazioni pubblicitarie - Motivazione.
1.
L'art. 36 D.Lgs. 507/1993 deve essere messo
in relazione con l'art. 41 Cost. e con
l'art. 2 della L. 241/1990 e pertanto i
Comuni non possono, protraendo la mancanza
del Piano generale degli impianti
pubblicitari, inibire sine die nel
frattempo ogni installazione pubblicitaria
in quanto l'inerzia protratta oltre il
termine per la approvazione del suddetto
Piano pregiudicherebbe in modo eccessivo la
libertà di iniziativa economica, garantita a
livello costituzionale.
2.
La motivazione di un diniego deve dare
contezza delle ragioni per le quali viene
ritenuta l'incompatibilità dei cartelloni
pubblicitari con le esigenze di tutela
paesistica nel contesto ambientale tutelato
e non può tradursi in una semplice formula
generica e neppure la valutazione di
compatibilità paesaggistica può sostenere un
aprioristico divieto di istallazione per
l'intero territorio comunale
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez.
II,
sentenza
15.04.2010 n.
1573 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
1.
Piano di lottizzazione - Compatibilità
ambientale - Parere favorevole della
Soprintendenza - Autorizzazione paesistica -
Revisione del precedente parere - Condizioni
- Illegittimità.
L'aspettativa che sorge in capo ai
lottizzanti per effetto dell'esame
favorevole del piano di lottizzazione circa
la compatibilità ambientale del piano stesso
ai sensi dell'art. 28, comma 2, della legge 17.08.1942 n. 1150, è meritevole di tutela
e impedisce alla Soprintendenza di procedere
poi, nell'esame delle singole autorizzazioni
paesistiche, a una revisione radicale del
precedente giudizio.
Una simile revisione
può considerarsi legittima solo se nel
frattempo siano stati introdotti elementi
progettuali nuovi o se il maggiore grado di
precisione delle progettazioni singole
faccia emergere un impatto completamente
diverso che non era stato evidenziato nel
piano di lottizzazione.
Non corrisponde
invece né alle regole di correttezza né al
principio di economia procedurale la scelta
di approvare il piano di lottizzazione con
la riserva mentale di riaprire in seguito
l'esame sugli stessi elementi all'interno
del controllo delle singole autorizzazioni
paesistiche (massima tratta da www.solom.it
- TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza
09.04.2010 n.
1531 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1.
Centro abitato - Art. 9 DPR 380/2001 -
Delimitazione ai fini della viabilità ex
art. 4 D.Lgs. 285/1992 - Idoneità.
2. Centro abitato
- Delimitazione - Consiglio comunale -
Competenza - Non sussiste.
1. La nuova disciplina contenuta nell'art. 9
del DPR 380/2001, pur conservando il
concetto di centro abitato, ha eliminato
ogni riferimento alla perimetrazione di cui
all'art. 41-quinquies della legge 1150/1942.
La delimitazione del centro abitato può ora
avvenire con diverse modalità purché sia
garantita la funzione di salvaguardia del
territorio in vista della successiva
pianificazione urbanistica.
La mappatura del
centro abitato realizzata ai fini della
viabilità ex art. 4 del Dlgs. 30.04.1992
n. 285, purché abbastanza recente, svolge
adeguatamente il compito di definire i
confini del centro abitato, in quanto non
prende in considerazione soltanto i
raggruppamenti di edifici con le strade e le
piazze ma anche i giardini e le aree a uso
pubblico (v. art. 3, comma 1, n. 8 del Dlgs.
285/1992).
Si tratta dunque di un'analisi
del territorio che può essere considerata in
sintonia con la definizione urbanistica di
centro abitato.
2. Proprio perché si limita alla
ricognizione e alla lettura dei caratteri
urbanistici già presenti nel territorio, la perimetrazione del centro abitato non può
essere assimilata alla zonizzazione.
Inoltre
si tratta di un'attività destinata a
produrre effetti nel caso di assenza (o di
inefficacia sopravvenuta) della
zonizzazione, e dunque non richiede affatto
sul piano logico l'intervento del consiglio
comunale.
Di conseguenza il compito di
tracciare la perimetrazione deve essere
attribuito secondo il criterio generale
della maggiore competenza tecnica: può
essere un provvedimento dirigenziale oppure
una deliberazione di giunta, e anche un atto
non specificamente rivolto a scopi
urbanistici (come la mappatura per la
viabilità), purché in ogni caso vi sia alla
base un'adeguata analisi tecnica della
situazione reale dei luoghi (massima tratta
da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez.
I,
sentenza
09.04.2010 n.
1530 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Norme
urbanistiche - Impugnazione atto di adozione
- Effetto caducatorio - Si estende ai
provvedimenti successivi di mera
riproduzione delle norme approvate.
Nel caso di mera riproduzione di norme
urbanistiche, senza introduzione di
modifiche o senza integrazione della
motivazione, si può ritenere che l'effetto
caducatorio derivante dall'impugnazione
dell'atto di adozione si estenda, oltre che
al connesso atto di approvazione, anche ai
provvedimenti successivi.
Rispetto al
provvedimento che ha introdotto per primo la
disciplina contestata i provvedimenti
successivi, ove meramente riproduttivi,
costituiscono fonti di cognizione non
innovative, e in quanto tali non determinano
alcuna soluzione di continuità nella
situazione giuridica della parte ricorrente,
con la conseguenza che non possono schermare
l'effetto caducatorio.
Correlativamente, al
privato non può essere imposto l'onere di
seguire nel tempo l'intera serie delle
deliberazioni impugnando in corso di causa
tutti gli atti che riproducono le
disposizioni oggetto della controversia
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez.
I,
sentenza
09.04.2010 n.
1529 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: 1.
Contratti pubblici - Appalto - Gara -
Aggiudicazione provvisoria - Natura di atto
endo-procedimentale - Termine per
l'impugnazione - Decorre dall'aggiudicazione
definitiva.
2. Contratti pubblici - Appalto - Gara -
Anomalia dell'offerta - Discrezionalità
tecnica dell'amministrazione - Sindacabile
in sede giurisdizionale - Solo per manifesta
irrazionalità ed evidente travisamento dei
fatti.
3. Contratti pubblici - Gara - Anomalia
dell'offerta - Valutazione di non anomalia -
Annullamento in sede giurisdizionale -
Obbligo per l'amministrazione di rinnovare
la procedura.
1.
L'aggiudicazione provvisoria di una gara
d'appalto ha natura di atto
endo-procedimentale, inidoneo a produrre una
definitiva lesione nella sfera giuridica
dell'impresa che non è diventata vincitrice.
Il termine per impugnare i risultati della
gara -e per far valere anche i vizi
dell'aggiudicazione provvisoria- decorre
pertanto dall'aggiudicazione definitiva, che
consolida il pregiudizio in capo ai
concorrenti non dichiarati affidatari
dell'appalto.
2.
Con riferimento alla verifica dell'anomalia
di un'offerta, il giudice amministrativo non
può sovrapporre la sua idea tecnica al
giudizio formulato dall'organo competente,
al quale la legge attribuisce -nell'apprezzamento
del caso concreto- l'approfondimento del
sapere specialistico ai fini della tutela
dell'interesse pubblico.
Dopo la verifica dell'anomalia, pertanto,
l'esito della gara può essere travolto dalla
pronuncia giurisdizionale allorquando
l'indagine compiuta dalla stazione
appaltante, attraverso il controllo formale
ed estrinseco dell'iter logico, evidenzi
profili di manifesta irrazionalità ed
evidente travisamento dei fatti; il potere
di annullamento può essere altresì
esercitato ove il giudizio di attendibilità
investa voci che -per la loro rilevanza ed
incidenza complessiva- rendano l'intera
operazione economica non plausibile e, per
l'effetto, non suscettibile di accettazione
da parte della stazione appaltante.
3.
Quando la normativa attribuisce all'autorità
pubblica il potere di formulare una
valutazione opinabile in base alla scienza
del settore, anche ove siano dedotte le più
articolate censure, il giudice non può
sostituire la propria valutazione a quella
effettuata in sede amministrativa.
Se questa risulta viziata (per un vizio
procedimentale, ovvero per un profilo di
eccesso di potere, anche di inadeguata
motivazione in ordine ad uno degli elementi
rilevanti), il giudice amministrativo può
annullare il provvedimento impugnato, con
salvezza degli atti ulteriori, ma non può
sostituire la propria valutazione a quella
rimessa dalla norma alla competenza della
autorità amministrativa.
Questi principi rilevano anche quando si
tratti di esprimersi sull'attendibilità
della valutazione effettuata da una
Commissione di gara sull'anomalia di
un'offerta, e comportano che
dall'annullamento degli atti impugnati
scaturisce per l'amministrazione l'obbligo
di rinnovare la procedura emendandola dai
vizi rilevati, restando sconosciuto al
momento l'esito della riedizione
dell'attività di verifica.
Al contempo non può, allo stato,
riconoscersi un danno, poiché
l'aggiudicazione alla ricorrente non
costituisce effetto automatico di questa
pronuncia
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez.
II,
sentenza
08.04.2010 n.
1528 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
1. Vincolo paesistico - piani
attuativi - autorizzazione
paesistica - necessità.
2. Vincolo
paesistico - autorizzazione paesistica -
art. 159 Dlgs. 42/2004 - piano di
lottizzazione - singoli interventi.
1. L'art. 28, comma 2, della legge 17.08.1942 n. 1150 estende ai piani di
lottizzazione la necessità di una
valutazione sotto il profilo paesistico,
indipendentemente dalla presenza di un
vincolo paesistico-ambientale.
Qualora un
tale vincolo sussista, tanto per
l'intervento di una dichiarazione di
notevole interesse pubblico riferita a un
bene determinato (art. 136 e 157 del Dlgs.
42/2004) quanto per effetto della tutela
ex lege dei contesti ambientali (art.
142 del Dlgs. 42/2004), è necessaria una
vera e propria autorizzazione paesistica,
sottoposta nel regime transitorio al potere
di annullamento ministeriale ex art. 159 del
Dlgs. 42/2004.
2. Quando il piano di lottizzazione contenga
dettagli sulle singole costruzioni l'analisi
paesistica e il controllo della
Soprintendenza deve coinvolgere l'intero
intervento edilizio senza limitarsi alle
sole opere di urbanizzazione: a meno che non
siano stati introdotti elementi progettuali
nuovi o se il maggiore grado di precisione
delle progettazioni singole faccia emergere
un impatto completamente diverso che non era
stato evidenziato nel piano di
lottizzazione, l'aspettativa che sorge in
capo ai lottizzanti per effetto dell'esame
favorevole del piano di lottizzazione è
meritevole di tutela e impedisce alla
Soprintendenza di procedere poi, nell'esame
delle singole autorizzazioni paesistiche, a
una revisione radicale del precedente
giudizio (massima tratta da www.solom.it -
TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza
08.04.2010 n.
1516 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
1. Piano
di lottizzazione - scadenza -
discrezionalità urbanistica - limiti -
trasformazione concreta dei luoghi.
2. Piano di
lottizzazione - scadenza - conformazione -
indici.
1. La scadenza del piano di lottizzazione
affievolisce le aspettative edificatorie dei
proprietari, i quali sono esposti, una volta
passato il termine di validità del piano,
alle nuove scelte urbanistiche
dell'amministrazione e pertanto i limiti che
possono essere imposti alla discrezionalità
urbanistica sono quelli derivanti dalla
conformazione del suolo che si sia
stabilizzata in seguito alla trasformazione
in concreto dei luoghi.
2. Per aversi conformazione di un suolo non
serve che sia intervenuto il completamento
delle opere di urbanizzazione, è sufficiente
che ne sia stata realizzata la parte
prevalente e che la parte restante possa
essere ultimata tramite il riempimento degli
spazi vuoti secondo le linee del piano di
lottizzazione. In particolare non vi è
trasformazione della superficie di un lotto,
e quindi presenza di significativi indici di
conformazione, per cui il Comune non
incontra ostacoli nella modifica della
disciplina urbanistica attraverso il PGT ove:
(a) l'area sia edificata solo per una
superficie limitata;
(b) manchino le opere
della viabilità, ossia le infrastrutture che
maggiormente definiscono e circoscrivono i
successivi interventi edificatori dei
privati;
(c) manchino i parcheggi pubblici,
che costituiscono standard urbanistici
necessari in presenza di una destinazione
commerciale;
(d) le opere di urbanizzazione
realizzate consistano nei sottoservizi, i
quali, essendo interrati, non hanno
trasformato la superficie del lotto (massima
tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez.
I,
sentenza
08.04.2010 n.
1515 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. Nulla osta paesistico - annullamento - non è
atto recettizio - decorrenza termine per
adozione.
2. Autorizzazione
paesaggistica - potere dell'amministrazione
statale.
3. Autorizzazione
paesaggistica - potere dell'amministrazione
statale - annullamento - eccesso di potere -
considerazioni tecnico discrezionali -
esclusione.
4. Autorizzazione
paesaggistica - piano attuativo -
compatibilità paesaggistica per i singoli
interventi.
1. Il provvedimento di annullamento del
nulla-osta paesistico non ha natura di atto
recettizio, e pertanto il termine -perentorio- di sessanta giorni previsto per
la sua adozione attiene al solo esercizio
del potere di annullamento da parte
dell'Amministrazione statale e non anche
alla comunicazione o notificazione ai
destinatari del provvedimento stesso.
2. Il potere esercitato dall'Amministrazione
statale sulla autorizzazione paesaggistica
rilasciata dall'autorità regionale (o dalle
autorità subdelegate) va definito in termini
di "cogestione dei valori paesistici", nel
senso che esso costituisce espressione di
amministrazione attiva, nell'ambito di un
unitario procedimento complesso nel quale la
conclusione del procedimento è appannaggio
esclusivo all'amministrazione regionale (o a
quella delegata da quest'ultima) soltanto
nella ipotesi di diniego di autorizzazione,
mentre, al contrario, ove l'autorizzazione
sia accordata, essa costituisce il
presupposto formale la cui comunicazione al
Ministero attiva il necessario riesame del
contenuto dell'autorizzazione e dà avvio,
dunque, ad un'altra fase necessaria e non
autonoma, nella quale il Ministero può
annullare entro il prescritto termine di
sessanta giorni;
3. L'Autorità statale può annullare
l'autorizzazione paesistica (oltre che per
il vizio di violazione di legge in senso
stretto e per quello di incompetenza) anche
quando risulti un suo profilo di eccesso di
potere (per sviamento, insufficiente
motivazione, difetto di istruttoria,
illogicità manifesta); la medesima Autorità
non può, viceversa, annullare
l'autorizzazione paesistica sulla base di
proprie considerazioni
tecnico-discrezionali, contrarie a quelle
effettuate dalla Regione o dall'Ente
subdelegato; l'esame della domanda di
autorizzazione paesaggistica da parte
dell'Autorità statale deve essere coerente
con il piano paesistico (ove sia stato
emanato), si deve basare su un'idonea
istruttoria e deve rendere un'adeguata
motivazione (da cui devono risultare le
ragioni poste a base della affermata
prevalenza di un interesse diverso da quello
tutelato in via primaria) e deve tenere
conto del principio di leale cooperazione
che in materia domina i rapporti tra il
Ministero e le Regioni (cfr. TAR Brescia
25.02.2008 n. 153).
4. Allorché sia stato già espresso in sede
di approvazione del piano attuativo un
giudizio favorevole sulla compatibilità
paesaggistica, la valutazione di
compatibilità paesaggistica richiesta ai
fini del rilascio dell'autorizzazione dei
singoli interventi edilizi rientranti
nell'ambito del piano già approvato è
limitata al modo di essere ed alle concrete
modalità esecutive del manufatto da
realizzare.
Detto altrimenti, tanto più
puntuale e dettagliato è il giudizio di
compatibilità paesaggistica reso in sede di
approvazione del piano tanto più ridotti
saranno i margini di ulteriore valutazione
che è consentito svolgere con riguardo ai
singoli interventi rientranti nel piano
stesso; viceversa, a fronte di una
valutazione meno dettagliata, se non
generica, resa a monte, si impone un più
incisivo apprezzamento di coerenza
paesaggistica a valle, volto a verificare,
dandone adeguatamente conto in sede
motivazionale, se con le ragioni di tutela
sottese all'apposizione del vincolo siano
coerenti quelle modalità realizzative dei
singoli interventi edilizi non
dettagliatamente prese in considerazione nel
giudizio sul piano (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza
08.04.2010 n.
1514 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
1. Pianificazione urbanistica - tessuto urbano
consolidato - ambito di trasformazione -
differenza.
2. Pianificazione
urbanistica - documento di piano - piano
delle regole - differenza.
3. Pianificazione
urbanistica - esigenze di sviluppo dela
comunità - interesse die singoli.
1. La differenza fondamentale tra il tessuto
urbano consolidato e l'ambito di
trasformazione sta nella circostanza che nel
tessuto urbano consolidato il pianificatore
può prevedere soltanto intervento di tipo
edilizio, perché -proprio per effetto
dell'ormai consolidata urbanizzazione- non
vi è ormai più spazio per considerazioni
strategiche sullo sviluppo urbanistico del
territorio.
Al contrario, l'ambito di
trasformazione, proprio perché tessuto
ancora da urbanizzare compiutamente, è il
luogo delle trasformazioni urbanistiche e
dei relativi disegni strategici.
E' per
questo che il tessuto urbano consolidato
trova regolamentazione soltanto nel piano
delle regole, laddove gli ambiti di
trasformazione sono oggetto della disciplina
del documento di piano.
2. Il documento di piano ed il piano delle
regole hanno funzioni e struttura
completamente diversi per cui non è
possibile sovrapporre l'uno all'altro.
Il
documento di piano serve per progettare le
direttrici di sviluppo urbanistico del
territorio, laddove il piano delle regole
assolve finalità di regolamentazione
edilizia dei singoli edifici e delle singole
aree non edificate.
Un'area ricompresa tra le
future direttrici dello sviluppo urbanistico
del territorio, e per questo contemplata dal
documento di piano, non per questo è
sottratta all'attuale regolamentazione
edilizia del piano delle regole.
Se un'area
oggetto del documento di piano non fosse normata dal piano delle regole ci si
troverebbe in presenza di un'area priva del
tutto di disciplina edilizia in quanto,
com'è noto, il documento di piano non
produce effetti diretti sul regime giuridico
dei suoli (art. 8, co. 3, l.r. 12/2005),
effetti che conseguono soltanto
all'approvazione dei piani attuativi (art.
12, co. 5, l.r. 12/2005).
3. Quando le amministrazioni locali
prevedono ambiti di espansione fissando una
volumetria massima realizzabile,
attribuiscono diritti edificatori
(suscettibili di espandersi con i piani
attuativi) non nell'interesse dei titolari
dei fondi, ma nell'interesse delle esigenze
di sviluppo della comunità locale, esigenze
che hanno predeterminato prima di fissare le
cubature massime realizzabili.
Ne consegue
che tali esigenze di sviluppo non possono
essere frustrate dalla (eventuale) decisione
di uno dei proprietari dei fondi in cui sono
stati individuati gli ambiti di
trasformazione di non approfittare della
potenzialità edificatoria riconosciuta al
fondo per potersi giovare in futuro di una
disciplina urbanistica in prospettiva più
favorevole (massima tratta da www.solom.it -
TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza
08.04.2010 n.
1513 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
1. Variante urbanistica - comunicazione di avvio del procedimento -
necessità - esclusione.
2. Scelte
urbanistiche - apprezzamenti di merito -
insindacabilità in sede giurisdizionale di
legittimità - ragionevolezza della scelta pianificatoria.
1. Anche in presenza di formale violazione
dell'art. 11 del D.lgs. n. 327/2001, per
mancata comunicazione dell'avvio del
procedimento prima dell'adozione di variante
urbanistica, non può ritenersi sussistere
alcun concreto interesse alla deduzione di
tale formale violazione ove il privato abbia
comunque avuto conoscenza del progetto, ed
avuto l'opportunità di presentare, proprie
osservazioni, con le quali, oltre ad
eccepire la violazione dell'art. 11 T.U. e
la conseguente mancata partecipazione al
procedimento di adozione della variante,
abbia contestato la scelta progettuale
interessante la sua proprietà: in tale
contesto, l'attivazione autonoma da parte
dell'interessato ha "sanato" detta
omissione.
2. Anche quando si tratti di opere la cui
realizzazione si caratterizzi per la
necessità del rispetto di regole tecniche
complesse, la scelta sul dove collocare
l'opera pubblica è il frutto di una tipica
discrezionalità amministrativa, coinvolgente
la comparazione e ponderazione
dell'interesse pubblico fondamentale con gli
altri interessi, pubblici o privati, in
gioco.
Conseguentemente al giudice è
consentito il solo sindacato sulla
ragionevolezza della scelta pianificatoria
compiuta dal Comune con la variante: il
giudice non può sostituirsi ad un potere già
esercitato, ma deve poter stabilire, secondo
un criterio di effettività di tutela
giurisdizionale, se la valutazione complessa
operata nell'esercizio del potere debba
essere ritenuta corretta sia sotto il
profilo delle regole tecniche applicate, sia
nella fase di contestualizzazione della
norma posta a tutela della conformità ai
parametri tecnici, sia nella fase di
raffronto tra i fatti accertati ed il
parametro contestualizzato nella situazione
di fatto che vede coinvolti altri
concorrenti interessi (richiama Cons. St.,
Sez. VI 02.03.2004 n. 926) (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza
08.04.2010 n.
1512 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Autorizzazione paesaggistica - comunicazione
avvio del procedimento.
La regolamentazione sostanziale della
materia dell'obbligo di comunicazione
d'avvio nel procedimento di annullamento
dell'autorizzazione paesaggistica, a sensi
dell'art. 159 del Codice dei beni culturali
prevede che la Soprintendenza non sia
onerata della comunicazione d'avvio, purché
peraltro l'autorità comunale abbia inviato
comunicazione all'interessato del rilascio
dell'autorizzazione, che per espressa
disposizione di legge fa funzioni di
comunicazione d'avvio (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez.
I,
sentenza
08.04.2010 n.
1507 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1.
Condono edilizio - data ultima - onere della
prova - spetta al ricorrente - dichiarazione
sostitutiva di atto notorio - insufficienza.
2. Condono edilizio - Condonabilità - opere abusive oggetto di
impegno del privato alla demolizione
spontanea.
1. Poiché l'Amministrazione comunale non è
normalmente in grado di accertare la
situazione edilizia di tutto il proprio
territorio alla data indicata dalla
normativa sul condono, l'onere di provare
l'esistenza del manufatto oggetto di abuso
alla data ultima per beneficiare del condono
spetta al privato che chiede di condonarlo,
privato che riesce a far transitare tale
onere in capo all'amministrazione soltanto
se fornisce elementi concreti in ordine
all'esistenza dello stesso.
Quanto sopra
comporta che anche la dichiarazione
sostitutiva di atto notorio non è
sufficiente a tal fine, essendo necessari
ulteriori riscontri documentali,
eventualmente anche indiziari, purché
altamente probanti.
2. Nella congerie di norme che disciplinano
il condono si trovano altre previsioni che
sottraggono al regime di condonabilità altri
specifici abusi, ma non ve n'è nessuna che
esclude dalla condonabilità opere per cui
l'autore si era assunto in passato un
impegno di demolirle.
La mancata demolizione spontanea di opere
edilizie abusive realizzate prima del
31.12.1993 avrebbe legittimato il Comune a
demolirle d'ufficio negli anni che sono
intercorsi tra il 1987 ed il 1994.
Ma nel
momento in cui non si è provveduto alla
demolizione d'ufficio (per qualsiasi ragione
ciò sia avvenuto), ed è entrata in vigore
una normativa straordinaria (quale la L.
