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AGGIORNAMENTO AL 26.04.2010 |
ã |
UTILITA' |
EDILIZIA PRIVATA:
Incentivi per case "ecologiche": come
comportarsi?
Il D.M. 26.03.2010, provvedimento che ha
introdotto gli incentivi per case ecologiche
è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale
n. 79 del 06.04.2010 ed è entrato in vigore
lo stesso giorno.
Per l'acquisto di immobili di nuova
costruzione è previsto:
- un contributo per un importo pari a 116
euro a metro quadrato (con un massimo di
7mila euro) per gli immobili con fabbisogno
di energia primaria migliore almeno del 50%
rispetto ai valori di cui all'allegato C, n.
1, della Tabella 1.3 del decreto legislativo
19.08.2005, n. 192;
- un contributo per un importo pari a 83
euro al metro quadro (con un massimo di
5mila euro) per gli immobili con fabbisogno
di energia primaria migliore almeno del 30%
rispetto ai valori di cui all'allegato C, n.
1, della Tabella 1.3 del decreto legislativo
19.08.2005, n. 192.
Per usufruire degli incentivi le prestazioni
energetiche degli immobili devono essere
certificate da un soggetto accreditato,
sulla base delle procedure fissate dal
decreto legislativo 19.08.2005, n. 192, e
successive modificazioni.
Per ottenere il contributo, il preliminare
di compravendita deve essere di data certa
successiva al 06.04.2010 e la stipula del
rogito deve avvenire non oltre il 31.12.2010
... (link a www.acca.it). |
EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI:
Gli impianti di protezione per le scariche
atmosferiche: normativa di riferimento e
valutazione del rischio.
Sul sito della Regione Campania è
disponibile un documento dal titolo "Il
D.Lgs. 81/2008 e la vigilanza negli ambienti
di lavoro - Impianti di protezione dalle
scariche atmosferiche: normativa di
riferimento – valutazione del rischio",
a cura dell' ing. Elvio Vitale (Ex Dirigente
Responsabile SPSAL ASL BN1).
Il documento, aggiornato al mese di febbraio
2010, si compone di ben 94 pagine nelle
quali l'autore illustra, nel dettaglio, la
normativa (legislativa e tecnica) di
riferimento ... (link a www.acca.it). |
SICUREZZA LAVORO:
DPI: obblighi per datori di lavoro e
lavoratori. Le indicazioni del Ministero del
Lavoro.
Quali sono gli obblighi cui datori di lavoro
e lavoratori sono tenuti ad ottemperare in
materia di Dispositivi di Protezione
Individuali?
Il Ministero del Lavoro risponde al quesito
nell'apposita sezione (FAQ) del sito ...
(link a www.acca.it). |
EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI:
In gazzetta ufficiale l'elenco aggiornato
delle norme europee e delle norme Uni sui
Prodotti da costruzione.
Sulla Gazzetta Ufficiale n. 91 del
20.04.2010 è stato pubblicato il Decreto 8
aprile 2010 del Ministero dello Sviluppo
economico recante "Elenco riepilogativo
di norme concernenti l'attuazione della
direttiva 89/106/CE relativa ai prodotti da
costruzione".
Il decreto in argomento riporta l'elenco
riepilogativo delle norme nazionali che
traspongono le norme armonizzate europee in
materia di materiali da costruzione (oltre
400 prodotti), i cui riferimenti sono
pubblicati nella Gazzetta Ufficiale
dell'Unione Europea n. C 309 del 18.12.2009,
ai sensi della citata direttiva 89/106/CEE
... (link a www.acca.it). |
DOTTRINA
E CONTRIBUTI |
APPALTI SERVIZI:
R. Russo,
Cosa fare delle società in house? (link a www.robertorusso.it). |
GURI - GUUE -
BURL (e anteprima) |
APPALTI FORNITURE E SERVIZI - EDILIZIA
PRIVATA:
G.U. 23.04.2010 n. 94, suppl. ord. n. 75/L,
"Attuazione della direttiva 2006/123/CE
relativa ai servizi nel mercato interno"
(D.Lgs.
26.03.2010 n. 59). |
NOTE,
CIRCOLARI & COMUNICATI |
EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI:
GUIDA TECNICA su: “Requisiti di
sicurezza antincendio delle facciate negli
edifici civili” (Ministero
dell'Interno, Dipartimento dei Vigili del
Fuoco,
nota 31.03..2010 n. 5643 di prot.). |
EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI:
Certificazione della resistenza al fuoco
di elementi costruttivi – Murature
(Ministero dell'Interno, Dipartimento dei
Vigili del Fuoco,
nota 31.03.2010 n. 5642 di prot.). |
EDILIZIA PRIVATA:
Guida per l'installazione degli impianti
fotovoltaici (Ministero dell'Interno,
Dipartimento dei Vigili del Fuoco,
nota 26.03.2010 n. 5158 di prot.). |
ENTI LOCALI - VARI:
Controlli di prevenzione incendi ai sensi
dell'art. 19 del D.Lgs. 139/2009 - ANNO 2010
(Ministero dell'Interno, Dipartimento dei
Vigili del Fuoco,
nota 10.02.2010 n. 1764 di prot.). |
NEWS |
PUBBLICO IMPIEGO:
Giro di vite sui turni. La
Cassazione dà torto ai dipendenti di una
biblioteca. Indennità se l'orario è
continuativo.
Ai dipendenti della
biblioteca comunale aperta con orario
prolungato solo qualche giorno alla
settimana con orario spezzato non può essere
erogata l'indennità di turno prevista dal
contratto nazionale di lavoro. E questa
limitazione deve essere mantenuta nonostante
l'alternanza dei dipendenti nei servizi
antimeridiani e pomeridiani.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, sez.
lavoro, con la sentenza 07.04.2010 n. 8254.
I dipendenti di un piccolo comune veneziano
addetti al servizio biblioteca hanno
richiesto il pagamento dell'indennità di
turno, conseguente al loro particolare
avvicendamento lavorativo nell'ambito del
servizio cultura. In pratica l'orario di
apertura della biblioteca è stato
organizzato in modo da consentire una
frequentazione del pubblico su 4 giorni per
almeno 10 ore, con pausa pranzo. Nei
restanti due giorni, ovvero il lunedì ed il
sabato, l'orario di apertura per gli utenti
è stato invece limitato a solo 5 ore. Contro
il conseguente diniego dell'amministrazione
comunale all'applicazione dell'istituto
economico che ristora il particolare disagio
per i dipendenti in turno, gli interessati
hanno proposto ricorso al tribunale che ha
accolto le doglianze evidenziando la
legittimità delle pretese salariali ... (articolo
ItaliaOggi del 23.04.2010, pag. 31
- link a www.corteconti.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
P.a., Brunetta a 360°. La reale
portata della sentenza del tribunale di
Torino. Riforma estesa ai contratti
decentrati.
La riforma-Brunetta si
applica integralmente ai nuovi contratti
decentrati, col solo limite
dell'impossibilità di modificare l'assetto
dei fondi contrattuali, in assenza della
nuova contrattazione nazionale collettiva.
La sentenza del Tribunale di Torino
02.04.2010 (si veda Italia Oggi del 12
aprile scorso) non ha affatto sancito
l'inapplicabilità della riforma e, in
particolare, dell'istituto del provvedimento
unilaterale sostitutivo del mancato accordo
sindacale, introdotto dall'articolo 40,
comma 3-ter, del dlgs 165/2001.
Il Tribunale si è limitato a considerare
come antisindacale il comportamento del
datore di lavoro pubblico che ha negato
l'esplicarsi dei diritti sindacali alle
relazioni di concertazione e informazione
fissati dai contratti decentrati vigenti.
L'operazione interpretativa compiuta dal
giudice torinese non si pone per nulla in
contrasto con la riforma ... (articolo
ItaliaOggi del 23.04.2010, pag. 30
- link a www.corteconti.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Certificati, si naviga a vista.
Sui certificati
medici telematici la burocratizzazione
rischia di operare solo a metà. Mentre
ancora non si placano le polemiche tra i
medici di base convenzionati col servizio
sanitario nazionale, parecchio recalcitranti
ad attuare la previsione della
riforma-Brunetta, e palazzo Vidoni, pare si
navighi «a vista» in merito alla concreta
applicazione delle procedure.
Come prevede la circolare 1/2010 della
Funzione pubblica, esplicativa dell'articolo
55-septies, del dlgs 165/2001, si prevede
che il certificato medico telematico sia
trasmesso all'Inps per il tramite del
Sistema di accoglienza centrale (Sac), il
servizio già attivato per la trasmissione
telematica dei certificati di malattia dei
lavoratori privati. Tuttavia, anche se il
canale di trasmissione previsto è il
medesimo, la procedura non è esattamente
identica a quella valevole per il lavoro
privato. In questo sistema, infatti,
destinatario ultimo del certificato di
malattia è lo stesso Inps. L'istituto,
infatti, utilizza in prima persona i
certificati ricevuti, per organizzare le
visite di controllo nei confronti dei
lavoratori. I certificati telematici dei
medici si fermano presso il reale
beneficiario della comunicazione.
Nel caso del settore pubblico, invece,
l'Inps fa solo da centro di raccolta e, non
si capisce ancora in che modo, smistamento.
Proprio la scelta dell'inoltro o, comunque,
del modo di mettere i certificati a
disposizione delle amministrazioni pubbliche
si rivela il lato debole della riforma,
assolutamente vaga sul modo col quale i
certificati telematici possano transitare
nelle banche dati dei datori di lavoro
pubblici.
Le possibilità alternative sono più di una.
La meno efficace è quella secondo la quale
l'Inps dovrebbe organizzarsi per dirottare
quotidianamente i certificati pervenuti dai
medici verso le centinaia di comuni che
spesso compongono il territorio della
provincia o, comunque, le decine di comuni
ricadenti nelle agenzie se saranno queste a
provvedere; cui vi saranno da aggiungere le
decine di scuole, le Usl, le aziende
ospedaliere, commissariati e uffici
periferici dello stato. Una mole di lavoro
imponente, tale da imporre di dedicare
indubbiamente a tempo pieno personale per il
solo compito di dirottare i certificati
verso le amministrazioni destinatarie.
Tale soluzione appare assolutamente
impraticabile. L'Inps, per altro, in questo
periodo particolare risulta oltre modo
sovraccarico di lavoro pressata com'è dalle
pratiche per l'erogazione dell'enorme numero
di indennità di disoccupazione, mobilità,
cassa integrazione ed altri ammortizzatori
sociali in deroga, dovuto alla crisi
economica. Un aggravio ulteriore di
burocrazia è l'ultima delle scelte
opportune. Tanto è vero che tra le soluzioni
allo studio c'è quella di lasciare i
certificati acquisiti al sistema depositati,
in modo che siano inoltrati alle
amministrazioni datrici solo su loro
richiesta. Ma, anche in questo caso la
soluzione appare tutt'altro che ottimale.
Essa non allevierebbe il carico dell'Inps e
aggiungerebbe l'ulteriore attività
improduttiva della domanda di consultazione
di ciascuna amministrazione.
L'unica soluzione seriamente percorribile
appare quella che l'Inps archivi i
certificati pervenuti nel suo portale,
assegnando preventivamente alle
amministrazioni codici e chiavi di accesso,
perché siano queste a scaricare
quotidianamente da lì i certificati.
Certo è che comunque sembra mancare un
pezzo. Le amministrazioni sono, poi, tenute
a richiedere sostanzialmente sempre ai
servizi di visita fiscale delle Asl la
visita ispettiva. Forse, sarebbe stato
meglio pensare il sistema in modo che i
certificati dei medici invece di passare
attraverso l'Inps giungessero direttamente
ai servizi ispettivi del servizio sanitario
e per conoscenza alle amministrazioni,
valendo già automaticamente come input per
l'avvio dei controlli. In questo modo si
sarebbero effettivamente risparmiati
passaggi burocratici eccessivi e forse
inutili. Non resta che aspettare auspicabili
evoluzioni e revisioni del sistema (articolo
ItaliaOggi del 23.04.2010, pag. 30). |
VARI:
Frigo, congelatori,
mobili, Tv e pc.. Gli "sconti" Irpef del 20%
nel 730.
Debutto assoluto per il bonus riservato agli
acquisti finalizzati all'arredo di immobili
ristrutturati.
Sostituzione del vecchio frigorifero con uno
nuovo a basso consumo. Acquisto e
installazione di motori ad elevata
efficienza e di inverter. Arredo delle case
per le quali si fruisce del bonus
ristrutturazioni.
Sono le spese che la normativa tributaria
agevola con una detrazione Irpef del 20%; se
sostenute nel 2009, lo "sconto" va
richiesto nella prossima dichiarazione dei
redditi.
La loro indicazione, nel modello 730/2010,
avviene nella sezione IV del quadro E.
L'unico rigo E37 è suddiviso in quattro
colonne, riservate, rispettivamente, alle
spese per:
1. la sostituzione di frigoriferi,
congelatori e loro combinazioni
2. l'acquisto di motori ad elevata
efficienza
3. l'acquisto di variatori di velocità
4. l'acquisto di mobili, elettrodomestici,
apparecchi televisivi e computer ... (link a
www.nuovofiscooggi.it). |
CORTE DEI
CONTI |
CONSIGLIERI COMUNALI:
Gettoni illegittimi se manca il
verbale. Corte conti Lazio: c'è danno
erariale.
Un verbale di una seduta
consiliare o di una commissione permanente è
giuridicamente inesistente fino a quando non
si perfeziona la relativa procedura di
verbalizzazione. Pertanto, costituisce danno
erariale la corresponsione di gettoni di
presenza a consiglieri comunali, sulla
scorta di sedute di commissione consiliare
svoltesi senza l'ausilio di un funzionario
verbalizzante. Un danno, che deve essere
rimborsato dai consiglieri beneficiati, ma
il cui ammontare complessivo deve essere
ridotto, in quanto generato anche dal
lassismo degli organi della struttura
comunale preposti alla vigilanza e al
pagamento.
Lo ha sancito la sezione giurisdizionale
della Corte dei Conti per la regione Lazio,
nel testo della
sentenza 13.04.2010 n. 793 con la
quale ha condannato alcuni componenti di un
municipio di Roma a dover rifondere nelle
casse comunali quanto dagli stessi percepito
nel 2003, a titolo di gettoni di presenza,
per sedute di commissione nelle quali non
era presente alcun funzionario della
struttura amministrativa che svolgesse le
funzioni di segretario verbalizzante.
Per la Corte decidente, infatti, costituisce
principio di diritto comune che la
deliberazione di un organo collegiale si
sostanzia nelle due componenti, quella della
determinazione volitiva e quella della
verbalizzazione. Da qui è evidente che la
mancanza della seconda comporta di regola la
nullità della prima ... (articolo
ItaliaOggi del 21.04.2010, pag. 26
- link a www.corteconti.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Canoni fognari, rimborsi incerti.
La Corte conti Veneto sospende il giudizio
sul dm Prestigiacomo e interpella la sezione
autonomie. Serve più chiarezza su termini di
prescrizione e documentazione.
Nella procedura di
rimborso del canone di fognatura per gli
utenti che non sono mai stati allacciati
alla rete, come delineata dal decreto del
ministero dell'ambiente del dicembre 2009,
qualcosa ancora non è del tutto chiaro. I
contenuti del decreto, infatti, non
consentono di far luce completamente su
alcuni aspetti fondamentali, soprattutto in
relazione ai termini di prescrizione entro
cui far valere il proprio diritto al
rimborso e alla necessità di documentare
l'istanza. Con questi presupposti, pertanto,
è necessario che si pronunci nel merito la
sezione autonomie della Corte dei conti con
una questione di massima di interesse
generale, al fine di garantire una
uniformità di indirizzo.
E' quanto ha deciso la sezione regionale di
controllo della Corte dei conti per il
Veneto, nel testo del
parere 24.03.2010 n. 36, con il
quale ha sospeso ogni chiarimento sulla
portata delle norme contenute nel decreto
Minambiente 30.09.2009, pubblicato sulla
Gazzetta Ufficiale dell'08.2.2010. Norma con
cui si è inteso «individuare i criteri e
i parametri per la restituzione agli utenti
della quota di tariffa non dovuta riferita
al servizio di depurazione» ... (articolo
ItaliaOggi del 23.04.2010, pag. 29
- link a www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI: Spese
legali, il comune paga tutti. La Corte conti
estende il diritto alla rifusione dei costi
di giudizio in caso di proscioglimento.
Rimborsi anche ai componenti esterni delle
commissioni edilizie.
I comuni possono
rimborsare le spese legali sostenute dai
componenti esterni delle commissioni
edilizie nel caso di proscioglimento con
sentenza passata in giudicato per fatti
relativi alla propria attività
istituzionale. Perché possa maturare la
responsabilità contabile degli
amministratori in sede di rimborso
illegittimo delle spese legali occorre che
nella loro condotta sia presente il
requisito della colpa grave, il che non si
realizza nei casi in cui è richiesta una
approfondita conoscenza giuridica nonché nei
casi in cui i pareri, ivi compreso quello di
legittimità del segretario comunale, sono
stati favorevoli.
Sono queste le più importanti indicazioni
contenute nella
sentenza 08.02.2010 n. 30 della
II sezione giurisdizionale centrale
d'appello della Corte dei Conti.
La sentenza ha un carattere per molti
aspetti innovativo, come dimostrato anche
dal fatto che essa ha annullato la condanna
inflitta in primo grado ai componenti la
giunta di un comune che avevano deliberato
il rimborso delle spese legali ai componenti
la commissione edilizia.
Da sottolineare che, in precedenza, questa
possibilità era stata negata in quanto tali
soggetti non sono né dipendenti né
amministratori. E ancora, che in presenza di
condizioni che fanno giudicare illegittima
la scelta dell'ente la decisione è andata
nella direzione della condanna per maturare
di responsabilità amministrativa ...
(articolo
ItaliaOggi del 23.04.2010, pag. 32
- link a www.corteconti.it). |
GIURISPRUDENZA |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
ACQUA - Servizio idrico integrato
- L.r. Lombardia n. 1/2009, art. 4, c. 1,
lett. b) - Pianificazione d’ambito -
Competenza amministrative di controllo -
Attribuzione alla Regione - Illegittimità
costituzionale - Artt. 149 e 161 d.lgs. n.
152/2006.
E’
costituzionalmente illegittimo l’art. 4,
comma 1, lettera b), della L.R. Lombardia n.
1 del 2009, nella parte in cui aggiunge la
lettera h-ter) al comma 1 dell’art. 44 della
l.r. n. 26/2003.
La norma attribuisce alla Regione le
competenze amministrative di controllo
relative alla pianificazione d’ambito che
sono invece attribuite dagli artt. 149,
comma 6, e 161, comma 4, lettera b), del
decreto legislativo n. 152 del 2006, al
Comitato per la vigilanza sull’uso delle
risorse idriche.
La pianificazione d’ambito deve essere
ricondotta alla materia della “tutela
della concorrenza”, di competenza
legislativa esclusiva dello Stato, perché
strettamente funzionale alla gestione
unitaria del servizio e ha, perciò, lo scopo
di consentire il concreto superamento della
frammentazione della gestione delle risorse
idriche, al fine di inserire armonicamente
tale gestione in un più ampio quadro
normativo diretto alla razionalizzazione del
mercato del settore» (Sent. n. 246 del
2009).
ACQUA - Servizio idrico integrato
- L.r. Lombardia n. 1/2009, artt. 5 e 8 -
Tariffa del servizio idrico integrato -
Determinazione - Prescrizioni regionali -
Illegittimità costituzionale - Art. 154
d.lgs. n. 152/2006.
Gli artt. 5 e 8 della legge reg. n. 1 del
2009, modificando gli artt. 48 e 51 della
legge reg. n. 26 del 2003, prevedono che la
tariffa del servizio idrico integrato sia
determinata sulla base delle prescrizioni
dell’amministrazione regionale, mentre i
commi 2 e 4 dell’art. 154 del d.lgs. n. 152
del 2006 attribuiscono al Ministro
dell’ambiente e della tutela del territorio
la definizione delle componenti di costo per
la determinazione della tariffa in questione
e all’Autorità d’àmbito la determinazione
della tariffa di base.
La disciplina della tariffa del servizio
idrico integrato contenuta nell’art. 154 del
d.lgs. n. 152 del 2006 è ascrivibile, «in
prevalenza, alla tutela dell’ambiente e alla
tutela della concorrenza, materie di
competenza legislativa esclusiva dello Stato»
(Sent. n. 246 del 2009).
Ne consegue
l’illegittimità costituzionale delle norme
regionali impugnate.
ACQUA - Servizio idrico integrato
- L.r. Lombardia n. 1/2009, art. 3, c. 1,
lett. p) ed r) - Tariffa del servizio idrico
integrato - Determinazione - Prescrizioni
dell’amministrazione regionale -
Illegittimità costituzionale - Art. 154
d.lgs. n. 152/2006.
Le lettere p) ed r) del comma 1 dell’art. 3
della legge reg. Lombardia n. 10 del 2009
recano una disciplina della tariffa del
servizio idrico integrato, prevedendo,
seppure nel particolare caso della
separazione della gestione delle reti
dall’erogazione del servizio, che detta
tariffa sia determinata sulla base delle
prescrizioni dell’amministrazione regionale,
mentre i parametri interposti dei commi 2 e
4 dell’art. 154 del d.lgs. n. 152 del 2006
attribuiscono al Ministro dell’ambiente e
della tutela del territorio la definizione
delle componenti di costo per la
determinazione della «tariffa relativa ai
servizi idrici per i vari settori di impiego
dell’acqua» e all’Autorità d’àmbito la
determinazione della tariffa di base.
Poiché
la disciplina della tariffa del servizio
idrico integrato è ascrivibile alla tutela
dell’ambiente e alla tutela della
concorrenza, materie di competenza
legislativa esclusiva dello Stato, è
precluso al legislatore regionale
intervenire nel settore, con una disciplina
difforme da quella statale.
ACQUA - Servizio idrico integrato
- L.r. Lombardia n. 1/2009, art. 3, c. 1,
lett q) - Pianificazione d’ambito -
Competenze amministrative di controllo -
Attribuzione alla Giunta regionale -
Illegittimità costituzionale.
La lettera q) del comma 1 dell’art. 3 della
legge reg. Lombardia n. 10 del 2009
attribuisce alla Giunta regionale le
competenze amministrative di controllo
relative alla pianificazione d’àmbito, che
sono, invece, attribuite dagli evocati
parametri interposti al Comitato per la
vigilanza sull’uso delle risorse idriche.
Poiché la disciplina della pianificazione d’àmbito
rientra nella materia della tutela della
concorrenza, di competenza legislativa
esclusiva dello Stato, le disposizioni
regionali denunciate sono illegittime,
perché intervengono in un settore, quello
della pianificazione d’àmbito, che è
precluso alla Regione.
ACQUA - Servizio idrico integrato
- L.r. Lombardia n. 1/2009, art. 15, c. 9 -
Atti di determinazione della tariffa e piani
d’ambito già adottati - Salvezza -
Illegittimità costituzionale - Disciplina
ascrivibile alla competenza legislativa
esclusiva dello Stato.
L’art. 15, comma 9, della legge reg. n. 10
del 2009 reca una disciplina della tariffa
del servizio idrico integrato, facendo
«salvi» e dichiarando «approvati», «ai
sensi e per gli effetti delle prescrizioni
regionali di cui all’articolo 51 della L.R.
n. 26/2003, come modificato dall’articolo 8
della legge regionale 29 gennaio 2009, n. 1»,
gli atti di determinazione della tariffa
delle Autorità d’àmbito e i piani d’àmbito
già adottati; i citati parametri interposti
dei commi 2 e 4 dell’art. 154, del d.lgs. n.
152 del 2006 attribuiscono, invece, al
Ministro dell’ambiente e della tutela del
territorio la definizione delle componenti
di costo per la determinazione della «tariffa
relativa ai servizi idrici per i vari
settori di impiego dell’acqua» e
all’Autorità d’àmbito la determinazione
della tariffa di base.
Poiché la disciplina della tariffa del
servizio idrico integrato è ascrivibile alla
competenza legislativa esclusiva dello
Stato, va dichiarata l’illegittimità
costituzionale della disposizione
denunciata, perché essa interviene in
settori, quelli della tariffa del servizio
idrico integrato e della pianificazione d’àmbito,
la cui disciplina è preclusa alla Regione
(Corte Costituzionale,
sentenza 23.04.2010 n. 142 - link
a www.ambientediritto.it). |
URBANISTICA:
Pianificazione urbanistica -
Potere discrezionale dell’amministrazione -
Motivazione - Limiti.
Nelle scelte di pianificazione, la
valutazione dell’idoneità delle singole aree
a soddisfare, con riferimento alle possibili
destinazioni, specifici interessi
urbanistici, costituisce espressione del
potere discrezionale dell’amministrazione
(fra le più recenti: Consiglio Stato, sez.
IV, 04.12.2009, n. 7654): nell’esercizio di
tale potere l’amministrazione non ha la
necessità di dare una motivazione specifica
sulle scelte adottate in ordine alla
destinazione delle singole aree in quanto le
stesse trovano giustificazione nei criteri
generali di impostazione del piano
(Consiglio di Stato, sez. IV, 24.04.2009, n.
2630; sez. V, 02.03.2009, n. 1149), con la
conseguenza che tali scelte possono essere
censurate soltanto in presenza di evidenti
vizi logico-giuridici nel quadro delle linee
portanti della pianificazione.
Pianificazione urbanistica -
Osservazioni dei cittadini - Natura -
Apporto collaborativo - Rigetto o
accoglimento - Motivazione - Limiti.
Le osservazioni proposte dai cittadini nei
confronti degli atti di pianificazione
urbanistica non costituiscono veri e propri
rimedi giuridici ma semplici apporti
collaborativi e, pertanto, il loro rigetto o
il loro accoglimento non richiede una
motivazione analitica, essendo sufficiente
che esse siano state esaminate e confrontate
con gli interessi generali dello strumento
pianificatorio (Consiglio di Stato, sez. IV,
18.06.2009, n. 4024 cit.).
Pianificazione urbanistica -
Scelte - Sindacato giurisdizionale - Limiti
- Comparazione con la destinazione
urbanistica impressa ad aree adiacenti -
Vizio di eccesso di potere per disparità di
trattamento - Inconfigurabilità.
Le scelte urbanistiche circa la disciplina
del territorio possono formare oggetto di
sindacato giurisdizionale nei soli casi di
arbitrarietà, irrazionalità o
irragionevolezza ovvero di palese
travisamento dei fatti, che costituiscono i
limiti della discrezionalità amministrativa
(Consiglio di Stato, sez. IV, 18.06.2009, n.
4024 cit.), con la conseguenza che, a meno
che non siano riscontrabili errori di fatto
o abnormi illogicità, non è configurabile
neppure il vizio di eccesso di potere per
disparità di trattamento basata sulla
comparazione con la destinazione impressa ad
altre zone adiacenti (fra le tante:
Consiglio di Stato, sez. IV, 18.06.2009, n.
4024)
Pianificazione urbanistica -
Discrezionalità amministrativa - Limite -
Affidamento qualificato - Esempi - Connesso
onere motivazionale.
La regola generale dell’ampia
discrezionalità amministrativa nelle scelte
di pianificazione urbanistica subisce
un'eccezione in alcune situazioni specifiche
in cui il principio della tutela
dell’affidamento impone che il piano
regolatore dia conto del modo in cui è stata
effettuata la ponderazione degli interessi
pubblici e sono state operate le scelte di
pianificazione.
Meritevoli di questa
particolare forma di tutela sono peraltro
solo quelle situazioni caratterizzate da un
affidamento “qualificato” (Consiglio
di Stato, sez. IV, 07.04.2008, n. 1476).
Tale posizione è stata riconosciuta:
a) nel superamento degli standard minimi di
cui al d.m. 02.04.1968, con l'avvertenza che
la motivazione ulteriore va riferita
esclusivamente alle previsioni urbanistiche
complessive di sovradimensionamento,
indipendentemente dal riferimento alla
destinazione di zona di determinate aree;
b) nella lesione dell'affidamento
qualificato del privato derivante da
convenzioni di lottizzazione, accordi di
diritto privato intercorsi tra il Comune e i
proprietari delle aree, dalle aspettative
nascenti da giudicati di annullamento di
dinieghi di concessione edilizia (oggi
permesso di costruire) o di silenzio-rifiuto
su una domanda di concessione;
c) nella modificazione in zona agricola
della destinazione di un'area limitata,
interclusa da fondi edificati in modo non
abusivo (Consiglio di Stato, Adunanza
Plenaria, 22.12.1999, n. 24, Consiglio di
Stato, sez. III, 06.10.2009, n. 1610; sez.
V, 02.03.2009, n. 1149; sez. VI, 18.04.2007,
n. 1784).
Negli altri casi l’esistenza di una
precedente diversa previsione urbanistica
non comporta invece per l’amministrazione la
necessità di fornire particolari spiegazioni
sulle ragioni delle diverse scelte operate
anche quando queste sono nettamente
peggiorative per i proprietari (e per le
loro aspettative), dovendosi (in tali altri
casi) dare prevalente rilievo all’interesse
pubblico che le nuove scelte pianificatorie
intendono perseguire.
Destinazione urbanistica difforme
da quella previgente - Esistenza di
fabbricati - Ostacolo - Esclusione -
Fattispecie: interventi edilizi esistenti in
zona agricola.
L'esistenza di fabbricati, anche di recente
costruzione, non può essere considerata di
ostacolo all'introduzione di destinazioni
urbanistiche difformi da quelle previgenti
sulle corrispondenti aree di sedime (TAR
Lombardia Brescia, 12.01.2001, n. 2;
Consiglio di Stato, sez. IV, 02.11.1995, n.
887).
In particolare, per quanto riguarda
l’esistenza di immobili in zona agricola,
nonostante la realizzazione di interventi
edilizi sul suolo, la destinazione a verde
agricolo può considerarsi pur sempre
rispondente ad apprezzabili esigenze
funzionali di sviluppo equilibrato e
sostenibile dell'agglomerato, nonché di
salvaguardia della vivibilità urbana (TAR
Lombardia, Brescia, 20.10.2005, n. 1043),
della salubrità (Consiglio di Stato, sez. V,
19.04.2005, n. 1782; sez. IV, 20.09.2005, n.
4818 e n. 4828) e della qualità ambientale.
Destinazione a verde agricolo -
Finalità di contenimento dell’espansione
dell’aggregato urbano.
La destinazione a verde agricolo di un'area,
che rientra nell'ampia discrezionalità del
comune di orientare gli insediamenti urbani
in determinate direzioni, ovvero di
salvaguardare precisi equilibri dell'assetto
territoriale, può legittimamente anche
essere preordinata ad un uso non
strettamente agricolo, ma alla finalità di
conservazione dei valori naturalistici ed
ambientali e di contenimento del fenomeno di
espansione dell'aggregato urbano (Consiglio
di Stato, sez. IV, 25.07.2007, n. 4149;
03.11.2008, n. 5478), con una finalità che
non è preclusa in radice dall'esecuzione di
attività costruttive sull'area medesima, ma,
anzi, concretizzabile nell'arresto di tali
attività (TAR Campania Napoli, sez. VIII,
17.09.2009, n. 4977).
Strumento urbanistico -
Procedimento di approvazione - Atto
complesso ineguale.
Il procedimento di approvazione di uno
strumento urbanistico (o di una sua
variante) costituisce un atto complesso
ineguale in ragione del fatto che deve
intendersi la risultante del concorso di
diversi atti di volontà, quello di livello
comunale, esponenziale e rappresentativo
della collettività e degli interessi locali,
e quello regionale (e provinciale),
espressione di un più ampio potere di
indirizzo e coordinamento in materia
urbanistica.
Ciò comporta che sul piano procedimentale,
la dialettica che si instaura tra i diversi
livelli di governo non ha una dimensione
statica ed immutabile bensì presenta margini
di variabilità in ragione della misura di
convergenza delle valutazioni effettuate nei
due diversi stadi decisori.
Strumento urbanistico -
Approvazione in “stralci” - Nuova disciplina
urbanistica diretta a completare la
pianificazione - Potere comunale -
Permanenza - Motivazione dello stralcio -
Natura di raccomandazione.
L’approvazione di uno strumento urbanistico
in stralci lascia integro ed impregiudicato
il potere del Comune di riproporre una nuova
disciplina urbanistica diretta a completare
la pianificazione relativamente alle aree
oggetto di stralcio e l'autorità comunale
resta libera nell'attività di completamento
della disciplina urbanistica, costituendo la
motivazione dello stralcio una "raccomandazione"
in funzione del (rinnovato) esercizio della
potestà pianificatoria da parte dell'Ente
(Consiglio di Stato, Sezione IV, 29.10.2002,
n. 5912).
Non assumendo poi la "raccomandazione"
natura di atto autoritativo, vincolante, il
Comune può recepire le indicazioni
provenienti dall'autorità cui l'ordinamento
riconosce il potere di approvare la
strumentazione urbanistica, condividendo le
considerazioni esposte da tale autorità,
ovvero discostarsene motivatamente in sede
di variante integrativa (TAR Campania-Napoli,
Sez. II,
sentenza 20.04.2010 n. 2043 -
link a www.ambientediritto.it). |
URBANISTICA:
VAS - Finalità - Effetti
sull’ambiente di piani e programmi.
La valutazione ambientale strategica (VAS) è
volta a garantire che gli effetti
sull’ambiente di determinati piani e
programmi siano considerati durante
l'elaborazione e prima dell'adozione degli
stessi, così da anticipare nella fase di
pianificazione e programmazione quella
valutazione di compatibilità ambientale che,
se effettuata (come avviene per la
valutazione di impatto ambientale) sulle
singole realizzazioni progettuali, non
consentirebbe di compiere un'effettiva
valutazione comparativa, mancando in
concreto la possibilità di disporre di
soluzioni alternative per la localizzazione
degli insediamenti e, in generale, per
stabilire, nella prospettiva dello sviluppo
sostenibile, le modalità di utilizzazione
del territorio (TAR Umbria Perugia,
19.06.2006, n. 325) (TAR Campania-Napoli,
Sez. II,
sentenza 20.04.2010 n. 2043 -
link a www.ambientediritto.it). |
APPALTI:
GARE PUBBLICHE: INTEGRAZIONE
POSTUMA DELLA DOCUMENTAZIONE.
1.- Appalto di servizi -
Documentazione - Lex specialis - Mancata
presentazione - Esclusione - Legittimità -
Integrazione postuma - Inammissibilità -
Fattispecie.
2.- Appalto di servizi - Documentazione -
Integrazione - Postuma - Art. 16, D.Lgs. n.
157/1995 - Ammissibilità - Limiti.
1.-
Conformemente ai principi generali
dell'evidenza pubblica, la documentazione
necessaria ai fini dell'ammissione alla gara
deve essere introdotta secondo le modalità
ed i termini previsti nella lex specialis,
non assumendo alcun rilievo la circostanza
che la ditta concorrente, a fronte della
mancata esibizione di un documento in sede
di gara, sia nella reale disponibilità dello
stesso.
Ne deriva che l'impresa esclusa dalla gara
non può affatto giovarsi, pena la violazione
del fondamentale canone di par condicio,
dell'effettivo possesso della documentazione
non presentata nel corso della procedura,
magari attraverso una successiva produzione
integrativa (nel caso a mano, il documento
prodotto formalmente dalla ricorrente non è
stato ritenuto qualificabile quale "autorizzazione
sanitaria", essendo privo dei requisiti
essenziali perché potesse essere considerato
atto promanante dall'autorità comunale.
Pertanto, ammesso che possa avere una
qualche rilevanza la distinzione tra
invalidità e mancanza del documento, il
Collegio ha comunque ritenuto che si
trattasse di una vera e propria omissione
documentale, da sanzionare con l'esclusione
dalla gara).
2.-
Il rimedio della regolarizzazione postuma,
contemplato dall'art. 16, D.Lgs. n.
157/1995, è attivabile solo nelle ipotesi di
dichiarazioni, documenti e certificati non
chiari o di dubbio contenuto, ma che siano
pur sempre stati prodotti, e non anche
laddove si sia in presenza di documentazione
del tutto mancante o fisicamente incompleta
(come nella fattispecie), determinandosi, in
caso contrario, la compromissione della par
condicio a scapito delle imprese concorrenti
che abbiano rispettato la disciplina di
gara.
In altri termini, la facoltà di integrazione
della documentazione allegata all'offerta è
consentita solo nell'eventualità in cui
occorra chiarire il contenuto di una domanda
presentata ritualmente e tempestivamente, ma
non quando il documento prodotto sia diverso
da quello richiesto dalla lex specialis,
trattandosi di indebita sostituzione di
documenti e non di completamento o di
chiarimento di essi (massima tratta da
http://mondolegale.it
-
TAR Campania-Napoli, Sez. I,
sentenza 19.04.2010 n. 2016 -
link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
Lottizzazione abusiva -
Lottizzazione materiale - Lottizzazione
cartolare - Bene giuridico protetto
dall’ordinamento - Ordinata pianificazione
urbanistica - Controllo effettivo del
territorio - Art. 18 L. n. 47/1985.
L’art. 18 della legge 28.02.1985, n. 47
disciplina due differenti ipotesi di
lottizzazione abusiva, la prima, c.d.
materiale, relativa all'inizio della
realizzazione di opere che comportano la
trasformazione urbanistica ed edilizia dei
terreni, sia in violazione delle
prescrizioni degli strumenti urbanistici,o
di leggi statali o regionali, sia in assenza
della prescritta autorizzazione; la seconda,
c.d. formale (o cartolare), che si ha
allorquando, pur non essendo ancora avvenuta
una trasformazione lottizzatoria di
carattere materiale, se ne sono già
realizzati i presupposti con il
frazionamento e la vendita del terreno in
lotti che per le specifiche caratteristiche,
quali la dimensione, la natura del terreno,
la destinazione urbanistica, l'ubicazione e
la previsione di opere urbanistiche, o per
altri elementi riferiti agli acquirenti,
evidenzino in modo non equivoco la idoneità
all'uso edificatorio.
Ne consegue che il bene giuridico protetto
dall'ordinamento non è solo quello
dell'ordinata pianificazione urbanistica e
del corretto uso del territorio, ma anche
quello dell'effettivo controllo del
territorio da parte del soggetto titolare
della relativa funzione.
Lottizzazione abusiva - Elementi
- Frazionamento cartolare - Destinazione a
scopo edificatorio degli atti posti in
essere - Elementi indiziari - Sufficienza di
un unico indizio - Art. 18 L. n. 47/1985.
Per integrare l'ipotesi di lottizzazione
abusiva è sufficiente il solo fatto che le
opere o il frazionamento fondiario siano
stati realizzati in assenza di uno strumento
urbanistico attuativo o di un piano di
lottizzazione convenzionato (Consiglio di
Stato sez. V, 26.03.1996, n. 301).
Segnatamente, per quanto concerne il
frazionamento "cartolare", seppure è
necessario che l’accertamento del
presupposto di cui all’articolo 18 legge
28.02.1985, n. 47 comporti una ricostruzione
di un quadro indiziario sulla scorta degli
elementi indicati nella norma, dalla quale
sia possibile desumere in maniera non
equivoca "la destinazione a scopo
edificatorio" degli atti posti in essere
dalle parti (Consiglio di Stato, sez. V,
20.10.2004, n. 6810), è sufficiente che lo
scopo edificatorio emerga anche da un solo
indizio (Consiglio di Stato, sez. V,
14.05.2004, n. 3136; IV n. 3531 del
30.06.2005; n. 6060 del 11.10.2006) (TAR
Campania-Salerno, Sez. II,
sentenza 16.04.2010 n. 3936 -
link a www.ambientediritto.it). |
APPALTI:
Sulla non applicabilità
dell'abbreviazione dei termini prevista
all'art 23-bis, c. 2, L. n. 1034/1971, in
riferimento alla proposizione dei motivi
aggiunti.
Sulla legittimazione ad impugnare gli atti
di gara in capo ad un'impresa mandataria di
un r.t.i.
E' da ritenersi inapplicabile
l'abbreviazione dei termini prevista
dall'art. 23-bis comma 2, della L. n.
1034/1971, in riferimento alla proposizione
dei motivi aggiunti, ciò in quanto la
ratio alla base della scelta normativa
di non estendere il dimezzamento al termine
di notifica dell'atto introduttivo del
giudizio riposa sull'esigenza di garantire
il pieno esercizio del diritto di difesa
garantito dalla Costituzione, che
risulterebbe eccessivamente compresso per
effetto dell'abbreviazione anche del termine
de quo. Tale esigenza sussiste anche
nell'ipotesi in cui il ricorrente debba
articolare nuove censure attraverso i motivi
aggiunti, non potendo attribuirsi rilevanza
decisiva alla diversità di situazioni,
consistente nel fatto che in tal caso il
ricorrente ha già conferito il mandato ad un
difensore, pertanto, i tempi necessari per
l'esercizio del diritto di difesa dovrebbero
essere considerati "al netto" del
tempo necessario alla ricerca di un
difensore. Nella fissazione dei termini per
l'esercizio delle attività processuali,
infatti, si dovrebbe prescindere dal
rapporto interno tra parte e difensore,
attivandosi unicamente a prevedere tempi
idonei a consentire all'interessato la piena
esplicazione del suo diritto di difesa, ai
sensi dell'art. 24 Cost.
Secondo giurisprudenza della Corte di
Giustizia Europea, non si contrappone al
diritto comunitario una normativa nazionale
che consenta a ciascuna impresa -membro di
una a.t.i.- priva di personalità giuridica,
che abbia preso parte ad una gara d'appalto,
di impugnare singolarmente gli atti della
procedura stessa, ciò in quanto la
legittimazione individuale delle imprese
associate in r.t.i. trae la sua fonte dai
comuni principi del diritto interno in tema
di legittimazione processuale e personalità
giuridica; peraltro, è pacifico l'assunto
secondo cui un r.t.i. non dà luogo ad
un'entità giuridica autonoma che escluda la
soggettività delle singole imprese che lo
compongono (Consiglio di Stato, Adunanza
Plenaria,
sentenza 15.04.2010 n. 2155 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
LAVORI PUBBLICI:
Sui requisiti necessari per
partecipare ad una procedura indetta secondo
le modalità di project financing.
L'operazione di project financing è
diretta a realizzare una serie di interventi
attraverso il concorso di risorse pubbliche
e private; a tale risultato, sul piano
procedurale, corrisponde la sovrapposizione
di più modelli negoziali, i quali conservano
la propria autonomia, pur essendo connessi
in vista del raggiungimento di un unico
risultato economico. All'interno esso consta
di una fase preliminare relativa alla
individuazione del promotore, ed una
successiva di tipo selettivo, finalizzata
all'affidamento della concessione:
quest'ultima consiste in una gara, come tale
soggetta ai principi comunitari e nazionali
in materia di evidenza pubblica; viceversa
la scelta del promotore è connotata da ampia
discrezionalità amministrativa, in quanto
intesa alla valutazione dell'esistenza
stessa di un interesse pubblico che
giustifichi l'accoglimento della proposta
formulata dal promotore.
Nella fattispecie, la causa di esclusione
esistente in capo al r.t.i. concerne i
requisiti soggettivi di ordine generale
richiesti dalla legge, pertanto vale il
principio secondo cui essi devono essere
posseduti dai concorrenti al momento della
domanda di partecipazione alla gara, e
permanere fino alla stipulazione del
contratto, oltreché documentati da ciascuna
delle imprese partecipanti al
raggruppamento; inoltre, l'accertamento dei
requisiti soggettivi va effettuato con
riferimento al momento della domanda di
partecipazione alla stessa (Consiglio di
Stato, Adunanza Plenaria,
sentenza 15.04.2010 n. 2155 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
d.i.a. non ha natura provvedimentale,
trattandosi al contrario di un atto del
privato, come tale non immediatamente
impugnabile innanzi al TAR.
Ll sentenza che accerta l’inesistenza dei
presupposti della d.i.a. ha effetti
conformativi nei confronti
dell’Amministrazione, in quanto le impone di
porre rimedio alla situazione nel frattempo
venutasi a creare sulla base della d.i.a.,
segnatamente di ordinare l’interruzione
dell’attività e l’eventuale riduzione in
pristino di quanto nel frattempo realizzato.
Il Collegio ritiene di confermare
l’orientamento (già espresso da questa
Sezione con la decisione n. 717/2009),
secondo cui la d.i.a. non ha natura
provvedimentale, trattandosi al contrario di
un atto del privato, come tale non
immediatamente impugnabile innanzi al T.a.r..
L’azione a tutela del terzo che si ritenga
leso dall’attività svolta sulla base della
d.i.a. non è, quindi, l’azione di
annullamento, ma l’azione di accertamento
dell’inesistenza dei presupposti della
d.i.a.. Tale azione (che sebbene non
espressamente prevista trova il suo
fondamento nel principio dell’effettività
della tutela giurisdizionale sancito
dall’art. 24 Cost.) va proposta nei
confronti del soggetto pubblico che ha il
compito di vigilare sulla d.i.a. (verso il
quale si produrranno poi gli effetti
conformativi derivanti dall’eventuale
sentenza di accoglimento), in
contraddittorio con il denunciante, che
assume la veste di soggetto
controinteressato (perché l’eventuale
accoglimento della domanda di accertamento
andrebbe ad incidere negativamente sulla sua
sfera giuridica).
E’ appena il caso di precisare che la
sentenza che accerta l’inesistenza dei
presupposti della d.i.a. ha effetti
conformativi nei confronti
dell’Amministrazione, in quanto le impone di
porre rimedio alla situazione nel frattempo
venutasi a creare sulla base della d.i.a.,
segnatamente di ordinare l’interruzione
dell’attività e l’eventuale riduzione in
pristino di quanto nel frattempo realizzato.
Tale potere, in quanto volto a dare
esecuzione al comando implicitamente
contenuto nella sentenza di accertamento,
deve essere esercitato a prescindere sia
dalla scadenza del termine perentorio
previsto dall’art. 19 l. n. 241/1990 per
l’adozione dei provvedimenti
inibitori-repressivi, sia dalla sussistenza
dei presupposti dell’autotutela decisoria
richiamati sempre dall’art. 19.
Non si tratta, infatti, né di un potere di
autotutela propriamente inteso (e, quindi,
non richiede alcuna valutazione
sull’esistenza di un interesse pubblico
attuale e concreto prevalente sull’interesse
del privato), né del potere inibitorio
tipizzato dall’art. 19 l. n. 241/1990 (per
il quale è previsto il termine perentorio).
Si tratta, al contrario, di un potere che ha
diversa natura e che trova il suo fondamento
nell’effetto conformativo del giudicato
amministrativo, da cui discende, appunto, il
dovere per l’Amministrazione di determinarsi
tenendo conto delle prescrizioni impartite
dal giudice nella motivazione della sentenza
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 15.04.2010 n. 2139 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
LAVORI PUBBLICI:
I concorrenti debbono possedere
le qualificazioni richieste dal bando di
gara non solo alla scadenza del termine per
la presentazione delle offerte, ma in ogni
successiva fase del procedimento di evidenza
pubblica e per tutta la durata dell'appalto.
In materia di accertamento dei requisiti di
ordine speciale per il conseguimento degli
appalti di lavori pubblici, vige il
principio secondo cui le qualificazioni
richieste dal bando debbono essere possedute
dai concorrenti non soltanto alla scadenza
del termine per la presentazione delle
offerte, ma in ogni successiva fase del
procedimento di evidenza pubblica e per
tutta la durata dell'appalto, ciò nel
rispetto dell'esigenza di certezza e
funzionalità del regime di qualificazione
obbligatoria, imperniato sul rilascio, da
parte degli organismi di attestazione, di
certificati che costituiscono condizione
necessaria per l'idoneità all'esecuzione dei
lavori pubblici.
Le stazioni appaltanti non possono essere
esposte all'alea della perdita e del
successivo riacquisto in corso di gara, da
parte delle ditte offerenti, della
qualificazione SOA. L'impresa che partecipa
alla procedura selettiva deve, dunque,
curarsi di possedere, dalla presentazione
dell'offerta fino all'eventuale fase di
esecuzione dell'appalto, la qualificazione
tecnico-economica richiesta dal bando.
Siffatto principio si applica anche agli
appalti rientranti nei settori speciali, per
i quali l'art. 232 del d.lgs. n. 163/2006
(Codice dei contratti pubblici) autorizza la
creazione di sistemi autonomi di
qualificazione da parte degli enti
aggiudicatori (TAR Puglia-Bari, Sez. I,
sentenza 14.04.2010 n. 1334 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Natura precaria di un manufatto -
destinazione dell’opera come attribuita dal
costruttore - Irrilevanza - Intrinseca
destinazione materiale - Uso precario e
temporaneo per fini specifici contingenti e
limitati nel tempo.
Rientrano nella previsione delle norme
urbanistiche e richiedono, pertanto, il
rilascio di concessione edilizia non solo i
manufatti tradizionalmente compresi nelle
attività murarie, ma anche le opere di ogni
genere con le quali si intervenga sul suolo
o nel suolo, senza che abbia rilevanza
giuridica il mezzo tecnico con cui sia stata
assicurata la stabilità del manufatto, che
può, essere infisso o anche appoggiato al
suolo.
La stabilità non va infatti confusa con
l'irremovibilità della struttura o con la
perpetuità della funzione ad essa assegnata,
ma si estrinseca nella oggettiva
destinazione dell'opera a soddisfare bisogni
non provvisori, ossia nell'attitudine ad una
utilizzazione che non abbia il carattere
della precarietà, cioè non sia temporanea e
contingente.
La natura precaria di un manufatto, quindi,
non può essere desunta dalla temporaneità
della destinazione dell'opera come
attribuitale dal costruttore, ma deve
risultare dalla intrinseca destinazione
materiale della stessa ad un uso realmente
precario e temporaneo, per fini specifici,
contingenti e limitati nel tempo (Cassazione
penale, sez. III, 22.03.2005, n. 14044) (TAR
Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 14.04.2010 n. 1076 -
link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Canne fumarie - Obbligo di
scarico a tetto - Deroga - Presupposti -
Art. 5, c. 9, D.P.R. n. 412/1993.
Ai fini dell’integrazione dei presupposti
per la deroga all’obbligo di scarico a tetto
-prevista dall’art. 5 co. 9., del D.P.R. n.
412/1993, non è sufficiente l’obiettiva
mancanza di camini, canne fumarie o sistemi
di evacuazione con sbocco sopra il tetto
funzionali ed idonei, o comunque adeguabili:
a tale mancanza è attribuito valore
nell’ambito esclusivo di situazioni
tipicizzate (singole ristrutturazioni di
impianti termici individuali già esistenti,
siti in stabili plurifamiliari; nuove
installazioni di impianti termici
individuali in edificio assoggettato dalla
legislazione nazionale o regionale vigente a
categorie di intervento di tipo
conservativo, precedentemente mai dotato di
alcun tipo di impianto termico).
L’impossibilità tecnica di portare gli
scarichi oltre la copertura degli edifici,
pertanto, non giustifica di per sé
l’applicazione della deroga, insuscettibile
di interpretazione estensiva o analogica al
di fuori dei casi contemplati dall’art. 5 co.
9.
Canne fumarie - Accertata
difformità - Comune - Esercizio dei poteri
di cui all’art. 33 della L. n. 10/1991 -
Ordine di adeguamento dell’impianto -
Precedente valutazione di conformità
proveniente dal medesimo comune -
Irrilevanza - Potere di autotutela -
Verifica della rispondenza dell’impianto
alla normativa vigente - Attività vincolata.
L’accertata difformità dell’impianto a
servizio dell’immobile dalle prescrizioni in
materia di progettazione ed installazione
stabilite dal D.P.R. n. 412/1993, in
attuazione dell’art. 4 della legge n.
10/1991, autorizza l’esercizio dei poteri
riconosciuti all’amministrazione dall’art.
33 della medesima legge ed, in particolare,
l’adozione dell’ordine di adeguamento
dell’impianto, senza che in contrario
rilevino le eventuali precedenti valutazioni
di conformità provenienti dallo stesso
Comune.
Che la medesima situazione possa costituire
oggetto di valutazioni differenti
rappresenta infatti un portato del potere di
autotutela di cui la pubblica
amministrazione dispone e che, in materia,
si esplica non soltanto attraverso gli
strumenti discrezionali di carattere
generale, ma anche e soprattutto attraverso
quel controllo di conformità che, secondo il
quarto comma dell’art. 33 dianzi citato,
forma oggetto di un’attività sostanzialmente
vincolata di verifica della rispondenza
dell’impianto sia alle previsioni di
progetto che alla normativa vigente (TAR
Toscana, Sez. II,
sentenza 12.04.2010 n. 953 - link
a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA: In
merito all'edificazione nelle zone c.d.
"bianche", prive di destinazione
urbanistica, la mappatura del centro abitato
realizzata ai fini della viabilità, purché
abbastanza recente, svolge adeguatamente
questo compito, in quanto non prende in
considerazione soltanto i raggruppamenti di
edifici con le strade e le piazze ma anche i
giardini e le aree a uso pubblico (v. art.
3, comma 1, n. 8, del Dlgs. 285/1992). Si
tratta dunque di un’analisi del territorio
che può essere considerata in sintonia con
la definizione urbanistica di centro
abitato.
Per l’ipotesi di mancanza degli strumenti
urbanistici generali l’art. 41-quinquies
della legge 1150/1942 (aggiunto dall'art. 17
della legge 06.08.1967 n. 765) ha fornito al
comma 1, lett. a), una puntuale disciplina
degli indici di edificazione a scopo
residenziale favorendo le costruzioni
ricadenti nei centri abitati (1,5 mc/mq)
rispetto a quelle poste all’esterno (0,1 mc/mq).
La disciplina è stata in parte innovata
dall’art. 4, comma 8, della legge 28.01.1977
n. 10, il quale ha mantenuto l’obbligo di
perimetrazione del centro abitato previsto
dalla legge precedente ma ha ridotto gli
indici di edificazione al di fuori di tale
perimetro (0,03 mc/mq) e ha drasticamente
limitato gli interventi ammissibili
all’interno (soltanto opere di restauro e di
risanamento conservativo, di manutenzione
ordinaria o straordinaria, di consolidamento
statico e di risanamento igienico).
Entrambe queste norme sono poi state
abrogate dall’art. 136 del DPR 380/2001.
L’abrogazione lascia spazio alla nuova
disciplina contenuta nell’art. 9 del DPR
380/2001, che pur conservando il concetto di
centro abitato ha eliminato ogni riferimento
alla perimetrazione di cui all’art.
41-quinquies della legge 1150/1942 e ha così
ridefinito la materia:
(a) sono sempre ammessi gli interventi di
manutenzione ordinaria e straordinaria
nonché gli interventi di restauro e di
risanamento conservativo; (b) gli interventi
di ristrutturazione sono ammessi con alcune
limitazioni;
(c) all’interno del centro abitato sono
escluse le nuove costruzioni;
(d) all’esterno del centro abitato sono
ammesse le nuove costruzioni con indici
differenziati a seconda che si tratti di
edifici residenziali (densità fondiaria
massima pari a 0,03 mc/mq) o produttivi
(superficie coperta massima pari a 1/10
dell'area di proprietà).
Nel quadro normativo così riassunto si
possono evidenziare alcuni elementi:
(a) la funzione di salvaguardia mantenuta
dalla disciplina di legge, che tende a
evitare una trasformazione incontrollata del
territorio in assenza di pianificazione
urbanistica (originaria o sopravvenuta);
(b) l’evoluzione del concetto di centro
abitato, che è passato da ambito di massima
edificazione ad ambito di stretta
conservazione dell’esistente;
(c) la scomparsa di un procedimento tipico
di individuazione del centro abitato.
Da tutto questo si può desumere che la
delimitazione del centro abitato può ora
avvenire con diverse modalità purché sia
garantita la funzione di salvaguardia del
territorio in vista della successiva
pianificazione urbanistica.
Ulteriore corollario è che all’esterno del
centro abitato possono essere collocate solo
le aree effettivamente libere, dove è
verosimile che l’edificazione ammessa dai
futuri strumenti urbanistici (salvi i limiti
derivanti dai vincoli paesistici o di altra
natura) non sarà inferiore a quella minima
consentita dalla legge.
In questa prospettiva le aree effettivamente
libere non sono semplicemente le aree non
ancora edificate ma le aree non edificate
che non abbiano alcun collegamento reale o
potenziale con quelle edificate, ossia non
costituiscano pertinenze di edifici (verde
privato) o non siano idonee a ospitare
standard urbanistici (verde pubblico o altri
servizi per la collettività).
Pertanto, se anche esistesse una
perimetrazione effettuata a suo tempo ex
art. 41-quinquies della legge 1150/1942 ma
non fosse aggiornata alla situazione
effettiva del centro abitato come descritta
sopra al punto 7, non se ne dovrebbe tenere
conto e occorrerebbe integrarla con una
ricognizione più precisa del territorio.
Quando poi una simile perimetrazione manchi
del tutto è necessario definire i confini
del centro abitato con altri provvedimenti
che assicurino una visione fedele della
complessa trama di relazioni esistente tra
gli edifici e le aree circostanti.
La mappatura del centro abitato realizzata
ai fini della viabilità, purché abbastanza
recente, svolge adeguatamente questo
compito, in quanto non prende in
considerazione soltanto i raggruppamenti di
edifici con le strade e le piazze ma anche i
giardini e le aree a uso pubblico (v. art.
3, comma 1, n. 8, del Dlgs. 285/1992). Si
tratta dunque di un’analisi del territorio
che può essere considerata in sintonia con
la definizione urbanistica di centro abitato
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 09.04.2010 n. 1530 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
perimetrazione del centro abitato non è una
competenza del Consiglio Comunale.
Con il secondo motivo i ricorrenti affermano
che la perimetrazione del centro abitato
sarebbe una competenza del consiglio
comunale, in quanto rientrante nella
funzione di pianificazione urbanistica di
cui all’art. 42, comma 2, lett. b), del Dlgs.
267/2000.
La tesi non può essere condivisa.
Una sicura attribuzione della competenza al
consiglio comunale era contenuta nell’art.
41-quinquies, comma 1, lett. a), della legge
1150/1942, ma ormai questa norma è stata
abrogata, e comunque anche prima
dell’abrogazione doveva essere adattata in
via interpretativa al nuovo disegno delle
competenze degli organi comunali codificato
nel Dlgs. 267/2000.
In realtà, proprio perché si limita alla
ricognizione e alla lettura dei caratteri
urbanistici già presenti nel territorio, la
perimetrazione del centro abitato non può
essere assimilata alla zonizzazione. Inoltre
si tratta di un’attività destinata a
produrre effetti nel caso di assenza (o di
inefficacia sopravvenuta) della
zonizzazione, e dunque non richiede affatto
sul piano logico l’intervento del consiglio
comunale.
Di conseguenza il compito di tracciare la
perimetrazione deve essere attribuito
secondo il criterio generale della maggiore
competenza tecnica: può essere un
provvedimento dirigenziale oppure una
deliberazione di giunta, e anche un atto non
specificamente rivolto a scopi urbanistici
(come la mappatura per la viabilità), purché
in ogni caso vi sia alla base un’adeguata
analisi tecnica della situazione reale dei
luoghi (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 09.04.2010 n. 1530 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
LAVORI PUBBLICI:
Sulla procedura di project
financing e sulla facoltà per
l'Amministrazione procedente di escludere
una proposta perché non corrispondente al
superiore interesse pubblico.
L'istituto del "project financing"
introdotto dall'art. 37-bis e ss. della L.
n. 109/1994, prevede due fasi distinte: la
prima, definita della "promozione
di opera pubblica" in cui la P. A.,
sulla base del progetto presentato da un
promotore, valuta la fattibilità della
proposta e la rispondenza al pubblico
interesse; la seconda, del vero e
proprio "project financing",
contempla il rapporto intercorrente tra la
stessa P.A. e il soggetto aggiudicatario, in
regime di concessione ai sensi dell'art. 19,
c. 2, della suddetta legge.
Con riguardo alla prima fase, il legislatore
ha disciplinato i criteri di valutazione
delle proposte, prevedendo che le
amministrazioni aggiudicatrici valutano la
fattibilità delle proposte presentate,
verificano l'assenza di elementi ostativi
alla loro realizzazione e provvedono ad
individuare quelle che ritengono di pubblico
interesse; dunque, la valutazione
dell'Amministrazione si articola in una
duplice fase: una valutazione di idoneità
tecnica della proposta, e, all'esito, una
valutazione di rispondenza della stessa al
pubblico interesse.
La giurisprudenza ha sottolineato quanto, in
questa seconda fase, sia ampio il margine di
discrezionalità riservato alla P.A.,
trattandosi di giudizio coinvolgente la
valutazione comparativa degli interessi che
essa ritiene rilevanti in un dato momento
storico; pertanto una proposta, pur ritenuta
idonea sotto il profilo tecnico, potrà
essere respinta in quanto giudicata non
conforme al pubblico interesse, a seguito
della predetta valutazione comparativa.
Quindi nella procedura di project
financing si apprezza l'alto grado di
discrezionalità che compete al gestore del
programma, nella valutazione della
rispondenza della proposta al pubblico
interesse, pertanto, spetta
all'Amministrazione procedente valutare se
il progetto proposto abbia i contenuti
necessari a soddisfare l'interesse pubblico
in funzione del quale il programma dei
lavori possa avere attuazione; ne deriva che
essa può esercitare il potere,
riconosciutole dalla legge, di richiedere
-in corso di procedura- integrazioni e
chiarimenti alle imprese concorrenti, nel
rispetto dei principi di par condicio e
trasparenza, ed ai sensi dell'art. 37-bis
della L. n. 109/1994; d'altra parte, l'art.
37-ter prevede la possibilità di un apporto
collaborativo dei proponenti che ne facciano
richiesta.
Nelle procedure di affidamento di lavori
mediante il sistema del "project
financing" il nucleo centrale
dell'offerta va individuato nella coerenza e
sostenibilità del piano economico
finanziario, la cui congruenza è
indispensabile per il giudizio di
affidabilità della proposta nel suo
complesso. Ne consegue che,
l'Amministrazione procedente ha facoltà di
escludere una proposta perché non
corrispondente al superiore interesse
pubblico (TAR Veneto, Sez. I,
sentenza 07.04.2010 n. 1295 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
AVVALIMENTO E CERTIFICAZIONE DI
QUALITA'.
1. Appalto pubblico (in
generale) - Sistema di Qualità -
Certificazione - Avvalimento - E'
impossibile - Ragioni - Conseguenza.
2. Appalto pubblico (in generale) - Sistema
di Qualità - Certificazione - Possesso -
Raggruppamento temporaneo d'impresa -
Disciplina.
1.
La certificazione di qualità costituisce un
requisito di natura soggettiva delle imprese
per il quale non appare possibile utilizzare
l'istituto dell'avvalimento disciplinato
dall'art. 49 del Codice dei Contratti
Pubblici. Ciò in quanto l'avvalimento è
stato previsto limitatamente alla "richiesta
relativa al possesso dei requisiti di
carattere economico, finanziario, tecnico,
organizzativo, ovvero di attestazione della
certificazione S.O.A."; la
certificazione di qualità è, invece, da
ritenersi requisito soggettivo dell'impresa,
preordinato a garantire all'amministrazione
appaltante la qualità dell'esecuzione delle
prestazioni contrattuali dovute.
Obiettivo che, per essere effettivamente
perseguito, richiede necessariamente che la
certificazione di qualità riguardi
direttamente l'impresa appaltatrice (sul
punto cfr. TAR Sardegna, sez. I, 27-03-2007
n. 556, nonché parere 10.12.2008 n. 254
dell'Autorità per la Vigilanza sui contratti
pubblici).
2.
Con riferimento ai raggruppamenti temporanei
di imprese il requisito della certificazione
di qualità eventualmente richiesto dal bando
deve essere posseduto singolarmente da
ciascuna impresa del raggruppamento,
quantomeno nelle associazioni orizzontali
(Cons. Stato, sez. V, 15-06-2001 n. 3188)
(massima tratta da
http://mondolegale.it
-
TAR Sardegna, Sez. I,
sentenza 06.04.2010 n. 665 -
link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Sull'illegittimità del
silenzio-inadempimento serbato da
un'Amministrazione regionale sull'istanza di
autorizzazione unica per la costruzione di
un impianto fotovoltaico.
Sulla risarcibilità del danno da lesione
dell'interesse procedimentale.
E' illegittimo il silenzio-inadempimento
serbato da un'Amministrazione regionale nei
confronti di una richiesta di autorizzazione
unica relativa alla costruzione ed
all'esercizio di un impianto fotovoltaico,
ciò in quanto, sulla base del disposto di
cui all'art. 12, comma 4, del d.lgs. n.
387/2003 ("Attuazione della direttiva
2001/77/CE relativa alla promozione
dell'energia elettrica prodotta da fonti
energetiche rinnovabili nel mercato interno
dell'elettricità"), l'autorizzazione
viene rilasciata a seguito di un
procedimento unico, cui partecipano tutte le
Amministrazioni interessate, nel rispetto
dei principi di semplificazione e ai sensi
della L. n. 241/1990 e successive
modificazioni ed integrazioni.
Il rilascio della suddetta autorizzazione
costituisce titolo necessario a costruire
l'impianto in conformità al progetto
approvato. Il termine massimo per la
conclusione del procedimento non deve
superare i 180 giorni; pertanto, è da
ritenersi obbligatoria l'adozione una
determinazione esplicita e conclusiva
sull'istanza stessa. Nell'ipotesi di
persistente inottemperanza, si rende
necessario provvedere alla nomina di un
Commissario ad acta, il quale
procederà ad effettuare tutti i necessari
adempimenti, con spese a carico delle
Amministrazioni inadempienti.
L'art. 2-bis della L. n. 241/1990,
introdotto dalla L. n. 69/2009, riconosce il
diritto al risarcimento del danno derivante
da lesione del mero interesse procedimentale
all'adozione di un provvedimento, da
emanarsi entro il termine previsto dalla
legge, purché ne sussistano i presupposti,
quali l'inosservanza dolosa o colposa del
termine da parte della p.a., nonché
l'esistenza di un danno ingiusto (TAR
Sicilia-Palermo, Sez. III,
sentenza 25.03.2010 n. 3692 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Sul
c.d. condono ambientale ex art. 1, comma 37,
l. 308/2004..
L’esame del caso oggetto del presente
ricorso richiede, preliminarmente, una
ricostruzione unitaria della normativa sul
condono edilizio e sul cd. condono
paesistico. ...
L’art. 1, comma
37, della legge n. 308 del 2004 prevede che:
“Per i lavori compiuti su beni
paesaggistici entro e non oltre il
30.09.2004 senza la prescritta
autorizzazione o in difformità da essa,
l'accertamento di compatibilità
paesaggistica dei lavori effettivamente
eseguiti, anche rispetto all'autorizzazione
eventualmente rilasciata, comporta
l'estinzione del reato di cui all'articolo
181 del decreto legislativo n. 42 del 2004,
e di ogni altro reato in materia
paesaggistica alle seguenti condizioni:
a) che le tipologie edilizie realizzate e i
materiali utilizzati, anche se diversi da
quelli indicati nell'eventuale
autorizzazione, rientrino fra quelli
previsti e assentiti dagli strumenti di
pianificazione paesaggistica, ove vigenti,
o, altrimenti, siano giudicati compatibili
con il contesto paesaggistico;
b) che i trasgressori abbiano previamente
pagato:
1) la sanzione pecuniaria di cui
all'articolo 167 del decreto legislativo n.
42 del 2004, maggiorata da un terzo alla
metà;
2) una sanzione pecuniaria aggiuntiva
determinata, dall'autorità amministrativa
competente all'applicazione della sanzione
di cui al precedente numero 1), tra un
minimo di tremila euro ed un massimo di
cinquantamila euro”.
La sanzione pecuniaria di cui all’articolo
167 del D.Lgs. n. 42 del 2004 è una somma
equivalente al maggiore importo tra il danno
arrecato e il profitto conseguito mediante
la trasgressione, sicché la irrogazione
della sanzione presuppone la determinazione
della maggior somma con riferimento al
profitto conseguito, cioè alla persistenza
dell’opera; la demolizione di questa
impedirebbe, infatti, la quantificazione
della maggior somma corrispondente al
profitto conseguito mediante la
trasgressione.
La esigenza del coordinamento fra le varie
disposizioni che sanzionano gli abusi o ne
disciplinano il condono porterebbe a
ritenere che la sanatoria delle violazioni
delle norme poste a tutela del paesaggio,
cioè la sanatoria di lavori eseguiti in
assenza della previa autorizzazione
paesaggistica ma in conformità alla
valutazione discrezionale formulata ex
post dall’autorità competente, prevista
per tutti i lavori compiuti su beni
paesaggistici fino al 30.09.2004 incluso,
ricomprenda anche i lavori che rientrano
nello spazio temporale di operatività del
D.L n. 269 del 2003 e che la sopravvivenza
dell’opera abusiva ai sensi del combinato
disposto dell’art.1, comma 37, della legge
n. 308 del 2004 e dell’art. 167 del D.Lgs n.
42 del 2004 sia inconciliabile con la
incondonabilità (e quindi la soggezione alla
sanzione demolitoria) degli abusi
contemplati dall’art. 32, comma 27, lett. D,
del D.L. n. 269 del 2003.
Tale incondonabilità, infatti, è determinata
dalla assenza o difformità rispetto al
titolo edilizio e dal contrasto con le norme
e previsioni urbanistiche, cioè dai
presupposti ordinari del condono (situazioni
senza le quali il condono non avrebbe ragion
d’essere), nonché da un elemento ulteriore
rispetto ai presupposti ineliminabili del
condono e perciò qualificabile come la
ragion d’essere della incondonabilità, cioè
la realizzazione dell’abuso dopo
l’imposizione del vincolo di inedificabilità
relativa.
Una volta che tale ultima violazione è stata
ritenuta sanabile, viene da riflettere sulla
sopravvivenza della complessiva disciplina
della incondonabilità prevista dall’art. 32,
comma 27, lett. D), del D.L. n. 269 del
2003.
Questo processo interpretativo trova però un
insormontabile ostacolo nella diversità
degli interessi in gioco.
Come ha rilevato la Corte Costituzionale
nella sentenza n. 196 del 2004 il condono
disciplinato dal D.L. n. 269 del 2003
costituisce il risultato del bilanciamento
di vari interessi: quelli della tutela delle
esigenze pianificatorie, del paesaggio,
della cultura, della salute, del diritto
all’abitazione e al lavoro, dell’interesse
finanziario dello Stato.
Se il condono di cui alla legge n. 47 del
1985 comportava il sacrificio delle esigenze
pianificatorie quanto alla applicazione
delle sanzioni amministrative e delle
sanzioni penali edilizie (previste dall’art.
20 della legge n. 47 del 1985) in base al
disposto dell’art.38, il condono di cui al
D.L. n. 269 del 2003 ha comportato anche il
sacrificio della tutela paesaggistica quanto
alla applicazione delle sanzioni penali
specifiche.
L’art. 163 del D.Lgs. n. 490 del 1999 aveva
infatti sanzionato penalmente la esecuzione
di lavori su immobili tutelati senza la
previa acquisizione dello specifico titolo
abilitativo (prevedendo un’ipotesi di reato
prima non contemplate), sicché il nuovo
testo dell’art. 32 della legge n.47 del 1985
(introdotto dall’art. 32, comma 43, del D.L.
n. 269 del 2003) ha stabilito che “Il
rilascio del titolo abilitativo edilizio
estingue anche il reato per la violazione
del vincolo”, estendendo la causa di
estinzione al reato paesistico.
Il raccordo fra i due “condoni“
quanto alla estinzione dei reati edilizi è
costituito dall’art. 32, comma 36, del D.L.
n. 269 del 2003, secondo il quale “La
presentazione nei termini della domanda di
definizione dell' illecito edilizio,
l'oblazione interamente corrisposta nonché
il decorso di trentasei mesi dalla data da
cui risulta il suddetto pagamento, producono
gli effetti di cui all'articolo 38, comma 2,
della legge 28.02.1985, n. 47”, cioè
l’estinzione dei reati edilizi.
La produzione di effetti (amministrativi e
penali) sotto il profilo edilizio e quello
paesistico è, quindi, oggetto di separate
previsioni.
L’art. 1, comma 37, della legge n. 308 del
2004 ricollega, invece, al condono “l'estinzione
del reato di cui all'articolo 181 del
decreto legislativo n. 42 del 2004, e di
ogni altro reato in materia paesaggistica”
non dei reati edilizi.
La mancanza di una espressa previsione in
tal senso impedisce di estendere la causa di
estinzione dai reati paesaggistici ai reati
edilizi (in tal senso Cassazione penale,
Sez. III, 05.04.2006 n. 15946; idem,
07.12.2007, n. 583).
La diversità dei due regimi è stata anche
oggetto di esame da parte della Corte
Costituzionale (sentenza 27.04.2007 n.144),
che ha rilevato la diversità dell’oggetto
fra i reati paesaggistici (volti alla tutela
del bene materiale costituito dal paesaggio
e dall’ambiente) e i reati edilizi (volti
alla tutela del bene immateriale costituito
dalla complessiva disciplina amministrativa
dell’uso del territorio) e, per incidens,
nella sentenza 05.05.2006 n. 183 ha ritenuto
l’irrilevanza della disciplina statuale
relativa al condono paesaggistico rispetto
al potere regionale attinente alla
previsione di sanzioni edilizie per lo
stesso fatto.
In conclusione, l’attinenza del condono
previsto dall’art. 1, comma 37, della legge
n. 308 del 2004 alla tutela paesistica sotto
il profilo penale, e quindi anche quello
amministrativo specifico, e la diversità dei
beni tutelati dalle norme paesistiche e da
quelle che, bilanciando i vari interessi in
gioco, disciplinano profili paesistici e
profili edilizi del condono sotto l’aspetto
amministrativo e quello penale impediscono
di interpretare queste ultime alla luce
delle altre (posto che le une e le altre
sono norme eccezionali insuscettibili di
interpretazione estensiva o analogica ).
Il condono “paesistico” di cui
all’art. 1, comma 37, della legge n. 308 del
2004 comporta dunque la sottrazione del
fatto alla disciplina penale ed a quella
amministrativa attinenti alla tutela
paesistica, rimanendo ferma però la
sanzionabilità del fatto edilizio sotto i
profili amministrativo e penale.
La disciplina dell’art. 1, comma 37, della
legge n. 308 del 2004 è pertanto inidonea ad
incidere su una regola data ad una pluralità
di interessi, che attua un bilanciamento
degli stessi ed è quindi insuscettibile di
contaminazioni ad opera di una regola che
attiene ad uno solo degli interessi
bilanciati.
Del pari limitati al profilo paesistico
(amministrativo e penale) sono gli
accertamenti di compatibilità paesistica
previsti dall’art. 167, comma 4, e dall’art.
181, comma 1-ter, del D.Lgs. n. 42 del 2004
(attinenti al rilascio in via ordinaria
della autorizzazione paesaggistica per
lavori già realizzati, di limitata entità e
ritenuti compatibili con le esigenze di
tutela del paesaggio) e dall’art. 182, comma
3 bis, del medesimo testo (relativi alla
definizione dei procedimenti attivati con la
presentazione, entro il 30.04.2004, di
domande di autorizzazioni paesaggistiche in
sanatoria); perciò irrilevanti ai fini della
definizione di un fenomeno molto più
complesso (quanto agli interessi coinvolti e
conseguentemente bilanciati) quale è il
condono, insieme edilizio e paesaggistico,
ex art. 32, commi 25, 26 e 27, lett. D) del
D. L. n. 269 del 2003
(TAR Puglia-Lecce, Sez. III,
sentenza 25.03.2010 n. 848 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: E'
legittimo il diniego del permesso di
costruire qualora il lotto sia sprovvisto
delle necessarie opere di urbanizzazione
(acqua, luce, gas, fogna e spazi di sosta,
di parcheggio e di verde attrezzato).
Il provvedimento impugnato rileva che “il
suolo oggetto dell’intervento edilizio [..]
è ubicato su area sprovvista delle opere di
urbanizzazione primaria e per la quale non
esiste la previsione da parte del Comune
dell’attuazione delle stesse né l’impegno
dell’interessato di procedere direttamente”.
La ricorrente non ha dato prova
dell’esistenza delle opere di urbanizzazione
primaria (acqua, luce, gas, fogna e spazi di
sosta, di parcheggio e di verde attrezzato)
che condizionano la realizzazione di un
fabbricato residenziale sul terreno
interessato se si eccettua l’attestazione
del Sindaco del 25.2.2010, allegata agli
atti, riguardante l’esistenza della sola
rete fognante nera.
Non possono dunque ritenersi sussistenti le
opere di urbanizzazione indispensabili ai
sensi dell’art. 12 DPR 380/2001 per il
rilascio del titolo abilitativo
all’edificazione
(TAR Puglia-Lecce, Sez. III,
sentenza 25.03.2010 n. 841 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
recinzione proposta, constando di semplice
siepe viva con interposizione di rete
metallica, senza elementi in muratura
emergenti dal terreno, presenta
caratteristiche costruttive che, non
incidendo in modo permanente sull’assetto
edilizio del territorio, non richiedono il
rilascio di alcun titolo autorizzativo
edilizio, rientrando tra le attività di mera
manutenzione.
L'art. 841 cod. civ. attribuisce al
proprietario del fondo il diritto di
chiuderlo in qualunque tempo (cd. ius
excludendi alios) e l’esercizio di tale
facoltà, la quale costituisce contenuto
tipico del diritto dominicale e non può
esercitarsi senza la costruzione di una
recinzione, non può, per pacifica
giurisprudenza, essere sacrificata se non in
funzione di superiori interessi pubblici dei
quali occorre dare compiutamente conto in
motivazione, bilanciandoli con gli interessi
privati dei proprietari del fondo (cfr.,
ex multis, TAR Lombardia, Brescia, sez.
I, 05.02.2008, n. 40).
Il riferimento a tali principi è sufficiente
a fondare la diagnosi di illegittimità del
diniego impugnato il cui supporto
motivazionale è unicamente riferito agli
interessi privati dei terzi titolari di
un’ipotetica servitù di passaggio sull’area.
Va rammentato, infine, che la recinzione
proposta dai ricorrenti, constando di
semplice siepe viva con interposizione di
rete metallica, senza elementi in muratura
emergenti dal terreno, presenta
caratteristiche costruttive che, non
incidendo in modo permanente sull’assetto
edilizio del territorio, non richiedevano il
rilascio di alcun titolo autorizzativo
edilizio, rientrando tra le attività di mera
manutenzione (cfr., ex multis, TAR
Lazio, Roma, 11.09.2009, n. 8644)
(TAR Piemonte, Sez. I,
sentenza 24.03.2010 n. 1576 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
ABUSI EDILIZI E POTERE
SANZIONATORIO.
1. Abusi - Repressione -
Discrezionalità della p.A. - Insussistenza
-Casi - Ragioni - Conseguenza.
2. Abusi - Demolizione - Motivazione congrua
in presenza di un abuso risalente nel tempo
- Obbligo - Insussistenza.
1.
L'attività di repressione degli abusi
edilizi è dovuta e non discrezionale anche
qualora intercorra un lungo periodo di tempo
tra la realizzazione dell'opera abusiva ed
il provvedimento sanzionatorio.
A ciò si aggiunga che soprattutto nei casi
in cui la posizione del fabbricato non
consenta un'agevole accertamento da parte
degli organo comunali preposti alla
vigilanza del territorio dell'abuso
perpetrato, tale circostanza non rileva ai
fini della legittimità di quest'ultimo né in
rapporto al preteso affidamento circa la
legittimità dell'opera che il protrarsi del
comportamento inerte del comune avrebbe
ingenerato nel responsabile dell'abuso
edilizio, né in relazione ad un presunto
ulteriore obbligo, per l'amministrazione
procedente, di motivare specificamente il
provvedimento in ordine alla sussistenza
dell'interesse pubblico attuale a far
demolire il manufatto.
2.
La lunga durata nel tempo dell'opera priva
del necessario titolo edilizio ne rafforza
il carattere abusivo (trattandosi di
illecito permanente), il che preserva il
potere-dovere dell'amministrazione di
intervenire nell'esercizio dei suoi poteri
sanzionatori, tanto più che il provvedimento
demolitorio non richiede una congrua
motivazione in ordine all'attualità
dell'interesse pubblico alla rimozione
dell'abuso, che è in re ipsa (da
ultimo, TAR Emilia Romagna, sez. II,
07-07-2009 n. 1053) (massima tratta da
http://mondolegale.it
-
TAR Sardegna, Sez. II,
sentenza 24.03.2010 n. 362 -
link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il contratto di “comodato” non
consente l’effettuazione di trasformazioni
fisiche del bene (posto che il comodatario è
tenuto a restituire “la stessa cosa
ricevuta”) e neppure può garantire la
stabilità della “disponibilità” essendo,
questa, condizionata alle necessità del
comodante.
Il comodatario, dunque, non può apportare,
anche se a proprie spese alcuna modifica,
innovazione, miglioria o addizione ai locali
concessi in comodato senza il preventivo
consenso scritto e l’approvazione del
relativo progetto da parte del comodante.
Ove voglia equipararsi la invocata “concessione
in uso” ad un comodato, ovvero voglia
valorizzarsi il medesimo contratto di
comodato, il Collegio deve osservare che, ai
sensi dell’art. 1803 C.C., “il comodato è
il contratto col quale una parte consegna
all’altra una cosa mobile o immobile
affinché se ne serva per un tempo o per un
uso determinato, con l’obbligo di restituire
la stessa cosa ricevuta”; ai sensi del
successivo art. 1809 C.C., “il
comodatario è obbligato a restituire la cosa
alla scadenza del termine convenuto o, in
mancanza di termine, quando se ne è servito
in conformità del contratto”; laddove, “se
non è stato convenuto un termine né questo
risulta dall’uso a cui la cosa doveva essere
destinata, il comodatario è tenuto a
restituirla non appena il comodante la
richieda”.
Non può dunque revocarsi in dubbio che la “concessione
in uso” ovvero il “comodato”, per
un verso, non consenta l’effettuazione di
trasformazioni fisiche del bene (posto che
il comodatario è tenuto a restituire “la
stessa cosa ricevuta”), e, per altro,
che neppure possa garantire la stabilità
della “disponibilità”, essendo,
questa, condizionata alle necessità del
comodante.
Il comodatario, dunque, non può apportare,
anche se a proprie spese alcuna modifica,
innovazione, miglioria o addizione ai locali
concessi in comodato senza il preventivo
consenso scritto e l’approvazione del
relativo progetto da parte del comodante.
D’altra parte, l’assenza del requisito della
piena disponibilità del bene deriva anche
dalla circostanza che il contratto di
comodato, anche quando sia previsto un
termine di durata, resta soggetto alla
previsione dell’articolo 1809 C.C., secondo
cui il comodatario è tenuto a restituire la
cosa “se sopravviene un urgente ed
impreveduto bisogno al comodante”; tale
previsione, per quanto residuale, ossia
statisticamente non molto probabile, non
smentisce la conclusione, discendente dal
regime legale del negozio di riferimento,
secondo la quale il rapporto di comodato sia
oggettivamente meno “stabile” di
quello locatizio, in coerenza con al natura
gratuita del contratto stesso, e non possa,
pertanto, soddisfare il richiesto requisito
della “piena disponibilità”,
necessario, come sopra detto, per assicurare
l’affidabilità del programma proposto (cfr.
Cons. di Stato, sez. V, n. 4536/2008)
(TAR Abruzzo-L'Aquila,
sentenza 24.03.2010 n. 288 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Per l'adozione dei provvedimenti
repressivi in materia di abusi edilizi, non
è più necessaria l'acquisizione del parere
della commissione edilizia comunale ai sensi
dell'art. 32, comma 3, l. 17.08.1942 n.
1150, il quale era giustificato, nel
previgente ordinamento, appunto dalla natura
discrezionale di detto ordine.
I provvedimenti repressivi di abusi edilizi
non necessitano di previo parere da parte di
altri organi o autorità (nella specie
Commissione edilizia e ufficio tecnico
comunale) (TAR Lazio Roma, sez. II,
20.03.2002, n. 2309); ed infatti, a seguito
dell'entrata in vigore della l. 28.01.1977
n. 10, la quale ha previsto la vincolante
obbligatorietà dell'ordine di demolizione
degli edifici abusivi, non è più necessaria
l'acquisizione del parere della commissione
edilizia comunale ai sensi dell'art. 32,
comma 3, l. 17.08.1942 n. 1150, il quale era
giustificato, nel previgente ordinamento,
appunto dalla natura discrezionale di detto
ordine (Consiglio Stato, sez. V, 24.03.1998,
n. 350)
(TAR
Lazio-Roma, Sez. II-ter,
sentenza 11.09.2009 n. 8644 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L'installazione
di un cancello, non comportando di norma la
trasformazione urbanistica ed edilizia del
territorio, non richiede il rilascio di una
concessione edilizia ma di una semplice
autorizzazione e pertanto è irrogabile -ove
non sia stata previamente acquisita detta
autorizzazione- la sola sanzione pecuniaria
e giammai la misura della demolizione.
La valutazione in ordine alla necessità
della concessione edilizia per la
realizzazione di opere di recinzione va
effettuata sulla scorta dei seguenti due
parametri: natura e dimensioni delle
opere e loro destinazione e funzione; in
base a tale criterio, dunque, non è
necessario il permesso per costruire per
modeste recinzioni di fondi rustici senza
opere murarie, e cioè per la mera recinzione
con rete metallica sorretta da paletti di
ferro o di legno senza muretto di sostegno,
in quanto entro tali limiti la recinzione
rientra solo tra le manifestazioni del
diritto di proprietà, che comprende lo ius
excludendi alios o comunque la delimitazione
e l'assetto delle singole proprietà;
occorre, invece, il permesso, quando la
recinzione è costituita da un muretto di
sostegno in calcestruzzo con sovrastante
rete metallica, incidendo esso in modo
permanente e non precario sull'assetto
edilizio del territorio.
Per la posa in opera di una semplice
recinzione con paletti in ferro, non infissi
in muratura nel terreno, non è necessaria
alcuna richiesta di provvedimento
concessorio, trattandosi di installazione
precaria e rientrando tale opera tra le
attività di mera manutenzione. Ne consegue
che, non essendo necessario il previo
rilascio della concessione edilizia, in caso
di opera realizzata abusivamente non ne
poteva essere intimata la demolizione,
potendosi, al più, applicarsi la relativa
misura sanzionatoria pecuniaria.
Quanto alla
intervenuta realizzazione dei cancelli in
ferro sia pedonali che sulla rampa del
garage, in difetto del previo rilascio della
concessione edilizia, si osserva che, per
giurisprudenza consolidata in materia,
l'installazione di un cancello, non
comportando di norma la trasformazione
urbanistica ed edilizia del territorio, non
richiede il rilascio di una concessione
edilizia ma di una semplice autorizzazione e
pertanto è irrogabile -ove non sia stata
previamente acquisita detta autorizzazione-
la sola sanzione pecuniaria e giammai la
misura della demolizione (TAR Lazio Roma,
sez. II, 03.07.2007, n. 5968).
Ed infatti le opere di recinzione e di
chiusura dell'area condominiale, mediante
l'apposizione di un cancello elettrico
scorrevole, sono soggette al regime
dell'autorizzazione di cui all'art. 10 della
l. n. 47 del 1985; di conseguenza, il
Comune, per dette opere, ove non
autorizzate, non può applicare la disciplina
sanzionatoria prevista nel caso di opere
eseguite in assenza di concessione ad
edificare ovvero in totale o parziale
difformità dalla medesima (Consiglio Stato,
sez. V, 19.06.2003, n. 3652).
Per quanto attiene, poi, alle opere di
recinzione dell’area condominiale valgono i
principi di cui di seguito, tenuto conto
che, dal tenore testuale dell’impugnata
ordinanza, emerge come trattatasi di una
recinzione realizzata in tubolari di ferro a
pettine posta al di sopra di un muretto
preesistente.
La valutazione in ordine alla necessità
della concessione edilizia per la
realizzazione di opere di recinzione va
effettuata sulla scorta dei seguenti due
parametri: natura e dimensioni delle opere e
loro destinazione e funzione; in base a tale
criterio, dunque, non è necessario il
permesso per costruire per modeste
recinzioni di fondi rustici senza opere
murarie, e cioè per la mera recinzione con
rete metallica sorretta da paletti di ferro
o di legno senza muretto di sostegno, in
quanto entro tali limiti la recinzione
rientra solo tra le manifestazioni del
diritto di proprietà, che comprende lo
ius excludendi alios o comunque la
delimitazione e l'assetto delle singole
proprietà; occorre, invece, il permesso,
quando la recinzione è costituita da un
muretto di sostegno in calcestruzzo con
sovrastante rete metallica, incidendo esso
in modo permanente e non precario
sull'assetto edilizio del territorio (TAR
Lazio Latina, sez. I, 03.09.2008, n. 1050).
Per la posa in opera di una semplice
recinzione con paletti in ferro, non infissi
in muratura nel terreno, non è necessaria
alcuna richiesta di provvedimento
concessorio, trattandosi di installazione
precaria e rientrando tale opera tra le
attività di mera manutenzione (TAR Lazio
Roma, sez. II, 05.11.2004, n. 12554).
