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AGGIORNAMENTI PREGRESSI mese di LUGLIO 2009

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aggiornamento al 27.07.2009

aggiornamento al 20.07.2009

aggiornamento al 13.07.2009

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

AGGIORNAMENTO AL 27.07.2009

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GURI - GUUE - BURL (e anteprima)

URBANISTICA: B.U.R. Lombardia, 4° suppl. straord. al n. 29 del 24.07.2009, "Approvazione del bando di finanziamento 2009 per «la produzione di basi cartografiche attraverso Data base topografici» ai sensi della l.r. 12/2005" (decreto D.U.O. 08.07.2009 n. 6973 - link a www.infopoint.it).

ENTI LOCALI - VARI: G.U. 24.07.2009 n. 170, suppl. ord. n. 128/L, "Disposizioni in materia di sicurezza pubblica" (L. 15.07.2009 n. 94).

LAVORI PUBBLICI: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 29 del 20.07.2009, "Approvazione del bando per il finanziamento degli oneri di progettazione relativi alla realizzazione di opere pubbliche da parte dei Comuni aventi popolazione residente non superiore a 2000 abitanti, loro Unioni e Comunità montane sede legate - (l.r. 5/2009 - art. 4)" (decreto D.S. 10.07.2009 n. 7124 - link a www.infopoint.it).

EDILIZIA PRIVATA: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 29 del 20.07.2009, "Precisazioni in merito all'applicazione delle disposizioni per l'efficienza energetica in edilizia, approvate con d.g.r. n. 8745 del 22.12.2008" (decreto D.U.O. 13.07.2009 n. 7148 - link a www.infopoint.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 29 del 20.07.2009, "Albo regionale delle imprese boschive: iscrizione delle ditte ai sensi dell'art. 57 della l.r. n. 31 del 05.12.2008" (decreto D.S. 08.07.2009 n. 6984 - link a www.infopoint.it).

EDILIZIA PRIVATA: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 29 del 20.07.2009, "Determinazione della tariffa del servizio idrico integrato in Lombardia ai sensi della l.r. 26/2003" (deliberazione G.R. 08.07.2009 n. 9796 - link a www.infopoint.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Criteri e requisiti per l’iscrizione all’Albo nella categoria 1 per lo svolgimento dell’attività di gestione dei centri di raccolta di cui al decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare 08.04.2008, modificato con decreto 13.05.2009, di attuazione dell’articolo 183, comma 1, lettera cc), del D.Lgs. 152/2006, e successive modificazioni e integrazioni (Albo Nazionale Gestori Ambientali - Comitato Nazionale, deliberazione 20.07.2009 n. 2 - link a www.albogestoririfiuti.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Utilizzazione codici dell’elenco europeo dei rifiuti (Albo Nazionale Gestori Ambientali - Comitato Nazionale, circolare 16.07.2009 n. 1464 di prot. - link a www.albogestoririfiuti.it).

NEWS

EDILIZIA PRIVATA - VARI: Ristrutturazioni edilizie e “Bonus arredi”.
L’Agenzia delle Entrate, con una specifica circolare, chiarisce le modalità per usufruire del “bonus arredi”, l’agevolazione introdotta dal decreto “incentivi” (Dl. n. 5/2009).
Il bonus riguarda i contribuenti che hanno sostenuto spese di ristrutturazioni edilizia per le quali possono beneficiare della detrazione del 36%. Le opere di ristrutturazione devono essere state avviate dopo il 1° luglio 2008, così come indicato nella comunicazione preventiva di inizio lavori inviata al Centro operativo di Pescara. Deve inoltre, trattarsi esclusivamente di interventi di manutenzione straordinaria, restauro e risanamento conservativo o ristrutturazione edilizia (articolo 31 della legge 457/1978, lettere b, c e d), effettuati su unità abitative.
Possono usufruire della detrazione i contribuenti che acquistano mobili, elettrodomestici di classe energetica non inferiore ad A+, apparecchi televisivi e computer nel periodo compreso tra il 7 febbraio e il 31.12.2009. Il pagamento degli “arredi” deve avvenire con bonifico bancario o postale da cui risulta causale e codice fiscale di entrambe le parti .
Il “bonus arredi” non spetta relativamente alle spese sostenute per l’acquisto di frigoriferi, congelatori e loro combinazioni, dato che per questi è prorogata fino al 2010 la detrazione introdotta dalla Finanziaria 2007 (L 296/2006). Quest’ultimo sconto, che non può superare i 200 euro per apparecchio, è però cumulabile con la nuova detrazione (link a www.agenziaentrate.it).

ENTI LOCALI: Operazione trasparenza per i dirigenti delle Pubbliche amministrazioni.
Continua l'operazione trasparenza -avviata un anno fa dal ministro per l'amministrazione pubblica e l'innovazione, Renato Brunetta.
Per 190.000 dirigenti, tra i quali circa 3.800 appartenenti al comparto Ministeri,
15.000 a Regioni ed enti locali, 137.000 al comparto Sanità e 10.000 appartenenti al comparto Scuola, entro luglio 2009 dovranno essere resi pubblici i dati relativi a retribuzioni, curriculum e tassi di assenza/presenza degli uffici.
La legge n. 69 del 18.06.2009 ("Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile") impone, infatti, all'art. 21, comma 1, che tutte le pubbliche amministrazioni debbano rendere note, attraverso i propri siti internet, alcune informazioni relative ai dirigenti (curricula vitae, retribuzione, recapiti istituzionali) e i tassi di assenza e di presenza del personale, aggregati per ciascun ufficio dirigenziale.
Il ministro Brunetta ha emanato un'apposita circolare (n. 3 del 2009) al fine di supportare le amministrazioni negli adempimenti relativi all'attuazione della norma.
Inoltre, per consentire la standardizzazione dei dati da pubblicare e rendere omogenee le informazioni inviate, nei prossimi giorni saranno disponibili sul sito www.innovazionepa.it le modalità da seguire per applicare la norma in maniera corretta. In particolare, verrà predisposta una procedura on-line con le istruzioni per la compilazione dei curricula e verranno individuate semplici regole per la pubblicazione dei dati sui siti istituzionali delle amministrazioni (link a www.governo.it).

CONSIGLIERI COMUNALI: Diritto d'accesso senza oneri. È opportuno che gli enti si dotino di un regolamento per regolare le istanze. Vietato intralciare il funzionamento degli uffici.
Quando deve essere riconosciuto il diritto di accesso ai consiglieri comunali e provinciali ai sensi dell'art. 43, comma 2, del Tuel n. 267/2000?
Per consolidata giurisprudenza l'accesso dei consiglieri comunali e provinciali agli atti amministrativi dell'ente locale, costituisce un diritto pieno e non comprimibile, finalizzato a svolgere compiutamente il proprio mandato (Cds sez. V del 04.05.2004, n. 2716 e Cds, sez. V, 21.08.2006 n. 4855).
Qualsiasi limitazione posta al diritto in parola verrebbe a restringere la possibilità di intervento, sia in senso critico sia in senso costruttivo, incidendo negativamente sulla possibilità d'integrale espletamento del mandato ricevuto (Cds, sez. V, 20.10.2005 n. 5879).
Peraltro, il consigliere non è neppure tenuto a motivare la richiesta né l'ente ha titolo per sindacare il rapporto tra la richiesta di accesso e l'esercizio del mandato altrimenti gli organi dell'amministratori sarebbero arbitri di stabilire essi stessi l'ambito del controllo sul proprio operato» (Cds, sez. V, 26.09.2000. n. 5109 Cds, sez. V, 26.09.2005, n. 4471 e Cds, sez. V, 20.10.2005, n. 5879).
La copiosa, conforme e consolidata giurisprudenza nel riconoscere l'ampiezza di siffatto diritto all'informazione e un altrettanto esteso diritto di prendere visione e di estrarre copia degli atti dell'amministrazione comunale ha, altresì, costantemente affermato che l'adempimento non deve risultare eccessivamente gravoso per l'ente ed intralciare lo svolgimento dell'attività amministrativa con rilessi negativi sul regolare funzionamento degli uffici comunali o provocare gravi distorsioni nell'attività degli uffici a causa della ridotta dotazione .strutturale, organizzativa e finanziaria dell'ente (Cds, sez. V. 26.09.2000, n. 5109 e Cds sez. V, 13.11.2002, n. 6293).
L'Alto consesso, con la sentenza già citata del 02.09.2005, n. 4471, non ha escluso che tale diritto, è soggetto al rispetto di alcune forme e modalità quali, per esempio, l'obbligo di formulare «istanze in maniera specifica e dettagliata recando l'esatta indicazione dagli estremi identificativi degli atti e dei documenti o, qualora siano noti tali estremi almeno degli elementi che consentano l'individuazione dell'oggetto dell'accesso».
Lo stesso Consiglio ha, quindi, affermato che sono da ritenere non coerenti con il mandato dei consiglieri comunali richieste di accesso che, per il numero degli atti richiesti e per l'ampiezza della loro formulazione, si traducano in un eccessivo e minuzioso controllo dei singoli atti in possesso degli uffici.
Siffatte richieste, infatti, «si configurano come forma di controllo specifico, non già inerente alle funzioni di indirizzo e controllo politico-amministrativo» demandate dalla legge ai consigli comunali (Cds, sez. V, 28.11.2006, n. 6960).
Tale pronuncia assume particolare rilievo in quanto l'Alto consesso non ha soltanto affermato la legittimità di una disposizione del regolamento interno dell'ente locale che impone l'utilizzo di un modulo in cui sia specificato il singolo documento amministrativo che si chiede di conoscere, ma, soprattutto, ha sostenuto la legittimità del diniego di accesso motivato dalla necessità di arrecare il minor aggravio possibile, sia organizzativo che economico, agli uffici ed al personale comunale.
Con parere del 10.12.2002, la Commissione per l'accesso ai documenti amministrativi istituita presso la presidenza del Consiglio. ha affermato che è «generale dovere della pubblica amministrazione... ispirare lo propria attività al principio di economicità... che incombe non solo sugli uffici tenuti a provvedere ma anche sui soggetti che richiedono prestazioni amministrative, i quali specie se appartenenti alla stessa amministrazione, sono tenuti, in un clima di leale cooperazione, a modulare le proprie richieste» in modo da contemplare i diversi interessi.
Il ministero dell'interno nel seguire l'ormai costante indirizzo del Consiglio di stato, ha sempre affermato che nonostante la riconosciuta ampiezza del diritto in parola il consigliere è comunque soggetto al rispetto di alcune forme e modalità ed ha segnalato l'opportunità di contemperare le opposte esigenze, vale a dire, da un lato le pretese conoscitive dei consiglieri comunali e dall'altro le «evidenti esigenze di funzionalità dell'amministrazione locale».
Pertanto, è stata sottolineata più volte l'opportunità che l'amministrazione locale, nell'ambito della propria autonomia, adotti specifiche norme regolamentari volte ad introdurre alcuni temperamenti al diritto di accesso al fine di assicurare I'esercizio nel rispetto delle esigenze dell'attività degli uffici (Cds, sez. V, 28/11/2006, n. 6960) (tratto da ItaliaOggi, articolo 24.07.2009, pag. 16).

EDILIZIA PRIVATA: La certificazione entra nel rogito. Istruzioni dai notai lombardi.
In Lombardia la certificazione energetica entra nei rogiti di compravendita delle case. Il comitato regionale notarile lombardo ha preparato un quadro sinottico degli obblighi di certificazione energetica a partire dall'01.07.2009 per gli edifici situati nella territorio lombardo.
I punti principali. Per gli edifici nuovi scatta l'obbligo di dotazione di attestazione di certificazione energetica (ACE) al momento della fine lavori (indipendentemente dall'intervento di un atto di trasferimento a titolo oneroso); scatta anche un obbligo di allegazione di ACE all'eventuale atto di trasferimento a titolo oneroso. Con l'ACE l'acquirente è informato circa la prestazione energetica e il grado di efficienza energetica degli edifici.
Gli edifici esistenti. Per gli edifici costruiti o ristrutturati dopo l'08.10.2005 scatta l'obbligo di dotazione di attestazione di qualificazione energetica (sostituibile con ACE) al momento della fine lavori; scatta anche l'obbligo di allegazione di ACE (e quindi di dotazione di CE al momento dell'eventuale atto di trasferimento a titolo oneroso.
Per AQE si intende lo strumento di controllo del rispetto, in fase di costruzione o ristrutturazione degli edifici, delle prescrizioni volte a migliorarne le prestazioni energetiche. Per gli edifici interi o singole unità immobiliari realizzati con provvedimenti abilitativi comunque anteriori alla data dell'01.09.2007 scatta l'obbligo di dotazione di ACE e di allegazione dello stesso al momento dell'eventuale atto di trasferimento a titolo oneroso.
Per gli edifici singole unità immobiliari che abbiano goduto di incentivazioni o sgravi fiscali per opere finalizzate al miglioramento delle prestazioni energetiche (in tal caso, le spese per la redazione della certificazione energetica sono fiscalmente detraibili nella misura del 55%) scatta l'obbligo di dotazione di ACE (di AQE se le incentivazioni o gli sgravi siano stati richiesti per opere effettuate prima dell'01.09.2007) al momento in cui tali incentivi o sgravi siano stati richiesti; c'è l'obbligo di allegazione di ACE (e quindi di dotazione dello stesso se l'immobile era stato dotato solo di AQE) al momento dell'eventuale atto di trasferimento a titolo oneroso.
C'è invece più tempo per gli edifici pubblici esistenti: per esempio, se di superficie superiore a 1.000 metri quadrati l'obbligo di dotazione di ACE parte dall'01.072010, o dell'eventuale precedente atto di trasferimento a titolo oneroso (tratto da ItaliaOggi, articolo 21.07.2009, pag. 28).

dossier CONSIGLIERI COMUNALI

ENTI LOCALI: Consiglieri comunali - Azione contro l’amministrazione di appartenenza - Legittimazione - Limiti.
I consiglieri comunali non sono legittimati, in quanto tali, ad agire contro l’Amministrazione di appartenenza, dato che il giudizio amministrativo non è di regola aperto alle controversie tra organi o componenti di organi di uno stesso ente, ma diretto a risolvere controversie intersoggettive; sicché, un ricorso di singoli consiglieri (in particolare contro l’Amministrazione di appartenenza) può ipotizzarsi soltanto allorché vengano in rilievo atti incidenti in via diretta sul diritto all’ufficio dei medesimi, e quindi su un diritto spettante alla persona investita della carica di consigliere (cfr. Cons. St., sez. V, 15.12.2005 n. 7122) (TAR Sicilia-Catania, Sez. III, sentenza 29.04.2009 n. 812 - link a www.
ambientediritto.it).

CONSIGLIERI COMUNALIE' legittimo il regolamento comunale che dispone, per i consiglieri comunali, la presentazione di una istanza di accesso agli atti per ogni singolo documento.
Richiedere copia di n. 13 atti protocollati in un ristretto numero di giorni è da ritenersi non coerente con il mandato ed i compiti, definiti dalla legge, per i consiglieri comunali e si configurano, di conseguenza, come forme di controllo specifico, non già inerente alle funzioni di indirizzo e controllo politico–amministrativo

La limitazione dell’accesso, consistente nell’incombente di formulare singole istanze per singoli documenti, non rende, come invece ha stabilito il TAR, eccessivamente gravoso l’esercizio del diritto, se non quando è eccessivamente ampia la domanda formulata, perché riferentesi ad una molteplicità di atti.
Per poche e ragionevoli richieste, dover presentare singoli moduli, con le indicazioni prescritte, non comporta oneri seri.
La disposizione regolamentare comunale dell’art. 10, della quale si è fatto cenno, trova giustificazione in quelle evidenti esigenze di funzionalità dell’amministrazione locale, che sono un limite intrinseco a qualsiasi attività che miri al corretto svolgimento dell’attività amministrativa, come può e deve essere quella dei consiglieri comunali che ne vogliano conoscere in modo conforme ai compiti loro assegnati dalla legge. In caso contrario, l’attività degli uffici sarebbe manifestamente ostacolata da pluralità di domande, che si convertono in un eccessivo e minuzioso controllo dei singoli atti degli stessi uffici, con deviazione dai fini delle funzioni commesse ai consigli degli enti locali, sinteticamente definite, nell’art. 42 del predetto t.u., “di indirizzo e di controllo politico–amministrativo”.
Le richieste di cospicuo numero di copie dei “documenti ritenuti utili” riguardanti 13 atti protocollati in un ristretto numero di giorni sono da ritenere non coerenti con il mandato ed i compiti, definiti dalla legge, per i predetti consiglieri, e si configurano, di conseguenza, come forme di controllo specifico, non già inerente alle funzioni di indirizzo e controllo politico–amministrativo; ne deriva che, agli scopi suindicati, rispondono legittimamente, oltre al menzionato art. 10, gli artt. 2 e 3 del regolamento, che il consiglio comunale si è dato, e riguardanti, rispettivamente, l’esercizio del diritto “in modo da arrecare il minore aggravio possibile, sia organizzativo che economico, per gli uffici e per il personale comunale” (art. 2) e la delimitazione, conforme alla legge, delle funzioni dei consiglieri comunali, ai fini dell’applicazione delle norme sull’accesso, avuto riguardo, vale a dire, all’indirizzo ed al controllo sopra specificati (art. 3) (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 28.11.2006 n. 6960 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

CONSIGLIERI COMUNALI: - Il consigliere comunale ha titolo di avere accesso ai seguenti documenti: 1. Tutte le matrici delle ricevute dei parcheggi degli ultimi 5 anni; 2. Copia delle relative fatture di acquisto di tali buoni e naturalmente i DDT; 3. L’elenco di tutti i nominativi che negli ultimi 5 anni hanno potuto maneggiare soldi del comune; 4. Copia dei versamenti fatti alla tesoreria comunale dell’importo corrispondente alle ricevute vendute sempre degli ultimi 5 anni.
- I consiglieri comunali hanno un non condizionato diritto di accesso a tutti gli atti che possano essere d'utilità all'espletamento del loro mandato, ciò anche al fine di permettere di valutare -con piena cognizione- la correttezza e l'efficacia dell'operato dell'Amministrazione, nonché per esprimere un voto consapevole sulle questioni di competenza del Consiglio, e per promuovere, anche nell'ambito del Consiglio stesso, le iniziative che spettano ai singoli rappresentanti del corpo elettorale locale.
- L’utilità dell’accesso (id est, la strumentalità della istanza ostensiva all’esercizio del munus pubblico) non può essere disconosciuta in presenza di una richiesta relativa a documentazione risalente ad un’epoca antecedente rispetto al periodo di espletamento del mandato elettivo.

Il Collegio ritiene opportuna l’esposizione di alcune considerazioni sul diritto di accesso riconosciuto dall’ordinamento giuridico ai consiglieri comunali e provinciali, anche alla luce delle ricostruzioni della più recente giurisprudenza (cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. V, 09.12.2004, n. 7900).
In particolare, l’art. 43, comma 2, del Testo unico degli enti locali -D.L.vo n. 267/2000- statuisce: <<I consiglieri comunali e provinciali hanno diritto di ottenere dagli uffici, rispettivamente, del comune e della provincia, nonché dalle loro aziende ed enti dipendenti, tutte le notizie e le informazioni in loro possesso, utili all'espletamento del proprio mandato. Essi sono tenuti al segreto nei casi specificamente determinati dalla legge>>.
La disposizione ha i suoi più immediati antecedenti nell’articolo 24 della L. n. 816/1985 -Esercizio delle funzioni consiliari- secondo cui <<I consiglieri comunali, i consiglieri provinciali e i componenti delle assemblee delle unità sanitarie locali e delle comunità montane, per l'effettivo esercizio delle loro funzioni hanno diritto di prendere visione dei provvedimenti adottati dall'ente e degli atti preparatori in essi richiamati nonché di avere tutte le informazioni necessarie all'esercizio del mandato>>, e nell’articolo 31 comma 5 L. n. 142/1990 -Consigli comunali e provinciali- secondo cui <<I consiglieri comunali e provinciali hanno diritto di ottenere dagli uffici, rispettivamente, del comune e della provincia, nonché dalle loro aziende ed enti dipendenti, tutte le notizie e le informazioni in loro possesso, utili all'espletamento del proprio mandato. Essi sono tenuti al segreto nei casi specificamente determinati dalla legge>>.
Il diritto (soggettivo pubblico) codificato da tali disposizioni –come è possibile evincere dalla chiara littera legis- è espressione del principio democratico dell'autonomia locale e della rappresentanza esponenziale della collettività, ed in quanto tale è direttamente funzionale non tanto ad un interesse personale del consigliere comunale o provinciale, quanto alla cura di un interesse pubblico connesso al mandato conferito (cfr. la locuzione <<ampia e qualificata posizione di pretesa all'informazione spettante ratione officii al consigliere comunale>> in Cons. Stato, sez. V, 08/09/1994, n. 976).
Emerge chiaramente, infatti, che i consiglieri comunali hanno un non condizionato diritto di accesso a tutti gli atti che possano essere d'utilità all'espletamento del loro mandato, ciò anche al fine di permettere di valutare -con piena cognizione- la correttezza e l'efficacia dell'operato dell'Amministrazione, nonché per esprimere un voto consapevole sulle questioni di competenza del Consiglio, e per promuovere, anche nell'ambito del Consiglio stesso, le iniziative che spettano ai singoli rappresentanti del corpo elettorale locale.
Il diritto di accesso riconosciuto ai rappresentanti del corpo elettorale comunale, pertanto, ha una ratio diversa da quella che contraddistingue il diritto di accesso ai documenti amministrativi che è riconosciuto a tutti i cittadini (articolo 10 -Diritto di accesso e di informazione- del D.L.vo n. 267/2000) come pure, in termini più generali, a chiunque sia portatore di un <<interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l'accesso>> (cfr. gli art. 22 e ss. della legge 07.08.1990, n. 241 come recentemente modificata dalla legge 11.02.2005, n. 15 - Modifiche ed integrazioni alla legge 07.08.1990, n. 241, concernenti norme generali sull'azione amministrativa).
Invero, la finalizzazione dell'accesso all'espletamento del mandato costituisce, al tempo stesso, il presupposto legittimante l'accesso ed il fattore che ne delimita la portata. Le disposizioni richiamate, infatti, collegano l'accesso a tutto ciò che può essere effettivamente funzionale allo svolgimento dei compiti del singolo consigliere comunale e provinciale e alla sua partecipazione alla vita politico-amministrativa dell'ente, come confermato dalla giurisprudenza di legittimità che ha precisato che il consigliere può accedere non solo ai “documenti” formati dalla pubblica amministrazione di appartenenza ma, in genere, a qualsiasi “notizia” od “informazione” utili ai fini dell'esercizio delle funzioni consiliari (cfr. Cass. Civ. Sez. III, sent. 03.08.1995 n. 8480, in materia di acquisizione della registrazione magnetofonica di una seduta consiliare).
Inoltre, a differenza dei soggetti privati, il consigliere non è tenuto a motivare la richiesta, né l'Ente ha titolo per sindacare il rapporto tra la richiesta di accesso e l'esercizio del mandato, altrimenti gli organi dell'amministrazione sarebbero arbitri di stabilire essi stessi l'ambito del controllo sul proprio operato (Cons. Stato, V Sez. 07.05.1996 n. 528, Cons. Stato, V Sez. 22.02.2000 n. 940, Cons. Stato, V Sez. 26.09.2000 n. 5109).
Infine, il diritto di avere dall'ente tutte le informazioni che siano utili all'espletamento del mandato non incontra alcuna limitazione derivante dalla loro natura riservata, in quanto il consigliere è vincolato all'osservanza del segreto (Cons. Stato, V Sez. 20.02.2000 n. 940 e Consiglio di Stato, Sezione V, 04.05.2004, n. 2716).
Il decisum di primo grado (ndr: impugnato) è stato supportato dalla considerazione secondo cui il consigliere comunale non è <<legittimato a richiedere all’ente locale l’accesso indiscriminato a qualsiasi documento detenuto dal comune, anche se risalente ad un’epoca di molto antecedente rispetto al periodo di espletamento del proprio mandato, traducendosi, altrimenti, tale controllo nell’esercizio di una funzione ispettiva sulla trascorsa attività dell’amministrazione, per nulla connessa all’esercizio presente del mandato di consigliere comunale>>.
Tale iter argomentativo non merita adesione alla luce dell’evocato quadro normativo ed ermeneutico e del recente orientamento giurisprudenziale secondo cui <<allorché una richiesta di accesso è avanzata per l'espletamento del mandato risulta, invero, insita nella stessa l'utilità degli atti richiesti al fine dell'espletamento del mandato. Il riferimento alle notizie ed alle informazioni “utili” contenuto nella norma in esame, non costituisce affatto una limitazione, se appena si considera l'intero contesto della disposizione. Il diritto di accesso è stato, infatti, attribuito ai consiglieri comunali per “tutte le notizie e le informazioni... utili all'espletamento del proprio mandato” e, quindi, per tutte le notizie ed informazioni ritenute utili, senza alcuna limitazione. Dal termine “utili” contenuto nella norma in oggetto non consegue, quindi, alcuna limitazione al diritto di accesso dei consiglieri comunali, bensì l'estensione di tale diritto a qualsiasi atto ravvisato utile all'espletamento del mandato>> (cfr. la già citata Consiglio di Stato, Sezione V, 04.05.2004, n. 2716); ne discende che l’utilità dell’accesso (id est, la strumentalità della istanza ostensiva all’esercizio del munus pubblico) non può essere disconosciuta in presenza di una richiesta relativa a documentazione risalente ad un’epoca antecedente rispetto al periodo di espletamento del presente mandato; invero, il diritto di accesso del consigliere comunale investe l'esercizio del munus in tutte le sue potenziali implicazioni (cfr.: Cons. Stato, V Sez. 21.02.1994 n. 119, Cons. Stato, V Sez. 26.09.2000 n. 5109, Cons. Stato, V Sez. 02.04.2001 n. 1893)
(Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 20.10.2005 n. 5879 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

CONSIGLIERI COMUNALI: - Sul consigliere comunale non grava, né può gravare, alcun onere di motivare le proprie richieste d’informazione, né gli uffici comunali hanno titolo a richiederle ed conoscerle ancorché l’esercizio del diritto in questione si diriga verso atti e documenti relativi a procedimenti ormai conclusi o risalenti ad epoche remote.
- Anche il “diritto all’informazione” del consigliere comunale è soggetto al rispetto di alcune forme e modalità: oltre alla necessità che l’interessato alleghi la sua qualità, permane l’esigenza che le istanze siano comunque formulate in maniera specifica e dettagliata, recando l’esatta indicazione degli estremi identificativi degli atti e dei documenti o, qualora siano ignoti tali estremi, almeno degli elementi che consentano l’individuazione dell’oggetto dell’accesso.
- Il consigliere comunale non può abusare del diritto all’informazione riconosciutogli dall’ordinamento, piegandone le alte finalità a scopi meramente emulativi od aggravando eccessivamente, con richieste non contenute entro gli immanenti limiti della proporzionalità e della ragionevolezza, la corretta funzionalità amministrativa dell’ente civico.