724/1994) che consente la sanatoria di abusi
edilizi anche privi di conformità
urbanistica, e quindi non sanabili a regime,
il Comune non può precludere a tali abusi di
accedere alla normativa straordinaria ed
anzi deve valutare tali abusi alla luce
della normativa straordinaria sul condono
edilizio, e verificare se essi presentano i
presupposti previsti dalla l. 724/1994 (data
di ultimazione delle opere, volumetria,
compatibilità con vincoli) per essere
ammessi al condono (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza
08.04.2010 n.
1506 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO:
Modifica orario di servizio -
accertamento dei comportamenti antisindacali
- diritto all’informazione – concertazione –
contrattazione – riparazione del danno
arrecato all’immagine del sindacato –
pubblicazione della decisione nelle bacheche
dell’ente, ai sensi dell’art. 120 c.p.c..
La determinazione dei criteri per la
politica dell’orario di lavoro deve essere
oggetto di informazione preventiva,
concertazione e contrattazione (Tribunale di
Nola,
provvedimento 25.09.2008 - link a
www.iussit.eu).
---------------
(nota di: Avv. Paolo Carbone – Dott.ssa
Luisa Marotta).
L’art. 28 Stat. Lav. tutela gli organismi
locali delle associazioni sindacali
nazionali che vi abbiano interesse dal
comportamento illegittimo del datore di
lavoro diretto ad impedire o limitare
l’esercizio della libertà e dell’attività
sindacale nonché del diritto di sciopero,
attribuendo al Tribunale, in funzione di
giudice del lavoro, il potere di ordinare al
datore la cessazione del comportamento
illegittimo e di rimuovere gli effetti.
Tale norma non individua in maniera
analitica la condotta antisindacale ma
fornisce della stessa una nozione
teleologica: è considerata antisindacale,
infatti, non una determinata condotta in
base alle sue modalità esteriori, ma
qualsiasi condotta diretta ad un determinato
risultato, ovvero ad impedire o limitare
l’esercizio della libertà e dell’attività
sindacale, oltre che del diritto di
sciopero.
L’ampia descrizione legislativa induce a
ritenere che qualsiasi condotta idonea a
ledere i beni indicati debba essere
considerata antisindacale: non solo, dunque,
le condotte dirette esclusivamente ad
impedire l’attività sindacale, ma anche le
condotte che, in astratto, potrebbero essere
legittime ma, in concreto, siano state
adottate per motivi antisindacali.
Anche un comportamento omissivo del datore
di lavoro può realizzare una condotta
antisindacale, a condizione che,
pregiudizievole alla libertà o all’attività
sindacale, integri violazione di uno
specifico obbligo di contenuto positivo
imposto allo stesso datore da disposizioni
legislative o contrattuali.
In tema di orario di servizio, come nel caso
in esame, sussiste la violazione in quanto
il CCNL prevede la concertazione e la
contrattazione e non solo la fase
dell’informativa o della consultazione in
tema di orario di servizio.
Nelle materie nelle quali è prevista la
concertazione, l’informazione deve essere
preventiva e preliminare. |
AGGIORNAMENTO AL 06.12.2010 |
ã |
UTILITA' |
EDILIZIA PRIVATA:
Lombardia, Struttura del Piano territoriale
e del Piano paesaggistico regionale. Il
ruolo strategico e di indirizzo per
l'organizzazione del territorio.
Il Dossier presenta il Piano Territoriale
Regionale (PTR) e la sua componente
paesaggistica, il Piano Paesaggistico
Regionale (PPR), con due obiettivi. Il primo
è quello di descrivere struttura e contenuti
dei due piani, il secondo di comprendere i
passaggi che hanno delineato le strategie
regionali alla luce delle condizioni, delle
dinamiche e delle opportunità di contesto.
Il territorio descritto è proprio di una
regione dinamica e complessa che, in modo
più o meno consapevole, si sta giocando sia
possibilità di successo che il rischio di
risultati non favorevoli nell'arena
competitiva globale.
In questo contesto Regione Lombardia, per la
prima volta nella sua storia, si è dotata di
un proprio strumento di pianificazione
territoriale aprendo la stagione della sua
concretizzazione e del suo continuo
aggiornamento.
La crisi economica mondiale, e le sue
ricadute locali, stanno offrendo la
possibilità di una rottura di un modello
tradizionale di pianificazione territoriale,
fortemente legato alla rendita, con il
passaggio a logiche di governo del
territorio orientate allo sviluppo. In
questo doppio livello si attuerà il futuro
del PTR e del ruolo di governo del
territorio che assumerà Regione Lombardia
(link a www.dossiertematicicrl.net). |
SINDACATI |
EDILIZIA PRIVATA: La
disciplina delle pensioni ed elle
liquidazioni nel pubblico impiego
(CGIL-FP di Bergamo,
nota novembre 2010). |
PUBBLICO IMPIEGO:
OGGETTO: adozione del regolamento degli
uffici e dei servizi in applicazione D.Lgs
150/2009 – obbligo di informazione e
consultazione (CGIL-FP di Bergamo,
nota 30.11.2010). |
PUBBLICO IMPIEGO: Prorogate
le R.S.U. fino al loro rinnovo
(CGIL-FP di Bergamo,
nota 29.11.2010). |
GURI - GUUE -
BURL (e anteprima) |
VARI: G.U.
03.12.2010 n. 283 "Ratifica ed esecuzione
della Convenzione europea per la protezione
degli animali da compagnia, fatta a
Strasburgo il 13.11.1987, nonché norme di
adeguamento dell’ordinamento interno" (L.
04.11.2010 n. 201). |
EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI:
G.U. 01.12.2010 n. 281, suppl. ord. n. 262,
"Attuazione dell’articolo 11 del
decreto-legge 28.04.2009, n. 39, convertito,
con modificazioni, dalla legge 24.06.2009,
n. 77 in materia di contributi per
interventi di prevenzione del rischio
sismico (Ordinanza n. 3907)" (O.P.C.M.
13.11.2010). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: G.U.
01.12.2010 n. 281 "Definizione dei
criteri di ammissibilità dei rifiuti in
discarica, in sostituzione di quelli
contenuti nel decreto del Ministro
dell’ambiente e della tutela del territorio
03.08.2005" (Ministero dell'Ambiente e
della Tutela del Territorio del mare,
decreto 27.09.2010). |
ENTI LOCALI - VARI:
B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 48 del
29.11.2010, "Determinazione, per l’anno
2011 dei canoni da porre a base d’asta per
l’affidamento dei lavori di sistemazione
idraulica mediante escavazione di materiale
inerte dagli alvei dei corsi d’acqua" (decreto
D.G. 15.11.2010 n. 11527 - link a
www.infopoint.it). |
EDILIZIA PRIVATA: B.U.R.
Lombardia, serie ordinaria n. 48 del
29.11.2010, "D.d.g. 15.11.2010 n. 11517 –
Approvazione delle «Disposizioni tecniche
per il monitoraggio del Fondo Aree Verdi di
cui al punto 4 dell’allegato 1 alla d.g.r.
8757/2008 e note esplicative delle Linee
guida approvate con dd.g.r. 8757/2008 e
11297/2010» – Pubblicato nel BURL n. 47
Se.O. del 22.11.2010" (Errata
corrige n. 48/01-Se.O. 2010 -
link a www.infopoint.it). |
DOTTRINA E
CONTRIBUTI |
APPALTI:
P. Michielan,
Il debutto del preavviso di ricorso
giurisdizionale negli appalti pubblici
(link a http://venetoius.myblog.it). |
APPALTI:
M. Faviere, Il nuovo Regolamento al codice
dei Contratti pubblici:
slides (novembre 2010 - link a
www.centrostudimarandoni.it). |
APPALTI:
M. Alesio, Il nuovo Regolamento al codice
dei Contratti pubblici:
commento (novembre 2010 - link a
www.centrostudimarandoni.it). |
APPALTI:
M. Alesio,
Le ultime novità in materia di contratti
pubblici. La tracciabilità dei flussi
finanziari alla luce delle prime ed
informali indicazioni dell'Autorità
(novembre 2010 - link a
www.centrostudimarandoni.it). |
APPALTI:
C. Rapicavoli,
D.L. 12.11.2010 n. 187 - Tracciabilità dei
flussi finanziari - Nota illustrativa
dell'ANCI (link a
www.ambientediritto.it). |
INCENTIVO PROGETTAZIONE:
C. Rapicavoli,
Legge 04.11.2010 n. 183 - Incentivi alla
progettazione (link a
www.ambientediritto.it). |
NEWS |
APPALTI SERVIZI:
SERVIZI PUBBLICI LOCALI/
Dismissione delle partecipate, il termine
del 31/12 è ordinatorio. Per l'associazione
dei comuni basta che la procedura venga
avviata entro fine anno.
Dismissione delle
società a partecipazione comunale che
producono beni o servizi non strettamente
necessari al perseguimento delle finalità
istituzionali da deliberare entro il
31.12.2010.
In vista dell'imminente scadenza
l'Associazione nazionale comuni italiani (Anci),
con una circolare del 3 novembre scorso, fa
il punto sul divieto previsto dall'art. 3,
comma 27, della legge 244/2007 in materia di
società partecipate dagli enti locali.
Come noto l'art. 3 della Finanziaria 2008 ha
stabilito dei limiti alla costituzione e
alla partecipazione in società per le
amministrazioni pubbliche, introducendo il
divieto di «costituire società aventi per
oggetto attività di produzione di beni e di
servizi non strettamente necessarie per il
perseguimento delle proprie finalità
istituzionali» e di «assumere o
mantenere direttamente partecipazioni, anche
di minoranza, in tali società» e
prevedendo, al tempo stesso, nel successivo
comma 29, il predetto termine del 31
dicembre per la cessione delle
partecipazioni vietate.
Per prima cosa la circolare si sofferma
sull'esame della norma in questione
preoccupandosi di definirne l'ambito di
applicazione e illustrando le deroghe
previste dalla stessa. ... (articolo
ItaliaOggi del 03.12.2010 - link
a www.ecostampa.com). |
CONSIGLIERI COMUNALI:
OSSERVATORIO VIMINALE/ Il
municipio può sostituire il rappresentante
in seno all'ente comunitario. Unioni,
consiglieri in bilico. Giusto revocare chi
lascia il gruppo in comune.
È corretta la condotta
di un comune aderente a una Unione di comuni
che ha revocato, e quindi sostituito, il
consigliere nominato quale rappresentante
del gruppo di maggioranza in seno al
consiglio dell'Unione, a seguito del suo
distacco dalla coalizione di maggioranza? Se
tale ipotesi di revoca non è contemplata
dalle norme statutarie, quale è la procedura
più corretta per le convocazioni del
prossimo consiglio comunitario?
Mentre il consigliere comunale esercita una
funzione derivante da un mandato elettivo
diretto, attributivo perciò di un ufficio da
esercitare in piena libertà ed autonomia
rispetto al corpo elettorale, nel caso del
rappresentante comunale in seno ad un ente
comunitario, designato con elezione
indiretta o di secondo grado, esiste uno
specifico rapporto tra maggioranza (o
minoranza) ed eletto, il quale dovrebbe
ritenersi espressione della parte consiliare
che lo ha designato.
Nel caso di specie il comune, ritenendo
evidentemente non più sussistente il
rapporto di rappresentatività con il
consigliere designato nell'ambito
dell'Unione, ha provveduto alla sua revoca
ed alla sostituzione.
In virtù delle decisioni adottate dal
comune, pertanto, il nuovo consigliere
designato assume la qualità di componente
del Consiglio dell'unione, con i correlati
diritti e doveri, ivi incluso il diritto
alla convocazione.
Eventuali censure avverso le determinazioni
del comune possono essere fatte valere
attraverso gli ordinari rimedi
giurisdizionali apprestati dall'ordinamento
(articolo ItaliaOggi del 03.12.2010, pag.
42). |
CONSIGLIERI COMUNALI:
OSSERVATORIO VIMINALE/ Indennità e gettoni.
È tuttora vigente l'art. 1, comma 54, della
legge 24.12.2005, n. 266 - con il quale è
stato disposta la rideterminazione in
riduzione, nella misura del dieci per cento
rispetto all'ammontare risultante al
30.09.2005, delle indennità e dei gettoni di
presenza spettanti agli amministratori degli
enti locali - tenuto conto che,
successivamente al parere espresso dal
ministro dell'Economia nel 2009, che ha
confermato l'operatività della disposizione
normativa, la Corte dei conti ha ritenuto
che tale norma non fosse più in vigore?
Con l'art. 1, comma 54, della legge
finanziaria 2006 è stata introdotta una
disposizione che di fatto ha prodotto un
effetto di «sterilizzazione permanente»
del sistema di determinazione delle
indennità e dei gettoni di presenza. Tale
sistema, che peraltro mal si conciliava,
logicamente e normativamente, con le
sopravvenute novelle agli artt. 82 e 83 del
Tuoel apportate dall'art. 2, comma 25, della
Finanziaria 2008, ha successivamente trovato
una decisiva conferma negli artt. 61, comma
10, secondo periodo, e 76, comma 3, della
legge 06.08.2008, n. 133, di conversione del
decreto-legge 25.06.2008, n. 112.
L'amministrazione finanziaria, intervenuta
allo scopo di chiarire entro quale arco
temporale trova applicazione la norma, ne ha
confermato l'operatività.
In ogni caso il decreto legge 31.05.2010, n.
78, concernente misure urgenti in materia di
stabilizzazione finanziaria e di
competitività economica, dispone, all'art.
5, comma 7, che con decreto del ministro
dell'interno, da adottarsi entro 120 giorni
dalla data di entrata in vigore del
decreto-legge medesimo vengano rideterminati
in diminuzione, ai sensi dell'art. 82, comma
8, del Testo unico delle leggi
sull'ordinamento degli enti locali di cui al
decreto legislativo 18.08.2000, n. 267, gli
importi delle indennità degli amministratori
locali già determinate ai sensi dello stesso
articolo 82, comma 8 (articolo ItaliaOggi
del 03.12.2010, pag. 42). |
CONSIGLIERI COMUNALI:
OSSERVATORIO VIMINALE/ Ineleggibilità.
Sussiste l'ipotesi di ineleggibilità nel
caso di un consigliere comunale che ricopre
le funzioni di direttore sanitario presso
l'azienda ospedaliera locale costituita con
legge regionale?
L'art. 60, al n. 8 del primo comma, del
decreto legislativo 267/2000, stabilisce
l'ineleggibilità alla carica di consigliere
comunale dei direttori generali, dei
direttori amministrativi e dei direttori
sanitari di aziende sanitarie locali o
ospedaliere nei collegi in cui sia compreso
in tutto o in parte il territorio
dell'azienda locale o ospedaliera (cfr.
anche Corte app. Roma, sez. I, 09.02.2009).
Nella fattispecie rilevano i diversi ambiti
territoriali in cui, rispettivamente, opera
l'azienda ospedaliera ove il consigliere
esercita funzioni di direttore sanitario, e
quello in cui lo stesso è stato eletto.
L'ipotesi di ineleggibilità risulta,
infatti, esclusa se non vi è coincidenza
territoriale tra il territorio dell'azienda
ospedaliera presso la quale il direttore
sanitario esercita le proprie funzioni e il
collegio elettorale presso cui ha presentato
la propria candidatura (articolo ItaliaOggi
del 03.12.2010, pag. 42). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Le indicazioni della Civit nelle
risposte ai quesiti degli enti. Porte aperte
ai dipendenti. Segretari esclusi dalla
valutazione. Fuori dall'Oiv per evitare
possibili conflitti di interesse.
Non partecipazione
del segretario all'Organismo indipendente di
valutazione (Oiv), obbligo di comunicazione
alla Civit della effettiva pubblicazione sul
sito internet delle informazioni prescritte,
obbligo di adozione delle carte dei servizi
da parte di tutte le amministrazioni locali
e possibilità che nell'Oiv siedano
dipendenti dell'ente.
Sono questi i principali chiarimenti che la
Commissione nazionale per la valutazione,
l'integrità e la trasparenza delle pubbliche
amministrazioni ha fornito in risposta ai
quesiti posti. Tali risposte sono state
raccolte, in forma sintetica,
in un apposito documento che è
disponibile sul sito internet all'indirizzo
www.civit.it.
La Commissione ritiene che i segretari
comunali e i direttori generali non debbano
far parte dell'Oiv sulla base delle seguenti
tre motivazioni: in primo luogo perché essi,
in quanto vertici burocratici dell'ente
possono essere valutati da tale organismo,
il che determinerebbe un palese «conflitto
di interessi». In secondo luogo perché
la definizione della loro metodologia di
valutazione deve essere proposta dall'Oiv.
In terzo luogo perché si può dubitare della
sua autonomia: «L'Oiv deve essere
composto da membri che assicurino la totale
indipendenza dall'organo di indirizzo
politico amministrativo, il che risulterebbe
compromesso qualora si ammettesse la
partecipazione del segretario comunale alla
formazione dell'Organismo».
Tali risposte sono state fornite dalla Civit
a numerosi comuni, ma non risultano
convincenti.
Quanto alla prima obiezione, si può
stabilire che la valutazione del
segretario/direttore generale sia effettuata
direttamente dal sindaco o dal presidente
della provincia. Ed ancora l'Oiv può non
svolgere alcun ruolo nella definizione della
proposta di metodologia di valutazione del
segretario. I dubbi sulla sua indipendenza
non hanno ragione di sussistere, in quanto i
segretari sono chiamati a svolgere
importanti ruoli di garanzia e in quanto è
vero che la loro nomina è disposta dal
sindaco, ma anche quella di tale organismo
spetta alla competenza del vertice politico,
cioè del sindaco o del presidente della
provincia.
Parimenti non risultano convincenti le
risposte sulla necessità che l'Oiv debba
essere composto, come nello stato, da uno o
tre componenti: siamo in presenza di una
lesione assai rilevante alla autonomia delle
singole amministrazioni. Ed ancora non si
capisce esattamente cosa si voglia dire con
l'espressione che gli enti locali non sono
tenuti «a costituire gli Oiv nelle more
dell'adeguamento dei propri ordinamenti»:
non pare che vi siano spazi per rinviare
oltre la fine dell'anno l'adeguamento dei
regolamenti alle nuove prescrizioni dettate
dalla legge cd Brunetta.
Sempre sull'Oiv, è stato chiarito, con
riferimento ad amministrazioni statali, che
possono farne parte anche dei dipendenti:
siamo in presenza di una lettura che non
risulta pienamente convincente. Pienamente
condivisibile è lo stimolo alla costituzione
in forma associata, in particolare per gli
enti di più ridotte dimensioni. Le
amministrazioni, nel deliberare i propri
regolamenti, devono tenere conto delle
indicazioni dettate dalla delibera n. 4/2010
della Commissione sui criteri di
composizione dell'Oiv: siamo in presenza di
norme di principio, che devono comunque
ritenersi modificabili dai singoli enti. Ad
esempio il vincolo della esclusività non è
tassativo, in particolare per le
amministrazioni di dimensioni più ridotte e
lo stesso principio si deve applicare anche
alla età. La Commissione sottolinea la
necessità che comunque i componenti degli
Oiv siano dotati di una elevata
qualificazione professionale. Tranne che
l'Organismo sia monocratico, la sua
composizione può essere mista tra interni ed
esterni.
Gli enti locali sono tenuti a darsi comunque
le carte dei servizi; nelle more della
adozione delle specifiche linee guida da
parte del presidente del Consiglio dei
ministri, essi applicano la normative
vigente. Essi devono inoltre informare la
Civit della effettiva pubblicazione sul
proprio sito internet delle informazioni
imposte dalla normativa in materia di
valutazione delle performance (articolo
ItaliaOggi del 03.12.2010, pag. 41). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Dipendenti pubblici o avvocati.
La Corte di giustizia legittima l'esclusione
dalla pubblica amministrazione dei liberi
professionisti.
È legittima la normativa
di uno stato membro dell'Unione europea che
vieta ai dipendenti pubblici l'esercizio
della professione di avvocato. Perché non va
né contro il Trattato sulla libera
concorrenza né contro la direttiva n.
98/5/Ce sull'esercizio della professione
forense in uno Stato diverso rispetto a
quello dove si è acquisita la qualifica.
Lo afferma la Corte di giustizia europea
(sentenza C-225/09), che si è pronunciata
sull'incompatibilità prevista dalla
normativa italiana tra l'iscrizione all'albo
e un impiego pubblico a tempo parziale,
ribadita anche dalla riforma forense
approvata in prima lettura al Senato. ...
(articolo ItaliaOggi
del 03.12.2010 - tratto da www.corteconti.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Al via la valutazione del
rischio-stress nel pubblico impiego.
Partirà con il nuovo anno, per l'esattezza
dal 31 dicembre prossimo come stabilito con
la manovra di giugno, l'attività di
valutazione del rischio da stress lavoro
correlato anche nei settori pubblici.
Modalità e metodologie sono contenute in una
circolare, licenziata al termine di un anno
di lavoro dall'apposito Comitato tecnico,
che fornisce chiarimenti definitivi sulla
scorta delle indicazioni della Commissione
consultiva permanente per la salute e
sicurezza sul lavoro — in merito
all'interpretazione e all'applicazione del
dlgs 81/2008 (Testo unico sulla sicurezza).
La normativa italiana in materia di stress
lavoro correlato, riconducibile cioè al
contesto, alle condizioni e alle relazioni
di lavoro piuttosto che a fattori personali,
relazionali o socio-demografici, si fonda
sull'accordo europeo del 2004, recepito con
l'accordo interconfederale del giugno 2008.
In particolare, l'art. 28 del T.u. dispone
che la valutazione dei rischi debba
riguardare «tutti i rischi per la
sicurezza e la salute dei lavoratori»,
tra cui appunto quelli collegati allo
stress. Questa rientra perciò tra gli
obblighi che il datore di lavoro è tenuto ad
assolvere direttamente senza possibilità di
delega, avvalendosi del Responsabile di
prevenzione e protezione, del medico
competente ove previsto, e previa
consultazione del Rappresentante dei
lavoratori per la sicurezza. ...
(articolo ItaliaOggi
del 03.12.2010 - tratto da www.corteconti.it). |
PUBBLICO IMPIEGO: Dipendenti
p.a., il Collegato riduce la privacy.
Privacy ridotta peri dipendenti pubblici. Il
Collegato lavoro (legge 183/2010) garantisce
la trasparenza delle informazioni
concernenti lo svolgimento delle prestazioni
di chi è addetto a una funzione pubblica
(nome del dipendente, orario di svolgimento,
mansioni, assenza dal servizio, straordinari
ecc.). Trasparenza piena anche per le
valutazioni dei dipendenti. Anche i colleghi
o i sindacati, quindi, potranno conoscere i
dati relativi al pubblico impiego.
Il Collegato inserisce un comma all'articolo
19 del codice della privacy (dlgs 196/2003).
Questa disposizione si occupa delle modalità
di trattamento da parte delle pubbliche
amministrazione dei dati diversi da quelli
sensibili. In particolare per i trattamenti
diversi da comunicazione e diffusione
all'esterno le amministrazioni sono
autorizzate a trattare i dati diversi da
quelli sensibili per realizzare gli scopi
istituzionali. ...
(articolo ItaliaOggi
del 02.12.2010 - tratto da www.corteconti.it). |
APPALTI: «Sì» della Corte dei
conti al regolamento appalti. La
Corte dei conti approva il regolamento sul
codice degli appalti. Provvedimento atteso
da tre anni.
