|
Alcuni files sono in formato Acrobat (pdf): se non riesci a leggerli, scarica
gratuitamente il programma Acrobat Reader (clicca sull'icona a fianco riportata).
-
segnala un
errore nei links |
|
AGGIORNAMENTO AL 25.01.2010 |
ã |
UTILITA' |
SICUREZZA LAVORO:
Testo Unico della Sicurezza: Vademecum e
check-list per i datori di lavoro.
La Provincia Autonoma di Trento e il
Servizio Sanitario del Trentino hanno
realizzato un documento dal titolo
"Vademecum per datori di lavoro".
La guida fornisce informazioni sulle
responsabilità di tutte le figure
individuate dal D.Lgs. 81/2008 (lavoratori,
dirigenti, preposti, RSPP, medici
competenti, RLS, etc.).
In particolare per il datore di lavoro
vengono individuati tutti gli obblighi, sia
quelli non delegabili (valutazione dei
rischi, designazione del RSPP, etc.), sia
quelli delegabili definiti dagli art. 16 e
18 ... (link a www.acca.it). |
SICUREZZA LAVORO:
Quale Formazione per il datore di lavoro che
si occupa direttamente di sicurezza? La
risposta del Ministero.
Quali sono gli obblighi di formazione per il
datore di lavoro che svolga direttamente i
compiti di prevenzione e protezione dai
rischi nonché di primo soccorso, di
prevenzione incendi e di evacuazione?
Il Ministero del Lavoro risponde al quesito
attraverso un'apposita sezione sul sito ...
(link a www.acca.it). |
GURI - GUUE - BURL (e anteprima) |
EDILIZIA PRIVATA:
B.U.R. Lombardia, 4° suppl. straord. al n. 3
del 21.01.2010
(link a www.infopoint.it):
- "Nuove determinazioni in materia di
attività estrattiva di cava, relativamente
alle procedure per le verifiche di
assoggettabilità a VIA di cave e torbiere,
all'autorizzazione all'esercizio di cave per
opere pubbliche e al funzionamento del
Comitato tecnico consultivo per le attività
estrattive" (deliberazione
G.R. 30.12.2009 n. 10964);
- "Criteri di verifica di
assoggettabilità a Valutazione di Impatto
Ambientale di cave e torbiere" (comunicato
regionale 08.01.2010 n. 2). |
LAVORI PUBBLICI:
B.U.R. Lombardia, 2° suppl. straord. al n. 3
del 19.01.2010
(link a www.infopoint.it):
- "Criteri per l'accesso ai contributi in
conto interessi per la realizzazione di
impianti sportivi di uso pubblico (legge
regionale 08.10.2002, n. 26 - art. 4, commi
1, lettera d), 3, 4, e articolo 10, commi 1,
lettera a) e 3)" (deliberazione
G.R. 02.12.2009 n. 10697);
- "Approvazione iniziativa anno 2009/2010
per l'accesso ai contributi in conto
interessi a valere sui mutui dell'Istituto
per il Credito Sportivo per la realizzazione
di impianti sportivi di uso pubblico" (decreto
D.S. 21.12.2009 n. 14302). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
B.U.R. Lombardia, 1° suppl. straord. al n. 3
del 19.01.2010
(link a www.infopoint.it):
- "Approvazione del Piano della Provincia
di Bergamo per la Gestione dei rifiuti (art.
20, comma 6, l.r. 26/2003; art. 8, comma 1,
l.r. n. 12/2007)" (deliberazione
G.R. 11.12.2009 n. 10767);
- "Approvazione del Piano della Provincia
di Como per la Gestione dei rifiuti in
attuazione della d.g.r. n. 10401 del
28.10.2009" (deliberazione
G.R. 11.12.2009 n. 10767). |
AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA:
B.U.R. Lombardia, 1° suppl. ord. al n. 3 del
21.01.2010, "Modifiche al regolamento
regionale 20.07.2007 n. 5 «Norme forestali,
in attuazione dell'art. 11 delle legge
regionale 28.10.2004, n. 27 (Tutela e
valorizzazione delle superfici, del
paesaggio e dell'economia forestale)»" (Regolamento
Regionale 19.01.2010 n. 1 - link a www.infopoint.it). |
PUBBLICO IMPIEGO: G.U.
20.01.2010 n. 15 ""Determinazione delle
fasce orarie di reperibilità per i pubblici
dipendenti in caso di assenza per malattia"
(D.M. 18.12.2009 n.
206). |
EDILIZIA PRIVATA:
B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 3 del
18.01.2010, "Approvazione del secondo
aggiornamento dell'elenco degli Enti locali idonei
all'esercizio delle funzioni paesaggistiche
loro attribuite dall'art. 80 della legge
regionale 11.03.2005 n. 12" (decreto
D.G. 30.12.2009 n. 14545 - link a www.infopoint.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 3 del
18.01.2010, "Criteri per la redazione
della Carta Geoenergetica regionale in
attuazione dell'art. 10, comma 7, della l.r.
n. 24/2006"
(deliberazione
G.R. 30.12.2009 n. 10965 - link a www.infopoint.it). |
EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI:
Documento Unico di Valutazione
dei Rischi da Interferenze (DUVRI): Linee
Guida per la redazione dalla Regione
Lombardia.
Con il
decreto D.G. 29.12.2009 n. 14521
la Direzione Generale Sanità della Regione
Lombardia ha approvato "Linee di
indirizzo per la redazione del documento
unico di valutazione dei rischi da
interferenza".
Il documento descrive le azioni che devono
intraprendere, in occasione della stipula di
contratti (d'appalto di lavori, servizi,
fornitura, e di somministrazione di lavoro)
le funzioni aziendali responsabili della
redazione del Documento Unico di Valutazione
dei Rischi Interferenti (DUVRI).
Un ampia parte del documento è dedicata agli
obblighi relativi alla gestione degli
appalti, mentre un capitolo è dedicato gli
aspetti riguardanti la stipula di appalti
per la realizzazione di opere edili che
comportino la nomina del coordinatore per la
sicurezza e la redazione del Piano di
Sicurezza e Coordinamento (P.S.C.) ...
(link a www.acca.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Autorizzazione paesaggistica:
regolamento per gli interventi di lieve
entità.
Intesa sullo schema di regolamento
proposto dal Ministro per i beni e le
attività culturali recante procedimento
semplificato di autorizzazione paesaggistica
per gli interventi di lieve entità, ai sensi
dell'art. 146, comma 9, del decreto
legislativo 22.01.2004, n. 42 e successive
modificazioni (sito 4.1412009132 CU).
Intesa ai sensi dell’art. 146, comma 9, del
decreto legislativo 22.01.2004, n. 42 e
successive modificazioni (Conferenza
unificata Stato-Regioni, 26.11.2009
- link a www.statoregioni.it). |
QUESITI & PARERI |
PUBBLICO IMPIEGO:
Responsabile servizio comunale.
Recupero ore prestate prima dell’incarico di
servizio.
Il Comune di (omissis) chiede se un
dipendente, nominato Responsabile del
servizio a partire dall'01/11/2009, abbia
diritto a recuperare le ore prestate in più
prima di tale data.
Il dipendente ed il suo rappresentante
sindacale sostengono che da Responsabile del
servizio non può più recuperare le ore
prestate in più e l'unica soluzione è
costituita dal pagamento del lavoro
straordinario. Secondo il Comune, invece,
avendo l'interessato prestato le ore in più
prima della nomina a Responsabile di
servizio, lo stesso conserva il diritto
anche dopo la nomina a Responsabile di
servizio.
Il Comune ha altresì precisato che tale
prestazioni non erano state formalmente
autorizzate e che non si può provvedere al
pagamento in quanto non c'è in bilancio la
necessaria previsione di spesa e nell'ambito
del fondo delle risorse decentrate relativo
all'anno 2009 il fondo per il lavoro
straordinario per tutti i dipendenti non può
superare la somma di € 652,83, somma,
questa, insufficiente per il pagamento delle
ore prestate dal dipendente prima citato
(Regione Piemonte,
parere n.
146/2009 - link a
www.regione.piemonte.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Calcolo sanzione pecuniaria (art.
167, comma V, D.Lgs. 42/2004). Profitto
conseguito mediante trasgressione.
Si chiede un parere in merito alle modalità
di calcolo della sanzione pecuniaria
prevista dall’art. 167, comma 5, del D.lgs.
42/2004, con particolare riferimento al
concetto di profitto conseguito mediante la
trasgressione (Regione Piemonte,
parere n.
128/2009 - link a
www.regione.piemonte.it). |
VARI:
Applicazione imposta di bollo ai
certificati di residenza e stato di
famiglia.
Il Comune (omissis) pone un quesito in tema
di applicazione dell’Imposta di bollo ai
Certificati di residenza e di stato di
famiglia “ad uso successione”,
rilasciati dagli Uffici comunali su
specifica richiesta dei contribuenti
(Regione Piemonte,
parere n.
119/2009 - link a
www.regione.piemonte.it). |
INCARICHI PROGETTUALI - PUBBLICO IMPIEGO:
Incarico tecnico comunale di
progettazione.
Il sindaco del Comune di (omissis) chiede se
sia legittimo conferire al tecnico comunale
dell’ente l’incarico per predisporre
progetto di solo intonaco esterno su un
edificio (granaio) sottoposto a vincolo da
parte della Soprintendenza.
La soluzione alternativa è rappresentata
dalla necessità di affidare incarico
professionale ad ingegnere o architetto
esterni, con un evidente aggravio di spesa
sul bilancio comunale (Regione Piemonte,
parere n.
118/2009 - link a
www.regione.piemonte.it). |
NEWS |
EDILIZIA PRIVATA:
In vigore dal 1° gennaio obbligo di
installazione di impianti per la produzione
di energia da fonti rinnovabili per i nuovi
edifici.
È scattato il 1° gennaio 2010 l'obbligo di
aggiornare i regolamenti edilizi comunali
con la previsione, per gli edifici di nuova
costruzione e per i fabbricati industriali,
dell'installazione di impianti per la
produzione di energia da fonti rinnovabili
...
(link a www.acca.it). |
DOTTRINA E CONTRIBUTI |
EDILIZIA PRIVATA: W.
Fumagalli,
Lombardia,
Legge Regionale n. 13/2009 (terza parte) (AL
n. 12/2009). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
A. Lisi e G. Penzo Doria,
L'albo online dal 2010 è davvero possibile?
(link a www.altalex.com). |
PUBBLICO IMPIEGO:
L. Modaffari,
Il mobbing in concreto: come viene valutato
nei Tribunale italiani
(link a www.altalex.com). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
L’informazione ambientale. Un diritto di
chiunque (link a
www.ambientelegale.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Rifiuti, L’intermediario senza detenzione:
posizione di garanzia?
(link a www.ambientelegale.it). |
APPALTI SERVIZI:
C. Volpe,
LA CORTE DI GIUSTIZIA CONTINUA LA RIFINITURA
DELL’IN HOUSE PROVIDING. MA IL
DIRITTO INTERNO VA IN CONTROTENDENZA -
(commento a CORTE DI GIUSTIZIA CE, Sez. III,
sentenza 10.09.2009 n. C-573/07)
(link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
E. Fedullo,
L’autorizzazione paesaggistica e le
trasformazioni del paesaggio tra regime
transitorio e regime ordinario
(link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI -
URBANISTICA: R.
Greco,
VIA, VAS E AIA: QUESTE SCONOSCIUTE
(link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
G. Sabbato,
LA PEREQUAZIONE URBANISTICA
(link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: G.
Palliggiano,
L’attività edilizia: dal permesso di
costruire alla denuncia di inizio di
attività. Profili sostanziali e processuali
(link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA -
EDILIZIA PRIVATA:
L. Fanizzi e S. Misceo,
Ambiente urbano sostenibile. Le coperture
biofiltranti nella regimazione e depurazione
delle acque meteoriche
(link a www.lexambiente.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
G. Amendola,
LA CASALINGA CHE PORTA AL CASSONETTO IN AUTO
LA BUSTA DEI RIFIUTI DOMESTICI DEVE ESSERE
ISCRITTA ALL’ALBO? (link a
www.lexambiente.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
A. Pierobon,
LE NOVITÀ AMBIENTALI DI FINE ANNO, PER UN
BUON 2010! (link a
www.lexambiente.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
F. Anile,
Quale regime giuridico per le acque di falda
emunte? (esame della giurisprudenza
formatasi sull’art. 243 D. Lgs. n. 152/2006)
(link a www.lexambiente.it). |
INCARICHI PROFESSIONALI: P.
Ati,
Incarichi esterni: lavoro autonomo o appalto
pubblico di servizio? Nota alla sentenza
23.12.2009 n. 2608 di TAR Lombardia-Brescia
(link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
GIURISPRUDENZA |
APPALTI: Sulla
legittimità dell'esclusione di un
concorrente che abbia rilasciato
dichiarazioni mendaci in ordine alla
regolarità della propria posizione
contributiva.
E' legittimo il provvedimento di esclusione
da una gara adottato da una stazione
appaltante nei confronti di un concorrente
che abbia presentato un'autocertificazione
contenente false dichiarazioni in ordine al
regolare versamento dei contributi
previdenziali ed assistenziali, e ciò anche
nel caso in cui l'escluso abbia provveduto a
regolarizzare la propria posizione in una
fase successiva alla verifica della suddetta
inadempienza, ciò in quanto, alla luce di un
consolidato principio giurisprudenziale, la
possibilità, concessa ai concorrenti, di
presentare un'autocertificazione inerente al
possesso dei requisiti di ammissione alla
gara, costituisce un atto di fiducia da
parte della stazione appaltante e che, come
tale, richiede serietà ed onestà da parte
del concorrente che redige la dichiarazione
sostitutiva. Pertanto, nell'ipotesi di
dichiarazioni non veritiere, venendo meno il
rapporto di fiducia il provvedimento di
esclusione quale sanzione nei confronti di
chi ha violato il dovere di correttezza
richiesto in fase precontrattuale diventa
una conseguenza necessaria.
Del pari legittimi sono l'escussione della
cauzione provvisoria e la segnalazione del
fatto all'Autorità di Vigilanza, come è
anche legittima la disposta cancellazione
della società ricorrente dall'Albo dei
professionisti del comune in cui ha la sede,
essendo l'iscrizione condizionata al
puntuale adempimento degli obblighi relativi
al pagamento dei contributi previdenziali ed
assistenziali
(TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 14.01.2010 n. 49 - link
a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Rifiuti. Ordine di smaltimento
impartito dal giudice.
L’ordine di smaltimento di rifiuti emesso
dal giudice all'esito di declaratoria di
improcedibilità per prescrizione del reato,
tra l’altro in modo generico senza alcun
puntuale riferimento alla situazione degli
atti, in particolare alla individuazione
della natura dei rifiuti ed alla circostanza
che fossero o meno ancora in sequestro, è
illegittimo perché costituisce statuizione
non prevista dalla norma specifica di cui
all’art. 52, comma 3, Dlvo 22/1997 (ora art.
258 D.L.vo 152/2006) (Corte di Cassazione,
Sez. III penale,
sentenza 11.01.2010 n. 771 - link
a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Rifiuti. Abbandono ed
utilizzabilità videoregistrazioni.
Le videoregistrazioni effettuate dal
titolare di un'area ove venivano abbandonati
rifiuti, inerenti ad area non recintata,
aperta al passaggio pubblico, non lesive
della libertà morale delle persone coinvolte
nelle stesse non appartengono al “genus”
delle intercettazioni ma a quello delle
prove documentali,non disciplinate in modo
tipico della legge, ma rientranti nelle
prove ex art. 234 cpp, per le quali non
necessita alcuna preventiva autorizzazione
dell’A.G. ex artt. 266 e segg. Cpp (Corte di
Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 11.01.2010 n. 770 - link
a www.lexambiente.it). |
APPALTI:
E' principio inderogabile in
qualunque tipo di gara quello secondo cui
devono svolgersi in seduta pubblica gli
adempimenti concernenti la verifica
dell'integrità dei plichi contenenti
l'offerta.
E' pacificamente riconosciuto in
giurisprudenza che la riconducibilità del
servizio appaltato all'All. II B del D. L.vo
n. 163/2006, non esonera le amministrazioni
aggiudicatici dall'applicazione dei principi
generali in materia di affidamenti pubblici
desumibili dalla normativa comunitaria e
nazionale, con particolare riferimento, per
quanto qui rileva, al principio di
pubblicità, espressione dei principi di
imparzialità e buon andamento dell'azione
amministrativa di cui all'art. 97 Cost..
Ne deriva che è principio inderogabile in
qualunque tipo di gara quello secondo cui
devono svolgersi in seduta pubblica gli
adempimenti concernenti la verifica
dell'integrità dei plichi contenenti
l'offerta, sia che si tratti di
documentazione amministrativa che di
documentazione riguardante l'offerta tecnica
ovvero l'offerta economica, e
conseguentemente è illegittima l'apertura in
segreto dei plichi (TAR Lombardia-Milano,
Sez. I,
sentenza 11.01.2010 n. 11 - link
a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Rifiuti. Legislazione speciale e
trasporto.
Ai fini della sussistenza dell’elemento
obiettivo del reato di cui all’art. 6, lett.
d), DL. 172/2008 -quanto all’attività di
trasporto illecito di rifiuti- non è
richiesta la qualità di imprenditore in capo
all’autore del trasporto abusivo.
La citata previsione legislativa statuisce,
letteralmente, che è punito chiunque
effettua un’attività di trasporto di rifiuti
in mancanza dell’autorizzazione, iscrizione
o comunicazione prescritte dalla normativa
vigente, senza richiedere l’ulteriore
requisito dell’organizzazione
imprenditoriale.
Né il requisito dell’attività di
imprenditore trova una sua necessità
ontologica nella ratio o finalità
teleologica della fattispecie de qua, la
quale, invece, tende a reprimere l’attività
di chiunque trasporti abusivamente rifiuti
speciali e non, con grave pregiudizio
dell’integrità ambientale del territorio
(Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 07.01.2010 n. 79 - link
a www.lexambiente.it). |
URBANISTICA:
Piani di lottizzazione.
I piani di lottizzazione riguardanti aree
non sottoposte a vincoli non devono essere
approvati dal competente organo regionale
(Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 07.01.2010 n. 71 - link
a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
porticato non può essere ricondotto alla
nozione di pertinenza in quanto esso
modifica la sagoma dell’edificio e
costituisce un volume autonomo, oltre ad
essere collegato stabilmente al suolo.
Deve escludersi la riconducibilità del
porticato al concetto di pertinenza, posto
che, secondo l’orientamento
giurisprudenziale prevalente (ex multis
TAR Campania, Napoli, Sez. II, 26.09.2008 n.
11309, Sez. VIII, 24.04.2009 n. 2163,
28.05.2009, n. 2999, TAR Abruzzo, L’Aquila
13.11.2008 n. 1206) il porticato non può
essere ricondotto alla nozione di pertinenza
in quanto esso modifica la sagoma
dell’edificio e costituisce un volume
autonomo, oltre ad essere collegato
stabilmente al suolo; inoltre, nel caso in
parola, suffragano questa tesi sia le
modalità di costruzione (pilastri in cemento
armato e con copertura metallica) sia le
notevoli dimensioni del manufatto (ml. 5,10
per 2,75 di altezza media di ml. 2,45
circa). La stessa permanenza dell’opera nel
tempo, secondo l’assunto della parte
ricorrente, fa discendere la stabile
modificazione urbanistico-edilzia
intervenuta, determinante ai fini del
riconoscimento o meno della natura
pertinenziale.
L’opera pertanto non poteva essere soggetta
a denunzia di inizio attività, ma doveva
essere previamente richiesta la licenza
edilizia (ora permesso di costruire)
(TAR Emilia Romagna-Parma,
sentenza 07.01.2010 n. 5 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI: Lombardia,
Per l'affidamento della gestione degli
impianti sportivi, in ogni caso va posta in
essere dall’ente locale una procedura di
evidenza pubblica, anche se semplificata,
pure per gli impianti privi di rilevanza
economica.
La necessità della procedura di evidenza
pubblica per l'affidamento della gestione
degli impianti sportivi comunali discende,
nel caso di specie, dall'art. 2 L.R.
Lombardia 24.12.2006 n. 27, il quale
consente agli enti territoriali di
differenziare la procedura di selezione in
relazione alla rilevanza economica o meno
dell'impianto, ma nel contempo stabilisce
che vanno comunque rispettati i principi di
trasparenza, correttezza, imparzialità ed
adeguata pubblicizzazione e che la proposta
deve essere individuata secondo i criteri
ivi indicati. Per cui in ogni caso va posta
in essere dall'ente locale una procedura di
evidenza pubblica anche se semplificata pure
per gli impianti privi di rilevanza
economica.
La normativa vigente non preclude alle
stazioni appaltanti la possibilità di
chiedere requisiti ulteriori, logicamente
connessi all'oggetto dell'appalto. Per cui
nel bando di gara l'amministrazione
appaltante può di certo autolimitare il
proprio potere discrezionale di
apprezzamento mediante apposite clausole,
rientrando nella sua discrezionalità la
fissazione di requisiti di partecipazione ad
una gara d'appalto diversi, ulteriori e più
restrittivi di quelli legali, salvo però il
limite della logicità e ragionevolezza dei
requisiti richiesti e della loro pertinenza
e congruità a fronte dello scopo perseguito.
Nel caso di specie, però la richiesta di
un'attività decennale per partecipare alla
gara appare sproporzionata per una corretta
gestione degli impianti anche in
considerazione del fatto che in sede locale
esistevano solo due associazioni sportive
dilettantistiche di cui una sola costituita
da più di dieci anni per cui le relative
previsioni del bando debbono ritenersi in
contrasto con il principio di parità di
trattamento
(Consiglio
di Stato, Sez. V,
sentenza 29.12.2009 n. 8914 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Sulla finalità della cauzione
provvisoria in caso di raggruppamento
costituendo.
E' illegittima l'ammissione di un r.t.i., ad
una gara per l'affidamento di un servizio
dal momento che in alcuna parte della
polizza fideiussoria è indicato che i rischi
garantiti riguardano il raggruppamento, né è
menzionata la mandante, anzi la polizza
stessa risulta rilasciata per la
partecipazione alla gara della S.p.A. quale
impresa singola.
La cauzione provvisoria, infatti, è
destinata a garantire, in caso di
raggruppamento costituendo, non solo
l'adempimento degli obblighi derivanti dalla
partecipazione alla gara da parte
dell'impresa predetta, bensì l'adempimento
degli stessi obblighi da parte di tutte le
altre imprese, primo fra tutti quello di
costituirsi in raggruppamento (Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 29.12.2009 n. 8907 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
INCARICHI PROFESSIONALI:
E' legittima l'esclusione di un
concorrente privo del titolo abilitante
all'esercizio della professione richiesto
dal bando quale unico requisito di
ammissione.
Rientra nell'ampia discrezionalità di un
qualsiasi ente pubblico, di decidere se
ricorrere a figure professionali esterne,
anziché procedere all'affidamento del
servizio mediante una gara d'appalto.
E' legittima l'esclusione di un concorrente
privo del titolo abilitante all'esercizio
della professione di dietista richiesto dal
bando quale unico requisito di ammissione,
in quanto non vi è equipollenza fra la
figura professionale del tecnologo
alimentare e quella del dietista. Le
prestazioni richieste dal bando, nel caso di
specie, come risulta dall'oggetto
dell'incarico da affidare sono
indiscutibilmente ed esclusivamente quelle
proprie del dietista, non quelle del
tecnologo alimentare. Il nucleo qualificante
dell'attività di dietista consiste nel
curare l'interazione tra dieta ed essere
umano, partendo dall'esame della situazione
concreta dell'interessato; diversamente, le
competenze professionali relative
all'attività di tecnologo alimentare
consistono nel dirigere e controllare la
c.d. "filiera alimentare", vale a dire tutto
ciò che occorre per sviluppare, produrre ed
offrire sul mercato alimenti di alta
qualità, prescindendo, quindi, dalla
considerazione del rapporto tra cibo e
singolo fruitore.
Rientra nell'ampia discrezionalità di un
qualsiasi ente pubblico, e a maggior ragione
di un ente a fini generali come il comune,
di determinare se ricorrere a figure
professionali esterne, e in caso affermativo
a quali e in che termini. Nel caso di
specie, dunque, è corretta la scelta del
comune di affidarsi a dietisti per la
formulazione dei menu e di indire a tale
scopo una procedura di selezione, per il
conferimento di alcuni incarichi di
prestazione di lavoro autonomo per
prestazioni di dietista, verifica e
controllo dei servizi di ristorazione
scolastica, anziché procedere
all'affidamento del servizio mediante una
gara d'appalto (TAR Lombardia-Brescia, Sez.
II,
sentenza 23.12.2009 n. 2608 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Rifiuti. Ordinanza di rimozione
(strada in concessione ANAS).
In caso di rifiuti abbandonati sulle
immediate pertinenze di strada in
concessione all’ANAS la legittimità del
provvedimento con il quale si impone la
rimozione dei rifiuti medesimi deve essere
valutata con riferimento al parametro
costituito dall’art. 14 del d.lgs.
30.04.1992, n. 285 e non dall’art. 192 del
d.lgs. 03.04.2006, n. 152 (TAR
Puglia-Lecce, Sez. I,
sentenza 03.12.2009 n. 2975 -
link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Sulla definizione normativa
vigente di “ristrutturazione edilizia”.
Gli "interventi
di ristrutturazione edilizia" sono
quelli che –ai sensi dell’art. 10 e
dell’art. 3, comma 1, lett. d), del d.P.R.
n. 380/2001– "portino ad un organismo
edilizio in tutto o in parte diverso dal
precedente e che comportino aumento di unità
immobiliari, modifiche del volume, della
sagoma, dei prospetti o delle superfici,
ovvero che, limitatamente agli immobili
compresi nelle zone omogenee A, comportino
mutamenti della destinazione d'uso", e
richiedono il permesso di costruire.
Non sono interventi di ristrutturazione
edilizia quelli che consistono, invece,
nella realizzazione di un organismo edilizio
identico al precedente, senza aumento di
unità immobiliari, modifiche del volume,
della sagoma, dei prospetti o delle
superfici, né, limitatamente agli immobili
compresi nelle zone omogenee A, mutamenti
della destinazione d'uso, che viceversa
detto permesso di costruire non richiedono,
restando perciò soggetti alla disciplina
abilitativa semplificata di cui all’art. 22
del cit. T.U.
(C.G.A.R.S.,
sentenza 25.05.2009 n. 481 - link
a www.altalex.com). |
AGGIORNAMENTO AL 21.01.2010 |
ã |
NEWS |
INCENTIVO PROGETTAZIONE:
L'incentivo al 2% resta agli
enti. Brunetta risponde a un'interrogazione.
L'incentivo del 2% relativo alla
progettazione interna per i tecnici della
pubblica amministrazione, anche dopo le
modifiche apportate dal decreto legge
n.185/2009, resta tutto nelle casse
comunali, anche se ripartito tra 0,5 e 1,5
per cento. Infatti, se lo 0,5% continua ad
essere corrisposto al responsabile del
procedimento e agli incaricati della
redazione del progetto, il restante 1,5%,
diversamente per quanto accade alle
pubbliche amministrazioni, non va riversato
al bilancio statale, ma rimane nelle casse
delle amministrazioni comunali che, nella
loro più completa autonomia, decidono come
meglio impiegarlo.
È questa la sintesi della risposta fornita
dal ministro della funzione pubblica, Renato
Brunetta, all'interrogazione
n. 4-04806 presentata dal
deputato Vinicio Peluffo (Pd) che lamentava
nel taglio dell'incentivo (dal 2% come
prevedeva il codice dei contratti pubblici
allo 0,5% come dispone il dl n. 112/2008) un
aggravio dei bilanci degli enti locali, i
quali, non disponendo nel loro organico di
figure professionali specifiche, avrebbero
dovuto incaricare professionisti esterni con
il conseguente aumento dei costi relativi a
consulenze tecniche professionali. Senza
dimenticare che un taglio di questa portata,
avrebbe anche prodotto una diminuzione della
produttività ed efficienza degli uffici
tecnici comunali ... (articolo
ItaliaOggi del 20.01.2010 - tratto da
http://rassegnastampa.formez.it). |
INCENTIVO PROGETTAZIONE:
Progettazione, la Consulta
salva il taglio dell'incentivo ai tecnici
Pa. Per la Corte Costituzionale è intatta
l'autonomia regionale: la materia è di
competenza statale.
Il taglio dell'incentivo del 2% riservato ai
dipendenti pubblici è legittimo ed è
applicabile anche ai tecnici degli enti
locali.
L'autorevole promozione della mossa attuata
dal Governo con la manovra anti-crisi (DL
112/2008, articolo 61) è arrivata dalla
Corte Costituzionale con la
sentenza 30.12.2009 n. 341 con la
quale sono state affrontate una valanga di
questioni di legittimità costituzionale
poste da numerose Regioni proprio sul DL
anti-crisi ... (articolo
24OREEdilizia del 20.01.2010 - tratto
da
http://rassegnastampa.formez.it). |
INCENTIVO PROGETTAZIONE:
Bonus 2%, sì al taglio ma la
Campania rialza. E la Campania è già tornata
al 2% grazie al regolamento.
Torna in Campania l'incentivo del 2% ai
dipendenti pubblici ai quali viene affidata
la progettazione delle opere pubbliche o la
pianificazione urbanistica, al posto dei
professionisti esterni ... (articolo
24OREEdilizia del 20.01.2010 - tratto
da
http://rassegnastampa.formez.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
P.A. senza segreti. La
trasparenza nel c.v. dei dirigenti. Via
libera i primi sette articoli del collegato
lavoro.
La trasparenza delle p.a.
influirà sulla carriera dei dirigenti. Le
comunicazioni dovute dalle pubbliche
amministrazioni, da divulgare
obbligatoriamente sui propri siti internet,
relative alle informazioni su funzionari
(curriculum vitae, retribuzioni, recapiti
istituzionali) e tassi di assenza e di
presenza del personale, saranno infatti
rilevanti (laddove mancanti o non
aggiornate) ai fini della misurazione e
valutazione delle performance individuali
dei dirigenti.
La novità è prevista da un emendamento del
relatore al
ddl lavoro 1441-quater, Giuliano
Cazzola, che ha ricevuto l'ok in commissione
lavoro alla Camera.
Ieri sono cominciate le votazioni sul
provvedimento con approvazione dei primi
sette articoli. I lavori riprenderanno
stamattina per terminare entro fine
settimana, nel rispetto del calendario che
prevede l'approdo del provvedimento in aula
alla camera lunedì prossimo, 25 gennaio, per
poi tornare in senato per il via libera
definitivo ... (articolo
ItaliaOggi del 20.01.2010 - tratto da
http://rassegnastampa.formez.it).
- - - - - - - - - - - - - -
N.B.: il suddetto ddl
1441-quater è lo stesso che dovrebbe
reintrodurre al 2% l'incentivo alla
progettazione interna. |
URBANISTICA:
Lombardia, Via libera al Piano Territoriale
Regionale che sovraintende alla
programmazione e pianificazione.
Via libera del Consiglio regionale al Piano
Territoriale Regionale, documento previsto
dalla riforma urbanistica che sovraintende
tutti gli atti di programmazione e
pianificazione relativi al territorio
lombardo (news del 19.01.2010 - link a
www.consiglio.regione.lombardia.it). |
URBANISTICA:
Lombardia, Il Consiglio approva il Piano
Territoriale Regionale.
Il Consiglio Regionale ha approvato nella
seduta di oggi il Piano Territoriale
Regionale, documento fondamentale di
programmazione delle politiche per la
salvaguardia e lo sviluppo del territorio.
"Dopo più di trent'anni -ha
commentato l'assessore regionale al
Territorio e Urbanistica, Davide Boni- la
Lombardia può contare su un Piano
Territoriale Regionale che consente di
guardare con maggiore responsabilità alla
programmazione territoriale. Una guida
importante per lo sviluppo della nostra
regione e per l'attività urbanistica di
tutti i soggetti istituzionali lombardi".
"Quello avvenuto in Consiglio regionale
-ha aggiunto Boni- è a tutti gli effetti
un passaggio storico, atteso e fortemente
voluto, per il quale ringrazio sentitamente
il presidente, i colleghi consiglieri e la
stessa Direzione regionale al Territorio e
Urbanistica" (news 19.01.2010 - link a
www.territorio.regione.lombardia.it). |
APPALTI SERVIZI:
Il Comune che affida il servizio
di distribuzione del gas naturale mediante
gara non è obbligato a indire la stessa
prima di un certo termine anteriore alla
scadenza della concessione in essere.
Il Comune coinvolto nella pronuncia in
commento gestisce il servizio di
distribuzione del gas naturale nel proprio
territorio in regime di concessione
affidata, dopo varie vicende societarie
relative alla parte concessionaria, a una
società per azioni, successore
dell’originaria contraente e odierna
ricorrente; concessione destinata a scadere
al 16.12.2009.
Ritenendo con ciò di avvalersi della nuova
disciplina di apertura alla concorrenza del
relativo settore, il medesimo Comune, con
delibera di Consiglio decideva tuttavia di
porre termine il 31.12.2005 al rapporto di
concessione; incorreva peraltro, su ricorso
della concessionaria, nell’annullamento
giurisdizionale di tale delibera.
Successivamente, pertanto, il Comune
accettava di tener per ferma la data di
scadenza del 16.12.2009, e di conseguenza
adottava una delibera di Consiglio nella
quale confermava appunto il termine
predetto, ordinava alla concessionaria di
redigere lo stato di consistenza degli
impianti e individuava quale futura modalità
di affidamento del servizio la licitazione
privata ad evidenza comunitaria.
Per meglio comprendere i fatti di causa, i
giudici del Tribunale amministrativo di
Brescia ricordano che il d.lgs. 23.05.2000
n.164, cd. decreto Letta, in esecuzione di
direttive della Unione europea, ha inteso
sancire una graduale apertura alla
concorrenza del settore della distribuzione
del gas naturale, fino a quel momento
caratterizzato dalla presenza di varie
situazioni di monopolio a livello locale, e
-nella sua versione originaria che qui
rileva- aveva inteso far ciò, in sintesi
estrema, nel modo che segue: in primo luogo
aveva stabilito, nel proprio articolo 15,
comma 5, che tutti gli affidamenti e le
concessioni in essere non attribuiti
mediante gara potessero proseguire al
massimo sino alla scadenza di un periodo,
detto “periodo transitorio” fissato
dalla legge, ovvero inizialmente dallo
stesso decreto Letta, e poi da varie norme
modificative succedutesi nel tempo; aveva
stabilito poi che, successivamente a detta
scadenza, l’ente locale interessato dovesse
affidare il servizio mediante pubblica gara.
Nella sede presente, non rilevano questioni
relative alla determinazione dell’esatta
scadenza del detto periodo transitorio;
rilevano invece questioni concernenti il
concreto svolgimento della gara che al fine
indicato è stata indetta dal Comune
intimato.
Risulta, pertanto, infondato il motivo di
ricorso con cui si deduce la violazione
dell’art. 14 d.lgs. 164/2000, in quanto tale
norma non consentirebbe al Comune di avviare
la gara per il nuovo affidamento del
servizio con un anticipo ultratriennale
rispetto alla scadenza della concessione in
corso; ciò dal momento che, sottolineano i
giudici lombardi, né l’art. 14 del decreto
Letta, né alcuna altra norma relativa alla
materia impongono al Comune che affida il
servizio mediante gara di non procedere a
indirla prima di un certo termine anteriore
alla scadenza della concessione in essere.
Va anzi osservato che un congruo anticipo
nell’indire la gara si risolve in più tempo
a disposizione per gestire il procedimento e
il contenzioso derivante, quindi aumenta la
possibilità che alla scadenza in questione
sia già individuato con certezza il soggetto
pronto ad assumere la gestione e si evitino
fenomeni di prorogatio: tale
risultato si deve ritenere non già vietato,
ma anzi imposto dal principio di buon
andamento dell’amministrazione, considerando
che si tratta in primo luogo di garantire un
servizio pubblico essenziale, e in secondo
luogo di aprire alla concorrenza un settore
che ne era sino a quel momento estraneo,
risultato che assicura una migliore
efficienza del mercato e quindi, secondo
logica, va in quanto possibile favorito
(commento tratto da
www.doumentazione.ancitel.it - TAR
Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 15.01.2010 n. 49 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Il provvedimento abilitativo
tacito costituito per effetto del
silenzio-assenso si può formare soltanto se
la domanda presentata dal privato ha i
presupposti per essere accolta.
In questa vicenda il ricorrente impugna il
provvedimento con cui il responsabile del
settore tecnico del Comune coinvolto gli
negava il condono per opere abusive
realizzate in totale difformità dalla
concessione edilizia rilasciatagli per la
realizzazione di un fabbricato con
destinazione produttiva ed industriale (il
condono era stato negato per il mancato
rispetto dei limiti temporali massimi dello
stesso).
Il ricorso è fondato sulla tesi della
avvenuta integrazione del silenzio-assenso
per effetto del decorso del termine massimo
di legge. Il ricorrente, infatti, sostiene
che, una volta decorso il termine annuale,
si sarebbe formato il titolo abilitativo
implicito, e che pertanto illegittimo
sarebbe il successivo (tardivo) diniego di
condono.
In realtà, il Tribunale amministrativo di
Brescia ricorda che il provvedimento
abilitativo tacito costituito per effetto
del silenzio-assenso si possa formare
soltanto se la domanda presentata dal
privato ha i presupposti per essere accolta,
perché il difetto di taluno dei presupposti
sostanziali per poter accedere al condono
impedisce che possa avviarsi quel
procedimento disciplinato dall’art. 35 l. n.
47/1985 in cui il decorso del tempo è
co-elemento costitutivo della fattispecie
autorizzativa.
Perché possa scattare il meccanismo previsto
dalla norma occorre, pertanto, che il
procedimento sia stato avviato da una
istanza conforme al modello legale previsto
dalla norma che regola il procedimento di
condono (cfr. ex plurimis Tar Salerno
3990/2009: La mancata definizione del
condono da parte del Comune entro il termine
perentorio legalmente fissato e decorrente
dalla presentazione della domanda di
sanatoria, non determina ope legis la
regolarizzazione dell'abuso, in applicazione
dell'istituto del silenzio assenso, tutte le
volte manchino, come nel caso di superamento
della soglia volumetrica massima assentibile
in sanatoria, i presupposti di fatto e di
diritto previsti dalla norma, ovvero ancora
quando l'oblazione autoliquidata dalla parte
interessata non corrisponda a quanto
effettivamente dovuto, oppure quando la
documentazione allegata all'istanza non
risulti completa, ovvero quando la domanda
si presenti dolosamente infedele; Tar
Venezia 1626/2009: In tema di condono
edilizio, il silenzio assenso previsto
dall’art. 35 l. n. 47/1985 non si forma per
il solo fatto dell’inutile decorso del
termine indicato da tale norma e del
pagamento dell’oblazione, senza alcuna
risposta del Comune, ma occorre altresì la
prova della ricorrenza dei requisiti
soggettivi ed oggettivi stabiliti dagli art.
31 e ss. della stessa legge, cui è
subordinata l’ammissibilità del condono: tra
questi, ex art. 40, comma 1, l. n. 47/1985,
che la domanda, per la rilevanza delle
omissioni o delle inesattezze riscontrate,
non sia dolosamente infedele; Tar Lazio
3862/2009: Il principio del
silenzio-assenso in materia di condono
edilizio stabilisce che perché esso si formi
è necessario che sussistano comunque i
presupposti di accoglibilità della domanda e
cioè che il manufatto abusivo sia stato
realizzato al momento della domanda stessa,
che la medesima non sia dolosamente infedele
e che non sussistano sull'area su cui è
sorto il manufatto abusivo vincoli di
inedificabilità, sicché l'omessa
presentazione della documentazione
prescritta per la domanda di condono
edilizio non fa decorrere, oltre che il
termine di ventiquattro mesi per la
formazione del silenzio assenso, quello
collegato di trentasei mesi per la
prescrizione del diritto al conguaglio degli
oneri) (commento tratto da
www.doumentazione.ancitel.it - TAR
Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 15.01.2010 n. 28 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
AGGIORNAMENTO AL 18.01.2010 |
ã |
QUESITI & PARERI |
URBANISTICA:
Acquisto aree e deroga alla
convenzione per opere di urbanizzazione.
E’ chiesto parere in merito alla
possibilità, per il Comune, di acquisire le
aree necessarie per le opere di
urbanizzazione primaria e secondaria,
nell’ambito di un piano di lottizzazione,
oltre il termine indicato nella convenzione
(Regione Piemonte,
parere n.
117/2009 - link a
www.regione.piemonte.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Mutamento destinazione d’uso da
agricolo a residenziale.
E’ chiesto parere in merito al mutamento di
destinazione d’uso, da agricolo a
residenziale, senza opere edilizie, di unità
immobiliare dotata di volumetria inferiore a
mc. 700 da parte dell’erede
dell’imprenditore agricolo proprietario del
suddetto fabbricato (Regione Piemonte,
parere n.
115/2009 - link a
www.regione.piemonte.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Autorizzazione paesaggistica.
Comma 8-bis, art. 16 L.R. Piemonte 20/1989.
Si chiede un parere circa l’individuazione
dell’Ente competente in materia di
accertamento di compatibilità paesaggistica
ex art. 167 D.Lgs. 42/2004 qualora il Comune
territorialmente competente sia sprovvisto
di Commissione Locale per il Paesaggio; in
questa ipotesi –secondo il Comune che ha
formulato il quesito- sarebbe anomalo
attribuire alla Regione il rilascio delle
autorizzazioni paesaggistiche “ordinarie” e
prevedere invece la competenza del Comune
per le autorizzazioni paesaggistiche “in
sanatoria” a seguito dell’inserimento del
comma 8-bis dell’art. 16 L.R. 20/1989
(Regione Piemonte,
parere n.
112/2009 - link a
www.regione.piemonte.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Richiesta
parere in merito applicazione artt. 167 -
181 del D.Lgs. n. 42/2004
(Regione Lombardia, Direzione Generale
Territorio e Urbanistica,
nota 18.12.2008 n.
24534 di prot.).
Un parere in merito alla
questione se un abuso edilizio commesso su
area non paesaggisticamente vincolata debba,
invero, essere assoggettato alla procedura
di compatibilità ex artt. 167 e 181 poiché
nel frattempo e successivamente è stata
vincolata l'area de qua. |
GURI - GUUE - BURL (e anteprima) |
AMBIENTE-ECOLOGIA: G.U.
13.01.2010 n. 9, suppl. ord. n. 10, "Istituzione
del sistema di controllo della tracciabilità
dei rifiuti, ai sensi dell’articolo 189 del
decreto legislativo n. 152 del 2006 e
dell’articolo 14-bis del decreto-legge n. 78
del 2009 convertito, con modificazioni,
dalla legge n. 102 del 2009" (Ministero
dell'Ambiente e della Tutela del Territorio
e del Mare,
decreto 17.12.2009 - link a
www.lexambiente.it).
Si veda anche il
seguente file. |
EDILIZIA PRIVATA: B.U.R.
Lombardia, serie ordinaria n. 2
dell'11.01.2010, "Direzione Centrale
Affari Istituzionali e Legislativo - Nomine
e designazioni di competenza della Giunta
regionale: Commissioni Regionali per il
Paesaggio (rif. art. 78 l.r. 11.03.2005, n.
12 «Legge per il Governo del Territorio»"
(comunicato
regionale 04.01.2010 n. 1 - link a www.infopoint.it). |
UTILITA' |
SICUREZZA LAVORO:
Conoscere la sicurezza giocando: arriva il
videogioco dell’ISPESL.
L’ISPESL ha reso disponibile gratuitamente
in download il videogioco “Le avventure
di Riskio e Sicury’. Casa: missione
sicurezza”.
Si tratta di un utile ed innovativo mezzo di
divulgazione delle metodiche di prevenzione
dei rischi di incidenti negli ambienti di
vita.
Il videogioco educativo, destinato
principalmente alle scuole, è un utile mezzo
innovativo di divulgazione delle metodiche
di prevenzione dei rischi di incidenti negli
ambienti di vita, in linea con l’obiettivo
promosso dall’ISPESL di diffondere la
cultura della sicurezza ... (link a
www.acca.it). |
SICUREZZA LAVORO:
“Salute e Sicurezza nei luoghi di lavoro”,
raccolta di interventi curata da ADAPT.
ADAPT è un’associazione senza fini di lucro,
fondata da Marco Biagi nel 2000 per
promuovere, in una ottica internazionale e
comparata, studi e ricerche nell’ambito
delle relazioni industriali e di lavoro.
ADAPT ha diffuso il Bollettino Speciale n.
1/2010 il cui titolo è: “Salute e
Sicurezza nei luoghi di lavoro”.
Il bollettino 1/2010, con i seguenti
contributi, è disponibile per il download
... (link a www.acca.it). |
DOTTRINA E CONTRIBUTI |
ATTI AMMINISTRATIVI:
R. Garofoli,
Semplificazione e liberalizzazione
dell’attività amministrativa nel contesto
del riformismo amministrativo italiano degli
ultimi decenni (link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI:
P. M. Zerman,
LA RESPONSABILITA’ DEL COMMITTENTE PER GLI
INFORTUNI DEL DIPENDENTE DELL’APPALTATORE
(link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
A. Pierobon,
LO SMALTIMENTO DI DIVERSE TIPOLOGIE DI
RIFIUTI IN DISCARICA. L’ESEMPIO DEI FANGHI E
LA TIPOLOGIA DI DISCARICA IDONEA AL LORO
SMALTIMENTO: D.LGS. 36/2003
(link a www.lexambiente.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
S. Busoni,
Diffusione di polveri e condotta di
versamento di cose ex art. 674 cod. pen.
(nota a Cass. pen. n. 16286/2009)
(link a www.lexambiente.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
E. Paolo Di Zio,
I confini del servizio pubblico di gestione
integrata dei rifiuti solidi urbani
(link a www.lexambiente.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
R. Bertuzzi,
Illecito abbandono di asfalto -
CASO: GLI AGENTI DI POLIZIA LOCALE VENGONO
AVVISATI CHE UNA DITTA, NELL’EFFETTUARE
LAVORI DI RIPRISTINO DEL MANTO STRADALE, HA
SCARICATO ABUSIVAMENTE NEL SOTTOSTANTE
VIADOTTO PEZZI DI ASFALTO, CALCESTRUZZO E
MATERIALE FERROSO (link a
www.lexambiente.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
R. Bertuzzi,
Nuovi obblighi in merito alla scheda di
trasporto. In vigore dal 19.07.2009
(link a www.lexambiente.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
A. Barbiero,
I principi per la reimpostazione dei sistemi
di valutazione delle risorse umane nel
d.lgs. n. 150/2009
(link a www.albertobarbiero.net). |
APPALTI FORNITURE E SERVIZI: A.
Barbiero,
I requisiti di partecipazione ed i criteri
di valutazione nelle gare per appalti di
beni e servizi (differenze tra requisiti e
criteri, definizione nel rispetto dei
principi dell’ordinamento comunitario)
(link a www.albertobarbiero.net). |
APPALTI SERVIZI:
A. Barbiero,
Le Società partecipate di “terzo livello”:
note sui rapporti e sui vincoli per la
scelta del socio privato in caso di
partenariato pubblico-privato di tipo
istituzionale
(link a www.albertobarbiero.net). |
APPALTI: L.
Bellagamba,
Cottimo “fiduciario” e offerta
economicamente più vantaggiosa
(link a www.linobellagamba.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
R. Bertuzzi,
Acque reflue domestiche in reti fognarie
(link a www.tuttoambiente.it). |
DIPARTIMENTO FUNZIONE PUBBLICA |
PUBBLICO IMPIEGO:
On-line i curricula dei titolari
di posizioni organizzative.
Anche i dirigenti delle
amministrazioni regionali e locali dovranno
compilare il proprio curriculum vitae che
sarà pubblicato, assieme ai dati
retributivi, nel sito internet
dell'amministrazione di appartenenza.
Infatti, la riforma del pubblico impiego
attuata di recente dal ministro Brunetta,
impone alle regioni e agli enti locali la
massima trasparenza nella gestione della
performance, così appare evidente che la
pubblicazione dei dati curriculari e
retributivi si applichi anche al personale
di detti enti.
Inoltre, a tale obbligo si intendono
sottoposti anche i titolari di posizione
organizzative, i segretari comunali e
provinciali e tutti coloro che rivestono
incarichi di indirizzo
politico-amministrativo. Novità in arrivo
per l'anagrafe delle prestazioni. L'obbligo
di comunicazione telematica riguarderà anche
le dichiarazioni negative, vale a dire la
certificazione di non aver conferito
incarichi a soggetto esterno o che nessun
incarico è stato attribuito al dipendente
della struttura pubblica che trasmette detta
informazione on-line.
È quanto è possibile ricavare dalla lettura
della
circolare 14.01.2010 n. 1, con la
quale il ministro della funzione pubblica,
Renato Brunetta, ha fornito chiarimenti in
merito alla pubblicazione e alla
comunicazione dei dati curriculari e
retributivi della dirigenza e sulle assenze
del personale, nonché in materia di anagrafe
delle prestazioni.
L'apparato burocratico va migliorato, questo
l'incipit del documento della funzione
pubblica. E quale strumento è migliore della
trasparenza e della conoscibilità delle
informazioni? Se la legge sulla
competitività (legge n. 69/2009) aveva
sancito l'obbligo di indicare i dati
curriculari e retributivi dei dirigenti, il
legislatore lo ha rafforzato con i recenti
interventi. Il riferimento, è ovvio, va al
decreto legislativo n. 150/2009.
Infatti, se nella prima delle due norme
l'obbligo di pubblicazione riguardava solo i
dirigenti, adesso lo si estende ai titolari
di posizioni organizzative (ovviamente,
funzionari che non espressamente detengono
la qualifica di dirigente). Ma c'è di più.
Le disposizioni contenute nella legge n.
69/2009 non richiamano espressamente i
segretari comunali e provinciali. Tuttavia,
scrive Brunetta, la ratio di entrambe
le norme, da intendersi sistematicamente
collegate e la funzione dirigenziale
ricoperta da tali funzionari nell'ambito
dell'organizzazione degli enti locali,
induce il ministro a ritenere che anche
queste figure «siano comprese nella
previsione concernente l'obbligo di
pubblicazione del curriculum vitae e dei
dati retributivi».
Allo stesso obbligo, ricorda il titolare del
dicastero di palazzo Vidoni, soggiacciono
tutti coloro che rivestono incarichi di
indirizzo politico-amministrativo. Pertanto,
Brunetta raccomanda agli uffici del
personale delle pubbliche amministrazioni il
puntuale assolvimento di queste incombenze,
in quanto la sanzione (che non si applica al
comparto presidenza del consiglio dei
ministri, cui fa capo la stessa funzione
pubblica, per espressa previsione contenuta
nel citato dlgs n. 150/2009), «pari al
divieto di erogazione della retribuzione di
risultato al dirigente», è dietro l'angolo,
così come si richiede la massima cura al
dirigente stesso, in quanto «unico
responsabile della compilazione e
dell'aggiornamento del proprio curriculum
vitae».
Sul versante della comunicazione degli
incarichi conferiti ai dipendenti pubblici e
sugli incarichi a soggetti esterni,
attraverso il sito dell'anagrafe delle
prestazioni, Brunetta annuncia novità. Ad
oggi, l'unica modalità di trasmissione dati
è quella telematica, ma è risalente al 2001.
Ora, la funzione pubblica sta mettendo a
punto una nuova applicazione web che renderà
più agevole l'adempimento, richiedendo un
maggior dettaglio delle informazioni. Tra
queste (diversamente da quanto accade oggi),
l'obbligo di comunicazione anche in caso
negativo, cioè anche nell'ipotesi di mancato
conferimento di incarichi a consulenti e a
collaboratori esterni (articolo ItaliaOggi
del 16.01.2010, pag. 25). |
NEWS |
APPALTI:
Approvato in via preliminare il testo del
nuovo Regolamento di esecuzione del Codice
dei Contratti (Consiglio dei Ministri del
17.12.2009).
Il Consiglio dei Ministri ha dato il via
libera, con l'approvazione preliminare (il
17 dicembre scorso) al nuovo schema di
regolamento di attuazione ed esecuzione del
Codice dei contratti pubblici di lavori,
servizi e forniture (link a
www.giurdanella.it). |
VARI:
Consumatori: Class action operativa
dal 1° gennaio 2010.
E' operativo dal 1° gennaio 2010 un nuovo
strumento di tutela dei consumatori: la
class action, azione legale collettiva
per il risarcimento dei danni procurati ad
un certo numero di consumatori a causa di un
medesimo illecito. I cittadini, quindi,
potranno fare causa comune in tribunale per
illeciti avvenuti a partire dal 16.08.2009.
Obiettivo è dare maggiore forza al singolo
cittadino: un solo giudice, con un solo
processo può condannare un'impresa a
risarcire coloro ai quali ha provocato un
danno. Infatti, la nuova disciplina consente
ai consumatori danneggiati a causa di
prodotti difettosi o pericolosi, oppure di
comportamenti commerciali scorretti o
contrari alle norme sulla concorrenza, di
unire le proprie forze per ottenere il
risarcimento, mentre il ricorso al giudice
da parte del singolo individuo potrebbe
essere troppo oneroso.
In particolare, l'azione tutela: i diritti
contrattuali di una pluralità di consumatori
e utenti che versano nei confronti di una
stessa impresa in situazione identica; i
diritti identici spettanti ai consumatori
finali di un determinato prodotto nei
confronti del relativo produttore, anche a
prescindere da un diretto rapporto
contrattuale; i diritti identici al ristoro
del pregiudizio derivante agli stessi
consumatori e utenti da pratiche commerciali
scorrette o da comportamenti
anticoncorrenziali (link a www.governo.it). |
ENTI LOCALI:
Siti web pubblici; una direttiva per ridurli.
Razionalizzare e ridurre in maniera
consistente il numero dei siti web pubblici
per offrire ai cittadini un'informazione
aggiornata, chiara e riconoscibile: è questo
l'obiettivo della direttiva n. 8/2009 del
Ministro per la Pubblica Amministrazione e
l'innovazione.
Lo strumento individuato per raggiungere
tale obiettivo è la registrazione del
dominio ".gov.it" per tutti quei siti che le
Pubbliche Amministrazioni vorranno mantenere
attivi. Negli ultimi anni è cresciuta la
tendenza delle P.A. di veicolare le
informazioni ai cittadini attraverso la
creazione di siti web specifici, legati a
progetti e iniziative dell'ente stesso. Sono
quindi proliferati in rete molti siti web,
in cui il cittadino/utente ha difficoltà a
districarsi a causa di motivi diversi.
La necessità di rendere omogenei i servizi
offerti, comporta che l'iscrizione al
dominio è condizionata ad alcuni criteri
essenziali finalizzati ad assicurare che le
informazioni e i servizi offerti siano
chiaramente presentati, raggruppati in modo
organico, e facilmente raggiungibili dalla
homepage. Tali criteri saranno contenuti
nelle "Linee guida per i siti web della
PA" e nel "Vademecum".
Entrambi i documenti, saranno redatti, entro
90 giorni dall'emanazione della direttiva,
dai Dipartimenti della funzione pubblica e
per la digitalizzazione e l'innovazione
tecnologica con il supporto del Formez per i
contenuti e del CNIPA per le caratteristiche
tecnologiche, e illustreranno i criteri e
gli strumenti per assicurare la riduzione
dei siti pubblici obsoleti ed il
miglioramento di quelli attivi.
