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AGGIORNAMENTI PREGRESSI mese di DICEMBRE 2010

Alcuni files sono in formato Acrobat (pdf): se non riesci a leggerli, scarica gratuitamente il programma Acrobat Reader (clicca sull'icona a fianco riportata).  -      segnala un errore nei links

aggiornamento al 27.12.2010

aggiornamento al 20.12.2010

aggiornamento al 15.12.2010

aggiornamento al 14.12.2010

aggiornamento al 13.12.2010

aggiornamento al 09.12.2010

aggiornamento al 06.12.2010

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

AGGIORNAMENTO AL 27.12.2010

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I migliori Auguri di Buon Anno a Tutti.
LA SEGRETERIA PTPL

NOVITA' NEL SITO

Bottone "CONVEGNI" n. 6 giornate di studio a Bergamo per il 19-26 gennaio e 02-09-16-23 febbraio 2011 organizzate dal portale PTPL.
N.B.: leggere attentamente le istruzioni riportate nella locandina.
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Termine di iscrizione (solamente) on-line: sabato 15.01.2011.

UTILITA'

EDILIZIA PRIVATA: Lombardia, Necessita aggiornare il costo di costruzione entro il 31.12.2010 il cui effetto sarà efficace a decorrere dall'01.01.2011: ecco il fac-simile di determinazione (file 1 - file 2).
ATTENZIONE: se non si adotta la determinazione di aggiornamento entro la suddetta scadenza per tutto il 2011 si dovrà applicare il medesimo costo di costruzione vigente nell'anno 2010 (cfr. art. 48, comma 2, della L.R. n. 12/2005).
Alcune considerazioni: è uscito pochi giorni fa il dato ufficiale della variazione ISTAT relativo al mese di agosto 2010 (ultimo dato disponibile).
Quindi, si può procedere -senza indugio- ad adottare la determinazione di aggiornamento del costo di costruzione poiché da qui a fine mese non uscirà un nuovo indice ISTAT.

QUESITI & PARERI

EDILIZIA PRIVATA: Richiesta di chiarimenti in merito all’applicazione del procedimento semplificato di autorizzazione paesaggistica ai sensi del D.P.R. 09.07.2010 n. 139.
Recentemente, un Comune ha posto il medesimo quesito sia alla Soprintendenza di Milano sia alla Regione Lombardia in merito alla possibilità -o meno- di  applicare la procedura semplificata dell'autorizzazione paesaggistica in quei territori paesaggisticamente vincolati con D.M. di vecchia data che non indica espressamente il tipo di vincolo di cui alle lettere a), b), c), d) dell'art. 136, comma 1, del D.Lgs. n. 42/2004.
Nel caso di specie, il quesito formulato -del settembre 2010- così recita:
"OGGETTO: Richiesta di chiarimenti in merito all’applicazione del procedimento semplificato di autorizzazione paesaggistica ai sensi del D.P.R. 09.07.2010 n. 139.
Richiamato il D.P.R. del 09.07.2010 n. 139, “Regolamento recante procedimento semplificato di autorizzazione paesaggistica per gli interventi di lieve entità”;
Considerato che l’intero territorio comunale è soggetto a tutela paesaggistica in base a vincolo apposto con Decreto Ministeriale del 06/06/1967 pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 159 del 27/06/1967, che si allega in copia alla presente;
Considerato che nell’allegato 1 del regolamento di cui al D.P.R. 139/2010, vengono escluse dall’applicazione del procedimento semplificato, tra l’altro, le opere da realizzarsi su immobili soggetti a tutela ai sensi dell’art. 136, comma 1, lett. a) b) e c) del D.L.gs. 42/2004;
con la presente si chiede, con cortese urgenza, in base a quale casistica letterale dell’art. 136, comma 1, del D.Lgs 42/2004 è soggetto il territorio comunale di ... vincolato ai sensi del D.M 27/06/1967 e, nella fattispecie, se gli immobili del territorio comunale rientrano esclusivamente nella tutela prevista dall’art. 136, comma 1, lett. d).
In attesa di un Vostro cortese riscontro, colgo l’occasione per porgere cordiali saluti.
".

Ad oggi risulta che abbia risposto solamente la Regione Lombardia, Direzione Generale Sistemi Verdi e Paesaggio, con nota 21.12.2010 n. 15159 di prot..
A Voi il piacere di leggere la risposta ...

AMBIENTE-ECOLOGIA: L’Italia si è adeguata alla direttiva 2008/98/CE? (link a www.ambientelegale.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Cosa occorre per la consegna dei dispositivi usb- SISTRI? (link a www.ambientelegale.it).

SINDACATI

PUBBLICO IMPIEGO: Il foglio dei lavoratori della Funzione Pubblica (CGIL-FP di Bergamo, dicembre 2010).

GURI - GUUE - BURL (e anteprima)

ENTI LOCALI: G.U. 24.12.2010 n. 300 "Differimento del termine per la deliberazione del bilancio di previsione per l’anno 2011 da parte degli enti locali" (Ministero dell'Interno, decreto 17.12.2010).

ENTI LOCALI - VARI: G.U. 21.12.2010 n. 297, suppl. ord. n. 281/L, "Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2011)" (L. 13.12.2010 n. 220).

AMBIENTE-ECOLOGIA: G.U. 20.12.2010 n. 296 "Attuazione della direttiva 2008/105/CE relativa a standard di qualità ambientale nel settore della politica delle acque, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 82/176/CEE, 83/513/CEE, 84/156/CEE, 84/491/ CEE, 86/280/CEE, nonché modifica della direttiva 2000/60/ CE e recepimento della direttiva 2009/90/CE che stabilisce, conformemente alla direttiva 2000/60/CE, specifiche tecniche per l’analisi chimica e il monitoraggio dello stato delle acque" (D.Lgs. 10.12.2010 n. 219).

APPALTI: G.U. 20.12.2010 n. 296 "Trasmissione dei dati dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture - settori ordinari e speciali ed estensione della rilevazione ai contratti di importo inferiore o uguale ai 150.000 euro, ai contratti «Esclusi» di cui agli articoli 19, 20, 21, 22, 23, 24 e 26 del d.lgs. n. 163/2006, di importo superiore ai 150.000 euro, e agli accordi quadro e fattispecie consimili" (Autorità per la Vigilanza sui Contratti Pubblici di lavori, servizi e forniture, comunicato 14.12.2010).

DOTTRINA E CONTRIBUTI

CONSIGLIERI COMUNALI: F. Degni, SUI LIMITI DEL DIRITTO D’ACCESSO ESERCITATO DA CONSIGLIERI COMUNALI NEI CONFRONTI DEGLI ATTI ASSUNTI DAL COMUNE (TAR Campania–Napoli, Sez. VI, 02.12.2010 n. 26573) (link a www.amministrazioneincammino.luiss.it).

APPALTI: F. Degni, PRESUPPOSTI DI URGENZA PER L’INDIZIONE DI UNA PROCEDURA NEGOZIATA SENZA PUBBLICAZIONE DEL BANDO (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 10.11.2010 n. 8006) (link a www.amministrazioneincammino.luiss.it).

URBANISTICA: C. Cannizzo, Contenuto e natura giuridica del piano regolatore generale (link a www.diritto.it).

ESPROPRIAZIONE: C. Cannizzo, Previsione urbanistica e procedimento espropriativo (link a www.diritto.it).

APPALTI SERVIZI: L. Lo Biundo, Presupposti e limiti della partecipazione dei partecipazione dei comuni in società ed altri organismi (link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

NEWS

CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO VIMINALE/ Niente gettoni nei consorzi. Sono forme associative e non sfuggono alla tagliola. La stretta sulle indennità disposta dalla manovra si applica estensivamente.
Un consorzio costituito tra province e altri enti locali, per lo svolgimento delle funzioni connesse alla gestione di un parco regionale, può ritenersi escluso dall'applicazione delle disposizioni dell'art. 5, comma 7, ultimo periodo, del dl n. 78 del 31.05.2010, convertito nella legge 30.07.2010, n. 122?
Il sistema delle indennità degli amministratori degli enti locali è stato modificato dalla norma sopra citata che prevede, in particolare, che «agli amministratori di comunità montane e di unioni di comuni e comunque di forme associative di enti locali, aventi per oggetto la gestione di servizi e funzioni pubbliche, non possono essere attribuite retribuzioni, gettoni, indennità o emolumenti in qualsiasi forma siano essi percepiti».
Considerato che l'art. 31 del decreto legislativo 18.08.2000, n. 267, disciplinante i consorzi tra enti locali, è compreso nel capo V del Titolo II del medesimo decreto, dedicato alle forme associative, il divieto riguarda in generale anche i componenti degli organi dei consorzi fra enti locali.
L'ente rientra, anche sotto il profilo funzionale, nella previsione della norma in questione in quanto svolge funzioni pubbliche in base alla legge regionale istitutiva (articolo ItaliaOggi del 24.12.2010 - link a www.ecostampa.com).

CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO VIMINALE/ Incompatibilità.
Sussiste un'ipotesi di incompatibilità nel caso di un sindaco, sospeso dalla carica ai sensi dell'art. 59 Tuel perché condannato in appello con sentenza non definitiva, successivamente eletto consigliere regionale, ma in assenza di convalida della carica regionale? In che modo ed entro quali termini deve essere esercitata l'opzione tra le due cariche?

A seguito della modifica del titolo V della Costituzione con la legge costituzionale n. 3/2001, spetta alle regioni disciplinare le cause di incompatibilità alle cariche elettive regionali; fino all'entrata in vigore delle norme regionali, pertanto, continuano ad applicarsi le disposizioni statali in materia, in forza del principio di cui all'art. 1, comma 2, della legge n. 131/2003.
Se la regione non ha diversamente legiferato in proposito, a seguito dell'elezione del sindaco alla carica di consigliere regionale, si è determinato in capo a tale figura il cumulo di cariche cui osta l'art. 65 del decreto legislativo n. 267/2000.
Soccorre, per la condizione di incompatibilità sopravvenuta, l'applicazione dell'art. 69 del citato decreto legislativo.
Per quanto attiene all'individuazione del momento in cui si è concretizzata l'incompatibilità, rileva la data di proclamazione degli eletti, e non quella di convalida, secondo i principi generali.
Inoltre, il cumulo delle cariche non viene meno per effetto della sospensione ai sensi dell'art. 59 del decreto legislativo n. 267/2000.
Il citato istituto, infatti, non influisce sulla titolarità della carica, ma solo sul suo attuale esercizio. Tanto è avvalorato dalla ulteriore previsione normativa, in virtù della quale la «sospensione dall'esercizio della funzione» determina la sostituzione temporanea dello stesso ad opera del vicesindaco ai sensi dell'art. 53, comma 2, del Tuel e cessa di produrre effetti di diritto con il verificarsi dei presupposti indicati dal citato art. 59.
Avendone la titolarità, il sindaco può, pertanto, disporre della carica anche durante il periodo di sospensione, avvalendosi della facoltà di dimettersi, se intende optare per la conservazione della carica di consigliere regionale. Diversamente, può essere avviata la procedura di contestazione prevista dall'art. 69 del decreto legislativo n. 267/2000 (articolo ItaliaOggi del 24.12.2010 - link a www.ecostampa.com).

CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO VIMINALE/ Terzo mandato.
Il cittadino che ha esercitato la carica di sindaco per due mandati consecutivi, può candidarsi per ricoprire un ulteriore mandato?

L'art. 51 del dlgs n. 267/2000, nel disciplinare la durata del mandato del sindaco e del presidente della provincia, prevede che chi ha ricoperto per due mandati consecutivi la carica non è, allo scadere del secondo mandato, immediatamente rieleggibile (comma 2). L'ipotesi di ineleggibilità, pertanto, è applicabile se il terzo mandato è consecutivo ai due precedenti.
Se dopo i due mandati consecutivi ricoperti dall'ex sindaco è stato eletto alla carica sindacale un altro amministratore, anche se l'incarico ha avuto breve durata, si è interrotta la sequenzialità dei mandati elettivi consecutivi, come precisato dal Consiglio di stato con il parere n. 1137/2005.
Pertanto non sussiste, per l'aspirante alla carica sindacale, l'ipotesi ostativa a ricoprire l'ulteriore mandato (articolo ItaliaOggi del 24.12.2010 - link a www.ecostampa.com).

LAVORI PUBBLICINiente fondi alle opere lumaca. Definanziati i lavori che non iniziano nei tempi previsti. Le novità in un dlgs approvato dal cdm. Via alla banca dati degli appalti pubblici.
Automatico definanziamento in caso di mancato avvio dei lavori nei tempi previsti; creazione di una banca dati presso il ministero dell'economia e la ragioneria generale dello stato che garantirà il monitoraggio costante di tutte le opere finanziate con risorse pubbliche; obbligo di indicazione del Cup e del Cig per la tracciabilità dei flussi finanziari.
Sono questi alcuni dei punti qualificanti dello schema di decreto legislativo approvato in via preliminare dal consiglio dei ministri del 22 dicembre, che attua la delega (di cui all'articolo 30 della legge 196/2009) al governo a emanare una disciplina per la razionalizzazione, la trasparenza, l'efficacia e l'efficienza delle procedure di spesa concernenti i finanziamenti in conto capitale destinati alla realizzazione di opere pubbliche.
L'obiettivo è quello di effettuare un monitoraggio costante, anche sugli aspetti di dettaglio, dell'iter di realizzazione delle opere pubbliche, con particolare riguardo all'avanzamento finanziario, fisico o procedurale degli interventi; tale monitoraggio sarà a sua volta utile per valutare il grado di raggiungimento degli obiettivi previsti negli strumenti di pianificazione e programmazione.
Per realizzare ciò si stabilisce che vi siano sistemi gestionali ad hoc con uno standard informativo minimo che tutte le amministrazioni e gli enti aggiudicatori dovranno garantire rispetto a ogni intervento in corso di realizzazione. In particolare le stazioni appaltanti dovranno creare sistemi informatizzati di registrazione e conservazione dei dati contabili relativi a ogni transazione posta in essere anche al fine della tracciabilità dei flussi finanziari; le amministrazioni saranno inoltre tenute a prevedere specifici vincoli tesi ad assicurare ... (articolo ItaliaOggi del 24.12.2010 - tratto da www.corteconti.it).

ENTI LOCALIDiritto all'oblio anche sui siti della p.a.. Le linee guida del garante della privacy.
Diritto all'oblio da tutelare anche sui siti internet delle pubbliche amministrazioni: le PA devono stabilire il termine massimo di consultazione dei documenti diffusi in rete. E una volta trascorso il termine, meglio usare sistemi automatizzati (sistemi di web publishing e Cms, Content management systems) per rimuovere i documenti pubblicati nello Lo precisa il Garante nello schema delle «Linee guida in materia di trattamento di dati personali effettuato da soggetti pubblici per finalità di pubblicazione e di diffusione sul web di atti e documenti adottati dalle pubbliche amministrazioni», disponibile sul sito dell´autoritá www.garanteprivacy.it.
Prima dell'adozione definitiva, l'Autorità, presieduta da Francesco Pizzetti, ha sottoposto il documento 15.12.2010 a una consultazione che si concluderà il 31.01.2011.
Ma vediamo i contenuti del provvedimento, che aggiorna quello analogo del 2007.
Il provvedimento definisce, innanzi tutto, le diverse possibilitá previste per la conoscenza degli atti e dell´attivitá delle pubbliche amministrazioni (trasparenza, pubblicitá e consultabilitá di atti e documenti) e precisa le peculiaritá della pubblicazione su internet: la rete consente la conoscenza indiscriminata delle informazioni, anche con duplicazione dei documenti, in ipotesi senza limiti. Proprio in relazione ai pericoli della rete, lo schema di provvedimento si sofferma sui termini della pubblicazione dei documenti sui siti istituzionali.
I casi sono due. Il primo é quello in cui la legge prevede un termine alla pubblicazione: e allora, una volta trascorso tale termine il documento va rimosso. E´ quanto capita per le pubblicazioni all´albo pretorio delle deliberazioni degli enti locali, che dal primo gennaio 2011 andranno on line, da rimuovere trascorsi quindici giorni. Tra l´altro potrá essere opportuno che il provvedimento nella sua versione finale possa prendere posizione su questioni ancora non chiari come la pubblicazione in rete delle determinazioni dirigenziali.
Nel caso in cui, invece, la disciplina di settore non stabilisce un limite temporale alla pubblicazione degli atti, é la stessa pubblica amministrazione che deve individuare congrui periodi di tempo entro i quali mantenere i documenti on line. A scadenza, determinati documenti o sezioni del sito dovranno essere rimossi dal web ovvero, in alternativa, devono essere inseriti in un'area di archivio consultabile solo a partire dal sito stesso e non raggiungibili utilizzando i motori di ricerca esterni.
Il Garante, a questo proposito, suggerisce di utilizzare sistemi di web publishing e Cms (Content management systems) in grado di attribuire, anche mediante l'utilizzo di parole-chiave (meta-dati) un intervallo temporale di permanenza della documentazione all'interno del sito istituzionale, consentendone una sua agevole rimozione, anche in forma automatica. Se, peró, non si usano sistemi automatizzati, l´ente deve individuare al suo interno i responsabili tenuto alla verifica della validità temporale e del requisito di disponibilità al pubblico delle informazioni. Altro accorgimento che le amministrazioni pubbliche dovranno adottare é finalizzato ad evitare la duplicazione massiva dei file contenenti dati personali, disponibili sui siti istituzionali delle amministrazioni.
Anche per questo scopo il provvedimento si spinge a suggerimenti tecnici: utilizzo di firewall di rete in grado di riconoscere accessi che risultino anomali per numero rapportato all'intervallo di tempo di riferimento oppure filtri applicativi che, a fronte di anomalie, rallentino l'attività dell'utente.
Quanto ai documenti pubblicati, per garantire l´obbligo di conformitá di quanto riportato sul sito con gli originali cartacei, sono necessarie misure per eliminare o ridurre il rischio di cancellazioni, modifiche, alterazioni o decontestualizzazioni delle informazioni e dei documenti resi disponibili tramite Internet. Gli accorgimenti suggeriti sono i seguenti: indicazione, tra i dati di contesto riportati all'interno del contenuto informativo dei documenti, delle fonti attendibili per il reperimento dei documenti; utilizzo di certificati e firma digitale, in modo da assegnare una data asseverabile di creazione del documento che può essere validata con certezza e che consente, a chi faccia uso di quel documento, di verificarne l'attendibilità in qualsiasi momento.
Tra le prescrizioni relative ai motori di ricerca, è preferibile consentire l´acceso ai dati mediante notori di ricerca interni al sito e non con motori di ricerca generali. Il motore di ricerca interno, infatti, assicura accessi maggiormente selettivi (articolo ItaliaOggi del 24.12.2010).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOVisite fiscali, rimborsi retroattivi. Gli enti locali devono pagare anche i costi dei controlli passati. Una sentenza delle sezioni unite della Corte conti rischia di aprire una voragine nei bilanci comunali.
Gli enti locali (ma il principio può valere per tutte le pubbliche amministrazioni) debbono rimborsare alle Usl i costi per le visite fiscali di controllo ai dipendenti in malattia, anche retroattivamente.
Lo chiarisce la Corte dei conti, sezioni riunite, con la deliberazione 14.12.2010 n. 62, secondo la quale l'effetto della sentenza della Corte costituzionale 207/2010, che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'articolo 71, commi 5-bis e 5-ter, del dl 112/2008, convertito in legge 133/2008 non può che avere efficacia ex tunc, come avviene per tutte le sentenze della Consulta, le quali privano di effetti le norme sin dal momento della loro vigenza.
E adesso, per gli enti locali si apre un quadro di forte incertezza ed un rischio di un vero e proprio buco finanziario, come le stesse sezioni riunite ammettono.
Il quadro normativo.
Con i due commi dichiarati incostituzionali dalla Consulta erano stati il tentativo del legislatore di porre a carico del sistema sanitario nazionale i costi per le visite fiscali di controllo effettuati dalle aziende sanitarie nei confronti dei dipendenti pubblici in malattia. Ma, la legislazione statale ha invaso una potestà legislativa esclusiva delle regioni, non rientrando le visite fiscali in prestazioni sanitarie da rendere per la cura della salute, bensì finalizzate all'interesse datoriale a verificare il corretto comportamento dei propri dipendenti. Come tali, potenzialmente onerose.
Incertezze risolte. Le sezioni riunite risolvono ogni possibile incertezza, rispetto agli effetti della sentenza. Per quanto la sentenza della Consulta indirettamente indichi che le regioni possono con propria normativa disporre diversamente in tema di rimborsi per le visite fiscali, la declaratoria di incostituzionalità delle norme viste prima non consente ai comuni di tergiversare, laddove le aziende sanitarie richiedano il rimborso.
La magistratura contabile è chiara: non è consentito «attendere un nuovo intervento del legislatore (o più precisamente un intervento del legislatore regionale, ovvero dell'organo amministrativo di vertice della regione, ovvero del dirigente competente)». I comuni debbono pagare tutto e subito, al momento della richiesta delle Usl.
Effetto boomerang della lotta ai «fannulloni». L'incremento delle visite fiscali, imposto dalla prima riforma-Brunetta, rischia di creare un buco finanziario estremamente rilevante.
Sin dalla sentenza della Consulta, gli enti del sistema sanitario nazionale non se lo sono fatti dire due volte: hanno immediatamente chiesto alle amministrazioni pubbliche il pagamento per le attività di controllo sulle malattie. Dopo la pronuncia della Corte dei conti arriveranno anche le richieste retroattive, decorrenti dal maggio 2008.
Per gli enti locali si rischia un salasso. Infatti, il costo del rimborso chiesto dalle Asl, sia pure in ordine sparso, si aggira mediamente intorno ai 45 euro a visita. Il «conto del personale» nel 2008 ha registrato circa 470 mila eventi di malattia, coincidenti col primo giorno di assenza, da cui deve derivare la richiesta della visita di controllo. Moltiplicando questa cifra per il costo medio del rimborso l'onere per gli enti locali in teoria ammonterebbe a oltre 21 milioni di euro, con buona pace del federalismo. Solo la circostanza che le asl non sono in grado di effettuare tutte le visite richieste attenua nei fatti l'immane onere.
Gli arretrati non sono debiti fuori bilancio. Le sezioni riunite, nel parere escludono che per gli enti locali il rimborso delle visite, anche se riferito a quelle risalenti al 2008, sia da considerare debito fuori bilancio. Al contrario, si tratta di oneri straordinari della gestione cui far fronte con le ordinarie risorse di bilancio, «in quanto l'esercizio sul quale detti oneri potranno gravare non può essere anteriore al 2010, poiché solo a decorrere da tale esercizio, tuttora in corso, le aziende sanitarie potranno avere titolo a presentare richieste di rimborso dei costi connessi alle prestazioni per visite fiscali effettuate in base alla normativa caducata dalla sentenza n. 207 del 2010».
Il parere apre, senza risolvere, il dubbio sulla possibilità di escludere i costi dai saldi relativi al patto di stabilità, considerando che sul 2010 possono scaricarsi all'improvviso oneri ovviamente non previsti gli anni precedenti.
Esigenza di correre ai ripari. Il parere in maniera pacata e prudente evidenzia gli effetti potenzialmente molto negativi per la finanza locale. E, dando atto che il governo, in base all'articolo 17, comma 13, della legge 196/2009, ha la facoltà di intervenire, in sostanza esorta l'esecutivo a valutare l'opportunità (necessità?) di adottare apposite iniziative legislative specie per quanto riguarda i profili di copertura di detti oneri (articolo ItaliaOggi del 24.12.2010 - tratto da www.corteconti.it).

PUBBLICO IMPIEGOGestione, obiettivi e performance in un unico documento. I chiarimenti in una delibera della Civit.
Il programma esecutivo di gestione, il piano dettagliato degli obiettivi ed il piano delle performance costituiscono un unico documento, che deve essere redatto sulla base dei principi dettati dalla legge cd Brunetta. In particolare, esso deve avere un arco programmatico triennale e comprendere anche la performance organizzativa, oltre a quella individuale.
Il sistema di valutazione deve comprendere anche il dizionario delle competenze professionali e delle capacità manageriali.

Possono essere così sintetizzate le principali indicazioni contenute nella delibera 09.12.2010 n. 121 della Civit (Commissione per la valutazione, l'integrità e la trasparenza delle pubbliche amministrazioni).
È questa la stessa delibera (vedi ItaliaOggi di martedì 14) che, con una scelta assai discutibile e che non tiene conto dell'esplicito dettato dell'articolo 7 del dlgs n. 150/2009, vincolante anche per regioni ed enti locali, ha stabilito che gli enti locali possono continuare, in luogo della istituzione dell'Organismo indipendente di valutazione, ad assegnare tale incombenza ai nuclei di valutazione.
Il documento di programmazione che gli enti locali si devono dare deve contenere tanto gli obiettivi strategici che quelli operativi e gestionali, fermo restando che ambedue devono soddisfare i requisiti previsti dal legislatore; in particolare i secondi devono essere strettamente coordinati con i primi, anzi discenderne con una struttura ad albero, per riprendere il linguaggio usato dalla stessa Civit. E inoltre devono esplicitare i risultati attesi sul terreno del miglioramento della qualità dei servizi erogati ai cittadini, nonché su quello degli indicatori fondamentali della gestione dell'ente.
Devono inoltre indicare le azioni che concretamente le amministrazioni intendono intraprendere per realizzare tali obiettivi, anche avvalendosi degli esiti della misurazione e valutazione delle performance. Ad esempio, traducendo in iniziative concrete le valutazioni espresse sulla attività dell'ente dai soggetti interessati, dagli utenti e dai cittadini. E, infine, devono essere redatti utilizzando un linguaggio chiaro: la trasparenza costituisce uno degli elementi essenziali assunti dal legislatore e che serve a garantire il cd controllo sociale.
In aderenza al dettato legislativo questo documento deve avere un carattere «programmatico triennale»; il che impone una sua sostanziale riscrittura. In particolare, come per il bilancio e per la programmazione del fabbisogno del personale e delle opere pubbliche, appare opportuno che esso sia strutturato in parti riferite ai singoli anni. Quello iniziale deve avere un carattere immediatamente operativo e vincolante, quelli dei due anni successivi caratterizzarsi essenzialmente per la indicazione di un percorso e, perciò, congiungendosi direttamente con la relazione previsionale e programmatica e con l'eventuale bilancio di mandato.
Al Peg/piano delle performance deve strettamente connettersi la metodologia per la valutazione delle performance organizzativa ed individuale. In particolare, ciò deve rendere possibile il percorso di miglioramento che l'ente ha imboccato, il grado di raggiungimento degli obiettivi strategici, il miglioramento degli indicatori riferiti alla condizione «strutturale» dell'amministrazione.
La deliberazione Civit ci ricorda quanto alla performance organizzativa sia strettamente connessa quella individuale: una parte rilevante della valutazione dei singoli dirigenti e, anche se in misura minore, dei dipendenti viene infatti collegata all'andamento complessivo dell'ente ed all'apporto dato dai singoli al raggiungimento degli obiettivi strategici dell'ente e/o delle sue articolazioni organizzative. Ed inoltre non dobbiamo dimenticare che alla performance organizzativa saranno, con i nuovi contratti collettivi, legati una parte rilevante delle risorse destinate alla incentivazione del trattamento economico accessorio di dirigenti e dipendenti.
Nella metodologia di valutazione occorre inoltre prevedere l'assegnazione di pesi specifici ai singoli obiettivi ed agli indicatori di capacità gestionale. E redigere il cosiddetto dizionario delle competenze, da intendere come «lista dei comportamenti o come insieme di conoscenze, capacità e attitudini. In tal modo la valutazione sarà sempre più orientata al miglioramento delle capacità professionali e della organizzazione e sarà meno arbitraria» (articolo ItaliaOggi del 24.12.2010).

ENTI LOCALIP.a., moduli soltanto su Internet. No a richieste di formulari non presenti sui siti istituzionali.
Le pubbliche amministrazioni non potranno richiedere l'uso di moduli formulari che non siano stati pubblicati sui propri siti istituzionali. Il cittadino fornirà una sola volta i propri dati alla p.a.: sarà onere delle amministrazioni in possesso di tali dati assicurare, tramite convenzioni, l'accessibilità delle informazioni alle altre amministrazioni richiedenti. Entro tre mesi le pubbliche amministrazioni utilizzeranno soltanto la Posta elettronica certificata (Pec) per tutte le comunicazioni che richiedono una ricevuta di consegna ai soggetti che hanno preventivamente dichiarato il proprio indirizzo.
Entro sei mesi, invece, le pubbliche amministrazioni centrali pubblicheranno i bandi di concorso sui propri siti istituzionali.

Lo prevede, tra l'altro, il decreto legislativo recante modifiche al Codice dell'amministrazione digitale, approvato ieri in via definitiva dal Consiglio dei ministri.
La nuova road map della p.a. digitale prevede anche che: entro quattro mesi le amministrazioni individueranno un unico ufficio responsabile dell'attività Ict; entro 12 mesi saranno emanate le ... (articolo ItaliaOggi del 23.12.2010 - tratto da www.corteconti.it).

ENTI LOCALIPassa il milleproroghe, tutti scontenti .
Via libera, ieri, al decreto «Milleproroghe» in Consiglio dei ministri. Dei 400 milioni di euro del 5 per mille, stanziati per il 2011, 100 saranno destinati alla ricerca e all'assistenza ai malati di Sla. Soddisfatte a metà le organizzazioni delvolontariato. Semaforo verde alla liberalizzazione di Internet, tramite il wi-fi, nei locali pubblici e negli alberghi. Smentito l'aumento di 1 euro sui biglietti del cinema. Dimezzati i contributi a sostegno dell'editoria, da 100 a 50 milioni, e azzeramento dei 45 milioni previsti a sostegno 'dell'eminenza tv e radiofonica locale. Aumenta il canone Rai di 1,5 euro.
Varato il «milleproroghe», scoppia la polemica Al 5 per mille i fondi dell'editoria, protesta Fieg. Giallo sull'aumento, poi smentito, dei biglietti del cinema.
Il decreto «milleproroghe», istituto tipicamente italico con il quale i governi rinviano di anno in anno i problemi che non vogliono o non possono affrontare, fa discutere di solito più per i rinvii che non contiene che per quelli effettivamente previsti. Non fa eccezione il testo approvato ieri dal Consiglio dei ministri (che non necessariamente è quello definitivo da pubblicare in Gazzetta ufficiale): prevede il finanziamento aggiuntivo del cinque per mille a beneficio del volontariato e della ricerca, ottenuto però a scapito dei fondi per l'editoria e per l'emittenza radiotelevisiva: una scelta che ha ovviamente suscitato la delusione degli interessati, tra cui la Fieg.
Ma soprattutto tra le proroghe inserite nel provvedimento non ce n'è una che interessa da vicino gli abitanti dell'Aquila e delle zone circostanti, devastate dal terremoto del 6 aprile 2009. Questi contribuenti dal prossimo primo gennaio dovranno iniziare a restituire in cinque anni (60 rate mensili) l'importo delle tasse non pagate a seguito della sospensione degli adempimenti, decisa dopo il sisma.
La notizia non è stata presa bene dagli interessati. Come ha ricordato il deputato del Pd Giovanni Lolli, c'era un impegno almeno verbale dello stesso presidente del Consiglio per garantire agli aquilani lo stesso trattamento riservato a suo tempo ai terremotati di Umbria e Marche, che avevano restituito il dovuto solo dopo vari anni e non al 100 per cento. Anche il presidente della Regione Abruzzo Chiodi (Pdl) si è dichiarato del tutto insoddisfatto della decisione, annunciando per oggi la propria presenza a palazzo Chigi insieme al sindaco dell'Aquila. Chiodi ha già parlato con dell'argomento con il presidente del Consiglio. ... (articolo Il Mattino del 23.12.2010 - tratto da www.corteconti.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOConcorsi la speranza continua. L'efficacia delle graduatorie è spostata fino al 31/12/2011.
Prorogata fino al 31.12.2011 la validità dei concorsi pubblici. Il decreto mille proroghe puntualmente, come ogni anno, prolunga l'efficacia delle graduatorie delle prove concorsuali delle pubbliche amministrazioni, accendendo le speranze degli idonei di poter finalmente essere assunti nei ruoli delle amministrazioni pubbliche. Impresa che rimane difficile, considerando i limiti alle assunzioni da ultimo imposti dalla manovra estiva 2010.
Si tratta dell'ennesimo intervento posto a consentire alle amministrazioni pubbliche di non attivare nuove prove concorsuali e, dunque, di affrontare i relativi oneri non solo finanziari, ma anche organizzativi. In questo periodo di crisi del mercato del lavoro, le amministrazioni in grado di assumere hanno visto un incremento esponenziale delle domande di partecipazione ai concorsi. Segno evidente che anche chi prima preferiva rivolgersi al mercato privato, oggi considera indispensabile provare ad entrare nella pubblica amministrazione.
L'articolo 4 dello schema di decreto mille proroghe interviene sul termine fissato al 31.12.2010 dall'articolo 5, comma 1, del dl 207/2008, convertito in legge 14/2009, poi modificato dall'articolo 2, comma 8, del dl 194/2009, convertito in legge 26/2010. Nella realtà, tuttavia, la proroga parte da ben più lontano: infatti, la norma del 2008 aveva prorogato al 31.12.2010 la validità delle graduatorie per le assunzioni a tempo indeterminato approvate successivamente all'01.01.1999 relative alle amministrazioni pubbliche soggette a limitazioni delle assunzioni, allungano i termini a suo tempo già prorogati dall'articolo 1, comma 100, della legge 311/2003.
Ormai, tenere il filo rosso che unisce le varie norme di proroga delle graduatorie diviene un vero e proprio rompicapo. Anche la Corte dei conti beneficerà del decreto: il comma 2 dell'articolo 4, infatti, prevede che le autorizzazioni alle assunzioni e l'efficacia ... (articolo ItaliaOggi del 22.12.2010 - tratto da www.corteconti.it).

APPALTIAumentano le tasse sulle gare. Per la fascia alta del mercato adeguamenti fino al doppio.
Dal 1° gennaio aumenta la tassa sugli appalti: per i contratti minori si tratta di piccoli ritocchi, per la fascia alta del mercato si arriva anche al raddoppio. In nome della tracciabilità finanziaria poi tutte le stazioni appaltanti dovranno richiedere il Cig (codice identificativo di gara), senza più soglie di esenzione: il Cig infatti non è più solo lo strumento che consente di versare la tassa sulle gare, quanto il sistema che consente di abbinare i bonifici e i pagamenti a ogni appalto e quindi deve esser richiesto per tutti i contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, senza distinzione di importo.
Fanno eccezione solo gli appalti per le armi e il materiale bellico e le gare per l'acquisto di energia elettrica e gas. Gli aumenti e le indicazioni sul Cig sono contenuti in un decreto del presidente del Consiglio del 3 dicembre 2010, che fissa appunto la decorrenza degli aumenti dal l gennaio.
A richiederli è stata la stessa Autorità di vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture che ormai -dopo il taglio dei fondi pubblici- trae la sua principale fonte di fmanziamento proprio dal contributo chiesto a operatori e amministrazioni del mercato degli appalti sui cui è chiamata a vigilare.
Oltre ad aumentare, gli importi 2011 saranno anche rimodulati con l'istituzione di scaglioni: ... (articolo Il Sole 24 Ore del 22.12.2010 - tratto da www.corteconti.it).

ENTI LOCALIAl traguardo il codice per la Pa digitale.
Dopo quasi un anno di esame il Consiglio dei ministri dovrebbe oggi approvare in via definitiva il nuovo Codice per l'amministrazione digitale, un decreto legislativo (57 articoli) che fissa i tempi e le modalità per garantire la massima diffusione dell'utilizzo delle tecnologie Ict in ogni ambito della Pa entro il prossimo biennio, in coerenza con il piano e-gov 2012.
Il testo, che è stato corretto sulla base dei pareri del Garante per la protezione dei dati personali, della Conferenza unificata, del Consiglio di stato e delle Commissioni parlamentari competenti, riconosce a cittadini e imprese il diritto di interagire con gli strumenti digitali (posta elettronica e non solo) con le amministrazioni e le società interamente partecipate da enti pubblici o con prevalente capitale pubblico.
Tutti i pagamenti, per esempio, potranno essere effettuati online, ad esclusione delle attività di riscossione tributi, mentre entro tre mesi dal varo del Dlgs tutte le amministrazioni dovranno utilizzare la posta elettronica certificata per tutte le comunicazioni con obbligo di ricevuta di ritorno. Ancora, entro un anno, dovrà essere garantita la piena effettività del processo di dematerializzazione dei documenti e le amministrazioni non potranno più chiedere l'uso di moduli o formulari che non siano resi disponibili sui propri siti web. Sempre entro la fine del 2011, inoltre, ai cittadini non potranno essere più richiesti dati già in possesso della Pa.
Con l'ulteriore digitalizzazione dell'azione amministrativa, rispetto al piano varato 5 anni fa dall'allora ministro Lucio Stanca, si stima una riduzione dei tempi per l'esecuzione delle pratiche fino all'80% e, per effetto della de-materializzazione ... (articolo Il Sole 24 Ore del 22.12.2010 - tratto da www.corteconti.it).

INCENTIVO PROGETTAZIONEAi dipendenti collaudi pagati con l'incentivo.
Non si pub riconoscere ai dipendenti delle stazioni appaltanti che fanno parte delle commissioni di collaudo il compenso secondo le tariffe professionali, cioè lo stesso assegnato ai commissari esterni. Non è possibile, poi, lasciare alle stazioni appaltanti il compito di fissare, secondo i «criteri di semplificazione», i requisiti speciali per i servizi e le forniture che non superano la soglia comunitaria.
Sono le principali obiezioni mosse dalla Corte dei conti al regolamento attuativo del codice appalti, che nel passaggio sui tavoli dei magistrati contabili si vede bocciare cinque norme (delibera 28/2010 della sezione di controllo di legittimità, diffusa ieri).
Non ottiene il visto indispensabile per la registrazione, prima di tutto, l'articolo 238, comma 1, che riconosce ai collaudatori dipendenti delle stazioni appaltanti lo stesso compenso previsto per gli esterni. Per i magistrati contabili, in pratica, si tratterebbe di un doppio compenso, perché per i dipendenti pubblici l'attività di collaudo è già pagata dagli incentivi "Merloni" (quelli tagliati dal 2% allo 0,5% del valore dell'opera e poi ripristinati nella misura originaria).
È lo stesso codice degli appalti, del resto, a precisare che questi incentivi remunerano anche i collaudi (articolo 92, comma 5). A fissare i requisiti speciali per le forniture sotto-soglia, poi, deve essere lo stesso regolamento, e non la stazione appaltante.
Il regolamento, per i magistrati contabili, deve anche stabilire con più precisione l'attività di vigilanza sugli organismi di attestazione (le Soa); il regolamento, invece, affidava il compito a un successivo decreto (articolo Il Sole 24 Ore del 22.12.2010 - tratto da www.corteconti.it).

ENTI LOCALISpese minime per missioni, consulenze e formazione.
Divieto di sponsorizzazione; drastici tagli alle consulenze, alle spese di rappresentanza, alla pubblicità e alle relazioni pubbliche; forte limitazione della formazione; riduzioni alla spesa per l'acquisto e l'esercizio delle autovetture e per le missioni.
Sono questi i vincoli che gli enti locali, come tutte le altre Pa, si trovano a dovere affrontare dal 2011.
Le limitazioni contenute nel Dl 78/2010 determineranno la conseguenza che buona parte delle iniziative per l'animazione delle città e delle manifestazioni culturali dovranno essere eliminate o fortemente ridotte. Su tutte queste disposizioni pende il forte sospetto della illegittimità costituzionale, visto che viene drasticamente limitata l'autonomia delle singole amministrazioni. Dubbio che non è certo fugato dalla possibilità di effettuare compensazioni tra i tagli, purché si rispettino i tetti complessivi.
La concreta applicazione di queste disposizioni richiede preliminarmente alle amministrazioni di determinare la base di partenza: nella stragrande maggioranza dei casi infatti i dati non sono contenuti nei documenti di bilancio, ma richiedono lo svolgimento di attività di ricerca aggiuntive: ad esempio, generalmente la spesa per il complesso degli autoveicoli è nota, ma non quella per le sole autovetture.
Nessuna amministrazione dal prossimo i gennaio potrà effettuare sponsorizzazioni, cioè erogare contributi a fronte di pubblicità. Occorre definire ... (articolo Il Sole 24 Ore del 20.12.2010 - tratto da www.corteconti.it).

PUBBLICO IMPIEGOLa mancata unità crea confusione e ostacola le scelte.
La delibera 09.12.2010 n. 121 emanata dalla Civit giunge in una fase temporale alquanto problematica per le autonomie locali, in quanto oltre a essere alla prese con la predisposizione dei bilanci e con i problemi connessi ai tagli imposti dalla finanziaria, si trovano ora a stringere i tempi relativamente alle modifiche da apportare ai propri regolamenti di organizzazione, alla nomina dell'Oiv e al sistema di valutazione del personale dirigente e non, imposti dal decreto Brunetta entro il termine del 31.12.2010.
In tale contesto, è sorta un'ulteriore diatriba che sta tergiversando nella prassi degli enti, scaturita dall'avvicendarsi di indicazioni contrastanti emerse dal documento di linea guida approvato dall'Anci e passate al vaglio anche da parte della Civit, chiamata a esprimere una valutazione circa i contenuti dello stesso.
Il documento Anci affermava infatti che nella nomina degli Oiv vi era la possibilità da parte degli enti di prevedere la presenza di un soggetto interno, nella veste di coordinatore della struttura organizzativa (segretario o direttore generale) e pertanto conoscitore degli assetti interni: nel giro di pochi giorni, in seguito ad un noto parere messo dalla Civit (in risposta a un quesito avanzato nel mese di novembre dal comune di Cantù), si era affermato che i componenti dell'Oiv dovevano risultate tutti esterni e ciò avrebbe probabilmente richiesto la preventiva ricerca di soggetti con i requisiti indicati dalla delibera Civit 4/2010 e la copertura finanziaria da ricercarsi possibilmente in altre aree del bilancio, pur consapevoli della necessità di mantenere l'invarianza della spesa (ulteriore aspetto contraddittorio).
La delibera 121/2010, considerando probabilmente il fatto che la maggior parte degli enti locali si trova in difficoltà anche nel cercare di adempiere ... (articolo Il Sole 24 Ore del 20.12.2010 - tratto da www.corteconti.it).

PUBBLICO IMPIEGO«Giudici» facoltativi negli enti. I comuni non devono istituire il nuovo organismo di valutazione. La Civit risponde alle indicazioni dell'Anci su come costruire i piani delle performance.
La Civit risponde all'Anci. Le linee guida sulla performance dell'associazione dei comuni sono state passate al setaccio dalla commissione guidata da Antonio Martone.
Le osservazioni fissano degli elementi importanti nelle scelte delle autonomie, soprattutto in questo periodo di adeguamento dei propri ordinamenti. Non va infatti dimenticato che gli enti locali hanno tempo fino al 31 dicembre per individuare e precisare strumenti propri per applicare compiutamente la riforma Brunetta. Certo, i tempi si sono allungati e ora è una corsa al foto-finish.
Le preziose indicazioni arrivano purtroppo a oltre un anno dell'entrata in vigore del Dlgs 150/2009 e dopo tutte le difficoltà interpretative nella concreta attuazione. La delibera 09.12.2010 n. 121 della Civit mette quindi un paletto chiaro a tutta la riforma con due indicazioni specifiche.
Il principio è fondamentale: gli enti locali si devono adeguare esclusivamente alle disposizioni indicate dall'articolo 16 del decreto (richiamate armonicamente dall'articolo 74), mentre è facoltà prendere spunto dalle altre disposizioni per dare maggiore coerenza al sistema. La prima questione specifica riguarda il piano della performance.
L'articolo 10 non è tra le norme di adeguamento e quindi l'Anci ha ritenuto che nel piano esecutivo di gestione vi fossero tutti gli elementi richiesti alla Pa. Tra l'altro, mentre è chiaro che anche le autonomie debbano adottare un sistema di misurazione e valutazione della performance individuale, quella organizzativa è disciplinata da un altro articolo (il numero 8) di non diretto adeguamento.
Per la Civit però il Peg degli enti locali è un po' incompleto per essere equiparato al piano della performance e propone quindi tutta una serie di correttivi da porre in essere. Correttivi interessanti che di fatto dovrebbero comunque già rientrare ... (articolo Il Sole 24 Ore del 20.12.2010 - tratto da www.corteconti.it).

CORTE DEI CONTI

PUBBLICO IMPIEGOBloccate anche le vecchie progressioni di carriera. Promozioni. Effetti solo sullo status giuridico.
Il blocco degli effetti economici correlati alle progressioni di carriera ricomprende tutte le vecchie progressioni, verticali e orizzontali.
La Corte dei conti Lombardia, con il parere 30.11.2010 n. 1015, interpreta in modo estensivo il significato delle «progressioni di carriera comunque denominate» di cui all'articolo 9, comma 21, del Dl 78/2010. Progressioni che possono spiegare effetti solo giuridici e non anche economici nel triennio 2011/2013.
Secondo la dottrina prevalente, le progressioni di carriera facevano riferimento a quelle disciplinate nell'articolo 24 del Dlgs 150/2009 ovvero le vecchie progressioni verticali. Al contrario, la Corte ritiene che la norma abbia una «estensiòne lata» e debba trovare concreta applicazione a prescindere dal nomen juris, nel senso che «ogni variazione di inquadramento del dipendente produrrà effetti soltanto sullo status giuridico, ma non sul trattamento economico dell'impiegato».
La motivazione si basa sul testo normativo, il quale parla di progressioni di carriera «comunque denominate». Poiché la norma non ha effetti retroattivi, la Corte ammette i benefici economici delle progressioni orizzontali disposte nel 2011 con efficacia retroattiva al 2010 a condizione che i presupposti per l'inquadramento siano maturati nel corso del 2010 e che non si tratti di un comportamento volto a eludere il divieto di progressione economica nel triennio 2011-2013 ... (articolo Il Sole 24 Ore del 20.12.2010 - tratto da www.corteconti.it).

AUTORITA' VIGILANZA CONTRATTI PUBBLICI

APPALTI: Tracciabilità. Pubblicate ulteriori indicazioni.
Pubblicata la determinazione 22.12.2010 n. 10 contenente “Ulteriori indicazioni sulla tracciabilità dei flussi finanziari”.
L’atto fa seguito alla determinazione n. 8 adottata dall’Autorità lo scorso 18.11.2010 “Prime indicazioni sulla tracciabilità finanziaria ex art. 3, legge 13.08.2010, n. 136, come modificato dal d.l. 12.11.2010, n. 187” (link a
www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: Contribuzioni. Emanata la Delibera per i contributi obbligatori del 2011.
Pubblicata la Delibera che indica per il 2011 le modalità, i termini e le entità per il versamento dei contributi obbligatori all’Autorità da parte dei soggetti pubblici e privati che intendono avviare una procedura finalizzata alla realizzazione di lavori o all'acquisizione di servizi e forniture.
La deliberazione 03.11.2010 entra in vigore l'01.01.2011 (link a
www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI SERVIZI: Istanza di parere ai sensi dell’art. 69, comma 3, del D.Lgs. n. 163/2006 formulata dall’Arsenale M.M. di Taranto.
L’Autorità, chiamata più volte ad esprimere il proprio avviso ai sensi dell’art. 69 del d.lgs. 12.04.2006, n. 163 ha ritenuto conformi ai principi comunitari ivi richiamati ed alle finalità di promozione dell’occupazione perseguite dal legislatore, le condizioni di esecuzione del contratto d’appalto relative all’utilizzo –da parte dell’aggiudicatario- di cooperative di tipo B (parere del 08/01/2010), di “persone svantaggiate” (parere del 14/05/2009 e parere del 10/09/2008), di lavoratori di pubblica utilità (parere del 13/05/2009), di lavoratori socialmente utili (parere del 24/09/2008)
(parere sulla normativa 31.03.2010 - rif. AG-08/10 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: Procedure negoziate di cui agli articoli 122, commi 7 e 7-bis e 125 del D.Lgs. n. 163/2006 – richiesta di parere.
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Con riferimento alle procedure negoziate, l’amministrazione è comunque tenuta all’espletamento di un confronto concorrenziale, pur con struttura semplificata, che garantisca una scelta del contraente rispettosa dei principi di trasparenza e di par condicio, secondo lo schema prefigurato nella norma di riferimento: invito dei candidati a presentare offerta mediante lettera contenente chiare indicazioni in ordine alle modalità di valutazione delle offerte ed ai termini di aggiudicazione; individuazione dell'operatore economico che ha offerto le condizioni migliori (secondo i criteri del prezzo più basso o dell’offerta economicamente più vantaggiosa), previa verifica del possesso dei requisiti di qualificazione previsti per l'affidamento di contratti di uguale importo mediante procedura aperta, ristretta, o negoziata previo bando; aggiudicazione e stipula del contratto.
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Il combinato disposto dell’art. 122, commi 7 e 7-bis, con l’art. 57, comma 6, del d.lgs. 12.04.2006, n. 163 non consente, in materia di procedure negoziate, di costituire ed utilizzare elenchi o albi di imprese dai quali attingere per i singoli affidamenti.
Una simile possibilità, infatti, non solo non è prevista in tali disposizioni, ma in linea generale non è ammessa per i contratti pubblici di lavori, come precisato nell’art. 40, comma 5, del Codice, ai sensi del quale “è vietata, per l'affidamento di lavori pubblici, l'utilizzazione degli elenchi predisposti dai soggetti di cui all'articolo 32, salvo quanto disposto per la procedura ristretta semplificata e per gli affidamenti in economia”.
L’unica eccezione a tale divieto riguarda, dunque, (oltre a quanto disposto per la procedura ristretta semplificata) gli affidamenti in economia.
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L’indagine di mercato di cui all’art. 56, co. 6, del d.lgs. 12.04.2006, n. 163 deve essere utilizzata dalla stazione appaltante esclusivamente per l’acquisizione di informazioni sull’assetto del mercato e, dunque, sull’esistenza o meno di operatori economici idonei per lo svolgimento del contratto, ma non assume alcuna valenza in termini di impegno a contrarre da parte dell’amministrazione.
Tale fase è, dunque, prodromica all’espletamento della procedura negoziata ex art. 57, comma 6, la quale pur “semplificata” rispetto alle altre procedure contemplate nel Codice, è comunque soggetta ai principi che devono informare tutta l’attività contrattuale della pubblica amministrazione.
L’applicazione di tali principi si traduce, dunque, nell’obbligo di motivazione da parte della stazione appaltante, in relazione al ricorso alla procedura negoziata –previsto dalla norma come “facoltà”- in luogo di quelle “ordinarie”, quale esplicitazione del principio di trasparenza; motivazione da riportare nella determinazione a contrarre
(parere sulla normativa 25.03.2010 - rif. AG-05/10 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI SERVIZI: Procedimento volto ad accertare l’osservanza della normativa per l’affidamento del servizio idrico integrato. Indagine relativa all’affidamento a società miste.
La costituzione di una società a capitale misto, pubblico e privato, rientra nell’ambito del cosiddetto partenariato pubblico privato istituzionalizzato (PPPI) inteso come cooperazione tra partner pubblici e privati che costituiscono un’entità a capitale misto per l’esecuzione di appalti pubblici o di concessioni.
L’apporto privato consiste nel conferimento di capitali o altri beni e nella partecipazione attiva all’esecuzione dei compiti assegnati all’entità a capitale misto e/o nella gestione di tale entità.
Per la costituzione della società mista, il partner privato è selezionato nell’ambito di una procedura ad evidenza pubblica, che ha per oggetto sia l’appalto pubblico o la concessione da aggiudicare all’entità a capitale misto, sia il contributo operativo del partner privato all’esecuzione di tali prestazioni.
È necessario, inoltre, che sia previsto un rinnovo della procedura di selezione “alla scadenza del periodo di affidamento”, evitando così che il socio divenga “socio stabile” della società mista, possibilmente prescrivendo che sin dagli atti di gara per la selezione del socio privato siano chiarite le modalità per l’uscita del socio stesso (con liquidazione della sua posizione), nel caso in cui all’esito della successiva gara egli non risulti più aggiudicatario.
L’autorità aggiudicatrice, qualora intenda riservarsi la facoltà di modificare determinate condizioni dell’appalto dopo la scelta dell’aggiudicatario, dovrà prevedere espressamente tale possibilità di adeguamento, così come le sue modalità di applicazione, nel bando di gara o nel capitolato d’oneri e delimitare l’ambito all’interno del quale la procedura deve svolgersi, cosicché tutte le imprese interessate a partecipare all’appalto ne siano a conoscenza fin dall’inizio e si trovino pertanto in una situazione di parità al momento della formulazione dell’offerta.
Qualsiasi modifica delle condizioni essenziali dell’appalto non prevista nel capitolato d’oneri impone il ricorso a una nuova procedura di gara (cfr. Consiglio di Stato, A.P. 1/2008)
(deliberazione 24.03.2010 n. 15 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: Richiesta di parere in merito alla applicabilità del codice nel caso di contratto misto di compravendita di bene mobile registrato e contestuale contratto di locazione dello stesso al venditore- stazione appaltante.
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Nel caso in cui ricorra un’ipotesi di un contratto attivo e un contratto passivo funzionalmente collegati al fine di realizzare un’unica operazione economica, ai fini del pagamento delle relative contribuzioni, evidenti considerazioni di ragionevolezza suggeriscono di commisurate le contribuzioni alla sola operazione del contratto passivo.
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Nel caso in cui ricorra l’ipotesi di un contratto attivo e un contratto passivo funzionalmente collegati al fine di realizzare un’unica operazione economica, i procedimenti non possono essere disgiunti e si applicherà all’unitaria operazione la disciplina del Codice in quanto compatibile, con particolare riferimento ad un unico codice identificativo e alla vigilanza dell’Autorità.
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Nel caso di contratti funzionalmente collegati, secondo cui due o più contratti assolvono una funzione economica unitaria e trovano l’uno causa nell’altro, devono ritenersi non applicabili le regole che presiedono alla disciplina dei contratti misti, di cui all’art. 14, Codice, di tal ché non si può ritenere applicabile il criterio della prevalenza di un contratto rispetto all’altro
(parere sulla normativa 11.03.2010 - rif. AG-1/10 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI SERVIZI: Procedura aperta della Fondazione Musei Civici di Venezia per l’affidamento, in appalto, della gestione integrata di servizi nei Musei Civici di Venezia e procedure aperte della soc. SMINT S.r.l. per l’affidamento, in concessione, del servizio di bookshop e del servizio di caffetteria nei Musei Civici di Venezia per la durata di 84 mesi.
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L’istituto del raggruppamento trova la sua ratio nell’esigenza di consentire il cumulo dei requisiti speciali frazionabili, consentendo così anche alle imprese di minori dimensioni di prendere parte a gare dalle quali sarebbero altrimenti escluse ed accrescendo, per tale via, la concorrenza per il mercato.
Tanto è evidente la natura pro-concorrenziale dell’istituto, che la giurisprudenza è di recente giunta a ritenere legittima la clausola del bando che ponga il divieto di partecipare in ATI ad imprese che, da sole, siano in grado di soddisfare singolarmente il possesso dei requisiti.
Impedire il cumulo di requisiti per antonomasia frazionabili, quali il fatturato globale (indice della solidità del gruppo) e l’organico medio annuo, non appare in linea con i principi di concorrenza, parità di trattamento e proporzionalità, oltre che con la ratio stessa dell’istituto del raggruppamento; diverso può essere il discorso per requisiti non frazionabili, quale il c.d. “servizio di punta”.
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Nell’ambito della gestione dei beni culturali, i servizi aggiuntivi devono essere affidati in concessione, mentre i servizi strumentali in appalto.
Il diverso regime giuridico applicabile alle due fattispecie deriva dal fatto che l'amministrazione che affida i servizi aggiuntivi non corrisponde alcun prezzo all'affidatario per l'erogazione mentre l’affidatario deve pagare un canone di concessione, accollandosi, dunque, il rischio dell’attività.
Diversamente, nel servizio strumentale di biglietteria il costo, apparentemente finanziato direttamente dagli utenti, in realtà è posto a carico delle risorse dell'amministrazione, poiché il prezzo del biglietto, che dovrebbe essere riversato direttamente e per intero allo stesso committente pubblico, viene in parte trattenuto dal gestore del servizio (cfr. Cass. SS. UU. Civ., ordinanza 12252/2009).
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La scelta della stazione appaltante in merito alla durata del contratto si dovrebbe informare ad una ponderata analisi economica del trade off tra i vantaggi traibili a breve ed a medio/lungo termine dagli affidamenti proiettati in un orizzonte temporale ampio.
Se l’obiettivo della stazione appaltante è quello di ottenere i maggiori benefici al “momento della gara” allora i contratti di lunga durata potrebbero permettere di ottenere maggiore rendita all’aggiudicatario grazie all’ottenimento di maggiori ribassi sul prezzo posto a base d’asta.
Peraltro, gli affidamenti a lungo termine finiscono per vincolare i soggetti pubblici per molto tempo con lo stesso affidatario, aumentando il rischio di lock-in, senza considerare il fenomeno dell’obsolescenza delle tecnologie impiegate nell’erogazione dei servizi o delle metodologie con cui vengono espletati i processi produttivi.
Le stazioni appaltanti, in altri termini, rischiano di precludersi la possibilità di rimettere l’operazione sul mercato, avvantaggiandosi dei minori costi ottenibili grazie all’impiego di nuove tecnologie e/o di nuove formule organizzative/gestionali nell’erogazione dei servizi stessi.
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Nelle procedure di affidamento di appalti di servizi, pur restando il principio della cumulabilità la regola generale conforme alla ratio stessa del raggruppamento, permane la facoltà della stazione appaltante di stabilire, nella lex specialis, una soglia minima quantitativa per ciascuna impresa, al fine di evitare un eccessivo frazionamento tale da rendere inattendibile il giudizio sull’affidabilità del concorrente e ridurre la tutela dell’interesse pubblico, con l’unico limite, peraltro, del rispetto dei principi di proporzionalità, ragionevolezza e non eccedenza rispetto all’oggetto dell’appalto.
Ciò in considerazione del fatto che l’art. 37 del d.lgs. 163/2006 non prevede regole dettagliate circa il riparto dei requisiti all’interno dei raggruppamenti nel settore dei servizi e delle forniture, limitandosi a distinguere i raggruppamenti verticali da quelli orizzontali.
Né, del resto, appare possibile applicare per via analogica, agli appalti di servizi, le disposizioni secondarie dettate per il settore dei lavori pubblici in tema di quote relative al possesso dei requisiti all’interno di un raggruppamento, non essendo tali disposizioni espressione di principi generali dell’ordinamento applicabili a tutte le gare pubbliche
(deliberazione 11.03.2010 n. 13 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI SERVIZI: Bandi di gara per l'affidamento dell'incarico di medico competente per l'espletamento del servizio di sorveglianza sanitaria di cui al D.Lgs. 81/2008 per gli Uffici Provinciali del Dipartimento Regionale Azienda Foreste Demaniali, Assessorato Regionale Agricoltura e Foreste della Regione Sicilia.
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La necessità di mantenere chiuse le buste contenti le offerte economiche presentate d soggetti esclusi dalla gara può desumersi in via indiretta dall’art. 48, comma 1, del d.lgs. 12.04.2006, n. 163, il quale prevede che la comprova del possesso dei requisiti avvenga prima dell’apertura delle buste contenenti l’offerta economica, ma anche dall’art. 266, comma 3, dell’attuale Schema di Regolamento Attuativo del d.lgs. 163/2006.
Con riferimento alle modalità di svolgimento della gara per i servizi di architettura ed ingegneria nei settori ordinari, viene previsto che “la stazione appaltante apre le buste contenenti l’offerta economica relativamente alle offerte che abbiano superato una soglia minima di punteggio relativa all’offerta tecnica, eventualmente fissata nel bando di gara”.
L’art. 266, comma 3, vieta implicitamente l’apertura delle buste contenenti i prezzi dei concorrenti che non hanno superato eventuali soglie di sbarramento per il punteggio tecnico, e quindi, a fortiori di quelli che, in una fase ancora precedente, non sono risultati in regola con la documentazione amministrativa
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Nella predisposizione delle gare di appalto e nella valutazione dell’anomalia delle offerte nelle procedure di affidamento di appalti di lavori pubblici, di servizi e di forniture, gli enti aggiudicatori sono tenuti a valutare che il valore economico sia adeguato e sufficiente rispetto al costo del lavoro e al costo relativo alla sicurezza, il quale deve essere specificamente indicato.
Ciò significa che nella predisposizione delle gare, cioè dei bandi e della documentazione, il costo per la sicurezza deve essere specificamente indicato, separato dalla base d’asta, anche se pari a zero (cfr. Determinazione 3/2008).
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In materia di affidamento di servizi di cui all’allegato IIB, la deroga all’applicazione di una larga parte degli articoli del codice non implica che tali disposizioni non possano essere applicate dalle stazioni appaltanti.
Nel rispetto del principio di “auto vincolo”, le norme del codice espressamente citate nella lex specialis devono essere applicate integralmente.
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Il bando di gara non può operare un’illegittima commistione tra i requisiti soggettivi di partecipazione alla gara e gli elementi oggettivi di valutazione dell’offerta.
La distinzione, come richiamato dall’Autorità nella Determina 4/2009, è stata recentemente confermata dalla sentenza della Corte di Giustizia, Sez. I., 24.01.2008, causa C – 532/06 e, nell'ordinamento interno, dalla circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento Politiche Comunitarie, del 1 marzo 2007, “Principi da applicare, da parte delle stazioni appaltanti, nella scelta dei criteri di selezione e di aggiudicazione di un appalto di pubblico servizio”.
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Il d.lgs. 12.04.2006, n. 163 e la giurisprudenza lasciano ampi margini di discrezionalità alla stazione appaltante rispetto alla scelta del criterio di aggiudicazione, indipendentemente dal fatto che il servizio sia o meno incluso nell’Allegato IIB.
Nella disciplina degli appalti esclusi (in tutto o in parte), il codice non fa espresso riferimento al criterio di aggiudicazione ma, limitandosi ad indicare le norme cui sono soggetti (art. 20, 65, 68 e 225), lascia intendere che la scelta del criterio continua ad essere rimessa alle valutazioni della stazione appaltante, cioè all’obiettivo che questa intende perseguire con lo specifico appalto.
Il codice dei contratti ha stabilito che sussiste una perfetta equiparazione tra i due criteri di aggiudicazione del prezzo più basso e dell'offerta economicamente più vantaggiosa e ha liberalizzato la scelta, da parte delle stazioni appaltanti, del criterio di aggiudicazione degli appalti, rendendola indipendente dalla tipologia di procedura adottata (cfr. determinazione 4/2009).
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In una procedura per l’affidamento di un contratto di servizi diviso in più lotti, il limite all’aggiudicazione di un solo lotto per concorrente va attentamente valutato e ponderato in quanto, specialmente nel caso di mercati caratterizzati da un numero ristretto di potenziali concorrenti, tende a ridurre la competizione in gara e a peggiorare il risultato finale per la stazione appaltante.
La scelta deve avvenire in modo tale da valutare opportunamente la possibilità di incorretta esecuzione del contratto potenzialmente derivante dall’affidamento ad un unico contraente, con il rischio di compressione della concorrenza in gara e di peggioramento del risultato finale per la stazione appaltante.
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La verifica di congruità dell’offerta è un potere tecnico-discrezionale che spetta alla stazione appaltante.
L’esercizio di tale potere prevede, in via generale, che la stazione appaltante verifichi la congruità delle offerte sulla base delle giustificazioni rese e di ulteriori integrazioni eventualmente ritenute necessarie; che il giudizio di congruità possa essere sindacato unicamente sotto il profilo della illogicità o della manifesta infondatezza; e che, conformemente con quanto previsto dall’art. 86 comma 3 del d.lgs. 12.04.2006, n. 163, sia possibile, in ogni caso, verificare la congruità di ogni altra offerta che appaia anormalmente bassa
(deliberazione 25.02.2010 n. 10 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI SERVIZI: Regione siciliana. Azienda Sanitaria Provinciale di Enna. Richiesta di parere in ordine alla possibilità di estensione del contratto di servizio di pulizia.
In attesa dell’emanazione del regolamento di attuazione del d.lgs. 12.04.2006, n. 163, appare possibile, nel rispetto della vigente disciplina di contabilità di Stato, la stipula di un atto aggiuntivo al fine di apportare variazioni all’oggetto di un contratto di servizi, a condizione che l’impresa titolare del rapporto contrattuale possieda i requisiti di idoneità economica, finanziaria, tecnica e professionale richiesti per l’affidamento dell’ulteriore servizio
(parere sulla normativa 14.01.2010 - rif. AG-43/09 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI SERVIZI: Servizi Legali.
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La stazione appaltante può fissare discrezionalmente i requisiti di partecipazione, anche superiori rispetto a quelli previsti dalla legge, purché essi non siano manifestamente irragionevoli, irrazionali, sproporzionati, illogici, nonché lesivi della concorrenza, in violazione quindi dell’articolo 2 del d.lgs. 12.04.2006, n. 163.
La ragionevolezza dei requisiti non deve essere valutata in astratto, ma in correlazione al valore dell’appalto ed alle specifiche peculiarità dell’oggetto della gara. In merito al fatturato, è considerata non incongrua o sproporzionata, né limitativa dell’accesso alla gara la richiesta di un fatturato, nel triennio pregresso, sino al doppio dell’importo posto a base della stessa.
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 I servizi analoghi di cui all’art. 57, comma 5, lettera b), per i quali si può procedere ad una nuova aggiudicazione senza pubblicazione di un bando di gara, devono essere conformi ad un progetto di base e l’importo stimato dei servizi successivi deve essere computato per la determinazione globale del contratto.
In ogni caso, l’eventuale affidamento della gestione di nuovi interventi non può comportare un innalzamento artificioso dei requisiti di partecipazione. Ove il bando preveda la possibilità di ripetizione di servizi analoghi, infatti, i requisiti di partecipazione alla gara e la garanzia richiesta a corredo dell’offerta vanno dimensionati in riferimento all’importo dell’appalto principale, non esclusa la possibilità di fissare ragionevoli e proporzionati requisiti specifici anche per i servizi analoghi.
Se fosse diversamente, d’altronde, si darebbe luogo ad una restrizione del possibile novero dei partecipanti. contraria al principio di proporzionalità poiché i requisiti di ammissione verrebbero a risultare inaspriti in funzione di un innalzamento dell’importo della gara che è invece solo eventuale.
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In una procedura per l’affidamento di servizi di consulenza legale, non è conforme alla normativa di settore la previsione dei documenti di gara che vieti la partecipazione dei raggruppamenti temporanei di professionisti, consentendo allo stesso tempo quella degli studi associati.
Infatti, stante il principio della personalità della prestazione professionale, non è ravvisabile alcuna ontologica e rilevante differenza tra le due figure in esame che possa giustificare un diverso regime giuridico ai fini dell’ammissione alla gara.
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Nell’affidamento di servizi di cui all’allegato II B, la stazione appaltante deve seguire anche le norme che, sebbene non richiamate nell’art. 20 del d.lgs. 12.04.2006, n. 163, siano state espressamente inserite nel bando e negli altri documenti di gara, poiché in questo caso la stazione appaltante si “autovincola” al rispetto di tali norme
(deliberazione 14.01.2010 n. 4 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI SERVIZI: Procedimento di accertamento della legittimità degli affidamenti in house ai soggetti gestori pubblici del Servizio di Gestione Integrata dei rifiuti urbani.
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Nel caso di affidamento in house la giurisprudenza comunitaria considera sussistente il requisito del “controllo analogo” quando l’ente pubblico può esercitare sul soggetto gestore maggiori poteri rispetto a quelli che il diritto societario riconosce alla maggioranza sociale e le decisioni più importanti sono sottoposte al vaglio preventivo dell’ente affidante.
Il requisito dell’attività prevalente a favore dell’ente affidante si ha quando la parte di attività prestata per soggetti diversi dall’ente controllante sia quantitativamente irrisoria e qualitativamente irrilevante sulle strategie aziendali.
Come affermato dalla Corte di Giustizia (sentenza Coditel 13/11/2008 in causa C-324/07), il controllo analogo non è escluso dalla circostanza che il pacchetto azionario sia posseduto da una pluralità di enti pubblici. In tal caso, il controllo può essere esercitato congiuntamente, eventualmente a maggioranza, mentre la condizione relativa alla parte più importante della sua attività può ricorrere considerando l'attività che l’organismo in house svolge con l'insieme di detti enti.
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L'in house rappresenta il tentativo di conciliare il principio di auto-organizzazione amministrativa (che trova corrispondenza nel più generale principio comunitario di autonomia istituzionale), con i principi di tutela della concorrenza e del mercato.
L'Amministrazione si rivolge per reperire una determinata prestazione ad un soggetto che, pur essendo formalmente dotato di personalità giuridica diversa dall'Amministrazione stessa, è sottoposto tuttavia ad un controllo gerarchico da parte dell'Ente, che può essere assimilato al controllo che l'Amministrazione esercita sulle proprie strutture interne. In virtù di tali elementi l'ente in house non va considerato "terzo" rispetto all'amministrazione procedente, ma piuttosto come uno dei servizi propri dell'amministrazione stessa.
In presenza di tali condizioni, quindi, non c'è neppure un contratto, perché esso implica l'esistenza di almeno due soggetti che siano sostanzialmente distinti e tra i quali vi sia una relazione intersoggettiva.
C'è, al contrario, un rapporto organico o di delegazione interorganica; la delega interorganica e il conseguente rapporto di strumentalità dell'ente affidatario rispetto all'amministrazione aggiudicatrice rendono lo svolgimento della prestazione una vicenda tutta interna alla pubblica amministrazione
(deliberazione 13.01.2010 n. 2 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

GIURISPRUDENZA

APPALTI: Sulla legittimità del provvedimento di esclusione di un concorrente disposto per la omessa apposizione del sigillo con ceralacca sulla busta contenente l'offerta economica.
Nel caso in cui il bando di gara commini espressamente l'esclusione obbligatoria, quale conseguenza di talune specifiche violazioni, la stazione appaltante è tenuta a dare precisa ed incondizionata esecuzione a tale previsione, restando preclusa, per l'interprete, qualsiasi diversa valutazione relativamente all'inadempimento.
Pertanto, nel caso di specie, è legittimo il provvedimento di esclusione di un concorrente disposto per la omessa apposizione del sigillo con ceralacca sulla busta contenente l'offerta economica, in quanto nelle gare indette per l'aggiudicazione di un appalto con la p.a. il sigillo con ceralacca del plico contenente le offerte, richiesto a pena di esclusione dal bando, risponde all'esigenza di garantire che il plico non possa essere aperto se non a prezzo di manometterne visibilmente la chiusura (TAR Campania-Napoli, Sez. VIII, sentenza 17.12.2010 n. 27650 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

EDILIZIA PRIVATA: Rilascio del titolo edilizio - Amministrazione comunale - Ricognizioni giuridico-documentali sul titolo di proprietà del richiedente - Necessità - Esclusione - Esibizione del titolo legittimante - Sufficienza.
In sede di rilascio del titolo edilizio, l’amministrazione non è tenuta a svolgere complesse ricognizioni giuridico-documentali sul titolo di proprietà del richiedente, ovvero a risolvere controversie circa i diritti reali vantati da terzi sull’immobile, essendo sufficiente l’esibizione di un titolo che formalmente abiliti al rilascio dell’autorizzazione e facendo ovviamente salvi i diritti dei terzi (Consiglio di Stato, Sez. V, 07.09.2009 n. 5223; Sez. V, 02.10.2002 n. 5165; TAR Campania, Napoli, Sez. III, 30.07.2007 n. 7099 e Sez. II, 18.11.2008 n. 19795) (TAR Campania-Napoli, Sez. VIII, sentenza 16.12.2010 n. 27527 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTI: Sull'illegittimità dell'esclusione da una gara di un concorrente che abbia tempestivamente effettuato il versamento dovuto all'AVCP, anche se con modalità differenti rispetto a quelle contemplate dalla lex specialis di gara.
E' illegittimo il provvedimento di esclusione adottato da una stazione appaltante nei confronti di un'impresa che abbia provveduto tempestivamente ad effettuare il versamento dovuto all'AVCP, secondo, tuttavia, modalità differenti rispetto a quelle prescritte dal disciplinare di gara, in quanto ciò vìola il principio di proporzionalità in materia di appalti pubblici; quest'ultimo, elaborato dalla dottrina e dalla giurisprudenza tedesche, e successivamente assunto come principio generale del diritto comunitario, trova ingresso e rilievo anche nel nostro ordinamento, in specie per il richiamo ad esso effettuato dagli artt. 2, 27 e 30 del d.lgs. n. 163/2006.
Peraltro, ai sensi dell'art. 23 L. n. 262/2005, detto principio va inteso quale criterio di esercizio del potere adeguato al raggiungimento del fine, con il minor sacrificio degli interessi dei destinatari.
Infatti, la verifica del rispetto del principio di proporzionalità deve svolgersi, da un lato, accertando la funzionalità della determinazione amministrativa agli obiettivi perseguiti dalla p.a.; dall'altro, vagliando se essa non risulti spropositata rispetto al perseguimento dell'interesse pubblico primario, e tale da sacrificare gli ulteriori interessi coinvolti nella procedura amministrativa (TAR Toscana, Sez. I, sentenza 16.12.2010 n. 6770 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Procedimento amministrativo - Termine per la conclusione del procedimento - Natura ordinatoria - Intervento nel procedimento in corso, successivamente alla scadenza del termine, dei soggetti aventi titolo - Legittimità.
Il termine per la conclusione del procedimento è di tipo ordinatorio, il cui inutile decorso non è idoneo a determinare l’illegittimità del provvedimento successivamente adottato (Cons. Stato Sez. VI: 25.06.2008, n. 3215; 14.01.2009, n. 140), per cui se l’Amministrazione conserva la potestà di provvedere anche dopo la scadenza del termine suddetto non vi è motivo di ritenere che, fino a quando non abbia provveduto, non possano intervenire nel procedimento tuttora in corso i soggetti aventi titolo a farlo (salvo che l’intervento non risulti in concreto svolto a ridosso della emanazione del provvedimento, dovendosi salvaguardare il principio di buon andamento della pubblica amministrazione) (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 15.12.2010 n. 8931 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTI: Sull'inammissibilità di una domanda di risarcimento per equivalente per mancanza del danno ingiusto.
E' infondata la domanda di risarcimento per equivalente, esperita per l'annullamento di una delibera con la quale l'amministrazione comunale abbia annullato la gara indetta per la manutenzione dell'impianto di pubblica illuminazione, nel caso in cui sia intervenuto l'annullamento giurisdizionale del provvedimento di autotutela amministrativa adottato dall'ente comunale.
Tale annullamento, consentendo al ricorrente di partecipare alla procedura di affidamento del contratto e quindi la reintegrazione in forma specifica nella posizione giuridica lesa, comporta l'inammissibilità della domanda di risarcimento per equivalente per mancanza del danno ingiusto (TAR Calabria-Catanzaro, Sez. II, sentenza 14.12.2010 n. 2942 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