Ne consegue che, non essendo necessario il
previo rilascio della concessione edilizia,
in caso di opera realizzata abusivamente non
ne poteva essere intimata la demolizione,
potendosi, al più, applicarsi la relativa
misura sanzionatoria pecuniaria (TAR
Lazio-Roma, Sez. II-ter,
sentenza 11.09.2009 n. 8644 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La chiusura di un piano piloty comporta aumento di superficie e di
volumetria e non si riduce, quindi, alla
semplice rinnovazione o sostituzione di
parti anche strutturali di un edificio;
il detto intervento non può, pertanto, “essere
riferito all'ipotesi della manutenzione
straordinaria, come definita dall'art. 31,
lettera b), della legge n. 457/1978 …”
né “... è assimilabile ad un intervento di
restauro, di risanamento conservativo o di
ristrutturazione edilizia, che non comporti
aumento di superfici utili di calpestio,
ancorché non residenziali.
Per quanto concerne le opere interessanti il
cd. piano piloty, ossia la chiusura in parte
del detto piano con strutture in ferro
zincato nonché la realizzazione all’interno
delle stesso di due strutture in ferro e
vetro -premesso che il c.d. piano "in
pilotis" o piloty è lo spazio a livello
del suolo su cui insiste un edificio
costruito su piloni, che non costituisce un
volume tecnico, e concorre a formare la
volumetria totale dell'edificio-, deve
rilevarsi che “la chiusura di un piano
piloty comporta aumento di superficie e di
volumetria e non si riduce, quindi, alla
semplice rinnovazione o sostituzione di
parti anche strutturali di un edificio”;
il detto intervento non può, pertanto, “essere
riferito all'ipotesi della manutenzione
straordinaria, come definita dall'art. 31,
lettera b), della legge n. 457/1978 …”
né “.. è assimilabile ad un intervento di
restauro, di risanamento conservativo o di
ristrutturazione edilizia, che non comporti
aumento di superfici utili di calpestio,
ancorché non residenziali” (Consiglio
Stato, sez. V 23.08.2005 n. 4385) (TAR
Lazio-Roma, Sez. II-ter,
sentenza 11.09.2009 n. 8644 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
d.i.a. non ha valore di provvedimento
amministrativo tacito, ma si configura come
atto di parte che consente al privato di
intraprendere un'attività, una volta scaduto
il termine di decadenza entro il quale
l'Amministrazione può esercitare il proprio
potere inibitorio; pertanto, il terzo che
intende opporsi all'intervento, una volta
decorso il termine senza l'esercizio del
potere inibitorio, è legittimato unicamente
a presentare all'Amministrazione istanza
formale per l'adozione dei provvedimenti
sanzionatori previsti e ad impugnare
l'eventuale silenzio-rifiuto su di essa
formatosi, oppure il provvedimento emanato
dalla stessa all'esito dell'avvenuta
verifica.
Per ciò che concerne la natura della d.i.a.,
la stessa va equiparata al permesso di
costruire quanto all'impugnazione: da ciò
consegue che la relativa decisione
riguarderà quella parte ammissibile
dell'impugnazione, con cui si chiede di
voler conseguire l'annullamento del titolo
edilizio conseguito dalla controinteressata
con il deposito della denuncia, trascorso il
tempo di legge.
La d.i.a. non è uno strumento di
liberalizzazione dell'attività, ma
rappresenta una semplificazione
procedimentale che consente al privato di
conseguire un titolo abilitativo, sub specie
dall'autorizzazione implicita di natura
provvedimentale, a seguito del decorso di un
termine (30 giorni) della presentazione
della denunzia, ed è impugnabile dal terzo
nell'ordinario termine di decadenza di 60
giorni, decorrenti dalla comunicazione al
terzo del suo perfezionamento, ovvero, dalla
conoscenza del consenso (implicito)
all'intervento oggetto della stessa.
Nel caso di presentazione di d.i.a.
l'inutile decorso del termine di 30 giorni,
assegnato dall'art. 23, t.u. 06.06.2001 n.
380 all'autorità comunale per l'adozione del
provvedimento di inibizione ad effettuare il
previsto intervento edificatorio, non
comporta che l'attività del privato,
ancorché del tutto difforme dal paradigma
normativo, possa considerarsi lecitamente
effettuata e quindi andare esente dalle
sanzioni previste dall'ordinamento per il
caso di sua mancata rispondenza alle norme
di legge e di regolamento, alle prescrizioni
degli strumenti urbanistici ed alle modalità
esecutive fissate nei titoli abilitativi,
ben potendo il titolo abilitativo formatosi
per effetto dell'inerzia
dell'Amministrazione formare oggetto, alle
condizioni previste in via generale
dall'ordinamento, di interventi di
annullamento d'ufficio o révoca da parte
dell'Amministrazione stessa.
In primo luogo, viene eccepita
l’inammissibilità del gravame nella parte in
cui si impugna una denuncia di inizio
attività, invocando il noto orientamento a
mente del quale “la denuncia di inizio
attività non ha valore di provvedimento
amministrativo tacito, ma si configura come
atto di parte che consente al privato di
intraprendere un'attività, una volta scaduto
il termine di decadenza entro il quale
l'Amministrazione può esercitare il proprio
potere inibitorio; pertanto, il terzo che
intende opporsi all'intervento, una volta
decorso il termine senza l'esercizio del
potere inibitorio, è legittimato unicamente
a presentare all'Amministrazione istanza
formale per l'adozione dei provvedimenti
sanzionatori previsti e ad impugnare
l'eventuale silenzio-rifiuto su di essa
formatosi, oppure il provvedimento emanato
dalla stessa all'esito dell'avvenuta
verifica" (cfr. Consiglio Stato, sez. V,
22.02.2007, n. 948).
Tale tesi, ribadita anche da una parte della
giurisprudenza di primo grado oltre che da
alcune prese di posizione della sez IV del
Consiglio di Stato, è stata oggetto di
numerose critiche, caratterizzate in
prevalenza dalle conseguenze negative per le
esigenze di tutela dei terzi oltre che di
certezza dei rapporti giuridici.
In
proposito, questo stesso Tribunale, sin
dalla nota presa di posizione di cui alla
sentenza n. 113 del 2003 (superata quale
costruzione teorica ma non quale chiaro
tentativo di dare una risposta completa a
tutte le esigenze e gli interessi coinvolti)
si è da sempre inserito nel filone
giurisprudenziale teso a garantire il
rispetto dei suddetti insuperabili paletti:
l’effettività della tutela anche
giurisdizionale dei terzi, in quanto
l’opzione criticata non appare conforme
all’art. 24 della Costituzione nella misura
in cui scollega la possibilità di agire in
sede giurisdizionale dal momento di avvio
dei lavori e quindi dalla concreta lesione
degli interessi coinvolti; la certezza delle
posizioni giuridiche coinvolte, quindi anche
(e soprattutto) di chi aspira legittimamente
a realizzare gli interventi edilizi ammessi
dalla pianificazione vigente senza rischi
potenziali di successivi interventi
dell’autorità sollecitata da privati la cui
legittimazione non sempre è facilmente
identificabile per le stesse amministrazioni
coinvolte.
In quest’ottica si inserisce quindi
l’opzione espressa da ultimo dal Tar Liguria
e condensata nella seguente massima: “per
ciò che concerne la natura della denuncia di
inizio attività, la stessa va equiparata al
permesso di costruire quanto
all'impugnazione: da ciò consegue che la
relativa decisione riguarderà quella parte
ammissibile dell'impugnazione, con cui si
chiede di voler conseguire l'annullamento
del titolo edilizio conseguito dalla controinteressata con il deposito della
denuncia, trascorso il tempo di legge" (TAR
Liguria Genova, sez. I, 06.06.2008, n.
1228).
Sulla scorta di tali considerazioni
l’opinione espressa da larga parte della
giurisprudenza di primo grado ha finito col
fare breccia a livello di appello, in specie
presso la sesta sezione del Consiglio di
Stato la quale, non a caso, si è espressa in
fattispecie caratterizzate dalla sussistenza
del vincolo paesaggistico e dalla
conseguente necessità dell’autorizzazione ex
d.lgs. 42 del 2004; in proposito è stato
quindi affermato che “la d.i.a. non è uno
strumento di liberalizzazione dell'attività,
ma rappresenta una semplificazione
procedimentale che consente al privato di
conseguire un titolo abilitativo, sub specie
dall'autorizzazione implicita di natura
provvedimentale, a seguito del decorso di un
termine (30 giorni) della presentazione
della denunzia, ed è impugnabile dal terzo
nell'ordinario termine di decadenza di 60
giorni, decorrenti dalla comunicazione al
terzo del suo perfezionamento, ovvero, dalla
conoscenza del consenso (implicito)
all'intervento oggetto della stessa"
(Consiglio Stato , sez. VI, 05.04.2007, n.
1550).
Sulla scia di tale condivisibile
orientamento risulta poi essersi posta anche
altra giurisprudenza di appello, la quale ha
circostanziato il relativo adeguamento
precisando che nel caso di presentazione di
dichiarazione di inizio di attività
l'inutile decorso del termine di 30
giorni, assegnato dall'art. 23, t.u.
06.06.2001 n. 380 all'autorità comunale per
l'adozione del provvedimento di inibizione
ad effettuare il previsto intervento
edificatorio, non comporta che l'attività
del privato, ancorché del tutto difforme dal
paradigma normativo, possa considerarsi
lecitamente effettuata e quindi andare
esente dalle sanzioni previste
dall'ordinamento per il caso di sua mancata
rispondenza alle norme di legge e di
regolamento, alle prescrizioni degli
strumenti urbanistici ed alle modalità
esecutive fissate nei titoli abilitativi,
ben potendo il titolo abilitativo formatosi
per effetto dell'inerzia
dell'Amministrazione formare oggetto, alle
condizioni previste in via generale
dall'ordinamento, di interventi di
annullamento d'ufficio o révoca da parte
dell'Amministrazione stessa; segue da ciò
che, anche dopo il decorso del termine di
30 giorni previsto per la verifica dei
presupposti e requisiti di legge,
l'Amministrazione non perde i propri poteri
di autotutela, né nel senso di poteri di
vigilanza e sanzionatori, né nel senso di
poteri espressione dell'esercizio di una
attività di secondo grado estrinsecantesi
nell'annullamento d'ufficio e nella révoca,
ma con il limite, per l'ipotesi in cui la
legittimità dell'opera edilizia dipenda da
valutazioni discrezionali e di merito
tecnico che possono mutare nel tempo, che
detto potere, esercitabile con riferimento
ad una d.i.a. anche quando sia ormai decorso
il termine di decadenza per l'esercizio dei
poteri inibitori ex art. 23, comma 6, cit.
t.u. n. 380 del 2001, deve essere
opportunamente coordinato con il principio
di certezza dei rapporti giuridici e di
salvaguardia del legittimo affidamento del
privato nei confronti dell'attività
amministrativa; mentre i terzi, che si
assumano lesi dal silenzio serbato
dall'Amministrazione a fronte della
presentazione della d.i.a., sono legittimati
a gravarsi non avverso il silenzio stesso
ma, nelle forme dell'ordinario giudizio di
impugnazione, avverso il titolo che,
formatosi e consolidatosi per effetto del
decorso del termine, si configura in
definitiva come fattispecie provvedimentale
a formazione implicita (cfr. Consiglio Stato, sez. IV, 25.11.2008,
n. 5811) (TAR
Liguria, Sez. II,
sentenza 09.01.2009 n. 43 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
termine per l'impugnazione di un titolo
edilizio ad opera del confinante non decorre
dall'avvio dei lavori, ma dalla ultimazione
di questi, affinché gli interessati siano in
grado di avere cognizione dell'esistenza e
dell'entità delle violazioni
urbanistico-edilizie eventualmente derivanti
dalla concessione; l'effettiva conoscenza
dell'atto, infatti, si verifica quando la
costruzione realizzata rivela in modo certo
ed univoco le essenziali caratteristiche
dell'opera e l'eventuale non conformità
della stessa al titolo o alla disciplina
urbanistica, con la conseguenza che in
mancanza di altri ed inequivoci elementi
probatori il termine decorre non con il mero
inizio dei lavori, ma con il loro
completamento.
In linea di
diritto, per i titoli edilizi la
giurisprudenza prevalente ribadisce
costantemente che il termine per
l'impugnazione di un titolo edilizio ad
opera del confinante non decorre dall'avvio
dei lavori, ma dalla ultimazione di questi,
affinché gli interessati siano in grado di
avere cognizione dell'esistenza e
dell'entità delle violazioni urbanistico-edilizie eventualmente derivanti
dalla concessione; l'effettiva conoscenza
dell'atto, infatti, si verifica quando la
costruzione realizzata rivela in modo certo
ed univoco le essenziali caratteristiche
dell'opera e l'eventuale non conformità
della stessa al titolo o alla disciplina
urbanistica, con la conseguenza che in
mancanza di altri ed inequivoci elementi
probatori il termine decorre non con il mero
inizio dei lavori, ma con il loro
completamento (cfr. ad es. Consiglio Stato ,
sez. V, 04.03.2008, n. 885), a meno che non
venga provata una conoscenza anticipata o si
deducano censure di assoluta inedificabilità
dell'area o analoghe censure, nel qual caso
risulta sufficiente la conoscenza
dell'iniziativa in corso (cfr. ad es.
Consiglio Stato , sez. IV, 10.12.2007, n.
6342).
Inoltre, la stessa costante opinione,
condivisa dal Collegio, sottolinea che
l’eccezione di tardività, essendo destinata
ad incidere sul fondamentale diritto alla
tutela giurisdizionale, postula una prova
rigorosa che deve essere fornita dalla parte
che la formula (cfr. ad es. Consiglio Stato
, sez. V, 06.02.2008, n. 322). Tutto ciò
peraltro, evidentemente, presuppone la
formale conclusione del procedimento di
formazione di un valido ed efficace assenso
edilizio.
Tali principi non possono che valere per la
d.i.a., sia a fronte della suddetta
qualificazione a fini di tutela, sia in
considerazione della rilevanza degli
interventi realizzabili con questo strumento
(specie laddove comportano un evidente
trasformazione in zona vincolata
dell’esistente come nella specie), il cui
riconosciuto carattere di semplificazione
riguarda la fase procedimentale, non certo
quella di tutela giurisdizionale pena
manifesti dubbi di compatibilità
costituzionale.
A conferma di ciò possono invocarsi diversi
indizi, come la riconosciuta alternatività
dei titoli espressi rispetto alla dia, la
ampia possibilità di adottare i due schemi
procedimentali riconosciuta ai legislatori
regionali nell’ambito della qualificazione
in termini di norma attuativa del governo
del territorio ex 117, comma 3, Cost.,
mentre la disciplina della tutela
giurisdizionale appartiene alla disciplina
esclusiva statale (art. 117, comma 2, lett.
l) anche in considerazione della preminenza
dei relativi principi e dell’esigenza di
valenza unitaria degli stessi (TAR
Liguria, Sez. II,
sentenza 09.01.2009 n. 43 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Le
autorizzazioni paesaggistiche debbono essere
congruamente motivate in modo che possa
essere ricostruito l'"iter" logico che ha
condotto a ritenere le opere autorizzate non
lesive dei valori paesistici sottesi
all'imposizione del vincolo.
In sede di esame dell'istanza di
autorizzazione paesistica, l'autorità
delegata o subdelegata deve motivare
l'autorizzazione in modo tale che emerga
l'apprezzamento di tutte le rilevanti
circostanze di fatto e la non manifesta
irragionevolezza della scelta effettuata
sulla prevalenza di un valore in conflitto
diverso da quello tutelato in via primaria;
inoltre, pur se in sede di pianificazione
urbanistica sono valutati anche gli
interessi di rilievo paesistico ed
ambientale, nel corso del procedimento di
rilascio dell'autorizzazione paesistica
l'autorità delegata o subdelegata deve
effettuare le specifiche valutazioni
richieste dall'art. 146 d.lgs. n. 42 cit.,
in considerazione della distinzione, che
emerge dalla Costituzione, delle materie del
paesaggio e dell'urbanistica.
L'idonea motivazione necessaria per il
rilascio dell'autorizzazione paesaggistica
non deve ricercarsi unicamente nel
provvedimento conclusivo, essendo
sufficiente che dagli atti del procedimento
emerga la sussistenza di quella necessaria
approfondita ed esaustiva analisi
dell'impatto sui caratteri sottesi al
vincolo sussistente in zona.
Costituisce
principio ormai consolidato quello per cui
le autorizzazioni paesaggistiche, quantunque
abbiano natura di atti ampliativi della
sfera giuridica dei destinatari, debbono
essere congruamente motivate in modo che
possa essere ricostruito l'"iter"
logico che ha condotto a ritenere le opere
autorizzate non lesive dei valori paesistici
sottesi all'imposizione del vincolo.
In particolare, in sede di esame
dell'istanza di autorizzazione paesistica,
l'autorità delegata o subdelegata deve
motivare l'autorizzazione in modo tale che
emerga l'apprezzamento di tutte le rilevanti
circostanze di fatto e la non manifesta
irragionevolezza della scelta effettuata
sulla prevalenza di un valore in conflitto
diverso da quello tutelato in via primaria;
inoltre, pur se in sede di pianificazione
urbanistica sono valutati anche gli
interessi di rilievo paesistico ed
ambientale, nel corso del procedimento di
rilascio dell'autorizzazione paesistica
l'autorità delegata o subdelegata deve
effettuare le specifiche valutazioni
richieste dall'art. 146 d.lgs. n. 42 cit., in
considerazione della distinzione, che emerge
dalla Costituzione, delle materie del
paesaggio e dell'urbanistica (cfr. ad es.
TAR Liguria, sez. I, 27.10.2005 , n. 1408,
19.12.2006 n. 1711 e Consiglio Stato, sez.
VI, 08.11.2005, n. 6219).
La idonea motivazione necessaria per il
rilascio dell'autorizzazione paesaggistica
non deve ricercarsi unicamente nel
provvedimento conclusivo, essendo
sufficiente che dagli atti del procedimento
emerga la sussistenza di quella necessaria
approfondita ed esaustiva analisi
dell'impatto sui caratteri sottesi al
vincolo sussistente in zona (TAR Liguria
Genova, sez. I, 01.08.2007, n. 1426).
Va ribadito come in generale il difetto di
motivazione dell'autorizzazione
paesaggistica non sia qualificabile nella
specie alla stregua di un vizio di forma ai
sensi dell'art. 21-octies, comma 2, l. n.
241 del 1990, atteso che sottende
all'esplicazione di un giudizio connesso
alla tutela di interessi primari di tutela
ex art. 117, lett. s), Cost., né
l'autorizzazione paesaggistica può
qualificarsi come atto vincolato (prima
parte comma 2), trattandosi di valutazione
di compatibilità rispetto ai vincoli
sussistenti in loco pienamente discrezionale (TAR
Liguria, Sez. II,
sentenza 09.01.2009 n. 43 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L'esecuzioni
di lavori su parti condominiali presuppone
la preliminare acquisizione agli atti del
Comune -e conseguente valutazione- del
parere dell'assemblea condominiale.
Trattandosi di
intervento che, come si è avuto modo di
verificare coinvolge in maniera diretta e
rilevante anche parti comuni, occorreva
acquisire e valutare l’assenso condominiale
(TAR Toscana, sez. II, 30.07.1990, n. 381,
TAR Liguria n. 800/2007, 916/2005 e
284/2006).
In particolare, è già stato evidenziato che
il generale necessario assenso debba essere
valutato alla luce della situazione dei
luoghi e delle ragioni espresse dal
condominio (cfr. TAR Liguria 24.01.2002 n.
63), ed è tale valutazione ad essere del
tutto carente nella specie (TAR
Liguria, Sez. II,
sentenza 09.01.2009 n. 43 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L’onere di motivare la
compatibilità paesaggistica del singolo
intervento da realizzare all’interno di un
Piano di lottizzazione, già valutato
favorevolmente dalla Soprintendenza, risulta
fortemente attenuato, se non addirittura
escluso.
Nel caso di un Piano di lottizzazione sul
quale era già intervenuto il parere
favorevole della Soprintendenza, è infatti
palese che l’onere di motivare la
compatibilità paesaggistica del singolo
intervento da realizzare all’interno del
Piano stesso risulta fortemente attenuato,
se non addirittura escluso.
In tal senso si è già espressa la Sezione in
fattispecie del tutto analoga a quella in
esame, affermando che la motivazione non
occorre quando il progetto attenga ad un
manufatto già astrattamente valutato come
compatibile con i valori ambientali del
luogo; e che in siffatta ipotesi
l’autorizzazione deve esclusivamente dare
atto della insussistenza, in concreto, di
elementi tali da contrastare con il bene
tutelato (Cons. St. VI 26.04.2000, n. 2500)
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 22.06.2007 n. 3453 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: In
materia di d.i.a., la prevalente giurisprudenza sembra
sostanzialmente d’accordo sulla necessità,
ai fini dell’adozione dei provvedimenti
repressivi, di distinguere tra potere
inibitorio e potere sanzionatorio: il primo,
esercitabile nel termine previsto dalla
legge a pena di decadenza; il secondo,
sovente ricondotto per la DIA in materia
edilizia all’articolo 4 della legge n. 47
del 1985 e, comunque, al più generale potere
di ordinare la cessazione dell’attività «in
tutti i casi di mancanza originaria o
sopravvenuta dei requisiti», potere generalmente
tenuto distinto dal generale potere di
autotutela (da chi nega la formazione di un
provvedimento tacito, per mancanza del
provvedimento su cui intervenire; in ogni
caso, per il carattere discrezionale
dell’annullamento in autotutela).
La DIA in materia edilizia, oltre che dalla
legislazione regionale, tra cui quella della
Lombardia, è specificamente disciplinata dal
testo unico in materia edilizia, emanato con
D.P.R. 06.06.2001, n. 380, cui ha apportato
significative modificazioni il d.lg.
27.12.2002, n. 301, che ha delineato il
meccanismo della DIA alternativa al permesso
di costruire.
Le tesi che sono state sostenute in tema
di natura giuridica della DIA, nella
dottrina e nella giurisprudenza soprattutto
dei Tribunali amministrativi, oscillano tra
due poli opposti: si sostiene, da un lato,
che la denuncia di inizio attività sia un
mero atto di iniziativa privata che consente
solo un intervento di tipo inibitorio, in
difetto dei presupposti, della pubblica
amministrazione; dall’altro, che la
denuncia di inizio attività, per effetto del
decorso del tempo assegnato
all’amministrazione per esercitare il potere
inibitorio, dia luogo sostanzialmente a una
fattispecie, da taluni definita anche
complessa o a formazione successiva,
configurabile come titolo abilitativo
tacito.
Le due tesi, che si presentano variamente
articolate al loro interno, comportano
rilevanti conseguenze sul piano delle
tutele, sia del denunciante nei confronti
dell’amministrazione, sia dei terzi contrari
all’intervento edilizio, ammettendosi, in
via alternativa: l’immediata impugnativa
della denuncia di parte; l’impugnazione del
silenzio serbato dall’amministrazione
sull’istanza e quindi il mancato esercizio
del potere inibitorio; l’impugnazione del
provvedimento tacito che si forma per
effetto combinato della denuncia del privato
e del mancato esercizio del potere
inibitorio da parte dell’amministrazione.
Si
è giunti anche a ipotizzare, pur dinanzi al
giudice amministrativo, un’azione di
accertamento con la quale il privato controinteressato contesti al denunciante la
realizzabilità dell’intervento edilizio o,
quanto meno, la sua assentibilità mediante
la procedura della DIA.
La prevalente giurisprudenza sembra, invece,
sostanzialmente d’accordo sulla necessità,
ai fini dell’adozione dei provvedimenti
repressivi, di distinguere tra potere
inibitorio e potere sanzionatorio: il primo,
esercitabile nel termine previsto dalla
legge a pena di decadenza; il secondo,
sovente ricondotto per la DIA in materia
edilizia all’articolo 4 della legge n. 47
del 1985 e, comunque, al più generale potere
di ordinare la cessazione dell’attività «in
tutti i casi di mancanza originaria o
sopravvenuta dei requisiti» (IV,
26.07.2004, n. 5323), potere generalmente
tenuto distinto dal generale potere di
autotutela (da chi nega la formazione di un
provvedimento tacito, per mancanza del
provvedimento su cui intervenire; in ogni
caso, per il carattere discrezionale
dell’annullamento in autotutela).
La giurisprudenza di questo Consiglio di
Stato ha avuto modo di affrontare le varie
questioni inevitabilmente in relazione ai
casi specifici pervenuti e da angolazioni
diverse: IV, 26.07.2004 n. 5323, resa in
relazione all’apertura di un «centro di
trasmissione dati» e con riferimento al
problema dell’avvio del procedimento,
afferma che in materia di DIA si «prescinde
dall’emanazione di un provvedimento
amministrativo»; nei casi di
realizzazione di impianti di telefonia
cellulare si rinviene un orientamento che
qualifica la denuncia di inizio attività
corroborata dal decorso del tempo in termini
di provvedimento amministrativo tacito
(implicitamente, VI, 10.06.2003 n. 3265 e,
espressamente, VI, n. 6910 del 2004, con
considerazioni anche di ordine generale
sulla DIA edilizia), mentre, sempre con
riferimento agli impianti di telefonia
cellulare, VI, 04.09.2002 n. 4453 esclude
che la DIA abbia valore di provvedimento
amministrativo e che il potere repressivo,
pur ricondotto allo schema generale
dell’autotutela, costituisca attività di
secondo grado (tale ricostruzione è
sostanzialmente conforme al parere
dell’Adunanza generale 06.02.1992 n. 27, sul
regolamento di attuazione dell’articolo 19
della legge n. 241 del 1990 nel testo
originario).
Ancora, V, 20.01.2003 n. 172
ricollega, senza ulteriori precisazioni,
alla DIA, questa volta in materia edilizia,
la «formazione di un implicito assenso»,
mentre, in maniera più articolata e mossa
soprattutto da considerazioni attinenti alla
tutela dei terzi, VI, 16.03.2005 n. 1093
ritiene sufficiente che gli interessati
contestino la realizzabilità
dell’intervento, confermando peraltro una
sentenza di primo grado che –si badi- aveva
dichiarato l’illegittimità del silenzio
serbato dal Comune e il suo obbligo di
attivare il procedimento repressivo delle
opere edilizie.
Nessun argomento, per converso, sembra sia
possibile ricavare da V, 29.01.2004 n. 308 e
04.02.2004 n. 376, per la peculiarità delle
fattispecie ivi considerate e dell’oggetto
del decisum.
Non è possibile, né conferente, in
questa sede ripercorrere in dettaglio le
varie tesi, molte delle quali tendenti a
enucleare, dal regime giuridico della
denuncia di inizio attività, un peculiare
regime della DIA edilizia. Probabilmente le
incertezze regnanti in materia, che
inevitabilmente si ripercuotono sul piano
delle tutele, discendono anche da una
progressiva trasfigurazione dell’istituto in
parola, sorto e naturalmente allocato tra
gli strumenti di liberalizzazione delle
attività private (che, cioè, presuppongono
un’attività non soggetta al regime autorizzatorio), e poi utilizzato come
strumento di semplificazione procedimentale
inerente, paradossalmente, a procedimenti di
natura autorizzatoria: il che ha
inevitabilmente portato l’istituto in parola
a confondersi con lo strumento del
silenzio-assenso o, quanto meno, a
frantumarsi in una pluralità di istituti
diversi, ciascuno dei quali assoggettato a
un regime più o meno peculiare.
Ad avviso della Sezione, la soluzione della
questione, nei termini rilevanti ai fini di
cui è causa, deve tendere, sul piano dell’ermeneusi,
a privilegiare ipotesi che possano
semplificare, in termini di chiarezza, il
quadro normativo, assicurando, al contempo,
una facile e quindi efficace tutela ai
privati, siano essi gli interessati
all’intervento edilizio, siano essi i
controinteressati allo stesso.
Nella ricostruzione del sistema cui dà
luogo l’istituto della denuncia di inizio
attività –con riferimento particolare alla
materia edilizia e alla normativa vigente
anteriormente alle richiamate modifiche
legislative dell’istituto in generale, la
cui portata innovativa sulla DIA edilizia
non rileva nel presente giudizio- è
necessario distinguere tra due distinti
rapporti: quello tra denunciante e
amministrazione e quello che riguarda i controinteressati all’intervento. Tali
rapporti, pur attenendo a una medesima
vicenda sostanziale, possono essere tenuti
distinti sul piano delle tutele, anche in
considerazione della diversità dei poteri di
cui dispone l’amministrazione.
Vero è,
invece, che, proprio perché trattasi di
situazioni direttamente collegate
all’esercizio di un potere pubblicistico
dell’amministrazione cui possono
contrapporsi interesse legittimi dei vari
interessati, le relative controversie
rientrano comunque nella giurisdizione del
giudice amministrativo (salve le ipotesi di
concorrenti azioni tra privati sulla base
delle norme del codice civile sui rapporti
di vicinato).
Nei rapporti tra denunciante e
amministrazione, la denuncia di inizio
attività si pone come atto di parte, che,
pur in assenza di un quadro normativo di
vera e propria liberalizzazione
dell’attività, consente al privato di
intraprendere un’attività in correlazione
all’inutile decorso di un termine, cui è
legato, a pena di decadenza, il potere
dell’amministrazione, correttamente definito
inibitorio dell’attività.
Sul piano pratico,
rileva poco se, in forza di un’inversione
procedimentale, la fattispecie dia luogo,
con la scadenza del termine, a un titolo
abilitativo tacito o al consolidarsi, per
volontà legislativa, degli effetti di un
atto di iniziativa di parte. L’interessato
potrà contestare l’esercizio del potere
inibitorio, tale qualificato
dall’amministrazione, vuoi per motivi
formali (decadenza dal termine), vuoi sul
piano sostanziale (sussistenza dei
requisiti).
A tale potere resta estraneo,
sul piano normativo della qualificazione
degli interessi, colui che si oppone
all’intervento, perché la norma sulla
denuncia di inizio attività non prende
(ancora) formalmente in considerazione la
sua posizione, per qualificarla in senso
legittimante, ed egli, in definitiva, non
può opporsi, in sede di giurisdizione
amministrativa, all’attività del privato.
Una volta decorso il termine senza
l’esercizio del potere inibitorio, e nella
persistenza, generalmente ritenuta, del
generale potere repressivo degli abusi
edilizi, colui che si oppone all’intervento,
essendosi consolidata la fattispecie
complessa che abilita, ex lege o
ex actu non rileva, il privato a
costruire, sarà legittimato a chiedere al
Comune di porre in essere i provvedimenti
sanzionatori previsti, facendo ricorso, in
caso di inerzia, alla procedura del
silenzio, che pertanto non avrà, né potrebbe
avere, come riferimento il potere inibitorio
dell’amministrazione –essendo decorso, a
tacer d’altro, il relativo termine, con la
conseguenza, sottolineata in dottrina, che
il giudice non potrà costringere
l’amministrazione a esercitare un potere da
cui è decaduta- bensì il generale potere
sanzionatorio, salvo poi a stabilire se tale
potere abbia carattere vincolato (come
ritengono i più) o sia comunque esercitabile
alla stregua dei princìpi dell’autotutela
(come mostra ritenere VI, n. 4453/2002,
citata).
La tesi esposta, da un lato, consente di
attenuare i profili critici di ordine
generale cui conduce l’utilizzazione
normativa della denuncia di inizio attività
in termini di semplificazione procedimentale
anzi che di supporto ad attività
liberalizzate; dall’altro, consente di
assicurare la tutela dei terzi in termini
ragionevoli con lo strumento del silenzio,
secondo uno schema più lineare e quindi
semplice, rispetto alle variegate ipotesi
cui in pratica possono condurre le altre
tesi sin qui prospettate, tutte accomunate
dal non irrilevante problema della precisa
individuazione dell’oggetto del giudizio,
come si evince dalla stessa formulazione dei
ricorsi in primo grado.
Qualche inconveniente può forse derivare
dallo slittamento del tempo in cui il terzo
può agire alla scadenza del termine previsto
per l’esercizio del potere inibitorio, ma,
se anche tale conclusione fosse imposta
dalla tesi esposta, essa avrebbe scarsa
rilevanza pratica sul piano
dell’effettività, sia per la generale
esiguità del termine (entro il quale è
difficile completare l’intervento), sia
perché comunque l’avvio dell’attività
resterebbe a rischio del soggetto
procedente.
Facendo applicazione degli esposti princìpi alla controversia in esame, deve
ritenersi che l’impugnazione originariamente
proposta dinanzi al Tribunale
amministrativo, con il ricorso principale e
con i vari atti per motivi aggiunti, sia
inammissibile.
Ed invero:
- dovendosi correttamente qualificare la
domanda dei ricorrenti originari in termini
di azione volta a far dichiarare
l’illegittimità del silenzio, la stessa non
è stata preceduta dalla formale diffida
all’amministrazione, come imposto dalla
normativa all’epoca vigente (non potendosi
evidentemente accogliere la tesi del primo
giudice secondo cui i silenzi sarebbero
stati comunque procedimentalizzati, in forza
di un’equiparazione tra ricorso e diffida);
- non possono essere condivise, per quanto
dianzi argomentato, né la tesi per cui
oggetto dell’impugnativa e quindi
dell’annullamento siano gli effetti della
DIA (tesi, sia pure non con assoluta
linearità, sostenuta dal primo giudice), né
la tesi che configura la DIA come un
provvedimento tacito (tesi riproposta
nell’appello incidentale dagli originari
ricorrenti e invero non coerente con
l’impostazione degli originari ricorsi che
sembrano volti a contestare l’illegittimità
dei silenzi);
- la qualificazione della domanda come volta
all’accertamento dell’illegittimità del
silenzio non è scalfita dall’impugnazione
espressa di alcuni atti, volti, nell’assunto
degli originari ricorrenti e, a quel che
sembra, anche del primo giudice, ad
assentire espressamente gli interventi in
parola con ricorso alla DIA: la
ricostruzione del sistema nei termini
prospettati esclude in radice che tali atti
possano assumere valore provvedimentale, in
quanto il principio di legalità e di
conseguente tipicità dei provvedimenti
amministrativi esclude che possano essere
inseriti nella sequenza procedimentale
provvedimenti non espressione di poteri
tipici previsti dalla legge;
-ai fini delle modalità di contestazione
della realizzabilità dell’intervento da
parte del terzo non rileva che l’intervento
medesimo sia escluso in radice dalla
normativa urbanistica o che lo stesso non
potesse ritualmente essere avviato tramite
DIA: in entrambe le ipotesi, occorre che il
terzo stimoli il potere repressivo
dell’amministrazione, diverse potendo essere
solo le conseguenze che derivino
dall’accoglimento dell’asserito motivo di
illegittimità
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 22.07.2005 n. 3916 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
denunzia di inizio di attività costituisce
una dichiarazione del privato cui la legge
ricollega effetti tipici corrispondenti a
quelli del permesso di costruire, ma non ha
il carattere del provvedimento
amministrativo, in quanto non promana da una
pubblica amministrazione che ne è la
destinataria, non costituisce esercizio di
una potestà pubblicistica, né dà origine ad
un provvedimento amministrativo in forma
tacita (silenzio-assenso).
Il
termine di 30 giorni, entro il quale il
Sindaco, a seguito di denuncia di inizio
attività, può
notificare agli interessati l’ordine
motivato di non effettuare le previste
trasformazioni, ha natura perentoria,
essendo finalizzato a dare certezza ai
rapporti giuridici tra privati e Pubblica
amministrazione, a tutelare gli interessi di
entrambi nonché, contemporaneamente,
l’interesse pubblico.
In materia di d.i.a., il potere inibitorio
previsto dal comma 6 dell’art. 23 del d.P.R.
380/2001, può essere esercitato entro il
termine perentorio di 30 giorni, trascorso
il quale possono soltanto essere emanati
provvedimenti d’autotutela e sanzionatori;
invero, alla scadenza del citato termine di
30 giorni matura l’autorizzazione implicita
ad eseguire i lavori progettati ed indicati
nella D.I.A., fermo restando il potere
dell’Amministrazione comunale di provvedere
anche successivamente alla scadenza del
termine stesso, ma non più con provvedimento
inibitorio (ordine o diffida a non eseguire
i lavori) bensì con provvedimento
sanzionatorio (se i lavori sono già stati
eseguiti, in tutto o in parte) di tipo
ripristinatorio o pecuniario, secondo i
casi, in base alla normativa che disciplina
la repressione degli abusi edilizi.
Secondo un indirizzo giurisprudenziale prevalente, la denunzia di inizio
di attività costituisce una dichiarazione
del privato cui la legge, in presenza di
specifiche condizioni, ricollega effetti
tipici corrispondenti a quelli del permesso
di costruire, ma non ha il carattere del
provvedimento amministrativo, in quanto non
promana da una pubblica amministrazione che
ne è la destinataria, non costituisce
esercizio di una potestà pubblicistica, né
dà origine ad un provvedimento
amministrativo in forma tacita
(silenzio-assenso), non sussistendo il
potere-dovere dell’Amministrazione di
provvedere sull’istanza del privato. (…)
E’ anche costantemente affermata la natura
perentoria del termine di 30 giorni (già
venti) ex art. 23 d.P.R. 380/2001.
Circa la natura del termine, concesso
all’Amministrazione comunale per l’esercizio
del potere inibitorio, a seguito della
ricezione della denuncia d’inizio attività
da parte del privato, si vedano le seguenti
massime: TAR Piemonte, n. 70 del 16.01.2002: “Il termine di venti giorni
stabilito dall’art. 2, comma 60, l. 23.12.1996 n. 662 (che ha sostituito
l’art. 4 d. l. 05.10.1993 n. 398
convertito dalla l. 04.12.1993 n. 493),
ai fini dell’adozione del provvedimento
comunale di inibitoria a seguito della
ricezione della denuncia di inizio attività
per l’esecuzione di lavori edilizi, ha
carattere perentorio”; TAR Friuli Venezia
Giulia n. 18 del 30.01.2001: “Il
termine di venti giorni, entro il quale il
Sindaco, a seguito di denuncia di inizio
attività relativamente a lavori interni, può
notificare agli interessati l’ordine
motivato di non effettuare le previste
trasformazioni, ha natura perentoria,
essendo finalizzato a dare certezza ai
rapporti giuridici tra privati e Pubblica
amministrazione, a tutelare gli interessi di
entrambi nonché, contemporaneamente,
l’interesse pubblico”; e, ancora, TAR
Emilia Romagna, Parma, 08.06.2001, n.
325; TAR Lombardia, Brescia, 01.06.2001, n. 397; TAR Basilicata, 21.10.2000, n. 647.
La perentorietà è da riconnettersi con il
venir meno del potere, di cui al co. 6
dell’art. 23 del d.P.R. 380/2001, del Comune
di contestare al denunziante la carenza dei
presupposti e dei requisiti di legge.
Con il decorso di un termine breve, si
definiscono e vengono a giuridica esistenza
anche gli effetti dell’atto-denunzia, titolo
abilitante di natura privata.
La valenza di tale atto non può trasformare
in lecita e/o legittima un’attività edilizia
oggettivamente abusiva, qualora il
denunziante abbia erroneamente ricondotto
l’intervento ad una delle fattispecie in cui
opera il meccanismo della d.i.a., od
erroneamente abbia certificato, tramite il
proprio progettista, l’inesistenza delle
condizioni impeditive stabilite dalla legge.
Conclusosi, pertanto, il procedimento
d’iniziativa privata, permane in capo
all’Amministrazione il più generale potere
di vigilanza e di repressione di cui
all’art. 4 e segg. della l. 28.02.1985, n. 47, il cui esercizio non è soggetto
a termini di prescrizione (salvo a dover
motivare, in ipotesi di un lungo tempo
trascorso dall’ultimazione dei lavori, sulla
permanenza dell’interesse pubblico specifico
ed attuale perseguito e ritenuto prevalente
rispetto all'affidamento ingenerato nel
privato dal comportamento omissivo
dell’Amministrazione).
In definitiva, il potere inibitorio previsto
dal comma 6 dell’art. 23 del d.P.R. 380/2001,
può essere esercitato entro il termine
perentorio di 30 giorni, trascorso il
quale possono soltanto essere emanati
provvedimenti d’autotutela e sanzionatori;
invero, alla scadenza del citato termine di
30 giorni matura l’autorizzazione
implicita ad eseguire i lavori progettati ed
indicati nella D.I.A., fermo restando il
potere dell’Amministrazione comunale di
provvedere anche successivamente alla
scadenza del termine stesso, ma non più con
provvedimento inibitorio (ordine o diffida a
non eseguire i lavori) bensì con
provvedimento sanzionatorio (se i lavori
sono già stati eseguiti, in tutto o in
parte) di tipo ripristinatorio o pecuniario,
secondo i casi, in base alla normativa che
disciplina la repressione degli abusi
edilizi (è discusso, in tal caso, se
l’Amministrazione debba far precedere tale
provvedimento sanzionatorio dall’emanazione,
in autotutela, di un atto di secondo grado -revoca od annullamento dell’autorizzazione
tacita od implicita formatasi- anche se la
soluzione negativa pare quella preferibile).
Appare inoltre evidente, in base
all’interpretazione letterale, che entro il
termine di 30 giorni il provvedimento
inibitorio di cui sopra debba essere non
soltanto emanato, ma anche notificato al
privato (ove entro il termine indicato al
comma 1 sia riscontrata l’assenza di una o
più delle condizioni stabilite, notifica
all’interessato l’ordine motivato di non
effettuare il previsto intervento); depone
chiaramente in tal senso, del resto, anche
la indubbia natura recettizia dell’ordine di
non eseguire i lavori da parte del Comune
(TAR Campania-Napoli, Sez. II,
sentenza 27.06.2005 n. 8707 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: In
materia di distanza minima di 10 mt. tra
fabbricati, ex art. 9 DM 1444/1968,
in presenza di
contrasto tra norma legislativa e norma
regolamentare, deve ritenersi disapplicabile
la seconda.
In tema di distanze tra costruzioni restano
salvi i diritti dei terzi i quali, ove lesi
dalla costruzione realizzata senza il
rispetto delle disposizioni sulle distanze,
conservano il diritto ad ottenere la
riduzione in pristino.
La
distanza di mt. 10 tra pareti finestrate
rappresenta quella minima inderogabile
prestabilita dall’art. 9 del D.M. 02.04.1968 n. 1444, decreto che, in quanto emanato
in esecuzione della norma sussidiaria
dell’art. 41-quinquies della L. 17.08.1942 n. 1150, introdotto dalla L.
06.08.1967 n. 765, ripete dal rango della stessa
legge delegante la forza di norma
legislativa capace di integrare l’art. 872 cod.civ..
Tanto comporta che, in presenza di contrasto
tra norma legislativa e norma regolamentare,
deve ritenersi disapplicabile la seconda,
giacché, secondo la giurisprudenza, pur in
difetto di specifica doglianza di parte, è
consentito al Giudice Amministrativo
sindacare gli atti di normazione secondaria,
incidenti su diritti soggettivi di terzi, al
fine di accertarne l’idoneità ad innovare
l’ordinamento e, in concreto, a fornire la
regola di giudizio per risolvere la
questione controversa (Cons. St., Sez. V, 26.02.1992 n. 154; 24.07.1993 n. 799;
07.04.1995 n. 531; Sez. IV, 29.02.1996
n. 222).
Peraltro, in tema di distanze tra
costruzioni restano salvi i diritti dei
terzi i quali, ove lesi dalla costruzione
realizzata senza il rispetto delle
disposizioni sulle distanze, conservano il
diritto ad ottenere la riduzione in pristino
(Cass., Sez. II, 13.10.2000 n. 13639)
(TAR Abruzzo-Pescara,
sentenza 23.01.2003 n. 197 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Decorso
il termine di 30 giorni per il controllo
della d.i.a., in capo all’Autorità comunale
permangono integri sia il potere di
autotutela che quello più generale di
intervento successivo, magari ad istanza di
un terzo, che possono, comunque, dar luogo
all’interdizione dell’opera.
Appare esperibile da parte del terzo
un’azione diretta a provocare in sede di
giurisdizione esclusiva un sindacato da
parte del giudice in ordine alla
corrispondenza, o meno, di quanto dichiarato
dall’interessato con la d.i.a. e di quanto
previsto dal relativo progetto rispetto ai
canoni normativi stabiliti per la
realizzazione dell’attività edilizia in
questione
Una volta spirato il termine
legislativamente prescritto per il controllo
sulla c.d. d.i.a., in capo all’Autorità
comunale permangono integri sia il potere di
autotutela che quello più generale di
intervento successivo, magari ad istanza di
un terzo, che possono, comunque, dar luogo
all’interdizione dell’opera (in questi
ultimi sensi: Cons. St., sent. n. 4453 del
2002 cit.; TAR Napoli, sent. n. 5272 del
2001 cit.).
La
liberalizzazione dell’accesso alle attività
edilizie cui si applica l’istituto della
“denuncia inizio attività” non significa, ad
avviso del Collegio, che l’Autorità comunale
è esonerata dal riscontrare se siano
presenti tutte, o meno, le condizioni
stabilite per procedere in base alla c.d. d.i.a., né che il riscontro possa essere
effettuato a campione o soltanto su impulso
della parte interessata; l’istituto in
parola ha, evidentemente, lo scopo di
snellire l’attività amministrativa e di
alleggerire la posizione del privato onde
consentirgli di espletare determinate
attività senza l’intermediazione di un
provvedimento amministrativo, purché
ricorrano tutte le condizioni
legislativamente stabilite, ma non può avere
lo scopo, da una parte, di esonerare
dall’attività di controllo le
amministrazioni pubbliche preposte alla cura
dei relativi interessi pubblici, e,
dall’altra, di consentire ai privati di
espletare quelle attività in assenza delle
condizioni prescritte per giovarsi
dell’istituto in discorso.
Se, dunque, l’istituto della c.d. d.i.a. è
volto a semplificare l’attività delle due
parti dirette del rapporto, da una parte
l’Amministrazione pubblica e dall’altra il
soggetto privato che intenda intraprendere
quelle attività cui l’istituto stesso è
applicabile, non sembra sostenibile, ad
avviso del Collegio, che l’utilizzo di tale
istituto possa, invece, appesantire la
posizione del soggetto terzo il quale,
essendo titolare di una situazione
soggettiva di controinteresse rispetto al
soggetto che si giovi della c.d. d.i.a.,
onde tutelarsi in sede giurisdizionale debba
previamente diffidare l’Amministrazione a
che proceda a verifica della stessa d.i.a. e
quindi, all’esito, esperire le azioni a
difesa dei propri interessi o diritti.
Più semplicemente, ad avviso del Collegio,
appare esperibile da parte del terzo
un’azione diretta a provocare in sede di
giurisdizione esclusiva, secondo i motivi
dedotti, un sindacato da parte del giudice
in ordine alla corrispondenza, o meno, di
quanto dichiarato dall’interessato e di
quanto previsto dal relativo progetto
rispetto ai canoni normativi stabiliti per
la realizzazione dell’attività edilizia in
questione (TAR Abruzzo-Pescara,
sentenza 23.01.2003 n. 197 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
nozione di ristrutturazione edilizia,
interpretata ai sensi dell’art. 31, comma 1,
lett. d), della legge n. 457 del 1978,
comprende anche gli interventi consistenti
nella demolizione e successiva ricostruzione
del fabbricato, purché la successiva
ricostruzione sia fedele, cioè l’edificio
ricostruito risulti, quanto a sagoma e
volumi, identico a quello preesistente;
inoltre, occorre che il manufatto sul quale
si svolgono gli interventi rimanga il
medesimo per forma, volume ed altezza, in
quanto il risultato della ristrutturazione
può bensì essere un “organismo edilizio in
tutto o in parte diverso dal precedente”,
purché però la diversità sia dovuta ad
interventi comprendenti il ripristino o la
sostituzione di alcuni elementi costitutivi
del manufatto, ovvero l’eliminazione, la
modifica e l’inserimento di nuovi elementi
ed impianti, e non già la realizzazione di
nuovi volumi.
Le disposizioni di cui all’art. 31 della
legge n. 457 del 1978, che definiscono i
tipi di intervento edilizio, riguardano
esclusivamente le opere di edilizia
residenziale e non possono applicarsi
analogicamente a tutti gli interventi
edilizi.
Il concetto di nuova costruzione riguarda
non solo la realizzazione di un manufatto su
un area libera, ma anche ogni intervento di
ristrutturazione che rende il fabbricato
oggettivamente diverso da quello
preesistente, in considerazione dell’entità
delle modifiche.
Per qualificare come ristrutturazione un
intervento edilizio, non appare sufficiente
la circostanza che la ricostruzione avvenga
con le stesse volumetria e sagoma: queste
costituiscono, invero, i limiti entro cui
deve essere contenuto l’intervento di
ricostruzione, ma non costituiscono gli
elementi qualificatori dell’intervento il
quale non dovrà presentare modifiche di
entità e consistenza tali da trasformare il
preesistente edificio in uno oggettivamente
diverso; in tale ultima ipotesi, invero, si
tratterà di “nuova costruzione” piuttosto
che di ristrutturazione.
Secondo
la giurisprudenza, la nozione di
ristrutturazione edilizia interpretata ai
sensi dell’art. 31, I comma, lett. d), della
legge n. 457 del 1978 comprende anche gli
interventi consistenti nella demolizione e
successiva ricostruzione del fabbricato, purché la successiva ricostruzione sia
fedele, cioè l’edificio ricostruito risulti,
quanto a sagoma e volumi, identico a quello
preesistente; inoltre, occorre che il
manufatto sul quale si svolgono gli
interventi rimanga il medesimo per forma,
volume ed altezza, in quanto il risultato
della ristrutturazione può bensì essere un
“organismo edilizio in tutto o in parte
diverso dal precedente”, purché però la
diversità sia dovuta ad interventi
comprendenti il ripristino o la sostituzione
di alcuni elementi costitutivi del
manufatto, ovvero l’eliminazione, la
modifica e l’inserimento di nuovi elementi
ed impianti, e non già la realizzazione di
nuovi volumi (Cons. St., Sez. V, 24.02.1999 n. 197).
Peraltro, secondo la giurisprudenza, le
disposizioni di cui all’art. 31 della legge
n. 457 del 1978, che definiscono i tipi di
intervento edilizio, riguardano
esclusivamente le opere di edilizia
residenziale e non possono applicarsi
analogicamente a tutti gli interventi
edilizi (Cons. St., Sez. V, 22.03.1995
n. 451).
Sicché, la giurisprudenza ha ritenuto che si
configura come “nuova costruzione” la
ristrutturazione di un edificio, prima
adibito a capannone industriale, con la
trasformazione in immobile destinato ad
uffici ed attività commerciali oppure a
residenza; infatti, il concetto di nuova
costruzione riguarda non solo la
realizzazione di un manufatto su un area
libera, ma anche ogni intervento di
ristrutturazione che rende il fabbricato
oggettivamente diverso da quello
preesistente, in considerazione dell’entità
delle modifiche; peraltro, la relativa
concessione deve anche prevedere gli spazi
destinati a parcheggio (Cons. St., Sez. V, 03.02.1999 nn. 98 e 101; Sez. V, 22.06.1998 n. 921).
Per
qualificare come ristrutturazione un
intervento edilizio, non appare sufficiente
la circostanza che la ricostruzione avvenga
con le stesse volumetria e sagoma: queste
costituiscono, invero, i limiti entro cui
deve essere contenuto l’intervento di
ricostruzione, ma non costituiscono gli
elementi qualificatori dell’intervento il
quale non dovrà presentare modifiche di
entità e consistenza tali da trasformare il
preesistente edificio in uno oggettivamente
diverso; in tale ultima ipotesi, invero, si
tratterà di “nuova costruzione” piuttosto
che di ristrutturazione (cfr.: Cons. St.,
Sez. V, n. 98 del 1999, n. 921 del 1998 e
n. 451 del 1995, citate) (TAR Abruzzo-Pescara,
sentenza 23.01.2003 n. 197 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
concetto di “sagoma”, ai fini della
ristrutturazione edilizia, risulta
interpretato dalla giurisprudenza come
aspetto tridimensionale di un edificio,
quindi comprensivo anche dell’altezza.
Il concetto di
“sagoma”, ai fini della ristrutturazione
edilizia, risulta interpretato dalla
giurisprudenza come aspetto tridimensionale
di un edificio, quindi comprensivo anche
dell’altezza (cfr.: Cons. St., Sez. V, 21.02.1994 n. 112; 24.02.1999 n. 197;
TAR Pescara n. 1182 del 2002 (TAR Abruzzo-Pescara,
sentenza 23.01.2003 n. 197 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
concetto di ristrutturazione edilizia può
essere individuato nella demolizione seguita
dalla fedele ricostruzione del manufatto,
purché tale ricostruzione assicuri la piena
conformità di sagoma, di volume e di
superficie tra il vecchio ed il nuovo, e
venga, comunque, effettuata in un tempo
ragionevolmente prossimo a quello della
demolizione.
La questione attiene alla individuazione del
concetto di ristrutturazione edilizia che le
parti nel giudizio interpretano in modo
diverso.
Tale concetto è stato esposto per la prima
volta nella legge 457 del 1978, la quale,
nell'articolo 31, lettera d), definisce
intervento di ristrutturazione quello
rivolto a trasformare l'organismo edilizio
mediante un insieme sistematico di opere che
può portare ad un organismo edilizio in
tutto o in parte diverso dal precedente.
La giurisprudenza formatasi nel tempo ha
interpretato questa disposizione
individuando il concetto di ristrutturazione
edilizia nella demolizione seguita dalla
fedele ricostruzione del manufatto, purché
tale ricostruzione assicuri la piena
conformità di sagoma, di volume e di
superficie tra il vecchio ed il nuovo, e
venga, comunque, effettuata in un tempo
ragionevolmente prossimo a quello della
demolizione (cfr. tra le tante Consiglio
Stato sez. V, 03.04.2000, n. 1906)
(TAR Abruzzo-Pescara,
sentenza 20.12.2002 n. 1182 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Assume
autonomo rilievo provvedimentale ai fini
dell’eventuale preclusione dell’altrimenti
normale operatività della D.I.A. non già il
parere positivo ancorché formalmente
espresso e comunicato dal Responsabile
dell’Ufficio in ordine alla realizzabilità
delle opere ivi indicate, ma esclusivamente
l’eventuale formale dissenso espresso da
quest’ultimo nel termine di 20 giorni.
Nel quadro normativo di cui alla denuncia di
nuova attività edilizia, assume autonomo
rilievo provvedimentale ai fini
dell’eventuale preclusione dell’altrimenti
normale operatività della D.I.A. non già il
parere positivo ancorché formalmente
espresso e comunicato dal Responsabile
dell’Ufficio in ordine alla realizzabilità
delle opere ivi indicate, ma esclusivamente
l’eventuale formale dissenso espresso da
quest’ultimo nel termine di 20 giorni a tal
fine prescritto dall’art. 4 del D.L.
05.10.1993, n. 398, convertito nella L.
04.12.1993, n. 493
(TAR Lombardia-Bresia,
sentenza 01.06.2001 n. 397 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L’Autorità
ministeriale, nell’esercizio del potere di
annullamento delle autorizzazioni alla
realizzazione di opere edilizie in zona
soggetta a vincolo paesaggistico rese ai
sensi dell’art. 7 della legge 29.06.1939, n.
1497, esercita un potere di riesame
estrinseco, con riferimento all’assenza di
vizi di legittimità -comprendenti quello di
eccesso di potere nelle diverse figure
sintomatiche- ma non può rinnovare il
giudizio tecnico discrezionale sulla
compatibilità paesaggistico-ambientale
dell’intervento, che appartiene in via
esclusiva all’Autorità regionale o
subdelegata.
Costituisce jus receptum
l’affermazione secondo cui l’Autorità
ministeriale, nell’esercizio del potere di
annullamento delle autorizzazioni alla
realizzazione di opere edilizie in zona
soggetta a vincolo paesaggistico rese ai
sensi dell’art. 7 della legge 29.06.1939, n.
1497, esercita un potere di riesame
estrinseco, con riferimento all’assenza di
vizi di legittimità -comprendenti quello di
eccesso di potere nelle diverse figure
sintomatiche- ma non può rinnovare il
giudizio tecnico discrezionale sulla
compatibilità paesaggistico-ambientale
dell’intervento, che appartiene in via
esclusiva all’Autorità regionale o
subdelegata (cfr., ex plurimis, Cons.
Stato, sez. VI, 06.10.1998, n. 1348;
02.03.2000, n. 1096)
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 18.10.2000 n. 5601 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AGGIORNAMENTO AL 22.04.2010 |
ã |
DOTTRINA E
CONTRIBUTI |
APPALTI:
Anche i consorzi
ordinari possono associarsi in
raggruppamenti temporanei (link a
www.mediagraphic.it). |
SINDACATI |
PUBBLICO IMPIEGO:
A proposito di ... Progressioni
verticali nel comparto Autonomie Locali e di
applicazione della legge 150/2009. La Corte
dei Conti della Lombardia conferma la
normativa vigente
(CISL-FPS di Bergamo,
nota 19.04.2010). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Il sistema di monitoraggio del
lavoro flessibile nella pubblica
amministrazione
(CGIL-FP di Bergamo,
nota 06.04.2010). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Il certificato medico di malattia
nella p.a.
(CGIL-FP di Bergamo,
nota 06.04.2010). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Diventa operativa la trasmissione
telematica del certificato di malattia nelle
pubbliche amministrazioni
(CGIL-FP di Bergamo,
nota 31.03.2010). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Trasmissione per via telematica
dei certificati di malattia dei dipendenti
pubblici - Il via dal 03.04.2010
(CISL-FPS di Bergamo,
nota 25.03.2010). |
PUBBLICO IMPIEGO:
EE.LL.: cosa cambia nel sistema
di valutazione secondo le linee guida ANCI
(CGIL-FP di Bergamo,
nota 22.03.2010). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Collegato al lavoro: uno schiaffo
all'art. 18 dello statuto dei lavoratori
(CGIL-FP di Bergamo,
nota 22.03.2010). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Progressioni verticali negli enti
locali: possibili fino al 31.12.2010
(CGIL-FP di Bergamo,
nota 15.03.2010). |
PUBBLICO IMPIEGO:
L'applicazione delle fasce di
merito negli enti locali
(CGIL-FP di Bergamo,
nota 15.03.2010). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Collegato al lavoro: la revisione
dei rapporti di lavoro a tempo parziale
(CGIL-FP di Bergamo,
nota 15.03.2010). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Varato dalla Giunta Regionale
della Lombardia un Progetto di Legge sulla
Polizia Locale
(CISL-FPS di Bergamo,
nota 08.02.2010). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Finanziaria 2010: il lavoro
accessorio - la nuova forma di
precarizzazione nella p.a.
(CGIL-FP di Bergamo,
nota 11.01.2010). |
ENTI LOCALI:
Finanziaria 2010: Enti Locali,
provvedimenti estemporanei di riduzione
della spesa
(CGIL-FP di Bergamo,
nota 07.01.2010). |
PUBBLICO IMPIEGO:
EE.LL. privi di dirigenza: a chi
si possono conferire gli incarichi di
posizione organizzativa
(CGIL-FP di Bergamo,
nota 11.09.2009). |
NOTE,
CIRCOLARI & COMUNICATI |
URBANISTICA:
Lombardia, Un nuovo
visualizzatore di mappe nel Geoportale della
Lombardia.
Il Geoportale, strumento che consente
l'accesso alle informazioni geografiche e
territoriali della Regione Lombardia, da
oggi si arricchisce di un nuovo sistema per
la visualizzazione e la ricerca dei dati.
Il nuovo viewer presenta diverse
potenzialità, fra cui: ... (comunicato
19.04.2010 - link a
www.territorio.regione.lombardia.it)). |
EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI:
Trasmissione informatizzata della
notifica preliminare di avvio lavori nei
cantieri - Decreto del Direttore Generale
Sanità n. 9056 del 14.09.2009 e Decreto del
Direttore Regionale del Lavoro n. 117 del
23.09.2009 (Regione Lombardia,
Direzione Generale Sanità, Governo della
Prevenzione, Tutela Sanitaria, Piano
Sicurezza Luoghi di Lavoro e Emergenze
Sanitarie,
nota
19.04.2010 n. 14379 di prot.). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Trasmissione telematica delle
certificazioni di malattia all’Inps. Aspetti
organizzativi e prime istruzioni operative
(INPS,
circolare 16.04.2010 n. 60 - link
a www.inps.it). |
GURI - GUUE -
BURL (e anteprima) |
EDILIZIA PRIVATA:
G.U. 21.04.2010 n. 92 "Modifiche ed
integrazioni al decreto 30.05.2008, n. 115,
recante attuazione della direttiva
2006/32/CE, concernente l’efficienza degli
usi finali dell’energia e i servizi
energetici e recante abrogazioni della
direttiva 93/76/CEE" (D.Lgs.
29.03.2010 n. 56). |
ESPROPRIAZIONE - LAVORI PUBBLICI:
B.U.R. Lombardia, 1° suppl. straord. al n.
16 del 20.04.2010, "Valori agricoli medi
validi per l'anno 2010 dei terreni,
considerati liberi da vincoli di contratti
agrari, secondo i tipi di coltura
effettivamente praticati, determinati
nell'ambito delle singole regioni agrarie
lombarde a norma dell'art. 41, comma 4, del
dPR 08.06.2001, n. 327 e successive
modifiche e integrazioni" (comunicato
regionale 08.04.2010 n. 45 - link
a www.infopoint.it). |
LAVORI PUBBLICI:
G.U. 19.04.2010 n. 90 "Modifiche agli
allegati del decreto del Presidente del
Consiglio dei Ministri 22.10.2008, recante
«Interventi necessari per la realizzazione
dell’EXPO Milano 2015»" (D.P.C.M.
01.03.2010). |
ENTI LOCALI:
G.U. 19.04.2010 n. 90 "Patto di stabilità
interno per l’anno 2010 per le province e i
comuni con popolazione superiore a 5.000
abitanti" (Ministero dell'Economia e
delle Finanze,
circolare 30.03.2010 n. 15). |
GIURISPRUDENZA |
APPALTI:
Legittimo il provvedimento di
esclusione se il collegamento sostanziale è
accertato dalla sussistenza di indizi
sintomatici e complessivamente
significativi.
In presenza di indizi sintomatici, purché
complessivamente significativi, il rischio
di una intesa preventiva può ragionevolmente
tradursi in una legittima presunzione che le
offerte dei diversi concorrenti siano
riconducibili al medesimo centro
decisionale, con conseguente obbligo per la
commissione di escludere dalla gara le
imprese nei cui confronti sia stata
accertata la presenza di indici rilevatori
di un collegamento sostanziale.
Nel caso di specie, erano stati ritenuti
elementi indiziari idonei a provare tale
unicità di centro decisionale l’ubicazione
della sede amministrativa delle imprese in
un medesimo stabile, l’identità di data e
luogo di spedizione dei plichi, il fatto che
la cauzione provvisoria sia stata rilasciata
da un medesimo assicuratore nello stesso
giorno e con numerazione progressiva,
l’identità grafica di documenti allegati
all’offerta, il rapporto di parentela tra
gli amministratori delle suddette società,
l’esistenza di intrecci azionari tra di
esse, ecc.
Si tratta di elementi che, soprattutto ove
sussistenti in tutto o anche in parte
contestualmente, possono essere
ragionevolmente assunti come indici
rivelatori di accordi tra i concorrenti al
fine di alterare la regolarità della gara.
In tal caso veniva giustificato
l’incameramento della cauzione provvisoria,
in quanto correlato alla violazione
dell’obbligo di diligenza e di produzione
documentale nelle trattative
precontrattuali, che grava su ciascun
concorrente sin dalla fase di partecipazione
alla gara e di presentazione dell’offerta
(TAR Lazio-Roma, Sez. III-ter,
sentenza 13.04.2010 n. 6696 -
link a www.mediagraphic.it). |
APPALTI:
Sulla natura eccezionale della
procedura negoziata.
La procedura negoziata ha natura eccezionale
ed in quanto tale è ammissibile soltanto nei
casi tassativamente previsti dalla legge.
In particolare, l’art. 57, comma 2, lettera
c), del decreto legislativo 12.04.2006, n.
163 prevede che si può scegliere la
procedura negoziata senza previa
pubblicazione del bando, tra l’altro, «nella
misura strettamente necessaria, quando
l’estrema urgenza, risultante da eventi
imprevedibili per le stazioni appaltanti,
non è compatibile con i termini imposti
dalle procedure aperte, ristrette, o
negoziate previa pubblicazione di un bando
di gara. Le circostanze invocate a
giustificazione della estrema urgenza non
devono essere imputabili alle stazioni
appaltanti».
Nella fattispecie in esame la generica e
astratta affermazione secondo cui occorre
fare «fronte alle esigenze degli utenti
bisognosi di ossigeno medicinale presso il
proprio domicilio in quanto affetti da gravi
patologie respiratorie» non è idonea ad
integrare il predetto presupposto
contemplato dall’art. 56. Non sussiste,
pertanto, una “estrema urgenza”
connessa all’esigenza di tutelare la salute
degli utenti, in quanto il fine perseguito è
stato quelle di ottenere «un notevole
risparmio economico relativo
all’approvvigionamento e distribuzione a
domicilio di ossigeno medicinale».
In altri termini, lo scopo perseguito è
perfettamente «compatibile con i termini
imposti dalle procedure aperte, ristrette, o
negoziate previa pubblicazione di un bando
di gara» (cit. art. 57, comma 2, lettera c)
(TAR Calabria-Catanzaro, Sez. II,
sentenza 12.04.2010 n. 457 - link
a www.mediagraphic.it). |
APPALTI:
Le stazioni appaltanti possono
apportare modifiche alle formule matematiche
in caso di difficoltà applicative.
E’ possibile per le stazioni appaltanti
introdurre dei correttivi alle formule
matematiche previste dal disciplinare di
gara quando si verificano delle difficoltà
pratiche nella loro rigida applicazione; ciò
a condizione che il correttivo utilizzato
risponda ad un criterio di proporzionalità e
di ragionevolezza volto a salvaguardare gli
interessi delle amministrazioni (Cons.
Stato, Sez. VI, n. 5583/2009; VI, n. 8146
del 2004; V n. 3435/2007; V, n. 1194/2006)
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 09.04.2010 n. 2004 -
link a www.mediagraphic.it). |
URBANISTICA:
Se il piano di lottizzazione
contiene dettagli sulle singole costruzioni
l’analisi paesistica e il controllo della
Soprintendenza non può limitarsi alle sole
opere di urbanizzazione.
L’art. 28, comma 2, della legge 17.08.1942
n. 1150 estende ai piani di lottizzazione la
necessità di una valutazione sotto il
profilo paesistico, indipendentemente dalla
presenza di un vincolo paesistico-ambientale.
Qualora un tale vincolo sussista, tanto per
l’intervento di una dichiarazione di
notevole interesse pubblico riferita a un
bene determinato (art. 136 e 157 del Dlgs.
42/2004) quanto per effetto della tutela
ex lege dei contesti ambientali (art.
142 del Dlgs. 42/2004), è necessaria una
vera e propria autorizzazione paesistica,
sottoposta nel regime transitorio al potere
di annullamento ministeriale ex art. 159 del
Dlgs. 42/2004.
Il controllo della Soprintendenza non è
limitato alle opere di urbanizzazione
previste dal piano di lottizzazione ma si
estende a tutti gli elementi che assumano
rilievo ai fini della tutela del paesaggio,
compresi gli indici edilizi previsti dalle
NTA del piano e i dati planivolumetrici
riguardanti i singoli edifici.
Non è
corretto scindere l’esame in due momenti
rinviando gli indici edilizi e i dati planivolumetrici alla fase delle
edificazioni singole, in quanto le opere di
urbanizzazione sono calibrate sulle
dimensioni complessive del piano e dunque
non sarebbe ragionevole imporre ai
lottizzanti il rischio di realizzare
investimenti inutili o sproporzionati
rispetto alle effettive possibilità
edificatorie.
Quando il piano di lottizzazione contenga
dettagli sulle singole costruzioni l’analisi
paesistica e il controllo della
Soprintendenza devono quindi coinvolgere
l’intero intervento edilizio senza limitarsi
alle sole opere di urbanizzazione.
L’aspettativa che sorge in capo ai
lottizzanti per effetto dell’esame
favorevole del piano di lottizzazione è
meritevole di tutela e impedisce alla
Soprintendenza di procedere poi, nell’esame
delle singole autorizzazioni paesistiche, a
una revisione radicale del precedente
giudizio (v. CS Sez. VI 18.10.2000 n. 5601).
Una simile revisione può considerarsi
legittima solo se nel frattempo siano stati
introdotti elementi progettuali nuovi o se
il maggiore grado di precisione delle
progettazioni singole faccia emergere un
impatto completamente diverso che non era
stato evidenziato nel piano di
lottizzazione.
Nel caso in esame tuttavia questa soglia non
può dirsi raggiunta. In primo luogo i
dati altimetrici e planimetrici degli
edifici erano perfettamente conoscibili in
quanto contenuti nel piano di lottizzazione
(v. sopra al punto 2). In secondo luogo
le modifiche introdotte dai lottizzanti dopo
aver appreso della procedura di annullamento
dell’autorizzazione paesistica n. 9/2002 (v.
sopra al punto 3) riguardavano proprio le
caratteristiche degli edifici, circostanza
da cui la Soprintendenza avrebbe dovuto
desumere che l’esame in corso di svolgimento
anticipava in realtà quello futuro sulle
singole autorizzazioni paesistiche.
Se all’epoca gli elementi a disposizione non
erano sufficienti per valutare l’impatto
degli edifici la Soprintendenza avrebbe
potuto chiedere integrazioni, e in
particolare l’elaborazione di simulazioni
fotografiche ai sensi del DPCM 12.12.2005.
Non corrisponde invece né alle regole di
correttezza né al principio di economia
procedurale la scelta di approvare il piano
di lottizzazione con la riserva mentale di
riaprire in seguito l’esame sugli stessi
elementi all’interno del controllo delle
singole autorizzazioni paesistiche.
--------------
Il secondo e il terzo motivo di ricorso
devono essere trattati congiuntamente, in
quanto si tratta di un’insieme di
osservazioni critiche verso la decisione
della Soprintendenza che hanno tutte lo
scopo di dimostrare la correttezza
dell’esame paesistico del Comune. Questa
tesi è condivisibile nei termini che
seguono.
Innanzitutto non appare sostenibile quanto
afferma la Soprintendenza circa la mancata
analisi del sistema insediativo di
riferimento. In realtà la commissione per il
paesaggio nel parere del 30.12.2008 ha
correttamente individuato il bene ambientale
tutelabile nella morfologia del terreno
caratterizzata dalla presenza del torrente
(terrazzamenti, solco vallivo, contesto
naturale collinare e montano).
In altri termini la commissione non si è
limitata a valutare gli effetti
dell’edificazione sull’area prossima
all’alveo del torrente ma, in conformità
alle direttive regionali sugli elementi
costitutivi del paesaggio (v. art. 1.8
dell’allegato B alla DGR 15.03.2006 n.
8/2121), ha ampliato l’esame ricomprendendo
anche un “adeguato ambito” attorno al
torrente. D’altra parte non ha fatto
coincidere tale ambito con un particolare
scenario paesistico, in quanto la zona in
questione non è espressamente qualificata di
notevole interesse pubblico ex art. 136 e
157 del Dlgs. 42/2004. In questo modo è
stata raggiunta una condivisibile posizione
intermedia tra la tutela di tutte le
caratteristiche naturali presenti e la
tutela della sola area interessata dalle
opere idrauliche di traslazione dell’alveo.
Appare immune da vizi logici anche il
passaggio successivo riguardante
l’individuazione dei tratti essenziali da
preservare: la commissione, in rapporto alla
natura del vincolo, ha ritenuto sufficiente
la conservazione della fruizione visiva, dai
possibili punti di osservazione, dei
versanti e delle cime che sovrastano i nuovi
edifici. Se la commissione avesse ritenuto
del tutto immodificabile anche il fondovalle
avrebbe rischiato di adottare una protezione
eccessiva rispetto ai canoni della
ragionevolezza e della proporzionalità.
Più precisamente vi sarebbe stata
un’enfatizzazione di caratteri estetici che
non costituiscono l’essenza del vincolo, e
per converso sarebbero state sottovalutate:
(a) la preesistenza in zona di strutture
aziendali agricole che già avevano inciso
sulla morfologia del terreno e sulla
percezione visiva (così come alcuni edifici
produttivi e residenziali collocati a breve
distanza dalla lottizzazione);
(b) le opere
di urbanizzazione regolarmente autorizzate,
dalle quali era derivata un’ulteriore
modifica dell’aspetto originario del
fondovalle.
La commissione per il paesaggio non è
neppure incorsa nel vizio di fraintendimento
degli elementi di vulnerabilità e di rischio
insiti nel progetto. Dal complessivo
giudizio della commissione risulta la
consapevolezza che il fondovalle sarebbe
stato segnato da una barriera di edifici
artigianali. L’impatto di questi edifici non
viene negato ma giudicato compatibile con il
vincolo paesistico descritto sopra al punto
13, in quanto non interferisce con le vedute
significative dei versanti e delle cime.
Proseguendo nel proprio esame la commissione
fa riferimento anche al nuovo alveo del
torrente e alle opere di urbanizzazione.
Questo non significa però che la commissione
misuri il peso dell’intervento solo in
relazione ai lavori di sistemazione del
torrente e delle aree con destinazione
pubblica.
Da un lato il riferimento alle
opere idrauliche è necessario ai fini della
valutazione di compatibilità paesistica (v.
art. 4.1 della DGR 15.03.2006 n. 8/2121).
Dall’altro la commissione richiama la
traslazione dell’alveo e la piantumazione
delle sponde (così come l’insieme delle
opere di urbanizzazione) per evidenziare la
presenza di un filtro che può mitigare
l’impatto degli edifici.
Tale modo di
procedere appare corretto, in quanto, una
volta accertato che l’edificazione modifica
la naturalità dei luoghi, è doveroso (v.
art. 3.2 dell’allegato al DPCM 12.12.2005)
verificare la presenza di elementi in grado
di schermare le nuove edificazioni e di
contenerne l’impatto sul territorio.
L’efficacia della mitigazione diventa così
un parametro di legittimità
dell’autorizzazione paesistica, e sotto
questo profilo la commissione si è
coerentemente preoccupata di chiarire (con
rinvio al piano di lottizzazione) il quadro
delle infrastrutture in cui si colloca
l’edificazione singola.
-------------
Un’ultima censura mossa dalla Soprintendenza
all’autorizzazione paesistica riguarda la
mancata considerazione dell’andamento
iperbolico di ogni nuova edificazione nella
trasformazione dell’ambiente. Questa
osservazione, chiarita in corso di causa
nella fase istruttoria (v. sopra al punto
8), è in astratto condivisibile, in quanto
effettivamente oltre un certo limite
l’impatto dell’edificazione aggregata è tale
da stravolgere le caratteristiche ambientali
e dunque non ha più senso indagare soltanto
il peso del singolo edificio aggiuntivo.
In proposito si deve tuttavia osservare che:
(a) non è sufficiente richiamare gli
inconvenienti dell’andamento iperbolico ma
occorre individuare con la massima
precisione possibile il punto oltre il quale
il fenomeno diventa intollerabile, in quanto
devono comunque essere tutelate le facoltà
edificatorie compatibili con il paesaggio;
(b) nel caso della lottizzazione la curva
della compatibilità paesistica può essere
verificata ex ante, essendo chiaro fin
dall’inizio il progetto insediativo
complessivo, e dunque è onere della
Soprintendenza esercitare immediatamente il
potere di annullamento qualora ritenga
sussistente il rischio di danni al
paesaggio.
Nel caso in esame un blocco tempestivo del
disegno edificatorio non vi è stato (v.
sopra al punto 3). Questa circostanza
attenua l’onere di motivazione del Comune
(v. CS Sez. VI 22.06.2007 n. 3453), e in
particolare consente allo stesso di ritenere
già esaminato (e superato) il problema
dell’affollamento degli edifici nel
perimetro del piano di lottizzazione e di
concentrare l’esame paesistico sul contenuto
del progetto della singola edificazione.
Nello stesso senso potevano essere
interpretati anche i mancati annullamenti
delle autorizzazioni paesistiche n. 1/2008 e
2/2008 relative agli altri lotti (v. sopra
al punto 4).
Le cause che hanno impedito l’annullamento
di tali autorizzazioni, ossia i problemi
alla rete informatica della Soprintendenza
(v. sopra al punto 8), sono irrilevanti nel
presente giudizio, trattandosi di questioni
organizzative interne all’amministrazione.
L’annullamento dell’autorizzazione
paesistica n. 4/2008 (v. sopra al punto 5)
non costituiva invece un’indicazione
negativa insuperabile per il privato,
essendo comunque possibile riproporre
all’esame del Comune il medesimo progetto
corredato di una più approfondita
motivazione (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 09.04.2010 n. 1531 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
PUBBLICO IMPIEGO - VARI:
Dipendenti in bagno? Non serve
l’ok dell’azienda.
Obbligare un dipendente alla richiesta di
autorizzazione scritta per andare in bagno
costituisce violazione della privacy ed è,
altresì, lesivo del diritto alla
riservatezza del lavoratore.
Lo ha definitivamente stabilito il Garante
della privacy che ha vietato le
autorizzazioni scritte del datore di lavoro
per assenze momentanee dal lavoro,
giudicando illecito il trattamento dei dati
effettuato con simili modalità da parte di
una azienda nei confronti dei propri
dipendenti (Garante della Privacy,
prescrizione 24.02.2010 - link a
www.altalex.com). |
AGGIORNAMENTO AL 19.04.2010 |
ã |
DOTTRINA E
CONTRIBUTI |
URBANISTICA:
E. Gariboldi,
Programmazione negoziata: compensazione,
perequazione ed incentivazione urbanistica
(link a www.cameramministrativacomo.it). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO:
C. Rapicavoli,
Controlli in materia di contrattazione
integrativa - Obblighi di pubblicità e di
trasmissione all'ARAN e al CNEL
(link a www.ambientediritto.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
C. Rapicavoli,
Incarichi dirigenziali a tempo determinato
negli Enti Locali - Applicabilità dell'art.
110 del d.lgs. 267/2000 dopo l'entrata in
vigore del Decreto brunetta - Parere della
Corte dei Conti della Lombardia
(link a www.ambientediritto.it). |
NOTE,
CIRCOLARI & COMUNICATI |
EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA: Forse,
non tutti hanno colto l'importante e recente
novità legislativa regionale, ovverosia che
dallo scorso 17.02.2010 è in
vigore il P.T.R. (Piano Territoriale
Regionale) della Regione Lombardia.
Pertanto, nell'istruttoria delle varie
pratiche edilizie -dal 17.02.2010- bisogna "fare
i conti" con la normativa del P.T.R. che
potete
leggere qui.
Tutti gli altri allegati sono
scaricabili qui.
N.B.: poiché
gli allegati del P.T.R. sono abbastanza
pesanti, Vi consigliamo di salvare i
relativi files sul proprio p.c. (per non
perdere troppo tempo e, addirittura col
rischio che i files non si aprano) per poi
aprirli e stamparli comodamente. |
ENTI LOCALI - URBANISTICA:
Piani comunali delle alienazioni e
valorizzazioni immobiliari - Indirizzi
applicativi per i Comuni lombardi, a seguito
della sentenza della Corte Costituzionale n.
340/2009 (illegittimità costituzionale
dell’art. 58, comma 2, D.L. n. 112/2008)
(Direzione Generale Territorio e
Urbanistica,
nota 01.03.2010 - link a
www.territorio.regione.lombardia.it). |
EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA:
Lombardia, Le modifiche alla legge di
governo del territorio nel 2010 - Le
modifiche apportate dalla l.r. 7/2010 e l.r.
12/2010.
La legge regionale n. 7/2010, tra le altre
disposizioni, ha apportato alcune modifiche
alla l.r. 12/2005 e alla l.r. 13/2009. Per
le modifiche si vedano gli artt. 20 e 21 del
testo in allegato.
Le modifiche riguardano innanzitutto la
proroga dell’efficacia dei Piani Regolatori
Generali comunali (PRG) fino al 31.03.2011
per tutti i comuni che non hanno ancora un
Piano di Governo del Territorio (PGT)
approvato; questi continueranno pertanto ad
attuare le previsioni dello strumento
vigente, fatta salva naturalmente
l’applicazione delle misure di salvaguardia
del PGT, se e quando adottato.
Tuttavia, i comuni che alla data del
31.03.2010 non avranno ancora adottato il
PGT (esclusi i comuni interessati dalle
opere essenziali di Expo 2015) non potranno
attivare le seguenti procedure: ...
(Direzione Generale Territorio e Urbanistica
- link a
www.territorio.regione.lombardia.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Articolo
146 del D.Lgs. 22.01.2004 n. 42 e successive
modifiche (Codice dei Beni Culturali e del
Paesaggio). Prime indicazioni operative per
il procedimento di autorizzazione
paesaggistica (Soprintendenza per i Beni
Architettonici e Paesistici di Siena e
Grosseto,
nota
05.02.2010 n. 1418 di prot.). |
EDILIZIA PRIVATA: D.P.R.
n. 233/2007, come modificato dal D.P.R. n.
91/2009 - competenze del Direttore Regionale
- indicazioni operative
(Direzione Regionale per i Beni Culturali e
Paesaggistici della Lombardia,
nota 18.01.2010 n. 484 di prot. - link a www.lombardia.beniculturali.it). |
UTILITA' |
APPALTI:
In vigore dal 27.04.2010 le modifiche al
Codice degli appalti.
Il D.Lgs. 53/2010, pubblicato sulla Gazzetta
Ufficiale n. 84 del 12.04.2010, recante "Attuazione
della direttiva 2007/66/CE che modifica le
direttive 89/665/CEE e 92/13/CEE per quanto
riguarda il miglioramento dell'efficacia
delle procedure di ricorso in materia
d'aggiudicazione degli appalti pubblici"
che entrerà in vigore il 27.04.2010.
Il provvedimento apporta modifiche
significative al D.Lgs. 163/2006, il Codice
dei contratti pubblici relativi a lavori,
servizi e forniture.
Le principali modifiche riguardano: ...
(link a www.acca.it). |
SICUREZZA LAVORO:
La sicurezza sul lavoro nei cantieri
stradali: il manuale operativo dell'INAIL.
Il cantiere stradale presenta rischi elevati
per i lavoratori e per le persone esterne a
causa, oltre che della tipologia dei lavori,
anche del traffico stradale interferente.
Le norme di prevenzione, per tali tipologie
di lavori, sono complesse perché devono
integrare aspetti di sicurezza e di salute
nei luoghi di lavoro, contenuti nel D.Lgs.
81/2008 con le norme previste dal Codice
della strada.
Con l'intento di fornire un supporto a
imprese e tecnici per la valutazione dei
rischi e per le misure di prevenzione da
adottare, l'INAIL ha curato la redazione del
volume "La sicurezza sul lavoro nei
cantieri stradali – Manuale Operativo 2010"
... (link a www.acca.it). |
EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI:
Disponibile il Testo Unico della
Sicurezza aggiornato ad aprile 2010 e
commentato dal Ministero del Lavoro.
Il Ministero del Lavoro ha reso disponibile
il
testo aggiornato (aprile 2010) del D.Lgs.
09.04.2008 n. 81 in materia di
salute e sicurezza nei luoghi di lavoro
(Testo Unico della Sicurezza).
Il testo è coordinato con le modifiche
apportate dall'art. 6 comma 9-ter della
Legge n. 25 del 26.02.2010 ("mille
proroghe").
Il testo, che riporta le sanzioni a margine
di ciascun articolo, è stato redatto "ad
uso degli ispettori" del lavoro.
Il "testo coordinato" è inoltre
corredato dalle note ufficiali pubblicate
dal Ministero ... (link a www.acca.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Gli Atti del Convegno CTI sulle norme UNI TS
11300 e la Certificazione Energetica degli
Edifici.
Si è tenuto lo scorso 23.03.2010 presso la
Fiera Milano Quartiere Rho il convegno,
organizzato dal Comitato Termotecnico
Italiano, sul tema: "Le Norme UNI TS
11300 quale riferimento per la
Certificazione Energetica degli Edifici e la
misura della loro Sostenibilità Ambientale".
Il CTI ha reso disponibili gli atti del
convegno che ha visto i seguenti interventi
... (link a www.acca.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Detrazione 55%, online il sito Enea per il
2010.
È online il nuovo sito Enea per l'invio
delle pratiche relative ai lavori di
riqualificazione energetica degli edifici
terminati nel 2010.
Il nuovo sito web consente l'invio delle
dichiarazioni dovute all'Enea esclusivamente
per i lavori completati nel 2010 ... (link a
www.acca.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L'IVA agevolata (10%) per la
fornitura di energia termica "verde" è solo
per uso domestico.
L'Agenzia delle Entrate, con la
risoluzione 01.04.2010 n. 28/E,
ha chiariti che l'IVA agevolata al 10% è
applicabile alle "prestazioni di servizi
e forniture di apparecchiature e materiali
relativi alla fornitura di energia termica
per uso domestico attraverso reti pubbliche
di teleriscaldamento, (…) alle forniture di
energia prodotta da fonti rinnovabili o da
impianti di cogenerazione ad alto rendimento"
se l'energia è erogata esclusivamente per "uso
domestico".
Dunque il regime IVA agevolato per il
servizio di fornitura di energia termica
prodotta da fonti rinnovabili o da impianti
di cogenerazione, disciplinato dal n. 122
della Tabella A, Parte III, del D.P.R.
633/1972, si applica esclusivamente quando
la somministrazione riguarda consumatori
finali che impiegano l'energia nelle
abitazioni, a carattere familiare o in
analoghe strutture a carattere collettivo
dotate del requisito di residenzialità ...
(link a www.acca.it). |
QUESITI &
PARERI |
APPALTI SERVIZI:
Servizio di illuminazione votiva.
Il servizio di illuminazione votiva è
affidato alla gestione di terzi attraverso
lo strumento della concessione di servizio
pubblico, per la quale trova applicazione
l'art. 23-bis, del D.L. 25.06.2008, n. 112 (parere
25.03.2010 n. 4925 di prot. -
link a http://autonomielocali.regione.fvg.it). |
APPALTI SERVIZI:
Procedura di gara - avvenuta
esclusione di alcuni operatori economici -
obbligo di comunicazione - mera trasmissione
del verbale della seduta in cui è avvenuta
l'esclusione - presenza alle sedute di gara
dei legali rappresentanti delle società
escluse - dies a quo di decorrenza del
termine per la presentazione del ricorso
giurisdizionale avverso l'esclusione
medesima.
1) Dall'art. 79, c. 5, d.lgs.
163/2006, emerge l'obbligo, per la pubblica
amministrazione appaltante, di comunicare,
da subito, ai soggetti interessati,
l'avvenuta esclusione dalla gara.
2) Al fine dell'individuazione
dell'atto da portare a conoscenza
dell'operatore economico escluso, per una
sua eventuale impugnazione, si ritiene
sufficiente la comunicazione di quegli atti
endoprocedimentali rappresentati dai verbali
redatti dalla commissione di gara.
Il solo verbale di gara, senza necessità di
alcuna approvazione da parte della stazione
appaltante, debitamente redatto e
comunicato, è sufficiente a garantire quei
profili di certezza connessi alla conoscenza
dell'atto di esclusione, al fine della
tutela giurisdizionale da azionarsi,
eventualmente, da parte dell'operatore
economico pretermesso.
3) Secondo l'orientamento
giurisprudenziale maggioritario, la
partecipazione dei legali rappresentanti
delle società concorrenti alla seduta in cui
è avvenuta l'esclusione vale quale termine a
quo, al fine del decorso dei sessanta giorni
per la presentazione del ricorso al giudice
amministrativo
(parere
12.03.2010 n. 4085 di prot. -
link a http://autonomielocali.regione.fvg.it). |
APPALTI:
Documento unico di regolarità
contributiva (durc) - pagamento fatture da
parte della pubblica amministrazione -
persistente irregolarità contributiva
dell'operatore economico.
Dall'art. 5, c. 2, della l. 82/1994, n. 82,
emerge, chiaramente, una condizione ex
lege alla cui realizzazione è
subordinato il pagamento, da parte delle
pubbliche amministrazioni, delle prestazioni
rese dai soggetti economici che operano nel
settore delle pulizie.
Tale presupposto giuridico è rappresentato
dalla regolarità contributiva ai fini
previdenziali ed assistenziali da parte
dell'appaltatore del servizio di pulizie.
Dall'articolo summenzionato, chiaramente si
evince che, fino a quando l'operatore
permane e persiste in una situazione di
irregolarità contributiva, la pubblica
amministrazione non potrà procedere al
pagamento del corrispettivo dovuto, che
sarebbe, a tal punto, effettuato
illegittimamente. Si rammenta, invero, che
la liquidazione è una delle fasi del
procedimento amministrativo contabile.
Essa avviene sulla base di una
determinazione del responsabile del
procedimento, ove quest'ultimo è chiamato ad
attestare la presenza di tutti i presupporti
di legge, affinché l'atto di liquidazione
sia legittimamente adottato. Fintanto che la
predetta irregolarità permane, il Comune non
procederà, pertanto, al pagamento del
corrispettivo dovuto (parere
09.03.2010 n. 3888 di prot. -
link a http://autonomielocali.regione.fvg.it). |
APPALTI:
Documento unico di regolarità
contributiva (DURC) - legittimazione
partecipazione nuova gara ed altre
problematiche.