Per tutti i siti registrati con il dominio .gov.it
di propria competenza, le Pubbliche
Amministrazioni dovranno inoltre individuare
un responsabile del procedimento di
pubblicazione di contenuti, i cui dati,
completi di indirizzo e-mail, dovranno
essere presenti in una pagina dedicata del
sito, raggiungibile all'indirizzo
"www.nomesito.gov.it/responsabile" e
presente nel menu di coda del sito stesso
(link a www.governo.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
NUOVO SISTEMA DI CONTROLLO DELLA
TRACCIABILITÀ DEI RIFIUTI - SISTRI (D.M.
17.12.2009).
E’ stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il
Decreto Ministeriale che istituisce il nuovo
sistema informatico di controllo della
tracciabilità dei rifiuti (SISTRI).
Le nuove disposizioni sostituiranno in modo
graduale l'attuale sistema di gestione dei
rifiuti speciali (pericolosi e non) basato
sul registro di carico e scarico, sul
formulario dei rifiuti e sul MUD, con un
procedimento informatico (link a
www.ancebrescia.it). |
VARI:
TASSE AUTOMOBILISTICHE – TARIFFARIO REGIONE
LOMBARDIA ANNO 2010.
Si pubblica di seguito il tariffario della
Regione Lombardia relativo alla tassa
automobilistica regionale per l’anno 2010
(link a www.ancebrescia.it). |
ENTI LOCALI:
Registrazioni del Consiglio
Comunale senza abusi. Spetta al presidente
autorizzare l'uso di telecamere diverse da
quelle dell'ente. Limitabile il diritto di
documentare i consigli.
In assenza di specifiche previsioni
regolamentari, vi sono limiti per i
cittadini che assistono alla seduta del
consiglio comunale a effettuare e diffondere
la registrazione audiovisiva della stessa?
Preliminarmente si evidenzia come
nell'ambito dell'attribuzione al consiglio
comunale dell'autonomia funzionale e
organizzativa (art. 38 comma 3 Tuel) si
riconduce quella potestà di regolare
opportunamente, con apposite norme, ogni
aspetto attinente al funzionamento
dell'assemblea, tra cui anche quello della
registrazione del dibattito e delle
votazioni con mezzi audiovisivi, sia da
parte degli uffici di supporto all'attività
di verbalizzazione del segretario comunale,
sia da parte dei consiglieri, degli organi
di informazione e dei cittadini che
assistono alla sedute pubbliche.
Pertanto si evidenzia l'opportunità che
l'ente locale si doti, nell'ambito del
regolamento comunale sul funzionamento del
consiglio, di siffatta disciplina ad hoc, al
fine di assicurare la necessaria
organizzazione funzionale delle sedute.
Sotto tale profilo, l'Ufficio del garante
per la protezione dei dati personali, ha
osservato che «gli artt. 10 e 38 del Tuel
garantiscono espressamente la pubblicità
degli atti e delle sedute del consiglio
comunale, rinviando a uno specifico
regolamento l'introduzione di eventuali
limiti a detto regime di pubblicità. Tale
regolamento può, dunque, costituire la fonte
idonea a disciplinare i limiti e le modalità
di pubblicità delle sedute consiliari,
compresi eventuali divieti di registrazioni
da parte di terzi».
Analogamente in passato aveva ritenuto che
l'amministrazione comunale potesse adottare
norme interne tese a porre limiti alle
riprese e alla diffusione televisiva delle
riunioni consiliari, prevedendo, in quella
sede regolamentare, l'onere di informare
preventivamente il pubblico della presenza
delle telecamere e della successiva
diffusione delle immagini, ovvero il divieto
di divulgare informazioni sullo stato di
salute. Peraltro, ove la registrazione fosse
effettuata per fini esclusivamente
personali, i dati non possono essere
destinati alla comunicazione sistematica o
alla diffusione.
Come già ritenuto in casi analoghi, la
pubblicità della seduta non implica la
facoltà di registrazione ma la libera
presenza di chi abbia interesse ad
assistere, non potendo sostenersi un
autonomo e indiscriminato diritto a
procedere senza limiti alla registrazione,
superando gli eventuali divieti posti
dall'amministrazione (cfr. Cass. sez. I n.
5128/2001 ove afferma la legittimità di un
regolamento consiliare che pone il divieto
di introdurre nella sala del consiglio
apparecchi di riproduzione audiovisiva, se
non previa autorizzazione).
Vale infatti tuttora quell'orientamento
della giurisprudenza amministrativa, secondo
cui la registrazione della seduta da parte
dell'amministrazione non legittima di per sé
la richiesta del rilascio di copia; è
ritenuto legittimo il diniego del rilascio
di copia di una registrazione su nastro di
una seduta consiliare, a motivo del fatto
che detta registrazione, «non costituendo
un documento amministrativo» ma un «mero
ausilio riconducibile a semplici appunti»,
non rientra nell'ambito applicativo della
legge n. 241/1990 che invece riguarda il
verbale della seduta redatto dal segretario
comunale avvalendosi della registrazione
(Tar Marche, n. 170/1997; Tar Veneto, Sez.
II, n. 60/2002 e, più di recente Tar
Lombardia n. 1914/2009).
Diversamente, in assenza di espressa
previsione regolamentare, l'ammissione alla
registrazione può essere regolata e
valutata, caso per caso, dal presidente del
consiglio nell'esercizio dei poteri di
«direzione dei lavori e delle attività del
consiglio», di cui all'art. 39, comma 1, in
stretta correlazione alle esigenze di
ordinato svolgimento dell'attività
consiliare ed in relazione all'oggetto dei
lavori previsti all'ordine del giorno .
Conclusivamente, a margine di tale potere e
nell'ambito del principio di pubblicità
delle sedute (art. 38 comma 7 Tuel)
l'amministrazione può legittimamente
riservarsi il compito di registrazione con
mezzi elettronici e/o audiovisivi, ai fini
della sola attività documentale
istituzionale dell'ente, anche escludendo
che altri soggetti e il pubblico in aula
possano procedervi; parimenti, eventuali
limitazioni alle registrazioni possono
essere subordinate all'autorizzazione del
presidente del consiglio, ovvero contemplate
dal regolamento anche in ragione della
mancata attivazione, da parte
dell'amministrazione, di un autonomo sistema
di registrazione. Ciò, al fine di escludere
che l'unico supporto audiovisivo di
documentazione dello svolgimento dei lavori
consiliari resti nella esclusiva
disponibilità di soggetti estranei
all'amministrazione, fuori dalle necessarie
garanzie di autenticità.
Con segnato riguardo alla diffusione delle
registrazioni, eventuali limitazioni possono
riferirsi in particolare ai dati personali
trattati dall'ente nello svolgimento della
propria attività istituzionale.
In proposito lo stesso Ufficio del garante
ha chiarito come tali dati possono essere
diffusi «solo se tale operazione è
prevista da una norma di legge o di
regolamento (artt. 18, comma 2, e 19, comma
3 del Codice in materia di protezione dei
dati personali), fermi restando gli obblighi
di informativa agli interessati (art. 13)».
Nel richiamare le indicazioni impartite
dallo stesso garante con le «Linee guida
per finalità di pubblicazione e diffusione
di atti e documenti di enti locali» del
19/04/2007, ha sottolineato altresì che
l'ente locale «deve tenere conto del
quadro di specifiche garanzie ivi
individuate in ordine alle corrette modalità
con le quali gli enti locali possono dare
adeguata pubblicità alla propria attività
istituzionale, anche di vigilanza e
controllo, specie in rapporto alla
protezione dei dati personali contenuti in
atti e documenti resi accessibili ai
cittadini» (cfr. artt. 3 e 11, co. 1,
lett) d), del Codice).
L'ente locale di volta in volta potrà perciò
opportunamente valutare le modalità più
opportune per assicurare la riservatezza dei
soggetti presenti o oggetto del dibattito
(articolo ItaliaOggi del 15.01.2010, pag.
39). |
GIURISPRUDENZA |
APPALTI:
Sull'applicabilità dell'istituto
dell'avvalimento anche in assenza di una
specifica previsione del bando di gara.
Sulla discrezionalità delle stazioni
appaltanti di verificare le offerte anomale,
pur in assenza di una specifica previsione
nel bando.
E' legittima l'applicazione dell'avvalimento
previsto dall'art. 49 dlgs 163/2009 (Codice
dei contratti) anche nell'ipotesi in cui il
ricorso all'istituto de quo non sia
espressamente richiamato dal bando di gara,
ciò in quanto, anche alla luce di
consolidata giurisprudenza in ordine alla
relativa disciplina sia comunitaria che
nazionale, l'avvalimento, in materia di
procedura di gara per l'affidamento di
appalti pubblici, ha carattere generale, e
come tale trova applicazione senza la
necessità di una specifica previsione in tal
senso.
E' legittimo l'operato di una stazione
appaltante che abbia omesso di verificare
l'anomalia dell'offerta presentata da una
delle concorrenti in sede di gara,
sussistendo in capo ad essa un potere
discrezionale in ordine all'attivazione, o
meno, del suddetto procedimento di verifica,
ciò in quanto, ai sensi dell'art. 86 c.3
dlgs 163/2006, l'amministrazione appaltante
può stabilire, anche laddove il bando non lo
preveda espressamente, i casi in cui
procedere alla verifica delle offerte
anomale, in virtù della distinzione tra
obbligo di procedere alla verifica nei casi
di anomalia individuati dalla legge e la
facoltà riservata all'amministrazione di
ipotizzare casi di anomalia diversi da
quelli prestabiliti (TAR Lazio-Roma, Sez.
II-ter,
sentenza 12.01.2010 n. 153 - link
a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
CONSIGLIERI COMUNALI:
Un consigliere di minoranza non
può avere accesso ad un parere legale
richiesto dall'Amministrazione comunale
circa l'abbandono o meno di un'azione
giudiziaria in itinere.
Il parere di un legale che avrebbe suggerito
all'Amministrazione comunale di ritirare la
richiesta di decreto ingiuntivo
-relativamente ad una azione giudiziaria-
rientra tra gli atti di consulenza che gli
organi decidenti della Amministrazione
acquisiscono al fine di meglio conformare la
propria azione a criteri di legittimità e di
opportunità e che pertanto non possono
formare oggetto di accesso, senza violare il
segreto professionale del legale e la stessa
privacy dell'organo decidente che deve
restare libero nell'acquisizione dei pareri
che ritiene necessari alla formazione di una
propria sua corretta volontà e nella loro
conseguente valutazione
(TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 12.01.2010 n. 17 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Beni ambientali. Nomina
commissione.
E' illegittimo il provvedimento con il quale
il consiglio comunale ha ritenuto di dover
procedere alla nomina di una nuova
commissione beni ambientali, in ragione
dell’essere venuta meno la rappresentatività
politica di quella precedente in carica
rispetto alla composizione attuale
dell’assemblea (TAR Campania-Napoli, Sez. I,
sentenza 11.01.2010 n. 43 - link
a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
BENI CULTURALI E AMBIENTALI -
Interventi di manutenzione straordinaria,
consolidamento statico e restauro
conservativo - Autorizzazione paesaggistica
- Necessità - Esclusione - Art. 149 d.lgs.
n. 42/2004.
Ai sensi dell’art. 149 del d.lgs. n.
42/2004, anche gli interventi di
manutenzione straordinaria, di
consolidamento statico e di restauro
conservativo non richiedono il rilascio
dell’autorizzazione paesaggistica (TAR
Veneto, Sez. II,
sentenza 08.01.2010 n. 35 - link
a www.ambientediritto.it). |
CONSIGLIERI COMUNALI:
La previsione regolamentare
secondo cui “il Segretario comunale redige
la sintesi degli argomenti svolti da
presenti: non è previsto l’inserimento di
dichiarazione sotto dettatura” risponde
all’esigenza di evitare che l’attività di
verbalizzazione del Segretario comunale sia
appesantita dalla necessità di trascrivere
fedelmente le dichiarazioni dei consiglieri,
essendo onere dello stesso assicurare che la
sintesi degli argomenti trattati avvenga con
modalità tali da trasporre nel verbale gli
elementi contenutistici essenziali delle
dichiarazioni stesse.
In merito all'annullamento della
deliberazione n. 4 del 26.01.2006, recante
indirizzi in merito all’attività di
verbalizzazione dei lavori del Consiglio
comunale, laddove, al punto b), prevede: “il
Segretario comunale redige la sintesi degli
argomenti svolti da presenti: non è previsto
l’inserimento di dichiarazione sotto
dettatura mentre qualora gli interessati
intendano chiedere l’inserimento dei propri
interventi in forma integrale e completa,
essi devono essere già dotati del proprio
testo scritto, che verrà inserito nel
verbale esclusivamente in forma di allegato,
di cui devono fornire copia al Segretario
Comunale contestualmente o dopo l’avvenuta
lettura dello stesso”.
Deve invero ritenersi che la delibera
impugnata -se correttamente interpretata-
assicuri un idoneo punto di equilibrio tra
l’esigenza di garantire ai componenti il
Consiglio comunale la possibilità di
concorrere efficacemente alla formazione
della volontà dell’organo collegiale,
fornendo compiutamente il proprio apporto al
dibattito assembleare e richiedendo che sia
adeguatamente riprodotto nel verbale
assembleare, da una parte, e l’esigenza di
consentire il compimento dell’attività di
verbalizzazione entro tempi ragionevolmente
contenuti e nel rispetto del contenuto
essenziale delle dichiarazioni rese dai
consiglieri, dall’altra.
In particolare, la previsione secondo cui “il
Segretario comunale redige la sintesi degli
argomenti svolti da presenti: non è previsto
l’inserimento di dichiarazione sotto
dettatura” risponde all’esigenza di
evitare che l’attività di verbalizzazione
del Segretario comunale sia appesantita
dalla necessità di trascrivere fedelmente le
dichiarazioni (talvolta lunghe e complesse)
dei consiglieri, essendo onere dello stesso
assicurare che la sintesi degli argomenti
trattati avvenga con modalità tali da
trasporre nel verbale gli elementi
contenutistici essenziali delle
dichiarazioni stesse.
Né la facoltà del consigliere di ottenere
l’integrale e testuale recepimento della
propria dichiarazione nel corpo del verbale
assembleare, nell’ipotesi in cui non ritenga
di affidarne la verbalizzazione all’attività
di sintesi del Segretario, risulta oltremodo
sacrificata dalla necessità di “essere
già dotati del proprio testo scritto, che
verrà inserito nel verbale esclusivamente in
forma di allegato, di cui devono fornire
copia al Segretario Comunale contestualmente
o dopo l’avvenuta lettura dello stesso”.
Invero, deve in primo luogo essere esclusa
la fondatezza della deduzione attorea
secondo cui il testo integrale e scritto
della dichiarazione debba essere trasmesso
al Segretario prima ed al di fuori
dell’assise consiliare: trattasi infatti di
esigenza estranea al contenuto precettivo
della disposizione in esame, la quale si
limita a richiedere che la copia del testo
sia fornita al Segretario Comunale “contestualmente
o dopo l’avvenuta lettura” del verbale.
Inoltre, le modalità temporali di
trasmissione della dichiarazione scritta
(contestualmente, cioè, o successivamente
alla lettura del verbale) assicurano al
consigliere la possibilità di redigere
ponderatamente per iscritto la predetta
dichiarazione, disponendo del tempo all’uopo
necessario: del resto, anche l’ipotetica
dettatura della dichiarazione, non potendo
che avvenire nel corso dell’attività di
verbalizzazione, presuppone necessariamente
che la stessa sia elaborata nel corso della
riunione consiliare
(TAR Emilia Romagna-Parma,
sentenza 07.01.2010 n. 1 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Sull'inapplicabilità del divieto
di partecipazione alle gare previsto dall'13
d.l. n. 223 del 2006 (c.d. decreto Bersani),
nel caso di una società indirettamente
partecipata da enti locali.
L'art. 13 d.l. n. 223 del 2006, (c.d.
decreto Bersani), norma derogatoria del
principio generale di libertà di iniziativa
economica, e pertanto di stretta
interpretazione, vieta l'attività extra
moenia alle società costituite o
partecipate dalle amministrazione pubbliche
regionali o locali "per la produzione di
beni e servizi strumentali all'attività di
tali enti in funzione della loro attività,
con esclusione dei servizi pubblici locali".
Il divieto previsto dal suddetto art. 13,
non è applicabile alle società "di terza
generazione", ovvero alle società
indirettamente partecipate dagli enti
locali. Laddove, infatti, il legislatore ha
inteso estenderlo oltre il predetto ambito
lo ha fatto espressamente (art. 23-bis del
d.l. n. 112 del 2008, convertito dalla l. n.
133 del 2008).
Pertanto, nel caso di specie, non si applica
il citato art. 13, in quanto la società
indirettamente partecipata da enti locali
non è diretta promanazione degli enti
locali, e non può essere sussunta tra le
società a partecipazione pubblica
strumentali degli enti locali e regionali
soci, cui è inibita l'attività extra
moenia.
La società, infatti, che svolge attività
(gestione, riqualificazione e valorizzazione
di complessi di stazioni e infrastrutture
nodali di trasporto), risulta priva dei
vincoli della strumentalità e della
funzionalità con le amministrazioni
indirettamente partecipanti al capitale
sociale, e non può, pertanto, essere
considerata società produttrice di beni e
servizi strumentali ai sensi dell'art. 13,
c. 1, del citato d.l. n. 223 del 2006 (TAR
Lazio-Roma, Sez. II,
sentenza 05.01.2010 n. 36 - link
a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Muro di cinta e muro di
contenimento - Differenza - Assimilabilità
del muro di cinta alle pertinenze -
Assimilabilità del muro di contenimento alle
costruzioni - Necessità di titolo
abilitativo edilizio - Rispetto delle
distanze dai confini.
Mentre il muro di cinta può essere
ricondotto alla categoria delle pertinenze,
non così il muro di contenimento che viene
assimilato alla categoria delle costruzioni.
Nel caso in cui lo scopo della realizzazione
sia la delimitazione della proprietà si
ricade infatti nell'ipotesi della
pertinenza, per cui non è necessario il
rilascio della concessione (TAR Emilia
Romagna, Parma, 12.03.2001, n. 106; TAR
Liguria, sez. I, 14.11.1996, n. 492; TAR
Liguria, 19.10.1994, n. 345).
Diversa è la situazione, allorché il muro è
destinato non solo a recingere un fondo, ma
contiene o sostiene esso stesso dei volumi
ulteriori (TAR Emilia Romagna, Parma,
27.04.2001, n. 246; TAR Lazio, sez. II,
04.11.2000, n. 8923); in tal caso il
manufatto ha una funzione autonoma, dal
punto di vista edilizio e da quello
economico (TAR Piemonte 07.05.2003 n. 657).
Avendo il muro di contenimento la natura di
costruzione, deve, tendenzialmente,
rispettare le distanze dai confini stabilite
dalle n.t.a. del p.r.g. (TAR Liguria, Sez.
I,
sentenza 31.12.2009 n. 4131 -
link a www.ambientediritto.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Rifiuti. Deposito temporaneo.
Il deposito controllato o temporaneo è
libero, non disciplinato dalla normativa sui
rifiuti, (ad eccezione degli adempimenti in
tema di registri di carico e scarico e del
divieto di miscelazione) anche se sempre
soggetto ai principi di precauzione ed
azione preventiva che, in base alle
direttive comunitarie, devono presiedere
alla gestione dei rifiuti.
In difetto di anche uno dei menzionati
requisiti, il deposito non può ritenersi
temporaneo, ma deve essere considerato:
deposito preliminare, se il collocamento di
rifiuti è prodromico ad una operazione di
smaltimento che, in assenza di
autorizzazione o comunicazione, è sanzionata
penalmente dall’art. 256, c. 1, DLvo
152/2006); messa in riserva, se il materiale
è in attesa di una operazione di recupero
che, essendo una forma di gestione, richiede
il titolo autorizzativo la cui carenza
integra gli estremi del reato previsto
dall’art. 256 c. 1, DLvo 152/2006); deposito
incontrollato o abbandono quando i rifiuti
non sono destinati ad operazioni di
smaltimento o recupero.
Tale condotta è sanzionata come illecito
amministrativo se posta in essere da un
privato e come reato contravvenzionale se
tenuta da un responsabile di enti o titolare
di impresa (artt. 255 c. 1, 256 c. 2 DLvo
152/2006).
Quando l’abbandono dei rifiuti è reiterato
nel tempo e rilevante in termini spaziali e
quantitativi, il fenomeno può essere
qualificato come discarica abusiva (Corte di
Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 30.12.2009 n. 49911 -
link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
BENI CULTURALI E AMBIENTALI -
Provvedimento di assenso paesaggistico -
Art. 3, L. n. 241/1990 - Risultanze
istruttorie - Rapporti con la motivazione.
Ai sensi dell’art. 3 della legge 07.08.1990
n. 241, le risultanze dell’istruttoria
costituiscono non soltanto la indispensabile
piattaforma fattuale e argomentativa da
porre a base di un provvedimento
amministrativo ma di esse la motivazione
deve recare inevitabilmente traccia.
Il provvedimento amministrativo può,
pertanto, considerarsi adeguatamente
motivato solo quando il destinatario e
coloro i quali possono risentire effetti
pregiudizievoli dalla sua adozione siano
posti in grado di conoscere analiticamente
sulla base di quali risultanze istruttorie
la P.a. ha compiuto la scelta discrezionale
che viene in rilievo di volta in volta
(Fattispecie relativa al giudizio di
compatibilità paesaggistica formulato in
riferimento ad una stazione radio base
attraverso l’illegittimo ricorso ad
un’insufficiente formula stereotipata) (TAR
Puglia-Lecce, Sez. I,
sentenza 30.12.2009 n. 3363 -
link a www.ambientediritto.it). |
APPALTI:
Aggiudicazione provvisoria -
lesione ditta aggiudicataria - azione di
autotutela - assenza di onere di motivazione
- requisito soddisfacente: l'indicazione
degli elementi concreti ed obiettivi in base
ai quali ha ritenuto di non procedere
all'aggiudicazione - salvaguardia pubblico
interesse.
L’aggiudicazione provvisoria di un appalto
pubblico ha natura di atto
endoprocedimentale, ad effetti ancora
instabili e del tutto interinali. Essa
pertanto, per un verso, è inidonea a
produrre la lesione della ditta non
risultata aggiudicataria, che può
concretamente verificarsi solo con
l’aggiudicazione definitiva, che non
costituisce atto meramente confermativo
della prima (ex multis, C.d.S., sez.
V, 20.07.2009, n. 4527; 14.11.2008, n. 5691;
sez. VI, 25.09.2007, n. 4937), e d’altra
parte è parimenti inidonea a generare nella
ditta provvisoriamente aggiudicataria una
posizione di vantaggio ovvero un ragionevole
(ed incolpevole) affidamento in ordine al
provvedimento di aggiudicazione definitiva
ed alla conseguente stipulazione del
contratto, con la conseguenza che
l’amministrazione che intende esercitare il
proprio potere di autotutela proprio
rispetto all’aggiudicazione provvisoria non
ha uno specifico onere di motivazione circa
le ragioni di interesse pubblico che lo
hanno determinato, essendo sufficiente che
sia reso palese il ragionamento seguito per
giungere alla determinazione negativa,
attraverso l’indicazione degli elementi
concreti ed obiettivi in base ai quali ha
ritenuto di non procedere all’aggiudicazione
(C.d.S., sez. IV, 31.05.2007, n. 2838),
potendo anche tener conto delle preminenti
ragioni poste dalla esigenza di salvaguardia
del pubblico interesse (C.d.S., sez. IV
15.09.2006, n. 5374) (Consiglio di Stato,
Sez. V,
sentenza 29.12.2009 n. 8966 -
link a www.mediagraphic.it). |
APPALTI:
E' corretta la decisione di una
stazione appaltante di non inoltrare
l'invito per l'affidamento di un appalto al
precedente affidatario, in considerazione
delle inadempienze commesse dal medesimo
nello svolgimento del pregresso servizio.
Un'amministrazione, in caso di indizione di
nuova gara, ha facoltà di non invitare il
soggetto che in precedenza abbia svolto il
servizio, qualora ritenga compromesso il
rapporto fiduciario tra le parti. Tale
principio, viene ribadito dall'art. 38 del
codice dei contratti (D. Lvo 12.04.2006 n.
163 e ss.mm.), stabilisce che sono esclusi
dalla gara, tra le altre ipotesi, coloro che
"secondo motivata valutazione della
stazione appaltante hanno commesso grave
negligenza o malafede nell'esecuzione delle
prestazioni affidate dalla stazione
appaltante che bandisce la gara".
Ne consegue che, nel caso di specie, è
corretta la decisione di un Consorzio di non
invitare alla gara ufficiosa per
l'affidamento del servizio di cassa, un
Istituto bancario precedente affidatario, in
considerazione delle inadempienze commesse
dal medesimo nello svolgimento del pregresso
servizio.
Il mancato rispetto degli obblighi
contrattuali, poiché le operazioni sarebbero
state eseguite senza la osservanza dei
termini e delle condizioni pattuite (un solo
addetto al servizio, che spesso si
assentava; la lentezza nell'emissione di
assegni circolari; la frammentarietà ed il
notevole ritardo delle comunicazioni di
avvenuto incasso; l'invio degli estratti
conto con cadenza trimestrale, anziché
mensile; i costanti ed immotivati ritardi
nelle valute di accredito degli stipendi),
infatti, assumono una rilevante incidenza
negativa sul rapporto fiduciario tra l'Ente
e l'affidatario, giustificando, pertanto, la
decisione della stazione appaltante di non
inoltrare l'invito al soggetto inadempiente
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 29.12.2009 n. 8913 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA -
EDILIZIA PRIVATA:
AREE PROTETTE - S.I.C. -
Aggiornamento dei siti e della loro
delimitazione - Potere regionale -
Coordinamento e informazione - Potere
ministeriale - Art. 3, c. 4-bis del d.P.R.
n. 357/1997 - Direttiva habitat (92/43/CEE).
L’art. 3, comma 4-bis, del d.P.R. n.
357/1997, della direttiva 92/43/CEE (c.d.
direttiva habitat)attribuisce alle Regioni
ed alle Province autonome di Trento e
Bolzano, il potere di valutazione periodica
dell’idoneità dei siti all’attuazione degli
obiettivi di tutela ambientale propri della
direttiva, in seguito alla quale possono
proporre un aggiornamento dei siti e della
loro delimitazione al Ministero
dell’Ambiente, che ne cura la trasmissione
alla Commissione europea.
Di conseguenza, mentre alle Regioni è
attribuito un potere di valutazione e di
proposta in ordine alla eventuale
riparametrazione dei SIC, il Ministero ha un
potere di coordinamento e di informazione
(TAR Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 29.12.2009 n. 6268 -
link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
VALUTAZIONE IMPATTO AMBIENTALE (V.I.A.)
- Commissione speciale VIA - Richiesta di
integrazione documentale - Termine di trenta
giorni - Natura ordinatoria - Decorso del
termine - Azioni sollecitatorie - Produzione
tardiva - Art. 20 d.lgs. n. 190/2002.
Il termine di 30 giorni, fissato dall’art.
20, secondo e terzo comma, del D.Lgs. 2002,
n. 190, per dare risposta alla richiesta di
integrazione documentale presentata dalla
commissione speciale VIA ha natura
ordinatoria.
E’ vero che la norma recita che decorso il
termine suddetto il parere si intende
negativo; peraltro, avverso
l’interpretazione strettamente letterale,
deve essere rilevato che la norma in
discussione non prescrive affatto che
decorso il suddetto termine l’opera non
possa essere realizzata. Deve quindi essere
affermato che una volta decorso il suddetto
termine chi ha interesse alla realizzazione
dell’opera può porre in essere azioni
sollecitatorie; inoltre, è consentito alla
commissione ammettere una produzione
tardiva.
In base alle stesse considerazioni, anche il
termine di 90 giorni di cui al quarto comma
dello stesso art. 20 deve essere considerato
ordinatorio (Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 28.12.2009 n. 8786 -
link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
CAVE E MINIERE - Attività di cava
- Interventi edilizi - Rientra - Art. 3 c.
1, lett. e.7), d.P.R. n. 380/2001.
L’attività di cava non può ritenersi
estranea all’attività edilizia: l’art. 3, co.
1, lett. e.7), d.p.r. 380/2001, infatti,
nelle definizioni degli interventi edilizi
contempla anche le attività produttive
all’aperto ove contemplino l’esecuzione di
lavori che comportino la modificazione del
suolo inedificato. La stessa definizione è
ripresa pedissequamente dall’art. 27, co. 1,
lett. e), n. 7), l.r. Lombardia n. 12/2005.
E’ quindi già il legislatore, sia statale
che regionale, che nel momento in cui
disciplina gli interventi edilizi, individua
come tale anche la realizzazione di attività
produttive descritte in modo che possano
attagliarsi in tutto e per tutto a quelle di
cava. La tesi che l’attività di cava non sia
un’attività edificatoria in senso proprio
trae origine dalla circostanza che essa non
è assoggettata al rilascio dei normali
titoli edilizi, entrando a far parte del
procedimento regionale di autorizzazione
all'esercizio di cava, nell'ambito del
quale, anche tramite l'intervento in
funzione consultiva del comune interessato,
deve valutarsi la compatibilità urbanistica
dell'intervento. La circostanza che il
titolo edilizio sia diverso (autorizzazione
regionale, anziché concessione edilizia o
permesso di costruire) non esclude comunque
la necessità del titolo edilizio stesso (Tar
Campania 10696/2007).
D’altronde, la stessa giurisprudenza che
riconosce che non sia necessario un titolo
edilizio in senso proprio per l’esercizio di
attività di cava aggiunge che l’attività
difforme rispetto al titolo rilasciato
integra la contravvenzione prevista
attualmente dall’art. 44 d.p.r. 380/2001,
che è norma di sanzione dell’attività
edilizia (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 28.12.2009 n. 2619 -
link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Nel
sistema successivo all’entrata in vigore del
d.lgs. 42 del 2004, a fronte del
procedimento finalizzato all’annullamento
del nulla osta paesaggistico da parte del
competente Organo statale non è più
richiesta la previa comunicazione ex art. 7,
l. 241 del 1990.
Prendendo le mosse dalla questione relativa
alla necessità o meno di dare la
comunicazione di avvio del procedimento
conseguente al rilascio del Nulla Osta
paesaggistico (il quale può concludersi con
il suo annullamento), il Collegio deve
riconoscere che, nel sistema successivo
all’entrata in vigore del d.lgs. 42 del
2004, cit., a fronte del procedimento
finalizzato all’annullamento del nulla osta
paesaggistico da parte del competente Organo
statale non sia più richiesta la previa
comunicazione ex art. 7, l. 241 del 1990.
Tanto, in base all’attuale formulazione del
comma 2 dell’art. 159, d.lgs. 42, cit. (come
rinveniente, da ultimo, dall'art.
4-quinquies del d.l. 03.06.2008, n. 97,
aggiunto dalla relativa legge di
conversione) il quale -innovando in parte
qua rispetto al previgente disposto di cui
all’art. 151 del d.lgs. 490 del 1999-
stabilisce in modo espresso che la
comunicazione relativa all’avvenuto rilascio
del nulla osta da parte dell’Ente a ciò
competente “costituisce avviso di inizio
di procedimento, ai sensi e per gli effetti
della legge 07.08.1990, n. 241”.
In verità, il superamento dell’obbligo di
comunicazione di avvio del procedimento in
caso di annullamento del nulla osta
paesistico risale ad un periodo ancora
anteriore rispetto all’entrata in vigore del
testo unico del 2004.
Ed infatti, l’art. 2 del D.M. 19.06.2002, n.
165, modificando la previsione di cui
all’art. 4 del D.M. 13.06.1994 ("Regolamento
concernente disposizioni di attuazione degli
articoli 2 e 4 della legge 07.08.1990, n.
241, riguardanti i termini e i responsabili
dei procedimenti") aveva espressamente
stabilito che la comunicazione in questione
non sia dovuta (inter alia) a fronte
del complessivo procedimento –ad istanza di
parte– volto al rilascio del nulla osta
paesaggistico.
Tanto premesso in relazione al sistema
disciplinare successivo al biennio
2002-2004, il Collegio deve tuttavia
osservare che le vicende di causa non
possano essere definite sulla base di tale
sistema, bensì (ratione temporis)
alla luce del previgente sistema
disciplinare rappresentato per un verso
dalla previsione di cui all’art. 151 del
d.lgs. 490 del 1999 e, per altro verso,
dall’originaria previsione di cui all’art. 4
del citato D.M. 495 del 1994.
Al riguardo, il Collegio ritiene che nel
caso di specie non emerga alcuna ragione
onde discostarsi dall’orientamento
giurisprudenziale (affermatosi nella vigenza
del richiamato quadro disciplinare) secondo
cui quanto meno in applicazione del D.M.
495, cit., l’Amministrazione statale fosse
obbligata a comunicare al privato l'avvio
del procedimento di annullamento allo scopo
di consentire all'interessato di avvalersi
degli strumenti di partecipazione e di
accesso, previsti dalla legge n. 241/1990
(in tal senso: Cons. Stato, Sez. VI, sent.
14.01.2003, n. 119; id., Sez. VI, sent.
01.12.1999, n. 2069).
Nella vigenza del richiamato quadro
disciplinare, altresì, questo Giudice di
appello aveva rilevato che, in mancanza di
un atto di comunicazione dell'avvio della
nuova fase (quella volta al controllo
statale sull’operato dell’Amministrazione
preposta alla tutela del vincolo), il
destinatario del provvedimento di
autorizzazione non sarebbe neanche posto in
condizione di conoscere il preciso momento
di perfezionamento o di integrazione
dell'efficacia dell'atto autorizzatorio,
decorrendo il termine di 60 giorni per
l’esercizio del potere di annullamento
unicamente dal momento in cui perviene
all'amministrazione statale la
documentazione completa (in tal senso: Cons.
Stato, Sez. VI, sent. 17.02.2000, n. 909).
Sotto il profilo sistematico, del resto, nel
corso del periodo in questione la
giurisprudenza aveva ritenuto comunque
sussistente l’obbligo di comunicazione
dell’avvio del procedimento di annullamento
di autorizzazione paesaggistica, atteso che
il potere di annullamento, attribuito al
Ministero per i Beni Culturali ed Ambientali
dall’art. 82, comma ultimo, d.P.R.
24.07.1977 n. 616 (in seguito: art. 151 del
d.lgs 490 del 1999) veniva esercitato in una
successiva fase endoprocedimentale, avente
natura di secondo grado e rientrante nella
competenza di un organo diverso rispetto a
quello preposto al rilascio
dell'autorizzazione (in tal senso: Cons.
Stato, Sez. VI, sent. 29.05.2002, n. 2983).
Nel corso del medesimo periodo si era
altresì osservato che neppure la conoscenza
aliunde acquisita dal soggetto
istante circa l’esistenza di un procedimento
ministeriale di controllo in ordine
all’autorizzazione paesaggistica apparisse
sufficiente a soddisfare le esigenze
garantite dall’art. 7, l. 241 del 1990,
essendo, comunque, ignoti al destinatario
l’Amministrazione in concreto procedente
(Ministero o Soprintendenza all'uopo
delegata), l'oggetto e il responsabile del
procedimento, l'ufficio cui rivolgersi per
prendere visione degli atti, nonché il
momento di decorrenza del termine di
sessanta giorni, utili per l'annullamento,
correlato alla ricezione della
documentazione completa da parte
dell'Autorità statale (in tal senso: Cons.
Stato, VI, 16.06.2006, n. 3552).
Conseguentemente, la pronuncia in epigrafe
deve trovare puntuale conferma per la parte
in cui ha ritenuto l’illegittimità del
decreto del Soprintendente di annullamento
del nulla osta paesaggistico, in quanto
adottato in carenza di una preventiva
comunicazione di avvio del procedimento
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 24.12.2009 n. 8728 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Traslazione di cubatura.
La possibilità di derogare al principio
generale secondo cui la traslazione di
cubatura può avvenire solo tra terreni che
appartengano a zone omogenee deve
ravvisarsi, secondo l’accezione del concetto
di “zonizzazione” adottata dalla più
recente giurisprudenza (il riferimento è al
concetto di “zonizzazione funzionale”
che ha superato la rigida distinzione tra le
zone così come fissate dall’art. 2 del D.M.
n. 1444 del 1968) esclusivamente nel caso
che sia accertata la compatibilità con gli
strumenti urbanistici, ai quali spetta
individuare sia zone “miste” o
“speciali’ sia la possibilità di destinare
ai c.d. “usi compatibili” una parte
dei terreni inclusi in un’area omogenea
(Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 23.12.2009 n. 49453 -
link a www.lexambiente.it). |
URBANISTICA:
Programma integrato di intervento
- Finalità - Riqualificazione urbanistica -
Concorso di risorse finanziarie pubbliche e
private - Indici territoriali e disciplina
degli standard.
Il Programma Integrato di Intervento
presenta “la specifica finalità di
riqualificare il tessuto urbanistico,
edilizio ed ambientale del territorio e
caratterizzato sia dalla presenza di una
pluralità di funzioni, sia dall'integrazione
di diverse tipologie di intervento, ivi
comprese le opere di urbanizzazione, in una
dimensione capace di incidere sulla
riorganizzazione urbana e con il possibile
concorso di risorse finanziarie pubbliche e
private” (cfr. TAR Lombardia, Milano n.
5171/2009).
La scelta degli indici territoriali e la
disciplina degli standard risponde, in tale
ottica, alla necessità di trovare
finanziamenti per riqualificare i quartieri
e per realizzare le opere pubbliche, senza
aggravare il costruttore al punto tale di
farlo desistere dall’operazione.
Standard - Categoria
aperta - Valutazioni di dettaglio -
Amministrazioni locali - Riferimento alle
realtà locali.
Il concetto di standard costituisce “una
categoria aperta, per cui spetta alle
amministrazioni il compito di svolgere
valutazioni di dettaglio riferite alle
singole realtà locali” (TAR Lombardia -
sez. Brescia 15.12.2006 n. 1548) (TAR
Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 23.12.2009 n. 6188 -
link a www.ambientediritto.it). |
ESPROPRIAZIONE:
T.u. 327/2001 - Specialità della
disciplina - Applicabilità della regola di
cui all’art. 21-bis L. n. 241/1990 -
Esclusione.
Stante la specialità della disciplina del
T.U. 327/2001, nei confronti del decreto di
esproprio non trova applicazione la regola
generale di cui all’ art 21-bis L. 241/1990:
è quindi necessario, al fine di non
determinare l'inefficacia della
dichiarazione di pubblica utilità, che il
decreto d’esproprio sia emanato o adottato,
ma non anche comunicato al destinatario (TAR
Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 23.12.2009 n. 6188 -
link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
regola dell’assoggettamento a concessione di
ogni attività comportante la trasformazione
urbanistica ed edilizia del territorio, non
comprende le sole attività di edificazione,
ma tutti quei manufatti che modificano in
modo apprezzabile il precedente assetto
territoriale producendo alterazione che
abbia rilievo ambientale, estetico o anche
solo funzionale, ovvero consistenti in una
modificazione dello stato materiale e della
configurazione del suolo per adattarlo ad un
impiego diverso da quello che gli è proprio
in relazione alla sua condizione naturale e
alla sua qualificazione giuridica.
Sotto il profilo funzionale, il carattere
della provvisorietà di una costruzione
edilizia, ai fini dell’esenzione dal titolo
autorizzatorio edilizio, dev’essere indotto
dall’uso realmente precario e temporaneo per
fini specifici e cronologicamente
delimitati, non essendo sufficiente che si
tratti di un manufatto non infisso al suolo
e smontabile, ovvero che il costruttore si
dichiari disposto a rimuovere quanto
realizzato.
Nemmeno può ritenersi che l’intervento,
trattandosi di manufatto precario e
facilmente amovibile, si collochi al di
sotto della c.d. soglia di rilevanza
urbanistica, e quindi sia sottratto alla
necessità di un titolo edilizio.
L’articolo 3, n. 5, del d.P.R. 380/2001, e
l’articolo 3, lettera e.5), della l.r.
1/2004, sottopongono a provvedimento
autorizzatorio comunale anche “i
manufatti leggeri, anche prefabbricati (…)
utilizzati come abitazioni (…) e che non
siano diretti a soddisfare esigenze
meramente temporanee”.
Del resto, secondo il prevalente
orientamento della giurisprudenza
(delineatosi già in vigenza dell'articolo 1
della legge 10/1077), la regola
dell’assoggettamento a concessione di ogni
attività comportante la trasformazione
urbanistica ed edilizia del territorio, non
comprende le sole attività di edificazione,
ma tutti quei manufatti che modificano in
modo apprezzabile il precedente assetto
territoriale producendo alterazione che
abbia rilievo ambientale, estetico o anche
solo funzionale, ovvero consistenti in una
modificazione dello stato materiale e della
configurazione del suolo per adattarlo ad un
impiego diverso da quello che gli è proprio
in relazione alla sua condizione naturale e
alla sua qualificazione giuridica (cfr.
Cons. Stato, V, 06.09.1999, n. 1015;
20.12.1999, n. 2125; VI, 27.01.2003, n.
419).
In particolare, anche la giurisprudenza di
questo Tribunale ha affermato che, sotto il
profilo funzionale, il carattere della
provvisorietà di una costruzione edilizia,
ai fini dell’esenzione dal titolo
autorizzatorio edilizio, dev’essere indotto
dall’uso realmente precario e temporaneo per
fini specifici e cronologicamente
delimitati, non essendo sufficiente che si
tratti di un manufatto non infisso al suolo
e smontabile, ovvero che il costruttore si
dichiari disposto a rimuovere quanto
realizzato (sent. 26.01.2007, n. 43;
21.08.2003, n. 62; 04.07.2003, n. 573; vedi
anche, Cons. Stato,V, n. 2125/1999, cit.,
Cass. pen., III, 18.02.1999, n. 4002;
12.07.1995, n. 10058; TAR Lazio, Latina,
19.11.1987, n. 834)
(TAR Umbria,
sentenza 22.12.2009 n. 812 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Sull'esclusione da una gara per
mancata allegazione della copia del d.i. del
sottoscrittore ad una o più dichiarazioni
sostitutive qualora esse siano inserite
nella stessa busta dove sono state poste
altre dichiarazioni corredate della copia
del d.i..
Non è necessario che in una gara d'appalto
per la quale il bando richieda più
dichiarazioni sostitutive distinte, ciascuna
di esse sia accompagnata dalla copia
fotostatica del documento di identità del
sottoscrittore, dovendosi invece ritenere
conforme alla lettera dell'art. 38 D.P.R. n.
445/2000 (e rispondente alla finalità dallo
stesso perseguita) la circostanza che sia
stata inserita nella busta contenente le
dichiarazioni, una sola copia fotostatica
del documento di identità del dichiarante.
Pertanto, è illegittima l'esclusione di
un'impresa che abbia omesso di corredare una
o più delle dichiarazioni sostitutive
prescritte, qualora queste ultime siano
inserite nella stessa busta contenente una o
più dichiarazioni sostitutive debitamente
corredate della copia del documento di
identità del sottoscrittore, non potendo
revocarsi in incertezza in tal caso la
paternità della sottoscrizione apposta sulla
dichiarazione carente della copia del
documento di identità del rilasciante (TAR
Piemonte, Sez. I,
sentenza 21.12.2009 n. 3717 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
La richiesta di integrazione
documentale può riguardare soltanto
documenti già prodotti in gara.
Non può essere formulata dalla Stazione
Appaltante la richiesta di regolarizzazione
volta ad integrare documenti la cui
produzione veniva richiesta in maniera
univoca e a pena di esclusione dalla lex
specialis.
Invero, potrà riguardare solo quei documenti
già presentati in sede di gara, non
potendosi mai determinare un’alterazione
della par condicio delle imprese (Consiglio
di Stato, Sez. VI,
sentenza 18.12.2009 n. 8386 -
link a www.mediagraphic.it). |
APPALTI SERVIZI:
Sulla necessità di procedere
mediante gara pubblica nel caso di aumento
di capitale per l'ingresso di socio privato
operativo in una società per azioni a
capitale pubblico affidataria di un servizio
e sulla sussistenza della giurisdizione del
g.a..
L'art. 1, c. 2, del D.Lgs. n. 163/2006
(Codice dei contratti pubblici), secondo il
quale la scelta di socio privato di società
miste, a partecipazione pubblica anche
minoritaria, che siano affidatarie di
servizi pubblici, deve sempre avvenire con
procedure di evidenza pubblica, si applica
anche nell'ipotesi in cui una società mista,
ove pure non originariamente tale, apra il
proprio capitale all'apporto di un socio
privato industriale attraverso un'operazione
straordinaria di vendita di quote o di
aumento di capitale, cosicché risulti
modificato, per effetto di detta operazione,
l'assetto soggettivo della gestione.
Ogniqualvolta -attraverso il ricorso ad
operazioni di carattere straordinario
destinate a mutare la compagine di una
società che abbia ottenuto l'affidamento
diretto o tramite gara di un servizio
pubblico- si pervenga al risultato di dar
vita a una società mista oppure,
alternativamente, al risultato di modificare
il profilo soggettivo del gestore del
servizio pubblico già affidato (mediante
l'associazione al capitale e alla gestione
di nuove figure imprenditoriali o la
sostanziale sostituzione delle imprese
originariamente affidatarie), allora si
realizza in via derivata anche un diverso
affidamento del servizio pubblico.
L'affidamento di un servizio, quand'anche
realizzato attraverso la costituzione,
originaria o successiva, di una società
mista con socio privato operativo, è
un'attività sempre connotata da
autoritatività a fronte della quale si
stagliano interessi legittimi dei soggetti
coinvolti e, come tale, esso soggiace anche
all'osservanza delle regole pubblicistiche e
si deve necessariamente svolgere attraverso
procedure di evidenza pubblica, governate
dai principi del diritto interno e
sovranazionale.
Sulle vicende descritte nei precedenti
punti, la giurisdizione spetta al g.a., in
quanto giudice naturale di tutte le attività
amministrative autoritative -qualunque siano
gli strumenti giuridici utilizzati- seppure
poste in essere per tramite di soggetti
formalmente privati, ma controllati o
dominati da pubbliche amministrazioni;
Esorbita invece dalla giurisdizione
amministrativa, non configurandosi come un
PPPI, ogni altra vicenda in cui una società
affidataria di un servizio riceva apporti al
proprio capitale da parte di soggetti
privati che siano meri finanziatori, ossia
non aventi le caratteristiche di soci
industriali, o i quali comunque non
partecipino direttamente alla gestione o
allo svolgimento del servizio affidato
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 18.12.2009 n. 8376 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI: La
differenza fra l'atto di conferma e l'atto
meramente confermativo va individuata nel
fatto che il primo presuppone un
completo riesame della fattispecie, che si
conclude con la conferma dell'atto in
origine adottato dopo una nuova valutazione
da parte dell'Autorità emanante, mentre il
secondo si limita a richiamare il
precedente provvedimento ed a confermarlo
integralmente senza alcun nuovo esame degli
elementi di fatto e di diritto già
considerati, con la conseguenza, sul piano
processuale, che, mentre il primo si
sostituisce integralmente al precedente
provvedimento ed è autonomamente
impugnabile, il ricorso contro il secondo è
inammissibile perché è proposto contro un
atto privo di reale ed autonoma capacità
lesiva.
Oggetto di gravame è il diniego di
autorizzazione in variante con cui è stata
proposta una modifica delle aree da adibire
a parcheggio con conseguente riduzione della
relativa superficie, rispetto a quanto
assentito con la precedente concessione in
sanatoria dell’11.02.1994.
Osserva il Collegio che l’atto impugnato si
limita a confermare la precedente
concessione in sanatoria, senza nulla
aggiungere mentre le prescrizioni in ipotesi
effettivamente lesive, ossia quelle: che
qualificano l’intervento di ristrutturazione
anziché di manutenzione straordinaria; che
impongono la realizzazione delle aree a
parcheggio quantificate in mq 152,25 e
individuate come da tavola progettuale n. 2;
che, infine, quantificano il contributo di
costruzione dovuto, sono contenute nella
concessione in sanatoria pratica n. 273/1992
rilasciata l’11.02.1994 e rimasta
inoppugnata.
Peraltro, dall’esame della documentazione in
atti, risulta che la concessione in
sanatoria, con riferimento alla dislocazione
e alla metratura dei parcheggi, è stata
rilasciata conformemente agli elaborati
progettuali proposti dai ricorrenti
essendosi limitato il Comune a prescrivere i
tempi di realizzazione del parcheggio e il
cambio d’uso da privato a pubblico.
Va evidenziato che gli stessi ricorrenti
affermano in ricorso che la concessione
dell’11.02.1994 prevede “la seguente
illegittima prescrizione” riguardante la
formazione del parcheggio pubblico e liquida
“il contributo pretesamente dovuto”
per oneri di urbanizzazione e costo di
costruzione. Proseguono affermando: “reputando
inopportuna ed ingiustificata la
prescrizione relativa al parcheggio
pubblico, i ricorrenti con domanda
presentata il 24.04.1994 chiedevano di
essere autorizzati a variare il progetto di
parcheggio concessionato…” (cfr. pagg. 1
e 2 del ricorso).
In altri termini i ricorrenti, anziché
impugnare tempestivamente la concessione in
sanatoria ritenuta illegittima, hanno
proposto un progetto in variante tendente,
in sostanza, ad un riesame della pratica sul
quale l’amministrazione si è sinteticamente
espressa in termini negativi confermando in
toto il primo provvedimento.
Costituisce jus receptum che non
sussiste alcun obbligo per l'amministrazione
di riesaminare i propri atti divenuti
inoppugnabili, tanto che sull'istanza di
riesame presentata dal privato non può
formarsi il silenzio rifiuto (cfr. TAR
Puglia Bari, sez. III, 24.05.2004, n. 3141;
Cons. Stato, sez. V, 27.03.2000, n. 1765).
La differenza fra l'atto di conferma e
l'atto meramente confermativo va individuata
nel fatto che il primo presuppone un
completo riesame della fattispecie, che si
conclude con la conferma dell'atto in
origine adottato dopo una nuova valutazione
da parte dell'Autorità emanante, mentre il
secondo si limita a richiamare il precedente
provvedimento e a confermarlo integralmente
senza alcun nuovo esame degli elementi di
fatto e di diritto già considerati, con la
conseguenza, sul piano processuale, che,
mentre il primo si sostituisce integralmente
al precedente provvedimento ed è
autonomamente impugnabile, il ricorso contro
il secondo è inammissibile perché è proposto
contro un atto privo di reale ed autonoma
capacità lesiva (TAR Campania Napoli, sez.
VI, 23.02.2009, n. 1017).
Nel caso di specie, sebbene il provvedimento
impugnato sia stato emesso in seguito ad una
istanza di variante in corso d’opera (opera,
peraltro, mai iniziata) e apparentemente non
possa, secondo i canoni elaborati dalla
giurisprudenza, considerarsi meramente
confermativo, va tuttavia evidenziato che il
progetto in variante, sia per il contenuto
sia per il riconoscimento fattone dagli
stessi ricorrenti con le espressioni innanzi
testualmente riportate, si sostanzia in una
richiesta di riesame. Difatti le censure
contenute nel ricorso in epigrafe tendono,
in concreto, a contestare valutazioni non
già riferibili all’atto di conferma bensì
all’atto confermato, cioè alla sanatoria
dell’11.02.2009
(TAR Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 17.12.2009 n. 5569 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Per
qualificare un intervento come
ristrutturazione edilizia è sufficiente che
risultino modificati la distribuzione della
superficie interna e dei volumi
dell'edificio ovvero l'ordine in cui
risultavano disposte le diverse porzioni
dello stesso per il solo fine di rendere più
agevole la destinazione d'uso esistente,
sussistendo in questi casi un rinnovo degli
elementi costitutivi dell'edificio ed
un'alterazione dell'originaria fisionomia e
consistenza fisica dell'immobile,
incompatibili con i concetti di manutenzione
straordinaria e di risanamento conservativo,
che presuppongono invece la realizzazione di
opere che lascino inalterata la struttura
dell'edificio e la distribuzione interna
della sua superficie.
Quanto alla domanda di restituzione del
contributo versato per il rilascio della
concessione edilizia n. 273/1992, i
ricorrenti sostengono che lo stesso non era
dovuto in quanto l’intervento in discorso
doveva essere assoggettato a mera
autorizzazione, quindi con applicazione
della sola sanzione amministrativa.
Sul punto il Comune resistente obietta che
in realtà l’intervento configura una vera e
propria ristrutturazione, come tale di per
sé, eseguibile previa concessione; inoltre
fa presente che i ricorrenti partono
dall’assunto errato che il cambio di
destinazione tra diverse categorie
funzionali –produttiva–
direzionale/commerciale) fosse già stato
autorizzato quando parte dell’officina è
stata adibita ad esposizione di autoveicoli.
A prescindere dalla questione relativa al
mutamento di destinazione d’uso
dell’immobile, dall’esame delle tavole
progettuali prodotte in atti si ricava
agevolmente che l’intervento assentito
prevede modifiche strutturali con
demolizioni parziali e ricostruzioni tali da
far ritenere corretta la qualificazione
dell’intervento come ristrutturazione,
anziché manutenzione straordinaria, datane
dal Comune.
Ai sensi dell’art. 31, lett. d), della legge
05.08.1978 n. 457, gli interventi di
ristrutturazione edilizia sono quelli
rivolti a trasformare gli organismi edilizi
mediante un insieme di opere che possono
portare ad un organismo edilizio in tutto o
in parte diverso dal precedente. Tali
interventi comprendono il ripristino o la
sostituzione di alcuni elementi costitutivi
dell'edificio, la eliminazione, la modifica
e l'inserimento di nuovi elementi ed
impianti.
Per qualificare un intervento come
ristrutturazione edilizia è sufficiente che
risultino modificati la distribuzione della
superficie interna e dei volumi
dell'edificio ovvero l'ordine in cui
risultavano disposte le diverse porzioni
dello stesso per il solo fine di rendere più
agevole la destinazione d'uso esistente,
sussistendo in questi casi un rinnovo degli
elementi costitutivi dell'edificio ed
un'alterazione dell'originaria fisionomia e
consistenza fisica dell'immobile,
incompatibili con i concetti di manutenzione
straordinaria e di risanamento conservativo,
che presuppongono invece la realizzazione di
opere che lascino inalterata la struttura
dell'edificio e la distribuzione interna
della sua superficie (cfr. TAR Molise
Campobasso, sez. I, 27.03.2009, n. 99).
Trattandosi, nel caso di specie, di
trasformazione nel senso innanzi indicato,
l’intervento correttamente è stato
qualificato come ristrutturazione ed
assoggettato a concessione edilizia con
applicazione dei conseguenti oneri, ai sensi
dell’art. 13, comma 3, della L. 28.02.1985
n. 47 (cfr. TAR Campania Napoli, sez. VI,
20.05.2009, n. 2756)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 17.12.2009 n. 5569 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Ancora sul diritto di accesso ai
pareri legali resi alla PA.
