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AGGIORNAMENTO AL 27.07.2009 |
ã |
GURI - GUUE - BURL (e anteprima) |
URBANISTICA: B.U.R.
Lombardia, 4° suppl. straord. al n. 29 del
24.07.2009, "Approvazione del bando di
finanziamento 2009 per «la produzione di
basi cartografiche attraverso Data base
topografici» ai sensi della l.r. 12/2005"
(decreto
D.U.O. 08.07.2009 n. 6973 - link a www.infopoint.it). |
ENTI LOCALI - VARI: G.U.
24.07.2009 n. 170, suppl. ord. n. 128/L, "Disposizioni
in materia di sicurezza pubblica" (L.
15.07.2009 n. 94). |
LAVORI PUBBLICI:
B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 29 del
20.07.2009, "Approvazione del bando per
il finanziamento degli oneri di
progettazione relativi alla realizzazione di
opere pubbliche da parte dei Comuni aventi
popolazione residente non superiore a 2000
abitanti, loro Unioni e Comunità montane
sede legate - (l.r. 5/2009 - art. 4)" (decreto
D.S. 10.07.2009 n. 7124 - link a
www.infopoint.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 29 del
20.07.2009, "Precisazioni in merito
all'applicazione delle disposizioni per
l'efficienza energetica in edilizia,
approvate con d.g.r. n. 8745 del 22.12.2008"
(decreto
D.U.O. 13.07.2009 n. 7148 - link
a www.infopoint.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 29 del
20.07.2009, "Albo regionale delle imprese
boschive: iscrizione delle ditte ai sensi
dell'art. 57 della l.r. n. 31 del 05.12.2008"
(decreto
D.S. 08.07.2009 n. 6984 - link a
www.infopoint.it). |
EDILIZIA PRIVATA: B.U.R.
Lombardia, serie ordinaria n. 29 del
20.07.2009, "Determinazione della tariffa
del servizio idrico integrato in Lombardia
ai sensi della l.r. 26/2003"
(deliberazione
G.R. 08.07.2009 n. 9796 - link a www.infopoint.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Criteri e requisiti per l’iscrizione
all’Albo nella categoria 1 per lo
svolgimento dell’attività di gestione dei
centri di raccolta di cui al decreto del
Ministro dell’ambiente e della tutela del
territorio e del mare 08.04.2008, modificato
con decreto 13.05.2009, di attuazione
dell’articolo 183, comma 1, lettera cc), del
D.Lgs. 152/2006, e successive modificazioni
e integrazioni (Albo Nazionale Gestori
Ambientali - Comitato Nazionale,
deliberazione 20.07.2009 n. 2 -
link a www.albogestoririfiuti.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Utilizzazione codici dell’elenco europeo
dei rifiuti (Albo Nazionale Gestori
Ambientali - Comitato Nazionale,
circolare 16.07.2009 n. 1464 di
prot. - link a www.albogestoririfiuti.it). |
NEWS |
EDILIZIA PRIVATA - VARI:
Ristrutturazioni edilizie e “Bonus arredi”.
L’Agenzia delle Entrate, con una specifica
circolare, chiarisce le modalità per
usufruire del “bonus arredi”,
l’agevolazione introdotta dal decreto
“incentivi” (Dl. n. 5/2009).
Il bonus riguarda i contribuenti che hanno
sostenuto spese di ristrutturazioni edilizia
per le quali possono beneficiare della
detrazione del 36%. Le opere di
ristrutturazione devono essere state avviate
dopo il 1° luglio 2008, così come indicato
nella comunicazione preventiva di inizio
lavori inviata al Centro operativo di
Pescara. Deve inoltre, trattarsi
esclusivamente di interventi di manutenzione
straordinaria, restauro e risanamento
conservativo o ristrutturazione edilizia
(articolo 31 della legge 457/1978, lettere
b, c e d), effettuati su unità abitative.
Possono usufruire della detrazione i
contribuenti che acquistano mobili,
elettrodomestici di classe energetica non
inferiore ad A+, apparecchi televisivi e
computer nel periodo compreso tra il 7
febbraio e il 31.12.2009. Il pagamento degli
“arredi” deve avvenire con bonifico bancario
o postale da cui risulta causale e codice
fiscale di entrambe le parti .
Il “bonus arredi” non spetta
relativamente alle spese sostenute per
l’acquisto di frigoriferi, congelatori e
loro combinazioni, dato che per questi è
prorogata fino al 2010 la detrazione
introdotta dalla Finanziaria 2007 (L
296/2006). Quest’ultimo sconto, che non può
superare i 200 euro per apparecchio, è però
cumulabile con la nuova detrazione (link a
www.agenziaentrate.it). |
ENTI LOCALI:
Operazione trasparenza per i dirigenti delle
Pubbliche amministrazioni.
Continua l'operazione trasparenza -avviata
un anno fa dal ministro per
l'amministrazione pubblica e l'innovazione,
Renato Brunetta.
Per 190.000 dirigenti, tra i quali circa
3.800 appartenenti al comparto Ministeri,
15.000 a Regioni ed enti locali,
137.000 al comparto Sanità e 10.000
appartenenti al comparto Scuola, entro
luglio 2009 dovranno essere resi pubblici i
dati relativi a retribuzioni, curriculum e
tassi di assenza/presenza degli uffici.
La legge n. 69 del 18.06.2009 ("Disposizioni
per lo sviluppo economico, la
semplificazione, la competitività nonché in
materia di processo civile") impone,
infatti, all'art. 21, comma 1, che tutte le
pubbliche amministrazioni debbano rendere
note, attraverso i propri siti internet,
alcune informazioni relative ai dirigenti (curricula
vitae, retribuzione, recapiti istituzionali)
e i tassi di assenza e di presenza del
personale, aggregati per ciascun ufficio
dirigenziale.
Il ministro Brunetta ha emanato un'apposita
circolare (n. 3 del 2009) al fine di
supportare le amministrazioni negli
adempimenti relativi all'attuazione della
norma.
Inoltre, per consentire la standardizzazione
dei dati da pubblicare e rendere omogenee le
informazioni inviate, nei prossimi giorni
saranno disponibili sul sito
www.innovazionepa.it le modalità da
seguire per applicare la norma in maniera
corretta. In particolare, verrà predisposta
una procedura on-line con le istruzioni per
la compilazione dei curricula e verranno
individuate semplici regole per la
pubblicazione dei dati sui siti
istituzionali delle amministrazioni (link a
www.governo.it). |
CONSIGLIERI COMUNALI:
Diritto d'accesso senza oneri. È
opportuno che gli enti si dotino di un
regolamento per regolare le istanze. Vietato
intralciare il funzionamento degli uffici.
Quando deve essere riconosciuto il diritto
di accesso ai consiglieri comunali e
provinciali ai sensi dell'art. 43, comma 2,
del Tuel n. 267/2000?
Per consolidata giurisprudenza l'accesso dei
consiglieri comunali e provinciali agli atti
amministrativi dell'ente locale, costituisce
un diritto pieno e non comprimibile,
finalizzato a svolgere compiutamente il
proprio mandato (Cds sez. V del 04.05.2004,
n. 2716 e Cds, sez. V, 21.08.2006 n. 4855).
Qualsiasi limitazione posta al diritto in
parola verrebbe a restringere la possibilità
di intervento, sia in senso critico sia in
senso costruttivo, incidendo negativamente
sulla possibilità d'integrale espletamento
del mandato ricevuto (Cds, sez. V,
20.10.2005 n. 5879).
Peraltro, il consigliere non è neppure
tenuto a motivare la richiesta né l'ente ha
titolo per sindacare il rapporto tra la
richiesta di accesso e l'esercizio del
mandato altrimenti gli organi
dell'amministratori sarebbero arbitri di
stabilire essi stessi l'ambito del controllo
sul proprio operato» (Cds, sez. V,
26.09.2000. n. 5109 Cds, sez. V, 26.09.2005,
n. 4471 e Cds, sez. V, 20.10.2005, n. 5879).
La copiosa, conforme e consolidata
giurisprudenza nel riconoscere l'ampiezza di
siffatto diritto all'informazione e un
altrettanto esteso diritto di prendere
visione e di estrarre copia degli atti
dell'amministrazione comunale ha, altresì,
costantemente affermato che l'adempimento
non deve risultare eccessivamente gravoso
per l'ente ed intralciare lo svolgimento
dell'attività amministrativa con rilessi
negativi sul regolare funzionamento degli
uffici comunali o provocare gravi
distorsioni nell'attività degli uffici a
causa della ridotta dotazione .strutturale,
organizzativa e finanziaria dell'ente (Cds,
sez. V. 26.09.2000, n. 5109 e Cds sez. V,
13.11.2002, n. 6293).
L'Alto consesso, con la sentenza già citata
del 02.09.2005, n. 4471, non ha
escluso che tale diritto, è soggetto al
rispetto di alcune forme e modalità quali,
per esempio, l'obbligo di formulare «istanze
in maniera specifica e dettagliata recando
l'esatta indicazione dagli estremi
identificativi degli atti e dei documenti o,
qualora siano noti tali estremi almeno degli
elementi che consentano l'individuazione
dell'oggetto dell'accesso».
Lo stesso Consiglio ha, quindi, affermato
che sono da ritenere non coerenti con il
mandato dei consiglieri comunali richieste
di accesso che, per il numero degli atti
richiesti e per l'ampiezza della loro
formulazione, si traducano in un eccessivo e
minuzioso controllo dei singoli atti in
possesso degli uffici.
Siffatte richieste, infatti, «si configurano
come forma di controllo specifico, non già
inerente alle funzioni di indirizzo e
controllo politico-amministrativo» demandate
dalla legge ai consigli comunali (Cds, sez.
V, 28.11.2006, n. 6960).
Tale pronuncia assume particolare rilievo in
quanto l'Alto consesso non ha soltanto
affermato la legittimità di una disposizione
del regolamento interno dell'ente locale che
impone l'utilizzo di un modulo in cui sia
specificato il singolo documento
amministrativo che si chiede di conoscere,
ma, soprattutto, ha sostenuto la legittimità
del diniego di accesso motivato dalla
necessità di arrecare il minor aggravio
possibile, sia organizzativo che economico,
agli uffici ed al personale comunale.
Con parere del 10.12.2002, la Commissione
per l'accesso ai documenti amministrativi
istituita presso la presidenza del
Consiglio. ha affermato che è «generale
dovere della pubblica amministrazione...
ispirare lo propria attività al principio di
economicità... che incombe non solo sugli
uffici tenuti a provvedere ma anche sui
soggetti che richiedono prestazioni
amministrative, i quali specie se
appartenenti alla stessa amministrazione,
sono tenuti, in un clima di leale
cooperazione, a modulare le proprie
richieste» in modo da contemplare i diversi
interessi.
Il ministero dell'interno nel seguire
l'ormai costante indirizzo del Consiglio di
stato, ha sempre affermato che nonostante la
riconosciuta ampiezza del diritto in parola
il consigliere è comunque soggetto al
rispetto di alcune forme e modalità ed ha
segnalato l'opportunità di contemperare le
opposte esigenze, vale a dire, da un lato le
pretese conoscitive dei consiglieri comunali
e dall'altro le «evidenti esigenze di
funzionalità dell'amministrazione locale».
Pertanto, è stata sottolineata più volte
l'opportunità che l'amministrazione locale,
nell'ambito della propria autonomia, adotti
specifiche norme regolamentari volte ad
introdurre alcuni temperamenti al diritto di
accesso al fine di assicurare I'esercizio
nel rispetto delle esigenze dell'attività
degli uffici (Cds, sez. V, 28/11/2006, n.
6960) (tratto da ItaliaOggi, articolo
24.07.2009, pag. 16). |
EDILIZIA PRIVATA:
La certificazione entra nel
rogito. Istruzioni dai notai lombardi.
In Lombardia la certificazione energetica
entra nei rogiti di compravendita delle
case. Il comitato regionale notarile
lombardo ha preparato
un quadro sinottico degli obblighi di
certificazione energetica a partire
dall'01.07.2009 per gli edifici situati
nella territorio lombardo.
I punti principali.
Per gli edifici nuovi scatta l'obbligo di
dotazione di attestazione di certificazione
energetica (ACE) al momento della fine
lavori (indipendentemente dall'intervento di
un atto di trasferimento a titolo oneroso);
scatta anche un obbligo di allegazione di
ACE all'eventuale atto di trasferimento a
titolo oneroso. Con l'ACE l'acquirente è
informato circa la prestazione energetica e
il grado di efficienza energetica degli
edifici.
Gli edifici esistenti.
Per gli edifici costruiti o ristrutturati
dopo l'08.10.2005 scatta l'obbligo di
dotazione di attestazione di qualificazione
energetica (sostituibile con ACE) al momento
della fine lavori; scatta anche l'obbligo di
allegazione di ACE (e quindi di dotazione di
CE al momento dell'eventuale atto di
trasferimento a titolo oneroso.
Per AQE si intende lo strumento di controllo
del rispetto, in fase di costruzione o
ristrutturazione degli edifici, delle
prescrizioni volte a migliorarne le
prestazioni energetiche. Per gli edifici
interi o singole unità immobiliari
realizzati con provvedimenti abilitativi
comunque anteriori alla data dell'01.09.2007
scatta l'obbligo di dotazione di ACE e di
allegazione dello stesso al momento
dell'eventuale atto di trasferimento a
titolo oneroso.
Per gli edifici singole unità immobiliari
che abbiano goduto di incentivazioni o
sgravi fiscali per opere finalizzate al
miglioramento delle prestazioni energetiche
(in tal caso, le spese per la redazione
della certificazione energetica sono
fiscalmente detraibili nella misura del 55%)
scatta l'obbligo di dotazione di ACE (di AQE
se le incentivazioni o gli sgravi siano
stati richiesti per opere effettuate prima
dell'01.09.2007) al momento in cui tali
incentivi o sgravi siano stati richiesti;
c'è l'obbligo di allegazione di ACE (e
quindi di dotazione dello stesso se
l'immobile era stato dotato solo di AQE) al
momento dell'eventuale atto di trasferimento
a titolo oneroso.
C'è invece più tempo per gli edifici
pubblici esistenti: per esempio, se di
superficie superiore a 1.000 metri quadrati
l'obbligo di dotazione di ACE parte
dall'01.072010, o dell'eventuale precedente
atto di trasferimento a titolo oneroso
(tratto da ItaliaOggi, articolo 21.07.2009,
pag. 28). |
dossier CONSIGLIERI COMUNALI |
ENTI LOCALI:
Consiglieri comunali - Azione
contro l’amministrazione di appartenenza -
Legittimazione - Limiti.
I consiglieri comunali non sono legittimati,
in quanto tali, ad agire contro
l’Amministrazione di appartenenza, dato che
il giudizio amministrativo non è di regola
aperto alle controversie tra organi o
componenti di organi di uno stesso ente, ma
diretto a risolvere controversie
intersoggettive; sicché, un ricorso di
singoli consiglieri (in particolare contro
l’Amministrazione di appartenenza) può
ipotizzarsi soltanto allorché vengano in
rilievo atti incidenti in via diretta sul
diritto all’ufficio dei medesimi, e quindi
su un diritto spettante alla persona
investita della carica di consigliere (cfr.
Cons. St., sez. V, 15.12.2005 n. 7122) (TAR
Sicilia-Catania, Sez. III,
sentenza 29.04.2009 n. 812 - link
a www.ambientediritto.it). |
CONSIGLIERI COMUNALI: E'
legittimo il regolamento comunale che
dispone, per i consiglieri comunali, la
presentazione di una istanza di accesso agli
atti per ogni singolo documento.
Richiedere copia di n. 13 atti protocollati
in un ristretto numero di giorni è da
ritenersi non coerente con il mandato ed i
compiti, definiti dalla legge, per i
consiglieri comunali e si configurano, di
conseguenza, come forme di controllo
specifico, non già inerente alle funzioni di
indirizzo e controllo
politico–amministrativo
La limitazione dell’accesso, consistente
nell’incombente di formulare singole istanze
per singoli documenti, non rende, come
invece ha stabilito il TAR, eccessivamente
gravoso l’esercizio del diritto, se non
quando è eccessivamente ampia la domanda
formulata, perché riferentesi ad una
molteplicità di atti.
Per poche e ragionevoli richieste, dover
presentare singoli moduli, con le
indicazioni prescritte, non comporta oneri
seri.
La disposizione regolamentare comunale
dell’art. 10, della quale si è fatto cenno,
trova giustificazione in quelle evidenti
esigenze di funzionalità
dell’amministrazione locale, che sono un
limite intrinseco a qualsiasi attività che
miri al corretto svolgimento dell’attività
amministrativa, come può e deve essere
quella dei consiglieri comunali che ne
vogliano conoscere in modo conforme ai
compiti loro assegnati dalla legge. In caso
contrario, l’attività degli uffici sarebbe
manifestamente ostacolata da pluralità di
domande, che si convertono in un eccessivo e
minuzioso controllo dei singoli atti degli
stessi uffici, con deviazione dai fini delle
funzioni commesse ai consigli degli enti
locali, sinteticamente definite, nell’art.
42 del predetto t.u., “di indirizzo e di
controllo politico–amministrativo”.
Le richieste di cospicuo numero di copie dei
“documenti ritenuti utili”
riguardanti 13 atti protocollati in un
ristretto numero di giorni sono da ritenere
non coerenti con il mandato ed i compiti,
definiti dalla legge, per i predetti
consiglieri, e si configurano, di
conseguenza, come forme di controllo
specifico, non già inerente alle funzioni di
indirizzo e controllo
politico–amministrativo; ne deriva che, agli
scopi suindicati, rispondono legittimamente,
oltre al menzionato art. 10, gli artt. 2 e 3
del regolamento, che il consiglio comunale
si è dato, e riguardanti, rispettivamente,
l’esercizio del diritto “in modo da
arrecare il minore aggravio possibile, sia
organizzativo che economico, per gli uffici
e per il personale comunale” (art. 2) e
la delimitazione, conforme alla legge, delle
funzioni dei consiglieri comunali, ai fini
dell’applicazione delle norme sull’accesso,
avuto riguardo, vale a dire, all’indirizzo
ed al controllo sopra specificati (art. 3)
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 28.11.2006 n. 6960 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
CONSIGLIERI COMUNALI:
- Il consigliere comunale ha
titolo di avere accesso ai seguenti
documenti: 1. Tutte le matrici delle
ricevute dei parcheggi degli ultimi 5 anni;
2. Copia delle relative fatture di acquisto
di tali buoni e naturalmente i DDT; 3.
L’elenco di tutti i nominativi che negli
ultimi 5 anni hanno potuto maneggiare soldi
del comune; 4. Copia dei versamenti fatti
alla tesoreria comunale dell’importo
corrispondente alle ricevute vendute sempre
degli ultimi 5 anni.
- I consiglieri comunali hanno un non
condizionato diritto di accesso a tutti gli
atti che possano essere d'utilità
all'espletamento del loro mandato, ciò anche
al fine di permettere di valutare -con piena
cognizione- la correttezza e l'efficacia
dell'operato dell'Amministrazione, nonché
per esprimere un voto consapevole sulle
questioni di competenza del Consiglio, e per
promuovere, anche nell'ambito del Consiglio
stesso, le iniziative che spettano ai
singoli rappresentanti del corpo elettorale
locale.
- L’utilità dell’accesso (id est, la
strumentalità della istanza ostensiva
all’esercizio del munus pubblico) non può
essere disconosciuta in presenza di una
richiesta relativa a documentazione
risalente ad un’epoca antecedente rispetto
al periodo di espletamento del mandato
elettivo.
Il Collegio ritiene opportuna l’esposizione
di alcune considerazioni sul diritto di
accesso riconosciuto dall’ordinamento
giuridico ai consiglieri comunali e
provinciali, anche alla luce delle
ricostruzioni della più recente
giurisprudenza (cfr., ex multis,
Cons. Stato, sez. V, 09.12.2004, n. 7900).
In particolare, l’art. 43, comma 2, del
Testo unico degli enti locali -D.L.vo n.
267/2000- statuisce: <<I consiglieri
comunali e provinciali hanno diritto di
ottenere dagli uffici, rispettivamente, del
comune e della provincia, nonché dalle loro
aziende ed enti dipendenti, tutte le notizie
e le informazioni in loro possesso, utili
all'espletamento del proprio mandato. Essi
sono tenuti al segreto nei casi
specificamente determinati dalla legge>>.
La disposizione ha i suoi più immediati
antecedenti nell’articolo 24 della L. n.
816/1985 -Esercizio delle funzioni
consiliari- secondo cui <<I consiglieri
comunali, i consiglieri provinciali e i
componenti delle assemblee delle unità
sanitarie locali e delle comunità montane,
per l'effettivo esercizio delle loro
funzioni hanno diritto di prendere visione
dei provvedimenti adottati dall'ente e degli
atti preparatori in essi richiamati nonché
di avere tutte le informazioni necessarie
all'esercizio del mandato>>, e
nell’articolo 31 comma 5 L. n. 142/1990
-Consigli comunali e provinciali- secondo
cui <<I consiglieri comunali e
provinciali hanno diritto di ottenere dagli
uffici, rispettivamente, del comune e della
provincia, nonché dalle loro aziende ed enti
dipendenti, tutte le notizie e le
informazioni in loro possesso, utili
all'espletamento del proprio mandato. Essi
sono tenuti al segreto nei casi
specificamente determinati dalla legge>>.
Il diritto (soggettivo pubblico) codificato
da tali disposizioni –come è possibile
evincere dalla chiara littera legis-
è espressione del principio democratico
dell'autonomia locale e della rappresentanza
esponenziale della collettività, ed in
quanto tale è direttamente funzionale non
tanto ad un interesse personale del
consigliere comunale o provinciale, quanto
alla cura di un interesse pubblico connesso
al mandato conferito (cfr. la locuzione <<ampia
e qualificata posizione di pretesa
all'informazione spettante ratione officii
al consigliere comunale>> in Cons.
Stato, sez. V, 08/09/1994, n. 976).
Emerge chiaramente, infatti, che i
consiglieri comunali hanno un non
condizionato diritto di accesso a tutti gli
atti che possano essere d'utilità
all'espletamento del loro mandato, ciò anche
al fine di permettere di valutare -con piena
cognizione- la correttezza e l'efficacia
dell'operato dell'Amministrazione, nonché
per esprimere un voto consapevole sulle
questioni di competenza del Consiglio, e per
promuovere, anche nell'ambito del Consiglio
stesso, le iniziative che spettano ai
singoli rappresentanti del corpo elettorale
locale.
Il diritto di accesso riconosciuto ai
rappresentanti del corpo elettorale
comunale, pertanto, ha una ratio
diversa da quella che contraddistingue il
diritto di accesso ai documenti
amministrativi che è riconosciuto a tutti i
cittadini (articolo 10 -Diritto di accesso e
di informazione- del D.L.vo n. 267/2000)
come pure, in termini più generali, a
chiunque sia portatore di un <<interesse
diretto, concreto e attuale, corrispondente
ad una situazione giuridicamente tutelata e
collegata al documento al quale è chiesto
l'accesso>> (cfr. gli art. 22 e ss.
della legge 07.08.1990, n. 241 come
recentemente modificata dalla legge
11.02.2005, n. 15 - Modifiche ed
integrazioni alla legge 07.08.1990, n. 241,
concernenti norme generali sull'azione
amministrativa).
Invero, la finalizzazione dell'accesso
all'espletamento del mandato costituisce, al
tempo stesso, il presupposto legittimante
l'accesso ed il fattore che ne delimita la
portata. Le disposizioni richiamate,
infatti, collegano l'accesso a tutto ciò che
può essere effettivamente funzionale allo
svolgimento dei compiti del singolo
consigliere comunale e provinciale e alla
sua partecipazione alla vita
politico-amministrativa dell'ente, come
confermato dalla giurisprudenza di
legittimità che ha precisato che il
consigliere può accedere non solo ai “documenti”
formati dalla pubblica amministrazione di
appartenenza ma, in genere, a qualsiasi “notizia”
od “informazione” utili ai fini
dell'esercizio delle funzioni consiliari
(cfr. Cass. Civ. Sez. III, sent. 03.08.1995
n. 8480, in materia di acquisizione della
registrazione magnetofonica di una seduta
consiliare).
Inoltre, a differenza dei soggetti privati,
il consigliere non è tenuto a motivare la
richiesta, né l'Ente ha titolo per sindacare
il rapporto tra la richiesta di accesso e
l'esercizio del mandato, altrimenti gli
organi dell'amministrazione sarebbero
arbitri di stabilire essi stessi l'ambito
del controllo sul proprio operato (Cons.
Stato, V Sez. 07.05.1996 n. 528, Cons.
Stato, V Sez. 22.02.2000 n. 940, Cons.
Stato, V Sez. 26.09.2000 n. 5109).
Infine, il diritto di avere dall'ente tutte
le informazioni che siano utili
all'espletamento del mandato non incontra
alcuna limitazione derivante dalla loro
natura riservata, in quanto il consigliere è
vincolato all'osservanza del segreto (Cons.
Stato, V Sez. 20.02.2000 n. 940 e Consiglio
di Stato, Sezione V, 04.05.2004, n. 2716).
Il decisum
di primo grado (ndr: impugnato) è
stato supportato dalla considerazione
secondo cui il consigliere comunale non è <<legittimato
a richiedere all’ente locale l’accesso
indiscriminato a qualsiasi documento
detenuto dal comune, anche se risalente ad
un’epoca di molto antecedente rispetto al
periodo di espletamento del proprio mandato,
traducendosi, altrimenti, tale controllo
nell’esercizio di una funzione ispettiva
sulla trascorsa attività
dell’amministrazione, per nulla connessa
all’esercizio presente del mandato di
consigliere comunale>>.
Tale iter argomentativo non merita adesione
alla luce dell’evocato quadro normativo ed
ermeneutico e del recente orientamento
giurisprudenziale secondo cui <<allorché
una richiesta di accesso è avanzata per
l'espletamento del mandato risulta, invero,
insita nella stessa l'utilità degli atti
richiesti al fine dell'espletamento del
mandato. Il riferimento alle notizie ed alle
informazioni “utili” contenuto nella norma
in esame, non costituisce affatto una
limitazione, se appena si considera l'intero
contesto della disposizione. Il diritto di
accesso è stato, infatti, attribuito ai
consiglieri comunali per “tutte le notizie e
le informazioni... utili all'espletamento
del proprio mandato” e, quindi, per tutte le
notizie ed informazioni ritenute utili,
senza alcuna limitazione. Dal termine
“utili” contenuto nella norma in oggetto non
consegue, quindi, alcuna limitazione al
diritto di accesso dei consiglieri comunali,
bensì l'estensione di tale diritto a
qualsiasi atto ravvisato utile
all'espletamento del mandato>> (cfr. la
già citata Consiglio di Stato, Sezione V,
04.05.2004, n. 2716); ne discende che
l’utilità dell’accesso (id est, la
strumentalità della istanza ostensiva
all’esercizio del munus pubblico) non
può essere disconosciuta in presenza di una
richiesta relativa a documentazione
risalente ad un’epoca antecedente rispetto
al periodo di espletamento del presente
mandato; invero, il diritto di accesso del
consigliere comunale investe l'esercizio del
munus in tutte le sue potenziali
implicazioni (cfr.: Cons. Stato, V Sez.
21.02.1994 n. 119, Cons. Stato, V Sez.
26.09.2000 n. 5109, Cons. Stato, V Sez.
02.04.2001 n. 1893) (Consiglio
di Stato, Sez. V,
sentenza 20.10.2005 n. 5879 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
CONSIGLIERI COMUNALI:
- Sul consigliere comunale non
grava, né può gravare, alcun onere di
motivare le proprie richieste
d’informazione, né gli uffici comunali hanno
titolo a richiederle ed conoscerle ancorché
l’esercizio del diritto in questione si
diriga verso atti e documenti relativi a
procedimenti ormai conclusi o risalenti ad
epoche remote.
- Anche il “diritto all’informazione” del
consigliere comunale è soggetto al rispetto
di alcune forme e modalità: oltre alla
necessità che l’interessato alleghi la sua
qualità, permane l’esigenza che le istanze
siano comunque formulate in maniera
specifica e dettagliata, recando l’esatta
indicazione degli estremi identificativi
degli atti e dei documenti o, qualora siano
ignoti tali estremi, almeno degli elementi
che consentano l’individuazione dell’oggetto
dell’accesso.
- Il consigliere comunale non può abusare
del diritto all’informazione riconosciutogli
dall’ordinamento, piegandone le alte
finalità a scopi meramente emulativi od
aggravando eccessivamente, con richieste non
contenute entro gli immanenti limiti della
proporzionalità e della ragionevolezza, la
corretta funzionalità amministrativa
dell’ente civico.
La sentenza impugnata è pienamente
condivisibile nella parte in cui afferma
l’inesistenza di un potere degli uffici
comunali di sindacare il nesso intercorrente
tra l’oggetto delle richieste di
informazione avanzate da un consigliere
comunale e le modalità di esercizio del
munus da questi espletato. Ed invero,
l’art. 43 del D.Lgs. n. 267/2000 riconosce
ai consiglieri comunali (e provinciali), per
l’utile espletamento del loro mandato, un
latissimo “diritto all’informazione”
a cui si contrappone il puntuale obbligo
degli uffici «rispettivamente, del comune
e della provincia, nonché dalle loro aziende
ed enti dipendenti» di fornire ai
richiedenti «tutte le notizie e le
informazioni in loro possesso».
Siffatta situazione giuridica, quantunque
individualizzata in capo a ciascun
consigliere, presenta la sostanza di un
diritto soggettivo pubblico funzionalizzato,
ovverosia implica l’esercizio di facoltà
finalizzate al pieno ed effettivo
svolgimento delle funzioni assegnate
direttamente al Consiglio comunale;
l’informazione in discorso è, dunque,
strumentale all’attuazione del generale
potere di indirizzo e di controllo
politico-amministrativo ascritto a tale
supremo organo di governo dell’ente locale.
Da queste premesse discende a mo’ di
corollario la conclusione che ogni
limitazione all’esercizio del diritto
sancito dall’art. 43 interferisce
inevitabilmente con la potestà istituzionale
del Consiglio comunale di sindacare la
gestione dell’ente, onde assicurarne –in uno
con la trasparenza e la piena democraticità–
anche il buon andamento.
Sul consigliere comunale, pertanto, non
grava, né può gravare, alcun onere di
motivare le proprie richieste
d’informazione, né gli uffici comunali hanno
titolo a richiederle ed conoscerle ancorché
l’esercizio del diritto in questione si
diriga verso atti e documenti relativi a
procedimenti ormai conclusi o risalenti ad
epoche remote.
Diversamente opinando, infatti, la struttura
burocratica comunale, da oggetto del
controllo riservato al Consiglio, si
ergerebbe paradossalmente ad “arbitro”
-per di più, senza alcuna investitura
democratica- delle forme di esercizio della
potestà pubbliche proprie dell’organo
deputato all’individuazione ed al miglior
perseguimento dei fini della collettività
civica.
L’esistenza e l’«attualità»
dell’interesse che sostanzia la speciale
actio ad exhibendum devono quindi
ritenersi presunte juris et de jure
dalla legge, in ragione della natura
politica e dei fini generali connessi allo
svolgimento del mandato affidato dai
cittadini elettori ai componenti del
Consiglio comunale.
Occorre, d’altronde, soggiungere che
l’attualità dell’interesse all’accesso non
può essere confusa con la “attualità”
dei documenti chiesti in visione, non
potendo revocarsi in dubbio che sovente i
consiglieri comunali possano avvertire
l’esigenza di conoscere approfonditamente
pregresse vicende gestionali: tanto si
verifica, ad esempio, qualora le fattispecie
relative ad affari già definiti siano
tuttavia ancora in grado di spiegare i loro
effetti sul presente o allorquando la loro
conoscenza si riveli semplicemente utile
alla più lata estrinsecazione del generale
diritto d’iniziativa dei consiglieri
comunali o, ancora, alla formulazione, da
parte di costoro, di eventuali
interrogazioni od altre istanze di sindacato
ispettivo.
È, del resto, dirimente il rilievo che
l’obbligo di una pubblica amministrazione di
permettere l’accesso agli atti permane per
tutto il tempo durante il quale essa
continui a possedere i documenti richiesti.
L’interesse del consigliere comunale ad
ottenere determinate informazioni o copia di
specifici atti detenuti dall’amministrazione
civica non si presta, pertanto, ad alcun
scrutinio di merito da parte degli uffici
interpellati in quanto, sul piano oggettivo,
esso ha la medesima latitudine dei compiti
di indirizzo e controllo riservati al
Consiglio comunale (al cui svolgimento è
funzionale).
Quanto appena considerato non esclude,
tuttavia, che anche il “diritto
all’informazione” del consigliere
comunale sia soggetto al rispetto di alcune
forme e modalità: in effetti, oltre alla
necessità che l’interessato alleghi la sua
qualità, permane l’esigenza che le istanze
siano comunque formulate in maniera
specifica e dettagliata, recando l’esatta
indicazione degli estremi identificativi
degli atti e dei documenti o, qualora siano
ignoti tali estremi, almeno degli elementi
che consentano l’individuazione dell’oggetto
dell’accesso (tra le molte, v. Cons. St.,
sez. V, 13.11.2002, n. 6293).
D’altra parte, il consigliere comunale non
può abusare del diritto all’informazione
riconosciutogli dall’ordinamento, piegandone
le alte finalità a scopi meramente emulativi
od aggravando eccessivamente, con richieste
non contenute entro gli immanenti limiti
della proporzionalità e della
ragionevolezza, la corretta funzionalità
amministrativa dell’ente civico (si veda, da
ultimo, l’art. 24, terzo comma della L. 241
del 1990, come sostituito dall’art. 16 della
L. 11.02.2005 n. 15)
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 02.09.2005 n. 4471 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
CONSIGLIERI COMUNALI: Il
consigliere può accedere non solo ai “documenti” formati dalla
pubblica amministrazione di appartenenza ma,
in genere, a qualsiasi “notizia” od
“informazione” utili ai fini dell'esercizio
delle funzioni consiliari.
Si palesa opportuna l’esposizione di brevi considerazioni sul diritto di
accesso riconosciuto dall’ordinamento ai
consiglieri comunali e provinciali.
L’art. 43, comma 2, del Testo unico degli
enti locali -D.L.vo n. 267/2000-
statuisce: <<I consiglieri comunali e
provinciali hanno diritto di ottenere dagli
uffici, rispettivamente, del comune e della
provincia, nonché dalle loro aziende ed enti
dipendenti, tutte le notizie e le
informazioni in loro possesso, utili
all'espleta-mento del proprio mandato. Essi
sono tenuti al segreto nei casi
specificamente determinati dalla legge>>
(disposizione che ha i suoi più immediati
antecedenti nell’articolo 24 della L. n.
816/1985 -Esercizio delle funzioni
consiliari <<I consiglieri comunali, i
consiglieri provinciali e i componenti delle
assemblee delle unità sanitarie locali e
delle comunità montane, per l'effettivo
esercizio delle loro funzioni hanno diritto
di prendere visione dei provvedimenti
adottati dall'ente e degli atti preparatori
in essi richiamati nonché di avere tutte le
informazioni necessarie all'esercizio del
mandato>>- e nell’art. 31 comma 5 L. n.
142/1990 -Consigli comunali e provinciali <<I consiglieri comunali e provinciali
hanno diritto di ottenere dagli uffici,
rispettivamente, del comune e della
provincia, nonché dalle loro aziende ed enti
dipendenti, tutte le notizie e le
informazioni in loro possesso, utili
all'espletamento del proprio mandato. Essi
sono tenuti al segreto nei casi
specificamente determinati dalla legge>>).
Dal contenuto di tale norma emerge
chiaramente che i consiglieri comunali hanno
diritto di accesso a tutti gli atti che
possano essere d'utilità all'espletamento
del loro mandato, ciò anche al fine dì
permettere di valutare con piena cognizione
di causa la correttezza e l'efficacia
dell'operato dell'Amministrazione, nonché
per esprimere un voto consapevole sulle
questioni di competenza del Consiglio, e per
promuovere, anche nell'ambito del Consiglio
stesso, le iniziative che spettano ai
singoli rappresentanti del corpo elettorale
locale.
Il diritto codificato da tale disposizione è
direttamente funzionale non tanto ad un
interesse personale del consigliere comunale
o provinciale, quanto alla cura di un
interesse pubblico connesso al mandato
conferito e, quindi, alla funzione di
rappresentanza della collettività.
Il
diritto ha una ratio diversa, quindi, da
quella che contraddistingue l'ulteriore
diritto di accesso ai documenti
amministrativi che è riconosciuto, non solo
ai consiglieri comunali o provinciali, ma a
tutti i cittadini (art. 7, legge n. 142/1990
applicabile agli atti degli enti locali)
come pure, in termini più generali, a
chiunque sia portatore di un interesse
personale e concreto e per la tutela di
situazioni giuridicamente rilevanti, in
riferimento ai documenti amministrativi
detenuti da amministrazioni diverse dai
comuni e dalle province (art. 22 legge 07.08.1990, n. 241; art. 2 d.PR. 27.06.1992, n. 352).
Invero, la finalizzazione dell'accesso
all'espletamento del mandato costituisce,
al tempo stesso, il presupposto legittimante
l'accesso ed il fattore che ne delimita la
portata. Le disposizioni richiamate,
infatti, collegano l'accesso a tutto ciò che
può essere effettivamente funzionale allo
svolgimento dei compiti del singolo
consigliere comunale e provinciale e alla
sua partecipazione alla vita
politico-amministrativa dell'ente (questo
orientamento è confermato dalla
giurisprudenza, che ha avuto occasione di
precisare che il consigliere può accedere
non solo ai “documenti” formati dalla
pubblica amministrazione di appartenenza ma,
in genere, a qualsiasi “notizia” od
“informazione” utili ai fini dell'esercizio
delle funzioni consiliari; cfr. Cass. Civ.
Sez. III, sent. n. 8480 del 03.08.1995,
in materia di acquisizione della
registrazione magnetofonica di una seduta
consiliare).
Il diritto di accesso del consigliere
comunale non riguarda soltanto le
competenze attribuite al consiglio comunale
ma, essendo riferito all'espletamento del
mandato, investe l'esercizio del munus in
tutte le sue potenziali implicazioni per
consentire la valutazione della correttezza
ed efficacia dell'operato
dell'amministrazione comunale (cfr.: Cons.
Stato, V Sez. 21.02.1994 n. 119, Cons.
Stato, V Sez. 26.09.2000 n. 5109, Cons.
Stato, V Sez. 02.04.2001 n. 1893).
A differenza dei soggetti privati, il
consigliere non è tenuto a motivare la
richiesta né l'ente ha titolo per sindacare
il rapporto tra la richiesta di accesso e
l'esercizio del mandato, altrimenti gli
organi dell'amministrazione sarebbero
arbitri di stabilire essi stessi l'ambito
del controllo sul proprio operato (Cons.
Stato, V Sez. 07.05.1996 n. 528, Cons. Stato,
V Sez. 22.02.2000 n. 940, Cons. Stato, V
Sez. 26.09.2000 n. 5109; cfr. la recente
Consiglio di Stato, Sezione V, 04.05.2004, n. 2716 secondo cui <<Allorché una
richiesta di accesso è avanzata per
l'espletamento del mandato risulta, invero,
insita nella stessa l'utilità degli atti
richiesti al fine dell'espletamento del
mandato. Il riferimento alle notizie ed alle
informazioni "utili" contenuto nella norma
in esame, non costi-tuisce affatto una
limitazione, se appena si considera l'intero
contesto della disposizione. Il diritto di
accesso è stato, infatti, attribuito ai
consiglieri comunali per "tutte le notizie e
le informazioni... utili all'espletamento
del proprio mandato" e, quindi, per tutte le
notizie ed informazioni ritenute utili,
senza alcuna limitazione. Dal termine
"utili" contenuto nella norma in oggetto non
consegue, quindi, alcuna limitazione al
diritto di accesso dei consiglieri
comunali, bensì l'estensione di tale diritto
a qualsiasi atto ravvisato utile
all'espletamento del mandato>>).
Infine, il diritto di avere dall'ente tutte
le informazioni che siano utili
all'espletamento del mandato non incontra
alcuna limitazione derivante dalla loro
natura riservata, in quanto il consigliere è
vincolato all'osservanza del segreto (Cons.
Stato, V Sez. 20.02.2000 n. 940 e la già
citata Consiglio di Stato, Sezione V, 04.05.2004, n. 2716).
Questa Sezione
ha già avuto modo di chiarire che è
legittima la richiesta di informazioni nei
confronti di una società a prevalente
capitale comunale, svolta da un consigliere
comunale, con riferimento sia all'art. 24 l.
27.12.1985 n. 816, che prevede che i
consiglieri comunali, per l'effettivo
esercizio delle loro funzioni, hanno diritto
di prendere visione dei provvedimenti
adottati dall'ente e degli atti preparatori
in essi richiamati, sia all'art. 31, comma
5, l. 08.06.1990 n. 142, che stabilisce che
gli stessi hanno diritto di ottenere dagli
uffici comunali e dalle loro aziende ed enti
dipendenti, tutte le notizie ed informazioni
in loro possesso, utili all'espletamento del
mandato (Cons. Stato, sez. V, 05/09/2002, n.
4472) (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 09.12.2004 n. 7900 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
dossier DISTANZE PARETI FINESTRATE |
EDILIZIA PRIVATA:
Il
balcone aggettante può essere ricompreso nel
computo della distanza ai sensi del D.M.
02.04.1968 n. 1444 solo nel caso in cui una
norma di piano preveda ciò, posto che uno
sporto come quello effigiato in atti non
integra la specie dell’intercapedine dannosa
che legittima l’applicazione della norma di
ordine pubblico derivante dal d.m.
1444/1968.
Non v’è dubbio
in giurisprudenza in ordine alla
qualificazione della sopraelevazione di un
edificio alla stregua di una nuova
costruzione (ad esempio, in epoca recente,
cons. Stato, 31.03.2009, n. 1998; cass.,
11.06.2008, n. 15527), per cui essa deve
rispettare le norme di legge e del piano a
tale riguardo: la scheda d’ambito prodotta
dalla ricorrente in data 08.04.2009 come
documento sub 13 prescrive una distanza dal
confine metri cinque ed una distanza tra le
pareti finestrate di metri dieci.
A tale proposito l’amministrazione ha
considerato legittimo il progetto assentito,
dal quale risulta che la distanza tra lo
spigolo più vicino della casa della
ricorrente e la parte meno rientrante della
sopraelevazione in progetto supera i dieci
metri lineari: l’interessata eccepisce che
non s’è tenuto conto dei balconi sporgenti
dalla facciata della sua casa, che
contribuiscono al computo delle distanze
(TAR Campania, Napoli, 23.04.2007, n. 4215,
Cass., 31.05.2006, n. 12964).
Il tribunale rileva che il balcone
aggettante può essere ricompreso nel computo
della distanza ai sensi della norma in
questione solo nel caso in cui una norma di
piano preveda ciò, posto che uno sporto come
quello effigiato in atti non integra la
specie dell’intercapedine dannosa che
legittima l’applicazione della norma di
ordine pubblico derivante dal d.m.
02.04.1968, n. 1444: vengono pertanto in
applicazione le norme di piano, ed a tale
stregua si osserva che l’art. 4 del vigente
PUC di Varazze attribuisce rilevanza ai fini
del calcolo delle distanze solo ai balconi
che superano la misura di m. 1,20,
circostanza che incombeva alla ricorrente
comprovare e che risulta invece senza
riscontri in atti, derivandone
l’infondatezza del motivo (TAR
Liguria, Sez. I,
sentenza 10.07.2009 n. 1736 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Negli edifici ricadenti in zone
territoriali diverse dalla zona A è
prescritta, in tutti i casi, una distanza
minima assoluta di 10 metri tra pareti
finestrate e pareti di edifici antistanti e
tale prescrizione ha carattere di
assolutezza e di inderogabilità.
L’edificio frontistante a quello del
ricorrente, da ampliare in sopraelevazione,
dista appena 5 metri lineari, anche se lo
spazio teorico antistante la parte alta
dell’edificio, in caso di sopraelevazione,
sarebbe superiore ai 10 metri. Sennonché, la
disciplina dell’art. 41-quinquies della
legge 17.08.1942 n. 1150, integrata dalle
disposizioni dell’art. 9 del D.M. n. 1444
del 1968, prevede una distanza tra pareti
finestrate e pareti di edifici antistanti
non inferiore a 10 metri, prescindendo
dall’altezza della parete, ovvero dal fatto
che la parete sia quella del nuovo edificio
o dell’edificio preesistente (cfr.: Cons.
Stato IV, 12.06.2007 n. 3094; TAR Emilia
Romagna, Bologna II, 30.03.2006 n. 348; idem
TAR Toscana III, 22.01.2007 n. 55).
E’ orientamento di una autorevole
giurisprudenza ritenere che, negli edifici
ricadenti in zone territoriali diverse dalla
zona A, sia prescritta, in tutti i casi, una
distanza minima assoluta di 10 metri tra
pareti finestrate e pareti di edifici
antistanti e che tale prescrizione abbia
carattere di assolutezza e di
inderogabilità. Pertanto, l’art. 9 del D.M.
02.04.1968 n. 1444 -prescrivente la distanza
di 10 metri tra pareti finestrate di edifici
antistanti- deve essere rispettato,
trattandosi di norma intesa a impedire la
formazione di intercapedini nocive sotto il
profilo igienico-sanitario (cfr.: Cons.
Stato IV, 05.12.2005 n. 6909; idem
12.07.2002 n. 3929; Cons. Giust. Amm.
Sicilia, sez. giurisd., 17.05.2000 n. 240;
Cass. Civile II, 10.01.2006 n. 145). Tale
orientamento ermeneutico della
giurisprudenza sopravvive alla riforma del
Testo Unico dell’edilizia, atteso che l’art.
136 del T.U. 06.06.2001 n. 380,
nell’abrogare l’art. 17, comma primo, lett.
c), della legge n. 765 del 1967, lascia in
vigore i commi sesto, ottavo e nono
dell’art. 41-quinquies della legge n. 1150
del 1942, di talché gli strumenti
urbanistici locali devono osservare la
prescrizione di cui all’art. 9 del D.M. n.
1444 del 1968 (cfr.: Cass. Civile II,
29.05.2006 n. 12741).
La disciplina delle distanze legali tra
costruzioni è, ovviamente, applicabile anche
alle sopraelevazioni (cfr.: Cass. Civile II,
27.03.2001 n. 4413).
Se è vero che i due edifici frontistanti
confinano con la pubblica via, è altresì
vero che ciò può valere ad escludere il
rispetto delle distanze codicistiche (artt.
873, 878 e 879 comma secondo codice civile),
non già il rispetto delle distanze imposte
da leggi e da regolamenti urbanistici (cfr.:
Cass. Civile II, 16.04.2007 n. 9077).
E' da qualificarsi come nuova costruzione la
realizzazione di un intero piano, in aumento
volumetrico, con la conseguente
modificazione dei parametri edilizi (cfr.:
Cons. Stato V, 26.10.2006 n. 6399; TAR
Bologna II, 30.03.2006 n. 348) (TAR Molise,
Sez. I,
sentenza 08.07.2009 n. 599 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L'art.
9 del D.M. n. 1444/1968 (pareti finestrate
tra edifici antistanti) ha natura primaria e
si sostituisce ad ogni eventuale
disposizione contraria contenuta nelle NTA; essa, pertanto, va rispettata in
tutti casi, avendo natura cogente e
suscettibile di inserzione automatica nello
strumento urbanistico.
La distanza di 10 mt. va calcolata con
riferimento ad ogni punto del fabbricato e
per tutte le pareti finestrate.
Il punto nodale è rappresentato dalla
nozione di “sopraelevazione” che,
ancorché nominalmente distinta nel
regolamento edilizio (art. 2) dalle nuove
costruzioni, non ha avuto una sua autonoma
configurazione giuridica e non può non
essere ricompresa nella stessa unitaria
disciplina (lex ubi voluit, dixit),
rappresentando la sopraelevazione un “plus”
aggiuntivo rispetto all’esistente, che, con
un’elevazione dell’edificio, viene ad
assumere altra consistenza (volumetria,
superficie, sagoma, parametri edilizi).
Da ciò discende la violazione degli artt. 7,
8, 9 del REC, essendo stato omesso il parere
obbligatorio.
L’art. 41 delle NTA del PRG viene impugnato,
non in quanto tale, bensì per
l’interpretazione data dal Comune nel
rilasciare la concessione edilizia e,
quindi, non è possibile eccepire alcuna
tardività; esso, invero, consente di
realizzare sopraelevazioni, nei limiti della
sagoma planimetrica, in deroga alle norme
sulle distanze e nel rispetto del c.c.;
l’espressione è generica ed ambigua, anche
perché l’art. 873 “distanze nelle
costruzioni” si riferisce ai “fondi
finitimi”, stabilendo il limite minimo
di mt. 3.
Nella fattispecie sono in discussione gli
standards di cui all’art. 9 del D.M. n.
1444/1968 (pareti finestrate tra edifici
antistanti), che non sono stati considerati
nella loro specificità; la norma ha,
comunque, natura primaria e si sostituisce
ad ogni eventuale disposizione contraria
contenuta nelle NTA (C.S., IV, n.
6909/2005); essa, pertanto, va rispettata in
tutti casi, avendo natura cogente e
suscettibile di inserzione automatica nello
strumento urbanistico (Cass. Civ., II, n.
21899/2004).
La distanza di 10 mt. va calcolata con
riferimento ad ogni punto del fabbricato e
per tutte le pareti finestrate
(TAR Abruzzo-Pescara,
sentenza 06.07.2009 n. 481 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Le distanze ex d.m. 1444/1968 non
si applicano tra edifici posti in zone
omogenee diverse.
L’articolo 9 del DM n. 1444/1968 non si
applica tra fabbricati posti l’uno in zona
omogenea A, l’altro in zona omogenea B,
poiché diversamente dovrebbe affermarsi, in
modo illogico e contrario alla disposizione
del D.M. citato, l'ultrattività delle
maggiori distanze di 10 mt., anche nella
zona A (TRIBUNALE di Como, Sez. distaccata
di Menaggio,
ordinanza 10.10.2008 - link a
www.cameramministrativacomo.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Un balcone in cemento armato
della profondità di mt. 1.20 fa distanza.
Ai fini del computo delle distanze tra
fabbricati (10 mt. di cui al D.M.
1444/1968), assumono rilievo tutti gli
elementi costruttivi, anche accessori,
qualunque ne sia la funzione, aventi i
caratteri della solidità, della stabilità e
della immobilizzazione, salvo che non si
tratti di sporti ed oggetti di modeste
dimensioni con funzione meramente decorativa
e di rifinitura, tali da potersi definire di
entità trascurabile rispetto all'interesse
tutelato dalla norma riguardata nel suo
triplice aspetto della sicurezza, della
salubrità e dell'igiene.
La parte ricorrente assume che l’erigenda
costruzione, per una sua parte (8 balconi ed
alcune pilastrature), risulterebbe collocata
ad una distanza (pari a mt. 6,35) inferiore
a quella di 10 metri, prescritta dalla
normativa di settore.
Tanto violerebbe l’art. 2 del locale
regolamento edilizio che, conformemente alle
prescrizioni di cui all’art. 9 del D.M.
02.04.1968 n. 1444 e relativamente alle
distanze intercorrenti tra fabbricati,
indica una distanza minima di 10 mt. tra
pareti finestrate e pareti di edifici
antistanti.
Di contro, la parte controinteressata oppone
che le deduzioni attoree sarebbero
inconferenti, in quanto l’incidenza degli
sporti e degli aggetti suindicati dovrebbe
essere valutata, ai fini del computo delle
distanze, in una diversa dimensione
prospettica.
Più precisamente, i balconi in questione, in
quanto posti lungo le pareti est ed ovest
del fabbricato, non sarebbero rilevanti,
atteso che la parete dell’edificio frontista
insiste sul confine nord.
A giudizio del Collegio va condivisa
l’opzione ermeneutica attorea, in quanto non
può essere revocata in dubbio l’appartenenza
delle sporgenze in contestazione (aggetto
costituente copertura del piano seminterrato
e balconi) anche alla “parete nord”,
della quale costituiscono un prolungamento a
tutti gli effetti.
Come di recente evidenziato in
giurisprudenza, anche accettando, in linea
di principio, il criterio del computo in
modo “lineare" e non “radiale”
della distanza minima tra pareti finestrate
e pareti di edifici antistanti, il D.M. cit.
sottolinea che la distanza debba essere
“assoluta” e prescritta “in tutti i casi”.
Si deve pertanto convenire che debba essere
calcolata con riferimento ad ogni punto dei
fabbricati e non alle sole parti che si
fronteggiano (cfr. Tar Toscana n. 55 del
22.01.2007; C.d.S., V, 16/02/79 n. 89)
Le strutture in questione risultano, invero,
stabilmente incorporate alla suddetta parete
e si pongono anche a servizio di essa come
accessorio edilizio ovvero permettendo la
sosta e l’affaccio: quanto a tale ultimo
profilo, le dette sporgenze, per la tipica
strutturazione dei balconi, che consentono
un affaccio diretto su tre lati, recano in
sé, anche sul versante nord, la dimensione
tipica di pareti finestrate.
Trova, dunque, applicazione il principio di
portata generale, secondo cui in tema di
distanze fra edifici, mentre rientrano nella
categoria degli sporti, non computabili ai
fini delle distanze, soltanto quegli
elementi con funzione meramente ornamentale,
di rifinitura od accessoria, come le
mensole, le lesene, i cornicioni, le
canalizzazioni di gronda e simili,
costituiscono corpi di fabbrica, computabili
nelle distanze fra costruzioni, le sporgenze
di particolari dimensioni, come i balconi,
costituite da solette aggettanti anche se
scoperte, di apprezzabile profondità ed
ampiezza (la Corte, nel confermare la
sentenza impugnata, ha qualificato come
costruzione la realizzazione di un balcone
della profondità di mt. 1,20 con soletta in
cemento armato, rilevando come per le
dimensioni, per la natura, la destinazione e
l'utilizzo, detto balcone, costituendo un
elemento funzionale dell'edificio, non
potesse rivestire funzione ornamentale)”
(Cassazione civile, sez. II, 25.03.2004, n.
5963; cfr. anche ex plurimis
Cassazione civile, sez. II, 02.10.2000, n.
13001, e Cassazione civile, sez. II,
29.03.1999, n. 2986).
In altri termini, deve concludersi nel senso
che, ai fini del computo delle distanze,
assumono rilievo tutti gli elementi
costruttivi, anche accessori, qualunque ne
sia la funzione, aventi i caratteri della
solidità, della stabilità e della
immobilizzazione, salvo che non si tratti di
sporti ed oggetti di modeste dimensioni con
funzione meramente decorativa e di
rifinitura, tali da potersi definire di
entità trascurabile rispetto all'interesse
tutelato dalla norma riguardata nel suo
triplice aspetto della sicurezza, della
salubrità e dell'igiene.
Vale aggiungere che il limite in questione
deve essere osservato anche nel caso in cui
una sola delle pareti fronteggiantisi sia
finestrata, posto che detta norma è
finalizzata a stabilire nell’interesse
pubblico un’idonea intercapedine tra
edifici, e non a salvaguardare l'interesse
privato del frontista alla riservatezza
(vedi tra le più recenti pronunce Cass. S.U.
18.02.1997 n. 1486; Cass. 09.03.1999 n.
1984).
Viene cioè in rilievo l’esigenza di evitare
la realizzazione di spazi tra fabbricati la
cui ampiezza non sia sufficiente ad
assicurare quella condizione, d'aerazione,
luminosità ed igiene che è considerata
minima indispensabile alle esigenze di vita
degli abitanti.
Tanto premesso, ed in disparte quanto finora
osservato in ordine all’attitudine
funzionale del balcone ad integrare di per
se stesso una parete finestrata su tre
prospetti, non può essere obliterato che le
sporgenze in contestazione, nella parte in
cui prospettano su via cittadella, risultano
frontistanti rispetto ad una parete
finestrata del fabbricato di proprietà
attorea ( terrazzo e due finestre), come
evincibile dal corredo fotografico della
relazione di parte prodotta a corredo del
gravame.
In altri termini, anche a voler prescindere
dalla natura delle suddette sporgenze
(balconi), le stesse, quali semplici
elementi costitutivi e, dunque, parti
integranti di una parete dell’edificio in
costruzione, si trovano collocate ad una
distanza non consentita: ed, invero, pur
fronteggiando una parete finestrata
dell’edificio di proprietà di Sasso Giovanni
si trovano collocate ad una distanza (mt.
6.35) inferiore a quella minima di 10 mt.
(TAR Campania-Napoli, Sez. II,
sentenza 23.04.2007 n. 4215 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La distanza di 10 metri, che deve
sussistere tra edifici antistanti, va
calcolata con riferimento ad ogni punto dei
fabbricati e non alle sole parti che si
fronteggiano. Tale calcolo si riferisce a
tutte le pareti finestrate e non soltanto a
quella principale, prescindendo altresì dal
fatto che esse siano o meno in posizione
parallela, indipendentemente dalla
circostanza che una sola delle pareti
fronteggiantesi sia finestrata e che tale
parete sia quella del nuovo edificio o
dell'edificio preesistente, o della
progettata sopraelevazione, ovvero ancora
che si trovi alla medesima o a diversa
altezza rispetto all'altra.
Ai fini della misurazione delle distanze tra
edifici non si deve tenere conto delle
rientranze delle pareti o altri artifici
architettonici che interrompono il fronte
naturale dell'edificio; gli sporti, cioè le
sporgenze da non computare ai fini delle
distanze perché non attinenti alle
caratteristiche del corpo di fabbrica che
racchiude il volume che si vuol distanziare,
sono i manufatti come le mensole, le lesene,
i risalti verticali delle parti con funzione
decorativa, gli elementi in aggetto di
ridotte dimensioni, le canalizzazioni di
gronde e i loro sostegni, non invece le
sporgenze, anche dei generi ora indicati, ma
di particolari dimensioni, che siano quindi
destinate anche ad estendere ed ampliare per
l'intero fronte dell'edificio la parte
utilizzabile per l'uso abitativo.
La disciplina di cui all'art. 9 del D.M.
02.04.1968 n. 1444, in tema di distanze tra
costruzioni, stante la sua natura di norma
primaria, è obbligatoriamente applicabile in
sostituzione di eventuali disposizioni
comunali illegittime (Cass. Civ., Sez. II,
10.01.2003, n. 158; 27.03.2001, n. 4713).
Giova richiamare, sia bure brevemente, i
principi che la giurisprudenza, civile ed
amministrativa, ha enunciato in materia:
a).
l’art. 41-quinquies della legge 17.08.1942,
n. 1150, (legge urbanistica), integrato
dall'art. 9 del D.M. 02.04.1968, n. 1444,
nella parte in cui stabilisce che la
distanza dagli edifici vicini non può essere
inferiore a quella di ciascun fronte
dell'edificio da costruire, fa riferimento
alla distanza fra fabbricati e non alla
distanza di questi dal confine (cfr. Cass,
Sez. II, 16.02.1996 n. 1201);
b).
l'art. 9 del citato D.M. del 1968, laddove
prescrive la distanza di 10 metri tra pareti
finestrate di edifici antistanti, va
rispettata in tutti i casi, trattandosi di
norma volta ad impedire la formazione di
intercapedini nocive sotto il profilo
igienico-sanitario, e pertanto non è
eludibile in funzione della natura giuridica
dell'intercapedine (cfr. Cass., Sez. II,
26.01.2001 n. 1108; Cons. Stato, Sez. V,
19.10.1999 n. 1565); conseguentemente, le
distanze fra le costruzioni sono
predeterminate con carattere cogente in via
generale ed astratta, in considerazione
delle esigenze collettive connesse ai
bisogni di igiene e di sicurezza, di guisa
che al giudice non è lasciato alcun margine
di discrezionalità nell'applicazione della
disciplina in materia per equo
contemperamento degli opposti interessi
(cfr. Cass., Sez. II, 16.08.1993 n. 8725 e
07.06.1993 n. 6360);
c).
la distanza di 10 metri, che deve sussistere
tra edifici antistanti, va calcolata con
riferimento ad ogni punto dei fabbricati e
non alle sole parti che si fronteggiano (CdS,
Sez. V, 16.02.1979, n. 89). Tale calcolo,
infatti, si riferisce a tutte le pareti
finestrate e non soltanto a quella
principale, prescindendo altresì dal fatto
che esse siano o meno in posizione parallela
(Cass., Sez. II, 30.03.2001 n. 4715),
indipendentemente dalla circostanza che una
sola delle pareti fronteggiantesi sia
finestrata e che tale parete sia quella del
nuovo edificio o dell'edificio preesistente,
o della progettata sopraelevazione, ovvero
ancora che si trovi alla medesima o a
diversa altezza rispetto all'altra (cfr.
Cass., Sez. II, 03.08.1999 n. 8383);
d).
il computo della distanza tra edifici, in
base alle norme del più volte citato decreto
ministeriale del 1968, nel caso in cui le
pareti dei fabbricati non si estendano
linearmente in altezza, ma che manifestino
rientranze e sporgenze, deve operarsi
distinguendo fra gli sporti dalle ridotte
dimensioni, aventi scopo meramente
ornamentale e decorativo, da quelli
costituenti sporgenze di particolari
proporzioni, destinate per i loro caratteri
strutturali e funzionali ad ampliare la
superficie abitativa dei vani che vi
accedono, dei quali soltanto deve tenersi
conto nel computo anzidetto, essendo veri e
propri corpi di fabbrica che determinano un
aumento dell'edificio in superficie ed
incidono quindi sulla consistenza
volumetrica dello stesso (cfr. Cass., Sez.
II, 26.11.1996 n. 10497) nonché di altre
sporgenze, quali i balconi, che vengono ad
ampliare in superficie e in volume il
fabbricato da cui sporgono, occupando lo
spazio che deve invece rimanere libero per
assicurare il prescritto distacco (cfr.
Cass., Sez. II, 24.03.1993 n. 3533).