La sentenza impugnata è pienamente condivisibile nella parte in cui afferma l’inesistenza di un potere degli uffici comunali di sindacare il nesso intercorrente tra l’oggetto delle richieste di informazione avanzate da un consigliere comunale e le modalità di esercizio del munus da questi espletato. Ed invero, l’art. 43 del D.Lgs. n. 267/2000 riconosce ai consiglieri comunali (e provinciali), per l’utile espletamento del loro mandato, un latissimo “diritto all’informazione” a cui si contrappone il puntuale obbligo degli uffici «rispettivamente, del comune e della provincia, nonché dalle loro aziende ed enti dipendenti» di fornire ai richiedenti «tutte le notizie e le informazioni in loro possesso».
Siffatta situazione giuridica, quantunque individualizzata in capo a ciascun consigliere, presenta la sostanza di un diritto soggettivo pubblico funzionalizzato, ovverosia implica l’esercizio di facoltà finalizzate al pieno ed effettivo svolgimento delle funzioni assegnate direttamente al Consiglio comunale; l’informazione in discorso è, dunque, strumentale all’attuazione del generale potere di indirizzo e di controllo politico-amministrativo ascritto a tale supremo organo di governo dell’ente locale.
Da queste premesse discende a mo’ di corollario la conclusione che ogni limitazione all’esercizio del diritto sancito dall’art. 43 interferisce inevitabilmente con la potestà istituzionale del Consiglio comunale di sindacare la gestione dell’ente, onde assicurarne –in uno con la trasparenza e la piena democraticità– anche il buon andamento.
Sul consigliere comunale, pertanto, non grava, né può gravare, alcun onere di motivare le proprie richieste d’informazione, né gli uffici comunali hanno titolo a richiederle ed conoscerle ancorché l’esercizio del diritto in questione si diriga verso atti e documenti relativi a procedimenti ormai conclusi o risalenti ad epoche remote.
Diversamente opinando, infatti, la struttura burocratica comunale, da oggetto del controllo riservato al Consiglio, si ergerebbe paradossalmente ad “arbitro” -per di più, senza alcuna investitura democratica- delle forme di esercizio della potestà pubbliche proprie dell’organo deputato all’individuazione ed al miglior perseguimento dei fini della collettività civica.
L’esistenza e l’«attualità» dell’interesse che sostanzia la speciale actio ad exhibendum devono quindi ritenersi presunte juris et de jure dalla legge, in ragione della natura politica e dei fini generali connessi allo svolgimento del mandato affidato dai cittadini elettori ai componenti del Consiglio comunale.
Occorre, d’altronde, soggiungere che l’attualità dell’interesse all’accesso non può essere confusa con la “attualità” dei documenti chiesti in visione, non potendo revocarsi in dubbio che sovente i consiglieri comunali possano avvertire l’esigenza di conoscere approfonditamente pregresse vicende gestionali: tanto si verifica, ad esempio, qualora le fattispecie relative ad affari già definiti siano tuttavia ancora in grado di spiegare i loro effetti sul presente o allorquando la loro conoscenza si riveli semplicemente utile alla più lata estrinsecazione del generale diritto d’iniziativa dei consiglieri comunali o, ancora, alla formulazione, da parte di costoro, di eventuali interrogazioni od altre istanze di sindacato ispettivo.
È, del resto, dirimente il rilievo che l’obbligo di una pubblica amministrazione di permettere l’accesso agli atti permane per tutto il tempo durante il quale essa continui a possedere i documenti richiesti.
L’interesse del consigliere comunale ad ottenere determinate informazioni o copia di specifici atti detenuti dall’amministrazione civica non si presta, pertanto, ad alcun scrutinio di merito da parte degli uffici interpellati in quanto, sul piano oggettivo, esso ha la medesima latitudine dei compiti di indirizzo e controllo riservati al Consiglio comunale (al cui svolgimento è funzionale).
Quanto appena considerato non esclude, tuttavia, che anche il “diritto all’informazione” del consigliere comunale sia soggetto al rispetto di alcune forme e modalità: in effetti, oltre alla necessità che l’interessato alleghi la sua qualità, permane l’esigenza che le istanze siano comunque formulate in maniera specifica e dettagliata, recando l’esatta indicazione degli estremi identificativi degli atti e dei documenti o, qualora siano ignoti tali estremi, almeno degli elementi che consentano l’individuazione dell’oggetto dell’accesso (tra le molte, v. Cons. St., sez. V, 13.11.2002, n. 6293).
D’altra parte, il consigliere comunale non può abusare del diritto all’informazione riconosciutogli dall’ordinamento, piegandone le alte finalità a scopi meramente emulativi od aggravando eccessivamente, con richieste non contenute entro gli immanenti limiti della proporzionalità e della ragionevolezza, la corretta funzionalità amministrativa dell’ente civico (si veda, da ultimo, l’art. 24, terzo comma della L. 241 del 1990, come sostituito dall’art. 16 della L. 11.02.2005 n. 15) (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 02.09.2005 n. 4471 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

CONSIGLIERI COMUNALIIl consigliere può accedere non solo ai “documenti” formati dalla pubblica amministrazione di appartenenza ma, in genere, a qualsiasi “notizia” od “informazione” utili ai fini dell'esercizio delle funzioni consiliari.
Si palesa opportuna l’esposizione di brevi considerazioni sul diritto di accesso riconosciuto dall’ordinamento ai consiglieri comunali e provinciali.
L’art. 43, comma 2, del Testo unico degli enti locali -D.L.vo n. 267/2000- statuisce: <<I consiglieri comunali e provinciali hanno diritto di ottenere dagli uffici, rispettivamente, del comune e della provincia, nonché dalle loro aziende ed enti dipendenti, tutte le notizie e le informazioni in loro possesso, utili all'espleta-mento del proprio mandato. Essi sono tenuti al segreto nei casi specificamente determinati dalla legge>> (disposizione che ha i suoi più immediati antecedenti nell’articolo 24 della L. n. 816/1985 -Esercizio delle funzioni consiliari <<I consiglieri comunali, i consiglieri provinciali e i componenti delle assemblee delle unità sanitarie locali e delle comunità montane, per l'effettivo esercizio delle loro funzioni hanno diritto di prendere visione dei provvedimenti adottati dall'ente e degli atti preparatori in essi richiamati nonché di avere tutte le informazioni necessarie all'esercizio del mandato>>- e nell’art. 31 comma 5 L. n. 142/1990 -Consigli comunali e provinciali <<I consiglieri comunali e provinciali hanno diritto di ottenere dagli uffici, rispettivamente, del comune e della provincia, nonché dalle loro aziende ed enti dipendenti, tutte le notizie e le informazioni in loro possesso, utili all'espletamento del proprio mandato. Essi sono tenuti al segreto nei casi specificamente determinati dalla legge>>).
Dal contenuto di tale norma emerge chiaramente che i consiglieri comunali hanno diritto di accesso a tutti gli atti che possano essere d'utilità all'espletamento del loro mandato, ciò anche al fine dì permettere di valutare con piena cognizione di causa la correttezza e l'efficacia dell'operato dell'Amministrazione, nonché per esprimere un voto consapevole sulle questioni di competenza del Consiglio, e per promuovere, anche nell'ambito del Consiglio stesso, le iniziative che spettano ai singoli rappresentanti del corpo elettorale locale.
Il diritto codificato da tale disposizione è direttamente funzionale non tanto ad un interesse personale del consigliere comunale o provinciale, quanto alla cura di un interesse pubblico connesso al mandato conferito e, quindi, alla funzione di rappresentanza della collettività.
Il diritto ha una ratio diversa, quindi, da quella che contraddistingue l'ulteriore diritto di accesso ai documenti amministrativi che è riconosciuto, non solo ai consiglieri comunali o provinciali, ma a tutti i cittadini (art. 7, legge n. 142/1990 applicabile agli atti degli enti locali) come pure, in termini più generali, a chiunque sia portatore di un interesse personale e concreto e per la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti, in riferimento ai documenti amministrativi detenuti da amministrazioni diverse dai comuni e dalle province (art. 22 legge 07.08.1990, n. 241; art. 2 d.PR. 27.06.1992, n. 352).
Invero, la finalizzazione dell'accesso all'espletamento del mandato costituisce, al tempo stesso, il presupposto legittimante l'accesso ed il fattore che ne delimita la portata. Le disposizioni richiamate, infatti, collegano l'accesso a tutto ciò che può essere effettivamente funzionale allo svolgimento dei compiti del singolo consigliere comunale e provinciale e alla sua partecipazione alla vita politico-amministrativa dell'ente (questo orientamento è confermato dalla giurisprudenza, che ha avuto occasione di precisare che il consigliere può accedere non solo ai “documenti” formati dalla pubblica amministrazione di appartenenza ma, in genere, a qualsiasi “notizia” od “informazione” utili ai fini dell'esercizio delle funzioni consiliari; cfr. Cass. Civ. Sez. III, sent. n. 8480 del 03.08.1995, in materia di acquisizione della registrazione magnetofonica di una seduta consiliare).
Il diritto di accesso del consigliere comunale non riguarda soltanto le competenze attribuite al consiglio comunale ma, essendo riferito all'espletamento del mandato, investe l'esercizio del munus in tutte le sue potenziali implicazioni per consentire la valutazione della correttezza ed efficacia dell'operato dell'amministrazione comunale (cfr.: Cons. Stato, V Sez. 21.02.1994 n. 119, Cons. Stato, V Sez. 26.09.2000 n. 5109, Cons. Stato, V Sez. 02.04.2001 n. 1893).
A differenza dei soggetti privati, il consigliere non è tenuto a motivare la richiesta né l'ente ha titolo per sindacare il rapporto tra la richiesta di accesso e l'esercizio del mandato, altrimenti gli organi dell'amministrazione sarebbero arbitri di stabilire essi stessi l'ambito del controllo sul proprio operato (Cons. Stato, V Sez. 07.05.1996 n. 528, Cons. Stato, V Sez. 22.02.2000 n. 940, Cons. Stato, V Sez. 26.09.2000 n. 5109; cfr. la recente Consiglio di Stato, Sezione V, 04.05.2004, n. 2716 secondo cui <<Allorché una richiesta di accesso è avanzata per l'espletamento del mandato risulta, invero, insita nella stessa l'utilità degli atti richiesti al fine dell'espletamento del mandato. Il riferimento alle notizie ed alle informazioni "utili" contenuto nella norma in esame, non costi-tuisce affatto una limitazione, se appena si considera l'intero contesto della disposizione. Il diritto di accesso è stato, infatti, attribuito ai consiglieri comunali per "tutte le notizie e le informazioni... utili all'espletamento del proprio mandato" e, quindi, per tutte le notizie ed informazioni ritenute utili, senza alcuna limitazione. Dal termine "utili" contenuto nella norma in oggetto non consegue, quindi, alcuna limitazione al diritto di accesso dei consiglieri comunali, bensì l'estensione di tale diritto a qualsiasi atto ravvisato utile all'espletamento del mandato>>).
Infine, il diritto di avere dall'ente tutte le informazioni che siano utili all'espletamento del mandato non incontra alcuna limitazione derivante dalla loro natura riservata, in quanto il consigliere è vincolato all'osservanza del segreto (Cons. Stato, V Sez. 20.02.2000 n. 940 e la già citata Consiglio di Stato, Sezione V, 04.05.2004, n. 2716).
Questa Sezione ha già avuto modo di chiarire che è legittima la richiesta di informazioni nei confronti di una società a prevalente capitale comunale, svolta da un consigliere comunale, con riferimento sia all'art. 24 l. 27.12.1985 n. 816, che prevede che i consiglieri comunali, per l'effettivo esercizio delle loro funzioni, hanno diritto di prendere visione dei provvedimenti adottati dall'ente e degli atti preparatori in essi richiamati, sia all'art. 31, comma 5, l. 08.06.1990 n. 142, che stabilisce che gli stessi hanno diritto di ottenere dagli uffici comunali e dalle loro aziende ed enti dipendenti, tutte le notizie ed informazioni in loro possesso, utili all'espletamento del mandato (Cons. Stato, sez. V, 05/09/2002, n. 4472) (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 09.12.2004 n. 7900 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

dossier DISTANZE PARETI FINESTRATE

EDILIZIA PRIVATA: Il balcone aggettante può essere ricompreso nel computo della distanza ai sensi del D.M. 02.04.1968 n. 1444 solo nel caso in cui una norma di piano preveda ciò, posto che uno sporto come quello effigiato in atti non integra la specie dell’intercapedine dannosa che legittima l’applicazione della norma di ordine pubblico derivante dal d.m. 1444/1968.
Non v’è dubbio in giurisprudenza in ordine alla qualificazione della sopraelevazione di un edificio alla stregua di una nuova costruzione (ad esempio, in epoca recente, cons. Stato, 31.03.2009, n. 1998; cass., 11.06.2008, n. 15527), per cui essa deve rispettare le norme di legge e del piano a tale riguardo: la scheda d’ambito prodotta dalla ricorrente in data 08.04.2009 come documento sub 13 prescrive una distanza dal confine metri cinque ed una distanza tra le pareti finestrate di metri dieci.
A tale proposito l’amministrazione ha considerato legittimo il progetto assentito, dal quale risulta che la distanza tra lo spigolo più vicino della casa della ricorrente e la parte meno rientrante della sopraelevazione in progetto supera i dieci metri lineari: l’interessata eccepisce che non s’è tenuto conto dei balconi sporgenti dalla facciata della sua casa, che contribuiscono al computo delle distanze (TAR Campania, Napoli, 23.04.2007, n. 4215, Cass., 31.05.2006, n. 12964).
Il tribunale rileva che il balcone aggettante può essere ricompreso nel computo della distanza ai sensi della norma in questione solo nel caso in cui una norma di piano preveda ciò, posto che uno sporto come quello effigiato in atti non integra la specie dell’intercapedine dannosa che legittima l’applicazione della norma di ordine pubblico derivante dal d.m. 02.04.1968, n. 1444: vengono pertanto in applicazione le norme di piano, ed a tale stregua si osserva che l’art. 4 del vigente PUC di Varazze attribuisce rilevanza ai fini del calcolo delle distanze solo ai balconi che superano la misura di m. 1,20, circostanza che incombeva alla ricorrente comprovare e che risulta invece senza riscontri in atti, derivandone l’infondatezza del motivo
(TAR Liguria, Sez. I, sentenza 10.07.2009 n. 1736 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Negli edifici ricadenti in zone territoriali diverse dalla zona A è prescritta, in tutti i casi, una distanza minima assoluta di 10 metri tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti e tale prescrizione ha carattere di assolutezza e di inderogabilità.
L’edificio frontistante a quello del ricorrente, da ampliare in sopraelevazione, dista appena 5 metri lineari, anche se lo spazio teorico antistante la parte alta dell’edificio, in caso di sopraelevazione, sarebbe superiore ai 10 metri. Sennonché, la disciplina dell’art. 41-quinquies della legge 17.08.1942 n. 1150, integrata dalle disposizioni dell’art. 9 del D.M. n. 1444 del 1968, prevede una distanza tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti non inferiore a 10 metri, prescindendo dall’altezza della parete, ovvero dal fatto che la parete sia quella del nuovo edificio o dell’edificio preesistente (cfr.: Cons. Stato IV, 12.06.2007 n. 3094; TAR Emilia Romagna, Bologna II, 30.03.2006 n. 348; idem TAR Toscana III, 22.01.2007 n. 55).
E’ orientamento di una autorevole giurisprudenza ritenere che, negli edifici ricadenti in zone territoriali diverse dalla zona A, sia prescritta, in tutti i casi, una distanza minima assoluta di 10 metri tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti e che tale prescrizione abbia carattere di assolutezza e di inderogabilità. Pertanto, l’art. 9 del D.M. 02.04.1968 n. 1444 -prescrivente la distanza di 10 metri tra pareti finestrate di edifici antistanti- deve essere rispettato, trattandosi di norma intesa a impedire la formazione di intercapedini nocive sotto il profilo igienico-sanitario (cfr.: Cons. Stato IV, 05.12.2005 n. 6909; idem 12.07.2002 n. 3929; Cons. Giust. Amm. Sicilia, sez. giurisd., 17.05.2000 n. 240; Cass. Civile II, 10.01.2006 n. 145). Tale orientamento ermeneutico della giurisprudenza sopravvive alla riforma del Testo Unico dell’edilizia, atteso che l’art. 136 del T.U. 06.06.2001 n. 380, nell’abrogare l’art. 17, comma primo, lett. c), della legge n. 765 del 1967, lascia in vigore i commi sesto, ottavo e nono dell’art. 41-quinquies della legge n. 1150 del 1942, di talché gli strumenti urbanistici locali devono osservare la prescrizione di cui all’art. 9 del D.M. n. 1444 del 1968 (cfr.: Cass. Civile II, 29.05.2006 n. 12741).
La disciplina delle distanze legali tra costruzioni è, ovviamente, applicabile anche alle sopraelevazioni (cfr.: Cass. Civile II, 27.03.2001 n. 4413).
Se è vero che i due edifici frontistanti confinano con la pubblica via, è altresì vero che ciò può valere ad escludere il rispetto delle distanze codicistiche (artt. 873, 878 e 879 comma secondo codice civile), non già il rispetto delle distanze imposte da leggi e da regolamenti urbanistici (cfr.: Cass. Civile II, 16.04.2007 n. 9077).
E' da qualificarsi come nuova costruzione la realizzazione di un intero piano, in aumento volumetrico, con la conseguente modificazione dei parametri edilizi (cfr.: Cons. Stato V, 26.10.2006 n. 6399; TAR Bologna II, 30.03.2006 n. 348) (TAR Molise, Sez. I, sentenza 08.07.2009 n. 599 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAL'art. 9 del D.M. n. 1444/1968 (pareti finestrate tra edifici antistanti) ha natura primaria e si sostituisce ad ogni eventuale disposizione contraria contenuta nelle NTA; essa, pertanto, va rispettata in tutti casi, avendo natura cogente e suscettibile di inserzione automatica nello strumento urbanistico.
La distanza di 10 mt. va calcolata con riferimento ad ogni punto del fabbricato e per tutte le pareti finestrate.

Il punto nodale è rappresentato dalla nozione di “sopraelevazione” che, ancorché nominalmente distinta nel regolamento edilizio (art. 2) dalle nuove costruzioni, non ha avuto una sua autonoma configurazione giuridica e non può non essere ricompresa nella stessa unitaria disciplina (lex ubi voluit, dixit), rappresentando la sopraelevazione un “plus” aggiuntivo rispetto all’esistente, che, con un’elevazione dell’edificio, viene ad assumere altra consistenza (volumetria, superficie, sagoma, parametri edilizi).
Da ciò discende la violazione degli artt. 7, 8, 9 del REC, essendo stato omesso il parere obbligatorio.
L’art. 41 delle NTA del PRG viene impugnato, non in quanto tale, bensì per l’interpretazione data dal Comune nel rilasciare la concessione edilizia e, quindi, non è possibile eccepire alcuna tardività; esso, invero, consente di realizzare sopraelevazioni, nei limiti della sagoma planimetrica, in deroga alle norme sulle distanze e nel rispetto del c.c.; l’espressione è generica ed ambigua, anche perché l’art. 873 “distanze nelle costruzioni” si riferisce ai “fondi finitimi”, stabilendo il limite minimo di mt. 3.
Nella fattispecie sono in discussione gli standards di cui all’art. 9 del D.M. n. 1444/1968 (pareti finestrate tra edifici antistanti), che non sono stati considerati nella loro specificità; la norma ha, comunque, natura primaria e si sostituisce ad ogni eventuale disposizione contraria contenuta nelle NTA (C.S., IV, n. 6909/2005); essa, pertanto, va rispettata in tutti casi, avendo natura cogente e suscettibile di inserzione automatica nello strumento urbanistico (Cass. Civ., II, n. 21899/2004).
La distanza di 10 mt. va calcolata con riferimento ad ogni punto del fabbricato e per tutte le pareti finestrate (TAR Abruzzo-Pescara, sentenza 06.07.2009 n. 481 -  link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Le distanze ex d.m. 1444/1968 non si applicano tra edifici posti in zone omogenee diverse.
L’articolo 9 del DM n. 1444/1968 non si applica tra fabbricati posti l’uno in zona omogenea A, l’altro in zona omogenea B, poiché diversamente dovrebbe affermarsi, in modo illogico e contrario alla disposizione del D.M. citato, l'ultrattività delle maggiori distanze di 10 mt., anche nella zona A (TRIBUNALE di Como, Sez. distaccata di Menaggio, ordinanza 10.10.2008 - link a
www.cameramministrativacomo.it).

EDILIZIA PRIVATA: Un balcone in cemento armato della profondità di mt. 1.20 fa distanza.
Ai fini del computo delle distanze tra fabbricati (10 mt. di cui al D.M. 1444/1968), assumono rilievo tutti gli elementi costruttivi, anche accessori, qualunque ne sia la funzione, aventi i caratteri della solidità, della stabilità e della immobilizzazione, salvo che non si tratti di sporti ed oggetti di modeste dimensioni con funzione meramente decorativa e di rifinitura, tali da potersi definire di entità trascurabile rispetto all'interesse tutelato dalla norma riguardata nel suo triplice aspetto della sicurezza, della salubrità e dell'igiene.