L'operatore economico deve trovarsi in una
posizione di regolarità contributiva fin dal
momento della presentazione della domanda di
partecipazione alla gara.
Declinando tale principio nella procedura
ristretta e della licitazione privata, deve
concludersi che il possesso del requisito in
parola deve essere attestato e posseduto al
momento della richiesta di invito alla
procedura (nella quale si sostanzia
l'espressione della volontà partecipativa
dell'impresa) e non a quello (successivo)
dell'invito alla competizione, che si limita
a tradurre l'attivazione della fase
propriamente concorrenziale, ma che non
costituisce, ex novo, una relazione
procedimentale con l'impresa (relazione,
invero, già instaurata con la domanda di
partecipazione presentata da quest'ultima) (parere
11.02.2010 n. 1867 di prot. -
link a http://autonomielocali.regione.fvg.it). |
APPALTI:
Documento unico di regolarità
contributiva (DURC) - questioni varie.
La richiesta ed il rilascio del durc, anche
nell'ipotesi di affidamenti in economia,
sottende l'esigenza perseguita dal
legislatore di garantire la trasparenza
degli affidamenti, nonché di verificare che
le imprese che operano con il settore
pubblico rispettino la normativa
previdenziale, un tanto a prescindere
dall'importo del contratto e dalla procedura
di selezione adottata. Accade, invece, che
la procedura di acquisizione in economia
possa corrispondere ad esigenze di necessità
ed urgenza, di imprevedibilità e non
programmabilità degli interventi.
Sebbene le due normative sottintendono
ratio diverse, esse devono
necessariamente convivere per la diversità
dei fini evidenziati: per ciò stesso il durc
dovrà essere richiesto, senza alcuna
eccezione, anche nel caso degli acquisti in
economia, anche se questi ultimi possano
trovare il proprio fondamento in esigenze di
necessità ed urgenza, di imprevedibilità e
non programmabilità degli interventi.
Sebbene sia indubbio che l'assolvimento di
tale onere comporta un appesantimento
procedurale, si ritiene che il legislatore
abbia considerato quello per il rilascio del
durc un termine congruo, reputando
sacrificabili altre esigenze, come quella di
maggior speditezza, un tanto a fronte della
superiore necessità di trasparenza in un
settore assai delicato e che, come tale,
merita particolare attenzione (parere
28.01.2010 n. 1152 di prot. -
link a http://autonomielocali.regione.fvg.it). |
CONSIGLIERI COMUNALI:
Assicurazione copertura rischi
compiti istituzionali amministratori.
Il Comune chiede se stipulare un contratto
di assicurazione per la copertura dei rischi
derivanti dall’espletamento, da parte degli
amministratori, dei compiti istituzionali
connessi con la carica e dello svolgimento,
da parte dei dipendenti titolari di
posizione organizzativa, delle proprie
funzioni e riguardanti la responsabilità
patrimoniale o amministrativa e contabile
non determinata da dolo o colpa grave e
nella quale la quota di premio che copre i
rischi derivanti da comportamenti dolosi o
gravemente colposi, viene estrapolata dalla
polizza ed accollata ai singoli
amministratori ed ai singoli dipendenti i
quali pagheranno direttamente alla società
di assicurazione, con la quale ogni
amministratore ed ogni dipendente stipulerà,
prima della sottoscrizione del contratto da
parte del Comune, specifica polizza, sia in
linea con il dettato dell’art. 3, comma 59,
della Legge 24/12/2007, n. 244 (nullità del
contratto di assicurazione) (Regione
Piemonte,
parere n.
12/2010 - link a
www.regione.piemonte.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Installazione impianti per
produzione energia.
Vengono posti due quesiti inerenti al tema
–frequentatissimo in questo periodo di
tempo– dell’installazione di impianti per la
produzione di energia mediante l’impiego di
fonti rinnovabili, con particolare riguardo
al titolo abilitativo ed alla gratuità
dell’intervento (Regione Piemonte,
parere n.
11/2010 - link a
www.regione.piemonte.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Applicabilità riduzione nel
calcolo del contributo di costruzione.
E’ chiesto parere in merito all’eventuale
applicabilità di riduzioni nel calcolo del
contributo di costruzione nel caso di
edificio interessato da domanda di permesso
di costruire per mutamento di destinazione
d’uso con opere edilizie (Regione Piemonte,
parere n.
10/2010 - link a
www.regione.piemonte.it). |
ENTI LOCALI - URBANISTICA:
Piano delle alienazioni e
valorizzazioni immobiliari del Comune.
Viene richiesto parere al Servizio scrivente
al fine di comprendere quali siano gli
effetti della sentenza della Corte
Costituzionale n. 340 del 16.12.2009,
dichiarativa della illegittimità
costituzionale dell’art. 58, comma 2, della
L. 133/2008, sulla deliberazione del
Consiglio Comunale n. 23 del 31.03.2009 che
ha approvato il Piano delle alienazioni e
valorizzazioni immobiliari, sulla base del
quale gli immobili in esso inseriti sono
diventati automaticamente patrimonio
disponibile; tale inserimento ha avuto come
ulteriore conseguenza di variare
automaticamente il piano regolatore.
In particolare il Comune chiede di sapere se
la variante approvata ai sensi del suddetto
articolo 58 possa considerarsi valida ed
efficace e quale sia la sorte degli atti,
conseguenti alla variante, ancora da
emettersi o perfezionarsi (Regione Piemonte,
parere n.
9/2010 - link a
www.regione.piemonte.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Costruzione autorimessa in area
soggetta a tutela paesaggistica e vincolo
idrogeologico.
Viene posta una serie di interrogativi
derivanti dalla realizzazione di
un’autorimessa interrata in area soggetta a
tutela paesaggistica e a vincolo
idrogeologico ex l. reg. 45/1989, in assenza
delle preventive autorizzazioni
paesaggistica ed idrogeologica, pur essendo
stata presentata d.i.a. edilizia –peraltro
priva di D.U.R.C.– che riconosce
espressamente la sua inefficacia ove manchi
l’autorizzazione paesaggistica anzidetta
(Regione Piemonte,
parere n.
8/2010 - link a
www.regione.piemonte.it). |
NEWS |
CONSIGLIERI COMUNALI:
OSSERVATORIO VIMINALE/ Legali,
incompatibilità soft. Se il credito è
passato in giudicato l'azione di recupero
non genera conflitto. La parcella non fa
perdere il posto in consiglio.
Sussiste causa di incompatibilità nei
confronti di un consigliere comunale che,
nell'esercizio delle sue funzioni di
avvocato, ha presentato, in qualità di
procuratore e difensore di sé stesso, un
atto di precetto per il pagamento di spese
legali a lui dovute quale difensore della
controparte in un contenzioso avverso il
comune del cui consiglio fa parte?
Al riguardo, si rappresenta che l'art. 63,
comma 1, n. 4, del d.lgs. n. 267/2000, così
come novellato dalla legge 24.04.2002 n. 75,
di conversione al decreto-legge 22.02.2002
n. 13, dispone testualmente: «la lite
promossa a seguito di o conseguente a
sentenza di condanna determina
incompatibilità soltanto in caso di
affermazione di responsabilità con sentenza
passata in giudicato. La costituzione di
parte civile nel processo penale non
costituisce causa di incompatibilità. La
presente disposizione si applica anche ai
procedimenti in corso».
Sulla portata innovativa di quest'ultima
disposizione si osserva che l'art. 63 del
Tuel 267/2000, nella stesura riformata, ha
avuto riguardo solo a processi civili e
amministrativi relativi a rapporti
patrimoniali. Pertanto, l'espressione «sentenza
di condanna» è quella conseguente alla
definizione di tali tipi di procedimenti.
La chiave di lettura della disposizione
novellata non può che essere il principio
cui la norma s'ispira, secondo il quale la
pendenza di una lite civile e amministrativa
dà luogo a incompatibilità per evitare che
il conflitto di interessi che tale
situazione manifesta possa essere risolto
dal privato a proprio vantaggio esercitando
i poteri di amministratore del'ente locale.
Principio generale cui fanno espressamente
eccezione la pendenza di lite tributaria e
la pendenza di lite a seguito di azione
popolare.
La modifica introdotta, disciplinando solo
vicende civili caratterizzate dall'essere in
rapporto di consequenzialità con
procedimenti civili od amministrativi,
conferma l'incompatibilità, ma «soltanto
in caso di affermazione di responsabilità
con sentenza passata in giudicato».
Ne consegue che, in caso di affermazione di
responsabilità del privato accertata con
sentenza pronunciata in sede civile o in
sede amministrativa e passata in giudicato,
dalla quale scaturisca una posizione
debitoria del privato medesimo nel confronti
dell'amministrazione, rimane confermata, nel
giudizio consequenziale, e quindi prosegue
rispetto al giudizio principale, la
situazione di incompatibilità a carico
dell'amministratore.
Nell'ipotesi inversa in cui la
responsabilità del privato, sempre in un
giudizio primario in sede civile o
amministrativa, sia stata esclusa e sia
insorta da ciò una conseguente posizione
creditoria del privato medesimo, che per la
relativa soddisfazione promuova una lite
consequenziale nei confronti dell'ente,
l'amministratore non incorre nella causa
ostativa all'espletamento del proprio
mandato.
La ratio della norma riflette il
principio di democrazia sostanziale del
rispetto della volontà degli elettori e
della tutela dell'amministratore che non può
ricevere pregiudizio dal promovimento di una
lite civile finalizzata a ottenere
soddisfazione di una posizione creditoria
già definitivamente accertata con sentenza
passata in giudicato.
Pertanto, finché manca una situazione di
certezza giudizialmente raggiunta in ordine
a un rapporto patrimoniale oggetto di
controversia permane la situazione
d'incompatibilità. Quando, invece, tale
situazione di incertezza sia definitivamente
venuta meno in favore del privato e questi
persegue il proprio diritto, accertato
giudizialmente in modo definitivo, avviando
un contenzioso civile consequenziale,
l'incompatibilità non sussiste (vedasi, in
proposito, la circolare ministeriale n.
812002-Urael del 30.07.2002) (articolo
ItaliaOggi del 16.04.2010, pag. 43). |
APPALTI:
Direttiva ricorsi, i Tar si
portano avanti.
Il 27 aprile entrerà in vigore il decreto
legislativo n. 53/2010 che ha recepito la
2007/66/CE (cd direttiva ricorsi); i bandi
pubblicati dopo tale data avranno, come
primo effetto, la sicurezza che i relativi
contratti saranno eseguiti senza il dubbio
di eventuali ricorsi pendenti.
Ma che cosa sta avvenendo in questo momento
nelle aule dei nostri Tar per controversie
relative ad aggiudicazioni avvenute dopo il
dicembre 2007 (momento dell'entrata in
vigore della normativa europea)?
È oramai orientamento giurisprudenziale
consolidato che i nostri giudici
amministrativi possano già decidere sulle
sorti del contratto stipulato a seguito di
una illegittima aggiudicazione. E in tale
senso si è mosso anche il Tar Calabria,
Catanzaro (sentenza numero 457 del
12.04.2010) che sancisce, senza ombra di
dubbio, la nullità di un contratto di
appalto, in parte già eseguito In prima
battuta, il Collegio giudicante ritiene
illegittimo il comportamento di una stazione
appaltante per violazione della regola
generale di scelta del contraente che è
rappresentata dalla procedura aperta volta
ad assicurare, mediante la più ampia
partecipazione degli operatori economici, la
tutela della concorrenza e i valori a essa
sottesi e cioè, sul piano comunitario, la
libera circolazione delle persone e delle
merci, sul piano costituzionale, il buon
andamento e l'imparzialità dell'azione
amministrativa (art. 97 Cost.) in relazione
all'interesse pubblico finale e concreto che
deve essere perseguito, nonché la libera
iniziativa economica degli imprenditori di
settore (art. 41 Cost.).
Nel caso in esame, infatti, l'adito giudice
reputa che l'amministrazione abbia violato i
predetti principi in quanto, estendendo la
portata di una precedente gara mediante la
modifica del suo ambito e dell'importo
pattuito, ha di fatto affidato un nuovo
servizio senza ricorrere alle procedure di
garanzie che devono, come già sottolineato,
essere finalizzate ad assicurare la massima
partecipazione degli operatori economici.
Poiché nella specifica fattispecie «il
ricorrente non ha dimostrato in alcun modo
l'esistenza del fatto illecito e della sua
potenzialità dannosa, essendosi limitato a
provare la illegittimità dell'atto e non la
illiceità della condotta», non viene
riconosciuto un risarcimento del danno
ingiusto ma viene invece accettata e
accertata la giurisdizione del giudice
amministrativo relativamente alla richiesta
di dichiarazione di inefficacia del
contratto medio tempore stipulato.
I giudici calabresi nel ricordare che «la
Corte di cassazione, sezioni unite, con
ordinanza 10.02.2010, n. 2906, mutando
orientamento, ha ritenuto che la
giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo in materia di procedure di
gara si estende anche al contratto»
sostengono che sul piano costituzionale, la
giurisdizione esclusiva estesa al contratto
è compatibile con il modello delineato
dall'art. 103 della Costituzione.
Successivamente ribadiscono che si
giustifica la giurisdizione esclusiva in
ragione del «collegamento» stretto tra la
fase amministrativa e la fase negoziale di
conclusione del contratto. Tale collegamento
deriva dal fatto che il vizio del contratto
è conseguenza del vizio del provvedimento.
In presenza di un vizio autonomo del
contratto tale nesso viene meno.
In definitiva, la giurisdizione esclusiva si
giustifica, sul piano costituzionale, non
soltanto in presenza di un intreccio di
interessi legittimi e diritti soggettivi,
nonché di diritti soggettivi incisi
dall'esercizio di un potere amministrativo
(Corte cost. n. 32 del 2010), ma anche in
presenza di interessi legittimi e diritti
soggettivi «separati» ma, nondimeno,
strettamente collegati.
In conclusione quindi il giudice
amministrativo conferma la inefficacia del
contratto, non sussistendo «esigenze
imperative» che impongono il
mantenimento del rapporto contrattuale in
atto anche perché, come sottolineato, il
servizio oggetto dell'appalto era comunque
assicurato sia pure secondo modalità diverse
(articolo ItaliaOggi del 16.04.2010, pag.
40). |
CONSIGLIERI COMUNALI:
Il comune paga l'Irap sulla
buonuscita del sindaco. Risoluzione
dell'agenzia delle entrate.
L'indennità di fine mandato corrisposta da
un comune al sindaco uscente concorre alla
formazione della base imponibile Irap
dell'ente locale. E non rileva, a tal
proposito, che ai fini delle imposte dirette
tale importo sia assoggettato alla
tassazione separata, in analogia a quanto
avviene con il Tfr (che, invece, non
contribuisce a formare il valore imponibile
ai fini Irap).
È quanto ha chiarito l'Agenzia delle Entrate
con la
risoluzione 15.04.2010 n. 29/E.
Il comune istante chiedeva di conoscere se
la buonuscita erogata al primo cittadino al
termine del suo mandato elettorale
concorresse o meno alla determinazione della
base imponibile Irap. E, in caso
affermativo, se dovesse essere preso in
considerazione l'importo lordo spettante
oppure l'ammontare imponibile ai fini Irpef
(determinato deducendo dall'indennità netta
una somma pari a circa 310 euro per ogni
anno di mandato). L'amministrazione
finanziaria ricorda in primis che le
p.a., tra cui i comuni, determinano
l'imponibile Irap a norma dell'articolo
10-bis del dlgs n. 446/1997.
Pertanto, assumono rilevanza le retribuzioni
corrisposte ai dipendenti, i redditi
assimilati ex articolo 50 del Tuir, nonché i
compensi per co.co.co. e per attività di
lavoro autonomo non esercitate abitualmente.
In particolare, l'Agenzia evidenzia che
l'articolo 50, comma 1, lettera g), del Tuir
include espressamente tra i redditi
assimilati a quelli di lavoro dipendente le
indennità percepite per le cariche elettive
nonché per le funzioni di amministratore
locale (sindaci, assessori, etc.).
Fattispecie nella quale rientra l'indennità
di fine mandato corrisposta al sindaco in
questione, che quindi il comune dovrà tenere
in considerazione nella determinazione della
propria base imponibile Irap.
In tal senso, sottolineano le Entrate, non
rileva che tale ammontare presenti analogie
con il Tfr corrisposto ai lavoratori
dipendenti (il quale, per legge, è escluso
dal computo della base imponibile
previdenziale e quindi anche ai fini Irap).
Riguardo al quantum da considerare,
l'Agenzia richiama la precisazione già
offerta dalla risoluzione n. 24/E del 2001,
che aveva chiarito come «i redditi
assimilati a quelli di lavoro dipendente, di
cui all'articolo 47 (ora 50) del Tuir
concorrono a formare la base imponibile Irap
nell'importo determinato ai sensi del
successivo articolo 48-bis (ora 52),
prescindendo, quindi, dalla rilevanza o meno
che assumono ai fini dell'imposizione
previdenziale».
Nel caso di specie, dunque, si applica la
disposizione di cui all'articolo 19, comma
2-bis del Tuir, secondo cui l'importo da
tassare si determina sottraendo
dall'indennità netta «una somma pari a
lire 600.000 (pari ad euro 309,87, n.d.r.)
per ciascun anno preso a base di
commisurazione, con esclusione dei periodi
di anzianità convenzionale» (articolo
ItaliaOggi del 16.04.2010, pag. 39).
---------------
Si legga anche l'articolo:
Il Sindaco lascia la sua poltrona. E un'Irap
più pesante al Comune (link a
www.nuovofiscooggi.it). |
ENTI LOCALI - VARI:
Zone montane non metanizzate, bonus gasolio
sulla “distanza”. Esclusi
dall'agevolazione gli edifici ubicati in
aree interne al centro abitato dove ha sede
il Municipio.
Gasolio e Gpl meno cari soltanto per chi
abita “lontano” dal Municipio. Per
capire meglio, i residenti nelle aree “non
metanizzate” dei Comuni appartenenti
alla zona climatica E, che possono quindi
accendere il riscaldamento per 14 ore
giornaliere dal 15 ottobre al 15 aprile,
godono di una riduzione di prezzo sui
combustibili utilizzati ... (link a
www.nuovofiscooggi.it). |
APPALTI:
Offerta, il prezzo si giustifica
dopo. Il Codice dei contratti prevede che
sia l'ente appaltante a chiedere di
integrare la proposta economica. La verifica
dell'anomalia va fatta insieme al
concorrente.
In materia di appalti la redditività
dell'offerta economica è stata da sempre
oggetto di particolare attenzione da parte
del legislatore, che ha fin da principio
cercato di evitare la presentazione di
offerte eccessivamente basse, tali da
rendere inattendibile la stessa e dunque da
far dubitare circa la corretta esecuzione
dell'appalto.
Già la legge quadro sui Lavori pubblici
(leggi 109/1994) si occupava della verifica
dell'anomalia e delle eventuali
giustificazioni da richiedere (art. 21 c.
1-bis); la disposizione è poi confluita nel
nuovo Codice dei Contratti Pubblici, che
disciplina la materia agli artt. 86 e
seguenti.
Anomalia e giustificazioni
dei prezzi.
La recente modifica al Codice dei Contratti
operata con il decreto legge 01.07.2009 n.
78, convertito con modifiche in legge
03.08.2009 n. 102 ha eliminato l'obbligo di
corredare l'offerta con le giustificazioni
dei prezzi.
Conseguentemente, nell'attuale sistema le
giustificazioni dell'offerta economica sono
presentate solo successivamente, su
richiesta della stazione appaltante laddove
riscontri elementi di sospetto nella
formulazione del prezzo.
La lettera dell'art. 87, comma 1, è infatti
chiara nel disporre «Quando un'offerta
appaia anormalmente bassa, la stazione
appaltante richiede all'offerente le
giustificazioni relative alle voci di prezzo
che concorrono a formare l'importo
complessivo posto a base di gara, nonché, in
caso di aggiudicazione con il criterio
dell'offerta economicamente più vantaggiosa,
relative agli altri elementi di valutazione
dell'offerta, procedendo ai sensi
dell'articolo 88. All'esclusione può
provvedersi solo all'esito dell'ulteriore
verifica, in contraddittorio».
A mente dell'art. 88, comma 5, «la
stazione appaltante sottopone a verifica la
prima migliore offerta, se la stessa appaia
anormalmente bassa, e, se la ritiene
anomala, procede nella stessa maniera
progressivamente nei confronti delle
successive migliori offerte, fino ad
individuare la migliore offerta non anomala.
In alternativa, la stazione appaltante,
purché si sia riservata tale facoltà nel
bando di gara, nell'avviso di gara o nella
lettera di invito, può procedere
contemporaneamente alla verifica di anomalia
delle migliori offerte, non oltre la quinta,
fermo restando quanto previsto ai commi da 1
a 5. All'esito del procedimento di verifica
la stazione appaltante dichiara le eventuali
esclusioni di ciascuna offerta che, in base
all'esame degli elementi forniti, risulta,
nel suo complesso, inaffidabile, e procede,
nel rispetto delle disposizioni di cui agli
articoli 11 e 12, all'aggiudicazione
definitiva in favore della migliore offerta
non anomala».
La stazione appaltante procede
sostanzialmente in contraddittorio con la
parte interessata, eventualmente richiedendo
precisazioni ad integrazione delle
giustificazioni presentate (art. 88 comma
1-bis), e comunque convocando la parte a
fornire personalmente ogni elemento utile
alla valutazione dell'anomalia prima di
disporne l'esclusione (art. 88, comma 4).
Ciò, in quanto «nel giudizio di anomalia,
è fondamentale che ciascun offerente abbia
la possibilità di far valere il suo punto di
vista e di fornire ogni più utile e completa
spiegazione a sostegno dei diversi elementi
che compongono la propria offerta»; e
per tali ragioni «in generale, sono
possibili integrazioni e modificazioni
successive [delle giustificazioni allegate a
corredo dell'offerta], purché non venga
modificata l'offerta stessa, la quale
attenendo alla par condicio della gara, è
intangibile una volta presentata». (Tar
Toscana, 26.03.2009, n. 507).
Quanto alle giustificazioni, anche nel
novellato panorama legislativo i principi di
fondo in riferimento all'istituto in esame
(pure dettati in vigenza del vecchio testo),
possono comunque trovare (almeno parziale)
applicazione.
In particolare, sul punto si rileva quanto
segue.
Gli elementi oggetto di giustificazione sono
descritti dall'art. 87 comma 2, riguardando
«a titolo esemplificativo» l'economia
del procedimento di costruzione, del
processo di fabbricazione, del metodo di
prestazione del servizio (lett. a); le
soluzioni tecniche adottate (lett. b); le
condizioni eccezionalmente favorevoli di cui
dispone l'offerente per eseguire i lavori,
per fornire i prodotti, o per prestare i
servizi (lett. c); l'originalità del
progetto, dei lavori, delle forniture, dei
servizi offerti (lett. d); l'eventualità che
l'offerente ottenga un aiuto di Stato (lett.
f) ovvero il costo del lavoro come
determinato periodicamente in apposite
tabelle dal ministro del lavoro e delle
politiche sociali (lett. g).
La non tassatività di tali elementi, oltre
che discendere dall'inciso della lettera di
legge, è confermata dalla giurisprudenza
amministrativa, secondo cui «l'elenco
della documentazione che può essere
richiesta, contenuto nel successivo art. 87
comma 2, è fatto solo «a titolo
esemplificativo» e ciò significa che le
amministrazioni restano libere di stabilire
altra documentazione da richiedere [a pena
di esclusione a preventiva giustificazione
dell'anomalia dell'offerta]», purché nel
rispetto dei principi di ragionevolezza e
proporzionalità (Cons. stato, sez. VI,
06.03.2009, n. 1348; Tar Calabria,
04.11.2009, n. 1166).
La presentazione delle giustificazioni deve
avvenire per iscritto, e le stesse «debbono
consistere in elaborati più o meno completi
[_], riportanti la scomposizione
dell'offerta economica nelle varie voci che
la compongono, i quali però, per essere
ritenuti fondati, non debbono risolversi in
asserzioni meramente apodittiche (del tipo
«l'offerta è congrua perché io dico che è
congrua») e fare generico riferimento a
benefici fiscali e contributivi, a
favorevoli condizioni di mercato, e così
via. [_] le giustificazioni possono essere
ritenute sufficienti quando esse dimostrino
l'affidabilità nel suo complesso
dell'offerta, per cui è da ritenere di
massima legittimo il giudizio favorevole
anche nel caso in cui restino parzialmente
non giustificate voci meno importanti
dell'offerta» (Tar Marche, 30.11.2009,
n. 1427; Tar Marche 08.07.2009, n. 776; Tar
Emilia Romagna (Bologna), 21.04.2009, n.
505).
Particolarmente delicato il tema in esame
sotto il profilo del diritto di accesso.
L'art. 13, comma 5 lett. a), esclude
espressamente il diritto di accesso e ogni
forma di divulgazione in relazione «alle
informazioni fornite dagli offerenti
nell'ambito delle offerte ovvero a
giustificazione delle medesime, che
costituiscano, secondo motivata e comprovata
dichiarazione dell'offerente, segreti
tecnici o commerciali»; il successivo
comma 6 tuttavia ne ammette eccezionalmente
l'esercizio anche in tali casi laddove il
concorrente lo chieda «in vista della
difesa in giudizio dei propri interessi in
relazione alla procedura di affidamento del
contratto nell'ambito della quale viene
formulata la richiesta di accesso».
Già in passato il giudice amministrativo,
chiamato a pronunciarsi sul tema, aveva
chiarito come «l'interesse alla
riservatezza, tutelato dalla normativa
mediante una limitazione del diritto di
accesso [_], deve considerarsi recessivo
quando l'accesso stesso sia esercitato [_]
per la difesa di un interesse giuridico, nei
limiti in cui esso è necessario alla difesa
di quell'interesse» (Cons. stato, sez.
VI, 20.04.2006, n. 2223; si veda anche Tar
Lombardia (Milano), sez. III, 21.03.2005, n.
620).
Più di recente, il Consiglio di stato ha
avuto modo di spiegare che la norma in esame
«sembra ripetere, specificandoli, i
principi dell'art. 24, legge n. 241 cit.,
che stabilisce una complessa operazione di
bilanciamento tra gli interessi contrapposti
alla trasparenza ed alla riservatezza. [_]
Per non dilatare in modo irragionevole la
portata della norma, si deve ritenere che
essa imponga di effettuare un accurato
controllo in ordine alla effettiva utilità
della documentazione richiesta, alla stregua
di una sorta di prova di resistenza; [_] In
definitiva, dal combinato disposto dei commi
5 e 6, dell'art. 13, dlgs n. 163 del 2006,
discende che non è consentito esercitare
l'accesso alla documentazione posta a
corredo dell'offerta selezionata, ove
l'impresa aggiudicataria abbia dichiarato
che sussistano esigenze di tutela del
segreto tecnico o commerciale, ed il
richiedente non abbia dimostrato la concreta
necessità di utilizzare tale documentazione
in uno specifico giudizio». (Cons.
stato, sez. V, 09.12.2008, n. 6121).
Conclusioni.
Come si è visto, la verifica dell'anomalia
dell'offerta economica è volta a escludere
quelle offerte che, non trovando idonea
giustificazione, rendano sostanzialmente
inattendibile l'offerta medesima e dunque
facciano presumere l'inaffidabilità
nell'esecuzione dell'appalto.
Tale verifica deve avvenire solo
successivamente alla presentazione delle
offerte, in contraddittorio con la parte o
le parti interessate e secondo la precisa
procedura di cui all'art. 88 del Codice.
L'esclusione può essere comminata solo
laddove le giustificazioni presentate, ed
eventualmente integrate, non siano idonee a
dissipare il sospetto di anomalia, e
comunque solo dopo aver convocato (e
sentito, ove la stessa si presenti)
personalmente la parte. Il concorrente può
esercitare l'accesso alla documentazione di
gara degli altri concorrenti anche in
relazione alle giustificazioni purché non
sussistano comprovate e motivate esigenze di
tutela del segreto tecnico o commerciale, e
comunque vi sia la concreta necessità di
utilizzare tale documentazione in uno
specifico giudizio (articolo ItaliaOggi del
14.04.2010, pag. 38). |
CORTE DEI
CONTI |
PUBBLICO IMPIEGO:
Enti, progressioni verticali
legittime. La Corte conti della Lombardia
sposa la linea interpretativa dell'Anci. Ma
restano i dubbi. Concorsi riservati ok fino
al recepimento della riforma Brunetta.
Apertura per le progressioni verticali negli
enti locali, secondo la Corte dei Conti,
Sez. delle autonomie locali della Lombardia.
Il
parere 18.03.2010 n. 375,
riprendendo alcune delle considerazioni
proposte dalle linee interpretative redatte
dall'Anci sulla riforma Brunetta, afferma
che le amministrazioni locali attualmente
potrebbero porre in essere concorsi
interamente riservati, essendo solo
obbligate «a recepire entro il 31.12.2010
nei propri ordinamenti i principi introdotti
dal dlgs 150/2009 avendo cura di assicurare
il massimo rispetto dei parametri
costituzionali stabiliti in materia di
accesso e tenuto conto che le procedure di
cui all'art. 91, 3° comma Tuel assumono
carattere residuale e limitato a particolari
profili e figure professionali
caratterizzate da una professionalità
acquisita esclusivamente all'interno
dell'ente».
In poche parole, fino all'eventuale
recepimento, gli enti locali potrebbero
ancora, sia pure in via eccezionale e
limitata, dedicare progressioni verticali a
particolari figure. Questo, perché occorre
valorizzare due elementi ... (articolo
ItaliaOggi del 16.04.2010, pag. 41
- link a www.corteconti.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Dirigenti locali, incarichi
motivati. La Corte conti Lombardia per prima
dirime il contrasto tra la riforma Brunetta
e il Tuel. Gli enti devono spiegare il
ricorso a professionalità esterne.
Gli enti locali debbono
adeguare la propria disciplina degli
incarichi dirigenziali a tempo determinato
alle disposizioni dell'articolo 19 del dlgs
165/2001, anche se l'articolo 110 del Tuel è
da considerare ancora vigente.
La Corte dei Conti, Sez. regionale di
controllo per la Lombardia col
parere 17.03.2010 n. 308 è la
prima autorità giurisdizionale a
pronunciarsi sulla delicata questione
dell'incidenza della riforma-Brunetta nei
confronti degli incarichi dirigenziali a
contratti di comuni e province ... (articolo
ItaliaOggi del 14.04.2010, pag. 26
- link a www.corteconti.it). |
GIURISPRUDENZA |
APPALTI SERVIZI:
Sulle conseguenze delle modifiche
apportate alle disposizioni di un contratto
di concessione di servizi.
Sull'interpretazione degli artt. 12 CE, 43
CE e 49 CE, del principio della parità di
trattamento e del divieto di discriminazione
in base alla nazionalità, nonché
dell'obbligo di trasparenza che ne deriva in
rapporto all'aggiudicazione delle
concessioni di servizi.
Qualora le modifiche apportate alle
disposizioni di un contratto di concessione
di servizi presentino caratteristiche
sostanzialmente diverse da quelle che
abbiano giustificato l'aggiudicazione del
contratto di concessione iniziale e siano,
di conseguenza, idonee a dimostrare la
volontà delle parti di rinegoziare i termini
essenziali di tale contratto, devono essere
concessi, conformemente all'ordinamento
giuridico interno dello Stato membro
interessato, tutti i provvedimenti necessari
per reintrodurre la trasparenza nel
procedimento, ivi compresa anche la
possibilità un nuovo procedimento di
aggiudicazione. All'occorrenza, il nuovo
procedimento di aggiudicazione dovrà essere
organizzato secondo modalità adeguate alle
specificità della concessione di servizi di
cui trattasi e permettere che un'impresa
avente sede sul territorio di uno Stato
membro possa avere accesso ad adeguate
informazioni relative a detta concessione
prima che essa sia aggiudicata.
Qualora un'impresa concessionaria concluda
un contratto relativo a servizi rientranti
nell'ambito della concessione affidatale da
un ente locale, l'obbligo di trasparenza
derivante dagli artt. 43 CE e 49 CE nonché
dai principi della parità di trattamento e
dal divieto di discriminazione in base alla
nazionalità non si applica qualora tale
impresa:
- sia stata costituita da detto ente locale
allo scopo dell'eliminazione dei rifiuti e
della pulizia della rete viaria, ma sia al
tempo stesso attiva sul mercato;
- sia detenuta dall'ente locale medesimo
nella misura del 51%, ma le decisioni di
gestione possano essere adottate soltanto a
maggioranza dei tre quarti dei voti
dell'assemblea generale di tale impresa;
- abbia soltanto un quarto dei membri del
consiglio di vigilanza incluso il
presidente, nominato dallo stesso ente
locale, e
-tragga più della metà del proprio fatturato
da contratti sinallagmatici relativi
all'eliminazione dei rifiuti ed alla pulizia
della rete viaria sul territorio di tale
ente locale, contratti che quest'ultimo
finanzi mediante imposte locali versate dai
suoi amministrati.
Il principio della parità di trattamento e
il divieto di discriminazione in base alla
nazionalità, sanciti agli artt. 43 CE e 49
CE, nonché l'obbligo di trasparenza che ne
deriva non impongono alle autorità nazionali
di risolvere un contratto né ai giudici
nazionali di concedere un'ingiunzione in
ogni caso di asserita violazione di detto
obbligo all'atto dell'aggiudicazione delle
concessioni di servizi. Spetta
all'ordinamento giuridico interno
disciplinare le vie di ricorso idonee a
garantire la salvaguardia dei diritti che i
singoli possono vantare in base a tale
obbligo in modo che tali vie di ricorso non
siano meno favorevoli delle analoghe vie di
ricorso di natura interna, né rendano
praticamente impossibile o eccessivamente
difficile l'esercizio di tali diritti.
L'obbligo di trasparenza deriva direttamente
dagli artt. 43 CE e 49 CE, che hanno un
effetto diretto negli ordinamenti giuridici
interni degli Stati membri e prevalgono su
qualsiasi disposizione contraria dei diritti
nazionali (Corte di giustizia europea,
Grande Sezione,
sentenza 13.04.2010 n. C-91/08 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Sostituzione o rinnovamento di
serramenti - Manutenzione ordinaria - Anche
in caso di utilizzo di materiali diversi
dagli originari - Art. 3, lett. a) T.U. n.
380/2001 - Fattispecie: sostituzione di un
cancello - Attività libera.
La sostituzione o il rinnovamento di
serramenti e, quindi, di infissi, serrande,
finestre e abbaini, rientra nel concetto di
finiture di edifici, come tale configurabile
in termini di manutenzione ordinaria ai
sensi dell’art. 3, lett. a), T.U.
06.06.2001, n. 380 e, cioè, di attività
libera e non soggetta a denuncia di inizio
attività ai sensi dell’art. 6, lett. a),
dello stesso decreto, e ciò sia che vengano
impiegati gli stessi materiali componenti,
sia che la sostituzione o il rinnovamento
venga effettuata con materiali diversi (TAR
Piemonte, Sez. I, 02.03.2009, n. 620).
La sostituzione di un cancello rientra nel
genus sostituzione di serramento ed è
quindi, al lume del Testo Unico
sull’edilizia, attività libera non soggetta
neanche a denuncia di inizio attività (TAR
Piemonte, Sez. I,
sentenza 12.04.2010 n. 1761 -
link a www.ambientediritto.it). |
APPALTI:
Gara - Revoca - Giustificazione -
Interesse pubblico - Potere - Sussiste -
Fondamento - Individuazione.
Come è confermato dalla disciplina
dell’attuale art. 11 del Codice dei
contratti pubblici (dlgs 163/2006) deve
ritenersi che non sia precluso alla stazione
appaltante di procedere alla revoca od
all'annullamento dell'aggiudicazione
allorché la gara stessa non risponda più
alle esigenze dell'ente e sussista un
interesse pubblico, concreto ed attuale,
all'eliminazione degli atti divenuti
inopportuni, idoneo a giustificare il
sacrificio del contrapposto interesse
dell'aggiudicatario nei confronti
dell'Amministrazione; un tale potere, in
precedenza, si fondava, oltre che sulla
disciplina di contabilità generale dello
Stato -che consente il diniego di
approvazione per motivi di interesse
pubblico (art. 113, r.d. 23.05.1924 n. 827)-
anche sul principio generale dell'autotutela
della P.A., che rappresenta una delle
manifestazioni tipiche del potere
amministrativo, direttamente connesso ai
criteri costituzionali di imparzialità e
buon andamento della funzione pubblica.
Aggiudicazione
provvisoria - Natura interinale - Posizione
dell’aggiudicatario - Aspettativa di mero
fatto - Comunicazione dell’avviso di inizio
del procedimento - Non occorre.
L'aggiudicazione provvisoria è un atto
ancora ad effetti instabili, del tutto
interinali, che determina la nascita di una
mera aspettativa, anche se individua un
potenziale aggiudicatario definitivo, e
determina nell’aggiudicatario soltanto una
aspettativa di mero fatto e non già un
affidamento qualificato.
Di conseguenza, ove la P.A. decida di
revocare, in sede di autotutela, il
provvedimento di aggiudicazione provvisoria,
l’avvio del relativo provvedimento non dovrà
essere notificato al soggetto
provvisoriamente aggiudicatario.
Aggiudicazione
provvisoria - Revoca - Per sopravvenute
ragioni di opportunità - Adozione all'uopo
di un atto meramente soprassessorio -
Affidamento dell'aggiudicatario provvisorio
- Cessazione.
Per recidere la situazione di aspettativa
dell'aggiudicatario provvisorio è in ogni
caso sufficiente la mera adozione di un atto
soprassessorio che si inserisca nel
procedimento ad evidenza pubblica, tra la
fase dell'aggiudicazione provvisoria e
quella dell'aggiudicazione definitiva,
essendo sufficiente la comunicazione della
stazione appaltante ad es. di non poter dar
corso all'esecuzione dei lavori per cause
non dipendenti dalla propria volontà e di
essere intenzionata a procedere
all'annullamento della gara d'appalto a suo
tempo esperita, con ciò preannunciando la
revoca degli atti di gara, con atto idoneo a
concretare un avviso alla aggiudicataria.
Appalto di servizi -
Gara - Revoca - Motivazione - Riferimento
alla necessità di gestire in proprio il
servizio - Legittimità - Fattispecie.
E’ legittima la revoca di una gara per
l’affidamento del servizio di gestione
parcheggi situati nel Comune disposta dopo
l’apertura delle offerte e l'aggiudicazione
provvisoria, motivata con l’esigenza di
modificare la metodologia di presenziamento
dei parcheggi del Comune per sopravvenute
mutate esigenze aziendali, volte ad un più
ampio, nuovo, riassetto societario,
correlate alla necessità di ottemperare agli
accordi nel frattempo intercorsi con i
sindacati, nonché all’obbligo per legge l.
n. 68/1999) di assumere personale rientrante
nelle categorie protette (personale
privilegiato), atteso che la stazione
appaltante è libera, fino al momento
dell’aggiudicazione definitiva, di
privilegiare la scelta dell’autoproduzione
del servizio se questa non trova
controindicazioni (Consiglio di Stato, Sez.
V,
sentenza 09.04.2010 n. 1997 -
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APPALTI:
Rientra nella potestà
discrezionale della p.a. disporre la revoca
del bando di gara e degli atti successivi,
in presenza di concreti motivi di interesse
pubblico, fino a quando non sia intervenuta
l'aggiudicazione.
In materia di evidenza pubblica, fino a
quando non sia intervenuta l'aggiudicazione
rientra nella potestà discrezionale della
p.a. disporre la revoca del bando di gara e
degli atti successivi, in presenza di
concreti motivi di interesse pubblico, tali
da rendere inopportuna o anche solo da
sconsigliare la prosecuzione della gara.
L'aggiudicazione provvisoria determina
nell'aggiudicatario soltanto una aspettativa
di mero fatto e non già un affidamento
qualificato. Di conseguenza, ove la p.a.
decida di revocare, in sede di autotutela,
il provvedimento di aggiudicazione
provvisoria, l'avvio del relativo
provvedimento non dovrà essere notificato al
soggetto provvisoriamente aggiudicatario.
L'aggiudicazione provvisoria, in
conclusione, è un atto ancora ad effetti
instabili, del tutto interinali, che
determina la nascita di una mera
aspettativa, anche se individua un
potenziale aggiudicatario definitivo,
legittima la partecipazione di questi alle
valutazioni discrezionali
dell'amministrazione preordinate
all'adozione dell'aggiudicazione definitiva
e/o all'approvazione degli atti di gara o
del contratto.
Inoltre, per recidere tale posizione
giuridica è sufficiente la mera adozione di
un atto soprassessorio della stazione
appaltante che si inserisca nel procedimento
ad evidenza pubblica, tra la fase
dell'aggiudicazione provvisoria e quella
dell'aggiudicazione definitiva e della
stipula contrattuale, senza richiedere un
autonomo avvio di procedimento, né una
particolare motivazione, risultando
sufficiente la comunicazione ad es. di non
poter dar corso all'esecuzione dei lavori
per cause non dipendenti dalla propria
volontà e di essere intenzionato a procedere
all'annullamento della gara d'appalto a suo
tempo esperita, con ciò preannunciando l'"annullamento"
(rectius revoca) degli atti di gara,
con atto sufficiente a concretare un avviso
alla aggiudicataria (Consiglio di Stato,
Sez. V,
sentenza 09.04.2010 n. 1997 - link a
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LAVORI PUBBLICI:
Project financing -
Discrezionalità del gestore del programma -
Rispondenza al pubblico interesse - Coerenza
e sostenibilità del piano finanziario -
Amministrazione procedente - Giudizio di
affidabilità della proposta - Richiesta di
integrazioni e chiarimenti.
Nella procedura di project financing
si apprezza l’alto grado di discrezionalità
che compete al gestore del programma, nella
valutazione della rispondenza della proposta
al pubblico interesse; è quindi compito
dell'Amministrazione procedente valutare se
il progetto proposto abbia i contenuti
necessari a soddisfare l'interesse pubblico
in funzione del quale il programma dei
lavori non definito nei suoi contenuti
progettuali possa avere attuazione di talché
la non coerenza del piano finanziario
determina l'irrealizzabilità della proposta
da valutare, rendendola inidonea allo scopo;
ne deriva che essa può esercitare il potere,
riconosciutole dalla legge, di chiedere in
corso di procedura integrazioni e
chiarimenti a tutte le proponenti nel
rispetto dei principi di par condicio e
trasparenza, atteso che l'art. 37-bis della
legge n. 109 del 1994, come modificato dalla
legge n. 166 del 2002, al comma 2-ter lett.
b), consente espressamente
all’Amministrazione di chiedere una «[...]
dettagliata richiesta di integrazione [...]»
alle proponenti; e dall'altro, l'art. 37-ter
contempla la possibilità di un apporto
collaborativo anche spontaneo dei proponenti
che ne facciano richiesta (sul punto cfr.
anche TAR Sicilia, Catania, Sez. III,
05.10.2007 n. 1597).
Nelle procedure di affidamento di lavori
mediante il sistema del project financing
va quindi individuato nella coerenza e
sostenibilità del piano economico
finanziario il nucleo centrale dell'offerta,
la cui congruenza è indispensabile per il
giudizio di affidabilità della proposta nel
suo complesso (sul punto cfr. anche TAR
Puglia, Bari, Sez. I, 19.04.2007 n. 1087)
(TAR Veneto, Sez. I,
sentenza 07.04.2010 n. 1295 -
link a www.ambientediritto.it). |
APPALTI:
Revisione periodica del prezzo -
Art. 115 d.lgs. n. 163/2006 - Natura
imperativa - Rinegoziazione del rapporto
contrattuale - Rilevanza - Mera proroga del
contratto - Differenza.
La natura imperativa dell'art. 6 l. n.
537/1993, nel testo sostituito dall’art. 44
della l. n. 724/1994 (ora art. 115 d.lvo
163/2006) e la sua capacità d'imporsi ai
patti contrari non può comportare l'assoluta
irrilevanza degli eventuali successivi
accordi delle parti che, rinegoziando
volontariamente e nuovamente l'originario
assetto del rapporto contrattuale, rinnovino
le condizioni del contratto originario (TAR Campania-Salerno n. 2956/2007; TAR Sardegna
n. 45/2007).
Diversamente opinando verrebbe vanificata la
"ratio" dell'art. 6 l. n. 537/1993
che è quella di adeguare il prezzo
determinato nell'originario rapporto per
finalità di conservazione del livello
qualitativo delle prestazioni
dell'appaltatore, finalità di conservazione
che non sussistono allorquando il rapporto è
consensualmente rinegoziato.
La rinegoziazione, pertanto, deve ritenersi
distinta dalla mera proroga del rapporto
contrattuale, in quanto, nella prima, il
rapporto si rinnova parzialmente con la
riconsiderazione degli elementi essenziali
(tutti o in parte) del negozio, ivi compreso
il prezzo, laddove nella seconda vi è un
mero differimento del termine di durata del
rapporto sul presupposto dell'invarianza
degli altri elementi dello stesso.
Revisione periodica del
prezzo - Art. 115 d.lgs. n. 163/2006 -
Periodo temporale di riferimento - Annualità
contrattuali successive alla prima.
L'art. 6 l. n. 537/1993 (ora 115 del d.lvo
163/2006) ha ad oggetto la "revisione
periodica del prezzo" di talché
l'aggiornamento del corrispettivo
contrattuale, ivi previsto, non riguarda,
per sua stessa natura, il primo periodo
temporale di riferimento della prestazione
contrattuale posta a carico
dell'Amministrazione.
In altri termini, la revisione del prezzo
opera con periodicità annuale e, quindi, in
relazione al corrispettivo riferibile alle
annualità contrattuali successive alla prima
(TAR Lazio Roma, sez. I, 02.04.2009 , n.
3571).
Art. 115 d.lgs. n.
163/2006 - Assenza di un contratto perfetto
ed efficace - Mancanza della forma scritta
“ad substantiam” - Diritto alla revisione
del prezzo - Inconfigurabilità.
L'assenza di un contratto perfetto ed
efficace (nella specie, per mancanza della
forma scritta, richiesta, nei contratti
della pubblica amministrazione, “ad
substantiam”), ovvero di un presupposto
essenziale richiesto dall'art. 6, comma 4°,
l. n. 537/1993 (che parla di "contratti
ad efficacia periodica e continuativa"),
rende inconfigurabile il diritto alla
revisione del prezzo.
Revisione periodica del
prezzo - Art. 115 d.lgs. n. 163/2006 -
Natura imperativa - Modifica e integrazione
della volontà delle parti - Nullità delle
clausole difformi - Principio dell’”utile
per inutile non vitiatur” - Indici di
riferimento - Mancata attuazione della
disciplina legale - Ricorso all’indice FOI -
Determinazione tecnico-discrezionale
dell’amministrazione appaltante.
L'articolo 6 della legge 24.12.1993, n. 537,
ora art. 115 del d.lvo 163/2006, detta una
disciplina speciale, circa il riconoscimento
della revisione prezzi nei contratti
stipulati dalla p.a. che prevale su quella
generale di cui all'articolo 1664 c.c.
(Consiglio di Stato, Sez. V, 09.06.2008, n.
2786; Sez. V, 14.12.2006, n. 7461; Sez. V,
16.06.2003, n. 3373; Sez. V, 08.05.2002, n.
2461).
Tale disciplina ha natura imperativa e
s’impone nelle pattuizioni private
modificando ed integrando la volontà delle
parti contrastante con la stessa; ne
consegue che le clausole difformi sono nulle
nella loro globalità, anche se la nullità
non investe l'intero contratto, in
applicazione del principio “utile per
inutile non vitiatur”, sancito
dall'articolo 1419 c.c..
Poiché però la disciplina legale dettata
dall'articolo 6, commi 4 e 6 cit., non è mai
stata attuata nella parte in cui prevede
l'elaborazione, da parte dell'ISTAT, di
particolari indici concernenti il miglior
prezzo di mercato desunto dal complesso
delle aggiudicazioni di appalti di beni e
servizi, rilevate su base semestrale, la
lacuna può essere colmata mediante il
ricorso all'indice F.O.I. (indice di
variazione dei prezzi per le famiglie di
operai e impiegati), mensilmente pubblicato
dall’ISTAT, con la precisazione che
l'utilizzo di tale parametro non esime la
stazione appaltante dal dovere di istruire
il procedimento tenendo conto di tutte le
circostanze del caso concreto al fine di
esprimere la propria determinazione
tecnico-discrezionale, ma segna il limite
massimo oltre il quale, salvo circostanze
eccezionali che devono essere provate
dall'impresa, non può spingersi nella
determinazione del compenso revisionale (ex
multis, Cons. Stato, Sez. VI, 15.05.2009
n. 3003; Sez. V, 09.06.2008 n. 2786,
20.08.2008 n. 3994 e 09.06.2009 n. 3569).
Revisione periodica del
prezzo - Art. 115 d.lgs. n. 163/2006 -
Finalità dell’istituto - Tutela della P.A. -
Tutela mediata dell’impresa appaltatrice.
L'istituto della revisione è preordinato
alla tutela dell'esigenza
dell'Amministrazione di evitare che il
corrispettivo del contratto di durata
subisca aumenti incontrollati nel corso del
tempo tali da sconvolgere il quadro
finanziario sulla cui base è avvenuta la
stipulazione del contratto.
La clausola di revisione periodica di tali
contratti, in particolare, ha lo scopo di
tenere indenni gli appaltatori della P.A. da
quegli aumenti dei prezzi dei fattori della
produzione che, incidendo sulla percentuale
di utile stimata al momento della
formulazione dell’offerta, potrebbero
indurli a svolgere il servizio o ad eseguire
la fornitura a condizioni deteriori rispetto
a quanto pattuito o a rifiutarsi di
proseguire nel rapporto, con inevitabile
compromissione degli interessi della P.A..
Solo in via mediata l'istituto tutela
l'interesse dell'impresa a non subire
l'alterazione dell'equilibrio contrattuale
conseguente alle modifiche dei costi che si
verifichino durante l'arco del rapporto
(così TAR Puglia, Bari, Sez. I, n. 925/2006;
Consiglio Stato, Sez. V, 09.06.2008 n. 2786;
TAR Puglia, Bari, Sez. I, 06.04.2007 n.
1047; 14.08.2008 n. 1970; 25.11.2008 n.
2666; 07.07.2009 n. 1751, 02.12.2009 n.
2997).
Soltanto in frangenti del tutto eccezionali
l’istituto della revisione prezzi può
fuoriuscire dalla mera esigenza
dell’Amministrazione aggiudicante di evitare
che il corrispettivo del contratto di durata
subisca aumenti incontrollati nel corso del
tempo e tutelare -quindi- il contrapposto
interesse dell’impresa (cfr. Cons. Stato,
Sez. V, 09.06.2008 n. 2786).
Tale eccezionalità -che conseguentemente
legittima una quantificazione del compenso
revisionale mediante il ricorso a differenti
parametri statistici- va comunque intesa
come ricorrenza di circostanze impreviste e
imprevedibili, ossia non sussistenti al
momento della sottoscrizione del contratto e
delle quali non era prevedibile l’avveramento
(TAR Veneto, sez. I, 01.02.2010 n. 236).
Revisione periodica del
prezzo - Art. 115 d.lgs. n. 163/2006 -
Disciplina - prevalenza sulla disciplina
generale ex art. 1664 c.c. - Contratti
pubblici - Previsione di un’alea a danno
dell’appaltatore, conformemente alla
disciplina civilistica - Nullità.
La disciplina in materia di revisione dei
prezzi degli appalti pubblici ad esecuzione
periodica o continuata -fissata dall’art.
115 del D.Lgs. n. 163/2006- prevale su
quella generale di cui all’art. 1664 c.c.,
dal che discende la nullità delle clausole
dei contratti pubblici che, pur contemplando
la revisione dei prezzi prevedano,
conformemente alla disciplina civilistica,
anche in forma indiretta, un’alea a danno
dell’appaltatore (Consiglio di Stato, Sez.
V, n. 2786/2008, TAR Puglia, Lecce, nn.
2958/2006, 4027/2006, 4111/2007, 3521/2008)
(TAR Puglia-Lecce, Sez. III,
sentenza 07.04.2010 n. 898 - link
a www.ambientediritto.it). |
APPALTI:
Sulla natura giuridica del
requisito della regolarità contributiva e
previdenziale nelle gare di appalto.
La certificazione di regolarità contributiva
rilasciato dagli enti previdenziali e dalle
Casse edili assume la valenza di una
dichiarazione di scienza, da collocarsi fra
gli atti di certificazione o di attestazione
redatti da un pubblico ufficiale ed aventi
carattere meramente dichiarativo di dati in
possesso della pubblica amministrazione,
assistito da pubblica fede ai sensi
dell'articolo 2700 c.c., facente pertanto
prova fino a querela di falso.
Attesa la natura giuridica del DURC, non
residua in capo alla stazione appaltante
alcun margine di valutazione o di
apprezzamento in ordine ai dati ed alle
circostanze in esso contenute. Nel settore
previdenziale, in considerazione dei gravi
effetti negativi sui diritti dei lavoratori,
sulla finanze pubbliche e sulla concorrenza
tra le imprese derivanti dalla mancata
osservanza degli obblighi in materia,
debbono considerarsi "gravi" tutte le
inadempienze rispetto a detti obblighi,
salvo che non siano riscontrabili adeguate
giustificazioni, come, ad esempio, la
sussistenza di contenziosi di non agevole e
pronta definizione sorti a seguito di
verifiche e contestazioni da parte degli
organismi previdenziali ovvero la necessità
di verificare le condizioni per un condono o
per una rateizzazione.
Inoltre, deve escludersi la rilevanza di un
eventuale adempimento tardivo
dell'obbligazione contributiva, quand'anche
ricondotto retroattivamente, quanto ad
efficacia, al momento della scadenza del
termine di pagamento (Consiglio di Stato,
Sez. VI,
sentenza 06.04.2010 n. 1930 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
I concorrenti ad una gara di
appalto devono dichiarare oltre alla
mancanza delle sentenze di condanna
definitiva anche l'assenza di sentenze di
condanna con il beneficio della non
menzione, nonché l'assenza di sentenze
patteggiate.
Sull'obbligo del partecipante ad una gara
d'appalto di dichiarare anche le condanne
che riguardano la vita personale.
Poiché anche le sentenze di condanna con il
beneficio della non menzione nel certificato
del casellario giudiziale o le sentenze
patteggiate potrebbero incidere sulla
moralità professionale e perciò potrebbero
costituire un ostacolo all'ammissione ad un
procedimento di evidenza pubblica, i
concorrenti ad una gara di pubblico appalto
devono attestare con apposita
autodichiarazione, oltre alla mancanza delle
sentenze di condanna definitiva che vengono
indicate nel certificato del casellario
giudiziale a richiesta dei privati (cioè di
una dichiarazione sostitutiva del
certificato del casellario giudiziale),
anche l'assenza di sentenze definitive di
condanna con il beneficio della non
menzione, nonché,come nel caso di specie,
l'assenza di sentenze patteggiate (per le
quali non è stata ottenuta l'amnistia, la
riabilitazione o l'estinzione e artt. 167 o
445 C.P.P. per decorso del tempo senza aver
commesso un altro reato) e l'assenza di
reati puniti con la sola pena pecuniaria, in
quanto deve essere consentita
all'Amministrazione appaltante la
possibilità di effettuare una valutazione
anche della rilevanza di tali condanne
sull'affidabilità morale e professionale di
ogni partecipante ad un procedimento di
evidenza pubblica.
Per cui l'attestazione sui requisiti di
moralità professionale, che non contenga il
riferimento ad una sentenza di
patteggiamento, va equiparata alla stregua
di una falsa dichiarazione, che ai sensi
dell'art. 17, c. 1, lett. m), DPR n. 34/2000
va sanzionata con l'esclusione dalla gara.
La giurisprudenza al riguardo afferma -se si
eccettuano i reati relativi a condotte
delittuose individuate dalla normativa
antimafia- in assenza di parametri normativi
fissi e predeterminati, la verifica
dell'incidenza dei reati commessi dal legale
rappresentante dell'impresa sulla moralità
professionale della stessa attiene
all'esercizio del potere discrezionale della
P.A. e deve essere valutata attraverso la
disamina in concreto delle caratteristiche
dell'appalto, del tipo di condanna, della
natura e delle concrete modalità di
commissione del reato.
Il partecipante ad una gara d'appalto ha
l'obbligo di dichiarare alla p.a. qualsiasi
elemento utile al fine di valutare la
sussistenza di possibili cause di
esclusione, ivi compresi i fatti che
pertengano non già alla vita professionale,
ma a quella personale del partecipante.
Ne consegue che, legittimamente la p.a., in
sede di autotutela, annulla d'ufficio
l'aggiudicazione di un appalto, allorché
venga a sapere che l'aggiudicatario abbia
sottaciuto alla p.a. di avere riportato una
condanna penale (Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 06.04.2010 n. 1909 -
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EDILIZIA PRIVATA:
INQUINAMENTO ELETTROMAGNETICO -
Infrastrutture contemplate dal codice delle
comunicazioni - Procedimento ex art. 87
d.lgs. n. 259/2003 - Procedura abilitativa
di cui al D.P.R. n. 380/2001 - Cumulatività
- Esclusione.
In materia di infrastrutture contemplate dal
cd. codice delle comunicazioni, il
procedimento di cui all’art.87 del d.lgs.
n.259/03 non può essere applicato
cumulativamente alla procedura abilitativa
di cui al D.P.R. n.380/2001.
Devono pertanto ritenersi illegittime le
determinazioni comunali che pretendono di
subordinare l’installazione degli impianti
di telefonia al permesso di costruire di cui
T.U. edilizia.
INQUINAMENTO
ELETTROMAGNETICO - D.lgs. n. 259/2003 -
Principi fondamentali - Limiti all’esercizio
della potestà legislativa regionale - Norme
regionali previgenti - Contrasto con il
d.lgs. n. 259/2003 - Abrogazione implicita.
Il d.lgs. n. 259/2003 contiene disposizioni
qualificabili in termini di “principi
fondamentali” che si pongono quali
limiti all’esercizio della potestà
legislativa regionale concorrente; tali
limiti si qualificano in termini di
legittimità con riferimento a disposizioni
regionali che vengano emanate dopo la
definizione dei principi fondamentali, in
termini di efficacia per quelle già in
vigore.
Nel primo caso sarà necessaria una pronunzia
di incostituzionalità; nel secondo caso, si
determinerà un’automatica perdita di
efficacia delle norme regionali anteriori
per effetto delle disposizioni statali
sopravvenute, alla stregua di costante
orientamento della Corte costituzionale.
In altri termini, le norme statali di cui al
d.lgs. menzionato determinano l’abrogazione
implicita delle norme regionali previgenti
che si pongano in contrasto con le nuove
disposizioni (TAR Puglia-Bari, Sez. II,
sentenza 02.04.2010 n. 1257 -
link a www.ambientediritto.it). |
APPALTI:
Ai sensi dell'art. 57, comma 2,
lett. c), d.lgs. 12.04.2006 n. 163 la
procedura negoziata, senza pubblicazione di
bando, può essere utilizzata nella misura
strettamente necessaria, ai fini
dell'affidamento di un appalto con la
pubblica amministrazione, quando l'estrema
urgenza, risultante da eventi imprevedibili
per le stazioni appaltanti e non da
situazioni soggettive, contingibili,
prevedibili e ad esse imputabili, non è
compatibile con i termini imposti dalle
procedure aperte, ristrette o negoziate
previa pubblicazione di un bando di gara.
Come evidenziato dalla costante
giurisprudenza amministrativa, anche di
questo Tribunale, “Ai sensi dell'art. 57,
comma 2, lett. c), d.lgs. 12.04.2006 n. 163
la procedura negoziata, senza pubblicazione
di bando, può essere utilizzata nella misura
strettamente necessaria, ai fini
dell'affidamento di un appalto con la
pubblica amministrazione, quando l'estrema
urgenza, risultante da eventi imprevedibili
per le stazioni appaltanti e non da
situazioni soggettive, contingibili,
prevedibili e ad esse imputabili, non è
compatibile con i termini imposti dalle
procedure aperte, ristrette o negoziate
previa pubblicazione di un bando di gara”
(TAR Piemonte Torino, sez. I, 24/11/2008, n.
2943; TAR Molise Campobasso, sez. I,
16/07/2008, n. 689)
(TAR Piemonte, Sez. II,
sentenza 26.03.2010 n. 1597 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: La
valutazione circa l’esistenza di violazioni
in materia contributiva e previdenziale
costituisce oggetto di autonoma valutazione
da parte della stazione appaltante, rispetto
alla quale le risultanze del documento unico
di regolarità contributiva si pongono come
elementi indiziari, da cui non si può
prescindere, ma che comunque non esauriscono
l’ambito di accertamento circa la
sussistenza di una violazione grave e
definitivamente accertata.
Il rapporto che sussiste tra documento unico
di regolarità contributiva e valutazione
finale circa il possesso del requisito
generale di partecipazione in questione è,
dunque, nel senso che la stazione appaltante
è comunque vincolata alle risultanze del
d.u.r.c., in ragione della sua natura di
dichiarazione di scienza, da collocarsi fra
gli atti di certificazione o di attestazione
redatti da un pubblico ufficiale ed aventi
carattere meramente dichiarativo di dati in
possesso della pubblica amministrazione,
assistito da pubblica fede ai sensi
dell'articolo 2700 c.c., facente pertanto
prova fino a querela di falso.
Sebbene sulla questione non vi sia
uniformità di vedute, il Collegio ritiene di
aderire all’orientamento prospettato anche
in ricorso, secondo cui la valutazione circa
l’esistenza di violazioni in materia
contributiva e previdenziale costituisce
oggetto di autonoma valutazione da parte
della stazione appaltante, rispetto alla
quale le risultanze del documento unico di
regolarità contributiva si pongono come
elementi indiziari, da cui non si può
prescindere, ma che comunque non esauriscono
l’ambito di accertamento circa la
sussistenza di una violazione grave e
definitivamente accertata (in termini Cons.
St., III, 29.09.2009 n. 2345/2009; VI,
04.08.2009 n. 4907; V, 23.03.2009 n. 1755;
Tar Napoli, I, 11.01.2010 n. 51; Tar Bari,
I, 16.07.2008 n. 1755).
Il rapporto che sussiste tra documento unico
di regolarità contributiva e valutazione
finale circa il possesso del requisito
generale di partecipazione in questione è,
dunque, nel senso che la stazione appaltante
è comunque vincolata alle risultanze del
d.u.r.c., in ragione della sua natura di
dichiarazione di scienza, da collocarsi fra
gli atti di certificazione o di attestazione
redatti da un pubblico ufficiale ed aventi
carattere meramente dichiarativo di dati in
possesso della pubblica amministrazione,
assistito da pubblica fede ai sensi
dell'articolo 2700 c.c., facente pertanto
prova fino a querela di falso (Cons. St., IV,
12.03.2009 n. 1458).
Tuttavia, una volta acquisito il documento
unico di regolarità contributiva, spetta
alla stazione appaltante decidere se le
risultanze ivi contenute, oggettivamente non
controvertibili, siano idonee e sufficienti
anche a giustificare un giudizio in termini
di gravità di una violazione che sia emersa
dal d.u.r.c..
In altri termini, un conto è la regolarità
contributiva formale rimessa al potere di
accertamento e di valutazione dell’Istituto
previdenziale, un conto è la gravità di una
violazione in materia contributiva e
previdenziale ai fini dell’aggiudicazione di
un contratto, che impone un’ulteriore
delibazione da parte della stazione
appaltante, non poggiante solo su dati
rigorosamente numerici, come invece,
stabilisce il D.M. 24.10.2007.
Spetta, dunque, alla stazione appaltante
verificare che eventuali situazioni
dall’INPS ritenute come condizioni di
irregolarità contributiva, certamente
rilevanti e costituenti un grave indizio, ai
fini dell'art. 38, co. 1, lett. i), codice
appalti, possano, in concreto e al di fuori
di ogni automatismo, giustificare
l’estromissione dalla gara.
Può aggiungersi che se l’accertamento del
requisito dell’art. 38 lett. i), fosse da
rimettere agli Istituti previdenziali
attraverso il rilascio del DURC secondo i
parametri fissati dal Ministero del Lavoro,
si darebbe luogo anche ad una disparità di
trattamento e ad un’alterazione della
concorrenza tra le imprese con sede in
Italia e quelle degli altri Stati membri,
non necessariamente dotate di documento
equivalente al DURC (tanto che la norma
reputa per esse sufficiente una
dichiarazione giurata: vd. art. 38, ult. co.),
e non si spiegherebbe conseguentemente il
preciso richiamo che proprio la lett. i)
dell’art. 38 contiene –in coerenza con la
discrezionalità della valutazione della
sussistenza del requisito- alla legislazione
italiana o dello Stato in cui eventualmente
i partecipanti sono stabiliti
(TAR Calabria-Reggio Calabria,
sentenza 23.03.2010 n. 291 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: A
differenza dei casi di autoannullamento
degli atti di gara per motivi di legittimità
degli stessi, nel caso in cui si discute
dell’opportunità amministrativa della
revoca, i partecipanti alla gara non sono né
cointeressati e né controinteressati
necessari, per cui per la legittimità del
procedimento non è necessario alcun
contraddittorio.
La responsabilità per la revoca della gara
da parte dell'Amministrazione, seppure
oggettivamente legittima, si costituisce
quando il fine pubblico è tuttavia attuato
attraverso un comportamento obiettivamente
lesivo dei doveri di lealtà. In tale scia
anche la revoca legittima degli atti della
procedura di gara può infatti integrare una
responsabilità della pubblica
amministrazione per responsabilità
precontrattuale nel caso di affidamenti
suscitati nell’impresa dagli atti della
procedura di evidenza pubblica poi rimossi.
Non può condividere l’affermazione per cui
il procedimento di revoca implichi l'obbligo
di comunicare l'avvio del procedimento di
revoca di una gara d'appalto ancora in corso
di svolgimento in quanto, in questo caso,
nessuno dei partecipanti ha acquisito, in
relazione allo stato della procedura, una
posizione di vantaggio concreta, e comunque
tale da far sorgere, nel contesto del
porocedimento amministrativo in corso, un
interesse qualificato e differenziato e
quindi meritevole di tutela attraverso detta
comunicazione.
E ciò specie quando, come nel caso in esame,
la revoca sia stata determinata da
valutazioni tutte interne
all'amministrazione, in ordine alle quali
nessun reale apporto conoscitivo può essere
offerto dalle parti private (cfr. TAR Lazio
Latina, 26.01.2006, n. 86).
In altre parole, a differenza dei casi di
autoannullamento degli atti di gara per
motivi di legittimità degli stessi, nel caso
in cui si discute dell’opportunità
amministrativa della revoca, i partecipanti
alla gara non sono né cointeressati e né
controinteressati necessari, per cui per la
legittimità del procedimento non è
necessario alcun contraddittorio.
La responsabilità per la revoca della gara
da parte dell'Amministrazione, seppure
oggettivamente legittima, si costituisce
quando il fine pubblico è tuttavia attuato
attraverso un comportamento obiettivamente
lesivo dei doveri di lealtà. In tale scia
anche la revoca legittima degli atti della
procedura di gara può infatti integrare una
responsabilità della pubblica
amministrazione per responsabilità
precontrattuale nel caso di affidamenti
suscitati nell’impresa dagli atti della
procedura di evidenza pubblica poi rimossi
(cfr. Consiglio Stato , sez. V, 08.10.2008,
n. 4947).
Tale orientamento in sostanza ha operato una
scissione fra la legittima determinazione di
revocare l'aggiudicazione della gara ed il
complessivo tenore del comportamento tenuto
dalla medesima Amministrazione nella sua
veste di controparte negoziale, non
informato alle generali regole di
correttezza e buona fede che devono essere
osservate dall'Amministrazione anche nella
fase precontrattuale (in tal senso: Cons.
Stato, Ad. Plen., n. 6 cit.; Cons. Stato
Sez. V, 30.11.2007, n. 6137; id., Sez. V,
14.03.2007, n. 1248).
Le medesime categorie giuridiche ben possono
essere estese anche al caso della procedura
di gara revocata per motivi di opportunità
amministrativa in una fase antecedente alla
aggiudicazione provvisoria.
Sulla scia della giurisprudenza più
avvertita, il Collegio ritiene infatti che
possa configurarsi una responsabilità di
carattere precontrattuale in capo
all'Amministrazione nelle ipotesi (quale
quella oggetto della presente controversia)
in cui nel complesso delle circostanze si
possa obiettivamente riscontrare il mancato
rispetto dei generali canoni di correttezza
in contraendo.
Come è stato affermato in un caso analogo,
costituisce una violazione del canone di
correttezza, la circostanza che
l’amministrazione, non appena venuta a
conoscenza della nuova circostanza che può
legittimare la revoca, non si sia posta il
problema degli affidamenti creati nei
concorrenti e non abbia proceduto quanto
meno alla immediata motivata sospensione
degli atti di gara, in attesa di ogni
definitiva decisione al riguardo,
soprattutto nel caso in cui i concorrenti
abbiano affrontato notevoli spese ed
eventualmente perso altre possibilità di
guadagno (cfr. Consiglio Stato, sez. V,
11.12.2007, n. 6405)
(TAR Lazio-Roma, Sez. III,
sentenza 16.03.2010 n. 4175 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il provvedimento di
annullamento del nulla-osta paesistico non
ha natura di atto recettizio, con la
conseguenza che il termine -perentorio- di
60 giorni previsto per la sua adozione
attiene al solo esercizio del potere di
annullamento da parte dell'Amministrazione
statale e non anche alla comunicazione o
notificazione ai destinatari del
provvedimento stesso.
La giurisprudenza si è -ormai da tempo–
consolidata (cfr., ex plurimis, Cons.
St., Sez. VI, 09.10.2007 n. 5237; 05.03.2007
n. 1027, 16.03.2009 n. 1531) nell’affermare
che il provvedimento di annullamento del
nulla-osta paesistico non ha natura di atto
recettizio, con la conseguenza che il
termine -perentorio- di 60 giorni previsto
per la sua adozione attiene al solo
esercizio del potere di annullamento da
parte dell'Amministrazione statale e non
anche alla comunicazione o notificazione ai
destinatari del provvedimento stesso.
Il Consiglio di Stato (cfr. Sez. VI,
22.09.2006, n. 5571) -nel pronunciarsi su
una fattispecie del tutto analoga a quella
all’esame, confermando la sentenza n. 132
del 1999 di questa Sezione- ha osservato
quanto segue:
- la comunicazione dell'avviso della fase
del riesame non era richiesta nel quadro
normativo anteriore all'entrata in vigore
dell'art. 4 del regolamento ministeriale n.
495 del 1994, in ragione della unicità del
procedimento di rilascio della
autorizzazione paesistica e del successivo
riesame statale (Sez. VI, 12.05.1994, n.
771; Sez. VI, 25.09.1995, n. 963; Sez. VI,
01.12.1999, n. 2069; Sez. VI, 15.05.2000, n.
2772; Sez. VI, 03.11.2000, n. 5929; Sez. VI,
27.12.2000, n. 6887; Sez. VI, 13.02.2001, n.
685; Sez. VI, 19.06.2001, n. 3233);
- col medesimo art. 4 del regolamento n. 495
del 1994 (rilevante ratione temporis
nel presente giudizio), il Ministero si è
autovincolato a dare al soggetto autorizzato
la comunicazione dell'avviso dell'avvio
della fase del riesame (Sez. VI, 22.04.2002,
n. 2170; Sez. VI, 03.07.2002, n. 3662; Sez.
VI, 17.09.2002, n. 4709; Sez. VI,
02.09.2003, n. 4866), anche se era
sufficiente un meccanismo (formula espressa
apposta in calce al documento comunicato
all'interessato o altro mezzo) che
assicurasse il raggiungimento dello scopo
(Sez. VI, 01.12.1999, n. 2069, cui si sono
adeguate Sez. VI, 17.02.2000, n. 909; Sez.
VI, 06.07.2000, n. 3793; Sez. VI,
22.08.2000, n. 4546; Sez. VI, 13.02.2001, n.
685; Sez. 22.04.2002, n. 2170), ovvero la
c.d. conoscenza aliunde dell'inizio
del procedimento (Sez. VI, 19.06.2001, n.
3233; Sez. VI, 13.02.2003, n. 790; Sez. VI,
13.02.2003, n. 790; Sez. VI, 10.04.2003, n.
1909);
- in "assenza di alcuna comunicazione
dell'avvio del procedimento" e in "assenza
di alcun atto equipollente", il
provvedimento statale di annullamento
-emesso nel vigore dell'art. 4- va
considerato illegittimo per violazione
dell'art. 7 della legge n. 241 del 1990 e
del medesimo art. 4 (Sez. VI, 29.05.2002, n.
2983; Sez. VI, 14.01.2003, n. 119).
Il Cons. di Stato (con la decisione n.
1249/2002) ha affermato che: “la
lottizzazione nel suo complesso era già
stata esaminata ed approvata sia dal Comune
che dalla Regione in sede di approvazione
del "piano attuativo" del comparto 63,
secondo la procedura stabilita nella L.R.
Lombardia 12.03.1984 n. 14.
La compatibilità della lottizzazione con le
esigenze di tutela della zona vincolata era
stata dunque già valutata nelle sue linee
generali nell'ambito del procedimento di
approvazione del piano attuativo del
comparto, cui peraltro la legge regionale
attribuiva anche valenza paesaggistica (come
si desume dalle disposizioni contenute negli
artt. 15 e 16 della L.R. n. 14/1984); né si
vede la ragione per la quale il Comune
avrebbe dovuto ripetere tale giudizio di
compatibilità ogniqualvolta era chiamato a
rilasciare la autorizzazione ex art. 7 L. n.
1497/1999 per i singoli interventi di
edilizia contemplati dalla lottizzazione.
Diversamente anche i piani attuativi
sarebbero (di fatto) assoggettati al regime
della autorizzazione paesaggistica, senza
che ciò trovi riscontro nella legislazione
regionale lombarda la quale non subordina
l'approvazione dei piani di attuazione,
anche in ambito vincolato, al rilascio della
autorizzazione ex art. 7 cit..
A quanto sopra deve aggiungersi che esigenze
di certezza del diritto porterebbero
comunque ad escludere che in sede di
rilascio delle autorizzazioni paesaggistiche
per i singoli interventi edilizi possa
rimettersi in discussione la lottizzazione
nel suo complesso” (TAR Lombardia-Brescia, Sez.
I,
sentenza
29.12.2009 n. 2649 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
AGGIORNAMENTO AL 14.04.2010 |
ã |
DOTTRINA E
CONTRIBUTI |
APPALTI:
Riceviamo, e pubblichiamo, dall'Avv. Andrea
BULLO di Milano (che ringraziamo) l'interessate disamina di
sintesi del recentissimo "D.Lgvo
20.03.2010, n. 53, pubblicato nella G.U.R.I.
12.04.2010 (attuazione alla direttiva
2007/66/CE che modifica le direttive
89/665CEE e 92/13/CEE in tema di procedure
di ricorso in materia di aggiudicazione
degli appalti pubblici)" recante
MODIFICHE IN TEMA DI CONTENZIOSO
NEGLI APPALTI PUBBLICI
(circolare 13.04.2010).
L'elaborato ha un mero scopo divulgativo ed
è scevro di ambizioni di completezza. |
CORTE DEI
CONTI |
INCARICHI PROFESSIONALI:
Le amministrazioni e gli enti
pubblici devono di norma svolgere i compiti
istituzionali avvalendosi di proprio
personale.
Se questa è la regola di carattere generale,
che riposa, in sostanza, sul principio
costituzionale di buon andamento della
pubblica amministrazione e, in particolare,
sull'obbligo (che di tale principio è
espressione) degli amministratori e
dipendenti pubblici, di perseguire
l'economicità della spesa pubblica, il
conferimento degli incarichi di consulenza a
professionisti esterni alla P.A. si pone
come eccezione in presenza di speciali
condizioni che si possono così riassumere:
- assenza di una apposita struttura
organizzativa della P.A. ovvero una carenza
organica che impedisca o renda
oggettivamente difficoltoso l'esercizio di
una determinata funzione pubblica, da
accertare per mezzo di una reale
ricognizione;
- complessità dei problemi da risolvere che
richiedono conoscenze ed esperienze
eccedenti le normali competenze del
personale della P.A. o dell'ente pubblico;
indicazione specifica dei contenuti e dei
criteri per lo svolgimento dell'incarico;
- indicazione della durata dell'incarico,
svolgimento da parte del consulente privato
di un'attività non continuativa; proporzione
fra il compenso corrisposto all'incaricato e
l'utilità conseguita dall'amministrazione.
Rileva il Collegio che il ricorso da parte
dell'Amministrazione a soggetti estranei
all’apparato istituzionale per
l'espletamento dei propri compiti deve
ritenersi consentito nel rispetto delle
condizioni stabilite dalla legge, o anche
quando non sia possibile provvedere
altrimenti per evenienze sopraggiunte ed
impreviste.
Come già precisato in precedenti pronunce,
per tutte le amministrazioni ed enti
pubblici l’art. 7, sesto comma, del D.Lgs.
29/1993, prevedeva che “per esigenze cui
non possono far fronte con il personale in
servizio, le amministrazioni pubbliche
possono conferire incarichi individuali ad
esperti di provata competenza, determinando
preventivamente durata, luogo, oggetto e
compenso della collaborazione”. Con il
decreto legislativo 30.03.2001, n. 165, la
possibilità di “esternalizzazione” di
attività è stata disciplinata con maggiore
puntualità e rigore, prevedendo l’art. 7, 6°
comma, che “per esigenze cui non possono
far fronte con personale in servizio, le
amministrazioni pubbliche possono conferire
incarichi individuali, con contratti di
lavoro autonomo, di natura occasionale o
coordinata e continuativa, ad esperti di
particolare e comprovata specializzazione
anche universitaria, in presenza dei
seguenti presupposti di legittimità:
a) l'oggetto della prestazione deve
corrispondere alle competenze attribuite
dall'ordinamento all'amministrazione
conferente, ad obiettivi e progetti
specifici e determinati e deve risultare
coerente con le esigenze di funzionalità
dell'amministrazione conferente;
b) l'amministrazione deve avere
preliminarmente accertato l'impossibilità
oggettiva di utilizzare le risorse umane
disponibili al suo interno;
c) la prestazione deve essere di natura
temporanea e altamente qualificata;
d) devono essere preventivamente determinati
durata, luogo, oggetto e compenso della
collaborazione. “
Per gli enti locali, l’art. 51, comma
settimo, della Legge n. 142/1990, recepita
dalla legge della Regione siciliana
11.12.1991, n. 48, indica i presupposti
formali e sostanziali che debbono ricorrere
affinché si possa procedere all’assegnazione
di incarichi esterni, stabilendo che “per
obiettivi determinati e con convenzioni a
termine, il regolamento può prevedere
collaborazioni esterne ad alto contenuto di
professionalità”.
Come evidenziato, dunque, la disciplina
generale e quella di settore individuano i
presupposti formali e sostanziali per poter
procedere al conferimento dell’incarico, per
il quale è comunque necessario che, se
trattasi di ente locale, il Regolamento
dello stesso lo preveda e lo disciplini
compiutamente.
Da tutta la normativa citata si desume,
anzitutto, che le amministrazioni e gli enti
pubblici devono di norma svolgere i compiti
istituzionali avvalendosi di proprio
personale.
Se questa è la regola di carattere generale,
che riposa, in sostanza, sul principio
costituzionale di buon andamento della
pubblica amministrazione e, in particolare,
sull'obbligo (che di tale principio è
espressione) degli amministratori e
dipendenti pubblici, di perseguire
l'economicità della spesa pubblica, il
conferimento degli incarichi di consulenza a
professionisti esterni alla P.A. si pone
come eccezione in presenza di speciali
condizioni che si possono così riassumere:
- assenza di una apposita struttura
organizzativa della P.A. ovvero una carenza
organica che impedisca o renda
oggettivamente difficoltoso l'esercizio di
una determinata funzione pubblica, da
accertare per mezzo di una reale
ricognizione;
- complessità dei problemi da risolvere che
richiedono conoscenze ed esperienze
eccedenti le normali competenze del
personale della P.A. o dell'ente pubblico;
indicazione specifica dei contenuti e dei
criteri per lo svolgimento dell'incarico;
- indicazione della durata dell'incarico,
svolgimento da parte del consulente privato
di un'attività non continuativa; proporzione
fra il compenso corrisposto all'incaricato e
l'utilità conseguita dall'amministrazione.
Le cennate condizioni devono coesistere e,
soprattutto, devono essere oggettivamente
sussistenti.
Al complesso normativo suddetto il
procuratore regionale ha fatto riferimento e
allo stesso nessuna erroneità della
ricostruzione normativa può essere
contestata, contrariamente a quanto
affermato dalla difesa che opera un
distinguo che per quanto appresso si dirà è
stato ed è del tutto irrilevante ai fini
della decisione assunta e da assumere (Corte
dei Conti, Sez. giurisdiz. d'appello Reg.
Siciliana,
sentenza 29.03.2010 n. 101 - link
a www.corteconti.it). |
COMPETENZE GESTIONALI:
L’orientamento della
giurisprudenza si è da tempo consolidato nel
far rientrare le misure repressive in
materia di abusivismo edilizio nella sfera
di competenza del dirigente.
L’art. 6 della l. n. 127 del 1997,
modificando l’art. 51 della legge n. 142 del
1990, ha previsto alla lettera f) che
spettano alla competenza dei dirigenti “i
provvedimenti di autorizzazione, concessione
o analoghi, il cui rilascio presupponga
accertamenti e valutazioni, anche di natura
discrezionale, nel rispetto di criteri
predeterminati dalla legge, dai regolamenti,
da atti generali di indirizzo, ivi comprese
le autorizzazioni e le concessioni edilizie.”
Successivamente, la legge n. 191 del 1998
ha, a sua volta, modificato l’art. 6 della
l. 127/1997, introducendo la lettera f-bis)
secondo la quale spettano ai dirigenti “tutti
i provvedimenti di sospensione dei lavori,
abbattimento e riduzione in pristino di
competenza comunale, nonché i poteri di
vigilanza edilizia e di irrogazione delle
sanzioni amministrative previsti dalla
vigente legislazione statale e regionale in
materia di prevenzione e repressione
dell'abusivismo edilizio e
paesaggistico-ambientale", così
espressamente attribuendo alla dirigenza la
competenza in materia di applicazione di
sanzioni.
A norma dell'art. 51, comma 3, l. 08.06.1990
n. 142 (oggi, art. 107, comma 2, del d. l.vo
18.08.2000 n. 267), infine, sono di
competenza dei dirigenti "tutti i
compiti, compresa l'adozione degli atti e
provvedimenti amministrativi che impegnano
l'amministrazione verso l'esterno, non
ricompresi espressamente dalla legge o dallo
statuto tra le funzioni di indirizzo e
controllo politico-amministrativo degli
organi di governo dell'ente o non rientrati
tra le funzioni del segretario o del
direttore generale".
A sua volta il Testo unico sull’edilizia, di
cui al d.P.R. 380 del 2001, attribuisce le
misure sanzionatorie in subjecta
materia sempre “al dirigente o al
responsabile del competente ufficio comunale”,
così facendo venir meno la competenza
sindacale, già affermata dalla legge n. 47
del 1985.
In tale mutato quadro normativo, che
risponde ad una tendenza irretrattabile di
organizzazione dei poteri pubblici secondo
l’apicale esigenza di distinzione fra
livello politico e livello burocratico di
gestione amministrativa, l’orientamento
della giurisprudenza si è da tempo
consolidato nel far rientrare le ripetute
misure, del resto indicate direttamente
dalla legge, nella sfera di competenza del
dirigente (cfr., ex multis, Cons.
Stato, sezione v, 18.11.2003, n. 7318, Tar
Campania, Napoli, questa VI sezione,
25.09.2009, n. 5088 e 24.09.2009, n. 5071;
sezione II, 13.02.2009, n. 802; sezione III,
06.11.2007, n. 10670; sezione IV,
13.01.2006, n. 651; sezione VIII, n. 9600
del 2008; Cass. civ., sezione II,
06.10.2006, n. 21631) (TAR Campania-Napoli,
Sez. VI,
sentenza 15.03.2010 n. 1464 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L’ingiunzione a demolire deve
contenere una chiara e dettagliata
descrizione delle opere, manufatti o lavori
che si asseriscono effettuati in violazione
di norme o prescrizioni urbanistiche.
Com’è noto, l’ingiunzione a demolire deve
contenere una chiara e dettagliata
descrizione delle opere, manufatti o lavori
che si asseriscono effettuati in violazione
di norme o prescrizioni urbanistiche (cfr.
CDS Sez. VI n. 493 del 07/07/1986; TAR BA n.
864 del 03/11/1997; TAR AQ n. 157 del
27/05/1996; TAR PE n. 251 del 22/06/1992;
TAR RM n. 1288 del 07/08/1991) (TAR
Campania-Napoli, Sez. II,
sentenza 15.03.2010 n. 1451 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Per volumi tecnici, ai fini
dell'esclusione dal calcolo della volumetria
ammissibile, debbono intendersi i volumi
strettamente necessari a contenere ed a
consentire l'accesso a quegli impianti
tecnici indispensabili per assicurare il
comfort abitativo degli edifici, che non
possano, per esigenze tecniche di
funzionalità degli impianti, essere
inglobati entro il corpo della costruzione
realizzabile nei limiti imposti dalle norme
urbanistiche.
Secondo autorevole giurisprudenza, per
volumi tecnici, ai fini dell'esclusione dal
calcolo della volumetria ammissibile,
debbono intendersi i volumi strettamente
necessari a contenere ed a consentire
l'accesso a quegli impianti tecnici
indispensabili per assicurare il comfort
abitativo degli edifici, che non possano,
per esigenze tecniche di funzionalità degli
impianti, essere inglobati entro il corpo
della costruzione realizzabile nei limiti
imposti dalle norme urbanistiche (cfr. ex
multis TAR Campania Napoli, sez. IV,
17.06.2002, n. 3597).
In materia, si è evidenziato (per tutte: TAR
Campania Napoli, sez. IV, 17.06.2002, n.
3597; TAR Puglia Lecce, sez. III,
15.01.2005, n. 143 Tar Puglia- Bari sent.
2843/2004), con un orientamento del tutto
condivisibile, che i sottotetti quando sono
di altezza tale da poter essere suscettibili
d'abitazione o d'assolvere a funzioni
complementari, quale quella ad esempio di
deposito di materiali, devono essere
computati ad ogni effetto sia ai fini della
cubatura autorizzabile sia ai fini del
calcolo dell'altezza e delle distanze
ragguagliate all'altezza, non potendo essere
annoverati tra i volumi tecnici (TAR
Campania-Napoli, Sez. II,
sentenza 15.03.2010 n. 1451 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L'ingiunzione di demolizione deve
essere notificata al responsabile
dell'abuso, oltre che al suo proprietario,
con la conseguenza che è illegittima
l'ingiunzione di demolizione che non venga
notificata al responsabile dell'abuso né al
proprietario dell'opera abusiva ma solo al
proprietario dell'area sulla quale è stata
realizzata la stessa opera, soprattutto se
questi non ha la materiale disponibilità e
non può procedere alla demolizione o
rimozione dell'opera abusiva.
L'ordinanza di demolizione, per
giurisprudenza consolidata nella materia,
può essere legittimamente notificata anche
esclusivamente all'autore materiale
dell'abuso, nel caso in cui non corrisponda
con il proprietario dell'area interessata
dai lavori edilizi abusivi.
Ed infatti la estraneità del proprietario (o
del titolare del diritto reale) agli abusi
edilizi commessi sulla cosa locata e
affittata dal conduttore, locatario o
affittuario non implica l'illegittimità
dell'ordinanza di demolizione o di riduzione
in pristino dello stato dei luoghi, emessa
ai sensi dell'art. 7, l. n. 28 del 1985 nei
confronti del responsabile dell'abuso, ma la
sola insuscettività del provvedimento
repressivo e sanzionatorio a costituire
titolo per l'acquisizione gratuita al
patrimonio comunale dell'area di sedime
sulla quale insiste il bene (cfr. da ultimo
TAR Campania Napoli, sez. II, 19.10.2006, n.
8673).
Ed anzi, ai sensi dell'art. 31, t.u.
06.06.2001 n. 380, l'ingiunzione di
demolizione deve essere notificata al
responsabile dell'abuso, oltre che al suo
proprietario, con la conseguenza che è
illegittima l'ingiunzione di demolizione che
non venga notificata al responsabile
dell'abuso né al proprietario dell'opera
abusiva ma solo al proprietario dell'area
sulla quale è stata realizzata la stessa
opera, soprattutto se questi non ha la
materiale disponibilità e non può procedere
alla demolizione o rimozione dell'opera
abusiva (TAR Molise, 24.06.2006, n. 585)
(così TAR LAZIO, Sez. Latina, 1026/2008 R.G.
1080/1997) (TAR Campania-Napoli, Sez. VI,
sentenza 05.03.2010 n. 1317 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AGGIORNAMENTO AL 13.04.2010 |
ã |
GURI - GUUE -
BURL (e anteprima) |
APPALTI:
G.U. 12.04.2010 n. 84 "Attuazione della
direttiva 2007/66/CE che modifica le
direttive 89/665/CEE e 92/13/CEE per quanto
riguarda il miglioramento dell’efficacia
delle procedure di ricorso in materia
d’aggiudicazione degli appalti pubblici"
(D.Lgs.