PUBBLICO IMPIEGO: Le mansioni superiori non assumono rilievo neppure per ciò che riguarda la mera maggiorazione retributiva.
Il pacifico e consolidato orientamento della giurisprudenza amministrativa formatosi nella materia per cui è causa trova ampio ed esaustiva esposizione nella sentenza n. 332 dell’08.02.2005 della V Sezione del Consiglio di Stato, dalla quale il Collegio non ravvisa motivo per discostarsi, e della quale, per chiarezza espositiva, è opportuno riportare i passaggi essenziali alla definizione della controversia:
…le… mansioni superiori non assumono rilievo neppure per ciò che riguarda la mera maggiorazione retributiva;
- è già stato autorevolmente affermato che l'art. 36 Cost., che sancisce il principio di corrispondenza della retribuzione dei lavoratori alla qualità e quantità di lavoro prestato, non può trovare incondizionata applicazione nel rapporto di pubblico impiego, concorrendo in detto ambito altri principi di pari rilevanza costituzionale, quali quelli previsti dall' art. 98 Cost. (che nel disporre che «i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione» vieta che la valutazione del rapporto di pubblico impiego sia ridotta alla pura logica del rapporto di scambio ) e dall' art. 97 Cost. (contrastando l'esercizio di mansioni superiori rispetto alla qualifica rivestita con il buon andamento e l' imparzialità dell' Amministrazione, nonché con la rigida determinazione delle sfere di competenza, attribuzioni e responsabilità proprie dei funzionari) (sul punto, già A.P. n. 22 del 19.11.1999);
- il Supremo consesso della giurisdizione amministrativa, già con la citata decisione (e successivamente con le decisioni nn. 10 ed 11 del 2000) ha avuto modo di precisare che nell'ambito del pubblico impiego è la qualifica e non le mansioni il parametro al quale la retribuzione è inderogabilmente riferita, considerato anche l'assetto rigido della Pubblica amministrazione sotto il profilo organizzatorio, collegato anch'esso, secondo il paradigma dell'art. 97, ad esigenze primarie di controllo e contenimento della spesa pubblica; con la conseguenza che l'Amministrazione é tenuta ad erogare la retribuzione corrispondente alle mansioni superiori solo quando una norma speciale consenta tale assegnazione e la maggiorazione retributiva;
-ciò non sussiste nel caso in esame, che verte sulla pretesa retributiva di dipendente di Ente locale;
- sulla materia, infatti, a parte i principi generali sopra enunciati, giova rilevare che tutte le disposizioni dei regolamenti organici dei dipendenti degli Enti locali che, ai sensi dell'art. 220 T.U. 03.03.1934 n. 383, attribuivano rilevanza allo svolgimento di mansioni superiori svolte, sono state abrogate per incompatibilità dall' art. 6 D.L. 29.12.1977 n. 946, come convertito dalla L. 27.02.1978 n. 43, ( con il quale è stato vietato agli Enti predetti di erogare ogni trattamento economico previsto dagli accordi nazionali), il cui contenuto è stato più volte ribadito e da ultimo confermato dall'art. 11 L. 09.02.1983 n. 93 (in termini, Sez. V. n. 3326 del 15.06.2000 e, già prima, n. 1307 del 04.11.1996);
- nella ricostruzione storica dell’evoluzione dell’istituto, con riguardo al graduale passaggio alla «privatizzazione» del rapporto di impiego dei pubblici dipendenti, è stato anche osservato come soltanto l'art. 57 del D.L.vo 03.02.1993 n. 29 ha introdotto (in attuazione della delega legislativa contenuta nell'art. 2, lett. n), della L. 23.10.1992 n. 421) una nuova, completa disciplina dell'attribuzione temporanea di mansioni superiori, riconoscendo entro certi limiti rilevanza economica a detta attribuzione, con disposizioni peraltro innovative del pregresso sistema (IV Sez., n. 1205 del 12.11.1996 n. 1205);
- è stato però rilevato come la norma sia stata poi abrogata dall'art. 43 del D.L.vo 31.03.1998 n. 80, senza avere avuto mai applicazione (la sua operatività è stata più volte differita, da ultimo, al 31.12.1998 con l'art. 39, comma 17, della L. 27.12.1997 n. 449); la materia è stata poi disciplinata dall'art. 56 del D.L.vo n. 29 del 1993 (nel testo sostituito con l'art. 25 del D.L.vo n. 80 del 1998), che (come già l'art. 56 comma 2 nel testo originario) ha confermato l'indirizzo elaborato dal Consiglio di Stato;
- detta norma, nella sua originaria formulazione, prevedeva espressamente la retribuibilità dello svolgimento delle mansioni superiori, ma (comma 6) ne rinvia l'applicazione in sede di attuazione della nuova disciplina degli ordinamenti professionali prevista dai contratti collettivi e con la decorrenza da questi stabilita;
- essa disponeva, infatti che «fino a tale data, in nessun caso lo svolgimento di mansioni superiori rispetto alla qualifica di appartenenza può comportare il diritto a differenze retributive o ad avanzamenti automatici nell'inquadramento professionale del lavoratore» (art. 56 citato comma 6);
- le parole «a differenze retributive o» sono state soppresse dall'art. 15 del D.L. vo 29.10.1998 n. 387 (pubblicato sulla G.U. 07.11.1998 n. 261), ma ovviamente con effetto dalla sua entrata in vigore, sicché l'innovazione, esulando dall'ambito temporale coinvolto dalla presente vertenza, non esplica su di essa alcuna efficacia (in termini, le già citate decisione dell’AP. n. 10 ed 11 del 2000 e 22 del 1999);
- non vi è ragione di dubitare della legittimità costituzionale dell’art. 15 citato, per la parte in cui con conferisce al riconoscimento in questione una portata retroattiva, innanzitutto perché è nell’ordine generale della funzione, che le nuove norme non dispongano altro che per l’avvenire, salvo differente scelta del legislatore che (ove non sia espressamente vietato dallo stesso sistema dei principi costituzionali) è insindacabile anche dalla Corte costituzionale e, sul piano logico, in quanto, come ricostruito nelle citate decisioni dell’Adunanza Plenaria (dalle quali non vi è ragione di discostarsi) altrettanti rilevanti principi costituzionali, di pari grado rispetto a quelli invocati da parte ricorrente, precludevano, nel sistema del pubblico impiego, la generalizzata applicazione del differente principio affermato, in via ordinaria, nel rapporto di lavoro disciplinato dalla normativa privatistica (art. 2103 Cod. civ., come sostituito dall'art. 13 della legge 20.05.1970 n. 300 che, per quanto riguarda l'obbligo di adeguare il trattamento economico alle mansioni esercitate, è stato ritenuto applicabile al settore dell'impiego pubblico –in termini, per tutte, V Sez., 11.05.1989 n. 274- soltanto nei limiti previsti da norme speciali);

ciò vale anche indipendentemente dalla sussistenza o meno di disponibilità di organico vacante e dello svolgimento in concreto delle pretese mansioni superiori, in quanto, il principio della irrilevanza giuridica ed economica dello svolgimento, in tutte le sue forme, di mansioni superiori nell'ambito del pubblico impiego -salvo che tali effetti derivino da un'espressa previsione normativa- è un dato acquisito alla giurisprudenza amministrativa (già prima dell’insegnamento dell’Adunanza Plenaria, fra le tante, IV Sez., 17.05.1997 n. 647; C.G.A.R.S. 27.05.1997 n. 197; V Sez., 30.04.1997 n. 429, 24.03.1997 n. 290, 28.01.1997 n. 99; VI Sez., 26.06.1996 n. 860 e 10.02.1996 n. 189), che risponde testualmente al dettato normativo (come desumibile dalle fonti normative sopra citate) e che, per ciò che concerne specificamente i dipendenti degli enti locali, trova conferma ulteriore, a contrario, nella norma speciale, contenuta nell’art. 72 D.P.R. 13.05.1987 n. 268, che in via eccezionale (e dunque non analogicamente estensibile), prevede la corresponsione della retribuzione per lo svolgimento di funzioni superiori, soltanto allorché si tratti di incarichi di livello dirigenziale, formalmente attribuiti, relativamente a posti di responsabili delle massime strutture organizzative dell’Ente, subordinandola peraltro, al formale conferimento dell’incarico da parte dei competenti organi di vertice (non essendo sufficiente la disposizione organizzativa impartita dal superiore gerarchico)
”.
Gli anzidetti consolidati principi giurisprudenziali sono stati successivamente confermati dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 3 del 23.03.2006 (TAR Sardegna, Sez. II, sentenza 14.12.2010 n. 2685 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZI: Sul diritto alla liquidazione e corresponsione delle somme spettanti a titolo di revisione periodica del prezzo del contratto di appalto in materia di rifiuti.
Ai sensi dell'art. 6, L. n. 537/1993, tutti i contratti ad esecuzione periodica o continuativa devono recare una clausola di revisione periodica del prezzo.
La predetta norma ha carattere imperativo, come tale non suscettibile di deroga pattizia, atteso che la sua finalità primaria è quella di salvaguardare l'interesse pubblico a che le prestazioni di beni e servizi alla P.A. non subiscano, con il tempo, una diminuzione qualitativa per eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione e della conseguente incapacità del fornitore di farvi fronte; pertanto, una eventuale deroga ad opera delle parti contraenti deve considerarsi nulla.
Le norme concernenti la revisione dei prezzi in materia di appalti di servizi, costituendo una disciplina specifica di settore, prevalgono sul regime generale di cui all'art. 1664 c.c.; ne consegue che le clausole difformi sono nulle, pur se la nullità non investe l'intero contratto, in applicazione del principio utile per inutile non vitiatur.
Nel caso di specie, il contratto costituisce applicazione dell'art. 4, comma 4, della legge n. 724/1994, il quale dispone che tutti i contratti ad esecuzione periodica o continuativa debbono recare una clausola di revisione periodica del prezzo, prevedendo espressamente che la revisione dei prezzi del contratto avvenga mediante le rilevate variazioni ISTAT (TAR Puglia-Lecce, Sez. III, sentenza 13.12.2010 n. 2826 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

COMPETENZE GESTIONALIIl sindaco non necessita dell’autorizzazione della giunta o del consiglio per stare in giudizio.
Quanto alla lamentata mancanza di autorizzazione al sindaco a stare in giudizio, è ampiamente noto che nel nuovo ordinamento delle autonomie locali delineato dalla legge n. 142/1990 e dal T.U. EE. LL. n. 267/2000, il Sindaco e il Presidente della Provincia hanno assunto (anche in relazione alla legge 25.03.1993, n. 81, che ne ha previsto l'elezione diretta) un ruolo di vertice politico-amministrativo centrale, in quanto titolari di funzioni di direzione e di coordinamento dell'esecutivo comunale e provinciale, onde l'autorizzazione del Consiglio prima e della Giunta poi, se trovava ragione in un assetto in cui essi erano eletti dal Consiglio e la Giunta costituiva espressione del Consiglio stesso, non ha più ragione di esistere in un assetto nel quale i medesimi traggono direttamente la propria investitura dal corpo elettorale e costituiscono loro stessi la fonte di legittimazione degli assessori che compongono la Giunta, cui il citato T.U. affida il compito di collaborare (con il Sindaco o con il Presidente della Provincia) e di compiere tutti gli atti rientranti nelle funzioni degli organi di governo che non siano riservati dalla legge al Consiglio e che non ricadono nelle competenze, previste dalla legge o dallo statuto, del Sindaco (o del Presidente della Provincia) o degli organi di decentramento (cfr. in tal senso: Cons. Stato, sez. VI, 07.01.2008, n. 33; sez. IV, 19.06.2006, n. 3622; Cass. SS.UU. 16.06.2005 n. 12868) (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 10.12.2010 n. 8730 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Legge Tognoli - Aree pertinenziali esterne - Parcheggi realizzati nel sottosuolo - Esigenze di tutela del paesaggio.
La legge n. 122/1989 (cd. Tognoli) riguarda esclusivamente aree e costruzioni destinate a parcheggio, con esclusione di qualsiasi altra destinazione incompatibile con il vincolo pubblicistico di natura funzionale introdotto dalla stessa legge (Cons. Stato, sez. V, 24.04.2009, n. 2609; Cass., sez. II, 22.08.2006 n. 18255).
La medesima legge prevede peraltro la realizzazione dei parcheggi in aree pertinenziali esterne soltanto se realizzati nel sottosuolo, per contemperare le esigenze di decongestionamento del traffico urbano, dichiaratamente perseguite dalla normativa di settore, con le esigenze di tutela del paesaggio, che, anzi, la stessa legge Tognoli prefigura in termini di prevalenza, lasciando “in ogni caso fermi i vincoli previsti dalla legislazione in materia paesaggistica ed ambientale ed i poteri attribuiti dalla medesima legislazione“ alle amministrazioni regionali e statali (art. 9, comma 1, l. n. 122 cit.) (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 10.12.2010 n. 8729 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: BENI CULTURALI E AMBIENTALI - Principio di leale collaborazione tra Stato, Regioni ed enti locali - Autorità comunale - Poteri di verifica e controllo in materia di tutela ambientale e paesistica.
Lo svolgimento delle funzioni in materia di tutela ambientale e paesistica avviene in ambiti oggettivi caratterizzati da un complesso intreccio di competenze concorrenti dello Stato, delle regioni (o delle province autonome) e degli enti locali, in ragione del quale si impongono fra i predetti soggetti adeguate forme di collaborazione, in ossequio al generale principio di leale cooperazione (v., ad esempio, Corte Cost. sentt. nn. 378 del 2000; 366 del 1992, 1029 del 1988, 337 del 1989; Ad. pl., 14.12.2001, n. 9; cfr. anche Cons. St., sez. VI, 20.01.2003, n. 204).
Questo orientamento riceve definitivo riconoscimento nel nuovo regime di controllo e gestione dei beni sottoposti a tutela, introdotto dal Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al D.Lgs. 22.01.2004, n. 42 e, particolare, dall’articolo 146 per quanto attiene alla tutela diretta e dall’articolo 145 relativamente alla tutela di carattere pianificatorio.
Tanto ciò è vero, che il rispetto delle autonomie comunali deve armonizzarsi con la verifica e la protezione di concorrenti interessi generali, collegati ad una valutazione più ampia delle esigenze diffuse nel territorio, con conseguente possibilità e legittimità dell'eventuale emanazione di disposizioni legislative, statali e regionali, le quali intersechino le ordinarie funzioni pianificatorie attribuite agli enti locali (Corte cost., 27.07.2000, n. 378; cfr. anche sentenza n. 286 del 1997).
Conseguentemente e necessariamente, anche in sede di rilascio ovvero di controllo successivo del titolo edilizio e del controllo dell’attività edilizia spettano all’autorità comunale poteri di verifica e controllo finalizzati al medesimo tipo di tutela (cfr. artt. 12, co. 1, 14, co. 1, 27, co. 2, T.U. n. 380 del 2001) (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 10.12.2010 n. 8729 - link a www.ambientediritto.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Potere di autotutela - Decorso di considerevole lasso di tempo - Criterio di ragionevolezza - Temperamento.
Al potere di autotutela, esercitato dopo un “considerevole lasso di tempo“ (in applicazione dell'art. 21-nonies, l. n. 241 del 1990), deve comunque essere applicato il criterio di ragionevolezza, secondo cui in presenza di posizioni oramai consolidate e a fronte di vizi di legittimità meramente formali, occorre procedere ad un puntuale apprezzamento del ragionevole affidamento suscitato nell'amministrato sulla regolarità della sua posizione (cfr.: Cons. St., sez. VI, 18.08.2009, n. 4958; sez. VI, 02.10.2007, n. 5074).
Pur tuttavia allorché vengano in rilievo contrastanti interessi di terzi, o superiori interessi pubblici, tali principi devono contemperarsi con quello, secondo cui per gli atti che esplicano effetti giuridici permanenti o ripetuti nel tempo il principio di legalità impone all'amministrazione il loro adeguamento in ogni momento al quadro normativo di riferimento.
In questi casi l'interesse pubblico all'esercizio dell' autotutela è "in re ipsa" e si identifica nella cessazione di ulteriori effetti "contra legem" (Cons. St. , sez. VI, 17.01.2008, n. 106; v. anche sez. VI n. 4958/2009, cit.) (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 10.12.2010 n. 8729 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Anche in sede di rilascio ovvero di controllo successivo del titolo edilizio e del controllo dell’attività edilizia spettano all’autorità comunale poteri di verifica e controllo finalizzati alla tutela ambientale.
Trascuriamo di proposito gli aspetti fattuali di questa pronuncia per riportare le importanti osservazioni ricavate dal Consiglio di Stato riguardo al principio in evidenza.
Su questo tema, l’appellante assumeva che solo gli organi periferici del Ministero possono addurre motivazioni di ordine ambientale, paesistico e storico. Tuttavia, i giudici di Palazzo Spada, nel considerare tale assunto privo di ogni supporto normativo e, quindi, di ogni pregio, ricordano che in via generale, secondo un consolidato orientamento della Corte Costituzionale, lo svolgimento delle funzioni in materia di tutela ambientale e paesistica avviene in ambiti oggettivi caratterizzati da un complesso intreccio di competenze concorrenti dello Stato, delle regioni (o delle province autonome) e degli enti locali, in ragione del quale si impongono fra i predetti soggetti adeguate forme di collaborazione, in ossequio al generale principio di leale cooperazione (v., ad esempio, sentt. nn. 378 del 2000; 366 del 1992, 1029 del 1988, 337 del 1989).
La tutela dell’ambiente e del paesaggio, continuano i giudici d’appello, è affidata ad un regime soggettivo di cogestione fra Stato, Regioni ed enti locali, come già magistralmente ricostruito dall’Adunanza Plenaria di questo Consiglio ( Ad. pl., 14 dicembre 2001, n. 9; cfr. anche Cons. St., sez. VI, 20.01.2003, n. 204).
Questo orientamento -che trova(va) preciso riscontro nelle disposizioni del T.U. n. 490/1999- all’epoca dei fatti ancora vigente, come l’articolo 150, il cui comma 3 dispone(va) che le regioni e i comuni possono concordare con il Ministero speciali forme di collaborazione delle competenti soprintendenze alla formazione dei piani, o come l’articolo 151, che affida(va) alle Regioni ed enti subdelegati, in prima battuta, la tutela dei beni ambientali- riceve oggi definitivo riconoscimento nel nuovo regime di controllo e gestione dei beni sottoposti a tutela, introdotto dal Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al D.Lgs. 22.01.2004, n. 42 e, in particolare, dall’articolo 146 per quanto attiene alla tutela diretta e dall’articolo 145 relativamente alla tutela di carattere pianificatorio.
Sotto quest’ultimo aspetto, va inoltre rilevato che il principio di distribuzione delle competenze dei beni ambientali secondo livelli istituzionali differenziati è chiaramente ribadito dalla legge urbanistica n. 1150 del 1942, come successivamente novellata, il cui art. 10, comma 1, dispone che in sede di approvazione degli strumenti urbanistici ben possono essere prodotte quelle varianti riconosciute indispensabili per assicurare, tra l’altro, (lett. c) la tutela del paesaggio e di complessi storici, monumentali, ambientali ed archeologici, la quale perciò raffigura una delle finalità fondamentali del potere di pianificazione territoriale.
Nondimeno, la stessa legge urbanistica attribuisce direttamente anche agli enti locali, già in sede di adozione dello strumento urbanistico, la custodia, la preservazione e la tutela dei beni ambientali, individuando tra i contenuti necessari del piano regolatore i vincoli da osservare nelle zone a carattere storico, ambientale, paesistico (art. 7. co. 1, n. 5 ).
D’altra parte, che lo strumento urbanistico comunale non solo possa, ma debba perseguire finalità anche di tutela ambientale in senso lato è dato acquisito nell’esperienza giurisprudenziale del Consiglio di Stato (fra le tante sentenze v.: sez. IV, 13.10.2010, n. 7478; sez. IV, n. 5478 del 2008; sez. IV, n. 1226 del 1998).
Tanto ciò è vero, che il rispetto delle autonomie comunali deve armonizzarsi con la verifica e la protezione di concorrenti interessi generali, collegati ad una valutazione più ampia delle esigenze diffuse nel territorio, con conseguente possibilità e legittimità dell'eventuale emanazione di disposizioni legislative, statali e regionali, le quali intersechino le ordinarie funzioni pianificatorie attribuite agli enti locali (commento tratto da www.documentazione.ancitel.it - Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 10.12.2010 n. 8729 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

LAVORI PUBBLICI: E’ illegittima l’adozione di atto comportante dichiarazione di pubblica utilità, che non sia stata preceduta dalla comunicazione di avvio del procedimento ai proprietari dell’area interessata dalla costruzione, non potendosi ritenere sufficiente la comunicazione dell’avvio per la fase successiva.
La reiterazione di un vincolo preordinato all’esproprio finalizzato ad uno specifico intervento, poiché destinato ad incidere su una posizione giuridica determinata, deve essere preceduto dall’avviso di avvio del procedimento (Adunanza Plenaria Consiglio di Stato, n. 7 del 2007).
Tale obbligo di comunicare l’avvio del procedimento non può considerarsi superfluo, in via di fatto, neanche se afferente ad una procedura di rinnovazione di precedente progetto di opera pubblica o di dichiarazione di pubblica utilità stante la precedente conoscenza da parte dei proprietari di una precedente procedura ablatoria.
Quando l’amministrazione attivi una nuova procedura ablatoria (rinnovo della dichiarazione di pubblica utilità e vincoli decaduti) deve indefettibilmente comunicare l’avviso di inizio del procedimento, per stimolare l’eventuale apporto collaborativo del privato (così, Consiglio di Stato, IV, 17.04.2003, n. 2004 e Plenaria n. 7/2007).
La comunicazione di avvio del procedimento deve avvenire non al momento dell'adozione del decreto di occupazione di urgenza, ma in relazione ai precedenti atti di approvazione del progetto e di dichiarazione della pubblica utilità dell'opera. Quando ciò non avviene, anche il decreto di occupazione di urgenza è viziato per illegittimità derivata, essendo necessario che la partecipazione degli interessati sia garantita già nell'ambito del pregresso procedimento autorizzatorio, in cui vengono assunte le determinazioni discrezionali in ordine all'approvazione del progetto dell'opera e alla localizzazione della stessa (così, per esempio, Consiglio Stato, sez. IV, 18.03.010, n. 1616).
Inoltre, anche nella ipotesi in cui fosse ancora efficace il vincolo preordinato, ma fossero venuti meno gli effetti della dichiarazione di pubblica utilità, per il rinnovo di questa occorrerebbe il rispetto della normativa riguardante tale specifica fase del procedimento, possibile solo consentendo una rinnovata partecipazione dell'espropriando nel rispetto dei principi desumibili dal t.u. 08.06.2001 n. 327 e dall'art. 7, l. 07.08.1990 n. 241 (Consiglio Stato , sez. IV, 12.05.2009, n. 2931).
La dichiarazione di pubblica utilità non è un subprocedimento del procedimento espropriativo ma costituisce un procedimento autonomo che si conclude con un atto di natura provvedimentale, che incide direttamente sulla sfera giuridica del proprietario ed è immediatamente lesivo, con la conseguenza che appare necessaria la partecipazione degli interessati, nel corso della fase che precede la dichiarazione di pubblica utilità, avendo il fine di consentire la rappresentazione degli interessi privati coinvolti prima che sia disposta la dichiarazione di pubblica utilità per realizzare una ponderata valutazione degli interessi in conflitto (così Consiglio Stato, sez. III, 07.04.2009, n. 479 e Adunanza Plenaria n. 7 del 2007 su menzionata).
Costituisce principio generale ed inderogabile dell'ordinamento vigente che al privato, proprietario di un'area sottoposta a procedimento espropriativo per la realizzazione di un'opera pubblica, deve essere garantita, mediante la formale comunicazione dell'avviso di avvio del procedimento, la possibilità di interloquire con l'amministrazione procedente sulla sua localizzazione e, quindi, sull'apposizione del vincolo, prima della dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza e, quindi, dell'approvazione del progetto definitivo, né sarebbe invocabile come esimente dal dovere in questione il disposto dell'art. 13, comma 1, l. 07.08.1990 n. 241, in quanto detta norma si riferisce ai soli atti a contenuto generale (Consiglio Stato, sez. IV, 29.07.2008, n. 3760) (commento tratto da www.documentazione.ancitel.it  - Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 09.12.2010 n. 8688 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICALa finalità delle misure di salvaguardia è evidentemente quella di impedire che, nelle more del complesso procedimento di approvazione definitiva dello strumento urbanistico, siano posti in essere interventi edilizi che comportino una modificazione del territorio tale da rendere estremamente difficile se non addirittura impossibile l’attuazione del piano urbanistico in itinere.
Proprio per tale finalità di carattere conservativo, le misure devono ritenersi operative sin dal momento in cui l’organo deliberativo dell’ente locale –nel caso di specie il Consiglio Comunale– ha manifestato la propria volontà sull’adozione del piano, quand’anche la relativa deliberazione non sia ancora esecutiva.
La mera adozione della delibera, infatti, al di là della sua esecutività, configura inequivocabilmente l’assetto che l’Amministrazione intende imprimere al territorio e tale assetto non può –nelle more del procedimento che dovrebbe portare alla definitiva approvazione del piano– essere messo in discussione o addirittura vanificato per effetto di interventi edilizi con esso contrastanti.

La finalità delle misure di salvaguardia è evidentemente quella di impedire che, nelle more del complesso procedimento di approvazione definitiva dello strumento urbanistico, siano posti in essere interventi edilizi che comportino una modificazione del territorio tale da rendere estremamente difficile se non addirittura impossibile l’attuazione del piano urbanistico in itinere.
Proprio per tale finalità di carattere conservativo, le misure devono ritenersi operative sin dal momento in cui l’organo deliberativo dell’ente locale –nel caso di specie il Consiglio Comunale– ha manifestato la propria volontà sull’adozione del piano, quand’anche la relativa deliberazione non sia ancora esecutiva.
La mera adozione della delibera, infatti, al di là della sua esecutività, configura inequivocabilmente l’assetto che l’Amministrazione intende imprimere al territorio e tale assetto non può –nelle more del procedimento che dovrebbe portare alla definitiva approvazione del piano– essere messo in discussione o addirittura vanificato per effetto di interventi edilizi con esso contrastanti.
A tale conclusione si perviene anche dall’esegesi della specifica disciplina sulle misure di salvaguardia.
In primo luogo, deve rilevarsi che l’abrogato articolo unico della legge 1902/1952 stabiliva espressamente che le misure fossero disposte <<A decorrere dalla data della deliberazione comunale di adozione dei piani (…)>>; mentre l’attuale art. 12, comma 3, del DPR 380/2001 fissa la durata massima delle misure con decorrenza <<(…) dalla data di adozione dello strumento urbanistico>>, prescindendo quindi dall’esecutività della suddetta delibera di adozione.
Del resto, anche la giurisprudenza amministrativa ha ammesso l’operatività delle misure <<(…) prima che la delibera divenga esecutiva per effetto della pubblicazione>> (così, TAR Lombardia, Brescia, 17.05.2001, n. 358).
Tale normativa speciale deve reputarsi prevalente sulla eventuale difforme normativa generale, come quella citata dalla società esponente, vale a dire l’art. 21-quater della legge 241/1990, che del resto, al primo comma, fa salvo quanto <<(...) sia diversamente stabilito dalla legge>> (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 03.12.2010 n. 7475 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

CONSIGLIERI COMUNALIDoppio gettone per i sindaci-consiglieri provinciali. Il TAR Piemonte sconfessa la tesi del governo e della corte dei conti.
Doppio compenso per i sindaci che sono anche consiglieri provinciali. I sindaci hanno il diritto di percepire anche il gettone di presenza per la partecipazione ai consigli provinciali. Il cumulo non è vietato dall'articolo 82 del Testo unico per gli enti locali, neppure dopo la modifica apportata dalla Finanziaria per il 2008, che ha inserito una espressa disposizione sulla non cumulabilità.
Questa la decisione del TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 03.12.2010 n. 4377, che ha ribaltato i diversi orientamenti espressi dal ministero e dalla Corte dei conti.
Il divieto, ha precisato la decisione in esame, riguarda i gettoni previsti per le sedute di organi dello stesso ente; mentre la norma in esame blocca il cumulo di indennità (e non dei gettoni di presenza) con quelle di funzione. Ma vediamo di illustrare la sentenza.
Alcuni consiglieri provinciali hanno chiesto al Tribunale amministrativo di accertare il loro diritto a percepire il gettone di presenza da ritenere cumulabile con l'indennità di funzione connessa alla carica di sindaco dagli stessi ricoperta.
La provincia coinvolta ha, invece, negato la cumulabilità delle indennità di carica con i gettoni di presenza maturati per le giornate di partecipazione alle adunanze consiliari.
Al centro del contendere è l'articolo 82 del Testo unico degli enti locali (Tuel), il quale al comma 5 afferma la non cumulabilità di indennità di funzioni pubbliche e al comma 7, però, prescrive che agli amministratori titolari di una indennità di funzione non è dovuto alcun gettone per la partecipazione a sedute degli organi collegiali «del medesimo ente, né di commissioni che di quell'organo costituiscono articolazioni interne ed esterne».
La sentenza, nel ricostruire la normativa, ha evidenziato che è stato abrogato il sesto comma del medesimo articolo 82, che sanciva espressamente la possibilità del cumulo tra indennità di carica e gettone di presenza: tuttavia, evidenzia la decisione, nell'articolo 82 non c'è una norma che stabilisca chiaramente il divieto di cumulo tra indennità e gettone.
Anzi proprio il comma 7 è indizio che va nella direzione della cumulabilità di indennità e gettone di presenza per il caso in cui il sindaco sia anche consigliere provinciale. Il comma settimo, infatti, vieta il cumulo se il sindaco è anche consigliere o assessore nel medesimo ente. La norma blocca l'amministratore che approfitta delle cariche rivestite e abuso della facoltà di convocare adunanze degli organi collegiali dello stesso ente nel quale il sindaco sia anche consigliere comunale o assessore.
In sostanza il legislatore ha conservato il divieto di cumulo per il caso in cui le funzioni di sindaco e di membro di organo collegiale vangano svolte nell'interesse del medesimo ente locale; diverso è il caso di funzioni siano svolte per enti locali diversi.
Il sindaco può quindi percepire il gettone di presenza come consigliere provinciale, ma non come consigliere comunale.
La sentenza del Tar smentisce due pareri del ministero degli interni n. 15900 e 4552 del 2008, e altri pareri espressi da alcune sezioni controllo della Corte dei conti, che invocano il comma quinto del Tuel, inteso nel senso della onnicomprensività dell'indennità di funzione.
A questo orientamento la decisione in esame risponde che il divieto fondato sull'onnicomprensività riguarda le indennità di funzione, mentre non opera nel caso di cumulo di un'indennità di funzione (o di carica) e il gettone di presenza per la partecipazione alle adunanze del consiglio provinciale.
Inoltre proprio il confronto con l'articolo 82, comma 7, chiarisce che il legislatore ha voluto bloccare solo il cumulo nel caso di partecipazione a organi dello stesso ente: quindi se non espressamente derogato e vietato da specifiche disposizioni, il cumulo tra indennità di funzione e gettone di presenza deve ritenersi consentito (articolo ItaliaOggi del 24.12.2010 - tratto da www.corteconti.it).

APPALTI: Sull'omissione dell'adempimento prescritto dall'art. 79, d.lgs. n. 163/2006, che obbliga di comunicare l'avvenuta aggiudicazione definitiva al secondo classificato prima di stipulare il contratto.
Sulle false dichiarazioni rese in fase di gara e sul giudizio di congruità dell'offerta.

L'omissione dell'adempimento prescritto dall'art. 79, d.lgs. n. 163/2006, che impone di comunicare l'avvenuta aggiudicazione definitiva al secondo classificato prima di stipulare il contratto, non incide sulla legittimità dell'aggiudicazione ma semplicemente sulla decorrenza del termine per l'impugnazione anche in ragione della natura ordinatoria del termine previsto dal citato art. 79 ult. comma.
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Le false dichiarazioni rese in fase di gara e rilevanti ai fini dell'adozione delle misure sanzionatorie di cui all'art. 75 dpr 554/1999, recepito nell'attuale art. 38 del d.lgs. n. 163/2006, sono solo quelle relative al possesso dei requisiti di partecipazione, sia di carattere speciale che di carattere generale; mentre, nel caso di specie, la presunta falsa dichiarazione riguarda soltanto, relativamente all'offerta tecnica, l'impiego di personale rilevante ai fini dell'attribuzione di un maggior punteggio.
Peraltro, l'eventuale mancata indicazione, in sede di giustificativi, dei costi relativi ad alcune voci dell'offerta, non costituisce elemento da cui potere dedurre la falsità della dichiarazione contenuta nell'offerta tecnica, potendo piuttosto assumere rilevanza soltanto in seno alla procedura di verifica della congruità complessiva dell'offerta.
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Ai sensi dell'art. 86 del d.lgs. n. 163/2006, nelle gare indette per l'aggiudicazione di appalti con la P.A., le offerte debbono essere corredate, sin dalla presentazione, delle giustificazioni di cui al successivo art. 87, c. 2, relative alle voci di prezzo che concorrono a formare l'importo complessivo, e se queste non sono ritenute sufficienti ad escludere l'incongruità dell'offerta, la stazione appaltante provvede a richiedere l'integrazione dei documenti giustificativi, procedendo all'esclusione solo all'esito dell'ulteriore verifica, da svolgersi in contraddittorio con l'impresa interessata; nella valutazione dei giustificativi, l'amministrazione è tenuta a considerare l'affidabilità complessiva dell'offerta, e non già a limitarsi ad aspetti risultanti da singole voci che, in ipotesi, si discostino dai valori medi di mercato.
La verifica di congruità dell'offerta, quindi, è espressione di un potere discrezionale del committente, sindacabile entro limiti segnati dalla manifesta illogicità, erroneità o travisamento dei fatti, e si sostanzia in un giudizio globale e sintetico sulla serietà o meno dell'offerta nel suo insieme.
La sua motivazione, pertanto, non deve essere puntuale ed analitica nel caso di offerta ritenuta congrua, essendo sufficiente che la stessa sia sintetica ed espressa "per relationem" alle giustificazioni rese dall'impresa interessata.
Quindi, qualora l'Amministrazione ritenga convincenti le giustificazioni fornite, incombe, sul concorrente che contesta l'aggiudicazione, l'onere di individuare specifici elementi da cui il G.A. possa evincere che la valutazione effettuata dalla P.A. sia manifestamente irragionevole (TAR Lazio-Roma, Sez. II, sentenza 02.12.2010 n. 35031 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

EDILIZIA PRIVATA: Energia eolica: all'autorizzazione unica non si applica l'art. 15 del T.U. edilizia ai fini della decadenza.
Lo sviluppo delle energie rinnovabili in Italia si accompagna, evidentemente, anche ad una sempre più intensa attività del giudice amministrativo, a considerare la proliferazione di pronunce in questa materia.

In particolare, per quanto attiene l’eolico, il TAR Lazio-Roma, Sez. II-quater, sentenza 02.12.2010 n. 34945 è intervenuto a chiarire un aspetto di non poco conto relativo alla normativa cui riferirsi ai fini della decadenza dalla realizzazione di detti impianti.
Il giudice di prime cure ha avuto modi di affermare che, con riferimento alla realizzazione di impianti eolici, trova applicazione la norma speciale di cui all’art. 12 D.Lgs. n. 387/2003 che prevede una autorizzazione unica per la realizzazione di questi impianti, e non già l’art. 15 del D.P.R. n. 380/2001 -c.d. TU Edilizia– che attiene sì alla decadenza, ma con riferimento alla concessione edilizia per mancato inizio dei lavori entro un anno dal rilascio.
Il particolare per cui l’autorizzazione unica sostituisce e cumula in sé tutti i vari titoli abilitativi in precedenza richiesti dalla legge per la realizzazione di impianti del genere” afferma il collegio “è del resto dimostrata dalla stessa determina dirigenziale ..(autorizzazione unica)…che in nessun caso richiama il TU n. 380/2001”.
Con riferimento, invece, al momento in cui può dirsi concretamente avviata la realizzazione dell’iniziativa, i giudici romani richiamano l’applicazione del comma 159 dell’art. 2 della L. 240/2007 (Legge finanziaria 2008) “Per gli impianti alimentati da fonti rinnovabili la dimostrazione di avere concretamente avviato la realizzazione dell’iniziativa ai fini del rispetto del termine di inizio dei lavori è fornita anche con la prova di avere svolto le attività previste dal terzo periodo del comma 1 dell’articolo 15 del decreto legislativo 16.03.1999, n. 79, introdotto dall’articolo 1, comma 75, della legge 23.08.2004, n. 239”.
In base a tale norma l’avvio della realizzazione si considera, sul piano formale, effettuato quando sussiste:
- l’acquisizione della disponibilità delle aree destinate ad ospitare l’impianto;
- l’accettazione del preventivo di allacciamento alla rete elettrica formulato dal gestore competente;
- l’indizione di gare di appalto o la stipulazione di contratti per l’acquisizione di macchinari o per la costruzione di opere relative all’impianto, ovvero la stipulazione di contratti di finanziamento dell’iniziativa o l’ottenimento in loro favore di misure di incentivazione previste da altre leggi a carico del bilancio dello stato.
Il quadro così definito consente di affermare, onde integrare l’effettivo inizio dei lavori di realizzazione di un impianto eolico e dunque scongiurare l’ipotesi di decadenza dell’autorizzazione ex art. 12 D.Lgs. n. 387/2003, che risulta sufficiente anche solo l’accettazione del preventivo di allacciamento alla rete elettrica ovvero l’avvenuta realizzazione di attività di costruzione in stabilimento dei generatori, a prescindere dall’inizio delle opere di installazione dei macchinari sul territorio (commento tratto da www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La DIA produce effetti al 30° giorno dalla sua presentazione, purché, come già affermato da questa Sezione sia completa di tutti gli elementi richiesti dalla legge (sentenza n. 5737/2008) .
Nello spatium deliberandi dei 30 giorni dalla presentazione della denuncia, periodo durante il quale l’Amministrazione ha un compito di controllo, a conclusione del quale può esercitare poteri inibitori dei lavori non ancora avviati, le eventuali modifiche normative devono trovare applicazione, in quanto il procedimento non è ancora perfezionato e la DIA non può produrre effetti: vige allora il principio del tempus regit actum, per cui l'Amministrazione è tenuta ad applicare la normativa in vigore al momento dell'adozione del provvedimento definitivo, quand'anche sopravvenuta, e non già, salvo che espresse norme statuiscano diversamente, quella in vigore al momento dell'avvio del procedimento.
Le innovazioni normative introdotte medio tempore non sono irrilevanti, giacché un intervento edilizio, ancorché conforme alla normativa vigente al tempo della denuncia, ben può essere interdetto ove non sia più in linea con la normativa sopravvenuta, entrata in vigore (o destinata a entrare in vigore) prima del compimento del 30° giorno dalla presentazione della denuncia stessa.

Rispetto alle censure articolate nei motivi successivi, in cui si contesta la scelta dell’Amministrazione di applicare le tariffe vigenti al momento del decorso dei 30 giorni di efficacia, in violazione alle disposizioni regionali in materia di d.i.a., si richiama l’orientamento di questa Sezione (sentenze nn. 2029/2009, 2030/2009) confermato in sede di appello ( Consiglio di Stato sez. IV, 2922 del 13.05.2010).
Nelle decisione di primo grado i provvedimenti del Comune sono stati ritenuti legittimi, in base alle seguenti motivazioni, che qui si riportano integralmente: “la DIA, indipendentemente dalla qualifica giuridica assegnata –punto su cui come noto si contrappongono due differenti orientamenti che sostengono rispettivamente la natura di autorizzazione implicita (Cons. Stato sez IV 5811/2008) e di atto privato (Cons. Stato sez. VI 717/2009)– produce effetti al 30° giorno dalla sua presentazione, purché, come già affermato da questa Sezione sia completa di tutti gli elementi richiesti dalla legge (sentenza n. 5737/2008) .
Nello spatium deliberandi dei 30 giorni dalla presentazione della denuncia, periodo durante il quale l’Amministrazione ha un compito di controllo, a conclusione del quale può esercitare poteri inibitori dei lavori non ancora avviati, le eventuali modifiche normative devono trovare applicazione, in quanto il procedimento non è ancora perfezionato e la DIA non può produrre effetti: vige allora il principio del tempus regit actum, per cui l'Amministrazione è tenuta ad applicare la normativa in vigore al momento dell'adozione del provvedimento definitivo, quand'anche sopravvenuta, e non già, salvo che espresse norme statuiscano diversamente, quella in vigore al momento dell'avvio del procedimento.
Tale posizione è stata ampiamente espressa da questa Sezione nella sentenza richiamata dalla difesa Comunale (n. 588/2006), in cui si è affermato il principio secondo cui “le innovazioni normative introdotte medio tempore non sono irrilevanti, giacché un intervento edilizio, ancorché conforme alla normativa vigente al tempo della denuncia, ben può essere interdetto ove non sia più in linea con la normativa sopravvenuta, entrata in vigore (o destinata a entrare in vigore) prima del compimento del 30° giorno dalla presentazione della denuncia stessa
.”
E il principio della “sensibilità” della DIA alle modifiche legislative nei 30 giorni tra la presentazione e l’inizio dell’efficacia, deve trovare applicazione anche rispetto ad eventuali variazioni delle disposizioni regolamentari, tra cui la disciplina pianificatoria e le tariffe degli oneri.
Pare quindi corretta la posizione dell’Amministrazione Comunale laddove ritiene che la nuova disciplina introdotta con un atto deliberativo che produce effetti dall'08.01.2008 vada applicato anche alle DIA per le quali non è decorso il termine di 30 giorni.
A tale conclusione non osta la disciplina regionale di riferimento, invocata da parte ricorrente, la quale, con puntuali argomentazioni, sostiene che il momento dell’efficacia non sarebbe rilevante ai fini del calcolo degli oneri di urbanizzazione, in quanto l’obbligazione contributiva a carico del privato troverebbe il proprio momento genetico all’atto della presentazione della DIA.
In tal senso vengono invocate le seguenti disposizioni della L.R. 12/2005:
a) l’art. 42, commi 2 e 3, in materia di disciplina della denuncia di inizio attività, in cui si stabilisce che “Nel caso in cui siano dovuti oneri di urbanizzazione e costo di costruzione, il relativo calcolo è allegato alla denuncia di inizio attività e il pagamento è effettuato con le modalità previste dalla vigente normativa, fatta comunque salva la possibilità per il comune di richiedere le eventuali integrazioni.
La quota relativa agli oneri di urbanizzazione è corrisposta al comune entro trenta giorni successivi alla presentazione della denuncia di inizio attività, fatta salva la facoltà di rateizzazione
”;
b) l’art. 44, comma 12, in materia di oneri di urbanizzazione, laddove per gli interventi comportanti modificazioni delle destinazioni d'uso su edifici esistenti stabilisce che “per quanto attiene all'incidenza degli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria, il contributo dovuto è commisurato alla eventuale maggior somma determinata in relazione alla nuova destinazione rispetto a quella che sarebbe dovuta per la destinazione precedente e alla quota dovuta per le opere relative ad edifici esistenti, determinata con le modalità di cui ai commi 8 e 9”, precisando poi nel successivo comma che “L'ammontare dell'eventuale maggior somma va sempre riferito ai valori stabiliti dal comune alla data del rilascio del permesso di costruire, ovvero di presentazione della denuncia di inizio attività.”
c) l’art. 48, comma 7, in materia di costo di costruzione, che così recita: “La quota di contributo relativa al costo di costruzione, determinata all'atto del rilascio, ovvero per effetto della presentazione della denuncia di inizio attività, è corrisposta in corso d'opera, con le modalità e le garanzie stabilite dal comune e comunque non oltre sessanta giorni dalla data dichiarata di ultimazione dei lavori”.
A giudizio del Collegio le disposizioni regionali richiamate non derogano al principio generale secondo cui nel caso di intervento edilizio assentito in forza di una DIA la normativa da applicare è quella vigente alla data di efficacia: infatti gli artt. 42 e 48 si limitano a disciplinare il procedimento di presentazione della DIA, stabilendo che il costo di costruzione va allegato alla DIA (mentre l’art. 44 disciplina una fattispecie specifica), ma non introducono una disciplina derogatoria speciale, rispetto al principio generale della efficacia della DIA dopo il decorso del termine di 30 giorni.
Va invece dato particolare rilievo alla modifica apportata in materia dalla L.R. n. 4/2008, che ha introdotto nell’art. 38 il comma 7-bis, stabilendo, per il permesso di costruire, che gli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria vengano determinati alla data di presentazione della richiesta di permesso di costruire, purché vi sia la completezza documentale.
Da ciò si deduce che prima della modifica legislativa gli oneri andassero determinati al momento del rilascio del titolo, mentre a seguito della modifica legislativa la determinazione è anticipata all’atto della presentazione della richiesta di permesso.
Applicando questo principio alla DIA, si deve ritenere che prima della nuova disciplina valesse il principio sopra esposto, per cui erano rilevanti le eventuali innovazioni legislative intervenute nei trenta giorni ed anche l’introduzione di nuove tariffe, se approvate nel corso dei 30 giorni. Dopo l’introduzione del comma 7-bis all’art. 38 il calcolo deve essere effettuato con riferimento alle sole leggi vigenti al momento della presentazione della DIA, momento equiparabile a quello della presentazione della domanda del permesso di costruire.
I Giudici di Palazzo Spada, confermando la decisione di primo grado hanno evidenziato che “nessuna delle disposizioni indicate (n.d.r. cioè le disposizioni della L.R. 12/2005 richiamate anche nel presente ricorso) è destinata ad incidere sulla vicenda in scrutinio, che deve quindi essere esaminata solo in rapporto alla disciplina generale, fondata sul testo unico dell’edilizia.”
Proprio in ragione di tale evenienza, è stato evidenziato che, in disparte l’annosa questione sulla ricostruzione dell’istituto, in termini pubblicistici o in termini privatistici, la lettera della norma (art. 23, comma 1, del testo unico sull’edilizia) permette la realizzazione delle opere solo allo spirare del termine di 30 giorni.
Poiché i contributi urbanistici sono collegati alla realizzazione delle opere”, il giudice di appello ha osservato che “deve convenirsi con la ricostruzione del giudice di primo grado che vede un nesso tra l’intervenuta efficacia, data dalla possibilità effettiva di realizzare l’intervento, e l’applicazione della disciplina del calcolo dei costi, che non può che avvenire in quel momento, in rispetto di un’ordinaria logica di corrispettività.”
Da questa impostazione discende che “fino al momento dell’attribuzione di efficacia, secondo ed ultimo momento della realizzazione della fattispecie precettiva, la vicenda non è ancora conclusa ed è quindi ancora possibile, ed anzi doveroso, dare risalto agli eventi esterni sopravvenuti, quale è il mutamento dei parametri di calcolo, come qui esaminato, ma come anche potrebbe essere il sopraggiungere di una nuova disciplina urbanistica” (TAR Lombardia-Milano, sez. II, sentenza 02.12.2010 n. 7467 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICAL’art. 38, c. 7-bis, l. reg. Lombardia n. 12/2005 -nel prevedere che “nel caso di piani attuativi o di atti di programmazione negoziata con valenza territoriale, l’ammontare degli oneri è determinato al momento della loro approvazione, a condizione che la richiesta del permesso di costruire, ovvero la denuncia di inizio attività siano presentate entro e non oltre trentasei mesi dalla data della approvazione medesima”- dispone, invero, solo per il futuro: esso non può, pertanto, trovare applicazione laddove, come è accaduto nel caso di specie, prima della sua entrata in vigore sia già stato approvato il programma integrato di intervento e sia già stata stipulata la relativa convenzione, nella quale sia stato previsto il criterio per la determinazione degli oneri in conformità alle disposizioni a quell’epoca vigenti.
La previsione di cui all’art. 38, c. 7-bis, l. reg. Lombardia n. 12/2005, così come modificata dalla l. reg. Lombardia n. 4 del 14.03.2008 non trova, invero, applicazione nel caso di specie.
Il provvedimento impugnato ha, difatti, correttamente calcolato l’importo degli oneri di urbanizzazione sulla base del criterio previsto dall’accordo stipulato tra il Comune di Milano e la Ida s.p.a. il 21.01.2008 il quale, a sua volta, ha dato applicazione alla normativa all’epoca vigente (secondo cui gli oneri sono determinati sulla base delle tariffe vigenti al momento del rilascio del permesso di costruire o del perfezionamento della d.i.a.), non essendo ancora entrate in vigore le modifiche apportate all’art. 38 della l. reg. Lombardia n. 12/2005 dalla l. reg. Lombardia n. 4/2008.
L’art. 7.3 della convenzione stipulata tra il Comune di Milano e la Ida s.p.a. per l’attuazione del programma integrato di intervento -approvato in data 02.04.2007, con delibera del Consiglio Comunale n. 20/2007- ha, invero, stabilito che l’importo degli oneri di urbanizzazione “sarà quantificato in base ai valori vigenti al momento del rilascio dei titoli abilitativi edilizi, in coerenza, in particolare, con quanto previsto dalla deliberazione del Consiglio Comunale n. 73/2007 del 21.12.2007 e suoi eventuali adeguamenti ed integrazioni”.
Questa previsione ha forza di legge tra le parti, ai sensi dell’art. 1372 c.c., ed è insensibile ai mutamenti legislativi intervenuti successivamente (cfr. Cons. Stato, sez. V, 08.07.1998, n. 1032).
L’art. 38, c. 7-bis, l. reg. Lombardia n. 12/2005 -nel prevedere che “nel caso di piani attuativi o di atti di programmazione negoziata con valenza territoriale, l’ammontare degli oneri è determinato al momento della loro approvazione, a condizione che la richiesta del permesso di costruire, ovvero la denuncia di inizio attività siano presentate entro e non oltre trentasei mesi dalla data della approvazione medesima”- dispone, invero, solo per il futuro: esso non può, pertanto, trovare applicazione laddove, come è accaduto nel caso di specie, prima della sua entrata in vigore sia già stato approvato il programma integrato di intervento e sia già stata stipulata la relativa convenzione, nella quale sia stato previsto il criterio per la determinazione degli oneri in conformità alle disposizioni a quell’epoca vigenti.
Né opera il meccanismo di inserzione automatica delle clausole previsto dall’art. 1339 c.c. poiché si verte in tema di diritti disponibili (cfr. la giurisprudenza in tema di scomputo dagli oneri di urbanizzazione dovuti dei costi sostenuti per l’esecuzione diretta delle opere di urbanizzazione, secondo cui la parte promettente ben può liberamente assumere impegni patrimoniali più onerosi rispetto a quelli astrattamente previsti dalla legge: Cons. Stato, sez. V, 29.09.1999, n. 1209; sez. IV, 28.07.2005, 4015; Tar Lombardia, Milano, sent. n. 196/2010) (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 02.12.2010 n. 7461 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALe distanze tra pareti di edifici ex art. 9 D.M. 1444/1968 valgono anche per le luci, non solo per le finestre.
La norma delle N.T.A. del P.R.G., nella parte in cui prescrive che “non s’intenderanno come pareti finestrate quelle in cui siano praticate esclusivamente luci (art. 901 c.c.)”, è illegittima per violazione del citato art. 9, comma 1, del D.M 02.04.1968 n. 1444, il quale non consente di escludere dal concetto di “pareti finestrate” le ipotesi in cui nella parere siano presenti esclusivamente “luci”.

Considerato, in punto di diritto:
- che l’art. 9, comma 1, n. 2, del D.M. 02.04.1968 n. 1444 prescrive, per i “nuovi edifici” ricadenti in zone diverse dalla zona A), il rispetto di una distanza minima assoluta di metri 10 tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti;
- che la norma in esame, in quanto finalizzata alla salvaguardia dell'interesse pubblico-sanitario a mantenere una determinata intercapedine tra gli edifici che si fronteggiano quando uno dei due abbia una parete finestrata, ha carattere tassativo ed inderogabile, non eludibile da parte dello strumento urbanistico comunale, il quale può solo prescrivere distanze maggiori, ma non limitarne l’applicazione (Cons. Stato, sez. IV; 05.12.2005, n. 6909; Cons. Stato, sez. IV, 12.07.2002, n. 3929; Cass. Civ., sez. II, 10.01.2006, n. 145; TAR Piemonte, sez. I, 17.01.2007, n. 22);
- che la suddetta prescrizione, data la finalità igienico-sanitaria che intende perseguire, vale anche per la distanza da edificio adibito ad autorimessa, come nel caso di specie;
- che il concetto di “parete finestrata” va interpretato in conformità a quanto previsto dall’art. 900 c.c., secondo cui il concetto di “finestra” include, oltre alle vedute, anche le luci (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 18.06.2009, n. 4015; TAR Campania Napoli, sez. II, 02.12.2009, n. 8326; TAR Puglia Lecce, sez. III, 07.07.2008, n. 2058; TAR Piemonte, sez. I, 17.01.2007, n. 22),
alla luce di quanto esposto:
- la norma di cui all’art. 15 delle N.T.A. del P.R.G.C del Comune di Almese, nella parte in cui prescrive che “non s’intenderanno come pareti finestrate quelle in cui siano praticate esclusivamente luci (art. 901 c.c.)”, è illegittima per violazione del citato art. 9, comma 1, del D.M 02.04.1968 n. 1444, il quale, correttamente interpretato nei termini sopra esposti, non consente di escludere dal concetto di “pareti finestrate” le ipotesi in cui nella parere siano presenti esclusivamente “luci”;
- il permesso di costruire impugnato nel presente giudizio è parimenti illegittimo avendo consentito l’edificazione di una nuova costruzione (non qualificabile come intervento edilizio “minore”) a distanza inferiore a quella inderogabile di 10 metri dalla “parere finestrata” dell’antistante edificio di proprietà dei ricorrenti (TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 02.12.2010 n. 4374 - link a www.ambientediritto.it).

LAVORI PUBBLICI: Strade pubbliche - Danni da insidia - Comportamento colpo del soggetto danneggiato - Esclusione di responsabilità per la P.A. - Artt. 2043 e 2051 c.c..
In tema di responsabilità della Pubblica Amministrazione, per danni subiti dai cittadini, e, in particolare, dagli utenti delle strade pubbliche, derivanti da c.d. insidia e/o trabocchetto stradale, deve ritenersi che l'uso del bene demaniale in modo poco diligente, costituisce un fatto comunque idoneo ad escludere il nesso di causalità fonte di responsabilità per la p.a. dell’evento lesivo di cui il danneggiato sia rimasto vittima e ciò sul rilievo che sia nel caso in cui trovi applicazione l'art. 2051 c.c, sia nel caso in cui la fattispecie concreta possa essere ricondotta alla regola generale dl neminem laedere, ex art. 2043 c.c., il comportamento colposo osservato dal medesimo soggetto danneggiato -che sussiste sia nell'ipotesi di uso del bene demaniale senza la dovuta diligenza, sia nell'ipotesi di un affidamento soggettivo anomalo- esclude la responsabilità della p.a. se è idoneo ad interrompere il nesso eziologico (TRIBUNALE di Bari, Sez. III civile, sentenza 29.11.2010 n. 3567 - link a www.ambientediritto.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: DIRITTO DELL'ACQUE - Scarico - Autorizzazione allo scarico -Violazione delle prescrizioni - Art. 59 d.lgs. n. 152/99 (art. 137 d.lgs. n. 152/2006 - Configurabilità - Presupposti - Scarico di sostanze pericolose comprese nelle tabelle 5 e 3/A dell’allegato 5.
Per la configurabilità della contravvenzione di cui all’art. 59 D.L.vo n. 152/1999 (art. 137 D.L.vo n. 152/2006) non è sufficiente la mancata osservanza delle prescrizioni dell’autorizzazione, essendo invece necessario che le acque di scarico contengano le sostanze pericolose comprese nelle famiglie e nei gruppi di sostanze indicate nelle tabelle 5 e 3/A dell’allegato 5, posto che, in caso contrario, si rientra nell’ipotesi più generale dell’art. 54, comma 3° del D.L.vo n. 152/1999, che prevede un semplice illecito amministrativo (vd. in tal senso Cass. pen., sez. III, n. 32847 dell’08.07-02.09.2005, Germiniasi).
DIRITTO DELL'ACQUE - ACQUA - Scarico - Sostanze cancerogene - Prova - Effetti sull’uomo e non sugli animali in genere - punto 18, tab. 5 d.lgs. n. 152/1999.
La corretta interpretazione della previsione di chiusura del punto 18 della tabella 5 del d.lgs. n. 152/99 non richiede soltanto la possibilità o la probabilità che una determinata sostanza possa avere un potere cancerogeno, ma esige che questo sia provato (vd. sul punto Cass. pen. sez. II, n. 13694 del 13.01.1999, Tanghetti; sez. III, n. 12362 del 04.02.2003, Grilli, sez. III, n. 34899 del 06.06.2007, Ghisolfi ed a.); il potere cancerogeno va valutato esclusivamente nei confronti dell’uomo, e non anche nei confronti degli animali in genere (posto che una diversa interpretazione renderebbe la fattispecie penale del tutto priva della necessaria chiarezza, precisione e determinatezza, introducendo un elemento di integrazione non normativamente previsto, e contrario al principio di tipicità).
DIRITTO DELL'ACQUE - ACQUA - Avvelenamento di acque - Artt. 439-452 c.p. - Reato di pericolo presunto - Immissione di sostanze inquinanti di qualità e quantità tali da determinare pericolo per la salute.
Per la configurabilità del reato di avvelenamento di acque o sostanze destinate all’alimentazione (artt. 439 - 452 c.p.), pur dovendosi ritenere che trattasi di reato di pericolo presunto, è tuttavia necessario che un “avvelenamento”, di per sé produttivo, come tale, di pericolo per la salute pubblica, via sia comunque stato; il che richiede che vi sia stata immissione di sostanze inquinanti di qualità ed in quantità tali da determinare il pericolo, scientificamente accertato, di effetti tossico-nocivi per la salute (vd. in tal senso Cass. pen. sez. IV, n. 15216 del 13.02-17.04.2007, Della Torre) (TRIBUNALE di Udine, Sez. staccata di Palmanova, sentenza 25.11.2010 n. 314 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTI SERVIZI: Negli appalti di servizi di ingegneria e architettura la stazione appaltante non può richiedere che i singoli mandanti siano in possesso di una percentuale minima predeterminata di requisiti di qualificazione superiore a quella di volta in volta commisurata al segmento di attività di rispettiva competenza.
Da una lettura coordinata degli articoli 65, comma 4, del D.P.R. 554/1999 e 37, comma 13, del Codice dei Contratti, deve evincersi il principio per cui, nel caso di raggruppamenti temporanei tra progettisti finalizzati all’espletamento di servizi attinenti all’architettura e all’ingegneria anche integrata, la stazione appaltante può richiedere, in capo a ciascuno dei detti raggruppamenti, il concorso dei seguenti requisiti:
a) che il mandatario sia in possesso dei requisiti finanziari e tecnici in misura non superiore al 60%;
b) che la restante parte sia posseduta cumulativamente dalla parte mandante;
c) che i singoli mandanti siano in possesso di una quota di requisiti commisurata alla quota individuale di partecipazione al raggruppamento e alla corrispondente quota di esecuzione dei lavori o del servizio.
La stazione appaltante non può invece richiedere che i singoli mandanti siano in possesso di una percentuale minima predeterminata di requisiti di qualificazione superiore a quella di volta in volta commisurata al segmento di attività di rispettiva competenza (TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 19.11.2010 n. 4155 - link a www.mediagraphic.it).

PUBBLICO IMPIEGO: Se dico al capo "non mi rompere il c....", cosa succede? Nulla.
Dire al capo "non mi rompere il c...." è legittimo secondo la Corte di Cassazione: "assoluzione piena", quindi, per la frase incriminata (Cassazione di cassazione, Sez. lavoro, sentenza 16.11.2010 n. 23132 - link a www.altalex.com).

AGGIORNAMENTO AL 20.12.2010

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Auguri di Buon Natale a Tutti.
LA SEGRETERIA PTPL

NOVITA' NEL SITO

Bottone "CONVEGNI" n. 6 giornate di studio a Bergamo per il 19-26 gennaio e 02-09-16-23 febbraio 2011 organizzate dal portale PTPL.
N.B.: leggere attentamente le istruzioni riportate nella locandina.
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Termine di iscrizione (solamente) on-line: sabato 15.01.2011.

UTILITA'

EDILIZIA PRIVATA: Lombardia, Necessita aggiornare il costo di costruzione entro il 31.12.2010 il cui effetto sarà efficace a decorrere dall'01.01.2011: ecco il fac-simile di determinazione (file 1 - file 2).
ATTENZIONE: se non si adotta la determinazione di aggiornamento entro la suddetta scadenza per tutto il 2011 si dovrà applicare il medesimo costo di costruzione vigente nell'anno 2010 (cfr. art. 48, comma 2, della L.R. n. 12/2005).
Alcune considerazioni: è uscito pochi giorni fa il dato ufficiale della variazione ISTAT relativo al mese di agosto 2010 (ultimo dato disponibile).
Quindi, si può procedere -senza indugio- ad adottare la determinazione di aggiornamento del costo di costruzione poiché da qui a fine mese non uscirà un nuovo indice ISTAT.

AMBIENTE-ECOLOGIA: Pubblicate le modifiche al Codice Ambiente: nessun adempimento per terre e rocce da scavo riutilizzate in loco e registro di carico e scarico rifiuti.
Con il D.Lgs. 205/2010, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 288 del 10.12.2010, sono state apportate importanti modifiche alla Parte Quarta del Codice dell'Ambiente (D.Lgs. 152/2006).
In particolare si è provveduto a coordinare la stessa con il nuovo sistema di tracciabilità dei rifiuti SISTRI, del quale è stato predisposto anche il regime sanzionatorio, la cui operatività è prevista a decorrere dall'01.01.2011.
Per quanto attiene ai cantieri occorre evidenziare che:
- in materia di terre e rocce da scavo continuano ad applicarsi le disposizioni dell'articolo 186 del D.Lgs. n. 152/2006. Si precisa, inoltre, che la procedura non si applica (art. 185, comma 1, lett. c) al “suolo non contaminato e altro materiale allo stato naturale escavato nel corso di attività di costruzione, riutilizzato a fini di costruzione allo stato naturale e nello stesso sito in cui è stato escavato”.
- coloro i quali intendono trasportare i propri rifiuti non pericolosi, senza aderire su base volontaria al SISTRI, a seguito delle modifiche introdotte, dovranno dotarsi di un registro di carico e scarico per ogni cantiere.
Il D.Lgs. 205/2010, in attuazione della Direttiva europea 2008/98/CE, ricomprende i materiali da scavo nel concetto di sottoprodotto, ma rimanda l'applicazione della relativa disciplina all'emanazione di successivi decreti ministeriali (link a www.acca.it).

EDILIZIA PRIVATA: Detrazione 55%: la procedura per i lavori che continuano nel 2011.
La Legge di Stabilità (già Legge Finanziaria), approvata in via definitiva dal Senato ed ora in attesa di pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, ha prorogato la detrazione fiscale del 55% per gli interventi di riqualificazione energetica degli edifici fino al 31.12.2011 imponendo, tuttavia, la ripartizione della detrazione in 10 rate annuali anziché 5 come in precedenza previsto.
I contribuenti che hanno in corso dei lavori di riqualificazione, per i quali intendono usufruire della detrazione, che non termineranno entro il 2010 si chiedono come comportarsi per operare correttamente.
La prima risposta arriva dall’ENEA che ha aggiornato la Sezione FAQ (Frequently Asked Questions – Domande Ricorrenti) del proprio sito con la risposta al suddetto quesito (FAQ 65).
L’ENEA precisa che tutte le spese pagate entro il 2010 saranno detraibili in cinque anni (a partire dalla denuncia dei redditi dell'estate 2011); le spese effettivamente sostenute (pagate) nel 2011 saranno invece detraibili in 10 anni a partire dalla denuncia dei redditi dell'estate 2012.
La mancata conclusione dei lavori nel 2010 deve essere comunicata all'Agenzia delle Entrate con un’apposita comunicazione telematica entro il 31.03.2011, specificando le spese sostenute nel 2010. La documentazione degli interventi eseguiti, come al solito, deve essere trasmessa ad ENEA entro 90 giorni dal termine dei lavori (link a www.acca.it).

SICUREZZA LAVORO: Dal Ministero del Lavoro chiarimenti su requisiti degli RSPP e sulle imprese familiari.
Nell’apposita sezione FAQ del proprio sito internet il Ministero del Lavoro ha fornito le risposte ai nuovi quesiti in materia di RSPP e Impresa Familiare. Le risposte elaborate dal Ministero sono disponibili in allegato.
In particolare è stata data risposta ai seguenti quesiti:
- Quali sono gli obblighi di sicurezza che gravano sull’impresa familiare ai sensi dell’art.21 del D.Lgs. 81/2008?
- Quali sono i requisiti professionali necessari allo svolgimento delle funzioni di Responsabile del servizio di prevenzione e protezione ai sensi dell’art. 32, comma 5 del D.Lgs. 81/2008 e s.m.i.? (link a www.acca.it).

GURI - GUUE - BURL (e anteprima)

APPALTI: G.U. 18.12.2010 n. 295 "Testo del decreto-legge 12.11.2010, n. 187 coordinato con la legge di conversione 17.12.2010, n. 217, recante: «Misure urgenti in materia di sicurezza»".

ENTI LOCALI: G.U. 17.12.2010 n. 294 "Disposizioni in materia di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard di Comuni, Città metropolitane e Province" (D.Lgs. 26.11.2010 n. 216).

ENTI LOCALI - VARI: G.U. 15.12.2010 n. 292, suppl. ord. n. 276/L, "Modifiche ed integrazioni al decreto legislativo 01.12.2009, n. 179, recante disposizioni legislative statali anteriori al 1° gennaio 1970, di cui si ritiene indispensabile la permanenza in vigore" (D.Lgs. 13.12.2010 n. 213).

ENTI LOCALI - VARI: G.U. 15.12.2010 n. 292, suppl. ord. n. 276/L "Abrogazione di disposizioni legislative statali, a norma dell’articolo 14, comma 14-quater, della legge 28.11.2005, n. 246)" (D.Lgs. 13.12.2010 n. 212: file 1 - file 2).

ENTI LOCALI: G.U. 15.12.2010 n. 292 "Riduzione dei trasferimenti erariali per l’anno 2011 a province e comuni superiori a 5000 abitanti, ex articolo 14, comma 2, del decreto-legge 31.05.2010, n. 78" (Ministero dell'Interno, decreto 09.12.2010).

ENTI LOCALI - VARI: G.U. 15.12.2010 n. 292 "Misura del saggio di interesse legale, con decorrenza dal 1° gennaio 2011" (Ministero dell'Economia e delle Finanze, decreto 07.12.2010).

APPALTI: G.U. 15.12.2010 n. 292 "Comunicato relativo al decreto del Presidente della Repubblica 05.10.2010, n. 207, riguardante: «Regolamento di esecuzione ed attuazione del decreto legislativo 12.04.2006, n. 163, recante “Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE”». (Decreto pubblicato nel supplemento ordinario n. 270/L alla Gazzetta Ufficiale - serie generale - n. 288 del 10.12.2010)" (errata-corrige).

NEWS

ENTI LOCALI - VARI: Anno nuovo, interessi legali nuovi.
Aggiornata dal Mef la percentuale. La modifica è rilevante anche ai fini fiscali, ma attenzione, il tasso ritoccato decorre solo dal 1° gennaio 2011.
Cambia la percentuale di calcolo per la determinazione degli interessi legali. Con un decreto del 07.12.2010 firmato dal ministro dell’Economia e delle Finanze, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 292 del 15.12.2010, il tasso passa, infatti, dall’attuale 1% all’1,5%. Il valore aggiornato dovrà essere applicato dal 1° gennaio 2011, coefficiente fermo all’1%, quindi, fino a tutto il 2010.
Il calcolo di variazione è presto fatto, lieve aumento, mezzo punto in più, rispetto al saggio fissato l’anno scorso (decreto Mef del 4 dicembre 2009), che resta valido, è bene ribadirlo, fino al 31 dicembre di quest’anno. ... (link a www.nuovofiscooggi.it).

CONSIGLIERI COMUNALIOSSERVATORIO VIMINALE/ Niente conflitti in comune. Incompatibile il consigliere che cita in giudizio l'ente. La qualità di parte processuale è sufficiente a far scattare la causa ostativa.
Sussiste la causa di incompatibilità ex art. 63, comma 1, n. 4 del Tuel nel caso di un consigliere comunale che ha proposto ricorso al Tar per l'annullamento di una delibera con la quale la giunta comunale ha individuato in parte di una proprietà dell'amministratore locale stesso il nuovo sito ove esercitare un servizio pubblico locale del comune?
La Corte di cassazione ha più volte ribadito che l'espressione «essere parte di un procedimento» va inteso in senso tecnico, per cui la pendenza di una lite va accertata con riferimento alla qualità di parte processuale; quindi, agli effetti della sussistenza della causa di incompatibilità della lite pendente con il comune, non sono sindacabili i motivi del giudizio pendente, dovendo unicamente rilevarsi il dato formale e obiettivo di tale pendenza, che esaurisce ex se il presupposto dell'incompatibilità (cfr. Cass. civ., sez. I, 16.02.1991, n. 1666).
Secondo un orientamento giurisprudenziale più recente è stato ritenuto che, a integrare gli estremi della causa di incompatibilità di cui al comma 1, n. 4) dell'articolo 63 del Tuel, «non basta la pura e semplice constatazione dell'esistenza di un procedimento civile o amministrativo nel quale risultino coinvolti, attivamente o passivamente, l'eletto o l'ente, ma occorre che a tale dato formale corrisponda una concreta contrapposizione di parti, ossia una reale situazione di conflitto: solo in tal caso sussiste l'esigenza di evitare che il conflitto di interessi nella lite medesima possa orientare le scelte dell'eletto in pregiudizio dell'ente, o comunque possa ingenerare all'esterno sospetti al riguardo» (cfr. Cass. civ., sez. I, 28.07.2001, n. 10335).
Pertanto, la finalità della norma è quella di garantire che l'esercizio del mandato elettorale sia corretto e non impedito da pericolose interferenze di finalità individuali con esigenze di pubblico interesse.
Nella fattispecie in esame il procedimento giudiziario avviato dal consigliere comunale nei confronti dell'amministrazione presso la quale svolge il mandato elettivo fa assumere allo stesso la qualità di «parte processuale», e tale situazione pone il consigliere nella condizione di incompatibilità di cui all'art. 63, comma 1, n. 4 del Tuel non potendosi invocare per il medesimo l'esimente prevista dall'art. 63, comma 3, del dlgs n. 267/2000 in quanto il giudizio non è stato instaurato per fatto connesso con l'esercizio del mandato, ma per tutelare un interesse di natura individuale che, in quanto contrapposto a quello dell'ente di appartenenza dell'amministratore, vale a configurare anche l'ulteriore presupposto del conflitto di interesse, necessario per la sussistenza della causa ostativa in questione (articolo ItaliaOggi del 17.12.2010).

CONSIGLIERI COMUNALIOSSERVATORIO VIMINALE/ Indennità di funzione.
È dovuto, a far data dall'01/01/2007, il pagamento dell'indennità di funzione ai presidenti dei consigli circoscrizionali di comuni non capoluogo di provincia?

L'art. 1, comma 731, della legge 27.12.2006, n. 296 ha apportato modifiche all'art. 82 del decreto legislativo 18.08.2000, n. 267 disponendo, per quanto attiene i consigli circoscrizionali, che i soli presidenti dei consigli circoscrizionali dei comuni capoluogo di provincia hanno diritto a percepire l'indennità di funzione.
Tale disposizione, tenuto conto di quanto previsto in linea generale dall'art. 10 delle preleggi, è entrata in vigore il quindicesimo giorno successivo alla sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale della repubblica italiana.
Successivamente l'art. 2, comma 29, della legge 24.12.2007, n. 244 ha apportato modifiche all'art. 17 del citato decreto legislativo n. 267/2000 prevedendo che i soli comuni con popolazione superiore ai 250 mila abitanti possano istituire circoscrizioni di decentramento; tale norma, per espressa disposizione dell'art. 42-bis del dl 31/12/2007, n. 248, trova applicazione a decorrere dalla prima elezione per la nomina del sindaco e del consiglio comunale successiva alla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto legge stesso.
Pertanto, considerati i diversi tempi di entrata in vigore delle due diverse disposizioni, in applicazione del novellato art. 82, comma 1, del decreto legislativo n. 267/2000, a decorrere dall'01/01/2007 nei comuni non capoluogo di provincia è venuto meno il diritto dei presidenti circoscrizionali di percepire l'indennità di funzione (articolo ItaliaOggi del 17.12.2010).

ENTI LOCALIPartecipate, o dentro o fuori. Entro fine anno la ricognizione delle società strumentali. La delibera comunale deve evidenziare il rapporto di stretta necessità per le finalità dell'ente.
Entro fine dicembre i consigli degli enti locali devono effettuare la ricognizione delle proprie società partecipate per verificare se vi sono i presupposti di legge per il loro mantenimento; in caso negativo occorre anche avviare il procedimento per l'alienazione delle quote o delle azioni, oppure la messa in liquidazione della società.
Lo prevede l'art. 3, commi 28 e 29, della legge 244 del 2007 (Finanziaria 2008).
In pratica bisogna passare ai raggi X ogni società partecipata, indipendentemente dalla quota di partecipazione, analizzando caso per caso se è consentito o meno l'utilizzo dello strumento societario per l'attività svolta dalla società stessa.
Ciò deriva dal fatto che, per gli enti locali, la possibilità di ricorrere a società è circoscritta alle effettive necessità istituzionali e strettamente connessa alle attività di competenza (si veda in proposito il parere della Corte dei conti, sez. di controllo della Lombardia, par. n. 48 del 25/06/2008).
Le finalità del legislatore sono chiare: evitare, quando non necessario, il ricorso a società e soprattutto impedirne l'utilizzo per eludere procedure ad evidenza pubblica o vincoli di finanza pubblica. Quindi la ricognizione è mirata, in primo luogo, all'individuazione delle partecipazioni vietate dalla legge.
Il passo successivo riguarda il metodo: l'analisi va fatta sia sotto l'aspetto formale, che sostanziale.
Molto importante è la motivazione della delibera, come peraltro indicato nello stesso art. 3, comma 28: la giustificazione del mantenimento della partecipazione non può limitarsi al riconoscimento della «strumentalità» della società, ma deve anche evidenziare il «rapporto di stretta necessità» per il perseguimento delle attività istituzionali dell'ente (si veda in proposito il parere della Corte dei conti, sez. di controllo del Veneto, par. 5 del 14/01/2009).
Sotto il profilo formale, l'analisi si effettua paragonando lo statuto della società, ed in particolare l'oggetto sociale, con attività di competenza dell'ente come individuate dal Tuel agli artt. 3, 13 e 112, rispettivamente, sull'autonomia degli enti locali e sulle funzioni e sui servizi pubblici locali, nonché dal dpr 194/96 che definisce la struttura dei bilanci e in particolare, funzioni, servizi e interventi di spesa; ulteriori elementi di valutazione potrebbero rinvenirsi anche nello statuto dell'ente. Giova ricordare che lo stesso art. 3, comma 27, riconosce espressamente in linea con la legge le società che producono servizi di interesse generale e quindi anche i servizi pubblici locali, che ne sono ricompresi (si veda anche la circolare Anci del 03/11/2010).
Sotto il profilo sostanziale, invece, si dovranno valutare:
1) aspetti tecnici relativi, ad esempio, alle difficoltà di recuperare direttamente sul mercato beni o servizi necessari alle attività istituzionali o alla necessità di disporre di livelli di qualità non facilmente reperibili; si potrebbero considerare in questa sede anche altri aspetti legati all'ambiente e all'impatto sulla comunità di riferimento.
2) aspetti di carattere economico, ad esempio, la convenienza dell'autoproduzione (tramite il modello societario) rispetto ai livelli normali dei prezzi di mercato, oppure alle caratteristiche morfologiche del territorio che potrebbero comportare costi aggiuntivi di trasporto; anche in questo caso si potrebbero considerare anche altri costi legati all'inquinamento e all'ambiente (esternalità).
In pratica occorre effettuare una vera e propria analisi costi benefici ricomprendendo anche un altro aspetto molto delicato: la necessità di garantire l'equilibrio economico, ovvero gestioni non in perdita, altrimenti potrebbe esse messo in discussione lo stesso utilizzo del modello societario. Sotto questo profilo, occorre evidenziare nella delibera di ricognizione le risultanze dei bilanci degli ultimi anni, valutandone gli aspetti salienti anche alla luce del divieto di aumenti di capitale, trasferimenti straordinari, aperture di credito e garanzie a favore delle società partecipate se hanno registrato per tre esercizi consecutivi perdite di esercizio di cui all'art. 6, comma 19 della legge 122/10 di conversione del decreto legge 78/2010.
Se la delibera di ricognizione individua società vietate dalla legge, occorre avviare entro fine anno 2010 la procedura di dismissione: si tratta certamente di un termine ordinatorio e non perentorio, per evitare possibili svendite o speculazioni.
La delibera, una volta esecutiva, va inviata alla Corte dei conti come prescritto dall'art. 3, comma 28 della citata legge 244/2007 (articolo ItaliaOggi del 17.12.2010 - tratto da www.corteconti.it).