La parte ricorrente assume che l’erigenda costruzione, per una sua parte (8 balconi ed alcune pilastrature), risulterebbe collocata ad una distanza (pari a mt. 6,35) inferiore a quella di 10 metri, prescritta dalla normativa di settore.
Tanto violerebbe l’art. 2 del locale regolamento edilizio che, conformemente alle prescrizioni di cui all’art. 9 del D.M. 02.04.1968 n. 1444 e relativamente alle distanze intercorrenti tra fabbricati, indica una distanza minima di 10 mt. tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti.
Di contro, la parte controinteressata oppone che le deduzioni attoree sarebbero inconferenti, in quanto l’incidenza degli sporti e degli aggetti suindicati dovrebbe essere valutata, ai fini del computo delle distanze, in una diversa dimensione prospettica.
Più precisamente, i balconi in questione, in quanto posti lungo le pareti est ed ovest del fabbricato, non sarebbero rilevanti, atteso che la parete dell’edificio frontista insiste sul confine nord.
A giudizio del Collegio va condivisa l’opzione ermeneutica attorea, in quanto non può essere revocata in dubbio l’appartenenza delle sporgenze in contestazione (aggetto costituente copertura del piano seminterrato e balconi) anche alla “parete nord”, della quale costituiscono un prolungamento a tutti gli effetti.
Come di recente evidenziato in giurisprudenza, anche accettando, in linea di principio, il criterio del computo in modo “lineare" e non “radiale” della distanza minima tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti, il D.M. cit. sottolinea che la distanza debba essere “assoluta” e prescritta “in tutti i casi”. Si deve pertanto convenire che debba essere calcolata con riferimento ad ogni punto dei fabbricati e non alle sole parti che si fronteggiano (cfr. Tar Toscana n. 55 del 22.01.2007; C.d.S., V, 16/02/79 n. 89)
Le strutture in questione risultano, invero, stabilmente incorporate alla suddetta parete e si pongono anche a servizio di essa come accessorio edilizio ovvero permettendo la sosta e l’affaccio: quanto a tale ultimo profilo, le dette sporgenze, per la tipica strutturazione dei balconi, che consentono un affaccio diretto su tre lati, recano in sé, anche sul versante nord, la dimensione tipica di pareti finestrate.
Trova, dunque, applicazione il principio di portata generale, secondo cui in tema di distanze fra edifici, mentre rientrano nella categoria degli sporti, non computabili ai fini delle distanze, soltanto quegli elementi con funzione meramente ornamentale, di rifinitura od accessoria, come le mensole, le lesene, i cornicioni, le canalizzazioni di gronda e simili, costituiscono corpi di fabbrica, computabili nelle distanze fra costruzioni, le sporgenze di particolari dimensioni, come i balconi, costituite da solette aggettanti anche se scoperte, di apprezzabile profondità ed ampiezza (la Corte, nel confermare la sentenza impugnata, ha qualificato come costruzione la realizzazione di un balcone della profondità di mt. 1,20 con soletta in cemento armato, rilevando come per le dimensioni, per la natura, la destinazione e l'utilizzo, detto balcone, costituendo un elemento funzionale dell'edificio, non potesse rivestire funzione ornamentale)” (Cassazione civile, sez. II, 25.03.2004, n. 5963; cfr. anche ex plurimis Cassazione civile, sez. II, 02.10.2000, n. 13001, e Cassazione civile, sez. II, 29.03.1999, n. 2986).
In altri termini, deve concludersi nel senso che, ai fini del computo delle distanze, assumono rilievo tutti gli elementi costruttivi, anche accessori, qualunque ne sia la funzione, aventi i caratteri della solidità, della stabilità e della immobilizzazione, salvo che non si tratti di sporti ed oggetti di modeste dimensioni con funzione meramente decorativa e di rifinitura, tali da potersi definire di entità trascurabile rispetto all'interesse tutelato dalla norma riguardata nel suo triplice aspetto della sicurezza, della salubrità e dell'igiene.
Vale aggiungere che il limite in questione deve essere osservato anche nel caso in cui una sola delle pareti fronteggiantisi sia finestrata, posto che detta norma è finalizzata a stabilire nell’interesse pubblico un’idonea intercapedine tra edifici, e non a salvaguardare l'interesse privato del frontista alla riservatezza (vedi tra le più recenti pronunce Cass. S.U. 18.02.1997 n. 1486; Cass. 09.03.1999 n. 1984).
Viene cioè in rilievo l’esigenza di evitare la realizzazione di spazi tra fabbricati la cui ampiezza non sia sufficiente ad assicurare quella condizione, d'aerazione, luminosità ed igiene che è considerata minima indispensabile alle esigenze di vita degli abitanti.
Tanto premesso, ed in disparte quanto finora osservato in ordine all’attitudine funzionale del balcone ad integrare di per se stesso una parete finestrata su tre prospetti, non può essere obliterato che le sporgenze in contestazione, nella parte in cui prospettano su via cittadella, risultano frontistanti rispetto ad una parete finestrata del fabbricato di proprietà attorea ( terrazzo e due finestre), come evincibile dal corredo fotografico della relazione di parte prodotta a corredo del gravame.
In altri termini, anche a voler prescindere dalla natura delle suddette sporgenze (balconi), le stesse, quali semplici elementi costitutivi e, dunque, parti integranti di una parete dell’edificio in costruzione, si trovano collocate ad una distanza non consentita: ed, invero, pur fronteggiando una parete finestrata dell’edificio di proprietà di Sasso Giovanni si trovano collocate ad una distanza (mt. 6.35) inferiore a quella minima di 10 mt. (TAR Campania-Napoli, Sez. II, sentenza 23.04.2007 n. 4215 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La distanza di 10 metri, che deve sussistere tra edifici antistanti, va calcolata con riferimento ad ogni punto dei fabbricati e non alle sole parti che si fronteggiano. Tale calcolo si riferisce a tutte le pareti finestrate e non soltanto a quella principale, prescindendo altresì dal fatto che esse siano o meno in posizione parallela, indipendentemente dalla circostanza che una sola delle pareti fronteggiantesi sia finestrata e che tale parete sia quella del nuovo edificio o dell'edificio preesistente, o della progettata sopraelevazione, ovvero ancora che si trovi alla medesima o a diversa altezza rispetto all'altra.
Ai fini della misurazione delle distanze tra edifici non si deve tenere conto delle rientranze delle pareti o altri artifici architettonici che interrompono il fronte naturale dell'edificio; gli sporti, cioè le sporgenze da non computare ai fini delle distanze perché non attinenti alle caratteristiche del corpo di fabbrica che racchiude il volume che si vuol distanziare, sono i manufatti come le mensole, le lesene, i risalti verticali delle parti con funzione decorativa, gli elementi in aggetto di ridotte dimensioni, le canalizzazioni di gronde e i loro sostegni, non invece le sporgenze, anche dei generi ora indicati, ma di particolari dimensioni, che siano quindi destinate anche ad estendere ed ampliare per l'intero fronte dell'edificio la parte utilizzabile per l'uso abitativo.

La disciplina di cui all'art. 9 del D.M. 02.04.1968 n. 1444, in tema di distanze tra costruzioni, stante la sua natura di norma primaria, è obbligatoriamente applicabile in sostituzione di eventuali disposizioni comunali illegittime (Cass. Civ., Sez. II, 10.01.2003, n. 158; 27.03.2001, n. 4713).
Giova richiamare, sia bure brevemente, i principi che la giurisprudenza, civile ed amministrativa, ha enunciato in materia:
a). l’art. 41-quinquies della legge 17.08.1942, n. 1150, (legge urbanistica), integrato dall'art. 9 del D.M. 02.04.1968, n. 1444, nella parte in cui stabilisce che la distanza dagli edifici vicini non può essere inferiore a quella di ciascun fronte dell'edificio da costruire, fa riferimento alla distanza fra fabbricati e non alla distanza di questi dal confine (cfr. Cass, Sez. II, 16.02.1996 n. 1201);
b). l'art. 9 del citato D.M. del 1968, laddove prescrive la distanza di 10 metri tra pareti finestrate di edifici antistanti, va rispettata in tutti i casi, trattandosi di norma volta ad impedire la formazione di intercapedini nocive sotto il profilo igienico-sanitario, e pertanto non è eludibile in funzione della natura giuridica dell'intercapedine (cfr. Cass., Sez. II, 26.01.2001 n. 1108; Cons. Stato, Sez. V, 19.10.1999 n. 1565); conseguentemente, le distanze fra le costruzioni sono predeterminate con carattere cogente in via generale ed astratta, in considerazione delle esigenze collettive connesse ai bisogni di igiene e di sicurezza, di guisa che al giudice non è lasciato alcun margine di discrezionalità nell'applicazione della disciplina in materia per equo contemperamento degli opposti interessi (cfr. Cass., Sez. II, 16.08.1993 n. 8725 e 07.06.1993 n. 6360);
c). la distanza di 10 metri, che deve sussistere tra edifici antistanti, va calcolata con riferimento ad ogni punto dei fabbricati e non alle sole parti che si fronteggiano (CdS, Sez. V, 16.02.1979, n. 89). Tale calcolo, infatti, si riferisce a tutte le pareti finestrate e non soltanto a quella principale, prescindendo altresì dal fatto che esse siano o meno in posizione parallela (Cass., Sez. II, 30.03.2001 n. 4715), indipendentemente dalla circostanza che una sola delle pareti fronteggiantesi sia finestrata e che tale parete sia quella del nuovo edificio o dell'edificio preesistente, o della progettata sopraelevazione, ovvero ancora che si trovi alla medesima o a diversa altezza rispetto all'altra (cfr. Cass., Sez. II, 03.08.1999 n. 8383);
d). il computo della distanza tra edifici, in base alle norme del più volte citato decreto ministeriale del 1968, nel caso in cui le pareti dei fabbricati non si estendano linearmente in altezza, ma che manifestino rientranze e sporgenze, deve operarsi distinguendo fra gli sporti dalle ridotte dimensioni, aventi scopo meramente ornamentale e decorativo, da quelli costituenti sporgenze di particolari proporzioni, destinate per i loro caratteri strutturali e funzionali ad ampliare la superficie abitativa dei vani che vi accedono, dei quali soltanto deve tenersi conto nel computo anzidetto, essendo veri e propri corpi di fabbrica che determinano un aumento dell'edificio in superficie ed incidono quindi sulla consistenza volumetrica dello stesso (cfr. Cass., Sez. II, 26.11.1996 n. 10497) nonché di altre sporgenze, quali i balconi, che vengono ad ampliare in superficie e in volume il fabbricato da cui sporgono, occupando lo spazio che deve invece rimanere libero per assicurare il prescritto distacco (cfr. Cass., Sez. II, 24.03.1993 n. 3533).
Ai fini della misurazione delle distanze tra edifici non si deve tenere conto delle rientranze delle pareti o altri artifici architettonici che interrompono il fronte naturale dell'edificio (venga interrotto) (CGA, 06.05.1998, n. 291; CdS, Sez. V, 24.11.1990, n. 791), e che gli sporti, cioè le sporgenze da non computare ai fini delle distanze perché non attinenti alle caratteristiche del corpo di fabbrica che racchiude il volume che si vuol distanziare, sono i manufatti come le mensole, le lesene, i risalti verticali delle parti con funzione decorativa, gli elementi in aggetto di ridotte dimensioni, le canalizzazioni di gronde e i loro sostegni, non invece le sporgenze, anche dei generi ora indicati, ma di particolari dimensioni, che siano quindi destinate anche ad estendere ed ampliare per l'intero fronte dell'edificio la parte utilizzabile per l'uso abitativo (CdS, Sez. V, 19.03.1996, n. 268) (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 05.12.2005 n. 6909 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

dossier S.U.A.P.

EDILIZIA PRIVATAIn materia di sportello unico attività produttive, la possibilità di impiegare la cd. “variante urbanistica semplificata”, coinvolge un’ipotesi connotata da indubbia eccezionalità, “comportando (la stessa) una consistente deroga al modello ordinario di approvazione di una variazione allo strumento urbanistico, in funzione anticipatoria e sostitutiva delle capacità previsionali delle esigenze di sviluppo del territorio, in attuazione dell’interesse pubblico di assecondare con prontezza insediamenti produttivi”.
Il D.P.R. 20.10.1998 n. 447 -recante norme di semplificazione dei procedimenti di autorizzazione per la realizzazione, l’ampliamento, la ristrutturazione e la riconversione di impianti produttivi, per l’esecuzione di opere interne ai fabbricati, nonché per la determinazione delle aree destinate agli insediamenti produttivi- adottato in base all’articolo 20, comma 8, della legge 15.03.1997, n. 59, all’articolo 5 “Progetto comportante la variazione di strumenti urbanistici”, recita:
1. Qualora il progetto presentato sia in contrasto con lo strumento urbanistico, o comunque richieda una sua variazione, il responsabile del procedimento rigetta l’istanza. Tuttavia, allorché il progetto sia conforme alle norme vigenti in materia ambientale, sanitaria e di sicurezza del lavoro ma lo strumento urbanistico non individui aree destinate all'insediamento di impianti produttivi ovvero queste siano insufficienti in relazione al progetto presentato, il responsabile del procedimento può, motivatamente, convocare una conferenza di servizi, disciplinata dall’articolo 14 della legge 07.08.1990, n. 241, come modificato dall’articolo 17 della legge 15.05.1997, n. 127, per le conseguenti decisioni, dandone contestualmente pubblico avviso. Alla conferenza può intervenire qualunque soggetto, portatore di interessi pubblici o privati, individuali o collettivi nonché i portatori di interessi diffusi costituiti in associazioni o comitati, cui possa derivare un pregiudizio dalla realizzazione del progetto dell'impianto industriale.
2. Qualora l’esito della conferenza di servizi comporti la variazione dello strumento urbanistico, la determinazione costituisce proposta di variante sulla quale, tenuto conto delle osservazioni, proposte e opposizioni formulate dagli aventi titolo ai sensi della legge 17.08.1942, n. 1150, si pronuncia definitivamente entro sessanta giorni il consiglio comunale. Non è richiesta l’approvazione della regione, le cui attribuzioni sono fatte salve dall’articolo 14, comma 3-bis della legge 07.08.1990, n. 241.
”.
Dalla riprodotta disposizione si evince:
(a) il divieto di approvare progetti in contrasto con lo strumento urbanistico;
(b) la possibilità di derogare a siffatto divieto, purché sussistano le particolari condizioni di procedibilità richiamate dalla norma;
(c) l’obbligo di motivazione nell’ipotesi di avvio del procedimento in deroga;
(d) il valore di proposta di variante allo strumento urbanistico dell’atto conclusivo della conferenza di servizi.
Alla misura, vincolativamente connotata di cui alla lettera (a) si aggiunge quindi, ove sussista la conformità del progetto alle norme vigenti in materia ambientale, sanitaria e di sicurezza del lavoro e sempre che lo strumento urbanistico non individui aree destinate all’insediamento di impianti produttivi ovvero queste siano insufficienti, la possibilità che il R.U.P., motivatamente, avvii la procedura convocando la conferenza di servizi.
Coerentemente con tali premesse pertanto, la norma richiede un’espressa motivazione per attivare il procedimento che, comunque, ha valenza del tutto derogatoria, stante il suo presupposto (non conformità allo strumento urbanistico vigente) ed il suo scopo (una procedura semplificata per ottenere una variante allo strumento).
In ultima analisi, la possibilità di impiegare la cd. “variante urbanistica semplificata”, coinvolge un’ipotesi connotata da indubbia eccezionalità, “comportando (la stessa) una consistente deroga al modello ordinario di approvazione di una variazione allo strumento urbanistico, in funzione anticipatoria e sostitutiva delle capacità previsionali delle esigenze di sviluppo del territorio, in attuazione dell’interesse pubblico di assecondare con prontezza insediamenti produttivi” (TAR Puglia Lecce, sez. I, 28.10.2005, n. 4657).
Siffatta connotazione emerge poi con certa evidenza ove si consideri che l’iter di approvazione della variante diverge in maniera significativa da quello ordinario, tant’è che la determinazione assunta in sede di conferenza, costituisce proposta di variante sulla quale appunto si determina definitivamente il Consiglio comunale (TAR Lazia-Latina, Sez. I, sentenza 07.07.2009 n. 644 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

UTILITA'

EDILIZIA PRIVATA: Lombardia, On-line il sito dedicato al rilancio dell'edilizia (piano casa).
Da oggi (22.07.2009) è on-line il sito web dedicato al rilancio dell'edilizia: www.rilancioedilizia.regione.lombardia.it.
Al suo interno è possibile trovare tutte le informazioni relative alla messa in atto della legge regionale recentemente approvata n. 13/2009 sulle "Azioni straordinarie per lo sviluppo e la qualificazione del patrimonio edilizio ed urbanistico della Lombardia" (link a www.territorio.regione.lombardia.it).

QUESITI & PARERI

URBANISTICA: Un P.L. è stato adottato nell'agosto del 2008 dalla G.C.. Nel frattempo, la L.R. 12/2005 è stata modificata sicché la competenza ad approvare i piani attuativi è stata riportata in capo ai Consigli Comunali.
Si chiede di conoscere se il piano adottato in questione possa essere approvato ancora dalla Giunta oppure debba necessariamente passare al vaglio del Consiglio Comunale (Regione Lombardia, risposta e-mail del 09.06.2009).

URBANISTICA: Per quanto tempo è valido un Piano di Lottizzazione di iniziativa privata, approvato definitivamente dal Consiglio Comunale, ma del quale non sia stata stipulata la convenzione?
Ove vi fosse una validità temporale, se vengono modificate le destinazioni d'uso dell'area da un nuovo Piano Regolatore Generale o PGT, è da considerare comunque valido il Piano di Lottizzazione approvato fino alla sua eventuale scadenza? (Regione Lombardia, risposta e-mail del 15.05.2009).

DIPARTIMENTO FUNZIONE PUBBLICA

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Legge 18.06.2009 n. 69 "Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile" - Pubblicazione dei dati sulla dirigenza e sulle assenze e presenze del personale - Prime indicazioni operative (circolare 17.07.2009 n. 3/2009 - link a www.innovazionepa.it).
Per saperne di più cliccare qui.

DOTTRINA E CONTRIBUTI

EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA: D. Meneguzzo, Le n.t.a. degli strumenti urbanistici hanno natura regolamentare e vanno impugnate insieme con l'atto applicativo? (link a http://venetoius.myblog.it).

APPALTI: G. Gioffé, Le clausole del bando di gara – vero campo minato (link a www.altalex.com).

GIURISPRUDENZA

APPALTI: Sulla competenza degli enti proprietari e non dei comuni di rimuovere i rifiuti abbandonati lungo le strade pubbliche e sull'art. 2, c. 12, del d.l. 90/2008 che prevede un'attività sostitutiva del commissario nel caso di inerzia da parte dei comuni.
L'art. 14 del d.lgs. n. 285/1992, recante nuovo codice della strada, prevede che gli enti proprietari delle strade, allo scopo di garantire la sicurezza e la fluidità della circolazione, devono provvedere alla manutenzione, gestione e pulizia delle strade, delle loro pertinenze e arredo, nonché delle attrezzature, impianti e servizi. La giurisprudenza amministrativa ha sempre interpretato, con riferimento alla fattispecie di insistenza dei rifiuti abbandonati sull'area di sedime di una strada, questa norma come speciale rispetto all'art. 198 del d.lgs. 152/2006 che, in materia di gestione di rifiuti urbani e assimilati, sancisce la competenza dei comuni per la raccolta, trasporto e avvio a smaltimento dei rifiuti urbani. Secondo la giurisprudenza, infatti la pulizia della strada, interferendo direttamente con la stessa funzionalità dell'infrastruttura e con la sicurezza della viabilità, non può non fare capo direttamente al soggetto gestore (proprietario, concessionario o comunque affidatario della gestione del bene), sul quale gravano speciali doveri di vigilanza, controllo e conservazione, doveri che rivestono carattere di oggettività e prescindono dai profili di dolo o colpa..
L'art. 14 del codice della strada, dunque, costituisce anche una norma speciale rispetto alla previsione di cui all'art. 192 del d.lgs. n. 152/2006 che, in materia di abbandono e deposito incontrollato di rifiuti sul suolo, prevede l'obbligo di provvedere all'avvio a recupero o allo smaltimento dei rifiuti ed al ripristino dello stato dei luoghi non solo in capo agli autori dell'illecito, ma anche, in solido con essi, del proprietario e del titolare di diritti reali o personali di godimento sull'area, purché tale violazione sia loro imputabile a titolo di dolo o colpa, in base agli accertamenti effettuati, in contraddittorio con i soggetti interessati, dai soggetti preposti al controllo.
L'art. 2, c. 12, del d.l. 90/2008 prevede un'attività sostitutiva del commissario nel caso di inerzia da parte dei comuni (e dunque in relazione all'ambito di competenze definito dall'art. 198 del d.lgs. 152/2006), tanto è vero che è previsto un diritto di rivalsa sulle risorse dei comuni; detta norma, però, non può essere applicata nella diversa ipotesi in cui nessuna inerzia possa essere imputata ai comuni, in quanto l'obbligo di provvedere alla pulizia delle strade, delle loro pertinenze grava sull'ente proprietario del raccordo autostradale. La previsione di un potere di rivalsa sulle risorse del comune, da parte dell'art. 2, c. 12, del d.l. 90/2008 rende palese che il potere straordinario di intervento della struttura del sottosegretariato possa essere finanziato dalle risorse comunali già destinate alla gestione dei rifiuti solo in caso di indisponibilità del servizio di raccolta e trasporto rifiuti di competenza dei comuni (TAR Lazio-Roma, Sez. I, sentenza 16.07.2009 n. 7027 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

EDILIZIA PRIVATASulla possibilità o meno di ricostruire un rudere risultando leggibili la sagoma planimetrica, definita dalle murature perimetrali, e la sagoma in elevazione.
La ricorrente richiama la nota giurisprudenza secondo cui l’intervento di ripristino di un rudere deve essere qualificato in termini di nuova costruzione (TAR Veneto, sez. II, 05.06.2008, n. 567, TAR Friuli Venezia Giulia, sez. I, 22.11.2007, n. 749).
Obietta la controinteressata che questa giurisprudenza si giustifica in base al rilievo che nel caso dei ruderi difetta la possibilità di individuare le loro originarie caratteristiche plano volumetriche, possibilità che invece sussisteva nella fattispecie, in cui era possibile, sulla base delle strutture esistenti, individuare oggettivamente i tratti essenziali del preesistente fabbricato (quali altezza, posizione delle falde del tetto, volumetria complessiva etc. …).
Il Collegio condivide le argomentazioni della ricorrente; un intervento di restauro e risanamento conservativo –come risulta dalla definizione dell’articolo 3 del D.P.R. 06.06.2001, n. 380– presuppone la preesistenza di un “organismo edilizio” cioè di una struttura fornita di copertura, tamponature esterne e strutture orizzontali interne; nella fattispecie risulta che il progetto si riferisce a un edificio diruto, cioè ai resti di strutture edilizie andate in rovina, per di più in epoca assai risalente; la stessa relazione tecnica depositata dalla controinteressata ammette che “l’edificio risulta(va) privo di quasi tutti gli orizzontamenti interni e di gran parte della copertura”, pur aggiungendo che “risultavano leggibili la sagoma planimetrica, definita dalle murature perimetrali e la sagoma in elevazione…” e che “all’interno dell’involucro restavano chiaramente leggibili sui paramenti murari i fori di innesto dei solai …” (che quindi non esistevano, come sostenuto dalla ricorrente).
Alla luce di questi dato risulta che il progetto autorizzato non costituisce un intervento di restauro e risanamento conservativo di un fabbricato preesistente ma consiste piuttosto nel ripristino (nella vera e propria ricostruzione, sia pure utilizzando i resti ancora esistenti) di un fabbricato in rovina; simile intervento costituisce effettivamente una nuova costruzione che, nella zona in contestazione, è vietata dalle disposizioni del P.R.G. (TAR Lazio-Latina, Sez. I, sentenza 15.07.2009 n. 700 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il vicino di casa ha titolo per impugnare la concessione edilizia illegittima poiché la relativa legittimazione discende dalla c.d. "vicinitas", cioè da una situazione di stabile collegamento giuridico con il terreno oggetto dell'intervento costruttivo autorizzato senza che sussista la prospettata necessità di accertare se i lavori assentiti dall’atto impugnato comportino o meno un effettivo pregiudizio per il soggetto che propone l’impugnazione.
L'art. 31, comma 9, della legge 17.08.1942, n. 1150, come novellato dalla legge 06.08.1967, n. 765, consente, come è noto, "a chiunque" di impugnare le concessioni edilizie ritenute illegittime e la giurisprudenza da sempre ha riconosciuto al proprietario (od al possessore dell'immobile od al semplice residente o domiciliatario) nella zona interessata il possesso di quello “stabile collegamento”, idoneo a radicare in tale soggetto una posizione d'interesse differenziata rispetto a quella posseduta dal quisque de populo.
Per tal via, il possesso del titolo di legittimazione alla proposizione del ricorso per l'annullamento di una concessione edilizia discende dalla c.d. "vicinitas", cioè, appunto, da una situazione di stabile collegamento giuridico con il terreno oggetto dell'intervento costruttivo autorizzato (da ultimo, Cons. Stato, sez. IV, 12.05.2009, n. 2908), senza che sussista la prospettata necessità di accertare, in concreto, se i lavori assentiti dall’atto impugnato comportino o meno un effettivo pregiudizio per il soggetto che propone l’impugnazione (conf., sul punto, Cons. Stato, sez. V, 18.09.1998, n. 1289)
(TAR Campania-Salerno, Sez. II, sentenza 13.07.2009 n. 3987 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Sulla individuazione delle caratteristiche costruttive qualificanti i cosiddetti "volumi tecnici".
Secondo il costante indirizzo giurisprudenziale, per l'identificazione della nozione di volume tecnico assumono valore tre ordini di parametri:
a) il primo, positivo, di tipo funzionale, relativo al rapporto di strumentalità necessaria tra il manufatto con l'utilizzo della costruzione;
b) il secondo ed il terzo, negativi, ricollegati da un lato all'impossibilità di soluzioni progettuali diverse, nel senso che tali costruzioni non devono poter essere ubicate all'interno della parte abitativa, e dall'altro lato ad un rapporto di necessaria proporzionalità fra tali volumi e le esigenze effettivamente presenti: ne deriva che tale nozione può essere applicata solo alle opere edilizie completamente prive di una propria autonomia funzionale, anche potenziale, ed invece esclusa rispetto a locali, in specie laddove di ingombro rilevante, tali da mutare la consistenza dell'edificio, in quanto oggettivamente incidenti in modo significativo sui luoghi esterni (cfr., ex multis, TAR Liguria Genova, sez. I, 30.01.2007, n. 101; TAR Puglia Lecce, sez. I, 22.11.2007, n. 3963; TAR Campania Salerno, sez. II, 03.08.2006, n. 1119; TAR Campania Napoli, sez. IV, 28.02.2006, n. 2451).
Deve conseguentemente ritenersi che, sia per la loro ampiezza –circa 276,45 mc., con altezza al colmo di m. 2.80– che per la loro consistenza e forma, evincibile dalla pianta e dalle foto in atti (che prospetta la realizzazione di tre grandi abbaini), i locali in esame da un lato non possono ritenersi, giusta i richiamati criteri, proporzionati alle dimensioni dell’edificio e, dall'altro lato, risultano potenzialmente abitabili, costituendo delle vere e proprie mansarde. Il che, appunto, esclude che possa parlarsi di meri volumi tecnici.
Da ciò discende che l’intervento in questione, per come progettato, non avrebbe potuto essere assentito, stante la evidenziata violazione delle prescritte distanze legali
(TAR Campania-Salerno, Sez. II, sentenza 13.07.2009 n. 3987 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Gli interventi consistenti nella installazione di tettoie o di altre strutture che siano comunque apposte a parti di preesistenti edifici come strutture accessorie di protezione o di riparo di spazi liberi, cioè non compresi entro coperture volumetriche previste in un progetto assentito, possono ritenersi sottratti al regime della concessione edilizia (oggi permesso di costruire) soltanto ove la loro conformazione e le loro ridotte dimensioni rendono evidente e riconoscibile la loro finalità di semplice decoro o arredo o di riparo e protezione (anche da agenti atmosferici) della parte dell’immobile cui accedono.
La nozione di pertinenza, in materia edilizia, è più ristretta di quella civilistica ed è riferibile ai soli manufatti di dimensioni tanto modeste e ridotte rispetto alla cosa cui ineriscono da potersi considerare sostanzialmente irrilevanti sotto il profilo edilizio.