20.03.2010 n. 53). |
QUESITI &
PARERI |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Gli pneumatici fuori uso possono essere
trattati come materie prime secondarie?
(link a www.ambientelegale.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Gli pneumatici usati sono rifiuti?
(link a www.ambientelegale.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Quando si generano le materie prime
secondarie? (link a
www.ambientelegale.it). |
DOTTRINA E
CONTRIBUTI |
EDILIZIA PRIVATA:
E. Moro,
La controversa natura giuridica della D.I.A.
(link a www.altalex.com). |
ENTI LOCALI - VARI:
M. Villani e S. Attolini,
TARSU non più applicabile dall'01.01.2010
(link a www.filodiritto.com). |
APPALTI:
I. Alizzi,
Procedure ad evidenza pubblica: quando la
stazione appaltante può decidere di non
procedere all’aggiudicazione della gara?
(nota a TAR Calabria–Catanzaro, sentenza
25.05.2009 n. 511) (link a
www.filodiritto.com). |
APPALTI:
F. De Sanctis,
Annullamento dell'aggiudicazione e
contratto: una connessione finalmente
rilevante (nota a Corte di Cassazione, Sezz.
Unite Civili, ordinanza 10.02.2010 n. 2906)
(link a www.filodiritto.com). |
GIURISPRUDENZA |
APPALTI:
Quando la partecipazione alla
procedura è preclusa dallo stesso bando
sussiste l'interesse a gravare la relativa
determinazione a prescindere dalla mancata
presentazione della domanda.
Nella pronuncia in commento i giudici del
Consiglio di Stato hanno considerato
infondato un motivo di gravame con il quale
si sosteneva l’inammissibilità dei ricorsi
di primo grado per il fatto che le due
società in causa non avessero presentato
domanda di partecipazione alla gara.
Al riguardo i giudici di Palazzo Spada
osservano che, secondo un condivisibile
indirizzo giurisprudenziale, quando la
partecipazione alla procedura è preclusa
dallo stesso bando, come nel caso di specie,
sussiste l'interesse a gravare la relativa
determinazione a prescindere dalla mancata
presentazione della domanda, posto che la
presentazione della stessa si risolve in un
adempimento formale inevitabilmente seguito
da un atto di esclusione, con un risultato
analogo a quello di un'originaria
preclusione e perciò privo di una effettiva
utilità pratica (Cons. Stato, Sez. V,
08.08.2005 n. 4207 e 4208; V, n. 7341,
11.11.2004; V, 11.02.2005 n. 389; IV,
30.05.2005 n. 2804).
In tal senso deve ricordarsi anche la
decisione 12.02.2004 - C 230/02 della Corte
di Giustizia C.E., ad avviso della quale,
nell'ipotesi in cui un'impresa non abbia
presentato un'offerta a causa della presenza
di specifiche che asserisce discriminatorie
nei documenti relativi al bando di gara o
nel disciplinare, le quali le avrebbero
impedito di essere in grado di fornire
l'insieme delle prestazioni richieste, essa
può presentare ricorso direttamente avverso
tali specifiche e ciò prima ancora che si
concluda il procedimento di aggiudicazione
dell'appalto pubblico interessato: ciò in
quanto è eccessivo esigere che un'impresa
che asserisca di essere lesa da clausole
discriminatorie contenute nei documenti
relativi al bando di gara, prima di poter
utilizzare le procedure di ricorso previste
dalla direttiva 89/665 contro tali
specifiche, debba presentare un'offerta
nell'ambito del procedimento di
aggiudicazione dell'appalto di cui trattasi,
quando le probabilità che le venga
aggiudicato tale appalto sarebbero nulle a
causa dell'esistenza delle dette specifiche
(in tal senso da ultimo, anche C.d.S., sez.
V, 19.03.2009, n. 1624) (commento tratto da
www.documentazione.ancitel.it - Consiglio di
Stato, Sez, V,
sentenza 09.04.2010 n.
1999 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Il giudizio avverso il
silenzio-rifiuto è funzionalmente collegato
al dovere della pubblica amministrazione di
concludere il procedimento amministrativo.
Il giudizio avverso il silenzio-rifiuto è
funzionalmente collegato al dovere della
pubblica amministrazione di concludere il
procedimento amministrativo mediante
adozione di un provvedimento esplicito in
tutti i casi in cui ciò consegua
obbligatoriamente ad una istanza del
privato, oppure il procedimento debba essere
avviato d’ufficio, secondo quanto dispone la
legge n. 241 del 1990.
Ma la formazione del silenzio-rifiuto
postula, pur sempre, l’esercizio del potere
amministrativo, rispetto al quale la
posizione del privato si configura come di
interesse legittimo, sicché il relativo
giudizio è diretto ad accertare se
l’amministrazione abbia con il silenzio
violato il predetto obbligo di provvedere
(TAR Lazio-Roma, Sez. III-quater,
sentenza 06.04.2010 n. 5711 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La comunicazione alla
soprintendenza in caso di autorizzazione
paesaggistica inviata contestualmente agli
interessati vale come comunicazione di avvio
del procedimento.
Con l’art. 159, primo comma, del D.Lgs. n.
42/2004, il legislatore ha espressamente
disciplinato la questione partecipativa di
cui trattasi, dopo le alterne vicende
innescate dalle modifiche normative
precedenti.
Detta norma, dopo aver previsto l’obbligo
dell’amministrazione competente al rilascio
dell’autorizzazione paesaggistica di
comunicare alla Soprintendenza le
autorizzazioni rilasciate, espressamente
dispone che “La comunicazione è inviata
contestualmente agli interessati, per i
quali costituisce avviso di inizio del
procedimento, ai sensi e per gli effetti
della legge 07.08.1990, n. 241”.
Ne consegue che, dalla data di entrata in
vigore della predetta disposizione, l’onere
dell’avviso di inizio del procedimento di
rilascio delle autorizzazioni paesaggistiche
è assolto con la comunicazione agli
interessati, da parte dell’autorità preposta
alla tutela del vincolo, dell’avvenuta
trasmissione alla Soprintendenza
dell’autorizzazione rilasciata (cfr. TAR
Lazio, Sez. II-quater 28/03/07 n. 2723, id.
26/01/2010, n. 982 e n. 4331/2010) (TAR
Lazio-Roma, Sez. II-quater,
sentenza 02.04.2010 n. 5623 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA:
E' legittimo l'ordine di sgombero
di un canile non autorizzato dalla ASL.
La circostanza che in un canile sia
garantita la sussistenza di idonee
condizioni di benessere per gli animali
ospitati, non consente di superare il
mancato possesso della richiesta
documentazione amministrativa. In tal caso,
l'ordinanza sindacale di cessazione delle
attività e di sgombero della struttura trova
fondamento giuridico.
Nel rispetto del diritto degli animali,
dall'esecuzione dell'ordinanza di sgombero
non possono derivare conseguenze negative
per gli animali pertanto i cani non potranno
essere abbandonati essendo cura e precisa
responsabilità dell'allevatore, la cui
struttura è in contestazione, provvedere
altrimenti al ricovero e alla custodia degli
animali suddetti.
Nel caso specifico i fatti si erano così
svolti: nel 2002 una società aveva richiesto
al comune il rilascio dell'autorizzazione
alla realizzazione di un allevamento di
razze canine, la richiesta era stata poi
trasmessa alla ASL per il parere di
competenza, la ASL non vi provvise per
mancanza della documentazione necessaria.
Successivamente in considerazione del
notevole lasso di tempo trascorso
persistendo l'incompletezza della
documentazione, archiviò la pratica dandone
atto con nota.
La Asl aveva evidenziato come l'attività
mancasse dell'autorizzazione allo scarico
del D.Lgs. 152/2006, come parimenti non ci
fosse documentazione attestante la
sussistenza del certificato di agibilità ed
infine non fosse stato dato riscontro alla
propria richiesta concernente la valutazione
dell'impatto dell'opera sul piano dei rumori
e degli odori (commento tratto da
www.documentazione.ancitel.it - TAR
Lazio-Roma, Sez. II-ter,
sentenza 02.04.2010 n. 5620 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il proprietario o i proprietari
di un fondo vanno ritenuti responsabili dei
manufatti abusivi eseguiti sul fondo stesso.
Il proprietario del suolo sul quale insiste
la costruzione abusiva è legittimato passivo
ai sensi dell’art. 936 c.c., insieme al
responsabile dell’abuso, dell’ordinanza di
demolizione. A nulla rileva, come nel caso
di specie, che l’immobile sia locato, o che
il proprietario abbia eventualmente
diffidato l’autore dell’abuso a rimuovere
l’opera abusiva, dal momento che non viene
meno il diritto di proprietà per accessione,
almeno fino a quando il manufatto non sia
stato effettivamente rimosso (cfr. Cass.,
Sez. Un., 08.09.1983, n. 5518).
Il proprietario o i proprietari di un fondo
vanno, quindi, ritenuti responsabili dei
manufatti abusivi eseguiti sul fondo stesso
(cfr. C.G.A.R.S., 06.05.1994, n. 130) e
l’ordine di demolizione di opere abusive è
notificato al proprietario dell’area, che si
presume, fino a prova contraria, quanto meno
corresponsabile dell’abuso, non avendo
l’Amministrazione l’obbligo di compiere
accertamenti giuridici circa l’esistenza di
particolari rapporti interprivati, ma solo
l’onere di individuare il proprietario
catastale.
Quanto alla paventata acquisizione gratuita
del terreno di proprietà dell’appellante,
come correttamente osservato dal giudice di
primo grado, la Corte Costituzionale, con
sentenza 15.07.1991, n. 345, ha
espressamente chiarito che “una misura
sanzionatoria come quella dell’acquisizione,
avente un’immanente funzione di prevenzione
sociale e di coazione all’esecuzione
spontanea della demolizione, non può
operare, neppure con effetti parziali, nei
confronti del proprietario estraneo
all’abuso, che in quanto tale non è in grado
di assolvere alla funzione che ne giustifica
l’applicazione” (cfr. pure Cons. St.,
Sez. V, 13.02.1994, n. 1464).
L’acquisizione gratuita si riferisce,
dunque, esclusivamente alle opere abusive
compiute dal terzo responsabile dell’abuso,
non potendo certo operare nella sfera di
altri soggetti e, in particolare, nei
confronti del proprietario dell’area; ciò,
tanto vero che, come ricordato dal giudice
di prime cure, l’inottemperanza
all’ingiunzione di demolizione è di norma
seguita da un atto di accertamento
costitutivo da notificarsi anche al
proprietario dell’area, proprio per
consentire a quest’ultimo di far valere
l’eventuale illegittimità della relativa
determinazione comunale in sede di
impugnativa del provvedimento che disponga
l’acquisizione, oltre che del manufatto
abusivo, anche dell’area di sua proprietà.
L’ordine di demolizione è, dunque,
legittimamente impartito anche al
proprietario, ferma restando la non
acquisibilità dell’area di sedime delle
opere abusive, in danno del proprietario
estraneo all’abuso (Consiglio di Stato, Sez,
V,
sentenza 31.03.2010 n. 1878 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La costruzione di un'autorimessa
e di un deposito di legname non possono
essere considerati quali opere pertinenziali
dell'edificio principale.
Il Comune ha ingiunto agli odierni
ricorrenti, ai sensi dell’art. 14 della L.
n. 47 del 1985, di demolire due manufatti,
adibiti rispettivamente ad autorimessa e a
deposito di legname e realizzati
abusivamente su area appartenente al demanio
dello Stato.
I suddetti manufatti non possono essere
qualificati –come erroneamente sostiene la
difesa dei ricorrenti– alla stregua del
suddetto muro di contenimento, quali opere
pertinenziali dell’edificio principale (TAR
Emilia Romagna –BO- sez. II, 13/09/2006 n.
2030), e tanto meno essi possono essere
considerati quali manufatti precari; “a
contrario” essendo tali opere preposte a
soddisfare esigenze di carattere permanente
e non già provvisorio (v. TAR Emilia Romagna
–BO- sez. II, 21/01/2009 n. 67; TAR Campania
–NA- sez. VII, 05/06/2009 n. 875; sez. VI,
06/11/2008 n. 19292)
(TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. II,
sentenza 26.03..2010 n. 2778 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Non è dovuta la comunicazione di
avvio del procedimento sui provvedimenti
sanzionatori in materia edilizia aventi
carattere vincolato.
In materia di repressione degli abusi
edilizi, la mancata comunicazione di avvio
del procedimento ai sensi degli artt. 7 e
ss. della L. n. 241 del 1990 non è dovuta,
trattandosi di provvedimenti sanzionatori in
materia edilizia aventi carattere vincolato
e nei confronti dei quali –stante detta
caratteristica- nessuna concreta utilità
potrebbe dare in sede procedimentale
l’apporto del destinatario della sanzione
(v. TAR Emilia Romagna -BO- sez. II,
24/11/2008 n. 4577; 10/05/2002 n. 713) (TAR
Emilia Romagna-Bologna, Sez. II,
sentenza 26.03.2010 n. 2778 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Nell'atto amministrativo è
sufficiente la motivazione per relationem.
L’obbligo di motivazione del provvedimento
amministrativo è pienamente assolto quando
questa può essere ricavata dalla lettura
degli atti attinenti alle varie fasi in cui
si articola il procedimento (Consiglio di
Stato,
sentenza 18.02.2010 n. 944 - link
a www.altalex.com). |
VARI:
Sulla nullità delle multe prive
della sottoscrizione autentica.
E’ nullo il verbale elevato per sanzionare
una infrazione al CdS se non è riportata
sullo stesso la sottoscrizione autentica
dell’agente accertatore (Giudice di Pace
Lecce,
sentenza 18.01.2010 n. 8190 -
link a www.altalex.com). |
AGGIORNAMENTO AL 12.04.2010 |
ã |
GURI - GUUE -
BURL (e anteprima) |
VARI:
G.U. 06.04.2010 n. 79 "Modalità di
erogazione delle risorse del Fondo previsto
dall’articolo 4 del decreto-legge
25.03.2010, n. 40, per il sostegno della
domanda finalizzata ad obiettivi di
efficienza energetica, eco-compatibilità e
di miglioramento della sicurezza sul lavoro"
(D.M.
26.03.2010). |
APPALTI: G.U.
06.04.2010 n. 79 "Problematiche relative
alla disciplina applicabile all’esecuzione
del contratto di concessione di lavori
pubblici" (Autorità per la Vigilanza sui
Contratti Pubblici di lavori, servizi e
forniture,
determinazione 11.03.2010 n. 2). |
DOTTRINA E
CONTRIBUTI |
EDILIZIA PRIVATA:
A. Lopez e R. D'Apolito,
Il punto sui parcheggi privati. La
circolazione dei posti auto realizzati su
spazi pubblici (link a
www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI:
D.Lgs. 81/2008. Titolo VIII, Capo I, II, III,
IV e V sulla prevenzione e protezione dai
rischi dovuti all'esposizione ad agenti
fisici nei luoghi di lavoro. Indicazioni
operative (Coordinamento Tecnico
per la sicurezza nei luoghi di lavoro delle
Regioni e delle Province autonome in
collaborazione con ISPESL e ISS - link a
www.ambientediritto.it). |
APPALTI:
Gare d’appalto: Precisazioni sui requisiti
morali (link a www.mediagraphic.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
M. Morgantini,
IL SILENZIO DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE
(link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
L. Bellagamba,
LA CAUSA DI ESCLUSIONE DELL’INIDONEITÀ
PROFESSIONALE (link a
www.linobellagamba.it). |
APPALTI:
E. De Falco,
Contratti
pubblici sotto soglia comunitaria
(Quaderni di Legislazione Tecnica, n.
1/2010). |
QUESITI &
PARERI |
EDILIZIA PRIVATA: Lombardia,
Esame impatto paesistico su progetto
edilizio ex artt. 25 e 30 delle N.T.A. del
P.T.P.R.: è legittimo rigettare l’istanza
presentata di intervento edilizio, conforme
al P.R.G., per motivazioni che non sono di
ordine edilizio-urbanistico e che, invece,
attengono unicamente all’esame dell’impatto
paesistico?? (risposta
e-mail dell’08.04.2010 della Regione
Lombardia, U.O.O. Giuridico per l'edilizia,
il paesaggio e le valutazioni ambientali -
D.G. Territorio e Urbanistica). |
ENTI LOCALI:
Programma anno 2010. Assunzione posti a
part-time al 50%.
Il Comune di (omissis) ha una popolazione di
2411 abitanti ed un numero di dipendenti a
tempo pieno ed indeterminato pari a 10
unità.
Premesso che a far data dall'01.12.2009 è
stata concessa la mobilità ad una dipendente
di cat. B1 – Area Amministrativa;
Considerato che la spesa del personale è
superiore a quella del 2004 , in quanto alla
fine del 2004, quando ancora non si
conosceva il contenuto dispositivo della
Legge Finanziaria 2006, si è provveduto alla
progressione verticale di una dipendente da
Cat. C3 a Cat. D1 ed al passaggio di un
dipendente di Cat. C da part-time 50% a
tempo pieno;
Atteso che:
- il volume complessivo della spesa per il
personale in servizio non è superiore al
parametro obiettivo valido per
l’accertamento della condizione di Ente
strutturalmente deficitario ridotto del 15%;
- il rapporto medio tra dipendenti in
servizio non supera quello determinato per
gli Enti in condizione di dissesto (D.M.
09.12.2008) ridotto del 20%,
chiede se l’Ente può assumere e programmare
per l’anno 2010 due posti di part-time al
50%, adeguatamente ed analiticamente
motivando la deroga ed inoltre se può
prevedere nella programmazione una
progressione verticale con accesso
dall’interno (Regione Piemonte,
parere n.
145/2009 - link a
www.regione.piemonte.it). |
UTILITA' |
EDILIZIA PRIVATA:
Decreto Legge 25.03.2010 n. 40 (Camera dei
Deputati,
dossier 07.04.2010).
N.B.: di interesse le
schede di lettura relativamente all'art. 5
in merito all'attività edilizia libera. |
EDILIZIA PRIVATA:
La Raccolta delle Schede Tecniche delle
Opere Provvisionali per la messa in
sicurezza post-sisma.
Il Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco ha
reso disponibile on line la raccolta
delle "Schede Tecniche delle Opere
Provvisionali" (STOP) per la messa in
sicurezza post-sisma.
La raccolta, che costituisce un vero e
proprio vademecum, è stata elaborata dal
Nucleo di Coordinamento delle Opere
Provvisionali, in occasione del terremoto
dell'Abruzzo del 2009 ... (link a
www.acca.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Dai Vigili del Fuoco la guida tecnica: "Requisiti
di sicurezza antincendio delle facciate
negli edifici civili".
Il Comitato Centrale Tecnico Scientifico per
la Prevenzione incendi, nella seduta del
23.03.2010, ha approvato la Guida Tecnica "Requisiti
di sicurezza antincendio delle facciate
negli edifici civili".
La sicurezza antincendio delle facciate,
specie per gli edifici di grande altezza per
i quali si registrano le maggiori
innovazioni tecnologiche nella realizzazione
degli "involucri esterni",
rappresenta un tema nuovo in Italia e, per
tale motivo, da affrontare con attenzione e
con il necessario supporto conoscitivo,
tenuto conto delle complesse ma inevitabili
problematiche che, sovente, tali elementi
costruttivi pongono per quanto attiene la
sicurezza delle persone e dei beni ... (link
a www.acca.it). |
SICUREZZA LAVORO:
Il D.Lgs. 81/2008 e la vigilanza negli
ambienti di lavoro - Apparecchi di
sollevamento e mezzi di trasporto.
La regione Campania ha predisposto una guida
dal titolo "Il D.Lgs. 81/08 e la
vigilanza negli ambienti di lavoro -
Apparecchi di sollevamento e mezzi di
trasporto".
Un apparecchio di sollevamento è una
macchina destinata al sollevamento ed alla
manovra di carichi sospesi tramite ganci o
altri dispositivi di trattenuta del carico.
Le operazioni di carico e di scarico da
effettuare con i mezzi di sollevamento e di
trasporto comportano obblighi per i
dirigenti ed i preposti che non si
esauriscono con le istruzioni date ai
dipendenti in ordine ai rischi a cui sono
esposti ... (link a www.acca.it). |
NEWS |
EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI:
La solidarietà non ferma il Durc.
Interpello del ministero del lavoro.
La responsabilità
solidale non preclude al rilascio del Durc.
Infatti, l'eventuale posizione debitoria nei
confronti degli istituti a carico di
un'impresa non impedisce il rilascio del
Documento unico di regolarità contributiva a
chi, con la stessa impresa, è solidamente
responsabile.
Lo precisa tra l'altro il ministero del
lavoro nell'interpello
02.04.2010 n. 3/2010.
L'interpello.
Il ministero risponde a due quesiti avanzati
dalla Claai (confederazione libere
associazioni artigiane italiane): primo, se
la responsabilità solidale tra committente e
appaltatore, nonché tra appaltatore e
subappaltatore riguardi (si estenda) anche
alle somme aggiuntive quali interessi,
sanzioni civili e/o oneri accessori ed
eventuali sanzioni amministrative connesse
ad un inadempimento contributivo o fiscale;
secondo, se la posizione accertata a carico
dei medesimi soggetti in qualità di
responsabili solidali possa costituire causa
ostativa al rilascio del Durc nei loro
confronti.
I chiarimenti.
Con riferimento al primo quesito, il
ministero sostiene che le obbligazioni
solidali siano da riferirsi ai soli
trattamenti retributivi, contributivi e
fiscali escludendo, in linea di massima,
ogni forma di solidarietà per somme dovute
ad altro titolo. Tuttavia, restano incluse
le somme dovute a titolo di interesse sui
debiti previdenziali (o fiscali) e le somme
dovute a titolo di sanzioni civili. Sulle
prime, infatti, secondo il ministero sembra
doversi ritenere sussistente il regime di
solidarietà, in quanto si tratta di somme
dovute in stretto rapporto con gli stessi
debiti previdenziali o fiscali, volte a
mantenere inalterato il valore reale di
quanto dovuto alle amministrazioni.
Per quanto attiene al secondo quesito
(rilascio del Durc al debitore in solido),
il ministero precisa che il dm 24.10.2007,
nell'allegato A, elenca le disposizioni in
tema di tutela delle condizioni di lavoro,
la cui violazione è causa ostativa al
rilascio del Durc escludendo le ipotesi in
esame. Pertanto, atteso che il Durc
certifica la regolarità contributiva
riconducibile all'unicità del rapporto
assicurativo e previdenziale instaurato tra
l'impresa richiedente e gli enti, al quale
vanno riferiti tutti gli adempimenti
connessi, il ministero conclude ritenendo
che la posizione debitoria nei confronti
degli istituti a carico di un soggetto non
impedisca il rilascio del Durc a chi, con lo
stesso soggetto, è solidalmente responsabile
(articolo ItaliaOggi del 10.04.2010, pag.
26). |
EDILIZIA PRIVATA:
Sportello unico telematico ai
nastri di partenza. Pronti i regolamenti sul
Suap e le Agenzie per le imprese.
Ai nastri di partenza lo Sportello unico per
le attività produttive telematico a cui si
potrà accedere attraverso camera di
commercio e agenzie private. I regolamenti
attuativi per il Suap e per le Agenzie per
le imprese, dopo il recepimento della
direttiva 2006/123/CE, saranno infatti
approvati a breve dal consiglio dei
ministri.
Diventa così realtà, grazie alla cura
Bolkestein, l'eterna promessa figlia del
dlgs 112/1998. Lo sportello unico attività
produttive è stato introdotto nel nostro
ordinamento giuridico, per l'appunto, dal dlgs 31.03.1998 n.112, che conferiva ai
comuni le funzioni amministrative
concernenti l'insediamento d'attività
produttive e stabiliva che queste dovevano
essere esercitate, singolarmente o in forma
associata, attraverso un'unica struttura ed
un unico procedimento, la disciplina del
quale fu rinviata ad un successivo
regolamento, adottato con il dpr 20.10.1998,
n. 447, che si prepara ora a lasciare campo
libero ai nuovi regolamenti di
delegificazione, allorquando entreranno in
vigore.
Ancor prima, il comune dovrà attestare
l'idoneità del proprio Suap rispetto ai
requisiti di cui all'articolo 38, comma 3,
lett. a), e a-bis). E quindi lo sportello
unico dovrà costituire «l'unico punto di
accesso per il richiedente in relazione a
tutte le vicende amministrative riguardanti
la sua attività produttiva» e dovrà
fornire «una risposta unica e tempestiva in
luogo di tutte le pubbliche amministrazioni
comunque coinvolte nel procedimento». «Attraverso
apposite misure telematiche» dovrà
inoltre essere assicurato «il
collegamento tra le attività relative alla
costituzione dell'impresa e le attività
relative all' attività produttiva».
È questo un passaggio da non sottovalutare,
considerato che da ciò dipenderà la
permanenza in capo al comune del Suap o la
delega (coattiva) dell'esercizio delle
relative funzioni, alla camera di commercio,
competente per territorio. La difficoltà
maggiore non risiede tanto nell'adeguamento
alla seconda prescrizione, dal momento che
potrà essere conseguito anche solo
attraverso la posta elettronica certificata
(Pec), quanto alla prima, tenuto conto del
sovraccarico d'attività da gestire in
modalità Suap. A parte i comuni che non lo
hanno istituito, sono quelli più grandi che
rischiano di essere travolti.
Molti fra questi sono stati sin qui
costretti a far selezione, operando, come
Suap, su una gamma circoscritta d'attività
di produzione di beni e servizi, talora,
magari, non come scelta definitiva, ma in
ragione di una necessaria gradualità verso
quella gestione più completa, che il nuovo
regolamento richiede ora in termini
pressoché immediati. Messo a disposizione
dalle camere di commercio, assurgerà a nodo
fondamentale il sistema telematico Suap,
evoluzione dell'attuale sistema non
telematico, in attuazione agli accordi e
agli obiettivi dell'Agenda di Lisbona del
giugno 2000, con la quale si sanciva
l'impegno di realizzare il progetto c.d. «e-Europe».
Rientreranno necessariamente in questo
circuito anche le agenzie per le imprese,
soggetto privato accreditato che potrà
svolgere funzioni di natura istruttoria e
d'asseverazione. Si tratta di una sorta di
Suap privato, in caso d'interventi per i
quali sia richiesta la Dichiarazione di
inizio attività (Dia) o soggetti a
silenzio-assenso, nello spirito di
un'effettiva sussidiarietà orizzontale. Non
è poco, considerato che il provvedimento di
recepimento della direttiva Bolkestein va ad
ampliare l'ambito della Dia e a ridurre
drasticamente quello dell'autorizzazione
espressa. E le regioni, sul punto, dovranno
fare la loro parte (articolo ItaliaOggi del
10.04.2010, pag. 24). |
CONSIGLIERI COMUNALI:
OSSERVATORIO VIMINALE/ Indennità
legate agli abitanti. Anche la Corte conti
ha ritenuto più corretto il criterio
previsto dall'art. 156 Tuel. Contano i
residenti del penultimo anno precedente.
In ordine all'indennità
da corrispondere agli amministratori
comunali, è possibile utilizzare come
parametro di riferimento la popolazione
residente al 31 dicembre del penultimo anno
precedente, secondo quanto previsto
dall'art. 156, comma 2, del dlgs n.
267/2000?
---------------
GETTONI DI PRESENZA.
Deve essere corrisposto il gettone di
presenza ai componenti di Commissioni
comunali di studio, non permanenti e non
previste per legge, ma dallo statuto
comunale, composte oltre che da consiglieri
comunali anche da persone esterne al
consiglio?
(articolo
ItaliaOggi del 09.04.2010 - link
a www.corteconti.it).). |
PUBBLICO IMPIEGO: Riforma
Brunetta, solo in pochi non riceveranno
premi. Chi si colloca nella fascia di merito
più bassa potrà partecipare al trattamento
accessorio.
Anche i dirigenti e i dipendenti degli enti
locali e delle regioni collocati nella
fascia di merito più bassa possono
partecipare al trattamento economico
accessorio collegato alle performance a
condizione che vi sia comunque una
significativa differenza rispetto ai
colleghi collocati nelle fasce più alte.
Occorre creare delle specifiche fasce,
differenziate da quelle dei dirigenti e dei
dipendenti, per i titolari di posizione
organizzativa sia negli enti sprovvisti di
dirigenti che in quelli in cui tali figure
sono presenti.
Il testo del decreto cd Brunetta sembra
inoltre consentire agli enti locali di
suddividere il personale in fasce articolate
anche per la varie articolazioni
organizzative.
Si deve ricordare che gli enti locali che
hanno fino a cinque dirigenti e quelli che
hanno fino a otto dipendenti non devono dare
corso alla suddivisione in fasce. Infine
sembra che anche negli enti locali si debba
procedere alla contrattazione decentrata
prima della decisione regolamentare ...
(articolo
ItaliaOggi del 09.04.2010 - link a
www.corteconti.it). |
CONSIGLIERI COMUNALI:
Paletti ai gettoni dei
consiglieri. Esclusa la conferenza dei
capigruppo.
Ai consiglieri degli enti locali non è
dovuto il gettone di presenza per la
partecipazione alla conferenza dei
capigruppo, anche se il regolamento del
consiglio comunale equipara la conferenza
alle commissioni consiliari.
Il principio è affermato dal dipartimento
per gli affari interni e territoriali del
Ministero dell'Interno nel
parere 31.03.2010.
Come è noto, lo status degli amministratori
locali è disciplinato dal capo IV del Tuel
e, in particolare, l'articolo 82 comma 2
dispone la corresponsione del gettone di
presenza ai consiglieri, comunali e
provinciali, per la partecipazione alle
sedute di consiglio e commissioni. Non vi è
nessuna norma che escluda la conferenza dei
capigruppo dalle commissioni indicate
genericamente nell'articolo 82, così come
affermato anche dall'Anci-Toscana in un
proprio parere del 07.09.2009.
La fattispecie rende necessario un esame
combinato con quanto previsto dall'articolo
83 comma 2 dello stesso Tuel il quale
dispone che gli amministratori non devono
percepire alcun compenso per gli incarichi e
le partecipazioni strettamente connesse al
mandato politico ricevuto.
La norma si riferisce ad organi e
commissioni diverse da quelle indicate
nell'articolo 82, come nel caso in esame, in
cui la partecipazione alla conferenza dei
capigruppo deriva dall'esercizio delle
funzioni pubbliche.
Pertanto, dalla lettura combinata delle due
norme, si desume la volontà del legislatore
di introdurre un principio di
omnicomprensività dei compensi percepiti
dagli amministratori degli enti locali,
compensi dovuti per la partecipazione a
consigli e commissioni, cui la conferenza
dei capigruppo non può essere assimilata in
quanto, laddove il legislatore ha voluto
estendere determinati diritti ai capigruppo,
lo ha fatto espressamente, così come nel
caso dei permessi retribuiti (ex articolo
79), mentre tale estensione non è prevista
nell'articolo 82.
Per il dipartimento del ministero
dell'interno non vi può essere equiparazione
in quanto la conferenza dei capigruppo ha
competenza in materia di programmazione dei
lavori del consiglio e di coordinamento
delle attività delle commissioni e non può
essere paragonata a queste, che invece
svolgono funzioni consultive, istruttorie,
di studio e di proposta finalizzate alla
preparazione dell'attività del consiglio
(articolo ItaliaOggi del 09.04.2010, pag.
34). |
AUTORITA'
CONTRATTI PUBBLICI |
INCARICHI PROGETTUALI: Nei
bandi di gara per l’affidamento di incarichi
di progettazione è necessario indicare la
classe e la categoria o le classi e le
categorie dell'intervento, in quanto ciò è
funzionale anche per la dimostrazione dei
requisiti minimi di partecipazione o della
indicazione dei requisiti da impiegare, nel
caso che la procedura di gara sia la
licitazione privata, per la selezione dei
concorrenti cui inviare la lettera di invito
a presentare offerta.
I lavori cui si riferiscono detti requisiti
devono, infatti, appartenere alla classe e
alla categoria (o alle classi e alle
categorie) dell'intervento cui si riferisce
il bando.
In questi casi vanno considerati gli
interventi appartenenti non solo alla classe
e alla categoria (o alle classi e alle
categorie) dell'intervento cui si riferisce
il bando, ma anche alla classe ed alle
categorie la cui collocazione nell'ordine
alfabetico sia pari o più elevata a quella
stabilita nel bando, in quanto questi
interventi sono della stessa natura ma
tecnicamente più complessi (cfr.
determinazione 30/2002)
(parere
03.12.2009 n. 150 - link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI SERVIZI: -
Nelle procedure di acquisizione di servizi
in economia trova applicazione l’art. 125
del d.lgs. 12.04.2006, n. 163, il cui comma
14 stabilisce, tra l’altro, che “I
procedimenti di acquisizione di prestazioni
in economia sono disciplinati, nel rispetto
del presente articolo, nonché dei principi
in tema di procedure di affidamento e di
esecuzione del contratto desumibili dal
presente codice e dal regolamento”.
Quindi, non necessariamente la stazione
appaltante, al fine di chiarire i dubbi
circa il costo della sicurezza, è tenuta ad
applicare in modo pedissequo la disciplina
prevista dal Codice dei contratti pubblici
in tema di verifica dell’anomalia delle
offerte, a meno che ciò non sia
espressamente previsto dai documenti di
gara.
- Ai sensi dell’art. 86, comma 3-bis, del
d.lgs. 12.04.2006, n. 163, nella
predisposizione delle gare di appalto e
nella valutazione dell’anomalia delle
offerte nelle procedure di affidamento di
appalti di lavori pubblici, di servizi e di
forniture, le S.A. sono tenute a valutare
che il valore economico sia adeguato e
sufficiente rispetto al costo del lavoro e
al costo relativo alla sicurezza, il quale
deve essere specificamente indicato e
risultare congruo rispetto all’entità e alle
caratteristiche dei lavori, dei servizi o
delle forniture.
Il costo del lavoro è determinato
periodicamente, in apposite tabelle, dal
Ministro del lavoro e della previdenza
sociale, sulla base dei valori economici
previsti dalla contrattazione collettiva
stipulata dai sindacati comparativamente più
rappresentativi, delle norme in materia
previdenziale ed assistenziale, dei diversi
settori merceologici e delle differenti aree
territoriali.
In mancanza di contratto collettivo
applicabile, il costo del lavoro è
determinato in relazione al contratto
collettivo del settore merceologico più
vicino a quello preso in considerazione
(parere
03.12.2009 n. 149 - link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI: È
necessario che il concorrente renda le
dichiarazioni richieste dalla lex specialis
di gara, a pena di esclusione, pur se
negative.
Verrebbe altrimenti meno la logica sottesa
alla richiesta di dichiarare la sussistenza
o meno di determinate situazioni rilevanti
ai fini della partecipazione alla gare,
imponendo all’amministrazione l’onere di
verificare se il concorrente si trovi o meno
in una delle situazioni ostative alla
partecipazione
(parere
03.12.2009 n. 148 - link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
LAVORI PUBBLICI: In
una gara per l’aggiudicazione di un appalto
di lavori pubblici secondo il metodo
dell'offerta economicamente più vantaggiosa,
è legittima l'esclusione dell'offerente che
inserisce nella busta destinata, in base
alla lettera di invito, a contenere
l'offerta tecnica, elementi relativi
all’offerta economica.
La commistione così introdotta tra i due
profili rilevanti per la gara è di per sé
idonea ad introdurre elementi perturbatori
della corretta valutazione da parte della
Commissione di gara
(parere
03.12.2009 n. 147 - link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
LAVORI PUBBLICI: L'uso
della categoria OG11 nei bandi di gara è
giustificato se il livello di complessità
delle lavorazioni speciali rimane su valori
medi (secondo le norme tecniche di settore).
In questo caso, la qualificazione in OG11
può assorbire le qualificazioni delle
categorie speciali, in quanto vale la
presunzione che un soggetto qualificato in
OG11 sia in grado di svolgere mediamente
tutte le lavorazioni speciali contenute in
questa categoria generale.
Solo qualora il progetto presenti, invece,
lavorazioni molto complesse o contenuti
tecnologici particolari è ragionevole e
proporzionato che il bando richieda, a pena
di esclusione, la specifica qualificazione
prevista per queste lavorazioni
(parere
03.12.2009 n. 146 - link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI:
- Secondo consolidato
orientamento giurisprudenziale,
l’annullamento dell’aggiudicazione
provvisoria, in quanto atto
infraprocedimentale della procedura di gara,
non deve essere preceduto dalla
comunicazione di avvio del procedimento,
inserendosi nell’unica serie procedimentale
della gara, non ancora conclusasi, non
essendo ancora intervenuta l’aggiudicazione
definitiva.
- L’attualità e la specificità
dell’interesse pubblico ad annullare un
provvedimento in autotutela devono essere
calibrate in funzione della fase
procedimentale in cui esso interviene e, in
definitiva, dell’affidamento ingenerato nel
privato avvantaggiato dal provvedimento
ritirato.
Diverso è l’onere motivazionale richiesto
per procedere all’annullamento degli atti di
gara a seconda che sia intervenuta
l’aggiudicazione definitiva e la stipula del
contratto, ovvero il procedimento di
conclusione della gara non sia giunto
completamente a termine.
Inoltre, la recente giurisprudenza ha
altresì precisato che, stante la natura
instabile ed interinale del provvedimento di
aggiudicazione provvisoria a fronte del
quale non possono configurarsi situazioni di
vantaggio stabili in capo al beneficiario,
l’Amministrazione ha altresì il potere di
provvedere all’annullamento
dell’aggiudicazione provvisoria in via
implicita senza obbligo di motivazione.
- Le prescrizioni con le quali la Stazione
Appaltante impone l’obbligo che la busta
contenente l’offerta sia, oltre che chiusa e
sigillata, anche controfirmata in tutti i
suoi lembi di chiusura, assolve la funzione
specifica di garantire l’identità ed
immodificabilità della documentazione in
essa contenuta, la segretezza, l’identità e
l’immodificabilità dell’offerta, nonché la
provenienza della documentazione e
dell’offerta.
Allo stesso tempo, è unanimemente
riconosciuto che laddove le garanzie
essenziali di segretezza del plico sottese
alle prescrizioni formali di presentazione
delle offerte siano comunque assicurate,
possa essere data un’interpretazione
teleologica ad esse, favorendo in tal modo
la partecipazione alle procedure senza
integrare alcuna violazione della par
condicio dei concorrenti.
Il fatto che un plico sia sigillato con del
nastro adesivo sotto il quale sia stato
apposto il timbro della società concorrente
non impedisce il perseguimento della
finalità di garanzia cui è volta la
sigillatura e la controfirma, non potendo il
timbro essere contraffatto o apposto
successivamente senza previa rimozione del
nastro adesivo, con conseguente visibilità
dell’avvenuta effrazione
(parere
03.12.2009 n. 145 - link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI SERVIZI: In
una procedura per l’affidamento di un
appalto di servizi con il metodo
dell’offerta economicamente più vantaggiosa,
non è conforme alla normativa di settore
l’operato della s.a. che escluda il
concorrente che abbia offerto di svolgere
una componente del servizio in forma
sostanzialmente gratuita, dovendosi
eventualmente procedere alla verifica
dell’anomalia dell’offerta
(parere
03.12.2009 n. 144 - link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
INCARICHI PROGETTUALI: La
definizione di particolari condizioni di
esecuzione correlabili a requisiti di
professionalità e di imprenditorialità dei
concorrenti rientra nell’area della
discrezionalità della stazione appaltante,
il cui esercizio deve conformarsi a principi
di proporzionalità e ragionevolezza.
In una gara per l’affidamento del contratto
di progettazione esecutiva e realizzazione
di una seggiovia, è stato ritenuto congruo
il termine di cinque giorni
dall’aggiudicazione provvisoria per la
consegna dei progetti, stante l’utilizzo
nell’opera di componenti altamente
standardizzati, per i quali l’attività di
progettazione è minima.
Le capacità imprenditoriali di ciascun
concorrente nel saper affrontare, anche in
relazione ai tempi di consegna, l’incarico
ottenuto svolgono, in tali casi, un ruolo
determinante per l’esito di gara
(parere
03.12.2009 n. 143 - link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI SERVIZI: In
una procedura per l’affidamento di un
contratto di pulizia e igiene ambientale di
immobili, è conforme alla normativa di
settore l’operato della S.A. che consenta
agli operatori economici la possibilità di
offerte migliorative, predefinendo nel bando
di gara tre opzioni di aumento della
frequenza delle prestazioni previste nel
capitolato.
Tale possibilità non costituisce variante,
ma la S.A. utilizza l’elemento dell’offerta
migliorativa come criterio per valutare il
livello tecnico-qualitativo delle imprese
partecipanti, configurandolo quindi come
“metodologia tecnico-operativa”, in
conformità a quanto previsto dall’art. 2 del
d.P.C.M. n. 117/1999 e “premiando” con un
maggior punteggio i concorrenti che –fermi
restando i termini minimi del Capitolato–
aggiungano prefissate prestazioni in termini
di frequenze periodiche predefinite
(parere
03.12.2009 n. 142 - link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI: Non
è conforme alla normativa di settore la
previsione del bando di gara che imponga ai
partecipanti di allegare all’offerta la
ricevuta in originale del versamento del
contributo di gara all’Autorità, ovvero
fotocopia dello stesso corredata da
dichiarazione di autenticità e copia di un
documento di identità in corso di validità.
Come chiaramente indicato dalle “Istruzioni
relative alle contribuzioni dovute, ai sensi
dell’art. 1, comma 67, della legge
23.12.2005, n. 266, dai soggetti pubblici e
privati”, reperibili sul sito istituzionale,
“A riprova dell'avvenuto pagamento,
l’operatore economico deve allegare
all'offerta copia stampata dell'e-mail di
conferma, trasmessa dal Servizio riscossione
contributi e reperibile in qualunque momento
mediante la funzionalità di Archivio dei
pagamenti”
(parere
03.12.2009 n. 141 - link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
LAVORI PUBBLICI: -
Con riferimento alle procedure di finanza di
progetto i cui avvisi indicativi siano stati
pubblicati anteriormente all’entrata in
vigore del d.lgs. n. 113/2007, contenenti
espressamente la previsione del diritto di
prelazione in favore del promotore, continua
ad applicarsi il previgente assetto
normativo contemplante tale diritto.
- In materia di finanza di progetto, è
conforme alla disciplina di settore la
clausola del bando che limita il rimborso
delle spese sostenute dai concorrenti che
non siano risultati aggiudicatari all'esito
della procedura negoziata con il promotore,
alla sola ipotesi in cui la gara per
l’individuazione dei soggetti presentatori
delle due migliori offerte da confrontare
con quella del promotore sia stata esperita
secondo le regole di cui all’articolo 53,
comma 2, lettera c), ovvero mediante appalto
avente ad oggetto, oltre l’esecuzione
dell’opera, anche la presentazione del
progetto definitivo in sede di offerta
(parere
03.12.2009 n. 140 - link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
GIURISPRUDENZA |
URBANISTICA: L’art.
28, comma 2, della legge 17.08.1942 n. 1150
estende ai piani di lottizzazione la
necessità di una valutazione sotto il
profilo paesistico indipendentemente dalla
presenza di un vincolo paesistico-ambientale.
Qualora un tale vincolo sussista, tanto per
l’intervento di una dichiarazione di
notevole interesse pubblico riferita a un
bene determinato (art. 136 e 157 del Dlgs.
42/2004) quanto per effetto della tutela ex
lege dei contesti ambientali (art. 142 del
Dlgs. 42/2004), è necessaria una vera e
propria autorizzazione paesistica,
sottoposta, nel regime transitorio, al
potere di annullamento ministeriale ex art.
159 del Dlgs. 42/2004.
La presenza del vincolo paesistico, anche se
intervenuto mentre il piano di lottizzazione
era in itinere, impone il ripensamento della
progettazione per minimizzare l’impatto dei
nuovi edifici sullo scenario ambientale
tutelato. Questo può implicare una ridotta
utilizzazione degli indici edilizi ammessi
dalla disciplina urbanistica e l’adozione di
differenti modalità costruttive.
Le critiche mosse dal Comune agli
sbancamenti e agli elevati muri di
contenimento sono coerenti con la natura del
vincolo, e pur non potendo essere
interpretate come un divieto assoluto di
edificazione (una simile soluzione sarebbe
eccessiva rispetto alla tutela paesistica
riconosciuta in zona) indirizzano
correttamente l’attività di progettazione.
Lo stesso vale per le critiche relative
all’altezza dei capannoni e alla distanza
tra gli stessi, nonché per le critiche che
censurano la mancanza dei corridoi
prospettici richiesti dalle prescrizioni
regionali.
L’esame delle questioni propriamente
paesistiche trova la sua sede naturale nella
procedura di rilascio dell’autorizzazione
paesistica. Occorre precisare al riguardo
che l’art. 28, comma 2, della legge
17.08.1942 n. 1150 estende ai piani di
lottizzazione la necessità di una
valutazione sotto il profilo paesistico
indipendentemente dalla presenza di un
vincolo paesistico-ambientale.
Qualora un tale vincolo sussista, tanto per
l’intervento di una dichiarazione di
notevole interesse pubblico riferita a un
bene determinato (art. 136 e 157 del Dlgs.
42/2004) quanto per effetto della tutela
ex lege dei contesti ambientali (art.
142 del Dlgs. 42/2004), è necessaria una
vera e propria autorizzazione paesistica,
sottoposta all’epoca dei fatti, ossia nel
regime transitorio, al potere di
annullamento ministeriale ex art. 159 del
Dlgs. 42/2004.
Questo tuttavia non significa che il Comune
non potesse anticipare una parte delle
valutazioni paesistiche al momento
dell’esame del progetto sul piano edilizio
(acquisendo anche un apporto collaborativo
della Soprintendenza).
Vi sono due giustificazioni per questo modo
di procedere:
(a) in generale, un’esigenza di economia
procedurale, che suggerisce di non approvare
ai fini edilizi progetti che non hanno
alcuna possibilità di superare la prova di
conformità paesistica;
(b) nello specifico, la presenza di
prescrizioni puntuali connesse direttamente
al vincolo paesistico, idonee a fungere da
guida anche per l’esame degli aspetti
edilizi.
Non vi è stata quindi, contrariamente a
quanto sostenuto dalla ricorrente, alcuna
violazione dell’art. 146 del Dlgs. 42/2004.
Il Comune si è mantenuto nell’ambito della
valutazione edilizia, a cui dovrà
aggiungersi prima dell’approvazione del
piano di lottizzazione una formale
autorizzazione paesistica d’insieme, seguita
da altre autorizzazioni paesistiche in
relazione ai singoli permessi di costruire
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 08.04.2010 n. 1511 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
BENI CULTURALI E AMBIENTALI -
Art. 159 d.lgs. n. 42/2004 - Vincolo
paesaggistico - Procedimento di rilascio
dell’autorizzazione paesaggistica -
Soprintendenza - Comunicazione di avvio del
procedimento - Necessità - Esclusione -
Autorità comunale - Comunicazione del
rilascio dell’autorizzazione.
L’art. 159 del Codice dei beni culturali
prevede che la Soprintendenza non sia
onerata della comunicazione d’avvio, purché
peraltro l’autorità comunale abbia inviato
comunicazione all’interessato del rilascio
dell’autorizzazione, che per espressa
disposizione di legge fa funzioni di
comunicazione d’avvio (in questo senso cfr.
Cons. Stato, sez. VI, sent. n. 771 del
13.02.2009, secondo cui “si deve ritenere
che, nel sistema successivo all'entrata in
vigore del d.lgs. 42/2004, la comunicazione
di avvio del procedimento finalizzato
all'annullamento del nulla osta
paesaggistico da parte del competente organo
statale non richieda più la previa
comunicazione ex art. 7 l. 241/1990; e ciò
in quanto il detto d.lgs. dispone
espressamente, all'art. 159, che la
comunicazione relativa all'avvenuto rilascio
del nulla osta da parte dell'ente a ciò
competente costituisce avviso di inizio di
procedimento”) (TAR Lombardia-Brescia,
Sez. I,
sentenza 08.04.2010 n. 1507 -
link a www.ambientediritto.it). |
APPALTI:
Sull'illegittimità
dell'annullamento dell'aggiudicazione di una
gara di appalto disposto sulla base di una
informativa antimafia atipica.
Sull'illegittimità del provvedimento di
esclusione di un concorrente per presunto
collegamento tra l'impresa aggiudicataria ed
altro partecipante alla medesima gara, che
non sia stato preceduto dalla comunicazione
di avvio del procedimento.
E' illegittimo l'annullamento di un
provvedimento di aggiudicazione disposto
sulla base di un'informativa antimafia
emessa ai sensi dell'art. 1-septies del d.l.
n. 629/1982, c.d. atipica, in quanto
affinché l'informativa atipica possa
costituire valido presupposto per l'adozione
di un provvedimento di esclusione, essa deve
basarsi su elementi circostanziati e
completi, tali da consentire alla stazione
appaltante di esprimere un giudizio
valutativo in merito alla concreta esistenza
di elementi ostativi. Nel caso di specie,
detto requisito di completezza non appare
soddisfatto, ciò che induce alla
declaratoria di illegittimità
dell'informativa stessa e, quindi, delle
determinazioni di annullamento
dell'aggiudicazione.
E' illegittimo l'operato di una stazione
appaltante che abbia escluso da una gara un
concorrente, aggiudicatario provvisorio, per
via di un presunto collegamento tra questi
ed altra impresa partecipante alla medesima
gara, senza che il provvedimento espulsivo
sia stato preceduto da una comunicazione di
avvio del procedimento, in quanto
l'acquisizione di elementi nuovi impone alla
stazione appaltante di riaprire il confronto
con l'impresa interessata mettendola in
condizioni di conoscere le ragioni di tale "revirement".
La semplice constatazione dell'esistenza di
un rapporto di controllo tra le imprese
concorrenti non è sufficiente affinché la
stazione appaltante possa disporne
l'esclusione automatica dalla procedura di
aggiudicazione, senza verificare se un tale
rapporto abbia avuto un impatto concreto sul
loro rispettivo comportamento nell'ambito
della procedura; da qui l'esigenza, nel caso
di specie, che, ai fini della riapertura
dell'indagine relativa al collegamento e
controllo tra imprese, fosse offerta alla
concorrente, a mezzo di comunicazione ai
sensi dell'art. 7 della legge n. 241/1990,
la possibilità di controdedurre a quanto
dalla stazione appaltante posto in evidenza
sulla base dei nuovi elementi acquisiti
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 07.04.2010 n. 1967 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
I consorzi stabili per
partecipare a gare d'appalto per
l'aggiudicazione di contratti della pubblica
Amministrazione sono tenuti a dimostrare,
nei termini stabiliti dal bando,
l'affidabilità morale degli organi di
vertice delle imprese consorziate.
L'art. 35 del D.Lgs. 12.04.2006, n. 163,
stabilisce che anche i requisiti di idoneità
tecnica e finanziaria per l'ammissione alle
procedure di affidamento dei contratti
pubblici dei consorzi di cui al c. 1, lett.
b) e c), dell'art. 34 devono essere
posseduti e comprovati dagli stessi, salvo
che per quelli relativi alla disponibilità
delle attrezzature e dei mezzi d'opera,
nonché all'organico medio annuo, che sono
computati cumulativamente in capo al
consorzio ancorché posseduti dalle singole
imprese consorziate.
La "ratio" delle citate disposizioni
è ben evidente in quanto consentendo ad
imprese diverse di confondere i rispettivi
requisiti di affidabilità morale nell'ambito
del consorzio questo costituirebbe uno
strumento a disposizione degli imprenditori
meno affidabili, tra i quali si possono
trovare imprese collegate alla criminalità
organizzata, le quali potrebbero
indirettamente partecipare a gare d'appalto,
condizionandole.
Pertanto, i consorzi stabili per partecipare
a gare d'appalto per l'aggiudicazione di
contratti della pubblica Amministrazione
sono tenuti a dimostrare, nei termini
stabiliti dal bando, l'affidabilità morale
degli organi di vertice delle imprese
consorziate (Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 07.04.2010 n. 1964 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
URBANISTICA:
Vincoli soggetti a decadenza -
Vincoli espropriativi - Destinazioni di zona
contenute negli strumenti urbanistici -
Novero di vincoli soggetti a decadenza -
Inconfigurabilità.
Costituiscono vincoli soggetti a decadenza
quelli espropriativi o che incidano sul bene
in modo tale da renderlo inutilizzabile
rispetto alla sua destinazione naturale,
ovvero ne diminuiscano significativamente il
suo valore di scambio; non sono tali,
invece, le destinazioni di zona contenute
negli strumenti urbanistici che interessino
categorie indeterminate di beni e ne
prescrivano modalità conformative di
utilizzo nel quadro dell’ordinato assetto
del territorio e della salvaguardia dei
valori urbanistici ed ambientali esistenti
(cfr., tra le più recenti, Cons. St., sez.
IV, 12.05.2008 n. 2159) (Consiglio di Stato,
Sez. V,
sentenza 07.04.2010 n. 1944 -
link a www.ambientediritto.it). |
APPALTI:
DURC - Natura giuridica -
Stazione appaltante - Margine di valutazione
o apprezzamento dei dati e delle circostanze
contenute nel DURC - Esclusione.
Il DURC assume la valenza di una
dichiarazione di scienza, da collocarsi fra
gli atti di certificazione o di attestazione
redatti da un pubblico ufficiale ed aventi
carattere meramente dichiarativo di dati in
possesso della pubblica amministrazione,
assistito da pubblica fede ai sensi
dell’articolo 2700 c.c., facente pertanto
prova fino a querela di falso.
Attesa la natura giuridica del DURC, non
residua in capo alla stazione appaltante
alcun margine di valutazione o di
apprezzamento in ordine ai dati ed alle
circostanze in esso contenute (cfr. Cons.
Stato, sez. IV, n. 1458/2009) (Consiglio di
Stato, Sez. VI,
sentenza 06.04.2010 n. 1934 -
link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
INQUINAMENTO ELETTROMAGNETICO -
Tutela sanitaria della popolazione -
Competenze comunali - Estraneità.
Non rientra nelle competenze dei Comuni la
tutela sanitaria della popolazione dalle
esposizioni ai campi elettromagnetici (Cons.
Stato VI, 03.06.2002 n. 3095, 10.02.2003 n.
673, 26.08.2003 n. 4841), assicurata dalla
normativa statale mediante norme già
improntate al principio di precauzione.
INQUINAMENTO
ELETTROMAGNETICO - Emissioni - Tutela
sanitaria della popolazione - Competenza
statale - Divieti di installazione connessi
alla destinazione urbanistica delle aree -
Illegittimità - Prescrizioni di distanze
minime tra impianti e abitazioni -
Illegittimità.
La tutela sanitaria della popolazione dalle
emissioni elettromagnetiche esula dalle
competenze dei comuni (cfr. Cons. Stato VI,
20.12.2002 n. 7274), essendo affidata dalla
legge quadro (n. 36/2001) al legislatore
statale, il quale ha prescelto un criterio
basato esclusivamente sui limiti di
immissione delle irradiazioni nei luoghi
particolarmente protetti.
Si discostano da tale criterio sia i divieti
di localizzazione e di installazione
connessi alla mera destinazione urbanistica
delle aree, sia le prescrizioni di distanze
minime fisse, tra impianti e abitazioni,
diverse dalle distanze ordinarie previste
per gli edifici (cfr. Cons. Stato VI, ord.za
15.01.2002 n. 277; TAR Veneto 2^, 02.02.2002
n. 347; TAR Lazio 2^ 06.10.2001 n. 8170).
INQUINAMENTO
ELETTROMAGNETICO - Regolamenti locali -
Strumenti urbanistici - Previsione di
distanze minime da insediamenti residenziali
- Obiettivi di protezione sanitaria -
Illegittimità.
Non possono considerarsi legittime le norme
di regolamenti locali o di strumenti
urbanistici che, con obiettivi di protezione
sanitaria estesi ben oltre le specifiche
ipotesi previste dalla normativa regionale
di settore, prescrive in via generalizzata,
per gli impianti di telefonia cellulare e
similari, distanze minime da insediamenti
residenziali, da edifici e attrezzature di
uso collettivo, ovvero dal confine delle
zone territoriali omogenee che prevedono
tali destinazioni (cfr. Corte cost.
331/2003; Cons. Stato IV, 14.02.2005 n. 450;
TAR Lazio 2^, 06.10.2001 n. 8170).
INQUINAMENTO
ELETTROMAGNETICO - Infrastrutture di reti
pubbliche di comunicazione - Assimilazione
alle opere di urbanizzazione primaria -
Compatibilità con la destinazione agricola -
Art. 86, c. 3, d.lgs. n. 259/2003.
L’art. 86, comma 3, d.lgs. 01.08.2003 n. 259
(codice delle comunicazioni elettroniche)
assimila le infrastrutture di reti pubbliche
di comunicazione ad ogni effetto alle opere
di urbanizzazione primaria, il che le rende
compatibili anche con la destinazione
agricola (cfr. Cons. Stato VI, 10.02.2003 n.
673).
INQUINAMENTO
ELETTROMAGNETICO - Potestà regolamentare dei
comuni - Limiti - Art. 8, c. 6, L. n.
36/2001.
La potestà regolamentare dei Comuni in
materia di emissioni elettromagnetiche (art.
8, c. 6, L. n. 36/2001) può tradursi
nell’introduzione, sotto il profilo
urbanistico, di regole a tutela di zone e
beni di particolare pregio
paesaggistico-ambientale o
storico-artistico, ovvero, per quanto
riguarda la minimizzazione dell’esposizione
ai campi elettromagnetici,
nell’individuazione di siti che per
destinazione d’uso e qualità degli utenti
possano essere considerati sensibili alle
immissioni radioelettriche (Cons. Stato VI
03.03.2007 n. 1017); ma non consente ai
comuni di introdurre limitazioni e divieti
generalizzati riferiti alle zone
territoriali omogenee, né consente
l’introduzione di distanze fisse, da
osservare rispetto alle abitazioni e ai
luoghi destinati alla permanenza prolungata
delle persone o al centro cittadino, quando
tale potere sia rivolto a disciplinare la
compatibilità dei detti impianti con la
tutela della salute umana al fine di
prevenire i rischi derivanti
dall’esposizione della popolazione a campi
elettromagnetici, anziché a controllare
soltanto il rispetto dei limiti delle
radiofrequenze fissati dalla normativa
statale e a disciplinare profili tipicamente
urbanistici (cfr. Cons. Stato V, 14.02.2005
n. 450) (TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 06.04.2010 n. 999 - link
a www.ambientediritto.it). |
ENTI LOCALI:
Dai Tar paletti ai sindaci
sceriffi I Tribunali amministrativi (da
ultimo quello lombardo) limitano le
prerogative del decreto Maroni. Solo
situazioni di pericolo giustificano il
potere di ordinanza.
Sindaci sceriffi solo se
ricorrano imprevedibili necessità, non
rimediabili mediante gli ordinari strumenti
assicurati dall'ordinamento. I primi
cittadini, nonostante il rafforzamento dei
poteri di ordinanza, non possono utilizzare
tale atto, che rimane extra ordinem, se non
si determina una situazione di attuale
pericolo, concretamente in grado di incidere
sulla sicurezza pubblica.
La giurisprudenza amministrativa traccia
rigorosi confini all'esercizio dei nuovi
poteri di ordinanza dei sindaci, introdotti
dal dl 92/2008, convertito in legge
125/2008.
Il TAR Lombardia-Milano, Sez. III, con
sentenza 06.04.2010 n. 981
considera illegittima un'ordinanza di
sgombero di una comunità di sinti, adottata
ai sensi dell'articolo 50, comma 5, e 54 del
dlgs 267/2000, come modificato dal decreto
Maroni, per assenza dei presupposti previsti
dalla legge e dal dm attuativo 05 .08.2008.
In particolare, la sentenza ha basato la
valutazione di illegittimità del
provvedimento sulla constatazione
dell'assenza di un accertamento documentato
che comprovasse la sussistenza di una
situazione di emergenza. L'ordinanza, in
effetti, abbinando i poteri sindacali in
tema di sanità pubblica e di sicurezza
pubblica ha imposto lo sgombero, sulla base
della semplice presupposizione che
l'insediamento di per sé determinasse
carenze igienico-sanitarie e fenomeni di
criminalità. Senza, tuttavia, dimostrare
fatti concretamente e specificamente
connessi alla situazione.
Secondo il Tar Lombardia, poiché il comune
ha rilevato esclusivamente la sussistenza di
una situazione di precarietà igienica dei
luoghi, il sindaco non avrebbe potuto porvi
rimedio con i poteri straordinari di
ordinanza, ma fronteggiarla con i mezzi
ordinari. Dunque, attivando gli strumenti
previsti dal regolamento di igiene comunale
e non a alle ordinanze sulla sicurezza.
C'è, per altro, da aggiungere che il
richiamo congiunto, nell'ordinanza, alla
situazione sanitaria e alla sicurezza è
stato certamente strumentale proprio all'inapplicazione
dei rimedi previsti dal regolamento di
igiene, ammantando la questione di
inesistenti caratteri di sicurezza urbana.
La sentenza in commento aggiunge che i
sindaci possono legittimamente adottare le
ordinanze anche non contingibili e urgenti
consentite oggi dall'articolo 54 del dlgs
267/2000 non quando la situazione assuma
rilevanza solo in se stessa, come appunto la
presenza di un insediamento. Occorre,
invece, dimostrare l'insorgenza di fenomeni
di criminalità suscettibili di pregiudicare
la sicurezza pubblica. Solo in questo caso,
emergono interessi che vanno oltre le
normali competenze di polizia amministrativa
locale, tali da legittimare il sindaco, in
qualità di ufficiale di governo, ad assumere
il ruolo di garante della sicurezza
pubblica, adottando i poteri di ordinanza
previsti dalla legge. Poteri, dunque, sempre
e comunque connessi alla straordinarietà ed
imprevedibilità degli eventi. Se così non
fosse, al sindaco sarebbe stato attribuito
un potere di innovazione e regolazione
ordinario dell'ordinamento, in tutto analogo
a quello regolamentare.
Non a caso, la sentenza del Tar Lombardia si
sofferma sull'incertezza del fondamento
costituzionale alla base del nuovo tipo di
ordinanze sindacali non contingibili ed
urgenti, ritenendo necessario interpretare
la disciplina dell'articolo 54 secondo una
lettura aderente al dettato costituzionale.
Che impedisce di considerare sussistente un
potere atipico di ordinanza, ma sganciato
dalla necessità di far fronte a specifiche
situazioni contingibili di pericolo.
Infatti, se valesse la tesi opposta la legge
avrebbe attribuito in via ordinaria ai
sindaci la possibilità «di incidere su
diritti individuali in modo assolutamente
indeterminato ed in base a presupposti molto
lati suscettibili di larghissimi margini di
apprezzamento».
E sono fondamentalmente questi rilievi di
difficoltosa verifica di compatibilità tra
il potere di ordinanza attribuito ai sindaci
dal decreto-Maroni e la Costituzione che
hanno indotto il TAR Veneto, Sez. III, a
sollevare la questione di legittimità
costituzionale dell'articolo 54, comma 4,
del dlgs 267/2000, con
ordinanza 22.03.2010 n. 40, segno
di un «accerchiamento» della
giurisprudenza nei confronti dei poteri
sindacali di incidenza nel tema della
sicurezza (articolo ItaliaOggi del
09.04.2010, pag. 33). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Millantando credito presso un
pubblico ufficiale - Nozione - Delitto del
privato contro la P.A. - Reato di cui
all’art. 346 c.p. c.2° - Configurabilità
nella forma tentata - Elementi.
L'art. 346 cod. pen., com'è noto, sanziona
la condotta di chi, millantando credito
presso un pubblico ufficiale riceve o fa
dare o fa promettere, a sé o ad altri,
denaro o altra utilità, come prezzo della
propria mediazione (comma 1) ovvero come
prezzo per comprare il favore del pubblico
ufficiale o per remunerarlo (comma 2).
Trattasi di un delitto del privato contro la
pubblica amministrazione il cui retto e
imparziale funzionamento costituisce
l'oggetto della tutela. Per integrare la
fattispecie tipica, ed in particolare
l'ipotesi -ravvisata nei casi di specie
nella forma tentata- prevista dal secondo
comma dell'art. 346 (che costituisce ipotesi
autonoma di reato e non aggravante: v.
Cass., sez. VI, 20/02/2006 n. 22248, Ippaso
e altri) è irrilevante che l'iniziativa
parta dalla persona cui è richiesto di
corrispondere il danaro o l'utilità (Cass.,
sez. VI, 22/02/2005 n. 11441, Sammartano) e
neppure è richiesto che l'agente indichi
nominativamente i funzionari o impiegati che
devono essere comprati o remunerati (Cass.,
sez. VI, 27/01/2000 n. 2645, Agresti e
altro; Cass. 17/06/1999 n. 9425, Fatone)
(Corte di Cassazione, Sezz. Unite Penali,
sentenza 02.04.2010 n. 12822 -
link a www.ambientediritto.it). |
APPALTI:
Sulla legittimità dell'esclusione
di un concorrente per non conformità al
regolamento allegato al bando di gara delle
giustificazioni preventive a corredo
dell'offerta.
E' legittimo un provvedimento di esclusione
adottato nei confronti di un'impresa
concorrente per non conformità delle
giustificazioni preventive, a corredo
dell'offerta, al regolamento allegato al
bando di gara, senza previa verifica in
contraddittorio dell'eventuale anomalia.
L'art. 86, c. 5, del dlgs. n. 163/06 (Codice
dei contratti), nel testo vigente ratione
temporis, prevedendo che le offerte
siano corredate sin dalla loro presentazione
da giustificazioni, infatti, demandava al
bando o alla lettera invito la possibilità
di precisare le modalità di presentazione
delle giustificazioni, così autorizzando i
bandi anche a prevedere la sanzione di
esclusione.
La sanzione di esclusione, nel caso di
specie, appare, pertanto, ragionevole
rispondendo a esigenze di accelerazione e
semplificazione, e non è in contrasto con il
diritto comunitario.
La previsione in questione, infatti, non
esclude la garanzia della fase della
valutazione della anomalia in
contraddittorio, ma specifica la
prescrizione di cui all'art 86, c.5, citato,
prevedendo la sanzione dell'esclusione per
la sua violazione (Consiglio di Stato, Sez.
VI,
sentenza 02.04.2010 n. 1893 - link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
La p.a. non decide quando pagare.
Dal Consiglio di stato un giro di vite
contro i ritardi nella liquidazione dei
compensi ai fornitori. Vietato modificare in
modo unilaterale termini e interessi.
Sempre più strette le
maglie contro la pubblica amministrazione
lumaca nei pagamenti.
Il Consiglio di Stato, Sez. V, mediante la
sentenza 01.04.2010 n. 1885
rafforza l'orientamento secondo il quale le
amministrazioni appaltanti non possono in
via autoritativa ed unilaterale modificare i
termini di pagamento e la misura degli
interessi di mora, stabiliti dal dlgs
231/2002.
Alle disposizioni del decreto legislativo,
che ha recepito, come è noto, le
prescrizioni sulla tutela dei fornitori
disposte dall'Unione europea, è possibile
derogare, spiega palazzo Spada, non già per
atto unilaterale ed autoritativo della
stazione appaltante, ma solo per effetto di
un accordo o comunque libera accettazione
delle parti interessate.
Ma l'accordo deve essere effettivo: cioè è
necessario che la pubblica amministrazione
ponga in essere una concreta e reale
negoziazione, libera e senza imposizioni, su
termini di pagamento e quantificazione degli
interessi di mora ...
(articolo
ItaliaOggi del 09.04.2010 - link a www.corteconti.it). |
APPALTI:
Sulla legittimità dell'esclusione
di un concorrente che abbia omesso di
sottoscrivere la domanda di partecipazione
ad una gara.
E' legittimo il provvedimento di esclusione
adottato da una stazione appaltante nei
confronti di un'impresa per la mancata
sottoscrizione della domanda di
partecipazione ad una gara d'appalto, e ciò
anche nel caso in cui la suddetta domanda
rechi il timbro della società dichiarante,
ciò in quanto la mancata sottoscrizione di
un atto che costituisce uno dei documenti
integranti la domanda di partecipazione alla
gara da parte di un concorrente non integra
una irregolarità formale sanabile in corso
di esecuzione, giacché fa venir meno la
certezza della paternità e della piena
assunzione di responsabilità circa i
contenuti della dichiarazione stessa,
creando perplessità in ordine alla volontà
concreta del concorrente.
Nella fattispecie la sottoscrizione era
stata espressamente prevista a pena di
esclusione, a garanzia della completezza e
veridicità delle dichiarazioni (Consiglio di
Stato, Sez. IV,
sentenza 31.03.2010 n. 1832 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Sull'illegittimità della clausola
di un capitolato speciale che non contempli
puntualmente le caratteristiche oggettive
dell'oggetto d'appalto.
E' illegittimo l'operato di una stazione
appaltante che non abbia previsto, nel
capitolato speciale del bando di gara, le
caratteristiche oggettive dell'appalto, in
quanto siffatta omissione vìola l'art. 68,
commi 2 e 3, lett. b), del d. lgv. n.
163/2006 (Codice dei contratti), a norma del
quale le specifiche tecniche devono essere
sufficientemente puntuali da consentire alle
imprese concorrenti di determinare l'oggetto
dell'appalto, e alle stazioni appaltanti di
aggiudicare l'appalto stesso.
Ne deriva l'obbligo, in capo alla stazione
appaltante, di fissare nel bando e negli
altri documenti di gara le caratteristiche
oggettive dell'appalto, in modo da
permettere a ciascun concorrente di valutare
la convenienza dell'affidamento al fine di
formulare la migliore offerta possibile.
Nel caso di specie, è illegittima la
clausola di un capitolato speciale che
facoltizzi la stazione appaltante a
modificare il punto di raccolta dei rifiuti
oggetto del servizio di ritiro, trasporto e
smaltimento di rifiuti sanitari pericolosi,
in quanto ciò non permette al concorrente di
predeterminare i costi del servizio.
Invero, la modifica del punto di raccolta
dei rifiuti, scelto unilateralmente dalla
stazione appaltante in corso di esecuzione,
incidendo sull'oggetto della prestazione
dedotta in contratto, rende ab origine
indeterminata la prestazione stessa.
impedendo di prevedere il costo futuro del
servizio (TAR Lazio, Sez. II-ter,
sentenza 30.03.2010 n. 5045 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Sulla nullità della clausola del
bando e del disciplinare di gara nelle parti
richiedenti la presenza, nel contenuto
dell'offerta, del certificato d'iscrizione
alla C.c.i.a.a..
L'art. 3, c. 1, del d.l. 4.7.2006 n. 223,
conv. in l. 04.08.2006 n. 248, alla rubrica
"Regole di tutela della concorrenza nel
settore della distribuzione commerciale",
dispone che, ai sensi delle disposizioni
dell'ordinamento comunitario, in materia di
tutela della concorrenza e libera
circolazione delle merci e dei servizi ed al
fine di garantire la libertà di concorrenza,
secondo condizioni di pari opportunità, ed
il corretto ed uniforme funzionamento del
mercato, nonché di assicurare ai consumatori
finali un livello minimo ed uniforme di
condizioni di accessibilità all'acquisto di
prodotti e servizi sul territorio nazionale,
ai sensi dell'art. 117, c. 2, lettere e) ed
m), Cost., le attività commerciali, come
individuate nel d.lgs. 31.03.1998 n. 114,
sono svolte senza i seguenti limiti e
prescrizioni: iscrizione a registri
abilitanti ovvero possesso di soggettivi
requisiti professionali per l'esercizio di
attività commerciali, fatti comunque salvi
quelli riguardanti il settore alimentare e
della somministrazione degli alimenti e
delle bevande.
Pertanto, nel caso di specie, è nulla la
clausola del bando e del disciplinare di
gara nelle parti richiedenti la presenza,
nel contenuto dell'offerta, pure del
certificato d'iscrizione alla C.c.i.a.a. di
data non anteriore a sei mesi (Consiglio di
Stato, Sez. IV,
sentenza 30.03.2010 n. 1817 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
INCENDI BOSCHIVI -
Inedificabilità delle aree percorse dal
fuoco - Art. 1-bis d.l. n. 332/1993 -
Modifica all’art. 9, c. 4, della L. n.
47/1975 - Funzione meramente ricognitiva di
un principio immanente nell’ordinamento -
Tutela del patrimonio boschivo -
Tipizzazione urbanistica preesistente
all’evento incendiario - Irrilevanza - L. n.
353/1990.
La modifica apportata all’art. 9, c. 4,
della L. n. 47/1975 dall’art. 1-bis d.l.
30.08.1993 n. 332, convertito con l.
29.10.1993 n. 428, a mente delle cui
indicazioni “fino all’approvazione dei
piani di cui all’articolo 1, in tutte le
zone i cui soprassuoli boschivi siano stati
distrutti o danneggiati dal fuco è vietato
l’insediamento di qualsiasi tipo”,
risulta meramente ricognitiva ed esplicativa
di un principio immanente alle finalità
conclamate di tutela del patrimonio
boschivo, e cioè quello dell’assoluta
inedificabilità delle aree in questione, a
prescindere dalla loro tipizzazione
urbanistica preesistente all’evento
incendiario, siccome intesa a prevenire
fenomeni speculativi e ad assicurare la
rigenerazione del “bosco…considerato
nella sua entità unitaria di ecosistema
complesso” e la tutela del patrimonio
boschivo nazionale quale bene insostituibile
per la qualità della vita.
Non a caso la successiva normativa di
riforma (legge quadro in materia di incendi
boschivi n. 353 del 1990) esclude in radice
radice la possibilità di edificazione delle
aree percorse da incendio sulla base della
mera previsione che dette aree fossero
edificabili prima dell’evento incendiario
(art. 10, comma 1) (TAR Campania-Salerno,
Sez. II,
sentenza 25.03.2010 n. 2353 -
link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
BENI CULTURALI E AMBIENTALI -
Lavori edilizi in zone sottoposte a vincolo
paesaggistico - Cessazione di validità del
nulla osta ambientale - Decorso del termine
quinquennale - Rilevanza di eventuali fatti
impeditivi - Esclusione - Fattispecie:
sequestro del cantiere - Art. 16 r.d. n.
1537/1940.
In materia di esecuzione di lavori edilizi
nelle zone sottoposte a vincolo paesistico,
la cessazione di validità del nulla osta
ambientale si verifica automaticamente per
il solo fatto obiettivo del decorso del
termine quinquennale previsto ex art. 16 r.
d. 03.06.1940 n. 1537, senza che possano
rilevare fatti impeditivi ancorché di
carattere assoluto, quali il factum
principis o la causa di forza maggiore,
ivi compreso il sequestro del cantiere (Tar
Salerno 10.10.1997 n. 422; Cons. St. Sez. VI
n. 708 del 1997) (TAR Campania-Salerno, Sez.
II,
sentenza 25.03.2010 n. 2351 -
link a www.ambientediritto.it). |
APPALTI:
La verifica della legittimità
delle operazioni compiute dalla Commissione
di gara rientra nella competenza della
stazione appaltante.
Costituisce un obbligo per la p.a. procedere
all'incameramento della cauzione provvisoria
nel caso in cui l'impresa partecipante non
soddisfi la richiesta da parte della
stazione appaltante di comprovare il
possesso dei requisiti richiesti.
E' giurisprudenza del tutto pacifica quella
secondo cui la verifica della legittimità
delle operazioni compiute dalla Commissione
di gara rientra nella competenza della
stazione appaltante e ha lo scopo di “suggellare”
gli esiti dell’attività svolta da
quest’ultima.
La Commissione è, infatti, un organo
straordinario e temporaneo
dell'amministrazione la cui attività
acquisisce rilevanza esterna solo in quanto
recepita ed approvata dai competenti organi
della stazione appaltante Sotto altro
profilo, la “sanzione”
dell’incameramento della cauzione
provvisoria è correlata alla violazione
dell’obbligo di diligenza e dell’esatta e
veritiera produzione documentale nelle
trattative precontrattuali, che grava su
ciascun concorrente sin dalla fase di
partecipazione e di presentazione delle
offerte.
Ne consegue che nei casi in cui, come nella
fattispecie, l’impresa partecipante non
soddisfi la richiesta da parte della
stazione appaltante di comprovare il
possesso dei requisiti richiesti, detto
incameramento costituisce un obbligo per la
p.a. (TAR Lazio-Roma, Sez. I,
sentenza 19.03.2010 n. 4321 -
link a www.mediagraphic.it). |
APPALTI:
E' principio inderogabile in
qualunque tipo di gara quello secondo cui
devono svolgersi in seduta pubblica gli
adempimenti concernenti la verifica
dell'integrità dei plichi contenenti
l'offerta.
E’ principio inderogabile in qualunque tipo
di gara quello secondo cui devono svolgersi
in seduta pubblica gli adempimenti
concernenti la verifica dell'integrità dei
plichi contenenti l'offerta, sia che si
tratti di documentazione amministrativa che
di documentazione riguardante l'offerta
tecnica ovvero l'offerta economica, e
conseguentemente è illegittima l'apertura in
segreto di plichi.
La mancata pubblicità delle sedute di gara
per l'aggiudicazione di contratti con la
pubblica amministrazione comporta
l'invalidità di tutti gli atti della
procedura selettiva, compreso il
provvedimento finale di aggiudicazione,
trattandosi di adempimento posto a tutela
non solo della parità di trattamento tra i
concorrenti, ma anche dell'interesse
pubblico alla trasparenza ed
all'imparzialità dell'azione amministrativa
(TAR Lombardia-Milano, sez. I, 28.07.2008,
n. 3046) (TAR Sardegna,
sentenza 19.03.2010 n. 345 - link
a www.mediagraphic.it). |
APPALTI:
E' illegittima l'esclusione da
una gara di un'impresa che abbia presentato,
in sede di presentazione delle offerte, una
cauzione provvisoria di durata inferiore a
quella prescritta nel disciplinare di gara.
E’ illegittima
l’esclusione da una gara di un’impresa che
abbia presentato, in sede di presentazione
delle offerte, una cauzione provvisoria di
durata inferiore a quella prescritta nel
disciplinare di gara.
Nel caso in esame, il contratto fideiussorio
era stipulato su un modulo predisposto da
una sola parte e cioè dalla compagnia di
assicurazione, prevedendo una polizza con
durata di 180, inferiore ai 240 giorni
previsti nel disciplinare.
Tale clausola, proprio perché posta in
deroga a quanto previsto dal modulo
predisposto da una delle parti, non può
essere qualificata quale mera clausola di
stile, giacché da un lato non è affatto
generica atteso che prevede la maggiore
durata della garanzia con riferimento ad un
termine ben preciso determinato dal bando,
d’altro canto, ponendo una deroga alle
condizioni generali del contratto, prevale
sul contenuto del modulo.
In particolare non è dubbio che tale
clausola sia stata oggetto della volontà
negoziale delle parti atteso che essa
evidenzia una precisa volontà di deroga di
quanto previsto nel modulo prestampato della
compagnia di assicurazione estendendo la
durata della polizza oltre i 180 giorni
previsti nelle condizioni generali
predisposte dalla compagnia (Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 16.03.2010 n. 1528 -
link a www.mediagraphic.it). |
APPALTI:
Molti lavori in un unico appalto.
Il Tar Puglia ha dato il via libera
all'unione di più interventi teoricamente
separabili. Legittimo l'accorpamento per
accelerare i tempi e risparmiare.
Legittimo l'accorpamento in un unico appalto
di più interventi, anche teoricamente
scindibili; l'unicità del lotto si impone,
anche per ragioni di economicità e celerità
dell'azione amministrativa, quando vi siano
ragioni di stretto coordinamento dei lavori
da effettuare contemporaneamente e non è
tale da restringere la concorrenza.
È quanto afferma il TAR Puglia-Bari, Sez. I,
sentenza 11.03.2010 n. 891
in ordine ad un appalto bandito nell'ambito
dei settori speciali (trasporto ferroviario)
che prevedeva l'utilizzo del sistema di
qualificazione gestito da Rfi ... (articolo
ItaliaOggi del 09.04.2010 - link
a www.corteconti.it). |
APPALTI:
Contratti della p.a. - affidamento servizio
- cottimo - pubblicità - controllo
documentazione - seduta pubblica - necessità.
Ex art. 125 del d.lgs. 163/2006 si applica
anche al cottimo di importo inferiore a €
20.000,00 il principio di dare adeguata
pubblicità al procedimento: è, pertanto,
necessaria la comunicazione ai partecipanti
in ordine alla data di svolgimento della
seduta pubblica per l'esame della
documentazione (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez.
II,
sentenza
29.01.2010 n. 434). |
ESPROPRIAZIONE:
Dichiarazione p.u. - decreto esproprio -
mancata determinazione termini - legittimità
- applicazione art. 13 d.p.r. 327/2001.
Ai fini della legittimità del provvedimento
di dichiarazione di pubblica utilità è
irrilevante la specifica dei termini entro
il quale il decreto di esproprio va emanato
in quanto in tal caso in applica l'art. 13,
comma quattro, d.p.r. 327/2001 (cinque anni
dall'efficacia dell'atto di dichiarazione di p.u.) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez.
II,
sentenza
29.01.2010 n. 432). |
CONSIGLIERI COMUNALI:
Comune e provincia - Assessore comunale -
revoca incarico - discrezionalità -
opportunità politica-amministrativa -
insindacabilità.
Il provvedimento di revoca dell'incarico di
assessore comunale ha natura ampiamente
discrezionale: e la relativa motivazione può
basarsi su valutazioni di opportunità
politico-amministrativa, rimesse in via
esclusiva al Sindaco, perché avente ad
oggetto un incarico fiduciario, e, pertanto,
insindacabile in sede di legittimità, se non
per profili di manifesta irragionevolezza od
illogicità (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez.
II,
sentenza
29.01.2010 n. 431). |
APPALTI SERVIZI:
Concessione servizi -
predeterminazione criteri selettivi -
valutazione offerta - diversità.
In fattispecie di concessione di servizi, gli
elementi attinenti alla capacità del
prestatore di eseguire i servizi da affidare
-ed in particolare l'esperienza pregressa-, possono essere utilizzati unicamente ai
fini della selezione dei concorrenti e non
quali elementi di valutazione dell'offerta
in termini di affidabilità del concorrente
in quanto lesivo dei principi di trasparenza
e non discriminazione (massima
tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez.
II,
sentenza
29.01.2010 n. 430 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI:
Servizio ristorazione - offerta -
valutazione - pregio tecnico - requisiti di
ammissione - elementi di valutazione -
diversità - temperamento in rapporto ai
singoli appalti - certificazione di qualità
- indicatore di pregio - rilevanza.
La P.A. non può, in linea di principio, in
sede di valutazione delle offerte
valorizzare elementi indicativi di una
generale ed astratta capacità operativa di
impresa i quali, in sé e per sé considerati,
nulla dicano sulla maggiore o minore qualità
della prestazione, mentre potrebbe prevedere
gli stessi elementi come requisiti di
ammissione dei partecipanti.
Tale principio
va temperato in rapporto ai casi concreti,
dato che fra i possibili requisiti di
ammissione e i possibili criteri valutativi
non vi è una divisione netta, valida una
volta per tutte.
La certificazione di
qualità è un indicatore di pregio del
servizio offerto, in quanto consiste
nell'affermazione, fatta dal certificatore,
ovvero da un soggetto terzo e qualificato,
secondo la quale la ditta svolge l'attività
certificata secondo i migliori criteri
disponibili allo stato dell'arte (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez.
II,
sentenza
29.01.2010 n. 429 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Stipulazione contratto -
discrimine competenza - conclusione -
aggiudicazione definitiva.
Prima della stipulazione del contratto
(discrimine tra ambito di competenza del
giudice amministrativo e ordinario) e
comunque dell'aggiudicazione definitiva, si
controverte ancora nell'ambito del
procedimento di aggiudicazione dell'appalto
con conseguente giurisdizione del g.a. (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez.
II,
sentenza
29.01.2010 n. 428 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. Industria insalubre - intervento
sindacale - art. 216 TULS- presupposti -
eliminazione di inconvenienti igienici.
2. Industria insalubre - centro abitato -
verifica compatibilità con salute dei
residenti.
1. L'art. 216 del T.U. delle leggi
conferisce al Comune il potere di precludere
l'esercizio dell'attività insalubre,
prescindendo da situazioni di emergenza e
dall'autorizzazione rilasciata, a condizione
però che siano dimostrati, da congrua e
seria istruttoria, gli inconvenienti
igienici e che si sia vanamente tentato di
eliminarli.
2. L'insediamento di una industria insalubre
nell'ambito di centri abitati o di aree paesaggisticamente sensibili non è vietato
in assoluto, ma subordinato alla verifica di
compatibilità dell'impianto con il contesto
di riferimento: ex art. 216 comma 5, r.d. n.
1265 del 1934, è consentita la permanenza di
un'industria insalubre di prima classe
nell'abitato, allorché sia provato che il
suo esercizio, per le speciali cautele
introdotte, non rechi danno alla salute dei
residenti (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez.
II,
sentenza
29.01.2010 n. 420 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
1. Trasferimento -
incompatibilità ambientale - presupposti -
natura discrezionale- ragioni di decoro e
funzionalità - addebitabilità fatti
specifici del dipendente - non necessaria.
2. Provvedimento di trasferimento -
motivazione - condizioni legittimanti.
1. Il trasferimento d'ufficio per
incompatibilità ambientale del pubblico
dipendente non ha carattere sanzionatorio né
natura disciplinare - non postulando
comportamenti contrari ai doveri d'ufficio -
ma è condizionato solo all'apprezzamento di
fatti che possano far ritenere nociva la sua
permanenza in una determinata sede per
ragioni di decoro o di funzionalità.
Assume
quindi la finalità di ripristinare il
corretto e sereno funzionamento dell'ufficio
restituendo ad esso il prestigio,
l'autorevolezza o l'immagine perduti. Il
relativo provvedimento finale ha carattere
ampiamente discrezionale e non postula
necessariamente un diretto rapporto di
imputabilità al dipendente di specifici
comportamenti, essendo sufficiente
l'oggettiva sussistenza di una situazione
lesiva del prestigio dell'amministrazione
che sia riferibile alla presenza in loco del
soggetto in questione e suscettibile di
rimozione attraverso la sua assegnazione ad
altra sede.
2.
Il provvedimento di trasferimento deve
essere completo nella motivazione con
precisa riferibilità della situazione di
disagio dell'ufficio al comportamento del
dipendente e correlazione tra la condotta
del soggetto coinvolto e la situazione di
incompatibilità riferibile alla sua presenza
in loco, come ad esempio nei casi di
conflittualità con i superiori ed i colleghi
o di scarso inserimento nella realtà
operativa dell'ufficio. In particolare, la
giurisprudenza amministrativa ha individuato
le seguenti condizioni legittimanti detto
trasferimento:
- in fatti e/o comportamenti, anche nella
vita privata, che violino i principi
dell'onore e del decoro e che per la loro
risonanza ledano il prestigio e l'immagine
esterna dell'ufficio;
- in una condotta all'interno dell'ufficio
che nella sua sistematicità e reiterazione
pregiudichi ogni ulteriore proficua
permanenza nella sede;
- in situazioni di conflittualità palesi e/o
latenti con l'ambiente di lavoro, che
pregiudichino ogni ulteriore proficua
utilizzazione del dipendente nella sede di
assegnazione, anche per il pregiudizio che
ciò arreca alla funzionalità dell'ufficio (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez.
II,
sentenza
29.01.2010 n. 417 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. Presentazione
dell'istanza di sanatoria - Ordinanza
demolizione - Inefficace.
2. Presentazione
dell'istanza di sanatoria - riesame
dell'abusività dell'opera - Nuovo
provvedimento - Necessità.
1. La presentazione dell'istanza di
sanatoria, sia essa di accertamento di
conformità sia essa di condono, produce
l'effetto di rendere inefficace l'ordinanza
di demolizione delle opere abusive e, quindi improcedibile l'impugnazione stessa per
sopravvenuta carenza di interesse.
2.
Il riesame dell'abusività dell'opera
provocato dalla predetta istanza di
sanatoria comporta la necessaria formazione
di un nuovo provvedimento (esplicito od
implicito, di accoglimento o di rigetto) che
vale comunque a superare il provvedimento
sanzionatorio oggetto dell'impugnativa.
Infatti nell'ipotesi di rigetto dell'istanza
l'Amministrazione dovrà adottare un nuovo
provvedimento sanzionatorio, con
l'assegnazione di un nuovo termine per
adempiere.
Del pari nel caso di positiva delibazione
dell'istanza non si avrebbe più interesse
alla definizione del giudizio, essendo stato
sanato il lamentato abuso, con effetto
estintivo anche delle sanzioni acquisitive
eventualmente già adottate (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
IV,
sentenza
26.01.2010 n. 166 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
DIA - Edifici - Certificazione
energetica - Agrotecnici - Competenza - Non
sussiste.
La certificazione energetica prevista in
caso di costruzioni di nuovi edifici ovvero
di ristrutturazione e trasformazione di
edifici esistenti soggetti a DIA deve essere
rilasciata da soggetti certificati all'uopo
accreditati dalle regioni, in possesso dei
relativi requisiti (D.Lgs. n. 192/2005).
