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AGGIORNAMENTI PREGRESSI mese di GENNAIO 2010

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aggiornamento al 25.01.2010

aggiornamento al 21.01.2010

aggiornamento al 18.01.2010

aggiornamento all'11.01.2010

aggiornamento al 07.01.2010

aggiornamento all'01.01.2010

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

AGGIORNAMENTO AL 25.01.2010

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UTILITA'

SICUREZZA LAVORO: Testo Unico della Sicurezza: Vademecum e check-list per i datori di lavoro.
La Provincia Autonoma di Trento e il Servizio Sanitario del Trentino hanno realizzato un documento dal titolo "Vademecum per datori di lavoro".
La guida fornisce informazioni sulle responsabilità di tutte le figure individuate dal D.Lgs. 81/2008 (lavoratori, dirigenti, preposti, RSPP, medici competenti, RLS, etc.).
In particolare per il datore di lavoro vengono individuati tutti gli obblighi, sia quelli non delegabili (valutazione dei rischi, designazione del RSPP, etc.), sia quelli delegabili definiti dagli art. 16 e 18 ... (link a www.acca.it).

SICUREZZA LAVORO: Quale Formazione per il datore di lavoro che si occupa direttamente di sicurezza? La risposta del Ministero.
Quali sono gli obblighi di formazione per il datore di lavoro che svolga direttamente i compiti di prevenzione e protezione dai rischi nonché di primo soccorso, di prevenzione incendi e di evacuazione?
Il Ministero del Lavoro risponde al quesito attraverso un'apposita sezione sul sito ... (link a www.acca.it).

GURI - GUUE - BURL (e anteprima)

EDILIZIA PRIVATA: B.U.R. Lombardia, 4° suppl. straord. al n. 3 del 21.01.2010 (link a www.infopoint.it):
- "Nuove determinazioni in materia di attività estrattiva di cava, relativamente alle procedure per le verifiche di assoggettabilità a VIA di cave e torbiere, all'autorizzazione all'esercizio di cave per opere pubbliche e al funzionamento del Comitato tecnico consultivo per le attività estrattive" (deliberazione G.R. 30.12.2009 n. 10964);
-  "Criteri di verifica di assoggettabilità a Valutazione di Impatto Ambientale di cave e torbiere" (comunicato regionale 08.01.2010 n. 2).

LAVORI PUBBLICI: B.U.R. Lombardia, 2° suppl. straord. al n. 3 del 19.01.2010 (link a www.infopoint.it):
- "Criteri per l'accesso ai contributi in conto interessi per la realizzazione di impianti sportivi di uso pubblico (legge regionale 08.10.2002, n. 26 - art. 4, commi 1, lettera d), 3, 4, e articolo 10, commi 1, lettera a) e 3)" (deliberazione G.R. 02.12.2009 n. 10697);
- "Approvazione iniziativa anno 2009/2010 per l'accesso ai contributi in conto interessi a valere sui mutui dell'Istituto per il Credito Sportivo per la realizzazione di impianti sportivi di uso pubblico" (decreto D.S. 21.12.2009 n. 14302).

AMBIENTE-ECOLOGIA: B.U.R. Lombardia, 1° suppl. straord. al n. 3 del 19.01.2010 (link a www.infopoint.it):
- "Approvazione del Piano della Provincia di Bergamo per la Gestione dei rifiuti (art. 20, comma 6, l.r. 26/2003; art. 8, comma 1, l.r. n. 12/2007)" (deliberazione G.R. 11.12.2009 n. 10767);
- "Approvazione del Piano della Provincia di Como per la Gestione dei rifiuti in attuazione della d.g.r. n. 10401 del 28.10.2009" (deliberazione G.R. 11.12.2009 n. 10767).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: B.U.R. Lombardia, 1° suppl. ord. al n. 3 del 21.01.2010, "Modifiche al regolamento regionale 20.07.2007 n. 5 «Norme forestali, in attuazione dell'art. 11 delle legge regionale 28.10.2004, n. 27 (Tutela e valorizzazione delle superfici, del paesaggio e dell'economia forestale)»" (Regolamento Regionale 19.01.2010 n. 1 - link a www.infopoint.it).

PUBBLICO IMPIEGO: G.U. 20.01.2010 n. 15 ""Determinazione delle fasce orarie di reperibilità per i pubblici dipendenti in caso di assenza per malattia" (D.M. 18.12.2009 n. 206).

EDILIZIA PRIVATA: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 3 del 18.01.2010, "Approvazione del secondo aggiornamento dell'elenco degli Enti locali idonei all'esercizio delle funzioni paesaggistiche loro attribuite dall'art. 80 della legge regionale 11.03.2005 n. 12" (decreto D.G. 30.12.2009 n. 14545 - link a www.infopoint.it).

EDILIZIA PRIVATA: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 3 del 18.01.2010, "Criteri per la redazione della Carta Geoenergetica regionale in attuazione dell'art. 10, comma 7, della l.r. n. 24/2006" (deliberazione G.R. 30.12.2009 n. 10965 - link a www.infopoint.it).

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI: Documento Unico di Valutazione dei Rischi da Interferenze (DUVRI): Linee Guida per la redazione dalla Regione Lombardia.
Con il decreto D.G. 29.12.2009 n. 14521 la Direzione Generale Sanità della Regione Lombardia ha approvato "Linee di indirizzo per la redazione del documento unico di valutazione dei rischi da interferenza".
Il documento descrive le azioni che devono intraprendere, in occasione della stipula di contratti (d'appalto di lavori, servizi, fornitura, e di somministrazione di lavoro) le funzioni aziendali responsabili della redazione del Documento Unico di Valutazione dei Rischi Interferenti (DUVRI).
Un ampia parte del documento è dedicata agli obblighi relativi alla gestione degli appalti, mentre un capitolo è dedicato gli aspetti riguardanti la stipula di appalti per la realizzazione di opere edili che comportino la nomina del coordinatore per la sicurezza e la redazione del Piano di Sicurezza e Coordinamento (P.S.C.) ... (link a www.acca.it).

EDILIZIA PRIVATA: Autorizzazione paesaggistica: regolamento per gli interventi di lieve entità.
Intesa sullo schema di regolamento proposto dal Ministro per i beni e le attività culturali recante procedimento semplificato di autorizzazione paesaggistica per gli interventi di lieve entità, ai sensi dell'art. 146, comma 9, del decreto legislativo 22.01.2004, n. 42 e successive modificazioni (sito 4.1412009132 CU). Intesa ai sensi dell’art. 146, comma 9, del decreto legislativo 22.01.2004, n. 42 e successive modificazioni (Conferenza unificata Stato-Regioni, 26.11.2009 - link a www.statoregioni.it).

QUESITI & PARERI

PUBBLICO IMPIEGO: Responsabile servizio comunale. Recupero ore prestate prima dell’incarico di servizio.
Il Comune di (omissis) chiede se un dipendente, nominato Responsabile del servizio a partire dall'01/11/2009, abbia diritto a recuperare le ore prestate in più prima di tale data.
Il dipendente ed il suo rappresentante sindacale sostengono che da Responsabile del servizio non può più recuperare le ore prestate in più e l'unica soluzione è costituita dal pagamento del lavoro straordinario. Secondo il Comune, invece, avendo l'interessato prestato le ore in più prima della nomina a Responsabile di servizio, lo stesso conserva il diritto anche dopo la nomina a Responsabile di servizio.
Il Comune ha altresì precisato che tale prestazioni non erano state formalmente autorizzate e che non si può provvedere al pagamento in quanto non c'è in bilancio la necessaria previsione di spesa e nell'ambito del fondo delle risorse decentrate relativo all'anno 2009 il fondo per il lavoro straordinario per tutti i dipendenti non può superare la somma di € 652,83, somma, questa, insufficiente per il pagamento delle ore prestate dal dipendente prima citato (Regione Piemonte, parere n. 146/2009 - link a www.regione.piemonte.it).

EDILIZIA PRIVATA: Calcolo sanzione pecuniaria (art. 167, comma V, D.Lgs. 42/2004). Profitto conseguito mediante trasgressione.
Si chiede un parere in merito alle modalità di calcolo della sanzione pecuniaria prevista dall’art. 167, comma 5, del D.lgs. 42/2004, con particolare riferimento al concetto di profitto conseguito mediante la trasgressione (Regione Piemonte, parere n. 128/2009 - link a www.regione.piemonte.it).

VARI: Applicazione imposta di bollo ai certificati di residenza e stato di famiglia.
Il Comune (omissis) pone un quesito in tema di applicazione dell’Imposta di bollo ai Certificati di residenza e di stato di famiglia “ad uso successione”, rilasciati dagli Uffici comunali su specifica richiesta dei contribuenti (Regione Piemonte, parere n. 119/2009 - link a www.regione.piemonte.it).

INCARICHI PROGETTUALI - PUBBLICO IMPIEGO: Incarico tecnico comunale di progettazione.
Il sindaco del Comune di (omissis) chiede se sia legittimo conferire al tecnico comunale dell’ente l’incarico per predisporre progetto di solo intonaco esterno su un edificio (granaio) sottoposto a vincolo da parte della Soprintendenza.
La soluzione alternativa è rappresentata dalla necessità di affidare incarico professionale ad ingegnere o architetto esterni, con un evidente aggravio di spesa sul bilancio comunale (Regione Piemonte, parere n. 118/2009 - link a www.regione.piemonte.it).

NEWS

EDILIZIA PRIVATA: In vigore dal 1° gennaio obbligo di installazione di impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili per i nuovi edifici.
È scattato il 1° gennaio 2010 l'obbligo di aggiornare i regolamenti edilizi comunali con la previsione, per gli edifici di nuova costruzione e per i fabbricati industriali, dell'installazione di impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili ... (link a www.acca.it).

DOTTRINA E CONTRIBUTI

EDILIZIA PRIVATA: W. Fumagalli, Lombardia, Legge Regionale n. 13/2009 (terza parte) (AL n. 12/2009).

ATTI AMMINISTRATIVI: A. Lisi e G. Penzo Doria, L'albo online dal 2010 è davvero possibile? (link a www.altalex.com).

PUBBLICO IMPIEGO: L. Modaffari, Il mobbing in concreto: come viene valutato nei Tribunale italiani (link a www.altalex.com).

AMBIENTE-ECOLOGIA: L’informazione ambientale. Un diritto di chiunque (link a www.ambientelegale.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Rifiuti, L’intermediario senza detenzione: posizione di garanzia?  (link a www.ambientelegale.it).

APPALTI SERVIZI: C. Volpe, LA CORTE DI GIUSTIZIA CONTINUA LA RIFINITURA DELL’IN HOUSE PROVIDING. MA IL DIRITTO INTERNO VA IN CONTROTENDENZA - (commento a CORTE DI GIUSTIZIA CE, Sez. III, sentenza 10.09.2009 n. C-573/07) (link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: E. Fedullo, L’autorizzazione paesaggistica e le trasformazioni del paesaggio tra regime transitorio e regime ordinario (link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI - URBANISTICA: R. Greco, VIA, VAS E AIA: QUESTE SCONOSCIUTE (link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: G. Sabbato, LA PEREQUAZIONE URBANISTICA (link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: G. Palliggiano, L’attività edilizia: dal permesso di costruire alla denuncia di inizio di attività. Profili sostanziali e processuali (link a www.giustizia-amministrativa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: L. Fanizzi e S. Misceo, Ambiente urbano sostenibile. Le coperture biofiltranti nella regimazione e depurazione delle acque meteoriche (link a www.lexambiente.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: G. Amendola, LA CASALINGA CHE PORTA AL CASSONETTO IN AUTO LA BUSTA DEI RIFIUTI DOMESTICI DEVE ESSERE ISCRITTA ALL’ALBO? (link a www.lexambiente.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: A. Pierobon, LE NOVITÀ AMBIENTALI DI FINE ANNO, PER UN BUON 2010! (link a www.lexambiente.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: F. Anile, Quale regime giuridico per le acque di falda emunte? (esame della giurisprudenza formatasi sull’art. 243 D. Lgs. n. 152/2006) (link a www.lexambiente.it).

INCARICHI PROFESSIONALI: P. Ati, Incarichi esterni: lavoro autonomo o appalto pubblico di servizio? Nota alla sentenza 23.12.2009 n. 2608 di TAR Lombardia-Brescia (link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

GIURISPRUDENZA

APPALTISulla legittimità dell'esclusione di un concorrente che abbia rilasciato dichiarazioni mendaci in ordine alla regolarità della propria posizione contributiva.
E' legittimo il provvedimento di esclusione da una gara adottato da una stazione appaltante nei confronti di un concorrente che abbia presentato un'autocertificazione contenente false dichiarazioni in ordine al regolare versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali, e ciò anche nel caso in cui l'escluso abbia provveduto a regolarizzare la propria posizione in una fase successiva alla verifica della suddetta inadempienza, ciò in quanto, alla luce di un consolidato principio giurisprudenziale, la possibilità, concessa ai concorrenti, di presentare un'autocertificazione inerente al possesso dei requisiti di ammissione alla gara, costituisce un atto di fiducia da parte della stazione appaltante e che, come tale, richiede serietà ed onestà da parte del concorrente che redige la dichiarazione sostitutiva. Pertanto, nell'ipotesi di dichiarazioni non veritiere, venendo meno il rapporto di fiducia il provvedimento di esclusione quale sanzione nei confronti di chi ha violato il dovere di correttezza richiesto in fase precontrattuale diventa una conseguenza necessaria.
Del pari legittimi sono l'escussione della cauzione provvisoria e la segnalazione del fatto all'Autorità di Vigilanza, come è anche legittima la disposta cancellazione della società ricorrente dall'Albo dei professionisti del comune in cui ha la sede, essendo l'iscrizione condizionata al puntuale adempimento degli obblighi relativi al pagamento dei contributi previdenziali ed assistenziali (TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 14.01.2010 n. 49 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Rifiuti. Ordine di smaltimento impartito dal giudice.
L’ordine di smaltimento di rifiuti emesso dal giudice all'esito di declaratoria di improcedibilità per prescrizione del reato, tra l’altro in modo generico senza alcun puntuale riferimento alla situazione degli atti, in particolare alla individuazione della natura dei rifiuti ed alla circostanza che fossero o meno ancora in sequestro, è illegittimo perché costituisce statuizione non prevista dalla norma specifica di cui all’art. 52, comma 3, Dlvo 22/1997 (ora art. 258 D.L.vo 152/2006) (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 11.01.2010 n. 771 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: Rifiuti. Abbandono ed utilizzabilità videoregistrazioni.
Le videoregistrazioni effettuate dal titolare di un'area ove venivano abbandonati rifiuti, inerenti ad area non recintata, aperta al passaggio pubblico, non lesive della libertà morale delle persone coinvolte nelle stesse non appartengono al “genus” delle intercettazioni ma a quello delle prove documentali,non disciplinate in modo tipico della legge, ma rientranti nelle prove ex art. 234 cpp, per le quali non necessita alcuna preventiva autorizzazione dell’A.G. ex artt. 266 e segg. Cpp (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 11.01.2010 n. 770 - link a www.lexambiente.it).

APPALTI: E' principio inderogabile in qualunque tipo di gara quello secondo cui devono svolgersi in seduta pubblica gli adempimenti concernenti la verifica dell'integrità dei plichi contenenti l'offerta.
E' pacificamente riconosciuto in giurisprudenza che la riconducibilità del servizio appaltato all'All. II B del D. L.vo n. 163/2006, non esonera le amministrazioni aggiudicatici dall'applicazione dei principi generali in materia di affidamenti pubblici desumibili dalla normativa comunitaria e nazionale, con particolare riferimento, per quanto qui rileva, al principio di pubblicità, espressione dei principi di imparzialità e buon andamento dell'azione amministrativa di cui all'art. 97 Cost..
Ne deriva che è principio inderogabile in qualunque tipo di gara quello secondo cui devono svolgersi in seduta pubblica gli adempimenti concernenti la verifica dell'integrità dei plichi contenenti l'offerta, sia che si tratti di documentazione amministrativa che di documentazione riguardante l'offerta tecnica ovvero l'offerta economica, e conseguentemente è illegittima l'apertura in segreto dei plichi (TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 11.01.2010 n. 11 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Rifiuti. Legislazione speciale e trasporto.
Ai fini della sussistenza dell’elemento obiettivo del reato di cui all’art. 6, lett. d), DL. 172/2008 -quanto all’attività di trasporto illecito di rifiuti- non è richiesta la qualità di imprenditore in capo all’autore del trasporto abusivo.
La citata previsione legislativa statuisce, letteralmente, che è punito chiunque effettua un’attività di trasporto di rifiuti in mancanza dell’autorizzazione, iscrizione o comunicazione prescritte dalla normativa vigente, senza richiedere l’ulteriore requisito dell’organizzazione imprenditoriale.
Né il requisito dell’attività di imprenditore trova una sua necessità ontologica nella ratio o finalità teleologica della fattispecie de qua, la quale, invece, tende a reprimere l’attività di chiunque trasporti abusivamente rifiuti speciali e non, con grave pregiudizio dell’integrità ambientale del territorio (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 07.01.2010 n. 79 - link a www.lexambiente.it).

URBANISTICA: Piani di lottizzazione.
I piani di lottizzazione riguardanti aree non sottoposte a vincoli non devono essere approvati dal competente organo regionale (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 07.01.2010 n. 71 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATAIl porticato non può essere ricondotto alla nozione di pertinenza in quanto esso modifica la sagoma dell’edificio e costituisce un volume autonomo, oltre ad essere collegato stabilmente al suolo.
Deve escludersi la riconducibilità del porticato al concetto di pertinenza, posto che, secondo l’orientamento giurisprudenziale prevalente (ex multis TAR Campania, Napoli, Sez. II, 26.09.2008 n. 11309, Sez. VIII, 24.04.2009 n. 2163, 28.05.2009, n. 2999, TAR Abruzzo, L’Aquila 13.11.2008 n. 1206) il porticato non può essere ricondotto alla nozione di pertinenza in quanto esso modifica la sagoma dell’edificio e costituisce un volume autonomo, oltre ad essere collegato stabilmente al suolo; inoltre, nel caso in parola, suffragano questa tesi sia le modalità di costruzione (pilastri in cemento armato e con copertura metallica) sia le notevoli dimensioni del manufatto (ml. 5,10 per 2,75 di altezza media di ml. 2,45 circa). La stessa permanenza dell’opera nel tempo, secondo l’assunto della parte ricorrente, fa discendere la stabile modificazione urbanistico-edilzia intervenuta, determinante ai fini del riconoscimento o meno della natura pertinenziale.
L’opera pertanto non poteva essere soggetta a denunzia di inizio attività, ma doveva essere previamente richiesta la licenza edilizia (ora permesso di costruire) (TAR Emilia Romagna-Parma, sentenza 07.01.2010 n. 5 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZILombardia, Per l'affidamento della gestione degli impianti sportivi, in ogni caso va posta in essere dall’ente locale una procedura di evidenza pubblica, anche se semplificata, pure per gli impianti privi di rilevanza economica.
La necessità della procedura di evidenza pubblica per l'affidamento della gestione degli impianti sportivi comunali discende, nel caso di specie, dall'art. 2 L.R. Lombardia 24.12.2006 n. 27, il quale consente agli enti territoriali di differenziare la procedura di selezione in relazione alla rilevanza economica o meno dell'impianto, ma nel contempo stabilisce che vanno comunque rispettati i principi di trasparenza, correttezza, imparzialità ed adeguata pubblicizzazione e che la proposta deve essere individuata secondo i criteri ivi indicati. Per cui in ogni caso va posta in essere dall'ente locale una procedura di evidenza pubblica anche se semplificata pure per gli impianti privi di rilevanza economica.
La normativa vigente non preclude alle stazioni appaltanti la possibilità di chiedere requisiti ulteriori, logicamente connessi all'oggetto dell'appalto. Per cui nel bando di gara l'amministrazione appaltante può di certo autolimitare il proprio potere discrezionale di apprezzamento mediante apposite clausole, rientrando nella sua discrezionalità la fissazione di requisiti di partecipazione ad una gara d'appalto diversi, ulteriori e più restrittivi di quelli legali, salvo però il limite della logicità e ragionevolezza dei requisiti richiesti e della loro pertinenza e congruità a fronte dello scopo perseguito. Nel caso di specie, però la richiesta di un'attività decennale per partecipare alla gara appare sproporzionata per una corretta gestione degli impianti anche in considerazione del fatto che in sede locale esistevano solo due associazioni sportive dilettantistiche di cui una sola costituita da più di dieci anni per cui le relative previsioni del bando debbono ritenersi in contrasto con il principio di parità di trattamento
(Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 29.12.2009 n. 8914 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Sulla finalità della cauzione provvisoria in caso di raggruppamento costituendo.
E' illegittima l'ammissione di un r.t.i., ad una gara per l'affidamento di un servizio dal momento che in alcuna parte della polizza fideiussoria è indicato che i rischi garantiti riguardano il raggruppamento, né è menzionata la mandante, anzi la polizza stessa risulta rilasciata per la partecipazione alla gara della S.p.A. quale impresa singola.
La cauzione provvisoria, infatti, è destinata a garantire, in caso di raggruppamento costituendo, non solo l'adempimento degli obblighi derivanti dalla partecipazione alla gara da parte dell'impresa predetta, bensì l'adempimento degli stessi obblighi da parte di tutte le altre imprese, primo fra tutti quello di costituirsi in raggruppamento (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 29.12.2009 n. 8907 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

INCARICHI PROFESSIONALI: E' legittima l'esclusione di un concorrente privo del titolo abilitante all'esercizio della professione richiesto dal bando quale unico requisito di ammissione.
Rientra nell'ampia discrezionalità di un qualsiasi ente pubblico, di decidere se ricorrere a figure professionali esterne, anziché procedere all'affidamento del servizio mediante una gara d'appalto.

E' legittima l'esclusione di un concorrente privo del titolo abilitante all'esercizio della professione di dietista richiesto dal bando quale unico requisito di ammissione, in quanto non vi è equipollenza fra la figura professionale del tecnologo alimentare e quella del dietista. Le prestazioni richieste dal bando, nel caso di specie, come risulta dall'oggetto dell'incarico da affidare sono indiscutibilmente ed esclusivamente quelle proprie del dietista, non quelle del tecnologo alimentare. Il nucleo qualificante dell'attività di dietista consiste nel curare l'interazione tra dieta ed essere umano, partendo dall'esame della situazione concreta dell'interessato; diversamente, le competenze professionali relative all'attività di tecnologo alimentare consistono nel dirigere e controllare la c.d. "filiera alimentare", vale a dire tutto ciò che occorre per sviluppare, produrre ed offrire sul mercato alimenti di alta qualità, prescindendo, quindi, dalla considerazione del rapporto tra cibo e singolo fruitore.
Rientra nell'ampia discrezionalità di un qualsiasi ente pubblico, e a maggior ragione di un ente a fini generali come il comune, di determinare se ricorrere a figure professionali esterne, e in caso affermativo a quali e in che termini. Nel caso di specie, dunque, è corretta la scelta del comune di affidarsi a dietisti per la formulazione dei menu e di indire a tale scopo una procedura di selezione, per il conferimento di alcuni incarichi di prestazione di lavoro autonomo per prestazioni di dietista, verifica e controllo dei servizi di ristorazione scolastica, anziché procedere all'affidamento del servizio mediante una gara d'appalto (TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 23.12.2009 n. 2608 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Rifiuti. Ordinanza di rimozione (strada in concessione ANAS).
In caso di rifiuti abbandonati sulle immediate pertinenze di strada in concessione all’ANAS la legittimità del provvedimento con il quale si impone la rimozione dei rifiuti medesimi deve essere valutata con riferimento al parametro costituito dall’art. 14 del d.lgs. 30.04.1992, n. 285 e non dall’art. 192 del d.lgs. 03.04.2006, n. 152  (TAR Puglia-Lecce, Sez. I, sentenza 03.12.2009 n. 2975 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: Sulla definizione normativa vigente di “ristrutturazione edilizia”.
Gli "interventi di ristrutturazione edilizia" sono quelli che –ai sensi dell’art. 10 e dell’art. 3, comma 1, lett. d), del d.P.R. n. 380/2001– "portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e che comportino aumento di unità immobiliari, modifiche del volume, della sagoma, dei prospetti o delle superfici, ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, comportino mutamenti della destinazione d'uso", e richiedono il permesso di costruire.
Non sono interventi di ristrutturazione edilizia quelli che consistono, invece, nella realizzazione di un organismo edilizio identico al precedente, senza aumento di unità immobiliari, modifiche del volume, della sagoma, dei prospetti o delle superfici, né, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, mutamenti della destinazione d'uso, che viceversa detto permesso di costruire non richiedono, restando perciò soggetti alla disciplina abilitativa semplificata di cui all’art. 22 del cit. T.U.
(C.G.A.R.S., sentenza 25.05.2009 n. 481 - link a www.altalex.com).

AGGIORNAMENTO AL 21.01.2010

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NEWS

INCENTIVO PROGETTAZIONE: L'incentivo al 2% resta agli enti. Brunetta risponde a un'interrogazione.
L'incentivo del 2% relativo alla progettazione interna per i tecnici della pubblica amministrazione, anche dopo le modifiche apportate dal decreto legge n.185/2009, resta tutto nelle casse comunali, anche se ripartito tra 0,5 e 1,5 per cento. Infatti, se lo 0,5% continua ad essere corrisposto al responsabile del procedimento e agli incaricati della redazione del progetto, il restante 1,5%, diversamente per quanto accade alle pubbliche amministrazioni, non va riversato al bilancio statale, ma rimane nelle casse delle amministrazioni comunali che, nella loro più completa autonomia, decidono come meglio impiegarlo.
È questa la sintesi della risposta fornita dal ministro della funzione pubblica, Renato Brunetta, all'interrogazione n. 4-04806 presentata dal deputato Vinicio Peluffo (Pd) che lamentava nel taglio dell'incentivo (dal 2% come prevedeva il codice dei contratti pubblici allo 0,5% come dispone il dl n. 112/2008) un aggravio dei bilanci degli enti locali, i quali, non disponendo nel loro organico di figure professionali specifiche, avrebbero dovuto incaricare professionisti esterni con il conseguente aumento dei costi relativi a consulenze tecniche professionali. Senza dimenticare che un taglio di questa portata, avrebbe anche prodotto una diminuzione della produttività ed efficienza degli uffici tecnici comunali ... (articolo ItaliaOggi del 20.01.2010 - tratto da
http://rassegnastampa.formez.it).

INCENTIVO PROGETTAZIONE: Progettazione,  la Consulta salva il taglio dell'incentivo ai tecnici Pa. Per la Corte Costituzionale è intatta l'autonomia regionale: la materia è di competenza statale.
Il taglio dell'incentivo del 2% riservato ai dipendenti pubblici è legittimo ed è applicabile anche ai tecnici degli enti locali.
L'autorevole promozione della mossa attuata dal Governo con la manovra anti-crisi (DL 112/2008, articolo 61) è arrivata dalla Corte Costituzionale con la sentenza 30.12.2009 n. 341 con la quale sono state affrontate una valanga di questioni di legittimità costituzionale poste da numerose Regioni proprio sul DL anti-crisi ... (articolo 24OREEdilizia del 20.01.2010 - tratto da
http://rassegnastampa.formez.it).

INCENTIVO PROGETTAZIONE: Bonus 2%, sì al taglio ma la Campania rialza. E la Campania è già tornata al 2% grazie al regolamento.
Torna in Campania l'incentivo del 2% ai dipendenti pubblici ai quali viene affidata la progettazione delle opere pubbliche o la pianificazione urbanistica, al posto dei professionisti esterni ... (articolo 24OREEdilizia del 20.01.2010 - tratto da
http://rassegnastampa.formez.it).

PUBBLICO IMPIEGO: P.A. senza segreti. La trasparenza nel c.v. dei dirigenti. Via libera i primi sette articoli del collegato lavoro.
La trasparenza delle p.a. influirà sulla carriera dei dirigenti. Le comunicazioni dovute dalle pubbliche amministrazioni, da divulgare obbligatoriamente sui propri siti internet, relative alle informazioni su funzionari (curriculum vitae, retribuzioni, recapiti istituzionali) e tassi di assenza e di presenza del personale, saranno infatti rilevanti (laddove mancanti o non aggiornate) ai fini della misurazione e valutazione delle performance individuali dei dirigenti.
La novità è prevista da un emendamento del relatore al ddl lavoro 1441-quater, Giuliano Cazzola, che ha ricevuto l'ok in commissione lavoro alla Camera.
Ieri sono cominciate le votazioni sul provvedimento con approvazione dei primi sette articoli. I lavori riprenderanno stamattina per terminare entro fine settimana, nel rispetto del calendario che prevede l'approdo del provvedimento in aula alla camera lunedì prossimo, 25 gennaio, per poi tornare in senato per il via libera definitivo ... (articolo ItaliaOggi del 20.01.2010 - tratto da http://rassegnastampa.formez.it).
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N.B.: il suddetto ddl 1441-quater è lo stesso che dovrebbe reintrodurre al 2% l'incentivo alla progettazione interna.

URBANISTICA: Lombardia, Via libera al Piano Territoriale Regionale che sovraintende alla programmazione e pianificazione.
Via libera del Consiglio regionale al Piano Territoriale Regionale, documento previsto dalla riforma urbanistica che sovraintende tutti gli atti di programmazione e pianificazione relativi al territorio lombardo (news del 19.01.2010 - link a www.consiglio.regione.lombardia.it).

URBANISTICA: Lombardia, Il Consiglio approva il Piano Territoriale Regionale.
Il Consiglio Regionale ha approvato nella seduta di oggi il Piano Territoriale Regionale, documento fondamentale di programmazione delle politiche per la salvaguardia e lo sviluppo del territorio.
"Dopo più di trent'anni -ha commentato l'assessore regionale al Territorio e Urbanistica, Davide Boni- la Lombardia può contare su un Piano Territoriale Regionale che consente di guardare con maggiore responsabilità alla programmazione territoriale. Una guida importante per lo sviluppo della nostra regione e per l'attività urbanistica di tutti i soggetti istituzionali lombardi".
"Quello avvenuto in Consiglio regionale -ha aggiunto Boni- è a tutti gli effetti un passaggio storico, atteso e fortemente voluto, per il quale ringrazio sentitamente il presidente, i colleghi consiglieri e la stessa Direzione regionale al Territorio e Urbanistica" (news 19.01.2010 - link a www.territorio.regione.lombardia.it).

APPALTI SERVIZI: Il Comune che affida il servizio di distribuzione del gas naturale mediante gara non è obbligato a indire la stessa prima di un certo termine anteriore alla scadenza della concessione in essere.
Il Comune coinvolto nella pronuncia in commento gestisce il servizio di distribuzione del gas naturale nel proprio territorio in regime di concessione affidata, dopo varie vicende societarie relative alla parte concessionaria, a una società per azioni, successore dell’originaria contraente e odierna ricorrente; concessione destinata a scadere al 16.12.2009.
Ritenendo con ciò di avvalersi della nuova disciplina di apertura alla concorrenza del relativo settore, il medesimo Comune, con delibera di Consiglio decideva tuttavia di porre termine il 31.12.2005 al rapporto di concessione; incorreva peraltro, su ricorso della concessionaria, nell’annullamento giurisdizionale di tale delibera.
Successivamente, pertanto, il Comune accettava di tener per ferma la data di scadenza del 16.12.2009, e di conseguenza adottava una delibera di Consiglio nella quale confermava appunto il termine predetto, ordinava alla concessionaria di redigere lo stato di consistenza degli impianti e individuava quale futura modalità di affidamento del servizio la licitazione privata ad evidenza comunitaria.
Per meglio comprendere i fatti di causa, i giudici del Tribunale amministrativo di Brescia ricordano che il d.lgs. 23.05.2000 n.164, cd. decreto Letta, in esecuzione di direttive della Unione europea, ha inteso sancire una graduale apertura alla concorrenza del settore della distribuzione del gas naturale, fino a quel momento caratterizzato dalla presenza di varie situazioni di monopolio a livello locale, e -nella sua versione originaria che qui rileva- aveva inteso far ciò, in sintesi estrema, nel modo che segue: in primo luogo aveva stabilito, nel proprio articolo 15, comma 5, che tutti gli affidamenti e le concessioni in essere non attribuiti mediante gara potessero proseguire al massimo sino alla scadenza di un periodo, detto “periodo transitorio” fissato dalla legge, ovvero inizialmente dallo stesso decreto Letta, e poi da varie norme modificative succedutesi nel tempo; aveva stabilito poi che, successivamente a detta scadenza, l’ente locale interessato dovesse affidare il servizio mediante pubblica gara. Nella sede presente, non rilevano questioni relative alla determinazione dell’esatta scadenza del detto periodo transitorio; rilevano invece questioni concernenti il concreto svolgimento della gara che al fine indicato è stata indetta dal Comune intimato.
Risulta, pertanto, infondato il motivo di ricorso con cui si deduce la violazione dell’art. 14 d.lgs. 164/2000, in quanto tale norma non consentirebbe al Comune di avviare la gara per il nuovo affidamento del servizio con un anticipo ultratriennale rispetto alla scadenza della concessione in corso; ciò dal momento che, sottolineano i giudici lombardi, né l’art. 14 del decreto Letta, né alcuna altra norma relativa alla materia impongono al Comune che affida il servizio mediante gara di non procedere a indirla prima di un certo termine anteriore alla scadenza della concessione in essere.
Va anzi osservato che un congruo anticipo nell’indire la gara si risolve in più tempo a disposizione per gestire il procedimento e il contenzioso derivante, quindi aumenta la possibilità che alla scadenza in questione sia già individuato con certezza il soggetto pronto ad assumere la gestione e si evitino fenomeni di prorogatio: tale risultato si deve ritenere non già vietato, ma anzi imposto dal principio di buon andamento dell’amministrazione, considerando che si tratta in primo luogo di garantire un servizio pubblico essenziale, e in secondo luogo di aprire alla concorrenza un settore che ne era sino a quel momento estraneo, risultato che assicura una migliore efficienza del mercato e quindi, secondo logica, va in quanto possibile favorito (commento tratto da www.doumentazione.ancitel.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 15.01.2010 n. 49 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Il provvedimento abilitativo tacito costituito per effetto del silenzio-assenso si può formare soltanto se la domanda presentata dal privato ha i presupposti per essere accolta.
In questa vicenda il ricorrente impugna il provvedimento con cui il responsabile del settore tecnico del Comune coinvolto gli negava il condono per opere abusive realizzate in totale difformità dalla concessione edilizia rilasciatagli per la realizzazione di un fabbricato con destinazione produttiva ed industriale (il condono era stato negato per il mancato rispetto dei limiti temporali massimi dello stesso).
Il ricorso è fondato sulla tesi della avvenuta integrazione del silenzio-assenso per effetto del decorso del termine massimo di legge. Il ricorrente, infatti, sostiene che, una volta decorso il termine annuale, si sarebbe formato il titolo abilitativo implicito, e che pertanto illegittimo sarebbe il successivo (tardivo) diniego di condono.
In realtà, il Tribunale amministrativo di Brescia ricorda che il provvedimento abilitativo tacito costituito per effetto del silenzio-assenso si possa formare soltanto se la domanda presentata dal privato ha i presupposti per essere accolta, perché il difetto di taluno dei presupposti sostanziali per poter accedere al condono impedisce che possa avviarsi quel procedimento disciplinato dall’art. 35 l. n. 47/1985 in cui il decorso del tempo è co-elemento costitutivo della fattispecie autorizzativa.
Perché possa scattare il meccanismo previsto dalla norma occorre, pertanto, che il procedimento sia stato avviato da una istanza conforme al modello legale previsto dalla norma che regola il procedimento di condono (cfr. ex plurimis Tar Salerno 3990/2009: La mancata definizione del condono da parte del Comune entro il termine perentorio legalmente fissato e decorrente dalla presentazione della domanda di sanatoria, non determina ope legis la regolarizzazione dell'abuso, in applicazione dell'istituto del silenzio assenso, tutte le volte manchino, come nel caso di superamento della soglia volumetrica massima assentibile in sanatoria, i presupposti di fatto e di diritto previsti dalla norma, ovvero ancora quando l'oblazione autoliquidata dalla parte interessata non corrisponda a quanto effettivamente dovuto, oppure quando la documentazione allegata all'istanza non risulti completa, ovvero quando la domanda si presenti dolosamente infedele; Tar Venezia 1626/2009: In tema di condono edilizio, il silenzio assenso previsto dall’art. 35 l. n. 47/1985 non si forma per il solo fatto dell’inutile decorso del termine indicato da tale norma e del pagamento dell’oblazione, senza alcuna risposta del Comune, ma occorre altresì la prova della ricorrenza dei requisiti soggettivi ed oggettivi stabiliti dagli art. 31 e ss. della stessa legge, cui è subordinata l’ammissibilità del condono: tra questi, ex art. 40, comma 1, l. n. 47/1985, che la domanda, per la rilevanza delle omissioni o delle inesattezze riscontrate, non sia dolosamente infedele; Tar Lazio 3862/2009: Il principio del silenzio-assenso in materia di condono edilizio stabilisce che perché esso si formi è necessario che sussistano comunque i presupposti di accoglibilità della domanda e cioè che il manufatto abusivo sia stato realizzato al momento della domanda stessa, che la medesima non sia dolosamente infedele e che non sussistano sull'area su cui è sorto il manufatto abusivo vincoli di inedificabilità, sicché l'omessa presentazione della documentazione prescritta per la domanda di condono edilizio non fa decorrere, oltre che il termine di ventiquattro mesi per la formazione del silenzio assenso, quello collegato di trentasei mesi per la prescrizione del diritto al conguaglio degli oneri) (commento tratto da www.doumentazione.ancitel.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 15.01.2010 n. 28 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AGGIORNAMENTO AL 18.01.2010

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QUESITI & PARERI

URBANISTICA: Acquisto aree e deroga alla convenzione per opere di urbanizzazione.
E’ chiesto parere in merito alla possibilità, per il Comune, di acquisire le aree necessarie per le opere di urbanizzazione primaria e secondaria, nell’ambito di un piano di lottizzazione, oltre il termine indicato nella convenzione (Regione Piemonte, parere n. 117/2009 - link a www.regione.piemonte.it).

EDILIZIA PRIVATA: Mutamento destinazione d’uso da agricolo a residenziale.
E’ chiesto parere in merito al mutamento di destinazione d’uso, da agricolo a residenziale, senza opere edilizie, di unità immobiliare dotata di volumetria inferiore a mc. 700 da parte dell’erede dell’imprenditore agricolo proprietario del suddetto fabbricato (Regione Piemonte, parere n. 115/2009 - link a www.regione.piemonte.it).

EDILIZIA PRIVATA: Autorizzazione paesaggistica. Comma 8-bis, art. 16 L.R. Piemonte 20/1989.
Si chiede un parere circa l’individuazione dell’Ente competente in materia di accertamento di compatibilità paesaggistica ex art. 167 D.Lgs. 42/2004 qualora il Comune territorialmente competente sia sprovvisto di Commissione Locale per il Paesaggio; in questa ipotesi –secondo il Comune che ha formulato il quesito- sarebbe anomalo attribuire alla Regione il rilascio delle autorizzazioni paesaggistiche “ordinarie” e prevedere invece la competenza del Comune per le autorizzazioni paesaggistiche “in sanatoria” a seguito dell’inserimento del comma 8-bis dell’art. 16 L.R. 20/1989 (Regione Piemonte, parere n. 112/2009 - link a www.regione.piemonte.it).

EDILIZIA PRIVATARichiesta parere in merito applicazione artt. 167 - 181 del D.Lgs. n. 42/2004 (Regione Lombardia, Direzione Generale Territorio e Urbanistica, nota 18.12.2008 n. 24534 di prot.).
Un parere in merito alla questione se un abuso edilizio commesso su area non paesaggisticamente vincolata debba, invero, essere assoggettato alla procedura di compatibilità ex artt. 167 e 181 poiché nel frattempo e successivamente è stata vincolata l'area de qua.

GURI - GUUE - BURL (e anteprima)

AMBIENTE-ECOLOGIA: G.U. 13.01.2010 n. 9, suppl. ord. n. 10, "Istituzione del sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti, ai sensi dell’articolo 189 del decreto legislativo n. 152 del 2006 e dell’articolo 14-bis del decreto-legge n. 78 del 2009 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 102 del 2009" (Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, decreto 17.12.2009 - link a www.lexambiente.it).
Si veda anche il seguente file.

EDILIZIA PRIVATA: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 2 dell'11.01.2010, "Direzione Centrale Affari Istituzionali e Legislativo - Nomine e designazioni di competenza della Giunta regionale: Commissioni Regionali per il Paesaggio (rif. art. 78 l.r. 11.03.2005, n. 12 «Legge per il Governo del Territorio»" (comunicato regionale 04.01.2010 n. 1 - link a www.infopoint.it).

UTILITA'

SICUREZZA LAVORO: Conoscere la sicurezza giocando: arriva il videogioco dell’ISPESL.
L’ISPESL ha reso disponibile gratuitamente in download il videogioco “Le avventure di Riskio e Sicury’. Casa: missione sicurezza”.
Si tratta di un utile ed innovativo mezzo di divulgazione delle metodiche di prevenzione dei rischi di incidenti negli ambienti di vita.
Il videogioco educativo, destinato principalmente alle scuole, è un utile mezzo innovativo di divulgazione delle metodiche di prevenzione dei rischi di incidenti negli ambienti di vita, in linea con l’obiettivo promosso dall’ISPESL di diffondere la cultura della sicurezza ... (link a www.acca.it).

SICUREZZA LAVORO: “Salute e Sicurezza nei luoghi di lavoro”, raccolta di interventi curata da ADAPT.
ADAPT è un’associazione senza fini di lucro, fondata da Marco Biagi nel 2000 per promuovere, in una ottica internazionale e comparata, studi e ricerche nell’ambito delle relazioni industriali e di lavoro.
ADAPT ha diffuso il Bollettino Speciale n. 1/2010 il cui titolo è: “Salute e Sicurezza nei luoghi di lavoro”.
Il bollettino 1/2010, con i seguenti contributi, è disponibile per il download ... (link a www.acca.it).

DOTTRINA E CONTRIBUTI

ATTI AMMINISTRATIVI: R. Garofoli, Semplificazione e liberalizzazione dell’attività amministrativa nel contesto del riformismo amministrativo italiano degli ultimi decenni (link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI: P. M. Zerman, LA RESPONSABILITA’ DEL COMMITTENTE PER GLI INFORTUNI DEL DIPENDENTE DELL’APPALTATORE (link a www.giustizia-amministrativa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: A. Pierobon, LO SMALTIMENTO DI DIVERSE TIPOLOGIE DI RIFIUTI IN DISCARICA. L’ESEMPIO DEI FANGHI E LA TIPOLOGIA DI DISCARICA IDONEA AL LORO SMALTIMENTO: D.LGS. 36/2003 (link a www.lexambiente.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: S. Busoni, Diffusione di polveri e condotta di versamento di cose ex art. 674 cod. pen. (nota a Cass. pen. n. 16286/2009) (link a www.lexambiente.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: E. Paolo Di Zio, I confini del servizio pubblico di gestione integrata dei rifiuti solidi urbani (link a www.lexambiente.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: R. Bertuzzi, Illecito abbandono di asfalto - CASO: GLI AGENTI DI POLIZIA LOCALE VENGONO AVVISATI CHE UNA DITTA, NELL’EFFETTUARE LAVORI DI RIPRISTINO DEL MANTO STRADALE, HA SCARICATO ABUSIVAMENTE NEL SOTTOSTANTE VIADOTTO PEZZI DI ASFALTO, CALCESTRUZZO E MATERIALE FERROSO (link a www.lexambiente.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: R. Bertuzzi, Nuovi obblighi in merito alla scheda di trasporto. In vigore dal 19.07.2009 (link a www.lexambiente.it).

PUBBLICO IMPIEGO: A. Barbiero, I principi per la reimpostazione dei sistemi di valutazione delle risorse umane nel d.lgs. n. 150/2009 (link a www.albertobarbiero.net).

APPALTI FORNITURE E SERVIZI: A. Barbiero, I requisiti di partecipazione ed i criteri di valutazione nelle gare per appalti di beni e servizi (differenze tra requisiti e criteri, definizione nel rispetto dei principi dell’ordinamento comunitario) (link a www.albertobarbiero.net).

APPALTI SERVIZI: A. Barbiero, Le Società partecipate di “terzo livello”: note sui rapporti e sui vincoli per la scelta del socio privato in caso di partenariato pubblico-privato di tipo istituzionale (link a www.albertobarbiero.net).

APPALTI: L. Bellagamba, Cottimo “fiduciario” e offerta economicamente più vantaggiosa (link a www.linobellagamba.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: R. Bertuzzi, Acque reflue domestiche in reti fognarie (link a www.tuttoambiente.it).

DIPARTIMENTO FUNZIONE PUBBLICA

PUBBLICO IMPIEGO: On-line i curricula dei titolari di posizioni organizzative.
Anche i dirigenti delle amministrazioni regionali e locali dovranno compilare il proprio curriculum vitae che sarà pubblicato, assieme ai dati retributivi, nel sito internet dell'amministrazione di appartenenza. Infatti, la riforma del pubblico impiego attuata di recente dal ministro Brunetta, impone alle regioni e agli enti locali la massima trasparenza nella gestione della performance, così appare evidente che la pubblicazione dei dati curriculari e retributivi si applichi anche al personale di detti enti.
Inoltre, a tale obbligo si intendono sottoposti anche i titolari di posizione organizzative, i segretari comunali e provinciali e tutti coloro che rivestono incarichi di indirizzo politico-amministrativo. Novità in arrivo per l'anagrafe delle prestazioni. L'obbligo di comunicazione telematica riguarderà anche le dichiarazioni negative, vale a dire la certificazione di non aver conferito incarichi a soggetto esterno o che nessun incarico è stato attribuito al dipendente della struttura pubblica che trasmette detta informazione on-line.

È quanto è possibile ricavare dalla lettura della circolare 14.01.2010 n. 1, con la quale il ministro della funzione pubblica, Renato Brunetta, ha fornito chiarimenti in merito alla pubblicazione e alla comunicazione dei dati curriculari e retributivi della dirigenza e sulle assenze del personale, nonché in materia di anagrafe delle prestazioni.
L'apparato burocratico va migliorato, questo l'incipit del documento della funzione pubblica. E quale strumento è migliore della trasparenza e della conoscibilità delle informazioni? Se la legge sulla competitività (legge n. 69/2009) aveva sancito l'obbligo di indicare i dati curriculari e retributivi dei dirigenti, il legislatore lo ha rafforzato con i recenti interventi. Il riferimento, è ovvio, va al decreto legislativo n. 150/2009.
Infatti, se nella prima delle due norme l'obbligo di pubblicazione riguardava solo i dirigenti, adesso lo si estende ai titolari di posizioni organizzative (ovviamente, funzionari che non espressamente detengono la qualifica di dirigente). Ma c'è di più. Le disposizioni contenute nella legge n. 69/2009 non richiamano espressamente i segretari comunali e provinciali. Tuttavia, scrive Brunetta, la ratio di entrambe le norme, da intendersi sistematicamente collegate e la funzione dirigenziale ricoperta da tali funzionari nell'ambito dell'organizzazione degli enti locali, induce il ministro a ritenere che anche queste figure «siano comprese nella previsione concernente l'obbligo di pubblicazione del curriculum vitae e dei dati retributivi».
Allo stesso obbligo, ricorda il titolare del dicastero di palazzo Vidoni, soggiacciono tutti coloro che rivestono incarichi di indirizzo politico-amministrativo. Pertanto, Brunetta raccomanda agli uffici del personale delle pubbliche amministrazioni il puntuale assolvimento di queste incombenze, in quanto la sanzione (che non si applica al comparto presidenza del consiglio dei ministri, cui fa capo la stessa funzione pubblica, per espressa previsione contenuta nel citato dlgs n. 150/2009), «pari al divieto di erogazione della retribuzione di risultato al dirigente», è dietro l'angolo, così come si richiede la massima cura al dirigente stesso, in quanto «unico responsabile della compilazione e dell'aggiornamento del proprio curriculum vitae».
Sul versante della comunicazione degli incarichi conferiti ai dipendenti pubblici e sugli incarichi a soggetti esterni, attraverso il sito dell'anagrafe delle prestazioni, Brunetta annuncia novità. Ad oggi, l'unica modalità di trasmissione dati è quella telematica, ma è risalente al 2001. Ora, la funzione pubblica sta mettendo a punto una nuova applicazione web che renderà più agevole l'adempimento, richiedendo un maggior dettaglio delle informazioni. Tra queste (diversamente da quanto accade oggi), l'obbligo di comunicazione anche in caso negativo, cioè anche nell'ipotesi di mancato conferimento di incarichi a consulenti e a collaboratori esterni (articolo ItaliaOggi del 16.01.2010, pag. 25).

NEWS

APPALTI: Approvato in via preliminare il testo del nuovo Regolamento di esecuzione del Codice dei Contratti (Consiglio dei Ministri del 17.12.2009).
Il Consiglio dei Ministri ha dato il via libera, con l'approvazione preliminare (il 17 dicembre scorso) al nuovo schema di regolamento di attuazione ed esecuzione del Codice dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture (link a www.giurdanella.it).

VARI: Consumatori: Class action operativa dal 1° gennaio 2010.
E' operativo dal 1° gennaio 2010 un nuovo strumento di tutela dei consumatori: la class action, azione legale collettiva per il risarcimento dei danni procurati ad un certo numero di consumatori a causa di un medesimo illecito. I cittadini, quindi, potranno fare causa comune in tribunale per illeciti avvenuti a partire dal 16.08.2009.
Obiettivo è dare maggiore forza al singolo cittadino: un solo giudice, con un solo processo può condannare un'impresa a risarcire coloro ai quali ha provocato un danno. Infatti, la nuova disciplina consente ai consumatori danneggiati a causa di prodotti difettosi o pericolosi, oppure di comportamenti commerciali scorretti o contrari alle norme sulla concorrenza, di unire le proprie forze per ottenere il risarcimento, mentre il ricorso al giudice da parte del singolo individuo potrebbe essere troppo oneroso.
In particolare, l'azione tutela: i diritti contrattuali di una pluralità di consumatori e utenti che versano nei confronti di una stessa impresa in situazione identica; i diritti identici spettanti ai consumatori finali di un determinato prodotto nei confronti del relativo produttore, anche a prescindere da un diretto rapporto contrattuale; i diritti identici al ristoro del pregiudizio derivante agli stessi consumatori e utenti da pratiche commerciali scorrette o da comportamenti anticoncorrenziali (link a www.governo.it).

ENTI LOCALI: Siti web pubblici; una direttiva per ridurli.
Razionalizzare e ridurre in maniera consistente il numero dei siti web pubblici per offrire ai cittadini un'informazione aggiornata, chiara e riconoscibile: è questo l'obiettivo della direttiva n. 8/2009 del Ministro per la Pubblica Amministrazione e l'innovazione.
Lo strumento individuato per raggiungere tale obiettivo è la registrazione del dominio ".gov.it" per tutti quei siti che le Pubbliche Amministrazioni vorranno mantenere attivi. Negli ultimi anni è cresciuta la tendenza delle P.A. di veicolare le informazioni ai cittadini attraverso la creazione di siti web specifici, legati a progetti e iniziative dell'ente stesso. Sono quindi proliferati in rete molti siti web, in cui il cittadino/utente ha difficoltà a districarsi a causa di motivi diversi.
La necessità di rendere omogenei i servizi offerti, comporta che l'iscrizione al dominio è condizionata ad alcuni criteri essenziali finalizzati ad assicurare che le informazioni e i servizi offerti siano chiaramente presentati, raggruppati in modo organico, e facilmente raggiungibili dalla homepage. Tali criteri saranno contenuti nelle "Linee guida per i siti web della PA" e nel "Vademecum".
Entrambi i documenti, saranno redatti, entro 90 giorni dall'emanazione della direttiva, dai Dipartimenti della funzione pubblica e per la digitalizzazione e l'innovazione tecnologica con il supporto del Formez per i contenuti e del CNIPA per le caratteristiche tecnologiche, e illustreranno i criteri e gli strumenti per assicurare la riduzione dei siti pubblici obsoleti ed il miglioramento di quelli attivi.
Per tutti i siti registrati con il dominio .gov.it di propria competenza, le Pubbliche Amministrazioni dovranno inoltre individuare un responsabile del procedimento di pubblicazione di contenuti, i cui dati, completi di indirizzo e-mail, dovranno essere presenti in una pagina dedicata del sito, raggiungibile all'indirizzo "www.nomesito.gov.it/responsabile" e presente nel menu di coda del sito stesso (link a www.governo.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: NUOVO SISTEMA DI CONTROLLO DELLA TRACCIABILITÀ DEI RIFIUTI - SISTRI (D.M. 17.12.2009).
E’ stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il Decreto Ministeriale che istituisce il nuovo sistema informatico di controllo della tracciabilità dei rifiuti (SISTRI).
Le nuove disposizioni sostituiranno in modo graduale l'attuale sistema di gestione dei rifiuti speciali (pericolosi e non) basato sul registro di carico e scarico, sul formulario dei rifiuti e sul MUD, con un procedimento informatico (link a www.ancebrescia.it).