CORTE DEI CONTI

ENTI LOCALILa stretta alle indennità. Gettone ridotto anche ai revisori.
Anche i revisori dei conti negli enti locali devono partecipare alla cura imposta dalla manovra correttiva alle indennità pubbliche, e devono subire il taglio del 10% ai compensi a partire dal i gennaio. La sforbiciata, introdotta dall'articolo 6, comma 3 del Dl 78/2010, colpirà tutti, anche chi era stato già attento ai conti pubblici e aveva già chiesto in passato una riduzione in «busta paga»: per tutti la somma su cui operare il taglio sarà quella effettivamente erogata al 30 aprile scorso, e l'indennità rimarrà congelata al nuovo livello fino al 2013.

L'indicazione arriva dal parere 09.12.2010 n. 204 della Corte dei conti della Toscana, la prima sezione regionale di controllo a pronunciarsi sul tema.
Il punto è controverso, e le stesse associazioni dei revisori erano intervenute nelle ultime settimane per sostenere una «specialità» nel loro trattamento, sulla base del fatto che il trattamento economico del guardiano dei conti (organismo previsto dal testo unico degli enti locali) è affidato al ministero dell'Economia, su proposta del consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili (il meccanismo è previsto dal Dlgs 139/2005, articolo 29, comma i, lettera n).
Un altro argomento dei professionisti puntava sul fatto che la stessa manovra, quando ha voluto coinvolgerei revisori li ha citati espressamente (come accade due commi dopo la norma incriminata, quando si parla di riduzione dei membri degli organi collegiali).
I magistrati contabili seguono un'altra linea, secondo l'approccio tradizionale che tende a un'interpretazione il più possibile estensiva quando si tratta di riduzione di costi pubblici. Le cifre in gioco non sono da capogiro (il revisore di una metropoli, con bilanci da miliardi di euro, guadagna 18mila euro lordi all'anno), ma la norma non prevede esclusioni, per cui la Corte ne sottolinea un'applicazione generalizzata.
Niente sconti per chi già in passato si era autoridotto il compenso: come sempre accade nei tagli lineari, il riferimento è uguale per tutti, e finisce per colpire di più chi in passato aveva già risparmiato (articolo Il Sole 24 Ore del 16.12.2010 - tratto da www.corteconti.it).

INCENTIVO PROGETTAZIONE: Modalità di computo dell'Irap in sede di liquidazione dei compensi dovuti ai propri dipendenti che rivestono le qualifiche di avvocato e a quelli di profilo tecnico che svolgono incarichi di progettazione e direzione dei lavori, alla luce dell'indirizzo espresso dalle Sezioni Riunite in sede di controllo con deliberazione n. 33 adottata nell'adunanza del 07.06.2010.
Il parere concerne le modalità di computo dell'Irap in sede di liquidazione dei compensi dovuti ai propri dipendenti che rivestono le qualifiche di avvocato e a quelli di profilo tecnico che svolgono incarichi di progettazione e direzione dei lavori, alla luce dell'indirizzo espresso dalle Sezioni Riunite in sede di controllo con deliberazione n. 33 adottata nell'adunanza del 07.06.2010.
La Sezione ha chiarito che l'orientamento manifestato dalle Sezioni Riunite della Corte va inteso nel senso che tutti gli oneri, inclusa l'Irap, dovuti dall'Ente in relazione al pagamento degli incentivi ad avvocati e tecnici dipendenti, devono trovare copertura nell'ambito dei relativi fondi appositamente costituiti e non nel senso che l'Ente abbia l'onere di finanziare un'ulteriore spesa a titolo di Irap al di fuori dei suddetti fondi
(Corte dei Conti, Sez. giurisdiz. Emilia Romagna, parere 02.12.2010 n. 543).

GIURISPRUDENZA

AMBIENTE-ECOLOGIA: INQUINAMENTO - CIRCOLAZIONE STRADALE - ZTL - Provvedimenti limitativi della circolazione veicolare - Interessi contrapposti - Contemperamento - Criteri di ragionevolezza - Fattispecie.
In materia di provvedimenti limitativi della circolazione veicolare all'interno dei centri abitati, è consolidato nella giurisprudenza amministrativa l’orientamento, secondo il quale tali atti sono espressione di scelte latamente discrezionali, che coprono un arco molto esteso di soluzioni possibili, incidenti su valori costituzionali spesso contrapposti, che devono essere contemperati, secondo criteri di ragionevolezza (tra le tante Consiglio di Stato, V, 13.02.2009, n. 825 e 03.02.2009, n. 596; TAR Puglia Bari, III, 13.05.2010, n. 1869; TAR Campania Napoli, I, 17.12.2009, n. 8874) (nella specie è stato ritenuto illegittima la regolamentazione dell’accesso e sosta in ZTL per effetto della quale risultava precluso l’accesso al centro storico da parte dei possessori di garage e dei disabili) (TAR Sicilia-Palermo, Sez. I, sentenza 15.12.2010 n. 14299 - link a www.ambientediritto.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOLegittime le limitazioni sul danno d'immagine alla Pa. Corte costituzionale. Respinte dieci cause riunite.
La Corte costituzionale "salva" la limitazione della responsabilità dei dipendenti pubblici per il «danno d'immagine» provocato all'amministrazione di appartenenza, così come ridisegnata e ridotta dal decreto legge "anticrisi" 78/2009.
I giudici della Consulta hanno respinto, con la sentenza 15.12.2010 n. 355, ben dieci ricorsi riuniti sul tema, per fatti molto eterogenei si va dalla pretesa risarcitoria contro poliziotti penitenziari accusati di violenza sessuale su detenuti, agli amministratori di aziende municipalizzate troppo sbrigativi nell'aprire centri "salute", dal direttore regionale per la sanità che spende troppo e male, ai dirigenti comunali che non raggiungono le quote di raccolta differenziata, fino al poliziotto che pretendeva di entrare gratis nei locali pubblici.
Tutte ipotesi, queste, che dallo scorso anno non sono più perseguibili dalla procure presso la Corte dei conti per «danno d'immagine», appunto, perché o non si tratta di reati, oppure sono reati ma' fuori dal novero di quelli che il dl 78 ha previsto "con aggravio" erariale (una dozzina di fattispecie che partono dal peculato e dalla malversazione, passano dalla corruzione e dall'abuso di ufficio e arrivano all'interruzione di pubblico servizio con le altre varianti del capo I, titolo H del libro II del codice: delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione). ... (articolo Il Sole 24 Ore del 16.12.2010 - tratto da www.corteconti.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOIndennizzo per la lesione all'immagine solo se c'è reato. P.a., risarcimento danni limitato.
Il risarcimento del danno all'immagine della pubblica amministrazione resta limitato ai soli casi in cui sia stato commesso (e accertato con sentenza di condanna passata in giudicato) un reato contro la stessa p.a..
A nulla sono valsi i ricorsi della prima sezione giurisdizionale centrale d'appello della Corte conti e di ben sei sezioni regionali (Umbria, Calabria, Campania, Toscana, Sicilia e Lombardia) per scardinare la mini-riforma dei giudizi contabili inserita dal parlamento in sede di conversione del decreto anticrisi del 2009 (dl 78/2009) e subito corretta col successivo decreto legge n. 103/2009 (si veda ItaliaOggi dell'01/08/2009).

Lo ha stabilito la Consulta nella sentenza 15.12.2010 n. 355, depositata ieri in cancelleria e redatta da Alfonso Quaranta, con cui le censure mosse dalla Corte conti sono state giudicate in parte infondate e in parte inammissibili.
Le norme impugnate, sin dalla loro approvazione, hanno suscitato subito forti polemiche per i presunti paletti introdotti all'azione del pubblico ministero contabile che ora, per poter iniziare l'attività di indagine, ha la necessità di avere in mano una notizia di danno «specifica e concreta».
Venivano fatte salve le fattispecie di danno erariale di tipo sanzionatorio in cui è la legge stessa ad affermare che una determinata condotta (per esempio, affidare consulenze o, nei comuni, contrarre debiti per finanziare la spesa corrente) costituisce danno erariale.
Sul danno all'immagine la riforma (art. 17, comma 30-ter, del dl 78/2009) ha previsto che il pm contabile possa esercitare l'azione pér il risarcimento solo dopo sentenza irrevocabile di condanna del dipendente pubblico per reati contro la pubblica amministrazione. E ha stabilito nel contempo che il decorso del termine di prescrizione (5 anni) sia sospeso fino alla conclusione del processo penale.
Le sei sezioni regionali della Corte conti hanno sollevato la questione di legittimità ritenendo le norme lesive di un folto gruppo di disposizioni costituzionali. ... (articolo ItaliaOggi del 16.12.2010 - tratto da www.corteconti.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: INQUINAMENTO ACUSTICO - Classificazione acustica - Zonizzazione urbanistica - Corrispondenza - Necessità - Esclusione.
Non esiste piena corrispondenza tra zonizzazione urbanistica ed acustica: la finalità principale del Piano di zonizzazione acustica è infatti quella della tutela della salute umana in relazione all'inquinamento acustico e deve pertanto ritenersi differente dagli scopi propri della pianificazione urbanistica (TAR Lombardia Milano, sez. IV, 27.12.2007, n. 6819), con la conseguenza che la classificazione ai fini urbanistici non deve corrispondere pienamente con quella acustica (TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 13.12.2010 n. 7545 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTI: Sulla legittimità dell'esclusione di un concorrente che abbia presentato la dichiarazione relativa al possesso dei requisiti di capacità economico-finanziaria oltre il termine di 10 giorni dalla richiesta inoltrata dalla stazione appaltante.
E' legittimo il provvedimento di esclusione adottato da una stazione appaltante nei confronti di un concorrente che, sorteggiato a campione per il controllo in ordine al possesso dei requisiti di capacità economico-finanziaria e tecnico-organizzativa, ne abbia presentato la relativa dichiarazione oltre il termine di dieci giorni dalla richiesta, in quanto, secondo un consolidato principio giurisprudenziale, ai sensi dell'art. 48, c. 1, d.lgs. n. 163/2006, il predetto termine entro cui l'impresa è tenuta ad ottemperare alla richiesta della stazione appaltante, ha natura perentoria; inoltre, la non applicabilità delle sanzioni conseguenti alla sua inosservanza, od un'eventuale proroga dello stesso, si giustificano nei soli casi di comprovata ed oggettiva impossibilità.
Peraltro, il termine di cui sopra non può ritenersi eccessivamente breve, giacché rientra nella normale diligenza di ciascun concorrente il dovere di attivarsi tempestivamente al fine di procurarsi la necessaria documentazione da esibire per tempo, allorquando, dopo il sorteggio, sopravvenga una richiesta in tal senso da parte della stazione appaltante (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 13.12.2010 n. 8739 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: INQUINAMENTO ACUSTICO - Classificazione acustica - Art. 4 L. n. 447/1995 - L.R. toscana n. 89/1998 - Rapporto con il pre-uso del territorio - Rilevanza.
In forza delle disposizioni di cui all’art. 4, c. 1, lett. a), della L. n. 447/1995, nonché della L.reg. Toscana n. 89/1998, le scelte inerenti la classificazione acustica, sono espressione di discrezionalità tecnica che va ancorata all'accertamento di specifici presupposti di fatto, tra i quali, in primo luogo il pre-uso del territorio, al fine di non sacrificare le consolidate aspettative di coloro che si sono legittimamente insidiati.
Va escluso che una mera situazione di fatto (nella specie, impianto di frantumazione situato in zona a destinazione agricola) possa essere avallata dalle successive scelte operate dall'amministrazione in materia di classificazione acustica.
INQUINAMENTO ACUSTICO - Classificazione acustica - Strada extraurbana - Automatica attribuzione di una predefinita classe acustica - Esclusione - Classificazione adottata - Motivazione.
La mera qualificazione di una strada come extraurbana non comporta l’automatica attribuzione di una certa classificazione dal punto di visto acustico: nondimeno l’Amministrazione comunale è tenuta a fornire adeguate argomentazioni, in relazione al volume di traffico coinvolto, che consenta di giustificare la classificazione adottata (TAR Toscana, Sez. II, sentenza 11.12.2010 n. 6724 - link a www.ambientediritto.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: INQUINAMENTO - SALUTE - Amianto - Obbligo cogente e generalizzato di rimozione - Sussistenza - Esclusione - Parere tecnico in ordine allo stato di manutenzione - Competenza - ASL - Artt. 3 e 12 L. n. 257/1992.
Dalla lettura degli artt. 3, c. 1 e 12 della legge 27.03.1992, n. 257 non pare potersi evincere un obbligo cogente e generalizzato di rimuovere il materiale contenente amianto già utilizzato negli edifici privati prima dell'entrata in vigore della legge n. 257/1994, salvo che lo stato di manutenzione del medesimo ne renda evidente l'opportunità (TAR Campania, Napoli, sez. V, 07.06.2006, n. 6786); la competenza ad emettere il parere tecnico necessario è assegnata dalla legge agli uffici delle Aziende sanitarie locali e non all’Agenzia per la protezione dell’ambiente (TAR Toscana, Sez. II, sentenza 11.12.2010 n. 6722 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTI: Sull'esclusione dalla partecipazione alle procedure di affidamento delle concessioni e degli appalti pubblici dei soggetti che hanno commesso violazioni, definitivamente accertate, rispetto agli obblighi di pagamento delle imposte e tasse.
Il disposto normativo di cui all'art. 38, comma primo, lett. g), del Codice dei Contratti Pubblici (D.Lgs. n. 163 del 2006), nella parte in cui dispone l'esclusione dalla partecipazione alle procedure di affidamento delle concessioni e degli appalti pubblici dei soggetti che hanno commesso violazioni, definitivamente accertate, rispetto agli obblighi di pagamento delle imposte e tasse, tende a porre sul medesimo piano ontologico tutte le condotte comunque finalizzate all'evasione dell'imposta, senza alcuna distinzione in ordine agli strumenti ed agli eventuali raggiri adoperati e, dunque, al grado di pericolosità delle condotte poste in essere.
Ciò che rileva in materia, invero, non è la tutela del corretto prelievo fiscale come previsto nell'ordinamento tributario, ma soltanto l'affidabilità dei soggetti che contrattano con l'amministrazione, affidabilità che viene meno tanto nel caso di omessi e ritardati pagamenti quanto nel caso di sottrazione di materia imponibile caratterizzata da artifici e raggiri contabili e quale che sia l'entità dell'evasione accertata (TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. I, sentenza 10.12.2010 n. 8108 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAUna veranda è da considerarsi, in senso tecnico-giuridico, un nuovo locale autonomamente utilizzabile e difetta normalmente del carattere di precarietà, trattandosi di opera destinata non a sopperire ad esigenze temporanee e contingenti con la sua successiva rimozione, ma a durare nel tempo, ampliando così il godimento dell'immobile.
La trasformazione di un balcone o di un terrazzino circondato da muri perimetrali in veranda, mediante chiusura a mezzo di installazione di pannelli di vetro su intelaiatura metallica, non ha natura precaria né costituisce intervento di manutenzione straordinaria o di restauro, ma è opera soggetta a permesso di costruire.

Secondo la Cassazione penale, sez. III, 10.01.2008, n. 14329: “In materia edilizia, una veranda è da considerarsi, in senso tecnico-giuridico, un nuovo locale autonomamente utilizzabile e difetta normalmente del carattere di precarietà, trattandosi di opera destinata non a sopperire ad esigenze temporanee e contingenti con la sua successiva rimozione, ma a durare nel tempo, ampliando così il godimento dell'immobile"; analogamente Cassazione penale, sez. III, 26.04.2007, n. 35011, per cui: “La trasformazione di un balcone o di un terrazzino circondato da muri perimetrali in veranda, mediante chiusura a mezzo di installazione di pannelli di vetro su intelaiatura metallica, non ha natura precaria né costituisce intervento di manutenzione straordinaria o di restauro, ma è opera soggetta a permesso di costruire”.
In terminis: Consiglio Stato, sez. VI, 27.01.2003, n. 419, secondo cui: “La nozione di costruzione, ai fini del rilascio della concessione edilizia, si configura in presenza di opere che attuino una trasformazione urbanistico-edilizia del territorio, con perdurante modifica dello stato dei luoghi, a prescindere dal fatto che essa avvenga mediante realizzazione di opere murarie; infatti è irrilevante che le dette opere siano realizzate in metallo, in laminati di plastica, in legno o altro materiale, laddove comportino la trasformazione del tessuto urbanistico ed edilizio (nella specie il C.d.S. ha considerato nuova costruzione o ampliamento della costruzione esistente una veranda stabilmente infissa al suolo con profondità dalla parete esterna al pilastro di sostegno di mt. 5,20, con dimensioni planimetriche di mt. 7,15 x 5,07 avente un'altezza nella parte superiore di mt. 2,85 e nella parte inferiore di mt. 2,80, sotto il profilo funzionale preordinata a soddisfare la non precaria esigenza del titolare di un pubblico esercizio”. Infine, tra le tante: TAR Campania Napoli, sez. VI, 03.08.2007, n. 7258; TAR Campania Napoli, sez. IV, 08.06.2007, n. 6038)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 10.12.2010 n. 7497 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa nozione di completamento funzionale di un fabbricato da condonare è idonea a comprendere esclusivamente ciò che è necessario ad una sua più idonea e funzionale utilizzazione, ferma restando la originaria struttura del medesimo.
La giurisprudenza amministrativa, infatti, ha in proposito rilevato come non possano qualificarsi come opere di completamento funzionale quelle che si traducono nella creazione di un quid novi rispetto alla consistenza strutturale e tipologica del manufatto già realizzato e che attribuiscono una diversa caratterizzazione funzionale allo stesso.

Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza amministrativa in tema di ultimazione delle opere condonabili, infatti, gli artt. 31, comma 2 e 43, comma 5 della L. n. 47 del 1985 dettano -in alternativa al criterio della esecuzione al rustico e completamento della copertura dell'edificio- il criterio del completamento funzionale dell'opera, secondo il quale, per i mutamenti di destinazioni d'uso di edifici non residenziali, è condonabile la struttura in cui le opere, pur se non perfette fin nelle finiture, possano dirsi individuabili nei loro elementi strutturali con le caratteristiche necessarie e sufficienti ad assolvere la funzione cui sono destinate (cfr., in tal senso, da ultimo, Consiglio Stato, sez. IV, 25.06.2010, n. 4118, per cui: “I lavori di completamento di un edificio abusivamente iniziato, non preclusivi della sanatoria, sono quelli che servono a rendere funzionale il rustico di per sé già ultimato, senza intervenire sulla conformazione strutturale del manufatto, che deve rimanere intatto nella sua originaria consistenza”; analogamente Cons. Stato, sez. V, 18/12/2002 n. 7021; TAR Lazio -LT- 18/04/2006 n. 264).
La nozione di completamento funzionale di un fabbricato, in definitiva, è idonea a comprendere esclusivamente ciò che è necessario ad una sua più idonea e funzionale utilizzazione, ferma restando la originaria struttura del medesimo.
La giurisprudenza amministrativa, infatti, ha in proposito rilevato come non possano qualificarsi come opere di completamento funzionale quelle che si traducono nella creazione di un quid novi rispetto alla consistenza strutturale e tipologica del manufatto già realizzato e che attribuiscono una diversa caratterizzazione funzionale allo stesso (facendo applicazione di tali criteri, con la sentenza del TAR Lazio n. 4843/2001, riportata nella memoria conclusiva dell’ente resistente, si è ritenuto che le opere perimetrali di chiusura di una tettoia non siano riconducibili a quelle di completamento funzionale, in quanto trasformano radicalmente il manufatto in un locale chiuso con un diverso grado di funzionalità.
Ciò, aggiungendosi che, da un punto di vista urbanistico ed edilizio, una cosa è procedere alla sanatoria di una tettoia ed altra cosa è condonare un locale chiuso, che evidentemente presenta una ben maggiore incidenza negativa sulla realtà dei luoghi con conseguente possibile mutamento degli standards urbanistici)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 10.12.2010 n. 7497 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Sulla esclusione della possibilità di partecipare alla gara in più di un raggruppamento temporaneo o consorzio ordinario di concorrenti ovvero in forma individuale qualora il medesimo soggetto abbia partecipato alla medesima gara in raggruppamento o consorzio ordinario.
Il divieto di cui all'art. 37, comma 7, del D.Lgs. n. 163 del 2006 -che esclude la possibilità di partecipare alla gara in più di un raggruppamento temporaneo o consorzio ordinario di concorrenti, ovvero, ancora, in forma individuale qualora il medesimo soggetto abbia partecipato alla medesima gara in raggruppamento o consorzio ordinario- non può trovare applicazione rispetto a quelle gare caratterizzate dalla divisione dell'appalto in più lotti, con la facoltà, per gli eventuali concorrenti, di partecipare anche per un singolo lotto risultando ammissibile, quindi, che di questi possa avere un diverso aggiudicatario.
In tali ipotesi, nelle quali si può affermare che il bando di gara sia un atto ad oggetto plurimo (più gare, tante quante sono i lotti, svolte nell'ambito del medesimo contesto temporale), venuta meno l'unitarietà della gara, nulla impedisce ad una impresa di partecipare in forma singola per determinati lotti ed in raggruppamento temporaneo per altri escludendo, in tal senso, l'applicabilità della norma sopra richiamata.
In tema di appalti pubblici, costituiscono elementi sintomatici della circostanza che la gara indetta non abbia carattere unitario ma si caratterizzi, piuttosto, quale pluralità di gare svolte nel medesimo contesto temporale, da un lato, la suddivisione dell'appalto in singoli lotti caratterizzati da autonoma aggiudicabilità -ovvero dal fatto che le procedure concorsuali siano dirette alla conclusione di tanti contratti di appalto quanti sono i lotti- e dall'altro lato, come riscontro esterno a siffatto regime, la formazione di distinte graduatorie in relazione ad ognuno dei lotti.
In siffatta ipotesi, posto che l'offerta relativa ad un lotto non è in grado di interferire con le offerte riguardanti gli altri lotti e, quindi, di inficiare il risultato della procedura con violazione della concorrenza, deve essere esclusa l'applicabilità dell'art. 37, comma 7, del D.Lgs. n. 163 del 2006 (TAR Lazio-Roma, Sez. I-ter, sentenza 09.12.2010 n. 35960 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Condono - Diniego - Motivazione in forma sintetica - Caratteristiche concrete dei manufatti - Rilevanza.
In materia di dinieghi di condono, le specifiche caratteristiche dei manufatti, nel concreto spazio in cui insistono, possono consentire al giudice, cui sia offerto un adeguato supporto probatorio, di intendere ed eventualmente approvare (nei limiti del sindacato di legittimità) le ragioni del diniego stesso, per quanto solo compendiate nel provvedimento (cfr. TAR Veneto, II, 24.01.2009, n. 151, in cui la Sezione ha rammentato che l'obbligo di motivazione, ex art. 3 l. 241/1990, può essere assolto in forma sintetica, laddove le ragioni della determinazione amministrativa risultino dal contesto evidenti) (TAR Veneto, Sez. II, sentenza 09.12.2010 n. 6427 - link a www.ambientediritto.it).

URBANISTICA: Piani regolatori generali e varianti - Impugnazione - Termine di decadenza - Decorrenza - Individuazione.
L'atto d’approvazione dei piani regolatori generali, o loro varianti di contenuto generale o riguardanti ampie zone e comparti territoriali, deve essere impugnato nel termine di decadenza decorrente dalla data di pubblicazione, non essendo richiesta la notificazione individuale agli interessati. (Consiglio Stato, sez. IV, 19.07.2004, n. 5225, ma si veda anche Sez. IV, 08.07.2003, n. 4040; 23.11.2002, n. 6436; 30.07.2002, n. 4075, e Sez. VI, 15.05.2002, n. 2646); solo quando la variante è particolare -il che si verifica quando le previsioni urbanistiche costituiscano atti di pianificazione a contenuto singolo, e i vincoli espropriativi vengano a incidere in modo diretto e immediato sui soggetti destinatari del vincolo reiterato (così C.d.S., IV, 23.12.1998, n. 1904)- il termine di impugnazione deve farsi decorrere dalla notifica individuale (C.d.S., IV, 14.06.2001, n. 3149) (TAR Veneto, Sez. II, sentenza 07.12.2010 n. 6376 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATAL'Amministrazione comunale, cui è rimessa sul piano istruttorio la delibazione di conformità urbanistica di ogni progetto edilizio, deve verificare, tra l’altro, che esista un idoneo titolo per eseguire le opere, che assurge a presupposto di legittimità sia degli interventi che implicano il rilascio del permesso di costruire sia di quelli soggetti al regime semplificato della d.i.a..
Va anzitutto osservato che il primo comma dell’evocato art. 11 del T.U. sull’edilizia (e già prima l’art. 4 della legge n. 10 del 1977) dispone –ed analoga previsione è contenuta nel primo comma dell’art. 23 per gli interventi soggetti a d.i.a.– che “Il permesso di costruire è rilasciato al proprietario dell'immobile o a chi abbia titolo per richiederlo”.
Tanto premesso, il Collegio ritiene che, sulla base della normativa richiamata, l'Amministrazione comunale, cui è rimessa sul piano istruttorio la delibazione di conformità urbanistica di ogni progetto edilizio, deve verificare, tra l’altro, che esista un idoneo titolo per eseguire le opere, che assurge a presupposto di legittimità sia degli interventi che implicano il rilascio del permesso di costruire sia di quelli soggetti al regime semplificato della d.i.a. (cfr. TAR Campania, Sezione II, 22.09.2006, n. 8243).
Vero è che la giurisprudenza amministrativa esclude l’esistenza di un obbligo del Comune di effettuare complessi accertamenti diretti a ricostruire tutte le vicende riguardanti l'immobile e, soprattutto in passato, era prevalentemente orientata nel senso che il parametro valutativo dell'attività amministrativa in materia edilizia fosse solo quello dell'accertamento della conformità dell'opera alla disciplina pubblicistica che ne regola la realizzazione, salvi i diritti dei terzi, senza che la mancata considerazione di tali diritti potesse in qualche modo incidere sulla legittimità dell'atto.
Tuttavia, più recentemente (cfr. per tutte Consiglio di Stato, Sezione V, 15.03.2001, n. 1507 e 21.10.2003, n.6529; TAR Campania, Sezione II, 29.03.2007 n. 2902), ha avuto occasione di precisare che la necessaria distinzione tra gli aspetti civilistici e quelli pubblicistici dell'attività edificatoria non impedisce di rilevare la presenza di significativi punti di contatto tra i due diversi profili.
In proposito ha, pertanto, chiarito che non è seriamente contestabile che nel procedimento di rilascio dei titoli edilizi l'amministrazione abbia il potere ed il dovere di verificare l'esistenza, in capo al richiedente, di un idoneo titolo di godimento sull'immobile, interessato dal progetto di trasformazione urbanistica, trattandosi di un’attività istruttoria che non è diretta, in via principale, a risolvere i conflitti di interesse tra le parti private in ordine all'assetto proprietario degli immobili interessati, ma che risulta finalizzata, più semplicemente, ad accertare il requisito della legittimazione del richiedente.
Ha, pertanto, concluso nel senso che, in caso di opere che vadano ad incidere sul diritto di altri comproprietari, è legittimo esigere il consenso degli stessi (che può essere manifestato anche per fatti concludenti) e che, a maggior ragione, qualora vi sia un conclamato dissidio fra i comproprietari in ordine all'intervento progettato, la scelta dell'amministrazione di assentire comunque le opere (in base al mero riscontro della conformità agli strumenti urbanistici) evidenzia un grave difetto istruttorio e motivazionale, perché non dà conto dell’effettiva corrispondenza tra l’istanza edificatoria e la titolarità del prescritto diritto di godimento
(TAR Campania-Napoli, Sez. II, sentenza 06.12.2010 n. 26817 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALegittimamente il dirigente comunale non ha rilasciato il richiesto permesso di costruire, attesa la mancanza del titolo a disporre in via esclusiva del suolo interessato dai lavori, per la natura condominiale di parte del lastrico solare ed in mancanza di delibera assembleare.
Ai sensi dell’art. 1117 c.c., il lastrico solare è oggetto di proprietà comune “se il contrario non risulta dal titolo”. Come chiarito dalla costante giurisprudenza (cfr., per tutte, Cassazione civile, Sezione II, 16.07.2004 n.13279; 16.02.2005 n. 3102; 29.03.2007 n. 7709), per titolo devono intendersi non soltanto gli atti di acquisto delle varie unità immobiliari incluse nel fabbricato ma anche il regolamento di condominio accettato dai singoli condomini.
E’ altrettanto pacifico in giurisprudenza che il regolamento di condominio, di cui all’art. 1138 c.c., predisposto dall’originario unico proprietario dell’intero edificio ed accettato dagli iniziali acquirenti o assegnatari dei singoli appartamenti, se trascritto nei registri immobiliari o oggetto di esplicito richiamo nei singoli atti di acquisto, vincola tutti i successivi acquirenti per le clausole che disciplinano l’uso o il godimento dei servizi o delle parti comuni.
In conclusione, alla luce delle disposizioni normative sopra evocate e della documentazione versata in atti, il Collegio ritiene che legittimamente il dirigente comunale non ha rilasciato il richiesto permesso di costruire, atteso che la mancanza del titolo a disporre in via esclusiva del suolo interessato dai lavori, per la natura condominiale di parte del lastrico solare ed in mancanza di delibera assembleare (cfr. Cassazione civile, Sezione II, 29.08.1992, n. 6529), costituisce ragione da sola preclusiva alla realizzazione dell’intervento
(TAR Campania-Napoli, Sez. II, sentenza 06.12.2010 n. 26817 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Permesso di costruire - Impugnazione - Decorrenza del termine - Individuazione.
Ai fini della decorrenza dei termini per l’impugnazione di una concessione edilizia (oggi permesso di costruire), occorre che le opere rivelino , in modo certo ed univoco, le loro caratteristiche e, quindi, l’entità delle violazioni urbanistiche e della lesione eventualmente derivante dal provvedimento (cfr. Cons.Stato, IV, 23-7-2009, n. 4616).
Di conseguenza, in mancanza di altri ed inequivoci elementi probatori, il termine decorre con il completamento dei lavori, a meno che non venga provata una conoscenza anticipata o si deducano censure di assoluta inedificabilità dell’area o analoghe censure, nel qual caso risulta sufficiente la conoscenza dell’iniziativa in corso (cfr. Cons. Stato, IV, 10-12-2007, n. 6342).
Invero, l’effetto lesivo si atteggia diversamente (e, come tale, viene percepito) a seconda che si contesti l’illegittimità del titolo edilizio per il solo fatto che esso sia stato rilasciato (ad esempio, per contrasto con l’inedificabilità assoluta dell’area) ovvero per il contenuto specifico del progetto edilizio assentito, come nel caso in cui l’opera non rispetti le distanze dalle costruzioni (cfr. TAR Liguria, Genova, I, 25-01-2010, n. 192) (TAR Campania-Salerno, Sez. II, sentenza 03.12.2010 n. 13083 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTI: Art. 38 e doveri della stazione appaltante.
La stazione appaltante ha il dovere di esprimere un giudizio rispetto alle condanne dichiarate dai concorrenti in sede di gara.

Così ha deciso il Consiglio di Stato, Sez. V, con la sentenza 03.12.2010 n. 8535.
Nel caso di specie, relativo all’affidamento dei lavori di rifacimento di un tratto stradale, uno dei concorrenti aveva impugnato l’esclusione dalla gara comminata per violazione dell’articolo 38 del Codice dei contratti.
I giudici di Palazzo Spada affrontando la questione, posta all’esame del Tar Piemonte in primo grado, affermano un principio fondamentale per l’agire delle stazioni appaltanti.
Mettendo in luce la discrezionalità delle amministrazioni nella valutazione delle condanne riportate dai concorrenti “fermo restando, pertanto, il dovere dei concorrenti di dichiarare lealmente tutte le condanne subite”, si sostiene che da questo principio “non può non discendere il dovere della stazione appaltante di motivare in maniera congrua il proprio giudizio, non solo quando questo propenda per il carattere ostativo delle eventuali condanne, ma anche nella diversa ipotesi in cui una condanna penale –pur sussistente– sia reputata irrilevante e comunque non incidente sull’affidabilità del concorrente.”
La decisione della stazione appaltante circa l’incisione o meno della condanna dichiarata dal concorrente sulla sua moralità professionale deve essere necessariamente supportata da un giudizio conoscibile per coloro che interagiscono con l’amministrazione, “il problema, infatti, non è la logicità o meno del giudizio nella specie espresso dalla stazione appaltante, ma la mancanza di tale giudizio, ossia l’impossibilità di interpretare in un senso o nell’altro il silenzio serbato sulla condanna riportata da uno dei concorrenti.”.
In conclusione, il dovere per le amministrazioni aggiudicatrici, illustrato nella sentenza, discende da elementari principi di trasparenza e par condicio, in quanto deve essere tutelato l’interesse degli altri concorrenti a conoscere il perché determinati pregiudizi penali siano giudicati ostativi ed altri no (commento tratto da www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATANel rideterminarsi a seguito di annullamento giurisdizionale di un diniego di permesso di costruire, l’Amministrazione deve tener conto anche della nuova disciplina urbanistica intervenuta nelle more del giudizio.
E' principio giurisprudenziale pacifico che, nel rideterminarsi a seguito di annullamento giurisdizionale di un diniego di permesso di costruire, l’Amministrazione deve tener conto anche della nuova disciplina urbanistica intervenuta nelle more del giudizio (cfr. Cons. Stato, Ad. Pl., 08.01.1996, nr. 1; Cons. Stato, sez. IV, 24.12.2008, nr. 6538) (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 03.12.2010 n. 8533 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATASpetta al Comune, nella propria veste di soggetto istituzionalmente titolare del potere di conformazione e governo del territorio, la facoltà di dettare prescrizioni al permesso di costruire che siano strettamente inerenti alle modalità realizzative dell’intervento e risultino oggettivamente e ragionevolmente giustificate da interessi di carattere pubblicistico.
Se è vero che la giurisprudenza ha più volte affermato l’impossibilità in generale di apporre condizioni, sia sospensive che risolutive, al permesso di costruire, salvi i casi espressamente previsti dalla legge (cfr. ad esempio Cons. Stato, sez. V, 24.03.2001, nr. 1702), l’analisi della casistica su cui si è formato tale indirizzo svela che sono state ritenute illegittime, di regola, le condizioni e prescrizioni che risultavano del tutto estranee all’intervento ed alle sue modalità realizzative e finalizzate al perseguimento di obiettivi del tutto estranei e diversi rispetto a quelli cui è funzionale la valutazione sull’assentibilità dell’intervento edificatorio richiesto.
Deve invece ritenersi spettante al Comune, nella propria veste di soggetto istituzionalmente titolare del potere di conformazione e governo del territorio, la facoltà di dettare prescrizioni che siano strettamente inerenti alle modalità realizzative dell’intervento e risultino oggettivamente e ragionevolmente giustificate da interessi di carattere pubblicistico
(Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 03.12.2010 n. 8533 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATATanto maggiore è il lasso di tempo trascorso tra l'avvio dell'attività edilizia e l'esercizio del potere di autotutela, maggiore deve essere il grado di motivazione sulle ragioni di pubblico interesse, diverse da quelle al mero ripristino della legalità, che deve connotare il relativo provvedimento amministrativo.
In caso di DIA, una volta decorso il termine perentorio di 30 giorni previsto dall’art. 23, d.P.R. n. 380/2001, la p.a., per potere esercitare il potere sanzionatorio, deve, prima, incidere sul titolo edilizio, intervenendo su di esso in autotutela, sempre che ne ricorrano i presupposti. E di ciò ne è riprova il comma 2-bis dell'art. 38 del d.P.R. n. 380/2001 che, con specifico riferimento alla d.i.a. edilizia, equipara l’ipotesi dell’“accertamento dell'inesistenza dei presupposti per la formazione del titolo” ai casi di interventi eseguiti in base a “permesso annullato”.

Tanto maggiore è il lasso di tempo trascorso tra l'avvio dell'attività e l'esercizio del potere di autotutela, maggiore deve, dunque, essere il grado di motivazione sulle ragioni di pubblico interesse, diverse da quelle al mero ripristino della legalità, che deve connotare il relativo provvedimento amministrativo (Cons. Stato, Sez. IV, 31.10.2006, n. 6465, Sez. V, 25.09.2006, n. 5622 e Sez. VI, 27.02.2006, n. 846).
Nel caso di specie, l’amministrazione si è limitata a motivare il provvedimento di annullamento della denuncia di inizio attività indicando i motivi per i quali il progetto edilizio si pone in contrasto con la normativa urbanistica ed edilizia vigente e ravvisando l’interesse pubblico alla rimozione dell’atto nell’esigenza di imparzialità di trattamento e nell’interesse all’ordinato assetto territoriale.
Queste ragioni, attesa la loro genericità, coincidono di fatto con una mera esigenza di ripristino della legalità, non identificando un interesse concreto ed attuale all’annullamento dell’atto.
L’amministrazione non ha, inoltre, effettuato alcuna comparazione tra l’interesse perseguito e quello privato sacrificato, adempimento ancor più necessario in considerazione della posizione di affidamento ingenerata nel privato dal decorso di un ampio lasso di tempo (oltre cinque anni) dal consolidarsi del titolo edilizio e della circostanza che i principali vizi riscontrati erano evincibili già dalle indicazioni del progettista e dagli elaborati grafici e non richiedevano, dunque, lo svolgimento di una particolare e complessa attività istruttoria.
Né l’amministrazione può invocare il potere di repressione degli abusi edilizi per giustificare un intervento finalizzato a ristabilire una situazione di regolarità urbanistica ed edilizia in mancanza di un interesse pubblico ulteriore.
Come questo Tar ha già affermato, una volta decorso il termine perentorio di 30 giorni previsto dall’art. 23, d.P.R. n. 380/2001, la p.a., per potere esercitare il potere sanzionatorio, deve, prima, incidere sul titolo edilizio, intervenendo su di esso in autotutela, sempre che ne ricorrano i presupposti. E di ciò ne è riprova il comma 2-bis dell'art. 38 del d.P.R. n. 380/2001 che, con specifico riferimento alla d.i.a. edilizia, equipara l’ipotesi dell’“accertamento dell'inesistenza dei presupposti per la formazione del titolo” ai casi di interventi eseguiti in base a “permesso annullato” (Tar Lombardia, Milano, 22.01.2010, n. 135) (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 03.12.2010 n. 7474 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Soggetto legittimamente escluso dalla gara - Fasi ulteriori della procedura concorsuale - Deduzione di vizi - Legittimazione - Esclusione - Ragioni.
Sulla scorta dei principi espressi nell’A.P. n. 1/2010, il soggetto legittimamente escluso dalla gara risulta privo di legittimazione e/o carente di interesse con riferimento alla deduzione dei vizi relativi alle ulteriori fasi della procedura concorsuale in quanto, tenuto conto che l'accoglimento del ricorso con riferimento al provvedimento di aggiudicazione definitiva in favore dell'impresa controinteressata comporterebbe non già l'aggiudicazione dell'appalto in favore della ricorrente, ma la ripetizione della gara, l'interesse strumentale alla rinnovazione della gara può essere perseguito soltanto dall'impresa che non è stata esclusa dalla gara: l'offerente che è stato legittimamente escluso dalla selezione, infatti, non può vantare un'aspettativa giuridica diversa e più qualificata di quella che si può riconoscere ad un qualunque altro soggetto che non abbia partecipato alla selezione stessa e che aspira ad eseguire l'appalto, previa partecipazione ad una successiva gara e sua conseguente aggiudicazione(cfr. TAR Veneto, I, n. 2313/2010 e n. 6015/2010) (TAR Veneto, Sez. I, sentenza 03.12.2010 n. 6340 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTI: Sussiste l'obbligo, in capo ad un RTI, di indicare le parti del servizio che saranno eseguite da ciascuna delle imprese associate.
In materia di gare pubbliche per l'affidamento di un appalto di servizi, ai sensi dell'art. 37, c. 4, d.lgs. n. 163/2006, sussiste l'obbligo, in capo ad un RTI, di indicare nella propria offerta le parti del servizio che saranno eseguite da ciascuna delle imprese facenti parte del raggruppamento, trattandosi, per la stazione appaltante, di un dato conoscitivo essenziale al fine di verificare il possesso dei richiesti requisiti di idoneità.
La ratio del predetto obbligo consiste nel consentire una maggiore speditezza nella fase di esecuzione del contratto, essendo in tal modo più agevole individuare il responsabile della prestazione delle singole parti dell'appalto (TAR Sicilia-Catania, Sez. III, sentenza 03.12.2010 n. 4613 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Offerte anomale - RUP - Pronuncia sull’anomalia dell’offerta - Incompetenza.
Non è compito del RUP pronunciare sull’anomalia dell’offerta di gara: la Commissione deve operare un proprio, diretto apprezzamento della relazione tecnica redatta dal RUP e degli specifici contenuti di essa.
L’ufficio (anche se competente nel settore al quale attiene l’oggetto della gara) può, infatti, dare pareri d’ordine tecnico, ragguagli ed altri elementi utili alla valutazione delle offerte presentate in sede di gara con aggiudicazione all’offerta più vantaggiosa, ma non può essere rimesso allo stesso il giudizio definitivo sulla congruità delle offerte allorché sia stata costituita un’apposita Commissione valutatrice, la cui semplice presa d’atto dell’attività compiuta dal RUP non soddisfa all’esigenza che la valutazione delle offerte non venga -nei suoi contenuti concreti e, in special modo, nelle sue tematiche di rilevanza giuridico-interpretativa- sottratta al vaglio dell’organo specificamente deputato a valutare i contenuti delle offerte stesse.
Attraverso la valutazione dell’anomalia, infatti, viene posta in essere una concreta attività valutativa dei contenuti dell’offerta non di carattere comparativo, ma pur sempre preordinata ad indagare sugli specifici contenuti dell’offerta stessa, sulla sua affidabilità e sulla piena rispondenza, a questo stesso fine, delle giustificazioni addotte originariamente o di quelle integrative eventualmente richieste (Consiglio di Stato, sez. VI, 15.07.2010, n. 4584) (TAR Sicilia-Palermo, Sez. II, sentenza 02.12.2010 n. 14243 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATALa fascia di rispetto cimiteriale costituisce un vincolo di inedificabilità rinveniente direttamente dalla legge, che si impone ex se, con efficacia diretta ed immediata, indipendentemente da qualsiasi recepimento negli strumenti urbanistici ed eventualmente anche in contrasto con i medesimi, i quali non sono idonei, per la loro natura, ad incidere sulla esistenza o sui limiti operativi del vincolo stesso.
Per giurisprudenza costante, la fascia di rispetto cimiteriale costituisce un vincolo di inedificabilità rinveniente direttamente dalla legge, che si impone ex se, con efficacia diretta ed immediata, indipendentemente da qualsiasi recepimento negli strumenti urbanistici ed eventualmente anche in contrasto con i medesimi, i quali non sono idonei, per la loro natura, ad incidere sulla esistenza o sui limiti operativi del vincolo stesso (cfr., tra le tante, Consiglio di Stato, Sezione V, 07.05.1996 n.519).
Infatti, il divieto di costruire nuovi edifici e di ampliare quelli esistenti risulta sancito dall'art. 338, comma 1, del R.D. 27.07.1934 n. 1265, e si configura, in via ordinaria, come un vincolo di inedificabilità assoluta (cfr. Consiglio di Stato, Sezione V, 12.11.1999 n. 1871), per cui di regola non vi è la necessità di compiere valutazioni in ordine alla concreta compatibilità dell'opera con i valori tutelati dal vincolo.
Qualora, però, si tratti di immobile edificato prima dell’imposizione del vincolo, la disciplina applicabile è quella di cui all'art. 32 della legge 47/1985 e l'opera diventa sanabile ove intervenga il parere favorevole dell’autorità preposta alla gestione del vincolo (in termini, TAR Campania, Sezione II, 25.01.2007 n. 708, confermata da Consiglio di Stato, Sezione IV, 06.11.2008 n. 5489)
(TAR Campania-Napoli, Sez. II, sentenza 01.12.2010 n. 26459 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAL’onere della prova circa l’ultimazione dei lavori ai fini del conseguimento del condono edilizio spetta al richiedente, le cui dichiarazioni non sono sufficienti a tale scopo, essendo necessari ulteriori riscontri documentali anche indiziari.
Va, anzitutto, richiamato il pacifico orientamento giurisprudenziale in base al quale l’onere della prova circa l’ultimazione dei lavori ai fini del conseguimento del condono edilizio spetta al richiedente, le cui dichiarazioni non sono sufficienti a tale scopo, essendo necessari ulteriori riscontri documentali anche indiziari (cfr. Consiglio di Stato, Sezione V, 14.03.2007 n. 1249; Sezione IV, 12.02.2010 n.772; TAR Campania, Sezione II, 28.04.2008 n. 2591).
In sede processuale, il principio dell’onere della prova risulta ora espressamente enunciato in via generale nel codice del processo amministrativo (approvato con il D.Lgs. 02.07.2010 n. 104), che ai primi due commi dell’art. 64 dispone quanto segue:
1. Spetta alle parti l'onere di fornire gli elementi di prova che siano nella loro disponibilità riguardanti i fatti posti a fondamento delle domande e delle eccezioni.
2. Salvi i casi previsti dalla legge, il giudice deve porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti nonché i fatti non specificatamente contestati dalle parti costituite
(TAR Campania-Napoli, Sez. II, sentenza 01.12.2010 n. 26459 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: L'indennità prevista dall'art. 15 l. 29.06.1939 n. 1497, può essere irrogata anche a distanza di tempo e senza la necessità di motivazione in ordine al ritardo dell'esercizio del potere.
È ben vero, infatti, che “Per gli illeciti in materia paesistica ed urbanistico-edilizia puniti con sanzione pecuniaria, la prescrizione quinquennale ex art. 28 l. 24.11.1981 n. 689, inizia a decorrere solo dalla cessazione della situazione di illiceità, sicché vertendosi in materia di illecito permanente, l'indennità prevista dall'art. 15 l. 29.06.1939 n. 1497, può essere irrogata anche a distanza di tempo e senza la necessità di motivazione in ordine al ritardo dell'esercizio del potere” (così Consiglio di Stato, sez. V, 4420/2006), e che “Il parere favorevole rilasciato dall'Amministrazione preposta alla tutela del paesaggio nell'ambito del procedimento di sanatoria edilizia non è atto idoneo a far decorrere il termine di prescrizione previsto dall'art. 28 l. n. 689 del 1981 per l'applicazione della sanzione di cui all'art. 15 l. n. 1497 del 1939” (Consiglio di Stato, sez. IV, 395/2004).
Tuttavia, il rilascio della concessione edilizia in accoglimento dell’istanza di condono –dietro parere favorevole dell’autorità preposta alla tutela del vincolo paesaggistico– è atto idoneo a determinare la cessazione della situazione di illiceità (TAR Campania-Napoli, Sez. VII, sentenza 01.12.2010 n. 26430 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: INQUINAMENTO ACUSTICO - Disciplina degli orari di apertura e della potenza dei diffusori acustici - Pari opportunità tra operatori dello stesso settore - Differenziazione degli strumenti di controllo - Fattispecie: street bar.
A parità di fenomeni di inquinamento acustico che comportano il disturbo della quiete pubblica e privata, l’equo contemperamento tra gli opposti interessi, attraverso una dettagliata disciplina degli orari di apertura e della potenza dei diffusori acustici, che rientra nelle competenze comunali, deve avvenire attraverso una disciplina dell’attività commerciale che consenta una pari opportunità tra gli operatori che operano nello stesso settore.
La regolamentazione di settore deve essere pertanto sostanzialmente identica, essendo identica la finalità della regolamentazione degli orari degli esercizi commerciali e della potenza della diffusione sonora, fermo restando la possibile differenziazione degli strumenti di controllo, in relazioni alla peculiarità delle situazioni (nella specie, street bar), per accertare che non sussistano violazione della regolamentazione da parte degli operatori del settore (TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. II, sentenza 01.12.2010 n. 8094 - link a www.ambientediritto.it).

URBANISTICA: Convenzione di lottizzazione - Trasferimento dei suoli previsti dalla convenzione - Ricorso allo strumento di cui all’art. 2932 c.c. - Ammissibilità.
Lo strumento di cui all'art. 2932 c.c. è utilizzabile non solo nel caso di inadempimento di obblighi di stipulazione discendenti da un contratto preliminare, ma anche di obblighi aventi titolo nella legge.
Ne consegue che è ammissibile una sentenza costitutiva ai sensi dell'art. 2932 c.c., a carico del Comune, che disponga il trasferimento al medesimo dei suoli previsti in convenzione di lottizzazione, trattandosi di obbligo che trova titolo nella previsione di legge (nella specie dall'art. 28, comma 5, della legge n. 1150/1942 che subordina l'autorizzazione comunale per la lottizzazione di un'area alla stipula di una convenzione, da trascriversi a cura del proprietario, che preveda, tra l'altro, la cessione gratuita entro termini prestabiliti delle aree necessarie per le opere di urbanizzazione primaria) (TAR Veneto, Sez. II, sentenza 01.12.2010 n. 6321 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Demolizione delle opere abusive - Revoca o sospensione - Istanza di condono o di sanatoria successiva al passaggio in giudicato della sentenza di condanna - Giudice dell'esecuzione - Poteri e verifiche - Fattispecie: manufatto abusivo ubicato in zona vincolata - Art. 7, u.c., L. n. 47/1985 oggi art. 31, c. 9, D.P.R. n. 380/2001 - Art. 32, c. 27, lett. d), D.L. n. 269/2003, conv. in L. n. 326/2003.
In materia urbanistica, ai fini della revoca o sospensione dell'ordine di demolizione delle opere abusive, (art. 7, ultimo comma, della L. 28.02.1985, n. 47, oggi previsto dall'art. 31, comma nono, del D.P.R. 06.06.2001, n. 380), in presenza di una istanza di condono o di sanatoria successiva al passaggio in giudicato della sentenza di condanna, il giudice dell'esecuzione investito della questione è tenuto ad una attenta disamina dei possibili esiti e dei tempi di definizione della procedura ed, in particolare:
a) ad accertare il possibile risultato dell'istanza e se esistono cause ostative al suo accoglimento;
b) nel caso di insussistenza di tali cause, a valutare i tempi di definizione del procedimento amministrativo e sospendere l'esecuzione solo in prospettiva di un rapido esaurimento dello stesso (Cass. sez. III, 26.09.2007 n. 38997, Di Somma; conf. Cass. sez. IV, 05.03.2008 n. 15210, Romano; Cass. sez. III, 12.12.2003 n. 3992 del 2004, Russetti) (fattispecie: manufatto abusivo ubicato in zona vincolata, non suscettibile di sanatoria ai sensi dell'art. 32, comma 27, lett. d), del D.L. n. 269/2003, convertito in L. n. 326/2003) (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 29.11.2010 n. 42189 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Pertinenza urbanistica - Nozione - Ampliamento di un edificio - Conducibilità alla nozione di pertinenza - Esclusione.
La nozione di "pertinenza urbanistica" ha peculiarità sue proprie, che la distinguono da quella civilistica: deve trattarsi, invero, di un'opera -che abbia comunque una propria individualità fisica ed una propria conformazione strutturale e non sia parte integrante o costitutiva di altro fabbricato- preordinata ad un'oggettiva esigenza dell'edificio principale, funzionalmente ed oggettivamente inserita al servizio dello stesso, sfornita di un autonomo valore di mercato, non valutabile in termini di cubatura o comunque dotata di un volume minimo tale da non consentire, in relazione anche alle caratteristiche dell'edificio principale, una sua destinazione autonoma e diversa da quella a servizio dell'immobile cui accede.
La relazione con la costruzione preesistente deve essere, in ogni caso, non di integrazione ma "di servizio", allo scopo di renderne più agevole e funzionale l'uso (carattere di strumentalità funzionale), sicché non può ricondursi alla nozione in esame l'ampliamento di un edificio che per la relazione di connessione fisica, costituisce parte di esso quale elemento che attiene all'essenza dell'immobile e lo completa affinché soddisfi ai bisogni cui è destinato (Cass., Sez. 3: 29.05.2007, Rossi; 11.05.2005, Grida; 17.01.2003, Chiappatone. Nello stesso senso anche C. Stato, Sez. 5, 22.10.2007, n. 5515) (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 29.11.2010 n. 42163 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTINel bando di gara possono essere previsti requisiti di partecipazione ristretti e selettivi solo quando tali criteri rispondano ad esigenze oggettive dell'Amministrazione e non appaiano sproporzionati, specie avuto riguardo all’oggetto dell’appalto e all'esigenza di non ridurre, oltre lo stretto indispensabile, la platea dei potenziali concorrenti e di non precostituire situazioni di privilegio.
E' vero che la stazione appaltante ha il potere discrezionale di fissare i requisiti di partecipazione ad una gara, ma tale potere va esercitato secondo criteri di ragionevolezza, parità di trattamento ed efficienza della azione amministrativa, nonché dei principi, di derivazione comunitaria, di concorrenza ed apertura del mercato degli appalti pubblici (TAR Lombardia Milano, sez. III, 27.08.2006, n. 1877).
Ne deriva che possono essere previsti requisiti di partecipazione ristretti e selettivi solo quando tali criteri rispondano ad esigenze oggettive dell'Amministrazione e non appaiano sproporzionati, specie avuto riguardo all’oggetto dell’appalto e all'esigenza di non ridurre, oltre lo stretto indispensabile, la platea dei potenziali concorrenti e di non precostituire situazioni di privilegio (TAR Lombardia, Milano, Sez. I, 18.06.2007, n. 5269; cfr., più di recente: Cons. Stato, sez. V, 04.08.2010, n. 5201) (TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 29.11.2010 n. 7404 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIn merito ai princìpi che governano l’esercizio del potere di autoannullamento dei titoli edilizi.
Giova premettere una breve sintesi dei principi che governano l’esercizio del potere di autoannullamento dei titoli edilizi, enucleati dalla giurisprudenza di questo Consiglio e sostanzialmente confluiti nell’art. 21-nonies, l. n. 241 del 1990, inapplicabile ratione temporis (cfr. Cons. St., sez. IV, 21.12.2009, n. 8529; sez. V, 06.12.2007, n. 6252; sez. V, 12.11.2003, n. 7218; sez. V, 24.09.2003, n. 5445; sez. V, 05.12.1995, n. 1782, cui si rinvia a mente dell’art. 74 c.p.a.):
a) presupposti dell’esercizio del potere di annullamento d’ufficio con effetti ex tunc sono l’illegittimità originaria del provvedimento, l’interesse pubblico concreto ed attuale alla sua rimozione diverso dal mero ripristino della legalità, l’assenza di posizioni consolidate in capo ai destinatari (sotto tale angolazione si reputa illegittimo l’annullamento di un titolo edilizio fondato sopra un mutamento della interpretazione consolidata di prescrizioni di p.r.g. in assenza di qualsivoglia condotta colpevole dell’interessato);
b) l’esercizio del potere di autotutela è espressione di rilevante discrezionalità che non esime, tuttavia, l’amministrazione dal dare conto, sia pure sinteticamente, della sussistenza dei su menzionati presupposti;
c) l’ambito della motivazione esigibile è integrato dalla allegazione del vizio che inficia il titolo edilizio dovendosi tenere conto, per il resto:
I) del particolare atteggiarsi dell’interesse pubblico in materia di tutela del territorio e dei valori che su di esso insistono (ambiente, paesaggio, salute, sicurezza, beni storici e culturali) che quasi sempre sono prevalenti rispetto a quelli contrapposti dei privati;
II) della eventuale negligenza o della malafede del privato che ha indotto in errore l’amministrazione o ha approfittato di un suo errore (ad es. rappresentando in modo erroneo la situazione di fatto in base alla quale è stato rilasciato il titolo o sono stati individuati i legittimati attivi);
d) rimane ferma l’esigenza di assicurare che la tutela del governo del territorio avvenga senza imporre sacrifici inutili al privato (tale profilo si coglie nell’art. 38 t.u. ed. –inapplicabile ratione temporis- che impone la sanzione pecuniaria solo in caso di non emendabilità del vizio della procedura o di impossibilità della rimessione in pristino);
e) pur non riscontrandosi un termine di decadenza del potere di auto annullamento del titolo edilizio, la caducazione che intervenga ad una notevole distanza di tempo e dopo che le opere sono state completate, esige una più puntuale e convincente motivazione a tutela del legittimo affidamento (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 27.11.2010 n. 8291 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa salvaguardia dell'area di rispetto cimiteriale di 200 metri prevista dall'art. 338 del R.D. 1265/1934 consiste in un vincolo assoluto di inedificabilità che non consente la collocazione di edifici o comunque di opere ad esso incompatibili, in considerazione dei molteplici interessi pubblici che s’intendono tutelare e che possono enuclearsi nelle esigenze di natura igienico-sanitaria, nella salvaguardia della peculiare sacralità che connota i luoghi destinati all'inumazione ed alla sepoltura, nel mantenimento di un'area di possibile espansione della cinta cimiteriale.
La salvaguardia dell'area di rispetto cimiteriale di 200 metri prevista dall'art. 338 del R.D. 1265/1934 consiste in un vincolo assoluto di inedificabilità che non consente la collocazione di edifici o comunque di opere ad esso incompatibili, in considerazione dei molteplici interessi pubblici che s’intendono tutelare e che possono enuclearsi nelle esigenze di natura igienico-sanitaria, nella salvaguardia della peculiare sacralità che connota i luoghi destinati all'inumazione ed alla sepoltura, nel mantenimento di un'area di possibile espansione della cinta cimiteriale (cfr., altresì, TAR Lombardia Milano, sez. IV, 02.04.2010, n. 962; Cons. Stato, sez. IV, 08.10.2007, n. 5210, secondo cui il suolo rientrante nella zona di rispetto cimiteriale ed assoggettato al relativo vincolo è da qualificare non edificabile ai sensi dell'art. 5-bis, d.l. n. 333 del 1992 (conv. con modificazioni nella l. n. 359 del 1992), e determina una tipica situazione di inedificabilità legale, assoluta, che non richiede valutazioni in ordine alla concreta compatibilità dell'uso con i valori tutelati dal vincolo e non può dare ingresso ad ipotesi alcuna di disparità di trattamento) (TAR Sicilia-Palermo, Sez. II, sentenza 26.11.2010 n. 14146 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAE' carente di motivazione il diniego di concessione in sanatoria fondato su un generico contrasto dell’opera con leggi o regolamenti in materia edilizia, dovendo invece il diniego stesso soffermarsi sulle disposizioni che si assumano ostative al rilascio del titolo e sulle previsioni di riferimento contenute negli strumenti urbanistici, in modo da consentire all’interessato da un lato di rendersi conto degli impedimenti che si frappongono alla regolarizzazione ed al mantenimento dell’opera abusiva, dall’altro di confutare in giudizio, in maniera pienamente consapevole ed esaustiva, la legittimità del provvedimento impugnato.
Il diniego di sanatoria risulta del tutto privo di qualsiasi motivazione idonea a far comprendere le ragioni in base alle quali si è ritenuto di respingere la domanda proposta dal ricorrente.
Ciò concreta la violazione dell’art. 3, comma 1, della legge n. 241/1990, il quale impone di esplicitare le ragioni di fatto e di diritto giustificanti il provvedimento, ovvero di individuare le norme applicate e di evidenziare in maniera intellegibile il contrasto dell’opera con le disposizioni che si attaglino alla fattispecie, contenute nella legge e/o nello strumento urbanistico (TAR Toscana, III, 09/04/2009, n. 605; Cons. Stato, V, 04/04/2006, n. 1750; idem, 23/04/1993, n. 502; TAR Puglia, Lecce, I, 25/03/1997, n. 206; idem, III, 21/11/2007, n. 3932).
Invero, è carente di motivazione il diniego di concessione in sanatoria fondato su un generico contrasto dell’opera con leggi o regolamenti in materia edilizia, dovendo invece il diniego stesso soffermarsi sulle disposizioni che si assumano ostative al rilascio del titolo e sulle previsioni di riferimento contenute negli strumenti urbanistici, in modo da consentire all’interessato da un lato di rendersi conto degli impedimenti che si frappongono alla regolarizzazione ed al mantenimento dell’opera abusiva, dall’altro di confutare in giudizio, in maniera pienamente consapevole ed esaustiva, la legittimità del provvedimento impugnato (TAR Toscana, III, 09/04/2009, n. 605; Cons. Stato, V, 23/04/1993, n. 502; TAR Toscana, II, 31/01/2000, n. 22; TAR Marche, 18/04/2001, n. 996; TAR Lazio, Latina, 01/09/2004, n. 690) (TAR Toscana, Sez. III, sentenza 26.11.2010 n. 6646 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAUna pertinenza, per poter essere definita tale dal punto di vista urbanistico, deve possedere una propria individualità fisica ed una propria conformazione strutturale e non essere parte integrante o costitutiva di altro fabbricato, ed inoltre essere preordinata ad un'oggettiva esigenza dell'edificio principale, funzionalmente ed oggettivamente inserita al servizio dello stesso, sfornita di un autonomo valore di mercato, non valutabile in termini di cubatura o comunque dotata di un volume minimo tale da non consentire, in relazione anche alle caratteristiche dell'edificio principale, una sua destinazione autonoma e diversa da quella a servizio dell'immobile cui accede.
Una pertinenza, per poter essere definita tale dal punto di vista urbanistico, deve possedere una propria individualità fisica ed una propria conformazione strutturale e non essere parte integrante o costitutiva di altro fabbricato, ed inoltre essere preordinata ad un'oggettiva esigenza dell'edificio principale, funzionalmente ed oggettivamente inserita al servizio dello stesso, sfornita di un autonomo valore di mercato, non valutabile in termini di cubatura o comunque dotata di un volume minimo tale da non consentire, in relazione anche alle caratteristiche dell'edificio principale, una sua destinazione autonoma e diversa da quella a servizio dell'immobile cui accede.
In sostanza, la pertinenza esaurisce la propria destinazione d'uso nel rapporto funzionale con l'edificio principale, così da non incidere sul carico urbanistico (tra le tante, Consiglio di Stato, sez. IV, 05.03.2010, n. 1277; sez. IV, 31.03.2010, n. 1842) (TAR Abruzzo-Pescara, sentenza 17.11.2010 n. 1221 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIn pendenza della domanda di sanatoria è preclusa l'adozione di provvedimenti repressivi dell'abuso edilizio, atteso che nell'ipotesi di diniego della domanda di sanatoria, l'Amministrazione dovrà adottare nuova ingiunzione di demolizione, con fissazione di nuovi termini per la spontanea esecuzione.
Non può ritenersi che il comune sia tenuto a valutare d’ufficio la sanabilità dell’opera ai sensi dell’art. 36 del d.P.R. 380/2001, atteso che tale previsione non risulta contenuta in alcuna disposizione della normativa vigente, secondo la quale è rimessa all'esclusiva iniziativa della parte interessata l'attivazione del procedimento di accertamento di conformità urbanistica.
Il presupposto per l'adozione dell'ordine di demolizione è costituto soltanto dalla constatata esecuzione dell'opera in totale difformità dalla concessione o in assenza della medesima, con la conseguenza che tale provvedimento è sufficientemente motivato con l'affermazione dell'accertata abusività dell'opera, essendo in re ipsa l'interesse pubblico alla sua rimozione né, trattandosi di atti del tutto vincolati, è necessaria una comparazione di interessi ed una motivazione sulla sussistenza di in interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione: è pacifico che l'interesse pubblico alla demolizione di opere abusive è in re ipsa.

Ai sensi degli artt. 38 e 44 della legge n. 47/1985, contenuti nel capo IV della legge medesima, in pendenza della domanda di sanatoria, è preclusa l'adozione di provvedimenti repressivi dell'abuso edilizio, atteso che nell'ipotesi di diniego della domanda di sanatoria, l'Amministrazione dovrà adottare nuova ingiunzione di demolizione, con fissazione di nuovi termini per la spontanea esecuzione (ex multis, TAR Campania Napoli, sez. VII, 21.03.2008, n. 1472).
Non può ritenersi che il comune sia tenuto a valutare d’ufficio la sanabilità dell’opera ai sensi dell’art. 36 del d.P.R. 380/2001, atteso che tale previsione non risulta contenuta in alcuna disposizione della normativa vigente, secondo la quale è rimessa all'esclusiva iniziativa della parte interessata l'attivazione del procedimento di accertamento di conformità urbanistica (cfr., ex multis, TAR Campania Napoli, sez. VI, 06.11.2008, n. 19290).
Come più volte affermato in giurisprudenza, infatti, “… in caso di ordine di demolizione delle opere abusive non solo non è necessaria la comunicazione di avvio del procedimento ex art. 7, l. n. 241 del 1990 (trattasi, infatti, di atto dovuto e rigorosamente vincolato, sicché non sono richiesti apporti partecipativi del destinatario), ma soprattutto, in quanto atto vincolato -al pari di tutti i provvedimenti sanzionatori in materia edilizia- non richiede una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico né una comparazione di quest'ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati.
Infatti, il presupposto per l'adozione dell'ordine di demolizione è costituto soltanto dalla constatata esecuzione dell'opera in totale difformità dalla concessione o in assenza della medesima, con la conseguenza che tale provvedimento -ove ricorrano i predetti requisiti- è sufficientemente motivato con l'affermazione dell'accertata abusività dell'opera, essendo in re ipsa l'interesse pubblico alla sua rimozione né, trattandosi di atti del tutto vincolati, è necessaria una comparazione di interessi ed una motivazione sulla sussistenza di in interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione: è pacifico che l'interesse pubblico alla demolizione di opere abusive è in re ipsa
” (cfr. TAR Campania Napoli, sez. VIII, 29.01.2009, n. 501)
(TAR Campania-Napoli, Sez. VI, sentenza 15.11.2010 n. 24409 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: INQUINAMENTO ACUSTICO - Classificazione acustica del territorio comunale - Assenza - Applicazione dei limiti differenziali - Esclusione.
Nelle more della classificazione del territorio comunale ai sensi dell'art. 6, comma 1, lett. a), della L. n. 447 del 1995, sono operativi i soli limiti c.d. "assoluti" di rumorosità, ma non anche quelli c.d. "differenziali" (TAR per l’Emilia Romagna, sez. staccata di Parma, sent. 18/09/2008, n. 385, 04/05/2005 n. 244 e 21/05/2008 n. 259; TAR Puglia -LE- sez. I, 13/06/2007 n. 2334; TAR Friuli V.G. 24.04.2009, n. 275; TAR Lombardia -MI- sez. I, 01/03/2004 n. 813; TAR Veneto, sez. III, 31/03/2004 n. 847) (TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. II, sentenza 15.11.2010 n. 8045 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATALa presentazione dell’istanza di accertamento di conformità ai sensi dell’art. 36 del D.P.R. n. 380/2001, dopo l’impugnazione dell’ordine di demolizione, produce l’effetto di rendere improcedibile l’impugnazione stessa per sopravvenuta carenza di interesse deve mantenersi fermo nel caso in cui le opere abusive realizzate su un’area oggetto di un vincolo paesaggistico-ambientale non abbiano determinato la creazione di superfici utili o volumi ovvero un aumento di quelli legittimamente realizzati.
Trattandosi di opere abusive realizzate in zona vincolata, che hanno comportato la creazione di nuovi volumi e superfici, nessuna rilevanza può assumere in questa sede la domanda di accertamento di conformità presentata dal ricorrente.
Infatti, secondo la giurisprudenza di questa Sezione (ex multis, TAR Campania Napoli, Sez. VII, 28.12.2007, n. 16540):
- l’orientamento giurisprudenziale secondo il quale la presentazione dell’istanza di accertamento di conformità ai sensi dell’art. 36 del D.P.R. n. 380/2001, dopo l’impugnazione dell’ordine di demolizione, produce l’effetto di rendere improcedibile l’impugnazione stessa per sopravvenuta carenza di interesse deve mantenersi fermo nel caso in cui le opere abusive realizzate su un’area oggetto di un vincolo paesaggistico-ambientale non abbiano determinato la creazione di superfici utili o volumi ovvero un aumento di quelli legittimamente realizzati.
Infatti l’articolo 146, comma 4, del decreto legislativo n. 42/2004 (applicabile anche al procedimento autorizzatorio previsto per la fase transitoria in base al successivo articolo 159, comma 5) esclude dal divieto di rilasciare l’autorizzazione paesaggistica in sanatoria (ossia successivamente alla realizzazione, anche parziale, degli interventi) i casi previsti dall’articolo 167, comma 4, del medesimo decreto legislativo, costituiti -oltre che dall’impiego di materiali in difformità dall’autorizzazione paesaggistica e dai lavori comunque configurabili quali interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria- dai “lavori, realizzati in assenza o difformità dall’autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati”;
- di converso, per i lavori realizzati in assenza o difformità dall’autorizzazione paesaggistica che -come nel caso in esame- hanno determinato la creazione di superfici utili o volumi devono mantenersi ferme le conclusioni alle quali è pervenuta la giurisprudenza (TAR Campania Napoli, Sez. VI, 21.11.2006, n. 10112), formatasi sulla base del previgente testo dell’articolo 146, comma 10, lettera c), del decreto legislativo n. 42/2004 (che prevedeva il divieto assoluto di rilasciare l’autorizzazione paesaggistica in sanatoria), in merito all’inidoneità della presentazione dell’istanza di accertamento di conformità a determinare l’inefficacia dell’ordine di demolizione relativo a tali lavori.
Infatti -a fronte del divieto di rilasciare l’autorizzazione paesaggistica in sanatoria per i lavori che hanno determinato la creazione di superfici utili o volumi ovvero un aumento di quelli legittimamente realizzati- un’eventuale istanza di accertamento di conformità ai sensi dell’art. 36 del D.P.R. n. 380/2001 avrebbe un intento meramente dilatorio, posto che l’articolo 146, comma 4, del decreto legislativo n. 42/2004 prevede espressamente che “l’autorizzazione paesaggistica costituisce atto … presupposto rispetto al permesso di costruire”, e quindi il giudice amministrativo -che nei casi di attività vincolata deve oramai essere considerato giudice del rapporto (ex multis, TAR Campania Napoli, Sez. IV, 27.03.2006, n. 3200; 20.11.2006, n. 9983; TAR Campania Napoli, Sez. VII, 20.11.2007, n. 14442)- può senz’altro escluderne ogni rilevanza, perché in tal caso è palese che il contenuto dispositivo del provvedimento impugnato (ossia l’ordine di demolizione) non potrebbe essere diverso se l’Amministrazione fosse chiamata a pronunciarsi sulla richiesta di sanatoria (TAR Campania-Napoli, Sez. VII, sentenza 12.11.2010 n. 24213 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZI: Il possesso di un'impresa da parte di una amministrazione pubblica è solo uno degli elementi per verificarne l'assoggettabilità obbligatoria alle procedure di evidenza pubblica, essendo decisiva la qualificazione del suo scopo sociale.
Il possesso di un'impresa da parte di una amministrazione pubblica è solo uno degli elementi per verificarne l'assoggettabilità obbligatoria alle procedure di evidenza pubblica, essendo decisiva la qualificazione del suo scopo sociale.
Nel caso di specie, relativa all'impugnativa di una procedura selettiva indetta dalla società intimata (costituita in forma di società a responsabilità con unico socio, il quale ultimo è identificabile nella Investia s.r.l. il cui capitale appartiene a sua volta al Comune) per acquisire i servizi necessari alla gestione di due teatri, uno di sua proprietà e un altro in proprietà del Comune, lo scopo sociale dell'intimata consiste nell'acquisto, gestione e amministrazione di sale cinematografiche per pubblici spettacoli nonché nella compravendita e conduzione di terreni agricoli; tali attività sono dirette alla produzione di servizi e beni destinati ad essere collocati sul mercato in regime di libera concorrenza e pertanto l'intimata non può qualificarsi come organismo di diritto pubblico, né può comunque reputarsi tenuta al rispetto delle procedure di evidenza pubblica ai sensi dell'art. 32, comma 1, lett. c), del d.lgs. 12.04.2006, n. 163.
Pertanto, sussiste, nel caso di specie, difetto di giurisdizione a favore del giudice ordinario ex art. 131, c. 1, lett. e), del d.lgs. 02.07.2010 n. 104 (TAR Toscana, Sez. I, sentenza 20.10.2010 n. 6473 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

AGGIORNAMENTO AL 15.12.2010

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NOTE, CIRCOLARI E COMUNICATI

EDILIZIA PRIVATA: Codice dei beni culturali: proposte emendative.
La Conferenza delle Regioni e delle Province autonome ha elaborato un documento di proposte emendative riguardanti gli articoli 146 e 149 del Codice dei beni culturali e del paesaggio.
Il testo è stato licenziato nella riunione del 18.11.2010.
Le Regioni e le Province Autonome in esito al lavoro compiuto dal gruppo di lavoro istituito dal MIBAC, costituito a seguito dell’intesa resa in occasione del confronto per l’approvazione del DPR 139/2010, recante disposizioni sulla semplificazione delle procedure per gli interventi di lieve entità, propongono di seguito modifiche agli articoli 146 e 149 del Codice dei beni culturali e del paesaggio.
Tali modifiche vanno nella direzione di una migliore applicazione della norma superando le attuali difficoltà interpretative.
In tal senso si vuole addivenire ad una maggiore semplificazione delle procedure, nella chiarezza del quadro delle competenze dei livelli di Governo coinvolti nella gestione del paesaggio.
Tale necessità è stata più volte rappresentata al Governo negli ultimi anni, anche in occasione della stipula dell’intesa sul Piano per il rilancio dell’edilizia privata, richiedendo oltre ad interventi normativi semplificatori un potenziamento delle strutture periferiche del MIBAC finalizzato a superare le gravi difficoltà operative delle sovrintendenze.
Nel merito la proposta si caratterizza, per i seguenti punti:
- mantenimento del DPCM 12.12.2005 in attesa della definitiva individuazione dei contenuti dello studio paesaggistico;
- esclusione della preventiva verifica urbanistico-edilizia oggetto di differenti competenze e di distinto procedimento;
- ridefinizione dell’esercizio dei poteri sostitutivi delle sovrintendenze;
- eliminazione del termine di 30 giorni di sospensione dell’efficacia dell’autorizzazione paesaggistica, poiché chiunque sia legittimato potrà ricorrere ai competenti organi giudiziari per l’impugnativa dell’atto.
- quanto alle testo dell’art. 149, le indicazioni proposte consistono in semplici correzioni e precisazioni dei concetti in esso contenuti (comunicato 18.11.2010 - link a www.regioni.it).

GURI - GUUE - BURL (e anteprima)

ENTI LOCALI - VAR: B.U.R. Lombardia, 1° suppl. ord. al n. 49 del 10.12.2010, "Disciplina del Difensore regionale" (L.R. 06.12.2010 n. 18 - link a www.infopoint.it).