La Corte dei conti ha dato ieri l'ultimo via
libera al regolamento del Codice degli
appalti. Si chiude il lungo iter di questo
provvedimento, atteso da tre anni e rimasto
incagliato proprio alla Corte dei conti
nella sua prima versione firmata dall'allora
ministro delle Infrastrutture, Antonio Di
Pietro.
Uno scenario che per un momento si è temuto
si ripetesse anche con la versione rivista
dal ministro Altero Matteoli: la sezione
della Corte dei conti distaccata alle
Infrastrutture aveva licenziato il
regolamento per le sezioni riunite con
corpose osservazioni. Che ieri però, dopo
l'intervento dei tecnici di Matteoli, sono
state in gran parte superate.
A questo punto manca soltanto la
pubblicazione in Gazzetta (attesa fra
qualche settimana), e una lunga vacatio
di 180 giorni per avere tutta la normativa
sugli appalti racchiusa in un testo unico,
anche se con più di 700 articoli.
Ma sul punto che ha tenuto bloccato il
regolamento per mesi (il conflitto tra
imprese generali civili e imprese
specialistiche per l'accesso al mercato) la
Corte dei conti ieri non ha messo la parola
fine. ...
(articolo Il Sole 24
Ore del 30.11.2010 - tratto da www.corteconti.it). |
APPALTI: Appalti,
ecco la riforma.
Al via il pei forformance bond oltre i Z5
milioni di euro, le norme sulla validazione
dei progetti, i limiti ai ribassi nelle gare
di progettazione.
Al via il performance
bond nei lavori oltre 75 milioni, le norme
sulla validazione dei progetti, i limiti ai
ribassi nelle gare di progettazione, i nuovi
requisiti di qualificazione delle imprese;
bloccata e inattuata la disciplina sulle
opere superspecialistiche.
È questo l'effetto della registrazione,
avvenuta ieri da parte della Corte dei conti
a sezioni riunite, dello schema di
regolamento del codice dei contratti
pubblici che adesso andrà in Gazzetta
Ufficiale per la pubblicazione (a norma di
legge deve avvenire entro un mese dall'invio
del testo) ...
(articolo ItaliaOggi
del 30.11.2010 - tratto da www.corteconti.it). |
PUBBLICO IMPIEGO: Gli
organismi di valutazione sempre formati con
esterni. Chi
dà i voti. Il Dlgs 150/2009 fissa solo
alcuni requisiti di carattere generale.
I componenti degli
Organismi indipendenti di valutazione devono
essere pochi, pienamente autonomi da partiti
e sindacati e avere una elevata
qualificazione.
Questi i requisiti imposti dal Dlgs 150/2009
per individuare i perni della riforma
Brunetta che prendono il posto degli attuali
nuclei di valutazione.
Il nuovo organismo ha ricevuto una serie di
compiti di grande rilevanza e
responsabilità. Negli enti locali devono
però essere definiti dal regolaménto di
organizzazione: non sono direttamente
applicabili ai comuni, alle province e alle
regioni le norme di dettaglio sul loro
funzionamento. ...
(articolo Il Sole 24
Ore del 29.11.2010 - tratto da www.corteconti.it). |
APPALTI: Appalti
pubblici, corsa ai ritocchi. Le imprese
dovranno integrare i contratti. Pena la
nullità.
Le stazioni appaltanti è opportuno che
adeguino i contratti di appalto, i
subappalti e i subcontratti in essere
(stipulati prima del 07.09.2010) con
l'inserimento della clausola di
tracciabilità; prevista la nullità dei
contratti non adeguati entro il 07.03.2011;
l'applicazione degli obblighi di
tracciabilità riguarda anche professionisti
e studi professionali; la tracciabilità vale
per tutti i subappalti e i subcontratti
necessari all'esecuzione dell'appalto a
prescindere dal grado di affidamento o sub
affidamento.
Sono questi alcuni dei suggerimenti e delle
indicazioni, già operative e applicabili,
fornite dall'Autorità per la vigilanza sui
contratti pubblici con la determinazione n.
8 del 18.11.2010 sulle disposizioni in
materia di tracciabilità dei flussi
finanziari (legge 136/2010 come modificata e
integrata dal decreto legge n. 187 sulla
sicurezza del 12.11.2010).
I contratti da tracciare.
Uno dei punti più delicati della normativa è
quello dell'individuazione dei contratti da
tracciare. Gli articoli 3 e 6 della legge
136/2010 prescrivono l'obbligo di effettuare
pagamenti su conti dedicati, tramite
bonifico bancario o postale, con riguardo a
soggetti quali «gli appaltatori, i
subappaltatori e i subcontraenti della
filiera delle imprese, nonché i
concessionari di finanziamenti pubblici
anche europei a qualsiasi titolo interessati
ai lavori, ai servizi e alle forniture
pubblici».
La determina elenca le figure contrattuali
...
(articolo ItaliaOggi
del 29.11.2010 - tratto da www.corteconti.it). |
CORTE DEI
CONTI |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Il
divieto di assunzione per gli enti che non
rispettano il patto di stabilità si estende
anche ai casi di mobilità in entrata.
È questa la conclusione delle sezioni
riunite della Corte dei conti in sede di
controllo contenute nella
deliberazione
11.11.2010 n. 53.
Negli ultimi anni la mobilità è stata al
centro di diverse analisi a seconda della
dimensione demografica degli enti locali. Da
una parte si trovano gli enti non
assoggettati a patto di stabilità che hanno
avuto interpretazioni differenti da parte
delle sezioni regionali di controllo sul
considerare o meno la mobilità tra le
cessazioni al fine di poter assumere
dall'esterno.
Il problema non si pone però per gli enti
sopra i 5mila abitanti; questi ultimi
applicano infatti il comma della Finanziaria
2007 che non prevede delle limitazioni alle
assunzioni, ma solo l'obbligo di contenere
la spesa di personale entro il risultato
raggiunto nell'anno precedente. Pertanto la
questione su come considerare la mobilità,
assunzione e cessazione, potrebbe costituire
un falso problema. A meno che l'ente non
abbia rispettato il patto di stabilità.
In questo caso infatti scatta la sanzione
prevista all'articolo 76, comma 4, del Dl
112/2008 ...
(articolo Il Sole 24
Ore del 29.11.2010 - tratto da www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO:
Assunzioni più facili nei
mini-enti. Va considerato il cumulo delle
cessazioni degli anni precedenti.
Le cessazioni di
personale che consentono agli enti locali
non soggetti al patto di effettuare
assunzioni non sono esclusivamente quelle
dell'anno precedente, ma il cumulo di quelle
avvenute nel corso degli anni. Di
conseguenza, gli enti con popolazione
inferiore ai 5.000 abitanti possono cumulare
le cessazioni di personale per effettuare le
assunzioni nel rispetto dei limiti posti
dall'articolo 1, comma 562, della legge
296/2006.
La Corte dei conti, Sezz, riunite di
controllo, ha chiarito in modo finalmente
univoco la questione, con una serie
ravvicinata di pareri, ultimo dei quali
quello espresso con la
deliberazione 11.11.2010, n. 52.
Le sezioni riunite hanno deciso che «il
significato da attribuire all'espressione
«nel precedente anno» contenuta nell'art. 1,
comma 562, della legge 27.12.2006, n. 296
(finanziaria per il 2007), come modificato
dall'art. 3, comma 121, della legge
24.12.2007, n. 244 (finanziaria per il
2008), possa riferirsi a cessazioni
intervenute successivamente all'entrata in
vigore della norma, anche in precedenti
esercizi, rifluenti nell'anno precedente a
quello nel quale si intende effettuare
l'assunzione».
Il parere delle sezioni riunite segue di
pochi giorni quello espresso già alla
sezione regionale di controllo della
Calabria, parere 05.10.2010, n. 511 e
risponde positivamente all'impulso della
sezione delle Marche, la quale aveva rimesso
la questione alle sezioni riunite, con la
deliberazione 21.07.2010, n. 551, poiché vi
sono state nel passato visioni contrastanti
tra diverse sezioni regionali e la sezione
autonomie.
La questione interpretativa sorge dal testo
dell'articolo 1, comma 562, della legge
296/2006 ai sensi del quale gli enti con
popolazione inferiore ai 5.000 abitanti «possono
procedere all'assunzione di personale nel
limite delle cessazioni di rapporti di
lavoro a tempo indeterminato
complessivamente intervenute nel precedente
anno».
Una prima tesi, restrittiva, ritiene che la
norma debba essere interpretata in senso
strettamente letterale: dunque, gli enti
possono assumere solo ed esclusivamente per
sostituire i dipendenti cessati l'anno
prima. Pertanto ...
(articolo ItaliaOggi
del 03.12.2010 - tratto da www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Costituisce
illecito e danno erariale risarcibile la
monetizzazione dei buoni pasto a favore dei
dipendenti degli enti locali.
La Procura regionale, con atto depositato il
22.01.2010, ha evocato in giudizio, dinanzi
questa Corte, i sigg. ... poiché, quali
assessori pro-tempore del Comune di Posta
Fibreno (FR) avrebbero causato alle casse
dell’Ente un danno ingiusto pari ad €.
12.625,26, relativo all’indebito pagamento
del corrispettivo di buoni pasto non erogati
al personale del suddetto Comune nel periodo
01.01.2001-30.06.2006.
...
In primo luogo
la norma posta a fondamento della tesi
accusatoria (art. 45 del CCNL del 14.09.2000
per il personale degli Enti Locali) prevede
che “comma 1. Gli enti, in relazione al
proprio assetto organizzativo e
compatibilmente con le risorse disponibili,
possono istituire mense di servizio o, in
alternativa, secondo le modalità indicate
nell'art. 46, attribuire al personale buoni
pasto sostitutivi, previo confronto con le
organizzazioni sindacali…..comma 6. In ogni
caso è esclusa ogni forma di monetizzazione
indennizzante.”.
La norma non sembra porre, obiettivamente,
problemi di interpretazione, ponendo un
divieto assoluto (e chiaro) alla
monetizzazione dei buoni pasto (sia essa
ex ante sia ex post) ed
altrettanto chiara è la ratio che la
giustifica, ovvero quella di evitare forme
surrettizie di elargizioni economiche a
scapito di un’esigenza effettiva, quella dei
lavoratori che prestano un orario di
servizio particolarmente esteso –sotto il
profilo temporale– a fruire comunque di un
pasto.
Altrettanto indiscutibile è, allora, che la
violazione della norma è stata perpetrata da
coloro che, come i convenuti, hanno
autorizzato la liquidazione, in valuta, del
pari valore di ogni buono pasto
(moltiplicato per il numero di quelli non
fruiti) ai lavoratori beneficiari.
L’accusa sostiene che una simile azione
concretizzi una tipica ipotesi di danno
erariale, discendente dal fatto materiale
dell’esborso di denaro pubblico, malgrado un
apposito divieto posto dalla normativa
contrattuale, nonché dalla colpa grave che
avrebbe contraddistinto l’agire degli
amministratori.
Ad avviso del Collegio non è da porsi in
dubbio che vi sia stato un esborso di somme
a carico del bilancio comunale, imputabile
alla volontà degli amministratori convenuti
di “retribuire” taluni dipendenti
della mancata percezione, dal 2001 al 30
giugno 2006, di un certo numero di buoni
pasto (variabile a seconda dell’orario di
lavoro da ciascuno effettivamente prestato).
Non vi è neanche dubbio che una simile
decisione sia in contrasto con il chiaro (e,
ad avviso del Collegio, non altrimenti
interpretabile) disposto dell’art. 45, comma
6, del CCNL del 14.09.2000.
Vi è, allora, da valutare correttamente se
sussista il richiesto elemento soggettivo.
La difesa dei ricorrenti ha posto
all’attenzione di questo Collegio alcune
circostanze ed elementi, in ipotesi atti ad
elidere la ritenuta volontà dei convenuti di
violare la norma che, però, non possono
essere apprezzati, nella loro complessiva
entità, come fattori discriminanti della
contestata responsabilità.
Il Collegio è consapevole che ogni
fattispecie regolamentatrice della vita
quotidiana vada, in concreto, calata nella
realtà effettuale, ma un’obiettiva
difficoltà di applicazione non può essere
ritenuta fattore di sostanziale elusione
della stessa.
Così le dimensioni del Comune, la scarsità
di personale qualificato, tale da imporre
agli assessori compiti di diretta conduzione
degli uffici, la loro insufficiente
preparazione in materia giuscontabile, la
mancanza di idonee strutture ricettive nei
pressi della sede del Municipio, sono dati
di conoscenza che appaiono utili ad una
valutazione della complessiva fattispecie ma
non certamente sufficienti a rendere
legittimo quello che legittimo (e lecito)
non è.
La condotta asseritamente lesiva addebitata
dal requirente deve essere allora scrutinata
nella sua oggettiva rilevanza, nonché
indagata se posta in essere con il richiesto
elemento soggettivo, rimanendo le
circostanze appena sopra confinate in un
contesto accessorio.
Poiché la valutazione del Collegio deve
essere effettuata ex ante, per meglio
apprezzare il comportamento tenuto e le sue
ragioni giustificatrici, deve dirsi che la
situazione presentatasi agli odierni
convenuti era quella di un radicato
inadempimento da parte del Comune che, nei
sei anni precedenti –ovvero dall’entrata in
vigore del CCNL del 14.09.2000, non aveva
provveduto a erogare ai dipendenti
legittimati i previsti buoni pasto.
Agli stessi amministratori era stata
prospettata la realistica eventualità di un
ricorso all’Autorità Giudiziaria ordinaria
al fine di ottenere la riparazione di un
diritto patrimoniale sicuramente leso;
l’esito di quel giudizio appare (e appariva
fin da allora) scontato.
Essi si sono così trovati di fronte ad un
vero e proprio nodo gordiano, rappresentato
sia dal prospettato giudizio dall’esito
scontato (e con un esborso sicuramente
superiore per gli oneri accessori ad esso
relativi) sia dal divieto posto dalla norma
contrattuale.
La decisione da assumere risultava in ogni
caso problematica e gli amministratori hanno
deciso di accedere alle richieste dei
lavoratori ritenendo, forse, che il divieto
di monetizzazione riguardasse un impedimento
strutturale, ossia di liquidazione economica
sistematica e non episodica, quale quella
rappresentata dal ristoro di un danno
derivante dall’omessa prestazione da parte
degli organi comunali.
Peraltro, dagli atti versati si rileva che
agli stessi è stato liquidato un importo,
del singolo buono pasto, pari al costo
ordinariamente previsto dagli Enti locali (€
5,16).
In merito è avviso del Collegio che,
innegabilmente, si era formata a carico del
Comune di Posta Fibreno, anche ad opera di
soggetti non convenuti in giudizio,
un’obbligazione patrimoniale di natura
risarcitoria non adempiuta che, ove portata
alla cognizione del Giudice Ordinario,
avrebbe condotto alla condanna del Comune a
pagare sia gli importi già liquidati che
anche altre spese per la difesa e per il
giudizio.
Gli amministratori locali, allora, hanno
operato nel modo censurato dalla Procura,
ritenendo possibile (e vantaggioso) accedere
ad una soluzione transattiva.
Ora, a ben vedere, a fianco di
un’indiscutibile violazione della norma,
deve registrarsi che il Comune ha sostenuto
l’esborso minimo possibile –a parte quanto
si preciserà oltre-, esborso al quale era
comunque tenuto in base all’obbligazione
inadempiuta.
Il danno erariale, per sua stessa
definizione, consiste nell’ingiustificata
lesione alle finanze pubbliche, causata da
un comportamento che –quantomeno– dimostri
un radicale ed inaccettabile scostamento
dalle regole di buona amministrazione.
Nel caso di specie, tenuto conto che i
lavoratori avevano maturato il diritto a
ricevere la prestazione patrimoniale
rappresentata dalla consegna dei buoni
pasto, non pare esservi dubbio che non vi
sia stata alcuna complessiva ed
ingiustificata lesione delle finanze
comunali (salvo quanto appresso), fermo
restando l’illegittimità del mezzo usato.
Né il Collegio ritiene di poter ravvisare,
nel comportamento degli Amministratori,
l’elemento soggettivo richiesto dalla
normativa riguardante la responsabilità dei
funzionari pubblici, salvo quanto ora si
dirà.
Quanto detto vale, infatti, come
considerazione generale e richiede,
tuttavia, che alcuni aspetti della vicenda
vadano ulteriormente scrutinati.
In primo luogo ai lavoratori richiedenti
sono stati “liquidati” -a dicembre
2006- i buoni pasto relativi a prestazioni
di lavoro del periodo 01.01.2001 –
30.06.2006.
La liquidazione operata si prospetta però
immotivatamente “generosa” poiché gli
stessi amministratori avrebbero dovuto
opporre l’intervenuta prescrizione delle
somme relative ai buoni non erogati nel
periodo 01.01.2001 – 31.12.2001, stante il
fatto che, trattandosi di prestazione
accessoria al trattamento economico, sconta
il termine prescrizionale quinquennale
previsto dall’art. 2948 c.c..
Non risulta in atti, infatti, alcun efficace
atto interruttivo della dedotta
prescrizione.
Risulta, invece, che il Comune ha
interamente corrisposto ai lavoratori la
somma integralmente prevista per ogni
buono-pasto (ovvero €. 5,16), senza tener
conto che, ai sensi del comma 3 del
richiamato art. 45 del CCNL del 14.09.2000,
ai lavoratori spettava corrispondere
all’Amministrazione un terzo del
corrispettivo.
E’ ovvio che tale parte della complessiva
liquidazione rappresenta un’indebita risorsa
sottratta alle casse comunali.
Sia la norma generale sulla prescrizione che
quella contrattuale appena richiamata non
possono ritenersi accomunate alla stessa
logica di possibile, controversa
interpretazione sopra descritta per cui, in
parte qua, deve affermarsi la
sussistenza di un danno erariale, per colpa
grave, ascrivibile agli stessi convenuti, in
relazione ad un danno che, in mancanza di
esatta determinazione, deve quantificarsi in
via equitativa.
In conclusione, in accoglimento parziale
della domanda attrice, respinta ogni altra
eccezione o deduzione, deve affermarsi la
responsabilità amministrativa dei convenuti
... in ordine alla liquidazione di somme
prescritte e alla mancata decurtazione di un
terzo del valore di ogni buono pasto
corrisposto.
I convenuti vanno pertanto condannati a
risarcire il Comune di Posta Fibreno della
somma di €. 1.300,00 (euro milletrecento/00)
cadauno, da considerarsi già rivalutata alla
data del deposito della presente decisione,
dalla quale decorreranno interessi legali
sino al giorno di effettivo soddisfo
(Corte dei Conti, Sez. giurisdiz. Lazio,
sentenza 10.11.2010 n. 2147 -
link a www.corteconti.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Contrattualizzazione del rapporto
- Onnicomprensività del trattamento
economico - Riferibilità ai dipendenti delle
Regioni.
Gli artt. 2, comma 3, e 45, comma 1, del
Dlgs. n. 165 del 30.03.2001, che “cristallizzano”
il principio della c.d. contrattualizzazione
del rapporto di impiego pubblico e della
onnicomprensività del relativo trattamento
economico, si applicano anche ai dipendenti
regionali.
Trattamento economico
accessorio - Fonti legittimanti
l’attribuzione - Deliberazioni di Giunta
regionale - Illegittimità delle stesse.
È illegittima l’erogazione di trattamenti
accessori in assenza di una fonte
contrattuale legittimante la stessa e
fondata non su prescrizioni legislative
regionali, bensì su atti amministrativi
generali interni, quali le deliberazioni di
Giunta regionale.
L’attribuzione di trattamenti economici,
infatti, può avvenire esclusivamente
mediante contratti collettivi che sono anche
l’unica fonte legittimata a definire il
trattamento economico fondamentale ed
accessorio del personale dipendente.
Trattamento accessorio che potrà essere
erogato solo se collegato ad una performance
che dovrà essere oggetto di specifica
valutazione o all’effettivo svolgimento di
attività particolarmente disagiate,
pericolose o dannose per la salute.
---------------
Trattamento accessorio:
se indebito paga il dirigente.
Anche ai dipendenti
delle regioni si applicano i principi della
contrattualizzazione del rapporto di
pubblico impiego e di onnicomprensività
della retribuzione, previsti dagli artt. 2,
comma 3, e 45, comma 1, del Dlgs.
30.03.2001, n. 165. I dirigenti, inoltre,
sono responsabili, ai sensi dell’art. 45,
comma 4, della stessa norma,
dell’attribuzione dei trattamenti economici
accessori.
L’affidamento psicologico indotto
dall’espressione di pareri favorevoli nel
corso dell’istruttoria, tenuto conto delle
sequenze procedimentali, esclude, infine, la
responsabilità dell’organo politico
deliberante.
Queste, in sintesi, le indicazioni che
emergono dalla
sentenza 23.09.2010 n. 568,
emessa dalla Corte dei conti, Sez.
giurisdizionale per la Puglia, con la quale
due dirigenti del settore Turismo della
Regione sono stati condannati al pagamento
di 71.925 euro (35.962,50 euro a testa),
contro una richiesta della Procura di
101.890 euro, in relazione ad una
fattispecie di danno erariale consistente
nell’aver indebitamente erogato compensi, in
violazione del principio della
onnicomprensività del trattamento
retributivo dei pubblici dipendenti, a
funzionari regionali per la loro
partecipazione ad una commissione
giudicatrice deputata a valutare iniziative
turistiche per beneficiare di finanziamenti
regionali.
La sentenza del giudice
contabile pugliese.
Nell’elaborazione della sentenza in
commento, il Collegio parte dalla
considerazione che l’attuale assetto
costituzionale riconosce una potestà
legislativa regionale residuale in materia
di ordinamento e organizzazione dei propri
uffici e del relativo personale.
In base a tale “cornice”
costituzionale, entro la quale devono, poi,
delinearsi le competenze legislative degli
enti territoriali, risulta evidente
l’illegittimità di un’erogazione di
trattamenti accessori in assenza di una
fonte contrattuale che la legittimi e
basata, addirittura, non su prescrizioni
legislative regionali, bensì su atti
amministrativi generali interni, quali le
deliberazioni di Giunta regionale.
Il complesso normativo riferibile al
rapporto di pubblico impiego è, infatti,
costituito, sia dalle disposizioni del capo
I del Titolo II del Libro V del codice
civile e dalle leggi sul rapporto di lavoro
subordinato nell’impresa, sia dalle norme,
definite espressamente dal legislatore di
carattere imperativo, contenute nel Dlgs. n.
165/2001.
Ciò è quanto ribadito dalla Corte in
relazione alla tesi sostenuta dalla difesa
secondo la quale i citati principi della
contrattualizzazione del pubblico impiego e
dell’onnicomprensività della retribuzione
previsti dal Dlgs. n. 165/2001 non
troverebbero diretta applicazione ai
dipendenti regionali.
Il Collegio sottolinea invece la regola per
cui l’attribuzione di trattamenti economici
può avvenire esclusivamente mediante
contratti collettivi che sono, tra l’altro,
anche l’unica fonte legittimata a definire
il trattamento economico fondamentale ed
accessorio del personale dipendente.
Trattamento accessorio che, per completezza,
si ricorda, potrà essere erogato solo se
collegato ad una performance che dovrà
essere oggetto di specifica valutazione o
all’effettivo svolgimento di attività
particolarmente disagiate, pericolose o
dannose per la salute.
Nell’ambito di questo quadro di riferimento,
inoltre, non riveste alcun rilievo il fatto
che il dirigente abbia sottoposto
all’approvazione dell’organo politico atti
di propria competenza, al fine di non
incorrere in responsabilità amministrativa;
ciò, anche se il principio di distinzione
tra l’attività di indirizzo e di controllo
dell’organo politico e l’attività di
gestione, propria dell’apparato burocratico
non sia stato compiutamente attuato, come
spesso succede nella realtà operativa degli
enti pubblici, in modo rigoroso.