Dai
requisiti professionali di cui alla l. n.
251/1986 e dalla verifica della disciplina
professionale degli agrotecnici è evidente
come nel caso degli agrotecnici difetti una
puntuale attribuzione di competenza relativa
(o quantomeno affine) alla progettazione di
edifici ed impianti asserviti agli edifici
stessi.
Altresì, le opere di trasformazione
e miglioramento fondiario non rientrano
nella nozione di "edificio" (sistema
costituito dalle strutture edilizie esterne
che delimitano uno spazio di volume
definito, dalle strutture interne che
ripartiscono detto volume e da tutti gli
impianti e dispositivi tecnologici che si
trovano stabilmente al suo interno; la
superficie esterna che delimita un edificio
può confinare con tutti o alcuni di questi
elementi: l'ambiente esterno, il terreno,
altri edifici; il termine può riferirsi a un
intero edificio ovvero a parti di edificio
progettate o ristrutturate per essere
utilizzate come unità immobiliari a sé
stanti) di cui all'art. 2, comma 1, d.lgs.
192/2005, rispetto alla quale va rilasciata
la certificazione energetica.
Deve
aggiungersi che ai fini dell'esercizio della
specifica attività professionale, non
sussiste l'equiparabilità del diploma di
agrotecnico con quello di perito agrario, e
che l'equipollenza tra i due titoli di
studio, sancita dall'art. 3, l. 27.10.1969, n. 754 si riferisce ad una
preparazione culturale ed applicativa
analoga nel senso che tra i due corsi di
studio sono riconoscibili punti di contatto
tali da giustificare l'equiparabilità delle
conoscenze tecnico-professionali acquisite
non ad ogni fine di legge ma specificatamente
ai fini di pubblici concorsi e l'accesso ai
corsi universitari, al cui esito la
distinzione della provenienza dalle scuole
di secondo grado è assolutamente superata
dal conseguimento del diploma di laurea
(TAR Lazio, sez. II, 26.09.1995 n. 1450) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
III,
sentenza
25.01.2010 n. 141 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI:
1. Concessione distribuzione gas - scadenza
- proroga - disciplina applicabilità
2. Concessione distribuzione gas -
convenzione - facoltà di ritenzione impianti
- vincolatività - non sussiste.
1. Con l'emanazione degli artt. 15 comma
5, 6, 7, 8, d.lgs. 164/2000, art. 1 comma 69
l. 239/2004 e art. 23 comma 1 d.l. 273/2005
(convertito in l. 51/2006) il legislatore ha
voluto creare un limite di certezza
(31/12/2007) oltre il quale non è consentito
procrastinare l'attuazione dei nuovi
principi che presidiano l'attività di
distribuzione del gas nell'osservanza delle
regole concorrenziali.
In questo quadro la
facoltà di proroga per motivi di pubblico
interesse costituisce, a sua volta,
un'ipotesi residuale ed atipica da
esercitarsi discrezionalmente ed
unilateralmente dall'Ente locale.
2.
La norma convenzionale che prevede
l'esercizio della facoltà di ritenzione
degli impianti da parte del concessionario,
prevista contrattualmente sotto il vecchio
regime, non è vincolante e se ne statuisce
la cedevolezza di detta clausola nei
confronti degli interessi tutelati dalla
normativa sopravvenuta (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez.
II,
sentenza
22.01.2010 n. 218 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Abuso edilizio - D.I.A. - decorrenza del termine - potere
sanzionatorio - sussiste - Demolizione -
obbligo comunicazione preventiva - non
sussiste.
Trascorso il termine fissato dall'art. 23,
sesto comma, del DPR 06.06.2001 n. 380 l'A.C.
conserva comunque il potere di vigilare e
sanzionare, previa verifica di sussistenza
di contrasti con le norme urbanistiche in
essere, sino a giungere alla adozione anche
di provvedimenti demolitori (cfr. ex
multis CdS Sez IV, 25.11.2008 n. 5811).
In situazione di totale non conformità alle
norme urbanistiche in essere, si concretizza
un materiale abuso edilizio che dura nel
tempo finché non viene eliminato o di fatto
o giuridicamente e che perciò non può essere
reso legittimo dal solo consolidarsi, per il
decorrere del tempo, di una DIA (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez.
I,
sentenza
22.01.2010 n. 213 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. Concessione
edilizia in variante - illegittimità derivata
consolidata - Impugnative e procedimento -
Ricorso giurisdizionale - inammissibilità.
2. Edilizia ed urbanistica - comunicazione
avvio procedimento.
1. E' inammissibile, per difetto di
interesse, il ricorso avverso una
concessione edilizia in variante di altro
precedente provvedimento concessorio, quando
il nocumento derivi in via diretta dalla
concessione edilizia rilasciata per prima,
in particolare sono inammissibili i motivi
di ricorso per i quali si assume
l'illegittimità della concessione in
variante in relazione a vizi che già
sussistevano nella concessione originaria,
di talché l'eventuale illegittimità derivata
si è ormai consolidata
2.
L'avvio del procedimento preordinato al
rilascio del permesso di costruire deve
essere comunicato solo ai soggetti nei cui
confronti il provvedimento finale è
destinato a produrre effetti e non ai
proprietari di immobili confinanti con
quello oggetto di concessione edilizia, i
quali subiscono dal provvedimento unicamente
riflessi in via di mero fatto (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez.
I,
sentenza
22.01.2010 n. 212 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Pertinenza - nozione.
La nozione di pertinenza urbanistica ha
peculiarità sue proprie, che la
differenziano da quella civilistica.
Infatti, per essere riconosciuto tale, il
manufatto deve essere non solo preordinato
ad una oggettiva esigenza dell'edificio
principale e funzionalmente inserito al suo
servizio, ma deve essere anche sfornito di
autonomo valore di mercato e dotato comunque
di un volume modesto rispetto all'edificio
principale, in modo da evitare il c.d.
carico urbanistico (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez.
I,
sentenza
22.01.2010 n. 204 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Locali soppalcati - Abitabilità e
agibilità - Regolamento di igiene - Rispetto
dei requisiti - Sussiste.
Come si evince dalla documentazione in atti
(verbale di sopralluogo 17.07.1998), la
superficie occupata dal soppalco (13 mq.) è
inferiore ad un terzo della superficie
complessiva dei locali di vendita (mq. 131);
risulta, inoltre, che il soppalco presenta
nella parte inferiore un'altezza di m. 2,27
e nella parte superiore, adibita ad uso
ufficio, un'altezza di m. 2,10 e che il
rapporto aeroilluminante è "regolamentare".
Pertanto il soppalco realizzato dalla
società ricorrente rispetta i requisiti
specificamente prescritti dall'art. 3.6.0
del regolamento di igiene per rendere i
locali soppalcati abitabili ed agibili, con
la conseguente illegittimità dell'ordinanza
(che ingiunge alla società di procedere
all'effettuazione delle opere di
adeguamento) nella parte in cui contesta
alla ricorrente insussistenti difformità
rispetto alle previsioni del regolamento di
igiene (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
III,
sentenza
18.01.2010 n. 65 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI:
Affidamento Servizi - Procedura
Negoziata - rotazione fornitori - obbligo
invito a precedente gestore - non sussiste.
Alla luce dell'art. 125 del D.Lgs. n.
163/2006 e dei principi da esso desumibili e
genericamente applicabili alla procedura
negoziata, che prevedono, tra gli altri, il
criterio della "rotazione" tra gli operatori
economici in possesso dei prescritti
requisiti di idoneità e di capacità tecnico-economico-professionale,
non può essere riconosciuta, in capo al
precedente gestore di un servizio (specie se
affidatario a seguito di procedura
negoziata), alcuna pretesa qualificata ad
essere ulteriormente invitato alla
successiva procedura negoziata ovvero a
conoscere le ragioni dell'omesso invito (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez.
II,
sentenza
15.01.2010 n. 65). |
APPALTI:
Bando di gara - clausola di
esclusione automatica per documentazione
incompleta - illegittimità.
E' illegittima la clausola della legge di
gara, che preveda l'esclusione automatica in
base alla ritenuta incompletezza e non
esaustività di documenti giustificativi
preventivi, atteso che la funzione di questi
è solo quella di far avere alla stazione
appaltante una prima indicazione
relativamente alla congruità del prezzo
offerto.
Attraverso la richiesta di chiarimenti e la
verifica/valutazione degli stessi, si attua
il rispetto dei principi comunitari della
libertà di concorrenza e della par condicio
dei concorrenti, nonché di quelli della
legalità, imparzialità e buon andamento
dell'azione amministrativa, di cui all'art.
97 Cost., nell'ambito dei quali trovano
adeguata tutela anche gli interessi delle
ditte le cui offerte sono state sospettate
di anomalia (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez.
II,
sentenza
15.01.2010 n. 58 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Procedimento amministrativo - Termini di
conclusione - natura acceleratoria.
Il termine di 30 giorni previsto
dall'art. 2, comma 3, l. n. 241 del 1990 per
la conclusione dei procedimenti
amministrativi ha natura meramente acceleratoria la cui scadenza, in assenza di
previsioni di perentorietà, non comporta la
decadenza della potestà amministrativa né
l'illegittimità del provvedimento adottato
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez.
II,
sentenza
15.01.2010 n. 57 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Motivazione - Conoscibilità
percorso logico - Necessità -
Incomprensibilità - Anche per errori di
battitura - Illegittimità.
E' illegittimo il provvedimento la cui
motivazione, per ragioni non conosciute, e
con ogni probabilità riconducibili ad un
errore di battitura del testo, sia priva di
significato letterale, e non consente quindi
di comprendere quale percorso logico abbia
condotto all'annullamento della delibera
oggetto di controllo (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez.
II,
sentenza
15.01.2010 n. 44 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Condono edilizio - Diniego - In
caso di modifiche - Illegittimità -
Valutazione delle opere condonabili -
Necessità.
E' illegittimo il diniego di condono
edilizio in relazione ad un opera (nel caso
di specie portico aperto) successivamente
modificata (nel caso di specie tamponature
con porte e finestre, di carattere non
precario, sia pure facilmente amovibili
perché avvitate al portico con semplici
perline): l'amministrazione avrebbe dovuto
invece disporre la demolizione della parte
di abuso per cui non era stata presentata
alcuna istanza di condono (il tamponamento)
e -contemporaneamente o separatamente-
decidere circa la condonabilità, alla luce
dei presupposti previsti dal d.l. 269/03,
dell'abuso per cui era stata presentata la
istanza (il portico aperto) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez.
II,
sentenza
15.01.2010 n. 40). |
EDILIZIA PRIVATA:
D.I.A. - Decorrenza
del termine - Potere iniborio - Non è
ammesso - Annullamento in autotutela - E'
ammesso.
Lo schema dei poteri spettanti all'autorità
comunale a seguito della presentazione della
d.i.a. presenta, infatti, una bipartizione
di regime: nei primi 30 gg. decorrenti dalla
data di presentazione della denuncia il
Comune può intervenire con il potere
inibitorio dell'attività edilizia che
impedisce il perfezionarsi della fattispecie
della d.i.a.; decorso tale termine, invece,
tale potere può svolgersi soltanto nelle
forme del provvedimento di autotutela, e
quindi seguendo differenti presupposti (in
tema di motivazione sull'interesse pubblico)
e procedure (comunicazioni ex artt. 7 e
10-bis l. 241/1990) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez.
II,
sentenza
15.01.2010 n. 30 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Condono edilizio - Silenzio-assenso - Sussistenza dei
presupposti di accoglibilità - Necessità.
Il principio del silenzio-assenso in materia
di condono edilizio stabilisce che perché
esso si formi è necessario che sussistano
comunque i presupposti di accoglibilità
della domanda e cioè che il manufatto
abusivo sia stato realizzato al momento
della domanda stessa, che la medesima non
sia dolosamente infedele e che non
sussistano sull'area su cui è sorto il
manufatto abusivo vincoli di inedificabilità (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez.
I,
sentenza
15.01.2010 n. 28 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
P.R.G. - Adozione - Attribuzione
di capacità edificatoria - Modifiche -
Affidamento - Non sussistenza - Motivazione
specifica - Non necessità.
In caso di attribuzione della facoltà
edificatoria alla area avvenuta soltanto con
la adozione del piano, e quindi con un atto
amministrativo ancora in attesa di
consolidarsi a seguito della conclusione
della procedura amministrativa di
approvazione del piano, gli interessi del
privato non rientrano tra gli interessi
qualificati (stipula di una convenzione di
lottizzazione, annullamento con sentenza
passata in giudicato di diniego di
concessione edilizia, reiterazione di un
vincolo espropriativo scaduto), che
impongono all'amministrazione l'obbligo di
motivare in modo specifico sul superamento
degli stessi.
Le modifiche adottate in un
piano migliorative della potenzialità
edificatoria di un fondo, infatti, a
differenza di quelle in peius, non
entrano in vigore fino al perfezionamento
del piano, ne consegue che l'affidamento
della ricorrente sull'edificabilità
dell'area oggetto di giudizio era ancora più
debole di quello, a sua volta superabile, di
cui ordinariamente godono i proprietari di
fondi che hanno goduto in concreto della
possibilità di edificare (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez.
I,
sentenza
15.01.2010 n. 27 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Costruzione - Nozione -
Infissione al suolo - Non rilevanza -
Temporaneità - Necessita - Trasformazione
permanente del suolo - Sufficienza - Titolo
abitativo - necessità.
Ai fini della ricorrenza del requisito della
precarietà di una costruzione, che esclude
la necessità del rilascio di un titolo
edilizio, si deve prescindere dalla
temporaneità della destinazione
soggettivamente data al manufatto dal
costruttore e si deve, invece, valutare
l'opera medesima alla luce della sua
obbiettiva ed intrinseca destinazione
naturale, con la conseguenza che rientrano
nella nozione giuridica di costruzione, per
la quale occorre la concessione edilizia,
tutti quei manufatti che, anche se non
necessariamente infissi nel suolo e pur
semplicemente aderenti a questo, alterino lo
stato dei luoghi in modo stabile, non
irrilevante e non meramente occasionale.
Il
principio è ora codificato anche nella
legislazione nazionale e regionale, ove è
specificato che rientrano nel novero delle
nuove costruzioni, anche l'installazione di
manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di
strutture di qualsiasi genere, quali roulottes, campers, case mobili,
imbarcazioni, che siano utilizzati come
abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come
depositi, magazzini e simili e che non siano
diretti a soddisfare esigenze meramente
temporanee e la realizzazione di depositi di
merci o di materiali, la realizzazione di
impianti per attività produttive all'aperto
ove comportino l'esecuzione di lavori cui
consegua la trasformazione permanente del
suolo inedificato (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez.
I,
sentenza
15.01.2010 n. 24 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Ricorso amministrativo - Controinteressato -
Individuazione - Criterio.
Il riconoscimento della qualità di
controinteressato postula la compresenza di
due requisiti: da un lato, deve trattarsi di
soggetto contemplato nel provvedimento
impugnato, o comunque agevolmente
identificabile sulla base di esso;
dall'altro, occorre che sia titolare di un
interesse concreto e attuale alla
conservazione di detto provvedimento,
interesse sostanzialmente speculare
all'interesse legittimo che muove il
ricorrente, e -quindi- che da tale
provvedimento egli derivi un vantaggio
immediato (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
IV,
sentenza
13.01.2010 n. 41 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Nozione giuridica di costruzione
- Concessione edilizia - Necessità.
Rientrano nella nozione giuridica di
costruzione, per la quale occorre la
concessione edilizia, tutti quei manufatti
che, anche se non necessariamente infissi
nel suolo e pur semplicemente aderenti a
questo, alterino lo stato dei luoghi in modo
stabile, non irrilevante e meramente
occasionale (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
IV,
sentenza
13.01.2010 n. 35 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Concessione di costruzione -
Pertinenza urbanistica - Nozione.
La nozione di pertinenza urbanistica
sottoposta in quanto tale al regime
autorizzatorio in luogo di quello
concessorio, ha peculiarità proprie che la
distinguono da quella civilistica: il
manufatto deve essere non solo deve essere
preordinato ad un'oggettiva esigenza
dell'edificio principale e funzionalmente
inserito al suo servizio, ma deve essere
anche sfornito di un autonomo valore di
mercato e dotato comunque di un volume
modesto rispetto all'edificio principale in
modo da evitare il cosiddetto aumento del
carico urbanistico (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
IV,
sentenza
13.01.2010 n. 28 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
1. Gara - esclusione automatica delle
offerte ex art. 122 D.Lgs 163/2006 -
Riferimento palese - Necessità.
2. Contratti della p.a. - Aggiudicazione -
Annullamento - Contratto stipulato - E'
caducato - Rinnovazione della gara -
Necessità.
1.
La stazione appaltante può intraprendere
la procedura di esclusione automatica delle
offerte ai sensi dell'art. 122 del D. Lgs.
163/2006 solamente facendolo risultare dal
bando in modo inequivoco, ossia con
riferimento palese a tale disposizione
2. L'annullamento dell'aggiudicazione è
costitutivo di un vincolo permanente e
puntuale sulla successiva attività
dell'amministrazione, il cui contenuto non
può prescindere dall'effetto caducatorio del
contratto stipulato.
In sede di esecuzione
della sentenza, pertanto, l'amministrazione
non può non rilevare la sopravvenuta caducazione del contratto conseguente
all'annullamento dell'aggiudicazione,
pertanto, anche nell'emanare i provvedimenti
ulteriori che conseguono all'effetto
caducatorio dell'annullamento
dell'aggiudicazione della gara,
l'amministrazione deve tenere conto dei
principi enunciati nella sentenza di
annullamento e delle conseguenze giuridiche
determinate dal suo contenuto ed orientare
conseguentemente la sua ulteriore azione: in
definitiva la stazione appaltante è tenuta a
disporre la rinnovazione parziale della
gara, sottoponendo a verifica l'offerta
sospettata di anomalia e, in caso di esito
positivo per la ricorrente, a trarre le
conseguenze sopra descritte sulla sorte del
contratto già stipulato con la
controinteressata (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez.
II,
sentenza
11.01.2010 n. 16 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Zona vincolata - condizione.
La condizione per ammettere la costruzione
di edifici in zone vincolate (paesaggisticamente) non consiste
nell'impatto zero sullo stato dei luoghi e
sul contesto panoramico ma
nell'individuazione di un rapporto
accettabile tra l'edificazione e la perdita
delle caratteristiche ambientali
preesistenti (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez.
I,
sentenza
11.01.2010 n. 9 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. Demolizione
comunicazione avvio del procedimento.
2. Attività edilizia - denuncia
di inizio attività disciplina sanzionatoria.
1. L'avviso di avvio del procedimento non è
dovuto nel caso di procedimento volto
all'irrogazione della sanzione della
demolizione edilizia, in ragione del
carattere doveroso e del contenuto vincolato
di tale atto, tanto più in considerazione
della consequenziale sua intangibilità ai
sensi dell'art. 21-octies L. 241/1990
introdotta dalla L. n. 15 del 2005
2. Gli interventi edilizi individuati
dall'art. 10 del DPR n. 380/2001 -pur potendo
essere facoltativamente realizzati con D.I.A.-
restano sottoposti alla disciplina
sanzionatoria delle opere soggette a
permesso di costruire: la disciplina
sanzionatoria è tendenzialmente indifferente
rispetto alla tipologia del titolo
abilitativi, che resta ancorata alla
concreta consistenza dell'intervento posto
in essere, senza che possano rilevare in
contrario le scelte operate dalle leggi
regionali sulla latitudine da riconoscere
alla DIA in alternativa al rilascio del
permesso di costruire (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez.
I,
sentenza
11.01.2010 n. 6 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
1. Piano di
lottizzazione - convenzione - oneri -
obbligazione propter rem.
2. Piano di
lottizzazione - convenzione - oneri - sinallagmaticità - non sussiste.
3. Lottizzazione -
convenzione - oneri - cartella esattoriale -
giudice competente.
1. L'avente causa del lottizzante assume
tutti gli oneri a carico di quest'ultimo in
sede di convenzione di lottizzazione,
compresi quelli di urbanizzazione ancora
dovuti in quanto l'assunzione a carico del
proprietario degli oneri relativi alle opere
di urbanizzazione primaria- cui a norma del
comma 5 n. 2 dell'art. 8 della L. 06.08.1967
n. 765, è subordinata l'autorizzazione per
la lottizzazione - costituisce, secondo il
comma 7 dell'art. 8, una obbligazione propter rem, che va adempiuta non solo da
colui che tale convenzione ha stipulato, ma
anche da colui, se soggetto diverso, che
richiede la concessione edilizia
2. Le convenzioni di lottizzazione hanno lo
scopo di precisare gli obblighi che il
privato si assume unilateralmente, in
adempimento di un precetto di legge ed in
conformità agli strumenti urbanistici, senza
che si instauri alcun vincolo di sinallagmaticità: nel sistema risultante dal
combinato disposto dell'art. 28, quarto
comma n. 1), della legge 17.08.1942, n. 1150 e
dagli artt. 3 e 5 della legge 28.01.1977, n.
10, non è rinvenibile un principio che dia
titolo al soggetto che ha stipulato una
convenzione urbanistica con il Comune di non
corrispondere al medesimo (in denaro, in
aree cedute o in opere di urbanizzazione
realizzate), beni di valore complessivamente
superiore a quanto dovuto per oneri di
urbanizzazione primaria e secondaria ai
sensi dell'art.10 della legge n. 10 del 1977
e, conseguentemente, in virtù della
convenzione, il privato è obbligato ad
eseguire puntualmente tutte le prestazioni
ivi assunte, a nulla rilevando che queste
possano eccedere originariamente o
successivamente gli oneri di urbanizzazione
3.
La cartella esattoriale, essendo strumento
in cui viene enunciata una pregressa
richiesta di natura sostanziale, senza
alcuna autonomia, deve essere impugnata
dinanzi al giudice competente a decidere in
ordine al rapporto cui la cartella stessa è
funzionale, a nulla valendo che l'atto non
contenga una puntuale indicazione della
fonte del credito fatto valere. Nella specie
la cognizione della controversia attinente
la richiesta, mediante cartella esattoriale,
di pagamento del contributo per gli oneri di
urbanizzazione e conseguenti sanzioni,
appartiene alla giurisdizione esclusiva del
giudice amministrativo, prevista dall'art.
16 l. 28.01.1977 n. 10 (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez.
I,
sentenza
11.01.2010 nn. 3 -
4 -
5 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI:
Strade pubbliche e private - strade vicinali
- uso pubblico - polizia demaniale -
autotutela - limite.
In materia di polizia demaniale, ex art. 823
c.c., l'amministrazione dispone di un potere
alternativo sia ai mezzi ordinari di difesa
della proprietà sia ai mezzi ordinari di
difesa del possesso, e può qualificarsi
tanto come possessore dei beni demaniali
quanto come proprietario degli stessi
(ovvero come titolare dei diritti
demaniali), con facoltà, in questa seconda
ipotesi, di adottare e far eseguire
provvedimenti che mirano al recupero dei
beni, o alla tutela dei diritti, senza
incontrare i limiti temporali e sostanziali
previsti per le azioni possessorie: il vero
limite dell'autotutela da parte della
pubblica amministrazione è costituito dalla
sdemanializzazione tacita (massima
tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez.
I,
sentenza
11.01.2010 n. 1 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Opere di recinzioni -
Provvedimento concessorio - Quando è
richiesto.
La valutazione in ordine alla necessità
della concessione edilizia per la dimensione
di opere di recinzioni va effettuata sulla
scorta dei seguenti due parametri: natura e
dimensioni delle opere e loro destinazione e
funzione; in base a tale criterio, dunque,
non è necessario il permesso per costruire
per modeste recinzioni di fondi rustici
senza opere murarie, e cioè per la mera
recinzione con rete metallica sorretta da
paletti di ferro o di legno senza muretto di
sostegno, in quanto entro tali limiti la
recinzione rientra tra le manifestazioni del
diritto di proprietà che comprende lo jus
excludendi alios o comunque la
delimitazione e l'assetto delle singole
proprietà (massima tratta da www.solom.it -
TAR Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 29.12.2009 n. 6266 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Sanzioni amministrative -
Applicabilità dell'art. 28 della legge
689/1981 - Prescrizione quinquennale.
Il termine di prescrizione per le sanzioni
amministrative in materia edilizia è quello
di cui all'art. 28 della legge 689/1981 (in
forza della quale: Il diritto di
riscuotere le somme dovute per le violazioni
indicate dalla presente legge si prescrive
nel termine di cinque anni dal giorno in cui
è stata commessa la violazione) e quindi
un termine di cinque anni (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
IV,
sentenza
29.12.2009 n. 6265 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
1. Aggiudicazione di contratti pubblici -
Avvisi di avvio del procedimento nel corso
della procedura per ogni tipologia di
provvedimento - Non occorre.
2. Prescrizioni contenute negli atti delle
procedure concorsuali - Dovere di osservanza
da parte dei concorrenti - Inosservanza -
Esclusione.
1. I procedimenti volti all'aggiudicazione
dei contratti pubblici hanno carattere
unitario, e tutti i provvedimenti adottati
dalle stazioni appaltanti in tale ambito
scaturiscono quindi dall'unica procedura
amministrativa instaurata; ne discende che
non occorre inviare singoli avvisi di avvio
del procedimento per ogni tipologia di
provvedimento che l'amministrazione intende
adottare nel corso dell'espletamento della
procedura, giacché i partecipanti alla gara,
in quanto tali, sanno ovviamente che la
procedura è in corso, e sanno anche che,
accanto al provvedimento finale di
aggiudicazione, possono scaturire dal
procedimento altre figure provvedimentali,
quali gli eventuali atti che dispongono
l'esclusione di singoli concorrenti le cui
offerte non siano confacenti agli atti di
gara (cfr. Consiglio Stato, sez. V, 19.03.2001, n. 1642; TAR Campania
Napoli, sez. I, 05.08.2004 , n. 11089)
2. Le prescrizioni contenute negli atti
delle procedure concorsuali, che individuano
le caratteristiche essenziali del bene
oggetto del futuro contratto da stipularsi
con la pubblica amministrazione, debbono
essere necessariamente rispettate dai
concorrenti di gara e determinano, in caso
di loro inosservanza, l'esclusione del
partecipante, anche quando il bando o la
lettera di invito non dispongono
espressamente in tal senso.
La ragione
sottesa a questa disciplina è che tali
prescrizioni, da un lato, proprio perché
tese a delimitare l'oggetto della
prestazione che l'amministrazione si
attende, sono intima espressione
dell'interesse che quest'ultima intende
soddisfare con il contratto (e che solo essa
può definire ed apprezzare), di tal ché
l'offerta di una prestazione a loro non
conforme determinerebbe il mancato
soddisfacimento di quell'interesse;
dall'altro lato, è ovvio che se si
ammettesse che un partecipante alla gara
possa offrire prodotti con caratteristiche
diverse da quelle indicate negli atti della
procedura, verrebbe violato il principio
della par condicio dei concorrenti.
Ne
consegue che è addirittura precluso
all'amministrazione di formulare giudizi di
equipollenza (cfr. TAR Sicilia Catania,
sez. III, 06.09.2006, n. 1383; id, 05.04.2006, n. 531; TAR Veneto,
sez. I, 18.07.2003 , n. 3818) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
III,
sentenza
29.12.2009 n. 6235 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. Beni ambientali - annullamento autorizzazione paesistica -
comunicazione avvio del procedimento - art.
21-octies L. 241/1990.
2. Piano attuativo in zona vincolata -
giudizio di compatibilità - autorizzazione
ex art. 7 L. 1497/1999 per i singoli
interventi - esclusione.
1. L'amministrazione che contesti la
possibilità di pronunciare l'annullamento
dell'atto impugnato sulla base di quanto
previsto dall'art. 21-octies della L. n.
241, come introdotto dalla L. n. 15 del
2005, sostenendo che anche in caso di invio
della comunicazione di avvio del
procedimento, l'apporto del privato non
sarebbe stato in grado di scalfire le
ragioni dell'annullamento, deve fornire una
prova particolarmente rigorosa che il
provvedimento non avrebbe potuto essere
diverso.
Con la conseguenza che nel caso in
cui l'Amministrazione si sia limitata a
sostenere tale impossibilità, sulla base di
considerazioni astratte circa l'inutilità
della comunicazione di avvio del
procedimento di annullamento di
un'autorizzazione paesaggistica, non
aggiungendo nulla concretamente circa
l'effettiva impossibilità dell'adozione di
differente provvedimento anche in caso di
partecipazione del privato, non si deve
ritenere assolto l'onere probatorio
richiesto dal suddetto art. 21-octies.
2. Qualora la compatibilità della
lottizzazione con le esigenze di tutela
della zona vincolata sia stata valutata
nelle sue linee generali nell'ambito del
procedimento di approvazione del piano
attuativo del comparto (cui peraltro la
legge regionale attribuiva anche valenza
paesaggistica, come si desume dalle
disposizioni contenute negli artt. 15 e 16
della L.R. n. 14/1984), il Comune non deve
ripetere tale giudizio di
compatibilità ogniqualvolta sia chiamato a
rilasciare la autorizzazione ex art. 7 L. n.
1497/1999 per i singoli interventi di
edilizia contemplati dalla lottizzazione.
Diversamente anche i piani attuativi
sarebbero (di fatto) assoggettati al regime
della autorizzazione paesaggistica, senza
che ciò trovi riscontro nella legislazione
regionale lombarda la quale non subordina
l'approvazione dei piani di attuazione,
anche in ambito vincolato, al rilascio della
autorizzazione ex art. 7 cit. (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez.
I,
sentenza
29.12.2009 n. 2649 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Ordinanza contingibile e urgente - obbligo
di custodia di cani.
Il potere di ordinanza contingibile e
urgente del Sindaco riguarda tutti i casi di
pericolo, latamente inteso, per l'incolumità
pubblica, e quindi è strumento aggiuntivo
agli altri previsti all'ordinamento per
fronteggiare singole situazioni di pericolo.
Rientra in tali casi l'ordinanza contingibile
e urgente del Sindaco, con la quale si
impone al proprietario di un cane (a
prescindere dalla qualificazione del cane
interessato come pericoloso o no, ma
comunque tale da destare allarme) di
custodire l'animale con "ogni debita
cautela", e in particolare con "uso
congiunto di museruola e guinzaglio al di
fuori dell'ambito domestico" (nella
specie il ricorrente aveva dedotto
l'incompetenza del sindaco ad adottare un
siffatto provvedimento, che spetterebbe
invece ai servizi veterinari dell'ASL) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez.
II,
sentenza
28.12.2009 n. 2638). |
EDILIZIA PRIVATA:
Infrastrutture di
telecomunicazione - Sospensione dei lavori - Sine die - Carenza assoluta di potere -
Nullità.
L'ordinamento conosce un solo tipo di
sospensione dei lavori in materia edilizia,
che è prevista dall'art. 27 D.P.R. 380/2001, pertiene ai poteri del Comune in materia di
controllo del territorio (ed, in quanto
tale, è applicabile anche alle
infrastrutture di telecomunicazione che non
sono sottratte alla vigilanza
urbanistico-edilizia, essendo diversamente
disciplinato solo il regime dei titoli
edilizi di cui si devono dotare), ed ha la
durata di 45 gg., al termine dei quali cessa
di efficacia se non è stato emesso
pedissequo ordine di demolizione.
Deve
pertanto ritenersi emesso in carenza
assoluta di potere la conferma dell'ordine
di sospensione oltre il suddetto termine,
non essendo consentito al Comune di
prorogare una sospensione lavori sine die (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez.
II,
sentenza
28.12.2009 n. 2626). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. Cave, miniere e
torbiere - Autorizzazione regionale -
Compatibilità urbanistica - Necessità.
2. Piano
Territoriale di Coordinamento Provinciale -
Piano provinciale delle cave - Disposizioni
contrastanti - Prevale il Piano Territoriale
di Coordinamento Provinciale - Eccezione ex
art. 10, co. 1, ultimo periodo L.R. 14/1998 -
Motivazione - Necessità.
1. L'attività di cava non può ritenersi
estranea all'attività edilizia, posto che
l'art. 3, co. 1, lett. e.7), D.P.R. 380/2001
[e
l'art. 27, co. 1, lett. e), n. 7), L.R.
12/2005] nelle definizioni degli interventi
edilizi contempla anche le attività
produttive all'aperto ove contemplino
l'esecuzione di lavori che comportino la
modificazione del suolo inedificato.
Il
fatto che non occorra anche il titolo autorizzatorio comunale sotto il profilo
urbanistico ed edilizio non significa che
l'attività estrattiva possa essere svolta
anche in contrasto con la disciplina
urbanistica, ma semplicemente che la
valutazione di tale conformità non spetti al
comune tramite il rilascio del titolo
edilizio, ma debba entrare a far parte del
procedimento regionale di autorizzazione
all'esercizio di cava, nell'ambito del
quale, anche tramite l'intervento in
funzione consultiva del comune interessato,
deve valutarsi la compatibilità urbanistica
dell'intervento.
L'attività di apertura e
coltivazione di cava, pur non richiedendo il
preventivo rilascio della concessione
edilizia, non essendo subordinata al
preventivo controllo dell'autorità comunale,
deve comunque svolgersi nel rispetto della
pianificazione territoriale comunale,
configurandosi, in difetto, ovvero in caso
di svolgimento della stessa in zona non
consentita, la violazione dell'art. 20, lett.
a), l. 28.02.1985 n. 47 - norme in
materia di controllo dell'attività urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e
sanatoria delle opere edilizie.
2. Il PTCP ha una funzione di coordinamento
dei piani di settore regionali con delega
provinciale, e tra questi anche del piano
cave.
Il rapporto tra PTCP e piano
provinciale delle cave non è di
equiordinazione, o di separazione delle
sfere di competenza, ma è nel senso
dell'attribuzione al PTCP di un potere di
coordinamento sugli strumenti di piano di
settore, che deve indirizzare le scelte
contenute nel piano provinciale delle cave.
Questo potere di coordinamento ed indirizzo
del PTCP rispetto al piano cave trova la sua
fonte nella norma attributiva di potere
dell'art. 2 l.r. 12/2005.
In caso di
previsioni del piano provinciale delle
attività estrattive che contrastino con il PTCP, è destinato a prevalere il PTCP per
effetto delle norme generali dell'art. 2
l.r. 12/2005 e dell'art. 3 l.r. 14/2008, salvo
che si versi nell'ipotesi speciale prevista
dall'art. 10, co. 1, ultimo periodo, l.r.
14/1998, che prevede la possibilità che il
piano cave detti una disposizione
derogatoria dell'ordine normale delle
competenze, disposizione che però deve
essere motivata ed espressa (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez.
I,
sentenza
28.12.2009 n. 2616 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Pertinenza -
Nozione ex art. 7, cpv. lett. a), L. 94/1982 -
Chiusura con muratura di un terrazzo con
ampliamento di superficie e volumetria - Non
è tale.
La nozione di pertinenza urbanistica ha
peculiarità sue proprie, che la
differenziano da quella civilistica, dal
momento che il manufatto deve essere non
solo preordinato ad una oggettiva esigenza
dell'edificio principale e funzionalmente
inserito al suo servizio, ma deve essere
anche sfornito di autonomo valore di mercato
e dotato comunque di un volume modesto
rispetto all'edificio principale, in modo da
evitare il c.d. carico urbanistico.
Pertanto, non può ricondursi alla nozione di
pertinenza urbanistica l'ampliamento di un
edificio che costituisce parte integrante o
costitutiva dello stesso, difettando in tal
caso la relazione di servizio,
indispensabile per l'identificazione del
rapporto pertinenziale.
In particolare, è escluso che la chiusura
con muratura del terrazzo posto a livello di
un appartamento, con ampliamento di
superficie e di volumetria, rientri nella
nozione di pertinenza ex art. 7, capoverso,
lett. a), l. 25.03.1982, n. 94 (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez.
I,
sentenza
28.12.2009 n. 2615 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Istanza del privato - Obbligo
dell'Amministrazione di pronunciarsi.
Indipendentemente dall'esistenza di
specifiche norme che impongano ai pubblici
uffici di pronunciarsi su ogni istanza, non
palesemente abnorme dei privati, non può
dubitarsi che, in regime di trasparenza e
partecipazione, il relativo obbligo sussiste
ogniqualvolta esigenze di giustizia
sostanziale impongano l'adozione di un
provvedimento espresso, in ossequio al
dovere di correttezza e buona
amministrazione, in rapporto al quale il
privato vanta una legittima e qualificata
aspettativa ad un'esplicita pronuncia (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
IV,
sentenza
23.12.2009 n. 6186 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ESPROPRIAZIONE:
1.
Occupazione appropriativa - art. 43 D.P.R.
327/2001 - Accertamento presupposti -
Consiglio comunale - Competenza.
2.
Occupazione appropriativa - art. 43 D.P.R.
327/2001 - Diritto di partecipazione del
proprietario - Sussiste.
3.
Occupazione appropriativa - art.43 D.P.R.
327/2001 - Tutela risarcitoria.
1. L'accertamento della sussistenza dei
presupposti per l'acquisizione al patrimonio
indisponibile dei beni occupati per la
realizzazione di un'opera pubblica si pone
come fonte di una vicenda traslativa del
diritto di proprietà relativa a beni
immobili che, in quanto tale, rientra nella
competenza del Consiglio comunale.
Se
l'occupazione è avvenuta senza la
preordinata dichiarazione della pubblica
utilità non può ritenersi sussistere un
potere ablatorio e la fattispecie deve
essere ricondotta ad un ipotesi di illecito
sanabile mediante un acquisto della
proprietà nei modi previsti dall'art. 43 del
D.P.R. 327/2001.
L'opzione per il ricorso alla
procedura sanante non può essere qualificata
come atto meramente esecutivo di indirizzi
già espressi e deve, perciò, configurarsi a
pieno come manifestazione della volontà di
addivenire all'acquisizione del bene, in
quanto tale riconducibile alla competenza
del Consiglio comunale.
2. Atteso l'alto tasso di discrezionalità
che caratterizza l'esercizio della funzione
amministrativa correlata all'acquisizione di
cui all'art. 43 D.P.R. 327/2001 e considerata
la particolare rilevanza che ha assunto nel
nostro ordinamento il garantire la
partecipazione al procedimento, a
prescindere dalla mancata espressa
previsione della norma, l'avvio del
procedimento in esame deve essere preceduto
da un'idonea comunicazione, che assicuri al
proprietario tempi e modi per instaurare il
contradditorio con l'Amministrazione.
La
partecipazione del proprietario deve,
quindi, essere garantita già nella fase
dell'adozione dell'atto in cui si valuta la
sussistenza dell'interesse pubblico, sia
perché è in tale fase che il contributo
partecipativo del proprietario (tanto più
rilevante quanto si consideri l'elevato
grado di discrezionalità riconosciuto
all'Amministrazione) risulta essere
maggiormente utile, sia perché è
l'accertamento della sussistenza
dell'interesse pubblico al mantenimento
dell'opera ad essere lesivo della posizione
giuridica del proprietario, ponendosi lo
stesso come fondamento dell'esercizio del
potere di adozione del provvedimento.
3.
La pendenza del giudizio petitorio non
esclude l'ammissibilità dell'adozione, in
linea di principio, del provvedimento ex
art. 43 D.P.R. n.327/2001, tant'è che la
stessa norma prevede il ricorso all'istituto
disciplinato anche nel caso di assenza
originaria di dichiarazione di pubblica
utilità.
Deve, quindi, ritenersi fondata la domanda
risarcitoria del privato, tesa all'integrale
soddisfo dei danni subiti per la perdita del
bene a fronte dell'illegittimità
dell'occupazione e dell'utilizzazione del
suolo da parte della P.A.: gli effetti di
tale tutela risarcitoria devono comunque
essere differiti all'emissione da parte
della P.A. di un formale provvedimento
acquisitivo, da emanarsi ai sensi del
combinato disposto dei commi 1 e 3 dell'art.
43 del D.P.R. n. 327/2001, fatta salva
l'eventuale scelta di restituire la
disponibilità dei fondi, non escludibile a
priori, atteso che l'acquisto della
proprietà deve essere adeguatamente motivato
dalla permanenza di un interesse pubblico
prevalente in tal senso (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez.
II,
sentenza
23.12.2009 n. 2607 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
1. Bando - Requisiti
soggettivi - Impugnazione immediata -
Necessità.
2. Bando - Requisiti
soggettivi - Associazione professionale -
Imprenditore legittimato a partecipare alle
pubbliche.
3. Gara -
Annullamento in s.g. - Inefficacia del
contratto stipulato - Rinnovo del
procedimento dal suo inizio.
1. Del bando vanno immediatamente impugnate
le clausole che riguardano i requisiti
soggettivi dei partecipanti, e quindi li
ammettono o escludono in via diretta dalla
gara
2. Si intende per imprenditore qualsiasi
soggetto che eserciti attività economica, a
prescindere dal suo stato giuridico e dalle
sue modalità di finanziamento, intendendosi
per attività economica quella con scopo di
lucro ovvero quella che, pur senza scopo di
lucro, si pone sul mercato in concorrenza
con quelle lucrative.
Quindi va ritenuta
imprenditore legittimato a partecipare alle
pubbliche gare anche un'associazione
professionale, che senza dubbio offre sul
mercato un particolare servizio ed esercita
attività economica, nel senso che si propone
di ricavarne un utile.
3. In caso di annullamento degli atti di
gara l'amministrazione nel prosieguo della
propria attività dovrà tener conto
dell'inefficacia del contratto già
stipulato, ed ove non lo faccia potrà
esservi costretta in sede di ottemperanza.
Trattandosi di gara con il metodo
dell'offerta economicamente più vantaggiosa
ed essendo già state aperte, come da verbali
di gara successivi, le offerte dei
concorrenti, l'amministrazione dovrà
rinnovare il procedimento di gara dal suo
inizio, in base al bando originario (massima
tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez.
II,
sentenza
23.12.2009 n. 2606 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ESPROPRIAZIONE:
Occupazione temporanea e
d'urgenza - Non corretta quantificazione
dell'indennità di espropriazione -
Irrilevanza.
L'eventuale non corretta quantificazione
dell'indennità di espropriazione, da farsi
valere esclusivamente mediante il
procedimento per la determinazione
definitiva e l'eventuale opposizione avanti
alla Corte d'Appello territorialmente
competente, non può inficiare la legittimità
del provvedimento di occupazione d'urgenza (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez.
II,
sentenza
23.12.2009 n. 2603 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Diritto di accesso - Limitazione dei
soggetti attivi del diritto - Limitazione
dell'oggetto della richiesta - Richiesta di
documenti specifici.
Il diritto di accesso ai documenti
amministrativi, come è noto, è posto a
garanzia della trasparenza ed imparzialità
della P.A. e trova applicazione in ogni
tipologia di attività della P.A.
Occorre,
peraltro, ricordare che il principio della
trasparenza amministrativa accolto dal
nostro ordinamento non è affatto assoluto e
incondizionato, ma subisce alcuni
temperamenti, basati, fra l'altro, sulla
limitazione dei soggetti attivi del diritto
di accesso, questione quest'ultima che
involge i profili della legittimazione
sostanziale ed dell'interesse ad agire.
Ulteriori effetti limitativi discendono
dalla corretta individuazione dell'oggetto
della richiesta di ostensione, il quale deve
essere determinato o quanto meno
determinabile, e non può essere generico (C.
Stato. n. 555/2006).
La domanda di accesso,
inoltre, deve riferirsi a specifici
documenti e non può pertanto comportare la
necessità di un'attività di elaborazione di
dati da parte del soggetto destinatario
della richiesta (C. Stato, sez. VI,
20-05-2004, n. 3271; C. Stato, sez. VI,
10-04-2003, n. 1925; C. Stato, sez. V,
01-06-1998, n. 718).
L'ostensione degli
atti, altresì, non può essere uno strumento
di controllo generalizzato dell'operato
della pubblica amministrazione ovvero del
gestore di pubblico servizio nei cui
confronti l'accesso viene esercitato (C.
Stato, sez. IV, 29-04-2002, n. 2283; C.
Stato, sez. VI, 17-03-2000, n. 1414) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
III,
sentenza
22.12.2009 n. 5967 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Alterazione dell'originaria
fisionomia dell'opera - Intervento di
ristrutturazione edilizia - Si configura.
Per qualificare un intervento come
ristrutturazione edilizia è sufficiente che
risultino modificati la distribuzione della
superficie interna e dei volumi
dell'edificio ovvero l'ordine in cui
risultano disposte le diverse porzioni dello
stesso per il solo fine di rendere più
agevole la destinazione d'uso esistente,
sussistendo in questi casi un rinnovo degli
elementi costitutivi dell'edificio ed
un'alterazione dell'originaria fisionomia e
consistenza fisica dell'immobile,
incompatibili con i concetti di manutenzione
straordinaria e di risanamento conservativo,
che presuppongono invece la realizzazione di
opere che lascino inalterata la struttura
dell'edificio e la distribuzione interna
della sua superficie (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
IV,
sentenza
17.12.2009 n. 5569 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Demanio e patrimonio - bene ambientale -
controllo ministeriale - natura di
cogestione valori paesistici - limiti -
Annullamento - considerazioni
tecnico-discrezionali - Illegittimità.
Il potere esercitato dall'Amministrazione
statale sulla autorizzazione paesaggistica
rilasciata da autorità regionale va definito
in termini di "cogestione dei valori
paesistici", nel senso che esso
costituisce espressione di amministrazione
attiva, nell'ambito di un unitario
procedimento complesso nel quale la
conclusione del procedimento è appannaggio
esclusivo all'amministrazione regionale
soltanto nella ipotesi di diniego di
autorizzazione.
Se al contrario l'autorizzazione sia
accordata essa costituisce il presupposto
formale la cui comunicazione al Ministero
attiva il necessario riesame del contenuto
dell'autorizzazione e dà avvio ad un'altra
fase necessaria e non autonoma, nella quale
il Ministero può annullare entro il
prescritto termine di sessanta giorni.
L'Autorità statale può annullare -a seguito
di idonea istruttoria e con adeguata
motivazione- l'autorizzazione paesistica per
vizi di violazione di legge in senso stretto
ed incompetenza o sotto il profilo di
eccesso di potere (per sviamento,
insufficiente motivazione, difetto di
istruttoria, illogicità manifesta); non può,
viceversa, annullare l'autorizzazione
paesistica sulla base di proprie
considerazioni tecnico-discrezionali,
contrarie a quelle effettuate dalla Regione (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez.
I,
sentenza
16.12.2009 n. 2596 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
Piano lottizzazione -
risarcimento del danno da ritardo -
dimostrazione danno concreto ed effettivo e
sua quantificazione - necessità.
La parte che chiede il risarcimento del
danno derivante da ritardo dall'esecuzione
da parte della controparte di obblighi
scaturenti da convenzione urbanistica ha
l'onere di dimostrare il nesso di causalità,
l'esistenza di un vero e proprio danno
concreto ed effettivo e la sua
quantificazione (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez.
I,
sentenza
16.12.2009 n. 2594 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
1. Piano
lottizzazione - convenzione stipulata ante
1990 - rispetto obblighi relativi -
giurisdizione esclusiva g.a. - Sussiste.
2. Domanda di esatto adempimento accordo
congiunta a condanna per risarcimento danno
- domanda accessoria - giurisdizione
esclusiva g.a. - sussiste.
1. Il rispetto o meno di una serie di
obblighi nascenti da una convenzione in
materia urbanistica involge anche la
considerazione di tutti gli inerenti
comportamenti postumi di tutte le parti in
causa, direttamente riferibili ai detti
obblighi di ciascuna di esse; la convenzione
urbanistica rientra tra gli accordi preordinatamente contenutistici e/o
sostitutivi di un provvedimento,
disciplinati dall'art. 11 della legge
07.08.1990 n. 241 il cui comma 5 devolve al
giudice amministrativo la giurisdizione
esclusiva sulle controversie relative alla
formazione, conclusione ed esecuzione dei
detti accordi; ciò allorquando questi ultimi
siano stati posti in essere, per ragioni di
pubblico interesse, dalla pubblica
amministrazione al fine di determinare il
contenuto discrezionale del provvedimento
finale ovvero, se previsto dalla legge, in
sostituzione di questo; in tal modo così
configurandosi una ipotesi di giurisdizione
esclusiva amministrativa non correlata ad
una determinata materia bensì ad una
determinata tipologia di atto, quale che sia
la materia che ne costituisce oggetto.
L'art. 11, comma 5, quale norma sulla
giurisdizione, è applicabile anche agli
accordi anche se stipulati anteriormente
alla sua entrata in vigore.
2. Nulla osta poi all'attribuzione della
controversia in esame alla giurisdizione
esclusiva del giudice amministrativo ai
sensi del citato art. 11, comma 5, la
congiunta proposizione, oltre alle eventuali
domande di esatto adempimento dell'accordo
anche di una richiesta di condanna al
risarcimento dei danni, trattandosi di
questione non attinente all'ambito della
giurisdizione, ma solo all'estensione dei
poteri del giudice amministrativo nel merito
della relativa controversia (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez.
I,
sentenza
16.12.2009 n. 2593 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Avvio del procedimento -
Comunicazione - Necessità - Accertamenti a
sorpresa - Legittimità.
L'adempimento dell'obbligo di dare
comunicazione dell'avvio del procedimento
amministrativo è dovuto solo in relazione al
vero e proprio inizio di quest'ultimo, con
la conseguenza che nel caso in cui le
circostanze lo impongano per garantire la
genuinità degli accertamenti
dell'amministrazione, l'art. 7 legge
07.08.1990 n. 241 non esclude che tale
obbligo possa essere preceduto da controlli,
accertamenti e ispezioni, svolti senza la
partecipazione del diretto interessato, che
sarà quindi edotto di tali attività con la
successiva comunicazione, la quale gli
consente di intervenire nella procedura
sanzionatoria; pertanto, ai fini predetti,
legittimamente la P.A. compie accertamenti a
sorpresa senza previa comunicazione di avvio
del procedimento (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
IV,
sentenza
14.12.2009 n. 5320 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. Concessione
edilizia in sanatoria - Accertamento di
conformità urbanistica - Silenzio
dell'Amministrazione - Impugnazione -
Deduzione di vizi formali degli atti e della
procedura - Inammissibilità.
2. Concessione
edilizia in sanatoria - Istanza ex art. 13
L. 47/1985 - Obbligo dell'Amministrazione di
provvedere - Non si configura.
1. Il silenzio serbato dall'Amministrazione
su un'istanza di accertamento di conformità
urbanistica ai fini della concessione
edilizia in sanatoria, qualificato come atto
tacito di reiezione, può essere impugnato
nel prescritto termine decadenziale ma senza
la possibilità di dedurre vizi formali
propri degli atti espressi, quali i difetti
di procedura o la mancanza di motivazione.
2.
L'istanza di sanatoria ex art. 13 Legge
47/1985 non è idonea a riattivare l'obbligo
di provvedere dell'amministrazione, mancando
del tutto in essa la rappresentazione di
fatti nuovi, a suo tempo non rappresentati
nell'originaria istanza (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
IV,
sentenza
14.12.2009 n. 5319 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Notificazione - Casi di
inesistenza e casi di irregolarità.
La notificazione è giuridicamente
inesistente quando è effettuata in luoghi o
nei confronti di persone che non hanno
alcuna relazione con il destinatario
soggetto passivo della notificazione, mentre
è nulla o semplicemente irregolare, con
possibilità di essere sanata, quando è
effettuata in un luogo o ad una persona
diversa da quella stabilita dalla legge, ma
che hanno tuttavia un riferimento con il
destinatario (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
IV,
sentenza
14.12.2009 n. 5318 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Demanio - Repressione abusi
edilizi e tutela dell'area demaniale -
Competenza del dirigente - Sussiste -
Competenza speciale del Sindaco ai sensi
dell'art. 378 della L. 2248/1865 all. F -
Non sussiste.
La tutela delle aree demaniali e la
repressione degli abusi edilizi su aree
demaniali, benché appartenenti a funzioni
diverse, presentano una stretta connessione
quanto all'interesse pubblico perseguito.
Di
qui l'impossibilità di riservare al sindaco
(o agli organi politici) una competenza
specifica distinta da quella trasferita in
via generale agli organi burocratici.
Nonostante la lettera dell'art. 378 della
legge 2248/1865 all. F, che risente
dell'epoca di elaborazione della norma,
anche la funzione di polizia demaniale deve
quindi ritenersi trasferita ai responsabili
degli uffici, i quali la esercitano allo
stesso modo degli altri poteri
ripristinatori di cui all'art. 107, comma 3,
lett. g), del Dlgs. 267/2000 (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez.
I,
sentenza
14.12.2009 n. 2567 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Realizzazione di un abuso sopra
porzione di edificio regolare - Confini del
diritto di acquisizione del Comune in caso
di inottemperanza all'ordine di demolizione.
Qualora l'opera abusiva consista in un piano
(o in una porzione di piano) situato in un
edificio composto anche da abitazioni
regolari il Comune acquisisce non un diritto
di superficie ma la proprietà esclusiva
degli appartamenti abusivi e la comproprietà
delle parti comuni dell'intero edificio
(come definite dall'art. 1117 c.c.). Se
l'edificio era in origine di un solo
proprietario, con il provvedimento di
acquisizione si forma un condominio.
Tra le
parti comuni rientra anche il sedime
dell'edificio, che quindi viene acquisito
pro quota, in proporzione ai millesimi dei
piani oggetto del provvedimento di
acquisizione.
Per quanto riguarda l'area pertinenziale
vale lo stesso principio dell'acquisto pro
quota (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez.
I,
sentenza
14.12.2009 n. 2565 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
COMPETENZE GESTIONALI:
Circolazione stradale - Limitazione della
sosta durante i giorni festivi estivi -
Emanazione del relativo provvedimento -
Competenza dirigenziale - Non sussiste -
Competenza del Sindaco - Sussiste.
L'art. 107 del D.Lgs. n. 267/2000, norma
successiva rispetto al codice della strada,
attribuisce ai dirigenti il compito di
adottare tutti gli atti e i provvedimenti
amministrativi che impegnano
l'amministrazione verso l'esterno, elencati
in via esemplificativa nel relativo comma 3,
quale espressione del più ampio principio di
distinzione tra attività di indirizzo e
controllo, che spetta agli organi di
governo, e attività di gestione, che spetta
alla dirigenza.
Occorre tuttavia dare conto di un indirizzo
ad avviso del quale l'art. 7 del D.Lgs.
285/1992 (Codice della Strada) riserva la
regolamentazione della circolazione nei
centri abitati alla competenza del Sindaco
ovvero -nell'ipotesi di cui al comma 9-
della Giunta.
Al riguardo si è evidenziato
che l'art. 7 del Codice della strada, in
omaggio al criterio di specialità, deroga e
quindi prevale sulla previsione generale di
cui all'art. 107 del D. Lgs. 267/2000 in
ordine alla competenza dei dirigenti sugli
atti di gestione; per altro verso, le norme
del Codice della strada sono comunque
successive nel tempo all'introduzione (con
la L. 142/1990) del principio di separazione
tra attività politica ed attività
burocratica nell'ordinamento degli enti
locali, principio che il T.U. 267/2000 e il
D.Lgs. 165/2001 non hanno fatto altro che
confermare (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez.
II,
sentenza
10.12.2009 n. 2539 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Divieto di partecipazione
statuito dall'art. 13 D.L. 223/2006 -
Applicazione alle società non partecipate da
un ente locale ed il cui capitale, pur se
interamente pubblico, sia interamente
posseduto da altra società partecipata da
ente locale - Legittimità.
L'art. 13 del D.L. n. 223/2006 convertito con
modificazioni nella Legge n. 248/2006,
testualmente recita: "Al fine di evitare
alterazioni o distorsioni della concorrenza
e del mercato e di assicurare la parità
degli operatori, le società, a capitale
interamente pubblico o misto, costituite o
partecipate dalle amministrazioni pubbliche
regionali e locali per la produzione di beni
e servizi strumentali all'attività di tali
enti in funzione della loro attività, con
esclusione dei servizi pubblici locali, nonché, nei casi consentiti dalla legge, per
lo svolgimento esternalizzato di funzioni
amministrative di loro competenza, devono
operare esclusivamente con gli enti
costituenti o partecipanti o affidanti, non
possono svolgere prestazioni a favore di
altri soggetti pubblici o privati, né in
affidamento diretto né con gara, e non
possono partecipare ad altre società o enti.
Le società che svolgono l'attività di
intermediazione finanziaria prevista dal
testo unico di cui al decreto legislativo 1°
settembre 1993, n. 385, sono escluse dal
divieto di partecipazione ad altre società o
enti. Le società di cui al comma 1 sono ad
oggetto sociale esclusivo e non possono
agire in violazione delle regole di cui al
comma 1. Al fine di assicurare l'effettività
delle precedenti disposizioni, le società di
cui al comma 1 cessano entro ventiquattro
mesi dalla data di entrata in vigore del
presente decreto le attività non consentite.
A tale fine possono cedere, nel rispetto
delle procedure ad evidenza pubblica, le
attività non consentite a terzi ovvero
scorporarle, anche costituendo una separata
società. I contratti relativi alle attività
non cedute o scorporate ai sensi del periodo
precedente perdono efficacia alla scadenza
del termine indicato nel primo periodo del
presente comma. I contratti conclusi, dopo
la data di entrata in vigore del presente
decreto, in violazione delle prescrizioni
dei commi 1 e 2 sono nulli. Restano validi,
fatte salve le prescrizioni di cui al comma
3, i contratti conclusi dopo la data di
entrata in vigore del presente decreto, ma
in esito a procedure di aggiudicazione
bandite prima della predetta data".
Il comma 1 del citato articolo contempla
pacificamente un divieto: le Società ivi
puntualmente enucleate non possono svolgere
prestazioni a favore di altri soggetti
pubblici o privati, né in affidamento
diretto né con gara, ma debbono espletare la
loro attività unicamente a vantaggio degli
Enti costituenti o partecipanti alle stesse.
Il divieto sancito dalla norma in questione
rafforza peraltro la regola dell'esclusività
evitando che dopo l'affidamento del servizio
la Società possa andare a fare altro. Esso
rimarca la differenza tra concorrenza «per»
il mercato e concorrenza «nel» mercato disvelando le sue plurime
rationes essendi:
tutela dell'imprenditoria privata e della
leale concorrenza, repressione della greppia
partitica e burocratica.
Tale norma, attuando l'art. 41 Cost. in
relazione ai principi comunitari sulla
tutela della concorrenza, sul divieto di
aiuti di Stato e sul principio di
sussidiarietà, esprime quindi un precetto di
ordine pubblico economico che si impone
inderogabilmente a tutte le stazioni
appaltanti, tenute ad applicarlo quale che
sia la fase del procedimento.
Se dunque la ratio è quella di
tutelare i principi di concorrenza e di
trasparenza nonché quello di libertà di
iniziativa economica -che risulterebbero
turbati dalla presenza (diretta o indiretta)
della mano pubblica la quale provoca
un'elusione del rischio d'impresa- devono
considerarsi partecipate da amministrazioni
pubbliche regionali o locali anche le
Società partecipate da Società intermedie
controllate da dette amministrazioni: il
divieto previsto dall'art. 13, in altri
termini, deve ritenersi applicabile ad
un'impresa partecipata da un'altra impresa,
che a sua volta è controllata da
amministrazioni pubbliche locali (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez.
II,
sentenza
09.12.2009 n. 2511 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
1. Clausola del bando
precludente la limitazione alla competizione
- Deve essere impugnata - Provvedimento di
esclusione - Non deve esser impugnato.
2. Contestazione delle
modalità di svolgimento della gara - In
esito alla infruttuosa partecipazione alla
stessa - Possibilità - Acquiescenza - Non si
verifica - Onere di immediata impugnazione -
Inerisce le sole clausole del bando
escludenti la possibilità di partecipazione.
3. Contestazione delle
modalità di svolgimento della gara, idonee a caducare l'intera competizione - Da parte
del partecipante dichiarato escluso - E'
possibile.
1. Quale atto meramente consequenziale,
l'esclusione è destinata a venir meno con
l'annullamento della contestata disposizione
della lex specialis: secondo il principio
dell'invalidità derivata, la caducazione
dell'atto "a monte" che costituisce il
presupposto unico e determinante colpisce e
travolge automaticamente le determinazioni
"a valle" anche in assenza di apposita
pronuncia in merito, e dunque non può essere
affermata l'esigenza della necessaria
impugnazione di provvedimenti sopravvenuti,
pur se lesivi.
2. La partecipazione alla gara per
l'aggiudicazione di contratti pubblici e la
presentazione dell'offerta nelle forme
imposte dal bando non implicano acquiescenza
e non impediscono successivamente la
proposizione di un'eventuale gravame.
L'onere di immediata impugnazione investe
peraltro le clausole riguardanti i requisiti
soggettivi di partecipazione -che
inibiscono all'interessato l'ammissione alla
selezione- ma non anche quelle che
riguardano le modalità di svolgimento della
procedura, poiché in tali ipotesi anche il
concreto svolgimento della gara e delle
relative operazioni, nonché l'adozione delle
valutazioni all'uopo necessarie, producono
l'effetto lesivo ricollegabile all'astratta
previsione contenuta nel bando.
L'onere di
immediata impugnazione della lex specialis
riguarda le sole clausole -esattamente
identificate, preesistenti alla gara e non
condizionate dal suo svolgimento- che
regolano i requisiti di ammissione, qualora
siano idonee a ledere immediatamente
l'interesse sostanziale degli aspiranti
concorrenti in quanto preclusive della loro
partecipazione; l'onere predetto sussiste
anche per le prescrizioni che impongono
oneri incomprensibili o manifestamente
sproporzionati, e come tali direttamente
ostativi all'ammissione alla selezione.
3. Secondo un primo orientamento
giurisprudenziale un tale interesse non
potrebbe sussistere, dato che l'impresa
destinataria del provvedimento sfavorevole
rimane priva del titolo legittimante a
partecipare alla procedura selettiva ed
anche a contestare i suoi esiti e la
legittimità delle distinte scansioni
procedimentali: la sua posizione è
qualificabile come mero interesse di fatto,
che non si distingue da quello di qualsiasi
operatore del settore che -non avendo preso
parte al confronto- non avrebbe titolo ad
impugnarne gli atti, pur essendo titolare di
un'aspirazione (non protetta) alla caducazione dell'intera selezione al fine di
poter presentare la propria offerta
nell'ipotesi di nuova gara.
In definitiva
l'esclusione legittima conclude, per
l'aspirante, il procedimento di gara, e la
sua posizione -rispetto al bene della vita
cui aspira- non assume altra configurazione
che quella di interesse di mero fatto, del
tutto priva di rilevanza e tutela giuridica.
Secondo un più recente filone
interpretativo, ritenuto meritevole di
maggior condivisione, l'interesse del
soggetto legittimamente escluso dalla
selezione non può invece ritenersi
insussistente, con riferimento alle censure
suscettibili di caducare l'intera
competizione.
In tal caso il fatto della
partecipazione (ancorché non legittima) alla
selezione fonda il titolo impugnatorio in
vista della soddisfazione dell'interesse
strumentale alla riedizione della gara e
traccia la differenza rispetto al non
concorrente, che di quel titolo è
pacificamente sfornito (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez.
II,
sentenza
09.12.2009 n. 2510 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: L'imposizione
da parte dell'amministrazione di clausole
recanti condizioni di pagamento per la
fornitura di beni e servizi notevolmente
peggiorative rispetto alla disciplina
legale, costituisce abuso della posizione
dominante e lesione della libertà
contrattuale, in violazione dell'art. 4,
d.lgs. n. 231 del 2002; di conseguenza, va
accertata la grave iniquità delle clausole
stesse e pronunciata l'inibitoria del loro
uso in futuro.
E' illegittimo l'avviso di gara che prevede
condizioni più favorevoli per il debitore
senza determinare il caso del possibile
accordo tra i contraenti, per delineare un
regolamento negoziale più consono alla
situazione finanziaria del debitore.
Per poter parlare di accordo tra le parti, è
necessario che la formazione della volontà
contrattuale sia libera per entrambi i
contraenti, il che deve escludersi ove le
clausole peggiorative, oltre che essere
state unilateralmente predisposte da una
delle parti, siano state imposte all’altra
quali condizioni di partecipazione alla
gara.
La giurisprudenza amministrativa è
orientata nel ritenere le disposizioni sul
ritardo dei pagamenti nelle transazioni
commerciali di cui al d.lgs. n. 231/2002,
attuativo della Direttiva n. 2000/35 CE,
direttamente applicabili alle prestazioni da
fornire alle PP.AA., avendo precisato che “la
ricomprensione operata dalla normativa
comunitaria dei soggetti quali sono le Asl
nell'ambito degli operatori economici ha
fatto si che la giurisprudenza italiana
ritenesse da subito le disposizioni
denunciate applicabili anche alle
amministrazione. Gli art. 4 e 5 del d.lgs.
dispongono in merito ai tempi del pagamento
ed alle conseguenze della violazione di tali
norme: è illegittimo l'avviso di gara che
prevede condizioni più favorevoli per il
debitore senza determinare il caso del
possibile accordo tra i contraenti, per
delineare un regolamento negoziale più
consono alla situazione finanziaria del
debitore” (TAR Liguria, Sez. II,
01.02.2005, n. 126).
Recente autorevole giurisprudenza, nel
confermare l’applicabilità del d.lgs. n.
231/2002 alle forniture pubbliche, ha
sancito che “Nelle gare relative a
pubbliche forniture in relazione alla data
di pagamento e alle conseguenze del relativo
ritardo, costituisce grave iniquità delle
condizioni generali di contratto la mancanza
di qualsiasi giustificazione che renda
costantemente e reiteratamente possibili
termini di pagamento, decorrenza degli
interessi moratori e saggio degli interessi
diversi da quelli stabiliti negli artt. 4 e
5, d.lgs. n. 231 del 2002; ciò anche in base
agli artt. 1 e 2 dello stesso decreto e in
linea con la giurisprudenza che ha ritenute
applicabili alle pubbliche forniture il
d.lgs. n. 231 del 2002” (TAR Lazio -
Roma, Sez. III, 22.12.2008, n. 12229).
Questo Tribunale ha di recente statuito che
“L'imposizione da parte
dell'amministrazione di clausole recanti
condizioni di pagamento per la fornitura di
beni e servizi notevolmente peggiorative
rispetto alla disciplina legale, costituisce
abuso della posizione dominante e lesione
della libertà contrattuale, in violazione
dell'art. 4, d.lgs. n. 231 del 2002; di
conseguenza, va accertata la grave iniquità
delle clausole stesse e pronunciata
l'inibitoria del loro uso in futuro”
(TAR Piemonte, Sez. II, 26.10.2007, n.
3292).
L’art. 4, comma 4, del d.lgs. 231/2002
stabilisce che “Le parti, nella propria
libertà contrattuale, possono stabilire un
termine superiore rispetto a quello legale
di cui al comma 3 a condizione che le
diverse pattuizioni siano stabilite per
iscritto e rispettino i limiti concordati
nell'ambito di accordi sottoscritti, presso
il Ministero delle attività produttive,
dalle organizzazioni maggiormente
rappresentative a livello nazionale della
produzione, della trasformazione e della
distribuzione per categorie di prodotti
deteriorabili specifici.” Detta norma
non appare applicabile al caso in esame,
caratterizzato dall’assenza di libertà
contrattuale e dall’imposizione unilaterale,
nella lex specialis, delle condizioni
e dei termini di pagamento del corrispettivo
contrattuale.
Sempre questo Tribunale ha precisato che “per
poter parlare di accordo tra le parti, è
necessario che la formazione della volontà
contrattuale sia libera per entrambi i
contraenti, il che deve escludersi ove le
clausole peggiorative, oltre che essere
state unilateralmente predisposte da una
delle parti, siano state imposte all’altra
quali condizioni di partecipazione alla gara”
(TAR Piemonte, Sez. II, 26.10.2007, n. 3292)
conseguendone l’inconfigurabilità della
deroga nei casi di deroga apportata con atti
unilaterali dell’Amministrazione, quali i
bandi o i disciplinari di pubbliche gare (TAR
Piemonte, Sez. I,
sentenza 04.12.2009 n. 3260 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1) Condono edilizio - Sanabilità
di opere in presenza di un vincolo
cimiteriale - Non sussiste.
2) Condono
edilizio - Diniego - Comunicazione di avvio
procedimento - Non è necessaria.
1) La disciplina relativa al condono
edilizio (artt. 32 e 33 L. 28.02.1985
n. 47) è inequivoca nel precludere la
sanabilità di opere in presenza di un
vincolo cimiteriale, purché apposto
antecedentemente alla realizzazione delle
costruzioni abusive. Conseguentemente, è
legittimo l'atto con cui il Comune respinge
l'istanza di condono con esclusivo
riferimento all'esistenza del vincolo
stesso.
Invero, quello posto dall'art. 338
del r.d. 27.07.1934, nr. 1265, in
materia di zona di rispetto cimiteriale, è
un vincolo assoluto di inedificabilità ex
lege (tale da prevalere addirittura anche su
eventuali disposizioni contrarie del
P.R.G.), con conseguente insanabilità delle
opere ivi realizzate ai sensi dell'art. 33
della citata legge nr. 47 del 1985.
2) Il procedimento di condono edilizio è ad
iniziativa di parte ed in quanto tale, non
necessita di previa comunicazione di avvio
del procedimento (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez.
I,
sentenza
04.12.2009 n. 2452 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Accesso agli atti amministrativi -
Dichiarazioni rese dai lavoratori in sede di
accessi ispettivi - In presenza di un
interesse concreto all'accesso da parte del
richiedente consistente nella difesa
giudiziale di propria posizione soggettiva -
Non possono essere sottratte all'accesso -
Disciplina di cui al D.M. 757/1994 - Deve
essere disapplicata - Tutela dei lavoratori
mediante oscuramento dei nomi - E'
sufficiente.
In via generale, le necessità difensive -
riconducibili ai principi tutelati dall'art.
24 della Costituzione - sono ritenute
prioritarie rispetto alle istanze di
riservatezza di soggetti terzi.
La disciplina dell'accesso agli atti
amministrativi -nel testo vigente-
specifica tuttavia con molta chiarezza come
non siano sufficienti esigenze di difesa
genericamente enunciate per garantire
l'accesso, dovendo quest'ultimo
corrispondere ad un effettivo bisogno di
tutela di situazioni giuridicamente
apprezzabili che si assumano lese, e tale è
considerata la dichiarata volontà di
intraprendere iniziative giudiziarie
Il divieto di accesso alle dichiarazioni
rese dai lavoratori in sede ispettiva
previsto dal D.M. 757/1994 tutela i
lavoratori-dichiaranti contro il pericolo di
azioni discriminatorie, indebite pressioni e
pregiudizi, e contro eventuali ritorsioni,
ma stante quanto sopra le finalità di
riservatezza non possono che recedere a
fronte dell'esigenza contrapposta di tutela
della salvaguardia dei propri interessi
giuridici (essendo la realizzazione del
diritto alla difesa garantita "comunque"
dall'art. 24 comma 7 della L. 241/1990).
In ogni caso, una forma di tutela della
posizione del lavoratore subordinato,
compatibile con la realizzazione del diritto
di difesa dell'istante datore di lavoro, può
comunque individuarsi nell'omissione
dell'identificazione del dichiarante
all'interno del documento reso disponibile
all'impresa (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez.
II,
sentenza
01.12.2009 n. 2401 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Autorizzazione paesaggistica per
la realizzazione di opere di
ristrutturazione - Annullamento disposto nel
1998 da parte della Soprintendenza ai beni
architettonici - Comunicazione d'avvio
procedimento - Andava data.
Con riferimento alla questione inerente
l'obbligo della comunicazione di avvio
procedimento per l'annullamento della già
rilasciata autorizzazione paesaggistica, in
un primo momento, a fronte di un
orientamento giurisprudenziale maggioritario
che aveva ritenuto sussistere nel caso in
esame l'obbligo di comunicazione d'avvio per
effetto dell'applicazione dei principi
generali degli artt. 7 e ss. l. 241/90,
posto che nella disciplina speciale dei beni
paesaggistici non esisteva alcuna
disposizione derogatoria delle norme
generali della l. 241/1990, è intervenuto il
Ministro per i beni culturali con il d.m. 19.06.2002, n. 495, che, all'art. 2,
modificando l'art. 4, co. 1-bis, d.m. 13.06.1994 n. 495, ha stabilito che "la
comunicazione prevista dal comma 1 non è
dovuta per i procedimenti avviati ad istanza
di parte, ed in particolare, per quelli
disciplinati dagli articoli 21, 22, 23, 24,
25, 26, 35, 41, 43, 50, 51, 53, 55, 56, 59,
66, 68, 69, 72, 86, 102, 107, 108, 109, 113,
114, 151, 154 e 157 del d.lgs. 490/1999, anche
quando l'istanza è stata previamente
valutata da una diversa amministrazione, in
applicazione di norme di legge o di
regolamento".
Il procedimento di rilascio
dell'autorizzazione paesaggistica, e
dell'annullamento ministeriale della stessa,
era disciplinato dall'art. 151 d.lgs.
490/1999, e, pertanto, rientrava nell'ambito
di applicazione del decreto ministeriale.
L'intera materia è stata poi riscritta dal
Codice dei beni culturali, intervenuto con
d.lgs. 42/2004, il cui art. 159, co. 2,
stabiliva che "l'amministrazione competente
al rilascio dell'autorizzazione dà immediata
comunicazione alla soprintendenza delle
autorizzazioni rilasciate, trasmettendo la
documentazione prodotta dall'interessato
nonché le risultanze degli accertamenti
eventualmente esperiti. La comunicazione è
inviata contestualmente agli interessati,
per i quali costituisce avviso di inizio di
procedimento".
Il cambiamento di fonte non ha cambiato,
peraltro, la regolamentazione sostanziale
della materia perché anche il predetto art.
159 del Codice dei beni culturali prevede
che la Soprintendenza non sia onerata della
comunicazione d'avvio, purché peraltro
l'autorità comunale abbia inviato
comunicazione all'interessato del rilascio
dell'autorizzazione, che per espressa
disposizione di legge fa funzioni di
comunicazione d'avvio.
Ricostruito in tal modo il sistema, occorre
rilevare che in presenza di un provvedimento
emesso nel 1998, devono essere applicate,
ratione temporis, le norme vigenti
nel momento in cui lo stesso è stato
emanato, e che tali norme non prevedevano
ancora disposizioni derogatorie all'obbligo
generalizzato di comunicazione d'avvio
prevista dall'art. 7 l. 241/1990, che
pertanto nel caso in esame avrebbe dovuto
essere emessa ed inviata (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez.
I,
sentenza
01.12.2009 n. 2376 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA: Decorso
il termine stabilito per l’esecuzione del
piano particolareggiato (ovvero di un Piano
di Lottizzazione), questo diventa inefficace
per la parte in cui non abbia avuto
attuazione, rimanendo soltanto fermo a tempo
indeterminato l’obbligo di osservare, nella
costruzione di nuovi edifici e nella
modificazione di quelli esistenti, gli
allineamenti e le prescrizioni di zona
stabiliti dal piano stesso.
Le prescrizioni urbanistiche di un piano
attuativo rilevano a tempo indeterminato,
anche dopo la sua scadenza.
L’efficacia dei piani particolareggiati, ai
quali si assimilano analogicamente le
lottizzazioni convenzionate, ha un termine entro il
quale le opere debbano essere eseguite, che
non può essere superiore a 10 anni.
La giurisprudenza del Consiglio di Stato, in
materia di efficacia del piano di attuazione
dopo la scadenza del termine previsto per la
sua esecuzione, si è soffermata sul
significato del principio generale contenuto
nell’art. 17, primo comma, della legge n.
1150 del 1942, per il quale, “decorso il
termine stabilito per l’esecuzione del piano
particolareggiato, questo diventa inefficace
per la parte in cui non abbia avuto
attuazione, rimanendo soltanto fermo a tempo
indeterminato l’obbligo di osservare, nella
costruzione di nuovi edifici e nella
modificazione di quelli esistenti, gli
allineamenti e le prescrizioni di zona
stabiliti dal piano stesso”.
E’ stato affermato (Sez. IV, 04.12.2007 n.
6170) che da tale comma, debbono trarsi i
seguenti principi (di per sé applicabili
anche al piano di lottizzazione, equiparato
al piano particolareggiato di iniziativa
pubblica):
a) le previsioni dello strumento attuativo
comportano la concreta e dettagliata
conformazione della proprietà privata (con
specificazione delle regole di conformazione
disposte dal piano regolatore generale, ai
sensi dell’art. 869 del codice civile);
b) in linea di principio, le medesime
previsioni rimangono efficaci a tempo
indeterminato (nel senso che costituiscono
le regole determinative del contenuto della
proprietà delle aree incluse nel piano
attuativo);
c) col decorso del termine (di 10 anni,
per il piano di lottizzazione), diventano
inefficaci unicamente le previsioni del
piano attuativo che non abbiano avuto
concreta attuazione, nel senso che non è più
consentita la sua ulteriore esecuzione,
salva la possibilità di ulteriori
costruzioni coerenti con le vigenti
previsioni del piano regolatore generale e
con le prescrizioni del piano attuativo
(anche sugli allineamenti), che per questa
parte ha efficacia ultrattiva.
In altri termini, l’art. 17 della legge n.
1150 del 1942 si ispira al principio secondo
cui, mentre le previsioni del piano
regolatore rientrano in una prospettiva
dinamica della utilizzazione dei suoli (e
determinano ciò che è consentito e ciò che è
vietato nel territorio comunale sotto il
profilo urbanistico ed edilizio, con la
devoluzione al piano attuativo delle
determinazioni sulle specifiche
conformazioni delle proprietà), le
previsioni dello strumento attuativo hanno
carattere di tendenziale stabilità (perché
specificano in dettaglio le consentite
modifiche del territorio, in una prospettiva
in cui l’attuazione del piano esecutivo
esaurisce la fase della pianificazione,
determina l’assetto definitivo della parte
del territorio in considerazione e inserisce
gli edifici in un contesto compiutamente
definito).
In considerazione della stabilità delle
previsioni del piano attuativo, va affermato
dunque il principio per il quale le
prescrizioni urbanistiche di un piano
attuativo rilevano a tempo indeterminato,
anche dopo la sua scadenza.
---------------
La giurisprudenza ha anche chiarito (Sez. IV, 19.02.2007 n. 851) il significato da
attribuire agli artt. 16, 17 e 28 della legge c.d. urbanistica, secondo cui l’efficacia dei
piani particolareggiati, ai quali si
assimilano analogicamente le lottizzazioni
convenzionate, ha un termine entro il
quale le opere debbano essere eseguite, che
non può essere superiore a 10 anni.
L’imposizione del termine suddetto, infatti,
va inteso nel senso che le attività dirette
alla realizzazione dello strumento
urbanistico, sia convenzionale che
autoritativo, non possono essere attuate ai
sensi di legge oltre un certo termine,
scaduto il quale l’autorità competente
riacquista il potere-dovere di dare un nuovo
assetto urbanistico alle parti non
realizzate, anche, in ipotesi, con una nuova
convenzione di lottizzazione. Con la
conseguenza che, se, e fino a quando, tale
potere non viene esercitato, l’assetto
urbanistico dell’area rimane definito nei
termini di cui alla convenzione di
lottizzazione.
Depone in tal senso anche l’obbligo,
sancito dall’art. 28 della legge urbanistica
di procedere a cura degli interessati alla
trascrizione della convenzione.
La sentenza appellata, infatti, ha notato,
in sintonia con la giurisprudenza di questo
giudice (Cons. St., Sez. IV, 30.05.2002 n.
3016) che, ai sensi dell’articolo 2645 c.c.,
sono soggetti a trascrizione anche tutti gli
atti o provvedimenti che producono, in
relazione a beni immobili o a diritti
immobiliari, taluno degli effetti dei
contratti menzionati nell’articolo 2643.
Le ragioni per cui l’onere di trascrizione
costituisce un principio generale nella
disciplina delle convenzioni urbanistiche
concluse con i proprietari delle aree
interessate possono cogliersi nella
ineliminabile divaricazione fra lo strumento
negoziale scelto dalle parti per regolare
consensualmente la realizzazione
dell’intervento e le esigenze di tutela
dell’interesse pubblico affidato
all’Amministrazione.
In particolare, mentre l’interesse pubblico
è nel senso di regolare in via definitiva e
con efficacia erga omnes l’assetto
urbanistico ed edilizio della porzione di
territorio comunale interessata
dall’intervento, lo strumento convenzionale
prescelto, pur essendo fonte di obbligazioni
propter rem ed essendo pertanto
astrattamente idoneo a vincolare anche i
successivi aventi causa del proprietario
stipulante, resta assoggettato alle regole
sulla opponibilità dei negozi giuridici di
diritto privato e, pertanto, prevale sul
titolo di acquisto di soggetti terzi
debitamente trascritto solo se la
convenzione è stata a sua volta trascritta
con grado poziore.
In questa prospettiva la
Corte di cassazione, con riferimento ai
piani di lottizzazione, ha sottolineato che
“le disposizioni dei piani privati di
lottizzazione non costituiscono norme
edilizie, agli effetti previsti negli artt.
871, 872 ed 873 c.c., anche quando i piani
stessi siano approvati (ai sensi dell’art.
28 della legge n. 1150 del 1942) ovvero
autorizzati (a norma dell’art. 8 della legge
n. 765 del 1967). Tuttavia, se nel vigente
ordinamento non è prevista la trasformazione
in senso normativo di dette disposizioni, la
disciplina di diritto privato consente di
attribuire loro vincolatività generale con
l’inserimento in rapporti di contenuto reale
ed assoluto, per mezzo della trascrizione”
(Cass., 11.02.1994, n. 1384; in termini
anche Cass., 20.12.1994, n. 10947)
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 30.04.2009 n. 2768 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: E'
illegittimo il bando di gara che prevede
termini di pagamento, decorrenza degli
interessi moratori e saggio degli interessi
diversi da quelli stabiliti negli artt. 4 e
5 del decreto legislativo n. 231/2002.
Nella fattispecie non può parlarsi di
accordo, in quanto l’Amministrazione impone
autoritativamente le condizioni relative ai
termini di pagamento ed alle conseguenze del
ritardo, talché cade il presupposto del
convergere di due volontà per la formazione
delle quali è necessaria l’indagine
complessiva di cui al citato art. 7.
D’altra parte le amministrazioni resistenti
affermano di avere inserito le clausole
contrattuali in base a normativa statale (l.
833/1978) o regionale (L.r. Lazio n.
22/1989); ma al riguardo è agevole
evidenziare come tali disposizioni risultino
superate sia dalla normativa specifica
comunitaria che da quella statale, peraltro
successive, che disciplinano puntualmente la
fattispecie (cfr. sul punto Cons. di Stato
sez. V. 12.04.2005 n. 1638).
In definitiva la grave iniquità deriva dalla
mancanza di qualsiasi giustificazione che
renda costantemente e reiteratamente
possibili termini di pagamento, decorrenza
degli interessi moratori e saggio degli
interessi diversi da quelli stabiliti negli
artt. 4 e 5 del decreto legislativo n.
231/2002, la cui applicabilità alla
fattispecie non è posta in discussione, e
deriva dalla lettura degli artt. 1 e 2 dello
stesso decreto e dalla costante
giurisprudenza che ha ritenute applicabili
alle pubbliche forniture il decreto L.gvo n.
231/2002 (oltre quelle citate cfr. anche
Cons. di St. sez. V 30.08.2005 n. 3982).
Il ricorso deve essere accolto e
considerarsi accertata la grave iniquità
delle clausole generali di contratto
inserite dalle strutture sanitarie intimate
negli atti di gara per pubbliche forniture,
con conseguente ordine di conformarsi a
quanto previsto negli artt. 4 e 5 del
decreto legislativo n. 231/2002
(TAR Lazio-Roma, Sez. III-quater,
sentenza 22.12.2008 n. 12229 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: E'
illegittimo il provvedimento di esclusione
di una ditta che sia fondato sulla mancata
sottoscrizione della clausola del capitolato
speciale contenente una deroga unilaterale
ai termini di pagamento e agli interessi
moratori per ritardato pagamento, fissati
dagli art. 4 e 5 del predetto D.lgs.
09.10.2002 n. 231.
E' consolidata la giurisprudenza (cfr.,
ex multis, Cons. Stato, sez. V,
12.04.2005, n. 1638) che considera
illegittimi la lettera d’invito ed il
capitolato normativo nella parte in cui
impongono, a pena di esclusione,
l’accettazione della clausola che prevede il
pagamento “entro 120 giorni decorrenti
dalla data di ricevimento della fattura”.
È stato chiarito, infatti, che, nell’ipotesi
di gara per l’aggiudicazione della fornitura
di beni ad una pubblica Amministrazione, è
illegittimo il provvedimento di esclusione
di una ditta che sia fondato sulla mancata
sottoscrizione della clausola del capitolato
speciale contenente una deroga unilaterale
ai termini di pagamento e agli interessi
moratori per ritardato pagamento, fissati
dagli art. 4 e 5 del predetto D.lgs.
09.10.2002 n. 231.
A norma del comma 4 del citato art. 4 “le
parti, nella propria libertà contrattuale,
possono stabilire un termine superiore
rispetto a quello legale di cui al comma 3 a
condizione che le diverse pattuizioni siano
stabilite per iscritto e rispettino i limiti
concordati nell'ambito di accordi
sottoscritti, presso il Ministero delle
attività produttive, dalle organizzazioni
maggiormente rappresentative a livello
nazionale della produzione, della
trasformazione e della distribuzione per
categorie di prodotti deteriorabili
specifici”; cosicché la deroga ai
termini di pagamento e agli interessi
moratori per ritardato pagamento, fissati
dalle menzionate disposizioni del predetto
D.lgs. 09.10.2002 n. 231, è consentita solo
previo accordo liberamente sottoscritto
dalle parti (cfr. Consiglio Stato, sez. V,
12.04.2005, n. 1638).
L’imposizione dell’aumento dei termini per
il pagamento rispetto ai 30 giorni fissati
dal decreto, senza un accordo tra i
contraenti inteso a delineare un regolamento
negoziale più consono alla situazione
finanziaria del debitore, sulla base dei
parametri indicati (ossia corretta prassi
commerciale, natura dei beni o servizi,
condizione dei contraenti e rapporti
commerciali tra i medesimi), in realtà
introduce un vantaggio per l’Amministrazione
che deve considerarsi “indebito”,
atteso che la decorrenza degli interessi
moratori segue il meccanismo automatico
stabilito dall’art. 4 del D.Lgs. n.
231/2002, senza che neppure sia necessaria
la costituzione in mora.
Alla luce di quanto sinora esposto, del
tutto inconferente è il richiamo operato
dall’appellante alla circolare n. 1 del
14.01.2003 promulgata dal Ministero
dell’Economia e delle Finanze, in quanto
essa non giustifica l’imposizione di termini
più lunghi rispetto a quelli prescritti dal
ricevimento della fattura o della richiesta
di pagamento.
Le statuizioni previste dalla menzionata
circolare n. 1, poste a salvaguardia delle
amministrazioni dalle conseguenze
dell’indisponibilità della provvista
finanziaria, infatti, non sono di per sé
idonee a giustificare il ritardo nel
pagamento del prezzo rispetto ai termini
prescritti dal D.Lgs. 231/2002, in quanto,
ai fini della correttezza nei pagamenti, gli
organismi pubblici e quelli privati sono in
toto parificati.
Deve, in conclusione, riconoscersi che
l’introduzione della clausola impugnata nel
capitolato d’appalto, senza adeguata
giustificazione, è illegittimità, anche
perché comporta l’anticipazione, in sede di
procedura di scelta del contraente, di
un’inaccettabile sperequazione fra le
posizioni delle parti nell’esecuzione del
rapporto
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 28.09.2007 n. 4996 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
La deroga ai termini di pagamento
e agli interessi moratori per ritardato
pagamento, fissati dalle disposizioni del
D.lgs. 09.10.2002 n. 231, è consentita solo
previo accordo liberamente sottoscritto
dalle parti.
La sentenza va anzitutto confermata per
l’illegittimità dell’aumento a 90 giorni del
termine per pagare le forniture: la relativa
clausola introduce un indebito vantaggio per
l’Amministrazione dato l’automatismo della
decorrenza degli interessi di mora stabilito
dall’art. 4 del D.Lgs. n. 231/2002.
Va precisato, al proposito, che il
riferimento ivi contenuto al termine di
pagamento stabilito dal contratto concerne
l’automatica decorrenza degli interessi di
mora e non al termine di pagamento in sé
considerato, la cui congruità va valutata
parametrandolo con la corretta prassi
commerciale, con la natura dei beni o
servizi, con la condizione dei contraenti ed
i rapporti commerciali tra i medesimi di cui
al successivo art. 7 del D.Lgs., che
stabilisce la nullità del relativo accordo
se gravemente iniquo perché ingiustificato
da ragioni oggettive.
Siffatte ragioni non possono essere
ravvisate nell’art. 50 della legge regionale
Toscana n. 22/2000 che stabilisce in 90
giorni il termina massimo per la dilazione
nei pagamenti delle forniture.