VARI: TASSE AUTOMOBILISTICHE – TARIFFARIO REGIONE LOMBARDIA ANNO 2010.
Si pubblica di seguito il tariffario della Regione Lombardia relativo alla tassa automobilistica regionale per l’anno 2010 (link a www.ancebrescia.it).

ENTI LOCALI: Registrazioni del Consiglio Comunale senza abusi. Spetta al presidente autorizzare l'uso di telecamere diverse da quelle dell'ente. Limitabile il diritto di documentare i consigli.
In assenza di specifiche previsioni regolamentari, vi sono limiti per i cittadini che assistono alla seduta del consiglio comunale a effettuare e diffondere la registrazione audiovisiva della stessa?
Preliminarmente si evidenzia come nell'ambito dell'attribuzione al consiglio comunale dell'autonomia funzionale e organizzativa (art. 38 comma 3 Tuel) si riconduce quella potestà di regolare opportunamente, con apposite norme, ogni aspetto attinente al funzionamento dell'assemblea, tra cui anche quello della registrazione del dibattito e delle votazioni con mezzi audiovisivi, sia da parte degli uffici di supporto all'attività di verbalizzazione del segretario comunale, sia da parte dei consiglieri, degli organi di informazione e dei cittadini che assistono alla sedute pubbliche.
Pertanto si evidenzia l'opportunità che l'ente locale si doti, nell'ambito del regolamento comunale sul funzionamento del consiglio, di siffatta disciplina ad hoc, al fine di assicurare la necessaria organizzazione funzionale delle sedute.
Sotto tale profilo, l'Ufficio del garante per la protezione dei dati personali, ha osservato che «gli artt. 10 e 38 del Tuel garantiscono espressamente la pubblicità degli atti e delle sedute del consiglio comunale, rinviando a uno specifico regolamento l'introduzione di eventuali limiti a detto regime di pubblicità. Tale regolamento può, dunque, costituire la fonte idonea a disciplinare i limiti e le modalità di pubblicità delle sedute consiliari, compresi eventuali divieti di registrazioni da parte di terzi».
Analogamente in passato aveva ritenuto che l'amministrazione comunale potesse adottare norme interne tese a porre limiti alle riprese e alla diffusione televisiva delle riunioni consiliari, prevedendo, in quella sede regolamentare, l'onere di informare preventivamente il pubblico della presenza delle telecamere e della successiva diffusione delle immagini, ovvero il divieto di divulgare informazioni sullo stato di salute. Peraltro, ove la registrazione fosse effettuata per fini esclusivamente personali, i dati non possono essere destinati alla comunicazione sistematica o alla diffusione.
Come già ritenuto in casi analoghi, la pubblicità della seduta non implica la facoltà di registrazione ma la libera presenza di chi abbia interesse ad assistere, non potendo sostenersi un autonomo e indiscriminato diritto a procedere senza limiti alla registrazione, superando gli eventuali divieti posti dall'amministrazione (cfr. Cass. sez. I n. 5128/2001 ove afferma la legittimità di un regolamento consiliare che pone il divieto di introdurre nella sala del consiglio apparecchi di riproduzione audiovisiva, se non previa autorizzazione).
Vale infatti tuttora quell'orientamento della giurisprudenza amministrativa, secondo cui la registrazione della seduta da parte dell'amministrazione non legittima di per sé la richiesta del rilascio di copia; è ritenuto legittimo il diniego del rilascio di copia di una registrazione su nastro di una seduta consiliare, a motivo del fatto che detta registrazione, «non costituendo un documento amministrativo» ma un «mero ausilio riconducibile a semplici appunti», non rientra nell'ambito applicativo della legge n. 241/1990 che invece riguarda il verbale della seduta redatto dal segretario comunale avvalendosi della registrazione (Tar Marche, n. 170/1997; Tar Veneto, Sez. II, n. 60/2002 e, più di recente Tar Lombardia n. 1914/2009).
Diversamente, in assenza di espressa previsione regolamentare, l'ammissione alla registrazione può essere regolata e valutata, caso per caso, dal presidente del consiglio nell'esercizio dei poteri di «direzione dei lavori e delle attività del consiglio», di cui all'art. 39, comma 1, in stretta correlazione alle esigenze di ordinato svolgimento dell'attività consiliare ed in relazione all'oggetto dei lavori previsti all'ordine del giorno .
Conclusivamente, a margine di tale potere e nell'ambito del principio di pubblicità delle sedute (art. 38 comma 7 Tuel) l'amministrazione può legittimamente riservarsi il compito di registrazione con mezzi elettronici e/o audiovisivi, ai fini della sola attività documentale istituzionale dell'ente, anche escludendo che altri soggetti e il pubblico in aula possano procedervi; parimenti, eventuali limitazioni alle registrazioni possono essere subordinate all'autorizzazione del presidente del consiglio, ovvero contemplate dal regolamento anche in ragione della mancata attivazione, da parte dell'amministrazione, di un autonomo sistema di registrazione. Ciò, al fine di escludere che l'unico supporto audiovisivo di documentazione dello svolgimento dei lavori consiliari resti nella esclusiva disponibilità di soggetti estranei all'amministrazione, fuori dalle necessarie garanzie di autenticità.
Con segnato riguardo alla diffusione delle registrazioni, eventuali limitazioni possono riferirsi in particolare ai dati personali trattati dall'ente nello svolgimento della propria attività istituzionale.
In proposito lo stesso Ufficio del garante ha chiarito come tali dati possono essere diffusi «solo se tale operazione è prevista da una norma di legge o di regolamento (artt. 18, comma 2, e 19, comma 3 del Codice in materia di protezione dei dati personali), fermi restando gli obblighi di informativa agli interessati (art. 13)».
Nel richiamare le indicazioni impartite dallo stesso garante con le «Linee guida per finalità di pubblicazione e diffusione di atti e documenti di enti locali» del 19/04/2007, ha sottolineato altresì che l'ente locale «deve tenere conto del quadro di specifiche garanzie ivi individuate in ordine alle corrette modalità con le quali gli enti locali possono dare adeguata pubblicità alla propria attività istituzionale, anche di vigilanza e controllo, specie in rapporto alla protezione dei dati personali contenuti in atti e documenti resi accessibili ai cittadini» (cfr. artt. 3 e 11, co. 1, lett) d), del Codice).
L'ente locale di volta in volta potrà perciò opportunamente valutare le modalità più opportune per assicurare la riservatezza dei soggetti presenti o oggetto del dibattito (articolo ItaliaOggi del 15.01.2010, pag. 39).

GIURISPRUDENZA

APPALTI: Sull'applicabilità dell'istituto dell'avvalimento anche in assenza di una specifica previsione del bando di gara.
Sulla discrezionalità delle stazioni appaltanti di verificare le offerte anomale, pur in assenza di una specifica previsione nel bando.

E' legittima l'applicazione dell'avvalimento previsto dall'art. 49 dlgs 163/2009 (Codice dei contratti) anche nell'ipotesi in cui il ricorso all'istituto de quo non sia espressamente richiamato dal bando di gara, ciò in quanto, anche alla luce di consolidata giurisprudenza in ordine alla relativa disciplina sia comunitaria che nazionale, l'avvalimento, in materia di procedura di gara per l'affidamento di appalti pubblici, ha carattere generale, e come tale trova applicazione senza la necessità di una specifica previsione in tal senso.
E' legittimo l'operato di una stazione appaltante che abbia omesso di verificare l'anomalia dell'offerta presentata da una delle concorrenti in sede di gara, sussistendo in capo ad essa un potere discrezionale in ordine all'attivazione, o meno, del suddetto procedimento di verifica, ciò in quanto, ai sensi dell'art. 86 c.3 dlgs 163/2006, l'amministrazione appaltante può stabilire, anche laddove il bando non lo preveda espressamente, i casi in cui procedere alla verifica delle offerte anomale, in virtù della distinzione tra obbligo di procedere alla verifica nei casi di anomalia individuati dalla legge e la facoltà riservata all'amministrazione di ipotizzare casi di anomalia diversi da quelli prestabiliti (TAR Lazio-Roma, Sez. II-ter, sentenza 12.01.2010 n. 153 - link a www.
dirittodeiservizipubblici.it).

CONSIGLIERI COMUNALI: Un consigliere di minoranza non può avere accesso ad un parere legale richiesto dall'Amministrazione comunale circa l'abbandono o meno di un'azione giudiziaria in itinere.
Il parere di un legale che avrebbe suggerito all'Amministrazione comunale di ritirare la richiesta di decreto ingiuntivo -relativamente ad una azione giudiziaria- rientra tra gli atti di consulenza che gli organi decidenti della Amministrazione acquisiscono al fine di meglio conformare la propria azione a criteri di legittimità e di opportunità e che pertanto non possono formare oggetto di accesso, senza violare il segreto professionale del legale e la stessa privacy dell'organo decidente che deve restare libero nell'acquisizione dei pareri che ritiene necessari alla formazione di una propria sua corretta volontà e nella loro conseguente valutazione (TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 12.01.2010 n. 17 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Beni ambientali. Nomina commissione.
E' illegittimo il provvedimento con il quale il consiglio comunale ha ritenuto di dover procedere alla nomina di una nuova commissione beni ambientali, in ragione dell’essere venuta meno la rappresentatività politica di quella precedente in carica rispetto alla composizione attuale dell’assemblea (TAR Campania-Napoli, Sez. I, sentenza 11.01.2010 n. 43 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: BENI CULTURALI E AMBIENTALI - Interventi di manutenzione straordinaria, consolidamento statico e restauro conservativo - Autorizzazione paesaggistica - Necessità - Esclusione - Art. 149 d.lgs. n. 42/2004.
Ai sensi dell’art. 149 del d.lgs. n. 42/2004, anche gli interventi di manutenzione straordinaria, di consolidamento statico e di restauro conservativo non richiedono il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica (TAR Veneto, Sez. II, sentenza 08.01.2010 n. 35 - link a www.ambientediritto.it).

CONSIGLIERI COMUNALI: La previsione regolamentare secondo cui “il Segretario comunale redige la sintesi degli argomenti svolti da presenti: non è previsto l’inserimento di dichiarazione sotto dettatura” risponde all’esigenza di evitare che l’attività di verbalizzazione del Segretario comunale sia appesantita dalla necessità di trascrivere fedelmente le dichiarazioni dei consiglieri, essendo onere dello stesso assicurare che la sintesi degli argomenti trattati avvenga con modalità tali da trasporre nel verbale gli elementi contenutistici essenziali delle dichiarazioni stesse.
In merito all'annullamento della deliberazione n. 4 del 26.01.2006, recante indirizzi in merito all’attività di verbalizzazione dei lavori del Consiglio comunale, laddove, al punto b), prevede: “il Segretario comunale redige la sintesi degli argomenti svolti da presenti: non è previsto l’inserimento di dichiarazione sotto dettatura mentre qualora gli interessati intendano chiedere l’inserimento dei propri interventi in forma integrale e completa, essi devono essere già dotati del proprio testo scritto, che verrà inserito nel verbale esclusivamente in forma di allegato, di cui devono fornire copia al Segretario Comunale contestualmente o dopo l’avvenuta lettura dello stesso”.
Deve invero ritenersi che la delibera impugnata -se correttamente interpretata- assicuri un idoneo punto di equilibrio tra l’esigenza di garantire ai componenti il Consiglio comunale la possibilità di concorrere efficacemente alla formazione della volontà dell’organo collegiale, fornendo compiutamente il proprio apporto al dibattito assembleare e richiedendo che sia adeguatamente riprodotto nel verbale assembleare, da una parte, e l’esigenza di consentire il compimento dell’attività di verbalizzazione entro tempi ragionevolmente contenuti e nel rispetto del contenuto essenziale delle dichiarazioni rese dai consiglieri, dall’altra.
In particolare, la previsione secondo cui “il Segretario comunale redige la sintesi degli argomenti svolti da presenti: non è previsto l’inserimento di dichiarazione sotto dettatura” risponde all’esigenza di evitare che l’attività di verbalizzazione del Segretario comunale sia appesantita dalla necessità di trascrivere fedelmente le dichiarazioni (talvolta lunghe e complesse) dei consiglieri, essendo onere dello stesso assicurare che la sintesi degli argomenti trattati avvenga con modalità tali da trasporre nel verbale gli elementi contenutistici essenziali delle dichiarazioni stesse.
Né la facoltà del consigliere di ottenere l’integrale e testuale recepimento della propria dichiarazione nel corpo del verbale assembleare, nell’ipotesi in cui non ritenga di affidarne la verbalizzazione all’attività di sintesi del Segretario, risulta oltremodo sacrificata dalla necessità di “essere già dotati del proprio testo scritto, che verrà inserito nel verbale esclusivamente in forma di allegato, di cui devono fornire copia al Segretario Comunale contestualmente o dopo l’avvenuta lettura dello stesso”.
Invero, deve in primo luogo essere esclusa la fondatezza della deduzione attorea secondo cui il testo integrale e scritto della dichiarazione debba essere trasmesso al Segretario prima ed al di fuori dell’assise consiliare: trattasi infatti di esigenza estranea al contenuto precettivo della disposizione in esame, la quale si limita a richiedere che la copia del testo sia fornita al Segretario Comunale “contestualmente o dopo l’avvenuta lettura” del verbale.
Inoltre, le modalità temporali di trasmissione della dichiarazione scritta (contestualmente, cioè, o successivamente alla lettura del verbale) assicurano al consigliere la possibilità di redigere ponderatamente per iscritto la predetta dichiarazione, disponendo del tempo all’uopo necessario: del resto, anche l’ipotetica dettatura della dichiarazione, non potendo che avvenire nel corso dell’attività di verbalizzazione, presuppone necessariamente che la stessa sia elaborata nel corso della riunione consiliare (TAR Emilia Romagna-Parma, sentenza 07.01.2010 n. 1 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Sull'inapplicabilità del divieto di partecipazione alle gare previsto dall'13 d.l. n. 223 del 2006 (c.d. decreto Bersani), nel caso di una società indirettamente partecipata da enti locali.
L'art. 13 d.l. n. 223 del 2006, (c.d. decreto Bersani), norma derogatoria del principio generale di libertà di iniziativa economica, e pertanto di stretta interpretazione, vieta l'attività extra moenia alle società costituite o partecipate dalle amministrazione pubbliche regionali o locali "per la produzione di beni e servizi strumentali all'attività di tali enti in funzione della loro attività, con esclusione dei servizi pubblici locali".
Il divieto previsto dal suddetto art. 13, non è applicabile alle società "di terza generazione", ovvero alle società indirettamente partecipate dagli enti locali. Laddove, infatti, il legislatore ha inteso estenderlo oltre il predetto ambito lo ha fatto espressamente (art. 23-bis del d.l. n. 112 del 2008, convertito dalla l. n. 133 del 2008).
Pertanto, nel caso di specie, non si applica il citato art. 13, in quanto la società indirettamente partecipata da enti locali non è diretta promanazione degli enti locali, e non può essere sussunta tra le società a partecipazione pubblica strumentali degli enti locali e regionali soci, cui è inibita l'attività extra moenia.
La società, infatti, che svolge attività (gestione, riqualificazione e valorizzazione di complessi di stazioni e infrastrutture nodali di trasporto), risulta priva dei vincoli della strumentalità e della funzionalità con le amministrazioni indirettamente partecipanti al capitale sociale, e non può, pertanto, essere considerata società produttrice di beni e servizi strumentali ai sensi dell'art. 13, c. 1, del citato d.l. n. 223 del 2006 (TAR Lazio-Roma, Sez. II, sentenza 05.01.2010 n. 36 - link a www.
dirittodeiservizipubblici.it).

EDILIZIA PRIVATA: Muro di cinta e muro di contenimento - Differenza - Assimilabilità del muro di cinta alle pertinenze - Assimilabilità del muro di contenimento alle costruzioni - Necessità di titolo abilitativo edilizio - Rispetto delle distanze dai confini.
Mentre il muro di cinta può essere ricondotto alla categoria delle pertinenze, non così il muro di contenimento che viene assimilato alla categoria delle costruzioni. Nel caso in cui lo scopo della realizzazione sia la delimitazione della proprietà si ricade infatti nell'ipotesi della pertinenza, per cui non è necessario il rilascio della concessione (TAR Emilia Romagna, Parma, 12.03.2001, n. 106; TAR Liguria, sez. I, 14.11.1996, n. 492; TAR Liguria, 19.10.1994, n. 345).
Diversa è la situazione, allorché il muro è destinato non solo a recingere un fondo, ma contiene o sostiene esso stesso dei volumi ulteriori (TAR Emilia Romagna, Parma, 27.04.2001, n. 246; TAR Lazio, sez. II, 04.11.2000, n. 8923); in tal caso il manufatto ha una funzione autonoma, dal punto di vista edilizio e da quello economico (TAR Piemonte 07.05.2003 n. 657).
Avendo il muro di contenimento la natura di costruzione, deve, tendenzialmente, rispettare le distanze dai confini stabilite dalle n.t.a. del p.r.g. (TAR Liguria, Sez. I, sentenza 31.12.2009 n. 4131 - link a www.ambientediritto.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Rifiuti. Deposito temporaneo.
Il deposito controllato o temporaneo è libero, non disciplinato dalla normativa sui rifiuti, (ad eccezione degli adempimenti in tema di registri di carico e scarico e del divieto di miscelazione) anche se sempre soggetto ai principi di precauzione ed azione preventiva che, in base alle direttive comunitarie, devono presiedere alla gestione dei rifiuti.
In difetto di anche uno dei menzionati requisiti, il deposito non può ritenersi temporaneo, ma deve essere considerato: deposito preliminare, se il collocamento di rifiuti è prodromico ad una operazione di smaltimento che, in assenza di autorizzazione o comunicazione, è sanzionata penalmente dall’art. 256, c. 1, DLvo 152/2006); messa in riserva, se il materiale è in attesa di una operazione di recupero che, essendo una forma di gestione, richiede il titolo autorizzativo la cui carenza integra gli estremi del reato previsto dall’art. 256 c. 1, DLvo 152/2006); deposito incontrollato o abbandono quando i rifiuti non sono destinati ad operazioni di smaltimento o recupero.
Tale condotta è sanzionata come illecito amministrativo se posta in essere da un privato e come reato contravvenzionale se tenuta da un responsabile di enti o titolare di impresa (artt. 255 c. 1, 256 c. 2 DLvo 152/2006).
Quando l’abbandono dei rifiuti è reiterato nel tempo e rilevante in termini spaziali e quantitativi, il fenomeno può essere qualificato come discarica abusiva (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 30.12.2009 n. 49911 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: BENI CULTURALI E AMBIENTALI - Provvedimento di assenso paesaggistico - Art. 3, L. n. 241/1990 - Risultanze istruttorie - Rapporti con la motivazione.
Ai sensi dell’art. 3 della legge 07.08.1990 n. 241, le risultanze dell’istruttoria costituiscono non soltanto la indispensabile piattaforma fattuale e argomentativa da porre a base di un provvedimento amministrativo ma di esse la motivazione deve recare inevitabilmente traccia.
Il provvedimento amministrativo può, pertanto, considerarsi adeguatamente motivato solo quando il destinatario e coloro i quali possono risentire effetti pregiudizievoli dalla sua adozione siano posti in grado di conoscere analiticamente sulla base di quali risultanze istruttorie la P.a. ha compiuto la scelta discrezionale che viene in rilievo di volta in volta (Fattispecie relativa al giudizio di compatibilità paesaggistica formulato in riferimento ad una stazione radio base attraverso l’illegittimo ricorso ad un’insufficiente formula stereotipata) (TAR Puglia-Lecce, Sez. I, sentenza 30.12.2009 n. 3363 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTI: Aggiudicazione provvisoria - lesione ditta aggiudicataria - azione di autotutela - assenza di onere di motivazione - requisito soddisfacente: l'indicazione degli elementi concreti ed obiettivi in base ai quali ha ritenuto di non procedere all'aggiudicazione - salvaguardia pubblico interesse.
L’aggiudicazione provvisoria di un appalto pubblico ha natura di atto endoprocedimentale, ad effetti ancora instabili e del tutto interinali. Essa pertanto, per un verso, è inidonea a produrre la lesione della ditta non risultata aggiudicataria, che può concretamente verificarsi solo con l’aggiudicazione definitiva, che non costituisce atto meramente confermativo della prima (ex multis, C.d.S., sez. V, 20.07.2009, n. 4527; 14.11.2008, n. 5691; sez. VI, 25.09.2007, n. 4937), e d’altra parte è parimenti inidonea a generare nella ditta provvisoriamente aggiudicataria una posizione di vantaggio ovvero un ragionevole (ed incolpevole) affidamento in ordine al provvedimento di aggiudicazione definitiva ed alla conseguente stipulazione del contratto, con la conseguenza che l’amministrazione che intende esercitare il proprio potere di autotutela proprio rispetto all’aggiudicazione provvisoria non ha uno specifico onere di motivazione circa le ragioni di interesse pubblico che lo hanno determinato, essendo sufficiente che sia reso palese il ragionamento seguito per giungere alla determinazione negativa, attraverso l’indicazione degli elementi concreti ed obiettivi in base ai quali ha ritenuto di non procedere all’aggiudicazione (C.d.S., sez. IV, 31.05.2007, n. 2838), potendo anche tener conto delle preminenti ragioni poste dalla esigenza di salvaguardia del pubblico interesse (C.d.S., sez. IV 15.09.2006, n. 5374) (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 29.12.2009 n. 8966 - link a www.mediagraphic.it).

APPALTI: E' corretta la decisione di una stazione appaltante di non inoltrare l'invito per l'affidamento di un appalto al precedente affidatario, in considerazione delle inadempienze commesse dal medesimo nello svolgimento del pregresso servizio.
Un'amministrazione, in caso di indizione di nuova gara, ha facoltà di non invitare il soggetto che in precedenza abbia svolto il servizio, qualora ritenga compromesso il rapporto fiduciario tra le parti. Tale principio, viene ribadito dall'art. 38 del codice dei contratti (D. Lvo 12.04.2006 n. 163 e ss.mm.), stabilisce che sono esclusi dalla gara, tra le altre ipotesi, coloro che "secondo motivata valutazione della stazione appaltante hanno commesso grave negligenza o malafede nell'esecuzione delle prestazioni affidate dalla stazione appaltante che bandisce la gara".
Ne consegue che, nel caso di specie, è corretta la decisione di un Consorzio di non invitare alla gara ufficiosa per l'affidamento del servizio di cassa, un Istituto bancario precedente affidatario, in considerazione delle inadempienze commesse dal medesimo nello svolgimento del pregresso servizio.
Il mancato rispetto degli obblighi contrattuali, poiché le operazioni sarebbero state eseguite senza la osservanza dei termini e delle condizioni pattuite (un solo addetto al servizio, che spesso si assentava; la lentezza nell'emissione di assegni circolari; la frammentarietà ed il notevole ritardo delle comunicazioni di avvenuto incasso; l'invio degli estratti conto con cadenza trimestrale, anziché mensile; i costanti ed immotivati ritardi nelle valute di accredito degli stipendi), infatti, assumono una rilevante incidenza negativa sul rapporto fiduciario tra l'Ente e l'affidatario, giustificando, pertanto, la decisione della stazione appaltante di non inoltrare l'invito al soggetto inadempiente (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 29.12.2009 n. 8913 - link a www.
dirittodeiservizipubblici.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: AREE PROTETTE - S.I.C. - Aggiornamento dei siti e della loro delimitazione - Potere regionale - Coordinamento e informazione - Potere ministeriale - Art. 3, c. 4-bis del d.P.R. n. 357/1997 - Direttiva habitat (92/43/CEE).
L’art. 3, comma 4-bis, del d.P.R. n. 357/1997, della direttiva 92/43/CEE (c.d. direttiva habitat)attribuisce alle Regioni ed alle Province autonome di Trento e Bolzano, il potere di valutazione periodica dell’idoneità dei siti all’attuazione degli obiettivi di tutela ambientale propri della direttiva, in seguito alla quale possono proporre un aggiornamento dei siti e della loro delimitazione al Ministero dell’Ambiente, che ne cura la trasmissione alla Commissione europea.
Di conseguenza, mentre alle Regioni è attribuito un potere di valutazione e di proposta in ordine alla eventuale riparametrazione dei SIC, il Ministero ha un potere di coordinamento e di informazione (TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 29.12.2009 n. 6268 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: VALUTAZIONE IMPATTO AMBIENTALE (V.I.A.) - Commissione speciale VIA - Richiesta di integrazione documentale - Termine di trenta giorni - Natura ordinatoria - Decorso del termine - Azioni sollecitatorie - Produzione tardiva - Art. 20 d.lgs. n. 190/2002.
Il termine di 30 giorni, fissato dall’art. 20, secondo e terzo comma, del D.Lgs. 2002, n. 190, per dare risposta alla richiesta di integrazione documentale presentata dalla commissione speciale VIA ha natura ordinatoria.
E’ vero che la norma recita che decorso il termine suddetto il parere si intende negativo; peraltro, avverso l’interpretazione strettamente letterale, deve essere rilevato che la norma in discussione non prescrive affatto che decorso il suddetto termine l’opera non possa essere realizzata. Deve quindi essere affermato che una volta decorso il suddetto termine chi ha interesse alla realizzazione dell’opera può porre in essere azioni sollecitatorie; inoltre, è consentito alla commissione ammettere una produzione tardiva.
In base alle stesse considerazioni, anche il termine di 90 giorni di cui al quarto comma dello stesso art. 20 deve essere considerato ordinatorio (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 28.12.2009 n. 8786 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: CAVE E MINIERE - Attività di cava - Interventi edilizi - Rientra - Art. 3 c. 1, lett. e.7), d.P.R. n. 380/2001.
L’attività di cava non può ritenersi estranea all’attività edilizia: l’art. 3, co. 1, lett. e.7), d.p.r. 380/2001, infatti, nelle definizioni degli interventi edilizi contempla anche le attività produttive all’aperto ove contemplino l’esecuzione di lavori che comportino la modificazione del suolo inedificato. La stessa definizione è ripresa pedissequamente dall’art. 27, co. 1, lett. e), n. 7), l.r. Lombardia n. 12/2005.
E’ quindi già il legislatore, sia statale che regionale, che nel momento in cui disciplina gli interventi edilizi, individua come tale anche la realizzazione di attività produttive descritte in modo che possano attagliarsi in tutto e per tutto a quelle di cava. La tesi che l’attività di cava non sia un’attività edificatoria in senso proprio trae origine dalla circostanza che essa non è assoggettata al rilascio dei normali titoli edilizi, entrando a far parte del procedimento regionale di autorizzazione all'esercizio di cava, nell'ambito del quale, anche tramite l'intervento in funzione consultiva del comune interessato, deve valutarsi la compatibilità urbanistica dell'intervento. La circostanza che il titolo edilizio sia diverso (autorizzazione regionale, anziché concessione edilizia o permesso di costruire) non esclude comunque la necessità del titolo edilizio stesso (Tar Campania 10696/2007).
D’altronde, la stessa giurisprudenza che riconosce che non sia necessario un titolo edilizio in senso proprio per l’esercizio di attività di cava aggiunge che l’attività difforme rispetto al titolo rilasciato integra la contravvenzione prevista attualmente dall’art. 44 d.p.r. 380/2001, che è norma di sanzione dell’attività edilizia (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 28.12.2009 n. 2619 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATANel sistema successivo all’entrata in vigore del d.lgs. 42 del 2004, a fronte del procedimento finalizzato all’annullamento del nulla osta paesaggistico da parte del competente Organo statale non è più richiesta la previa comunicazione ex art. 7, l. 241 del 1990.
Prendendo le mosse dalla questione relativa alla necessità o meno di dare la comunicazione di avvio del procedimento conseguente al rilascio del Nulla Osta paesaggistico (il quale può concludersi con il suo annullamento), il Collegio deve riconoscere che, nel sistema successivo all’entrata in vigore del d.lgs. 42 del 2004, cit., a fronte del procedimento finalizzato all’annullamento del nulla osta paesaggistico da parte del competente Organo statale non sia più richiesta la previa comunicazione ex art. 7, l. 241 del 1990.
Tanto, in base all’attuale formulazione del comma 2 dell’art. 159, d.lgs. 42, cit. (come rinveniente, da ultimo, dall'art. 4-quinquies del d.l. 03.06.2008, n. 97, aggiunto dalla relativa legge di conversione) il quale -innovando in parte qua rispetto al previgente disposto di cui all’art. 151 del d.lgs. 490 del 1999- stabilisce in modo espresso che la comunicazione relativa all’avvenuto rilascio del nulla osta da parte dell’Ente a ciò competente “costituisce avviso di inizio di procedimento, ai sensi e per gli effetti della legge 07.08.1990, n. 241”.
In verità, il superamento dell’obbligo di comunicazione di avvio del procedimento in caso di annullamento del nulla osta paesistico risale ad un periodo ancora anteriore rispetto all’entrata in vigore del testo unico del 2004.
Ed infatti, l’art. 2 del D.M. 19.06.2002, n. 165, modificando la previsione di cui all’art. 4 del D.M. 13.06.1994 ("Regolamento concernente disposizioni di attuazione degli articoli 2 e 4 della legge 07.08.1990, n. 241, riguardanti i termini e i responsabili dei procedimenti") aveva espressamente stabilito che la comunicazione in questione non sia dovuta (inter alia) a fronte del complessivo procedimento –ad istanza di parte– volto al rilascio del nulla osta paesaggistico.
Tanto premesso in relazione al sistema disciplinare successivo al biennio 2002-2004, il Collegio deve tuttavia osservare che le vicende di causa non possano essere definite sulla base di tale sistema, bensì (ratione temporis) alla luce del previgente sistema disciplinare rappresentato per un verso dalla previsione di cui all’art. 151 del d.lgs. 490 del 1999 e, per altro verso, dall’originaria previsione di cui all’art. 4 del citato D.M. 495 del 1994.
Al riguardo, il Collegio ritiene che nel caso di specie non emerga alcuna ragione onde discostarsi dall’orientamento giurisprudenziale (affermatosi nella vigenza del richiamato quadro disciplinare) secondo cui quanto meno in applicazione del D.M. 495, cit., l’Amministrazione statale fosse obbligata a comunicare al privato l'avvio del procedimento di annullamento allo scopo di consentire all'interessato di avvalersi degli strumenti di partecipazione e di accesso, previsti dalla legge n. 241/1990 (in tal senso: Cons. Stato, Sez. VI, sent. 14.01.2003, n. 119; id., Sez. VI, sent. 01.12.1999, n. 2069).
Nella vigenza del richiamato quadro disciplinare, altresì, questo Giudice di appello aveva rilevato che, in mancanza di un atto di comunicazione dell'avvio della nuova fase (quella volta al controllo statale sull’operato dell’Amministrazione preposta alla tutela del vincolo), il destinatario del provvedimento di autorizzazione non sarebbe neanche posto in condizione di conoscere il preciso momento di perfezionamento o di integrazione dell'efficacia dell'atto autorizzatorio, decorrendo il termine di 60 giorni per l’esercizio del potere di annullamento unicamente dal momento in cui perviene all'amministrazione statale la documentazione completa (in tal senso: Cons. Stato, Sez. VI, sent. 17.02.2000, n. 909).
Sotto il profilo sistematico, del resto, nel corso del periodo in questione la giurisprudenza aveva ritenuto comunque sussistente l’obbligo di comunicazione dell’avvio del procedimento di annullamento di autorizzazione paesaggistica, atteso che il potere di annullamento, attribuito al Ministero per i Beni Culturali ed Ambientali dall’art. 82, comma ultimo, d.P.R. 24.07.1977 n. 616 (in seguito: art. 151 del d.lgs 490 del 1999) veniva esercitato in una successiva fase endoprocedimentale, avente natura di secondo grado e rientrante nella competenza di un organo diverso rispetto a quello preposto al rilascio dell'autorizzazione (in tal senso: Cons. Stato, Sez. VI, sent. 29.05.2002, n. 2983).
Nel corso del medesimo periodo si era altresì osservato che neppure la conoscenza aliunde acquisita dal soggetto istante circa l’esistenza di un procedimento ministeriale di controllo in ordine all’autorizzazione paesaggistica apparisse sufficiente a soddisfare le esigenze garantite dall’art. 7, l. 241 del 1990, essendo, comunque, ignoti al destinatario l’Amministrazione in concreto procedente (Ministero o Soprintendenza all'uopo delegata), l'oggetto e il responsabile del procedimento, l'ufficio cui rivolgersi per prendere visione degli atti, nonché il momento di decorrenza del termine di sessanta giorni, utili per l'annullamento, correlato alla ricezione della documentazione completa da parte dell'Autorità statale (in tal senso: Cons. Stato, VI, 16.06.2006, n. 3552).
Conseguentemente, la pronuncia in epigrafe deve trovare puntuale conferma per la parte in cui ha ritenuto l’illegittimità del decreto del Soprintendente di annullamento del nulla osta paesaggistico, in quanto adottato in carenza di una preventiva comunicazione di avvio del procedimento (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 24.12.2009 n. 8728 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Traslazione di cubatura.
La possibilità di derogare al principio generale secondo cui la traslazione di cubatura può avvenire solo tra terreni che appartengano a zone omogenee deve ravvisarsi, secondo l’accezione del concetto di “zonizzazione” adottata dalla più recente giurisprudenza (il riferimento è al concetto di “zonizzazione funzionale” che ha superato la rigida distinzione tra le zone così come fissate dall’art. 2 del D.M. n. 1444 del 1968) esclusivamente nel caso che sia accertata la compatibilità con gli strumenti urbanistici, ai quali spetta individuare sia zone “miste” o “speciali’ sia la possibilità di destinare ai c.d. “usi compatibili” una parte dei terreni inclusi in un’area omogenea (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 23.12.2009 n. 49453 - link a www.lexambiente.it).

URBANISTICA: Programma integrato di intervento - Finalità - Riqualificazione urbanistica - Concorso di risorse finanziarie pubbliche e private - Indici territoriali e disciplina degli standard.
Il Programma Integrato di Intervento presenta “la specifica finalità di riqualificare il tessuto urbanistico, edilizio ed ambientale del territorio e caratterizzato sia dalla presenza di una pluralità di funzioni, sia dall'integrazione di diverse tipologie di intervento, ivi comprese le opere di urbanizzazione, in una dimensione capace di incidere sulla riorganizzazione urbana e con il possibile concorso di risorse finanziarie pubbliche e private” (cfr. TAR Lombardia, Milano n. 5171/2009).
La scelta degli indici territoriali e la disciplina degli standard risponde, in tale ottica, alla necessità di trovare finanziamenti per riqualificare i quartieri e per realizzare le opere pubbliche, senza aggravare il costruttore al punto tale di farlo desistere dall’operazione.
Standard - Categoria aperta - Valutazioni di dettaglio - Amministrazioni locali - Riferimento alle realtà locali.
Il concetto di standard costituisce “una categoria aperta, per cui spetta alle amministrazioni il compito di svolgere valutazioni di dettaglio riferite alle singole realtà locali” (TAR Lombardia - sez. Brescia 15.12.2006 n. 1548) (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 23.12.2009 n. 6188 - link a www.ambientediritto.it).

ESPROPRIAZIONE: T.u. 327/2001 - Specialità della disciplina - Applicabilità della regola di cui all’art. 21-bis L. n. 241/1990 - Esclusione.
Stante la specialità della disciplina del T.U. 327/2001, nei confronti del decreto di esproprio non trova applicazione la regola generale di cui all’ art 21-bis L. 241/1990: è quindi necessario, al fine di non determinare l'inefficacia della dichiarazione di pubblica utilità, che il decreto d’esproprio sia emanato o adottato, ma non anche comunicato al destinatario (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 23.12.2009 n. 6188 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATALa regola dell’assoggettamento a concessione di ogni attività comportante la trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio, non comprende le sole attività di edificazione, ma tutti quei manufatti che modificano in modo apprezzabile il precedente assetto territoriale producendo alterazione che abbia rilievo ambientale, estetico o anche solo funzionale, ovvero consistenti in una modificazione dello stato materiale e della configurazione del suolo per adattarlo ad un impiego diverso da quello che gli è proprio in relazione alla sua condizione naturale e alla sua qualificazione giuridica.
Sotto il profilo funzionale, il carattere della provvisorietà di una costruzione edilizia, ai fini dell’esenzione dal titolo autorizzatorio edilizio, dev’essere indotto dall’uso realmente precario e temporaneo per fini specifici e cronologicamente delimitati, non essendo sufficiente che si tratti di un manufatto non infisso al suolo e smontabile, ovvero che il costruttore si dichiari disposto a rimuovere quanto realizzato.

Nemmeno può ritenersi che l’intervento, trattandosi di manufatto precario e facilmente amovibile, si collochi al di sotto della c.d. soglia di rilevanza urbanistica, e quindi sia sottratto alla necessità di un titolo edilizio.
L’articolo 3, n. 5, del d.P.R. 380/2001, e l’articolo 3, lettera e.5), della l.r. 1/2004, sottopongono a provvedimento autorizzatorio comunale anche “i manufatti leggeri, anche prefabbricati (…) utilizzati come abitazioni (…) e che non siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee”.
Del resto, secondo il prevalente orientamento della giurisprudenza (delineatosi già in vigenza dell'articolo 1 della legge 10/1077), la regola dell’assoggettamento a concessione di ogni attività comportante la trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio, non comprende le sole attività di edificazione, ma tutti quei manufatti che modificano in modo apprezzabile il precedente assetto territoriale producendo alterazione che abbia rilievo ambientale, estetico o anche solo funzionale, ovvero consistenti in una modificazione dello stato materiale e della configurazione del suolo per adattarlo ad un impiego diverso da quello che gli è proprio in relazione alla sua condizione naturale e alla sua qualificazione giuridica (cfr. Cons. Stato, V, 06.09.1999, n. 1015; 20.12.1999, n. 2125; VI, 27.01.2003, n. 419).
In particolare, anche la giurisprudenza di questo Tribunale ha affermato che, sotto il profilo funzionale, il carattere della provvisorietà di una costruzione edilizia, ai fini dell’esenzione dal titolo autorizzatorio edilizio, dev’essere indotto dall’uso realmente precario e temporaneo per fini specifici e cronologicamente delimitati, non essendo sufficiente che si tratti di un manufatto non infisso al suolo e smontabile, ovvero che il costruttore si dichiari disposto a rimuovere quanto realizzato (sent. 26.01.2007, n. 43; 21.08.2003, n. 62; 04.07.2003, n. 573; vedi anche, Cons. Stato,V, n. 2125/1999, cit., Cass. pen., III, 18.02.1999, n. 4002; 12.07.1995, n. 10058; TAR Lazio, Latina, 19.11.1987, n. 834) (TAR Umbria, sentenza 22.12.2009 n. 812 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Sull'esclusione da una gara per mancata allegazione della copia del d.i. del sottoscrittore ad una o più dichiarazioni sostitutive qualora esse siano inserite nella stessa busta dove sono state poste altre dichiarazioni corredate della copia del d.i..
Non è necessario che in una gara d'appalto per la quale il bando richieda più dichiarazioni sostitutive distinte, ciascuna di esse sia accompagnata dalla copia fotostatica del documento di identità del sottoscrittore, dovendosi invece ritenere conforme alla lettera dell'art. 38 D.P.R. n. 445/2000 (e rispondente alla finalità dallo stesso perseguita) la circostanza che sia stata inserita nella busta contenente le dichiarazioni, una sola copia fotostatica del documento di identità del dichiarante.
Pertanto, è illegittima l'esclusione di un'impresa che abbia omesso di corredare una o più delle dichiarazioni sostitutive prescritte, qualora queste ultime siano inserite nella stessa busta contenente una o più dichiarazioni sostitutive debitamente corredate della copia del documento di identità del sottoscrittore, non potendo revocarsi in incertezza in tal caso la paternità della sottoscrizione apposta sulla dichiarazione carente della copia del documento di identità del rilasciante (TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 21.12.2009 n. 3717 - link a www.
dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: La richiesta di integrazione documentale può riguardare soltanto documenti già prodotti in gara.
Non può essere formulata dalla Stazione Appaltante la richiesta di regolarizzazione volta ad integrare documenti la cui produzione veniva richiesta in maniera univoca e a pena di esclusione dalla lex specialis.
Invero, potrà riguardare solo quei documenti già presentati in sede di gara, non potendosi mai determinare un’alterazione della par condicio delle imprese (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 18.12.2009 n. 8386 - link a www.mediagraphic.it).

APPALTI SERVIZI: Sulla necessità di procedere mediante gara pubblica nel caso di aumento di capitale per l'ingresso di socio privato operativo in una società per azioni a capitale pubblico affidataria di un servizio e sulla sussistenza della giurisdizione del g.a..
L'art. 1, c. 2, del D.Lgs. n. 163/2006 (Codice dei contratti pubblici), secondo il quale la scelta di socio privato di società miste, a partecipazione pubblica anche minoritaria, che siano affidatarie di servizi pubblici, deve sempre avvenire con procedure di evidenza pubblica, si applica anche nell'ipotesi in cui una società mista, ove pure non originariamente tale, apra il proprio capitale all'apporto di un socio privato industriale attraverso un'operazione straordinaria di vendita di quote o di aumento di capitale, cosicché risulti modificato, per effetto di detta operazione, l'assetto soggettivo della gestione.
Ogniqualvolta -attraverso il ricorso ad operazioni di carattere straordinario destinate a mutare la compagine di una società che abbia ottenuto l'affidamento diretto o tramite gara di un servizio pubblico- si pervenga al risultato di dar vita a una società mista oppure, alternativamente, al risultato di modificare il profilo soggettivo del gestore del servizio pubblico già affidato (mediante l'associazione al capitale e alla gestione di nuove figure imprenditoriali o la sostanziale sostituzione delle imprese originariamente affidatarie), allora si realizza in via derivata anche un diverso affidamento del servizio pubblico.
L'affidamento di un servizio, quand'anche realizzato attraverso la costituzione, originaria o successiva, di una società mista con socio privato operativo, è un'attività sempre connotata da autoritatività a fronte della quale si stagliano interessi legittimi dei soggetti coinvolti e, come tale, esso soggiace anche all'osservanza delle regole pubblicistiche e si deve necessariamente svolgere attraverso procedure di evidenza pubblica, governate dai principi del diritto interno e sovranazionale.
Sulle vicende descritte nei precedenti punti, la giurisdizione spetta al g.a., in quanto giudice naturale di tutte le attività amministrative autoritative -qualunque siano gli strumenti giuridici utilizzati- seppure poste in essere per tramite di soggetti formalmente privati, ma controllati o dominati da pubbliche amministrazioni;
Esorbita invece dalla giurisdizione amministrativa, non configurandosi come un PPPI, ogni altra vicenda in cui una società affidataria di un servizio riceva apporti al proprio capitale da parte di soggetti privati che siano meri finanziatori, ossia non aventi le caratteristiche di soci industriali, o i quali comunque non partecipino direttamente alla gestione o allo svolgimento del servizio affidato (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 18.12.2009 n. 8376 - link a www.
dirittodeiservizipubblici.it).