Per giurisprudenza costante (fra le più recenti: TAR Campania Napoli, sez. II, n. 492 del 29.01.2009; TAR Campania Napoli, Sez. IV, n. 19754 del 18.11.2008; TAR Campania Napoli, sez. III, n. 10059 del 09.09.2008), gli interventi consistenti nella installazione di tettoie o di altre strutture che siano comunque apposte a parti di preesistenti edifici come strutture accessorie di protezione o di riparo di spazi liberi, cioè non compresi entro coperture volumetriche previste in un progetto assentito, possono ritenersi sottratti al regime della concessione edilizia (oggi permesso di costruire) soltanto ove la loro conformazione e le loro ridotte dimensioni rendono evidente e riconoscibile la loro finalità di semplice decoro o arredo o di riparo e protezione (anche da agenti atmosferici) della parte dell’immobile cui accedono.
Tali strutture non possono viceversa ritenersi installabili senza permesso di costruire allorquando le loro dimensioni sono di entità tale da arrecare una visibile alterazione all'edificio o alle parti dello stesso su cui vengono inserite, quando quindi per la loro consistenza dimensionale non possono più ritenersi assorbite, ovvero ricomprese in ragione della accessorietà, nell'edificio principale o nella parte dello stesso cui accedono (in termini TAR Campania Napoli, Sez. IV, n. 19754 del 18.11.2008 cit., Consiglio di Stato, Sez. V, 13.03.2001 n. 1442).
Anche di recente si è affermato che la realizzazione di una tettoia ancorata al suolo costituisce opera idonea ad alterare lo stato dei luoghi e a trasformare il territorio permanentemente e perciò richiede il rilascio di un permesso di costruire (TAR Piemonte Torino, sez. I, 16.03.2009, n. 752).
Del resto, è noto che la nozione di costruzione, ai fini del rilascio del permesso di costruire, si configura in presenza di opere che attuino una trasformazione urbanistico-edilizia del territorio, con perdurante modifica dello stato dei luoghi, a prescindere dal fatto che essa avvenga mediante realizzazione di opere murarie, essendo irrilevante che le opere siano state realizzate in metallo, in laminati di plastica, in legno o altro materiale, ove si sia in presenza di un'evidente trasformazione del tessuto urbanistico ed edilizio e le opere siano preordinate a soddisfare esigenze non precarie sotto il profilo funzionale (TAR Campania Napoli, sez. II, 26.09.2008, n. 11309; Consiglio Stato, Sez. IV, n. 2705 del 2008). In altri termini, rilevano non soltanto gli elementi strutturali (composizione dei materiali, smontabilità o meno del manufatto) ma anche i profili funzionali dell’opera (cfr. TAR Lazio, Roma, Sez. I-quater, n. 11679 del 23.11.2007).
Applicando tali principi al caso in esame si deve ritenere che la tettoia oggetto del provvedimento impugnato, realizzata dalla ricorrente in lamiere coibentate sorrette da elementi scatolari in ferro bullonati, non può ritenersi irrilevante sotto il profilo edilizio per la sua tipologia (struttura metallica non leggera) e soprattutto per la sua dimensione (86 mq.), perché suscettibile di autonoma utilizzazione e perché ha determinato una non irrilevante alterazione dello stato dei luoghi e del prospetto degli edifici interessati, con la conseguenza che per la installazione di tale struttura era necessario il permesso di costruire, con l’ulteriore conseguenza che la realizzazione delle stesse in assenza del titolo dovuto ne ha determinato l’abusività e quindi l’irrogazione della prevista sanzione ripristinatoria (art. 31 del DPR n. 380 del 2001).
Del resto l’ordine di demolizione di opere abusive è un atto dovuto in presenza di opere realizzate senza alcun titolo abilitativo e quindi abusivamente (giurisprudenza costante anche di questa Sezione, cfr. anche, fra le tante, Consiglio di Stato, sez. VI n. 4743 del 28.06.2004) e non necessita di particolare motivazione sull’interesse pubblico o sulla eventuale sanabilità delle opere.
Nel richiamare quanto già in precedenza affermato, si deve aggiungere, in relazione alla natura delle opere realizzate, che risulta irrilevante (ai fini della legittimità edilizia) la destinazione pertinenziale della tettoia e l’utilizzo a parcheggio dell’area interessata.
Per principio pacifico infatti la nozione di pertinenza, in materia edilizia, è più ristretta di quella civilistica ed è riferibile ai soli manufatti di dimensioni tanto modeste e ridotte rispetto alla cosa cui ineriscono da potersi considerare sostanzialmente irrilevanti sotto il profilo edilizio.
Non può, invece, attribuirsi carattere pertinenziale ai fini edilizi ad opere di rilevante consistenza anche se destinate al servizio od ornamento del bene principale (fra le più recenti, TAR Lombardia Milano, sez. II, 17.06.2008, n. 2045)
(TAR Campania-Napli, Sez. II, sentenza 13.07.2009 n. 3870 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: L’ordine di demolizione di opere abusive non deve essere normalmente preceduto dalla comunicazione di avvio del procedimento, ai sensi dell’articolo 7 della legge n. 241 del 1990, in considerazione della natura vincolata del potere di repressione degli abusi edilizi.
Per giurisprudenza costante (TAR Campania Napoli, sez. IV, n. 9710 del 01.08.2008), l’ordine di demolizione di opere abusive (perché realizzate in assenza del necessario titolo abilitativo) non deve essere normalmente preceduto dalla comunicazione di avvio del procedimento, ai sensi dell’articolo 7 della legge n. 241 del 1990, in considerazione della natura vincolata del potere di repressione degli abusi edilizi (TAR Campania-Napli, Sez. II, sentenza 13.07.2009 n. 3870 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: E' illegittimo il motivato provvedimento di divieto all'esecuzione delle opere notificato oltre i 60 gg. dalla data di presentazione della D.I.A. (ex art. 9 del d.l. n. 154/1996 in relazione all’art. 19 della legge n. 241/1990).
Oggi, come è noto, in relazione alla materia dell’edilizia, vige una disciplina in qualche modo speciale o comunque diversificata, introdotta dagli art. 22 e 23 del T.U. sull’edilizia (approvato con DPR 06.06.2001 n. 380); ma ciò è affatto ininfluente ai fini della risoluzione della controversia che ne occupa, poiché alla stessa si applica quella antecedente, all’epoca dei fatti racchiusa nell’art. 9 del d.l. 25.03.1996 n. 154, che richiamava, a tal fine, l’art. 19 della legge n. 241/1990 (ovviamente, nel testo allora vigente, allora modificato dall’art. 2, comma 10, della legge 23.12.1993 n. 537).
Ora, il dettato testuale della norma appena citata è il seguente: <<10. L'art. 19 della legge 07.08.1990, n. 241, è sostituito dal seguente:
"Art. 19. - 1. In tutti i casi in cui l'esercizio di un'attività privata sia subordinato ad autorizzazione, licenza, abilitazione, nulla-osta, permesso o altro atto di consenso comunque denominato, ad esclusione delle concessioni edilizie e delle autorizzazioni rilasciate ai sensi delle leggi 01.06.1939, n. 1089, 29.06.1939, n. 1497, e del decreto-legge 27.06.1985, n. 312, convertito, con modificazioni, dalla legge 08.08.1985, n. 431, il cui rilascio dipenda esclusivamente dall'accertamento dei presupposti e dei requisiti di legge, senza l'esperimento di prove a ciò destinate che comportino valutazioni tecniche discrezionali, e non sia previsto alcun limite o contingente complessivo per il rilascio degli atti stessi, l'atto di consenso si intende sostituito da una denuncia di inizio di attività da parte dell'interessato alla pubblica amministrazione competente, attestante l'esistenza dei presupposti e dei requisiti di legge, eventualmente accompagnata dall'autocertificazione dell'esperimento di prove a ciò destinate, ove previste. In tali casi, spetta all'amministrazione competente, entro e non oltre 60 giorni dalla denuncia, verificare d'ufficio la sussistenza dei presupposti e dei requisiti di legge richiesti e disporre, se del caso, con provvedimento motivato da notificare all'interessato entro il medesimo termine, il divieto di prosecuzione dell'attività e la rimozione dei suoi effetti, salvo che, ove ciò sia possibile, l'interessato provveda a conformare alla normativa vigente detta attività ed i suoi effetti entro il termine prefissatogli dall'amministrazione stessa">>.

Orbene, come appare evidente dalla semplice lettura della norma, nel caso di specie la violazione della stessa si manifesta per tabulas. Infatti, il divieto impugnato è stato emesso ben oltre il termine di 60 giorni, vale a dire allorquando l’amministrazione aveva consumato il potere conferitole dalla legge, né essa aveva assegnato all’interessato un termine per la regolarizzazione della situazione (nel caso che l’avesse ritenuta possibile) (TAR Veneto, Sez. II, sentenza 09.07.2009 n. 2137 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Responsabilità del committente.
La circostanza che il proprietario dell'area ove è realizzato un abuso risieda all’estero non è ostativa della commissione del reato di cui egli risponde quale committente e non quale materiale esecutore e la sua veste di proprietario del fondo rustico, risultante dalla visura catastale, pur non avendo valore di piena prova a fini fiscali, è elemento gravemente indiziante a fini penali ove si consideri che, per accessione, il soggetto che si assume estraneo, diventa comunque proprietario anche del manufatto abusivamente realizzato (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 08.07.2009 n. 27962 - link a www.lexambiente.it).

URBANISTICA: La zonizzazione è ammessa anche con i PGT.
Il fatto che la legge regionale lombarda n. 12 del 2005 non preveda più espressamente la ripartizione del territorio in zone omogenee non esclude affatto la possibilità che il PGT (Piano di Governo del Territorio) preveda aree contigue aventi diversa destinazione funzionale, né rende illegittima la zonizzazione del territorio (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 06.07.2009 n. 4305 - link a
www.cameramministrativacomo.it).

APPALTI: Nelle situazioni di estrema ed evidente emergenza, sono legittimi gli svolgimenti di gara in assenza di pubblicazione del bando per l'appalto. E non è nemmeno necessario motivare l'assenza dell'indizione di bando.
Può essere derogato, dunque, il d.lgs. 163/2006 (articolo 57, comma 1). Che, ai fini dello svolgimento di una pubblica procedura di selezione senza previa indizione di bando nelle ipotesi consentite, richiede l’esplicitazione del relativo apparato motivazionale ovvero, l’indicazione delle ragioni che hanno indotto la procedente autorità a valersi di tale facoltà.

L’art. 57 del D.Lgs. 12.04.2006 n. 163 stabilisce (comma 1) che le stazioni appaltanti possono aggiudicare contratti pubblici mediante procedura negoziata senza previa pubblicazione di un bando di gara in talune ipotesi, dandone conto con adeguata motivazione nella delibera o determina a contrarre; ricomprendendo nel novero delle relative fattispecie (comma 2, lett. c) la ricorribilità all’anzidetta procedura “nella misura strettamente necessaria, quando l'estrema urgenza, risultante da eventi imprevedibili per le stazioni appaltanti, non è compatibile con i termini imposti dalle procedure aperte, ristrette, o negoziate previa pubblicazione di un bando di gara” (a tale riguardo precisandosi come la disposizione in rassegna soggiunga che “le circostanze invocate a giustificazione della estrema urgenza non devono essere imputabili alle stazioni appaltanti”).
Ora, se è ben vero che lo svolgimento di una pubblica procedura di selezione senza previa indizione di bando postula, per espressa contemplazione normativa, l’esplicitazione del relativo apparato motivazionale (ovvero, l’indicazione delle ragioni che hanno indotto la procedente Autorità a valersi di tale facoltà), va dato atto che nella fattispecie in esame la presenza di siffatte ragioni è in re ipsa, atteso che la connotazione (come sopra esposto) emergenziale della situazione da fronteggiare relativamente alle attività di raccolta/stoccaggio/smaltimento rifiuti nella Regione Campania è eloquentemente (quanto inequivocabilmente) comprovata dal succedersi di disposizioni urgenti veicolate dallo strumento dell’ordinanza presidenziale e, ulteriormente, dal ricorso alla decretazione d’urgenza, alla luce di quanto sopra indicato.
Se, conseguentemente, l’obbligo motivazionale che si assume non esternato rivela carattere immanente (anche relativamente alla procedura de qua) con riferimento al complesso di attività strumentalmente preordinate alla definizione della situazione emergenziale sopra indicata, va ulteriormente osservato come lo stesso decreto-legge 90/2008 abbia espressamente indicato (art. 18) fra le disposizioni del Codice degli appalti suscettibili di deroga (quantunque limitando tale collocazione parentetica del vigente quadro normativo al perseguimento delle finalità di cui al presente decreto e fermo restando il rispetto dei principi dell'ordinamento comunitario e dei principi fondamentali in materia di tutela della salute, della sicurezza sul lavoro, dell'ambiente e del patrimonio culturale) proprio l’art. 57 in rassegna; e, ulteriormente, il precedente art. 54, il cui comma 4 prevede che “nei casi e alle condizioni specifiche espressamente previste, le stazioni appaltanti possono aggiudicare i contratti pubblici mediante una procedura negoziata, con o senza pubblicazione del bando di gara
(TAR Lazio-Roma, Sez. I, sentenza 01.07.2009 n. 6346 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Devono svolgersi in seduta pubblica gli adempimenti concernenti la verifica dell'integrità dei plichi contenenti l'offerta, sia che si tratti di documentazione amministrativa che di documentazione riguardante l'offerta tecnica ovvero l'offerta economica: dimostrandosi, conseguentemente, illegittima l'apertura in segreto dei plichi.
Rappresenta principio inderogabile in qualunque tipo di gara quello secondo cui devono svolgersi in seduta pubblica gli adempimenti concernenti la verifica dell'integrità dei plichi contenenti l'offerta, sia che si tratti di documentazione amministrativa che di documentazione riguardante l'offerta tecnica ovvero l'offerta economica: dimostrandosi, conseguentemente, illegittima l'apertura in segreto dei plichi (cfr. Cons. Stato: sez. VI, 22.04.2008 n. 1856; sez. IV, 08.10.2007, n. 5217; sez. VI, 22.03.2007, n. 1369; sez. V, 27.04.2006, n. 2370, 11.01.2006, n. 28 e 30.08.2005, n. 3966; sez. VI, 09.06.2005, n. 3030; sez. V, 16.03.2005, n. 1077, 11.02.2005, n. 388, 18.03.2004, n. 1427 e 09.10.2002, n. 5421).
Il citato principio di pubblicità delle gare pubbliche impone che il materiale documentario trovi correttamente ingresso con le garanzie della seduta pubblica (Cons. Stato, sez. VI, 18.12.2006, n. 7578), anche in applicazione del più generale principio di imparzialità dell'azione amministrativa, che ha ricevuto esplicito riconoscimento sin dall'art. 89 del R.D. 23.05.1924 n. 827, rappresentando uno strumento di garanzia a tutela dei singoli partecipanti, affinché sia assicurato a tutti i concorrenti di assistere direttamente alla verifica dell'integrità dei documenti e all'identificazione del loro contenuto (Cons. Stato, sez. IV, 11.10.2007, n. 5354).
Se, ai fini dell’applicazione del principio di pubblicità delle sedute occorre distinguere tra procedure di aggiudicazione automatica e procedure che richiedano una valutazione tecnico-discrezionale per la scelta dell'offerta più vantaggiosa (per le prime di esse la pubblicità delle sedute essendo generalmente totale al fine di consentire il controllo delle varie fasi di svolgimento della gara da parte dei concorrenti; mentre per le seconde la valutazione tecnico-qualititativa dell'offerta va effettuata in seduta riservata al fine di evitare influenze esterne sui giudizi dei membri della commissione giudicatrice: cfr. Cons. Stato, sez. V, 11.05.2007, n. 2355, 19.04.2007, n. 1790, 10.01.2007, n. 45 e 07.11.2006, n. 6529; Cons. Stato, sez. VI, 11.04.2006, n. 2012; Cons. Stato, sez. V, 20.03.2006, n. 1445, 16.06.2005, n. 3166 e 18.03.2004, n. 1427; Cons. Stato, sez. IV, 06.10.2003, n. 5823; Cons. Stato, sez. V, 09.10.2002, n. 5421; Cons. Stato, sez. VI, 14.02.2002, n. 846; Cons. Stato, sez. V, 14.04.2000, n. 2235), va rilevato, in generale, come la ratio ispirativa del principio di pubblicità delle sedute di gara –comune ai vari metodi di aggiudicazione– sia preordinata ad un’esigenza di garanzia della trasparenza e dell’imparzialità che devono orientare lo svolgimento dell’attività amministrativa in materia.
D’altro canto, i principi di pubblicità e di trasparenza dell'azione amministrativa costituiscono principi cardine del diritto comunitario degli appalti (Cons. Stato, sez. V, 16.06.2005, n. 3166) e il principio della pubblicità delle sedute di gara per la scelta del contraente è conforme alla normativa comunitaria in materia, la quale è orientata a privilegiare i principi di concorrenza, pubblicità e trasparenza nella scelta del contraente delle pubbliche amministrazioni (Cons. Stato, sez. V, 18.03.2004, n. 1427), come anche dei soggetti alla stessa equiparati
(TAR Lazio-Roma, Sez. I, sentenza 01.07.2009 n. 6346 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: La derogabilità della regola generale della pubblicità della gara, segnatamente con riguardo al momento dell'apertura delle buste, può trovare applicazione relativamente alla procedura negoziata, la quale conserva margini di snellezza e di elasticità che giustificano la sottrazione a regole formali operanti con riferimento alle gare sottoposte ad un più intenso tasso di pubblicità e di formalismo.
Sul versante comunitario, “il principio generale della trasparenza delle amministrazioni è certamente enunciato con enfasi, ma, nella sua ampiezza e generalità, … indica una regola che attiene, nel complesso, alla esigenza di definire preventivamente le modalità di valutazione delle offerte e di garantire, ex post, la leggibilità delle decisioni assunte dalla stazione appaltante”: con ciò escludendosi l’esistenza di alcuna regola espressa (e, vieppiù, di pronunzie della Corte di Giustizia) che affermi l'obbligo incondizionato delle stazioni appaltanti di assicurare sempre (anche nelle ipotesi di procedure con il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa) la pubblicità della fase di apertura dell'offerta economica.
E, d’altro canto, se i generali principi di trasparenza e partecipazione dell'attività amministrativa, stabiliti dalla legge 241/1990 (e, in alcuni casi, da particolari leggi di settore, a partire dai lavori pubblici), non si accompagnano alla previsione di regole che impongano, in modo costante e inderogabile, la verificabilità immediata delle operazioni compiute dall'Amministrazione, va poi tenuto conto che:
- nel sistema dell'offerta economicamente più vantaggiosa, la segretezza di alcune fasi è imposta dalla stessa necessità di permettere la maggiore serenità di giudizio della commissione di gara;
- e che, comunque, il valore della trasparenza amministrativa, lungi dall’assumere carattere dogmatico, deve essere opportunamente coordinato con l'esigenza di evitare inopportuni aggravamenti del procedimento, che lo stesso art. 1 della legge n. 241/1990 vieta.
Le considerazioni sopra riportate meritano, ad avviso del Collegio, piena condivisione; dovendosi soggiungere a quanto precedentemente esposto che anche la VI Sezione del Consiglio di Stato (sentenza 22.04.2008 n. 1856) ha avuto modo di affermare (ribadendo quanto dalla stessa Sezione già sostenuto con le decisioni 09.06.2005, n. 3030 e 04.11.2002, n. 6004) che la derogabilità della “regola generale della pubblicità della gara, segnatamente con riguardo al momento dell'apertura delle buste” può trovare applicazione relativamente alla procedura negoziata, la quale “conserva margini di snellezza e di elasticità che giustificano la sottrazione a regole formali operanti con riferimento alle gare sottoposte ad un più intenso tasso di pubblicità e di formalismo
(TAR Lazio-Roma, Sez. I, sentenza 01.07.2009 n. 6346 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Domanda di rilascio di titoli edilizi in sanatoria: l'esistenza di un vincolo paesaggistico esclude la possibilità di formazione del silenzio assenso.
Indubbiamente la normativa contenuta negli artt. 167 e 181 del D. Lgs. 22.01.2004, n. 42, nel testo oggi vigente, consente di sanare delle opere abusive come quelle ora all’esame (ndr: realizzazione muro di recinzione non previsto in progetto e, per ampliare il piazzale di accesso ai garage, realizzazione muro di contenimento a distanza di m. 7,70 dal fabbricato, in luogo della distanza di m. 5, prevista in progetto) realizzate in zone sottoposte a vincolo paesaggistico qualora l’Autorità amministrativa competente ne accerti la compatibilità paesaggistica. Tale sanatoria può, infatti, operare per le opere, come i muri in contestazione, “per i lavori che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati”.
Ciò posto, deve ulteriormente aggiungersi che tale normativa dispone, in particolare, che l’interessato presenti apposita domanda all’Autorità preposta alla gestione del vincolo ai fini dell'accertamento della compatibilità paesaggistica degli interventi medesimi e che tale Autorità competente si pronunci entro il termine perentorio di 180 giorni, previo parere vincolante della Soprintendenza da rendersi entro il termine perentorio di 90 giorni.
Ciò premesso va, innanzi tutto, precisato che -secondo quanto già chiarito dalla giurisprudenza amministrativa e così come oggi normativamente previsto dagli artt. 17 e 20 della L. 07.08.1990, n. 241- l’esistenza di un vincolo paesaggistico esclude di certo la possibilità di formazione del silenzio assenso sulle domande di rilascio di titoli edilizi in sanatoria (Cons. St., sez. IV, 31.03.2009, n. 2024); e basta in merito ricordare quanto questa stessa Sezione ha già avuto modo di chiarire con la sentenza 03.06.2008, n. 539, con la quale si è, tra l’altro, precisato che le modifiche introdotte dalla L. 11.02.2005, n. 11, agli artt. 16, 17 e 20 della L. 07.08.1990, n. 241, hanno oggi ridisciplinato l’intero sistema del silenzio, assegnando il valore generalizzato di silenzio assenso al comportamento inerte dell'Amministrazione, con l’eccezione però dei settori -quali quello ambientale- nei quali, invece, è stato escluso "ratione materiae" l'accoglimento tacito della domanda.
La circostanza, quindi, che i vari pareri della Soprintendenza siano intervenuti dopo la scadenza del predetto termine di 90 giorni, non sembra idonea ad inficiare la legittimità di tali atti, né a far ritenere che si sia formato il silenzio assenso sulle domande di rilascio di titoli edilizi in sanatoria (TAR Abruzzo-Pescara, Sez. I, sentenza 20.06.2009 n. 448 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Le valutazioni di compatibilità ambientale concretano un apprezzamento ampiamente tecnico-discrezionale, rispetto alle quali il giudice non può sostituire la propria valutazione tecnica alla valutazione tecnica dell'Amministrazione, dovendo il sindacato del Giudice sugli apprezzamenti tecnici esercitarsi esclusivamente in relazione a macroscopiche illegittimità ed incongruenze manifeste.
Secondo quanto costantemente precisato dalla giurisprudenza, le valutazioni di compatibilità ambientale concretano un apprezzamento ampiamente tecnico-discrezionale, rispetto alle quali il giudice non può sostituire la propria valutazione tecnica alla valutazione tecnica dell'Amministrazione, dovendo il sindacato del Giudice sugli apprezzamenti tecnici esercitarsi esclusivamente in relazione a macroscopiche illegittimità ed incongruenze manifeste; difatti le valutazioni tecniche spettanti alle Amministrazioni preposte alla tutela ambientale e paesaggistico-territoriale non sono surrogabili in base al predetto art. 17 della L. n. 241 del 1990.
In definitiva, cioè, gli atti ed i pareri come quelli ora all’esame (ndr: compatibilità ambientale) sono soggetti al sindacato del giudice amministrativo soltanto ove l’esercizio del potere discrezionale sia affetto “ictu oculi” dal vizio di eccesso di potere nelle figure sintomatiche dell'inadeguatezza del procedimento, della illogicità, della contraddittorietà, dell'ingiustizia manifesta, dell'arbitrarietà, ovvero dell'irragionevolezza della scelta adottata.
Gli atti di esercizio di discrezionalità tecnica -come costantemente precisato dalla giurisprudenza amministrativa (cfr. in tale senso e da ultimo, Cons. St., sez. IV, 12.05.2009, n. 2942, e sez. IV, 31.03.2009, nn. 1901 e 1889)- soggiacciono, infatti, al sindacato giurisdizionale solo nei limiti in cui siano in essi ravvisabili elementi sintomatici della sussistenza dei vizi di legittimità formale e sostanziale (incompetenza, violazione di legge, eccesso di potere) che della discrezionalità costituiscono appunto il limite; di conseguenza, nella materia “de qua” la cognizione del giudice amministrativo deve intendersi limitata ad una generale verifica della logicità e razionalità dei criteri seguiti, nel contesto di una valutazione caratterizzata da una elevata discrezionalità (TAR Abruzzo-Pescara, Sez. I, sentenza 20.06.2009 n. 448 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZI: 1. L'art. 13 d.l. n. 223 del 2006 (c.d.d. Bersani) nell'escludere dalle attività strumentali affidate i servizi pubblici locali, non ha fatto alcuna distinzione tra concessioni e appalti.
2. Non è oggetto di valutazione da parte della commissione giudicatrice di una gara la prova circa la sussistenza del requisito soggettivo di partecipazione della capacità di una società mista ad assumere l'impegno extra moenia senza pregiudizio della collettività di riferimento.