Ai fini della
misurazione delle distanze tra edifici non
si deve tenere conto delle rientranze delle
pareti o altri artifici architettonici che
interrompono il fronte naturale
dell'edificio (venga interrotto) (CGA,
06.05.1998, n. 291; CdS, Sez. V, 24.11.1990,
n. 791), e che gli sporti, cioè le sporgenze
da non computare ai fini delle distanze
perché non attinenti alle caratteristiche
del corpo di fabbrica che racchiude il
volume che si vuol distanziare, sono i
manufatti come le mensole, le lesene, i
risalti verticali delle parti con funzione
decorativa, gli elementi in aggetto di
ridotte dimensioni, le canalizzazioni di
gronde e i loro sostegni, non invece le
sporgenze, anche dei generi ora indicati, ma
di particolari dimensioni, che siano quindi
destinate anche ad estendere ed ampliare per
l'intero fronte dell'edificio la parte
utilizzabile per l'uso abitativo (CdS, Sez.
V, 19.03.1996, n. 268)
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 05.12.2005 n. 6909 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
dossier S.U.A.P. |
EDILIZIA PRIVATA: In
materia di sportello unico attività
produttive, la possibilità di impiegare la
cd. “variante urbanistica
semplificata”, coinvolge un’ipotesi
connotata da indubbia eccezionalità, “comportando
(la stessa) una consistente deroga al
modello ordinario di approvazione di una
variazione allo strumento urbanistico, in
funzione anticipatoria e sostitutiva delle
capacità previsionali delle esigenze di
sviluppo del territorio, in attuazione
dell’interesse pubblico di assecondare con
prontezza insediamenti produttivi”.
Il D.P.R. 20.10.1998 n. 447 -recante norme
di semplificazione dei procedimenti di
autorizzazione per la realizzazione,
l’ampliamento, la ristrutturazione e la
riconversione di impianti produttivi, per
l’esecuzione di opere interne ai fabbricati,
nonché per la determinazione delle aree
destinate agli insediamenti produttivi-
adottato in base all’articolo 20, comma 8,
della legge 15.03.1997, n. 59, all’articolo
5 “Progetto comportante la variazione di
strumenti urbanistici”, recita:
“1. Qualora il progetto presentato sia in
contrasto con lo strumento urbanistico, o
comunque richieda una sua variazione, il
responsabile del procedimento rigetta
l’istanza. Tuttavia, allorché il progetto
sia conforme alle norme vigenti in materia
ambientale, sanitaria e di sicurezza del
lavoro ma lo strumento urbanistico non
individui aree destinate all'insediamento di
impianti produttivi ovvero queste siano
insufficienti in relazione al progetto
presentato, il responsabile del procedimento
può, motivatamente, convocare una conferenza
di servizi, disciplinata dall’articolo 14
della legge 07.08.1990, n. 241, come
modificato dall’articolo 17 della legge
15.05.1997, n. 127, per le conseguenti
decisioni, dandone contestualmente pubblico
avviso. Alla conferenza può intervenire
qualunque soggetto, portatore di interessi
pubblici o privati, individuali o collettivi
nonché i portatori di interessi diffusi
costituiti in associazioni o comitati, cui
possa derivare un pregiudizio dalla
realizzazione del progetto dell'impianto
industriale.
2. Qualora l’esito della conferenza di
servizi comporti la variazione dello
strumento urbanistico, la determinazione
costituisce proposta di variante sulla
quale, tenuto conto delle osservazioni,
proposte e opposizioni formulate dagli
aventi titolo ai sensi della legge
17.08.1942, n. 1150, si pronuncia
definitivamente entro sessanta giorni il
consiglio comunale. Non è richiesta
l’approvazione della regione, le cui
attribuzioni sono fatte salve dall’articolo
14, comma 3-bis della legge 07.08.1990, n.
241.”.
Dalla riprodotta disposizione si evince:
(a) il divieto di approvare progetti in
contrasto con lo strumento urbanistico;
(b) la possibilità di derogare a siffatto
divieto, purché sussistano le particolari
condizioni di procedibilità richiamate dalla
norma;
(c) l’obbligo di motivazione nell’ipotesi di
avvio del procedimento in deroga;
(d) il valore di proposta di variante allo
strumento urbanistico dell’atto conclusivo
della conferenza di servizi.
Alla misura, vincolativamente connotata di
cui alla lettera (a) si aggiunge quindi, ove
sussista la conformità del progetto alle
norme vigenti in materia ambientale,
sanitaria e di sicurezza del lavoro e sempre
che lo strumento urbanistico non individui
aree destinate all’insediamento di impianti
produttivi ovvero queste siano
insufficienti, la possibilità che il R.U.P.,
motivatamente, avvii la procedura convocando
la conferenza di servizi.
Coerentemente con tali premesse pertanto, la
norma richiede un’espressa motivazione per
attivare il procedimento che, comunque, ha
valenza del tutto derogatoria, stante il suo
presupposto (non conformità allo strumento
urbanistico vigente) ed il suo scopo (una
procedura semplificata per ottenere una
variante allo strumento).
In ultima analisi, la possibilità di
impiegare la cd. “variante urbanistica
semplificata”, coinvolge un’ipotesi
connotata da indubbia eccezionalità, “comportando
(la stessa) una consistente deroga al
modello ordinario di approvazione di una
variazione allo strumento urbanistico, in
funzione anticipatoria e sostitutiva delle
capacità previsionali delle esigenze di
sviluppo del territorio, in attuazione
dell’interesse pubblico di assecondare con
prontezza insediamenti produttivi” (TAR
Puglia Lecce, sez. I, 28.10.2005, n. 4657).
Siffatta connotazione emerge poi con certa
evidenza ove si consideri che l’iter di
approvazione della variante diverge in
maniera significativa da quello ordinario,
tant’è che la determinazione assunta in sede
di conferenza, costituisce proposta di
variante sulla quale appunto si determina
definitivamente il Consiglio comunale
(TAR Lazia-Latina, Sez. I,
sentenza 07.07.2009 n. 644 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
UTILITA' |
EDILIZIA PRIVATA:
Lombardia, On-line il sito dedicato al
rilancio dell'edilizia (piano casa).
Da oggi (22.07.2009) è on-line il sito web
dedicato al rilancio dell'edilizia:
www.rilancioedilizia.regione.lombardia.it.
Al suo interno è possibile trovare tutte le
informazioni relative alla messa in atto
della legge regionale recentemente approvata
n. 13/2009 sulle "Azioni straordinarie
per lo sviluppo e la qualificazione del
patrimonio edilizio ed urbanistico della
Lombardia" (link a
www.territorio.regione.lombardia.it). |
QUESITI & PARERI |
URBANISTICA:
Un P.L. è stato adottato nell'agosto del
2008 dalla G.C.. Nel frattempo, la L.R.
12/2005 è stata modificata sicché la
competenza ad approvare i piani attuativi è
stata riportata in capo ai Consigli
Comunali.
Si chiede di conoscere se il piano adottato
in questione possa essere approvato ancora
dalla Giunta oppure debba necessariamente
passare al vaglio del Consiglio Comunale
(Regione Lombardia,
risposta e-mail del 09.06.2009). |
URBANISTICA:
Per quanto tempo è valido un Piano di
Lottizzazione di iniziativa privata,
approvato definitivamente dal Consiglio
Comunale, ma del quale non sia stata
stipulata la convenzione?
Ove vi fosse una validità temporale, se
vengono modificate le destinazioni d'uso
dell'area da un nuovo Piano Regolatore
Generale o PGT, è da considerare comunque
valido il Piano di Lottizzazione approvato
fino alla sua eventuale scadenza? (Regione
Lombardia,
risposta
e-mail del 15.05.2009). |
DIPARTIMENTO FUNZIONE PUBBLICA |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO:
Legge 18.06.2009 n. 69 "Disposizioni per
lo sviluppo economico, la semplificazione,
la competitività nonché in materia di
processo civile" - Pubblicazione dei dati
sulla dirigenza e sulle assenze e presenze
del personale - Prime indicazioni operative
(circolare
17.07.2009 n. 3/2009 - link a
www.innovazionepa.it).
Per saperne di più
cliccare qui. |
DOTTRINA E CONTRIBUTI |
EDILIZIA PRIVATA
- URBANISTICA:
D. Meneguzzo,
Le n.t.a. degli strumenti urbanistici hanno
natura regolamentare e vanno impugnate
insieme con l'atto applicativo?
(link a http://venetoius.myblog.it). |
APPALTI:
G. Gioffé,
Le clausole del bando di gara – vero campo
minato (link a www.altalex.com). |
GIURISPRUDENZA |
APPALTI:
Sulla competenza degli enti
proprietari e non dei comuni di rimuovere i
rifiuti abbandonati lungo le strade
pubbliche e sull'art. 2, c. 12, del d.l.
90/2008 che prevede un'attività sostitutiva
del commissario nel caso di inerzia da parte
dei comuni.
L'art. 14 del d.lgs. n. 285/1992, recante
nuovo codice della strada, prevede che gli
enti proprietari delle strade, allo scopo di
garantire la sicurezza e la fluidità della
circolazione, devono provvedere alla
manutenzione, gestione e pulizia delle
strade, delle loro pertinenze e arredo,
nonché delle attrezzature, impianti e
servizi. La giurisprudenza amministrativa ha
sempre interpretato, con riferimento alla
fattispecie di insistenza dei rifiuti
abbandonati sull'area di sedime di una
strada, questa norma come speciale rispetto
all'art. 198 del d.lgs. 152/2006 che, in
materia di gestione di rifiuti urbani e
assimilati, sancisce la competenza dei
comuni per la raccolta, trasporto e avvio a
smaltimento dei rifiuti urbani. Secondo la
giurisprudenza, infatti la pulizia della
strada, interferendo direttamente con la
stessa funzionalità dell'infrastruttura e
con la sicurezza della viabilità, non può
non fare capo direttamente al soggetto
gestore (proprietario, concessionario o
comunque affidatario della gestione del
bene), sul quale gravano speciali doveri di
vigilanza, controllo e conservazione, doveri
che rivestono carattere di oggettività e
prescindono dai profili di dolo o colpa..
L'art. 14 del codice della strada, dunque,
costituisce anche una norma speciale
rispetto alla previsione di cui all'art. 192
del d.lgs. n. 152/2006 che, in materia di
abbandono e deposito incontrollato di
rifiuti sul suolo, prevede l'obbligo di
provvedere all'avvio a recupero o allo
smaltimento dei rifiuti ed al ripristino
dello stato dei luoghi non solo in capo agli
autori dell'illecito, ma anche, in solido
con essi, del proprietario e del titolare di
diritti reali o personali di godimento
sull'area, purché tale violazione sia loro
imputabile a titolo di dolo o colpa, in base
agli accertamenti effettuati, in
contraddittorio con i soggetti interessati,
dai soggetti preposti al controllo.
L'art. 2, c. 12, del d.l. 90/2008 prevede
un'attività sostitutiva del commissario nel
caso di inerzia da parte dei comuni (e
dunque in relazione all'ambito di competenze
definito dall'art. 198 del d.lgs. 152/2006),
tanto è vero che è previsto un diritto di
rivalsa sulle risorse dei comuni; detta
norma, però, non può essere applicata nella
diversa ipotesi in cui nessuna inerzia possa
essere imputata ai comuni, in quanto
l'obbligo di provvedere alla pulizia delle
strade, delle loro pertinenze grava
sull'ente proprietario del raccordo
autostradale. La previsione di un potere di
rivalsa sulle risorse del comune, da parte
dell'art. 2, c. 12, del d.l. 90/2008 rende
palese che il potere straordinario di
intervento della struttura del
sottosegretariato possa essere finanziato
dalle risorse comunali già destinate alla
gestione dei rifiuti solo in caso di
indisponibilità del servizio di raccolta e
trasporto rifiuti di competenza dei comuni
(TAR Lazio-Roma, Sez. I,
sentenza 16.07.2009 n. 7027 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Sulla
possibilità o meno di ricostruire un rudere
risultando leggibili la sagoma planimetrica,
definita dalle murature perimetrali, e la
sagoma in elevazione.
La ricorrente richiama la nota
giurisprudenza secondo cui l’intervento di
ripristino di un rudere deve essere
qualificato in termini di nuova costruzione
(TAR Veneto, sez. II, 05.06.2008, n. 567,
TAR Friuli Venezia Giulia, sez. I,
22.11.2007, n. 749).
Obietta la controinteressata che questa
giurisprudenza si giustifica in base al
rilievo che nel caso dei ruderi difetta la
possibilità di individuare le loro
originarie caratteristiche plano
volumetriche, possibilità che invece
sussisteva nella fattispecie, in cui era
possibile, sulla base delle strutture
esistenti, individuare oggettivamente i
tratti essenziali del preesistente
fabbricato (quali altezza, posizione delle
falde del tetto, volumetria complessiva etc.
…).
Il Collegio condivide le argomentazioni
della ricorrente; un intervento di restauro
e risanamento conservativo –come risulta
dalla definizione dell’articolo 3 del D.P.R.
06.06.2001, n. 380– presuppone la
preesistenza di un “organismo edilizio”
cioè di una struttura fornita di copertura,
tamponature esterne e strutture orizzontali
interne; nella fattispecie risulta che il
progetto si riferisce a un edificio diruto,
cioè ai resti di strutture edilizie andate
in rovina, per di più in epoca assai
risalente; la stessa relazione tecnica
depositata dalla controinteressata ammette
che “l’edificio risulta(va) privo di
quasi tutti gli orizzontamenti interni e di
gran parte della copertura”, pur
aggiungendo che “risultavano leggibili la
sagoma planimetrica, definita dalle murature
perimetrali e la sagoma in elevazione…”
e che “all’interno dell’involucro
restavano chiaramente leggibili sui
paramenti murari i fori di innesto dei solai
…” (che quindi non esistevano, come
sostenuto dalla ricorrente).
Alla luce di questi dato risulta che il
progetto autorizzato non costituisce un
intervento di restauro e risanamento
conservativo di un fabbricato preesistente
ma consiste piuttosto nel ripristino (nella
vera e propria ricostruzione, sia pure
utilizzando i resti ancora esistenti) di un
fabbricato in rovina; simile intervento
costituisce effettivamente una nuova
costruzione che, nella zona in
contestazione, è vietata dalle disposizioni
del P.R.G.
(TAR Lazio-Latina, Sez. I,
sentenza 15.07.2009 n. 700 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il vicino di casa ha titolo per
impugnare la concessione edilizia
illegittima poiché la relativa
legittimazione discende dalla c.d. "vicinitas",
cioè da una situazione di stabile
collegamento giuridico con il terreno
oggetto dell'intervento costruttivo
autorizzato senza che sussista la
prospettata necessità di accertare se i
lavori assentiti dall’atto impugnato
comportino o meno un effettivo pregiudizio
per il soggetto che propone l’impugnazione.
L'art. 31, comma 9, della legge 17.08.1942,
n. 1150, come novellato dalla legge
06.08.1967, n. 765, consente, come è noto, "a
chiunque" di impugnare le concessioni
edilizie ritenute illegittime e la
giurisprudenza da sempre ha riconosciuto al
proprietario (od al possessore dell'immobile
od al semplice residente o domiciliatario)
nella zona interessata il possesso di quello
“stabile collegamento”, idoneo a
radicare in tale soggetto una posizione
d'interesse differenziata rispetto a quella
posseduta dal quisque de populo.
Per tal via, il possesso del titolo di
legittimazione alla proposizione del ricorso
per l'annullamento di una concessione
edilizia discende dalla c.d. "vicinitas",
cioè, appunto, da una situazione di stabile
collegamento giuridico con il terreno
oggetto dell'intervento costruttivo
autorizzato (da ultimo, Cons. Stato, sez. IV,
12.05.2009, n. 2908), senza che sussista la
prospettata necessità di accertare, in
concreto, se i lavori assentiti dall’atto
impugnato comportino o meno un effettivo
pregiudizio per il soggetto che propone
l’impugnazione (conf., sul punto, Cons.
Stato, sez. V, 18.09.1998, n. 1289)
(TAR Campania-Salerno, Sez. II,
sentenza 13.07.2009 n. 3987 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Sulla individuazione delle
caratteristiche costruttive qualificanti i
cosiddetti "volumi tecnici".
Secondo il
costante indirizzo giurisprudenziale, per
l'identificazione della nozione di volume
tecnico assumono valore tre ordini di
parametri:
a) il primo, positivo, di tipo
funzionale, relativo al rapporto di
strumentalità necessaria tra il manufatto
con l'utilizzo della costruzione;
b) il secondo ed il terzo,
negativi, ricollegati da un lato
all'impossibilità di soluzioni progettuali
diverse, nel senso che tali costruzioni non
devono poter essere ubicate all'interno
della parte abitativa, e dall'altro lato ad
un rapporto di necessaria proporzionalità
fra tali volumi e le esigenze effettivamente
presenti: ne deriva che tale nozione può
essere applicata solo alle opere edilizie
completamente prive di una propria autonomia
funzionale, anche potenziale, ed invece
esclusa rispetto a locali, in specie laddove
di ingombro rilevante, tali da mutare la
consistenza dell'edificio, in quanto
oggettivamente incidenti in modo
significativo sui luoghi esterni (cfr.,
ex multis, TAR Liguria Genova, sez. I,
30.01.2007, n. 101; TAR Puglia Lecce, sez.
I, 22.11.2007, n. 3963; TAR Campania
Salerno, sez. II, 03.08.2006, n. 1119; TAR
Campania Napoli, sez. IV, 28.02.2006, n.
2451).
Deve conseguentemente ritenersi che, sia per
la loro ampiezza –circa 276,45 mc., con
altezza al colmo di m. 2.80– che per la loro
consistenza e forma, evincibile dalla pianta
e dalle foto in atti (che prospetta la
realizzazione di tre grandi abbaini), i
locali in esame da un lato non possono
ritenersi, giusta i richiamati criteri,
proporzionati alle dimensioni dell’edificio
e, dall'altro lato, risultano potenzialmente
abitabili, costituendo delle vere e proprie
mansarde. Il che, appunto, esclude che possa
parlarsi di meri volumi tecnici.
Da ciò discende che l’intervento in
questione, per come progettato, non avrebbe
potuto essere assentito, stante la
evidenziata violazione delle prescritte
distanze legali
(TAR Campania-Salerno, Sez. II,
sentenza 13.07.2009 n. 3987 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Gli interventi consistenti nella
installazione di tettoie o di altre
strutture che siano comunque apposte a parti
di preesistenti edifici come strutture
accessorie di protezione o di riparo di
spazi liberi, cioè non compresi entro
coperture volumetriche previste in un
progetto assentito, possono ritenersi
sottratti al regime della concessione
edilizia (oggi permesso di costruire)
soltanto ove la loro conformazione e le loro
ridotte dimensioni rendono evidente e
riconoscibile la loro finalità di semplice
decoro o arredo o di riparo e protezione
(anche da agenti atmosferici) della parte
dell’immobile cui accedono.
La nozione di pertinenza, in materia
edilizia, è più ristretta di quella
civilistica ed è riferibile ai soli
manufatti di dimensioni tanto modeste e
ridotte rispetto alla cosa cui ineriscono da
potersi considerare sostanzialmente
irrilevanti sotto il profilo edilizio.
Per giurisprudenza costante (fra le più
recenti: TAR Campania Napoli, sez. II, n.
492 del 29.01.2009; TAR Campania Napoli,
Sez. IV, n. 19754 del 18.11.2008; TAR
Campania Napoli, sez. III, n. 10059 del
09.09.2008), gli interventi consistenti
nella installazione di tettoie o di altre
strutture che siano comunque apposte a parti
di preesistenti edifici come strutture
accessorie di protezione o di riparo di
spazi liberi, cioè non compresi entro
coperture volumetriche previste in un
progetto assentito, possono ritenersi
sottratti al regime della concessione
edilizia (oggi permesso di costruire)
soltanto ove la loro conformazione e le loro
ridotte dimensioni rendono evidente e
riconoscibile la loro finalità di semplice
decoro o arredo o di riparo e protezione
(anche da agenti atmosferici) della parte
dell’immobile cui accedono.
Tali strutture non possono viceversa
ritenersi installabili senza permesso di
costruire allorquando le loro dimensioni
sono di entità tale da arrecare una visibile
alterazione all'edificio o alle parti dello
stesso su cui vengono inserite, quando
quindi per la loro consistenza dimensionale
non possono più ritenersi assorbite, ovvero
ricomprese in ragione della accessorietà,
nell'edificio principale o nella parte dello
stesso cui accedono (in termini TAR Campania
Napoli, Sez. IV, n. 19754 del 18.11.2008
cit., Consiglio di Stato, Sez. V, 13.03.2001
n. 1442).
Anche di recente si è affermato che la
realizzazione di una tettoia ancorata al
suolo costituisce opera idonea ad alterare
lo stato dei luoghi e a trasformare il
territorio permanentemente e perciò richiede
il rilascio di un permesso di costruire (TAR
Piemonte Torino, sez. I, 16.03.2009, n.
752).
Del resto, è noto che la nozione di
costruzione, ai fini del rilascio del
permesso di costruire, si configura in
presenza di opere che attuino una
trasformazione urbanistico-edilizia del
territorio, con perdurante modifica dello
stato dei luoghi, a prescindere dal fatto
che essa avvenga mediante realizzazione di
opere murarie, essendo irrilevante che le
opere siano state realizzate in metallo, in
laminati di plastica, in legno o altro
materiale, ove si sia in presenza di
un'evidente trasformazione del tessuto
urbanistico ed edilizio e le opere siano
preordinate a soddisfare esigenze non
precarie sotto il profilo funzionale (TAR
Campania Napoli, sez. II, 26.09.2008, n.
11309; Consiglio Stato, Sez. IV, n. 2705 del
2008). In altri termini, rilevano non
soltanto gli elementi strutturali
(composizione dei materiali, smontabilità o
meno del manufatto) ma anche i profili
funzionali dell’opera (cfr. TAR Lazio, Roma,
Sez. I-quater, n. 11679 del 23.11.2007).
Applicando tali principi al caso in esame si
deve ritenere che la tettoia oggetto del
provvedimento impugnato, realizzata dalla
ricorrente in lamiere coibentate sorrette da
elementi scatolari in ferro bullonati, non
può ritenersi irrilevante sotto il profilo
edilizio per la sua tipologia (struttura
metallica non leggera) e soprattutto per la
sua dimensione (86 mq.), perché suscettibile
di autonoma utilizzazione e perché ha
determinato una non irrilevante alterazione
dello stato dei luoghi e del prospetto degli
edifici interessati, con la conseguenza che
per la installazione di tale struttura era
necessario il permesso di costruire, con
l’ulteriore conseguenza che la realizzazione
delle stesse in assenza del titolo dovuto ne
ha determinato l’abusività e quindi
l’irrogazione della prevista sanzione
ripristinatoria (art. 31 del DPR n. 380 del
2001).
Del resto l’ordine di demolizione di opere
abusive è un atto dovuto in presenza di
opere realizzate senza alcun titolo
abilitativo e quindi abusivamente
(giurisprudenza costante anche di questa
Sezione, cfr. anche, fra le tante, Consiglio
di Stato, sez. VI n. 4743 del 28.06.2004) e
non necessita di particolare motivazione
sull’interesse pubblico o sulla eventuale
sanabilità delle opere.
Nel richiamare
quanto già in precedenza affermato, si deve
aggiungere, in relazione alla natura delle
opere realizzate, che risulta irrilevante
(ai fini della legittimità edilizia) la
destinazione pertinenziale della tettoia e
l’utilizzo a parcheggio dell’area
interessata.
Per principio pacifico infatti la nozione di
pertinenza, in materia edilizia, è più
ristretta di quella civilistica ed è
riferibile ai soli manufatti di dimensioni
tanto modeste e ridotte rispetto alla cosa
cui ineriscono da potersi considerare
sostanzialmente irrilevanti sotto il profilo
edilizio.
Non può, invece, attribuirsi carattere
pertinenziale ai fini edilizi ad opere di
rilevante consistenza anche se destinate al
servizio od ornamento del bene principale
(fra le più recenti, TAR Lombardia Milano,
sez. II, 17.06.2008, n. 2045)
(TAR Campania-Napli, Sez. II,
sentenza 13.07.2009 n. 3870 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L’ordine di demolizione di opere
abusive non deve essere normalmente
preceduto dalla comunicazione di avvio del
procedimento, ai sensi dell’articolo 7 della
legge n. 241 del 1990, in considerazione
della natura vincolata del potere di
repressione degli abusi edilizi.
Per
giurisprudenza costante (TAR Campania
Napoli, sez. IV, n. 9710 del 01.08.2008),
l’ordine di demolizione di opere abusive
(perché realizzate in assenza del necessario
titolo abilitativo) non deve essere
normalmente preceduto dalla comunicazione di
avvio del procedimento, ai sensi
dell’articolo 7 della legge n. 241 del 1990,
in considerazione della natura vincolata del
potere di repressione degli abusi edilizi
(TAR Campania-Napli, Sez. II,
sentenza 13.07.2009 n. 3870 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
E' illegittimo il motivato
provvedimento di divieto all'esecuzione
delle opere notificato oltre i 60 gg. dalla
data di presentazione della D.I.A. (ex art.
9 del d.l. n. 154/1996 in relazione all’art.
19 della legge n. 241/1990).
Oggi, come è noto, in relazione alla materia
dell’edilizia, vige una disciplina in
qualche modo speciale o comunque
diversificata, introdotta dagli art. 22 e 23
del T.U. sull’edilizia (approvato con DPR
06.06.2001 n. 380); ma ciò è affatto
ininfluente ai fini della risoluzione della
controversia che ne occupa, poiché alla
stessa si applica quella antecedente,
all’epoca dei fatti racchiusa nell’art. 9
del d.l. 25.03.1996 n. 154, che richiamava,
a tal fine, l’art. 19 della legge n.
241/1990 (ovviamente, nel testo allora
vigente, allora modificato dall’art. 2,
comma 10, della legge 23.12.1993 n. 537).
Ora, il dettato testuale della norma appena
citata è il seguente: <<10. L'art. 19
della legge 07.08.1990, n. 241, è sostituito
dal seguente:
"Art. 19. - 1. In tutti i casi in cui
l'esercizio di un'attività privata sia
subordinato ad autorizzazione, licenza,
abilitazione, nulla-osta, permesso o altro
atto di consenso comunque denominato, ad
esclusione delle concessioni edilizie e
delle autorizzazioni rilasciate ai sensi
delle leggi 01.06.1939, n. 1089, 29.06.1939,
n. 1497, e del decreto-legge 27.06.1985, n.
312, convertito, con modificazioni, dalla
legge 08.08.1985, n. 431, il cui rilascio
dipenda esclusivamente dall'accertamento dei
presupposti e dei requisiti di legge, senza
l'esperimento di prove a ciò destinate che
comportino valutazioni tecniche
discrezionali, e non sia previsto alcun
limite o contingente complessivo per il
rilascio degli atti stessi, l'atto di
consenso si intende sostituito da una
denuncia di inizio di attività da parte
dell'interessato alla pubblica
amministrazione competente, attestante
l'esistenza dei presupposti e dei requisiti
di legge, eventualmente accompagnata
dall'autocertificazione dell'esperimento di
prove a ciò destinate, ove previste. In tali
casi, spetta all'amministrazione competente,
entro e non oltre 60 giorni dalla denuncia,
verificare d'ufficio la sussistenza dei
presupposti e dei requisiti di legge
richiesti e disporre, se del caso, con
provvedimento motivato da notificare
all'interessato entro il medesimo termine,
il divieto di prosecuzione dell'attività e
la rimozione dei suoi effetti, salvo che,
ove ciò sia possibile, l'interessato
provveda a conformare alla normativa vigente
detta attività ed i suoi effetti entro il
termine prefissatogli dall'amministrazione
stessa">>.
Orbene, come appare evidente dalla semplice
lettura della norma, nel caso di specie la
violazione della stessa si manifesta per
tabulas. Infatti, il divieto impugnato è
stato emesso ben oltre il termine di 60
giorni, vale a dire allorquando
l’amministrazione aveva consumato il potere
conferitole dalla legge, né essa aveva
assegnato all’interessato un termine per la
regolarizzazione della situazione (nel caso
che l’avesse ritenuta possibile)
(TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 09.07.2009 n. 2137 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Responsabilità del committente.
La circostanza che il proprietario dell'area
ove è realizzato un abuso risieda all’estero
non è ostativa della commissione del reato
di cui egli risponde quale committente e non
quale materiale esecutore e la sua veste di
proprietario del fondo rustico, risultante
dalla visura catastale, pur non avendo
valore di piena prova a fini fiscali, è
elemento gravemente indiziante a fini penali
ove si consideri che, per accessione, il
soggetto che si assume estraneo, diventa
comunque proprietario anche del manufatto
abusivamente realizzato (Corte di
Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 08.07.2009 n. 27962 -
link a www.lexambiente.it). |
URBANISTICA:
La zonizzazione è ammessa anche
con i PGT.
Il fatto che la legge regionale lombarda n. 12 del
2005 non preveda più espressamente la
ripartizione del territorio in zone omogenee
non esclude affatto la possibilità che il PGT (Piano di Governo del Territorio)
preveda aree contigue aventi diversa
destinazione funzionale, né rende
illegittima la zonizzazione del territorio
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 06.07.2009 n. 4305 -
link a
www.cameramministrativacomo.it). |
APPALTI:
Nelle situazioni di estrema ed
evidente emergenza, sono legittimi gli
svolgimenti di gara in assenza di
pubblicazione del bando per l'appalto. E non
è nemmeno necessario motivare l'assenza
dell'indizione di bando.
Può essere derogato, dunque, il d.lgs.
163/2006 (articolo 57, comma 1). Che, ai
fini dello svolgimento di una pubblica
procedura di selezione senza previa
indizione di bando nelle ipotesi consentite,
richiede l’esplicitazione del relativo
apparato motivazionale ovvero, l’indicazione
delle ragioni che hanno indotto la
procedente autorità a valersi di tale
facoltà.
L’art. 57 del D.Lgs. 12.04.2006 n. 163
stabilisce (comma 1) che le stazioni
appaltanti possono aggiudicare contratti
pubblici mediante procedura negoziata senza
previa pubblicazione di un bando di gara in
talune ipotesi, dandone conto con adeguata
motivazione nella delibera o determina a
contrarre; ricomprendendo nel novero delle
relative fattispecie (comma 2, lett. c) la
ricorribilità all’anzidetta procedura “nella
misura strettamente necessaria, quando
l'estrema urgenza, risultante da eventi
imprevedibili per le stazioni appaltanti,
non è compatibile con i termini imposti
dalle procedure aperte, ristrette, o
negoziate previa pubblicazione di un bando
di gara” (a tale riguardo precisandosi
come la disposizione in rassegna soggiunga
che “le circostanze invocate a
giustificazione della estrema urgenza non
devono essere imputabili alle stazioni
appaltanti”).
Ora, se è ben vero che lo svolgimento di una
pubblica procedura di selezione senza previa
indizione di bando postula, per espressa
contemplazione normativa, l’esplicitazione
del relativo apparato motivazionale (ovvero,
l’indicazione delle ragioni che hanno
indotto la procedente Autorità a valersi di
tale facoltà), va dato atto che nella
fattispecie in esame la presenza di siffatte
ragioni è in re ipsa, atteso che la
connotazione (come sopra esposto)
emergenziale della situazione da
fronteggiare relativamente alle attività di
raccolta/stoccaggio/smaltimento rifiuti
nella Regione Campania è eloquentemente
(quanto inequivocabilmente) comprovata dal
succedersi di disposizioni urgenti veicolate
dallo strumento dell’ordinanza presidenziale
e, ulteriormente, dal ricorso alla
decretazione d’urgenza, alla luce di quanto
sopra indicato.
Se, conseguentemente, l’obbligo
motivazionale che si assume non esternato
rivela carattere immanente (anche
relativamente alla procedura de qua)
con riferimento al complesso di attività
strumentalmente preordinate alla definizione
della situazione emergenziale sopra
indicata, va ulteriormente osservato come lo
stesso decreto-legge 90/2008 abbia
espressamente indicato (art. 18) fra le
disposizioni del Codice degli appalti
suscettibili di deroga (quantunque limitando
tale collocazione parentetica del vigente
quadro normativo al perseguimento delle
finalità di cui al presente decreto e fermo
restando il rispetto dei principi
dell'ordinamento comunitario e dei principi
fondamentali in materia di tutela della
salute, della sicurezza sul lavoro,
dell'ambiente e del patrimonio culturale)
proprio l’art. 57 in rassegna; e,
ulteriormente, il precedente art. 54, il cui
comma 4 prevede che “nei casi e alle
condizioni specifiche espressamente
previste, le stazioni appaltanti possono
aggiudicare i contratti pubblici mediante
una procedura negoziata, con o senza
pubblicazione del bando di gara”
(TAR Lazio-Roma, Sez. I,
sentenza 01.07.2009 n. 6346 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Devono
svolgersi in seduta pubblica gli adempimenti
concernenti la verifica dell'integrità dei
plichi contenenti l'offerta, sia che si
tratti di documentazione amministrativa che
di documentazione riguardante l'offerta
tecnica ovvero l'offerta economica:
dimostrandosi, conseguentemente, illegittima
l'apertura in segreto dei plichi.
Rappresenta
principio inderogabile in qualunque tipo di
gara quello secondo cui devono svolgersi in
seduta pubblica gli adempimenti concernenti
la verifica dell'integrità dei plichi
contenenti l'offerta, sia che si tratti di
documentazione amministrativa che di
documentazione riguardante l'offerta tecnica
ovvero l'offerta economica: dimostrandosi,
conseguentemente, illegittima l'apertura in
segreto dei plichi (cfr. Cons. Stato: sez.
VI, 22.04.2008 n. 1856; sez. IV, 08.10.2007,
n. 5217; sez. VI, 22.03.2007, n. 1369; sez.
V, 27.04.2006, n. 2370, 11.01.2006, n. 28 e
30.08.2005, n. 3966; sez. VI, 09.06.2005, n.
3030; sez. V, 16.03.2005, n. 1077,
11.02.2005, n. 388, 18.03.2004, n. 1427 e
09.10.2002, n. 5421).
Il citato principio di pubblicità delle gare
pubbliche impone che il materiale
documentario trovi correttamente ingresso
con le garanzie della seduta pubblica (Cons.
Stato, sez. VI, 18.12.2006, n. 7578), anche
in applicazione del più generale principio
di imparzialità dell'azione amministrativa,
che ha ricevuto esplicito riconoscimento sin
dall'art. 89 del R.D. 23.05.1924 n. 827,
rappresentando uno strumento di garanzia a
tutela dei singoli partecipanti, affinché
sia assicurato a tutti i concorrenti di
assistere direttamente alla verifica
dell'integrità dei documenti e
all'identificazione del loro contenuto
(Cons. Stato, sez. IV, 11.10.2007, n. 5354).
Se, ai fini dell’applicazione del principio
di pubblicità delle sedute occorre
distinguere tra procedure di aggiudicazione
automatica e procedure che richiedano una
valutazione tecnico-discrezionale per la
scelta dell'offerta più vantaggiosa (per le
prime di esse la pubblicità delle sedute
essendo generalmente totale al fine di
consentire il controllo delle varie fasi di
svolgimento della gara da parte dei
concorrenti; mentre per le seconde la
valutazione tecnico-qualititativa
dell'offerta va effettuata in seduta
riservata al fine di evitare influenze
esterne sui giudizi dei membri della
commissione giudicatrice: cfr. Cons. Stato,
sez. V, 11.05.2007, n. 2355, 19.04.2007, n.
1790, 10.01.2007, n. 45 e 07.11.2006, n.
6529; Cons. Stato, sez. VI, 11.04.2006, n.
2012; Cons. Stato, sez. V, 20.03.2006, n.
1445, 16.06.2005, n. 3166 e 18.03.2004, n.
1427; Cons. Stato, sez. IV, 06.10.2003, n.
5823; Cons. Stato, sez. V, 09.10.2002, n.
5421; Cons. Stato, sez. VI, 14.02.2002, n.
846; Cons. Stato, sez. V, 14.04.2000, n.
2235), va rilevato, in generale, come la
ratio ispirativa del principio di
pubblicità delle sedute di gara –comune ai
vari metodi di aggiudicazione– sia
preordinata ad un’esigenza di garanzia della
trasparenza e dell’imparzialità che devono
orientare lo svolgimento dell’attività
amministrativa in materia.
D’altro canto, i principi di pubblicità e di
trasparenza dell'azione amministrativa
costituiscono principi cardine del diritto
comunitario degli appalti (Cons. Stato, sez.
V, 16.06.2005, n. 3166) e il principio della
pubblicità delle sedute di gara per la
scelta del contraente è conforme alla
normativa comunitaria in materia, la quale è
orientata a privilegiare i principi di
concorrenza, pubblicità e trasparenza nella
scelta del contraente delle pubbliche
amministrazioni (Cons. Stato, sez. V,
18.03.2004, n. 1427), come anche dei
soggetti alla stessa equiparati
(TAR Lazio-Roma, Sez. I,
sentenza 01.07.2009 n. 6346 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
La derogabilità della regola
generale della pubblicità della gara,
segnatamente con riguardo al momento
dell'apertura delle buste, può trovare
applicazione relativamente alla procedura
negoziata, la quale conserva margini di
snellezza e di elasticità che giustificano
la sottrazione a regole formali operanti con
riferimento alle gare sottoposte ad un più
intenso tasso di pubblicità e di formalismo.
Sul versante
comunitario, “il principio generale della
trasparenza delle amministrazioni è
certamente enunciato con enfasi, ma, nella
sua ampiezza e generalità, … indica una
regola che attiene, nel complesso, alla
esigenza di definire preventivamente le
modalità di valutazione delle offerte e di
garantire, ex post, la leggibilità delle
decisioni assunte dalla stazione appaltante”:
con ciò escludendosi l’esistenza di alcuna
regola espressa (e, vieppiù, di pronunzie
della Corte di Giustizia) che affermi
l'obbligo incondizionato delle stazioni
appaltanti di assicurare sempre (anche nelle
ipotesi di procedure con il criterio
dell'offerta economicamente più vantaggiosa)
la pubblicità della fase di apertura
dell'offerta economica.
E, d’altro canto, se i generali principi di
trasparenza e partecipazione dell'attività
amministrativa, stabiliti dalla legge
241/1990 (e, in alcuni casi, da particolari
leggi di settore, a partire dai lavori
pubblici), non si accompagnano alla
previsione di regole che impongano, in modo
costante e inderogabile, la verificabilità
immediata delle operazioni compiute
dall'Amministrazione, va poi tenuto conto
che:
- nel sistema dell'offerta economicamente
più vantaggiosa, la segretezza di alcune
fasi è imposta dalla stessa necessità di
permettere la maggiore serenità di giudizio
della commissione di gara;
- e che, comunque, il valore della
trasparenza amministrativa, lungi
dall’assumere carattere dogmatico, deve
essere opportunamente coordinato con
l'esigenza di evitare inopportuni
aggravamenti del procedimento, che lo stesso
art. 1 della legge n. 241/1990 vieta.
Le considerazioni sopra riportate meritano,
ad avviso del Collegio, piena condivisione;
dovendosi soggiungere a quanto
precedentemente esposto che anche la VI
Sezione del Consiglio di Stato (sentenza
22.04.2008 n. 1856) ha avuto modo di
affermare (ribadendo quanto dalla stessa
Sezione già sostenuto con le decisioni
09.06.2005, n. 3030 e 04.11.2002, n. 6004)
che la derogabilità della “regola
generale della pubblicità della gara,
segnatamente con riguardo al momento
dell'apertura delle buste” può trovare
applicazione relativamente alla procedura
negoziata, la quale “conserva margini di
snellezza e di elasticità che giustificano
la sottrazione a regole formali operanti con
riferimento alle gare sottoposte ad un più
intenso tasso di pubblicità e di formalismo”
(TAR Lazio-Roma, Sez. I,
sentenza 01.07.2009 n. 6346 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Domanda di rilascio di titoli
edilizi in sanatoria: l'esistenza di un
vincolo paesaggistico esclude la possibilità
di formazione del silenzio assenso.
Indubbiamente la normativa contenuta negli
artt. 167 e 181 del D. Lgs. 22.01.2004, n.
42, nel testo oggi vigente, consente di
sanare delle opere abusive come quelle ora
all’esame (ndr: realizzazione muro di
recinzione non previsto in progetto e, per
ampliare il piazzale di accesso ai garage,
realizzazione muro di contenimento a
distanza di m. 7,70 dal fabbricato, in luogo
della distanza di m. 5, prevista in
progetto) realizzate in zone sottoposte
a vincolo paesaggistico qualora l’Autorità
amministrativa competente ne accerti la
compatibilità paesaggistica. Tale sanatoria
può, infatti, operare per le opere, come i
muri in contestazione, “per i lavori che
non abbiano determinato creazione di
superfici utili o volumi ovvero aumento di
quelli legittimamente realizzati”.
Ciò posto, deve ulteriormente aggiungersi
che tale normativa dispone, in particolare,
che l’interessato presenti apposita domanda
all’Autorità preposta alla gestione del
vincolo ai fini dell'accertamento della
compatibilità paesaggistica degli interventi
medesimi e che tale Autorità competente si
pronunci entro il termine perentorio di 180
giorni, previo parere vincolante della
Soprintendenza da rendersi entro il termine
perentorio di 90 giorni.
Ciò premesso va, innanzi tutto, precisato
che -secondo quanto già chiarito dalla
giurisprudenza amministrativa e così come
oggi normativamente previsto dagli artt. 17
e 20 della L. 07.08.1990, n. 241-
l’esistenza di un vincolo paesaggistico
esclude di certo la possibilità di
formazione del silenzio assenso sulle
domande di rilascio di titoli edilizi in
sanatoria (Cons. St., sez. IV, 31.03.2009,
n. 2024); e basta in merito ricordare quanto
questa stessa Sezione ha già avuto modo di
chiarire con la sentenza 03.06.2008, n. 539,
con la quale si è, tra l’altro, precisato
che le modifiche introdotte dalla L.
11.02.2005, n. 11, agli artt. 16, 17 e 20
della L. 07.08.1990, n. 241, hanno oggi
ridisciplinato l’intero sistema del
silenzio, assegnando il valore generalizzato
di silenzio assenso al comportamento inerte
dell'Amministrazione, con l’eccezione però
dei settori -quali quello ambientale- nei
quali, invece, è stato escluso "ratione
materiae" l'accoglimento tacito della
domanda.
La circostanza, quindi, che i vari pareri
della Soprintendenza siano intervenuti dopo
la scadenza del predetto termine di 90
giorni, non sembra idonea ad inficiare la
legittimità di tali atti, né a far ritenere
che si sia formato il silenzio assenso sulle
domande di rilascio di titoli edilizi in
sanatoria (TAR Abruzzo-Pescara, Sez.
I,
sentenza 20.06.2009 n. 448 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Le valutazioni di compatibilità
ambientale concretano un apprezzamento
ampiamente tecnico-discrezionale, rispetto
alle quali il giudice non può sostituire la
propria valutazione tecnica alla valutazione
tecnica dell'Amministrazione, dovendo il
sindacato del Giudice sugli apprezzamenti
tecnici esercitarsi esclusivamente in
relazione a macroscopiche illegittimità ed
incongruenze manifeste.
Secondo quanto
costantemente precisato dalla
giurisprudenza, le valutazioni di
compatibilità ambientale concretano un
apprezzamento ampiamente
tecnico-discrezionale, rispetto alle quali
il giudice non può sostituire la propria
valutazione tecnica alla valutazione tecnica
dell'Amministrazione, dovendo il sindacato
del Giudice sugli apprezzamenti tecnici
esercitarsi esclusivamente in relazione a
macroscopiche illegittimità ed incongruenze
manifeste; difatti le valutazioni tecniche
spettanti alle Amministrazioni preposte alla
tutela ambientale e paesaggistico-territoriale non sono
surrogabili in base al predetto art. 17
della L. n. 241 del 1990.
In definitiva, cioè, gli atti ed i pareri
come quelli ora all’esame (ndr:
compatibilità ambientale) sono soggetti al
sindacato del giudice amministrativo
soltanto ove l’esercizio del potere
discrezionale sia affetto “ictu oculi”
dal vizio di eccesso di potere nelle figure
sintomatiche dell'inadeguatezza del
procedimento, della illogicità, della
contraddittorietà, dell'ingiustizia
manifesta, dell'arbitrarietà, ovvero
dell'irragionevolezza della scelta adottata.
Gli atti di esercizio di discrezionalità
tecnica -come costantemente precisato dalla
giurisprudenza amministrativa (cfr. in tale
senso e da ultimo, Cons. St., sez. IV,
12.05.2009, n. 2942, e sez. IV, 31.03.2009,
nn. 1901 e 1889)- soggiacciono, infatti, al
sindacato giurisdizionale solo nei limiti in
cui siano in essi ravvisabili elementi
sintomatici della sussistenza dei vizi di
legittimità formale e sostanziale
(incompetenza, violazione di legge, eccesso
di potere) che della discrezionalità
costituiscono appunto il limite; di
conseguenza, nella materia “de qua”
la cognizione del giudice amministrativo
deve intendersi limitata ad una generale
verifica della logicità e razionalità dei
criteri seguiti, nel contesto di una
valutazione caratterizzata da una elevata
discrezionalità (TAR Abruzzo-Pescara, Sez.
I,
sentenza 20.06.2009 n. 448 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI:
1. L'art. 13 d.l. n. 223 del 2006
(c.d.d. Bersani) nell'escludere dalle
attività strumentali affidate i servizi
pubblici locali, non ha fatto alcuna
distinzione tra concessioni e appalti.
2. Non è oggetto di valutazione da parte
della commissione giudicatrice di una gara
la prova circa la sussistenza del requisito
soggettivo di partecipazione della capacità
di una società mista ad assumere l'impegno
extra moenia senza pregiudizio della
collettività di riferimento.
1.
L'art. 13 d.l. n. 223 del 2006 vieta
l'attività extra moenia alle società
costituite o partecipate dalle
amministrazione pubbliche regionali o locali
"per la produzione di beni e servizi
strumentali all'attività di tali enti in
funzione della loro attività, con esclusione
dei servizi pubblici locali".
La suddetta norma, nell'escludere dalle
attività strumentali affidate i servizi
pubblici locali, non ha operato alcuna
distinzione tra concessioni e appalti, una
distinzione che, del resto, sotto il profilo
della soggezione ai principi del Trattato UE
in materia di libera concorrenza, ha perduto
concreta rilevanza (v. d.lgs. n. 163 del
2006, art. 30). Nell'appalto come nella
concessione, se l'affidatario è una società
a capitale pubblico o misto, tanto il
concessionario quanto l'appaltatore
verrebbero a fruire di quella posizione di
vantaggio che viene ricondotta alla
utilizzazione di risorse della collettività
locale, di cui non fruisce il concorrente a
capitale interamente privato.
2.
La prova circa la sussistenza del requisito
soggettivo di partecipazione della capacità
di una società mista ad assumere l'impegno
extra moenia senza pregiudizio della
collettività di riferimento, non è oggetto
di prodromica valutazione da parte dei
preposti alla gara. La commissione
giudicatrice di una pubblica gara, infatti,
deve curare l'interesse, di cui è portatore
l'ente che bandisce la gara, a che le
concorrenti propongano di svolgere il
servizio da appaltare secondo offerte che ne
garantiscano una perfetta esecuzione.
Ciò comporta che, la attribuzione di un
qualche rilievo seppure "residuale",
al profilo del rischio che la partecipazione
alla gara di una società mista determini una
inaccettabile sottrazione di risorse alla
collettività di riferimento, si rivela non
funzionale ai (e coerente con) i compiti
tipici della commissione di gara, che
attengono alla cura dell'interesse dell'ente
affidante, dai quali certamente esula
l'apprezzamento degli eventuali riflessi
negativi che l'assunzione del nuovo servizio
da parte della società mista determinerebbe
per la collettività di riferimento.
In altri termini, appare arduo rinvenire un
qualche valido titolo giuridico che, in
assenza di una previsione di legge generale
o di lex specialis, abiliti l'ente
affidante, e per esso la commissione di
gara, ad esprimere una qualche valutazione
sul rapporto, cui è estraneo, tra l'ente (o
gli enti) costituenti o partecipanti e la
società mista, e sulla capacità di questa di
rispettare gli impegni assunti con l'area di
riferimento. Né potrebbe ritenersi
legittima, e conforme al principio del buon
andamento, ossia agli interessi della
comunità di cui l'ente affidante è
esponente, una determinazione di
inammissibilità di una offerta avanzata da
società mista che, alla stregua del bando e
del capitolato, risulti conveniente,
plausibile e non anomala, e la cui
esclusione sia giustificata con la
sottrazione di risorse in danno degli enti
che hanno proposto l'offerta, i quali, a
loro volta, nell'interesse delle comunità di
riferimento, hanno ritenuto utile
partecipare alla gara (Consiglio di Stato,
Sez. V,
sentenza 12.06.2009 n. 3767 -
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EDILIZIA PRIVATA:
Competenza ad adottare atti in
materia edilizia.
La competenza ad adottare atti in materia
edilizia, ai sensi degli art. 107 e 109 del
D.Lgs. 18.08.2000, n. 267, è del dirigente
comunale -ovvero nei comuni sprovvisti di
detta qualifica, dei responsabili degli
uffici e dei servizi- al quale spetta di
risolvere le questioni interpretative
attinenti al rispetto delle norme
urbanistiche ed alla realizzabilità di un
intervento edilizio da parte di un privato
in un’area destinata a servizi (salve le
valutazioni relative alla compatibilità di
cui alla legge regionale n. 8 del 2004 per
gli interventi di carattere socio-sanitario
ecc…) e non del Sindaco, trattandosi di un
tipico potere gestionale, né tanto meno del
Presidente del Consiglio comunale al quale,
a mente dell’art. 39 del d.lgs. 267/2000, è
attribuito il solo compito di riunire il
Consiglio comunale, ”in un termine non
superiore ai venti giorni, quando lo
richiedano un quinto dei consiglieri, o il
sindaco o il presidente della provincia,
inserendo all'ordine del giorno le questioni
richieste”, assicurando ”una adeguata
e preventiva informazione ai gruppi
consiliari ed ai singoli consiglieri sulle
questioni sottoposte al consiglio” (TAR
Puglia-Lecce,
sentenza 05.06.2009 n. 1445 -
link a www.lexambiente.it). |
LAVORI PUBBLICI:
Amianto (contratti pubblici).
L'iscrizione all'Albo nazionale gestori
ambientali è regolata dall’articolo 212 del
decreto legislativo 03.04.2006 n. 152. Per
la specifica categoria 10, la disciplina
contiene una serie di particolarità quanto
alle garanzie economiche e di
professionalità, giustificate dalla
pericolosità di tale tipo di attività.
È infatti imposto (v. deliberazione
30.03.2004 n. 1 del Comitato nazionale
dell’Albo) alle imprese il possesso (ovvero
la “piena ed esclusiva disponibilità”)
delle attrezzature minime, specificamente
individuate nella tipologia e nel loro
valore, e la presenza di responsabili
tecnici con precisi requisiti professionali.
A norma del terzo comma dell’articolo
59-quaterdecies (“Formazione dei
lavoratori”) del decreto legislativo
19.09.1994 n. 626, introdotto dall’articolo
2 del decreto legislativo 25.07.2006 n. 257
(“Attuazione della direttiva 2003/18/CE
relativa alla protezione dei lavoratori dai
rischi derivanti dall'esposizione
all'amianto durante il lavoro");
inoltre, “Possono essere addetti alla
rimozione e smaltimento dell'amianto e alla
bonifica delle aree interessate i lavoratori
che abbiano frequentato i corsi di
formazione professionale di cui all'articolo
10, comma 2, lettera h), della legge
27.03.1992, n. 257”.
Per quanto riguarda la disciplina dei
contratti pubblici, d’altro canto, bisogna
ricordare che mentre la qualificazione SOA è
normalmente oggetto di avvalimento, come
risulta dagli articoli 49 e 50 del decreto
legislativo 12.04.2006 n. 163, altrettanto
non può dirsi (nonostante la giurisprudenza
parli senza troppi distinguo del carattere
generale del meccanismo dell’avvalimento)
per gli altri "sistemi legali vigenti di
attestazione o di qualificazione nei servizi
e forniture" per i quali le disposizioni
dell'articolo 50 “si applicano, in quanto
compatibili” (TAR Puglia-Bari, Sez. I,
sentenza 03.06.2009 n. 1379 -
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AMBIENTE-ECOLOGIA:
INQUINAMENTO ACUSTICO -
Rilevamento dei rumori - Diritto alla
partecipazione da parte del responsabile
delle emissioni - Insussistenza.
Non v’è disposizione che riconosca, a colui
che viene ritenuto responsabile del
superamento del livello di determinati
rumori, il diritto a partecipare all’atto
istruttorio con il quale l’ARPA procede al
rilevamento dei rumori stessi. Ciò anche al
fine di evitare comportamenti artificiosi da
parte dell’interessato (TAR Puglia-Lecce,
Sez. I,
sentenza 07.05.2009 n. 1003 -
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EDILIZIA PRIVATA:
INQUINAMENTO ACUSTICO - Art. 8,
c. 4 L. n. 447/1995 - Domande per il
rilascio di concessioni edilizie -
Documentazione di previsione di impatto
acustico - Inosservanza - Mancata previsione
di sanzioni - Rilievo in sede di
utilizzazione degli immobili.
Il comma 4 dell’art. 8 della L. 447/1995,
pur prescrivendo che le domande per il
rilascio di concessioni edilizie relative a
nuovi impianti od infrastrutture adibiti ad
attività produttive siano corredate da una
documentazione di previsione di impatto
acustico, non contempla alcuna sanzione in
caso di inosservanza della suddetta
prescrizione.
Peraltro, la non perentorietà di tale
disposizione risulta evidente laddove si
confronti la stessa con i commi precedenti,
i quali prescrivono tassativamente l’obbligo
della valutazione dell’impatto acustico per
particolari tipi di opere, e con il sesto
comma, che contempla l’indicazione delle
misure previste per ridurre o eliminare le
emissioni sonore causate dall'attività o
dagli impianti solo quando si preveda la
produzione di valori di emissione superiori
a quelli determinati ai sensi dell'articolo
3, comma 1, lettera a).
A ciò aggiungasi che, in sede di
contestazione di un permesso di costruire
rilasciata a terzi confinanti, ruolo
prevalente assume il profilo
urbanistico-edilizio dell’intervento, mentre
le questioni riguardanti l’impatto acustico,
per le opere non espressamente contemplate
nel citato art. 8 della L. 447/1995,
assumono rilievo in sede di utilizzazione
degli immobili. Difatti, la tutela
dell'interesse della ricorrente al rispetto
delle norme in materia di inquinamento
acustico potrà compiutamente realizzarsi non
già in sede di presentazione della richiesta
di permesso di costruire od al momento del
suo semplice rilascio, quanto, piuttosto,
all’atto della richiesta di autorizzazione
allo svolgimento della specifica attività,
ove si preveda la produzione di valori di
emissione superiori a quelli determinati ai
sensi dell'articolo 3, comma 1, lettera a),
della legge n. 447 del 1985, ovvero nel
corso dell’esercizio dell’attività
produttiva, ove potranno trovare
applicazione specifiche norme sanzionatorie
(TAR Puglia-Lecce, Sez. III,
sentenza 07.05.2009 n. 975 - link
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ATTI AMMINISTRATIVI:
Provvedimento amministrativo -
Mancata indicazione del termine e
dell’autorità presso la quale è possibile
proporre ricorso - Riconoscimento del
beneficio dell’errore scusabile -
Presupposti.
La circostanza che il provvedimento non
rechi la indicazione del termine e della
autorità alla quale è possibile proporre
ricorso costituisce una mera irregolarità
dell’atto impugnato la quale non è
revocabile in dubbio possa costituire
presupposto per la concessione del beneficio
dell’errore scusabile in sede processuale.
Tuttavia, a tale scopo, non è sufficiente la
buona fede dell’interessato od altri
elementi di rilievo soggettivo, occorrendo
invece una situazione di obiettiva
incertezza (da cui possono conseguire
difficoltà nell’esercizio del diritto di
difesa e quindi una diminuzione di tutela),
dovuta alla novità della questione, alla
difficoltà dell’interpretazione delle norme,
alle oscillazioni della giurisprudenza, a
comportamenti fuorvianti
dell’Amministrazione, e, quindi, a cause
comunque non imputabili alla parte che
invoca il beneficio ma tali da indurre
l’interessato stesso in errore (cfr. anche
Cons. Stato, V, 21.09.2005, n. 4934), con
apprezzabile incertezza sugli strumenti di
tutela utilizzabili da parte del
destinatario dell’atto (cfr., per tutte, CGA
08.10.2003, n. 327).
In caso contrario, tale inadempimento si
risolverebbe in una assoluzione
indiscriminata dal termine di decadenza
(Cons. Stato, IV, 12.03.2009, n. 1460, IV,
19.02.2007, n. 872 e IV, 20.12.2005, n.
7219) (TAR Sicilia-Palermo, Sez. III,
sentenza 05.05.2009 n. 857 - link
a www.ambientediritto.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
INQUINAMENTO ATMOSFERICO -
Emissioni - Modifica sostanziale
dell’impianto - Procedimento autorizzatorio
- Art. 269, c. 8, d.lgs. n. 152/2006.
L'art. 269, comma 8, del d.lgs. 152/2006
impone al gestore che intenda sottoporre un
impianto a modifica sostanziale di
presentare una domanda di aggiornamento
dell'autorizzazione e richiama, per il
procedimento autorizzatorio della modifica,
le stesse disposizioni contenute nel
medesimo articolo in relazione alla
disciplina afferente il rilascio della
originaria autorizzazione.
Per modifica sostanziale la stessa
disposizione intende quella modifica che
comporti un aumento o una variazione
qualitativa delle emissioni o che altera le
condizioni di convogliabilità tecnica delle
stesse (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 29.04.2009 n. 2746 -
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EDILIZIA PRIVATA:
Oneri di urbanizzazione -
Quantificazione - Richieste di integrazione
successive al rilascio della concessione
edilizia - Illegittimità.
La regola fondamentale in materia di
quantificazione degli oneri di
urbanizzazione è che la scelta tecnico
discrezionale dell’Amministrazione deve
precedere e non seguire il rilascio della
concessione edilizia, in quanto gli effetti
e gli oneri derivanti dalla stessa devono
essere ben noti al richiedente, il quale,
tenuto conto dell’esborso economico da
affrontare, potrebbe anche rinunziare al
programma costruttivo ipotizzato.
Ne deriva la illegittimità di richieste di
integrazione successive al rilascio della
concessione edilizia, che esporrebbero il
privato a conseguenze idonee ad incidere
pesantemente sulla sua sfera economica,
nella considerazione, fra l’altro, della
necessità di garantire la correttezza del
rapporto intercorrente tra la Pubblica
Amministrazione ed il privato, soprattutto
allorquando la tempestiva conoscenza degli
oneri discrezionalmente imposti possa
indirizzare in un senso, piuttosto che in un
altro, le scelte dell’operatore economico
(TAR Sicilia-Palermo, Sez. I,
sentenza 29.04.2009 n. 774 - link
a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Nulla osta paesaggistico - Potere
di annullamento ministeriale - Controllo di
legittimità - Motivazione generica e vaga -
Illegittimità.
Il potere di annullamento ministeriale di un
nulla osta paesaggistico rilasciato per la
realizzazione di un intervento edilizio in
zona vincolata, pur non comportando un
riesame complessivo delle valutazioni
tecnico discrezionali compiute dall’ente
territoriale competente, tale da consentire
la sovrapposizione o la sostituzione di una
valutazione di merito del Ministero a quella
compiuta in sede di rilascio
dell'autorizzazione, si estrinseca in un
controllo di legittimità e si estende a
tutte le ipotesi riconducibili all'eccesso
di potere, con la conseguente possibilità
per il Ministero di espletare un puntuale e
penetrante sindacato sull'esercizio delle
funzioni amministrative connesse al potere
autorizzatorio (tra le tante Tar Catanzaro
03.11.2006 n. 1274).
Con particolare riferimento all'esercizio
del potere in esame ed alla relativa
motivazione, in termini generali va però
ribadito che è illegittimo il provvedimento
ministeriale di annullamento di un nulla
osta paesaggistico che rechi una motivazione
generica e vaga, valevole per una serie
indefinita di casi (Cds sez. VI 29.01.2002
n. 477) (TAR Calabria-Catanzaro, Sez. I,
sentenza 29.04.2009 n. 360 -
(link a www.ambientediritto.it). |
ESPROPRIAZIONE:
Retrocessione totale - Diritto soggettivo
perfetto - Tutelabilità innanzi al G.O.
L’istituto della retrocessione, assicura la
facoltà di reclamare la restituzione dei
beni quando l’opera pubblica, alla cui
realizzazione il bene era destinato, non è
stata realizzata ovvero non è più
realizzabile.
In caso di retrocessione totale il
proprietario è quindi titolare di un diritto
soggettivo perfetto, uno ius ad rem
di carattere potestativo di contenuto
patrimoniale, che gli consente di agire
dinanzi al giudice ordinario per chiedere la
pronunzia di decadenza della dichiarazione
di pubblica utilità e la restituzione dei
beni espropriati (TAR Veneto, Sez. I,
sentenza 24.04.2009 n. 1254 -
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EDILIZIA PRIVATA:
Pertinenza - Nozione - Permesso
di costruire.
La nozione di pertinenza quale risulta
dall'art. 7, comma 2, lett. a), d.l.
23.01.1982 n. 9, convertito dalla l.
25.03.1982 n. 94, debba essere interpretata
in modo compatibile con i principi della
materia e non può quindi valere a sottrarre
al regime del permesso di costruire la
realizzazione di opere di rilevante
consistenza urbanistica solo perché
destinate a servizio ed ornamento del bene
principale; proprio con riferimento ad un
nuovo manufatto si afferma che il rapporto
pertinenziale non può esonerare dalla
concessione di opere che, da un punto di
vista edilizio ed urbanistico, si pongono
come ulteriori, in quanto occupano aree e
volumi diversi rispetto alla "res
principalis" (Consiglio Stato sez. II,
21.02.1996, n. 1895).
E’ infatti soggetta a concessione edilizia
(ora permesso di costruire) ed al
conseguente rispetto delle prescrizioni
urbanistiche relative al tipo d'intervento,
la realizzazione di un manufatto edilizio
destinato a soddisfare esigenze non
temporanee del soggetto attuatore e, al
contempo, ad alterare in modo permanente
l'assetto urbanistico di zona,
indipendentemente dalla natura dei materiali
adoperati (Cons. Stato, sez. V, 20.03.2000,
n. 1507; TAR Campania, sez. IV, 22.02.2003,
n. 1398) (TAR Campania-Napoli, Sez. IV,
sentenza 23.04.2009 n. 2142 -
link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Art. 9, c. 1, lett. b), d.P.R. n.