La legge ha infatti carattere cedevole
rispetto alla direttiva 2000/35/CE, di cui
il decreto legislativo in esame rappresenta
attuazione e pertanto non giustifica
l’imposizione di termini più lunghi rispetto
ai 30 giorni dal ricevimento della fattura o
richiesta di pagamento prescritto dall’art.
4, comma 2, lett. a), D.Lgs. n. 231/2002.
Oltre ad essere contrari al buon
funzionamento del mercato interno
salvaguardato dall'art. 14 del Trattato, il
ritardo nel pagamento del prezzo rispetto ai
30 giorni non trova nessuna giustificazione
nella circolare del Ministero dell’economia
e delle finanze 14.01.2003, n. 1, la cui
salvaguardia delle amministrazioni dalle
conseguenze dell’indisponibilità della
provvista finanziaria non si concilia con le
regole del mercato che ai fini della
correttezza nei pagamenti parificano gli
organismi pubblici a quelli privati
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 12.04.2005 n. 1638 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
Con la convenzione di P.L. il
Comune non può riservarsi di attribuire una
diversa destinazione urbanistica all'area
standard che il lottizzante gli cede
gratuitamente una volta realizzate le opere
di urbanizzazione, poiché se davvero facesse
venir meno la funzione originaria dell'area
la stessa cessione gratuita, pretesa
dall'Ente, verrebbe addirittura a mancare di
causa e, come, tale sarebbe persino nulla.
... i lottizzanti si obbligavano a cedere
gratuitamente, entro dodici mesi dalla data
del collaudo delle opere di urbanizzazione,
aree per strade, per verde e per parcheggi.
Con nota 26.03.1994 il Comune comunicava ai
lottizzanti l’avvenuta approvazione del
collaudo, invitandoli nel contempo a dare
corso alle formalità necessarie per
procedere alla stipula dei rogiti di
cessione delle aree standard.
I Signori Granelli non vi provvedevano
neppure a seguito di diffida scritta
comunicata in data 25.09.1995.
Successivamente il Comune adottava una
variante al P.R.G., approvata poi il
25.03.1998, e l’area in questione dei
Signori Granelli da zona a verde pubblico
veniva classificata come D1 – produttiva di
completamento.
Perciò la Società Energy Recuperator S.r.l.,
acquirente dai richiamati signori, in data
11.06.1998 chiedeva il rilascio di
concessione edilizia per la realizzazione di
un magazzino al servizio di attività
produttiva.
A detta istanza veniva opposto il
provvedimento 10.09.1998 n. 10843 contenente
un diniego, fondato sulla circostanza che il
titolo di proprietà fosse mancante di
legittimità, essendo stata prevista la
cessione gratuita al Comune del terreno cui
la stessa faceva riferimento.
Come si legge nell’art. 28 della L. n.
1150/1942, la cessione di aree a standard si
giustifica all’interno e in ragione della
lottizzazione di aree.
Ma nel caso di specie, con la diversa
destinazione urbanistica –D1 produttiva di
completamento- attribuita alla zona per
effetto di variante al P.R.G., si è
determinata una riespansione delle
potenzialità edificatorie dell’area
considerata.
Venuta meno la funzione di standard del
terreno, la cessione gratuita dello stesso,
pretesa dall’Amministrazione comunale, è
manchevole di causa e, come tale, nulla (TAR
Lombardia-Brescia,
sentenza 27.02.2002 n. 366).
---------------
ATTENZIONE:
in Internet gira una bozza di convenzione
urbanistica, per l'attuazione di Piani
Attuativi, conforme alle disposizioni del
D.Lgs. n. 163/2006 in merito alla procedura
di gara pubblica da osservare per lo
scomputo delle opere di urbanizzazione da
realizzare.
Tuttavia, l'articolato di tale bozza
contiene un comma che, alla luce della
sentenza sopra menzionata, risulta essere
illegittimo il quale così recita:
"4. La cessione delle aree (ed
eventualmente aggiungere «e l’asservimento
all’uso pubblico») è fatta senza alcuna
riserva per cui sulle stesse il Comune non
ha alcun vincolo di mantenimento della
destinazione e della proprietà pubblica
attribuite con il piano attuativo e con la
convenzione; esso può rimuovere o modificare
la destinazione e la proprietà nell’ambito
del proprio potere discrezionale di
pianificazione e di interesse patrimoniale,
senza che i proponenti possano opporre alcun
diritto o altre pretese di sorta.".
Quindi, fate attenzione
a non inserire in convenzione la suddetta
disposizione !! (12.04.2010) |
AGGIORNAMENTO AL 06.04.2010 |
ã |
GURI - GUUE -
BURL (e anteprima) |
LAVORI PUBBLICI:
G.U. 02.04.2010 n. 77 "Attuazione della
direttiva 2007/60/CE relativa alla
valutazione e alla gestione dei rischi di
alluvioni" (D.Lgs.
23.02.2010 n. 49). |
DIPARTIMENTO
FUNZIONE PUBBLICA |
PUBBLICO IMPIEGO:
Passaggio diretto di personale mediante
procedure di mobilità tra amministrazioni
diverse, ai sensi dell'art. 30 del d.lgs.
30.03.2001, n. 165 e successive modifiche ed
integrazioni. Applicazione dei limiti in
materia di assunzioni e vincoli sulla spesa
di personale (parere
UPPA 19.03.2010 n. 13731 di prot.
- link a www.innovazionepa.gov.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Parere al Ministero dell'Interno in merito
alla possibilità di procedere, a seguito
della legge di conversione del d.l.
194/2009, alle assunzioni di personale
autorizzate con DPCM 23.04.2009 e con DPR
28.08.2009, nonché di poter attuare le
procedure di mobilità pubblicate nella G.U.
4^ serie speciale Concorsi ed esami del
30.09.2008
(parere
UPPA 15.03.2010 n. 12694 di prot.
- link a www.innovazionepa.gov.it). |
QUESITI &
PARERI |
EDILIZIA PRIVATA:
Agibilità. Sanzioni previste art.
4 D.P.R. 380/2001.
Il Comune pone una serie di quesiti in
materia di agibilità, con particolare
riferimento alle sanzioni previste dall’art.
24 del D.P.R. 380/2001.
1. L’ente, in primo luogo, chiede quale sia
l’ufficio comunale competente
all’irrogazione della sanzione
amministrativa di cui al comma 3 dell’art.
24 del citato D.P.R. 380/2001, ai sensi del
quale “la mancata presentazione della
domanda (di rilascio del certificato di
agibilità) comporta l’applicazione della
sanzione amministrativa pecuniaria da 77 a
464 euro”.
2. In secondo luogo si chiede di individuare
l’ente legittimato ad incassare i proventi
della predetta sanzione.
3. Il Comune chiede, altresì, quale sia
l’autorità competente a ricevere il ricorso
sull’irrogazione della sanzione.
4. Infine, si chiede quali azioni
amministrative possa intraprendere il Comune
in caso di continuazione della condotta
omissiva da parte dell’interessato
(Regione Piemonte,
parere n.
7/2010 - link a
www.regione.piemonte.it). |
ENTI LOCALI:
Spese di manutenzione
dell’orologio del campanile di proprietà
della Curia della Chiesa parrocchiale.
Il sindaco del Comune di (omissis) chiede se
esista una normativa di riferimento utile ad
accollare al Comune le spese di manutenzione
dell’orologio inserito nel campanile della
Chiesa Parrocchiale, di proprietà della
Curia (Regione Piemonte,
parere n.
6/2010 - link a
www.regione.piemonte.it). |
URBANISTICA:
Procedimento espropriativo piano
particolareggiato.
Sono stati posti diversi quesiti in merito
ad un complesso procedimento espropriativo
inerente l’attuazione di un Piano
particolareggiato con previsione di comparti
ex art. 46 L.U.R.
I termini salienti della questione vengono
riferiti come segue:
- nel marzo 2001 venne approvata una
variante di P.P. con previsione di comparti
edificatori ex art. 23 L. 1150/1942 ed ex
art. 46 L.U.R.;
- nella delibera di approvazione di tale
variante –comportante dichiarazione di
pubblica utilità in forza dell’art. 16,
comma 9, L. 1150/1942 e dell’art. 40, comma
4, L.U.R.– non vennero indicati, come
previsto dall’art. 13 L. 2359/1865, i
termini per l’inizio e la fine dei lavori e
delle espropriazioni;
- ritenendosi valida ed efficace la
dichiarazione di P.U. conseguente
all’approvazione di tale variante al P.P.,
nel 2002 i consorziati di uno dei comparti
di intervento richiesero al Comune
l’attivazione della procedura ablatoria; il
Comune quindi –previa comunicazione di avvio
del procedimento– approvò con delibera di
Giunta il piano particellare di esproprio
attuativo del comparto e definì i termini
per l’inizio e la fine delle espropriazioni;
quindi procedette all’occupazione di urgenza
ed all’immissione nel possesso;
- nel settembre 2009 i consorziati di un
altro comparto di intervento hanno
comunicato al Comune la costituzione di tale
consorzio ed hanno richiesto di procedere ad
espropriazione nei confronti dei proprietari
dissenzienti;
- il comparto in questione ricade in area
che non è edificabile in forza del Piano per
l’Assetto Idrogeologico; la variante di
adeguamento del Piano Regolatore comunale al
PAI (il cui progetto preliminare è già stato
adottato e pubblicato) se approvata
consentirebbe l’attuazione di quanto
previsto dal Piano Regolatore e dal P.P.
Premessa la situazione ora schematizzata e
sintetizzata, il Comune formula puntuali
interrogativi circa la sussistenza di valida
ed efficace dichiarazione di P.U.; la natura
delle iniziative che possano e debbano
essere assunte dal Comune; la rilevanza
della attuale inedificabilità dell’area,
derivante dal PAI, con riferimento
all’eventuale espropriazione di essa
(Regione Piemonte,
parere n.
3/2010 - link a
www.regione.piemonte.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
P.R.G. del Comune. Applicazione
norme di attuazione in assenza di
disposizioni normative nazionali e
regionali.
Vengono chiesti quattro distinti pareri su
specifiche questioni in materia edilizia.
1- Con il primo quesito il Comune segnala
che “in passato è stato permesso il
recupero di strutture adibite a fienili o
altro in zona centro storico, purché chiuse
su tre lati (così veniva detto verbalmente);
le norme del piano riportano: “nel centro
storico è concessa la ristrutturazione
edilizia di tipo A per l’utilizzazione per
fini abitativi delle strutture tecniche
originariamente destinate al servizio
agricolo, con l’esclusione delle tettoie,
quando tali strutture tecniche siano
sostanzialmente incorporate nel nucleo
abitativo preesistente”.
Il Comune chiede di sapere “in che cosa
differisce una struttura tecnica da portico”
e se “la chiusura su tre lati è conditio
sine qua non”.
Segnala, altresì, il Comune che “spesso
ci si è trovati di fronte a fabbricati
accatastati in un modo (esempio in classe
A4), generalmente prima di una
compravendita, e in realtà si tratta di
fabbricati utilizzati come fienile o
magazzini e non si trova in Comune
un’adeguata pratica di cambio di
destinazione d’uso”.
A tal proposito, chiede il Comune di sapere
“come occorre comportarsi in tali casi,
se occorre prendere atto della pratica di
accatastamento oppure richiedere una pratica
di cambio di destinazione d’uso”.
2- Il Comune richiedente segnala che le
norme di P.R.G.C. recitano: “Non sarà
ammessa in alcun caso la realizzazione di
recinzioni cieche per nuove delimitazioni
fondiarie” e “In tutte le zone
indicate dal Piano regolatore generale le
recinzioni verso le vie pubbliche e gli
spazi pubblici ad uso pubblico e le vie
private debbono essere “a giorno” e non
superare l’altezza massima di mt. 2. Esse
dovranno essere costruite nella parte fuori
terra da uno zoccolo in muratura di mattoni
o in calcestruzzo di altezza non superiore a
mt. 0,50 dal suolo, sormontato da rete
metallica o da cancellata metallica, tali da
consentire il massimo di visibilità
trasversale. Possono essere concesse
autorizzazioni in deroga, a quanto
prescritto in caso di restauro e
completamento di recinzioni esistenti o muri
divisori esistenti, quando non si abbiano,
ad esclusivo giudizio della Commissione
Edilizia, a riscontrare ragioni negative da
carattere tecnico ed estetico”.
Chiede, dunque, il Comune di sapere se “una
recinzione costituita da un muro alto 1,60
mt. con delle vedute a semiluna, situata sul
confine tra una zona compromessa e aree
agricole possa essere di danno a diritti di
terzi”.
3- Con il terzo quesito, il Comune chiede di
sapere se “è possibile la realizzazione
di una scala per accedere ad un edificio a
confine con una piazza pubblica o queste
vengono considerate alla stregua di strade
pubbliche e come tale anche una semplice
scala deve arretrare di x metri”.
4- Con il quarto quesito, il Comune chiede
di sapere se “nel caso di oneri pagati
per una ristrutturazione che
successivamente, per vari motivi, non si
vuole più eseguire, l’Ente Comunale è tenuto
a restituire la somma versata per il
rilascio degli oneri” (Regione Piemonte,
parere n.
2/2010 - link a
www.regione.piemonte.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Interventi in area a rischio
idrogeologico. Variante al P.R.G..
Il quesito posto attiene alla assentibilità
di un impianto idroelettrico; in particolare
il Comune richiedente riferisce che è stata
presentata domanda di permesso di costruire
per la riattivazione del salto idrico già in
passato sfruttato da una carderia,
ipotizzando due diverse ed alternative
soluzioni progettuali, che si differenziano
in sostanza per il posizionamento della
turbina-generatore.
Premesso che i terreni oggetto dei richiesti
interventi rientrano secondo le cartografie
del PAI nella zona I – Area a rischio
idrogeologico molto elevato (RME), che il
Comune non ha ancora proceduto al
perfezionamento della Variante di
adeguamento del proprio P.R.G. al PAI e che
detti terreni rientrano in forza del P.R.G.
vigente in parte in zona E (agricola) ed in
parte in area C8 (residenziale-artigianale),
si richiede parere in ordine ai seguenti
aspetti:
- se sia legittimo il rilascio di un
Permesso di costruire un impianto
idroelettrico
in area RME;
- se detto Permesso di costruire sia
rilasciabile anche in assenza di adeguamento
del P.R.G. al PAI;
- se le due ipotesi progettuali proposte
siano compatibili con la pianificazione
comunale e di bacino (Regione Piemonte,
parere n.
163/2009 - link a
www.regione.piemonte.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Usi civici in zone montane e
collinari.
Per l'utilizzo dei pascoli di proprietà del
Comune (omissis) esiste il diritto di "uso
civico" in favore della popolazione
residente. Un tempo tale diritto era
esercitato da decine e decine di famiglie
che traevano sussistenza dall'allevamento di
un numero individuale limitatissimo di capi
bovini (mai superiore a dieci). Oggi
esistono invece pochissime aziende con
centinaia di capi ciascuna.
La crescita continua del numero di detti
bovini (circa 500 in tre aziende) provoca
continue difficoltà all'amministrazione
comunale nell' assegnazione annuale dei
pascoli, pur essendosi dotata nel 2003 di un
apposito Regolamento per l'esercizio degli
usi civici sul proprio territorio,
modificato nel 2005. Difficoltà dovute anche
alla limitata quantità di territorio
disponibile (non esistono pascoli liberi)
sia per l'impoverimento crescente negli anni
della capacita di "carico" dei
pascoli stessi, dovuto alla riduzione della
capacità produttiva di erba e all'aumento
degli infestanti e delle zone abbandonate.
Il quesito La legge 1766 del 16.06.1927, che
regola ancora oggi gli usi civici, li
classifica in due classi: "essenziali"
ed "utili".
E' dall'interpretazione di questi due
termini -scrive il sindaco di (omissis)- che
ha origine il quesito:
1) - Cosa si intende per essenziale e cosa
per utile?
2) - E' corretto e legalmente sostenibile,
per un uso civico che trae le sue origini e
le sue motivazioni sulla sostenibilità di
una comunità, che lo stesso diritto venga
esercitato solo per arricchimento di una
singola azienda? In extrema ratio,
può una sola azienda, pur se residente nel
territorio comunale, accaparrarsi il diritto
di utilizzo dell'intero territorio comunale?
3) - Possono essere posti dei limiti
all'utilizzo con un numero massimo di capi
di bestiame, come era correttamente
stabilito nei regolamenti frazionali del
secolo scorso?
4) - Se è corretta l'interpretazione
dell'utile quale diritto ad utilizzare i
pascoli comunali in modo da ricavarne
vantaggi economici che eccedono quelli
necessari al sostentamento
personale/famigliare, e quindi a fini
essenzialmente economici di arricchimento,
questo può essere illimitato o può essere
posto un limite? (Regione Piemonte,
parere n.
157/2009 - link a
www.regione.piemonte.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Installazione impianti produzione
energia elettrica in fasce di rispetto
comunale.
Si chiede parere in merito alla possibilità
di assentire l’installazione di impianti di
produzione di energia elettrica dal fonti
rinnovabili in aree protette, in aree
caratterizzate da elevata pericolosità
geomorfologica (classe III), in fascia di
rispetto cimiteriale ed in fascia di
rispetto dei pozzi di captazione delle falde
freatiche (Regione Piemonte,
parere n.
144/2009 - link a
www.regione.piemonte.it). |
DOTTRINA E
CONTRIBUTI |
EDILIZIA PRIVATA: W.
Fumagalli,
Il nuovo
procedimento di autorizzazione paesaggistica (AL
n. 3/2010). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
C. Rapicavoli,
Soppressione Autorità d'Ambito Territoriale
per la gestione delle risorse idriche e per
la gestione dei rifiuti urbani - Legge
26.03.2010 n. 42 (link a
www.ambientediritto.it). |
LAVORI PUBBLICI:
Quali rimedi ha il cittadino nel caso in cui
il Comune non provveda a eseguire la
manutenzione delle strade? Distinzione tra
strade normali e strade vicinali.
Ci giungono frequentemente quesiti
riguardanti i rimedi a disposizione del
cittadino nel caso in cui il Comune non
provveda a effettuare la manutenzione delle
strade.
Pubblichiamo una nota dell'avv. Marta
Bassanese, che approfondisce la questione,
distinguendo a seconda che si tratti delle
normali strade pubbliche oppure delle strade
vicinali (private oppure di uso pubblico),
dato che vengono in rilievo normative
differenti (link a
http://venetoius.myblog.it). |
APPALTI:
L. Bellagamba,
AVVALIMENTO – L’istituto è inutilizzabile
per comprovare il possesso di
un’autorizzazione amministrativa
(link a www.linobellagamba.it). |
ENTI LOCALI:
L. Bellagamba,
Un Comune non può indire una gara per la
selezione della migliore proposta di
realizzazione di un impianto di energia
rinnovabile (un parco eolico)
(link a www.linobellagamba.it). |
APPALTI FORNITURE E SERVIZI:
L. Bellagamba,
Poiché quello dell’avvalimento costituisce
principio generale ed ordinario, a maggior
ragione per un raggruppamento orizzontale
non può essere imposto il principio della
corrispondenza sostanziale fra quote di
qualificazione e quote di esecuzione
(link a www.linobellagamba.it). |
APPALTI:
L. Bellagamba,
Il problema se il beneficio del “quinto”
giovi a raggiungere le quote “minime”
di qualificazione previste per i
raggruppamenti orizzontali - La tesi
positiva sostenuta dal Consiglio di Stato
(link a www.linobellagamba.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
V. Montaruli e S. Rocca,
La disciplina delle distanze minime tra i
fabbricati nel nuovo assetto costituzionale
(link a www.diritto.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
A. Buzzanca,
La risarcibilità del danno da diniego
illegittimo all’accesso agli atti
amministrativi (link a
www.diritto.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
C. A. Sirna - A. Sirna - M. Sirna,
Pubblica Amministrazione. Affidamenti
incarichi dirigenziali. Ipotesi di spoils
system di fatto legiferate. Riflessioni
sulla costituzionalità delle medesime
(link a www.diritto.it). |
URBANISTICA:
N. D'Angelo,
Nuovo piano di lottizzazione e "variante" al
piano già approvato: differenze
(L'Ufficio Tecnico n. 3/2010). |
EDILIZIA PRIVATA:
G. Ciaglia,
Le opere di urbanizzazione a scomputo dopo
il terzo correttivo: gestione della gara
(L'Ufficio Tecnico n. 2/2010). |
INCARICHI PROFESSIONALI:
M. Balestieri,
Consulenza illegittima: la prova
dell'utilità della prestazione incombe sul
soggetto convenuto (L'Ufficio
Tecnico n. 2/2010). |
NEWS |
ENTI LOCALI - VARI:
Prescrizione in cinque anni per
Tarsu e Tosap.
L'iscrizione a ruolo notificata al
contribuenti in materia di tributi periodici
(quali la tassa di smaltimento rifiuti, la
tassa di occupazione del suolo pubblico e i
contributi per il consorzio di bonifica) si
prescrive nei cinque anni successivi alla
notifica, se non viene notificato entro tale
termine, l'avviso di mora ad esse relativo.
Sono queste le conclusioni cui è giunta la
Corte suprema di cassazione, con la sentenza
n. 4283, depositata il 23.02.2010 e relativa
all'udienza del 17.12.2009, che ha esaminato
il contenzioso riguardante un contribuente
il quale nell'anno 2002, a seguito della
notifica di tre avvisi di mora relativi ai
tributi locali dianzi ricordati, proponeva
ricorso alla Commissione tributaria
provinciale, chiedendo che fosse dichiarata
l'intervenuta prescrizione quinquennale.
Infatti il presente caso è giunto alla Corte
di cassazione, dopo che il contribuente si
era visto respingere il proprio ricorso, sia
dalla Ctp che dalla Ctr. Le decisioni dei
giudici di merito vertevano principalmente
sulla tesi secondo la quale ai crediti
tributari in argomento fosse applicabile la
prescrizione ordinaria decennale,
contemplata dall'art. 2946 c.c..
Di diverso avviso, naturalmente, il
contribuente che riteneva applicarsi al caso
in specie, l'art. 2948 n. 4) c.c. che invoca
la prescrizione cosiddetta breve, e cioè
quinquennale per ciò «che deve pagarsi
periodicamente ad anno o in termini più
brevi».
Le due tesi, contrapposte, possono essere
così riassunte:
1) la prescrizione quinquennale, prevista
per tutto ciò che deve pagarsi
periodicamente ad un anno, ovvero in termini
più brevi, si riferisce alle obbligazioni
caratterizzate dal fatto che la prestazione
sia suscettibile di adempimento solo con
decorso del tempo, in modo che soltanto con
il decorso del tempo si realizza la causa
del rapporto obbligatorio e può essere
soddisfatto l'interesse del creditore per il
tramite della recezione di più prestazioni,
aventi un titolo unico, ma autonome fra
loro;
2) la prescrizione decennale, invece, trova
applicazione con riguardo alle prestazioni
unitarie, suscettibili di esecuzione così
istantanea, come differita, e in cui può
essere prevista una pluralità di termini
successivi.
In base a tali assunti, i giudici hanno
ritenuto che «i tributi di cui è causa,
siano elementi strutturali di un rapporto
sinallagmatico caratterizzato da una causa
debendi di tipo continuativo suscettibile di
adempimento solo con decorso del tempo in
relazione al quale l'utente è tenuto ad una
erogazione periodica, dipendente dal
prolungarsi sul piano temporale della
prestazione erogata dall'ente impositore o
del beneficio dalla stesso concesso».
Invero, in tutti i casi considerati,
l'utente è tenuto a pagare periodicamente
una somma che, sia pure autoritativamente
determinata, costituisce corrispettivo di un
servizio a lui reso, o richiesto
(concessione di uso di suolo pubblico, di
uso di passo carrabile) o imposto (tassa per
smaltimento rifiuti, contributo opere di
risanamento idraulico del territorio) che
intanto si giustifica in quanto anno per
anno il corrispondente servizio venga
erogato; né è necessario, sempre ad avviso
dei giudici della Cassazione, per ogni
singolo periodo contributivo, un riesame
della esistenza dei presupposti impositivi,
che permangono fino alla verificazione di un
mutamento obbiettivo della situazione di
fatto giustificante il servizio, né il
corrispettivo potrebbe dall'utente essere
corrisposto in unica soluzione, in quanto
ab initio non determinato e non
determinabile, né nell'entità, né nella
durata.
Nella sentenza si osserva che «nessun
rilievo può darsi alla osservazione che
l'importo dei pagamenti annuali ed
infrannuali possa variare nel tempo, in
quanto tali variazioni non dipendono da
nuova negoziazione del rapporto, che rimane
stabile, ma da variazioni del costo dei
servizi prestati, il cui addebito da parte
degli enti impostori discende da
considerazioni di politica fiscale ed
economica rapportata alla generalità degli
utenti del servizio e indipendenti dalla
volontà del singolo contribuente.»
In sostanza, quindi, l'ipotesi in argomento
è assimilabile ai pagamenti relativi al
corrispettivo per forniture elettriche od
idriche, con l'unica differenza che, in
ragione della natura impositiva del
rapporto, i corrispettivi che integrano i
tributi in esame non sono immediatamente
legati alla entità del beneficio conseguito
dal contribuente o alla entità dei consumi
dello stesso, come peraltro insito nello
stesso concetto generale di tributo.
Concludendo, i giudici ricordano che, in
base all'art. 26 del dpr 29/09/1973 n. 602,
il concessionario è obbligato a conservare
per un quinquennio la copia delle cartelle
di pagamento e dei relativi attestati di
ricevimento. Da ciò essi fanno discendere
una presunzione della volontà del
legislatore, di ritenere corretta la
prescrizione quinquennale dei tributi o
contributi in argomento.
Pertanto, in base a quanto evidenziato, la
Cassazione ritiene che i tributi relativi
alla Tarsu, alla Tosap e a quelli già
ricordati, siano sottoposti alla
prescrizione breve indicata nel termine di
cinque anni, in virtù dell'art. 2948 n. 4)
c.c. (articolo ItaliaOggi del 02.04.2010,
pag. 34). |
PUBBLICO IMPIEGO:
PERSONALE/ Anche negli enti
locali non trova ostacoli l'applicazione del
decreto 165/2001. Contratto anche senza
sindacato. Subito operante il potere
unilaterale dell'amministrazione.
Il potere di fissare unilateralmente i
contenuti della contrattazione in assenza di
accordo con la parte sindacale opera da
subito e non è condizionato dalla
definizione dei tempi della negoziazione, da
parte dei contratti collettivi.
Per tutte le amministrazioni pubbliche, ivi
compresi gli enti locali, è immediatamente
possibile e doveroso applicare l'articolo
40, comma 3-ter, del dlgs 165/2001, come
novellato dal dlgs 150/2009, ai sensi del
quale «al fine di assicurare la
continuità e il migliore svolgimento della
funzione pubblica, qualora non si raggiunga
l'accordo per la stipulazione di un
contratto collettivo integrativo,
l'amministrazione interessata può
provvedere, in via provvisoria, sulle
materie oggetto del mancato accordo, fino
alla successiva sottoscrizione. Agli atti
adottati unilateralmente si applicano le
procedure di controllo di compatibilità
economico-finanziaria previste dall'articolo
40-bis».
Ha espresso una tesi diversa l'Anci nelle
Linee guida sull'applicazione della riforma
Brunetta all'ordinamento locale.
Secondo l'associazione, l'articolo 40, comma
3-ter potrebbe essere applicato solo una
volta che i prossimi contratti collettivi
nazionali abbiano definito il termine delle
sessioni negoziali in sede decentrata, al
cui spirare le parti potranno assumere le
rispettive prerogative e libertà di
iniziativa e decisione. Tale presupposto
all'unilaterale decisione sarebbe richiesto
dall'articolo 40, comma 3-bis, ultimi due
periodi, ai sensi del quale “i contratti
collettivi nazionali definiscono il termine
delle sessioni negoziali in sede decentrata”.
Alla scadenza del termine le parti
riassumono le rispettive prerogative e
libertà di iniziativa e decisione.
Detta interpretazione, tuttavia, non può
essere condivisa. In primo luogo, si deve
osservare che il comma 3-ter non contiene
alcun condizionamento espresso della sua
operatività rispetto alla contrattazione
collettiva. Né tale rapporto di
presupposizione della previsione espressa
del termine delle sessioni negoziali può, in
via interpretativa, essere desunto. Infatti,
il comma 3-bis si limita a fissare per la
contrattazione collettiva di tutti i
comparti un contenuto obbligatorio: il
termine delle sessioni negoziali.
Null'altro.
C'è da osservare, per altro, che per il
comparto regioni autonomie locali il Ccnl
01/04/1999, all'articolo 4, comma 4, già
determina in 30 giorni, prorogabili di altri
30, la durata delle sessioni. Sicché, la
norma contenuta nel comma 3-bis
dell'articolo 40 per regioni ed enti locali
non avrebbe che valore ricognitivo. È
erroneo ritenere che la durata della
sessione prevista dall'articolo 4, comma 4,
del Ccnl riguardi solo le materie non
soggette ad obbligo di stipulazione. La
durata vale per l'intera gamma delle
trattative; per le materie non soggette ad
obbligo di stipulazione alla scadenza il
contratto consente alle parti di riassumere
le rispettive prerogative e libertà di
iniziativa e decisione.
In secondo luogo, si deve sottolineare come
non vi sia alcuna relazione tra la durata
delle sessioni negoziali e il potere di
definire unilateralmente i contenuti della
contrattazione decentrata. Lo scopo della
previsione dei termini delle sessioni
negoziali è definire su quali ambiti della
contrattazione esista un obbligo a
contrattare e su quali altri un obbligo a
stipulare.
Nel primo caso, una volta scaduto il termine
della sessione, le parti possono
autonomamente riassumere la libertà di
iniziati. Nel caso, invece, della
sussistenza dell'obbligo a stipulare, no: le
parti sono tenute comunque a giungere alla
prestazione del consenso. Ovviamente,
l'articolo 40, comma 3-ter, esplica effetti
solo per il caso di materie sulle quali
sussista un obbligo a stipulare. Infatti, la
norma si riferisce espressamente al mancato
raggiungimento dell'accordo per stipulare un
contratto decentrato. In questo caso, il
termine della sessione risulta indifferente:
le parti dovrebbero comunque perseguire
l'accordo, anche a oltranza.
In ogni caso, essendo già previsto dalla
contrattazione collettiva nazionale del
comparto regioni-autonomie locali l'obbligo
a stipulare esclusivamente per le materie
aventi ad oggetto i criteri per destinare le
risorse finanziarie ai vari istituti del
trattamento economico accessorio, risulta
evidente che nel caso di mancato accordo su
questi ambiti, le amministrazioni possono
già agire unilateralmente, per scongiurare
pregiudizi alla continuità ed efficienza
dello svolgimento delle loro funzioni. Non è
assolutamente necessario che intervenga una
nuova contrattazione collettiva nazionale in
merito, perché la durata delle sessioni è
già fissata.
E, comunque, l'articolo 40, comma 3-ter ha
l'evidente fine di evitare sessioni
contrattuali infinite, causate spesso da
pregiudiziali alla stipulazione illegittime
(come clausole per accordarsi su materie non
comprese nella contrattazione, quali le
progressioni orizzontali), che rischiano di
indurre le amministrazioni ad accettare
condizioni in violazione dei vincoli alla
contrattazione (articolo ItaliaOggi del
02.04.2010, pag. 31). |
ENTI LOCALI: Pubblicità:
divieti con limiti. Illegittimo il "no"
generalizzato
(articolo
Il Sole 24 Ore del 29.03.2010 - link a www.corteconti.it). |
CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO
VIMINALE/ Rimborsi da circoscrivere. Gettone
di presenza solo per la partecipazione
all'assemblea e alle commissioni. Ai
consiglieri delegati solo le spese di
viaggio.
Un consigliere comunale, delegato dal
sindaco allo svolgimento delle funzioni ai
sensi dell'art. 54 del dlgs n. 267/2000, a
quali spese o rimborsi ha diritto?
In base al testo vigente dell'art. 82, comma
2, del Tuel, così come sostituito dal comma
25 dell'art. 2 della legge 24.12.2007, n.
244, i consiglieri comunali hanno diritto a
percepire un gettone di presenza per la
partecipazione a consigli e commissioni. Né
con la norma citata, né in altre
disposizioni relative ai compensi spettanti
agli amministratori locali, viene quindi
attribuita rilevanza alle funzioni delegate
dal sindaco ai consiglieri, le quali vengono
considerate solo ai fini del rimborso delle
spese di viaggio (cfr. art. 84, comma 3, del
citato dlgs), mentre hanno diritto a
percepire una indennità di funzione solo gli
amministratori indicati al comma 1 del
citato art. 82.
In merito alle spese di viaggio si rileva
che l'art. 84 del Tuel, così come modificato
dall'art. 2, comma 27, della L. n. 244/2007
(legge finanziaria 2008), prevede il
rimborso delle spese di viaggio agli
amministratori locali in due ipotesi per gli
spostamenti effettuati, in ragione del
mandato e previa autorizzazione, fuori del
capoluogo del comune ove ha sede l'ente di
appartenenza (comma 1) e per i trasferimenti
effettuati dagli amministratori, che
risiedono fuori del capoluogo del comune,
per partecipare alle sedute dei rispettivi
organi assembleari ed esecutivi, nonché per
la presenza necessaria presso la sede degli
uffici per lo svolgimento delle funzioni
proprie o delegate (comma 3).
È da ritenere che il caso rappresentato nel
quesito sia riconducibile all'ipotesi di cui
all'art. 84, comma 1, purché il consigliere
si munisca di volta in volta di una
autorizzazione del presidente del consiglio
comunale. Per le tali spese di viaggio
occorre precisare che se il consigliere con
funzioni delegate si sposta con i mezzi
pubblici di linea, al medesimo va rimborsato
l'intero importo sostenuto; se invece
l'amministratore è autorizzato all'uso del
mezzo proprio per l'espletamento delle
funzioni delegate, al medesimo va rimborsato
un quinto del costo della benzina per ogni
chilometro.
In merito è necessario rilevare che
sull'articolo 84 del Tuel incide l'art.
77-bis, comma 13, inserito dalla legge di
conversione 06.08.2008, n. 133 del dl n.
112/2008 il quale prevede, per le province e
i comuni con popolazione superiore a 5.000
abitanti che concorrono alla realizzazione
degli obiettivi di finanza pubblica per il
triennio 2009-2011, che il rimborso per le
trasferte dei consiglieri comunali e
provinciali sia calcolato sulla base del
quinto del costo della benzina per ogni
chilometro.
Per quanto , invece, riguarda il rimborso
forfetario l'ente potrà liquidare le spese
sulla base del decreto interministeriale del
12.02.2009 concernente «Fissazione della
misura del rimborso delle spese sostenute
dagli amministratori locali in occasione
delle missioni istituzionali»,
pubblicato nella G.U. n. 67 del 21.03.2009
(articolo ItaliaOggi del 26.03.2010, pag.
37). |
AUTORITA'
CONTRATTI PUBBLICI |
APPALTI:
Gare, contributi con carta di
credito.
Dal 1° maggio imprese e i professionisti
potranno pagare il contributo per
partecipare alle gare con carta di credito o
tramite Lottomatica servizi (presso i
tabaccai), previa iscrizione al nuovo
«servizio di riscossione» on-line
dell'Autorità per la vigilanza sui contratti
pubblici; le stazioni appaltanti saranno
tenute al pagamento attraverso bollettini
Mav.
È quanto ha comunicato l'Autorità per la
vigilanza sui contratti pubblici con le
istruzioni operative per le nuove modalità
di versamento (consultabili sul sito
www.avcp.it) che fanno seguito alla
deliberazione 15.02.2010 con la
quale l'organismo di vigilanza presieduto da
Luigi Giampaolino aveva stabilito
l'ammontare delle contribuzioni (invariate
rispetto al 2009) e le nuove modalità di
versamento (per le quali si era rinviato
alle istruzioni diffuse ieri).
La prima novità è che per eseguire il
pagamento, indipendentemente dalla modalità
di versamento utilizzata e anche per i
soggetti già iscritti al vecchio servizio,
occorrerà iscriversi preventivamente on-line
al nuovo «servizio di riscossione»,
che sarà disponibile sul sito dell'Autorità,
www.avcp.it, dal 1° maggio 2010.
Nelle istruzioni viene previsto che le
stazioni appaltanti potranno procedere al
pagamento quadrimestrale a mezzo bollettino,
mentre le imprese e i professionisti
effettueranno il versamento tramite
Lottomatica Servizi.
Per le stazioni appaltanti l'Autorità, ogni
quattro mesi a partire dal 1° maggio 2010
(prima emissione prevista per il 1°
settembre) metterà a disposizione in
apposita area riservata, un bollettino di
pagamento mediante avviso (Mav) intestato
alla stazione appaltante o, su richiesta, al
singolo centro di costo, pari alla somma
degli importi dovuti per ciascun «Numero
gara» assegnato dal Sistema informativo
di monitoraggio gare (Simog). Imprese e
professionisti dovranno invece collegarsi al
servizio con le credenziali rilasciate a
seguito dell'iscrizione e inserire il codice
Cig della gara.
Il sistema consentirà il pagamento diretto
mediante carta di credito oppure la
produzione di un modello da presentare a uno
dei punti vendita Lottomatica Servizi
(presso la rete dei tabaccai lottisti
abilitati al pagamento di bollette e
bollettini).
Nel primo caso l'impresa o il professionista
dovrà allegare all'offerta copia della
ricevuta di pagamento on-line trasmessa via
posta elettronica dall'Autorità; nel secondo
caso andrà invece allegato l'originale dello
scontrino rilasciato dal punto vendita
(articolo ItaliaOggi del 02.04.2010, pag.
29). |
CORTE DEI
CONTI |
ENTI LOCALI:
I contratti decentrati non
possono ripartire le risorse a posteriori.
La corte conti della Lombardia stigmatizza i
ritardi negli accordi di secondo livello.
I contratti decentrati non possono prevedere
criteri di ripartizione della parte
variabile della retribuzione dei dipendenti
a gestione ormai scaduta.
La Corte dei Conti, Sez. regionale di
controllo della Lombardia, col
parere 08.03.2010 n. 287
chiarisce uno dei punti maggiormente
controversi del sistema di contrattazione
decentrata, in particolare negli enti
locali.
Molto, forse troppo, spesso comuni e
province stipulano i contratti decentrati
con rilevante ritardi: nella parte finale
dell'anno di riferimento, se non l'anno
successivo. Essenzialmente, i contratti di
secondo livello sono finalizzati a stabilire
la ripartizione delle risorse del fondo
della contrattazione decentrata. Le parti,
infatti, non possono contrattare sulla
quantificazione delle risorse, potestà
esclusiva dell'amministrazione, ma sulla
destinazione delle risorse.
La sezione si è pronunciata su una richiesta
di parere rivoltale da un comune che non ha
assegnato obiettivi né individuali, né
settoriali, ai propri dipendenti, né
stipulato negli anni 2008 e 2009 i contratti
decentrati, rimanendo privo della fissazione
formale del fondo destinato alla
produttività. L'ente, pertanto, ha chiesto
se sia possibile stipulare il contratto
integrativo in un anno successivo a quello
di pertinenza ed in assenza della fissazione
degli obiettivi gestionali.
La Corte dei conti ha inevitabilmente
evidenziato che col contratto decentrato non
risulta possibile determinare a posteriori
criteri di ripartizione delle risorse
decentrate, con particolare riferimento
soprattutto a quelle connesse col risultato.
Infatti, come evidenzia con chiarezza
l'articolo 18 del Ccnl 01.04.1999, come
modificato dall'articolo 37 del Ccnl
22.02.2004, occorre che gli enti determinino
in via preventiva gli obiettivi cui
correlare l'assegnazione degli incentivi per
il conseguimento dei risultati.
Nel caso di specie esaminato dalla sezione,
dunque, risulta impossibile considerare
legittima una contrattazione conclusa dopo
l'anno di pertinenza e in assenza della
predeterminazione degli obiettivi. La Corte,
anzi, ritiene sussistano in ogni caso «forti
dubbi sulla liceità di contratti integrativi
conclusi dopo la scadenza del periodo di
riferimento».
A ben vedere, l'illiceità non riguarda tanto
la conclusione del contratto, quanto
l'assenza della predeterminazione degli
obiettivi. Laddove un ente locale disponga
di un sistema di valutazione e di controllo
interno capace ogni anno di estrapolare dal
piano esecutivo di gestione o, per gli enti
non obbligati ad adottarlo, dal piano
dettagliato degli obiettivi i risultati da
conseguire e gli indicatori per valutarli,
l'assenza o il ritardo della contrattazione
non costituisce di per sé illegittimità.
Infatti, il presupposto per la corretta
distribuzione del risultato è la preventiva
fissazione e pesatura degli obiettivi, sulla
quale la contrattazione non ha alcuna
competenza, essendo appannaggio esclusivo
dell'amministrazione. Il contratto
decentrato occorre, invece, per verificare
concretamente quanto venga destinato
all'incentivazione del risultato. Il
ritardo, allora, nella stipulazione causa il
ritardo nell'erogazione. Ovviamente, se
manchi la predeterminazione degli obiettivi,
la contrattazione non può svolgere alcuna
funzione a sanatoria.
La situazione esemplificata dalla richiesta
di parere si manifesta soprattutto quando
l'amministrazione non trova l'accordo con le
parti sindacali. Spesso, però, gli enti
dimenticano che in assenza del nuovo
contratto, continuano a prodursi gli effetti
di quello precedente. Pertanto, laddove il
sistema di valutazione sia funzionante,
potrebbero comunque distribuire il salario
accessorio in base al contratto precedente,
se non disdettato.
Per superare l'impasse dell'assenza di
accordo, l'articolo 40, comma 3-ter, del
dlgs 165/2001, come novellato dal dlgs
150/2009 consente alle amministrazioni di
adottare un atto unilaterale, sostitutivo
del contratto non concluso. Questo potere
dovrebbe consentire alle parti di rispettare
i tempi concordati per la negoziazione e
contrattazione, senza atteggiamenti dilatori
che causino ritardi nella stipulazione,
potenzialmente oggetto di rilievi di
legittimità da parte della magistratura
contabile
(articolo ItaliaOggi del 26.03.2010, pag.
36). |
EDILIZIA PRIVATA: Richiesta
di parere dal Sindaco del Comune di Brignano
Gera D'Adda (Bg) per poter
ricorrere ad una professionalità esterna per
la copertura del posto di responsabile
dell'Ufficio
è presupposto essenziale di legittimità che
il Comune abbia verificato l'assenza di
professionalità analoga al suo interno ...
L’art. 110, comma 2, TUEL prevede che in
tale tipologia di Enti (ndr: sprovvisti
della dirigenza) il regolamento
sull'ordinamento degli uffici e dei servizi
stabilisca i limiti, i criteri e le modalità
con cui possono essere stipulati, al di
fuori della dotazione organica, solo in
assenza di professionalità analoghe presenti
all'interno dell'ente, contratti a tempo
determinato di dirigenti, alte
specializzazioni o funzionari dell'area
direttiva, fermi restando i requisiti
richiesti per la qualifica da ricoprire.
Tali contratti sono stipulati in misura
complessivamente non superiore al 5 per
cento della dotazione organica dell'ente
arrotondando il prodotto all'unità
superiore, o ad una unità negli enti con una
dotazione organica inferiore alle 20 unità.
Dalla richiamata disciplina si evince che il
legislatore, negli Enti di minori
dimensioni, ha inteso privilegiare la
valorizzazione delle professionalità interne
rispetto al ricorso a soggetti esterni,
coerentemente con la ratio di ottimizzazione
delle risorse pubbliche che caratterizza in
generale la normativa in materia di
personale dipendente e che, per molti versi,
pervade anche la disciplina degli incarichi
esterni di natura non subordinata. Si
rammenta, in proposito, che rientra fra le
condizioni legittimanti il conferimento
d’incarichi individuali nella P.A., di cui
all’art. 7, comma 6, d.lgs. n. 165/2001, che
l'amministrazione abbia preliminarmente
accertato l'impossibilità oggettiva di
utilizzare le risorse umane disponibili al
suo interno.
Per poter ricorrere
ad una professionalità esterna per la
copertura del posto di responsabile
dell’Ufficio è quindi presupposto essenziale
di legittimità che il Comune abbia
verificato l’assenza di professionalità
analoga al suo interno,
condizione che dovrà essere attentamente
valutata dal Comune di Brignano Gera d’Adda,
che risulta già avere nella propria
dotazione organica personale di categoria D.
Quanto al trattamento economico, è lo stesso
art. 110, comma 3 TUEL che lo prevede
equivalente a quello previsto dai vigenti
contratti collettivi nazionali e decentrati
per il personale degli enti locali, e che
può essere integrato, con provvedimento
motivato della Giunta, da una indennità ad
personam. Quest’ultima non è rimessa ad una
mera contrattazione tra le parti ma, da un
lato, trova il suo parametro quantitativo
nella specifica qualificazione professionale
e culturale richiesta all’incaricato, anche
in considerazione della temporaneità del
rapporto e delle condizioni di mercato
relative alle specifiche competenze
professionali e, dall’altro, deve
necessariamente essere definita in stretta
correlazione con il bilancio dell'ente
(Corte
dei Conti, Sez. regionale di controllo
Lombardia,
parere
14.01.2010 n. 57
- link a www.corteconti.it). |
GIURISPRUDENZA |
CONDOMINIO:
Gli ascensori saltano la
revisione. Il Tar del Lazio ha accolto il
ricorso di Confedilizia annullando gli
effetti del dm 23/07/2009. Stop alla
verifica straordinaria: sarebbe costata 6
mld.
Stop alla revisione straordinaria degli
ascensori. Il TAR Lazio-Roma, Sez. III-ter, accogliendo un
ricorso della Confedilizia, ha annullato con
sentenza
01.04.2010 n. 5413 il decreto del
ministero dello sviluppo economico del 23
luglio dello scorso anno che imponeva una
verifica straordinaria degli impianti
installati e messi in esercizio prima del
1999, dichiarando il provvedimento
«illegittimo sotto tutti i profili».
Un'operazione che secondo la Confederazione
italiana della proprietà edilizia sarebbe
costata qualcosa come 6 miliardi di euro.
La sentenza, spiega Confedilizia in una
nota, sottolinea che il decreto «impone ai
privati proprietari pesanti prestazioni
personali e patrimoniali al di fuori di
qualsiasi prescrizione legislativa e
soprattutto lascia ampio spazio nella loro
individuazione a una associazione privata
(l'Uni), alle cui libere determinazioni,
assunte nel tempo e finalizzate a un
continuo adeguamento delle tecniche di
valutazione dei rischi degli impianti, da
essa imposte, dipende la loro progressiva
quantificazione e i vantaggi economici che
l'associazione ne ricava».
La riprova dell'«anomala e ingiustificata
posizione di vantaggio che a essa si è
ritenuto di assicurare, in danno dei
proprietari», sottolinea anche la sentenza,
«è già nell'obbligo fatto ai privati
proprietari di acquisire, a un prezzo esoso,
limitatamente a una sola copia del cartaceo
recante il testo delle norme tecniche da
osservare e “ad esclusivo uso del cliente”,
la licenza da parte dell'Uni a utilizzare la
normativa tecnica da essa predisposta, di
cui è ritenuta proprietaria e che per questa
ragione non è pubblicata sulla Gazzetta
Ufficiale, come sarebbe doveroso per ogni
normativa che alla collettività si impone di
applicare».
La sentenza evidenzia, ancora, che
«l'ordinamento vigente già impone ai
proprietari di immobili dotati di ascensori
due verifiche annuali e una straordinaria a
opera di tecnici specializzati e
autorizzati, con i relativi costi di non
limitato livello».
Per effetto del decreto
impugnato, «a detto sistema, niente affatto
abrogato ma tuttora vigente e cogente»,
sottolinea la sentenza, «ora se ne
sovrappone un altro motivato con riferimento
alla migliore qualità che garantirebbero le
tecniche Uni, come se la loro applicazione
non potesse essere imposta ai tecnici che
effettuano i primi controlli».
In sostanza,
evidenzia la sentenza, «si mantiene in piedi
un sistema, della cui efficacia si dubita,
ma che obbliga i suoi operatori a segnalare
immediatamente eventuali difetti
dell'ascensore ai relativi proprietari
perché provvedano a eliminarli, e a esso se
ne sovrappone un altro, che introduce
un'ulteriore verifica.
Il primo controllore è controllato dal
secondo, senza che sia neppure stabilito, in
caso di esiti diversi, a quale dei due i
privati proprietari devono conformarsi».
La
sentenza è stata emessa in un procedimento
nel quale la Confedilizia è stata difesa da
Vittorio Angiolini, docente all'Università
di Milano, e nel quale è intervenuta a
sostegno del ricorso l'associazione
consumatori Assoutenti.
Il presidente della Confedilizia, Corrado
Sforza Fogliani, ha dichiarato: «A pochi
giorni dall'accoglimento del nostro ricorso
contro l'attribuzione ai Comuni della
possibilità di determinare la base
imponibile delle imposte anche comunali come
l'Ici, il Tar del Lazio ha accolto un altro
nostro ricorso, annullando un provvedimento
che avrebbe causato forti spese a condomini
e proprietari di casa, calcolate da una
società del settore ascensori in sei
miliardi di euro.
La Confedilizia si conferma come un preciso
punto di riferimento per la difesa delle
ragioni proprietarie» (articolo ItaliaOggi
del 02.04.2010, pag. 24). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
INFORMAZIONE AMBIENTALE -
Richiesta inerente lo stato della pratica e
il nominativo del responsabile del
procedimento - Sussumibilità nel novero
delle istanze di accesso - Esclusione -
Disciplina in materia di accesso alle
informazioni ambientali - D.lgs. n. 195/2005
- Art. 3-sexies d.lgs. n. 152/2006 - Oggetto
della richiesta.
Ove si chieda di conoscere lo stato della
pratica e il nominativo del responsabile del
procedimento, la relativa richiesta non è
qualificabile come istanza di accesso, in
quanto volta a promuovere la conclusione del
procedimento e ad assicurare la
partecipazione allo svolgimento dello stesso
(Tar Lazio, Roma, n. 292/2008).
Siffatta conclusione non muta per effetto
del più ampio spettro di azione conferito
all’istituto dalla normativa dettata in tema
di accesso alle informazioni ambientali, di
cui al decreto legislativo 19.08.2005, n.
195 ed all’articolo 3-sexies del d.lgs.
03.04.2006, n. 152, come aggiunto dal
decreto correttivo n. 4 del 2008.
E’ vero che l’istituto dell’accesso alle
informazioni ambientali non si assoggetta ai
limiti soggettivi e oggettivi propri
dell’accesso ai documenti amministrativi,
nel senso che non è sottoposto al filtro
soggettivo potendo essere esercitato da
chiunque “senza essere tenuto a
dimostrare la sussistenza di un interesse
giuridicamente rilevante”, né al limite
oggettivo proprio della legge n. 241/1990
“potendo riguardare anche informazioni da
elaborare appositamente, e non soltanto
documenti già formati ed esistenti presso
l’amministrazione” (cfr., Tar Campania,
Napoli, n. 68/2010).
Resta tuttavia fermo che deve pur sempre
trattarsi, ex art. 1 del d.l.vo n. 195/2005,
di informazioni ambientali detenute dalle
autorità pubbliche e concernenti lo stato
degli elementi dell'ambiente, i fattori che
incidono o possono incidere sui suoi
elementi, le misure, anche amministrative
che incidono o possono incidere sui ripetuti
elementi e fattori e così via seguendosi
l’elencazione di cui all’art. 2 del decreto
cennato (TAR Campania-Napoli, Sez. VI,
sentenza 31.03.2010 n. 1752 -
link a www.ambientediritto.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
ACQUA - Scarico diretto in corpo
irriguo - Controversie - Regime delle acque
pubbliche - Giurisdizione del TAR -
Esclusione.
La controversia in materia di scarico non
riversantesi in una rete fognaria o in un
depuratore, ma direttamente in un corpo
irriguo, con tutte le conseguenze relative
alla sua utilizzazione, incidendo
direttamente sul regime delle acque
pubbliche, esula dalla giurisdizione del TAR
(Trib. sup.re acque, 13.03.2009, n. 39, e
07.11.2008, n. 172) (TAR Abruzzo-Pescara,
Sez. I,
sentenza 30.03.2010 n. 220 - link
a www.ambientediritto.it). |
APPALTI SERVIZI:
Sull'applicabilità al servizio di
illuminazione votiva cimiteriale dell'art.
113, c. 15-bis, T.U.E.L., che stabilisce la
scadenza automatica delle concessioni di
servizi pubblici locali affidate senza gara.
Il comune che si avvalga dell'opera di un
privato, per le attività connesse
all'illuminazione votiva cimiteriale, pone
di regola in essere una concessione di
pubblico servizio e non di opera pubblica,
poiché normalmente detto impianto
costituisce un semplice strumento rispetto
all'esigenza prioritaria di consentire il
culto dei defunti, anche attraverso la
gestione del servizio di illuminazione.
Il d.m. 31.12.1983 classifica in modo
espresso, come servizio pubblico locale,
l'illuminazione votiva nel proprio articolo
unico, al punto 18, ultima parte, per cui,
nel caso di specie, correttamente l'ente
locale ha ritenuto la concessione in esame
come sottoposta alla previsione normativa di
cui l'art. 113, c. 15-bis, t.u.e.l,
contemplante la scadenza delle concessioni
di servizi pubblici locali non affidate
mediante gara, senza in alcun modo
considerare le ragioni per le quali a suo
tempo non si sarebbe fatto ricorso alla
gara, prendendo atto di quanto disposto
legislativamente e senza necessità di un
apposito procedimento (Consiglio di Stato,
Sez. V,
sentenza 29.03.2010 n. 1790 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
PUBBLICI APPALTI E AVVALIMENTO.
1. Appalto pubblico (in
generale) - Criteri e principi - Massima
partecipazione - Avvalimento - Disciplina.
2. Appalto pubblico (in generale) - Criteri
e principi - Massima partecipazione -
Istituto dell'avvalimento - Ratio -
Normativa comunitaria.
1.
Per l'utilizzazione dell'istituto dell'avvalimento
-che consente ad un'impresa (concorrente
alla gara) di ricorrere alle referenze di
un'altra impresa (ausiliaria), al fine di
dimostrare il possesso dei requisiti di
capacità economica, finanziaria, tecnica,
organizzativa necessari per partecipare ad
una gara- occorre che il partecipante alla
gara dimostri di disporre effettivamente dei
requisiti di capacità economica,
finanziaria, tecnica e organizzativa del
soggetto di cui intende avvalersi (V. Cons.
Stato, sez. VI, 22-04-2008 n. 1856).
2.
Nell'avvalimento, quale ricavabile dalla sua
genesi comunitaria, sussiste l'irrilevanza
per la stazione appaltante dei rapporti
sottostanti esistenti fra il concorrente e
il soggetto "avvalso", essendo
indispensabile unicamente che il primo
dimostri di poter disporre dei mezzi del
secondo, in adesione all'attuale normativa
comunitaria (artt. 47 e 48 Direttiva n.
118/2004/CE ed art. 54 Direttiva n.
17/2004/CE), la quale espressamente prevede
che un operatore economico può, se del caso
e per un determinato appalto, fare
affidamento sulle capacità di altri
soggetti, a prescindere dalla natura
giuridica dei suoi legami con quest'ultimi
(Cons. Stato, sez. 17-03-2009 n. 1589)
(massima tratta da
http://mondolegale.it
-
TAR Veneto, Sez. I,
sentenza 26.03.2010 n. 1011 -
link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Opere realizzate in assenza del
titolo abilitativo - Assenza di istanza di
sanatoria - Compatibilità con la normativa
urbanistica vigente - Permanenza
dell’interesse pubblico all’eliminazione
dell’abuso - Ordine di demolizione.
L’eventuale compatibilità delle opere con la
normativa urbanistica vigente non può
assumere efficacia dirimente in assenza di
un’istanza di sanatoria, potendo tale
profilo assumere precipuo rilievo, ai fini
dell’accertamento di conformità in sede di
procedura di sanatoria dell’opera abusiva,
ma non potendo esso costituire un implicito
surrogato dell’assenso edilizio
concretamente non rilasciato.
Per questo motivo, la conformità urbanistica
non costituisce elemento che porta di per sé
a declassare l’interesse pubblico a reagire
contro l’abuso edilizio, con le conseguenze
del caso sotto il profilo del corredo
motivazionale del provvedimento ingiuntivo.
Più in generale, va ribadito che il
presupposto per l’adozione dell’ordine di
demolizione di opere edilizie abusive resta
essenzialmente la constatata realizzazione
dell’opera in assenza del titolo abilitativo
(o in totale difformità da esso), con la
conseguenza che nella ricorrenza del
predetto requisito l’ingiunzione demolitoria
costituisce un atto dovuto (Consiglio di
Stato sez. V, sentenza n. 3443/2002 ).
Abuso edilizio -
Decorrenza di un ungo lasso di tempo -
Inerzia dell’amministrazione - Affidamento
del privato - Esercizio del potere
repressivo - Onere motivazionale.
A seguito di un lungo lasso di tempo
trascorso dalla commissione dell'abuso ed
del protrarsi dell'inerzia
dell'amministrazione preposta alla
vigilanza, può ritenersi ingenerata una
posizione di affidamento nel privato, in
relazione alla quale l'esercizio del potere
repressivo è subordinato ad un onere di
congrua motivazione che, avuto riguardo
anche all'entità e alla tipologia
dell'abuso, indichi il pubblico interesse,
evidentemente diverso da quello ripristino
della legalità, idoneo a giustificare il
sacrificio del contrapposto interesse
privato (C.d.S., Sez. V, 04.03.2008, n. 883;
C.d.S. Sez. V, n. 3270/2006) (TAR
Campania-Napoli, Sez. IV,
sentenza 25.03.2010 n. 1636 -
link a www.ambientediritto.it). |
APPALTI:
Sull'esclusione dalle gare per
false dichiarazioni.
Il momento da cui decorre, per le Stazioni
Appaltanti, l'obbligo (e non solo la
facoltà) di escludere dalle gare chi le ha
rese, non è quello dell'annotazione nel
Casellario Informatico, bensì quello della
sentenza che accerta in modo definitivo la
sussistenza della causa di esclusione di cui
all'art. 38, lett. h).
L'art. 38, c. 1, lett. h), del D.Lg.
163/2006, dispone che vanno esclusi dalle
gare quei partecipanti che "nell'anno
antecedente la data di pubblicazione del
bando di gara hanno reso false dichiarazioni
in merito ai requisiti e alle condizioni
rilevanti per la partecipazione alle
procedure di gara e per l'affidamento dei
subappalti, risultanti dai dati in possesso
dell'Osservatorio"
La contestazione in giudizio da parte di un
concorrente della propria esclusione per
aver reso false dichiarazioni ex art. 38,
lett. h), annotata nel Casellario, "congela"
gli effetti dell'annotazione medesima sino a
quando non sia emessa sentenza definitiva
sulla questione, e solo da tale data
ricomincia a decorrere il periodo
interdittivo previsto dalla legge (tesi
minoritaria) (TAR Friuli Venezia Giulia,
sentenza 25.03.2010 n. 198 - link
a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
BENI CULTURALI E AMBIENTALI -
Art. 11 d.lgs. n. 42/2004 - Tipologie di
“cose” suscettibili di tutela - Elenco -
Rinvio alle disposizioni del medesimo testo
normativo - Regime giuridico di tutela -
Riferimento alla norma di volta in volta
richiamata - Automatica ascrivibilità dei
beni contemplati nell’art. 11 nel novero dei
beni culturali - Esclusione - Indagine di
natura tecnico-discrezionale.
L’art. 11 del d.lgs. n. 42 del 2004
individua i beni che, in determinate
ipotesi, possono rivestire il carattere di
bene culturale. Le svariate tipologie di “cose”
-come denominate a seguito della novella del
2008, che ha sostituito l’originaria dizione
di “beni” adoperata dal legislatore
del 2004- vengono semplicemente elencate
dalla disposizione in esame, la quale reca,
a sua volta, il rinvio a singole previsioni
del codice, ove sono delineate, per ciascuna
tipologia, direttamente o tramite ulteriore
rinvio normativo, le condizioni ed i
presupposti per il loro assoggettamento a
tutela nonché le specifiche modalità d’uso e
di fruizione.
Come chiarito nella relazione illustrativa
del 2008, le modifiche apportate alla
disposizione hanno principalmente lo scopo
di rimarcare il significato del rinvio
operato dall’art. 11 ad altre disposizioni
del medesimo testo legislativo e di
evidenziare che, in primo luogo, il regime
giuridico di tutela risulta essere, per
ciascuna tipologia, unicamente quello
descritto dalla norma di volta in volta
richiamata e, in secondo luogo, che non vi è
alcuna automatica ascrivibilità delle cose
contemplate nel novero dei beni culturali,
poiché tale status può conseguire solo in
esito ad una indagine di natura
tecnico-discrezionale intesa ad accertare la
presenza del grado di interesse storico ed
artistico e delle altre condizioni richieste
dall’art. 10 del medesimo testo legislativo
per la loro sottoposizione a tutela mediante
formale dichiarazione.
BENI CULTURALI E
AMBIENTALI - Art. 11 d.lgs. n. 42/2004 -
Studi d’artista - Rinvio all’art. 51 del
d.lgs. n. 42/2004 - Sottoposizione a tutela
- Elementi rilevanti - Sentenza Corte Cost.
n. 185/2003.
Tra le cose contemplate nell’art. 11 del
d.lgs. n. 42 del 2004 figurano anche gli
studi d’artista la cui disciplina è
contenuta nel successivo art. 51.
Dall’esame di tale disposizione emerge che
ciò che rileva ai fini della sottoposizione
a tutela non è, in sé considerato, il
complesso di cose (opere, cimeli, documenti
e simili) ricomprese nello studio di un
artista bensì la circostanza che tali beni,
valutati nel loro insieme ed in relazione al
contesto nel quale sono inseriti, siano
espressione di quei valori che determinano
l’insorgere dell’interesse pubblico sotteso
all’apposizione del vincolo (cfr. Corte
Cost. n. 185/2003, secondo cui l’obiettivo
perseguito attraverso la specifica
disciplina tesa a tutelare gli studi
d’artista in attuazione dell’art. 9 della
Costituzione è quello di “rendere
immodificabile l’ambiente ed i luoghi nei
quali operò l’artista”, al fine di
conservare intatta la testimonianza dei
valori culturali in esso insiti).
BENI CULTURALI E
AMBIENTALI - Studi d’artista - Luoghi
diversi da quelli in cui l’artista ha svolto
la propria attività creatrice - Possibile
qualificazione di “studio d’artista” ai
sensi degli artt. 11 e 51 d.lgs. n. 42/2004
- Condizioni.
E’ possibile riconoscere le caratteristiche
dello studio d’artista, ex d.lgs. 42/2004,
anche a luoghi diversi da quelli in cui un
artista ha effettivamente svolto la sua
attività creatrice, purché in essi siano
raccolta una coerente universalità di cose,
già effettivamente appartenute all’artista
e, per una parte almeno preponderante, già
da questi raccolte nei luoghi in cui lo
stesso aveva effettivamente operato
creativa.
In altri termini, perché si possa parlare di
studio d’artista, deve essere comunque
ricreato -fosse pure con qualche limitata
approssimazione, spesso inevitabile per le
vicissitudini successive alla scomparsa di
un autore- tale ambiente, così da conservare
un reale collegamento con la vita e con
l’opera dell’artista, in peculiare coerenza
con la disciplina in esame.
A contrario, non potrà essere assimilata ad
uno studio d’artista una mera raccolta di
cimeli a questi riferibili, ove manchi
l’elemento costituito dalla sua volontà
unificatrice (TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 24.03.2010 n. 939 - link
a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
SILOS PER USI AGRICOLI: E'
PERTINENZA EDILIZIA?
Pertinenza edilizia -
Nozione.
E' pertinenza edilizia soltanto quella
preordinata ad un'oggettiva esigenza
dell'edificio principale, funzionalmente ed
oggettivamente inserita al servizio dello
stesso, in relazione alle caratteristiche di
quest'ultimo, sfornita di un valore di
mercato, non valutabile in termini di
cubatura o, comunque, dotata di un volume
minimo, sicché sono qualificabili come
pertinenze in materia edilizia solo le opere
che siano prive di autonoma destinazione, e
che esauriscano la loro destinazione d'uso
del rapporto funzionale con l'edificio
principale così da non incidere sul carico
urbanistico (massima tratta da
http://mondolegale.it
-
TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 24.03.2010 n. 928 -
link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Abusi - Demolizione - Ordinanza -
Motivazione congrua - E' necessaria - Casi -
Ragioni.
L'ordine di demolizione di opera edilizia
abusiva, configurando un atto dovuto, è
sufficientemente motivato con l'affermazione
dell'accertata abusività dell'opera stessa,
salva peraltro l'ipotesi in cui, per il
lungo intervallo trascorso tra la
commissione dell'abuso e il protrarsi della
inerzia della amministrazione preposta alla
vigilanza, si sia ingenerata una posizione
di affidamento nel privato.
In tale ipotesi si ravvisa un onere di
congrua motivazione che, avuto riguardo
anche alla entità e alla tipologia
dell'abuso, indichi il pubblico interesse,
evidentemente diverso da quello al
ripristino della legalità, idoneo a
giustificare il sacrificio del contrapposto
interesse privato (così, da ultimo, Cons.
Stato, sez. IV, 06-06-2008 n. 2705; Cons.
Stato, sez. IV, 14-05-2007 n. 2441; Cons.
Stato, sez. V, 29-05-2006 n. 3270) (massima
tratta da
http://mondolegale.it
-
TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 24.03.2010 n. 928 -
link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
RIFIUTI - Rifiuti abbandonati
sull’area di sedime della strada - Ente
proprietario o ente gestore - Obbligo di
rimozione - Pericoli o danni alla
circolazione - Dolo o colpa - Irrilevanza -
Rifiuti abbandonati nella vicinanza della
sede stradale - Profilo soggettivo dell’ente
proprietario o gestore - Rilevanza.
Ai sensi dell'art. 192 D.L.vo 03.04.2006 n.
152, l'Ente proprietario (e, in sua vece,
l’Ente gestore) della strada ha l'obbligo di
provvedere alla pulizia della stessa, in
modo da non creare danno o pericoli alla
circolazione; pertanto, spetta alla detta
P.A. procedere alla raccolta dei rifiuti
abbandonati da terzi sull'area di sedime
della strada stessa, a prescindere dalla
sussistenza dell'elemento soggettivo del
dolo o della colpa del detto proprietario
(Cfr. Cons. Stato Sez. IV 18.06.2009 n.
4005).
La soluzione è invece diversa allorché si
tratti di rifiuti solidi non pericolosi
abusivamente depositati nelle vicinanze
dell'area stradale e non risulti
riscontrabile né tanto meno denunciato alcun
profilo soggettivo di dolo o quanto meno di
colpa in capo all' Ente proprietario o
gestore (Cfr. TAR Campania, V Sez.,
05.12.2008 n. 21013) (TAR Campania-Napoli,
Sez. V,
sentenza 23.03.2010 n. 1588 -
link a www.ambientediritto.it). |
APPALTI SERVIZI:
La qualificazione differenziale
tra attività strumentali e gestione di
servizi pubblici ai fini dell'applicazione
dell'art. 13 dl n. 223/2006 deve essere
riferita non all'oggetto della gara, bensì
all'oggetto sociale delle imprese
partecipanti ad essa.
Sul divieto alla partecipazione alle gare
dei gestori di servizi pubblici locali in
virtù di un affidamento diretto: disciplina
di cui all'art. 113, commi 6 e 15-quater
TUEL ed all'art. 23-bis, c. 9, e s.m.i.
della legge n. 133/2009. La configurazione
del servizio pubblico è compatibile con
diversi schemi giuridici e con differenti
modalità di remunerazione della prestazione.
L'enunciato dell'art. 13 del d.l. n.
223/2006 (c.d. decreto Bersani), nel porre
un divieto di partecipazione alle gare
pubbliche per le società strumentali degli
enti locali, evidenzia che la limitazione
della legittimazione negoziale delle società
strumentali si riferisce a qualsiasi
prestazione a favore di soggetti terzi
rispetto agli enti costituenti, partecipanti
o affidanti, senza che a nulla rilevi la
qualificazione di tali attività.
La qualificazione differenziale tra attività
strumentali e gestione di servizi pubblici
deve essere riferita non all'oggetto della
gara, bensì invece all'oggetto sociale delle
imprese partecipanti ad essa. Il divieto di
fornire prestazioni a enti terzi, infatti,
colpisce le società pubbliche strumentali
alle amministrazioni regionali o locali, che
esercitano attività amministrativa in forma
privatistica, non anche le società destinate
a gestire servizi pubblici locali, che
esercitano attività d'impresa di enti
pubblici: esso è posto al fine di separare
le due sfere di attività per evitare che un
soggetto, che svolge attività
amministrativa, eserciti allo stesso tempo
attività d'impresa, beneficiando dei
privilegi dei quali esso può godere in
quanto pubblica amministrazione.
Il divieto di cui al c. 6 dell'art. 113
t.u.e.l. si applica a decorrere dal 1°
gennaio 2007, "salvo nei casi in cui si
tratti dell'espletamento delle prime gare
aventi ad oggetto i servizi forniti dalle
società partecipanti alla gara stessa"
(c. 15-quater dell'art. 113 t.u.e.l). I
servizi messi a gara devono essere, perché
operi la deroga, proprio quelli che le
società fornivano all'amministrazione che ha
indetto la gara. La sua ragion d'essere è
quella di evitare che le società che
forniscono servizi ad un'amministrazione ed
hanno pertanto acquisito esperienza "sul
territorio" siano automaticamente
estromesse dalle gare per l'affidamento
concorrenziale di quei servizi: non già,
invece, quello di elargire agli attuali
affidatari diretti una moratoria
generalizzata a tutte le prime gare rispetto
al termine del 1° gennaio 2007. Tutti questi
elementi inducono ad affermare che la deroga
deve intendersi ristretta alle società che
gestivano i servizi oggetto della gara con
affidamento diretto da parte
dell'amministrazione che la indice.
Costrutto ben diverso da quello
successivamente esibito dal c. 9 dell'art.
23-bis del d.l. n. 112 del 2008 conv. dalla
l. n. 133 del 2008, modificato dall'art. 15,
c. 1, lett. d), del d.l. n. 135 del 2009
convertito dalla l. n. 166 del 2009: "I
soggetti affidatari diretti di servizi
pubblici locali possono comunque concorrere
su tutto il territorio nazionale alla prima
gara successiva alla cessazione del
servizio, svolta mediante procedura
competitiva ad evidenza pubblica, avente ad
oggetto i servizi da essi forniti", in
cui il riferimento a "tutto il territorio
nazionale" e alla "prima gara
successiva alla cessazione del servizio"
designa un diverso punto di rilevanza
ermeneutica: quello dell'impresa
affidataria.
La nozione di servizio pubblico prescelta
dal legislatore, quella oggettiva, si fonda
su due elementi:
1) la preordinazione dell'attività a
soddisfare in modo diretto esigenze proprie
di una platea indifferenziata di utenti;
2) la sottoposizione del gestore ad una
serie di obblighi, tra i quali quelli di
esercizio e tariffari, volti a conformare
l'espletamento dell'attività a regole di
continuità, regolarità, capacità
tecnico-professionale e qualità.
Ne consegue che, fermi gli elementi
essenziali sopra menzionati, la
configurazione del servizio pubblico è
compatibile con diversi schemi giuridici e
con differenti modalità di remunerazione
della prestazione.
Pertanto, nel caso di specie, a nulla rileva
che oggetto dell'affidamento fosse soltanto
la raccolta dei rifiuti e non l'intero
servizio dell'igiene ambientale, così come
non rileva che il gestore fosse remunerato
dal soggetto aggiudicatore: quel che conta,
infatti, è che l'attività del gestore fosse
diretta ad una platea indifferenziata di
utenti e che esso fosse destinatario di
obblighi funzionali alla destinazione al
pubblico dell'attività dovuta (Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 22.03.2010 n. 1651 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI SERVIZI:
Il divieto di partecipare alle
gare per l’affidamento di un servizio
pubblico sussiste anche quando abbia ad
oggetto un segmento dello stesso servizio.
La controversia in esame era incentrata,
sostanzialmente, sulla violazione dell’art.
113 t.u.e.l.: il comma 6 dello stesso
dispone che non sono ammesse a partecipare
alle gare di cui al comma 5 le società che,
in Italia o all'estero, gestiscono a
qualunque titolo servizi pubblici locali in
virtù di un affidamento diretto.
Tra gli argomenti degli appellanti diretti
ad escludere l’applicabilità in diritto alle
imprese in causa della predetta disposizione
esaminiamo quella secondo cui il divieto (di
cui al comma 6 predetto) di partecipare alle
gare per l’affidamento di un servizio
pubblico non sussisterebbe nel caso di
specie, venendo in considerazione non la
titolarità (ex comma 5) di un servizio
pubblico ma la gestione di un segmento di
servizio pubblico.
Ma tali argomenti, secondo i giudici del
Consiglio di Stato, non hanno pregio: sotto
il primo profilo, il servizio pubblico
postula per sua natura che l’amministrazione
ne dia in affidamento a terzi la gestione,
conservandone la titolarità.
L’enunciato: “conferimento della
titolarità del servizio” di cui al comma
5 citato, quindi, altro non è che un termine
atecnico per designare la gestione del
servizio: esso non può essere interpretato
in maniera letterale -ma asistematica- per
escludere che il caso di specie sia
sussumibile nella fattispecie legale. Sotto
il secondo profilo, il fatto che
l’affidamento in esame abbia ad oggetto
prestazioni specificamente determinate (la
sola raccolta dei rifiuti), ovvero un
segmento del servizio pubblico a nulla
rileva per escludere l’applicabilità del
divieto di cui al comma 6.
La nozione di servizio pubblico prescelta
dal legislatore, infatti, quella oggettiva,
si fonda su due elementi:
1) la preordinazione dell’attività a
soddisfare in modo diretto esigenze proprie
di una platea indifferenziata di utenti;
2) la sottoposizione del gestore ad una
serie di obblighi, tra i quali quelli di
esercizio e tariffari, volti a conformare
l’espletamento dell’attività a regole di
continuità, regolarità, capacità
tecnico-professionale e qualità (sez. V,
12.10.2004, n. 6574).
Ne consegue che, fermi gli elementi
essenziali sopra menzionati, la
configurazione del servizio pubblico è
compatibile con diversi schemi giuridici e
con differenti modalità di remunerazione
della prestazione.
A nulla quindi rileva che oggetto
dell’affidamento fosse soltanto la raccolta
dei rifiuti e non l’intero servizio
dell’igiene ambientale, così come non rileva
che il gestore fosse remunerato dal soggetto
aggiudicatore: quel che conta, infatti, è
che l’attività del gestore fosse diretta ad
una platea indifferenziata di utenti e che
esso fosse destinatario di obblighi
funzionali alla destinazione al pubblico
dell’attività dovuta (commento tratto da
www.documentazione.ancitel.it - Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 22.03.2010 n. 1651 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
La dichiarazione ex art. 38,
lett. c), d.lgs. n. 163/2006, non è
richiesta nei riguardi di quegli
amministratori che non siano titolati a
stipulare contratti per conto dell'impresa e
a rappresentarla all'esterno nei rapporti
negoziali.
La valutazione di non gravità di un reato
può anche essere implicita, esternata per il
tramite dell'ammissione dell'impresa alla
gara.
La voluntas legis sottesa al disposto
dell'art. 38, lett. c), del d.lgs. n.
163/2006, va correttamente rinvenuta
nell'esigenza di garantire
l'Amministrazione, attraverso la
dichiarazione impegnativa dell'insussistenza
di condanne penali, ancorché a pena
patteggiata ma non estinte, che sono immuni
da pregiudizi penali tutti gli
amministratori della società che possano
entrare in contatto con la stazione
appaltante in virtù dei loro poteri di firma
e di rappresentanza effettiva
dell'appaltatore.
Ne consegue che, non è richiesta la
produzione di siffatte dichiarazioni nei
riguardi di quegli amministratori che in
forza delle pattuizioni sociali non siano
titolati a stipulare contratti per conto
dell'impresa e a rappresentarla all'esterno
nei rapporti negoziali.
La valutazione di gravità o meno di un reato
e la sua incisione sulla moralità
professionale dell'appaltatore mettono capo
all'espressione di un giudizio discrezionale
che pertiene unicamente alla stazione
appaltante. Si precisa, inoltre, che in
conformità ai principi generali sulla
motivazione dei provvedimenti ampliativi,
che predicano la dequotazione dell'obbligo
di motivazione per l'adozione di atti
ampliativi della sfera giuridica del
destinatario, qualora l'amministrazione
ritenga il precedente penale dichiarato dal
concorrente, non incisivo della sua moralità
professionale, non è tenuta ed esplicitare
in maniera analitica le ragioni di siffatto
suo convincimento, potendo la motivazione di
non gravità del reato risultare anche
implicita o per facta concludentia,
ossia attraverso l'ammissione alla gara
dell'impresa stessa. È la valutazione di
gravità, invece, che richiede l'assolvimento
di un particolare onere motivazionale.
E' illegittima la norma del bando che
commina l'esclusione automatica per l'omessa
allegazione all'offerta delle
giustificazioni dell'anomalia del prezzo
offerto.
Il Codice dei Contratti (d.lgs. n.
163/2006), prevede che a fronte di
un'offerta anomala che sia stata corredata
delle giustifiche preventive, qualora queste
non siano ritenute sufficiente a pervenire
ad un giudizio di congruità,
l'Amministrazione deve procedere ai sensi
dell'art. 88, ossia convocare l'offerente e
consentirgli di presentare elementi
integrativi di giudizio ed ulteriori
giustificazioni. Ha poi subito precisato, il
c. 1 dell'art. 87, che "all'esclusione
può provvedersi solo all'esito
dell'ulteriore verifica, in contraddittorio"
(TAR Piemonte, Sez. I,
sentenza 22.03.2010 n. 1555 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it).
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Gare pubbliche, paletti
sui requisiti morali. Tar Piemonte: solo per
amministratori con poteri di firma.
Negli appalti
dichiarazioni sui requisiti morali solo per
gli amministratori dotati di poteri di firma
ed esclusione delle offerte anomale solo
dopo avere dato alla ditta la possibilità di
difendersi. Inoltre la esclusione dalle gare
per condanne penali degli amministratori va
disposta solo per reati gravi, secondo una
valutazione discrezionale della p.a..
I principi, che disegnano i contorni del
giusto procedimento nelle gare pubbliche,
sono stati formulati dal Tar Piemonte
(sezione prima, sentenza depositata il
22/03/2010 n. 1555, estensore Alfonso
Graziano, presidente Paolo Lotti)
Nel caso specifico a una società, arrivata
seconda in una gara, è stato contestato di
non avere inserito, tra i documenti da
presentare alla stazione appaltante, la
dichiarazione di moralità (insussistenza di
condanne penali) sul conto di un
amministratore, al quale, tuttavia, sono
state assegnate deleghe limitate al settore
della sicurezza sui cantieri. Tale
amministratore, invece, non aveva il potere
di rappresentare la società nei confronti
delle amministrazioni, di assumere
somministrazioni e appalti di qualunque
tipo, ricevere commissioni da pubbliche
amministrazione, stipulare e firmare
contratti.
Il Tar Piemonte ha sostenuto che, in tale
caso, non va resa alcuna dichiarazione di
moralità. Nella sentenza, infatti, si spiega
che, con l'articolo 38, lettera c), del dlgs.
n. 163/2006 (codice contratti), le ditte
partecipanti devono dimostrare che sono
immuni da pregiudizi penali tutti gli
amministratori della società, ma solo quelli
che possano entrare in contatto con la
stazione appaltante, perchè titolari dei
poteri di firma e di rappresentanza
effettiva dell'appaltatore.
Non è, quindi, richiesta la produzione delle
dichiarazioni di moralità nei riguardi di
quegli amministratori che in forza delle
pattuizioni sociali non siano titolati a
stipulare contratti per conto dell'impresa e
a rappresentarla all'esterno nei rapporti
negoziali.
Una seconda questione affrontata dal Tar è
relativa alla possibile esclusione e
relative formalità procedurali per condanne
penali subite dagli amministratori. Nel caso
specifico il Tar è stato chiamato a decidere
se doveva essere esclusa una ditta, il cui
amministratore era stato condannato anni
prima al pagamento di una sanzione
pecuniaria per violazione delle norme sulla
sicurezza sui luoghi di lavoro. Il Tar ha
sottolineato che la valutazione di gravità o
meno di un reato e la sua incisione sulla
moralità professionale dell'appaltatore è
riservata al giudizio discrezionale della
stazione appaltante. Inoltre se
l'amministrazione ritiene il precedente
penale dichiarato dal concorrente non
ostativo alla partecipazione alla gara,
allora non è tenuta ed esplicitare in
maniera analitica questa sua decisione,
potendo la motivazione di non gravità del
reato risultare anche implicita, attraverso
l'ammissione alla gara dell'impresa stessa.
La terza questione, risolta dalla sentenza,
concerne la procedura di giustificazione
delle offerte.
Nel caso in esame una ditta è stata esclusa
per non avere inserito la documentazione
giustificativa dell'offerta prescritta, in
quel caso, a pena di esclusione dal
disciplinare di gara.
In casi di questo tipo la stazione
appaltante non può escludere automaticamente
la partecipante, ma deve effettuare una
verifica in contraddittorio con l'impresa.
Infatti è illegittima una norma di gara che
impone a pena di esclusione di corredare le
offerte delle analisi giustificative del
prezzo, a pena di esclusione.
Infatti il Codice dei contratti prevede che,
a fronte di un'offerta anomala, anche
corredata da giustificazioni,
l'amministrazione deve procedere ai sensi
dell'articolo 88 dello stesso codice a
convocare l'offerente e consentirgli di
presentare ulteriori giustificazioni.
Quindi la stazione appaltante non può
escludere solo sulla base delle
giustificazioni preventive ritenute non
congrue.
All'esclusione può provvedersi, dunque, solo
all'esito dell'ulteriore verifica in
contraddittorio, da cui venga confermata la
valutazione di inaffidabilità dell'offerta
(articolo ItaliaOggi del 02.04.2010, pag.
20). |
ATTI AMMINISTRATIVI -
PUBBLICO IMPIEGO:
Trasparenza sui dati sensibili.
Il principio formulato dal Tar Piemonte:
conta la necessità di difendersi in
giudizio. Al dipendente copia dei documenti
relativi al collega.
Il dipendente di un ente
pubblico può avere copia dei documenti di
servizio relativi a un collega se necessari
per difendersi in un giudizio.
Questo il principio formulato dal TAR
Piemonte, Sez. II,
sentenza 22.03.2010 n. 1553, che
ha accolto il ricorso di una infermiera
dipendente Asl, la quale si è lamentata di
una disparità di trattamento con un suo
collega, cui era stato riconosciuto di
computare ai fini pensionistici un certo
emolumento. Da qui la richiesta di avere la
documentazione del collega con la
motivazione di poterli utilizzare in causa,
facendo valere, appunto, la grave disparità
di trattamento subita rispetto a detto
funzionario.
L'Asl ha negato la copia della
documentazione per due motivi: l'opposizione
dell'interessato, informato della richiesta
di accesso; la esigenza di tutela della
privacy del collega.
É seguito il ricorso al Tar Piemonte, che ha
bocciato la decisione dell'Azienda
sanitaria.
La sentenza ricostruisce il quadro
normativo, in cui la norma più importante è
l'articolo 24 della legge 241/1990. Da
questo quadro emerge il principio per cui la
riservatezza cede rispetto al diritto di
accesso esercitato per la difesa di un
interesse giuridico, e nei limiti in cui ciò
sia necessario alla difesa di
quell'interesse, anche nel caso di dati
sensibili di terze persone; soltanto quando
vengano in rilievo dati super sensibili,
attinenti allo stato di salute e alla vita
sessuale, si richiede che l'accesso sia
preordinato a tutelare una situazione
giuridica di rango almeno pari a quello
della persona cui si riferiscono tali dati.
Il quadro normativo vede bilanciato il
diritto alla trasparenza amministrativa con
i diritto alla privacy, dando prevalenza al
primo quando il cittadino ha bisogno dei
documenti per far valere un suo diritto o
interesse. Il diritto di difesa, infatti, ha
rilevanza costituzionale.
Lo stesso principio è stato utilizzato, ad
esempio, per ammettere l'accesso di un
dirigente della pubblica amministrazione
agli atti relativi al trattamento economico
accessorio dei colleghi (documentazione
necessaria o utile per comparare i
trattamenti retributivi e verificare
eventuali disparità di trattamento, TAR
Lazio Roma, sez. II, 08.04.2008, n. 2936).
Applicando gli stessi principi il Tar
Piemonte ha affrontato il caso in esame.
Sul punto la sentenza precisa che la
semplice sussistenza di esigenze di tutela
di dati personali di terzi non può
costituire ragione in sé ostativa
all'esercizio del diritto di accesso
funzionale alla tutela di un interesse
giuridico del richiedente. Questo vale anche
quando l'accesso ha ad oggetto dati
sensibili: l'accesso va ugualmente
consentito, sia pure nei limiti in cui sia
strettamente indispensabile a tutelare
l'interesse giuridico del richiedente;
mentre soltanto in caso di dati “sensibilissimi”
attinenti allo stato di salute o alla vita
sessuale dei terzi, esso può essere escluso
quando l'interesse azionato dal richiedente
non sia di rango almeno pari a quello del
terzo. Anche in quest'ultimo caso la legge
non impone un divieto assoluto, ma impone un
bilanciamento tra diverse posizioni.
Per motivare un diniego all'accesso la
Pubblica Amministrazione deve, dunque,
indicare specificamente quali siano i dati
personali meritevoli di tutela, specificare
se si tratta di di dati sensibili sensibili
o sensibilissimi del controinteressato. Con
riferimento a queste ultime categorie di
dati il Tar rileva che il diniego potrebbe
essere astrattamente legittimo, se non sono
presenti le ragioni di necessità o se manca
il presupposto dei diritti di pari rango.
Se, invece, si tratta di semplici dati
giuridici ed economici di un collega il
rigetto della domanda di accesso deve
considerarsi illegittimo.
Se l'amministrazione si limita a indicare
genericamente la tutela della riservatezza,
quale motivo ostativo all'accesso, il
rigetto è illegittimo. Non a caso l'Asl in
questione è stata condannata a riesaminare
la richiesta dell'infermiera (articolo
ItaliaOggi dell'01.04.2010, pag. 36). |
EDILIZIA PRIVATA:
Costruzione abusiva -
Proprietario dell’area - Responsabilità
penale - Limiti e condizioni - Principio del
"cui prodest" - Onere della prova.
In linea di principio, non può essere
attribuito ad un soggetto, per il solo fatto
di essere proprietario di un'area, un dovere
di controllo dalla cui violazione derivi una
responsabilità penale per costruzione
abusiva.
Di conseguenza, occorre considerare, la
situazione concreta in cui si è svolta
l'attività incriminata, tenendo conto della
disponibilità, giuridica e di fatto, della
superficie edificata e dell'interesse
specifico ad effettuare la nuova costruzione
(principio del "cui prodest"), nonché
di tutte quelle situazioni e quei
comportamenti, positivi o negativi, da cui
possano trarsi elementi integrativi della
colpa e prove circa la compartecipazione,
anche morale, all'esecuzione delle opere
[vedi Cass., Sez. III: 27.09.2000, n. 10284,
Cutaia ed altro; 03.05.2001, n. 17752, Zorzi
ed altri; 10.08.2001, n. 31130, Gagliardi;
18.04.2003, n. 18756, Capasso ed altro;
02.03.2004, n. 9536, Mancuso ed altro;
28.05.2004, n. 24319, Rizzuto ed altro;
12.01.2005, n. 216, Fucciolo; 15.07.2005, n.
26121, Rosato; 02.09.2005, n. 32856, Farzone].
Comunque, grava sull'interessato l'onere di
allegare circostanze utili a convalidare la
tesi che, nella specie, si tratti di opere
realizzate da terzi a sua insaputa e senza
la sua volontà (vedi Cass., Sez. feriale,
16.09.2003, n. 35537, Vitale ed altro).
Costruzione abusiva -
Acquisizione al patrimonio comunale e ordine
demolitorio del giudice penale - Funzione.
L'acquisizione gratuita, in via
amministrativa, è finalizzata essenzialmente
alla demolizione, per cui non si pone in
contrasto con l'ordine demolitorio impartito
dal giudice penale, che persegue lo stesso
obiettivo: il destinatario di tale ordine,
allorquando sia intervenuta l'acquisizione
amministrativa a suo danno, non potrà
ottemperarvi soltanto se il Consiglio
comunale abbia già ravvisato (ovvero sia sul
punto di deliberare) l'esistenza di
prevalenti interessi pubblici al
mantenimento delle opere abusive.
Ove il Consiglio comunale non abbia
deliberato, invece, il mantenimento
dell'opera, il procedimento sanzionatorio
amministrativo (per le opere realizzate in
assenza di permesso di costruire, in totale
difformità o con variazioni essenziali) ha
come sbocco unico ed obbligato la
demolizione a spese del responsabile
dell'abuso. Non si comprende, dunque, perché
il condannato non possa chiedere al Comune
(divenuto frattanto proprietario)
l'autorizzazione a procedere ad una
ineludibile demolizione a proprie cura e
spese.