Infatti, quando la decisione dell’organo
politico è condizionata in modo evidente da
pareri, attestazioni o altri adempimenti
istruttori dell’ufficio tecnico o
amministrativo preposto in quanto presuppone
conoscenze specialistiche, è evidente
l’esonero da responsabilità della decisione
solo formalmente assunta dall’organo
deliberante.
Terza carta giocata dalla difesa, con
l’obiettivo di ripartire il danno su più
teste, è stato il coinvolgimento, oltre che
dell’organo politico, anche del dirigente
del settore finanziario e del settore
personale. Ciò in relazione al parere
favorevole di regolarità contabile apposto
dal primo sull’atto e dalla liquidazione dei
compensi nel cedolino, disposta dal secondo.
Ma, anche su tale aspetto, il Collegio ha
smontato tale prospettazione. La generale
autonomia decisionale di ciascun dirigente e
la sua specifica responsabilità in ordine
alla corretta attribuzione dei trattamenti
economici accessori di cui al citato art.
45, comma 4, del Dlgs. n. 165/2001, “[…]
conducono all’impossibilità di configurare
un affidamento dello stesso in ordine alla
legittimità del proprio agire fondata
sull’espressione di un ulteriore atto
endoprocedimentale che, nella fattispecie,
manifesta esclusivamente un giudizio in
ordine al rispetto delle norme vigenti in
materia di contabilità e di regolarità delle
procedure di spesa previste. Le stesse
motivazioni escludono una rilevanza causale
di successivi comportamenti esecutivi, quali
la liquidazione dei compensi ai componenti
la commissione da parte del settore
personale nei cedolini della busta paga”.
Accolta, invece, la richiesta della difesa
di quantificare il danno erariale al netto
delle imposte, togliendo, dunque, l’Irap
versata dalla Regione
(massima e commento tratti da
www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com). |
GIURISPRUDENZA |
CONSIGLIERI COMUNALI:
Procedimento amministrativo -
Accesso - Consiglieri comunali - Art. 43, c.
2, d.lgs. n. 267/2000 - Ratio ed estensione
- Differenza rispetto al diritto di accesso
ex artt. 10 del d.l.vo n. 267/2000 e 22 e
ss. L. n. 241/1990 - Onere di motivare la
richiesta di accesso - Esclusione -
Consiglieri di minoranza.
Ai sensi dell’art. 43, c. 2, del d.lgs. n.
267/2000, i consiglieri comunali hanno un
non condizionato diritto di accesso a tutti
gli atti che possano essere d’utilità
all'espletamento del loro mandato, ciò anche
al fine di permettere di valutare -con piena
cognizione- la correttezza e l'efficacia
dell'operato dell'Amministrazione, nonché
per esprimere un voto consapevole sulle
questioni di competenza del Consiglio, e per
promuovere le iniziative che spettano ai
singoli rappresentanti del corpo elettorale
locale.
Il diritto di accesso loro riconosciuto ha
infatti una ratio diversa da quella
che contraddistingue il diritto di accesso
ai documenti amministrativi ex articolo 10
del d.l.vo 18.08.2000, n. 267 ovvero ex
art. 22 e ss. della legge 07.08.1990, n.
241: infatti, mentre in linea generale il
diritto di accesso è finalizzato a
permettere ai singoli soggetti di conoscere
atti e documenti per la tutela delle proprie
posizioni soggettive eventualmente lese,
quello riconosciuto ai consiglieri comunali
è strettamente funzionale all'esercizio del
proprio mandato (Cons. Stato, n. 4855/2006)
ai fini della tutela degli interessi
pubblici e si configura come peculiare
espressione del principio democratico
dell'autonomia locale e della rappresentanza
esponenziale della collettività (Cons.
Stato, n. 976/1994).
Di conseguenza sul consigliere comunale non
può gravare alcun particolare onere di
motivare le proprie richieste di accesso,
atteso che diversamente opinando sarebbe
introdotta una sorta di controllo dell’ente,
attraverso i propri uffici, sull’esercizio
del mandato del consigliere comunale; dal
termine "utili", contenuto
nell’articolo 43 del d.l.vo 18.08.2000, n.
267, non può conseguire alcuna limitazione
al diritto di accesso dei consiglieri
comunali, detto aggettivo garantendo in
realtà l’estensione di tale diritto di
accesso a qualsiasi atto ravvisato utile per
l’esercizio del mandato.
Tali conclusioni vieppiù si appalesano
stringenti ove ad azionare l’istituto siano
consiglieri di minoranza, cui i principi
fondanti delle democrazie e la legge (cfr.,
ad esempio, l’art. 44 del medesimo Testo
unico sugli Enti locali) attribuiscono
compiti di controllo dell’operato della
maggioranza e, quindi, dell’esecutivo, qui
inteso nella sua più larga accezione di
apparato politico ed apparato
amministrativo, se pur, si intende, da
esplicarsi nel rispetto della legge, ovvero
senza indebite incursioni in ambiti
riservati all’apparato amministrativo dalla
legge stessa e senza porre in essere atti
e/o comportamenti qualificabili come abuso
del diritto.
Procedimento
amministrativo - Accesso - Consiglieri
comunali - Natura riservata degli atti cui è
richiesto l’accesso - Limitazione
all’accesso - Esclusione - Utilizzi impropri
delle informazioni ottenute - Illecito
penale.
Il diritto del consigliere comunale ad
ottenere dall'ente tutte le informazioni
utili all'espletamento del mandato non
incontra neppure alcuna limitazione
derivante dalla loro eventuale natura
riservata, in quanto il consigliere è
vincolato al segreto d'ufficio (Cons. Stato,
sez. V, 04.05.2004, n. 2716). Esclusa,
quindi, la possibilità di diniego in ragione
della natura dei dati, l’accesso dovrà
essere negato solo ove sia la legge a
precluderlo expressis verbis.
Ciò nella precisazione che utilizzi
impropri, ovvero per finalità estranee a
quelle per le quali si è potuto accedere ai
dati riservati, manipolazioni et similia
costituiscono illecito penale ex art. 167
del d.l.vo 30.06.2003, n. 196, ed ai sensi
delle diverse previsioni inserite
direttamente nel codice penale per
sanzionare i c.d. computer's crimes
dalla l. 23.12.1993, n. 547 recante “Modificazioni
ed integrazioni alle norme del codice penale
e del codice di procedura penale in tema di
criminalità informatica”.
RIFIUTI - Ruoli TARSU/TIA
- Sottrazione all’accesso -
Inconfigurabilità - Natura di dati sensibili
- Esclusione.
I ruoli Tarsu/Tia ed Ici non rientrano fra i
documenti sottratti all’accesso dall’art. 24
della legge sul procedimento, non
costituendo essi documentazione interna ai
singoli procedimenti tributari (attività di
accertamento) “per i quali restano ferme
le particolari norme che li regolano”
(lettera b dell’art. 24).
Né è a dirsi che costituiscano dati
sensibili, ancorché anche tale
qualificazione non ne precluderebbe di per
sé, sempre e comunque, l’accesso.
Procedimento
amministrativo - Accesso - Rilascio di
documenti su supporto informatico a
consiglieri comunali - Legittimità.
In presenza di dati non sensibili e, in una,
dell’obbligo di riservatezza che astringe i
consiglieri comunali, non vi sono
preclusioni al rilascio dei documenti (nella
specie: ruoli TARSU/TIA e ICI) su supporto
magnetico, a mezzo di modalità atte ad
offrire adeguate garanzie di un loro
corretto utilizzo, sempre che, tuttavia,
essi consiglieri -nel rispetto delle regole
che presiedono l’istituto dell’accesso-
forniscano adeguata giustificazione delle
ragioni a sostegno dell’interesse tutelabile
anche in ordine alla modalità prescelta: se
supporto informatico o cartaceo (TAR
Campania-Napoli, Sez. VI,
sentenza 02.12.2010 n. 26573 -
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AMBIENTE-ECOLOGIA:
RIFIUTI - Potere di ordinanza ex
art. 13 d.lgs. n. 22/1997 - Contingibilità -
Prerequisito imprescindibile.
La contingibilità, ossia l’eccezionalità
della situazione di fatto generatasi e la
correlativa eccezionale urgenza a
provvedere, costituisce prerequisito
imprescindibile per l’esercizio sia del
potere specifico di ordinanza contemplato
all’art. 13 del Decreto Ronchi, sia del
generico e residuale potere di ordinanza di
cui all’art. 38 dell’abrogata L. n. 142/1990
(nella specie, il TAR ha ritenuto non
potersi riconoscere nessuna contingibilità a
fronte di un abbandono di rifiuti risalente
nel tempo).
RIFIUTI - Rimozione di
rifiuti - Onere reale a carico del
proprietario - Insussistenza - Accertamento
del dolo o della colpa - Necessità.
A differenza di quanto previsto per la
bonifica dei siti inquinati, per la
rimozione dei rifiuti non è stato previsto
dal legislatore alcun onere reale a carico
del proprietario, che possa giustificare
l’emanazione dell’ordinanza anche nei suoi
confronti.
Sussiste, quindi, la necessità
dell’accertamento del dolo o della colpa del
proprietario (Consiglio di Stato, sez. V,
16.07.2010, n. 4614) (TAR Piemonte, Sez. I,
sentenza 02.12.2010 n. 4376 -
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APPALTI:
Anomalia dell’offerta - Giudizio
di congruità - Motivazione per relationem
alle giustificazioni presentate
dall’offerente - Legittimità.
Il giudizio di non anomalia, ovvero di
congruità dell’offerta non richiede, di
regola, una motivazione puntuale ed
analitica, poiché le giustificazioni
presentate dall’offerente possono costituire
per relationem la motivazione del
provvedimento.
Si impone invece una valutazione
particolarmente diffusa ed analitica nel
caso di giudizio di anomalia, che porta a
non procedere all’aggiudicazione (TAR
Piemonte, Sez. I, 01.11.2008, n. 2858;
Consiglio di Stato, Sez. VI, 03.11.2010, n.
7759; in terminis anche Consiglio di
Stato, Sez. V, 22.2.2010, n. 1029) (TAR
Piemonte, Sez. I,
sentenza 02.12.2010 n. 4370 -
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APPALTI:
Informativa antimafia -
Comunicazione di avvio del procedimento -
Necessità - Esclusione.
Non è richiesto il previo intervento della
comunicazione di avvio del procedimento in
occasione dell’emissione dell’informativa
interdittiva e dei conseguenti provvedimenti
incidenti sul rapporto concessorio e/o
contrattuale, poiché si tratta di
procedimenti in materia di tutela antimafia,
come tali caratterizzati intrinsecamente da
riservatezza ed urgenza (cfr. Consiglio di
Stato, Sez. VI, 29.02.2008 n. 756; Consiglio
di Stato, Sez. V, 12.06.2007 n. 3126 e
28.02.2006 n. 851).
Informativa antimafia -
Artt. 4 del d.lgs. n. 490/1994 e 10 d.PP.R.
n. 252/1998 - Elementi caratterizzanti -
Sufficienza del tentativo di infiltrazione -
Ampia discrezionalità di apprezzamento.
I tratti caratterizzanti l’istituto
dell’informativa prefettizia, di cui agli
artt. 4 del d.lgs. n. 490/1994 e 10 del
d.P.R. n. 252/1998, ruotano intorno ai
seguenti concetti:
- si tratta di una tipica misura cautelare
di polizia, preventiva e interdittiva, che
si aggiunge alle misure di prevenzione
antimafia di natura giurisdizionale e che
prescinde dall’accertamento in sede penale
di uno o più reati connessi all’associazione
di tipo mafioso; non occorre né la prova di
fatti di reato, né la prova dell’effettiva
infiltrazione mafiosa nell’impresa, né la
prova del reale condizionamento delle scelte
dell’impresa da parte di associazioni o
soggetti mafiosi;
- è sufficiente il “tentativo di
infiltrazione” avente lo scopo di
condizionare le scelte dell’impresa, anche
se tale scopo non si è in concreto
realizzato (cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV,
30.05.2005 n. 2796 e 13.10.2003 n. 6187);
- tale scelta è coerente con le
caratteristiche fattuali e sociologiche del
fenomeno mafioso, che non necessariamente si
concreta in fatti univocamente illeciti,
potendo fermarsi alla soglia
dell’intimidazione, dell’influenza e del
condizionamento latente di attività
economiche formalmente lecite;
- la formulazione generica, più sociologica
che giuridica, del tentativo di
infiltrazione mafiosa rilevante ai fini del
diritto comporta l’attribuzione al Prefetto
di un ampio margine di accertamento e di
apprezzamento;
- l’ampia discrezionalità di apprezzamento
riservata al Prefetto genera, di
conseguenza, che la valutazione prefettizia
è sindacabile in sede giurisdizionale solo
in caso di manifesti vizi di eccesso di
potere per illogicità, irragionevolezza e
travisamento dei fatti (cfr. Consiglio di
Stato, Sez. VI, 17.05.2006 n. 2867 e n.
1979/2003).
Informativa antimafia -
Valutazioni discrezionali non ancorate a
presupposti tipizzati - Parametri non
determinati normativamente - Necessità di
idonei e specifici elementi di fatto
rivelatori di concrete connessioni o
collegamenti con la criminalità organizzata.
Poiché le informative antimafia di cui
all’art. 10, comma 7, lettera c), del d.P.R.
n. 252/1998 sono fondate su valutazioni
discrezionali non ancorate a presupposti
tipizzati, i tentativi di infiltrazione
mafiosa possono essere desunti anche da
parametri non predeterminati normativamente;
tuttavia, per salvaguardare i principi di
legalità e di certezza del diritto, non
possono reputarsi sufficienti fattispecie
fondate sul semplice sospetto o su mere
congetture prive di riscontro fattuale,
occorrendo l’individuazione di idonei e
specifici elementi di fatto, obiettivamente
sintomatici e rivelatori di concrete
connessioni o collegamenti con la
criminalità organizzata (cfr. TAR Sicilia
Palermo, Sez. III, 13.01.2006 n. 38; TAR
Campania Napoli, Sez. I, 19.01.2004 n. 115;
Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 2867/2006)
(TAR Campania-Napoli, Sez. I,
sentenza 01.12.2010 n. 26527 -
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EDILIZIA PRIVATA:
Abuso edilizio - Ordine di
demolizione - Destinatario - Proprietario
attuale dell’opera, estraneo all’abuso -
Fondamento.
L’abuso edilizio costituisce illecito
permanente e l’ordine di demolizione che ha
carattere ripristinatorio deve essere
adottato anche nei confronti di chi pur non
avendo commesso l’abuso sia attualmente
proprietario dell’opera (cfr. Tar d’Aosta n.
188/2003).
Abuso edilizio - Abuso
parziale - Acquisizione gratuita - Limite
delle parti abusive.
Nel caso in cui l’abuso riguardi solo una
parte dell’edificio l’acquisizione gratuita
si verifica nei limiti delle parti abusive,
con esclusione delle altre parti
dell’immobile e dell’area non interessata
dall’abuso (cfr. CGA Sic. n. 413/1997; Tar
Latina n. 236/1997) (TAR Puglia-Bari, Sez.
II,
sentenza 30.11.2010 n. 4004 -
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URBANISTICA:
Immobili militari - Art. 2, c.
191 L. n. 191/2009 - Accordi di programma -
Delibera consiliare - Efficacia di
autorizzazione alle varianti al prg -
Verifica di conformità agli strumenti di
pianificazione sovraordinata - Necessità -
Esclusione - Illegittimità costituzionale.
L’art. 2, comma 191, della legge n. 191 del
2009 va ad incidere sulla materia del
governo del territorio, rientrante nella
competenza concorrente tra lo Stato e le
Regioni, allorché attribuisce alla delibera
del consiglio comunale efficacia di
autorizzazione alle varianti allo strumento
urbanistico generale, per le quali non
occorre verifica di conformità agli
eventuali atti di pianificazione
sovraordinata di competenza delle province e
delle regioni.
Ai sensi dell’art. 117, terzo comma, ultimo
periodo, Cost., nelle materie di
legislazione concorrente lo Stato ha
soltanto il potere di fissare i principi
fondamentali, spettando alle Regioni il
potere di emanare la normativa di dettaglio.
La relazione tra normative di principio e di
dettaglio va intesa nel senso che alla prima
spetta prescrivere criteri ed obiettivi,
essendo riservata alla seconda
l’individuazione degli strumenti concreti da
utilizzare per raggiungere detti obiettivi.
Nel caso in esame la norma de qua,
stabilendo l’effetto di variante dianzi
indicato ed escludendo la necessità che la
variante stessa debba essere sottoposta alle
suddette verifiche di conformità, introduce
una disciplina che non è finalizzata a
prescrivere criteri ed obiettivi, ma si
risolve in una normativa dettagliata che non
lascia spazi d’intervento al legislatore
regionale, ponendosi così in contrasto con
il menzionato parametro costituzionale. Deve
pertanto essere dichiarata l’illegittimità
costituzionale del menzionato art. 2, c. 191.
La declaratoria va estesa, per coerenza
logica, anche all’ultimo periodo della
norma, secondo cui «Per gli immobili
oggetto degli accordi di programma di
valorizzazione che sono assoggettati alla
disciplina prevista dal codice dei beni
culturali e del paesaggio, di cui al decreto
legislativo 22.01.2004, n. 42, è acquisito
il parere della competente soprintendenza
del Ministero per i beni e le attività
culturali, che si esprime entro trenta
giorni» (Corte Costituzionale,
sentenza 26.11.2010 n. 341 - link
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APPALTI:
Le imprese operanti in un
determinato settore sono legittimate ad
impugnare la delibera di affidamento di un
servizio a trattativa privata ovvero le
determinazioni che riguardano le modalità di
conferimento e di svolgimento del servizio,
e ciò anche al fine di soddisfare
l’interesse strumentale all’indizione o alla
ripetizione di una procedura di gara al fine
di spendere, in seno alla medesima, le
proprie chance competitive.
Alla stregua di un pacifico e condivisibile
principio giurisprudenziale, le imprese
operanti in un determinato settore sono
legittimate ad impugnare la delibera di
affidamento di un servizio a trattativa
privata ovvero le determinazioni che
riguardano le modalità di conferimento e di
svolgimento del servizio, e ciò anche al
fine di soddisfare l’interesse strumentale
all’indizione o alla ripetizione di una
procedura di gara al fine di spendere, in
seno alla medesima, le proprie chances
competitive
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 25.11.2010 n. 8232 -
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APPALTI:
L’affidamento del compito di
provvedere alla messa a norma del servizio
d’illuminazione delle strade comunali
soggiace alla disciplina dettata dell’art.
113 del T.U. Enti Locali.
Secondo la
condivisibile interpretazione già offerta
in subiecta materia da questa Sezione
(decisione 16.12.2004, n. 8090) il servizio
di illuminazione delle strade comunali ha
carattere di servizio pubblico locale. Ne
deriva che l’affidamento del compito di
provvedere alla messa a norma, alla
manutenzione ed alla gestione degli impianti
di illuminazione delle pubbliche vie si
sostanza nell’affidamento di un servizio
pubblico locale che soggiace alla disciplina
dettata dal richiamato art. 113 del T.U.
Enti Locali approvato con il d.lgs n.
267/2000.
La Sezione ha nell’occasione osservato che
sono indifferentemente servizi pubblici
locali, ai sensi dell'art. 112, T.U.E.L. n.
267/2000, quelli di cui i cittadini
usufruiscano uti singuli e come
componenti la collettività, purché rivolti
alla produzione di beni e utilità per
obiettive esigenze sociali.
Il Consiglio ha altresì osservato che la
subordinazione al pagamento di un
corrispettivo, rilevante nella prospettiva
abbracciata dal codice dei contratti
pubblici in sede di distinzione tra la
figura dell’appalto e quella della
concessione (art. 2, comma 12) dipende dalle
caratteristiche tecniche del servizio e
della volontà "politica" dell'ente,
ma non incide sulla sua qualifica di
servizio pubblico locale ai fini
dell’applicazione della disciplina di cui al
T.U.E.L.
Relativamente ai servizi pubblici locali,
l'art. 117 T.U.E.L. n. 267/2000 precisa che
la tariffa ne costituisce il corrispettivo
ma non ne definisce il contenuto,
determinato dalla possibilità concreta
dell'ente di dividere sui singoli l'onere
della gestione ed erogazione della
prestazione.
Che lo stesso Titolo V del T.U.E.L. n.
267/2000 disciplini anche i criteri per la
determinazione e la riscossione delle
tariffe non esclude dall'ambito dei servizi
pubblici locali quelli erogati senza un
corrispettivo, sempre che le prestazioni
siano strumentali all'assolvimento delle
finalità sociali dell'ente, come avviene per
il servizio di pubblica illuminazione.
Sul piano interpretativo, il carattere di
servizio pubblico locale dell'illuminazione
delle strade comunali è confermato dai
richiami "storici" -la pubblica
illuminazione era, infatti, inclusa fra i
servizi pubblici comunali ex art. 1, lett.
c), r.d. n. 2578/1925 e nel t.u.l.c.p. n.
383/1934- e ribadito dal divieto di cessione
della proprietà degli impianti, delle reti e
delle altre dotazioni destinati
all'esercizio dei servizi pubblici,
introdotto nell'art. 113 del T.U.E.L.
267/2000 (l. n. 448/2001 e d.l. n. 269/2003)
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 25.11.2010 n. 8232 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
L’annullamento del provvedimento
di esclusione di un offerente dalla gara,
avvenuto dopo la cognizione delle offerte
degli altri offerenti, implica la
rinnovazione della gara sin dalla
presentazione delle offerte.
Secondo orientamento consolidato di questo
Consiglio, condiviso dal Collegio, nei casi
di procedura ad evidenza pubblica improntata
a criteri di valutazione tecnica di natura
discrezionale in ordine alla qualità delle
offerte –quale quella sub iudice, da
svolgere secondo il criterio dell’offerta
economicamente più vantaggiosa–, a
differenza dalle procedure di aggiudicazione
c.d. automatiche, caratterizzate
dall’assenza in capo alla Commissione di
gara di profili di discrezionalità tecnica o
amministrativa, l’annullamento del
provvedimento di esclusione di un offerente
dalla gara, intervenuto successivamente alla
fase di integrale presa di cognizione e
valutazione delle offerte tecniche ed
economiche degli altri offerenti, implichi
la necessità di una rinnovazione della gara
sin dalla fase della presentazione delle
offerte, a tutela della par condicio
dei concorrenti e dell’imparzialità e
obbiettività del giudizio della Commissione
giudicatrice, potendo invero la conoscenza
del prezzo influenzare i componenti della
commissione nella formazione dei giudizi,
improntati a discrezionalità, sulla qualità
delle offerte tecniche, nonché a garanzia
dell’esigenza di contestualità del giudizio
comparativo, attesa la possibilità –sia pure
astratta– che la ditta riammessa alla gara
abbia a modificare la propria offerta una
volta presa cognizione delle offerte
avversarie (v., ex plurimis, C.d.S.,
Sez. V, 09.03.2009, n. 368; C.d.S., Sez. V,
28.10.2008, n. 5378; C.d.S., Sez. V,
28.03.2008, n. 1296; C.d.S., Sez. V,
03.02.2000, n. 661) (Consiglio di Stato,
Sez. V,
sentenza 25.11.2010 n. 8230
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Le operazioni di esame delle
offerte tecniche ed economiche devono essere
concentrate in una sola seduta, senza
soluzione di continuità.