380/2001 - Parametri edilizi richiesti per
la realizzazione di interventi fuori dal
perimetro dei centri abitati privi di
strumentazione urbanistica - Applicazione
congiunta.
I due parametri edilizi previsti dall’art.
9, 1° comma, lett. b), del d.p.r. 06.06.2001
n. 380 (densità massima fondiaria di 0,03
metri cubi per metro quadro; in caso di
interventi a destinazione produttiva,
rapporto di copertura non superiore ad un
decimo dell’area di proprietà) devono essere
applicati in maniera congiunta agli
interventi di nuova edificazione da
realizzarsi fuori dal perimetro dei centri
abitati privi di strumentazione urbanistica.
L’interpretazione restrittiva della
disposizione in oggetto deriva
dall’applicazione del prioritario canone
dell’interpretazione letterale ad una
previsione legislativa che, utilizzando
l’avverbio comunque nella formulazione della
parte finale della disposizione, sottolinea
con forza il carattere congiuntivo e non
disgiuntivo dei due parametri edilizi (TAR
Puglia-Lecce, Sez. II,
sentenza 23.04.2009 n. 766 - link
a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Autorizzazione ambientale -
Valutazione degli aspetti inerenti la
conformità urbanistica - Insufficienza -
Impatto delle modifiche sugli aspetti
tutelati dal vincolo.
L’autorizzazione ambientale non può
limitarsi a valutare la conformità delle
opere alla normativa urbanistica avendo per
scopo quello (ulteriore) di valutare
l’impatto delle modifiche sugli aspetti
tutelati dal vincolo, impatto che, pur
nell’ambito della tipologia ammessa, può
essere diverso a seconda delle modalità
costruttive, della collocazione, delle
dimensioni, della possibilità di inserimento
nel contesto ambientale (TAR Emilia
Romagna-Bologna, Sez. II,
sentenza 22.04.2009 n. 511 - link
a www.ambientediritto.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Procedimento amministrativo -
Conferenza di servizi - Artt. 14, 14-bis e
14-ter L. n. 241/1990 - Partecipazione
necessaria e partecipazione eventuale.
Ai sensi degli artt. 14, 14-bis e 14-ter
della L. 241 del 1990 e successive modifiche
risulta necessaria la partecipazione alle
Conferenze di servizi soltanto delle
Amministrazioni pubbliche che sarebbero
tenute a rilasciare, nell’ambito del
procedimento, atti di assenso comunque
denominati, se ed in quanto previsti dalla
normativa al riguardo vigente.
Un’eventuale, non obbligatoria,
partecipazione di altri soggetti
istituzionali è rimessa alla discrezionalità
dell’Amministrazione procedente, ma il
mancato esercizio della relativa scelta non
inficia per certo il risultato della
Conferenza (cfr. TAR Liguria, Sez. I,
26.05.2008 n. 1079) (TAR Veneto, Sez. I,
sentenza 09.04.2009 n. 1207 -
link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Art. 167 d.lgs. n. 42/2004 -
Sanzione pecuniaria - Prescrizione
quinquennale - Illecito permanente -
Cessazione della permanenza - Sanatoria
dell’abuso.
La sanzione pecuniaria di cui all’ art. 167
del D.L.gvo n. 42 del 2004 è soggetta alla
prescrizione quinquennale di cui all’art. 28
della legge n. 689/1981 (cfr. Consiglio
Stato, sez. IV, 11.04.2007, n. 1585).
In presenza di un illecito di natura
permanente, come certamente è quello
derivante dalla violazione di norme
paesaggistiche ed ambientali, la permanenza
stessa deve correttamente intendersi cessata
quanto meno a partire dalla data in cui
l’illecito medesimo viene ammesso a
sanatoria (e quindi ex post
legittimato) previa valutazione positiva
della compatibilità dell’opera con l’ambito
vincolato circostante (TAR Umbria, Sez. I,
sentenza 03.04.2009 n. 176 - link
a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
In tema di denuncia inizio
attività quanto al dies a quo va fatto
riferimento a quello in cui la d.i.a. sia
pervenuta allo sportello unico per
l’edilizia e non già a quello in cui essa
denuncia sia stata presentata all’ufficio di
protocollo del Comune.
Alla
D.I.A. non trova applicazione l’art. 10-bis
della 241 sul preavviso di rigetto nei
procedimenti amministrativi ad istanza di
parte.
In tema di denuncia inizio attività quanto
al dies a quo va fatto riferimento a
quello in cui la d.i.a. sia pervenuta allo
sportello unico per l’edilizia (nella specie
il 21.12.2007 prot. n. 22358) e non già a
quello in cui essa denuncia sia stata
presentata all’ufficio di protocollo del
Comune (nella specie, cioè, il 18.12.2007).
I tempi ristretti per eseguire le verifiche
(appunto 30 gg.) giustificano la
individuazione del giorno iniziale in quello
in cui la d.i.a. perviene effettivamente
all’Ufficio deputato a dette verifiche e
cioè allo Sportello Unico per l’Edilizia
(SUE) dotato di un proprio protocollo,
diverso dal protocollo generale del Comune;
la disposizione di cui al 1^ comma art. 23
T.U. dell’Edilizia fa riferimento allo
sportello unico (“…presenta allo
sportello unico la denuncia…”) il che
letteralmente avvalora la conclusione sopra
riferita. Quindi iniziando il conteggio dei
giorni dal 21.12.2007, alcun silenzio
assenso conseguente al decorso dei 30 giorni
si era determinato al 18.01.2008.
La d.i.a. non
dà l’avvio ad un procedimento ad istanza di
parte (il potere dell’Amministrazione non è
di rigetto di istanza procedimentale bensì
inibitorio della realizzazione delle opere
nel termine di trenta giorni dalla
presentazione della denuncia e ciò sulla
base di riscontrata assenza di una o più
delle condizioni previste) sicché alla
medesima denuncia non trova applicazione
l’art. 10-bis della 241 sul preavviso di
rigetto nei procedimenti amministrativi ad
istanza di parte (Tar Milano 5651/2008)
(TAR Puglia-Bari, Sez. III,
sentenza 02.04.2009 n. 763 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Sulla nozione di volume edilizio.
Il volume
edilizio è costituito dalla costruzione di
almeno un piano di base e due superfici
verticali contigue sì da ottenere appunto
una superficie chiusa su un minimo di tre
lati (cfr. Tar Napoli n. 2725/2007; Tar
Piemonte n. 2824 del 12.07.2005; Tar Liguria
n. 943 del 12.12.1989 n. 943)
(TAR Puglia-Bari, Sez. III,
sentenza 02.04.2009 n. 763 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
AGGIORNAMENTO AL 20.07.2009 |
ã |
NEWS |
EDILIZIA PRIVATA:
Lombardia, Approvata la legge lombarda per
il rilancio dell'edilizia (link a
www.territorio.regione.lombardia.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Lombardia, Via libera al testo che valorizza
il patrimonio edilizio e rilancia l'economia
(link a www.consiglio.regione.lombardia.it). |
GURI - GUUE - BURL (e anteprima) |
AMBIENTE-ECOLOGIA: G.U.
18.07.2009 n. 165 "Modifica del decreto
08.04.2008, recante la disciplina dei
centri di raccolta dei rifiuti urbani
raccolti in modo differenziato, come
previsto dall’articolo 183, comma 1, lettera
cc) del decreto legislativo 03.04.2006,
n. 152, e successive modifiche"
(Ministero dell'Ambiente e della Tutela del
Territorio e del Mare,
decreto 13.05.2009). |
EDILIZIA PRIVATA: B.U.R.
Lombardia, 2° suppl. ord. al n. 28 del
17.07.2009, "Azioni straordinarie per lo
sviluppo e la qualificazione del patrimonio
edilizio ed urbanistico della Lombardia" (L.R.
16.07.2009 n. 13 - link a www.infopoint.it). |
ENTI LOCALI: B.U.R.
Lombardia, 1° suppl. ord. al n. 28 del
15.07.2009, "Presidenza - Direzione
Centrale Affari Istituzionali e legislativo
- Struttura Segreteria di Giunta - Nuovo
testo delle norme risultanti dalle modifiche
apportate dalla l.r. 29.06.2009 n. 10" (comunicato
regionale 13.07.2009 n. 94 - link a www.infopoint.it). |
ENTI LOCALI: B.U.R.
Lombardia, 1° suppl. ord. al n. 28 del
15.07.2009, "Testo unico delle leggi
regionali in materia di trasporti" (L.R.
14.07.2009 n. 11 - link a www.infopoint.it). |
ENTI LOCALI: G.U.
14.07.2009 n. 161, suppl. ord. n. 110/L, "Disposizioni
per l’adempimento di obblighi derivanti
dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità
europee - Legge comunitaria 2008" (L.
07.07.2009 n. 88). |
EDILIZIA PRIVATA: G.U.
13.07.2009 n. 160 "Regolamento
concernente la definizione dei criteri e
livelli di qualità cui si adegua
l’insegnamento del restauro, nonché delle
modalità di accreditamento, dei requisiti
minimi organizzativi e di funzionamento dei
soggetti che impartiscono tale insegnamento,
delle modalità della vigilanza sullo
svolgimento delle attività didattiche e
dell’esame finale, del titolo accademico
rilasciato a seguito del superamento di
detto esame, ai sensi dell’articolo 29,
commi 8 e 9, del Codice dei beni culturali e
del paesaggio" (D.M.
26.05.2009 n. 87). |
EDILIZIA PRIVATA: G.U.
13.07.2009 n. 160 "Regolamento
concernente la definizione dei profili di
competenza dei restauratori e degli altri
operatori che svolgono attività
complementari al restauro o altre attività
di conservazione dei beni culturali mobili e
delle superfici decorate di beni
architettonici, ai sensi dell’articolo 29,
comma 7, del decreto legislativo 22.01.2004,
n. 42, recante il codice dei beni culturali
e del paesaggio" (Ministero per i Beni e
le Attività Culturali,
decreto 26.05.2009 n. 86). |
EDILIZIA PRIVATA:
B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 28 del
13.07.2009, "Approvazione del primo
elenco degli enti locali idonei
all'esercizio delle funzioni paesaggistiche
loro attribuite dall'art. 80 della legge
regionale 11.03.2005 n. 12" (decreto
D.G. 03.07.2009 n. 6820 - link a
www.infopoint.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA -
EDILIZIA PRIVATA:
B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 28 del
13.07.2009,
"Pubblicazione ai
sensi dell'art. 5 del regolamento regionale 21.01.2000, n. 1,
dell'elenco dei «Tecnici competenti in acustica ambientale» riconosciuti
dalla Regione Lombardia alla data del 26.06.2009, in attuazione
dell'art. 2, commi 6 e 7 della legge 26.10.1995, n. 447, della
deliberazione 17.05.2006, n. 8/2561 e del decreto 30.05.2006, n.
5985"
(comunicato
regionale 01.07.2009 n. 87
- link a www.infopoint.it). |
ENTI LOCALI:
B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 28 del
13.07.2009, "Direzione Centrale
Programmazione Integrata - Prime indicazioni
agli organi collegiali delle Comunità
montane oggetto di fusione ex art. 23, commi
7-8-9, della l.r. 27.06.2008 n. 19 per la
gestione della fase transitoria" (decreto
D.C. 03.07.2009 n. 6812 -
link a www.infopoint.it). |
LAVORI PUBBLICI:
B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 28 del
13.07.2009, "Determinazioni in merito
alle modalità per il finanziamento degli
oneri di progettazione relativi alla
realizzazione di opere pubbliche da parte
dei Comuni aventi popolazione residente non
superiore a 2000 abitanti, loro Unioni e
Comunità montane se delegate (art. 4, l.r.
5/2009)" (deliberazione
G.R. 30.06.2009 n. 9761 - link a
www.infopoint.it). |
ENTI LOCALI:
B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 28 del
13.07.2009, "Costituzione del fondo per
l'attuazione degli interventi previsti dalla
l.r. 21.03.2000 n. 13 - Piano triennale
degli interventi sul commercio (d.c.r. n.
527/2008) - Modalità per la realizzazione
delle iniziative per lo sviluppo del
commercio nei piccoli Comuni non montani"
(deliberazione
G.R. 30.06.2009 n. 9753 - link a
www.infopoint.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: G.U.
09.07.2009 n. 157 "Elenco delle Zone di
protezione speciale (ZPS) classificate ai
sensi della direttiva 79/409/CEE"
(Ministero dell'Ambiente e della Tutela del
Territorio e del Mare,
decreto 19.06.2009). |
URBANISTICA:
B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 27 del
06.07.2009, "Modalità per il
finanziamento agli enti locali per lo
sviluppo del Data base topografico, a
supporto del Sistema Informativo
Territoriale Integrato - Anno 2009 (art. 3,
l.r. n. 12/2005)" (deliberazione
G.R. 19.06.2009 n. 9664 - link a
www.infopoint.it). |
DOTTRINA E CONTRIBUTI |
APPALTI:
G. Naimo,
Collegamento e controllo societario:
normativa di riferimento, orientamenti
giurisprudenziali e conformità della
normativa interna alla disciplina
comunitaria (link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
P. M. Zerman,
Annullamento dell’aggiudicazione illegittima
ed effettività della tutela giurisdizionale:
la sorte del contratto medio tempore
stipulato (commento alla decisione del
Consiglio di Stato, Sez. V, 19.05.2009 n.
3070) (link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
S. Deliperi,
Lottizzazione abusiva: buona fede, sequestri
preventivi e confisca penale (nota a Trb.
Latina 30.01.2009) (link a
www.lexambiente.it). |
VARI:
P. Fiorio,
L'OGGETTO DELL'AZIONE COLLETTIVA
RISARCITORIA E LA TUTELA DEGLI INTERESSI
COLLETTIVI DEI CONSUMATORI (link
a www.lexambiente.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
F. Piattella,
LA BONIFICA DEI SITI CONTAMINATI E IL D. LGS.
4/2008 (link a
www.lexambiente.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
A. Sialò,
Il danno esistenziale da illecito ambientale
dopo la sentenza della Corte Cassazione
SS.UU. n. 26972/2008 (link a
www.lexambiente.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
V. Paone,
Il regime autorizzatorio del trasporto di
rifiuti propri non pericolosi (nota a Cass.
pen. n. 9465/2009) (link a
www.lexambiente.it).
La sentenza annotata e riportata in calce
all'articolo è reperibile in formato testo
cliccando qui. |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
L. Fanizzi,
Le nozioni di suolo e strati superficiali
del sottosuolo ai fini del disposto di cui
all’art. 103 del TUA (link a
www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
A. Buzzanca,
Conservazione e valorizzazione dei beni
culturali di appartenenza privata: dai
vincoli di destinazione d’uso
all’espropriazione (link a
www.diritto.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
F. Siciliano,
Privacy e Pubblica Amministrazione: diritto
di accesso, trattamento dei dati personali e
informatica (link a
www.altalex.com). |
ENTI LOCALI:
N. Fabiano,
PEC e identità elettronica: concetti
assolutamente diversi (link a
www.altalex.com). |
AUTORITA' CONTRATTI PUBBLICI |
APPALTI:
Problematiche applicative delle
disposizioni in materia di opere a scomputo
degli oneri di urbanizzazione dopo il terzo
decreto correttivo del Codice dei Contratti
(determinazione
16.07.2009 n. 7 - link a
massimario.avlp.it).
... il Consiglio ritiene che:
1.
l'articolo 32, comma 1, lett. g), primo
periodo, del Codice configura una titolarità
"diretta", ex lege, della funzione di
stazione appaltante in capo al privato
titolare del permesso di costruire (ovvero
titolare del piano di lottizzazione o di
altro strumento urbanistico attuativo
contemplante I'esecuzione di opere di
urbanizzazione) che in quanto "altro
soggetto aggiudicatore" è tenuto ad
appaltare le opere di urbanizzazione a terzi
nel rispetto della disciplina prevista dal
Codice e, in qualità di stazione appaltante,
è esclusivo responsabile dell'attività di
progettazione, affidamento e di esecuzione
delle opere di urbanizzazione primarie e
secondarie, ferma restando la vigilanza da
parte dell'amministrazione consistente, tra
l'altro, nell'approvazione del progetto e di
eventuali varianti;
2.
gli eventuali risparmi di spesa rimangono
nella disponibilità della stazione
appaltante privata, così come eventuali
costi aggiuntivi sono a carico dello stesso
privato;
3.
il collaudo, come già affermato nella
determinazione n. 2 del 25.02.2009,
costituisce attività propria della stazione
appaltante e, quindi, del soggetto privato
titolare del permesso di costruire, ferma
restando la funzione di vigilanza da parte
dell'amministrazione che va esplicata
nell'approvazione degli atti di collaudo;
4.
nell'ipotesi in cui, ai sensi dal secondo
periodo dell'art. 32, comma 1, lett. g), del
Codice, la gara sia bandita
dall'amministrazione pubblica, non e
preclusa la partecipazione alla stessa del
privato titolare del premesso di costruire
(o del piano urbanistico attuativo) purché
qualificato ex art. 40 del Codice e purché
non abbia direttamente curato la redazione
della progettazione preliminare;
5.
nell'ipotesi di cui al punto 4, il contratto
d'appalto viene stipulato dal titolare del
premesso di costruire (o del piano
urbanistico attuativo);
6.
l'affidamento delle opere di urbanizzazione
a scomputo di importo inferiore alla soglia
comunitaria, secondo quanto previsto
dall'art. 122, comma 8 del Codice, avviene
mediante la procedura negoziata prevista
dall'art. 57, comma 6, del Codice, sia nel
caso in cui le funzioni di stazione
appaltante siano svolte dal privato, sia nel
caso le stesse siano in capo
all'amministrazione;
7.
il privato, ai fini dell'affidamento della
progettazione, deve rispettare l'art. 91 del
Codice, eccezion fatta per i casi in cui,
non sussistendo né il presupposto
contrattuale né il carattere di onerosità
della prestazione, poiché il valore del
progetto non è compensato con gli oneri di
urbanizzazione in quanto predisposto in un
momento antecedente alla stipula della
convenzione urbanistica, non ricorrono i
principi che impongono la gara;
8.
alle opere di urbanizzazione primaria a
scomputo di importo inferiore alla soglia
comunitaria comprese nelle convenzioni
urbanistiche stipulate prima dell'entrata in
vigore del D.Lgs. 152/2008, si applica la
disciplina previgente;
9.
l'affidamento e l'esecuzione delle opere di
urbanizzazione sono sottoposti alla
vigilanza dell'Autorità;
10.
i dati riguardanti l'affidamento e la
realizzazione delle opere di urbanizzazione
sono compresi nelle comunicazioni
obbligatorie all' Osservatorio dei Contratti
pubblici. |
APPALTI:
Il procedimento di verifica delle offerte
anormalmente basse con particolare
riferimento al criterio del prezzo più basso
(determinazione
16.07.2009 n. 6 - link a
massimario.avlp.it).
... IL
CONSIGLIO:
- Ritiene che, al fine di rispettare i
principi di legittimità, trasparenza e
correttezza, nonché le indicazioni della
giurisprudenza, i documenti di gara debbano
essere predisposti e le verifiche effettuate
nel rispetto delle indicazioni riportate
nelle sopra esposte considerazioni.
- Ritiene ammissibile che le singole fasi
istruttorie della verifica di anomalia siano
svolte in contemporanea; ossia l'esame delle
giustificazioni, a partire dalla migliore
offerta, può essere svolto
contemporaneamente all'avvio dei
sub-procedimenti delle altre offerte, anche
se non ancora concluse le precedenti,
secondo l'ordine progressivo dei ribassi
offerti. |
APPALTI:
LINEE GUIDA PER L'APPLICAZIONE DELL'ART.
48 DEL D. LGS. N. 163/2006 (determinazione
16.07.2009 n. 5 - link a
massimario.avlp.it). |
dossier RIFIUTI E BONIFICHE |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Rifiuti. Abbandono.
In caso di abbandono di rifiuti da
demolizione se i vari materiali costituenti
rifiuti derivanti dalla demolizione di opere
edilizie sono omogeneamente mescolati alla
massa terrosa dei singoli carichi di
autocarro non può ritenersi plausibile un
abbandono distinto dalla diversa attività di
riporto di terra vegetale atteso che, in tal
caso, i rifiuti medesimi e la terra anziché
omogeneamente mescolati sarebbero presenti
in strati (Corte di Cassazione, Sez. III
penale,
sentenza 02.07.2009 n. 26952 -
link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Rifiuti. Raspi e vinacce.
A mente dell’art. 185 D.L.vo 152/2006 non
rientrano nella disciplina della gestione
dei rifiuti le "altre sostanze naturali e
non pericolose utilizzate nell’attività
agricola" (fattispecie relativa a raspi
e vinacce) (Corte di Cassazione, Sez. III
penale,
sentenza 02.07.2009 n. 26951 -
link a www.lexambiente.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Rifiuti. Discarica abusiva e
confisca (comproprietà dell’area).
Quando sia pronunciata condanna per il reato
di realizzazione o gestione di discarica non
autorizzata non è possibile disporre la
confisca dell’area, sulla quale risulta
realizzata la discarica, in caso di
comproprietà dell’area stessa, se non
nell’ipotesi in cui tutti i comproprietari
siano responsabili, quantomeno a titolo di
concorso, del reato (Corte di Cassazione,
Sez. III penale,
sentenza 02.07.2009 n. 26950 -
link a www.lexambiente.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Rifiuti. Discarica abusiva
(natura del reato).
Il reato di realizzazione e gestione di una
discarica in difetto dì autorizzazione, di
cui all’art. 256, comma terzo, del D.Lgs.
03.04.2006 n. 152, ha natura di reato
permanente, in quanto l’attività di
realizzazione di una discarica permane sino
a che prosegue l’attività di predisposizione
e allestimento dell’area adibita allo scopo,
mentre la gestione della discarica permane
sino a quando avviene l’attività di
conferimento e manipolazione dei rifiuti
(Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 02.07.2009 n. 26949 -
link a www.lexambiente.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Rifiuti. Utilizzazione fanghi in
agricoltura.
In materia di fanghi da depurazione d.lgs
99/1992 e 152/2006 rivestono carattere di
norma speciale rispetto al T.U. delle leggi
sanitarie. In tali testi normativi non si
rinviene alcuna competenza comunale sotto
nessun profilo dal momento che la potestà
regolamentare è attribuita alle Regioni che
la esercitano nel rispetto dei criteri di
cui all’art. 6 D.lgs. 99/1992 (TAR
Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 26.05.2009 n. 3848 -
link a www.lexambiente.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Rifiuti, abbandono.
In tema di abbandono di rifiuti, sebbene
l'art. 14, comma 3, del d.lgs. 05.02.1997,
n. 22 (applicabile "ratione temporis")
preveda la corresponsabilità solidale del
proprietario o dei titolari di diritti
personali o reali di godimento sull'area ove
sono stati abusivamente abbandonati o
depositati rifiuti, solo in quanto la
violazione sia agli stessi imputabile a
titolo di dolo o colpa, tale riferimento va
inteso, per le sottese esigenze di tutela
ambientale, in senso lato, comprendendo,
quindi, qualunque soggetto che si trovi con
l'area interessata in un rapporto, anche di
mero fatto, tale da consentirgli -e per ciò
stesso imporgli- di esercitare una funzione
di protezione e custodia finalizzata ad
evitare che l'area medesima possa essere
adibita a discarica abusiva di rifiuti
nocivi per la salvaguardia dell'ambiente;
per altro verso, il requisito della colpa
postulato da tale norma può ben consistere
nell'omissione delle cautele e degli
accorgimenti che l'ordinaria diligenza
suggerisce ai fini di un'efficace custodia
(fattispecie relativa ad ordinanza nei
confronti di un Consorzio di bonifica per
provvedere alla rimozione, all'avvio al
recupero, allo smaltimento ed alla messa in
sicurezza dei rifiuti depositati lungo un
fiume) (Corte di Cassazione, Sez. Unite
civili,
sentenza 25.02.2009 n. 4472 -
link a www.lexambiente.it). |
GIURISPRUDENZA |
APPALTI:
Sui compiti spettanti
all'Autorità di Vigilanza sui Lavori
Pubblici e sulla natura degli atti della
medesima Autorità.
All'Autorità di Vigilanza sui Lavori
Pubblici spetta il compito di assicurare il
corretto esercizio della funzione pubblica
in materia di contratti pubblici, e non già
quello, più specifico, di verificare che
l'attività posta in essere dalle stazioni
appaltanti sia coerente e rispettosa della
disciplina positiva stabilita dal
legislatore: essa è, cioè, titolare di
funzioni irriducibili a quelle di
Amministrazione attiva e di controllo, con
la conseguenza che i suoi atti di vigilanza
sono privi del valore di manifestazione
della volontà, che è proprio degli atti
aventi natura provvedimentale.
Gli atti di vigilanza dell'Autorità di
Vigilanza per i lavori pubblici
costituiscono la manifestazione di opinioni
dotate di indiscutibile autorevolezza, in
ragione della particolare competenza
dell'organo, che possono anche conseguire un
apprezzabile effetto di uniformità e di
chiarezza nell'applicazione della legge, ma
che restano pur sempre pronunciamenti
insuscettibili di vincolare, nello
svolgimento delle procedure concorsuali, le
amministrazioni aggiudicatici, le quali
possono da essi discostarsi, ove li reputino
contra legem o, comunque,
inconferenti (TAR Campania-Napoli, Sez. VIII,
sentenza 08.07.2009 n. 3823 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Gare revocabili solo per esigenze
pubbliche. L’adozione di nuovi criteri di
valutazione delle offerte non giustifica
l'annullamento degli appalti.
La pubblica
amministrazione non può revocare una gara a
procedura aperta in assenza di un interesse
pubblico che giustifichi l’esercizio del
potere di revoca
(TAR Lazio-Roma, Sez. III,
sentenza 03.07.2009 n. 6443 -
link a www.cittadinolex.kataweb.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Posizionamento fabbricato.
Il posizionamento del fabbricato ha notevole
rilevanza poiché dalla sua collocazione in
sito diverso possono tra l’altro derivare
conseguenze in tema di distanze, di rispetto
dei vincoli, di turbamento degli interessi
dei vicini (Corte di Cassazione, Sez. III
penale,
sentenza 01.07.2009 n. 26925 -
link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Persona offesa dal reato (persona
fisica).
Nel caso di abusi edilizi anche la singola
persona fisica può, ricorrendone le
condizioni, essere qualificata come persona
offesa dal reato e titolare del diritto di
costituirsi parte civile per ottenere il
risarcimento del danno o la rimessione in
pristino sicché anche ad essa, quando ne
abbia fatto richiesta nella denunzia, deve
essere inviato l’avviso della richiesta di
archiviazione (Corte di Cassazione, Sez. III
penale,
sentenza 01.07.2009 n. 26918 -
link a www.lexambiente.it). |
URBANISTICA:
Lottizzazione abusiva.
Anche una lottizzazione approvata può,
attraverso modifiche non previste, alterare
e modificare le previsioni urbanistiche. In
definitiva, a prescindere dall’esistenza o
meno dell’autorizzazione, si tratta di
accertare se l’intervento, completamente o
parzialmente abusivo, possa qualificarsi
come un semplice abuso edilizio o piuttosto
una lottizzazione abusiva (Corte di
Cassazione. Sez. III penale,
sentenza 26.06.2009 n. 26586 -
link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Criteri di individuazione delle
pertinenze soggette a permesso di costruire.
La norma per individuare le pertinenze
soggette a permesso di costruire indica due
criteri: uno qualitativo, che si sostanzia
nella possibilità concessa ai Comuni di
restringere ulteriormente l’area delle opere
pertinenziali, realizzabili con la semplice
denuncia di inizio attività, sottoponendo a
permesso di costruire tutti gli interventi
che, in ragione delle caratteristiche delle
aree in cui si intende operare, richiedono
un più penetrante controllo; ed uno
quantitativo, che si concreta nel
considerare comunque nuova costruzione
l’intervento pertinenziale che determina un
aumento del 20% del volume dell’edificio
principale. In questo caso, dunque, il
legislatore presume che un volume superiore
al limite quantitativo prefissato determini
senz’altro un aggravio al carico urbanistico
esistente (Corte di Cassazione, Sez. III
penale,
sentenza 26.06.2009 n. 26573 -
link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Beni Ambientali. Demolizione e
ricostruzione di un muro.
La demolizione e ricostruzione di un muro
non rientra negli interventi di manutenzione
esenti da autorizzazione a norma
dell’articolo 149, lettera a), del decreto
legislativo n. 42 del 2004 (Corte di
Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 26.06.2009 n. 26569 -
link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Opere interne (soppalco).
Le opere interne ed in genere una diversa
ripartizione interna degli ambienti non
richiedono il permesso di costruire, perché
non aumentano il volume del fabbricato o la
sua superficie.
Tuttavia se, all’interno di un vano
preesistente e lungo a sua altezza, si
realizza un piano intermedio orizzontale
(cosiddetto soppalco) non destinato a
finalità esclusivamente estetiche, se cioè,
per le dimensioni e caratteristiche
dell’unità abitativa, si realizza un nuovo
vano effettivamente abitabile, è necessario
il permesso di costruire trattandosi di
intervento potenzialmente idoneo ad incidere
sul carico urbanistico (Corte di Cassazione,
Sez. III penale,
sentenza 26.06.2009 n. 26566 -
link a www.lexambiente.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Violazione obbligo di
comunicazione di avvio del procedimento
amministrativo.
Facendo per la prima volta applicazione
dell'art. 21-octies della legge n. 241 del
1990, le S.U., pronunciandosi in ordine alle
conseguenze derivanti dalla violazione
dell'obbligo di comunicazione dell'avvio del
procedimento ai soggetti nei confronti dei
quali il provvedimento finale è destinato a
produrre effetti ed ai soggetti che per
legge debbono intervenirvi (art. 7 della
stessa legge), hanno distinto a seconda che
il provvedimento finale sia o meno
vincolato.
Per i provvedimenti di natura vincolata,
l'annullabilità è esclusa nel caso di
evidenza della inidoneità dell'intervento
dei soggetti ai quali è riconosciuto un
interesse ad interferire sul loro contenuto;
per quelli di natura non vincolata,
subordinatamente alla prova, da parte
dell'Amministrazione, che il provvedimento
non avrebbe potuto essere diverso anche in
caso di intervento di detti interessa
(fattispecie relativa a ordine di
demolizione di immobili occupanti un’area
demaniale senza titolo) (Corte di
Cassazione, SS.UU. civili,
sentenza 25.06.2009 n. 14878 -
link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Silenzio sull'istanza di
concessione edilizia e normativa regionale.
L’art. 20 dpr 380/2001, che disciplina il
silenzio rifiuto e non il silenzio-assenso,
è una norma regolamentare che non può
prevalere sulla norma regionale (nel caso di
specie l’art. 2 LR. Sicilia n. 17 del
31.05.1994).
Tale norma regionale, nel disciplinare la
procedura per il rilascio delle concessioni
edilizie, prevede al comma 5 che "la
domanda di concessione edilizia si intende
accolta qualora entro centoventi giorni dal
ricevimento dell’istanza, attestato con le
modalità di cui al comma 2, non venga
comunicato all’interessato il provvedimento
motivato di diniego” (Corte di
Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 23.06.2009 n. 26126 -
link a www.lexambiente.it). |
ENTI LOCALI:
Per svolgere le funzioni di
consigliere di amministrazione di un ente
che gestisce una casa di ricovero è
sufficiente possedere quelle doti normali di
ragionevolezza e avvedutezza, proprie del
buon padre di famiglia.
La regola generale fissata dagli art. 50, c.
8, e dell'art. 42, c. 2, lett. m), del d.lvo
n. 267 del 2000 laddove dispongono che le
nomine dei rappresentanti del comune presso
enti da esso vigilati, o comunque ad esso
collegati, vanno effettuate sulla base delle
esperienze culturali e delle competenze
necessarie, non ha un valore assoluto, in
quanto va adattata alla natura delle
funzioni che il designato deve svolgere,
sulla base degli statuti e dei regolamenti
dell'ente cui è destinato.
Lo svolgimento delle funzioni di consigliere
di amministrazione di un ente che gestisce
una casa di ricovero per vecchi inabili al
lavoro non richiede particolari competenze
tecniche o culturali, come sarebbe stato
nell'ipotesi in cui invece il designato
fosse stato chiamato a svolgere funzioni di
concreta gestione dell'istituto. Il
consigliere di amministrazione dell'ente
deve semplicemente possedere quelle doti
normali di ragionevolezza e avvedutezza,
proprie del buon padre di famiglia.
Pertanto, nel caso di specie in cui si
tratta di integrare il consiglio di
amministrazione di un pensionato, è corretta
la scelta del sindaco del comune che non ha
richiesto il curriculum delle persone
designate, in quanto il criterio sulla base
del quale doveva effettuare la nomina era
semplicemente quello di valutare se il
soggetto avesse i requisiti minimi per
svolgere il non gravoso incarico di cui si è
detto. Egli non era tenuto, sia perché non
lo dispone nessuna norma di carattere
generale sia perché non lo esigeva la regola
di opportunità del caso concreto, a svolgere
una sorta di procedura concorsuale tra i due
designati, raffrontando i rispettivi
trascorsi lavorativi (Consiglio di Stato,
Sez. V,
sentenza 19.06.2009 n. 4033 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
La dichiarazione sul rispetto
della disciplina del diritto al lavoro dei
disabili costituisce un dovere dei
partecipanti alle gare indipendentemente
dalla sua specifica menzione nella
disciplina di gara.
La dichiarazione circa il rispetto della
disciplina del diritto al lavoro dei
disabili, prescritta dall'art. 17 della l.
n. 68/1999, costituisce un dovere dei
partecipanti indipendentemente dalla sua
specifica menzione nella disciplina di gara.
Ne consegue che, nel caso di specie, deve
essere escluso l'aggiudicatario del servizio
di refezione nelle scuole materne statali
ricadenti nel territorio del Comune per aver
omesso di presentare la dichiarazione in
materia di lavoro dei disabili (Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 19.06.2009 n. 4028 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI SERVIZI:
Sul divieto previsto dall'art. 13
c. 1, d.l. 04.07.2006 n. 223 e sulla
definizione di attività strumentali.
Il divieto di svolgere attività per soggetti
diversi dall'ente costituente o partecipante
prescritto dall'art. 13 c. 1, d.l.
04.07.2006 n. 223, convertito con
modificazioni nella l. 04.08.2006 n. 248,
non opera nei confronti della società a
capitale pubblico affidataria di servizi
pubblici locali.
Possono definirsi strumentali all'attività
delle amministrazioni pubbliche regionali e
locali, con esclusione dei servizi pubblici
locali, tutti quei beni e servizi erogati da
società a supporto di funzioni
amministrative di natura pubblicistica di
cui resta titolare l'ente di riferimento e
con i quali lo stesso ente provvede al
perseguimento dei suoi fini istituzionali.
Le società strumentali sono, quindi,
strutture costituite per svolgere attività
strumentali rivolte essenzialmente alla
pubblica amministrazione e non al pubblico,
come invece quelle costituite per la
gestione dei servizi pubblici locali che
mirano a soddisfare direttamente ed in via
immediata esigenze generali della
collettività (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 12.06.2009 n. 3766 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
URBANISTICA:
Pianificazione.
Le scelte urbanistiche, che di norma non
comportano la necessità di specifica
giustificazione oltre quella desumibile dai
criteri generali di impostazione del piano o
della sua variante, necessitano di congrua
motivazione quando incidono su aspettative
dei privati particolarmente qualificate,
come quelle ingenerate da impegni già
assunti dall'amministrazione mediante
approvazione di piani attuativi o stipula di
convenzioni. In tali evenienze, la
completezza della motivazione costituisce,
infatti, lo strumento dal quale deve
emergere l'avvenuta comparazione tra il
pubblico interesse cui si finalizza la nuova
scelta e quello del privato, assistito
appunto da una aspettativa giuridicamente
tutelata (TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 28.05.2009 n. 1650 -
link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Beni Ambientali. Valutazione di
incidenza.
La valutazione dell’incidenza sull’ambiente
e sul paesaggio di ogni opera di
urbanizzazione primaria non può essere
limitata esclusivamente all’area su cui
ricade l’intervento ma deve essere
necessariamente riferita al complessivo
contesto ambientale (ivi compreso lo
skyline) entro cui l’opera si inserisce (TAR
Puglia-Bari, Sez. III,
sentenza 28.05.2009 n. 1274 -
link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Elettrosmog. Installazione
impianti e disciplina urbanistica.
L’art. 87 del d.lgs. n. 259/2003 sancisce il
principio dell’unicità del procedimento
(ribadito anche dalla Corte costituzionale),
nel senso di ricomprendervi anche i profili
riguardanti la disciplina edilizia, pertanto
il soggetto che richiede l’autorizzazione ad
installare impianti di telefonia mobile non
è tenuto a dimostrare la conformità alla
normativa e agli strumenti edilizi dei
manufatti sede dell’installazione, ma,
invece, “il rispetto dei limiti di
esposizione, dei valori di attenzione e
degli obiettivi di qualità, relativi alle
emissioni elettromagnetiche…” (comma 3)
e, per quanto concerne l’aspetto
urbanistico-edilizio, (solo) a descrivere la
situazione fisica dei luoghi (TAR Veneto,
Sez. II,
sentenza 27.05.2009 n. 1629 -
link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Impianti eolici e v.i.a..
Deve escludersi che dall’assenza di una
preventiva pianificazione territoriale ed
urbanistica possa farsi discendere un
divieto generale di dare corso
all’approvazione e realizzazione di
progetti, come quello dell’impianto eolico
per cui è causa, relativi ad opere
suscettibili di potenziale impatto
sull’ambiente, ovvero un altrettanto
generale obbligo di sottoporre a procedura
di VIA i progetti stessi: nessuna
indicazione in tal senso si trae, infatti,
dalla normativa statale e regionale di rango
primario (TAR Toscana, Sez. II,
sentenza 25.05.2009 n. 888 - link
a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Valutazione di impatto
ambientale.
Non è corretto il frazionamento del progetto
in singole opere che isolatamente
considerate non sarebbero sottoposte a
valutazione di impatto ambientale, quando
per contro, nella loro interezza ed
unitariamente considerate lo sarebbero.
Infatti la normativa comunitaria mira a
sottoporre alla procedura di valutazione di
impatto ambientale i progetti che possono
avere un riflesso rilevante sull’ambiente.
Alcuni progetti, elencati all’allegato I
della direttiva 85/337/CEE, sono
obbligatoriamente sottoposti a tale
valutazione; altri, elencati nell’allegato
II, tra i quali, come ricordato, vi sono gli
impianti industriali per la produzione di
energia elettrica, vapore e acqua calda con
potenza termica inferiore a 300 MW, sono
soggetti a valutazione solo qualora possano
avere un impatto ambientale importante per
la loro natura, le loro dimensioni o la loro
ubicazione (TAR Veneto, Sez. III,
sentenza 22.05.2009 n. 1539 -
link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Rapporti tra permesso di
costruire e n.o. paesaggistico.
Al di là della ricostruzione dogmatica del
rapporto intercorrente fra nulla osta
paesaggistico e titolo edilizio, ossia se
l’uno costituisca presupposto di legittimità
dell’altro o piuttosto condicio iuris
d’efficacia (la prima opzione sembra in
linea con l’evoluzione della normativa in
materia), è senz’altro consentito che il
comune, competente al rilascio di entrambi
(seppure con riguardo al nulla osta in via
delegata), valuti la compatibilità
dell’intervento richiesto sotto entrambi i
profili. Anzi, il fondamentale principio di
economicità dell’azione amministrativa (art.
1 l. n. 241/1990) non solo sospinge in tale
direzione bensì, con specifico riguardo
all’ambito che condensa disciplina
urbanistica e paesaggistica, impone la
valutazione congiunta (TAR Liguria, Sez. I,
sentenza 22.05.2009 n. 1163 -
link a www.lexambiente.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Rumore. Potere di ordinanza.
L’utilizzo del particolare potere di
ordinanza contingibile ed urgente delineato
dall’art. 9 della Legge 26.10.1995 n. 447
deve ritenersi (“normalmente”)
consentito allorquando gli appositi
accertamenti tecnici effettuati dalle
competenti Agenzie Regionali di Protezione
Ambientale rivelino la presenza di un
fenomeno di inquinamento acustico, tenuto
conto sia che quest’ultimo -ontologicamente
(per esplicita previsione dell’art. 2 della
stessa L. n. 447/1995)- rappresenta una
minaccia per la salute pubblica, sia che la
Legge quadro sull’inquinamento acustico non
configura alcun potere di intervento
amministrativo “ordinario” che
consenta di ottenere il risultato
dell’immediato abbattimento delle emissioni
sonore inquinanti.
In siffatto contesto normativo, l’accertata
presenza di un fenomeno di inquinamento
acustico (pur se non coinvolgente l’intera
collettività) appare sufficiente a
concretare l’eccezionale ed urgente
necessità di intervenire a tutela della
salute pubblica con l’efficace strumento
previsto (soltanto) dall’art. 9 primo comma
della più volte citata Legge n. 447/1995
(TAR Puglia-Lecce, Sez. I,
sentenza 21.05.2009 n. 1186 -
link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Repressione delle infrazioni
edilizie e accertamento di conformità.
Il procedimento
di cui all’art. 36 del citato T.U. rientra
nel novero di quelli ad istanza di parte, e
non può certo trovare impulso d’ufficio,
dovendo, al contrario, il Comune attivare al
cospetto di un abuso i poteri repressivi
attribuitigli dalla legge nell’ottica
dell’attività di vigilanza che deve essere
esercitata dall’Ente locale.
Il proprio potere sanzionatorio relativo
alle infrazioni edilizie ha natura vincolata
e si deve ritenere collegato direttamente al
principio, adesso cristallizzato nell’art.
27 T.U. 380/2001, per cui il Comune, tramite
il competente Dirigente, esercita la
vigilanza sull'attività urbanistico-edilizia
nel territorio comunale per assicurarne la
rispondenza alle norme di legge e di
regolamento, alle prescrizioni degli
strumenti urbanistici ed alle modalità
esecutive fissate nei titoli abilitativi.
I provvedimenti repressivi di abusi edilizi
non devono essere preceduti da comunicazione
di avvio del procedimento amministrativo,
trattandosi di provvedimenti tipici e
vincolati emessi all’esito di un mero
accertamento tecnico della consistenza delle
opere realizzate e del carattere abusivo
delle medesime
(TAR Campania-Napoli, Sez. IV,
sentenza 13.05.2009 n. 2627 -
link a www.altalex.com). |
EDILIZIA PRIVATA:
Vincolo di rispetto cimiteriale.
La salvaguardia dell'area di rispetto
cimiteriale di 200 metri prevista dall'art.
338 T.U. 27.07.1934 n. 1265 si pone alla
stregua di un vincolo assoluto di
inedificabilità che non consente in alcun
modo l'allocazione sia di edifici, che di
opere incompatibili col vincolo medesimo, in
considerazione dei molteplici interessi
pubblici che tale fascia di rispetto intende
tutelare e che possono enuclearsi nelle
esigenze di natura igienico sanitaria, nella
salvaguardia della peculiare sacralità che
connota i luoghi destinati all'inumazione e
alla sepoltura, nel mantenimento di un'area
di possibile espansione della cinta
cimiteriale.
Si consideri ancora che il vincolo di
rispetto cimiteriale riguarda non solo i
centri abitati ma anche i fabbricati sparsi
(cfr. TAR Milano, II Sez., 06.10.1993 n.
551).
Lo stesso vincolo preclude il rilascio della
concessione, anche in sanatoria (ai sensi
dell'art. 33 L. 28.02.1985 n. 47), senza
necessità di compiere valutazioni in ordine
alla concreta compatibilità dell'opera con i
valori tutelati dal vincolo (cfr. Cons.
Stato, sez. V, n. 1871 del 12.11.1999)
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 03.05.2009 n. 1934 -
link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La posa in opera di una modesta
canna fumaria è soggetta solo ad
autorizzazione.
Non può
assolutamente ritenersi sufficientemente
integrato l’obbligo di cui all’art. 3 della
legge 241 del 1990 dalla comunicazione del
parere negativo espresso dalla Commissione
edilizia nel quale si adduce, quale unico
giustificativo: "parere negativo alla
canna fumaria in quanto non pertinente ad
una autorimessa". La motivazione risulta
evidentemente generica e non esaustiva e non
consente di rilevare gli elementi di fatto e
le ragioni giuridiche alla base del diniego
né tanto meno viene svolta alcuna
considerazione in ordine alla compatibilità
o meno con gli strumenti urbanistici.
Si deve rilevare l’evoluzione del quadro
giurisprudenziale che, da una fase in cui
emergeva una certa oscillazione –non
mancando pronunce tanto a favore della
necessità della concessione quanto della
sufficienza dell’autorizzazione– si è giunti
alla definizione di un orientamento
consolidato, quanto meno per le ipotesi di
strutture di piccole dimensioni, che ritiene
sufficiente l’autorizzazione. Ciò con la
conseguenza che, nell’ipotesi di intervento
eseguito in mancanza di quest’ultima,
troverà applicazione il relativo regime
sanzionatorio (dettato dalla legge regionale
n. 61 del 1985) che prevede l’irrogazione
della sola sanzione pecuniaria, atteso che
non ricorrono le ipotesi previste dall’art.
94 per le quali è contemplata la possibilità
dell’applicazione della sanzione demolitoria
(TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 02.04.2009 n. 1127 -
link a www.altalex.com). |
AGGIORNAMENTO AL 13.07.2009 |
ã |
Dopo un breve periodo di riposo, riprendiamo gli
aggiornamenti.
Comunque, a tutti i visitatori del sito Buone Vacanze. |
QUESITI & PARERI |
EDILIZIA PRIVATA:
Quesito in merito al rilascio
dell'autorizzazione paesaggistica.
Lombardia,
la compatibilità del parere della
Soprintendenza su di un "bene culturale"
ex art. 10 D.Lgs. n. 42/2004 (ndr: vincolo
monumentale ex lege 1089/1939) col
parere della Commissione Comunale per il Paesaggio
nell'ambito del rilascio dell'autorizzazione
paesaggistica essendo l'area
paesaggisticamente vincolata ex art. 142 del
D.Lgs. n. 42/2004
(Regione Lombardia, Direzione Generale
Territorio e Urbanistica,
nota 07.07.2009 n.
13806 di prot.). |
EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI:
QUESITI SUL DECRETO LEGISLATIVO 81/2008
(sicurezza sui cantieri).
Al fine di fornire un contributo alla
necessità di approfondimento sulla materia,
il Gruppo di lavoro "Numero Verde" regionale
per la sicurezza del lavoro ha raccolto i
quesiti finora pervenuti nel presente
opuscolo (link a www.regione.piemonte.it). |
LAVORI PUBBLICI:
Intervento di riqualificazione
area antistante stazione ferroviaria.
Il sindaco del Comune (omissis) intende
eseguire un intervento di riqualificazione
in una area antistante la stazione
ferroviaria, di proprietà della società RFI.
La spesa preventivabile è stata stimata in
circa 50.000 euro.
La società proprietaria del terreno, come
controprestazione per l’intervento sulla
propria area, dichiara la disponibilità a
concedere la stessa in comodato, per un
massimo di dieci anni.
La motivazione che giustificherebbe
l’imputazione della spesa in capo al
bilancio del Comune risiede nell’essere
l’Ente una importante località turistica
lacuale e la sistemazione dell’area
consentirebbe ai turisti una migliore
godibilità della stessa (Regione Piemonte,
parere n. 56/2009 - link a
www.regione.piemonte.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Applicabilità art. 9, D.M.
02.04.1968, n. 1444.
Si pongono diversi quesiti in merito
all’applicabilità, o meno, dell’art. 9 del
D.M. 02.04.1968 n. 1444, (e quindi della
disciplina delle distanze tra fabbricati)
nell’ipotesi di pareti finestrate
appartenenti ad un unico edificio (Regione
Piemonte,
parere n. 53/2009 - link a
www.regione.piemonte.it). |
ENTI LOCALI:
Assunzione personale.
La Comunità Montana (omissis) ha in corso
una trattativa per il passaggio di
dipendenti di una società a capitale
interamente pubblico (dipendenti assunti
tutti con contratto di diritto privato) alla
stessa Comunità Montana per effetto del
trasferimento di attività di gestione del
servizio idrico integrato. A tal fine chiede
se sia possibile assumere direttamente tale
personale (Regione Piemonte,
parere n. 19/2009 - link a
www.regione.piemonte.it). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO:
Responsabilità amministratori e
funzionari comunali.
Il Comune (omissis) ha posto il seguente
quesito: “In quale misura il sindaco e la
Giunta o il Consiglio sono corresponsabili
di danni derivanti dall’adozione di atti su
cui è stato espresso un parere favorevole da
parte del funzionario responsabile di
servizio ai sensi della normativa in
oggetto?"
La normativa “in oggetto”, alla quale si
riferiva la richiesta, è l’art. 49 del Testo
unico delle leggi sull’ordinamento degli
enti locali (Regione Piemonte,
parere n. 13/2009 - link a
www.regione.piemonte.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Quesito
10 -
In merito alla necessità o meno del parere
della Commissione Edilizia in materia di
condono edilizio - In merito alla
verbalizzazione come forma necessaria di
tutti gli atti collegiali (Geometra
Orobico n. 2/2009). |
ENTI LOCALI: Quesito
9 -
In merito alla disciplina relativa alla
dismissione del patrimonio immobiliare delle
amministrazioni pubbliche e sulle condizioni
di alienazione meno favorevoli per i
conduttori degli immobili di pregio (Geometra
Orobico n. 2/2009). |
EDILIZIA PRIVATA: Quesito
8 -
In merito alla legittimità
dell'autorizzazione paesaggistica in
sanatoria rilasciata prima dell'entrata in
vigore del Codice dei beni culturali
ambientali (Geometra
Orobico n. 2/2009). |
EDILIZIA PRIVATA: Quesito
7 -
In merito all'obbligo di sorveglianza
sull'esecuzione dei lavori che grava sul
progettista anche in caso di denuncia di
inizio attività (Geometra
Orobico n. 2/2009). |
EDILIZIA PRIVATA: Quesito
6 -
In merito al mutamento di destinazione d'uso
di un immobile che lo renda utilizzabile per
finalità diverse rispetto a quelle originari (Geometra
Orobico n. 2/2009). |
EDILIZIA PRIVATA: Quesito
5 -
In merito a quando è possibile escludere le
nuove superfici ed i nuovi volumi dalla
categoria della nuova costruzione (Geometra
Orobico n. 2/2009). |
EDILIZIA PRIVATA: Quesito
4 -
In merito ai tre obiettivi che in generale
persegue lo strumento urbanistico attuativo:
"a)
assicurare l'ordine e l'euritmia dello
sviluppo urbano, che sostanzialmente avviene
attraverso il tracciamento delle strade;
b)
assicurare l'equa ripartizione degli utili e
degli oneri connessi allo sviluppo urbano,
se lo strumento di secondo grado prescelto è
il piano di lottizzazione;
c)
assicurare la dotazione degli standard, cioè
degli spazi pubblici o destinati alle
attività collettive, nella misura minima
prevista dal DM n. 1444 del 1968 o nella
maggior misura stabilita dallo strumento
urbanistico generale" (Geometra
Orobico n. 2/2009). |
EDILIZIA PRIVATA: Quesito
3 -
In merito ai criteri da osservare per la
riqualificazione degli oneri di
urbanizzazione in seguito ad una variante
essenziale (Geometra
Orobico n. 2/2009). |
EDILIZIA PRIVATA: Quesito
2 -
In merito al fatto che, in sede di
autorizzazione paesaggistica, anche i
provvedimenti positivi devono essere
sostenuti da adeguata motivazione (Geometra
Orobico n. 2/2009). |
EDILIZIA PRIVATA: Quesito
1 -
In merito al mutamento di destinazione d'uso
con opere ed alla necessità del permesso di
costruire per la ristrutturazione edilizia -
In merito alla necessità del permesso di
costruire che non può essere derogata dalla
legislazione regionale (Geometra
Orobico n. 2/2009). |
ATTI AMMINISTRATIVI - URBANISTICA: Quesito
10 -
Sulla
differenza tra atto amministrativo nullo ed
annullabile - Sulla
sufficienza o meno della maggioranza
assoluta del valore degli immobili per
costituire un consorzio ai fini della
presentazione al Comune di una proposta di
piano di lottizzazione
-
Sulla
decorrenza dei termini di impugnazione di un
piano di lottizzazione (Geometra Orobico n.
1/2009). |
EDILIZIA PRIVATA: Quesito
9 -
Sulla differenza tra i balconi aggettanti
che sporgono dalla facciata dell'edificio e
le terrazze a livello incassate nel corpo
dell'edificio, ai fini della determinazione
del volume assentibile (Geometra
Orobico n. 1/2009). |
EDILIZIA PRIVATA: Quesito
8 -
Sui criteri per l'applicabilità degli oneri
di urbanizzazione agli atti autorizzatori in
sanatoria dei mutamenti d'uso senza opere,
mutamenti c.d. "funzionali"
(Geometra Orobico n. 1/2009). |
EDILIZIA PRIVATA: Quesito
7 -
Sul cambio di destinazione d'uso effettuato
con lo spostamento di porte e finestre
esterne nonché con tramezzatura interna e
sulla necessità o meno di ravvisare un
mutamento urbanistico-edilizio del
territorio (Geometra Orobico n.
1/2009). |
URBANISTICA: Quesito
6 -
Sulla
legittimità o meno della convenzione che
antepone l'autorizzazione delle opere di
urbanizzazione primaria al rilascio del
permesso di costruire per gli interventi
edilizi contemplati nel piano di
lottizzazione
- Sulle
clausole vessatorie e sulla stipula
dell'atto convenzionale nella forma
pubblico-amministrativa (Geometra Orobico n.
1/2009). |
EDILIZIA PRIVATA: Quesito
5 -
Sul condono edilizio delle opere realizzate
in difetto del prescritto titolo abilitativo
in zone sottoposte a vincolo
(Geometra Orobico n. 1/2009). |
EDILIZIA PRIVATA: Quesito
4 -
Nel valutare la domanda di condono
l'Amministrazione preposta alla tutela del
vincolo non ha nessun obbligo di porre in
essere prescrizioni per rendere l'abuso
esteticamente compatibile con la zona
(Geometra Orobico n. 1/2009). |
EDILIZIA PRIVATA: Quesito
3 -
Sull'onere della prova in ordine all'epoca
di realizzazione dell'opera abusiva
(Geometra Orobico n. 1/2009). |
EDILIZIA PRIVATA: Quesito
2 -
Sulla legittimità o meno del provvedimento
di archiviazione dell'istanza di condono
edilizio nel caso in cui le opere oggetto
dell'istanza siano state, medio tempore,
distrutte da un incendio
(Geometra Orobico n. 1/2009). |
EDILIZIA PRIVATA: Quesito
1 -
Sul carattere stagionale di strutture
posizionate sul territorio e sulla necessità
o meno del permesso di costruire
(Geometra Orobico n. 1/2009). |
UTILITA' |
LAVORI PUBBLICI:
Linee Guida Operative per la realizzazione
di impianti di Pubblica Illuminazione
(link a www.cesiricerca.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
certificazione energetica degli edifici: gli
obblighi, le scadenze, i benefici
(link a
http://adiconsum.inforing.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Bollo limitato al "caso d'uso"
per gli allegati delle relazioni a strutture
ultimate.
Le relazioni a strutture ultimate (art. 65,
comma 6, D.P.R. n. 380 del 2001, ex art. 6,
L. n. 1086 del 05.11.1971) sono soggette
all'imposta di bollo nella misura di 14,62
euro per ogni foglio; gli atti e i documenti
allegati alle stesse sono soggetti
all'imposta in "caso d'uso", nella misura di
1 euro per ogni foglio (Agenzia delle
Entrate,
risoluzione
29.05.2009 n. 139/E). |
LAVORI PUBBLICI:
Imposta di bollo e documentazione
di progetto e d’appalto: il punto su
decorrenza, importi e atti soggetti.
Il Decreto del Ministero dell’Economia e
delle Finanze 24.05.2005 ha aggiornato gli
importi fissi dell’imposta di bollo, in
attuazione dell’art. 1, comma 300, legge
311/2004 (legge finanziaria 2005), con
effetto dal 1° giugno 2005.
Tale provvedimento, tra l’altro, ha infatti
previsto (all’art. 1):
- aumento dell’importo dell’imposta in
misura fissa da 11 euro a 14,62 euro;
- aumento del valore dell’imposta stabilito
dall’art.28 della Tariffa allegata al D.P.R.
642/1972, per quanto riguarda i disegni,
modelli, calcoli etc, da 0,31 euro a 0,52
euro.
L’Agenzia delle Entrate, con la
circolare n. 11/E del
03.04.2006, ha fornito chiarimenti
sulla decorrenza dell’aumento dell’imposta
di bollo e degli importi fissi dell’imposta
di registro, imposte ipotecaria e catastale.
L’Agenzia, con la citata Circolare, conferma
che la modifica normativa ha efficacia:
- quando l’imposta è dovuta sin
dall’origine, per tutti gli atti posti in
essere a partire dal 1° giugno 2005;
- quando l’imposta è dovuta in caso d’uso,
la modifica ha effetto qualora l’‘‘uso’‘‘
(ossia la presentazione degli atti per la
registrazione) si verifica a partire dal 1°
giugno 2005, indipendentemente dalla data in
cui gli atti stessi sono formati.
Gli aumenti predetti riguardano anche
atti, contratti ed elaborati progettuali
relativi ad appalti di opere pubbliche.
A tal proposito ricordiamo che l’Agenzia
delle Entrate, con la
risoluzione n. 97/E del 27.03.2002 ha
specificatamente approfondito l’argomento
dei bolli da apporre sugli elaborati
progettuali, meglio chiarendo per quali di
essi è previsto l’obbligo ed in che misura.
In base ai chiarimenti forniti con la citata
Risoluzione, risultano soggetti all’imposta
di bollo nella misura di € 14,62 per ogni
foglio (4 facciate) i seguenti atti:
- capitolato speciale;
- elenco dei prezzi unitari;
- cronoprogramma;
- capitolato generale (se allegato al
contratto);
- processo verbale di consegna;
- verbale di sospensione e di ripresa
lavori;
- certificato e verbale di ultimazione dei
lavori;
- determinazione ed approvazione dei nuovi
prezzi non contemplati nel contratto;
- verbale di constatazione delle misure;
- certificato di collaudo;
- certificato di regolare esecuzione.
Sono soggetti all’imposta di bollo nella
misura di € 0,52 per foglio “in caso d’uso”:
- elaborati grafici progettuali;
- piani di sicurezza, previsti dall’art.31
della Legge 109/1994;
- disegni, computi metrici, relazioni
tecniche, planimetrie.
Sono invece soggetti all’imposta di
bollo nella misura di € 14,62 per ogni
esemplare, 100 pagine o frazione, “in caso
d’uso”:
- giornale dei lavori;
- libretto delle misure;
- lista settimanale;
- registro di contabilità;
- sommario del registro di contabilità;
- stato di avanzamento;
- certificato per il pagamento di rate;
- conto finale dei lavori e relativa
relazione.
La circolare 11/E/2006 contiene anche
alcuni chiarimenti in merito agli importi
delle imposte di bollo e tasse di
concessione, tra cui quelli delle imposte di
registro, ipotecaria e catastale, introdotti
dal D.L. n. 7 del 31.01.2005.
Tale provvedimento, tra l’altro, aveva
disposto la variazione degli importi fissi
dell'imposta ipotecaria, dell'imposta di
bollo, delle tasse ipotecarie e dei tributi
speciali catastali (testo tratto da
www.acca.it). |
GURI - GUUE - BURL (e anteprima) |
EDILIZIA PRIVATA: G.U.
10.07.2009 n. 158 "Linee guida nazionali
per la certificazione energetica degli
edifici" (D.M.
26.06.2009). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: G.U.
02.07.20009 n. 151 "Modalità di
finanziamento della gestione dei rifiuti di
apparecchiature di illuminazione da parte
dei produttori delle stesse" (Ministero
dell'Ambiente e della Tutela del territorio
e del Mare,
decreto
12.05.2009). |
ENTI LOCALI: G.U.
01.07.2009 n. 150 "Regolamento
concernente disposizioni in materia di
anagrafe e stato civile"
(D.P.R. 05.05.2009 n.
79). |
ENTI LOCALI - EDILIZIA PRIVATA: G.U.
01.07.2009 n. 150 "Provvedimenti
anticrisi, nonché proroga di termini e della
partecipazione italiana a missioni
internazionali"
(D.L. 01.07.2009 n. 78). |
ENTI LOCALI: B.U.R.
Lombardia, 3° supp. straord. al n. 26
dell'01.07.2009, "Costituzione della
Comunità montana ... ai sensi della legge
regionale 27.06.2008 n. 19"
(decreti
P.R.G. 26.06.2009 da n. 6479 a n. 6503
- link a www.infopoint.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: B.U.R.
Lombardia, 2° suppl. ord. al n. 26 del
30.06.2009, "Disposizioni in materia di
ambiente e servizi di interesse economico
generale - Collegato ordinamentale"
(L.R.
29.06.2009 n. 10 -link a www.infopoint.it). |
ENTI LOCALI - URBANISTICA: B.U.R.
Lombardia, 1° suppl. ord. al n. 26 del
30.06.2009, "Modifica a leggi regionali e
altre disposizioni in materia di attività
commerciali"
(L.R.
29.06.2009 n. 9 - link a www.infopoint.it). |
EDILIZIA PRIVATA: B.U.R.
Lombardia, serie ordinaria n. 26 del
29.06.2009, "Nuove determinazioni in
ordine alla modulistica relativa
all'attività agrituristica ai sensi della
l.r. 31/2008 e del relativo regolamento di
attuazione"
(decreto
D.U.O. 11.06.2009 n. 5801 - link a www.infopoint.it). |
EDILIZIA PRIVATA: B.U.R.
Lombardia, 4° suppl. straord. al n. 25 del
26.06.2009, "Aggiornamento della
procedura di calcolo per la certificazione
energetica degli edifici"
(decreto
D.G. 11.06.2009 n. 5796 - link a www.infopoint.it). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: G.U.