Debbono quindi
ritenersi accessibili i soli pareri resi,
anche da professionisti esterni
all’amministrazione, che si inseriscono
nell’ambito di un’apposita istruttoria
procedimentale, posto che in tale evenienza
il parere è oggettivamene correlato ad un
procedimento amministrativo, mentre debbono
ritenersi coperti da segreto i pareri resi
dopo l’avvio di un procedimento contenzioso
(giudiziario, arbitrale, od anche meramente
amministrativo), oppure dopo l’inizio di
tipiche attività precontenziose (Consiglio
Stato, Sezione V, 02.04.2001, n. 1893)
(TAR Liguria, Sez. II,
sentenza 17.12.2009 n. 3782 -
link a www.altalex.com). |
AMBIENTE-ECOLOGIA -
EDILIZIA PRIVATA:
Acque. Acque meteoriche di
dilavamento.
Nel caso di una cava a cielo aperto, il
piazzale dove avviene la frantumazione, lo
stoccaggio, il caricamento ed il trasporto
del materiale estrattivo costituisce una
componente coessenziale dell’impianto
utilizzato per l’esercizio dell’attività
produttiva; l’attività complessiva in
questione trova, infatti, in tali operazioni
dei momenti di ineliminabile svolgimento del
ciclo produttivo e quindi il piazzale
finalizzato a tali essenziali lavorazioni
rientra a titolo primario nel concetto di “impianto..in
cui si svolge attività…di produzione di beni”
utilizzato nella definizione di acque reflue
industriali ribadita dall’attuale art. 74,
lettera h), del D.lgs. 03.04.2006, n. 152.
Tale connotazione, tuttavia, non risulta
sufficiente a trasformare le acque
meteoriche di dilavamento in “acque
reflue industriali”, giacché il
principale ostacolo a tale qualificazione è
frapposto dalla stessa definizione di queste
ultime, quale ricavabile dall’art. 2 del
D.lgs. n. 15299, conforme, d’altra parte,
nella sua integralità, al testo attualmente
vigente dell’art. 74, comma 1, lett. h), del
D.lgs. 03.04.2006, n. 152, quale interpolato
dall’art. 2, comma 1, del D.lgs. 16.01.2008,
n. 4.
Quest’ultimo ha infatti soppresso l’inciso
finale precedentemente inserito nel testo
dell’art. 74, comma 1, lett. h) medesimo,
secondo il quale si intendevano come acque
meteoriche di dilavamento “anche quelle
venute in contatto con sostanze o materiali,
anche inquinanti, non connessi con le
attività esercitate nello stabilimento”.
In sostanza, per il legislatore assume
importanza dirimente, ai fini della
qualificazione in parola, la circostanza che
le acque reflue siano immesse nel ciclo
produttivo in conseguenza dell’iniziativa
umana ascrivibile all’attività economica
esercitata, risultando cioè l’immissione un
momento costitutivo del processo produttivo,
come conferma altresì la pari eccettuazione
dal regime prevista per le “acque reflue
domestiche” (oltre che, appunto, per
quelle “meteoriche di dilavamento”)
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 04.12.2009 n. 7618 -
link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Distanze tra edifici.
L'art. 9 del D.M. 02.04.1968 n.1444,
nell’imporre la distanza di 10 metri tra
costruzioni, rende illegittima ogni
eventuale previsione regolamentare in
contrasto con l’anzidetto limite minimo,
mentre è indubbiamente consentito alle
amministrazioni comunali fissare distanze
superiori.
Ai fini dell’applicazione della normativa in
materia di distanze tra edifici, per nuova
costruzione deve intendersi non solo la
realizzazione ex novo d’un fabbricato
ma anche qualsiasi modificazione nella
volumetria d’un fabbricato preesistente, che
ne comporti l’aumento della sagoma
d’ingombro, in tal guisa direttamente
incidendo sulla situazione degli spazi tra
gli edifici esistenti, e ciò anche
indipendentemente dalla realizzazione o meno
d'una maggior volumetria e/o
dall'utilizzabilità della stessa a fini
abitativi; per il che si è ripetutamente
ritenuto che la sopraelevazione, appunto,
costituisca, a tutti gli effetti, nuova
costruzione (TAR Campania-Napoli, Sez. II,
sentenza 02.12.2009 n. 8326 -
link a www.lexambiente.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Ambiente in genere.
Legittimazione ad agire delle associazioni
di protezione ambientale.
La peculiarità della legittimazione delle
associazioni di protezione ambientale (ma il
discorso vale anche per quelle di protezione
faunistica, tanto più quando –come nel caso
di specie, secondo ciò che si ricava dagli
atti di causa– si tratta di associazione
riconosciuta ex art. 13 della l. n.
349/1986) consiste nel fatto che essa è
attribuita non ad un soggetto individuale,
ma ad un ente esponenziale di interessi
diffusi, legittimato ad impugnare qualsiasi
provvedimento lesivo di un bene ambientale
giuridicamente rilevante.
Una volta che l’associazione è individuata
con il decreto del Ministro dell’Ambiente ex
art. 13 della l. n. 349 cit. ed è, quindi,
titolare in astratto del potere di proporre
ricorso dinanzi al giudice amministrativo,
le condizioni per agire in giudizio sono
uguali a quelle che devono esistere affinché
ogni soggetto dell’ordinamento abbia in
concreto legittimazione ad agire in
giudizio. Ciò sta a dire che il soggetto
dovrà essere titolare di una posizione
legittimante caratterizzata dalla
qualificazione e dalla differenziazione.
Quest’ultima può discendere dall’atto
amministrativo, non soltanto quando esso
incide direttamente nella sfera giuridica
del soggetto, ma anche quando vi è un
collegamento tra tale sfera ed il bene della
vita oggetto della potestà pubblica, in base
al quale l’atto, producendo i suoi effetti,
è destinato ad interferire sulla posizione
sostanziale del ricorrente.
La qualificazione, invece, sta a significare
che l’interesse, individuale o collettivo, è
considerato dalla norma attributiva del
potere, nel senso che detta norma, ovvero
l’ordinamento nel suo complesso, devono
prendere in considerazione, oltre
l’interesse pubblico che la norma stessa è
precipuamente preordinata a soddisfare,
anche l’interesse individuale, o, come nel
caso in discorso, diffuso, facente capo al
soggetto che intende agire in giudizio.
Pertanto, la posizione delle suddette
associazioni di protezione ambientale (o
faunistica) riconosciute, certamente
differenziata da quella della generalità dei
consociati, è anche qualificata quando
l’interesse sostanziale dedotto in giudizio
dall’associazione attiene ad un bene
ambientale preso in considerazione
dall’ordinamento ed invece non è qualificata
quando il bene che si mira a tutelare non
viene individuato dall’ordinamento come
rilevante sotto il profilo ambientale (TAR
Toscana, Sez. II,
sentenza 02.12.2009 n. 2584 -
link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Lombardia,
tralicci per la radiodiffusione sonora o
televisiva.
Il procedimento da
seguire in materia di realizzazione delle
infrastrutture di comunicazione per impianti
radioelettrici è unico ed é quello di cui
agli articoli 87 e seguenti del Codice delle
Comunicazioni elettroniche (D.Lgs. n. 259
del 2003). La previsione contenuta nell'art.
28 del d.lgs. 177/2005, laddove prescrive
che “la titolarità di autorizzazione o di
altro legittimo titolo per la
radiodiffusione sonora o televisiva dà
diritto ad ottenere dal comune competente il
rilascio di permesso di costruire per gli
impianti di diffusione e di collegamento
eserciti e per le relative infrastrutture”,
contiene una espressa clausola di salvezza
in favore del titolare di autorizzazione per
la radiodiffusione il diritto, il quale ha
la facoltà -ma non l’obbligo- di chiedere il
rilascio del permesso a costruire,
analogamente a quanto previsto, con maggiore
chiarezza, dal t.u. dell’edilizia il cui
art. 22 u.c. riconosce la facoltà
dell’interessato di chiedere il rilascio del
permesso di costruire per la realizzazione
di interventi (altrimenti) subordinati alla
(presentazione di una) semplice denuncia di
inizio attività.
Nella soluzione
della questione di diritto in esame, sulla
quale non constano precedenti in termini, è
necessario richiamare l’indirizzo
giurisprudenziale formatosi sul tema più
generale della disciplina applicabile ai
procedimenti autorizzatori relativi alle
infrastrutture di comunicazioni elettroniche
per impianti radioelettrici (comprendenti
non solo l'installazione delle stazioni
radio base di telefonia mobile, ma anche
l'espletamento dei servizi di trasmissione
radioelettrica e televisiva, a prescindere
dalla consistenza dei relativi impianti,
come si ricava dagli artt. 1 e 2 del Codice
– v. Tar Lazio, Roma, II, n. 6056/2006
cit.).
Secondo tale indirizzo, alla luce degli
obiettivi generali della disciplina delle
reti e dei servizi di comunicazione
elettronica, che risultano fissati dall'art.
41, comma 2, lettera a), n. 3 della
legge-delega 01/08/2002, n. 166 e che mirano
a promuovere "la semplificazione dei
procedimenti amministrativi e la
partecipazione ad essi dei soggetti
interessati, attraverso l'adozione di
procedure tempestive, non discriminatorie e
trasparenti" (cfr. art. 4, comma 3,
lett. a) del Codice delle comunicazioni
elettroniche), deve ritenersi unico il
procedimento da seguire in materia di
realizzazione delle infrastrutture di
comunicazione per impianti radioelettrici
(cfr. Cons. Stato, VI, n. 3040/2005, n.
100/2005, n. 4159/2005; Tar Lazio, Roma, II,
n. 2902/2005. v. altresì Corte cost. n.
129/2006 nel senso dell’illegittimità della
disposizione della l.r. Lombardia 12/2005
nella parte in cui stabiliva la necessità
del permesso a costruire per la
realizzazione di strutture radio). Con la
precisazione che non solo l’interpretazione
finalistica ma anche quella più strettamente
letterale conducono a considerare
omnicomprensivo l'iter procedimentale
delineato dalla disciplina speciale,
introdotta all'art. 87 del Codice delle
comunicazioni elettroniche, nel senso che in
quel contesto devono essere compiute le
valutazioni relative a tutti gli interessi
coinvolti dall'installazione delle
infrastrutture di telecomunicazione, com'è
dimostrato dalla previsione, racchiusa nel
comma 6 di tale disposizione, della
convocazione di una conferenza di servizi,
nel caso di motivato dissenso di una delle
amministrazioni interessate, per l'adozione,
a maggioranza ed in via sostitutiva, di atti
di competenza di singole Amministrazioni
(cfr. Cons. st., VI, n. 4159/2005, cit.).
Orbene, reputa il Collegio che le stesse
considerazioni di ordine generale possano
valere anche nel caso di specie, al fine di
ribadire la necessità di applicare
unicamente la disciplina speciale di cui al
d.lgs. 259/2003.
Nella vicenda in esame si può sottolineare,
in aggiunta a quanto sinora evidenziato,
come lo stesso art. 28 del d.lgs. 177/2005,
laddove prescrive che “la titolarità di
autorizzazione o di altro legittimo titolo
per la radiodiffusione sonora o televisiva
dà diritto ad ottenere dal comune competente
il rilascio di permesso di costruire per gli
impianti di diffusione e di collegamento
eserciti e per le relative infrastrutture”,
contenga una espressa clausola di salvezza
relativamente alla “disciplina vigente in
materia di realizzazione di infrastrutture
di comunicazione elettronica”. Sicché
sembra possibile ritenere che, nella materia
qui in esame, il legislatore abbia voluto
prevedere in favore del titolare di
autorizzazione per la radiodiffusione il
diritto (rectius la facoltà), ma non
l’obbligo, di chiedere il rilascio del
permesso a costruire, analogamente a quanto
previsto, con maggiore chiarezza, dal t.u.
dell’edilizia il cui art. 22 u.c. riconosce,
come noto, la facoltà dell’interessato di
chiedere il rilascio del permesso di
costruire per la realizzazione di interventi
(altrimenti) subordinati alla (presentazione
di una) semplice denuncia di inizio
attività.
Nel caso di specie, poiché l’istante non si
era avvalsa di tale facoltà ma aveva
attivato la procedura semplificata di cui
all’art. 87 d.lgs. 259/2003, e poiché
l’amministrazione nell’ambito di tale
procedimento non aveva espresso alcun
motivato dissenso nel termine di 90 giorni,
in applicazione del comma 9, l’istanza
doveva ritenersi già accolta, nella forma
del silenzio-assenso, alla data di
emanazione dell’atto di diffida.
Ne consegue la fondatezza del ricorso e, per
l’effetto, l’annullamento del provvedimento
impugnato in uno con l’accertamento che,
decorso il termine ex art. 87 d.lgs.
259/2003, l’originaria istanza presentata
dalla ricorrente deve intendersi accolta e
che, pertanto, le opere assentite potranno
essere realizzate, fatte salve naturalmente
eventuali determinazioni in autotutela
dell’amministrazione competente
(TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 26.11.2009 n. 5163 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI: Emerge
con chiarezza un “distinguo” fra pareri
legali resi in relazione a contenziosi
(sottratti al diritto di accesso) e pareri
legali che rappresentano, anche, un
passaggio procedimentale istruttorio di un
procedimento amministrativo in corso.
Non è la sola natura dell’atto a
giustificarne la segretezza, ma la funzione
che l’atto svolge nell’azione dell’
Amministrazione.
La Regione ha ritenuto di negare l’accesso
(al parere legale ed atti connessi) in
quanto gli atti richiesti rientrerebbero nei
casi di “segreto”, ex art. 24, comma
1°, della L. 241/1990, trattandosi di atti
resi in relazione a liti pendenti.
In particolare la conoscenza del parere reso
dal prof. Paolo Urbani, consulente esterno
della Presidenza della GR, implicherebbe, la
conoscenza delle argomentazioni difensive
che la Regione prospetterà nei ricorsi
pendenti, con violazione del diritto di
difesa.
La questione si colloca in un ambito
peculiare di “scontro” fra due
interessi/diritti tutelati dall’ordinamento:
- da un lato la necessità di trasparenza
nell’agire amministrativo;
- dall’altro la tutela e la necessità di
riservatezza e segretezza di atti che
contengono “impostazioni difensive”
connesse a contenziosi presenti o futuri.
L’ordinamento, ben consapevole,
dell’esistenza di tale contrapposizione, a
livello statale, è intervenuto con la
specifica disciplina contenuta nel DPCM
26.01.1996, n. 200 “Regolamento recante
norme, per la disciplina di categorie di
documenti formati o comunque rientranti
nell'ambito delle attribuzioni
dell'Avvocatura dello Stato sottratti al
diritto di accesso”, che, all’art. 2,
espressamente dispone che :
“Ai sensi dell'art. 24, comma 1, della
legge 07.08.1990, n. 241, in virtù del
segreto professionale già previsto
dall'ordinamento, al fine di salvaguardare
la riservatezza nei rapporti fra difensore e
difeso sono sottratti all'accesso i seguenti
documenti:
a) pareri resi in relazione a lite in
potenza o in atto e la inerente
corrispondenza;
b) atti defensionali;
c) corrispondenza inerente agli affari di
cui ai punti a ) e b )”.
Emerge, a livello regolamentare statale, una
espressa disposizione che privilegia, la
tutela alla segretezza rispetto alla tutela
alla trasparenza.
Analogamente la giurisprudenza (cfr. CS IV
08.02.2001 n. 513 –richiamata anche dalla
prima nota di diniego impugnata), ha avuto
modo di esprimersi in favore del principio
di riservatezza, seppure con specifico
riferimento ad un caso peculiare (parere
reso dal Coordinatore Generale ai sensi
dell'art. 11, comma 2, della legge regionale
26.08.1988, n. 32).
Peraltro già in quella sentenza del
Consiglio di Stato emerge con chiarezza un “distinguo”
fra pareri legali resi in relazione a
contenziosi (sottratti al diritto di
accesso) e pareri legali che rappresentano,
anche, un passaggio procedimentale
istruttorio di un procedimento
amministrativo in corso. L’organo d’appello,
infatti, in quella medesima decisione
afferma:
“Quanto alla richiesta di accesso al
parere richiesto dall'Assessore Giuseppina
Cremascoli all'Ufficio legale regionale,
risultante dalla nota assessoriale n. 34651
del 22.12.1994, l'Amministrazione regionale
deve valutare se tale parere rientri tra
quelli resi in relazione a liti in pendenza,
ovvero tra gli atti interni, preordinati
all'emanazione di un provvedimento
amministrativo.”
Se ne deduce che non è la sola natura
dell’atto a giustificarne la segretezza, ma
la funzione che l’atto svolge nell’azione
dell’ Amministrazione.
In particolare se l’organo che adotta un
provvedimento pone, per sua scelta
discrezionale, a fondamento della
determinazione finale il contenuto di un
parere reso anche per altri fini, come è
avvenuto con la deliberazione n. 35/11
dell’08.08.2006, facendo esplicito
riferimento ai principi della motivazione
per relationem, il parere diviene
suscettibile di accesso da parte di chiunque
dimostri la sussistenza di un qualificato
interesse a conoscerne il contenuto ed alla
sua visione, poiché, per effetto del
richiamo, ha assunto una funzione diversa,
quella di giustificare l’esercizio del
potere e diviene per ciò stesso accessibile.
Il vincolo di segretezza, quindi, per tale
parte, non può operare in quanto il
principio della riservatezza recede qualora
il parere costituisca una fase di un
procedimento amministrativo in atto.
Anche in tempi più recenti il Consiglio di
Stato ha ribadito che “tale divieto,
viceversa, non opera nei confronti di un
parere legale che, laddove oggettivamente
correlato ad un procedimento, assume valenza
endo-procedimentale, decadendo a ruolo di
mero elemento istruttorio” (cfr.
Consiglio Stato, sez. V, 15.04.2004, n.
2163).
In questo specifico caso, il Collegio
osserva, per completezza d’indagine, che
proprio per la funzione strumentale assunta
dall’atto del privato, il cui contenuto, o
parte di esso, è stato fatto proprio
dall’amministrazione, il soggetto nominato
come autore del parere non assume la veste
di controinteressato e non sussistono,
quindi, le esigenze di tutela del
contraddittorio preventivo, riconosciute
come meritevoli di apprezzamento, in
generale, dalla giurisprudenza (Consiglio
Stato a. plen., 24.06.1999, n. 16, Consiglio
Stato , sez. IV, 26.06.2002, n. 3549).
Il ricorso è, quindi, fondato, per la parte
in cui la società ha richiesto il parere del
prof. Urbani, e nella specie per quanto
attiene le correlate motivazioni riportate e
richiamate (per relationem) nella
delibera della Giunta regionale 35/11
dell’08.08.2006.
L’esercizio del diritto di accesso (e
l’estrazione di copia), per questa parte, è,
infatti, finalizzato ad ottenere tutti gli
elementi necessari per tutelare la propria
posizione e per esercitare le azioni di
tutela che vanno riconosciute alla parte
privata.
“Quando il parere di un legale esterno ad
un ente, da quest'ultimo richiesto in
relazione ad uno specifico procedimento
amministrativo, viene utilizzato in tale
contesto ed è così richiamato nel
provvedimento conclusivo, tale consulenza,
pur traendo origine da un rapporto
privatistico caratterizzato dalla
riservatezza della relazione tra p.a. e
professionista, è pur sempre soggetto
all'accesso in quanto oggettivamente
correlato ad un procedimento amministrativo"
(Consiglio Stato, sez. V, 02.04.2001, n.
1893; v. anche TAR Sardegna 24.06.2003 n.
764)
(TAR Sardegna, Sez. II,
sentenza 26.01.2007 n. 38 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
I pareri legali
dell'Amministrazione Comunale sono sottratti
all'accesso.
Essendo il segreto
professionale specificatamente tutelato
dall’ordinamento, sono sottratti all’accesso
gli scritti defensionali, in ossequio
all’esigenza di salvaguardare la strategia
processuale che la parte intende assumere,
non essendo la stessa tenuta a rivelare ad
alcun soggetto gli argomenti in base ai
quali intende confutare le pretese
avversarie.
Come puntualmente osservato dal Comune di
Reggio Calabria, nella sentenza con cui il
Tribunale ha già definito il precedente
giudizio in senso sfavorevole all’odierno
ricorrente è stato chiaramente affermato
che, in linea con un orientamento
giurisprudenziale assolutamente consolidato
(cfr., tra le altre, Consiglio di Stato,
Sezione IV, n. 6200 del 13.10.2003), la
previsione contenuta nell’articolo 2 del
Decreto Presidenziale del Consiglio
26.01.1996, n. 200 (Regolamento recante
norme per la disciplina di categorie di
documenti dell’Avvocatura dello Stato
sottratti al diritto di accesso) risulta
applicabile, in quanto norma di principio,
anche al di là dell’ambito della difesa
erariale.
La disposizione indicata stabilisce che, ai
sensi dell’art. 24, primo comma, della legge
n. 241/1990, in virtù del segreto
professionale già previsto dall’ordinamento
al fine di salvaguardare la riservatezza nei
rapporti tra difensore e difeso, siano
sottratti all’accesso i seguenti documenti:
a) pareri resi in relazione a lite in
potenza o in atto e la inerente
corrispondenza;
b) atti defensionali;
c) corrispondenza inerente agli affari di
cui ai punti a) e b).
Il Consiglio di Stato, al riguardo, ha
chiarito che la norma in questione ha una
portata di carattere generale e codifica il
principio, valevole per tutti gli avvocati
del libero foro o appartenenti ad uffici
legali di enti pubblici, secondo cui,
essendo il segreto professionale
specificatamente tutelato dall’ordinamento,
sono sottratti all’accesso gli scritti
defensionali, in ossequio all’esigenza di
salvaguardare la strategia processuale che
la parte intende assumere, non essendo la
stessa tenuta a rivelare ad alcun soggetto
gli argomenti in base ai quali intende
confutare le pretese avversarie.
Nel caso di specie, l’affermazione di parte
ricorrente secondo cui la nota in questione
presenterebbe natura squisitamente
amministrativa non appare condivisibile,
atteso che il documento di cui si tratta
rientra perfettamente nella tipologia di cui
alla sopra menzionata lett. c): “corrispondenza
inerente agli affari di cui ai punti a) e b)”.
E’ evidente, peraltro, avuto riguardo alla “ratio”
della disciplina, che l’esclusione
dall’accesso anche dei documenti di cui alla
menzionata lett. c) si spiega in ragione
della concreta possibilità che nelle stesse
note di trasmissione siano contenute
specifiche informazioni o particolari
indicazioni volte a indirizzare in una
direzione determinata la strategia
defensionale dell’Amministrazione, con
conseguente inibizione per qualsiasi terzo
di invadere la sfera del segreto
professionale intercorrente tra i legali ed
i propri assistiti.
Come, poi, acutamente rilevato dal Comune
resistente, nell’ipotesi in cui la nota di
trasmissione di cui si discute fosse
effettivamente un semplice documento privo
di qualsivoglia autonomo contenuto, il
ricorrente non avrebbe alcun interesse a
prenderne visione, posto che la sua
conoscenza risulterebbe assolutamente
superflua al fine di meglio tutelare la
propria posizione giuridica nella questione
controversa pendente presso il Tribunale di
Reggio Calabria
(TAR Calabria-Reggio Calabria, Sez. I,
sentenza 12.12.2006 n. 1815 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Nell'ambito dei segreti sottratti
all'accesso ai documenti rientrano gli atti
redatti dai legali e dai professionisti in
relazione a specifici rapporti di consulenza
con l'amministrazione, trattandosi di un
segreto che gode di una tutela qualificata,
dimostrata dalla specifica previsione degli
articoli 622 del codice penale e 200 del
codice di procedura penale.
La predetta regola ha una portata generale,
codificando il principio, valevole per tutti
gli avvocati, siano essi del libero foro o
appartenenti ad uffici legali di enti
pubblici, secondo cui, essendo il segreto
professionale specificamente tutelato
dall'ordinamento, sono sottratti all'accesso
gli scritti defensionali, rispondendo il
principio in parola ad elementari
considerazioni di salvaguardia della
strategia processuale della parte, che non è
tenuta a rivelare ad alcun soggetto e, tanto
meno, al proprio contraddittore, attuale o
potenziale, gli argomenti in base ai quali
intende confutare le pretese avversarie.
Le consulenze legali restano caratterizzate
dalla riservatezza che mira a tutelare non
solo l'opera intellettuale del legale ma
anche la stessa posizione
dell'amministrazione la quale, esercitando
il proprio diritto di difesa, protetto
costituzionalmente, deve poter fruire di una
tutela non inferiore a quella di qualsiasi
altro soggetto dell'ordinamento.
L’oggetto della controversia concerne
l’esistenza o meno del diritto del
ricorrente di accedere al parere legale reso
dall’avv. A. Pace in favore del Comune
intimato.
Gli artt. 22 e seguenti della L. n.
241/1990, dopo avere riconosciuto un’ampia
portata al diritto di accesso, prevedono
alcune limitazioni di carattere oggettivo,
definendo le ipotesi in cui determinate
categorie di atti sono sottratte alla
conoscenza degli interessati in ragione del
loro particolare collegamento con interessi
e valori giuridici ritenuti meritevoli di
peculiare tutela da parte dell'ordinamento.
In particolare l'art. 24 della legge n.
241/1990 stabilisce che il diritto di
accesso "è escluso per i documenti
coperti da segreto di Stato ai sensi
dell'articolo 12 della legge 24 ottobre
1977, n. 801, nonché nei casi di segreto o
di divieto di divulgazione altrimenti
previsti dall'ordinamento".
La norma in esame, pertanto, evidenzia che
la legge n. 241/1990, se ridimensiona la
portata sistematica del segreto
amministrativo, non travolge le fattispecie,
tipicamente previste dal legislatore, in cui
il divieto di divulgazione dell’atto è
finalizzato a tutelare interessi specifici
diversi da quello riconducibile alla mera
protezione dell'esercizio della funzione
amministrativa.
I due criteri direttivi che devono orientare
l'interprete per l'individuazione delle
discipline sul segreto non pregiudicate
dalla nuova normativa in materia di accesso
vanno, pertanto, individuati, da un lato,
nel fatto che il "segreto" che
preclude l’ostensibilità dei documenti non
deve costituire la mera riaffermazione del
tramontato principio di assoluta
riservatezza dell'azione amministrativa e,
dall'altro, nella considerazione per cui il
segreto fatto salvo dalla legge n. 241/1990
si riferisce esclusivamente ad ipotesi in
cui esso intende salvaguardare interessi di
natura e consistenza diversa da quelli
genericamente amministrativi.
In tale contesto, deve ritenersi,
conformemente all’orientamento
giurisprudenziale consolidato (per cui
C.d.S. sez. IV n. 6200/2003; C.d.S. sez. V
n. 1893/2001; C.d.S. sez. V n. 5105/2000;
TAR Lazio–Roma sez. III n. 8466/2003; TAR
Sardegna n. 893/2003; TAR Campania–Napoli n.
386/2003), che, nell'ambito dei segreti
sottratti all'accesso ai documenti,
rientrano gli atti redatti dai legali e dai
professionisti in relazione a specifici
rapporti di consulenza con
l'amministrazione, trattandosi di un segreto
che gode di una tutela qualificata,
dimostrata dalla specifica previsione degli
articoli 622 del codice penale e 200 del
codice di procedura penale.
In quest’ottica si è precisato (C.d.S. sez.
IV n. 6200/2003 cit.) che la previsione
contenuta nell'articolo 2 del Decreto del
Presidente del Consiglio n. 200 del
26.01.1996 (regolamento recante norme per la
disciplina di categorie di documenti
dell'Avvocatura dello Stato sottratti al
diritto di accesso) mira proprio a definire
con chiarezza il rapporto tra accesso e
segreto professionale, fissando una regola
che appare sostanzialmente ricognitiva dei
principi applicabili in questa materia,
anche al di fuori dell'ambito della difesa
erariale.
La disposizione, rubricata "categorie di
documenti inaccessibili nei casi di segreto
o di divieto di divulgazione previsti
dall'ordinamento", stabilisce che, "ai
sensi dell'art. 24, comma 1, della legge
07.08.1990, n. 241, in virtù del segreto
professionale già previsto dall'ordinamento,
al fine di salvaguardare la riservatezza nei
rapporti tra difensore e difeso, sono
sottratti all'accesso i seguenti documenti:
a) pareri resi in relazione a lite in
potenza o in atto e la inerente
corrispondenza;
b) atti defensionali;
c) corrispondenza inerente agli affari di
cui ai punti a) e b)".
La medesima giurisprudenza ha chiarito che
la predetta regola ha una portata generale,
codificando il principio, valevole per tutti
gli avvocati, siano essi del libero foro o
appartenenti ad uffici legali di enti
pubblici, secondo cui, essendo il segreto
professionale specificamente tutelato
dall'ordinamento, sono sottratti all'accesso
gli scritti defensionali (Cons. Stato, IV,
27.08.1998, n. 1137), rispondendo il
principio in parola ad elementari
considerazioni di salvaguardia della
strategia processuale della parte, che non è
tenuta a rivelare ad alcun soggetto e, tanto
meno, al proprio contraddittore, attuale o
potenziale, gli argomenti in base ai quali
intende confutare le pretese avversarie.
Quanto alla consulenza legale esterna deve
ritenersi che, nell'ipotesi in cui essa si
inserisce nell'ambito di un'apposita
istruttoria procedimentale, nel senso che il
parere è richiesto al professionista con
l'espressa indicazione della sua funzione
endoprocedimentale ed è poi richiamato nella
motivazione dell'atto finale, la stessa, pur
traendo origine da un rapporto privatistico,
normalmente caratterizzato dalla
riservatezza della relazione tra
professionista e cliente, è soggetta
all'accesso perché oggettivamente correlata
ad un procedimento amministrativo.
Viceversa, allorché la consulenza si
manifesta dopo l'avvio di un procedimento
contenzioso (giudiziario, arbitrale, od
anche meramente amministrativo) oppure dopo
l'inizio di tipiche attività precontenziose
e l'amministrazione si rivolge ad un
professionista di fiducia, al fine di
definire la propria strategia difensiva
(accoglimento della pretesa, resistenza in
giudizio, adozione di eventuali
provvedimenti di autotutela, ecc.), il
parere del legale non è affatto destinato a
sfociare in una determinazione
amministrativa finale ma mira a fornire
all'ente pubblico tutti gli elementi
tecnico-giuridici utili per tutelare i
propri interessi.
In quest’ultima ipotesi le consulenze legali
restano caratterizzate dalla riservatezza
che mira a tutelare non solo l'opera
intellettuale del legale ma anche la stessa
posizione dell'amministrazione la quale,
esercitando il proprio diritto di difesa,
protetto costituzionalmente, deve poter
fruire di una tutela non inferiore a quella
di qualsiasi altro soggetto
dell'ordinamento.
Ad analoga conclusione deve pervenirsi in
riferimento al caso in cui la richiesta del
parere interviene in una fase intermedia,
successiva al perfezionamento del
procedimento amministrativo, ma anteriore
all'instaurazione di un giudizio o all'avvio
dell'eventuale fase precontenziosa.
Anche in tali ipotesi, infatti, il ricorso
alla consulenza legale persegue lo scopo di
consentire all'amministrazione di articolare
le proprie strategie difensive in ordine ad
un lite che, pur non essendo ancora in atto,
può considerarsi quanto meno potenziale.
Con riferimento specifico alla fattispecie
di causa il Collegio ritiene pienamente
legittimo l’atto impugnato nella parte in
cui respinge l’istanza di accesso in quanto
il parere legale richiesto dal ricorrente
rientrerebbe negli atti coperti da segreto
professionale e, comunque, non sarebbe
collegato ad alcuna attività provvedimentale
dell’ente ma sarebbe rivolto ad orientare il
Comune nella propria strategia più
conveniente in relazione ad una lite
potenziale (TAR Sicilia-Catania, Sez. II,
sentenza 18.01.2005 n. 37 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI: I
pareri dell'Avvocatura Distrettuale dello
Stato si considerano soggetti all’accesso
ove siano riferiti all’iter procedimentale e
vengano pertanto ad innestarsi nel
provvedimento finale, mentre risultano
coperti dal segreto professionale (artt. 622
c.p. e 200 c.p.p.) quando attengano alle
tesi difensive in un procedimento
giurisdizionale.
Secondo l’orientamento giurisprudenziale
dominante i pareri dell'Avvocatura
Distrettuale dello Stato si considerano
soggetti all’accesso ove siano riferiti
all’iter procedimentale e vengano pertanto
ad innestarsi nel provvedimento finale,
mentre risultano coperti dal segreto
professionale (artt. 622 c.p. e 200 c.p.p.)
quando attengano alle tesi difensive in un
procedimento giurisdizionale (cfr.: Cons.
Stato, Sez. V, 26.09.2000, n. 5105; Cons.
Stato, Sez. V, 02.04.2001, n. 1893; TAR
Puglia-Bari 16.01.2001, n. 124):
considerazione quest’ultima che trova
riscontro anche negli artt. 2 e 5 del
D.P.C.M. 26.01.1996, n. 200 (Regolamento
recante norme per la disciplina di categorie
di documenti formati o comunque rientranti
nell’ambito delle attribuzioni
dell’Avvocatura dello Stato sottratti al
diritto di accesso).
Nella specie, la deliberazione della Giunta
regionale n. 445 del 2000 riporta cinque
pareri con diversa connotazione.
Invero, due pareri (note n. 3459 del
09.10..1999 e n. 4236 del 03.12.1999) sono
innegabilmente riferibili alla fase
procedimentale amministrativa (accettabilità
della nuova offerta della Faber s.r.l. e
modalità di presentazione dei progetti
esecutivi degli offerenti), come traspare
dalla parte motiva dell’atto deliberativo:
essi devono quindi ritenersi oggetto del
diritto di accesso ai sensi dell’art. 25
della legge n. 241 del 1990.
Per contro, gli altri tre pareri (nota n.
4289 del 07.12.1999, nonché note del 21
gennaio e del 21.02.2000), pur potendo far
sorgere qualche dubbio in ordine alle
effettive finalità, sembrano tesi a valutare
l’aspetto comportamentale
dell’Amministrazione regionale: come tali
vanno fatti rientrare nell’ambito della
funzione di consulenza legale, con rilevanza
sulla vertenza civile pendente avanti al
Tribunale di Trento, restando perciò stesso
coperti dal segreto professionale.
Il ricorso va quindi accolto nei termini
esposti, ordinando alla Regione di esibire
alla Società ricorrente i documenti sopra
specificati (con facoltà di averne copia
conforme all’originale) e cioè le note
(pareri) dell’Avvocatura Distrettuale dello
Stato n. 3459 del 09.10.1999 e n. 4236 del
03.12.1999
(TRGA Trentino Alto Adige-Trento, Sez. I,
sentenza 27.01.2003 n. 39 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
CONSIGLIERI COMUNALI: -
Il diritto di accesso del consigliere
comunale non riguarda soltanto le competenze
amministrative del Consiglio comunale ma investe l’esercizio del munus
di cui egli è investito in tutte le sue
potenziali implicazioni, al fine di una
compiuta valutazione della correttezza e
dell’efficacia dell’operato
dell’Amministrazione comunale.
- Il consigliere che esercita tale diritto
non è tenuto a specificare i motivi della
richiesta, “né gli organi burocratici
dell’ente hanno titolo per richiederli
perché, in caso contrario, questi ultimi
sarebbero arbitri di stabilire l’estensione
del controllo sul loro operato”.
- L'ordinamento assicura ai consiglieri
comunali la possibilità di prendere visione
dei provvedimenti adottati dall’ente e degli
atti preparatori in essi richiamati nonché
di avere dall’ente tutte le informazioni che
siano utili all’espletamento del mandato,
senza alcuna limitazione derivante dalla
loro natura riservata, dal momento che essi
pure sono vincolati all’osservanza del
segreto nei casi specificati dalla legge.
Tale facoltà va ora integrata con le
disposizioni sul diritto di accesso recate
dal capo quinto della legge n. 241/1990, in
cui è prevista espressamente la possibilità
di ottenere copia dei documenti”.
-
L'illegittimo diniego di
accesso opposto dal sindaco al consigliere
comunale integra un comportamento
caratterizzato da colpa grave; sussiste,
pertanto, responsabilità amministrativa in
capo al sindaco qualora dal predetto diniego
sia derivata la condanna del Comune al
pagamento delle relative spese di giudizio.
- Nell’ambito dei segreti sottratti
all’accesso ai documenti, rientrano gli atti
redatti dai legali e dai professionisti in
relazione a specifici rapporti di consulenza
con l’amministrazione. Si tratta, infatti,
di un segreto che gode di una tutela
qualificata, dimostrata dalla specifica
previsione degli articoli 622 del codice
penale e 200 del codice di procedura penale.
-
L’amministrazione può ricorrere alle
consulenze legali esterne in diverse forme
ed in diversi momenti dell’attività
amministrativa di sua competenza. Le
differenze tra i vari contesti si riflette
anche sulla disciplina dell’accesso ai
documenti.
In materia di accesso agli atti da parte dei
consiglieri comunali questo Consiglio ha
chiarito quanto segue.
a) Il diritto di accesso del consigliere
comunale non riguarda soltanto le competenze
amministrative del Consiglio comunale ma,
essendo riferito all’espletamento del
mandato, investe l’esercizio del munus
di cui egli è investito in tutte le sue
potenziali implicazioni, al fine di una
compiuta valutazione della correttezza e
dell’efficacia dell’operato
dell’Amministrazione comunale (Sez. V,
21.02.1994, n. 119).
Il diritto del
consigliere comunale di ottenere tutte le
notizie e le informazioni in possesso degli
uffici comunali "utili all'espletamento
del proprio mandato", previsto dall'art.
31, comma 5, della l. 08.06.1990 n. 142,
fornisce una veste particolarmente
qualificata all'interesse all'accesso del
titolare di tale funzione pubblica, che
legittima l'interessato all'esame ed
all'estrazione di copia dei documenti che
contengono le predette notizie ed
informazioni. Tali facoltà spettano infatti
a qualunque cittadino che vanti un interesse
qualificato e sono, a maggior ragione,
contenute nella più ampia e qualificata
posizione di pretesa all'informazione
spettante ratione officii al
consigliere comunale;
b) Il consigliere che esercita tale diritto
non è tenuto a specificare i motivi della
richiesta, “né gli organi burocratici
dell’ente hanno titolo per richiederli
perché, in caso contrario, questi ultimi
sarebbero arbitri di stabilire l’estensione
del controllo sul loro operato” (Sez. V,
07.05.1996, n. 528).
In virtù del combinato disposto dell'art. 24
l. 27.12.1985 n. 816 e dell'art. 31, comma
5, l. 08.06.1990 n. 142, i consiglieri
comunali e provinciali hanno diritto
d'ottenere dagli enti d'appartenenza, dalle
loro aziende e dagli enti dipendenti tutte
le notizie e informazioni in loro possesso,
utili all'espletamento del loro mandato
elettivo -anche mercé il rilascio di copia
dei documenti richiesti secondo le procedure
d'accesso ex l. 07.08.1990 n. 241-, senza
necessità di specificare i motivi della
richiesta, né l'interesse sotteso come ogni
altro privato cittadino, in caso contrario
pervenendosi alla paradossale situazione per
cui gli organi di governo dell'ente
sarebbero arbitri di stabilire essi stessi
l'estensione del controllo sul proprio
operato (Cons. Stato, Sez. V, 22.02.2000, n.
940);
c) Le due norme citate, infine, “si
integrano a vicenda nell’intento di
assicurare ai consiglieri comunali la
possibilità di prendere visione dei
provvedimenti adottati dall’ente e degli
atti preparatori in essi richiamati nonché
di avere dall’ente tutte le informazioni che
siano utili all’espletamento del mandato,
senza alcuna limitazione derivante dalla
loro natura riservata, dal momento che essi
pure sono vincolati all’osservanza del
segreto nei casi specificati dalla legge.
Tale facoltà va ora integrata con le
disposizioni sul diritto di accesso recate
dal capo quinto della legge n. 241/1990, in
cui è prevista espressamente la possibilità
di ottenere copia dei documenti” (Sez.
V, 20.02.2000, n. 940; cfr. anche Sez. V,
06.12.1999, n. 2045).
Su tale normativa si è anche pronunciato il
Garante per la protezione dei dati personali
(il 20.05.1998) affermando, in particolare,
che:
a) la legge n. 675 del 1996 non ha apportato
modifiche al citato articolo 31, comma 5,
della legge n. 142 del 1990, “in quanto
il principio di trasparenza affermato da
tale disposizione è compatibile con le nuove
norme in materia di protezione dei dati
personali (art. 43, comma 2)”, e
dovendosi considerare il suddetto articolo
31 “una delle disposizioni che secondo
l’articolo 27 della legge n. 675 del 1996
permettono di trattare dati ed informazioni
per il perseguimento di finalità
istituzionali”;
b) tale generale diritto di accesso del
consigliere comunale, da esercitarsi
riguardo ai dati effettivamente utili per
l’esercizio del mandato e ai fini di questo,
deve essere coordinato con altre norme
vigenti, come quelle che tutelano il segreto
delle indagini penali o la segretezza della
corrispondenza e delle comunicazioni, nonché
rispettando il dovere di segreto “nei
casi espressamente determinati dalla legge”,
e “i divieti di divulgazione dei dati
personali (si pensi ad esempio all’art. 23,
comma 4, della legge n. 675 del 1996, che
vieta, salvo casi specifici, la diffusione
dei dati idonei a rivelare lo stato di
salute)”.
Il riconoscimento della speciale protezione
della posizione del consigliere comunale,
poi, è riconosciuta anche dal giudice penale
e dalla magistratura contabile. Il diritto
del consigliere comunale di ottenere dal
comune tutte le notizie e le informazioni in
possesso dell'ente medesimo ed utili
all'espletamento del proprio mandato,
riconosciuto dall'art. 31, comma 5, l. n.
142 del 1990, trova come corrispondente il
dovere dell'ente territoriale di porre in
essere le condizioni perché venga
concretamente esercitato, senza incontrare
ostacoli o atteggiamenti ostruzionistici,
sicché un eventuale rifiuto, motivato in
modo apparentemente legittimo, ma, in
sostanza, specioso o pretestuoso, non può
che risolversi in illegittima manifestazione
dell'attività amministrativa. (Fattispecie
nella quale è stato impedito ad un
consigliere comunale di prendere visione
degli atti di giunta) (Cass. pen., sez. VI,
07.03.1997, n. 4952).
L'illegittimo diniego di accesso opposto dal
sindaco al consigliere comunale integra,
dato il chiaro ed inequivocabile disposto
normativo in materia, un comportamento
caratterizzato da colpa grave; sussiste,
pertanto, responsabilità amministrativa in
capo al sindaco qualora dal predetto diniego
sia derivata la condanna del Comune al
pagamento delle relative spese di giudizio
(C. Conti, regione Umbria, sez. Giurisdiz.,
05.06.1997, n. 284).
---------------
La facoltà di
differimento dell’accesso agli atti non è
limitata soltanto alle esigenze di tutelare
la riservatezza, ma concerne anche altre
ipotesi di segreto, comunque previste
dall’ordinamento.
L’esatta delimitazione delle discipline sul
segreto non travolte dalla nuova normativa
in materia di accesso ai documenti talvolta
può risultare disagevole. Al riguardo,
peraltro, possono indicarsi due criteri
direttivi:
a) il “segreto” che impedisce l’accesso ai
documenti non deve costituire la mera
riaffermazione del tramontato principio di
assoluta riservatezza dell’azione
amministrativa;
b) il segreto fatto salvo dalla legge n.
241/1990 deve riferirsi esclusivamente ad
ipotesi in cui esso mira a salvaguardare
interessi di natura e consistenza diversa da
quelli genericamente amministrativi.
Sulla base di queste indicazioni
ermeneutiche, è possibile affermare che,
nell’ambito dei segreti sottratti
all’accesso ai documenti, rientrano gli atti
redatti dai legali e dai professionisti in
relazione a specifici rapporti di consulenza
con l’amministrazione.
Si tratta, infatti, di un segreto che gode
di una tutela qualificata, dimostrata dalla
specifica previsione degli articoli 622 del
codice penale e 200 del codice di procedura
penale.
Sul piano sistematico è poi utile richiamare
la previsione contenuta nell’articolo 2 del
decreto del Presidente del Consiglio
26.01.1996, n. 200 (regolamento recante
norme per la disciplina di categorie di
documenti dell’Avvocatura dello Stato
sottratti al diritto di accesso). La norma
mira proprio a definire con chiarezza il
rapporto tra accesso e segreto
professionale, fissando una regola che
appare sostanzialmente ricognitiva dei
principi applicabili in questa materia,
anche al di fuori dell’ambito della difesa
erariale.
La disposizione, rubricata “categorie di
documenti inaccessibili nei casi di segreto
o di divieto di divulgazione previsti
dall’ordinamento”, stabilisce che, “ai sensi
dell’art. 24, comma 1, della legge 07.08.1990, n. 241, in virtù del segreto
professionale già previsto dall’ordinamento,
al fine di salvaguardare la riservatezza nei
rapporti tra difensore e difeso, sono
sottratti all’accesso i seguenti documenti:
a) pareri resi in relazione a lite in
potenza o in atto e la inerente
corrispondenza;
b) atti defensionali;
c) corrispondenza inerente agli affari di
cui ai punti a) e b)”.
La giurisprudenza ha chiarito che detta
regola ha una portata generale, codificando
il principio, valevole per tutti gli
avvocati, siano essi del libero foro o
appartenenti ad uffici legali di enti
pubblici, secondo cui, essendo il segreto
professionale specificamente tutelato
dall’ordinamento, sono sottratti all’accesso
gli scritti defensionali (Cons. Stato, IV,
27.08.1998, n. 1137). Detta pronuncia ha
escluso che il diritto di accesso
dell’interessato possa estendersi ai
documenti formati dall’Avvocatura generale
dello Stato ed indirizzati alla SACE-gestione assicurativa del commercio
estero, sottolineando la loro concreta
connessione con una lite in corso.
Il principio espresso dalla decisione citata
e ricavato dal D.P.C.M. n. 200/1996
risponde, del resto, ad elementari
considerazioni di salvaguardia della
strategia processuale della parte, che non è
tenuta a rivelare ad alcun soggetto e, tanto
meno, al proprio contraddittore, attuale o
potenziale, gli argomenti in base ai quali
intende confutare le pretese avversarie.
Al riguardo è peraltro necessaria una
puntualizzazione.
L’amministrazione può ricorrere alle
consulenze legali esterne in diverse forme
ed in diversi momenti dell’attività
amministrativa di sua competenza. Le
differenze tra i vari contesti si riflette
anche sulla disciplina dell’accesso ai
documenti.
Può verificarsi, in primo luogo, l’ipotesi
in cui il ricorso alla consulenza legale
esterna si inserisce nell’ambito di
un’apposita istruttoria procedimentale. In
tale eventualità, il parere è richiesto al
professionista con l’espressa indicazione
della sua funzione endoprocedimentale ed è
poi richiamato nella motivazione dell’atto
finale. Ne deriva che, in detta eventualità,
la consulenza legale, pur traendo origine da
un rapporto privatistico, normalmente
caratterizzato dalla riservatezza della
relazione tra professionista e cliente, è
soggetto all’accesso, perché oggettivamente
correlato ad un procedimento amministrativo.
Una seconda ipotesi è invece quella in cui,
dopo l’avvio di un procedimento contenzioso
(giudiziario, arbitrale, od anche meramente
amministrativo), oppure dopo l’inizio di
tipiche attività precontenziose, quali la
richiesta di conciliazione obbligatoria che
precede il giudizio in materia di rapporto di
lavoro, l’amministrazione si rivolga ad un
professionista di fiducia, al fine di
definire la propria strategia difensiva
(accoglimento della pretesa, resistenza in
giudizio, adozione di eventuali
provvedimenti di autotutela, ecc.).
In detta eventualità, il parere del legale
non è affatto destinato a sfociare in una
determinazione amministrativa finale, ma
mira a fornire all’ente pubblico tutti gli
elementi tecnico–giuridici utili per
tutelare i propri interessi. Ne deriva che,
in questo caso, le consulenze legali restano
caratterizzate dalla nota di riservatezza,
che mira a tutelare non solo l’opera
intellettuale del legale, ma anche la stessa
posizione dell’amministrazione, la quale,
esercitando il proprio diritto di difesa,
protetto costituzionalmente, deve poter
fruire di una tutela non inferiore a quella
di qualsiasi altro soggetto
dell’ordinamento.
Si può profilare, ancora, un terzo gruppo di
ipotesi, nelle quali la richiesta della
consulenza legale interviene in una fase
intermedia, successiva alla definizione del
rapporto amministrativo all’esito del
procedimento, ma precedente l’instaurazione
di un giudizio o l’avvio dell’eventuale
procedimento precontenzioso.
Anche in casi di questo genere, il ricorso
alla consulenza legale persegue lo scopo di
consentire all’amministrazione di articolare
le proprie strategie difensive, in ordine ad
un lite che, pur non essendo ancora in atto,
può considerarsi quanto meno potenziale. Ciò
avviene, in particolare, quando il soggetto
interessato chiede all’amministrazione
l’adempimento di una obbligazione, o quando,
in linea più generale, la parte interessata
domanda all’amministrazione l’adozione di
comportamenti materiali, giuridici o
provvedimentali, intesi a porre rimedio ad
una situazione che si assume illegittima od
illecita.
---------------
Con
riguardo alla fattispecie in esame, il
collegio osserva che la pendenza della lite
rende palese l’esigenza di garantire il
segreto, proprio perché il parere
dell’Avvocatura pare rivolto a delineare la
condotta processuale più conveniente per
l’amministrazione, anche nella prospettiva
eventuale di una transazione (ipotizzata
negli atti depositati in giudizio).
Va precisato, poi, che la prevalenza del
segreto professionale si manifesta con
pienezza anche in relazione alle
amministrazioni locali e nei riguardi delle
richieste formulate dai consiglieri
comunali.
Anche prescindendo dall’esame approfondito
del delicato problema del coordinamento tra
la legge n. 142/1990, la legge n. 241/1990
ed il decreto legislativo n. 267/2000,
emerge una sostanziale coerenza
dell’ordinamento, il quale afferma comunque
l’esistenza di eccezioni al principio di
trasparenza, direttamente desumibili da
specifiche disposizioni legislative.
È anche possibile ritenere che nelle
amministrazioni locali l’accesso ai
documenti presenti un raggio di operatività
complessivamente più ampio, quanto meno con
riferimento alle istanze presentate dai
cittadini elettori del comune o della
provincia, ma nessun argomento sistematico
od esegetico consente di affermare che la
portata del segreto professionale possa
assumere consistenza diversa, a seconda del
tipo di amministrazione considerato.
Con riguardo alla posizione specifica dei
consiglieri comunali, occorre chiarire la
portata della espressione normativa “essi
sono tenuti al segreto nei casi
specificamente determinati dalla legge”
(articolo 43, comma 2, del T.U. 18.08.2000 n. 267). La norma, per la sua
collocazione sistematica e per il suo
significato letterale, intende ribadire la
regola secondo cui, lecitamente acquisite e
le informazioni e le notizie utili
all’espletamento del mandato, il
consigliere, di regola, è autorizzato a
divulgarle. Un divieto di comunicazione a
terzi deve derivare da apposita disposizione
normativa.
In tale prospettiva si spiega,
coerentemente, il rapporto tra la disciplina
sulla protezione dei dati personali e la
pretesa all’accesso del consigliere
comunale. Questi è legittimato ad acquisire
le notizie ed i documenti concernenti dati
personali, anche sensibili, poiché, di
norma, tale attività costituisce
“trattamento” autorizzato da specifica
disposizione legislativa (legge n. 675/1996;
decreto legislativo n. 135/1999), secondo le
regole integrative fissate dalle
determinazioni ed autorizzazioni generali
del Garante e dagli atti organizzativi delle
singole amministrazioni.
Ma il consigliere comunale non può
comunicare a terzi i dati personali (in
particolare quelli sensibili) se non
ricorrono le condizioni indicate dalla
normativa in materia di tutela della
riservatezza.
Questi principi sono alla base della
decisione n. 940/2000 della Sezione, la
quale ammette l’accesso del consigliere
comunale anche nei casi in cui esso incide
sulla riservatezza dei terzi, senza
affrontare la diversa questione dell’accesso
ai documenti coperti dal segreto, per la
tutela di diversi interessi.
Non è plausibile, invece, la tesi secondo
cui il consigliere comunale, in tale veste,
potrebbe accedere a tutti i documenti, anche
segreti, dell’amministrazione, assumendo
solo l’obbligo di non divulgare le relative
notizie.
In tal modo, l’accesso ai documenti del
consigliere comunale, ritenuto prevalente
anche sul segreto professionale, assumerebbe
una portata oggettiva più ampia di quella
riconosciuta ai cittadini ed ai titolari di
posizioni giuridiche differenziate (pure
comprensive di situazioni protette a livello
costituzionale). Il mandato
politico-amministrativo affidato al
consigliere esprime certamente il principio
democratico dell’autonomia locale e della
rappresentanza esponenziale della
collettività, ma, nell’attuale contesto
normativo, non può autorizzare un privilegio
così marcato, a scapito degli altri soggetti
interessati alla conoscenza dei documenti
amministrativi e con sacrificio degli
interessi tutelati dalla normativa sul
segreto.
In senso contrario, non potrebbe assumere
rilievo la complessa ed articolata
disciplina riguardante l’attività di
sindacato ispettivo svolta dal Parlamento
nazionale nei confronti del governo, e, in
generale, la funzione conoscitiva esercitata
dalle Camere nei riguardi di materie
giudicate di particolare rilievo. In tal
senso, si possono indicare le disposizioni
contenute negli articoli 143, commi 1 e 2,
del regolamento della Camera dei deputati e
l’articolo 46, commi 1 e 2, del regolamento
del Senato. Dette disposizioni prevedono la
richiesta a ministri e rappresentanti del
Governo volta ad ottenere ufficialmente la
trasmissione di “informazioni, notizie e
documenti” utili all’attività delle
commissioni parlamentari, o la relazione,
eventualmente anche scritta, circa
l’attuazione e la esecuzione data a leggi,
mozioni, risoluzioni ed ordini del giorno
approvati dalle Camere.
Dette norme:
a)
sono contenute in disposizioni di rango
almeno pari alla fonte legislativa ed
esprimono la particolare posizione
costituzionale del Parlamento;
b)
attribuiscono il potere di “accesso” ai
documenti non al singolo parlamentare di
minoranza, ma all’organo collegiale, secondo
le procedure autonomamente stabilite da
ciascun ramo del Parlamento;
c)
stabiliscono che la violazione
dell’obbligo di comunicare le notizie
richieste è fonte di responsabilità politica
del Governo, ma non pare suscettibile di
riparazione coattiva, secondo modalità
analoghe a quelle previste dall’articolo 25
della legge n. 241/1990.
Dunque, la circostanza che, anche in ambito
parlamentare, l’interesse all’accesso non è
protetto in modo generalizzato ed
indifferenziato induce a ritenere coerente
la previsione di alcune circoscritte
limitazioni del diritto di accesso spettante
al consigliere comunale o provinciale.