In base a piani principi, al fine di
assicurare imparzialità, pubblicità,
trasparenza e speditezza all’azione
amministrativa, le sedute di una commissione
di gara devono ispirarsi al principio di
concentrazione e di continuità.
In particolare, le operazioni di esame delle
offerte tecniche ed economiche devono essere
concentrate in una sola seduta, senza
soluzione di continuità, al precipuo fine di
scongiurare possibili influenze esterne ed
assicurare l’assoluta indipendenza di
giudizio dell’organo incaricato della
valutazione (Cons. St. Sez. VI, 16.11.2000,
n. 6128).
Il principio di continuità e di
concentrazione della gara non è
assolutamente insuscettibile di eccezioni,
potendo verificarsi situazioni particolari
che obiettivamente impediscano
l’espletamento delle operazioni in unica
seduta (Cons. St. Sez. V, 18.11.2002, n.
6388, 03.01.2002, n. 5).
Tra queste possono in effetti annoverarsi la
particolare complessità delle valutazioni da
svolgere o l’elevato numero delle offerte da
giudicare.
In tali casi, tuttavia, l’esigenza di
continuità impone comunque l’osservanza,
nello svolgimento delle operazioni, del
minimo intervallo temporale tra una seduta e
l’altra e delle massime garanzie di
conservazione dei plichi contenenti le
singole offerte (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 23.11.2010 n. 8155 -
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EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI:
Interventi edilizi con finalità
pubblica - Permesso di costruire -
Esclusione - Obbligo di rispettare le regole
e le procedure poste a tutela del territorio
e dell'ambiente - Sussiste - Ente comunale -
Valutazione e verifiche - Attribuzioni e
potestà dell'ente - artt. 10, 14 e 20 D.P.R.
n. 380/2001.
Per i beni e le opere caratterizzati da
finalità pubblica è esclusa la necessità che
gli interventi siano preceduti dal permesso
di costruire (Cass. Penale, Sez. III,
09/05/2008, sent. n. 18900, Vinci e altri).
Tale conclusione non comporta affatto che al
Comune sia sottratto l'esercizio delle
prerogative che discendono dalla legge e
venga meno l'obbligo di rispettare le regole
e le procedure poste a tutela del territorio
e dell'ambiente.
L'ente comunale, nell'approvare i progetti
di intervento proposti dal concessionario
dovrà, tra le altre valutazioni di utilità e
di coerenza con gli interessi pubblici,
effettuare una verifica del rispetto delle
regole in vigore, comprese quelle fissate ai
fini urbanistici e ambientali.
Spetterà, peraltro, al consiglio comunale e
gli organismi preposti dell'ente adottare
eventuali interventi correttivi e
integrativi delle regole che si assuma
necessario aggiornare o modificare nei
limiti delle attribuzioni e delle potestà
dell'ente (Corte di Cassazione, Sez. III
penale,
sentenza 22.11.2010 n. 41033 -
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AMBIENTE-ECOLOGIA:
INQUINAMENTO ACUSTICO - Controlli
accertamenti o ispezioni - Partecipazione di
tutti i soggetti interessati - Necessità -
Esclusione - Compromissione della genuinità
dell’attività istruttoria.
Non può pretendersi che l’amministrazione,
nell’effettuare controlli, accertamenti o
ispezioni, debba operare con la necessaria
partecipazione di tutti i soggetti
interessati, laddove tale coinvolgimento
possa compromettere la genuinità
dell’attività istruttoria compiuta (Cfr.
Cons. Stato, sez. V, 21.01.2003 n. 1224;
18.05.2004, n. 3190; Tar Emilia Romagna,
Bologna, sez. II, 17.09.2009, n. 1530)
(fattispecie relativa alle rilevazioni dei
livelli di inquinamento acustico) (TAR
Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 22.11.2010 n. 7312 -
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EDILIZIA PRIVATA:
Accertamento di compatibilità
paesaggistica in sanatoria - Art. 167 d.lgs.
n. 42/2004 - Rilascio del titolo in
sanatoria subordinatamente alla
realizzazione di lavori di demolizione -
Illegittimità.
L’art. 167, d.lgs. n. 42/2004 consente il
rilascio di un provvedimento di accertamento
di compatibilità paesaggistica in sanatoria
solamente nelle ipotesi tassative previste
al quarto comma. Al di fuori di tali casi
eccezionali vige il divieto previsto
dall’art. 146, c. 4, d.lgs. n. 42/2004.
Non può dunque ritenersi consentito il
rilascio di un titolo in sanatoria
subordinatamente alla realizzazione di
ulteriori lavori (nella specie, demolizione
di porzioni di muratura delle parti della
struttura realizzata in difformità dal
progetto originariamente assentito, con
conseguente annullamento dei volumi fuori
terra) al fine di rendere l’opera conforme
alla previsione di cui all’art. 167, d.lgs.
n. 42/2004: la necessità di un intervento
edilizio palesa, invero, la non
riconducibilità dell’opera alle ipotesi in
cui è consentito il rilascio di un titolo in
sanatoria (TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 22.11.2010 n. 7311 -
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EDILIZIA PRIVATA: La
valutazione espressa con il R.I.R. (Rischio
Incidente Rilevante) incide sostanzialmente
sull’esito della procedura A.I.A. e il
Sindaco ha possibilità di intervenire anche
a posteriori al fine della tutela della
salute pubblica.
I principi che sommariamente si è cercato di
sintetizzare nel titolo, derivano da una
vicenda legata alla realizzazione di una
centrale elettrica.
Il progetto presentato dalla società
interessata riceveva un parere di
compatibilità territoriale negativo, avverso
il quale la società medesima ricorreva
chiamando in causa i diversi attori della
vicenda, ivi incluso il comune che si
esprimeva negativamente sulla realizzazione
dell’impianto, per mezzo del documento RIR
ossia il documento Rischio di Incidente
Rilevante disciplinato dal D.Lgs. 334/1999.
Alla argomentazione del comune che sostiene
la natura di atto endoprocedimentale del
suddetto documento, i giudici sia di primo
che di secondo grado oppongono invece la
incidenza rilevante di tale parere
sull’esito della procedura autorizzatoria
unica, essendo espressamente previsto che
tali valutazioni e prescrizioni ai fini
della sicurezza e della prevenzione dei
rischi di incidenti rilevanti sono riportate
nella autorizzazione (art. 7, comma 8,
D.Lgs. n. 59/2005).
La reale possibilità di un atto di
autotutela da parte dell'autorità competente
al rilascio dell'A.I.A. è confermata ed
avvalorata peraltro da una nota del Comune,
indirizzata al Ministero dell'ambiente e
della tutela del territorio, in cui, nel
motivare il parere non favorevole al
rilascio dell’A.I.A., si richiama la
disciplina dettata in materia dal citato
D.Lgs. n. 59/2005 per sottolineare che al
Sindaco è comunque conferito un potere di
intervento anche a posteriori al fine di
chiedere alla Regione, nell'interesse della
salute pubblica, il riesame in vista di una
revoca o modifica della autorizzazione
stessa
(commento tratto da
www.documentazione.ancitel.it - Consiglio di
Stato, Sez. IV,
sentenza
19.11.2010 n. 8114 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
VIA e VAS - Procedura di VAS -
Valutazione ambientale di piani e programmi
- Varianti a singoli progetti - VIA.
Ai sensi dell’art. 5, comma 1, del citato
decreto n. 152/2006, la procedura di V.A.S.
è espressamente riservata alla valutazione
ambientale di piani e programmi, restando
conseguentemente escluse le varianti
riguardanti la realizzazione di singoli
progetti, per i quali il legislatore ha
predisposto il diverso strumento del
procedimento di V.I.A. (v. da ultimo, Cons.
Stato, Sez. IV, 04.12.2009, n. 7651)
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 19.11.2010 n. 8113 -
link a www.ambientediritto.it). |
LAVORI PUBBLICI:
Progetto approvato in variante
urbanistica - Modifiche di minima rilevanza
- Art. 35 d.P.R. n. 554/1999.
Le modifiche di minima rilevanza per un
tracciato stradale (nella specie,
sostituzione di una rotatoria con un
incrocio a T), che non incidono su alcuna
area esterna rispetto a quella del progetto
approvato in variante urbanistica, devono,
ritenersi senz’altro ammissibili in sede di
predisposizione ingegneristica del progetto
esecutivo, in base all’art. 35 del d.P.R.
21.12.1999, n. 554 (cfr. Cons. Stato, Sez.
IV, 05.09.2003, n. 4970) (Consiglio di
Stato, Sez. IV,
sentenza 19.11.2010 n. 8113 -
link a www.ambientediritto.it). |
APPALTI:
Contratti di durata stipulati con
la P.A. - Art. 1339 c.c. - Inserzione
automatica di clausole - Applicabilità.
Il meccanismo civilistico noto come
inserzione automatica di clausole e scolpito
all’art. 1339 c.c., si applica anche ai
contratti di durata stipulati con una P.A.
(cfr. Consiglio di Stato, Sez. V,
05.10.2005, n. 5316; in termini, Consiglio
di Stato, Sez. IV, 14.02.2005 n. 453,
secondo cui: “l’art. 1339 c.c. assolve la
funzione precipua di assicurare l’attuazione
delle condizioni contrattuali previste in
via inderogabile dalla legge con il
meccanismo dell’inserzione automatica delle
clausole imperative in sostituzione di
quelle difformi convenute dalle parti e
postula dunque la conclusione di un accordo
negoziale il cui contenuto risulti
parzialmente contrastante con quello imposto
dal legislatore, sottratto come tale
all’autonomia privata”) (TAR Piemonte,
Sez. I,
sentenza 19.11.2010 n. 4168 -
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EDILIZIA PRIVATA:
Abusi edilizi - Potere-dovere di
repressione e irrogazione delle misure
sanzionatorie - Termini prescrizionali o
decadenziali - Configurabilità - Esclusione.
Il potere dovere dell’Amministrazione di
reprimere gli abusi edilizi irrogando le
misure sanzionatorie variamente prescritte
dalla legge per le varie tipologie dei
medesimi (demolizione con eventuale
acquisizione dell’area di sedime per il caso
della realizzazione di un opus in assenza di
permesso di costruire o in totale
difformità; “fiscalizzazione” qualora
la demolizione non possa essere eseguita
senza pregiudizio per la parte di edificio
conforme; sanzione pecuniaria pari al valore
venale all’aumento di valore arrecato
dall’opera eseguita in parziale difformità
dal permesso di costruire per il caso della
mera realizzazione in parziale difformità
dal titolo; sanzione pecuniaria non
inferiore ad € 500 per le opere assoggettate
a d.i.a. e realizzate in assenza di
quest’ultima) non soggiace a termini
prescrizionali o decadenziali (TAR Piemonte,
Sez. I,
sentenza 19.11.2010 n. 4164 -
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APPALTI:
Non può procedersi all'esclusione
di un'impresa nel caso in cui questa abbia
compilato l'offerta in conformità al
fac-simile all’uopo approntato dalla stazione
appaltante.
La giurisprudenza amministrativa ha chiarito
che, in applicazione dei principi di
favor partecipationis, e di tutela
dell'affidamento, non può procedersi
all'esclusione di un'impresa nel caso in cui
questa abbia compilato l'offerta in
conformità al fac-simile all’uopo approntato
dalla stazione appaltante (C.d.S. n. 7278,
10.11.2004) (TAR Lazio-Latina,
sentenza 19.11.2010 n. 1902 -
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LAVORI PUBBLICI:
Responsabilità della P.A.: paga i
danni il Comune che omette di segnalare
l'instabilità di un tombino.
In tema di responsabilità per danni da beni
di proprietà della Pubblica Amministrazione,
qualora non sia applicabile la disciplina di
cui all'art. 2051 c.c., in quanto sia
accertata in concreto l'impossibilità
dell'effettiva custodia del bene, a causa
della notevole estensione dello stesso e
delle modalità di uso da parte di terzi,
l'ente pubblico risponde dei pregiudizi
subiti dall'utente secondo la regola
generale dell'art. 2043 c.c., la quale non
limita la responsabilità della P.A. per
comportamento colposo alle sole ipotesi di
esistenza di un'insidia o di un
trabocchetto.
Conseguentemente, secondo i principi che
governano l'illecito aquiliano, graverà sul
danneggiato l'onere della prova
dell'anomalia del bene, che va considerata
fatto di per sé idoneo -in linea di
principio- a configurare il comportamento
colposo della P.A., mentre spetterà a
quest'ultima dimostrare i fatti impeditivi
della propria responsabilità, quali la
possibilità in cui l'utente si sia trovato
di percepire o prevedere con l'ordinaria
diligenza la suddetta anomalia o
l'impossibilità di rimuovere, adottando
tutte le misure idonee, la situazione di
pericolo (Corte di Cassazione, Sez. III
civile,
sentenza 18.11.2010 n. 23277 -
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EDILIZIA PRIVATA:
Certificato di agibilità -
Rilascio - Soggetti diversi
dall’intestatario del titolo edilizio -
Legittimazione - Sussistenza.
La disposizione di cui all’art. 29, comma 4,
della l.r. Umbria n. 1 del 2004, al pari
dell’analoga disposizione dell’art. 24,
comma 3, del t.u. edilizia (d.P.R.
06.06.2001, n. 380), non esclude che
soggetti diversi dall’intestatario del
titolo abilitativo (o suoi successori a
venti causa) possano richiedere il
certificato di agibilità.
Detto certificato, infatti, a differenza del
titolo edilizio, che amplia la sfera
giuridica dell’intestatario, che deve dunque
essere ben determinato se non altro in
ragione del rapporto di esclusività che si
crea con il bene oggetto del provvedimento
abilitativo, si limita ad attestare una
situazione oggettiva (ed in particolare la
corrispondenza dell’opera realizzata al
progetto assentito, dal punto di vista
dimensionale, della destinazione d’uso e
delle eventuali prescrizioni contenute nel
titolo, nonché attesta la sussistenza delle
condizioni di sicurezza, igiene, salubrità
degli edifici, di risparmio energetico e di
sicurezza degli impianti negli stessi
installati, alla stregua della normativa
vigente).
Ne deriva che deve essere rilasciato a
chiunque abbia un interesse giuridicamente
apprezzabile ad utilizzare l’edificio al
quale si riferisce (TAR Umbria, Sez. I,
sentenza 18.11.2010 n. 512 - link
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EDILIZIA PRIVATA:
N.t.a. -
Norma che consente la modifica del piano di
campagna - Applicabiltà agli interventi di
demolizione e ricostruzione - Esclusione -
Ragioni.
Una disposizione delle n.t.a. che consenta
la modifica del piano di campagna, non può
essere applicata ad interventi di
demolizione e ricostruzione, non potendosi
ritenere che una norma di piano possa
incidere sui limiti massimi di estensione di
una tipologia di intervento edilizio
prevista direttamente dalla legge (TAR
Lombardia, Milano, sez. II, n. 4929 del
27/10/2009).
La modifica del piano di campagna
dell’edificio preesistente, infatti,
comporta come conseguenza una traslazione in
alto della sagoma. E vicende di traslazioni
di sagoma o volumetria sono incompatibili
con i limiti della demolizione e
ricostruzione (TAR Lombardia, Milano, sez.
II, n. 5268 del 02/12/2009; Tar Toscana,
sez. III, n. 639 del 17.04.2007) (TAR
Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 17.11.2010 n. 4640 -
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EDILIZIA PRIVATA:
Berceau - Nozione - Sostituzione
della copertura - Intervento di manutenzione
straordinaria - Copertura assimilabile ad un
solaio - Locale coperto - Qualifica di
berceau - Esclusione.
Il berceau è definibile come un’opera
edilizia consistente in un pergolato
(solitamente in legno) coperto da piante
rampicanti.
L’aspetto caratteristico risiede nella
mancanza di pareti e di una copertura
impermeabile, in quanto si tratta di una
struttura leggera nella quale deve essere
garantito un rapporto di continuità con lo
spazio esterno. Il filtro rispetto agli
agenti atmosferici è costituito dalle foglie
e dalle travi che forniscono appoggio ai
rampicanti.
È evidente che la maggiore o minore
concentrazione di travi di sostegno e la
maggiore o minore distanza tra le stesse
sono fattori decisivi per stabilire se
l’opera appartiene alla tipologia del
berceau o ad altre categorie edilizie, come
ad esempio i portici.
La sostituzione della copertura del berceau
costituisce un intervento di manutenzione
straordinaria (art. 3, comma 1, del DPR
380/2001). Naturalmente la condizione per
rimanere nella categoria della manutenzione
straordinaria è che la nuova copertura non
snaturi le caratteristiche del berceau.
Se invece la nuova copertura risultasse
assimilabile a un vero e proprio solaio e i
rampicanti avessero una funzione puramente
ornamentale saremmo di fronte a un’opera del
tutto diversa, ossia a un nuovo locale
coperto, come tale non più qualificabile né
come berceau né come semplice pertinenza
dell’edificio (TAR Lombardia-Brescia, Sez.
I,
sentenza 17.11.2010 n. 4638 -
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AMBIENTE-ECOLOGIA:
INQUINAMENTO - Bonifica -
Procedura - Mappatura preliminare - Analisi
dei campioni - Caratterizzazione del sito -
Analisi del rischio - Bonifica - Art. 242
d.lgs. n. 152/2006.
La disciplina attualmente in vigore in tema
di bonifiche prevede la seguente procedura:
in considerazione dell’ampiezza dell’area e
del carattere eterogeneo dei rifiuti
abbandonati (nonché del tempo trascorso
dalle ultime analisi) è possibile richiedere
una mappatura preliminare dei punti da
investigare per concentrare l’attenzione
sulle porzioni di terreno dove è
maggiormente probabile la presenza di
inquinanti.
Tale mappatura deve essere validata
dall’ARPA con il coinvolgimento della
Provincia e della ASL, bilanciando i
principi di proporzionalità e precauzione, a
garanzia della significatività dei punti
esplorati. Alla mappatura segue l’analisi
dei campioni, diretta ad accertare
l’eventuale superamento delle CSC ai sensi
dell’art. 242, comma 2, del Dlgs. 152/2006.
Solo se risulti superato il livello delle
CSC, anche per un solo parametro, è
possibile passare alla caratterizzazione del
sito ai sensi dell’art. 242, comma 3, del
Dlgs. 152/2006, attività che può essere
posta a carico del proprietario dell’area
pur in mancanza di una precisa valutazione
delle responsabilità (v. art. 2 commi 2 e 4
del Reg. reg. 1/2005). Una volta acquisiti i
risultati della caratterizzazione è
necessario effettuare un’analisi del rischio
sito specifica per la determinazione delle
concentrazioni soglia di rischio (CSR).
Sulla base di quest’ultima analisi è infine
possibile passare alla vera e propria
bonifica ai sensi dell’art. 242 commi 4-7
del Dlgs. 152/2006. Per imporre la bonifica
al proprietario è comunque necessario dare
dimostrazione della sua responsabilità o
almeno corresponsabilità nella causazione
dell’inquinamento, ferma restando la facoltà
di esproprio dell’area inquinata (v. art. 4
del Reg. reg. 1/2005) (TAR Lombardia-Brescia,
Sez. I,
sentenza 17.11.2010 n. 4636 -
link a www.ambientediritto.it). |
VARI:
Responsabilità della P.A.: spetta
alla Regione risarcire i danni cagionati
agli automobilisti dalla fauna selvatica.
Le Regioni sono tenute a predisporre tutte
le misure idonee ad evitare che gli animali
selvatici arrechino danni a persone o a
cose, con la conseguenza che, nell'ipotesi
di danno provocato dalla fauna selvatica ed
il cui risarcimento non sia previsto da
apposite norme, esse possono essere chiamate
a rispondere in forza dell'art. 2043 c.c.
(Corte di Cassazione, Sez. III civile,
sentenza 16.11.2010 n. 23095 -
link a www.eius.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Quando una porzione di suolo
venga in concreto utilizzata ai fini del
computo della cubatura per l'edificazione di
un manufatto edilizio, essa non può essere
in futuro utilizzata nuovamente al medesimo
fine, neppure nel caso dell'ulteriore
frazionamento ed alienazione dell'area
libera residua.
La giurisprudenza ha sempre affermato che,
quando una porzione di suolo venga in
concreto utilizzata ai fini del computo
della cubatura per l'edificazione di un
manufatto edilizio, essa non può essere in
futuro utilizzata nuovamente al medesimo
fine, neppure nel caso dell'ulteriore
frazionamento ed alienazione dell'area
libera residua.
Ove così non fosse, si perverrebbe
all'aberrante risultato che, realizzata
l'opera, il costruttore potrebbe ben
alienare la porzione di terreno non
direttamente occupata dalla costruzione onde
consentirne un ulteriore sfruttamento
edificatorio da parte di un terzo (cfr.
Consiglio Stato, sez. V, 10.05.2005, n.
2328; ma anche, Consiglio Stato, sez. IV,
26.09.2008, n. 4647; Consiglio Stato, sez.
V, 27.06.2006, n. 4117; Consiglio Stato,
sez. IV 12.02.1987 n. 91; TAR Lombardia
Milano, sez. IV, 21.12.2009, n. 5750; TAR
Valle d'Aosta, sez. I, 15.02.2008, n. 16;
TAR Campania Salerno, sez. II, 03.06.2010,
n. 8219).
Ai fini della costruzione di nuovi volumi, è
così irrilevante che un lotto unitario sia
catastalmente suddiviso in più particelle o
che la costruzione preesistente fosse stata
realizzata prima del 09.10.1979 ovvero del
21.05.1985, in quanto è invece necessario
considerare tutti i volumi già esistenti
sull'intera originaria area di proprietà.
Un'area edificatoria già utilizzata a fini
edilizi è infatti suscettibile di ulteriore
edificazione solo quando la costruzione su
di essa realizzata non esaurisca la
volumetria consentita dalla normativa
vigente al momento del rilascio
dell'ulteriore permesso di costruire.
L'atto di asservimento dell'area discende
ope legis dalla stessa utilizzazione
dell’area ai fini edificatori ed è
definitivo (cfr. Consiglio Stato, Sez. V
12.07.2004 n. 5039). L'inedificabilità
dell'area, in tal modo asservita,
rappresenta una qualità oggettiva del fondo,
opponibile anche a terzi per cui l'eventuale
attività edificatoria autorizzata a seguito
di un permesso per costruire ottenuto
includendovi una porzione di area già
sottoposta ad atto d'obbligo di
asservimento, costituisce un reato edilizio
in quanto altera l'indice fondiario di
fabbricabilità (cfr. Cassazione penale, sez.
III, 22.04.2004, n. 23230).
In tale ottica:
- devono essere considerate non solo la
superficie libera ed il volume ad essa
corrispondente, ma anche le cubature dei
fabbricati preesistenti –ancorché siano
stati edificati senza il prescritto titolo-
al fine di verificare in concreto la reale
situazione dei luoghi con il relativo carico
di edificazione in concreto accertato (cfr.
Consiglio Stato, A.P. 23.04.2009, n. 3);
- deve essere verificato se, in relazione
all'intera superficie dell'area, residui
l'ulteriore volumetria di cui si chiede la
realizzazione, a nulla rilevando che questa
possa insistere su una parte del lotto
catastalmente divisa (cfr. Consiglio Stato
sez. IV, 21.09.2009, n. 5637)
(TAR Lazio-Roma, Sez. II-quater,
sentenza 15.11.2010 n. 33462 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Contratti pubblici: l'impresa
cessionaria di ramo d'azienda non è tenuta a
rendere le dichiarazioni ex art. 38 d.lgs.
163/2006 anche con riferimento all'impresa
cedente.