05.03.2009 n. 53 "Delega al Governo
finalizzata all’ottimizzazione della
produttività del lavoro pubblico e alla
efficienza e trasparenza delle pubbliche
amministrazioni nonché disposizioni
integrative delle funzioni attribuite al
Consiglio nazionale dell’economia e del
lavoro e alla Corte dei conti"
(L. 04.03.2009 n. 15). |
EDILIZIA PRIVATA:
G.U. 08.01.2002 n. 6 "Regolamento di
semplificazione del procedimento per la
denuncia di installazioni e dispositivi di
protezione contro le scariche atmosferiche,
di dispositivi di messa a terra di impianti
elettrici e di impianti elettrici pericolosi"
(D.P.R. 22.10.2001 n.
462). |
NEWS |
URBANISTICA:
Lombardia, Bando di finanziamento per la
produzione di Data base topografici.
A seguito della delibera VIII/9664 del
19.06.2009 con cui sono state definite i
criteri per la concessione di finanziamenti
agli enti locali per lo sviluppo del Data
base topografico (DBT), con decreto n. 6973
dell’08.07.2009, il Dirigente dell’Unità
Organizzativa Infrastruttura per
l’Informazione Territoriale della DG
Territorio e Urbanistica ha approvato il
bando di finanziamento 2009 per la
“Produzione di basi cartografiche attraverso
Data base topografici” ai sensi della legge
di governo del territorio (link a
www.territorio.regione.lombardia.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Lombardia, Enti locali idonei all'esercizio
delle funzioni paesaggistiche.
E’ stato approvato con Decreto del Direttore
Generale n. 6820 del 03.07.2009 il primo
elenco degli Enti Locali che, soddisfacendo
i requisiti stabiliti dall’art. 146, comma
6, del Decreto Legislativo n. 42/2004, sono
ritenuti idonei all’esercizio delle funzioni
paesaggistiche loro attribuite dall’art. 80
della legge regionale n. 12/2005 (link a
www.territorio.regione.lombardia.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Prorogati i termini per le procedure
paesaggistiche.
Il Consiglio dei Ministri, con Decreto
Legge approvato nella seduta del 26.06.2009
(ndr: art. 23, comma 6, D.L. 01.07.2009 n.
78),
ha disposto la proroga al 31.12.2009 dei
termini, stabiliti dall’art. 159 del D. Lgs. 42/2004 e successive modifiche ed
integrazioni, per:
- l’entrata in vigore delle nuove procedure
per il rilascio delle autorizzazioni
paesaggistiche (di cui all’art. 146 del D.
Lgs. 42/2004 e s.m.i.);
- la verifica della sussistenza, nei
soggetti delegati all’esercizio delle
funzioni paesaggistiche, dei requisiti di
organizzazione e competenza
tecnico-scientifica (link a
www.territorio.regione.lombardia.it). |
URBANISTICA:
Aree pubbliche. L'iniziativa privata può fa
venir meno l'inedificabilità Il concetto è
parametro di riferimento per l'applicazione
o meno della "valutazione automatica" del
terreno.
Le aree destinate ad impianti e attrezzature
di interesse generale (ad esempio, verde
pubblico, impianti sportivi attrezzati,
ecc.), di regola non edificabili, possono
diventarlo se non sono finalizzate a un uso
esclusivamente pubblicistico e sia prevista
la possibilità di interventi ad opera di
privati.
Questa interpretazione del concetto di
edificabilità può essere assunta a parametro
per la corretta applicazione del cosiddetto
"criterio di valutazione automatica",
relativo all'imposta sulle successioni e
donazioni (articolo 34, comma 5, decreto
legislativo 346/1990). In base a questo
principio, il valore degli immobili non è
sottoposto a rettifica se la rendita
catastale dichiarata non è inferiore, per i
terreni, a settantacinque volte il reddito
dominicale risultante in catasto e, per i
fabbricati, a cento volte il reddito
risultante al catasto. Il beneficio è
escluso nel caso in cui gli strumenti
urbanistici prevedono la destinazione
edificatoria dell'area.
L'agenzia delle Entrate, con la risoluzione
n. 170/E del 03.07..2009 ha fornito il
parere in merito all'applicabilità o meno,
in sede di successione, della "valutazione
automatica" ad alcune zone destinate a
impianti e attrezzature pubbliche. In
considerazione del fatto che la norma
esclude il beneficio nel caso in cui l'area
sia fabbricabile, la consulenza giuridica
fornita dall'amministrazione si basa
sull'individuazione della natura
edificatoria o meno del terreno (link a
www.nuovofiscooggi.it). |
URBANISTICA:
Disponibile on-line il Rapporto 2008 sulla
pianificazione in Lombardia.
Il “Rapporto 2008 sullo stato della
pianificazione in Lombardia", frutto
dell’attività dell’Osservatorio Permanente
della Programmazione Territoriale, è stato
assunto dalla Giunta Regionale, con la preso
d’atto della Comunicazione del Presidente
Formigoni, di concerto con l’assessore Boni,
con la DGR n. 9622/2009.
L’Osservatorio Permanente della
Programmazione Territoriale è stato
costituito, in attuazione dell’articolo 5
della l.r. 12/2005 e successive modifiche,
presso l’Assessorato Territorio e
Urbanistica.
A gennaio 2009 sono state definite le
modalità operative di funzionamento
del’Osservatorio e avviate ufficialmente le
relative attività (decreto del Direttore
Generale Direzione Generale Territorio e
Urbanistica n. 321/2009).
L’Osservatorio redige annualmente, a
conclusione della propria attività, una
Relazione che fornisce dati e elementi di
conoscenza delle dinamiche territoriali e di
valutazione degli effetti derivanti
dall’attuazione dei nuovi strumenti di
pianificazione. Il Rapporto rappresenta
pertanto un utile strumento di conoscenza
delle dinamiche territoriali in Lombardia
per l’orientamento delle politiche regionali
sul territorio, con l’obiettivo di favorirne
l’efficacia e rispondere all’esigenza di
realizzare uno sviluppo equilibrato e
sostenibile (link a
www.territorio.regione.lombardia.it). |
LAVORI PUBBLICI:
CONSORZI STABILI - DAL 1° LUGLIO 2009 NEGLI
APPALTI SOTTO 1.000.000 DI EURO, DIVIETO DI
PARTECIPAZIONE CONGIUNTA LIMITATO AI SOLI
CONSORZIATI INDICATI QUALI ESECUTORI
(link a www.ancebrescia.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
ATTESTATO DI CERTIFICAZIONE ENERGETICA DEGLI
EDIFICI IN LOMBARDIA - ESTENSIONE
DELL’OBBLIGO ANCHE PER LE COMPRAVENDITE
DELLE SINGOLE UNITA’ IMMOBILIARI DAL 1°
LUGLIO 2009 (link a
www.ancebrescia.it). |
LAVORI PUBBLICI:
Opere di urbanizzazione al
Comune.
Passaggio agevolato, da convenzione. La
cessione può fruire del Registro in misura
fissa e dell'esenzione dalle imposte
ipotecaria e catastale.
Registro in misura fissa ed esenzione dalle
imposte ipotecaria e catastale per l'atto di
cessione con il quale la società
costruttrice trasferisce al Comune le opere
di urbanizzazione realizzate, a scomputo
degli oneri di urbanizzazione di propria
competenza, se l'adempimento avviene a
seguito di una convenzione attuativa di un
piano urbanistico (Agenzia delle Entrate,
risoluzione 22.06.2009 n. 166/E -
link a www.nuovofiscooggi.it). |
ENTI LOCALI - VARI:
Nuove regole tecniche per la firma digitale.
Entro la fine dell’anno entrano in vigore le
nuove regole tecniche in materia di firma
digitale.
La firma digitale è il risultato di una
procedura informatica che garantisce
autenticità e integrità di messaggi e
documenti scambiati e archiviati con mezzi
informatici, al pari di quanto svolto dalla
firma autografa per i documenti
tradizionali.
A partire dalle definizioni del Codice
dell'amministrazione digitale vengono
rideterminati, tra gli altri, gli algoritmi
usati, i requisiti dei certificatori, gli
obblighi degli utenti, i formati di firma e
la semantica dei certificati (link a www.governo.it). |
DOTTRINA E CONTRIBUTI |
APPALTI:
NO ALL’ESCLUSIONE AUTOMATICA PER LE SOCIETÀ
CONTROLLATE (link a
www.mediagraphic.it). |
LAVORI PUBBLICI: L.
Bellagamba,
La valutazione delle offerte anomale nei
lavori pubblici e la simulazione di due casi
concreti: opere edili e opere stradali -
Dopo il terzo decreto correttivo al codice e
in attesa del regolamento attuativo
(link a www.linobellagamba.it). |
APPALTI:
G. Lentini,
L’inosservanza dei termini procedimentali da
parte della pubblica amministrazione nella
legge 69/2009 di modifica della legge
241/1990. Breve esame e considerazioni alla
luce della proposta di decreto legislativo
di attuazione della legge 15/2009
(link a www.diritto.it). |
APPALTI:
A. Gurrieri,
Differimento e divieto di divulgazione nelle
procedure di gara: l’art. 13 commi 2-4 del
D. Lgs. 163/2006 (link a
www.diritto.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
C. Rapicavoli,
Nuovo CCNL del comparto regioni e autonomie
locali - biennio economico 2008-2009 -
incremento risorse contrattazione decentrata
(link a www.diritto.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
P. Del Guerra,
Il medico di fronte al mobbing
(link a www.diritto.it). |
ENTI LOCALI:
G. Nicoletti,
Prime note sulle novità del decreto legge n.
79/2009 (anticrisi) (link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
URBANISTICA:
L. Spallino,
La gestione del territorio in Regione
Lombardia sino ai P.G.T.: le novità della
legge regionale n. 5 del 2009
(link a www.studiospallino.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Le n.t.a. degli strumenti urbanistici hanno
natura regolamentare e vanno impugnate
insieme con l'atto applicativo?
Con la decisione n. 4056 del 2009, in
materia di impianti di telefonia cellulare,
il Consiglio di Stato afferma che le n.t.a.
degli strumenti urbanistici hanno natura
regolamentare e che esse vanno impugnate
unitamente all'atto applicativo (per
esempio, il rilascio o il diniego di un
titolo abilitativo) (link a http://venetoius.myblog.it). |
APPALTI FORNITURE:
La "gestione calore" (alias "servizio
energia") è un appalto di fornitura e non di
servizi .
Con il decreto del Presidente della
Repubblica datato 18.05.2009 è stato accolto
un ricorso straordinario, sulla base del
parere del Consiglio di Stato, sezione
prima, n. 1318/2008, espresso nell'adunanza
del 29.10.2008. Il Consiglio di Stato ha
affermato che il c.d. "servizio energia",
noto anche come "gestione calore",
consistente nella fornitura, da parte di un
soggetto terzo, dell'energia elettrica e
termica, è un appalto di fornitura e non di
servizi e, come tale, è soggetto alle
disposizioni sulla evidenza pubblica di cui
al D. Lgs n. 163 del 2006 (link a http://venetoius.myblog.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
M. Bassanese,
"Ultimazione delle opere" nel condono
edilizio e "ultimazione dei lavori" nel t.u.
edilizia: nomi simili per concetti
differenti (sulla nozione di
ultimazione delle opere ai fini della
disciplina del condono edilizio e su quella
di ultimazione dei lavori, ai fini dell'art.
15 del D.P.R. 380/2001) (link a http://venetoius.myblog.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
R. Ravicapoli,
LEGGE 18.06.2009 N. 69 - MODIFICHE ALLA
LEGGE N. 241/1990 - DISPOSIZIONI RELATIVE
ALLA SEMPLIFICAZIONE E ALLA TRASPARENZA
DELL'AZIONE AMMINISTRATIVA - INDICAZIONI
OPERATIVE (link a
www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
C. Rapicavoli,
PROROGA TERMINI AUTORIZZAZIONE PAESAGGISTICA
(link a www.lexambiente.it). |
APPALTI:
S. Cresta,
La semplificazione introdotta dalla L.
69/2009 sull’affidamento dei "piccoli
appalti" (link a
www.altalex.com). |
ENTI LOCALI:
M. A. Senor,
I sistemi di videosorveglianza in luoghi
pubblici o aperti al pubblico
(link a www.altalex.com). |
EDILIZIA PRIVATA:
A. Berto,
La ristrutturazione edilizia "vincolata"
(link a www.altalex.com). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
M. Medugno,
ANCORA SULL’EXPORT RIFIUTI (link
a www.tuttoambiente.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
M. Medugno,
RACCOLTA DIFFERENZIATA ALL’EUROPEA
(link a www.tuttoambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La certificazione energetica degli edifici
dal 1° luglio 2009 (studio
16.06.2009 n. 334-2009/C - link a
www.notariato.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
W. Fumagalli,
Ristrutturazione edilizia in Lombardia: un
pasticcio (AL
n. 6/2009). |
EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA:
W. Fumagalli,
Le nuove
norme sul Governo del Territorio (AL
n. 5/2009). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
W. Fumagalli,
Risarcimento danni provocati da atti
amministrativi illegittimi (AL n.
4/2009). |
AUTORITA' CONTRATTI PUBBLICI |
EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA:
Problematiche applicative delle disposizioni
in materia di opere a scomputo degli oneri
di urbanizzazione dopo il terzo decreto
correttivo del Codice dei Contratti (documento
base del 30.04.2009 - link a
www.urbanisticatoscana.it). |
CORTE DEI CONTI |
PUBBLICO IMPIEGO:
Parere richiesto dal Sindaco del Comune di
Grumo Nevano (Na) in ordine
al conferimento di incarico di Responsabile
del Settore Vigilanza a professionista
esterno, ai sensi dell'art. 110, commi 1 e 2
del D. L.vo 18.08.2000, n. 267
(Corte
dei Conti, Sez. regionale di controllo
Campania,
parere 15.06.2009 n. 28
- link a www.corteconti.it).
L’art. 3, commi da 54 a 57, della legge
24.12.2007 n. 244 ha dettato regole alle
quali gli enti locali debbono conformarsi
per l’affidamento di incarichi di
collaborazione, di studio o di ricerca,
ovvero di consulenze, a soggetti estranei
all’amministrazione, e ha previsto la
necessaria emanazione, da parte di ciascun
ente territoriale, di apposite norme
regolamentari ex art. 89 del decreto
legislativo 18.08.2000, n. 267. Va
peraltro considerato che, successivamente
all’adozione da parte di molte
amministrazioni locali delle norme
regolamentari de quibus e nelle more dello
svolgimento del relativo procedimento di
controllo di cui al comma 57 dell’art. 3
della citata legge n. 244/2007, è
intervenuto il decreto legge 25.06.2008,
n. 112, conv. in legge 06.08.2008, n.
133, recante, tra l’altro, all’art. 46,
modifiche ed integrazioni alle disposizioni
in materia di affidamento di incarichi
“esterni” da parte delle pubbliche
amministrazioni. Recita così l’art. 46
(Riduzione delle collaborazioni e consulenze
nella pubblica amministrazione): 1. Il comma
6 dell'articolo 7 del decreto legislativo 30.03.2001, n. 165, come modificato dal
decreto-legge 04.07.2006, n. 233,
convertito, con modificazioni, dalla legge 04.08.2006, n. 248, e da ultimo
dall'articolo 3, comma 76, della legge 24.12.2007, n. 244, e' così sostituito:
«6. Per esigenze cui non possono far fronte
con personale in servizio, le
amministrazioni pubbliche possono conferire
incarichi individuali, con contratti di
lavoro autonomo, di natura occasionale o
coordinata e continuativa, ad esperti di
particolare e comprovata specializzazione
anche universitaria, in presenza dei
seguenti presupposti di legittimità; a)
l'oggetto della prestazione deve
corrispondere alle competenze attribuite
dall'ordinamento all'amministrazione
conferente, ad obiettivi e progetti
specifici e determinati e deve risultare
coerente con le esigenze di funzionalità
dell'amministrazione conferente; b)
l'amministrazione deve avere preliminarmente
accertato l'impossibilità oggettiva di
utilizzare le risorse umane disponibili al
suo interno; c) la prestazione deve essere
di natura temporanea e altamente
qualificata; d) devono essere
preventivamente determinati durata, luogo,
oggetto e compenso della collaborazione. Si
prescinde dal requisito della comprovata
specializzazione universitaria in caso di
stipulazione di contratti d'opera per
attività che debbano essere svolte da
professionisti iscritti in ordini o albi o
con soggetti che operino nel campo
dell'arte, dello spettacolo o dei mestieri
artigianali, ferma restando la necessità di
accertare la maturata esperienza nel
settore. Il ricorso a contratti di
collaborazione coordinata e continuativa per
lo svolgimento di funzioni ordinarie o
l'utilizzo dei collaboratori come lavoratori
subordinati e' causa di responsabilità
amministrativa per il dirigente che ha
stipulato i contratti. Il secondo periodo
dell'articolo 1, comma 9, del decreto-legge
12.07.2004, n. 168, convertito, con
modificazioni, dalla legge 30.07.2004,
n. 191, e' soppresso.». 2. L'articolo 3,
comma 55, della legge 24.12.2007, n.
244 e' così sostituito: «Gli enti locali
possono stipulare contratti di
collaborazione autonoma, indipendentemente
dall'oggetto della prestazione, solo con
riferimento alle attività istituzionali
stabilite dalla legge o previste nel
programma approvato dal Consiglio ai sensi
dell'articolo 42, comma 2, del decreto
legislativo 18.08.2000, n. 267». 3.
L'articolo 3, comma 56, della legge 24.12.2007, n. 244 e' così sostituito:
«Con il regolamento di cui all'articolo 89
del decreto legislativo 18.08.2000, n.
267, sono fissati, in conformità a quanto
stabilito dalle disposizioni vigenti, i
limiti, i criteri e le modalità per
l'affidamento di incarichi di collaborazione
autonoma, che si applicano a tutte le
tipologie di prestazioni. La violazione
delle disposizioni regolamentari richiamate
costituisce illecito disciplinare e
determina responsabilità erariale. Il limite
massimo della spesa annua per incarichi di
collaborazione e' fissato nel bilancio
preventivo degli enti territoriali.».
Appare evidente che l’intervento del
legislatore, concludendo un percorso già
intrapreso sin dal decreto legislativo 29/1993
ed accogliendo anche concetti già elaborati
dalla giurisprudenza amministrativa e
contabile, ha sottolineato l’esigenza del
contenimento degli oneri di spesa e della
individuazione di funzioni da potersi
legittimamente affidare all’esterno.
Dal punto di vista oggettivo, in primis, è
essenziale che si tratti di esigenze
istituzionali specifiche, definite e
temporanee, cui le pubbliche amministrazioni
non possano far fronte “con personale in
servizio”. Sussiste, infatti, l’obbligo da
parte dell’amministrazione, da un lato,
della razionale organizzazione del personale
nell’ambito dell’ufficio, dall’altro di
accertare l’impossibilità oggettiva di
utilizzare le risorse umane disponibili al
suo interno. Inoltre, la norma chiarisce che
i destinatari dell’incarico individuale con
contratti di lavoro autonomo possono essere
soltanto “esperti di particolare e
comprovata specializzazione anche
universitaria”, potendosi prescindere dal
requisito della specializzazione
universitaria nell’ipotesi di attività che
debbano essere svolte da professionisti
iscritti in ordini o albi o con soggetti che
operino nel campo dell’arte, dello
spettacolo o dei mestieri artigianali, fermo
restando comunque anche in questi casi
l’obbligo di accertare il requisito
essenziale della maturata esperienza nel
peculiare settore di riferimento. Infine,
devono essere preventivamente determinati
durata, luogo, oggetto e compenso della
collaborazione richiesta, la quale deve in
ogni caso consistere in una prestazione
altamente qualificata, oltre che rispondente
alle esigenze di funzionalità dell’ente.
Alla luce di quanto esposto, si deve
concludere che l’art. 46 del d.l. n.
112/2008, poi legge 133/2008, nel modificare
l’art. 7, comma 6, del decreto legislativo
165/2001, ha puntualizzato che il ricorso a
contratti di collaborazione coordinata e
continuativa che richiedono una comprovata
specializzazione è legittimamente ammesso
per lo svolgimento di funzioni extra–ordinarie, laddove, viceversa, il ricorso ai
predetti contratti per lo svolgimento di
funzioni ordinarie è causa di responsabilità
amministrativa per il dirigente che abbia
stipulato i contratti medesimi.
Per quanto concerne gli enti locali,
l’evocato art. 46, nel novellare l’art. 3,
commi 55 e 56 della legge finanziaria per il
2008, precisa che l’affidamento degli
incarichi di collaborazione autonoma è
comunque subordinato, sempre
indipendentemente dall’oggetto della
prestazione, all’esercizio di “attività
istituzionali” stabilite dalla legge o
previste nel programma approvato dal
Consiglio dell’ente locale, ai sensi
dell’art. 42, comma 2, del D. L.vo 267/2000.
Quest’ultima norma comprende un’ampia
tipologia di documenti programmatici di
competenza del Consiglio. Ne consegue che
gli incarichi in questione, anche se non
necessariamente predeterminati dal Consiglio
nel loro specifico oggetto, devono trovare
riferimento nei documenti programmatici, al
fine di giustificare la
necessità/opportunità di ricorrere ad essi
in relazione agli obiettivi ed ai programmi
definiti dal Consiglio e quindi da attuare
ad opera della Giunta.
Al contrario, le funzioni connesse alle
esigenze ordinarie proprie del funzionamento
delle strutture amministrative, non
rapportate a prestazioni di lavoro autonomo
di comprovata specializzazione, rimangono
regolate dal predetto art. 110 del D. L.vo
267/2000, le cui disposizioni dal comma 1 al
comma 5 si riferiscono a compiti esplicati
in via ordinaria da dirigenti o funzionari
responsabili.
Ad ogni buon conto e per concludere sul
punto, va precisato che il comma 1 dell’art.
110 del D.L.vo 267/2000 consente agli enti
locali di stipulare contratti a tempo
determinato per la copertura di posti
vacanti di responsabile dei servizi e degli
uffici, di qualifiche dirigenziali o di alta
specializzazione, sempre che il ricorso a
tale facoltà sia espressamente previsto in
sede statutaria e fermi restando i requisiti
richiesti dalla qualifica da ricoprire. Tale
fattispecie rappresenta una sostanziale
deroga all’ordinario meccanismo di copertura
delle qualifiche apicali fondato sul
concorso pubblico finalizzato ad assunzioni
a tempo indeterminato e con conseguente
immissione definitiva dei vincitori nei
ruoli organici dell’ente. Pertanto, pur
essendo la norma rivolta alla copertura di
posti apicali, non si ha l’inserimento in
ruolo del suddetto personale, che non
occupa, in pianta stabile, una casella del
ruolo stesso, anche in ipotesi di contratto
di diritto pubblico.
Va peraltro evidenziato che il secondo comma
dello stesso articolo prevede, in via
aggiuntiva rispetto al disposto del comma 1,
che il regolamento sull’ordinamento degli
uffici fissa limiti, criteri e modalità con
cui possono essere stipulati, sia nei comuni
in cui è prevista la dirigenza che negli
altri, contratti a tempo determinato, al di
fuori della dotazione organica, per i
dirigenti e le alte specializzazioni, fermi
restando i requisiti della qualifica da
coprire. Inoltre, per gli enti in cui non è
prevista la dirigenza, la possibilità in
oggetto è estesa anche ai funzionari
dell’area direttiva, però, in ogni caso,
subordinata alla mancanza all’interno
dell’ente di professionalità analoghe.
Deve poi tenersi conto che negli enti in cui
è prevista la dirigenza, i contratti in
questione possono essere stipulati in misura
complessivamente non superiore al 5% del
totale della dotazione organica della
dirigenza e dell’area direttiva e, comunque,
per almeno un’unità, mentre per gli altri in
misura non superiore al 5% della complessiva
dotazione organica o almeno ad un’unità,
laddove la stessa sia inferiore alle venti
unità.
Per espressa disposizione di legge (comma
3), infine, i contratti di cui ai precedenti
commi non possono avere durata superiore al
mandato elettivo di sindaco/presidente della
provincia in carica, ciò a sottolineare il
carattere fiduciario del rapporto, e sono
sempre risolti in presenza di uno specifico
evento attinente all’ente (comma 4).
Specifica disposizione attiene invece alla
risoluzione di diritto del rapporto di
impiego dei soggetti già dipendenti di una
pubblica amministrazione che stipulino un
contratto a tempo determinato con l’ente
locale, assumendo una posizione fuori ruolo
della dotazione organica ex comma 2 (comma
5).
Tutto ciò premesso, nella fattispecie in
esame, sembrerebbe che l’oggetto del
contratto non sia una prestazione di lavoro
autonomo di alta specializzazione, bensì
un’attività istituzionale strettamente
connessa alle ordinarie funzioni che un
dirigente o funzionario di ruolo, qualora
presenti nella struttura amministrativa del
comune interessato, svolgerebbero
ordinariamente.
In linea con tale conclusione appare,
quindi, l’orientamento del comune che
correttamente ha prospettato l’applicazione
delle disposizioni di cui all’art. 110,
commi 1–5 del D.L.vo 267/2000 e la non
applicazione del comma 6 dello stesso
articolo, nonché della disposizione di cui
all’art. 46 della legge 133/2008. |
ENTI LOCALI:
Parere richiesto dal Sindaco del Comune di
Teggiano (Sa) in ordine
alla possibilità di conoscere se e per quali
anni è dovuta la restituzione dei canoni di
depurazione riscossi dall'Ente
(Corte
dei Conti, Sez. regionale di controllo
Campania,
parere 29.05.2009 n. 25
- link a www.corteconti.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Parere richiesto dal Sindaco del comune di
Volterra, in merito alla
corretta applicazione dell'incentivo alla
progettazione dei dipendenti, disciplinato
dall'art. 92, comma 5, del D. Lgs. 163/2006,
alla luce delle novità legislative
introdotte dal D.L. 185/2008, convertito in
L. 2/2009 e delle interpretazioni
contrastanti sul punto
(Corte
dei Conti, Sez. regionale di controllo
Toscana,
parere 28.05.2009 n. 40
- link a www.corteconti.it).
La materia è regolata dall’art. 92, comma
5, del D. Lgs. 163/2006 (codice dei
contratti), come riformulato dall’art. 1,
comma 10-quater, della Legge 22.12.2008 n.
201, il quale stabilisce che è ripartita,
per ogni singola opera o lavoro, tra il
responsabile del procedimento e gli
incaricati della redazione del progetto, del
piano della sicurezza, della direzione dei
lavori, del collaudo, nonché tra i loro
collaboratori, una somma non superiore al
due per cento dell'importo posto a base di
gara di un'opera o di un lavoro, comprensiva
anche degli oneri previdenziali e
assistenziali a carico dell'amministrazione.
La percentuale effettiva, nel limite massimo
del due per cento, è stabilita dal
regolamento in rapporto all'entità e alla
complessità dell'opera da realizzare. La
corresponsione dell'incentivo è disposta dal
dirigente preposto alla struttura
competente, previo accertamento positivo
delle specifiche attività svolte dai
predetti dipendenti; limitatamente alle
attività di progettazione, l'incentivo
corrisposto al singolo dipendente non può
superare l'importo del rispettivo
trattamento economico complessivo annuo
lordo.
Nella materia è intervenuto l’art. 61, comma
8, della Legge 133/2008, approvato in sede
di conversione del D.L. 112/2008, che ha
stabilito che “a decorrere dal 1°
gennaio 2009, la percentuale prevista
dall'articolo 92, comma 5, del codice dei
contratti pubblici relativi a lavori,
servizi e forniture, di cui al decreto
legislativo 12.04.2006, n. 163, è destinata
nella misura dello 0,5 per cento alle
finalità di cui alla medesima disposizione
e, nella misura dell'1,5 per cento, è
versata ad apposito capitolo dell'entrata
del bilancio dello Stato”, ad eccezione
degli enti locali (comma 17 art. 61 L.
133/2008) per i quali tali somme
costituiscono economie di spesa che incidono
in termini positivi sui rispettivi saldi di
bilancio. L’art. 1, comma 10-quater, della
Legge 22.12.2008 n. 201, ha espressamente
abrogato questa norma, mentre l’art. 18,
comma 4-sexies, della Legge 28.01.2009 n. 2
ha reintrodotto una norma con il medesimo
tenore letterale (comma 7-bis art. 61 L.
133/2008) con la novità dell’introduzione
del riferimento alla destinazione al fondo
di cui al comma 17 dello stesso art. 61
citato.
Ad interpretazione dell’articolo 61 comma 8,
poi dell’attuale comma 7-bis, il
Dipartimento della Ragioneria generale dello
Stato ha emesso la circolare n. 36 del
23.12.2008, seguita dalla circolare n. 10
del 13.02.2009, che ha chiarito che “la
riduzione del compenso incentivante,
operante a partire dal 1° gennaio 2009, si
ritiene debba trovare applicazione a tutti i
compensi comunque erogati a decorrere dalla
predetta data e non solo ai lavori avviati
dopo l’entrata in vigore della nuova
disciplina. Di conseguenza, la riduzione va
applicata con riferimento a tutta l’attività
progettuale non ancora remunerata a tale
data, anche in presenza di contratti
integrativi definiti secondo la previgente
disciplina. Il tenore letterale della norma
infatti, laddove parla di destinazione a
decorrere dal primo gennaio 2009, appare
indicativo di una precisa volontà del
legislatore in tal senso”.
La Sezione, alla luce dei contrasti
interpretativi sulla norma in argomento (si
veda Pareri Lombardia 40/2009 e 50/2009 in
contrasto con l’interpretazione ministeriale
citata), ha ritenuto opportuno, al pari di
altre sezioni regionali di controllo
(Campania, Veneto e Piemonte), coinvolgere
il coordinamento della Sezione Autonomie
quale organo competente a dirimere le
questioni di massima, il quale ha emesso la
deliberazione n. 7 del 23.04.2009, le cui
conclusioni sono fatte proprie (con alcuni
passi riportati in corsivo) e alla quale si
fa espresso rinvio nel presente parere.
Nel merito, come sostenuto dalla Sezione
delle Autonomie, “la soluzione della
questione non può prescindere dalla verifica
dell’esistenza e della consistenza del
diritto che si pretende intangibile dalla
legge sopravvenuta, in quanto la
irretroattività della legge costituisce un
principio di salvezza di un diritto
acquisito, purché se ne dimostri l’avvenuta
insorgenza”. Pertanto, ciò che rileva ai
fini dell’applicazione della nuova
disciplina piuttosto che della previgente, è
il tempo in cui sorge l’obbligazione con la
quale nasce l’obbligo di corrispondere
l’incentivo in capo all’ente e il
conseguente diritto di riceverlo per il
dipendente che svolga le funzioni di:
progettista, responsabile del procedimento,
incaricati della redazione del piano della
sicurezza, della direzione dei lavori, del
collaudo, nonché i loro collaboratori; tale
circostanza viene identificata con il
momento in cui “siano state compiute le
varie attività che legittimano la
corresponsione dell’incentivo, (attività
procedimentali amministrative,
progettazione, collaudo, collaborazioni etc..)
con le quali rimangano fissate, in maniera
intangibile, da un lato, la somma da
ripartire e, dall’altro, la misura del
beneficio, così come le stesse sono state
determinate in base ai meccanismi previsti
dalla norma stessa (modalità e criteri della
ripartizione previsti in sede di
contrattazione decentrata e assunti in un
regolamento)”. Tesi che trova fondamento
nell’iter legislativo che ha regolamentato
la materia, nonché in un orientamento
favorevole della Suprema Corte che ha sempre
avvalorato la posizione di favore accordata
nella Costituzione al diritto alla
retribuzione del dipendente mediante una
speciale tutela al credito retributivo dei
dipendenti anche pubblici (in ultimo
sentenza 459/2000); a tal proposito la
Cassazione (in ultimo Cass. Sez. Lavoro,
sent. N. 13384 del 19.07.2004) ha più volte
ribadito che l’incentivo di cui trattasi è
una componente della retribuzione del
dipendente e che “il diritto
all’incentivo costituisce un vero e proprio
diritto soggettivo di natura retributiva che
inerisce al rapporto di lavoro in corso, nel
cui ambito va individuato l’obbligo per
l’Amministrazione di adempiere, a
prescindere dalle condizioni e dai
presupposti per rendere concreta
l’erogazione del compenso”.
“In sostanza dal compimento
dell’attività nasce il diritto al compenso,
intangibile dalle disposizioni riduttive,
che non hanno alcuna efficacia retroattiva.
Né rileva, in contrario avviso, che alla
rigorosa applicazione del criterio della
spettanza dell’incentivo nella misura
vigente all’atto del compimento della
specifica attività, possa conseguire una
differente consistenza del beneficio in
ordine alla stessa opera per la quale è
stanziata la somma da ripartire, a seconda
se la stessa attività sia stata compiuta
prima o dopo il 31.12. 2008. Ciò perché, ai
fini della nascita del diritto quello che
rileva è il compimento effettivo
dell’attività; dovendosi, anzi, tenere
conto, per questo specifico aspetto, che per
le prestazioni di durata, cioè quelle che
non si esauriscono in una puntuale attività,
ma si svolgono lungo un certo arco di tempo,
dovrà considerarsi la frazione temporale di
attività compiuta”.
In definitiva, un’interpretazione
dell’art. 61 comma 8 (o dell’attuale comma
7-bis) nel senso esposto dalle circolari
richiamate comporterebbe una chiara
violazione del divieto di retroattività
della legge di cui all’art. 11 delle
disposizioni preliminari al codice civile,
che costituisce un principio generale
dell’ordinamento derogabile dal solo
legislatore con una disposizione normativa
esplicita in tal senso (come si rinviene
nello stesso art. 61 comma 9). In
particolare la giurisprudenza costituzionale
ha avuto occasione di chiarire che “il
legislatore ordinario può, nel rispetto di
tale limite, emanare norme retroattive,
purché trovino adeguata giustificazione sul
piano della ragionevolezza e non si pongano
in contrasto con altri valori ed interessi
costituzionalmente protetti, così da non
incidere arbitrariamente sulle situazioni
sostanziali poste in essere dalle leggi
precedenti, se queste condizioni sono
osservate, la retroattività, di per se da
sola, non può ritenersi elemento idoneo ad
integrare un vizio della legge” (Corte
Costituzionale sentenza n. 432 del 1997).
Pertanto la Sezione – avendo presente
la ratio legis finalizzata al contenimento
della spesa pubblica, sottesa alla
disposizione in argomento (art. 61 comma 8
abrogata e poi riformulata con medesimo
tenore letterale nel comma 7-bis dello
stesso articolo)- ritiene che la stessa
non possa che interpretarsi nel senso che il
“quantum del diritto al beneficio, quale
spettante sulla base della somma da
ripartire nella misura vigente al momento in
cui questo è sorto, ossia al compimento
delle attività incentivate, non possa essere
modificato per effetto di norme che riducano
per il tempo successivo l’entità della somma
da ripartire, per cui i compensi erogati dal
1° gennaio 2009, ma relativi ad attività
realizzate prima di tale data, restano
assoggettati alla previgente disciplina”,
vale a dire liquidati nella misura massima
del 2%. |
PUBBLICO IMPIEGO:
Parere richiesto dal Sindaco del Comune di
Travedona Monate (Va), con popolazione
inferiore a 5.000 abitanti
sulla possibilità di assumere due unità di
personale, nonché di procedere ad una
progressione verticale, alla luce dei
vincoli posti dall'art. 1, co. 2 della l.
296/2006
(Corte
dei Conti, Sez. regionale di controllo
Lombardia,
parere 27.05.2009 n. 244
- link a www.corteconti.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Parere richiesto dal Sindaco del comune di
Alzano del Parco (CO) circa
la possibilità di dare seguito alla
progressione giuridica del personale già
assunto a tempo indeterminato, mediante
passaggio funzionale all'interno della
stessa categoria ed area (categoria D, area
tecnica)
(Corte
dei Conti, Sez. regionale di controllo
Lombardia,
parere 25.05.2009 n. 231
- link a www.corteconti.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Comune di Valeggio sul Mincio (VR) - Parere
in merito alla corretta applicazione
delle disposizioni concernenti l'incentivo
per la progettazione di cui all'art. 92,
comma 5, del Codice dei contratti pubblici,
in seguito alle novità introdotte dall'art.
18, comma 4-sexies della legge n. 2/2009.
Decorrenza della riduzione percentuale
(Corte
dei Conti, Sez. regionale di controllo
Veneto,
parere 21.05.2009 n. 82
- link a www.corteconti.it).
La Sezione ricorda che la materia degli
incentivi alla progettazione interna è stata
oggetto di numerose recenti modifiche, che
si ritiene opportuno ricostruire brevemente.
In particolare:
- l’art. 92, comma 5, del codice dei
contratti pubblici ha previsto che “una
somma non superiore al due per cento
dell'importo posto a base di gara di
un'opera o di un lavoro, comprensiva anche
degli oneri previdenziali e assistenziali a
carico dell’amministrazione, a valere
direttamente sugli stanziamenti di cui
all'articolo 93, comma 7, è ripartita, per
ogni singola opera o lavoro, con le modalità
e i criteri previsti in sede di
contrattazione decentrata e assunti in un
regolamento adottato dall'amministrazione,
tra il responsabile del procedimento e gli
incaricati della redazione del progetto, del
piano della sicurezza, della direzione dei
lavori, del collaudo, nonché tra i loro
collaboratori. La percentuale effettiva, nel
limite massimo del due per cento, è
stabilita dal regolamento in rapporto
all'entità e alla complessità dell'opera da
realizzare”.
- l’art. 61, comma 8, del decreto legge n.
112/2008 convertito in legge n. 133/2008, ha
operato una modifica alla suddetta
disciplina, stabilendo che “a decorrere dal
1° gennaio 2009, la percentuale relativa a
lavori, servizi e forniture è destinata
nella misura dello 0,5% alle finalità di cui
alla medesima disposizione e, nella misura
dell’1,5%, è versata ad apposito capitolo
dell’entrata del bilancio dello Stato”.
Il successivo comma 17, poi, con riferimento
all’ambito di applicazione soggettiva delle
misure di contenimento della spesa pubblica
contemplate nell’art. 61, ha previsto che
“Le somme provenienti dalle riduzioni di
spesa e le maggiori entrate di cui al
presente articolo, con esclusione di quelle
di cui ai commi 14 e 16, sono versate
annualmente dagli enti e dalle
amministrazioni dotati di autonomia
finanziaria ad apposito capitolo
dell'entrata del bilancio dello Stato.”
Tuttavia, il medesimo comma 17 ha precisato
che “La disposizione di cui al primo periodo
non si applica agli enti territoriali e agli
enti, di competenza regionale o delle
province autonome di Trento e di Bolzano,
del Servizio sanitario nazionale.”
- l’art. 1, comma 10-quater, del decreto
legge n. 162/2008, convertito in legge n.
201/2008, ha modificato l’art. 92, comma 5,
del D. Lgs. n. 163/2006 “allo scopo di
fronteggiare la crisi nel settore delle
opere pubbliche e al fine di incentivare la
progettualità delle amministrazioni
aggiudicatrici”, disponendo che l’incentivo
in questione corrisposto al singolo
dipendente non possa superare l’importo del
rispettivo trattamento economico complessivo
annuo lordo, ed ha abrogato il citato art.
61, comma 8, del D.L. n. 112/2008;
- da ultimo, l’art. 18 comma 4-sexies del
decreto legge n. 185/2008, convertito in
legge n. 2/2009, ha in sostanza reintrodotto
il contenuto del suddetto comma 8,
introducendo il comma 7-bis dell’art. 61 del
D.L. n. 112/2008, che dispone che “A
decorrere dal 1° gennaio 2009, la
percentuale prevista dall'articolo 92, comma
5, del codice dei contratti pubblici
relativi a lavori, servizi e forniture, di
cui al decreto legislativo 12.04.2006 n.
163, e successive modificazioni, è destinata
nella misura dello 0,5 per cento alle
finalità di cui alla medesima disposizione
e, nella misura dell'1,5 per cento, è
versata ad apposito capitolo dell'entrata
del bilancio dello Stato per essere
destinata al fondo di cui al comma 17 del
presente articolo”.
Tale ultimo inciso, relativo alla quota
residua dell’1,5% (rectius, della quota
residua che va fino ad un massimo dell’1,5%,
ben potendo gli enti aver scelto una
percentuale di incentivo inferiore al 2%),
non si applica agli enti territoriali e agli
enti del SSN, le cui economie di spesa
verranno acquisite ai rispettivi saldi di
bilancio.
Del resto, l’art. 61 comma 17, con
riferimento al comma 8 abrogato, escludeva
l’applicazione di tale normativa proprio nei
confronti di tali enti.
Posto quanto sopra, si evidenzia che la
novella normativa qui considerata interviene
sul limite massimo dell’importo complessivo
dell’incentivo e non sulla distribuzione
delle quote di spettanza dei dipendenti che
hanno partecipato al procedimento.
E’ anche indubbio che a seguito della
novella normativa l’assetto regolamentare di
ripartizione dell’incentivo non solo debba
essere adeguato alla modifica normativa, ma
possa mutare in base ad una nuova
valutazione di interessi da parte
dell’amministrazione che, in considerazione
della consistente decurtazione operata dal
legislatore, potrà decidere un nuovo riparto
interno tra gli aventi diritto.
Ciò premesso, può affrontarsi la questione
sottoposta all’esame di questa Sezione,
relativa all’applicabilità o meno della
riduzione percentuale di incentivo alle
attività tecniche già poste in essere prima
dell’01.01.2009 ma non ancora remunerate a
tale data.
In primo luogo si osserva che il generale
principio d’irretroattività delle leggi
(art. 11 prel.) opera con riferimento ai
rapporti esauriti prima della data di
entrata in vigore (o della data di
efficacia, se antecedente, come nel caso
specifico) della nuova normativa, mentre per
le situazioni pendenti alla stessa data vige
il principio di applicazione immediata della
norma.
Il problema, quindi, è quello di stabilire
quale sia il concetto di situazione
pendente.
E’ indubbio che la novella normativa va ad
incidere sulla percentuale cumulativa
dell’incentivo, che è il corrispettivo
complessivo dell’attività svolta da tutti i
dipendenti coinvolti nel procedimento, ma
poiché le prestazioni rese nell’ambito del
procedimento non sono considerate
dall’ordinamento come un unicum
inscindibile, in quanto sono divisibili
naturalmente e giuridicamente, va da sé che
il concetto di situazione pendente debba
essere riferito alle singole prestazioni e
non al procedimento di appalto.
Se quelle attività e prestazioni di tipo
tecnico (progettazione, direzione lavori,
ecc.) sono state svolte in pendenza della
vecchia disciplina, a fronte di esse il
personale interessato ha maturato un vero e
proprio diritto alla corresponsione degli
emolumenti, intangibile dallo jus
superveniens.
Ciò è da ricondursi principalmente allo
stretto legame rinvenibile tra la
determinazione e la liquidazione
dell’incentivo, e le singole attività
svolte, che è identificabile in termini di
vera e propria corrispettività, come risulta
del resto dallo stesso art. 92, comma 5, del
codice dei contratti, ove si prevede che “la
ripartizione tiene conto delle
responsabilità professionali connesse alle
specifiche prestazioni da svolgere” e che
“la corresponsione dell'incentivo è disposta
dal dirigente preposto alla struttura
competente, previo accertamento positivo
delle specifiche attività svolte dai
predetti dipendenti”.
Sul fatto che una volta realizzata
l’attività incentivata il tecnico interno
vanti un vero e proprio diritto soggettivo
all’erogazione del compenso concorda
peraltro anche la giurisprudenza della Corte
di cassazione (cfr. Cass., Sez. lavoro,
sent. n. 13384 del 19.07.2004).
Ciò che conta, dunque, ai fini della nascita
di tale diritto è l’effettivo svolgimento
della prestazione, mentre, nel caso di
prestazioni di durata che non si esauriscono
in un’unica attività (es. quella imputabile
al responsabile del procedimento) e che si
svolgono lungo un certo arco di tempo, dovrà
considerarsi la frazione temporale di
attività compiuta. Condividendosi, pertanto,
l’orientamento espresso dalla Sezione delle
Autonomie con delibera 7/SEZAUT/2009/QMIG,
cui si rinvia, si conclude nel senso che
l’ammontare dell’incentivo in questione vada
ricondotto al momento in cui è sorto il
diritto, ossia al momento del compimento
dell’attività svolta.
Tale ammontare non può essere modificato per
effetto di norme successive limitative della
spesa, che regoleranno in via generale
l’incentivazione dell’attività tecnica posta
in essere successivamente alla data dell’01.01.2009, cui farà seguito la relativa
nuova disciplina interna dell’ente, che ne
regolerà gli aspetti di dettaglio.
I compensi da erogare successivamente
all’01.01.2009, ma relativi ad attività svolta
precedentemente, resteranno assoggettati
alla disciplina in vigore prima
dell’emanazione dell’art. 7-bis. |
PUBBLICO IMPIEGO:
Comune di Vigonza (PD) - Parere
in merito alla corretta applicazione
delle disposizioni concernenti l'incentivo
per la progettazione di cui all'art. 92,
comma 5, del Codice dei contratti pubblici,
in seguito alle novità introdotte dall'art.
18, comma 4-sexies della legge n. 2/2009 .
Decorrenza della riduzione percentuale
(Corte
dei Conti, Sez. regionale di controllo
Veneto,
parere 21.05.2009 n. 81
- link a www.corteconti.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Comune di Treviso - Parere
in merito alla corretta applicazione delle
disposizioni concernenti l'incentivo per la
progettazione di cui all'art. 92, comma 5,
del Codice dei contratti pubblici, in
seguito alle novità introdotte dall'art. 18,
comma 4-sexies della legge n. 2/2009 .
Decorrenza della riduzione percentuale
(Corte
dei Conti, Sez. regionale di controllo
Veneto,
parere 21.05.2009 n. 79
- link a www.corteconti.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Comune di SCHIO (VI) - Parere
in merito alla corretta applicazione
delle disposizioni concernenti l'incentivo
per la progettazione di cui all'art. 92,
comma 5, del Codice dei contratti pubblici,
in seguito alle novità introdotte dall'art.
18, comma 4-sexies della legge n. 2/2009
(Corte
dei Conti, Sez. regionale di controllo
Veneto,
parere 21.05.2009 n. 78
- link a www.corteconti.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Comune di San Martino di Venezze (RO) -
Parere in merito alla
corretta applicazione delle disposizioni
concernenti l'incentivo per la progettazione
di cui all'art. 92, comma 5, del Codice dei
contratti pubblici, in seguito alle novità
introdotte dall'art. 18, comma 4-sexies
della legge n. 2/2009
(Corte
dei Conti, Sez. regionale di controllo
Veneto,
parere 21.05.2009 n. 77
- link a www.corteconti.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Comune di Zanè (VI) - Parere
in merito alla corretta applicazione
delle disposizioni concernenti l'incentivo
per la progettazione di cui all'art. 92,
comma 5, del Codice dei contratti pubblici,
in seguito alle novità introdotte dall'art.
18, comma 4-sexies della legge n. 2/2009
(Corte
dei Conti, Sez. regionale di controllo
Veneto,
parere
21.05.2009 n. 76
- link a www.corteconti.it).
Risulta sottoposta all’esame di questa
Sezione una questione di diritto
intertemporale.
In base all’art. 92, comma 5, del codice dei
contratti pubblici “una somma non superiore
al due per cento dell'importo posto a base
di gara di un'opera o di un lavoro,
comprensiva anche degli oneri previdenziali
e assistenziali a carico
dell’amministrazione, a valere direttamente
sugli stanziamenti di cui all'articolo 93,
comma 7, è ripartita, per ogni singola opera
o lavoro, con le modalità e i criteri
previsti in sede di contrattazione
decentrata e assunti in un regolamento
adottato dall'amministrazione, tra il
responsabile del procedimento e gli
incaricati della redazione del progetto, del
piano della sicurezza, della direzione dei
lavori, del collaudo, nonché tra i loro
collaboratori. La percentuale effettiva, nel
limite massimo del due per cento, è
stabilita dal regolamento in rapporto
all'entità e alla complessità dell'opera da
realizzare”.
La disposizione originaria oggetto del
quesito era stata introdotta dall’art. 61,
comma 8, della L. 133/2008 di conversione
del DL 112/2008, secondo la quale “a
decorrere dal 1° gennaio 2009, la
percentuale prevista dall’art. 92, comma 5,
del codice dei contratti pubblici relativi
lavori, servizi e forniture, di cui al D.Lgs. 12.04.2006, n. 163, è destinata
nella misura dello 0,5% alle finalità di cui
alla medesima disposizione e, nella misura
dell’1,5%, è versata ad apposito capitolo
dell’entrata del bilancio dello Stato”.
Il successivo comma 17 precisava, tra
l’altro, che le somme provenienti dalle
riduzioni di spesa disposte da
quell’articolo (con esclusione di quelle di
cui ai commi 14 e 16) dovessero essere
versate ad apposito capitolo dell’entrata
del bilancio dello Stato, ma che da tale
obbligo di versamento fossero escluse le
autonomie territoriali e gli enti del SSN.
Pertanto, gli enti locali, da un lato,
avrebbero dovuto operare una consistente
riduzione dell’incentivo destinabile ai
progettisti interni e al restante personale
indicato dalla normativa, dall’altro
avrebbero dovuto acquisire le economie di
spesa ai rispettivi saldi di bilancio.
La norma dell’art. 61, comma 8, entrata in
vigore il 22.08.2008, veniva abrogata
dall’art. 1, comma 10-quater, lett. b) della
legge 22 .12.2008, n. 201 di
conversione del DL 162/2008, prima, quindi,
che la stessa potesse esplicare efficacia.
Trascorso un mese dall’intervenuta
abrogazione, la norma fu ripristinata, con
una formulazione pressoché identica,
dall’art. 18, comma 4-sexies, della legge 28.01.2009, n. 2, di conversione del DL
185/2008, che aggiunse il comma 7-bis
all’art. 61 del DL 112/2008. Il nuovo comma
dell’art. 61 ha aggiunto, in realtà, al
termine della formulazione del soppresso
comma 8 il seguente inciso “per essere
destinata al fondo di cui al comma 17 del
presente articolo”, imprimendo alla
percentuale dell’1,5% quindi una specifica
destinazione (al fondo statale per la tutela
della sicurezza e del soccorso pubblico).
In ogni caso, permane l’esclusione delle
autonomie territoriali dall’obbligo di
versamento sul capitolo di entrata dello
Stato.
Posto quanto sopra, si evidenzia che la
novella normativa qui considerata interviene
sul limite massimo dell’importo complessivo
dell’incentivo e non sulla distribuzione
delle quote di spettanza dei dipendenti che
hanno partecipato al procedimento.
E’ anche indubbio che a seguito della
novella normativa l’assetto regolamentare di
ripartizione dell’incentivo non solo debba
essere adeguato alla modifica normativa, ma
possa mutare in base ad una nuova
valutazione di interessi da parte
dell’amministrazione che, in considerazione
della consistente decurtazione operata dal
legislatore, potrà decidere nuovi criteri di
riparto interno tra gli aventi diritto.
Il problema che si pone all’attenzione
dell’interprete e che interessa il Comune
istante è quello dell’applicazione della
nuova percentuale alle situazioni giuridiche
sorte in base alla normativa preesistente e
non ancora estinte.
In primo luogo si osserva che il generale
principio d’irretroattività delle leggi
(art. 11 prel.) opera con riferimento ai
rapporti esauriti prima della data di
entrata in vigore (o della data di
efficacia, se antecedente, come nel caso
specifico) della nuova normativa, mentre per
le situazioni pendenti alla stessa data vige
il principio di applicazione immediata della
norma.
Il problema, quindi, è quello di stabilire
quale sia il concetto di situazione
pendente.
E’ indubbio che la novella normativa va ad
incidere sulla percentuale cumulativa
dell’incentivo, che è il corrispettivo
complessivo dell’attività svolta da tutti i
dipendenti coinvolti nel procedimento, ma
poiché le prestazioni rese nell’ambito del
procedimento non sono considerate
dall’ordinamento come un unicum
inscindibile, in quanto sono divisibili
naturalmente e giuridicamente, va da sé che
il concetto di situazione pendente debba
essere riferito alle singole prestazioni e
non al procedimento di appalto.
Se quelle attività e prestazioni di tipo
tecnico (progettazione, direzione lavori,
ecc.) siano state svolte in pendenza della
vecchia disciplina, a fronte di esse il
personale interessato ha maturato un vero e
proprio diritto alla corresponsione degli
emolumenti, intangibile dallo jus
superveniens.
Ciò è da ricondursi principalmente allo
stretto legame rinvenibile tra la
determinazione e la liquidazione
dell’incentivo, e le singole attività
svolte, che è identificabile in termini di
vera e propria corrispettività, come risulta
del resto dallo stesso art. 92, comma 5, del
codice dei contratti, ove si prevede che “la
ripartizione tiene conto delle
responsabilità professionali connesse alle
specifiche prestazioni da svolgere” e che “la corresponsione dell'incentivo è disposta
dal dirigente preposto alla struttura
competente, previo accertamento positivo
delle specifiche attività svolte dai
predetti dipendenti”.
Sul fatto che una volta realizzata
l’attività incentivata il tecnico interno
vanti un vero e proprio diritto soggettivo
all’erogazione del compenso concorda
peraltro anche la giurisprudenza della Corte
di cassazione (cfr. Cass., Sez. lavoro,
sent. n. 13384 del 19.07.2004).
Ciò che conta, dunque, ai fini della nascita
di tale diritto è l’effettivo svolgimento
della prestazione, mentre, nel caso di
prestazioni di durata che non si esauriscono
in un’unica attività (es. quella imputabile
al responsabile del procedimento) e che si
svolgono lungo un certo arco di tempo, dovrà
considerarsi la frazione temporale di
attività compiuta. Condividendosi, pertanto,
l’orientamento espresso dalla Sezione delle
Autonomie con delibera n. 7/SEZAUT/2009/QMIG,
cui si rinvia, si conclude nel senso che
l’ammontare dell’incentivo in questione vada
ricondotto al momento in cui è sorto il
diritto, ossia al momento del compimento
dell’attività svolta.
Tale ammontare non può essere modificato per
effetto di norme successive limitative della
spesa, che regoleranno in via generale
l’incentivazione dell’attività tecnica posta
in essere successivamente alla data dell’01.01.2009.
Ai fini dell’applicazione immediata dello
jus superveniens, non potrebbe rilevare il
mancato pagamento di una prestazione
effettuata prima della data di decorrenza
dell’efficacia dell’art. 18, comma 4-sexies,
della legge 2/2009 (1° gennaio 2009),
altrimenti il diritto alla misura piena del
compenso incentivante (che è liquido ed
esigibile al momento del compimento
dell’attività) verrebbe fatto dipendere dal
tempestivo adempimento della prestazione
pecuniaria da parte della p.a. e, cioè, dal
comportamento diligente del debitore.
Pertanto, a riscontro del quesito posto dal
Comune di Zanè, si ritiene che per
individuare quale sia la disciplina relativa
alla quantificazione dell’incentivo da
applicarsi al caso concreto occorra fare
riferimento alla data di compimento delle
singole attività dei dipendenti rispetto
alla decorrenza di efficacia dell’art. 18,
comma 4-sexies, della legge 28.01.2009,
n. 2: ove siano state compiute
antecedentemente al 1° gennaio 2009 dovranno
essere remunerate secondo la normativa
allora vigente. |
ENTI LOCALI:
Parere richiesto dal Sindaco del Comune di
San Lorenzo Maggiore (Bn)
in ordine alla possibilità di conoscere se
possa essere disposto il rimborso delle
somme versate dai cittadini quale canone di
depurazione e se si possano rimborsare ai
cittadini che non abbiano fruito del
servizio (perché dimoranti in zone non
ancora servite) i canoni di depurazione
versati negli ultimi dieci anni, oppure è o
necessaria un'apposita sentenza dell'A.G.O.
(Corte
dei Conti, Sez. regionale di controllo
Campania,
parere 18.05.2009 n. 24
- link a www.corteconti.it). |
INCARICHI PROFESSIONALI:
Parere richiesto dal Sindaco del Comune di
Bergamo: se, dopo l'entrata
in vigore della legge 266/2005 che limita
l'invio alla Corte degli atti di spesa di
importo superiore a 5.000 euro, sia ancora
obbligatorio acquisire sugli incarichi in
questione la preventiva valutazione
dell'organo di revisione ovvero se tale
valutazione non sia resa più necessaria
(Corte
dei Conti, Sez. regionale di controllo
Lombardia,
parere 14.05.2009 n. 213
- link a www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI:
Parere richiesto dal Comune di Cittadella
(Pd) in ordine alla
possibilità di istituire una s.r.l. nel
settore del turismo in ragione
dell'impossibilità per l'ente di assumere
personale
(Corte
dei Conti, Sez. regionale di controllo
Veneto,
parere 11.05.2009 n. 52
- link a www.corteconti.it).
Bisogna innanzitutto ricordare che la
materia delle esternalizzazioni da parte
degli enti locali è stata di recente oggetto
di particolare attenzione da parte del
legislatore, che con una serie di norme (per
esempio, l’art. 3 comma 27 e 30 della L. n.
244/2007) ha definito una serie di regole
molto importanti, al fine anche di limitare
il sempre più frequente abuso di moduli
privatistici da parte dei vari enti, nonché
la duplicazione dei centri di spesa.
Con specifico riferimento ai vincoli di
spesa del personale, l’art. 76, comma 1, del
D.L. n. 112/2008, conv. in L. n. 133/2008,
ha integrato l’art. 1, comma 557, della legge
n. 296/2006, che com’è noto sancisce
l’obbligo per gli enti locali sottoposti al
patto di stabilità di assicurare la
riduzione di tale spesa, ricomprendendo in
tale concetto anche l’esborso sostenuto per
tutti i soggetti a vario titolo utilizzati
dagli organismi partecipati o comunque
facenti capo all'ente.
Lo stesso articolo 76, al comma 4, con
riferimento agli enti sottoposti al blocco
totale delle assunzioni per il mancato
rispetto del patto di stabilità
nell’esercizio precedente, ha imposto il
divieto espresso di stipulare contratti di
servizio con soggetti privati che si
configurino come elusivi del divieto.
Con tali norme, il legislatore da un lato ha
voluto assicurare in modo ancora più
pregnante l’obbligo di riduzione della spesa
di personale, propedeutica al rispetto dei
vincoli generali di finanza pubblica, anche
con riferimento a centri di spesa comunque
riconducibili all’ambito pubblico nonostante
la veste privatistica, e dall’altro ha
voluto chiaramente impedire che il modulo
organizzativo delle esternalizzazioni fosse
utilizzato per eludere i vincoli normativi
alla spesa pubblica e le sanzioni da essi
derivanti.
L’ente, pertanto, qualora non ricorrano
cumulativamente le condizioni introdotte
dall’art. 3, comma 120, della L. n. 244/2007
(rispetto del patto di stabilità nell’ultimo
triennio, volume complessivo della spesa di
personale non superiore al parametro
stabilito per gli enti strutturalmente deficitari, e rapporto medio tra dipendenti
in servizio e popolazione residente non
superiore a quello determinato per gli enti
in condizioni di dissesto) è tenuto a non
incrementare la spesa di personale né
direttamente, né indirettamente, per il
tramite delle società da questo costituite o
partecipate e, qualora assoggettato al
blocco delle assunzioni, non potrà ricorrere
ad esternalizzazioni con finalità elusive
del divieto in questione.
In questo senso, non possono che
condividersi le valutazioni espresse nel
parere della Sezione regionale di controllo
per la Lombardia n. 79/2008, citato nello
stesso quesito.
L’esternalizzazione non può in alcun modo
costituire la risposta per aggirare un
divieto o una sanzione legislativa, in
quanto costituisce una scelta gestionale,
come già ricordato da questa Sezione (cfr.
delibera 5/2009/par.), subordinata al
preventivo accertamento da parte dell’ente
dei costi e i benefici da essa derivanti,
giustificabile solo nella misura in cui
risulti la soluzione preferibile in termini
di efficienza, efficacia ed economicità
rispetto alla gestione diretta del servizio
(cd. valutazione “make or buy”), anche con
riferimento alle ricadute sui cittadini in
un’ottica di lungo periodo.
La mancanza o la superficialità di tali
complesse analisi preventive può costituire
un sintomo dell’intento elusivo, oltre che
possibile causa di danno per l’ente. |
LAVORI PUBBLICI:
Parere richiesto dal Sindaco di San Giorgio
del Sannio, il quale,
premesso di aver applicato canone di
depurazione nei confronti della generalità
degli utenti anche se solo parte di essi
fruisce del depuratore in funzione, ha
chiesto di conoscere se si possono
rimborsare ai cittadini che non abbiano
fruito del servizio (perché dimoranti in
zone non ancora servite) i canoni di
depurazione versati negli ultimi dieci anni,
oppure è all'uopo necessaria un'apposita
sentenza dell'A.G.O.
(Corte
dei Conti, Sez. regionale di controllo
Campania,
parere 07.05.2009 n. 23
- link a www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI:
Parere richiesto dal Sindaco del Comune di
Marigliano (Na) in ordine
alla possibilità di conoscere se, avendo
disponibilità finanziaria sui capitoli di
bilancio, è possibile procedere alla
liquidazione di un debito fuori bilancio
scaturente da una sentenza esecutiva [ex
art. 194 del d.lgs n. 267/2000 lett. a)]
prima che la legittimità dello stesso sia
riconosciuta dal Consiglio comunale, nonché
se l'ulteriore somma necessaria per la
liquidazione delle competenze professionali
dei legali incaricati dall'Ente, il cui
importo previsto è regolarmente impegnato
all'atto di conferimento dell'incarico
risulta insufficiente al termine del
giudizio, è da considerarsi debito fuori
bilancio ai sensi dell'art. 194 del d.lgs n.
267/2000 lett. e)
(Corte
dei Conti, Sez. regionale di controllo
Campania,
parere
29.04.2009 n. 22
- link a www.corteconti.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Parere richiesto dal Sindaco del Comune di
Bologna riguardante la
legittimità del rimborso, ad alcune
categorie di dipendenti, delle quote di
iscrizione agli albi professionali
(Corte
dei Conti, Sez. regionale di controllo
Emilia Romagna,
parere 28.04.2009 n. 10
- link a www.corteconti.it).
Va detto che sul punto viene riscontrata
una diversa posizione assunta, da un lato,
dalla Corte di Cassazione (sentenza
3928/2007) e dall’altro dalla Corte dei
conti in sede di controllo (vari pareri:
Sez. contr. Sardegna 2007/2001; Sez. contr.