Non si può trascurare, poi, che, nella
presente vicenda, la salvaguardia del
segreto si connette anche alla specifica
disciplina prevista dal regolamento
dell’Avvocatura generale dello Stato, in
materia di accesso. La richiesta del
consigliere, incidendo su documenti formati
da un’amministrazione diversa da quella
locale di appartenenza, incontra i limiti
previsti dalla disciplina fissata in tale
ambito. Non è un caso, del resto, che
numerosi regolamenti individuano come
esplicito caso di esclusione dall’accesso la
circostanza che il documento, utilizzato nel
procedimento amministrativo, ma formato da
un altro soggetto pubblico, è da
quest’ultimo sottratto all’accesso
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 02.04.2001 n. 1893 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AGGIORNAMENTO ALL'11.01.2010 |
ã |
GURI - GUUE - BURL (e anteprima) |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
B.U.R. Lombardia, 3° suppl. straord. al n. 1
dell'08.01.2010, "Determinazioni in
merito ai criteri di gestione obbligatoria e
delle buone condizioni agronomiche ai sensi
del Regolamento (CE) n. 73/2003 - Modifiche
e integrazioni alla d.g.r. 4196/2007"
(deliberazione
G.R. 30.12.2009 n. 10949 - link a www.infopoint.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
"Approvazione del secondo
aggiornamento dell'elenco degli enti locali idonei
all'esercizio delle funzioni paesaggistiche
loro attribuite dall'art. 80 della legge
regionale 11.03.2005 n. 12" (decreto
D.G. 30.12.2009 n. 14545 - link a
www.territorio.regione.lombardia.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Il testo del decreto ministeriale 18.12.2009
con il quale vengono fissate le nuove fasce
orarie di reperibilità dei dipendenti
pubblici per le visite fiscali in caso di
malattia (link a www.sappe.it). |
DOTTRINA E CONTRIBUTI |
EDILIZIA PRIVATA:
Deposito atti di
frazionamento in comune
(Geometra Orobico n. 5/2009). |
URBANISTICA:
Lombardia, Corso di specializzazione sull'applicazione della
L.R. n. 12/2005:
2^ lezione - parte B
(gli atti di programmazione negoziata) (Geometra
Orobico n. 5/2009). |
PUBBLICO IMPIEGO:
D. Zonno,
COPERTURA DI POSTI VACANTI NEI RUOLI
DELL’AMMINISTRAZIONE: NUOVO CONCORSO O
SCORRIMENTO DELLE GRADUATORIE?
(link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
A. Milone,
Il procedimento autorizzatorio degli
impianti di produzione di energia
rinnovabile: rapporti con VIA e AIA
(link a www.lexambiente.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA -
EDILIZIA PRIVATA:
A. Pierobon,
QUALI SONO I CRITERI DI CAMPIONAMENTO E DI
ANALISI DELLE TERRE E ROCCE DA SCAVO DEI
RIFIUTI ? (link a
www.lexambiente.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
R. Bertuzzi,
BONIFICA DI UN’AREA INQUINATA, ORDINANZA DI
RIPRISTINO
(link a www.lexambiente.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
A. Pierobon,
LE IMPRESE DI PULIZIA E LA GESTIONE DEI
RIFIUTI: UNA OCCASIONE DI RIFLESSIONE DALLA
SENTENZA TAR PUGLIA-LECCE, SEZ. I,
19.11.2009 N. 2799 (seconda parte)
(link a www.lexambiente.it). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO:
C. Tessarolo,
L’azione collettiva risarcitoria: finalità,
legittimazione, procedimento
(link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
B. Albertazzi,
Il formulario per il trasporto dei rifiuti
nel dlgs 152/2006 e nella giurisprudenza
(link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI SERVIZI:
C. Tessarolo,
Il regime transitorio nel nuovo sistema dei
servizi pubblici locali (link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
NEWS |
EDILIZIA PRIVATA:
Pubblicata la Finanziaria 2010: confermate
le detrazioni del 36% per le
Ristrutturazioni degli immobili.
La Legge n. 191 del 23.12.2009, Legge Finanziaria per il 2010, pubblicata
sulla Gazzetta Ufficiale del 30.12.2009, è
composta da due articoli e ben 247 commi.
Queste alcune delle misure previste dal
complesso provvedimento:
- la proroga al 31.12.2012 della detrazione
IRPEF del 36% per gli interventi di recupero
edilizio delle abitazioni (art. 2, comma 10,
lett. a - b);
- la proroga per un ulteriore anno della
detrazione IRPEF del 36% per l`acquisto di
abitazioni facenti parte di edifici
interamente ristrutturati da imprese di
costruzione (detrazione da calcolarsi sul
25% del prezzo di acquisto, nel limite di
48.000 euro per unità immobiliare),
riconosciuta per interventi di recupero
integrale del fabbricato devono essere
eseguiti dal 1° gennaio 2008 al 31.12.2012 e
rogiti stipulati entro il 30.06.2013 (art.
2, comma 10, lett. c)
- la messa a regime dell`IVA al 10% per gli
interventi di manutenzione ordinaria e
straordinaria delle abitazioni - art. 2,
comma 11 (link a www.acca.it). |
ENTI LOCALI:
Enti, tagli alle poltrone dal
2011. Calderoli accontenta i comuni. Rinvio
con dl ad hoc o come emendamento al
milleproroghe. Slitta di un anno la
riduzione di consigli e giunte locali.
Slitteranno al 2011 i tagli ai costi della
politica locale anticipati in Finanziaria da
Roberto Calderoli. La cura dimagrante che
prevede la riduzione del 20% dei consiglieri
comunali e fissa un tetto al numero massimo
di assessori comunali e provinciali
(rispettivamente un quarto e un quinto dei
consiglieri) non si applicherà per
quest'anno e dunque risparmierà le
amministrazioni che andranno al voto nel
prossimo mese di marzo. Conserveranno la
poltrona anche quelle figure su cui dal 1°
gennaio 2010 si sarebbe abbattuta la mannaia
del ministro leghista, direttori generali e
difensori civici, e slitterà all'anno
prossimo anche la soppressione delle
circoscrizioni comunali e dei consorzi di
funzioni tra enti locali.
Dopo la rottura delle relazioni
istituzionali col governo decisa dall'Anci a
dicembre (si veda ItaliaOggi del 17/12/2009)
per le mancate risposte dell'esecutivo sulle
richieste poste dai comuni (tra cui, oltre
alla sanatoria per gli enti che hanno
sforato il patto di stabilità nel 2009,
c'era proprio la proroga di anno dei tagli
alle poltrone), il ministro della
semplificazione ha deciso di accontentare i
sindaci. Del resto il 2010 sarà un anno
cruciale per l'attuazione del federalismo
fiscale e con tante riforme ai nastri di
partenza (federalismo demaniale e codice
autonomie su tutti) Calderoli ha preferito
evitare lo scontro frontale con l'Anci che
avrebbe di fatto paralizzato i lavori della
Conferenza unificata. Ma se la decisione di
rimandare di un anno la riduzione dei costi
della politica sembra ormai certa, non è
ancora chiaro come sarà attuata
tecnicamente.
Per il momento, secondo quanto risulta a
ItaliaOggi, le soluzioni possibili sarebbero
due. Lo slittamento delle disposizioni
contenute nell'art. 2 commi 184, 185 e 186
della Finanziaria 2010 (legge n. 191/2009)
potrebbe essere inserito come emendamento al
disegno di legge di conversione del dl
milleproroghe (dl n. 194/2009) oppure
potrebbe trovare spazio nell'atteso decreto
sulla finanza locale che andrà sul tavolo
del consiglio dei ministri di mercoledì
prossimo.
Il provvedimento (si veda da ItaliaOggi il
16/12/2009) che sarebbe dovuto andare sul
tavolo del cdm di fine anno, poi rinviato
per via dell'indisponibilità del premier
Silvio Berlusconi, troverà una soluzione ai
molti problemi di cassa ancora lamentati
dagli enti e non risolti a causa della
bagarre che ha caratterizzato i lavori della
Finanziaria 2010 alla camera.
L'elenco è fitto di novità: si va dalle
compensazioni dell'Iva pagata sulla tariffa
d'igiene ambientale alla conferma anche per
il 2010 della compartecipazione Irpef all'1%
destinata alle province. Passando per il
rifinanziamento del fondo ordinario
destinato agli investimenti nei comuni sotto
i 3 mila abitanti e dei fondi per
l'estinzione anticipata dei mutui con penale
a carico dello stato. Non è escluso anche
che si possa trovare un accordo su altre
richieste avanzate dall'Anci, come il
riallineamento dei trasferimenti
compensativi Ici sugli immobili di categoria
D e l'esclusione (anche per il 2010) dal
patto di stabilità dei proventi delle
dismissioni di azioni o quote detenute in
società di servizi pubblici locali.
Per il momento l'ipotesi più probabile
sembra quella del decreto legge sulla
finanza locale, ma non è escluso che alla
fine il ministro Calderoli decida per
affidare al parlamento l'onere di proporre
lo slittamento dei tagli alle poltrone.
Anche perché, diversamente, la proroga
potrebbe essere letta come un clamoroso
dietrofront da parte del governo. Saranno
invece confermate le norme della Finanziaria
2010 sui tagli ai trasferimenti erariali. Il
contributo ordinario per il 2010 sarà
ridotto di 12 milioni di euro per i comuni e
di un milione per le province. Nel 2011 i
tagli ammonteranno a 86 mln per i comuni e 5
mln per le province, ma si applicheranno
solo agli enti che andranno ad elezioni
l'anno prossimo (articolo ItaliaOggi del
09.01.2010, pag. 19). |
ENTI LOCALI:
Commissioni senza esclusi. Va
garantita la rappresentanza anche delle
minoranze meno numerose. L'unico consigliere
di un gruppo deve sedere in tutte.
Come funzionano le
commissioni consiliari?
Le commissioni consiliari previste dall'art.
38 comma 6 del dlgs. n. 267/2000, una volta
istituite sulla base di una facoltativa
previsione statutaria, sono disciplinate
dall'apposito regolamento comunale con
l'unico limite, posto dal legislatore,
riguardante il rispetto del criterio
proporzionale nella composizione.
Esse, in base alla citata norma di legge,
sono, come è noto, organi strumentali dei
consigli («il consiglio si avvale di
commissioni») e, in quanto tali
costituiscono componenti interne all'organo
assembleare, prive di una competenza
autonoma e distinta da quella ad esso
attribuita. Anche il regolamento dell'ente
che pone il quesito stabilisce che «le
commissioni permanenti costituiscono
articolazioni del consiglio comunale ed
esercitano le loro funzioni concorrendo ai
compiti di indirizzo e di controllo
politico-amministrativo allo stesso
attribuiti». In tale contesto si desume
che le commissioni consiliari operano sempre
e comunque, nell'ambito della competenza dei
consigli. Ciò giustifica il vincolo alla
loro composizione esclusivamente con i
membri del consiglio («nel proprio seno»)
e all'osservanza del criterio proporzionale
(di modo che non venga di fatto alterata la
configurazione «politica» dell'organo
di derivazione). Il legislatore non precisa
come debba essere applicato il surriferito
principio.
È da ritenersi che spetti al regolamento,
cui sono demandate la determinazione dei
poteri delle commissioni, nonché la
disciplina dell'organizzazione e delle forme
di pubblicità dei lavori, stabilire i
meccanismi idonei a garantire il rispetto
del criterio proporzionale. Secondo
l'indirizzo giurisprudenziale e dottrinario
formatosi, il criterio proporzionale può
dirsi rispettato solo ove sia assicurata la
presenza in ogni commissione di ciascun
gruppo presente in consiglio, in modo che,
se una lista (gruppo) è legittimamente
rappresentata anche da un solo consigliere,
questi deve essere presente in tutte le
commissioni costituite.
Ciò premesso, esaminando le specifiche
disposizioni statutarie e regolamentari del
comune in questione emerge che lo statuto
prevede la costituzione di commissioni
consiliari permanenti, composte da
consiglieri comunali, con criterio
proporzionale con riferimento a tutte le
forze politiche rappresentate in consiglio
stabilendo inoltre che esso può essere
conseguito anche attraverso un sistema di
rappresentanza ponderata.
Pertanto, non pare esservi dubbio che anche
il gruppo di minoranza meno numeroso,
proprio per la richiamata esigenza della
partecipazione proporzionale, non possa non
essere rappresentato in tutte le commissioni
consiliari permanenti (articolo ItaliaOggi
dell'08.01.2010, pag. 34). |
EDILIZIA PRIVATA:
DELIBERA CONSILIARE.
È obbligatoria una
delibera consiliare in merito alla proposta
di dichiarazione di notevole interesse
pubblico di un'area di un comune?
L'ambito della complessa procedura delineata
dal quadro normativo di riferimento, il
ruolo dell'amministrazione comunale si
rinviene nella fase dell'avvio del
procedimento di dichiarazione di notevole
interesse pubblico (art. 138).
Ai sensi della normativa contenuta nel Capo
II del dlgs n. 42/2004 (artt. 136 -142) la
formulazione delle proposte per la
dichiarazione di notevole interesse pubblico
degli immobili indicati alle lettere a) e b)
dell'art. 136 e delle aree indicate alle
lettere c) e d) del comma 1 del medesimo
articolo, rientra nelle competenze delle
commissioni appositamente istituite ai sensi
del successivo art. 137. Nell'ambito di tale
procedura il comune, può o assumere
l'iniziativa della proposta de qua quale
ente pubblico territoriale interessato,
ovvero essere consultato dalla commissione
procedente al fine di acquisire informazioni
utili per la valutazione della decisione se
dare seguito all'atto di iniziativa,
attraverso la formale proposta alla regione.
La giurisprudenza amministrativa (cfr., Tar
Sardegna n. 127/2008) in ordine alla
procedura de qua ha affermato che «la
norma statale a ragione dispone che il
procedimento si apra con una proposta,
volendo raggiungere il risultato di
articolare su più autorità definite la
responsabilità della decisione. In altri
termini è stato lucidamente affermato che in
tali casi l'interesse primario riceve due
ponderazioni, l'una nell'atto di iniziativa,
l'altra nell'atto di decisione. La proposta,
che si configura come atto di volontà
parzialmente vincolante, comporta un
giudizio iniziale sull'interesse primario,
in cui si accentua la valutazione
tecnico–discrezionale, l'atto di decisione
comporta una ponderazione
politico–amministrativa».
Prosegue lo stesso Tar nel senso che «la
commissione non svolge un'attività meramente
istruttoria o preparatoria, ovvero secondo
la migliore dottrina, un mero atto di
iniziativa del procedimento d'ufficio, ma è
chiamata ad effettuare scelte decisive e
discrezionali al fine di una corretta
formazione della volontà collegiale».
Nell'ambito della procedura sopra delineata
si evidenzia che la fase di iniziativa
esercitata dall'ente territoriale
interessato è finalizzata ad un altro atto
di natura preparatoria, la proposta che la
commissione di cui all'art. 137 decide di
formulare alla regione, atto che può dare
l'avvio al procedimento di dichiarazione di
notevole interesse pubblico (art. 138).
Per inciso si evidenzia che, sotto un
profilo giuridico, un atto di impulso
proveniente da un soggetto diverso
dall'amministrazione cui è attribuito il
potere di provvedere si esplica in una
richiesta, consistente in una manifestazione
di volontà anche con contenuto valutativo,
con cui si richiede al soggetto pubblico
competente l'esplicazione di una certa
attività ovvero l'emanazione di un
determinato atto amministrativo.
Sotto tale profilo, un'istanza avanzata da
un sindaco assume una peculiare
connotazione, propedeutica rispetto alla
successiva ed eventuale dichiarazione di
pubblico interesse da parte della regione,
ed influente, benché non di immediata
incidenza, sulla pianificazione comunale in
caso di positiva determinazione regionale.
In effetti, la dichiarazione di notevole
interesse pubblico, ai sensi dell'art. 140
del codice dei beni culturali, «costituisce
parte integrante del piano paesaggistico» e
le aree oggetto della dichiarazione, ai
sensi della legge regionale in questione
recante le «norme sul governo del
territorio», sono comprese nello statuto
del piano strutturale del comune.
In tal senso si pone quale atto preparatorio
nell'ambito di un più articolato
procedimento che coinvolge la competenza di
diversi soggetti amministrativi e, ove
approdi alla dichiarazione di notevole
interesse pubblico, si collega anche alla
successiva pianificazione
dell'amministrazione comunale. Tutto ciò
posto su un piano astrattamente giuridico,
valutare se occorre una previa deliberazione
comunale non è questione di semplice od
univoca soluzione.
Infatti da un lato, occorre considerare che
le competenze del consiglio sono
tassativamente indicate nell'art. 42 e tra
queste non compare espressamente la
richiesta di dichiarazione di interesse
pubblico di aree comunali. Inoltre, tale
atto d'impulso non è di per sé parte
integrante della pianificazione
paesaggistica, come invece lo è il
provvedimento regionale relativo a detta
dichiarazione (art. 140 succitato), né, come
sopra esplicitato, è di per sé, in questa
fase preparatoria, parte integrante della
pianificazione territoriale del comune.
D'altro lato non può tuttavia sottacersi
come l'iniziativa del sindaco, supportata da
uno studio paesaggistico del territorio da
parte di un esperto e da una definita
planimetria, abbia una propria valenza
programmatoria in quanto volta, in
prospettiva, ad incidere sulla gestione
degli strumenti urbanistici del territorio
comunale.
In tal senso potrebbe ammettersi che
siffatta richiesta, in quanto influente
sulla successiva pianificazione territoriale
del comune, avrebbe potuto costituire
oggetto di valutazione da parte del
consiglio comunale, ai sensi dell'art. 42
lett. b), recante l'attività programmatoria
del consiglio in vari ambiti di competenza.
Peraltro, la stretta interazione tra i due
livelli di pianificazione, regionale e
comunale, emerge anche dalla sentenza n.
182/2006 della Corte costituzionale laddove,
pronunciandosi sulla legittimità della legge
regionale Toscana, ha affermato che «la
legge Toscana sul governo del territorio
tende al superamento della separatezza tra
pianificazione territoriale ed urbanistica,
da un lato, e tutela paesaggistica
dall'altro, facendo rientrare la tutela del
paesaggio nell'ambito del sistema della
pianificazione del territorio e rendendo
pertanto partecipi anche i livelli
territoriali inferiori di governo nella
disciplina di tutela del paesaggio».
A giudizio della Corte il principio di fondo
di questo sistema, condivisibile nella
misura in cui gli enti locali sono chiamati
a contribuire alla pianificazione ed in cui
gli strumenti di pianificazione territoriale
dei livelli sub-regionali di governo
perseguono obiettivi di tutela e di
valorizzazione del paesaggio, deve però pur
sempre coordinarsi con il rispetto del
paesaggio e della relativa pianificazione
quale valore primario e imprescindibile,
attraverso un indirizzo unitario che superi
la pluralità degli interventi delle
amministrazioni locali (articolo ItaliaOggi
dell'08.01.2010, pag. 34). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Pc del lavoro senza segreti. Il
principio affermato dal garante della
privacy con un provvedimento. In caso di
emergenza il datore può accedere.
In caso di emergenza, il
datore di lavoro può avere accesso ai file
contenuti nel computer in uso a un
dipendente assente; ma il personale deve
essere adeguatamente informato di questa
possibilità. Se poi il datore di lavoro
consente ai lavoratori un uso per finalità
personali degli apparecchi elettronici
aziendali, il datore di lavoro dovrà
specificare condizioni, finalità e modalità
di un tale uso.
È questo il principio affermato dal garante
per la protezione dei dati personali nel
definire il reclamo di una dipendente che,
rientrata in azienda dopo un periodo di
cassa integrazione, si era accorta che
alcuni file memorizzati sul personal
computer affidatole in dotazione dalla
società erano stati oggetto di accesso, per
conto di quest'ultima, da parte del
lavoratore che l'aveva sostituita
(provvedimento 1665170/2009).
Alcuni di questi file, secondo
l'interessata, avrebbero rivestito natura
personale e quindi estranea ai compiti di
ufficio e per questo si è rivolta al garante
per la tutela della sua privacy. La
dipendente si è anche lamentata di non avere
ricevuto alcuna informativa sulle procedure
per l'accesso ai dati dei lavoratori
assenti.
Il garante ha dato torto alla lavoratrice.
Innanzitutto non è risultato provato che la
società avesse avuto accesso a dati
personali concretamente riferibili alla
reclamante. In particolare è emerso che i
file consultati contenevano analisi ed
elaborazioni dei dati contenuti nel sistema
centrale di calcolo delle retribuzioni dei
dipendenti dell'azienda, redatti e compilati
allo scopo di fornire i report richiesti
dall'amministrazione; inoltre gli stessi
file non contenevano informazioni riservate
o in qualche modo protette, dal momento che
erano esattamente identici ai file trasmessi
agli altri uffici, con in aggiunta solo le
formule ideate e costruite dall'interessata
per estrarre ed elaborare i dati presenti
sul sistema gestionale aziendale.
In sostanza, l'istruttoria non ha rivelato
l'intento del datore di lavoro di consultare
documenti di pertinenza personale della
lavoratrice, ma ha solo voluto avere accesso
ai file utili per la gestione aziendale.
La legittimità della condotta del datore di
lavoro porta a dire, quindi, che non è
illecito che i datore di lavoro stesso
acceda al computer in uso al lavoratore in
situazioni nelle quali ha necessità di
accedere alle informazioni, anche in assenza
del lavoratore.
Come si rileva nel provvedimento, al fine di
ottimizzare l'uso dell'infrastruttura
tecnologica all'interno di un'azienda, può
risultare giustificato rendere accessibili a
utenti diversi le singole postazioni di
lavoro nel rispetto delle istruzioni
impartite a ciascun incaricato dal titolare
del trattamento. È legittimo, dunque,
mettere a disposizione di altri dipendenti
incaricati del trattamento le informazioni
riferibili all'attività lavorativa svolta
per conto del datore di lavoro.
Nel caso specifico, però, il garante ha
riscontrato alcune inadempienze formali a
carico del datore di lavoro. Il garante,
infatti, ha ritenuto che le informazioni
rese al personale relativamente all'accesso
ai file memorizzati nei pc fossero
inadeguate, anche perché non inserite in un
documento autonomo messo a disposizione dei
lavoratori, ma contenute nel dps (documento
programmatico della sicurezza) solitamente
non destinato alla consultazione da parte
dei lavoratori.
Il garante ha dunque prescritto all'azienda
di fornire una chiara informativa ai
dipendenti circa le condizioni, le finalità
e le modalità con le quali vengono rese
accessibili a terzi debitamente incaricati i
file memorizzati all'interno dei pc,
definendo altresì puntualmente le situazioni
di «emergenza» che giustifichino tale
accesso. All'azienda è stato inoltre imposto
di integrare le istruzioni fornite, in modo
tale da informare adeguatamente i dipendenti
in ordine alle condizioni, finalità e
modalità di utilizzo dei pc anche per
finalità personali.
A questo proposito si deve ricordare che la
sede più opportuna per l'informativa al
lavoratore è il regolamento interno sull'uso
della posta elettronica e di internet,
secondo quanto indicato nelle Linee guida
per posta elettronica e internet del garante
del 10.03.2007 (articolo ItaliaOggi
dell'08.01.2010, pag. 20). |
ENTI LOCALI:
Enti locali, più poteri ai
consigli. Il Codice delle autonomie amplia
le attribuzioni delle assemblee elettive.
Revisori sugli scudi. Nuove competenze su
organici, uffici e società controllate.
Nuove attribuzioni agli organi consiliari di
comuni e province. Semplificazione per i
piccoli comuni. Nuove funzioni del collegio
dei revisori.
Sono queste alcune delle tante novità
contenute nel disegno di legge di riforma
della Carta delle autonomie locali,
approvato in via definitiva dal consiglio
dei ministri il 19 novembre. Analizziamo nel
dettaglio le novità ... (articolo
ItaliaOggi dell'08.01.2010 - tratto
da http://rassegnastampa.formez.it). |
PUBBLICO IMPIEGO: Dipendenti
pubblici, freno alle promozioni. In vigore
la norma che vieta gli avanzamenti di
carriera senza concorso pubblico ...
(articolo
Il Messaggero del 07.01.2010 -
tratto da http://rassegnastampa.formez.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Edilizia, stabilizzata la
mini-Iva. La Finanziaria 2010 ha esteso
l'applicazione del prelievo ridotto
istituito oltre dieci anni fa. Aliquota al
10% per manutenzioni ordinarie e
straordinarie.
Stabilizzata l'agevolazione Iva per le
manutenzioni ordinarie e straordinarie degli
edifici abitativi: la finanziaria 2010 (art.
2, comma 1, legge n. 191 del 23/12/2009) ha
esteso l'applicazione dell'aliquota ridotta
del 10% anche agli anni «successivi».
L'entrata a regime dell'agevolazione,
istituita nell'Ue come misura temporanea per
favorire l'occupazione, è stata consentita
dalla direttiva del consiglio Ue 2009/47/CE
del 05.05.2009. Rivediamo in sintesi gli
aspetti principali della disciplina, dettata
dall'art. 7, comma 1, lett. b) della legge
n. 488/1999 e dal dm 29/12/1999.
Oggetto
dell'agevolazione.
L'aliquota ridotta si applica alle
prestazioni aventi ad oggetto gli
interventi di recupero di cui all'art. 31,
primo comma, lettere a), b), c) e d), della
legge n. 457/78, realizzati su fabbricati a
prevalente destinazione abitativa privata.
Poiché però gli interventi di cui alle
lettere c) e d) (restauro, risanamento
conservativo, ristrutturazione) sono
agevolati da altre disposizioni (di più
ampia portata) della tab. A, parte terza,
allegata al dpr n. 633/1972, l'agevolazione
della legge 488 riguarda in sostanza gli
interventi di cui alle lett. a) e b), ossia
le manutenzioni ordinarie e straordinarie.
Questa agevolazione si applica tuttavia
soltanto agli interventi eseguiti su
fabbricati a prevalente destinazione
abitativa privata, locuzione che, secondo i
chiarimenti dell'amministrazione, designa:
- le singole unità immobiliari classificate
in catasto nelle categorie da A1 ad A11,
esclusa la A10, indipendentemente
dall'utilizzo di fatto;
- gli edifici di edilizia residenziale
pubblica, adibiti a dimora di soggetti
privati;
- gli edifici destinati a residenza stabile
di collettività, quali orfanotrofi,
brefotrofi, ospizi, conventi;
- le parti comuni di fabbricati destinati
prevalentemente ad abitazione privata,
intendendo tali gli edifici la cui
superficie totale dei piani fuori terra è
destinata per oltre il 50% ad uso abitativo
privato;
- le pertinenze immobiliari (autorimesse,
soffitte, cantine, ecc.) delle unità
abitative, anche se ubicate in edifici
destinati prevalentemente ad usi diversi.
Non sono dunque agevolate le manutenzioni
eseguite su unità immobiliari non abitative
(negozi, uffici, ecc.), anche se situate in
edifici a prevalente destinazione abitativa.
Operazioni agevolate.
L'aliquota del 10% si applica alle
prestazioni di manutenzione ordinaria e
straordinaria, per cui devono ritenersi
escluse dal beneficio le operazioni
consistenti in cessioni di beni.
L'esclusione dovrebbe valere anche
nell'ipotesi in cui la prestazione sia
un'operazione accessoria alla vendita, ad
esempio nel caso di fornitura con posa in
opera di un bene. Tale questione è tuttora
controversa.
La circolare n. 71 del 07/04/2000, infatti,
ammette la fatturazione con aliquota
agevolata anche quando l'intervento di
recupero si realizza mediante cessione con
posa in opera di un bene, a prescindere
dall'incidenza della mano d'opera rispetto
al valore del bene (fermi restando i limiti
di cui appresso per i beni significativi).
Successivamente, però, nel paragrafo 9 della
circolare n. 36 del 31/05/2007, l'agenzia
delle entrate ha ricordato che l'aliquota
agevolata di cui alla legge 488/1999 si
applica soltanto alle prestazioni di
servizi, mentre le cessioni di beni sono
sottoposte all'aliquota ridotta «solo se
la relativa fornitura è posta in essere
nell'ambito del contratto d'appalto».
Nella citata circolare 71 è stato inoltre
chiarito che l'aliquota agevolata non è
applicabile nei rapporti di subappalto, ma
soltanto nei confronti del committente
principale, né alle prestazioni di natura
professionale. Rientrano nell'agevolazione
anche le piccole riparazioni eseguite sul
fabbricato o sui relativi impianti
tecnologici, nonché le prestazioni di
manutenzione obbligatorie previste per
ascensori e impianti di riscaldamento,
consistenti in visite periodiche e nel
ripristino della funzionalità, mentre sono
da ritenere escluse quelle prestazioni di
servizi che non possono inquadrarsi tra gli
interventi edilizi come definiti dalla
legge, come la pulizia delle scale e delle
altre parti comuni degli edifici
condominiali.
Impiego di beni
significativi.
In via di principio, se l'intervento
edilizio prevede l'impiego di materiali,
l'intero corrispettivo del servizio,
unitariamente considerato quale prestazione,
è agevolato. È tuttavia prevista una
limitazione relativamente ai seguenti beni,
c.d. significativi, elencati nel dm
29/12/1999: ascensori e montacarichi,
infissi esterni ed interni, caldaie,
videocitofoni, apparecchiature di
condizionamento e riciclo dell'aria,
sanitari e rubinetterie da bagno, impianti
di sicurezza.
Il valore dei beni significativi è infatti
agevolato fino a concorrenza del valore
complessivo della prestazione relativa
all'intervento di recupero, al netto del
valore dei beni stessi. Il valore di tali
beni è dunque agevolabile nella misura in
cui trova capienza nel corrispettivo
riferibile alla mano d'opera ed alla
fornitura di materiali diversi dai beni
significativi; in pratica, se il valore del
bene significativo non supera il 50% del
valore complessivo dell'intervento, l'intero
corrispettivo è agevolato. In relazione alla
limitazione in esame, l'amministrazione ha
precisato che è necessario specificare nella
fattura sia il corrispettivo complessivo
dell'operazione sia il valore dei beni
significativi, anche nel caso in cui tale
valore non supera il 50% del valore
dell'intervento.
In via di principio, in assenza di
disposizioni specifiche, le parti possono
stabilire liberamente il valore dei beni
significativi; è però evidente che
l'attribuzione di un valore irrisorio o
comunque incongruo (per esempio, più basso
del costo d'acquisto sostenuto dal
prestatore), al fine di incrementare la base
imponibile agevolabile, sarebbe contestata
dall'amministrazione (articolo ItaliaOggi
del 07.01.2010, pag. 23). |
GIURISPRUDENZA |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Rifiuti. Accertamento della
natura d rifiuto.
In tema di rifiuti nel caso in cui si renda
possibile solo l’esame di una parte del
terreno deve ritenersi comunque probante del
superamento dei limiti anche l’esame della
sola massa disponibile in quanto,
diversamente opinando, sarebbe agevole per
il reo attraverso la attività di dispersione
del terreno, disperdere anche la prova del
reato.
L’attività dell'indagato sostanziatasi nel
fare analizzare da un laboratorio privato
solo 5 Kg. di materiale a suo dire scavato
nel cantiere di una erigenda discarica,
corrobora la tesi di un comportamento
complessivo tendente ad eludere le
disposizioni vigenti.
La natura di rifiuto di un materiale può
legittimamente essere individuata in
relazione alla provenienza dei terreni ed
all’accertamento sulla concentrazione di
inquinanti riscontrata in superiore ai
limiti massimi consentiti, né si può
ritenere in alcun modo rilevante in tale
contesto l’esistenza della VIA ed il
rispetto delle condizioni imposte (Corte di
Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 29.12.2009 n. 49826 -
link a www.lexambiente.it). |
APPALTI SERVIZI:
Sui presupposti necessari
affinché sussista il requisito del c.d.
controllo analogo richiesto per ritenere
legittimo l'affidamento "in house" di
servizi pubblici nel caso di società
partecipata da più enti.
Nel caso di affidamento "in house" di
un servizio pubblico ad una società
partecipata da più enti, ai fini della
legittimità dell'affidamento, non è la
circostanza della configurabilità di un
controllo totale ed assoluto di ciascun ente
pubblico sull'intera società in house, bensì
l'esistenza di strumenti giuridici (di
diritto pubblico o di diritto privato)
idonei a garantire che ciascun ente, insieme
a tutti gli altri azionisti della società
in house, sia effettivamente in grado di
controllare ed orientare l'attività della
società controllata.
Pertanto, nel caso di specie, è corretto
l'operato di un comune e di altre
amministrazioni locali che, al fine del
perseguimento della migliore gestione
economica ed operativa del servizio di
smaltimento dei rifiuti nei relativi
territori, hanno aderito ad una struttura
comune costituita ad hoc e partecipata
esclusivamente dai piccoli comuni della
comunità.
Siffatta modalità operativa di affidamento
in house consente, infatti, ai piccoli enti
locali, da un lato di gestire il servizio
con rilevanti margini di economia,
dall'altro di controllare i livelli della
prestazione dello stesso servizio pubblico
essenziale, collaborando a tal fine con
altri comuni limitrofi e creando le premesse
per un servizio d'ambito per rendere più
efficiente la gestione ed abbattere i costi
del servizio (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 29.12.2009 n. 8970 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Sulla legittimità del
provvedimento di esclusione di un'impresa
concorrente adottato nell'ambito di un
procedimento del quale non sia stato dato
avviso all'interessata.
Sulla legittimità del provvedimento di
esclusione di un concorrente che abbia
presentato un'offerta non conforme ai
requisiti prescritti dal bando di gara.
E' legittimo l'operato di una stazione
appaltante che abbia adottato il
provvedimento di esclusione di un
concorrente da una gara, omettendo di
rendere noto, all'interessato, l'avvio del
relativo procedimento. E' pacifico, infatti,
che i procedimenti volti all'aggiudicazione
dei contratti pubblici abbiano carattere
unitario, pertanto tutti i provvedimenti
adottati dalle stazioni appaltanti in tale
ambito scaturiscono dall'unica procedura
amministrativa ab origine instaurata;
di conseguenza, non occorre inoltrare i
singoli avvisi di avvio del procedimento per
ogni tipologia di provvedimento che
l'amministrazione intende adottare, giacché
i concorrenti già sanno che è in corso la
procedura e che, accanto al provvedimento
finale di aggiudicazione della gara, possono
scaturire ulteriori atti a carattere
decisorio, quali quelli che dispongono, come
nel caso di specie, l'esclusione del
concorrente che abbia presentato un'offerta
non conforme ai requisiti prescritti dal
bando.
E' legittimo il provvedimento di esclusione
di un'impresa concorrente che abbia
presentato un'offerta avente ad oggetto un
bene con caratteristiche non conformi
rispetto a quelle prescritte dagli atti di
gara, anche nell'ipotesi in cui il prodotto
offerto risulti qualitativamente superiore a
quello previsto dal bando ai fini
dell'aggiudicazione dell'appalto, ciò in
quanto, da un lato le prescrizioni formulate
dalla stazione appaltante delimitano
l'interesse che questa intende soddisfare
con l'eventuale futuro contratto, per cui
un'offerta difforme determinerebbe il
mancato soddisfacimento di quell'interesse;
dall'altro lato, aggiudicare la gara sulla
base di un'offerta avente ad oggetto un bene
che presenti caratteri diversi da quelli
richiesti violerebbe il principio della par
condicio dei concorrenti (TAR
Lombardia-Milano, Sez. III,
sentenza 29.12.2009 n. 6235 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
ENTI LOCALI: Il
segretario comunale e provinciale è un
dipendente a tutti gli effetti dell’Ente
Locale, sia pure in via temporanea in
relazione alla durata dell’incarico in
titolarità.
Le competenze dei Segretari Comunali,
specificate in via di principio dall’art. 52
della legge 08.06.1990 n. 142, si
identificano –innanzitutto- in quelle
proprie dei dirigenti del Comune o Provincia
(infatti il legislatore testualmente
chiarisce “oltre alle competenze di cui
all’art. 51”): la questione è stata a
suo tempo chiarita da questo Consiglio
secondo il quale “il segretario non è
<organo dello Stato>, né dipende
gerarchicamente da organi dello Stato;
neppure si può dire che egli svolga, per
conto dello Stato, funzioni di controllo o
sorveglianza sull’Ente Locale. Al contrario
quelle funzioni che l’art. 52 direttamente
gli attribuisce (<sovraintende allo
svolgimento delle funzioni dei dirigenti e
ne coordina l’attività, cura l’attuazione
dei provvedimenti, è responsabile
dell’istruttoria delle deliberazioni,
provvede ai relativi atti esecutivi e
partecipa alle riunioni della giunta e del
consiglio>) lo connotano come un soggetto
che partecipa a pieno titolo
all’amministrazione attiva dell’ente, tanto
quanto i dirigenti e anzi in posizione
sovraordinata rispetto a questi ultimi “
(Cons. St., Sez. I, 10.07.1991, parere n.
1620/1991).
Questa impostazione, del resto non dissimile
dalla previgente legge comunale e
provinciale (T.U. n. 383 del 1934) e non
diversa dall’attuale Ordinamento (art. 17
della legge n. 127 del 1997 e,
successivamente, art. 97 del d.lgs.
18.08.2000 n. 267) mantiene in capo a tale “funzionario”
la specifica funzione ausiliaria di garante
della legalità e correttezza amministrativa
dell'azione dell'ente locale: infatti, anche
il t.u. n. 267 del 2000 ha assegnato al
segretario dell'ente locale, in linea
generale, oltre agli altri compiti indicati
all'art. 97 del t.u. citato, le "funzioni
di collaborazione e di assistenza
giuridico-amministrativa nei confronti degli
organi dell'ente in ordine alla conformità
dell'azione amministrativa alle leggi, allo
statuto ed ai regolamenti" e quelle di "sovrintendere
allo svolgimento delle funzioni dei
dirigenti e di coordinarne l'attività".
E’ vero che, rispetto al passato, il
rapporto di impiego insorge tra il
segretario comunale e l'agenzia autonoma per
la gestione dell'albo dei segretari comunali
e provinciali, ma il rapporto di servizio,
che è poi quello organico, intercorre tra il
segretario e l'ente locale che si avvale
della sua opera e che lo nomina e lo
retribuisce, nel rispetto delle previsioni
ora del T.u.e.l. n. 267/2000 e del DPR n.
465/1997, secondo le previsioni dello
specifico contratto collettivo nazionale di
lavoro dei Segretari Comunali e Provinciali:
non è, quindi, neanche significativa la
circostanza che il trattamento economico
possa essere commisurato ai valori
stipendiali previsti per i dirigenti dello
Stato, perché quel che rileva è il
trattamento economico di servizio attivo
alle dipendenze dell’Ente Locale.
In sintesi, il segretario comunale e
provinciale, a prescindere dal particolare
regime normativo (albo) ed economico-
retributivo (ora con apposito CCNL), è un
dipendente a tutti gli effetti dell’Ente
Locale, sia pure in via temporanea in
relazione alla durata dell’incarico in
titolarità, cui del resto sono state sempre
applicate le comuni regole del pubblico
impiego in generale o specifiche
dell’ordinamento degli enti locali in quanto
applicabili e compatibili.
Il motivo è quindi infondato, atteso che il
rimborso delle spese legali ad un segretario
comunale compete al Comune di sua
utilizzazione, nel cui interesse è posta in
essere la relativa attività funzionale (il
CCNL comparto Segretari ha di recente
previsto apposita polizza assicurativa)
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 24.12.2009 n. 8750 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Esecuzione demolizione e
provvedimenti della P.A..
In tema di esecuzione dell'ordine di
demolizione, se è vero che la P. A. é libera
di agire e di portare a termine il proprio
procedimento e che tale attività non può
essere ignorata dalla giurisdizione (che ha
l’obbligo di coordinare le proprie
determinazioni con quelle assunte
dall’Amministrazione o dai Giudici
amministrativi) è anche vero che il giudice
dell’esecuzione può persino disapplicare
l’atto concessorio eventualmente
sopravvenuto ove lo ritenga illegittimo.
A fortiori, si può (in ossequio al principio
della sollecita attuazione dei provvedimenti
del giudice) respingere anche una istanza di
sospensione che si fondi sul richiamo alla
pendenza di procedura amministrativa di
esito prevedibilmente non favorevole e,
comunque, dai tempi di definizione
assolutamente incerti (Corte di Cassazione,
Sez. III penale,
sentenza 23.12.2009 n. 49459 -
link a www.lexambiente.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Accessibili solo i pareri
inseriti nell'istruttoria.
Sono accessibili solo i
pareri legali inseriti in un'apposita
istruttoria procedimentale. Sono, invece,
coperti da segreto i pareri legali resi dopo
l'avvio di un procedimento giudiziario o
arbitrale, oppure dopo l'inizio di tipiche
attività precontenziose.
Questo è quanto ha sancito la seconda
sezione del TAR della Liguria, Sez. II, con
la
sentenza 17.12.2009 n. 3782.
Un professore ordinario di Farmacologia
all'Università di Genova richiede il
pagamento di compensi per l'attività di
«segreteria scientifica» svolta presso il
Comitato etico del Dimi (Dipartimento di
medicina interna e specialità mediche) e in
esecuzione di un rapporto contrattuale tra
il Comitato etico dell'Azienda ospedaliera
–di cui il docente era membro farmacologo– e
l'Ateneo stesso.
L'Ateneo rileva però la possibile
incompatibilità tra la carica di membro
farmacologo e la qualità di docente
responsabile scientifico prevista nel
contratto. Nell'ambito di tale vertenza, e
cioè al fine di dirimere la controversia
insorta con il proprio docente, l'Università
richiede un parere sia all'Ufficio legale
interno che all'Avvocatura dello Stato.
Tali pareri formano oggetto di istanza di
accesso da parte del docente, ma
l'amministrazione rilascia copia degli atti
con numerose omissioni che ne rendono
impossibile la comprensione.
Di qui il ricorso al Tar, fondato sulla
violazione degli articoli 22 e 24 della
legge n. 241 del 1990 (come modificata dalla
legge n. 15 del 2005).
Il Tribunale amministrativo regionale per la
Liguria ha respinto il ricorso.
Nella motivazione della sentenza si legge
che «ai fini dell'opposizione del segreto
professionale alle istanze di accesso agli
atti occorre distinguere fra pareri legali
resi in relazione a contenziosi (sottratti
al diritto di accesso) e pareri legali che
rappresentano, anche per effetto di un
richiamo esplicito nel provvedimento finale,
“un passaggio procedimentale istruttorio di
un procedimento amministrativo in corso”:
solo il primo tipo di parere è sottratto
all'accesso, in quanto “non è la sola natura
dell'atto a giustificare la segretezza, ma
la funzione che l'atto stesso svolge
nell'azione dell'amministrazione”».
I giudici amministrativi ricordano che
nell'ambito degli atti coperti da segreto,
come tali sottratti alla presa visione e
alla estrazione di copia, rientrano in linea
generale tutti gli atti redatti dai legali e
dai professionisti in relazione a specifici
rapporti di consulenza con
l'amministrazione, in quanto detto segreto
gode di una tutela qualificata, enucleata
dalla disciplina dettata dagli artt. 622
c.p. e 200 c.p.p. In casi come questi
l'accesso deve essere escluso a tutela delle
esigenze di difesa (Consiglio Stato, Sezione
V, 02.04.2001, n. 1893).
Invece se il parere viene reso, anche da
professionisti esterni alla p.a., in una
fase endoprocedimentale e preparatoria
rispetto alla adozione del provvedimento
amministrativo finale, del parere stesso si
può prendere visione ed estrarre copia.
Alla luce di quanto sopra esposto, i pareri
legali oggetto di una controversia,
inserendosi in una fase senza dubbio
contenziosa, non possono essere esaminati
dal soggetto interessato che rivesta il
ruolo di ricorrente, per cui quest'ultimo
non può dolersi del fatto che i pareri in
questione gli siano stati consegnati in
forma incompleta, dato che non sussisteva
comunque alcun diritto a prenderne visione
(articolo ItaliaOggi del 07.01.2010, pag.
34). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
mutamento di destinazione è consentito in
entrambe le fattispecie normative del
restauro-risanamento conservativo e della
ristrutturazione: nella prima ipotesi soffre
pur sempre la limitazione della
compatibilità con gli elementi tipologici,
formali e strutturali del fabbricato.
La Sezione ritiene che, conformemente al
parere del responsabile del settore edilizia
privata del comune di Genova (doc. 9 delle
produzioni 05.11.2009 di parte resistente), a
seguito della presentazione della D.I.A. in
variante in data 01.06.2007, l’intervento
proposto debba qualificarsi come
ristrutturazione, comportando il cambio di
destinazione d’uso di gran parte
dell’immobile (segnatamente, i piani dal
terzo al settimo) mediante la realizzazione
e l’inserimento di nuovi elementi edilizi,
anche esterni (tra i quali le scale esterne
di sicurezza in ferro sul retro ed il nuovo
accesso per la scuola al terzo piano), che
alterano l'originaria fisionomia e
consistenza fisica dell'immobile.
Tali trasformazioni appaiono senz’altro
incompatibili con il concetto di restauro e
risanamento conservativo, che presuppone
invece, ex art. 3, comma 1, lett. c), del
D.P.R. n. 380/2001, il rispetto degli
elementi tipologici, formali e strutturali
dell’organismo edilizio, mediante la
realizzazione di opere che ne lascino
inalterata la struttura.
Né rileva che, secondo una consolidata
giurisprudenza (per la quale cfr., da
ultimo, TAR Puglia, II, 01.03.2004, n. 910),
la modifica della preesistente destinazione
d’uso non sia astrattamente incompatibile
con il concetto di risanamento conservativo.
Difatti, come correttamente evidenziato
dalla difesa del comune, il mutamento di
destinazione, che in linea di principio è
consentito in entrambe le fattispecie
normative del restauro-risanamento
conservativo e della ristrutturazione, nella
prima ipotesi soffre pur sempre la
limitazione, imposta direttamente dalla
norma, della compatibilità con gli elementi
tipologici, formali e strutturali del
fabbricato (Cons. di St., V, 06.07.2002, n.
3728).
E poiché l'intervento in questione non era
diretto -come vuole la definizione dettata
dalla norma e lo stesso significato proprio
dei termini "recupero" e "risanamento"- a
conservare l'organismo edilizio, ma aveva lo
scopo di trasformare l'immobile al solo fine
di adattarlo alla progettata diversa
destinazione d'uso (ancorché compatibile),
non può residuare alcun dubbio circa la
qualificazione dello stesso nell’ambito
della ristrutturazione edilizia, con
conseguente assoggettamento a contributo di
costruzione
(TAR Liguria, Sez. I,
sentenza 09.12.2009 n. 3565 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Lo
sgravio contributivo di cui all'art. 17,
comma 3, lett. c), D.P.R. n. 380/2001 per
gli impianti, le attrezzature, le opere
pubbliche o di interesse generale,
realizzate dagli enti istituzionalmente
competenti, richiede il concorso di due
presupposti, ovvero:
- l'ascrivibilità del manufatto oggetto del
permesso di costruire alla categoria delle
opere pubbliche o di interesse generale,
cioè comunque idonee a soddisfare i bisogni
della collettività anche se realizzate e
gestite da privati;
- l'esecuzione delle opere da parte degli
enti istituzionalmente competenti, cioè da
parte di soggetti cui sia demandata in via
istituzionale la realizzazione di opere di
interesse generale, ovvero da parte di
privati concessionari dell'ente pubblico,
purché le opere siano inerenti all'esercizio
del rapporto concessorio.
E’ noto infatti
che lo sgravio contributivo di cui all'art.
17, comma 3, lett. c), D.P.R. n. 380/2001
per gli impianti, le attrezzature, le opere
pubbliche o di interesse generale,
realizzate dagli enti istituzionalmente
competenti, richiede il concorso di due
presupposti, ovvero: l'ascrivibilità del
manufatto oggetto del permesso di costruire
alla categoria delle opere pubbliche o di
interesse generale, cioè comunque idonee a
soddisfare i bisogni della collettività
anche se realizzate e gestite da privati;
l'esecuzione delle opere da parte degli enti
istituzionalmente competenti, cioè da parte
di soggetti cui sia demandata in via
istituzionale la realizzazione di opere di
interesse generale, ovvero da parte di
privati concessionari dell'ente pubblico,
purché le opere siano inerenti all'esercizio
del rapporto concessorio.
Nel caso di realizzazione da parte di
privati, deve dunque sussistere un ben
preciso vincolo relazionale tra il soggetto
abilitato ad operare nell'interesse pubblico
ed il materiale esecutore della costruzione,
e tale vincolo deve contrassegnare fin
dall'inizio (cioè, fin dalla richiesta del
titolo edilizio) la realizzazione
dell'assentito intervento edificatorio, al
fine di ottenere l’esenzione dal contributo
di costruzione.
Difatti, “la evidente connessione
legislativa tra gli elementi dell'“ente
istituzionalmente competente” e della
“realizzazione” non può essere dilatata al
punto da esporre l'amministrazione comunale
a richieste di sgravio contributivo, e
quindi per lo più ad istanze di rimborso di
oneri già acquisiti al patrimonio comunale,
sulla base di utilizzazioni intervenute e
concordate in un secondo momento, frutto
dell'attività imprenditoriale o commerciale
dell'impresa costruttrice e comunque del
tutto esulanti dagli specifici intenti
realizzativi iniziali, e questo seppur
l'intervento edilizio riguardi zone
tendenzialmente destinate ad interventi
edificatori di interesse generale. Non si
può, in definitiva, recuperare ex post il
legame tra soggetti realizzatori e finalità
pubbliche che, seppur con moduli
organizzatori non del tutto tipizzati, deve
contraddistinguere l'intervento edilizio ab
initio” (così Cons. di St., V,
02.12.2002, n. 6618)
(TAR Liguria, Sez. I,
sentenza 09.12.2009 n. 3565 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Le
stazioni radio base, per le loro
caratteristiche strutturali, non sono
equiparabili alle costruzioni ex art. 873
del codice civile e la disciplina comunale
non può assimilare tout-court gli impianti
in questione agli edifici sotto il profilo
edilizio-urbanistico in ragione
dell’inammissibile assimilazione ai fini
urbanistici fra le costruzioni e gli
impianti tecnologici.
In merito alla costruzione di una stazione
radio base sul confine, è stata dedotta nel
ricorso introduttivo la violazione degli
artt. 29 e ss. del Regolamento edilizio e
degli artt. 873 e ss. Codice civile.
Neppure questa censura può essere accolta,
poiché la giurisprudenza ritiene che tali
stazioni, per le loro caratteristiche
strutturali, non siano equiparabili alle
costruzioni ex art. 873 del codice civile
(TAR Toscana Firenze, sez. I, 06.11.2006, n.
5088), ed ha ripetutamente chiarito che “la
disciplina comunale non può assimilare
tout-court gli impianti in questione agli
edifici sotto il profilo
edilizio-urbanistico (ad es.: assoggettando
i primi ai limiti di altezza o in tema di
distanze propri dei secondi” (Cons.
Stato, VI, 5044/2008), in ragione
dell’inammissibile assimilazione ai fini
urbanistici fra le costruzioni e gli
impianti tecnologici (in tale senso, ex
plurimis: Cons. Stato, Sez. VI, sent.
07.06.2006, n. 3425; id, Sez. IV, sent.
14.02.2005, n. 450)
(TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. I,
sentenza 07.12.2009 n. 2861 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Beni Ambientali. Pianificazione
paesistica.
In sede di pianificazione paesistica, anche
approvata in via sostitutiva, ben possono
essere disciplinate le aree vincolate con
provvedimento amministrativo e ben possono
essere dettate prescrizioni “a regime”,
come la prevalenza sugli strumenti
urbanistici, che peraltro attua il generale
principio della prevalenza dei piani
paesistici, che continua ad essere tuttora
vigente (art. 143, comma 9, d.lgs. n.
42/2004).
Inoltre, risulta evidente che la procedura
per l’approvazione del piano in via
sostitutiva è di carattere eccezionale e
risulta essere atipica rispetto al modello
ordinario di procedimento, con la
conseguenza che quel modello non può essere
qui invocato e non può quindi essere
applicata la fase partecipativa aperta
prevista nel modello ordinario, che deve
necessariamente essere adattata
all’esercizio dei poteri sostitutivi
eccezionali (Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 03.12.2010 n. 7543 -
link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Motivazione diniego del permesso
di costruire.
La motivazione del provvedimento di diniego
del titolo abilitativo edilizio, che non
consenta di intendere in quali termini e con
quali disposizioni delle Norme tecniche di
attuazione del p.r.g. il progetto sia in
contrasto, è del tutto inidonea ad adempiere
la propria funzione di far comprendere le
ragioni giuridiche e le giustificazioni di
fatto che sono alla base della
determinazione dell'Amministrazione, con
evidente pregiudizio al diritto di difesa
della ricorrente ed al principio di
trasparenza dell'azione amministrativa.
In tal modo non si consente all'interessato
da un lato, di rendersi conto degli
impedimenti che si frappongono alla
realizzazione del suo progetto e di poterlo
adeguare alle esigenze pubbliche che
l'Amministrazione ha inteso tutelare;
dall'altro, di confutare in maniera
esaustiva la legittimità del provvedimento
davanti al giudice competente (TAR
Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 01.12.2009 n. 5218 -
link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il risultato negativo di una
richiesta di sanatoria edilizia comporta
l’automatica decadenza dell’ordinanza
demolitoria, dovendo l’amministrazione
riaprire il procedimento volto ad attivare
nuovo provvedimento sanzionatorio, ed
assegnando nuovi termini in ipotesi di
conferma della sanzione ripristinatoria.
La presentazione di istanza di accertamento
in conformità ex art. 13 l. n. 47/1985
determina la sospensione del procedimento
sanzionatorio sino all’esito del
procedimento di sanatoria, il cui risultato
negativo comporta l’automatica decadenza
dell’ordinanza demolitoria, dovendo
l’amministrazione riaprire il procedimento
volto ad attivare nuovo provvedimento
sanzionatorio, ed assegnando nuovi termini
in ipotesi di conferma della sanzione
ripristinatoria (TAR Sardegna 16.09.1994 n.
1559, TAR Lombardia Milano, sez. II,
11.03.2002 n. 1037)
(TAR
Puglia-Bari, Sez. II,
sentenza 19.11.2009 n. 2756 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il
c.d. «volume tecnico» comprende
esclusivamente le porzioni di fabbricato
destinate ad ospitare impianti, legati da un
rapporto di strumentalità necessaria con
l'utilizzazione dello stesso.
L’intervento
realizzato dall’odierna ricorrente determina
un sensibile aumento di volumetria non
riconducibile al concetto di volume tecnico,
trattandosi di vano adibito non già alla
allocazione di impianti strumentali alla
costruzione (impianti idrici, termici ecc.)
bensì a studio, con conseguente variazione
essenziale della cubatura e mutamento della
destinazione d’uso.
Il c.d. «volume tecnico» comprende
esclusivamente le porzioni di fabbricato
destinate ad ospitare impianti, legati da un
rapporto di strumentalità necessaria con
l'utilizzazione dello stesso; non è tale
pertanto l'intervento che si sostanzia,
piuttosto, in un piano di copertura, avente
consistente cubatura, reso oggettivamente
suscettibile di uso abitativo, che integra
un nuovo organismo edilizio autonomamente
utilizzabile, secondo la definizione
contenuta nell'art. 31, comma 1, del d.P.R.
n. 380 del 2001 (TAR Campania Napoli, sez.
II, 27.01.2009, n. 44) (TAR
Puglia-Bari, Sez. II,
sentenza 19.11.2009 n. 2756 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
costruzione di una serra che sia destinata a
far fronte ad esigenze continuative connesse
a coltivazioni ortofrutticole è soggetta al
previo rilascio della concessione edilizia.
Una serra, quando consiste in un manufatto
infisso al suolo, benché abbia carattere di
relativa mobilità, rientra nel concetto di
opera di fabbricazione, avendo attitudine a
permanere nel tempo ed a influire sulla
razionale sistemazione del territorio, così
che essa necessita della preventiva
concessione edilizia.