1. L'art. 13 d.l. n. 223 del 2006 vieta l'attività extra moenia alle società costituite o partecipate dalle amministrazione pubbliche regionali o locali "per la produzione di beni e servizi strumentali all'attività di tali enti in funzione della loro attività, con esclusione dei servizi pubblici locali".
La suddetta norma, nell'escludere dalle attività strumentali affidate i servizi pubblici locali, non ha operato alcuna distinzione tra concessioni e appalti, una distinzione che, del resto, sotto il profilo della soggezione ai principi del Trattato UE in materia di libera concorrenza, ha perduto concreta rilevanza (v. d.lgs. n. 163 del 2006, art. 30). Nell'appalto come nella concessione, se l'affidatario è una società a capitale pubblico o misto, tanto il concessionario quanto l'appaltatore verrebbero a fruire di quella posizione di vantaggio che viene ricondotta alla utilizzazione di risorse della collettività locale, di cui non fruisce il concorrente a capitale interamente privato.
2. La prova circa la sussistenza del requisito soggettivo di partecipazione della capacità di una società mista ad assumere l'impegno extra moenia senza pregiudizio della collettività di riferimento, non è oggetto di prodromica valutazione da parte dei preposti alla gara. La commissione giudicatrice di una pubblica gara, infatti, deve curare l'interesse, di cui è portatore l'ente che bandisce la gara, a che le concorrenti propongano di svolgere il servizio da appaltare secondo offerte che ne garantiscano una perfetta esecuzione.
Ciò comporta che, la attribuzione di un qualche rilievo seppure "residuale", al profilo del rischio che la partecipazione alla gara di una società mista determini una inaccettabile sottrazione di risorse alla collettività di riferimento, si rivela non funzionale ai (e coerente con) i compiti tipici della commissione di gara, che attengono alla cura dell'interesse dell'ente affidante, dai quali certamente esula l'apprezzamento degli eventuali riflessi negativi che l'assunzione del nuovo servizio da parte della società mista determinerebbe per la collettività di riferimento.
In altri termini, appare arduo rinvenire un qualche valido titolo giuridico che, in assenza di una previsione di legge generale o di lex specialis, abiliti l'ente affidante, e per esso la commissione di gara, ad esprimere una qualche valutazione sul rapporto, cui è estraneo, tra l'ente (o gli enti) costituenti o partecipanti e la società mista, e sulla capacità di questa di rispettare gli impegni assunti con l'area di riferimento. Né potrebbe ritenersi legittima, e conforme al principio del buon andamento, ossia agli interessi della comunità di cui l'ente affidante è esponente, una determinazione di inammissibilità di una offerta avanzata da società mista che, alla stregua del bando e del capitolato, risulti conveniente, plausibile e non anomala, e la cui esclusione sia giustificata con la sottrazione di risorse in danno degli enti che hanno proposto l'offerta, i quali, a loro volta, nell'interesse delle comunità di riferimento, hanno ritenuto utile partecipare alla gara (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 12.06.2009 n. 3767 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

EDILIZIA PRIVATA: Competenza ad adottare atti in materia edilizia.
La competenza ad adottare atti in materia edilizia, ai sensi degli art. 107 e 109 del D.Lgs. 18.08.2000, n. 267, è del dirigente comunale -ovvero nei comuni sprovvisti di detta qualifica, dei responsabili degli uffici e dei servizi- al quale spetta di risolvere le questioni interpretative attinenti al rispetto delle norme urbanistiche ed alla realizzabilità di un intervento edilizio da parte di un privato in un’area destinata a servizi (salve le valutazioni relative alla compatibilità di cui alla legge regionale n. 8 del 2004 per gli interventi di carattere socio-sanitario ecc…) e non del Sindaco, trattandosi di un tipico potere gestionale, né tanto meno del Presidente del Consiglio comunale al quale, a mente dell’art. 39 del d.lgs. 267/2000, è attribuito il solo compito di riunire il Consiglio comunale, ”in un termine non superiore ai venti giorni, quando lo richiedano un quinto dei consiglieri, o il sindaco o il presidente della provincia, inserendo all'ordine del giorno le questioni richieste”, assicurando ”una adeguata e preventiva informazione ai gruppi consiliari ed ai singoli consiglieri sulle questioni sottoposte al consiglio” (TAR Puglia-Lecce, sentenza 05.06.2009 n. 1445 - link a www.lexambiente.it).

LAVORI PUBBLICI: Amianto (contratti pubblici).
L'iscrizione all'Albo nazionale gestori ambientali è regolata dall’articolo 212 del decreto legislativo 03.04.2006 n. 152. Per la specifica categoria 10, la disciplina contiene una serie di particolarità quanto alle garanzie economiche e di professionalità, giustificate dalla pericolosità di tale tipo di attività.
È infatti imposto (v. deliberazione 30.03.2004 n. 1 del Comitato nazionale dell’Albo) alle imprese il possesso (ovvero la “piena ed esclusiva disponibilità”) delle attrezzature minime, specificamente individuate nella tipologia e nel loro valore, e la presenza di responsabili tecnici con precisi requisiti professionali.
A norma del terzo comma dell’articolo 59-quaterdecies (“Formazione dei lavoratori”) del decreto legislativo 19.09.1994 n. 626, introdotto dall’articolo 2 del decreto legislativo 25.07.2006 n. 257 (“Attuazione della direttiva 2003/18/CE relativa alla protezione dei lavoratori dai rischi derivanti dall'esposizione all'amianto durante il lavoro"); inoltre, “Possono essere addetti alla rimozione e smaltimento dell'amianto e alla bonifica delle aree interessate i lavoratori che abbiano frequentato i corsi di formazione professionale di cui all'articolo 10, comma 2, lettera h), della legge 27.03.1992, n. 257”.
Per quanto riguarda la disciplina dei contratti pubblici, d’altro canto, bisogna ricordare che mentre la qualificazione SOA è normalmente oggetto di avvalimento, come risulta dagli articoli 49 e 50 del decreto legislativo 12.04.2006 n. 163, altrettanto non può dirsi (nonostante la giurisprudenza parli senza troppi distinguo del carattere generale del meccanismo dell’avvalimento) per gli altri "sistemi legali vigenti di attestazione o di qualificazione nei servizi e forniture" per i quali le disposizioni dell'articolo 50 “si applicano, in quanto compatibili” (TAR Puglia-Bari, Sez. I, sentenza 03.06.2009 n. 1379 - link a www.lexambiente.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: INQUINAMENTO ACUSTICO - Rilevamento dei rumori - Diritto alla partecipazione da parte del responsabile delle emissioni - Insussistenza.
Non v’è disposizione che riconosca, a colui che viene ritenuto responsabile del superamento del livello di determinati rumori, il diritto a partecipare all’atto istruttorio con il quale l’ARPA procede al rilevamento dei rumori stessi. Ciò anche al fine di evitare comportamenti artificiosi da parte dell’interessato (TAR Puglia-Lecce, Sez. I, sentenza 07.05.2009 n. 1003 - link a www.
ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: INQUINAMENTO ACUSTICO - Art. 8, c. 4 L. n. 447/1995 - Domande per il rilascio di concessioni edilizie - Documentazione di previsione di impatto acustico - Inosservanza - Mancata previsione di sanzioni - Rilievo in sede di utilizzazione degli immobili.
Il comma 4 dell’art. 8 della L. 447/1995, pur prescrivendo che le domande per il rilascio di concessioni edilizie relative a nuovi impianti od infrastrutture adibiti ad attività produttive siano corredate da una documentazione di previsione di impatto acustico, non contempla alcuna sanzione in caso di inosservanza della suddetta prescrizione.
Peraltro, la non perentorietà di tale disposizione risulta evidente laddove si confronti la stessa con i commi precedenti, i quali prescrivono tassativamente l’obbligo della valutazione dell’impatto acustico per particolari tipi di opere, e con il sesto comma, che contempla l’indicazione delle misure previste per ridurre o eliminare le emissioni sonore causate dall'attività o dagli impianti solo quando si preveda la produzione di valori di emissione superiori a quelli determinati ai sensi dell'articolo 3, comma 1, lettera a).
A ciò aggiungasi che, in sede di contestazione di un permesso di costruire rilasciata a terzi confinanti, ruolo prevalente assume il profilo urbanistico-edilizio dell’intervento, mentre le questioni riguardanti l’impatto acustico, per le opere non espressamente contemplate nel citato art. 8 della L. 447/1995, assumono rilievo in sede di utilizzazione degli immobili. Difatti, la tutela dell'interesse della ricorrente al rispetto delle norme in materia di inquinamento acustico potrà compiutamente realizzarsi non già in sede di presentazione della richiesta di permesso di costruire od al momento del suo semplice rilascio, quanto, piuttosto, all’atto della richiesta di autorizzazione allo svolgimento della specifica attività, ove si preveda la produzione di valori di emissione superiori a quelli determinati ai sensi dell'articolo 3, comma 1, lettera a), della legge n. 447 del 1985, ovvero nel corso dell’esercizio dell’attività produttiva, ove potranno trovare applicazione specifiche norme sanzionatorie (TAR Puglia-Lecce, Sez. III, sentenza 07.05.2009 n. 975 - link a www.
ambientediritto.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Provvedimento amministrativo - Mancata indicazione del termine e dell’autorità presso la quale è possibile proporre ricorso - Riconoscimento del beneficio dell’errore scusabile - Presupposti.
La circostanza che il provvedimento non rechi la indicazione del termine e della autorità alla quale è possibile proporre ricorso costituisce una mera irregolarità dell’atto impugnato la quale non è revocabile in dubbio possa costituire presupposto per la concessione del beneficio dell’errore scusabile in sede processuale.
Tuttavia, a tale scopo, non è sufficiente la buona fede dell’interessato od altri elementi di rilievo soggettivo, occorrendo invece una situazione di obiettiva incertezza (da cui possono conseguire difficoltà nell’esercizio del diritto di difesa e quindi una diminuzione di tutela), dovuta alla novità della questione, alla difficoltà dell’interpretazione delle norme, alle oscillazioni della giurisprudenza, a comportamenti fuorvianti dell’Amministrazione, e, quindi, a cause comunque non imputabili alla parte che invoca il beneficio ma tali da indurre l’interessato stesso in errore (cfr. anche Cons. Stato, V, 21.09.2005, n. 4934), con apprezzabile incertezza sugli strumenti di tutela utilizzabili da parte del destinatario dell’atto (cfr., per tutte, CGA 08.10.2003, n. 327).
In caso contrario, tale inadempimento si risolverebbe in una assoluzione indiscriminata dal termine di decadenza (Cons. Stato, IV, 12.03.2009, n. 1460, IV, 19.02.2007, n. 872 e IV, 20.12.2005, n. 7219) (TAR Sicilia-Palermo, Sez. III, sentenza 05.05.2009 n. 857 - link a www.
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AMBIENTE-ECOLOGIA: INQUINAMENTO ATMOSFERICO - Emissioni - Modifica sostanziale dell’impianto - Procedimento autorizzatorio - Art. 269, c. 8, d.lgs. n. 152/2006.
L'art. 269, comma 8, del d.lgs. 152/2006 impone al gestore che intenda sottoporre un impianto a modifica sostanziale di presentare una domanda di aggiornamento dell'autorizzazione e richiama, per il procedimento autorizzatorio della modifica, le stesse disposizioni contenute nel medesimo articolo in relazione alla disciplina afferente il rilascio della originaria autorizzazione.
Per modifica sostanziale la stessa disposizione intende quella modifica che comporti un aumento o una variazione qualitativa delle emissioni o che altera le condizioni di convogliabilità tecnica delle stesse (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 29.04.2009 n. 2746 - link a www.
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EDILIZIA PRIVATA: Oneri di urbanizzazione - Quantificazione - Richieste di integrazione successive al rilascio della concessione edilizia - Illegittimità.
La regola fondamentale in materia di quantificazione degli oneri di urbanizzazione è che la scelta tecnico discrezionale dell’Amministrazione deve precedere e non seguire il rilascio della concessione edilizia, in quanto gli effetti e gli oneri derivanti dalla stessa devono essere ben noti al richiedente, il quale, tenuto conto dell’esborso economico da affrontare, potrebbe anche rinunziare al programma costruttivo ipotizzato.
Ne deriva la illegittimità di richieste di integrazione successive al rilascio della concessione edilizia, che esporrebbero il privato a conseguenze idonee ad incidere pesantemente sulla sua sfera economica, nella considerazione, fra l’altro, della necessità di garantire la correttezza del rapporto intercorrente tra la Pubblica Amministrazione ed il privato, soprattutto allorquando la tempestiva conoscenza degli oneri discrezionalmente imposti possa indirizzare in un senso, piuttosto che in un altro, le scelte dell’operatore economico (TAR Sicilia-Palermo, Sez. I, sentenza 29.04.2009 n. 774 - link a www.
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EDILIZIA PRIVATA: Nulla osta paesaggistico - Potere di annullamento ministeriale - Controllo di legittimità - Motivazione generica e vaga - Illegittimità.
Il potere di annullamento ministeriale di un nulla osta paesaggistico rilasciato per la realizzazione di un intervento edilizio in zona vincolata, pur non comportando un riesame complessivo delle valutazioni tecnico discrezionali compiute dall’ente territoriale competente, tale da consentire la sovrapposizione o la sostituzione di una valutazione di merito del Ministero a quella compiuta in sede di rilascio dell'autorizzazione, si estrinseca in un controllo di legittimità e si estende a tutte le ipotesi riconducibili all'eccesso di potere, con la conseguente possibilità per il Ministero di espletare un puntuale e penetrante sindacato sull'esercizio delle funzioni amministrative connesse al potere autorizzatorio (tra le tante Tar Catanzaro 03.11.2006 n. 1274).
Con particolare riferimento all'esercizio del potere in esame ed alla relativa motivazione, in termini generali va però ribadito che è illegittimo il provvedimento ministeriale di annullamento di un nulla osta paesaggistico che rechi una motivazione generica e vaga, valevole per una serie indefinita di casi (Cds sez. VI 29.01.2002 n. 477) (TAR Calabria-Catanzaro, Sez. I, sentenza 29.04.2009 n. 360 - (link a www.
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ESPROPRIAZIONE: Retrocessione totale - Diritto soggettivo perfetto - Tutelabilità innanzi al G.O.
L’istituto della retrocessione, assicura la facoltà di reclamare la restituzione dei beni quando l’opera pubblica, alla cui realizzazione il bene era destinato, non è stata realizzata ovvero non è più realizzabile.
In caso di retrocessione totale il proprietario è quindi titolare di un diritto soggettivo perfetto, uno ius ad rem di carattere potestativo di contenuto patrimoniale, che gli consente di agire dinanzi al giudice ordinario per chiedere la pronunzia di decadenza della dichiarazione di pubblica utilità e la restituzione dei beni espropriati (TAR Veneto, Sez. I, sentenza 24.04.2009 n. 1254 - link a www.
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EDILIZIA PRIVATA: Pertinenza - Nozione - Permesso di costruire.
La nozione di pertinenza quale risulta dall'art. 7, comma 2, lett. a), d.l. 23.01.1982 n. 9, convertito dalla l. 25.03.1982 n. 94, debba essere interpretata in modo compatibile con i principi della materia e non può quindi valere a sottrarre al regime del permesso di costruire la realizzazione di opere di rilevante consistenza urbanistica solo perché destinate a servizio ed ornamento del bene principale; proprio con riferimento ad un nuovo manufatto si afferma che il rapporto pertinenziale non può esonerare dalla concessione di opere che, da un punto di vista edilizio ed urbanistico, si pongono come ulteriori, in quanto occupano aree e volumi diversi rispetto alla "res principalis" (Consiglio Stato sez. II, 21.02.1996, n. 1895).
E’ infatti soggetta a concessione edilizia (ora permesso di costruire) ed al conseguente rispetto delle prescrizioni urbanistiche relative al tipo d'intervento, la realizzazione di un manufatto edilizio destinato a soddisfare esigenze non temporanee del soggetto attuatore e, al contempo, ad alterare in modo permanente l'assetto urbanistico di zona, indipendentemente dalla natura dei materiali adoperati (Cons. Stato, sez. V, 20.03.2000, n. 1507; TAR Campania, sez. IV, 22.02.2003, n. 1398) (TAR Campania-Napoli, Sez. IV, sentenza 23.04.2009 n. 2142 - link a www.
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EDILIZIA PRIVATA: Art. 9, c. 1, lett. b), d.P.R. n. 380/2001 - Parametri edilizi richiesti per la realizzazione di interventi fuori dal perimetro dei centri abitati privi di strumentazione urbanistica - Applicazione congiunta.
I due parametri edilizi previsti dall’art. 9, 1° comma, lett. b), del d.p.r. 06.06.2001 n. 380 (densità massima fondiaria di 0,03 metri cubi per metro quadro; in caso di interventi a destinazione produttiva, rapporto di copertura non superiore ad un decimo dell’area di proprietà) devono essere applicati in maniera congiunta agli interventi di nuova edificazione da realizzarsi fuori dal perimetro dei centri abitati privi di strumentazione urbanistica.
L’interpretazione restrittiva della disposizione in oggetto deriva dall’applicazione del prioritario canone dell’interpretazione letterale ad una previsione legislativa che, utilizzando l’avverbio comunque nella formulazione della parte finale della disposizione, sottolinea con forza il carattere congiuntivo e non disgiuntivo dei due parametri edilizi (TAR Puglia-Lecce, Sez. II, sentenza 23.04.2009 n. 766 - link a www.
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EDILIZIA PRIVATA: Autorizzazione ambientale - Valutazione degli aspetti inerenti la conformità urbanistica - Insufficienza - Impatto delle modifiche sugli aspetti tutelati dal vincolo.
L’autorizzazione ambientale non può limitarsi a valutare la conformità delle opere alla normativa urbanistica avendo per scopo quello (ulteriore) di valutare l’impatto delle modifiche sugli aspetti tutelati dal vincolo, impatto che, pur nell’ambito della tipologia ammessa, può essere diverso a seconda delle modalità costruttive, della collocazione, delle dimensioni, della possibilità di inserimento nel contesto ambientale (TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. II, sentenza 22.04.2009 n. 511 - link a www.
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ATTI AMMINISTRATIVI: Procedimento amministrativo - Conferenza di servizi - Artt. 14, 14-bis e 14-ter L. n. 241/1990 - Partecipazione necessaria e partecipazione eventuale.
Ai sensi degli artt. 14, 14-bis e 14-ter della L. 241 del 1990 e successive modifiche risulta necessaria la partecipazione alle Conferenze di servizi soltanto delle Amministrazioni pubbliche che sarebbero tenute a rilasciare, nell’ambito del procedimento, atti di assenso comunque denominati, se ed in quanto previsti dalla normativa al riguardo vigente.
Un’eventuale, non obbligatoria, partecipazione di altri soggetti istituzionali è rimessa alla discrezionalità dell’Amministrazione procedente, ma il mancato esercizio della relativa scelta non inficia per certo il risultato della Conferenza (cfr. TAR Liguria, Sez. I, 26.05.2008 n. 1079) (TAR Veneto, Sez. I, sentenza 09.04.2009 n. 1207 - link a www.
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EDILIZIA PRIVATA: Art. 167 d.lgs. n. 42/2004 - Sanzione pecuniaria - Prescrizione quinquennale - Illecito permanente - Cessazione della permanenza - Sanatoria dell’abuso.
La sanzione pecuniaria di cui all’ art. 167 del D.L.gvo n. 42 del 2004 è soggetta alla prescrizione quinquennale di cui all’art. 28 della legge n. 689/1981 (cfr. Consiglio Stato, sez. IV, 11.04.2007, n. 1585).
In presenza di un illecito di natura permanente, come certamente è quello derivante dalla violazione di norme paesaggistiche ed ambientali, la permanenza stessa deve correttamente intendersi cessata quanto meno a partire dalla data in cui l’illecito medesimo viene ammesso a sanatoria (e quindi ex post legittimato) previa valutazione positiva della compatibilità dell’opera con l’ambito vincolato circostante (TAR Umbria, Sez. I, sentenza 03.04.2009 n. 176 - link a www.
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EDILIZIA PRIVATA: In tema di denuncia inizio attività quanto al dies a quo va fatto riferimento a quello in cui la d.i.a. sia pervenuta allo sportello unico per l’edilizia e non già a quello in cui essa denuncia sia stata presentata all’ufficio di protocollo del Comune.
A
lla D.I.A. non trova applicazione l’art. 10-bis della 241 sul preavviso di rigetto nei procedimenti amministrativi ad istanza di parte.
In tema di denuncia inizio attività quanto al dies a quo va fatto riferimento a quello in cui la d.i.a. sia pervenuta allo sportello unico per l’edilizia (nella specie il 21.12.2007 prot. n. 22358) e non già a quello in cui essa denuncia sia stata presentata all’ufficio di protocollo del Comune (nella specie, cioè, il 18.12.2007).
I tempi ristretti per eseguire le verifiche (appunto 30 gg.) giustificano la individuazione del giorno iniziale in quello in cui la d.i.a. perviene effettivamente all’Ufficio deputato a dette verifiche e cioè allo Sportello Unico per l’Edilizia (SUE) dotato di un proprio protocollo, diverso dal protocollo generale del Comune; la disposizione di cui al 1^ comma art. 23 T.U. dell’Edilizia fa riferimento allo sportello unico (“…presenta allo sportello unico la denuncia…”) il che letteralmente avvalora la conclusione sopra riferita. Quindi iniziando il conteggio dei giorni dal 21.12.2007, alcun silenzio assenso conseguente al decorso dei 30 giorni si era determinato al 18.01.2008.
La d.i.a. non dà l’avvio ad un procedimento ad istanza di parte (il potere dell’Amministrazione non è di rigetto di istanza procedimentale bensì inibitorio della realizzazione delle opere nel termine di trenta giorni dalla presentazione della denuncia e ciò sulla base di riscontrata assenza di una o più delle condizioni previste) sicché alla medesima denuncia non trova applicazione l’art. 10-bis della 241 sul preavviso di rigetto nei procedimenti amministrativi ad istanza di parte (Tar Milano 5651/2008) (TAR Puglia-Bari, Sez. III, sentenza 02.04.2009 n. 763 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Sulla nozione di volume edilizio.
Il volume edilizio è costituito dalla costruzione di almeno un piano di base e due superfici verticali contigue sì da ottenere appunto una superficie chiusa su un minimo di tre lati (cfr. Tar Napoli n. 2725/2007; Tar Piemonte n. 2824 del 12.07.2005; Tar Liguria n. 943 del 12.12.1989 n. 943) (TAR Puglia-Bari, Sez. III, sentenza 02.04.2009 n. 763 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AGGIORNAMENTO AL 20.07.2009

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NEWS

EDILIZIA PRIVATA: Lombardia, Approvata la legge lombarda per il rilancio dell'edilizia (link a www.territorio.regione.lombardia.it).

EDILIZIA PRIVATA: Lombardia, Via libera al testo che valorizza il patrimonio edilizio e rilancia l'economia (link a www.consiglio.regione.lombardia.it).

GURI - GUUE - BURL (e anteprima)

AMBIENTE-ECOLOGIA: G.U. 18.07.2009 n. 165 "Modifica del decreto 08.04.2008, recante la disciplina dei centri di raccolta dei rifiuti urbani raccolti in modo differenziato, come previsto dall’articolo 183, comma 1, lettera cc) del decreto legislativo 03.04.2006, n. 152, e successive modifiche" (Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, decreto 13.05.2009).