Qualora si argomentasse in senso contrario
si perverrebbe all’illogica conclusione che
il giudice penale non potrebbe ordinare, in
caso di condanna, la demolizione delle opere
abusive tutte le volte in cui
l’amministrazione comunale abbia ingiunto la
demolizione e questa non sia stata eseguita
dal responsabile dell’abuso nel termine di
90 giorni dalla notifica, tenuto conto che
l’acquisizione avviene a titolo originario
ed “ope legis”, per il solo decorso
del tempo, con il conseguente carattere
meramente dichiarativo del successivo
provvedimento amministrativo, che è atto
dovuto, privo di qualsiasi contenuto
discrezionale.
Opera abusiva -
Acquisizione al patrimonio comunale -
Incompatibilità con l'ordine di demolizione
emesso dal giudice penale - Esclusione -
Art. 31, 3° e 5° c., D.P.R. n. 380/2001.
L'acquisizione gratuita dell'opera abusiva
al patrimonio disponibile del Comune, ai
sensi dell'art. 31, 3° comma, del D.P.R. n.
380/2001, non è incompatibile con l'ordine
di demolizione emesso dal giudice penale.
Infatti, nella prima parte del comma 5 dello
stesso articolo, si stabilisce che l'opera
acquisita al patrimonio comunale deve essere
demolita con ordinanza del dirigente o
responsabile dell'ufficio tecnico comunale,
a spese del responsabile dell' abuso.
Si avrebbe incompatibilità soltanto se, con
deliberazione consiliare, a norma della
seconda parte dello stesso comma 5, si fosse
statuito di non dovere demolire l'opera
acquisita [vedi Cass., Sez. III: 31.01.2008,
n. 4962, P.G. in proc. Mancini e altri;
23.01.2007, n. 1904, Turianelli; 29.11.2005,
n. 43294, Gambino ed altro; 13.10.2005, n.
37120, Morelli; 20.05.2004, n. 23647,
Moscato ed altro, 30.09.2003, n. 37120,
Botumarito ed altro; 20.01.2003, n. 2406,
Gugliandolo; 07.11.2002, n. 37222, Clemente;
17.12.2001, Musumeci ed altra; 29.12.2000,
n. 3489, P.M. in proc. Mosca] (Corte di
Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 19.03.2010 n. 10779 -
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EDILIZIA PRIVATA:
Il potere ministeriale di
annullamento del nulla osta ambientale è
circoscritto ai vizi di sola legittimità: il
potere di annullamento dell’Amministrazione
statale non comporta un riesame complessivo,
e la Sovrintendenza non può sovrapporre o
sostituire il proprio apprezzamento di
merito, alle valutazioni discrezionali
compiute in sede di rilascio del nulla osta
da parte dell'ente locale.
Secondo il costante orientamento della
giurisprudenza amministrativa, il potere
ministeriale di annullamento del nulla osta
ambientale è circoscritto ai vizi di sola
legittimità: il potere di annullamento
dell’Amministrazione statale non comporta un
riesame complessivo, e la Sovrintendenza non
può sovrapporre o sostituire il proprio
apprezzamento di merito, alle valutazioni
discrezionali compiute in sede di rilascio
del nulla osta da parte dell'ente locale. Il
riesame dell’Amministrazione, infatti, è
meramente estrinseco, ed è diretto
all’accertamento dell'assenza di vizi di
legittimità comprendenti quello di eccesso
di potere nelle diverse forme sintomatiche.
In altre parole, l’Amministrazione non può
rinnovare il giudizio tecnico discrezionale
sulla compatibilità paesaggistico-ambientale
dell'intervento, che appartiene in via
esclusiva all'Autorità preposta alla tutela
del vincolo (cfr. ex multis, Tar Liguria,
Sez. I, 13.02.2004, n. 160; idem,
02.04.2004, n. 329; Tar Lazio, Roma, Sez. II,
16.05.2005, n. 3840; Tar Campania, Napoli,
Sez. II, 28.02.2006, n. 2486; Cons. Stato,
Sez. VI, 29.10.2004, n. 7046; idem,
24.01.2006, n. 207, a cui va aggiunta anche
la pronuncia dell'Adunanza Plenaria del
Cons. Stato dec. 14.12.2001, n. 9).
Come ha rilevato l’Adunanza Plenaria del
Consiglio di Stato con la decisione
14/12/2001 n. 9, il potere esercitato
dall’Amministrazione Statale
sull’autorizzazione paesaggistica rilasciata
dall’autorità regionale, va definita in
termine di “cogestione dei valori
paesistici”, essendo l’autorità locale
deputata alla valutazione della
compatibilità paesistica dell’intervento ed
il potere di intervento dell’Autorità
Statale è limitato al solo controllo di
legittimità che può comportare
l’annullamento dell’atto per tutti i vizi di
legittimità, ivi compresi quelli relativi a
tutte le figure di eccesso di potere (per
sviamento, insufficiente motivazione,
difetto di istruttoria, illogicità
manifesta).
L’Amministrazione statale deve pertanto
limitarsi a verificare dall'esterno la
coerenza, la logicità e la completezza
istruttoria dell'iter procedimentale seguito
dall'Amministrazione emanante, controllando
se la motivazione espressa nel rendere il
giudizio positivo sia sufficiente.
Nel contempo in considerazione della
tendenziale irreversibilità dell'alterazione
dello stato dei luoghi, un'adeguata gestione
dei vincoli paesistici impone che
l'autorizzazione paesistica rilasciata
dall’autorità comunale sia congruamente
motivata, esponendo le ragioni di effettiva
compatibilità degli abusi realizzati con gli
specifici valori paesistici dei luoghi, con
la conseguenza che il difetto di motivazione
dell'autorizzazione giustifica per ciò solo
il suo annullamento in sede di controllo
(Cons. Stato., Sez. V n. 4552/2005; Sez. VI,
08.08.2000, n. 4345; Sez. VI, 09.04.1998, n.
460; Sez. IV, 04.12.1998, n. 1734; Sez. VI,
09.04.1998, n. 460; Sez. VI, 20.06.1997, n.
952; Sez. VI, 30.12.1995, n. 1415; Sez. VI,
12.05.1994, n. 771) (TAR Lazio-Roma, Sez.
II-quater,
sentenza 19.03.2010 n. 4339 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
In sede di rilascio della
concessione edilizia in sanatoria (condono),
l’obbligo di acquisire il parere da parte
dell’autorità preposta alla tutela del
vincolo previsto dall’art. 32 della legge
28.02.1985 n. 47, sussiste anche per le
opere realizzate anteriormente
all’imposizione del vincolo stesso.
Anche in caso di vincolo sopravvenuto,
l’Amministrazione è tenuta a valutare la
compatibilità del manufatto con le
prescrizioni contenute nel provvedimento di
vincolo anche se non ancora esistenti al
momento della realizzazione dell’intervento
abusivo.
La giurisprudenza ha precisato che (cfr.
Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n.
20 del 22.07.1999, e tra le tante, Cons.
St., VI, 09.09.2005 n. 4662; id., 16.03.2005
n. 1094; 16.02.2005 n. 492; id., 22.08.2003
n. 4765), in sede di rilascio della
concessione edilizia in sanatoria, l’obbligo
di acquisire il parere da parte
dell’autorità preposta alla tutela del
vincolo previsto dall’art. 32 della legge
28.02.1985 n. 47, sussiste anche per le
opere realizzate anteriormente
all’imposizione del vincolo stesso.
A tale conclusione l’Adunanza Plenaria è
pervenuta nella considerazione che “in
mancanza di indicazioni univoche desumibili
dal dato normativo” alla questione di
cui sopra non può che darsi una soluzione “alla
stregua dei principi generali in materia di
azione amministrativa, tenuto conto della
valenza attribuita dall’ordinamento agli
interessi coinvolti nell’applicazione della
disposizione legislativa di cui si tratta”
e, conseguentemente, “la Pubblica
Amministrazione, sulla quale incombe più
pressante l’obbligo di osservare la legge,
deve necessariamente tener conto, nel
momento in cui provvede, della norma vigente
e delle qualificazioni giuridiche che essa
impone”.
Ne consegue che, anche in caso di vincolo
sopravvenuto, l’Amministrazione è tenuta a
valutare la compatibilità del manufatto con
le prescrizioni contenute nel provvedimento
di vincolo anche se non ancora esistenti al
momento della realizzazione dell’intervento
abusivo.
Pertanto, secondo il consolidato
orientamento della giurisprudenza, in caso
di vincolo assoluto di inedificabilità
sopravvenuto rispetto alla data di
realizzazione delle opere abusive, non
risulta applicabile la disposizione
dell’art. 33 della L. 47/1985, dovendo
l’Amministrazione applicare in questi casi
lo stesso regime indicato dalla previsione
generale di cui all’art. 32 della L. 47/1985
che subordina il rilascio della concessione
in sanatoria per opere sottoposte a vincolo,
al parere favorevole dell’autorità preposta
alla sua tutela (cfr. Cons. Stato A.P. n.
20/1999) (TAR Lazio-Roma, Sez. II-quater,
sentenza 19.03.2010 n. 4339 -
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CATASTO:
Illegittimo il DPCM 14.06.2007
sul decentramento delle funzioni catastali
ai comuni.
Il TAR Lazio esamina, sulla base del rinvio
operato dal Consiglio di Stato con decisione
n. 2174 del 2009, la legittimità del DPCM
14.06.2007 sul decentramento ai comuni delle
funzioni catastali.
L’impianto dei rapporti disegnato dalla
norma tra Stato e Comuni, appare al collegio
di giudici amministrativi, congruo e
rispondente alla normativa previdente da
cui, d’altra parte, ha avuto avvio il
processo di decentramento delle funzioni.
In effetti il combinato disposto dell’art.
65, c. 1, lett. g) e h) e dell’art. 66, c.
1, lett. a), del Dlgs 112/1998 attua in
materia catastale il principio di
sussidiarietà, con attribuzione della
generalità di compiti e funzioni
amministrative ai Comuni e con l'esclusione
delle sole funzioni incompatibili con le
dimensioni territoriali di questi.
La devoluzione de qua, dicono i
giudici, oltre ad esser commisurata alla
scelta del livello organizzativo di servizi
catastali gestibili dall’ente, non si
risolve per forza nell’esclusiva ed
onnicomprensiva (se non pervasiva)
competenza dei Comuni in tutta la materia
catastale.
In effetti resta ferma la competenza statale
d’assicurare il supremo interesse (connesso
all’unità ed all’indivisibilità della
Repubblica, alla tutela della proprietà
privata ed all’uguaglianza di tutti i
soggetti, a parità di capacità contributiva,
innanzi al prelievo fiscale) all’unitarietà
del sistema catastale nella duplice sede
della definizione del quadro generale e
della verifica dei risultati raggiunti da
ciascun Comune, a seconda del livello
d’opzione prescelto.
Dunque, l’impugnato DPCM, in base alla legge
ed ai livelli di funzioni opzionabili,
legittimamente dà titolo ai Comuni in merito
all’aggiornamento della banca dati del
catasto, mercé la trattazione delle
richieste di variazione delle intestazioni e
delle richieste di correzione dei dati
amministrativi.
Il punto che i giudici individuano quale
foriero di maggior criticità non risiede
nell’an bensì nel quid e nel
quantum dei poteri di controllo
statale sull’aggiornamento stesso, che si
evince dalla descrizione della funzione di
audit sulla qualità dei dati processati e
sul processo in sé, di cui all’allegato A)
al protocollo d’intesa tra l’Agenzia/ANCI.
Quest’ultimo, in una con i suoi allegati A)
e B) -la cui importanza è definita nell’art.
4 e che si manifestano come slides
contenenti l’esposizione grafica dei
processi operativi attribuiti ai Comuni ed i
compiti trattenuti in capo all’Agenzia del
territorio- costituisce il presupposto per
la successiva emanazione del DPCM. Ad avviso
dei giudici non è sufficiente predicare
l’obbligo dei Comuni di conformarsi alle
linee-guida dell’Agenzia anche e soprattutto
per impedire forme d’ accertamento catastale
del tutto arbitrari.
Occorre invece lo stesso rigore che
l’Agenzia ha finora esercitato, alla luce di
parametri prefissati ed obiettivi, nei
confronti dei propri uffici nei medesimi
casi di accertamenti catastali erronei,
arbitrari ed illegittimi.
In definitiva il collegio ha ritenuto
illegittimo il DPCM solo in quanto carente
sotto il profilo della serietà del controllo
verso i Comuni stessi (commento tratto da
www.documentazione.ancitel.it - TAR
Lazio-Roma, Sez. II,
sentenza 19.03.2010 n. 4312 - link a www.giustizia-amministrativa.it).
---------------
Catasto federale da
correggere.
Il TAR Lazio ribalta la sentenza del 2008 ma
lascia parzialmente "invalido" il decreto
del 2007
(articolo
Il Sole 24 Ore del 23.03.2010 -
link a www.corteconti.it). |
APPALTI:
La mancata pubblicità delle
sedute di gara comporta l'invalidità di
tutti gli atti della procedura selettiva,
compreso il provvedimento finale di
aggiudicazione.
E' principio inderogabile in qualunque tipo
di gara quello secondo cui devono svolgersi
in seduta pubblica gli adempimenti
concernenti la verifica dell'integrità dei
plichi contenenti l'offerta, sia che si
tratti di documentazione amministrativa che
di documentazione riguardante l'offerta
tecnica ovvero l'offerta economica, e
conseguentemente è illegittima l'apertura in
segreto di plichi.
Il predetto principio di pubblicità delle
gare pubbliche impone che il materiale
documentario trovi correttamente ingresso
con le garanzie della seduta pubblica; ciò
anche in applicazione del più generale
principio di imparzialità dell'azione
amministrativa, che ha ricevuto esplicito
riconoscimento sin dall'art. 89, r.d.
23.05.1924 n. 827, rappresentando uno
strumento di garanzia a tutela dei singoli
partecipanti, affinché sia assicurato a
tutti i concorrenti di assistere
direttamente alla verifica di integrità dei
documenti e all'identificazione del loro
contenuto (ex plurimis, Consiglio
Stato , sez. VI, 22.04.2008, n. 1856).
In definitiva, la mancata pubblicità delle
sedute di gara per l'aggiudicazione di
contratti con la pubblica amministrazione
comporta l'invalidità di tutti gli atti
della procedura selettiva, compreso il
provvedimento finale di aggiudicazione,
trattandosi di adempimento posto a tutela
non solo della parità di trattamento tra i
concorrenti, ma anche dell'interesse
pubblico alla trasparenza ed
all'imparzialità dell'azione amministrativa
(TAR Lombardia Milano, sez. I, 28.07.2008,
n. 3046) (TAR Sardegna, Sez. I,
sentenza 19.03.2010 n. 345 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Le norme degli strumenti
urbanistici locali che prescrivono le
distanze tra le costruzioni sui fondi
finitimi ad integrazione di quella previste
del codice civile sono dettate a tutela sia
dell'interesse del privato proprietario del
fondo finitimo sia a tutela dell'interesse
pubblico, che trascende quello dei privati,
essendo espressione del potere che è dato
all'Ente locale di adottare, nell'interesse
generale, norme preordinate all'ordinato
sviluppo urbanistico del territorio
comunale.
È noto, per pacifica giurisprudenza, che le
norme degli strumenti urbanistici locali,
che prescrivono le distanze tra le
costruzioni sui fondi finitimi, ad
integrazione di quella previste del codice
civile, sono dettate a tutela sia
dell'interesse del privato proprietario del
fondo finitimo sia, essenzialmente, a tutela
dell'interesse pubblico, che trascende
quello dei privati, essendo espressione del
potere che è dato all'Ente locale di
adottare, nell'interesse generale, norme
preordinate all'ordinato sviluppo
urbanistico del territorio comunale (cfr.,
ex multis, Cassazione sez. II, 03.10.2007,
n. 20769, Cass. Sez. 2^ n. 11633/2003; Cass.
Sez. 2^, 31/05/2006, n. 12966).
La finalità insita nella natura di dette
norme comporta che esse siano derogabili
solo nei casi previsti dalla normativa
urbanistica sopra richiamata proprio per la
natura pubblicistica dell'esigenza di
garantire, in ogni caso, un certo distacco
tra fabbricati così che si versa nell'ambito
dei diritti indisponibili dei proprietari
dei fondi confinanti, con la conseguenza che
una eventuale convenzione tra costoro per la
costruzione dei loro edifici in deroga delle
distanze prescritte dalle norme integrative
contenute nei regolamenti edilizi o piani
urbanistici non comporta l'acquisto per
usucapione di una servitù avente ad oggetto
il mantenimento di una costruzione a
distanza inferiore a quella fissata da norme
inderogabili, non potendo l'ordinamento
accordare tutela ad una situazione che,
attraverso l'inerzia del vicino, finisce per
aggirare l'interesse pubblico rendendo
legittima la permanenza di un manufatto
edificato in maniera che tale interesse
contrasta
(TRGA Trentino Alto Adige,
sentenza 19.03.2010 n. 81 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L'edificazione di un edificio in
difformità dal titolo abilitativo per quanto
concerne un incremento in altezza dovuto al
maggior spessore di ciascuno dei solai di
divisione dei piani e di quello di copertura
ben può legittimamente usufruire della c.d.
sanatoria giurisprudenziale, proprio con
riferimento alle opere originariamente
abusive (dacché non rispettose delle norme urbanistico-edilizie vigenti al momento
della loro esecuzione) e tuttavia conformi
agli strumenti urbanistici venuti in essere
successivamente e vigenti all’epoca di
presentazione dell’istanza di accertamento
di conformità.
Lo scomputo volumetrico
di cui al D.M. 27.05.2007, in materia di
contenimento energetico, può trovare
immediata applicazione anche prima
dell’adeguamento dei piani urbanistici
comunali, in quanto la tassatività dei
limiti di spessore delle strutture verticali
degli edifici non computabili ai fini
volumetrici, definiti in sede ministeriale,
non consente deroghe in difetto o in eccesso
da parte degli strumenti urbanistici
comunali, per cui l’operatività delle
suddette norme tecniche non può essere
subordinata a tale accennato previsto
adeguamento del piano regolatore, visto che
lo stesso non potrà fare altro che
recepirle.
Le difformità realizzate
dalla Caria Costruzioni s.r.l.
nell’edificazione del fabbricato sito nel
Comune di Elmas, lottizzazione Suella, lotto
A, rispetto al titolo edilizio ottenuto, non
hanno riguardato né la superficie
calpestabile né la volumetria utilizzabile,
concernendo soltanto un incremento in
altezza dell’edificio dovuto al maggior
spessore di ciascuno dei solai di divisione
dei piani e di quello di copertura.
Ciò al fine di realizzare una maggiore
insonorizzazione tra le singole unità
abitative e per migliorare, a fini di
risparmio energetico, la coibentazione
termica dell’edificio.
E’ invero pacifico che le disposizioni oggi in vigore in materia di
risparmio energetico nella progettazione e
realizzazione degli edifici, sopravvenute
alla realizzazione del fabbricato per cui è
causa, consentono, entro certi limiti, che
la modifica di spessori e altezze
finalizzate al miglioramento energetico non
debbano essere computati (cfr: art. 3, commi
3 e 4 del D.M. 27.07.2005, concernente
il regolamento di attuazione della legge 09.01.1991 n. 10, ancora in vigore, giusto
il richiamo dell’art. 11 D.Lgvo 30.05.2005 n. 192, nelle more dell’adozione dei
nuovi regolamenti di cui all’art. 4, comma
1, del medesimo decreto legislativo).
Ritiene pertanto il Collegio che al momento
dell’adozione del provvedimento di
definizione del procedimento di accertamento
di conformità presentato dalla ricorrente il
Comune di Elmas non potesse non considerare,
in applicazione dei principi di buona
amministrazione sottesi dall’art. 97 Cost.,
l’illogicità di una decisione volta a
ordinare la demolizione di un fabbricato che
in base allo ius superveniens la ricorrente
avrebbe potuto tranquillamente edificare,
beneficiando addirittura, almeno in parte,
di contribuzioni finanziarie pubbliche.
In relazione a tali fattispecie, invero, la
giurisprudenza amministrativa che il
Collegio ritiene di condividere ha da tempo
affermato la legittimità della c.d.
sanatoria giurisprudenziale, proprio con
riferimento alle opere originariamente
abusive (dacché non rispettose delle norme
urbanistico-edilizie vigenti al momento
della loro esecuzione) e tuttavia conformi
agli strumenti urbanistici venuti in essere
successivamente e vigenti all’epoca di
presentazione dell’istanza di accertamento
di conformità.
L’istituto, pur non comportando l’estinzione
del reato eventualmente consumato, né il
venir meno dell’obbligo di pagare la
relativa sanzione, risponde ad una chiara
esigenza di economicità e di buon andamento
dell’azione amministrativa, giudicandosi
illogico demolire manufatti non più in
contrasto con la disciplina edilizia per poi
doverne eventualmente assentire la
ricostruzione nella stessa forma e
consistenza (cfr: Cons. Stato, Sez. V, n.
3431 del 28.05.2004).
Nel caso di specie, la ricorrente potrebbe
addirittura beneficiare della contribuzione
finanziaria prevista dalla normativa statale
per le edificazioni realizzate nel rispetto
della nuove prescrizioni in materia di
risparmio energetico.
L’incongruenza delle conclusioni cui è
addivenuto il Comune induce, dunque, il
Collegio a privilegiare un’interpretazione
della legge regionale n. 23/1985 che,
conformemente alle richiamate acquisizioni
giurisprudenziali, consente, ai soli fini di
esclusione delle conseguenze demolitorie, il
mantenimento di edificazioni conformi al
quadro normativo vigente al momento della
definizione del procedimento di accertamento
di conformità.
Né appare condivisibile ritenere, come pure
indicato nel provvedimento impugnato,
inapplicabile lo scomputo di cui al D.M. 27.07.2005 perché non ancora recepito dal
Comune di Elmas nel regolamento edilizio.
Come detto, l’art. 4, comma 3, del suddetto
Decreto ministeriale, al fine di agevolare
l’attuazione delle norme sul risparmio
energetico e per migliorare la qualità degli
edifici, ha previsto la non commutabilità,
ai fini del calcolo della superficie utile
lorda di cui all’art.13 del Regolamento
edilizio regionale tipo (approvato con D.P.G.R. n. 23 del 14.09.1989), dello
spessore delle strutture verticali idonee a
migliorare l’isolamento termico degli
edifici per la parte superiore a 30 cm. di
spessore, fino ad un massimo di ulteriori 25
cm..
A tale riguardo, l’art. 2, commi 6 e 7 dello
stesso D.M., nel prevedere l’obbligo per i
Comuni di adeguare i propri strumenti
urbanistici per migliorare lo sfruttamento
delle radiazioni solari quale fonte di
calore, attraverso indicazioni in ordine
all’orientamento dei fabbricati ed alla
utilizzazione di elementi di tamponatura
delle facciate di notevole spessore, ha
stabilito lo scorporo dal calcolo dei volumi
massimi previsti nelle diverse zone
urbanistiche, degli spessori di tali
elementi di tamponatura nelle parti
eccedenti i 30 cm., fino ad un massimo di 25
cm..
Con riferimento a quanto precisato, ritiene
il Collegio, condividendo la giurisprudenza
amministrativa formatasi sul punto (cfr: TAR
Marche, sez. I, 30.03.2007 n. 448), che,
al contrario di quanto sostenuto dal Comune
intimato, tale scorporo delle cubature cui
si è fatto cenno, può trovare immediata
applicazione anche prima dell’adeguamento
dei piani urbanistici comunali, in quanto la
tassatività dei limiti di spessore delle
strutture verticali degli edifici non
computabili ai fini volumetrici, definiti in
sede ministeriale, non consente deroghe in
difetto o in eccesso da parte degli
strumenti urbanistici comunali, per cui
l’operatività delle suddette norme tecniche
non può essere subordinata a tale accennato
previsto adeguamento del piano regolatore,
visto che lo stesso non potrà fare altro che
recepirle (TAR Sardegna, Sez. II,
sentenza 17.03.2010 n. 314 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Per
piano interrato si intende quello costruito
al di sotto dell’originario piano di
campagna, in quanto le prescrizioni dettate
dagli strumenti urbanistici in tema di
altezza, distanze e volumetria degli edifici
sono dirette a tutelare quegli specifici
valori –aria, luce, vista– sui quali
incidono tutti i volumi che, sporgendo al di
sopra della linea naturale del terreno,
modificano in maniera significativa la
conformazione del suolo e dell’ambiente.
Osserva il Collegio che, secondo la
giurisprudenza (cfr. TAR Puglia, Lecce, Sez.
I, 12.09.2005, n. 4238) è principio generale
quello per cui, salvo che non vi siano
esplicite disposizioni normative di segno
contrario, per piano interrato si intende
quello costruito al di sotto dell’originario
piano di campagna, in quanto le prescrizioni
dettate dagli strumenti urbanistici in tema
di altezza, distanze e volumetria degli
edifici sono dirette a tutelare quegli
specifici valori –aria, luce, vista– sui
quali incidono tutti i volumi che, sporgendo
al di sopra della linea naturale del
terreno, modificano in maniera significativa
la conformazione del suolo e dell’ambiente
(TAR Marche,
sentenza 12.03.2010 n. 111 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
facoltà di irrogare la sanzione pecuniaria,
in luogo della demolizione, è prevista
dall'art. 34 del D.P.R. n. 380 del 2001 per
i soli interventi eseguiti in parziale
difformità dal permesso di costruire.
Osserva il
Collegio che la facoltà di irrogare la
sanzione pecuniaria, in luogo della
demolizione, è prevista dall'art. 34 del
D.P.R. n. 380 del 2001 per i soli interventi
eseguiti in parziale difformità dal permesso
di costruire, mentre nella fattispecie la
maggior parte degli abusi in contestazione
concerne opere eseguite in totale
difformità, o in assenza di qualsivoglia
titolo abilitativo (si pensi al secondo
livello “interrato” del fabbricato
accessorio, ed alla struttura a servizio
della piscina)
(TAR Marche,
sentenza 12.03.2010 n. 111 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La decadenza della concessione
edilizia per mancato inizio ed ultimazione
dei lavori non è automatica e deve,
pertanto, essere dichiarata con apposito
provvedimento dell'amministrazione che renda
operanti gli effetti della decadenza
accertata.
Il Collegio condivide l’orientamento
giurisprudenziale dominante secondo cui la
decadenza della concessione edilizia per
mancato inizio ed ultimazione dei lavori non
è automatica e deve, pertanto, essere
dichiarata con apposito provvedimento
dell'amministrazione che renda operanti gli
effetti della decadenza accertata (Cons.
Stato, sez. V, 29.01.2008 n. 249; Cons.
Stato, sez. V, 26.06.2000, n. 3612; Cons.
Stato, sez. V, 15.06.1998, n. 834).
Il provvedimento demolitorio impugnato è
quindi illegittimo non essendo preceduto da
un provvedimento dichiarativo della
intervenuta decadenza; è, altresì,
illegittimo in quanto adottato in violazione
dell’affidamento nella legittimità
dell’intervento edilizio, ingenerato
dall’inerzia dell’amministrazione protratta
per un notevole lasso di tempo, a fronte di
un illecito (il mancato inizio dei lavori
entro il termine previsto dalla concessione)
che, non avendo carattere permanente,
necessita di una tempestiva contestazione
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 11.03.2010 n. 582 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI: L’obbligo
di cui all’art. 7 l. n. 241/1990 non può
essere applicato meccanicamente e
formalisticamente, essendo volto non solo ad
assolvere ad una funzione difensiva a favore
del destinatario dell’atto conclusivo, ma
anche a formare nell’Amministrazione
procedente una più completa e meditata
volontà e dovendosi, comunque, ritenere che
il vizio derivante dall’omissione di
comunicazione non sussiste nei casi in cui
lo scopo della partecipazione del privato
sia stato comunque raggiunto o manchi
l’utilità della comunicazione all’azione
amministrativa.
Va ricordato come la giurisprudenza
amministrativa si sia ormai consolidata
nell’escludere che l’obbligo di cui agli
artt. 7 e 8 della L. n. 241 del 1990 possa
essere inteso in senso puramente formale.
E’ stato ritenuto, infatti (dec. V Sez. n.
5436/2005), che l’obbligo di cui all’art. 7
non può essere applicato meccanicamente e
formalisticamente, essendo volto non solo ad
assolvere ad una funzione difensiva a favore
del destinatario dell’atto conclusivo, ma
anche a formare nell’Amministrazione
procedente una più completa e meditata
volontà e dovendosi, comunque, ritenere che
il vizio derivante dall’omissione di
comunicazione non sussiste nei casi in cui
lo scopo della partecipazione del privato
sia stato comunque raggiunto o manchi
l’utilità della comunicazione all’azione
amministrativa (VI Sez., n. 1844/2008; V n.
6641/2004 e n. 343/2002).
Dal che consegue che non può ritenersi
sussistente la violazione di tale obbligo di
comunicazione nel caso in cui il soggetto
inciso sfavorevolmente da un provvedimento
non dimostri che, ove fosse stato reso
edotto dell’avvio del procedimento, sarebbe
stato in grado di fornire elementi di
conoscenza e di giudizio tali da far
determinare in modo diverso le scelte
dell’Amministrazione procedente(cfr. in
termini, dec. nn. 1844 e 343 cit.; Sez. II,
n. 1359/1999).
Sotto altro profilo, la giurisprudenza
amministrativa ha costantemente affermato
che l’esigenza di informazione del
destinatario dell’azione amministrativa non
sussiste ogniqualvolta lo stesso
destinatario ne abbia già avuto conoscenza
aliunde (V Sez., n. 6641/2004).
Quanto alla individuazione della platea dei
destinatari dell’atto, osserva il Collegio
che l’art. 7 co. 1 della L. n. 241 del 1990
impone tale comunicazione nei riguardi dei “soggetti
nei confronti dei quali il provvedimento
finale è destinato a produrre effetti
diretti ed a quelli che per legge debbono
intervenirvi” (Sez. IV, n. 1234/1997)
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 16.02.2010 n. 888 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
PUBBLICO IMPIEGO: Il
bando di concorso va pubblicato in Gazzetta
Ufficiale.
Tutta la procedura
di un concorso pubblico è illegittima se il
relativo bando non è stato pubblicato nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica
italiana.
Lo afferma il Consiglio di Stato, Sez. V,
con la
sentenza 16.02.2010 n. 871.
Il Collegio avvia le mosse dall'esame
dell'art. 4 del dpr n. 487/1994 che
prescrive la pubblicazione del bando di
concorso per l'accesso all'impiego pubblico
nella Gazzetta Ufficiale ed in particolare,
per gli enti locali, prevede la possibilità
di sostituire la pubblicazione del bando con
l'avviso di concorso contenente gli estremi
del bando e l'indicazione della scadenza del
termine per la presentazione della domanda
(comma 1-bis).
«Né tale disposizione», prosegue la
sentenza, «può considerarsi in contrasto
con l'art. 35, comma 3, lett. a), del dlgs
n. 165/2001, recante principi in materia di
procedure di reclutamento nelle pubbliche
amministrazioni, che si limita a prescrivere
“adeguata pubblicità della selezione”, senza
nulla specificare in ordine alla
pubblicazione in Gazzetta Ufficiale».
«Invero», concludono i giudici di
Palazzo Spada, «le disposizioni di
dettaglio contenute nella fonte
regolamentare servono a completare la norma
di rango legislativo, costituendone coerente
e conforme specificazione; esse non possono,
pertanto essere disapplicate, in quanto
conformi alla norma di rango superiore ed
allo stesso dettato degli articoli 51 e 97
della Costituzione, che garantiscono il
diritto di accesso agli impieghi pubblici di
tutti i cittadini su di un piano di parità,
esercitabile solo attraverso un sistema di
pubblicità che favorisca la massima
partecipazione»
(articolo ItaliaOggi dell'01.04.2010, pag.
20). |
EDILIZIA PRIVATA:
Beni Ambientali. Parere
dell’autorità preposta alla tutela del
vincolo.
Il parere dell’autorità preposta alla tutela
del vincolo, espressione di discrezionalità
tecnica, deve inerire alla valutazione della
compatibilità o meno di un dato intervento
edilizio con le esigenze di tutela
paesistica sottese all’imposizione del
vincolo stesso ed indicare quindi, sia pure
in forma sintetica, i motivi per i quali la
costruzione, per le sue caratteristiche
architettoniche ed estetiche, viene
giudicata pregiudizievole dell’integrità del
contesto ambientale in cui si inserisce,
rimanendo così esclusa ogni valutazione di
altri aspetti riferibili a distinte funzioni
e diversi contesti normativi (TAR
Lazio-Latina, Sez. I,
sentenza 15.02.2010 n. 87 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
1. Esclusione dalla procedura
selettiva - Accesso agli atti in vista della
difesa in giudizio - Diniego ai sensi
dell'art. 13, co. 5 del d.lgs. n. 163/2006 -
Illegittimo.
2. Accesso agli atti - Intenzione di agire
in giudizio per ottenere l'annullamento
degli atti gara - Interesse all'accesso -
Sussiste.
1.
Secondo giurisprudenza costante,
l'esclusione dall'accesso nelle ipotesi di
cui all'art. 13, comma 5 (vale a dire, ove
riguardi documenti contenenti "informazioni
fornite dagli offerenti nell'ambito delle
offerte, ovvero a giustificazione delle
medesime") non è sempre radicale ed
assoluta.
Ai sensi del successivo co. 6, infatti, deve
essere comunque consentito l'accesso al
concorrente che lo richieda in vista della
difesa in giudizio dei propri interessi in
relazione alla procedura di affidamento del
contratto alla quale ha preso parte (Cfr.
Cons. Stato, sez. V, 09.12.2008, n. 6121).
2.
Sussiste l'interesse concreto e specifico
all'accesso da parte dell'impresa che abbia
partecipato alla gara per l'affidamento di
un contratto pubblico e che non sia
risultata aggiudicataria, non essendo
necessario che al momento della richiesta di
accesso sia già instaurato il giudizio
avverso l'annullamento dell'aggiudicazione o
degli atti di gara; è infatti sufficiente
che la lite sia anche solo potenziale (CGA
Sicilia, Sez. Giur., 05.12.2007, n. 1087)
(nella fattispecie, il Collegio ha statuito
che ha un interesse concreto ed attuale,
tale da sorreggere l'istanza presentata, la
ricorrente che ha partecipato con esisto
sfavorevole alla procedura e che ha
manifestato l'intenzione di agire in
giudizio per ottenere l'annullamento degli
atti gara) (massima tratta da www.solom.it -
TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenze 29.01.2010 n. 199 e
201 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Impugnazione dell'aggiudicazione
da parte di un'impresa che non ha
partecipato alla gara - Ricorso
inammissibile.
E' inammissibile per carenza di
legittimazione ad agire e interesse il
ricorso proposto avverso l'aggiudicazione di
un pubblico appalto da parte di un'impresa
che non ha partecipato alla gara relativa,
potendo la stessa impugnare soltanto le
disposizioni della lex specialis che
ne abbiano in ipotesi impedito la
partecipazione alla procedura selettiva
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
I, sentenza 28.01.2010 n. 197). |
ENTI LOCALI:
Indebito arricchimento - Azione
nei confronti della Pubblica Amministrazione
- Riconoscimento utilità dell'opera - Forma
esplicita - Necessità - Non sussiste.
L'azione di indebito arricchimento avverso
la PA presuppone sia il fatto materiale
dell'esecuzione di un'opera o di una
prestazione vantaggiosa per l'ente pubblico,
sia il riconoscimento, da parte di questo,
dell'utilità dell'opera o della prestazione
che, tuttavia, non necessariamente deve
avvenire in forma esplicita, cioè con un
atto formale, potendo operarsi anche
implicitamente, ossia mediante la
consapevole utilizzazione dell'opera o della
prestazione da cui l'ente abbia tratto
vantaggio economico o arricchimento (massima
tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 27.01.2010 n. 196 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Procedimento - Comunicazione di
avvio del procedimento - Revoca
provvedimento - Obbligo - Sussiste.
E' pacifico che la comunicazione di avvio
del procedimento va sempre disposta quando
l'amministrazione intende emanare un atto di
secondo grado, di annullamento, di revoca o
di decadenza; tale principio si applica a
fortiori quando l'amministrazione esercita
un potere non vincolato ma prettamente
discrezionale, in quanto l'art. 7 l.
241/1990 consente all'interessato, già nel
corso del procedimento, di formulare
osservazioni e di rappresentare
all'amministrazione stessa nuovi elementi,
al fine di evitare l'emanazione di un atto
che altrimenti potrebbe essere affetto da
eccesso di potere per erroneità nei
presupposti e nelle valutazioni (massima
tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 27.01.2010 n. 194 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Ricorso proposto avverso l'ordine
di demolizione - Presentazione domanda di
sanatoria - Improcedibilità del ricorso per
sopravvenuta carenza di interesse -
Sussiste.
L'impugnazione dell'ordine di demolizione va
dichiarata improcedibile nell'ipotesi di
presentazione dell'istanza di sanatoria -sia
essa di accertamento di conformità sia essa
di condono- che produce l'effetto di rendere
inefficace il provvedimento sanzionatorio
dell'ingiunzione di demolizione, in quanto
il riesame dell'abusività dell'opera
provocato dalla predetta istanza di
sanatoria comporta la necessaria formazione
di un nuovo provvedimento (esplicito o
implicito, di accoglimento o di rigetto) che
vale comunque a superare il provvedimento
sanzionatorio oggetto dell'impugnativa
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 27.01.2010 n. 194 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. Procedimento Sportello Unico
per le Attività Produttive - Ratio.
2. Procedimento Sportello Unico per le
Attività Produttive - Competenza - Dirigente
- Non convocazione conferenza di servizi -
Illegittimità.
3. Procedimento Sportello Unico per le
Attività Produttive - Mancata individuazione
di aree destinate all'attività produttiva -
Interventi di ampliamento - Necessità - Non
sussiste.
1.
La normativa dello Sportello Unico per le
Attività Produttive è finalizzata a favorire
lo sviluppo economico ed a consentire perciò
la realizzazione di nuovi impianti
produttivi ancorché in contrasto allo
strumento urbanistico vigente, quando non vi
siano ragioni per ritenere che il nuovo
insediamento possa cagionare danni
all'ambiente circostante ed alla salute
pubblica, e che, di contro, esso possa
implicare nuova occupazione nel rispetto dei
diritti dei lavoratori.
2.
Il compito del Dirigente, antecedente a
quello della Conferenza di servizi, si
esaurisce nel verificare le condizioni di
ammissibilità della domanda, cioè l'assenza
di aree idonee destinate all'insediamento di
impianti produttivi.
Il mancato avvio del procedimento da parte
del Dirigente, che ha ritenuto di non
convocare la conferenza di servizi, viola
pertanto l'art. 5 del DPR 447/1998, che
demanda alla Conferenza di servizi il
compito di valutare il progetto, e
approvarlo con contestuale proposta di
variante, da presentare al Consiglio
Comunale.
3.
La mancata individuazione di aree destinate
all'insediamento di impianti urbanistici si
deve ritenere necessaria solo in caso di
insediamenti di nuovi impianti, ma non di
interventi di ampliamento o di
ristrutturazione di attività esistenti, in
quanto verrebbe frustrata la ratio
della norma di favorire lo sviluppo
economico, nel caso di una impresa già
esistente (massima tratta da www.solom.it -
TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 27.01.2010 n. 193 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Distanze tra costruzioni - Art. 9
del DM 1444/1968 - Fattispecie.
Gli ultimi due capoversi dell'art. 9 del
D.M. n. 1444/1968 contengono una disciplina,
tra loro integrativa, per il calcolo delle
distanze nel solo caso di edifici tra i
quali sono interposte strade, con la chiara
ipotesi di esclusione delle strade a fondo
cieco, che è stata accertata nel caso de
quo.
Anche la disposizione secondo cui va
calcolata la distanza va maggiorata fino al
raggiungimento della misura corrispondente
all'altezza del fabbricato più alto si
applica solo nell'ipotesi di edifici tra i
quali sono interposte strade destinate al
traffico dei veicoli (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 27.01.2010 n. 191 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
Pianificazione urbanistica -
Ampia discrezionalità amministrativa -
Sussiste - Limiti.
Se da una parte è certamente incontestata
l'ampia discrezionalità che la legge
attribuisce agli organi comunali titolari
del potere di governo del territorio, è
altrettanto doveroso riconoscere che tale
potere discrezionale debba essere esercitato
nel rispetto dei canoni della logicità e
della razionalità (nel caso di specie il TAR
ha dichiarato l'illegittimità delle norme
tecniche di attuazione di un Comune che ha
esclusa la possibilità di insediare attività
paracommerciali e uffici ai piani terreni
degli edifici con vetrine che affacciano
sulla strada, nei sistemi commerciali
lineari in quanto tale disposizione si
concreta in una limitazione all'attività
economica di una pluralità di categorie
d'affari, limitazione che non trova
un'idonea giustificazione nell'interesse
pubblico teso a rivitalizzare le strade, con
vetrine solo d'esposizione, in
considerazione della realtà territoriale del
comune stesso (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 27.01.2010 n. 190 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
Ricorso giurisdizionale -
Interesse a ricorrere - Piano di recupero -
Utilitas - Fattispecie.
E' stato ritenuto sussistente l'interesse a
ricorrere di un soggetto che lamentava il
fatto che il piano di recupero escludesse
illegittimamente alcuni fabbricati, tra cui
quello di sua proprietà atteso che nel caso
di specie il requisito dell'interesse è da
identificarsi nell'utilitas
effettiva, concreta, ricavabile
dall'annullamento degli atti, cioè di un
vantaggio anche successivo ed eventuale, in
quanto l'annullamento risulta meramente
strumentale rispetto alla ulteriore attività
dell'Amministrazione, dalla quale il
ricorrente potrebbe conseguire un risultato
positivo (massima tratta da www.solom.it -
TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 27.01.2010 n. 188 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. Attività edilizia -
Ristrutturazione edilizia - Portata.
2. Attività edilizia - Ristrutturazione
urbanistica - Portata.
1.
La ristrutturazione edilizia (c.d. pesante)
contempla, secondo la definizione dell'art.
3 lett. D) T.U. edilizia, interventi che
incidono sull'organismo edilizio, con
possibilità anche di portarlo ad uno in
tutto o in parte diverso.
2.
Si rientra nell'ambito della
ristrutturazione urbanistica quando viene
sostituito l'esistente tessuto urbanistico,
con un altro diverso, mediante un insieme di
interventi che riguardano non solo gli
immobili, ma complessivamente l'area,
comportando, come risultato, la modifica del
disegno dei lotti, degli isolati e della
rete stradale.
Tale tipologia di intervento va quindi
riferita ad interventi su un insieme di
insediamenti, che possono incidere anche
sulle opere di urbanizzazione e operano una
sostituzione del tessuto urbanistico:
un'operazione non di semplice "restyling",
ma di cambiamento dei caratteri, della
fisionomia e della struttura stessa della
zona in cui gli immobili interessati si
collocano (massima tratta da www.solom.it -
TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 27.01.2010 n. 188 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
Ricorso giurisdizionale - Piano
regolatore generale - Termine per
l'impugnazione - Dies a quo - Compimento
tutte forme di pubblicità.
Essendo l'atto di approvazione di una
variante al piano regolatore comunale
sottoposto a forme plurime di pubblicità
(pubblicazione nel B.U.R. e deposito nella
casa comunale), la presunzione legale di
conoscenza non ha luogo, ai fini del decorso
del termine per la proposizione di
impugnazione, sino a che non siano state
compiute; nell'ipotesi in cui la
pubblicazione nel B.U.R. abbia seguito il
deposito del piano nell'albo pretorio, il
termine per l'impugnazione decorre dal
momento in cui l'intera fase della
pubblicità legale non si sia perfezionata
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 27.01.2010 n. 187 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Disposizioni del bando contrarie
a norme imperative sopravvenute -
Illegittimità - Devono considerarsi non
apposte - Sono automaticamente sostituite da
quelle cogenti entrate in vigore.
Le disposizioni del bando di gara che
contrastano con norme inderogabili -sia "ab
origine" che a seguito di "ius
superveniens" nel corso della gara-
equivalgono a richiami normativi erronei o
non più attuali. Esse sono da considerarsi "tamquam
non essent" e devono essere sostituite
dalle corrispondenti previsioni cogenti.
Nei contratti ad evidenza pubblica, infatti,
tutte le fasi di gara in cui la procedura si
scompone assumono una funzione preordinata
all'atto di aggiudicazione che, in quanto
atto conclusivo (e in senso stretto
provvedimentale), deve essere
necessariamente conforme al dato normativo
in quel momento in vigore (cfr. TAR
Lombardia, sez. III, 26.08.1998, n. 2031;
nello stesso senso vedi, altresì, Cons.
Stato, sez. VI, n. 4937/2007) (fattispecie
nella quale il Collegio, dopo aver dato atto
di un orientamento contrario (cfr. TAR
Piemonte, 04.09.2009 n. 2260) ha ritenuto
legittimo il provvedimento
dell'Amministrazione di esclusione dalla
procedura selettiva di una società che in
base ad una normativa sopravvenuta non aveva
più i requisiti -misura del capitale
sociale- per poter partecipare alla gara)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
I,
sentenze 27.01.2010 nn. 185 e
186 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. Ordinanza di demolizione di
opere abusive - Inottemperanza -
Acquisizione al patrimonio del Comune -
Effetto automatico - Sussiste.
2. Ordinanza di demolizione di opere abusive
- Demolizione dopo il termine per
ottemperare alla ordinanza - Acquisizione al
patrimonio del Comune - Legittimità.
1.
Decorso infruttuosamente il termine di 90
giorni dalla notificazione dell'ordinanza di
demolizione della costruzione abusiva, se
l'inottemperanza non sia giustificata, si
verifica automaticamente l'acquisizione al
patrimonio del comune di tale costruzione,
nonché dell'area di sedime e di quella
ulteriore necessaria ai fini
urbanistico-edilizi.
2.
La demolizione che il proprietario ha
realizzato dopo il termine per ottemperare
all'ordinanza e' non solo irrilevante, ma
anche illegittima, illecita e arbitraria e
pertanto è inidonea a bloccare
l'acquisizione del bene e dell'area di
sedime che si verifica automaticamente
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 26.01.2010 n. 179 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Vincolo di rispetto stradale -
Vincolo di inedificabilità assoluta -
Sussiste.
In merito al vincolo di rispetto stradale
l'esistenza di limiti di edificazione da
rispettare con riferimento al nastro
stradale, tanto fuori del centro abitato che
nell'ambito di quest'ultimo, deriva
direttamente dalla normativa del codice
della Strada (art. 16, 17 e 18 d.lgs.
285/2002) e del suo Regolamento di
attuazione) ed ha natura cogente in quanto
finalizzata alla tutela della sicurezza del
traffico (massima tratta da www.solom.it -
TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 26.01.2010 n. 178 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
1. Preavviso di rigetto - Ex art.
10-bis della L. n. 241/1990 - Provvedimento
di rigetto - Corrispondenza - Necessità.
2. Preavviso di rigetto - Ex art. 10-bis
della L. n. 241/1990 - Osservazioni -
Provvedimento di rigetto - Motivazione -
Necessità.
1.
Ai sensi dell'art. 10-bis della legge
241/1990 i motivi ostativi indicati nel
preavviso di rigetto devono corrispondere
con quelli risultanti nell'atto conclusivo
del procedimento 2.
2.
L'art. 10-bis impone espressamente
all'Amministrazione di dare ragione nel
provvedimento finale dell'eventuale mancato
accoglimento di tali osservazioni: in caso
di ricevimento di osservazioni, l'obbligo
motivazionale risulta rafforzato, per cui,
in caso di decisione finale di segno
negativo, devono essere indicate le
specifiche ragioni dell'infondatezza delle
stesse, pena in caso contrario le stessa
inutilità dell'art. 10-bis (massima tratta
da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 26.01.2010 n. 176 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Comunicazione di avvio del
procedimento - Va letta alla luce dei
criteri generali che governano l'azione
amministrativa - Non è necessaria -
Fattispecie.
Non è necessaria la comunicazione di avvio
del procedimento quando l'interessato abbia
comunque acquisito aliunde la conoscenza del
procedimento o abbia interloquito con la
Pubblica Amministrazione (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 26.01.2010 n. 175 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Abusi - Acquisizione al
patrimonio comunale - Erronea individuazione
area da acquisire - Illegittimità.
Il provvedimento che individua le aree da
acquisire gratuitamente al patrimonio
comunale, pur avendo natura certificativa, è
impugnabile per vizi propri, fra i quali
l'erronea individuazione dell'area da
acquisire (massima tratta da www.solom.it -
TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 26.01.2010 n. 175 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. D.I.A. - Provvedimento
comunale di inibitoria - Termine -
Perentorietà - Sussistenza
2. D.I.A. - Decorso del termine
-Provvedimento comunale di inibitoria -
Possibilità - Modalità.
1.
Il termine previsto dalla legge per
l'esercizio del potere inibitorio è da
considerarsi perentorio in quanto
finalizzato a dare certezza ai rapporti
giuridici tra privati e pubblica
amministrazione e posto, quindi, a tutela
sia dell'interesse pubblico che degli
interessi dei privati.
2.
Allo scadere del termine ex art. 23 D.P.R.
380/2001, si consolida in capo all'istante
una legittimazione ex lege
all'esercizio dell'attività edilizia,
pertanto la P.A., per contestare la
sussistenza dei requisiti o delle condizioni
previste dalla legge per l'esercizio
dell'attività edificatoria oltre lo scadere
di tale termine, non può esercitare
direttamente un potere sanzionatorio: prima
deve intervenire in autotutela per rimuovere
la legittimazione ad edificare sorta per
effetto della presentazione della d.i.a. e
del decorso del termine senza che la stessa
P.A. abbia esercitato il potere inibitorio
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 22.01.2010 n. 135 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. D.I.A. - Tutela del terzo -
Azione di accertamento insussistenza
presupposti D.I.A.- Sussiste.
2. D.I.A. - Tutela del terzo - Azione di
accertamento insussistenza presupposti
D.I.A.- Termine- Sessanta giorni - Ratio.
3. Ricorso giurisdizionale - Tardività -
Errore scusabile - Sussistenza -
Fattispecie.
1.
Il terzo che intenda contestare un
intervento edilizio in via di esecuzione in
forza di denuncia di inizio attività può
esperire un'azione di accertamento
dell'inesistenza dei presupposti per
intraprendere l'attività in base alla d.i.a.
(Cons. Stato, sez. VI, 09.02.2009, n. 917).
2.
L'azione di accertamento è da ritenersi
sottoposta al generale termine di decadenza
di 60 giorni previsto per l'azione di
annullamento, pena una illogica
diversificazione degli strumenti di tutela
di cui dispongono i terzi, a seconda che
siano lesi da un permesso di costruire o da
una denuncia di inizio attività.
3.
Sussistono i presupposti per il
riconoscimento dell'errore scusabile, con
conseguente rimessione in termini, in capo
al ricorrente che al fine di contestare la
costruzione realizzata dal controinteressato
in forza di DIA abbia dapprima rivolto
all'amministrazione formale istanza per
l'esercizio della potestà repressiva
attribuitale dalla legge (artt. 27 ss.,
d.P.R. n. 380 del 2001) e poi agito ai sensi
dell'art. 21-bis, l. n. 1034 del 1971
avverso il silenzio-rifiuto formatosi
sull'istanza (ovvero impugnando con il
ricorso ordinario il diniego esplicito di
intervento da parte del comune
considerazione delle continue oscillazioni
giurisprudenziali in ordine agli strumenti
ed alle modalità con cui il soggetto che si
ritenga danneggiato dall'attività
costruttiva esercitata in forza di una
dichiarazione di inizio attività possa
contestare la d.i.a. (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 22.01.2010 n. 134 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
1. Piano
regolatore generale - Asservimento -
Potenzialità edificatoria - Edifici
preesistenti - Si computano.
2. Piano regolatore generale - Asservimento
- Potenzialità edificatoria - Vicende
private connesse alla disponibilità di area
edificabile - Irrilevanza.
1.
Nel computo della volumetria assentibile in
ciascuna zona di piano regolatore, sono da
ricomprendere anche gli edifici preesistenti
in quanto il PRG, nella parte in cui prevede
i limiti entro i quali l'area può essere
edificata, si riferisce non all'edificazione
ulteriore rispetto a quella già esistente al
momento della sua approvazione, ma
all'edificazione complessivamente
realizzabile sull'area.
2.
Le vicende relative alla proprietà dei
terreni, e in particolare il frazionamento
del fondo da parte dell'originario unico
proprietario, sono irrilevanti ai fini dell'inedificabilità
delle aree libere, che devono comunque
intendersi asservite alle costruzioni già
realizzate e pertanto inedificabili (oppure
edificabili nei soli limiti della volumetria
residua) ove le costruzioni esistenti
abbiano già "consumato" la volumetria
disponibile (massima tratta da www.solom.it
- TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 22.01.2010 n. 134 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Mutamento di destinazione d'uso -
Da agricolo a residenziale - Illegittimità -
Non sussiste - Fattispecie.
La locazione di una unità abitativa ad un
soggetto non impiegato in attività agricola
non può ritenersi idonea a configurare quel
cambio di destinazione d'uso, ancorché senza
opere, che l'art. 53 della legge n. 12 del
2005 intende sanzionare in relazione ad un
immobile agricolo edificato in epoca
anteriore all'entrata in vigore della stessa
legge regionale n. 93/1980 (massima tratta
da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 22.01.2010 n. 131 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Abuso edilizio - Demolizione -
Applicazione a distanza di tempo -
Illegittimità - Fattispecie.
In presenza di opera vetusta, esistente da
un ventennio senza opposizione di terzi
interessati al rispetto della distanza, è
illegittima, in assenza di un interesse
pubblico specifico, l'ordinanza di
demolizione, specie nel caso in cui il
manufatto appare indispensabile alla
abitabilità dell'alloggio cui serve
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 22.01.2010 n. 130 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Abusi - Sanatoria -
Corrispondenza tra progetto assentito e
quanto effettivamente realizzato -
Necessità.
Ai fini della sanatoria delle opere abusive
sotto il profilo tanto urbanistico quanto
paesaggistico, la verifica della conformità
delle opere effettivamente realizzate va
effettuata con riferimento al progetto
assentito e non alla situazione originaria
del fabbricato (il TAR ha dichiarato
illegittimo il diniego di sanatoria opposto
dal Comune affermando che se è pur vero che
l'erronea rappresentazione dello stato di
fatto negli elaborati progettuali
costituisce un vizio del progetto e del
correlativo permesso di costruire, fino a
quando questo vizio non venga rimosso nelle
forme appropriate, mediante annullamento del
permesso di costruire, nell'esercizio -ove
ne ricorrano i presupposti- del potere di
autotutela, non può essere valorizzata la
situazione preesistente al rilascio del
titolo, dovendo il raffronto essere condotto
al progetto assentito (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 22.01.2010 n. 129 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. Abuso edilizio - Sanatoria -
Istanza di parte - Necessità - Conseguenze.
2. Abuso edilizio - Sanatoria - Preventiva
adozione atti di diffida da parte
dell'Amministrazione - Necessità - Sussiste.
1.
Dal momento che l'art. 36 del D.P.R.
380/2001 è chiaro nello stabilire che il
procedimento di sanatoria di opere abusive
possa essere attivato esclusivamente a
domanda degli interessati, l'attivazione del
procedimento di sanatoria da parte
dell'amministrazione è illegittimo in quanto
finisce infatti per confondere l'istituto
della sanatoria con quello della convalida
degli atti amministrativi illegittimi.
Né tale principio può dirsi contraddetto da
quella giurisprudenza che ha ammesso la
possibilità di una "conversione d'ufficio
dell'istanza di autorizzazione in variante"
(Cons. Stato, 22.03.2000 n. 3168) in quanto
tale atto interpretativo è evidentemente
possibile solo con il consenso del privato
interessato e non può essere imposto
dall'amministrazione.
2.
E' illegittimo l'accertamento di conformità
adottato dal Comune senza la preventiva
emanazione degli atti di diffida previsti
dagli articoli 31, comma 3, 33, comma 1, 34,
comma 1, in quanto così facendo è venuto
meno l'atto di garanzia per il destinatario,
qual è la diffida, che svolge la funzione di
rendere edotto il privato dell'accertamento
di un illecito e manifesta l'intenzione
dell'amministrazione di disporre
l'applicazione di una sanzione (massima
tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 22.01.2010 n. 128 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. Abuso edilizio - Sanatoria -
Pagamento oblazione e oneri concessori -
Necessità.
2. Abuso edilizio - Sanatoria - Pagamento
degli oneri concessori - Prescrizione del
diritto a percepire gli oneri concessori -
Dies a quo - Formazione del silenzio assenso
sull'istanza di sanatoria.
1.
Il versamento dell'oblazione non esime i
soggetti, che chiedono la sanatoria, dal
pagamento, "ai fini del rilascio della
concessione", del contributo in
questione.
2.
Ai sensi dell'art. 35 l. 28.02.1985 n. 47,
il termine di 24 mesi per la formazione del
silenzio assenso sulla domanda di
concessione edilizia in sanatoria decorre
dalla data nella quale viene depositata la
documentazione completa, a corredo della
detta domanda: pertanto, è dal compimento di
questi ventiquattro mesi che decorre il
termine decennale di prescrizione degli
oneri concessori (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 22.01.2010 n. 127 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. D.I.A. - Impugnativa diretta -
Inammissibilità.
2. Opere abusive - Ordinanza di demolizione
- Comunicazione di avvio del procedimento -
Necessità - Non sussiste.
3. D.I.A. - Errata rappresentazione stato di
fatto - Illegittimità - Non sussiste -
Fattispecie.
1.
E' inammissibile l'impugnativa diretta della
DIA presentata dal controinteressato, dal
momento che la tutela del terzo che si
oppone all'intervento attuato tramite la
D.I.A. è garantita rivolgendo
all'Amministrazione formale istanza per
l'esercizio della potestà repressiva
attribuitale dalla legge (artt. 27 e segg.
del d.P.R. n. 380/2001) ed agendo poi, ai
sensi dell'art. 21-bis della l. n.
1034/1971, avverso il cd. silenzio rifiuto
formatosi sull'istanza (ovvero, impugnando
con il ricorso ordinario il diniego
esplicito di intervento da parte della
P.A.).
2.
Non è necessaria la comunicazione di avvio
del procedimento nel caso di ordine di
demolizione di opere abusive, in quanto
trattasi di provvedimento alla cui adozione
l'Amministrazione comunale è vincolata per
legge, a seguito dell'accertata abusività
delle opere, tale principio deve estendersi
anche agli atti di ritiro dei provvedimenti
inibitori edilizi quando l'amministrazione
accerti che tale violazione non sussiste.
3.
L'errata o insufficiente (non importa se
dolosa o colposa) rappresentazione di
circostanze di fatto esposte nella domanda e
relativi allegati di permesso a costruire o
nella dichiarazione di inizio di attività e
nella documentazione asseverata dal tecnico,
è causa di illegittimità degli atti
dell'amministrazione quando abbia influito
sulla determinazione dell'amministrazione in
modo tale da condurla a rilasciare un atto
autorizzativo che altrimenti non avrebbe
rilasciato od a tenere un comportamento di
non opposizione nei confronti
dell'esecuzione del progetto presentato ed
asseverato dai tecnici abilitati, che
altrimenti avrebbe inibito (massima tratta
da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 22.01.2010 n. 125 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
1. Ricorso giurisdizionale - Termine per
l'impugnazione - Decorre dalla piena ed
effettiva conoscenza del provvedimento -
Onere della prova - Incombe alla parte che
eccepisce la tardività.
2. Ricorso giurisdizionale -
Controinteressato - Nozione -
Individuazione.
1. La piena conoscenza di un atto deve
essere provata in modo certo ed
inequivocabile da parte di chi eccepisce la
tardività del ricorso ed il relativo onere
non può ritenersi adempiuto sulla base della prospettazione di mere presunzioni che non
assurgono a dignità di prova; infatti, ai
fini della decorrenza del termine per
l'impugnazione di un atto o provvedimento
amministrativo, non può essere sufficiente
la probabilità che l'interessato in un
determinato momento abbia avuto cognizione
dell'atto contro il quale ha prodotto
ricorso altrimenti risulterebbero violati i
principi costituzionali stabiliti dagli art.
24 e 113, secondo cui tutti possono agire in
giudizio contro gli atti della pubblica
amministrazione a tutela dei propri diritti
e interessi legittimi.
2. Nel processo amministrativo la qualità di controinteressato
in senso tecnico viene riconosciuta a coloro
che da un lato, siano portatori di un
interesse qualificato alla conservazione del
provvedimento impugnato, di natura eguale e
contraria a quello del ricorrente (c.d.
elemento sostanziale), dall'altro lato,
siano nominativamente indicati nel
provvedimento stesso o comunque siano
agevolmente individuabili in base ad esso
(c.d. elemento formale) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza
20.01.2010 n. 116 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Abusi - Demolizione - Superamento
dell'altezza massima di zona - Variazione
essenziale - Non sussiste - Fattispecie.
La realizzazione di un box avente un'altezza
superiore di appena tre centimetri
all'altezza massima di zona, non dà luogo,
ai sensi dell'art. 54 della L.R. 12/2005, ad
una variazione essenziale, con conseguente
illegittimità dell'ordinanza di demolizione
irrogata dal Comune (nel caso di specie il
TAR ha altresì affermato che un divario di
tre centimetri nell'altezza di un box appare
proporzionalmente così esiguo da ritenersi
irrilevante anche ai fini del rispetto delle
distanze minime dal confine) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza
20.01.2010 n. 115 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
Programma integrato di intervento
- Convenzione - Revoca - Illegittimità.
E' illegittima la delibera del Consiglio
comunale con la quale un Comune ha revocato
la convenzione del programma integrato di
intervento sottoscritto con il privato in
violazione dello schema tipico di cui
all'art. 92 della L.R. 12/2005 (che decorso
un anno dalla stipula dalla convenzione
prevede la diffida del Sindaco a stipulare
la stessa entro i successivi giorni)
potendosi derogare a tale norma solo in
presenza di un diverso accordo tra le parti
ex art. 1321, accordo inesistente nel caso
di specie (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 20.01.2010 n. 109 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. Abuso edilizio
- Ordinanza di demolizione - Buona fede
dell'acquirente - Irrilevanza.
2. Abuso edilizio
- Ordinanza di demolizione - Carenze
documentali della perizia di stima posta a
base della procedura di esecuzione
immobiliare culminata nell'aggiudicazione -
Irrilevanza.
3. Abuso edilizio
- Ordinanza di demolizione - Possibilità di
rimettere in discussione le ragioni del
diniego all'istanza di sanatoria in sede di
impugnazione dell'ordine di demolizione -
Non sussiste.
4. Abuso edilizio
- Ordinanza di demolizione - Potere di
vigilanza e repressione - Spetta al
dirigente - Ratio.
1. L'acquirente di un immobile non può
ritenersi sottratto all'esecuzione di
un'ingiunzione che dispone la demolizione di
opere realizzate in assenza di concessione
edilizia, sulla base della semplice
asserzione della propria buona fede:
l'acquirente, infatti, succede nel diritto
reale e nelle posizioni attive e passive che
facevano capo al precedente proprietario e
che sono inerenti alla cosa, ivi compresa
l'abusiva trasformazione.
2. In caso di opera abusiva e conseguente
ordinanza di demolizione non assumono
rilievo eventuali carenze, a chiunque
addebitabili, nella redazione della perizia
di stima posta a base della procedura di
esecuzione immobiliare culminata
nell'aggiudicazione del compendio alla
società ricorrente (cfr. TAR Milano,
sent. n. 1332/2009).
3. Il soggetto che ha prestato acquiescenza
al rigetto dell'istanza di sanatoria di
opera da lui abusivamente realizzata decade
dalla possibilità di rimettere in
discussione le ragioni del diniego in sede
di impugnazione dell'ordine di demolizione,
atteso che quest'ultimo trova il suo
presupposto, divenuto definitivo in quanto
non impugnato, proprio in detto diniego
(cfr. Cons. di Stato, sent. n. 6715/2007).
4. In materia di abusi edilizi e relative
ordinanze di demolizione, ai sensi dell'art.
27, D.P.R. 380/2001, il potere di vigilanza
sull'attività urbanistico-edilizia è di
competenza del dirigente, trattandosi di
tipico potere gestionale, potere che trova
la propria fonte direttamente dalla legge e
non in un atto di conferimento da parte del
sindaco (cfr. Cons. Stato, sent. n.
1149/2000; TAR Roma, sent. n. 9438/2008) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 19.01.2010 n. 99). |
LAVORI PUBBLICI:
Asfaltatura manto stradale -
Riscossione coattiva somme - Ingiunzione di
pagamento - Onere della P.A. di dimostrare
il fondamento giuridico della pretesa -
Necessità.
In materia di riscossione coattiva di somme
di denaro pretese dalla P.A. a titolo di
contributo per la riasfaltatura della sede
stradale, che l'amministrazione assuma avere
eseguito in sostituzione del privato, è
illegittima la relativa ingiunzione di
pagamento ogni qualvolta il Comune non
assolva l'onere probatorio posto a suo
carico di dimostrare il fondamento giuridico
della propria pretesa (nel caso di specie
la P.A. non cita legge, né provvedimento, né
convenzione, né statuizione giudiziale da
cui possa dedursi l'esistenza, a carico
della ricorrente e della sua dante causa,
dell'obbligo di contribuire all'asfaltatura
del manto stradale; obbligo in assenza del
quale non hanno pregio né l'avvenuto
pagamento da parte di altri residenti, né la
modesta entità del preteso contributo) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 19.01.2010 n. 96). |
EDILIZIA PRIVATA:
Distanze tra fabbricati - Sporti
- Computabilità nel calcolo della distanza -
Solo in presenza di specifiche norme di
piano - Fattispecie.
Il balcone aggettante può essere ricompreso
nel computo della distanza, in conformità di
quanto disposto dall'art. 9 del D.M.
1444/1968, solo nel caso in cui una norma di
piano preveda ciò, posto che uno sporto non
integra la specie dell'intercapedine dannosa
che legittima l'applicazione della norma di
ordine pubblico derivante dal D.M. n.
1444/1968, (cfr. TAR Pescara, sent. n.
579/2009; TAR Genova, sent. n.
1736/2009) (nel caso di specie il balcone
di misura modesta, ossia mt. 1,60, non
contrasta con la funzione igienico-sanitaria
-evitare intercapedini malsane- di cui alla
disposizione comunale oggetto del
contendere: un balcone di tali dimensioni si
configura infatti come un manufatto di
modesta estensione, che costituisce una
entità trascurabile rispetto agli interessi
tutelati dalla normativa di sicurezza,
salubrità e igiene) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 19.01.2010 n. 91). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Accesso agli atti -
Natura - E' interesse legittimo - Notifica
ai controinteressati - Necessità.
Il diritto di accesso si configura come
interesse legittimo, con la conseguenza che
il relativo giudizio è di tipo impugnatorio,
sottoposto alla generale disciplina del
processo amministrativo: pertanto, il
relativo ricorso deve essere notificato, a
pena di inammissibilità, tanto all'organo
che ha emanato l'atto impugnato quanto ai
controinteressati, quali devono considerarsi
i soggetti determinati a cui si riferiscono
i documenti richiesti, nel termine
perentorio di 30 giorni fissato dalla legge
(cfr. Cons. di Stato, Ad. Pl. decisione n.
19/1999) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza
19.01.2010 n. 90 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Abuso edilizio - Demolizione -
Termine per provvedere - Termine inferiore a
quello ex art. 7 Legge 47/1985 - Conseguenze
- Violazione meramente formale -
Presupposti.
L'assegnazione da parte dell'autorità
comunale di un termine inferiore a quello di
legge per provvedere alla demolizione delle
opere abusive si risolve in una violazione
meramente formale, non lesiva per
l'interessato, in tutti i casi in cui egli
abbia effettivamente potuto disporre di un
termine non inferiore a quello previsto
dalla legge per provvedervi (cfr. TAR
Torino, sent. n. 2062/2009) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 19.01.2010 n. 89). |
APPALTI:
Non menzione di un precedente
grave errore professionale - Non costituisce
falsa dichiarazione ove l'errore non sia
stato definitivamente accertato.
In mancanza di un provvedimento emanato in
sede giurisdizionale passato in giudicato o
in sede amministrativa (purché definitivo),
che accerti il compimento di un grave errore
professionale, non può essere considerata
falsa la dichiarazione resa in sede di gara
dal concorrente che ne ometta la
segnalazione (massima tratta da www.solom.it
- TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 19.01.2010 n. 76 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Permesso di costruire - Potere di
rinunciare al permesso - Natura - E' potere
dispositivo - Subordinazione al consenso
della P.A. - Non sussiste.
In materia di jus aedificandi non
sono ravvisabili precetti normativi che
sanciscano l'irrinunciabilità del permesso
edificatorio o che subordinino il potere di
rinunciare al consenso della P.A.: tale
potere è assolutamente esercitabile
dall'interessato e comporta per
l'amministrazione l'obbligo della
restituzione dei contributi di costruzione
già versati (nel caso di specie, non
sussiste il potere del Comune di denegare la
rinuncia alla DIA in variante e di impedire
quindi la realizzazione della precedente DIA
del tutto valida e mai contestata: ciò
discende dal fatto che la rinuncia è
l'espressione di un potere dispositivo che
non trova limiti normativi se non in
presenza dei c.d. diritti indisponibili) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza
19.01.2010 n. 75 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
False dichiarazioni in merito ai
requisiti di gara - Precludono la stipula
del contratto.
L'art. 38, comma 1, lett. h), del d.lgs. n.
163/2006, laddove dispone che sono esclusi
dalle procedure selettive "i soggetti che
nell'anno antecedente la data di
pubblicazione del bando di gara hanno reso
false dichiarazioni in merito ai requisiti e
alle condizioni rilevanti per la
partecipazione alle procedure di gara e per
l'affidamento dei subappalti, risultanti dai
dati in possesso dell'Osservatorio", è
norma suscettibile di trovare applicazione
anche in fasi successive a quella iniziale
di ammissione alla procedura producendo
effetti preclusivi in ordine alla stipula
del contratto (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 19.01.2010 n. 69 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. Manutenzione
straordinaria e ristrutturazione edilizia -
Presupposti e differenze - Fattispecie.
2. Manutenzione
straordinaria e ristrutturazione edilizia -
Riorganizzazione territoriale degli spazi
interni di un edificio - E' ristrutturazione
edilizia.
1. La manutenzione straordinaria presuppone,
ex art. 3, comma 1, lett. b, D.P.R 380/2001,
la rinnovazione e la sostituzione di parti
anche strutturali dell'edificio, purché non
si alterino i volumi e le superfici delle
singole unità immobiliari e senza modifica
della destinazione d'uso; mentre la
ristrutturazione edilizia, ex art. 3, comma
1, lett. d, D.P.R. 380/2001, implica la
trasformazione dell'organismo edilizio, tale
da portare ad un organismo in tutto o in
parte diverso dal precedente, attraverso il
ripristino e la sostituzione di alcuni
elementi costitutivi, l'eliminazione, la
modifica o l'inserimento di nuovi elementi o
impianti (nel caso di specie, si è
proceduto a completa rivisitazione della
distribuzione interna dei locali, con
creazione di nuovi locali ad uso ufficio e
ampliamento di quelli ad uso magazzino;
introduzione di un nuovo elemento tecnico
-montacarichi-; ridistribuzione dei servizi
igienici; realizzazione di nuove finestre,
spostamento di tutti i pilastri portanti:
conseguentemente è stato realizzato un
organismo edilizio in parte diverso dal
precedente, per cui l'abuso edilizio
commesso deve riportarsi alla categoria
della ristrutturazione edilizia).
2.
Rientra nella categoria della
ristrutturazione edilizia l'attività
edilizia di riorganizzazione territoriale
degli spazi interni di un edificio (cfr. TAR
Marche, sent. n. 466/2003) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 18.01.2010 n. 66). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Ricorso avverso
la comunicazione di avvio del procedimento - Inammissiblità - Sussiste.
E' inammissibile il ricorso proposto avverso
una mera comunicazione di avvio del
procedimento, atto endoprocedimentale, come
tale non impugnabile in quanto non dotato di
autonoma lesività: eventuali suoi vizi
potranno essere fatti valere, in via
derivata, impugnando il provvedimento
finale, unico atto avente carattere lesivo
(nel caso di specie era stata impugnata la
comunicazione comunale di avvio del
procedimento, ai sensi dell'art. 7 della L.
241/1990, preordinato all'annullamento del
permesso di costruire) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 15.01.2010 n. 58). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Art. 10-bis L. 241/1990 -
Procedimenti ad istanza di parte - Omissione
della comunicazione del diniego preventivo -
Illegittimità.
(Premesso che le difese di parte resistente
introducono un illegittimo supporto
motivazionale postumo allegando profili di
illegittimità non contestati in sede di
diniego) deve evidenziarsi che l'art. 10-bis
prevedendo che "nei procedimenti ad
istanza di parte il responsabile del
procedimento o l'autorità competente, prima
della formale adozione di un provvedimento
negativo, comunica tempestivamente agli
istanti i motivi che ostano all'accoglimento
della domanda", esprime un principio di
carattere generale (Cons. Stato, sez. VI,
29.11.2006, n. 6993) che la giurisprudenza
ha avuto modo di riaffermare anche con
riferimento ai procedimenti diretti alla
realizzazione degli impianti di telefonia
mobile disciplinati dall'art. 87 del D. L.vo
n. 259/2003 (TAR Campania, Napoli, Sez. VII,
16.11.2006, n. 9741).
L'omissione del diniego preventivo comporta,
pertanto, l'illegittimità del provvedimento
conclusivo che risulta essere emesso in
violazione dei diritti di partecipazione e
difesa del destinatario (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 13.01.2010 n. 23 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
COMPETENZE GESTIONALI:
Art. 107 D.lgs. 267/2000 - Atto
che impegna l'Amministrazione verso
l'esterno emanato dal Sindaco - Successivo
atto di convalida del dirigente - Eccezione
di incompetenza - Non sussiste.
In virtù dell'art. 107 del D. L.vo n.
267/2000 che riserva ai dirigenti "tutti
i compiti, compresa l'adozione degli atti e
provvedimenti amministrativi che impegnano
l'amministrazione verso l'esterno non
ricompresi espressamente dalla legge o dallo
statuto tra le funzioni di indirizzo e
controllo politico degli organi di governo
dell'ente o non rientranti tra le funzioni
del segretario o del direttore generale di
cui rispettivamente agli articoli 97 e 108",
l'eccezione di incompetenza del Sindaco e
dell'Assessore all'Informatica ed alla
Comunicazione all'adozione dell'atto
impugnato da considerarsi, in quanto atto di
gestione, riservato alla dirigenza è
superata dal provvedimento con il quale il
Dirigente del Settore Tecnico Manutentivo ha
convalidato il diniego impugnato (massima
tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
I,
sentenza 13.01.2010 n. 23 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Installazione di impianti di
telefonia - Divieti generalizzati da parte
dei Comuni - Illegittimità.
L'illegittimità di disposizioni che
impongano generalizzati divieti di
installazione di impianti per la telefonia è
stata già riconosciuta dalla giurisprudenza
di questo Tribunale che in più occasioni ha
avuto modo di affermare come i poteri
riconosciuti alle amministrazioni comunali
in materia di governo del territorio non
consentano di operare esclusioni in via
generalizzata, ma solo l'individuazione di
criteri di localizzazione (TAR Lombardia,
Milano, Sez. IV, n. 797/2008. In senso
conforme anche n. 5777/2007, n. 2833/2006,
n. 6260/2007 e n. 554/2008).
Come, peraltro più volte chiarito anche dal
Consiglio di Stato, sez. VI, 05.06.2006, n.
3332 e sez. VI, 15.06.2006, n. 3534; TAR
Lazio, sez. II-bis, 17.01.2007, n. 323 è
ormai pacifico che "i Comuni non possono,
attraverso atti regolamentari o di
pianificazione urbanistica, introdurre
divieti di localizzazione di ordine generale
per talune porzioni di territorio,
considerato che la potestà riconosciuta agli
enti locali dall'art. 8 della legge 36/2001
non può tradursi in divieti assoluti di
localizzazione di impianti di telefonia
mobile su parti del territorio non
interessate da obiettivi sensibili" (TAR
Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 1815/2008).
Nel caso di specie, inoltre, la circostanza
che la potenza dell'impianto non superi i
300 W, consente di localizzare i medesimi
prescindendo da una specifica previsione
urbanistica.
A norma dell'art. 86, comma 3, del D. L.vo
n. 259/2003, relativo alla localizzazione di
infrastrutture di telecomunicazioni, è,
infatti, possibile prescindere dalla
destinazione urbanistica del sito
individuato per la loro installazione in
quanto "le infrastrutture di reti
pubbliche di comunicazione, di cui agli
articoli 87 e 88, sono assimilate ad ogni
effetto alle opere di urbanizzazione
primaria di cui all'articolo 16, comma 7,
del decreto del Presidente della Repubblica
06.06.2001, n. 380" (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 13.01.2010 n. 23 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Motivi
autonomi - Legittimità di un solo motivo -
Annullabilità del provvedimento - Inconfigurabilità.
In presenza di un provvedimento sostenuto da
più motivi, ciascuno autonomamente idoneo a
darne giustificazione, è sufficiente il
verificarsi della legittimità di uno di
essi, per escludere che l'atto possa essere
annullato in sede giurisdizionale (cfr.
Cons. Stato, sent. n. 3259/2006, TAR Milano,
sent. n. 4647/2009) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza
13.01.2010 n. 22 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. Certificato di
destinazione urbanistica - Natura - Assenza
di carattere provvedimentale - Impugnazione
- Inammissibilità.
2. Certificato
urbanistico - Danno da errate attestazioni -
Risarcimento - Competenza G.A. - Non
sussiste.
1. Il certificato di destinazione
urbanistica, in quanto atto amministrativo
di certificazione redatto da un pubblico
ufficiale, ha carattere meramente
dichiarativo e non costitutivo degli effetti
giuridici che dallo stesso risultano,
effetti che discendono da altri precedenti
provvedimenti che hanno determinato la
situazione giuridica acclarata con il
certificato: ne consegue che esso è
sprovvisto di concreta lesività ed è
pertanto inammissibile la sua autonoma
impugnazione (cfr. TAR Milano, sent. n.
5585/2004; TAR Firenze, sent. n.
55/2008).
2. Nel caso in cui il danno lamentato derivi
dalle attestazioni contenute nel certificato
urbanistico, essendo questo un atto privo di
natura provvedimentale e in quanto tale non
suscettibile di impugnazione, ne discende
che la domanda di risarcimento conseguente
al rilascio di un certificato urbanistico
errato non può rientrare nella giurisdizione
del GA, privo di poteri demolitori rispetto
al certificato, fonte del danno (cfr. TAR
Valle d'Aosta Aosta, sent. n. 16/2008) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza
12.01.2010 n. 21 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. Enti pubblici e privati -
Natura giuridica - Criteri di individuazione
- S.p.a. appartenente alla categoria degli
enti pubblici in forma societaria -
Configurabilità.
2. Enti pubblici e privati - Beni di s.p.a.
appartenente alla categoria degli enti
pubblici in forma societaria - Codice dei
beni culturali - Applicabilità - Criteri.
3. Beni storici e artistici - Interesse
storico-artistico - Valutazioni -
Discrezionalità tecnica e discrezionalità
amministrativa - Coesistenza - Impugnabilità
- Solo in presenza di evidenti profili di
incongruità ed illogicità.
1.
Per appurare la natura giuridica di una
persona giuridica, occorre valorizzare le
peculiarità del regime giuridico cui sono
assoggettate talune strutture che,
nonostante la veste societaria assunta,
possono possedere una intensa connotazione
pubblicistica (cfr. Cons. Stato, sent. nn.
1303/2002; 5241/2003; 308/2006; 5569/2007) (nel
caso di specie, sebbene la Coni Servizi
s.p.a. abbia natura formalmente
privatistica, essendo costituita secondo il
modello comune delle società di capitali,
evidenti sono il suo carattere strumentale
rispetto al perseguimento di finalità
pubblicistiche e l'esistenza di una
disciplina derogatoria rispetto a quella
propria dello schema societario: essa,
infatti, come da statuto, da un lato espleta
le attività gestionali e strumentali per
l'attuazione dei compiti dell'Ente pubblico
Comitato Olimpico Nazionale Italiano
(C.O.N.I.); dall'altro è sottoposta al
controllo della Corte dei Conti ed ha la
facoltà di avvalersi del patrocinio
dell'Avvocatura dello Stato e va dunque
ricondotta alla categoria degli enti
pubblici in forma societaria).
2. Qualora una s.p.a. con natura formalmente
privatistica debba essere ricondotta alla
categoria degli enti pubblici in forma
societaria ne consegue che i suoi beni
soggiacciono alle previsioni di cui agli
artt. 10, commi 1 e 12 d.lgs. n. 42/2004 e
pertanto, ove presentino interesse
artistico, storico, archeologico o etnoantropologico, siano opera di autore non
più vivente e siano stati realizzati da
oltre cinquanta anni, sono assoggettati alle
disposizioni del codice dei beni culturali.
3. Le valutazioni in ordine all'esistenza di
un interesse storico-artistico, tali da
giustificare l'apposizione dei relativi
vincoli, sono espressione di un potere nel
quale sono presenti sia momenti di
discrezionalità "tecnica", sia
momenti di propria discrezionalità
amministrativa (cfr. Cons. Stato, sent. n.
1053/1998): tale valutazione è prerogativa
esclusiva dell'amministrazione e può essere
sindacata in sede giurisdizionale solo in
presenza profili di incongruità ed
illogicità di evidenza tale da far emergere
l'inattendibilità della valutazione
tecnica-discrezionale compiuta (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza
12.01.2010 n. 20 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
1. Procedimento amministrativo - Superamento
del termine di conclusione del procedimento
- Possibilità di inficiare il provvedimento
finale - Non sussiste.
2. Procedimento amministrativo - Mancata
indicazione del responsabile del
procedimento - Possibilità di inficiare il
provvedimento finale - Non sussiste.
3. Procedimento amministrativo - Mancata
indicazione della data entro la quale deve
concludersi il procedimento - Possibilità di
inficiare il provvedimento finale - Non
sussiste in caso di provvedimento espresso.
1. Il semplice decorso del termine previsto
dalla legge per la conclusione del
procedimento non determina l'illegittimità
del provvedimento emanato in ritardo, a meno
che questo sia espressamente previsto dalla
legge; in assenza di una qualificazione in
termini perentori del termine in questione,
esso deve essere considerato ordinatorio,
con l'effetto che il mancato rispetto, pur
denotando un comportamento non conforme a
correttezza, non si ripercuote sulla
validità della determinazione finale (cfr.
TAR Milano, sent. n. 5067/2009; TAR
Roma, sent. n. 6399/2009; TAR Catania,
sent. n. 252/2007; Cons. di Stato, sent. n.
3455/2007).
2. Il caso di mancata formale indicazione
del funzionario responsabile del
procedimento non determina effetto viziante
del provvedimento finale, poiché detto
soggetto si identifica, in assenza di
espressa designazione, con il funzionario
posto al vertice dell'unità organizzativa
dal quale l'atto proviene (ex art. 5, Legge
n. 241/1990) e nei cui confronti
l'interessato, in base alle indicazioni che
emergono nell'atto a lui comunicato, è posto
in condizione di instaurare ogni utile
contraddittorio nelle forme previste
dall'art. 10 Legge n. 241/1990 (cfr. Cons.
Stato, sent. n. 5935/2005).
3.
L'omessa indicazione della data entro la
quale deve concludersi il procedimento e i
rimedi esperibili in caso di inerzia della
P.A. non dà luogo a vizio nel caso in cui
essa abbia adottato un provvedimento
espresso da cui non sia quindi sorta la
necessità di proporre un ricorso avverso il
silenzio (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza
12.01.2010 n. 20 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
D.I.A. -
Incompletezza della D.I.A. - Inibizione
dell'esecuzione - Legittimità - Obbligo di
soccorso procedimentale del Comune - Non
sussiste.
In caso di incompletezza della
documentazione non sussiste alcun obbligo in
capo all'amministrazione di preventiva
richiesta di integrazione documentale:
infatti, ex art. 23 comma 6, D.P.R.
380/2001, il dirigente o il responsabile del
competente ufficio comunale, ove entro il
termine indicato al comma 1 sia riscontrata
l'assenza di una o più delle condizioni
stabilite, notifica all'interessato l'ordine
motivato di non effettuare il previsto
intervento e, in caso di falsa attestazione
del professionista abilitato, informa
l'autorità giudiziaria e il consiglio
dell'ordine di appartenenza.
È comunque salva la facoltà di ripresentare
la denuncia di inizio attività, con le
modifiche o le integrazioni necessarie per
renderla conforme alla normativa urbanistica
ed edilizia (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza
11.01.2010 n. 14 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. Accertamento in
sede giurisdizionale dell'epoca di
costruzione dell'opera edilizia -
Dichiarazione sostitutiva di atto di
notorietà - Insufficienza.
2. Opere abusive -
Intervento di ristrutturazione edilizia - Assentibilità - Non sussiste.
1. La mera dichiarazione sostitutiva di atto
di notorietà non è sufficiente ad assolvere
l'onere che grava su coloro che obiettano la
preesistenza dell'opera all'obbligo di
rilascio di titolo edilizio, di fornire alla
P.A. prova idonea a documentare l'epoca di
costruzione di un manufatto (cfr. TAR
Salerno, sent. n. 514/2005).
2.
In caso di mancata prova della legittimità
del manufatto esistente è escluso che su di
esso possa essere assentito un intervento di
ristrutturazione edilizia (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza
11.01.2010 n. 14 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Diniego di
riapertura esame di provvedimento già
impugnato in sede giurisdizionale - Natura -
E' atto meramente confermativo.
L'atto con il quale la P.A. ritiene non
sussistenti i presupposti per aprire un
procedimento di riesame di un atto già
impugnato in sede giurisdizionale
costituisce atto meramente confermativo
inidoneo a modificare la situazione
giuridica già sottoposta all'esame degli
organi della giustizia amministrativa: ne
consegue, pertanto, l'inammissibilità del
ricorso proposto avverso il predetto atto (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza
11.01.2010 n. 14 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. D.I.A. -
Decorrenza del termine di trenta giorni
dalla presentazione ai fini dell'efficacia -
Necessità - Innovazioni normative
intervenute medio tempore - Sono rilevanti.
2. D.I.A. -
Innovazioni regolamentari intervenute medio
tempore - Principio della sensibilità della d.i.a. - Sussiste.
1. In materia di sopravvenienze normative
intercorse tra la presentazione della d.i.a.
e la sua efficacia (cfr. TAR Milano,
sent. n. 2030/2009), la d.i.a.,
indipendentemente dalla qualifica giuridica
assegnatale -punto su cui come noto si
contrappongono due differenti orientamenti
che sostengono rispettivamente la natura di
autorizzazione implicita (Cons. Stato sent.
n. 5811/2008) e di atto privato (Cons. Stato
sent. n. 717/2009)- produce effetti al
30° giorno dalla sua presentazione,
purché, sia completa di tutti gli elementi
richiesti dalla legge (sentenza n.
5737/2008).
Pertanto, le innovazioni
normative introdotte medio tempore non sono
irrilevanti, giacché un intervento edilizio,
ancorché conforme alla normativa vigente al
tempo della denuncia, ben può essere
interdetto ove non sia più in linea con la
normativa sopravvenuta, entrata in vigore (o
destinata a entrare in vigore) prima del
compimento del trentesimo giorno dalla
presentazione della denuncia stessa.
2. Il principio della "sensibilità" della d.i.a. alle modifiche legislative nei
30
giorni tra la presentazione e l'inizio
dell'efficacia, deve trovare applicazione
anche rispetto ad eventuali variazioni delle
disposizioni regolamentari, tra cui la
disciplina pianificatoria e le tariffe degli
oneri (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenze 11.01.2010 nn. 12 e
13 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Procedura di gara - apertura dei
plichi - Principio di pubblicità della
seduta della commissione - Inderogabilità -
Necessità di trasparenza e imparzialità -
Appalto di servizi ai sensi dell'art. 20 e
All. II B del D.lgs. 163/2006 - Seduta
pubblica - Necessità.
Il principio di pubblicità delle sedute
della Commissione, "quanto meno per ciò
che riguarda la fase di verifica della
integrità dei plichi contenenti la
documentazione amministrativa e l'offerta
economica e di apertura dei plichi stessi, è
inderogabile" (Cons. Stato, Sez. V,
07.11.2006, n. 6529).
L'esigenza è espressione dei principi di
trasparenza e imparzialità che devono
presiedere all'esplicazione dell'attività
amministrativa in materia di pubbliche gare
(Cons. Stato, Sez.V, 09.10.2002, n. 5421) "in
quanto trattasi di un adempimento posto a
tutela anche dell'interesse pubblico alla
trasparenza ed all'imparzialità dell'azione
amministrativa, le cui conseguenze negative
sono difficilmente apprezzabili "ex post",
una volta rotti i sigilli ed aperti i
plichi, in mancanza di un riscontro
immediato (ad es., regolarità della chiusura
dei plichi, data di ricevimento dei plichi,
regolarità e completezza della
documentazione prodotta, lettura del prezzo
offerto)" (Cons. stato, Sez.V,
18.03.2004, n. 1427).