Per consolidato insegnamento
giurisprudenziale (cfr. Cons.St. Sez. IV,
06.03.2006 n. 1119, Sez. V, 08.06.2000 n.
3247), la costruzione di una serra che, pur
costituita da strutture agevolmente
rimovibili, sia destinata a far fronte ad
esigenze continuative connesse a
coltivazioni ortofrutticole, in quanto
destinata ad alterare in modo duraturo
l'effetto urbanistico-territoriale, è
soggetta al previo rilascio della
concessione edilizia.
E’ stato, d'altra parte, chiarito che una
serra, quando consiste in un manufatto
infisso al suolo, benché abbia carattere di
relativa mobilità, rientra nel concetto di
opera di fabbricazione, avendo attitudine a
permanere nel tempo ed a influire sulla
razionale sistemazione del territorio, così
che essa necessita della preventiva
concessione edilizia (Cons. St. Sez. V,
25.11.1988 n. 760), laddove è stata esclusa
la necessità del predetto titolo abilitativi
solo per l'ipotesi di una serra costruita su
un fondo destinato ad uso agricolo, per
finalità inerenti esclusivamente alla
coltivazione del terreno, fuori dal centro
abitato, formata di materiali facilmente
amovibili, non infissa stabilmente al suolo
o eseguita con opere murarie né collegata
con altre opere costruttive edilizie o che
abbia dimensioni tali da non incidere
negativamente sull'ambiente circostante
(cfr. Cons. St. Sez. V, 14.03.1980 n. 284).
E’ in tale contesto sistematico che deve
essere inquadrata la disposizione di cui
all’art. 2, 6° comma, della L.R. 07.06.1980
n. 93 -Norme in materia di edificazione
nelle zone agricole- (peraltro abrogata
dall'art. 104, comma 1, lett. h), della L.R.
11.03.2005, n. 12), la quale prevedeva che “Non
è subordinata né a concessione né ad
autorizzazione comunale la realizzazione di
coperture stagionali destinate a proteggere
le colture”
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 19.11.2009 n. 2223 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
Convenzioni urbanistiche.
Le convenzioni urbanistiche hanno lo scopo
di garantire che all' edificazione del
territorio corrisponda, non solo
l'approvvigionamento delle dotazioni minime
di infrastrutture pubbliche, ma anche il suo
equilibrato inserimento in rapporto al
contesto di zona che, nell’insieme,
garantiscano la normale qualità del vivere
in un aggregato urbano discrezionalmente, e
razionalmente, individuato dall’Autorità
preposta alla gestione del territorio
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 06.11.2009 n. 6947 -
link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Sportello unico.
La trasmissione della pratica al SUAP,
disposta con l’atto impugnato, non implica
recesso del Comune dalle proprie prerogative
e responsabilità, giacché lo Sportello Unico
non rappresenta un nuovo centro di
competenze, ma, com’è noto, un modulo
organizzativo e procedimentale composito,
una sorta di “procedimento di
procedimenti” nel quale confluiscono gli
atti e gli adempimenti facenti capo a
diverse competenze, e richiesti dalle norme
in vigore perché l'insediamento produttivo
possa legittimamente essere realizzato; in
questo senso, quelli che erano, in
precedenza, autonomi provvedimenti, ciascuno
dei quali veniva adottato sulla base di un
procedimento a sé stante, diventano “atti
istruttori” al fine dell'adozione
dell'unico provvedimento conclusivo, titolo
per la realizzazione dell'intervento
richiesto (TAR Toscana, Sez. II,
sentenza 06.11.2009 n. 1585 -
link a www.lexambiente.it). |
AGGIORNAMENTO AL 07.01.2010 |
ã |
GURI - GUUE - BURL (e anteprima) |
EDILIZIA PRIVATA: B.U.R.
Lombardia, 1° suppl. straord. al n. 1 del
05.01.2010, "Indicazioni per l'accesso ai
contributi per l'eliminazione delle barriere
architettoniche negli edifici residenziali
privati e criteri di controllo"
(decreto
D.S. 15.12.2009 n. 14032 - link a www.infopoint.it). |
EDILIZIA PRIVATA: B.U.R.
Lombardia, serie ordinaria n. 1 del
04.01.2010, "Approvazione della procedura
operativa per la realizzazione dei controlli
sulla conformità degli attestati di
certificazione energetica redatti ai sensi
della d.g.r. 5018/2007 e successive
modifiche"
(decreto
D.G. 15.12.2009 n. 14009 - link a www.infopoint.it). |
EDILIZIA PRIVATA: B.U.R.
Lombardia, serie ordinaria n. 1 del
04.01.2010, "Precisazioni in merito
all'applicazione delle disposizioni vigenti
in materia di certificazione energetica
degli edifici e modifiche al d.d.g. 5796
dell'11.06.2009"
(decreto
D.G. 15.12.2009 n. 14006 - link a www.infopoint.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: B.U.R.
Lombardia, serie ordinaria n. 1 del
04.01.2010, "Modifica degli Allegati 1, 2
e 3 della d.g.r. n. 5868 del 21.11.2007
«Integrazione con modifica al programma
d'azione per la tutela e risanamento delle
acque dall'inquinamento causato da nitrati
di origine agricola per le aziende
localizzate in zona vulnerabile (d.lgs. n.
152/2006, art. 92 e d.m. 07.04.2006) e
adeguamento dei relativi criteri e norme
tecniche generali di cui alla d.g.r. n.
17149/1996, approvati con d.g.r. n. 5215 del
02.08.2007»"
(deliberazione
G.R. 23.12.2009 n. 10892 - link a www.infopoint.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: B.U.R.
Lombardia, serie ordinaria n. 1 del
04.01.2010, "Programma straordinario di
interventi per l'attuazione della direttiva
«Nitrati»"
(deliberazione
G.R. 23.12.2009 n. 10890 - link a www.infopoint.it). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: G.U.
31.12.2009 n. 303 "Attuazione
dell’articolo 4 della legge 04.03.2009, n.
15, in materia di ricorso per l’efficienza
delle amministrazioni e dei concessionari di
servizi pubblici"
(D.Lgs. 20.12.2009 n.
198).
La cosiddetta class
action (senza risarcimento) per i disservizi
pubblici. |
ENTI LOCALI: G.U.
31.12.2009 n. 303, suppl. ord. n. 245/L, "Legge
di contabilità e finanza pubblica" (L.
31.12.2009 n. 196). |
APPALTI:
G.U.U.E. 20.12.2007 n. L 335, "DIRETTIVA
2007/66/CE DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL
CONSIGLIO dell’11.12.2007 che
modifica le direttive 89/665/CEE e 92/13/CEE
del Consiglio per quanto riguarda il
miglioramento dell’efficacia delle procedure
di ricorso in materia d’aggiudicazione degli
appalti pubblici" (link a
http://eur-lex.europa.eu). |
CORTE DEI CONTI |
AMBIENTE-ECOLOGIA - ENTI LOCALI:
Rifiuti, punito il sindaco
inerte. Sentenza della Corte dei conti
campana individua (per prima) gli obblighi
dei comuni. C'è danno erariale se manca la
raccolta differenziata.
I comuni che non attuano
la raccolta differenziata dei rifiuti solidi
urbani rispondono anche di danno erariale.
Infatti, l'inerzia degli amministratori
nell'attuare le prescrizioni legislative o
le eventuali ordinanze commissariali in
merito, comporta un maggior costo di
conferimento dei rifiuti negli impianti di
smaltimento, nonché il mancato introito
derivante dalla cessione del materiale
recuperato e il maggior costo della
cosiddetta «emergenza rifiuti». Tutte poste
di danno che non possono essere addebitate
alla collettività, ma agli stessi
amministratori che, in maniera negligente,
nulla hanno fatto per avviare seriamente la
raccolta differenziata dei rifiuti solidi
urbani.
Lo ha sancito la sezione giurisdizionale
della Corte dei conti per la Campania, nel
testo della recentissima
sentenza 09.12.2009 n. 1492, la
prima in tal senso nel panorama
giurisprudenziale italiano, con la quale ha
chiarito come l'avvio delle procedure per
sensibilizzare la raccolta differenziata nei
cittadini, per le amministrazioni comunali,
non sia certo una facoltà, quanto piuttosto
un obbligo, dal cui mancato adempimento ne
possono conseguire rilevanti problematiche,
non ultima la chiamata a rispondere innanzi
al collegio della magistratura contabile per
responsabilità amministrativo-contabile.
Il collegio della Corte campana ha così
sanzionato al pagamento di oltre 450 mila
euro, il sindaco e i dirigenti comunali di
Marcianise (Ce), in carica nel biennio
2003-2005, per il mancato rispetto degli
obblighi inerenti il raggiungimento delle
percentuali minime di raccolta
differenziata.
Secondo le ordinanze di protezione civile
emanate nel 1999, 2000 e 2005, i comuni
campani avrebbero dovuto attuare una
percentuale minima di raccolta differenziata
(rispetto al totale ammontare della quantità
di rifiuti prodotta) pari al 30% per il
2003-2004 e al 35% per il 2005. In caso di
violazione, la tariffa a carico dei comuni
per gli oneri gestionali della raccolta dei
rifiuti avrebbe subito progressive
maggiorazioni in misura direttamente
proporzionale all'entità della violazione
delle disposizioni riguardanti la
percentuale minima di raccolta differenziata
da realizzare entro le varie scadenze
prestabilite. Nei fatti era emerso che nel
2004 il Comune di Marcianise risultava aver
raggiunto la percentuale di raccolta
differenziata del solo 6,17.
La Corte ha potuto rilevare che in quel
comune «nulla era stato previsto per la
raccolta differenziata dei rifiuti solidi
urbani». In particolare non è sorto alcun
obbligo per i cittadini di procedere al
conferimento separato della varie tipologie
di rifiuti, con la conseguente
impossibilità, per gli agenti di polizia
municipale, di contestare eventuali
infrazioni e nonostante il corrispettivo
comunque erogato alla società affidataria
del servizio di raccolta dei rifiuti
comprendente anche il trattamento della
raccolta differenziata.
Tre, pertanto, i profili di danno contestati
e passati in sentenza. Il primo, a danno
delle casse comunali, è dato
dall'ingiustificato costo sostenuto a titolo
di tariffa smaltimento rifiuti per il
conferimento «dell'indifferenziato» presso
gli impianti di smaltimento, quando, invece,
avrebbe dovuto essere in parte non conferito
agli impianti, ma separato con
l'effettuazione della prescritta raccolta.
Il secondo, ancora a danno del comune, è
costituito dal mancato introito derivante
dalla cessione del materiale recuperato. Il
terzo, infine, è a danno sia del Comune che
dell'Erario ed è costituito dal collasso del
piano integrato dei rifiuti e dei costi
emergenziali, cui l'insufficiente raccolta
differenziata «ha senz'altro partecipato»,
anche se in modo non preponderante ad altre
cause, quali l'assenza dei
termovalorizzatori (articolo ItaliaOggi del
29.12.2009, pag. 19). |
PUBBLICO IMPIEGO:
In tema di responsabilità di un funzionario
dipendente di un ente locale addetto
all'ufficio economato per danno erariale
derivante dall'omissione di ogni forma di
controllo e vigilanza sull'illecito operato
di altro dipendente a lui sottoposto (nella
fattispecie la Sezione ha ritenuto
responsabile il convenuto per responsabilità
sussidiaria conseguente l'omessa vigilanza
sul versamento di somme nelle casse
comunali) (Corte dei Conti, Sez. II
giurisdiz. centrale d'appello,
sentenza 09.12.2009 n. 548 - link
a www.corteconti.it). |
APPALTI:
In tema di responsabilità dell'ingegnere
capo ufficio tecnico di un ente locale per
danno indiretto cagionato allo stesso
derivante da transazione intervenuta tra
ditta appaltatrice e amministrazione locale
(Corte dei Conti, Sez. giurisdiz. d'appello
Sicilia,
sentenza 03.12.2009 n. 355 - link
a www.corteconti.it). |
LAVORI PUBBLICI:
In tema di responsabilità di amministratori
locali e dipendente comunale per danno
erariale della P.A. derivante dalla
trasformazione di suoli privati mediante
l'esecuzione di opere pubbliche in assenza
di legittima procedura espropriativa (nella
fattispecie la Sezione ha ritenuto il danno
non attuale non essendo ancora intervenuto
il passaggio in giudicato della sentenza
civile) (Corte dei Conti, Sez. giurisdiz.
Calabria,
sentenza 24.11.2009 n. 714 - link
a www.corteconti.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Rimborsi spese ko. Corte conti
lombarda sui guai legali dei dipendenti.
Scelta del legale da fare con la p.a..
La pubblica
amministrazione non può rimborsare le spese
legali al dipendente coinvolto in vicende
giudiziarie per fatti attinenti il servizio,
dopo che lo stesso ha provveduto a
scegliersi autonomamente il proprio
difensore, senza che sia stata data la
possibilità all'amministrazione di essere
interpellata sulle decisioni inerenti il
patrocinio legale.
Lo ha chiarito la Sezione regionale di
controllo della Corte dei conti per la
Lombardia, nel testo del
parere 12.11.2009 n. 1000, con la
quale ha fatto ordine sul rapporto rimborso
spese legali- scelta difensore da parte del
dipendente pubblico.
La Corte, interessata sul punto dal sindaco
del comune di Varese, ha sottolineato che
l'articolo 28 del vigente contratto
collettivo nazionale di lavoro
sostanzialmente ricalca quanto contenuto
dell'articolo 67 del dpr n. 268/1987.
La ratio di tale norma, pertanto, è
quella di rispondere all'esigenza che il
soggetto appartenente ad un'organizzazione
pubblica, chiamato ingiustamente a
rispondere per attività compiute
nell'espletamento dei propri compiti
istituzionali, non deve sopportare il peso
economico del processo. Va da sé che
l'assunzione del relativo onere economico da
parte della p.a. non è certo automatico, ma
è conseguenza di alcuni presupposti e
rigorose valutazioni che la p.a. deve
svolgere.
In particolare, ha rilevato la Corte
lombarda, sul punto della legittimità del
rimborso delle spese legali, il testo dei
citato articolo 67 fa espresso riferimento
alla necessità che il legale, che assumerà
la difesa del dipendente con onere a carico
dell'ente locale, sia «di comune
gradimento».
Questo fa sì che deve escludersi che il
rimborso delle spese legali a carico del
Comune, possa avvenire a seguito di una
scelta del tutto autonoma e personale del
dipendente nella nomina del proprio
difensore, cioè, senza che l'amministrazione
sia mai stata interpellata nelle decisioni
inerenti alla scelta del patrocinio legale.
Inoltre, la risposta del collegio lombardo
chiarisce un altro interessante punto.
Infatti, in caso di liquidazione di spese in
sede giudiziale (rifuse dalla parte
soccombente al dipendente), il rimborso da
parte del Comune di eventuali maggiori
spese, rispetto alla quantificazione
contenuta nella sentenza, deve essere frutto
di un «accordo preliminare» intervenuto in
sede di conferimento dell'incarico. Mancando
tale accordo, le maggiori spese sopra
descritte restano a totale carico del
dipendente, in quanto ciò «attiene al
rapporto interno tra il difensore e il
soggetto che gli ha conferito l'incarico»
(articolo ItaliaOggi del 26.11.2009, pag.
36). |
QUESITI & PARERI |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Come si configura il diritto di accesso alle
informazioni ambientali?
(quesito
01.01.2010 - link a
www.ambientelegale.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Nell’ipotesi in cui un’azienda autosmaltisca
i rifiuti prodotti, deve pagare ugualmente
la TIA?
(quesito
01.01.2010 - link a
www.ambientelegale.it). |
DOTTRINA E CONTRIBUTI |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
A. Pierobon,
LE IMPRESE DI PULIZIA E LA GESTIONE DEI
RIFIUTI: UNA OCCASIONE DI RIFLESSIONE DALLA
SENTENZA TAR PUGLIA-LECCE, SEZ. I,
19.11.2009 N. 2799 (prima parte)
(link a www.lexambiente.it). |
LAVORI PUBBLICI:
M. Bassanese,
Dopo il 2009 i Comuni sono ancora tenuti a
partecipare alle spese per la manutenzione
delle strade vicinali?
(link a http://venetoius.myblog.it). |
EDILIZIA PRIVATA: D.
Meneguzzo,
I capanni da caccia sono abusi edilizi e
ambientali?
(link a http://venetoius.myblog.it). |
LAVORI PUBBLICI:
L. Bellagamba,
Lavori pubblici: il problema se il beneficio
del “quinto” giovi a raggiungere le quote
“minime” di qualificazione previste per i
raggruppamenti orizzontali (link
a www.linobellagamba.it). |
APPALTI:
L. Bellagamba,
L’offerta economicamente più vantaggiosa e
l’organo di gara competente in materia di
“criteri di valutazione” di natura
quantitativa
(link a www.linobellagamba.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
V. Salamone,
La valorizzazione dei rifiuti come risorsa
energetica: i termovalorizzatori nella
normativa e nella giurisprudenza
(link a www.giustizia-amministrativa.it). |
LAVORI PUBBLICI:
E. De Falco, Subappalti nei lavori pubblici
-
I presupposti per il
ricorso al subappalto dei lavori pubblici
alla luce dell'art. 118 del d.lgs. 163/2006
e del nuovo Regolamento di esecuzione e di
attuazione del Codice dei contratti pubblici
(Quaderni di Legislazione Tecnica n.
4/2009). |
NEWS |
VARI:
Turismo: dal 20 gennaio è possibile
prenotare i Buoni Vacanza.
Dal 20.01.2010 sarà possibile prenotare i
buoni vacanza, validi fino al 30.06.2010.
Possono presentare la domanda i cittadini
italiani che rientrano nei limiti di reddito
stabiliti dall'art. 4 del DPCM 21.10.2008.
Il contributo può essere erogato una sola
volta per nucleo familiare e fino
all'esaurimento dei fondi disponibili sulla
base del criterio di priorità cronologica di
inoltro della richiesta e al versamento
dell'importo residuo a carico del
richiedente.
I buoni vacanza sono nominativi e
distribuiti in tagli da 20 e 5 euro
spendibili anche separatamente. Il gestore
dei buoni vacanza sarà l'associazione no
profit Buoni Vacanza Italia (BVI) che ha
siglato la convenzione con il Dipartimento
del turismo il 03.07.2009. La richiesta
avviene attraverso una procedura on line.
Occorre compilare sia il modulo anagrafico
sia l'autodichiarazione sulle condizioni
anagrafiche e reddituali per il calcolo
della percentuale di contributo pubblico e
la richiesta dell'importo dei buoni.
A procedura on line completata verrà
rilasciato in automatico dal sistema un
codice di prenotazione che dovrà essere
presentato entro 10 giorni -pena la
decadenza della prenotazione- ad una agenzia
della Banca Intesa-Sanpaolo. La banca, a sua
volta, ordina i buoni che verranno
recapitati al beneficiario direttamente a
domicilio. L'elenco delle strutture
turistiche convenzionate può essere
consultato sul sito
www.buonivacanze.it (link a
www.governo.it). |
PUBBLICO IMPIEGO: Incarichi
ai dirigenti Affidamenti difficili. Tesi
restrittiva della Corte conti.
Gli incarichi
dirigenziali scadenti il 31.12.2009, in
assenza di una espressa mancata conferma,
debbono necessariamente essere confermati
per il successivo triennio, salvo revoche o
riorganizzazioni.
La scadenza naturale degli incarichi, per
effetto delle modifiche all'articolo 19 del
dlgs 165/2001, operate dal dlgs 150/2001,
non rappresenta di per sé più causa che
consenta agli organi di governo di
modificare l'assetto della dirigenza. La
conferma dell'incarico, infatti,
rappresenta, nel nuovo sistema, la regola;
la modifica un'eccezione da motivare
espressamente e da gestire secondo i
principi e criteri dell'evidenza pubblica.
È il nuovo comma 1-bis dell'articolo 19 del
dlgs 165/2001 la chiave di volta della forte
restrizione operata dal legislatore nei
confronti del potere dell'organo di governo
di modificare gli incarichi dirigenziali.
Esso stabilisce che «l'amministrazione
rende conoscibili, anche mediante
pubblicazione di apposito avviso sul sito
istituzionale, il numero e la tipologia dei
posti di funzione che si rendono disponibili
nella dotazione organica e i criteri di
scelta; acquisisce le disponibilità dei
dirigenti interessati e le valuta». Si
pretende, cioè, una vera e propria procedura
pubblica, finalizzata a mettere i dirigenti
nelle condizioni di manifestare il proprio
interesse a un incarico che
l'amministrazione intende conferire,
rendendolo «conoscibile» con un avviso.
Non tutti gli incarichi dirigenziali sono,
tuttavia, oggetto di tale procedura e,
dunque, da rendere conoscibili. Lo
chiariscono il comma 1 dell'articolo 19
medesimo e l'articolo 21, comma 1, del dlgs
165/2001. Il primo, tra gli altri criteri
per assegnare gli incarichi dirigenziali,
enuncia espressamente l'esigenza di tenere
in considerazione i risultati ottenuti dal
dirigente, secondo il sistema di
valutazione. Se i risultati sono positivi,
nella sostanza la normativa attribuisce
maggior valore all'interesse generale alla
continuità dell'azione gestionale del
singolo dirigente, rispetto all'interesse,
particolare, del singolo amministratore a
cambiare gli assetti della dirigenza.
Lo dimostra il citato articolo 21, comma 1,
ai sensi del quale la mancata conferma degli
incarichi è conseguenza esclusivamente di
due eventi: il mancato raggiungimento degli
obiettivi accertato attraverso le risultanze
del sistema di valutazione, ovvero
l'inosservanza delle direttive imputabili al
dirigente. In assenza di questi due
presupposti, non vi è alcuna possibilità di
non confermare l'incarico, anche se sia
scaduto il termine di durata.
Il procedimento a evidenza pubblica scatta
se ricorrano le condizioni per rendere
disponibile un incarico, liberatosi per
mancato rinnovo specificamente motivato
dalle ragioni viste prima, oppure
determinato da una revoca dovuta alla
particolare gravità del mancato
raggiungimento dei risultati o della
violazione alle direttive.
Una terza ipotesi per modificare gli
incarichi è la riorganizzazione, che deve,
tuttavia, riguardare l'intero ente in
termini concreti, non bastando una semplice
azione di spostamento non sostanziale di
alcuni uffici e risorse, mirate ad incidere
esclusivamente sulla posizione dirigenziale
di un particolare dirigente. Tanto è vero,
che il già citato comma 1-ter dell'articolo
19 dispone: «L'amministrazione che, in
dipendenza dei processi di riorganizzazione
ovvero alla scadenza, in assenza di una
valutazione negativa, non intende confermare
l'incarico conferito al dirigente, è tenuta
a darne idonea e motivata comunicazione al
dirigente stesso con un preavviso congruo,
prospettando i posti disponibili per un
nuovo incarico».
Quanto fin qui visto vale direttamente per
le amministrazioni statali, ma anche come
principio inderogabile per le
amministrazioni regionali e locali. Infatti,
la novellazione all'articolo 19 del dlgs
165/2001 è posta in essere in attuazione
della delega legislativa contenuta nella
legge 15/2009, ai sensi della quale il
legislatore delegato era chiamato ad
applicare alla disciplina degli incarichi e
delle revoche dirigenziali i principi
enunciati dalla Corte costituzionale, nelle
note sentenze 103 e 104 del 2007, ove si
sottolinea la contrarietà a Costituzione di
una configurazione fiduciaria degli
incarichi e la necessità, invece, di
garantire la continuità delle funzioni
dirigenziali, allo scopo di non rendere
precaria la loro funzione, che, essendo i
dirigenti organi esercitanti una funzione
pubblica di interesse generale, non deve
essere resa incerta da fattori non connessi
alla valutazione della loro capacità
tecnica.
Per tale ragione, anche regioni ed enti
locali debbono rispondere ad un principio
valevole erga omnes, discendendo
direttamente dagli articoli 97 e 98 della
Costituzione, non derogabile da alcuna
fonte, né legislativa, né statutaria,
propria dell'autonomia di detti enti, visto
che tale autonomia deve essere armonica e
non contrastante con la Costituzione
(articolo di ItaliaOggi del 06.01.2010, pag.
25). |
APPALTI: Serve
una bussola per gli appalti, Codice dei
contratti: modifiche mentre si vara il
regolamento.
Il 2010 vedrà il via libera al regolamento
del codice dei contratti pubblici, ma fra
modifiche in corso e richieste di revisione
complessiva del Codice dei contratti
pubblici, il quadro normativo subirà
ulteriori cambiamenti destinati a
disorientare ulteriormente amministrazioni e
operatori del settore.
È questo quanto potrebbe accadere se si
analizza lo stato dell'arte dei principali
provvedimenti in materia di appalti pubblici
... (articolo
ItaliaOggi del 06.01.2010 -
tratto da http://rassegnastampa.formez.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Sulla mobilità mani legate alle
giunte locali.
La competenza a disporre la mobilità dei
dipendenti pubblici spetta in via esclusiva
alla dirigenza. Non sono, dunque, legittimi
i provvedimenti adottati con deliberazioni
delle giunte comunali o provinciali.
Nonostante la mobilità sia indiscutibilmente
un provvedimento di natura gestionale, sono
frequentissimi i casi nei quali gli enti
locali decidono di acquisire o lasciar
trasferire un dipendente per mobilità
volontaria, mediante deliberazioni della
giunta ... (articolo
ItaliaOggi del 02.01.2010 -
tratto da http://rassegnastampa.formez.it). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO:
P.a., class action senza
munizioni. Al debutto sia le azioni
collettive pubbliche sia quelle private. E
qui ci sono già i primi due casi. Non sono
previsti risarcimenti, ma solo l'obbligo di
rimediare.
La class action contro la p.a. non
porterà risarcimenti dei danni. Al massimo
servirà a imporre agli enti pubblici di
rimediare alla propria inefficienza. Ma
senza nuove o maggiori spese per le
amministrazioni. L'azione collettiva
«pubblica», pure se in versione «ridotta», è
comunque in procinto di diventare operativa.
È stato, infatti, pubblicato sulla Gazzetta
Ufficiale del 31/12/2009 il dlgs 20.12.2009,
n. 198, in materia di ricorso per
l'efficienza delle amministrazioni e dei
concessionari di servizi pubblici. Comunque
la class action contro le p.a. non
partirà subito, in quanto il decreto
legislativo non basta. Servono anche decreti
attuativi e fino alla loro emanazione tutto
rimarrà sulla carta ... (articolo
ItaliaOggi del 02.01.2010 -
tratto da http://rassegnastampa.formez.it). |
ENTI LOCALI:
Finanziaria in pensione, arriva
la legge di stabilità.
Dall'anno prossimo non ci saranno più legge
finanziaria e Documento di programmazione
economica e finanziaria (Dpef). Al loro
posto arriveranno la legge di stabilità e la
Decisione di finanza pubblica (Dfp).
Si tratta della riforma della contabilità
pubblica che il 31.12.2009 è approdata sulla
Gazzetta Ufficiale.
In pratica vengono modificati tutti gli
strumenti che in questi anni hanno
caratterizzato le manovre di bilancio. La
nuova legge indica quali saranno gli
strumenti della programmazione.
Si parte dalla relazione sull'economia e la
finanza pubblica, da presentare alle camere
entro il 15 aprile di ogni anno. Si prosegue
con lo schema di decisione della Dfp, da
presentare alle camere entro il 15 settembre
di ogni anno, per le conseguenti
deliberazioni parlamentari. Poi si arriva al
disegno di legge di stabilità, da presentare
in parlamento, entro il 15 ottobre,
corredato di una nota tecnico-illustrativa
da inviare alle camere. A seguire i ddl
bilancio (entro il 15 ottobre) e
assestamento (entro il 30 giungo).
Infine i collegati alla manovra di finanza
pubblica, da presentare alle camere entro il
mese di febbraio (articolo ItaliaOggi del
02.01.2010, pag. 3). |
APPALTI:
La giustizia amministrativa
innova. Rassegna degli orientamenti
giurisprudenziali sui contratti pubblici,
adeguamenti e correttivi. Codice appalti: il
Cds e il Tar ispirano l'aggiornamento.
Nei sistemi romanistici, nei quali la
lettera della legge costituisce il
fondamento del diritto, la capacità di una
norma di adeguarsi alle mutate esigenze
della prassi mediante interpretazione
giurisprudenziale è elemento essenziale per
assicurare l'armonia tra la pratica concreta
e la previsione astratta della legge.
Tale evoluzione è poi particolarmente
importante in un ambito come quello dei
contatti pubblici, che tanta importanza
hanno nell'economia del nostro paese e che
coinvolgono una larga parte delle imprese
nostrane.
Tramite la giurisprudenza del Consiglio di
stato e dei Tribunali amministrativi
regionali, dunque, la legislazione «vive» e
si adatta alla domanda di giustizia in
costante evoluzione.
Di seguito, si illustrano alcuni recenti
orientamenti della giurisprudenza
amministrativa.
Limiti al subappalto.
Con la pronuncia del Tar Friuli-Venezia
Giulia del 9 giugno scorso, il giudice
amministrativo ha nuovamente affrontato il
problema posto dall'obbligo di presentare in
sede di gara, insieme all'offerta, la
dichiarazione precisa e dettagliata
contenente la volontà di avvalersi del
subappalto.
La pronuncia prende le mosse dalla
contestazione, sollevata nei confronti
dell'aggiudicataria, di mancata indicazione
in maniera esatta e minuziosa, in sede di
offerta, delle lavorazioni oggetto di
subappalto, essendosi la stessa limitata
alla generica manifestazione della volontà
di avvalersi del subappalto nei limiti di
legge.
In assenza di apposita prescrizione di
legge, deve ritenersi che una tale richiesta
sia nelle facoltà della stazione appaltante,
che è dunque libera di inserire la stessa
nel regolamento della gara (bando e/o
disciplinare), prevedendo anche le sanzioni
in caso di mancata o incompleta
dichiarazione.
Il Tribunale adito, rilevata tale
prescrizione nel caso concreto, ha tuttavia
evidenziato come eventuali irregolarità
nell'indicazione formulata dal concorrente
non fossero sanzionate dall'automatica
esclusione dalla gara.
Sulla scorta di tale inciso, il Collegio,
conformemente all'orientamento prevalente,
ha confermato il principio per cui
l'eventuale genericità o incompletezza della
dichiarazione circa il subappalto non può
determinare la conseguenza dell'automatica
esclusione dalla gara in assenza di apposita
previsione, ma soltanto l'impossibilità per
l'impresa aggiudicataria di avvalersi del
subappalto, con conseguente obbligo della
stessa di portare a termine in proprio tutti
i lavori appaltati, sempreché sia
qualificata per ciascuna di esse, potendosi
in tal caso procedere ad esclusione del
concorrente solo laddove lo stesso sia
carente della prescritta qualificazione.
Tale principio ha peraltro trovato ulteriore
conferma, a pochi giorni di distanza, in una
decisione del Consiglio di stato (12.06.2009
n. 3696), chiamato a pronunciarsi, tra i
vari motivi, su analogo gravame
Il giudice d'appello, ha così confermato che
l'incompletezza della documentazione
relativa all'identità e alla qualificazione
dei subappaltatori indicati in sede di
domanda di partecipazione, preclude la
possibilità di avvalersi del subappalto
medesimo, non comportando la automatica
esclusione dell'offerente se non per difetto
di qualificazione di quest'ultimo in
relazione ai lavori interessati dal
subappalto escluso.
Analogamente, il Consiglio di stato ha
quindi sancito che il superamento dei limiti
massimi di subappalto previsti nella gara
specifica, ovvero fissati in via generale
normativamente, non comporta l'esclusione
del concorrente, ma bensì l'esclusione del
subappalto in caso di aggiudicazione.
Offerta economicamente più
vantaggiosa.
È un fatto che il criterio dell'offerta
economicamente più vantaggiosa si sta
imponendo con sempre maggior frequenza nelle
gare pubbliche, in sostituzione di quello
del massimo ribasso utilizzato in passato,
ponendo problematiche del tutto nuove.
Nella sentenza del 03.06.2009 n. 3404 il
Consiglio di stato si è pronunciato sul tema
della valutazione dell'anomalia e dei
parametri utilizzati per l'attribuzione del
punteggio in caso di gara aggiudicata
appunto secondo il criterio dell'offerta
economicamente più vantaggiosa.
In particolare, già in primo grado il
ricorrente aveva censurato la manifesta
illogicità dei criteri di valutazione
dell'offerta economica, che avevano condotto
all'attribuzione, in sede di gara, di un
maggior punteggio, al prezzo più alto
anziché all'offerta più bassa, nonostante lo
scarto rilevante tra le due offerte.
Avverso la sentenza del Tar, che aveva
accolto il ricorso, l'aggiudicataria e la
stazione appaltante proponevano appello,
sostenendo l'errata valutazione compiuta dal
giudice di prime cure stante la
discrezionalità del potere, esistente in
capo all'amministrazione, di fissare i
criteri di valutazione delle offerte, che
dunque risultano insindacabili se non in
caso di manifesta illogicità.
Il giudice d'appello, pur riconoscendo la
sussistenza di una ampia discrezionalità
dell'amministrazione, ha tuttavia ritenuto
infondata tale censura ritenendo nel caso di
specie sussistente proprio quella manifesta
illogicità che giustifica l'intervento
giurisdizionale.
Ciò, in quanto, a seguito del recepimento
nell'ordinamento dei principi posti dal
diritto comunitario, deve ritenersi oggi
precluso, nella valutazione del prezzo,
qualunque criterio che si basi su medie
matematiche o criteri forfettari, nel caso
di specie utilizzati per il calcolo e la
valutazione della c.d. soglia di anomalia
che ha portato all'attribuzione di un
punteggio minore all'offerta più bassa.
Su tale inciso, il Consiglio di stato ha
quindi stabilito che la valutazione di
anomalia debba essere successiva alla fase
di attribuzione del punteggio per le
offerte, per contro non potendo essere
incorporata nella stessa, specie mediante
automatismi; conseguentemente, i criteri di
distribuzione del punteggio, ancorché
possano essere suddivisi in diverse sub
categorie, devono comunque risultare
strutturati in modo tale da premiare
l'offerta più bassa, dovendosi per contro
riconoscere l'illogicità di quei criteri,
come nel caso in esame, che abbiano come
risultato l'attribuzione di un maggiore
punteggio complessivo ad un offerta
economica più elevata di altre.
Affidamenti mediante
trattativa privata.
Con la sentenza 16.06.2009 n. 3903 il
Consiglio di stato è stato chiamato a
pronunciarsi sull'annosa questione della
legittimità degli affidamenti mediante
trattativa privata.
Nel caso sottoposto all'esame della Corte,
veniva contestata la legittimità della
condotta dell'amministrazione, sfociata in
un provvedimento di affidamento a trattativa
privata senza previo esperimento, motivato
dalla incompatibilità dei tempi di
esperimento di una procedura ad evidenza
pubblica con la necessità dell'Ente di
assicurare il servizio oggetto
dell'affidamento.
Il Supremo collegio, nel respingere
l'appello proposto, ha evidenziato come la
stazione appaltante avesse affidato mediante
trattativa privata la fornitura del servizio
per l'intera durata pluriennale del
contratto, e non già per il tempo
strettamente necessario all'indizione di
apposita gara.
Interpretando la lettera della legge, il
Consiglio di stato ha quindi rilevato come
la tutela dei principi della concorrenza e
della evidenza pubblica non possano
arretrare se non di fronte ad una impellente
urgenza determinata da avvenimenti
imprevedibili per l'amministrazione
aggiudicatrice, e comunque con il limite
della misura strettamente necessaria a far
fronte a tale urgenza; elementi entrambi
assenti nel caso in esame.
Conseguentemente, il Consiglio di stato ha
riconosciuto l'illegittimità del
provvedimento di affidamento del servizio
mediante trattativa privata non già per un
periodo limitato, ma per tutta la durata
pluriennale del contratto.
Raggruppamenti temporanei e
concorrenza.
Da ultimo, si segnala la sentenza della
Sezione sesta del Consiglio di stato del
19.06.2009 n. 4145, in materia di
raggruppamenti temporanei e concorrenza.
Nel caso sottoposto all'esame del giudice
amministrativo si lamentava l'illegittimità
di alcune previsioni del bando e del
disciplinare di gara che non consentivano la
partecipazione in raggruppamento temporaneo
di due o più imprese che fossero in grado di
soddisfare singolarmente i requisiti
economici e tecnici richiesti, con specifico
riferimento al lotto di importo superiore
tra quelli cui il raggruppamento partecipa.
Il Collegio ha tuttavia ritenuto priva di
fondamento la censura, rilevando all'uopo
come tale clausola del bando recepisse la
posizione espressa dall'Autorità garante
della concorrenza e del mercato, a mente
della quale deve riconoscersi in capo alle
stazioni appaltanti la facoltà di adottare
limitazioni alla possibilità di associarsi
in Ati per le imprese che siano in grado di
partecipare alla gara anche singolarmente.
Conseguentemente il giudice amministrativo
ha ritenuto corretta la valutazione operata
dalla stazione appaltante che, vietando la
possibilità di raggruppamento temporaneo di
quelle imprese in grado di partecipare
singolarmente alla gara, ha cercato di
evitare una restrizione del numero di
partecipanti e, dunque, una alterazione
della dinamica concorrenziale.
Il Consiglio di stato si è quindi
pronunciato in favore della legittimità del
bando impugnato, stabilendo il principio per
cui, ogni volta che le specifiche
caratteristiche del mercato oggetto della
procedura di gara comportino di per sé
particolari limitazioni alla concorrenza, in
forza del numero e delle dimensioni degli
operatori esistenti, al fine di assicurare
comunque uno standard competitivo minimo
sono possibili limitazioni alla facoltà di
raggruppamento tra imprese, laddove queste
siano in grado di partecipare singolarmente
alla gara medesima.
Aspettiamo i commenti e le repliche dei
lettori a: matteoufficiostampa@bentleysoa.com
oppure al numero verde 800540340 (articolo
ItaliaOggi dell'01.07.2009, pag. 15). |
AUTORITA' CONTRATTI PUBBLICI |
APPALTI SERVIZI:
Partecipazione alla gara di
imprese sociali.
Appalti di servizi - Affidamento del
servizio di implementazione del sistema di
gestione ambientale - Impresa sociale - E'
soggetto legittimato a partecipare alla
gara.
Ritenuto in diritto:
La questione sottoposta a questa Autorità
necessita di essere esaminata sotto due
distinti profili: il primo, concernente
l’interpretazione della clausola del bando
che stabilisce i requisiti dei partecipanti
alla procedura per l’affidamento del
servizio in oggetto; il secondo, di
carattere più generale, riguardante la
possibilità di concorrere alla gara per un
RTI avente come mandataria un'impresa
sociale.
Come esposto in fatto, il bando di gara
adottato dal Comune di Gravina in Puglia -al
punto 6.2 “Forma giuridica che dovrà
assumere il raggruppamento di prestatori di
servizi”- statuisce che “possono
partecipare imprese singole o raggruppate e
soggetti di cui all’art. 90, lett. d), e),
f), g) h) del D.Lgs. n. 163/2006".
Tale disposizione, nel fare riferimento –in
modo generico– ad “imprese singole o
raggruppate” rinvia sostanzialmente
all’ampia previsione normativa di cui
all’art. 34 del D.Lgs. n. 163/2006 e
consente di ritenere che i soggetti idonei a
partecipare alla gara in questione sono di
due tipologie: quelli previsti dall’art. 34
e quelli di cui all’art. 90, lett. d), e),
f), g) h) del D.Lgs. n. 163/2006.
In particolare, ai sensi del comma 1, lett.
d) del citato art. 34, sono ammessi a
partecipare alle procedure di affidamento
dei contratti pubblici “i raggruppamenti
temporanei di concorrenti, costituiti dai
soggetti di cui alle lettere a), b), c), i
quali, prima della presentazione
dell’offerta, abbiano conferito mandato
collettivo speciale con rappresentanza ad
uno di essi, qualificato mandatario, il
quale esprime l’offerta in nome e per conto
proprio e dei mandanti”.
Pertanto, la contestazione dell’istante,
laddove rileva che “l'RTI (…) non
sembra(va) rientrare tra i soggetti di cui
alla lettera g) dell'art 90 del D.Lgs.
163/2006”, è inconferente.
Infatti, se la stazione appaltante avesse
voluto escludere dalla partecipazione alla
procedura di gara di cui trattasi i soggetti
di cui all’art. 34 del D.Lgs 163/2006,
avrebbe dovuto utilizzare una formulazione
lessicale che espressamente precludesse tale
possibilità e non una formula ampia come
quella di cui al citato punto 6.2. del bando
in esame.
Con riguardo alla seconda questione, occorre
evidenziare preliminarmente che l'impresa
A.FO.RI.S. -Agenzia di Formazione e Ricerca
per lo Sviluppo Sostenibile- costituisce una
“impresa sociale", regolarmente
iscritta al Registro delle Imprese della
C.C.I.A.A. di Foggia.
Secondo lo Statuto -adottato in data
17.04.2008- l’impresa “esercita la sua
attività, senza scopo di lucro, in via
stabile e principale, nei settori
individuati dall’art. 2, lett. d)
(educazione, istruzione e formazione ai
sensi della legge 28.03.2003, n. 53) ed e)
(tutela dell’ambiente e dell’ecosistema ai
sensi della legge 15.12.2004, n. 308) e del
D.Lgs. n. 155 del 24.03.2006”.
La recente disciplina dell’impresa sociale (D.Lgs.
24.03.2006, n. 155) consente -tra l’altro-
che tali “operatori economici”
possano esercitare attività di impresa nei
settori sopra indicati. Infatti, come è
stato rilevato da recente giurisprudenza, “il
decreto legislativo 24.03.2006, n. 155,
recante <<disciplina dell’impresa sociale, a
norma della legge 13 giugno 2005, n. 118>>,
ha dato pratica attuazione alla nozione di
impresa sociale, riconoscendo alla stessa la
legittimazione a esercitare in via stabile e
principale un’attività economica organizzata
al fine della produzione o dello scambio di
beni o servizi di utilità sociale, diretta a
realizzare finalità di interesse generale e
con particolari requisiti (indicati negli
articoli 2, 3 e 4 del medesimo decreto
legislativo)” (Cons. Stato, sez. V,
25.02.2009, n. 1128).
In particolare, deve essere evidenziato che
uno dei settori di utilità sociale, rispetto
ai quali l’esercizio professionale
dell’attività da parte dell’impresa sociale
è pienamente ammesso, è costituito, giusta
quanto previsto dall’articolo 2, comma 1,
lettere e), f) e g) del citato D.Lgs. n.
155/2006, dalla gestione in funzione di
tutela dell’ambiente, dell’educazione e del
turismo sociale e, nel caso di specie,
l’oggetto della procedura per la quale è
sorta la contestazione è costituito
dall’affidamento del servizio di
implementazione del sistema di gestione
ambientale comunale.
Ne consegue che, in virtù della disciplina
vigente, l’impresa sociale A.FO.RI.S., in
qualità di mandataria del RTI A.FO.RI.S -
Ambiente Italia s.r.l., a pieno titolo
poteva partecipare a una gara concernente
l’aggiudicazione di un servizio che
rientrava tra quelli di utilità sociale
previsti dall’articolo 2 del D.Lgs. n.
155/2006.
In base a quanto sopra considerato
Il Consiglio ritiene, nei limiti di
cui in motivazione, che l'impresa sociale
A.FO.RI.S., mandataria del RTI A.FO.RI.S -
Ambiente Italia s.r.l., può legittimamente
partecipare alla gara indetta per
l’espletamento di un servizio di utilità
sociale di cui all’art. 2 del D.Lgs, n.
155/2006
(parere
22.10.2009 n. 119 - link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI SERVIZI:
Iscrizione Albo Nazionale Gestori
Ambientali.
1. Gara d'appalto - Clausole escludenti -
Onere presentazione domanda di
partecipazione - Non sussiste.
2. Appalti di servizi - Interventi di
bonifica discarica rifiuti - Iscrizione alla
classe b della categoria 9 dell'albo
nazionale gestori ambientali - Requisito
ingiustificatamente restrittivo -
Fattispecie.
Ritenuto in diritto:
In via preliminare, occorre esaminare le
eccezioni di inammissibilità della richiesta
di parere, così come sollevate dalla
stazione appaltante in sede di istruttoria.
In prima battuta viene contestata l’assenza
di una controversia tra le parti,
presupposto per l’attivazione della presente
sede precontenziosa. Invero, tale eccezione
appare infondata, sia in linea generale,
rispetto alla nozione di controversia,
evidentemente più ampia rispetto alla
nozione tradizionale di ordine
giurisdizionale, sia in particolare, atteso
che quantomeno in termini potenziali, un
principio di controversia tra le parti è
sorto, come emerge dall’analisi della
documentazione concernente lo scambio di
corrispondenza tra le parti stesse,
contenente la contestazione dell’impresa e
le controdeduzioni e chiarimenti forniti
dalla stazione appaltante, evidentemente
reputate non soddisfacenti tanto da spingere
alla proposizione del presente iter di
precontenzioso.
In seconda battuta, viene contestata la
mancata partecipazione alla gara in oggetto,
da cui discenderebbe l’assenza di un
interesse concreto al parere. Anche tale
eccezione è da ritenersi infondata a fronte
del noto principio per cui, laddove si sia
in presenza di una clausola c.d. escludente
- cioè di clausole che precludono la
partecipazione alla gara, impedendo
l'ammissione alla stessa, l'onere di
presentare la domanda di partecipazione
costituisce un inutile aggravio a carico
dell'impresa (Consiglio Stato , sez. V,
25.05.2009, n. 3217).
Nel merito, si evidenzia che, in
considerazione della diversa natura degli
interventi di messa in sicurezza e bonifica
siti rispetto alle attività di trasporto e
smaltimento rifiuti, per i quali lo stesso
Albo Nazionale dei Gestori Ambientali
prevede due diverse e specifiche iscrizioni,
il bando di gara in esame, al punto III.2.1),
ha espressamente richiesto ai concorrenti il
possesso sia dell’iscrizione alla Categoria
9 “Bonifica siti” sia dell’iscrizione
alla Categoria 5 “Raccolta e trasporto di
rifiuti pericolosi”. Quanto alle Classi di
iscrizione per ogni Categoria, la specifica
disciplina di settore (delibera del Comitato
Nazionale 12.12.2001, n. 5, integrata con
delibera 11.05.2005) prevede per la
Categoria 9, di cui trattasi, una
suddivisione in 5 Classi, articolate proprio
in relazione all’importo dei lavori di
bonifica cantierabili.
Pertanto, tenuto conto che dal Quadro di
scorporo degli importi emerge che la voce
relativa al “trasporto, smaltimento
rifiuti ad impianti esterni” è di euro
974.700,00, risulta evidente che, a fronte
di un importo complessivo dell’appalto pari
a euro 1.565.000,00, anche imputando
l’intera differenza di importo -pari ad euro
590.300,00- ad attività riconducibili alla
Categoria 9 dell’Albo, l’iscrizione alla
classe Cdi detta Categoria 9 (importo fino
ad euro 1.549.370,70) sarebbe un requisito
sufficiente all’esecuzione degli interventi
di messa in sicurezza e bonifica della
discarica in oggetto.
Conseguentemente l’iscrizione alla classe B
della Categoria 9 dell’Albo Nazionale
Gestori Ambientali (lavori di importo fino a
euro 7.746.853,49) richiesta dalla stazione
appaltante è da ritenersi
ingiustificatamente restrittiva della
partecipazione alla procedura di gara.
In base a quanto sopra considerato
Il Consiglio ritiene, nei limiti di
cui in motivazione, che la contestata
clausola del bando di gara è
ingiustificatamente restrittiva della
partecipazione alla procedura di gara
(parere
22.10.2009 n. 118 - link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI:
Certificazione di qualità.
Appalti di servizi - Certificazione di
qualità - Richiesta certificazione relativa
all'attività di gestione delle aree di sosta
e servizio con ausiliari del traffico -
Produzione certificazione di qualità
relativa alle attività di accertamento,
liquidazione e riscossione dei tributi
locali, di altre entrate degli enti locali
ed altre attività connesse e complementari"
- Inidoneità.
Ritenuto in diritto:
Costituisce orientamento consolidato sia di
questa Autorità (pareri n. 64 del
20.05.2009; n. 2 del 15.01.2009; n. 178 del
05.06.2008; n. 188 del 14.06.2008 e n. 33
del 31.01.2008) sia della giurisprudenza
amministrativa (Cons. Stato, sez. V,
02.02.2009, n. 525 e Cons. Stato, sez. VI,
23.07.2008, n. 3655) quello che riconosce
alla stazione appaltante la discrezionalità
di fissare i requisiti di partecipazione ad
una gara diversi, ulteriori e più
restrittivi di quelli legali, con il limite
della logicità e della ragionevolezza dei
requisiti richiesti e della loro pertinenza
e congruità allo scopo perseguito.
Quanto al possesso della certificazione UNI
ENI ISO 9001:2000 in capo all’impresa, la
giurisprudenza amministrativa, nel
riconoscerne la natura di requisito
soggettivo delle imprese, ai fini della
partecipazione alle gare ha chiarito che la
certificazione di qualità è inerente
all’intero sistema aziendale ed è
preordinata a svolgere una funzione di
garanzia qualitativa di un determinato
livello di esecuzione dell’intero rapporto
contrattuale (in tal senso, TAR Lazio, sez.
II-ter, 06.02.2007, n. 923; id., sez. I-bis,
26.10.2004, n. 11694).
Ciò premesso, considerato che il bando di
cui trattasi, non impugnato, richiede
espressamente, come requisito di
partecipazione, il possesso della
certificazione di qualità specifica
nell’ambito della “gestione delle aree di
sosta e servizio con ausiliari del traffico”,
deve ritenersi che la certificazione
presentata dalla ABACO S.p.A., riferentesi
esclusivamente all’attività di “accertamento,
liquidazione e riscossione dei tributi
locali, di altre entrate degli enti locali
ed altre attività connesse e complementari”
non sia rispondente a quanto richiesto dalla
lex specialis, non essendo contenuta
in tale certificazione di qualità alcuna
specificazione che consenta di ritenere
contemplate dalla certificazione medesima,
quali “attività connesse e complementari”
all’attività principale dell’impresa
istante, quelle di gestione delle aree di
parcheggio e servizio con ausiliari del
traffico. Né è possibile condividere
l’assunto dell’istante che tale mancata
specifica indicazione nel certificato di
qualità possa essere surrogata da quanto
riportato nel diverso certificato della
C.C.I.A.A., rilasciato per tutt’altre
finalità.
Si evidenzia, peraltro che, il riferimento
contenuto nell’ultimo alinea del citato art.
4, comma 2 del D.P.R. n. 34/2000 alla “globalità
delle categorie e classifiche”, va
ragionevolmente inteso nel senso che, ove
non diversamente specificato, la
certificazione del sistema di qualità
aziendale e la dichiarazione della presenza
degli elementi significativi e tra loro
correlati del sistema di qualità aziendale
si riferiscono a tutte le categorie oggetto
di attestazione.
Al riguardo questa Autorità, nell’indicare
la corretta interpretazione della richiamata
disposizione regolamentare, ha chiarito
nella propria determinazione n. 56/2000
(punto 10) la non necessità di una piena
coincidenza tra la totalità delle categorie
previste nell’attestazione di qualificazione
e la dichiarazione di possesso di
significativi elementi di qualità, con ciò
intendendo propriamente significare che ben
possono residuare categorie di lavori che
l’impresa è abilitata ad eseguire pur senza
il possesso dell’ulteriore requisito della
certificazione di qualità. Ma ben diverso è
quanto l’istante ABACO S.p.A. pretende di
ricavare dalla norma in questione, e cioè
che da tale non necessaria coincidenza
discenda la possibilità per l’impresa di far
valere la certificazione di qualità anche al
fine di partecipare a gara d’appalto
concernenti categorie di lavori o, come
nella specie, tipologie di servizi estranei
a quelli specificamente indicati nel
certificato di qualità posseduto,
conclusione che appare del tutto estranea
alla ratio della disposizione sopra
ricordata (cfr. in tal senso TAR Sardegna,
sentenza 22.12.2003, n. 1750).
In base a quanto sopra considerato
Il Consiglio ritiene, nei limiti di
cui in motivazione, legittima l’esclusione
dell’impresa ABACO S.p.A. per mancanza della
specifica certificazione di qualità
richiesta dal bando
(parere
22.10.2009 n. 117 - link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
INCARICHI PROGETTUALI:
Affidamento incarichi di
progettazione.
Servizi di progettazione - Lex specialis -
Clausola che privilegia i professionisti che
hanno progettato interventi affini in un
determinato ambito territoriale -
Illegittimità.
Ritenuto in diritto:
La questione sottoposta all’attenzione
dell’Autorità attiene alla legittimità di un
bando di gara nella parte in cui attribuisce
ad un requisito professionale la natura di
titolo preferenziale, che consente di
conferire al concorrente che lo possiede un
punteggio maggiore ai fini
dell’aggiudicazione del contratto.
Ferma restando infatti la considerazione che
nella determinazione dei requisiti di
partecipazione ciascuna Stazione Appaltante
detiene un’ampia discrezionalità, che
consente anche di prescrivere requisiti
diversi e più severi rispetto a quelli
normativamente fissati, in quanto volti a
perseguire uno specifico interesse pubblico,
occorre accertare se la previsione di un
requisito ulteriore che di per sé non
impedisce la partecipazione a chi non lo
detiene costituisca di fatto, attraverso il
riconoscimento di una natura preferenziale,
cui corrisponde una maggiorazione del
punteggio di valutazione dell’offerta, una
limitazione alla concorrenza e una
discriminazione ingiustificata rispetto ai
concorrenti che non sono in possesso di quel
requisito.
Nel caso di specie, considerato che la gara
è stata indetta con il criterio dell’“offerta
economicamente più vantaggiosa”, ai
sensi dell’articolo 64, comma 2, del DPR n.
554 /1999 e che tale disposizione, al “punto
a)”, consente di prendere in
considerazione la “professionalità”
del partecipante sulla scorta di
“documentazione grafica, fotografica e
descrittiva, la Stazione Appaltante era
legittimata a valutare adeguatamente la
professionalità dei partecipanti alla gara,
anche considerando le esperienze
professionali svolte in precedenza.
Tuttavia, occorre accertare entro quali
limiti tale specifica facoltà della Stazione
Appaltante sia effettivamente realizzabile e
come essa possa coordinarsi con i principi
comunitari, in materia di concorrenza e di
parità di trattamento, stante il fatto che
la previsione di criteri valutativi che
ricolleghino un titolo preferenziale ad
esperienze pregresse connesse allo specifico
ambito territoriale interessato
dall’intervento oggetto dell’appalto, può
tradursi in una lesione della concorrenza,
realizzando, in modo surrettizio, le
condizioni per assicurare una “preferenza
diretta o indiretta” alle imprese locali.
Sul punto, l’Autorità ha già avuto modo di
sostenere che “i criteri di valutazione
dell’offerta, così come i requisiti di
partecipazione alla gara, che privilegiano
direttamente o indirettamente le imprese
locali, si pongono in violazione dei
principi comunitari in tema di concorrenza e
parità di trattamento, nonché di libera
circolazione, salvo il limite della logicità
e della ragionevolezza, ossia della loro
pertinenza e congruità a fronte dello scopo
perseguito” (parere n. 251 del
10.12.2008).