NEWS

APPALTI: Contratti pubblici nulli senza tracciabilità dei pagamenti.
Tutti i contratti di fornitura di beni e servizi, nonché gli appalti di opere pubbliche, stipulati dal 07.09.2010 in poi tra un imprenditore e una pubblica amministrazione devono contenere l'indicazione del conto dedicato sul quale transiteranno i relativi pagamenti, attraverso bonifico bancario o postale o altri strumenti di pagamento, idonei a consentire la tracciabilità delle operazioni.
Sono state emanate dall'Autorità di vigilanza sui contratti pubblici, le linee guida relative all'operatività della normativa, per dare indicazioni puntuali sulla concreta applicabilità degli obblighi legislativi.
I soggetti sottoposti alle norme sulla tracciabilità sono obbligati: ad utilizzare conti correnti bancari o postali dedicati alle commesse pubbliche, anche in via non esclusiva; ad effettuare movimenti finanziari relativi alle medesime commesse pubbliche esclusivamente con bonifico bancario o postale o con altri strumenti di pagamento idonei a consentire la tracciabilità delle operazioni; a indicare, negli strumenti di pagamento relativi ad ogni transazione, il codice identificativo di gara e, ove obbligatorio ai sensi dell’articolo 11 della legge 16.01.2003, n. 3, il codice unico di progetto.
La tracciabilità dei flussi finanziari trova applicazione nei seguenti contratti: contratti di appalto di lavori, servizi e forniture; concessioni di lavori pubblici e di servizi; contratti di partenariato pubblico-privato, compresi i contratti di locazione finanziaria; di subappalto e subfornitura; contratti in economia, compresi gli affidamenti diretti (link a www.governo.it).

PUBBLICO IMPIEGO: Permessi per l'assistenza a familiari disabili, modificata la L. 104/1992.
Varie modifiche alla disciplina dei permessi per l’assistenza alle persone con gravi disabilità sono introdotte nell’ordinamento dalla L. 183/2010 entrata in vigore il 24.11.2010. È stata parzialmente innovata la disciplina dettata dalla Legge n. 104/1992, e dal decreto legislativo n. 151/2001.
Tra le principali novità: restrizione dei soggetti legittimati a fruire dei permessi; eliminazione del requisito della convivenza; decadenza nel caso di insussistenza dei requisiti; istituzione della banca dati presso il Dipartimento della funzione pubblica.
Due circolari, del Dipartimento della Funzione Pubblica (n. 13 del 06.12.2010), e dell’INPS (n. 155, del 03.12.2010) chiariscono le nuove norme.
Con la nuova norma la legittimazione alla fruizione dei permessi per assistere una persona in situazione di handicap grave spetta al coniuge e ai parenti e affini entro il secondo grado. La nuova disposizione menziona espressamente il coniuge tra i lavoratori titolari della prerogativa; si passa inoltre dal terzo al secondo grado di parentela.
È prevista un’eccezione per i casi in cui i genitori o il coniuge della persona da assistere abbiano compiuto i 65 anni di età o siano anch’essi affetti da “patologie invalidanti” oppure siano deceduti o “mancanti”: in tali casi la legittimazione alla titolarità di permessi è estesa anche ai parenti e affini entro il terzo grado.
L’espressione “mancanti” deve essere intesa non solo come situazione di assenza naturale e giuridica (celibato o stato di figlio naturale non riconosciuto), ma comprende anche ogni altra condizione ad essa giuridicamente assimilabile, continuativa e debitamente certificata dall’autorità giudiziaria o da altra pubblica autorità, quale: divorzio, separazione legale o abbandono.
Il concetto di “patologia invalidante” consente l’estensione dal secondo al terzo grado di parentela o affinità. Possono considerarsi invalidanti: le patologie acute o croniche che determinano temporanea o permanente riduzione o perdita dell'autonomia personale; le patologie acute o croniche che richiedono assistenza continuativa o frequenti monitoraggi clinici; le patologie acute o croniche che richiedono la partecipazione attiva del familiare nel trattamento sanitario (link a www.governo.it).

VARI: In viaggio con i bambini, una guida utile per tutti i genitori.
Viaggiare, magari in Paesi lontani, è certamente un’occasione di crescita per i nostri figli ma può presentare anche dei rischi, soprattutto per la salute dei più piccoli.
I viaggi possono offrire ai bambini grandi opportunità di divertimento, permettendo la conoscenza di nuovi Paesi e tradizioni, che possono arricchire il loro bagaglio culturale; ogni viaggio può però rappresentare anche un rischio per la salute. Prima di intraprendere un viaggio è necessario che i genitori siano adeguatamente informati in merito ai più frequenti rischi e alle patologie più comuni che possono essere contratte.
Il ministro del turismo, Michela Vittoria Brambilla, ha presentato, il 10.12.2010, un vademecum “In viaggio con i bambini” con l’obiettivo ridurre al minimo gli imprevisti legati al viaggio e consentire ai bambini e alle loro famiglie di vivere l’esperienza della vacanza con la massima serenità.
Un manuale pratico che affronta quattro argomenti: le vaccinazioni necessarie per viaggiare senza problemi nella maggior parte dei Paesi in via di sviluppo, dove sono endemiche malattie fortunatamente rare nei Paesi sviluppati; la valutazione dei rischi prima di mettersi in viaggio, quelli legati al viaggio stesso e quelli legati all’ambiente che per qualche tempo ci ospiterà; il classico problema di che cosa mettere in valigia; le precauzioni da prendere una volta ritornati a casa (spesso è consigliabile una visita di controllo perché certe malattie possono manifestarsi anche a distanza di tempo).
Questa regola vale soprattutto per bambini affetti da patologie croniche (malattie cardiorespiratorie, diabete mellito, immunodeficienza), per coloro che sono stati esposti ad una malattia infettiva durante il viaggio o che hanno trascorso più di 3 mesi in un Paese in via di sviluppo (link a www.governo.it).

GIURISPRUDENZA

URBANISTICA: La destinazione di un'area a zona agricola ben può essere disposta a salvaguardia del paesaggio o dell'ambiente.
La giurisprudenza è costante nel ritenere che le scelte effettuate dall'amministrazione in sede di adozione-approvazione degli atti di pianificazione del territorio costituiscano apprezzamento di merito o, comunque, espressione di ampia potestà discrezionale, sottratto al sindacato di legittimità salvo che non siano inficiate da errori di fatto o abnormi illogicità (cfr., fra le tante, Cons. Stato, Sez. IV, 21.05.2007, n. 2571).
Per giurisprudenza costante, invero, la destinazione di un'area a zona agricola ben può essere disposta a salvaguardia del paesaggio o dell'ambiente e non presuppone necessariamente che l'area stessa venga utilizzata ad uso agricolo (cfr. Cons. St., sez. IV, 03.11.2008, n. 5478; Tar Trentino Alto Adige-Trento, 09.02.2010, n. 41; Tar Abruzzo, Pescara, sez. I, 12.01.2009, n. 33; Tar Campania Napoli, sez. II, 23.09.2009, n. 5043) (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 10.12.2010 n. 7508 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: Le scelte effettuate dall'Amministrazione nell'adozione degli strumenti urbanistici costituiscono apprezzamento di merito sottratto al sindacato di legittimità.
La tecnica di vietare -per le zone che hanno una destinazione speciale- tutte le destinazioni diverse è coerente con quanto disposto dall’art. 1 comma 2 della LR 1/2001, in quanto la definizione in dettaglio delle destinazioni ammesse in aree specifiche è più chiara dell’elencazione di tutte le destinazioni escluse.

Per giurisprudenza consolidata (cfr. da ultimo Cons. St., Sez. IV, 13.10.2010 n. 7492), le scelte effettuate dall'Amministrazione nell'adozione degli strumenti urbanistici costituiscono apprezzamento di merito sottratto al sindacato di legittimità, salvo che esse siano inficiate da errori di fatto o abnormi illogicità. In particolare, la destinazione data alle singole aree non necessita di apposita motivazione, oltre quella che si può evincere dai criteri generali, di ordine tecnico discrezionale, seguiti nell'impostazione del piano stesso, essendo sufficiente l'espresso riferimento alla relazione di accompagnamento al progetto di modificazione al piano regolatore generale.
La Sezione ha già avuto modo di precisare (cfr. TAR Brescia 20.06.2005 n. 628) che: “la tecnica di vietare -per le zone che hanno una destinazione speciale- tutte le destinazioni diverse è coerente con quanto disposto dall’art. 1 comma 2 della LR 1/2001, in quanto la definizione in dettaglio delle destinazioni ammesse in aree specifiche è più chiara dell’elencazione di tutte le destinazioni escluse”, soggiungendo che: “Quando le facoltà di edificazione e utilizzazione di un’area sono circoscritte per la natura stessa dell’area, che ha già ricevuto un’impronta urbanistica precisa, la formula che esclude le altre destinazioni d’uso ha valore soltanto formale, in quanto ribadisce la particolarità della scelta urbanistica" (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 09.12.2010 n. 4809 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La semplice indicazione di una strada nell’elenco delle strade comunali non è sufficiente a comprovarne la natura pubblica o privata.
La complessa vicenda processuale di cui ci occupiamo trae origine dal ricorso proposto dagli appellanti, proprietari di immobili interessati da una determinata strada, contro la Deliberazione del Consiglio Comunale di un Comune piemontese avente ad oggetto: la costituzione di un Consorzio sulla stessa.
Invero, ad avviso degli appellanti, la strada in questione avrebbe natura comunale e, pertanto, risulterebbe illegittima la costituzione del Consorzio in questione, in quanto esclusivamente in ipotesi di strade vicinali l’istituzione di un Consorzio per la loro manutenzione, sistemazione e ricostruzione sarebbe ammissibile.
Il Comune, invece, sostiene, di aver dimostrato, nel corso del giudizio di primo grado, la natura privata della strada in questione e la conseguente legittimità della costituzione del Consorzio, ribadendo che la strada in menzione, oltre a non essere mai stata inclusa negli elenchi delle vie comunali (essendo stata, al contrario, inserita nelle liste delle vie private), non possiede le caratteristiche ed i requisiti richiesti dalla normativa e dalla giurisprudenza formatasi in materia al fine di tale qualificazione.
Ma a tale riguardo, i giudici del Consiglio di Stato osservano che la semplice indicazione di una strada nell’elenco delle strade comunali (o vicinali) non risulta dirimente, considerato che tali elenchi hanno natura meramente dichiarativa, e non costitutiva, per cui detta inclusione non è di per sé sufficiente a comprovare la natura pubblica o privata di una strada.
In tal senso, infatti, ricordano i giudici d’appello, si è espressa recentemente la Corte di Cassazione, secondo cui "L’iscrizione di una strada nell'elenco delle vie pubbliche o gravate da uso pubblico non ha natura costitutiva e portata assoluta, ma riveste funzione puramente dichiarativa della pretesa del Comune, ponendo una semplice presunzione di pubblicità dell’uso, superabile con la prova contraria della natura della strada e dell’inesistenza di un diritto di godimento da parte della collettività mediante un’azione negatoria di servitù” (Cass. Civ., Sez. Un., 27.01.2010, n. 1624).
Considerata la natura meramente dichiarativa degli elenchi in questione, la giurisprudenza ha elencato ulteriori requisiti da valutarsi al fine dell’accertamento della natura di una strada, quali l’uso pubblico (inteso come l’utilizzo da parte di un numero indeterminato di persone), l’ubicazione della strada all’interno di luoghi abitati, nonché il comportamento tenuto dalla Pubblica Amministrazione nel settore dell’edilizia e dell’urbanistica.
Di recente, inoltre, un’ulteriore pronuncia della Suprema Corte ha affermato che “L’appartenenza di una strada ad un ente pubblico territoriale può essere desunta da una serie di elementi presuntivi aventi i requisiti di gravità, precisione e concordanza prescritti dall’art. 2729 c.c., non potendo reputarsi, a tal fine, elemento da solo sufficiente l’inclusione o meno della strada stessa nel relativo elenco, già previsto dall’art. 8 della legge n. 126 del 1958, avente natura dichiarativa e non costitutiva, ed avendo carattere relativo la presunzione di demanialità di cui all’art. 22 della legge n. 2248 del 1865, all. F” (nella specie, la Suprema Corte ha confermato la sentenza di merito che aveva riconosciuto ad una strada natura comunale in forza di plurime circostanze e, segnatamente, dall’inclusione nelle mappe catastali, dalla classificazione come comunale da parte del Consiglio dell’ente territoriale, dall’attività di manutenzione effettuata dall’ente, dall’inclusione nella top onomastica cittadina con attribuzione di numerazione civica e, infine, dalla mancanza di elementi validi a sostegno del contrario assunto sulla natura privata della strada medesima: Cass. Civ., Sez. II, 09.11.2009, n. 23705) (commento tratto da www.documentazione.ancitel.it - Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 07.12.2010 n. 8624 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il cambio di destinazione d’uso di un immobile senza opere edilizie è soggetto ad autorizzazione se non è incompatibile con le previsioni funzionali di zona.
La mancanza di un intervento legislativo regionale volto a disciplinare criteri e modalità del mutamento delle destinazioni d’uso non significa che siffatta attività possa considerarsi libera, atteso che la lacuna non autorizza la violazione delle regole generali che affidano alla strumentazione urbanistica comunale il corretto ed ordinato assetto del territorio (cfr. Cons. St., sez. IV, 29.05.2008 n. 2561).
E' noto che il cambio di destinazione d’uso di un immobile senza opere edilizie non costituisce immutazione urbanistica ai sensi dell’art. 1 della legge n. 10 del 1977 ed è, pertanto, soggetto ad autorizzazione, non già concessione, esclusivamente alle condizioni che non implichi situazioni di incompatibilità con le previsioni funzionali di zona ed il piano regolatore non diversifichi gli indici di edificazione a seconda delle destinazioni (cfr. Cons. St., sez. V, 03.01.1998 n. 24 e 28.01.1997 n. 77) (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 07.12.2010 n. 8620 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Le valutazioni in ordine alla gravità delle condanne e alla loro incidenza sulla moralità professionale spettano esclusivamente alla stazione appaltante.
La mancata allegazione di un documento o di una dichiarazione previsti a pena di esclusione non può considerarsi alla stregua di un’irregolarità sanabile e, quindi, non ne è permessa l’integrazione o la regolarizzazione postuma, non trattandosi di rimediare a vizi puramente formali, tanto più quando non sussistano equivoci o incertezze generati dall’ambiguità di clausole della legge di gara, sicché la fattispecie normativa di cui all’art. 46 del d.lgs. n. 163 del 2006 non può servire a sopperire alla carenza di un documento o di una dichiarazione sostitutiva, pena la violazione della par condicio tra i concorrenti.
La comunicazione all’Autorità va fatta non solo nel caso di riscontrato difetto dei requisiti di ordine speciale in sede di controllo a campione, ma anche in caso di riscontrato difetto dei requisiti di ordine generale senza necessità quindi di una particolare motivazione per un onere di natura vincolata, espressione dell’obbligo di segnalazione all’Autorità di Vigilanza sui contratti pubblici di tutte le false dichiarazioni rese in sede di gara, ivi comprese quelle relative ai requisiti di carattere generale.

La giurisprudenza ha ripetutamente rilevato che, per avere corredato l’offerta di un’attestazione falsa o comunque non conforme al modello imposto dalle norme di gara, la ditta è per ciò solo soggetta all’esclusione, posto che la mancata dichiarazione incide non già sugli effetti delle condanne taciute quanto piuttosto sulla situazione di infedeltà, reticenza o inaffidabilità della ditta stessa (v., da ultimo, Cons. Stato, Sez. V, 08.10.2010 n. 7349).
Né ostava all’esclusione dalla gara l’asserita circostanza che il pregresso illecito penale fosse intrinsecamente inidoneo ad incidere sulla moralità professionale della concorrente.
Ribadito che l’esistenza di false dichiarazioni circa i precedenti penali si configura come causa autonoma di esclusione, va altresì ricordato che, per costante giurisprudenza (v., ex multis, Cons. Stato, Sez. V, 11.05.2010 n. 2822), le valutazioni in ordine alla gravità delle condanne e alla loro incidenza sulla moralità professionale spettano esclusivamente alla stazione appaltante e non già all’impresa, la quale è pertanto obbligata ad indicare tutte le condanne riportate, senza poterne autonomamente operare una selezione sulla base di meri criteri personali; è necessario, in altri termini, che gli offerenti rendano dichiarazioni complete e veritiere, con l’esatta indicazione di tutti i precedenti penali –salvo quelli espressamente esclusi dalla lex specialis di gara–, in modo da mettere la stazione appaltante in condizione di svolgere la prescritta valutazione sulla moralità professionale dell’impresa concorrente.
Il che è tanto più vero, così escludendo anche eventuali incertezze in chi è chiamato a compilare il modello, quando –come nella fattispecie– le norme di gara specifichino, con apposita clausola, che vanno dichiarate tutte le condanne penali e che è riservato alla stazione appaltante ogni apprezzamento in merito alla rilevanza degli illeciti accertati dal giudice penale, onde il silenzio del concorrente diviene causa di estromissione dalla gara perché frutto dell’inosservanza di una prescrizione della lex specialis posta a pena di esclusione (v. Cons. Stato, Sez. VI, 24.06.2010 n. 4019).
Né si tratta, del resto, di prescrizione illegittima, anche se impone ai concorrenti di informare l’Amministrazione di qualsiasi precedente penale, indipendentemente dalla natura del reato e della pena irrogata.
Come la giurisprudenza ha avuto occasione di precisare, simili disposizioni si presentano ragionevoli, proporzionate e non discriminatorie, perché mirano ad accelerare la procedura di gara e a dare alla stazione appaltante la certezza che non vengano commesse omissioni che rischiano se non altro di ritardare il corso del procedimento e di aumentare il contenzioso, neppure potendosi ipotizzare un contrasto con il diritto comunitario –secondo il quale è causa di esclusione solo la condanna per gravi reati incidenti sulla moralità professionale–, per non ostare il diritto comunitario a che ulteriori cause di esclusione siano previste dal legislatore nazionale o dal bando di gara, purché proporzionate e ragionevoli, e a che la lex specialis imponga adempimenti formali a pena di esclusione in funzione di accelerazione della procedura di gara (v. Cons. Stato, Sez. VI, n. 4019/2010 cit.).
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Non ha poi ragione la ricorrente di invocare la facoltà di cui all’art. 46 del d.lgs. n. 163 del 2006, e quindi l’indebita omessa sua ammissione a fornire chiarimenti o a completare la dichiarazione presentata in sede di gara. Ed invero –come è stato ancora di recente osservato (v. Cons. Stato, Sez. V, 02.08.2010 n. 5084)– la mancata allegazione di un documento o di una dichiarazione previsti a pena di esclusione non può considerarsi alla stregua di un’irregolarità sanabile e, quindi, non ne è permessa l’integrazione o la regolarizzazione postuma, non trattandosi di rimediare a vizi puramente formali, tanto più quando non sussistano equivoci o incertezze generati dall’ambiguità di clausole della legge di gara, sicché la fattispecie normativa di cui all’art. 46 del d.lgs. n. 163 del 2006 non può servire a sopperire alla carenza di un documento o di una dichiarazione sostitutiva, pena la violazione della par condicio tra i concorrenti.
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Le restanti censure investono la segnalazione all’Autorità di Vigilanza sui contratti pubblici e l’escussione della garanzia provvisoria, misure che la ricorrente ritiene prive di copertura normativa o comunque non assistite da idonea motivazione.
Sennonché, quanto alla prima, è stato già rilevato che la comunicazione all’Autorità va fatta non solo nel caso di riscontrato difetto dei requisiti di ordine speciale in sede di controllo a campione, ma anche in caso di riscontrato difetto dei requisiti di ordine generale (v. Cons. Stato, Sez. VI, 04.08.2009 n. 4907), senza necessità quindi di una particolare motivazione per un onere di natura vincolata, espressione dell’obbligo di segnalazione all’Autorità di Vigilanza sui contratti pubblici di tutte le false dichiarazioni rese in sede di gara, ivi comprese quelle relative ai requisiti di carattere generale (v. TAR Valle d’Aosta 10.03.2010 n. 21); quanto alla seconda, invece, va ricordato che la possibilità di incamerare la cauzione discende direttamente dall’art. 75, comma 6, del d.lgs. n. 163 del 2006, a tenore del quale la cauzione copre “…la mancata sottoscrizione del contratto per fatto dell’affidatario …”, posto che è da considerare tale qualunque ostacolo alla stipulazione riconducibile all’impresa, e quindi non solo il rifiuto di stipulare o il difetto di requisiti speciali, ma anche il difetto di requisiti generali (v. Cons. Stato, Sez. VI, n. 4907/2009 cit.; v., inoltre, TAR Umbria 26.06.2009 n. 361)
(TAR Emilia Romagna-Parma, sentenza 07.12.2010 n. 523 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: L’ordine di demolizione di un’opera edilizia abusiva è sufficientemente motivato con l’affermazione dell’accertata abusività dell'opera.
Costituisce orientamento consolidato della giurisprudenza quello secondo il quale, l’ordine di demolizione di un’opera edilizia abusiva è sufficientemente motivato con l’affermazione dell’accertata abusività dell'opera, salva l’ipotesi in cui, per il lungo lasso di tempo trascorso dalla commissione dell’abuso ed il protrarsi dell’inerzia dell’amministrazione preposta alla vigilanza, si sia ingenerata una posizione d’affidamento nel privato; in relazione a detta ultima ipotesi, si ravvisa un onere di congrua motivazione che, avuto riguardo anche all’entità e alla tipologia dell’abuso, indichi il pubblico interesse, diverso da quello al ripristino della legalità, idoneo a giustificare il sacrificio del contrapposto interesse privato (cfr., Cons. Stato, IV, 14.05.2007, n. 2441; V, 29.05.2006, n. 3270; C.si., 23.04.2001 n. 183) (TAR Umbria, sentenza 07.12.2010 n. 522 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAI volumi tecnici non possono essere ubicati all’interno della parte abitativa, sicché non sono tali i locali complementari all’abitazione come i bagni, destinati a formare un’unica unità abitativa e privi di una effettiva destinazione ad impianti tecnologici.
L’intervento autorizzato in favore del controinteresato determina un sensibile aumento di volumetria non riconducibile al concetto di volume tecnico, trattandosi di vano adibito, non già alla allocazione di impianti strumentali alla costruzione (impianti idrici, termici ecc.), bensì a cucina.
Inoltre, da parte della giurisprudenza è stato sottolineato che i volumi tecnici non possono essere ubicati all’interno della parte abitativa, sicché non sono tali i locali complementari all’abitazione (cfr. Cons. St. Sez. V 13.05.1997, n. 483), come i bagni, destinati a formare un’unica unità abitativa e privi di una effettiva destinazione ad impianti tecnologici (TAR Puglia-Bari, Sez. II, sentenza 30.11.2010 n. 3997 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVILa pubblicazione all’albo pretorio per 15 giorni consecutivi di una deliberazione comunale implica presunzione di conoscenza, con la conseguenza che è dall’ultimo giorno di pubblicazione che decorre il termine decadenziale di 60 giorni per proporre impugnazione avverso detto atto per i terzi interessati, ossia per quei soggetti non contemplati nell’atto o comunque ai quali quest’ultimo non sia in ogni caso riferibile.
Si richiama l’insegnamento della giurisprudenza secondo il quale la pubblicazione all’albo pretorio per 15 giorni consecutivi di una deliberazione comunale implica presunzione di conoscenza, con la conseguenza che è dall’ultimo giorno di pubblicazione che decorre il termine decadenziale di sessanta giorni per proporre impugnazione avverso detto atto per i terzi interessati, ossia per quei soggetti non contemplati nell’atto o comunque ai quali quest’ultimo non sia in ogni caso riferibile (per tutte, da ultimo, Cons. di Stato, sez. IV, n. 2287/2006).
L’intervento autorizzato in favore del controinteresato determina un sensibile aumento di volumetria non riconducibile al concetto di volume tecnico, trattandosi di vano adibito, non già alla allocazione di impianti strumentali alla costruzione (impianti idrici, termici ecc.), bensì a cucina.
Inoltre, da parte della giurisprudenza è stato sottolineato che i volumi tecnici non possono essere ubicati all’interno della parte abitativa, sicché non sono tali i locali complementari all’abitazione (cfr. Cons. St. Sez. V 13.05.1997, n. 483), come i bagni, destinati a formare un’unica unità abitativa e privi di una effettiva destinazione ad impianti tecnologici (TAR Puglia-Bari, Sez. II, sentenza 30.11.2010 n. 3997 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAGli atti sanzionatori in materia edilizia –attesa la loro natura rigidamente vincolata– non risultano viziati ove non preceduti dalla comunicazione di avvio del procedimento.
L’ordine di demolizione di opera edilizia abusiva è sufficientemente motivato con la affermazione della accertata abusività dell'opera, salva la l'ipotesi in cui, per il protrarsi e il lungo lasso di tempo trascorso dalla commissione dell'abuso e il protrarsi della inerzia dell'amministrazione preposta alla vigilanza, si sia ingenerata una posizione di affidamento nel privato, ipotesi questa sola, in relazione alla quale si ravvisa un onere di congrua motivazione che, avuto riguardo anche alla entità e alla tipologia dell'abuso, indichi il pubblico interesse, evidentemente diverso da quello al ripristino della legalità, idoneo a giustificare il sacrificio del contrapposto interesse privato.

Per giurisprudenza consolidata gli atti sanzionatori in materia edilizia –attesa la loro natura rigidamente vincolata– non risultano viziati ove non preceduti dalla comunicazione di avvio del procedimento (cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. IV, 26.09.2008, n. 4659; sez. V, 19.09.2008, n. 4530), e ciò anche alla luce delle disposizioni recate dall’art. 21-octies della stessa legge n. 241/1990 (cfr., Cons. Stato, sez. IV, 15.05.2009, n. 3029.
Per giurisprudenza consolidata, l’ordine di demolizione di opera edilizia abusiva è sufficientemente motivato con la affermazione della accertata abusività dell'opera, salva la l'ipotesi in cui, per il protrarsi e il lungo lasso di tempo trascorso dalla commissione dell'abuso e il protrarsi della inerzia dell'amministrazione preposta alla vigilanza, si sia ingenerata una posizione di affidamento nel privato, ipotesi questa sola, in relazione alla quale si ravvisa un onere di congrua motivazione che, avuto riguardo anche alla entità e alla tipologia dell'abuso, indichi il pubblico interesse, evidentemente diverso da quello al ripristino della legalità, idoneo a giustificare il sacrificio del contrapposto interesse privato (Consiglio Stato, sez. IV, 06.06.2008, n. 2705; Consiglio Stato, sez. V, 04.03.2008, n. 883) (TAR Toscana, Sez. III, sentenza 26.11.2010 n. 6644 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La costruzione di una tettoria non può essere qualificata come intervento di ristrutturazione, né, tantomeno, come intervento “conservativo degli edifici esistenti”, mancandone il presupposto principale, ovvero la preesistenza di un organismo edilizio da recuperare.
Infatti, la ristrutturazione, sia essa riferita a immobili o a strutture precarie, presuppone la sussistenza in atto dell’organismo edilizio da trasformare.

La costruzione della tettoia da parte dei ricorrenti non può essere qualificata come intervento di ristrutturazione, né, tantomeno, come intervento “conservativo degli edifici esistenti”, mancandone il presupposto principale, ovvero la preesistenza di un organismo edilizio da recuperare.
Infatti, la ristrutturazione, sia essa riferita a immobili o a strutture precarie, presuppone la sussistenza in atto dell’organismo edilizio da trasformare (cfr., ex multis, TAR Toscana, sez. III, 18.02.2005 n. 846; Cons. di Stato, sez. IV, 05.07.2000 n. 3735; TAR Liguria, sez. I, 18.11.2004 n. 1556; TAR Piemonte, sez. I, 14.01.2004 n. 15; Cons. di Stato, sez. V, 15.01.1997 n. 45).
Preesistenza in atto riferibile sia al momento della formulazione della domanda che a quello successivo di concessione del titolo abilitativo l’intervento.
È sintomatica a riguardo la lettera dell’art. 10, lett. c), t.u. d.P.R. n. 380 del 2001 laddove, in continuità con la previsione dell’art. 31, lett. c), l. n. 457 del 1978, qualifica l’intervento di ristrutturazione come volto alla realizzazione di un organismo edilizio diverso dal precedente, non precisando il momento temporale entro il quale si debba accertare la preesistenza.
Tant’è che un orientamento giurisprudenziale –condiviso dal Collegio- assume che, anche in corso di esecuzione dei lavori di ristrutturazione, la struttura essenziale dell’immobile, oggetto di intervento, debba essere ancora in loco sussistente (Cons. St., sez. V, 15.01.1997 n. 45; Cons. St., sez. IV, 05.07.2000 n. 3735), dovendosi in mancanza ritenere che l’intervento non sia di ristrutturazione ma di nuova costruzione (TAR Toscana, Sez. III, sentenza 26.11.2010 n. 6643 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AGGIORNAMENTO AL 14.12.2010

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NOTE, CIRCOLARI E COMUNICATI

URBANISTICA: Circolare Valutazione Ambientale Strategica - VAS nel contesto comunale.
In data 10.11.2010 la Giunta regionale con atto n. 9/761, ha approvato la “Determinazione della procedura di Valutazione ambientale di piani e programmi – VAS (art. 4, l.r. n. 12/2005; d.c.r. n. 351/2007) – Recepimento delle disposizioni di cui al d.lgs. 29.06.2010, n. 128, con modifica ed integrazione delle dd.g.r. 27.12.2008, n. 8/6420 e 30.12.2009, n. 8/10971“, pubblicata sul BURL n. 47, 2° SS del 25.11.2010.
Al fine di assicurare il necessario supporto operativo ai Comuni impegnati nella predisposizione dei PGT è stata predisposta ed approvata con decreto D.S. la circolare “L’applicazione della Valutazione ambientale di piani e programmi – VAS nel contesto comunale, che fornisce risposte concrete ai quesiti formulati agli uffici comunali.
Sul sito web regionale alla sezione VAS e sul sito sivas alla sezione normativa regionale, oltre alla circolare sopra citata è altresì disponibile il testo coordinato della deliberazione sulla Valutazione ambientale – VAS, comprendente tutti gli allegati e modelli approvati (comunicato 10.12.2010 - link a www.regione.lombardia.it).

DOTTRINA & CONTRIBUTI

EDILIZIA PRIVATA: W. Fumagalli, Il procedimento semplificato di autorizzazione paesaggistica (1^ parte) (AL n. 09-10/2010).

NEWS

APPALTIAppalti, progetti con il bollino blu. Livelli più definiti e verifica affidabile anche a terzi con gara.
Al via la verifica dei progetti anche affidabile a terzi con gara; maggiore definizione nei livelli progettuali, nel documento preliminare alla progettazione e negli studi di fattibilità; applicabilità alle regioni di tutte le norme del regolamento, tranne quelle sull'organizzazione amministrativa oggetto di competenza regionale: sono queste alcune delle maggiori novità contenute nel regolamento del codice dei contratti pubblici, pubblicato sul supplemento all'ordinario alla Gazzetta ufficiale n. 288 del 10/12/2010.
Si conclude così un iter durato più di tre anni e si potrà mandare in soffitta l'attuale dpr 554/1999 (nonché altri numerosi provvedimenti fra cui anche il dpr 34/2000 sulla qualificazione Soa, tutti inglobati nel nuovo regolamento), a sua volta nato come regolamento dell'ormai abrogata legge Merloni, oggi sostituita dal Codice dei contratti pubblici (digs 163/2006).
Ambito di applicazione. Sul piano soggettivo il regolamento si applica ai contratti delle amministrazioni ed enti statali, ma anche, relativamente agli ambiti indicati nell'articolo 4, comma 3, del codice e rientranti in materie di competenza legislativa esclusiva dello stato ai sensi dell'articolo 117, comma 2, della Costituzione, ai contratti di altre amministrazioni o soggetti equiparati.
Nei riguardi delle regioni e province autonome la fonte regolamentare fissa quali disposizioni siano applicabili anche alle regioni. Nella sostanza, in relazione ai contenuti specifici del regolamento, risulta attratta nella competenza esclusiva statale la totalità della disciplina prevista dal regolamento, ad esclusione delle disposizioni relative agli organi del procedimento e alla programmazione nei contratti relativi a lavori, servizi e forniture che rimane attratta nella competenza delle regioni. Responsabile del procedimento. ... (articolo ItaliaOggi del 13.12.2010 - tratto da www.corteconti.it).

APPALTIPiccoli affidamenti, Più trasparenza.
Gare di progettazione con tetto al ribasso; scelta del progettista con il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa; nuova formula per attribuire i punteggi per le offerte economiche; più trasparenza per i piccoli affidamenti; nell'appalto integrato obbligatoria la qualificazione progettuale e maggiori tutele per il pagamento del compenso del progettista.
Sono questi alcuni dei punti di maggiore rilievo contenuti nel regolamento del Codice dei contratti pubblici.
Le gare di progettazione. Uno degli elementi di maggiore rilievo è l'obbligo per le stazioni appaltanti di indicare un limite massimo ai ribassi sul prezzo; l'effetto sarà quello di rendere tale elemento ininfluente rimanendo la scelta del progettista fondata su valutazioni di tipo prevalentemente qualitativo.
Le amministrazioni potranno stabilire nel bando che l'apertura delle buste economiche avvenga soltanto a condizione che il concorrente abbia superato un determinato valore del punteggio per la parte tecnica.
L'aggiudicazione degli incarichi per servizi di ingegneria e architettura verrà effettuata con il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa, anche se il Codice prevede anche il massimo ribasso. Viene introdotta una nuova formula per attribuire i punteggi all'elemento prezzo quando si aggiudica con il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa, che avrà l'effetto di limitare i ribassi eccessivi attribuendo in maniera non lineare i punteggi. ... (articolo ItaliaOggi del 13.12.2010 - tratto da www.corteconti.it).

PUBBLICO IMPIEGOStretta sui congedi per assistere i disabili. Abrogata la norma che consentiva l'astensione anche ai familiari non conviventi entro il terzo grado.
Per il figlio portatore di handicap entrambi i genitori hanno diritto ad assentarsi dal posto di lavoro: il permesso, tuttavia, può essere fruito dai genitori solo alternativamente.
Lo stabilisce l'art. 24 della legge 183/2010 che apporta sostanziali modifiche ... (articolo Il Sole 24 Ore del 13.12.2010 - link a www.ecostampa.com).

CORTE DEI CONTI

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOMobilità in uscita senza sostituzione. Non è possibile indire concorsi per coprire il personale trasferito ad altro ente. Corte dei conti/1. La pronuncia delle sezioni riunite di controllo rischia di limitare il ricorso a tali procedure.
La mobilità in uscita non costituisce cessazione e, quindi, non consente là sostituzione tramite concorsi, ma solamente con assunzioni in mobilità. E può essere sostituita tramite concorso solo se è diretta a un ente che non ha vincoli alle assunzioni.
È questa la principale indicazione contenuta nel parere 06.12.2010 n. 59 della Corte dei conti, sezioni riunite di controllo.
Una pronuncia che limiterà fortemente le autorizzazioni alla mobilità in uscita e spingerà molte amministrazioni locali a stabilire nei propri regolamenti il divieto di concedere il trasferimento ad altro ente prima che siano decorsi alcuni anni dalla assunzione.
La Corte dei conti, con questa pronuncia, in parte ribadisce e in parte modifica l'orientamento già assunto dalla sezione autonomie con il parere n. 21/2009, orientamento messo di recente in discussione dalle sezioni regionali della Sardegna e della Liguria, per le quali «il trasferimento per mobilità sarebbe a tutti gli effetti da considerare, da un lato, quale cessazione per l'ente di partenza e, dall'altro, quale assunzione per l'ente di destinazione». ... (articolo ItaliaOggi del 13.12.2010 - tratto da www.corteconti.it).

GIURISPRUDENZA

EDILIZIA PRIVATA: L'autorizzazione paesaggistica costituisce atto autonomo e presupposto rispetto al permesso di costruire, che secondo consolidata giurisprudenza si sostanzia in un rapporto di presupposizione necessitato e strumentale tra valutazioni paesistiche e urbanistiche.
La tutela del paesaggio, avente valore costituzionale e funzione di preminente interesse pubblico, non è riducibile a quella dell’urbanistica, la quale risponde ad esigenze diverse e che, in ogni caso, non inquadra in una visione globale il territorio sotto il profilo paesaggistico-ambientale, rispetto al quale l’edificabilità dei suoli, seppure consentita dal PRG in vigore, va comunque coordinata quantomeno in relazione al dovuto nulla osta (Consiglio Stato, VI, 21.06.2006, n. 1903).
A norma dell’art. 146 del d.lvo 22.01.2004 n. 42, inoltre, l'autorizzazione paesaggistica costituisce atto autonomo e presupposto rispetto al permesso di costruire, che secondo consolidata giurisprudenza si sostanzia in un rapporto di presupposizione necessitato e strumentale tra valutazioni paesistiche e urbanistiche (Consiglio Stato, VI, 03.12.2009, n. 7570; Corte Cost., 23.07.1997, n. 262): vale a dire che questi due apprezzamenti si esprimono entrambi sullo stesso oggetto, l’uno, in termini di compatibilità paesaggistica dell’intervento edilizio proposto e, l’altro, in termini di sua conformità urbanistico-edilizia
 di causa (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 27.11.2010 n. 8260 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La realizzazione di autorimesse e parcheggi è soggetta alla disciplina urbanistica dettata per le ordinarie nuove costruzioni fuori terra, “se non effettuata totalmente al di sotto del piano di campagna naturale”.
A termini dell’art. 9 della legge 24.03.1989, n. 122, la realizzazione di autorimesse e parcheggi è soggetta alla disciplina urbanistica dettata per le ordinarie nuove costruzioni fuori terra, “se non effettuata totalmente al di sotto del piano di campagna naturale” (Cons. St., IV, 11.11.2006, n. 6065; V, 29.03.2004, n. 1662).
Nel caso in esame, a quanto consta, il parcheggio è interrato (corrispondente al terzo o quarto o quinto livello, a secondo delle prospettazioni), che non comporta la creazione di nuova volumetria esterna e non è opera rilevante ai fini delle altezze perché, l’apertura di un varco carrabile fuori terra per l’accesso all’autorimessa interrata (trincea), non fa mutare le caratteristiche strutturali della costruzione principale a livello di superficie, in quanto mero accessorio pertinenziale dell’edificio stesso
(Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 27.11.2010 n. 8260 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il muro di contenimento, quale entità corrispondente senza alcuna variazione al dislivello naturale dei fondi, non può essere presa in considerazione nel calcolo dell'altezza della costruzione, da misurarsi dal piano di campagna al fine di determinarne la distanza da osservare rispetto alle costruzioni del vicino, sia perché le costruzioni sottostanti al piano di campagna che separa i fondi in dislivello non può per definizione considerarsi <frontistante> e quindi in violazione del disposto della norma di cui all'art. 17 della legge n. 765 del 1967 come inteso a distanziare le costruzioni in rapporto alla reciproca altezza.
Il muro di contenimento, quale entità corrispondente senza alcuna variazione al dislivello naturale dei fondi, non può essere presa in considerazione nel calcolo dell'altezza della costruzione, da misurarsi dal piano di campagna al fine di determinarne la distanza da osservare rispetto alle costruzioni del vicino, sia perché le costruzioni sottostanti al piano di campagna che separa i fondi in dislivello non può per definizione considerarsi <frontistante> e quindi in violazione del disposto della norma di cui all'art. 17 della legge n. 765 del 1967 come inteso a distanziare le costruzioni in rapporto alla reciproca altezza” (Cass. Civ., sez. II, 17.10.1992, n. 11435).
Come emerge dagli atti processuali, trattasi di costruzione completamente interrata con coronatura di muro a secco, avente unica ed esclusiva funzione di contenimento del terreno esistente nel dislivello, nella fattispecie necessitato proprio dalla significativa acclività del suolo, assolvendo così alla specifica finalità di protezione del fondo da smottamenti del terreno ovvero da possibili movimenti franosi
(Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 27.11.2010 n. 8260 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: L'Amministrazione, nell’annullare d’ufficio la licenza, deve adottare la soluzione che in concreto si palesa meno pregiudizievole per l’insieme delle esigenze da considerare, tenendo anche conto che alla realizzazione della situazione ha per lo meno concorso la stessa Amministrazione ed ispirandosi all’esigenza che il provvedimento non risulti incongruo o iniquo.
"Nei casi in cui il Comune rilascia licenze di costruzione per edifici di altezza eccedente le misure massime consentite dagli strumenti urbanistici vigenti, l’eventuale annullamento in via amministrativa o giurisdizionale non deve investire le licenze stesse nella loro interezza, bensì solo per la parte irregolare del progetto” ed, inoltre, “l’Amministrazione, nell’annullare d’ufficio la licenza, deve adottare la soluzione che in concreto si palesa meno pregiudizievole per l’insieme delle esigenze da considerare, tenendo anche conto che alla realizzazione della situazione ha per lo meno concorso la stessa Amministrazione ed ispirandosi all’esigenza che il provvedimento non risulti incongruo o iniquo” (Cons. St., sez. V: 11.01.1980, n. 2; 03.02.1978, n. 150; 22.02.1974, n. 191; 30.11.1973, n. 958);
La misura repressiva in materia urbanistica presuppone una preventiva valutazione, sotto il profilo qualitativo e quantitativo, dell'entità dell'abuso edilizio e, pertanto, essa può essere correttamente adottata soltanto quando siano state stabilite in via definitiva le modalità costruttive assentite dall'amministrazione, perché solo da quel momento può determinarsi, in via differenziale, l'entità dell'abuso sulla base di un raffronto tra l'attività edilizia, formalmente assentita (sia pure ex post) e l'attività edilizia in concreto realizzata” (C.G.A., 27.01.1987, n. 2)
(Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 27.11.2010 n. 8260 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: L'incremento dell'altezza e del volume di un fabbricato, dovuta all'emersione fuori terra di volumi tecnici o di cubature accessorie, a seguito di una diversa ubicazione dell'edificio sul lotto, rispetto a quella in precedenza assentita, non comporta una variazione essenziale del progetto, posto che la normativa nazionale di cui all'art. 8 l. n. 47 del 1985 esclude espressamente volumi e cubature di tale natura dal computo del volume assentibile.
Si verifica la difformità totale di un manufatto allorché i lavori riguardino un'opera diversa da quella prevista dall'atto di concessione: diversa per conformazione, strutturazione, destinazione, ubicazione; mentre si configura la difformità parziale quando le modificazioni incidano su elementi particolari e non essenziali della costruzione e si concretizzino in divergenze qualitative e quantitative non incidenti sulle strutture essenziali dell'opera.

L'incremento dell'altezza e del volume di un fabbricato, dovuta all'emersione fuori terra di volumi tecnici o di cubature accessorie, a seguito di una diversa ubicazione dell'edificio sul lotto, rispetto a quella in precedenza assentita, non comporta una variazione essenziale del progetto, posto che la normativa nazionale di cui all'art. 8 l. n. 47 del 1985 esclude espressamente volumi e cubature di tale natura dal computo del volume assentibile” (Cons. St., sez. V, 27.04.2006, n. 2363).
Ai sensi della legge 28.01.1977, n. 10 sulla edificabilità dei suoli, ed in modo non dissimile gli artt. 8, 20 e 32 della legge 28.02.1985, n. 47 (salvo l’aggravamento delle sanzioni), si verifica la difformità totale di un manufatto allorché i lavori riguardino un'opera diversa da quella prevista dall'atto di concessione: diversa per conformazione, strutturazione, destinazione, ubicazione; mentre si configura la difformità parziale quando le modificazioni incidano su elementi particolari e non essenziali della costruzione e si concretizzino in divergenze qualitative e quantitative non incidenti sulle strutture essenziali dell'opera (Cassazione penale, sez. III, 07.10.1987), come al limite accade nella vicenda di causa
(Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 27.11.2010 n. 8260 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVIAtti illegittimi. La P.A. risarcisce solo i casi gravi.  
In sede di accertamento della responsabilità della pubblica Amministrazione per danno a privati conseguenti ad un atto illegittimo da essa adottato il Giudice amministrativo può quindi affermare la responsabilità solo quando la violazione risulti grave e commessa in un contesto di circostanze di fatto e in un quadro di riferimenti normativi e giuridici tali da palesare la negligenza e l'imperizia dell'organo nell'assunzione del provvedimento viziato, negandola invece quando l'indagine conduce al riconoscimento dell'errore scusabile per la sussistenza di contrasti giudiziari, per l'incertezza del quadro normativo di riferimento o per la complessità della situazione di fatto (in termini: Consiglio Stato, sez. V, 13.04.2010, n. 2029).
Così il Consiglio di Stato, Sez. V, nella sentenza 25.11.2010 n. 8229 ... (articolo Il Sole 24 Ore del 13.12.2010 - link a www.ecostampa.com).

AGGIORNAMENTO AL 13.12.2010

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UTILITA'

SICUREZZA LAVORO: Disponibili gli atti del convegno "D.Lgs. 81/2008 - due anni dopo".
L'Osservatorio per il monitoraggio permanente della legislazione e giurisprudenza sulla sicurezza del lavoro (OLYMPUS) presso il Dipartimento di Scienze Giuridiche della Facoltà di Giurisprudenza dell'Università "Carlo Bò" di Urbino ha reso disponibili on-line gli atti dell'incontro "Il D.Lgs. 81/2008: due anni dopo - i "sistemi" del diritto della sicurezza sul lavoro".
L'incontro, tenutosi ad Urbino nei giorni dal 14 al 15.05.2010, ha visto la partecipazione di numerosi esperti della materia.
Tra gli interventi più interessanti segnaliamo: ... (link a www.acca.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI: Nuovi criteri per l’ammissibilità dei rifiuti in discarica. Le novità per l’edilizia.
Il D.M. 27.09.2010, che definisce i nuovi criteri di ammissibilità dei rifiuti in discarica, è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale dell'01.12.2010, n. 281.
Vediamo quali sono le novità del provvedimento, con particolare attenzione alle disposizioni di interesse per gli operatori dell’edilizia.
Il decreto ribadisce l'obbligo (per il produttore) di effettuare la caratterizzazione di base dei rifiuti, già previsto dalla precedente regolamentazione.
Dal suddetto obbligo sono esclusi alcuni rifiuti inerti in quanto considerati già conformi ai criteri di ammissibilità stabiliti nel decreto stesso, tra i quali i seguenti rifiuti provenienti da costruzioni e demolizioni: ... (link a www.acca.it).

EDILIZIA PRIVATA: Terzo conto energia: la guida per l'integrazione architettonica del fotovoltaico del GSE in inchiesta pubblica.
Il GSE ha pubblicato la "Guida alle applicazioni innovative finalizzate all'integrazione architettonica del fotovoltaico" prevista dal Decreto Ministeriale 06.08.2010 (terzo conto energia).
Ricordiamo che, con il terzo conto energia, il premio per l´integrazione architettonica sarà riservato esclusivamente agli impianti fotovoltaici che utilizzano moduli e componenti speciali sviluppati per sostituire elementi architettonici integrandosi perfettamente negli edifici.
Con questa guida, attualmente in "inchiesta pubblica", il GSE intende definire univocamente i requisiti che deve avere un modulo o un componente fotovoltaico per essere considerato integrato architettonicamente.
Secondo il documento elaborato dal GSE, per poter accedere alle tariffe "premio", gli impianti fotovoltaici dovranno utilizzare moduli e componenti con le seguenti caratteristiche: ... (link a www.acca.it).

SINDACATI

PUBBLICO IMPIEGO: La paradossale situazione dell'uso del mezzo proprio (CGIL-FP di Bergamo, nota 09.12.2010).

PUBBLICO IMPIEGO: ADEGUAMENTO REGIONI ED ENTI LOCALI AL D.LGS. 150/2009 (CISL-FPS di Bergamo, nota dicembre 2010).

GURI - GUUE - BURL (e anteprima)

APPALTI: G.U. 10.12.2010 n. 288, suppl. ord. n. 270/L, "Regolamento di esecuzione ed attuazione del decreto legislativo 12.04.2006, n. 163, recante «Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE»" (D.P.R. 05.10.2010 n. 207):
- 1^ parte - 2^ parte - 3^ parte.
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ATTENZIONE: in vigore dall'08.06.2011 e NON dal 09.06.2011 (siccome evidenziato qua e là nel web ...).

AMBIENTE-ECOLOGIA: G.U. 10.12.2010 n. 288, suppl. ord. n. 269/L, "Disposizioni di attuazione della direttiva 2008/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 19.11.2008 relativa ai rifiuti e che abroga alcune direttive" (D.Lgs. 03.12.2010 n. 205).
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Il testo può essere scaricato anche qui (link a www.lexambiente.it).

LAVORI PUBBLICI: B.U.R. Lombardia, 3° suppl. straord. al n. 49 del 10.12.2010, "Schema di Convenzione tipo per la realizzazione e gestione di interventi destinati ai servizi abitativi a canone convenzionato (art. 43 l.r. n. 27/2009) – Modifiche alla d.g.r. n. 9060/2009" (deliberazione G.R. 24.11.2010 n. 834 - link a www.infopoint.it).

EDILIZIA PRIVATA - VARI: Le novità della Legge di STABILITÀ 2011 (ex Finanziaria) approvata definitivamente al Senato e in attesa di pubblicazione.
Il Senato ha definitivamente approvato il Disegno di Legge di Stabilità (già Legge Finanziaria).
Il testo approvato a Palazzo Madama coincide con quello approvato dalla Camera dei Deputati nelle scorse settimane.
Riportiamo alcune delle disposizioni del provvedimento in attesa di pubblicazione che risultano di maggior interesse per il mondo dell'Edilizia:
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Detrazione 55%: Conferma fino al 31.12.2011 (articolo 1, comma 48).
Confermata la detrazione fiscale del 55% per le spese sostenute entro il 31.12.2011 relative ad interventi di riqualificazione energetica di edifici esistenti. Prevista la ripartizione in dieci quote annuali di pari importo (anziché cinque).
Questo il testo della disposizione: "Le disposizioni di cui all'articolo 1, commi da 344 a 347, della legge 27.12.2006, n. 296, si applicano nella misura ivi prevista, anche alle spese sostenute entro il 31.12.2011.
La detrazione spettante ai sensi del presente comma è ripartita in dieci quote annuali di pari importo. Si applicano, per quanto compatibili, le disposizioni di cui all'articolo 1, comma 24, della legge 24.12.2007, n. 244, e successive modificazioni, e all'articolo 29, comma 6, del decreto-legge 29.11.2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla legge 28.01.2009, n. 2.
"
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Regime Iva per le cessioni di immobili (articolo 1, comma 86). Si interviene sul regime Iva per le cessioni di fabbricati: non sono esenti da Iva le cessioni di fabbricati effettuate dalle imprese costruttrici entro cinque anni (in luogo dei quattro anni attualmente previsti) dal termine della costruzione.
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Fisco (articolo 1, commi 17-22). Aumentano le sanzioni, anche quelle dovute alle diverse ipotesi di ravvedimento operoso. Ampliati i poteri del Fisco in tema di accertamento parziale.
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Ricerca e sviluppo (articolo 1, comma 25). Previsto un credito d'imposta in favore di imprese che affidano attività di ricerca e sviluppo a università o enti pubblici di ricerca (nel limite di spesa di 100 milioni). Il credito spetta per investimenti realizzati dall'01.01.2011 al 31.12.2011; limiti e modalità sono demandati ad un apposito decreto interministeriale.
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Detassazione premi di produttività (articolo 1, comma 47). Prorogato al 2011 il regime di detassazione dei contratti di produttività (articolo 5 del Dl 185/2008, con modificazioni, dalla legge 28.01.2009, n. 2). Il lavoratore dipendente può optare per l'applicazione di un'imposta sostitutiva (10%) in luogo dell'Irpef e relative addizionali, sui redditi percepiti in relazione a incrementi di produttività e lavoro straordinario.
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Fondo pagamenti dei comuni alle imprese (articolo 1, commi 59 e 60). Prevista l'istituzione di un Fondo per rendere più rapidi i pagamenti da parte delle amministrazioni comunali alle imprese fornitrici. Il fondo, dotato di 60 milioni di euro per il 2011, è finalizzato al pagamento degli interessi passivi maturati dai comuni per il ritardato pagamento dei fornitori.
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Fondi Fas (articolo 1, comma 5). Una quota pari a 1,5 miliardi di euro delle risorse FAS (Fondo Aree Sottosviluppate) per il 2012 è destinata a interventi di edilizia sanitaria pubblica. Tale cifra andrà così ripartita: l'85% alle regioni del Sud e il restante 15% alle regioni del Centro Nord.
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Leasing immobiliare (articolo 1, commi 15-16). Si interviene sul regime fiscale (imposte di registro, ipotecarie e catastali) dei contratti di locazione finanziaria di beni immobili (link a www.acca.it).

CORTE DEI CONTI

INCENTIVO PROGETTAZIONE: Collaudi, compensi da decurtare. Il taglio del 50% va a beneficio di dipendenti e dirigenti.  Le indicazioni in un parere delle sezioni riunite di controllo della Corte dei conti.
I compensi riconosciuti ai dipendenti degli enti locali che sono chiamati a collaudare opere pubbliche e che svolgono i compiti di segretari di commissioni arbitrali devono essere tagliati del 50% e tali somme essere acquisite dall'ente per incrementare il fondo per le risorse decentrate del personale e dei dirigenti.
Sono queste le principali indicazioni che si ricavano dal parere 06.12.2010 n. 58 delle sezioni riunite di controllo della Corte dei conti.
In tal modo, si introduce una decurtazione assai rilevante su alcune fonti di trattamento economico accessorio del personale degli uffici tecnici, decurtazioni che non vanno a beneficio dell'ente, ma del complesso dei dirigenti e dei dipendenti.
Il quesito, posto alla sezione di controllo della magistratura contabile del Veneto, riguarda la applicabilità agli enti locali dell'articolo 61, comma 9, del dl n. 112/2008.
I dubbi interpretativi nascono dal fatto che la norma è ambigua, in quanto prevede che i risparmi debbano essere versati al bilancio dello stato per essere riassegnati «al fondo di amministrazione per il finanziamento del trattamento economico accessorio». Per cui dalla lettura della disposizione, in primo luogo, «non risulta del tutto chiaro se le categorie dei destinatari debbano avere un rapporto di impiego soltanto con le amministrazioni statali ovvero anche con gli enti territoriali».
In secondo luogo, deve essere chiarita la destinazione dei risparmi, alla luce della considerazione che «la previsione del versamento all'entrata del bilancio dello stato degli emolumenti suddetti non appare compatibile con la riconosciuta autonomia finanziaria degli enti territoriali».
Su questo punto si è già espressa la Corte costituzionale che, con la sentenza n. 341/2009, ha escluso che l'obbligo di versamento di tali risparmi possa ritenersi esteso anche agli enti locali e alle regioni, in quanto livelli istituzionali che sono dotati di un'ampia autonomia finanziaria sia sul versante delle entrate sia su quello delle spese.
L'importanza di tale sentenza è data anche dall'affermazione che siamo «nel contesto di una manovra di risanamento della finanza pubblica di ampio respiro, imperniata sull'applicazione di numerose misure di contenimento della spesa corrente, fra cui sono da comprendersi quelle imposte dall'art. 61 del dl n. 112/2008 a carico di tutte le amministrazioni inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione». Per cui si deve arrivare alla conclusione di «ritenere direttamente applicabili anche agli enti territoriali le misure previste dalla norma in questione, salvo una diversa volontà espressamente manifestata dal legislatore».
Peraltro siamo nell'ambito di una parte del testo dedicata alla stabilizzazione della finanza pubblica e quando il legislatore in tale disposizione ha voluto escludere gli enti locali e le regioni lo ha fatto in modo esplicito. A conclusioni diverse non spingono le considerazioni che le nuove disposizioni possono «risolversi in mortificazione delle professionalità interne e in probabili logiche incrementali del ricorso all'esternalizzazione delle attività professionali, provocando incremento anziché riduzione della spesa».
Preoccupazione che per i giudici contabili sono probabilmente alla base del recente intervento contenuto nel cosiddetto collegato sul lavoro che ha riportato al 2% il tetto della incentivazione dei dipendenti di tutte le p.a. per la realizzazione di opere pubbliche, ricordiamo che tale misura proprio a partire dal dl n. 112/2008 era stata ridotta allo 0,50%.
La sentenza della Corte costituzionale ha risolto per le sezioni riunite di controllo della Corte dei conti, in senso negativo, ogni residuo dubbio sull'obbligo del versamento dei risparmi al bilancio dello stato: tali cifre devono essere acquisite dal bilancio dell'ente ed essere destinate al fondo per le risorse decentrate dei dirigenti o dei dipendenti, a secondo della qualifica di colui che ha svolto tale attività (articolo ItaliaOggi del 10.12.2010 - tratto da www.corteconti.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGONiente dirigenti a tempo privi di laurea.
Illegittima l'assunzione di dirigenti a tempo determinato non appartenenti alla dotazione organica, se privi di laurea.

L'ulteriore colpo allo spoils system lo assesta la Corte dei conti, Sez. regionale di controllo del Veneto, che, anche alla luce della riforma-Brunetta, boccia senza appello la possibilità di assumere dirigenti a tempo determinato senza laurea, anche se in staff al sindaco.
E' il parere 24.11.2010 n. 275 a privare definitivamente di ogni pregio la teoria secondo la quale sarebbe possibile per le amministrazioni locali attribuire incarichi dirigenziali a contratto anche a non laurèati, sulla base della considerazione esclusiva dell'esperienza professionale.
Indirettamente, il parere della sezione disvela come la potestà regolamentare degli enti locali, in materia, sia ben poco rilevante.
I regolamenti di organizzazione, infatti, non possono riferirsi alla materia dell'accesso agli impieghi, riservata alla legge statale come ha avuto modo di chiarire la sentenza della Corte costituzionale 324/2010, in tema di legittimità costituzionale dell'articolo 19, comma 6-ter, che, disapplicando l'articolo 110 del dlgs 267/2000, ha esteso anche agli enti locali la disciplina degli incarichi a contratto contenuta nel comma 6 dell'articolo 19 del digs 165/2001.
La prassi, per la verità piuttosto diffusa, di attribuire incarichi dirigenziali a soggetti privi di laurea si rivela, dunque, in contrasto con l'attuale assetto normativo. E si risolve una questione che avrebbe dovuto considerarsi chiusa da tempo.
A ben vedere, la normativa da sempre, prima ancora della vigenza del dlgs 150/2009 non consente di attribuire incarichi dirigenziali a personale privo di laurea. Dunque, sono da considerare illegittimi incarichi dirigenziali a tempo determinato a soggetti privi della laurea. I sindaci non dispongono del potere di assegnare incarichi dirigenziali a soggetti estranei ai ruoli, sulla base della sola particolare «esperienza professionale».
La sezione Veneto riafferma l'avvenuta disapplicazione dell'articolo 110 del digs 267/2000, cagionata dalla previsione contenuta nell'articolo 19, comma 6-ter, del digs 165/2001, che ha esteso espressamente anche agli enti locali la disciplina contenuta nel precedente comma 6 ... (articolo ItaliaOggi del 10.12.2010 - tratto da www.corteconti.it).

AUTORITA' VIGILANZA CONTRATTI PUBBLICI

APPALTI: Dall’Autorità le regole per l’affidamento dei contratti pubblici mediante procedura negoziata.
Il Codice dei Contratti (D.Lgs. 163/2006) limita il ricorso alla procedura negoziata, in particolare quella senza previa pubblicazione di un bando di gara, a situazioni ben definite che possono definirsi “eccezionali”.
Dall’esame degli elementi acquisiti nell’ambito dell’attività dell'Autorità per la Vigilanza sui Contratti Pubblici (AVCP), sono emersi -secondo quanto evidenziato dalla stessa Autorità- dati preoccupanti circa il ricorso “disinvolto” allo strumento della procedura negoziata effettuato da alcune stazioni appaltanti.
In particolare sono state evidenziate problematiche relative:
- all’obbligatorietà della motivazione;
- all’artificioso frazionamento dell’importo degli appalti;
- all’insussistenza dei motivi d’urgenza assunti a fondamento del ricorso alla procedura negoziata ex articolo 57, comma 2, lettera c;
- alla gestione delle gare con modalità non conformi alle disposizioni del Codice.
Data la rilevanza dell’argomento l'Autorità ha predisposto un vademecum (29.11.2010) per l’affidamento di appalti sotto soglia con procedura negoziata, approfondendo gli aspetti di maggior rilievo, tra i quali:
- le modalità di selezione degli operatori economici da invitare a presentare un’offerta;
- il significato da attribuire all’espressione “indagine di mercato”;
la necessità o meno di motivare espressamente il ricorso alla procedura negoziata;
- le forme di pubblicità da seguire per ampliare la possibilità di accesso alle commesse pubbliche.
Entro il 14.12.2010 è possibile inviare osservazioni e/o segnalazioni di difficoltà applicative all’Autorità (link a www.acca.it).

NEWS

CONSIGLIERI COMUNALIOSSERVATORIO VIMINALE/ In consiglio senza conflitti. Ineleggibile chi siede nel cda di una partecipata. Ma per far scattare la causa ostativa l'ente deve possedere più del 50% della spa.
Sussiste una causa di ineleggibilità e/o di incompatibilità nei confronti di un consigliere circoscrizionale eletto componente del consiglio di amministrazione di una società per azioni che gestisce il servizio di trasporto pubblico urbano del comune?
La fattispecie va analizzata alla luce dell'art. 60, comma 1, n. 10 del decreto legislativo n. 267/2000, il quale prevede che non sono eleggibili, tra l'altro, a consigliere circoscrizionale i legali rappresentanti ed i dirigenti delle società per azioni con capitale superiore al 50 per cento rispettivamente del comune o della provincia.
Il legislatore, con la disposizione di cui al citato art. 60 «ha inteso contemplare in modo espresso un caso di ineleggibilità per i legali rappresentanti e i dirigenti di un tipo specifico di società (le società per azioni), caratterizzate da un capitale maggioritario del comune. Ciò, evidentemente, perché con riferimento alla società per azioni -costituente il tipo di società più importante nella realtà economica, sia per la sua ampia diffusione, sia perché è la forma elettiva delle imprese di medie e grandi dimensioni- e in presenza di una partecipazione maggioritaria dell'ente territoriale, si è avvertita la necessità di una netta separazione tra i soggetti che operano, con funzioni di legale rappresentanza o di dirigenza, nelle dette società e gli amministratori degli enti territoriali» (cfr. Cass. civile, sent. n. 17981 del 25/11/2003).
Pertanto, se la partecipazione del comune al capitale della spa è superiore al 50%, ricorre l'ipotesi di ineleggibilità di cui al citato art. 60, comma 1, n. 10 del decreto legislativo n. 267/2000 (articolo ItaliaOggi del 10.12.2010).

CONSIGLIERI COMUNALIOSSERVATORIO VIMINALE/ Incompatibilità.
Sussiste la fattispecie dell'incompatibilità nei confronti di un consigliere comunale contemporaneamente assessore con delega ai lavori pubblici presso un comune avente popolazione inferiore ai 5.000 abitanti e, contestualmente socio, con poteri di rappresentanza, di una società di capitali aggiudicataria di appalti di lavoro per conto dell'ente locale e di appalti per l'esecuzione di opere di urbanizzazione, in corso di collaudo, previste nel piano urbanistico comunale?

La fattispecie in esame rientra nell'ambito previsionale dell'art. 63, comma 1 n. 2, del decreto legislativo 18.08.2000, n. 267 ove è disposto che non può ricoprire la carica di sindaco, presidente della provincia, consigliere comunale, provinciale o circoscrizionale colui che, come titolare, amministratore, dipendente con poteri di rappresentanza o di coordinamento ha parte, direttamente o indirettamente, in servizi, esazioni di diritti, somministrazioni o appalti, nell'interesse del comune o della provincia.
La Corte di cassazione ha da tempo chiarito che la causa di incompatibilità di cui all'art. 63, comma 1, n. 2, Tuel –la cui ratio risiede nell'esigenza di impedire che possano concorrere all'esercizio delle funzioni dei consigli comunali soggetti portatori di interessi configgenti con quelli del comune o i quali si trovino comunque in situazioni che possano comprometterne l'imparzialità– pone per la sua sussistenza, una duplice condizione: una di natura soggettiva e l'altra di natura oggettiva.
La prima richiede che il soggetto rivesta la qualità di titolare, o di amministratore, ovvero di dipendente con poteri di rappresentanza o di coordinamento e si debba trovare in una situazione incompatibile con l'esercizio della carica elettiva: la seconda, di natura oggettiva, che ricorre in caso di partecipazione (eventualmente insieme con altri soggetti, anche pubblici), allo svolgimento di un qualsiasi tipo di servizio nell'interesse del comune.
La norma, pertanto, comprende tutte le ipotesi in cui la partecipazione in servizi imputabili al comune, e quindi di interesse generale, possa dar luogo, nell'esercizio della carica del partecipante, eletto amministratore locale, ad un conflitto tra interesse particolare di questo soggetto e quello generale dell'ente locale (cfr. sent. Cass. civ. sez. I, ord. n. 550 del 16/01/2004).
Nel caso in esame sussistono tutte e due le condizioni evidenziate dalla giurisprudenza, quella soggettiva determinata dal fatto che l'amministratore della società di capitali è stato poi eletto consigliere comunale; quella oggettiva, rappresentata dalla circostanza che la società dalla stesso amministrata è risultata aggiudicataria di appalti di lavoro per conto dello stesso ente in cui è stato eletto consigliere comunale.
La circostanza che per le opere siano in corso le operazioni di collaudo non comporta che le stesse possano ritenersi concluse.
La stessa Corte di cassazione, con orientamento costante (Cass. sez. I civ. nn. 7063/1992; 11959/2003) ha, infatti, affermato il principio secondo cui «è incontestabile che l'appalto di opere pubbliche deve ritenersi pendente finché non sia intervenuto il certificato di collaudo (o di regolare esecuzione delle opere) approvato dall'ente pubblico» (articolo ItaliaOggi del 10.12.2010).

GIURISPRUDENZA

VARISulle multe i tempi si accorciano. Il termine di notifica scatta dalla comunicazione all'anagrafe. Una sentenza delle sezioni unite della Cassazione sul cambio di residenza dell'automobilista.
Un automobilista, che dopo essere stato pizzicato dall'autovelox, cambia residenza, dovrà solo far annotare la variazione anagrafica nei registri del comune (indicando anche i dati del veicolo intestato) per avere la coscienza a posto. Non sarà tenuto, infatti, a darne comunicazione anche agli uffici della motorizzazione civile, perché quest'onere «spetta alla p.a.».
Con la conseguenza che il termine di 150 giorni (ridotto a 90 dalla recente riforma del codice della strada, legge n. 120/2010) per la notifica del verbale decorre dalla data di aggiornamento dei registri di stato civile e non invece dalla relativa annotazione nel Pra.

Con la sentenza 09.12.2010 n. 24851 le sezioni unite civili della Cassazione hanno scritto la parola fine sulla querelle relativa alla corretta individuazione del «dies a quo» per calcolare la tempestiva notifica delle multe. E hanno optato per un orientamento più favorevole agli automobilisti a cui basterà aver fatto annotare il nuovo indirizzo per sentirsi in una botte di ferro. Chi riceverà la notifica del verbale oltre i 150 (90) giorni dalla variazione anagrafica sarà legittimato a fare annullare la multa. Anche se questa arriverà entro il termine di 150 (90) giorni dalla comunicazione del nuovo indirizzo al Pra.
I giudici di piazza Cavour sono stati chiamati in causa dalla prefettura di Gorizia che aveva impugnato la sentenza con cui il giudice di pace di Monfalcone aveva annullato una multa per eccesso di velocità accertata dalla polizia stradale di Udine tramite autovelox. La prima notifica non era andata a buon fine perché effettuata nel vecchio indirizzo di residenza dell'automobilista. Mentre la seconda, avvenuta invece regolarmente, risultava essere fuori tempo massimo in quanto era ormai decorso il termine di 150 giorni dal momento in cui, come previsto dal Codice della strada, la p.a. era in grado di «provvedere all'identificazione del veicolo».
La seconda sezione civile della Cassazione, investita della controversia, ha rimesso gli atti alle sezioni unite, avendo rilevato un contrasto interpretativo nella giurisprudenza degli Ermellini, divisa tra due opposte tesi. Il primo orientamento, secondo cui il termine decorre «sempre e comunque da quando il trasgressore abbia chiesto l'annotazione del cambio di residenza agli uffici dello stato civile del comune, indipendentemente dall'eventuale analoga segnalazione anche all'archivio nazionale dei veicoli tenuto dalla Motorizzazione civile».
Secondo un orientamento più restrittivo, invece, il cittadino che cambia residenza ha l'obbligo di segnalarlo sia agli uffici di stato civile che alla Motorizzazione e, qualora non lo faccia, il termine per la notifica decorrerà dall'annotazione nei registri del Pra.
Le sezioni unite hanno accolto il primo orientamento sostenendo che «le comunicazioni al Pra del cambio di residenza ritualmente dichiarato dal proprietario all'anagrafe comunale devono essere eseguite d'ufficio a cura della p.a.». Ragion per cui, prosegue la Cassazione, «ove la p.a. non abbia proceduto all'aggiornamento dei relativi archivi, la notifica della contestazione effettuata al precedente indirizzo del contravventore risultante dagli archivi non aggiornati, non può ritenersi correttamente eseguita» (articolo ItaliaOggi del 10.12.2010).

APPALTI: Nell'ipotesi in cui concorrente di una gara d'appalto sia un RTI, è sufficiente che il possesso della certificazione ISO 14001 sia valutato con riferimento alla sola impresa capogruppo.
Sull'illegittimità della specificazione dei sub-criteri e sub-punteggi svolta da una commissione di gara, in assenza di un'espressa previsione del bando in tal senso.

Nell'ipotesi in cui, in materia di appalti pubblici, concorrente sia un raggruppamento temporaneo di imprese, la valutazione relativa ai requisiti di idoneità tecnica ed economica può farsi cumulando i connotati posseduti da ciascuna impresa, salvo si tratti di requisiti che, per prescrizione di legge, o espressa disposizione della normativa di gara o, ancora, per loro intrinseca natura, debbano essere necessariamente posseduti da ciascuna delle concorrenti riunite. Dette forme di aggregazione di imprese mirano ad ampliare la dinamica concorrenziale, consentendo di sommare tra loro i requisiti posseduti dai singoli membri del raggruppamento. Nel caso di specie, ai fini del possesso della certificazione ISO 14001, è sufficiente valutarne la sussistenza in capo alla sola capogruppo mandataria, in mancanza di una specifica previsione.
E' illegittima l'attività di articolazione e specificazione dei sub-pesi e sub-punteggi, svolta dalla commissione di gara, in quanto la stessa vìola l'art. 83 del d.lgs. n. 163/2006; la Commissione CE ha aperto, sul punto, una procedura d'infrazione nei confronti dell'Italia, in quanto ha ritenuto che la predetta norma sia incompatibile con le direttive comunitarie, secondo cui i criteri di aggiudicazione dell'appalto, nonché la relativa ponderazione ed il loro ordine di importanza, devono essere espressamente prescritti dal bando e dalla documentazione di gara (TAR Toscana, Sez. I, sentenza 07.12.2010 n. 6717 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Sul divieto di avvalimento a cascata.
E' legittimo il provvedimento di esclusione adottato da una stazione appaltante nei confronti di un concorrente che, al fine di integrare il possesso dei requisiti richiesti dal bando di gara, sia ricorso ad un soggetto che, a sua volta, abbia fatto riferimento ad un altro, in quanto ciò realizza una fattispecie vietata di avvalimento a cascata.
Nel caso di specie, l'impresa ausiliaria ha indicato i servizi svolti da un'altra società, che, a sua volta, ha usufruito dei requisiti posseduti da un soggetto giuridicamente distinto, ma ad essa collegata da vincoli di gruppo societario. L'ordinamento prevede il collegamento societario quale presupposto per l'avvalimento, da parte di un concorrente, dei requisiti posseduti da un altro soggetto. In siffatta ipotesi, l'art. 49 del d.lgs. n. 163/2006 consente di provare la sussistenza del vincolo giuridico mediante una dichiarazione di appartenenza al gruppo societario, dispensando l'ausiliata dalla produzione di apposito contratto di avvalimento.
Il collegamento societario non si cumula con l'avvalimento, ma ne rappresenta un possibile fattore, atto a dimostrare una comunanza di interessi fra i due soggetti ricorrenti al prestito dei requisiti (TAR Campania, Napoli, Sez. I, sentenza 06.12.2010 n. 26798 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Inadempimento contrattuale della P.A. Si alla liquidazione della svalutazione monetaria.
Nell’ipotesi di impresa illegittimamente pretermessa e che sicuramente sarebbe divenuta l’aggiudicataria dell’appalto, va riconosciuto il lucro cessante, rapportato all’utile che l’impresa avrebbe conseguito ove vi fosse stata l’aggiudicazione in suo favore, da determinarsi in via equitativa nella misura del 10% dell’offerta effettuata dalla ricorrente, comprensiva sia dei costi affrontati dalla società per la presentazione dell’offerta, sia della diminuzione del peso imprenditoriale della società per omessa acquisizione dell’appalto, tenendo conto della mancata dimostrazione da parte della ricorrente di non aver potuto utilizzare mezzi e maestranze.
In tali casi la quantificazione deve necessariamente fondarsi sul criterio equitativo e presuntivo, non potendosi a fornire principi di prova diversi da quelli, fondamentali, dell’offerta effettuata nella procedura di gara e dal fatto di esercitare professionalmente attività d’impresa.
Il risarcimento dei danni da inadempimento contrattuale, cui va ricondotta la fattispecie in esame, costituisca un debito non di valuta ma di valore. Pertanto, deve tenersi conto della svalutazione monetaria intervenuta, senza la necessità di dimostrare il danno maggiore. Sulla somma rivalutata decorrono gli interessi, che non costituiscono una duplicazione risarcitoria, atteso che la rivalutazione e gli interessi adempiono funzioni diverse (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 06.12.2010 n. 8549 - link a www.litis.it).