L'art. 38 del d.lgs. 163/2006 richiede il
possesso e la dimostrazione dei requisiti
generali di partecipazione solamente in capo
all'impresa concorrente, mentre non
contempla alcuna norma, con effetto
preclusivo, la quale preveda, per il caso di
cessione d'azienda antecedente alla
partecipazione alla gara, un obbligo
specifico di dichiarazione in ordine ai
requisiti soggettivi dell'impresa cedente.
Ne discende che -in assenza di tale norma e
poiché la cessione d'azienda comporta non
una successione a titolo universale del
cessionario al cedente, bensì una
successione nelle posizioni attive e passive
relative all'azienda tra soggetti che
conservano distinta personalità giuridica-
non può essere esclusa dalla gara l'impresa
cessionaria del ramo d'azienda che non abbia
presentato le relative dichiarazioni in
ordine alla posizione della cedente
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 15.11.2010 n. 8044 -
link a www.eius.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Presupposto
per l’adozione dell’ordine di demolizione di
opere abusive è soltanto la constatata
esecuzione di un intervento edilizio in
assenza del prescritto titolo abilitativo,
con la conseguenza che -essendo tale ordine
un atto dovuto- esso è sufficientemente
motivato con l’accertamento dell’abuso.
L’acquisizione gratuita al patrimonio
comunale dell’area di sedime su cui insiste
l’abuso, essendo una sanzione prevista per
l’inottemperanza all’ingiunzione di
demolizione, può essere disposta
esclusivamente in danno del responsabile
dell’abuso edilizio che sia anche
proprietario del bene, non potendo operare
nella sfera giuridica del proprietario che
provi di essere rimasto estraneo all’abuso
realizzato sul bene detenuto dal locatario o
dall’affittuario.
L'acquisizione gratuita al patrimonio
comunale di un’opera edilizia abusiva
consegue all’inottemperanza all’ordine di
demolizione come atto dovuto e non necessita
della preventiva comunicazione dell’avvio
del procedimento, non essendo tale atto
dovuto nei casi in cui l’interessato non
possa apportare all’azione amministrativa
alcun contributo.
Presupposto per l’adozione dell’ordine di
demolizione di opere abusive è soltanto la
constatata esecuzione di un intervento
edilizio in assenza del prescritto titolo
abilitativo, con la conseguenza che -essendo
tale ordine un atto dovuto- esso è
sufficientemente motivato con l’accertamento
dell’abuso (ex multis, TAR Campania
Napoli, Sez. IV, 28.12.2009, n. 9638; Sez.
VI, 09.11.2009, n. 7077; Sez. VII,
04.12.2008, n. 20987). Non costituisce causa
di illegittimità l’omessa comunicazione del
nominativo del responsabile del
procedimento, perché a tale omissione è
comunque possibile supplire considerando
responsabile il funzionario preposto alla
competente unità organizzativa (ex multis,
TAR Lazio Roma, sez. I, 30.08.2005, n.
6359).
Secondo una consolidata giurisprudenza (TAR
Lazio Latina, Sez. I, 30.07.2009, n. 746;
TAR Sardegna Cagliari, Sez. II, 10.04.2009,
n. 450; TAR Lombardia Milano, Sez. IV,
07.04.2009, n. 3222), l’acquisizione
gratuita al patrimonio comunale dell’area di
sedime su cui insiste l’abuso, essendo una
sanzione prevista per l’inottemperanza
all’ingiunzione di demolizione, può essere
disposta esclusivamente in danno del
responsabile dell’abuso edilizio che sia
anche proprietario del bene, non potendo
operare nella sfera giuridica del
proprietario che provi di essere rimasto
estraneo all’abuso realizzato sul bene
detenuto dal locatario o dall’affittuario.
La mera
proposizione del ricorso giurisdizionale
avverso l’ordine di demolizione non vale a
sospendere l’esecutività di tale
provvedimento; pertanto il ricorrente non ha
motivo di dolersi del fatto che
l’acquisizione gratuita al patrimonio
comunale delle opere abusive sia stata
disposta nonostante la pendenza del ricorso
n. 1991/2007, perché questa Sezione con
l’ordinanza n. 892 in data 12.03.2008 ha
respinto la domanda di sospensione
dell’esecuzione dell’ordinanza di
demolizione n. 37 in data 16.01.2007.
L'acquisizione gratuita al patrimonio
comunale di un’opera edilizia abusiva
consegue all’inottemperanza all’ordine di
demolizione come atto dovuto e non necessita
della preventiva comunicazione dell’avvio
del procedimento, non essendo tale atto
dovuto nei casi in cui l’interessato non
possa apportare all’azione amministrativa
alcun contributo (TAR Campania Napoli, Sez.
IV, 17.06.2002, n. 3620); pertanto il
ricorrente non ha motivo di dolersi della
violazione dell’art. 7 della legge n.
241/1990. Peraltro, seppure si aderisse
all’orientamento che ritiene necessaria tale
comunicazione, nel caso in esame troverebbe
comunque applicazione il già richiamato art.
21-octies, comma 2, della legge n. 241/1990.
Il presupposto per l’adozione del
provvedimento di acquisizione gratuita al
patrimonio comunale di un’opera edilizia
abusiva è l’inottemperanza all’ordine di
demolizione, con la conseguenza che
l’ordinanza n. 786/2008 del 10.01.2008
risulta adeguatamente motivata con
riferimento all’accertamento
dell’inottemperanza all’ordinanza di
demolizione n. 37 in data 16.01.2007
(documentato dalla nota della Polizia
municipale n. 31853 in data 26.11.2007)
(TAR
Campania-Napoli, Sez. VII,
sentenza 12.11.2010 n. 24198 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
realizzazione di un volume tecnico è
sanabile ai sensi dell’art. 167 d.lgs.
42/2004, dovendosi preferire, ad
un’interpretazione meramente letterale (in
base alla quale la realizzazione di ogni
volume sarebbe non sanabile sotto il profilo
paesaggistico) un’interpretazione
teleologica, in forza della quale
-nonostante l’utilizzo della particella
disgiuntiva “o” nella frase “che non abbiano
determinato creazione di superfici utili o
volumi”– si deve ritenere che il duplice
riferimento alle nuove superfici utili e ai
nuovi volumi costituisca un’endiadi, ossia
una modalità di esprimere un concetto
unitario con due termini coordinati.
Come è noto, questa Sezione (sent.
1748/2009) ha ritenuto che la realizzazione
di un volume tecnico fosse sanabile ai sensi
dell’art. 167 d.lgs. 42/2004, dovendosi
preferire, ad un’interpretazione meramente
letterale (in base alla quale la
realizzazione di ogni volume sarebbe non
sanabile sotto il profilo paesaggistico)
un’interpretazione teleologica, in forza
della quale -nonostante l’utilizzo della
particella disgiuntiva “o” nella frase “che
non abbiano determinato creazione di
superfici utili o volumi”– si deve
ritenere che il duplice riferimento alle
nuove superfici utili e ai nuovi volumi
costituisca un’endiadi, ossia una modalità
di esprimere un concetto unitario con due
termini coordinati.
In altri termini, la necessità di
interpretare le eccezioni al divieto di
rilasciare l’autorizzazione paesistica in
sanatoria (previste dall’articolo 167, comma
4, del decreto legislativo n. 42/2004) in
coerenza con la ratio
dell’introduzione di tale divieto induce il
Collegio a ritenere che esulino dalla
eccezione prevista dall’articolo 167, comma
4, lettera a), gli interventi che abbiano
contestualmente determinato la realizzazione
di nuove superfici utili e di nuovi volumi e
che, di converso, siano suscettibili di
accertamento della compatibilità paesistica
anche i soppalchi, i volumi interrati ed i
volumi tecnici (Tar Campania, Napoli, VII,
n. 1748/2009).
Ciò, naturalmente, non significa che
l’Amministrazione non possa annullare
autorizzazioni paesaggistiche alla
realizzazione di volumi tecnici; tuttavia,
in casi del genere, ed in particolare quando
il vincolo non riguarda l’immobile in sé
considerato, ma il paesaggio, la motivazione
dell’annullamento dev’essere particolarmente
rigorosa, non potendosi trascurare
l’esigenza di “adeguamento tecnologico”
degli edifici.
Nel caso di specie, invece,
l’Amministrazione si limita ad affermare che
la “struttura proposta costituisce, per
dimensioni e configurazione, notevole
alterazione dei luoghi di particolare valore
paesaggistico”, e tale motivazione non
può essere ritenuta sufficiente
(TAR Campania-Napoli, Sez. VII,
sentenza 12.11.2010 n. 24195 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Per
effetto della recente normativa di cui al
d.lgs. 157/2006, il piano paesaggistico è
destinato a dispiegare i suoi effetti in
tutto il territorio regionale, comprese le
aree incluse nei parchi, e che i parchi, a
loro volta, devono ad esso adeguare i
rispettivi piani già esistenti ove
contengano previsioni difformi, e devono
conformare i piani in itinere alle
previsioni del piano paesaggistico ove
questi sia già vigente.
E' noto che, per effetto della più recente
normativa di cui al d.lgs. 157/2006, il
piano paesaggistico è destinato a dispiegare
i suoi effetti in tutto il territorio
regionale, comprese le aree incluse nei
parchi, e che i parchi, a loro volta, devono
ad esso adeguare i rispettivi piani già
esistenti ove contengano previsioni
difformi, e devono conformare i piani in
itinere alle previsioni del piano
paesaggistico ove questi sia già vigente.
Tanto premesso, non vi è dubbio quindi che,
con l’intervento della normativa di cui al
Codice c.d. Urbani a tutela del Paesaggio,
sia stata sancita in ogni caso la prevalenza
dei piani paesaggistici le cui previsioni,
ai sensi dell’art. 145, comma 2, d.lgs.
42/2001 non sono derogabili da parte di
piani, programmi e progetti nazionali o
regionali di sviluppo economico, sono “cogenti”
per gli strumenti urbanistici dei Comuni,
delle città metropolitane e delle province,
e sono “immediatamente prevalenti”
sulle disposizioni difformi eventualmente
contenute negli strumenti urbanistici.”
La stessa norma inoltre aggiunge che: “Per
quanto attiene la tutela del paesaggio le
disposizioni dei piani paesaggistici sono
comunque prevalenti sulle disposizioni
contenute negli atti di pianificazione, ad
incidenza territoriale previsti dalle
normative di settore, ivi compresi quelli
degli enti gestori delle aree naturali
protette”.
E’ evidente quindi come siffatta norma abbia
sancito in maniera inequivocabile la
primazia dei piani paesaggistici sui piani
dei parchi con una disposizione peraltro di
chiara ed univoca interpretazione laddove è
esplicito il riferimento alla prevalenza sui
“piani degli enti gestori delle aree
naturali protette”. Del resto la scelta
del legislatore appare coerente con
l’obiettivo di non rendere le aree
ricomprese nei parchi dei territori avulsi
ed isolati dal contesto di inserimento ma di
includerle in una visione globale
dell’intero paesaggio regionale.
La sopravvenienza della normativa ultima di
cui al d.gs 157/2006 modificativa in parte
qua del d.lgs. 42/2004 rispetto al disposto
di cui al comma 7 dell’art. 12 della legge
n. 394/1991 depone indubitabilmente per un
effetto abrogativo “per incompatibilità”
della precedente previsione di contenuto
difforme, secondo i noti principi regolatori
della legge nel tempo di cui all’art. 15
disp. prel. c.c..
Né può altrimenti configurarsi una
interpretazione che faccia salvo comunque il
disposto di cui all’art. 12, comma 7 cit.,
limitando l’operatività della previsione di
cui all’art. 145, comma 3 cit., ai soli
piani paesaggistici adottati successivamente
alla sua entrata in vigore, dato che il
legislatore con la normativa di cui al
d.lgs. n. 42/2004 e con le successive
modifiche è intervenuto a dare una
regolamentazione integrale della materia
della tutela dell’ambiente e del paesaggio
anche in un’ottica di cogestione della
funzione in ambito territoriale nel rapporto
di coordinamento Stato Regione, e per tale
ragione la previsione in argomento, quale
norma di portata generale, non può che
riguardare tutti i piani paesaggistici in
essere,sia quelli già adottati all’epoca di
entrata in vigore della normativa de qua,
sia quelli da adeguare alle nuove previsioni
ai sensi dell’art. 156 del d.lgs. 42 cit.
(TAR Campania-Napoli, Sez. VIII,
sentenza 12.11.2010 n. 24081 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L’ordine
di demolizione non deve essere
necessariamente preceduto dalla
comunicazione di avvio del procedimento,
trattandosi di atto dovuto e rigorosamente
vincolato, con riferimento al quale non sono
richiesti apporti partecipativi del
destinatario, ed il cui presupposto è
costituto unicamente dalla constatata
esecuzione dell'opera in totale difformità o
in assenza del titolo abilitativo.
Per orientamento costante di questo
Collegio, l’ordine di demolizione non deve
essere necessariamente preceduto dalla
comunicazione di avvio del procedimento,
trattandosi di atto dovuto e rigorosamente
vincolato, con riferimento al quale non sono
richiesti apporti partecipativi del
destinatario, ed il cui presupposto è
costituto unicamente dalla constatata
esecuzione dell'opera in totale difformità o
in assenza del titolo abilitativo.
Né, per lo stesso motivo, si richiede una
specifica motivazione che dia conto della
valutazione delle ragioni di interesse
pubblico alla demolizione o della
comparazione di quest'ultimo con gli
interessi privati coinvolti e sacrificati,
senza che sussista alcuna violazione
dell'art. 3, l. n. 241 del 1990, dato che,
ricorrendo i predetti requisiti, il
provvedimento deve intendersi
sufficientemente motivato con l'affermazione
dell'accertata abusività dell'opera, essendo
in re ipsa l'interesse pubblico
concreto ed attuale alla sua rimozione (cfr,
ex plurimis, Consiglio Stato, sez. IV,
31.08.2010 , n. 3955).
Anche qualora intercorra un lungo periodo di
tempo tra la realizzazione dell'opera
abusiva ed il provvedimento sanzionatorio,
tale circostanza non rileva ai fini della
legittimità di quest'ultimo, sia in rapporto
al preteso affidamento circa la legittimità
dell'opera, che il protrarsi del
comportamento inerte del comune avrebbe
ingenerato nel responsabile dell'abuso
edilizio, sia in relazione ad un presunto
ulteriore obbligo, per l'amministrazione
procedente, di motivare specificamente il
provvedimento in ordine alla sussistenza
dell'interesse pubblico attuale a far
demolire il manufatto, poiché la lunga
durata nel tempo dell'opera priva del
necessario titolo edilizio ne rafforza il
carattere abusivo (trattandosi di illecito
permanente), il che preserva il
potere-dovere dell'amministrazione di
intervenire nell'esercizio dei suoi poteri
sanzionatori, tanto più che il provvedimento
demolitorio non richiede una congrua
motivazione in ordine all'attualità
dell'interesse pubblico alla rimozione
dell'abuso, che è in re ipsa (cfr Tar
Campania, Napoli, sez. VIII, 19.01.2009 n.
501)
(TAR Campania-Napoli, Sez. VIII,
sentenza 12.11.2010 n. 24064 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
realizzazione di una tettoia riportante una
copertura in tegole, ancorata al suolo
tramite pilastrini in legno, è configurabile
come intervento di ristrutturazione edilizia
ai sensi dell'articolo 3, comma 1, lettera
d), del D.P.R. n. 380/2001, nella misura in
cui realizza “l'inserimento di nuovi
elementi ed impianti”, ed è quindi
subordinata al regime del permesso di
costruire, ai sensi dell'articolo 10, comma
primo, lettera c), dello stesso D.P.R.
laddove comporti, come nel caso di specie,
una modifica della sagoma o del prospetto
del fabbricato cui inerisce.
Dalle
riproduzioni fotografiche in atti è evidente
che l’intervento in argomento consiste in
realtà nella realizzazione di una tettoia,
trattandosi di una pensilina riportante una
copertura in tegole, ancorata al suolo
tramite pilastrini in legno, e come tale
idonea ad apportare un mutamento stabile
all’aspetto esteriore nonché alla sagoma
dell’edificio.
La realizzazione di una tettoia che riveste
le predette caratteristiche costruttive ed
estetiche, è configurabile come intervento
di ristrutturazione edilizia ai sensi
dell'articolo 3, comma 1, lettera d), del
D.P.R. n. 380/2001, nella misura in cui
realizza “l'inserimento di nuovi elementi
ed impianti”, ed è quindi subordinata al
regime del permesso di costruire, ai sensi
dell'articolo 10, comma primo, lettera c),
dello stesso D.P.R. laddove comporti, come
nel caso di specie, una modifica della
sagoma o del prospetto del fabbricato cui
inerisce (cfr. TAR Campania, Napoli, Sez. IV,
21.12.2007, n. 16493).
A nulla rileva poi il dedotto carattere di
facile amovibilità o precarietà del
manufatto, dato che tale connotazione non
può discendere solo dalle caratteristiche
costruttive ma va rapportata anche alla
destinazione del manufatto che non può
essere considerato di natura precaria
qualora debba soddisfare un’ esigenza, non
temporanea e contingente, ma prolungata nel
tempo.
Alla luce di tali conclusioni la inesatta
individuazione e descrizione dell’opera
abusiva erroneamente descritta come “gazebo”
e non come “tettoia” nel
provvedimento di demolizione impugnato non
può inficiare la legittimità dell’atto
gravato, trattandosi di un mero errore
materiale che non impedisce la corretta
individuazione dell’opera abusiva
(TAR
Campania-Napoli, Sez. VIII,
sentenza 12.11.2010 n. 24064 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La conformazione e ridotte
dimensioni delle tettoie rendono evidente e
riconoscibile la loro finalità di arredo o
di riparo e protezione (anche da agenti
atmosferici) dell'immobile cui accedono.
Condizioni queste che escludono, in base
alla normativa statale, la necessità del
permesso di costruire per la loro
esecuzione, a differenza di quanto accade
per la contraria ipotesi di strutture le cui
dimensioni sono di entità tale da arrecare
una visibile alterazione all'edificio o alle
parti dello stesso su cui vengono inserite;
quando cioè per la loro consistenza
dimensionale non possono più ritenersi
assorbite, ovvero ricomprese in ragione
della accessorietà, nell'edificio principale
o della parte dello stesso cui accedono.
La descrizione delle opere, della loro
natura, parvità e funzione, resa visiva
dalla documentazione fotografica versata in
atti, si appalesa convincente, così come
convincente è la loro dedotta sostanziale
irrilevanza, quale denunciata in ricorso e,
più partitamente, nella perizia di parte
(cfr. Tar Campania, sezione settima,
sentenza n. 4710 del 2009; sezione quarta,
n. 9681 del 2008 e Cass. pen. n. 19744 del
2002 che, in condizioni analoghe, hanno così
concluso).
Ciò nella precisazione, per quanto attiene
in particolare alle tettoie, ovvero alle
opere di nuova realizzazione, che “la
loro conformazione e le loro ridotte
dimensioni rendono evidente e riconoscibile
la loro finalità di arredo o di riparo e
protezione (anche da agenti atmosferici)
dell'immobile cui accedono”; condizioni
queste che, per pacifica giurisprudenza,
escludono, in base alla normativa statale,
la necessità del permesso di costruire per
la loro esecuzione, a differenza di quanto
accade per la contraria ipotesi, qui non
data, di strutture le cui “dimensioni
sono di entità tale da arrecare una visibile
alterazione all'edificio o alle parti dello
stesso su cui vengono inserite; quando cioè
per la loro consistenza dimensionale non
possono più ritenersi assorbite, ovvero
ricomprese in ragione della accessorietà,
nell'edificio principale o della parte dello
stesso cui accedono” (cfr., fra le
ultime,Tar Calabria, Reggio Calabria,
sezione prima, 23.08.2010, n. 915; Tar
Campania Napoli, questa sesta sezione,
07.09.2009, n. 4899, sezione terza,
19.01.2010, n. 195; sezione seconda,
29.01.2009, n. 492, id. 06.11.2008, n.
19292)
(TAR Campania-Napoli, Sez. VI,
sentenza 12.11.2010 n. 24047 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Ordine di demolizione o di
riduzione in pristino - Procedimento di
esecuzione e sanatoria - Istanza di condono
o di ricorso alla giurisdizione
amministrativa - Effetti.
L'ordine di demolizione o di riduzione in
pristino deve intendersi emesso allo stato
degli atti, tanto che anche il giudice
dell'esecuzione deve verificare il permanere
della compatibilità degli ordini in
questione con atti amministrativi.
Inoltre, il rilascio del permesso in
sanatoria non determina automaticamente la
revoca dell'ordine di demolizione o di
riduzione in pristino, dovendo il giudice,
comunque, accertare la legittimità
sostanziale del titolo sotto il profilo
della sua conformità alla legge ed
eventualmente disapplicarlo ove siano
insussistenti i presupposti per la sua
emanazione (Cass. pen. sez. 3, 30.01.2003,
n. 144 P-M-c/o Ciavarella).
A maggior ragione, in caso di mera
presentazione di un'istanza di condono o di
ricorso alla giurisdizione amministrativa il
G.E. deve accertare che, secondo una
ragionevole previsione, l'istanza o il
ricorso possano essere accolti in tempi
brevi.
Manufatto abusivo -
Ordine di demolizione - Sentenza di condanna
- Domanda di condono edilizio - Sospensione
dell’esecuzione - Verifica dei presupposti -
Obbligo - Art. 7 L. n. 47/1985 oggi D.P.R.
n. 380/2001.
In sede di esecuzione dell'ordine di
demolizione del manufatto abusivo, disposto
con la sentenza di condanna ai sensi
dell'art. 7 L. n. 47 del 1985 (oggi D.P.R.
n. 380/2001), il giudice, al fine di
pronunciarsi sulla sospensione della
esecuzione per avvenuta presentazione di
domanda di condono edilizio, deve accertare
l'esistenza delle seguenti condizioni:
1) la riferibilità della domanda di condono
edilizio all'immobile di cui in sentenza;
2) la proposizione dell'istanza da parte di
soggetto legittimato;
3) la procedibilità e proponibilità della
domanda, con riferimento alla documentazione
richiesta;
4) l'insussistenza di cause di non
condonabilità assoluta dell'opera;
5) l'eventuale avvenuta emissione di una
concessione in sanatorio tacita per
congruità dell'oblazione ed assenza di cause
ostative;
6) la attuale pendenza dell'istanza di
condono;
7) la non adozione di un provvedimento da
parte della P.A. contrastante con l'ordine
di demolizione (Cass. pen. sez. 4,
05.03.3008, n. 15210).
Opere abusive - Istanza
di permesso di costruire in sanatoria -
Oblazione - Congruità della somma determina
dall'amministrazione comunale - Ordine di
demolizione impartito con sentenza di
condanna - Sospensione obbligatoria -
Esclusione.
La determinazione da parte
dell'amministrazione comunale della
congruità della somma di denaro versata a
titolo di oblazione a seguito dell'istanza
di permesso di costruire in sanatoria non
determina la sospensione dell'ordine di
demolizione impartito con la sentenza di
condanna (Cass. pen. sez. 3, 27.05.2009, n.
28505) (Corte di Cassazione, Sez. III
penale,
sentenza 11.11.2010 n. 39767 -
link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
precarietà di un manufatto va esclusa se il
manufatto stesso è destinato a recare
un'utilità prolungata e perdurante nel
tempo.