EDILIZIA PRIVATA: B.U.R. Lombardia, 2° suppl. ord. al n. 28 del 17.07.2009, "Azioni straordinarie per lo sviluppo e la qualificazione del patrimonio edilizio ed urbanistico della Lombardia" (L.R. 16.07.2009 n. 13 - link a www.infopoint.it).

ENTI LOCALI: B.U.R. Lombardia, 1° suppl. ord. al n. 28 del 15.07.2009, "Presidenza - Direzione Centrale Affari Istituzionali e legislativo - Struttura Segreteria di Giunta - Nuovo testo delle norme risultanti dalle modifiche apportate dalla l.r. 29.06.2009 n. 10" (comunicato regionale 13.07.2009 n. 94 - link a www.infopoint.it).

ENTI LOCALI: B.U.R. Lombardia, 1° suppl. ord. al n. 28 del 15.07.2009, "Testo unico delle leggi regionali in materia di trasporti" (L.R. 14.07.2009 n. 11 - link a www.infopoint.it).

ENTI LOCALI: G.U. 14.07.2009 n. 161, suppl. ord. n. 110/L, "Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee - Legge comunitaria 2008" (L. 07.07.2009 n. 88).

EDILIZIA PRIVATA: G.U. 13.07.2009 n. 160 "Regolamento concernente la definizione dei criteri e livelli di qualità cui si adegua l’insegnamento del restauro, nonché delle modalità di accreditamento, dei requisiti minimi organizzativi e di funzionamento dei soggetti che impartiscono tale insegnamento, delle modalità della vigilanza sullo svolgimento delle attività didattiche e dell’esame finale, del titolo accademico rilasciato a seguito del superamento di detto esame, ai sensi dell’articolo 29, commi 8 e 9, del Codice dei beni culturali e del paesaggio" (D.M. 26.05.2009 n. 87).

EDILIZIA PRIVATA: G.U. 13.07.2009 n. 160 "Regolamento concernente la definizione dei profili di competenza dei restauratori e degli altri operatori che svolgono attività complementari al restauro o altre attività di conservazione dei beni culturali mobili e delle superfici decorate di beni architettonici, ai sensi dell’articolo 29, comma 7, del decreto legislativo 22.01.2004, n. 42, recante il codice dei beni culturali e del paesaggio" (Ministero per i Beni e le Attività Culturali, decreto 26.05.2009 n. 86).

EDILIZIA PRIVATA: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 28 del 13.07.2009, "Approvazione del primo elenco degli enti locali idonei all'esercizio delle funzioni paesaggistiche loro attribuite dall'art. 80 della legge regionale 11.03.2005 n. 12" (decreto D.G. 03.07.2009 n. 6820 - link a www.infopoint.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 28 del 13.07.2009, "Pubblicazione ai sensi dell'art. 5 del regolamento regionale 21.01.2000, n. 1, dell'elenco dei «Tecnici competenti in acustica ambientale» riconosciuti dalla Regione Lombardia alla data del 26.06.2009, in attuazione dell'art. 2, commi 6 e 7 della legge 26.10.1995, n. 447, della deliberazione 17.05.2006, n. 8/2561 e del decreto 30.05.2006, n. 5985" (comunicato regionale 01.07.2009 n. 87 - link a www.infopoint.it).

ENTI LOCALI: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 28 del 13.07.2009, "Direzione Centrale Programmazione Integrata - Prime indicazioni agli organi collegiali delle Comunità montane oggetto di fusione ex art. 23, commi 7-8-9, della l.r. 27.06.2008 n. 19 per la gestione della fase transitoria" (decreto D.C. 03.07.2009 n. 6812 -  link a www.infopoint.it).

LAVORI PUBBLICI: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 28 del 13.07.2009, "Determinazioni in merito alle modalità per il finanziamento degli oneri di progettazione relativi alla realizzazione di opere pubbliche da parte dei Comuni aventi popolazione residente non superiore a 2000 abitanti, loro Unioni e Comunità montane se delegate (art. 4, l.r. 5/2009)" (deliberazione G.R. 30.06.2009 n. 9761 - link a www.infopoint.it).

ENTI LOCALI: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 28 del 13.07.2009, "Costituzione del fondo per l'attuazione degli interventi previsti dalla l.r. 21.03.2000 n. 13 - Piano triennale degli interventi sul commercio (d.c.r. n. 527/2008) - Modalità per la realizzazione delle iniziative per lo sviluppo del commercio nei piccoli Comuni non montani" (deliberazione G.R. 30.06.2009 n. 9753 - link a www.infopoint.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: G.U. 09.07.2009 n. 157 "Elenco delle Zone di protezione speciale (ZPS) classificate ai sensi della direttiva 79/409/CEE" (Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, decreto 19.06.2009).

URBANISTICA: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 27 del 06.07.2009, "Modalità per il finanziamento agli enti locali per lo sviluppo del Data base topografico, a supporto del Sistema Informativo Territoriale Integrato - Anno 2009 (art. 3, l.r. n. 12/2005)" (deliberazione G.R. 19.06.2009 n. 9664 - link a www.infopoint.it).

DOTTRINA E CONTRIBUTI

APPALTI: G. Naimo, Collegamento e controllo societario: normativa di riferimento, orientamenti giurisprudenziali e conformità della normativa interna alla disciplina comunitaria (link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: P. M. Zerman, Annullamento dell’aggiudicazione illegittima ed effettività della tutela giurisdizionale: la sorte del contratto medio tempore stipulato (commento alla decisione del Consiglio di Stato, Sez. V, 19.05.2009 n. 3070) (link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: S. Deliperi, Lottizzazione abusiva: buona fede, sequestri preventivi e confisca penale (nota a Trb. Latina 30.01.2009) (link a www.lexambiente.it).

VARI: P. Fiorio, L'OGGETTO DELL'AZIONE COLLETTIVA RISARCITORIA E LA TUTELA DEGLI INTERESSI COLLETTIVI DEI CONSUMATORI (link a www.lexambiente.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA:  F. Piattella, LA BONIFICA DEI SITI CONTAMINATI E IL D. LGS. 4/2008 (link a www.lexambiente.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: A. Sialò, Il danno esistenziale da illecito ambientale dopo la sentenza della Corte Cassazione SS.UU. n. 26972/2008 (link a www.lexambiente.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: V. Paone, Il regime autorizzatorio del trasporto di rifiuti propri non pericolosi (nota a Cass. pen. n. 9465/2009) (link a www.lexambiente.it).
La sentenza annotata e riportata in calce all'articolo è reperibile in formato testo cliccando qui.

AMBIENTE-ECOLOGIA: L. Fanizzi, Le nozioni di suolo e strati superficiali del sottosuolo ai fini del disposto di cui all’art. 103 del TUA (link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: A. Buzzanca, Conservazione e valorizzazione dei beni culturali di appartenenza privata: dai vincoli di destinazione d’uso all’espropriazione (link a www.diritto.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: F. Siciliano, Privacy e Pubblica Amministrazione: diritto di accesso, trattamento dei dati personali e informatica (link a www.altalex.com).

ENTI LOCALI: N. Fabiano, PEC e identità elettronica: concetti assolutamente diversi (link a www.altalex.com).

AUTORITA' CONTRATTI PUBBLICI

APPALTI: Problematiche applicative delle disposizioni in materia di opere a scomputo degli oneri di urbanizzazione dopo il terzo decreto correttivo del Codice dei Contratti (determinazione 16.07.2009 n. 7 - link a massimario.avlp.it).
... il Consiglio ritiene che:
1. l'articolo 32, comma 1, lett. g), primo periodo, del Codice configura una titolarità "diretta", ex lege, della funzione di stazione appaltante in capo al privato titolare del permesso di costruire (ovvero titolare del piano di lottizzazione o di altro strumento urbanistico attuativo contemplante I'esecuzione di opere di urbanizzazione) che in quanto "altro soggetto aggiudicatore" è tenuto ad appaltare le opere di urbanizzazione a terzi nel rispetto della disciplina prevista dal Codice e, in qualità di stazione appaltante, è esclusivo responsabile dell'attività di progettazione, affidamento e di esecuzione delle opere di urbanizzazione primarie e secondarie, ferma restando la vigilanza da parte dell'amministrazione consistente, tra l'altro, nell'approvazione del progetto e di eventuali varianti;
2. gli eventuali risparmi di spesa rimangono nella disponibilità della stazione appaltante privata, così come eventuali costi aggiuntivi sono a carico dello stesso privato;
3. il collaudo, come già affermato nella determinazione n. 2 del 25.02.2009, costituisce attività propria della stazione appaltante e, quindi, del soggetto privato titolare del permesso di costruire, ferma restando la funzione di vigilanza da parte dell'amministrazione che va esplicata nell'approvazione degli atti di collaudo;
4. nell'ipotesi in cui, ai sensi dal secondo periodo dell'art. 32, comma 1, lett. g), del Codice, la gara sia bandita dall'amministrazione pubblica, non e preclusa la partecipazione alla stessa del privato titolare del premesso di costruire (o del piano urbanistico attuativo) purché qualificato ex art. 40 del Codice e purché non abbia direttamente curato la redazione della progettazione preliminare;
5. nell'ipotesi di cui al punto 4, il contratto d'appalto viene stipulato dal titolare del premesso di costruire (o del piano urbanistico attuativo);
6. l'affidamento delle opere di urbanizzazione a scomputo di importo inferiore alla soglia comunitaria, secondo quanto previsto dall'art. 122, comma 8 del Codice, avviene mediante la procedura negoziata prevista dall'art. 57, comma 6, del Codice, sia nel caso in cui le funzioni di stazione appaltante siano svolte dal privato, sia nel caso le stesse siano in capo all'amministrazione;
7. il privato, ai fini dell'affidamento della progettazione, deve rispettare l'art. 91 del Codice, eccezion fatta per i casi in cui, non sussistendo né il presupposto contrattuale né il carattere di onerosità della prestazione, poiché il valore del progetto non è compensato con gli oneri di urbanizzazione in quanto predisposto in un momento antecedente alla stipula della convenzione urbanistica, non ricorrono i principi che impongono la gara;
8. alle opere di urbanizzazione primaria a scomputo di importo inferiore alla soglia comunitaria comprese nelle convenzioni urbanistiche stipulate prima dell'entrata in vigore del D.Lgs. 152/2008, si applica la disciplina previgente;
9. l'affidamento e l'esecuzione delle opere di urbanizzazione sono sottoposti alla vigilanza dell'Autorità;
10. i dati riguardanti l'affidamento e la realizzazione delle opere di urbanizzazione sono compresi nelle comunicazioni obbligatorie all' Osservatorio dei Contratti pubblici.

APPALTI: Il procedimento di verifica delle offerte anormalmente basse con particolare riferimento al criterio del prezzo più basso (determinazione 16.07.2009 n. 6 - link a massimario.avlp.it).
... IL CONSIGLIO:
- Ritiene che, al fine di rispettare i principi di legittimità, trasparenza e correttezza, nonché le indicazioni della giurisprudenza, i documenti di gara debbano essere predisposti e le verifiche effettuate nel rispetto delle indicazioni riportate nelle sopra esposte considerazioni.
- Ritiene ammissibile che le singole fasi istruttorie della verifica di anomalia siano svolte in contemporanea; ossia l'esame delle giustificazioni, a partire dalla migliore offerta, può essere svolto contemporaneamente all'avvio dei sub-procedimenti delle altre offerte, anche se non ancora concluse le precedenti, secondo l'ordine progressivo dei ribassi offerti.

APPALTI: LINEE GUIDA PER L'APPLICAZIONE DELL'ART. 48 DEL D. LGS. N. 163/2006 (determinazione 16.07.2009 n. 5 - link a massimario.avlp.it).

dossier RIFIUTI E BONIFICHE

AMBIENTE-ECOLOGIA: Rifiuti. Abbandono.
In caso di abbandono di rifiuti da demolizione se i vari materiali costituenti rifiuti derivanti dalla demolizione di opere edilizie sono omogeneamente mescolati alla massa terrosa dei singoli carichi di autocarro non può ritenersi plausibile un abbandono distinto dalla diversa attività di riporto di terra vegetale atteso che, in tal caso, i rifiuti medesimi e la terra anziché omogeneamente mescolati sarebbero presenti in strati (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 02.07.2009 n. 26952 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: Rifiuti. Raspi e vinacce.
A mente dell’art. 185 D.L.vo 152/2006 non rientrano nella disciplina della gestione dei rifiuti le "altre sostanze naturali e non pericolose utilizzate nell’attività agricola" (fattispecie relativa a raspi e vinacce) (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 02.07.2009 n. 26951 - link a www.lexambiente.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Rifiuti. Discarica abusiva e confisca (comproprietà dell’area).
Quando sia pronunciata condanna per il reato di realizzazione o gestione di discarica non autorizzata non è possibile disporre la confisca dell’area, sulla quale risulta realizzata la discarica, in caso di comproprietà dell’area stessa, se non nell’ipotesi in cui tutti i comproprietari siano responsabili, quantomeno a titolo di concorso, del reato (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 02.07.2009 n. 26950 - link a www.lexambiente.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Rifiuti. Discarica abusiva (natura del reato).
Il reato di realizzazione e gestione di una discarica in difetto dì autorizzazione, di cui all’art. 256, comma terzo, del D.Lgs. 03.04.2006 n. 152, ha natura di reato permanente, in quanto l’attività di realizzazione di una discarica permane sino a che prosegue l’attività di predisposizione e allestimento dell’area adibita allo scopo, mentre la gestione della discarica permane sino a quando avviene l’attività di conferimento e manipolazione dei rifiuti (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 02.07.2009 n. 26949 - link a www.lexambiente.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Rifiuti. Utilizzazione fanghi in agricoltura.
In materia di fanghi da depurazione d.lgs 99/1992 e 152/2006 rivestono carattere di norma speciale rispetto al T.U. delle leggi sanitarie. In tali testi normativi non si rinviene alcuna competenza comunale sotto nessun profilo dal momento che la potestà regolamentare è attribuita alle Regioni che la esercitano nel rispetto dei criteri di cui all’art. 6 D.lgs. 99/1992 (TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 26.05.2009 n. 3848 - link a www.lexambiente.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Rifiuti, abbandono.
In tema di abbandono di rifiuti, sebbene l'art. 14, comma 3, del d.lgs. 05.02.1997, n. 22 (applicabile "ratione temporis") preveda la corresponsabilità solidale del proprietario o dei titolari di diritti personali o reali di godimento sull'area ove sono stati abusivamente abbandonati o depositati rifiuti, solo in quanto la violazione sia agli stessi imputabile a titolo di dolo o colpa, tale riferimento va inteso, per le sottese esigenze di tutela ambientale, in senso lato, comprendendo, quindi, qualunque soggetto che si trovi con l'area interessata in un rapporto, anche di mero fatto, tale da consentirgli -e per ciò stesso imporgli- di esercitare una funzione di protezione e custodia finalizzata ad evitare che l'area medesima possa essere adibita a discarica abusiva di rifiuti nocivi per la salvaguardia dell'ambiente; per altro verso, il requisito della colpa postulato da tale norma può ben consistere nell'omissione delle cautele e degli accorgimenti che l'ordinaria diligenza suggerisce ai fini di un'efficace custodia (fattispecie relativa ad ordinanza nei confronti di un Consorzio di bonifica per provvedere alla rimozione, all'avvio al recupero, allo smaltimento ed alla messa in sicurezza dei rifiuti depositati lungo un fiume) (Corte di Cassazione, Sez. Unite civili, sentenza 25.02.2009 n. 4472 - link a www.lexambiente.it).

GIURISPRUDENZA

APPALTI: Sui compiti spettanti all'Autorità di Vigilanza sui Lavori Pubblici e sulla natura degli atti della medesima Autorità.
All'Autorità di Vigilanza sui Lavori Pubblici spetta il compito di assicurare il corretto esercizio della funzione pubblica in materia di contratti pubblici, e non già quello, più specifico, di verificare che l'attività posta in essere dalle stazioni appaltanti sia coerente e rispettosa della disciplina positiva stabilita dal legislatore: essa è, cioè, titolare di funzioni irriducibili a quelle di Amministrazione attiva e di controllo, con la conseguenza che i suoi atti di vigilanza sono privi del valore di manifestazione della volontà, che è proprio degli atti aventi natura provvedimentale.
Gli atti di vigilanza dell'Autorità di Vigilanza per i lavori pubblici costituiscono la manifestazione di opinioni dotate di indiscutibile autorevolezza, in ragione della particolare competenza dell'organo, che possono anche conseguire un apprezzabile effetto di uniformità e di chiarezza nell'applicazione della legge, ma che restano pur sempre pronunciamenti insuscettibili di vincolare, nello svolgimento delle procedure concorsuali, le amministrazioni aggiudicatici, le quali possono da essi discostarsi, ove li reputino contra legem o, comunque, inconferenti (TAR Campania-Napoli, Sez. VIII, sentenza 08.07.2009 n. 3823 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Gare revocabili solo per esigenze pubbliche. L’adozione di nuovi criteri di valutazione delle offerte non giustifica l'annullamento degli appalti.
La pubblica amministrazione non può revocare una gara a procedura aperta in assenza di un interesse pubblico che giustifichi l’esercizio del potere di revoca (TAR Lazio-Roma, Sez. III, sentenza 03.07.2009 n. 6443 - link a www.cittadinolex.kataweb.it).

EDILIZIA PRIVATA: Posizionamento fabbricato.
Il posizionamento del fabbricato ha notevole rilevanza poiché dalla sua collocazione in sito diverso possono tra l’altro derivare conseguenze in tema di distanze, di rispetto dei vincoli, di turbamento degli interessi dei vicini (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 01.07.2009 n. 26925 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA Persona offesa dal reato (persona fisica).
Nel caso di abusi edilizi anche la singola persona fisica può, ricorrendone le condizioni, essere qualificata come persona offesa dal reato e titolare del diritto di costituirsi parte civile per ottenere il risarcimento del danno o la rimessione in pristino sicché anche ad essa, quando ne abbia fatto richiesta nella denunzia, deve essere inviato l’avviso della richiesta di archiviazione (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 01.07.2009 n. 26918 - link a www.lexambiente.it).

URBANISTICA: Lottizzazione abusiva.
Anche una lottizzazione approvata può, attraverso modifiche non previste, alterare e modificare le previsioni urbanistiche. In definitiva, a prescindere dall’esistenza o meno dell’autorizzazione, si tratta di accertare se l’intervento, completamente o parzialmente abusivo, possa qualificarsi come un semplice abuso edilizio o piuttosto una lottizzazione abusiva (Corte di Cassazione. Sez. III penale, sentenza 26.06.2009 n. 26586 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: Criteri di individuazione delle pertinenze soggette a permesso di costruire.
La norma per individuare le pertinenze soggette a permesso di costruire indica due criteri: uno qualitativo, che si sostanzia nella possibilità concessa ai Comuni di restringere ulteriormente l’area delle opere pertinenziali, realizzabili con la semplice denuncia di inizio attività, sottoponendo a permesso di costruire tutti gli interventi che, in ragione delle caratteristiche delle aree in cui si intende operare, richiedono un più penetrante controllo; ed uno quantitativo, che si concreta nel considerare comunque nuova costruzione l’intervento pertinenziale che determina un aumento del 20% del volume dell’edificio principale. In questo caso, dunque, il legislatore presume che un volume superiore al limite quantitativo prefissato determini senz’altro un aggravio al carico urbanistico esistente (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 26.06.2009 n. 26573 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: Beni Ambientali. Demolizione e ricostruzione di un muro.
La demolizione e ricostruzione di un muro non rientra negli interventi di manutenzione esenti da autorizzazione a norma dell’articolo 149, lettera a), del decreto legislativo n. 42 del 2004 (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 26.06.2009 n. 26569 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: Opere interne (soppalco).
Le opere interne ed in genere una diversa ripartizione interna degli ambienti non richiedono il permesso di costruire, perché non aumentano il volume del fabbricato o la sua superficie.
Tuttavia se, all’interno di un vano preesistente e lungo a sua altezza, si realizza un piano intermedio orizzontale (cosiddetto soppalco) non destinato a finalità esclusivamente estetiche, se cioè, per le dimensioni e caratteristiche dell’unità abitativa, si realizza un nuovo vano effettivamente abitabile, è necessario il permesso di costruire trattandosi di intervento potenzialmente idoneo ad incidere sul carico urbanistico (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 26.06.2009 n. 26566 - link a www.lexambiente.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Violazione obbligo di comunicazione di avvio del procedimento amministrativo.
Facendo per la prima volta applicazione dell'art. 21-octies della legge n. 241 del 1990, le S.U., pronunciandosi in ordine alle conseguenze derivanti dalla violazione dell'obbligo di comunicazione dell'avvio del procedimento ai soggetti nei confronti dei quali il provvedimento finale è destinato a produrre effetti ed ai soggetti che per legge debbono intervenirvi (art. 7 della stessa legge), hanno distinto a seconda che il provvedimento finale sia o meno vincolato.
Per i provvedimenti di natura vincolata, l'annullabilità è esclusa nel caso di evidenza della inidoneità dell'intervento dei soggetti ai quali è riconosciuto un interesse ad interferire sul loro contenuto; per quelli di natura non vincolata, subordinatamente alla prova, da parte dell'Amministrazione, che il provvedimento non avrebbe potuto essere diverso anche in caso di intervento di detti interessa (fattispecie relativa a ordine di demolizione di immobili occupanti un’area demaniale senza titolo) (Corte di Cassazione, SS.UU. civili, sentenza 25.06.2009 n. 14878 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: Silenzio sull'istanza di concessione edilizia e normativa regionale.
L’art. 20 dpr 380/2001, che disciplina il silenzio rifiuto e non il silenzio-assenso, è una norma regolamentare che non può prevalere sulla norma regionale (nel caso di specie l’art. 2 LR. Sicilia n. 17 del 31.05.1994).
Tale norma regionale, nel disciplinare la procedura per il rilascio delle concessioni edilizie, prevede al comma 5 che "la domanda di concessione edilizia si intende accolta qualora entro centoventi giorni dal ricevimento dell’istanza, attestato con le modalità di cui al comma 2, non venga comunicato all’interessato il provvedimento motivato di diniego” (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 23.06.2009 n. 26126 - link a www.lexambiente.it).