Piemonte 2007/2; Sez. contr. Toscana
2008/11/P) e dal Ministero dell’Interno
(parere del 12-09-2008).
Nella pronunzia della Corte di Cassazione si
afferma che le spese necessarie per
l’esercizio della professione, comprese
quelle per l’iscrizione all’albo
professionale, siano sostenute
esclusivamente nell’interesse del datore di
lavoro e debbano, quindi, essere poste a suo
carico.
In quelle della Corte dei conti in sede di
controllo si rileva come l’iscrizione
all’albo rappresenti un imprescindibile
requisito per lo svolgimento dell’attività
professionale del dipendente, che deve
pertanto essere da lui garantito con il
pagamento della tassa annuale di iscrizione.
In alcune pronunzie si richiamano pure i
forti vincoli legislativi sempre presenti in
materia di spesa complessiva per il
personale delle pubbliche amministrazioni e
si manifesta l’avviso che, per il caso
all’esame, sussista comunque il generale
divieto di porre a carico degli enti
pubblici oneri non previsti dalla
contrattazione collettiva e da quella
individuale.
Analoghe affermazioni compaiono nel parere
del Ministero dell’Interno, in cui viene
evidenziata come, in assenza di
disposizioni di legge o negoziali non possa
riconoscersi un obbligo dell’Amministrazione
a sostenere gli oneri in questione.
Ritiene il Collegio che agli orientamenti
appena richiamati, e che appaiono
condivisibili, si pervenga attraverso una
preliminare, attenta valutazione della
peculiarità del rapporto di lavoro
all’esame. Esso è infatti caratterizzato, a
differenza di altri rapporti di lavoro
pubblico, da una attività di alta
specializzazione che può essere svolta solo
in presenza del requisito, imprescindibile e
permanente, della iscrizione
dell’interessato ad un ordine professionale.
Il mantenimento di tale requisito, che resta
affidato alla sua responsabilità, comporta
vari obblighi, tra cui anche quello di
provvedere agli adempimenti connessi alla
corresponsione della quota annuale di
iscrizione al proprio albo professionale,
che non possono riguardare in alcun modo
l’ente datore di lavoro.
Appare significativo a tal proposito, il
fatto che gli strumenti di contrattazione
collettiva, non abbiano mai previsto, alcun
specifico onere a carico
dell’amministrazione.
A ciò va aggiunta la considerazione che,
in assenza di espresse disposizioni di legge
sul punto, debba prevalere la scrupolosa
osservanza dei vigenti criteri di
contenimento degli oneri in materia di spesa
del personale.
Quanto al quesito se il rimborso di cui
trattasi possa ammettersi nell’ambito del
tirocinio gratuito offerto dal Comune di
Bologna ai praticanti Avvocati, si ritiene
che, trattandosi di rimborso previsto ad
altro titolo, esso possa considerarsi
ammissibile. |
ENTI LOCALI:
Parere richiesto dal Sindaco del comune di
Pago Veiano (Bn) sulla
possibilità di conoscere se il Comune debba
continuare a riscuotere il canone o il
diritto di fognatura dai cittadini non
allacciati direttamente all'impianto
fognario comunale, nonché procedere al
rimborso dei canoni di depurazione ai
cittadini non serviti dal relativo impianto
e che li abbiano versati in applicazione
della norma dichiarata incostituzionale
(Corte
dei Conti, Sez. regionale di controllo
Campania,
parere 24.04.2009 n. 19
- link a www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI:
Comune di Treviso (TV) -
Indebita percezione del canone di
depurazione. Parere sulle modalità di
restituzione dell'indebito da parte dei
comuni
(Corte
dei Conti, Sez. regionale di controllo
Veneto,
parere 23.04.2009 n. 32
- link a www.corteconti.it). |
APPALTI SERVIZI: Parere
richiesto dal Sindaco del comune di Teana
circa il conferimento di incarichi
di patrocinio legale ad avvocati esterni
all'ente
(Corte
dei Conti, Sez. regionale di controllo
Basilicata,
parere 03.04.2009 n. 8
- link a www.corteconti.it).
Dal tenore dei quesiti si desume che
il
caso al quale si riferisce il Comune istante
riguarda l’incarico di patrocinio legale che
un Ente, sprovvisto di avvocatura interna,
si trova a dover necessariamente conferire
al professionista esterno nel momento in cui
sorge la necessità di agire in giudizio
(quale parte attrice) ovvero di resistere ad
esso (se parte convenuta o resistente). Si
desume, altresì, che il patrocinio non si
intende limitato alla rappresentanza in
giudizio dell’Ente ma, in generale,
comprende anche l’assistenza e la difesa del
patrocinato.
Il primo interrogativo posto riguarda le
modalità di conferimento di detto incarico.
Il Sindaco del Comune di Teana sostiene
trattarsi di “servizio legale”, come tale
riconducibile alla disciplina dell’appalto
di servizi, regolato dall’art. 20 del D.Lgs.
n. 163/2006 (in appresso, per brevità,
“Codice dei contratti pubblici” o “Codice”).
Al riguardo si osserva che vi sono, invero,
indici rilevanti di un orientamento tendente
a qualificare le prestazioni professionali
rese da avvocati, tanto in sede giudiziale
che stragiudiziale, quali “servizi”, sia
pure in una accezione talmente ampia da
farvi rientrare non solo il compimento di un
servizio inteso quale risultato della
prestazione, ma anche la c.d. prestazione di
diligenza professionale in sé considerata (o
di mezzi), di natura intellettuale, resa da
professionisti iscritti in appositi albi. In
tal senso, già la legge n. 31 del 09.02.1982, regolante la libera prestazione “di
servizi” da parte degli avvocati cittadini
comunitari, rubricava come “servizi
professionali” quelli di cui qui trattasi.
Da ultimo, l’art. 2 del D.L. 223/2006 (c.d.
“decreto Bersani”) ricorre anch’esso
all’espressione “servizi professionali” con
riferimento alle attività libero
professionali e intellettuali, secondo una
linea di continuità con la elencazione dei
“servizi” contenuta nell’art. 50 del
Trattato C.E., che in tale categoria
espressamente include anche le “attività
delle libere professioni”, fornite
normalmente dietro retribuzione, al fine di
vietare restrizioni alla loro libera
prestazione all’interno della Comunità.
Ritiene, tuttavia, la Sezione che gli
argomenti ai quali fare ricorso per dare
soluzione al complesso quesito sottoposto
alla sua attenzione non possano fondarsi
sulla mera coincidenza nominalistica di un
dato letterale, sicché non sembra
sufficiente l’aver qualificato “servizio” la
prestazione libero professionale resa
dall’avvocato per ritenerla senz’altro
compresa nella categoria dei “servizi
legali”, di cui all’allegato II B richiamato
dall’art. 20 del Codice dei contratti
pubblici.
D’altro canto, occorre costatare che non
sempre l’incarico di patrocinio legale, di
cui qui si discute, è conferito a un legale
solo nel momento in cui sorge il bisogno di
difesa giudiziale. Si tratta, in tal caso di
un incarico episodico, legato alla necessità
contingente. In altri casi –rilevabili
dall’esame della giurisprudenza di cui si
dirà in seguito- la prestazione in
argomento è inserita in un più articolato
quadro di attività professionali,
organizzate sulla base dei bisogni
rappresentati dall’Ente.
Orbene, l’indagine che segue dovrà
verificare se la soluzione ritenuta adeguata
a dare risposta a un caso valga anche per
l’altro, ovvero se le due ipotesi sopra
indicate richiedano soluzioni diverse, in
tutto o in parte.
Appare, allora, necessario sottoporre ad un
più penetrante scrutinio le norme in vigore,
senza ignorare il livello e la natura degli
interessi protetti sui quali queste norme
finiscono per incidere. Non sembra
irrilevante, infatti, la considerazione che,
a differenza di altre prestazioni
professionali, il patrocinio legale si lega
a interessi costituzionalmente protetti, che
assurgono a veri e propri diritti
inviolabili, quale il diritto alla difesa e,
pur senza implicare l’esercizio di pubblici
poteri (Corte Giust., 21.06.1974, causa 2/74, Reyners c/ Stato belga), partecipa
dell’amministrazione della giustizia quale
servizio pubblico essenziale volto alla
salvaguardia dei diritti della persona
costituzionalmente tutelati (C.Cost.,
27.05.1996, n. 171). Inoltre, sempre secondo
la giurisprudenza comunitaria, l’esigenza di
tutela del prestatore del servizio, in uno
con la tutela del destinatario della
prestazione stessa e, più in generale, con
l’esigenza di una corretta ed efficiente
amministrazione della giustizia,
rappresentano “obiettivi che rientrano tra
quelli che possono essere ritenuti motivi
imperativi di interesse pubblico in grado di
giustificare una restrizione della libera
prestazione dei servizi (v., in tal senso,
sentenze 12.12.1996, causa C 3/95, Reisebüro Broede, Racc. pag. I 6511, punto
31 e giurisprudenza ivi citata, nonché 21.09.1999, causa C 124/97, Läärä e a.,
Racc. pag. I 6067, punto 33)” (così il punto
64 della decisione nelle cause riunite
C.giust. C‑94/04 e C‑202/04).
Si procederà, pertanto, previo inquadramento
della disciplina delle prestazioni
professionali (rese da avvocati) secondo
l’ordinamento interno, all’esame delle norme
di derivazione comunitaria alle quali il
Comune istante ha inteso fare riferimento ed
a quelle, non indicate, che si ritengono
rilevanti ai fini della corretta
impostazione dei quesiti.
Appare senz’altro preferibile, pur tra
le varie opzioni scrutinabili
dall’interprete, la tesi che riconduce il
contratto di patrocinio legale –tanto
circoscritto alla rappresentanza in
giudizio, quanto esteso anche alla difesa
giudiziale- nell’ambito del contratto
d’opera intellettuale regolato dall’art.
2230 c.c. e ss..
Depongono in tal senso: la necessarietà e la
non volontarietà (propria del mandato) di
una rappresentanza processuale affidata a
tecnici dotati di competenze particolari per
il compimento di atti non negoziali, che la
parte non potrebbe comunque compiere da sé
(tranne eccezioni che non rilevano come
regola); la circostanza che detti tecnici
(avvocati), iscritti in appositi albi,
esercitano professionalmente tale attività,
alla quale si accompagna di regola anche la
difesa, scritta o orale, della parte
mediante una complessa attività
intellettuale per mezzo della quale
l’avvocato assume la difesa e dà sostegno
alle ragioni di fatto e di diritto
dell’assistito; il fine pubblicistico
dell’amministrazione della giustizia con cui
questa attività concorre; il richiamo
espresso a disposizioni dettate a proposito
di tale tipo contrattuale quando si tratta
di sindacare la validità dell’accordo
stipulato con chi non sia iscritto
all’apposito albo (art. 2229 c.c.) o
l’inesigibilità della retribuzione (art.
2231 c.c.); la determinazione del compenso
secondo tariffe professionali (art. 2233
c.c.; Cass. Civ., II, 19.02.2007, n.
3740), nonché la misura della colpa
professionale rilevante ai fini del giudizio
di inadempimento (art. 2236 c.c.; Cass.
Civ., II, 23.04.2002, n. 5928).
Tale sistematico inquadramento non sembra
possa subire modifiche a seconda la natura
del committente, se esso cioè sia un privato
o un Ente pubblico. In disparte il
dibattito, tutt’altro che sopito, circa le
differenze tra appalto e contratto d’opera
in generale, non potrebbe sostenersi che, se
il patrocinio è richiesto da (e reso a) un
soggetto privato, l’oggetto del contratto
sia una prestazione d’opera intellettuale,
mentre se a richiederlo è un soggetto
pubblico essa diventi, per ciò stesso,
oggetto di un contratto di appalto (di
servizi). Al riguardo, e in generale per le
prestazioni professionali, la giurisprudenza
amministrativa è costantemente orientata a
escludere la mutevolezza della natura
giuridica del contratto d’opera
intellettuale nelle due ipotesi (così Cons.
Stato, IV, 27.06.2001 n. 3483, a
proposito del contratto concluso fra una
p.a. ed i componenti la commissione di
collaudo di un’opera pubblica; Cons. Stato, IV, 28.08.2001, n. 4573, a proposito
dell’attività professionale di redazione di
strumenti urbanistici; TAR Liguria, 22.06.2002, n. 705; TAR Campania, II, 11.11.2003, n. 13477. Per Cass. Civ., II,
18.04.2003, n. 6326, la natura di
contratto d’opera intellettuale,
“caratterizzato, in quanto tale,
dall’autonomia del prestatore”, è esclusa
solo nel caso in cui l’avvocato sia un
dipendente dell’Ente, prevalendo in tal caso
il rapporto di subordinazione con il datore
di lavoro).
Ciò posto, ci si deve preliminarmente
chiedere se il contratto di patrocinio (qui
inteso come quello volto a soddisfare il
solo e circoscritto bisogno di difesa
giudiziale del cliente), in quanto
prestazione di lavoro autonomo, rientri o
meno nella disciplina delle collaborazioni
autonome, come da ultimo disciplinate
dall’art. 46 del D.L. n. 112/2008,
convertito con modificazioni con legge n.
133/2008. Si tratta di un tema che, non
essendo stato sollevato nella richiesta di
parere, non può essere trattato dalla
Sezione se non nei ristretti limiti in cui è
funzionale a dare contezza del complesso
intreccio normativo che, per la soluzione
del quesito stesso, si presenta
all’attenzione dell’interprete.
In tale disciplina rientra, da un lato, il
conferimento di incarichi individuali, con
contratto di lavoro autonomo, di natura
occasionale o coordinata e continuativa, dal
contenuto professionale particolarmente
specializzato, per sopperire ad esigenze cui
gli enti non possono far fronte con
personale in servizio. Per siffatta
tipologia di incarichi l’art. 7 del D.Lgs.
n. 165/2001, commi 6 e 6-bis, ha indicato i
presupposti del conferimento e ha procedimentalizzato la modalità di scelta
del professionista, sia imponendo la previa
procedura comparativa (art. 7, comma 6-bis),
sia imponendo la preventiva determinazione
degli elementi del contratto. Si tratta di
disposizioni alle quali devono adeguarsi
anche i regolamenti degli EE.LL., ex art.
110, comma 6, del T.U.E.L.
Dall’altro lato, vi rientrano gli altri
contratti di collaborazione autonoma che,
indipendentemente dall’oggetto della
prestazione, sono riferiti ad attività
istituzionali stabilite dalla legge o
previste dal programma approvato dal
Consiglio ai sensi dell’art. 42, comma 2,
del T.U.E.L.. Per tali contratti è il
Regolamento previsto dall’art. 89 del
T.U.E.L. che fissa i limiti, i criteri e le
modalità per l’affidamento degli incarichi,
il tutto in conformità a quanto stabilito
dalle disposizioni vigenti, tra cui il
citato art. 7 del D.Lgs. n. 165/2001.
Si richiama quanto argomentato, sul punto,
dalle Sezioni Riunite della Corte dei conti
in sede di controllo, con la delibera n.
6/2005. Sebbene l’occasione fosse
rappresentata dall’esame della disciplina
legislativa allora vigente regolante le
modalità per il conferimento di incarichi di
studio, ricerca, ovvero di consulenza, le
Sezioni Riunite conclusero che, pur
trattandosi di incarichi il cui contenuto
“coincide (…) con il contratto di
prestazione d’opera intellettuale, regolato
dagli articoli 2229–2238 del codice
civile”, dagli stessi restano esclusi (oltre
ai rapporti di collaborazione coordinata e
continuativa, “che rappresentano una
posizione intermedia fra il lavoro autonomo,
proprio dell’incarico professionale, e il
lavoro subordinato”), gli incarichi di
“rappresentanza in giudizio ed il patrocinio
dell’amministrazione”, in quanto incarichi
“conferiti per gli adempimenti obbligatori
per legge, mancando, in tali ipotesi,
qualsiasi facoltà discrezionale
dell’amministrazione”.
Tale conclusione è stata poi confermata
anche dalla successiva delibera della Corte
dei conti, Sezione delle Autonomie, n.
6/AUT/2008, che si è espressa con riguardo
alle evoluzioni normative di epoca più
recente.
Si aggiunge in questa sede, inoltre, con
riferimento ai presupposti di legittimità
indicati dall’art. 7, comma 6, del D.Lgs. n.
165/2001, che la prestazione di patrocinio
legale per la difesa giudiziale dell’Ente
non sembra possa essere ricondotta
nell’ambito delle competenze istituzionali
attribuite all’ente stesso dall’ordinamento,
né (soprattutto per le ipotesi di incarichi
episodici) possa costituire obiettivo o
progetto specifico e determinato, come
richiesto dalla norma.
In effetti, la difesa giudiziale rappresenta
l’esercizio di un diritto-dovere mediante il
quale affermare, di regola, la rispondenza
degli atti (negoziali e provvedimentali),
attraverso i quali si estrinseca l’attività
funzionalizzata dell’ente, ai paradigmi di
liceità e legittimità fissati dalla norma,
che quel potere attribuisce.
Per lo stesso motivo, pur essendo
astrattamente possibile ricondurre la
locazione d’opera intellettuale nell’ambito
delle attività di cooperazione (Cass. Civ.,
III, 26.07.2005, n. 15607), non appare
configurabile il mero patrocinio legale alla
stregua del contratto di collaborazione
autonoma, al quale fa riferimento il citato
art. 46, comma 2, del D.L. n. 112/2008, tale
essendo quello riferibile alle attività
istituzionali stabilite dalla legge o
dall’apposito programma, approvato dal
Consiglio dell’Ente ai sensi dell’art. 42,
comma 2, del T.U.E.L..
In tale ultimo caso, poi, non si vede come
possa essere programmabile, se non in via
del tutto generica e ipotetica, un’attività
che circostanze non dipendenti dalla volontà
del soggetto programmatore rendono
necessaria e non diversamente esercitabile
se non nella forma dell’incarico a
professionista esterno abilitato.
Altra cosa, invece, (con riguardo alla
riferibilità alle attività istituzionali
dell’Ente e alla programmabilità) è il
conferimento di incarico per prestazioni che
prevedano, oltre al patrocinio legale delle
vertenze che sorgeranno entro un arco di
tempo determinato, anche l’attività di
consulenza legale a favore dell’Ente (TAR
Campania-Napoli, II, 21.05.2008, n.
4855. In tale circostanza il Giudice adìto
ha ritenuto di annullare l’affidamento
fiduciario, senza la preventiva procedura
selettiva e comparativa, di un incarico di
patrocinio e consulenza legale, di durata
annuale, per un compenso mensile fisso, per
violazione del comma 6bis dell’art. 7 del
D.Lgs. n. 165/2001, piuttosto che per
violazione delle regole sull’appalto di
servizi legali, diversamente da quanto
ritenuto dal altri TT.AA.RR., come in
appresso si dirà).
Riassumendo quanto fin qui detto, se ne
ricava che l’incarico professionale di
patrocinio, che viene conferito a un legale
nel momento stesso in cui sorge il bisogno
di difesa giudiziale dell’ente: a) è
riconducibile al contratto d’opera
intellettuale; b) il suo inquadramento
sistematico lo colloca nell’ambito delle
prestazioni di lavoro autonomo; c) resta
escluso dall’ambito delle collaborazioni
autonome, pur essendo queste prestazioni
d’opera intellettuale.
Si tratta ora di verificare se le
conclusioni fin qui raggiunte sono coerenti
con la normativa di fonte comunitaria,
ovvero se quest’ultima spinga verso
soluzioni diverse quale il ritenere,
necessariamente o solo sussistendone le
condizioni, il patrocinio legale oggetto di
appalto di servizi legali. È all’interno di
tale indagine che potranno trovare
collocazione sistematica le altre ipotesi,
sopra solo accennate, in cui cioè la
prestazione di patrocinio legale si lega a
scelte organizzative più complesse e
articolate.
Contrariamente a quanto ritenuto
dall’Ente, va osservato che le disposizioni
che riguardano i “servizi legali” non
rappresentano affatto una novità introdotta
nell’ordinamento interno a seguito della
direttiva 2004/18/CE, in quanto già il D.Lgs
17.03.1995, n. 157 (“Attuazione della
direttiva 92/50/CEE in materia di appalti
pubblici di servizi”), indicava,
nell’allegato 2, una serie di servizi, tra
cui i “servizi legali”, relativamente ai
quali non si applicava la disciplina
generale nella sua integralità ma solo
alcune disposizioni del citato decreto
legislativo e, segnatamente: l’eventuale
pubblicazione dell’avvenuta aggiudicazione
(art. 8, co. 3); l’obbligo per
l’amministrazione aggiudicatrice di definire
le “specifiche tecniche” del servizio nei
capitolati d’oneri o nei documenti
contrattuali relativi a ciascun appalto
(art. 20), obbligo, quest’ultimo, soggetto
peraltro a deroghe (art. 21). Tutta una
serie di servizi erano poi esclusi tout
court dall’assoggettamento alle norme del
decreto.
Veniva precisato, inoltre, nell’ottavo
“considerando” delle premesse alla direttiva
1992/50/CE, trasfusa nel citato D.Lgs. n.
157/1995, che “la prestazione di servizi è
disciplinata dalla presente direttiva
soltanto quando si fondi su contratti
d'appalto; [nel caso in cui la prestazione
del servizio si fondi] su altra base, quali
leggi o regolamenti ovvero contratti di
lavoro, [detta prestazione] esula dal campo
d'applicazione della presente direttiva”.
I servizi legali sono stati ora riproposti
nell’allegato II B al D.Lgs. n. 163/2006 tra
quei servizi per il cui affidamento (in
virtù del richiamo operato dall’art. 20)
trovano applicazione, esclusivamente, gli
artt. 68 (specifiche tecniche), 65 (avviso
sui risultati della procedura), 225 (avvisi
relativi agli appalti aggiudicati). Gli
appalti di servizi in questione, giova
ribadire, non sono disciplinati, dunque, da
tutte le disposizioni del D.Lgs. n.
163/2006, ma soggiacciono solo a quel nucleo
minimo di specifiche regole sopra indicate
(TAR Puglia-Lecce, 30.03.2007, n. 1333),
oltre al rispetto dei principi generali
richiamati dall’art. 27 del Codice
(economicità, efficacia, imparzialità,
parità di trattamento, trasparenza,
proporzionalità), previo invito ad almeno
cinque concorrenti, “se compatibile con
l’oggetto del contratto”.
La direttiva 2004/18/CE, trasfusa nel Codice
dei contratti pubblici, non riproduce la
limitazione contenuta nell’ottavo
“considerando” alle premesse della
precedente direttiva, sopra riportato, ma
raccomanda che “Per quanto riguarda i
servizi di cui all'allegato II B [tra cui,
appunto, i servizi legali], le disposizioni
della presente direttiva dovrebbero far
salva l'applicazione di norme comunitarie
specifiche per i servizi in questione”
(diciottesimo “considerando”).
A parere di questa Sezione il legislatore
comunitario ha voluto con ciò intendere che
la disciplina introdotta con l’ultima
direttiva sugli appalti non va a sovrapporsi
a quella risultante dalle direttive
specificamente regolanti i singoli servizi
le quali, senza ricondurre la prestazione
professionale da conferire allo schema
dell’appalto, hanno già posto le condizioni
per garantire al prestatore di tali servizi
l’accesso libero al mercato dei paesi
comunitari, in ossequio ai diritti di
libertà sanciti dal Trattato CE.
In proposito, deve osservarsi, infatti, che
molto incisivamente il legislatore
comunitario è intervenuto quando si è
trattato di indicare, con espresso
riferimento alle prestazioni professionali,
le modalità attraverso le quali raggiungere
il risultato di dare effettività e
concretezza all’obiettivo indicato
dall’articolo 3, paragrafo 1, lettera c) del
Trattato CE, eliminando ogni ostacolo alla
libera circolazione di persone e servizi tra
Stati membri. Tale obiettivo si è inteso
raggiungere, innanzitutto, prevedendo
l'approvazione di direttive miranti al
reciproco riconoscimento di diplomi,
certificati e altri titoli abilitativi che
consentano l’esercizio della professione in
ogni paese comunitario.
È soprattutto con la direttiva 2005/36/CE
del 07.09.2005, relativa al riconoscimento
delle qualifiche professionali -che ha
superato la precedente direttiva 1998/5/CE,
recepita con D.Lgs. n. 96 del 02.02.2001– che
sono state poste le condizioni idonee a
garantire la libera circolazione e il libero
accesso al mercato delle professioni.
Non è casuale, del resto, che la stessa
giurisprudenza comunitaria sia sempre stata
investita, con riguardo alla professione
forense, di questioni riconducibili al
diritto di stabilimento e alla libera
prestazione dei servizi all’interno degli
Stati membri, censurando, perché di ostacolo
alla concorrenza, la inderogabilità dei
minimi tariffari, sulla quale è poi
intervenuto il legislatore interno col
richiamato “decreto Bersani” (C.giust.,
21.06.1974, causa 74/2; Id., 03.12.1974, causa
33/74; Id., 28.04.1997, causa 71/76; Id.,
12.07.1984, causa C-107/83; Id., 19.01.1988,
causa 292/86; Id., 30.11.1995, causa C-
55/94; Id., 19.02.2002, causa C-303/99; Id.,
05.12.2006, cause C‑94/04 e C‑202/04).
Ora, non pare dubitabile che in siffatto
contesto la normativa comunitaria sopra
riportata si preoccupi di tutelare la libera
circolazione dei servizi e la libertà di
stabilimento del prestatore di essi in
quanto lavoratore, autonomo o subordinato.
“Per i cittadini degli Stati membri, essa
(libertà) comporta, tra l'altro, la facoltà
di esercitare, come lavoratore autonomo o
subordinato, una professione in uno Stato
membro diverso da quello in cui hanno
acquisito la relativa qualifica
professionale” (così il primo “considerando”
della direttiva 36 del 2005). Ed ancora: “la
presente direttiva si applica a tutti i
cittadini di uno Stato membro che vogliano
esercitare, come lavoratori subordinati o
autonomi, compresi i liberi professionisti,
una professione regolamentata in uno Stato
membro diverso da quello in cui hanno
acquisito le loro qualifiche professionali”
(così l’art. 2, comma 1, della citata
direttiva).
Sembra, allora, che se il prestatore di
servizi professionali è libero di poter
esercitare la sua attività quale lavoratore,
autonomo o subordinato, all’interno degli
Stati membri, il relativo contratto debba
ritenersi escluso dall’applicazione del
Codice ex art. 19, comma 1, let. e). Di
conseguenza, i “servizi legali” di cui
all’allegato II B sarebbero oggetto di
appalto solo se e quando la prestazione sia
riconducibile a tale tipo di contratto. In
altre parole, il servizio legale per essere
oggetto di appalto richiederebbe un quid
pluris, per prestazione o per modalità
organizzativa, rispetto alla mera
prestazione di patrocinio legale. In tal
senso depone la prescrizione che, per
l’affidamento di tali servizi, pretende
l’indicazione delle specifiche tecniche
fissate dal committente (art. 68 del
Codice), che rappresentano la condizione per
permettere l’apertura dell’appalto alla
concorrenza (cfr. il ventinovesimo
“considerando” alla direttiva n. 18 del
2004). Ed ancora, una conferma in tal senso
può desumersi anche dal quarantasettesimo
“considerando”: posto che “negli appalti
pubblici di servizi, i criteri di
aggiudicazione non devono influire
sull'applicazione delle disposizioni
nazionali relative alla rimunerazione di
taluni servizi, quali ad esempio le
prestazioni degli architetti, degli
ingegneri o degli avvocati”, il prezzo di
tali servizi, così determinato, di per sé
solo, non sarebbe idoneo a garantire quella
valutazione delle offerte in condizioni di
effettiva concorrenza, che ammette soltanto
l'applicazione di uno dei due criteri di
aggiudicazione, quello del prezzo più basso
e quello della offerta economicamente più
vantaggiosa.
Da quanto precede non sembra, dunque, che il
legislatore comunitario si sia preoccupato
di regolare le modalità di affidamento dei
contratti del tutto esclusi dall’ambito
della disciplina degli appalti pubblici. Tra
questi, il contratto di lavoro autonomo
avente a oggetto il patrocinio legale,
stipulato con un’amministrazione
aggiudicatrice.
Si potrebbe, allora, ritenere che la fonte
della disciplina interna per l’affidamento
di detti contratti sia da rinvenire nelle
disposizioni sulla contabilità generale
dello Stato, recate dal R.D. n. 2440/1923,
in particolare nell’art. 3, comma 2, in
quanto compreso tra le “disposizioni vigenti
in materia di contratti delle pubbliche
amministrazioni” alle quali rinvia l’art.
192, comma 1, let. c) del T.U.E.L. per
individuare le modalità di scelta del
contraente ammesse per i contratti degli
Enti Locali.
D’altro canto, tale lacuna, lasciata dalla
normativa comunitaria, potrebbe, invece,
essere colmata attingendo alle “procedure
previste dalla normativa della Unione
europea recepita o comunque vigente
nell’ordinamento giuridico italiano” (art.
192, u.c., T.U.E.L.).
In effetti, l’estensione, in tal senso
operata dal legislatore nazionale di
principi comunitari a fattispecie che, a
rigore, sarebbero escluse dall’ambito di
applicazione della disciplina sugli appalti
pubblici (cfr. art. 121 ss. del Codice a
proposito degli appalti sotto soglia),
risponde anche a precisi orientamenti tanto
della Corte di Giustizia –secondo la quale
“sebbene taluni contratti siano esclusi
dalla sfera di applicazione delle direttive
comunitarie nel settore degli appalti
pubblici, le amministrazioni aggiudicatrici
che li stipulano sono ciò nondimeno tenute a
rispettare i principi fondamentali del
Trattato” (C.giust., 03.12.2001, causa
C-59/00, par. 20, Bent Mousten Vestergaard)– quanto del Consiglio di Stato –secondo il
quale “i principi generali del Trattato
[libertà di stabilimento (art. 43); libera
prestazione dei servizi (art. 49); parità di
trattamento e divieto di discriminazione in
base alla nazionalità (artt. 43 e 49);
trasparenza e non discriminazione (art.
86)], valgono comunque anche per i contratti
e le fattispecie diverse da quelle
concretamente contemplate; quali (oltre alla
concessione di servizi) gli appalti
sottosoglia e i contratti diversi dagli
appalti tali da suscitare l'interesse
concorrenziale delle imprese e dei
professionisti” (Ad. Pl., 1/2008)– e trova
positivo riscontro nell’art. 27 del Codice
dei contratti pubblici, che ha esteso a
tutti i contratti di servizi, sebbene
totalmente esclusi dall’ambito proprio della
direttiva sugli appalti, l’osservanza dei
principi generali di derivazione
comunitaria, tra cui il principio di
concorrenzialità che impone la valutazione
comparativa tra almeno cinque concorrenti,
se compatibile con l’oggetto del contratto.
Ciò consente, peraltro, di rendere
applicabili anche ai contratti di lavoro
autonomo di patrocinio legale le indicazioni
elaborate dalla Commissione europea con la
“Comunicazione interpretativa” relativa al
diritto comunitario applicabile alle
aggiudicazioni di appalti non o solo
parzialmente disciplinate dalle direttive
“appalti pubblici” (Comunicazione 2006/C
179/02, in G.U.C.E., 01.08.2006 –
comunicazioni e informazioni), sulla quale
si tornerà in seguito.
L’excursus che precede si è reso
necessario per tracciare i temi rilevanti ai
fini del richiesto parere.
In primo luogo, la normativa interna
relativa al conferimento di “collaborazioni
autonome” non si applica alla prestazione
professionale di patrocinio legale, giuste
le osservazioni delle Sezioni Riunite e
della Sezione delle Autonomie della Corte
dei conti, sopra riportate.
In secondo luogo,
così come aveva già indicato la direttiva
1992/50/CE, già citata, la
disciplina comunitaria relativa agli appalti
di servizi legali
-con quanto
ne consegue in ordine alle modalità di
conferimento della prestazione professionale
che ne costituisce oggetto, ex art. 20 del
Codice- si applica solo se il contratto di
appalto rappresenta lo schema negoziale
concretamente adottato, rimanendo esclusa
quella (prestazione) che trovi fondamento in
leggi o regolamenti ovvero in altri
rapporti, quali, a titolo esemplificativo,
quelli riconducibili ad attività lavorativa,
autonoma o subordinata.
In terzo luogo, si chiarisce l’equivoco nel
quale, sembra, essere incorso il Comune
istante: quello cioè di aver ritenuto
sufficiente considerare la prestazione di
patrocinio legale un servizio per
assoggettarlo alla disciplina comunitaria
dell’appalto (di servizi). Vero è, invece,
che il contratto di patrocinio legale, quale
fonte di un rapporto di lavoro autonomo, ove
non inserito in un contesto strutturato e
organizzato più ampio, soggiace ai principi
del diritto comunitario richiamati dall’art.
27 del Codice, che impone una procedura
selettiva “se compatibile con l’oggetto del
contratto”, con le ulteriori precisazioni e
i suggerimenti operativi indicati nella
Comunicazione della Commissione europea.
Tanto premesso, occorre ora indagare in
quali casi ricorre l’appalto di servizi, con
conseguente applicazione anche delle
disposizioni indicate nell’art. 20 del
codice stesso.
Non essendo questa la sede per affrontare il
tema, ancora dibattuto, sulla natura
(necessariamente o meno) imprenditoriale del
prestatore di servizi negli appalti pubblici
regolati dal D.Lgs. n. 163/2006, ovvero
sulla natura della prestazione, se di
risultato o anche solo di mezzi (Cons.
Stato, IV, n. 263/2008), può soccorrere allo
scopo l’esame dei casi nei quali la
giurisprudenza amministrativa ha
riconosciuto la sussistenza della
fattispecie, potendosi ivi trarre motivi di
riflessione.
Diversamente da quanto ritenuto nella
richiesta di parere, le decisioni segnalate
attinenti all’argomento non riguardano
l’affidamento del patrocinio legale nei
termini di cui si è detto nell’esposizione
che precede, ma piuttosto l’affidamento, per
un periodo di tempo determinato e dietro un
corrispettivo anch’esso determinato, di una
più articolata attività legale, che
comprende anche l’assistenza e la consulenza
oltre l’eventualità del patrocinio legale a
favore dell’Ente.
Così nel caso deciso dal TAR Puglia, n.
5053/2006, l’affidamento riguardava il
servizio di consulenza legale e patrocinio
dell’ente, in ambito amministrativo e
civile, per un periodo di cinque anni e per
un corrispettivo annuo predeterminato.
Parimenti, nel caso deciso dal TAR Calabria,
Sezione R.C., n. 330/2007, la fattispecie
all’esame del Giudice riguardava
l’affidamento diretto, senza alcuna previa
procedura selettiva, dell’attività di
consulenza professionale e di difesa
giudiziale dell’Ente per un compenso
predeterminato, attività espressamente
qualificata come “servizio legale”.
Si è già detto, sopra, della fattispecie
portata alla decisione del TAR
Campania-Napoli, (sentenza n. 4855/2008),
sebbene nella circostanza il G.A. abbia
ritenuto di applicare la disciplina degli
incarichi di collaborazione autonoma
(secondo l’attuale terminologia) in luogo di
quella sull’appalto di servizi.
Sembra, dunque, assumere un sempre più
marcato rilievo la possibilità (solo di
recente) concessa al professionista di
organizzare e strutturare quella che,
tradizionalmente, era una prestazione di
lavoro autonomo, in un servizio (nella
fattispecie, legale), da adeguare alle
utilità che spetta solo all’ente conferente
dover indicare, per un determinato arco
temporale e per un corrispettivo
determinato, avvalendosi degli spazi
consentiti dall’art. 2 del citato D.L. 04.07.2006, n. 223, (c.d. Decreto Bersani).
In esso, infatti, si afferma non solo la
possibilità di convenire compensi inferiori
ai minimi tariffari oppure parametrati al
raggiungimento degli obiettivi prefissati
(co. 1, let. a), o ancora di indicare il
prezzo e i costi complessivi delle
prestazioni (co. 1, let. b), ma soprattutto
si afferma la possibilità di “fornire
all'utenza servizi professionali di tipo
interdisciplinare da parte di società di
persone o associazioni tra professionisti,
fermo restando che l'oggetto sociale
relativo all'attività libero-professionale
deve essere esclusivo, che il medesimo
professionista non può partecipare a più di
una società e che la specifica prestazione
deve essere resa da uno o più soci
professionisti previamente indicati, sotto
la propria personale responsabilità” (co 1,
let. c).
Si può così affermare che l’obbligo del
committente di indicare, adeguandole alla
natura del servizio, le specifiche tecniche
che consentono di definire l’oggetto
dell’appalto e le modalità della
prestazione, affinché il servizio sia reso
in modo da corrispondere alle esigenze del
committente stesso –obbligo, non
derogabile, posto dall’art. 68 ed
espressamente richiamato dall’art. 20 del
Codice- assume concreta valenza selettiva
delle offerte presentate proprio nell’ambito
di un servizio organizzato e strutturato.
Sembra allora alla Sezione che l’appalto di
servizi legali sia configurabile allorquando
l’oggetto del servizio non si esaurisca nel
patrocinio legale a favore dell’Ente, ma si
configuri quale modalità organizzativa di un
servizio, affidato a professionisti esterni,
più complesso e articolato, che può anche
comprendere la difesa giudiziale ma in essa
non si esaurisce. Ciò comporta che, in
quanto modalità organizzativa, essa sia
strutturata e organizzata dal
professionista, con mezzi propri, per far
fronte alle utilità indicate dall’ente
conferente in un determinato arco temporale
e per un corrispettivo determinato.
Così inteso, il servizio legale non può,
evidentemente, essere affidato se non con le
più specifiche modalità indicate dall’art.
20 del Codice, come interpretate dalla più
volte citata Comunicazione della Commissione
europea, alle quali si aggiungono quelle
residuali dell’art. 27, che espressamente
prevedono l’invito ad almeno cinque
concorrenti (TAR Sardegna, I, 26.06.2007, n. 1355).
Seppure la procedura di affidamento non
ricalchi, in questi casi, i rigidi canoni
previsti dal Codice dei contratti pubblici
-(l’art. 25, co.1, let. b, della legge di
delega n. 62/2005, espressamente prevedeva
la “semplificazione delle procedure di
affidamento che non costituiscono diretta
applicazione delle normative comunitarie,
finalizzata a favorire il contenimento dei
tempi e la massima flessibilità degli
strumenti giuridici”)- occorre comunque
considerare che l’invito deve essere
adeguatamente pubblicizzato (ove non
ricorrano situazioni di estrema urgenza,
risultanti da eventi imprevedibili) e
formulato in modo da rendere espliciti gli
elementi minimi affinché sia salvaguardato
il risultato utile voluto dal legislatore in
ordine al rispetto dei principi sopra
indicati (economicità, efficacia,
imparzialità, parità di trattamento,
trasparenza e proporzionalità) (TAR Lazio, III-quater,
08.07.2008, n. 6443).
Va, altresì, detto che l’Ente non potrebbe,
espletata la procedura comparativa in esame,
disattenderne l’esito, conferendo l’incarico
ad altro professionista, ovvero a colui, tra
quelli invitati, che, sulla base dei criteri
predeterminati dall’Ente stesso, non appaia
il concorrente più idoneo (Cons. Stato, IV,
n. 263/2008).
Per ulteriori elementi di conoscenza, utili
al rispetto della procedura di affidamento,
si rinvia alla più volte citata
“Comunicazione interpretativa della
Commissione” del l'01.08.2006.
Quanto all’organo deputato a esprimersi
in ordine all’opportunità di iniziare o
resistere alla lite, come anche al soggetto
dotato di legittimazione, che sottoscriverà
la procura alla lite, in generale occorre
fare riferimento a quanto indicato nello
Statuto (art. 6 T.U.E.L.), dal momento che
esso potrebbe attribuire la legittimazione
attiva anche a dirigenti dell’ente (Cass.
Civ., V, 04.02.2008, n. 2585).
Quanto, poi, al soggetto legittimato a
stipulare il contratto di patrocinio o di
appalto di servizio con il professionista,
questi non può che essere il Dirigente, ai
sensi dell’art. 107 del T.U.E.L., e non già
la Giunta (Cons. Stato, IV, n. 263/2008,
cit.; TAR Calabria, R.C., n. 330/2007; TAR
Calabria, CZ, n. 453/2006; TAR Campania, n.
3081/2004).
In ogni caso,
si segnala che per il
contratto d’opera professionale, quando ne
sia parte committente una p.a., è richiesta
la forma scritta a pena di nullità, ai sensi
degli artt. 16 e 17 R.D. n. 2440/1923
(Cass., 08.06.2007, n. 13508).
Relativamente al compenso spettante al
professionista, occorre distinguere. Se
nell’invito per la selezione era stato
richiesta anche l’indicazione di detto
compenso, ovvero il modo di determinarlo in
riferimento alla tariffa vigente,
l’affidamento al professionista porta già
con sé la determinazione di detto onere.
Se, invece, la scelta è avvenuta senza la
preventiva determinazione della componente
economica, occorre che sia indicato
l’importo del compenso o il criterio della
sua determinazione, dovendosi richiamare
l’Ente all’osservanza, comunque, di misure
di natura prudenziale, quali ad esempio
quelle indicate dalla Sezione regione di
controllo per l’Abruzzo con la delibera n.
360/2008, del 14.07.2008.
Giova ribadire, sul punto, che
proprio le
possibilità di determinazione del compenso
professionale, anche al di sotto dei minimi
tariffari, impone all’Ente -al fine della
tutela del pubblico erario- di convenire
sempre e preventivamente gli onorari dovuti,
vigilando e controllando che le altre voci
di spesa siano congrue rispetto all’attività
effettivamente svolta. |
LAVORI PUBBLICI:
Parere richiesto dal Sindaco del Comune di
Riccione (RN) riguardante
"la legittimità dell'inserimento nei
contratti di appalto di lavori pubblici di
clausole che prevedano il riconoscimento di
interessi per ritardati pagamenti"
(Corte
dei Conti, Sez. regionale di controllo
Emilia Romagna,
parere
13.03.2009 n. 5
- link a www.corteconti.it). |
dossier BOX |
EDILIZIA PRIVATA:
Realizzazione parcheggi interrati
e seminterrati
Ai sensi dell’art. 9 della legge 24.03.1989,
n. 122, la realizzazione di autorimesse o
parcheggi destinati a pertinenza di
fabbricati esistenti è soggetta ad
autorizzazione gratuita soltanto se è
realizzata nel sottosuolo o nei locali del
piano terreno del fabbricato stesso.
Per effetto della modifica apportata a tale
disposizione dall’art. 17, comma 90, della
legge 15.05.1997, n. 127, poi, il regime
dell’autorizzazione è stato esteso ai
parcheggi realizzati, ad uso esclusivo dei
residenti, anche nel sottosuolo di aree
pertinenziali esterne al fabbricato.
In ogni caso è però necessario che i
parcheggi siano realizzati nei siti
suddetti, ossia nel sottosuolo o nei locali
del piano terreno del fabbricato di cui
costituiscono pertinenza o nel sottosuolo di
aree esterne al fabbricato ma sempre
pertinenziali allo stesso.
Qualora invece vengano costruiti in aree
diverse o all’esterno o in superficie non è
più sufficiente la suddetta procedura
semplificata, ma è necessario il preventivo
rilascio del permesso di costruire, in
ragione del loro impatto sull’assetto
urbanistico e sull’utilizzazione del
territorio (fattispecie relativa a sequestro
probatorio di cantiere per la realizzazione
di box interrati e seminterrati) (Corte di
Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 25.06.2009 n. 26327 -
link a www.lexambiente.it). |
dossier CONTRIBUTO DI COSTRUZIONE |
EDILIZIA PRIVATA: Ai
fini della corresponsione o meno degli oneri
d'urbanizzazione in caso di intervento su un
fabbricato già autorizzato, l'unico
legittimo presupposto imponibile è
costituito dalla sussistenza o meno
dell'eventuale maggiore carico urbanistico,
con conseguente illegittimità della
richiesta del pagamento di tali maggiori
oneri se non si verifica la variazione del
carico urbanistico.
Il Collegio non ha motivi per discostarsi
dall’orientamento di questo Consiglio
secondo cui ai fini della corresponsione o
meno degli oneri d'urbanizzazione in caso di
intervento su un fabbricato già autorizzato,
l'unico legittimo presupposto imponibile è
costituito dalla sussistenza o meno
dell'eventuale maggiore carico urbanistico,
con conseguente illegittimità della
richiesta del pagamento di tali maggiori
oneri se non si verifica la variazione del
carico urbanistico (Cons. Stato, Sez. IV
29.04.2004 n. 2611; Sez. V 15.09.1997, n.
959, 21.01.1992, n. 61 e 27.01.1990 n. 693).
Peraltro, a tali fini, non si deve tenere
conto esclusivamente di una ristrutturazione
generale e globale di un edificio, con
necessari interventi esterni e interni, ma
anche di ristrutturazioni che comunque
trasformino la realtà strutturale e la
fruibilità urbanistica dell'immobile, con
conseguente necessità della sottoposizione
della relativa concessione al pagamento dei
contributi, riferiti alla avvenuta oggettiva
rivalutazione dell'immobile, e funzionali a
sopportare il carico socio-economico che la
realizzazione comporta sotto il profilo
urbanistico (V. la decisione della Sezione
03.03.2003, n. 1180).
------------------
Nella specie si prevede la demolizione di
tre preesistenti fabbricati, composti da un
edificio residenziale a tre piani di vecchia
costruzione ed in pessimo stato di
manutenzione e due piccoli bassi fabbricati
fatiscenti adibiti ad autorimessa e a
deposito attrezzi giardino (secondo quanto
risulta dalla relazione tecnico-descrittiva
del progetto, versata in atti).
Sono stati progettati due nuovi edifici a
destinazione residenziale (di cui uno a tre
piani e l’altro a 4 piani sul piano pilotis
per un totale di 11 alloggi) con diversa
collocazione sul lotto rispetto a quanto
demolito e realizzazione di un’autorimessa
interrata, con incremento della cubatura
complessiva.
E’ ammesso anche dal ricorrente che si è
verificato un aumento del carico
urbanistico, ma la questione da risolvere
consiste nello stabilire se gli oneri di
urbanizzazione debbano essere corrisposti in
relazione all’intero intervento edilizio
assentito (come ritenuto dal Comune con
l’avallo del TAR) o limitatamente
all’ampliamento di cubatura rispetto a
quella a suo tempo realizzata con la
preesistente edificazione con la medesima
destinazione residenziale e che ora è
demolita (secondo la tesi del ricorrente).
Il Collegio ritiene condivisibile nella
fattispecie il criterio seguito
dall’Amministrazione di assoggettare a
contribuzione l’intero intervento edilizio
assentito, atteso che esso si configura come
edificazione del tutto nuova in quanto le
due costruzioni assentite non avevano alcun
riferimento con i tre fabbricati demoliti
essendo diversamente ubicate, strutturate su
un maggior numero di piani ed adibite ad uso
esclusivamente residenziale.
E’ inoltre da considerare che i precedenti
fabbricati possedevano un carico urbanistico
del tutto irrilevante in quanto il
fabbricato ad uso residenziale era “vecchio
ed in pessimo stato di manutenzione” e i due
piccoli bassi adibiti ad autorimessa e
deposito attrezzi giardino erano
“fatiscenti”
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 16.06.2009 n. 3847 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La costruzione di una cappella
cimiteriale non è esente dal pagamento degli
oneri di urbanizzazione.
L'eventuale esenzione necessita della
concomitanza di due requisiti: per effetto
del primo la costruzione deve riguardare
opere pubbliche o di interesse generale; per
effetto del secondo le opere debbono essere
eseguite da un ente istituzionalmente
competente.
L’esenzione dal pagamento degli oneri di
urbanizzazione richiede l’esistenza di due
presupposti che debbono entrambi concorrere,
l’uno di carattere oggettivo e l’altro di
carattere soggettivo.
Per effetto del primo la costruzione deve
riguardare opere pubbliche o di interesse
generale; per effetto del secondo le opere
debbono essere eseguite da un ente
istituzionalmente competente. La ratio
di tale norma è, infatti, quella di
agevolare l’esecuzione di opere destinate al
soddisfacimento di interessi pubblici
(Consiglio di Stato, Sezione V, 11.01.2006,
n. 51).
La Cappella realizzata dall’interessata non
può rientrare tra le previsioni di cui alla
detta lettera f) tanto dal punto di vista
soggettivo quanto da quello oggettivo.
La Cappella, se fosse stata costruita
direttamente dal Comune, sarebbe certamente
rientrata tra le opere pubbliche realizzate
da ente istituzionalmente competente per il
soddisfacimento dell’interesse dell’intera
collettività.
Alla stessa conclusione si sarebbe pervenuti
se il Comune avesse istituito apposito ente
per assicurare a tutti i cittadini la
possibilità di essere seppelliti e se questo
avesse realizzato l’opera.
In conclusione l’opera, se destinata al
soddisfacimento del bisogno di tutta la
collettività, indistintamente considerata,
realizzata direttamente dalla pubblica
amministrazione o da un organismo all’uopo
creato, ha i requisiti per beneficiare
dell’esenzione. Ciò nella considerazione
che, se così non fosse, si assisterebbe ad
un notevole appesantimento dell’operato
dell’amministrazione che attraverso una
partita di giro finirebbe col recuperare
apparentemente la quota di spese sostenute
per l’urbanizzazione della zona interessata
dall’edificazione. E chiaramente non avrebbe
senso che un settore dell’amministrazione
che realizza un’opera pubblica in una zona
urbanizzata da altro suo settore rimborsi a
quest’ultimo la quota parte delle spese
sostenute per la ripetuta urbanizzazione.
Altro discorso va fatto quando un soggetto
diverso da quello che la lettera f)
definisce istituzionalmente competente
realizzi un’opera destinata ad essere
utilizzata solo ed esclusivamente dai suoi
associati. Detto soggetto, costituito per
realizzare l’interesse di una categoria ben
definita di persone persegue un interesse
apprezzabile non generale ma particolare, e
può agire o meno per finalità di lucro. Tale
ultima finalità non rileva assolutamente,
essendo preponderante la prima, consistente
nel perseguimento dell’interesse di un
gruppo di persone definibili sulla scorta
delle previsioni del suo statuto.
Il perseguimento di un interesse particolare
comporta che la Confraternita, che voglia
realizzare un immobile nell’interesse degli
associati utilizzando un’area cimiteriale,
debba corrispondere un contributo
commisurato all’incidenza delle spese di
urbanizzazione sostenute dalla collettività.
Sarebbe ingiustificato, infatti, che il
gruppo di soggetti rappresentati dalla
Confraternita utilizzassero gratuitamente le
opere di urbanizzazione realizzate dalla
collettività, non essendo condivisibile la
deduzione della ricorrente secondo la quale
nulla sarebbe dovuto in presenza di aree già
urbanizzate.
Non esiste nemmeno il presupposto oggettivo
considerato che l’opera eseguita
dall’interessata non è qualificabile in
alcun modo tra le opere di urbanizzazione
che l’ultima parte di detta lettera f)
individua tra quelle che i privati eseguono
in attuazione di strumenti urbanistici
(strade previste da un piano di
lottizzazione ad esempio) (CGARS,
sentenza 10.06.2009 n. 534 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
requisito c.d. soggettivo necessario onde
accordare l’esenzione dal contributo di cui
all’art. 3 della l. 10 del 1977 sussiste non
solo nel caso in cui l’opera sia realizzata
direttamente da un ente pubblico
nell’esercizio delle proprie competenze
istituzionali, ma anche nel caso in cui
l’opus venga realizzato da un soggetto
privato, purché per conto di un ente
pubblico.
Il Collegio ritiene di prestare puntuale
adesione (non rinvenendosi alcuna ragione
onde discostarsene) al consolidato
orientamento giurisprudenziale secondo cui
il requisito c.d. soggettivo necessario onde
accordare l’esenzione dal contributo di cui
all’art. 3 della l. 10 del 1977 sussiste non
solo nel caso in cui l’opera sia realizzata
direttamente da un ente pubblico
nell’esercizio delle proprie competenze
istituzionali, ma anche nel caso in cui l’opus
venga realizzato da un soggetto privato,
purché per conto di un ente pubblico (come
nel caso, che qui ricorre, della concessione
di opera pubblica o in altre analoghe figure
organizzatorie in cui l’opera sia realizzata
da soggetti che non agiscano per scopo di
lucro, o che accompagnino tale lucro ad un
legame istituzionale con l’azione
dell’Amministrazione volta alla cura di
interessi pubblici – in tal senso, ex plurimis: Cons. Stato, Sez. IV, sent.
12.07.2005, n. 3744; id, Sez. IV, sent.
10.05.2005, n. 2226; id., Sez. V, sent.
02.12.2002, n. 6618)
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 09.09.2008 n. 4296 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Per accordare l'esenzione dal
pagamento degli oo.uu. necessità che
concorrano sia il requisito oggettivo (il
carattere di interesse generale delle opere
realizzate) sia il presupposto soggettivo,
concernente il riferimento dell’edificio
all’ente istituzionalmente competente
La norma richiamata dall’appellante (art. 9,
lettera f), della legge n. 10/1977) prevede
che i contributi di urbanizzazione non sono
dovuti per le “opere di interesse
generale, realizzate dagli enti
istituzionalmente competenti”.
La previsione normativa individua un
requisito oggettivo (il carattere di
interesse generale delle opere realizzate) e
un presupposto soggettivo, concernente il
riferimento dell’edificio all’ente
istituzionalmente competente.
Nel caso di specie sussistono entrambi
requisiti.
Infatti, l’opera assume indubbiamente
carattere di interesse generale,
considerando la sua connessione con le
finalità terapeutiche e di ricerca, svolte
in stretta coerenza con i piani sanitari
pubblici.
Essa è realizzata da un ente
istituzionalmente competente, in quanto
l’Istituto è il soggetto attuatore di un
complesso programma pubblico sanitario,
risultante dalle convenzioni stipulate con
la Regione, con l’Ordine Mauriziano, con
l’Università di Torino e con il comune di
Candiolo. È molto significativo, in tal
senso, che l’Istituto sia qualificato
espressamente come presidio sanitario
dell’Ordine Mauriziano.
Non è esatto affermare che l’espressione
utilizzata dalla norma presupponga, in modo
inderogabile, il carattere formalmente
pubblico del soggetto. Per ottenere
l’esenzione totale, è sufficiente che l’ente
privato sia collegato stabilmente con
l’organizzazione pubblica dell’attività
considerata (in questo caso sanitaria).
Senza considerare, poi, che, nel caso di
specie, la rilevanza pubblicistica della
Fondazione e dell’Istituto derivano anche
dall’espresso riconoscimento effettuato
dalla Regione.
Del resto, non è seriamente dubitabile che
la finalità istituzionale della Fondazione
consista proprio nell’attività di studio e
cura nel settore sanitario, senza altri
scopi di natura imprenditoriale o lucrativa
(salvo quanto si preciserà ai punti
seguenti)
(Consiglio di Stato, Sez. V.
sentenza 06.12.2007 n. 6237 - link a www.giustizia-amministrativa.it).
-------------
(fattispecie relativa alla richiesta di
concessione edilizia da parte della
Fondazione Piemontese per la ricerca sul
cancro – ONLUS per la realizzazione della
propria sede). |
EDILIZIA PRIVATA: Due
requisiti devono concorrere per fondare lo
speciale regime di gratuità della
concessione: l'uno di carattere oggettivo e
l'altro di carattere soggettivo. Per effetto
del primo la costruzione deve riguardare
opere pubbliche o di interesse generale; per
effetto del secondo le opere devono essere
eseguite da un ente istituzionalmente
competente.
La gratuità del titolo concessorio opera
anche nei riguardi di “opere di
urbanizzazione eseguite in attuazione di
strumenti urbanistici”. Perché la
costruzione possa fruire del beneficio è
necessario che essa sia specificamente
indicata come tale nello strumento
urbanistico medesimo.
La questione controversa concerne
l'applicabilità dell'art. 9, lettera f),
della legge n. 10 del 1977 al complesso
edilizio realizzato dalla società appellante
ed il relativo riconoscimento del diritto
all'esenzione dal pagamento del contributo
di concessione di cui all'art. 3 della legge
n. 10 del 1977.
Prevede tale norma che “il contributo di
cui al precedente articolo 3 non è dovuto:
……f) per gli impianti, le attrezzature, le
opere pubbliche o di interesse generale
realizzate dagli enti istituzionalmente
competenti nonché per le opere di
urbanizzazione, eseguite anche da privati,
in attuazione di strumenti urbanistici”.
La disposizione in oggetto viene richiamata
per due distinti profili, ciascuno dei quali
idoneo, in linea di ipotesi, a giustificare
l'esenzione.
Il primo è quello per cui il contributo
concessorio non è dovuto quando si tratta
della realizzazione di opere pubbliche o di
interesse generale da parte di enti
istituzionalmente competenti.
La norma enuncia due requisiti che devono
entrambi concorrere per fondare lo speciale
regime di gratuità della concessione, l'uno
di carattere oggettivo e l'altro di
carattere soggettivo.
Per effetto del primo la costruzione deve
riguardare opere pubbliche o di interesse
generale; per effetto del secondo le opere
devono essere eseguite da un ente
istituzionalmente competente (v., ex
plurimis, le decisioni della sezione
20.10.2004, n. 6818; 10.07.2000, n. 3860;
20.07.1999, n. 849; 29.09.1997, n. 1067).
La ratio della norma è anzitutto
quella di agevolare l'esecuzione di opere
destinate al soddisfacimento di interessi
pubblici o dalle quali la collettività possa
comunque trarre una utilità.
L'esecuzione di un'opera pubblica, inoltre,
quando è compiuta da un "ente
istituzionalmente competente",
garantisce il perseguimento di interessi di
ordine generale e giustifica la concessione
di un beneficio economico che, non
contribuendo alla formazione di un utile di
impresa, si riverbera a vantaggio di tutta
la collettività che fruisce dell'opera una
volta compiuta.
L'imposizione degli oneri concessori al
soggetto che interviene per l'istituzionale
attuazione del pubblico interesse sarebbe
altrimenti intimamente contraddittoria,
poiché verrebbe a gravare, sia pure
indirettamente, sulla stessa comunità che
dovrebbe avvantaggiarsi dal loro pagamento.
In questo senso, la disposizione agevolativa
è stata estesa, dunque, oltre che agli enti
pubblici, anche a quelle figure soggettive
che non agiscono per esclusivo scopo
lucrativo ovvero che accompagnano al lucro
un collegamento giuridicamente rilevante con
l'amministrazione, sì da rafforzare il
legame istituzionale con l'azione del
soggetto pubblico per la cura degli
interessi della collettività.
Tale raccordo, peraltro, deve essere idoneo
ad assicurare, grazie alla presenza del
soggetto pubblico, un contemperamento
dell'obiettivo privatistico dell'esecutore
dell'opera con il fine pubblicistico
realizzato, come ad esempio nel caso del
concessionario di opera pubblica, il quale,
pur mirando al conseguimento di un lucro
d'impresa, è parificabile a pieno titolo al
soggetto che cura istituzionalmente
l'esecuzione di opere di interesse generale
(cfr. la decisone di questa Sezione n. 1280
del 07.09.1995).
Occorre, cioè, un ben preciso vincolo tra il
soggetto abilitato ad operare nell'interesse
pubblico ed il materiale esecutore della
costruzione; vincolo che, in linea di
massima, è stato identificato nella
concessione di opera pubblica o analoghe
figure organizzatorie in modo tale che
l'attività edilizia sia compiuta da un
soggetto che curi istituzionalmente la
realizzazione di opere di interesse generale
per il perseguimento delle specifiche
finalità cui le opere stesse sono destinate,
per cui non può usufruire dell'esenzione dal
contributo l'opera costruita da un
imprenditore per la propria attività
d'impresa (cfr. la decisione di questa
Sezione n. 6618 del 02.12.2002).
La Sezione ha anche avuto modo di rilevare
(cfr. la citata decisione 06.10.2003, n.
5323) che la fattispecie normativa, elevando
ad oggetto della qualificazione "le opere
pubbliche o di interesse generale realizzate
dagli enti istituzionalmente competenti"
ha inteso, in effetti, riferirsi agli enti
pubblici, o comunque agli enti che agiscono
per conto di enti pubblici (come ad esempio,
i concessionari pubblici): in tal senso, la
giurisprudenza del Consiglio di Stato è
costante.
L'esattezza di tale soluzione è confermata,
del resto, non soltanto dall'endiadi: "opere
pubbliche o di interesse generale", che
rinvia ad una figura soggettiva pubblica, ma
dal fatto che nella sola seconda parte della
proposizione normativa, concernente le opere
di urbanizzazione, la disposizione reca la
specifica indicazione: "eseguite anche da
privati".
Ne esce quindi caricata di ulteriore valore
semantico la locuzione: "enti
istituzionalmente competenti", che non
può riferirsi che ad enti pubblici o a
soggetti che agiscono per conto degli
stessi.
È da escludere,
poi, che nella specie possa trovare
applicazione anche la citata seconda parte
dell’art. 9, lettera f), della legge n.
10/1977, secondo cui la gratuità del titolo
concessorio opera anche nei riguardi di “opere
di urbanizzazione eseguite in attuazione di
strumenti urbanistici”. Perché la
costruzione possa fruire del beneficio
correlato a tale norma è, invero, necessario
che essa sia specificamente indicata come
tale nello strumento urbanistico medesimo.
Sennonché, le opere di cui qui si discute
non sono mai state qualificate come opere di
urbanizzazione nelle locale pianificazione
urbanistica, sicché l’esenzione dal
contributo di concessione non può essere
riconosciuta
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 11.01.2006 n. 51 - link a www.giustizia-amministrativa.it).
---------------
(fattispecie relativa ad una ONLUS che ha
richiesto la concessione edilizia per la
costruzione di una residenza per anziani). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
requisito soggettivo previsto dall’art. 9,
comma 1, lett. f), legge n. 10 del 1977
(esenzione dal pagamento degli oo.uu.)
sussiste quando tra il soggetto abilitato ad
operare nell’interesse pubblico ed il
materiale esecutore della costruzione vi sia
un ben preciso vincolo, in modo tale che
l’attività edilizia sia compiuta da un
soggetto che curi istituzionalmente la
realizzazione di opere di interesse
generale, ma tale requisito postula,
ovviamente, che la realizzazione dell’opera
ricada nell’ambito delle competenze
istituzionali dell’ente pubblico, e di
quelle attribuite (per concessione od altro,
analogo, modello organizzatorio) al soggetto
attuatore.