Il problema fondamentale consiste, invero,
nel discriminare i casi in cui la clausola
che stabilisce il criterio preferenziale
costituisca espressione della facoltà
–legittima– di valutare la professionalità
specifica, da quelli in cui si traduca nella
decisione –illegittima– di restringere la
concorrenza a favore di determinate imprese.
Nel caso di specie, considerato che il
punteggio attribuito al requisito
preferenziale è pari a 10 sui 40 riferiti
alla professionalità e tenuto conto che il
requisito in questione si riferisce non a
qualsiasi intervento sul comprensorio di un
torrente, ma esclusivamente a quelli
relativi al comprensorio del torrente Melfia,
deve ritenersi che la combinazione di tali
circostanze costituisca una condizione
suscettibile di ledere la concorrenza (cfr.
parere n. 251/2008).
Peraltro, il requisito in questione non solo
integra una ingiustificata violazione del
principio di concorrenza e del principio di
parità di trattamento, ma non sembra nemmeno
trovare una specifica motivazione nella
tutela di un particolare interesse pubblico
perseguito dalla Stazione Appaltante che
consenta di giustificare quel particolare
riconoscimento preferenziale conferito al
requisito.
Infatti la il Comune di Melfi ricollega il
titolo preferenziale ad una mera circostanza
di fatto, la quale, mentre si traduce in un
vantaggio per il concorrente che si trovi in
tale condizione, non lascia trasparire il
vantaggio che la stazione appaltante
ricaverebbe dal riconoscimento di tale
situazione.
In realtà, la “conoscenza”
dell’ambito territoriale, derivante
dall’avere già svolto precedenti interventi,
comporta già in sede di progettazione un “vantaggio”
per il concorrente. Tale “conoscenza”,
infatti, può tradursi nella migliore e più
adeguata attività di progettazione, la quale
forma già oggetto di specifica valutazione
(punto 11.2 - b.1), con valutazione “fattore
ponderale 20”. E’ questa la sede di
valutazione in cui la stazione appaltante
può riconoscere il valore della “conoscenza”
del territorio: quella in cui si accerta il
miglior livello qualitativo del progetto
presentato.
Al contrario, la previsione di un ulteriore
“fattore ponderale 10” per il fatto
di “aver progettato interventi affini
nell’ambito del comprensorio idraulico del
torrente Melfia”, costituisce un
indubbio vantaggio solo per i concorrenti
che possono vantare tale esperienza.
Ne consegue che la clausola inserita nella
lex specialis, nel prevedere che “costituisce
ulteriore titolo preferenziale l’aver
progettato intereventi affini nell’ambito
del comprensorio idraulico del torrente
Melfia”,non è conforme ai principi di
concorrenza e di parità di trattamento che
informano la materia dei contratti pubblici.
In base a quanto sopra considerato
Il Consiglio ritiene, nei limiti di
cui in motivazione, che la clausola in
questione della lex specialis non è
conforme ai principi in materia di contratti
pubblici
(parere
22.10.2009 n. 116 - link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI:
Moralità professionale - Reato di
bancarotta fraudolenta.
Gara d'appalto - Requisiti generali -
Condanne incidenti sulla moralità
professionale - Reato di bancarotta
fraudolenta - Idoneità ad incidere sulla
moralità professionale - Esclusione -
Legittimità - Fattispecie.
Ritenuto in diritto:
Come più volte evidenziato da questa
Autorità in precedenti pareri (cfr., da
ultimo, parere n. 250 del 20.11.2008) ciò
che rileva ai fini dell’esclusione dalle
procedure di gara ai sensi dell’art. 38,
comma 1, lett. c), del D.Lgs. n. 163/2006 è
il concetto di immoralità professionale, per
cui occorre che il reato ascritto sia idoneo
a manifestare una radicale e sicura
contraddizione con i principi deontologici
della professione (Cons. Stato, sez. V, n.
349/2006; Cons. Stato, sez. V, n.
1145/2003).
Non essendo indicati dalla norma i reati che
incidono sull’affidabilità morale e
professionale delle imprese partecipanti
alle gare di appalto, secondo una costante
giurisprudenza spetta all’amministrazione
stabilire, motivatamente, se il reato per il
quale il soggetto è stato condannato
provoca, secondo il comune e ragionevole
convincimento, una obiettiva incisione
sull’affidabilità del condannato, sia sul
piano morale sia sul piano professionale,
tale da determinare l’esclusione dalla gara
(per tutte Consiglio di Stato, sez. V, n.
945/2007).
Tale orientamento era stato, peraltro, già
assunto da questa Autorità con
determinazione n. 13/2003, nella quale
veniva evidenziato come le amministrazioni
dovessero, nel valutare l’affidabilità
morale e professionale del contraente,
considerare tutti gli elementi che possono
incidere sulla fiducia contrattuale, quali
ad esempio l’elemento psicologico, la
gravità del fatto, il tempo trascorso dalla
condanna, le eventuali recidive.
La mancanza di parametri fissi e
predeterminati e la genericità della
prescrizione normativa lasciano un ampio
spazio di valutazione discrezionale alla
stazione appaltante, che consente alla
stessa margini di flessibilità operativa al
fine di un apprezzamento delle singole
concrete fattispecie, con considerazione di
tutti gli elementi delle stesse che possono
incidere sulla fiducia contrattuale.
Conseguentemente, è la stazione appaltante a
dover valutare discrezionalmente l’incidenza
di una condanna sulla moralità professionale
dell’appaltatore, con riferimento al tipo di
reato commesso, fornendo altresì, in
relazione alla decisione adottata, adeguata
e congrua motivazione.
Pertanto, i margini di insindacabilità
attribuiti all’esercizio del potere
discrezionale dell’Amministrazione non
consentono alla stazione appaltante di
prescindere dal dare contezza di aver
effettuato una concreta valutazione
dell’incidenza della condanna sul vincolo
fiduciario, mediante una accurata indagine
della rispondenza della fattispecie di reato
a tutti gli elementi che delineano l’ipotesi
di esclusione individuata dall’articolo 38,
comma 1, lettera c), del D.Lgs. n. 163/2006.
Con specifico riguardo all’esclusione in
esame della Società Ecologia & Ambiente
S.r.l. ai sensi del citato art. 38, comma 1,
lettera c), del D.Lgs. n. 163/2006, si
ritiene che possa avere una sua rilevanza e
completezza l’indagine istruttoria condotta
dalla Commissione di gara.
Infatti, come si desume dal verbale n. 2 del
07.05.2009, la Commissione, dopo aver
acquisito copia della sentenza di condanna
ex art. 444 c.p.p. in forma integrale,
emessa nei confronti del Direttore Tecnico
dell’impresa per il reato previsto dall’art.
216 della legge fallimentare, ha
innanzitutto individuato i necessari
presupposti per ritenere inequivocabilmente
applicabile la lettera c) del comma 1 del
più volte citato art. 38 del D.Lgs. n.
163/2006, specificati come segue:
a) presenza di una “sentenza di
applicazione della pena su richiesta”,
ai sensi dell’art. 444 c.p.p.;
b) necessità che la sentenza sia stata
emessa nel confronti degli “amministratori
muniti di potere di rappresentanza o del
direttore tecnico”;
c) sussistenza della gravità del reato;
d) commissione del reato “in danno dello
stato o della Comunità”;
e) incidenza del reato sulla “moralità
professionale” della società
interessata. Quindi, ha ritenuto che gli
stessi presupposti fossero nel caso in esame
effettivamente presenti.
In particolare, la Commissione medesima si è
fatta carico di analizzare la sussistenza
del requisito dell’incidenza del fatto
accertato sulla “moralità professionale”,
che concettualmente non va riferita
unicamente alle competenze
tecnico-professionali nell’esecuzione
dell’appalto della società interessata, ma
alla condotta generale ed alla gestione di
tutta l’attività professionale della stessa
e, alla luce della documentazione prodotta
dalla Società Ecologia & Ambiente S.r.l., ha
maturato il convincimento che il reato di
bancarotta fraudolenta, commesso con le
modalità evidenziate nella sentenza del
10.01.2008 (distrazione di somme, tenuta
della contabilità in modo da non rendere
possibile la ricostruzione del patrimonio e
del movimento degli affari della società
fallita, svuotamento dell’azienda fallita in
favore di una nuova società), ancorché non
sia direttamente e funzionalmente collegato
al servizio da espletare, provoca una
obiettiva incisione sulle garanzie del
soggetto interessato e costituisce un indice
di inaffidabilità della ditta in parola, che
ostacola l’instaurazione di un normale
rapporto di fiducia. Al riguardo, la stessa
Commissione ha rilevato, altresì, che il
reato accertato si è concretizzato in una
serie complessa e reiterata di atti
preordinati a determinare un chiaro danno
della massa dei creditori tra i quali ha una
posizione privilegiata lo stesso Erario
dello Stato.
Né può sottacersi, al di là dell’espressa
menzione normativa del direttore tecnico
quale soggetto tenuto a rendere la
dichiarazione di cui al più volte citato
art. 38, comma 1, lett. c), del D.Lgs. n.
163/2006, il fatto che la posizione del
direttore tecnico nell’ambito di una società
possa avere un potere decisionale sulla
gestione e sull’attività dell’impresa.
Infatti, al riguardo, secondo una costante
giurisprudenza (cfr.: Cons. Stato, sez. VI,
n. 523/2007), la ratio dell’art. 75,
comma 1, lett. c), del D.P.R. n. 554 del
1999 (norma poi trasfusa nell’art. 38, comma
1, lettera c) del D.Lgs. n. 163/2006), che
esclude dagli appalti di lavori pubblici le
società i cui amministratori abbiano
riportato condanne per determinati reati
incidenti sulla moralità professionale, è
quella di escludere dalla partecipazione
alla gara di appalto le società in cui
abbiano commesso gravi reati i soggetti che
abbiano avuto un significativo ruolo
decisionale e gestionale societario
(amministratore con potere di rappresentanza
o direttore tecnico) ed a tal fine occorre
avere riguardo alle funzioni sostanziali del
soggetto più che alle qualifiche formali
dallo stesso rivestite.
Giova, infine, segnalare che la tipologia
della sentenza di condanna in esame (emessa
per effetto del patteggiamento ex art. 444
del c.p.p.) non può di per sé rendere
irrilevante i fatti penalmente accertati,
atteso che la previsione del legislatore al
riguardo accomuna ogni fattispecie di
condanna definitiva, sia se comminata sulla
base di un rito ordinario, sia se disposta
per effetto del citato patteggiamento, che
non esclude la responsabilità del soggetto
autore dei fatti penalmente rilevanti.
In base a quanto sopra considerato
Il Consiglio ritiene, nei limiti di
cui in motivazione, che l’esclusione dalla
gara della Società Ecologia & Ambiente
S.r.l. è conforme allo spirito ed al
contenuto dell’art. 38, comma 1, lett. c),
del Decreto Legislativo n. 163/2006, essendo
stata adottata una attenta e congrua
motivazione
(parere
22.10.2009 n. 114 - link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
INCARICHI PROGETTUALI:
Calcolo coefficienti per la
determinazione dei punteggi.
Gara d'appalto - Servizi di progettazione -
Calcolo dei coefficienti che concorrono alla
determinazione del punteggio finale -
Trasformazione valori millesimali in valori
centesimali - Conformità alla normativa di
settore - Fattispecie.
Ritenuto in diritto:
In via preliminare, occorre esaminare
l’eccezione di inammissibilità dell’istanza
di parere, sollevata dalla società
interveniente DAM S.p.A. in sede di
contraddittorio documentale.
In particolare, viene contestata l’assenza
di una controversia tra le parti, secondo
quanto stabilito dall’art. 3 del “Regolamento
sul procedimento per la soluzione delle
controversie” adottato da questa
Autorità.
Invero, tale eccezione appare infondata,
tenuto conto che la nozione di controversia
che viene in rilievo nella presente sede
precontenziosa è evidentemente più ampia
rispetto alla nozione tradizionale di ordine
giurisdizionale.
Ne consegue, pertanto, che non necessita
-come diversamente affermato dalla DAM
S.p.A.- la condizione connessa ad una
situazione di litispendenza o di
controversia emergente da atti formali,
essendo sufficiente, ai sensi della norma
primaria di cui all’art. 6, comma 7, lett.
n) del D.Lgs. n. 163/2006, che via siano “questioni
insorte durante lo svolgimento delle
procedure di gara”, mentre per espressa
previsione di questa Autorità (art. 3, punto
2 del citato Regolamento) la pendenza di
giudizio costituisce una causa tipica di non
ammissibilità dell’istanza rivolta ad
acquisire il parere.
Nel merito è sufficiente constatare che,
nell’economia della procedura diretta ad
aggiudicare il servizio di progettazione in
argomento, la Commissione giudicatrice ha,
in un primo momento, calcolato i
coefficienti di valutazione ed il punteggio
finale riportando i singoli valori in
termini numerici decimali che contenevano
anche l’indicazione dei millesimi. Mentre,
successivamente, in applicazione
dell’allegato E al D.P.R. n. 554/1999, ha
ritenuto di riportare gli stessi valori in
termini numerici decimali con la sola
indicazione dei centesimi.
Per operare tale trasformazione la
Commissione ha eliminato la cifra dei
millesimi ed arrotondato quella dei
centesimi all’unità inferiore o superiore, a
seconda che la cifra dei millesimi stessi
fosse inferiore a cinque o pari o superiore
a cinque. La stessa Commissione di gara ha
poi annullato tale diversa graduatoria dei
soggetti partecipanti senza raggiungere
alcun convincimento sul corretto metodo di
calcolo da seguire.
Si evidenzia, al riguardo, che la soluzione
del problema connesso al corretto calcolo
dei coefficienti che concorrono alla
determinazione del punteggio finale da
assegnare a ciascun soggetto partecipante
può senz’altro ricavarsi da una attenta
lettura della lettera della legge. Infatti,
secondo l’allegato E al D.P.R. n. 554/1999,
espressamente richiamato a tale scopo dal
disciplinare di gara (art. 6, comma 5), sono
coefficienti compresi tra 0 e 1, quelli
espressi in valori centesimali, attribuiti a
ciascun concorrente; dove il coefficiente è
pari a zero in corrispondenza della
prestazione minima possibile; mentre il
coefficiente è pari ad uno in corrispondenza
della prestazione massima offerta. Tutte le
altre posizione possono trovare una
graduazione che in linea teorica e
matematica sarebbe data da una serie
infinita di numeri. Per tale ovvia ragione
il legislatore ha ritenuto che gli stessi
coefficienti e, quindi, il punteggio finale
fosse dato dalla sommatoria di valori al
massimo centesimali, cioè con due sole cifre
dopo la virgola.
Tale interpretazione logico sistematica
induce a ritenere che l’operato della
Commissione di gara, come definito nel
verbale n. 7 del 23.06.2008, fosse corretto
e sicuramente aderente alla lettera ed allo
spirito della legge, che impone un criterio
logico e prudenziale di valutazione.
Peraltro, la circostanza che l’art. 6, comma
5, del disciplinare di gara espressamente
dispone che “Successivamente la
commissione giudicatrice, in una o più
sedute riservate, procede, sulla base della
documentazione contenuta nella busta “B –
Offerta tecnica” ed ai sensi delle
disposizioni di cui all’allegato E al D.P.R.
n. 554/1999, alla valutazione del merito
tecnico e delle caratteristiche qualitative
e metodologiche…” consente di affermare
che il criterio adottato dalla Commissione
di gara nel citato verbale n. 7, per
espresso richiamo della stazione appaltante
nel proprio disciplinare di gara, è stato
legittimamente predeterminato, diversamente
da quanto asserito dalla DAM S.p.A. Né, allo
stesso tempo, la Commissione nel successivo
verbale n. 8 del 25.11.2008 ha individuato
una ragione di per sé sufficiente per
derogare al summenzionato criterio di
calcolo.
Giova, infine, rilevare che l’operazione di
trasformazione dei valori millesimali in
valori centesimali è del tutto obiettiva e
corretta, atteso che essa si rifà ad un dato
equo e casuale che più volte è stato
utilizzato nella prassi dalla p.a..
In base a quanto sopra considerato
Il Consiglio ritiene, nei limiti di
cui in motivazione, che l’utilizzo del
criterio di cui all’allegato E del D.P.R. n.
554/1999 da parte della Commissione di gara
è corretto e che il criterio medesimo andava
doverosamente applicato per espresso
richiamo del disciplinare di gara
(parere
08.10.2009 n. 109 - link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
LAVORI PUBBLICI:
ATI e certificazione di qualità.
Appalti di ll.pp. - Qualificazione - Appalto
con importo in classifica III - Possesso
sistema di qualità - Ati orizzontale con
mandanti in classifica I e II - Non sussiste
obbligo di attestato SOA con possesso
requisito qualità - Ragioni.
Ritenuto in diritto:
La questione sottoposta all’attenzione
dell’Autorità riguarda la legittimità del
provvedimento di esclusione per mancata
documentazione del possesso della
certificazione di qualità aziendale UNI EN
ISO 9000, disposto in applicazione di
previsioni della lex specialis di
gara intese alla asserita luce di una
precedente determinazione di questa Autorità
(n. 29/2002), invocata con diversi esiti da
entrambe le parti (impresa istante e
stazione appaltante).
In particolare, il punto 12 del bando di
gara di cui trattasi, relativo ai requisiti
minimi di carattere economico e tecnico
necessari per la partecipazione, prevede che
i concorrenti, all’atto dell’offerta debbano
possedere attestazione SOA, in corso di
validità, che documenti il possesso della
qualificazione in categorie e classifiche
adeguate ai lavori da assumere nonché il
possesso di certificazione di qualità UNI EN
ISO 9000, ai sensi del D.P.R. n. 34/2000. Al
riguardo, il punto 1.2 del disciplinare
specifica che, qualora non risulti
espressamente riportato nell’attestazione
SOA il possesso della certificazione di
qualità aziendale rilasciata da soggetto
accreditato, i concorrenti dovranno produrre
a pena di esclusione copia fotostatica,
dichiarata conforme all’originale, di tale
documentazione e precisa, altresì, che, “In
caso di ATI si applica quanto disposto
dall’Autorità per la vigilanza sui lavori
pubblici con con determinazione n. 29/2002,
pubblicata nella GURI n. 275 del 23.11.2002".
Con specifico riguardo alla corretta
interpretazione della citata determinazione
di questa Autorità si evidenzia che, nel
fornire chiarimenti sull’elemento rilevante
ai fine della determinazione dell’obbligo
del possesso della certificazione di qualità
UNI EN ISO 9000 in caso di ATI, l’Autorità
ha precisato che tale obbligo non è connesso
all’importo dell’appalto, ma alla classifica
delle attestazioni. Conseguentemente, come
esplicitato anche in altre pronunce
(deliberazione n. 27/2004, n. 241/2003, n.
182/2003) l’obbligo di dimostrare il
possesso del “requisito qualità”
sussiste soltanto quando l’importo dei
lavori che il concorrente intende assumere
richieda una classifica di qualificazione
per la quale il possesso del sistema di
qualità aziendale UNI EN ISO 9000 sia già
divenuto obbligatorio, secondo la cadenza
temporale disciplinata (in rapporto alle
classifiche) dall’art. 4 e dall’allegato B
del D.P.R. 25.01.2000, n. 34, ossia a
partire dalla classifica III e, quindi, per
importi superiori a euro 516.457,00.
Nel caso di specie l’importo dei lavori che
i concorrenti sono chiamati ad eseguire è
pari a € 863.950,78, per cui il bando
correttamente richiede la classifica III che
implica l’obbligo del possesso del requisito
della qualità.
Tuttavia, l’impresa istante System Co.E.S.
S.r.l. ha evidenziato di aver dichiarato, in
sede di gara, che per i lavori oggetto
dell’appalto avrebbe costituito un’ATI
orizzontale così composta: Capogruppo System
Co.E.S. S.r.l., che vi partecipa con una
percentuale del 60% pari a € 544.410,47,
qualificata in OG3, classifica II, e
Mandante ditta Vigilante Renato, che vi
partecipa con una percentuale del 40% pari a
€ 362.940,31, qualificata in OG3 classifica
II.
Ciò comporta, da un lato, che il
raggruppamento di che trattasi copre con le
iscrizioni possedute l’intero importo
dell’appalto, dall’altro lato che ciascun
componente del raggruppamento medesimo
(considerato l’incremento del quinto per la
capogruppo) esegue lavori per importi
ricompresi nella classifica II per la quale
l’art. 4 e l’allegato B del D.P.R.
25.01.2000, n. 34 prevedono l’esenzione
dall’obbligo del possesso della
certificazione di qualità.
Si evidenzia, peraltro, che questa Autorità,
proprio con specifico riguardo al possesso
del sistema di qualità nelle associazioni
temporanee di imprese ha ritenuto che
consentire la partecipazione ad un appalto
per il quale viene richiesta la classifica
III anche ad imprese riunite in possesso di
classifica I e II non risulta alterare la
par condicio tra i concorrenti che
partecipano alla gara in forma singola e in
forma associata, atteso che la ratio
della normativa in materia è proprio quella
di agevolare la partecipazione alle gare
delle imprese di piccole dimensioni, onde
evitare restrizioni del mercato degli
appalti (cfr.: parere n. 125 del
22.11.2007).
Ne consegue che il raggruppamento di che
trattasi, coprendo con le iscrizioni
possedute l'importo dell'appalto ed
eseguendo ciascun componente lavori per
importi ricompresi nella classifica II, può
partecipare alla gara anche se privo del
requisito della certificazione UNI EN ISO
9000, il cui possesso non è obbligatorio per
la classifica II in possesso delle due
imprese che lo costituiscono.
In base a quanto sopra considerato
Il Consiglio ritiene, nei limiti di
cui in motivazione, che l’esclusione dalla
gara della costituenda ATI orizzontale
System Co.E.S. S.r.l./ditta Vigilante Renato
non è conforme alla normativa di settore e
alla lex specialis di gara
(parere
08.10.2009 n. 106 - link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI:
Erroneo inserimento offerta
economica nella documentazione
amministrativa.
Gara d'appalto - Documentazione di gara -
Erroneo inserimento busta offerta economica
nella busta della documentazione
amministrativa - Verifica erroneo
inserimento in seduta pubblica - Violazione
par condicio - Non sussiste - Fattispecie.
Ritenuto in diritto:
La problematica sottoposta a questa Autorità
con la prospettazione dei fatti
rappresentati, attiene alla valutazione
della correttezza dell’operato di una
Stazione Appaltante che ammetta alle
successive fasi della procedura di gara un
concorrente che, ai fini della
partecipazione alla gara, non abbia
presentato tre buste distinte, ma abbia
presentato la busta contenente l’offerta
economica, chiusa e sigillata, all’interno
della busta contenente la documentazione
amministrativa.
Al riguardo, occorre preliminarmente
accertare il contenuto delle statuizioni
della lex specialis in ordine alle
modalità di presentazione della domanda di
partecipazione, al fine di verificare
l’eventuale sussistenza di prescrizioni di
oneri formali, la cui violazione sia
sanzionata con l’esclusione e la cui portata
vincolante ne imponga una esecuzione
puntuale nel corso delle operazioni di gara.
Ciò in quanto è principio consolidato quello
secondo cui la portata vincolante delle
prescrizioni contenute nella lex
specialis produce l’effetto di esigere
che ad esse sia data puntuale esecuzione nel
corso della procedura di gara, senza che in
capo all’organo amministrativo cui compete
l’attuazione delle regole stabilite nel
bando, residui alcun margine di
discrezionalità in ordine al rispetto della
disciplina del procedimento (cfr. ex
multis parere AVCP n. 42 del 02.04.2009;
Consiglio di Stato sez. V sentenza n. 349
del 31.01.2006; TAR Veneto, Venezia, sez. I,
sentenza 31.03.2009 n. 1029).
A ciò consegue che nel caso in cui un bando
di gara prescriva in capo ai partecipanti
determinati oneri formali deve ritenersi che
si è inteso dare prevalenza al principio di
formalità collegato alla garanzia della par
condicio, che per l’effetto non può essere
superato dall’opposto principio del favor
partecipationis (Consiglio di Stato,
sez. V, sentenza n. 1822 del 27.03.2009).
Allo stesso modo occorrerà accertare se,
nonostante il fatto che le prescrizioni del
bando di gara non siano sanzionate con
l’esclusione, ad esse la Stazione Appaltante
non abbia in qualche modo voluto attribuire
una funzione a tutela di interessi
essenziali o che le stesse intendano
tutelare la par condicio dei concorrenti,
dal momento che in tale caso, l’eventuale
mancata indicazione della sanzione
dell’esclusione in caso di violazione di
specifiche prescrizioni all’interno del
bando di gara, non impedisce alla Stazione
Appaltante medesima di procedere comunque
all’esclusione del concorrente che ad esse
non abbia ottemperato.
Nel caso di specie la disciplina di gara,
nella sezione relativa alle “modalità di
presentazione e ai criteri di ammissibilità
delle offerte” prevede espressamente che
i plichi contenenti la documentazione
amministrativa e la busta contenente
l’offerta economica, pena l’esclusione dalla
gara, devono pervenire esclusivamente
tramite raccomandata/posta celere del
servizio Poste Italiane entro e non oltre le
13.00 del giorno 29.01.2009. E’ inoltre
previsto che i plichi devono essere
idoneamente sigillati con ceralacca,
controfirmati sui lembi di chiusura e devono
recare all’esterno –oltre all’esatta ragione
sociale del mittente e al suo indirizzo– il
numero di telefono, fax, in numero di codice
dell’appalto, l’oggetto dell’appalto,
l’importo, il numero di codice fiscale, il
codice attività e la partita iva
dell’impresa concorrente, il giorno e l’ora
dell’espletamento della gara.
Essi devono contenere al loro interno tre
buste, “a pena di esclusione tutte
sigillate con ceralacca e controfirmate sui
lembi di chiusura, recanti l’intestazione
del mittente e l’indicazione del numero di
codice dell’appalto”, di cui una
contenente la documentazione amministrativa
(Busta A), una contenente l’offerta
economica (Busta B) e una contenente i
giustificativi dell’offerta economica (Busta
C).
Dalla lettura delle prescrizioni della
lex specialis appare dunque chiaro che
le condizioni da rispettare a pena di
esclusione sono riferite unicamente
all’utilizzo del solo mezzo postale per far
pervenire i plichi e alla modalità di
presentazione dei plichi e delle buste in
essi contenute, appositamente sigillati e
controfirmati a tutela della segretezza del
loro contenuto e riportanti il nominativo
del concorrente e il codice dell’appalto, ai
fini dell’imputabilità delle stesse ad un
unico soggetto e alla gara cui esso
partecipa.
Con specifico riferimento alla buste,
quindi, l’unica prescrizione prevista a pena
di esclusione consiste nel fatto che le
stesse siano sigillate e controfirmate e
riportino la diciture specifica al fine di
riconoscerne il contenuto.
Pertanto, la scelta operata dalla Stazione
Appaltante di ammettere alle successive fasi
della procedura un concorrente che
apparentemente aveva presentato solo due
buste anziché tre, ovvero la busta A e la
busta C, in quanto aveva per errore inserito
la busta B, comunque presente nel plico,
all’interno della Busta A, avendo in ogni
caso avuto cura di firmarla, sigillarla e
intestarla al mittente, imputarla al codice
gara e denominarla con la dicitura busta B -
Offerta Economica, non sembra configgere con
le specifiche prescrizioni di gara poste a
pena di esclusione.
Occorre, pertanto, accertare l’eventualità
che tale mancata esclusione possa aver leso
la tutela di specifici interessi essenziali
perseguiti dalla Stazione Appaltante o violi
il principio di par condicio tra i
concorrenti.
Al riguardo e alla luce dei fatti
rappresentati anche dai verbali di gara, si
evince che in seduta pubblica, al momento
dell’apertura dei plichi presentati dalla
Effeser S.r.l., la Commissione di gara,
accertava la mancanza della Busta B e,
considerato che il rappresentante legale
della società medesima, toccando con mano la
Busta A sosteneva che la Busta B, contenente
l’offerta economica, si trovava nella Busta
A e chiedeva di fermare le operazioni di
gara e far verificare quanto sostenuto alla
competenti autorità, decideva di sospendere
l’intera procedura provvedendo a sigillare
tutti i plichi pervenuti.
Quindi, alla riapertura delle operazioni di
gara, alla quale erano presenti i
rappresentanti legali delle imprese
partecipanti, la Commissione, in relazione
all’offerta presentata dalla Effeser S.r.l.,
decideva di aprire la Busta A contente la
documentazione amministrativa, ritrovava in
essa la Busta B ed ammetteva, pertanto, la
Effeser S.r.l. alle successive fasi della
procedura.
Ebbene, la scelta operata dalla Stazione
Appaltante, finalizzata ad ampliare il più
possibile la partecipazione alla procedura
di gara, non appare in conflitto con il
principio di par condicio dei concorrenti,
dal momento che non solo la verifica della
presenza della Busta B all’interno della
Busta A è avvenuta in seduta pubblica e
quindi nel pieno rispetto del principio di
trasparenza dell’attività amministrativa, ma
è stato anche accertato che i plichi
custoditi durante la sospensione delle
operazioni di gara non erano stati manomessi
e che la Busta B, estratta dalla Busta A, al
pari delle buste presentate dagli altri
concorrenti, rispettava le prescrizioni di
sigillatura e controfirmatura prescritti dal
bando, salvaguardando in tal modo il rischio
di integrare una disparità di trattamento
rispetto agli altri concorrenti.
Né si è così realizzata una lesione di uno
specifico interesse sostanziale
dell’Amministrazione, dal momento che la
segretezza delle offerte e la relativa
imputabilità al concorrente era stata
preservata e salvaguardata e, pur avendo
aperto la Busta A al fine di verificarne il
contenuto ed accertare l’eventuale presenza
della Busta B, la Commissione di gara non ha
in tal modo invertito la normale sequenza di
svolgimento della procedura, dal momento
che, una volta rinvenuta la Busta B e
verificatane l’integrità, l’ha messa da
parte procedendo ad accertare le
dichiarazioni contenute nella Busta A ed
ammettere la società Effeser S.r.l. alla
gara.
E’ stata pertanto preservata la fondamentale
sequenza procedimentale di eseguire la
valutazione dell’offerta in due tempi,
separando il momento valutativo della
documentazione amministrativa da quello
dell’offerta economica, lasciano l’offerta
segreta fino all’esame dei documenti
prescritti dalla lex specialis,
evitando, in tal modo, possibili influenze
della Commissione di gara, dovute alla
preventiva conoscenza dell’offerta,
tutelando, così, l’imparzialità dell’azione
e la par condicio dei concorrenti.
Pertanto, l’operato dell’ANAS, volto a dare
un’interpretazione finalistica alle
prescrizioni del bando, piuttosto che una
lettura formalistica, appare conforme alla
ratio della procedura ed è in ogni
caso ispirata al principio del favor
partecipationis, senza incorrere in
alcun caso nella violazione dei principio di
par condicio e trasparenza (cfr. in tal
senso, Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza
n. 3000 del 15.05.2009).
In base a quanto sopra considerato
Il Consiglio ritiene, nei limiti di
cui in motivazione, che il provvedimento
adottato dall’ANAS di ammettere alla gara la
società Effeser S.r.l. è conforme ai
principi in materia di contratti pubblici
(parere
08.10.2009 n. 96 - link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
INCARICHI PROGETTAZIONE:
Affidamento servizi di
progettazione di importo inferiore a 100.000
euro.
Servizi di progettazione
- Affidamento servizi di importo inferiore a
100.000 euro - Disciplina ex art. 91, c. 2,
dlgs. 163/2006 - Criteri di selezione
professionista - Necessità di analitica e
rigorosa predeterminazione elementi e
sub-elementi di valutazione - Va esclusa -
Ragioni.
Ritenuto in diritto:
Alla luce dei parametri di legittimità
desumibili dalla determinazione di questa
Autorità n. 1 del 19.01.2006, ancor oggi
attuali, il procedimento di evidenza
pubblica per l’affidamento dell’incarico
professionale in oggetto, siccome esperito
dal Comune di ITRI non presta il fianco a
censure.
Invero, sotto nessuno dei profili in quella
determinazione evidenziati le doglianze
dell’istante possono essere positivamente
apprezzate.
Si tratta, nel caso all’esame,
dell’affidamento di servizi di ingegneria di
importo stimato inferiore a 100.000 euro,
com’è agevole desumere dagli stessi
riferimenti normativi del Bando versato in
atti: l’art. 91, co. 2, del D.Lgs. n.
163/2006 (d’ora in avanti denominato
“Codice”) – secondo cui “gli incarichi di
progettazione, di coordinamento della
sicurezza in fase di progettazione, di
direzione dei lavori, di coordinamento della
sicurezza in fase di esecuzione e di
collaudo…di importo inferiore alla soglia di
cui al comma 1 (100.000 euro n.d.r.) possono
essere affidati dalle stazioni appaltanti, a
cura del responsabile del procedimento…nel
rispetto dei principi di non
discriminazione, parità di trattamento,
proporzionalità e trasparenza, e secondo la
procedura prevista dall'articolo 57, comma
6; l'invito è rivolto ad almeno cinque
soggetti, se sussistono in tale numero
aspiranti idonei” –e, per l’appunto, l’art.
57, co. 6 del Codice– secondo cui “ove
possibile, la stazione appaltante individua
gli operatori economici da consultare sulla
base di informazioni riguardanti le
caratteristiche di qualificazione economico
finanziaria e tecnico organizzativa desunte
dal mercato, nel rispetto dei principi di
trasparenza, concorrenza…Gli operatori
economici selezionati vengono
contemporaneamente invitati a presentare le
offerte oggetto della negoziazione, con
lettera contenente gli elementi essenziali
della prestazione richiesta. La stazione
appaltante sceglie l'operatore economico che
ha offerto le condizioni più vantaggiose,
secondo il criterio del prezzo più basso o
dell'offerta economicamente più vantaggiosa,
previa verifica del possesso dei requisiti
di qualificazione previsti per l'affidamento
di contratti di uguale importo mediante
procedura aperta, ristretta, o negoziata
previo bando”.
E’ noto che il principio di concorrenza e
quelli di radice comunitaria (che ne
rappresentano attuazione e corollario) di
trasparenza, non discriminazione e parità di
trattamento, che hanno trovato recepimento
espresso nel diritto interno (come, per
l’appunto, nell’art. 91 co. 2, del Codice),
costituendo principi fondamentali anche per
il nostro ordinamento ex art.1, co. 1, della
legge 241/1990, si elevano a principi generali
di tutti i contratti pubblici e sono
direttamente applicabili, a prescindere
dalla ricorrenza di specifiche norme
comunitarie od interne ed in modo prevalente
rispetto ad eventuali disposizioni interne
di segno contrario (cfr. ex multis: TAR
Emilia Romagna, Bologna, sez. II,
21.05.2008, n. 1978).
Il precedente normativo in subiecta
materia è costituito dall’art. 17, comma 12,
della legge 109/1994, così come modificato
dalla legge n. 65/2005 in ottemperanza al
pronunciamento della Commissione europea che
ebbe a censurare la mancata previsione di
alcun onere minimo di messa in concorrenza e
l’assenza di alcuna forma di pubblicità,
atta a consentire un confronto
concorrenziale fra i soggetti potenzialmente
interessati alla prestazione del servizio.
In osservanza a detti rilievi, il
legislatore nazionale ha eliminato la
possibilità dell’affidamento diretto su base
fiduciaria degli incarichi per importo
inferiore a 100.000 euro, facendo espresso
richiamo all’obbligo da parte delle stazioni
appaltanti del rispetto dei principi di non
discriminazione, parità di trattamento,
proporzionalità e trasparenza.
Ciò si è tradotto, per quanto rileva in
questa sede, nell’instaurazione di una
apposita procedura negoziata (previa
pubblicazione di apposito Bando -che nella
fattispecie è stata effettuata alla stregua
di opzione strumentale alla ricerca di
qualificate manifestazioni di interesse-
nelle spedite forme dell’Albo pretorio e del
sito internet della stazione appaltante),
con la quale si è proceduto ad una verifica
preliminare tesa alla selezione -mediante
l’applicazione dei criteri selettivi
discrezionalmente enunciati nel Bando- di
cinque candidati ammessi a presentare la
successiva offerta economica, per
l’affidamento dell’incarico secondo il
prescelto criterio del prezzo più basso.
La preliminare richiesta del possesso dei
requisiti suddetti per la partecipazione
alla procedura negoziata di che trattasi è
avvenuta nel pieno rispetto del principio di
proporzionalità, risultando strettamente
connessa alla tipologia ed all'importo
dell'incarico di che trattasi, inferiore
alla soglia dei 100.000 euro, senza peraltro
comportare il pericolo di una indebita
restrizione della concorrenza. Nessuna
necessità ulteriore –dato il criterio
automatico (prezzo più basso) di
aggiudicazione prescelto dalla S.A.– è dato
rinvenire nella fattispecie per divisare il
fondamento di una distinta predeterminazione
di criteri di valutazione delle offerte
rapportati alla tipologia e all’importo
dell’incarico, altrimenti ravvisabile nel
caso di un incarico di maggior importo e
complessità.
Per questo è bastevole rappresentare che
nell’avviso di selezione in argomento sono
stati indicati i requisiti minimi di
idoneità professionale richiesti dalla
stazione appaltante per assumere l’incarico
in questione, in modo tale da consentire
agli aspiranti, in assoluta condizione di
parità, di dimostrare -tramite il
curriculum- il possesso di una esperienza
adeguata rapportata alla tipologia e
all’importo dell’incarico. Essendo, inoltre,
il criterio di aggiudicazione prescelto
quello del prezzo più basso, non era
necessario che la S.A. fissasse ulteriori
distinti criteri e sub-criteri di merito
comparativo per la selezione dei cinque
professionisti da invitare successivamente a
formulare l’offerta economica, così come
preteso dall’istante sulla falsariga del
distinto criterio di aggiudicazione
costituito dall’offerta economicamente più
vantaggiosa ex art. 83 del Codice. E’ solo
in relazione a quest’ultimo criterio,
infatti, che va tenuto distinto il merito
tecnico dell’offerta da valutarsi nella fase
di affidamento, con riguardo alle
caratteristiche qualitative dei progetti
presentati, che l’offerente ritenesse
rappresentativi della propria capacità
progettuale, in rapporto a quella degli
altri concorrenti.
Del resto, diversamente da quanto preteso al
riguardo dall’istante, questa Autorità ha
già avuto modo di statuire, con le
deliberazioni n. 43/2007 e n. 86/2007, che
l’avviso deve riportare i criteri di
selezione dei curricula, senza la necessità
di un'espressa e puntuale predeterminazione
dei pesi ponderali assegnati a ciascun
criterio.
Dalle considerazioni sopra riportate emerge,
dunque, che la normativa cui fa riferimento
il Bando, imponeva alla stazione appaltante
l'esperimento di una previa procedura di
tipo comparativo per l’individuazione di
cinque candidati da ammettere alla
successiva fase dell’offerta economica,
assistita da una adeguata pubblicità.
Al riguardo, come espresso da questa
Autorità con le determinazioni n. 18/2001 e
n. 30/2002, per “adeguata pubblicità”
deve intendersi quella pubblicità che,
seppure semplificata, risulti funzionale
allo scopo di raggiungere la più ampia sfera
di potenziali professionisti interessati
all’affidamento, in relazione all’entità ed
all’importanza dell’incarico: ciò che è
avvenuto nella fattispecie, tenuto conto
dell’importo e della tipologia
dell’incarico.
Inoltre, per quanto attiene al procedimento
di selezione dei candidati, la stazione
appaltante ha puntualmente indicato nel
Bando gli elementi sui quali si sarebbe
basata. Si è trattato, in tutta evidenza, di
oggettivi criteri curriculari di confronto
comparativo, proporzionati all’incarico da
conferire ed alle caratteristiche proprie
della procedura negoziata prescelta.
In base a quanto sopra considerato
Il Consiglio ritiene che la
procedura posta in essere dal Comune di ITRI
per l’affidamento dell’incarico in oggetto è
conforme alla normativa di settore
(parere
08.10.2009 n. 95 - link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
GIURISPRUDENZA |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO:
Il taglio di figure tecniche non
è uno spoils system. Il Consiglio di stato
ha accolto un ricorso del Minambiente.
Palazzo Spada rilancia la possibilità di
tagli di massa di personale all'interno
delle pubbliche amministrazioni per esigenze
di contenimento della spesa. Infatti è
legittima la riduzione collettiva di figure
tecnico-professionali che non può essere
bollata come spoils system.
Lo ha affermato il Consiglio di Stato Sez.
VI che, con la
sentenza 28.12.2009 n. 8791, ha
accolto il ricorso presentato dal ministero
dell'ambiente che aveva deliberato la
soppressione di venti figure
tecnico-professionali all'interno del
dicastero. E lo aveva fatto in virtù di
alcune norme contenute nel decreto Bersani.
Subito i tecnici avevano fatto ricorso
contro la delibera sottolineando che il
sistema usato dal dicastero poteva essere
considerato un vero e proprio spoils system,
nel frattempo dichiarato incostituzionale.
Il Tar del Lazio aveva accolto la tesi dei
ricorrenti, chiarendo che la decadenza ex lege degli incarichi potesse configurare una
ipotesi di spoils system. Contro questa
decisione il dicastero ha fatto ricorso, con
successo, al Consiglio di Stato.
Con una interessante decisione i giudici di
Palazzo Spada hanno precisato che tagli in
massa di figure tecnico professionali non
legate ai vertici politici
dell'amministrazione non sono spoils system
e sono quindi legittimi.
In particolare, si legge nelle motivazioni
depositate dal Consiglio di Stato, «che
poiché l'art. 29, dl n. 223/2006 conv. in
legge n. 248/2006 ha imposto alle
amministrazioni pubbliche, per esigenze di
contenimento della spesa pubblica, il
riordino degli organismi operanti presso di
esse, è legittima la riduzione dei membri
delle commissioni ministeriali, anche se
operata in massa. Infatti non si può
ritenere che la disciplina legislativa abbia
previsto uno spoils system in relazione ad
incarichi di esclusivo profilo
tecnico-professionale, in contrasto con i
dettami della Corte costituzionale che non
ritiene giustificato lo spoils system (ossia
la decadenza automatica dall'incarico per
effetto dell'inizio di una nuova
legislatura) per incarichi a contenuto
tecnico che non implicano una diretta e
fiduciaria collaborazione con i vertici
politici. Infatti non si è in presenza di
una decadenza generalizzata e automatica di
tutti gli organi connessa al solo fatto
dell'inizio di una nuova legislatura, ma di
una decadenza limitata solo a taluni organi
e necessitata dalla novazione degli organi
in virtù della loro diversa disciplina»
(articolo ItaliaOggi del 30.12.2009, pag.
25). |
EDILIZIA PRIVATA:
Sull'esecuzione di opere edilizie
finalizzate a mutare la destinazione d'uso
di un laboratorio artigianale a centro
sociale nonché ad attività di culto.
In seguito a sopralluogo il Comune ha
contestato: la formazione di una nuova
parete a tutta altezza in cartongesso, lunga
3,60 metri, che divide il locale principale
dai servizi igienici; il posizionamento
all’esterno del fabbricato, sul fronte che
prospetta sulla pubblica via, di due unità
esterne di climatizzazione ad un’altezza di
m. 2,75; il cambiamento d’uso dell’immobile,
destinato a centro sociale nonché ad
attività di culto, che si svolgono ogni
settimana il venerdì.
Ritenuto che le opere abusive configurino un
intervento di manutenzione straordinaria,
che l’installazione delle unità esterne di
condizionamento non sia regolamentare
(dovendo le medesime essere sistemate sulla
copertura), e che il cambio di destinazione
d’uso richieda il rilascio del permesso di
costruire (ex art. 52, comma 3-bis, legge
regionale n. 12 del 2005), il Comune, con
ordinanza 26.08.2009 n. 109, preceduta da
avviso di avvio del procedimento cui
l’Associazione ha dato seguito con proprie
osservazioni, ha ingiunto la demolizione
delle opere abusive e il ripristino della
destinazione d’uso artigianale antecedente
l’attuale destinazione a luogo di culto, con
preavviso di acquisizione dell’immobile in
caso di inottemperanza.
Il ricorso, cui resiste il
Comune, è fondato.
Va
esaminata in via prioritaria, per ragioni
logiche, la questione se il cambio di
destinazione d’uso richiedesse o meno, nel
caso de quo, il permesso di costruire.
L’art. 52, comma 3-bis, della legge
regionale 11.03.2005 n. 12 (legge sul
governo del territorio) stabilisce che “I
mutamenti di destinazione d’uso di immobili,
anche non comportanti la realizzazione di
opere edilizie, finalizzati alla creazione
di luoghi di culto e luoghi destinati a
centri sociali, sono assoggettati a permesso
di costruire”.
Il comma 3-bis è stato introdotto dalla
legge regionale 14.07.2006 n. 12 (art. 1,
comma 1, lett. m), e non è applicabile prima
della sua entrata in vigore.
Nel caso in esame, sebbene non vi sia prova
della data in cui sono state eseguite le
opere contestate dal Comune, e sebbene solo
il contratto di locazione stipulato in data
14.04.2008 (e non anche quello antecedente,
stipulato nell’ottobre 2005) preveda la
destinazione dell’immobile a “circolo
ricreativo”, è verosimile che tale
destinazione risalga a data anteriore
all’introduzione della norma, come si desume
dalla nota del 29.10.2005 con la quale il
Comune, nell’interloquire con il ricorrente,
che aveva formulato una richiesta di
utilizzo del campo sportivo, indirizzava la
propria risposta al Centro, nella sede di
piazza Dante 7.
Ne consegue che la norma de qua non è
applicabile al caso in esame.
Gli abusi edilizi commessi dal ricorrente
(realizzazione di un tramezzo e
posizionamento irregolare delle unità
esterne di condizionamento), in quanto
finalizzati al mutamento di destinazione
d’uso, vanno riguardati e valutati dunque
sotto un’altra prospettiva, tenendo conto:
(a) che la disciplina regionale in materia
distingue il regime dei mutamenti di
destinazione d’uso secondo che siano
conformi o non conformi alle previsioni
urbanistiche (cfr. artt. 52 e 53 legge
regionale n. 12 del 2005);
(b) che lo stesso Comune ha qualificato le
opere abusive come opere di manutenzione
straordinaria;
(c) che le opere di manutenzione
straordinaria richiedono una semplice d.i.a.,
la cui mancanza non può dar luogo
all’acquisizione dell’immobile
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 28.12.2009 n. 6226 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Sul divieto di partecipazione
allo stesso appalto, in modo concorrente, di
un consorzio stabile e di una società
facente parte dello stesso.
Il diritto comunitario dev'essere
interpretato nel senso che esso osta a una
normativa nazionale, come quella di cui
trattasi nella causa principale, che
dispone, in occasione della procedura di
assegnazione di un appalto pubblico il cui
importo non raggiunge la soglia di cui
all'art. 7, n. 1, lett. c), della direttiva
2004/18/CE, ma che riveste un interesse
transfrontaliero certo, l'esclusione
automatica dalla partecipazione a detta
procedura e l'irrogazione di sanzioni penali
sia del consorzio stabile quanto delle
imprese che ne sono membri, quando queste
ultime hanno presentato offerte concorrenti
a quella di detto consorzio nell'ambito
dello stesso procedimento, anche qualora
l'offerta di detto consorzio non sia stata
presentata per conto e nell'interesse di
tali imprese (Corte di giustizia europea,
Sez. IV,
sentenza 23.12.2009 n. C-376/08 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI SERVIZI:
I soggetti che non perseguono un
preminente scopo di lucro, come le
università e gli istituti di ricerca,
possono partecipare ad un appalto pubblico
di servizi.
Le disposizioni della direttiva 2004/18/CE,
relativa al coordinamento delle procedure di
aggiudicazione degli appalti pubblici di
lavori, di forniture e di servizi, ed in
particolare quelle che si riferiscono alla
nozione di "operatore economico", devono
essere interpretate nel senso che consentono
a soggetti che non perseguono un preminente
scopo di lucro, non dispongono della
struttura organizzativa di un'impresa e non
assicurano una presenza regolare sul
mercato, quali le università e gli istituti
di ricerca nonché i raggruppamenti
costituiti da università e amministrazioni
pubbliche, di partecipare ad un appalto
pubblico di servizi.
La direttiva 2004/18 dev'essere interpretata
nel senso che essa osta all'interpretazione
di una normativa nazionale come quella di
cui trattasi nella causa principale che
vieti a soggetti che, come le università e
gli istituti di ricerca, non perseguono un
preminente scopo di lucro di partecipare a
una procedura di aggiudicazione di un
appalto pubblico, benché siffatti soggetti
siano autorizzati dal diritto nazionale ad
offrire sul mercato i servizi oggetto
dell'appalto considerato (Corte di giustizia
europea, Sez. IV,
sentenza 23.12.2009 n. C-305/08 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Sospensione condizionale e
demolizione.
In tema di reati edilizi, quando la
demolizione dell’opera abusiva è stata
imposta al condannato, ex art. 165 c.p.,
come condizione del beneficio della
sospensione condizionale della pena, se la
sanatoria dell’abuso edilizio viene definita
prima della scadenza del termine imposto per
la demolizione, il giudice della esecuzione
deve ritenere inutiler datum l’ordine
di demolizione, considerando quindi il
condannato ammesso al beneficio senza alcuna
condizione.
Nel caso, invece, la sanatoria maturi dopo
la scadenza del termine per l’adempimento
dell’obbligo di demolizione, il giudice
della esecuzione deve revocare il beneficio
della sospensione della pena, in quanto non
si è verificata la condizione e deve,
parimenti, revocare, su istanza di parte, la
sanzione amministrativa con cui era stato
ingiunta la eliminazione dell’opera abusiva.
Da ciò si ricava, quindi, che scaduto il
termine concesso per ottemperare all’ordine
de quo, in difetto di ottemperanza, il
giudice della esecuzione ha il dovere solo
di constatare che la condizione non si è
verificata e, di conseguenza, ritenere che
il condannato non è meritevole del beneficio
(Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 21.12.2009 n. 48950 -
link a www.lexambiente.it). |
URBANISTICA:
Lottizzazione e posizione
dell’acquirente e subacquirente.
1.
L’acquirente dell'immobile non può
sicuramente considerarsi, solo per tale sua
qualità, “terzo estraneo” al reato di
lottizzazione abusiva, ben potendo egli
tuttavia, benché compartecipe al medesimo
accadimento materiale, dimostrare di avere
agito in buona fede senza rendersi conto
cioè -pur avendo adoperato la necessaria
diligenza nell’adempimento degli anzidetti
doveri di informazione e conoscenza- di
partecipare ad un’operazione di illecita
lottizzazione.
Quando, invece, l’acquirente sia consapevole
dell’abusività dell’intervento -o avrebbe
potuto esserlo spiegando la normale
diligenza- la sua condotta si lega con
intimo nesso causale a quella del venditore
ed in tal modo le rispettive azioni,
apparentemente distinte, si collegano tra
loro e determinano la formazione di una
fattispecie unitaria ed indivisibile,
diretta in modo convergente al conseguimento
del risultato lottizzatorio.
Le posizioni, dunque, sono separabili se
risulti provata la malafede dei venditori,
che, traendo in inganno acquirenti comunque
diligenti, li convincano della legittimità
delle operazioni. Neppure l’acquisto del
sub-acquirente può essere considerato
legittimo con valutazione aprioristica
limitata alla sussistenza di detta sola
qualità, allorché si consideri che
l’utilizzazione delle modalità dell’acquisto
successivo ben potrebbe costituire un
sistema elusivo, surrettiziamente
finalizzato a vanificare le disposizioni
legislative in materia di 1ottizazione
negoziale.
2.
Il venditore non può predisporre
l’alienazione degli immobili in una
situazione produttrice di alterazione o
immutazione circa la programmata
destinazione della zona in cui gli stessi
sono situati ed i soggetti che acquistano
devono essere cauti e diligenti
nell’acquisire conoscenza delle previsioni
urbanistiche e pianificatone di zona: il
compratore che omette dì acquisire ogni
prudente informazione circa la legittimità
dell‘acquisto si pone colposamente in uno
situazione di inconsapevolezza che fornisce,
comunque, un determinante contributo causale
all‘attività illecita del venditore.
Va ricordato inoltre, al riguardo, che,
qualora si ritenesse che il piano regolatore
generale abbia natura di atto amministrativo
generale sostanzialmente normativo, si
determinerebbe una presunzione legale di
conoscenza ed il dovere legale di conoscenza
esclude, per definizione, la possibilità di
invocare l’ignoranza incolpevole.
3.
La qualifica di “terzi estranei al reato”
non può farsi discendere esclusivamente
dalla circostanza che gli acquirenti o
subacquirenti non siano stati indagati né
rinviati a giudizio, in quanto essi ben
potrebbero assumere, in seguito ad ulteriori
e più approfonditi accertamenti, la qualità
dì indagati (e poi eventualmente di
imputati).
Deduzioni significative di estraneità
neppure possono riconnettersi alle
intervenute costituzioni di parte civile, in
relazione alle quali è demandata al giudice
del merito la verifica della sussistenza del
diritto al risarcimento in relazione ad una
lesione effettivamente riconducibile ai
fatti-reato contestati agli imputati.
4.
L’impossibilità eventuale della confisca non
esclude la previsione della demolizione
delle unità immobiliari illecitamente
edificate in base a titolo abilitativo
illegittimo, e, in relazione alle
costruzioni abusive, con riferimento alla
posizione del soggetto che acquisti la
proprietà dell’immobile successivamente al
compimento dell’abuso -ferme le ipotesi di
nullità dell’atto di vendita specificamente
poste dalla legge- la giurisprudenza è
costantemente orientata nel senso che le
sanzioni ripristinatorie sono legittimamente
irrogate nei confronti degli attuali
proprietari dell’immobile, indipendentemente
dall’essere stati o meno questi ultimi gli
autori dell’abuso, salva la loro facoltà di
fare valere sul piano civile la
responsabilità, contrattuale o
extracontrattuale, del dante causa
5.
La possibilità di utilizzazione residenziale
privata dei manufatti sequestrati,
vertendosi in un caso di sequestro disposto
anche ai sensi del primo comma dell’ari 321
C.P.P., si pone in evidente contrasto con le
stesse finalità della misura cautelare in
concreto ravvisate contraddicendole e
vanificandole (Corte di Cassazione, Sez. III
penale,
sentenza 21.12.2009 n. 48924 -
link a www.lexambiente.it). |
URBANISTICA: Gli
oneri per opere di urbanizzazione, per poter
essere posti a carico dei sub-acquirenti del
lottizzante, devono essere trascritti nei
registri immobiliari.
L'obbligazione di
provvedere alla realizzazione delle opere di
urbanizzazione, assunta dal lottizzante con
la stipula della convenzione di
lottizzazione edilizia è propter rem, nel
senso che l’adempimento di essa può essere
richiesto non solo a colui che tale
convenzione ha stipulato, ma anche a colui,
se soggetto diverso, che richiede la
concessione edilizia; ovvero nel senso che
colui che realizza opere di trasformazione
edilizia ed urbanistica, valendosi della
concessione edilizia rilasciata al suo dante
causa, ha nei confronti del Comune gli
stessi obblighi che gravano sull'originario
concessionario, ed è con quest'ultimo
solidalmente obbligato per il pagamento
degli oneri di urbanizzazione;
l’obbligazione non si trasferisce, però,
all’acquirente degli edifici realizzati dal
costruttore, proprio perché solo
quest’ultimo ha utilizzato il titolo
edilizio il cui rilascio implicava l’accollo
ex lege dell’obbligazione di realizzazione o
completamento delle opere di urbanizzazione.