ENTI LOCALI: Per svolgere le funzioni di consigliere di amministrazione di un ente che gestisce una casa di ricovero è sufficiente possedere quelle doti normali di ragionevolezza e avvedutezza, proprie del buon padre di famiglia.
La regola generale fissata dagli art. 50, c. 8, e dell'art. 42, c. 2, lett. m), del d.lvo n. 267 del 2000 laddove dispongono che le nomine dei rappresentanti del comune presso enti da esso vigilati, o comunque ad esso collegati, vanno effettuate sulla base delle esperienze culturali e delle competenze necessarie, non ha un valore assoluto, in quanto va adattata alla natura delle funzioni che il designato deve svolgere, sulla base degli statuti e dei regolamenti dell'ente cui è destinato.
Lo svolgimento delle funzioni di consigliere di amministrazione di un ente che gestisce una casa di ricovero per vecchi inabili al lavoro non richiede particolari competenze tecniche o culturali, come sarebbe stato nell'ipotesi in cui invece il designato fosse stato chiamato a svolgere funzioni di concreta gestione dell'istituto. Il consigliere di amministrazione dell'ente deve semplicemente possedere quelle doti normali di ragionevolezza e avvedutezza, proprie del buon padre di famiglia. Pertanto, nel caso di specie in cui si tratta di integrare il consiglio di amministrazione di un pensionato, è corretta la scelta del sindaco del comune che non ha richiesto il curriculum delle persone designate, in quanto il criterio sulla base del quale doveva effettuare la nomina era semplicemente quello di valutare se il soggetto avesse i requisiti minimi per svolgere il non gravoso incarico di cui si è detto. Egli non era tenuto, sia perché non lo dispone nessuna norma di carattere generale sia perché non lo esigeva la regola di opportunità del caso concreto, a svolgere una sorta di procedura concorsuale tra i due designati, raffrontando i rispettivi trascorsi lavorativi (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 19.06.2009 n. 4033 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: La dichiarazione sul rispetto della disciplina del diritto al lavoro dei disabili costituisce un dovere dei partecipanti alle gare indipendentemente dalla sua specifica menzione nella disciplina di gara.
La dichiarazione circa il rispetto della disciplina del diritto al lavoro dei disabili, prescritta dall'art. 17 della l. n. 68/1999, costituisce un dovere dei partecipanti indipendentemente dalla sua specifica menzione nella disciplina di gara. Ne consegue che, nel caso di specie, deve essere escluso l'aggiudicatario del servizio di refezione nelle scuole materne statali ricadenti nel territorio del Comune per aver omesso di presentare la dichiarazione in materia di lavoro dei disabili (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 19.06.2009 n. 4028 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI SERVIZI: Sul divieto previsto dall'art. 13 c. 1, d.l. 04.07.2006 n. 223 e sulla definizione di attività strumentali.
Il divieto di svolgere attività per soggetti diversi dall'ente costituente o partecipante prescritto dall'art. 13 c. 1, d.l. 04.07.2006 n. 223, convertito con modificazioni nella l. 04.08.2006 n. 248, non opera nei confronti della società a capitale pubblico affidataria di servizi pubblici locali.
Possono definirsi strumentali all'attività delle amministrazioni pubbliche regionali e locali, con esclusione dei servizi pubblici locali, tutti quei beni e servizi erogati da società a supporto di funzioni amministrative di natura pubblicistica di cui resta titolare l'ente di riferimento e con i quali lo stesso ente provvede al perseguimento dei suoi fini istituzionali.
Le società strumentali sono, quindi, strutture costituite per svolgere attività strumentali rivolte essenzialmente alla pubblica amministrazione e non al pubblico, come invece quelle costituite per la gestione dei servizi pubblici locali che mirano a soddisfare direttamente ed in via immediata esigenze generali della collettività (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 12.06.2009 n. 3766 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

URBANISTICA: Pianificazione.
Le scelte urbanistiche, che di norma non comportano la necessità di specifica giustificazione oltre quella desumibile dai criteri generali di impostazione del piano o della sua variante, necessitano di congrua motivazione quando incidono su aspettative dei privati particolarmente qualificate, come quelle ingenerate da impegni già assunti dall'amministrazione mediante approvazione di piani attuativi o stipula di convenzioni. In tali evenienze, la completezza della motivazione costituisce, infatti, lo strumento dal quale deve emergere l'avvenuta comparazione tra il pubblico interesse cui si finalizza la nuova scelta e quello del privato, assistito appunto da una aspettativa giuridicamente tutelata (TAR Veneto, Sez. II, sentenza 28.05.2009 n. 1650 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: Beni Ambientali. Valutazione di incidenza.
La valutazione dell’incidenza sull’ambiente e sul paesaggio di ogni opera di urbanizzazione primaria non può essere limitata esclusivamente all’area su cui ricade l’intervento ma deve essere necessariamente riferita al complessivo contesto ambientale (ivi compreso lo skyline) entro cui l’opera si inserisce (TAR Puglia-Bari, Sez. III, sentenza 28.05.2009 n. 1274 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: Elettrosmog. Installazione impianti e disciplina urbanistica.
L’art. 87 del d.lgs. n. 259/2003 sancisce il principio dell’unicità del procedimento (ribadito anche dalla Corte costituzionale), nel senso di ricomprendervi anche i profili riguardanti la disciplina edilizia, pertanto il soggetto che richiede l’autorizzazione ad installare impianti di telefonia mobile non è tenuto a dimostrare la conformità alla normativa e agli strumenti edilizi dei manufatti sede dell’installazione, ma, invece, “il rispetto dei limiti di esposizione, dei valori di attenzione e degli obiettivi di qualità, relativi alle emissioni elettromagnetiche…” (comma 3) e, per quanto concerne l’aspetto urbanistico-edilizio, (solo) a descrivere la situazione fisica dei luoghi (TAR Veneto, Sez. II, sentenza 27.05.2009 n. 1629 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: Impianti eolici e v.i.a..
Deve escludersi che dall’assenza di una preventiva pianificazione territoriale ed urbanistica possa farsi discendere un divieto generale di dare corso all’approvazione e realizzazione di progetti, come quello dell’impianto eolico per cui è causa, relativi ad opere suscettibili di potenziale impatto sull’ambiente, ovvero un altrettanto generale obbligo di sottoporre a procedura di VIA i progetti stessi: nessuna indicazione in tal senso si trae, infatti, dalla normativa statale e regionale di rango primario (TAR Toscana, Sez. II, sentenza 25.05.2009 n. 888 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: Valutazione di impatto ambientale.
Non è corretto il frazionamento del progetto in singole opere che isolatamente considerate non sarebbero sottoposte a valutazione di impatto ambientale, quando per contro, nella loro interezza ed unitariamente considerate lo sarebbero. Infatti la normativa comunitaria mira a sottoporre alla procedura di valutazione di impatto ambientale i progetti che possono avere un riflesso rilevante sull’ambiente.
Alcuni progetti, elencati all’allegato I della direttiva 85/337/CEE, sono obbligatoriamente sottoposti a tale valutazione; altri, elencati nell’allegato II, tra i quali, come ricordato, vi sono gli impianti industriali per la produzione di energia elettrica, vapore e acqua calda con potenza termica inferiore a 300 MW, sono soggetti a valutazione solo qualora possano avere un impatto ambientale importante per la loro natura, le loro dimensioni o la loro ubicazione (TAR Veneto, Sez. III, sentenza 22.05.2009 n. 1539 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: Rapporti tra permesso di costruire e n.o. paesaggistico.
Al di là della ricostruzione dogmatica del rapporto intercorrente fra nulla osta paesaggistico e titolo edilizio, ossia se l’uno costituisca presupposto di legittimità dell’altro o piuttosto condicio iuris d’efficacia (la prima opzione sembra in linea con l’evoluzione della normativa in materia), è senz’altro consentito che il comune, competente al rilascio di entrambi (seppure con riguardo al nulla osta in via delegata), valuti la compatibilità dell’intervento richiesto sotto entrambi i profili. Anzi, il fondamentale principio di economicità dell’azione amministrativa (art. 1 l. n. 241/1990) non solo sospinge in tale direzione bensì, con specifico riguardo all’ambito che condensa disciplina urbanistica e paesaggistica, impone la valutazione congiunta (TAR Liguria, Sez. I, sentenza 22.05.2009 n. 1163 - link a www.lexambiente.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Rumore. Potere di ordinanza.
L’utilizzo del particolare potere di ordinanza contingibile ed urgente delineato dall’art. 9 della Legge 26.10.1995 n. 447 deve ritenersi (“normalmente”) consentito allorquando gli appositi accertamenti tecnici effettuati dalle competenti Agenzie Regionali di Protezione Ambientale rivelino la presenza di un fenomeno di inquinamento acustico, tenuto conto sia che quest’ultimo -ontologicamente (per esplicita previsione dell’art. 2 della stessa L. n. 447/1995)- rappresenta una minaccia per la salute pubblica, sia che la Legge quadro sull’inquinamento acustico non configura alcun potere di intervento amministrativo “ordinario” che consenta di ottenere il risultato dell’immediato abbattimento delle emissioni sonore inquinanti.
In siffatto contesto normativo, l’accertata presenza di un fenomeno di inquinamento acustico (pur se non coinvolgente l’intera collettività) appare sufficiente a concretare l’eccezionale ed urgente necessità di intervenire a tutela della salute pubblica con l’efficace strumento previsto (soltanto) dall’art. 9 primo comma della più volte citata Legge n. 447/1995 (TAR Puglia-Lecce, Sez. I, sentenza 21.05.2009 n. 1186 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: Repressione delle infrazioni edilizie e accertamento di conformità.
Il procedimento di cui all’art. 36 del citato T.U. rientra nel novero di quelli ad istanza di parte, e non può certo trovare impulso d’ufficio, dovendo, al contrario, il Comune attivare al cospetto di un abuso i poteri repressivi attribuitigli dalla legge nell’ottica dell’attività di vigilanza che deve essere esercitata dall’Ente locale.
Il proprio potere sanzionatorio relativo alle infrazioni edilizie ha natura vincolata e si deve ritenere collegato direttamente al principio, adesso cristallizzato nell’art. 27 T.U. 380/2001, per cui il Comune, tramite il competente Dirigente, esercita la vigilanza sull'attività urbanistico-edilizia nel territorio comunale per assicurarne la rispondenza alle norme di legge e di regolamento, alle prescrizioni degli strumenti urbanistici ed alle modalità esecutive fissate nei titoli abilitativi.
I provvedimenti repressivi di abusi edilizi non devono essere preceduti da comunicazione di avvio del procedimento amministrativo, trattandosi di provvedimenti tipici e vincolati emessi all’esito di un mero accertamento tecnico della consistenza delle opere realizzate e del carattere abusivo delle medesime
(TAR Campania-Napoli, Sez. IV, sentenza 13.05.2009 n. 2627 - link a www.altalex.com).

EDILIZIA PRIVATA: Vincolo di rispetto cimiteriale.
La salvaguardia dell'area di rispetto cimiteriale di 200 metri prevista dall'art. 338 T.U. 27.07.1934 n. 1265 si pone alla stregua di un vincolo assoluto di inedificabilità che non consente in alcun modo l'allocazione sia di edifici, che di opere incompatibili col vincolo medesimo, in considerazione dei molteplici interessi pubblici che tale fascia di rispetto intende tutelare e che possono enuclearsi nelle esigenze di natura igienico sanitaria, nella salvaguardia della peculiare sacralità che connota i luoghi destinati all'inumazione e alla sepoltura, nel mantenimento di un'area di possibile espansione della cinta cimiteriale.
Si consideri ancora che il vincolo di rispetto cimiteriale riguarda non solo i centri abitati ma anche i fabbricati sparsi (cfr. TAR Milano, II Sez., 06.10.1993 n. 551).
Lo stesso vincolo preclude il rilascio della concessione, anche in sanatoria (ai sensi dell'art. 33 L. 28.02.1985 n. 47), senza necessità di compiere valutazioni in ordine alla concreta compatibilità dell'opera con i valori tutelati dal vincolo (cfr. Cons. Stato, sez. V, n. 1871 del 12.11.1999) (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 03.05.2009 n. 1934 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: La posa in opera di una modesta canna fumaria è soggetta solo ad autorizzazione.
Non può assolutamente ritenersi sufficientemente integrato l’obbligo di cui all’art. 3 della legge 241 del 1990 dalla comunicazione del parere negativo espresso dalla Commissione edilizia nel quale si adduce, quale unico giustificativo: "parere negativo alla canna fumaria in quanto non pertinente ad una autorimessa". La motivazione risulta evidentemente generica e non esaustiva e non consente di rilevare gli elementi di fatto e le ragioni giuridiche alla base del diniego né tanto meno viene svolta alcuna considerazione in ordine alla compatibilità o meno con gli strumenti urbanistici.
Si deve rilevare l’evoluzione del quadro giurisprudenziale che, da una fase in cui emergeva una certa oscillazione –non mancando pronunce tanto a favore della necessità della concessione quanto della sufficienza dell’autorizzazione– si è giunti alla definizione di un orientamento consolidato, quanto meno per le ipotesi di strutture di piccole dimensioni, che ritiene sufficiente l’autorizzazione. Ciò con la conseguenza che, nell’ipotesi di intervento eseguito in mancanza di quest’ultima, troverà applicazione il relativo regime sanzionatorio (dettato dalla legge regionale n. 61 del 1985) che prevede l’irrogazione della sola sanzione pecuniaria, atteso che non ricorrono le ipotesi previste dall’art. 94 per le quali è contemplata la possibilità dell’applicazione della sanzione demolitoria
(TAR Veneto, Sez. II, sentenza 02.04.2009 n. 1127 - link a www.altalex.com).

AGGIORNAMENTO AL 13.07.2009

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Dopo un breve periodo di riposo, riprendiamo gli aggiornamenti.
Comunque, a tutti i visitatori del sito Buone Vacanze.

QUESITI & PARERI

EDILIZIA PRIVATA:   Quesito in merito al rilascio dell'autorizzazione paesaggistica.
Lombardia, la compatibilità del parere della Soprintendenza su di un "bene culturale" ex art. 10 D.Lgs. n. 42/2004 (ndr: vincolo monumentale ex lege 1089/1939) col parere della Commissione Comunale per il Paesaggio nell'ambito del rilascio dell'autorizzazione paesaggistica essendo l'area paesaggisticamente vincolata ex art. 142 del D.Lgs. n. 42/2004 (Regione Lombardia, Direzione Generale Territorio e Urbanistica, nota 07.07.2009 n. 13806 di prot.).

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI: QUESITI SUL DECRETO LEGISLATIVO 81/2008 (sicurezza sui cantieri).
Al fine di fornire un contributo alla necessità di approfondimento sulla materia, il Gruppo di lavoro "Numero Verde" regionale per la sicurezza del lavoro ha raccolto i quesiti finora pervenuti nel presente opuscolo (link a www.regione.piemonte.it).

LAVORI PUBBLICI: Intervento di riqualificazione area antistante stazione ferroviaria.
Il sindaco del Comune (omissis) intende eseguire un intervento di riqualificazione in una area antistante la stazione ferroviaria, di proprietà della società RFI. La spesa preventivabile è stata stimata in circa 50.000 euro.
La società proprietaria del terreno, come controprestazione per l’intervento sulla propria area, dichiara la disponibilità a concedere la stessa in comodato, per un massimo di dieci anni.
La motivazione che giustificherebbe l’imputazione della spesa in capo al bilancio del Comune risiede nell’essere l’Ente una importante località turistica lacuale e la sistemazione dell’area consentirebbe ai turisti una migliore godibilità della stessa (Regione Piemonte, parere n. 56/2009 - link a www.regione.piemonte.it).

EDILIZIA PRIVATA: Applicabilità art. 9, D.M. 02.04.1968, n. 1444.
Si pongono diversi quesiti in merito all’applicabilità, o meno, dell’art. 9 del D.M. 02.04.1968 n. 1444, (e quindi della disciplina delle distanze tra fabbricati) nell’ipotesi di pareti finestrate appartenenti ad un unico edificio (Regione Piemonte, parere n. 53/2009 - link a www.regione.piemonte.it).

ENTI LOCALI: Assunzione personale.
La Comunità Montana (omissis) ha in corso una trattativa per il passaggio di dipendenti di una società a capitale interamente pubblico (dipendenti assunti tutti con contratto di diritto privato) alla stessa Comunità Montana per effetto del trasferimento di attività di gestione del servizio idrico integrato. A tal fine chiede se sia possibile assumere direttamente tale personale (Regione Piemonte, parere n. 19/2009 - link a www.regione.piemonte.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Responsabilità amministratori e funzionari comunali.
Il Comune (omissis) ha posto il seguente quesito: “In quale misura il sindaco e la Giunta o il Consiglio sono corresponsabili di danni derivanti dall’adozione di atti su cui è stato espresso un parere favorevole da parte del funzionario responsabile di servizio ai sensi della normativa in oggetto?"
La normativa “in oggetto”, alla quale si riferiva la richiesta, è l’art. 49 del Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali (Regione Piemonte, parere n. 13/2009 - link a www.regione.piemonte.it).

EDILIZIA PRIVATAQuesito 10 - In merito alla necessità o meno del parere della Commissione Edilizia in materia di condono edilizio - In merito alla verbalizzazione come forma necessaria di tutti gli atti collegiali (Geometra Orobico n. 2/2009).

ENTI LOCALI: Quesito 9 - In merito alla disciplina relativa alla dismissione del patrimonio immobiliare delle amministrazioni pubbliche e sulle condizioni di alienazione meno favorevoli per i conduttori degli immobili di pregio (Geometra Orobico n. 2/2009).

EDILIZIA PRIVATAQuesito 8 - In merito alla legittimità dell'autorizzazione paesaggistica in sanatoria rilasciata prima dell'entrata in vigore del Codice dei beni culturali ambientali (Geometra Orobico n. 2/2009).

EDILIZIA PRIVATAQuesito 7 - In merito all'obbligo di sorveglianza sull'esecuzione dei lavori che grava sul progettista anche in caso di denuncia di inizio attività (Geometra Orobico n. 2/2009).

EDILIZIA PRIVATAQuesito 6 - In merito al mutamento di destinazione d'uso di un immobile che lo renda utilizzabile per finalità diverse rispetto a quelle originari (Geometra Orobico n. 2/2009).

EDILIZIA PRIVATAQuesito 5 - In merito a quando è possibile escludere le nuove superfici ed i nuovi volumi dalla categoria della nuova costruzione (Geometra Orobico n. 2/2009).

EDILIZIA PRIVATAQuesito 4 - In merito ai tre obiettivi che in generale persegue lo strumento urbanistico attuativo: "a) assicurare l'ordine  e l'euritmia dello sviluppo urbano, che sostanzialmente avviene attraverso il tracciamento delle strade; b) assicurare l'equa ripartizione degli utili e degli oneri connessi allo sviluppo urbano, se lo strumento di secondo grado prescelto è il piano di lottizzazione; c) assicurare la dotazione degli standard, cioè degli spazi pubblici o destinati alle attività collettive, nella misura minima prevista dal DM n. 1444 del 1968 o nella maggior misura stabilita dallo strumento urbanistico generale" (Geometra Orobico n. 2/2009).

EDILIZIA PRIVATAQuesito 3 - In merito ai criteri da osservare per la riqualificazione degli oneri di urbanizzazione in seguito ad una variante essenziale (Geometra Orobico n. 2/2009).

EDILIZIA PRIVATAQuesito 2 - In merito al fatto che, in sede di autorizzazione paesaggistica, anche i provvedimenti positivi devono essere sostenuti da adeguata motivazione (Geometra Orobico n. 2/2009).

EDILIZIA PRIVATAQuesito 1 - In merito al mutamento di destinazione d'uso con opere ed alla necessità del permesso di costruire per la ristrutturazione edilizia - In merito alla necessità del permesso di costruire che non può essere derogata dalla legislazione regionale (Geometra Orobico n. 2/2009).

ATTI AMMINISTRATIVI - URBANISTICAQuesito 10 - Sulla differenza tra atto amministrativo nullo ed annullabile - Sulla sufficienza o meno della maggioranza assoluta del valore degli immobili per costituire un consorzio ai fini della presentazione al Comune di una proposta di piano di lottizzazione - Sulla decorrenza dei termini di impugnazione di un piano di lottizzazione (Geometra Orobico n. 1/2009).

EDILIZIA PRIVATAQuesito 9 - Sulla differenza tra i balconi aggettanti che sporgono dalla facciata dell'edificio e le terrazze a livello incassate nel corpo dell'edificio, ai fini della determinazione del volume assentibile (Geometra Orobico n. 1/2009).

EDILIZIA PRIVATAQuesito 8 - Sui criteri per l'applicabilità degli oneri di urbanizzazione agli atti autorizzatori in sanatoria dei mutamenti d'uso senza opere, mutamenti c.d. "funzionali" (Geometra Orobico n. 1/2009).

EDILIZIA PRIVATAQuesito 7 - Sul cambio di destinazione d'uso effettuato con lo spostamento di porte e finestre esterne nonché con tramezzatura interna e sulla necessità o meno di ravvisare un mutamento urbanistico-edilizio del territorio (Geometra Orobico n. 1/2009).

URBANISTICAQuesito 6 - Sulla legittimità o meno della convenzione che antepone l'autorizzazione delle opere di urbanizzazione primaria al rilascio del permesso di costruire per gli interventi edilizi contemplati nel piano di lottizzazione - Sulle clausole vessatorie e sulla stipula dell'atto convenzionale nella forma pubblico-amministrativa (Geometra Orobico n. 1/2009).

EDILIZIA PRIVATAQuesito 5 - Sul condono edilizio delle opere realizzate in difetto del prescritto titolo abilitativo in zone sottoposte a vincolo (Geometra Orobico n. 1/2009).

EDILIZIA PRIVATAQuesito 4 - Nel valutare la domanda di condono l'Amministrazione preposta alla tutela del vincolo non ha nessun obbligo di porre in essere prescrizioni per rendere l'abuso esteticamente compatibile con la zona (Geometra Orobico n. 1/2009).

EDILIZIA PRIVATAQuesito 3 - Sull'onere della prova in ordine all'epoca di realizzazione dell'opera abusiva (Geometra Orobico n. 1/2009).

EDILIZIA PRIVATAQuesito 2 - Sulla legittimità o meno del provvedimento di archiviazione dell'istanza di condono edilizio nel caso in cui le opere oggetto dell'istanza siano state, medio tempore, distrutte da un incendio (Geometra Orobico n. 1/2009).

EDILIZIA PRIVATAQuesito 1 - Sul carattere stagionale di strutture posizionate sul territorio e sulla necessità o meno del permesso di costruire (Geometra Orobico n. 1/2009).

UTILITA'

LAVORI PUBBLICI: Linee Guida Operative per la realizzazione di impianti di Pubblica Illuminazione (link a www.cesiricerca.it).

EDILIZIA PRIVATALa certificazione energetica degli edifici: gli obblighi, le scadenze, i benefici (link a http://adiconsum.inforing.it).

EDILIZIA PRIVATA: Bollo limitato al "caso d'uso" per gli allegati delle relazioni a strutture ultimate.
Le relazioni a strutture ultimate (art. 65, comma 6, D.P.R. n. 380 del 2001, ex art. 6, L. n. 1086 del 05.11.1971) sono soggette all'imposta di bollo nella misura di 14,62 euro per ogni foglio; gli atti e i documenti allegati alle stesse sono soggetti all'imposta in "caso d'uso", nella misura di 1 euro per ogni foglio (Agenzia delle Entrate, risoluzione 29.05.2009 n. 139/E).

LAVORI PUBBLICI: Imposta di bollo e documentazione di progetto e d’appalto: il punto su decorrenza, importi e atti soggetti.
Il Decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze 24.05.2005 ha aggiornato gli importi fissi dell’imposta di bollo, in attuazione dell’art. 1, comma 300, legge 311/2004 (legge finanziaria 2005), con effetto dal 1° giugno 2005.
Tale provvedimento, tra l’altro, ha infatti previsto (all’art. 1):
- aumento dell’importo dell’imposta in misura fissa da 11 euro a 14,62 euro;
- aumento del valore dell’imposta stabilito dall’art.28 della Tariffa allegata al D.P.R. 642/1972, per quanto riguarda i disegni, modelli, calcoli etc, da 0,31 euro a 0,52 euro.
L’Agenzia delle Entrate, con la circolare n. 11/E del 03.04.2006, ha fornito chiarimenti sulla decorrenza dell’aumento dell’imposta di bollo e degli importi fissi dell’imposta di registro, imposte ipotecaria e catastale.
L’Agenzia, con la citata Circolare, conferma che la modifica normativa ha efficacia:
- quando l’imposta è dovuta sin dall’origine, per tutti gli atti posti in essere a partire dal 1° giugno 2005;
- quando l’imposta è dovuta in caso d’uso, la modifica ha effetto qualora l’‘‘uso’‘‘ (ossia la presentazione degli atti per la registrazione) si verifica a partire dal 1° giugno 2005, indipendentemente dalla data in cui gli atti stessi sono formati.
Gli aumenti predetti riguardano anche atti, contratti ed elaborati progettuali relativi ad appalti di opere pubbliche.
A tal proposito ricordiamo che l’Agenzia delle Entrate, con la risoluzione n. 97/E del 27.03.2002 ha specificatamente approfondito l’argomento dei bolli da apporre sugli elaborati progettuali, meglio chiarendo per quali di essi è previsto l’obbligo ed in che misura.
In base ai chiarimenti forniti con la citata Risoluzione, risultano soggetti all’imposta di bollo nella misura di € 14,62 per ogni foglio (4 facciate) i seguenti atti:
- capitolato speciale;
- elenco dei prezzi unitari;
- cronoprogramma;
- capitolato generale (se allegato al contratto);
- processo verbale di consegna;
- verbale di sospensione e di ripresa lavori;
- certificato e verbale di ultimazione dei lavori;
- determinazione ed approvazione dei nuovi prezzi non contemplati nel contratto;
- verbale di constatazione delle misure;
- certificato di collaudo;
- certificato di regolare esecuzione.
Sono soggetti all’imposta di bollo nella misura di € 0,52 per foglio “in caso d’uso”:
- elaborati grafici progettuali;
- piani di sicurezza, previsti dall’art.31 della Legge 109/1994;
- disegni, computi metrici, relazioni tecniche, planimetrie.
Sono invece soggetti all’imposta di bollo nella misura di € 14,62 per ogni esemplare, 100 pagine o frazione, “in caso d’uso”:
- giornale dei lavori;
- libretto delle misure;
- lista settimanale;
- registro di contabilità;
- sommario del registro di contabilità;
- stato di avanzamento;
- certificato per il pagamento di rate;
- conto finale dei lavori e relativa relazione.
La circolare 11/E/2006 contiene anche alcuni chiarimenti in merito agli importi delle imposte di bollo e tasse di concessione, tra cui quelli delle imposte di registro, ipotecaria e catastale, introdotti dal D.L. n. 7 del 31.01.2005.
Tale provvedimento, tra l’altro, aveva disposto la variazione degli importi fissi dell'imposta ipotecaria, dell'imposta di bollo, delle tasse ipotecarie e dei tributi speciali catastali (testo tratto da www.acca.it).

GURI - GUUE - BURL (e anteprima)

EDILIZIA PRIVATA: G.U. 10.07.2009 n. 158 "Linee guida nazionali per la certificazione energetica degli edifici" (D.M. 26.06.2009).

AMBIENTE-ECOLOGIA: G.U. 02.07.20009 n. 151 "Modalità di finanziamento della gestione dei rifiuti di apparecchiature di illuminazione da parte dei produttori delle stesse" (Ministero dell'Ambiente e della Tutela del territorio e del Mare, decreto 12.05.2009).

ENTI LOCALI: G.U. 01.07.2009 n. 150 "Regolamento concernente disposizioni in materia di anagrafe e stato civile" (D.P.R. 05.05.2009 n. 79).

ENTI LOCALI - EDILIZIA PRIVATA: G.U. 01.07.2009 n. 150 "Provvedimenti anticrisi, nonché proroga di termini e della partecipazione italiana a missioni internazionali" (D.L. 01.07.2009 n. 78).