Nessun rilievo può assumere la circostanza
che la procedura ricada nell'ambito di
applicazione dell'art. 20 del D. L.vo n.
163/2006 in quanto é pacificamente
riconosciuto in giurisprudenza che la
riconducibilità del servizio appaltato
all'All. II B non esonera le amministrazioni
aggiudicatici dall'applicazione dei principi
generali in materia di affidamenti pubblici
desumibili dalla normativa comunitaria e
nazionale, con particolare riferimento, per
quanto qui rileva, al principio di
pubblicità, espressione dei principi di
imparzialità e buon andamento dell'azione
amministrativa di cui all'art. 97 Cost.
(Cons. Stato, Sez. VI, 03.12.2008, n. 5943;
22.04.2008, n. 1856; 08.10.2007, n. 5217;
22.03.2007, n. 1369; TAR Lazio, Sez. III-ter,
05.02.2008, n. 951).
Ne deriva che "è principio inderogabile
in qualunque tipo di gara quello secondo cui
devono svolgersi in seduta pubblica gli
adempimenti concernenti la verifica
dell'integrità dei plichi contenenti
l'offerta, sia che si tratti di
documentazione amministrativa che di
documentazione riguardante l'offerta tecnica
ovvero l'offerta economica, e
conseguentemente è illegittima l'apertura in
segreto dei plichi" (Cons. Stato: sez.
IV, 08.10.2007, n. 5217; sez. VI,
22.03.2007, n. 1369; sez. V, 27.04.2006, n.
2370, 11.01.2006, n. 28 e 30.08.2005, n.
3966; sez. VI, 09.06.2005, n. 3030; sez. V,
16.03.2005, n. 1077, 11.02.2005, n. 388,
18.03.2004, n. 1427 e 09.10.2002, n. 5421,
Cons. Stato, Sez. VI, 22.04.2008, n. 1856)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
I,
sentenza 11.01.2010 n. 11 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Pendenza di un giudizio - Ricorso
contro gli atti di gara - Ricorso contro il
diniego di accesso - Compatibilità con il
rito ex art. 25 L. 241/90 - Interesse alla
protezione dei segreti tecnici - Art. 13
D.lgs. 163/06 - Tutela dei propri interessi
in giudizio - Prevale.
Non vi sono ragioni per escludere
l'ammissibilità del rimedio azionato
(ricorso contro il diniego espresso di
accesso agli atti), con il rito speciale
dell'accesso ex art. 25 l. 241/1990, anche
in pendenza di ricorso giurisdizionale
(impugnazione dell'aggiudicazione), in
ragione tanto dell'autonomia del diritto di
accesso rispetto alla pretesa azionata con
il ricorso ordinario, quanto della semplice
facoltatività del rimedio incidentale
introdotto dalla l. 205/2000 che ha previsto
la possibilità (ma non l'obbligo) di
proporre il ricorso in materia di accesso
anche incidentalmente all'interno del
giudizio ordinario (cfr. Cons. St., VI, n.
14/2004).
Piuttosto, la proposizione del ricorso
giurisdizionale ordinario avverso gli atti
di gara rende attuale, per la ricorrente, "la
difesa in giudizio dei propri interessi in
relazione alla procedura di affidamento del
contratto nell'ambito della quale viene
formulata la richiesta di accesso".
A fronte di tale difesa l'interesse della
controinteressata alla protezione dei
segreti tecnici e commerciali racchiusi
nella propria offerta diventa recessivo, a
norma dell'art. 13, co. 6, d.lgs. 163/2006
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
I,
sentenza 11.01.2010 n. 5 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ESPROPRIAZIONE:
1.
Note recanti l'avviso di avvio del
procedimento e l'avviso di deposito atti -
Natura - Comunicazioni prive di efficacia
lesiva - Impugnabilità - Non sussiste.
2. Decreto
d'esproprio - Competenza del dirigente
comunale - Sussiste - Presupposti: art. 3. L.R. n. 1/2000.
1. E' inammissibile l'impugnativa avente ad
oggetto le note della P.A. recanti l'avviso
di avvio del procedimento e l'avviso di
deposito atti di una procedura ablativa,
essendo atti di comunicazione della P.A.,
privi ex se di efficacia lesiva.
2. Non sussiste incompetenza del dirigente
comunale a decretare l'esproprio, in quanto
l'art. 50 della L.R. n. 70/1983 deve
ritenersi superato dalla L.R. n. 1/2000:
infatti, l'art. 3 di detta legge regionale
trasferisce ai comuni, alle comunità
montane, alle province, ai consorzi tra
comuni o tra comuni e province, per i lavori
di rispettiva competenza, le funzioni
amministrative concernenti:
a) la dichiarazione di pubblica utilità
nonché di urgenza ed indifferibilità dei
lavori;
b) l'occupazione temporanea d'urgenza e le
relative attività previste dagli articoli 7
e 8 L. 2359/1865 (comma 100); mentre per
altro verso (comma 101) delega agli stessi
enti, per i lavori di rispettiva competenza,
le funzioni amministrative regionali
concernenti l'espropriazione per pubblica
utilità di cui al titolo secondo della legge
n. 865/1971, riguardante programmi e
coordinamento dell'edilizia residenziale
pubblica.
Pertanto, per i lavori di propria pertinenza
i comuni sono titolari di funzioni
trasferite (dichiarazione di pubblica
utilità e occupazione d'urgenza) e di
funzioni delegate (espropriazione per
pubblica utilità) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 08.01.2010 n.
4 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
Varianti P.R.G. -
Procedura accelerata - Approvazione diretta
della variante da parte del consiglio
comunale - Ammissibilità - Presupposti:
competenza organo e realizzazione dell'opera
ex art. 2, comma 2, lett. a), L.R. 23/1997.
In materia di realizzazione di opere
pubbliche e relative varianti allo strumento
urbanistico, qualora sul piano formale la
sequenza procedimentale non sia stata "millimetricamente"
conforme al modello legale, non sono
tuttavia ravvisabili vizi significativi sul
piano sostanziale qualora sia stato appurato
che il progetto dell'opera è stato approvato
dagli organi comunali competenti e che
l'opera (nel caso di specie il c.d. raccordo
urbanistico) si è realizzata ai sensi
dell'art. 2, secondo comma, lett. a), L.R.
n. 23/1997, che ammette la procedura
accelerata per le varianti dirette a
localizzare opere pubbliche di competenza
comunale nonché a modificare i relativi
parametri urbanistici ed edilizi (nel caso
di specie veniva contestata l'assenza di una
valida dichiarazione di pubblica utilità,
mancando l'approvazione del progetto
definitivo da parte della giunta e la
susseguente approvazione regionale in
variante allo strumento urbanistico, ex art.
1, comma 5, legge n. 1/1978; tale mancanza,
secondo parte ricorrente, non poteva essere
supplita dall'approvazione diretta della
variante da parte del consiglio comunale con
la procedura accelerata di cui alla legge
regionale n. 23/1997) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 08.01.2010 n.
4 - link a
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URBANISTICA:
1. P.G.T. -
Delibera di approvazione definitiva -
Notifica alla Provincia - Necessità - Non
sussiste - Pianificazione urbanistica -
Natura - Procedimento esclusivamente
comunale.
2. P.G.T. -
Delibera di approvazione definitiva -
Coinvolgimento della Provincia - Necessità -
Solo in caso di piano territoriale di
coordinamento adottato dalla Provincia.
3. P.G.T. -
Osservazioni dei privati - Natura
collaborativa - Limiti al potere comunale o
regionale di apportare le modifiche ritenute
necessarie al piano adottato - Non sussiste.
4. Aggiornamento
della cartografia di piano con funzione
meramente ricognitiva - Obbligo di
ripubblicazione - Non sussiste.
5. Zone agricole -
Rapporto tra L.R. 12/2005 e P.R.G. -
Portata.
6. Zone agricole -
Rapporto tra L.R. 12/2005 e P.R.G. - Computo
dei volumi realizzabili - N.T.A. con
ulteriori limiti volumetrici alle
attrezzature ed alle infrastrutture
produttive di cui all'art. 59, L.R. 12/2005 -
Illegittimità.
7. Giustizia amministrativa - Onere della
prova - Criterio generale - Applicabilità
nel giudizio amministrativo-risarcitorio -
Sussiste.
1. In caso di impugnazione di deliberazione
del consiglio comunale che approvi in via
definitiva atti di P.G.T. ai sensi della
L.R. 11.03.2005 n. 12, la mancata
notificazione del ricorso alla Provincia è
eccezione che non merita accoglimento in
quanto, a seguito dell'entrata in vigore
della stessa L.R. 12/2005, la pianificazione
urbanistica non si svolge più attraverso
atti complessi, ma si configura come
procedimento concentrato nell'ambito del
Comune, in capo al quale l'art. 3, comma 20, L.R. 12/2005 prevede soltanto la trasmissione
alla Provincia -per conoscenza- del piano
regolatore approvato.
2. In materia di approvazione di P.G.T., il
coinvolgimento della Provincia nel
procedimento è solo eventuale in quanto si
verifica esclusivamente se l'ente sovracomunale si è dotato di piano
territoriale di coordinamento vigente (art.
13, comma 5, L.R. 12/2005): peraltro, la
Provincia valuta esclusivamente la
compatibilità del documento di piano con il
proprio piano territoriale di coordinamento,
svolgendo una funzione di coordinamento tra
i vari livelli di pianificazione e non una
partecipazione alle decisioni di
pianificazione territoriale comunale.
3. In tema di adozione e approvazione di P.G.T., le osservazioni dei privati
interessati hanno natura collaborativa e non
costituiscono un rimedio in senso proprio
che possa limitare il potere del Comune di
apportare le modifiche ritenute necessarie
al piano adottato, senza necessità di
specifica motivazione con riferimento a
tutte le richieste del privato (cfr. TAR
Milano, sent. n. 4106/2008).
4. L'aggiornamento della cartografia di
piano con funzione meramente ricognitiva non
costituisce una modifica del piano tale da
comportare una profonda modificazione dei
criteri posti a base del piano stesso e
pertanto non rende necessaria una nuova
pubblicazione, con la conseguente raccolta
delle nuove osservazioni (cfr. TAR
Torino, sent. n. 2074/2008; TAR Pescara,
sent. n. 30/2009; TAR Brescia, sent. n.
1318/2009; TAR Milano, sent. n.
4671/2009).
5. La potestà pianificatoria comunale
preesiste alla disciplina legislativa e
concorre con quella e con la potestà
pianificatoria provinciale a dettare la
disciplina delle aree agricole, così come
confermato dall'art. 10, comma 4, lett. a),
della L.R. 12/2005 che attribuisce al Piano
delle Regole il compito di dettare, per le
aree destinate all'agricoltura la disciplina
d'uso, di valorizzazione e di salvaguardia,
in conformità con quanto previsto dal titolo
terzo della parte seconda (art. 59 ss. L.R.
12/2005).
6. Il potere comunale di disciplinare le
aree agricole, seppur non cancellato dalle
previsioni della legge regionale di governo
del territorio, trova comunque un limite
nelle previsioni tassative stabilite dalla
stessa L.R. 12/2005.
In particolare, in
materia di computo dei volumi realizzabili,
come stabilito dall'art. 59, comma 4, L.R.
12/2005, nel calcolo non devono essere sono
conteggiate le attrezzature e le
infrastrutture produttive di cui al comma 1,
le quali non sono sottoposte a limiti
volumetrici bensì solo a limiti di copertura
che possono essere disciplinati dalla
normativa comunale: è pertanto illegittima
la norma delle n.t.a. comunali nella parte
in cui contenga una disciplina dell'attività
agricola che imponga limiti volumetrici alle
attrezzature ed alle infrastrutture
produttive previste dalla norma.
7.
La regola generale dell'onere probatorio,
secondo cui spetta a chi agisce in giudizio
indicare e provare i fatti su cui fonda la
pretesa avanzata, trova integrale
applicazione nel processo amministrativo in
tutti i casi nei quali siano nella piena
disponibilità della parte gli elementi atti
a sostenere la fondatezza della domanda
giudiziale azionata (cfr. C.d.S., sent. n.
551/1998): e ciò è tanto più valevole in
sede di giudizio risarcitorio, nel quale non
ricorre quella diseguaglianza di posizioni
tra P.A. e privato che giustifica
l'applicazione del principio dispositivo con
metodo acquisitivo (cfr. TAR Napoli, sent.
n. 1794/2006) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 08.01.2010 n.
3 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
1. Pianificazione
acustica - Opere di mitigazione - Creazione
di area destinata a verde pubblico -
Compatibilità.
2. Pianificazione
acustica - Opere di mitigazione - Creazione
di area destinata a verde pubblico -
Dimensioni - In assenza di vizi logici -
Insindacabilità.
3. Pianificazione
acustica - Opere di mitigazione -
Compatibilità con destinazione agricola in
assetto agrosistemico - Sussiste.
1. La creazione di un'area che sia poi
utilizzata a verde pubblico è connaturata ad
un intervento di mitigazione ambientale e
non ne costituisce il fine occulto: pertanto
in tale opera non è ravvisabile uno
sviamento della causa tipica dell'intervento
stesso di mitigazione.
2. In materia di mitigazione ambientale, la
tesi del sovradimensionamento di un'area
destinata a verde pubblico e della
conseguente ritenuta sproporzione rispetto
alle necessità di mitigazione trova il suo
limite -in assenza di vizi logici-
nell'insindacabilità del merito dell'azione
amministrativa.
3. La destinazione di aree qualificate dal PRG come "agricole in assetto agrosistemico"
risulta compatibile con l'intervento di
mitigazione ambientale attraverso un
rimboschimento, il quale, per sua natura,
ben si concilia con la destinazione agricola
stessa (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenze 07.01.2010
nn. 1 e
2 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Opere edilizie - Carattere
precario o provvisorio - Si ricollega alla
funzione - Destinazione abitativa delle
opere - Carattere di stabilità - Sussiste.
Il carattere precario o provvisorio di
un'opera non dipende dall'intenzione
soggettiva del suo autore, ma dalla funzione
cui l'opera è preordinata, sicché la
destinazione dichiaratamente abitativa delle
opere è di per sé tale da conferire alle
stesse un carattere di stabilità (massima
tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 28.12.2009 n. 6228). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. Ordine di demolizione -
Domanda di sanatoria - Non sanabilità delle
opere - Legittimità.
2. Ordine di demolizione - Omessa
comunicazione di avvio del procedimento -
Atto vincolato - Legittimità.
1.
La proposizione della domanda di condono o
di accertamento di conformità prima
dell'adozione dell'ordine demolitorio ed
alla proposizione dell'impugnativa
giudiziale comporta l'illegittimità
dell'ordinanza di demolizione emanata in
pendenza del procedimento di sanatoria,
salvo che non risulti già esternata
dall'Amministrazione, o comunque non risulti
con certezza dagli atti di causa, la non
sanabilità delle opere: in queste ipotesi la
presentazione dell'istanza ha la mera
funzione di procrastinare inutilmente
l'irrogazione della sanzione per un non
sanabile abuso edilizio; e quindi
l'Amministrazione può, in assenza di
documentate sopravvenute circostanze,
limitarsi all'adozione di un atto meramente
confermativo della sanzione già irrogata,
stante la già accertata non sanabilità.
2.
L'ordine di demolizione non deve essere
preceduto dalla comunicazione di avvio del
procedimento in quanto la natura vincolata
del provvedimento esclude la possibilità di
apporti contributivi da parte del privato
tali da modificare l'esito del procedimento,
sicché il vizio procedimentale prospettato
non inficia la legittimità del provvedimento
impugnato (massima tratta da www.solom.it -
TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 28.12.2009 n. 6227 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. Comma 3-bis dell'art. 52 della
L.R. n. 12/2005 introdotto dall'art. 1,
comma 1, lett. m), della L.R. n. 12/2006 -
Efficacia retroattiva - Non sussiste.
2. Intervento di manutenzione straordinaria
realizzato senza DIA - Acquisizione al
patrimonio del Comune - Non sussiste.
1.
Il comma 3-bis dell'art. 52 della L.R. n.
12/2005 è stato introdotto con L.R. n.
12/2006 (art. 1, comma 1, lett. m) e non è
applicabile, in virtù di quanto previsto
dall'art. 11 delle preleggi, prima della sua
entrata in vigore.
2.
L'assenza di DIA per gli interventi
qualificati come manutenzione straordinaria
non dà luogo ad acquisizione, da parte del
Comune, dell'immobile interessato da tali
interventi realizzati senza il suddetto
titolo (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 28.12.2009 n. 6226 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
1. Piano di Recupero - Interessa
l'area o l'immobile oggetto di intervento
nella sua complessiva dimensione - Calcolo
del peso insediativo - Va fatto sulla base
dell'intervento nella sua globalità.
2. Piano di Recupero - Standards - Vanno
parametrati su tutte le unità immobiliari
comprese nel piano seppur preesistenti.
1.
Il Piano di Recupero, in quanto assimilabile
al piano particolareggiato, interessa l'area
o l'immobile oggetto di intervento nella sua
complessiva dimensione, di talché appare del
tutto congruo tenere conto degli esiti e dei
benefici complessivi derivanti
dall'intervento e non soltanto
dall'incremento di volumetria da esso
determinato.
L'utilizzo dello specifico strumento
finalizzato al recupero delle preesistenze
degradate comporta la necessità di
considerare -ai fini del calcolo del
conseguente peso insediativo- il risultato
finale dell'intervento nella sua globalità.
2.
Anche nel caso di un piano di recupero
avente ad oggetto una pluralità di edifici,
gli standards debbono essere parametrati su
tutte le unità immobiliari che siano
comunque oggetto dell'intervento, pur se
preesistenti (massima tratta da www.solom.it
- TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 28.12.2009 n. 6223 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. Ampliamento impianto
produttivo - Art. 5 D.P.R. n. 447/1998 -
Archiviazione procedimento - Inammissibilità
- Omessa notifica alla Regione -
Improcedibilità - Nuova istanza di permesso
di costruire - Non sussiste.
2. Ampliamento impianto produttivo - Art. 5
D.P.R. n. 447/1998 - Archiviazione
procedimento - Carenza di preavviso di
rigetto - Carenza di motivazione - Eccesso
di potere - Illegittimità.
1.
Il ricorso avverso l'archiviazione del
procedimento attivato ai sensi dell'art. 5
D.P.R. n. 447/1998 per l'ampliamento di uno
stabilimento artigianale non è inammissibile
per omessa notifica alla Regione nel caso in
cui il procedimento si sia arrestato ad uno
stadio in cui l'intervento regionale non era
ancora stato richiesto, non essendo neppure
giunto alla determinazione della conferenza
di servizi.
Similmente, lo stesso non è inammissibile
per sopravvenuta carenza di interesse in
conseguenza della presentazione di una nuova
istanza di permesso di costruire (in
alternativa al procedimento attivato) nel
caso in cui tale alternativo titolo
abilitativo non risulta essere ancora stato
rilasciato.
2.
L'archiviazione del procedimento di
ampliamento di uno stabilimento produttivo
risulta illegittimo, non solo per carenza
del preavviso di rigetto di cui all'art.
10-bis L. n. 241/1990 e di una congrua
motivazione ex art. 3 stessa legge, ma
poiché viziato da eccesso di potere nella
parte in cui afferma apoditticamente
l'illegittimità di una delibera comunale
presupposta in quanto ciò contrasta con la
presunzione di legittimità che assiste gli
atti amministrativi fino al loro
annullamento (massima tratta da www.solom.it
- TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 28.12.2009 n. 6222 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
1. Adozione di atto dovuto a
contenuto vincolato posto a tutela della
sicurezza stradale - Comunicazione di avvio
del procedimento - Non necessità.
2. Mera constatazione dell'abusività
dell'opera - Integrazione della motivazione
di un ordine di ripristino - Sufficienza -
Sussiste.
1.
La comunicazione di avvio del procedimento
non è necessaria in caso di adozione da
parte dell'Amministrazione, di un atto
dovuto e a contenuto vincolato, posto a
tutela della sicurezza stradale.
2.
E' sufficiente, ai fini dell'integrazione
della motivazione di un ordine di
ripristino, la mera constatazione
dell'abusiva alterazione della destinazione
pubblica dell'area e della sicurezza
stradale (massima tratta da www.solom.it -
TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 23.12.2009 n. 6189). |
URBANISTICA:
1. Standard - Costituisce una
categoria aperta - Valutazioni di dettaglio
per le realtà locali - Spettano alle
Amministrazioni.
1.
Il concetto di standard costituisce una
categoria aperta, per cui spetta alle
amministrazioni il compito di svolgere
valutazioni di dettaglio riferite alle
singole realtà locali (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 23.12.2009 n. 6188 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ESPROPRIAZIONE
Decreto di esproprio - Art
21-bis, L. n. 241/1990 - Applicabilità - Non
sussiste.
Deve escludersi l'applicabilità dell'art
21-bis, L. n. 241/1990 al decreto di
esproprio, in quanto soggetto alla
disciplina speciale del testo unico
espropriazioni (D.P.R. n. 327 del 2001), in
base alla quale è necessario, al fine di non
determinare l'inefficacia della
dichiarazione di pubblica utilità, che il
decreto d'esproprio sia emanato o adottato,
ma non anche comunicato al destinatario
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 23.12.2009 n. 6188 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Bando di gara - Lex specialis di
gara - Limitazione alla possibilità di
presentare offerte eccedenti un determinato
rialzo - Offerta con rialzo pari al limite
previsto - Non costituisce offerta anomala.
Nel caso in cui la stazione appaltante abbia
già ex ante delimitato l'ambito delle
offerte accettabili (la stazione appaltante
aveva limitato la possibilità per i
concorrenti di presentare offerte eccedenti
a un determinato rialzo, 45%) ritenendo a
contrario che il suo superamento ponesse
l'Amministrazione di fronte a rischi legati
ad un'esecuzione del contratto poco
remunerativa per l'aggiudicatario, la
controinteressata che ha proposto un'offerta
pari al predetto limite del 45%, non può
ritenersi anomalo (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 23.12.2009 n. 6073 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI -
EDILIZIA PRIVATA:
Istanza permesso di costruire -
Monetizzazione standard - Approvazione
proposta di accordo - Art. 11 L. n. 241/1990
- Revoca - Forma scritta - Qualificazione ex
art. 21-quinquies L. n. 241/1990 -
Legittimità.
Se il Comune prima approva la proposta di
accordo ex art. 11 L. n. 241/1990 per la
monetizzazione di standard di parcheggi ma
poi revoca tale delibera di indirizzo, in
mancanza di stipulazione per atto scritto
(previsto dall'art. 11 L. n. 241/1990)
l'accordo non può ritenersi perfezionato, in
quanto la delibera revocata si configura
come atto presupposto ad efficacia meramente
interna sia in base ai principi generali sia
in base al testuale disposto dell'art. 11
comma 4-bis L. n. 241/1990.
La revoca della delibera di approvazione
dell'accordo, si inquadra così nella
fattispecie di cui all'art. 21-quinquies L.
n. 241/1990 che ammette la revoca dell'atto
amministrativo anche a seguito di una nuova
valutazione dell'interesse generale,
risultando conseguentemente legittima se
fondata sulla motivazione che l'intervento
pubblico (la realizzazione del parcheggio a
cui contribuirebbe il ricorrente) necessiti
di ulteriori approfondimenti e verifiche
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 22.12.2009 n. 5832). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Richiesta di accesso agli atti -
Riconoscimento dell'interesse - Mancata
evasione della richiesta - Ricorso ex art.
25 della L. n. 241/1990 - Fondatezza -
Sussiste.
E' fondato il ricorso ex art. 25 e ss. della
L. n. 241/1990 e succ. mod. ed int., nel
caso in cui l'Amministrazione, a fronte di
una richiesta di accesso agli atti, dopo
aver ravvisato in capo al richiedente la
sussistenza di un interresse concreto e
attuale corrispondente ad una situazione
giuridicamente tutelata e collegata ai
documenti per i quali è richiesto l'accesso
agli atti, si sia poi rifiutata di evadere
totalmente tale richiesta di accesso
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 21.12.2009 n. 5751 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. Ordinanza di demolizione ex
art. 31 D.P.R. n. 380/2001 recante la
previsione dell'acquisizione gratuita al
patrimonio comunale dell'area interessata
dall'abuso in caso di inottemperanza
all'ordine di demolizione - Nella parte in
cui è diretta anche nei confronti dei
proprietari di detta area estranei all'abuso
- Illegittimità - Sussiste.
2. Acquisizione gratuita al patrimonio
comunale ex art. 31, comma 3, del D.P.R. n.
380/2001 - Costituisce una sanzione autonoma
dell'abuso edilizio.
1.
E' illegittima un'ordinanza di demolizione
ex art. 31 del D.P.R. n. 380/2001 recante la
previsione dell'acquisizione gratuita al
patrimonio comunale della proprietà
dell'area interessata dall'abuso in caso di
inottemperanza all'ordine di demolizione,
nella parte in cui è diretta anche nei
confronti dei proprietari di detta area
estranei all'abuso.
2.
L'acquisizione gratuita dell'area al
patrimonio comunale prevista dall'art. 31
comma 3 del D.P.R. n. 380/2001 costituisce
una sanzione autonoma dell'abuso edilizio
ispirata dall'intento di costringere il
responsabile dell'abuso ad eseguire egli
stesso la demolizione nel termine stabilito
dall'ingiunzione, con la conseguenza che
essa può essere attivata soltanto a seguito
del mancato adempimento all'ordinanza di
demolizione da parte dei responsabili e non
è, quindi, prevista per il solo mancato
adempimento dell'ordinanza di demolizione.
Peraltro, alla luce anche di quanto previsto
dall'art. 29, comma 1 del D.P.R. n.
380/2001, appare chiaro che non esiste una
responsabilità automatica del proprietario
dell'area per l'abuso commesso sul suo
fondo, se egli non sia il committente o il
costruttore dell'opera (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 21.12.2009 n. 5740). |
EDILIZIA PRIVATA:
Manufatto - Volume tecnologico -
Creazione di volume - Stabilità - Disciplina
distanze dal confine - Ordine di rimozione
- Legittimità.
Un manufatto, anche se destinato a coprire
un cassone per deposito rifiuti, non si può
qualificare come impianto tecnologico se ha
una dimensione tale da creare volume
utilizzabile ad altro scopo e risulta
stabilmente affisso al suolo e, in quanto
struttura rilevante dal punto di vista
edilizio, si applica la disciplina delle
distanze dal confine, risultando
legittimamente adottato l'ordine di
rimozione dello stesso (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 21.12.2009 n. 5739). |
EDILIZIA PRIVATA:
Parere
negativo della commissione edilizia su
richiesta di autorizzazione paesaggistica -
Atto endoprocedimentale - Impugnazione -
Inammissibilità.
Il parere negativo della commissione
edilizia sull'istanza di autorizzazione
paesaggistica è un mero atto
endoprocedimentale e, come tale, non può
essere oggetto di impugnazione
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 17.12.2009 n. 5602 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
COMPETENZE GESTIONALI:
Composizione commissione edilizia
- Organi politici dell'Ente locale -
Violazione del principio separazione poteri
- Sussiste.
La commissione edilizia comunale non può
essere composta, né presieduta, da organi
politici dell'ente locale, risultandone in
caso contrario violato il principio di
separazione delle funzioni politiche da
quelle amministrativo-gestionali, sancito
dall'art. 107 del D.lgs. n. 267/2000
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 17.12.2009 n. 5602 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Obbligo di pubblicazione di
delibere su quotidiani e obbligo di
partecipazione dei cittadini - Espressa
previsione legislativa - Delibera ex art. 65
della L.R. n. 12/2005 (sottotetti) -
Assoggettamento a tali obblighi in assenza
di espressa previsione legislativa - Non
sussiste.
L'obbligo di pubblicare l'avviso di avvio
del procedimento su quotidiani o periodici e
di fissare un termine entro il quale i
cittadini possono presentare suggerimenti e
proposte devono trovare una espressa
previsione legislativa e non possono essere
inferiti analogicamente da un differente
procedimento, pertanto non è assoggettata,
nel silenzio della legge, a tali obblighi,
l'adozione della delibera prevista dall'art.
65 della L.R. n. 12/2005 e succ. mod. ed
int. (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 17.12.2009 n. 5602 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Gara di appalto - Interventi di
manutenzione straordinaria su pavimentazione
- Condanna penale degli amministratori per
reato di lesioni personali colpose -
Valutazione di gravità del reato -
Discrezionalità della stazione appaltante -
Esclusione ai sensi dell'articolo 38, comma
1, lett. C) ed E), D.Lgs. 163/2006 -
Legittima.
In assenza di parametri legislativi fissi e
predeterminati, il richiamo alla "gravità"
del reato contemplato dall'articolo 38,
comma 1, lett. C), D.Lgs. 163/2006, lascia
alla stazione appaltante un ampio spazio
valutativo.
L'apprezzamento della gravità non può, in
ogni caso, prescindere dalla considerazione
di alcuni indici fondamentali, quali la pena
prevista e/o in concreto irrogata per il
reato e la natura del bene protetto dalla
norma incriminatrice, tenuto conto anche
dell'oggetto e delle caratteristiche
dell'appalto (nella specie, il TAR ha
ritenuto legittima l'esclusione dalla gara
di un'impresa partecipante -i cui
amministratori erano stati condannati per il
reato di lesioni colpose conseguenti alla
violazione di norme per la prevenzione degli
infortuni sul lavoro- in considerazione
delle caratteristiche dell'appalto, avente
ad oggetto lavori di manutenzione
straordinaria su pavimentazione il cui
affidamento richiedeva una garanzia piena
sull'osservanza della normativa
antinfortunistica da parte dell'appaltatore)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
I,
sentenze 17.12.2009 nn. 5593 e
5594 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Gara di appalto - Affidamento
lavori - Art. 38, comma 1, lett. I), D.Lgs.
163/2006 - Irregolarità contributiva
dell'impresa aggiudicataria maturata dopo
l'aggiudicazione - Successiva
regolarizzazione - Irrilevante - Effetti -
Decadenza dall'aggiudicazione.
La regolarità contributiva dell'impresa
partecipante ad una gara deve sussistere non
solo alla data di presentazione della
domanda, ma deve permanere anche durante lo
svolgimento della procedura e l'esecuzione
del contratto; né può rilevare, in senso
retroattivo, la successiva regolarizzazione,
con la conseguenza che, legittimamente, la
stazione appaltante può disporre la
decadenza dal provvedimento di
aggiudicazione definitiva (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 17.12.2009 n. 5592 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
1. Gara di appalto - Affidamento
di servizi - Offerta tecnica -
Caratteristiche - Valutazione da parte della
stazione appaltante - Criteri di
valutazione.
2. Contratti della P.A. - Commissione
giudicatrice - Esercizio, da parte di un
commissario, di funzioni amministrative
ulteriori nell'ambito della medesima
procedura - Incompatibilità ex art. 84,
comma 4, D.Lgs. 163/2006 - Non sussiste.
1.
L'offerta tecnica non si sostanzia in un
progetto o in un prodotto, ma nella
descrizione di un facere che può essere
valutato unicamente sulla base di criteri
qualitativi e quantitativi, fra i quali ben
può rientrare la considerazione della
pregressa esperienza dell'operatore, come
anche della solidità ed estensione della sua
organizzazione d'impresa.
2.
Nelle procedure per l'aggiudicazione di
appalti con la Pubblica amministrazione
l'esercizio, da parte di un componente della
commissione aggiudicatrice, di ulteriori
funzioni amministrative per conto e
nell'interesse dell'amministrazione
appaltante, relative alla medesima procedura
di gara, non integra di per sé la causa di
incompatibilità prevista dall'art. 84, comma
4, D.Lgs. 163/2006, atteso che tale
disposizione ha la finalità di impedire la
partecipazione alla commissione di soggetti
che, nell'interesse proprio o privato di
alcuna delle imprese concorrenti, abbiano
assunto o possano assumere compiti di
progettazione, di esecuzione o di direzione
relativamente ai lavori oggetto della
procedura di gara (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 17.12.2009 n. 5591 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
1. Piano per gli Insediamenti
Produttivi (P.I.P.) - Assoggetta le aree
incluse nel perimetro a vincolo di esproprio
- Assegnazione di aree di proprietà privata
- Presuppone che il Comune le abbia
acquisite tramite atto ablativo o cessione
volontaria.
2. P.I.P. - Delibera di assegnazione di aree
facenti parte di un P.I.P. e successiva
convenzione urbanistica - Nella parte in cui
comprendono anche mappali o porzioni di
mappali di proprietà di terzi non
interessati dal piano o che non siano stati
precedentemente oggetto di atto ablativo o
cessione volontaria - Illegittimità -
Sussiste.
1.
Il Piano per gli Insediamenti Produttivi (P.I.P.)
assoggetta le aree che vi sono incluse a
vincolo di esproprio per gli scopi che sono
propri del piano. Se le aree sono di
proprietà privata, la loro assegnazione ed
alienazione a terzi presuppone che il Comune
le abbia acquisite tramite atto ablativo o
cessione volontaria.
2.
La delibera di assegnazione di aree facenti
parte di un P.I.P. e la successiva
convenzione urbanistica sono illegittime
nella parte in cui comprendono
nell'assegnazione ed alienazione dei lotti
interessati dal P.I.P. anche mappali o
porzioni di mappali di proprietà di terzi
non interessati dal piano, o che non siano
stati precedentemente oggetto di atto
ablativo o cessione volontaria (massima
tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 16.12.2009 n. 5365 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
COMPETENZE GESTIONALI:
Giunta comunale - Competenza - In
relazione a provvedimenti consequenziali a
decisioni assunte dal Consiglio comunale in
sede di approvazione dello strumento
urbanistico generale o attuativo - Sussiste.
Rientra nella competenza della Giunta
comunale una delibera di soppressione e
declassificazione di strade vicinali qualora
si tratti di delibera consequenziale a
decisioni assunte dal Consiglio comunale in
sede di approvazione dello strumento
urbanistico generale o attuativo, atteso che
detta delibera si configura non come un atto
fondamentale rientrante nella competenza del
Consiglio, ma come esecutivo di atti
fondamentali assunti in sede consiliare
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 16.12.2009 n. 5365 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
PATRIMONIO:
Demanio e patrimonio -
Sdemanializzazione - Non determina di per sé
il trasferimento al patrimonio della P.A. di
ciò che era e rimane di proprietà privata
ancorché gravato dall'uso pubblico dismesso.
Il procedimento di sdemanializzazione muta
il regime giuridico di ciò che è già di
proprietà pubblica, dismettendo la
destinazione all'uso pubblico del bene o
dell'area pubblica o gravata da servitù di
uso pubblico, ma non determina, di per sé,
il trasferimento al patrimonio della P.A. di
ciò che era e rimane di proprietà privata
ancorché gravato dall'uso pubblico dismesso
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 16.12.2009 n. 5365 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
1. Gara - Affidamento di un
pubblico servizio - Impugnazione - Interesse
al ricorso - Sussiste - Anche in caso di
vantaggio successivo ed eventuale
all'annullamento della procedura di
affidamento.
2. Gara - Impugnazione del bando da parte di
un concorrente che non abbia partecipato
alla gara - Interesse al ricorso - Sussiste.
3. Contratti della P.A. - Convenzioni per
l'espletamento di un servizio socio
sanitario - Riserva in favore di
organizzazioni di volontariato e cooperative
sociali - Compatibilità con il diritto
comunitario e costituzionale - Sussiste.
1.
L'interesse al ricorso nell'ambito di una
procedura di affidamento di un servizio
pubblico sussiste non solo nel caso in cui
dall'annullamento derivi un vantaggio
diretto ed immediato in capo al ricorrente,
ma anche nel caso in cui il vantaggio sia
meramente successivo ed eventuale, dovendosi
dichiarare l'inammissibilità del ricorso
solo laddove risulti che la parte ricorrente
non possa, in nessun caso, risultare
aggiudicataria nell'ipotesi di accoglimento
del ricorso.
2.
Non difetta dell'interesse ad impugnare una
procedura ad evidenza pubblica il ricorrente
che non abbia partecipato alla gara,
nell'ipotesi in cui la censura abbia ad
oggetto i requisiti del bando, in quanto
ritenuti discriminatori e tali da precludere
la partecipazione alla gara medesima, atteso
che -se effettivamente la preclusione alla
partecipazione deriva dal bando- non può
pretendersi la previa domanda di
partecipazione alla gara, che risulterebbe
inutiliter proposta.
3.
In virtù dell'articolo 20, D.Lgs. n.
163/2006 e del principio di sussidiarietà
orizzontale sancito dall'art. 118, ult. co.
della Costituzione, deve ritenersi
compatibile con i principi e le norme del
diritto comunitario e costituzionale, un
sistema fondato sulla convezione per
l'affidamento di un servizio socio sanitario
che sia riservato ad organizzazioni di
volontariato e cooperative sociali (massima
tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
I,
sentenza 16.12.2009 n. 5357 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Beni di interesse storico ed
artistico - Apposizione di vincolo -
Revisione - Rigetto - Eccesso di potere -
Illogicità e carenza di istruttoria -
Illegittimità.
L'apposizione del vincolo di interesse
storico ed artistico su un dipinto è
espressione di un potere nel quale sono
presenti sia momenti di discrezionalità
tecnica sia momenti di discrezionalità
amministrativa, ed è sindacabile solo in
presenza di profili di incongruità e
illogicità tali da far emergere
l'inattendibilità della valutazione
effettuata.
Nel caso in cui l'apposizione del vincolo
risulti basata su un errore lapalissiano
evidenziato nell'istanza di revisione, si
deve ritenere illegittimo il rigetto di
revisione fondato su supposizioni e
presunzioni generiche tese a giustificare la
permanenza di interesse in quanto viziato da
eccesso di potere per illogicità e carenza
di istruttoria (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 15.12.2009 n. 5347 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Nuovo provvedimento emesso su
progetto diverso sottoposto a commissione
edilizia e motivato in maniera diversa da un
precedente provvedimento - Natura
confermativa del provvedimento - Non
sussiste.
Non può essere ritenuto confermativo del
precedente un provvedimento emesso su un
progetto diverso, nuovamente sottoposto alla
commissione edilizia comunale che abbia
espresso un nuovo giudizio supportato da
nuova e diversa motivazione (massima tratta
da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 15.12.2009 n. 5337 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
1. Piano regolatore generale -
Procedimento di approvazione - Delibera di
controdeduzioni - Ha natura di atto interno
- Lesione di interessi legittimi - Non
sussiste.
2. Reiterazione dei vincoli - Domanda di
condanna al pagamento di un indennizzo -
Giurisdizione del giudice amministrativo -
Non sussiste.
3. Reiterazione di vincoli - Domanda di
risarcimento del danno - Mancanza del
pregiudiziale annullamento dell'atto di
reiterazione del vincolo - Diritto al
risarcimento - Non sussiste.
1.
La delibera di controdeduzioni costituisce
atto interno al procedimento di approvazione
del piano regolatore, insuscettibile ex se
di determinare una lesione di interessi,
riconducibile solo all'adozione e/o
all'approvazione dello strumento
urbanistico.
2.
La domanda di condanna al pagamento di un
indennizzo per reiterazione dei vincoli
esula dalla giurisdizione del giudice
amministrativo.
3.
La domanda di risarcimento del danno
derivante dalla asserita illegittimità della
reiterazione di vincoli è priva di
fondamento ove manchi il pregiudiziale
annullamento dell'atto di reiterazione del
vincolo (massima tratta da www.solom.it -
TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 15.12.2009 n. 5336 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Diffida volta a provocare
l'esercizio del potere di vigilanza -
Silenzio della P.A. - Illegittimità -
Obbligo di riscontro - Sussiste -
Presentazione di ricorso amministrativo
avverso il titolo edilizio - Illegittimità
del silenzio - Permane.
L'Amministrazione ha l'obbligo di dare
riscontro ad una diffida volta a provocare
l'esercizio dei poteri di vigilanza
sull'attività edilizia interessante un'area
confinante quella dei richiedenti,
risultando illegittimo il silenzio serbato
dalla stessa anche nel caso di presentazione
di un ricorso avverso il titolo edilizio
rilasciato che non preclude ad un soggetto
di attivare anche l'esercizio dei poteri di
controllo e vigilanza comunali (massima
tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 14.12.2009 n. 5330 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Condono edilizio - Preventivo
parere dell'autorità preposta alla tutela
del vincolo ex art. 32 della legge n.
47/1985 come modificato dall'art. 2, comma
44, della L. n. 662/1996 - Opere abusive
realizzate su area vincolata dopo
l'apposizione del vincolo - Necessità.
In tema di condono edilizio, la previsione
dell'art. 32 della legge n. 47/1985 come
modificato dall'art. 2, comma 44, della legge
n. 662/1996 del preventivo parere
dell'autorità preposta alla tutela del
vincolo, trovava, nella vigenza di tale
normativa, applicazione solo nel caso in cui
le opere abusive su aree vincolate fossero
state realizzate dopo l'apposizione del
vincolo, diversamente tale parere non
risultava necessario (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 14.12.2009 n. 5329 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Procedimento amministrativo -
Mancata nomina del responsabile del
procedimento - Vizio del procedimento - Non
sussiste.
La mancata nomina del responsabile del
procedimento non vizia l'atto
amministrativo, dovendosi ritenere
responsabile, finché essa non venga
effettuata, il funzionario preposto
all'unità organizzativa competente (massima
tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 14.12.2009 n. 5329 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ESPROPRIAZIONE:
Art. 20 del D.P.R. n. 327/2001 -
Cessione volontaria - Accettazione
dell'indennità provvisoria di esproprio -
Sussiste.
Nella disciplina di cui all'art. 20 del
D.P.R.327/2001 (Testi Unico Espropri) la
cessione volontaria postula l'accettazione
dell'indennità provvisoria di esproprio e il
deposito della documentazione attestante la
titolarità dell'area (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 14.12.2009 n. 5329 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Intervento in deroga al P.R.G.
con riconfigurazione ex novo di un ambito
territoriale di considerevole estensione -
Rappresenta ristrutturazione urbanistica -
Realizzazione per buona parte in fascia di
rispetto cimiteriale - Non sussiste.
Un intervento in deroga al piano regolatore,
che comporta la riconfigurazione ex novo
di un ambito territoriale di considerevole
estensione, la trasformazione integrale
degli organismi edilizi esistenti in situ,
una ricomposizione volumetrica a tutto campo
e il passaggio dalla funzione industriale
alla funzione residenziale, non solo eccede
palesemente la nozione di recupero (del
patrimonio edilizio esistente), ma esorbita
pure dalla ristrutturazione edilizia, per
rientrare piuttosto nella figura della
ristrutturazione urbanistica che è invece
esclusa dalla previsione dell'art. 338, T.U.
leggi sanitarie 27.07.1934 n. 1265 (e
novellato dall'art. 28 della legge
01.08.2002 n. 166), il quale consente nella
fascia di rispetto cimiteriale
ristrutturazioni di edifici preesistenti con
ampliamento sino al 10% e cambi di
destinazione d'uso (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 10.12.2009 n. 5291 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. Ordine di demolizione -
Carenze nella comunicazione di avvio del
procedimento - Art. 21-octies L. 241/1990 -
Area vincolata - Legittimità.
2. Ordine di demolizione - Motivazione -
Atto vincolato - Abusività dell'opera -
Sufficienza.
1.
Nel caso di immobile e manufatti
abusivamente realizzati in zona a
destinazione agricolo-boschiva e gravata dai
vincoli paesaggistico ex D.Lgs. 42/2004 e
idrogeologico di cui al R.D. n. 3267/1923,
risulta legittima l'ordinanza di demolizione
anche nel caso in cui la comunicazione di
avvio del procedimento sia carente (rectius:
generica) in quanto, ai sensi dell'art.
21-octies L. n. 241/1990, il contenuto del
provvedimento non poteva essere differente
rispetto a quello adottato.
2.
L'ordine di demolizione motivato
dall'accertata abusività dell'opera, in
considerazione della destinazione dell'area
in cui è realizzata e della presenza di
vincoli sulla stessa, è sufficientemente
motivato, in quanto, quale atto vincolato,
lo stesso non richiede una specifica
valutazione delle ragioni di interesse
pubblico né una comparazione di quest'ultimo
con gli interessi privati coinvolti e
sacrificati (massima tratta da www.solom.it
- TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 09.12.2009 n. 5290). |
CONSIGLIERI COMUNALI:
1. Impugnazione delibere
consiliari da parte di un consigliere
comunale finalizzata all'accertamento della
mera lesione dell'interesse al buon
andamento dell'Ente - Assenza legittimazione
al ricorso - Sussiste.
2. Impugnazione di delibere consiliari da
parte di un consigliere comunale volta a
denunciare la lesione della propria sfera
giuridica - Legittimazione al ricorso -
Sussiste.
3. Violazione del dovere di astensione -
Vizio intrinseco del deliberato comunale non
deducibile dal consigliere comunale -
Sussiste.
1.
Nel processo amministrativo l'accertamento
dell'interesse a ricorrere non può
prescindere dalla verifica della lesione,
concreta ed immediata, che dal provvedimento
impugnato derivi alla sfera giuridica degli
interessati, pertanto i consiglieri comunali
non sono legittimati all'impugnativa di
delibere consiliari finalizzate
all'accertamento della mera lesione
dell'interesse al buon andamento dell'Ente,
laddove agiscano soltanto a tutela del
principio di legalità dell'azione
amministrativa o degli interessi del Comune.
2.
La legittimazione attiva dei consiglieri
comunali che agiscano a tutela del proprio
munus è infatti circoscritta alle
ipotesi in cui essi denunciano lesioni della
propria sfera giuridica o della propria
posizione all'interno dell'organo o
dell'Ente medesimo, ossia quando vengono in
rilievo atti incidenti in via diretta sul
diritto all'ufficio dei medesimi e quindi su
un diritto spettante alla persona investita
della carica di consigliere.
3.
La violazione del dovere di astensione
costituisce vizio intrinseco del deliberato
comunale, non deducibile dal consigliere
comunale, legittimato a denunciare i soli
vizi del procedimento di approvazione che
siano risolti in una lesione delle sue
prerogative (massima tratta da www.solom.it
- TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 04.12.2009 n. 5287). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. Annullamento del diniego di
rilascio di concessione edilizia - Nuova
valutazione della domanda di concessione
edilizia - Va fatta con riferimento alla
disciplina vigente alla data di notifica al
Comune della sentenza di annullamento del
diniego.
2. Annullamento di un provvedimento che ha
negato al privato un bene della vita -
Reintegrazione della situazione giuridica
lesa - Nel caso di sopravvenuta disciplina
urbanistica incompatibile con l'intervento
edilizio oggetto dell'illegittimo
provvedimento di diniego - Annullamento -
Insufficienza.
3. Giustizia amministrativa - Risarcimento
del danno ex art. 2043 c.c. - Prova
dell'elemento soggettivo - Per il privato
danneggiato da un provvedimento illegittimo
- Sufficiente invocare l'illegittimità
accertata dell'atto quale indice presuntivo
di colpa - P.A. deve dimostrare che l'errore
nel quale è incorsa con il provvedimento
dichiarato illegittimo è frutto di un errore
scusabile.
4. Giustizia amministrativa - Risarcimento
del danno - Applicazione del principio
dell'onere della prova - Intervento del
Giudice in via suppletiva con la
liquidazione equitativa del danno - Soltanto
se non è possibile fornire con precisione il
quantum del danno - Possibilità di utilizzo
di una CTU - Soltanto come strumento di
valutazione delle prove già fornite dalle
parti.
5. Giustizia amministrativa - Risarcimento
del danno - Prova del danno da mancato
guadagno - Nota redatta da un tecnico di
parte - Inidoneità.
6. Giustizia amministrativa - Risarcimento
del danno ex art. 35 del D.Lgs. n. 80/1998
conseguente all'accertata illegittimità di
un provvedimento di diniego ed alla
sopravvenuta perdita dell'originaria
destinazione urbanistica dell'area -
Criterio di determinazione in via
equitativa.
7. Giustizia amministrativa - Risarcimento
del danno - Costituisce un debito di valore
- Rivalutazione monetaria - Spetta dal
giorno in cui è stato adottato il
provvedimento lesivo sino alla formulazione
dell'offerta risarcitoria - Interessi -
Spettano nella misura legale della data
della formulazione dell'offerta risarcitoria
fino all'effettivo soddisfo.
8. Giustizia amministrativa - Risarcimento
del danno - Interessi passivi sul capitale -
Ulteriore voce di danno - Soltanto se
trattasi di danno legato da nesso di
causalità con il provvedimento annullato.
1.
In caso di annullamento di un diniego di
concessione edilizia, la nuova valutazione
della domanda relativa al rilascio del
titolo abilitativo deve essere fatta con
riferimento alla disciplina urbanistica
vigente al momento in cui viene notificata
al Comune interessato la sentenza di
annullamento del diniego, venendo così in
rilievo anche la nuova disciplina
intervenuta nelle more del giudizio.
2.
Nell'ipotesi di un provvedimento che ha
negato ingiustamente il bene della vita cui
il privato aspirava, la tutela di
annullamento non è assolutamente sufficiente
ad assicurare la reintegrazione di tale
situazione giuridica lesa nel caso di
sopravvenuta disciplina urbanistica
incompatibile con l'intervento edilizio
oggetto dell'illegittimo provvedimento di
diniego.
3.
In relazione all'elemento soggettivo
richiesto ai sensi dell'art. 2043 c.c. ai
fini del risarcimento del danno non è
richiesto al privato, danneggiato da un
provvedimento amministrativo di cui sia
stata accertata l'illegittimità, un
particolare impegno probatorio per
dimostrare la colpa della P.A., potendo
limitarsi ad invocare l'illegittimità
dell'atto quale indice presuntivo di colpa.
Spetta invece all'Amministrazione dimostrare
che si è trattato di un errore scusabile,
configurabile in caso di contrasti
giurisprudenziali sull'interpretazione di
una norma, di formulazione incerta di norme
da poco entrate in vigore, di rilevante
complessità del fatto, di influenza
determinante di comportamenti di altri
soggetti, di illegittimità derivante da una
successiva dichiarazione di
incostituzionalità della norma applicata.
4.
In materia di risarcimento del danno,
vertendosi in tema di diritti soggettivi,
trova piena applicazione il principio
dell'onere della prova e non, invece,
l'onere del principio di prova che,
tendenzialmente, si applica in materia di
interessi legittimi.
Il Giudice può intervenire in via
suppletiva, con la liquidazione equitativa
del danno, solo quando non possa essere
fornita la prova precisa del "quantum" di
danno, ma resta fermo che l'"an" del
danno va provato dall'interessato. Né si può
invocare la consulenza tecnica d'ufficio in
quanto non si tratta di un mezzo di prova ma
di uno strumento di valutazione delle prove
già fornite dalle parti.
Il Giudice, dunque, non può disporre una CTU,
pena la violazione del principio di parità
delle parti, per accertare l'an del
danno dedotto.
5.
Una nota redatta da un tecnico di parte
ricorrente e nella quale vengono indicati i
presunti ricavi ed i costi dell'intervento
edilizio al fine di dimostrare il danno
subito per il mancato guadagno
(corrispondente alla differenza tra i
presunti ricavi ed i costi complessivi e gli
interessi passivi sul capitale
immobilizzato) non può ritenersi può
ritenersi sufficiente come prova in quanto
non idonea a provare l'esistenza di
richieste di soggetti interessati
all'assegnazione delle unità immobiliari, né
il possesso, in capo alla società
costruttrice, delle capacità tecniche,
economiche e finanziarie necessarie per la
realizzazione dell'intervento edilizio.
6.
Il risarcimento del danno ex art. 35 del
D.Lgs. n. 80/1998 conseguente all'accertata
illegittimità di un provvedimento di diniego
(relativo ad un titolo abilitativo edilizio
volto alla realizzazione di una palazzina
residenziale) ed alla sopravvenuta perdita
dell'originaria destinazione urbanistica
dell'area (da residenziale a "parco dello
sport"), va determinato in via
equitativa sulla scorta della differenza del
valore che l'area aveva al momento del
provvedimento inibitorio ed al momento della
delibera di approvazione del nuovo strumento
urbanistico che ha mutato la destinazione
urbanistica dell'area rendendo l'intervento
illegittimamente denegato non più
realizzabile in quanto incompatibile con le
nuove norme sopravvenute.
I valori per entrambi i riferimenti
temporali vanno calcolati tenendo conto sia
dei prezzi indicati in contratti di
compravendita effettivamente registrati, sia
di quelli reali di mercato risultanti da
fonti certe o facilmente verificabili.
7.
Dal momento che l'obbligazione scaturente da
un risarcimento del danno costituisce un
debito di valore, spetta la rivalutazione
monetaria dal giorno in cui è stato adottato
il provvedimento lesivo sino alla
formulazione dell'offerta risarcitoria. Gli
interessi nella misura legale spettano,
invece, dalla data della formulazione
dell'offerta risarcitoria fino all'effettivo
soddisfo.
8.
Gli interessi passivi sul capitale sono
liquidabili come ulteriore voce di danno
soltanto se si tratta di un danno legato da
nesso di causalità con il provvedimento
annullato (massima tratta da www.solom.it -
TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 02.12.2009 n. 5269 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. Permesso di Costruire -
Ristrutturazione edilizia mediante
demolizione e ricostruzione - Nuova
costruzione - Qualificazione intervento
edilizio - Art. 3 D.P.R. n. 380/2001.
2. Permesso di costruire - Ristrutturazione
mediante demolizione e ricostruzione -
Spostamento di volumetria - Illegittimità.
1.
L'art. 3 D.P.R. n. 380/2001 ricomprende tra
gli interventi di ristrutturazione edilizia
anche quello consistente nella demolizione e
ricostruzione che riproduca, tuttavia, le
precedenti linee fondamentali dell'edificio
preesistente quanto a sagoma, superfici e
volumi perché ciò che la contraddistingue
dalla nuova edificazione è, dunque, la già
avvenuta trasformazione del territorio,
attraverso una edificazione di cui si
conservi la struttura fisica, ovvero la cui
stessa struttura fisica venga del tutto
sostituita ma, in quest'ultimo caso, con
ricostruzione comunque rispettosa della
volumetria e della sagoma della costruzione
preesistente.
2.
In caso di ristrutturazione mediante
demolizione e ricostruzione, lo spostamento
di volumetria non può ritenersi ammissibile
in quanto incide sul requisito della
identità di sagoma, superfici e volumi
richiesto dall'art. 3 D.P.R. n. 380/2001,
risultando in tal caso l'intervento non
qualificabile come ristrutturazione edilizia
(mediante demolizione e ricostruzione) bensì
quale nuova costruzione e, conseguentemente,
illegittimo il permesso di costruire
abilitativo (massima tratta da www.solom.it
- TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 02.12.2009 n. 5268 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. Provvedimento di diniego del
titolo abilitativo edilizio - Motivazione non
idonea a comprendere le ragioni di fatto e
diritto del diniego - Pregiudizio del diritto
difesa - Sussiste.
2. Giustizia amministrativa - Accoglimento
ricorso per difetto di motivazione del
provvedimento impugnato - Potere
dell'Amministrazione di ripronunciarsi -
Domanda di risarcimento danni proposta
contestualmente al ricorso - Mancato
accoglimento per assenza di danno.
1.
La motivazione del provvedimento di diniego
del titolo abilitativo edilizio che non
consenta di intendere in quali termini e con
quali disposizioni normative il progetto sia
in contrasto, è del tutto inidonea ad
adempiere la propria funzione di far
comprendere le ragioni giuridiche e le
giustificazioni di fatto che sono alla base
della determinazione dell'Amministrazione,
con evidente pregiudizio del diritto di
difesa della ricorrente e al principio di
trasparenza dell'azione amministrativa.
2.
In caso di accoglimento del ricorso per
difetto di motivazione del provvedimento
impugnato, la domanda risarcitoria proposta
contestualmente alla proposizione del
ricorso non può essere accolta in quanto non
sussiste, in tale ipotesi, un danno, laddove
residua all'amministrazione il potere di
ripronunciarsi in proposito, con possibilità
di un esito positivo per il ricorrente
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 01.12.2009 n. 5218 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
1. Piano regolatore generale -
Vincolo di rispetto stradale - Natura
espropriativa - Non sussiste - Natura
conformativa - Sussiste - Decadenza del
vincolo - Non sussiste.
2. Piano regolatore generale - Azzonamenti -
Obbligo di motivazione - Non sussiste -
Superamento degli standard minimi - Obbligo
di motivazione - Sussiste.
3. Variante al P.R.G. - Annullamento -
Diritto al risarcimento del danno - Non
sussiste atteso il carattere eventuale
dell'emanazione del provvedimento ampliativo
della sfera giuridico- patrimoniale
dell'interessato.
1.
Il vincolo di rispetto stradale non ha
natura espropriativa, ma unicamente
conformativa e, in quanto tale, non è
soggetto a decadenza. E' pacifico, infatti,
che il vincolo di inedificabilità relativo
alla "fascia di rispetto stradale"
riguardante una generalità di beni e di
soggetti, ha una funzione di salvaguardia
della circolazione, indipendentemente dalla
eventuale instaurazione di procedure
espropriative; esso quindi non è soggetto a
scadenze temporali.
2.
Sebbene gli azzonamenti non richiedano
apposita motivazione, oltre quella implicita
nelle scelte tecnico-urbanistiche effettuate
in sede di redazione del piano regolatore,
una più incisiva motivazione si impone,
viceversa, in talune ipotesi, tra le quali
va annoverata quella del superamento degli
standard minimi di cui al d.m. 02.04.1968 n.
1444.
3.
Il risarcimento del danno può essere ammesso
solo quando l'attività amministrativa
rinnovatoria conseguente ad annullamento di
illegittimo diniego si connoti in termini
tali da escludere ogni ulteriore
apprezzamento discrezionale, ovvero quando
spetti all'Autorità amministrativa un potere
sostanzialmente vincolato, anche se entro i
termini della sentenza di annullamento.
Esso deve escludersi, al contrario, nei
casi, quali la rinnovazione della
pianificazione urbanistica, nei quali in
capo all'Autorità stessa residui un margine
di apprezzamento discrezionale che configuri
come eventuale l'emanazione del
provvedimento ampliativo della sfera
giuridico patrimoniale dell'interessato
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 01.12.2009 n. 5215 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Lo sgravio contributivo esige il
concorso di due presupposti, e cioè uno
oggettivo, ovvero l’ascrivibilità del
manufatto oggetto di concessione edilizia
alla categoria delle opere pubbliche o di
interesse generale e l’altro soggettivo,
ovvero l’esecuzione delle opere da parte di
enti istituzionalmente competenti, vale a
dire da parte di soggetti cui sia demandata
in via istituzionale la realizzazione di
opere di interesse generale ovvero da parte
di privati concessionari dell’ente pubblico
purché le opere siano inerenti all’esercizio
del rapporto concessorio.
Le opere –ammesse allo
sgravio contributivo- devono essere
realizzate dagli enti istituzionalmente
competenti, con la conseguente necessità che
deve sussistere un ben preciso vincolo
relazionale tra il soggetto abilitato ad
operare nell’interesse pubblico ed il
materiale esecutore della costruzione: la
giurisprudenza prevalente ha identificato
tale vincolo nella concessione di
costruzione di opera pubblica o in altre
analoghe figure organizzatorie.
Viene in discussione la tematica
dell’esenzione dal pagamento dei contributi
di concessione per le opere pubbliche o di
interesse generale, realizzate dagli enti
istituzionalmente competenti, ai sensi
dell’art. 9, comma 1, lett. f), legge n.
10/1977.
Lo sgravio contributivo in esame esige il
concorso di due presupposti, e cioè uno
oggettivo, ovvero l’ascrivibilità del
manufatto oggetto di concessione edilizia
(nella specie, una ristrutturazione) alla
categoria delle opere pubbliche o di
interesse generale (nel senso che deve
trattarsi di opere che, quantunque non
destinate direttamente a scopi propri della
p.a., siano comunque idonee a soddisfare i
bisogni della collettività, anche se
realizzate e gestite da privati), e
l’altro soggettivo, ovvero l’esecuzione
delle opere da parte di enti
istituzionalmente competenti, vale a dire da
parte di soggetti cui sia demandata in via
istituzionale la realizzazione di opere di
interesse generale (cfr. C.G.A.R.S.
20.07.1999 n. 369; Cons. Stato, V,
06.12.1999 n. 2061), ovvero da parte di
privati concessionari dell’ente pubblico
(cfr. Cons. Stato, V, 07.09.1995 n. 1280),
purché le opere siano inerenti all’esercizio
del rapporto concessorio.
Il Comune è, peraltro, tenuto ad accertare
d’ufficio tali presupposti indipendentemente
dalla richiesta del privato, non prevista
dalla legge.
Il fine dell’applicazione della norma,
fondata dunque sul presupposto oggettivo
della natura delle opere e su quello
soggettivo della qualità dell’ente
realizzatore, è chiaramente quello di
assicurare una ricaduta del beneficio dello
sgravio a vantaggio della collettività, nel
senso che la gratuità della concessione si
traduce in un abbattimento dei costi, a cui
corrisponde, in definitiva, un minore
aggravio di oneri per il contribuente.
Le opere per cui può ipotizzarsi lo sgravio
dagli oneri concessori devono, dunque,
rivelare innanzitutto un carattere
direttamente satisfattivo dell’interesse
della collettività, di per se stesse –poiché
destinate ad uso pubblico o collettivo– o in
quanto strumentali rispetto ad opere del
genere anzidetto, o comunque perché
immediatamente collegate con le funzioni di
pubblico servizio espletate dall’ente (cfr.
Cons. Stato, V, 08.06.1998 n. 777).
Il beneficio della gratuità della
concessione richiede poi che l'opera avente
le suddette caratteristiche sia realizzata
da un soggetto istituzionalmente competente,
sia cioè realizzato dall'ente per il
perseguimento dei suoi fini istituzionali, e
cioè per la cura di quegli interessi a lui
affidati e che ne rappresentano la ragion
d'essere (cfr. Cons. Stato, V, 20.07.1999 n.
849).
Esso non spetta, pertanto, a soggetti
privati per gli immobili ove esercitino una
mera attività (lucrativa o non) di impresa,
indipendentemente dalla rilevanza sociale
dell’attività stessa (cfr. Cons. Stato, V,
21.01.1997 n. 69).
Al fine dell’individuazione dell’anzidetto
requisito di ordine soggettivo, la
giurisprudenza richiede, di norma, quanto
meno il possesso della qualità di
concessionario, operante per conto di un
ente pubblico (Cons. Stato, V, 07.09.1995 n.
1280, cit.).
Nel recente panorama giurisprudenziale, il
beneficio è stato conseguentemente negato:
- ad una società per azioni relativamente
alla concessione di ampliamento della
clinica gestita dalla stessa (Cons. Stato,
V, 16.01.1992 n. 46);
- all’impresa che, senza alcun collegamento
riconducibile ad una concessione da parte di
un ente pubblico, svolga un’attività
assistenziale, in quanto l’agevolazione in
parola implica, come accennato, il possesso
del requisito non solo oggettivo (impianti,
attrezzature, opere pubbliche o di interesse
generale), ma pure soggettivo (ente pubblico
o soggetto concessionario di pubblico
servizio o di opere pubbliche : cfr. Cons.
Stato, V, 10.05.1999 n. 536);
- alle cooperative edilizie, in quanto
curano in primo luogo l’interesse dei soci;
- al privato che realizzi impianti sportivi,
anche se la loro utilizzazione sia oggetto
di convenzione con il Comune;
- per la realizzazione di uffici direzionali
di un’azienda creditizia;
- per la costruzione di scuole non previste
tra le opere di urbanizzazione dallo
strumento urbanistico;
- alla società concessionaria del servizio
distributivo del gas, per la costruzione di
una nuova sede;
- per le opere realizzate da un privato, su
proprietà e con capitali privati, pur se in
vista di un contratto di locazione con la
p.a..
E’ stato peraltro precisato che per
realizzatore dell’opera deve intendersi non
soltanto chi provveda materialmente
all’edificazione, ma anche il soggetto cui
l’opera sia riferibile dal punto di vista
sia progettuale che della destinazione
finale (Cons. Stato, V, 08.06.1998 n. 777,
cit.).
E’, dunque, la carenza dell’elemento
soggettivo ad assumere rilevanza decisiva
nella fattispecie in esame, in cui esso non
appare sufficientemente integrato.
Il legislatore richiede che le opere
–ammesse allo sgravio contributivo- siano
realizzate dagli enti istituzionalmente
competenti, con la conseguente necessità che
sussista un ben preciso vincolo relazionale
tra il soggetto abilitato ad operare
nell’interesse pubblico ed il materiale
esecutore della costruzione: la
giurisprudenza prevalente ha identificato
tale vincolo nella concessione di
costruzione di opera pubblica o in altre
analoghe figure organizzatorie (Cons. Stato,
V, 19.05.1998, n. 617; 07.09.1995, n. 1280;
13.12.1993, n. 1280; 20.11.1989, n. 752).
Deve cioè trattarsi di attività compiuta da
un concessionario, o più in generale da un
soggetto che curi istituzionalmente (è,
quindi, questo l’elemento chiave) la
realizzazione di attività d'interesse
generale per il perseguimento delle
specifiche finalità cui le stesse siano
destinate: nell’ordinamento italiano le
attività di natura socio-assistenziali
competono istituzionalmente al Servizio
sanitario nazionale, mentre l’erogazione dei
servizi attinenti alla pubblica istruzione
spetta allo Stato o alle Regioni o alle
Province, prestazioni rispetto alle quali
l’Associazione appellata non può vantare
alcuna istituzionale competenza, nonostante
l’assenza del fine di lucro, di per se
stessa non sufficiente ad integrare i
necessari presupposti in precedenza messi in
luce
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 10.05.2005 n. 2226 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
costruzione di una caserma dei VV.F. non è
soggetta al versamento del contributo di
costruzione.
La realizzazione in oggetto riguardava la
costruzione di un fabbricato da adibirsi a
Caserma dei Vigili del Fuoco, realizzazione
per la quale il Comune di Prato con i
provvedimenti originariamente impugnati
negava l’esenzione dal pagamento per gli
oneri di urbanizzazione primaria e
secondaria.
Ritiene al riguardo il Collegio che nella
fattispecie coesistono i requisiti
soggettivi ed oggettivi previsti dalla più
volte richiamata norma di cui all’art. 9,
primo comma, lettera f), prima parte, della
L. n. 10/1977, secondo cui il contributo
afferente il rilascio della concessione
edilizia non è dovuto per gli impianti, le
attrezzature, le opere pubbliche o di
interesse generale realizzate dagli enti
istituzionalmente competenti.
Circa il requisito soggettivo ritiene
infatti il Collegio di dover condividere
quell’ampia e qualificata giurisprudenza per
cui ai fini dell’individuazione dell'"ente
istituzionalmente competente” non è
necessariamente rilevante la natura pubblica
immediata dell’ente realizzatore quanto
piuttosto quella oggettiva relativa alla
realizzazione dell’opera; in tale ambito
questa Sezione ha avuto modo di precisare
che ai fini dell’esecuzione del contributo
di costruzione la norma può venire riferita
anche ad un’opera realizzata ad un soggetto
privato perché per conto di un ente pubblico
(cfr. C.S. Sezione V n. 206/1999); mentre
sotto il profilo oggettivo è indubbio che la
realizzazione dell’opera in questione
–caserma dei Vigili del Fuoco– risponde
sicuramente alle caratteristiche di un’opera
pubblica e/o di un’opera di interesse
generale.
Fondate sono anche le censure contenute nel
secondo motivo di appello perché ritiene il
Collegio che, al contrario di quanto dedotto
dal Tribunale, l’elenco delle opere di
urbanizzazione primaria e secondaria non
debba intendersi tassativo e vincolato
perché, come esattamente ritenuto dalla
giurisprudenza condivisa dalla Sezione,
debbono ritenersi rientrare nella nozione di
opere di urbanizzazione previste dalla
normativa anche quelle realizzazioni di
specifica rilevanza pubblica e sociale, qual
è certamente la costruzione di un immobile
da adibirsi a caserma dei VV.F..
Inoltre, la decisione appare errata nella
parte in cui è stato escluso il carattere di
urbanizzazione della Caserma de qua
perché la stessa sarebbe al servizio di
utenti appartenenti a più centri abitativi.
Invero, come esattamente dedotto
dall’appellante, il requisito del
dimensionamento di quartiere risulta
previsto solo per i mercati, gli impianti
sportivi e le aree vedi (cfr. art. 4, 2°
comma, della legge n. 847/1964), con la
conseguenza che le altre opere di
urbanizzazione secondaria ben possono essere
dimensionate su scala diversa e superiore
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 18.09.2003 n. 5315 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Un
impianto destinato ad essiccazione e
conservazione di cereali realizzato da un
consorzio agrario costituito nella forma di
società di capitali privata non costituisce
opera pubblica in senso stretto perché esso
rappresenta un edificio d'interesse sì
collettivo, ma dei soli soci del consorzio
stesso e solo indirettamente degli altri
agricoltori: pertanto, non è esente dal
versamento del contributo di urbanizzazione
e costruzione.
L'esenzione dal contributo di urbanizzazione
e costruzione, di cui all'art. 9, lett. f),
l. 28.01.1977 n. 10, spetta esclusivamente
alle opere pubbliche, ossia alle opere di
pubblico interesse realizzate da enti
pubblici, mentre non compete alle opere
realizzate da soggetti privati, quale che
sia la rilevanza sociale dell'attività dagli
stessi esercitata nella o con l'opera cui la
concessione edilizia si riferisce; pertanto,
un impianto destinato ad essiccazione e
conservazione di cereali realizzato da un
consorzio agrario costituito nella forma di
società di capitali privata, non costituisce
opera pubblica in senso stretto, perché esso
rappresenta un edificio d'interesse sì
collettivo, ma dei soli soci del consorzio
stesso e solo indirettamente degli altri
agricoltori, fermo restando che detto
consorzio non ha per scopo essenziale la
costruzione di opere pubbliche (sez. V,
19.09.1995, n. 1313).
Tale indirizzo, a confutazione del quale non
sono stati addotti argomenti persuasivi,
merita di essere confermato.
Il paradigma normativo dell’art. 9, lett.
f), della l. n. 10/1977, invero, prevede la
gratuità della concessione edilizia per gli
impianti, le attrezzature, le opere
pubbliche o di interesse generale realizzate
dagli enti istituzionalmente competenti
nonché per le opere di urbanizzazione,
eseguite anche da privati, in attuazione di
strumenti urbanistici.
La prospettazione della parte ricorrente in
primo grado si fonda essenzialmente sulla
locuzione “opere…di interesse generale”,
in relazione alle finalità di interesse
pubblico perseguite dai consorzi agrari.
Il fatto, però, è che la fattispecie
normativa, elevando ad oggetto della
qualificazione “le opere pubbliche o di
interesse generale realizzate dagli enti
istituzionalmente competenti” ha inteso
riferirsi agli enti pubblici, o comunque
agli enti che agiscono per conto di enti
pubblici (come ad esempio, i concessionari
pubblici): in tal senso, la giurisprudenza
del Consiglio di Stato è costante.
L’esattezza di tale soluzione è confermata,
del resto, non soltanto dall’endiadi: “opere
pubbliche o di interesse generale”, che
rinvia ad una figura soggettiva pubblica, ma
dal fatto che nella sola seconda parte della
proposizione normativa, concernente le opere
di urbanizzazione, la disposizione
specifica: "eseguite anche da privati".
Ne esce quindi caricata di ulteriore valore
semantico la locuzione: “enti
istituzionalmente competenti”, che non
può riferirsi che ad enti pubblici o a
soggetti che agiscono per conto degli
stessi.
Circa la natura dei consorzi agrari, che
attualmente hanno personalità giuridica di
diritto privato, può convenirsi sul fatto
che essi concorrono al conseguimento di
determinate finalità di pubblico interesse,
ma ciò è comune a tutta la categoria
dottrinale degli enti privati di interesse
pubblico, caratterizzata dal fatto di essere
sottoposti a vigilanza particolarmente
penetrante o di essere inseriti in
ordinamenti settoriali cui sono preposti
amministrazioni o enti pubblici.
Resta però il fatto che nell’ordinamento
giuridico vigente non esiste una categoria
intermedia tra gli enti pubblici e quelli
privati, in quanto gli enti qualificabili
come enti privati di interesse pubblico
rimangono pur sempre soggetti privati.
Tale rilievo è assorbente ai fini della
decisione della presente controversia.
Il Consorzio agrario provinciale di Mantova,
in quanto soggetto privato, non aveva titolo
alla gratuità della concessione edilizia per
l’impianto di stoccaggio di cereali, ai
sensi dell’art. 9, lett. f), l. n. 10/1977
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 06.10.2000 n. 5323 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AGGIORNAMENTO ALL'01.04.2010 |
ã |
DOTTRINA
E CONTRIBUTI |
ENTI LOCALI:
P. M. Zerman,
Partenza in salita per la class action
(link a www.giustizia-amministrativa.it). |
NEWS |
INCENTIVO PROGETTAZIONE:
Il ripristino del 2% non vede la luce.
Legge lavoro a Camere,
Napolitano non firma - 'Estrema
eterogeneità' del testo. Maroni: nulla da
eccepire. Sacconi: governo proporrà
modifiche.
Il presidente della Repubblica Giorgio
Napolitano non ha firmato, rinviandola alle
Camere, la legge di riforma del lavoro, con
la motivazione che si tratta di un testo
eterogeneo su norme delicate (link a
www.ansa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Lombardia, Interventi edilizi di
manutenzione straordinaria.
Il decreto-legge 25.03.2010, n. 40, in
vigore dal 26 marzo e principalmente
dedicato a “disposizioni tributarie e
finanziarie urgenti”, reca all’articolo
5 una nuova disciplina della cosiddetta
“attività edilizia libera”.
Mediante la sostituzione dell’art. 6 del
T.U. dell’edilizia (D.P.R. n. 380/2001), il
legislatore statale procede ad una nuova
individuazione degli interventi edilizi che
possono essere eseguiti senza alcun titolo
abilitativo (DIA o permesso di costruire).
L’innovazione principale consiste nel
prevedere tra questi anche gli “interventi
di manutenzione straordinaria … che non
riguardino le parti strutturali
dell’edificio, non comportino aumento del
numero delle unità immobiliari e non
implichino incremento dei parametri
urbanistici”.
La nuova norma statale, contenuta nel D.L.
n. 40, stabilisce tuttavia che sono fatte
salve le “più restrittive disposizioni
previste dalla disciplina regionale”. Ne
consegue che essa, con particolare
riferimento alla individuata fattispecie di
manutenzione straordinaria, ad oggi non può
trovare immediata applicazione in Lombardia,
disponendo la nostra Regione di una
disciplina più restrittiva, contenuta negli
articoli 33 e 41 della L.R. n. 12/2005, che
impone per questi interventi un previo
titolo abilitativo (DIA piuttosto che
permesso di costruire) (comunicato
31.03.2010 - link a
www.territorio.regione.lombardia.it). |
URBANISTICA:
Lombardia, Fondo Regionale Aree
Verdi, adempimenti per i comuni.
In attuazione dell’art. 43, comma 2-bis,
della l.r. n. 12/2005, così come modificato
dalla l.r. n. 7/2010, le Direzione Generali
Territorio ed Urbanistica ed Agricoltura
hanno istituito un fondo regionale da
alimentarsi mediante le maggiorazioni dei
contributi di costruzione applicate agli
interventi di nuova costruzione che
sottraggono superfici agricole nello stato
di fatto. Tali interventi sono infatti
assoggettati ad una maggiorazione
percentuale del contributo di costruzione,
determinata dai comuni entro un minimo
dell’1,5 ed un massimo del 5 per cento, da
destinare obbligatoriamente a interventi
forestali a rilevanza ecologica e di
incremento della naturalità.
Regione Lombardia aveva a suo tempo, con
D.g.r. n. 8757 del 22/12/2008 “Linee
guida per la maggiorazione del contributo di
costruzione per il finanziamento di
interventi estensivi delle superfici
forestali” richiesto ai Comuni di
individuare le “aree agricole nello stato
di fatto” a cui applicare la
maggiorazione. In assenza di specifiche
determinazioni comunali in materia si
intendono ad oggi valide le aree individuate
nello strato DUSAF 2.0 – Uso del suolo
2005-2007, scaricabili dal geoportale
regionale.
In data 10/02/10, la Giunta regionale, con
D.g.r. n. 11297 ha approvato specifiche
linee guida relative all’applicazione delle
disposizioni di cui al comma 2-bis e le
modalità di gestione di un fondo finanziario
denominato “Fondo Aree Verdi”, attualmente
in fase di avanzata definizione, la cui
finalità è sostenere la realizzazione di
interventi che perseguano obiettivi di
sviluppo territoriale e di salvaguardia e
valorizzazione del sistema
rurale-paesistico-ambientale, in particolare
mediante la valorizzazione dei contesti
agricoli, forestali, naturali e
paesaggistici e con attenzione al recupero
delle aree degradate.
Il Fondo sarà alimentato da:
a) risorse regionali;
b) proventi delle maggiorazioni dei
contributi di costruzione derivanti da
interventi in aree ricadenti in:
- accordi di programma o programmi integrati
di intervento di interesse regionale;
- comuni capoluogo di provincia;
- parchi regionali e nazionali;
c) proventi delle maggiorazioni che i comuni
non capoluogo di provincia decidano di
destinare al fondo.
Si rammenta ai Comuni l’obbligatorietà di
attivarsi al fine di dare attuazione alla
norma suddetta in vigore dal 12/04/2009.
La Regione predisporrà a breve le modalità e
le specifiche tecniche secondo cui ogni
Amministrazione dovràcomunicare:
- le aree agricole nello stato di fatto
interessate da interventi che hanno dato
titolo alla maggiorazione;
- le entrate determinate;
- gli interventi attuati attraverso
l’utilizzo dei suddetti contributi (comunicato
29.03.2010 - link a
www.territorio.regione.lombardia.it). |
APPALTI:
Appalti, la trattativa è
l'eccezione. Procedure per le aggiudicazioni
previste dal codice dei contratti pubblici
di lavori, servizi e forniture. L'estrema
urgenza deve essere adeguatamente motivata.
Nell'attuale sistema della contrattualistica
pubblica, così come delineato dal dlgs
12.04.2006 n. 163, l'affidamento di lavori,
nonché l'acquisizione di servizi e forniture
da parte delle stazioni appaltanti
(nell'ampia accezione stabilita dal citato
testo regolamentare), può avvenire mediante
una delle quattro procedure previste dal
Codice dei contratti. E segnatamente:
procedure aperte, in cui ogni operatore
economico interessato può presentare
un'offerta; procedure ristrette,
caratterizzate dall'invito a formulare
un'offerta rivolto dalla stazione appaltante
a una selezionata rosa di operatori
economici; dialogo competitivo, nella quale
«la stazione appaltante, in caso di
appalti particolarmente complessi, avvia un
dialogo con i candidati ammessi a tale
procedura, al fine di elaborare una o più
soluzioni atte a soddisfare le sue necessità
e sulla base della quale o delle quali i
candidati selezionati saranno invitati a
presentare le offerte» (secondo la
definizione di cui all'art. 3 comma 39 del
Codice); procedure negoziate, in cui le
stazioni appaltanti consultano gli operatori
economici da loro scelti e negoziano con uno
o più di essi le condizioni dell'appalto.
Si è avuto già modo di evidenziare, su
queste pagine, lo spiccato favore del
legislatore comunitario, e, di riflesso, di
quello nazionale, per le procedure aperte,
garanti, almeno sul piano teorico, della più
ampia imparzialità e concorrenzialità.
Egualmente, si era rilevato come le
procedure negoziate (cosiddetti affidamenti
a trattativa privata) siano da considerarsi
marginali, il ricorso alle quali avendo
carattere di eccezionalità e dovendo le
stesse avere una giustificazione oggettiva.
Nel presente articolo, si cercherà di
illustrare quali siano le condizioni che
consentano il ricorso a procedure negoziate,
anche alla luce della recente giurisprudenza
amministrativa ... (articolo
ItaliaOggi del 31.03.2010 - link
a www.corteconti.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Il ticket restaurant? Fa reddito.
Risoluzione delle Entrate con risposte in
materia di trattamento del lavoro
dipendente. Niente esenzione una volta
superata la soglia di 5,29 euro.
L'importo nominale dei ticket restaurant che
eccede il limite di 5,29 euro concorre alla
formazione del reddito di lavoro dipendente.
I beni ed i servizi acquistati dal datore di
lavoro in virtù di particolari convenzioni e
successivamente offerti ai dipendenti
costituiscono reddito di lavoro dipendente
sulla base del minor prezzo di acquisto che
il datore steso è riuscito ad ottenere dai
propri fornitori.
Sono due precisazioni contenute nella
risoluzione 29.03.2010
n. 26/E dell'Agenzia delle Entrate
dedicata alla risposta ai quesiti presentati
durante un recente forum in materia di
redditi di lavoro dipendente ... (articolo
ItaliaOggi del 30.03.2010 - link
a www.corteconti.it). |
GIURISPRUDENZA |
EDILIZIA PRIVATA:
I sottotetti quando sono di
altezza tale da poter essere suscettibili
d'abitazione o d'assolvere a funzioni
complementari, quale quella ad esempio di
deposito di materiali, devono essere
computati ad ogni effetto sia ai fini della
cubatura autorizzabile sia ai fini del
calcolo dell'altezza e delle distanze
ragguagliate all'altezza, non potendo essere
annoverati tra i volumi tecnici.
Secondo autorevole giurisprudenza, per
volumi tecnici, ai fini dell'esclusione dal
calcolo della volumetria ammissibile,
debbono intendersi i volumi strettamente
necessari a contenere ed a consentire
l'accesso a quegli impianti tecnici
indispensabili per assicurare il comfort
abitativo degli edifici, che non possano,
per esigenze tecniche di funzionalità degli
impianti, essere inglobati entro il corpo
della costruzione realizzabile nei limiti
imposti dalle norme urbanistiche ( cfr.
ex multis TAR Campania Napoli, sez. IV,
17.06.2002, n. 3597).
In materia, si è evidenziato (per tutte: TAR
Campania Napoli, sez. IV, 17.06.2002, n.
3597; TAR Puglia Lecce, sez. III,
15.01.2005, n. 143 Tar Puglia-Bari sent.
2843/2004), con un orientamento del tutto
condivisibile, che i sottotetti quando sono
di altezza tale da poter essere suscettibili
d'abitazione o d'assolvere a funzioni
complementari, quale quella ad esempio di
deposito di materiali, devono essere
computati ad ogni effetto sia ai fini della
cubatura autorizzabile sia ai fini del
calcolo dell'altezza e delle distanze
ragguagliate all'altezza, non potendo essere
annoverati tra i volumi tecnici
(TAR Campania-Napoli, Sez. II,
sentenza 15.03.2010 n. 1450 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La deroga agli strumenti
urbanistici, ex art. 9 legge 122/1989, è da
reputarsi operante solo quando i parcheggi
siano realizzati nel sottosuolo ovvero nei
locali siti al piano terra dei fabbricati
già esistenti, mentre è da escludersi –e,
quindi, i parcheggi devono essere realizzati
nel rispetto delle disposizioni
urbanistiche–, se non vengano a ciò adibiti
i locali (preesistenti) siti al piano terra
di un fabbricato o se le autorimesse non
vengano allocate nel sottosuolo dei
fabbricati.
La legge 122/1989 è applicabile alla
costruzione di spazi-parcheggio nelle sole
aree urbane, mentre la realizzazione di
parcheggi in aree extraurbane resta
assoggettata alle ordinarie prescrizioni
urbanistiche ed edilizie e necessita di
concessione edilizia (o permesso di
costruire).
Ai sensi dell'art. 9, comma 1, della l. n.
122/1989, “i proprietari di immobili
possono realizzare nel sottosuolo degli
stessi ovvero nei locali siti al piano
terreno dei fabbricati parcheggi da
destinare a pertinenza delle singole unità
immobiliari, anche in deroga agli strumenti
urbanistici ed ai regolamenti edilizi
vigenti … tali parcheggi possono essere
realizzati, ad uso esclusivo dei residenti,
anche nel sottosuolo di aree pertinenziali
esterne al fabbricato, purché non in
contrasto con i piani urbani del traffico,
tenuto conto dell'uso della superficie
sovrastante e compatibilmente con la tutela
dei corpi idrici”.
Sia in base all’art. 9, comma 1, della l. n.
122/1989 sia in base all’art. 6, comma 2, l.
r. Campania n. 19/2001, ma nei limiti da
essi dettati, i parcheggi pertinenziali
possono, dunque, realizzarsi anche in deroga
agli strumenti urbanistici vigenti.
Con riferimento al’art. 9, comma 1, della l.
n. 122/1989, la giurisprudenza ha chiarito
che la sfera applicativa delle agevolazioni
da esso contemplate, in considerazione delle
finalità della legge e in relazione al suo
carattere eccezionale, non può estendersi al
di fuori delle ipotesi normativamente
previste (Cons. Stato, sez. V, 29.03.2006,
n. 1608).
Ha, conseguentemente, statuito che la
costruzione di autorimesse e parcheggi, se
non effettuata in locali preesistenti o
totalmente al di sotto del piano di campagna
naturale, rimane assoggettata al regime
urbanistico delle nuove costruzioni fuori
terra (Cons. Stato, sez. V, 29.03.2004, n.
1662; 29.03.2006 n. 1608; sez. IV,
11.11.2006, n. 6065; 26.09.2008 n. 4645; TAR
Lazio, Roma, sez. I, 16.04.2008, n. 3259).
La deroga agli strumenti urbanistici è,
pertanto, da reputarsi operante, solo quando
i parcheggi siano realizzati nel sottosuolo
ovvero nei locali siti al piano terra dei
fabbricati già esistenti, mentre è da
escludersi –e, quindi, i parcheggi devono
essere realizzati nel rispetto delle
disposizioni urbanistiche–, se non vengano a
ciò adibiti i locali (preesistenti) siti al
piano terra di un fabbricato o se le
autorimesse non vengano allocate nel
sottosuolo dei fabbricati.
Nel ribadire che la possibilità di edificare
parcheggi pertinenziali in virtù della
deroga alle vigenti prescrizioni
urbanistiche, consentita dall’art. 9, comma
1, della l. n. 122/1989, costituisce una
disposizione di carattere eccezionale da
interpretarsi in senso strettamente
letterale, in considerazione delle finalità
di una legge volta a favorire la diminuzione
del traffico veicolare all’interno dei
centri abitati, la giurisprudenza prevalente
ha, poi, anche affermato che la citata norma
legislativa statale è applicabile alla
costruzione di spazi-parcheggio nelle sole
aree urbane, mentre la realizzazione di
parcheggi in aree extraurbane resta
assoggettata alle ordinarie prescrizioni
urbanistiche ed edilizie e necessita di
concessione edilizia (o permesso di
costruire) (cfr. Cons. Stato, sez. V,
11.11.2004, n. 7324 e n. 7325; TAR Sicilia,
Catania, sez. I, 03.10.2005, n. 1531; TAR
Veneto, Venezia, sez. II, 02.05.2007, n.
1331; TAR Toscana, Firenze, sez. III,
29.05.2007, n. 817; TAR Lazio, Roma, sez. I,
16.04.2008, n. 3259)
(TAR Campania-Napoli, Sez. VIII,
sentenza 11.03.2010 n. 1383 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La ristrutturazione edilizia, per essere
tale e non finire per coincidere con la
nuova costruzione, deve conservare le
caratteristiche fondamentali dell’edificio
preesistente, dovendo la successiva
ricostruzione dell’edificio riprodurre le
precedenti linee fondamentali quanto a
sagoma e volumi.
La ristrutturazione edilizia mira alla
salvezza del complesso esistente, ossia alla
fedele ricostruzione del fabbricato nelle
sue caratteristiche preesistenti, non
soltanto dimensionali ma anche
architettoniche e stilistiche, lasciando
inalterati i volumi; in mancanza
l’intervento va qualificato nuova
costruzione e, come tale, è soggetto alle
limitazioni imposte dalle norme urbanistiche
(cfr. Cons. Stato, V, 03.03.2004, n. 1022).
Peraltro, anche se per effetto delle
disposizioni contenute nell’art. 3 del
D.P.R. n. 380/2001, la nozione di
ristrutturazione è stata ulteriormente
estesa, non per questo sono venuti meno i
limiti che ne descrivono le caratteristiche
e che consentono di distinguerla
dall’ipotesi di nuova costruzione, vale a
dire, la necessità che la ricostruzione sia
identica, per sagoma, volumetria e
superficie, al fabbricato demolito.
Sebbene sia stato superato il criterio della
“fedele ricostruzione” (di cui
all’art. 31 della legge n. 47/1985), espunto
dalle disposizioni contenute nell’art. 3,
comma 1, del D.P.R. n. 380/2001, la
ristrutturazione edilizia, per essere tale e
non finire per coincidere con la nuova
costruzione, deve conservare le
caratteristiche fondamentali dell’edificio
preesistente, dovendo la successiva
ricostruzione dell’edificio riprodurre le
precedenti linee fondamentali quanto a
sagoma e volumi (cfr. Cons. Stato, V,
28.7.2005, n. 4011) (TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 11.03.2010 n. 772 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
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