Con il primo motivo si deduce la censura di
violazione dell’art. 28, comma 5, n. 2)
della legge 17.08.1942 n. 1150.
Sostengono i ricorrenti che gli oneri per
opere di urbanizzazione, per poter essere
posti a carico dei sub acquirenti del
lottizzante, devono essere trascritti nei
registri immobiliari.
La censura è fondata.
L’articolo 28, comma 5, della legge 1150 del
1942 dispone che nel caso di lottizzazione,
la prescritta autorizzazione comunale “è
subordinata alla stipula di una convenzione,
da trascriversi a cura del proprietario, che
preveda:
1) … la cessione gratuita entro termini
prestabiliti delle aree necessarie per le
opere di urbanizzazione primaria, precisate
dall'articolo 4 della legge 29.09.1964, n.
847, nonché la cessione gratuita delle aree
necessarie per le opere di urbanizzazione
secondaria nei limiti di cui al successivo
n. 2;
2) l'assunzione, a carico del proprietario,
degli oneri relativi alle opere di
urbanizzazione primaria e di una quota parte
delle opere di urbanizzazione secondaria
relative alla lottizzazione o di quelle
opere che siano necessarie per allacciare la
zona ai pubblici servizi; la quota è
determinata in proporzione all'entità e alle
caratteristiche degli insediamenti delle
lottizzazioni”.
Come esattamente rilevato dai ricorrenti, la
nascita di un’eventuale obbligazione
propter rem degli aventi causa è
subordinata a due condizioni: la
successione nella posizione del costruttore
e la trascrizione nei registri immobiliari
dell’onere assunto dal costruttore. Il
legislatore ha cioè previsto, ad evidente
tutela della buona fece degli aventi causa,
un meccanismo per creare una certezza legale
in ordine all’eventuale esistenza di oneri
reali gravanti sull’immobile, al fine di
tutelare la correttezza e la trasparenza del
traffico giuridico, ed evitare così che i
terzi vengano a trovarsi ingiustamente
gravati da oneri non conosciuti e non
conoscibili al momento del contratto di
compravendita, oneri che ridurrebbero la
compravendita ad un contratto aleatorio.
Nel caso di specie la trascrizione, alla cui
formalità avrebbe dovuto essere subordinato
il rilascio dell’autorizzazione comunale,
non risulta avvenuta, come rilevato dai
ricorrenti con affermazione non contestata
dalla difesa del Comune.
La giurisprudenza amministrativa riconduce
alla trascrizione l’opponibilità ai terzi
dei vincoli e degli oneri derivanti dalla
lottizzazione e la trascrizione diventa così
lo strumento attraverso il quale viene
attribuita efficacia reale agli impegni
assunti dal lottizzante, che operano
propter rem trasferendosi in capo ai
successivi proprietari delle aree anche in
assenza di uno specifico atto di accollo
(TAR Toscana con la sentenza 20.12.1999 n.
1096).
---------------
Fondato si rivela anche il secondo motivo
con il quale i ricorrenti deducono la
violazione, sotto altro profilo, dell’art.
28, comma 5, n. 2), della legge 17.08.1942
n. 1150.
Sostengono costoro che il citato articolo
disciplina, significativamente, la
lottizzazione di aree e non la successione
nella proprietà di appartamenti: e pertanto
–laddove parla di “assunzione, a carico
del proprietario, degli oneri relativi alle
opere di urbanizzazione”- fa riferimento
al proprietario dei terreni da lottizzare a
scopo edilizio, che stipula la convenzione
di lottizzazione (comma 1 e prima parte del
comma 5 del citato art. 28); e quindi si
riferisce soltanto al proprietario
costruttore, ed agli eventuali imprenditori
che gli succedono nella qualità di
costruttore.
La censura è fondata.
La giurisprudenza è pacifica nel ritenere
che l'assunzione a carico del proprietario
degli oneri relativi alle opere di
urbanizzazione primaria e di una quota parte
di quelle di urbanizzazione secondaria cui è
subordinata, a norma del comma 5 n. 2 del
predetto art. 28 della legge n. 1150 del
1942 come novellato dall’art. 8 della legge
06.08.1967 n. 765, l'autorizzazione per la
lottizzazione, costituisce in base al comma
7 dello stesso art. 28 un'obbligazione
propter rem, con la conseguenza che
dette opere devono essere eseguite da coloro
che sono proprietari al momento del rilascio
della concessione edilizia e che ben possono
essere persone diverse da quelle che
stipularono la convenzione, per aver da
queste acquistato dei lotti su cui
realizzare le costruzioni edilizie (Cass.
26.11.1988 n. 6382).
L’obbligazione non riguarda però, e di per
sé, chi utilizza le opere di urbanizzazione
(Cass. 12571/2002), ma il soggetto che
chiede la concessione edilizia o il soggetto
che subentra a quest’ultimo nella
costruzione del fabbricato e quindi
nell’utilizzo della concessione edilizia,
mentre alcuna successione nell’obbligazione
si verifica nei confronti degli acquirenti
le costruzioni o, come nel caso di specie,
gli appartamenti realizzati dal lottizzante
costruttore (cfr. da ultimo Cass. civile,
sez. III, 15.05.2007 n. 11196).
In sostanza l'obbligazione di provvedere
alla realizzazione delle opere di
urbanizzazione, assunta dal lottizzante con
la stipula della convenzione di
lottizzazione edilizia è propter rem,
nel senso che l’adempimento di essa può
essere richiesto non solo a colui che tale
convenzione ha stipulato, ma anche a colui,
se soggetto diverso, che richiede la
concessione edilizia (vedi Cassazione civile
sez. I, 20.12.1994, n. 10947; nonché
Cassazione civile, sez. II, 26.11.1988 n.
6382); ovvero nel senso che colui che
realizza opere di trasformazione edilizia ed
urbanistica, valendosi della concessione
edilizia rilasciata al suo dante causa, ha
nei confronti del Comune gli stessi obblighi
che gravano sull'originario concessionario,
ed è con quest'ultimo solidalmente obbligato
per il pagamento degli oneri di
urbanizzazione (vedi Cassazione civile sez.
III, 17.06.1996, n. 5541); l’obbligazione
non si trasferisce però all’acquirente degli
edifici realizzati dal costruttore, proprio
perché solo quest’ultimo ha utilizzato il
titolo edilizio il cui rilascio implicava
l’accollo ex lege dell’obbligazione
di realizzazione o completamento delle opere
di urbanizzazione.
Peraltro nessuna ragione può ravvisarsi
nella necessità di inseguire i successivi
acquirenti delle costruzioni per ottenere
l’adempimento dell’obbligazione di
realizzazione delle opere di urbanizzazione,
atteso che l’autorizzazione comunale per la
lottizzazione di un’area è subordinata alla
stipula di una convenzione che preveda,
comma 5 numero 4) dell’art. 28 della legge
1150 del 1942, “congrue garanzie
finanziarie per l’adempimento degli obblighi
derivanti dalla convenzione”.
Il Comune in presenza dell’inadempienza del
lottizzante, avrebbe dovuto escutere le
garanzie finanziare prestate dal lottizzante
medesimo con la stipula della convenzione di
lottizzazione.
Per le su esposte considerazioni, i
ricorrenti, acquirenti degli appartamenti
dal lottizzante e costruttore, non sono
subentrati nell’obbligazione assunta dal
loro dante causa con la stipula della
convenzione di lottizzazione atteso che non
hanno richiesto alcuna concessione edilizia
e neppure sono subentrati nella costruzione
degli appartamenti, di tal che non vi è
stato alcuna loro successione
nell’obbligazione propter rem che
gravava sul lottizzante e sul costruttore.
Va pertanto riconosciuto che i ricorrenti
non sono tenuti a rifondere al Comune le
spese dallo stesso sostenute per la
realizzazione della strada di lottizzazione
in sostituzione dell’inadempiente
lottizzante.
Come esattamente rilevato in ricorso, se
fosse vero quanto asserito dal Comune, e
cioè che in ogni caso gli oneri di
urbanizzazione si trasferiscono
automaticamente propter rem non ci
sarebbe stato alcun bisogno di prevedere,
come fa l’articolo citato, “l’assunzione
a carico del proprietario” (e cioè del
costruttore, proprietario dei terreni) “degli
oneri di urbanizzazione” e l’assunzione
di “congrue garanzie finanziarie per
l’adempimento degli obblighi” assunti; e
tanto meno ci sarebbe stato bisogno di
prevedere l’obbligo di trascrizione
dell’assunzione di tale obbligo
(trascrizione dettata, com’è ovvio, a tutela
dei terzi aventi causa). Seguendo la tesi
dell’amministrazione si giunge all’illogica
conseguenza che la trascrizione sarebbe un
adempimento del tutto inutile
(TAR Sardegna, Sez. II,
sentenza 18.12.2009 n. 2247 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: Sono
illegittime quelle determinazioni
amministrative che pongono in tutto o in
parte a carico del proprietario o del
detentore di un fondo i costi e gli oneri,
anche procedurali, di bonifica dei suoli o
dell’ambiente dai danni derivanti
dall’inquinamento.
L’obbligo di bonifica è posto in capo al
responsabile dell’inquinamento, che le
Autorità amministrative hanno l’onere di
ricercare ed individuare, mentre il
proprietario non responsabile
dell’inquinamento o altri soggetti
interessati hanno una mera “facoltà” di
effettuare interventi di bonifica.
L’Amministrazione è tenuta ad accertare la
responsabilità dell’inquinamento e, in caso
di accertamento infruttuoso, è la stessa
Amministrazione che dovrà procedere alla
bonifica, per poi operare il recupero delle
somme a carico del proprietario del fondo
incolpevole, ma salvaguardando in questo
caso l’apporto partecipativo di queste
ultime, in specie per quanto riguarda le
modalità dell’intervento e fermo restando,
comunque, che a carico del suddetto
proprietario il recupero degli oneri della
bonifica potrà avvenire solo nel limite
dell’arricchimento di valore che il
disinquinamento avrà apportato al fondo.
Il Collegio ritiene che in linea di
principio siano illegittime quelle
determinazioni amministrative che pongono in
tutto o in parte a carico del proprietario o
del detentore di un fondo i costi e gli
oneri, anche procedurali, di bonifica dei
suoli o dell’ambiente dai danni derivanti
dall’inquinamento; a meno che non venga
accertata rigorosamente la responsabilità
dei soggetti suindicati, anche in relazione
alla specifica attività svolta.
Va soggiunto che in tema di inquinamento
c.d. “diffuso”, ossia in quei casi in
cui detto accertamento non sia possibile o
risulti oltremodo difficoltoso, la bonifica
resta a carico della Pubblica
amministrazione ed i relativi vantaggi dei
privati proprietari o detentori dei fondi
bonificati, in termini di aumento di valore
del fondo, potranno costituire giusta causa
di recupero delle corrispondenti somme, nei
limiti ordinari delle azioni di
arricchimento.
Venendo alle specifiche previsioni
ordinamentali, è a dire che l’obbligo di
bonifica è posto in capo al responsabile
dell’inquinamento, che le Autorità
amministrative hanno l’onere di ricercare ed
individuare (v. gli artt. 242 e 244 del
D.Lgs. n. 152/2006), mentre il proprietario
non responsabile dell’inquinamento o altri
soggetti interessati hanno una mera “facoltà”
di effettuare interventi di bonifica (art.
245 D.Lgs. n. 152/2006); nel caso di mancata
individuazione del responsabile o di assenza
di interventi volontari, le opere di
bonifica saranno realizzate dalle
Amministrazioni competenti (art. 250 decreto
cit.), salvo, a fronte delle spese da esse
sostenute, l’esistenza di un privilegio
speciale immobiliare sul fondo, a tutela del
credito per la bonifica e la qualificazione
degli interventi relativi come onere reale
sul fondo stesso, onere destinato pertanto a
trasmettersi unitamente alla proprietà del
terreno (art. 253 decreto cit.).
In particolare, l’art. 245 del D.Lgs. n.
152/2006 stabilisce che: “Le procedure
per gli interventi di messa in sicurezza, di
bonifica e di ripristino ambientale
disciplinate dal presente titolo possono
essere comunque attivate su iniziativa degli
interessati non responsabili”, ma sono
comunque fatti salvi gli obblighi del
responsabile dell’inquinamento a norma
dell’art. 242.
In base a quest’ultima disposizione, le “procedure
operative ed amministrative” sono
radicate in capo al responsabile
dell’inquinamento, sul quale incombono
precisi obblighi di intervento e
comunicazione, che ovviamente presuppongono
il nesso causale tra l’inquinamento e la
condotta dell’agente, commissiva od
omissiva.
Infine, il richiamato art. 250 del D.Lgs. n.
152/2006 prevede che, qualora il
responsabile non sia stato individuato o
comunque non provveda e non provvedano
neppure i proprietari incolpevoli (questi
ultimi a titolo volontario, come previsto
dall’art. 245 sopra riportato), provvede
l’Amministrazione alla bonifica ed al
recupero del sito inquinato: la P.A.
competente è individuata nel livello
territoriale proporzionato alla tipologia ed
all’estensione dell’inquinamento, secondo il
principio di sussidiarietà (e quindi,
provvederà, a seconda dei casi, il Comune o
la Provincia, oppure interverrà il Ministero
per i siti di interesse nazionale).
Pertanto, è dato trarre la conclusione, alla
luce delle coordinate normative di cui al
D.Lgs. n. 152/2006, che l’Amministrazione è
tenuta ad accertare la responsabilità
dell’inquinamento e, in caso di accertamento
infruttuoso, è la stessa Amministrazione che
dovrà procedere alla bonifica, per poi
operare il recupero delle somme a carico del
proprietario del fondo incolpevole, ma
salvaguardando in questo caso l’apporto
partecipativo di queste ultime, in specie
per quanto riguarda le modalità
dell’intervento e fermo restando, comunque,
che a carico del suddetto proprietario il
recupero degli oneri della bonifica potrà
avvenire solo nel limite dell’arricchimento
di valore che il disinquinamento avrà
apportato al fondo.
Sotto quest’ultimo profilo il diritto
dell’amministrazione al recupero delle somme
va ricondotto nell’alveo delle azioni di
ingiustificato arricchimento, rispetto alle
quali la azione in parola si differenzia
essenzialmente per l’esistenza di
particolari forme di garanzia (onere reale e
privilegio speciale immobiliare) che
assicurano il recupero dei costi di
intervento.
A questo punto non sembra superfluo
soffermarsi brevemente sulla natura della
responsabilità per l’inquinamento
ambientale.
Il D.Lgs. n. 152/2006 ha operato una scelta
precisa in favore della riconduzione della
responsabilità per i danni all’ambiente nel
paradigma della “tradizionale”
responsabilità extracontrattuale soggettiva
(c.d. responsabilità aquiliana ex art. 2043
c.c.), con esclusione di una qualsivoglia
forma di responsabilità oggettiva: il D.Lgs.
n. 152 del 2006, all’art. 311, comma 2,
disciplina, infatti, la responsabilità per
danni all’ambiente, prevedendo che “chiunque
realizzando un fatto illecito, o omettendo
attività o comportamenti doverosi, con
violazione di legge, di regolamento, o di
provvedimento amministrativo, con
negligenza, imperizia, imprudenza o
violazione di norme tecniche, arrechi danno
all'ambiente, alterandolo, deteriorandolo o
distruggendolo in tutto o in parte, è
obbligato al ripristino della precedente
situazione e, in mancanza, al risarcimento
per equivalente patrimoniale nei confronti
dello Stato”.
La disposizione di cui all’art. 311, dunque,
definisce in modo paradigmatico la
responsabilità per la situazione di
inquinamento, accedendo ad un concetto di
responsabilità di natura soggettiva.
Svolti questi brevi cenni sulla
responsabilità da inquinamento, il Collegio
osserva che a carico del proprietario
dell’area inquinata non responsabile della
contaminazione non incombe, dunque, alcun
obbligo di porre in essere gli interventi
ambientali in questione, avendo solo la
facoltà di eseguirli al fine di evitare
l’espropriazione del terreno interessato,
gravato, per l’appunto, da onere reale, al
pari delle spese sostenute per gli
interventi di recupero ambientale assistite
anche da privilegio speciale immobiliare.
L’imposizione dell’onere reale sui terreni
oggetto di intervento di bonifica presuppone
non solo il pieno coinvolgimento del
proprietario incolpevole nel procedimento,
ma, prima ancora, che sia stato compiuto
ogni possibile sforzo per identificare il
responsabile della contaminazione e imporgli
l’intervento di ripristino e/o il relativo
costo: di tali presupposti deve sussistere
nel relativo provvedimento adeguata
illustrazione e corrispondente obbligo
motivazionale.
I suesposti postulati in tema di
responsabilità da inquinamento sono,
peraltro, correlati al principio
comunitario, espressamente richiamato
dall’art. 239 del D.Lgs. n. 152/2006,
secondo cui “chi inquina paga”.
Ordunque, il provvedimento impositivo della
messa in sicurezza e bonifica va notificato
al proprietario al fine di renderlo edotto
del suindicato onere reale (che egli ha
facoltà di assolvere per liberare l’area dal
relativo vincolo), ma non può imporre misure
di bonifica senza un adeguato accertamento
della responsabilità, o corresponsabilità,
del proprietario per l’inquinamento del
sito.
E’ d’uopo ricordare, in questo contesto, che
gli interventi di messa in sicurezza sono
finalizzati non tanto alla diminuzione del
livello di inquinamento dell’area
interessata (obiettivo questo che va
perseguito attraverso l’attivazione delle
opere di bonifica) quanto a scongiurare che
la contaminazione in atto si espanda nel
terreno o nella falda in attesa
dell’esecuzione di interventi definitivi di
bonifica del sito (Cfr., sull’intera
tematica in argomento, e, in particolare,
sullo specifico profilo della responsabilità
da inquinamento, tra le tante, Cons. St., II,
21.11.2007, n. 65; VI, 05.09.2005, n. 4525;
TAR Toscana, II, 30.05.2008, n. 1541; TAR
Friuli Venezia Giulia, 28.01.2008, n. 89;
TAR Sicilia, Catania, 20.07.2007, n. 1254)
(TAR Friuli Venezia Giulia,
sentenza 17.12.2009 n. 837 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Le carenze progettuali
costituiscono motivo di illegittimità della
concessione edilizia rilasciata solo
qualora, non consentendo di identificare con
esattezza l'oggetto della concessione
richiesta e di verificare quindi la
conformità dell'opera edilizia da realizzare
alla normativa urbanistica vigente,
influiscano sulla corretta formazione della
volontà dell'organo decidente.
Quanto alle lamentate carenze progettuali,
va ricordato l’insegnamento
giurisprudenziale -dal quale il Collegio non
intende discostarsi- secondo il quale queste
carenze costituiscono motivo di
illegittimità della concessione edilizia
rilasciata solo qualora, non consentendo di
identificare con esattezza l'oggetto della
concessione richiesta e di verificare quindi
la conformità dell'opera edilizia da
realizzare alla normativa urbanistica
vigente, influiscano sulla corretta
formazione della volontà dell'organo
decidente (Cfr., secondo una giurisprudenza
risalente, TAR Piemonte, II, 18.06.1985, n.
257).
In questa ottica, è stato anche deciso che
l'incompleta o inesatta rappresentazione
dello stato dei luoghi negli elaborati
progettuali, casuale o volontaria che sia,
non vizia la concessione edilizia se,
nonostante le carenze del progetto, non
sussistono violazioni sostanziali della
normativa urbanistica (Cfr. TAR Lazio,
Latina, 28.01.1985, n. 40; TAR
Emilia-Romagna, II, 17.02.1995, n. 71)
(TAR Friuli Venezia Giulia,
sentenza 17.12.2009 n. 836 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Con riferimento alla natura
giuridica della D.I.A. edilizia, i due
diversi rapporti intercorrenti tra
denunciante ed Amministrazione, da una
parte, e tra denunciante, Amministrazione e
terzi dall'altra.
Con riferimento alla natura giuridica della
D.I.A., e in particolare di quella inerente
all'attività edilizia, sono stati formulati
vari orientamenti in dottrina ed in
giurisprudenza, che prendono in esame, tra
l'altro, i due diversi rapporti
intercorrenti tra denunciante ed
Amministrazione, da una parte, e tra
denunciante, Amministrazione e terzi
dall'altra.
La tesi che, quanto a quest’ultimo aspetto,
il Collegio fa propria muove dalla
constatazione che le controversie
concernenti oggetto, procedura ed effetti
della D.I.A. sono state devolute alla
giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo, secondo il nuovo testo
dell'art. 19 della legge 07.08.1990, n. 241,
il che dimostra che, anche in sede di
semplificazione della procedura finalizzata
a dare inizio ad una novella attività
edilizia, il Legislatore ha ricalcato la
risalente previsione dell’art. 16 della
legge 28.01.1977, n. 10. Il Tribunale
ritiene che, nell’ipotesi che possa
constatarsi che la D.I.A. non trovi alcuna
norma urbanistica che l’autorizzi, è sempre
possibile un intervento repressivo
dell’illecito da parte dell’Amministrazione.
Quanto all’azione proponibile avverso la
D.I.A. da parte di terzi, che siano
controinteressati all'intervento che si
rende operativo dopo il prescritto termine
di legge e che deducano che le opere
progettate non siano conformi alla normativa
urbanistica, la verifica affidata al Giudice
amministrativo non può che concernere
funditus i suoi presupposti in fatto ed
in diritto. Il che postula, quindi, che
l’azione promossa dal terzo introduca un
giudizio di cognizione, nel quadro di
un’attività amministrativa strettamente
vincolata, volto ad ottenere l'accertamento
dell'assunto illecito edilizio. Tali
considerazioni appaiono avvalorate dalla
circostanza che attualmente il confine tra
permesso di costruire (o concessione
edilizia) e denuncia d'inizio attività è
stato lasciato dal Legislatore alla libera
scelta dell’interessato, per cui sembra
ragionevole ritenere che il terzo possa
avvalersi di un’identica tutela
(TRGA Trentino Alto Adige,
sentenza 17.12.2009 n. 310 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L’inserimento dei timpani nella
copertura dell’edificio esula dalla
categoria edilizia del risanamento
conservativo, la quale postula la
conservazione ed il ripristino degli
elementi formali e strutturali
dell’edificio, ma non novelli inserimenti,
come i nuovi timpani introdotti dal
progettista che modificano e non conservano
uno di tali elementi strutturali, e cioè il
tetto.
L’inserimento dei timpani nella copertura
dell’edificio, che indubbiamente ne alterano
la forma e la struttura, esula infatti dalla
categoria edilizia del risanamento
conservativo, la quale postula la
conservazione ed il ripristino degli
elementi formali e strutturali
dell’edificio, ma non novelli inserimenti,
come i nuovi timpani introdotti dal
progettista che modificano e non conservano
uno di tali elementi strutturali, e cioè il
tetto.
L’Amministrazione comunale ed i
controinteressati si sono difesi sul punto,
sostenendo che tale tipo di intervento
sarebbe consentito da anni nel centro
storico, anche su edifici soggetti a
risanamento conservativo, poiché ciò non
contribuirebbe a snaturare le
caratteristiche architettoniche degli
edifici.
La detta considerazione, di stampo meramente
metagiuridico, non rileva sotto alcun
profilo ai fini della verifica se tale tipo
di intervento sia o meno conforme alla
disciplina urbanistica. Esso infatti non
rientra, come si è detto, nella categoria
del risanamento conservativo che consente il
solo ripristino ed il rinnovo degli elementi
costitutivi dell’edificio, ma non certo
l’inserimento di nuovi elementi e il fatto
che la norma urbanistica sia stata applicata
con un’accezione che si è tradotta nella sua
violazione non soltanto non consente di
confermare detta singolare prassi, ma non
incide in alcun modo sui termini in cui deve
essere reso il richiesto giudizio in sede
giurisdizionale (TRGA Trentino Alto Adige,
sentenza 17.12.2009 n. 310 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Con
riferimento all’art. 15 del d.p.r.
06.06.2001 n. 380, laddove prevede che «...
b) il termine per l’inizio dei lavori non
può essere superiore ad un anno dal
“rilascio” del titolo, laddove quello di
ultimazione non possa superare i tre anni
dall'inizio dei lavori», appare più che
verosimile ritenere che la nozione
legislativa faccia riferimento alla data
della consegna del titolo in mani del
destinatario quale termine a quo del computo
dell'anno di tempo per l'inizio dei lavori,
ossia al “rilascio” inteso ai sensi del
comma 7 della disposizione, comprensivo
quindi della avvenuta notifica che
perfeziona la fattispecie.
E' da
ritenere la concessione edilizia
atto avente natura recettizia e, dunque, il
termine di decadenza di un anno per l'inizio
dei lavori prende corso non dalla data in
cui il provvedimento è emanato, ma dalla
data in cui esso è “rilasciato” ossia
consegnato nelle debite forme amministrative
facenti fede certa della data, al titolare o
al suo delegato.
Parte ricorrente lamenta che, nel disporre
l’archiviazione del procedimento finalizzato
alla prospettica declaratoria di decadenza
del permesso di costruire n. 104/2005 per
mancato rispetto dei termini di inizio e di
conclusione dei lavori, l’Amministrazione
abbia violato la regola, a suo dire
inequivocamente desumibile dalla lettera
dell’art. 15 del d.p.r. n. 380 del 2001,
secondo cui la decorrenza dei termini de
quibus dovrebbe ancorarsi alla data di
adozione e non di partecipazione del titolo
abilitativo alla edificazione, in quanto per
definizione non recettizio.
L’assunto non è
condivisibile.
In
verità, la questione (di puro diritto) non
trova a tutt’oggi concordi gli interpreti.
Importa, in ogni caso, premettere che l’art.
15 del d.p.r. 06.06.2001 n. 380, prevede
che:
a) nel permesso di costruire siano indicati
i termini di inizio e di ultimazione dei
lavori;
b) che, in particolare, il termine per
l’inizio dei lavori non possa essere
superiore ad un anno dal “rilascio”
del titolo, laddove quello di ultimazione
non possa superare i tre anni dall'inizio
dei lavori;
c) che, decorsi tali termini, il permesso
decada di diritto per la parte non eseguita,
a meno che, anteriormente alla scadenza
venga richiesta (e conseguita) una proroga.
La disposizione in esame fa, dunque,
decorrere il termine “dal rilascio del
titolo” (e non dalla sua successiva
comunicazione all’interessato), ciò che
induce un corposo filone giurisprudenziale
(con l’assenso di parte della dottrina) alla
tesi della non ricettizietà (confermata, per
un verso, dalla ratio della
previsione –preordinata a tutelare
l’interesse pubblico a che il rilascio di
titoli edilizi non seguiti dalla pronta ed
effettiva realizzazione delle opere
progettate non precluda l’immutazione degli
assetti programmatori del territorio– e, per
altro verso, dal tenore dell’attuale art.
21-bis della l. n. 241 del 1990, il quale,
recependo sul punto le elaborazioni pretorie,
dice recettizi solo i provvedimenti
limitativi della sfera del destinatario,
legittimando l’argomentazione a contrario
per quelli ampliativi). In tali sensi sono,
esemplificativamente, Cass., sez. I,
30.11.2006, n. 25536; TAR Liguria,
11.03.2003, n. 279; TAR Sardegna,
10.11.1992, n. 1429; Cons. Stato, sez. V,
02.07.1993, n. 770 (e secondo TAR Lazio
Latina, 09.07.2007, n. 482, mentre a norma
dell'art. 31 della l. 17.08.1942, n. 1150,
la decorrenza dei termini dipendeva dalla
effettiva conoscenza del provvedimento
concessorio, nel vigore della attuale
disciplina la decorrenza è ancorata alla
data di “rilascio” e non più di “ritiro”).
Non mancano, peraltro, pronunce secondo le
quali la concessione edilizia deve ritenersi
provvedimento amministrativo “recettizio”,
che, come tale, si perfeziona solo con la
comunicazione agli interessati (in tal
senso, per esempio, Cons. Stato, sez. V,
27.09.1996, n. 1152, TAR Piemonte,
04.11.2008, n. 2749; TAR Sicilia Catania,
07.04.2009, n. 678).
Al Collegio appare
preferibile la tesi della natura recettizia
del provvedimento.
A
tal fine importa preliminarmente osservare,
sul piano della interpretazione letterale,
che il termine “rilascio” (sul quale
fa anzitutto leva l’opposta opzione
ricostruttiva) non appare, di per sé,
univoco, potendo sematicamente evocare sia
la “emanazione” del provvedimento,
sia la “consegna” al destinatario.
Peraltro, tra le due possibili
significazioni, la seconda appare
sicuramente più rispondente al lessico del
legislatore, se si considera che, laddove
quest'ultimo avesse voluto fare riferimento
alla data della “emanazione”
dell'atto, avrebbe verisimilmente usato
sinonimi dal più corretto significato
tecnico, come “data dell'atto”
oppure, “data di adozione” o, più
semplicemente “adozione”.
Tra l'altro, in un contesto procedimentale
doveroso che trae origine dalla istanza di
parte, il termine “rilascio” non può
non equivalere a consegna perché l'interesse
della parte è di natura pretensiva, ossia
attiene alla acquisizione di una specifica
utilità, riconnessa ad un bene della vita,
che può derivargli solo da un provvedimento
espresso, ossia formale e nessuna formalità
avrebbe pieno senso se fosse disgiunta da
una successiva comunicazione materiale del
documento.
La tesi trova implicita conferma, sul piano
della analisi sistematica della disciplina
normativa in subiecta materia, dalla
lettura dell’art. 20 del d.p.r. n. 380, che
prospetta il contestuale riferimento alla “adozione”,
alla “notifica” ed, appunto, al “rilascio”
del provvedimento, legittimando l’assunto
che quest’ultimo –per non coincidere con la
mera adozione– debba riferirsi alla notifica
del provvedimento al beneficiario.
Dispone, infatti, il comma 7 dell’art. 20
cit. che “il provvedimento finale, che lo
sportello unico provvede a notificare
all'interessato, è adottato dal dirigente
[...] entro quindici giorni dalla proposta
di cui al comma 3” e che “dell'avvenuto
rilascio del permesso di costruire è data
notizia al pubblico mediante affissione
all'albo pretorio”.
Appare allora evidente che, essendo
espressamente contemplata l’“adozione”
del provvedimento finale ed altresì la sua “comunicazione”
mediante notifica, quel “rilascio”
del provvedimento cui tutta la disciplina
dell'art. 20 è preordinata non può che
essere costituito da una fase complessa che
si compone di due momenti, appunto l’“adozione”
(che è ad opera del dirigente o del
responsabile) e la “notifica” dello
stesso provvedimento (che avviene a cura
dello sportello unico).
Poiché, inoltre, la norma fa riferimento
alla “notifica” e non alla
comunicazione pura e semplice, ne discende
che il legislatore connette effetti
costitutivi alla fase della trasmissione
dell'atto al destinatario, dal momento che
richiede l'acquisizione di una data certa in
cui ciò avviene e disciplina espressamente
la responsabilità di tale adempimento
individuandone la competenza (ossia
fissandola in capo allo sportello unico) in
soggetto diverso da quello chiamato
all'adozione del provvedimento.
Ulteriore conferma della riassunta
interpretazione si trae dall’esame della
disciplina del silenzio rifiuto che, secondo
il comma 9 dell’art. 20, si forma se, entro
il termine di legge, non viene “adottato”
il provvedimento finale: in questo caso, il
legislatore fa ancora riferimento
all'adozione dell'atto, non al suo rilascio,
con ciò dimostrando come l'uso del termine
sia consapevole e indicatore di una precisa
scelta normativa. E ciò tanto più che,
formandosi il silenzio rifiuto per mancanza
“adozione” dell'atto finale, si
conferma non solo che le nozioni di “adozione”
e “rilascio” sono diverse, ma anche
che l'eventuale adozione non seguita dalla
notifica non determina silenzio rifiuto. In
altri termini, l'atto adottato e non
comunicato, per effetto del comma 9
dell'art. 20 cit., va considerato come “perfetto”
ed inefficace, in quanto carente della
necessaria fase integrativa dell'efficacia.
Appare dunque più che verosimile ritenere
che la nozione legislativa faccia
riferimento alla data della consegna del
titolo in mani del destinatario quale
termine a quo del computo dell'anno
di tempo per l'inizio dei lavori, ossia al “rilascio”
inteso ai sensi del comma 7 della
disposizione, comprensivo quindi della
avvenuta notifica che perfeziona la
fattispecie.
Argomento contrario non può trarsi, per
contro, dalla lettera dell’art. 21-bis della
legge n. 241/1990, il quale, come è noto,
pone il principio secondo il quale i
provvedimenti limitativi della sfera
giuridica del privato sono a carattere
necessariamente recettizio (avendo, in
sostanza, il legislatore recepito
l’elaborazione giurisprudenziale e
l’insegnamento dottrinario, alla cui stregua
l'atto amministrativo è, per sua natura,
recettizio ogni qual volta richieda, per
essere portato ad esecuzione, la
collaborazione del privato e dunque postuli
la sua effettiva conoscenza, in capo a
quest'ultimo)
La affermazione della natura recettizia dei
provvedimenti "sfavorevoli" deriva da
esigenze di certezza dell'azione
amministrativa e di giustizia sostanziale.
Sulla base di questa disposizione, si
ritiene, argomentando a contrario, che tutti
gli altri atti amministrativi non siano
recettizi e dunque si perfezionino solo con
la loro emanazione, non rivestendo la fase
della comunicazione successiva carattere di
necessità ai fini della perfezione
dell'atto.
Vero è, peraltro, che, in un singolo
provvedimento amministrativo “ampliativo”
possono sussistere clausole, ovvero vere e
proprie condizioni, che assistono
corrispondenti interessi pubblici, a
carattere e natura limitativa, come quelle
che comminano oneri sanzionati con effetti
pregiudizievoli, come appunto, i termini di
decadenza nella concessione edilizia.
Sostenere che la concessione edilizia, in
quanto atto ampliativo, non è soggetta ad
obbligo di comunicazione, ai fini della
integrazione della efficacia, appare,
dunque, una evidente contraddizione con il
principio e la ratio dell’art. 21-bis
della l. 241/1990, perché è sicuramente un
atto limitativo della sfera giuridica del
privato quello specifico contenuto di un
provvedimento ampliativo, che ne condiziona
l'utilità al compimento necessitato di
determinate attività entro specifici termini
posti a pena di decadenza (in termini, TAR
Sicilia Catania, 07.04.2009, n. 678, al cui
complessivo ragionamento il Collegio presta
adesione).
Con più lungo discorso, l'atto ampliativo,
sebbene favorevole al privato, quando
contiene prescrizioni restrittive connesse,
quale condizione di mantenimento,
all'effetto favorevole (peraltro, relative
proprio al decorso del tempo), è comunque
atto recettizio e, dunque, va
necessariamente comunicato.
Vale anche (con argomento orientato alle
conseguenze) apprezzare le implicazioni
pratiche del riassunto principio.
Se si ammettesse, invero, che la concessione
edilizia non è atto recettizio, il privato
sarebbe praticamente esposto,
incolpevolmente, ai ritardi dell'ufficio
comunale preposto alla comunicazione
dell'atto, il quale, a sua volta, potrebbe “consumare”
con i propri adempimenti, o con il proprio
comportamento più o meno negligente, parte
del termine decadenziale fissato, con ovvie
conseguenze in capo al privato, il quale, a
sua volta, potrebbe non essere neppure in
condizioni di difendersi, “esigendo”
il rilascio del titolo, perché, sempre in
ipotesi, ben potrebbe non essere a
conoscenza della esistenza di un titolo a
suo favore.
Vero è che, una volta ottenuto il titolo con
ritardo o addirittura oltre la consumazione
del termine annuale, potrebbe ipotizzarsi la
richiesta di una rimessione in termini o,
comunque, di una proroga: ma è evidente che
si tratterebbe pur sempre di una attività
ulteriore e ad esito non garantito,
oltretutto in tesi imposta per
implausibilmente ovviare ad una circostanza
che non è a lui imputabile e dunque, per
fare fronte a quella che resterebbe pur
sempre una inefficienza dell'ufficio
comunale.
Sono, in definitiva, non meno ragioni
testuali che esigenze sostanziali di tutela
ad imporre di ritenere la concessione
edilizia come atto avente natura recettizia
e dunque sancire che il termine di decadenza
di un anno per l'inizio dei lavori prende
corso non dalla data in cui il provvedimento
è emanato, ma dalla data in cui esso è “rilasciato”
ossia, come chiarito, consegnato nelle
debite forme amministrative facenti fede
certa della data, al titolare o al suo
delegato (che tale risulti agli atti del
Comune)
(TAR Campania-Salerno, Sez. II,
sentenza 16.12.2009 n. 7923 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
LAVORI PUBBLICI: La
delibera di approvazione di un progetto
definitivo di un’opera pubblica o di
pubblica utilità ovvero anche l’atto di
programmazione di opere pubbliche non può
valere quale variante allo strumento
urbanistico, anche nel senso della
rinnovazione dei vincoli preordinati
all’esproprio che fossero scaduti per il
decorso del quinquennio, se non adottata
nelle forme e nei modi prescritti dall’art.
10 D.P.R. n. 327/2001 assicurando, comunque,
la partecipazione degli interessati giusta
la prescrizione del successivo art. 11.
La delibera di approvazione di un progetto
definitivo di un’opera pubblica o di
pubblica utilità ovvero anche l’atto di
programmazione di opere pubbliche non può
valere quale variante allo strumento
urbanistico, anche nel senso della
rinnovazione dei vincoli preordinati
all’esproprio che fossero scaduti per il
decorso del quinquennio, se non adottata
nelle forme e nei modi prescritti dall’art.
10 D.P.R. n. 327/2001 (<<1. Se la
realizzazione di un’opera pubblica o di
pubblica utilità non è prevista dal piano
urbanistico generale, il vincolo preordinato
all’esproprio può essere disposto, ove
espressamente se ne dia atto, su richiesta
dell’interessato, ai sensi dell’art. 14,
comma 4, della legge 07.08.1990, n. 241,
ovvero su iniziativa dell’amministrazione
competente all’approvazione del progetto,
mediante (………) un altro atto, anche di
natura terri-toriale, che in base alla
legislazione vigente comporti la variante
del piano urbanistico (…….)>>),
assicurando, comunque, la partecipazione
degli interessati giusta la prescrizione del
successivo art. 11
(TAR Campania-Napoli, Sez. V,
sentenza 15.12.2009 n. 8746 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La particolarità della DIA consiste nella
sostituzione del privato
all’Amministrazione, nella conduzione di un
procedimento che condurrà all’abilitazione
edilizia, in presenza dei presupposti ed in
seguito al decorso del termine. Il ruolo
della PA, in tale procedura, è limitato al
controllo della sussistenza dei presupposti,
al fine dell’eventuale esercizio del potere
inibitorio. L’attività amministrativa,
quindi, non è destinata a concludersi
necessariamente con un provvedimento
amministrativo, ma è una mera attività di
controllo, che non assume la forma del
procedimento amministrativo.
I rapporti tra privati appartengono alla
giurisdizione civile, non essendo tenuta
l’amministrazione ad effettuare ulteriori
indagini quando l’interessato ha depositato
al comune la prescritta documentazione da
allegare alla DIA. Al giudice
amministrativo, nel sindacare l’attività
della P.A., compete solamente verificare se
il Comune ha legittimamente esercitato i
suoi poteri inibitori e sanzionatori
controllando la sussistenza dei requisiti
per la formazione del provvedimento
abilitativo a formazione tacita.
La particolarità della DIA consiste nella
sostituzione del privato
all’Amministrazione, nella conduzione di un
procedimento che condurrà all’abilitazione
edilizia, in presenza dei presupposti ed in
seguito al decorso del termine. Il ruolo
della PA, in tale procedura, è limitato al
controllo della sussistenza dei presupposti,
al fine dell’eventuale esercizio del potere
inibitorio. L’attività amministrativa,
quindi, non è destinata a concludersi
necessariamente con un provvedimento
amministrativo, ma è una mera attività di
controllo, che non assume la forma del
procedimento amministrativo. Deve essere,
pertanto, escluso l’obbligo di comunicazione
di avvio del procedimento.
L’art. 22,
comma 3, del DPR n. 380 del 2001, come
modificato dal d.lgs. n. 301 del 2002,
prevede che, in alternativa al permesso di
costruire, possano realizzarsi tramite
denuncia di inizio attività “gli
interventi di ristrutturazione di cui
all'articolo 10, comma 1, lettera c)”;
si tratta degli “interventi di
ristrutturazione edilizia che portino ad un
organismo edilizio in tutto o in parte
diverso dal precedente e che comportino
aumento di unità immobiliari, modifiche del
volume, della sagoma, dei prospetti o delle
superfici, ovvero che, limitatamente agli
immobili compresi nelle zone omogenee A,
comportino mutamenti della destinazione
d'uso”.
La norma consente, dunque, che, a scelta
dell’interessato, siano realizzabili
mediante permesso di costruire ovvero previa
DIA le ristrutturazioni edilizie che
comportino limitati incrementi di volume e
di superficie.
Il modesto incremento del volume derivante
dall’abbassamento del pavimento consente di
ritenere senza alcun dubbio che la
ristrutturazione di cui si tratta rientri
nell’ambito degli interventi edilizi
assentibili mediante DIA.
I rapporti tra
privati appartengono alla giurisdizione
civile, non essendo tenuta l’amministrazione
ad effettuare ulteriori indagini quando
l’interessato ha depositato al comune la
prescritta documentazione da allegare alla
DIA. Giustamente, dunque, la ricorrente ha
fatto ricorso al Tribunale civile di Crotone
per tutelare la proprietà privata da
possibili minacce alla stabilità
dell’edificio proponendo azione di
nunciazione nella specie di denuncia di
nuova opera. Sarebbe, pertanto,
inammissibile una duplicazione di tutela
proponendo al giudice amministrativo la
medesima azione già appartenente alla
cognizione del giudice ordinario.
Al giudice amministrativo, nel sindacare
l’attività della P.A., compete solamente
verificare se il Comune ha legittimamente
esercitato i suoi poteri inibitori e
sanzionatori controllando la sussistenza dei
requisiti per la formazione del
provvedimento abilitativo a formazione
tacita
(TAR Calabria-Catanzaro, Sez. II,
sentenza 14.12.2009 n. 1457 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L'ordine
di demolizione di opera edilizia abusiva è
sufficientemente motivato con la descrizione
della accertata abusività dell'opera, salva
l'ipotesi in cui, per il protrarsi e il
lungo lasso di tempo trascorso dalla
commissione dell'abuso e il protrarsi della
inerzia dell'Amministrazione preposta alla
vigilanza, si sia ingenerata una posizione
di affidamento nel privato, sola ipotesi in
cui si ravvisa un onere di congrua
motivazione che indichi il pubblico
interesse, evidentemente diverso da quello
al ripristino della legalità, idoneo a
giustificare il sacrificio del contrapposto
interesse privato.
Fondata appare la censura di difetto di
motivazione, per mancata esternazione delle
ragioni di interesse pubblico alla
demolizione, necessaria dato il lungo tempo
trascorso dalla realizzazione dell’opera,
comunque rispettosa degli strumenti
urbanistici vigenti all’epoca.
In generale l'ordine di demolizione di opera
edilizia abusiva è sufficientemente motivato
con la descrizione della accertata abusività
dell'opera, salva l'ipotesi in cui, per il
protrarsi e il lungo lasso di tempo
trascorso dalla commissione dell'abuso e il
protrarsi della inerzia dell'Amministrazione
preposta alla vigilanza, si sia ingenerata
una posizione di affidamento nel privato,
sola ipotesi in cui si ravvisa un onere di
congrua motivazione che, avuto riguardo
anche alla entità e alla tipologia
dell'abuso, indichi il pubblico interesse,
evidentemente diverso da quello al
ripristino della legalità, idoneo a
giustificare il sacrificio del contrapposto
interesse privato (tra le tante, TAR
Piemonte Torino, sez. I, 04.09.2009, n.
2247).
Invero, il provvedimento impugnato si limita
a illustrare l’abusività dell’opera, ma non
spiega le ragioni di pubblico interesse alla
demolizione dell’opera, che era necessario
esternare dato il rilevante lasso di tempo
trascorso dall’edificazione.
Per la fondatezza della seconda censura il
ricorso va accolto con annullamento
dell’impugnato provvedimento
(TAR Abruzzo-Pescara,
sentenza 14.12.2009 n. 1280 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
ricostruzione costituisce ristrutturazione
se il risultato finale coincide nella
volumetria e nella sagoma con il
preesistente edificio demolito.
La ristrutturazione mediante demolizione e
ricostruzione non può giammai implicare
anche la traslazione, importando, in tal
caso, una oggettiva trasformazione
dell’esistente incompatibile con la nozione
stessa di ristrutturazione.
La nozione di ristrutturazione, sebbene
soggetta ad interpretazioni variamente
estensive da parte della legislazione
regionale e della normativa regolamentare,
resta tuttavia sostanzialmente ancorata al
concetto di intervento non innovativo
dell’esistente, atto a distinguerlo dalla
diversa nozione di nuova costruzione.
In virtù dell’art. 3, comma 1, del D.P.R. n.
380/2001, rientra invero nel concetto di
ristrutturazione edilizia anche la
demolizione con ricostruzione, purché il
nuovo manufatto non si discosti dal
precedente per volumetria, sagoma o
ubicazione; il d.L.vo 27.12.2002, n. 301 ha
invero precisato che sono compresi tra gli
interventi di ristrutturazione edilizia “anche
quelli consistenti nella demolizione e
ricostruzione con la stessa volumetria e
sagoma di quello preesistente, fatte salve
le sole innovazioni necessarie per
l’adeguamento alla normativa antisismica”.
In definitiva, la ricostruzione costituisce
ristrutturazione se il risultato finale
coincide nella volumetria e nella sagoma con
il preesistente edificio demolito (cfr.
Cass. pen., sez. III, 16.06.2006, n. 20776).
(cfr., ex pluris, Cons. di Stato,
sez. IV, 10.04.2008, n. 1550; TAR Calabria,
CZ, Sez. II, 05.03.2008, n. 260; TAR Umbria,
11.08.2006, n. 419; TAR Toscana, sez. II,
12.06.2008, n. 1837).
L’elemento caratterizzante la
ristrutturazione è stato, per altro profilo,
individuato nella connessione finalistica
delle opere eseguite, che non devono essere
riguardate analiticamente ma valutate nel
loro complesso al fine di individuare se
esse siano o meno rivolte al recupero
edilizio dello spazio attraverso la
realizzazione di un edificio in tutto o in
parte nuovo (cfr. Cass. pen., sez. III;
16.06.2006, n. 20776).
Ritiene il Collegio che da tale concetto non
si discosti, sostanzialmente, la sopra
citata norma di P.R.G., chiara nel limitare
gli interventi sussumibili nella nozione di
ristrutturazione a quelli “finalizzati a
nuove organizzazioni distributive, igieniche
e funzionali”, con solo “..parziali
trasformazioni degli organismi esistenti”,
ove, per un verso, la locuzione “organizzazioni
distributive, igieniche e funzionali”
sottintende la invarianza della
localizzazione spaziale (la distribuzione
implica, invero, la “ripartizione” ma
non lo “spostamento”) e, per altro
verso, la “trasformazione” ammessa,
peraltro solo “parziale”, riguarda i
soli organismi “esistenti” e non
organismi qualificabili nuovi in quanto non
“esistenti” se non nel nuovo spazio
identificato all’esito della traslazione.
In termini, la Suprema Corte regolatrice ha
ritenuto che “la necessità della
costruzione dell’edificio demolito nell’area
di sedime originaria è un requisito insito
nella nozione di ristrutturazione edilizia”,
posto che “la nuova nozione di
ristrutturazione edilizia postula la
preesistenza effettiva di una
costruzione..., in quanto la previsione
specifica va interpretata restrittivamente
dal momento che costituisce un’eccezione al
principio generale riaffermato dal T.U.E.D.,
secondo cui ogni trasformazione urbanistica
ed edilizia, che comporti una rilevante
modifica del suo assetto, necessita di
essere assentita con il permesso di
costruire” (cfr. Cass. pen., sez. III,
18.05.2006, n.17084).
Il che significa che la ristrutturazione
mediante demolizione e ricostruzione non può
giammai implicare anche la traslazione,
importando, in tal caso, una oggettiva
trasformazione dell’esistente incompatibile
con la nozione stessa di ristrutturazione
(TAR Abruzzo-L'Aquila,
sentenza 14.12.2009 n. 548 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Ordine di demolizione e
comproprietario.
1.
E’ ben possibile, ed anzi si verifica di
frequente, che il proprietario o
comproprietario non possa considerarsi
soggetto di buona fede rispetto all’abuso
edilizio, perché era a conoscenza dei lavori
abusivi che si stavano compiendo nella sua
proprietà e non ha fatto nulla per
interromperli, e ciò nonostante non sia
concorrente nel reato edilizio per avere
tenuto un comportamento meramente passivo e
di sola connivenza.
La mancata condanna per concorso nel reato,
quindi, non implica assolutamente il
riconoscimento di una posizione di buona
fede rispetto all’abuso.
2.
La sentenza 20.01.2009 della Corte dì
Strasburgo non solo non ha escluso un ordine
di demolizione dell’opera contrastante con
le norme urbanistiche, eseguibile nei
confronti di chiunque ne sia in possesso,
anche estraneo al reato, ma ha addirittura
implicitamente ritenuto che una tale
sanzione ripristinatoria può considerarsi
giustificata rispetto allo scopo perseguito
dalle norme interne di assicurare una
ordinata programmazione e gestione degli
interventi edilizi e non contrastante con le
norme CEDU.
3.
Deve ribadirsi il principio di diritto che
l'ordine di demolizione delle opere abusive
emesso dal giudice penale ai sensi dell‘art.
31, comma 9, d.p.r. 06.06.2001, n. 380, ha
carattere reale e natura di sanzione
amministrativa a contenuto ripristinatorio,
e deve essere eseguito nei confronti di
tutti i soggetti che sono in rapporto col
bene e vantano su di esso un diritto reale o
personale di godimento, anche se si tratti
di soggetti estranei alla commissione del
reato (conforme e di contenuto
sostanzialmente identico: Sez. III n. 48925
del 21.12.2009, Viesti ed altri) (Corte di
Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 11.12.2009 n. 47281 -
link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
DIA e permesso di costruire non
oneroso.
Una equivalenza o addirittura
sovrapponibilità tra DIA e permesso di
costruire non oneroso non può affatto
ricavarsi dall’art. 22, comma 7, del d.p.r.
06.06.2001, n. 380, il quale prevede che,
qualora si tratti di interventi edilizi
realizzabili mediante sola denunzia di
inizio attività, l’interessato, pur non
essendone obbligato, ha comunque la facoltà
di chiedere il rilascio del permesso di
costruire, senza obbligo del pagamento del
contributo di costruzione.
Questa disposizione non stabilisce alcuna
equiparazione tra i due diversi titoli
abilitativi, ma si limita a prevedere che il
soggetto che intenda realizzare interventi
che richiedono una semplice DIA ha
ugualmente la facoltà di chiedere un
permesso di costruire, che in tale caso va
rilasciato senza pagamento degli oneri di
costruzione, mentre non prevede affatto che
per un intervento per il quale sia
obbligatorio (e non facoltativo) un permesso
di costruire, sia pure senza pagamento degli
oneri di costruzione, il permesso di
costruire possa essere sostituito ad ogni
effetto da una denunzia di inizio attività.
Dalla disposizione di cui al citato art. 22,
comma 7, resta semmai confermato che
permesso di costruire, oneroso o non oneroso
che sia, e denunzia di inizio attività
costituiscono titoli abilitativi
differenziati tra loro (per condizioni,
competenza ed effetti) che non possono
considerarsi equivalenti o sovrapponibili
(Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 11.12.2009 n. 47279 -
link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Sulle
caratteristiche che connotano la diversità
degli interventi di ristrutturazione
edilizia da quelli di manutenzione
straordinaria.
Gli interventi di ristrutturazione edilizia
diversamente dagli interventi di
manutenzione straordinaria, che tendono a
conservare l'organismo inalterato nei suoi
elementi tipologici, sono caratterizzati
dalla loro idoneità a introdurre un qualcosa
di nuovo rispetto al precedente assetto
dell'edificio, realizzandosi una decisa
trasformazione dell'edificio precedente, sì
da giungere ad un'opera diversa per tipo,
caratteristiche, dimensioni e
localizzazioni.
Diversamente, gli interventi di manutenzione
straordinaria non possono apportare
trasformazioni tali da portare a un
organismo edilizio in tutto o in parte
diverso dal precedente ma devono tendere a
“conservare l'organismo edilizio e ad
assicurarne la funzionalità mediante un
insieme di opere che, in conformità agli
elementi tipologici, formali e strutturali
dell'edificio, ne consentano destinazioni
d'uso compatibili” (Cass., Sez. II civile,
07.09.2009, n. 19287; TAR Campania, Napoli,
Sez. IV, 16.04.2009, n. 1977; Cons. St.,
Sez. V, 21.12.1994, n. 1559): trattasi di
elementi caratterizzanti chiaramente
riscontrabili nel caso di specie
(TAR Sicilia-Palermo, Sez. III,
sentenza 11.12.2009 n. 1901 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
PUBBLICO IMPIEGO: Accesso
all'orario di lavori dei colleghi. Si può
chiedere di vedere le timbrature.
La posizione che
legittima l'esercizio del diritto di accesso
non deve possedere tutti i requisiti che
legittimerebbero al ricorso avverso l'atto
lesivo della posizione soggettiva vantata,
ma è sufficiente che l'istante sia titolare
di una posizione giuridicamente rilevante e
che il suo interesse si fondi su tale
posizione.
Con nota del 10.09.2009, il ricorrente, in
qualità di dipendente del Comune di ..., ha
inoltrato al predetto Ente istanza di
accesso ai sensi della legge 241 del 1990,
al fine di ottenere copia delle timbrature
del personale dipendente ivi comprese le
eventuali richieste individuali di modifica,
da parte di altri dipendenti, del proprio
orario di lavoro-servizio e le eventuali
conseguenti risposte; il tutto riferito al
periodo dall'01.01.2009 al 31.08.2009.
Ha motivato la richiesta con l’esigenza di
poter compiutamente valutare l’opportunità
di eventuali azioni giudiziarie innanzi al
Giudice competente.
Con provvedimento in data 09.10.2009, prot.
11384 il Comune di ... ha denegato l’accesso
ritenendo insussistente l’interesse in capo
al richiedente.
La sezione condivide l’orientamento per il
quale la posizione che legittima l'esercizio
del diritto di accesso non deve possedere
tutti i requisiti che legittimerebbero al
ricorso avverso l'atto lesivo della
posizione soggettiva vantata, ma è
sufficiente che l'istante sia titolare di
una posizione giuridicamente rilevante e che
il suo interesse si fondi su tale posizione.