La precarietà di un manufatto va esclusa se
il manufatto stesso è destinato a recare
un'utilità prolungata e perdurante nel
tempo; in tal caso, infatti, esso produce
una trasformazione urbanistica in quanto
altera in modo rilevante e duraturo lo stato
del territorio, senza che rilevino i
materiali impiegati, l'eventuale precarietà
strutturale e la mancanza di fondazioni, se,
poi, tali elementi non si traducano in un
uso contingente e limitato nel tempo e,
infine, con l'effettiva rimozione delle
strutture (per tutte, Cons. St., sez. V,
31.01.2003, n. 343)
(TAR Lazio-Roma, Sez. II-ter,
sentenza 11.11.2010 n. 33418 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Contratti pubblici: dal TAR
Piemonte un'interessante pronuncia sulla
quantificazione del danno da "perdita di
chance".
In materia di affidamento di contratti
pubblici, allorché si tratti di quantificare
il danno subito da un'impresa per perdita di
chance, occorre distinguere la fattispecie
in cui il ricorrente riesce a dimostrare
che, in mancanza dell'adozione del
provvedimento illegittimo, avrebbe vinto la
gara (ad esempio perché, se non fosse stato
indebitamente escluso, sarebbe stata
selezionata la sua offerta) dalla
fattispecie in cui non è possibile acquisire
alcuna certezza su quale sarebbe stato
l'esito della procedura in mancanza della
violazione riscontrata.
La dimostrazione della spettanza
dell'appalto all'impresa danneggiata risulta
configurabile nei soli casi in cui il
criterio di aggiudicazione si fonda su
parametri vincolati e matematici (come, ad
esempio, nel caso del massimo ribasso in un
pubblico incanto in cui l'impresa vincitrice
avrebbe dovuto essere esclusa), mentre si
rivela impossibile là dove la selezione del
contraente viene operata sulla base di un
apprezzamento tecnico-discrezionale
dell'offerta (come nel caso dell'offerta
economicamente più vantaggiosa).
Nella prima ipotesi, all'impresa danneggiata
spetta un risarcimento pari al 10% del
valore dell'appalto (come ribassato dalla
sua offerta), ferma restando la possibilità
di conseguire una somma superiore, in
presenza della dimostrazione che il margine
di utile sarebbe stato maggiore di quello
presunto. Viceversa, quando il ricorrente
allega solo la perdita di una chance a
sostegno della pretesa risarcitoria (e cioè
quando non riesce a provare che
l'aggiudicazione dell'appalto spettava
proprio a lui, secondo le regole di gara),
la somma commisurata all'utile d'impresa
deve essere proporzionalmente ridotta in
ragione delle concrete possibilità di
vittoria risultanti dagli atti della
procedura.
Al fine di operare tale decurtazione vanno
valorizzati tutti gli indici significativi
delle potenzialità di successo del
ricorrente, quali, ad esempio, il numero di
concorrenti, la configurazione della
graduatoria eventualmente stilata ed il
contenuto dell'offerta presentata
dall'impresa danneggiata (TAR Piemonte, Sez.
II,
sentenza 29.10.2010 n. 3939 -
link a www.eius.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Responsabilità della P.A.: non
basta l'illegittimità dell'atto per far
scattare il risarcimento dei danni.
Ai fini del risarcimento del danno derivante
da lesione di interessi legittimi, non basta
l'accertamento dell'illegittimità dell'atto
cui tale danno è riconducibile, ma occorrono
la prova specifica e l'accertamento in
concreto della colpa dell'Amministrazione
che lo ha adottato (Corte di Cassazione,
Sez. III civile,
sentenza 28.10.2010 n. 22021 -
link a www.eius.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
INQUINAMENTO ACUSTICO - Sindaco -
Contenimento o abbattimento delle emissioni
sonore - Poteri - Art. 54, cc. 2 e 3, d.lgs.
n. 267/2000 - Art. 9 L. n. 447/1999.
Con riferimento alle esigenze di
fronteggiare l’inquinamento acustico, il
sindaco è titolare:
a) di un potere generale di ordinanza da
esercitare, quale ufficiale del governo,
qualora sorga la necessità di provvedimenti
contingibili e urgenti, anche, tra l’altro,
in materia di «sanità ed igiene», «al
fine di prevenire ed eliminare gravi
pericoli che minacciano l’incolumità dei
cittadini» (articolo 54, comma, 2,
d.lgs. 267/2000 n. 267);
b) di poteri di ordinanza con contenuti e
finalità specifiche.
Si tratta del potere, attribuito dal comma
3, del citato articolo 54, di modificare gli
orari degli esercizi commerciali, dei
pubblici esercizi e dei servizi pubblici,
nonché, d’intesa con i responsabili
territorialmente competenti delle
amministrazioni interessate, gli orari di
apertura al pubblico degli uffici pubblici
localizzati nel territorio «in casi di
emergenza, connessi con il traffico e/o con
l’inquinamento atmosferico o acustico,
ovvero quando a causa di circostanze
straordinarie si verifichino particolari
necessità dell’utenza».
E soprattutto, di quello previsto
dall’articolo 9 della legge quadro
sull’inquinamento acustico 447/1999, secondo
il quale il sindaco, qualora sia richiesto
da eccezionali ed urgenti necessità di
tutela della salute pubblica o
dell’ambiente, può, con provvedimento
motivato, «ordinare il ricorso temporaneo
a speciali forme di contenimento o di
abbattimento delle emissioni sonore, inclusa
l’inibitoria parziale o totale di
determinate attività».
INQUINAMENTO ACUSTICO -
Poteri di intervento dell’Amministrazione ex
art. 844 c.c. - Insussistenza.
La fattispecie codicistica di cui all’art.
844 c.c. , volta a dirimere mediante
l’intervento del giudice conflitti tra
proprietà immobiliare ed impresa, non può
fondare poteri di intervento
dell’Amministrazione (ma, al massimo,
orientare l’esercizio di poteri attribuiti
da altre norme) (TAR Umbria, Sez. I,
sentenza 22.10.2010 n. 499 - link
a www.ambientediritto.it). |
INCARICHI PROGETTUALI:
Quando la PA deve pagare il
progettista anche se la condizione non si
avvera.
Il giudice di legittimità accoglie il
ricorso, affermando il diritto
dell'architetto all'ottenimento dei compensi
per inerzia dell'amministrazione, poiché, "nel
caso di contratto con una pubblica
amministrazione in cui il pagamento del
compenso per l'opera professionale pattuita
sia subordinato alla circostanza che essa
ottenesse un finanziamento dell'opera
progettata da parte di un soggetto terzo, il
creditore della prestazione deve unicamente
provare il contratto, mentre sarà
l'amministrazione debitrice "sub condicione"
del compenso a dovere dimostrare, in
relazione ai suoi doveri nascenti dall'art.
1358 cod. civ. riguardo al comportamento che
doveva tenere al fine del finanziamento, che
il proprio comportamento fu conforme a detti
doveri" (Corte di Cassazione, Sez. I
civile,
sentenza 03.06.2010 n. 13469 -
link a www.altalex.com). |
EDILIZIA PRIVATA:
IL RISARCIMENTO DANNI PER
RITARDATO RILASCIO DI TITOLO EDILIZIO.
Il danno da ritardato rilascio di una
concessione edilizia (ora, permesso di
costruire) ben può essere cagionato da
un’ostruzionistica condotta del Comune,
consistente in una patologica durata del
singolo procedimento e/o, come nella
concreta fattispecie, in una strumentale
sospensione della convenzione urbanistica,
legittimante il rilascio medesimo.
Tuttavia, anche in presenza di tale
rapporto, fra convenzione a monte e titolo
edilizio da rilasciare a valle, permane
sempre lo stretto nesso di correlazione fra
il danno subito per il ritardo e la condotta
di inerzia medesima, correlazione che radica
la giurisdizione del giudice amministrativo.
E’ quanto affermato dalla Cassazione civile,
sez. I, nella sentenza n. 15827/2010,
ove viene affrontata la problematica del
giudice competente in tema di risarcimento
danni connessi a ritardata emanazione di
concessione edilizia.
La Cassazione pone in essere un’importante
chiarificazione.
E’ evidente, secondo la Suprema corte, che
il danno, derivante da un ritardo
nell’emanazione di un titolo edilizio, può
essere cagionato anche attraverso lo “strumento
indiretto” dell’ostruzionistica
sospensione della convenzione urbanistica,
da cui devono promanare i titoli medesimi.
Tuttavia, non deve essere trascurato il
fatto che permane sempre uno stretto nesso
di correlazione fra il danno subito per il
ritardo e la condotta di inerzia medesima,
correlazione che radica la giurisdizione del
giudice amministrativo.
In altri termini, non ha senso cercare di
censurare giudizialmente il “ritardo di
rilascio di concessione”, attraverso la
formulazione di doglianze contro
l’illegittima sospensione della convenzione.
Si tratta di due fenomeni diversi, che
devono essere considerati in modo autonomo.
Infatti, è sicuramente corretta la censura,
avanzata contro la sentenza di appello,
secondo cui la medesima doveva tener conto
che, a seguito della richiamata pronuncia n.
500/1999, il giudice ordinario può risarcire
danni cagionati a diritti o interessi
legittimi, se correlati ad una illegittima
esplicazione del potere amministrativo.
Quindi, appare conseguenzialmente plausibile
affermare che la Corte di appello avrebbe
dovuto correttamente escludere la sua
cognizione incidentale sui danni da
ritardata concessione, perché, a suo
criterio, riservati alla cognizione del
giudice amministrativo. Tuttavia, ciò di cui
maggiormente occorre tener conto è il fatto
che i ricorrenti non hanno mai contestato,
avanti ad alcun giudice, i singoli atti di
diniego-ritardo delle concessioni, in
relazione ai quali si potrebbe configurare
quasi un atteggiamento di acquiescenza.
Ora, richiedere un risarcimento di tali
danni, non avendo mai contestato i ritardi,
costituisce, ad avviso della Cassazione, una
chiara illogicità. In altri termini, il
ritardato rilascio deve essere oggetto di
un’autonoma impugnazione, come comprovato
anche dalla recente giurisprudenza: “Deve
essere accolta una domanda di risarcimento
del danno, derivante dal ritardato rilascio
della concessione edilizia (nella specie, si
trattava della concessione edilizia per la
realizzazione di un deposito agricolo), nel
caso in cui la P.A. abbia, dapprima,
espresso un diniego di rilascio della
concessione stessa, motivato con la
necessità di apportare alcune modifiche al
progetto originario presentato, e,
nonostante la formale e tempestiva
disponibilità manifestata dal richiedente il
titolo edilizio, ad effettuare le modifiche
progettuali proposte, soltanto
successivamente, e dopo lungo tempo (circa
dieci anni), abbia effettivamente rilasciato
il permesso di costruire” (TAR Campania,
sez. Salerno II, n. 1988/2008)
(commento tratto dalla newsletter del sito
www.centrostudimarangoni.it). |
URBANISTICA: VINCOLI
ESPROPRIATIVI.
Ove una zona sia concretamente vincolata ad
un utilizzo meramente pubblicistico, che non
tollera alcuna iniziativa privata, neanche
attraverso strumenti convenzionali, il
vincolo medesimo preclude ai privati tutte
quelle forme di trasformazione del suolo,
che sono riconducibili alla nozione tecnica
di “edificazione”.
Di conseguenza, l’area interessata è da
considerarsi come inedificabile, con tutti i
connessi effetti, anche per quel che
concerne l’eventuale risarcimento danni da
occupazione espropriativa.
E’ quanto statuito dalla Corte di
Cassazione, Sez. I, nella sentenza n.
14940/2010, ove vengono forniti
importanti chiarimenti in materia,
soprattutto per quel che concerne gli
aspetti risarcitori, correlati ad aree
destinate a verde pubblico attrezzato.
Ad avviso della Cassazione:
a) se un’area è sottoposta ad un chiaro
vincolo, che preclude qualsiasi iniziativa
privata di trasformazione del suolo, è da
considerarsi come inedificabile, con tutti i
connessi effetti;
b) in tale ambito di in edificabilità, deve
essere ricondotta anche la porzione di
terreno destinata a verde pubblico
attrezzato.
Al riguardo, i giudici amministrativi, anche
recentemente (TAR Lombardia, sez. Milano II,
n. 4997/2009), hanno evidenziato che
destinazione ad aree per attrezzature
pubbliche o di interesse pubblico (ad
esempio: zone a verde attrezzato, per lo
sport, per la realizzazione di parchi
pubblici, giardini, campi gioco, impianti
sportivi e relative strutture di servizio)
si pone, certamente, al di fuori dello
schema ablatorio-espropriativo, ma
costituisce, al contempo, espressione di
potestà conformativa, avente validità a
tempo indeterminato, quando lo strumento
urbanistico consente di realizzare tali
previsioni, non solo ad esclusiva iniziativa
pubblica, ma anche ad iniziativa privata o
promiscua pubblico-privata, senza necessità,
appunto, di ablazione del bene.
In altri termini, la destinazione a verde
pubblico attrezzato, come in fattispecie,
essendo manifestazione della potestà
conformativa comunale, non può non incidere
sul regime di edificabilità del terreno, ed
in modo ovviamente negativo;
c) la previsione di un limitato indice di
fabbricabilità per un’area destinata ad un
uso pubblico e per realizzare esclusivamente
opere pubbliche, come in fattispecie, non
vale ad attribuire all’area medesima natura
edificatoria ed a superare l’insormontabile
vincolo conformativo;
d) l’esistenza, in un siffatto contesto
dominato da vincoli di inedificabilità e
conformativi, di un’area, pur teoricamente
edificabile (l’area in zona “B1”), non può
comportare l’utilizzo di un indice medio di
edificabilità, ricavato da diverse zone
omogenee.
Infatti, occorre sempre tener conto del
fatto che l’attività edificatoria, che
poteva essere realizzata, non può
considerarsi avulsa dalla zona complessiva
e, quindi, dal rispetto dei vincoli e delle
destinazioni
(commento tratto dalla newsletter del sito
www.centrostudimarangoni.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
1. Procedimento
amministrativo - Accesso - Atti rientranti
nell'ambito oggettivo della disciplina
dell'accesso - Atti estranei - Discrimen -
Individuazione - Fattispecie.
2. Procedimento
amministrativo - Accesso - Atti rientranti
nell'ambito oggettivo della disciplina
dell'accesso - Atti di gestione del rapporto
di lavoro privatizzato (Poste Italiane) -
Accessibilità.
1. Il
discrimen tra gli atti che devono
considerarsi rientranti nell'ambito
oggettivo della disciplina dell'accesso e
quelli destinati a rimanerne fuori, non va
identificato nella distinzione tra attività
posta in essere nell'esercizio di potestà
pubbliche e attività condotta secondo moduli
privatistici, bensì, nella sottoposizione o
meno del soggetto preposto al suo
espletamento al dovere di imparzialità.
2. Gli atti di gestione del rapporto di
lavoro privatizzato, che hanno natura
giuridica privata, ma che sono funzionali
all'interesse pubblico curato dal datore di
lavoro che rimane, così, vincolato dai
parametri costituzionali di cui all'art. 97
Cost. sono equiparati agli atti
amministrativi e conseguentemente,
ostensibili (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
IV,
sentenza
28.06.2010 n.
2647 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA - COMPETENZE GESTIONALI:
Rifiuti - Abbandono - Ordinanza
ripristinatoria - Art. 14 d.lgs. n. 22/1997 -
Art. 192 d.lgs. n. 152/2006 - Competenza -
Sindaco - Deroga al disposto di cui all'art.
107 d.lgs. n. 267/2000.
L'art. 14 D.lgs 22/1997, attualmente
riprodotto senza modifiche nell'art. 192
Codice dell'Ambiente, affida il compito di
emanare ordinanze ripristinatorie al
Sindaco, e trattandosi di norma speciale
rispetto all'art. 107 D.lgs 267/2000, deroga
alla ordinaria competenza dei funzionari per
i provvedimenti di ordinaria
amministrazione.
L'art. 192, comma 3, del D.lgs. n. 152/2006
poi è norma speciale sopravvenuta rispetto
all'art. 107, comma 5, del D.lgs. n.
267/2000 ed attribuisce espressamente al
Sindaco la competenza a disporre con
ordinanza le operazioni necessarie alla
rimozione ed allo smaltimento dei rifiuti,
prevalendo per il criterio della specialità
e per quello cronologico sul disposto
dell'art. 107, comma 5, del D.lgs. n.
267/2000 (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
IV,
sentenza
09.06.2010 n.
1764 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
1. Inquinamento - Siti inquinati -
Competenza provinciale - Esclusività - Nei
soli procedimenti ordinari - Potere di
ordinanza contingibile e urgente -
Sussistenza.
2. Inquinamento - Applicabilità della
disciplina generale ex art. 50, c. 5, d.lgs.
n. 267/2000 - Presupposti - Artt. 244 e 191
d.lgs. n. 152/2006.
1. La competenza della Provincia in materia
di superamento dei valori di concentrazione
soglia in ordine al livello di
contaminazione di un sito (art. 244 d.lgs.
n. 152/2006) può essere considerata come
esclusiva soltanto in relazione ai
procedimenti ordinari, visto che la norma
attributiva del potere non fa uno specifico
riferimento alle situazioni in cui si
ravvisi l'indifferibilità e l'urgenza di
provvedere.
2. Pur a fronte di una normativa speciale
che si occupa, di regola, dell'attività
amministrativa in ordine ai siti inquinati,
si deve ritenere applicabile la normativa
generale, espressione di un potere atipico e
residuale, in materia di ordinanze contingibili e urgenti previste dall'art.
50, comma 5, del D.Lgs. n. 267 del 2000 (T.U.E.L.),
allorquando se ne configurino i relativi
presupposti: sussistenza di una situazione
di effettivo pericolo grave ed imminente per
l'incolumità pubblica, non fronteggiabile
con gli ordinari strumenti di
amministrazione attiva, debitamente motivata
a seguito di approfondita istruttoria (massima tratta da www.solom.it
- TAR Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza
08.06.2010 n.
1758 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI -
EDILIZIA PRIVATA:
Sindaco - Ordinanze contingibili ed urgenti - Demolizione
disposta dal Sindaco di immobile vincolato -
Tutela della pubblica incolumità - Condotta
del Sindaco - Adempimento di un dovere -
Assenza di antigiuridicità - Sanzione
ripristinatoria - Illegittimità.
E' illegittimo il decreto emesso dal
Ministero per i Beni e le Attività culturali
con cui è stato ordinato ad un ente locale
di ricostruire un edificio sottoposto a
vincolo d'interesse storico, abbattuto in
seguito ad un'ordinanza sindacale
contingibile ed urgente, ex art. 38, della
legge n. 142 del 1990 (v. ora art. 54, d.lgs. n. 267 del 2000), nel caso in cui
l'adozione di tale ordinanza sia stata
preceduta da apposite perizie dei tecnici
comunali, nelle quali è stata opportunamente
evidenziata la circostanza che non appariva
possibile eliminare altrimenti, se non con
la demolizione, il pericolo di crollo del
bene ed il conseguente grave ed imminente
pericolo per l'incolumità dei cittadini (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
IV,
sentenza
01.06.2010 n.
1734 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. Procedimento di
condono edilizio - Parere della commissione
edilizia - Non necessario.
2. Alienazione
immobile abusivo - Acquirente subisce gli
effetti del diniego di sanatoria e
dell'ingiunzione di demolizione.
1. La specialità del procedimento di condono
edilizio, rispetto all'ordinario
procedimento di rilascio della concessione
ad edificare e l'assenza di una specifica
previsione in ordine alla sua necessità,
rendono il parere della Commissione
edilizia, per il rilascio della concessione
in sanatoria, non obbligatorio, ma al più
facoltativo.
2. Il nuovo acquirente dell'immobile abusivo
succede in tutti i rapporti giuridici attivi
e passivi facenti capo al precedente
proprietario e relativi al bene ceduto,
subendo gli effetti sia del diniego di
sanatoria, sia dell'ingiunzione di
demolizione, pur essendo l'abuso commesso
prima della traslazione della proprietà (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
IV,
sentenza
31.05.2010 n.
1721 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: AMMINISTRAZIONE
CONTROLLATA.
Non può certo, in via preventiva,
individuarsi una causa di esclusione per il
solo fatto del trovarsi l’impresa in una
situazione di amministrazione controllata,
la quale non è affatto una situazione
parificabile al fallimento od alle altre
situazioni concorsuali, ma, al contrario,
costituisce una situazione, che viene presa
in considerazione dall’ordinamento al fine
opposto di salvare l’impresa dalla
momentanea situazione di difficoltà, per
evitare la dissoluzione della medesima.
E’ quanto statuito dal Consiglio di Stato,
Sez. V, nella
sentenza 21.05.2010 n. 3222, ove
vengono fornite importanti precisazioni in
merito all’abrogato istituto
dell’amministrazione controllata ed ai suoi
possibili effetti ai fini dell’esclusione
dalle pubbliche gare.
L’amministrazione controllata era uno
strumento concesso all’imprenditore, in
situazione di temporanea difficoltà di
adempiere alle obbligazioni contratte (e
non, dunque, in stato di insolvenza), al
fine di prevenire lo stato d’insolvenza e,
pertanto, il conseguente fallimento, sulla
base di concrete possibilità di risanare
l’impresa. In tal modo, quindi, per un
periodo non superiore a due anni, si
concedeva all’imprenditore una dilazione per
l’estinzione dei debiti contratti, mentre
l’attività aziendale proseguiva sotto il
controllo di un commissario e la direzione
del giudice.
A differenza delle altre procedure, quali il
fallimento e la liquidazione coatta
amministrativa, dirette alla liquidazione
dei beni facenti parte del complesso
aziendale per il soddisfacimento dei
creditori, e il concordato preventivo,
diretto sempre al soddisfacimento dei
creditori, seppure mediante un piano di
ristrutturazione, l’amministrazione
controllata aveva lo scopo di salvaguardare
l’attività aziendale e di favorirne il
risanamento, così da consentire
all’imprenditore il soddisfacimento delle
obbligazioni contratte. Tale procedura è
stata abrogata, come già anticipato, dalla
riforma del diritto fallimentare, di cui al
D.Lgs. n. 5/2006, a decorrere dal
16.07.2006, fatte salve le procedure a
quella data già pendenti.
Il giudice amministrativo di appello è
pienamente consapevole dell’estraneità
dell’amministrazione controllata rispetto al
fallimento.
Infatti, il CdS evidenzia che
l’amministrazione controllata non è una vera
e propria procedura concorsuale, che si
introduce a seguito della fine attiva della
vita di un’impresa e diretta a ripartire, in
modo sostanzialmente equitativo, i beni
residui dell’impresa medesima. Niente di
tutto questo! L’istituto costituisce,
invece, un “esperimento interlocutorio”,
tramite il quale si cerca, in qualche modo,
di recuperare alla vita economica attiva
un’impresa, che si trova in uno stato di
crisi e che necessita di essere aiutata nel
risollevarsi dalla crisi medesima, che
potrebbe comprometterne l’esistenza in
futuro.
Per tale ragione, cioè per il fatto che
l’ordinamento prevede (rectius:
prevedeva) un intervento di salvaguardia per
fini risanativi, non può ammettersi,
contraddittoriamente con la suddetta
finalità, che lo stesso ordinamento preveda,
poi, che l’impresa, che si trova in uno
stato di amministrazione controllata, debba
essere esclusa dalla partecipazione ad una
gara pubblica, il quale potrebbe garantire
chances di ripresa. In altri termini,
proprio la partecipazione alle procedure di
scelta del contraente non può che costituire
un’occasione, ovviamente in caso di vittoria
in gara, per la ripresa dell’impresa in
crisi.