ATTI AMMINISTRATIVILa differenza fra l'atto di conferma e l'atto meramente confermativo va individuata nel fatto che il primo presuppone un completo riesame della fattispecie, che si conclude con la conferma dell'atto in origine adottato dopo una nuova valutazione da parte dell'Autorità emanante, mentre il secondo si limita a richiamare il precedente provvedimento ed a confermarlo integralmente senza alcun nuovo esame degli elementi di fatto e di diritto già considerati, con la conseguenza, sul piano processuale, che, mentre il primo si sostituisce integralmente al precedente provvedimento ed è autonomamente impugnabile, il ricorso contro il secondo è inammissibile perché è proposto contro un atto privo di reale ed autonoma capacità lesiva.
Oggetto di gravame è il diniego di autorizzazione in variante con cui è stata proposta una modifica delle aree da adibire a parcheggio con conseguente riduzione della relativa superficie, rispetto a quanto assentito con la precedente concessione in sanatoria dell’11.02.1994.
Osserva il Collegio che l’atto impugnato si limita a confermare la precedente concessione in sanatoria, senza nulla aggiungere mentre le prescrizioni in ipotesi effettivamente lesive, ossia quelle: che qualificano l’intervento di ristrutturazione anziché di manutenzione straordinaria; che impongono la realizzazione delle aree a parcheggio quantificate in mq 152,25 e individuate come da tavola progettuale n. 2; che, infine, quantificano il contributo di costruzione dovuto, sono contenute nella concessione in sanatoria pratica n. 273/1992 rilasciata l’11.02.1994 e rimasta inoppugnata.
Peraltro, dall’esame della documentazione in atti, risulta che la concessione in sanatoria, con riferimento alla dislocazione e alla metratura dei parcheggi, è stata rilasciata conformemente agli elaborati progettuali proposti dai ricorrenti essendosi limitato il Comune a prescrivere i tempi di realizzazione del parcheggio e il cambio d’uso da privato a pubblico.
Va evidenziato che gli stessi ricorrenti affermano in ricorso che la concessione dell’11.02.1994 prevede “la seguente illegittima prescrizione” riguardante la formazione del parcheggio pubblico e liquida “il contributo pretesamente dovuto” per oneri di urbanizzazione e costo di costruzione. Proseguono affermando: “reputando inopportuna ed ingiustificata la prescrizione relativa al parcheggio pubblico, i ricorrenti con domanda presentata il 24.04.1994 chiedevano di essere autorizzati a variare il progetto di parcheggio concessionato…” (cfr. pagg. 1 e 2 del ricorso).
In altri termini i ricorrenti, anziché impugnare tempestivamente la concessione in sanatoria ritenuta illegittima, hanno proposto un progetto in variante tendente, in sostanza, ad un riesame della pratica sul quale l’amministrazione si è sinteticamente espressa in termini negativi confermando in toto il primo provvedimento.
Costituisce jus receptum che non sussiste alcun obbligo per l'amministrazione di riesaminare i propri atti divenuti inoppugnabili, tanto che sull'istanza di riesame presentata dal privato non può formarsi il silenzio rifiuto (cfr. TAR Puglia Bari, sez. III, 24.05.2004, n. 3141; Cons. Stato, sez. V, 27.03.2000, n. 1765).
La differenza fra l'atto di conferma e l'atto meramente confermativo va individuata nel fatto che il primo presuppone un completo riesame della fattispecie, che si conclude con la conferma dell'atto in origine adottato dopo una nuova valutazione da parte dell'Autorità emanante, mentre il secondo si limita a richiamare il precedente provvedimento e a confermarlo integralmente senza alcun nuovo esame degli elementi di fatto e di diritto già considerati, con la conseguenza, sul piano processuale, che, mentre il primo si sostituisce integralmente al precedente provvedimento ed è autonomamente impugnabile, il ricorso contro il secondo è inammissibile perché è proposto contro un atto privo di reale ed autonoma capacità lesiva (TAR Campania Napoli, sez. VI, 23.02.2009, n. 1017).
Nel caso di specie, sebbene il provvedimento impugnato sia stato emesso in seguito ad una istanza di variante in corso d’opera (opera, peraltro, mai iniziata) e apparentemente non possa, secondo i canoni elaborati dalla giurisprudenza, considerarsi meramente confermativo, va tuttavia evidenziato che il progetto in variante, sia per il contenuto sia per il riconoscimento fattone dagli stessi ricorrenti con le espressioni innanzi testualmente riportate, si sostanzia in una richiesta di riesame. Difatti le censure contenute nel ricorso in epigrafe tendono, in concreto, a contestare valutazioni non già riferibili all’atto di conferma bensì all’atto confermato, cioè alla sanatoria dell’11.02.2009 (TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 17.12.2009 n. 5569 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAPer qualificare un intervento come ristrutturazione edilizia è sufficiente che risultino modificati la distribuzione della superficie interna e dei volumi dell'edificio ovvero l'ordine in cui risultavano disposte le diverse porzioni dello stesso per il solo fine di rendere più agevole la destinazione d'uso esistente, sussistendo in questi casi un rinnovo degli elementi costitutivi dell'edificio ed un'alterazione dell'originaria fisionomia e consistenza fisica dell'immobile, incompatibili con i concetti di manutenzione straordinaria e di risanamento conservativo, che presuppongono invece la realizzazione di opere che lascino inalterata la struttura dell'edificio e la distribuzione interna della sua superficie.
Quanto alla domanda di restituzione del contributo versato per il rilascio della concessione edilizia n. 273/1992, i ricorrenti sostengono che lo stesso non era dovuto in quanto l’intervento in discorso doveva essere assoggettato a mera autorizzazione, quindi con applicazione della sola sanzione amministrativa.
Sul punto il Comune resistente obietta che in realtà l’intervento configura una vera e propria ristrutturazione, come tale di per sé, eseguibile previa concessione; inoltre fa presente che i ricorrenti partono dall’assunto errato che il cambio di destinazione tra diverse categorie funzionali –produttiva– direzionale/commerciale) fosse già stato autorizzato quando parte dell’officina è stata adibita ad esposizione di autoveicoli.
A prescindere dalla questione relativa al mutamento di destinazione d’uso dell’immobile, dall’esame delle tavole progettuali prodotte in atti si ricava agevolmente che l’intervento assentito prevede modifiche strutturali con demolizioni parziali e ricostruzioni tali da far ritenere corretta la qualificazione dell’intervento come ristrutturazione, anziché manutenzione straordinaria, datane dal Comune.
Ai sensi dell’art. 31, lett. d), della legge 05.08.1978 n. 457, gli interventi di ristrutturazione edilizia sono quelli rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell'edificio, la eliminazione, la modifica e l'inserimento di nuovi elementi ed impianti.
Per qualificare un intervento come ristrutturazione edilizia è sufficiente che risultino modificati la distribuzione della superficie interna e dei volumi dell'edificio ovvero l'ordine in cui risultavano disposte le diverse porzioni dello stesso per il solo fine di rendere più agevole la destinazione d'uso esistente, sussistendo in questi casi un rinnovo degli elementi costitutivi dell'edificio ed un'alterazione dell'originaria fisionomia e consistenza fisica dell'immobile, incompatibili con i concetti di manutenzione straordinaria e di risanamento conservativo, che presuppongono invece la realizzazione di opere che lascino inalterata la struttura dell'edificio e la distribuzione interna della sua superficie (cfr. TAR Molise Campobasso, sez. I, 27.03.2009, n. 99).
Trattandosi, nel caso di specie, di trasformazione nel senso innanzi indicato, l’intervento correttamente è stato qualificato come ristrutturazione ed assoggettato a concessione edilizia con applicazione dei conseguenti oneri, ai sensi dell’art. 13, comma 3, della L. 28.02.1985 n. 47 (cfr. TAR Campania Napoli, sez. VI, 20.05.2009, n. 2756) (TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 17.12.2009 n. 5569 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Ancora sul diritto di accesso ai pareri legali resi alla PA.
Debbono quindi ritenersi accessibili i soli pareri resi, anche da professionisti esterni all’amministrazione, che si inseriscono nell’ambito di un’apposita istruttoria procedimentale, posto che in tale evenienza il parere è oggettivamene correlato ad un procedimento amministrativo, mentre debbono ritenersi coperti da segreto i pareri resi dopo l’avvio di un procedimento contenzioso (giudiziario, arbitrale, od anche meramente amministrativo), oppure dopo l’inizio di tipiche attività precontenziose (Consiglio Stato, Sezione V, 02.04.2001, n. 1893) (TAR Liguria, Sez. II, sentenza 17.12.2009 n. 3782 - link a www.altalex.com).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: Acque. Acque meteoriche di dilavamento.
Nel caso di una cava a cielo aperto, il piazzale dove avviene la frantumazione, lo stoccaggio, il caricamento ed il trasporto del materiale estrattivo costituisce una componente coessenziale dell’impianto utilizzato per l’esercizio dell’attività produttiva; l’attività complessiva in questione trova, infatti, in tali operazioni dei momenti di ineliminabile svolgimento del ciclo produttivo e quindi il piazzale finalizzato a tali essenziali lavorazioni rientra a titolo primario nel concetto di “impianto..in cui si svolge attività…di produzione di beni” utilizzato nella definizione di acque reflue industriali ribadita dall’attuale art. 74, lettera h), del D.lgs. 03.04.2006, n. 152.
Tale connotazione, tuttavia, non risulta sufficiente a trasformare le acque meteoriche di dilavamento in “acque reflue industriali”, giacché il principale ostacolo a tale qualificazione è frapposto dalla stessa definizione di queste ultime, quale ricavabile dall’art. 2 del D.lgs. n. 15299, conforme, d’altra parte, nella sua integralità, al testo attualmente vigente dell’art. 74, comma 1, lett. h), del D.lgs. 03.04.2006, n. 152, quale interpolato dall’art. 2, comma 1, del D.lgs. 16.01.2008, n. 4.
Quest’ultimo ha infatti soppresso l’inciso finale precedentemente inserito nel testo dell’art. 74, comma 1, lett. h) medesimo, secondo il quale si intendevano come acque meteoriche di dilavamento “anche quelle venute in contatto con sostanze o materiali, anche inquinanti, non connessi con le attività esercitate nello stabilimento”.
In sostanza, per il legislatore assume importanza dirimente, ai fini della qualificazione in parola, la circostanza che le acque reflue siano immesse nel ciclo produttivo in conseguenza dell’iniziativa umana ascrivibile all’attività economica esercitata, risultando cioè l’immissione un momento costitutivo del processo produttivo, come conferma altresì la pari eccettuazione dal regime prevista per le “acque reflue domestiche” (oltre che, appunto, per quelle “meteoriche di dilavamento”) (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 04.12.2009 n. 7618 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: Distanze tra edifici.
L'art. 9 del D.M. 02.04.1968 n.1444, nell’imporre la distanza di 10 metri tra costruzioni, rende illegittima ogni eventuale previsione regolamentare in contrasto con l’anzidetto limite minimo, mentre è indubbiamente consentito alle amministrazioni comunali fissare distanze superiori.
Ai fini dell’applicazione della normativa in materia di distanze tra edifici, per nuova costruzione deve intendersi non solo la realizzazione ex novo d’un fabbricato ma anche qualsiasi modificazione nella volumetria d’un fabbricato preesistente, che ne comporti l’aumento della sagoma d’ingombro, in tal guisa direttamente incidendo sulla situazione degli spazi tra gli edifici esistenti, e ciò anche indipendentemente dalla realizzazione o meno d'una maggior volumetria e/o dall'utilizzabilità della stessa a fini abitativi; per il che si è ripetutamente ritenuto che la sopraelevazione, appunto, costituisca, a tutti gli effetti, nuova costruzione (TAR Campania-Napoli, Sez. II, sentenza 02.12.2009 n. 8326 - link a www.lexambiente.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Ambiente in genere. Legittimazione ad agire delle associazioni di protezione ambientale.
La peculiarità della legittimazione delle associazioni di protezione ambientale (ma il discorso vale anche per quelle di protezione faunistica, tanto più quando –come nel caso di specie, secondo ciò che si ricava dagli atti di causa– si tratta di associazione riconosciuta ex art. 13 della l. n. 349/1986) consiste nel fatto che essa è attribuita non ad un soggetto individuale, ma ad un ente esponenziale di interessi diffusi, legittimato ad impugnare qualsiasi provvedimento lesivo di un bene ambientale giuridicamente rilevante.
Una volta che l’associazione è individuata con il decreto del Ministro dell’Ambiente ex art. 13 della l. n. 349 cit. ed è, quindi, titolare in astratto del potere di proporre ricorso dinanzi al giudice amministrativo, le condizioni per agire in giudizio sono uguali a quelle che devono esistere affinché ogni soggetto dell’ordinamento abbia in concreto legittimazione ad agire in giudizio. Ciò sta a dire che il soggetto dovrà essere titolare di una posizione legittimante caratterizzata dalla qualificazione e dalla differenziazione. Quest’ultima può discendere dall’atto amministrativo, non soltanto quando esso incide direttamente nella sfera giuridica del soggetto, ma anche quando vi è un collegamento tra tale sfera ed il bene della vita oggetto della potestà pubblica, in base al quale l’atto, producendo i suoi effetti, è destinato ad interferire sulla posizione sostanziale del ricorrente.
La qualificazione, invece, sta a significare che l’interesse, individuale o collettivo, è considerato dalla norma attributiva del potere, nel senso che detta norma, ovvero l’ordinamento nel suo complesso, devono prendere in considerazione, oltre l’interesse pubblico che la norma stessa è precipuamente preordinata a soddisfare, anche l’interesse individuale, o, come nel caso in discorso, diffuso, facente capo al soggetto che intende agire in giudizio.
Pertanto, la posizione delle suddette associazioni di protezione ambientale (o faunistica) riconosciute, certamente differenziata da quella della generalità dei consociati, è anche qualificata quando l’interesse sostanziale dedotto in giudizio dall’associazione attiene ad un bene ambientale preso in considerazione dall’ordinamento ed invece non è qualificata quando il bene che si mira a tutelare non viene individuato dall’ordinamento come rilevante sotto il profilo ambientale (TAR Toscana, Sez. II, sentenza 02.12.2009 n. 2584 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATALombardia, tralicci per la radiodiffusione sonora o televisiva.
Il procedimento da seguire in materia di realizzazione delle infrastrutture di comunicazione per impianti radioelettrici è unico ed é quello di cui agli articoli 87 e seguenti del Codice delle Comunicazioni elettroniche (D.Lgs. n. 259 del 2003). La previsione contenuta nell'art. 28 del d.lgs. 177/2005, laddove prescrive che “la titolarità di autorizzazione o di altro legittimo titolo per la radiodiffusione sonora o televisiva dà diritto ad ottenere dal comune competente il rilascio di permesso di costruire per gli impianti di diffusione e di collegamento eserciti e per le relative infrastrutture”, contiene una espressa clausola di salvezza in favore del titolare di autorizzazione per la radiodiffusione il diritto, il quale ha la facoltà -ma non l’obbligo- di chiedere il rilascio del permesso a costruire, analogamente a quanto previsto, con maggiore chiarezza, dal t.u. dell’edilizia il cui art. 22 u.c. riconosce la facoltà dell’interessato di chiedere il rilascio del permesso di costruire per la realizzazione di interventi (altrimenti) subordinati alla (presentazione di una) semplice denuncia di inizio attività.
Nella soluzione della questione di diritto in esame, sulla quale non constano precedenti in termini, è necessario richiamare l’indirizzo giurisprudenziale formatosi sul tema più generale della disciplina applicabile ai procedimenti autorizzatori relativi alle infrastrutture di comunicazioni elettroniche per impianti radioelettrici (comprendenti non solo l'installazione delle stazioni radio base di telefonia mobile, ma anche l'espletamento dei servizi di trasmissione radioelettrica e televisiva, a prescindere dalla consistenza dei relativi impianti, come si ricava dagli artt. 1 e 2 del Codice – v. Tar Lazio, Roma, II, n. 6056/2006 cit.).
Secondo tale indirizzo, alla luce degli obiettivi generali della disciplina delle reti e dei servizi di comunicazione elettronica, che risultano fissati dall'art. 41, comma 2, lettera a), n. 3 della legge-delega 01/08/2002, n. 166 e che mirano a promuovere "la semplificazione dei procedimenti amministrativi e la partecipazione ad essi dei soggetti interessati, attraverso l'adozione di procedure tempestive, non discriminatorie e trasparenti" (cfr. art. 4, comma 3, lett. a) del Codice delle comunicazioni elettroniche), deve ritenersi unico il procedimento da seguire in materia di realizzazione delle infrastrutture di comunicazione per impianti radioelettrici (cfr. Cons. Stato, VI, n. 3040/2005, n. 100/2005, n. 4159/2005; Tar Lazio, Roma, II, n. 2902/2005. v. altresì Corte cost. n. 129/2006 nel senso dell’illegittimità della disposizione della l.r. Lombardia 12/2005 nella parte in cui stabiliva la necessità del permesso a costruire per la realizzazione di strutture radio). Con la precisazione che non solo l’interpretazione finalistica ma anche quella più strettamente letterale conducono a considerare omnicomprensivo l'iter procedimentale delineato dalla disciplina speciale, introdotta all'art. 87 del Codice delle comunicazioni elettroniche, nel senso che in quel contesto devono essere compiute le valutazioni relative a tutti gli interessi coinvolti dall'installazione delle infrastrutture di telecomunicazione, com'è dimostrato dalla previsione, racchiusa nel comma 6 di tale disposizione, della convocazione di una conferenza di servizi, nel caso di motivato dissenso di una delle amministrazioni interessate, per l'adozione, a maggioranza ed in via sostitutiva, di atti di competenza di singole Amministrazioni (cfr. Cons. st., VI, n. 4159/2005, cit.).
Orbene, reputa il Collegio che le stesse considerazioni di ordine generale possano valere anche nel caso di specie, al fine di ribadire la necessità di applicare unicamente la disciplina speciale di cui al d.lgs. 259/2003.
Nella vicenda in esame si può sottolineare, in aggiunta a quanto sinora evidenziato, come lo stesso art. 28 del d.lgs. 177/2005, laddove prescrive che “la titolarità di autorizzazione o di altro legittimo titolo per la radiodiffusione sonora o televisiva dà diritto ad ottenere dal comune competente il rilascio di permesso di costruire per gli impianti di diffusione e di collegamento eserciti e per le relative infrastrutture”, contenga una espressa clausola di salvezza relativamente alla “disciplina vigente in materia di realizzazione di infrastrutture di comunicazione elettronica”. Sicché sembra possibile ritenere che, nella materia qui in esame, il legislatore abbia voluto prevedere in favore del titolare di autorizzazione per la radiodiffusione il diritto (rectius la facoltà), ma non l’obbligo, di chiedere il rilascio del permesso a costruire, analogamente a quanto previsto, con maggiore chiarezza, dal t.u. dell’edilizia il cui art. 22 u.c. riconosce, come noto, la facoltà dell’interessato di chiedere il rilascio del permesso di costruire per la realizzazione di interventi (altrimenti) subordinati alla (presentazione di una) semplice denuncia di inizio attività.
Nel caso di specie, poiché l’istante non si era avvalsa di tale facoltà ma aveva attivato la procedura semplificata di cui all’art. 87 d.lgs. 259/2003, e poiché l’amministrazione nell’ambito di tale procedimento non aveva espresso alcun motivato dissenso nel termine di 90 giorni, in applicazione del comma 9, l’istanza doveva ritenersi già accolta, nella forma del silenzio-assenso, alla data di emanazione dell’atto di diffida.
Ne consegue la fondatezza del ricorso e, per l’effetto, l’annullamento del provvedimento impugnato in uno con l’accertamento che, decorso il termine ex art. 87 d.lgs. 259/2003, l’originaria istanza presentata dalla ricorrente deve intendersi accolta e che, pertanto, le opere assentite potranno essere realizzate, fatte salve naturalmente eventuali determinazioni in autotutela dell’amministrazione competente
(TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 26.11.2009 n. 5163 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVIEmerge con chiarezza un “distinguo” fra pareri legali resi in relazione a contenziosi (sottratti al diritto di accesso) e pareri legali che rappresentano, anche, un passaggio procedimentale istruttorio di un procedimento amministrativo in corso.
Non è la sola natura dell’atto a giustificarne la segretezza, ma la funzione che l’atto svolge nell’azione dell’ Amministrazione.

La Regione ha ritenuto di negare l’accesso (al parere legale ed atti connessi) in quanto gli atti richiesti rientrerebbero nei casi di “segreto”, ex art. 24, comma 1°, della L. 241/1990, trattandosi di atti resi in relazione a liti pendenti.
In particolare la conoscenza del parere reso dal prof. Paolo Urbani, consulente esterno della Presidenza della GR, implicherebbe, la conoscenza delle argomentazioni difensive che la Regione prospetterà nei ricorsi pendenti, con violazione del diritto di difesa.
La questione si colloca in un ambito peculiare di “scontro” fra due interessi/diritti tutelati dall’ordinamento:
- da un lato la necessità di trasparenza nell’agire amministrativo;
- dall’altro la tutela e la necessità di riservatezza e segretezza di atti che contengono “impostazioni difensive” connesse a contenziosi presenti o futuri.
L’ordinamento, ben consapevole, dell’esistenza di tale contrapposizione, a livello statale, è intervenuto con la specifica disciplina contenuta nel DPCM 26.01.1996, n. 200 “Regolamento recante norme, per la disciplina di categorie di documenti formati o comunque rientranti nell'ambito delle attribuzioni dell'Avvocatura dello Stato sottratti al diritto di accesso”, che, all’art. 2, espressamente dispone che :
Ai sensi dell'art. 24, comma 1, della legge 07.08.1990, n. 241, in virtù del segreto professionale già previsto dall'ordinamento, al fine di salvaguardare la riservatezza nei rapporti fra difensore e difeso sono sottratti all'accesso i seguenti documenti:
a) pareri resi in relazione a lite in potenza o in atto e la inerente corrispondenza;
b) atti defensionali;
c) corrispondenza inerente agli affari di cui ai punti a ) e b )
”.
Emerge, a livello regolamentare statale, una espressa disposizione che privilegia, la tutela alla segretezza rispetto alla tutela alla trasparenza.
Analogamente la giurisprudenza (cfr. CS IV 08.02.2001 n. 513 –richiamata anche dalla prima nota di diniego impugnata), ha avuto modo di esprimersi in favore del principio di riservatezza, seppure con specifico riferimento ad un caso peculiare (parere reso dal Coordinatore Generale ai sensi dell'art. 11, comma 2, della legge regionale 26.08.1988, n. 32).
Peraltro già in quella sentenza del Consiglio di Stato emerge con chiarezza un “distinguo” fra pareri legali resi in relazione a contenziosi (sottratti al diritto di accesso) e pareri legali che rappresentano, anche, un passaggio procedimentale istruttorio di un procedimento amministrativo in corso. L’organo d’appello, infatti, in quella medesima decisione afferma:
Quanto alla richiesta di accesso al parere richiesto dall'Assessore Giuseppina Cremascoli all'Ufficio legale regionale, risultante dalla nota assessoriale n. 34651 del 22.12.1994, l'Amministrazione regionale deve valutare se tale parere rientri tra quelli resi in relazione a liti in pendenza, ovvero tra gli atti interni, preordinati all'emanazione di un provvedimento amministrativo.”
Se ne deduce che non è la sola natura dell’atto a giustificarne la segretezza, ma la funzione che l’atto svolge nell’azione dell’ Amministrazione.
In particolare se l’organo che adotta un provvedimento pone, per sua scelta discrezionale, a fondamento della determinazione finale il contenuto di un parere reso anche per altri fini, come è avvenuto con la deliberazione n. 35/11 dell’08.08.2006, facendo esplicito riferimento ai principi della motivazione per relationem, il parere diviene suscettibile di accesso da parte di chiunque dimostri la sussistenza di un qualificato interesse a conoscerne il contenuto ed alla sua visione, poiché, per effetto del richiamo, ha assunto una funzione diversa, quella di giustificare l’esercizio del potere e diviene per ciò stesso accessibile.
Il vincolo di segretezza, quindi, per tale parte, non può operare in quanto il principio della riservatezza recede qualora il parere costituisca una fase di un procedimento amministrativo in atto.
Anche in tempi più recenti il Consiglio di Stato ha ribadito che “tale divieto, viceversa, non opera nei confronti di un parere legale che, laddove oggettivamente correlato ad un procedimento, assume valenza endo-procedimentale, decadendo a ruolo di mero elemento istruttorio” (cfr. Consiglio Stato, sez. V, 15.04.2004, n. 2163).
In questo specifico caso, il Collegio osserva, per completezza d’indagine, che proprio per la funzione strumentale assunta dall’atto del privato, il cui contenuto, o parte di esso, è stato fatto proprio dall’amministrazione, il soggetto nominato come autore del parere non assume la veste di controinteressato e non sussistono, quindi, le esigenze di tutela del contraddittorio preventivo, riconosciute come meritevoli di apprezzamento, in generale, dalla giurisprudenza (Consiglio Stato a. plen., 24.06.1999, n. 16, Consiglio Stato , sez. IV, 26.06.2002, n. 3549).
Il ricorso è, quindi, fondato, per la parte in cui la società ha richiesto il parere del prof. Urbani, e nella specie per quanto attiene le correlate motivazioni riportate e richiamate (per relationem) nella delibera della Giunta regionale 35/11 dell’08.08.2006.
L’esercizio del diritto di accesso (e l’estrazione di copia), per questa parte, è, infatti, finalizzato ad ottenere tutti gli elementi necessari per tutelare la propria posizione e per esercitare le azioni di tutela che vanno riconosciute alla parte privata.
Quando il parere di un legale esterno ad un ente, da quest'ultimo richiesto in relazione ad uno specifico procedimento amministrativo, viene utilizzato in tale contesto ed è così richiamato nel provvedimento conclusivo, tale consulenza, pur traendo origine da un rapporto privatistico caratterizzato dalla riservatezza della relazione tra p.a. e professionista, è pur sempre soggetto all'accesso in quanto oggettivamente correlato ad un procedimento amministrativo" (Consiglio Stato, sez. V, 02.04.2001, n. 1893; v. anche TAR Sardegna 24.06.2003 n. 764) (TAR Sardegna, Sez. II, sentenza 26.01.2007 n. 38 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: I pareri legali dell'Amministrazione Comunale sono sottratti all'accesso.
Essendo il segreto professionale specificatamente tutelato dall’ordinamento, sono sottratti all’accesso gli scritti defensionali, in ossequio all’esigenza di salvaguardare la strategia processuale che la parte intende assumere, non essendo la stessa tenuta a rivelare ad alcun soggetto gli argomenti in base ai quali intende confutare le pretese avversarie.
Come puntualmente osservato dal Comune di Reggio Calabria, nella sentenza con cui il Tribunale ha già definito il precedente giudizio in senso sfavorevole all’odierno ricorrente è stato chiaramente affermato che, in linea con un orientamento giurisprudenziale assolutamente consolidato (cfr., tra le altre, Consiglio di Stato, Sezione IV, n. 6200 del 13.10.2003), la previsione contenuta nell’articolo 2 del Decreto Presidenziale del Consiglio 26.01.1996, n. 200 (Regolamento recante norme per la disciplina di categorie di documenti dell’Avvocatura dello Stato sottratti al diritto di accesso) risulta applicabile, in quanto norma di principio, anche al di là dell’ambito della difesa erariale.
La disposizione indicata stabilisce che, ai sensi dell’art. 24, primo comma, della legge n. 241/1990, in virtù del segreto professionale già previsto dall’ordinamento al fine di salvaguardare la riservatezza nei rapporti tra difensore e difeso, siano sottratti all’accesso i seguenti documenti:
a) pareri resi in relazione a lite in potenza o in atto e la inerente corrispondenza;
b) atti defensionali;
c) corrispondenza inerente agli affari di cui ai punti a) e b).
Il Consiglio di Stato, al riguardo, ha chiarito che la norma in questione ha una portata di carattere generale e codifica il principio, valevole per tutti gli avvocati del libero foro o appartenenti ad uffici legali di enti pubblici, secondo cui, essendo il segreto professionale specificatamente tutelato dall’ordinamento, sono sottratti all’accesso gli scritti defensionali, in ossequio all’esigenza di salvaguardare la strategia processuale che la parte intende assumere, non essendo la stessa tenuta a rivelare ad alcun soggetto gli argomenti in base ai quali intende confutare le pretese avversarie.
Nel caso di specie, l’affermazione di parte ricorrente secondo cui la nota in questione presenterebbe natura squisitamente amministrativa non appare condivisibile, atteso che il documento di cui si tratta rientra perfettamente nella tipologia di cui alla sopra menzionata lett. c): “corrispondenza inerente agli affari di cui ai punti a) e b)”.
E’ evidente, peraltro, avuto riguardo alla “ratio” della disciplina, che l’esclusione dall’accesso anche dei documenti di cui alla menzionata lett. c) si spiega in ragione della concreta possibilità che nelle stesse note di trasmissione siano contenute specifiche informazioni o particolari indicazioni volte a indirizzare in una direzione determinata la strategia defensionale dell’Amministrazione, con conseguente inibizione per qualsiasi terzo di invadere la sfera del segreto professionale intercorrente tra i legali ed i propri assistiti.
Come, poi, acutamente rilevato dal Comune resistente, nell’ipotesi in cui la nota di trasmissione di cui si discute fosse effettivamente un semplice documento privo di qualsivoglia autonomo contenuto, il ricorrente non avrebbe alcun interesse a prenderne visione, posto che la sua conoscenza risulterebbe assolutamente superflua al fine di meglio tutelare la propria posizione giuridica nella questione controversa pendente presso il Tribunale di Reggio Calabria (TAR Calabria-Reggio Calabria, Sez. I, sentenza 12.12.2006 n. 1815 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Nell'ambito dei segreti sottratti all'accesso ai documenti rientrano gli atti redatti dai legali e dai professionisti in relazione a specifici rapporti di consulenza con l'amministrazione, trattandosi di un segreto che gode di una tutela qualificata, dimostrata dalla specifica previsione degli articoli 622 del codice penale e 200 del codice di procedura penale.
La predetta regola ha una portata generale, codificando il principio, valevole per tutti gli avvocati, siano essi del libero foro o appartenenti ad uffici legali di enti pubblici, secondo cui, essendo il segreto professionale specificamente tutelato dall'ordinamento, sono sottratti all'accesso gli scritti defensionali, rispondendo il principio in parola ad elementari considerazioni di salvaguardia della strategia processuale della parte, che non è tenuta a rivelare ad alcun soggetto e, tanto meno, al proprio contraddittore, attuale o potenziale, gli argomenti in base ai quali intende confutare le pretese avversarie.
Le consulenze legali restano caratterizzate dalla riservatezza che mira a tutelare non solo l'opera intellettuale del legale ma anche la stessa posizione dell'amministrazione la quale, esercitando il proprio diritto di difesa, protetto costituzionalmente, deve poter fruire di una tutela non inferiore a quella di qualsiasi altro soggetto dell'ordinamento.

L’oggetto della controversia concerne l’esistenza o meno del diritto del ricorrente di accedere al parere legale reso dall’avv. A. Pace in favore del Comune intimato.
Gli artt. 22 e seguenti della L. n. 241/1990, dopo avere riconosciuto un’ampia portata al diritto di accesso, prevedono alcune limitazioni di carattere oggettivo, definendo le ipotesi in cui determinate categorie di atti sono sottratte alla conoscenza degli interessati in ragione del loro particolare collegamento con interessi e valori giuridici ritenuti meritevoli di peculiare tutela da parte dell'ordinamento.
In particolare l'art. 24 della legge n. 241/1990 stabilisce che il diritto di accesso "è escluso per i documenti coperti da segreto di Stato ai sensi dell'articolo 12 della legge 24 ottobre 1977, n. 801, nonché nei casi di segreto o di divieto di divulgazione altrimenti previsti dall'ordinamento".
La norma in esame, pertanto, evidenzia che la legge n. 241/1990, se ridimensiona la portata sistematica del segreto amministrativo, non travolge le fattispecie, tipicamente previste dal legislatore, in cui il divieto di divulgazione dell’atto è finalizzato a tutelare interessi specifici diversi da quello riconducibile alla mera protezione dell'esercizio della funzione amministrativa.
I due criteri direttivi che devono orientare l'interprete per l'individuazione delle discipline sul segreto non pregiudicate dalla nuova normativa in materia di accesso vanno, pertanto, individuati, da un lato, nel fatto che il "segreto" che preclude l’ostensibilità dei documenti non deve costituire la mera riaffermazione del tramontato principio di assoluta riservatezza dell'azione amministrativa e, dall'altro, nella considerazione per cui il segreto fatto salvo dalla legge n. 241/1990 si riferisce esclusivamente ad ipotesi in cui esso intende salvaguardare interessi di natura e consistenza diversa da quelli genericamente amministrativi.
In tale contesto, deve ritenersi, conformemente all’orientamento giurisprudenziale consolidato (per cui C.d.S. sez. IV n. 6200/2003; C.d.S. sez. V n. 1893/2001; C.d.S. sez. V n. 5105/2000; TAR Lazio–Roma sez. III n. 8466/2003; TAR Sardegna n. 893/2003; TAR Campania–Napoli n. 386/2003), che, nell'ambito dei segreti sottratti all'accesso ai documenti, rientrano gli atti redatti dai legali e dai professionisti in relazione a specifici rapporti di consulenza con l'amministrazione, trattandosi di un segreto che gode di una tutela qualificata, dimostrata dalla specifica previsione degli articoli 622 del codice penale e 200 del codice di procedura penale.
In quest’ottica si è precisato (C.d.S. sez. IV n. 6200/2003 cit.) che la previsione contenuta nell'articolo 2 del Decreto del Presidente del Consiglio n. 200 del 26.01.1996 (regolamento recante norme per la disciplina di categorie di documenti dell'Avvocatura dello Stato sottratti al diritto di accesso) mira proprio a definire con chiarezza il rapporto tra accesso e segreto professionale, fissando una regola che appare sostanzialmente ricognitiva dei principi applicabili in questa materia, anche al di fuori dell'ambito della difesa erariale.
La disposizione, rubricata "categorie di documenti inaccessibili nei casi di segreto o di divieto di divulgazione previsti dall'ordinamento", stabilisce che, "ai sensi dell'art. 24, comma 1, della legge 07.08.1990, n. 241, in virtù del segreto professionale già previsto dall'ordinamento, al fine di salvaguardare la riservatezza nei rapporti tra difensore e difeso, sono sottratti all'accesso i seguenti documenti:
a) pareri resi in relazione a lite in potenza o in atto e la inerente corrispondenza;
b) atti defensionali;
c) corrispondenza inerente agli affari di cui ai punti a) e b)
".
La medesima giurisprudenza ha chiarito che la predetta regola ha una portata generale, codificando il principio, valevole per tutti gli avvocati, siano essi del libero foro o appartenenti ad uffici legali di enti pubblici, secondo cui, essendo il segreto professionale specificamente tutelato dall'ordinamento, sono sottratti all'accesso gli scritti defensionali (Cons. Stato, IV, 27.08.1998, n. 1137), rispondendo il principio in parola ad elementari considerazioni di salvaguardia della strategia processuale della parte, che non è tenuta a rivelare ad alcun soggetto e, tanto meno, al proprio contraddittore, attuale o potenziale, gli argomenti in base ai quali intende confutare le pretese avversarie.
Quanto alla consulenza legale esterna deve ritenersi che, nell'ipotesi in cui essa si inserisce nell'ambito di un'apposita istruttoria procedimentale, nel senso che il parere è richiesto al professionista con l'espressa indicazione della sua funzione endoprocedimentale ed è poi richiamato nella motivazione dell'atto finale, la stessa, pur traendo origine da un rapporto privatistico, normalmente caratterizzato dalla riservatezza della relazione tra professionista e cliente, è soggetta all'accesso perché oggettivamente correlata ad un procedimento amministrativo.
Viceversa, allorché la consulenza si manifesta dopo l'avvio di un procedimento contenzioso (giudiziario, arbitrale, od anche meramente amministrativo) oppure dopo l'inizio di tipiche attività precontenziose e l'amministrazione si rivolge ad un professionista di fiducia, al fine di definire la propria strategia difensiva (accoglimento della pretesa, resistenza in giudizio, adozione di eventuali provvedimenti di autotutela, ecc.), il parere del legale non è affatto destinato a sfociare in una determinazione amministrativa finale ma mira a fornire all'ente pubblico tutti gli elementi tecnico-giuridici utili per tutelare i propri interessi.
In quest’ultima ipotesi le consulenze legali restano caratterizzate dalla riservatezza che mira a tutelare non solo l'opera intellettuale del legale ma anche la stessa posizione dell'amministrazione la quale, esercitando il proprio diritto di difesa, protetto costituzionalmente, deve poter fruire di una tutela non inferiore a quella di qualsiasi altro soggetto dell'ordinamento.
Ad analoga conclusione deve pervenirsi in riferimento al caso in cui la richiesta del parere interviene in una fase intermedia, successiva al perfezionamento del procedimento amministrativo, ma anteriore all'instaurazione di un giudizio o all'avvio dell'eventuale fase precontenziosa.
Anche in tali ipotesi, infatti, il ricorso alla consulenza legale persegue lo scopo di consentire all'amministrazione di articolare le proprie strategie difensive in ordine ad un lite che, pur non essendo ancora in atto, può considerarsi quanto meno potenziale.
Con riferimento specifico alla fattispecie di causa il Collegio ritiene pienamente legittimo l’atto impugnato nella parte in cui respinge l’istanza di accesso in quanto il parere legale richiesto dal ricorrente rientrerebbe negli atti coperti da segreto professionale e, comunque, non sarebbe collegato ad alcuna attività provvedimentale dell’ente ma sarebbe rivolto ad orientare il Comune nella propria strategia più conveniente in relazione ad una lite potenziale (TAR Sicilia-Catania, Sez. II, sentenza 18.01.2005 n. 37 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVII pareri dell'Avvocatura Distrettuale dello Stato si considerano soggetti all’accesso ove siano riferiti all’iter procedimentale e vengano pertanto ad innestarsi nel provvedimento finale, mentre risultano coperti dal segreto professionale (artt. 622 c.p. e 200 c.p.p.) quando attengano alle tesi difensive in un procedimento giurisdizionale.
Secondo l’orientamento giurisprudenziale dominante i pareri dell'Avvocatura Distrettuale dello Stato si considerano soggetti all’accesso ove siano riferiti all’iter procedimentale e vengano pertanto ad innestarsi nel provvedimento finale, mentre risultano coperti dal segreto professionale (artt. 622 c.p. e 200 c.p.p.) quando attengano alle tesi difensive in un procedimento giurisdizionale (cfr.: Cons. Stato, Sez. V, 26.09.2000, n. 5105; Cons. Stato, Sez. V, 02.04.2001, n. 1893; TAR Puglia-Bari 16.01.2001, n. 124): considerazione quest’ultima che trova riscontro anche negli artt. 2 e 5 del D.P.C.M. 26.01.1996, n. 200 (Regolamento recante norme per la disciplina di categorie di documenti formati o comunque rientranti nell’ambito delle attribuzioni dell’Avvocatura dello Stato sottratti al diritto di accesso).
Nella specie, la deliberazione della Giunta regionale n. 445 del 2000 riporta cinque pareri con diversa connotazione.
Invero, due pareri (note n. 3459 del 09.10..1999 e n. 4236 del 03.12.1999) sono innegabilmente riferibili alla fase procedimentale amministrativa (accettabilità della nuova offerta della Faber s.r.l. e modalità di presentazione dei progetti esecutivi degli offerenti), come traspare dalla parte motiva dell’atto deliberativo: essi devono quindi ritenersi oggetto del diritto di accesso ai sensi dell’art. 25 della legge n. 241 del 1990.
Per contro, gli altri tre pareri (nota n. 4289 del 07.12.1999, nonché note del 21 gennaio e del 21.02.2000), pur potendo far sorgere qualche dubbio in ordine alle effettive finalità, sembrano tesi a valutare l’aspetto comportamentale dell’Amministrazione regionale: come tali vanno fatti rientrare nell’ambito della funzione di consulenza legale, con rilevanza sulla vertenza civile pendente avanti al Tribunale di Trento, restando perciò stesso coperti dal segreto professionale.
Il ricorso va quindi accolto nei termini esposti, ordinando alla Regione di esibire alla Società ricorrente i documenti sopra specificati (con facoltà di averne copia conforme all’originale) e cioè le note (pareri) dell’Avvocatura Distrettuale dello Stato n. 3459 del 09.10.1999 e n. 4236 del 03.12.1999 (TRGA Trentino Alto Adige-Trento, Sez. I, sentenza 27.01.2003 n. 39 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

CONSIGLIERI COMUNALI: - Il diritto di accesso del consigliere comunale non riguarda soltanto le competenze amministrative del Consiglio comunale ma investe l’esercizio del munus di cui egli è investito in tutte le sue potenziali implicazioni, al fine di una compiuta valutazione della correttezza e dell’efficacia dell’operato dell’Amministrazione comunale.
- Il consigliere che esercita tale diritto non è tenuto a specificare i motivi della richiesta, “né gli organi burocratici dell’ente hanno titolo per richiederli perché, in caso contrario, questi ultimi sarebbero arbitri di stabilire l’estensione del controllo sul loro operato”.
- L'ordinamento assicura ai consiglieri comunali la possibilità di prendere visione dei provvedimenti adottati dall’ente e degli atti preparatori in essi richiamati nonché di avere dall’ente tutte le informazioni che siano utili all’espletamento del mandato, senza alcuna limitazione derivante dalla loro natura riservata, dal momento che essi pure sono vincolati all’osservanza del segreto nei casi specificati dalla legge. Tale facoltà va ora integrata con le disposizioni sul diritto di accesso recate dal capo quinto della legge n. 241/1990, in cui è prevista espressamente la possibilità di ottenere copia dei documenti”.

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L'illegittimo diniego di accesso opposto dal sindaco al consigliere comunale integra un comportamento caratterizzato da colpa grave; sussiste, pertanto, responsabilità amministrativa in capo al sindaco qualora dal predetto diniego sia derivata la condanna del Comune al pagamento delle relative spese di giudizio.
- Nell’ambito dei segreti sottratti all’accesso ai documenti, rientrano gli atti redatti dai legali e dai professionisti in relazione a specifici rapporti di consulenza con l’amministrazione. Si tratta, infatti, di un segreto che gode di una tutela qualificata, dimostrata dalla specifica previsione degli articoli 622 del codice penale e 200 del codice di procedura penale.
- L’amministrazione può ricorrere alle consulenze legali esterne in diverse forme ed in diversi momenti dell’attività amministrativa di sua competenza. Le differenze tra i vari contesti si riflette anche sulla disciplina dell’accesso ai documenti.
In materia di accesso agli atti da parte dei consiglieri comunali questo Consiglio ha chiarito quanto segue.
a) Il diritto di accesso del consigliere comunale non riguarda soltanto le competenze amministrative del Consiglio comunale ma, essendo riferito all’espletamento del mandato, investe l’esercizio del munus di cui egli è investito in tutte le sue potenziali implicazioni, al fine di una compiuta valutazione della correttezza e dell’efficacia dell’operato dell’Amministrazione comunale (Sez. V, 21.02.1994, n. 119).
Il diritto del consigliere comunale di ottenere tutte le notizie e le informazioni in possesso degli uffici comunali "utili all'espletamento del proprio mandato", previsto dall'art. 31, comma 5, della l. 08.06.1990 n. 142, fornisce una veste particolarmente qualificata all'interesse all'accesso del titolare di tale funzione pubblica, che legittima l'interessato all'esame ed all'estrazione di copia dei documenti che contengono le predette notizie ed informazioni. Tali facoltà spettano infatti a qualunque cittadino che vanti un interesse qualificato e sono, a maggior ragione, contenute nella più ampia e qualificata posizione di pretesa all'informazione spettante ratione officii al consigliere comunale;
b) Il consigliere che esercita tale diritto non è tenuto a specificare i motivi della richiesta, “né gli organi burocratici dell’ente hanno titolo per richiederli perché, in caso contrario, questi ultimi sarebbero arbitri di stabilire l’estensione del controllo sul loro operato” (Sez. V, 07.05.1996, n. 528).
In virtù del combinato disposto dell'art. 24 l. 27.12.1985 n. 816 e dell'art. 31, comma 5, l. 08.06.1990 n. 142, i consiglieri comunali e provinciali hanno diritto d'ottenere dagli enti d'appartenenza, dalle loro aziende e dagli enti dipendenti tutte le notizie e informazioni in loro possesso, utili all'espletamento del loro mandato elettivo -anche mercé il rilascio di copia dei documenti richiesti secondo le procedure d'accesso ex l. 07.08.1990 n. 241-, senza necessità di specificare i motivi della richiesta, né l'interesse sotteso come ogni altro privato cittadino, in caso contrario pervenendosi alla paradossale situazione per cui gli organi di governo dell'ente sarebbero arbitri di stabilire essi stessi l'estensione del controllo sul proprio operato (Cons. Stato, Sez. V, 22.02.2000, n. 940);
c) Le due norme citate, infine, “si integrano a vicenda nell’intento di assicurare ai consiglieri comunali la possibilità di prendere visione dei provvedimenti adottati dall’ente e degli atti preparatori in essi richiamati nonché di avere dall’ente tutte le informazioni che siano utili all’espletamento del mandato, senza alcuna limitazione derivante dalla loro natura riservata, dal momento che essi pure sono vincolati all’osservanza del segreto nei casi specificati dalla legge. Tale facoltà va ora integrata con le disposizioni sul diritto di accesso recate dal capo quinto della legge n. 241/1990, in cui è prevista espressamente la possibilità di ottenere copia dei documenti” (Sez. V, 20.02.2000, n. 940; cfr. anche Sez. V, 06.12.1999, n. 2045).
Su tale normativa si è anche pronunciato il Garante per la protezione dei dati personali (il 20.05.1998) affermando, in particolare, che:
a) la legge n. 675 del 1996 non ha apportato modifiche al citato articolo 31, comma 5, della legge n. 142 del 1990, “in quanto il principio di trasparenza affermato da tale disposizione è compatibile con le nuove norme in materia di protezione dei dati personali (art. 43, comma 2)”, e dovendosi considerare il suddetto articolo 31 “una delle disposizioni che secondo l’articolo 27 della legge n. 675 del 1996 permettono di trattare dati ed informazioni per il perseguimento di finalità istituzionali”;
b) tale generale diritto di accesso del consigliere comunale, da esercitarsi riguardo ai dati effettivamente utili per l’esercizio del mandato e ai fini di questo, deve essere coordinato con altre norme vigenti, come quelle che tutelano il segreto delle indagini penali o la segretezza della corrispondenza e delle comunicazioni, nonché rispettando il dovere di segreto “nei casi espressamente determinati dalla legge”, e “i divieti di divulgazione dei dati personali (si pensi ad esempio all’art. 23, comma 4, della legge n. 675 del 1996, che vieta, salvo casi specifici, la diffusione dei dati idonei a rivelare lo stato di salute)”.
Il riconoscimento della speciale protezione della posizione del consigliere comunale, poi, è riconosciuta anche dal giudice penale e dalla magistratura contabile. Il diritto del consigliere comunale di ottenere dal comune tutte le notizie e le informazioni in possesso dell'ente medesimo ed utili all'espletamento del proprio mandato, riconosciuto dall'art. 31, comma 5, l. n. 142 del 1990, trova come corrispondente il dovere dell'ente territoriale di porre in essere le condizioni perché venga concretamente esercitato, senza incontrare ostacoli o atteggiamenti ostruzionistici, sicché un eventuale rifiuto, motivato in modo apparentemente legittimo, ma, in sostanza, specioso o pretestuoso, non può che risolversi in illegittima manifestazione dell'attività amministrativa. (Fattispecie nella quale è stato impedito ad un consigliere comunale di prendere visione degli atti di giunta) (Cass. pen., sez. VI, 07.03.1997, n. 4952).
L'illegittimo diniego di accesso opposto dal sindaco al consigliere comunale integra, dato il chiaro ed inequivocabile disposto normativo in materia, un comportamento caratterizzato da colpa grave; sussiste, pertanto, responsabilità amministrativa in capo al sindaco qualora dal predetto diniego sia derivata la condanna del Comune al pagamento delle relative spese di giudizio (C. Conti, regione Umbria, sez. Giurisdiz., 05.06.1997, n. 284).
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La facoltà di differimento dell’accesso agli atti non è limitata soltanto alle esigenze di tutelare la riservatezza, ma concerne anche altre ipotesi di segreto, comunque previste dall’ordinamento.
L’esatta delimitazione delle discipline sul segreto non travolte dalla nuova normativa in materia di accesso ai documenti talvolta può risultare disagevole. Al riguardo, peraltro, possono indicarsi due criteri direttivi:
a) il “segreto” che impedisce l’accesso ai documenti non deve costituire la mera riaffermazione del tramontato principio di assoluta riservatezza dell’azione amministrativa;
b) il segreto fatto salvo dalla legge n. 241/1990 deve riferirsi esclusivamente ad ipotesi in cui esso mira a salvaguardare interessi di natura e consistenza diversa da quelli genericamente amministrativi.
Sulla base di queste indicazioni ermeneutiche, è possibile affermare che, nell’ambito dei segreti sottratti all’accesso ai documenti, rientrano gli atti redatti dai legali e dai professionisti in relazione a specifici rapporti di consulenza con l’amministrazione.
Si tratta, infatti, di un segreto che gode di una tutela qualificata, dimostrata dalla specifica previsione degli articoli 622 del codice penale e 200 del codice di procedura penale.
Sul piano sistematico è poi utile richiamare la previsione contenuta nell’articolo 2 del decreto del Presidente del Consiglio 26.01.1996, n. 200 (regolamento recante norme per la disciplina di categorie di documenti dell’Avvocatura dello Stato sottratti al diritto di accesso). La norma mira proprio a definire con chiarezza il rapporto tra accesso e segreto professionale, fissando una regola che appare sostanzialmente ricognitiva dei principi applicabili in questa materia, anche al di fuori dell’ambito della difesa erariale.
La disposizione, rubricata “categorie di documenti inaccessibili nei casi di segreto o di divieto di divulgazione previsti dall’ordinamento”, stabilisce che, “ai sensi dell’art. 24, comma 1, della legge 07.08.1990, n. 241, in virtù del segreto professionale già previsto dall’ordinamento, al fine di salvaguardare la riservatezza nei rapporti tra difensore e difeso, sono sottratti all’accesso i seguenti documenti:
a) pareri resi in relazione a lite in potenza o in atto e la inerente corrispondenza;
b) atti defensionali;
c) corrispondenza inerente agli affari di cui ai punti a) e b)
”.
La giurisprudenza ha chiarito che detta regola ha una portata generale, codificando il principio, valevole per tutti gli avvocati, siano essi del libero foro o appartenenti ad uffici legali di enti pubblici, secondo cui, essendo il segreto professionale specificamente tutelato dall’ordinamento, sono sottratti all’accesso gli scritti defensionali (Cons. Stato, IV, 27.08.1998, n. 1137). Detta pronuncia ha escluso che il diritto di accesso dell’interessato possa estendersi ai documenti formati dall’Avvocatura generale dello Stato ed indirizzati alla SACE-gestione assicurativa del commercio estero, sottolineando la loro concreta connessione con una lite in corso.
Il principio espresso dalla decisione citata e ricavato dal D.P.C.M. n. 200/1996 risponde, del resto, ad elementari considerazioni di salvaguardia della strategia processuale della parte, che non è tenuta a rivelare ad alcun soggetto e, tanto meno, al proprio contraddittore, attuale o potenziale, gli argomenti in base ai quali intende confutare le pretese avversarie.
Al riguardo è peraltro necessaria una puntualizzazione.
L’amministrazione può ricorrere alle consulenze legali esterne in diverse forme ed in diversi momenti dell’attività amministrativa di sua competenza. Le differenze tra i vari contesti si riflette anche sulla disciplina dell’accesso ai documenti.
Può verificarsi, in primo luogo, l’ipotesi in cui il ricorso alla consulenza legale esterna si inserisce nell’ambito di un’apposita istruttoria procedimentale. In tale eventualità, il parere è richiesto al professionista con l’espressa indicazione della sua funzione endoprocedimentale ed è poi richiamato nella motivazione dell’atto finale. Ne deriva che, in detta eventualità, la consulenza legale, pur traendo origine da un rapporto privatistico, normalmente caratterizzato dalla riservatezza della relazione tra professionista e cliente, è soggetto all’accesso, perché oggettivamente correlato ad un procedimento amministrativo.
Una seconda ipotesi è invece quella in cui, dopo l’avvio di un procedimento contenzioso (giudiziario, arbitrale, od anche meramente amministrativo), oppure dopo l’inizio di tipiche attività precontenziose, quali la richiesta di conciliazione obbligatoria che precede il giudizio in materia di rapporto di lavoro, l’amministrazione si rivolga ad un professionista di fiducia, al fine di definire la propria strategia difensiva (accoglimento della pretesa, resistenza in giudizio, adozione di eventuali provvedimenti di autotutela, ecc.).
In detta eventualità, il parere del legale non è affatto destinato a sfociare in una determinazione amministrativa finale, ma mira a fornire all’ente pubblico tutti gli elementi tecnico–giuridici utili per tutelare i propri interessi. Ne deriva che, in questo caso, le consulenze legali restano caratterizzate dalla nota di riservatezza, che mira a tutelare non solo l’opera intellettuale del legale, ma anche la stessa posizione dell’amministrazione, la quale, esercitando il proprio diritto di difesa, protetto costituzionalmente, deve poter fruire di una tutela non inferiore a quella di qualsiasi altro soggetto dell’ordinamento.
Si può profilare, ancora, un terzo gruppo di ipotesi, nelle quali la richiesta della consulenza legale interviene in una fase intermedia, successiva alla definizione del rapporto amministrativo all’esito del procedimento, ma precedente l’instaurazione di un giudizio o l’avvio dell’eventuale procedimento precontenzioso.
Anche in casi di questo genere, il ricorso alla consulenza legale persegue lo scopo di consentire all’amministrazione di articolare le proprie strategie difensive, in ordine ad un lite che, pur non essendo ancora in atto, può considerarsi quanto meno potenziale. Ciò avviene, in particolare, quando il soggetto interessato chiede all’amministrazione l’adempimento di una obbligazione, o quando, in linea più generale, la parte interessata domanda all’amministrazione l’adozione di comportamenti materiali, giuridici o provvedimentali, intesi a porre rimedio ad una situazione che si assume illegittima od illecita.
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Con riguardo alla fattispecie in esame, il collegio osserva che la pendenza della lite rende palese l’esigenza di garantire il segreto, proprio perché il parere dell’Avvocatura pare rivolto a delineare la condotta processuale più conveniente per l’amministrazione, anche nella prospettiva eventuale di una transazione (ipotizzata negli atti depositati in giudizio).
Va precisato, poi, che la prevalenza del segreto professionale si manifesta con pienezza anche in relazione alle amministrazioni locali e nei riguardi delle richieste formulate dai consiglieri comunali.
Anche prescindendo dall’esame approfondito del delicato problema del coordinamento tra la legge n. 142/1990, la legge n. 241/1990 ed il decreto legislativo n. 267/2000, emerge una sostanziale coerenza dell’ordinamento, il quale afferma comunque l’esistenza di eccezioni al principio di trasparenza, direttamente desumibili da specifiche disposizioni legislative.
È anche possibile ritenere che nelle amministrazioni locali l’accesso ai documenti presenti un raggio di operatività complessivamente più ampio, quanto meno con riferimento alle istanze presentate dai cittadini elettori del comune o della provincia, ma nessun argomento sistematico od esegetico consente di affermare che la portata del segreto professionale possa assumere consistenza diversa, a seconda del tipo di amministrazione considerato.
Con riguardo alla posizione specifica dei consiglieri comunali, occorre chiarire la portata della espressione normativa “essi sono tenuti al segreto nei casi specificamente determinati dalla legge” (articolo 43, comma 2, del T.U. 18.08.2000 n. 267). La norma, per la sua collocazione sistematica e per il suo significato letterale, intende ribadire la regola secondo cui, lecitamente acquisite e le informazioni e le notizie utili all’espletamento del mandato, il consigliere, di regola, è autorizzato a divulgarle. Un divieto di comunicazione a terzi deve derivare da apposita disposizione normativa.
In tale prospettiva si spiega, coerentemente, il rapporto tra la disciplina sulla protezione dei dati personali e la pretesa all’accesso del consigliere comunale. Questi è legittimato ad acquisire le notizie ed i documenti concernenti dati personali, anche sensibili, poiché, di norma, tale attività costituisce “trattamento” autorizzato da specifica disposizione legislativa (legge n. 675/1996; decreto legislativo n. 135/1999), secondo le regole integrative fissate dalle determinazioni ed autorizzazioni generali del Garante e dagli atti organizzativi delle singole amministrazioni.
Ma il consigliere comunale non può comunicare a terzi i dati personali (in particolare quelli sensibili) se non ricorrono le condizioni indicate dalla normativa in materia di tutela della riservatezza.
Questi principi sono alla base della decisione n. 940/2000 della Sezione, la quale ammette l’accesso del consigliere comunale anche nei casi in cui esso incide sulla riservatezza dei terzi, senza affrontare la diversa questione dell’accesso ai documenti coperti dal segreto, per la tutela di diversi interessi.
Non è plausibile, invece, la tesi secondo cui il consigliere comunale, in tale veste, potrebbe accedere a tutti i documenti, anche segreti, dell’amministrazione, assumendo solo l’obbligo di non divulgare le relative notizie.
In tal modo, l’accesso ai documenti del consigliere comunale, ritenuto prevalente anche sul segreto professionale, assumerebbe una portata oggettiva più ampia di quella riconosciuta ai cittadini ed ai titolari di posizioni giuridiche differenziate (pure comprensive di situazioni protette a livello costituzionale). Il mandato politico-amministrativo affidato al consigliere esprime certamente il principio democratico dell’autonomia locale e della rappresentanza esponenziale della collettività, ma, nell’attuale contesto normativo, non può autorizzare un privilegio così marcato, a scapito degli altri soggetti interessati alla conoscenza dei documenti amministrativi e con sacrificio degli interessi tutelati dalla normativa sul segreto.
In senso contrario, non potrebbe assumere rilievo la complessa ed articolata disciplina riguardante l’attività di sindacato ispettivo svolta dal Parlamento nazionale nei confronti del governo, e, in generale, la funzione conoscitiva esercitata dalle Camere nei riguardi di materie giudicate di particolare rilievo. In tal senso, si possono indicare le disposizioni contenute negli articoli 143, commi 1 e 2, del regolamento della Camera dei deputati e l’articolo 46, commi 1 e 2, del regolamento del Senato. Dette disposizioni prevedono la richiesta a ministri e rappresentanti del Governo volta ad ottenere ufficialmente la trasmissione di “informazioni, notizie e documenti” utili all’attività delle commissioni parlamentari, o la relazione, eventualmente anche scritta, circa l’attuazione e la esecuzione data a leggi, mozioni, risoluzioni ed ordini del giorno approvati dalle Camere.
Dette norme:
a) sono contenute in disposizioni di rango almeno pari alla fonte legislativa ed esprimono la particolare posizione costituzionale del Parlamento;
b) attribuiscono il potere di “accesso” ai documenti non al singolo parlamentare di minoranza, ma all’organo collegiale, secondo le procedure autonomamente stabilite da ciascun ramo del Parlamento;
c) stabiliscono che la violazione dell’obbligo di comunicare le notizie richieste è fonte di responsabilità politica del Governo, ma non pare suscettibile di riparazione coattiva, secondo modalità analoghe a quelle previste dall’articolo 25 della legge n. 241/1990.
Dunque, la circostanza che, anche in ambito parlamentare, l’interesse all’accesso non è protetto in modo generalizzato ed indifferenziato induce a ritenere coerente la previsione di alcune circoscritte limitazioni del diritto di accesso spettante al consigliere comunale o provinciale.
Non si può trascurare, poi, che, nella presente vicenda, la salvaguardia del segreto si connette anche alla specifica disciplina prevista dal regolamento dell’Avvocatura generale dello Stato, in materia di accesso. La richiesta del consigliere, incidendo su documenti formati da un’amministrazione diversa da quella locale di appartenenza, incontra i limiti previsti dalla disciplina fissata in tale ambito. Non è un caso, del resto, che numerosi regolamenti individuano come esplicito caso di esclusione dall’accesso la circostanza che il documento, utilizzato nel procedimento amministrativo, ma formato da un altro soggetto pubblico, è da quest’ultimo sottratto all’accesso (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 02.04.2001 n. 1893 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AGGIORNAMENTO ALL'11.01.2010

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GURI - GUUE - BURL (e anteprima)

AMBIENTE-ECOLOGIA: B.U.R. Lombardia, 3° suppl. straord. al n. 1 dell'08.01.2010, "Determinazioni in merito ai criteri di gestione obbligatoria e delle buone condizioni agronomiche ai sensi del Regolamento (CE) n. 73/2003 - Modifiche e integrazioni alla d.g.r. 4196/2007" (deliberazione G.R. 30.12.2009 n. 10949 - link a www.infopoint.it).