La necessaria sussistenza di un interesse
diretto, concreto e attuale, corrispondente
ad una situazione giuridicamente tutelata e
collegata al documento al quale è chiesto
l'accesso, non significa che l'accesso sia
stato configurato con carattere meramente
strumentale rispetto alla difesa in giudizio
della situazione sottostante, in quanto
assume, invece, una valenza autonoma, non
dipendente dalla sorte del processo
principale e dalla stessa possibilità di
instaurazione del medesimo (Cons. Stato,
sez. VI, 29.07.2009, n. 4734).
Nel caso di specie, il fatto che il
ricorrente sia dipendente del Comune che gli
ha denegato la modifica dell’orario di
servizio richiesta e ritenga di essere
pregiudicato da tale diniego, costituisce
valido presupposto per l'esercizio del
diritto di accesso diretto ad acquisire gli
atti per valutare la legittimità, sotto il
profilo della non discriminazione, del
diniego di modifica dell’orario di servizio.
In proposito deve osservarsi che la
richiesta indiscriminata di tutte le
timbrature, se può apparire immotivata, in
realtà tende a verificare se siano applicate
a tutti i dipendenti le ragioni di servizio
indicate come ostative alla modifica
richiesta dal ricorrente
(TAR Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 25.11.2009 n. 5153 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Ambiente in genere. Accesso
all'informazione ambientale.
L'art. 3 D.L. vo n. 195 del 2005 chiarisce
che le informazioni ambientali spettano a
chiunque le richieda, senza necessità, in
deroga alla disciplina generale sull'accesso
ai documenti amministrativi, di dimostrare
un suo particolare e qualificato interesse.
La medesima disposizione estende il
contenuto delle notizie accessibili alle «informazioni
ambientali» (che implicano anche
un'attività elaborativa da parte
dell'Amministrazione debitrice delle
comunicazioni richieste), assicurando, così,
al richiedente una tutela più ampia di
quella garantita dall'art. 22 L. n. 241 del
1990, oggettivamente circoscritta ai soli
documenti amministrativi già formati e nella
disponibilità dell'Amministrazione.
Detta disciplina speciale della libertà
d'accesso alle informazioni ambientali
risulta, quindi, preordinata, in coerenza
con le finalità della direttiva comunitaria
di cui costituisce attuazione, a garantire
la massima trasparenza sulla situazione
ambientale e a consentire un controllo
diffuso sulla qualità ambientale.
Tale esigenza viene, in particolare,
realizzata mediante la deliberata
eliminazione, resa palese dal tenore
letterale dell'art. 3, di ogni ostacolo,
soggettivo od oggettivo, al completo ed
esauriente accesso alle informazioni sullo
stato dell'ambiente (TAR Calabria-Reggio
Calabria,
sentenza 03.11.2009 n. 818 - link
a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Tettoia in pali di ferro e
copertura in plastica. Occorre il permesso
di costruire?
Una tettoia di
tela plastificata, sostenuta da tubi
metallici fissati nel terreno e dal medesimo
realizzata al fine di ricoverarvi le
macchine agricole ha natura pertinenziale
viste le modeste dimensioni dell’opera e i
materiali con i quali è stata realizzata la
copertura (tela), oltre alle concrete
finalità assolte dalla stessa (ricovero di
macchine agricole, in relazione all’attività
di coltivatore diretto)
(TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. II,
sentenza 29.06.2009 n. 1013 -
link a www.altalex.com). |
EDILIZIA PRIVATA:
Articolo 34 dpr 380/2001.
Il provvedimento di fiscalizzazione della
costruzione illecitamente edificata,
previsto dall'art. 34 del d.P.R. 06.06.2001,
n. 380, riguarda gli interventi eseguiti in
parziale difformità dal permesso di
costruire per il caso in cui la demolizione
non possa avvenire senza pregiudizio della
parte eseguita in conformità al titolo
abilitativo (in motivazione la Corte ha
ulteriormente affermato che, ove ricorrono
le condizioni dell'art. 34, in sede
esecutiva sono irrilevanti le questioni
connesse al rilascio del titolo in
sanatoria, essendo a monte preclusa la
possibilità stessa di procedere alla
demolizione) (Corte di Cassazione, Sez. III
penale,
sentenza 15.06.2009 n. 24661 -
link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Debbono
concorrere due requisiti per fondare
lo speciale regime di gratuità della
concessione edilizia e precisamente: un
requisito di carattere oggettivo,
attinente al carattere pubblico o comunque
di interesse generale delle opere da
realizzare; un requisito di carattere
soggettivo, in quanto le opere debbono
essere eseguite da un ente istituzionalmente
competente, ovvero da soggetti anche privati
che non agiscano per scopo di lucro ovvero
abbiano un legame istituzionale con l'azione
dell'Amministrazione volta alla cura di
interessi pubblici.
La giurisprudenza di questo Consiglio ha
ampiamente sottolineato che, ai sensi
dell'art. 9, comma 1, lettera f), della
legge 28.01.1977 n. 10, debbono concorrere
due requisiti per fondare lo speciale
regime di gratuità della concessione
edilizia e precisamente: un requisito
di carattere oggettivo, attinente al
carattere pubblico o comunque di interesse
generale delle opere da realizzare; un
requisito di carattere soggettivo, in
quanto le opere debbono essere eseguite da
un ente istituzionalmente competente, ovvero
da soggetti anche privati che non agiscano
per scopo di lucro ovvero abbiano un legame
istituzionale con l'azione
dell'Amministrazione volta alla cura di
interessi pubblici (cfr. tra le tante: Cons.
Stato, Sez. V, 02.10.2008, n. 4761;
06.12.2007, n. 6237; 11.01.2006, 51; Sez. VI,
09.09.2008, n. 4296)
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 29.05.2009 n. 3359 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Condono edilizio e ultimazione
dei lavori.
Il concetto di ultimazione dei lavori
rilevante ai fini della condonabilità delle
opere edilizie abusive presuppone, oltre il
completamento della copertura, l'esecuzione
del "rustico", da intendersi come la
muratura di tamponatura priva di rifiniture
(nella specie, trattandosi di fabbricato in
cemento armato munito di pilastri e
copertura a doppia falda ma privo di
muratura di tamponamento, detta ultimazione
è stata esclusa) (Corte di Cassazione, Sez.
III penale,
sentenza 06.03.2009 n. 10082 -
link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L‘esenzione
prevista dall’art. 9, comma 1, lett. f),
della legge n. 10/1977 spetta solo con
riferimento alle opere realizzate per il
raggiungimento delle finalità istituzionali
di una pubblica amministrazione e che,
pertanto, anche se eseguite da un soggetto
privato in regime di concessione o altro
istituto analogo, sono destinate a pervenire
nel patrimonio dell’amministrazione stessa.
La questione posta con l’appello in esame
consiste nello stabilire se spetti
all’appellante società Consepi s.p.a., con
riferimento a talune concessioni edilizie
rilasciate alla stessa dal Comune di Susa,
l’esenzione dal pagamento dei contributi
prevista dall’art. 9 primo comma lett. f) “per
gli impianti, le attrezzature, le opere
pubbliche o di interesse generale realizzate
dagli enti istituzionalmente competenti”.
L‘esenzione prevista dall’art. 9, comma 1,
lett. f), della legge n. 10/1977 spetta solo
con riferimento alle opere realizzate per il
raggiungimento delle finalità istituzionali
di una pubblica amministrazione e che,
pertanto, anche se eseguite da un soggetto
privato in regime di concessione o altro
istituto analogo, sono destinate a pervenire
nel patrimonio dell’amministrazione stessa.
Se invece una società, anche se costituita
da un ente pubblico per il conseguimento di
sue finalità, realizza una struttura al fine
di utilizzarla nell’ambito della sua
attività d’impresa, viene a mancare la
stessa ratio della concessone
dell’esenzione, che è quella di evitare una
contribuzione a carico di un’opera destinata
a soddisfare esclusivamente interessi
generali.
Alla stregua delle predette considerazioni
deve escludersi che nella fattispecie vi
siano i presupposti per l’esenzione.
Ed invero, la struttura realizzata dalla
Consepi è di sua proprietà ed è utilizzata
per rendere un servizio dietro
corrispettivo.
Ciò basta per escludere che possa concedersi
l’esenzione, senza che possano assumere
rilevanza le circostanze:
a) che l’attività della società corrisponda
anche ad interessi della regione, tanto che
alla stessa vengono concessi finanziamenti,
dovendosi aver riguardo solo alla natura
dell’opera realizzata;
b) che la società possa qualificarsi
organismo di diritto pubblico o che possa
beneficiare di affidamenti di servizi senza
gara, giacché, anche a voler ammettere che
si sia in presenza dei presupposti a tali
fini necessari, tali evenienze rilevano ad
altri scopi e non per l’esenzione.
Non può invocarsi infine a sostegno della
tesi dell’appellante la circostanza che le
opere siano state realizzate sulla base di
un diritto di superficie concesso dal Comune
di Susa, con la conseguenza che, alla
scadenza di tale diritto, le opere stesse
diverranno di proprietà del comune.
Infatti ciò non esclude che la struttura sia
attualmente di proprietà della società e in
ogni caso la struttura stessa potrà divenire
di proprietà del comune e non della regione
(che, nella prospettazione dell’appellante,
sarebbe l’amministrazione di riferimento
dell’opera in questione)
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 02.10.2008 n. 4761 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
requisito c.d. soggettivo necessario onde
accordare l’esenzione dal contributo di cui
all’art. 3 della l. 10 del 1977 sussiste non
solo nel caso in cui l’opera sia realizzata
direttamente da un ente pubblico
nell’esercizio delle proprie competenze
istituzionali, ma anche nel caso in cui
l’opus venga realizzato da un soggetto
privato, purché per conto di un ente
pubblico.
Il Collegio ritiene di prestare puntuale
adesione (non rinvenendosi alcuna ragione
onde discostarsene) al consolidato
orientamento giurisprudenziale secondo cui
il requisito c.d. soggettivo necessario onde
accordare l’esenzione dal contributo di cui
all’art. 3 della l. 10 del 1977 sussiste non
solo nel caso in cui l’opera sia realizzata
direttamente da un ente pubblico
nell’esercizio delle proprie competenze
istituzionali, ma anche nel caso in cui l’opus
venga realizzato da un soggetto privato,
purché per conto di un ente pubblico (come
nel caso, che qui ricorre, della concessione
di opera pubblica o in altre analoghe figure
organizzatorie in cui l’opera sia realizzata
da soggetti che non agiscano per scopo di
lucro, o che accompagnino tale lucro ad un
legame istituzionale con l’azione
dell’Amministrazione volta alla cura di
interessi pubblici – in tal senso, ex
plurimis: Cons. Stato, Sez. IV, sent.
12.07.2005, n. 3744; id, Sez. IV, sent.
10.05.2005, n. 2226; id., Sez. V, sent.
02.12.2002, n. 6618).
Ed infatti, dal momento che (secondo quanto
pacificamente risulta agli atti) la soc.
Interporto Campano S.p.A. è stata
individuata sin dal 1989 quale soggetto
concessionario della progettazione,
costruzione e gestione della struttura
interportuale nel suo complesso, ne consegue
che (alla luce del richiamato, consolidato
orientamento giurisprudenziale) non sia
contestabile la sussistenza in capo alla
medesima società del richiamato requisito
soggettivo ai fini dell’esenzione dal
pagamento del contributo di cui all’art. 3
della l. 10 del 1977
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 09.09.2008 n. 4296 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AGGIORNAMENTO ALL'01.01.2010 |
ã |
NEWS |
EDILIZIA PRIVATA:
Autorizzazione paesaggistica, dal
1° gennaio 2010 è cessato il regime
transitorio di cui all'art. 159 del D.Lgs.
n. 42/2004.
Il decreto milleproroghe (D.L. 30.12.2009 n.
194) non ha ulteriormente differito il
termine di entrata in vigore della procedura
ordinaria di rilascio dell'autorizzazione
paesaggistica ex art. 146.
Ecco un
prospetto riassuntivo delle nuove procedure
per l’esercizio delle funzioni
paesaggistiche dal 1° gennaio 2010
predisposto dalla Struttura Paesaggio della
regione Lombardia.
PRENDETE BUONA NOTA !!
- - - - - -
- - - -
Aggiornamento del 04.01.2010, ore 17,45:
1)
il
comunicato 30.12.2009 della Regione
Lombardia con una sintesi
esplicativa al riguardo;
2)
Autorizzazione
paesaggistica più pesante - Il via libera
deve essere pronunciato entro 45 gg. dal
ricevimento della documentazione
(articolo Il Sole 24 Ore del 04.01.2010 -
tratto da http://rassegnastampa.formez.it). |
EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI: Avvio
dal 1° gennaio 2010 della trasmissione
informatizzata della notifica preliminare di
avvio lavori nei cantieri - Decreto del
Direttore Generale Sanità n. 9056 del
14.09.2009 (Regione Lombardia, Direzione
Generale Sanità,
nota
18.12.2009 n. 44462 di prot.). |
GURI - GUUE - BURL (e anteprima) |
ENTI LOCALI: G.U.
30.12.2009 n. 302, suppl. ord. n. 243/L, "Disposizioni
per la formazione del bilancio annuale e
pluriennale dello Stato (legge finanziaria
2010" (L. 23.12.2009 n. 191):
-
file 1 -
file 2. |
ENTI LOCALI: G.U.
30.12.2009 n. 302 "Proroga di termini
previsti da disposizioni legislative" (D.L.
30.12.2009 n. 194). |
EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI: B.U.R.
Lombardia, 1° suppl. ord. al n. 52 del
29.12.2009, "Disposizioni per
l'attuazione del documento di programmazione
economico-finanziaria regionale, ai sensi
dell'art. 9-ter della legge regionale
31.03.1978, n. 34 (Norme sulle procedure
della programmazione, sul bilancio e sulla
contabilità della regione) - Collegato 2010" (L.R.
28.12.2009 n. 30 - link a
www.infopoint.it). |
UTILITA' |
VARI: POSTA
ELETTRONICA CERTIFICATA (P.E.C.) PER LIBERI
PROFESSIONISTI - Indicazioni operative per
l'adozione e l'utilizzo. |
VARI:
Il fisco dalla parte dei disabili, è on-line
la guida aggiornata. Contiene tutte le
novità sulle agevolazioni fiscali previste
per questa particolare categoria di
contribuenti.
È on-line, sul sito internet dell'Agenzia
delle Entrate, la "Guida alle
agevolazioni fiscali per i disabili". La
pubblicazione, della collana bimestrale
"l'agenzia informa", offre un quadro
aggiornato di tutte le norme fiscali a
favore dei contribuenti portatori di
disabilità e di coloro che li assistono.
L'opuscolo, suddiviso in sette capitoli,
oltre a spiegare nel dettaglio e con
chiarezza quali sono le situazioni in cui è
possibile usufruire dei benefici che la
disciplina fiscale riconosce a questa
categoria di cittadini, ricorda anche i
servizi che l'Agenzia delle Entrate offre
loro per agevolarli nell'assolvimento degli
adempimenti tributari (link a
www.nuovofiscooggi.it). |
GIURISPRUDENZA |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
RIFIUTI - Ordinanza di rimozione
e smaltimento - Mancanza di una preventiva
attività istruttoria finalizzata ad
individuare l’effettivo responsabile
dell’abbandono - Illegittimità -
Fattispecie.
E’ illegittima una ordinanza emessa ex art.
14, comma 3, del D.lgs. 05.02.1997, n. 22,
con la quale il Sindaco ordini al
proprietario di un’immobile di procedere
alla rimozione e all’avvio al recupero o
allo smaltimento dei rifiuti ivi presenti,
senza svolgere alcuna preventiva valida
attività istruttoria finalizzata ad
accertare ed individuare l’effettivo
responsabile dell’abbandono dei rifiuti
medesimi, atteso che gli adempimenti
concernenti l’eliminazione dei rifiuti ed il
ripristino dei luoghi non possono essere
addossati indiscriminalmente al proprietario
per il solo fatto di questa sua qualità, ma
è necessario l’accertamento di un suo
comportamento, anche omissivo, di
corresponsabilità e quindi di un suo
coinvolgimento doloso o quantomeno colposo
(C. di S., Sez. V, 25.01.2005, n. 136)
(fattispecie relativa all’ordinanza di
smaltimento diretta ai locatori di un
capannone industriale).
RIFIUTI - Ordine di smaltimento -
Mancanza di comunicazione di avvio del
procedimento - Illegittimità.
E illegittimo l’ordine di smaltimento dei
rifiuti non sia preceduto da una preventiva
e formale comunicazione di avvio del
procedimento (C. S. Sez. V, 25.08.2008, n.
4061) (TAR Veneto, Sez. III,
sentenza 23.12.2009 n. 3803 -
link a
www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Lavori edilizi su manufatti
abusivi - Assoggettabilità a D.I.A. -
Esclusione.
I lavori edilizi che riguardano manufatti
abusivi non sanati né condonati non sono
assoggettabili al regime della d.i.a. poiché
gli interventi ulteriori (sia pure
riconducibili, nella loro oggettività, alle
categorie della manutenzione straordinaria,
del restauro e/o risanamento conservativo,
della ristrutturazione, della realizzazione
di opere costituenti pertinenze
urbanistiche) ripetono le caratteristiche di
illegittimità dell'opera principale alla
quale ineriscono strutturalmente (cfr.,
ex multis, Cassazione penale, sez. III,
24.10.2008, n. 45070) (TAR Campania-Napoli,
Sez. VI,
sentenza 22.12.2009 n. 9335 -
link a
www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
BENI CULTURALI E AMBIENTALI -
Vincolo paesaggistico - Limite del
quinquennio - Applicabilità - Esclusione -
Atto amministrativo - Mero valore
ricognitivo.
Il limite del quinquennio, per costante
giurisprudenza, così orientata dalla Corte
Costituzionale, non è applicabile alla
fattispecie delle misure di salvaguardia
previste a tutela di vincoli paesaggistici
(cfr. in questo senso Consiglio di Stato VI
Sez. 14.05.2000 n. 2934). Come noto, questi
ultimi rappresentano predicati intrinseci
del bene e rispetto ad essi l’atto
amministrativo autoritativo ha un mero
valore ricognitivo che nulla aggiunge ai
limiti interni già presenti nel bene che ne
conformano l’intero regime giuridico.
Di tal che non si pone (né può in astratto
prospettarsi) alcuna limitazione di
efficacia, temporale o di altro tipo, alle
misure disposte in via amministrativa che
incidano sul diritto di proprietà che ha per
oggetto gli stessi, stante la stretta
connessione di detti interventi con la
dimensione ontologica intrinsecamente
posseduta dal bene (cfr. Sentenza Corte
Cost. n. 56/1998) (TAR Campania-Napoli, Sez.
VI,
sentenza 22.12.2009 n. 9315 -
link a
www.ambientediritto.it). |
APPALTI:
Art. 48 d.lgs. n. 163/2006 -
Irrogazione della triplice sanzione -
Requisiti di ordine speciale - Art. 38
d.lgs. n. 163/2006 - Carenza dei requisiti
di ordine generale - Esclusione del
concorrente dalla gara.
L’irrogazione della triplice sanzione
(esclusione dalla gara, escussione della
cauzione provvisoria, segnalazione
all’Autorità di vigilanza) si riferisce alle
sole irregolarità accertate con riferimento
ai requisiti di ordine speciale di cui
all’art. 48 del d.lgs. n. 163 del 2006, e
non anche a quelle relative ai requisiti di
ordine generale ex art. 38, essendo queste
ultime sanzionabili solo con l’esclusione
dalla gara.
L'ipotesi di carenza dei requisiti di
carattere generale, infatti, è compiutamente
regolata dall'art. 38 del Codice dei
contratti che prevede, in tal caso, solo
l'esclusione del concorrente dalla gara e
costituisce situazione ontologicamente
diversa dal mancato possesso dei requisiti
di capacità economico-finanziaria e
tecnico-organizzativa, disciplinata
dall'art. 48 del medesimo Codice che
riconnette a tale circostanza, oltre
all'esclusione del concorrente dalla gara,
anche l'escussione della relativa cauzione
provvisoria e la segnalazione del fatto
all'Autorità per la vigilanza sui contratti
pubblici. L’evidente natura sanzionatoria
del citato art. 48, d’altronde, la rende
norma di stretta interpretazione e, quindi,
non estendibile ad ipotesi diverse da quelle
tassativamente previste (TAR Piemonte, Sez.
I,
sentenza 21.12.2009 n. 3709 -
link a
www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Concetto di pertinenza - Diritto
civile - Diritto urbanistico ed edilizio -
Differenza - Funzione autonoma rispetto ad
altra costruzione - Regime concessorio.
Il concetto di pertinenza, previsto dal
diritto civile, va distinto dal più
ristretto concetto di pertinenza inteso in
senso edilizio e urbanistico, che non trova
applicazione in relazione a quelle
costruzioni che, pur potendo essere
qualificate come beni pertinenziali secondo
la normativa privatistica, assumono tuttavia
una funzione autonoma rispetto ad altra
costruzione, con conseguente loro
assoggettamento al regime concessorio, come
nel caso di un intervento edilizio che non
sia coessenziale al bene principale e che
possa essere utilizzato in modo autonomo e
separato (cfr., Cons. St., sez. IV,
23.07.2009, n. 4636; TAR Campania Napoli,
sez. IV, 01.09.2009, n. 4848) (TAR Veneto,
Sez. II,
sentenza 18.12.2009 n. 3638 -
link a
www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
BENI CULTURALI E AMBIENTALI -
Artt. 146 e 167 d.lgs. n. 42/2004 - Divieto
assoluto di autorizzazione in sanatoria -
Sanzione alternativa tra demolizione e il
pagamento di un’indennità - Incongruenza
logico-giuridica - Esclusione.
Nessuna contraddizione discende dalla
contemporanea vigenza di un assoluto divieto
di rilascio formale di autorizzazione
paesaggistica in sanatoria (art. 146, comma
8, lett. c, d.lg. 22.01.2004 n. 42) e della
sanzione alternativa tra la demolizione
dell'opera ed il pagamento di un'indennità
equivalente alla maggior somma tra il danno
arrecato ed il profitto conseguito (art.
167, d.lg. citato); deve osservarsi,
infatti, come siano profondamente diversi
gli ambiti operativi delle due norme, di tal
che alcuna incongruenza logico-giuridica può
desumersi dal loro confronto.
Ed, invero, l'opzione della p.a. di optare
per la sanzione pecuniaria in luogo della
demolizione non è configurabile come una
sorta di autorizzazione postuma implicita,
presupponendo comunque l'accertamento di una
violazione rispetto al valore paesaggistico,
sia pure di consistenza tale da non imporre
la demolizione dell'opera (TAR Veneto, Sez.
II,
sentenza 18.12.2009 n. 3635 -
link a
www.ambientediritto.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: INQUINAMENTO
- Bonifica - Responsabilità - Proprietario
incolpevole del fondo - Intervento
sostitutivo dell’Amministrazione - Recupero
degli oneri di bonifica - Azione di
ingiustificato arricchimento.
Alla luce delle coordinate normative di cui
agli artt. 242-245 e 250 del D.Lgs. n.
152/2006, l’Amministrazione è tenuta ad
accertare la responsabilità
dell’inquinamento e, in caso di accertamento
infruttuoso, è la stessa Amministrazione che
dovrà procedere alla bonifica, per poi
operare il recupero delle somme a carico del
proprietario del fondo incolpevole, ma
salvaguardando in questo caso l’apporto
partecipativo di queste ultime, in specie
per quanto riguarda le modalità
dell’intervento e fermo restando, comunque,
che a carico del suddetto proprietario il
recupero degli oneri della bonifica potrà
avvenire solo nel limite dell’arricchimento
di valore che il disinquinamento avrà
apportato al fondo.
Sotto quest’ultimo profilo il diritto
dell’amministrazione al recupero delle somme
va ricondotto nell’alveo delle azioni di
ingiustificato arricchimento, rispetto alle
quali la azione in parola si differenzia
essenzialmente per l’esistenza di
particolari forme di garanzia (onere reale e
privilegio speciale immobiliare) che
assicurano il recupero dei costi di
intervento.
INQUINAMENTO - Responsabilità per
danni all’ambiente - Natura - Responsabilità
aquiliana ex ar.t 2043 c.c. - Art. 311, c. 2
d.lgs. n. 152/2006.
Il D.Lgs. n. 152/2006 ha operato una scelta
precisa in favore della riconduzione della
responsabilità per i danni all’ambiente nel
paradigma della “tradizionale”
responsabilità extracontrattuale soggettiva
(c.d. responsabilità aquiliana ex art. 2043
c.c.), con esclusione di una qualsivoglia
forma di responsabilità oggettiva(cfr. art.
311, comma 2, d.lgs. n. 152/2006).
INQUINAMENTO - Interventi di
messa in sicurezza - Finalità - Rapporto con
gli interventi di bonifica.
Gli interventi di messa in sicurezza sono
finalizzati non tanto alla diminuzione del
livello di inquinamento dell’area
interessata (obiettivo questo che va
perseguito attraverso l’attivazione delle
opere di bonifica) quanto a scongiurare che
la contaminazione in atto si espanda nel
terreno o nella falda in attesa
dell’esecuzione di interventi definitivi di
bonifica del sito (Cfr. Cons. St., II,
21.11.2007, n. 65; VI, 05.09.2005, n. 4525;
TAR Toscana, II, 30.05.2008, n. 1541; TAR
Friuli Venezia Giulia, 28.01.2008, n. 89;
TAR Sicilia, Catania, 20.07.2007, n. 1254)
(TAR Friuli Venezia Giulia, Sez. I,
sentenza 17.12.2009 n. 837 - link a
www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
BENI CULTURALI E AMBIENTALI -
Rimozione delle barriere architettoniche in
ipotesi di immobile soggetto a vincolo
paesaggistico - Silenzio assenso - Rapporto
tra l’art. 4 della L. n. 13/1989 e l’art. 20
L. n. 241/1990, come riformulato ex L. n.
15/2005.
Come si evince dai commi 1 e 2 dell’art. 4
della l. n. 13/1989, gli interventi per la
rimozione delle barriere architettoniche “ove
l'immobile sia soggetto al vincolo di cui
all'articolo 1 della legge 29.06.1939,
n. 1497” (cioè il vincolo paesaggistico)
“le regioni, o le autorità da esse
subdelegate, competenti al rilascio
dell'autorizzazione di cui all'articolo 7
della citata legge, provvedono entro il
termine perentorio di novanta giorni dalla
presentazione della domanda, anche
impartendo, ove necessario, apposite
prescrizioni” (comma 1). La mancata
pronuncia nel termine di cui al comma 1
equivale ad assenso (comma 2).
Atteso il tenore delle norme sopra citate,
non può dubitarsi del fatto che il
legislatore abbia previsto un’ipotesi di
silenzio assenso. E’ noto che la riforma
dell’art. 20, c. 4 della L. n. 241/1990, di
cui alla L. n. 15/2005, ha generalizzato le
ipotesi di silenzio assenso, prevedendo però
(comma 4) una serie di materie in cui esso è
escluso; sicché l’istituto del silenzio
assenso non è applicabile, tra gli altri, “agli
atti e procedimenti riguardanti il
patrimonio culturale e paesaggistico”.
Tuttavia, non solo l’art. 4 l. n. 13/1989 è
norma speciale rispetto all’art. 20, co. 4,
l. n. 241/1990; ma le eccezioni alla regola
generale del silenzio assenso sopra indicate
comportano solo che nelle materie suddette
non sia applicabile in modo automatico la
regola generale del silenzio assenso, e non
già l’impossibilità in assoluto di prevedere
speciali ipotesi di silenzio assenso, con
norme puntuali anziché con previsione
generalizzata (TAR Campania-Napoli, Sez. VII,
sentenza 16.12.2009 n. 8834 -
link a
www.ambientediritto.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
RIFIUTI - Abbandono - Art. 192
d.lgs. n. 152/2006 - Sanzione di tipo
reintegratorio - Obbligo di rimozione e
recupero o smaltimento - Responsabilità -
Proprietario dell’area - Elemento soggettivo
- Dolo o colpa.
La fattispecie normativa di cui all’art. 192
del d.lgs. n. 152/20006 (per la sua esegesi,
cfr. Cons. Stato, V, 25.08.2008, n.4061) ha
introdotto una sanzione amministrativa di
tipo reintegratorio, potendo essere adottata
anche in assenza di una situazione in cui
sussista l’urgente necessità di provvedere
con efficacia e immediatezza (TAR Veneto,
III, 29.09.2009, n. 2454) e avente a
contenuto l’obbligo di rimozione, di
recupero o di smaltimento e di ripristino a
carico del responsabile del fatto di
discarica o immissione abusiva, a carico,
cioè, di “chiunque viola i divieti di
abbandono e di deposito incontrollato di
rifiuti sul suolo”, in solido con il
proprietario e con i titolari di diritti
reali o personali di godimento sull’area ai
quali tale violazione sia imputabile a
titolo di dolo o di colpa; la norma,
pertanto, ai fini dell’imputabilità della
condotta del divieto di abbandono e di
deposito incontrollato di rifiuti sul suolo,
richiede, a carico del proprietario o dei
titolari di diritti reali o personali sul
bene, un comportamento titolato di dolo o
colpa, così come richiesto per l’autore
materiale, mentre le conseguenze
sanzionatorie connesse alla violazione del
divieto di abbandono incontrollato di
rifiuti sul suolo o nel suolo sono accollate
anche al proprietario dell’area, ma ciò solo
nel caso in cui la violazione sia a lui
imputabile a titolo di dolo o di colpa (ex
multis, TAR Calabria, Catanzaro, I,
20.10.2009, n. 1118; Cons. Stato, V,
19.03.2009, n. 1612; TAR Sardegna,
18.05.2007, n. 975; 19.09.2004, n. 1076; TAR
Puglia, Bari, 27.02.2003, n. 872; TAR
Lombardia, Milano, I, 26.01.2000, n. 292).
RIFIUTI - Abbandono - Art. 192
d.lgs. n. 152/2006 - Ordinanza di rimozione
- Competenza - Dirigenti - Art. 107, c. 5,
d.lgs. n. 267/2000.
Ai sensi dell'art. 107, comma 5, del Decr.
Legisl. n. 267/2000, rientra nella
competenza del dirigente, e non del Sindaco,
l'adozione dell'ordinanza di rimozione di
rifiuti rivolta al proprietario di un'area
sulla quale gli stessi sono stati
abbandonati (TAR Basilicata, 23.05.2007, n.
457) (TAR Campania-Napoli, Sez. V,
sentenza 15.12.2009 n. 8739 -
link a
www.ambientediritto.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA -
EDILIZIA PRIVATA:
RIFIUTI - Terre e rocce da scavo
- Inosservanza delle procedure per il
riutilizzo - Applicabilità delle
disposizioni in materia di rifiuti - Art.
192 d.lgs. n. 152/2006 - Ordinanza di
rimozione - Competenza - Sindaco.
Le rocce ed i materiali di scavo vanno
considerati alla stregua di rifiuti, anche
se appaiono come idonei all’utilizzo fatto
in concreto, ove non siano state seguite le
procedure per il loro riutilizzo (art. 186
del d.lvo 03.04.2006, n. 152): trovano
quindi applicazione le disposizioni su tali
materiali, tra le quali l’art. 192 del T.U.
Ambiente, che riguarda il divieto di
abbandono dei rifiuti sul suolo e nel suolo.
Ove si verifichi tale evento è il sindaco a
dover provvedere con l’ordinanza prevista
dal comma 3 della norma citata (TAR Liguria,
Sez. I,
sentenza 15.12.2009 n. 3741 -
link a
www.ambientediritto.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
INQUINAMENTO - Bonifica - Oneri -
Accollo al proprietario incolpevole -
Provvedimento motivato - Specificazione
delle ragioni per cui le spese non siano
state fatte gravare sul responsabile
dell’inquinamento - Art. 253 d.lgs. n.
152/2006.
L’art. 253 del d.lgs. n. 152/2006, nel
richiedere un “provvedimento motivato”,
impone all’Amministrazione di specificare
quale delle fattispecie ivi previste e quali
presupposti di fatto legittimino l’accollo
all’incolpevole proprietario delle spese
conseguenti alla bonifica dell’area
inquinata; occorre, quindi, che il privato
e, su sua eventuale richiesta, il giudice
siano messi in grado di comprendere le
concrete ragioni per le quali gli oneri di
bonifica non sono stati fatti gravare sul
responsabile dell’inquinamento, onde
consentire loro la verifica della conformità
della decisione al modello legale (TAR
Emilia Romagna-Parma, Sez. I,
sentenza 15.12.2009 n. 871 - link
a
www.ambientediritto.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
INQUINAMENTO - Accertamenti e
ispezioni a sorpresa - Comunicazione di
avvio del procedimento - Successiva alle
verifiche.
Il Collegio condivide appieno le conclusioni
della giurisprudenza in tema di accertamenti
ed ispezioni a sorpresa, in specie in ordine
alla legittimità di non far precedere detti
accertamenti dal previo avviso di avvio del
procedimento, per non rischiare di
comprometterne la genuinità (cfr., ex
plurimis, C.d.S., Sez. VI, 18.05.2004,
n. 3190, in una fattispecie in cui si
trattava di accertare se l'attività
artigianale svolta dal privato superasse o
meno i limiti di emissione sonora
nell'ambiente).
Ciò, tuttavia, a condizione, come osserva la
stessa giurisprudenza, che a tali verifiche
preventive segua, con il vero e proprio
avvio del procedimento, l'avviso ex art. 7
cit. (così sempre C.d.S., n. 3190/2004 cit.,
secondo cui: “L'adempimento dell'obbligo
di dare comunicazione dell'avvio del
procedimento amministrativo è dovuto solo in
relazione al vero e proprio inizio di
quest'ultimo, con la conseguenza che nel
caso in cui le circostanze lo impongono per
garantire la genuinità degli accertamenti
dell'amministrazione, l'art. 7, l.
07.08.1990 n. 241 non esclude che tale
obbligo possa essere preceduto da controlli,
accertamenti e ispezioni, svolti senza la
partecipazione del diretto interessato, che
sarà quindi edotto di tali attività con la
successiva comunicazione, la quale gli
consente di intervenire nella procedura
sanzionatoria; pertanto, ai fini predetti,
legittimamente la p.a. compie accertamenti a
sorpresa senza previa comunicazione di avvio
del procedimento". Analogamente, TAR
Lombardia Milano 10.06.2008 n. 1961; TAR
Lombardia Milano 01.02.2007, n. 173) (TAR
Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza IV,
sentenza 14.12.2009 n. 5320 -
link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Piano o porzione di piano abusivi
situati in un edificio composto da
abitazioni regolari - Acquisizione al
patrimonio comunale - Proprietà esclusiva
degli appartamenti abusivi e comproprietà
delle parti comuni - Sedime e area
pertinenziale - Acquisto pro quota.
Qualora l’opera abusiva consista in un piano
(o in una porzione di piano) situato in un
edificio composto anche da abitazioni
regolari il Comune acquisisce non un diritto
di superficie ma la proprietà esclusiva
degli appartamenti abusivi e la comproprietà
delle parti comuni dell’intero edificio
(come definite dall’art. 1117 c.c.).
Se l’edificio era in origine di un solo
proprietario, con il provvedimento di
acquisizione si forma un condominio. Tra le
parti comuni rientra anche il sedime
dell’edificio, che quindi viene acquisito
pro quota, in proporzione ai millesimi dei
piani oggetto del provvedimento di
acquisizione.
Per quanto riguarda l’area pertinenziale
vale lo stesso principio dell’acquisto pro
quota (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 14.12.2009 n. 2565 -
link a
www.ambientediritto.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
INQUINAMENTO - Art. 17 d.lgs. n.
22/97 - Artt. 240 e ss. d.lgs. n. 152/2006 -
Interventi di recupero - Responsabile
del’inquinamento - Proprietario dell’aera
inquinata non responsabile della
contaminazione - Onere reale - Facoltà di
eseguire le opere di recupero ambientale -
Imposizione delle misure di bonifica -
Accertamento della responsabilità.
L'art. 17 del d.lgs. n. 22 del 1997, la cui
impostazione è stata ora confermata e
specificata dagli artt. 240 e ss. del d.lgs.
03.04.2006 n. 152, impone l'esecuzione di
interventi di recupero ambientale anche di
natura emergenziale al responsabile
dell'inquinamento che può non coincidere con
il proprietario ovvero con il gestore
dell'area interessata; a carico di
quest'ultimo (proprietario dell'area
inquinata non responsabile della
contaminazione), invero, non incombe alcun
obbligo di porre in essere gli interventi
ambientali in argomento ma solo la facoltà
di eseguirli al fine di evitare
l'espropriazione del terreno interessato
gravato da onere reale, al pari delle spese
sostenute per gli interventi di recupero
ambientale assistite anche da privilegio
speciale immobiliare.
La normativa citata prevede infatti che, in
caso di mancata esecuzione degli interventi
in argomento da parte del responsabile
dell'inquinamento ovvero in caso di mancata
individuazione del predetto, le opere di
recupero ambientale vanno eseguite
dall'Amministrazione competente la quale
potrà rivalersi sul soggetto responsabile
anche esercitando, nel caso in cui la
rivalsa non vada a buon fine, le garanzie
gravanti sul terreno oggetto dei suddetti
interventi. Ne deriva che il provvedimento
di messa in sicurezza e bonifica ben può
essere notificato al proprietario al fine di
renderlo edotto di tale onere (che egli ha
facoltà di assolvere per liberare l'area dal
relativo vincolo), ma non può imporre misure
di bonifica senza un adeguato accertamento
della responsabilità, o corresponsabilità,
del proprietario per l'inquinamento del sito
(per tutte, Cons. Stato, Sez. V, 29.08.2006
n. 5045 e Sez. VI, 05.09.2005 n. 4525) (TAR
Lazio-Latina, Sez. I,
sentenza 14.12.2009 n. 1287 -
link a
www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Opere di pavimentazione -
Permesso di costruire - Art. 6, c. 1, lett.
e), D.P.R. n. 380/2001 - Necessità - In caso
di opere di rilevante dimensioni comportanti
significativa trasformazione dello stato dei
luoghi.
Non è necessario il permesso di costruire
per la realizzazione di modeste opere di
pavimentazione, laddove non siano state
realizzate opere murarie o eliminato verde
preesistente, ovvero urbanizzato il terreno
(TAR Trentino Alto Adige-Bolzano,
26.08.2009, n. 299); occorre invece il
permesso di costruire, dall’articolo 6,
comma 1, lettera e), del D.P.R. n. 380/2001,
quando le opere di pavimentazione, in
ragione delle dimensioni delle stesse e dei
materiali utilizzati determinino una
significativa trasformazione dello stato dei
luoghi (TAR Campania Napoli, Sez. VII,
21.04.2009, n. 2084; TAR Piemonte Torino,
Sez. I, 02.02.2005, n. 208; TAR Lombardia
Milano, Sez. II, 20.11.2002, n. 4514) (TAR
Campania-Napoli, Sez. VII,
sentenza 10.12.2009 n. 8606 -
link a
www.ambientediritto.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
DANNO AMBIENTALE - Responsabile
di violazioni di norme ambientali -
Amministrazione - Richiesta di garanzie
fideiussorie - Legittimità - Condizioni -
Soggetto onerato - Realizzazione degli
interventi previsti a titolo di sanzione per
la violazione delle norme ambientali -
Potere di esecuzione in danno del
responsabile.
E’ vero che le norme del D.Lgs. 152/2006 non
prevedono espressamente la possibilità per
l’amministrazione di ordinare al presunto
debitore il rilascio di una fideiussione a
garanzia dei danni o delle opere da eseguire
in sostituzione del responsabile di
violazioni di norme ambientali.
Tuttavia nulla vieta che l’amministrazione
possa intimare, pur senza disporre di un
effettivo potere coercitivo, il deposito, in
via cautelare, di garanzie su somme che la
stessa amministrazione ritiene di ascrivere
al danno ambientale ovvero di dover essa
stessa impiegare nell’esercizio del potere
sanzionatorio o surrogatorio per gli
interventi che la legge le impone di
eseguire in danno del responsabile (nello
specifico a seguito della violazione
dell’art. 192 del D.Lgs. 152/2006).
Ciò, beninteso, a condizione che il
provvedimento cui inerisce la richiesta di
garanzie fideiussorie preveda di porre a
carico (o ponga a carico) del soggetto
onerato la realizzazione di interventi
previsti dalla legge a titolo di sanzione
per la violazione delle norme ambientali e
in particolare quando è previsto il potere
di esecuzione in danno del responsabile, e
sussista un ragionevole rapporto tra
l’importo che l’amministrazione richiede e
che è garantito dalla fideiussione e quello
stimato dall’amministrazione come costo
delle stesse operazioni o ovvero come misura
del danno ambientale.
RIFIUTI - Ordinanza di rimozione
e smaltimento - Art. 192 d.lgs. n. 152/2006
- Competenza - Sindaco - Criterio
cronologico e di specialità - Prevalenza sul
disposto di cui all’art. 107, c. 5, d.lgs.
n. 267/2000.
L’art. 192, comma 3, del D.lgs. n. 152 del
2006, che è norma speciale sopravvenuta
rispetto all`art. 107, comma 5, del D.lgs.
n. 267 del 2000, attribuisce espressamente
al Sindaco la competenza a disporre con
ordinanza le operazioni necessarie alla
rimozione e allo smaltimento dei rifiuti:
per il criterio della specialità e per
quello cronologico la norma prevale sul
disposto dell'art. 107, comma 5, del D.lgs.
n. 267 del 2000 (cfr. Consiglio di Stato,
Sez. V, 25.08.2008, n. 4061) (TAR Veneto,
Sez. III,
sentenza 04.12.2009 n. 3460 -
link a
www.ambientediritto.it). |
URBANISTICA:
Variante PRG - Aree agricole -
Scelta aree da trasformare - Necessità.
La presenza di un'azienda agricola
storicamente insediata nell'area non
costituisce in via automatica un ostacolo al
cambio di destinazione urbanistica e infatti
non è ammissibile che la pianificazione
urbanistica sia utilizzata con lo scopo di
espellere determinate attività dal
territorio.
Altresì, le finalità di potenziamento e
valorizzazione del territorio agricolo
(finalità perseguite dall'amministrazione)
non sono in contraddizione con la scelta di
insediare su alcune aree agricole dei lotti
residenziali: la tutela dell'agricoltura non
esige necessariamente il blocco ma piuttosto
il contenimento della consumazione del
territorio e di conseguenza occorre
scegliere in concreto le aree da trasformare
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez.
I,
sentenza
22.06.2009 n.
1242 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
PRG - Variante - Delibera di
approvazione - Legittimità.
Non è
fondato il ricorso avverso la deliberazione
di approvazione della variante al PRG:
l'ampia discrezionalità esercitata
dall'amministrazione comunale è esente da
vizi poiché la scelta di evitare
l'edificazione sull'intero lotto poggia su
una caratteristica ulteriore dell'area
classificata come a rischio elevato di
esondazione per essere nella fascia di
rispetto del fiume (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez.
I,
sentenza
04.06.2009 n.
1172 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Beni demaniali - Destinazione
pubblica.
E' legittima l'ordinanza del sindaco che
ingiunge alla ricorrente la restituzione di
una porzione di area nell'esercizio del
potere di ripristino della destinazione
pubblica dei beni demaniali di cui all'art.
823, comma 2, del c.c. e dell'art. 378 della
L. n. 2248/1865.
Il comune, pur essendo rimasto inerte
rispetto all'uso esclusivo della ricorrente
e del suo dante causa, non si è
disinteressato completamente dell'area ma ne
ha disposto la classificazione come strada
comunale e ha chiesto il pagamento dal 1971
al 1984 della tassa per l'occupazione di
spazi pubblici.
Si tratta di un atteggiamento che esprime la
consapevolezza sia della titolarità di un
diritto dominicale sia della necessità di
trarre dal bene un'utilità collettiva.
Quanto poi all'interesse pubblico, poiché
l'area è associata al demanio stradale, la
sua utilizzazione naturale è al servizio
della viabilità.
Le esigenze della viabilità nei centri
abitati hanno un rilievo speciale, che
anziché affievolirsi tende piuttosto ad
assumere nel tempo un'importanza
progressivamente maggiore, in parallelo allo
sviluppo di una programmazione dedicata al
traffico e alla mobilità.
Si deve quindi ritenere che l'obiettivo del
recupero di beni del demanio stradale
giustifichi, anche a distanza di tempo,
l'autotutela possessoria. Il rilievo
dell'interesse pubblico attenua l'onere di
motivazione (v. CS Sez. V 08.01.2009 n. 25)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez.
I,
sentenza
04.06.2009 n.
1162 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
1. Provvedimento amministrativo -
Decorrenza termine impugnazione -
Comunicazione via fax - Piena conoscenza -
Idoneità - Sussistenza.
2. Provvedimento amministrativo - Decorrenza
termine impugnazione - Piena conoscenza -
Mera notizia dell'esistenza - Non è
sufficiente - Conoscenza anche del contenuto
- necessità.
1.
La comunicazione di un provvedimento via
fax, strumento quest'ultimo basato su linee
di trasmissione di dati che consentono di
documentare sia la partenza del messaggio
dall'apparato trasmittente sia la ricezione
presso il destinatario, è idonea, in carenza
di espresse prescrizioni contrarie, a
determinare la piena conoscenza del
provvedimento stesso e a far decorrere
termini perentori di legge.
2.
Al fine della decorrenza del termine di
impugnazione di un provvedimento, secondo un
orientamento meno rigoroso ma più attento
alle esigenze di tutela del concorrente che
si assume leso, non basti la mera notizia
della sua esistenza e del suo carattere
sfavorevole per il destinatario ma occorre
la conoscenza del suo contenuto, per poter
valutare se l'atto, oltre che sfavorevole, è
illegittimo: poiché un provvedimento
sfavorevole non è necessariamente
illegittimo, il suo destinatario -prima di
accollarsi i costi di un'impugnazione- deve
poter conoscere se l'atto è o meno affetto
da vizi valorizzabili in sede
giurisdizionale, secondo l'art. 3 L.
241/1990 la motivazione del provvedimento
non ha carattere opzionale, ma è
obbligatoria, sicché la mera notizia che
esiste un provvedimento non può essere
equiparata alla piena conoscenza del
provvedimento medesimo.
Si deve dunque ritenere che laddove
l'amministrazione comunichi l'esistenza del
provvedimento sfavorevole senza esternare la
motivazione, il destinatario ha una mera
facoltà, ma non un onere, di impugnare
subito l'atto per poi articolare i motivi
aggiunti, mentre può anche attendere di
conoscere la motivazione per valutare se
impugnarlo o meno; in materia di appalti
pubblici fanno propendere per questa
interpretazione anche l'art. 79 co. 5 e
l'art. 11 co. 10 D.Lgs. 163/2006 da cui si
evince l'obbligo, in capo alla stazione
appaltante, di rendere edotti i soggetti non
aggiudicatari dei risultati della gara
d'appalto, attraverso la comunicazione
dell'atto di affidamento nella sua forma
integrale, e la circ. Min. Infrastrutture
10/03/2003 n. 2107 la quale ha sottolineato
da un lato che in conformità alla direttiva
89/665/CEE, al tempo in vigore, la Corte di
giustizia della Comunità europea, con
giurisprudenza costante, ha più volte
sottolineato la necessità che i candidati o
gli offerenti in una gara, per poter
presentare utilmente ricorso contro un
provvedimento di aggiudicazione, in una fase
in cui la violazione possa ancora essere
sanata, debbano prendere conoscenza di detta
decisione in tempo utile, e quindi
anteriormente alla stipula del contratto e
dall'altro che la Commissione europea ha
verificato che la legislazione italiana in
materia di appalti pubblici non prevede
l'obbligo per le amministrazioni
aggiudicatrici di notificare i provvedimento
di aggiudicazione a tutti i partecipanti ad
una gara di appalto ed ha pertanto attivato
una procedura di infrazione nei confronti
dello Stato italiano, ai sensi dell'art. 226
del trattato CEE, rilevando il contrasto
normativo esistente con le disposizioni
della direttiva 89/665/CEE, e delle
Direttive 93/36/CEE, 93/37/CEE e 92/50/CEE
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez.
II,
sentenza
27.05.2009 n. 1073 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Gara - Integrazione documentale -
Incompletezza o non conformità alle
prescrizioni di gara dell'offerta tecnica ed
economica - Inammissibilità.
L'integrazione documentale ammissibile in
sede di gara su richiesta della stazione
appaltante -allo scopo di far prevalere la
sostanza sulla forma- si rivela finalizzata
unicamente ad ottenere precisazioni in
ordine alla documentazione prodotta, in
vista della sanatoria di eventuali
irregolarità formali; una tale facoltà non
può estendersi al caso in cui
l'incompletezza o la non conformità alle
prescrizioni di gara riguardi l'offerta
tecnica ed economica, perché altrimenti
verrebbe ad essere violato il principio
della par condicio dei concorrenti mediante
la modificazione postuma dell'offerta, con
conseguente inammissibile incidenza sulla
sostanza e non più solo sulla forma, non è,
pertanto, possibile specificare, rettificare
o precisare e, sostanzialmente, cambiare,
gli elementi negoziali costitutivi
dell'offerta (massima tratta da www.solom.it
- TAR Lombardia-Brescia, Sez.
II,
sentenza
27.05.2009 n. 1073 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
PRG - Destinazione a zona
agricola - Utilizzo per coltivazione - Non
necessita - Discrezionalità - Sussistenza.
La destinazione a zona agricola di una
determinata area non presuppone
necessariamente che essa sia utilizzata per
colture tipiche o possegga le
caratteristiche per un simile utilizzazione,
trattandosi di una scelta, tipicamente e
ampiamente discrezionale, con la quale
l'amministrazione comunale ben può aver
interesse a tutelare e salvaguardare il
paesaggio o a conservare valori
naturalistici ovvero a decongestionare o
contenere l'espansione dell'aggregato urbano
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez.
I,
sentenza
13.05.2009 n.
1022 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA -
EDILIZIA PRIVATA:
1. Piano-cave - Dir. 42/01/CE -
Immediata applicabilità - Non sussiste.
2. Piano-cave - Integrazioni e modifiche
della Giunta regionale ex artt. 7 e 8 L.R.
14/1998 - Modifiche di mero dettaglio -
Necessità.
1.
La direttiva non è immediatamente
applicabile all'interno degli Stati membri
per quanto riguarda la generalità degli atti
di pianificazione territoriale, qual è il
piano-cave: depongono in tal senso anzitutto
l'art. 3 della direttiva in parola, che
demanda al singolo Stato membro di
apprezzare se i piani e programmi relativi a
un dato settore possano o non possano avere
effetto significativo sull'ambiente; nello
stesso senso i successivi articoli 4 e 13,
che richiedono in modo espresso che gli
Stati, per conformarsi alla direttiva,
emanino norme proprie, e quindi adottino
atti di recepimento.
2.
Le norme degli artt. 7 e 8, co. 1, della
L.R. 14/1998, là dove prevedono che alla
proposta presentata dalla Provincia sentiti
i Comuni la Giunta regionale possa apportare
"integrazioni e modifiche" da
sottoporre poi al Consiglio regionale per
l'approvazione finale, va interpretata nel
senso che si possano apportare in modo puro
e semplice solo modifiche di mero dettaglio,
ovvero imposte dall'adeguamento ad obblighi
normativi.
In tutti gli altri casi, non va stravolto il
carattere provinciale del piano, e quindi le
modifiche non si possono inserire se non
ripetendo la procedura che ha condotto alla
proposta arrivata alla Giunta: le modifiche
stesse vanno apportate al disegno generale
della proposta adottata e su di esse devono
pronunciarsi non solo i Comuni, ma anche
tutti gli organi tecnici deputati ad
esprimere il loro parere sul piano in
parola: si tratta, infatti, di adempimenti
che rivestono valore non formale, ma
sostanziale.
In termini logici, la pianificazione
dell'uso di un dato territorio, nella specie
dell'uso estrattivo, di per sé suscettibile
ove non correttamente governato di produrre
guasti anche notevoli all'ambiente, va
operata considerando il territorio in
questione come un tutto unitario, e non a
caso ogni piano cave prende le mosse dalla
determinazione di un fabbisogno complessivo
di materiali.
E' quindi impossibile, in via generale,
alterare una proposta di piano redatta
secondo certi criteri aggiungendo puramente
e semplicemente nuovi ambiti, dei quali non
si sia calcolata l'incidenza non solo sulla
località interessata, ma anche sull'assetto
complessivo del sistema (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez.
I,
sentenza
04.05.2009 n.
893 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Nozione di paesaggio -
Convenzione europea per il paesaggio -
Nozione dinamica - Selezione degli elementi
più significativi - Nozione statica - Non è
ammissibile.
La
Convenzione europea per il paesaggio,
sottoscritta a Firenze il 20/10/2000 e
recepita con L. 14/2006, qualifica il "paesaggio"
come "una determinata parte di
territorio, così come è percepita dalle
popolazioni, il cui carattere deriva
dall'azione di fattori naturali e/o umani e
dalle loro interrelazioni", esprimendo,
da un lato, una concezione di tipo dinamico,
fondata sul pensiero che i paesaggi si
evolvono e si trasformano nel tempo per
l'effetto delle forze naturali e per
l'azione dell'uomo; e dall'altro accogliendo
un'idea unitaria di paesaggio, che forma un
"unicum" inscindibile all'interno del
quale interagiscono simultaneamente gli
elementi naturali, culturali ed
antropologici, a tale impostazione si rifà
anche la D.G.R. 15/03/2006 n. 8/2121 che
enuclea quali caratteri fondamentali del
concetto di paesaggio: il contenuto
percettivo, la complessità e il valore
estetico-culturale, non è pertanto
ammissibile -in ossequio all'opposta visione
statica del paesaggio- una selezione degli
elementi che lo compongono finalizzata ad
isolare quelli più significativi, rientranti
nel fuoco della salvaguardia ambientale
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez.
I,
sentenza
04.05.2009 n.
891 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Abuso Edilizio - Qualificazione
dell'illecito - Al momento della
contestazione.
La pretesa sanzionatoria nasce all'atto
della contestazione dell'abuso e non in
quello della sua materiale realizzazione, ed
è nel momento della contestazione (anche
rinnovata) che l'illecito va qualificato
come tale e con riguardo alle norme vigenti,
così come devono essere riferite al momento
dell'intervento repressivo le valutazioni
che l'amministrazione è tenuta ad effettuare
in funzione della scelta del tipo di
sanzione (massima tratta da www.solom.it -
TAR Lombardia-Brescia, Sez.
I,
sentenza
04.05.2009 n.
891 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Abuso edilizio - Ordinanza di
demolizione - E' doverosa - Volontà di
ricorrere ad un istituto di sanatoria - Non
rileva.
In caso di immobile abusivo perché
realizzato in assenza del titolo
abilitativo, l'intervento repressivo del
Comune è non solo legittimo, ma anche
doveroso, a prescindere dal tempo trascorso
fra la realizzazione dell'abuso e
l'intervento stesso anche quando il
proprietario dell'immobile abusivo dichiari
di voler ricorrere ad un istituto di
sanatoria previsto dalla legge: è evidente
che l'immobile interessato rimane abusivo, e
quindi soggetto alle sanzioni del caso sin
quando la sanatoria non sia stata
effettivamente richiesta e concessa, ove ne
ricorrano i presupposti, dal Comune
competente (massima tratta da www.solom.it -
TAR Lombardia-Brescia, Sez.
I,
sentenza
04.05.2009 n.
887 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
|
|