EDILIZIA PRIVATA: Sentenza di annullamento - Riesame della istanza concessoria - Ius superveniens - Notifica della sentenza di primo grado - Atti adottati in pendenza del ricorso giurisdizionale - Opponibilità.
In ipotesi di ius superveniens in materia urbanistica l'effetto demolitorio della sentenza di annullamento (posto anche a tutela del principio secondo cui la durata del processo non può andare a danno dell'attore che ha ragione) deve coordinarsi ed equilibrarsi con i principi di continuità e necessità dell'azione amministrativa, scaturendo da detto contemperamento la regola secondo cui l'obbligo per l'amministrazione di riesaminare l'istanza concessoria denegata con il provvedimento annullato va riferito alla situazione di fatto e di diritto vigente al momento in cui viene notificata la sentenza di 1° grado, restando opponibili al privato eventuali atti adottati in pendenza del ricorso giurisdizionale (C.S. V 08.06.2000 n. 3249, C.S. 345/1999, C.S. 53/1998, C.S. a.p. 1/1986, TAR Puglia, Bari, 03.02.2004 n. 380).
Ne consegue che la pretesa della ricorrente di ottenere la rinnovazione dell’istruttoria con applicazione della normativa vigente al momento della presentazione dell’istanza è infondata (TAR Liguria, Sez. I, sentenza 03.12.2010 n. 10730 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTIMassimo ribasso cum grano salis. Sentenza del Consiglio di stato sugli appalti.
Illegittimo prevedere nelle gare d'appalto il criterio di aggiudicazione del massimo ribasso, se le prestazioni previste nel capitolato non siano standardizzate, ma richiedano completamenti o miglioramenti da parte delle ditte offerenti. In questo caso, infatti, è illogico riferirsi solo al prezzo e risulta, simmetricamente, necessario utilizzare il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa.
Lo dice il Consiglio di stato, Sez. V, nella sentenza 03.12.2010 n. 8408.
Palazzo Spada non nega che la scelta del criterio di aggiudicazione da utilizzare per ogni singola gara rientri nel pieno apprezzamento discrezionale di ciascuna amministrazione, considerando che, ai sensi della normativa comunitaria e del d.lgs 163/2006 il massimo ribasso e l'offerta economicamente più vantaggiosa sono equiordinati.
Esiste, tuttavia, un principio di logica tecnica al quale riferirsi.
Il criterio del prezzo più basso è caratterizzato da un notevole automatismo ed è l'unico elemento preso in considerazione per l'aggiudicazione: si presta, dunque, a un utilizzo coerente se le obbligazioni contrattuali siano univocamente considerate.
L'offerta economicamente più vantaggiosa si basa su una pluralità di elementi variabili (prezzo, qualità, pregio tecnico, servizi successivi) ed è più idonea per prestazioni non precisamente individuate in modo immodificabile e chiuso dal capitolato. Pertanto, laddove la legge speciale della gara attribuisca particolare rilievo ad aspetti qualitativi e variabili dell'offerta, la scelta del criterio del massimo ribasso appare illogica e, come tale, illegittima.
Nel caso esaminato dalla sentenza, l'amministrazione appaltante aveva scelto il criterio del massimo ribasso per un noleggio di attrezzature informatiche, arricchito da servizi di manutenzione, rifacimento di locali e impiantistica, assistenza tecnica e formazione professionale. Il capitolato per molte delle voci componenti la prestazione ha previsto che le specifiche tecniche descritte fossero soltanto soluzioni «minime», soggette a miglioramento progettuale, da parte degli offerenti; oppure, il capitolato richiedeva agli offerenti di proporre soluzioni tecniche alternative e migliorative di quelle indicate.
Pertanto, il capitolato ha descritto in modo analitico le specifiche tecniche, ma non le ha considerate fisse o «standard», richiedendo espressamente addirittura migliorie progettuali o qualitative (articolo ItaliaOggi del 10.12.2010 - tratto da www.corteconti.it).

APPALTI: Limiti alla scelta del criterio di aggiudicazione.
La scelta del criterio di aggiudicazione –prezzo più basso o offerta economicamente più vantaggiosa– rientra tra i poteri discrezionali della stazione appaltante che si determina a ciò in base alle caratteristiche dell’appalto, avendo di mira unicamente il rispetto del principio di libera concorrenza e della selezione della migliore offerta (Corte di Giustizia C.E. sent. 7 ottobre causa C- 247/02, Cons. St. Sez. IV, 23.09.2008, n. 4613, Sez. VI, 03.06.2009, n. 3404).
Se dunque i criteri sono astrattamente equiordinati, la scelta deve orientarsi tenendo presente l’unicità e l’automatismo del criterio del prezzo più basso e la pluralità e variabilità dei criteri dell’offerta economicamente più vantaggiosa, quali il prezzo, la qualità, il pregio tecnico, il servizio successivo alla vendita, l’assistenza tecnica, ecc..

Ricorda il Consiglio di Stato, Sez. V, con la recente sentenza 03.12.2010 n. 8408 che, il criterio così prescelto dall’amministrazione appaltante, può essere oggetto di sindacato solo in caso di manifesta illogicità, inadeguatezza o travisamento.
Ed è manifestamente illogica la scelta del criterio di aggiudicazione del prezzo più basso, quando la lex specialis di gara conferisce rilievo ad aspetti qualitativi variabili dell’offerta, in riferimento al particolare valore tecnologico delle prestazioni, al loro numero, al livello quantitativo e qualitativo dei servizi di formazione del personale e di manutenzione delle apparecchiature.
In questi casi, infatti, la pluralità di elementi presi in considerazione si pone in contrasto con la caratteristica unicità del criterio del prezzo più basso, comportando la violazione degli articoli 81 e 82 del d.lgs. n. 163 del 2006.
Nel caso di specie, il collegio ha avuto modo di ribadire che la scelta del criterio del prezzo più basso, non può giustificarsi facendo riferimento ad esigenze di contenimento della spesa pubblica; tale motivazione non consente infatti di superare il principio di adeguatezza del criterio di aggiudicazione rispetto alle caratteristiche dell’oggetto dell’appalto sancito dall’art. 81, c. 2 del Codice dei contratti (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 26.02.2010 n. 1154) (commento tratto da www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: La valutazione di congruità di un'offerta può essere motivata per relationem.
Il giudizio di anomalia dell'offerta richiede una motivazione rigorosa ed analitica ove si concluda in senso negativo; nel caso, invece, di valutazione di congruità dell'offerta anomala, non occorre che la relativa determinazione sia fondata su un'articolata motivazione ripetitiva delle medesime giustificazioni ritenute accettabili o espressiva di ulteriori apprezzamenti, essendo sufficiente anche una motivazione espressa per relationem alla giustificazioni rese dall'impresa vincitrice, sempre che queste siano a loro volta congrue ed adeguate (TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 02.12.2010 n. 4370 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Sull'illegittimità dell'esclusione di un concorrente che abbia omesso di rispettare una procedura meramente formale con riguardo alla produzione dei documenti richiesti dalla legge di gara.
In materia di appalti pubblici sussiste l'obbligo, in capo alla stazione appaltante, di invitare il concorrente ad integrare la documentazione prodotta, nell'ipotesi di mera irregolarità della stessa.

E' illegittimo il provvedimento di esclusione adottato da una stazione appaltante nei confronti di un concorrente che pur avendo presentato la documentazione richiesta dalla lex specialis di gara, abbia tuttavia omesso di allegarla all'offerta secondo le modalità previste dal bando, ciò in quanto, se, da un lato, per pacifica giurisprudenza, la presenza di un'espressa comminatoria di esclusione della domanda di partecipazione, a fronte del mancato rispetto di determinate prescrizioni, impone l'esecuzione incondizionata della previsione, d'altra parte, qualora la formulazione letterale del bando risulti dubbia, va prescelta l'interpretazione più favorevole ad agevolare la massima partecipazione alla gara, anche alla luce dei principi comunitari in detta materia.
Peraltro, in base all'interpretazione letterale e logica, la predetta clausola, nella parte in cui abbia previsto una causa di esclusione, non può riguardare anche le modalità di presentazione della documentazione.
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E' illegittimo l'operato di una stazione appaltante che, a fronte di una mera irregolarità da parte di un concorrente, abbia omesso di inoltrare l'invito ad integrare la documentazione, in applicazione dell'art. 76 del d.lgs. n. 163/2006, ciò in quanto la L. n. 241/1990 tende a semplificare al massimo il procedimento amministrativo e le sue formalità e, quindi, a rendere sanabili tutte le irregolarità documentali non espressamente sanzionate dal bando e non incidenti sul procedimento, ovvero sulla par condicio di coloro che vi partecipano.
E ciò, tanto più nell'ipotesi in cui tali irregolarità appaiano riconducibili ad una non perspicua formulazione delle regole del procedimento da parte dell'Amministrazione appaltante (TAR Lazio-Roma, Sez. I-ter, sentenza 01.12.2010 n. 34856 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Non è necessaria la previa comunicazione di avvio del procedimento nell'ipotesi di emissione di informativa interdittiva.
Sulla portata della norma introduttiva dell'informativa prefettizia, in riferimento alla tutela anticipata nella lotta alla criminalità organizzata, al fine di cogliere l'affidabilità dell'impresa aggiudicataria di un appalto pubblico. In particolare: sul potere discrezionale del Prefetto in ordine all'accertamento dell'infiltrazione mafiosa.

Secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, in materia di procedure per l'affidamento di appalti pubblici, non si ravvisa la necessità della previa comunicazione di avvio del procedimento nell'ipotesi di emissione dell'informativa interdittiva e delle conseguenti delibere incidenti sul rapporto concessorio e/o contrattuale, in quanto trattasi di procedimenti in materia di tutela antimafia, come tali caratterizzati intrinsecamente da riservatezza ed urgenza.
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Secondo consolidata giurisprudenza, l'istituto dell'informativa prefettizia, di cui agli artt. 4 del d.lgs. n. 490/1994 e 10 del D.P.R. n. 252/1998, è una tipica misura cautelare di polizia, preventiva ed interdittiva, che prescinde dall'accertamento, in sede penale, di uno o più reati connessi all'associazione di tipo mafioso; non occorre la prova dell'effettiva infiltrazione mafiosa all'interno dell'impresa, né del reale condizionamento delle scelte del concorrente da parte di soggetti mafiosi; è, invero, sufficiente il "tentativo di infiltrazione"; tale scelta è coerente con le caratteristiche del fenomeno mafioso, il quale non necessariamente si concreta in fatti univocamente illeciti, potendosi arrestare alla soglia dell'intimidazione; la formulazione generica del tentativo di infiltrazione mafiosa, rilevante ai fini del diritto, comporta l'attribuzione, in capo al Prefetto, di un ampio margine discrezionale in sede di accertamento; ne consegue che la valutazione prefettizia è sindacabile in sede giurisdizionale solo nell'ipotesi di manifesti vizi di eccesso di potere per illogicità, irragionevolezza e travisamento dei fatti.
Tuttavia, al fine di salvaguardare i principi di legalità e certezza del diritto, non possono reputarsi sufficienti fattispecie fondate su mere congetture prive di riscontro fattuale, occorrendo invece l'individuazione di circostanze sintomatiche di concreti collegamenti con la criminalità organizzata (TAR Campania-Napoli, Sez. I, sentenza 01.12.2010 n. 26527 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Rilascio di un provvedimento concessorio - Acquisizione di un parere - Annullamento del titolo - Principio del contrarius actus - Necessità di nuova acquisizione del parere - Eccezioni.
In base al principio del contrarius actus qualora in sede di rilascio della concessione sia stato acquisito il parere della Commissione tale parere va acquisito anche all'atto dell'annullamento del titolo, fatte salve le ipotesi in cui il provvedimento di autotutela sia supportato da ragioni formali o di tipo esclusivamente giuridico (Consiglio di Stato, IV, 31.03.2009, n. 1909) (TAR Liguria, Sez. I, sentenza 01.12.2010 n. 10722 - link a www.ambientediritto.it).

PUBBLICO IMPIEGO: Permessi ex L. 104/1992. Gli impedimenti dei familiari devono derivare da oggettive situazioni di ostacolo.
Gli impedimenti dei familiari a prestare la necessaria assistenza, idonei a rendere oggettivamente esclusiva quella dell’istante, devono derivare da particolari situazioni di ostacolo desunte da elementi oggettivi ritenendo che non possano consistere in normali impegni di lavoro o motivi di salute genericamente indicati presenti in famiglia, poiché essi non assurgono al rango di particolari ed oggettivi impedimenti all‘assistenza, non essendo sufficienti, perciò, semplici dichiarazioni di carattere formale, magari attestanti impegni generici, ma attraverso la produzione di dati ed elementi di carattere oggettivo, concernenti eventualmente anche stati psico-fisici connotati da una certa gravità, idonei a giustificare l’indisponibilità sulla base di criteri di ragionevolezza e tali da concretizzare un’effettiva esimente da vincoli di assistenza familiare.
Quindi la regola è nel senso che la esclusività non può sussistere in presenza di altri congiunti in grado di assistere l’infermo e tale regola può essere derogata solo se il dipendente produce elementi probatori atti veramente a dimostrare che i congiunti stessi sono nell’impossibilità di supportare il portatore di handicap (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 01.12.2010 n. 8382 - link a www.litis.it).

APPALTI: Sulla legittimità dell'esclusione di un'impresa risultata inadempiente, dopo l'aggiudicazione provvisoria della gara, in ordine agli obblighi contributivi di cui all'art. 38 del d.lgs. n. 163/2006.
La regolarità contributiva delle imprese che partecipano a gare pubbliche è requisito indispensabile non solo per la partecipazione, ma soprattutto ai fini della stipulazione del contratto d'appalto, sicché l'impresa è tenuta ad essere in regola con gli obblighi contributivi dall'istanza di partecipazione e per tutto il periodo di esecuzione del contratto, essendo siffatta regolarità sicuro indice della correttezza dell'impresa nei rapporti con le maestranze.
Inoltre, è irrilevante un eventuale adempimento tardivo dell'obbligazione contributiva, pur se ricondotto, retroattivamente, al momento della scadenza del termine di pagamento, posto che ciò gioverebbe soltanto nell'ambito delle reciproche relazioni sottostanti al rapporto obbligatorio, e non già nei confronti della stazione appaltante, in relazione alla quale rileva, per contro, soltanto l'esigenza di un puntuale rispetto degli obblighi incombenti sull'appaltatore, per effetto di parametri normativi e/o contrattuali espressione di affidabilità dell'impresa.
Ne consegue che, è legittimo il provvedimento di esclusione adottato da una stazione appaltante nei confronti di un'impresa risultata inadempiente nei confronti degli obblighi contributivi ai sensi dell'art. 38 del d.lgs. n. 163/2006, a seguito di verifica effettuata successivamente all'aggiudicazione provvisoria della gara. Peraltro, il bando di gara imponeva alla P.A. di non considerare rilevanti eventuali regolarizzazioni successive del DURC (TAR Puglia-Lecce, Sez. III, sentenza 01.12.2010 n. 2768 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Sull'ambito di applicazione dell'obbligo previsto dall'art. 38, c. 1, lett. b) e c), del d.lgs. n. 163/2006, nell'ipotesi di cessione d'azienda o di un ramo di essa.
Sull'illegittimità dell'ammissione di un'impresa ad una gara d'appalto, nell'ipotesi in cui la stessa abbia omesso di rendere la dichiarazione relativa ad una eventuale fusione, incorporazione od acquisizione totale o parziale, a "qualsiasi titolo", di altra impresa.

Le dichiarazioni di cui all'art. 75 del D.P.R. n. 554/1999, trasposto nel d.lgs. n. 163/2006, riguardando la soggettività, affidabilità e serietà del dichiarante, devono coinvolgere anche l'imprenditore cedente, il quale è assoggettato ai medesimi oneri declaratori degli amministratori e direttori tecnici cessati; tuttavia, in difetto di una previsione legislativa in tal senso o della stessa lex specialis, i suddetti obblighi non possono imputarsi anche alle altre imprese che, in quanto interessate da siffatti mutamenti in via indiretta, non sono da considerarsi "cessionarie".
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E' illegittima l'ammissione di un concorrente ad una gara, nell'ipotesi in cui lo stesso abbia omesso di rendere la dichiarazione relativa ad un'eventuale fusione, incorporazione od acquisizione totale o parziale, a qualsiasi titolo, di altra impresa, ciò in quanto, qualora la lex specialis preveda l'obbligo di rilasciare la predetta dichiarazione a pena di esclusione, nonché i nominativi dei soggetti tenuti alla dichiarazione di cui all'art. 38, comma 1, lett. b) e c), del d.lgs. n. 163/2006, con riferimento al triennio antecedente la data di pubblicazione del bando, tale obbligo assumerà rilievo anche in ordine alle acquisizioni di aziende, o rami di esse, avvenute per effetto della partecipazione a procedure fallimentari di vendita coattiva.
A maggior ragione nell'ipotesi in cui, come nel caso di specie, l'avvenuta acquisizione del ramo d'azienda abbia dato luogo ad un vero e proprio trasferimento di proprietà (TAR Sicilia-Palermo, Sez. III, sentenza 29.11.2010 n. 14196 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Associazioni ambientaliste - Legittimazione ex artt. 13 e 18 L. n. 349/1986 - Limite alla proposizione di censure - Atti e profili aventi valenza meramente urbanistica - Esclusione.
La legittimazione ad agire di cui agli artt. 13 e 18 L. 349/1986, stante la sua natura eccezionale (in quanto derogatoria del principio generale di cui all’art. 81 c.p.c.), deve essere limitata alla deduzione di censure che concernono l’assetto normativo di tutela dell’ambiente o la violazione di norme poste a salvaguardia dell’ambiente, con esclusione degli atti e dei profili che abbiano una valenza meramente urbanistica. (Cons. Stato, IV Sez. n. 8234 del 2003; Cons. Stato, IV, 09.11.2004, n. 7246; TAR Veneto, I, 19.01.2006, n. 97; TAR Lombardia-Milano, II, 08.10.2004, n. 5515) (TAR Liguria, Sez. I, sentenza 29.11.2010 n. 10667 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATALa giurisprudenza ammette la legittimità dell’apposizione di condizioni agli atti amministrativi ed anche ai titoli edilizi purché, in quest’ultimo caso, la condizione trovi fondamento anche indirettamente in una norma di legge o di regolamento ed attenga alle modalità dell’intervento e non a profili totalmente estranei all’attività edificatoria assentita.
Nel ricorso viene contestata, sotto una molteplicità di profili, la decisione del Comune di condizionare il permesso di costruire in sanatoria alla copertura dell’immobile a doppia falda, evitando l’inserimento di motivi architettonici estranei alla tipologia architettonica attuale.
Sul punto, deve dapprima il Collegio rilevare come la giurisprudenza ammetta la legittimità dell’apposizione di condizioni agli atti amministrativi ed anche ai titoli edilizi purché, in quest’ultimo caso, la condizione trovi fondamento anche indirettamente in una norma di legge o di regolamento ed attenga alle modalità dell’intervento e non a profili totalmente estranei all’attività edificatoria assentita (si vedano, sul punto, TAR Lombardia, Milano, sez. IV, 10.09.2010, n. 5655 e Consiglio di Stato, sez. IV, 06.10.2010, n. 7344).
Nel caso di specie, si tratta del rilascio non di un permesso di costruire per così dire “ordinario” ma di un titolo a sanatoria adottato doppio l’accertamento della c.d. doppia conformità di cui all’art. 36 del DPR 380/2001 (vale a dire conformità dell’opera agli strumenti urbanistici vigenti sia al momento della realizzazione dell’abuso sia a quello di presentazione della domanda di sanatoria), il che induce la ricorrente ad affermare l’impossibilità assoluta di sottoposizione del titolo a condizione, pena anche la violazione del principio di legalità e tipicità degli atti amministrativi (a tal proposito l’esponente richiama la sentenza di questa Sezione II del 09.06.2006 n. 1352, che attiene però alla differente fattispecie della c.d. sanatoria edilizia giurisprudenziale, che il TAR ha ritenuto in contrasto con l’attuale assetto ordinamentale).
Ritiene però il Collegio che, al di là del profilo dell’astratta ammissibilità dell’apposizione di condizioni al permesso a sanatoria, occorra valutare, nel caso di specie, la legittimità della stessa, alla luce dell’indirizzo giurisprudenziale sopra ricordato, che ammette, seppure con cautela, l’apposizione di condizioni ai titoli edilizi.
Sotto tale aspetto, la scelta del Comune di Lurago d’Erba non si sottrae alle censure di difetto di motivazione e di istruttoria, esposte soprattutto al motivo n. 3 del ricorso.
Risulta infatti, dall’esame degli atti di causa, che l’immobile della ricorrente è collocato in zona B2-residenziale, non soggetta a particolari vincoli paesaggistici e senza che gli strumenti urbanistici o il regolamento edilizio contengano, per le suddette zone, prescrizioni particolari sulle caratteristiche delle falde.
La stessa documentazione fotografica depositata in giudizio (cfr. doc. 3 della ricorrente), dimostra come nella zona di via San Bernardino esistano immobili con le più varie tipologie di tetto, non necessariamente quindi tutti con copertura a falda doppia.
Del resto né il provvedimento impugnato né l’avviso di rilascio dello stesso (cfr. doc. 5 della ricorrente), indicano in alcun modo le ragioni che hanno indotto l’Amministrazione comunale ad imporre una simile condizione, né quali siano i concreti elementi di contrasto della falda attuale con le prescrizioni urbanistiche o edilizie del Comune o con altri elementi attinenti, ad esempio, alla tutela del paesaggio.
Neppure potrebbe sostenersi, come sembrerebbe desumersi dalla lettura del permesso in sanatoria (il condizionale è d’obbligo, vista la lacunosità sul punto della determinazione comunale), che il requisito della doppia falda sia necessario soltanto perché tale era la caratteristica del tetto preesistente, giacché in tale caso il rilascio del permesso in sanatoria costringerebbe la ricorrente a ricostruire il tetto originario –anteriore agli abusi invece sanati– e ciò appare illogico ed in contrasto con la stessa finalità dell’accertamento di conformità di cui all’art. 36 del DPR 380/2001.
Il gravame merita pertanto accoglimento, con assorbimento di ogni altra censura.
Deve, di conseguenza, essere annullato il permesso di costruire del 27.08.2007 non nella sua interezza ma limitatamente alla condizione in esso apposta e contestata col presente ricorso.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo a carico del Comune di Lurago d’Erba ma non del Responsabile dell’Area Edilizia Privata-Urbanistica, al quale il ricorso è stato notificato ma senza che sia stata proposta, contro il medesimo, alcuna domanda giudiziale, fermo restando che, in tale ultimo caso, sussisterebbero forti dubbi sulla giurisdizione del giudice amministrativo (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 22.11.2010 n. 7307 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAL'onere della prova in ordine alla data di realizzazione dell'abuso ricade su chi lo ha commesso, e intende dimostrare la legittimità del proprio operato, mentre detto onere non grava sul Comune, che, in presenza di un'opera edilizia non assistita da un titolo che la legittimi, ha solo il potere-dovere di sanzionarla ai sensi di legge.
Tale onere può ritenersi soddisfatto solo quando le prove addotte risultano obiettivamente inconfutabili sulla base di atti e documenti che, da soli o unitamente ad altri elementi probatori, offrono la ragionevole certezza dell'epoca di realizzazione del manufatto, trasferendosi, in tal modo il relativo onere probatorio sull’epoca di realizzazione dell’abuso in capo all’amministrazione.

Per pacifico orientamento della giurisprudenza –che il Collegio condivide- l'onere della prova in ordine alla data di realizzazione dell'abuso ricade su chi lo ha commesso, e intende dimostrare la legittimità del proprio operato, mentre detto onere non grava sul Comune, che, in presenza di un'opera edilizia non assistita da un titolo che la legittimi, ha solo il potere-dovere di sanzionarla ai sensi di legge (ex plurimis: Consiglio di Stato, IV, 13.01.2010, n. 45; V, 09.11.2009, n. 6984; TAR Umbria, 26.03.2010, n. 219; 10.07.2003, n. 589; TAR Campania, Napoli, VII, 24.07.2008, n. 9347; TAR Basilicata, 29.04.2003, n. 370).
Tale onere può ritenersi soddisfatto solo quando le prove addotte risultano obiettivamente inconfutabili sulla base di atti e documenti che, da soli o unitamente ad altri elementi probatori, offrono la ragionevole certezza dell'epoca di realizzazione del manufatto, trasferendosi, in tal modo il relativo onere probatorio sull’epoca di realizzazione dell’abuso in capo all’amministrazione (Consiglio di Stato, V, 06.05.2008, n. 2010, n. 1440; TAR Umbria, n. 589/2003 cit.)
(TAR Sicilia-Palermo, Sez. III, sentenza 18.11.2010 n. 14099 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAL'ampliamento di vano-finestra non rientra nell'ambito degli interventi di manutenzione straordinaria, né di restauro o risanamento conservativo (i quali presuppongono, ai sensi dell'art. 3, lett. b-c, d.P.R. n. 380/2001, la sostituzione o la conservazione di elementi -anche strutturali- degli edifici, che siano comunque preesistenti, ovvero l'inserimento di elementi nuovi, che abbiano tuttavia carattere accessorio), ma nel novero degli interventi di ristrutturazione edilizia, di cui alla lett. c) del comma 1 dell'art. 10 del medesimo d.P.R. n. 380/2001, dal momento che realizza un'oggettiva trasformazione della facciata del palazzo mediante la sostituzione e l'inserimento di elementi, nonché la modifica di altri.
Come costantemente osservato in giurisprudenza, "... l'ampliamento di vano-finestra non rientra nell'ambito degli interventi di manutenzione straordinaria, né di restauro o risanamento conservativo (i quali presuppongono, ai sensi dell'art. 3, lett. b-c, d.P.R. n. 380/2001, la sostituzione o la conservazione di elementi -anche strutturali- degli edifici, che siano comunque preesistenti, ovvero l'inserimento di elementi nuovi, che abbiano tuttavia carattere accessorio), ma nel novero degli interventi di ristrutturazione edilizia, di cui alla lett. c) del comma 1 dell'art. 10 del medesimo d.P.R. n. 380/2001, dal momento che realizza un'oggettiva trasformazione della facciata del palazzo mediante la sostituzione e l'inserimento di elementi, nonché la modifica di altri" (cfr. TAR Sicilia Catania, I, 02.07.2010, n. 2641; TAR Campania Napoli, IV, 19.02.2009, n. 895; 29.01.2009, n. 505; Cassazione penale, III, 04.12.2008, n. 834) (TAR Sicilia-Palermo, Sez. III, sentenza 18.11.2010 n. 14099 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il proprietario o il possessore dell'immobile o il semplice residente o domiciliato nella zona interessata è legittimato a ricorrere in ragione di tale stabile collegamento, idoneo a radicare una posizione d'interesse, differenziata rispetto a quella posseduta dal "quisque de populo", all'impugnazione di una concessione edilizia in sanatoria, a prescindere da ogni indagine sulla sussistenza di un ulteriore specifico interesse.
Ancora recentemente il Consiglio di Stato ha ribadito che il proprietario o il possessore dell'immobile o il semplice residente o domiciliato nella zona interessata è legittimato a ricorrere in ragione di tale stabile collegamento, idoneo a radicare una posizione d'interesse, differenziata rispetto a quella posseduta dal "quisque de populo", all'impugnazione di una concessione edilizia in sanatoria, a prescindere da ogni indagine sulla sussistenza di un ulteriore specifico interesse (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 30.11.2009, n. 7491; nello stesso senso cfr. id., V, 07.05.2008, n. 2086; entrambe le decisioni concernono fattispecie in tema di concessioni edilizie in sanatoria) (TAR Liguria, Sez. I, sentenza 18.11.2010 n. 10389 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: I volumi tecnici sono solo quelli destinati esclusivamente agli impianti necessari per l’utilizzo dell’abitazione e che non possono essere ubicati al suo interno mentre la realizzazione di un locale sottotetto mediante vani distinti e comunicanti con il piano sottostante mediante una scala interna è indice rivelatore dell'intento di rendere abitabile detto locale, non potendosi considerare volumi tecnici i vani in esso ricavati.
Per costante giurisprudenza, i volumi tecnici sono solo quelli destinati esclusivamente agli impianti necessari per l’utilizzo dell’abitazione e che non possono essere ubicati al suo interno (Cons. di St., V, 02.11.2010, n. 7731), mentre la realizzazione di un locale sottotetto mediante vani distinti e comunicanti con il piano sottostante mediante una scala interna è indice rivelatore dell'intento di rendere abitabile detto locale, non potendosi considerare volumi tecnici i vani in esso ricavati (Cons. di St., V, 31.01.2006, n. 354 e TAR Calabria, II, 07.02.2006, n. 125).
Nel caso di specie, la qualificazione come volume tecnico è affidata non già alle caratteristiche edilizie del fabbricato, bensì –inammissibilmente– alla buona fede del richiedente, che si è impegnato a non destinarlo ad abitazione (TAR Liguria, Sez. I, sentenza 18.11.2010 n. 10389 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Ai fini della sanatoria edilizia rileva che il manufatto abusivo risulti “ultimato”, con tale locuzione individuandosi gli edifici dei quali sia stato eseguito il rustico e completata la copertura; rileva, infatti, che sia definito l'ingombro della struttura e il volume esprimibile dall'edificio abusivo, il che viene determinato dall'esistenza del piano di copertura, a prescindere dalla sua completezza e definitività secondo buona tecnica.
Per costante giurisprudenza, “ai fini della sanatoria edilizia rileva che il manufatto abusivo risulti “ultimato”, con tale locuzione individuandosi gli edifici dei quali sia stato eseguito il rustico e completata la copertura; rileva, infatti, che sia definito l'ingombro della struttura e il volume esprimibile dall'edificio abusivo, il che viene determinato dall'esistenza del piano di copertura, a prescindere dalla sua completezza e definitività secondo buona tecnica” (così, per tutte, TAR Puglia Lecce, I, 19.05.2010, n. 1185).
Stando così le cose, è evidente come non sia affatto irrilevante la circostanza che, in pendenza della prima domanda di condono, il ricorrente abbia posto in essere un intervento di manutenzione straordinaria (consistente nel parziale rifacimento della copertura) in assenza di titolo edilizio.
Trattandosi di un manufatto pacificamente abusivo, per il quale pendeva domanda di condono (non ancora definita per inerzia del richiedente), soltanto la preventiva denuncia dell’intervento manutentivo avrebbe consentito all’amministrazione comunale di verificare la effettiva consistenza della copertura in termini di esistenza, estensione e stato di conservazione, onde determinarsi sulla domanda di condono.
In buona sostanza, ostativa al condono non è tanto la circostanza -in sé– del rifacimento della struttura di copertura del locale cantina, bensì il fatto che da un lato il ricorrente non abbia documentato lo stato di fatto esistente all’atto della domanda di condono, dall’altro non abbia -neppure successivamente- notificato l’intervento manutentivo al comune, con ciò impedendo in radice agli uffici comunali di accertare la effettiva consistenza dell’immobile alla data dell'01.10.1983
(TAR Liguria, Sez. I, sentenza 18.11.2010 n. 10388 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

COMPETENZE GESTIONALI: Il principio di separazione dell’attività di governo da quella gestionale di cui all’art. 107 del D.Lgs. n. 267/2000, corollario del principio di buon andamento ed imparzialità dell’amministrazione, implica che la commissione edilizia comunale non possa essere composta né presieduta da organi politici dell’ente locale.
Come recentemente chiarito dalla giurisprudenza, anche di questa Sezione, il principio di separazione dell’attività di governo da quella gestionale di cui all’art. 107 del D.Lgs. n. 267/2000, corollario del principio di buon andamento ed imparzialità dell’amministrazione, implica che la commissione edilizia comunale non possa essere composta né presieduta da organi politici dell’ente locale (TAR Liguria, I, 15.05.2010, n. 2584; nello stesso senso cfr. TAR Sicilia-Catania, I, 80.05.2008, n. 866; TAR Liguria, I, 11.07.2007, n. 1376; TAR Piemonte, I, 10.05.2006, n. 2022; id., 23.03.2005, n. 657) (TAR Liguria, Sez. I, sentenza 18.11.2010 n. 10388 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAL'area sita in fascia di rispetto, sebbene inedificabile, esprime una volumetria concentrabile sulle aree adiacenti esterne a detta fascia, secondo i parametri nelle stesse fissate e, quindi, concorre per intero alla determinazione della superficie utile ai fini del calcolo della cubatura assentibile e della superficie che può essere coperta.
Ciò corrisponde ad un principio pacifico e consolidato in giurisprudenza, secondo cui la fascia di rispetto partecipa, come regola generale e salvi gli specifici obblighi da essa nascenti, della natura e della disciplina della zona nella quale essa è inserita, concorrendo alla determinazione delle capacità edificatorie della più vasta area in cui essa è inclusa.
Il vincolo derivante da una fascia di rispetto stradale ha l'effetto urbanistico di prescrivere un semplice obbligo di distanza, ma non quello di rendere inedificabile l'area che vi ricade, posto che la "ratio" delle disposizioni che danno origine alla cosiddetta "zona di rispetto viario" sono quelle di garantire la sicurezza della circolazione stradale, con la conseguenza che tali aree possono essere computabili ai fini della volumetria edificabile.
Le norme che impongono vincoli di rispetto dalla sede stradale operano al pari della disciplina sulle distanze tra costruzioni e tra costruzioni e confini, che hanno natura edilizia ed impongono arretramenti e distacchi, senza incidenza sulla vocazione edificatoria del suolo compreso nella distanza, la quale, a sua volta, trae origine dalla disciplina a natura urbanistica.

La “fascia di rispetto stradale” costituisce un vincolo al quale è riconosciuta natura “conformativa”, per essere configurato in maniera obiettiva e rispetto alla totalità dei soggetti e beni che si trovano nelle suddette condizioni nonché in considerazione del fatto che esso non è funzionale ad alcuna vicenda ablatoria, per cui non incide sulla qualità edificatoria della superficie, che deriva esclusivamente dalla destinazione impressa dalla zonizzazione nello strumento urbanistico.
L’amministrazione sostiene, nella specie, che l’area derivante dalla fascia di rispetto stradale, essendo graficizzata come zona bianca, non potrebbe essere computata ai fini volumetrici, non essendo compresa tra le aree a destinazione agricola.
Osserva il Collegio che l'area sita in fascia di rispetto, sebbene inedificabile, esprime una volumetria concentrabile sulle aree adiacenti esterne a detta fascia, secondo i parametri nelle stesse fissate e, quindi, concorre per intero alla determinazione della superficie utile ai fini del calcolo della cubatura assentibile e della superficie che può essere coperta.
Ciò corrisponde ad un principio pacifico e consolidato in giurisprudenza, secondo cui la fascia di rispetto partecipa, come regola generale e salvi gli specifici obblighi da essa nascenti, della natura e della disciplina della zona nella quale essa è inserita, concorrendo alla determinazione delle capacità edificatorie della più vasta area in cui essa è inclusa (conf: Cons. Stato Sez. IV 31.01.2005 n. 253; TAR Campania-Salerno, Sez. I, 27/11/2006, n. 2178; TAR Catania, I, 15.10.2007 n. 1663, in cui si richiama Cass. Civ., Sez. I 06.09.2006 n. 19132; TAR Toscana n. 1982 del 2000).
In definitiva, il vincolo derivante da una fascia di rispetto stradale ha l'effetto urbanistico di prescrivere un semplice obbligo di distanza, ma non quello di rendere inedificabile l'area che vi ricade, posto che la "ratio" delle disposizioni che danno origine alla cosiddetta "zona di rispetto viario" sono quelle di garantire la sicurezza della circolazione stradale, con la conseguenza che tali aree possono essere computabili ai fini della volumetria edificabile.
La tesi del Comune e la conclusione della relazione, posta alla base dell’attività amministrativa svolta in via di autotutela non è condivisibile, poiché la ricostruzione della cubatura assentibile effettuata appare viziata dal medesimo errore di fondo e, cioè, l'aver escluso, dalla superficie "utile" dell’unità culturale, quella oggetto della fascia di rispetto stradale.
In particolare, le norme che impongono vincoli di rispetto dalla sede stradale operano al pari della disciplina sulle distanze tra costruzioni e tra costruzioni e confini, che hanno natura edilizia ed impongono arretramenti e distacchi, senza incidenza sulla vocazione edificatoria del suolo compreso nella distanza, la quale, a sua volta, trae origine dalla disciplina a natura urbanistica.
Nella specie, la volumetria derivante dalla fascia di rispetto (pari a quella agricola 0,03) non determina un superamento della densità fondiaria: infatti per le residenze è previsto un indice di densità fondiaria di edificazione=0,03 mc/mq che è il medesimo previsto anche per la restante proprietà.
Pertanto, non risultando dimostrato che l’accorpamento della volumetria, derivante anche dal computo della fascia di rispetto, abbia superato i limiti della densità fondiaria, non esiste alcuna valida ragione per ritenere i provvedimenti autorizzativi a suo tempo assentiti non conformi alle previsioni legislative e regolamentari disciplinati la fattispecie, trattandosi, peraltro, di situazioni urbanistiche assolutamente equiparabili (TAR Calabria-Catanzaro, Sez. I, sentenza 17.11.2010 n. 2709 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La nozione di ristrutturazione comprende interventi che, pur mantenendo inalterati gli elementi strutturali che individuano e qualificano l’edificio preesistente, possono comportare anche modifiche non stravolgenti alla sagoma nonché limitati incrementi di superficie e volume.
L’identità della volumetria e della sagoma costituisce un limite solo per gli interventi di ristrutturazione che comportano la previa demolizione dell’edificio; viceversa tali limiti non valgono per quegli interventi di ristrutturazione ordinaria (cioè senza previa demolizione) i quali devono mantenere inalterati gli elementi strutturali che individuano e qualificano l’edificio preesistente, potendo però comportare integrazioni strutturali e cioè in pratica anche modifiche non stravolgenti alla sagoma nonché limitati incrementi di superficie e volume.

La giurisprudenza amministrativa ha avuto modo di osservare (cfr. TAR Emilia Romagna, Sez. II, 25.02.2010 n. 1613 e TAR Marche 28.12.2006 n. 1568) che la nozione di ristrutturazione comprende interventi che, pur mantenendo inalterati gli elementi strutturali che individuano e qualificano l’edificio preesistente, possono comportare anche modifiche non stravolgenti alla sagoma nonché limitati incrementi di superficie e volume.
In particolare, il Supremo Consesso amministrativo ha osservato (cfr. Cons. St. Sez. IV 08.08.2007 n. 5214): <<Come è noto, la nozione di ristrutturazione edilizia si rinviene oggi nell’art. 3, comma 1, lettera d), del T.U. n. 380 del 2001 (interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme di opere che possono portare ad un organismo in tutto o in parte diverso dal precedente) e nell’art. 10, comma 1, lettera c), del citato T.U. (interventi .. che comportino modifiche del volume, della sagoma, dei prospetti e delle superfici..)
Per quanto riguarda invece la ipotesi specifica di derivazione giurisprudenziale della ristrutturazione mediante demolizione e ricostruzione, la relativa disciplina è stata per la prima volta introdotta nell’ordinamento positivo con l’art. 3, comma 1, lettera d), del T.U. n. 380 del 2001, il quale richiedeva la fedele ricostruzione (sagoma, volume, sedime e materiali) della preesistenza.
Successivamente, l’art. 1, comma 6, lettera b), della legge delega sulle infrastrutture n. 443 del 2001 ha richiesto identità di volume e sagoma.
Da ultimo, riprendendo tale impostazione, il D.L.vo n. 301 del 2002 ha eliminato dall’art. 3 del T.U. edilizia l’originario riferimento alla “fedele ricostruzione” (espungendo così ad es. il richiamo alle caratteristiche dei materiali) ma ha tenuto fermo che la ricostruzione costituisce ristrutturazione solo se il risultato finale coincide con la volumetria e sagoma preesistenti.
Dal raffronto fra i corpi normativi ora richiamati emerge con chiarezza, a giudizio del Collegio, che l’identità della volumetria e della sagoma costituisce un limite solo per gli interventi di ristrutturazione che comportano la previa demolizione dell’edificio; viceversa tali limiti non valgono per quegli interventi di ristrutturazione ordinaria (cioè senza previa demolizione) i quali devono mantenere inalterati gli elementi strutturali che individuano e qualificano l’edificio preesistente, potendo però comportare integrazioni strutturali e cioè in pratica anche modifiche non stravolgenti alla sagoma nonché limitati incrementi di superficie e volume.
Né le limitazioni suddette, apposte ora dalla legge solo all’ipotesi di ristrutturazione con previa demolizione, possono considerarsi irrazionali, in quanto si rapportano agli evidenti vantaggi (si pensi all’ipotesi di più restrittivi strumenti urbanistici sopravvenuti) che discendono dall’inquadramento dell’attività ricostruttiva di ciò che è stato demolito nell’ambito della ristrutturazione anziché in quello della nuova costruzione
.>> (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 02.11.2010 n. 4525 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Sulla struttura bifasica della procedura di gara e sulla necessità di apposita motivazione sull’interesse pubblico nel caso di annullamento o revoca dell’aggiudicazione di una gara.
1. Quantunque nei contratti della P.A. l’aggiudicazione, quale atto conclusivo del procedimento di scelta del contraente, segni di norma il momento dell’incontro della volontà della stessa Amministrazione di concludere il contratto e del privato, manifestata con l’individuazione dell’offerta ritenuta migliore, non è tuttavia precluso all’Amministrazione di procedere, con atto successivo, purché adeguatamente motivato con richiamo ad un preciso e concreto interesse pubblico, alla revoca d’ufficio o all’annullamento dell’aggiudicazione, fondandosi detta potestà di annullamento in autotutela sul principio costituzionale di buon andamento che impegna la P.A. ad adottare atti il più possibile rispondenti ai fini da conseguire.
2. E’ illegittimo il provvedimento di revoca dell’aggiudicazione di una gara di appalto (nella specie si trattava di un appalto del servizio di trasporto scolastico), motivato non già con riferimento ad elementi, preesistenti alla procedura di gara o sopravvenuti nelle more della stipula del contratto riguardanti la ditta aggiudicataria (quali per esempio la obiettiva carenza o l’inidoneità dei mezzi indicati per l’espletamento della gara, ovvero la mancanza delle autorizzazioni di legge all’esercizio del trasporto di studenti, ovvero la sopravvenuta incapacità finanziaria), quanto piuttosto ad un giudizio prognostico, ma meramente ipotetico, di incapacità dell’aggiudicataria di espletare il servizio aggiudicato a causa delle irregolarità ed inadempienze nel periodo di prova.
Le eventuali inadempienze od irregolarità nel periodo di prova, infatti, appartengono alla fase di esecuzione del rapporto, così che esse possono dar luogo alla risoluzione contrattuale e non già all’esercizio di poteri pubblicistici di revoca dell’aggiudicazione (massima tratta da http://doc.sspal.it - Consiglio di Stato, Sez V, sentenza 10.09.2009 n. 5427 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Sulla natura eccezionale della procedura negoziata senza previa pubblicazione del bando e sulla illegittimità del ricorso ad essa nel caso di urgenza derivante da carenza di adeguata organizzazione o programmazione ovvero da mera inerzia o responsabilità della P.A..
1. Il ricorso al sistema di scelta del contraente mediante procedura negoziata senza previa pubblicazione del bando, previsto dall’art. 55, comma 2, lett. c), del D.Lgs. 12.04.2006, n. 163, il quale si sostanzia in una vera e propria trattativa privata, rappresenta un’eccezione al principio generale della pubblicità e della massima concorsualità tipica della procedura aperta, con la conseguenza che i presupposti fissati dalla legge per la sua ammissibilità devono essere accertati con il massimo rigore e non sono suscettibili di interpretazione estensiva.
2. Ai fini di poter fare ricorso legittimamente al sistema della procedura negoziata senza previa pubblicazione del bando, previsto dall’art. 55, comma 2, lett. c), del D.Lgs. 12.04.2006, n. 163, in considerazione dell’urgenza di provvedere, occorre che tale urgenza non sia addebitabile in alcun modo all’Amministrazione per carenza di adeguata organizzazione o programmazione ovvero per sua inerzia o responsabilità (alla stregua del principio è stato ritenuto illegittimo il ricorso al suddetto sistema, atteso che non erano stati indicati eventi oggettivamente imprevedibili, risultando per contro che il ricorso alla procedura negoziata era addebitabile esclusivamente alla lentezza ed alla farraginosità dell’azione amministrativa; d’altra parte, il riferimento alla ricorrenza del periodo feriale e dunque ad una minore operatività degli uffici, non costituiva fatto imprevedibile, idoneo a legittimare l’utilizzo di un sistema eccezionale di scelta del contraente) (massima tratta da http://doc.sspal.it - Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 10.09.2009 n. 5426 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Sull’annullamento dell’aggiudicazione di una gara a trattativa privata in quanto la ditta aggiudicataria era diversa da quella invitata alla trattativa.
1.
Il nostro ordinamento prevede che vi sia un principio di immodificabilità soggettiva dei partecipanti alle gare pubbliche, così da consentire all’Amministrazione la conoscenza dei requisiti di idoneità tecnico-organizzativa ed economico-finanziaria dei concorrenti.
Tale principio nasce dall'esigenza di assicurare alle Amministrazioni aggiudicatrici un controllo preliminare dei requisiti dei concorrenti e di impedire che tale verifica venga vanificata o elusa con modificazioni soggettive in corso di gara delle imprese candidate.
2. E’ legittima la delibera con la quale la P.A. appaltante, dopo essersi resa conto che la ditta cui era stata aggiudicata la gara di appalto non corrispondeva alla ditta destinataria dell’invito alla gara mediante trattativa privata, ha disposto l’annullamento dell’aggiudicazione e del relativo contratto.
E’ irrilevante a tal fine la circostanza che si trattava di trattativa privata, atteso che l’Amministrazione comunque aveva previamente selezionato le ditte da invitare, apprezzandone i requisiti di capacità tecnica, solidità, economica, serietà, affidabilità e che, pertanto, non poteva ritenersi ammessa la partecipazione alla gara di una ditta non invitata (massima tratta da http://doc.sspal.it - Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 07.09.2009 n. 5224 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTISulla portata del favor partecipationis e sulla possibilità di integrazione.
1.
Il favor partecipationis ed il c.d. dovere di soccorso recedono a fronte di una
specifica disposizione della legge di gara che prevede un adempimento a pena di esclusione, dovendo in tal caso far prevalere il diritto alla parità di trattamento; in particolare, va disposta l’esclusione dalla gara di una ditta che ha prestato una cauzione provvisoria d’importo inferiore a quello previsto dal bando a pena di esclusione, non essendo consentito in tale ipotesi alla stazione appaltante formulare una richiesta di integrazione della documentazione, trattandosi di adempimento univocamente previsto dal bando con espressa comminatoria.
2. L'esclusione dalla gara dell'aggiudicataria provvisoria in conseguenza della verifica del possesso dei requisiti autocertificati non deve essere preceduta dalla comunicazione di avvio del procedimento, atteso che tale verifica rientra nell'unitario procedimento di gara già in corso e del quale i partecipanti sono già a conoscenza (massima tratta da http://doc.sspal.it - Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 03.09.2009 n. 5171 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Sul divieto di commistione fra i criteri soggettivi di pre-qualificazione e quelli oggettivi afferenti alla valutazione dell’offerta.
1. Costituisce principio generale regolatore delle gare pubbliche il divieto di commistione fra i criteri soggettivi di pre-qualificazione e quelli oggettivi afferenti alla valutazione dell’offerta ai fini dell’aggiudicazione.
Tale principio, che affonda le sue radici nell’esigenza di aprire il mercato premiando le offerte più competitive ove presentate da imprese comunque affidabili, unitamente al canone di par condicio che osta ad asimmetrie pregiudiziali di tipo meramente soggettivo, trova il suo sostanziale supporto logico nel bisogno di tenere separati i requisiti richiesti per la partecipazione alla gara da quelli che invece attengono all'offerta e all'aggiudicazione.
2. E’ illegittimo un bando di gara di appalto, da aggiudicare con il sistema dell’offerta economicamente più vantaggiosa, nella parte in cui ha attribuito rilevanza, in sede di assegnazione del punteggio, ai requisiti soggettivi in sé considerati, ossia avulsi dalla valutazione dell’incidenza dell’organizzazione sullo specifico espletamento del servizio da aggiudicare (nella specie si attribuiva rilievo al possesso di certificazioni di qualità ed all’attività di intermediazione svolta negli ultimi tre anni, ossia ad aspetti che non attengono all’organizzazione specifica concreta bensì alle qualità soggettive astratte).
--------------------------------
Secondo il Giudice amministrativo il filo che separa il canone oggettivo di valutazione dell’offerta ed il requisito soggettivo del competitore è particolarmente sottile, stante la potenziale idoneità dei profili di organizzazione soggettiva a riverberarsi sull’affidabilità e sull’efficienza dell’offerta e, quindi, della prestazione.
Tale commistione apparentemente inestricabile, che rende in concreto non pertinente il principio astratto fin qui enucleato, viene tuttavia in rilievo quante volte la lex specialis valorizzi non già i requisiti soggettivi in sé intesi bensì quei profili soggettivi diretti a riverberarsi in modo specifico sull’espletamento dell’attività appaltata, con riferimento precipuo alle caratteristiche del personale e delle attrezzature da adibire alle prestazioni interessate dell’appalto
(massima tratta da http://doc.sspal.it - Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 28.08.2009 n. 5105 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Sul presupposto della colpa della P.A. necessario per riconoscere il risarcimento dei danni, nel caso di violazione delle regole partecipative di cui agli artt. 7 e segg. della L. n. 241 del 1990 e sulla quantificazione del danno nel caso di illegittima aggiudicazione di una gara di appalto.
1.
L’omesso rispetto delle regole partecipative di cui agli artt. 7 e segg. della legge n. 241 del 1990, anche alla luce del principio comunitario di tutela del legittimo affidamento (cd. legittimate expectation), integra gli estremi dell’errore qualificato e caratterizzato, e, in definitiva, sostanzia la nozione normativa di "colpa" che viene in rilievo ai fini del risarcimento dei danni prodotti dalla P.A. per lesione di interessi legittimi.
2. Nel caso di illegittima aggiudicazione di una gara di appalto di lavori pubblici (nella specie si trattava di lavori stradali), aggiudicazione alla quale la ricorrente vittoriosa avrebbe avuto diritto, appare equo quantificare il danno, in ossequio ad una consolidata giurisprudenza del Consiglio di Stato e in considerazione delle caratteristiche dell’appalto, nella misura del 10% dell’offerta economica presentata dalla parte ricorrente.
Su detta somma andranno computati gli interessi legali dalla data di pubblicazione della decisione fino al soddisfo (massima tratta da http://doc.sspal.it - Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 21.08.2009 n. 5004 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Sulla portata della dichiarazione dell’insussistenza delle cause di esclusione previste dall’art. 38 del d.lgs. n. 163/2006.
1.
Nel caso in cui il bando non si limiti a chiedere una generica dichiarazione di
insussistenza delle cause di esclusione di cui all’art. 38 del d.lgs. n. 163/2006, ma specifichi che vanno dichiarate tutte le condanne penali, o tutte le violazioni contributive, si richiede una dichiarazione dal contenuto più ampio e più puntuale rispetto a quanto prescritto dall’art. 38 del Codice, all’evidente fine di riservare alla stazione appaltante la valutazione di gravità o meno dell’illecito, al fine dell’esclusione.
In siffatta ipotesi, la causa di esclusione non è solo quella, sostanziale, dell’essere stata commessa una grave violazione, ma anche quella, formale, di aver omesso una dichiarazione prescritta dal bando.
2. Nel caso in cui il bando di gara richieda una dichiarazione da cui risulti "l’insussistenza, ai sensi dell’art. 38, c. 1, del d.lgs. 163/2006, di una delle cause di esclusione dalle gare di appalto", non costituisce di per sé dichiarazione falsa, e non dà luogo ad autonoma causa di esclusione, la omessa menzione di condanne penali non gravi e la omessa menzione di violazioni contributive che non sono gravi o non sono state definitivamente accertate, atteso che, nell’ipotesi in questione, il bando, per come è formulato, non impone di dichiarare qualsivoglia condanna penale o violazione contributiva, tenuto conto peraltro del fatto che le cause di esclusione dalle gare sono da ritenere tassative, e che va applicato il principio di massima partecipazione alle gare (massima tratta da http://doc.sspal.it - Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 04.08.2009 n. 4906 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Sui limiti del potere delle Stazioni appaltanti di prevedere condizioni di partecipazione più restrittive rispetto a quelle stabilite dal Codice dei contratti.
1.
Il Codice dei contratti pubblici (D.L.vo 12.04.2006 n. 163), con le norme in esso contenute, non ha inteso introdurre la possibilità in favore delle stazioni appaltanti di prevedere disposizioni nella lex specialis di gara volte a ridurre, ingiustificatamente, la platea dei potenziali concorrenti, relegando al contrario la possibilità per l’Amministrazione di introdurre delle “clausole-ostacolo” nel bando o nel capitolato solo laddove tali disposizioni siano motivate espressamente e trovino ragione nelle peculiarità dell’oggetto dell’appalto da affidarsi (tanto che l’art. 74, comma 5, del Codice dei contratti pubblici impone alle stazioni appaltanti di richiedere alle concorrenti, nel confezionare l’offerta, di corredarla dei soli elementi essenziali prescritti dallo stesso Codice, nonché degli altri elementi e documenti necessari o utili, ma pur sempre "nel rispetto del principio di proporzionalità in relazione all’oggetto del contratto e alle finalità dell’offerta").
2. L'art. 46 del D.L.vo n. 163 del 2006, nel disporre che le Amministrazioni invitano, se necessario, le ditte partecipanti a gare per l'aggiudicazione di appalto di servizi a fornire chiarimenti e ad integrare la carente documentazione presentata, non ha inteso assegnare alle stesse una mera facoltà o un potere eventuale, ma piuttosto codificare un ordinario modo di procedere, volto a far valere, entro certi limiti e nel rispetto della par condicio dei concorrenti, la sostanza sulla forma, orientando l'azione amministrativa sulla concreta verifica dei requisiti di partecipazione e della capacità tecnica ed economica, coerentemente con la disposizione di carattere generale contenuta nell'art. 6 della L. 07.08.1990 n. 241 (massima tratta da http://doc.sspal.it - TAR Lazio-Roma, Sez. II, sentenza 30.07.2009 n. 7706 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Sulla possibilità di annullare l’aggiudicazione quando i lavori siano in corso.
Sussiste il potere della P.A. appaltante di disporre l’annullamento d’ufficio in autotutela dell’aggiudicazione, pur se in epoca successiva alla stipulazione del contratto di appalto con l’aggiudicatario, persino quando siano in corso i lavori; né costituisce di per sé un ostacolo all'esercizio del generale potere di riesame in un momento successivo alla conclusione del procedimento la presenza, nel procedimento di aggiudicazione degli appalti pubblici, di strumenti tipici di verifica immediata dell'attività compiuta dall’amministrazione, come, ad es., l'approvazione degli atti di gara e l'eventuale controllo (massima tratta da http://doc.sspal.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 20.07.2009 n. 4398 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Sul divieto di introdurre nuovi criteri o sub-criteri di valutazione delle offerte e sulla determinazione dei danni nel caso di illegittima aggiudicazione di una gara.
1.
Nel caso di gare svolte secondo il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, deve escludersi la possibilità dell’introduzione da parte della commissione di nuovi criteri o sub criteri oltre quelli già fissati e indicati nel bando, dovendosi limitare al massimo la discrezionalità della medesima commissione, atteso peraltro che l’introduzione di nuovi criteri di valutazione delle offerte si porrebbe in contrasto con il principio di parità di trattamento e di par condicio tra imprese.
2. Il risarcimento del danno per illegittima aggiudicazione è riferito sostanzialmente alla "perdita di chance", ovvero al guadagno che l'impresa avrebbe potuto ottenere, in base ad una ragionevole valutazione di probabilità e alle regole del mercato.
3. In sede di risarcimento del danno arrecato dalla illegittimità della mancata aggiudicazione, il "lucro cessante" può essere direttamente rapportato all'utile che l'impresa avrebbe conseguito a seguito dell'aggiudicazione illegittimamente negata, che la prevalente giurisprudenza mutua dall'art. 345 della legge 20.03.1865, n. 2248, all. F, nella misura del 10% dell'importo dell'appalto.
La somma risultante deve considerarsi compensativa anche del "danno emergente", identificato nel costo affrontato dalla società per la presentazione dell'offerta.
4. In linea di massima deve ammettersi che una impresa illegittimamente privata dell'esecuzione di un appalto possa rivendicare, a titolo di lucro cessante, anche la perdita della possibilità di arricchire il proprio curriculum professionale (c.d. "danno curriculare"), che consiste nel pregiudizio subito dall'impresa a causa del mancato arricchimento del curriculum professionale per non poter indicare in esso l'avvenuta esecuzione dell'appalto sfumato a causa del comportamento illegittimo dell'Amministrazione.
La quantificazione di tale voce di danno va operata in via equitativa, riconoscendo una somma pari ad una percentuale (variabile dall'1% al 5%) applicata sulla somma già liquidata a titolo di lucro cessante (massima tratta da http://doc.sspal.it - TAR Lazio-Roma, Sez. III-quater, sentenza 18.07.2009 n. 7103 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTISulla possibilità per le fondazioni private di partecipare a gare di appalto.
Una fondazione può partecipare ad una gara di appalto, atteso che la legislazione nazionale (art. 3, punto 19, del D. Lgs. 12.04.2006 n. 163) riferisce i termini di imprenditore, fornitore e prestatore di servizi ad "una persona fisica, o una persona giuridica, o un ente senza personalità giuridica, ivi compreso il gruppo europeo di interesse economico (GEIE) costituito ai sensi del decreto legislativo 23.07.1991, n. 240, che offra sul mercato, rispettivamente, la realizzazione di lavori o opere, la fornitura di prodotti, la prestazione di servizi"; parimenti la norma comunitaria (art. 1, par. 8, della direttiva n. 2004/18/CE) indica che "i termini «imprenditore», «fornitore» e «prestatore di servizi» designano una persona fisica o giuridica o un ente pubblico o un raggruppamento di tali persone e/o enti che offra sul mercato, rispettivamente, la realizzazione di lavori e/o opere, prodotti o servizi".
Non v’è quindi ragione di escludere che anche soggetti economici senza scopo di lucro, quali le fondazioni, possano soddisfare i necessari requisiti ed essere qualificati come "imprenditori", "fornitori" o "prestatori di servizi" ai sensi della citata normativa (massima tratta da http://doc.sspal.it - Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 16.06.2009 n. 3897 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Sul divieto di rendere nota l’offerta economica.
1.
Nella procedura dell’appalto-concorso, connotata da una netta separazione tra le fasi di valutazione dell’offerta tecnica e dell’offerta economica, il principio di segretezza dell'offerta economica impone che sia interdetto al seggio di gara, finché non sia stata ultimata la valutazione delle offerte tecniche, la conoscenza delle percentuali di ribasso offerte dai concorrenti, onde scongiurare che il seggio di gara sia influenzato, nella valutazione dell’offerta tecnica, dalla conoscenza di elementi dell’offerta economica; alla eventuale violazione del principio di segretezza dell'offerta economica consegue necessariamente l’esclusione del concorrente dalla gara, anche in assenza di espresse previsioni della lex specialis.
2. Va esclusa una ditta che ha violato il principio di segretezza dell’offerta economica, inserendo all’interno del plico contenente l’offerta tecnica anche il computo metrico estimativo, in tal modo palesando al seggio di gara, prima dell’apertura della busta con l’offerta economica, i termini economici della stessa (massima tratta da http://doc.sspal.it - Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 09.06.2009 n. 3575 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTISulla responsabilità pre-contrattuale della P.A..
1.
E’ configurabile una responsabilità precontrattuale della P.A. nel caso di ingiustificata interruzione delle trattative, atteso che l’esistenza di un procedimento amministrativo non esclude l’autonomia del momento procedimentale negoziale nel corso del quale la P.A. è obbligata ad osservare le regole di condotta della buona fede e della diligenza in relazione alle quali non sussistono limiti di sindacato connessi allo status pubblicistico di una delle parti.
Inoltre, la presenza di un modello formativo della volontà negoziale predeterminato nei suoi profili procedimentali mediante la scansione degli atti, che vede normalmente la presenza di più soggetti potenzialmente interessati al contratto, non rappresenta un ostacolo all’applicazione delle regole della responsabilità precontrattuale.
2. Affinché possa dirsi integrata la fattispecie di cui all’art. 1337 cod. civ., occorre che sussistano due elementi: uno positivo, rappresentato dall’affidamento senza colpa ingenerato nella controparte dal comportamento del soggetto recedente; l’altro negativo, rappresentato dalla mancanza di una giusta causa.
In altri termini, il recesso dalle trattative determina responsabilità precontrattuale quando le stesse sono interrotte in assenza di una giusta causa, con lesione dell’affidamento creato nell’altro contraente.
3. Non è sufficiente ad esonerare da responsabilità precontrattuale la P.A. ed a ritenere specularmente non meritevole di protezione l’affidamento del privato la
circostanza che con l’avviso pubblico i partecipanti alla procedura concorsuale erano stati informati circa la necessità che il "progetto esecutivo" oggetto della gara avrebbe dovuto essere sottoposto a tutte le "necessarie approvazioni".
4. In materia di responsabilità precontrattuale è risarcibile il solo interesse negativo e cioè l’interesse a non intraprendere o proseguire trattative inutili.
Più precisamente, è risarcibile sia il danno emergente, rappresento dalla spese inutilmente sostenute, sia il lucro cessante, rappresento dalle altre occasioni favorevoli perse. La prova di tali danni spetta, in linea con l’inquadramento di tale responsabilità nell’ambito della responsabilità civile, alla parte lesa.
5. In sede di determinazione del danno derivante da responsabilità precontrattuale della P.A., non può applicarsi in via equitativa il metodo di determinazione del danno rappresentato dalla liquidazione forfettaria di una somma pari al 10% dell’ammontare dell’offerta.
Tale metodo, infatti, è astrattamente utilizzabile, con i dovuti correttivi di natura equitativa, soltanto per la definizione delle misure risarcitorie da lesione dell’interesse positivo.
6. In sede di determinazione del danno derivante da responsabilità precontrattuale della P.A., occorre fornire la prova del danno derivante dalle occasioni di lavoro perse a causa dell’impegno profuso nello svolgimento di trattative rilevatesi poi inutili, essendo il danneggiato onerato a provare, sulla base di circostanze di fatto certe e puntualmente allegate, il nesso causale tra la condotta lesiva e il vantaggio alternativo perduto (massima tratta da http://doc.sspal.it - TAR Calabria-Catanzaro, Sez. II, sentenza 09.06.2009 n. 627 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Sulla distinzione tra informative antimafia "atipiche" e "tipiche", sul carattere vincolante di queste ultime e sui presupposti per la loro adozione.
1.
Mentre mediante l’informativa antimafia "atipica" viene inviata all’amministrazione destinataria dell’informativa stessa una raccolta di elementi di fatto rimessi alla sua valutazione in vista dell’adozione di determinazioni di sua esclusiva competenza, nel caso di informativa "tipica" viene espresso direttamente, da parte della stessa autorità prefettizia il maturato convincimento circa la reale sussistenza del pericolo di infiltrazioni mafiose o della criminalità organizzata; con la conseguenza che l’amministrazione destinataria dell’informativa tipica non può non tenerne conto ed adottare gli atti conseguenziali, in altre parole, vincolati al giudizio circa il pericolo di infiltrazione maturato dal Prefetto.
2. L’adozione di una informativa antimafia "tipica" non deve necessariamente collegarsi ad accertamenti in sede penale di carattere definitivo e certo sull’esistenza della contiguità con organizzazioni malavitose e del condizionamento in atto dell’attività di impresa, ma può essere sorretta da elementi sintomatici ed indiziari da cui emergano gli elementi di pericolo di dette evenienze e non necessita, quindi, di dimostrazione nell’attualità delle infiltrazioni mafiose.
3. L’informativa antimafia tipica non deve provare l'intervenuta infiltrazione, essendo questa un quid pluris non richiesto, ma deve solo sufficientemente dimostrare la sussistenza di elementi dai quali è deducibile il tentativo di ingerenza (alla stregua del principio nella specie è stato ritenuto che costituivano sufficienti indizi delle infiltrazioni le frequentazioni tra un socio della società ed esponenti di primo piano di un clan camorristico e la rilevata presenza, all’interno della cava di cui disponeva la società di un pluripregiudicato per mafia, omicidio volontario, porto e detenzione di armi etc.; con la conseguenza che il reputato pericolo di infiltrazione mafiosa appariva sorretto da elementi non privi di consistenza) (massima tratta da http://doc.sspal.it - Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 08.06.2009 n. 3491 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Sull’illegittima valutazione delle offerte economiche prima di quelle tecniche.
L'esame da parte della commissione delle offerte economiche prima di quelle tecniche costituisce una palese violazione dei principi di trasparenza e di imparzialità che devono presiedere le gare (cfr. art. 91 del D.P.R. n. 554 del 1999), in quanto la conoscenza preventiva dell'offerta economica consente di modulare il giudizio sull'offerta tecnica in modo non conforme alla parità di trattamento dei concorrenti e tale possibilità, ancorché remota, inficia la della procedura (massima tratta da http://doc.sspal.it - Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 25.05.2009 n. 3217 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Sulla portata e natura dell’istituto dell’avvalimento e sul corredo documentale da produrre da parte dell’impresa.
1.
Gli artt. 31 e 32 della direttiva del Consiglio 18.06.1992, 92/50 CEE, che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di servizi, vanno interpretata nel senso che consentono ad un concorrente, per comprovare il possesso dei requisiti economici, finanziari e tecnici di partecipazione ad una gara d'appalto ai fini dell'aggiudicazione di un appalto pubblico di servizi, di far riferimento alle capacità di altri soggetti, qualunque sia la natura giuridica dei vincoli che ha con essi, a condizione che sia in grado di provare di disporre effettivamente dei mezzi di tali soggetti necessari all'esecuzione dell'appalto.
2. In materia di requisiti di partecipazione alle gare pubbliche, la potestà di avvalimento costituisce un principio di fonte comunitaria non limitato al solo settore degli appalti di servizi, ma di portata generale.
3. La potestà di avvalimento delle ditte partecipanti alle gare pubbliche, costituisce un principio di fonte comunitaria di portata generale, il che consente di trarre il significativo corollario che dall'ambito di applicazione del principio di avvalimento non possono implicitamente ritenersi esclusi gli affidamenti per i quali la lex specialis di gara non abbia stabilito una disciplina derogatoria in alcun senso, ogni eventuale ipotesi di esclusione dell'applicazione di detto principio (anche a volerne per ipotesi ammettere la praticabilità) non potendo che rivestire i caratteri espressi dell'eccezionalità specificamente motivata.
4. Ai fini dell’applicabilità dell’istituto dell’avvalimento non è sufficiente una semplice proposta, ma occorre che siano prodotti appositi documenti probatori costituiti non solo dall'impegno (in forma scritta) della impresa ausiliaria nei confronti sia dell'impresa ausiliata che della stazione appaltante, ma anche dal contratto tra quest'ultima e l'impresa ausiliata che preveda l'obbligo sinallagmatico di corrispondere all'impresa ausiliaria il corrispettivo dovuto per le sue prestazioni, anche in ciò potendosi agevolmente individuare un rafforzamento della garanzia per la stazione appaltante del buon esito dell'appalto nella parte di questo da eseguirsi a cura dell'impresa ausiliaria.
5. Nel caso di mancata produzione di documenti probatori idonei atti a dimostrare l’avvalimento, le carenze documentali non possono formare oggetto di richiesta di chiarimenti ai sensi dell'art. 46 del D. l.vo n. 163/2006; infatti, nell’ipotesi considerata, l'unica possibile integrazione sarebbe non già la semplice regolarizzazione formale di un documento per il resto esistente, quanto la sostituzione integrale di un documento da ritenersi radicalmente privo di validità alcuna in mancanza di una conforme e definitiva volontà in tal senso da parte dei due contraenti, il che costituirebbe una sicura violazione della par condicio tra i partecipanti (massima tratta da http://doc.sspal.it - TAR Campania-Napoli, Sez. VIII, sentenza 22.05.2009 n. 2852 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Sul procedimento di verifica dell’offerta anomala.
1.
Nelle gare di appalto il procedimento di verifica delle offerte anomale non ha
per oggetto la ricerca di specifiche e singole inesattezze dell’offerta economica,
mirando, invece, ad accertare se l’offerta, nel suo complesso, sia attendibile o inattendibile, e dunque se dia o meno serio affidamento circa la corretta esecuzione dell’appalto.
Tale principio, già affermato dalla giurisprudenza nel vigore della l. n. 109/1994, risulta ora codificato dall’art. 88, comma 7, del d.lgs. n. 163/2006.
2. Il procedimento di verifica delle offerte anomale è avulso da ogni formalismo
inutile ed è invece improntato alla massima collaborazione tra stazione appaltante e offerente; in esso il contraddittorio deve essere effettivo e non vi sono preclusioni alla presentazione di giustificazioni ancorate al momento della scadenza del termine di presentazione delle offerte; mentre l’offerta è immodificabile, modificabili sono le giustificazioni, e sono ammesse giustificazioni sopravvenute e compensazioni tra sottostime e sovrastime, purché l’offerta risulti nel suo complesso affidabile al momento dell’aggiudicazione, e a tale momento dia garanzia di una seria esecuzione del contratto.
3. In sede di procedimento di verifica delle offerte anomale, deve ritenersi possibile che, a fronte di determinate voci di prezzo giudicate eccessivamente basse e dunque inattendibili, l’impresa dimostri che, per converso, altre voci di prezzo sono state inizialmente sopravvalutate, e che in relazione alle stesse è in grado di conseguire un concreto, effettivo, documentato e credibile risparmio che compensa il maggior costo di altre voci.
4. Occorre nettamente distinguere tra modifica dell’offerta nel suo complesso, inammissibile, e modifica delle giustificazioni, invece ammissibile; infatti, la presenza, nella fase del contraddittorio successivo, di eventuali significativi elementi di novità e di difformità rispetto alla prima e preventiva giustificazione non comporta una inammissibile modifica dell’offerta originaria, dovendosi in proposito distinguere tra immodificabilità dell’offerta e parametri dimostrativi della affidabilità e remuneratività dell’offerta, che non possono certo dirsi predeterminati e fissati una volta per tutte con la presentazione della stessa, essendo essi influenzati da una molteplicità di elementi per loro natura variabili (condizioni di mercato delle materie prime e dei semilavorati, credito contrattuale, andamento del mercato del lavoro, economie di scala, costi di mano d’opera, legislazione fiscale e previdenziale, ecc.) (massima tratta da http://doc.sspal.it - Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 21.05.2009 n. 3146 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Sul presupposto della colpa della P.A..
1.
In sede di risarcimento dei danni per lesione di interessi legittimi, ai fini della
dimostrazione del necessario presupposto della colpa della P.A., non è comunque richiesto al privato danneggiato un particolare impegno probatorio, potendo quest’ultimo invocare l’illegittimità del provvedimento quale indice presuntivo della colpa o anche allegare circostanze ulteriori, idonee a dimostrare che si è trattato di un errore non scusabile.
Spetterà a questo punto alla P.A. dimostrare che si è trattato di un errore scusabile, configurabile in caso di contrasti giurisprudenziali sull’interpretazione di una norma, di formulazione incerta di norme da poco entrate in vigore, di rilevante complessità del fatto, di influenza determinante di comportamenti di altri soggetti, di illegittimità derivante da una successiva dichiarazione di incostituzionalità della norma applicata.
2. Nel caso di annullamento in sede giurisdizionale di una gara, non spetta all’impresa ricorrente, a titolo di risarcimento dei danni, il rimborso dei costi di partecipazione alla gara, atteso che mediante il risarcimento non può farsi conseguire all’impresa un beneficio maggiore di quello che deriverebbe dall’aggiudicazione.
3. Nel caso di annullamento in sede giurisdizionale dell’aggiudicazione di una gara di appalto, va riconosciuto a titolo di lucro cessante il profitto che l’impresa avrebbe ricavato dall’esecuzione dell’appalto.
La quantificazione di tale danno non può essere effettuata applicando, in maniera automatica e indifferenziata, il criterio (spesso utilizzato dalla giurisprudenza amministrativa) del 10% del prezzo a base d’asta, ai sensi dell’art. 345, l. n. 2248 del 1865 All. F.
In tal modo, infatti, il ricorrente non ha più interesse a provare in modo puntuale il danno subito quanto al lucro cessante, perché presumibilmente otterrebbe di meno.
Appare allora preferibile l’indirizzo che esige la prova rigorosa, a carico dell’impresa, della percentuale di utile effettivo che avrebbe conseguito se fosse risultata aggiudicataria dell’appalto; prova desumibile, in primis, dall’esibizione dell’offerta economica presentata al seggio di gara.
4. In sede di risarcimento del danno derivante da mancata aggiudicazione di una gara di appalto, l’onere di provare (l’assenza del) l’aliunde perceptum grava non sull’Amministrazione, ma sull’impresa.
In sede di quantificazione del danno, pertanto, spetterà all’impresa dimostrare, anche mediante l’esibizione all’Amministrazione di libri contabili, di non aver eseguito, nel periodo che sarebbe stato impegnato dall’appalto in questione, altre attività lucrative incompatibili con quella per la cui mancata esecuzione chiede il risarcimento del danno.
5. In sede di risarcimento del danno derivante da illegittima aggiudicazione di una gara, può riconoscersi anche il c.d. danno curriculare; infatti, il fatto stesso di eseguire un appalto (anche a prescindere dal lucro che l’impresa ne ricava grazie al corrispettivo pagato dalla stazione appaltante), può essere comunque fonte per l’impresa di un vantaggio economicamente valutabile, perché accresce la capacità di competere sul mercato e, quindi, la chance di aggiudicarsi ulteriori appalti (massima tratta da http://doc.sspal.it - Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 21.05.2009 n. 3144 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTISulla valenza dei processi verbali e sulla comunicazione di avio del procedimento di annullamento della procedura.
1.
Nelle gare pubbliche, i processi verbali di aggiudicazione, qualora si riferiscano ad un’aggiudicazione pura e semplice (come quella avvenuta ordinariamente, in assenza di riserve espresse o di rinvio a successive gare da effettuarsi in completamento), si qualificano come processi verbali di aggiudicazione definitiva.
2. L’aggiudicazione provvisoria crea immediatamente obblighi contrattuali vincolanti a carico del privato contraente, mentre non è efficace per l’amministrazione finché non intervenga l’approvazione (art. 19 R.D. n. 2440/1923: c.d. efficacia claudicante).
3. E’ illegittimo l’annullamento dell’intera procedura (dal bando di gara all’atto finale di aggiudicazione) ed il diniego di approvazione del verbale d’asta, ove non siano stati preceduti dalla comunicazione di avvio del procedimento ex art. 7 della L. n. 241 del 1990 al soggetto che, in buona fede, aveva formulato una valida offerta e si era aggiudicato la gara (massima tratta da http://doc.sspal.it - Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 19.05.2009 n. 3064 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Sul contrasto con la normativa comunitaria dell’esclusione doverosa delle imprese collegate.
1.
L’art. 29, c. 1, della direttiva del Consiglio 18.06.1992, 92/50/CEE, che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di servizi, deve essere interpretato nel senso che esso non osta a che uno Stato membro, in aggiunta alle cause di esclusione contemplate da tale disposizione, preveda ulteriori cause di esclusione finalizzate a garantire il rispetto dei principi di parità di trattamento e di trasparenza, a condizione che tali misure non eccedano quanto necessario per conseguire la suddetta finalità.
2. Il diritto comunitario osta ad una disposizione nazionale che stabilisca un divieto assoluto, a carico di imprese tra le quali sussista un rapporto di controllo o che siano tra loro collegate, di partecipare in modo simultaneo e concorrente ad una medesima gara d’appalto, senza lasciare loro la possibilità di dimostrare che il rapporto suddetto non ha influito sul loro rispettivo comportamento nell’ambito di tale gara (massima tratta da http://doc.sspal.it - Corte di Giustizia CE, Sez. IV, sentenza 19.05.2009 n. C-538/07 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Sulla portata vincolante delle formalità previste dal bando.
1.
Nelle procedure di affidamento degli appalti pubblici, il principio che ravvisa nel rispetto puntuale delle formalità prescritte dalla lex specialis un efficace presidio a garanzia della par condicio tra i partecipanti può essere oggetto di temperamenti, perché del formalismo procedurale che sorregge il sistema delle gare d'appalto va scongiurata un'applicazione meccanica che contraddica, alla luce delle specifiche circostanze del caso concreto, la fondamentale ed immanente esigenza di ragionevolezza dell'attività amministrativa, finendo così per porsi in contrasto con le stesse finalità di tutela cui sono preordinati i generali canoni applicativi delle regole della contrattualistica pubblica.
2. E’ legittima la clausola di un bando che preveda la produzione di apposita documentazione, non prevedendo nel contempo che tale documentazione possa essere surrogata mediante dichiarazione sostitutiva ai sensi degli artt. 43, 46 e 47 del DPR 445/2000.
Infatti, l’applicazione indiscriminata alle gare d’appalto della normativa in materia di semplificazione amministrativa può portare ad una inammissibile violazione del principio della par condicio competitorum tutte le volte che gli atti generali che compendiano le regole di gara non abbiano espressamente previsto (anche a mezzo di generica dichiarazione di equipollenza) la possibilità di attingere a tale modalità semplificata ai fini della dimostrazione di fatti rilevanti ai fini partecipativi.
Il meccanismo competitivo proprio della gara d’appalto è infatti tale per cui la lettera della lex specialis non è passibile di interpretazioni estensive, dato che le stesse si tradurrebbero in una violazione procedimentale in danno di quei concorrenti che si sono allineati alla legge di gara in modo pedissequo, osservandone alla lettera le prescrizioni.
Se il capitolato d’appalto prescrive, come appunto nello specifico, che la potenza dei mezzi può essere provata soltanto con la produzione di determinati documenti, ammettere la dichiarazione sostitutiva di atto notorio (peraltro a prescindere da una specifica impugnativa avverso la clausola di lex specialis prescrittiva dell’obbligo incondizionato e dal conseguente giudizio sulla ragionevolezza di detta clausola) significherebbe forzare inammissibilmente il meccanismo delle regole di gara (massima tratta da http://doc.sspal.it - Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 11.05.2009 n. 2871 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTISulle modalità di composizione della composizione della Commissione di gara e sulla professionalità dei singoli componenti.
1.
La nomina dei componenti della commissione di una gara d’appalto può essere sindacata solo qualora ricada su soggetti palesemente privi dei requisiti minimi.
2. L’art. 84, comma 2, del d.lgs. n. 163 del 2006 -il quale impone, nella formazione delle commissioni di gara, la nomina di "esperti nello specifico settore cui si riferisce l’oggetto dell’appalto"- richiede, al fine di potersene assumere la violazione, un giudizio condotto non ex post, ma affidandosi ad una valutazione c.d. ex ante; e cioè ad una valutazione da collocarsi idealmente in una fase anteriore alla conoscenza concreta dei progetti tecnici al fine di appurare se, già in tale fase, la lettura della lex specialis e del relativo capitolato deponevano inequivocamente per la natura ed il tenore tecnico dei progetti sui quali la commissione è chiamata ad esprimersi.
3. L’art. 84, comma 8, del d.lgs. n. 163 del 2006 impone alle stazioni appaltanti che i membri delle commissioni, con la sola eccezione del presidente, siano selezionati tra propri funzionari.
Solo in caso di accertata carenza in organico di tali professionalità, ne è consentita la ricerca all’esterno, secondo le indicazioni fornite nel secondo periodo del medesimo comma 8 dell’art. 84 del Codice.
4. L’art. 84, comma 2, del Codice degli appalti pubblici va interpretato secondo un criterio logico, non potendosi pretendere il possesso, da parte di ogni membro, delle cognizioni tecnico-scientifiche per valutare ogni aspetto, potenzialmente includibile nell’ambito di un progetto che richiede, primariamente, per il tema affrontato e trattato, cognizioni e conoscenze del tutto diverse.
E ciò anche perché rimane sempre aperta la possibilità per la stazione appaltante di affiancare, all’uopo, la commissione con uno o più esperti esterni con funzioni di consulenza e di assistenza professionale nel circoscritto settore in cui l’organo collegiale viene eventualmente a necessitare di supporto (massima tratta da http://doc.sspal.it - TAR Lazio-Roma, Sez. I-ter, sentenza 08.05.2009 n. 5035 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Sull’illegittimità della composizione preventiva della Commissione di gara.
1.
In base ai principi desumibili dall’ordinamento, è da ritenere illegittimo l’affidamento della conduzione della procedura di gara non già ad un organo tecnico straordinario e temporaneo, appositamente costituito, bensì ad una commissione stabile e permanente, costituita prima dell’indizione della gara.
2. E’ illegittima una commissione di una gara di appalto nel caso in cui i membri esterni chiamati a farne parte non siano stati scelti sulla base di specifiche competenze rapportate alla complessità dei problemi di tipo tecnico, ma siano in possesso solo di una generica esperienza (massima tratta da http://doc.sspal.it - Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 30.04.2009 n. 2761 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Sull’illegittima commistione tra requisiti di partecipazione e criteri di valutazione. Sui criteri di interpretazione della clausola equivoca del bando.
1. In tema di gare di appalto, è illegittima la commistione fra requisiti di ammissione delle domande e valutazione di merito ed in particolare tra elementi soggettivi di qualificazione del concorrente ed elementi oggettivi attinenti alla qualità dell’offerta.
In particolare, è illegittima la previsione di un rilevante punteggio per elementi che nulla hanno a che vedere con il merito tecnico dell’offerta e che attengano, invece, all’esperienza professionale acquisita dal concorrente (es. curriculum, licenze o certificazioni di qualità ovvero servizi analoghi prestati in precedenza).
2. In base al principio di parità di trattamento degli operatori economici e per l’obbligo di trasparenza, un’amministrazione aggiudicatrice non può applicare regole di ponderazione e sottocriteri per i criteri di aggiudicazione che non abbia preventivamente portato a conoscenza degli offerenti (alla stregua del principio nella specie è stata ritenuta illegittima l’introduzione ad opera dell’organo istruttore di nuovi criteri rispetto a quelli previsti nel bando).
3. Il difetto di chiarezza di una clausola del bando impone un’interpretazione nel senso dell’ammissione del maggior numero di concorrenti e, viceversa, nel senso della non legittimità dell’esclusione delle imprese.
-----------------------------------------
Nella motivazione della sentenza in rassegna si ricorda che la confusione fra i requisiti soggettivi di partecipazione alla gara e gli elementi oggettivi di valutazione dell’offerta è stata di recente stigmatizzata dalla circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento per le Politiche Comunitarie 01.03.2007 (recante "Principi da applicare, da parte delle stazioni appaltanti, nella scelta dei criteri di selezione e di aggiudicazione di un appalto pubblico di servizi") pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 111 del 15.05.2007.
L’Autorità per la vigilanza sui contratti, con deliberazione n. 209 del 27.06.2007, evidenzia che in un precedente intervento dell’Autorità (deliberazione n. 30/2007) era stato precisato che la stazione appaltante, nell’individuare i punteggi da attribuire nel caso di aggiudicazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa, non deve confondere i requisiti soggettivi di partecipazione alla gara, con gli elementi oggettivi di valutazione dell’offerta.
Per giurisprudenza costante della Corte di Giustizia, la distinzione tra criteri di idoneità, ovvero di "selezione dell’offerente", e criteri di aggiudicazione e quindi di "selezione dell’offerta" è rigorosa. Quando l’aggiudicazione è a favore dell’offerta economicamente più vantaggiosa, possono essere utilizzati diversi criteri variabili, ma collegati sempre ed esclusivamente all’oggetto dell’appalto. La scelta, in tal caso, è limitata e può riguardare soltanto i criteri effettivamente volti ad individuare l’offerta economicamente più vantaggiosa e non quelli relativi alla capacità del prestatore.
L’offerta deve, invece, essere valutata in base a criteri che hanno una diretta connessione con l’oggetto dell’appalto e che servono a misurare il valore, ciò che esclude che si possa fare riferimento alle qualità soggettive dell’offerente; per alcune recenti applicazioni
(massima tratta da http://doc.sspal.it - Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 07.04.2009 n. 2147 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AGGIORNAMENTO AL 09.12.2010

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UTILITA'

EDILIZIA PRIVATA: Lombardia, Necessita aggiornare il costo di costruzione entro il 31.12.2010 il cui effetto sarà efficace a decorrere dall'01.01.2011: ecco il fac-simile di determinazione (file 1 - file 2).
ATTENZIONE: se non si adotta la determinazione di aggiornamento entro la suddetta scadenza per tutto il 2011 si dovrà applicare il medesimo costo di costruzione vigente nell'anno 2010 (cfr. art. 48, comma 2, della L.R. n. 12/2005).
Alcune considerazioni: ad oggi, il dato ufficiale ISTAT è quello relativo alla variazione del mese di maggio 2010, mentre quello di giugno 2010 è ufficioso e, come tale, non utilizzabile.
Abbiamo scritto all'ISTAT di Roma e ci hanno risposto come segue:
L'ultimo comunicato contenente il dato provvisorio di Giugno e' stato pubblicato il 13.09.2010 al seguente link.
Pur non disponendo di un calendario per questo tipo di uscite, presumo che la pubblicazione dei 3 mesi successivi (e quindi anche del dato definitivo di giugno) avverrà entro la fine del 2010.
Cordiali saluti
Luigi Di Gennaro

Pertanto,
si consiglia di adottare la determinazione di aggiornamento del costo di costruzione, per l'anno 2011, verso la fine di dicembre 2010 poiché è verosimile che, entro il 31.12.2010, possa essere pubblicato dall'ISTAT il dato ufficiale relativo a giugno 2010 ed avere, così, un valore maggiore (rispetto a maggio 2010) della variazione ISTAT per il calcolo del costo di costruzione (e, quindi, non perdere soldi per le casse comunali ...).