EDILIZIA PRIVATA: "Approvazione del secondo aggiornamento dell'elenco degli enti locali idonei all'esercizio delle funzioni paesaggistiche loro attribuite dall'art. 80 della legge regionale 11.03.2005 n. 12" (decreto D.G. 30.12.2009 n. 14545 - link a www.territorio.regione.lombardia.it).

PUBBLICO IMPIEGO: Il testo del decreto ministeriale 18.12.2009 con il quale vengono fissate le nuove fasce orarie di reperibilità dei dipendenti pubblici per le visite fiscali in caso di malattia (link a www.sappe.it).

DOTTRINA E CONTRIBUTI

EDILIZIA PRIVATA: Deposito atti di frazionamento in comune (Geometra Orobico n. 5/2009).

URBANISTICA: Lombardia, Corso di specializzazione sull'applicazione della L.R. n. 12/2005: 2^ lezione - parte B (gli atti di programmazione negoziata) (Geometra Orobico n. 5/2009).

PUBBLICO IMPIEGO: D. Zonno, COPERTURA DI POSTI VACANTI NEI RUOLI DELL’AMMINISTRAZIONE: NUOVO CONCORSO O SCORRIMENTO DELLE GRADUATORIE? (link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: A. Milone, Il procedimento autorizzatorio degli impianti di produzione di energia rinnovabile: rapporti con VIA e AIA (link a www.lexambiente.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: A. Pierobon, QUALI SONO I CRITERI DI CAMPIONAMENTO E DI ANALISI DELLE TERRE E ROCCE DA SCAVO DEI RIFIUTI ? (link a www.lexambiente.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: R. Bertuzzi, BONIFICA DI UN’AREA INQUINATA, ORDINANZA DI RIPRISTINO (link a www.lexambiente.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: A. Pierobon, LE IMPRESE DI PULIZIA E LA GESTIONE DEI RIFIUTI: UNA OCCASIONE DI RIFLESSIONE DALLA SENTENZA TAR PUGLIA-LECCE, SEZ. I, 19.11.2009 N. 2799 (seconda parte) (link a www.lexambiente.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: C. Tessarolo, L’azione collettiva risarcitoria: finalità, legittimazione, procedimento (link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: B. Albertazzi, Il formulario per il trasporto dei rifiuti nel dlgs 152/2006 e nella giurisprudenza (link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI SERVIZI: C. Tessarolo, Il regime transitorio nel nuovo sistema dei servizi pubblici locali (link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

NEWS

EDILIZIA PRIVATA: Pubblicata la Finanziaria 2010: confermate le detrazioni del 36% per le Ristrutturazioni degli immobili.
 La Legge n. 191 del 23.12.2009, Legge Finanziaria per il 2010, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 30.12.2009, è composta da due articoli e ben 247 commi.
Queste alcune delle misure previste dal complesso provvedimento:
- la proroga al 31.12.2012 della detrazione IRPEF del 36% per gli interventi di recupero edilizio delle abitazioni (art. 2, comma 10, lett. a - b);
- la proroga per un ulteriore anno della detrazione IRPEF del 36% per l`acquisto di abitazioni facenti parte di edifici interamente ristrutturati da imprese di costruzione (detrazione da calcolarsi sul 25% del prezzo di acquisto, nel limite di 48.000 euro per unità immobiliare), riconosciuta per interventi di recupero integrale del fabbricato devono essere eseguiti dal 1° gennaio 2008 al 31.12.2012 e rogiti stipulati entro il 30.06.2013 (art. 2, comma 10, lett. c)
- la messa a regime dell`IVA al 10% per gli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria delle abitazioni - art. 2, comma 11 (link a www.acca.it).

ENTI LOCALI: Enti, tagli alle poltrone dal 2011. Calderoli accontenta i comuni. Rinvio con dl ad hoc o come emendamento al milleproroghe. Slitta di un anno la riduzione di consigli e giunte locali.
Slitteranno al 2011 i tagli ai costi della politica locale anticipati in Finanziaria da Roberto Calderoli. La cura dimagrante che prevede la riduzione del 20% dei consiglieri comunali e fissa un tetto al numero massimo di assessori comunali e provinciali (rispettivamente un quarto e un quinto dei consiglieri) non si applicherà per quest'anno e dunque risparmierà le amministrazioni che andranno al voto nel prossimo mese di marzo. Conserveranno la poltrona anche quelle figure su cui dal 1° gennaio 2010 si sarebbe abbattuta la mannaia del ministro leghista, direttori generali e difensori civici, e slitterà all'anno prossimo anche la soppressione delle circoscrizioni comunali e dei consorzi di funzioni tra enti locali.
Dopo la rottura delle relazioni istituzionali col governo decisa dall'Anci a dicembre (si veda ItaliaOggi del 17/12/2009) per le mancate risposte dell'esecutivo sulle richieste poste dai comuni (tra cui, oltre alla sanatoria per gli enti che hanno sforato il patto di stabilità nel 2009, c'era proprio la proroga di anno dei tagli alle poltrone), il ministro della semplificazione ha deciso di accontentare i sindaci. Del resto il 2010 sarà un anno cruciale per l'attuazione del federalismo fiscale e con tante riforme ai nastri di partenza (federalismo demaniale e codice autonomie su tutti) Calderoli ha preferito evitare lo scontro frontale con l'Anci che avrebbe di fatto paralizzato i lavori della Conferenza unificata. Ma se la decisione di rimandare di un anno la riduzione dei costi della politica sembra ormai certa, non è ancora chiaro come sarà attuata tecnicamente.
Per il momento, secondo quanto risulta a ItaliaOggi, le soluzioni possibili sarebbero due. Lo slittamento delle disposizioni contenute nell'art. 2 commi 184, 185 e 186 della Finanziaria 2010 (legge n. 191/2009) potrebbe essere inserito come emendamento al disegno di legge di conversione del dl milleproroghe (dl n. 194/2009) oppure potrebbe trovare spazio nell'atteso decreto sulla finanza locale che andrà sul tavolo del consiglio dei ministri di mercoledì prossimo.
Il provvedimento (si veda da ItaliaOggi il 16/12/2009) che sarebbe dovuto andare sul tavolo del cdm di fine anno, poi rinviato per via dell'indisponibilità del premier Silvio Berlusconi, troverà una soluzione ai molti problemi di cassa ancora lamentati dagli enti e non risolti a causa della bagarre che ha caratterizzato i lavori della Finanziaria 2010 alla camera.
L'elenco è fitto di novità: si va dalle compensazioni dell'Iva pagata sulla tariffa d'igiene ambientale alla conferma anche per il 2010 della compartecipazione Irpef all'1% destinata alle province. Passando per il rifinanziamento del fondo ordinario destinato agli investimenti nei comuni sotto i 3 mila abitanti e dei fondi per l'estinzione anticipata dei mutui con penale a carico dello stato. Non è escluso anche che si possa trovare un accordo su altre richieste avanzate dall'Anci, come il riallineamento dei trasferimenti compensativi Ici sugli immobili di categoria D e l'esclusione (anche per il 2010) dal patto di stabilità dei proventi delle dismissioni di azioni o quote detenute in società di servizi pubblici locali.
Per il momento l'ipotesi più probabile sembra quella del decreto legge sulla finanza locale, ma non è escluso che alla fine il ministro Calderoli decida per affidare al parlamento l'onere di proporre lo slittamento dei tagli alle poltrone. Anche perché, diversamente, la proroga potrebbe essere letta come un clamoroso dietrofront da parte del governo. Saranno invece confermate le norme della Finanziaria 2010 sui tagli ai trasferimenti erariali. Il contributo ordinario per il 2010 sarà ridotto di 12 milioni di euro per i comuni e di un milione per le province. Nel 2011 i tagli ammonteranno a 86 mln per i comuni e 5 mln per le province, ma si applicheranno solo agli enti che andranno ad elezioni l'anno prossimo (articolo ItaliaOggi del 09.01.2010, pag. 19).

ENTI LOCALI: Commissioni senza esclusi. Va garantita la rappresentanza anche delle minoranze meno numerose. L'unico consigliere di un gruppo deve sedere in tutte.
Come funzionano le commissioni consiliari?
Le commissioni consiliari previste dall'art. 38 comma 6 del dlgs. n. 267/2000, una volta istituite sulla base di una facoltativa previsione statutaria, sono disciplinate dall'apposito regolamento comunale con l'unico limite, posto dal legislatore, riguardante il rispetto del criterio proporzionale nella composizione.
Esse, in base alla citata norma di legge, sono, come è noto, organi strumentali dei consigli («il consiglio si avvale di commissioni») e, in quanto tali costituiscono componenti interne all'organo assembleare, prive di una competenza autonoma e distinta da quella ad esso attribuita. Anche il regolamento dell'ente che pone il quesito stabilisce che «le commissioni permanenti costituiscono articolazioni del consiglio comunale ed esercitano le loro funzioni concorrendo ai compiti di indirizzo e di controllo politico-amministrativo allo stesso attribuiti». In tale contesto si desume che le commissioni consiliari operano sempre e comunque, nell'ambito della competenza dei consigli. Ciò giustifica il vincolo alla loro composizione esclusivamente con i membri del consiglio («nel proprio seno») e all'osservanza del criterio proporzionale (di modo che non venga di fatto alterata la configurazione «politica» dell'organo di derivazione). Il legislatore non precisa come debba essere applicato il surriferito principio.
È da ritenersi che spetti al regolamento, cui sono demandate la determinazione dei poteri delle commissioni, nonché la disciplina dell'organizzazione e delle forme di pubblicità dei lavori, stabilire i meccanismi idonei a garantire il rispetto del criterio proporzionale. Secondo l'indirizzo giurisprudenziale e dottrinario formatosi, il criterio proporzionale può dirsi rispettato solo ove sia assicurata la presenza in ogni commissione di ciascun gruppo presente in consiglio, in modo che, se una lista (gruppo) è legittimamente rappresentata anche da un solo consigliere, questi deve essere presente in tutte le commissioni costituite.
Ciò premesso, esaminando le specifiche disposizioni statutarie e regolamentari del comune in questione emerge che lo statuto prevede la costituzione di commissioni consiliari permanenti, composte da consiglieri comunali, con criterio proporzionale con riferimento a tutte le forze politiche rappresentate in consiglio stabilendo inoltre che esso può essere conseguito anche attraverso un sistema di rappresentanza ponderata.
Pertanto, non pare esservi dubbio che anche il gruppo di minoranza meno numeroso, proprio per la richiamata esigenza della partecipazione proporzionale, non possa non essere rappresentato in tutte le commissioni consiliari permanenti (articolo ItaliaOggi dell'08.01.2010, pag. 34).

EDILIZIA PRIVATA: DELIBERA CONSILIARE.
È obbligatoria una delibera consiliare in merito alla proposta di dichiarazione di notevole interesse pubblico di un'area di un comune?
L'ambito della complessa procedura delineata dal quadro normativo di riferimento, il ruolo dell'amministrazione comunale si rinviene nella fase dell'avvio del procedimento di dichiarazione di notevole interesse pubblico (art. 138).
Ai sensi della normativa contenuta nel Capo II del dlgs n. 42/2004 (artt. 136 -142) la formulazione delle proposte per la dichiarazione di notevole interesse pubblico degli immobili indicati alle lettere a) e b) dell'art. 136 e delle aree indicate alle lettere c) e d) del comma 1 del medesimo articolo, rientra nelle competenze delle commissioni appositamente istituite ai sensi del successivo art. 137. Nell'ambito di tale procedura il comune, può o assumere l'iniziativa della proposta de qua quale ente pubblico territoriale interessato, ovvero essere consultato dalla commissione procedente al fine di acquisire informazioni utili per la valutazione della decisione se dare seguito all'atto di iniziativa, attraverso la formale proposta alla regione.
La giurisprudenza amministrativa (cfr., Tar Sardegna n. 127/2008) in ordine alla procedura de qua ha affermato che «la norma statale a ragione dispone che il procedimento si apra con una proposta, volendo raggiungere il risultato di articolare su più autorità definite la responsabilità della decisione. In altri termini è stato lucidamente affermato che in tali casi l'interesse primario riceve due ponderazioni, l'una nell'atto di iniziativa, l'altra nell'atto di decisione. La proposta, che si configura come atto di volontà parzialmente vincolante, comporta un giudizio iniziale sull'interesse primario, in cui si accentua la valutazione tecnico–discrezionale, l'atto di decisione comporta una ponderazione politico–amministrativa».
Prosegue lo stesso Tar nel senso che «la commissione non svolge un'attività meramente istruttoria o preparatoria, ovvero secondo la migliore dottrina, un mero atto di iniziativa del procedimento d'ufficio, ma è chiamata ad effettuare scelte decisive e discrezionali al fine di una corretta formazione della volontà collegiale».
Nell'ambito della procedura sopra delineata si evidenzia che la fase di iniziativa esercitata dall'ente territoriale interessato è finalizzata ad un altro atto di natura preparatoria, la proposta che la commissione di cui all'art. 137 decide di formulare alla regione, atto che può dare l'avvio al procedimento di dichiarazione di notevole interesse pubblico (art. 138).
Per inciso si evidenzia che, sotto un profilo giuridico, un atto di impulso proveniente da un soggetto diverso dall'amministrazione cui è attribuito il potere di provvedere si esplica in una richiesta, consistente in una manifestazione di volontà anche con contenuto valutativo, con cui si richiede al soggetto pubblico competente l'esplicazione di una certa attività ovvero l'emanazione di un determinato atto amministrativo.
Sotto tale profilo, un'istanza avanzata da un sindaco assume una peculiare connotazione, propedeutica rispetto alla successiva ed eventuale dichiarazione di pubblico interesse da parte della regione, ed influente, benché non di immediata incidenza, sulla pianificazione comunale in caso di positiva determinazione regionale. In effetti, la dichiarazione di notevole interesse pubblico, ai sensi dell'art. 140 del codice dei beni culturali, «costituisce parte integrante del piano paesaggistico» e le aree oggetto della dichiarazione, ai sensi della legge regionale in questione recante le «norme sul governo del territorio», sono comprese nello statuto del piano strutturale del comune.
In tal senso si pone quale atto preparatorio nell'ambito di un più articolato procedimento che coinvolge la competenza di diversi soggetti amministrativi e, ove approdi alla dichiarazione di notevole interesse pubblico, si collega anche alla successiva pianificazione dell'amministrazione comunale. Tutto ciò posto su un piano astrattamente giuridico, valutare se occorre una previa deliberazione comunale non è questione di semplice od univoca soluzione.
Infatti da un lato, occorre considerare che le competenze del consiglio sono tassativamente indicate nell'art. 42 e tra queste non compare espressamente la richiesta di dichiarazione di interesse pubblico di aree comunali. Inoltre, tale atto d'impulso non è di per sé parte integrante della pianificazione paesaggistica, come invece lo è il provvedimento regionale relativo a detta dichiarazione (art. 140 succitato), né, come sopra esplicitato, è di per sé, in questa fase preparatoria, parte integrante della pianificazione territoriale del comune.
D'altro lato non può tuttavia sottacersi come l'iniziativa del sindaco, supportata da uno studio paesaggistico del territorio da parte di un esperto e da una definita planimetria, abbia una propria valenza programmatoria in quanto volta, in prospettiva, ad incidere sulla gestione degli strumenti urbanistici del territorio comunale.
In tal senso potrebbe ammettersi che siffatta richiesta, in quanto influente sulla successiva pianificazione territoriale del comune, avrebbe potuto costituire oggetto di valutazione da parte del consiglio comunale, ai sensi dell'art. 42 lett. b), recante l'attività programmatoria del consiglio in vari ambiti di competenza.
Peraltro, la stretta interazione tra i due livelli di pianificazione, regionale e comunale, emerge anche dalla sentenza n. 182/2006 della Corte costituzionale laddove, pronunciandosi sulla legittimità della legge regionale Toscana, ha affermato che «la legge Toscana sul governo del territorio tende al superamento della separatezza tra pianificazione territoriale ed urbanistica, da un lato, e tutela paesaggistica dall'altro, facendo rientrare la tutela del paesaggio nell'ambito del sistema della pianificazione del territorio e rendendo pertanto partecipi anche i livelli territoriali inferiori di governo nella disciplina di tutela del paesaggio».
A giudizio della Corte il principio di fondo di questo sistema, condivisibile nella misura in cui gli enti locali sono chiamati a contribuire alla pianificazione ed in cui gli strumenti di pianificazione territoriale dei livelli sub-regionali di governo perseguono obiettivi di tutela e di valorizzazione del paesaggio, deve però pur sempre coordinarsi con il rispetto del paesaggio e della relativa pianificazione quale valore primario e imprescindibile, attraverso un indirizzo unitario che superi la pluralità degli interventi delle amministrazioni locali (articolo ItaliaOggi dell'08.01.2010, pag. 34).

PUBBLICO IMPIEGO: Pc del lavoro senza segreti. Il principio affermato dal garante della privacy con un provvedimento. In caso di emergenza il datore può accedere.
In caso di emergenza, il datore di lavoro può avere accesso ai file contenuti nel computer in uso a un dipendente assente; ma il personale deve essere adeguatamente informato di questa possibilità. Se poi il datore di lavoro consente ai lavoratori un uso per finalità personali degli apparecchi elettronici aziendali, il datore di lavoro dovrà specificare condizioni, finalità e modalità di un tale uso.
È questo il principio affermato dal garante per la protezione dei dati personali nel definire il reclamo di una dipendente che, rientrata in azienda dopo un periodo di cassa integrazione, si era accorta che alcuni file memorizzati sul personal computer affidatole in dotazione dalla società erano stati oggetto di accesso, per conto di quest'ultima, da parte del lavoratore che l'aveva sostituita (provvedimento 1665170/2009).
Alcuni di questi file, secondo l'interessata, avrebbero rivestito natura personale e quindi estranea ai compiti di ufficio e per questo si è rivolta al garante per la tutela della sua privacy. La dipendente si è anche lamentata di non avere ricevuto alcuna informativa sulle procedure per l'accesso ai dati dei lavoratori assenti.
Il garante ha dato torto alla lavoratrice. Innanzitutto non è risultato provato che la società avesse avuto accesso a dati personali concretamente riferibili alla reclamante. In particolare è emerso che i file consultati contenevano analisi ed elaborazioni dei dati contenuti nel sistema centrale di calcolo delle retribuzioni dei dipendenti dell'azienda, redatti e compilati allo scopo di fornire i report richiesti dall'amministrazione; inoltre gli stessi file non contenevano informazioni riservate o in qualche modo protette, dal momento che erano esattamente identici ai file trasmessi agli altri uffici, con in aggiunta solo le formule ideate e costruite dall'interessata per estrarre ed elaborare i dati presenti sul sistema gestionale aziendale.
In sostanza, l'istruttoria non ha rivelato l'intento del datore di lavoro di consultare documenti di pertinenza personale della lavoratrice, ma ha solo voluto avere accesso ai file utili per la gestione aziendale.
La legittimità della condotta del datore di lavoro porta a dire, quindi, che non è illecito che i datore di lavoro stesso acceda al computer in uso al lavoratore in situazioni nelle quali ha necessità di accedere alle informazioni, anche in assenza del lavoratore.
Come si rileva nel provvedimento, al fine di ottimizzare l'uso dell'infrastruttura tecnologica all'interno di un'azienda, può risultare giustificato rendere accessibili a utenti diversi le singole postazioni di lavoro nel rispetto delle istruzioni impartite a ciascun incaricato dal titolare del trattamento. È legittimo, dunque, mettere a disposizione di altri dipendenti incaricati del trattamento le informazioni riferibili all'attività lavorativa svolta per conto del datore di lavoro.
Nel caso specifico, però, il garante ha riscontrato alcune inadempienze formali a carico del datore di lavoro. Il garante, infatti, ha ritenuto che le informazioni rese al personale relativamente all'accesso ai file memorizzati nei pc fossero inadeguate, anche perché non inserite in un documento autonomo messo a disposizione dei lavoratori, ma contenute nel dps (documento programmatico della sicurezza) solitamente non destinato alla consultazione da parte dei lavoratori.
Il garante ha dunque prescritto all'azienda di fornire una chiara informativa ai dipendenti circa le condizioni, le finalità e le modalità con le quali vengono rese accessibili a terzi debitamente incaricati i file memorizzati all'interno dei pc, definendo altresì puntualmente le situazioni di «emergenza» che giustifichino tale accesso. All'azienda è stato inoltre imposto di integrare le istruzioni fornite, in modo tale da informare adeguatamente i dipendenti in ordine alle condizioni, finalità e modalità di utilizzo dei pc anche per finalità personali.
A questo proposito si deve ricordare che la sede più opportuna per l'informativa al lavoratore è il regolamento interno sull'uso della posta elettronica e di internet, secondo quanto indicato nelle Linee guida per posta elettronica e internet del garante del 10.03.2007 (articolo ItaliaOggi dell'08.01.2010, pag. 20).

ENTI LOCALI: Enti locali, più poteri ai consigli. Il Codice delle autonomie amplia le attribuzioni delle assemblee elettive. Revisori sugli scudi. Nuove competenze su organici, uffici e società controllate.
Nuove attribuzioni agli organi consiliari di comuni e province. Semplificazione per i piccoli comuni. Nuove funzioni del collegio dei revisori.
Sono queste alcune delle tante novità contenute nel disegno di legge di riforma della Carta delle autonomie locali, approvato in via definitiva dal consiglio dei ministri il 19 novembre. Analizziamo nel dettaglio le novità ... (articolo ItaliaOggi dell'08.01.2010 - tratto da http://rassegnastampa.formez.it).

PUBBLICO IMPIEGODipendenti pubblici, freno alle promozioni. In vigore la norma che vieta gli avanzamenti di carriera senza concorso pubblico ... (articolo Il Messaggero del 07.01.2010 - tratto da http://rassegnastampa.formez.it).

EDILIZIA PRIVATA: Edilizia, stabilizzata la mini-Iva. La Finanziaria 2010 ha esteso l'applicazione del prelievo ridotto istituito oltre dieci anni fa. Aliquota al 10% per manutenzioni ordinarie e straordinarie.
Stabilizzata l'agevolazione Iva per le manutenzioni ordinarie e straordinarie degli edifici abitativi: la finanziaria 2010 (art. 2, comma 1, legge n. 191 del 23/12/2009) ha esteso l'applicazione dell'aliquota ridotta del 10% anche agli anni «successivi».
L'entrata a regime dell'agevolazione, istituita nell'Ue come misura temporanea per favorire l'occupazione, è stata consentita dalla direttiva del consiglio Ue 2009/47/CE del 05.05.2009. Rivediamo in sintesi gli aspetti principali della disciplina, dettata dall'art. 7, comma 1, lett. b) della legge n. 488/1999 e dal dm 29/12/1999.
Oggetto dell'agevolazione. L'aliquota ridotta si applica alle prestazioni aventi ad oggetto gli interventi di recupero di cui all'art. 31, primo comma, lettere a), b), c) e d), della legge n. 457/78, realizzati su fabbricati a prevalente destinazione abitativa privata. Poiché però gli interventi di cui alle lettere c) e d) (restauro, risanamento conservativo, ristrutturazione) sono agevolati da altre disposizioni (di più ampia portata) della tab. A, parte terza, allegata al dpr n. 633/1972, l'agevolazione della legge 488 riguarda in sostanza gli interventi di cui alle lett. a) e b), ossia le manutenzioni ordinarie e straordinarie.
Questa agevolazione si applica tuttavia soltanto agli interventi eseguiti su fabbricati a prevalente destinazione abitativa privata, locuzione che, secondo i chiarimenti dell'amministrazione, designa:
- le singole unità immobiliari classificate in catasto nelle categorie da A1 ad A11, esclusa la A10, indipendentemente dall'utilizzo di fatto;
- gli edifici di edilizia residenziale pubblica, adibiti a dimora di soggetti privati;
- gli edifici destinati a residenza stabile di collettività, quali orfanotrofi, brefotrofi, ospizi, conventi;
- le parti comuni di fabbricati destinati prevalentemente ad abitazione privata, intendendo tali gli edifici la cui superficie totale dei piani fuori terra è destinata per oltre il 50% ad uso abitativo privato;
- le pertinenze immobiliari (autorimesse, soffitte, cantine, ecc.) delle unità abitative, anche se ubicate in edifici destinati prevalentemente ad usi diversi.
Non sono dunque agevolate le manutenzioni eseguite su unità immobiliari non abitative (negozi, uffici, ecc.), anche se situate in edifici a prevalente destinazione abitativa.
Operazioni agevolate. L'aliquota del 10% si applica alle prestazioni di manutenzione ordinaria e straordinaria, per cui devono ritenersi escluse dal beneficio le operazioni consistenti in cessioni di beni. L'esclusione dovrebbe valere anche nell'ipotesi in cui la prestazione sia un'operazione accessoria alla vendita, ad esempio nel caso di fornitura con posa in opera di un bene. Tale questione è tuttora controversa.
La circolare n. 71 del 07/04/2000, infatti, ammette la fatturazione con aliquota agevolata anche quando l'intervento di recupero si realizza mediante cessione con posa in opera di un bene, a prescindere dall'incidenza della mano d'opera rispetto al valore del bene (fermi restando i limiti di cui appresso per i beni significativi). Successivamente, però, nel paragrafo 9 della circolare n. 36 del 31/05/2007, l'agenzia delle entrate ha ricordato che l'aliquota agevolata di cui alla legge 488/1999 si applica soltanto alle prestazioni di servizi, mentre le cessioni di beni sono sottoposte all'aliquota ridotta «solo se la relativa fornitura è posta in essere nell'ambito del contratto d'appalto».
Nella citata circolare 71 è stato inoltre chiarito che l'aliquota agevolata non è applicabile nei rapporti di subappalto, ma soltanto nei confronti del committente principale, né alle prestazioni di natura professionale. Rientrano nell'agevolazione anche le piccole riparazioni eseguite sul fabbricato o sui relativi impianti tecnologici, nonché le prestazioni di manutenzione obbligatorie previste per ascensori e impianti di riscaldamento, consistenti in visite periodiche e nel ripristino della funzionalità, mentre sono da ritenere escluse quelle prestazioni di servizi che non possono inquadrarsi tra gli interventi edilizi come definiti dalla legge, come la pulizia delle scale e delle altre parti comuni degli edifici condominiali.
Impiego di beni significativi. In via di principio, se l'intervento edilizio prevede l'impiego di materiali, l'intero corrispettivo del servizio, unitariamente considerato quale prestazione, è agevolato. È tuttavia prevista una limitazione relativamente ai seguenti beni, c.d. significativi, elencati nel dm 29/12/1999: ascensori e montacarichi, infissi esterni ed interni, caldaie, videocitofoni, apparecchiature di condizionamento e riciclo dell'aria, sanitari e rubinetterie da bagno, impianti di sicurezza.
Il valore dei beni significativi è infatti agevolato fino a concorrenza del valore complessivo della prestazione relativa all'intervento di recupero, al netto del valore dei beni stessi. Il valore di tali beni è dunque agevolabile nella misura in cui trova capienza nel corrispettivo riferibile alla mano d'opera ed alla fornitura di materiali diversi dai beni significativi; in pratica, se il valore del bene significativo non supera il 50% del valore complessivo dell'intervento, l'intero corrispettivo è agevolato. In relazione alla limitazione in esame, l'amministrazione ha precisato che è necessario specificare nella fattura sia il corrispettivo complessivo dell'operazione sia il valore dei beni significativi, anche nel caso in cui tale valore non supera il 50% del valore dell'intervento.
In via di principio, in assenza di disposizioni specifiche, le parti possono stabilire liberamente il valore dei beni significativi; è però evidente che l'attribuzione di un valore irrisorio o comunque incongruo (per esempio, più basso del costo d'acquisto sostenuto dal prestatore), al fine di incrementare la base imponibile agevolabile, sarebbe contestata dall'amministrazione (articolo ItaliaOggi del 07.01.2010, pag. 23).

GIURISPRUDENZA

AMBIENTE-ECOLOGIA: Rifiuti. Accertamento della natura d rifiuto.
In tema di rifiuti nel caso in cui si renda possibile solo l’esame di una parte del terreno deve ritenersi comunque probante del superamento dei limiti anche l’esame della sola massa disponibile in quanto, diversamente opinando, sarebbe agevole per il reo attraverso la attività di dispersione del terreno, disperdere anche la prova del reato.
L’attività dell'indagato sostanziatasi nel fare analizzare da un laboratorio privato solo 5 Kg. di materiale a suo dire scavato nel cantiere di una erigenda discarica, corrobora la tesi di un comportamento complessivo tendente ad eludere le disposizioni vigenti.
La natura di rifiuto di un materiale può legittimamente essere individuata in relazione alla provenienza dei terreni ed all’accertamento sulla concentrazione di inquinanti riscontrata in superiore ai limiti massimi consentiti, né si può ritenere in alcun modo rilevante in tale contesto l’esistenza della VIA ed il rispetto delle condizioni imposte (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 29.12.2009 n. 49826 - link a www.lexambiente.it).

APPALTI SERVIZI: Sui presupposti necessari affinché sussista il requisito del c.d. controllo analogo richiesto per ritenere legittimo l'affidamento "in house" di servizi pubblici nel caso di società partecipata da più enti.
Nel caso di affidamento "in house" di un servizio pubblico ad una società partecipata da più enti, ai fini della legittimità dell'affidamento, non è la circostanza della configurabilità di un controllo totale ed assoluto di ciascun ente pubblico sull'intera società in house, bensì l'esistenza di strumenti giuridici (di diritto pubblico o di diritto privato) idonei a garantire che ciascun ente, insieme a tutti gli altri azionisti della società in house, sia effettivamente in grado di controllare ed orientare l'attività della società controllata.
Pertanto, nel caso di specie, è corretto l'operato di un comune e di altre amministrazioni locali che, al fine del perseguimento della migliore gestione economica ed operativa del servizio di smaltimento dei rifiuti nei relativi territori, hanno aderito ad una struttura comune costituita ad hoc e partecipata esclusivamente dai piccoli comuni della comunità.
Siffatta modalità operativa di affidamento in house consente, infatti, ai piccoli enti locali, da un lato di gestire il servizio con rilevanti margini di economia, dall'altro di controllare i livelli della prestazione dello stesso servizio pubblico essenziale, collaborando a tal fine con altri comuni limitrofi e creando le premesse per un servizio d'ambito per rendere più efficiente la gestione ed abbattere i costi del servizio (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 29.12.2009 n. 8970 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Sulla legittimità del provvedimento di esclusione di un'impresa concorrente adottato nell'ambito di un procedimento del quale non sia stato dato avviso all'interessata.
Sulla legittimità del provvedimento di esclusione di un concorrente che abbia presentato un'offerta non conforme ai requisiti prescritti dal bando di gara.

E' legittimo l'operato di una stazione appaltante che abbia adottato il provvedimento di esclusione di un concorrente da una gara, omettendo di rendere noto, all'interessato, l'avvio del relativo procedimento. E' pacifico, infatti, che i procedimenti volti all'aggiudicazione dei contratti pubblici abbiano carattere unitario, pertanto tutti i provvedimenti adottati dalle stazioni appaltanti in tale ambito scaturiscono dall'unica procedura amministrativa ab origine instaurata; di conseguenza, non occorre inoltrare i singoli avvisi di avvio del procedimento per ogni tipologia di provvedimento che l'amministrazione intende adottare, giacché i concorrenti già sanno che è in corso la procedura e che, accanto al provvedimento finale di aggiudicazione della gara, possono scaturire ulteriori atti a carattere decisorio, quali quelli che dispongono, come nel caso di specie, l'esclusione del concorrente che abbia presentato un'offerta non conforme ai requisiti prescritti dal bando.
E' legittimo il provvedimento di esclusione di un'impresa concorrente che abbia presentato un'offerta avente ad oggetto un bene con caratteristiche non conformi rispetto a quelle prescritte dagli atti di gara, anche nell'ipotesi in cui il prodotto offerto risulti qualitativamente superiore a quello previsto dal bando ai fini dell'aggiudicazione dell'appalto, ciò in quanto, da un lato le prescrizioni formulate dalla stazione appaltante delimitano l'interesse che questa intende soddisfare con l'eventuale futuro contratto, per cui un'offerta difforme determinerebbe il mancato soddisfacimento di quell'interesse; dall'altro lato, aggiudicare la gara sulla base di un'offerta avente ad oggetto un bene che presenti caratteri diversi da quelli richiesti violerebbe il principio della par condicio dei concorrenti (TAR Lombardia-Milano, Sez. III, sentenza 29.12.2009 n. 6235 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

ENTI LOCALIIl segretario comunale e provinciale è un dipendente a tutti gli effetti dell’Ente Locale, sia pure in via temporanea in relazione alla durata dell’incarico in titolarità.
Le competenze dei Segretari Comunali, specificate in via di principio dall’art. 52 della legge 08.06.1990 n. 142, si identificano –innanzitutto- in quelle proprie dei dirigenti del Comune o Provincia (infatti il legislatore testualmente chiarisce “oltre alle competenze di cui all’art. 51”): la questione è stata a suo tempo chiarita da questo Consiglio secondo il quale “il segretario non è <organo dello Stato>, né dipende gerarchicamente da organi dello Stato; neppure si può dire che egli svolga, per conto dello Stato, funzioni di controllo o sorveglianza sull’Ente Locale. Al contrario quelle funzioni che l’art. 52 direttamente gli attribuisce (<sovraintende allo svolgimento delle funzioni dei dirigenti e ne coordina l’attività, cura l’attuazione dei provvedimenti, è responsabile dell’istruttoria delle deliberazioni, provvede ai relativi atti esecutivi e partecipa alle riunioni della giunta e del consiglio>) lo connotano come un soggetto che partecipa a pieno titolo all’amministrazione attiva dell’ente, tanto quanto i dirigenti e anzi in posizione sovraordinata rispetto a questi ultimi “ (Cons. St., Sez. I, 10.07.1991, parere n. 1620/1991).
Questa impostazione, del resto non dissimile dalla previgente legge comunale e provinciale (T.U. n. 383 del 1934) e non diversa dall’attuale Ordinamento (art. 17 della legge n. 127 del 1997 e, successivamente, art. 97 del d.lgs. 18.08.2000 n. 267) mantiene in capo a tale “funzionario” la specifica funzione ausiliaria di garante della legalità e correttezza amministrativa dell'azione dell'ente locale: infatti, anche il t.u. n. 267 del 2000 ha assegnato al segretario dell'ente locale, in linea generale, oltre agli altri compiti indicati all'art. 97 del t.u. citato, le "funzioni di collaborazione e di assistenza giuridico-amministrativa nei confronti degli organi dell'ente in ordine alla conformità dell'azione amministrativa alle leggi, allo statuto ed ai regolamenti" e quelle di "sovrintendere allo svolgimento delle funzioni dei dirigenti e di coordinarne l'attività".
E’ vero che, rispetto al passato, il rapporto di impiego insorge tra il segretario comunale e l'agenzia autonoma per la gestione dell'albo dei segretari comunali e provinciali, ma il rapporto di servizio, che è poi quello organico, intercorre tra il segretario e l'ente locale che si avvale della sua opera e che lo nomina e lo retribuisce, nel rispetto delle previsioni ora del T.u.e.l. n. 267/2000 e del DPR n. 465/1997, secondo le previsioni dello specifico contratto collettivo nazionale di lavoro dei Segretari Comunali e Provinciali: non è, quindi, neanche significativa la circostanza che il trattamento economico possa essere commisurato ai valori stipendiali previsti per i dirigenti dello Stato, perché quel che rileva è il trattamento economico di servizio attivo alle dipendenze dell’Ente Locale.
In sintesi, il segretario comunale e provinciale, a prescindere dal particolare regime normativo (albo) ed economico- retributivo (ora con apposito CCNL), è un dipendente a tutti gli effetti dell’Ente Locale, sia pure in via temporanea in relazione alla durata dell’incarico in titolarità, cui del resto sono state sempre applicate le comuni regole del pubblico impiego in generale o specifiche dell’ordinamento degli enti locali in quanto applicabili e compatibili.
Il motivo è quindi infondato, atteso che il rimborso delle spese legali ad un segretario comunale compete al Comune di sua utilizzazione, nel cui interesse è posta in essere la relativa attività funzionale (il CCNL comparto Segretari ha di recente previsto apposita polizza assicurativa) (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 24.12.2009 n. 8750 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Esecuzione demolizione e provvedimenti della P.A..
In tema di esecuzione dell'ordine di demolizione, se è vero che la P. A. é libera di agire e di portare a termine il proprio procedimento e che tale attività non può essere ignorata dalla giurisdizione (che ha l’obbligo di coordinare le proprie determinazioni con quelle assunte dall’Amministrazione o dai Giudici amministrativi) è anche vero che il giudice dell’esecuzione può persino disapplicare l’atto concessorio eventualmente sopravvenuto ove lo ritenga illegittimo.
A fortiori, si può (in ossequio al principio della sollecita attuazione dei provvedimenti del giudice) respingere anche una istanza di sospensione che si fondi sul richiamo alla pendenza di procedura amministrativa di esito prevedibilmente non favorevole e, comunque, dai tempi di definizione assolutamente incerti (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 23.12.2009 n. 49459 - link a www.lexambiente.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Accessibili solo i pareri inseriti nell'istruttoria.
Sono accessibili solo i pareri legali inseriti in un'apposita istruttoria procedimentale. Sono, invece, coperti da segreto i pareri legali resi dopo l'avvio di un procedimento giudiziario o arbitrale, oppure dopo l'inizio di tipiche attività precontenziose.
Questo è quanto ha sancito la seconda sezione del TAR della Liguria, Sez. II, con la sentenza 17.12.2009 n. 3782.
Un professore ordinario di Farmacologia all'Università di Genova richiede il pagamento di compensi per l'attività di «segreteria scientifica» svolta presso il Comitato etico del Dimi (Dipartimento di medicina interna e specialità mediche) e in esecuzione di un rapporto contrattuale tra il Comitato etico dell'Azienda ospedaliera –di cui il docente era membro farmacologo– e l'Ateneo stesso.
L'Ateneo rileva però la possibile incompatibilità tra la carica di membro farmacologo e la qualità di docente responsabile scientifico prevista nel contratto. Nell'ambito di tale vertenza, e cioè al fine di dirimere la controversia insorta con il proprio docente, l'Università richiede un parere sia all'Ufficio legale interno che all'Avvocatura dello Stato.
Tali pareri formano oggetto di istanza di accesso da parte del docente, ma l'amministrazione rilascia copia degli atti con numerose omissioni che ne rendono impossibile la comprensione.
Di qui il ricorso al Tar, fondato sulla violazione degli articoli 22 e 24 della legge n. 241 del 1990 (come modificata dalla legge n. 15 del 2005).
Il Tribunale amministrativo regionale per la Liguria ha respinto il ricorso.
Nella motivazione della sentenza si legge che «ai fini dell'opposizione del segreto professionale alle istanze di accesso agli atti occorre distinguere fra pareri legali resi in relazione a contenziosi (sottratti al diritto di accesso) e pareri legali che rappresentano, anche per effetto di un richiamo esplicito nel provvedimento finale, “un passaggio procedimentale istruttorio di un procedimento amministrativo in corso”: solo il primo tipo di parere è sottratto all'accesso, in quanto “non è la sola natura dell'atto a giustificare la segretezza, ma la funzione che l'atto stesso svolge nell'azione dell'amministrazione”».
I giudici amministrativi ricordano che nell'ambito degli atti coperti da segreto, come tali sottratti alla presa visione e alla estrazione di copia, rientrano in linea generale tutti gli atti redatti dai legali e dai professionisti in relazione a specifici rapporti di consulenza con l'amministrazione, in quanto detto segreto gode di una tutela qualificata, enucleata dalla disciplina dettata dagli artt. 622 c.p. e 200 c.p.p. In casi come questi l'accesso deve essere escluso a tutela delle esigenze di difesa (Consiglio Stato, Sezione V, 02.04.2001, n. 1893).
Invece se il parere viene reso, anche da professionisti esterni alla p.a., in una fase endoprocedimentale e preparatoria rispetto alla adozione del provvedimento amministrativo finale, del parere stesso si può prendere visione ed estrarre copia.
Alla luce di quanto sopra esposto, i pareri legali oggetto di una controversia, inserendosi in una fase senza dubbio contenziosa, non possono essere esaminati dal soggetto interessato che rivesta il ruolo di ricorrente, per cui quest'ultimo non può dolersi del fatto che i pareri in questione gli siano stati consegnati in forma incompleta, dato che non sussisteva comunque alcun diritto a prenderne visione (articolo ItaliaOggi del 07.01.2010, pag. 34).

EDILIZIA PRIVATAIl mutamento di destinazione è consentito in entrambe le fattispecie normative del restauro-risanamento conservativo e della ristrutturazione: nella prima ipotesi soffre pur sempre la limitazione della compatibilità con gli elementi tipologici, formali e strutturali del fabbricato.
La Sezione ritiene che, conformemente al parere del responsabile del settore edilizia privata del comune di Genova (doc. 9 delle produzioni 05.11.2009 di parte resistente), a seguito della presentazione della D.I.A. in variante in data 01.06.2007, l’intervento proposto debba qualificarsi come ristrutturazione, comportando il cambio di destinazione d’uso di gran parte dell’immobile (segnatamente, i piani dal terzo al settimo) mediante la realizzazione e l’inserimento di nuovi elementi edilizi, anche esterni (tra i quali le scale esterne di sicurezza in ferro sul retro ed il nuovo accesso per la scuola al terzo piano), che alterano l'originaria fisionomia e consistenza fisica dell'immobile.
Tali trasformazioni appaiono senz’altro incompatibili con il concetto di restauro e risanamento conservativo, che presuppone invece, ex art. 3, comma 1, lett. c), del D.P.R. n. 380/2001, il rispetto degli elementi tipologici, formali e strutturali dell’organismo edilizio, mediante la realizzazione di opere che ne lascino inalterata la struttura.
Né rileva che, secondo una consolidata giurisprudenza (per la quale cfr., da ultimo, TAR Puglia, II, 01.03.2004, n. 910), la modifica della preesistente destinazione d’uso non sia astrattamente incompatibile con il concetto di risanamento conservativo.
Difatti, come correttamente evidenziato dalla difesa del comune, il mutamento di destinazione, che in linea di principio è consentito in entrambe le fattispecie normative del restauro-risanamento conservativo e della ristrutturazione, nella prima ipotesi soffre pur sempre la limitazione, imposta direttamente dalla norma, della compatibilità con gli elementi tipologici, formali e strutturali del fabbricato (Cons. di St., V, 06.07.2002, n. 3728).
E poiché l'intervento in questione non era diretto -come vuole la definizione dettata dalla norma e lo stesso significato proprio dei termini "recupero" e "risanamento"- a conservare l'organismo edilizio, ma aveva lo scopo di trasformare l'immobile al solo fine di adattarlo alla progettata diversa destinazione d'uso (ancorché compatibile), non può residuare alcun dubbio circa la qualificazione dello stesso nell’ambito della ristrutturazione edilizia, con conseguente assoggettamento a contributo di costruzione
(TAR Liguria, Sez. I, sentenza 09.12.2009 n. 3565 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALo sgravio contributivo di cui all'art. 17, comma 3, lett. c), D.P.R. n. 380/2001 per gli impianti, le attrezzature, le opere pubbliche o di interesse generale, realizzate dagli enti istituzionalmente competenti, richiede il concorso di due presupposti, ovvero:
- l'ascrivibilità del manufatto oggetto del permesso di costruire alla categoria delle opere pubbliche o di interesse generale, cioè comunque idonee a soddisfare i bisogni della collettività anche se realizzate e gestite da privati;
- l'esecuzione delle opere da parte degli enti istituzionalmente competenti, cioè da parte di soggetti cui sia demandata in via istituzionale la realizzazione di opere di interesse generale, ovvero da parte di privati concessionari dell'ente pubblico, purché le opere siano inerenti all'esercizio del rapporto concessorio.

E’ noto infatti che lo sgravio contributivo di cui all'art. 17, comma 3, lett. c), D.P.R. n. 380/2001 per gli impianti, le attrezzature, le opere pubbliche o di interesse generale, realizzate dagli enti istituzionalmente competenti, richiede il concorso di due presupposti, ovvero: l'ascrivibilità del manufatto oggetto del permesso di costruire alla categoria delle opere pubbliche o di interesse generale, cioè comunque idonee a soddisfare i bisogni della collettività anche se realizzate e gestite da privati; l'esecuzione delle opere da parte degli enti istituzionalmente competenti, cioè da parte di soggetti cui sia demandata in via istituzionale la realizzazione di opere di interesse generale, ovvero da parte di privati concessionari dell'ente pubblico, purché le opere siano inerenti all'esercizio del rapporto concessorio.
Nel caso di realizzazione da parte di privati, deve dunque sussistere un ben preciso vincolo relazionale tra il soggetto abilitato ad operare nell'interesse pubblico ed il materiale esecutore della costruzione, e tale vincolo deve contrassegnare fin dall'inizio (cioè, fin dalla richiesta del titolo edilizio) la realizzazione dell'assentito intervento edificatorio, al fine di ottenere l’esenzione dal contributo di costruzione.
Difatti, “la evidente connessione legislativa tra gli elementi dell'“ente istituzionalmente competente” e della “realizzazione” non può essere dilatata al punto da esporre l'amministrazione comunale a richieste di sgravio contributivo, e quindi per lo più ad istanze di rimborso di oneri già acquisiti al patrimonio comunale, sulla base di utilizzazioni intervenute e concordate in un secondo momento, frutto dell'attività imprenditoriale o commerciale dell'impresa costruttrice e comunque del tutto esulanti dagli specifici intenti realizzativi iniziali, e questo seppur l'intervento edilizio riguardi zone tendenzialmente destinate ad interventi edificatori di interesse generale. Non si può, in definitiva, recuperare ex post il legame tra soggetti realizzatori e finalità pubbliche che, seppur con moduli organizzatori non del tutto tipizzati, deve contraddistinguere l'intervento edilizio ab initio” (così Cons. di St., V, 02.12.2002, n. 6618)
(TAR Liguria, Sez. I, sentenza 09.12.2009 n. 3565 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALe stazioni radio base, per le loro caratteristiche strutturali, non sono equiparabili alle costruzioni ex art. 873 del codice civile e la disciplina comunale non può assimilare tout-court gli impianti in questione agli edifici sotto il profilo edilizio-urbanistico in ragione dell’inammissibile assimilazione ai fini urbanistici fra le costruzioni e gli impianti tecnologici.
In merito alla costruzione di una stazione radio base sul confine, è stata dedotta nel ricorso introduttivo la violazione degli artt. 29 e ss. del Regolamento edilizio e degli artt. 873 e ss. Codice civile.
Neppure questa censura può essere accolta, poiché la giurisprudenza ritiene che tali stazioni, per le loro caratteristiche strutturali, non siano equiparabili alle costruzioni ex art. 873 del codice civile (TAR Toscana Firenze, sez. I, 06.11.2006, n. 5088), ed ha ripetutamente chiarito che “la disciplina comunale non può assimilare tout-court gli impianti in questione agli edifici sotto il profilo edilizio-urbanistico (ad es.: assoggettando i primi ai limiti di altezza o in tema di distanze propri dei secondi” (Cons. Stato, VI, 5044/2008), in ragione dell’inammissibile assimilazione ai fini urbanistici fra le costruzioni e gli impianti tecnologici (in tale senso, ex plurimis: Cons. Stato, Sez. VI, sent. 07.06.2006, n. 3425; id, Sez. IV, sent. 14.02.2005, n. 450) (TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. I, sentenza 07.12.2009 n. 2861 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Beni Ambientali. Pianificazione paesistica.
In sede di pianificazione paesistica, anche approvata in via sostitutiva, ben possono essere disciplinate le aree vincolate con provvedimento amministrativo e ben possono essere dettate prescrizioni “a regime”, come la prevalenza sugli strumenti urbanistici, che peraltro attua il generale principio della prevalenza dei piani paesistici, che continua ad essere tuttora vigente (art. 143, comma 9, d.lgs. n. 42/2004).
Inoltre, risulta evidente che la procedura per l’approvazione del piano in via sostitutiva è di carattere eccezionale e risulta essere atipica rispetto al modello ordinario di procedimento, con la conseguenza che quel modello non può essere qui invocato e non può quindi essere applicata la fase partecipativa aperta prevista nel modello ordinario, che deve necessariamente essere adattata all’esercizio dei poteri sostitutivi eccezionali (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 03.12.2010 n. 7543 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: Motivazione diniego del permesso di costruire.
La motivazione del provvedimento di diniego del titolo abilitativo edilizio, che non consenta di intendere in quali termini e con quali disposizioni delle Norme tecniche di attuazione del p.r.g. il progetto sia in contrasto, è del tutto inidonea ad adempiere la propria funzione di far comprendere le ragioni giuridiche e le giustificazioni di fatto che sono alla base della determinazione dell'Amministrazione, con evidente pregiudizio al diritto di difesa della ricorrente ed al principio di trasparenza dell'azione amministrativa.
In tal modo non si consente all'interessato da un lato, di rendersi conto degli impedimenti che si frappongono alla realizzazione del suo progetto e di poterlo adeguare alle esigenze pubbliche che l'Amministrazione ha inteso tutelare; dall'altro, di confutare in maniera esaustiva la legittimità del provvedimento davanti al giudice competente (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 01.12.2009 n. 5218 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il risultato negativo di una richiesta di sanatoria edilizia comporta l’automatica decadenza dell’ordinanza demolitoria, dovendo l’amministrazione riaprire il procedimento volto ad attivare nuovo provvedimento sanzionatorio, ed assegnando nuovi termini in ipotesi di conferma della sanzione ripristinatoria.
La presentazione di istanza di accertamento in conformità ex art. 13 l. n. 47/1985 determina la sospensione del procedimento sanzionatorio sino all’esito del procedimento di sanatoria, il cui risultato negativo comporta l’automatica decadenza dell’ordinanza demolitoria, dovendo l’amministrazione riaprire il procedimento volto ad attivare nuovo provvedimento sanzionatorio, ed assegnando nuovi termini in ipotesi di conferma della sanzione ripristinatoria (TAR Sardegna 16.09.1994 n. 1559, TAR Lombardia Milano, sez. II, 11.03.2002 n. 1037)
(TAR Puglia-Bari, Sez. II, sentenza 19.11.2009 n. 2756 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il c.d. «volume tecnico» comprende esclusivamente le porzioni di fabbricato destinate ad ospitare impianti, legati da un rapporto di strumentalità necessaria con l'utilizzazione dello stesso.
L’intervento realizzato dall’odierna ricorrente determina un sensibile aumento di volumetria non riconducibile al concetto di volume tecnico, trattandosi di vano adibito non già alla allocazione di impianti strumentali alla costruzione (impianti idrici, termici ecc.) bensì a studio, con conseguente variazione essenziale della cubatura e mutamento della destinazione d’uso.
Il c.d. «volume tecnico» comprende esclusivamente le porzioni di fabbricato destinate ad ospitare impianti, legati da un rapporto di strumentalità necessaria con l'utilizzazione dello stesso; non è tale pertanto l'intervento che si sostanzia, piuttosto, in un piano di copertura, avente consistente cubatura, reso oggettivamente suscettibile di uso abitativo, che integra un nuovo organismo edilizio autonomamente utilizzabile, secondo la definizione contenuta nell'art. 31, comma 1, del d.P.R. n. 380 del 2001 (TAR Campania Napoli, sez. II, 27.01.2009, n. 44)
(TAR Puglia-Bari, Sez. II, sentenza 19.11.2009 n. 2756 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa costruzione di una serra che sia destinata a far fronte ad esigenze continuative connesse a coltivazioni ortofrutticole è soggetta al previo rilascio della concessione edilizia.
Una serra, quando consiste in un manufatto infisso al suolo, benché abbia carattere di relativa mobilità, rientra nel concetto di opera di fabbricazione, avendo attitudine a permanere nel tempo ed a influire sulla razionale sistemazione del territorio, così che essa necessita della preventiva concessione edilizia.