La giurisprudenza è concorde nel ritenere
che l’espressione “opere pubbliche o di
interesse generale realizzate dagli enti
istituzionalmente competenti” usata
dalla norma in discorso (art. 9 l. n.
10/1977) coincide in sostanza con quella di
opera pubblica, che è appunto l’opera di
interesse generale realizzata da un ente
pubblico, nell’ambito delle proprie
competenze istituzionali; essa pertanto può
anche essere realizzata da un soggetto
privato, purché per conto di un ente
pubblico, come nella figura della
concessione di opera pubblica o in altre
analoghe figure organizzatorie, e tale non
può certo dirsi quella per la cui
utilizzazione l’ente pubblico (nella specie,
la regione), stabilisce di pagare un
corrispettivo.
Il fine dell’esenzione è, infatti, quello di
evitare una contribuzione intimamente
contraddittoria, quale sarebbe quella per
opere costruite a carico della collettività,
e non quella di esonerare gli imprenditori
dai costi di impresa (così Cons. Stato, sez.
V, 10.12.1990, n. 857). Inoltre l’opera, per
godere dell’esenzione, deve essere
imputabile in capo all’ente pubblico, in
maniera diretta ed iniziale (Tar Umbria,
10.11.1993, n. 463; Cons. Stato, sez. V,
02.12.2002, n. 6618); deve essere, in altre
parole, riferibile all’ente pubblico e
all’ambito delle sue competenze
istituzionali, anche se sia materialmente
realizzata da un soggetto diverso, pure
privato.
Tale requisito difetta nella fattispecie in
esame, nella quale la realizzazione
dell’impianto è stato progettato e
concretizzato da Consepi s.p.a. nell’ambito
della propria attività di impresa,
relativamente alla quale ricava un compenso,
anche a carico, come detto, della stessa
regione: è quindi evidente che le opere
stesse non possono essere qualificate di
interesse generale (e tanto meno pubbliche),
se non in senso generico (alla pari, ad
esempio, degli edifici destinati a
soddisfare le esigenze abitative, esse pure,
in questo senso, di interesse generale e
assoggettate pacificamente al pagamento
degli oneri).
Come si è detto, il requisito soggettivo
previsto dall’art. 9, comma 1, lett. f),
legge n. 10 del 1977 sussiste quando tra il
soggetto abilitato ad operare nell’interesse
pubblico ed il materiale esecutore della
costruzione vi sia un ben preciso vincolo,
in modo tale che l’attività edilizia sia
compiuta da un soggetto che curi
istituzionalmente la realizzazione di opere
di interesse generale (Cons. stato, sez. V,
20.10.2004, n. 6818), ma tale requisito
postula, ovviamente, che la realizzazione
dell’opera ricada nell’ambito delle
competenze istituzionali dell’ente pubblico,
e di quelle attribuite (per concessione od
altro, analogo, modello organizzatorio) al
soggetto attuatore.
Nella specie, la società ricorrente è stata
costituita dalla regione Piemonte,
utilizzando lo strumento di cui all’art. 4
legge reg. n. 11 del 1980, per la
realizzazione di opere di pubblica utilità
relative alle “infrastrutture per il
trattamento delle merci e per l’interscambio
fra sistemi di trasporto”: non è dunque
una società con capacità generica, per
quanto riguarda il rapporto con la regione,
né un ente strumentale indifferenziato, ma
una società orientata ad un ben preciso
obiettivo, quello appunto di realizzare e
gestire l’autoporto o altre simili
infrastrutture per il trattamento delle
merci e l’interscambio. Del pari, non è solo
la regione che può affidarle la
realizzazione di programmi di intervento,
ma, a norma di statuto, anche società
(private).
L’opera di cui ora si discute riguarda la
realizzazione di un intervento per la
sicurezza stradale, che è cosa evidentemente
diversa da quella per la quale la regione ha
provveduto a strutturare la società; questa
considerazione, e la capacità di impegnarsi
anche a favore di privati esclude che la
Consepi possa definirsi ente strumentale
della regione, essendo, invece, definibile a
tutti gli effetti come imprenditore, che
esplica la propria attività di impresa anche
nei confronti della regione
(TAR Piemonte, Sez. I,
sentenza 31.10.2005 n. 3316 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Lo
speciale regime di gratuità della
concessione edilizia -ex art. 9 l. n.
10/1977- richiede il concorso di due
requisiti: l’uno di carattere soggettivo e
l’altro di carattere oggettivo.
Il primo consiste nell'esecuzione delle
opere da parte di enti “istituzionalmente
competenti”, vale a dire da parte di
soggetti ai quali la realizzazione
dell’opera sia demandata in via
istituzionale; il secondo, dall’ascrivibilità
del manufatto oggetto di concessione
edilizia alla categoria delle opere
pubbliche o di interesse generale.
Dispone l'art. 9 della l. n. 10/1977: “Il
contributo (per il rilascio della
concessione) … non è dovuto: … f) per gli
impianti, le attrezzature, le opere
pubbliche o di interesse generale realizzate
dagli enti istituzionalmente competenti
nonché per le opere di urbanizzazione,
eseguite anche da privati, in attuazione di
strumenti urbanistici”.
Secondo giurisprudenza ormai pacifica,
nell’ipotesi considerata da questa
disposizione, lo speciale regime di gratuità
della concessione edilizia richiede il
concorso di due requisiti, l’uno di
carattere soggettivo e l’altro di carattere
oggettivo.
Il primo consiste nell'esecuzione delle
opere da parte di enti “istituzionalmente
competenti”, vale a dire da parte di
soggetti ai quali la realizzazione
dell’opera sia demandata in via
istituzionale; il secondo, dall’ascrivibilità
del manufatto oggetto di concessione
edilizia alla categoria delle opere
pubbliche o di interesse generale.
Si è rilevato, infatti, che l’espressione «opere
pubbliche o di interesse generale realizzate
dagli enti istituzionalmente competenti»
rende in sostanza il concetto di «opera
pubblica», che è appunto opera di
interesse generale realizzata da un ente
pubblico nell'ambito delle proprie
competenze istituzionali. Essa, pertanto, è
stata riferita anche ad un’opera realizzata
da un soggetto privato, purché per conto di
un ente pubblico, come nella figura della
concessione di opere pubbliche o in analoghe
figure organizzatorie (cfr., su tutta la
materia, Cons. Stato, Sez. V, 02.12.2002 n.
6618; 10.07.2000 n. 3860; id. 06.12.1999 n.
2061; id. 10.05.1999 n. 536; id. 04.05.1998
n. 492; id. 29.09.1997 n. 1067; id.
07.09.1995 n. 1280; id. 10.12.1990 n. 857).
La disposizione sopra riportata, inoltre,
deve ritenersi di stretta interpretazione,
in quanto introduce ipotesi di deroga alla
regola generale (art. 1 L. 28.01.1977 n. 10)
che assoggetta a contributo tutte le opere
che comportino trasformazione del
territorio, in relazione agli oneri che la
collettività, in dipendenza di esse, è
chiamata a sopportare (Consiglio di Stato,
Sez. V,
sentenza 12.07.2005 n. 3774 - link a www.giustizia-amministrativa.it).
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(fattispecie relativa alla concessione
edilizia rilasciata ad una fondazione per
l’esecuzione di lavori di recupero e riuso
di un castello al fine di realizzarvi una
residenza studentesca ed un centro
congressi). |
EDILIZIA PRIVATA: La
costruzione di una cappella privata,
all'interno del cimitero comunale, sconta il
pagamento degli oneri di urbanizzazione.
I due ricorsi si fondano sul postulato che
in virtù dell’art. 9, lettera f, della L. n.
10/1977, per la costruzione di una Cappella
Cimiteriale non sarebbe dovuto il pagamento
dei predetti oneri atteso che le
Confraternite è un Ente Ecclesiale non
avente scopo di lucro,ma caratteristiche
mutualistiche ed assistenziali.
Le Cappelle, secondo l’assunto di parte
ricorrente, anche se non destinate a scopi
propri dell’Amministrazione, soddisfano
bisogni della collettività, anche se la
gestione del manufatto Cimiteriale è svolta
da privati.
L’iter logico giuridico seguito dalla
ricorrente non è condivisibile.
Invero, l’art. 9 della L. n. 10/1977, alla
lettera f), disposizione invocata dalla
ricorrente per postulare l’esonero dai
contributi e pretendere la restituzione del
asseritamene indebito, statuisce che non
sono dovuti gli oneri di urbanizzazione per:
gli impianti, le attrezzature, le opere
pubbliche o di interesse generale realizzate
dagli enti istituzionalmente competenti
nonché per le opere di urbanizzazione,
eseguite anche da privati, in attuazione di
strumenti urbanistici.
Nel caso all’esame del Collegio la Cappella
non è sussumibile in nessuna delle
fattispecie elencate nella norma
surriportata.
Infatti, essa non può essere considerata
opera pubblica realizzata da un Ente
pubblico istituzionalmente competente, né
opera di urbanizzazione realizzata da un
privato in attuazione di uno strumento
urbanistico, atteso che non risulta che il
manufatto de quo sia previsto da
alcun strumento urbanistico e neppure che la
Confraternita lo abbia realizzato nel quadro
di interventi, sia pure a cura di privati,
di attuazione delle previsioni di uno
strumento urbanistico.
Né dai ricorso o dalle allegazioni
processuali è dato dedurre che la Cappella
sia stata costruita dalla Confraternita in
attuazione di un accordo ex L. n. 241/1990.
Né, ad avviso del Collegio, hanno pregio le
considerazioni della ricorrente relative ad
una rilevanza della natura non profit
della Confraternita, né il presunto fine di
interesse generale perseguito dal sodalizio
nella realizzazione della Cappella.
Infatti il testo della lettera f) dell’art.
9 della L. n. 10/1977 esclude, per la sua
stessa natura di norma di privilegio
comportante un esenzione dall’obbligo di
versare somme dovute ad un ente pubblico,
qualunque interpretazione estensiva od
analogica.
Né pur ricorrendo alle predette tipologie
intepretative si potrebbe comunque pervenire
all’esito intepretativo indicato dalla
ricorrente, atteso che la Confraternita pur
essendo un sodalizio che non persegue fini
di lucro non realizza interessi generali,
come ritiene la ricorrente, ma soddisfa un
interesse dei confrati
(TAR Sicilia-Catania, Sez. I,
sentenza 03.05.2005 n. 788 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L'esenzione
dal pagamento degli oo.uu. (art. 9 l. n.
10/1977) pretende il concorso di due
presupposti: uno oggettivo ovvero l’ascrivibilità
del manufatto oggetto di concessione
edilizia alla categoria delle opere
pubbliche o di interesse generale; l’altro
soggettivo ovvero l’esecuzione delle opere
da parte di Enti istituzionalmente
competenti, vale a dire da parte di soggetti
cui sia demandata in via istituzionale la
realizzazione di opere di interesse generale
ovvero da parte di privati concessionari
dell’Ente pubblico purché le opere siano
inerenti all’esercizio del rapporto
concessorio.
Come più volte evidenziato dalla dottrina e
della giurisprudenza, lo sgravio
contributivo di cui trattasi (art. 9 l. n.
10/1977) pretende il concorso di due
presupposti, e cioè uno oggettivo, ovvero l’ascrivibilità
del manufatto oggetto di concessione
edilizia alla categoria delle opere
pubbliche o di interesse generale (nel senso
che deve trattarsi di opere che, quantunque
non destinate direttamente a scopi propri
della P.A., siano comunque idonee a
soddisfare i bisogni della collettività,
anche se realizzate e gestite da privati), e
l’altro soggettivo, ovvero l’esecuzione
delle opere da parte di Enti
istituzionalmente competenti, vale a dire da
parte di soggetti cui sia demandata in via
istituzionale la realizzazione di opere di
interesse generale (cfr. C.G.A.R.S.
20.07.1999, n. 369; Cons. Stato, V,
06.12.1999, n. 2061), ovvero da parte di
privati concessionari dell’Ente pubblico
(cfr. Cons. Stato, V, 07.09.1995, n. 1280),
purché le opere siano inerenti all’esercizio
del rapporto concessorio.
Il Comune è, peraltro, tenuto ad accertare
d’ufficio tali presupposti indipendentemente
dalla domanda del privato, non prevista
dalla legge.
Il fine dell’applicazione della norma,
fondata dunque sul presupposto oggettivo
della natura delle opere e su quello
soggettivo della qualità dell’ente
realizzatore, è chiaramente quello di
assicurare una “ricaduta” del
beneficio dello sgravio a vantaggio della
collettività: nel senso che la gratuità
della concessione si traduce in un
abbattimento dei costi, a cui corrisponde,
in definitiva, un minore aggravio di oneri
per il contribuente.
E’ stato chiarito che le opere per cui può
ipotizzarsi lo sgravio dagli oneri
concessori devono avere carattere
direttamente satisfattivo dell’interesse
della collettività, di per sé –poiché
destinate ad uso pubblico o collettivo– o in
quanto strumentali rispetto ad opere del
genere anzidetto, o comunque perché
immediatamente collegate con le funzioni di
pubblico servizio espletate dall’Ente (cfr.
Cons. Stato, V, 08.06.1998, n. 777).
Il beneficio della gratuità della
concessione deriva non tanto dalla natura
pubblica o privata dell’Ente che ha
realizzato l’opera, quanto piuttosto
dall’interesse perseguito, ponendosi
l’accento sul connotato “generale” di
tale interesse; quindi, il beneficiario può
essere anche un soggetto non pubblico,
purché però sia un “ente
istituzionalmente competente” (cfr.
Cons. Stato, V, 20.07.1999, n. 849).
Esso non spetta, pertanto, a soggetti
privati per gli immobili ove esercitino una
mera attività lucrativa di impresa,
indipendentemente dalla rilevanza sociale
dell’attività stessa (cfr. Cons. Stato, V,
21.01.1997, n. 69). Al fine
dell’individuazione dell’anzidetto requisito
di ordine soggettivo, la giurisprudenza
richiede, di norma, quanto meno il possesso
della qualità di concessionario, operante
per conto di un Ente pubblico (Cons. Stato,
V, 07.09.1995, n. 1280, cit.).
Nel recente panorama giurisprudenziale, il
beneficio è stato negato:
- ad una società per azioni relativamente
alla concessione di ampliamento della
clinica gestita dalla stessa (Cons. stato,
V, 16.01.1992, n. 46);
- all’impresa che, senza alcun collegamento
di concessione da parte di un ente pubblico,
svolga un’attività assistenziale, in quanto
l’agevolazione in parola implica, come
accennato, il possesso del requisito non
solo oggettivo (impianti, attrezzature,
opere pubbliche o di interesse generale), ma
pure soggettivo (ente pubblico o soggetto
concessionario di pubblico servizio o di
opere pubbliche: cfr. Cons Stato, V,
10.05.1999, n. 536);
- alle cooperative edilizie, in quanto
curano in primo luogo l’interesse dei soci;
- al privato che realizza impianti sportivi,
anche se la loro utilizzazione è oggetto di
convenzione con il Comune;
- per la realizzazione di uffici direzionali
di un’azienda creditizia;
- per la costruzione di scuole non previste
tra le opere di urbanizzazione dallo
strumento urbanistico;
- alla società concessionaria del servizio
distributivo del gas, per la costruzione di
una nuova sede (cfr. TAR Lombardia, Brescia,
18.03.1999, n. 217);
- (caso particolarmente interessante e
conferente) per le opere realizzate da un
privato, su proprietà e con capitali
privati, pur se in vista di un contratto di
locazione con la P.A. (cfr. TAR Lombardia,
II, 01.07.1997, n. 1074; TAR Puglia, I,
01.09.1999, n. 1018).
E’ stato però d’altra parte precisato che “realizzatore”
dell’opera deve intendersi non soltanto chi
provvede materialmente all’edificazione, ma
anche il soggetto cui l’opera è riferibile
dal punto di vista sia progettuale che della
destinazione finale (Cons. Stato, V,
08.06.1998, n. 777, cit.).
Il legislatore
richiede che le opere –ammesse allo sgravio
contributivo- siano “realizzate”
dagli enti istituzionalmente competenti, con
conseguente necessità che sussista un ben
preciso vincolo relazionale tra il soggetto
abilitato ad operare nell’interesse pubblico
ed il materiale esecutore della costruzione:
la giurisprudenza prevalente ha identificato
tale vincolo nella concessione di
costruzione di opera pubblica o in altre
analoghe figure organizzatorie (Cons. Stato,
V, 19.05.1998, n. 617; 07.09.1995, n. 1280;
13.12.1993, n. 1280; 20.11.1989, n. 752).
Deve cioè trattarsi di attività compiuta da
un concessionario, o più in generale da un
soggetto che curi istituzionalmente (è
dunque questo l’elemento chiave) la
realizzazione di opere d'interesse generale
per il perseguimento delle specifiche
finalità cui le opere stesse sono destinate;
in tal senso non ricade nell'esenzione dal
contributo l'opera costruita da un
imprenditore per la propria attività
d'impresa, considerato che il fine
dell'esenzione è quello di evitare una
contribuzione intimamente contraddittoria
(quale sarebbe quella per opere costruite a
carico della collettività) e non quella di
esonerare gli imprenditori dai costi
d'impresa (Consiglio
di Stato, Sez. V,
sentenza 02.12.2002 n. 6618 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
dossier DISTANZE PARETI FINESTRATE |
EDILIZIA PRIVATA: L’obbligo
di rispettare una distanza minima di 10
metri tra pareti finestrate e pareti di
edifici antistanti, ex art. 9 DM 1444/1968,
presenta carattere tassativo in quanto tale
non derogabile dalla disciplina urbanistica
comunale.
Con l'espressione “pareti finestrate”
occorre fare riferimento, in via
interpretativa, all’articolo 900 c.c. che
include nella stessa oltre alle vedute anche
le luci.
La questione
controversa tra le parti attiene all’ambito
di applicazione dell’articolo 9 del D.M. n.
1444 del 1968, nella parte in cui impone
l’obbligo di rispettare una distanza minima
di dieci metri tra pareti finestrate e
pareti di edifici antistanti.
La disposizione mira ad impedire la
formazione di intercapedini nocive sotto il
profilo igienico sanitario e presenta
pertanto carattere tassativo, come
esattamente rilevato dal primo giudice, in
quanto tale non derogabile dalla disciplina
urbanistica comunale.
Quanto al significato della espressione “pareti
finestrate”, occorre fare riferimento,
in via interpretativa, all’articolo 900
c.c., che include nella stessa, oltre alle
vedute, anche le luci.
Sul significato del termine “edifici”,
esso va ragionevolmente inteso come “edificato”
ed indipendentemente dalla destinazione
dello stesso, avuto riguardo alla
evidenziata finalità della disposizione
(nella specie, risulta rilevante la
inferiore distanza, rispetto al prescritto
limite minimo, tra il muro di cui alla nuova
edificazione e la parete finestrata).
Circa la “novità” della costruzione,
va osservato che nella specie è stato
realizzato un organismo edilizio diverso da
quello preesistente per volumetria, sagoma e
dislocazione nel lotto: basti fare
riferimento alla rappresentazione grafica
contenuta nella memoria dell’appellato
depositata in vista dell’udienza di
discussione della causa per percepire con
immediatezza la diversità del realizzato
rispetto al preesistente relativamente agli
elementi sopra indicati (Consiglio
di Stato, Sez. IV,
sentenza 18.06.2009 n. 4015 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Per
pareti finestrate -circa il rispetto della
distanza minima di mt. 10 di cui al D.M.
1444/1968- devono intendersi non soltanto le
pareti munite di "vedute" ma, più in
generale, tutte le pareti munite di aperture
di qualsiasi genere verso l'esterno, quali
porte, balconi, finestre di ogni tipo (di
veduta o di luce), essendo sufficiente che
sia finestrata anche una sola delle due
pareti.
Come la
Sezione ha già recentemente affermato, è
cogente il disposto di cui all’art. 9 del
D.M. n. 1444/1968 che ha natura di fonte
inderogabile anche da parte dei regolamenti
locali e prevale anche su eventuali difformi
disposizioni regolamentari locali (TAR
Piemonte, Sez. I, 10.10.2008, n. 2565)
essendo dettata dall’esigenza di tutelare
interessi pubblici superindividuali.
Ne consegue che la necessità del rispetto
degli standard in materia di distanze,
contemplati dalla predetta norma di fonte
primaria, è elevata a precetto inderogabile
dalla seconda parte dell’art. 32, comma 27,
lett. d), del D.L. n. 269/2003, là dove viene
sancita la non sanabilità delle opere
abusive “non conformi alle norme
urbanistiche e alle prescrizioni degli
strumenti urbanistici”.
E’ di palmare evidenza e di cristallina
chiarezza, a parere della Sezione, che il
riferimento contenuto nella norma appena
riportata alle “norme urbanistiche” va
sicuramente esteso alla disposizione di cui
all’art. 9 del D.M. cit. che impone il
rispetto della distanza minima di metri 10
tra pareti finestrate, all’uopo bastando,
come pure ha rilevato il Tribunale con la
ricordata recente sentenza, che sia
finestrata una sola delle due pareti,
indifferentemente del ricorrente o del controinteressato e che per pareti
finestrate “devono intendersi, non soltanto
le pareti munite di "vedute", ma più in
generale tutte le pareti munite di aperture
di qualsiasi genere verso l'esterno, quali
porte, balconi, finestre di ogni tipo (di
veduta o di luce), essendo sufficiente
che sia finestrata anche una sola delle due
pareti” (TAR Piemonte, Sez. I,
10.10.2008, n. 2565)
(TAR
Piemonte, Sez. I,
sentenza 10.04.2009 n. 987 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
dossier SANATORIA GIURISPRUDENZIALE |
EDILIZIA PRIVATA: La
sanatoria edilizia può ben
intervenire anche a seguito di conformità
“sopraggiunta” dell'intervento in un primo
tempo illegittimamente assentito.
La sanatoria edilizia può ben intervenire
anche a seguito di conformità “sopraggiunta”
dell’intervento in un primo tempo
illegittimamente assentito, divenuto cioè
permissibile al momento della proposizione
della nuova istanza dell’interessato, posto
che questa si profila come del tutto
autonoma rispetto all’originaria istanza che
aveva condotto al permesso annullato in sede
giurisdizionale, in quanto basata su nuovi
presupposti normativi in materia edilizia;
pare pertanto palesemente irragionevole
negare una sanatoria di interventi che
sarebbero legittimamente concedibili al
momento della nuova istanza, perdendo
oltretutto automaticamente efficacia, a
seguito della presentazione di questa, il
pregresso ordine di demolizione e
ripristino, secondo l’orientamento di questo
Consiglio in tema di rilevanza su tale
ordine dell’istanza di sanatoria (VI,
12.11.2008, n. 5646, ex multis).
Il principio normativo della “doppia
conformità”, infatti, è riferibile
all’ipotesi ragionevolmente avuta di mira
dal legislatore, desumibile cioè dal senso
obiettivo delle parole utilizzate dall’art.
13 della legge n. 47 del 1985, ovvero dal
vigente art. 36 del DPR 06.06.2001, n. 380,
ipotesi che è quella di garantire il
richiedente dalla possibile variazione in
senso peggiorativo della disciplina
edilizia, a seguito di adozione di strumenti
che riducano o escludano, appunto, lo jus
aedificandi quale sussistente al momento
dell’istanza. Quindi, la tipicità del
provvedimento di accertamento in sanatoria,
quale espressione di disposizione avente
carattere di specialità, va rigorosamente
intesa come riferimento al diritto “vigente”,
(V 29.05.2006, n. 3267), e commisurata alla
finalità di “favor” obiettivamente
tutelata dalla previsione, in modo da
risultare conforme al principio di
proporzionalità e ragionevolezza nel
contemperamento dell’interesse pubblico e
privato.
La norma, infatti, non può ritenersi diretta
a disciplinare l’ipotesi inversa dello
jus superveniens edilizio favorevole,
rispetto al momento ultimativo della
proposizione dell’istanza. In effetti,
imporre per un unico intervento costruttivo,
comunque attualmente “conforme”, una
duplice attività edilizia, demolitoria e poi
identicamente riedificatoria, lede parte
sostanziale dello stesso interesse pubblico
tutelato, poiché per un solo intervento, che
sarebbe comunque legittimamente
realizzabile, si dovrebbe avere un doppio
carico di iniziative industriali-edilizie,
con la conseguenza, contrastante con il
principio di proporzionalità, di un
significativo aumento dell’impatto
territoriale ed ambientale, (altrimenti
considerato in termini più ridotti alla luce
della “ratio” della norma in tema di
accertamento di conformità).
A conforto di quanto ora detto, questo
Consiglio ha affermato, che “gli artt. 13
e 15 della l. 28.02.1985, n. 47, richiedenti
per la sanatoria delle opere realizzate
senza concessione e delle varianti non
autorizzate, che l’opera sia conforme tanto
alla normativa urbanistica vigente al
momento della realizzazione dell’opera,
quanto a quella vigente al momento della
domanda di sanatoria, sono disposizioni
contro l’inerzia dell’Amministrazione, e
significano che, se sussiste la doppia
conformità, a colui che ha richiesto la
sanatoria non può essere opposta una
modificazione della normativa urbanistica
successiva alla presentazione della domanda.
Tale regola non preclude il diritto ad
ottenere la concessione in sanatoria di
opere che, realizzate senza concessione o in
difformità dalla concessione, siano conformi
alla normativa urbanistica vigente al
momento in cui l’autorità comunale provvede
sulla domanda in sanatoria” (V,
21.10.2003, n. 6498)
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 07.05.2009 n. 2835 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
dossier S.U.A.P. |
EDILIZIA PRIVATA:
Il procedimento previsto
dall’art. 5 del d.P.R. 20.10.1998, n. 447
non costituisce <<un comodo strumento per
ovviare ai vincoli della pianificazione
urbanistica>>, ma viene ad integrare un vero
e proprio <<modello del tutto eccezionale e
derogatorio rispetto alle ordinarie modalità
di modifica degli strumenti urbanistici>>
utilizzabile solo quando siano
congiuntamente presenti i tre requisiti,
previsti dalla disposizione citata e
costituiti:
1) dal contrasto sussistente tra il progetto
presentato e lo strumento urbanistico;
2) dalla conformità alle norme vigenti in
materia ambientale, sanitaria e di sicurezza
del lavoro del progetto;
3) dal fatto che lo strumento urbanistico
non individui aree destinate
all'insediamento di impianti produttivi
ovvero queste siano insufficienti in
relazione al progetto presentato.
In accordo con la giurisprudenza
sostanzialmente incontroversa (per la
possibilità di utilizzare il procedimento ex
art. 5 d.P.R. 447 del 1998 solo nell’ipotesi
di insufficienza delle aree destinate ad
impianti produttivi sul territorio comunale;
si vedano, tra le tante: Consiglio Stato,
sez. IV, 04.12.2007, n. 6157; sez. VI,
25.06.2007, n. 3593), la giurisprudenza
della Sezione ha dovuto rilevare più volte
come il procedimento previsto dall’art. 5
del d.P.R. 20.10.1998, n. 447 non
costituisca <<un comodo strumento per
ovviare ai vincoli della pianificazione
urbanistica>>, ma venga ad integrare un
vero e proprio <<modello del tutto
eccezionale e derogatorio rispetto alle
ordinarie modalità di modifica degli
strumenti urbanistici>> (TAR Puglia
Lecce, sez. I, 11.01.2007, n. 28;
29.01.2009, n. 117) utilizzabile solo quando
siano congiuntamente presenti i tre
requisiti, previsti dalla disposizione
citata e costituiti:
1) dal contrasto sussistente tra il progetto
presentato e lo strumento urbanistico;
2) dalla conformità alle norme vigenti in
materia ambientale, sanitaria e di sicurezza
del lavoro del progetto;
3) dal fatto che lo strumento urbanistico
non individui aree destinate
all'insediamento di impianti produttivi
ovvero queste siano insufficienti in
relazione al progetto presentato.
Nella fattispecie concreta, l’aspetto
problematico è proprio costituito dal terzo
requisito, costituito dalla mancanza, nello
strumento urbanistico approvato, di aree che
permettano in concreto l’insediamento del
nuovo intervento produttivo; aspetto che è
totalmente assente dai lavori della
Conferenza di servizi e che non è stato
assolutamente valutato neanche dalla
deliberazione finale del Consiglio comunale.
È quindi di tutta evidenza come il ricorso
al procedimento previsto dall’art. 5 del
d.P.R. 20.10.1998, n. 447 sia stato
utilizzato, nella vicenda che ci occupa,
come un vero e proprio “surrogato”
dell’ordinario procedimento di modifica
della strumentazione urbanistica e non in
conformità alla propria innegabile natura di
strumento eccezionale per procedere
all’insediamento di nuove strutture
produttive, che non trovino concrete
possibilità realizzative nella
strumentazione urbanistica vigente.
A ben guardare, nella vicenda che ci occupa,
il vizio all’origine della procedura non si
esaurisce poi in un semplice difetto di
istruttoria o di motivazione, ma, oltre ad
integrare una evidente violazione delle
linee di indirizzo dettate dalla Giunta
Regionale con la delib. 27.11.2007 n. 2000,
trascende in un più significativo contrasto
con la strumentazione urbanistica vigente
nel Comune di Leverano.
La Sezione si è sostanzialmente già occupata
della problematica con la sentenza
27.06.2007 n. 2593 (relativa al piano per
l’insediamento di medie e grandi strutture
di vendita approvato dal C.C. di Leverano
con la delibera 04.08.2006 n. 28), rilevando
la presenza sul territorio comunale di aree
“E” ed “F” (quindi diverse dalla “D5”
oggetto dell’intervento che ci occupa) già
considerate <<urbanisticamente
compatibili>> all’insediamento di medie
strutture di vendita, senza alcuna necessità
di procedere all’utilizzo del procedimento
richiesto dall’art. 5 del d.P.R. 447 del
1998 (che anzi era irragionevolmente
ritenuto necessario proprio dal piano
annullato dalla Sezione, anche con
riferimento a questo aspetto); siamo,
quindi, in presenza di uno strumento
urbanistico che prevede già, almeno in
astratto, aree destinate all’insediamento di
medie strutture di vendita e che, quindi,
non permette il ricorso al procedimento
previsto dall’art. 5 del d.P.R. 447 del
1998, se non a seguito dell’accertamento
della concreta impossibilità di allocare un
certo intervento nelle aree già disponibili
sul territorio comunale.
Del resto, le argomentazioni sopra
richiamate non trovano un sostanziale
ostacolo nel fatto che si tratti di una
variante limitata all’introduzione della
possibilità di demolire e ricostruire con
diversa sagoma e non di più importanti
deroghe alla strumentazione urbanistica
vigente; come immediatamente percepibile, lo
stesso ricorso al procedimento ex art. 5
d.P.R. 447 del 1998, evidenzia come, in
mancanza della modificazione urbanistica,
l’intervento non sarebbe stato realizzabile;
si tratta, quindi, di una modificazione che
condiziona la stessa realizzazione
dell’intervento e che, proprio, per questo,
non può essere considerata secondaria o
inessenziale (TAR Puglia-Lecce, Sez. I,
sentenza 21.05.2009 n. 1239 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Impianti produttivi.
Il procedimento ex art. 5 d.P.R. 447 del
1998 (in materia di impianti produttivi sul
territorio comunale) non costituisce «un
comodo strumento per ovviare ai vincoli
della pianificazione urbanistica», ma viene
ad integrare un vero e proprio «modello del
tutto eccezionale e derogatorio rispetto
alle ordinarie modalità di modifica degli
strumenti urbanistici» utilizzabile solo
quando siano congiuntamente presenti i tre
requisiti, previsti dalla disposizione
citata e costituiti:
1) dal contrasto sussistente tra il progetto
presentato e lo strumento urbanistico;
2) dalla conformità alle norme vigenti in
materia ambientale, sanitaria e di sicurezza
del lavoro del progetto;
3) dal fatto che lo strumento urbanistico
non individui aree destinate
all'insediamento di impianti produttivi
ovvero queste siano insufficienti in
relazione al progetto presentato (TAR
Puglia-Lecce, Sez. I,
sentenza 21.05.2009 n. 1239 -
link a www.lexambiente.it). |
GIURISPRUDENZA |
APPALTI:
Nel sistema di contrattazione a
trattativa privata la stazione appaltante
conserva fino alla stipulazione del
contratto la possibilità di recedere dal
procedimento.
La giurisprudenza in merito al rapporto tra
aggiudicazione e stipulazione del contratto
nel caso di trattativa privata accompagnata
da gara ufficiosa, è univoca nel ritenere
che, nel sistema di contrattazione a
trattativa privata, sia pure preceduta da
una gara ufficiosa, diritti ed obblighi per
la p.a. ed il privato contraente
scaturiscono solo dalla formale stipulazione
del contratto, non potendo attribuirsi
all'atto di aggiudicazione il valore di
conclusione del contratto, bensì,
semplicemente, l'effetto di individuazione
dell'offerta migliore, cui segue la fase
delle trattative precontrattuali.
L'individuazione dell'offerta migliore
resta, pertanto, un atto sostanzialmente
discrezionale, al di fuori di ogni
automatismo, con la conseguenza che non può
assumere il valore di conclusione del
contratto. L'amministrazione, dunque, anche
a seguito della individuazione della offerta
apparentemente più conveniente non è
vincolata, almeno in ordine all'an, a
procedere in un momento successivo alla
stipulazione del contratto definitivo. La
stazione appaltante può, pertanto, valutare
discrezionalmente la vantaggiosità
dell'offerta, sebbene individuata quale la
migliore presentata in sede di gara
ufficiosa.
In particolare, si ritiene che "l'Amministrazione
che persegua l'affidamento di un contratto
mediante trattativa privata conserva fino
alla sua stipulazione la possibilità di
recedere dal procedimento anche per ragioni
di mera opportunità (non potendo dirsi
consolidato sino ad allora alcun diritto
soggettivo), dovendo dare solo una legittima
motivazione della propria scelta, senza che
in tali casi possa sorgere nel privato
neppure un diritto al risarcimento del danno"
TAR Campania, Napoli, Sez. I,
sentenza 03.07.2009 n. 3705 -
(link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI: L’impresa
che partecipa ad una gara d'appalto ha
l’obbligo di dichiarare tutte le sentenze
emesse nei suoi confronti; con la
conseguenza che l’omessa indicazione,
nell’ambito di un’autocertificazione, di una
sentenza di condanna si atteggia come
autocertificazione non veritiera cui
consegue l’esclusione dalla gara.
Il reato non dichiarato per violazione delle
direttive comunitarie in materia di rifiuti
è idoneo ad incidere sulla moralità
professionale e comporta l'esclusione dalla
gara d'appalto.
Il Collegio ha già avuto modo di affermare
che per quanto riguarda la richiesta di
indicare -in sede di gara- le sentenze (o in
genere, i provvedimenti) di condanna, la
necessità di dichiarare tutti i
provvedimenti subiti risponda alla finalità
di consentire all’Amministrazione la più
ampia valutazione del caso concreto, per
stabilire la rilevanza o meno di una data
condanna penale.
Ne esce quindi confermato che la rilevanza o
meno dei fatti (oggetto delle pronunce
penali) ai fini della successiva valutazione
del possesso dei requisiti da parte del
concorrente, non è rimessa all’apprezzamento
dell’impresa che ha, invece, l’obbligo di
dichiarare tutte le sentenze emesse nei suoi
confronti; con la conseguenza che l’omessa
indicazione, nell’ambito di
un’autocertificazione, di una sentenza di
condanna si atteggia come autocertificazione
non veritiera cui consegue l’esclusione
dalla gara.
La possibilità di presentare la
dichiarazione sostitutiva, costituisce un
atto di fiducia nei confronti del
concorrente, al quale in cambio dell’oneroso
reperimento ex ante di tutta la
documentazione necessaria per la
partecipazione alla gara, viene consentito,
sotto la propria responsabilità di
dichiarare la sussistenza di requisiti
richiesti.
Il sistema richiede pertanto la massima
serietà ed onestà da parte del concorrente
nel redigere l’autocertificazione,
conseguentemente, rendere una dichiarazione
incompleta, non può che far legittimamente
dubitare della moralità professionale del
dichiarante. Ed è questa la ragione per cui,
in caso di dichiarazione non veritiera, la
sanzione della esclusione dalla gara diventa
conseguenza necessaria, essendo venuto meno
quel rapporto di fiducia basato sulla
presunzione della reciproca correttezza che
deve sussistere anche nella fase
precontrattuale (sent. n. 2096 del
19.06.2008).
Anche volendo aderire all’orientamento
invocato dalla ricorrente, secondo cui il
predetto obbligo di dichiarazione dei
provvedimenti penali a carico dei
concorrenti, sussisterebbe solo per quelle
vicende che abbiano inciso sulla “moralità
professionale”, il ricorso andrebbe
comunque respinto.
Tra i reati non dichiarati rientra infatti
anche quello per violazione delle direttive
comunitarie in materia di rifiuti, che non
può certamente ritenersi in astratto
inidoneo ad incidere sulla moralità
professionale, come peraltro già ritenuto da
C.S. Sez. V 27.03.2000 n. 1770, dovendo
pertanto essere dichiarato alla stazione
appaltante, per la valutazione di propria
competenza
(TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 02.07.2009 n. 4257 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
norma relativa all’obbligo di preavviso di
decisione sfavorevole non è applicabile al
procedimento intrapreso dalla Sovrintendenza
per annullare l'autorizzazione paesaggistica
rilasciata dal comune.
Il Collegio ritiene che la norma relativa
all’obbligo di preavviso di decisione
sfavorevole non sia applicabile al
procedimento intrapreso dalla Sovrintendenza
per tutte le ragioni diffusamente enunciate
nella sentenza del TAR Sardegna sez II,
11.06.2007 n. 1266, che il Collegio
condivide appieno e che di seguito
brevemente si sintetizzano.
Si tratta anzitutto “di una "analisi
della legittimità" di un provvedimento
emesso da altra autorità, da assumersi entro
un termine perentorio di decadenza.
Trattandosi di un potere che viene
esercitato, per disposizione legislativa, "fra
autorità" la norma invocata non è
applicabile in quanto contempla, invece,
l'istanza di parte e si correla,
necessariamente, ad un termine "ordinatorio"
di agire per l'Amministrazione.
La sussistenza, nel caso di specie, di un
termine "di decadenza" per l'adozione
del provvedimento (60 giorni) rende
incompatibile l'integrazione dell'incombenza
in questo peculiare procedimento.
Inoltre, il preavviso in questione non
sarebbe, in realtà, la "comunicazione dei
motivi che ostano all'accoglimento della
domanda", -non integrando un’ipotesi di
amministrazione attiva- ma diverrebbe la
comunicazione delle motivazioni per le quali
un'autorità ritiene che altra autorità
avrebbe agito illegittimamente
(TAR Friuli Venezia Giulia,
sentenza 26.06.2009 n. 470 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Violazione di sigilli e
responsabilità del custode.
In tema di violazioni di sigilli il custode
è obbligato ad esercitare sulla cosa
sottoposta a sequestro e sulla integrità dei
relativi sigilli una custodia continua ed
attenta. Egli non può sottrarsi a tale
obbligo se non adducendo oggettive ragioni
di impedimento e, quindi, chiedendo ed
ottenendo di essere sostituito, ovvero,
qualora non abbia avuto il tempo e la
possibilità di farlo, fornendo la prova del
caso fortuito o della forza maggiore che gli
abbiano impedito di esercitare la dovuta
vigilanza.
Ne consegue che, qualora venga accertata la
violazione dei sigilli, senza che il custode
abbia provveduto ad avvertire dell’accaduto
l’autorità, è lecito ritenere che detta
violazione sia opera dello stesso custode,
da solo o in concorso con altri, tranne che
lo stesso non dimostri di non essere stato
in grado di avere conoscenza del fatto per
caso fortuito o forza maggiore: ciò non
configura alcuna ipotesi di responsabilità
oggettiva, estranea alla fattispecie, ma un
onere della prova che incombe sul custode
(Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 23.06.2009 n. 26121 -
link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Interventi precari.
In materia edilizia la natura precaria di un
manufatto ai fini della sua non
sottoposizione al preventivo rilascio del
permesso di costruire non può essere desunta
dalla temporaneità della destinazione
soggettivamente data all’opera
dall’utilizzatore, né dal dato che si tratti
di un manufatto smontabile e non infisso al
suolo ma deve riconnettersi ad una
intrinseca destinazione materiale dell’opera
stessa ad un uso realmente precario per fini
specifici, contingenti e limitati nel tempo,
con la conseguente e sollecita eliminazione
del manufatto alla cessazione dell‘uso
(Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 22.06.2009 n. 25965 -
link a www.lexambiente.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
IL DIPENDENTE VA A FARE LA SPESA
DURANTE L´ORARIO DI LAVORO...
Non può essere licenziato il dipendente che
si allontana senza autorizzazione dal posto
di lavoro se lo stesso non ha mai subito
sanzioni disciplinari in tutta la sua
carriera.
La questione ha riguardato un dipendente, il
quale veniva licenziato per essersi
allontanato senza giustificazione dal posto
di lavoro, determinando il blocco di alcune
macchine di cui aveva la responsabilità
(Corte di Cassazione, Sez. lavoro,
sentenza 22.06.2009 n. 14586 -
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APPALTI SERVIZI:
1.- Partecipazione e
qualificazione - Requisiti generali -
Requisiti ex art. 17, L. n. 68/1999 -
Necessità - Sussiste.
2.- Partecipazione e
qualificazione - Requisiti generali -
Requisiti ex art. 17, L. n. 68/1999 -
Imprese esentate - Dichiarazione
inapplicabilità normativa - Obbligo
presentazione - Sussiste.
1.-
Anche i Consorzi di cooperative devono
dimostrare il possesso dei requisiti di
carattere generale, morale e di ordine
pubblico in capo alle società designate
quali esecutrici dei lavori o dei servizi e
tra detti requisiti rientra quello di cui
all'art. 17, L. n. 68/1999, relativo alla
tutela dei disabili, poiché detto requisito
qualifica la moralità dell'impresa
assuntrice dell'appalto sotto il profilo
della puntuale osservanza degli obblighi di
solidarietà sociale posti dal legislatore ed
inerente a profili di organizzazione
imprenditoriale direttamente incidenti sulla
rituale esecuzione dell'appalto. La norma ha
un chiaro contenuto di ordine pubblico e il
rispetto della normativa sulla tutela dei
disabili deve essere dichiarato al momento
della presentazione della domanda di
partecipazione alla gara.
2.-
Le imprese concorrenti non tenute
all'osservanza della normativa in questione
sono comunque tenute a dichiarare la
inapplicabilità all'impresa della normativa
a tutela dei disabili, senza essere
esonerati dal comunicare all'Amministrazione
la propria posizione nei riguardi di detta
disciplina. Diversamente opinando,
l'Amministrazione dovrebbe essa andare a
verificare, di volta in volta, se l'impresa
occupi un numero di lavoratori tale da
renderla esente dall'obbligo dell'assunzione
dei disabili. Ciò non è conforme al dettato
di cui all'art. 17, nonché ai principi di
economicità ed efficacia dell'attività
amministrativa (TAR Lazio-Roma, Sez. III-ter,
sentenza 22.06.2009 n. 5979 -
link a http://mondolegale.it). |
APPALTI:
Anche i consorzi di cooperative
devono dimostrare di essere in regola con la
normativa sulla tutela dei disabili ex art.
17 della l. n. 68/1999.
Sulla ratio dell'art. 17 della l. n.
68/1999.
Deve essere escluso da una gara per
l'affidamento del servizio di autonoleggio
con conducente per le esigenze aziendali di
una S.p.a., per carenza di requisiti di
carattere generale, un consorzio in quanto
né il medesimo consorzio né i consorzi
designati quali esecutori del servizio hanno
reso la dichiarazione in forma espressa di
essere in regola con la normativa in materia
di diritto al lavoro dei disabili di cui
all'art. 17 della l. n. 68 del 1999. Anche i
consorzi di cooperative, infatti, devono
dimostrare il possesso dei requisiti di
carattere generale, morale e di ordine
pubblico in capo alle società designate
quali esecutrici dei lavori o dei servizi e
tra detti requisiti rientra quello di cui
all'art. 17 della l. n. 68/1999, relativo
alla tutela dei disabili, poiché detto
requisito qualifica la moralità dell'impresa
assuntrice dell'appalto sotto il profilo
della puntuale osservanza degli obblighi di
solidarietà sociale posti dal legislatore e
inerente a profili di organizzazione
imprenditoriale direttamente incidenti sulla
rituale esecuzione dell'appalto. Trattasi,
dunque, di requisito che deve essere
verificato nei confronti dell'imprenditore
chiamato ad eseguire effettivamente il
contratto e non soltanto nei confronti del
consorzio, poiché il ruolo di questo si
esaurisce per legge nella fase prodromica di
partecipazione alla gara. Nel caso di
specie, risulta dalla documentazione che le
dichiarazioni rese dal consorzio e dalle sue
consorziate risultano insanabilmente
incomplete in ordine al requisito di cui
alla lett. l) dell'art. 38 del d. lvo n. 163
del 2006 e tale incompletezza avrebbe dovuto
comportare l'esclusione del predetto
consorzio dalla gara.
Il rispetto della normativa sulla tutela dei
disabili (art. 17 della l. n. 68/1999) deve
essere dichiarato al momento della
presentazione della domanda di
partecipazione alla gara e le imprese
concorrenti non tenute all'osservanza della
normativa in questione sono comunque tenute
a dichiarare la inapplicabilità all'impresa
della normativa a tutela dei disabili, senza
essere esonerati dal comunicare
all'Amministrazione la propria posizione nei
riguardi di detta disciplina. La ratio
della disposizione non è solo quella di
garantire l'Amministrazione nella
conclusione del contratto stipulato con una
impresa che osserva la normativa sul diritto
del lavoro dei disabili, ma anche quella di
imporre il rispetto di essa, finalità che si
perseguono imponendo l'obbligo di
dichiarazione "di essere in regola con le
norme che disciplinano il diritto al lavoro
dei disabili" anche se l'impresa non
rientra nei casi previsti dall'art. 3 della
l. n. 68 del 1999 (TAR Lazio-Roma, Sez.
III-ter,
sentenza 22.06.2009 n. 5979 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1.- Abusi - Demolizione -
Ordinanza - Antecedente all'istanza di
sanatoria - Illegittimità derivata - Non
sussiste.
2.- Abusi - Istanza di sanatoria -
Successiva all'ordinanza di demolizione e
all'azione giudiziale - Rilevanza sul piano
processuale - Sussiste.
1.-
La presentazione della domanda di rilascio
di titolo edilizio in sanatoria
successivamente all'emanazione del
provvedimento sanzionatorio non incide sulla
legittimità di esso (come accadrebbe,
invece, nel caso in cui detta domanda si
fosse avuta prima del suo intervento);
considerato che l'illegittimità è situazione
patologica originaria dell'atto, relativa al
suo momento genetico, mentre la proposizione
dell'istanza di cui all'art. 36, D.P.R. n.
380/2001 (secondo il modulo già in
precedenza previsto dall'art. 13, L. n.
47/1985) è vicenda successiva.
2.-
La proposizione della domanda ex art.
36, D.P.R. n. 380/2001, successivamente
all'adozione dell'atto demolitorio ed alla
proposizione dell'impugnativa giudiziale,
rileva sul piano processuale rendendo
improcedibile, per sopravvenuta carenza di
interesse, il ricorso giurisdizionale, salvo
che non risulti già esternata
dall'Amministrazione, o comunque non risulti
con certezza dagli atti di causa, la non
sanabilità delle opere: in queste ipotesi,
la presentazione dell'istanza avrebbe la
mera funzione di procrastinare inutilmente
l'irrogazione della sanzione per un non
sanabile abuso edilizio; e quindi
l'Amministrazione ben potrebbe, in assenza
di documentate sopravvenute circostanze,
limitarsi all'adozione di un atto meramente
confermativo della sanzione già irrogata,
stante la già accertata non sanabilità dei
manufatti (TAR Campania-Napoli, Sez. VII,
sentenza 22.06.2009 n. 3405 -
link a
http://mondolegale.it). |
COMPETENZE GESTIONALI:
1.- Circolazione stradale -
Codice della strada - Limitazione al
traffico dei veicoli trasporto merci -
Ordinanza - Potere - Sindaco - Non sussiste
- Fattispecie.
2.- Circolazione stradale - Codice della
strada - Limitazione al traffico dei veicoli
trasporto merci - Ordinanza - Potere -
Giunta Comunale - Sussiste - Art. 7, co. 9,
D.Lgs. n. 285/2002 - Norma speciale -
Prevalenza sulla L. n. 142/1990 -
Ammissibilità.
1.-
Le ordinanze aventi per oggetto la
limitazione al traffico dei veicoli
trasporto merci (con una massa complessiva a
pieno carico superiore alle tre tonnellate),
sottendono la finalità di garantire la
sicurezza della circolazione e la pubblica
incolumità, dipendendo dalla considerazione
di esigenze di stabilità strutturale delle
strade interessate. E' quindi evidente che
le finalità sottese a provvedimenti di tal
genere ricadono tra quelle contemplate
all'art. 7, co. 9, del Codice della strada,
che attribuisce la competenza all'adozione
del provvedimenti in analisi non al Sindaco
ma alla Giunta.
E' vero, peraltro, che il
Sindaco può assumere siffatti provvedimenti
con ordinanza. Ma ciò è unicamente
consentito in caso di urgenza della quale,
all'evidenza, necessita esternare ed
indicare adeguatamente e compiutamente i
fattori fondanti (nel caso di specie
peraltro, è dato evincere, al contrario, una
situazione di segno opposto, nella parte in
cui l'ordinanza del sindaco dà atto che la
situazione di pericolo risale a diversi
anni).
2.-
Non osta all'individuazione nella Giunta
dell'organo competente ad adottare
provvedimenti di limitazione del traffico
per qualsivoglia esigenza, diversa da quella
volta alla tutela del patrimonio artistico,
dell'ambiente e dalla prevenzione degli
inquinamenti, il principio di separazione
delle funzioni di amministrazione e gestione
da quelle di indirizzo politico. La norma
dell'art. 7, co. 9, D.Lgs. n. 285/2002, è
una disposizione speciale rispetto
all'impianto generale di cui alla L. n.
142/1990 e oltretutto successiva ad essa,
conseguendone la sua prevalenza (TAR
Piemonte, Sez. I,
sentenza 20.06.2009 n. 1816 -
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AMBIENTE-ECOLOGIA:
Aria. Impianti di frantumazione
di materiali da cava.
Gli impianti di frantumazione dei materiali
di cava rientrano nella previsione dell’art.
1 del D.P.R. n. 203/1988 (ora art. 279,
comma 1, del d.lgs. n. 152/2006) per la loro
oggettiva attitudine a dare luogo a
emissioni nell’atmosfera (Corte di
Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 18.06.2009 n. 25522 -
link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Tettoia (esclusione della natura
di pertinenza).
In tema di reati edilizi, deve ritenersi che
la tettoia di un edificio non rientra nella
nozione tecnico-giuridica dì pertinenza, ma
costituisce piuttosto parte dell’edificio
cui aderisce: ciò in quanto in urbanistica
il concetto di pertinenza ha caratteristiche
sue proprie, diverse da quelle definite dal
cod. civ., riferendosi ad un'opera autonoma
dotata di una propria individualità, in
rapporto funzionale con l’edificio
principale, laddove la parte dell’edificio
appartiene senza autonomia alla sua
struttura (Corte di Cassazione, Sez. III
penale,
sentenza 18.06.2009 n. 25530 -
link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
termine di impugnazione della concessione di
costruzione decorre dalla data di
ultimazione dei lavori, ossia dal momento in
cui è percepibile la lesività dell’opera
realizzata.
Per la costante giurisprudenza, tranne i
casi vi sia una anteriore piena conoscenza
dell’atto, il termine di impugnazione della
concessione di costruzione decorre dalla
data di ultimazione dei lavori, ossia dal
momento in cui è percepibile la lesività
dell’opera realizzata; in altri termini, la
costruzione deve rivelare in modo certo e
univoco le essenziali caratteristiche
dell’opera e l’eventuale non conformità
della stessa al titolo o alla disciplina
urbanistica.
Non sono quindi sufficienti, ai detti fini,
il mero inizio dei lavori, l’affissione del
cartello di cantiere e la pubblicazione del
progetto nell’albo pretorio (Consiglio
di Stato, Sez. IV,
sentenza 18.06.2009 n. 4015 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1.- Annullamento in autotutela
dell'autorizzazione paesaggistica - Termine
- Sessanta giorni - Esercizio - Fattispecie.
2.- Procedimento amministrativo - Avvio -
Comunicazione - Necessità - Art. 26, D.Lgs.
24.03.2006 n. 157 - Sussiste.
1.- La perentorietà del termine di sessanta
giorni è stabilita per l'"esercizio"
del potere di annullamento e non comprende,
per tal via, la successiva fase della
comunicazione, non versandosi in ipotesi
legale di provvedimento ricettizio, dal
momento che è estranea alla previsione
legislativa l'ulteriore fase della
comunicazione o notificazione: vale quindi,
ai fini del rispetto del termine perentorio,
la data di adozione del provvedimento
annullatorio (osserva il ricorrente, tenendo
in considerazione la data, 29.05.2007, in
cui la documentazione relativa alla pratica
in oggetto è pervenuta alla Soprintendenza,
il provvedimento sarebbe tempestivo solo se
si badasse alla data di rilascio dell'atto,
27.07.2007, ma non anche di quella di
ricezione dello stesso, siccome successiva
alla scadenza del termine di riferimento).
2.- Il più recente legislatore (art. 26,
D.Lgs. 24.03.2006 n. 157, che ha sostituito
l'art. 159, D.Lgs. 22.01.2004 n. 42) ha
espressamente confermato la necessità di
rendere edotti gli interessati
dell'attivazione del prescritto iter
procedimentale di controllo, prevedendo che
"l'amministrazione competente al rilascio
dell'autorizzazione dà immediata
comunicazione alla soprintendenza delle
autorizzazioni rilasciate, trasmettendo la
documentazione prodotta dall'interessato
nonché le risultanze degli accertamenti
eventualmente esperiti. La comunicazione è
inviata contestualmente agli interessati,
per i quali costituisce avviso di inizio del
procedimento, ai sensi e per gli effetti
della L. 07.08.1990 n. 241" (TAR
Campania-Salerno,
sentenza 18.06.2009 n. 3290 -
link a
http://mondolegale.it). |
EDILIZIA PRIVATA: 1.
Il rispetto del termine di 60
giorni per l’annullamento
dell'autorizzazione paesaggistica deve
essere valutato con riferimento alla data di
trasmissione dell’autorizzazione
paesaggistica espressa e non alla data
anteriore di conclusione della conferenza di
servizi.
2. Con riferimento al potere di annullamento
previsto dall’art. 159, 3° comma del d.lgs.
22.01.2004 n. 42, deve trovare applicazione
la tradizionale giurisprudenza che ha
rilevato l’illegittimità di provvedimenti di
annullamento fondati su un riesame del
merito della valutazione effettuata
dall’ente delegato, piuttosto che sulla
rilevazione di uno specifico vizio di
legittimità dell’atto sottoposto a
controllo.
1.
Deve rilevarsi come l’art. 159, 2° comma, del
d.lgs. 22.01.2004 n. 42 (Codice dei beni
culturali e del paesaggio) preveda una
strutturazione del regime transitorio di
rilascio dell’autorizzazione paesaggistica
(ancora in vigore fino al 30.06.2009) che
contiene una regolamentazione particolare
delle facoltà partecipative del privato nel
procedimento per l’annullamento dell’atto:
<<l’amministrazione competente al
rilascio dell’autorizzazione dà immediata
comunicazione alla soprintendenza delle
autorizzazioni rilasciate, trasmettendo la
documentazione prodotta dall’interessato
nonché le risultanze degli accertamenti
eventualmente esperiti. La comunicazione è
inviata contestualmente agli interessati,
per i quali costituisce avviso di inizio di
procedimento, ai sensi e per gli effetti
della legge 07.08.1990, n. 241. Nella
comunicazione alla soprintendenza l’Autorità
competente al rilascio dell’autorizzazione
attesta di avere eseguito il contestuale
invio agli interessati. L’autorizzazione è
rilasciata o negata entro il termine
perentorio di sessanta giorni dalla relativa
richiesta e costituisce comunque atto
autonomo e presupposto della concessione
edilizia o degli altri titoli legittimanti
l’intervento edilizio. I lavori non possono
essere iniziati in difetto di essa. In caso
di richiesta di integrazione documentale o
di accertamenti il termine è sospeso per una
sola volta fino alla data di ricezione della
documentazione richiesta ovvero fino alla
data di effettuazione degli accertamenti>>.
Si tratta, quindi, di un particolare regime
partecipativo previsto da una normativa
speciale che sostituisce le previsioni degli
art. 7 e 10-bis della l. 241 del 1990, che
non possono pertanto trovare applicazione,
in via aggiuntiva, come prospettato da parte
ricorrente; il fatto che il meccanismo
partecipativo in questione non soddisfi
alcune delle esigenze (come quella di
conoscere il nominativo del responsabile del
procedimento o il termine di conclusione
della procedura) oggi assicurate dalla
comunicazione di inizio procedimento, non
assume poi valore decisivo, essendo ben
possibile una disciplina normativa
differenziata della partecipazione
procedimentale che però soddisfi il nucleo
fondamentale, costituito dalla possibilità
per l’interessato di partecipare al
procedimento (facoltà di partecipazione che
appare essere stata assicurata anche nella
presente fattispecie, considerato che parte
ricorrente, ha indiscutibilmente ricevuto la
comunicazione della trasmissione alla
Soprintendenza dell’autorizzazione
paesaggistica).
Per quello che riguarda la problematica del
termine, quanto
già rilevato con riferimento alla prima
censura di ricorso evidenzia chiaramente
come l’operatività del meccanismo in
questione richieda il rilascio di una
autorizzazione paesaggistica espressa; il
rispetto del termine di 60 giorni per
l’annullamento deve quindi essere valutato
con riferimento alla data di trasmissione
dell’autorizzazione paesaggistica espressa
e non alla data
anteriore di conclusione della conferenza di
servizi.
In ogni caso, è poi opinione della Sezione
che una simile censura possa essere
introdotta in giudizio, solo tramite
impugnazione, per violazione del principio
del ne bis in idem, dell’autorizzazione
paesaggistica rilasciata, dopo la positiva
conclusione della conferenza di servizi
(che, secondo la prospettazione di parte
ricorrente, conterrebbe già tutti gli
elementi essenziali del provvedimento
autorizzatorio) e non potrebbe quindi
comunque trovare considerazione nella
presente vicenda.
Per giurisprudenza pacifica, la verifica in
ordine al rispetto del termine deve poi
essere effettuata con riferimento al momento
di adozione del provvedimento di
annullamento e non alla successiva
comunicazione dello stesso (Consiglio Stato, sez. VI,
29.12.2008, n. 6586; TAR Puglia Lecce, sez.
I, 07.06.2006, n. 3288).
2.
La Corte
costituzionale (Corte cost. 07.11.2007, n.
367) ha rilevato come la disposizione ad
efficacia transitoria dell’art. 159 del
Codice dei beni culturali e del paesaggio
non attribuisca <<all’amministrazione
centrale un potere di annullamento del
nulla-osta paesaggistico per motivi di
merito, così da consentire alla stessa
amministrazione di sovrapporre una propria
valutazione a quella di chi ha rilasciato il
titolo autorizzativo, ma riconosc(a) ad essa
un controllo di mera legittimità, che
peraltro, può riguardare tutti i possibili
vizi, tra cui anche l’eccesso di potere>>.
Anche con riferimento al potere di
annullamento previsto dall’art. 159, 3°
comma del d.lgs. 22.01.2004 n. 42, deve
pertanto trovare applicazione la
tradizionale giurisprudenza che ha rilevato
l’illegittimità di provvedimenti di
annullamento fondati su un riesame del
merito della valutazione effettuata
dall’ente delegato, piuttosto che sulla
rilevazione di uno specifico vizio di
legittimità dell’atto sottoposto a
controllo: <<il potere riconosciuto al
Ministero per i beni culturali ai sensi
dell'art. 159, d.lgs. 22.01.2004 n. 42, è da
intendersi quale espressione non già di un
generale riesame nel merito della
valutazione dell'ente delegato, bensì di un
potere di annullamento d'ufficio per motivi
di legittimità, riconducibile al più
generale potere di vigilanza che il
legislatore ha voluto riconoscere allo Stato
nei confronti dell'esercizio delle funzioni
delegate alle regioni ed ai comuni in
materia di gestione del vincolo; i parametri
cui deve informarsi il giudizio della
Soprintendenza ai fini dell'eventuale
adozione dell'atto di annullamento sono,
pertanto, riconducibili alla completezza
della documentazione ed alla ragionevolezza
e congruità della medesima, come evincibile
dal corredo motivazionale dell'atto
regionale o comunale>> (TAR Puglia
Lecce, sez. I, 13.10.2006, n. 4948 già
riferita alla previsione dell’art. 159, 3°
comma del d.lgs. 42 del 2004; TAR Campania
Napoli, sez. IV, 08.11.2006, n. 9415; TAR
Lazio Roma, sez. II, 03.07.2006, n. 5347)
(TAR
Puglia-Lecce, Sez. I,
sentenza 18.06.2009 n. 1538 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI:
Sull'illegittimità
dell'ammissione ad una gara per
l'affidamento di servizi per violazione
dell'art. 13 del d.l. n. 223 del 2006 (c.d.
Decreto Bersani).
E' illegittima l'ammissione in una gara per
l'affidamento dei servizi di assistenza
tecnica integrata per la redazione del
programma strategico per la valorizzazione
urbanistica, economica, sociale e
direzionale, di una ATI per violazione
dell'art. 13 del d.l. 04.07.2006 n. 223
(c.d. Decreto Bersani), poi convertito in
legge con modificazioni con la l. 296/2006,
in quanto tra i componenti dell'ATI, figura
in qualità di mandante una società che fra
l'altro è partecipata dalla Provincia
Regionale, da un Consorzio provinciale e da
un altro Comune, oltre che dal Comune che ha
indetto la gara e svolge, in base al suo
stesso oggetto sociale, molteplici "attività
strumentali" in favore degli stessi enti
pubblici che ne detengono il capitale
sociale (Tar Sicilia-Catania, Sez. III,
sentenza 18.06.2009 n. 1161 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
1. Sindaco - Ordinanze
contingibili e urgenti - Presupposti per
l'emanazione - Sanità e igiene.