Tuttavia, ad avviso dei giudici
amministrativi di appello, l’amministrazione
controllata potrebbe anche non essere
considerata in modo “neutrale” in
sede di gara: “Certamente, in un sistema
di aggiudicazione, ove sia prevista una
valutazione complessiva anche della
struttura esistente delle imprese
partecipanti ad una gara pubblica, può
essere presa in considerazione, ai fini
dell’attribuzione del punteggio, la
situazione organizzativa concreta scaturente
da tale situazione di precarietà, ma non può
certo in via preventiva individuarsi una
causa di esclusione per il solo fatto del
trovarsi l’impresa in una situazione di
amministrazione controllata”.
In buona sostanza, il CdS sostiene che la
stazione appaltante potrebbe, utilizzando il
criterio dell’offerta economicamente più
vantaggiosa, prevedere un punteggio basso od
anche negativo nel caso in cui l’impresa si
trovi in amministrazione controllata. Questo
è, in un certo senso, il limite massimo,
verso cui può legittimamente indirizzarsi la
discrezionalità della stazione appaltante.
Oltre di ciò non è possibile andare,
altrimenti verrebbe pregiudicata la ratio
dell’istituto, diretto a salvare l’impresa
dalla momentanea situazione di difficoltà,
per evitare la dissoluzione della stessa.
Proprio per tali ragioni, il Consiglio di
Stato respinge la tesi dell’Azienda speciale
appellante, fondata sulla presunta necessità
di avere un interlocutore affidabile.
Siffatta argomentazione si scontra
inequivocamente con la finalità
istituzionale, prima indicata, di sostegno
giuridico ed economico all’impresa in
difficoltà, per cui le imprese in
amministrazione controllata sono da
considerare, da un punto di vista
ordinamentale, “soggetti posti sotto
tutela istituzionale e, conseguentemente,
fin tanto che dura tale tutela, certamente
affidabili”
(commento tratto dalla newsletter del sito
www.centrostudimarangoni.it - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
COMPETENZE GESTIONALI -
EDILIZIA PRIVATA:
Ordine di demolizione - Sindaco -
Incompetenza.
La previsione dell'art. 7, l. n. 47/1985
deve essere reinterpretata nel senso che
agli organi politici non spettano compiti di
gestione, ma soltanto competenze di tipo
programmatico.
Non rientra, quindi, nella
competenza del sindaco l'adozione di un
provvedimento di demolizione di opere
abusive, bensì in quelle del dirigente
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
IV,
sentenza 17.05.2010 n.
1532 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
1. Accesso agli atti - Atti di natura
privatistica di soggetti gestori di pubblici
servizi - Ammissibilità - Presupposti.
2. Accesso agli atti - Atti accessibili -
Attività privata o pubblico - Irrilevanza.
1. L'attività amministrativa, alla quale gli
artt. 22 e 23 della legge n. 241 del 1990
correlano il diritto d'accesso, ricomprende,
non solo, quella di diritto amministrativo,
ma, anche quella di diritto privato posta in
essere dai soggetti gestori di pubblici
servizi che, pur non costituendo
direttamente gestione del servizio stesso,
sia collegata a quest'ultima da un nesso di
strumentalità derivante anche, sul versante
soggettivo, dalla intensa conformazione
pubblicistica.
2. Va ribadito, infatti, come il
discrimen tra gli atti che devono
considerarsi rientranti nell'ambito
oggettivo della disciplina dell'accesso e
quelli destinati a rimanerne fuori, non va
identificato nella distinzione tra attività
posta in essere nell'esercizio di potestà
pubbliche e attività condotta secondo moduli
privatistici, bensì, nella sottoposizione o
meno del soggetto preposto al suo
espletamento al dovere di imparzialità (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
IV,
sentenza
12.05.2010 n.
1464 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Illegittimità dell'ordinanza di
demolizione emanata successivamente alla
domanda di sanatoria.
L'Amministrazione, una volta accertata
l'illegittimità di una determinata
situazione di fatto è vincolata a
verificare, prima di procedere all'adozione
dei conseguenti provvedimenti sanzionatori,
la fondatezza delle istanze dei privati
finalizzate ad ottenere il rilascio di
provvedimenti di sanatoria.
E', pertanto,
illegittima l'ordinanza di demolizione di
manufatto abusivo resa successivamente alla
presentazione della domanda di sanatoria (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
IV,
sentenza 11.05.2010 n.
1457 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: VERIFICA
A CAMPIONE.
In sede di verifica a campione, ai sensi
dell’articolo 48 del Codice dei contratti
pubblici (D.lgs n. 163/2006), il possesso
dei requisiti di capacità
economico-finanziaria e
tecnico-organizzativa, eventualmente
richiesti nel bando di gara, non può essere
dimostrato mediante la dichiarazione
sostitutiva di atto di notorietà.
E’ quanto significativamente affermato dal
TAR Calabria-Catanzaro, Sez. II, nella
sentenza 11.05.2010 n. 717, ove
viene fornita un’importante precisazione in
merito alle modalità di comprovazione dei
requisiti “speciali”, in sede di
verifica a campione.
Ad avviso dei giudici calabresi, la
richiesta della stazione appaltante di
pretendere il deposito dell’originale o di
copia autentica della documentazione, è
pienamente legittima, in quanto conforme
all’articolo 48. Di conseguenza, non può che
palesarsi come pienamente legittimo il
provvedimento di esclusione.
La tesi avanzata dal Tar è pienamente
condivisibile, in virtù delle seguenti
considerazioni. In primo luogo, una ragione
letterale, la quale discende proprio dal
mero tenore letterale dell’articolo 48 del
Codice, laddove si prescrive l’obbligo di
…..comprovare, entro dieci giorni dalla data
della richiesta medesima, il possesso dei
requisiti ….., presentando la documentazione
richiesta in detto bando o nella lettera di
invito.
La lettera della norma sembra porre una
connessione stretta fra comprovazione del
possesso dei requisiti e presentazione di
adeguata documentazione, in modo tale da
escludere la possibilità del ricorso
all’autocertificazione. In altri termini, la
documentazione da presentare, la quale deve
adeguatamente comprovare il possesso dei
requisiti, toglie spazio all’applicazione
dell’autocertificazione.
Benvero, l’articolo 48, laddove prevede le
misure da applicare in caso di esito
negativo della verifica, parla proprio di
prova non fornita e di prova non confermante
le dichiarazioni contenute nella domanda di
partecipazione o nell’offerta. Tale prova
non può ridursi ad una mera ripetizione
delle dichiarazioni autocertificative
effettuate in sede di gara! In secondo
luogo, sussiste una ragione di ordine
logico. Infatti, dato atto che, in sede di
gara, il possesso dei requisiti è attestato
da una serie di numerose autocertificazioni,
non ha alcun senso, in sede di verifica a
campione, ripetere tali dichiarazioni, senza
fornire ed allegare alcuna documentazione.
Una verifica siffatta non avrebbe alcun
senso!
Infine, occorre considerare che proprio la
norma, parlando di documentazione indicata
nel bando o nella lettera di invito, fa
riferimento ad un qualcosa di diverso, ad un
“quid novi”, rispetto ad un ulteriore
ed inutile ripetizione di dichiarazioni
autocertificative. Il bando o la lettera di
invito indicano precisi documenti ed è
indubbio che questi debbano essere
presentati, non trovando spazio alcuno il
ricorso all’autocertificazione.
Invero, la plausibile tesi avanzata dal Tar
Calabria risulta confortata anche dalla
pregressa giurisprudenza: “L'autocertificazione
di atti, fatti e qualità personali, pur
costituendo principio generale nei rapporti
con la Pubblica amministrazione, non è
utilizzabile nell'ipotesi in cui
quest'ultima, attivando lo speciale
procedimento di cui all'articolo 10, comma
1-quater L. n. 109/1994, effettui verifiche
a campione sull'effettivo possesso dei
requisiti richiesti in capo ai partecipanti
ad una gara d'appalto” (Consiglio di
Stato, sez. V, n. 6768/2002).
Ancor più chiaramente: “Non appare
conforme allo spirito ed alla lettera della
norma la produzione di autocertificazioni,
al fine di dimostrare il possesso dei
requisiti; al riguardo, va preso in
considerazione innanzitutto il tenore della
norma. La lettera della norma sembra porre
una connessione stretta fra comprovazione
del possesso dei requisiti e presentazione
di adeguata documentazione, in modo tale da
escludere la possibilità del ricorso
all’autocertificazione. In altri termini, la
documentazione da presentare, la quale deve
adeguatamente comprovare il possesso dei
requisiti, toglie spazio all’applicazione
dell’autocertificazione” (Tar Liguria,
sez. II, n. 1282/2001)
(commento tratto dalla newsletter del sito
www.centrostudimarangoni.it - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI:
Rifiuti - Affidamento servizi e forniture -
Recesso dal contratto - Esecuzione del
contratto - Esercizio diritto potestativo -
Giurisdizione del giudice ordinario -
Sussiste.
Premesso che in linea generale, nelle
procedure aventi ad oggetto l'affidamento di
lavori, servizi e forniture, la cognizione
di comportamenti ed atti assunti prima
dell'aggiudicazione e nella successiva fase
compresa tra l'aggiudicazione e la stipula
del contratto, ivi compresa la revoca
dell'aggiudicazione, spetta alla
giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo, mentre la successiva fase
contrattuale, afferente all'esecuzione del
rapporto, spetta alla giurisdizione del
giudice ordinario, l'accordo contrattuale
concluso in modo definitivo è da
considerarsi efficace e sussiste, invece, la
giurisdizione del giudice amministrativo nel
caso in cui il recesso scaturisca da
valutazioni che risultano essere espressioni
di un potere pubblicistico della
amministrazione (Cass., sez. un., 29.08.2008
n. 21928).
Il comune resistente recedendo dal contratto
avente per oggetto la gestione del servizio
di raccolta rifiuti e trasporto RSU
ingombranti, ha inteso pacificamente
azionare il diritto potestativo attribuito
da una specifica clausola del contratto
stipulato individuando nella partecipazione
ad ASM PAVIA SPA e nel conseguente
affidamento alla medesima del servizio
rifiuti, la forma di gestione più economica
e conveniente.
Appartiene alla cognizione dell'autorità
giudiziaria ordinaria il giudizio introdotto
con il ricorso diretto a dimostrare
l'illegittimità degli atti di recesso dalla
convenzione, e, in conseguenza, la
permanente validità del contratto: rileva la
tutela del diritto soggettivo perfetto
all'esecuzione del contratto ed alle
controprestazioni conseguenti. Infatti, il
reale oggetto del giudizio non è l'esercizio
di una pubblica funzione da parte
dell'Amministrazione, ma soltanto il
rapporto convenzionale intercorrente tra le
parti e le relative e reciproche posizioni
di diritto soggettivo e di obbligo (massima tratta da www.solom.it
- TAR Lombardia-Milano, Sez. III,
sentenza
07.05.2010 n.
1385 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
1. Inquinamento - Rifiuti - Ordinanza di
rimozione e bonifica - Responsabilità del
proprietario del terreno - Individuazione.
2. Inquinamento - Rifiuti - Ordinanza di
rimozione e bonifica - Competenza - Comune -
Sussistenza - Art. 192, c. 3, d.lgs. n.
152/2006.
1. La responsabilità del proprietario del
terreno nel quale si ritrovano abbandonati
rifiuti deve essere accertata in concreto
quanto meno a titolo di colpa e di tale
responsabilità, se ne deve dare atto nel
provvedimento che ordina la rimozione dei
rifiuti.
2.
Ai sensi dell'art. 192 D.lgs. 152/2006,
comma 3, il Comune è senza dubbio pienamente
competente a emanare le ordinanza di
rimozione dei rifiuti e di redazione di un
piano di bonifica di un'area inquinata (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
IV,
sentenza
27.04.2010 n.
1159 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Ristrutturazione edilizia -
Ricostruzione dell'edificio demolito -
Parametro di riferimento - Disciplina
vigente all'epoca della realizzazione del
manufatto.
Ai fini della conformità urbanistica della
ristrutturazione edilizia -laddove
realizzata mediante ricostruzione
dell'edificio demolito ed il mantenimento di
tutti i parametri urbanistico-edilizi
preesistenti quali la volumetria, la sagoma,
l'area di sedime ed il numero delle unità
immobiliari- il parametro di riferimento è
rappresentato dalla disciplina vigente
all'epoca della realizzazione del manufatto
come attestata dal titolo edilizio e non da
quella sopravvenuta al momento della
esecuzione dei lavori di ristrutturazione
dovendosi fare salvo, in capo
all'interessato, il diritto acquisito al
mantenimento, conservazione e
ristrutturazione dell'immobile esistente
giacché la legittimazione urbanistica del
manufatto da demolire si trasferisce su
quello ricostruito (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
IV,
sentenza
22.04.2010 n.
1133 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Articolo 21-septies, Legge 241/1990 - Cause
di nullità - Si intendono a numero chiuso -
Cause di nullità c.d. virtuale - Vanno
ricondotte al vizio di violazione di legge -
Annullabilità - Breve termine di decadenza.
La nullità del provvedimento amministrativo
trova la sua disciplina nell'articolo 21-septies della legge
07.08.1990, n. 241.
La norma, introdotta dalla legge 11.02.2005, n. 15, tra le varie opzioni possibili
-ossia tra quella di inserire nel sistema
della patologia dell'atto amministrativo
tutte le ipotesi di nullità (testuale,
strutturale e virtuale) previste
dall'articolo 1418 del codice civile e
quella di ritenere sufficiente la categoria
dell'annullabilità per quanto riguarda i
rapporti amministrativi- ha scelto la
soluzione di compromesso, ossia quella di
escludere la nullità per contrasto con norme
imperative di legge, giudicando tale
categoria particolarmente pericolosa
rispetto alle esigenze di certezza e di
stabilità dell'azione amministrativa. In
altri termini, le cause di nullità debbono
intendersi a numero chiuso, così come
peraltro già ritenuto dalla giurisprudenza
del Consiglio di Stato (Cons. St.,VI,
13.06.2007, n. 3173; V, 26.11.2008, n.
5845).
Pertanto, le ipotesi astrattamente
riconducibili alla nullità c. d. virtuale
vanno ricondotte al vizio di violazione di
legge, atteso che le norme riguardanti
l'azione amministrativa, dato il loro
carattere pubblicistico, sono sempre norme
imperative e quindi non disponibili da parte
dell'amministrazione.
Quindi esse si convertono in cause di
annullabilità del provvedimento, da farsi
valere entro il breve termine di decadenza,
a tutela della stabilità del provvedimento
amministrativo (recentemente anche Cons. di
Stato, sez. V - 15.03.2010 n. 1498) (massima tratta da www.solom.it
- TAR Lombardia-Milano, Sez. III,
sentenza 14.04.2010 n.
1082 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
1. Responsabilità della Pubblica
Amministrazione - Danno da ritardo -
Fattispecie.
2. Responsabilità della Pubblica
Amministrazione - Danno da ritardo -
Illegittimità della condotta - Fattispecie.
3. Responsabilità della Pubblica
Amministrazione - Danno da ritardo - In caso
di interessi pretensivi - Fattispecie.
1. Le pubbliche amministrazione devono
risarcire il mero danno da ritardo
procedimentale a prescindere dalla
valutazione sulla conseguibilità del bene,
in quanto l'interesse procedimentale leso
dal ritardo è distinto dalla tutela
accordata all'utilità finale perseguita dal
privato e consiste nell'interesse
all'adempimento da parte della P.A. al
generale dovere di correttezza.
2. Il mancato conseguimento del bene della
vita, cui la società legittimamente
aspirava, costituisce l'evento dannoso,
mentre la condotta ingiustificatamente
omissiva del Comune costituisce il fatto
illecito che ha cagionato il danno.
3. Il danno ingiusto che la pubblica
amministrazione deve risarcire, nel caso di
interessi pretensivi, riguarda tutto ciò che
è conseguenza di un mancato conseguimento
del bene della vita, che era sotteso
all'istanza avanzata, cui è stato risposto
con un diniego illegittimo (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
IV,
sentenza 14.04.2010 n.
1080 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. Natura precaria
di un manufatto - Destinazione dell'opera
come attribuita dal costruttore -
Irrilevanza.
2. Natura precaria
di un manufatto - Intrinseca destinazione
materiale - Uso precario e temporaneo per
fini specifici contingenti e limitati nel
tempo.
1. Rientrano nella previsione delle norme
urbanistiche e richiedono il rilascio di
concessione edilizia non solo i manufatti
tradizionalmente compresi nelle attività
murarie, ma anche le opere di ogni genere
con le quali si intervenga sul suolo o nel
suolo, senza che abbia rilevanza giuridica
il mezzo tecnico con cui sia stata
assicurata la stabilità del manufatto, che
può essere infisso o anche appoggiato al
suolo, in quanto la stabilità non va confusa
con l'irremovibilità della struttura o con
la perpetuità della funzione ad essa
assegnata, ma si estrinseca nella oggettiva
destinazione dell'opera a soddisfare bisogni
non provvisori, ossia nell'attitudine ad una
utilizzazione che non abbia il carattere
della precarietà, cioè non sia temporanea e
contingente.
2.
La natura precaria di un manufatto, quindi,
non può essere desunta dalla temporaneità
della destinazione dell'opera come
attribuitale dal costruttore, ma deve
risultare dalla intrinseca destinazione
materiale della stessa ad un uso realmente
precario e temporaneo, per fini specifici,
contingenti e limitati nel tempo (massima tratta da www.solom.it
- TAR Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 14.04.2010 n.
1076 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Atti di autotutela assunti dalla p.a. - Art.
21-nonies, Legge 241/1990 - Avviso di avvio
del procedimento - Occorre - Motivazione -
Interessi superiori che inducono la p.a.
all'atto in autotutela.
Dall'art. 21-nonies della legge 7 agosto
1990 n. 241, introdotto dall'art. 14 della
legge 11.02.2005 n. 15 discende in primo
luogo, che l'amministrazione deve porre il
privato nella condizione di poter dedurre,
già in sede procedimentale, i propri
interessi che si oppongono all'assunzione di
un provvedimento in autotutela, i quali
dovranno poi essere oggetto di specifica
comparazione con l'interesse pubblico che
depone invece per l'annullamento del
provvedimento illegittimo. E' dunque
necessario l'inoltro dell'avviso di avvio
del procedimento ai sensi dell'art. 7 della
legge n. 241/1990.
In secondo luogo è altresì necessario che
l'autorità procedente, in esito all'attività
di comparazione degli interessi coinvolti,
dia conto, nel provvedimento finale, delle
ragioni che la inducono a ritenere
prevalenti le esigenze che depongono per
l'annullamento dell'atto, rispetto
all'affidamento che il privato ripone in
ordine alla stabilità del rapporto da esso
regolato.
Occorre quindi che, nella motivazione del
provvedimento di annullamento, vengano
evidenziati i superiori interessi pubblici
attuali e concreti, ulteriori rispetto a
quelli del ripristino della legalità
violata, che inducono la pubblica
amministrazione ad adottare un atto in
autotutela (massima tratta da www.solom.it
- TAR Lombardia-Milano, Sez. III,
sentenza 13.04.2010 n.
1041 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Bando di gara - Doglianza per la previsione
di clausole che gli impediscono la
partecipazione alla procedura - Immediata
impugnazione.
Le clausole dei bandi, indetti dalle ASL per
il conferimento ai medici di incarichi
libero professionali finalizzati
all'effettuazione degli accertamenti medico
legali di controllo sullo stato di inabilità
temporanea dei lavoratori dipendenti, che
prevedono ipotesi di esclusione dalla
procedura selettiva sono immediatamente
lesive e, per questa ragione, debbono essere
tempestivamente impugnate (cfr. TAR
Lombardia Milano, sez. III, 26.05.2009
n. 3845).
Si tratta peraltro
dell'applicazione al caso specifico di un
principio più volte ribadito in
giurisprudenza, secondo il quale, il bando
di gara, nonostante la sua natura di atto
generale, necessita di immediata
impugnazione allorquando il ricorrente si
dolga per la previsione in esso di clausole
che gli impediscono la partecipazione alla
procedura (cfr. Consiglio Stato ad. plen.,
29.01.2003, n. 1) (massima tratta da www.solom.it
- TAR Lombardia-Milano, Sez. III,
sentenza 13.04.2010 n.
1036 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. Ingiunzione di demolizione opere edilizie
abusive - Esecuzione dell'opera in totale
difformità dalla concessione o in assenza
della medesima.
2. Carattere vincolato dell'atto di
demolizione - inconsistenza della violazione
dell'art. 7, L. 241/1990.
3. Impugnazione giurisdizionale di un
provvedimento amministrativo che rimetta in
discussione la legittimità del provvedimento
definitivo presupposto, divenuto
inoppugnabile - Inammissibile.
1. In materia urbanistica, il presupposto
per l'adozione dell'ingiunzione di
demolizione delle opere edilizie abusive è
soltanto la constatata esecuzione dell'opera
in totale difformità della concessione o in
assenza della medesima, con la conseguenza
che tale provvedimento, ove ricorrano i
predetti requisiti, è atto dovuto ed è
sufficientemente motivato con l'affermazione
dell'accertata abusività dell'opera, essendo
in re ipsa l'interesse pubblico alla sua
rimozione.
2. Dal carattere vincolato dell'atto di
demolizione, che non avrebbe potuto avere
contenuto diverso da quello adottato,
discende l'inconsistenza della violazione
dell'art. 7, della legge n. 241 del 1990, ai
sensi dell'art. 21-octies della legge
medesima (cfr. sul punto l'orientamento
giurisprudenziale è costante, si vedano a
titolo di esempio Consiglio di stato, sez.
IV, 10.04.2009, n. 2227; TAR Lazio
Roma, sez. I, 16.07.2009, n. 7033;
TAR Puglia Lecce, sez. III, 14.01.2010, n. 141; TAR Campania Napoli, sez. III, 19.01.2010, n. 195).
3.
E' inammissibile l'impugnazione
giurisdizionale di un provvedimento
amministrativo che rimetta in discussione la
legittimità del provvedimento definitivo
presupposto, divenuto inoppugnabile, come
accade nel caso di specie in cui le censure
in esame, formalmente dirette avverso
l'ordine di demolizione, si traducono nella
contestazione del presupposto diniego di
concessione edilizia in sanatoria, non
impugnato nei termini di legge (cfr. sul
punto C.d.S., sez. V, 17.09.2008, n. 4446;
TAR Piemonte Torino, sez. I, 04.09.2009, n.
2253) (massima tratta da www.solom.it
- TAR Lombardia-Milano, Sez. III,
sentenza 13.04.2010 n.
1029 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. Costruzione
vicine ai cimiteri - Inedificabilità
assoluta - Applicabilità.
2. Costruzione
vicine ai cimiteri - Inedificabilità
assoluta -Rigetto della domanda di sanatoria
- Parere favorevole dell'Amministrazione
preposta alla tutela del vincolo - Non
necessario.
1. Il vincolo di inedificabilità assoluta,
imposto dalla legge per le costruzioni
vicine ai cimiteri, in ragione degli
interessi avuti di mira dalla normativa,
vale sia per i centri abitati che per i
fabbricati sparsi.
2. Trattandosi di vincolo assoluto di inedificabilità
non vi è la necessità di richiedere il
parere all'autorità sanitaria preposta al
vincolo, in quanto, come stabilito dall'art.
32, primo comma, della legge n. 47 del 1985,
il rilascio del titolo abilitativo edilizio
in sanatoria per opere eseguite su immobili
sottoposti a vincolo è subordinato al parere
favorevole delle amministrazioni preposte
alla tutela del vincolo stesso e quindi, il
parere è necessario soltanto quando viene
accolta la domanda di sanatoria e non quando
viene negata (massima tratta da www.solom.it
- TAR Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza
02.04.2010 n.
962 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
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