Per consolidato insegnamento giurisprudenziale (cfr. Cons.St. Sez. IV, 06.03.2006 n. 1119, Sez. V, 08.06.2000 n. 3247), la costruzione di una serra che, pur costituita da strutture agevolmente rimovibili, sia destinata a far fronte ad esigenze continuative connesse a coltivazioni ortofrutticole, in quanto destinata ad alterare in modo duraturo l'effetto urbanistico-territoriale, è soggetta al previo rilascio della concessione edilizia.
E’ stato, d'altra parte, chiarito che una serra, quando consiste in un manufatto infisso al suolo, benché abbia carattere di relativa mobilità, rientra nel concetto di opera di fabbricazione, avendo attitudine a permanere nel tempo ed a influire sulla razionale sistemazione del territorio, così che essa necessita della preventiva concessione edilizia (Cons. St. Sez. V, 25.11.1988 n. 760), laddove è stata esclusa la necessità del predetto titolo abilitativi solo per l'ipotesi di una serra costruita su un fondo destinato ad uso agricolo, per finalità inerenti esclusivamente alla coltivazione del terreno, fuori dal centro abitato, formata di materiali facilmente amovibili, non infissa stabilmente al suolo o eseguita con opere murarie né collegata con altre opere costruttive edilizie o che abbia dimensioni tali da non incidere negativamente sull'ambiente circostante (cfr. Cons. St. Sez. V, 14.03.1980 n. 284).
E’ in tale contesto sistematico che deve essere inquadrata la disposizione di cui all’art. 2, 6° comma, della L.R. 07.06.1980 n. 93 -Norme in materia di edificazione nelle zone agricole- (peraltro abrogata dall'art. 104, comma 1, lett. h), della L.R. 11.03.2005, n. 12), la quale prevedeva che “Non è subordinata né a concessione né ad autorizzazione comunale la realizzazione di coperture stagionali destinate a proteggere le colture” (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 19.11.2009 n. 2223 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: Convenzioni urbanistiche.
Le convenzioni urbanistiche hanno lo scopo di garantire che all' edificazione del territorio corrisponda, non solo l'approvvigionamento delle dotazioni minime di infrastrutture pubbliche, ma anche il suo equilibrato inserimento in rapporto al contesto di zona che, nell’insieme, garantiscano la normale qualità del vivere in un aggregato urbano discrezionalmente, e razionalmente, individuato dall’Autorità preposta alla gestione del territorio (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 06.11.2009 n. 6947 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: Sportello unico.
La trasmissione della pratica al SUAP, disposta con l’atto impugnato, non implica recesso del Comune dalle proprie prerogative e responsabilità, giacché lo Sportello Unico non rappresenta un nuovo centro di competenze, ma, com’è noto, un modulo organizzativo e procedimentale composito, una sorta di “procedimento di procedimenti” nel quale confluiscono gli atti e gli adempimenti facenti capo a diverse competenze, e richiesti dalle norme in vigore perché l'insediamento produttivo possa legittimamente essere realizzato; in questo senso, quelli che erano, in precedenza, autonomi provvedimenti, ciascuno dei quali veniva adottato sulla base di un procedimento a sé stante, diventano “atti istruttori” al fine dell'adozione dell'unico provvedimento conclusivo, titolo per la realizzazione dell'intervento richiesto (TAR Toscana, Sez. II, sentenza 06.11.2009 n. 1585 - link a www.lexambiente.it).

AGGIORNAMENTO AL 07.01.2010

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GURI - GUUE - BURL (e anteprima)

EDILIZIA PRIVATA: B.U.R. Lombardia, 1° suppl. straord. al n. 1 del 05.01.2010, "Indicazioni per l'accesso ai contributi per l'eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici residenziali privati e criteri di controllo" (decreto D.S. 15.12.2009 n. 14032 - link a www.infopoint.it).

EDILIZIA PRIVATA: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 1 del 04.01.2010, "Approvazione della procedura operativa per la realizzazione dei controlli sulla conformità degli attestati di certificazione energetica redatti ai sensi della d.g.r. 5018/2007 e successive modifiche" (decreto D.G. 15.12.2009 n. 14009 - link a www.infopoint.it).

EDILIZIA PRIVATA: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 1 del 04.01.2010, "Precisazioni in merito all'applicazione delle disposizioni vigenti in materia di certificazione energetica degli edifici e modifiche al d.d.g. 5796 dell'11.06.2009" (decreto D.G. 15.12.2009 n. 14006 - link a www.infopoint.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 1 del 04.01.2010, "Modifica degli Allegati 1, 2 e 3 della d.g.r. n. 5868 del 21.11.2007 «Integrazione con modifica al programma d'azione per la tutela e risanamento delle acque dall'inquinamento causato da nitrati di origine agricola per le aziende localizzate in zona vulnerabile (d.lgs. n. 152/2006, art. 92 e d.m. 07.04.2006) e adeguamento dei relativi criteri e norme tecniche generali di cui alla d.g.r. n. 17149/1996, approvati con d.g.r. n. 5215 del 02.08.2007»" (deliberazione G.R. 23.12.2009 n. 10892 - link a www.infopoint.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 1 del 04.01.2010, "Programma straordinario di interventi per l'attuazione della direttiva «Nitrati»" (deliberazione G.R. 23.12.2009 n. 10890 - link a www.infopoint.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: G.U. 31.12.2009 n. 303 "Attuazione dell’articolo 4 della legge 04.03.2009, n. 15, in materia di ricorso per l’efficienza delle amministrazioni e dei concessionari di servizi pubblici" (D.Lgs. 20.12.2009 n. 198).
La cosiddetta class action (senza risarcimento) per i disservizi pubblici.

ENTI LOCALI: G.U. 31.12.2009 n. 303, suppl. ord. n. 245/L, "Legge di contabilità e finanza pubblica" (L. 31.12.2009 n. 196).

APPALTI: G.U.U.E. 20.12.2007 n. L 335, "DIRETTIVA 2007/66/CE DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO dell’11.12.2007 che modifica le direttive 89/665/CEE e 92/13/CEE del Consiglio per quanto riguarda il miglioramento dell’efficacia delle procedure di ricorso in materia d’aggiudicazione degli appalti pubblici" (link a http://eur-lex.europa.eu).

CORTE DEI CONTI

AMBIENTE-ECOLOGIA - ENTI LOCALI: Rifiuti, punito il sindaco inerte. Sentenza della Corte dei conti campana individua (per prima) gli obblighi dei comuni. C'è danno erariale se manca la raccolta differenziata.
I comuni che non attuano la raccolta differenziata dei rifiuti solidi urbani rispondono anche di danno erariale. Infatti, l'inerzia degli amministratori nell'attuare le prescrizioni legislative o le eventuali ordinanze commissariali in merito, comporta un maggior costo di conferimento dei rifiuti negli impianti di smaltimento, nonché il mancato introito derivante dalla cessione del materiale recuperato e il maggior costo della cosiddetta «emergenza rifiuti». Tutte poste di danno che non possono essere addebitate alla collettività, ma agli stessi amministratori che, in maniera negligente, nulla hanno fatto per avviare seriamente la raccolta differenziata dei rifiuti solidi urbani.
Lo ha sancito la sezione giurisdizionale della Corte dei conti per la Campania, nel testo della recentissima sentenza 09.12.2009 n. 1492, la prima in tal senso nel panorama giurisprudenziale italiano, con la quale ha chiarito come l'avvio delle procedure per sensibilizzare la raccolta differenziata nei cittadini, per le amministrazioni comunali, non sia certo una facoltà, quanto piuttosto un obbligo, dal cui mancato adempimento ne possono conseguire rilevanti problematiche, non ultima la chiamata a rispondere innanzi al collegio della magistratura contabile per responsabilità amministrativo-contabile.
Il collegio della Corte campana ha così sanzionato al pagamento di oltre 450 mila euro, il sindaco e i dirigenti comunali di Marcianise (Ce), in carica nel biennio 2003-2005, per il mancato rispetto degli obblighi inerenti il raggiungimento delle percentuali minime di raccolta differenziata.
Secondo le ordinanze di protezione civile emanate nel 1999, 2000 e 2005, i comuni campani avrebbero dovuto attuare una percentuale minima di raccolta differenziata (rispetto al totale ammontare della quantità di rifiuti prodotta) pari al 30% per il 2003-2004 e al 35% per il 2005. In caso di violazione, la tariffa a carico dei comuni per gli oneri gestionali della raccolta dei rifiuti avrebbe subito progressive maggiorazioni in misura direttamente proporzionale all'entità della violazione delle disposizioni riguardanti la percentuale minima di raccolta differenziata da realizzare entro le varie scadenze prestabilite. Nei fatti era emerso che nel 2004 il Comune di Marcianise risultava aver raggiunto la percentuale di raccolta differenziata del solo 6,17.
La Corte ha potuto rilevare che in quel comune «nulla era stato previsto per la raccolta differenziata dei rifiuti solidi urbani». In particolare non è sorto alcun obbligo per i cittadini di procedere al conferimento separato della varie tipologie di rifiuti, con la conseguente impossibilità, per gli agenti di polizia municipale, di contestare eventuali infrazioni e nonostante il corrispettivo comunque erogato alla società affidataria del servizio di raccolta dei rifiuti comprendente anche il trattamento della raccolta differenziata.
Tre, pertanto, i profili di danno contestati e passati in sentenza. Il primo, a danno delle casse comunali, è dato dall'ingiustificato costo sostenuto a titolo di tariffa smaltimento rifiuti per il conferimento «dell'indifferenziato» presso gli impianti di smaltimento, quando, invece, avrebbe dovuto essere in parte non conferito agli impianti, ma separato con l'effettuazione della prescritta raccolta.
Il secondo, ancora a danno del comune, è costituito dal mancato introito derivante dalla cessione del materiale recuperato. Il terzo, infine, è a danno sia del Comune che dell'Erario ed è costituito dal collasso del piano integrato dei rifiuti e dei costi emergenziali, cui l'insufficiente raccolta differenziata «ha senz'altro partecipato», anche se in modo non preponderante ad altre cause, quali l'assenza dei termovalorizzatori (articolo ItaliaOggi del 29.12.2009, pag. 19).

PUBBLICO IMPIEGO: In tema di responsabilità di un funzionario dipendente di un ente locale addetto all'ufficio economato per danno erariale derivante dall'omissione di ogni forma di controllo e vigilanza sull'illecito operato di altro dipendente a lui sottoposto (nella fattispecie la Sezione ha ritenuto responsabile il convenuto per responsabilità sussidiaria conseguente l'omessa vigilanza sul versamento di somme nelle casse comunali) (Corte dei Conti, Sez. II giurisdiz. centrale d'appello, sentenza 09.12.2009 n. 548 - link a www.corteconti.it).

APPALTI: In tema di responsabilità dell'ingegnere capo ufficio tecnico di un ente locale per danno indiretto cagionato allo stesso derivante da transazione intervenuta tra ditta appaltatrice e amministrazione locale (Corte dei Conti, Sez. giurisdiz. d'appello Sicilia, sentenza 03.12.2009 n. 355 - link a www.corteconti.it).

LAVORI PUBBLICI: In tema di responsabilità di amministratori locali e dipendente comunale per danno erariale della P.A. derivante dalla trasformazione di suoli privati mediante l'esecuzione di opere pubbliche in assenza di legittima procedura espropriativa (nella fattispecie la Sezione ha ritenuto il danno non attuale non essendo ancora intervenuto il passaggio in giudicato della sentenza civile) (Corte dei Conti, Sez. giurisdiz. Calabria, sentenza 24.11.2009 n. 714 - link a www.corteconti.it).

PUBBLICO IMPIEGO: Rimborsi spese ko. Corte conti lombarda sui guai legali dei dipendenti. Scelta del legale da fare con la p.a..
La pubblica amministrazione non può rimborsare le spese legali al dipendente coinvolto in vicende giudiziarie per fatti attinenti il servizio, dopo che lo stesso ha provveduto a scegliersi autonomamente il proprio difensore, senza che sia stata data la possibilità all'amministrazione di essere interpellata sulle decisioni inerenti il patrocinio legale.
Lo ha chiarito la Sezione regionale di controllo della Corte dei conti per la Lombardia, nel testo del parere 12.11.2009 n. 1000, con la quale ha fatto ordine sul rapporto rimborso spese legali- scelta difensore da parte del dipendente pubblico.
La Corte, interessata sul punto dal sindaco del comune di Varese, ha sottolineato che l'articolo 28 del vigente contratto collettivo nazionale di lavoro sostanzialmente ricalca quanto contenuto dell'articolo 67 del dpr n. 268/1987.
La ratio di tale norma, pertanto, è quella di rispondere all'esigenza che il soggetto appartenente ad un'organizzazione pubblica, chiamato ingiustamente a rispondere per attività compiute nell'espletamento dei propri compiti istituzionali, non deve sopportare il peso economico del processo. Va da sé che l'assunzione del relativo onere economico da parte della p.a. non è certo automatico, ma è conseguenza di alcuni presupposti e rigorose valutazioni che la p.a. deve svolgere.
In particolare, ha rilevato la Corte lombarda, sul punto della legittimità del rimborso delle spese legali, il testo dei citato articolo 67 fa espresso riferimento alla necessità che il legale, che assumerà la difesa del dipendente con onere a carico dell'ente locale, sia «di comune gradimento».
Questo fa sì che deve escludersi che il rimborso delle spese legali a carico del Comune, possa avvenire a seguito di una scelta del tutto autonoma e personale del dipendente nella nomina del proprio difensore, cioè, senza che l'amministrazione sia mai stata interpellata nelle decisioni inerenti alla scelta del patrocinio legale.
Inoltre, la risposta del collegio lombardo chiarisce un altro interessante punto. Infatti, in caso di liquidazione di spese in sede giudiziale (rifuse dalla parte soccombente al dipendente), il rimborso da parte del Comune di eventuali maggiori spese, rispetto alla quantificazione contenuta nella sentenza, deve essere frutto di un «accordo preliminare» intervenuto in sede di conferimento dell'incarico. Mancando tale accordo, le maggiori spese sopra descritte restano a totale carico del dipendente, in quanto ciò «attiene al rapporto interno tra il difensore e il soggetto che gli ha conferito l'incarico» (articolo ItaliaOggi del 26.11.2009, pag. 36).

QUESITI & PARERI

AMBIENTE-ECOLOGIA: Come si configura il diritto di accesso alle informazioni ambientali? (quesito 01.01.2010 - link a www.ambientelegale.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Nell’ipotesi in cui un’azienda autosmaltisca i rifiuti prodotti, deve pagare ugualmente la TIA? (quesito 01.01.2010 - link a www.ambientelegale.it).

DOTTRINA E CONTRIBUTI

AMBIENTE-ECOLOGIA: A. Pierobon, LE IMPRESE DI PULIZIA E LA GESTIONE DEI RIFIUTI: UNA OCCASIONE DI RIFLESSIONE DALLA SENTENZA TAR PUGLIA-LECCE, SEZ. I, 19.11.2009 N. 2799 (prima parte) (link a www.lexambiente.it).

LAVORI PUBBLICI: M. Bassanese, Dopo il 2009 i Comuni sono ancora tenuti a partecipare alle spese per la manutenzione delle strade vicinali? (link a http://venetoius.myblog.it).

EDILIZIA PRIVATA: D. Meneguzzo, I capanni da caccia sono abusi edilizi e ambientali? (link a http://venetoius.myblog.it).

LAVORI PUBBLICI: L. Bellagamba, Lavori pubblici: il problema se il beneficio del “quinto” giovi a raggiungere le quote “minime” di qualificazione previste per i raggruppamenti orizzontali (link a www.linobellagamba.it).

APPALTI: L. Bellagamba, L’offerta economicamente più vantaggiosa e l’organo di gara competente in materia di “criteri di valutazione” di natura quantitativa (link a www.linobellagamba.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: V. Salamone, La valorizzazione dei rifiuti come risorsa energetica: i termovalorizzatori nella normativa e nella giurisprudenza (link a www.giustizia-amministrativa.it).

LAVORI PUBBLICI: E. De Falco, Subappalti nei lavori pubblici - I presupposti per il ricorso al subappalto dei lavori pubblici alla luce dell'art. 118 del d.lgs. 163/2006 e del nuovo Regolamento di esecuzione e di attuazione del Codice dei contratti pubblici (Quaderni di Legislazione Tecnica n. 4/2009).

NEWS

VARI: Turismo: dal 20 gennaio è possibile prenotare i Buoni Vacanza.
Dal 20.01.2010 sarà possibile prenotare i buoni vacanza, validi fino al 30.06.2010.
Possono presentare la domanda i cittadini italiani che rientrano nei limiti di reddito stabiliti dall'art. 4 del DPCM 21.10.2008. Il contributo può essere erogato una sola volta per nucleo familiare e fino all'esaurimento dei fondi disponibili sulla base del criterio di priorità cronologica di inoltro della richiesta e al versamento dell'importo residuo a carico del richiedente.
I buoni vacanza sono nominativi e distribuiti in tagli da 20 e 5 euro spendibili anche separatamente. Il gestore dei buoni vacanza sarà l'associazione no profit Buoni Vacanza Italia (BVI) che ha siglato la convenzione con il Dipartimento del turismo il 03.07.2009. La richiesta avviene attraverso una procedura on line.
Occorre compilare sia il modulo anagrafico sia l'autodichiarazione sulle condizioni anagrafiche e reddituali per il calcolo della percentuale di contributo pubblico e la richiesta dell'importo dei buoni.
A procedura on line completata verrà rilasciato in automatico dal sistema un codice di prenotazione che dovrà essere presentato entro 10 giorni -pena la decadenza della prenotazione- ad una agenzia della Banca Intesa-Sanpaolo. La banca, a sua volta, ordina i buoni che verranno recapitati al beneficiario direttamente a domicilio. L'elenco delle strutture turistiche convenzionate può essere consultato sul sito www.buonivacanze.it (link a www.governo.it).

PUBBLICO IMPIEGOIncarichi ai dirigenti Affidamenti difficili. Tesi restrittiva della Corte conti.
Gli incarichi dirigenziali scadenti il 31.12.2009, in assenza di una espressa mancata conferma, debbono necessariamente essere confermati per il successivo triennio, salvo revoche o riorganizzazioni.
La scadenza naturale degli incarichi, per effetto delle modifiche all'articolo 19 del dlgs 165/2001, operate dal dlgs 150/2001, non rappresenta di per sé più causa che consenta agli organi di governo di modificare l'assetto della dirigenza. La conferma dell'incarico, infatti, rappresenta, nel nuovo sistema, la regola; la modifica un'eccezione da motivare espressamente e da gestire secondo i principi e criteri dell'evidenza pubblica.

È il nuovo comma 1-bis dell'articolo 19 del dlgs 165/2001 la chiave di volta della forte restrizione operata dal legislatore nei confronti del potere dell'organo di governo di modificare gli incarichi dirigenziali.
Esso stabilisce che «l'amministrazione rende conoscibili, anche mediante pubblicazione di apposito avviso sul sito istituzionale, il numero e la tipologia dei posti di funzione che si rendono disponibili nella dotazione organica e i criteri di scelta; acquisisce le disponibilità dei dirigenti interessati e le valuta». Si pretende, cioè, una vera e propria procedura pubblica, finalizzata a mettere i dirigenti nelle condizioni di manifestare il proprio interesse a un incarico che l'amministrazione intende conferire, rendendolo «conoscibile» con un avviso.
Non tutti gli incarichi dirigenziali sono, tuttavia, oggetto di tale procedura e, dunque, da rendere conoscibili. Lo chiariscono il comma 1 dell'articolo 19 medesimo e l'articolo 21, comma 1, del dlgs 165/2001. Il primo, tra gli altri criteri per assegnare gli incarichi dirigenziali, enuncia espressamente l'esigenza di tenere in considerazione i risultati ottenuti dal dirigente, secondo il sistema di valutazione. Se i risultati sono positivi, nella sostanza la normativa attribuisce maggior valore all'interesse generale alla continuità dell'azione gestionale del singolo dirigente, rispetto all'interesse, particolare, del singolo amministratore a cambiare gli assetti della dirigenza.
Lo dimostra il citato articolo 21, comma 1, ai sensi del quale la mancata conferma degli incarichi è conseguenza esclusivamente di due eventi: il mancato raggiungimento degli obiettivi accertato attraverso le risultanze del sistema di valutazione, ovvero l'inosservanza delle direttive imputabili al dirigente. In assenza di questi due presupposti, non vi è alcuna possibilità di non confermare l'incarico, anche se sia scaduto il termine di durata.
Il procedimento a evidenza pubblica scatta se ricorrano le condizioni per rendere disponibile un incarico, liberatosi per mancato rinnovo specificamente motivato dalle ragioni viste prima, oppure determinato da una revoca dovuta alla particolare gravità del mancato raggiungimento dei risultati o della violazione alle direttive.
Una terza ipotesi per modificare gli incarichi è la riorganizzazione, che deve, tuttavia, riguardare l'intero ente in termini concreti, non bastando una semplice azione di spostamento non sostanziale di alcuni uffici e risorse, mirate ad incidere esclusivamente sulla posizione dirigenziale di un particolare dirigente. Tanto è vero, che il già citato comma 1-ter dell'articolo 19 dispone: «L'amministrazione che, in dipendenza dei processi di riorganizzazione ovvero alla scadenza, in assenza di una valutazione negativa, non intende confermare l'incarico conferito al dirigente, è tenuta a darne idonea e motivata comunicazione al dirigente stesso con un preavviso congruo, prospettando i posti disponibili per un nuovo incarico».
Quanto fin qui visto vale direttamente per le amministrazioni statali, ma anche come principio inderogabile per le amministrazioni regionali e locali. Infatti, la novellazione all'articolo 19 del dlgs 165/2001 è posta in essere in attuazione della delega legislativa contenuta nella legge 15/2009, ai sensi della quale il legislatore delegato era chiamato ad applicare alla disciplina degli incarichi e delle revoche dirigenziali i principi enunciati dalla Corte costituzionale, nelle note sentenze 103 e 104 del 2007, ove si sottolinea la contrarietà a Costituzione di una configurazione fiduciaria degli incarichi e la necessità, invece, di garantire la continuità delle funzioni dirigenziali, allo scopo di non rendere precaria la loro funzione, che, essendo i dirigenti organi esercitanti una funzione pubblica di interesse generale, non deve essere resa incerta da fattori non connessi alla valutazione della loro capacità tecnica.
Per tale ragione, anche regioni ed enti locali debbono rispondere ad un principio valevole erga omnes, discendendo direttamente dagli articoli 97 e 98 della Costituzione, non derogabile da alcuna fonte, né legislativa, né statutaria, propria dell'autonomia di detti enti, visto che tale autonomia deve essere armonica e non contrastante con la Costituzione (articolo di ItaliaOggi del 06.01.2010, pag. 25).

APPALTIServe una bussola per gli appalti, Codice dei contratti: modifiche mentre si vara il regolamento.
Il 2010 vedrà il via libera al regolamento del codice dei contratti pubblici, ma fra modifiche in corso e richieste di revisione complessiva del Codice dei contratti pubblici, il quadro normativo subirà ulteriori cambiamenti destinati a disorientare ulteriormente amministrazioni e operatori del settore.
È questo quanto potrebbe accadere se si analizza lo stato dell'arte dei principali provvedimenti in materia di appalti pubblici ... (articolo ItaliaOggi del 06.01.2010 - tratto da http://rassegnastampa.formez.it).

PUBBLICO IMPIEGO: Sulla mobilità mani legate alle giunte locali.
La competenza a disporre la mobilità dei dipendenti pubblici spetta in via esclusiva alla dirigenza. Non sono, dunque, legittimi i provvedimenti adottati con deliberazioni delle giunte comunali o provinciali.
Nonostante la mobilità sia indiscutibilmente un provvedimento di natura gestionale, sono frequentissimi i casi nei quali gli enti locali decidono di acquisire o lasciar trasferire un dipendente per mobilità volontaria, mediante deliberazioni della giunta ... (articolo ItaliaOggi del 02.01.2010 - tratto da http://rassegnastampa.formez.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: P.a., class action senza munizioni. Al debutto sia le azioni collettive pubbliche sia quelle private. E qui ci sono già i primi due casi. Non sono previsti risarcimenti, ma solo l'obbligo di rimediare.
La class action contro la p.a. non porterà risarcimenti dei danni. Al massimo servirà a imporre agli enti pubblici di rimediare alla propria inefficienza. Ma senza nuove o maggiori spese per le amministrazioni. L'azione collettiva «pubblica», pure se in versione «ridotta», è comunque in procinto di diventare operativa.
È stato, infatti, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 31/12/2009 il dlgs 20.12.2009, n. 198, in materia di ricorso per l'efficienza delle amministrazioni e dei concessionari di servizi pubblici. Comunque la class action contro le p.a. non partirà subito, in quanto il decreto legislativo non basta. Servono anche decreti attuativi e fino alla loro emanazione tutto rimarrà sulla carta ... (articolo ItaliaOggi del 02.01.2010 - tratto da http://rassegnastampa.formez.it).

ENTI LOCALI: Finanziaria in pensione, arriva la legge di stabilità.
Dall'anno prossimo non ci saranno più legge finanziaria e Documento di programmazione economica e finanziaria (Dpef). Al loro posto arriveranno la legge di stabilità e la Decisione di finanza pubblica (Dfp).
Si tratta della riforma della contabilità pubblica che il 31.12.2009 è approdata sulla Gazzetta Ufficiale.
In pratica vengono modificati tutti gli strumenti che in questi anni hanno caratterizzato le manovre di bilancio. La nuova legge indica quali saranno gli strumenti della programmazione.
Si parte dalla relazione sull'economia e la finanza pubblica, da presentare alle camere entro il 15 aprile di ogni anno. Si prosegue con lo schema di decisione della Dfp, da presentare alle camere entro il 15 settembre di ogni anno, per le conseguenti deliberazioni parlamentari. Poi si arriva al disegno di legge di stabilità, da presentare in parlamento, entro il 15 ottobre, corredato di una nota tecnico-illustrativa da inviare alle camere. A seguire i ddl bilancio (entro il 15 ottobre) e assestamento (entro il 30 giungo).
Infine i collegati alla manovra di finanza pubblica, da presentare alle camere entro il mese di febbraio (articolo ItaliaOggi del 02.01.2010, pag. 3).

APPALTI: La giustizia amministrativa innova. Rassegna degli orientamenti giurisprudenziali sui contratti pubblici, adeguamenti e correttivi. Codice appalti: il Cds e il Tar ispirano l'aggiornamento.
Nei sistemi romanistici, nei quali la lettera della legge costituisce il fondamento del diritto, la capacità di una norma di adeguarsi alle mutate esigenze della prassi mediante interpretazione giurisprudenziale è elemento essenziale per assicurare l'armonia tra la pratica concreta e la previsione astratta della legge.
Tale evoluzione è poi particolarmente importante in un ambito come quello dei contatti pubblici, che tanta importanza hanno nell'economia del nostro paese e che coinvolgono una larga parte delle imprese nostrane.
Tramite la giurisprudenza del Consiglio di stato e dei Tribunali amministrativi regionali, dunque, la legislazione «vive» e si adatta alla domanda di giustizia in costante evoluzione.
Di seguito, si illustrano alcuni recenti orientamenti della giurisprudenza amministrativa.
Limiti al subappalto.
Con la pronuncia del Tar Friuli-Venezia Giulia del 9 giugno scorso, il giudice amministrativo ha nuovamente affrontato il problema posto dall'obbligo di presentare in sede di gara, insieme all'offerta, la dichiarazione precisa e dettagliata contenente la volontà di avvalersi del subappalto.
La pronuncia prende le mosse dalla contestazione, sollevata nei confronti dell'aggiudicataria, di mancata indicazione in maniera esatta e minuziosa, in sede di offerta, delle lavorazioni oggetto di subappalto, essendosi la stessa limitata alla generica manifestazione della volontà di avvalersi del subappalto nei limiti di legge.
In assenza di apposita prescrizione di legge, deve ritenersi che una tale richiesta sia nelle facoltà della stazione appaltante, che è dunque libera di inserire la stessa nel regolamento della gara (bando e/o disciplinare), prevedendo anche le sanzioni in caso di mancata o incompleta dichiarazione.
Il Tribunale adito, rilevata tale prescrizione nel caso concreto, ha tuttavia evidenziato come eventuali irregolarità nell'indicazione formulata dal concorrente non fossero sanzionate dall'automatica esclusione dalla gara.
Sulla scorta di tale inciso, il Collegio, conformemente all'orientamento prevalente, ha confermato il principio per cui l'eventuale genericità o incompletezza della dichiarazione circa il subappalto non può determinare la conseguenza dell'automatica esclusione dalla gara in assenza di apposita previsione, ma soltanto l'impossibilità per l'impresa aggiudicataria di avvalersi del subappalto, con conseguente obbligo della stessa di portare a termine in proprio tutti i lavori appaltati, sempreché sia qualificata per ciascuna di esse, potendosi in tal caso procedere ad esclusione del concorrente solo laddove lo stesso sia carente della prescritta qualificazione.
Tale principio ha peraltro trovato ulteriore conferma, a pochi giorni di distanza, in una decisione del Consiglio di stato (12.06.2009 n. 3696), chiamato a pronunciarsi, tra i vari motivi, su analogo gravame
Il giudice d'appello, ha così confermato che l'incompletezza della documentazione relativa all'identità e alla qualificazione dei subappaltatori indicati in sede di domanda di partecipazione, preclude la possibilità di avvalersi del subappalto medesimo, non comportando la automatica esclusione dell'offerente se non per difetto di qualificazione di quest'ultimo in relazione ai lavori interessati dal subappalto escluso.
Analogamente, il Consiglio di stato ha quindi sancito che il superamento dei limiti massimi di subappalto previsti nella gara specifica, ovvero fissati in via generale normativamente, non comporta l'esclusione del concorrente, ma bensì l'esclusione del subappalto in caso di aggiudicazione.
Offerta economicamente più vantaggiosa.
È un fatto che il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa si sta imponendo con sempre maggior frequenza nelle gare pubbliche, in sostituzione di quello del massimo ribasso utilizzato in passato, ponendo problematiche del tutto nuove.
Nella sentenza del 03.06.2009 n. 3404 il Consiglio di stato si è pronunciato sul tema della valutazione dell'anomalia e dei parametri utilizzati per l'attribuzione del punteggio in caso di gara aggiudicata appunto secondo il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa.
In particolare, già in primo grado il ricorrente aveva censurato la manifesta illogicità dei criteri di valutazione dell'offerta economica, che avevano condotto all'attribuzione, in sede di gara, di un maggior punteggio, al prezzo più alto anziché all'offerta più bassa, nonostante lo scarto rilevante tra le due offerte.
Avverso la sentenza del Tar, che aveva accolto il ricorso, l'aggiudicataria e la stazione appaltante proponevano appello, sostenendo l'errata valutazione compiuta dal giudice di prime cure stante la discrezionalità del potere, esistente in capo all'amministrazione, di fissare i criteri di valutazione delle offerte, che dunque risultano insindacabili se non in caso di manifesta illogicità.
Il giudice d'appello, pur riconoscendo la sussistenza di una ampia discrezionalità dell'amministrazione, ha tuttavia ritenuto infondata tale censura ritenendo nel caso di specie sussistente proprio quella manifesta illogicità che giustifica l'intervento giurisdizionale.
Ciò, in quanto, a seguito del recepimento nell'ordinamento dei principi posti dal diritto comunitario, deve ritenersi oggi precluso, nella valutazione del prezzo, qualunque criterio che si basi su medie matematiche o criteri forfettari, nel caso di specie utilizzati per il calcolo e la valutazione della c.d. soglia di anomalia che ha portato all'attribuzione di un punteggio minore all'offerta più bassa.
Su tale inciso, il Consiglio di stato ha quindi stabilito che la valutazione di anomalia debba essere successiva alla fase di attribuzione del punteggio per le offerte, per contro non potendo essere incorporata nella stessa, specie mediante automatismi; conseguentemente, i criteri di distribuzione del punteggio, ancorché possano essere suddivisi in diverse sub categorie, devono comunque risultare strutturati in modo tale da premiare l'offerta più bassa, dovendosi per contro riconoscere l'illogicità di quei criteri, come nel caso in esame, che abbiano come risultato l'attribuzione di un maggiore punteggio complessivo ad un offerta economica più elevata di altre.
Affidamenti mediante trattativa privata.
Con la sentenza 16.06.2009 n. 3903 il Consiglio di stato è stato chiamato a pronunciarsi sull'annosa questione della legittimità degli affidamenti mediante trattativa privata.
Nel caso sottoposto all'esame della Corte, veniva contestata la legittimità della condotta dell'amministrazione, sfociata in un provvedimento di affidamento a trattativa privata senza previo esperimento, motivato dalla incompatibilità dei tempi di esperimento di una procedura ad evidenza pubblica con la necessità dell'Ente di assicurare il servizio oggetto dell'affidamento.
Il Supremo collegio, nel respingere l'appello proposto, ha evidenziato come la stazione appaltante avesse affidato mediante trattativa privata la fornitura del servizio per l'intera durata pluriennale del contratto, e non già per il tempo strettamente necessario all'indizione di apposita gara.
Interpretando la lettera della legge, il Consiglio di stato ha quindi rilevato come la tutela dei principi della concorrenza e della evidenza pubblica non possano arretrare se non di fronte ad una impellente urgenza determinata da avvenimenti imprevedibili per l'amministrazione aggiudicatrice, e comunque con il limite della misura strettamente necessaria a far fronte a tale urgenza; elementi entrambi assenti nel caso in esame.
Conseguentemente, il Consiglio di stato ha riconosciuto l'illegittimità del provvedimento di affidamento del servizio mediante trattativa privata non già per un periodo limitato, ma per tutta la durata pluriennale del contratto.
Raggruppamenti temporanei e concorrenza.
Da ultimo, si segnala la sentenza della Sezione sesta del Consiglio di stato del 19.06.2009 n. 4145, in materia di raggruppamenti temporanei e concorrenza.
Nel caso sottoposto all'esame del giudice amministrativo si lamentava l'illegittimità di alcune previsioni del bando e del disciplinare di gara che non consentivano la partecipazione in raggruppamento temporaneo di due o più imprese che fossero in grado di soddisfare singolarmente i requisiti economici e tecnici richiesti, con specifico riferimento al lotto di importo superiore tra quelli cui il raggruppamento partecipa.
Il Collegio ha tuttavia ritenuto priva di fondamento la censura, rilevando all'uopo come tale clausola del bando recepisse la posizione espressa dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato, a mente della quale deve riconoscersi in capo alle stazioni appaltanti la facoltà di adottare limitazioni alla possibilità di associarsi in Ati per le imprese che siano in grado di partecipare alla gara anche singolarmente. Conseguentemente il giudice amministrativo ha ritenuto corretta la valutazione operata dalla stazione appaltante che, vietando la possibilità di raggruppamento temporaneo di quelle imprese in grado di partecipare singolarmente alla gara, ha cercato di evitare una restrizione del numero di partecipanti e, dunque, una alterazione della dinamica concorrenziale.
Il Consiglio di stato si è quindi pronunciato in favore della legittimità del bando impugnato, stabilendo il principio per cui, ogni volta che le specifiche caratteristiche del mercato oggetto della procedura di gara comportino di per sé particolari limitazioni alla concorrenza, in forza del numero e delle dimensioni degli operatori esistenti, al fine di assicurare comunque uno standard competitivo minimo sono possibili limitazioni alla facoltà di raggruppamento tra imprese, laddove queste siano in grado di partecipare singolarmente alla gara medesima.
Aspettiamo i commenti e le repliche dei lettori a: matteoufficiostampa@bentleysoa.com oppure al numero verde 800540340 (articolo ItaliaOggi dell'01.07.2009, pag. 15).

AUTORITA' CONTRATTI PUBBLICI

APPALTI SERVIZI: Partecipazione alla gara di imprese sociali.
Appalti di servizi - Affidamento del servizio di implementazione del sistema di gestione ambientale - Impresa sociale - E' soggetto legittimato a partecipare alla gara.

Ritenuto in diritto:
La questione sottoposta a questa Autorità necessita di essere esaminata sotto due distinti profili: il primo, concernente l’interpretazione della clausola del bando che stabilisce i requisiti dei partecipanti alla procedura per l’affidamento del servizio in oggetto; il secondo, di carattere più generale, riguardante la possibilità di concorrere alla gara per un RTI avente come mandataria un'impresa sociale.
Come esposto in fatto, il bando di gara adottato dal Comune di Gravina in Puglia -al punto 6.2 “Forma giuridica che dovrà assumere il raggruppamento di prestatori di servizi”- statuisce che “possono partecipare imprese singole o raggruppate e soggetti di cui all’art. 90, lett. d), e), f), g) h) del D.Lgs. n. 163/2006".
Tale disposizione, nel fare riferimento –in modo generico– ad “imprese singole o raggruppate” rinvia sostanzialmente all’ampia previsione normativa di cui all’art. 34 del D.Lgs. n. 163/2006 e consente di ritenere che i soggetti idonei a partecipare alla gara in questione sono di due tipologie: quelli previsti dall’art. 34 e quelli di cui all’art. 90, lett. d), e), f), g) h) del D.Lgs. n. 163/2006.
In particolare, ai sensi del comma 1, lett. d) del citato art. 34, sono ammessi a partecipare alle procedure di affidamento dei contratti pubblici “i raggruppamenti temporanei di concorrenti, costituiti dai soggetti di cui alle lettere a), b), c), i quali, prima della presentazione dell’offerta, abbiano conferito mandato collettivo speciale con rappresentanza ad uno di essi, qualificato mandatario, il quale esprime l’offerta in nome e per conto proprio e dei mandanti”.
Pertanto, la contestazione dell’istante, laddove rileva che “l'RTI (…) non sembra(va) rientrare tra i soggetti di cui alla lettera g) dell'art 90 del D.Lgs. 163/2006”, è inconferente.
Infatti, se la stazione appaltante avesse voluto escludere dalla partecipazione alla procedura di gara di cui trattasi i soggetti di cui all’art. 34 del D.Lgs 163/2006, avrebbe dovuto utilizzare una formulazione lessicale che espressamente precludesse tale possibilità e non una formula ampia come quella di cui al citato punto 6.2. del bando in esame.
Con riguardo alla seconda questione, occorre evidenziare preliminarmente che l'impresa A.FO.RI.S. -Agenzia di Formazione e Ricerca per lo Sviluppo Sostenibile- costituisce una “impresa sociale", regolarmente iscritta al Registro delle Imprese della C.C.I.A.A. di Foggia.
Secondo lo Statuto -adottato in data 17.04.2008- l’impresa “esercita la sua attività, senza scopo di lucro, in via stabile e principale, nei settori individuati dall’art. 2, lett. d) (educazione, istruzione e formazione ai sensi della legge 28.03.2003, n. 53) ed e) (tutela dell’ambiente e dell’ecosistema ai sensi della legge 15.12.2004, n. 308) e del D.Lgs. n. 155 del 24.03.2006”.
La recente disciplina dell’impresa sociale (D.Lgs. 24.03.2006, n. 155) consente -tra l’altro- che tali “operatori economici” possano esercitare attività di impresa nei settori sopra indicati. Infatti, come è stato rilevato da recente giurisprudenza, “il decreto legislativo 24.03.2006, n. 155, recante <<disciplina dell’impresa sociale, a norma della legge 13 giugno 2005, n. 118>>, ha dato pratica attuazione alla nozione di impresa sociale, riconoscendo alla stessa la legittimazione a esercitare in via stabile e principale un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o servizi di utilità sociale, diretta a realizzare finalità di interesse generale e con particolari requisiti (indicati negli articoli 2, 3 e 4 del medesimo decreto legislativo)” (Cons. Stato, sez. V, 25.02.2009, n. 1128).
In particolare, deve essere evidenziato che uno dei settori di utilità sociale, rispetto ai quali l’esercizio professionale dell’attività da parte dell’impresa sociale è pienamente ammesso, è costituito, giusta quanto previsto dall’articolo 2, comma 1, lettere e), f) e g) del citato D.Lgs. n. 155/2006, dalla gestione in funzione di tutela dell’ambiente, dell’educazione e del turismo sociale e, nel caso di specie, l’oggetto della procedura per la quale è sorta la contestazione è costituito dall’affidamento del servizio di implementazione del sistema di gestione ambientale comunale.
Ne consegue che, in virtù della disciplina vigente, l’impresa sociale A.FO.RI.S., in qualità di mandataria del RTI A.FO.RI.S - Ambiente Italia s.r.l., a pieno titolo poteva partecipare a una gara concernente l’aggiudicazione di un servizio che rientrava tra quelli di utilità sociale previsti dall’articolo 2 del D.Lgs. n. 155/2006.
In base a quanto sopra considerato
Il Consiglio ritiene, nei limiti di cui in motivazione, che l'impresa sociale A.FO.RI.S., mandataria del RTI A.FO.RI.S - Ambiente Italia s.r.l., può legittimamente partecipare alla gara indetta per l’espletamento di un servizio di utilità sociale di cui all’art. 2 del D.Lgs, n. 155/2006 (parere 22.10.2009 n. 119 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI SERVIZI: Iscrizione Albo Nazionale Gestori Ambientali.
1. Gara d'appalto - Clausole escludenti - Onere presentazione domanda di partecipazione - Non sussiste.
2. Appalti di servizi - Interventi di bonifica discarica rifiuti - Iscrizione alla classe b della categoria 9 dell'albo nazionale gestori ambientali - Requisito ingiustificatamente restrittivo - Fattispecie.

Ritenuto in diritto:
In via preliminare, occorre esaminare le eccezioni di inammissibilità della richiesta di parere, così come sollevate dalla stazione appaltante in sede di istruttoria.
In prima battuta viene contestata l’assenza di una controversia tra le parti, presupposto per l’attivazione della presente sede precontenziosa. Invero, tale eccezione appare infondata, sia in linea generale, rispetto alla nozione di controversia, evidentemente più ampia rispetto alla nozione tradizionale di ordine giurisdizionale, sia in particolare, atteso che quantomeno in termini potenziali, un principio di controversia tra le parti è sorto, come emerge dall’analisi della documentazione concernente lo scambio di corrispondenza tra le parti stesse, contenente la contestazione dell’impresa e le controdeduzioni e chiarimenti forniti dalla stazione appaltante, evidentemente reputate non soddisfacenti tanto da spingere alla proposizione del presente iter di precontenzioso.
In seconda battuta, viene contestata la mancata partecipazione alla gara in oggetto, da cui discenderebbe l’assenza di un interesse concreto al parere. Anche tale eccezione è da ritenersi infondata a fronte del noto principio per cui, laddove si sia in presenza di una clausola c.d. escludente - cioè di clausole che precludono la partecipazione alla gara, impedendo l'ammissione alla stessa, l'onere di presentare la domanda di partecipazione costituisce un inutile aggravio a carico dell'impresa (Consiglio Stato , sez. V, 25.05.2009, n. 3217).
Nel merito, si evidenzia che, in considerazione della diversa natura degli interventi di messa in sicurezza e bonifica siti rispetto alle attività di trasporto e smaltimento rifiuti, per i quali lo stesso Albo Nazionale dei Gestori Ambientali prevede due diverse e specifiche iscrizioni, il bando di gara in esame, al punto III.2.1), ha espressamente richiesto ai concorrenti il possesso sia dell’iscrizione alla Categoria 9 “Bonifica siti” sia dell’iscrizione alla Categoria 5 “Raccolta e trasporto di rifiuti pericolosi”. Quanto alle Classi di iscrizione per ogni Categoria, la specifica disciplina di settore (delibera del Comitato Nazionale 12.12.2001, n. 5, integrata con delibera 11.05.2005) prevede per la Categoria 9, di cui trattasi, una suddivisione in 5 Classi, articolate proprio in relazione all’importo dei lavori di bonifica cantierabili.
Pertanto, tenuto conto che dal Quadro di scorporo degli importi emerge che la voce relativa al “trasporto, smaltimento rifiuti ad impianti esterni” è di euro 974.700,00, risulta evidente che, a fronte di un importo complessivo dell’appalto pari a euro 1.565.000,00, anche imputando l’intera differenza di importo -pari ad euro 590.300,00- ad attività riconducibili alla Categoria 9 dell’Albo, l’iscrizione alla classe Cdi detta Categoria 9 (importo fino ad euro 1.549.370,70) sarebbe un requisito sufficiente all’esecuzione degli interventi di messa in sicurezza e bonifica della discarica in oggetto.
Conseguentemente l’iscrizione alla classe B della Categoria 9 dell’Albo Nazionale Gestori Ambientali (lavori di importo fino a euro 7.746.853,49) richiesta dalla stazione appaltante è da ritenersi ingiustificatamente restrittiva della partecipazione alla procedura di gara.
In base a quanto sopra considerato
Il Consiglio ritiene, nei limiti di cui in motivazione, che la contestata clausola del bando di gara è ingiustificatamente restrittiva della partecipazione alla procedura di gara (parere 22.10.2009 n. 118 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: Certificazione di qualità.
Appalti di servizi - Certificazione di qualità - Richiesta certificazione relativa all'attività di gestione delle aree di sosta e servizio con ausiliari del traffico - Produzione certificazione di qualità relativa alle attività di accertamento, liquidazione e riscossione dei tributi locali, di altre entrate degli enti locali ed altre attività connesse e complementari" - Inidoneità.

Ritenuto in diritto:
Costituisce orientamento consolidato sia di questa Autorità (pareri n. 64 del 20.05.2009; n. 2 del 15.01.2009; n. 178 del 05.06.2008; n. 188 del 14.06.2008 e n. 33 del 31.01.2008) sia della giurisprudenza amministrativa (Cons. Stato, sez. V, 02.02.2009, n. 525 e Cons. Stato, sez. VI, 23.07.2008, n. 3655) quello che riconosce alla stazione appaltante la discrezionalità di fissare i requisiti di partecipazione ad una gara diversi, ulteriori e più restrittivi di quelli legali, con il limite della logicità e della ragionevolezza dei requisiti richiesti e della loro pertinenza e congruità allo scopo perseguito.
Quanto al possesso della certificazione UNI ENI ISO 9001:2000 in capo all’impresa, la giurisprudenza amministrativa, nel riconoscerne la natura di requisito soggettivo delle imprese, ai fini della partecipazione alle gare ha chiarito che la certificazione di qualità è inerente all’intero sistema aziendale ed è preordinata a svolgere una funzione di garanzia qualitativa di un determinato livello di esecuzione dell’intero rapporto contrattuale (in tal senso, TAR Lazio, sez. II-ter, 06.02.2007, n. 923; id., sez. I-bis, 26.10.2004, n. 11694).
Ciò premesso, considerato che il bando di cui trattasi, non impugnato, richiede espressamente, come requisito di partecipazione, il possesso della certificazione di qualità specifica nell’ambito della “gestione delle aree di sosta e servizio con ausiliari del traffico”, deve ritenersi che la certificazione presentata dalla ABACO S.p.A., riferentesi esclusivamente all’attività di “accertamento, liquidazione e riscossione dei tributi locali, di altre entrate degli enti locali ed altre attività connesse e complementari” non sia rispondente a quanto richiesto dalla lex specialis, non essendo contenuta in tale certificazione di qualità alcuna specificazione che consenta di ritenere contemplate dalla certificazione medesima, quali “attività connesse e complementari” all’attività principale dell’impresa istante, quelle di gestione delle aree di parcheggio e servizio con ausiliari del traffico. Né è possibile condividere l’assunto dell’istante che tale mancata specifica indicazione nel certificato di qualità possa essere surrogata da quanto riportato nel diverso certificato della C.C.I.A.A., rilasciato per tutt’altre finalità.
Si evidenzia, peraltro che, il riferimento contenuto nell’ultimo alinea del citato art. 4, comma 2 del D.P.R. n. 34/2000 alla “globalità delle categorie e classifiche”, va ragionevolmente inteso nel senso che, ove non diversamente specificato, la certificazione del sistema di qualità aziendale e la dichiarazione della presenza degli elementi significativi e tra loro correlati del sistema di qualità aziendale si riferiscono a tutte le categorie oggetto di attestazione.
Al riguardo questa Autorità, nell’indicare la corretta interpretazione della richiamata disposizione regolamentare, ha chiarito nella propria determinazione n. 56/2000 (punto 10) la non necessità di una piena coincidenza tra la totalità delle categorie previste nell’attestazione di qualificazione e la dichiarazione di possesso di significativi elementi di qualità, con ciò intendendo propriamente significare che ben possono residuare categorie di lavori che l’impresa è abilitata ad eseguire pur senza il possesso dell’ulteriore requisito della certificazione di qualità. Ma ben diverso è quanto l’istante ABACO S.p.A. pretende di ricavare dalla norma in questione, e cioè che da tale non necessaria coincidenza discenda la possibilità per l’impresa di far valere la certificazione di qualità anche al fine di partecipare a gara d’appalto concernenti categorie di lavori o, come nella specie, tipologie di servizi estranei a quelli specificamente indicati nel certificato di qualità posseduto, conclusione che appare del tutto estranea alla ratio della disposizione sopra ricordata (cfr. in tal senso TAR Sardegna, sentenza 22.12.2003, n. 1750).
In base a quanto sopra considerato
Il Consiglio ritiene, nei limiti di cui in motivazione, legittima l’esclusione dell’impresa ABACO S.p.A. per mancanza della specifica certificazione di qualità richiesta dal bando (parere 22.10.2009 n. 117 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

INCARICHI PROGETTUALI: Affidamento incarichi di progettazione.
Servizi di progettazione - Lex specialis - Clausola che privilegia i professionisti che hanno progettato interventi affini in un determinato ambito territoriale - Illegittimità.