2. Sindaco - Ordinanze contingibili e
urgenti - Cessazione di emissioni di fumo -
Motivazione - Carente - Ipotesi.
3. Giudizio amministrativo - Procedura -
Controinteressato - Impugnazione di atto
sollecitato dall'amministratore del
condominio.
1.
I presupposti necessari per l'emanazione di
provvedimenti contingibili ed urgenti sono,
da un lato, l'impossibilità di differire
l'intervento ad altro momento in relazione
alla ragionevole previsione di danno
incombente (da cui il carattere
dell'urgenza), dall'altro, l'inattuabilità
degli ordinari mezzi offerti dalla normativa
(da cui la contingibilità). Con specifico
riferimento alla sanità ed igiene,
l'esercizio, da parte del Sindaco, del
potere di emanare ordinanze contingibili ed
urgenti in dette materie è condizionato
all'esistenza di seguenti presupposti:
necessità di intervenire in determinare
materie, quali la sanità e l'igiene;
attualità od imminenza di un fatto
eccezionale, quale causa da rimuovere con
urgenza; preventivo accertamento, da parte
degli organi competenti, della situazione di
pericolo e di danno; mancanza di strumenti
alternativi previsti dall'ordinamento, visto
il carattere extra ordinem del potere
sindacale (1).
------------
(1) TAR Campania Napoli, sez. V,
14-10-2005 n. 16477.
2.
E' carente di motivazione un'ordinanza
contingibile ed urgente, con la quale si
ordina la cessazione con effetto immediato
di emissioni di fumo provenienti da una
canna fumaria, che, sebbene sul piano del
requisito dell'urgenza, soddisfi il
presupposto dell'espletamento di apposito
accertamento tecnico da parte degli organi
competenti, sul piano della contingibilità,
non si soffermi sulla dimostrazione
dell'impossibilità, per il Comune, di
utilizzare strumenti alternativi a quello
attivato, avente carattere eccezionale ed
extra ordinem. La questione, che non pare
superabile con il ricorso all'art. 21-octies
co. 2, L. n. 241/1990, non è meramente
formale, in quanto, il ricorso allo
strumento extra ordinem consente alla p.A.
di evitare in modo legittimo la
comunicazione di avvio del procedimento ex
art. 7, L. n. 241/1990 (2).
-----------
(2) TAR Campania Napoli, sez. V,
14-10-2005 n. 16477; Cons. Stato, sez. V,
13-08-2007 n. 4448.
3.
Il fatto che l'autore dell'esposto che ha
dato luogo ad un'ordinanza contingibile ed
urgente fosse l'amministratore di un
condominio non vale certo a fare di
quest'ultimo il controinteressato, né il
destinatario della notificazione del
gravame, attesi i confini della
legittimazione processuale passiva
dell'amministratore del condominio fissati
dall'art. 1131, Cod. Civ., (che riguarda le
sole parti materiali destinate all'uso
comune dei condomini, anche se ubicate
all'esterno dello stabile condominiale) (3).
Per tale condominio, quindi, la qualifica di
controinteressato spetterebbe, in linea di
principio, ai proprietari ed ai residenti
nello stabile (4) (TAR Toscana, Sez. II,
sentenza 18.06.2009 n. 1070 -
link a
http://mondolegale.it).
--------------
(3) Cass. Civ., sez. II, 19-01-1985 n.
145.
(4) Cons. Stato, sez. V, 11-04-1991 n. 542. |
ESPROPRIAZIONE:
1. Procedimento - Avvio
espropriazione - Dichiarazione di pubblica
utilità - Conclusione - Pronuncia di
esproprio - Annullamento in sede
giurisdizionale della dichiarazione di
pubblica utilità - Conseguenze.
2. Pubblica utilità - Funzione - Nella
logica del contemperamento dell'interesse
pubblico e privato.
3. Occupazione senza titolo - Acquisitiva -
Posizione di diritto soggettivo - In capo al
privato - Non sussiste - Declaratoria in
sede di giurisdizione esclusiva - Non è
ammissibile.
4. Occupazione senza titolo - Acquisitiva -
Art. 43, D.P.R. n. 327/2001 - Valutazione
degli interessi in conflitto -
Interpretazione - Conseguenze.
1.
Il procedimento di espropriazione trova
origine nella dichiarazione di pubblica
utilità e si perpetua fino alla pronuncia di
esproprio, tanto che l'annullamento in sede
giurisdizionale della dichiarazione di
pubblica utilità (o degli atti nei quali
essa deve ritenersi contemplata in modo
implicito, quali le approvazioni di Piani)
comporti la automatica caducazione degli
effetti del decreto di esproprio nel
frattempo emesso, senza alcuna necessità o
onere di autonoma ed ulteriore impugnazione
(1).
---------------
(1) Cons. Stato, sez. IV, 19-03-2009 n.
1651; Cons. Stato, sez. IV, 29-01-2008 n.
258
2.
Nel contemperamento dei valori in gioco
sotteso alla procedura espropriativa (quello
pubblico al perseguimento degli interessi
collettivi e generali, quello della
solidarietà sociale e quello del
proprietario a non vedersi sottrarre un bene
da cui ha diritto di trarre ogni possibile e
lecita utilità), il ruolo rivestito dal
provvedimento di dichiarazione di pubblica
utilità -nella logica della legge
fondamentale 25.06.1865 n. 2359, rimasta
pressoché inalterata nel vigente Testo Unico
n. 327/2001- è quello di individuare il
concreto interesse pubblico da perseguire
(attraverso l'approvazione del progetto
dell'opera da realizzare) e destinare
definitivamente il bene del privato,
necessario per la realizzazione di
quell'opera, al soddisfacimento dei relativi
interessi generali, riconoscendo la
sussistenza di un nesso logico, oltreché
giuridico e teleologico, tra il bene
dichiarato di pubblica utilità ed il
provvedimento espropriativo, nel senso che
quest'ultimo è autorizzato a sottrarre il
bene al legittimo proprietario solo ed
esclusivamente nella misura in cui
effettivamente il bene stesso sia utilizzato
poi per il conseguimento dello specifico
interesse pubblico fissato con la
dichiarazione di pubblica utilità.
3.
L'istituto dell'"acquisizione sanante"
di cui all' art. 43, D.P.R. n. 327/2001, non
vede corrispondere al privato posizioni
giuridiche soggettive di diritto pieno, tali
da legittimare una corrispondente pronuncia
declaratoria in sede di giurisdizione
esclusiva da parte del G.A., ma solo
posizioni di interesse legittimo per le
quali non è consentita nella presente sede
un'azione di accertamento e conseguente
declaratoria (2).
------------------
(2) TAR Piemonte, sez. II, 24-03-2004 n.
483; Il Tribunale precisa, richiamando
precedenti giurisprudenziali, che
nell'attuale sistema processuale
amministrativo, non trova ingresso l'azione
di accertamento (e condanna) nelle ipotesi
in cui il soggetto ricorrente si trovi in
una posizione giuridica soggettiva di
interesse legittimo, poiché le aspettative
qualificate che in questo caso sono azionate
non derivano direttamente dalla legge, come
in presenza di un diritto soggettivo, ma
trovano la mediazione della valutazione
discrezionale della p.A. nell'esercizio di
un pubblico potere e dell'adozione del
conseguente provvedimento amministrativo che
-solo questo- può costituire oggetto del
sindacato giurisdizionale. Il Tribunale
inoltre, prosegue precisando che la
differenza tra posizioni soggettive di
diritto e di interesse legittimo sussiste
anche nell'ambito della giurisdizione
esclusiva, con conseguente applicabilità in
tale seconda ipotesi degli istituti
processuali relativi, tra cui quello della
esclusione della previsione dell'azione
diretta di accertamento e condanna. Nel caso
di specie, trattandosi di una domanda
fondata su una situazione di interesse
legittimo e non di diritto soggettivo, la
ricorrente non poteva proporre direttamente
una domanda di accertamento e condanna.
4.
La norma di cui all'art. 43, D.P.R. n.
327/2001, (laddove è detto che "valutati
gli interessi in conflitto, l'autorità che
utilizza un bene immobile per scopi di
interesse pubblico, modificato in assenza
del valido ed efficace provvedimento di
esproprio o dichiarativo della pubblica
utilità, può disporre che esso vada
acquisito al patrimonio indisponibile e che
al proprietario vadano risarciti i danni
richiede una valutazione discrezionale della
p.a."). L'obbligo di valutazione degli
interessi in conflitto, con primaria
ponderazione di quello pubblico a continuare
l'utilizzo del bene, e la mera possibilità
di dare luogo all'acquisizione -laddove la
norma usa l'espressione "può" e non
altre indicanti un vincolo all'adozione
quali, a mero titolo esemplificativo, "deve",
"dispone che venga acquisito"-
costituiscono indici per i quali la
corrispondente posizione del privato non si
configura come di diritto soggettivo ma di
mero interesse legittimo, con conseguente
inammissibilità di azioni di accertamento e
declaratorie (TAR Toscana, Sez. II,
sentenza 18.06.2009 n. 1063 -
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EDILIZIA PRIVATA:
1. Giudizio amministrativo -
Procedura - Legittimazione - Edilizia -
Nozione di collegamento fra immobili.
2. Dichiarazione inizio attività -
Impugnazione da parte del terzo - Mezzi -
Azione di accertamento autonomo -
Sussistenza - Ragioni.
1.
Oltre ai singoli proprietari di immobili
limitrofi, la legittimazione va riconosciuta
a tutti coloro che si trovino, non in virtù
della titolarità di un diritto reale,
comunque in una situazione di collegamento,
non effimero ma stabile con la zona stessa,
ove gli stessi ritengano che per effetto
della nuova costruzione, in contrasto con le
prescrizioni urbanistiche, si determini una
rilevante e pregiudizievole alterazione del
preesistente assetto urbanistico ed
edilizio. Tale precisazione deriva dalla
considerazione per cui il rapporto di
vicinitas dei proprietari frontisti è
sufficiente a sostanziare la legittimazione
ad agire, in quanto non può che comprendere
in sé l'interesse personale alla
conservazione e salvaguardia delle
caratteristiche costruttive e insediative
dell'ambiente circostante.
2.
Poiché la d.i.a. non è un provvedimento
amministrativo a formazione tacita, ma un
atto privato, la tutela deve essere
assicurata al terzo mediante strumenti
diversi dall'azione di annullamento, che
siano perfettamente compatibili con la
natura privatistica della d.i.a.. E tale
strumento è stato individuato nell'azione di
accertamento autonomo che il terzo può
esperire innanzi al giudice amministrativo
per sentire pronunciare che non sussistevano
i presupposti per svolgere l'attività sulla
base di una semplice denuncia di inizio di
attività (Cons. Stato, sez. VI, 09-02-2009
n. 717) ( TAR Calabria-Reggio Calabria,
sentenza 18.06.2009 n. 431 - link
a http://mondolegale.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Violazioni normativa antisismica.
Le contravvenzioni previste dalla normativa
antisismica puniscono inosservanze formali,
volte a presidiare il controllo preventivo
della P.A. Ne deriva che l’effettiva
pericolosità della costruzione realizzata
senza i prescritti adempimenti è del tutto
irrilevante ai fini della sussistenza del
reato e la verifica postuma dell’assenza del
pericolo ed il rilascio dei provvedimenti
abilitativi non incide sulla illiceità della
condotta, poiché gli illeciti sussistono in
relazione al momento di inizio della
attività (Corte di Cassazione, Sez. III
penale,
sentenza 17.06.2009 n. 25133 -
link a www.lexambiente.it). |
APPALTI SERVIZI:
L'art. 113, c. 15-bis del d. lgv.
n. 267 del 2000, non riguarda la cessazione
delle concessioni affidate a società a
capitale misto pubblico privato nelle quali
il socio privato sia stato scelto mediante
gara.
Sulla natura tassativa dell'art. 113 c.
15-bis, d.lg. n.267 del 2000, e sul fatto
che non interagiscono con esso le
disposizioni sulla gestione integrata dei
rifiuti di cui al d.lg. n. 152 del 2006.
- L'art. 113, c. 15 bis del d. lgv. n. 267
del 2000, esclude dalla cessazione le
concessioni affidate a società a capitale
misto pubblico privato nelle quali il socio
privato sia stato scelto mediante procedure
ad evidenza pubblica che abbiano dato
garanzia di rispetto delle norme interne e
comunitarie in materia di concorrenza.
È possibile affidare direttamente il
servizio a società partecipate dall'ente
pubblico, allorquando le esigenze
dell'evidenza pubblica siano state
rispettate a monte. Il parere n. 456 del
2007 reso dal Consiglio di Stato, sez. II,
ha ritenuto che la scelta del partner
privato a mezzo procedura ad evidenza
pubblica equivale ad affidamento con gara
del servizio. Ha precisato tuttavia che il
ricorso alla figura della società mista
affidataria diretta del servizio deve
avvenire a condizioni tali da fugare dubbi e
ragioni di perplessità in ordine alla
restrizione della concorrenza. Tali
condizioni ricorrono allorché la gara per la
scelta del socio sia preordinata alla
individuazione del socio industriale od
operativo che concorra materialmente allo
svolgimento del servizio pubblico e, che si
preveda un rinnovo della procedura di
selezione "alla scadenza del periodo di
affidamento", evitando che il socio
divenga "socio stabile" della società
mista, possibilmente prescrivendo e
chiarendo sin dagli atti di gara modalità
per l'uscita del socio stesso per il caso in
cui all'esito della successiva gara egli
risulti non più aggiudicatario. Nel caso di
specie, attinente la decadenza
dell'affidamento diretto del servizio di
igiene urbana ad una società a
partecipazione pubblica maggioritaria in cui
è incontestato che la scelta del socio
privato è avvenuta con procedura di evidenza
pubblica, manca la principale condizione per
poter considerare legittimo l'affidamento
del servizio, in quanto la scelta a monte
del socio privato con procedura di evidenza
pubblica ha esaurito il suo effetto con la
scadenza della convenzione il cui rinnovo
imponeva la procedura dell'evidenza
pubblica, integrando una modalità di
affidamento diretto del servizio in
contrasto con i principi di matrice
comunitaria di tutela della concorrenza e
configura l'ipotesi del "socio stabile" che
nel parere n. 456 del 2007 su citato è
situazione in contrasto con i principi della
concorrenza e dell'evidenza pubblica.
- L'art. 113, c. 15-bis del d. lgv. n. 267
del 2000 è disposizione tassativa che non
consente slittamenti o proroghe dei rapporti
ivi considerati oltre il termine massimo del
31.12.2006 e le disposizioni sulla gestione
integrata dei rifiuti di cui al d.lgv. n.
152 del 2006 non interagiscono con tale
disposizione, non assumendo rilievo in
contrario nemmeno la previsione del c. 2
dell'art. 204 del codice dell'ambiente che
testualmente dispone "In relazione alla
scadenza del termine di cui al c. 15-bis
dell'art. 113..., l'Autorità d'ambito
dispone i nuovi affidamenti ...entro nove
mesi dall'entrata in vigore della... parte
quarta" che ha riguardo all'attività
successiva alla suddetta risoluzione
automatica (TAR Puglia-Bari, Sez. I,
sentenza 17.06.2009 n. 1525 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
presentazione di una istanza di accertamento
di conformità, o di una istanza di condono
edilizio, priva di interesse processuale
colui che abbia già impugnato l’ordinanza di
demolizione, con la conseguenza che il
ricorso viene dichiarato improcedibile:
l'ordine, infatti, ha spiegato tutti i suoi
effetti, il potere esercitato si è consumato
in quello specifico procedimento, e, dunque,
non può più fondare l’obbligo di demolire il
fabbricato o le parti di opere sanzionate,
né può, correlativamente, giustificare
l’effetto legale dell’acquisizione delle
medesime opere al patrimonio pubblico.
Parte
ricorrente lamenta che erroneamente il
Comune ha disposto l’acquisizione
dell’immobile al patrimonio comunale, sul
presupposto della mancata osservanza
dell’ordine di demolizione precedentemente
impartito e non opposto dagli interessati,
perché questi ultimi avevano proposto,
tempestivamente, un ulteriore progetto
edilizio, finalizzato a rimuovere le
difformità dei lavori rispetto al titolo
edilizio a suo tempo rilasciato.
Si deve premettere che non osta all’esame
del gravame la circostanza che l’ordine di
demolizione del 24.09.1998 non sia stato
impugnato.
Infatti, un ordine di demolizione di opere
eseguite in difformità dal titolo edilizio o
in assenza di quest'ultimo, determina, in
capo al suo destinatario, la possibilità di
compiere due scelte.
Il titolare dell’abuso può, infatti,
impugnare l'ordine di demolizione, se non
intende eseguirlo, nei prescritti termini di
decadenza, oppure può darvi esecuzione.
In quest’ultimo caso, però, l’esecuzione
dell’ordine di demolizione non avviene
solamente con la effettuazione dei lavori di
demolizione veri e propri, ma può avvenire
anche mediante la presentazione al Comune di
un progetto tendente a rimuovere lo stato di
non corrispondenza delle opere al titolo
rilasciato, ossia sostanzialmente
realizzando opere necessarie a riportare il
manufatto alla conformità allo strumento
urbanistico, o anche operando in
accertamento di conformità dei lavori
realizzati sine titulo allo strumento
urbanistico ed ai parametri edilizi di zona.
E’ lo strumento urbanistico, infatti, che
costituisce l’unico parametro di legittimità
ed assentibilità delle opere edilizie,
avendo il titolo una efficacia meramente
certativa e dichiarativa, non costitutiva
dello ius aedificandi, che è
esercitabile nei limiti e con le modalità
derivanti dallo strumento urbanistico
medesimo (cfr. TAR Catania, I, 31.10.2008,
nr. 1898).
Per tale ragione, la giurisprudenza afferma,
salvo poche eccezioni, che la presentazione
di una istanza di accertamento di
conformità, o di una istanza di condono
edilizio, a seconda dei casi, priva di
interesse processuale colui che abbia già
impugnato l’ordinanza di demolizione, con la
conseguenza che il ricorso viene dichiarato
improcedibile (ex multis, tra le più
recenti, TAR Campania, Salerno, II,
09.04.2009, n. 1408; TAR Lazio, Roma, II,
16.03.2009, nr. 2692; TAR Campania, Napoli,
VII; 03.03.2009, nr. 1211; Consiglio di
Stato, VI, 12.11.2008, nr. 5646; TAR
Sicilia, Catania, I, 18.12.2007, nr. 1990;
15.10.2007, nr. 1669; 21.05.2007, nr. 853;
15.05.2008, nr. 905; tra le più risalenti,
cfr. CGA 27.05.1997, nr. 187; TAR Lazio,
Latina, 07.11.1988, nr. 738): l'ordine,
infatti, ha spiegato tutti i suoi effetti,
il potere esercitato si è consumato in
quello specifico procedimento, e, dunque,
non può più fondare l’obbligo di demolire il
fabbricato o le parti di opere sanzionate,
né può, correlativamente, giustificare
l’effetto legale dell’acquisizione delle
medesime opere al patrimonio pubblico.
Invero, l’effetto (compiuto) dell’ordine di
demolizione è stato quello di evidenziare
una situazione di carenza delle opere
rispetto al titolo abilitante (seppure a
efficacia certativa), e, con la
presentazione del nuovo progetto teso a
rimuovere le ragioni dell’illegittimità
delle opere sanzionate (facendole assentire
per conformità o per condono), ha avuto
esecuzione da parte del suo destinatario.
Pertanto, in questi casi, l'esercizio del
potere amministrativo prosegue, fondandosi,
per effetto della presentazione della
istanza o del nuovo progetto, su una diversa
situazione di fatto caratterizzata da un
nuovo assetto di interessi pubblici, perché,
in forza della predetta istanza,
l'Amministrazione dovrà adesso non più
limitarsi ad accertare la differenza tra le
opere realizzate ed il progetto assentito,
ma, radicalmente, la corrispondenza tra le
prime (eventualmente come modificate nel
progetto innovativo) e lo strumento
urbanistico.
Consegue a quanto sopra che l’esercizio del
potere esecutivo e di controllo che spetta
all’Autorità comunale dovrà essere volto a
valutare la possibilità di sanare il deficit
procedimentale (analogamente a quanto accade
nella fattispecie normativa di cui all’art.
38 del DPR 380/2001), che sarà possibile
sanare laddove quest’ultimo non incide sulla
legittimità sostanziale del fabbricato;
oppure, accertato che il fabbricato non solo
è senza titolo, ma è anche difforme dalle
prescrizioni urbanistiche, di legge o di
strumento urbanistico di zona, dovrà
nuovamente esercitare i propri poteri di
controllo e repressione dell'illecito
ordinandone la demolizione con un nuovo
provvedimento, che, però, troverà causa
(ossia sarà volto alla tutela degli
interessi sostanziali) nella difformità
dallo strumento urbanistico (ossia nella
illegittimità sostanziale e non più
solamente formale) dell’immobile
(TAR Calabria-Reggio-Calabria,
sentenza 17.06.2009 n. 420 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Ordinanza di demolizione di
fabbricati: solo per gravi abusi o per abusi
non sanabili.
Ritiene il Collegio che la consistenza delle
opere eseguite dai ricorrenti sia di tale
entità da non potersi fare rientrare nella
ipotesi di cui all’art. 8 l. n. 47/1985,
unica fattispecie in relazione alla quale è
prevista la sanzione massima della
demolizione.
I tre abusi indicati nell’ordinanza di
demolizione, non importando né aumento
consistente della cubatura o della
superficie né modifiche sostanziali di
parametri urbanistici–edilizi, non
costituiscono, infatti, variazioni
essenziali. Essi al più riguardano opere
soggette ad autorizzazione e la cui
realizzazione, in assenza di autorizzazione,
poteva essere perseguita solo con una
sanzione pecuniaria
(TAR Calabria-Reggio Calabria,
sentenza 17.06.2009 n. 414 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI:
In applicazione dell'art. 113, c.
6, del D.Lgs. 18.08.2000, n. 267, non deve
essere ammessa ad una gara per l'affidamento
di un servizio pubblico locale una società
già affidataria diretta di un spl in un
altro comune.
In base a quanto previsto dall'art. 113, c.
6, del D.Lgs. 18.08.2000, n. 267, non sono
ammesse a partecipare alle gare per
l'affidamento dei servizi pubblici locali di
rilevanza economica "le società che in
Italia o all'estero, gestiscono a qualunque
titolo servizi pubblici locali in virtù di
un affidamento diretto, di una procedura non
ad evidenza pubblica o a seguito dei
relativi rinnovi; tale divieto si estende
alle società controllate o collegate, alle
loro controllanti, nonché alle società
controllate o collegate con queste ultimi;
sono parimenti esclusi i soggetti di cui al
c. 4" (gestori delle reti).
Pertanto, nel caso di specie, la società
aggiudicataria essendo affidataria diretta
da parte di un altro comune della gestione
dell'impianto di discarica sita nel
territorio comunale non doveva essere
ammessa alla gara indetta dall'Azienda
Servizi Ambientali per l'affidamento del
servizio di stesura, compattazione,
copertura dei rifiuti, esecuzione di
sbancamenti e di trasporto del percolato
relativo alla discarica di un comune
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 16.06.2009 n. 3920 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Enti senza scopo di lucro, come
fondazioni e Onlus, possono legittimamente
partecipare alle gare d'appalto.
Sulla legittimità ad accedere ai contratti
pubblici anche per le fondazioni.
L'elencazione di cui art. 34 del D.Lgs. n.
163 del 2006, sui soggetti a cui possono
essere affidati i contratti pubblici non è
tassativa.
Anche i soggetti economici senza scopo di
lucro, quali le fondazioni, possono
soddisfare i necessari requisiti ed essere
qualificati come "imprenditori", "fornitori"
o "prestatori di servizi" ai sensi delle
disposizioni vigenti in materia, e dunque
essere soggetti legittimati ad accedere ai
contratti pubblici, attese la personalità
giuridica che le fondazioni vantano e la
loro capacità di esercitare anche attività
di impresa, qualora funzionali ai loro scopi
e sempre che quest'ultima possibilità trovi
riscontro nella disciplina statutaria del
singolo soggetto giuridico.
L'elencazione dell'art. 34 del D.Lgs. n. 163
del 2006, codice dei contratti pubblici, non
è, infatti, tassativa e tale conclusione
trova conforto in altre norme del codice
degli appalti che definiscono la figura
dell'imprenditore o fornitore o prestatore
di servizi nell'ambito degli appalti
pubblici (art. 3, commi 19 e 20) e nelle
disposizioni comunitarie le quali (art. 1,
c. 8, 4 e 44 della direttiva 2004/18/CE)
indicano che il soggetto abilitato a
partecipare alle gare pubbliche è l'"operatore
economico" che offre sul mercato lavori,
prodotti o servizi, secondo un principio di
libertà di forme (persone fisiche o persone
giuridiche).
La giurisprudenza comunitaria ha affermato
che per "impresa", pur in mancanza di
una sua definizione nel Trattato, va inteso
qualsiasi soggetto che eserciti attività
economica, a prescindere dal suo stato
giuridico e dalle sue modalità di
finanziamento; che costituisce attività
economica qualsiasi attività che consiste
nell'offrire beni o servizi su un
determinato mercato; che l'assenza di fine
di lucro non esclude che un soggetto
giuridico che esercita un'attività economica
possa essere considerato impresa. Pertanto,
la definizione comunitaria di impresa non
discende da presupposti soggettivi, quali la
pubblicità dell'ente o l'assenza di lucro,
ma da elementi puramente oggettivi quali
l'offerta di beni e servizi da scambiare con
altri soggetti, nell'ambito quindi di
un'attività di impresa anche quando non sia
l'attività principale dell'organizzazione.
Inoltre, non è rilevante il fatto che una
fondazione goda di un regime fiscale di
favore perché il regime fiscale di favore
assiste anche altri soggetti, quali le
cooperative, senza che si possa sostenere
che queste siano escluse dagli appalti
pubblici (anzi sono espressamente
contemplate nell'art. 34 del codice), ovvero
le ONLUS che secondo la recente
giurisprudenza amministrativa possono essere
ammesse alle gare pubbliche quali "imprese
sociali", cui il d.lgs. 24.03.2006 n.
155 ha riconosciuto la legittimazione ad
esercitare in via stabile e principale
un'attività economica organizzata per la
produzione e lo scambio di beni o di servizi
di utilità sociale, diretta a realizzare
finalità d'interesse generale, anche se non
lucrativa (Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 16.06.2009 n. 3897 -
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APPALTI SERVIZI:
In tema di concessione di servizi
non si applica l'art. 64, c. 4, d.lvo n.
163/2006, ciò nonostante, anche per dette
procedure è necessaria un'adeguata
comunicazione delle notizie relative a data,
luogo ed ora delle operazioni.
In tema di concessione di servizi, non si
applica il disposto letterale dell'art. 64,
c. 4, del D.lvo 12.04.2006, n. 163 - Codice
dei contratti pubblici relativi a lavori,
servizi e forniture, tuttavia, anche per
dette procedure, si ricorre, al principio
generale, sotteso a tale norma, che impone
un'adeguata comunicazione delle notizie
relative a data, luogo ed ora delle
operazioni, sì da consentire l'effettiva
pubblicità e la concreta possibilità di
partecipazione da parte dei soggetti
interessati.
Nel caso di specie detti parametri di
adeguatezza e proporzionalità delle misure
informative non risultano rispettate per
effetto della mera affissione all'albo
pretorio, deve, infatti, ritenersi che tale
misura generale di pubblicità, non presenti
la stesso grado di conoscibilità della
lex specialis. In assenza di un rinvio a
detta formalità da parte degli atti di gara
ed in mancanza di indicazioni puntuali in
seno a detti ultimi, si deve ritenere che
solo un atto avente la medesima pubblicità
del bando ovvero una comunicazione
personalizzata avrebbe potuto rispettare il
principio generale di trasparenza sotteso
alla normativa primaria (Consiglio di Stato,
Sez. V,
sentenza 16.06.2009 n. 3844 -
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EDILIZIA PRIVATA:
Sequestro preventivo e necessità
di sgombero dell’immobile abusivo.
Non c’è dubbio alcuno che, nell'ipotesi di
immobili già ultimati, l'esigenza cautelare
che il sequestro intende perseguire è che
essi non vengano abitati per evitare
l’aggravio (in modo apprezzabile) del carico
urbanistico. La mera apposizione dei sigilli
ex art. 260 c.p.p. costituirebbe misura del
tutto inidonea a salvaguardare le finalità
cautelari del sequestro. Tale apposizione,
invero, può tutelare le finalità del
sequestro probatorio (assicurare le cose
necessarie per l’accertamento dei fatti).
La nomina del custode e l’apposizione dei
sigilli, senza lo sgombero dell’immobile da
coloro che lo occupano, non impedirebbe di
certo il determinarsi dell’aggravio del
carico urbanistico (che deriva appunto dalla
persistenza della occupazione). E’,
assolutamente, evidente quindi che tale
aggravio non potrebbe essere evitato con la
nomina degli stessi occupanti o custode (a
meno di non prevedere comunque lo sgombero)
(Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 15.06.209 n. 24662 -
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EDILIZIA PRIVATA:
Condono in zone vincolate.
Non è poi esatto che la Corte costituzionale
avrebbe chiarito, con riferimento agli abusi
in aree vincolate, che la sanabilità delle
opere realizzate in area vincolata è da
escludere solo se si tratti di vincolo di
inedificabilità assoluta (divieti di
edificazione o prescrizioni di
inedificabilità ex art. 33 legge 28.02.1985,
n. 47) e non anche nella diversa ipotesi di
vincolo di inedificabilità relativa. E
difatti, la sentenza n. 54 del 2009 ha
dichiarato illegittima una norma regionale
che prevedeva il divieto di sanare le opere
abusive edificate su aree sottoposte a
vincoli di tutela solo quando questi ultimi
«comportino inedificabilità assoluta»,
e ciò proprio perché l’art. 32, comma 27,
lett. d), del dl. 269 del 2003 «attribuisce
effetto impeditivo della sanatoria ad
ulteriori vincoli, che la norma impugnata
... avrebbe invece l’effetto di vanificare».
E con la successiva ord. n. 150 del 2009 la
Corte costituzionale ha espressamente
rilevato che il principio affermato dalla
Corte di cassazione (secondo cui entro le
aree vincolate possono beneficiare del
condono le sole opere di restauro e
risanamento conservativo, nonché di
manutenzione straordinaria, nei casi
indicati nell’Allegato I al d.l. n. 269 del
2003, punti 4, 5 e 6) «appare del tutto
conforme alla lettera della disposizione
impugnata», precisando inoltre che è erronea
una ricostruzione della giurisprudenza
costituzionale nel senso che i vincoli
preclusivi della sanatoria dovrebbero essere
esclusivamente quelli che prevedano una
inedificabilità assoluta, «atteso che la
sentenza n. 54 del 2009 ha chiarito come
tali vincoli non debbano necessariamente
comportare l’inedificabilità assoluta»
(Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 15.06.2009 n. 24647 -
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APPALTI:
Sulla dichiarazione generica di
assenza di cause di esclusione ex art. 38,
comma 1, lett. c), del d.lgs. 163/2006.
Il Tar Palermo -delineata la disciplina
normativa relativa alle cause di esclusione
delle imprese dalle gare, incentrata sulla
conoscenza completa, da parte della stazione
appaltante, di tutte le sentenze e decreti
di condanna eventualmente esistenti a carico
dei concorrenti alle gare d’appalto, per le
conseguenti valutazioni circa la loro
rilevanza ostativa o meno ai fini della
partecipazione- ritiene di dover condividere
l'interpretazione dell'articolo 38, comma 1,
lett. c), del D.lgs 163/2006 dedotta dal
ricorrente.
Afferma così il principio secondo cui la
norma in questione, laddove dispone che è
comunque causa di esclusione la condanna per
i reati di partecipazione ad
un’organizzazione criminale, corruzione,
frode, riciclaggio, non sta ad indicare
tipologie di reati diversi da quelli
ostativi genericamente indicati nella prima
parte della norma (“reati gravi in danno
dello Stato o della Comunità che incidono
sulla moralità professionale”), quanto
piuttosto dei reati, in ordine ai quali la
stazione appaltante è priva di qualsiasi
potere discrezionale di valutazione, nel
senso che alle sentenze di condanna per uno
o più degli stessi si connette un effetto
automatico di preclusione della
partecipazione ai pubblici appalti (TAR
Sicilia-Palermo, Sez. III,
sentenza 15.06.2009 n. 1076 -
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APPALTI:
Contratti pubblici: illegittimo
il bando di gara che non riporta il CIG.
In materia di procedure per l'affidamento di
contratti pubblici, è illegittimo il bando
di gara che non riporta il relativo codice
di identificazione (CIG), avendo la stazione
appaltante omesso di richiedere
l'accreditamento al sistema informativo
dell'Autorità per la vigilanza sui contratti
pubblici di lavori, servizi e forniture
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 12.06.2009 n. 3685 -
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EDILIZIA PRIVATA:
1. Giudizio amministrativo -
Procedura - Termini - Per impugnare -
Permesso di costruire - Presentazione di
istanza d'accesso al progetto - Non fa
decorrere i termini.
2. Concessione - Rilasciata a terzi -
Impugnazione - Eccezione di tardività -
Effettiva conoscenza del provvedimento -
Prova.
3. Giudizio amministrativo - Risarcimento
danno - Tutela per equivalente a fronte
della tutela annullatoria - Ex art. 2058 co.
2, Cod. Civ. - Esclusione - Ragioni.
1.
La presentazione dell'istanza di accesso non
fa decorrere il termine per l'impugnazione
degli atti in quanto, ai fini della
decorrenza del termine decadenziale è
necessaria la piena conoscenza oltre che
della esistenza, anche della lesività del
provvedimento, cioè la piena conoscenza del
progetto. Ed inoltre che non può ritenersi
che dalla mera realizzazione dei lavori di
getto delle fondazioni si possa percepire
l'esistenza e l'entità delle violazioni
urbanistico-edilizie eventualmente derivanti
dal permesso di costruire.
2.
Nel caso di impugnazione di un permesso di
costruire rilasciato a terzi, la effettiva e
piena conoscenza del provvedimento da parte
del ricorrente deve essere provata in modo
rigoroso da chi eccepisce la tardività della
impugnazione; in caso contrario essa si
verifica, di regola, non con il mero inizio
dei lavori edilizi bensì con la loro
ultimazione o quantomeno con il
raggiungimento di uno stato di avanzamento
tale che non si possa avere più alcun dubbio
in ordine alla consistenza ed alla reale
portata dell'intervento edilizio assentito
(1).
---------
(1) Cons. Stato, sez. V, 03-03-2004 n.
1023. Nella specie, il Tribunale
Amministrativo, ha precisato che non assume
rilievo la data di presentazione
dell'istanza di accesso in quanto, ai fini
della decorrenza del termine decadenziale è
necessaria la piena conoscenza oltre che
della esistenza, anche della lesività del
provvedimento, cioè la piena conoscenza del
progetto. L'esistenza e l'entità delle
violazioni urbanistico-edilizie
eventualmente derivanti dal permesso di
costruire, inoltre, non sono state ritenute
percepibili dalla mera realizzazione dei
lavori di getto delle fondazioni.
3.
E' inaccoglibile un'istanza con la quale, in
applicazione dei principi rinvenibili
nell'art. 2058, si chieda l'esclusione della
tutela annullatoria e la concessione di una
tutela per equivalente, in quanto essa si
pone in contrasto con i caratteri propri del
giudizio amministrativo di legittimità che,
nella sua figura tipica, è un processo di
impugnazione, finalizzato ad una pronuncia
di annullamento di un atto amministrativo (TAR
Puglia-Lecce, Sez. III,
sentenza 12.06.2009 n. 1480 -
link a
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EDILIZIA PRIVATA:
1. Ristrutturazione - Demolizione e
ricostruzione - Sagoma e volumi diversi
rispetto al fabbricato preesistente - Nuova
costruzione - Integra.
2. Ristrutturazione - Demolizione e
ricostruzione - Distanza preesistente -
Conservazione - Solo nel caso di fedele
ricostruzione - E' consentita - Nuova
costruzione - Rispetto delle previsioni di
piano - Necessità - Sussiste.
1.
Un progetto edilizio che preveda la
realizzazione di un intervento di
demolizione e ricostruzione con sagoma e
volumi diversi rispetto al fabbricato
preesistente, non configura una
ristrutturazione edilizia ma è da inquadrare
tra le nuove costruzioni.
Ai sensi dell'art.
31, co. 1, lett. d), L. 05.08.1978 n. 457, il
concetto di ristrutturazione edilizia
comprende, difatti, anche la demolizione
seguita dalla fedele ricostruzione del
manufatto, purché tale ricostruzione
assicuri la piena conformità di sagoma, di
volume e di superficie tra il vecchio ed il
nuovo manufatto (2).
------------
(2) Cons. Stato, sez. IV, 22-03-2007 n.
1388; Cons. Stato, sez. V, 30-08-2006 n.
5061.
2.
Se la conservazione della distanza
preesistente può ritenersi consentita
solamente nelle ipotesi di demolizione
seguita da fedele ricostruzione, nel caso in
cui, previa demolizione di un edificio
preesistente, venga ricostruito al suo posto
un fabbricato completamente diverso, devono
invece essere rispettate tutte le previsioni
previste dal P.R.G. e dal P.D.L. (TAR
Puglia-Lecce, Sez. III,
sentenza 12.06.2009 n. 1480 -
link a
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APPALTI SERVIZI:
Sul servizio di distribuzione del
gas naturale: nullità degli atti aggiuntivi
per contrarietà a norme imperative;
interpretazione dell'art. 2, c. 175, della
l. n. 244/2007; possibilità del Comune di
accollarsi l'onere del rimborso al gestore
uscente.
E' nullo l'atto aggiuntivo con il quale un
Comune ha pattuito con il concessionario del
servizio di distribuzione del gas naturale
una scadenza della concessione già in essere
determinata in accordo dalle parti in
ragione di una serie di circostanze
particolari, ovvero di una serie di
investimenti che nel caso di specie, la
concessionaria si impegnava ad effettuare, e
così determinando una scadenza del periodo
transitorio al 31.12.2012. L'accordo in
questione, infatti, prescinde in modo
completo dalla complessa normativa in tema
di apertura alla concorrenza del settore
della distribuzione del gas naturale ai
clienti finali, pretendendo di pattuire per
l'apertura alla concorrenza della
distribuzione del gas nel Comune, una
scansione temporale diversa da quella
fissata in via autoritativa dalla legge, che
nel suo prevedere scadenze rigide e ipotesi
tassative di proroga non avrebbe senso
alcuno ove si ritenesse liberamente
derogabile fra le parti. Peraltro, l'accordo
in esame contrasta con le norme imperative
anche sotto un profilo ulteriore, ovvero
nella parte in cui pretende di paralizzare
sino alla sua scadenza la possibilità del
Comune di indire una pubblica gara per
affidare il servizio.
L'art. 2, c. 175, della l. 24.12.2007 n. 244
prevede, alla lettera, che le pubbliche gare
per l'affidamento del servizio di
distribuzione del gas naturale verranno
indette dopo la definizione di appositi
ambiti territoriali ottimali per ciascun
bacino di utenza, definizione per cui sono
fissati termini evidentemente ordinatori,
dato che per la loro inosservanza non vi
sono sanzioni. La norma stessa quindi,
secondo parte della dottrina, si
risolverebbe in una sostanziale abolizione
di tutto il meccanismo del decreto Letta,
perché rinvierebbe senza un termine preciso
l'apertura del settore alla concorrenza ad
un futuro del tutto indeterminato. Di
conseguenza, gli affidamenti in essere
potrebbero, senza l'intervento di fatti
nuovi, proseguire secondo le originarie
concessioni. Tale indirizzo non è
condivisibile, per le ragioni riassumibili
così come segue. In primo luogo, come
argomento logico, tale interpretazione si
porrebbe in netto contrasto con il principio
comunitario di concorrenza, la cui
attuazione sarebbe rinviata senza termini
certi, con un risultato che nell'ambiguità
del testo normativo va fin quando possibile
evitato, anche perché potrebbe condurre ad
una responsabilità dello Stato italiano
verso l'Unione. In secondo luogo, tale
interpretazione contrasta con la lettera
dell'art. 46-bis del d.l. n. 159/2007,
ovvero con la norma che l'art. 2, c. 175, va
a modificare, là dove essa prevede incentivi
ai Comuni i quali decidano di aggregarsi per
formare un ambito ottimale. In terzo luogo,
e in via sistematica, tale interpretazione
contrasta anche con il successivo art. 23-bis, c. 7, del d.l. 25.06.2008 n. 112
convertito nella l. 06.08.2008 n. 133, che
nel dettare la disciplina generale dei
servizi pubblici locali di rilevanza
economica prevede la determinazione di
bacini di gara ottimali sempre come
facoltativa. Pertanto, i Comuni in generale
possono attualmente indire la pubblica gara
per affidare il servizio in questione, ed
anzi sono in certo senso tenuti a farlo, là
dove si ritenga che l'omessa tempestiva
acquisizione del canone, che dal
concessionario vincitore della gara l'ente
ricaverà, possa rilevare a carico degli
amministratori del Comune come ipotesi di
responsabilità erariale.
Nessuna norma, né nel d.lgs. 23.05.2000 n.
164, cd decreto Letta né altrove, preclude
che dell'indennizzo da corrispondere al
concessionario uscente si faccia carico il
Comune, per rendere l'offerta più appetibile
agli occhi degli aspiranti nuovi
concessionari. In secondo luogo, il subentro
del nuovo affidatario nei rapporti in corso
è limitato a quelli previsti dall'art. 14,
c. 8, del decreto Letta, né appare
ragionevole estenderlo in via interpretativa
ad altri, quali quelli facenti capo al
personale del concessionario uscente, poiché
ciò si risolverebbe in un cospicuo
disincentivo a partecipare alla gara per
soggetti diversi dal concessionario uscente
medesimo, unico che da tale onere non
sarebbe pregiudicato, avendo già i
lavoratori in parola alle proprie dipendenze
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 12.06.2009 n. 1221 -
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APPALTI SERVIZI:
L'attività di illuminazione
pubblica di un comune è un servizio pubblico
locale.
Sull' illegittimità della partecipazione di
una società alla gara indetta dal comune per
l'affidamento dell'appalto della gestione
del servizio di illuminazione per violazione
dell'art. 113, c. 6, del d.lgs. n. 267/00,
in quanto la società è già affidataria
diretta di servizi pubblici locali in
diversi comuni.
L'attività di illuminazione pubblica di un
comune è un servizio pubblico locale:
infatti, "la qualificazione di servizio
pubblico locale spetta a quelle attività
caratterizzate sul piano oggettivo dal
perseguimento di scopi sociali e di sviluppo
della società civile, selezionate in base a
scelte di carattere eminentemente politico
quanto alla destinazione delle risorse
economicamente disponibili ed all'ambito di
intervento e su quello soggettivo dalla
riconduzione diretta o indiretta ad una
figura soggettiva di rilievo pubblico".
Nel caso di specie, il comune ha assunto
come servizi pubblici locali quelli di
manutenzione delle strade, degli impianti di
illuminazione pubblica e del verde pubblico
... Tanto è sufficiente per concludere che
si tratta senz'altro di servizi pubblici
locali ricadenti nel campo di applicazione
del titolo V del d.lgs. 18.08.2000, n. 267 (T.U.E.L.).
Ne consegue che, è illegittima la
partecipazione di una società alla gara
indetta dal comune per l'affidamento
dell'appalto della gestione integrata del
servizio di illuminazione pubblica e
realizzazione di interventi di efficienza
energetica e di adeguamento normativo sugli
impianti comunali, e conseguentemente
l'aggiudicazione del servizio di pubblica
illuminazione a favore dell'A.T.I. tra la
stessa società e un'altra ditta, per
violazione dell'art. 113, c. 6, del d.lgs.
18.08.2000, n. 267, in quanto la società è
già affidataria diretta di servizi pubblici
locali in diversi comuni.
L'art. 113, c. 6, cit., nel testo
applicabile ratione temporis al caso
di specie, prevede infatti il divieto di
partecipazione delle società affidatarie
dirette dei servizi pubblici locali, che
abbraccia, anche sul piano strettamente
semantico, l'ipotesi di cui all'art. 113, c.
14, in base alla quale l'ente locale
autorizza i soggetti proprietari "a
gestire i servizi o loro segmenti". Il
divieto di partecipazione posto dall'art.
113, c. 6, trova, tuttavia, un limite nella
norma di cui al c. 15-quater del medesimo
articolo, ai sensi del quale esso non si
applica alle "prime gare aventi ad
oggetto i servizi forniti dalle società
partecipanti alla gara stessa", ma
riguarda le società già affidatarie dirette
del servizio posto in gara. Con la
conseguenza che se la società, come accade
nel caso di specie, non è stata affidataria
diretta del servizio e, nel momento della
presentazione delle offerte, risulta
(ancora) affidataria diretta di servizi
pubblici locali presso altri enti, deve
essere esclusa per effetto della norma più
volte citata (TAR Sardegna, Sez. I,
sentenza 11.06.2009 n. 966 - link
a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Stretta sul mobbing. Decisive le
testimonianze dei colleghi.
Le testimonianze dei colleghi possono
inchiodare il capo che, con le sue
intemperanze, stressa a tal punto il
dipendente da fargli venire la depressione e
l'ansia, e che per questo rischia, oltre al
carcere, di dover risarcire il sottoposto
(Corte di Cassazione, Sez. IV penale,
sentenza 10.06.2009 n.
23923). |
EDILIZIA PRIVATA:
Notifica ingiunzione alla
demolizione (soggetti destinatari).
In sede di esecuzione dell’ordine di
demolizione, disposto dal giudice con la
sentenza di condanna, il p.m. non è tenuto a
notificare al difensore l’avviso di deposito
della ingiunzione de qua, atteso che tale
ingiunzione è effettuata al solo imputato,
affinché questi possa provvedervi
spontaneamente, senza ulteriori aggravi di
spesa (Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 09.06.2009 n. 23839 -
link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
In una zona interessata da
vincolo paesaggistico la formazione del
provvedimento tacito di assenso alla
concessione in sanatoria, previsto dall'art.
35, comma 18, l. n. 47 del 1985, postula
indefettibilmente la previa acquisizione del
parere favorevole dell'autorità preposta
alla tutela del vincolo sulla compatibilità
ambientale della costruzione senza titolo.
L'ordine di
demolizione di opera edilizia abusiva è
sufficientemente motivato con l'affermazione
dell'accertata abusività dell'opera,
nonostante la circostanza che la repressione
dell'abuso edilizio sia stata disposta a
distanza di un tempo ragguardevole.
In una zona interessata da vincolo
paesaggistico la formazione del
provvedimento tacito di assenso alla
concessione in sanatoria, previsto dall'art.
35, comma 18, l. n. 47 del 1985, postula
indefettibilmente la previa acquisizione del
parere favorevole dell'autorità preposta
alla tutela del vincolo sulla compatibilità
ambientale della costruzione senza titolo.
Ne consegue che, se al momento dell'esame
della domanda di sanatoria non risulta
acquisito il (necessario) parere favorevole
sulla conformità dell'intervento alla
disciplina paesaggistica, la formazione del
silenzio-assenso è preclusa (TAR Campania
Napoli, sez. IV, 16.05.2008, n. 4710;
Consiglio Stato, sez. VI, 02.11.2007, n.
5669;).
In materia di
abusi edilizi, il principio della
irretroattività della legge assume rilevanza
solo in riferimento alle norme che prevedono
sanzioni afflittive e non anche a quelle che
introducono misure ripristinatorie quali la
demolizione, diretta a ristabilire l'assetto
urbanistico violato dall'abuso, con la
conseguenza che, ai fini della normativa
applicabile, bisogna fare riferimento al
sistema sanzionatorio vigente all'epoca
dell'adozione del provvedimento repressivo,
attesi gli effetti permanenti dell'abuso
(TAR Campania Napoli, sez. IV, 26.10.2001,
n. 4703).
Il Consiglio di Stato (sez. V, 04.03.2008,
n. 883) ha recentemente affermato che
l'ordine di demolizione di opera edilizia
abusiva è sufficientemente motivato con
l'affermazione dell'accertata abusività
dell'opera, nonostante la circostanza che la
repressione dell'abuso edilizio sia stata
disposta a distanza di un tempo
ragguardevole. In questi casi, infatti, solo
l’inerzia colpevole dell’amministrazione,
ingenerando una posizione d'affidamento nel
privato, potrebbe imporre l’onere di una
congrua motivazione che, avuto riguardo
anche all'entità e alla tipologia
dell'abuso, indichi il pubblico interesse,
evidentemente diverso da quello al
ripristino della legalità, idoneo a
giustificare il sacrificio del contrapposto
interesse privato (TAR
Liguria, Sez. I,
sentenza 08.06.2009 n. 1289 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Presupposti per il pagamento del
lavoro straordinario dei pubblici
dipendenti. Il lavoro straordinario reso dai
dipendenti pubblici è retribuibile a
condizione che sia stato preventivamente
autorizzato nei modi dovuti.
I contratti collettivi degli Enti locali
condizionano lo svolgimento del lavoro
straordinario da un lato ad una precisa
programmazione sulla base della valutazione
di esigenze eccezionali debitamente
motivate, dall’altro alla presenza di una
preventiva formale autorizzazione allo
svolgimento dello stesso, che consente di
verificare le ragioni di pubblico interesse
che rendono opportuno il ricorso a
prestazioni lavorative eccezionali.
Questi principi, sanciti negli accordi
sindacali degli anni ’80 –recepiti con
relativi DPR– sono stati riproposti nella
contrattazione collettiva dopo la c.d. “privatizzazione”
del pubblico impiego. Invero, l’art. 38 del
CCNL 14/09/2000, del comparto Regioni Enti
locali, nel premettere al primo comma che “le
prestazioni di lavoro straordinario sono
rivolte a fronteggiare situazioni di lavoro
eccezionali e pertanto non possono essere
utilizzate come fattore ordinario di
programmazione del tempo di lavoro e di
copertura dell'orario di lavoro”,
conferma al secondo comma il principio
secondo cui la prestazione di lavoro
straordinario deve essere “espressamente
autorizzata dal dirigente, sulla base delle
esigenze organizzative e di servizio
individuate dall'ente.”
In merito, si ricordi come la pacifica
giurisprudenza amministrativa (C.d.S., sez.
VI, 13.05.2008, n. 2217; C.d.S., sez. V,
10.02.2004, n. 472; C.d.S., sez. VI, Sez.,
24.05.2007, n. 2648) ha frequentemente
affermato che non è retribuibile il lavoro
straordinario senza la preventiva
autorizzazione nei modi dovuti, atteso che
occorre verificare in concreto la
sussistenza delle ragioni di pubblico
interesse che rendono necessario il ricorso
a dette prestazioni.
In assenza di autorizzazione non si può
pretendere il pagamento delle ore lavorate
in eccesso a quelle ordinarie nemmeno
esperendo una generica azione di indebito
arricchimento nei confronti della p.a.,
poiché secondo l’indirizzo confermato anche
dalla Cassazione, tale azione differisce da
quella ordinaria, in quanto presuppone non
solo il fatto materiale dell'esecuzione di
un'opera o di una prestazione vantaggiosa
per l'Amministrazione stessa, ma anche il
riconoscimento, da parte di questa,
dell'utilità dell'opera o della prestazione.
Detto riconoscimento si può manifestare in
maniera esplicita, cioè con un atto formale,
oppure può risultare in modo implicito, da
atti o comportamenti della p.a. dai quali si
desuma inequivocabilmente un effettuato
giudizio positivo circa il vantaggio o
l'utilità della prestazione promanante da
organi rappresentativi dell'amministrazione
interessata, ma non può essere desunta dalla
mera acquisizione e successiva utilizzazione
della prestazione stessa.
L’applicazione del suddetto principio
risulta evidenziato in alcune pronunce del
Consiglio di Stato (C.d.S. 10.11.1992, n.
1246; C.d.S., Sez. IV, 17.12.1998) nelle
quali, sulla base del fatto che la pubblica
amministrazione aveva in talune circostanze
beneficiato di un’utilità, il dipendente,
quindi, per l’azione civilistica
dell’arricchimento senza causa di cui
all’art. 2041 c.c., aveva ottenuto il
diritto di essere indennizzato, percependo
la dovuta retribuzione.
Per completezza si ricordano le altre due
ipotesi contemplate dalla giurisprudenza per
il legittimo pagamento del lavoro
straordinario, in assenza di una preventiva
autorizzazione formale: la prima,
quando lo svolgimento dell’attività
lavorativa non rappresenta una libera scelta
del dipendente ma deriva da un obbligo
scaturente da ragioni organizzative cogenti
ed in qualche modo ascrivibili a scelte
dell’amministrazione (ex plurimis, C.d.S.,
Sez. V, 10.07.2002, n. 3843), la seconda,
quando, in situazioni del tutto eccezionali,
verificata in concreto la sussistenza di
ragioni di pubblico interesse,
l’amministrazione emana un provvedimento
postumo allo svolgimento della prestazione
di lavoro straordinario resa, tendente a “sanare”
l’assenza dell’autorizzazione preventiva (ex
plurimis, C.d. S., Sez. IV, 28.11.2005,
n. 6662)
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 04.06.2009 n. 3460 -
link a www.altalex.com). |
APPALTI FORNITURE E SERVIZI:
Contratti pubblici: illegittima
la valutazione di anomalia delle offerte
economiche effettuata con formule
matematiche nella stessa fase di
attribuzione del punteggio.
Nelle procedure di gara per l'affidamento di
contratti pubblici, allorché
l'aggiudicazione abbia luogo secondo il
criterio dell'offerta economicamente più
vantaggiosa, la valutazione di anomalia non
può essere incorporata, attraverso
l'adozione di formule matematiche,
nell'operazione di attribuzione del
punteggio alle singole offerte, ma deve
essere sempre successiva a quest'ultima
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 03.06.2009 n. 3404 -
link a www.eius.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Convalida, con valenza
retroattiva, di un atto amministrativo
viziato da incompetenza.
Il vizio di
incompetenza, quale vizio di legittimità
dell'atto amministrativo, comporta soltanto
la annullabilità e non la nullità dell'atto
stesso; l'effetto retroattivo della
convalida non può non operare positivamente
anche sugli atti connessi rispetto all'atto
convalidato i quali, in conseguenza del
vizio di incompetenza, potevano risultare
inficiati per illegittimità derivata.
Non appare condivisibile l'assunto posto a
base dell'impugnativa secondo cui la
convalida, con valenza retroattiva, di un
atto amministrativo viziato da incompetenza
potrebbe operare soltanto quando l'autorità
procedente abbia ancora la disponibilità
dell'effetto che l'atto convalidato dovrebbe
produrre, mentre nel caso di specie ciò
sarebbe escluso in conseguenza
dell'intervenuto annullamento, da parte del
TAR, della deliberazione della Giunta
provinciale oggetto della convalida.
Come sottolineato dalla giurisprudenza di
questo Consiglio, il problema riguardante
specificamente la convalida (o ratifica)
degli atti viziati da incompetenza è stato
da tempo risolto in base alla espressa
previsione dell'art. 6 della legge
18.03.1968 n. 249, secondo cui può
provvedersi in proposito “anche in
pendenza di gravame in sede amministrativa e
giurisdizionale”; e con riferimento al
gravame in sede giurisdizionale deve
naturalmente includersi anche quello
relativo alla proposizione dell'appello al
Consiglio di Stato, per cui l'iniziativa in
discorso deve intendersi preclusa soltanto
quando sia intervenuta una sentenza passata
in giudicato (cfr. Cons. Stato, Sez. IV,
26.06.1998, n. 991, e da ultimo: Sez. V,
28.11.2008, n. 5910).
Né rilievo determinante in senso contrario
può attribuirsi alla circostanza che, nel
caso in esame, per la sentenza di
annullamento del TAR non sia stata avanzata
la richiesta di sospensione, atteso il
carattere meramente provvisorio di una
eventuale pronuncia in via cautelare,
destinata a decadere a seguito della
definitiva decisione sul merito
dell'impugnativa; la predetta sentenza,
d’altronde, era rimasta priva di effetto a
seguito della successiva sentenza dello
stesso TAR che aveva riconosciuto la
legittimità della intervenuta convalida.
Privo di pregio si manifesta, altresì,
l'ulteriore assunto dell'appellante che
postula in sostanza la necessità di
provvedere, da parte dell'organo competente,
a riesaminare e confermare esplicitamente
tutti gli atti del procedimento già valutati
dall'organo incompetente, non potendosi
limitare a richiamare per relationem
gli atti e le valutazioni operate dal
predetto organo incompetente, in quanto
affette da radicale “nullità” e
quindi insanabili.
Al riguardo sembra sufficiente obiettare, da
un lato, che il vizio di incompetenza, quale
vizio di legittimità dell'atto
amministrativo, comporta soltanto la
annullabilità e non la nullità dell'atto
stesso; dall'altro lato che l'effetto
retroattivo della convalida non può non
operare positivamente anche sugli atti
connessi rispetto all'atto convalidato i
quali, in conseguenza del vizio di
incompetenza, potevano risultare inficiati
per illegittimità derivata.
Sull'argomento sembra opportuno aggiungere
che più di recente, con l'art. 14 della
legge 11.02.2005 n. 15, è stato introdotto
anche l'art. 21-nonies della legge
07.08.1990 241, che al comma 2 prevede
espressamente quanto segue: “È fatta
salva la possibilità di convalida del
provvedimento annullabile, sussistendone le
ragioni di interesse pubblico ed entro un
termine ragionevole”; si è manifestato
in tal modo l'intendimento del legislatore
di consentire oggi, in via generale, il
mantenimento in vita di provvedimenti
affetti soltanto da vizi di carattere
formale, come quello in questione
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 29.05.2009 n. 3371 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
E' condivisibile l’orientamento
secondo il quale il silenzio sull'istanza di
accertamento di conformità urbanistica ha
natura di atto tacito di reiezione
dell'istanza (e quindi di silenzio
significativo e non di silenzio-rifiuto) e,
pertanto, una volta decorso il termine di 60
giorni, si forma il silenzio-diniego, che
può essere impugnato dall'interessato in
sede giurisdizionale nel prescritto termine
decadenziale di 60 giorni, alla stessa
stregua di un comune provvedimento.
Dal silenzio fatto formare sull'istanza di
accertamento di conformità urbanistica ai
sensi dell'art. 13 della legge n. 47/1985,
proprio per la natura di silenzio-rigetto,
non sussiste l’obbligo di un provvedimento
espresso e, conseguentemente di motivare lo
stesso.
Questa stessa Sezione (cfr. TAR Catania, I,
30.09.2008, n. 1786) ha avuto modo di
precisare che è condivisibile <<l’orientamento
(cfr. TAR Napoli, 04.04.2008, n. 1904),
secondo il quale il silenzio sull'istanza di
accertamento di conformità urbanistica ha
natura di atto tacito di reiezione
dell'istanza (e quindi di silenzio
significativo e non di silenzio-rifiuto) e,
pertanto, una volta decorso il termine di 60
giorni, si forma il silenzio-diniego, che
può essere impugnato dall'interessato in
sede giurisdizionale nel prescritto termine
decadenziale di sessanta giorni, alla stessa
stregua di un comune provvedimento>>.
Ove, quindi, oggetto dell’impugnazione sia
un’ordinanza volta ad ingiungere la
demolizione di un’opera abusiva per la quale
successivamente sia stata presentata istanza
di condono o di accertamento di conformità,
così come questa stessa Sezione ha già
chiarito (cfr. TAR Catania, I, 15.10.2007,
n. 1669, nonché, I, 15.03.2006, n. 413, ove
si richiama TAR Napoli, n. 16925/2004; TAR
Salerno, n. 1904/2004; TAR Catanzaro, II, n.
1844/2004; TAR Catania, I, n. 1870/2003), <<viene
meno in capo ai ricorrenti l'interesse
processuale ai sensi dell'art. 100 c.p.c.,
atteso che la presentazione di una istanza
di sanatoria a norma delle diverse
discipline normative succedutesi nel tempo
priva di efficacia gli atti sanzionatori
precedentemente adottati, e che, in ipotesi
di rigetto, il Comune dovrà effettuare una
nuova valutazione della situazione e, se del
caso, provvedere a nuova adozione delle
sanzioni amministrative. Infatti, la
definizione delle istanze di sanatoria non
comporta la immediata riespansione
dell'efficacia dei precedenti provvedimenti
repressivi, bensì abilita l'amministrazione
a riprovvedere tenuto conto della situazione
risultante dalla decisione interposta sulle
istanze dei privati; sicché o il Comune
accoglie la domanda e rilascia la
concessione edilizia in sanatoria, oppure la
respinge ed allora è tenuto al completo
riesame della fattispecie con conseguente
cessazione di ogni efficacia lesiva
dell'ordinanza di demolizione impugnata>>.
In linea con la
prevalente giurisprudenza, questa stessa
Sezione (cfr. TAR Catania, I, 30.09.2008, n.
1786; 08.05.2006, n. 705) ha già avuto modo
di evidenziare come non sia illegittima
l’attività amministrativa, ove,
l’Amministrazione comunale non si sia
pronunciata in esito ad un’istanza di
accertamento di conformità di un’opera
edilizia abusiva ex art. 13 della l. 47/1985.
La norma in esame così si esprime: "Fino
alla scadenza del termine di cui
all'articolo 7, terzo comma, per i casi di
opere eseguite in assenza di concessione o
in totale difformità o con variazioni
essenziali, o dei termini stabiliti
nell'ordinanza del sindaco di cui al primo
comma dell'articolo 9, nonché, nei casi di
parziale difformità, nel termine di cui al
primo comma dell'articolo 12, ovvero nel
caso di opere eseguite in assenza di
autorizzazione ai sensi dell'articolo 10 e
comunque fino alla irrogazione delle
sanzioni amministrative, il responsabile
dell'abuso può ottenere la concessione o
l'autorizzazione in sanatoria quando l'opera
eseguita in assenza della concessione o
l'autorizzazione è conforme agli strumenti
urbanistici generali e di attuazione
approvati e non in contrasto con quelli
adottati sia al momento della realizzazione
dell'opera, sia al momento della
presentazione della domanda.