GURI - GUUE - BURL (e anteprima)

AMBIENTE-ECOLOGIA: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria del 06.12.2010 n. 49, "Individuazione, ai sensi del 1º comma dell’art. 34 della l. 14/1998, dei servizi regionali, componenti il Comitato Tecnico Consultivo per le attività estrattive di cava e modifica dell’allegato 3) alla d.g.r. 8/10964 del 30.12.2009" (deliberazione G.R. 24.11.2010 n. 831 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

SINDACATI

PUBBLICO IMPIEGO: La ricongiunzione dei contributi dopo la manovra estiva: una vera e propria truffa (CGIL-FP di Bergamo, nota 02.12.2010).

PUBBLICO IMPIEGO: Speciale pensioni (CSA-FIADEL di Milano, Il Faro n. 3/2010).

DIPARTIMENTO FUNZIONE PUBBLICA

PUBBLICO IMPIEGOOggetto: modifiche alla disciplina in materia di permessi per l'assistenza alle persone con disabilità - banca dati informativa presso il Dipartimento della funzione pubblica - legge 04.11.2010 n. 183, art. 24 (Dipartimento della Funzione pubblica, circolare 06.12.2010 n. 13/2010).

NOTE, CIRCOLARI E COMUNICATI

PUBBLICO IMPIEGO: OGGETTO: Legge n. 183 del 04.11.2010, art. 24. Modifiche alla disciplina in materia di permessi per l’assistenza a portatori di handicap in situazione di gravità (INPS, circolare 03.12.2010 n. 155).

SEGRETARI COMUNALI E PROVINCIALI: ARAN: firmata l’ipotesi del II biennio economico del contratto di lavoro dei segretari comunali.
Nel pomeriggio è stata firmata dall’Aran e dalle Organizzazioni sindacali rappresentative l’ipotesi del secondo biennio 2008-2009 del contratto di lavoro degli oltre 4 mila segretari comunali.
Gli incrementi stipendiali previsti sono pari a 168 euro per le fasce A e B e a 136 euro per la fascia C, a decorrere dal 1° gennaio 2009.
Con la firma di oggi –ha commentato il commissario dell’Aran Antonio Naddeo- oltre a concludersi la tornata negoziale 2006–2009, si chiude anche il modello di contratto articolato su quadrienni normativi e su due bienni economici in vigore dal 1994, anno in cui per la prima volta i dipendenti pubblici hanno avuto il rapporto di lavoro non più regolato da decreti ma da contratti, come i lavoratori del privato; infatti con l’entrata in vigore della “legge Brunetta” i contratti saranno rinnovati ogni tre anni sia per la parte economica sia per quella normativa ed inoltre la riduzione dei comparti da undici a quattro e la semplificazione delle procedure permetteranno tempi più brevi per l’iter contrattuale” (comunicato stampa 02.12.2010 - link a www.aranagenzia.it).

NEWS

APPALTI: Appalti pubblici, regolamento in Gazzetta il 10 dicembre.
Il regolamento del Codice dei contratti pubblici sarà pubblicato sulla gazzetta Ufficiale del 10.12.2010 e il testo entrerà in vigore il 09.06.2011, cioè 180 gg. dopo la pubblicazione in gazzetta.
Il corposo testo regolamentare verrà pubblicato in un supplemento ordinario alla gazzetta di venerdì p.v. con le note normative ... (articolo ItaliaOggi dell'08.12.2010 - link a www.ecostampa.com).

APPALTI: Sì al regolamento appalti.
Via libera della Corte dei conti al Regolamento appalti che però bocciando alcuni articoli del testo riapre la partita della qualificazione per i lavori specialistici. Il testo di attuazione del codice degli appalti si avvia così verso la pubblicazione in «Gazzetta Ufficiale» che potrebbe già avvenire nel corso della settimana.
La Corte però non ha ammesso a registrazione una delle norme più controverse del Regolamento: l'articolo 79, comma 21. Si tratta di quella disposizione inserita dopo lo stralcio dell'allegato A1, che conteneva l'elenco di attrezzature obbligatorie per qualificarsi nei lavori specialistici.
Il tentativo di mettere un freno alla possibilità anche per le imprese generali di ottenere la qualificazione nelle specialistiche si era arenato, un po' per le proteste dei costruttori generali di Ance e Agi, un po' per i rilievi dell'Autorità di vigilanza sui contratti. Matteoli aveva stralciato l'allegato e rinviato la difficile partita a un successivo decreto. Ma i giudici contabili non hanno accettato un ulteriore rinvio.
Pollice verso anche per un altro articolo del testo, quello che apriva la possibilità ai tecnici degli enti locali di essere remunerati con le tariffe professionali. ... (articolo Il Sole 24 Ore del 06.12.2010 - tratto da www.corteconti.it).

PUBBLICO IMPIEGO: Scatta il test sullo stress da lavoro. Entro fine anno i datori devono avviare il meccanismo di valutazione dei fattori di rischio. Per il nuovo obbligo più certezze con le linee guida vincolanti emanate dalla commissione consultiva del Welfare.
Da gennaio è operativo l'obbligo di valutare lo stress lavoro-correlato. Una novità per tutti i datori, pubblici e privati, prevista dal Testo unico sulla sicurezza che trova finalmente, dopo numerosi rinvii, un po' più di certezze: dalla commissione consultiva permanente per la salute nei luoghi di lavoro (istituita presso il ministero del Welfare) arrivano, infatti, le linee guida che permetteranno alle imprese di adeguarsi alle norme. Cominciando, da subito, a programmare le fasi della valutazione dei rischi da stress. ... (articolo Il Sole 24 Ore del 06.12.2010 - tratto da www.corteconti.it).

GIURISPRUDENZA

INCARICHI PROFESSIONALI: Incarichi esterni ma solo dopo una comparazione.
Gli enti pubblici possono affidare incarichi professionali di collaborazione esterna solo dopo una scelta comparativa: questo è il principio sottolineato dal TAR Campania-Napoli, Sez. II, sentenza 06.12.2010 n. 26815 ... (articolo Il Sole 24 Ore dell'08.12.2010 - link a www.ecostampa.com).

PUBBLICO IMPIEGO: Non compete al messo notificatore un compenso aggiuntivo.
La Sezione osserva che la questione della spettanza ai dipendenti comunali addetti alle notifiche dell’indennità per i diritti delle notifiche di atti, effettuate per conto di amministrazione diverse dall’ente locale presso il quale prestano servizio, in particolare, dell’amministrazione finanziaria, ha formato oggetto di propri recentissimi arresti (02.08.2010, n. 5090 – 5099; 12.02.2008, n. 493), dalle cui convincenti conclusioni non vi ragione di discostarsi.
E’ stato sottolineato che “il principio di omnicomprensività della retribuzione impedisce di attribuire compensi aggiuntivi per lo svolgimento di attività lavorative comunque riconducibili ai doveri istituzionali dei dipendenti pubblici” e che in “in tale ambito si colloca anche l’attività di notificazione svolta dai messi comunali nell’interesse dell’amministrazione finanziaria o di altre amministrazioni dello Stato, tenendo conto della evoluzione dell’ordinamento”: infatti le mansioni concretamente attribuite ai dipendenti addetti al servizio di notificazione consistono proprio nella funzione di notificazione degli atti di pertinenza del comune e nelle altre incombenze spettanti per legge e per regolamento al messo comunale, con la conseguenza che la notificazione degli atti nell’interesse dell’amministrazione finanziaria o di altra amministrazione dello Stato si svolge nel normale orario di ufficio e mediante l’utilizzo degli strumenti organizzativi messi a disposizione dall’amministrazione (né nel caso di specie tali decisive circostanze sono state oggetto di prova contraria) (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 06.12.2010 n. 8542 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

PUBBLICO IMPIEGO: In caso di impugnazione dell’esclusione da un concorso pubblico l’azione di risarcimento del danno è ipotizzabile a prescindere dalla impugnazione della aggiudicazione ad altro concorrente.
In caso di impugnazione della esclusione da un concorso, è ipotizzabile l’azione di risarcimento del danno a prescindere dalla impugnazione degli atti ad essa successivi ed in particolare della aggiudicazione ad altro concorrente (Consiglio Stato, Sezione V, 03.10.2002, n. 5196), non potendo derivare la improcedibilità del ricorso dalla mancata impugnazione dell'atto conclusivo del procedimento atteso che il concorrente illegittimamente escluso conserva comunque un interesse processualmente rilevante a conseguire l'annullamento dell'esclusione, posto che da esso può ricavare, quantomeno, il significativo vantaggio, sufficiente a sostenere la procedibilità del gravame, di poter pretendere il risarcimento del pregiudizio patrimoniale sofferto in conseguenza della determinazione giudicata illegittima.
Anche in presenza di sopravvenuta carenza di interesse attuale all'annullamento, può invero ancora sorreggere l'impugnativa l'interesse residuale finalizzato al risarcimento del danno (Consiglio Stato, sez. VI, 27.10.2009, n. 6577).
Se è vero che la domanda di risarcimento del danno derivante da provvedimento non impugnato è ammissibile, ma è infondata nel merito in quanto la mancata impugnazione dell'atto fonte del danno impedisce che il danno stesso possa essere considerato ingiusto o illecita la condotta tenuta dall'Amministrazione in esecuzione dell'atto in oppugnato (Consiglio Stato, sez. VI, 21.04.2009, n. 2436), va tuttavia considerato che, diversamente da quanto sostenuto dal TAR, nei casi in cui ad un soggetto è preclusa in radice la partecipazione ad un concorso, e non sia possibile dimostrare ex post né la certezza della vittoria, né la certezza della non vittoria, la situazione soggettiva tutelabile è infatti la chance, cioè l’astratta possibilità di un esito favorevole, di cui può essere richiesto il ristoro o mediante la ripetizione dell’occasione perduta o, come nel caso che occupa, per equivalente monetario (Consiglio Stato, Sezione VI, 05.12.2005, n. 6990).
Il danno da perdita di "chance" va invero tenuto distinto da quello derivante da mancata promozione; in quest'ultimo caso, il dipendente che agisca per il risarcimento deve provare sia l'illegittimità della procedura concorsuale sia il fatto che, in caso di legittimo espletamento, sarebbe stato certamente incluso nell'elenco dei promossi, mentre nel danno da perdita di “chance”, sul presupposto della irrimediabilità di tale perdita, in ragione dell'irripetibilità della procedura con le stesse modalità e gli stessi partecipanti di quella ritenuta illegittima, fa valere il danno associato alla perdita di una probabilità non trascurabile di conseguire il risultato utile.
Ne consegue che, mentre il danno da mancata promozione può trovare un ristoro corrispondente in pieno con la perdita dei vantaggi connessi alla superiore qualifica (non solo di natura economica, ma anche normativa), il danno da perdita di “chance” può solo commisurarsi, ma non identificarsi, nella perdita di quei vantaggi, in ragione del grado di probabilità -esistente al momento della esclusione- di conseguire la promozione (Cassazione civile, sez. lav., 18.01.2006, n. 852).
Ovviamente se la esclusione non sia illegittima tale probabilità è del tutto insussistente, atteso che il pregiudizio connesso alla perdita di “chance” non può che derivare dalla perdita dell'occasione di vincere un concorso per effetto dell'illegittima selezione di un altro concorrente, o della propria indebita esclusione dal procedimento (Consiglio Stato, sez. VI, 15.02.2005, n. 478) (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 03.12.2010 n. 8418 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVIDeve essere esclusa la legittimazione ad agire dei comitati istituiti in forma associativa temporanea, con scopo specifico e limitato.
Il Collegio ritiene che il comitato ricorrente non sia legittimato ad agire, stante l’assenza di personalità giuridica che lo caratterizza.
La legittimazione a ricorrere sussiste infatti in tanto in quanto un soggetto giuridico possa vantare la titolarità di una posizione incisa dell’azione amministrativa nel caso di specie.
Il comitato è invece caratterizzato da una forma associativa temporanea, essendo volto alla protezione dei soggetti che ne sono parte e non ha una sua personalità giuridica distinta da questi ultimi, né può ritenersi dotato di quel carattere di stabilità consistente nel fatto di svolgere all’esterno la propria attività in via continuativa (C.d.S. V, 23.04.2007 n. 1830; VI, 11.07.2008 n. 3507). A quest’ultimo proposito rileva la circostanza che la sua costituzione sia avvenuta il 23.02.2010.
La giurisprudenza ha affermato che deve essere esclusa la legittimazione ad agire dei comitati istituiti in forma associativa temporanea, con scopo specifico e limitato, costituenti una mera proiezione degli interessi dei soggetti che ne fanno parte e che quindi non sono portatori in modo continuativo di interessi diffusi radicati nel territorio. Diversamente si consentirebbe una sorta di azione popolare che non é ammessa dall’ordinamento (TAR Lazio Latina I, 08.07.2009 n. 670).
Il Comitato La Fontina -per un quartiere e un territorio vivibili- non può ritenersi quindi legittimato ad agire in giudizio nei confronti del provvedimento impugnato e deve essere estromesso dal processo. Questo però non è destinato ad arrestarsi perché l’impugnazione è stata proposta anche da soggetti residenti nella zona interessata dagli effetti dei provvedimenti impugnato e nella materia in esame rileva, ai fini della legittimazione ad agire, la vicinanza del ricorrente con il territorio inciso dalle scelte urbanistiche.
E’ infatti orientamento giurisprudenziale consolidato che in materia di impugnazione dei piani territoriali l’interesse a ricorrere vada documentato con riferimento alla titolarità di aree direttamente incise dalle scelte pianificatorie (C.d.S. IV, 31.12.2009 n. 9301) (TAR Toscana, Sez. I, sentenza 02.12.2010 n. 6712 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: Il rigetto delle osservazioni proposte dagli interessati nella formazione dei piani non richiede una motivazione analitica: è sufficiente che vengano ritenute in contrasto con gli interessi generali dello strumento pianificatorio.
Le scelte urbanistiche sono espressione di un'ampia discrezionalità rimessa all'ente pianificatore, che possono essere sindacate dal giudice amministrativo solo in caso di palese irragionevolezza o violazione di legittime aspettative derivanti, ad esempio, dalla pregressa approvazione di una convenzione di lottizzazione o dalla reiterazione di un vincolo espropriativo scaduto (C.d.S. IV, 13.02.2009 n. 811).
E’ principio consolidato, poi, che il rigetto delle osservazioni proposte dagli interessati nella formazione dei piani non richieda una motivazione analitica, essendo sufficiente che le stesse vengano esaminate e ritenute in contrasto con gli interessi generali dello strumento pianificatorio (C.d.S. IV, 06.06.2008 n. 2709) (TAR Toscana, Sez. I, sentenza 02.12.2010 n. 6709 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTILe quote di partecipazione devono essere indicate già al momento della presentazione della domanda.
La legittimazione di un’impresa ad eseguire l’appalto deve essere tale da garantire affidabilità e professionalità mediante il possesso di requisiti di capacità tecnica, organizzativa e finanziaria adeguati e corrispondenti ai servizi (o lavori) da svolgere; tale garanzia viene invece ad essere disattesa ove si opini diversamente in omaggio a criteri che privilegino l’unicità dell’ATI, unicità che invece risulta irrilevante quando vi è il frazionamento delle prestazioni fra le varie imprese componenti della stessa, salvo il riferimento alla flessibilità organizzativa propria dell’avvalimento, istituto ammissibile solo in presenza di particolari condizioni, nella specie insussistenti.
Tale regola si pone a presidio della garanzia che le commesse pubbliche vengano affidate a persone fisiche o giuridiche che dimostrino affidabilità e professionalità commisurate all’entità dei lavori o dei servizi che devono svolgere, in ossequio ai principi di buon andamento, efficienza ed efficacia dell’azione amministrativa, sicché non vi è ragione per ritenere tale garanzia non necessaria negli appalti di servizi, tanto più ove gli stessi riguardino attività di rilevante e preminente interesse pubblico, ove vengono in gioco interessi e diritti primari della collettività.
L'indicazione delle quote di partecipazione si rivela dunque requisito di ammissione alla gara e deve quindi provvedersi a tale incombente nella domanda di partecipazione alla gara e non in sede di esecuzione del contratto (commento tratto da www.documentazione.ancitel.it - TAR Puglia-Lecce, Sez. III, sentenza 29.11.2010 n. 2733 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZILa procedura competitiva è la via ordinaria per l’affidamento dei servizi pubblici locali.
Il caso in oggetto attiene ad un affidamento di servizio pubblico locale quand’era ancora vigente l’ormai abrogato art. 113 D.Lgs 267/2000. Nello specifico si è trattato dell’affidamento diretto a Enel del servizio di illuminazione delle strade comunali.
Servizio che attiene al novero dei servizi pubblici locali: già storicamente la pubblica illuminazione era, infatti, inclusa fra i servizi pubblici comunali ex art. 1, lett. c), r.d. n. 2578/1925 e nel t.u.l.c.p. n. 383/1934 -e ribadito dal divieto di cessione della proprietà degli impianti, delle reti e delle altre dotazioni destinati all'esercizio dei servizi pubblici, introdotto nell'art. 113 del T.U.E.L. 267/2000 (l. n. 448/2001 e d.l. n. 269/2003).
Alla luce dei principi comunitari che informano la materia, la regola della selezione competitiva costituisce l’opzione naturale e primaria (art. 113, comma 5, lett. a) alla quale è possibile derogare nei soli casi espressamente previsti dalla legge.
Alla luce di detti principi, da ultimo recepiti dall’art. 23-bis, comma 11, del d.l. n. 112/2008, conv. dalla legge n. 133/2008, deve accedersi ad un’interpretazione restrittiva dell’eccezione contemplata dal richiamato art. 113, comma 14, laddove si consente (rectius, si consentiva, prima dell’abrogazione della norma disposta per effetto dell’ art. 12 del d.P.R. 07.09.2010, n. 168) l’affidamento diretto del servizio in favore del proprietario dei beni strumentali necessari ai fini dell’erogazione del servizio pubblico.
Detta norma, ratione temporis vigente, va interpretata nel senso di consentire l’affidamento diretto solo nell’ipotesi in cui i beni strumentali siano integralmente nella proprietà di soggetto privato diverso dall’amministrazione locale.
Nel caso, oggetto della sentenza, in cui i beni patrimoniali siano invece solo in parte nella proprietà di soggetto diverso dall’amministrazione locale, si riespande la regola generale in forza della quale, ove il Comune intenda affidare il servizio nella sua unitarietà senza procedere ad un frazionamento (ammesso dal testo del comma 14 cit. prima della sua abrogazione), non è percorribile la via dell’affidamento diretto ma occorre seguire la via ordinaria della procedura competitiva (commento tratto da www.documentazione.ancitel.it - Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 25.11.2010 n. 8232 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: La condotta gravemente colpevole di false dichiarazioni può essere ravvisata solo a fronte di comportamenti posti in essere al fine di ottenere un vantaggio in termini competitivi.
La giurisprudenza ha affermato, per le società, che il principio (dichiarazione/esclusione) debba estendersi nei confronti di tutti i soggetti muniti di concreti poteri di amministrazione. Sussistono peraltro casi di attenuazione del rigore della formalità, ove l’Amministrazione nel predisporre i moduli di partecipazione induca in qualche modo in errore il partecipante (con conseguente ammissibilità di facoltà di regolarizzazione successiva) –cfr. Tar Sardegna 2273 del 28.08.2010-.
L’orientamento decisamente prevalente -per i contratti (ordinari)- è nel senso, invece, che l’obbligo di rendere la dichiarazione sussiste anche per vicepresidente (cfr. Consiglio Stato, sez. V, 15.01.2008, n. 36; TAR Emilia Romagna Bologna, sez. I, 22.04.2010, n. 3795; TAR Campania Napoli, sez. I, 27.05.2010, n. 9649 e 01.03.2010, n. 1206; TAR Calabria Catanzaro, sez. II, 08.03.2010, n. 311; TAR Sicilia Palermo, sez. III, 14.12.2009, n. 1910).
Il Tar Lazio 2007 n. 4315 ha sostenuto invece che “in assenza d'una rigorosa e specifica norma della lex specialis nei riguardi pure dei soggetti vicari, non sussiste alcun obbligo di formulare detta dichiarazione anche per costoro i cui poteri siano meramente eccezionali ed occasionali”.
Ma anche il Tar Basilicata, ancor più recentemente, nella pronunzia sez. I, 22.04.2009, n. 131, ha articolato un distinguo analogo, sostenendo che “fra gli amministratori muniti di potere di rappresentanza rientrano anche i Vice Presidenti o gli amministratori che esercitano il potere di rappresentanza in funzione vicaria, <ma solo quando lo statuto della persona giuridica li abilita a sostituire in qualsiasi momento e per qualsiasi atto il legale rappresentante della persona giuridica, senza intermediazione di autorizzazione o di investitura ulteriore e senza controllo sull'effettività dell'impedimento e dell'assenza del legale rappresentante della persona giuridica>, in quanto l'esercizio della funzione vicaria conferita al Vice Presidente può avvenire in qualsiasi momento.”
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La predisposizione di un Modello (incompleto nelle indicazioni delle dichiarazioni da rendere –da parte di altri soggetti, oltre al legale rappresentante-) non può determinare l’esclusione del concorrente che si è attenuto a tali indicazioni, in quanto va riconosciuto sussistente un affidamento (meritevole di tutela) del partecipante che ha agito coerentemente alle prescrizioni.
L’omessa indicazione (nel bando e nel modello) di tutti i soggetti che dovevano compiere la dichiarazione non può ricadere in danno al partecipante, con conseguente ammissibilità della verifica/controllo successivo, come in effetti è stato richiesto, in questo caso, fra aggiudicazione provvisoria e aggiudicazione definitiva.
Se è vero che la norma di legge può integrare il bando (integrazione automatica) non può ignorarsi l’affidamento che questo crea in ordine alle modalità di redazione della domanda e delle autodichiarazioni espressamente contemplate e riportate nel modulo di partecipazione (che andava solo “completato” e sottoscritto dalla parte, indicata quale “legale rappresentante” della Cooperativa sociale).
L'applicazione dei principi in materia di favor partecipationis e di tutela dell'affidamento osta all'esclusione di un impresa in caso di compilazione dell'offerta in conformità al facsimile all'uopo approntato dalla stazione appaltante (cfr. CS, sez. VI, 10.11.2004, n. 7278).
Peraltro va segnalato che recentemente lo stesso Consiglio di Stato (cfr. CS, VI, 22.02.2010 n. 1017) esaminando approfonditamente la reale portata (sostanziale) della norma (art. 38), in materia di omessa/erronea dichiarazione e conseguente rilevanza o meno –a fini escludenti immediati-, ha inteso aderire (riconoscendo la sussistenza di pronunzie non univoche sul punto dello stesso organo d’appello) ad un orientamento meno formalistico e più sostanzialistico, riformando una sentenza del TAR Lombardia, Brescia, del 2009 n. 1499 (che aveva, invece, applicato in modo classico e tradizionale l’art. 38, annullando l’aggiudicazione per avere l’aggiudicataria omesso, in sede di domanda di partecipazione, di rendere in modo integrale una delle dichiarazioni di cui all’art. 38) e valorizzando i seguenti aspetti:
- preferendo il diverso orientamento secondo cui una dichiarazione resa ai sensi della lettera c) del comma 1 dell’art. 38, d.lgs. 163 anche se radicalmente omessa (ovvero, non corrispondente alla realtà sottostante) <non comporti comunque l’esclusione dalla gara dell’impresa interessata quando non sussistano in concreto situazioni ostative alla partecipazione>;
- riconoscendo la necessità di assicurare che le ipotesi di esclusione vengano ispirate al canone della tassatività e che le relative previsioni rispondano ad effettive esigenze di interesse pubblico, a fronte di inequivoche previsioni normative;
- attribuendo valore e rilievo all’elemento che la stessa lex specialis di gara non prevedeva in alcun modo che la dichiarazione relativa ai fatti e alle circostanze di cui all’art. 38, comma 1, lettera c) del ‘codice’ fosse richiesta a pena di esclusione.
Ciò significa che lo stesso Consiglio di Stato ha ritenuto di dover ridurre drasticamente l’area dell’esclusione automatica, richiamando anche la figura del falso innocuo, affrontando la problematica in termini più sostanzialistici e meno formalistici, sulla base di una attenta lettura delle norme, “abbandonando” l’orientamento tradizionale (dello stesso CS Sez. V, sent. 3742/2009) che voleva che “il carattere obbligatorio della dichiarazione comporterebbe in via necessaria l’esclusione dalla gara quale mera conseguenza dell’omessa dichiarazione, a prescindere da qualunque vaglio in concreto in ordine alla sussistenza o meno dei requisiti di ordine generale sottesi alla dichiarazione omessa o non conforme al vero”.
Spingendosi a sostenere che “trattandosi di <falso innocuo>, privo di qualsivoglia offensività rispetto agli interessi presidiati dalle regole che governano la procedura di evidenza pubblica, come tale non è sanzionabile con l’esclusione (Cons. Stato, Sez. V, sent. 829/2009)” (così CS 2010 n. 1017).
In tale pronunzia il CS ha affermato inoltre che “un rilevante argomento in favore della tesi qui condivisa viene fornito dal diritto comunitario, e segnatamente dalla previsione di cui all’art. 45 della direttiva 2004/18/CE in tema di appalti nei c.d. ‘settori classici’. Secondo la disposizione da ultimo richiamata, infatti, il rimedio dell’esclusione dalla gara è offerto solo in danno dei soggetti i quali si siano resi ‘gravemente colpevoli di false dichiarazioni nel fornire le informazioni’ rilevanti ai fini della partecipazione alla gara. Il che, com’è evidente, depone univocamente nel senso che la condotta gravemente colpevole di false dichiarazioni possa essere ravvisata solo a fronte di comportamenti posti in essere al fine di ottenere un vantaggio in termini competitivi, e non anche in caso di condotte verosimilmente poste in essere (come nel caso di specie) per mera dimenticanza o disattenzione o per inesatta interpretazione della disposizione, le quali nulla abbiano arrecato in termini di vantaggio al soggetto agente, il quale risultava in possesso dei necessari requisiti di partecipazione, pure a prescindere dal contenuto (in ipotesi, non conforme alla realtà sottostante) delle dichiarazioni in concreto rese” (TAR Sardegna, Sez. I, sentenza 25.11.2010 n. 2626 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

LAVORI PUBBLICI: Il tombino sporge? Il Comune paga se non c’è il segnale di pericolo.
Nel caso in esame è stato affermato che l’instabilità di un tombino costituisce, in mancanza di qualsivoglia segnalazione dei lavori in corso e di recinzione della zona interessata, un pericolo occulto e imprevedibile.
La Cassazione ha ricordato che in tema di responsabilità per danni da beni di proprietà della Pubblica Amministrazione, qualora non sia applicabile la disciplina di cui all’art. 2051 cod. civ., in quanto sia accertata in concreto l’impossibilità dell’effettiva custodia del bene, a causa della notevole estensione dello stesso e delle modalità di uso da parte di terzi, l’ente pubblico risponde dei pregiudizi subiti dall’utente, secondo la regola generale dell’art. 2043 cod. civ., norma che non limita affatto la responsabilità della P.A. per comportamento colposo alle sole ipotesi di esistenza di un’insidia o di un trabocchetto.
Conseguentemente, secondo i principi che governano l’illecito aquiliano, graverà sul danneggiato l’onere della prova dell’anomalia del bene, che va considerata fatto di per sé idoneo –in linea di principio– a configurare il comportamento colposo della P.A., mentre spetterà a questa dimostrare i fatti impeditivi della propria responsabilità, quali la possibilità in cui l’utente si sia trovato di percepire o prevedere con l’ordinaria diligenza la suddetta anomalia o l’impossibilità di rimuovere, adottando tutte le misure idonee, la situazione di pericolo.
Non è superfluo aggiungere che siffatto ordine di idee ha a suo tempo ricevuto il significativo avallo della Corte costituzionale la quale, chiamata a scrutinare la conformità con gli artt. 3, 24 e 97 della Costituzione degli artt. 2051, 2043 e 1227 cod. civ., ha ritenuto infondato il dubbio proprio in ragione della aderenza ai principi della Carta fondamentale del nostro Stato dell’interpretazione affermatasi nella giurisprudenza di legittimità (confr. Corte cost. n. 156 del 1999).
Principio altrettanto pacifico è poi che, allorquando si faccia valere la responsabilità extracontrattuale della pubblica amministrazione per danni subiti dall’utente a causa delle condizioni di manutenzione di una strada pubblica, la valutazione della sussistenza di un’insidia, caratterizzata oggettivamente dalla non visibilità e soggettivamente dalla non prevedibilità del pericolo, costituisce un giudizio di fatto, incensurabile in sede di legittimità se adeguatamente e logicamente motivato (Corte di Cassazione, Sez. III civile, sentenza 18.11.2010 n. 23277 - link a www.litis.it).

VARI: Gli sms sono top secret, è vietata la richiesta di copie. Il Tar Campania ha stabilito i limiti del diritto di accesso previsto dalla 12.41/1990.
Gli sms sono segreti. Non si può chiedere copia dei messaggi utilizzando la legge sulla trasparenza amministrativa.
Lo ha precisato il TAR Campania-Napoli, Sez. VI, con la sentenza 15.11.2010 n. 24405, che pure ha confermato che l'sms è un documento amministrativo, ma solo se è riferito a un'attività di pubblico interesse.
Ma vediamo di illustrare la sentenza.
Una signora ha chiesto alla società di telecomunicazioni Tim (Telecom Italia Mobile) l'accesso al testo di un messaggio di testo «sms» (short messaging service), inviato all'indirizzo del cellulare in uso al figlio, ma intestato a lei medesima. La richiesta di accesso si è inserita in una drammatica vicenda. La signora ha spiegato che il soggetto autore del messaggio ha ucciso il figlio e che la conoscenza dell'sms in questione le consentirebbe di azionare ulteriori «sviluppi processuali» nella vicenda giudiziaria, seguita al grave fatto omicidario, già concluso con la sentenza definitiva di condanna del responsabile.
La società Tim non ha risposto alla richiesta e la signora ha presentato un ricorso al Tribunale amministrativo, contestando il silenzio del gestore telefonico. In effetti la Tim rientra tra i soggetti passivi del diritto di accesso quale «gestore di pubblico servizio» (articolo 23 legge sulla trasparenza n. 241/1990) e gli sms possono assumere astrattamente la qualificazione di «documento» ai sensi dell'articolo 22 della legge 241 citata. Tuttavia il Tribunale amministrativo ha ritenuto che la domanda non potesse essere accolta per la mancanza di altri requisiti previsti dalla legge per l'esercizio del diritto di accesso ai documenti amministrativi.
In primo luogo, l'articolo 22 della legge 241/1990 richiede che il documento di cui si chiede la copia concerna attività di pubblico interesse; inoltre i soggetti di diritto privato, come la Tim, rientrano tra i soggetti obbligati alla trasparenza amministrativa solo limitatamente alla loro attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o comunitario. Non si applica la trasparenza amministrativa, invece, se il servizio di sms è reso nello svolgimento di un singolo rapporto di carattere privatistico e l'interesse alla conoscenza del testo del messaggio non è riferibile all'attività di gestione del servizio pubblico né ad atti funzionalmente inerenti alla gestione di interessi collettivi.
In secondo luogo il tribunale ha evidenziato un ostacolo nel principio di segretezza della corrispondenza.
L'sms in questione, anche se inviato a un'utenza intestata alla signora, ha rappresentato una comunicazione avvenuta tra altri soggetti: la segretezza e libertà di corrispondenza sono costituzionalmente protette, salvo le possibili limitazioni, mediante atto motivato dall'autorità giudiziaria (articolo 15 Costituzione). Quindi l'sms potrà al massimo essere oggetto di un sequestro (articoli 254 e 254-bis codice di procedura penale) o di intercettazione (articoli 266 e seguenti codice di procedura penale).
Così il diritto di accesso di cui agli articoli 22 e seguenti della legge 241/1990 non può essere azionato per conoscere il contenuto di sms scambiati tra altri soggetti. Si sarebbe, probabilmente, arrivati a un risultato diverso se la signora avesse esercitato il diritto di accesso ai sensi dell'articolo 9 del codice della privacy (digs 196/2003).
Questa disposizione prevede che il diritto di conoscere i dati personali (tra cui risulta il contenuto dell'sms) riferito a dati personali concernenti persone decedute può essere esercitato da chi ha un interesse proprio, o agisce a tutela dell'interessato o per ragioni familiari meritevoli di protezione. Quindi se è sbarrata la strada dell'accesso al documento (che contiene informazioni) non è detto che sia chiusa la possibilità di ottenere le informazioni stesse, facendo uso della legislazione sulla privacy: nel caso specifico la mamma avrebbe potuto chiedere di conoscere i dati personali del figlio contenuti nell'sms in questione (articolo ItaliaOggi del 07.12.2010 - tratto da www.corteconti.it).

PUBBLICO IMPIEGO: Concorsi. I test a risposta multipla non devono contenere ambiguità ed incertezza di soluzione.
Nelle prove concorsuali articolate su quesiti a risposta multipla, da svolgersi entro un ristretto arco temporale (nel caso di specie nell’arco di un ora e trenta minuti), deve privilegiarsi la chiarezza del contenuto di ciascun quesito, che va formulato entro i limiti del programma di esame, secondo canoni di certa e pronta comprensibilità.
A sua volta la risposta, indicata come esatta fra quelle riportate nel questionario, deve raccordarsi ad una plausibile e corretta applicazione delle acquisizione delle scienze umane che vengono in gioco, ovvero di regole giuridiche, o di altri ordinamenti di settore, di cui è richiesta la conoscenza da parte del candidato, con esclusione di ogni ambiguità ed incertezza di soluzione.
Se, pertanto, appartiene alla sfera di discrezionalità dell’Amministrazione la selezione del coacervo di domande da sottoporre ai candidati ai fini della verifica del grado di professionalità e del livello culturale che si reputa necessario per il conseguimento del giudizio indoneativo, con scelte la cui sindacabilità può aver luogo nei soli limiti esterni della ragionevolezza e dell’osservanza del limite oggettivo del programma di esame, parimenti non può ricondursi –diversamente da quanto ritenuto dal Tribunale regionale– all’esclusiva discrezionalità tecnica dell’ente, una volta posta la domanda, l’individuazione del contenuto coerente ed esatto della risposta (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 09.11.2010 n. 7984 - link a www.litis.it).

LAVORI PUBBLICI: Chiesa demolita? Ne risponde il comune. Per l'amministrazione culpa in vigilando e in eligendo.
E' responsabile, per cattiva scelta e mancato controllo, il comune che ha appaltato l'allargamento di una strada a una società di costruzioni che nel corso dei lavori ha demolito un immobile sottoposto a vincolo storico-artistico.
Così ha deciso il Consiglio di Stato, Sez. VI, con sentenza 28.10.2010 n. 7635, che ha stabilito le linee della responsabilità del comune quando agisce come stazione appaltante ... (articolo Il Sole 24 Ore del 06.12.2010 - link a www.ecostampa.com).

ATTI AMMINISTRATIVI: 1. Istanza revoca - obbligo di pronuncia - non sussiste.
2. Nuovo provvedimento non recante nuova acquisizione di elementi di fatto, né nuova valutazione - Natura confermativa di un provvedimento precedente - Sussiste - Procedibilità - Non sussiste.
3. Nuovo provvedimento - Riesame della situazione di fatto e di diritto - Natura meramente confermativa - Esclusione. Autonoma impugnazione.

1. L'istanza diretta a provocare la revoca di un provvedimento amministrativo non determina il potere-dovere dell'amministrazione di pronunciare e una siffatta pronuncia, ove intervenuta, non ha natura provvedimentale ove si riduca ad un mero atto confermativo del precedente, privo di una nuova ed autonoma valutazione dei fatti.
2. Il provvedimento amministrativo ha natura confermativa quando, senza acquisizione di nuovi elementi di fatto e senza alcuna nuova valutazione, tiene ferme le statuizioni in precedenza adottate; pertanto, in presenza di un provvedimento che si limita a richiamare il precedente provvedimento e a confermarlo integralmente il ricorso è inammissibile perché è proposto contro un atto privo di reale ed autonoma capacità lesiva.
L'atto meramente confermativo, infatti, non riapre i termini per impugnare: esso non rappresenta, infatti, un'autonoma determinazione dell'Amministrazione, sia pure identica nel contenuto alla precedente, ma solo la manifestazione della decisione dell'Amministrazione di non ritornare sulle scelte già effettuate.
3. Il provvedimento amministrativo ha carattere di nuovo provvedimento se viene condotta un'ulteriore istruttoria, anche per la sola verifica dei fatti o con un nuovo apprezzamento di essi, il mantenimento dell'assetto degli interessi già disposto, poiché esprime un diverso esercizio del medesimo potere.
Solo l'esperimento di un ulteriore adempimento istruttorio, sia pure attraverso la rivalutazione degli interessi in gioco ed un nuovo esame degli elementi di fatto e diritto che caratterizzano la fattispecie considerata, può dar luogo ad un atto non propriamente confermativo in grado, come tale, di dar vita ad un provvedimento diverso dal precedente e, quindi, suscettibile di autonoma impugnazione (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 30.04.2010 n. 1641 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIContratto - appalto - gara - illegittimità aggiudicazione - conclusione contratto - inefficacia - trattazione unitaria per connessione - giurisdizione amministrativa.
Il giudice amministrativo è competente a pronunciarsi sia sulla domanda di invalidità dell'aggiudicazione che sulla privazione degli effetti del contratto concluso con l'affidatario: la loro trattazione unitaria avanti ad un medesimo giudice garantisce l'attuazione dei principi di concentrazione, effettività e ragionevole durata del giusto processo: conseguentemente la cognizione del giudice amministrativo sulla domanda di annullamento dell'affidamento di un appalto pubblico, per le illegittime modalità con cui si è svolto il relativo procedimento, comporta che lo stesso giudice adito per l'annullamento degli atti di gara -che abbia deciso su tale prima domanda- possa decidere pure sull'istanza del contraente illecitamente pretermesso dal contratto di essere reintegrato nella sua posizione, con la privazione di effetti del contratto eventualmente stipulato dall'aggiudicante con il concorrente alla gara scelto in modo illegittimo (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 23.04.2010 n. 1610 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Procedimento- Imposizione vincolo storico-artistico - omessa comunicazione avvio - invalidità del provvedimento.
Qualora si inizi il procedimento di assoggettamento di un bene immobile o mobile al vincolo ex L. 01.06.1939 n. 1089, occorre previamente comunicare l'avvio del procedimento ai soggetti interessati, in applicazione della l. 07.08.1990 n. 241 (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 22.04.2010 n. 1599 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA:  Strade - autorizzazione collocamento cartelli pubblicitari - regolamento comunale - divieto generalizzato - illegittimità - limiti - proporzionalità al pubblico interesse.
Il potere regolamentare del Comune in materia di rilascio di autorizzazioni a collocare cartelli ed altri mezzi pubblicitari non può giungere ad un divieto generalizzato di collocare mezzi pubblicitari, esteso indistintamente a tutto il territorio comunale in quanto lesivo della libertà di iniziativa economica privata, ma deve essere esercitato secondo proporzionalità e adeguatezza, prevedendo in via generale le limitazioni necessarie al "pubblico interesse" (ad es. vincoli ambientali o paesaggistici, sicurezza stradale) di volta in volta specificamente individuato (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 21.04.2010 n. 1596 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: D.i.a. - Potere dell'amministrazione di inibire l'esecuzione dei lavori - Termine di 30 giorni - Decorrenza - Intervento inibitorio e autotutela - Differenze.
Oltre il termine di 30 gg. di cui all'art. 42, co. 9, l.r. 12/2005, il potere dell'amministrazione comunale di inibire l'esecuzione dei lavori oggetto di d.i.a. deve ritenersi consumato, salvo l'esercizio dei poteri di revoca ed annullamento in autotutela.
Ciò non significa che il potere di vigilanza e controllo sull'attività edilizia attribuito all'autorità comunale dall'art. 27, co. 1, del d.p.r 380/2001 sia limitato da tale previsione; si tratta, infatti, di un potere generale attribuito all'autorità amministrativa per tutti i tipi di interventi edilizi che avvengono sul territorio di competenza, ma tale potere -decorsi i 30 gg.- non deve svolgersi più nelle forme dell'intervento inibitorio, ma in quelle della procedura di autotutela di cui agli artt. 21-quinquies e 21-nonies della l. 241/1990, come modificata dalla l. 15/2005.
Lo schema dei poteri spettanti all'autorità comunale a seguito della presentazione della d.i.a. presenta, infatti, una bipartizione di regime: nei primi 30 gg. decorrenti dalla data di presentazione della denuncia il Comune può intervenire con il potere inibitorio dell'attività edilizia che impedisce il perfezionarsi della fattispecie della d.ia.; decorso tale termine, invece, tale potere può svolgersi soltanto nelle forme del provvedimento di autotutela, e quindi seguendo differenti presupposti (in tema di motivazione sull'interesse pubblico) e procedure (comunicazioni ex artt. 7 e 10-bis l. 241/1990) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 21.04.2010 n. 1585 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Annullamento per vizi di ordine formale che non escludono il riesercizio del potere - Danno risarcibile immediato - Non sussiste.
Nel caso in cui in sede di giurisdizione viene annullato un provvedimento per vizi di ordine formale, o comunque per vizi di difetto di istruttoria e di motivazione che non escludono, e, anzi, consentono, il riesercizio del potere, la domanda di risarcimento del danno non può essere valutata se non all'esito del nuovo esercizio del potere, tenendo presente che, se l'atto negativo viene reiterato, per ragioni diverse dal precedente, il sopravvenuto provvedimento negativo esclude, allo stato, la sussistenza di un danno risarcibile derivante dal primo provvedimento, salva la verifica degli estremi del danno in caso di annullamento giurisdizionale anche del secondo provvedimento (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 21.04.2010 n. 1585 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Ricorso sulla condizione urbanistica dell'immobile - Promissario acquirente - Legittimazione - Condizioni.
La posizione di promissario acquirente normalmente consente di proporre ricorso sulla condizione urbanistica dell'immobile oggetto della contrattazione.
Dal momento che il titolo edilizio può essere chiesto anche quando l'acquisto della proprietà sia soltanto in itinere se il promittente venditore non si oppone, la medesima situazione permette di coltivare in sede giudiziale la pretesa al riconoscimento di ulteriori diritti edificatori o l'opposizione alla perdita di tali diritti (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 21.04.2010 n. 1580 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: Variante urbanistica - Osservazioni - Comparazione tra i contrapposti interessi dei privati - Criterio di prevalenza
Nell'esame delle diverse osservazioni sulla variante urbanistica adottata l'amministrazione deve effettuare una comparazione tra i contrapposti interessi dei privati, tenendo conto che il criterio di prevalenza non può essere costituito dalla precedenza temporale dell'insediamento ma esclusivamente dalla maggiore affinità con gli interessi pubblici.
Certamente costituisce interesse pubblico rilevante l'opportunità di non accostare attività imprenditoriali incompatibili, ma se tali attività possono essere rese compatibili attraverso la tecnologia disponibile vengono in rilievo altri obiettivi di interesse pubblico, come ad esempio la diffusione dei servizi sul territorio (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 21.04.2010 n. 1580 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Oneri di urbanizzazione secondaria - Perequazione urbanistica - Significato.
Gli oneri di urbanizzazione secondaria e la cessione di aree rientrano anche nel concetto di perequazione urbanistica, nel senso che attraverso queste voci si determina il giusto prezzo dovuto dai proprietari per il riconoscimento dei diritti edificatori.
Certamente una frazione dell'importo va commisurata (secondo l'impostazione tradizionale) alle opere e alle aree pubbliche necessarie al fine di garantire alla nuova edificazione un ambito territoriale dotato di adeguati servizi, ma i proprietari che edificano devono pagare un prezzo anche per il fatto che attraverso l'assegnazione dei diritti edificatori l'ente pubblico sacrifica beni collettivi (quali l'ambiente, il paesaggio, la naturalità degli spazi liberi, la qualità della vita urbana, il minore livello di traffico e di inquinamento) e impone ad altri proprietari di non edificare per non compromettere in modo eccessivo i suddetti beni su scala comunale (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 21.04.2010 n. 1580 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA1. Insegne e pubblicità - Mancata approvazione del Piano generale degli impianti pubblicitari entro il termine previsto dal D.Lgs. 507/1993 - Divieto di installazioni pubblicitarie - Legittimità.
2. Insegne e pubblicità - Divieto di installazioni pubblicitarie - Motivazione.

1. L'art. 36 D.Lgs. 507/1993 deve essere messo in relazione con l'art. 41 Cost. e con l'art. 2 della L. 241/1990 e pertanto i Comuni non possono, protraendo la mancanza del Piano generale degli impianti pubblicitari, inibire sine die nel frattempo ogni installazione pubblicitaria in quanto l'inerzia protratta oltre il termine per la approvazione del suddetto Piano pregiudicherebbe in modo eccessivo la libertà di iniziativa economica, garantita a livello costituzionale.
2. La motivazione di un diniego deve dare contezza delle ragioni per le quali viene ritenuta l'incompatibilità dei cartelloni pubblicitari con le esigenze di tutela paesistica nel contesto ambientale tutelato e non può tradursi in una semplice formula generica e neppure la valutazione di compatibilità paesaggistica può sostenere un aprioristico divieto di istallazione per l'intero territorio comunale (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 15.04.2010 n. 1573 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA 1. Piano di lottizzazione - Compatibilità ambientale - Parere favorevole della Soprintendenza - Autorizzazione paesistica - Revisione del precedente parere - Condizioni - Illegittimità.
L'aspettativa che sorge in capo ai lottizzanti per effetto dell'esame favorevole del piano di lottizzazione circa la compatibilità ambientale del piano stesso ai sensi dell'art. 28, comma 2, della legge 17.08.1942 n. 1150, è meritevole di tutela e impedisce alla Soprintendenza di procedere poi, nell'esame delle singole autorizzazioni paesistiche, a una revisione radicale del precedente giudizio.
Una simile revisione può considerarsi legittima solo se nel frattempo siano stati introdotti elementi progettuali nuovi o se il maggiore grado di precisione delle progettazioni singole faccia emergere un impatto completamente diverso che non era stato evidenziato nel piano di lottizzazione.
Non corrisponde invece né alle regole di correttezza né al principio di economia procedurale la scelta di approvare il piano di lottizzazione con la riserva mentale di riaprire in seguito l'esame sugli stessi elementi all'interno del controllo delle singole autorizzazioni paesistiche (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 09.04.2010 n. 1531 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. Centro abitato - Art. 9 DPR 380/2001 - Delimitazione ai fini della viabilità ex art. 4 D.Lgs. 285/1992 - Idoneità.
2. Centro abitato - Delimitazione - Consiglio comunale - Competenza - Non sussiste.

1. La nuova disciplina contenuta nell'art. 9 del DPR 380/2001, pur conservando il concetto di centro abitato, ha eliminato ogni riferimento alla perimetrazione di cui all'art. 41-quinquies della legge 1150/1942.
La delimitazione del centro abitato può ora avvenire con diverse modalità purché sia garantita la funzione di salvaguardia del territorio in vista della successiva pianificazione urbanistica.
La mappatura del centro abitato realizzata ai fini della viabilità ex art. 4 del Dlgs. 30.04.1992 n. 285, purché abbastanza recente, svolge adeguatamente il compito di definire i confini del centro abitato, in quanto non prende in considerazione soltanto i raggruppamenti di edifici con le strade e le piazze ma anche i giardini e le aree a uso pubblico (v. art. 3, comma 1, n. 8 del Dlgs. 285/1992).
Si tratta dunque di un'analisi del territorio che può essere considerata in sintonia con la definizione urbanistica di centro abitato.
2. Proprio perché si limita alla ricognizione e alla lettura dei caratteri urbanistici già presenti nel territorio, la perimetrazione del centro abitato non può essere assimilata alla zonizzazione.
Inoltre si tratta di un'attività destinata a produrre effetti nel caso di assenza (o di inefficacia sopravvenuta) della zonizzazione, e dunque non richiede affatto sul piano logico l'intervento del consiglio comunale.
Di conseguenza il compito di tracciare la perimetrazione deve essere attribuito secondo il criterio generale della maggiore competenza tecnica: può essere un provvedimento dirigenziale oppure una deliberazione di giunta, e anche un atto non specificamente rivolto a scopi urbanistici (come la mappatura per la viabilità), purché in ogni caso vi sia alla base un'adeguata analisi tecnica della situazione reale dei luoghi (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 09.04.2010 n. 1530 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Norme urbanistiche - Impugnazione atto di adozione - Effetto caducatorio - Si estende ai provvedimenti successivi di mera riproduzione delle norme approvate.
Nel caso di mera riproduzione di norme urbanistiche, senza introduzione di modifiche o senza integrazione della motivazione, si può ritenere che l'effetto caducatorio derivante dall'impugnazione dell'atto di adozione si estenda, oltre che al connesso atto di approvazione, anche ai provvedimenti successivi.
Rispetto al provvedimento che ha introdotto per primo la disciplina contestata i provvedimenti successivi, ove meramente riproduttivi, costituiscono fonti di cognizione non innovative, e in quanto tali non determinano alcuna soluzione di continuità nella situazione giuridica della parte ricorrente, con la conseguenza che non possono schermare l'effetto caducatorio.
Correlativamente, al privato non può essere imposto l'onere di seguire nel tempo l'intera serie delle deliberazioni impugnando in corso di causa tutti gli atti che riproducono le disposizioni oggetto della controversia (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 09.04.2010 n. 1529 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI1. Contratti pubblici - Appalto - Gara - Aggiudicazione provvisoria - Natura di atto endo-procedimentale - Termine per l'impugnazione - Decorre dall'aggiudicazione definitiva.
2. Contratti pubblici - Appalto - Gara - Anomalia dell'offerta - Discrezionalità tecnica dell'amministrazione - Sindacabile in sede giurisdizionale - Solo per manifesta irrazionalità ed evidente travisamento dei fatti.
3. Contratti pubblici - Gara - Anomalia dell'offerta - Valutazione di non anomalia - Annullamento in sede giurisdizionale - Obbligo per l'amministrazione di rinnovare la procedura.

1. L'aggiudicazione provvisoria di una gara d'appalto ha natura di atto endo-procedimentale, inidoneo a produrre una definitiva lesione nella sfera giuridica dell'impresa che non è diventata vincitrice.
Il termine per impugnare i risultati della gara -e per far valere anche i vizi dell'aggiudicazione provvisoria- decorre pertanto dall'aggiudicazione definitiva, che consolida il pregiudizio in capo ai concorrenti non dichiarati affidatari dell'appalto.
2. Con riferimento alla verifica dell'anomalia di un'offerta, il giudice amministrativo non può sovrapporre la sua idea tecnica al giudizio formulato dall'organo competente, al quale la legge attribuisce -nell'apprezzamento del caso concreto- l'approfondimento del sapere specialistico ai fini della tutela dell'interesse pubblico.
Dopo la verifica dell'anomalia, pertanto, l'esito della gara può essere travolto dalla pronuncia giurisdizionale allorquando l'indagine compiuta dalla stazione appaltante, attraverso il controllo formale ed estrinseco dell'iter logico, evidenzi profili di manifesta irrazionalità ed evidente travisamento dei fatti; il potere di annullamento può essere altresì esercitato ove il giudizio di attendibilità investa voci che -per la loro rilevanza ed incidenza complessiva- rendano l'intera operazione economica non plausibile e, per l'effetto, non suscettibile di accettazione da parte della stazione appaltante.
3. Quando la normativa attribuisce all'autorità pubblica il potere di formulare una valutazione opinabile in base alla scienza del settore, anche ove siano dedotte le più articolate censure, il giudice non può sostituire la propria valutazione a quella effettuata in sede amministrativa.
Se questa risulta viziata (per un vizio procedimentale, ovvero per un profilo di eccesso di potere, anche di inadeguata motivazione in ordine ad uno degli elementi rilevanti), il giudice amministrativo può annullare il provvedimento impugnato, con salvezza degli atti ulteriori, ma non può sostituire la propria valutazione a quella rimessa dalla norma alla competenza della autorità amministrativa.
Questi principi rilevano anche quando si tratti di esprimersi sull'attendibilità della valutazione effettuata da una Commissione di gara sull'anomalia di un'offerta, e comportano che dall'annullamento degli atti impugnati scaturisce per l'amministrazione l'obbligo di rinnovare la procedura emendandola dai vizi rilevati, restando sconosciuto al momento l'esito della riedizione dell'attività di verifica.
Al contempo non può, allo stato, riconoscersi un danno, poiché l'aggiudicazione alla ricorrente non costituisce effetto automatico di questa pronuncia (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 08.04.2010 n. 1528 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: 1. Vincolo paesistico - piani attuativi - autorizzazione paesistica - necessità.
2. Vincolo paesistico - autorizzazione paesistica - art. 159 Dlgs. 42/2004 - piano di lottizzazione - singoli interventi.

1. L'art. 28, comma 2, della legge 17.08.1942 n. 1150 estende ai piani di lottizzazione la necessità di una valutazione sotto il profilo paesistico, indipendentemente dalla presenza di un vincolo paesistico-ambientale.
Qualora un tale vincolo sussista, tanto per l'intervento di una dichiarazione di notevole interesse pubblico riferita a un bene determinato (art. 136 e 157 del Dlgs. 42/2004) quanto per effetto della tutela ex lege dei contesti ambientali (art. 142 del Dlgs. 42/2004), è necessaria una vera e propria autorizzazione paesistica, sottoposta nel regime transitorio al potere di annullamento ministeriale ex art. 159 del Dlgs. 42/2004.
2. Quando il piano di lottizzazione contenga dettagli sulle singole costruzioni l'analisi paesistica e il controllo della Soprintendenza deve coinvolgere l'intero intervento edilizio senza limitarsi alle sole opere di urbanizzazione: a meno che non siano stati introdotti elementi progettuali nuovi o se il maggiore grado di precisione delle progettazioni singole faccia emergere un impatto completamente diverso che non era stato evidenziato nel piano di lottizzazione, l'aspettativa che sorge in capo ai lottizzanti per effetto dell'esame favorevole del piano di lottizzazione è meritevole di tutela e impedisce alla Soprintendenza di procedere poi, nell'esame delle singole autorizzazioni paesistiche, a una revisione radicale del precedente giudizio (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 08.04.2010 n. 1516 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: 1. Piano di lottizzazione - scadenza - discrezionalità urbanistica - limiti - trasformazione concreta dei luoghi.
2. Piano di lottizzazione - scadenza - conformazione - indici.

1. La scadenza del piano di lottizzazione affievolisce le aspettative edificatorie dei proprietari, i quali sono esposti, una volta passato il termine di validità del piano, alle nuove scelte urbanistiche dell'amministrazione e pertanto i limiti che possono essere imposti alla discrezionalità urbanistica sono quelli derivanti dalla conformazione del suolo che si sia stabilizzata in seguito alla trasformazione in concreto dei luoghi.
2. Per aversi conformazione di un suolo non serve che sia intervenuto il completamento delle opere di urbanizzazione, è sufficiente che ne sia stata realizzata la parte prevalente e che la parte restante possa essere ultimata tramite il riempimento degli spazi vuoti secondo le linee del piano di lottizzazione. In particolare non vi è trasformazione della superficie di un lotto, e quindi presenza di significativi indici di conformazione, per cui il Comune non incontra ostacoli nella modifica della disciplina urbanistica attraverso il PGT ove:
(a) l'area sia edificata solo per una superficie limitata;
(b) manchino le opere della viabilità, ossia le infrastrutture che maggiormente definiscono e circoscrivono i successivi interventi edificatori dei privati;
(c) manchino i parcheggi pubblici, che costituiscono standard urbanistici necessari in presenza di una destinazione commerciale;
(d) le opere di urbanizzazione realizzate consistano nei sottoservizi, i quali, essendo interrati, non hanno trasformato la superficie del lotto (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 08.04.2010 n. 1515 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. Nulla osta paesistico - annullamento - non è atto recettizio - decorrenza termine per adozione.
2. Autorizzazione paesaggistica - potere dell'amministrazione statale.
3. Autorizzazione paesaggistica - potere dell'amministrazione statale - annullamento - eccesso di potere - considerazioni tecnico discrezionali - esclusione.
4. Autorizzazione paesaggistica - piano attuativo - compatibilità paesaggistica per i singoli interventi.

1. Il provvedimento di annullamento del nulla-osta paesistico non ha natura di atto recettizio, e pertanto il termine -perentorio- di sessanta giorni previsto per la sua adozione attiene al solo esercizio del potere di annullamento da parte dell'Amministrazione statale e non anche alla comunicazione o notificazione ai destinatari del provvedimento stesso.
2. Il potere esercitato dall'Amministrazione statale sulla autorizzazione paesaggistica rilasciata dall'autorità regionale (o dalle autorità subdelegate) va definito in termini di "cogestione dei valori paesistici", nel senso che esso costituisce espressione di amministrazione attiva, nell'ambito di un unitario procedimento complesso nel quale la conclusione del procedimento è appannaggio esclusivo all'amministrazione regionale (o a quella delegata da quest'ultima) soltanto nella ipotesi di diniego di autorizzazione, mentre, al contrario, ove l'autorizzazione sia accordata, essa costituisce il presupposto formale la cui comunicazione al Ministero attiva il necessario riesame del contenuto dell'autorizzazione e dà avvio, dunque, ad un'altra fase necessaria e non autonoma, nella quale il Ministero può annullare entro il prescritto termine di sessanta giorni;
3. L'Autorità statale può annullare l'autorizzazione paesistica (oltre che per il vizio di violazione di legge in senso stretto e per quello di incompetenza) anche quando risulti un suo profilo di eccesso di potere (per sviamento, insufficiente motivazione, difetto di istruttoria, illogicità manifesta); la medesima Autorità non può, viceversa, annullare l'autorizzazione paesistica sulla base di proprie considerazioni tecnico-discrezionali, contrarie a quelle effettuate dalla Regione o dall'Ente subdelegato; l'esame della domanda di autorizzazione paesaggistica da parte dell'Autorità statale deve essere coerente con il piano paesistico (ove sia stato emanato), si deve basare su un'idonea istruttoria e deve rendere un'adeguata motivazione (da cui devono risultare le ragioni poste a base della affermata prevalenza di un interesse diverso da quello tutelato in via primaria) e deve tenere conto del principio di leale cooperazione che in materia domina i rapporti tra il Ministero e le Regioni (cfr. TAR Brescia 25.02.2008 n. 153).
4. Allorché sia stato già espresso in sede di approvazione del piano attuativo un giudizio favorevole sulla compatibilità paesaggistica, la valutazione di compatibilità paesaggistica richiesta ai fini del rilascio dell'autorizzazione dei singoli interventi edilizi rientranti nell'ambito del piano già approvato è limitata al modo di essere ed alle concrete modalità esecutive del manufatto da realizzare.
Detto altrimenti, tanto più puntuale e dettagliato è il giudizio di compatibilità paesaggistica reso in sede di approvazione del piano tanto più ridotti saranno i margini di ulteriore valutazione che è consentito svolgere con riguardo ai singoli interventi rientranti nel piano stesso; viceversa, a fronte di una valutazione meno dettagliata, se non generica, resa a monte, si impone un più incisivo apprezzamento di coerenza paesaggistica a valle, volto a verificare, dandone adeguatamente conto in sede motivazionale, se con le ragioni di tutela sottese all'apposizione del vincolo siano coerenti quelle modalità realizzative dei singoli interventi edilizi non dettagliatamente prese in considerazione nel giudizio sul piano (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 08.04.2010 n. 1514 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: 1. Pianificazione urbanistica - tessuto urbano consolidato - ambito di trasformazione - differenza.
2. Pianificazione urbanistica - documento di piano - piano delle regole - differenza.
3. Pianificazione urbanistica - esigenze di sviluppo dela comunità - interesse die singoli.

1. La differenza fondamentale tra il tessuto urbano consolidato e l'ambito di trasformazione sta nella circostanza che nel tessuto urbano consolidato il pianificatore può prevedere soltanto intervento di tipo edilizio, perché -proprio per effetto dell'ormai consolidata urbanizzazione- non vi è ormai più spazio per considerazioni strategiche sullo sviluppo urbanistico del territorio.
Al contrario, l'ambito di trasformazione, proprio perché tessuto ancora da urbanizzare compiutamente, è il luogo delle trasformazioni urbanistiche e dei relativi disegni strategici.
E' per questo che il tessuto urbano consolidato trova regolamentazione soltanto nel piano delle regole, laddove gli ambiti di trasformazione sono oggetto della disciplina del documento di piano.
2. Il documento di piano ed il piano delle regole hanno funzioni e struttura completamente diversi per cui non è possibile sovrapporre l'uno all'altro.
Il documento di piano serve per progettare le direttrici di sviluppo urbanistico del territorio, laddove il piano delle regole assolve finalità di regolamentazione edilizia dei singoli edifici e delle singole aree non edificate.
Un'area ricompresa tra le future direttrici dello sviluppo urbanistico del territorio, e per questo contemplata dal documento di piano, non per questo è sottratta all'attuale regolamentazione edilizia del piano delle regole.
Se un'area oggetto del documento di piano non fosse normata dal piano delle regole ci si troverebbe in presenza di un'area priva del tutto di disciplina edilizia in quanto, com'è noto, il documento di piano non produce effetti diretti sul regime giuridico dei suoli (art. 8, co. 3, l.r. 12/2005), effetti che conseguono soltanto all'approvazione dei piani attuativi (art. 12, co. 5, l.r. 12/2005).
3. Quando le amministrazioni locali prevedono ambiti di espansione fissando una volumetria massima realizzabile, attribuiscono diritti edificatori (suscettibili di espandersi con i piani attuativi) non nell'interesse dei titolari dei fondi, ma nell'interesse delle esigenze di sviluppo della comunità locale, esigenze che hanno predeterminato prima di fissare le cubature massime realizzabili.
Ne consegue che tali esigenze di sviluppo non possono essere frustrate dalla (eventuale) decisione di uno dei proprietari dei fondi in cui sono stati individuati gli ambiti di trasformazione di non approfittare della potenzialità edificatoria riconosciuta al fondo per potersi giovare in futuro di una disciplina urbanistica in prospettiva più favorevole (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 08.04.2010 n. 1513 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA 1. Variante urbanistica - comunicazione di avvio del procedimento - necessità - esclusione.
2. Scelte urbanistiche - apprezzamenti di merito - insindacabilità in sede giurisdizionale di legittimità - ragionevolezza della scelta pianificatoria.

1. Anche in presenza di formale violazione dell'art. 11 del D.lgs. n. 327/2001, per mancata comunicazione dell'avvio del procedimento prima dell'adozione di variante urbanistica, non può ritenersi sussistere alcun concreto interesse alla deduzione di tale formale violazione ove il privato abbia comunque avuto conoscenza del progetto, ed avuto l'opportunità di presentare, proprie osservazioni, con le quali, oltre ad eccepire la violazione dell'art. 11 T.U. e la conseguente mancata partecipazione al procedimento di adozione della variante, abbia contestato la scelta progettuale interessante la sua proprietà: in tale contesto, l'attivazione autonoma da parte dell'interessato ha "sanato" detta omissione.
2. Anche quando si tratti di opere la cui realizzazione si caratterizzi per la necessità del rispetto di regole tecniche complesse, la scelta sul dove collocare l'opera pubblica è il frutto di una tipica discrezionalità amministrativa, coinvolgente la comparazione e ponderazione dell'interesse pubblico fondamentale con gli altri interessi, pubblici o privati, in gioco.
Conseguentemente al giudice è consentito il solo sindacato sulla ragionevolezza della scelta pianificatoria compiuta dal Comune con la variante: il giudice non può sostituirsi ad un potere già esercitato, ma deve poter stabilire, secondo un criterio di effettività di tutela giurisdizionale, se la valutazione complessa operata nell'esercizio del potere debba essere ritenuta corretta sia sotto il profilo delle regole tecniche applicate, sia nella fase di contestualizzazione della norma posta a tutela della conformità ai parametri tecnici, sia nella fase di raffronto tra i fatti accertati ed il parametro contestualizzato nella situazione di fatto che vede coinvolti altri concorrenti interessi (richiama Cons. St., Sez. VI 02.03.2004 n. 926) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 08.04.2010 n. 1512 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Autorizzazione paesaggistica - comunicazione avvio del procedimento.
La regolamentazione sostanziale della materia dell'obbligo di comunicazione d'avvio nel procedimento di annullamento dell'autorizzazione paesaggistica, a sensi dell'art. 159 del Codice dei beni culturali prevede che la Soprintendenza non sia onerata della comunicazione d'avvio, purché peraltro l'autorità comunale abbia inviato comunicazione all'interessato del rilascio dell'autorizzazione, che per espressa disposizione di legge fa funzioni di comunicazione d'avvio (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 08.04.2010 n. 1507 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. Condono edilizio - data ultima - onere della prova - spetta al ricorrente - dichiarazione sostitutiva di atto notorio - insufficienza.
2. Condono edilizio - Condonabilità - opere abusive oggetto di impegno del privato alla demolizione spontanea.

1. Poiché l'Amministrazione comunale non è normalmente in grado di accertare la situazione edilizia di tutto il proprio territorio alla data indicata dalla normativa sul condono, l'onere di provare l'esistenza del manufatto oggetto di abuso alla data ultima per beneficiare del condono spetta al privato che chiede di condonarlo, privato che riesce a far transitare tale onere in capo all'amministrazione soltanto se fornisce elementi concreti in ordine all'esistenza dello stesso.
Quanto sopra comporta che anche la dichiarazione sostitutiva di atto notorio non è sufficiente a tal fine, essendo necessari ulteriori riscontri documentali, eventualmente anche indiziari, purché altamente probanti.
2. Nella congerie di norme che disciplinano il condono si trovano altre previsioni che sottraggono al regime di condonabilità altri specifici abusi, ma non ve n'è nessuna che esclude dalla condonabilità opere per cui l'autore si era assunto in passato un impegno di demolirle.
La mancata demolizione spontanea di opere edilizie abusive realizzate prima del 31.12.1993 avrebbe legittimato il Comune a demolirle d'ufficio negli anni che sono intercorsi tra il 1987 ed il 1994.
Ma nel momento in cui non si è provveduto alla demolizione d'ufficio (per qualsiasi ragione ciò sia avvenuto), ed è entrata in vigore una normativa straordinaria (quale la L. 724/1994) che consente la sanatoria di abusi edilizi anche privi di conformità urbanistica, e quindi non sanabili a regime, il Comune non può precludere a tali abusi di accedere alla normativa straordinaria ed anzi deve valutare tali abusi alla luce della normativa straordinaria sul condono edilizio, e verificare se essi presentano i presupposti previsti dalla l. 724/1994 (data di ultimazione delle opere, volumetria, compatibilità con vincoli) per essere ammessi al condono (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 08.04.2010 n. 1506 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Modifica orario di servizio - accertamento dei comportamenti antisindacali - diritto all’informazione – concertazione – contrattazione – riparazione del danno arrecato all’immagine del sindacato – pubblicazione della decisione nelle bacheche dell’ente, ai sensi dell’art. 120 c.p.c..
La determinazione dei criteri per la politica dell’orario di lavoro deve essere oggetto di informazione preventiva, concertazione e contrattazione (Tribunale di Nola, provvedimento 25.09.2008 - link a www.iussit.eu).
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(nota di: Avv. Paolo Carbone – Dott.ssa Luisa Marotta).
L’art. 28 Stat. Lav. tutela gli organismi locali delle associazioni sindacali nazionali che vi abbiano interesse dal comportamento illegittimo del datore di lavoro diretto ad impedire o limitare l’esercizio della libertà e dell’attività sindacale nonché del diritto di sciopero, attribuendo al Tribunale, in funzione di giudice del lavoro, il potere di ordinare al datore la cessazione del comportamento illegittimo e di rimuovere gli effetti.
Tale norma non individua in maniera analitica la condotta antisindacale ma fornisce della stessa una nozione teleologica: è considerata antisindacale, infatti, non una determinata condotta in base alle sue modalità esteriori, ma qualsiasi condotta diretta ad un determinato risultato, ovvero ad impedire o limitare l’esercizio della libertà e dell’attività sindacale, oltre che del diritto di sciopero.
L’ampia descrizione legislativa induce a ritenere che qualsiasi condotta idonea a ledere i beni indicati debba essere considerata antisindacale: non solo, dunque, le condotte dirette esclusivamente ad impedire l’attività sindacale, ma anche le condotte che, in astratto, potrebbero essere legittime ma, in concreto, siano state adottate per motivi antisindacali.
Anche un comportamento omissivo del datore di lavoro può realizzare una condotta antisindacale, a condizione che, pregiudizievole alla libertà o all’attività sindacale, integri violazione di uno specifico obbligo di contenuto positivo imposto allo stesso datore da disposizioni legislative o contrattuali.
In tema di orario di servizio, come nel caso in esame, sussiste la violazione in quanto il CCNL prevede la concertazione e la contrattazione e non solo la fase dell’informativa o della consultazione in tema di orario di servizio.
Nelle materie nelle quali è prevista la concertazione, l’informazione deve essere preventiva e preliminare.