Ritenuto in diritto:
La questione sottoposta all’attenzione dell’Autorità attiene alla legittimità di un bando di gara nella parte in cui attribuisce ad un requisito professionale la natura di titolo preferenziale, che consente di conferire al concorrente che lo possiede un punteggio maggiore ai fini dell’aggiudicazione del contratto.
Ferma restando infatti la considerazione che nella determinazione dei requisiti di partecipazione ciascuna Stazione Appaltante detiene un’ampia discrezionalità, che consente anche di prescrivere requisiti diversi e più severi rispetto a quelli normativamente fissati, in quanto volti a perseguire uno specifico interesse pubblico, occorre accertare se la previsione di un requisito ulteriore che di per sé non impedisce la partecipazione a chi non lo detiene costituisca di fatto, attraverso il riconoscimento di una natura preferenziale, cui corrisponde una maggiorazione del punteggio di valutazione dell’offerta, una limitazione alla concorrenza e una discriminazione ingiustificata rispetto ai concorrenti che non sono in possesso di quel requisito.
Nel caso di specie, considerato che la gara è stata indetta con il criterio dell’“offerta economicamente più vantaggiosa”, ai sensi dell’articolo 64, comma 2, del DPR n. 554 /1999 e che tale disposizione, al “punto a)”, consente di prendere in considerazione la “professionalità” del partecipante sulla scorta di “documentazione grafica, fotografica e descrittiva, la Stazione Appaltante era legittimata a valutare adeguatamente la professionalità dei partecipanti alla gara, anche considerando le esperienze professionali svolte in precedenza.
Tuttavia, occorre accertare entro quali limiti tale specifica facoltà della Stazione Appaltante sia effettivamente realizzabile e come essa possa coordinarsi con i principi comunitari, in materia di concorrenza e di parità di trattamento, stante il fatto che la previsione di criteri valutativi che ricolleghino un titolo preferenziale ad esperienze pregresse connesse allo specifico ambito territoriale interessato dall’intervento oggetto dell’appalto, può tradursi in una lesione della concorrenza, realizzando, in modo surrettizio, le condizioni per assicurare una “preferenza diretta o indiretta” alle imprese locali.
Sul punto, l’Autorità ha già avuto modo di sostenere che “i criteri di valutazione dell’offerta, così come i requisiti di partecipazione alla gara, che privilegiano direttamente o indirettamente le imprese locali, si pongono in violazione dei principi comunitari in tema di concorrenza e parità di trattamento, nonché di libera circolazione, salvo il limite della logicità e della ragionevolezza, ossia della loro pertinenza e congruità a fronte dello scopo perseguito” (parere n. 251 del 10.12.2008).
Il problema fondamentale consiste, invero, nel discriminare i casi in cui la clausola che stabilisce il criterio preferenziale costituisca espressione della facoltà –legittima– di valutare la professionalità specifica, da quelli in cui si traduca nella decisione –illegittima– di restringere la concorrenza a favore di determinate imprese.
Nel caso di specie, considerato che il punteggio attribuito al requisito preferenziale è pari a 10 sui 40 riferiti alla professionalità e tenuto conto che il requisito in questione si riferisce non a qualsiasi intervento sul comprensorio di un torrente, ma esclusivamente a quelli relativi al comprensorio del torrente Melfia, deve ritenersi che la combinazione di tali circostanze costituisca una condizione suscettibile di ledere la concorrenza (cfr. parere n. 251/2008).
Peraltro, il requisito in questione non solo integra una ingiustificata violazione del principio di concorrenza e del principio di parità di trattamento, ma non sembra nemmeno trovare una specifica motivazione nella tutela di un particolare interesse pubblico perseguito dalla Stazione Appaltante che consenta di giustificare quel particolare riconoscimento preferenziale conferito al requisito.
Infatti la il Comune di Melfi ricollega il titolo preferenziale ad una mera circostanza di fatto, la quale, mentre si traduce in un vantaggio per il concorrente che si trovi in tale condizione, non lascia trasparire il vantaggio che la stazione appaltante ricaverebbe dal riconoscimento di tale situazione.
In realtà, la “conoscenza” dell’ambito territoriale, derivante dall’avere già svolto precedenti interventi, comporta già in sede di progettazione un “vantaggio” per il concorrente. Tale “conoscenza”, infatti, può tradursi nella migliore e più adeguata attività di progettazione, la quale forma già oggetto di specifica valutazione (punto 11.2 - b.1), con valutazione “fattore ponderale 20”. E’ questa la sede di valutazione in cui la stazione appaltante può riconoscere il valore della “conoscenza” del territorio: quella in cui si accerta il miglior livello qualitativo del progetto presentato.
Al contrario, la previsione di un ulteriore “fattore ponderale 10” per il fatto di “aver progettato interventi affini nell’ambito del comprensorio idraulico del torrente Melfia”, costituisce un indubbio vantaggio solo per i concorrenti che possono vantare tale esperienza.
Ne consegue che la clausola inserita nella lex specialis, nel prevedere che “costituisce ulteriore titolo preferenziale l’aver progettato intereventi affini nell’ambito del comprensorio idraulico del torrente Melfia”,non è conforme ai principi di concorrenza e di parità di trattamento che informano la materia dei contratti pubblici.
In base a quanto sopra considerato
Il Consiglio ritiene, nei limiti di cui in motivazione, che la clausola in questione della lex specialis non è conforme ai principi in materia di contratti pubblici (parere 22.10.2009 n. 116 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: Moralità professionale - Reato di bancarotta fraudolenta.
Gara d'appalto - Requisiti generali - Condanne incidenti sulla moralità professionale - Reato di bancarotta fraudolenta - Idoneità ad incidere sulla moralità professionale - Esclusione - Legittimità - Fattispecie.

Ritenuto in diritto:
Come più volte evidenziato da questa Autorità in precedenti pareri (cfr., da ultimo, parere n. 250 del 20.11.2008) ciò che rileva ai fini dell’esclusione dalle procedure di gara ai sensi dell’art. 38, comma 1, lett. c), del D.Lgs. n. 163/2006 è il concetto di immoralità professionale, per cui occorre che il reato ascritto sia idoneo a manifestare una radicale e sicura contraddizione con i principi deontologici della professione (Cons. Stato, sez. V, n. 349/2006; Cons. Stato, sez. V, n. 1145/2003).
Non essendo indicati dalla norma i reati che incidono sull’affidabilità morale e professionale delle imprese partecipanti alle gare di appalto, secondo una costante giurisprudenza spetta all’amministrazione stabilire, motivatamente, se il reato per il quale il soggetto è stato condannato provoca, secondo il comune e ragionevole convincimento, una obiettiva incisione sull’affidabilità del condannato, sia sul piano morale sia sul piano professionale, tale da determinare l’esclusione dalla gara (per tutte Consiglio di Stato, sez. V, n. 945/2007).
Tale orientamento era stato, peraltro, già assunto da questa Autorità con determinazione n. 13/2003, nella quale veniva evidenziato come le amministrazioni dovessero, nel valutare l’affidabilità morale e professionale del contraente, considerare tutti gli elementi che possono incidere sulla fiducia contrattuale, quali ad esempio l’elemento psicologico, la gravità del fatto, il tempo trascorso dalla condanna, le eventuali recidive.
La mancanza di parametri fissi e predeterminati e la genericità della prescrizione normativa lasciano un ampio spazio di valutazione discrezionale alla stazione appaltante, che consente alla stessa margini di flessibilità operativa al fine di un apprezzamento delle singole concrete fattispecie, con considerazione di tutti gli elementi delle stesse che possono incidere sulla fiducia contrattuale.
Conseguentemente, è la stazione appaltante a dover valutare discrezionalmente l’incidenza di una condanna sulla moralità professionale dell’appaltatore, con riferimento al tipo di reato commesso, fornendo altresì, in relazione alla decisione adottata, adeguata e congrua motivazione.
Pertanto, i margini di insindacabilità attribuiti all’esercizio del potere discrezionale dell’Amministrazione non consentono alla stazione appaltante di prescindere dal dare contezza di aver effettuato una concreta valutazione dell’incidenza della condanna sul vincolo fiduciario, mediante una accurata indagine della rispondenza della fattispecie di reato a tutti gli elementi che delineano l’ipotesi di esclusione individuata dall’articolo 38, comma 1, lettera c), del D.Lgs. n. 163/2006.
Con specifico riguardo all’esclusione in esame della Società Ecologia & Ambiente S.r.l. ai sensi del citato art. 38, comma 1, lettera c), del D.Lgs. n. 163/2006, si ritiene che possa avere una sua rilevanza e completezza l’indagine istruttoria condotta dalla Commissione di gara.
Infatti, come si desume dal verbale n. 2 del 07.05.2009, la Commissione, dopo aver acquisito copia della sentenza di condanna ex art. 444 c.p.p. in forma integrale, emessa nei confronti del Direttore Tecnico dell’impresa per il reato previsto dall’art. 216 della legge fallimentare, ha innanzitutto individuato i necessari presupposti per ritenere inequivocabilmente applicabile la lettera c) del comma 1 del più volte citato art. 38 del D.Lgs. n. 163/2006, specificati come segue:
a) presenza di una “sentenza di applicazione della pena su richiesta”, ai sensi dell’art. 444 c.p.p.;
b) necessità che la sentenza sia stata emessa nel confronti degli “amministratori muniti di potere di rappresentanza o del direttore tecnico”;
c) sussistenza della gravità del reato;
d) commissione del reato “in danno dello stato o della Comunità”;
e) incidenza del reato sulla “moralità professionale” della società interessata. Quindi, ha ritenuto che gli stessi presupposti fossero nel caso in esame effettivamente presenti.
In particolare, la Commissione medesima si è fatta carico di analizzare la sussistenza del requisito dell’incidenza del fatto accertato sulla “moralità professionale”, che concettualmente non va riferita unicamente alle competenze tecnico-professionali nell’esecuzione dell’appalto della società interessata, ma alla condotta generale ed alla gestione di tutta l’attività professionale della stessa e, alla luce della documentazione prodotta dalla Società Ecologia & Ambiente S.r.l., ha maturato il convincimento che il reato di bancarotta fraudolenta, commesso con le modalità evidenziate nella sentenza del 10.01.2008 (distrazione di somme, tenuta della contabilità in modo da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari della società fallita, svuotamento dell’azienda fallita in favore di una nuova società), ancorché non sia direttamente e funzionalmente collegato al servizio da espletare, provoca una obiettiva incisione sulle garanzie del soggetto interessato e costituisce un indice di inaffidabilità della ditta in parola, che ostacola l’instaurazione di un normale rapporto di fiducia. Al riguardo, la stessa Commissione ha rilevato, altresì, che il reato accertato si è concretizzato in una serie complessa e reiterata di atti preordinati a determinare un chiaro danno della massa dei creditori tra i quali ha una posizione privilegiata lo stesso Erario dello Stato.
Né può sottacersi, al di là dell’espressa menzione normativa del direttore tecnico quale soggetto tenuto a rendere la dichiarazione di cui al più volte citato art. 38, comma 1, lett. c), del D.Lgs. n. 163/2006, il fatto che la posizione del direttore tecnico nell’ambito di una società possa avere un potere decisionale sulla gestione e sull’attività dell’impresa. Infatti, al riguardo, secondo una costante giurisprudenza (cfr.: Cons. Stato, sez. VI, n. 523/2007), la ratio dell’art. 75, comma 1, lett. c), del D.P.R. n. 554 del 1999 (norma poi trasfusa nell’art. 38, comma 1, lettera c) del D.Lgs. n. 163/2006), che esclude dagli appalti di lavori pubblici le società i cui amministratori abbiano riportato condanne per determinati reati incidenti sulla moralità professionale, è quella di escludere dalla partecipazione alla gara di appalto le società in cui abbiano commesso gravi reati i soggetti che abbiano avuto un significativo ruolo decisionale e gestionale societario (amministratore con potere di rappresentanza o direttore tecnico) ed a tal fine occorre avere riguardo alle funzioni sostanziali del soggetto più che alle qualifiche formali dallo stesso rivestite.
Giova, infine, segnalare che la tipologia della sentenza di condanna in esame (emessa per effetto del patteggiamento ex art. 444 del c.p.p.) non può di per sé rendere irrilevante i fatti penalmente accertati, atteso che la previsione del legislatore al riguardo accomuna ogni fattispecie di condanna definitiva, sia se comminata sulla base di un rito ordinario, sia se disposta per effetto del citato patteggiamento, che non esclude la responsabilità del soggetto autore dei fatti penalmente rilevanti.
In base a quanto sopra considerato
Il Consiglio ritiene, nei limiti di cui in motivazione, che l’esclusione dalla gara della Società Ecologia & Ambiente S.r.l. è conforme allo spirito ed al contenuto dell’art. 38, comma 1, lett. c), del Decreto Legislativo n. 163/2006, essendo stata adottata una attenta e congrua motivazione (parere 22.10.2009 n. 114 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

INCARICHI PROGETTUALI: Calcolo coefficienti per la determinazione dei punteggi.
Gara d'appalto - Servizi di progettazione - Calcolo dei coefficienti che concorrono alla determinazione del punteggio finale - Trasformazione valori millesimali in valori centesimali - Conformità alla normativa di settore - Fattispecie.

Ritenuto in diritto:
In via preliminare, occorre esaminare l’eccezione di inammissibilità dell’istanza di parere, sollevata dalla società interveniente DAM S.p.A. in sede di contraddittorio documentale.
In particolare, viene contestata l’assenza di una controversia tra le parti, secondo quanto stabilito dall’art. 3 del “Regolamento sul procedimento per la soluzione delle controversie” adottato da questa Autorità.
Invero, tale eccezione appare infondata, tenuto conto che la nozione di controversia che viene in rilievo nella presente sede precontenziosa è evidentemente più ampia rispetto alla nozione tradizionale di ordine giurisdizionale.
Ne consegue, pertanto, che non necessita -come diversamente affermato dalla DAM S.p.A.- la condizione connessa ad una situazione di litispendenza o di controversia emergente da atti formali, essendo sufficiente, ai sensi della norma primaria di cui all’art. 6, comma 7, lett. n) del D.Lgs. n. 163/2006, che via siano “questioni insorte durante lo svolgimento delle procedure di gara”, mentre per espressa previsione di questa Autorità (art. 3, punto 2 del citato Regolamento) la pendenza di giudizio costituisce una causa tipica di non ammissibilità dell’istanza rivolta ad acquisire il parere.
Nel merito è sufficiente constatare che, nell’economia della procedura diretta ad aggiudicare il servizio di progettazione in argomento, la Commissione giudicatrice ha, in un primo momento, calcolato i coefficienti di valutazione ed il punteggio finale riportando i singoli valori in termini numerici decimali che contenevano anche l’indicazione dei millesimi. Mentre, successivamente, in applicazione dell’allegato E al D.P.R. n. 554/1999, ha ritenuto di riportare gli stessi valori in termini numerici decimali con la sola indicazione dei centesimi.
Per operare tale trasformazione la Commissione ha eliminato la cifra dei millesimi ed arrotondato quella dei centesimi all’unità inferiore o superiore, a seconda che la cifra dei millesimi stessi fosse inferiore a cinque o pari o superiore a cinque. La stessa Commissione di gara ha poi annullato tale diversa graduatoria dei soggetti partecipanti senza raggiungere alcun convincimento sul corretto metodo di calcolo da seguire.
Si evidenzia, al riguardo, che la soluzione del problema connesso al corretto calcolo dei coefficienti che concorrono alla determinazione del punteggio finale da assegnare a ciascun soggetto partecipante può senz’altro ricavarsi da una attenta lettura della lettera della legge. Infatti, secondo l’allegato E al D.P.R. n. 554/1999, espressamente richiamato a tale scopo dal disciplinare di gara (art. 6, comma 5), sono coefficienti compresi tra 0 e 1, quelli espressi in valori centesimali, attribuiti a ciascun concorrente; dove il coefficiente è pari a zero in corrispondenza della prestazione minima possibile; mentre il coefficiente è pari ad uno in corrispondenza della prestazione massima offerta. Tutte le altre posizione possono trovare una graduazione che in linea teorica e matematica sarebbe data da una serie infinita di numeri. Per tale ovvia ragione il legislatore ha ritenuto che gli stessi coefficienti e, quindi, il punteggio finale fosse dato dalla sommatoria di valori al massimo centesimali, cioè con due sole cifre dopo la virgola.
Tale interpretazione logico sistematica induce a ritenere che l’operato della Commissione di gara, come definito nel verbale n. 7 del 23.06.2008, fosse corretto e sicuramente aderente alla lettera ed allo spirito della legge, che impone un criterio logico e prudenziale di valutazione. Peraltro, la circostanza che l’art. 6, comma 5, del disciplinare di gara espressamente dispone che “Successivamente la commissione giudicatrice, in una o più sedute riservate, procede, sulla base della documentazione contenuta nella busta “B – Offerta tecnica” ed ai sensi delle disposizioni di cui all’allegato E al D.P.R. n. 554/1999, alla valutazione del merito tecnico e delle caratteristiche qualitative e metodologiche…” consente di affermare che il criterio adottato dalla Commissione di gara nel citato verbale n. 7, per espresso richiamo della stazione appaltante nel proprio disciplinare di gara, è stato legittimamente predeterminato, diversamente da quanto asserito dalla DAM S.p.A. Né, allo stesso tempo, la Commissione nel successivo verbale n. 8 del 25.11.2008 ha individuato una ragione di per sé sufficiente per derogare al summenzionato criterio di calcolo.
Giova, infine, rilevare che l’operazione di trasformazione dei valori millesimali in valori centesimali è del tutto obiettiva e corretta, atteso che essa si rifà ad un dato equo e casuale che più volte è stato utilizzato nella prassi dalla p.a..
In base a quanto sopra considerato
Il Consiglio ritiene, nei limiti di cui in motivazione, che l’utilizzo del criterio di cui all’allegato E del D.P.R. n. 554/1999 da parte della Commissione di gara è corretto e che il criterio medesimo andava doverosamente applicato per espresso richiamo del disciplinare di gara (parere 08.10.2009 n. 109 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

LAVORI PUBBLICI: ATI e certificazione di qualità.
Appalti di ll.pp. - Qualificazione - Appalto con importo in classifica III - Possesso sistema di qualità - Ati orizzontale con mandanti in classifica I e II - Non sussiste obbligo di attestato SOA con possesso requisito qualità - Ragioni.

Ritenuto in diritto:
La questione sottoposta all’attenzione dell’Autorità riguarda la legittimità del provvedimento di esclusione per mancata documentazione del possesso della certificazione di qualità aziendale UNI EN ISO 9000, disposto in applicazione di previsioni della lex specialis di gara intese alla asserita luce di una precedente determinazione di questa Autorità (n. 29/2002), invocata con diversi esiti da entrambe le parti (impresa istante e stazione appaltante).
In particolare, il punto 12 del bando di gara di cui trattasi, relativo ai requisiti minimi di carattere economico e tecnico necessari per la partecipazione, prevede che i concorrenti, all’atto dell’offerta debbano possedere attestazione SOA, in corso di validità, che documenti il possesso della qualificazione in categorie e classifiche adeguate ai lavori da assumere nonché il possesso di certificazione di qualità UNI EN ISO 9000, ai sensi del D.P.R. n. 34/2000. Al riguardo, il punto 1.2 del disciplinare specifica che, qualora non risulti espressamente riportato nell’attestazione SOA il possesso della certificazione di qualità aziendale rilasciata da soggetto accreditato, i concorrenti dovranno produrre a pena di esclusione copia fotostatica, dichiarata conforme all’originale, di tale documentazione e precisa, altresì, che, “In caso di ATI si applica quanto disposto dall’Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici con con determinazione n. 29/2002, pubblicata nella GURI n. 275 del 23.11.2002".
Con specifico riguardo alla corretta interpretazione della citata determinazione di questa Autorità si evidenzia che, nel fornire chiarimenti sull’elemento rilevante ai fine della determinazione dell’obbligo del possesso della certificazione di qualità UNI EN ISO 9000 in caso di ATI, l’Autorità ha precisato che tale obbligo non è connesso all’importo dell’appalto, ma alla classifica delle attestazioni. Conseguentemente, come esplicitato anche in altre pronunce (deliberazione n. 27/2004, n. 241/2003, n. 182/2003) l’obbligo di dimostrare il possesso del “requisito qualità” sussiste soltanto quando l’importo dei lavori che il concorrente intende assumere richieda una classifica di qualificazione per la quale il possesso del sistema di qualità aziendale UNI EN ISO 9000 sia già divenuto obbligatorio, secondo la cadenza temporale disciplinata (in rapporto alle classifiche) dall’art. 4 e dall’allegato B del D.P.R. 25.01.2000, n. 34, ossia a partire dalla classifica III e, quindi, per importi superiori a euro 516.457,00.
Nel caso di specie l’importo dei lavori che i concorrenti sono chiamati ad eseguire è pari a € 863.950,78, per cui il bando correttamente richiede la classifica III che implica l’obbligo del possesso del requisito della qualità.
Tuttavia, l’impresa istante System Co.E.S. S.r.l. ha evidenziato di aver dichiarato, in sede di gara, che per i lavori oggetto dell’appalto avrebbe costituito un’ATI orizzontale così composta: Capogruppo System Co.E.S. S.r.l., che vi partecipa con una percentuale del 60% pari a € 544.410,47, qualificata in OG3, classifica II, e Mandante ditta Vigilante Renato, che vi partecipa con una percentuale del 40% pari a € 362.940,31, qualificata in OG3 classifica II.
Ciò comporta, da un lato, che il raggruppamento di che trattasi copre con le iscrizioni possedute l’intero importo dell’appalto, dall’altro lato che ciascun componente del raggruppamento medesimo (considerato l’incremento del quinto per la capogruppo) esegue lavori per importi ricompresi nella classifica II per la quale l’art. 4 e l’allegato B del D.P.R. 25.01.2000, n. 34 prevedono l’esenzione dall’obbligo del possesso della certificazione di qualità.
Si evidenzia, peraltro, che questa Autorità, proprio con specifico riguardo al possesso del sistema di qualità nelle associazioni temporanee di imprese ha ritenuto che consentire la partecipazione ad un appalto per il quale viene richiesta la classifica III anche ad imprese riunite in possesso di classifica I e II non risulta alterare la par condicio tra i concorrenti che partecipano alla gara in forma singola e in forma associata, atteso che la ratio della normativa in materia è proprio quella di agevolare la partecipazione alle gare delle imprese di piccole dimensioni, onde evitare restrizioni del mercato degli appalti (cfr.: parere n. 125 del 22.11.2007).
Ne consegue che il raggruppamento di che trattasi, coprendo con le iscrizioni possedute l'importo dell'appalto ed eseguendo ciascun componente lavori per importi ricompresi nella classifica II, può partecipare alla gara anche se privo del requisito della certificazione UNI EN ISO 9000, il cui possesso non è obbligatorio per la classifica II in possesso delle due imprese che lo costituiscono.
In base a quanto sopra considerato
Il Consiglio ritiene, nei limiti di cui in motivazione, che l’esclusione dalla gara della costituenda ATI orizzontale System Co.E.S. S.r.l./ditta Vigilante Renato non è conforme alla normativa di settore e alla lex specialis di gara (parere 08.10.2009 n. 106 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: Erroneo inserimento offerta economica nella documentazione amministrativa.
Gara d'appalto - Documentazione di gara - Erroneo inserimento busta offerta economica nella busta della documentazione amministrativa - Verifica erroneo inserimento in seduta pubblica - Violazione par condicio - Non sussiste - Fattispecie.

Ritenuto in diritto:
La problematica sottoposta a questa Autorità con la prospettazione dei fatti rappresentati, attiene alla valutazione della correttezza dell’operato di una Stazione Appaltante che ammetta alle successive fasi della procedura di gara un concorrente che, ai fini della partecipazione alla gara, non abbia presentato tre buste distinte, ma abbia presentato la busta contenente l’offerta economica, chiusa e sigillata, all’interno della busta contenente la documentazione amministrativa.
Al riguardo, occorre preliminarmente accertare il contenuto delle statuizioni della lex specialis in ordine alle modalità di presentazione della domanda di partecipazione, al fine di verificare l’eventuale sussistenza di prescrizioni di oneri formali, la cui violazione sia sanzionata con l’esclusione e la cui portata vincolante ne imponga una esecuzione puntuale nel corso delle operazioni di gara.
Ciò in quanto è principio consolidato quello secondo cui la portata vincolante delle prescrizioni contenute nella lex specialis produce l’effetto di esigere che ad esse sia data puntuale esecuzione nel corso della procedura di gara, senza che in capo all’organo amministrativo cui compete l’attuazione delle regole stabilite nel bando, residui alcun margine di discrezionalità in ordine al rispetto della disciplina del procedimento (cfr. ex multis parere AVCP n. 42 del 02.04.2009; Consiglio di Stato sez. V sentenza n. 349 del 31.01.2006; TAR Veneto, Venezia, sez. I, sentenza 31.03.2009 n. 1029).
A ciò consegue che nel caso in cui un bando di gara prescriva in capo ai partecipanti determinati oneri formali deve ritenersi che si è inteso dare prevalenza al principio di formalità collegato alla garanzia della par condicio, che per l’effetto non può essere superato dall’opposto principio del favor partecipationis (Consiglio di Stato, sez. V, sentenza n. 1822 del 27.03.2009).
Allo stesso modo occorrerà accertare se, nonostante il fatto che le prescrizioni del bando di gara non siano sanzionate con l’esclusione, ad esse la Stazione Appaltante non abbia in qualche modo voluto attribuire una funzione a tutela di interessi essenziali o che le stesse intendano tutelare la par condicio dei concorrenti, dal momento che in tale caso, l’eventuale mancata indicazione della sanzione dell’esclusione in caso di violazione di specifiche prescrizioni all’interno del bando di gara, non impedisce alla Stazione Appaltante medesima di procedere comunque all’esclusione del concorrente che ad esse non abbia ottemperato.
Nel caso di specie la disciplina di gara, nella sezione relativa alle “modalità di presentazione e ai criteri di ammissibilità delle offerte” prevede espressamente che i plichi contenenti la documentazione amministrativa e la busta contenente l’offerta economica, pena l’esclusione dalla gara, devono pervenire esclusivamente tramite raccomandata/posta celere del servizio Poste Italiane entro e non oltre le 13.00 del giorno 29.01.2009. E’ inoltre previsto che i plichi devono essere idoneamente sigillati con ceralacca, controfirmati sui lembi di chiusura e devono recare all’esterno –oltre all’esatta ragione sociale del mittente e al suo indirizzo– il numero di telefono, fax, in numero di codice dell’appalto, l’oggetto dell’appalto, l’importo, il numero di codice fiscale, il codice attività e la partita iva dell’impresa concorrente, il giorno e l’ora dell’espletamento della gara.
Essi devono contenere al loro interno tre buste, “a pena di esclusione tutte sigillate con ceralacca e controfirmate sui lembi di chiusura, recanti l’intestazione del mittente e l’indicazione del numero di codice dell’appalto”, di cui una contenente la documentazione amministrativa (Busta A), una contenente l’offerta economica (Busta B) e una contenente i giustificativi dell’offerta economica (Busta C).
Dalla lettura delle prescrizioni della lex specialis appare dunque chiaro che le condizioni da rispettare a pena di esclusione sono riferite unicamente all’utilizzo del solo mezzo postale per far pervenire i plichi e alla modalità di presentazione dei plichi e delle buste in essi contenute, appositamente sigillati e controfirmati a tutela della segretezza del loro contenuto e riportanti il nominativo del concorrente e il codice dell’appalto, ai fini dell’imputabilità delle stesse ad un unico soggetto e alla gara cui esso partecipa.
Con specifico riferimento alla buste, quindi, l’unica prescrizione prevista a pena di esclusione consiste nel fatto che le stesse siano sigillate e controfirmate e riportino la diciture specifica al fine di riconoscerne il contenuto.
Pertanto, la scelta operata dalla Stazione Appaltante di ammettere alle successive fasi della procedura un concorrente che apparentemente aveva presentato solo due buste anziché tre, ovvero la busta A e la busta C, in quanto aveva per errore inserito la busta B, comunque presente nel plico, all’interno della Busta A, avendo in ogni caso avuto cura di firmarla, sigillarla e intestarla al mittente, imputarla al codice gara e denominarla con la dicitura busta B - Offerta Economica, non sembra configgere con le specifiche prescrizioni di gara poste a pena di esclusione.
Occorre, pertanto, accertare l’eventualità che tale mancata esclusione possa aver leso la tutela di specifici interessi essenziali perseguiti dalla Stazione Appaltante o violi il principio di par condicio tra i concorrenti.
Al riguardo e alla luce dei fatti rappresentati anche dai verbali di gara, si evince che in seduta pubblica, al momento dell’apertura dei plichi presentati dalla Effeser S.r.l., la Commissione di gara, accertava la mancanza della Busta B e, considerato che il rappresentante legale della società medesima, toccando con mano la Busta A sosteneva che la Busta B, contenente l’offerta economica, si trovava nella Busta A e chiedeva di fermare le operazioni di gara e far verificare quanto sostenuto alla competenti autorità, decideva di sospendere l’intera procedura provvedendo a sigillare tutti i plichi pervenuti.
Quindi, alla riapertura delle operazioni di gara, alla quale erano presenti i rappresentanti legali delle imprese partecipanti, la Commissione, in relazione all’offerta presentata dalla Effeser S.r.l., decideva di aprire la Busta A contente la documentazione amministrativa, ritrovava in essa la Busta B ed ammetteva, pertanto, la Effeser S.r.l. alle successive fasi della procedura.
Ebbene, la scelta operata dalla Stazione Appaltante, finalizzata ad ampliare il più possibile la partecipazione alla procedura di gara, non appare in conflitto con il principio di par condicio dei concorrenti, dal momento che non solo la verifica della presenza della Busta B all’interno della Busta A è avvenuta in seduta pubblica e quindi nel pieno rispetto del principio di trasparenza dell’attività amministrativa, ma è stato anche accertato che i plichi custoditi durante la sospensione delle operazioni di gara non erano stati manomessi e che la Busta B, estratta dalla Busta A, al pari delle buste presentate dagli altri concorrenti, rispettava le prescrizioni di sigillatura e controfirmatura prescritti dal bando, salvaguardando in tal modo il rischio di integrare una disparità di trattamento rispetto agli altri concorrenti.
Né si è così realizzata una lesione di uno specifico interesse sostanziale dell’Amministrazione, dal momento che la segretezza delle offerte e la relativa imputabilità al concorrente era stata preservata e salvaguardata e, pur avendo aperto la Busta A al fine di verificarne il contenuto ed accertare l’eventuale presenza della Busta B, la Commissione di gara non ha in tal modo invertito la normale sequenza di svolgimento della procedura, dal momento che, una volta rinvenuta la Busta B e verificatane l’integrità, l’ha messa da parte procedendo ad accertare le dichiarazioni contenute nella Busta A ed ammettere la società Effeser S.r.l. alla gara.
E’ stata pertanto preservata la fondamentale sequenza procedimentale di eseguire la valutazione dell’offerta in due tempi, separando il momento valutativo della documentazione amministrativa da quello dell’offerta economica, lasciano l’offerta segreta fino all’esame dei documenti prescritti dalla lex specialis, evitando, in tal modo, possibili influenze della Commissione di gara, dovute alla preventiva conoscenza dell’offerta, tutelando, così, l’imparzialità dell’azione e la par condicio dei concorrenti.
Pertanto, l’operato dell’ANAS, volto a dare un’interpretazione finalistica alle prescrizioni del bando, piuttosto che una lettura formalistica, appare conforme alla ratio della procedura ed è in ogni caso ispirata al principio del favor partecipationis, senza incorrere in alcun caso nella violazione dei principio di par condicio e trasparenza (cfr. in tal senso, Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza n. 3000 del 15.05.2009).
In base a quanto sopra considerato
Il Consiglio ritiene, nei limiti di cui in motivazione, che il provvedimento adottato dall’ANAS di ammettere alla gara la società Effeser S.r.l. è conforme ai principi in materia di contratti pubblici (parere 08.10.2009 n. 96 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

INCARICHI PROGETTAZIONE: Affidamento servizi di progettazione di importo inferiore a 100.000 euro.
Servizi di progettazione - Affidamento servizi di importo inferiore a 100.000 euro - Disciplina ex art. 91, c. 2, dlgs. 163/2006 - Criteri di selezione professionista - Necessità di analitica e rigorosa predeterminazione elementi e sub-elementi di valutazione - Va esclusa - Ragioni.
Ritenuto in diritto:
Alla luce dei parametri di legittimità desumibili dalla determinazione di questa Autorità n. 1 del 19.01.2006, ancor oggi attuali, il procedimento di evidenza pubblica per l’affidamento dell’incarico professionale in oggetto, siccome esperito dal Comune di ITRI non presta il fianco a censure.
Invero, sotto nessuno dei profili in quella determinazione evidenziati le doglianze dell’istante possono essere positivamente apprezzate.
Si tratta, nel caso all’esame, dell’affidamento di servizi di ingegneria di importo stimato inferiore a 100.000 euro, com’è agevole desumere dagli stessi riferimenti normativi del Bando versato in atti: l’art. 91, co. 2, del D.Lgs. n. 163/2006 (d’ora in avanti denominato “Codice”) – secondo cui “gli incarichi di progettazione, di coordinamento della sicurezza in fase di progettazione, di direzione dei lavori, di coordinamento della sicurezza in fase di esecuzione e di collaudo…di importo inferiore alla soglia di cui al comma 1 (100.000 euro n.d.r.) possono essere affidati dalle stazioni appaltanti, a cura del responsabile del procedimento…nel rispetto dei principi di non discriminazione, parità di trattamento, proporzionalità e trasparenza, e secondo la procedura prevista dall'articolo 57, comma 6; l'invito è rivolto ad almeno cinque soggetti, se sussistono in tale numero aspiranti idonei” –e, per l’appunto, l’art. 57, co. 6 del Codice– secondo cui “ove possibile, la stazione appaltante individua gli operatori economici da consultare sulla base di informazioni riguardanti le caratteristiche di qualificazione economico finanziaria e tecnico organizzativa desunte dal mercato, nel rispetto dei principi di trasparenza, concorrenza…Gli operatori economici selezionati vengono contemporaneamente invitati a presentare le offerte oggetto della negoziazione, con lettera contenente gli elementi essenziali della prestazione richiesta. La stazione appaltante sceglie l'operatore economico che ha offerto le condizioni più vantaggiose, secondo il criterio del prezzo più basso o dell'offerta economicamente più vantaggiosa, previa verifica del possesso dei requisiti di qualificazione previsti per l'affidamento di contratti di uguale importo mediante procedura aperta, ristretta, o negoziata previo bando”.
E’ noto che il principio di concorrenza e quelli di radice comunitaria (che ne rappresentano attuazione e corollario) di trasparenza, non discriminazione e parità di trattamento, che hanno trovato recepimento espresso nel diritto interno (come, per l’appunto, nell’art. 91 co. 2, del Codice), costituendo principi fondamentali anche per il nostro ordinamento ex art.1, co. 1, della legge 241/1990, si elevano a principi generali di tutti i contratti pubblici e sono direttamente applicabili, a prescindere dalla ricorrenza di specifiche norme comunitarie od interne ed in modo prevalente rispetto ad eventuali disposizioni interne di segno contrario (cfr. ex multis: TAR Emilia Romagna, Bologna, sez. II, 21.05.2008, n. 1978).
Il precedente normativo in subiecta materia è costituito dall’art. 17, comma 12, della legge 109/1994, così come modificato dalla legge n. 65/2005 in ottemperanza al pronunciamento della Commissione europea che ebbe a censurare la mancata previsione di alcun onere minimo di messa in concorrenza e l’assenza di alcuna forma di pubblicità, atta a consentire un confronto concorrenziale fra i soggetti potenzialmente interessati alla prestazione del servizio.
In osservanza a detti rilievi, il legislatore nazionale ha eliminato la possibilità dell’affidamento diretto su base fiduciaria degli incarichi per importo inferiore a 100.000 euro, facendo espresso richiamo all’obbligo da parte delle stazioni appaltanti del rispetto dei principi di non discriminazione, parità di trattamento, proporzionalità e trasparenza.
Ciò si è tradotto, per quanto rileva in questa sede, nell’instaurazione di una apposita procedura negoziata (previa pubblicazione di apposito Bando -che nella fattispecie è stata effettuata alla stregua di opzione strumentale alla ricerca di qualificate manifestazioni di interesse- nelle spedite forme dell’Albo pretorio e del sito internet della stazione appaltante), con la quale si è proceduto ad una verifica preliminare tesa alla selezione -mediante l’applicazione dei criteri selettivi discrezionalmente enunciati nel Bando- di cinque candidati ammessi a presentare la successiva offerta economica, per l’affidamento dell’incarico secondo il prescelto criterio del prezzo più basso.
La preliminare richiesta del possesso dei requisiti suddetti per la partecipazione alla procedura negoziata di che trattasi è avvenuta nel pieno rispetto del principio di proporzionalità, risultando strettamente connessa alla tipologia ed all'importo dell'incarico di che trattasi, inferiore alla soglia dei 100.000 euro, senza peraltro comportare il pericolo di una indebita restrizione della concorrenza. Nessuna necessità ulteriore –dato il criterio automatico (prezzo più basso) di aggiudicazione prescelto dalla S.A.– è dato rinvenire nella fattispecie per divisare il fondamento di una distinta predeterminazione di criteri di valutazione delle offerte rapportati alla tipologia e all’importo dell’incarico, altrimenti ravvisabile nel caso di un incarico di maggior importo e complessità.
Per questo è bastevole rappresentare che nell’avviso di selezione in argomento sono stati indicati i requisiti minimi di idoneità professionale richiesti dalla stazione appaltante per assumere l’incarico in questione, in modo tale da consentire agli aspiranti, in assoluta condizione di parità, di dimostrare -tramite il curriculum- il possesso di una esperienza adeguata rapportata alla tipologia e all’importo dell’incarico. Essendo, inoltre, il criterio di aggiudicazione prescelto quello del prezzo più basso, non era necessario che la S.A. fissasse ulteriori distinti criteri e sub-criteri di merito comparativo per la selezione dei cinque professionisti da invitare successivamente a formulare l’offerta economica, così come preteso dall’istante sulla falsariga del distinto criterio di aggiudicazione costituito dall’offerta economicamente più vantaggiosa ex art. 83 del Codice. E’ solo in relazione a quest’ultimo criterio, infatti, che va tenuto distinto il merito tecnico dell’offerta da valutarsi nella fase di affidamento, con riguardo alle caratteristiche qualitative dei progetti presentati, che l’offerente ritenesse rappresentativi della propria capacità progettuale, in rapporto a quella degli altri concorrenti.
Del resto, diversamente da quanto preteso al riguardo dall’istante, questa Autorità ha già avuto modo di statuire, con le deliberazioni n. 43/2007 e n. 86/2007, che l’avviso deve riportare i criteri di selezione dei curricula, senza la necessità di un'espressa e puntuale predeterminazione dei pesi ponderali assegnati a ciascun criterio.
Dalle considerazioni sopra riportate emerge, dunque, che la normativa cui fa riferimento il Bando, imponeva alla stazione appaltante l'esperimento di una previa procedura di tipo comparativo per l’individuazione di cinque candidati da ammettere alla successiva fase dell’offerta economica, assistita da una adeguata pubblicità.
Al riguardo, come espresso da questa Autorità con le determinazioni n. 18/2001 e n. 30/2002, per “adeguata pubblicità” deve intendersi quella pubblicità che, seppure semplificata, risulti funzionale allo scopo di raggiungere la più ampia sfera di potenziali professionisti interessati all’affidamento, in relazione all’entità ed all’importanza dell’incarico: ciò che è avvenuto nella fattispecie, tenuto conto dell’importo e della tipologia dell’incarico.
Inoltre, per quanto attiene al procedimento di selezione dei candidati, la stazione appaltante ha puntualmente indicato nel Bando gli elementi sui quali si sarebbe basata. Si è trattato, in tutta evidenza, di oggettivi criteri curriculari di confronto comparativo, proporzionati all’incarico da conferire ed alle caratteristiche proprie della procedura negoziata prescelta.
In base a quanto sopra considerato
Il Consiglio ritiene che la procedura posta in essere dal Comune di ITRI per l’affidamento dell’incarico in oggetto è conforme alla normativa di settore (parere 08.10.2009 n. 95 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

GIURISPRUDENZA

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Il taglio di figure tecniche non è uno spoils system. Il Consiglio di stato ha accolto un ricorso del Minambiente.
Palazzo Spada rilancia la possibilità di tagli di massa di personale all'interno delle pubbliche amministrazioni per esigenze di contenimento della spesa. Infatti è legittima la riduzione collettiva di figure tecnico-professionali che non può essere bollata come spoils system.
Lo ha affermato il Consiglio di Stato Sez. VI che, con la sentenza 28.12.2009 n. 8791, ha accolto il ricorso presentato dal ministero dell'ambiente che aveva deliberato la soppressione di venti figure tecnico-professionali all'interno del dicastero. E lo aveva fatto in virtù di alcune norme contenute nel decreto Bersani.
Subito i tecnici avevano fatto ricorso contro la delibera sottolineando che il sistema usato dal dicastero poteva essere considerato un vero e proprio spoils system, nel frattempo dichiarato incostituzionale. Il Tar del Lazio aveva accolto la tesi dei ricorrenti, chiarendo che la decadenza ex lege degli incarichi potesse configurare una ipotesi di spoils system. Contro questa decisione il dicastero ha fatto ricorso, con successo, al Consiglio di Stato.
Con una interessante decisione i giudici di Palazzo Spada hanno precisato che tagli in massa di figure tecnico professionali non legate ai vertici politici dell'amministrazione non sono spoils system e sono quindi legittimi.
In particolare, si legge nelle motivazioni depositate dal Consiglio di Stato, «che poiché l'art. 29, dl n. 223/2006 conv. in legge n. 248/2006 ha imposto alle amministrazioni pubbliche, per esigenze di contenimento della spesa pubblica, il riordino degli organismi operanti presso di esse, è legittima la riduzione dei membri delle commissioni ministeriali, anche se operata in massa. Infatti non si può ritenere che la disciplina legislativa abbia previsto uno spoils system in relazione ad incarichi di esclusivo profilo tecnico-professionale, in contrasto con i dettami della Corte costituzionale che non ritiene giustificato lo spoils system (ossia la decadenza automatica dall'incarico per effetto dell'inizio di una nuova legislatura) per incarichi a contenuto tecnico che non implicano una diretta e fiduciaria collaborazione con i vertici politici. Infatti non si è in presenza di una decadenza generalizzata e automatica di tutti gli organi connessa al solo fatto dell'inizio di una nuova legislatura, ma di una decadenza limitata solo a taluni organi e necessitata dalla novazione degli organi in virtù della loro diversa disciplina» (articolo ItaliaOggi del 30.12.2009, pag. 25).

EDILIZIA PRIVATA: Sull'esecuzione di opere edilizie finalizzate a mutare la destinazione d'uso di un laboratorio artigianale a centro sociale nonché ad attività di culto.
In seguito a sopralluogo il Comune ha contestato: la formazione di una nuova parete a tutta altezza in cartongesso, lunga 3,60 metri, che divide il locale principale dai servizi igienici; il posizionamento all’esterno del fabbricato, sul fronte che prospetta sulla pubblica via, di due unità esterne di climatizzazione ad un’altezza di m. 2,75; il cambiamento d’uso dell’immobile, destinato a centro sociale nonché ad attività di culto, che si svolgono ogni settimana il venerdì.
Ritenuto che le opere abusive configurino un intervento di manutenzione straordinaria, che l’installazione delle unità esterne di condizionamento non sia regolamentare (dovendo le medesime essere sistemate sulla copertura), e che il cambio di destinazione d’uso richieda il rilascio del permesso di costruire (ex art. 52, comma 3-bis, legge regionale n. 12 del 2005), il Comune, con ordinanza 26.08.2009 n. 109, preceduta da avviso di avvio del procedimento cui l’Associazione ha dato seguito con proprie osservazioni, ha ingiunto la demolizione delle opere abusive e il ripristino della destinazione d’uso artigianale antecedente l’attuale destinazione a luogo di culto, con preavviso di acquisizione dell’immobile in caso di inottemperanza.
Il ricorso, cui resiste il Comune, è fondato.
Va esaminata in via prioritaria, per ragioni logiche, la questione se il cambio di destinazione d’uso richiedesse o meno, nel caso de quo, il permesso di costruire.
L’art. 52, comma 3-bis, della legge regionale 11.03.2005 n. 12 (legge sul governo del territorio) stabilisce che “I mutamenti di destinazione d’uso di immobili, anche non comportanti la realizzazione di opere edilizie, finalizzati alla creazione di luoghi di culto e luoghi destinati a centri sociali, sono assoggettati a permesso di costruire”.
Il comma 3-bis è stato introdotto dalla legge regionale 14.07.2006 n. 12 (art. 1, comma 1, lett. m), e non è applicabile prima della sua entrata in vigore.
Nel caso in esame, sebbene non vi sia prova della data in cui sono state eseguite le opere contestate dal Comune, e sebbene solo il contratto di locazione stipulato in data 14.04.2008 (e non anche quello antecedente, stipulato nell’ottobre 2005) preveda la destinazione dell’immobile a “circolo ricreativo”, è verosimile che tale destinazione risalga a data anteriore all’introduzione della norma, come si desume dalla nota del 29.10.2005 con la quale il Comune, nell’interloquire con il ricorrente, che aveva formulato una richiesta di utilizzo del campo sportivo, indirizzava la propria risposta al Centro, nella sede di piazza Dante 7.
Ne consegue che la norma de qua non è applicabile al caso in esame.
Gli abusi edilizi commessi dal ricorrente (realizzazione di un tramezzo e posizionamento irregolare delle unità esterne di condizionamento), in quanto finalizzati al mutamento di destinazione d’uso, vanno riguardati e valutati dunque sotto un’altra prospettiva, tenendo conto:
(a) che la disciplina regionale in materia distingue il regime dei mutamenti di destinazione d’uso secondo che siano conformi o non conformi alle previsioni urbanistiche (cfr. artt. 52 e 53 legge regionale n. 12 del 2005);
(b) che lo stesso Comune ha qualificato le opere abusive come opere di manutenzione straordinaria;
(c) che le opere di manutenzione straordinaria richiedono una semplice d.i.a., la cui mancanza non può dar luogo all’acquisizione dell’immobile (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 28.12.2009 n. 6226 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Sul divieto di partecipazione allo stesso appalto, in modo concorrente, di un consorzio stabile e di una società facente parte dello stesso.
Il diritto comunitario dev'essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nella causa principale, che dispone, in occasione della procedura di assegnazione di un appalto pubblico il cui importo non raggiunge la soglia di cui all'art. 7, n. 1, lett. c), della direttiva 2004/18/CE, ma che riveste un interesse transfrontaliero certo, l'esclusione automatica dalla partecipazione a detta procedura e l'irrogazione di sanzioni penali sia del consorzio stabile quanto delle imprese che ne sono membri, quando queste ultime hanno presentato offerte concorrenti a quella di detto consorzio nell'ambito dello stesso procedimento, anche qualora l'offerta di detto consorzio non sia stata presentata per conto e nell'interesse di tali imprese (Corte di giustizia europea, Sez. IV, sentenza 23.12.2009 n. C-376/08 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI SERVIZI: I soggetti che non perseguono un preminente scopo di lucro, come le università e gli istituti di ricerca, possono partecipare ad un appalto pubblico di servizi.
Le disposizioni della direttiva 2004/18/CE, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi, ed in particolare quelle che si riferiscono alla nozione di "operatore economico", devono essere interpretate nel senso che consentono a soggetti che non perseguono un preminente scopo di lucro, non dispongono della struttura organizzativa di un'impresa e non assicurano una presenza regolare sul mercato, quali le università e gli istituti di ricerca nonché i raggruppamenti costituiti da università e amministrazioni pubbliche, di partecipare ad un appalto pubblico di servizi.
La direttiva 2004/18 dev'essere interpretata nel senso che essa osta all'interpretazione di una normativa nazionale come quella di cui trattasi nella causa principale che vieti a soggetti che, come le università e gli istituti di ricerca, non perseguono un preminente scopo di lucro di partecipare a una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico, benché siffatti soggetti siano autorizzati dal diritto nazionale ad offrire sul mercato i servizi oggetto dell'appalto considerato (Corte di giustizia europea, Sez. IV, sentenza 23.12.2009 n. C-305/08 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

EDILIZIA PRIVATA: Sospensione condizionale e demolizione.
In tema di reati edilizi, quando la demolizione dell’opera abusiva è stata imposta al condannato, ex art. 165 c.p., come condizione del beneficio della sospensione condizionale della pena, se la sanatoria dell’abuso edilizio viene definita prima della scadenza del termine imposto per la demolizione, il giudice della esecuzione deve ritenere inutiler datum l’ordine di demolizione, considerando quindi il condannato ammesso al beneficio senza alcuna condizione.
Nel caso, invece, la sanatoria maturi dopo la scadenza del termine per l’adempimento dell’obbligo di demolizione, il giudice della esecuzione deve revocare il beneficio della sospensione della pena, in quanto non si è verificata la condizione e deve, parimenti, revocare, su istanza di parte, la sanzione amministrativa con cui era stato ingiunta la eliminazione dell’opera abusiva.
Da ciò si ricava, quindi, che scaduto il termine concesso per ottemperare all’ordine de quo, in difetto di ottemperanza, il giudice della esecuzione ha il dovere solo di constatare che la condizione non si è verificata e, di conseguenza, ritenere che il condannato non è meritevole del beneficio (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 21.12.2009 n. 48950 - link a www.lexambiente.it).

URBANISTICA: Lottizzazione e posizione dell’acquirente e subacquirente.
1.
L’acquirente dell'immobile non può sicuramente considerarsi, solo per tale sua qualità, “terzo estraneo” al reato di lottizzazione abusiva, ben potendo egli tuttavia, benché compartecipe al medesimo accadimento materiale, dimostrare di avere agito in buona fede senza rendersi conto cioè -pur avendo adoperato la necessaria diligenza nell’adempimento degli anzidetti doveri di informazione e conoscenza- di partecipare ad un’operazione di illecita lottizzazione.
Quando, invece, l’acquirente sia consapevole dell’abusività dell’intervento -o avrebbe potuto esserlo spiegando la normale diligenza- la sua condotta si lega con intimo nesso causale a quella del venditore ed in tal modo le rispettive azioni, apparentemente distinte, si collegano tra loro e determinano la formazione di una fattispecie unitaria ed indivisibile, diretta in modo convergente al conseguimento del risultato lottizzatorio.
Le posizioni, dunque, sono separabili se risulti provata la malafede dei venditori, che, traendo in inganno acquirenti comunque diligenti, li convincano della legittimità delle operazioni. Neppure l’acquisto del sub-acquirente può essere considerato legittimo con valutazione aprioristica limitata alla sussistenza di detta sola qualità, allorché si consideri che l’utilizzazione delle modalità dell’acquisto successivo ben potrebbe costituire un sistema elusivo, surrettiziamente finalizzato a vanificare le disposizioni legislative in materia di 1ottizazione negoziale.
2. Il venditore non può predisporre l’alienazione degli immobili in una situazione produttrice di alterazione o immutazione circa la programmata destinazione della zona in cui gli stessi sono situati ed i soggetti che acquistano devono essere cauti e diligenti nell’acquisire conoscenza delle previsioni urbanistiche e pianificatone di zona: il compratore che omette dì acquisire ogni prudente informazione circa la legittimità dell‘acquisto si pone colposamente in uno situazione di inconsapevolezza che fornisce, comunque, un determinante contributo causale all‘attività illecita del venditore.
Va ricordato inoltre, al riguardo, che, qualora si ritenesse che il piano regolatore generale abbia natura di atto amministrativo generale sostanzialmente normativo, si determinerebbe una presunzione legale di conoscenza ed il dovere legale di conoscenza esclude, per definizione, la possibilità di invocare l’ignoranza incolpevole.
3. La qualifica di “terzi estranei al reato” non può farsi discendere esclusivamente dalla circostanza che gli acquirenti o subacquirenti non siano stati indagati né rinviati a giudizio, in quanto essi ben potrebbero assumere, in seguito ad ulteriori e più approfonditi accertamenti, la qualità dì indagati (e poi eventualmente di imputati).
Deduzioni significative di estraneità neppure possono riconnettersi alle intervenute costituzioni di parte civile, in relazione alle quali è demandata al giudice del merito la verifica della sussistenza del diritto al risarcimento in relazione ad una lesione effettivamente riconducibile ai fatti-reato contestati agli imputati.
4. L’impossibilità eventuale della confisca non esclude la previsione della demolizione delle unità immobiliari illecitamente edificate in base a titolo abilitativo illegittimo, e, in relazione alle costruzioni abusive, con riferimento alla posizione del soggetto che acquisti la proprietà dell’immobile successivamente al compimento dell’abuso -ferme le ipotesi di nullità dell’atto di vendita specificamente poste dalla legge- la giurisprudenza è costantemente orientata nel senso che le sanzioni ripristinatorie sono legittimamente irrogate nei confronti degli attuali proprietari dell’immobile, indipendentemente dall’essere stati o meno questi ultimi gli autori dell’abuso, salva la loro facoltà di fare valere sul piano civile la responsabilità, contrattuale o extracontrattuale, del dante causa
5. La possibilità di utilizzazione residenziale privata dei manufatti sequestrati, vertendosi in un caso di sequestro disposto anche ai sensi del primo comma dell’ari 321 C.P.P., si pone in evidente contrasto con le stesse finalità della misura cautelare in concreto ravvisate contraddicendole e vanificandole (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 21.12.2009 n. 48924 - link a www.lexambiente.it).