Sulla richiesta di concessione o di
autorizzazione in sanatoria il sindaco si
pronuncia entro sessanta giorni, trascorsi i
quali la richiesta si intende respinta".
Dall'esame anche superficiale della
disposizione emerge che il silenzio serbato
dall'Amministrazione assume il significato
di espresso rigetto e non di mero rifiuto di
pronunzia come ritenuto dalla ricorrente.
In tema di silenzio amministrativo, dopo la
sostanziale novella dell’art. 21-bis l.
1034/1971, intervenuta di seguito alla
modifica dell’art. 2, comma 5, della legge
241/1990, operata dall'articolo 3 del D.L.
14.03.2005, n. 35, convertito, con
modifiche, nella legge 14.05.2005, nr. 80,
questa stessa Sezione ha già avuto modo di
evidenziare (cfr. TAR Catania, I,
17.10.2005, n. 1723; 08.05.2006, n. 705)
come il provvedimento espresso sia il frutto
di un'attività amministrativa, ossia di una
edizione del potere.
Analogamente deve dirsi per il silenzio
rigetto, ossia per le ipotesi
-normativamente qualificate- del silenzio
quale "forma" di un provvedimento o
comunque elemento di una fattispecie
complessa cui la norma conferisce valenza
significante ed effetti di rigetto della
istanza del privato.
Solo quando il silenzio sia solo il frutto
di una inerzia non espressamente qualificata
da una norma, è possibile considerare il
silenzio come "inadempimento"
(inerzia a fronte di attività vincolata) o "rifiuto"
(inerzia a fronte di attività
discrezionale).
In questi casi, se il silenzio è
inadempimento, nessuna difficoltà sorge alla
possibilità di valutare la fondatezza
dell'istanza, perché, come insegna la
giurisprudenza, la norma esaurisce in sé
tutti i presupposti dell'azione ed il
decorso del termine determina il sorgere
dell'interesse al ricorso.
Se l'inerzia è silenzio rifiuto, invece, può
essere affermato l'obbligo a provvedere, ma,
in linea di principio, non può valutarsi la
fondatezza dell'istanza, ossia pronunciarsi
sul contenuto di quel provvedimento e,
quindi, sulla pretesa al bene della vita, in
quanto la norma che è invocata a titolo
della pretesa demanda alla P.A. un'attività
di esame e di cura degli interessi pubblici,
la cui assenza impedisce il sorgere della
situazione giuridica necessaria a sua volta
a determinare l'interesse al ricorso sotto
il profilo della cognizione circa la
fondatezza della istanza.
Ove, invece, il silenzio sia qualificabile,
per espressa disposizione normativa, quale
rigetto dell'istanza, non può debitamente
parlarsi di omessa pronuncia amministrativa,
impugnabile ai sensi dell'art. 2 della l. n.
241/1990 e dell'articolo 21-bis della legge
06.12.1971, n. 1034, ma di fattispecie
perfettamente equiparabile all'atto
(appunto, di rigetto), verso il quale è
possibile soltanto esperire i normali rimedi
giurisdizionali nelle forme ordinarie di
rito.
Conclusivamente, dai suddetti principi
deriva, per come affermato altresì in
Giurisprudenza, (cfr. Cons. Stato, sez. IV,
nn. 1710 e 598 del 2006, TAR Campania, VII,
19.06.2007), che, diversamente da quanto
sostenuto dai ricorrenti, dal silenzio fatto
formare sull'istanza di accertamento di
conformità urbanistica ai sensi dell'art. 13
della legge n. 47/1985, proprio per
l’evidenziata natura di silenzio-rigetto,
non sussiste l’obbligo di un provvedimento
espresso e, conseguentemente di motivare lo
stesso (TAR
Sicilia-Catania, Sez. I,
sentenza 26.05.2009 n. 975 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L'omessa comunicazione di avvio
del procedimento non assume rilievo
inficiante la legittimità dell'ordinanza di
demolizione.
In
considerazione della natura vincolata del
potere di repressione degli abusi edilizi,
l'omessa comunicazione di avvio del
procedimento non assume rilievo inficiante
la legittimità dell'ordinanza di demolizione
(ex multis, TAR Napoli, II, n. 9243/2006);
TAR Puglia Lecce, sez. III, 20.09.2008, n.
2651.
Infatti, come evidenziato dal Giudice di
seconde cure (cfr. Consiglio Stato, sez. VI,
06.06.2008, n. 2733) <<l'adempimento di
cui all'art. 7 della legge 07.08.1990, n.
241, consente all'interessato di addurre
elementi che arricchiscono il patrimonio
conoscitivo dell'amministrazione,
instaurando un contraddittorio finalizzato
al migliore contemperamento dell'interesse
pubblico con quello di cui è portatore.
La norma non prevede, invece, un mero
simulacro formale, la cui violazione sia
opponibile anche quando l'omissione non
abbia inciso in alcun modo sulla formazione
della volontà dell'amministrazione stessa e
nemmeno sulla possibilità di difesa
dell'interessato (in termini C. di S., IV,
15.06.2004, n. 4018; VI, 29.01.2002, n.
491). L'irregolarità riscontrata risulta
quindi irrilevante, atteso che nella specie
deve trovare applicazione l'art. 21-octies
della legge 07.08.1990, n. 241, introdotto
dall'art. 14 della legge 11.02.2005, n. 15,
il quale esclude possa essere disposto
l'annullamento del provvedimento qualora sia
palese che il suo contenuto dispositivo non
può essere diverso da quello in concreto
adottato.
Non vale poi addurre che la comunicazione di
avvio del procedimento le avrebbe consentito
di chiedere a sanatoria l'autorizzazione
necessaria per conservare la disponibilità
dei manufatti in questione, in quanto la
notifica dell'ingiunzione di demolizione non
impedisce la presentazione e l'eventuale
accoglimento dell'istanza, presentata a
sanatoria>>
(TAR Sicilia-Catania, Sez. I,
sentenza 26.05.2009 n. 975 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Rientra nella fattispecie delle
modificazioni durevoli dello stato dei
luoghi che sono prodotte anche da strutture
meramente appoggiate sul suolo, anche con
ruote, qualora destinate ad uso prolungato
nel tempo e non quindi realmente precario,
cioè temporaneo o occasionale.
Il ricorrente
si è doluto dell’illegittimità del
provvedimento impugnato per eccesso di
potere per erroneità dei presupposti e
travisamento dei fatti, posto che il
maxicaravan non sarebbe ancorato al suolo e,
quindi, come tale, non potrebbe costituire
una costruzione per la cui realizzazione è
necessaria la preventiva concessione
edilizia.
Anche della classificazione dell’opera
prefabbricata posta su ruote ed avente
natura precaria la Sezione ha avuto modo di
occuparsi con decisione n. 2197 del
21.11.2008
Ivi è stato precisato che, come già in
precedenza chiarito, <<(cfr. Tar Catania
I, 29.11.2007, n. 1921) occorre stabilire se
i manufatti in questione possano ritenersi
costruzione o edificazione a fini
urbanistici.
Al riguardo la detta decisione ha precisato
che si rientra nella fattispecie delle
modificazioni durevoli dello stato dei
luoghi, che, come chiarito dalla
giurisprudenza, sono prodotte anche da
strutture meramente appoggiate sul suolo,
anche con ruote, qualora destinate ad uso
prolungato nel tempo e non quindi realmente
precario, cioè temporaneo o occasionale
(cfr. Consiglio di stato, sez. V,
20.12.1999, n. 2125).
In altri termini, a prescindere da un
sistema di ancoraggio al suolo, i
prefabbricati vanno considerate vere e
proprie costruzioni, ove, comunque, siano
destinati a durare nel tempo.
Tale necessità del resto discende dalla
alterazione dello stato dei luoghi e dalla
destinazione in genere di tale tipo di
struttura alla soddisfazione di esigenze di
carattere durevole, a prescindere dalla
tecnica e dai materiali impiegati per la
realizzazione della struttura stessa (cfr.
Consiglio Stato, sez. V, 03.04.1990, n.
317).
Il giudice di seconde cure, con detta ultima
decisione ha altresì precisato che un
prefabbricato, pure avendo la parvenza della
mobilità, costituisce una vera e propria
costruzione, ove incardinata al suolo con
accorgimenti tecnici per garantirne la
stabilità>> (TAR
Sicilia-Catania, Sez. I,
sentenza 26.05.2009 n. 975 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Commissione provinciale vigilanza
locali pubblici e spettacoli: il parere è
viziato se alla fase conclusiva non hanno
partecipato tutti i componenti.
Ancorché nel primo sopralluogo del
16.04.1998 la Commissione avesse operato
nella completezza dei suoi componenti ed in
tale sede imposto specifiche prescrizioni
tecniche per il rilascio del definitivo
parere di competenza, nella medesima
composizione doveva compiere anche la
successiva fase procedimentale di verifica
del corretto adempimento alle prescrizioni
imposte, che costituivano condizione per l’
attestazione di agibilità e sicurezza dei
locali.
Ciò non è avvenuto, per l’assenza del
rappresentanza della locale U.S.L.,
incorrendo nella violazione dell’art. 141,
ultimo comma, del r.d. n. 635/1940 ove è
stabilito che “il parere della
Commissione è dato per iscritto con l’
intervento di tutti i componenti”,
previsione in base dalla quale il TAR ha
correttamente tratto la conclusione della
natura di collegio perfetto del predetto
organo tecnico
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 21.05.2009 n. 3118 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Rumore. Limitazione attività
rumorose.
Se solo il superamento della soglia di
rumorosità stabilita nelle fonti nazionali
(ovvero in quelle regionali) consente
l’inibizione generalizzata di una certa
attività produttiva (salva la derogabilità
dei valori suddetti ad opera dei «comuni il
cui territorio presenti un rilevante
interesse paesaggistico-ambientale e
turistico»), è ben possibile (né v’è
pertanto alcuna violazione dell’art. 41
Cost.) che ciascun Comune disciplini in
concreto tali attività anche attraverso
alcune restrizioni orarie, a prescindere dal
superamento delle soglie acustiche
regolamentari e secondo criteri di
ragionevolezza e di compatibilità con le
condizioni ambientali di inserimento delle
stesse (TAR Campania-Napoli, Sez. III,
sentenza 20.05.2009 n. 2770 -
link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La soprintendenza, pur non
potendo sostituire proprie valutazioni di
merito a quelle del comune, è comunque
abilitata a rilevare vizio in relazione al
rilascio dell'autorizzazione paesaggistica.
E’ giurisprudenza costante che non si forma
mai il silenzio assenso su una domanda di
sanatoria di un abuso edilizio realizzato su
area soggetta a vincolo paesaggistico, come
pure non si forma in altra area non
vincolata quando la documentazione, come nel
caso concreto, non è completa.
L’autorizzazione paesaggistica ai fini della
sanatoria edilizia può essere rilasciata
solo all’esito della valutazione della
compatibilità paesaggistica, che deve
riguardare tutte le opere indipendentemente
dall’epoca della loro realizzazione e ciò in
quanto, come si è riconosciuto, il
comportamento del soggetto che ha compiuto
l’abuso realizza un illecito permanente che
si estingue solo con il conseguimento del
titolo abilitativo.
La competenza al rilascio
dell’autorizzazione paesaggistica è del
Comune, il quale è tenuto a trasmettere il
proprio atto alla Sovrintendenza per
l’eventuale annullamento entro i previsti 60
giorni.
La Sovrintendenza, pur non potendo
sostituire proprie valutazioni di merito a
quelle del Comune, è comunque abilitata a
rilevare qualunque vizio del provvedimento
comunale, l’eccesso di potere in tutte le
sue forme sintomatiche e in special modo
l’eventuale difetto di motivazione
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 13.05.2009 n. 2950 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Sulla cauzione provvisoria in
tema di appalti pubblici.
Con riguardo
alla finalità della cauzione provvisoria, il
G.A. ritiene che negli appalti pubblici la
cauzione provvisoria abbia una duplice
finalità.
- di garantire la stazione appaltante della
mancata sottoscrizione del contratto da
parte dell’aggiudicatario;
- di assicurare l’affidabilità e la serietà
dell’offerta presentata.
Sostanzialmente, ha una funzione
indennitaria dei danni cagionati
dall’eventuale rifiuto di stipulare il
contratto e sanzionatoria degli
inadempimenti procedimentali relativi alla
veridicità delle dichiarazioni fornite in
ordine al possesso dei requisiti di capacità
economico-finanziaria e
tecnico-organizzativa richiesti dalla lex
specialis (cfr. Cons. St., Sez. V,
30.06.2003, n. 3866; Sez. IV, 20.07.2007, n.
4098).
Conseguentemente, la natura provvisoria
della cauzione provvisoria e la sua
specifica funzione comportano che la sua
durata non può prescindere dalla durata di
validità dell’offerta, risultandone
diversamente pregiudicata la stessa ratio
legis dell’istituto.
A tal fine, nel Codice dei Contratti
pubblici, il legislatore ha normativamente
equiparato il termine minimo di
irrevocabilità dell’offerta alla durata
minima della cauzione, prevedendolo, in
entrambi i casi, in 180 gg. dalla scadenza
del termine per la presentazione
dell’offerta, tranne termini più ampi
previsti dal bando di gara (artt. 11, comma
6 e 75, comma 5, del d.lgs. n. 163/2006).
In relazione al caso di specie, il Supremo
Consesso afferma che va esclusa da una gara
di appalto una ditta che, in violazione del
bando e del principio della par condicio, ha
presentato una cauzione provvisoria di
durata inferiore a quella minima richiesta
dal bando stesso.
Data la chiarezza e non equivocità delle
norme di gara, imposte a pena di esclusione,
non appare, dunque, corretto il richiamo del
TAR alla necessità di interpretare tali
norme in senso conservativo, dal momento che
in subjecta materia il rispetto della
par condicio deve ritenersi prevalente sul
principio del favor partecipationis
(cfr. C.G.A.R.S., dec. n. 85/2007; Cons.
St., Sez. IV, 31.01.2005, n. 231).
Infatti, mentre il bando di gara prevedeva
una durata minima di 250 giorni per la
cauzione provvisoria, è stata, invece,
prodotta una cauzione di durata di 180
giorni, rinnovabili per altri 180 giorni su
richiesta della stazione appaltante, nel
caso in cui al momento della scadenza non
fosse ancora intervenuta l’aggiudicazione.
Infine, conformemente agli orientamenti
giurisprudenziali più recenti, viene
ribadita la giurisdizione dell’A.G.O. per le
questioni relative alla sorte del contratto
di appalto stipulato dall’Amministrazione a
seguito dell’annullamento in sede
giurisdizionale dell’aggiudicazione.
Tuttavia, è da considerarsi ammissibile una
cognizione incidentale in sede di giudizio
di ottemperanza della sentenza di
annullamento finalizzato ad ottenere la
ripetizione della procedura o
l’aggiudicazione della gara (cfr. Cons.
Stato, Ad. Plen., 30.07.2008, n. 9)
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 11.05.2009 n. 2885 -
link a www.altalex.com). |
EDILIZIA PRIVATA:
Permesso di costruire e
previsione di impatto acustico.
L’art. 8 della L. 447/1995, comma 4, pur
prescrivendo che le domande per il rilascio
di concessioni edilizie relative a nuovi
impianti od infrastrutture adibiti ad
attività produttive siano corredate da una
documentazione di previsione di impatto
acustico, non contempla alcuna sanzione in
caso di inosservanza della suddetta
prescrizione.
Peraltro, la non perentorietà di tale
disposizione risulta evidente laddove si
confronti la stessa con i commi precedenti,
i quali prescrivono tassativamente l’obbligo
della valutazione dell’impatto acustico per
particolari tipi di opere, e con il sesto
comma, che contempla l’indicazione delle
misure previste per ridurre o eliminare le
emissioni sonore causate dall'attività o
dagli impianti solo quando si preveda la
produzione di valori di emissione superiori
a quelli determinati ai sensi dell'articolo
3, comma 1, lettera a) (TAR Puglia-Lecce,
sentenza 07.05.2009 n. 975 - link
a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il diniego di titolo edilizio per
violazione di legge costituisce
provvedimento vincolato.
Nel caso di
diniego di titolo edilizio per violazione di
una norma di legge, non vi è alcun difetto
di motivazione, in quanto, trattandosi di
provvedimento vincolato, è sufficiente
l’indicazione del presupposto normativo di
riferimento che comporta l’adozione del
provvedimento in oggetto
(TAR Toscana, Sez. III,
sentenza 07.05.2009 n. 784 - link
a www.altalex.com). |
EDILIZIA PRIVATA:
Devono essere esclusi dalla
sanatoria gli immobili soggetti a vincolo
ambientale e paesaggistico allorché le opere
abusive contrastino con gli strumenti
urbanistici in vigore.
E’ consolidato l’orientamento
giurisprudenziale (Cass. penale, sez. IV,
12.01.2005 n. 12577; TAR Campania Napoli,
sez. VI, 03.08.2005 n. 10563; TAR Veneto,
sez. II, 19.06.2006 n. 1884; TAR Campania
Napoli, sez. VI, 16.03.2006 n. 3043;
08.02.2007 n. 963) che ha rilevato la
necessità di escludere dalla sanatoria gli
immobili soggetti a vincolo ambientale e
paesaggistico allorché le opere abusive
contrastino con gli strumenti urbanistici in
vigore (TAR Veneto, sez. II, 19.06.2006 n.
1884).
E’ escluso che possano essere sanate le
opere abusive realizzate su immobili
soggetti a vincoli imposti sulla base di
leggi statali e regionali a tutela dei beni
ambientali e paesistici, nonché dei parchi e
delle aree protette nazionali, regionali e
provinciali qualora istituiti prima della
esecuzione di dette opere, in assenza o in
difformità del titolo abilitativo edilizio e
non conformi alle norme urbanistiche e alle
prescrizioni degli strumenti urbanistici.
L’ordinamento permette la sanatoria in due
ipotesi costituite:
1) dalla realizzazione delle opere abusive
prima dell’imposizione dei vincoli previsti
dall’art. 32, comma 27, lett. d), del d.l.
30.09.2003 n. 269;
2) dal fatto che le opere oggetto di
sanatoria, sia pure non autorizzate o
difformi dal titolo abilitativo edilizio,
siano comunque conformi alle norme
urbanistiche e alle prescrizioni degli
strumenti urbanistici (TAR Puglia-Bari, Sez.
III,
sentenza 06.05.2009 n. 1054 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: Il
sindaco che ordina la rimozione dei rifiuti
è tenuto ad individuare con apprezzabile
grado di plausibilità l'autore dell'abuso.
Il Sindaco,
anche su sollecitazione della Procura, è
tenuto ad emettere gli indispensabili
provvedimenti a salvaguardia
dell'incolumità, dell'igiene, della salute e
della sicurezza pubbliche, poiché una vasta
area del territorio comunale era stata
adibita a discarica abusiva a cielo aperto;
però, nell’esercizio della sua amplia
discrezionalità in materia, spetta alla
medesima Autorità individuare le modalità di
tali operazioni e innanzitutto i soggetti
che sono tenuti ad effettuarle attraverso un
esame della vicenda che permetta di
stabilire, con un apprezzabile grado di
plausibilità, chi abbia presumibilmente
violato il divieto di abbandono e di
deposito incontrollati di rifiuti sul suolo
e nel suolo e sia obbligato perciò alla
relativa attività ripristinatoria
(TAR
Puglia-Bari, Sez. I,
sentenza 06.05.2009 n. 1041 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
COMPETENZE GESTIONALI:
Anche in materia di pubblici
servizi, il consiglio comunale è chiamato ad
esprimere gli indirizzi politici ed
amministrativi di rilievo generale, che si
traducono in atti fondamentali,
tassativamente elencati nell'art. 42 del
decreto legislativo n. 267/2000.
Anche in materia di pubblici servizi, il
consiglio comunale è chiamato ad esprimere
gli indirizzi politici ed amministrativi di
rilievo generale, che si traducono in atti
fondamentali, tassativamente elencati
nell'art. 42 del decreto legislativo n.
267/2000, mentre la giunta municipale ha una
competenza residuale, comprendente anche
l’indirizzo politico, in quanto compie tutti
gli atti non riservati dalla legge al
Consiglio o non ricadenti nelle competenze,
previste dalle leggi o dallo statuto, del
Sindaco o di altri organi di decentramento.
Tocca invece al dirigente attuare gli
obiettivi ed i programmi definiti dagli
organi di governo; in particolare, il
medesimo deve operare quelle scelte
tecnico-giuridiche necessarie
all’assegnazione del servizio, a cominciare
dalla predisposizione degli atti inditivi
della gara, che, quali atti di gestione, di
competenza del responsabile del procedimento
di spesa, seguono e attuano la deliberazione
di giunta e/o di consiglio, espressione del
potere di indirizzo e di controllo
politico-amministrativo (Consiglio Stato,
Sez. V, 31.01.2007 n. 383; 13.12.2005 n.
7058; TAR Puglia, Lecce, sez. II, 02.05.2003
n. 2851; TAR Calabria, Reggio Calabria,
13.02.2004 n. 153) (TAR Puglia-Bari, Sez. I,
sentenza 06.05.2009 n. 1038 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Rifiuti. Ordinanza rimozione e
avviso di procedimento.
L’ordinanza di rimozione di rifiuti
abbandonati deve essere preceduta dalla
comunicazione di avvio ai soggetti
interessati, stante la rilevanza
dell’eventuale apporto procedimentale che
questi possono fornire, almeno con riguardo
all’accertamento delle effettive
responsabilità per l’abusivo deposito di
rifiuti: ciò tanto più che l’esigenza di un
effettivo contraddittorio tra
Amministrazione procedente e tutti i
soggetti a vario titolo coinvolti nel fatto
è espressamente prevista dall’art. 192,
comma 3, del d.lgs. n. 152/2006 (Codice
dell’Ambiente), laddove si dispone che i
controlli svolti dalla P.A. riguardo
all’abbandono di rifiuti sul terreno debbano
essere effettuati in contraddittorio con i
privati interessati.
Per di più, anche a voler ammettere che
l’irrogazione della sanzione ripristinatoria
costituisca attività vincolata -peraltro,
posta a tutela in via diretta e primaria del
pubblico interesse, con conseguente
giurisdizione del G.A. sulle relative
controversie- è tuttavia vero che, in via
generale, la comunicazione ex art. 7 della
l. n. 241 è dovuta anche in caso di attività
vincolata della P.A., quando la
partecipazione del privato possa apportare
un contributo sull’accertamento dei
presupposti di fatto necessari per
l’emanazione del provvedimento (TAR Toscana,
Sez. II,
sentenza 06.05.2009 n. 772 - link
a www.lexambiente.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: L’ordinanza
di rimozione di rifiuti abbandonati ex art.
14 d.lgs. n. 22/1997 deve essere preceduta
dalla comunicazione di avvio ai soggetti
interessati.
In linea di principio
risultano non condivisibili le obiezioni
formulate dalla difesa comunale, secondo
cui, nel caso di specie, la comunicazione ex
art. 7 della l. n. 241/1990 non sarebbe
stata dovuta in ragione del carattere endoprocedimentale dell’accertamento tecnico
contenuto nella nota del Corpo Forestale
dello Stato del 24.05.2005, dalla quale
ha preso le mosse il procedimento sfociato
nell’ordinanza gravata.
Una simile
argomentazione, infatti, porterebbe ad
escludere sempre e comunque la sussistenza a
carico della P.A. dell’obbligo di cui
all’art. 7 cit. nei procedimenti volti
all’emanazione dell’ordinanza di rimozione
di rifiuti abbandonati ex art. 14 del d.lgs.
n. 22/1997 per il solo fatto che tali
procedimenti siano avviati su segnalazioni
di organi istituzionalmente deputati alla
tutela dell’ambiente.
Si deve rammentare,
tuttavia, che, secondo la giurisprudenza più
recente (TAR Emilia Romagna, Parma, Sez. I,
31.01.2008, n. 64), l’ordinanza di rimozione
di rifiuti abbandonati ex art. 14 cit. deve
essere preceduta dalla comunicazione di
avvio ai soggetti interessati, stante la
rilevanza dell’eventuale apporto
procedimentale che questi possono fornire,
almeno con riguardo all’accertamento delle
effettive responsabilità per l’abusivo
deposito di rifiuti: ciò tanto più che
l’esigenza di un effettivo contraddittorio
tra Amministrazione procedente e tutti i
soggetti a vario titolo coinvolti nel fatto
è espressamente prevista, nelle fattispecie
come quella ora in esame, dall’art. 192,
comma 3, del d.lgs. n. 152/2006 (Codice
dell’Ambiente), laddove si dispone che i
controlli svolti dalla P.A. riguardo
all’abbandono di rifiuti sul terreno debbano
essere effettuati in contraddittorio con i
privati interessati.
Per la medesima
ragione, risulta in linea di principio non
condivisibile nemmeno l’ulteriore obiezione
avanzata dalla difesa comunale, fondata
sulla natura vincolata dell’ordinanza
impugnata. Per di più, anche a voler
ammettere che l’irrogazione della sanzione ripristinatoria ex art. 14, comma 3, del
d.lgs. n. 22/1997, costituisca attività
vincolata (cfr. TAR Abruzzo, L’Aquila,
28.10.2004, n. 1164) –peraltro, posta a
tutela in via diretta e primaria del
pubblico interesse, con conseguente
giurisdizione del G.A. sulle relative
controversie (C.d.S., A.P., 24.05.1007, n.
8)– è tuttavia vero che, secondo la
giurisprudenza (cfr., ex multis, TAR
Lombardia, Milano, Sez. II, 24.03.2005, n.
692), in via generale la comunicazione ex
art. 7 della l. n. 241 cit. è dovuta anche
in caso di attività vincolata della P.A.,
quando la partecipazione del privato possa
apportare un contributo sull’accertamento
dei presupposti di fatto necessari per
l’emanazione del provvedimento.
La mancata specificazione, nel provvedimento
impugnato, delle ragioni di urgenza e/o
particolari esigenze di celerità del
procedimento, impedisce, inoltre, di
considerare applicabile la suddetta esimente
dall’obbligo di comunicazione dell’avvio del
procedimento, prevista dal medesimo art. 7
della l. n. 241/1990, atteso che la
preminenza delle ragioni di urgenza del
provvedimento sul diritto alla
partecipazione presuppone una rigorosa e
puntuale motivazione da parte
dell’Amministrazione in ordine alle
particolari esigenze di celerità che
giustificano l’omessa comunicazione (C.d.S.,
Sez. VI, 30.05.2008, n. 2616). La previsione
dell’art. 192, comma 3, cit. del Codice
dell’Ambiente sembra, inoltre, impedire la
possibilità di un’esclusione dell’avviso ex
art. 7 cit. basata su esigenze di celerità
esistenti in re ipsa nella
fattispecie considerata e che, pertanto, non
richiedono di essere esternate con apposita
motivazione.
Nondimeno, nella vicenda in esame, per
quanto si dirà di seguito ed ove si acceda
alla tesi del carattere vincolato del
provvedimento impugnato, trova applicazione
l’art. 21-octies, comma 2, prima parte,
della l. n. 241/1990, ai sensi del quale non
è annullabile il provvedimento adottato in
violazione di norme sul procedimento o sulla
forma degli atti qualora, per la natura
vincolata del provvedimento stesso, sia
palese che il suo contenuto dispositivo non
avrebbe potuto essere diverso da quello in
concreto adottato (cfr. TAR Toscana, Sez. I,
14.09.2006, n. 3969). Il carattere
procedimentale del vizio lamentato consente,
infatti, di applicare alla fattispecie la
disposizione ora menzionata, in ragione
soprattutto –come meglio si vedrà in sede di
analisi del terzo motivo– del contenuto
della documentazione depositata dal Comune
in data 13.01.2006 in ottemperanza
all’ordinanza collegiale n. 130/2005.
Alla medesima conclusione si giungerebbe,
peraltro, anche laddove si volesse ritenere
applicabile alla fattispecie non la prima,
ma la seconda parte dell’art. 21-octies,
comma 2, cit., in base alla quale “il
provvedimento amministrativo non è comunque
annullabile per mancata comunicazione
dell’avvio del procedimento qualora
l’amministrazione dimostri in giudizio che
il contenuto del provvedimento non avrebbe
potuto essere diverso da quello in concreto
adottato”. La disposizione in parola
risulta applicabile qualora all’ordinanza
gravata si riconosca contenuto discrezionale
(cfr. C.G.A.R.S., Sez. Giur., 28.12.2006, n.
874). Infatti –come si è già evidenziato– il
fatto che il contenuto del provvedimento
impugnato non avrebbe potuto essere diverso
da quello in concreto adottato, è dimostrato
dalla documentazione prodotta dal Comune in
data 13.01.2006: è stata, dunque, la stessa
Pubblica Amministrazione –sia pure non
spontaneamente, ma in ottemperanza ad un
incombente istruttorio disposto dal Collegio
(particolare che, però, non sembra
significativo ai fini che qui interessano)–
a fornire la prova richiesta dall’art.
21-octies, comma 2, seconda parte, della l.
n. 241/1990, le cui prescrizioni risultano,
perciò, rispettate
(TAR Toscana, Sez. II,
sentenza 06.05.2009 n. 772 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Rumore. Misurazione valore di
emissione.
Ai sensi dell’art. 2, lett. e), l. n.
447/1995, il valore limite di emissione
rappresenta il valore massimo emesso da una
sorgente sonora misurato “in prossimità”
della sorgente stessa. Ciò sta
inequivocabilmente a significare che tale
valore di emissione deve essere misurato in
prossimità della sorgente sonora di
riferimento e in relazione alla Classe
acustica in cui essa è collocata (TAR
Toscana, Sez. II,
sentenza 06.05.2009 n. 766 - link
a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Inammissibilità sanatoria opere
in zona vincolata.
La procedura di accertamento di conformità
ora divisata dall’art. 36 del T.U.
sull’edilizia di cui al D.P.R. n. 380 del
2001 è inapplicabile al caso di opere
realizzate in zona sottoposta a vincolo
paesistico, secondo quanto espressamente
previsto dall’art. 146 del D. L.vo n. 42 del
2004 (Codice dei beni culturali): e ciò
perché per le opere comportanti aumento di
volumetria l’autorizzazione paesaggistica
-la quale ovviamente condiziona
l’accertamento- non può essere rilasciata
ex post dall’autorità preposta alla
tutela del vincolo (TAR Campania-Napoli,
Sez. IV,
sentenza 05.05.2009 n. 2358 -
link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L’acquisizione gratuita al patrimonio
comunale non può operare nei confronti del
proprietario dell'area risultato estraneo
alla commissione dell'illecito edilizio.
Come questa
Sezione ha già avuto modo di rilevare (v.
sent. n. 82 del 24.03.2009), gli atti
comunali che conseguono all’inottemperanza
all’ingiunzione di demolizione hanno
efficacia meramente dichiarativa e
certificativa di effetti che si riconnettono
“ope legis” all’originaria diffida,
in esito al vano decorso del termine
stabilito ai fini dello spontaneo ripristino
dello stato dei luoghi (v. Cons. Stato, Sez.
V, 12.12.2008 n. 6174), onde se ne deve
escludere la natura provvedimentale in
quanto meri atti ricognitivi (v., ex multis,
TAR Campania, Napoli, Sez. III, 07.07.2008
n. 3548; TAR Puglia, Lecce, Sez. I,
13.06.2007 n. 2322; TAR Lazio, Sez. II,
09.11.2005 n. 10874); ed invero, una volta
che la demolizione del manufatto sia
tecnicamente possibile e siano trascorsi
infruttuosamente i termini per dare corso
alla rimozione delle opere abusive,
l’effetto acquisitivo si produce di diritto,
con la conseguente natura meramente
dichiarativa, e non costitutiva, del
successivo atto amministrativo, tanto che la
demolizione eseguita dal privato dopo il
decorso del termine è illegittima perché
investe un bene che non è più nella
disponibilità dell’autore dell’abuso (v.
Cons. Stato, Sez. II, 18.01.2006 n. 643;
Sez. V, 18.12.2002 n. 7030).
L’acquisizione gratuita al patrimonio
comunale non può operare nei confronti del
proprietario dell’area risultato estraneo
alla commissione dell’illecito edilizio,
anche per non essere rimasto lo stesso
inattivo ed essersi anzi adoperato per
l’eliminazione dell’abuso con i mezzi
offertigli dall’ordinamento appena venuto a
conoscenza della sua esistenza (v., tra le
altre, TAR Lazio, Sez. II, 29.05.2007 n.
4986); tuttavia, la giurisprudenza ha al
contempo avvertito che nei riguardi del
proprietario esiste pur sempre una
presunzione di responsabilità per gli abusi
edilizi accertati, presunzione che può
essere vinta dall’interessato dimostrando di
non avere concorso all’abuso, neppure
tollerandone il compimento (v., ex multis,
Cons. Stato, Sez. II, 21.03.2007 n.
10283), tanto più che l’art. 31 del d.P.R.
n. 380 del 2001 ha ora espressamente
inserito il “proprietario” tra i soggetti
chiamati a rispondere dell’illecito edilizio
e ha di conseguenza codificato il principio
della «presunzione di responsabilità» (v.
TAR Campania, Napoli, Sez. III, 24.04.2007
n. 4308).
La circostanza, pertanto, che la
ricorrente non abbia addotto alcunché a
comprova della sua asserita estraneità
all’abuso risulta elemento decisivo per
ritenere sussistenti i presupposti necessari
alla formazione della fattispecie
acquisitiva del diritto di proprietà al
patrimonio comunale; del resto,
l’usufruttuario dell’immobile è il marito
convivente (come si rileva anche
dall’avvenuta ricezione da parte di questi,
per conto della moglie, della notifica del
verbale di immissione in possesso), onde si
presenta inverosimile che ella ignorasse il
reale stato dei luoghi e che, ove pure non
responsabile di materiale concorso nella
realizzazione dell’abuso, non potesse quanto
meno attivare gli strumenti offerti
dall’ordinamento per impedire l’illecito
edilizio o promuoverne un’immediata
rimozione. E ciò anche senza considerare che
è la stessa ricorrente a riferire di essersi
a suo tempo rivolta agli uffici comunali per
avere notizie e rassicurazioni circa la
liceità del manufatto, ad
ulteriore conferma della sua conoscenza dei
fatti di che trattasi.
Né un impedimento alla produzione degli
effetti della misura ablatoria poteva
scaturire dalla pendenza della controversia
relativa all’ingiunzione di demolizione,
attesa la mancanza di provvedimenti
giudiziali di sospensione dell’efficacia di
quell’atto e la conseguente automatica
acquisizione del bene al patrimonio comunale
all’infruttuoso decorso del termine
stabilito per la rimozione delle opere
abusive. E’ pur vero che una sospensione era
stata disposta dalla stessa Amministrazione
comunale (dal 2 settembre al 14.10.2004) per attendere la pronuncia del giudice
amministrativo sulla domanda cautelare
dell’interessata, ma una volta esaurito il
periodo di sospensione l’ingiunzione di
demolizione aveva riacquistato la sua
efficacia ed era divenuta nuovamente idonea
a produrre gli effetti connessi
all’eventuale inottemperanza dei destinatari
della diffida, senza alcuna necessità di un
ulteriore e distinto provvedimento
repressivo, che la giurisprudenza ritiene
necessario solo nella diversa ipotesi della
sopraggiunta presentazione di un’istanza di
sanatoria dell’abuso.
E’ irrilevante, poi, che successivamente
all’accertamento dell’inottemperanza e prima
dell’immissione dell’Amministrazione nel
possesso dell’area l’usufruttuario avesse
rimosso il manufatto abusivo, essendosi
l’effetto acquisitivo già prodotto in un
momento antecedente alla tardiva attuazione
della diffida, tanto che –come si è visto–
la giurisprudenza considera illegittima la
demolizione eseguita dal privato dopo il
decorso del termine perché relativa a bene
che non è più nella disponibilità
dell’autore dell’abuso (v. Cons. Stato, Sez. II, n. 643/2006 cit.; Sez. V, n. 7030/2002
cit.). Va ribadito, insomma, che gli atti in
questione hanno natura meramente ricognitiva
e certificativa di effetti determinatisi
“ope legis”
(TAR Emilia Romagna-Parma,
sentenza 28.04.2009 n. 160 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La precarietà della costruzione va desunta
dalla funzione assolta dal manufatto, non
dalla struttura o dalla qualità dei
materiali usati.
Per costante giurisprudenza, al fine di
escludere la necessità della concessione
edilizia –ora permesso di costruire–, la
precarietà della costruzione va desunta
dalla funzione assolta dal manufatto, non
dalla struttura o dalla qualità dei
materiali usati, essendo in ogni caso
subordinata al previo titolo abilitativo
l’opera destinata a dare un’utilità
prolungata nel tempo (v., ex multis, Cons.
Stato, Sez. V, 28.03.2008 n. 1354); non
è, dunque, significativo che il manufatto
sia solo aderente al suolo e non anche
infisso allo stesso, se alteri tuttavia in
modo rilevante e duraturo lo stato del
territorio, e cioè non si traduca in un uso
oggettivamente preordinato a soddisfare
esigenze del tutto contingenti e transitorie
(v., tra le altre, TAR Emilia-Romagna,
Parma, 19.02.2008 n. 102) (TAR Emilia Romagna-Parma,
sentenza 28.04.2009 n. 160 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Le controversie
relative alle sanzioni edilizie di carattere
vincolato rientrino nell’ambito di
applicazione dell’art. 21-octies, comma 2,
della legge n. 241 del 1990 e soggiacciano,
pertanto, alla norma che esclude possa
essere disposto l’annullamento del
provvedimento qualora sia palese che il suo
contenuto dispositivo non può essere diverso
da quello in concreto adottato.
E' notorio come
le controversie relative alle sanzioni
edilizie di carattere vincolato rientrino
nell’ambito di applicazione dell’art.
21-octies, comma 2, della legge n. 241 del
1990 (disposizione introdotta dall’art. 14
della legge n. 15 del 2005), e soggiacciano
pertanto alla norma che esclude possa essere
disposto l’annullamento del provvedimento
qualora sia palese che il suo contenuto
dispositivo non può essere diverso da quello
in concreto adottato (v., ex multis, Cons.
Stato, Sez. VI, 06.06.2008 n. 2733),
dovendosi inoltre tenere conto della
circostanza che, in quanto norma
processuale, la stessa riguarda anche i
procedimenti in corso o già definiti prima
della sua entrata in vigore (v., tra le
altre, Cons. Stato, Sez. VI, 04.09.2007 n.
4614)
(TAR Emilia Romagna-Parma,
sentenza 28.04.2009 n. 160 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Nessun limite territoriale alla
competenza delle Casse Edili a rilasciare il
DURC per la partecipazione alle gare.
Ai fini della validità del DURC prodotto per
partecipare alla gara quel che rileva non è
l'ubicazione territoriale della Cassa Edile
che lo abbia rilasciato, bensì la
completezza delle attestazioni in esso
contenute.
In ragione del carattere anche
normativamente unico del documento di
regolarità contributiva ma, soprattutto, in
considerazione della centralizzazione della
banca dati da cui ciascuna Cassa Edile deve
attingere i contenuti della propria
attestazione certificativi , non è richiesto
dalla normativa vigente il rispetto di
alcuna specifica competenza territoriale,
occorrendo invece la mera verifica di
completezza dell’attestazione contenuta nel
documento, ai fini che qui vengono in
rilievo (TAR Sicilia-Catania, Sez. I,
sentenza 23.04.2009 n. 899 - link
a www.giurdanella.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L'esistenza
di un vincolo idrogeologico sull’area ove
insiste il fabbricato abusivamente
realizzato costituisce manifesto impedimento
al rilascio del permesso di costruire in
sanatoria.
Il condono edilizio del 2003 (c.d. secondo condono, dopo il primo
risalente all’art. 39 della L. 23.12.1994,
n. 724, Legge Finanziaria 2005) è improntato
ad una disciplina sostanziale di fatto
coincidente con la regolamentazione
dell’istituto dell’accertamento di
conformità di cui all’art. 13 dell’abrogata
L. n. 47/1985 ed oggi trasfuso nell’art.36
del D.P.R. n. 380/2001. La nota distintiva
del condono del 2003, che lo assimila, come
detto, alla sanatoria in senso stretto, è
data dall’elevazione del requisito
dell’assenza di vincoli sull’area e di
quello correlativo della conformità
urbanistica (su cui, infra) alla ineludibile
condizione dell’assentibilità del titolo
edilizio in sanatoria. La giurisprudenza si
è già espressa in tal senso (TAR Campania–Napoli, Sez. VI,
08.02.2007, n. 963; TAR
Puglia–Lecce, Sez. III, 20.04.2007, n.
1690; TAR Veneto, Sez. II, 19.06.2006, n.
1884).
A parere del Collegio la delineata
attitudine condizionante il rilascio del
titolo, da annettere al requisito negativo
dell’assenza di vincoli idrogeologici,
paesistici ed ambientali sull’area oggetto
di interventi di trasformazione edilizia ed
urbanistica e di quello positivo della
conformità dell’opera alla normativa
urbanistica di fonte statale, regionale e
regolamentare locale, discende a chiare note
dalla lettera dell’art. 32, comma 27, lett.
d), del D.L. n. 269/2003, nella parte in cui
esclude la sanabilità delle opere realizzate
su “immobili soggetti a vincoli imposti
sulla base di leggi statali e regionali a
tutela degli interessi idrogeologici e delle
falde acquifere, dei beni ambientali e
paesistici”. Pertanto, stante la cristallina
chiarezza del dettato legislativo appena
riportato e in omaggio al principio per il
quale in claris non fit interpraetatio,
la conclamata esistenza di un vincolo
idrogeologico sull’area ove insiste il
fabbricato abusivamente realizzato dal
ricorrente doveva costituire manifesto
impedimento al rilascio del permesso di
costruire in sanatoria, il quale già solo
per il delineato dirimente profilo di
contrasto con la legge va annullato
(TAR
Piemonte, Sez. I,
sentenza 10.04.2009 n. 987 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Una volta che la demolizione del
manufatto abusivo sia tecnicamente possibile
e siano trascorsi infruttuosamente i termini
per dare corso alla rimozione delle opere
abusive realizzate, l’effetto acquisitivo
(al patrimonio comunale) si produce di
diritto, tanto che la demolizione eseguita
dal privato dopo il decorso del termine è
illegittima perché investe un bene che non è
più nella disponibilità dell’autore
dell’abuso.
Il verbale di accertamento
dell’inottemperanza all’ingiunzione di
ripristino dello stato dei luoghi è un atto
con efficacia meramente dichiarativa e
certificativa di effetti che si riconnettono
“ope legis” all’originaria diffida in
conseguenza del vano decorso del termine
stabilito ai fini dello spontaneo ripristino
dello stato dei luoghi, onde se ne deve
escludere la natura provvedimentale (v., ex
multis, TAR Campania, Napoli, Sez. III,
07.05.2008 n. 3548; TAR Puglia, Lecce, Sez.
I, 13.06.2007 n. 2322; TAR Lazio, Sez. II,
09.11.2005 n. 10874); ed invero, una volta
che la demolizione del manufatto sia
tecnicamente possibile e siano trascorsi
infruttuosamente i termini per dare corso
alla rimozione delle opere abusive,
l’effetto acquisitivo si produce di diritto,
con la conseguente natura meramente
dichiarativa, e non costitutiva, del
successivo atto amministrativo, tanto che la
demolizione eseguita dal privato dopo il
decorso del termine è illegittima perché
investe un bene che non è più nella
disponibilità dell’autore dell’abuso (v.
Cons. Stato, Sez. II, 18.01.2006 n. 643;
Sez. V, 18.12.2002 n. 7030)
(TAR Emilia Romagna-Parma,
sentenza 24.03.2009 n. 82 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
LAVORI PUBBLICI:
Relazioni della Direzione Lavori
e accesso agli atti.
L’accesso non
può estendersi anche alle relazioni
riservate del collaudatore e del direttore
dei lavori sulle domande iscritte a riserva
dall’impresa sui registri contabili.
L’art. 9 del D.P.R. 24.04.2006, n. 184,
circoscrive in ben definiti e tassativi
ambiti i casi in cui la richiesta di accesso
può essere differita, individuandoli nel
riferimento alle categorie di atti di cui
all’art. 24 della legge 07.08.1990, n. 241 e
sempreché il differimento stesso sia
funzionale agli interessi di cui al comma 6
dell’art. 24 citato, ovvero ad ulteriori
esigenze da riconnettere e ricondurre solo
ai documenti la cui conoscenza possa
compromettere il buon andamento dell’azione
amministrativa, prevalentemente nella fase
preparatoria di provvedimenti.
La mole della documentazione richiesta non
può costituite ostacolo all’accesso,
potendo, in tal caso l’Amministrazione,
richiedere la corresponsione dei costi di
riproduzione e copia dei documenti, ma non
certo differirne l’accesso per esigenze
organizzative, né tento meno per la
imminenza del periodo feriale.
Il diritto di accesso è pieno e investe
tanto la visione quanto l’estrazione di
copia, posto che l’esame e l’estrazione di
copia sono previste come modalità congiunte
dell'esercizio del diritto, senza deroghe o
eccezioni di sorta, mentre i casi di
impedimento al diritto di accesso sono,
invece, ricondotti solo all'esclusione o al
differimento
(TAR Piemonte, Sez. I,
sentenza 16.03.2009 n. 754 - link
a www.altalex.com). |
LAVORI PUBBLICI: L'art.
13, d.lgs. n. 163 del 2006, nel vietarne
l'accesso ed ogni altra forma di
divulgazione, equipara le relazioni del
direttore dei lavori e del collaudatore ai
«pareri legali acquisiti dai soggetti tenuti
all'applicazione del presente codice»
anch'essi non ostensibili, perché riferiti
ad un contenzioso potenziale o attuale con
l'appaltatore e investiti dalle stesse
esigenze di riservatezza che tutelano le
ragioni di ordine patrimoniale della
stazione appaltante.
E’ noto
sul punto il dibattito e il contrasto di
giurisprudenza che ha attraversato le
Sezioni giurisdizionali del Consiglio di
Stato, il cui conflitto è stato recentemente
composto dall’Adunanza Plenaria, la quale ha
statuito che “L'art. 10 D.P.R. n. 554/1999
non è stato implicitamente abrogato dalle
modifiche apportate all'art. 31-bis L. n.
109/1994 dalla L. n. 166/2002. Ne consegue
che le relazioni del direttore dei lavori e
del collaudatore sulle riserve avanzate
dall'esecutore di lavori pubblici sono
rimaste sottratte all'accesso anche durante
la vigenza dell'art. 31-bis della L. n.
109/1994 nel testo risultante
dall'emendamento introdotto dall'art. 7, L.
n. 166/2002. Del pari, è rimasto confermato
l'intento del legislatore di ricondurre tali
relazioni ai casi di "divieto di
divulgazione altrimenti previsti
dall'ordinamento" di cui all'art. 24, comma
1, L. n. 241/1990” (Cons. Stato. Ad. Plen.,
13-09-2007, n. 11; Cons. Stato Sez. V,
10-12-1999, n. 814).
L’Adunanza Plenaria ha, con la stessa
decisione, ulteriormente suffragato
l’assunto appena riportato, confrontandosi
con le nuove disposizioni specifiche
contenute nel Codice dei Contratti di cui al
d.lgs. 16.04.2006, n. 163 e statuendo al
riguardo che “l'art. 13, d.lg. n. 163 del
2006, nel vietarne l'accesso ed ogni altra
forma di divulgazione, equipara le relazioni
del direttore dei lavori e del collaudatore
ai «pareri legali acquisiti dai soggetti
tenuti all'applicazione del presente codice»
anch'essi non ostensibili, perché riferiti
ad un contenzioso potenziale o attuale con
l'appaltatore e investiti dalle stesse
esigenze di riservatezza che tutelano le
ragioni di ordine patrimoniale della
stazione appaltante” (Consiglio Stato
Adunanza Plenaria, 13.09.2007, n.
11).
Del resto anche il Giudice di prime cure
aveva precisato che le relazione riservate
del direttore dei lavori sono ostensibili
solo ai consiglieri comunali, il cui diritto
d’acceso è pieno, e che sono tenuti al
segreto d’ufficio in forza del loro mandato,
ma non possono essere concesse in visione (o
in estrazione di copia) ad altri soggetti.
Si è al riguardo stabilito, infatti, che “in
forza dell'art. 43, d.lg. 18.08.2000 n.
267, i consiglieri comunali possono accedere
anche ad atti per i quali è generalmente
precluso ai terzi l'esercizio del diritto di
accesso per ragioni di riservatezza, quali
sono le relazioni riservate del direttore
dei lavori e del collaudatore ai sensi
dell'art. 13 comma 5, lett. d), d.lg. 12.04.2006 n. 163, in quanto, al diritto di
accesso dei consiglieri comunali a tutti gli
atti e documenti in possesso della p.a. non
possono essere opposte esigenze di
riservatezza dei terzi, dato che queste sono
tutelate attraverso l'imposizione in capo ai
consiglieri dell'obbligo di mantenere il
segreto nei casi determinati dalla legge” (TAR
Abruzzo-L'Aquila, Sez. I, 31.07.2007,
n. 492).
Deve sul punto il Tribunale convenire con
l’orientamento giurisprudenziale appena
rassegnato, posto che le relazioni riservate
del direttore dei lavori e dell’organo di
collaudo sono atti che il Codice dei
contratti espressamente e specificamente
esclude dall’accesso e da ogni forma di
divulgazione a terzi. Dirimente appare
infatti la norma di cui all’art. 13, comma
5, del d.lgs. n. 163/2006 che dispone:
“Fatta salva la disciplina prevista dal
presente codice per gli appalti segretati o
la cui esecuzione richiede speciali misure
di sicurezza, sono esclusi il diritto di
accesso e ogni forma di divulgazione in
relazione (…) d) alle relazioni riservate
del direttore dei lavori e dell'organo di
collaudo sulle domande e sulle riserve del
soggetto esecutore del contratto”
(TAR
Piemonte, Sez. I,
sentenza 16.03.2009 n. 754 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI: Il diritto di accesso è pieno e investe
tanto la visione quanto l’estrazione di
copia. Il diritto di accesso non può essere
limitato alla sola visione dei documenti, ma
si estende necessariamente all'estrazione di
copia degli stessi. L'esame e l'estrazione
di copia sono previste come modalità
congiunte dell'esercizio del diritto, senza
deroghe o eccezioni di sorta.
Con riguardo alla fattispecie
all’esame, non sfugge, peraltro, al
Tribunale che la ricorrente ha chiesto la
visione e l’estrazione di copia di una gran
mole di documentazione, che assomma a ben 47
documenti, taluni anche corposi (come
l’offerta dell’impresa o la valutazione
dell’anomalia). Pur tuttavia la mole della
documentazione richiesta non può costituite
ostacolo all’accesso, potendo, in tal caso
l’Amministrazione, richiedere la
corresponsione dei costi di riproduzione e
copia dei documenti, ma non certo differirne
l’accesso per esigenze organizzative, né
tento meno per la imminenza del periodo
feriale.
Ciò che rileva, infatti, nel giudizio in
ordine all’assentibilità o meno della
richiesta di accesso è la valutazione di
pertinenza della documentazione oggetto di
richiesta di accesso con la necessità
del’istante di tutelare la sua posizione
soggettiva giuridicamente rilevante.
Rammenta al riguardo il Collegio come il
Tribunale ha già significativamente chiarito
che “il diritto di accesso in questione,
perciò, è esclusivamente quello collegato
alle esigenze specifiche del richiedente,
vale a dire agli atti che direttamente lo
riguardano o siano, in ogni caso, pertinenti
con le particolari ragioni esposte a
sostegno dell'istanza” (TAR Piemonte,
Sez. II, 25-02-2006, n. 1126) sulle orme di
Cons. di Stato Sez. V, 08-02-1994, n. 78).
Giova inoltre rammentare che secondo il
Consiglio di Stato, mentre
all’Amministrazione che ha formato il
documento o che stabilmente lo detiene
spetta la valutazione solo dell’astratta
inerenza dell’istanza di accesso con
l’azione giurisdizionale promuovenda dal
richiedente, “il giudizio circa la concreta
pertinenza della documentazione alla causa
non può che spettare all'autorità
giudiziaria adita” (Cons. Stato Sez. V,
12-10-2002, n. 5516).
Parimenti fondata è la doglianza con
cui la ricorrente censura l’illegittimità
della limitazione del suo diritto di accesso
alla mera visione, essendo stata in tal modo
parzialmente accolta la sua istanza.
Il diritto di accesso è pieno e investe
tanto la visione quanto l’estrazione di
copia. La giurisprudenza ha di recente
puntualizzato quanto or ora il Collegio ha
affermato, precisando che “il diritto di
accesso non può essere limitato alla sola
visione dei documenti, ma si estende
necessariamente all'estrazione di copia
degli stessi". L'art. 25, primo comma, L. n.
241/1990, sia nel testo antecedente la
riforma introdotta dalla L. 11.02.2005, n. 15 che nel testo attuale,
stabilisce che "il diritto di accesso si
esercita mediante esame ed estrazione di
copia dei documenti amministrativi, nei modi
e con i limiti dalla presente legge":
l'esame e l'estrazione di copia sono quindi
previste come modalità congiunte
dell'esercizio del diritto, senza deroghe o
eccezioni di sorta. I casi di impedimento al
diritto di accesso sono, invece, ricondotti
solo all'esclusione o al differimento (artt.
24, primo, secondo e sesto comma, L. n.
241/1990 e 9 D.P.R. 12.04.2006, n. 184).
Anche l'art. 7 D.P.R. n. 184/2006
disciplina, nei commi V e VI, come modalità
congiunte l'esame del documento e
l'estrazione di copia (TAR Puglia-Lecce
Sez. II, 16-02-2007, n. 481) (TAR
Piemonte, Sez. I,
sentenza 16.03.2009 n. 754 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Il contenimento delle emissioni
acustiche è potere ordinario ex l. n.
447/1995.
L’ordinanza in materia di contenimento di
emissioni acustiche non concreta
riproduzione del generico potere di
ordinanza contingibile ed urgente ex art. 54
TUEL, radicando invece la Legge quadro
sull’inquinamento acustico 26.10.1995, n.
447 un potere di intervento ordinario in
capo al Sindaco, atteso che la citata legge
quadro sull'inquinamento acustico non
configura alcun potere di intervento
amministrativo ordinario che consenta di
ottenere il risultato dell'immediato
abbattimento delle emissioni sonore
inquinanti, costituendo la predetta
ordinanza l'ordinario rimedio in tema di
inquinamento acustico.
L'accertata presenza di un fenomeno di
inquinamento acustico -pur se non
coinvolgente l'intera collettività- appare
sufficiente a concretare l'eccezionale ed
urgente necessità di intervenire a tutela
della salute pubblica, potendo l’ordinanza
de qua essere adottata anche a seguito
dell’esposto di una sola famiglia, non
constando nella norma alcun parametro
numerico o dimensionale (TAR Piemonte, Sez.
I,
ordinanza 02.03.2009 n. 199 -
link a www.altalex.com). |
EDILIZIA PRIVATA:
Concetto di parziale difformità.
l concetto di “parziale difformità”
presuppone che un determinato intervento
costruttivo, pur se contemplato dal titolo
autorizzatorio rilasciato dall'autorità
amministrativa, venga realizzato secondo
modalità diverse da quelle consacrate a
livello progettuale. Tale lettura è
confermata dall'art. 31 del d.P.R. 380/2001
che descrive le opere eseguite in totale
difformità dal permesso di costruire come
quelle “che comportano la realizzazione
di un organismo edilizio integralmente
diverso per caratteristiche tipologiche,
planovolumetriche o di utilizzazione da
quello oggetto del permesso stesso...”.
La citata disposizione, infatti, richiama un
concetto di “totale difformità”
ancorato, più che al raffronto tra la
singola difformità e le previsioni
progettuali dell'intervento edilizio (al
quale va rapportato il concetto di
difformità parziale), alla comparazione
sintetica tra l'organismo progettato e
quello scaturente dalla complessiva attività
di edificazione (TAR Campania-Napoli, Sez.
II,
sentenza 26.02.2009 n. 1103 -
link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Beni Ambientali. Annullamento
ministeriale n.o..
L'obbligo di comunicare l'avvio del
procedimento, previsto in relazione alla
generalità degli atti amministrativi
dall'art. 7 della legge 07.08.1990 n. 241 ed
espressamente ribadito per i procedimenti di
annullamento ministeriale dei nulla osta
paesaggistici rilasciati dai soggetti
delegati (o subdelegati) dall'art. 4 comma
1, del d.m. 13.06.1994 n. 495, è stato
eliminato dal successivo d.m. 19.06.2002 n.
165 ed è stato poi ripristinato dal decreto
legislativo 22.01.2004 n. 42, recante il
Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio,
che agli artt. 146 e 159, che ha ribadito
l'obbligo di comunicare all'interessato
l'avvio del procedimento di annullamento
dell'autorizzazione paesaggistica, anche se
attraverso la speciale forma della
comunicazione agli interessati della
trasmissione dell'autorizzazione rilasciata
da parte dell'autorità preposta alla tutela
del vincolo con l’avviso dell’avvio della
fase del controllo ministeriale (TAR
Campania-Napoli, Sez. IV,
sentenza 17.02.2009 n. 832 - link
a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Altezza
e distanza tra le costruzioni: la sola
violazione delle altezze non comporta la
demolizione.
Sono
da ritenere integrative delle norme del
codice civile solo le disposizioni relative
alla determinazione della distanza tra
fabbricati in rapporto all'altezza e che
regolino con qualsiasi criterio o modalità
(quali la previsione di spazi liberi o il
rapporto tra altezza e distanza tra
edifici), la misura dello spazio che deve
essere osservato tra le costruzioni: in tal
caso le distanze legali sono calcolate con
riferimento all'altezza dei fabbricati. Le
norme che, invece, disciplinano solo
l'altezza in sé degli edifici, a differenza
di quelle che invece impongono l'altezza dei
fabbricati in rapporto alla distanza
intercorrente tra gli stessi, tutelano,
oltre che l'interesse pubblico di ordine
igienico ed estetico, esclusivamente il
valore economico della proprietà dei vicini,
per il che comportano, in caso di loro
violazione, il solo risarcimento dei danni.
Pertanto, nell'ambito delle norme dei
regolamenti locali edilizi, hanno carattere
integrativo delle disposizioni dettate nelle
materie disciplinate dagli art. 873 e ss.
c.c. quelle dirette a completare,
rafforzare, armonizzare con il pubblico
interesse di un ordinato assetto urbanistico
la disciplina dei rapporti intersoggettivi
di vicinato. Se violate, sussiste in favore
del danneggiato il diritto alla riduzione in
pristino.
Non rivestendo, invece, tale carattere le
norme che hanno come scopo principale la
tutela di interessi generali urbanistici,
quali la limitazione del volume,
dell'altezza e della densità degli edifici,
le esigenze dell'igiene, della viabilità, la
conservazione dell'ambiente ed altro. In
questa seconda ipotesi la tutela accordata
al privato nel caso di violazione della
norma rimane limitata al risarcimento del
danno eventualmente subito (Corte di
Cassazione, Sez. III civile,
sentenza 16.01.2009 n.
1073). |
EDILIZIA PRIVATA:
Realizzazione platee in
calcestruzzo.
La costruzione di due platee in
calcestruzzo, di rilevanti dimensioni,
sostenute da muri di contenimento senza
titolo autorizzativo e in contrasto con la
classificazione agricola dell'area
attribuito dal PRG richiede il permesso di
costruire (Corte di Cassazione, Sez. III
penale,
sentenza 14.11.2008 n. 42518 -
link a www.lexambiente.it). |
APPALTI:
Una condanna per il reato
previsto dall’art. 25 del D.P.R. n.
915/1982, recante sanzioni per l’attività di
smaltimento di rifiuti tossici e nocivi
svolta in violazione delle norme poste
dettate dallo stesso decreto in attuazione
delle direttive CEE n. 75/422, n. 76/403 e
n. 78/319, incide sulla moralità
professionale ed è causa di esclusione.
Secondo l’art. 11, lett. b), del D.Lgs. n.
358/1992, le cui norme trovano applicazione
anche in materia di appalti di servizi per
il richiamo operato dall’art. 12 del D. Lgs.
157/1995, “sono esclusi dalla
partecipazione alla gara i fornitori…nei cui
confronti sia stata pronunciata una
condanna, con sentenza passata in giudicato,
per qualsiasi reato che incida sulla loro
moralità professionale o per delitti
finanziari”.
La norma citata nega, in sostanza, la
capacità di assumere la gestione del
servizio di smaltimento a chi abbia tenuto
comportamenti puniti con sanzione penale e
lesivi di regole che disciplinano
l’esercizio di tale specifica attività.
Il sig. ... si trovava in questa situazione,
giacché, come risulta dal certificato del
casellario giudiziale presentato a suo tempo
all’amministrazione comunale, aveva subìto
una condanna per il reato previsto dall’art.
25 del D.P.R. n. 915/1982, recante sanzioni
per l’attività di smaltimento di rifiuti
tossici e nocivi svolta in violazione delle
norme poste dettate dallo stesso decreto in
attuazione delle direttive CEE n. 75/422, n.
76/403 e n. 78/319.
Nell’appello si replica che, in
considerazione della levità della pena
inflitta, la condanna sarebbe “certamente
inidonea a ledere gravemente la moralità
professionale della ditta nello svolgimento
dei lavori cui risulta abilitata”.
L’obiezione muove da un equivoco, poiché nel
citato art. 11, lett. b, nulla lascia
intendere che si sia inteso dare rilievo
all’entità della pena o che debba risultarne
“gravemente” lesa la moralità
professionale. Al contrario, la formulazione
della norma, che collega l’esclusione alla
generalità delle trasgressioni (“ogni
reato”) in materia di attività di
smaltimento dei rifiuti, a differenza di
quelle inerenti alla materia finanziaria (“delitti”),
indica che nella considerazione del
legislatore è qualificante non la gravità
della sanzione, ma la natura del reato sotto
l’aspetto sostanziale.
In sostanza, si è voluto evitare
l’affidamento del servizio a coloro che
abbiano commesso reati lesivi degli stessi
interessi collettivi che, nella veste di
aggiudicatari, sarebbero chiamati a
tutelare. Pertanto, con ragione la società
appellata ritiene che l’indicato precedente
penale fosse ostativo dell’ammissione della
ditta ... alla licitazione privata
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 27.03.2000 n. 1770 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
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