AGGIORNAMENTO AL 06.12.2010

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UTILITA'

EDILIZIA PRIVATA: Lombardia, Struttura del Piano territoriale e del Piano paesaggistico regionale. Il ruolo strategico e di indirizzo per l'organizzazione del territorio.
Il Dossier presenta il Piano Territoriale Regionale (PTR) e la sua componente paesaggistica, il Piano Paesaggistico Regionale (PPR), con due obiettivi. Il primo è quello di descrivere struttura e contenuti dei due piani, il secondo di comprendere i passaggi che hanno delineato le strategie regionali alla luce delle condizioni, delle dinamiche e delle opportunità di contesto.
Il territorio descritto è proprio di una regione dinamica e complessa che, in modo più o meno consapevole, si sta giocando sia possibilità di successo che il rischio di risultati non favorevoli nell'arena competitiva globale.
In questo contesto Regione Lombardia, per la prima volta nella sua storia, si è dotata di un proprio strumento di pianificazione territoriale aprendo la stagione della sua concretizzazione e del suo continuo aggiornamento.
La crisi economica mondiale, e le sue ricadute locali, stanno offrendo la possibilità di una rottura di un modello tradizionale di pianificazione territoriale, fortemente legato alla rendita, con il passaggio a logiche di governo del territorio orientate allo sviluppo. In questo doppio livello si attuerà il futuro del PTR e del ruolo di governo del territorio che assumerà Regione Lombardia (link a www.dossiertematicicrl.net).

SINDACATI

EDILIZIA PRIVATALa disciplina delle pensioni ed elle liquidazioni nel pubblico impiego (CGIL-FP di Bergamo, nota novembre 2010).

PUBBLICO IMPIEGO: OGGETTO: adozione del regolamento degli uffici e dei servizi in applicazione D.Lgs 150/2009 – obbligo di informazione e consultazione (CGIL-FP di Bergamo, nota 30.11.2010).

PUBBLICO IMPIEGOProrogate le R.S.U. fino al loro rinnovo (CGIL-FP di Bergamo, nota 29.11.2010).

GURI - GUUE - BURL (e anteprima)

VARI: G.U. 03.12.2010 n. 283 "Ratifica ed esecuzione della Convenzione europea per la protezione degli animali da compagnia, fatta a Strasburgo il 13.11.1987, nonché norme di adeguamento dell’ordinamento interno" (L. 04.11.2010 n. 201).

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI:  G.U. 01.12.2010 n. 281, suppl. ord. n. 262, "Attuazione dell’articolo 11 del decreto-legge 28.04.2009, n. 39, convertito, con modificazioni, dalla legge 24.06.2009, n. 77 in materia di contributi per interventi di prevenzione del rischio sismico (Ordinanza n. 3907)" (O.P.C.M. 13.11.2010).

AMBIENTE-ECOLOGIA: G.U. 01.12.2010 n. 281 "Definizione dei criteri di ammissibilità dei rifiuti in discarica, in sostituzione di quelli contenuti nel decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio 03.08.2005" (Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio  del mare, decreto 27.09.2010).

ENTI LOCALI - VARI: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 48 del 29.11.2010, "Determinazione, per l’anno 2011 dei canoni da porre a base d’asta per l’affidamento dei lavori di sistemazione idraulica mediante escavazione di materiale inerte dagli alvei dei corsi d’acqua" (decreto D.G. 15.11.2010 n. 11527 - link a www.infopoint.it).

EDILIZIA PRIVATA: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 48 del 29.11.2010, "D.d.g. 15.11.2010 n. 11517 – Approvazione delle «Disposizioni tecniche per il monitoraggio del Fondo Aree Verdi di cui al punto 4 dell’allegato 1 alla d.g.r. 8757/2008 e note esplicative delle Linee guida approvate con dd.g.r. 8757/2008 e 11297/2010» – Pubblicato nel BURL n. 47 Se.O. del 22.11.2010" (Errata corrige n. 48/01-Se.O. 2010 - link a www.infopoint.it).

DOTTRINA E CONTRIBUTI

APPALTI: P. Michielan, Il debutto del preavviso di ricorso giurisdizionale negli appalti pubblici (link a http://venetoius.myblog.it).

APPALTI: M. Faviere, Il nuovo Regolamento al codice dei Contratti pubblici: slides (novembre 2010 - link a www.centrostudimarandoni.it).

APPALTI: M. Alesio, Il nuovo Regolamento al codice dei Contratti pubblici: commento (novembre 2010 - link a www.centrostudimarandoni.it).

APPALTI: M. Alesio, Le ultime novità in materia di contratti pubblici. La tracciabilità dei flussi finanziari alla luce delle prime ed informali indicazioni dell'Autorità (novembre 2010 - link a www.centrostudimarandoni.it).

APPALTI: C. Rapicavoli,  D.L. 12.11.2010 n. 187 - Tracciabilità dei flussi finanziari - Nota illustrativa dell'ANCI (link a www.ambientediritto.it).

INCENTIVO PROGETTAZIONE: C. Rapicavoli, Legge 04.11.2010 n. 183 - Incentivi alla progettazione (link a www.ambientediritto.it).

NEWS

APPALTI SERVIZI: SERVIZI PUBBLICI LOCALI/ Dismissione delle partecipate, il termine del 31/12 è ordinatorio. Per l'associazione dei comuni basta che la procedura venga avviata entro fine anno.
Dismissione delle società a partecipazione comunale che producono beni o servizi non strettamente necessari al perseguimento delle finalità istituzionali da deliberare entro il 31.12.2010.
In vista dell'imminente scadenza l'Associazione nazionale comuni italiani (Anci), con una circolare del 3 novembre scorso, fa il punto sul divieto previsto dall'art. 3, comma 27, della legge 244/2007 in materia di società partecipate dagli enti locali.
Come noto l'art. 3 della Finanziaria 2008 ha stabilito dei limiti alla costituzione e alla partecipazione in società per le amministrazioni pubbliche, introducendo il divieto di «costituire società aventi per oggetto attività di produzione di beni e di servizi non strettamente necessarie per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali» e di «assumere o mantenere direttamente partecipazioni, anche di minoranza, in tali società» e prevedendo, al tempo stesso, nel successivo comma 29, il predetto termine del 31 dicembre per la cessione delle partecipazioni vietate.
Per prima cosa la circolare si sofferma sull'esame della norma in questione preoccupandosi di definirne l'ambito di applicazione e illustrando le deroghe previste dalla stessa. ... (articolo ItaliaOggi del 03.12.2010 - link a www.ecostampa.com).

CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO VIMINALE/ Il municipio può sostituire il rappresentante in seno all'ente comunitario. Unioni, consiglieri in bilico. Giusto revocare chi lascia il gruppo in comune.
È corretta la condotta di un comune aderente a una Unione di comuni che ha revocato, e quindi sostituito, il consigliere nominato quale rappresentante del gruppo di maggioranza in seno al consiglio dell'Unione, a seguito del suo distacco dalla coalizione di maggioranza? Se tale ipotesi di revoca non è contemplata dalle norme statutarie, quale è la procedura più corretta per le convocazioni del prossimo consiglio comunitario?
Mentre il consigliere comunale esercita una funzione derivante da un mandato elettivo diretto, attributivo perciò di un ufficio da esercitare in piena libertà ed autonomia rispetto al corpo elettorale, nel caso del rappresentante comunale in seno ad un ente comunitario, designato con elezione indiretta o di secondo grado, esiste uno specifico rapporto tra maggioranza (o minoranza) ed eletto, il quale dovrebbe ritenersi espressione della parte consiliare che lo ha designato.
Nel caso di specie il comune, ritenendo evidentemente non più sussistente il rapporto di rappresentatività con il consigliere designato nell'ambito dell'Unione, ha provveduto alla sua revoca ed alla sostituzione.
In virtù delle decisioni adottate dal comune, pertanto, il nuovo consigliere designato assume la qualità di componente del Consiglio dell'unione, con i correlati diritti e doveri, ivi incluso il diritto alla convocazione.
Eventuali censure avverso le determinazioni del comune possono essere fatte valere attraverso gli ordinari rimedi giurisdizionali apprestati dall'ordinamento (articolo ItaliaOggi del 03.12.2010, pag. 42).

CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO VIMINALE/ Indennità e gettoni.
È tuttora vigente l'art. 1, comma 54, della legge 24.12.2005, n. 266 - con il quale è stato disposta la rideterminazione in riduzione, nella misura del dieci per cento rispetto all'ammontare risultante al 30.09.2005, delle indennità e dei gettoni di presenza spettanti agli amministratori degli enti locali - tenuto conto che, successivamente al parere espresso dal ministro dell'Economia nel 2009, che ha confermato l'operatività della disposizione normativa, la Corte dei conti ha ritenuto che tale norma non fosse più in vigore?

Con l'art. 1, comma 54, della legge finanziaria 2006 è stata introdotta una disposizione che di fatto ha prodotto un effetto di «sterilizzazione permanente» del sistema di determinazione delle indennità e dei gettoni di presenza. Tale sistema, che peraltro mal si conciliava, logicamente e normativamente, con le sopravvenute novelle agli artt. 82 e 83 del Tuoel apportate dall'art. 2, comma 25, della Finanziaria 2008, ha successivamente trovato una decisiva conferma negli artt. 61, comma 10, secondo periodo, e 76, comma 3, della legge 06.08.2008, n. 133, di conversione del decreto-legge 25.06.2008, n. 112. L'amministrazione finanziaria, intervenuta allo scopo di chiarire entro quale arco temporale trova applicazione la norma, ne ha confermato l'operatività.
In ogni caso il decreto legge 31.05.2010, n. 78, concernente misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica, dispone, all'art. 5, comma 7, che con decreto del ministro dell'interno, da adottarsi entro 120 giorni dalla data di entrata in vigore del decreto-legge medesimo vengano rideterminati in diminuzione, ai sensi dell'art. 82, comma 8, del Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali di cui al decreto legislativo 18.08.2000, n. 267, gli importi delle indennità degli amministratori locali già determinate ai sensi dello stesso articolo 82, comma 8 (articolo ItaliaOggi del 03.12.2010, pag. 42).

CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO VIMINALE/ Ineleggibilità.
Sussiste l'ipotesi di ineleggibilità nel caso di un consigliere comunale che ricopre le funzioni di direttore sanitario presso l'azienda ospedaliera locale costituita con legge regionale?

L'art. 60, al n. 8 del primo comma, del decreto legislativo 267/2000, stabilisce l'ineleggibilità alla carica di consigliere comunale dei direttori generali, dei direttori amministrativi e dei direttori sanitari di aziende sanitarie locali o ospedaliere nei collegi in cui sia compreso in tutto o in parte il territorio dell'azienda locale o ospedaliera (cfr. anche Corte app. Roma, sez. I, 09.02.2009). Nella fattispecie rilevano i diversi ambiti territoriali in cui, rispettivamente, opera l'azienda ospedaliera ove il consigliere esercita funzioni di direttore sanitario, e quello in cui lo stesso è stato eletto. L'ipotesi di ineleggibilità risulta, infatti, esclusa se non vi è coincidenza territoriale tra il territorio dell'azienda ospedaliera presso la quale il direttore sanitario esercita le proprie funzioni e il collegio elettorale presso cui ha presentato la propria candidatura (articolo ItaliaOggi del 03.12.2010, pag. 42).

PUBBLICO IMPIEGO: Le indicazioni della Civit nelle risposte ai quesiti degli enti. Porte aperte ai dipendenti. Segretari esclusi dalla valutazione. Fuori dall'Oiv per evitare possibili conflitti di interesse.
Non partecipazione del segretario all'Organismo indipendente di valutazione (Oiv), obbligo di comunicazione alla Civit della effettiva pubblicazione sul sito internet delle informazioni prescritte, obbligo di adozione delle carte dei servizi da parte di tutte le amministrazioni locali e possibilità che nell'Oiv siedano dipendenti dell'ente.

Sono questi i principali chiarimenti che la Commissione nazionale per la valutazione, l'integrità e la trasparenza delle pubbliche amministrazioni ha fornito in risposta ai quesiti posti. Tali risposte sono state raccolte, in forma sintetica, in un apposito documento che è disponibile sul sito internet all'indirizzo www.civit.it.
La Commissione ritiene che i segretari comunali e i direttori generali non debbano far parte dell'Oiv sulla base delle seguenti tre motivazioni: in primo luogo perché essi, in quanto vertici burocratici dell'ente possono essere valutati da tale organismo, il che determinerebbe un palese «conflitto di interessi». In secondo luogo perché la definizione della loro metodologia di valutazione deve essere proposta dall'Oiv. In terzo luogo perché si può dubitare della sua autonomia: «L'Oiv deve essere composto da membri che assicurino la totale indipendenza dall'organo di indirizzo politico amministrativo, il che risulterebbe compromesso qualora si ammettesse la partecipazione del segretario comunale alla formazione dell'Organismo».
Tali risposte sono state fornite dalla Civit a numerosi comuni, ma non risultano convincenti.
Quanto alla prima obiezione, si può stabilire che la valutazione del segretario/direttore generale sia effettuata direttamente dal sindaco o dal presidente della provincia. Ed ancora l'Oiv può non svolgere alcun ruolo nella definizione della proposta di metodologia di valutazione del segretario. I dubbi sulla sua indipendenza non hanno ragione di sussistere, in quanto i segretari sono chiamati a svolgere importanti ruoli di garanzia e in quanto è vero che la loro nomina è disposta dal sindaco, ma anche quella di tale organismo spetta alla competenza del vertice politico, cioè del sindaco o del presidente della provincia.
Parimenti non risultano convincenti le risposte sulla necessità che l'Oiv debba essere composto, come nello stato, da uno o tre componenti: siamo in presenza di una lesione assai rilevante alla autonomia delle singole amministrazioni. Ed ancora non si capisce esattamente cosa si voglia dire con l'espressione che gli enti locali non sono tenuti «a costituire gli Oiv nelle more dell'adeguamento dei propri ordinamenti»: non pare che vi siano spazi per rinviare oltre la fine dell'anno l'adeguamento dei regolamenti alle nuove prescrizioni dettate dalla legge cd Brunetta.
Sempre sull'Oiv, è stato chiarito, con riferimento ad amministrazioni statali, che possono farne parte anche dei dipendenti: siamo in presenza di una lettura che non risulta pienamente convincente. Pienamente condivisibile è lo stimolo alla costituzione in forma associata, in particolare per gli enti di più ridotte dimensioni. Le amministrazioni, nel deliberare i propri regolamenti, devono tenere conto delle indicazioni dettate dalla delibera n. 4/2010 della Commissione sui criteri di composizione dell'Oiv: siamo in presenza di norme di principio, che devono comunque ritenersi modificabili dai singoli enti. Ad esempio il vincolo della esclusività non è tassativo, in particolare per le amministrazioni di dimensioni più ridotte e lo stesso principio si deve applicare anche alla età. La Commissione sottolinea la necessità che comunque i componenti degli Oiv siano dotati di una elevata qualificazione professionale. Tranne che l'Organismo sia monocratico, la sua composizione può essere mista tra interni ed esterni.
Gli enti locali sono tenuti a darsi comunque le carte dei servizi; nelle more della adozione delle specifiche linee guida da parte del presidente del Consiglio dei ministri, essi applicano la normative vigente. Essi devono inoltre informare la Civit della effettiva pubblicazione sul proprio sito internet delle informazioni imposte dalla normativa in materia di valutazione delle performance (articolo ItaliaOggi del 03.12.2010, pag. 41).

PUBBLICO IMPIEGO: Dipendenti pubblici o avvocati.  La Corte di giustizia legittima l'esclusione dalla pubblica amministrazione dei liberi professionisti.
È legittima la normativa di uno stato membro dell'Unione europea che vieta ai dipendenti pubblici l'esercizio della professione di avvocato. Perché non va né contro il Trattato sulla libera concorrenza né contro la direttiva n. 98/5/Ce sull'esercizio della professione forense in uno Stato diverso rispetto a quello dove si è acquisita la qualifica.
Lo afferma la Corte di giustizia europea (sentenza C-225/09), che si è pronunciata sull'incompatibilità prevista dalla normativa italiana tra l'iscrizione all'albo e un impiego pubblico a tempo parziale, ribadita anche dalla riforma forense approvata in prima lettura al Senato. ... (articolo ItaliaOggi del 03.12.2010 - tratto da www.corteconti.it).

PUBBLICO IMPIEGO: Al via la valutazione del rischio-stress nel pubblico impiego.
Partirà con il nuovo anno, per l'esattezza dal 31 dicembre prossimo come stabilito con la manovra di giugno, l'attività di valutazione del rischio da stress lavoro correlato anche nei settori pubblici.
Modalità e metodologie sono contenute in una circolare, licenziata al termine di un anno di lavoro dall'apposito Comitato tecnico, che fornisce chiarimenti definitivi sulla scorta delle indicazioni della Commissione consultiva permanente per la salute e sicurezza sul lavoro — in merito all'interpretazione e all'applicazione del dlgs 81/2008 (Testo unico sulla sicurezza).
La normativa italiana in materia di stress lavoro correlato, riconducibile cioè al contesto, alle condizioni e alle relazioni di lavoro piuttosto che a fattori personali, relazionali o socio-demografici, si fonda sull'accordo europeo del 2004, recepito con l'accordo interconfederale del giugno 2008. In particolare, l'art. 28 del T.u. dispone che la valutazione dei rischi debba riguardare «tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori», tra cui appunto quelli collegati allo stress. Questa rientra perciò tra gli obblighi che il datore di lavoro è tenuto ad assolvere direttamente senza possibilità di delega, avvalendosi del Responsabile di prevenzione e protezione, del medico competente ove previsto, e previa consultazione del Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza. ... (articolo ItaliaOggi del 03.12.2010 - tratto da www.corteconti.it).

PUBBLICO IMPIEGODipendenti p.a., il Collegato riduce la privacy.
Privacy ridotta peri dipendenti pubblici. Il Collegato lavoro (legge 183/2010) garantisce la trasparenza delle informazioni concernenti lo svolgimento delle prestazioni di chi è addetto a una funzione pubblica (nome del dipendente, orario di svolgimento, mansioni, assenza dal servizio, straordinari ecc.). Trasparenza piena anche per le valutazioni dei dipendenti. Anche i colleghi o i sindacati, quindi, potranno conoscere i dati relativi al pubblico impiego.
Il Collegato inserisce un comma all'articolo 19 del codice della privacy (dlgs 196/2003). Questa disposizione si occupa delle modalità di trattamento da parte delle pubbliche amministrazione dei dati diversi da quelli sensibili. In particolare per i trattamenti diversi da comunicazione e diffusione all'esterno le amministrazioni sono autorizzate a trattare i dati diversi da quelli sensibili per realizzare gli scopi istituzionali. ... (articolo ItaliaOggi del 02.12.2010 - tratto da www.corteconti.it).

APPALTI«Sì» della Corte dei conti al regolamento appalti. La Corte dei conti approva il regolamento sul codice degli appalti. Provvedimento atteso da tre anni.
La Corte dei conti ha dato ieri l'ultimo via libera al regolamento del Codice degli appalti. Si chiude il lungo iter di questo provvedimento, atteso da tre anni e rimasto incagliato proprio alla Corte dei conti nella sua prima versione firmata dall'allora ministro delle Infrastrutture, Antonio Di Pietro.
Uno scenario che per un momento si è temuto si ripetesse anche con la versione rivista dal ministro Altero Matteoli: la sezione della Corte dei conti distaccata alle Infrastrutture aveva licenziato il regolamento per le sezioni riunite con corpose osservazioni. Che ieri però, dopo l'intervento dei tecnici di Matteoli, sono state in gran parte superate.
A questo punto manca soltanto la pubblicazione in Gazzetta (attesa fra qualche settimana), e una lunga vacatio di 180 giorni per avere tutta la normativa sugli appalti racchiusa in un testo unico, anche se con più di 700 articoli.
Ma sul punto che ha tenuto bloccato il regolamento per mesi (il conflitto tra imprese generali civili e imprese specialistiche per l'accesso al mercato) la Corte dei conti ieri non ha messo la parola fine. ... (articolo Il Sole 24 Ore del 30.11.2010 - tratto da www.corteconti.it).

APPALTIAppalti, ecco la riforma.
Al via il pei forformance bond oltre i Z5 milioni di euro, le norme sulla validazione dei progetti, i limiti ai ribassi nelle gare di progettazione.

Al via il performance bond nei lavori oltre 75 milioni, le norme sulla validazione dei progetti, i limiti ai ribassi nelle gare di progettazione, i nuovi requisiti di qualificazione delle imprese; bloccata e inattuata la disciplina sulle opere superspecialistiche.
È questo l'effetto della registrazione, avvenuta ieri da parte della Corte dei conti a sezioni riunite, dello schema di regolamento del codice dei contratti pubblici che adesso andrà in Gazzetta Ufficiale per la pubblicazione (a norma di legge deve avvenire entro un mese dall'invio del testo) ... (articolo ItaliaOggi del 30.11.2010 - tratto da www.corteconti.it).

PUBBLICO IMPIEGOGli organismi di valutazione sempre formati con esterni. Chi dà i voti. Il Dlgs 150/2009 fissa solo alcuni requisiti di carattere generale.
I componenti degli Organismi indipendenti di valutazione devono essere pochi, pienamente autonomi da partiti e sindacati e avere una elevata qualificazione.
Questi i requisiti imposti dal Dlgs 150/2009 per individuare i perni della riforma Brunetta che prendono il posto degli attuali nuclei di valutazione.
Il nuovo organismo ha ricevuto una serie di compiti di grande rilevanza e responsabilità. Negli enti locali devono però essere definiti dal regolaménto di organizzazione: non sono direttamente applicabili ai comuni, alle province e alle regioni le norme di dettaglio sul loro funzionamento. ... (articolo Il Sole 24 Ore del 29.11.2010 - tratto da www.corteconti.it).

APPALTIAppalti pubblici, corsa ai ritocchi. Le imprese dovranno integrare i contratti. Pena la nullità.
Le stazioni appaltanti è opportuno che adeguino i contratti di appalto, i subappalti e i subcontratti in essere (stipulati prima del 07.09.2010) con l'inserimento della clausola di tracciabilità; prevista la nullità dei contratti non adeguati entro il 07.03.2011; l'applicazione degli obblighi di tracciabilità riguarda anche professionisti e studi professionali; la tracciabilità vale per tutti i subappalti e i subcontratti necessari all'esecuzione dell'appalto a prescindere dal grado di affidamento o sub affidamento.

Sono questi alcuni dei suggerimenti e delle indicazioni, già operative e applicabili, fornite dall'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici con la determinazione n. 8 del 18.11.2010 sulle disposizioni in materia di tracciabilità dei flussi finanziari (legge 136/2010 come modificata e integrata dal decreto legge n. 187 sulla sicurezza del 12.11.2010).
I contratti da tracciare. Uno dei punti più delicati della normativa è quello dell'individuazione dei contratti da tracciare. Gli articoli 3 e 6 della legge 136/2010 prescrivono l'obbligo di effettuare pagamenti su conti dedicati, tramite bonifico bancario o postale, con riguardo a soggetti quali «gli appaltatori, i subappaltatori e i subcontraenti della filiera delle imprese, nonché i concessionari di finanziamenti pubblici anche europei a qualsiasi titolo interessati ai lavori, ai servizi e alle forniture pubblici».
La determina elenca le figure contrattuali ... (articolo ItaliaOggi del 29.11.2010 - tratto da www.corteconti.it).

CORTE DEI CONTI

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOIl divieto di assunzione per gli enti che non rispettano il patto di stabilità si estende anche ai casi di mobilità in entrata.
È questa la conclusione delle sezioni riunite della Corte dei conti in sede di controllo contenute nella deliberazione 11.11.2010 n. 53.
Negli ultimi anni la mobilità è stata al centro di diverse analisi a seconda della dimensione demografica degli enti locali. Da una parte si trovano gli enti non assoggettati a patto di stabilità che hanno avuto interpretazioni differenti da parte delle sezioni regionali di controllo sul considerare o meno la mobilità tra le cessazioni al fine di poter assumere dall'esterno.
Il problema non si pone però per gli enti sopra i 5mila abitanti; questi ultimi applicano infatti il comma della Finanziaria 2007 che non prevede delle limitazioni alle assunzioni, ma solo l'obbligo di contenere la spesa di personale entro il risultato raggiunto nell'anno precedente. Pertanto la questione su come considerare la mobilità, assunzione e cessazione, potrebbe costituire un falso problema. A meno che l'ente non abbia rispettato il patto di stabilità.
In questo caso infatti scatta la sanzione prevista all'articolo 76, comma 4, del Dl 112/2008 ... (articolo Il Sole 24 Ore del 29.11.2010 - tratto da www.corteconti.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Assunzioni più facili nei mini-enti. Va considerato il cumulo delle cessazioni degli anni precedenti.
Le cessazioni di personale che consentono agli enti locali non soggetti al patto di effettuare assunzioni non sono esclusivamente quelle dell'anno precedente, ma il cumulo di quelle avvenute nel corso degli anni. Di conseguenza, gli enti con popolazione inferiore ai 5.000 abitanti possono cumulare le cessazioni di personale per effettuare le assunzioni nel rispetto dei limiti posti dall'articolo 1, comma 562, della legge 296/2006.
La Corte dei conti, Sezz, riunite di controllo, ha chiarito in modo finalmente univoco la questione, con una serie ravvicinata di pareri, ultimo dei quali quello espresso con la deliberazione 11.11.2010, n. 52.
Le sezioni riunite hanno deciso che «il significato da attribuire all'espressione «nel precedente anno» contenuta nell'art. 1, comma 562, della legge 27.12.2006, n. 296 (finanziaria per il 2007), come modificato dall'art. 3, comma 121, della legge 24.12.2007, n. 244 (finanziaria per il 2008), possa riferirsi a cessazioni intervenute successivamente all'entrata in vigore della norma, anche in precedenti esercizi, rifluenti nell'anno precedente a quello nel quale si intende effettuare l'assunzione».
Il parere delle sezioni riunite segue di pochi giorni quello espresso già alla sezione regionale di controllo della Calabria, parere 05.10.2010, n. 511 e risponde positivamente all'impulso della sezione delle Marche, la quale aveva rimesso la questione alle sezioni riunite, con la deliberazione 21.07.2010, n. 551, poiché vi sono state nel passato visioni contrastanti tra diverse sezioni regionali e la sezione autonomie.
La questione interpretativa sorge dal testo dell'articolo 1, comma 562, della legge 296/2006 ai sensi del quale gli enti con popolazione inferiore ai 5.000 abitanti «possono procedere all'assunzione di personale nel limite delle cessazioni di rapporti di lavoro a tempo indeterminato complessivamente intervenute nel precedente anno».
Una prima tesi, restrittiva, ritiene che la norma debba essere interpretata in senso strettamente letterale: dunque, gli enti possono assumere solo ed esclusivamente per sostituire i dipendenti cessati l'anno prima. Pertanto ... (articolo ItaliaOggi del 03.12.2010 - tratto da www.corteconti.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOCostituisce illecito e danno erariale risarcibile la monetizzazione dei buoni pasto a favore dei dipendenti degli enti locali.
La Procura regionale, con atto depositato il 22.01.2010, ha evocato in giudizio, dinanzi questa Corte, i sigg. ... poiché, quali assessori pro-tempore del Comune di Posta Fibreno (FR) avrebbero causato alle casse dell’Ente un danno ingiusto pari ad €. 12.625,26, relativo all’indebito pagamento del corrispettivo di buoni pasto non erogati al personale del suddetto Comune nel periodo 01.01.2001-30.06.2006.
...
In primo luogo la norma posta a fondamento della tesi accusatoria (art. 45 del CCNL del 14.09.2000 per il personale degli Enti Locali) prevede che “comma 1. Gli enti, in relazione al proprio assetto organizzativo e compatibilmente con le risorse disponibili, possono istituire mense di servizio o, in alternativa, secondo le modalità indicate nell'art. 46, attribuire al personale buoni pasto sostitutivi, previo confronto con le organizzazioni sindacali…..comma 6. In ogni caso è esclusa ogni forma di monetizzazione indennizzante.”.
La norma non sembra porre, obiettivamente, problemi di interpretazione, ponendo un divieto assoluto (e chiaro) alla monetizzazione dei buoni pasto (sia essa ex ante sia ex post) ed altrettanto chiara è la ratio che la giustifica, ovvero quella di evitare forme surrettizie di elargizioni economiche a scapito di un’esigenza effettiva, quella dei lavoratori che prestano un orario di servizio particolarmente esteso –sotto il profilo temporale– a fruire comunque di un pasto.
Altrettanto indiscutibile è, allora, che la violazione della norma è stata perpetrata da coloro che, come i convenuti, hanno autorizzato la liquidazione, in valuta, del pari valore di ogni buono pasto (moltiplicato per il numero di quelli non fruiti) ai lavoratori beneficiari.
L’accusa sostiene che una simile azione concretizzi una tipica ipotesi di danno erariale, discendente dal fatto materiale dell’esborso di denaro pubblico, malgrado un apposito divieto posto dalla normativa contrattuale, nonché dalla colpa grave che avrebbe contraddistinto l’agire degli amministratori.
Ad avviso del Collegio non è da porsi in dubbio che vi sia stato un esborso di somme a carico del bilancio comunale, imputabile alla volontà degli amministratori convenuti di “retribuire” taluni dipendenti della mancata percezione, dal 2001 al 30 giugno 2006, di un certo numero di buoni pasto (variabile a seconda dell’orario di lavoro da ciascuno effettivamente prestato).
Non vi è neanche dubbio che una simile decisione sia in contrasto con il chiaro (e, ad avviso del Collegio, non altrimenti interpretabile) disposto dell’art. 45, comma 6, del CCNL del 14.09.2000.
Vi è, allora, da valutare correttamente se sussista il richiesto elemento soggettivo.
La difesa dei ricorrenti ha posto all’attenzione di questo Collegio alcune circostanze ed elementi, in ipotesi atti ad elidere la ritenuta volontà dei convenuti di violare la norma che, però, non possono essere apprezzati, nella loro complessiva entità, come fattori discriminanti della contestata responsabilità.
Il Collegio è consapevole che ogni fattispecie regolamentatrice della vita quotidiana vada, in concreto, calata nella realtà effettuale, ma un’obiettiva difficoltà di applicazione non può essere ritenuta fattore di sostanziale elusione della stessa.
Così le dimensioni del Comune, la scarsità di personale qualificato, tale da imporre agli assessori compiti di diretta conduzione degli uffici, la loro insufficiente preparazione in materia giuscontabile, la mancanza di idonee strutture ricettive nei pressi della sede del Municipio, sono dati di conoscenza che appaiono utili ad una valutazione della complessiva fattispecie ma non certamente sufficienti a rendere legittimo quello che legittimo (e lecito) non è.
La condotta asseritamente lesiva addebitata dal requirente deve essere allora scrutinata nella sua oggettiva rilevanza, nonché indagata se posta in essere con il richiesto elemento soggettivo, rimanendo le circostanze appena sopra confinate in un contesto accessorio.
Poiché la valutazione del Collegio deve essere effettuata ex ante, per meglio apprezzare il comportamento tenuto e le sue ragioni giustificatrici, deve dirsi che la situazione presentatasi agli odierni convenuti era quella di un radicato inadempimento da parte del Comune che, nei sei anni precedenti –ovvero dall’entrata in vigore del CCNL del 14.09.2000, non aveva provveduto a erogare ai dipendenti legittimati i previsti buoni pasto.
Agli stessi amministratori era stata prospettata la realistica eventualità di un ricorso all’Autorità Giudiziaria ordinaria al fine di ottenere la riparazione di un diritto patrimoniale sicuramente leso; l’esito di quel giudizio appare (e appariva fin da allora) scontato.
Essi si sono così trovati di fronte ad un vero e proprio nodo gordiano, rappresentato sia dal prospettato giudizio dall’esito scontato (e con un esborso sicuramente superiore per gli oneri accessori ad esso relativi) sia dal divieto posto dalla norma contrattuale.
La decisione da assumere risultava in ogni caso problematica e gli amministratori hanno deciso di accedere alle richieste dei lavoratori ritenendo, forse, che il divieto di monetizzazione riguardasse un impedimento strutturale, ossia di liquidazione economica sistematica e non episodica, quale quella rappresentata dal ristoro di un danno derivante dall’omessa prestazione da parte degli organi comunali.
Peraltro, dagli atti versati si rileva che agli stessi è stato liquidato un importo, del singolo buono pasto, pari al costo ordinariamente previsto dagli Enti locali (€ 5,16).
In merito è avviso del Collegio che, innegabilmente, si era formata a carico del Comune di Posta Fibreno, anche ad opera di soggetti non convenuti in giudizio, un’obbligazione patrimoniale di natura risarcitoria non adempiuta che, ove portata alla cognizione del Giudice Ordinario, avrebbe condotto alla condanna del Comune a pagare sia gli importi già liquidati che anche altre spese per la difesa e per il giudizio.
Gli amministratori locali, allora, hanno operato nel modo censurato dalla Procura, ritenendo possibile (e vantaggioso) accedere ad una soluzione transattiva.
Ora, a ben vedere, a fianco di un’indiscutibile violazione della norma, deve registrarsi che il Comune ha sostenuto l’esborso minimo possibile –a parte quanto si preciserà oltre-, esborso al quale era comunque tenuto in base all’obbligazione inadempiuta.
Il danno erariale, per sua stessa definizione, consiste nell’ingiustificata lesione alle finanze pubbliche, causata da un comportamento che –quantomeno– dimostri un radicale ed inaccettabile scostamento dalle regole di buona amministrazione.
Nel caso di specie, tenuto conto che i lavoratori avevano maturato il diritto a ricevere la prestazione patrimoniale rappresentata dalla consegna dei buoni pasto, non pare esservi dubbio che non vi sia stata alcuna complessiva ed ingiustificata lesione delle finanze comunali (salvo quanto appresso), fermo restando l’illegittimità del mezzo usato.
Né il Collegio ritiene di poter ravvisare, nel comportamento degli Amministratori, l’elemento soggettivo richiesto dalla normativa riguardante la responsabilità dei funzionari pubblici, salvo quanto ora si dirà.
Quanto detto vale, infatti, come considerazione generale e richiede, tuttavia, che alcuni aspetti della vicenda vadano ulteriormente scrutinati.
In primo luogo ai lavoratori richiedenti sono stati “liquidati” -a dicembre 2006- i buoni pasto relativi a prestazioni di lavoro del periodo 01.01.2001 – 30.06.2006.
La liquidazione operata si prospetta però immotivatamente “generosa” poiché gli stessi amministratori avrebbero dovuto opporre l’intervenuta prescrizione delle somme relative ai buoni non erogati nel periodo 01.01.2001 – 31.12.2001, stante il fatto che, trattandosi di prestazione accessoria al trattamento economico, sconta il termine prescrizionale quinquennale previsto dall’art. 2948 c.c..
Non risulta in atti, infatti, alcun efficace atto interruttivo della dedotta prescrizione.
Risulta, invece, che il Comune ha interamente corrisposto ai lavoratori la somma integralmente prevista per ogni buono-pasto (ovvero €. 5,16), senza tener conto che, ai sensi del comma 3 del richiamato art. 45 del CCNL del 14.09.2000, ai lavoratori spettava corrispondere all’Amministrazione un terzo del corrispettivo.
E’ ovvio che tale parte della complessiva liquidazione rappresenta un’indebita risorsa sottratta alle casse comunali.
Sia la norma generale sulla prescrizione che quella contrattuale appena richiamata non possono ritenersi accomunate alla stessa logica di possibile, controversa interpretazione sopra descritta per cui, in parte qua, deve affermarsi la sussistenza di un danno erariale, per colpa grave, ascrivibile agli stessi convenuti, in relazione ad un danno che, in mancanza di esatta determinazione, deve quantificarsi in via equitativa.
In conclusione, in accoglimento parziale della domanda attrice, respinta ogni altra eccezione o deduzione, deve affermarsi la responsabilità amministrativa dei convenuti ... in ordine alla liquidazione di somme prescritte e alla mancata decurtazione di un terzo del valore di ogni buono pasto corrisposto.
I convenuti vanno pertanto condannati a risarcire il Comune di Posta Fibreno della somma di €. 1.300,00 (euro milletrecento/00) cadauno, da considerarsi già rivalutata alla data del deposito della presente decisione, dalla quale decorreranno interessi legali sino al giorno di effettivo soddisfo
(Corte dei Conti, Sez. giurisdiz. Lazio, sentenza 10.11.2010 n. 2147 - link a www.corteconti.it).

PUBBLICO IMPIEGO: Contrattualizzazione del rapporto - Onnicomprensività del trattamento economico - Riferibilità ai dipendenti delle Regioni.
Gli artt. 2, comma 3, e 45, comma 1, del Dlgs. n. 165 del 30.03.2001, che “cristallizzano” il principio della c.d. contrattualizzazione del rapporto di impiego pubblico e della onnicomprensività del relativo trattamento economico, si applicano anche ai dipendenti regionali.
Trattamento economico accessorio - Fonti legittimanti l’attribuzione - Deliberazioni di Giunta regionale - Illegittimità delle stesse.
È illegittima l’erogazione di trattamenti accessori in assenza di una fonte contrattuale legittimante la stessa e fondata non su prescrizioni legislative regionali, bensì su atti amministrativi generali interni, quali le deliberazioni di Giunta regionale.
L’attribuzione di trattamenti economici, infatti, può avvenire esclusivamente mediante contratti collettivi che sono anche l’unica fonte legittimata a definire il trattamento economico fondamentale ed accessorio del personale dipendente. Trattamento accessorio che potrà essere erogato solo se collegato ad una performance che dovrà essere oggetto di specifica valutazione o all’effettivo svolgimento di attività particolarmente disagiate, pericolose o dannose per la salute.  
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Trattamento accessorio: se indebito paga il dirigente.
Anche ai dipendenti delle regioni si applicano i principi della contrattualizzazione del rapporto di pubblico impiego e di onnicomprensività della retribuzione, previsti dagli artt. 2, comma 3, e 45, comma 1, del Dlgs. 30.03.2001, n. 165. I dirigenti, inoltre, sono responsabili, ai sensi dell’art. 45, comma 4, della stessa norma, dell’attribuzione dei trattamenti economici accessori.
L’affidamento psicologico indotto dall’espressione di pareri favorevoli nel corso dell’istruttoria, tenuto conto delle sequenze procedimentali, esclude, infine, la responsabilità dell’organo politico deliberante.

Queste, in sintesi, le indicazioni che emergono dalla sentenza 23.09.2010 n. 568, emessa dalla Corte dei conti, Sez. giurisdizionale per la Puglia, con la quale due dirigenti del settore Turismo della Regione sono stati condannati al pagamento di 71.925 euro (35.962,50 euro a testa), contro una richiesta della Procura di 101.890 euro, in relazione ad una fattispecie di danno erariale consistente nell’aver indebitamente erogato compensi, in violazione del principio della onnicomprensività del trattamento retributivo dei pubblici dipendenti, a funzionari regionali per la loro partecipazione ad una commissione giudicatrice deputata a valutare iniziative turistiche per beneficiare di finanziamenti regionali.
La sentenza del giudice contabile pugliese.
Nell’elaborazione della sentenza in commento, il Collegio parte dalla considerazione che l’attuale assetto costituzionale riconosce una potestà legislativa regionale residuale in materia di ordinamento e organizzazione dei propri uffici e del relativo personale.
In base a tale “cornice” costituzionale, entro la quale devono, poi, delinearsi le competenze legislative degli enti territoriali, risulta evidente l’illegittimità di un’erogazione di trattamenti accessori in assenza di una fonte contrattuale che la legittimi e basata, addirittura, non su prescrizioni legislative regionali, bensì su atti amministrativi generali interni, quali le deliberazioni di Giunta regionale.
Il complesso normativo riferibile al rapporto di pubblico impiego è, infatti, costituito, sia dalle disposizioni del capo I del Titolo II del Libro V del codice civile e dalle leggi sul rapporto di lavoro subordinato nell’impresa, sia dalle norme, definite espressamente dal legislatore di carattere imperativo, contenute nel Dlgs. n. 165/2001.
Ciò è quanto ribadito dalla Corte in relazione alla tesi sostenuta dalla difesa secondo la quale i citati principi della contrattualizzazione del pubblico impiego e dell’onnicomprensività della retribuzione previsti dal Dlgs. n. 165/2001 non troverebbero diretta applicazione ai dipendenti regionali.
Il Collegio sottolinea invece la regola per cui l’attribuzione di trattamenti economici può avvenire esclusivamente mediante contratti collettivi che sono, tra l’altro, anche l’unica fonte legittimata a definire il trattamento economico fondamentale ed accessorio del personale dipendente. Trattamento accessorio che, per completezza, si ricorda, potrà essere erogato solo se collegato ad una performance che dovrà essere oggetto di specifica valutazione o all’effettivo svolgimento di attività particolarmente disagiate, pericolose o dannose per la salute.
Nell’ambito di questo quadro di riferimento, inoltre, non riveste alcun rilievo il fatto che il dirigente abbia sottoposto all’approvazione dell’organo politico atti di propria competenza, al fine di non incorrere in responsabilità amministrativa; ciò, anche se il principio di distinzione tra l’attività di indirizzo e di controllo dell’organo politico e l’attività di gestione, propria dell’apparato burocratico non sia stato compiutamente attuato, come spesso succede nella realtà operativa degli enti pubblici, in modo rigoroso.
Infatti, quando la decisione dell’organo politico è condizionata in modo evidente da pareri, attestazioni o altri adempimenti istruttori dell’ufficio tecnico o amministrativo preposto in quanto presuppone conoscenze specialistiche, è evidente l’esonero da responsabilità della decisione solo formalmente assunta dall’organo deliberante.
Terza carta giocata dalla difesa, con l’obiettivo di ripartire il danno su più teste, è stato il coinvolgimento, oltre che dell’organo politico, anche del dirigente del settore finanziario e del settore personale. Ciò in relazione al parere favorevole di regolarità contabile apposto dal primo sull’atto e dalla liquidazione dei compensi nel cedolino, disposta dal secondo.
Ma, anche su tale aspetto, il Collegio ha smontato tale prospettazione. La generale autonomia decisionale di ciascun dirigente e la sua specifica responsabilità in ordine alla corretta attribuzione dei trattamenti economici accessori di cui al citato art. 45, comma 4, del Dlgs. n. 165/2001, “[…] conducono all’impossibilità di configurare un affidamento dello stesso in ordine alla legittimità del proprio agire fondata sull’espressione di un ulteriore atto endoprocedimentale che, nella fattispecie, manifesta esclusivamente un giudizio in ordine al rispetto delle norme vigenti in materia di contabilità e di regolarità delle procedure di spesa previste. Le stesse motivazioni escludono una rilevanza causale di successivi comportamenti esecutivi, quali la liquidazione dei compensi ai componenti la commissione da parte del settore personale nei cedolini della busta paga”.
Accolta, invece, la richiesta della difesa di quantificare il danno erariale al netto delle imposte, togliendo, dunque, l’Irap versata dalla Regione (massima e commento tratti da www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com).

GIURISPRUDENZA

CONSIGLIERI COMUNALI: Procedimento amministrativo - Accesso - Consiglieri comunali - Art. 43, c. 2, d.lgs. n. 267/2000 - Ratio ed estensione - Differenza rispetto al diritto di accesso ex artt. 10 del d.l.vo n. 267/2000 e 22 e ss. L. n. 241/1990 - Onere di motivare la richiesta di accesso - Esclusione - Consiglieri di minoranza.
Ai sensi dell’art. 43, c. 2, del d.lgs. n. 267/2000, i consiglieri comunali hanno un non condizionato diritto di accesso a tutti gli atti che possano essere d’utilità all'espletamento del loro mandato, ciò anche al fine di permettere di valutare -con piena cognizione- la correttezza e l'efficacia dell'operato dell'Amministrazione, nonché per esprimere un voto consapevole sulle questioni di competenza del Consiglio, e per promuovere le iniziative che spettano ai singoli rappresentanti del corpo elettorale locale.
Il diritto di accesso loro riconosciuto ha infatti una ratio diversa da quella che contraddistingue il diritto di accesso ai documenti amministrativi ex articolo 10 del d.l.vo 18.08.2000, n. 267 ovvero ex art. 22 e ss. della legge 07.08.1990, n. 241: infatti, mentre in linea generale il diritto di accesso è finalizzato a permettere ai singoli soggetti di conoscere atti e documenti per la tutela delle proprie posizioni soggettive eventualmente lese, quello riconosciuto ai consiglieri comunali è strettamente funzionale all'esercizio del proprio mandato (Cons. Stato, n. 4855/2006) ai fini della tutela degli interessi pubblici e si configura come peculiare espressione del principio democratico dell'autonomia locale e della rappresentanza esponenziale della collettività (Cons. Stato, n. 976/1994).
Di conseguenza sul consigliere comunale non può gravare alcun particolare onere di motivare le proprie richieste di accesso, atteso che diversamente opinando sarebbe introdotta una sorta di controllo dell’ente, attraverso i propri uffici, sull’esercizio del mandato del consigliere comunale; dal termine "utili", contenuto nell’articolo 43 del d.l.vo 18.08.2000, n. 267, non può conseguire alcuna limitazione al diritto di accesso dei consiglieri comunali, detto aggettivo garantendo in realtà l’estensione di tale diritto di accesso a qualsiasi atto ravvisato utile per l’esercizio del mandato.
Tali conclusioni vieppiù si appalesano stringenti ove ad azionare l’istituto siano consiglieri di minoranza, cui i principi fondanti delle democrazie e la legge (cfr., ad esempio, l’art. 44 del medesimo Testo unico sugli Enti locali) attribuiscono compiti di controllo dell’operato della maggioranza e, quindi, dell’esecutivo, qui inteso nella sua più larga accezione di apparato politico ed apparato amministrativo, se pur, si intende, da esplicarsi nel rispetto della legge, ovvero senza indebite incursioni in ambiti riservati all’apparato amministrativo dalla legge stessa e senza porre in essere atti e/o comportamenti qualificabili come abuso del diritto.
Procedimento amministrativo - Accesso - Consiglieri comunali - Natura riservata degli atti cui è richiesto l’accesso - Limitazione all’accesso - Esclusione - Utilizzi impropri delle informazioni ottenute - Illecito penale.
Il diritto del consigliere comunale ad ottenere dall'ente tutte le informazioni utili all'espletamento del mandato non incontra neppure alcuna limitazione derivante dalla loro eventuale natura riservata, in quanto il consigliere è vincolato al segreto d'ufficio (Cons. Stato, sez. V, 04.05.2004, n. 2716). Esclusa, quindi, la possibilità di diniego in ragione della natura dei dati, l’accesso dovrà essere negato solo ove sia la legge a precluderlo expressis verbis.
Ciò nella precisazione che utilizzi impropri, ovvero per finalità estranee a quelle per le quali si è potuto accedere ai dati riservati, manipolazioni et similia costituiscono illecito penale ex art. 167 del d.l.vo 30.06.2003, n. 196, ed ai sensi delle diverse previsioni inserite direttamente nel codice penale per sanzionare i c.d. computer's crimes dalla l. 23.12.1993, n. 547 recante “Modificazioni ed integrazioni alle norme del codice penale e del codice di procedura penale in tema di criminalità informatica”.
RIFIUTI - Ruoli TARSU/TIA - Sottrazione all’accesso - Inconfigurabilità - Natura di dati sensibili - Esclusione.
I ruoli Tarsu/Tia ed Ici non rientrano fra i documenti sottratti all’accesso dall’art. 24 della legge sul procedimento, non costituendo essi documentazione interna ai singoli procedimenti tributari (attività di accertamento) “per i quali restano ferme le particolari norme che li regolano” (lettera b dell’art. 24).
Né è a dirsi che costituiscano dati sensibili, ancorché anche tale qualificazione non ne precluderebbe di per sé, sempre e comunque, l’accesso.
Procedimento amministrativo - Accesso - Rilascio di documenti su supporto informatico a consiglieri comunali - Legittimità.
In presenza di dati non sensibili e, in una, dell’obbligo di riservatezza che astringe i consiglieri comunali, non vi sono preclusioni al rilascio dei documenti (nella specie: ruoli TARSU/TIA e ICI) su supporto magnetico, a mezzo di modalità atte ad offrire adeguate garanzie di un loro corretto utilizzo, sempre che, tuttavia, essi consiglieri -nel rispetto delle regole che presiedono l’istituto dell’accesso- forniscano adeguata giustificazione delle ragioni a sostegno dell’interesse tutelabile anche in ordine alla modalità prescelta: se supporto informatico o cartaceo (TAR Campania-Napoli, Sez. VI, sentenza 02.12.2010 n. 26573 - link a www.ambientediritto.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: RIFIUTI - Potere di ordinanza ex art. 13 d.lgs. n. 22/1997 - Contingibilità - Prerequisito imprescindibile.
La contingibilità, ossia l’eccezionalità della situazione di fatto generatasi e la correlativa eccezionale urgenza a provvedere, costituisce prerequisito imprescindibile per l’esercizio sia del potere specifico di ordinanza contemplato all’art. 13 del Decreto Ronchi, sia del generico e residuale potere di ordinanza di cui all’art. 38 dell’abrogata L. n. 142/1990 (nella specie, il TAR ha ritenuto non potersi riconoscere nessuna contingibilità a fronte di un abbandono di rifiuti risalente nel tempo).
RIFIUTI - Rimozione di rifiuti - Onere reale a carico del proprietario - Insussistenza - Accertamento del dolo o della colpa - Necessità.
A differenza di quanto previsto per la bonifica dei siti inquinati, per la rimozione dei rifiuti non è stato previsto dal legislatore alcun onere reale a carico del proprietario, che possa giustificare l’emanazione dell’ordinanza anche nei suoi confronti.
Sussiste, quindi, la necessità dell’accertamento del dolo o della colpa del proprietario (Consiglio di Stato, sez. V, 16.07.2010, n. 4614) (TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 02.12.2010 n. 4376 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTI: Anomalia dell’offerta - Giudizio di congruità - Motivazione per relationem alle giustificazioni presentate dall’offerente - Legittimità.
Il giudizio di non anomalia, ovvero di congruità dell’offerta non richiede, di regola, una motivazione puntuale ed analitica, poiché le giustificazioni presentate dall’offerente possono costituire per relationem la motivazione del provvedimento.
Si impone invece una valutazione particolarmente diffusa ed analitica nel caso di giudizio di anomalia, che porta a non procedere all’aggiudicazione (TAR Piemonte, Sez. I, 01.11.2008, n. 2858; Consiglio di Stato, Sez. VI, 03.11.2010, n. 7759; in terminis anche Consiglio di Stato, Sez. V, 22.2.2010, n. 1029) (TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 02.12.2010 n. 4370 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTI: Informativa antimafia - Comunicazione di avvio del procedimento - Necessità - Esclusione.
Non è richiesto il previo intervento della comunicazione di avvio del procedimento in occasione dell’emissione dell’informativa interdittiva e dei conseguenti provvedimenti incidenti sul rapporto concessorio e/o contrattuale, poiché si tratta di procedimenti in materia di tutela antimafia, come tali caratterizzati intrinsecamente da riservatezza ed urgenza (cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, 29.02.2008 n. 756; Consiglio di Stato, Sez. V, 12.06.2007 n. 3126 e 28.02.2006 n. 851).
Informativa antimafia - Artt. 4 del d.lgs. n. 490/1994 e 10 d.PP.R. n. 252/1998 - Elementi caratterizzanti - Sufficienza del tentativo di infiltrazione - Ampia discrezionalità di apprezzamento.
I tratti caratterizzanti l’istituto dell’informativa prefettizia, di cui agli artt. 4 del d.lgs. n. 490/1994 e 10 del d.P.R. n. 252/1998, ruotano intorno ai seguenti concetti:
- si tratta di una tipica misura cautelare di polizia, preventiva e interdittiva, che si aggiunge alle misure di prevenzione antimafia di natura giurisdizionale e che prescinde dall’accertamento in sede penale di uno o più reati connessi all’associazione di tipo mafioso; non occorre né la prova di fatti di reato, né la prova dell’effettiva infiltrazione mafiosa nell’impresa, né la prova del reale condizionamento delle scelte dell’impresa da parte di associazioni o soggetti mafiosi;
- è sufficiente il “tentativo di infiltrazione” avente lo scopo di condizionare le scelte dell’impresa, anche se tale scopo non si è in concreto realizzato (cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV, 30.05.2005 n. 2796 e 13.10.2003 n. 6187);
- tale scelta è coerente con le caratteristiche fattuali e sociologiche del fenomeno mafioso, che non necessariamente si concreta in fatti univocamente illeciti, potendo fermarsi alla soglia dell’intimidazione, dell’influenza e del condizionamento latente di attività economiche formalmente lecite;
- la formulazione generica, più sociologica che giuridica, del tentativo di infiltrazione mafiosa rilevante ai fini del diritto comporta l’attribuzione al Prefetto di un ampio margine di accertamento e di apprezzamento;
- l’ampia discrezionalità di apprezzamento riservata al Prefetto genera, di conseguenza, che la valutazione prefettizia è sindacabile in sede giurisdizionale solo in caso di manifesti vizi di eccesso di potere per illogicità, irragionevolezza e travisamento dei fatti (cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, 17.05.2006 n. 2867 e n. 1979/2003).
Informativa antimafia - Valutazioni discrezionali non ancorate a presupposti tipizzati - Parametri non determinati normativamente - Necessità di idonei e specifici elementi di fatto rivelatori di concrete connessioni o collegamenti con la criminalità organizzata.
Poiché le informative antimafia di cui all’art. 10, comma 7, lettera c), del d.P.R. n. 252/1998 sono fondate su valutazioni discrezionali non ancorate a presupposti tipizzati, i tentativi di infiltrazione mafiosa possono essere desunti anche da parametri non predeterminati normativamente; tuttavia, per salvaguardare i principi di legalità e di certezza del diritto, non possono reputarsi sufficienti fattispecie fondate sul semplice sospetto o su mere congetture prive di riscontro fattuale, occorrendo l’individuazione di idonei e specifici elementi di fatto, obiettivamente sintomatici e rivelatori di concrete connessioni o collegamenti con la criminalità organizzata (cfr. TAR Sicilia Palermo, Sez. III, 13.01.2006 n. 38; TAR Campania Napoli, Sez. I, 19.01.2004 n. 115; Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 2867/2006) (TAR Campania-Napoli, Sez. I, sentenza 01.12.2010 n. 26527 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Abuso edilizio - Ordine di demolizione - Destinatario - Proprietario attuale dell’opera, estraneo all’abuso - Fondamento.
L’abuso edilizio costituisce illecito permanente e l’ordine di demolizione che ha carattere ripristinatorio deve essere adottato anche nei confronti di chi pur non avendo commesso l’abuso sia attualmente proprietario dell’opera (cfr. Tar d’Aosta n. 188/2003).
Abuso edilizio - Abuso parziale - Acquisizione gratuita - Limite delle parti abusive.
Nel caso in cui l’abuso riguardi solo una parte dell’edificio l’acquisizione gratuita si verifica nei limiti delle parti abusive, con esclusione delle altre parti dell’immobile e dell’area non interessata dall’abuso (cfr. CGA Sic. n. 413/1997; Tar Latina n. 236/1997) (TAR Puglia-Bari, Sez. II, sentenza 30.11.2010 n. 4004 - link a www.ambientediritto.it).

URBANISTICA: Immobili militari - Art. 2, c. 191 L. n. 191/2009 - Accordi di programma - Delibera consiliare - Efficacia di autorizzazione alle varianti al prg - Verifica di conformità agli strumenti di pianificazione sovraordinata - Necessità - Esclusione - Illegittimità costituzionale.
L’art. 2, comma 191, della legge n. 191 del 2009 va ad incidere sulla materia del governo del territorio, rientrante nella competenza concorrente tra lo Stato e le Regioni, allorché attribuisce alla delibera del consiglio comunale efficacia di autorizzazione alle varianti allo strumento urbanistico generale, per le quali non occorre verifica di conformità agli eventuali atti di pianificazione sovraordinata di competenza delle province e delle regioni.
Ai sensi dell’art. 117, terzo comma, ultimo periodo, Cost., nelle materie di legislazione concorrente lo Stato ha soltanto il potere di fissare i principi fondamentali, spettando alle Regioni il potere di emanare la normativa di dettaglio.
La relazione tra normative di principio e di dettaglio va intesa nel senso che alla prima spetta prescrivere criteri ed obiettivi, essendo riservata alla seconda l’individuazione degli strumenti concreti da utilizzare per raggiungere detti obiettivi.
Nel caso in esame la norma de qua, stabilendo l’effetto di variante dianzi indicato ed escludendo la necessità che la variante stessa debba essere sottoposta alle suddette verifiche di conformità, introduce una disciplina che non è finalizzata a prescrivere criteri ed obiettivi, ma si risolve in una normativa dettagliata che non lascia spazi d’intervento al legislatore regionale, ponendosi così in contrasto con il menzionato parametro costituzionale. Deve pertanto essere dichiarata l’illegittimità costituzionale del menzionato art. 2, c. 191.
La declaratoria va estesa, per coerenza logica, anche all’ultimo periodo della norma, secondo cui «Per gli immobili oggetto degli accordi di programma di valorizzazione che sono assoggettati alla disciplina prevista dal codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22.01.2004, n. 42, è acquisito il parere della competente soprintendenza del Ministero per i beni e le attività culturali, che si esprime entro trenta giorni» (Corte Costituzionale, sentenza 26.11.2010 n. 341 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTI: Le imprese operanti in un determinato settore sono legittimate ad impugnare la delibera di affidamento di un servizio a trattativa privata ovvero le determinazioni che riguardano le modalità di conferimento e di svolgimento del servizio, e ciò anche al fine di soddisfare l’interesse strumentale all’indizione o alla ripetizione di una procedura di gara al fine di spendere, in seno alla medesima, le proprie chance competitive.
Alla stregua di un pacifico e condivisibile principio giurisprudenziale, le imprese operanti in un determinato settore sono legittimate ad impugnare la delibera di affidamento di un servizio a trattativa privata ovvero le determinazioni che riguardano le modalità di conferimento e di svolgimento del servizio, e ciò anche al fine di soddisfare l’interesse strumentale all’indizione o alla ripetizione di una procedura di gara al fine di spendere, in seno alla medesima, le proprie chances competitive
(Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 25.11.2010 n. 8232 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: L’affidamento del compito di provvedere alla messa a norma del servizio d’illuminazione delle strade comunali soggiace alla disciplina dettata dell’art. 113 del T.U. Enti Locali.
Secondo la condivisibile interpretazione già offerta in subiecta materia da questa Sezione (decisione 16.12.2004, n. 8090) il servizio di illuminazione delle strade comunali ha carattere di servizio pubblico locale. Ne deriva che l’affidamento del compito di provvedere alla messa a norma, alla manutenzione ed alla gestione degli impianti di illuminazione delle pubbliche vie si sostanza nell’affidamento di un servizio pubblico locale che soggiace alla disciplina dettata dal richiamato art. 113 del T.U. Enti Locali approvato con il d.lgs n. 267/2000.
La Sezione ha nell’occasione osservato che sono indifferentemente servizi pubblici locali, ai sensi dell'art. 112, T.U.E.L. n. 267/2000, quelli di cui i cittadini usufruiscano uti singuli e come componenti la collettività, purché rivolti alla produzione di beni e utilità per obiettive esigenze sociali.
Il Consiglio ha altresì osservato che la subordinazione al pagamento di un corrispettivo, rilevante nella prospettiva abbracciata dal codice dei contratti pubblici in sede di distinzione tra la figura dell’appalto e quella della concessione (art. 2, comma 12) dipende dalle caratteristiche tecniche del servizio e della volontà "politica" dell'ente, ma non incide sulla sua qualifica di servizio pubblico locale ai fini dell’applicazione della disciplina di cui al T.U.E.L.
Relativamente ai servizi pubblici locali, l'art. 117 T.U.E.L. n. 267/2000 precisa che la tariffa ne costituisce il corrispettivo ma non ne definisce il contenuto, determinato dalla possibilità concreta dell'ente di dividere sui singoli l'onere della gestione ed erogazione della prestazione.
Che lo stesso Titolo V del T.U.E.L. n. 267/2000 disciplini anche i criteri per la determinazione e la riscossione delle tariffe non esclude dall'ambito dei servizi pubblici locali quelli erogati senza un corrispettivo, sempre che le prestazioni siano strumentali all'assolvimento delle finalità sociali dell'ente, come avviene per il servizio di pubblica illuminazione.
Sul piano interpretativo, il carattere di servizio pubblico locale dell'illuminazione delle strade comunali è confermato dai richiami "storici" -la pubblica illuminazione era, infatti, inclusa fra i servizi pubblici comunali ex art. 1, lett. c), r.d. n. 2578/1925 e nel t.u.l.c.p. n. 383/1934- e ribadito dal divieto di cessione della proprietà degli impianti, delle reti e delle altre dotazioni destinati all'esercizio dei servizi pubblici, introdotto nell'art. 113 del T.U.E.L. 267/2000 (l. n. 448/2001 e d.l. n. 269/2003)
(Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 25.11.2010 n. 8232 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: L’annullamento del provvedimento di esclusione di un offerente dalla gara, avvenuto dopo la cognizione delle offerte degli altri offerenti, implica la rinnovazione della gara sin dalla presentazione delle offerte.
Secondo orientamento consolidato di questo Consiglio, condiviso dal Collegio, nei casi di procedura ad evidenza pubblica improntata a criteri di valutazione tecnica di natura discrezionale in ordine alla qualità delle offerte –quale quella sub iudice, da svolgere secondo il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa–, a differenza dalle procedure di aggiudicazione c.d. automatiche, caratterizzate dall’assenza in capo alla Commissione di gara di profili di discrezionalità tecnica o amministrativa, l’annullamento del provvedimento di esclusione di un offerente dalla gara, intervenuto successivamente alla fase di integrale presa di cognizione e valutazione delle offerte tecniche ed economiche degli altri offerenti, implichi la necessità di una rinnovazione della gara sin dalla fase della presentazione delle offerte, a tutela della par condicio dei concorrenti e dell’imparzialità e obbiettività del giudizio della Commissione giudicatrice, potendo invero la conoscenza del prezzo influenzare i componenti della commissione nella formazione dei giudizi, improntati a discrezionalità, sulla qualità delle offerte tecniche, nonché a garanzia dell’esigenza di contestualità del giudizio comparativo, attesa la possibilità –sia pure astratta– che la ditta riammessa alla gara abbia a modificare la propria offerta una volta presa cognizione delle offerte avversarie (v., ex plurimis, C.d.S., Sez. V, 09.03.2009, n. 368; C.d.S., Sez. V, 28.10.2008, n. 5378; C.d.S., Sez. V, 28.03.2008, n. 1296; C.d.S., Sez. V, 03.02.2000, n. 661) (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 25.11.2010 n.  8230 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Le operazioni di esame delle offerte tecniche ed economiche devono essere concentrate in una sola seduta, senza soluzione di continuità.
In base a piani principi, al fine di assicurare imparzialità, pubblicità, trasparenza e speditezza all’azione amministrativa, le sedute di una commissione di gara devono ispirarsi al principio di concentrazione e di continuità.
In particolare, le operazioni di esame delle offerte tecniche ed economiche devono essere concentrate in una sola seduta, senza soluzione di continuità, al precipuo fine di scongiurare possibili influenze esterne ed assicurare l’assoluta indipendenza di giudizio dell’organo incaricato della valutazione (Cons. St. Sez. VI, 16.11.2000, n. 6128).
Il principio di continuità e di concentrazione della gara non è assolutamente insuscettibile di eccezioni, potendo verificarsi situazioni particolari che obiettivamente impediscano l’espletamento delle operazioni in unica seduta (Cons. St. Sez. V, 18.11.2002, n. 6388, 03.01.2002, n. 5).
Tra queste possono in effetti annoverarsi la particolare complessità delle valutazioni da svolgere o l’elevato numero delle offerte da giudicare.
In tali casi, tuttavia, l’esigenza di continuità impone comunque l’osservanza, nello svolgimento delle operazioni, del minimo intervallo temporale tra una seduta e l’altra e delle massime garanzie di conservazione dei plichi contenenti le singole offerte (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 23.11.2010 n. 8155 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI: Interventi edilizi con finalità pubblica - Permesso di costruire - Esclusione - Obbligo di rispettare le regole e le procedure poste a tutela del territorio e dell'ambiente - Sussiste - Ente comunale - Valutazione e verifiche - Attribuzioni e potestà dell'ente - artt. 10, 14 e 20 D.P.R. n. 380/2001.
Per i beni e le opere caratterizzati da finalità pubblica è esclusa la necessità che gli interventi siano preceduti dal permesso di costruire (Cass. Penale, Sez. III, 09/05/2008, sent. n. 18900, Vinci e altri).
Tale conclusione non comporta affatto che al Comune sia sottratto l'esercizio delle prerogative che discendono dalla legge e venga meno l'obbligo di rispettare le regole e le procedure poste a tutela del territorio e dell'ambiente.
L'ente comunale, nell'approvare i progetti di intervento proposti dal concessionario dovrà, tra le altre valutazioni di utilità e di coerenza con gli interessi pubblici, effettuare una verifica del rispetto delle regole in vigore, comprese quelle fissate ai fini urbanistici e ambientali.
Spetterà, peraltro, al consiglio comunale e gli organismi preposti dell'ente adottare eventuali interventi correttivi e integrativi delle regole che si assuma necessario aggiornare o modificare nei limiti delle attribuzioni e delle potestà dell'ente (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 22.11.2010 n. 41033 - link a www.ambientediritto.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: INQUINAMENTO ACUSTICO - Controlli accertamenti o ispezioni - Partecipazione di tutti i soggetti interessati - Necessità - Esclusione - Compromissione della genuinità dell’attività istruttoria.
Non può pretendersi che l’amministrazione, nell’effettuare controlli, accertamenti o ispezioni, debba operare con la necessaria partecipazione di tutti i soggetti interessati, laddove tale coinvolgimento possa compromettere la genuinità dell’attività istruttoria compiuta (Cfr. Cons. Stato, sez. V, 21.01.2003 n. 1224; 18.05.2004, n. 3190; Tar Emilia Romagna, Bologna, sez. II, 17.09.2009, n. 1530) (fattispecie relativa alle rilevazioni dei livelli di inquinamento acustico) (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 22.11.2010 n. 7312 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Accertamento di compatibilità paesaggistica in sanatoria - Art. 167 d.lgs. n. 42/2004 - Rilascio del titolo in sanatoria subordinatamente alla realizzazione di lavori di demolizione - Illegittimità.
L’art. 167, d.lgs. n. 42/2004 consente il rilascio di un provvedimento di accertamento di compatibilità paesaggistica in sanatoria solamente nelle ipotesi tassative previste al quarto comma. Al di fuori di tali casi eccezionali vige il divieto previsto dall’art. 146, c. 4, d.lgs. n. 42/2004.
Non può dunque ritenersi consentito il rilascio di un titolo in sanatoria subordinatamente alla realizzazione di ulteriori lavori (nella specie, demolizione di porzioni di muratura delle parti della struttura realizzata in difformità dal progetto originariamente assentito, con conseguente annullamento dei volumi fuori terra) al fine di rendere l’opera conforme alla previsione di cui all’art. 167, d.lgs. n. 42/2004: la necessità di un intervento edilizio palesa, invero, la non riconducibilità dell’opera alle ipotesi in cui è consentito il rilascio di un titolo in sanatoria (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 22.11.2010 n. 7311 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATALa valutazione espressa con il R.I.R. (Rischio Incidente Rilevante) incide sostanzialmente sull’esito della procedura A.I.A. e il Sindaco ha possibilità di intervenire anche a posteriori al fine della tutela della salute pubblica.
I principi che sommariamente si è cercato di sintetizzare nel titolo, derivano da una vicenda legata alla realizzazione di una centrale elettrica.
Il progetto presentato dalla società interessata riceveva un parere di compatibilità territoriale negativo, avverso il quale la società medesima ricorreva chiamando in causa i diversi attori della vicenda, ivi incluso il comune che si esprimeva negativamente sulla realizzazione dell’impianto, per mezzo del documento RIR ossia il documento Rischio di Incidente Rilevante disciplinato dal D.Lgs. 334/1999.
Alla argomentazione del comune che sostiene la natura di atto endoprocedimentale del suddetto documento, i giudici sia di primo che di secondo grado oppongono invece la incidenza rilevante di tale parere sull’esito della procedura autorizzatoria unica, essendo espressamente previsto che tali valutazioni e prescrizioni ai fini della sicurezza e della prevenzione dei rischi di incidenti rilevanti sono riportate nella autorizzazione (art. 7, comma 8, D.Lgs. n. 59/2005).
La reale possibilità di un atto di autotutela da parte dell'autorità competente al rilascio dell'A.I.A. è confermata ed avvalorata peraltro da una nota del Comune, indirizzata al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio, in cui, nel motivare il parere non favorevole al rilascio dell’A.I.A., si richiama la disciplina dettata in materia dal citato D.Lgs. n. 59/2005 per sottolineare che al Sindaco è comunque conferito un potere di intervento anche a posteriori al fine di chiedere alla Regione, nell'interesse della salute pubblica, il riesame in vista di una revoca o modifica della autorizzazione stessa (commento tratto da www.documentazione.ancitel.it - Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 19.11.2010 n. 8114 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: VIA e VAS - Procedura di VAS - Valutazione ambientale di piani e programmi - Varianti a singoli progetti - VIA.
Ai sensi dell’art. 5, comma 1, del citato decreto n. 152/2006, la procedura di V.A.S. è espressamente riservata alla valutazione ambientale di piani e programmi, restando conseguentemente escluse le varianti riguardanti la realizzazione di singoli progetti, per i quali il legislatore ha predisposto il diverso strumento del procedimento di V.I.A. (v. da ultimo, Cons. Stato, Sez. IV, 04.12.2009, n. 7651) (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 19.11.2010 n. 8113 - link a www.ambientediritto.it).

LAVORI PUBBLICI: Progetto approvato in variante urbanistica - Modifiche di minima rilevanza - Art. 35 d.P.R. n. 554/1999.
Le modifiche di minima rilevanza per un tracciato stradale (nella specie, sostituzione di una rotatoria con un incrocio a T), che non incidono su alcuna area esterna rispetto a quella del progetto approvato in variante urbanistica, devono, ritenersi senz’altro ammissibili in sede di predisposizione ingegneristica del progetto esecutivo, in base all’art. 35 del d.P.R. 21.12.1999, n. 554 (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 05.09.2003, n. 4970) (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 19.11.2010 n. 8113 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTI: Contratti di durata stipulati con la P.A. - Art. 1339 c.c. - Inserzione automatica di clausole - Applicabilità.
Il meccanismo civilistico noto come inserzione automatica di clausole e scolpito all’art. 1339 c.c., si applica anche ai contratti di durata stipulati con una P.A. (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 05.10.2005, n. 5316; in termini, Consiglio di Stato, Sez. IV, 14.02.2005 n. 453, secondo cui: “l’art. 1339 c.c. assolve la funzione precipua di assicurare l’attuazione delle condizioni contrattuali previste in via inderogabile dalla legge con il meccanismo dell’inserzione automatica delle clausole imperative in sostituzione di quelle difformi convenute dalle parti e postula dunque la conclusione di un accordo negoziale il cui contenuto risulti parzialmente contrastante con quello imposto dal legislatore, sottratto come tale all’autonomia privata”) (TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 19.11.2010 n. 4168 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Abusi edilizi - Potere-dovere di repressione e irrogazione delle misure sanzionatorie - Termini prescrizionali o decadenziali - Configurabilità - Esclusione.
Il potere dovere dell’Amministrazione di reprimere gli abusi edilizi irrogando le misure sanzionatorie variamente prescritte dalla legge per le varie tipologie dei medesimi (demolizione con eventuale acquisizione dell’area di sedime per il caso della realizzazione di un opus in assenza di permesso di costruire o in totale difformità; “fiscalizzazione” qualora la demolizione non possa essere eseguita senza pregiudizio per la parte di edificio conforme; sanzione pecuniaria pari al valore venale all’aumento di valore arrecato dall’opera eseguita in parziale difformità dal permesso di costruire per il caso della mera realizzazione in parziale difformità dal titolo; sanzione pecuniaria non inferiore ad € 500 per le opere assoggettate a d.i.a. e realizzate in assenza di quest’ultima) non soggiace a termini prescrizionali o decadenziali (TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 19.11.2010 n. 4164 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTI: Non può procedersi all'esclusione di un'impresa nel caso in cui questa abbia compilato l'offerta in conformità al fac-simile all’uopo approntato dalla stazione appaltante.
La giurisprudenza amministrativa ha chiarito che, in applicazione dei principi di favor partecipationis, e di tutela dell'affidamento, non può procedersi all'esclusione di un'impresa nel caso in cui questa abbia compilato l'offerta in conformità al fac-simile all’uopo approntato dalla stazione appaltante (C.d.S. n. 7278, 10.11.2004) (TAR Lazio-Latina, sentenza 19.11.2010 n. 1902 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

LAVORI PUBBLICI: Responsabilità della P.A.: paga i danni il Comune che omette di segnalare l'instabilità di un tombino.
In tema di responsabilità per danni da beni di proprietà della Pubblica Amministrazione, qualora non sia applicabile la disciplina di cui all'art. 2051 c.c., in quanto sia accertata in concreto l'impossibilità dell'effettiva custodia del bene, a causa della notevole estensione dello stesso e delle modalità di uso da parte di terzi, l'ente pubblico risponde dei pregiudizi subiti dall'utente secondo la regola generale dell'art. 2043 c.c., la quale non limita la responsabilità della P.A. per comportamento colposo alle sole ipotesi di esistenza di un'insidia o di un trabocchetto.
Conseguentemente, secondo i principi che governano l'illecito aquiliano, graverà sul danneggiato l'onere della prova dell'anomalia del bene, che va considerata fatto di per sé idoneo -in linea di principio- a configurare il comportamento colposo della P.A., mentre spetterà a quest'ultima dimostrare i fatti impeditivi della propria responsabilità, quali la possibilità in cui l'utente si sia trovato di percepire o prevedere con l'ordinaria diligenza la suddetta anomalia o l'impossibilità di rimuovere, adottando tutte le misure idonee, la situazione di pericolo (Corte di Cassazione, Sez. III civile, sentenza 18.11.2010 n. 23277 - link a www.eius.it).