URBANISTICAGli oneri per opere di urbanizzazione, per poter essere posti a carico dei sub-acquirenti del lottizzante, devono essere trascritti nei registri immobiliari.
L'obbligazione di provvedere alla realizzazione delle opere di urbanizzazione, assunta dal lottizzante con la stipula della convenzione di lottizzazione edilizia è propter rem, nel senso che l’adempimento di essa può essere richiesto non solo a colui che tale convenzione ha stipulato, ma anche a colui, se soggetto diverso, che richiede la concessione edilizia; ovvero nel senso che colui che realizza opere di trasformazione edilizia ed urbanistica, valendosi della concessione edilizia rilasciata al suo dante causa, ha nei confronti del Comune gli stessi obblighi che gravano sull'originario concessionario, ed è con quest'ultimo solidalmente obbligato per il pagamento degli oneri di urbanizzazione; l’obbligazione non si trasferisce, però, all’acquirente degli edifici realizzati dal costruttore, proprio perché solo quest’ultimo ha utilizzato il titolo edilizio il cui rilascio implicava l’accollo ex lege dell’obbligazione di realizzazione o completamento delle opere di urbanizzazione.
Con il primo motivo si deduce la censura di violazione dell’art. 28, comma 5, n. 2) della legge 17.08.1942 n. 1150.
Sostengono i ricorrenti che gli oneri per opere di urbanizzazione, per poter essere posti a carico dei sub acquirenti del lottizzante, devono essere trascritti nei registri immobiliari.
La censura è fondata.
L’articolo 28, comma 5, della legge 1150 del 1942 dispone che nel caso di lottizzazione, la prescritta autorizzazione comunale “è subordinata alla stipula di una convenzione, da trascriversi a cura del proprietario, che preveda:
1) … la cessione gratuita entro termini prestabiliti delle aree necessarie per le opere di urbanizzazione primaria, precisate dall'articolo 4 della legge 29.09.1964, n. 847, nonché la cessione gratuita delle aree necessarie per le opere di urbanizzazione secondaria nei limiti di cui al successivo n. 2;
2) l'assunzione, a carico del proprietario, degli oneri relativi alle opere di urbanizzazione primaria e di una quota parte delle opere di urbanizzazione secondaria relative alla lottizzazione o di quelle opere che siano necessarie per allacciare la zona ai pubblici servizi; la quota è determinata in proporzione all'entità e alle caratteristiche degli insediamenti delle lottizzazioni
”.
Come esattamente rilevato dai ricorrenti, la nascita di un’eventuale obbligazione propter rem degli aventi causa è subordinata a due condizioni: la successione nella posizione del costruttore e la trascrizione nei registri immobiliari dell’onere assunto dal costruttore. Il legislatore ha cioè previsto, ad evidente tutela della buona fece degli aventi causa, un meccanismo per creare una certezza legale in ordine all’eventuale esistenza di oneri reali gravanti sull’immobile, al fine di tutelare la correttezza e la trasparenza del traffico giuridico, ed evitare così che i terzi vengano a trovarsi ingiustamente gravati da oneri non conosciuti e non conoscibili al momento del contratto di compravendita, oneri che ridurrebbero la compravendita ad un contratto aleatorio.
Nel caso di specie la trascrizione, alla cui formalità avrebbe dovuto essere subordinato il rilascio dell’autorizzazione comunale, non risulta avvenuta, come rilevato dai ricorrenti con affermazione non contestata dalla difesa del Comune.
La giurisprudenza amministrativa riconduce alla trascrizione l’opponibilità ai terzi dei vincoli e degli oneri derivanti dalla lottizzazione e la trascrizione diventa così lo strumento attraverso il quale viene attribuita efficacia reale agli impegni assunti dal lottizzante, che operano propter rem trasferendosi in capo ai successivi proprietari delle aree anche in assenza di uno specifico atto di accollo (TAR Toscana con la sentenza 20.12.1999 n. 1096).
---------------
Fondato si rivela anche il secondo motivo con il quale i ricorrenti deducono la violazione, sotto altro profilo, dell’art. 28, comma 5, n. 2), della legge 17.08.1942 n. 1150.
Sostengono costoro che il citato articolo disciplina, significativamente, la lottizzazione di aree e non la successione nella proprietà di appartamenti: e pertanto –laddove parla di “assunzione, a carico del proprietario, degli oneri relativi alle opere di urbanizzazione”- fa riferimento al proprietario dei terreni da lottizzare a scopo edilizio, che stipula la convenzione di lottizzazione (comma 1 e prima parte del comma 5 del citato art. 28); e quindi si riferisce soltanto al proprietario costruttore, ed agli eventuali imprenditori che gli succedono nella qualità di costruttore.
La censura è fondata.
La giurisprudenza è pacifica nel ritenere che l'assunzione a carico del proprietario degli oneri relativi alle opere di urbanizzazione primaria e di una quota parte di quelle di urbanizzazione secondaria cui è subordinata, a norma del comma 5 n. 2 del predetto art. 28 della legge n. 1150 del 1942 come novellato dall’art. 8 della legge 06.08.1967 n. 765, l'autorizzazione per la lottizzazione, costituisce in base al comma 7 dello stesso art. 28 un'obbligazione propter rem, con la conseguenza che dette opere devono essere eseguite da coloro che sono proprietari al momento del rilascio della concessione edilizia e che ben possono essere persone diverse da quelle che stipularono la convenzione, per aver da queste acquistato dei lotti su cui realizzare le costruzioni edilizie (Cass. 26.11.1988 n. 6382).
L’obbligazione non riguarda però, e di per sé, chi utilizza le opere di urbanizzazione (Cass. 12571/2002), ma il soggetto che chiede la concessione edilizia o il soggetto che subentra a quest’ultimo nella costruzione del fabbricato e quindi nell’utilizzo della concessione edilizia, mentre alcuna successione nell’obbligazione si verifica nei confronti degli acquirenti le costruzioni o, come nel caso di specie, gli appartamenti realizzati dal lottizzante costruttore (cfr. da ultimo Cass. civile, sez. III, 15.05.2007 n. 11196).
In sostanza l'obbligazione di provvedere alla realizzazione delle opere di urbanizzazione, assunta dal lottizzante con la stipula della convenzione di lottizzazione edilizia è propter rem, nel senso che l’adempimento di essa può essere richiesto non solo a colui che tale convenzione ha stipulato, ma anche a colui, se soggetto diverso, che richiede la concessione edilizia (vedi Cassazione civile sez. I, 20.12.1994, n. 10947; nonché Cassazione civile, sez. II, 26.11.1988 n. 6382); ovvero nel senso che colui che realizza opere di trasformazione edilizia ed urbanistica, valendosi della concessione edilizia rilasciata al suo dante causa, ha nei confronti del Comune gli stessi obblighi che gravano sull'originario concessionario, ed è con quest'ultimo solidalmente obbligato per il pagamento degli oneri di urbanizzazione (vedi Cassazione civile sez. III, 17.06.1996, n. 5541); l’obbligazione non si trasferisce però all’acquirente degli edifici realizzati dal costruttore, proprio perché solo quest’ultimo ha utilizzato il titolo edilizio il cui rilascio implicava l’accollo ex lege dell’obbligazione di realizzazione o completamento delle opere di urbanizzazione.
Peraltro nessuna ragione può ravvisarsi nella necessità di inseguire i successivi acquirenti delle costruzioni per ottenere l’adempimento dell’obbligazione di realizzazione delle opere di urbanizzazione, atteso che l’autorizzazione comunale per la lottizzazione di un’area è subordinata alla stipula di una convenzione che preveda, comma 5 numero 4) dell’art. 28 della legge 1150 del 1942, “congrue garanzie finanziarie per l’adempimento degli obblighi derivanti dalla convenzione”.
Il Comune in presenza dell’inadempienza del lottizzante, avrebbe dovuto escutere le garanzie finanziare prestate dal lottizzante medesimo con la stipula della convenzione di lottizzazione.
Per le su esposte considerazioni, i ricorrenti, acquirenti degli appartamenti dal lottizzante e costruttore, non sono subentrati nell’obbligazione assunta dal loro dante causa con la stipula della convenzione di lottizzazione atteso che non hanno richiesto alcuna concessione edilizia e neppure sono subentrati nella costruzione degli appartamenti, di tal che non vi è stato alcuna loro successione nell’obbligazione propter rem che gravava sul lottizzante e sul costruttore.
Va pertanto riconosciuto che i ricorrenti non sono tenuti a rifondere al Comune le spese dallo stesso sostenute per la realizzazione della strada di lottizzazione in sostituzione dell’inadempiente lottizzante.
Come esattamente rilevato in ricorso, se fosse vero quanto asserito dal Comune, e cioè che in ogni caso gli oneri di urbanizzazione si trasferiscono automaticamente propter rem non ci sarebbe stato alcun bisogno di prevedere, come fa l’articolo citato, “l’assunzione a carico del proprietario” (e cioè del costruttore, proprietario dei terreni) “degli oneri di urbanizzazione” e l’assunzione di “congrue garanzie finanziarie per l’adempimento degli obblighi” assunti; e tanto meno ci sarebbe stato bisogno di prevedere l’obbligo di trascrizione dell’assunzione di tale obbligo (trascrizione dettata, com’è ovvio, a tutela dei terzi aventi causa). Seguendo la tesi dell’amministrazione si giunge all’illogica conseguenza che la trascrizione sarebbe un adempimento del tutto inutile (TAR Sardegna, Sez. II, sentenza 18.12.2009 n. 2247 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIASono illegittime quelle determinazioni amministrative che pongono in tutto o in parte a carico del proprietario o del detentore di un fondo i costi e gli oneri, anche procedurali, di bonifica dei suoli o dell’ambiente dai danni derivanti dall’inquinamento.
L’obbligo di bonifica è posto in capo al responsabile dell’inquinamento, che le Autorità amministrative hanno l’onere di ricercare ed individuare, mentre il proprietario non responsabile dell’inquinamento o altri soggetti interessati hanno una mera “facoltà” di effettuare interventi di bonifica.
L’Amministrazione è tenuta ad accertare la responsabilità dell’inquinamento e, in caso di accertamento infruttuoso, è la stessa Amministrazione che dovrà procedere alla bonifica, per poi operare il recupero delle somme a carico del proprietario del fondo incolpevole, ma salvaguardando in questo caso l’apporto partecipativo di queste ultime, in specie per quanto riguarda le modalità dell’intervento e fermo restando, comunque, che a carico del suddetto proprietario il recupero degli oneri della bonifica potrà avvenire solo nel limite dell’arricchimento di valore che il disinquinamento avrà apportato al fondo.

Il Collegio ritiene che in linea di principio siano illegittime quelle determinazioni amministrative che pongono in tutto o in parte a carico del proprietario o del detentore di un fondo i costi e gli oneri, anche procedurali, di bonifica dei suoli o dell’ambiente dai danni derivanti dall’inquinamento; a meno che non venga accertata rigorosamente la responsabilità dei soggetti suindicati, anche in relazione alla specifica attività svolta.
Va soggiunto che in tema di inquinamento c.d. “diffuso”, ossia in quei casi in cui detto accertamento non sia possibile o risulti oltremodo difficoltoso, la bonifica resta a carico della Pubblica amministrazione ed i relativi vantaggi dei privati proprietari o detentori dei fondi bonificati, in termini di aumento di valore del fondo, potranno costituire giusta causa di recupero delle corrispondenti somme, nei limiti ordinari delle azioni di arricchimento.
Venendo alle specifiche previsioni ordinamentali, è a dire che l’obbligo di bonifica è posto in capo al responsabile dell’inquinamento, che le Autorità amministrative hanno l’onere di ricercare ed individuare (v. gli artt. 242 e 244 del D.Lgs. n. 152/2006), mentre il proprietario non responsabile dell’inquinamento o altri soggetti interessati hanno una mera “facoltà” di effettuare interventi di bonifica (art. 245 D.Lgs. n. 152/2006); nel caso di mancata individuazione del responsabile o di assenza di interventi volontari, le opere di bonifica saranno realizzate dalle Amministrazioni competenti (art. 250 decreto cit.), salvo, a fronte delle spese da esse sostenute, l’esistenza di un privilegio speciale immobiliare sul fondo, a tutela del credito per la bonifica e la qualificazione degli interventi relativi come onere reale sul fondo stesso, onere destinato pertanto a trasmettersi unitamente alla proprietà del terreno (art. 253 decreto cit.).
In particolare, l’art. 245 del D.Lgs. n. 152/2006 stabilisce che: “Le procedure per gli interventi di messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino ambientale disciplinate dal presente titolo possono essere comunque attivate su iniziativa degli interessati non responsabili”, ma sono comunque fatti salvi gli obblighi del responsabile dell’inquinamento a norma dell’art. 242.
In base a quest’ultima disposizione, le “procedure operative ed amministrative” sono radicate in capo al responsabile dell’inquinamento, sul quale incombono precisi obblighi di intervento e comunicazione, che ovviamente presuppongono il nesso causale tra l’inquinamento e la condotta dell’agente, commissiva od omissiva.
Infine, il richiamato art. 250 del D.Lgs. n. 152/2006 prevede che, qualora il responsabile non sia stato individuato o comunque non provveda e non provvedano neppure i proprietari incolpevoli (questi ultimi a titolo volontario, come previsto dall’art. 245 sopra riportato), provvede l’Amministrazione alla bonifica ed al recupero del sito inquinato: la P.A. competente è individuata nel livello territoriale proporzionato alla tipologia ed all’estensione dell’inquinamento, secondo il principio di sussidiarietà (e quindi, provvederà, a seconda dei casi, il Comune o la Provincia, oppure interverrà il Ministero per i siti di interesse nazionale).
Pertanto, è dato trarre la conclusione, alla luce delle coordinate normative di cui al D.Lgs. n. 152/2006, che l’Amministrazione è tenuta ad accertare la responsabilità dell’inquinamento e, in caso di accertamento infruttuoso, è la stessa Amministrazione che dovrà procedere alla bonifica, per poi operare il recupero delle somme a carico del proprietario del fondo incolpevole, ma salvaguardando in questo caso l’apporto partecipativo di queste ultime, in specie per quanto riguarda le modalità dell’intervento e fermo restando, comunque, che a carico del suddetto proprietario il recupero degli oneri della bonifica potrà avvenire solo nel limite dell’arricchimento di valore che il disinquinamento avrà apportato al fondo.
Sotto quest’ultimo profilo il diritto dell’amministrazione al recupero delle somme va ricondotto nell’alveo delle azioni di ingiustificato arricchimento, rispetto alle quali la azione in parola si differenzia essenzialmente per l’esistenza di particolari forme di garanzia (onere reale e privilegio speciale immobiliare) che assicurano il recupero dei costi di intervento.
A questo punto non sembra superfluo soffermarsi brevemente sulla natura della responsabilità per l’inquinamento ambientale.
Il D.Lgs. n. 152/2006 ha operato una scelta precisa in favore della riconduzione della responsabilità per i danni all’ambiente nel paradigma della “tradizionale” responsabilità extracontrattuale soggettiva (c.d. responsabilità aquiliana ex art. 2043 c.c.), con esclusione di una qualsivoglia forma di responsabilità oggettiva: il D.Lgs. n. 152 del 2006, all’art. 311, comma 2, disciplina, infatti, la responsabilità per danni all’ambiente, prevedendo che “chiunque realizzando un fatto illecito, o omettendo attività o comportamenti doverosi, con violazione di legge, di regolamento, o di provvedimento amministrativo, con negligenza, imperizia, imprudenza o violazione di norme tecniche, arrechi danno all'ambiente, alterandolo, deteriorandolo o distruggendolo in tutto o in parte, è obbligato al ripristino della precedente situazione e, in mancanza, al risarcimento per equivalente patrimoniale nei confronti dello Stato”.
La disposizione di cui all’art. 311, dunque, definisce in modo paradigmatico la responsabilità per la situazione di inquinamento, accedendo ad un concetto di responsabilità di natura soggettiva.
Svolti questi brevi cenni sulla responsabilità da inquinamento, il Collegio osserva che a carico del proprietario dell’area inquinata non responsabile della contaminazione non incombe, dunque, alcun obbligo di porre in essere gli interventi ambientali in questione, avendo solo la facoltà di eseguirli al fine di evitare l’espropriazione del terreno interessato, gravato, per l’appunto, da onere reale, al pari delle spese sostenute per gli interventi di recupero ambientale assistite anche da privilegio speciale immobiliare.
L’imposizione dell’onere reale sui terreni oggetto di intervento di bonifica presuppone non solo il pieno coinvolgimento del proprietario incolpevole nel procedimento, ma, prima ancora, che sia stato compiuto ogni possibile sforzo per identificare il responsabile della contaminazione e imporgli l’intervento di ripristino e/o il relativo costo: di tali presupposti deve sussistere nel relativo provvedimento adeguata illustrazione e corrispondente obbligo motivazionale.
I suesposti postulati in tema di responsabilità da inquinamento sono, peraltro, correlati al principio comunitario, espressamente richiamato dall’art. 239 del D.Lgs. n. 152/2006, secondo cui “chi inquina paga”.
Ordunque, il provvedimento impositivo della messa in sicurezza e bonifica va notificato al proprietario al fine di renderlo edotto del suindicato onere reale (che egli ha facoltà di assolvere per liberare l’area dal relativo vincolo), ma non può imporre misure di bonifica senza un adeguato accertamento della responsabilità, o corresponsabilità, del proprietario per l’inquinamento del sito.
E’ d’uopo ricordare, in questo contesto, che gli interventi di messa in sicurezza sono finalizzati non tanto alla diminuzione del livello di inquinamento dell’area interessata (obiettivo questo che va perseguito attraverso l’attivazione delle opere di bonifica) quanto a scongiurare che la contaminazione in atto si espanda nel terreno o nella falda in attesa dell’esecuzione di interventi definitivi di bonifica del sito (Cfr., sull’intera tematica in argomento, e, in particolare, sullo specifico profilo della responsabilità da inquinamento, tra le tante, Cons. St., II, 21.11.2007, n. 65; VI, 05.09.2005, n. 4525; TAR Toscana, II, 30.05.2008, n. 1541; TAR Friuli Venezia Giulia, 28.01.2008, n. 89; TAR Sicilia, Catania, 20.07.2007, n. 1254) (TAR Friuli Venezia Giulia, sentenza 17.12.2009 n. 837 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Le carenze progettuali costituiscono motivo di illegittimità della concessione edilizia rilasciata solo qualora, non consentendo di identificare con esattezza l'oggetto della concessione richiesta e di verificare quindi la conformità dell'opera edilizia da realizzare alla normativa urbanistica vigente, influiscano sulla corretta formazione della volontà dell'organo decidente.
Quanto alle lamentate carenze progettuali, va ricordato l’insegnamento giurisprudenziale -dal quale il Collegio non intende discostarsi- secondo il quale queste carenze costituiscono motivo di illegittimità della concessione edilizia rilasciata solo qualora, non consentendo di identificare con esattezza l'oggetto della concessione richiesta e di verificare quindi la conformità dell'opera edilizia da realizzare alla normativa urbanistica vigente, influiscano sulla corretta formazione della volontà dell'organo decidente (Cfr., secondo una giurisprudenza risalente, TAR Piemonte, II, 18.06.1985, n. 257).
In questa ottica, è stato anche deciso che l'incompleta o inesatta rappresentazione dello stato dei luoghi negli elaborati progettuali, casuale o volontaria che sia, non vizia la concessione edilizia se, nonostante le carenze del progetto, non sussistono violazioni sostanziali della normativa urbanistica (Cfr. TAR Lazio, Latina, 28.01.1985, n. 40; TAR Emilia-Romagna, II, 17.02.1995, n. 71) (TAR Friuli Venezia Giulia, sentenza 17.12.2009 n. 836 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Con riferimento alla natura giuridica della D.I.A. edilizia, i due diversi rapporti intercorrenti tra denunciante ed Amministrazione, da una parte, e tra denunciante, Amministrazione e terzi dall'altra.
Con riferimento alla natura giuridica della D.I.A., e in particolare di quella inerente all'attività edilizia, sono stati formulati vari orientamenti in dottrina ed in giurisprudenza, che prendono in esame, tra l'altro, i due diversi rapporti intercorrenti tra denunciante ed Amministrazione, da una parte, e tra denunciante, Amministrazione e terzi dall'altra.
La tesi che, quanto a quest’ultimo aspetto, il Collegio fa propria muove dalla constatazione che le controversie concernenti oggetto, procedura ed effetti della D.I.A. sono state devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, secondo il nuovo testo dell'art. 19 della legge 07.08.1990, n. 241, il che dimostra che, anche in sede di semplificazione della procedura finalizzata a dare inizio ad una novella attività edilizia, il Legislatore ha ricalcato la risalente previsione dell’art. 16 della legge 28.01.1977, n. 10. Il Tribunale ritiene che, nell’ipotesi che possa constatarsi che la D.I.A. non trovi alcuna norma urbanistica che l’autorizzi, è sempre possibile un intervento repressivo dell’illecito da parte dell’Amministrazione.
Quanto all’azione proponibile avverso la D.I.A. da parte di terzi, che siano controinteressati all'intervento che si rende operativo dopo il prescritto termine di legge e che deducano che le opere progettate non siano conformi alla normativa urbanistica, la verifica affidata al Giudice amministrativo non può che concernere funditus i suoi presupposti in fatto ed in diritto. Il che postula, quindi, che l’azione promossa dal terzo introduca un giudizio di cognizione, nel quadro di un’attività amministrativa strettamente vincolata, volto ad ottenere l'accertamento dell'assunto illecito edilizio. Tali considerazioni appaiono avvalorate dalla circostanza che attualmente il confine tra permesso di costruire (o concessione edilizia) e denuncia d'inizio attività è stato lasciato dal Legislatore alla libera scelta dell’interessato, per cui sembra ragionevole ritenere che il terzo possa avvalersi di un’identica tutela
(TRGA Trentino Alto Adige, sentenza 17.12.2009 n. 310 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: L’inserimento dei timpani nella copertura dell’edificio esula dalla categoria edilizia del risanamento conservativo, la quale postula la conservazione ed il ripristino degli elementi formali e strutturali dell’edificio, ma non novelli inserimenti, come i nuovi timpani introdotti dal progettista che modificano e non conservano uno di tali elementi strutturali, e cioè il tetto.
L’inserimento dei timpani nella copertura dell’edificio, che indubbiamente ne alterano la forma e la struttura, esula infatti dalla categoria edilizia del risanamento conservativo, la quale postula la conservazione ed il ripristino degli elementi formali e strutturali dell’edificio, ma non novelli inserimenti, come i nuovi timpani introdotti dal progettista che modificano e non conservano uno di tali elementi strutturali, e cioè il tetto.
L’Amministrazione comunale ed i controinteressati si sono difesi sul punto, sostenendo che tale tipo di intervento sarebbe consentito da anni nel centro storico, anche su edifici soggetti a risanamento conservativo, poiché ciò non contribuirebbe a snaturare le caratteristiche architettoniche degli edifici.
La detta considerazione, di stampo meramente metagiuridico, non rileva sotto alcun profilo ai fini della verifica se tale tipo di intervento sia o meno conforme alla disciplina urbanistica. Esso infatti non rientra, come si è detto, nella categoria del risanamento conservativo che consente il solo ripristino ed il rinnovo degli elementi costitutivi dell’edificio, ma non certo l’inserimento di nuovi elementi e il fatto che la norma urbanistica sia stata applicata con un’accezione che si è tradotta nella sua violazione non soltanto non consente di confermare detta singolare prassi, ma non incide in alcun modo sui termini in cui deve essere reso il richiesto giudizio in sede giurisdizionale (TRGA Trentino Alto Adige, sentenza 17.12.2009 n. 310 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATACon riferimento all’art. 15 del d.p.r. 06.06.2001 n. 380, laddove prevede che «... b) il termine per l’inizio dei lavori non può essere superiore ad un anno dal “rilascio” del titolo, laddove quello di ultimazione non possa superare i tre anni dall'inizio dei lavori», appare più che verosimile ritenere che la nozione legislativa faccia riferimento alla data della consegna del titolo in mani del destinatario quale termine a quo del computo dell'anno di tempo per l'inizio dei lavori, ossia al “rilascio” inteso ai sensi del comma 7 della disposizione, comprensivo quindi della avvenuta notifica che perfeziona la fattispecie.
E' da ritenere la concessione edilizia atto avente natura recettizia e, dunque, il termine di decadenza di un anno per l'inizio dei lavori prende corso non dalla data in cui il provvedimento è emanato, ma dalla data in cui esso è “rilasciato” ossia consegnato nelle debite forme amministrative facenti fede certa della data, al titolare o al suo delegato.
Parte ricorrente lamenta che, nel disporre l’archiviazione del procedimento finalizzato alla prospettica declaratoria di decadenza del permesso di costruire n. 104/2005 per mancato rispetto dei termini di inizio e di conclusione dei lavori, l’Amministrazione abbia violato la regola, a suo dire inequivocamente desumibile dalla lettera dell’art. 15 del d.p.r. n. 380 del 2001, secondo cui la decorrenza dei termini de quibus dovrebbe ancorarsi alla data di adozione e non di partecipazione del titolo abilitativo alla edificazione, in quanto per definizione non recettizio.
L’assunto non è condivisibile.
In verità, la questione (di puro diritto) non trova a tutt’oggi concordi gli interpreti.
Importa, in ogni caso, premettere che l’art. 15 del d.p.r. 06.06.2001 n. 380, prevede che:
a) nel permesso di costruire siano indicati i termini di inizio e di ultimazione dei lavori;
b) che, in particolare, il termine per l’inizio dei lavori non possa essere superiore ad un anno dal “rilascio” del titolo, laddove quello di ultimazione non possa superare i tre anni dall'inizio dei lavori;
c) che, decorsi tali termini, il permesso decada di diritto per la parte non eseguita, a meno che, anteriormente alla scadenza venga richiesta (e conseguita) una proroga.
La disposizione in esame fa, dunque, decorrere il termine “dal rilascio del titolo” (e non dalla sua successiva comunicazione all’interessato), ciò che induce un corposo filone giurisprudenziale (con l’assenso di parte della dottrina) alla tesi della non ricettizietà (confermata, per un verso, dalla ratio della previsione –preordinata a tutelare l’interesse pubblico a che il rilascio di titoli edilizi non seguiti dalla pronta ed effettiva realizzazione delle opere progettate non precluda l’immutazione degli assetti programmatori del territorio– e, per altro verso, dal tenore dell’attuale art. 21-bis della l. n. 241 del 1990, il quale, recependo sul punto le elaborazioni pretorie, dice recettizi solo i provvedimenti limitativi della sfera del destinatario, legittimando l’argomentazione a contrario per quelli ampliativi). In tali sensi sono, esemplificativamente, Cass., sez. I, 30.11.2006, n. 25536; TAR Liguria, 11.03.2003, n. 279; TAR Sardegna, 10.11.1992, n. 1429; Cons. Stato, sez. V, 02.07.1993, n. 770 (e secondo TAR Lazio Latina, 09.07.2007, n. 482, mentre a norma dell'art. 31 della l. 17.08.1942, n. 1150, la decorrenza dei termini dipendeva dalla effettiva conoscenza del provvedimento concessorio, nel vigore della attuale disciplina la decorrenza è ancorata alla data di “rilascio” e non più di “ritiro”).
Non mancano, peraltro, pronunce secondo le quali la concessione edilizia deve ritenersi provvedimento amministrativo “recettizio”, che, come tale, si perfeziona solo con la comunicazione agli interessati (in tal senso, per esempio, Cons. Stato, sez. V, 27.09.1996, n. 1152, TAR Piemonte, 04.11.2008, n. 2749; TAR Sicilia Catania, 07.04.2009, n. 678).
Al Collegio appare preferibile la tesi della natura recettizia del provvedimento.
A tal fine importa preliminarmente osservare, sul piano della interpretazione letterale, che il termine “rilascio” (sul quale fa anzitutto leva l’opposta opzione ricostruttiva) non appare, di per sé, univoco, potendo sematicamente evocare sia la “emanazione” del provvedimento, sia la “consegna” al destinatario.
Peraltro, tra le due possibili significazioni, la seconda appare sicuramente più rispondente al lessico del legislatore, se si considera che, laddove quest'ultimo avesse voluto fare riferimento alla data della “emanazione” dell'atto, avrebbe verisimilmente usato sinonimi dal più corretto significato tecnico, come “data dell'atto” oppure, “data di adozione” o, più semplicemente “adozione”.
Tra l'altro, in un contesto procedimentale doveroso che trae origine dalla istanza di parte, il termine “rilascio” non può non equivalere a consegna perché l'interesse della parte è di natura pretensiva, ossia attiene alla acquisizione di una specifica utilità, riconnessa ad un bene della vita, che può derivargli solo da un provvedimento espresso, ossia formale e nessuna formalità avrebbe pieno senso se fosse disgiunta da una successiva comunicazione materiale del documento.
La tesi trova implicita conferma, sul piano della analisi sistematica della disciplina normativa in subiecta materia, dalla lettura dell’art. 20 del d.p.r. n. 380, che prospetta il contestuale riferimento alla “adozione”, alla “notifica” ed, appunto, al “rilascio” del provvedimento, legittimando l’assunto che quest’ultimo –per non coincidere con la mera adozione– debba riferirsi alla notifica del provvedimento al beneficiario.
Dispone, infatti, il comma 7 dell’art. 20 cit. che “il provvedimento finale, che lo sportello unico provvede a notificare all'interessato, è adottato dal dirigente [...] entro quindici giorni dalla proposta di cui al comma 3” e che “dell'avvenuto rilascio del permesso di costruire è data notizia al pubblico mediante affissione all'albo pretorio”.
Appare allora evidente che, essendo espressamente contemplata l’“adozione” del provvedimento finale ed altresì la sua “comunicazione” mediante notifica, quel “rilascio” del provvedimento cui tutta la disciplina dell'art. 20 è preordinata non può che essere costituito da una fase complessa che si compone di due momenti, appunto l’“adozione” (che è ad opera del dirigente o del responsabile) e la “notifica” dello stesso provvedimento (che avviene a cura dello sportello unico).
Poiché, inoltre, la norma fa riferimento alla “notifica” e non alla comunicazione pura e semplice, ne discende che il legislatore connette effetti costitutivi alla fase della trasmissione dell'atto al destinatario, dal momento che richiede l'acquisizione di una data certa in cui ciò avviene e disciplina espressamente la responsabilità di tale adempimento individuandone la competenza (ossia fissandola in capo allo sportello unico) in soggetto diverso da quello chiamato all'adozione del provvedimento.
Ulteriore conferma della riassunta interpretazione si trae dall’esame della disciplina del silenzio rifiuto che, secondo il comma 9 dell’art. 20, si forma se, entro il termine di legge, non viene “adottato” il provvedimento finale: in questo caso, il legislatore fa ancora riferimento all'adozione dell'atto, non al suo rilascio, con ciò dimostrando come l'uso del termine sia consapevole e indicatore di una precisa scelta normativa. E ciò tanto più che, formandosi il silenzio rifiuto per mancanza “adozione” dell'atto finale, si conferma non solo che le nozioni di “adozione” e “rilascio” sono diverse, ma anche che l'eventuale adozione non seguita dalla notifica non determina silenzio rifiuto. In altri termini, l'atto adottato e non comunicato, per effetto del comma 9 dell'art. 20 cit., va considerato come “perfetto” ed inefficace, in quanto carente della necessaria fase integrativa dell'efficacia.
Appare dunque più che verosimile ritenere che la nozione legislativa faccia riferimento alla data della consegna del titolo in mani del destinatario quale termine a quo del computo dell'anno di tempo per l'inizio dei lavori, ossia al “rilascio” inteso ai sensi del comma 7 della disposizione, comprensivo quindi della avvenuta notifica che perfeziona la fattispecie.
Argomento contrario non può trarsi, per contro, dalla lettera dell’art. 21-bis della legge n. 241/1990, il quale, come è noto, pone il principio secondo il quale i provvedimenti limitativi della sfera giuridica del privato sono a carattere necessariamente recettizio (avendo, in sostanza, il legislatore recepito l’elaborazione giurisprudenziale e l’insegnamento dottrinario, alla cui stregua l'atto amministrativo è, per sua natura, recettizio ogni qual volta richieda, per essere portato ad esecuzione, la collaborazione del privato e dunque postuli la sua effettiva conoscenza, in capo a quest'ultimo)
La affermazione della natura recettizia dei provvedimenti "sfavorevoli" deriva da esigenze di certezza dell'azione amministrativa e di giustizia sostanziale.
Sulla base di questa disposizione, si ritiene, argomentando a contrario, che tutti gli altri atti amministrativi non siano recettizi e dunque si perfezionino solo con la loro emanazione, non rivestendo la fase della comunicazione successiva carattere di necessità ai fini della perfezione dell'atto.
Vero è, peraltro, che, in un singolo provvedimento amministrativo “ampliativo” possono sussistere clausole, ovvero vere e proprie condizioni, che assistono corrispondenti interessi pubblici, a carattere e natura limitativa, come quelle che comminano oneri sanzionati con effetti pregiudizievoli, come appunto, i termini di decadenza nella concessione edilizia.
Sostenere che la concessione edilizia, in quanto atto ampliativo, non è soggetta ad obbligo di comunicazione, ai fini della integrazione della efficacia, appare, dunque, una evidente contraddizione con il principio e la ratio dell’art. 21-bis della l. 241/1990, perché è sicuramente un atto limitativo della sfera giuridica del privato quello specifico contenuto di un provvedimento ampliativo, che ne condiziona l'utilità al compimento necessitato di determinate attività entro specifici termini posti a pena di decadenza (in termini, TAR Sicilia Catania, 07.04.2009, n. 678, al cui complessivo ragionamento il Collegio presta adesione).
Con più lungo discorso, l'atto ampliativo, sebbene favorevole al privato, quando contiene prescrizioni restrittive connesse, quale condizione di mantenimento, all'effetto favorevole (peraltro, relative proprio al decorso del tempo), è comunque atto recettizio e, dunque, va necessariamente comunicato.
Vale anche (con argomento orientato alle conseguenze) apprezzare le implicazioni pratiche del riassunto principio.
Se si ammettesse, invero, che la concessione edilizia non è atto recettizio, il privato sarebbe praticamente esposto, incolpevolmente, ai ritardi dell'ufficio comunale preposto alla comunicazione dell'atto, il quale, a sua volta, potrebbe “consumare” con i propri adempimenti, o con il proprio comportamento più o meno negligente, parte del termine decadenziale fissato, con ovvie conseguenze in capo al privato, il quale, a sua volta, potrebbe non essere neppure in condizioni di difendersi, “esigendo” il rilascio del titolo, perché, sempre in ipotesi, ben potrebbe non essere a conoscenza della esistenza di un titolo a suo favore.
Vero è che, una volta ottenuto il titolo con ritardo o addirittura oltre la consumazione del termine annuale, potrebbe ipotizzarsi la richiesta di una rimessione in termini o, comunque, di una proroga: ma è evidente che si tratterebbe pur sempre di una attività ulteriore e ad esito non garantito, oltretutto in tesi imposta per implausibilmente ovviare ad una circostanza che non è a lui imputabile e dunque, per fare fronte a quella che resterebbe pur sempre una inefficienza dell'ufficio comunale.
Sono, in definitiva, non meno ragioni testuali che esigenze sostanziali di tutela ad imporre di ritenere la concessione edilizia come atto avente natura recettizia e dunque sancire che il termine di decadenza di un anno per l'inizio dei lavori prende corso non dalla data in cui il provvedimento è emanato, ma dalla data in cui esso è “rilasciato” ossia, come chiarito, consegnato nelle debite forme amministrative facenti fede certa della data, al titolare o al suo delegato (che tale risulti agli atti del Comune) (TAR Campania-Salerno, Sez. II, sentenza 16.12.2009 n. 7923 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

LAVORI PUBBLICILa delibera di approvazione di un progetto definitivo di un’opera pubblica o di pubblica utilità ovvero anche l’atto di programmazione di opere pubbliche non può valere quale variante allo strumento urbanistico, anche nel senso della rinnovazione dei vincoli preordinati all’esproprio che fossero scaduti per il decorso del quinquennio, se non adottata nelle forme e nei modi prescritti dall’art. 10 D.P.R. n. 327/2001 assicurando, comunque, la partecipazione degli interessati giusta la prescrizione del successivo art. 11.
La delibera di approvazione di un progetto definitivo di un’opera pubblica o di pubblica utilità ovvero anche l’atto di programmazione di opere pubbliche non può valere quale variante allo strumento urbanistico, anche nel senso della rinnovazione dei vincoli preordinati all’esproprio che fossero scaduti per il decorso del quinquennio, se non adottata nelle forme e nei modi prescritti dall’art. 10 D.P.R. n. 327/2001 (<<1. Se la realizzazione di un’opera pubblica o di pubblica utilità non è prevista dal piano urbanistico generale, il vincolo preordinato all’esproprio può essere disposto, ove espressamente se ne dia atto, su richiesta dell’interessato, ai sensi dell’art. 14, comma 4, della legge 07.08.1990, n. 241, ovvero su iniziativa dell’amministrazione competente all’approvazione del progetto, mediante (………) un altro atto, anche di natura terri-toriale, che in base alla legislazione vigente comporti la variante del piano urbanistico (…….)>>), assicurando, comunque, la partecipazione degli interessati giusta la prescrizione del successivo art. 11 (TAR Campania-Napoli, Sez. V, sentenza 15.12.2009 n. 8746 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa particolarità della DIA consiste nella sostituzione del privato all’Amministrazione, nella conduzione di un procedimento che condurrà all’abilitazione edilizia, in presenza dei presupposti ed in seguito al decorso del termine. Il ruolo della PA, in tale procedura, è limitato al controllo della sussistenza dei presupposti, al fine dell’eventuale esercizio del potere inibitorio. L’attività amministrativa, quindi, non è destinata a concludersi necessariamente con un provvedimento amministrativo, ma è una mera attività di controllo, che non assume la forma del procedimento amministrativo.
I rapporti tra privati appartengono alla giurisdizione civile, non essendo tenuta l’amministrazione ad effettuare ulteriori indagini quando l’interessato ha depositato al comune la prescritta documentazione da allegare alla DIA. Al giudice amministrativo, nel sindacare l’attività della P.A., compete solamente verificare se il Comune ha legittimamente esercitato i suoi poteri inibitori e sanzionatori controllando la sussistenza dei requisiti per la formazione del provvedimento abilitativo a formazione tacita.

La particolarità della DIA consiste nella sostituzione del privato all’Amministrazione, nella conduzione di un procedimento che condurrà all’abilitazione edilizia, in presenza dei presupposti ed in seguito al decorso del termine. Il ruolo della PA, in tale procedura, è limitato al controllo della sussistenza dei presupposti, al fine dell’eventuale esercizio del potere inibitorio. L’attività amministrativa, quindi, non è destinata a concludersi necessariamente con un provvedimento amministrativo, ma è una mera attività di controllo, che non assume la forma del procedimento amministrativo. Deve essere, pertanto, escluso l’obbligo di comunicazione di avvio del procedimento.
L’art. 22, comma 3, del DPR n. 380 del 2001, come modificato dal d.lgs. n. 301 del 2002, prevede che, in alternativa al permesso di costruire, possano realizzarsi tramite denuncia di inizio attività “gli interventi di ristrutturazione di cui all'articolo 10, comma 1, lettera c)”; si tratta degli “interventi di ristrutturazione edilizia che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e che comportino aumento di unità immobiliari, modifiche del volume, della sagoma, dei prospetti o delle superfici, ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, comportino mutamenti della destinazione d'uso”.
La norma consente, dunque, che, a scelta dell’interessato, siano realizzabili mediante permesso di costruire ovvero previa DIA le ristrutturazioni edilizie che comportino limitati incrementi di volume e di superficie.
Il modesto incremento del volume derivante dall’abbassamento del pavimento consente di ritenere senza alcun dubbio che la ristrutturazione di cui si tratta rientri nell’ambito degli interventi edilizi assentibili mediante DIA.
I rapporti tra privati appartengono alla giurisdizione civile, non essendo tenuta l’amministrazione ad effettuare ulteriori indagini quando l’interessato ha depositato al comune la prescritta documentazione da allegare alla DIA. Giustamente, dunque, la ricorrente ha fatto ricorso al Tribunale civile di Crotone per tutelare la proprietà privata da possibili minacce alla stabilità dell’edificio proponendo azione di nunciazione nella specie di denuncia di nuova opera. Sarebbe, pertanto, inammissibile una duplicazione di tutela proponendo al giudice amministrativo la medesima azione già appartenente alla cognizione del giudice ordinario.
Al giudice amministrativo, nel sindacare l’attività della P.A., compete solamente verificare se il Comune ha legittimamente esercitato i suoi poteri inibitori e sanzionatori controllando la sussistenza dei requisiti per la formazione del provvedimento abilitativo a formazione tacita
(TAR Calabria-Catanzaro, Sez. II, sentenza 14.12.2009 n. 1457 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAL'ordine di demolizione di opera edilizia abusiva è sufficientemente motivato con la descrizione della accertata abusività dell'opera, salva l'ipotesi in cui, per il protrarsi e il lungo lasso di tempo trascorso dalla commissione dell'abuso e il protrarsi della inerzia dell'Amministrazione preposta alla vigilanza, si sia ingenerata una posizione di affidamento nel privato, sola ipotesi in cui si ravvisa un onere di congrua motivazione che indichi il pubblico interesse, evidentemente diverso da quello al ripristino della legalità, idoneo a giustificare il sacrificio del contrapposto interesse privato.
Fondata appare la censura di difetto di motivazione, per mancata esternazione delle ragioni di interesse pubblico alla demolizione, necessaria dato il lungo tempo trascorso dalla realizzazione dell’opera, comunque rispettosa degli strumenti urbanistici vigenti all’epoca.
In generale l'ordine di demolizione di opera edilizia abusiva è sufficientemente motivato con la descrizione della accertata abusività dell'opera, salva l'ipotesi in cui, per il protrarsi e il lungo lasso di tempo trascorso dalla commissione dell'abuso e il protrarsi della inerzia dell'Amministrazione preposta alla vigilanza, si sia ingenerata una posizione di affidamento nel privato, sola ipotesi in cui si ravvisa un onere di congrua motivazione che, avuto riguardo anche alla entità e alla tipologia dell'abuso, indichi il pubblico interesse, evidentemente diverso da quello al ripristino della legalità, idoneo a giustificare il sacrificio del contrapposto interesse privato (tra le tante, TAR Piemonte Torino, sez. I, 04.09.2009, n. 2247).
Invero, il provvedimento impugnato si limita a illustrare l’abusività dell’opera, ma non spiega le ragioni di pubblico interesse alla demolizione dell’opera, che era necessario esternare dato il rilevante lasso di tempo trascorso dall’edificazione.
Per la fondatezza della seconda censura il ricorso va accolto con annullamento dell’impugnato provvedimento (TAR Abruzzo-Pescara, sentenza 14.12.2009 n. 1280 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa ricostruzione costituisce ristrutturazione se il risultato finale coincide nella volumetria e nella sagoma con il preesistente edificio demolito.
La ristrutturazione mediante demolizione e ricostruzione non può giammai implicare anche la traslazione, importando, in tal caso, una oggettiva trasformazione dell’esistente incompatibile con la nozione stessa di ristrutturazione.

La nozione di ristrutturazione, sebbene soggetta ad interpretazioni variamente estensive da parte della legislazione regionale e della normativa regolamentare, resta tuttavia sostanzialmente ancorata al concetto di intervento non innovativo dell’esistente, atto a distinguerlo dalla diversa nozione di nuova costruzione.
In virtù dell’art. 3, comma 1, del D.P.R. n. 380/2001, rientra invero nel concetto di ristrutturazione edilizia anche la demolizione con ricostruzione, purché il nuovo manufatto non si discosti dal precedente per volumetria, sagoma o ubicazione; il d.L.vo 27.12.2002, n. 301 ha invero precisato che sono compresi tra gli interventi di ristrutturazione edilizia “anche quelli consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria e sagoma di quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica”.
In definitiva, la ricostruzione costituisce ristrutturazione se il risultato finale coincide nella volumetria e nella sagoma con il preesistente edificio demolito (cfr. Cass. pen., sez. III, 16.06.2006, n. 20776). (cfr., ex pluris, Cons. di Stato, sez. IV, 10.04.2008, n. 1550; TAR Calabria, CZ, Sez. II, 05.03.2008, n. 260; TAR Umbria, 11.08.2006, n. 419; TAR Toscana, sez. II, 12.06.2008, n. 1837).
L’elemento caratterizzante la ristrutturazione è stato, per altro profilo, individuato nella connessione finalistica delle opere eseguite, che non devono essere riguardate analiticamente ma valutate nel loro complesso al fine di individuare se esse siano o meno rivolte al recupero edilizio dello spazio attraverso la realizzazione di un edificio in tutto o in parte nuovo (cfr. Cass. pen., sez. III; 16.06.2006, n. 20776).
Ritiene il Collegio che da tale concetto non si discosti, sostanzialmente, la sopra citata norma di P.R.G., chiara nel limitare gli interventi sussumibili nella nozione di ristrutturazione a quelli “finalizzati a nuove organizzazioni distributive, igieniche e funzionali”, con solo “..parziali trasformazioni degli organismi esistenti”, ove, per un verso, la locuzione “organizzazioni distributive, igieniche e funzionali” sottintende la invarianza della localizzazione spaziale (la distribuzione implica, invero, la “ripartizione” ma non lo “spostamento”) e, per altro verso, la “trasformazione” ammessa, peraltro solo “parziale”, riguarda i soli organismi “esistenti” e non organismi qualificabili nuovi in quanto non “esistenti” se non nel nuovo spazio identificato all’esito della traslazione.
In termini, la Suprema Corte regolatrice ha ritenuto che “la necessità della costruzione dell’edificio demolito nell’area di sedime originaria è un requisito insito nella nozione di ristrutturazione edilizia”, posto che “la nuova nozione di ristrutturazione edilizia postula la preesistenza effettiva di una costruzione..., in quanto la previsione specifica va interpretata restrittivamente dal momento che costituisce un’eccezione al principio generale riaffermato dal T.U.E.D., secondo cui ogni trasformazione urbanistica ed edilizia, che comporti una rilevante modifica del suo assetto, necessita di essere assentita con il permesso di costruire” (cfr. Cass. pen., sez. III, 18.05.2006, n.17084).
Il che significa che la ristrutturazione mediante demolizione e ricostruzione non può giammai implicare anche la traslazione, importando, in tal caso, una oggettiva trasformazione dell’esistente incompatibile con la nozione stessa di ristrutturazione (TAR Abruzzo-L'Aquila, sentenza 14.12.2009 n. 548 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Ordine di demolizione e comproprietario.
1.
E’ ben possibile, ed anzi si verifica di frequente, che il proprietario o comproprietario non possa considerarsi soggetto di buona fede rispetto all’abuso edilizio, perché era a conoscenza dei lavori abusivi che si stavano compiendo nella sua proprietà e non ha fatto nulla per interromperli, e ciò nonostante non sia concorrente nel reato edilizio per avere tenuto un comportamento meramente passivo e di sola connivenza.
La mancata condanna per concorso nel reato, quindi, non implica assolutamente il riconoscimento di una posizione di buona fede rispetto all’abuso.
2. La sentenza 20.01.2009 della Corte dì Strasburgo non solo non ha escluso un ordine di demolizione dell’opera contrastante con le norme urbanistiche, eseguibile nei confronti di chiunque ne sia in possesso, anche estraneo al reato, ma ha addirittura implicitamente ritenuto che una tale sanzione ripristinatoria può considerarsi giustificata rispetto allo scopo perseguito dalle norme interne di assicurare una ordinata programmazione e gestione degli interventi edilizi e non contrastante con le norme CEDU.
3. Deve ribadirsi il principio di diritto che l'ordine di demolizione delle opere abusive emesso dal giudice penale ai sensi dell‘art. 31, comma 9, d.p.r. 06.06.2001, n. 380, ha carattere reale e natura di sanzione amministrativa a contenuto ripristinatorio, e deve essere eseguito nei confronti di tutti i soggetti che sono in rapporto col bene e vantano su di esso un diritto reale o personale di godimento, anche se si tratti di soggetti estranei alla commissione del reato (conforme e di contenuto sostanzialmente identico: Sez. III n. 48925 del 21.12.2009, Viesti ed altri) (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 11.12.2009 n. 47281 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: DIA e permesso di costruire non oneroso.
Una equivalenza o addirittura sovrapponibilità tra DIA e permesso di costruire non oneroso non può affatto ricavarsi dall’art. 22, comma 7, del d.p.r. 06.06.2001, n. 380, il quale prevede che, qualora si tratti di interventi edilizi realizzabili mediante sola denunzia di inizio attività, l’interessato, pur non essendone obbligato, ha comunque la facoltà di chiedere il rilascio del permesso di costruire, senza obbligo del pagamento del contributo di costruzione.
Questa disposizione non stabilisce alcuna equiparazione tra i due diversi titoli abilitativi, ma si limita a prevedere che il soggetto che intenda realizzare interventi che richiedono una semplice DIA ha ugualmente la facoltà di chiedere un permesso di costruire, che in tale caso va rilasciato senza pagamento degli oneri di costruzione, mentre non prevede affatto che per un intervento per il quale sia obbligatorio (e non facoltativo) un permesso di costruire, sia pure senza pagamento degli oneri di costruzione, il permesso di costruire possa essere sostituito ad ogni effetto da una denunzia di inizio attività.
Dalla disposizione di cui al citato art. 22, comma 7, resta semmai confermato che permesso di costruire, oneroso o non oneroso che sia, e denunzia di inizio attività costituiscono titoli abilitativi differenziati tra loro (per condizioni, competenza ed effetti) che non possono considerarsi equivalenti o sovrapponibili (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 11.12.2009 n. 47279 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATASulle caratteristiche che connotano la diversità degli interventi di ristrutturazione edilizia da quelli di manutenzione straordinaria.
Gli interventi di ristrutturazione edilizia diversamente dagli interventi di manutenzione straordinaria, che tendono a conservare l'organismo inalterato nei suoi elementi tipologici, sono caratterizzati dalla loro idoneità a introdurre un qualcosa di nuovo rispetto al precedente assetto dell'edificio, realizzandosi una decisa trasformazione dell'edificio precedente, sì da giungere ad un'opera diversa per tipo, caratteristiche, dimensioni e localizzazioni.
Diversamente, gli interventi di manutenzione straordinaria non possono apportare trasformazioni tali da portare a un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente ma devono tendere a “conservare l'organismo edilizio e ad assicurarne la funzionalità mediante un insieme di opere che, in conformità agli elementi tipologici, formali e strutturali dell'edificio, ne consentano destinazioni d'uso compatibili” (Cass., Sez. II civile, 07.09.2009, n. 19287; TAR Campania, Napoli, Sez. IV, 16.04.2009, n. 1977; Cons. St., Sez. V, 21.12.1994, n. 1559): trattasi di elementi caratterizzanti chiaramente riscontrabili nel caso di specie (TAR Sicilia-Palermo, Sez. III, sentenza 11.12.2009 n. 1901 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

PUBBLICO IMPIEGOAccesso all'orario di lavori dei colleghi. Si può chiedere di vedere le timbrature.
La posizione che legittima l'esercizio del diritto di accesso non deve possedere tutti i requisiti che legittimerebbero al ricorso avverso l'atto lesivo della posizione soggettiva vantata, ma è sufficiente che l'istante sia titolare di una posizione giuridicamente rilevante e che il suo interesse si fondi su tale posizione.
Con nota del 10.09.2009, il ricorrente, in qualità di dipendente del Comune di ..., ha inoltrato al predetto Ente istanza di accesso ai sensi della legge 241 del 1990, al fine di ottenere copia delle timbrature del personale dipendente ivi comprese le eventuali richieste individuali di modifica, da parte di altri dipendenti, del proprio orario di lavoro-servizio e le eventuali conseguenti risposte; il tutto riferito al periodo dall'01.01.2009 al 31.08.2009.
Ha motivato la richiesta con l’esigenza di poter compiutamente valutare l’opportunità di eventuali azioni giudiziarie innanzi al Giudice competente.
Con provvedimento in data 09.10.2009, prot. 11384 il Comune di ... ha denegato l’accesso ritenendo insussistente l’interesse in capo al richiedente.
La sezione condivide l’orientamento per il quale la posizione che legittima l'esercizio del diritto di accesso non deve possedere tutti i requisiti che legittimerebbero al ricorso avverso l'atto lesivo della posizione soggettiva vantata, ma è sufficiente che l'istante sia titolare di una posizione giuridicamente rilevante e che il suo interesse si fondi su tale posizione. La necessaria sussistenza di un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l'accesso, non significa che l'accesso sia stato configurato con carattere meramente strumentale rispetto alla difesa in giudizio della situazione sottostante, in quanto assume, invece, una valenza autonoma, non dipendente dalla sorte del processo principale e dalla stessa possibilità di instaurazione del medesimo (Cons. Stato, sez. VI, 29.07.2009, n. 4734).
Nel caso di specie, il fatto che il ricorrente sia dipendente del Comune che gli ha denegato la modifica dell’orario di servizio richiesta e ritenga di essere pregiudicato da tale diniego, costituisce valido presupposto per l'esercizio del diritto di accesso diretto ad acquisire gli atti per valutare la legittimità, sotto il profilo della non discriminazione, del diniego di modifica dell’orario di servizio.
In proposito deve osservarsi che la richiesta indiscriminata di tutte le timbrature, se può apparire immotivata, in realtà tende a verificare se siano applicate a tutti i dipendenti le ragioni di servizio indicate come ostative alla modifica richiesta dal ricorrente (TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 25.11.2009 n. 5153 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Ambiente in genere. Accesso all'informazione ambientale.
L'art. 3 D.L. vo n. 195 del 2005 chiarisce che le informazioni ambientali spettano a chiunque le richieda, senza necessità, in deroga alla disciplina generale sull'accesso ai documenti amministrativi, di dimostrare un suo particolare e qualificato interesse.
La medesima disposizione estende il contenuto delle notizie accessibili alle «informazioni ambientali» (che implicano anche un'attività elaborativa da parte dell'Amministrazione debitrice delle comunicazioni richieste), assicurando, così, al richiedente una tutela più ampia di quella garantita dall'art. 22 L. n. 241 del 1990, oggettivamente circoscritta ai soli documenti amministrativi già formati e nella disponibilità dell'Amministrazione.
Detta disciplina speciale della libertà d'accesso alle informazioni ambientali risulta, quindi, preordinata, in coerenza con le finalità della direttiva comunitaria di cui costituisce attuazione, a garantire la massima trasparenza sulla situazione ambientale e a consentire un controllo diffuso sulla qualità ambientale.
Tale esigenza viene, in particolare, realizzata mediante la deliberata eliminazione, resa palese dal tenore letterale dell'art. 3, di ogni ostacolo, soggettivo od oggettivo, al completo ed esauriente accesso alle informazioni sullo stato dell'ambiente (TAR Calabria-Reggio Calabria, sentenza 03.11.2009 n. 818 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: Tettoia in pali di ferro e copertura in plastica. Occorre il permesso di costruire?
Una tettoia di tela plastificata, sostenuta da tubi metallici fissati nel terreno e dal medesimo realizzata al fine di ricoverarvi le macchine agricole ha natura pertinenziale viste le modeste dimensioni dell’opera e i materiali con i quali è stata realizzata la copertura (tela), oltre alle concrete finalità assolte dalla stessa (ricovero di macchine agricole, in relazione all’attività di coltivatore diretto) (TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. II, sentenza 29.06.2009 n. 1013 - link a www.altalex.com).

EDILIZIA PRIVATA: Articolo 34 dpr 380/2001.
Il provvedimento di fiscalizzazione della costruzione illecitamente edificata, previsto dall'art. 34 del d.P.R. 06.06.2001, n. 380, riguarda gli interventi eseguiti in parziale difformità dal permesso di costruire per il caso in cui la demolizione non possa avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità al titolo abilitativo (in motivazione la Corte ha ulteriormente affermato che, ove ricorrono le condizioni dell'art. 34, in sede esecutiva sono irrilevanti le questioni connesse al rilascio del titolo in sanatoria, essendo a monte preclusa la possibilità stessa di procedere alla demolizione) (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 15.06.2009 n. 24661 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATADebbono concorrere due requisiti per fondare lo speciale regime di gratuità della concessione edilizia e precisamente: un requisito di carattere oggettivo, attinente al carattere pubblico o comunque di interesse generale delle opere da realizzare; un requisito di carattere soggettivo, in quanto le opere debbono essere eseguite da un ente istituzionalmente competente, ovvero da soggetti anche privati che non agiscano per scopo di lucro ovvero abbiano un legame istituzionale con l'azione dell'Amministrazione volta alla cura di interessi pubblici.
La giurisprudenza di questo Consiglio ha ampiamente sottolineato che, ai sensi dell'art. 9, comma 1, lettera f), della legge 28.01.1977 n. 10, debbono concorrere due requisiti per fondare lo speciale regime di gratuità della concessione edilizia e precisamente: un requisito di carattere oggettivo, attinente al carattere pubblico o comunque di interesse generale delle opere da realizzare; un requisito di carattere soggettivo, in quanto le opere debbono essere eseguite da un ente istituzionalmente competente, ovvero da soggetti anche privati che non agiscano per scopo di lucro ovvero abbiano un legame istituzionale con l'azione dell'Amministrazione volta alla cura di interessi pubblici (cfr. tra le tante: Cons. Stato, Sez. V, 02.10.2008, n. 4761; 06.12.2007, n. 6237; 11.01.2006, 51; Sez. VI, 09.09.2008, n. 4296) (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 29.05.2009 n. 3359 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Condono edilizio e ultimazione dei lavori.
Il concetto di ultimazione dei lavori rilevante ai fini della condonabilità delle opere edilizie abusive presuppone, oltre il completamento della copertura, l'esecuzione del "rustico", da intendersi come la muratura di tamponatura priva di rifiniture (nella specie, trattandosi di fabbricato in cemento armato munito di pilastri e copertura a doppia falda ma privo di muratura di tamponamento, detta ultimazione è stata esclusa) (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 06.03.2009 n. 10082 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATAL‘esenzione prevista dall’art. 9, comma 1, lett. f), della legge n. 10/1977 spetta solo con riferimento alle opere realizzate per il raggiungimento delle finalità istituzionali di una pubblica amministrazione e che, pertanto, anche se eseguite da un soggetto privato in regime di concessione o altro istituto analogo, sono destinate a pervenire nel patrimonio dell’amministrazione stessa.
La questione posta con l’appello in esame consiste nello stabilire se spetti all’appellante società Consepi s.p.a., con riferimento a talune concessioni edilizie rilasciate alla stessa dal Comune di Susa, l’esenzione dal pagamento dei contributi prevista dall’art. 9 primo comma lett. f) “per gli impianti, le attrezzature, le opere pubbliche o di interesse generale realizzate dagli enti istituzionalmente competenti”.
L‘esenzione prevista dall’art. 9, comma 1, lett. f), della legge n. 10/1977 spetta solo con riferimento alle opere realizzate per il raggiungimento delle finalità istituzionali di una pubblica amministrazione e che, pertanto, anche se eseguite da un soggetto privato in regime di concessione o altro istituto analogo, sono destinate a pervenire nel patrimonio dell’amministrazione stessa.
Se invece una società, anche se costituita da un ente pubblico per il conseguimento di sue finalità, realizza una struttura al fine di utilizzarla nell’ambito della sua attività d’impresa, viene a mancare la stessa ratio della concessone dell’esenzione, che è quella di evitare una contribuzione a carico di un’opera destinata a soddisfare esclusivamente interessi generali.
Alla stregua delle predette considerazioni deve escludersi che nella fattispecie vi siano i presupposti per l’esenzione.
Ed invero, la struttura realizzata dalla Consepi è di sua proprietà ed è utilizzata per rendere un servizio dietro corrispettivo.
Ciò basta per escludere che possa concedersi l’esenzione, senza che possano assumere rilevanza le circostanze:
a) che l’attività della società corrisponda anche ad interessi della regione, tanto che alla stessa vengono concessi finanziamenti, dovendosi aver riguardo solo alla natura dell’opera realizzata;
b) che la società possa qualificarsi organismo di diritto pubblico o che possa beneficiare di affidamenti di servizi senza gara, giacché, anche a voler ammettere che si sia in presenza dei presupposti a tali fini necessari, tali evenienze rilevano ad altri scopi e non per l’esenzione.
Non può invocarsi infine a sostegno della tesi dell’appellante la circostanza che le opere siano state realizzate sulla base di un diritto di superficie concesso dal Comune di Susa, con la conseguenza che, alla scadenza di tale diritto, le opere stesse diverranno di proprietà del comune.
Infatti ciò non esclude che la struttura sia attualmente di proprietà della società e in ogni caso la struttura stessa potrà divenire di proprietà del comune e non della regione (che, nella prospettazione dell’appellante, sarebbe l’amministrazione di riferimento dell’opera in questione) (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 02.10.2008 n. 4761 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIl requisito c.d. soggettivo necessario onde accordare l’esenzione dal contributo di cui all’art. 3 della l. 10 del 1977 sussiste non solo nel caso in cui l’opera sia realizzata direttamente da un ente pubblico nell’esercizio delle proprie competenze istituzionali, ma anche nel caso in cui l’opus venga realizzato da un soggetto privato, purché per conto di un ente pubblico.
Il Collegio ritiene di prestare puntuale adesione (non rinvenendosi alcuna ragione onde discostarsene) al consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui il requisito c.d. soggettivo necessario onde accordare l’esenzione dal contributo di cui all’art. 3 della l. 10 del 1977 sussiste non solo nel caso in cui l’opera sia realizzata direttamente da un ente pubblico nell’esercizio delle proprie competenze istituzionali, ma anche nel caso in cui l’opus venga realizzato da un soggetto privato, purché per conto di un ente pubblico (come nel caso, che qui ricorre, della concessione di opera pubblica o in altre analoghe figure organizzatorie in cui l’opera sia realizzata da soggetti che non agiscano per scopo di lucro, o che accompagnino tale lucro ad un legame istituzionale con l’azione dell’Amministrazione volta alla cura di interessi pubblici – in tal senso, ex plurimis: Cons. Stato, Sez. IV, sent. 12.07.2005, n. 3744; id, Sez. IV, sent. 10.05.2005, n. 2226; id., Sez. V, sent. 02.12.2002, n. 6618).
Ed infatti, dal momento che (secondo quanto pacificamente risulta agli atti) la soc. Interporto Campano S.p.A. è stata individuata sin dal 1989 quale soggetto concessionario della progettazione, costruzione e gestione della struttura interportuale nel suo complesso, ne consegue che (alla luce del richiamato, consolidato orientamento giurisprudenziale) non sia contestabile la sussistenza in capo alla medesima società del richiamato requisito soggettivo ai fini dell’esenzione dal pagamento del contributo di cui all’art. 3 della l. 10 del 1977 (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 09.09.2008 n. 4296 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AGGIORNAMENTO ALL'01.01.2010

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NEWS

EDILIZIA PRIVATA: Autorizzazione paesaggistica, dal 1° gennaio 2010 è cessato il regime transitorio di cui all'art. 159 del D.Lgs. n. 42/2004.
Il decreto milleproroghe (D.L. 30.12.2009 n. 194) non ha ulteriormente differito il termine di entrata in vigore della procedura ordinaria di rilascio dell'autorizzazione paesaggistica ex art. 146.
Ecco un prospetto riassuntivo delle nuove procedure per l’esercizio delle funzioni paesaggistiche dal 1° gennaio 2010 predisposto dalla Struttura Paesaggio della regione Lombardia.
PRENDETE BUONA NOTA !!
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Aggiornamento del 04.01.2010, ore 17,45
:
1)
il comunicato 30.12.2009 della Regione Lombardia con una sintesi esplicativa al riguardo;
2) Autorizzazione paesaggistica più pesante - Il via libera deve essere pronunciato entro 45 gg. dal ricevimento della documentazione (articolo Il Sole 24 Ore del 04.01.2010 - tratto da http://rassegnastampa.formez.it).

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICIAvvio dal 1° gennaio 2010 della trasmissione informatizzata della notifica preliminare di avvio lavori nei cantieri - Decreto del Direttore Generale Sanità n. 9056 del 14.09.2009 (Regione Lombardia, Direzione Generale Sanità, nota 18.12.2009 n. 44462 di prot.).

GURI - GUUE - BURL (e anteprima)

ENTI LOCALI: G.U. 30.12.2009 n. 302, suppl. ord. n. 243/L, "Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2010" (L. 23.12.2009 n. 191):
- file 1 - file 2.

ENTI LOCALI: G.U. 30.12.2009 n. 302 "Proroga di termini previsti da disposizioni legislative" (D.L. 30.12.2009 n. 194).

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI: B.U.R. Lombardia, 1° suppl. ord. al n. 52 del 29.12.2009, "Disposizioni per l'attuazione del documento di programmazione economico-finanziaria regionale, ai sensi dell'art. 9-ter della legge regionale 31.03.1978, n. 34 (Norme sulle procedure della programmazione, sul bilancio e sulla contabilità della regione) - Collegato 2010" (L.R. 28.12.2009 n. 30 - link a www.infopoint.it).

UTILITA'

VARIPOSTA ELETTRONICA CERTIFICATA (P.E.C.) PER LIBERI PROFESSIONISTI - Indicazioni operative per l'adozione e l'utilizzo.

VARI: Il fisco dalla parte dei disabili, è on-line la guida aggiornata. Contiene tutte le novità sulle agevolazioni fiscali previste per questa particolare categoria di contribuenti.
È on-line, sul sito internet dell'Agenzia delle Entrate, la "Guida alle agevolazioni fiscali per i disabili". La pubblicazione, della collana bimestrale "l'agenzia informa", offre un quadro aggiornato di tutte le norme fiscali a favore dei contribuenti portatori di disabilità e di coloro che li assistono.
L'opuscolo, suddiviso in sette capitoli, oltre a spiegare nel dettaglio e con chiarezza quali sono le situazioni in cui è possibile usufruire dei benefici che la disciplina fiscale riconosce a questa categoria di cittadini, ricorda anche i servizi che l'Agenzia delle Entrate offre loro per agevolarli nell'assolvimento degli adempimenti tributari (link a
www.nuovofiscooggi.it).

GIURISPRUDENZA

AMBIENTE-ECOLOGIA: RIFIUTI - Ordinanza di rimozione e smaltimento - Mancanza di una preventiva attività istruttoria finalizzata ad individuare l’effettivo responsabile dell’abbandono - Illegittimità - Fattispecie.
E’ illegittima una ordinanza emessa ex art. 14, comma 3, del D.lgs. 05.02.1997, n. 22, con la quale il Sindaco ordini al proprietario di un’immobile di procedere alla rimozione e all’avvio al recupero o allo smaltimento dei rifiuti ivi presenti, senza svolgere alcuna preventiva valida attività istruttoria finalizzata ad accertare ed individuare l’effettivo responsabile dell’abbandono dei rifiuti medesimi, atteso che gli adempimenti concernenti l’eliminazione dei rifiuti ed il ripristino dei luoghi non possono essere addossati indiscriminalmente al proprietario per il solo fatto di questa sua qualità, ma è necessario l’accertamento di un suo comportamento, anche omissivo, di corresponsabilità e quindi di un suo coinvolgimento doloso o quantomeno colposo (C. di S., Sez. V, 25.01.2005, n. 136) (fattispecie relativa all’ordinanza di smaltimento diretta ai locatori di un capannone industriale).
RIFIUTI - Ordine di smaltimento - Mancanza di comunicazione di avvio del procedimento - Illegittimità.
E illegittimo l’ordine di smaltimento dei rifiuti non sia preceduto da una preventiva e formale comunicazione di avvio del procedimento (C. S. Sez. V, 25.08.2008, n. 4061) (TAR Veneto, Sez. III, sentenza 23.12.2009 n. 3803 - link a
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EDILIZIA PRIVATA: Lavori edilizi su manufatti abusivi - Assoggettabilità a D.I.A. - Esclusione.
I lavori edilizi che riguardano manufatti abusivi non sanati né condonati non sono assoggettabili al regime della d.i.a. poiché gli interventi ulteriori (sia pure riconducibili, nella loro oggettività, alle categorie della manutenzione straordinaria, del restauro e/o risanamento conservativo, della ristrutturazione, della realizzazione di opere costituenti pertinenze urbanistiche) ripetono le caratteristiche di illegittimità dell'opera principale alla quale ineriscono strutturalmente (cfr., ex multis, Cassazione penale, sez. III, 24.10.2008, n. 45070) (TAR Campania-Napoli, Sez. VI, sentenza 22.12.2009 n. 9335 - link a
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EDILIZIA PRIVATA: BENI CULTURALI E AMBIENTALI - Vincolo paesaggistico - Limite del quinquennio - Applicabilità - Esclusione - Atto amministrativo - Mero valore ricognitivo.
Il limite del quinquennio, per costante giurisprudenza, così orientata dalla Corte Costituzionale, non è applicabile alla fattispecie delle misure di salvaguardia previste a tutela di vincoli paesaggistici (cfr. in questo senso Consiglio di Stato VI Sez. 14.05.2000 n. 2934). Come noto, questi ultimi rappresentano predicati intrinseci del bene e rispetto ad essi l’atto amministrativo autoritativo ha un mero valore ricognitivo che nulla aggiunge ai limiti interni già presenti nel bene che ne conformano l’intero regime giuridico.
Di tal che non si pone (né può in astratto prospettarsi) alcuna limitazione di efficacia, temporale o di altro tipo, alle misure disposte in via amministrativa che incidano sul diritto di proprietà che ha per oggetto gli stessi, stante la stretta connessione di detti interventi con la dimensione ontologica intrinsecamente posseduta dal bene (cfr. Sentenza Corte Cost. n. 56/1998) (TAR Campania-Napoli, Sez. VI, sentenza 22.12.2009 n. 9315 - link a
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APPALTI: Art. 48 d.lgs. n. 163/2006 - Irrogazione della triplice sanzione - Requisiti di ordine speciale - Art. 38 d.lgs. n. 163/2006 - Carenza dei requisiti di ordine generale - Esclusione del concorrente dalla gara.
L’irrogazione della triplice sanzione (esclusione dalla gara, escussione della cauzione provvisoria, segnalazione all’Autorità di vigilanza) si riferisce alle sole irregolarità accertate con riferimento ai requisiti di ordine speciale di cui all’art. 48 del d.lgs. n. 163 del 2006, e non anche a quelle relative ai requisiti di ordine generale ex art. 38, essendo queste ultime sanzionabili solo con l’esclusione dalla gara.
L'ipotesi di carenza dei requisiti di carattere generale, infatti, è compiutamente regolata dall'art. 38 del Codice dei contratti che prevede, in tal caso, solo l'esclusione del concorrente dalla gara e costituisce situazione ontologicamente diversa dal mancato possesso dei requisiti di capacità economico-finanziaria e tecnico-organizzativa, disciplinata dall'art. 48 del medesimo Codice che riconnette a tale circostanza, oltre all'esclusione del concorrente dalla gara, anche l'escussione della relativa cauzione provvisoria e la segnalazione del fatto all'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici. L’evidente natura sanzionatoria del citato art. 48, d’altronde, la rende norma di stretta interpretazione e, quindi, non estendibile ad ipotesi diverse da quelle tassativamente previste (TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 21.12.2009 n. 3709 - link a
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EDILIZIA PRIVATA: Concetto di pertinenza - Diritto civile - Diritto urbanistico ed edilizio - Differenza - Funzione autonoma rispetto ad altra costruzione - Regime concessorio.
Il concetto di pertinenza, previsto dal diritto civile, va distinto dal più ristretto concetto di pertinenza inteso in senso edilizio e urbanistico, che non trova applicazione in relazione a quelle costruzioni che, pur potendo essere qualificate come beni pertinenziali secondo la normativa privatistica, assumono tuttavia una funzione autonoma rispetto ad altra costruzione, con conseguente loro assoggettamento al regime concessorio, come nel caso di un intervento edilizio che non sia coessenziale al bene principale e che possa essere utilizzato in modo autonomo e separato (cfr., Cons. St., sez. IV, 23.07.2009, n. 4636; TAR Campania Napoli, sez. IV, 01.09.2009, n. 4848) (TAR Veneto, Sez. II, sentenza 18.12.2009 n. 3638 - link a
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EDILIZIA PRIVATA: BENI CULTURALI E AMBIENTALI - Artt. 146 e 167 d.lgs. n. 42/2004 - Divieto assoluto di autorizzazione in sanatoria - Sanzione alternativa tra demolizione e il pagamento di un’indennità - Incongruenza logico-giuridica - Esclusione.
Nessuna contraddizione discende dalla contemporanea vigenza di un assoluto divieto di rilascio formale di autorizzazione paesaggistica in sanatoria (art. 146, comma 8, lett. c, d.lg. 22.01.2004 n. 42) e della sanzione alternativa tra la demolizione dell'opera ed il pagamento di un'indennità equivalente alla maggior somma tra il danno arrecato ed il profitto conseguito (art. 167, d.lg. citato); deve osservarsi, infatti, come siano profondamente diversi gli ambiti operativi delle due norme, di tal che alcuna incongruenza logico-giuridica può desumersi dal loro confronto.
Ed, invero, l'opzione della p.a. di optare per la sanzione pecuniaria in luogo della demolizione non è configurabile come una sorta di autorizzazione postuma implicita, presupponendo comunque l'accertamento di una violazione rispetto al valore paesaggistico, sia pure di consistenza tale da non imporre la demolizione dell'opera (TAR Veneto, Sez. II, sentenza 18.12.2009 n. 3635 - link a
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AMBIENTE-ECOLOGIAINQUINAMENTO - Bonifica - Responsabilità - Proprietario incolpevole del fondo - Intervento sostitutivo dell’Amministrazione - Recupero degli oneri di bonifica - Azione di ingiustificato arricchimento.
Alla luce delle coordinate normative di cui agli artt. 242-245 e 250 del D.Lgs. n. 152/2006, l’Amministrazione è tenuta ad accertare la responsabilità dell’inquinamento e, in caso di accertamento infruttuoso, è la stessa Amministrazione che dovrà procedere alla bonifica, per poi operare il recupero delle somme a carico del proprietario del fondo incolpevole, ma salvaguardando in questo caso l’apporto partecipativo di queste ultime, in specie per quanto riguarda le modalità dell’intervento e fermo restando, comunque, che a carico del suddetto proprietario il recupero degli oneri della bonifica potrà avvenire solo nel limite dell’arricchimento di valore che il disinquinamento avrà apportato al fondo.
Sotto quest’ultimo profilo il diritto dell’amministrazione al recupero delle somme va ricondotto nell’alveo delle azioni di ingiustificato arricchimento, rispetto alle quali la azione in parola si differenzia essenzialmente per l’esistenza di particolari forme di garanzia (onere reale e privilegio speciale immobiliare) che assicurano il recupero dei costi di intervento.
INQUINAMENTO - Responsabilità per danni all’ambiente - Natura - Responsabilità aquiliana ex ar.t 2043 c.c. - Art. 311, c. 2 d.lgs. n. 152/2006.
Il D.Lgs. n. 152/2006 ha operato una scelta precisa in favore della riconduzione della responsabilità per i danni all’ambiente nel paradigma della “tradizionale” responsabilità extracontrattuale soggettiva (c.d. responsabilità aquiliana ex art. 2043 c.c.), con esclusione di una qualsivoglia forma di responsabilità oggettiva(cfr. art. 311, comma 2, d.lgs. n. 152/2006).
INQUINAMENTO - Interventi di messa in sicurezza - Finalità - Rapporto con gli interventi di bonifica.
Gli interventi di messa in sicurezza sono finalizzati non tanto alla diminuzione del livello di inquinamento dell’area interessata (obiettivo questo che va perseguito attraverso l’attivazione delle opere di bonifica) quanto a scongiurare che la contaminazione in atto si espanda nel terreno o nella falda in attesa dell’esecuzione di interventi definitivi di bonifica del sito (Cfr. Cons. St., II, 21.11.2007, n. 65; VI, 05.09.2005, n. 4525; TAR Toscana, II, 30.05.2008, n. 1541; TAR Friuli Venezia Giulia, 28.01.2008, n. 89; TAR Sicilia, Catania, 20.07.2007, n. 1254) (TAR Friuli Venezia Giulia, Sez. I, sentenza 17.12.2009 n. 837 - link a
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EDILIZIA PRIVATA: BENI CULTURALI E AMBIENTALI - Rimozione delle barriere architettoniche in ipotesi di immobile soggetto a vincolo paesaggistico - Silenzio assenso - Rapporto tra l’art. 4 della L. n. 13/1989 e l’art. 20 L. n. 241/1990, come riformulato ex L. n. 15/2005.
Come si evince dai commi 1 e 2 dell’art. 4 della l. n. 13/1989, gli interventi per la rimozione delle barriere architettoniche “ove l'immobile sia soggetto al vincolo di cui all'articolo 1 della legge 29.06.1939, n. 1497” (cioè il vincolo paesaggistico) “le regioni, o le autorità da esse subdelegate, competenti al rilascio dell'autorizzazione di cui all'articolo 7 della citata legge, provvedono entro il termine perentorio di novanta giorni dalla presentazione della domanda, anche impartendo, ove necessario, apposite prescrizioni” (comma 1). La mancata pronuncia nel termine di cui al comma 1 equivale ad assenso (comma 2).
Atteso il tenore delle norme sopra citate, non può dubitarsi del fatto che il legislatore abbia previsto un’ipotesi di silenzio assenso. E’ noto che la riforma dell’art. 20, c. 4 della L. n. 241/1990, di cui alla L. n. 15/2005, ha generalizzato le ipotesi di silenzio assenso, prevedendo però (comma 4) una serie di materie in cui esso è escluso; sicché l’istituto del silenzio assenso non è applicabile, tra gli altri, “agli atti e procedimenti riguardanti il patrimonio culturale e paesaggistico”.
Tuttavia, non solo l’art. 4 l. n. 13/1989 è norma speciale rispetto all’art. 20, co. 4, l. n. 241/1990; ma le eccezioni alla regola generale del silenzio assenso sopra indicate comportano solo che nelle materie suddette non sia applicabile in modo automatico la regola generale del silenzio assenso, e non già l’impossibilità in assoluto di prevedere speciali ipotesi di silenzio assenso, con norme puntuali anziché con previsione generalizzata (TAR Campania-Napoli, Sez. VII, sentenza 16.12.2009 n. 8834 - link a
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AMBIENTE-ECOLOGIA: RIFIUTI - Abbandono - Art. 192 d.lgs. n. 152/2006 - Sanzione di tipo reintegratorio - Obbligo di rimozione e recupero o smaltimento - Responsabilità - Proprietario dell’area - Elemento soggettivo - Dolo o colpa.
La fattispecie normativa di cui all’art. 192 del d.lgs. n. 152/20006 (per la sua esegesi, cfr. Cons. Stato, V, 25.08.2008, n.4061) ha introdotto una sanzione amministrativa di tipo reintegratorio, potendo essere adottata anche in assenza di una situazione in cui sussista l’urgente necessità di provvedere con efficacia e immediatezza (TAR Veneto, III, 29.09.2009, n. 2454) e avente a contenuto l’obbligo di rimozione, di recupero o di smaltimento e di ripristino a carico del responsabile del fatto di discarica o immissione abusiva, a carico, cioè, di “chiunque viola i divieti di abbandono e di deposito incontrollato di rifiuti sul suolo”, in solido con il proprietario e con i titolari di diritti reali o personali di godimento sull’area ai quali tale violazione sia imputabile a titolo di dolo o di colpa; la norma, pertanto, ai fini dell’imputabilità della condotta del divieto di abbandono e di deposito incontrollato di rifiuti sul suolo, richiede, a carico del proprietario o dei titolari di diritti reali o personali sul bene, un comportamento titolato di dolo o colpa, così come richiesto per l’autore materiale, mentre le conseguenze sanzionatorie connesse alla violazione del divieto di abbandono incontrollato di rifiuti sul suolo o nel suolo sono accollate anche al proprietario dell’area, ma ciò solo nel caso in cui la violazione sia a lui imputabile a titolo di dolo o di colpa (ex multis, TAR Calabria, Catanzaro, I, 20.10.2009, n. 1118; Cons. Stato, V, 19.03.2009, n. 1612; TAR Sardegna, 18.05.2007, n. 975; 19.09.2004, n. 1076; TAR Puglia, Bari, 27.02.2003, n. 872; TAR Lombardia, Milano, I, 26.01.2000, n. 292).
RIFIUTI - Abbandono - Art. 192 d.lgs. n. 152/2006 - Ordinanza di rimozione - Competenza - Dirigenti - Art. 107, c. 5, d.lgs. n. 267/2000.
Ai sensi dell'art. 107, comma 5, del Decr. Legisl. n. 267/2000, rientra nella competenza del dirigente, e non del Sindaco, l'adozione dell'ordinanza di rimozione di rifiuti rivolta al proprietario di un'area sulla quale gli stessi sono stati abbandonati (TAR Basilicata, 23.05.2007, n. 457) (TAR Campania-Napoli, Sez. V, sentenza 15.12.2009 n. 8739 - link a
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AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: RIFIUTI - Terre e rocce da scavo - Inosservanza delle procedure per il riutilizzo - Applicabilità delle disposizioni in materia di rifiuti - Art. 192 d.lgs. n. 152/2006 - Ordinanza di rimozione - Competenza - Sindaco.
Le rocce ed i materiali di scavo vanno considerati alla stregua di rifiuti, anche se appaiono come idonei all’utilizzo fatto in concreto, ove non siano state seguite le procedure per il loro riutilizzo (art. 186 del d.lvo 03.04.2006, n. 152): trovano quindi applicazione le disposizioni su tali materiali, tra le quali l’art. 192 del T.U. Ambiente, che riguarda il divieto di abbandono dei rifiuti sul suolo e nel suolo. Ove si verifichi tale evento è il sindaco a dover provvedere con l’ordinanza prevista dal comma 3 della norma citata (TAR Liguria, Sez. I, sentenza 15.12.2009 n. 3741 - link a
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AMBIENTE-ECOLOGIA: INQUINAMENTO - Bonifica - Oneri - Accollo al proprietario incolpevole - Provvedimento motivato - Specificazione delle ragioni per cui le spese non siano state fatte gravare sul responsabile dell’inquinamento - Art. 253 d.lgs. n. 152/2006.
L’art. 253 del d.lgs. n. 152/2006, nel richiedere un “provvedimento motivato”, impone all’Amministrazione di specificare quale delle fattispecie ivi previste e quali presupposti di fatto legittimino l’accollo all’incolpevole proprietario delle spese conseguenti alla bonifica dell’area inquinata; occorre, quindi, che il privato e, su sua eventuale richiesta, il giudice siano messi in grado di comprendere le concrete ragioni per le quali gli oneri di bonifica non sono stati fatti gravare sul responsabile dell’inquinamento, onde consentire loro la verifica della conformità della decisione al modello legale (TAR Emilia Romagna-Parma, Sez. I, sentenza 15.12.2009 n. 871 - link a
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AMBIENTE-ECOLOGIA: INQUINAMENTO - Accertamenti e ispezioni a sorpresa - Comunicazione di avvio del procedimento - Successiva alle verifiche.
Il Collegio condivide appieno le conclusioni della giurisprudenza in tema di accertamenti ed ispezioni a sorpresa, in specie in ordine alla legittimità di non far precedere detti accertamenti dal previo avviso di avvio del procedimento, per non rischiare di comprometterne la genuinità (cfr., ex plurimis, C.d.S., Sez. VI, 18.05.2004, n. 3190, in una fattispecie in cui si trattava di accertare se l'attività artigianale svolta dal privato superasse o meno i limiti di emissione sonora nell'ambiente).
Ciò, tuttavia, a condizione, come osserva la stessa giurisprudenza, che a tali verifiche preventive segua, con il vero e proprio avvio del procedimento, l'avviso ex art. 7 cit. (così sempre C.d.S., n. 3190/2004 cit., secondo cui: “L'adempimento dell'obbligo di dare comunicazione dell'avvio del procedimento amministrativo è dovuto solo in relazione al vero e proprio inizio di quest'ultimo, con la conseguenza che nel caso in cui le circostanze lo impongono per garantire la genuinità degli accertamenti dell'amministrazione, l'art. 7, l. 07.08.1990 n. 241 non esclude che tale obbligo possa essere preceduto da controlli, accertamenti e ispezioni, svolti senza la partecipazione del diretto interessato, che sarà quindi edotto di tali attività con la successiva comunicazione, la quale gli consente di intervenire nella procedura sanzionatoria; pertanto, ai fini predetti, legittimamente la p.a. compie accertamenti a sorpresa senza previa comunicazione di avvio del procedimento". Analogamente, TAR Lombardia Milano 10.06.2008 n. 1961; TAR Lombardia Milano 01.02.2007, n. 173) (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza IV, sentenza 14.12.2009 n. 5320 - link a
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EDILIZIA PRIVATA: Piano o porzione di piano abusivi situati in un edificio composto da abitazioni regolari - Acquisizione al patrimonio comunale - Proprietà esclusiva degli appartamenti abusivi e comproprietà delle parti comuni - Sedime e area pertinenziale - Acquisto pro quota.
Qualora l’opera abusiva consista in un piano (o in una porzione di piano) situato in un edificio composto anche da abitazioni regolari il Comune acquisisce non un diritto di superficie ma la proprietà esclusiva degli appartamenti abusivi e la comproprietà delle parti comuni dell’intero edificio (come definite dall’art. 1117 c.c.).
Se l’edificio era in origine di un solo proprietario, con il provvedimento di acquisizione si forma un condominio. Tra le parti comuni rientra anche il sedime dell’edificio, che quindi viene acquisito pro quota, in proporzione ai millesimi dei piani oggetto del provvedimento di acquisizione.
Per quanto riguarda l’area pertinenziale vale lo stesso principio dell’acquisto pro quota (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 14.12.2009 n. 2565 - link a
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AMBIENTE-ECOLOGIA: INQUINAMENTO - Art. 17 d.lgs. n. 22/97 - Artt. 240 e ss. d.lgs. n. 152/2006 - Interventi di recupero - Responsabile del’inquinamento - Proprietario dell’aera inquinata non responsabile della contaminazione - Onere reale - Facoltà di eseguire le opere di recupero ambientale - Imposizione delle misure di bonifica - Accertamento della responsabilità.
L'art. 17 del d.lgs. n. 22 del 1997, la cui impostazione è stata ora confermata e specificata dagli artt. 240 e ss. del d.lgs. 03.04.2006 n. 152, impone l'esecuzione di interventi di recupero ambientale anche di natura emergenziale al responsabile dell'inquinamento che può non coincidere con il proprietario ovvero con il gestore dell'area interessata; a carico di quest'ultimo (proprietario dell'area inquinata non responsabile della contaminazione), invero, non incombe alcun obbligo di porre in essere gli interventi ambientali in argomento ma solo la facoltà di eseguirli al fine di evitare l'espropriazione del terreno interessato gravato da onere reale, al pari delle spese sostenute per gli interventi di recupero ambientale assistite anche da privilegio speciale immobiliare.
La normativa citata prevede infatti che, in caso di mancata esecuzione degli interventi in argomento da parte del responsabile dell'inquinamento ovvero in caso di mancata individuazione del predetto, le opere di recupero ambientale vanno eseguite dall'Amministrazione competente la quale potrà rivalersi sul soggetto responsabile anche esercitando, nel caso in cui la rivalsa non vada a buon fine, le garanzie gravanti sul terreno oggetto dei suddetti interventi. Ne deriva che il provvedimento di messa in sicurezza e bonifica ben può essere notificato al proprietario al fine di renderlo edotto di tale onere (che egli ha facoltà di assolvere per liberare l'area dal relativo vincolo), ma non può imporre misure di bonifica senza un adeguato accertamento della responsabilità, o corresponsabilità, del proprietario per l'inquinamento del sito (per tutte, Cons. Stato, Sez. V, 29.08.2006 n. 5045 e Sez. VI, 05.09.2005 n. 4525) (TAR Lazio-Latina, Sez. I, sentenza 14.12.2009 n. 1287 - link a
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EDILIZIA PRIVATA: Opere di pavimentazione - Permesso di costruire - Art. 6, c. 1, lett. e), D.P.R. n. 380/2001 - Necessità - In caso di opere di rilevante dimensioni comportanti significativa trasformazione dello stato dei luoghi.
Non è necessario il permesso di costruire per la realizzazione di modeste opere di pavimentazione, laddove non siano state realizzate opere murarie o eliminato verde preesistente, ovvero urbanizzato il terreno (TAR Trentino Alto Adige-Bolzano, 26.08.2009, n. 299); occorre invece il permesso di costruire, dall’articolo 6, comma 1, lettera e), del D.P.R. n. 380/2001, quando le opere di pavimentazione, in ragione delle dimensioni delle stesse e dei materiali utilizzati determinino una significativa trasformazione dello stato dei luoghi (TAR Campania Napoli, Sez. VII, 21.04.2009, n. 2084; TAR Piemonte Torino, Sez. I, 02.02.2005, n. 208; TAR Lombardia Milano, Sez. II, 20.11.2002, n. 4514) (TAR Campania-Napoli, Sez. VII, sentenza 10.12.2009 n. 8606 - link a
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AMBIENTE-ECOLOGIA: DANNO AMBIENTALE - Responsabile di violazioni di norme ambientali - Amministrazione - Richiesta di garanzie fideiussorie - Legittimità - Condizioni - Soggetto onerato - Realizzazione degli interventi previsti a titolo di sanzione per la violazione delle norme ambientali - Potere di esecuzione in danno del responsabile.
E’ vero che le norme del D.Lgs. 152/2006 non prevedono espressamente la possibilità per l’amministrazione di ordinare al presunto debitore il rilascio di una fideiussione a garanzia dei danni o delle opere da eseguire in sostituzione del responsabile di violazioni di norme ambientali.
Tuttavia nulla vieta che l’amministrazione possa intimare, pur senza disporre di un effettivo potere coercitivo, il deposito, in via cautelare, di garanzie su somme che la stessa amministrazione ritiene di ascrivere al danno ambientale ovvero di dover essa stessa impiegare nell’esercizio del potere sanzionatorio o surrogatorio per gli interventi che la legge le impone di eseguire in danno del responsabile (nello specifico a seguito della violazione dell’art. 192 del D.Lgs. 152/2006).
Ciò, beninteso, a condizione che il provvedimento cui inerisce la richiesta di garanzie fideiussorie preveda di porre a carico (o ponga a carico) del soggetto onerato la realizzazione di interventi previsti dalla legge a titolo di sanzione per la violazione delle norme ambientali e in particolare quando è previsto il potere di esecuzione in danno del responsabile, e sussista un ragionevole rapporto tra l’importo che l’amministrazione richiede e che è garantito dalla fideiussione e quello stimato dall’amministrazione come costo delle stesse operazioni o ovvero come misura del danno ambientale.
RIFIUTI - Ordinanza di rimozione e smaltimento - Art. 192 d.lgs. n. 152/2006 - Competenza - Sindaco - Criterio cronologico e di specialità - Prevalenza sul disposto di cui all’art. 107, c. 5, d.lgs. n. 267/2000.
L’art. 192, comma 3, del D.lgs. n. 152 del 2006, che è norma speciale sopravvenuta rispetto all`art. 107, comma 5, del D.lgs. n. 267 del 2000, attribuisce espressamente al Sindaco la competenza a disporre con ordinanza le operazioni necessarie alla rimozione e allo smaltimento dei rifiuti: per il criterio della specialità e per quello cronologico la norma prevale sul disposto dell'art. 107, comma 5, del D.lgs. n. 267 del 2000 (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 25.08.2008, n. 4061) (TAR Veneto, Sez. III, sentenza 04.12.2009 n. 3460 - link a
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URBANISTICA: Variante PRG - Aree agricole - Scelta aree da trasformare - Necessità.
La presenza di un'azienda agricola storicamente insediata nell'area non costituisce in via automatica un ostacolo al cambio di destinazione urbanistica e infatti non è ammissibile che la pianificazione urbanistica sia utilizzata con lo scopo di espellere determinate attività dal territorio.
Altresì, le finalità di potenziamento e valorizzazione del territorio agricolo (finalità perseguite dall'amministrazione) non sono in contraddizione con la scelta di insediare su alcune aree agricole dei lotti residenziali: la tutela dell'agricoltura non esige necessariamente il blocco ma piuttosto il contenimento della consumazione del territorio e di conseguenza occorre scegliere in concreto le aree da trasformare (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 22.06.2009 n. 1242 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: PRG - Variante - Delibera di approvazione - Legittimità.
Non è fondato il ricorso avverso la deliberazione di approvazione della variante al PRG: l'ampia discrezionalità esercitata dall'amministrazione comunale è esente da vizi poiché la scelta di evitare l'edificazione sull'intero lotto poggia su una caratteristica ulteriore dell'area classificata come a rischio elevato di esondazione per essere nella fascia di rispetto del fiume (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 04.06.2009 n. 1172 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Beni demaniali - Destinazione pubblica.
E' legittima l'ordinanza del sindaco che ingiunge alla ricorrente la restituzione di una porzione di area nell'esercizio del potere di ripristino della destinazione pubblica dei beni demaniali di cui all'art. 823, comma 2, del c.c. e dell'art. 378 della L. n. 2248/1865.
Il comune, pur essendo rimasto inerte rispetto all'uso esclusivo della ricorrente e del suo dante causa, non si è disinteressato completamente dell'area ma ne ha disposto la classificazione come strada comunale e ha chiesto il pagamento dal 1971 al 1984 della tassa per l'occupazione di spazi pubblici.
Si tratta di un atteggiamento che esprime la consapevolezza sia della titolarità di un diritto dominicale sia della necessità di trarre dal bene un'utilità collettiva. Quanto poi all'interesse pubblico, poiché l'area è associata al demanio stradale, la sua utilizzazione naturale è al servizio della viabilità.
Le esigenze della viabilità nei centri abitati hanno un rilievo speciale, che anziché affievolirsi tende piuttosto ad assumere nel tempo un'importanza progressivamente maggiore, in parallelo allo sviluppo di una programmazione dedicata al traffico e alla mobilità.
Si deve quindi ritenere che l'obiettivo del recupero di beni del demanio stradale giustifichi, anche a distanza di tempo, l'autotutela possessoria. Il rilievo dell'interesse pubblico attenua l'onere di motivazione (v. CS Sez. V 08.01.2009 n. 25) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 04.06.2009 n. 1162 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: 1. Provvedimento amministrativo - Decorrenza termine impugnazione - Comunicazione via fax - Piena conoscenza - Idoneità - Sussistenza.
2. Provvedimento amministrativo - Decorrenza termine impugnazione - Piena conoscenza - Mera notizia dell'esistenza - Non è sufficiente - Conoscenza anche del contenuto - necessità.
1.
La comunicazione di un provvedimento via fax, strumento quest'ultimo basato su linee di trasmissione di dati che consentono di documentare sia la partenza del messaggio dall'apparato trasmittente sia la ricezione presso il destinatario, è idonea, in carenza di espresse prescrizioni contrarie, a determinare la piena conoscenza del provvedimento stesso e a far decorrere termini perentori di legge.
2. Al fine della decorrenza del termine di impugnazione di un provvedimento, secondo un orientamento meno rigoroso ma più attento alle esigenze di tutela del concorrente che si assume leso, non basti la mera notizia della sua esistenza e del suo carattere sfavorevole per il destinatario ma occorre la conoscenza del suo contenuto, per poter valutare se l'atto, oltre che sfavorevole, è illegittimo: poiché un provvedimento sfavorevole non è necessariamente illegittimo, il suo destinatario -prima di accollarsi i costi di un'impugnazione- deve poter conoscere se l'atto è o meno affetto da vizi valorizzabili in sede giurisdizionale, secondo l'art. 3 L. 241/1990 la motivazione del provvedimento non ha carattere opzionale, ma è obbligatoria, sicché la mera notizia che esiste un provvedimento non può essere equiparata alla piena conoscenza del provvedimento medesimo.
Si deve dunque ritenere che laddove l'amministrazione comunichi l'esistenza del provvedimento sfavorevole senza esternare la motivazione, il destinatario ha una mera facoltà, ma non un onere, di impugnare subito l'atto per poi articolare i motivi aggiunti, mentre può anche attendere di conoscere la motivazione per valutare se impugnarlo o meno; in materia di appalti pubblici fanno propendere per questa interpretazione anche l'art. 79 co. 5 e l'art. 11 co. 10 D.Lgs. 163/2006 da cui si evince l'obbligo, in capo alla stazione appaltante, di rendere edotti i soggetti non aggiudicatari dei risultati della gara d'appalto, attraverso la comunicazione dell'atto di affidamento nella sua forma integrale, e la circ. Min. Infrastrutture 10/03/2003 n. 2107 la quale ha sottolineato da un lato che in conformità alla direttiva 89/665/CEE, al tempo in vigore, la Corte di giustizia della Comunità europea, con giurisprudenza costante, ha più volte sottolineato la necessità che i candidati o gli offerenti in una gara, per poter presentare utilmente ricorso contro un provvedimento di aggiudicazione, in una fase in cui la violazione possa ancora essere sanata, debbano prendere conoscenza di detta decisione in tempo utile, e quindi anteriormente alla stipula del contratto e dall'altro che la Commissione europea ha verificato che la legislazione italiana in materia di appalti pubblici non prevede l'obbligo per le amministrazioni aggiudicatrici di notificare i provvedimento di aggiudicazione a tutti i partecipanti ad una gara di appalto ed ha pertanto attivato una procedura di infrazione nei confronti dello Stato italiano, ai sensi dell'art. 226 del trattato CEE, rilevando il contrasto normativo esistente con le disposizioni della direttiva 89/665/CEE, e delle Direttive 93/36/CEE, 93/37/CEE e 92/50/CEE (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 27.05.2009 n. 1073 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Gara - Integrazione documentale - Incompletezza o non conformità alle prescrizioni di gara dell'offerta tecnica ed economica - Inammissibilità.
L'integrazione documentale ammissibile in sede di gara su richiesta della stazione appaltante -allo scopo di far prevalere la sostanza sulla forma- si rivela finalizzata unicamente ad ottenere precisazioni in ordine alla documentazione prodotta, in vista della sanatoria di eventuali irregolarità formali; una tale facoltà non può estendersi al caso in cui l'incompletezza o la non conformità alle prescrizioni di gara riguardi l'offerta tecnica ed economica, perché altrimenti verrebbe ad essere violato il principio della par condicio dei concorrenti mediante la modificazione postuma dell'offerta, con conseguente inammissibile incidenza sulla sostanza e non più solo sulla forma, non è, pertanto, possibile specificare, rettificare o precisare e, sostanzialmente, cambiare, gli elementi negoziali costitutivi dell'offerta (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 27.05.2009 n. 1073 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: PRG - Destinazione a zona agricola - Utilizzo per coltivazione - Non necessita - Discrezionalità - Sussistenza.
La destinazione a zona agricola di una determinata area non presuppone necessariamente che essa sia utilizzata per colture tipiche o possegga le caratteristiche per un simile utilizzazione, trattandosi di una scelta, tipicamente e ampiamente discrezionale, con la quale l'amministrazione comunale ben può aver interesse a tutelare e salvaguardare il paesaggio o a conservare valori naturalistici ovvero a decongestionare o contenere l'espansione dell'aggregato urbano (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 13.05.2009 n. 1022 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: 1. Piano-cave - Dir. 42/01/CE - Immediata applicabilità - Non sussiste.
2. Piano-cave - Integrazioni e modifiche della Giunta regionale ex artt. 7 e 8 L.R. 14/1998 - Modifiche di mero dettaglio - Necessità.

1. La direttiva non è immediatamente applicabile all'interno degli Stati membri per quanto riguarda la generalità degli atti di pianificazione territoriale, qual è il piano-cave: depongono in tal senso anzitutto l'art. 3 della direttiva in parola, che demanda al singolo Stato membro di apprezzare se i piani e programmi relativi a un dato settore possano o non possano avere effetto significativo sull'ambiente; nello stesso senso i successivi articoli 4 e 13, che richiedono in modo espresso che gli Stati, per conformarsi alla direttiva, emanino norme proprie, e quindi adottino atti di recepimento.
2. Le norme degli artt. 7 e 8, co. 1, della L.R. 14/1998, là dove prevedono che alla proposta presentata dalla Provincia sentiti i Comuni la Giunta regionale possa apportare "integrazioni e modifiche" da sottoporre poi al Consiglio regionale per l'approvazione finale, va interpretata nel senso che si possano apportare in modo puro e semplice solo modifiche di mero dettaglio, ovvero imposte dall'adeguamento ad obblighi normativi.
In tutti gli altri casi, non va stravolto il carattere provinciale del piano, e quindi le modifiche non si possono inserire se non ripetendo la procedura che ha condotto alla proposta arrivata alla Giunta: le modifiche stesse vanno apportate al disegno generale della proposta adottata e su di esse devono pronunciarsi non solo i Comuni, ma anche tutti gli organi tecnici deputati ad esprimere il loro parere sul piano in parola: si tratta, infatti, di adempimenti che rivestono valore non formale, ma sostanziale.
In termini logici, la pianificazione dell'uso di un dato territorio, nella specie dell'uso estrattivo, di per sé suscettibile ove non correttamente governato di produrre guasti anche notevoli all'ambiente, va operata considerando il territorio in questione come un tutto unitario, e non a caso ogni piano cave prende le mosse dalla determinazione di un fabbisogno complessivo di materiali.
E' quindi impossibile, in via generale, alterare una proposta di piano redatta secondo certi criteri aggiungendo puramente e semplicemente nuovi ambiti, dei quali non si sia calcolata l'incidenza non solo sulla località interessata, ma anche sull'assetto complessivo del sistema (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 04.05.2009 n. 893 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Nozione di paesaggio - Convenzione europea per il paesaggio - Nozione dinamica - Selezione degli elementi più significativi - Nozione statica - Non è ammissibile.
La Convenzione europea per il paesaggio, sottoscritta a Firenze il 20/10/2000 e recepita con L. 14/2006, qualifica il "paesaggio" come "una determinata parte di territorio, così come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall'azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni", esprimendo, da un lato, una concezione di tipo dinamico, fondata sul pensiero che i paesaggi si evolvono e si trasformano nel tempo per l'effetto delle forze naturali e per l'azione dell'uomo; e dall'altro accogliendo un'idea unitaria di paesaggio, che forma un "unicum" inscindibile all'interno del quale interagiscono simultaneamente gli elementi naturali, culturali ed antropologici, a tale impostazione si rifà anche la D.G.R. 15/03/2006 n. 8/2121 che enuclea quali caratteri fondamentali del concetto di paesaggio: il contenuto percettivo, la complessità e il valore estetico-culturale, non è pertanto ammissibile -in ossequio all'opposta visione statica del paesaggio- una selezione degli elementi che lo compongono finalizzata ad isolare quelli più significativi, rientranti nel fuoco della salvaguardia ambientale (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 04.05.2009 n. 891 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Abuso Edilizio - Qualificazione dell'illecito - Al momento della contestazione.
La pretesa sanzionatoria nasce all'atto della contestazione dell'abuso e non in quello della sua materiale realizzazione, ed è nel momento della contestazione (anche rinnovata) che l'illecito va qualificato come tale e con riguardo alle norme vigenti, così come devono essere riferite al momento dell'intervento repressivo le valutazioni che l'amministrazione è tenuta ad effettuare in funzione della scelta del tipo di sanzione (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 04.05.2009 n. 891 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Abuso edilizio - Ordinanza di demolizione - E' doverosa - Volontà di ricorrere ad un istituto di sanatoria - Non rileva.
In caso di immobile abusivo perché realizzato in assenza del titolo abilitativo, l'intervento repressivo del Comune è non solo legittimo, ma anche doveroso, a prescindere dal tempo trascorso fra la realizzazione dell'abuso e l'intervento stesso anche quando il proprietario dell'immobile abusivo dichiari di voler ricorrere ad un istituto di sanatoria previsto dalla legge: è evidente che l'immobile interessato rimane abusivo, e quindi soggetto alle sanzioni del caso sin quando la sanatoria non sia stata effettivamente richiesta e concessa, ove ne ricorrano i presupposti, dal Comune competente (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 04.05.2009 n. 887 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

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