EDILIZIA PRIVATA: Certificato di agibilità - Rilascio - Soggetti diversi dall’intestatario del titolo edilizio - Legittimazione - Sussistenza.
La disposizione di cui all’art. 29, comma 4, della l.r. Umbria n. 1 del 2004, al pari dell’analoga disposizione dell’art. 24, comma 3, del t.u. edilizia (d.P.R. 06.06.2001, n. 380), non esclude che soggetti diversi dall’intestatario del titolo abilitativo (o suoi successori a venti causa) possano richiedere il certificato di agibilità.
Detto certificato, infatti, a differenza del titolo edilizio, che amplia la sfera giuridica dell’intestatario, che deve dunque essere ben determinato se non altro in ragione del rapporto di esclusività che si crea con il bene oggetto del provvedimento abilitativo, si limita ad attestare una situazione oggettiva (ed in particolare la corrispondenza dell’opera realizzata al progetto assentito, dal punto di vista dimensionale, della destinazione d’uso e delle eventuali prescrizioni contenute nel titolo, nonché attesta la sussistenza delle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità degli edifici, di risparmio energetico e di sicurezza degli impianti negli stessi installati, alla stregua della normativa vigente).
Ne deriva che deve essere rilasciato a chiunque abbia un interesse giuridicamente apprezzabile ad utilizzare l’edificio al quale si riferisce (TAR Umbria, Sez. I, sentenza 18.11.2010 n. 512 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: N.t.a. - Norma che consente la modifica del piano di campagna - Applicabiltà agli interventi di demolizione e ricostruzione - Esclusione - Ragioni.
Una disposizione delle n.t.a. che consenta la modifica del piano di campagna, non può essere applicata ad interventi di demolizione e ricostruzione, non potendosi ritenere che una norma di piano possa incidere sui limiti massimi di estensione di una tipologia di intervento edilizio prevista direttamente dalla legge (TAR Lombardia, Milano, sez. II, n. 4929 del 27/10/2009).
La modifica del piano di campagna dell’edificio preesistente, infatti, comporta come conseguenza una traslazione in alto della sagoma. E vicende di traslazioni di sagoma o volumetria sono incompatibili con i limiti della demolizione e ricostruzione (TAR Lombardia, Milano, sez. II, n. 5268 del 02/12/2009; Tar Toscana, sez. III, n. 639 del 17.04.2007) (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 17.11.2010 n. 4640 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Berceau - Nozione - Sostituzione della copertura - Intervento di manutenzione straordinaria - Copertura assimilabile ad un solaio - Locale coperto - Qualifica di berceau - Esclusione.
Il berceau è definibile come un’opera edilizia consistente in un pergolato (solitamente in legno) coperto da piante rampicanti.
L’aspetto caratteristico risiede nella mancanza di pareti e di una copertura impermeabile, in quanto si tratta di una struttura leggera nella quale deve essere garantito un rapporto di continuità con lo spazio esterno. Il filtro rispetto agli agenti atmosferici è costituito dalle foglie e dalle travi che forniscono appoggio ai rampicanti.
È evidente che la maggiore o minore concentrazione di travi di sostegno e la maggiore o minore distanza tra le stesse sono fattori decisivi per stabilire se l’opera appartiene alla tipologia del berceau o ad altre categorie edilizie, come ad esempio i portici.
La sostituzione della copertura del berceau costituisce un intervento di manutenzione straordinaria (art. 3, comma 1, del DPR 380/2001). Naturalmente la condizione per rimanere nella categoria della manutenzione straordinaria è che la nuova copertura non snaturi le caratteristiche del berceau.
Se invece la nuova copertura risultasse assimilabile a un vero e proprio solaio e i rampicanti avessero una funzione puramente ornamentale saremmo di fronte a un’opera del tutto diversa, ossia a un nuovo locale coperto, come tale non più qualificabile né come berceau né come semplice pertinenza dell’edificio (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 17.11.2010 n. 4638 - link a www.ambientediritto.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: INQUINAMENTO - Bonifica - Procedura - Mappatura preliminare - Analisi dei campioni - Caratterizzazione del sito - Analisi del rischio - Bonifica - Art. 242 d.lgs. n. 152/2006.
La disciplina attualmente in vigore in tema di bonifiche prevede la seguente procedura: in considerazione dell’ampiezza dell’area e del carattere eterogeneo dei rifiuti abbandonati (nonché del tempo trascorso dalle ultime analisi) è possibile richiedere una mappatura preliminare dei punti da investigare per concentrare l’attenzione sulle porzioni di terreno dove è maggiormente probabile la presenza di inquinanti.
Tale mappatura deve essere validata dall’ARPA con il coinvolgimento della Provincia e della ASL, bilanciando i principi di proporzionalità e precauzione, a garanzia della significatività dei punti esplorati. Alla mappatura segue l’analisi dei campioni, diretta ad accertare l’eventuale superamento delle CSC ai sensi dell’art. 242, comma 2, del Dlgs. 152/2006.
Solo se risulti superato il livello delle CSC, anche per un solo parametro, è possibile passare alla caratterizzazione del sito ai sensi dell’art. 242, comma 3, del Dlgs. 152/2006, attività che può essere posta a carico del proprietario dell’area pur in mancanza di una precisa valutazione delle responsabilità (v. art. 2 commi 2 e 4 del Reg. reg. 1/2005). Una volta acquisiti i risultati della caratterizzazione è necessario effettuare un’analisi del rischio sito specifica per la determinazione delle concentrazioni soglia di rischio (CSR).
Sulla base di quest’ultima analisi è infine possibile passare alla vera e propria bonifica ai sensi dell’art. 242 commi 4-7 del Dlgs. 152/2006. Per imporre la bonifica al proprietario è comunque necessario dare dimostrazione della sua responsabilità o almeno corresponsabilità nella causazione dell’inquinamento, ferma restando la facoltà di esproprio dell’area inquinata (v. art. 4 del Reg. reg. 1/2005) (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 17.11.2010 n. 4636 - link a www.ambientediritto.it).

VARI: Responsabilità della P.A.: spetta alla Regione risarcire i danni cagionati agli automobilisti dalla fauna selvatica.
Le Regioni sono tenute a predisporre tutte le misure idonee ad evitare che gli animali selvatici arrechino danni a persone o a cose, con la conseguenza che, nell'ipotesi di danno provocato dalla fauna selvatica ed il cui risarcimento non sia previsto da apposite norme, esse possono essere chiamate a rispondere in forza dell'art. 2043 c.c. (Corte di Cassazione, Sez. III civile, sentenza 16.11.2010 n. 23095 - link a www.eius.it).

EDILIZIA PRIVATA: Quando una porzione di suolo venga in concreto utilizzata ai fini del computo della cubatura per l'edificazione di un manufatto edilizio, essa non può essere in futuro utilizzata nuovamente al medesimo fine, neppure nel caso dell'ulteriore frazionamento ed alienazione dell'area libera residua.
La giurisprudenza ha sempre affermato che, quando una porzione di suolo venga in concreto utilizzata ai fini del computo della cubatura per l'edificazione di un manufatto edilizio, essa non può essere in futuro utilizzata nuovamente al medesimo fine, neppure nel caso dell'ulteriore frazionamento ed alienazione dell'area libera residua.
Ove così non fosse, si perverrebbe all'aberrante risultato che, realizzata l'opera, il costruttore potrebbe ben alienare la porzione di terreno non direttamente occupata dalla costruzione onde consentirne un ulteriore sfruttamento edificatorio da parte di un terzo (cfr. Consiglio Stato, sez. V, 10.05.2005, n. 2328; ma anche, Consiglio Stato, sez. IV, 26.09.2008, n. 4647; Consiglio Stato, sez. V, 27.06.2006, n. 4117; Consiglio Stato, sez. IV 12.02.1987 n. 91; TAR Lombardia Milano, sez. IV, 21.12.2009, n. 5750; TAR Valle d'Aosta, sez. I, 15.02.2008, n. 16; TAR Campania Salerno, sez. II, 03.06.2010, n. 8219).
Ai fini della costruzione di nuovi volumi, è così irrilevante che un lotto unitario sia catastalmente suddiviso in più particelle o che la costruzione preesistente fosse stata realizzata prima del 09.10.1979 ovvero del 21.05.1985, in quanto è invece necessario considerare tutti i volumi già esistenti sull'intera originaria area di proprietà. Un'area edificatoria già utilizzata a fini edilizi è infatti suscettibile di ulteriore edificazione solo quando la costruzione su di essa realizzata non esaurisca la volumetria consentita dalla normativa vigente al momento del rilascio dell'ulteriore permesso di costruire.
L'atto di asservimento dell'area discende ope legis dalla stessa utilizzazione dell’area ai fini edificatori ed è definitivo (cfr. Consiglio Stato, Sez. V 12.07.2004 n. 5039). L'inedificabilità dell'area, in tal modo asservita, rappresenta una qualità oggettiva del fondo, opponibile anche a terzi per cui l'eventuale attività edificatoria autorizzata a seguito di un permesso per costruire ottenuto includendovi una porzione di area già sottoposta ad atto d'obbligo di asservimento, costituisce un reato edilizio in quanto altera l'indice fondiario di fabbricabilità (cfr. Cassazione penale, sez. III, 22.04.2004, n. 23230).
In tale ottica:
- devono essere considerate non solo la superficie libera ed il volume ad essa corrispondente, ma anche le cubature dei fabbricati preesistenti –ancorché siano stati edificati senza il prescritto titolo- al fine di verificare in concreto la reale situazione dei luoghi con il relativo carico di edificazione in concreto accertato (cfr. Consiglio Stato, A.P. 23.04.2009, n. 3);
- deve essere verificato se, in relazione all'intera superficie dell'area, residui l'ulteriore volumetria di cui si chiede la realizzazione, a nulla rilevando che questa possa insistere su una parte del lotto catastalmente divisa (cfr. Consiglio Stato sez. IV, 21.09.2009, n. 5637) (TAR Lazio-Roma, Sez. II-quater, sentenza 15.11.2010 n. 33462 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Contratti pubblici: l'impresa cessionaria di ramo d'azienda non è tenuta a rendere le dichiarazioni ex art. 38 d.lgs. 163/2006 anche con riferimento all'impresa cedente.
L'art. 38 del d.lgs. 163/2006 richiede il possesso e la dimostrazione dei requisiti generali di partecipazione solamente in capo all'impresa concorrente, mentre non contempla alcuna norma, con effetto preclusivo, la quale preveda, per il caso di cessione d'azienda antecedente alla partecipazione alla gara, un obbligo specifico di dichiarazione in ordine ai requisiti soggettivi dell'impresa cedente.
Ne discende che -in assenza di tale norma e poiché la cessione d'azienda comporta non una successione a titolo universale del cessionario al cedente, bensì una successione nelle posizioni attive e passive relative all'azienda tra soggetti che conservano distinta personalità giuridica- non può essere esclusa dalla gara l'impresa cessionaria del ramo d'azienda che non abbia presentato le relative dichiarazioni in ordine alla posizione della cedente (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 15.11.2010 n. 8044 - link a www.eius.it).

EDILIZIA PRIVATAPresupposto per l’adozione dell’ordine di demolizione di opere abusive è soltanto la constatata esecuzione di un intervento edilizio in assenza del prescritto titolo abilitativo, con la conseguenza che -essendo tale ordine un atto dovuto- esso è sufficientemente motivato con l’accertamento dell’abuso.
L’acquisizione gratuita al patrimonio comunale dell’area di sedime su cui insiste l’abuso, essendo una sanzione prevista per l’inottemperanza all’ingiunzione di demolizione, può essere disposta esclusivamente in danno del responsabile dell’abuso edilizio che sia anche proprietario del bene, non potendo operare nella sfera giuridica del proprietario che provi di essere rimasto estraneo all’abuso realizzato sul bene detenuto dal locatario o dall’affittuario.
L'acquisizione gratuita al patrimonio comunale di un’opera edilizia abusiva consegue all’inottemperanza all’ordine di demolizione come atto dovuto e non necessita della preventiva comunicazione dell’avvio del procedimento, non essendo tale atto dovuto nei casi in cui l’interessato non possa apportare all’azione amministrativa alcun contributo.

Presupposto per l’adozione dell’ordine di demolizione di opere abusive è soltanto la constatata esecuzione di un intervento edilizio in assenza del prescritto titolo abilitativo, con la conseguenza che -essendo tale ordine un atto dovuto- esso è sufficientemente motivato con l’accertamento dell’abuso (ex multis, TAR Campania Napoli, Sez. IV, 28.12.2009, n. 9638; Sez. VI, 09.11.2009, n. 7077; Sez. VII, 04.12.2008, n. 20987). Non costituisce causa di illegittimità l’omessa comunicazione del nominativo del responsabile del procedimento, perché a tale omissione è comunque possibile supplire considerando responsabile il funzionario preposto alla competente unità organizzativa (ex multis, TAR Lazio Roma, sez. I, 30.08.2005, n. 6359).
Secondo una consolidata giurisprudenza (TAR Lazio Latina, Sez. I, 30.07.2009, n. 746; TAR Sardegna Cagliari, Sez. II, 10.04.2009, n. 450; TAR Lombardia Milano, Sez. IV, 07.04.2009, n. 3222), l’acquisizione gratuita al patrimonio comunale dell’area di sedime su cui insiste l’abuso, essendo una sanzione prevista per l’inottemperanza all’ingiunzione di demolizione, può essere disposta esclusivamente in danno del responsabile dell’abuso edilizio che sia anche proprietario del bene, non potendo operare nella sfera giuridica del proprietario che provi di essere rimasto estraneo all’abuso realizzato sul bene detenuto dal locatario o dall’affittuario.
La mera proposizione del ricorso giurisdizionale avverso l’ordine di demolizione non vale a sospendere l’esecutività di tale provvedimento; pertanto il ricorrente non ha motivo di dolersi del fatto che l’acquisizione gratuita al patrimonio comunale delle opere abusive sia stata disposta nonostante la pendenza del ricorso n. 1991/2007, perché questa Sezione con l’ordinanza n. 892 in data 12.03.2008 ha respinto la domanda di sospensione dell’esecuzione dell’ordinanza di demolizione n. 37 in data 16.01.2007.
L'acquisizione gratuita al patrimonio comunale di un’opera edilizia abusiva consegue all’inottemperanza all’ordine di demolizione come atto dovuto e non necessita della preventiva comunicazione dell’avvio del procedimento, non essendo tale atto dovuto nei casi in cui l’interessato non possa apportare all’azione amministrativa alcun contributo (TAR Campania Napoli, Sez. IV, 17.06.2002, n. 3620); pertanto il ricorrente non ha motivo di dolersi della violazione dell’art. 7 della legge n. 241/1990. Peraltro, seppure si aderisse all’orientamento che ritiene necessaria tale comunicazione, nel caso in esame troverebbe comunque applicazione il già richiamato art. 21-octies, comma 2, della legge n. 241/1990.
Il presupposto per l’adozione del provvedimento di acquisizione gratuita al patrimonio comunale di un’opera edilizia abusiva è l’inottemperanza all’ordine di demolizione, con la conseguenza che l’ordinanza n. 786/2008 del 10.01.2008 risulta adeguatamente motivata con riferimento all’accertamento dell’inottemperanza all’ordinanza di demolizione n. 37 in data 16.01.2007 (documentato dalla nota della Polizia municipale n. 31853 in data 26.11.2007)
(TAR Campania-Napoli, Sez. VII, sentenza 12.11.2010 n. 24198 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa realizzazione di un volume tecnico è sanabile ai sensi dell’art. 167 d.lgs. 42/2004, dovendosi preferire, ad un’interpretazione meramente letterale (in base alla quale la realizzazione di ogni volume sarebbe non sanabile sotto il profilo paesaggistico) un’interpretazione teleologica, in forza della quale -nonostante l’utilizzo della particella disgiuntiva “o” nella frase “che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi”– si deve ritenere che il duplice riferimento alle nuove superfici utili e ai nuovi volumi costituisca un’endiadi, ossia una modalità di esprimere un concetto unitario con due termini coordinati.
Come è noto, questa Sezione (sent. 1748/2009) ha ritenuto che la realizzazione di un volume tecnico fosse sanabile ai sensi dell’art. 167 d.lgs. 42/2004, dovendosi preferire, ad un’interpretazione meramente letterale (in base alla quale la realizzazione di ogni volume sarebbe non sanabile sotto il profilo paesaggistico) un’interpretazione teleologica, in forza della quale -nonostante l’utilizzo della particella disgiuntiva “o” nella frase “che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi”– si deve ritenere che il duplice riferimento alle nuove superfici utili e ai nuovi volumi costituisca un’endiadi, ossia una modalità di esprimere un concetto unitario con due termini coordinati.
In altri termini, la necessità di interpretare le eccezioni al divieto di rilasciare l’autorizzazione paesistica in sanatoria (previste dall’articolo 167, comma 4, del decreto legislativo n. 42/2004) in coerenza con la ratio dell’introduzione di tale divieto induce il Collegio a ritenere che esulino dalla eccezione prevista dall’articolo 167, comma 4, lettera a), gli interventi che abbiano contestualmente determinato la realizzazione di nuove superfici utili e di nuovi volumi e che, di converso, siano suscettibili di accertamento della compatibilità paesistica anche i soppalchi, i volumi interrati ed i volumi tecnici (Tar Campania, Napoli, VII, n. 1748/2009).
Ciò, naturalmente, non significa che l’Amministrazione non possa annullare autorizzazioni paesaggistiche alla realizzazione di volumi tecnici; tuttavia, in casi del genere, ed in particolare quando il vincolo non riguarda l’immobile in sé considerato, ma il paesaggio, la motivazione dell’annullamento dev’essere particolarmente rigorosa, non potendosi trascurare l’esigenza di “adeguamento tecnologico” degli edifici.
Nel caso di specie, invece, l’Amministrazione si limita ad affermare che la “struttura proposta costituisce, per dimensioni e configurazione, notevole alterazione dei luoghi di particolare valore paesaggistico”, e tale motivazione non può essere ritenuta sufficiente (TAR Campania-Napoli, Sez. VII, sentenza 12.11.2010 n. 24195 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAPer effetto della recente normativa di cui al d.lgs. 157/2006, il piano paesaggistico è destinato a dispiegare i suoi effetti in tutto il territorio regionale, comprese le aree incluse nei parchi, e che i parchi, a loro volta, devono ad esso adeguare i rispettivi piani già esistenti ove contengano previsioni difformi, e devono conformare i piani in itinere alle previsioni del piano paesaggistico ove questi sia già vigente.
E' noto che, per effetto della più recente normativa di cui al d.lgs. 157/2006, il piano paesaggistico è destinato a dispiegare i suoi effetti in tutto il territorio regionale, comprese le aree incluse nei parchi, e che i parchi, a loro volta, devono ad esso adeguare i rispettivi piani già esistenti ove contengano previsioni difformi, e devono conformare i piani in itinere alle previsioni del piano paesaggistico ove questi sia già vigente.
Tanto premesso, non vi è dubbio quindi che, con l’intervento della normativa di cui al Codice c.d. Urbani a tutela del Paesaggio, sia stata sancita in ogni caso la prevalenza dei piani paesaggistici le cui previsioni, ai sensi dell’art. 145, comma 2, d.lgs. 42/2001 non sono derogabili da parte di piani, programmi e progetti nazionali o regionali di sviluppo economico, sono “cogenti” per gli strumenti urbanistici dei Comuni, delle città metropolitane e delle province, e sono “immediatamente prevalenti” sulle disposizioni difformi eventualmente contenute negli strumenti urbanistici.”
La stessa norma inoltre aggiunge che: “Per quanto attiene la tutela del paesaggio le disposizioni dei piani paesaggistici sono comunque prevalenti sulle disposizioni contenute negli atti di pianificazione, ad incidenza territoriale previsti dalle normative di settore, ivi compresi quelli degli enti gestori delle aree naturali protette”.
E’ evidente quindi come siffatta norma abbia sancito in maniera inequivocabile la primazia dei piani paesaggistici sui piani dei parchi con una disposizione peraltro di chiara ed univoca interpretazione laddove è esplicito il riferimento alla prevalenza sui “piani degli enti gestori delle aree naturali protette”. Del resto la scelta del legislatore appare coerente con l’obiettivo di non rendere le aree ricomprese nei parchi dei territori avulsi ed isolati dal contesto di inserimento ma di includerle in una visione globale dell’intero paesaggio regionale.
La sopravvenienza della normativa ultima di cui al d.gs 157/2006 modificativa in parte qua del d.lgs. 42/2004 rispetto al disposto di cui al comma 7 dell’art. 12 della legge n. 394/1991 depone indubitabilmente per un effetto abrogativo “per incompatibilità” della precedente previsione di contenuto difforme, secondo i noti principi regolatori della legge nel tempo di cui all’art. 15 disp. prel. c.c..
Né può altrimenti configurarsi una interpretazione che faccia salvo comunque il disposto di cui all’art. 12, comma 7 cit., limitando l’operatività della previsione di cui all’art. 145, comma 3 cit., ai soli piani paesaggistici adottati successivamente alla sua entrata in vigore, dato che il legislatore con la normativa di cui al d.lgs. n. 42/2004 e con le successive modifiche è intervenuto a dare una regolamentazione integrale della materia della tutela dell’ambiente e del paesaggio anche in un’ottica di cogestione della funzione in ambito territoriale nel rapporto di coordinamento Stato Regione, e per tale ragione la previsione in argomento, quale norma di portata generale, non può che riguardare tutti i piani paesaggistici in essere,sia quelli già adottati all’epoca di entrata in vigore della normativa de qua, sia quelli da adeguare alle nuove previsioni ai sensi dell’art. 156 del d.lgs. 42 cit. (TAR Campania-Napoli, Sez. VIII, sentenza 12.11.2010 n. 24081 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAL’ordine di demolizione non deve essere necessariamente preceduto dalla comunicazione di avvio del procedimento, trattandosi di atto dovuto e rigorosamente vincolato, con riferimento al quale non sono richiesti apporti partecipativi del destinatario, ed il cui presupposto è costituto unicamente dalla constatata esecuzione dell'opera in totale difformità o in assenza del titolo abilitativo.
Per orientamento costante di questo Collegio, l’ordine di demolizione non deve essere necessariamente preceduto dalla comunicazione di avvio del procedimento, trattandosi di atto dovuto e rigorosamente vincolato, con riferimento al quale non sono richiesti apporti partecipativi del destinatario, ed il cui presupposto è costituto unicamente dalla constatata esecuzione dell'opera in totale difformità o in assenza del titolo abilitativo.
Né, per lo stesso motivo, si richiede una specifica motivazione che dia conto della valutazione delle ragioni di interesse pubblico alla demolizione o della comparazione di quest'ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati, senza che sussista alcuna violazione dell'art. 3, l. n. 241 del 1990, dato che, ricorrendo i predetti requisiti, il provvedimento deve intendersi sufficientemente motivato con l'affermazione dell'accertata abusività dell'opera, essendo in re ipsa l'interesse pubblico concreto ed attuale alla sua rimozione (cfr, ex plurimis, Consiglio Stato, sez. IV, 31.08.2010 , n. 3955).
Anche qualora intercorra un lungo periodo di tempo tra la realizzazione dell'opera abusiva ed il provvedimento sanzionatorio, tale circostanza non rileva ai fini della legittimità di quest'ultimo, sia in rapporto al preteso affidamento circa la legittimità dell'opera, che il protrarsi del comportamento inerte del comune avrebbe ingenerato nel responsabile dell'abuso edilizio, sia in relazione ad un presunto ulteriore obbligo, per l'amministrazione procedente, di motivare specificamente il provvedimento in ordine alla sussistenza dell'interesse pubblico attuale a far demolire il manufatto, poiché la lunga durata nel tempo dell'opera priva del necessario titolo edilizio ne rafforza il carattere abusivo (trattandosi di illecito permanente), il che preserva il potere-dovere dell'amministrazione di intervenire nell'esercizio dei suoi poteri sanzionatori, tanto più che il provvedimento demolitorio non richiede una congrua motivazione in ordine all'attualità dell'interesse pubblico alla rimozione dell'abuso, che è in re ipsa (cfr Tar Campania, Napoli, sez. VIII, 19.01.2009 n. 501) (TAR Campania-Napoli, Sez. VIII, sentenza 12.11.2010 n. 24064 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa realizzazione di una tettoia riportante una copertura in tegole, ancorata al suolo tramite pilastrini in legno, è configurabile come intervento di ristrutturazione edilizia ai sensi dell'articolo 3, comma 1, lettera d), del D.P.R. n. 380/2001, nella misura in cui realizza “l'inserimento di nuovi elementi ed impianti”, ed è quindi subordinata al regime del permesso di costruire, ai sensi dell'articolo 10, comma primo, lettera c), dello stesso D.P.R. laddove comporti, come nel caso di specie, una modifica della sagoma o del prospetto del fabbricato cui inerisce.
Dalle riproduzioni fotografiche in atti è evidente che l’intervento in argomento consiste in realtà nella realizzazione di una tettoia, trattandosi di una pensilina riportante una copertura in tegole, ancorata al suolo tramite pilastrini in legno, e come tale idonea ad apportare un mutamento stabile all’aspetto esteriore nonché alla sagoma dell’edificio.
La realizzazione di una tettoia che riveste le predette caratteristiche costruttive ed estetiche, è configurabile come intervento di ristrutturazione edilizia ai sensi dell'articolo 3, comma 1, lettera d), del D.P.R. n. 380/2001, nella misura in cui realizza “l'inserimento di nuovi elementi ed impianti”, ed è quindi subordinata al regime del permesso di costruire, ai sensi dell'articolo 10, comma primo, lettera c), dello stesso D.P.R. laddove comporti, come nel caso di specie, una modifica della sagoma o del prospetto del fabbricato cui inerisce (cfr. TAR Campania, Napoli, Sez. IV, 21.12.2007, n. 16493).
A nulla rileva poi il dedotto carattere di facile amovibilità o precarietà del manufatto, dato che tale connotazione non può discendere solo dalle caratteristiche costruttive ma va rapportata anche alla destinazione del manufatto che non può essere considerato di natura precaria qualora debba soddisfare un’ esigenza, non temporanea e contingente, ma prolungata nel tempo.
Alla luce di tali conclusioni la inesatta individuazione e descrizione dell’opera abusiva erroneamente descritta come “gazebo” e non come “tettoia” nel provvedimento di demolizione impugnato non può inficiare la legittimità dell’atto gravato, trattandosi di un mero errore materiale che non impedisce la corretta individuazione dell’opera abusiva
(TAR Campania-Napoli, Sez. VIII, sentenza 12.11.2010 n. 24064 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La conformazione e ridotte dimensioni delle tettoie rendono evidente e riconoscibile la loro finalità di arredo o di riparo e protezione (anche da agenti atmosferici) dell'immobile cui accedono.
Condizioni queste che escludono, in base alla normativa statale, la necessità del permesso di costruire per la loro esecuzione, a differenza di quanto accade per la contraria ipotesi di strutture le cui dimensioni sono di entità tale da arrecare una visibile alterazione all'edificio o alle parti dello stesso su cui vengono inserite; quando cioè per la loro consistenza dimensionale non possono più ritenersi assorbite, ovvero ricomprese in ragione della accessorietà, nell'edificio principale o della parte dello stesso cui accedono.

La descrizione delle opere, della loro natura, parvità e funzione, resa visiva dalla documentazione fotografica versata in atti, si appalesa convincente, così come convincente è la loro dedotta sostanziale irrilevanza, quale denunciata in ricorso e, più partitamente, nella perizia di parte (cfr. Tar Campania, sezione settima, sentenza n. 4710 del 2009; sezione quarta, n. 9681 del 2008 e Cass. pen. n. 19744 del 2002 che, in condizioni analoghe, hanno così concluso).
Ciò nella precisazione, per quanto attiene in particolare alle tettoie, ovvero alle opere di nuova realizzazione, che “la loro conformazione e le loro ridotte dimensioni rendono evidente e riconoscibile la loro finalità di arredo o di riparo e protezione (anche da agenti atmosferici) dell'immobile cui accedono”; condizioni queste che, per pacifica giurisprudenza, escludono, in base alla normativa statale, la necessità del permesso di costruire per la loro esecuzione, a differenza di quanto accade per la contraria ipotesi, qui non data, di strutture le cui “dimensioni sono di entità tale da arrecare una visibile alterazione all'edificio o alle parti dello stesso su cui vengono inserite; quando cioè per la loro consistenza dimensionale non possono più ritenersi assorbite, ovvero ricomprese in ragione della accessorietà, nell'edificio principale o della parte dello stesso cui accedono” (cfr., fra le ultime,Tar Calabria, Reggio Calabria, sezione prima, 23.08.2010, n. 915; Tar Campania Napoli, questa sesta sezione, 07.09.2009, n. 4899, sezione terza, 19.01.2010, n. 195; sezione seconda, 29.01.2009, n. 492, id. 06.11.2008, n. 19292) (TAR Campania-Napoli, Sez. VI, sentenza 12.11.2010 n. 24047 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Ordine di demolizione o di riduzione in pristino - Procedimento di esecuzione e sanatoria - Istanza di condono o di ricorso alla giurisdizione amministrativa - Effetti.
L'ordine di demolizione o di riduzione in pristino deve intendersi emesso allo stato degli atti, tanto che anche il giudice dell'esecuzione deve verificare il permanere della compatibilità degli ordini in questione con atti amministrativi.
Inoltre, il rilascio del permesso in sanatoria non determina automaticamente la revoca dell'ordine di demolizione o di riduzione in pristino, dovendo il giudice, comunque, accertare la legittimità sostanziale del titolo sotto il profilo della sua conformità alla legge ed eventualmente disapplicarlo ove siano insussistenti i presupposti per la sua emanazione (Cass. pen. sez. 3, 30.01.2003, n. 144 P-M-c/o Ciavarella).
A maggior ragione, in caso di mera presentazione di un'istanza di condono o di ricorso alla giurisdizione amministrativa il G.E. deve accertare che, secondo una ragionevole previsione, l'istanza o il ricorso possano essere accolti in tempi brevi.
Manufatto abusivo - Ordine di demolizione - Sentenza di condanna - Domanda di condono edilizio - Sospensione dell’esecuzione - Verifica dei presupposti - Obbligo - Art. 7 L. n. 47/1985 oggi D.P.R. n. 380/2001.
In sede di esecuzione dell'ordine di demolizione del manufatto abusivo, disposto con la sentenza di condanna ai sensi dell'art. 7 L. n. 47 del 1985 (oggi D.P.R. n. 380/2001), il giudice, al fine di pronunciarsi sulla sospensione della esecuzione per avvenuta presentazione di domanda di condono edilizio, deve accertare l'esistenza delle seguenti condizioni:
1) la riferibilità della domanda di condono edilizio all'immobile di cui in sentenza;
2) la proposizione dell'istanza da parte di soggetto legittimato;
3) la procedibilità e proponibilità della domanda, con riferimento alla documentazione richiesta;
4) l'insussistenza di cause di non condonabilità assoluta dell'opera;
5) l'eventuale avvenuta emissione di una concessione in sanatorio tacita per congruità dell'oblazione ed assenza di cause ostative;
6) la attuale pendenza dell'istanza di condono;
7) la non adozione di un provvedimento da parte della P.A. contrastante con l'ordine di demolizione (Cass. pen. sez. 4, 05.03.3008, n. 15210).
Opere abusive - Istanza di permesso di costruire in sanatoria - Oblazione - Congruità della somma determina dall'amministrazione comunale - Ordine di demolizione impartito con sentenza di condanna - Sospensione obbligatoria - Esclusione.
La determinazione da parte dell'amministrazione comunale della congruità della somma di denaro versata a titolo di oblazione a seguito dell'istanza di permesso di costruire in sanatoria non determina la sospensione dell'ordine di demolizione impartito con la sentenza di condanna (Cass. pen. sez. 3, 27.05.2009, n. 28505) (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 11.11.2010 n. 39767 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATALa precarietà di un manufatto va esclusa se il manufatto stesso è destinato a recare un'utilità prolungata e perdurante nel tempo.
La precarietà di un manufatto va esclusa se il manufatto stesso è destinato a recare un'utilità prolungata e perdurante nel tempo; in tal caso, infatti, esso produce una trasformazione urbanistica in quanto altera in modo rilevante e duraturo lo stato del territorio, senza che rilevino i materiali impiegati, l'eventuale precarietà strutturale e la mancanza di fondazioni, se, poi, tali elementi non si traducano in un uso contingente e limitato nel tempo e, infine, con l'effettiva rimozione delle strutture (per tutte, Cons. St., sez. V, 31.01.2003, n. 343) (TAR Lazio-Roma, Sez. II-ter, sentenza 11.11.2010 n. 33418 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Contratti pubblici: dal TAR Piemonte un'interessante pronuncia sulla quantificazione del danno da "perdita di chance".
In materia di affidamento di contratti pubblici, allorché si tratti di quantificare il danno subito da un'impresa per perdita di chance, occorre distinguere la fattispecie in cui il ricorrente riesce a dimostrare che, in mancanza dell'adozione del provvedimento illegittimo, avrebbe vinto la gara (ad esempio perché, se non fosse stato indebitamente escluso, sarebbe stata selezionata la sua offerta) dalla fattispecie in cui non è possibile acquisire alcuna certezza su quale sarebbe stato l'esito della procedura in mancanza della violazione riscontrata.
La dimostrazione della spettanza dell'appalto all'impresa danneggiata risulta configurabile nei soli casi in cui il criterio di aggiudicazione si fonda su parametri vincolati e matematici (come, ad esempio, nel caso del massimo ribasso in un pubblico incanto in cui l'impresa vincitrice avrebbe dovuto essere esclusa), mentre si rivela impossibile là dove la selezione del contraente viene operata sulla base di un apprezzamento tecnico-discrezionale dell'offerta (come nel caso dell'offerta economicamente più vantaggiosa).
Nella prima ipotesi, all'impresa danneggiata spetta un risarcimento pari al 10% del valore dell'appalto (come ribassato dalla sua offerta), ferma restando la possibilità di conseguire una somma superiore, in presenza della dimostrazione che il margine di utile sarebbe stato maggiore di quello presunto. Viceversa, quando il ricorrente allega solo la perdita di una chance a sostegno della pretesa risarcitoria (e cioè quando non riesce a provare che l'aggiudicazione dell'appalto spettava proprio a lui, secondo le regole di gara), la somma commisurata all'utile d'impresa deve essere proporzionalmente ridotta in ragione delle concrete possibilità di vittoria risultanti dagli atti della procedura.
Al fine di operare tale decurtazione vanno valorizzati tutti gli indici significativi delle potenzialità di successo del ricorrente, quali, ad esempio, il numero di concorrenti, la configurazione della graduatoria eventualmente stilata ed il contenuto dell'offerta presentata dall'impresa danneggiata (TAR Piemonte, Sez. II, sentenza 29.10.2010 n. 3939 - link a www.eius.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Responsabilità della P.A.: non basta l'illegittimità dell'atto per far scattare il risarcimento dei danni.
Ai fini del risarcimento del danno derivante da lesione di interessi legittimi, non basta l'accertamento dell'illegittimità dell'atto cui tale danno è riconducibile, ma occorrono la prova specifica e l'accertamento in concreto della colpa dell'Amministrazione che lo ha adottato (Corte di Cassazione, Sez. III civile, sentenza 28.10.2010 n. 22021 - link a www.eius.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: INQUINAMENTO ACUSTICO - Sindaco - Contenimento o abbattimento delle emissioni sonore - Poteri - Art. 54, cc. 2 e 3, d.lgs. n. 267/2000 - Art. 9 L. n. 447/1999.
Con riferimento alle esigenze di fronteggiare l’inquinamento acustico, il sindaco è titolare:
a) di un potere generale di ordinanza da esercitare, quale ufficiale del governo, qualora sorga la necessità di provvedimenti contingibili e urgenti, anche, tra l’altro, in materia di «sanità ed igiene», «al fine di prevenire ed eliminare gravi pericoli che minacciano l’incolumità dei cittadini» (articolo 54, comma, 2, d.lgs. 267/2000 n. 267);
b) di poteri di ordinanza con contenuti e finalità specifiche.
Si tratta del potere, attribuito dal comma 3, del citato articolo 54, di modificare gli orari degli esercizi commerciali, dei pubblici esercizi e dei servizi pubblici, nonché, d’intesa con i responsabili territorialmente competenti delle amministrazioni interessate, gli orari di apertura al pubblico degli uffici pubblici localizzati nel territorio «in casi di emergenza, connessi con il traffico e/o con l’inquinamento atmosferico o acustico, ovvero quando a causa di circostanze straordinarie si verifichino particolari necessità dell’utenza».
E soprattutto, di quello previsto dall’articolo 9 della legge quadro sull’inquinamento acustico 447/1999, secondo il quale il sindaco, qualora sia richiesto da eccezionali ed urgenti necessità di tutela della salute pubblica o dell’ambiente, può, con provvedimento motivato, «ordinare il ricorso temporaneo a speciali forme di contenimento o di abbattimento delle emissioni sonore, inclusa l’inibitoria parziale o totale di determinate attività».
INQUINAMENTO ACUSTICO - Poteri di intervento dell’Amministrazione ex art. 844 c.c. - Insussistenza.
La fattispecie codicistica di cui all’art. 844 c.c. , volta a dirimere mediante l’intervento del giudice conflitti tra proprietà immobiliare ed impresa, non può fondare poteri di intervento dell’Amministrazione (ma, al massimo, orientare l’esercizio di poteri attribuiti da altre norme) (TAR Umbria, Sez. I, sentenza 22.10.2010 n. 499 - link a www.ambientediritto.it).

INCARICHI PROGETTUALI: Quando la PA deve pagare il progettista anche se la condizione non si avvera.
Il giudice di legittimità accoglie il ricorso, affermando il diritto dell'architetto all'ottenimento dei compensi per inerzia dell'amministrazione, poiché, "nel caso di contratto con una pubblica amministrazione in cui il pagamento del compenso per l'opera professionale pattuita sia subordinato alla circostanza che essa ottenesse un finanziamento dell'opera progettata da parte di un soggetto terzo, il creditore della prestazione deve unicamente provare il contratto, mentre sarà l'amministrazione debitrice "sub condicione" del compenso a dovere dimostrare, in relazione ai suoi doveri nascenti dall'art. 1358 cod. civ. riguardo al comportamento che doveva tenere al fine del finanziamento, che il proprio comportamento fu conforme a detti doveri" (Corte di Cassazione, Sez. I civile, sentenza 03.06.2010 n. 13469 - link a www.altalex.com).

EDILIZIA PRIVATA: IL RISARCIMENTO DANNI PER RITARDATO RILASCIO DI TITOLO EDILIZIO.
Il danno da ritardato rilascio di una concessione edilizia (ora, permesso di costruire) ben può essere cagionato da un’ostruzionistica condotta del Comune, consistente in una patologica durata del singolo procedimento e/o, come nella concreta fattispecie, in una strumentale sospensione della convenzione urbanistica, legittimante il rilascio medesimo.
Tuttavia, anche in presenza di tale rapporto, fra convenzione a monte e titolo edilizio da rilasciare a valle, permane sempre lo stretto nesso di correlazione fra il danno subito per il ritardo e la condotta di inerzia medesima, correlazione che radica la giurisdizione del giudice amministrativo.

E’ quanto affermato dalla Cassazione civile, sez. I, nella sentenza n. 15827/2010, ove viene affrontata la problematica del giudice competente in tema di risarcimento danni connessi a ritardata emanazione di concessione edilizia.
La Cassazione pone in essere un’importante chiarificazione.
E’ evidente, secondo la Suprema corte, che il danno, derivante da un ritardo nell’emanazione di un titolo edilizio, può essere cagionato anche attraverso lo “strumento indiretto” dell’ostruzionistica sospensione della convenzione urbanistica, da cui devono promanare i titoli medesimi. Tuttavia, non deve essere trascurato il fatto che permane sempre uno stretto nesso di correlazione fra il danno subito per il ritardo e la condotta di inerzia medesima, correlazione che radica la giurisdizione del giudice amministrativo.
In altri termini, non ha senso cercare di censurare giudizialmente il “ritardo di rilascio di concessione”, attraverso la formulazione di doglianze contro l’illegittima sospensione della convenzione.
Si tratta di due fenomeni diversi, che devono essere considerati in modo autonomo. Infatti, è sicuramente corretta la censura, avanzata contro la sentenza di appello, secondo cui la medesima doveva tener conto che, a seguito della richiamata pronuncia n. 500/1999, il giudice ordinario può risarcire danni cagionati a diritti o interessi legittimi, se correlati ad una illegittima esplicazione del potere amministrativo.
Quindi, appare conseguenzialmente plausibile affermare che la Corte di appello avrebbe dovuto correttamente escludere la sua cognizione incidentale sui danni da ritardata concessione, perché, a suo criterio, riservati alla cognizione del giudice amministrativo. Tuttavia, ciò di cui maggiormente occorre tener conto è il fatto che i ricorrenti non hanno mai contestato, avanti ad alcun giudice, i singoli atti di diniego-ritardo delle concessioni, in relazione ai quali si potrebbe configurare quasi un atteggiamento di acquiescenza.
Ora, richiedere un risarcimento di tali danni, non avendo mai contestato i ritardi, costituisce, ad avviso della Cassazione, una chiara illogicità. In altri termini, il ritardato rilascio deve essere oggetto di un’autonoma impugnazione, come comprovato anche dalla recente giurisprudenza: “Deve essere accolta una domanda di risarcimento del danno, derivante dal ritardato rilascio della concessione edilizia (nella specie, si trattava della concessione edilizia per la realizzazione di un deposito agricolo), nel caso in cui la P.A. abbia, dapprima, espresso un diniego di rilascio della concessione stessa, motivato con la necessità di apportare alcune modifiche al progetto originario presentato, e, nonostante la formale e tempestiva disponibilità manifestata dal richiedente il titolo edilizio, ad effettuare le modifiche progettuali proposte, soltanto successivamente, e dopo lungo tempo (circa dieci anni), abbia effettivamente rilasciato il permesso di costruire” (TAR Campania, sez. Salerno II, n. 1988/2008) (commento tratto dalla newsletter del sito www.centrostudimarangoni.it).

URBANISTICAVINCOLI ESPROPRIATIVI.
Ove una zona sia concretamente vincolata ad un utilizzo meramente pubblicistico, che non tollera alcuna iniziativa privata, neanche attraverso strumenti convenzionali, il vincolo medesimo preclude ai privati tutte quelle forme di trasformazione del suolo, che sono riconducibili alla nozione tecnica di “edificazione”.
Di conseguenza, l’area interessata è da considerarsi come inedificabile, con tutti i connessi effetti, anche per quel che concerne l’eventuale risarcimento danni da occupazione espropriativa.

E’ quanto statuito dalla Corte di Cassazione, Sez. I, nella sentenza n. 14940/2010, ove vengono forniti importanti chiarimenti in materia, soprattutto per quel che concerne gli aspetti risarcitori, correlati ad aree destinate a verde pubblico attrezzato.
Ad avviso della Cassazione:
a) se un’area è sottoposta ad un chiaro vincolo, che preclude qualsiasi iniziativa privata di trasformazione del suolo, è da considerarsi come inedificabile, con tutti i connessi effetti;
b) in tale ambito di in edificabilità, deve essere ricondotta anche la porzione di terreno destinata a verde pubblico attrezzato.
Al riguardo, i giudici amministrativi, anche recentemente (TAR Lombardia, sez. Milano II, n. 4997/2009), hanno evidenziato che destinazione ad aree per attrezzature pubbliche o di interesse pubblico (ad esempio: zone a verde attrezzato, per lo sport, per la realizzazione di parchi pubblici, giardini, campi gioco, impianti sportivi e relative strutture di servizio) si pone, certamente, al di fuori dello schema ablatorio-espropriativo, ma costituisce, al contempo, espressione di potestà conformativa, avente validità a tempo indeterminato, quando lo strumento urbanistico consente di realizzare tali previsioni, non solo ad esclusiva iniziativa pubblica, ma anche ad iniziativa privata o promiscua pubblico-privata, senza necessità, appunto, di ablazione del bene.
In altri termini, la destinazione a verde pubblico attrezzato, come in fattispecie, essendo manifestazione della potestà conformativa comunale, non può non incidere sul regime di edificabilità del terreno, ed in modo ovviamente negativo;
c) la previsione di un limitato indice di fabbricabilità per un’area destinata ad un uso pubblico e per realizzare esclusivamente opere pubbliche, come in fattispecie, non vale ad attribuire all’area medesima natura edificatoria ed a superare l’insormontabile vincolo conformativo;
d) l’esistenza, in un siffatto contesto dominato da vincoli di inedificabilità e conformativi, di un’area, pur teoricamente edificabile (l’area in zona “B1”), non può comportare l’utilizzo di un indice medio di edificabilità, ricavato da diverse zone omogenee.
Infatti, occorre sempre tener conto del fatto che l’attività edificatoria, che poteva essere realizzata, non può considerarsi avulsa dalla zona complessiva e, quindi, dal rispetto dei vincoli e delle destinazioni (commento tratto dalla newsletter del sito www.centrostudimarangoni.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: 1. Procedimento amministrativo - Accesso - Atti rientranti nell'ambito oggettivo della disciplina dell'accesso - Atti estranei - Discrimen - Individuazione - Fattispecie.
2. Procedimento amministrativo - Accesso - Atti rientranti nell'ambito oggettivo della disciplina dell'accesso - Atti di gestione del rapporto di lavoro privatizzato (Poste Italiane) - Accessibilità.

1. Il discrimen tra gli atti che devono considerarsi rientranti nell'ambito oggettivo della disciplina dell'accesso e quelli destinati a rimanerne fuori, non va identificato nella distinzione tra attività posta in essere nell'esercizio di potestà pubbliche e attività condotta secondo moduli privatistici, bensì, nella sottoposizione o meno del soggetto preposto al suo espletamento al dovere di imparzialità.
2. Gli atti di gestione del rapporto di lavoro privatizzato, che hanno natura giuridica privata, ma che sono funzionali all'interesse pubblico curato dal datore di lavoro che rimane, così, vincolato dai parametri costituzionali di cui all'art. 97 Cost. sono equiparati agli atti amministrativi e conseguentemente, ostensibili (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 28.06.2010 n. 2647 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA - COMPETENZE GESTIONALI Rifiuti - Abbandono - Ordinanza ripristinatoria - Art. 14 d.lgs. n. 22/1997 - Art. 192 d.lgs. n. 152/2006 - Competenza - Sindaco - Deroga al disposto di cui all'art. 107 d.lgs. n. 267/2000.
L'art. 14 D.lgs 22/1997, attualmente riprodotto senza modifiche nell'art. 192 Codice dell'Ambiente, affida il compito di emanare ordinanze ripristinatorie al Sindaco, e trattandosi di norma speciale rispetto all'art. 107 D.lgs 267/2000, deroga alla ordinaria competenza dei funzionari per i provvedimenti di ordinaria amministrazione.
L'art. 192, comma 3, del D.lgs. n. 152/2006 poi è norma speciale sopravvenuta rispetto all'art. 107, comma 5, del D.lgs. n. 267/2000 ed attribuisce espressamente al Sindaco la competenza a disporre con ordinanza le operazioni necessarie alla rimozione ed allo smaltimento dei rifiuti, prevalendo per il criterio della specialità e per quello cronologico sul disposto dell'art. 107, comma 5, del D.lgs. n. 267/2000 (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 09.06.2010 n. 1764 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: 1. Inquinamento - Siti inquinati - Competenza provinciale - Esclusività - Nei soli procedimenti ordinari - Potere di ordinanza contingibile e urgente - Sussistenza.
2. Inquinamento - Applicabilità della disciplina generale ex art. 50, c. 5, d.lgs. n. 267/2000 - Presupposti - Artt. 244 e 191 d.lgs. n. 152/2006.

1. La competenza della Provincia in materia di superamento dei valori di concentrazione soglia in ordine al livello di contaminazione di un sito (art. 244 d.lgs. n. 152/2006) può essere considerata come esclusiva soltanto in relazione ai procedimenti ordinari, visto che la norma attributiva del potere non fa uno specifico riferimento alle situazioni in cui si ravvisi l'indifferibilità e l'urgenza di provvedere.
2. Pur a fronte di una normativa speciale che si occupa, di regola, dell'attività amministrativa in ordine ai siti inquinati, si deve ritenere applicabile la normativa generale, espressione di un potere atipico e residuale, in materia di ordinanze contingibili e urgenti previste dall'art. 50, comma 5, del D.Lgs. n. 267 del 2000 (T.U.E.L.), allorquando se ne configurino i relativi presupposti: sussistenza di una situazione di effettivo pericolo grave ed imminente per l'incolumità pubblica, non fronteggiabile con gli ordinari strumenti di amministrazione attiva, debitamente motivata a seguito di approfondita istruttoria (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 08.06.2010 n. 1758 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATA Sindaco - Ordinanze contingibili ed urgenti - Demolizione disposta dal Sindaco di immobile vincolato - Tutela della pubblica incolumità - Condotta del Sindaco - Adempimento di un dovere - Assenza di antigiuridicità - Sanzione ripristinatoria - Illegittimità.
E' illegittimo il decreto emesso dal Ministero per i Beni e le Attività culturali con cui è stato ordinato ad un ente locale di ricostruire un edificio sottoposto a vincolo d'interesse storico, abbattuto in seguito ad un'ordinanza sindacale contingibile ed urgente, ex art. 38, della legge n. 142 del 1990 (v. ora art. 54, d.lgs. n. 267 del 2000), nel caso in cui l'adozione di tale ordinanza sia stata preceduta da apposite perizie dei tecnici comunali, nelle quali è stata opportunamente evidenziata la circostanza che non appariva possibile eliminare altrimenti, se non con la demolizione, il pericolo di crollo del bene ed il conseguente grave ed imminente pericolo per l'incolumità dei cittadini (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 01.06.2010 n. 1734 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA 1. Procedimento di condono edilizio - Parere della commissione edilizia - Non necessario.
2. Alienazione immobile abusivo - Acquirente subisce gli effetti del diniego di sanatoria e dell'ingiunzione di demolizione.

1. La specialità del procedimento di condono edilizio, rispetto all'ordinario procedimento di rilascio della concessione ad edificare e l'assenza di una specifica previsione in ordine alla sua necessità, rendono il parere della Commissione edilizia, per il rilascio della concessione in sanatoria, non obbligatorio, ma al più facoltativo.
2. Il nuovo acquirente dell'immobile abusivo succede in tutti i rapporti giuridici attivi e passivi facenti capo al precedente proprietario e relativi al bene ceduto, subendo gli effetti sia del diniego di sanatoria, sia dell'ingiunzione di demolizione, pur essendo l'abuso commesso prima della traslazione della proprietà (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 31.05.2010 n. 1721 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIAMMINISTRAZIONE CONTROLLATA.
Non può certo, in via preventiva, individuarsi una causa di esclusione per il solo fatto del trovarsi l’impresa in una situazione di amministrazione controllata, la quale non è affatto una situazione parificabile al fallimento od alle altre situazioni concorsuali, ma, al contrario, costituisce una situazione, che viene presa in considerazione dall’ordinamento al fine opposto di salvare l’impresa dalla momentanea situazione di difficoltà, per evitare la dissoluzione della medesima.

E’ quanto statuito dal Consiglio di Stato, Sez. V, nella sentenza 21.05.2010 n. 3222, ove vengono fornite importanti precisazioni in merito all’abrogato istituto dell’amministrazione controllata ed ai suoi possibili effetti ai fini dell’esclusione dalle pubbliche gare.
L’amministrazione controllata era uno strumento concesso all’imprenditore, in situazione di temporanea difficoltà di adempiere alle obbligazioni contratte (e non, dunque, in stato di insolvenza), al fine di prevenire lo stato d’insolvenza e, pertanto, il conseguente fallimento, sulla base di concrete possibilità di risanare l’impresa. In tal modo, quindi, per un periodo non superiore a due anni, si concedeva all’imprenditore una dilazione per l’estinzione dei debiti contratti, mentre l’attività aziendale proseguiva sotto il controllo di un commissario e la direzione del giudice.
A differenza delle altre procedure, quali il fallimento e la liquidazione coatta amministrativa, dirette alla liquidazione dei beni facenti parte del complesso aziendale per il soddisfacimento dei creditori, e il concordato preventivo, diretto sempre al soddisfacimento dei creditori, seppure mediante un piano di ristrutturazione, l’amministrazione controllata aveva lo scopo di salvaguardare l’attività aziendale e di favorirne il risanamento, così da consentire all’imprenditore il soddisfacimento delle obbligazioni contratte. Tale procedura è stata abrogata, come già anticipato, dalla riforma del diritto fallimentare, di cui al D.Lgs. n. 5/2006, a decorrere dal 16.07.2006, fatte salve le procedure a quella data già pendenti.
Il giudice amministrativo di appello è pienamente consapevole dell’estraneità dell’amministrazione controllata rispetto al fallimento.
Infatti, il CdS evidenzia che l’amministrazione controllata non è una vera e propria procedura concorsuale, che si introduce a seguito della fine attiva della vita di un’impresa e diretta a ripartire, in modo sostanzialmente equitativo, i beni residui dell’impresa medesima. Niente di tutto questo! L’istituto costituisce, invece, un “esperimento interlocutorio”, tramite il quale si cerca, in qualche modo, di recuperare alla vita economica attiva un’impresa, che si trova in uno stato di crisi e che necessita di essere aiutata nel risollevarsi dalla crisi medesima, che potrebbe comprometterne l’esistenza in futuro.
Per tale ragione, cioè per il fatto che l’ordinamento prevede (rectius: prevedeva) un intervento di salvaguardia per fini risanativi, non può ammettersi, contraddittoriamente con la suddetta finalità, che lo stesso ordinamento preveda, poi, che l’impresa, che si trova in uno stato di amministrazione controllata, debba essere esclusa dalla partecipazione ad una gara pubblica, il quale potrebbe garantire chances di ripresa. In altri termini, proprio la partecipazione alle procedure di scelta del contraente non può che costituire un’occasione, ovviamente in caso di vittoria in gara, per la ripresa dell’impresa in crisi.
Tuttavia, ad avviso dei giudici amministrativi di appello, l’amministrazione controllata potrebbe anche non essere considerata in modo “neutrale” in sede di gara: “Certamente, in un sistema di aggiudicazione, ove sia prevista una valutazione complessiva anche della struttura esistente delle imprese partecipanti ad una gara pubblica, può essere presa in considerazione, ai fini dell’attribuzione del punteggio, la situazione organizzativa concreta scaturente da tale situazione di precarietà, ma non può certo in via preventiva individuarsi una causa di esclusione per il solo fatto del trovarsi l’impresa in una situazione di amministrazione controllata”.
In buona sostanza, il CdS sostiene che la stazione appaltante potrebbe, utilizzando il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, prevedere un punteggio basso od anche negativo nel caso in cui l’impresa si trovi in amministrazione controllata. Questo è, in un certo senso, il limite massimo, verso cui può legittimamente indirizzarsi la discrezionalità della stazione appaltante. Oltre di ciò non è possibile andare, altrimenti verrebbe pregiudicata la ratio dell’istituto, diretto a salvare l’impresa dalla momentanea situazione di difficoltà, per evitare la dissoluzione della stessa.
Proprio per tali ragioni, il Consiglio di Stato respinge la tesi dell’Azienda speciale appellante, fondata sulla presunta necessità di avere un interlocutore affidabile. Siffatta argomentazione si scontra inequivocamente con la finalità istituzionale, prima indicata, di sostegno giuridico ed economico all’impresa in difficoltà, per cui le imprese in amministrazione controllata sono da considerare, da un punto di vista ordinamentale, “soggetti posti sotto tutela istituzionale e, conseguentemente, fin tanto che dura tale tutela, certamente affidabili” (commento tratto dalla newsletter del sito www.centrostudimarangoni.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

COMPETENZE GESTIONALI - EDILIZIA PRIVATA Ordine di demolizione - Sindaco - Incompetenza.
La previsione dell'art. 7, l. n. 47/1985 deve essere reinterpretata nel senso che agli organi politici non spettano compiti di gestione, ma soltanto competenze di tipo programmatico.
Non rientra, quindi, nella competenza del sindaco l'adozione di un provvedimento di demolizione di opere abusive, bensì in quelle del dirigente (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 17.05.2010 n. 1532 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI 1. Accesso agli atti - Atti di natura privatistica di soggetti gestori di pubblici servizi - Ammissibilità - Presupposti.
2. Accesso agli atti - Atti accessibili - Attività privata o pubblico - Irrilevanza.

1. L'attività amministrativa, alla quale gli artt. 22 e 23 della legge n. 241 del 1990 correlano il diritto d'accesso, ricomprende, non solo, quella di diritto amministrativo, ma, anche quella di diritto privato posta in essere dai soggetti gestori di pubblici servizi che, pur non costituendo direttamente gestione del servizio stesso, sia collegata a quest'ultima da un nesso di strumentalità derivante anche, sul versante soggettivo, dalla intensa conformazione pubblicistica.
2. Va ribadito, infatti, come il discrimen tra gli atti che devono considerarsi rientranti nell'ambito oggettivo della disciplina dell'accesso e quelli destinati a rimanerne fuori, non va identificato nella distinzione tra attività posta in essere nell'esercizio di potestà pubbliche e attività condotta secondo moduli privatistici, bensì, nella sottoposizione o meno del soggetto preposto al suo espletamento al dovere di imparzialità (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 12.05.2010 n. 1464 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA Illegittimità dell'ordinanza di demolizione emanata successivamente alla domanda di sanatoria.
L'Amministrazione, una volta accertata l'illegittimità di una determinata situazione di fatto è vincolata a verificare, prima di procedere all'adozione dei conseguenti provvedimenti sanzionatori, la fondatezza delle istanze dei privati finalizzate ad ottenere il rilascio di provvedimenti di sanatoria.
E', pertanto, illegittima l'ordinanza di demolizione di manufatto abusivo resa successivamente alla presentazione della domanda di sanatoria (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 11.05.2010 n. 1457 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIVERIFICA A CAMPIONE.
In sede di verifica a campione, ai sensi dell’articolo 48 del Codice dei contratti pubblici (D.lgs n. 163/2006), il possesso dei requisiti di capacità economico-finanziaria e tecnico-organizzativa, eventualmente richiesti nel bando di gara, non può essere dimostrato mediante la dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà.

E’ quanto significativamente affermato dal TAR Calabria-Catanzaro, Sez. II, nella sentenza 11.05.2010 n. 717, ove viene fornita un’importante precisazione in merito alle modalità di comprovazione dei requisiti “speciali”, in sede di verifica a campione.
Ad avviso dei giudici calabresi, la richiesta della stazione appaltante di pretendere il deposito dell’originale o di copia autentica della documentazione, è pienamente legittima, in quanto conforme all’articolo 48. Di conseguenza, non può che palesarsi come pienamente legittimo il provvedimento di esclusione.
La tesi avanzata dal Tar è pienamente condivisibile, in virtù delle seguenti considerazioni. In primo luogo, una ragione letterale, la quale discende proprio dal mero tenore letterale dell’articolo 48 del Codice, laddove si prescrive l’obbligo di …..comprovare, entro dieci giorni dalla data della richiesta medesima, il possesso dei requisiti ….., presentando la documentazione richiesta in detto bando o nella lettera di invito.
La lettera della norma sembra porre una connessione stretta fra comprovazione del possesso dei requisiti e presentazione di adeguata documentazione, in modo tale da escludere la possibilità del ricorso all’autocertificazione. In altri termini, la documentazione da presentare, la quale deve adeguatamente comprovare il possesso dei requisiti, toglie spazio all’applicazione dell’autocertificazione.
Benvero, l’articolo 48, laddove prevede le misure da applicare in caso di esito negativo della verifica, parla proprio di prova non fornita e di prova non confermante le dichiarazioni contenute nella domanda di partecipazione o nell’offerta. Tale prova non può ridursi ad una mera ripetizione delle dichiarazioni autocertificative effettuate in sede di gara! In secondo luogo, sussiste una ragione di ordine logico. Infatti, dato atto che, in sede di gara, il possesso dei requisiti è attestato da una serie di numerose autocertificazioni, non ha alcun senso, in sede di verifica a campione, ripetere tali dichiarazioni, senza fornire ed allegare alcuna documentazione. Una verifica siffatta non avrebbe alcun senso!
Infine, occorre considerare che proprio la norma, parlando di documentazione indicata nel bando o nella lettera di invito, fa riferimento ad un qualcosa di diverso, ad un “quid novi”, rispetto ad un ulteriore ed inutile ripetizione di dichiarazioni autocertificative. Il bando o la lettera di invito indicano precisi documenti ed è indubbio che questi debbano essere presentati, non trovando spazio alcuno il ricorso all’autocertificazione.
Invero, la plausibile tesi avanzata dal Tar Calabria risulta confortata anche dalla pregressa giurisprudenza: “L'autocertificazione di atti, fatti e qualità personali, pur costituendo principio generale nei rapporti con la Pubblica amministrazione, non è utilizzabile nell'ipotesi in cui quest'ultima, attivando lo speciale procedimento di cui all'articolo 10, comma 1-quater L. n. 109/1994, effettui verifiche a campione sull'effettivo possesso dei requisiti richiesti in capo ai partecipanti ad una gara d'appalto” (Consiglio di Stato, sez. V, n. 6768/2002).
Ancor più chiaramente: “Non appare conforme allo spirito ed alla lettera della norma la produzione di autocertificazioni, al fine di dimostrare il possesso dei requisiti; al riguardo, va preso in considerazione innanzitutto il tenore della norma. La lettera della norma sembra porre una connessione stretta fra comprovazione del possesso dei requisiti e presentazione di adeguata documentazione, in modo tale da escludere la possibilità del ricorso all’autocertificazione. In altri termini, la documentazione da presentare, la quale deve adeguatamente comprovare il possesso dei requisiti, toglie spazio all’applicazione dell’autocertificazione” (Tar Liguria, sez. II, n. 1282/2001) (commento tratto dalla newsletter del sito www.centrostudimarangoni.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZI: Rifiuti - Affidamento servizi e forniture - Recesso dal contratto - Esecuzione del contratto - Esercizio diritto potestativo - Giurisdizione del giudice ordinario - Sussiste.
Premesso che in linea generale, nelle procedure aventi ad oggetto l'affidamento di lavori, servizi e forniture, la cognizione di comportamenti ed atti assunti prima dell'aggiudicazione e nella successiva fase compresa tra l'aggiudicazione e la stipula del contratto, ivi compresa la revoca dell'aggiudicazione, spetta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, mentre la successiva fase contrattuale, afferente all'esecuzione del rapporto, spetta alla giurisdizione del giudice ordinario, l'accordo contrattuale concluso in modo definitivo è da considerarsi efficace e sussiste, invece, la giurisdizione del giudice amministrativo nel caso in cui il recesso scaturisca da valutazioni che risultano essere espressioni di un potere pubblicistico della amministrazione (Cass., sez. un., 29.08.2008 n. 21928).
Il comune resistente recedendo dal contratto avente per oggetto la gestione del servizio di raccolta rifiuti e trasporto RSU ingombranti, ha inteso pacificamente azionare il diritto potestativo attribuito da una specifica clausola del contratto stipulato individuando nella partecipazione ad ASM PAVIA SPA e nel conseguente affidamento alla medesima del servizio rifiuti, la forma di gestione più economica e conveniente.
Appartiene alla cognizione dell'autorità giudiziaria ordinaria il giudizio introdotto con il ricorso diretto a dimostrare l'illegittimità degli atti di recesso dalla convenzione, e, in conseguenza, la permanente validità del contratto: rileva la tutela del diritto soggettivo perfetto all'esecuzione del contratto ed alle controprestazioni conseguenti. Infatti, il reale oggetto del giudizio non è l'esercizio di una pubblica funzione da parte dell'Amministrazione, ma soltanto il rapporto convenzionale intercorrente tra le parti e le relative e reciproche posizioni di diritto soggettivo e di obbligo (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. III, sentenza 07.05.2010 n. 1385 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA 1. Inquinamento - Rifiuti - Ordinanza di rimozione e bonifica - Responsabilità del proprietario del terreno - Individuazione.
2. Inquinamento - Rifiuti - Ordinanza di rimozione e bonifica - Competenza - Comune - Sussistenza - Art. 192, c. 3, d.lgs. n. 152/2006.

1. La responsabilità del proprietario del terreno nel quale si ritrovano abbandonati rifiuti deve essere accertata in concreto quanto meno a titolo di colpa e di tale responsabilità, se ne deve dare atto nel provvedimento che ordina la rimozione dei rifiuti.
2. Ai sensi dell'art. 192 D.lgs. 152/2006, comma 3, il Comune è senza dubbio pienamente competente a emanare le ordinanza di rimozione dei rifiuti e di redazione di un piano di bonifica di un'area inquinata (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 27.04.2010 n. 1159 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA Ristrutturazione edilizia - Ricostruzione dell'edificio demolito - Parametro di riferimento - Disciplina vigente all'epoca della realizzazione del manufatto.
Ai fini della conformità urbanistica della ristrutturazione edilizia -laddove realizzata mediante ricostruzione dell'edificio demolito ed il mantenimento di tutti i parametri urbanistico-edilizi preesistenti quali la volumetria, la sagoma, l'area di sedime ed il numero delle unità immobiliari- il parametro di riferimento è rappresentato dalla disciplina vigente all'epoca della realizzazione del manufatto come attestata dal titolo edilizio e non da quella sopravvenuta al momento della esecuzione dei lavori di ristrutturazione dovendosi fare salvo, in capo all'interessato, il diritto acquisito al mantenimento, conservazione e ristrutturazione dell'immobile esistente giacché la legittimazione urbanistica del manufatto da demolire si trasferisce su quello ricostruito (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 22.04.2010 n. 1133 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Articolo 21-septies, Legge 241/1990 - Cause di nullità - Si intendono a numero chiuso - Cause di nullità c.d. virtuale - Vanno ricondotte al vizio di violazione di legge - Annullabilità - Breve termine di decadenza.
La nullità del provvedimento amministrativo trova la sua disciplina nell'articolo 21-septies della legge 07.08.1990, n. 241.
La norma, introdotta dalla legge 11.02.2005, n. 15, tra le varie opzioni possibili -ossia tra quella di inserire nel sistema della patologia dell'atto amministrativo tutte le ipotesi di nullità (testuale, strutturale e virtuale) previste dall'articolo 1418 del codice civile e quella di ritenere sufficiente la categoria dell'annullabilità per quanto riguarda i rapporti amministrativi- ha scelto la soluzione di compromesso, ossia quella di escludere la nullità per contrasto con norme imperative di legge, giudicando tale categoria particolarmente pericolosa rispetto alle esigenze di certezza e di stabilità dell'azione amministrativa. In altri termini, le cause di nullità debbono intendersi a numero chiuso, così come peraltro già ritenuto dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato (Cons. St.,VI, 13.06.2007, n. 3173; V, 26.11.2008, n. 5845).
Pertanto, le ipotesi astrattamente riconducibili alla nullità c. d. virtuale vanno ricondotte al vizio di violazione di legge, atteso che le norme riguardanti l'azione amministrativa, dato il loro carattere pubblicistico, sono sempre norme imperative e quindi non disponibili da parte dell'amministrazione.
Quindi esse si convertono in cause di annullabilità del provvedimento, da farsi valere entro il breve termine di decadenza, a tutela della stabilità del provvedimento amministrativo (recentemente anche Cons. di Stato, sez. V - 15.03.2010 n. 1498) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. III, sentenza 14.04.2010 n. 1082 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI 1. Responsabilità della Pubblica Amministrazione - Danno da ritardo - Fattispecie.
2. Responsabilità della Pubblica Amministrazione - Danno da ritardo - Illegittimità della condotta - Fattispecie.
3. Responsabilità della Pubblica Amministrazione - Danno da ritardo - In caso di interessi pretensivi - Fattispecie.

1. Le pubbliche amministrazione devono risarcire il mero danno da ritardo procedimentale a prescindere dalla valutazione sulla conseguibilità del bene, in quanto l'interesse procedimentale leso dal ritardo è distinto dalla tutela accordata all'utilità finale perseguita dal privato e consiste nell'interesse all'adempimento da parte della P.A. al generale dovere di correttezza.
2. Il mancato conseguimento del bene della vita, cui la società legittimamente aspirava, costituisce l'evento dannoso, mentre la condotta ingiustificatamente omissiva del Comune costituisce il fatto illecito che ha cagionato il danno.
3. Il danno ingiusto che la pubblica amministrazione deve risarcire, nel caso di interessi pretensivi, riguarda tutto ciò che è conseguenza di un mancato conseguimento del bene della vita, che era sotteso all'istanza avanzata, cui è stato risposto con un diniego illegittimo (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 14.04.2010 n. 1080 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. Natura precaria di un manufatto - Destinazione dell'opera come attribuita dal costruttore - Irrilevanza.
2. Natura precaria di un manufatto - Intrinseca destinazione materiale - Uso precario e temporaneo per fini specifici contingenti e limitati nel tempo.

1. Rientrano nella previsione delle norme urbanistiche e richiedono il rilascio di concessione edilizia non solo i manufatti tradizionalmente compresi nelle attività murarie, ma anche le opere di ogni genere con le quali si intervenga sul suolo o nel suolo, senza che abbia rilevanza giuridica il mezzo tecnico con cui sia stata assicurata la stabilità del manufatto, che può essere infisso o anche appoggiato al suolo, in quanto la stabilità non va confusa con l'irremovibilità della struttura o con la perpetuità della funzione ad essa assegnata, ma si estrinseca nella oggettiva destinazione dell'opera a soddisfare bisogni non provvisori, ossia nell'attitudine ad una utilizzazione che non abbia il carattere della precarietà, cioè non sia temporanea e contingente.
2. La natura precaria di un manufatto, quindi, non può essere desunta dalla temporaneità della destinazione dell'opera come attribuitale dal costruttore, ma deve risultare dalla intrinseca destinazione materiale della stessa ad un uso realmente precario e temporaneo, per fini specifici, contingenti e limitati nel tempo (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 14.04.2010 n. 1076 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Atti di autotutela assunti dalla p.a. - Art. 21-nonies, Legge 241/1990 - Avviso di avvio del procedimento - Occorre - Motivazione - Interessi superiori che inducono la p.a. all'atto in autotutela.
Dall'art. 21-nonies della legge 7 agosto 1990 n. 241, introdotto dall'art. 14 della legge 11.02.2005 n. 15 discende in primo luogo, che l'amministrazione deve porre il privato nella condizione di poter dedurre, già in sede procedimentale, i propri interessi che si oppongono all'assunzione di un provvedimento in autotutela, i quali dovranno poi essere oggetto di specifica comparazione con l'interesse pubblico che depone invece per l'annullamento del provvedimento illegittimo. E' dunque necessario l'inoltro dell'avviso di avvio del procedimento ai sensi dell'art. 7 della legge n. 241/1990.
In secondo luogo è altresì necessario che l'autorità procedente, in esito all'attività di comparazione degli interessi coinvolti, dia conto, nel provvedimento finale, delle ragioni che la inducono a ritenere prevalenti le esigenze che depongono per l'annullamento dell'atto, rispetto all'affidamento che il privato ripone in ordine alla stabilità del rapporto da esso regolato.
Occorre quindi che, nella motivazione del provvedimento di annullamento, vengano evidenziati i superiori interessi pubblici attuali e concreti, ulteriori rispetto a quelli del ripristino della legalità violata, che inducono la pubblica amministrazione ad adottare un atto in autotutela (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. III, sentenza 13.04.2010 n. 1041 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Bando di gara - Doglianza per la previsione di clausole che gli impediscono la partecipazione alla procedura - Immediata impugnazione.
Le clausole dei bandi, indetti dalle ASL per il conferimento ai medici di incarichi libero professionali finalizzati all'effettuazione degli accertamenti medico legali di controllo sullo stato di inabilità temporanea dei lavoratori dipendenti, che prevedono ipotesi di esclusione dalla procedura selettiva sono immediatamente lesive e, per questa ragione, debbono essere tempestivamente impugnate (cfr. TAR Lombardia Milano, sez. III, 26.05.2009 n. 3845).
Si tratta peraltro dell'applicazione al caso specifico di un principio più volte ribadito in giurisprudenza, secondo il quale, il bando di gara, nonostante la sua natura di atto generale, necessita di immediata impugnazione allorquando il ricorrente si dolga per la previsione in esso di clausole che gli impediscono la partecipazione alla procedura (cfr. Consiglio Stato ad. plen., 29.01.2003, n. 1) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. III, sentenza 13.04.2010 n. 1036 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. Ingiunzione di demolizione opere edilizie abusive - Esecuzione dell'opera in totale difformità dalla concessione o in assenza della medesima.
2. Carattere vincolato dell'atto di demolizione - inconsistenza della violazione dell'art. 7, L. 241/1990.
3. Impugnazione giurisdizionale di un provvedimento amministrativo che rimetta in discussione la legittimità del provvedimento definitivo presupposto, divenuto inoppugnabile - Inammissibile.

1. In materia urbanistica, il presupposto per l'adozione dell'ingiunzione di demolizione delle opere edilizie abusive è soltanto la constatata esecuzione dell'opera in totale difformità della concessione o in assenza della medesima, con la conseguenza che tale provvedimento, ove ricorrano i predetti requisiti, è atto dovuto ed è sufficientemente motivato con l'affermazione dell'accertata abusività dell'opera, essendo in re ipsa l'interesse pubblico alla sua rimozione.
2. Dal carattere vincolato dell'atto di demolizione, che non avrebbe potuto avere contenuto diverso da quello adottato, discende l'inconsistenza della violazione dell'art. 7, della legge n. 241 del 1990, ai sensi dell'art. 21-octies della legge medesima (cfr. sul punto l'orientamento giurisprudenziale è costante, si vedano a titolo di esempio Consiglio di stato, sez. IV, 10.04.2009, n. 2227; TAR Lazio Roma, sez. I, 16.07.2009, n. 7033; TAR Puglia Lecce, sez. III, 14.01.2010, n. 141; TAR Campania Napoli, sez. III, 19.01.2010, n. 195).
3. E' inammissibile l'impugnazione giurisdizionale di un provvedimento amministrativo che rimetta in discussione la legittimità del provvedimento definitivo presupposto, divenuto inoppugnabile, come accade nel caso di specie in cui le censure in esame, formalmente dirette avverso l'ordine di demolizione, si traducono nella contestazione del presupposto diniego di concessione edilizia in sanatoria, non impugnato nei termini di legge (cfr. sul punto C.d.S., sez. V, 17.09.2008, n. 4446; TAR Piemonte Torino, sez. I, 04.09.2009, n. 2253) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. III, sentenza 13.04.2010 n. 1029 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. Costruzione vicine ai cimiteri - Inedificabilità assoluta - Applicabilità.
2. Costruzione vicine ai cimiteri - Inedificabilità assoluta -Rigetto della domanda di sanatoria - Parere favorevole dell'Amministrazione preposta alla tutela del vincolo - Non necessario.

1. Il vincolo di inedificabilità assoluta, imposto dalla legge per le costruzioni vicine ai cimiteri, in ragione degli interessi avuti di mira dalla normativa, vale sia per i centri abitati che per i fabbricati sparsi.
2. Trattandosi di vincolo assoluto di inedificabilità non vi è la necessità di richiedere il parere all'autorità sanitaria preposta al vincolo, in quanto, come stabilito dall'art. 32, primo comma, della legge n. 47 del 1985, il rilascio del titolo abilitativo edilizio in sanatoria per opere eseguite su immobili sottoposti a vincolo è subordinato al parere favorevole delle amministrazioni preposte alla tutela del vincolo stesso e quindi, il parere è necessario soltanto quando viene accolta la domanda di sanatoria e non quando viene negata (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 02.04.2010 n. 962 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

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