ENTI LOCALI: B.U.R. Lombardia, 3° supp. straord. al n. 26 dell'01.07.2009, "Costituzione della Comunità montana ... ai sensi della legge regionale 27.06.2008 n. 19" (decreti P.R.G. 26.06.2009 da n. 6479 a n. 6503 - link a www.infopoint.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: B.U.R. Lombardia, 2° suppl. ord. al n. 26 del 30.06.2009, "Disposizioni in materia di ambiente e servizi di interesse economico generale - Collegato ordinamentale" (L.R. 29.06.2009 n. 10 -link a www.infopoint.it).

ENTI LOCALI - URBANISTICA: B.U.R. Lombardia, 1° suppl. ord. al n. 26 del 30.06.2009, "Modifica a leggi regionali e altre disposizioni in materia di attività commerciali" (L.R. 29.06.2009 n. 9 - link a www.infopoint.it).

EDILIZIA PRIVATA: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 26 del 29.06.2009, "Nuove determinazioni in ordine alla modulistica relativa all'attività agrituristica ai sensi della l.r. 31/2008 e del relativo regolamento di attuazione" (decreto D.U.O. 11.06.2009 n. 5801 - link a www.infopoint.it).

EDILIZIA PRIVATA: B.U.R. Lombardia, 4° suppl. straord. al n. 25 del 26.06.2009, "Aggiornamento della procedura di calcolo per la certificazione energetica degli edifici" (decreto D.G. 11.06.2009 n. 5796 - link a www.infopoint.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: G.U. 05.03.2009 n. 53 "Delega al Governo finalizzata all’ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e alla efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni nonché disposizioni integrative delle funzioni attribuite al Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro e alla Corte dei conti" (L. 04.03.2009 n. 15).

EDILIZIA PRIVATA: G.U. 08.01.2002 n. 6 "Regolamento di semplificazione del procedimento per la denuncia di installazioni e dispositivi di protezione contro le scariche atmosferiche, di dispositivi di messa a terra di impianti elettrici e di impianti elettrici pericolosi" (D.P.R. 22.10.2001 n. 462).

NEWS

URBANISTICA: Lombardia, Bando di finanziamento per la produzione di Data base topografici.
A seguito della delibera VIII/9664 del 19.06.2009 con cui sono state definite i criteri per la concessione di finanziamenti agli enti locali per lo sviluppo del Data base topografico (DBT), con decreto n. 6973 dell’08.07.2009, il Dirigente dell’Unità Organizzativa Infrastruttura per l’Informazione Territoriale della DG Territorio e Urbanistica ha approvato il bando di finanziamento 2009 per la “Produzione di basi cartografiche attraverso Data base topografici” ai sensi della legge di governo del territorio (link a www.territorio.regione.lombardia.it).

EDILIZIA PRIVATA: Lombardia, Enti locali idonei all'esercizio delle funzioni paesaggistiche.
E’ stato approvato con Decreto del Direttore Generale n. 6820 del 03.07.2009 il primo elenco degli Enti Locali che, soddisfacendo i requisiti stabiliti dall’art. 146, comma 6, del Decreto Legislativo n. 42/2004, sono ritenuti idonei all’esercizio delle funzioni paesaggistiche loro attribuite dall’art. 80 della legge regionale n. 12/2005 (link a www.territorio.regione.lombardia.it).

EDILIZIA PRIVATA: Prorogati i termini per le procedure paesaggistiche.
Il Consiglio dei Ministri, con Decreto Legge approvato nella seduta del 26.06.2009
(ndr: art. 23, comma 6, D.L. 01.07.2009 n. 78), ha disposto la proroga al 31.12.2009 dei termini, stabiliti dall’art. 159 del D. Lgs. 42/2004 e successive modifiche ed integrazioni, per:
- l’entrata in vigore delle nuove procedure per il rilascio delle autorizzazioni paesaggistiche (di cui all’art. 146 del D. Lgs. 42/2004 e s.m.i.);
- la verifica della sussistenza, nei soggetti delegati all’esercizio delle funzioni paesaggistiche, dei requisiti di organizzazione e competenza tecnico-scientifica (link a www.territorio.regione.lombardia.it).

URBANISTICA: Aree pubbliche. L'iniziativa privata può fa venir meno l'inedificabilità Il concetto è parametro di riferimento per l'applicazione o meno della "valutazione automatica" del terreno.
Le aree destinate ad impianti e attrezzature di interesse generale (ad esempio, verde pubblico, impianti sportivi attrezzati, ecc.), di regola non edificabili, possono diventarlo se non sono finalizzate a un uso esclusivamente pubblicistico e sia prevista la possibilità di interventi ad opera di privati.
Questa interpretazione del concetto di edificabilità può essere assunta a parametro per la corretta applicazione del cosiddetto "criterio di valutazione automatica", relativo all'imposta sulle successioni e donazioni (articolo 34, comma 5, decreto legislativo 346/1990). In base a questo principio, il valore degli immobili non è sottoposto a rettifica se la rendita catastale dichiarata non è inferiore, per i terreni, a settantacinque volte il reddito dominicale risultante in catasto e, per i fabbricati, a cento volte il reddito risultante al catasto. Il beneficio è escluso nel caso in cui gli strumenti urbanistici prevedono la destinazione edificatoria dell'area.
L'agenzia delle Entrate, con la risoluzione n. 170/E del 03.07..2009 ha fornito il parere in merito all'applicabilità o meno, in sede di successione, della "valutazione automatica" ad alcune zone destinate a impianti e attrezzature pubbliche. In considerazione del fatto che la norma esclude il beneficio nel caso in cui l'area sia fabbricabile, la consulenza giuridica fornita dall'amministrazione si basa sull'individuazione della natura edificatoria o meno del terreno (link a www.nuovofiscooggi.it).

URBANISTICA: Disponibile on-line il Rapporto 2008 sulla pianificazione in Lombardia.
Il “Rapporto 2008 sullo stato della pianificazione in Lombardia", frutto dell’attività dell’Osservatorio Permanente della Programmazione Territoriale, è stato assunto dalla Giunta Regionale, con la preso d’atto della Comunicazione del Presidente Formigoni, di concerto con l’assessore Boni, con la DGR n. 9622/2009.
L’Osservatorio Permanente della Programmazione Territoriale è stato costituito, in attuazione dell’articolo 5 della l.r. 12/2005 e successive modifiche, presso l’Assessorato Territorio e Urbanistica.
A gennaio 2009 sono state definite le modalità operative di funzionamento del’Osservatorio e avviate ufficialmente le relative attività (decreto del Direttore Generale Direzione Generale Territorio e Urbanistica n. 321/2009).
L’Osservatorio redige annualmente, a conclusione della propria attività, una Relazione che fornisce dati e elementi di conoscenza delle dinamiche territoriali e di valutazione degli effetti derivanti dall’attuazione dei nuovi strumenti di pianificazione. Il Rapporto rappresenta pertanto un utile strumento di conoscenza delle dinamiche territoriali in Lombardia per l’orientamento delle politiche regionali sul territorio, con l’obiettivo di favorirne l’efficacia e rispondere all’esigenza di realizzare uno sviluppo equilibrato e sostenibile (link a www.territorio.regione.lombardia.it).

LAVORI PUBBLICI: CONSORZI STABILI - DAL 1° LUGLIO 2009 NEGLI APPALTI SOTTO 1.000.000 DI EURO, DIVIETO DI PARTECIPAZIONE CONGIUNTA LIMITATO AI SOLI CONSORZIATI INDICATI QUALI ESECUTORI (link a www.ancebrescia.it).

EDILIZIA PRIVATA: ATTESTATO DI CERTIFICAZIONE ENERGETICA DEGLI EDIFICI IN LOMBARDIA - ESTENSIONE DELL’OBBLIGO ANCHE PER LE COMPRAVENDITE DELLE SINGOLE UNITA’ IMMOBILIARI DAL 1° LUGLIO 2009 (link a www.ancebrescia.it).

LAVORI PUBBLICI: Opere di urbanizzazione al Comune.
Passaggio agevolato, da convenzione. La cessione può fruire del Registro in misura fissa e dell'esenzione dalle imposte ipotecaria e catastale.
Registro in misura fissa ed esenzione dalle imposte ipotecaria e catastale per l'atto di cessione con il quale la società costruttrice trasferisce al Comune le opere di urbanizzazione realizzate, a scomputo degli oneri di urbanizzazione di propria competenza, se l'adempimento avviene a seguito di una convenzione attuativa di un piano urbanistico (Agenzia delle Entrate, risoluzione 22.06.2009 n. 166/E - link a www.nuovofiscooggi.it).

ENTI LOCALI - VARI: Nuove regole tecniche per la firma digitale.
Entro la fine dell’anno entrano in vigore le nuove regole tecniche in materia di firma digitale.
La firma digitale è il risultato di una procedura informatica che garantisce autenticità e integrità di messaggi e documenti scambiati e archiviati con mezzi informatici, al pari di quanto svolto dalla firma autografa per i documenti tradizionali.
A partire dalle definizioni del Codice dell'amministrazione digitale vengono rideterminati, tra gli altri, gli algoritmi usati, i requisiti dei certificatori, gli obblighi degli utenti, i formati di firma e la semantica dei certificati (link a www.governo.it).

DOTTRINA E CONTRIBUTI

APPALTI: NO ALL’ESCLUSIONE AUTOMATICA PER LE SOCIETÀ CONTROLLATE (link a www.mediagraphic.it).

LAVORI PUBBLICI: L. Bellagamba, La valutazione delle offerte anomale nei lavori pubblici e la simulazione di due casi concreti: opere edili e opere stradali - Dopo il terzo decreto correttivo al codice e in attesa del regolamento attuativo (link a www.linobellagamba.it).

APPALTI: G. Lentini, L’inosservanza dei termini procedimentali da parte della pubblica amministrazione nella legge 69/2009 di modifica della legge 241/1990. Breve esame e considerazioni alla luce della proposta di decreto legislativo di attuazione della legge 15/2009 (link a www.diritto.it).

APPALTI: A. Gurrieri, Differimento e divieto di divulgazione nelle procedure di gara: l’art. 13 commi 2-4 del D. Lgs. 163/2006 (link a www.diritto.it).

PUBBLICO IMPIEGO: C. Rapicavoli, Nuovo CCNL del comparto regioni e autonomie locali - biennio economico 2008-2009 - incremento risorse contrattazione decentrata (link a www.diritto.it).

PUBBLICO IMPIEGO: P. Del Guerra, Il medico di fronte al mobbing (link a www.diritto.it).

ENTI LOCALI: G. Nicoletti, Prime note sulle novità del decreto legge n. 79/2009 (anticrisi) (link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

URBANISTICA: L. Spallino, La gestione del territorio in Regione Lombardia sino ai P.G.T.: le novità della legge regionale n. 5 del 2009 (link a www.studiospallino.it).

EDILIZIA PRIVATA: Le n.t.a. degli strumenti urbanistici hanno natura regolamentare e vanno impugnate insieme con l'atto applicativo?
Con la decisione n. 4056 del 2009, in materia di impianti di telefonia cellulare, il Consiglio di Stato afferma che le n.t.a. degli strumenti urbanistici hanno natura regolamentare e che esse vanno impugnate unitamente all'atto applicativo (per esempio, il rilascio o il diniego di un titolo abilitativo) (link a http://venetoius.myblog.it).

APPALTI FORNITURE: La "gestione calore" (alias "servizio energia") è un appalto di fornitura e non di servizi .
Con il decreto del Presidente della Repubblica datato 18.05.2009 è stato accolto un ricorso straordinario, sulla base del parere del Consiglio di Stato, sezione prima, n. 1318/2008, espresso nell'adunanza del 29.10.2008. Il Consiglio di Stato ha affermato che il c.d. "servizio energia", noto anche come "gestione calore", consistente nella fornitura, da parte di un soggetto terzo, dell'energia elettrica e termica, è un appalto di fornitura e non di servizi e, come tale, è soggetto alle disposizioni sulla evidenza pubblica di cui al D. Lgs n. 163 del 2006 (link a http://venetoius.myblog.it).

EDILIZIA PRIVATA: M. Bassanese, "Ultimazione delle opere" nel condono edilizio e "ultimazione dei lavori" nel t.u. edilizia: nomi simili per concetti differenti (sulla nozione di ultimazione delle opere ai fini della disciplina del condono edilizio e su quella di ultimazione dei lavori, ai fini dell'art. 15 del D.P.R. 380/2001) (link a http://venetoius.myblog.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: R. Ravicapoli, LEGGE 18.06.2009 N. 69 - MODIFICHE ALLA LEGGE N. 241/1990 - DISPOSIZIONI RELATIVE ALLA SEMPLIFICAZIONE E ALLA TRASPARENZA DELL'AZIONE AMMINISTRATIVA - INDICAZIONI OPERATIVE (link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: C. Rapicavoli, PROROGA TERMINI AUTORIZZAZIONE PAESAGGISTICA (link a www.lexambiente.it).

APPALTI: S. Cresta, La semplificazione introdotta dalla L. 69/2009 sull’affidamento dei "piccoli appalti" (link a www.altalex.com).

ENTI LOCALI: M. A. Senor, I sistemi di videosorveglianza in luoghi pubblici o aperti al pubblico (link a www.altalex.com).

EDILIZIA PRIVATA: A. Berto, La ristrutturazione edilizia "vincolata" (link a www.altalex.com).

AMBIENTE-ECOLOGIA: M. Medugno, ANCORA SULL’EXPORT RIFIUTI (link a www.tuttoambiente.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: M. Medugno, RACCOLTA DIFFERENZIATA ALL’EUROPEA (link a www.tuttoambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: La certificazione energetica degli edifici dal 1° luglio 2009 (studio 16.06.2009 n. 334-2009/C - link a www.notariato.it).

EDILIZIA PRIVATA: W. Fumagalli, Ristrutturazione edilizia in Lombardia: un pasticcio (AL n. 6/2009).

EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA: W. Fumagalli, Le nuove norme sul Governo del Territorio (AL n. 5/2009).

ATTI AMMINISTRATIVI: W. Fumagalli, Risarcimento danni provocati da atti amministrativi illegittimi (AL n. 4/2009).

AUTORITA' CONTRATTI PUBBLICI

EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA: Problematiche applicative delle disposizioni in materia di opere a scomputo degli oneri di urbanizzazione dopo il terzo decreto correttivo del Codice dei Contratti (documento base del 30.04.2009 - link a www.urbanisticatoscana.it).

CORTE DEI CONTI

PUBBLICO IMPIEGO: Parere richiesto dal Sindaco del Comune di Grumo Nevano (Na) in ordine al conferimento di incarico di Responsabile del Settore Vigilanza a professionista esterno, ai sensi dell'art. 110, commi 1 e 2 del D. L.vo 18.08.2000, n. 267 (Corte dei Conti, Sez. regionale di controllo Campania, parere 15.06.2009 n. 28 - link a www.corteconti.it).
L’art. 3, commi da 54 a 57, della legge 24.12.2007 n. 244 ha dettato regole alle quali gli enti locali debbono conformarsi per l’affidamento di incarichi di collaborazione, di studio o di ricerca, ovvero di consulenze, a soggetti estranei all’amministrazione, e ha previsto la necessaria emanazione, da parte di ciascun ente territoriale, di apposite norme regolamentari ex art. 89 del decreto legislativo 18.08.2000, n. 267. Va peraltro considerato che, successivamente all’adozione da parte di molte amministrazioni locali delle norme regolamentari de quibus e nelle more dello svolgimento del relativo procedimento di controllo di cui al comma 57 dell’art. 3 della citata legge n. 244/2007, è intervenuto il decreto legge 25.06.2008, n. 112, conv. in legge 06.08.2008, n. 133, recante, tra l’altro, all’art. 46, modifiche ed integrazioni alle disposizioni in materia di affidamento di incarichi “esterni” da parte delle pubbliche amministrazioni. Recita così l’art. 46 (Riduzione delle collaborazioni e consulenze nella pubblica amministrazione): 1. Il comma 6 dell'articolo 7 del decreto legislativo 30.03.2001, n. 165, come modificato dal decreto-legge 04.07.2006, n. 233, convertito, con modificazioni, dalla legge 04.08.2006, n. 248, e da ultimo dall'articolo 3, comma 76, della legge 24.12.2007, n. 244, e' così sostituito: «6. Per esigenze cui non possono far fronte con personale in servizio, le amministrazioni pubbliche possono conferire incarichi individuali, con contratti di lavoro autonomo, di natura occasionale o coordinata e continuativa, ad esperti di particolare e comprovata specializzazione anche universitaria, in presenza dei seguenti presupposti di legittimità; a) l'oggetto della prestazione deve corrispondere alle competenze attribuite dall'ordinamento all'amministrazione conferente, ad obiettivi e progetti specifici e determinati e deve risultare coerente con le esigenze di funzionalità dell'amministrazione conferente; b) l'amministrazione deve avere preliminarmente accertato l'impossibilità oggettiva di utilizzare le risorse umane disponibili al suo interno; c) la prestazione deve essere di natura temporanea e altamente qualificata; d) devono essere preventivamente determinati durata, luogo, oggetto e compenso della collaborazione. Si prescinde dal requisito della comprovata specializzazione universitaria in caso di stipulazione di contratti d'opera per attività che debbano essere svolte da professionisti iscritti in ordini o albi o con soggetti che operino nel campo dell'arte, dello spettacolo o dei mestieri artigianali, ferma restando la necessità di accertare la maturata esperienza nel settore. Il ricorso a contratti di collaborazione coordinata e continuativa per lo svolgimento di funzioni ordinarie o l'utilizzo dei collaboratori come lavoratori subordinati e' causa di responsabilità amministrativa per il dirigente che ha stipulato i contratti. Il secondo periodo dell'articolo 1, comma 9, del decreto-legge 12.07.2004, n. 168, convertito, con modificazioni, dalla legge 30.07.2004, n. 191, e' soppresso.». 2. L'articolo 3, comma 55, della legge 24.12.2007, n. 244 e' così sostituito: «Gli enti locali possono stipulare contratti di collaborazione autonoma, indipendentemente dall'oggetto della prestazione, solo con riferimento alle attività istituzionali stabilite dalla legge o previste nel programma approvato dal Consiglio ai sensi dell'articolo 42, comma 2, del decreto legislativo 18.08.2000, n. 267». 3. L'articolo 3, comma 56, della legge 24.12.2007, n. 244 e' così sostituito: «Con il regolamento di cui all'articolo 89 del decreto legislativo 18.08.2000, n. 267, sono fissati, in conformità a quanto stabilito dalle disposizioni vigenti, i limiti, i criteri e le modalità per l'affidamento di incarichi di collaborazione autonoma, che si applicano a tutte le tipologie di prestazioni. La violazione delle disposizioni regolamentari richiamate costituisce illecito disciplinare e determina responsabilità erariale. Il limite massimo della spesa annua per incarichi di collaborazione e' fissato nel bilancio preventivo degli enti territoriali.».
Appare evidente che l’intervento del legislatore, concludendo un percorso già intrapreso sin dal decreto legislativo 29/1993 ed accogliendo anche concetti già elaborati dalla giurisprudenza amministrativa e contabile, ha sottolineato l’esigenza del contenimento degli oneri di spesa e della individuazione di funzioni da potersi legittimamente affidare all’esterno.
Dal punto di vista oggettivo, in primis, è essenziale che si tratti di esigenze istituzionali specifiche, definite e temporanee, cui le pubbliche amministrazioni non possano far fronte “con personale in servizio”. Sussiste, infatti, l’obbligo da parte dell’amministrazione, da un lato, della razionale organizzazione del personale nell’ambito dell’ufficio, dall’altro di accertare l’impossibilità oggettiva di utilizzare le risorse umane disponibili al suo interno. Inoltre, la norma chiarisce che i destinatari dell’incarico individuale con contratti di lavoro autonomo possono essere soltanto “esperti di particolare e comprovata specializzazione anche universitaria”, potendosi prescindere dal requisito della specializzazione universitaria nell’ipotesi di attività che debbano essere svolte da professionisti iscritti in ordini o albi o con soggetti che operino nel campo dell’arte, dello spettacolo o dei mestieri artigianali, fermo restando comunque anche in questi casi l’obbligo di accertare il requisito essenziale della maturata esperienza nel peculiare settore di riferimento. Infine, devono essere preventivamente determinati durata, luogo, oggetto e compenso della collaborazione richiesta, la quale deve in ogni caso consistere in una prestazione altamente qualificata, oltre che rispondente alle esigenze di funzionalità dell’ente.
Alla luce di quanto esposto, si deve concludere che l’art. 46 del d.l. n. 112/2008, poi legge 133/2008, nel modificare l’art. 7, comma 6, del decreto legislativo 165/2001, ha puntualizzato che il ricorso a contratti di collaborazione coordinata e continuativa che richiedono una comprovata specializzazione è legittimamente ammesso per lo svolgimento di funzioni extra–ordinarie, laddove, viceversa, il ricorso ai predetti contratti per lo svolgimento di funzioni ordinarie è causa di responsabilità amministrativa per il dirigente che abbia stipulato i contratti medesimi.
Per quanto concerne gli enti locali, l’evocato art. 46, nel novellare l’art. 3, commi 55 e 56 della legge finanziaria per il 2008, precisa che l’affidamento degli incarichi di collaborazione autonoma è comunque subordinato, sempre indipendentemente dall’oggetto della prestazione, all’esercizio di “attività istituzionali” stabilite dalla legge o previste nel programma approvato dal Consiglio dell’ente locale, ai sensi dell’art. 42, comma 2, del D. L.vo 267/2000. Quest’ultima norma comprende un’ampia tipologia di documenti programmatici di competenza del Consiglio. Ne consegue che gli incarichi in questione, anche se non necessariamente predeterminati dal Consiglio nel loro specifico oggetto, devono trovare riferimento nei documenti programmatici, al fine di giustificare la necessità/opportunità di ricorrere ad essi in relazione agli obiettivi ed ai programmi definiti dal Consiglio e quindi da attuare ad opera della Giunta.
Al contrario, le funzioni connesse alle esigenze ordinarie proprie del funzionamento delle strutture amministrative, non rapportate a prestazioni di lavoro autonomo di comprovata specializzazione, rimangono regolate dal predetto art. 110 del D. L.vo 267/2000, le cui disposizioni dal comma 1 al comma 5 si riferiscono a compiti esplicati in via ordinaria da dirigenti o funzionari responsabili.
Ad ogni buon conto e per concludere sul punto, va precisato che il comma 1 dell’art. 110 del D.L.vo 267/2000 consente agli enti locali di stipulare contratti a tempo determinato per la copertura di posti vacanti di responsabile dei servizi e degli uffici, di qualifiche dirigenziali o di alta specializzazione, sempre che il ricorso a tale facoltà sia espressamente previsto in sede statutaria e fermi restando i requisiti richiesti dalla qualifica da ricoprire. Tale fattispecie rappresenta una sostanziale deroga all’ordinario meccanismo di copertura delle qualifiche apicali fondato sul concorso pubblico finalizzato ad assunzioni a tempo indeterminato e con conseguente immissione definitiva dei vincitori nei ruoli organici dell’ente. Pertanto, pur essendo la norma rivolta alla copertura di posti apicali, non si ha l’inserimento in ruolo del suddetto personale, che non occupa, in pianta stabile, una casella del ruolo stesso, anche in ipotesi di contratto di diritto pubblico.
Va peraltro evidenziato che il secondo comma dello stesso articolo prevede, in via aggiuntiva rispetto al disposto del comma 1, che il regolamento sull’ordinamento degli uffici fissa limiti, criteri e modalità con cui possono essere stipulati, sia nei comuni in cui è prevista la dirigenza che negli altri, contratti a tempo determinato, al di fuori della dotazione organica, per i dirigenti e le alte specializzazioni, fermi restando i requisiti della qualifica da coprire. Inoltre, per gli enti in cui non è prevista la dirigenza, la possibilità in oggetto è estesa anche ai funzionari dell’area direttiva, però, in ogni caso, subordinata alla mancanza all’interno dell’ente di professionalità analoghe.
Deve poi tenersi conto che negli enti in cui è prevista la dirigenza, i contratti in questione possono essere stipulati in misura complessivamente non superiore al 5% del totale della dotazione organica della dirigenza e dell’area direttiva e, comunque, per almeno un’unità, mentre per gli altri in misura non superiore al 5% della complessiva dotazione organica o almeno ad un’unità, laddove la stessa sia inferiore alle venti unità.
Per espressa disposizione di legge (comma 3), infine, i contratti di cui ai precedenti commi non possono avere durata superiore al mandato elettivo di sindaco/presidente della provincia in carica, ciò a sottolineare il carattere fiduciario del rapporto, e sono sempre risolti in presenza di uno specifico evento attinente all’ente (comma 4). Specifica disposizione attiene invece alla risoluzione di diritto del rapporto di impiego dei soggetti già dipendenti di una pubblica amministrazione che stipulino un contratto a tempo determinato con l’ente locale, assumendo una posizione fuori ruolo della dotazione organica ex comma 2 (comma 5).
Tutto ciò premesso, nella fattispecie in esame, sembrerebbe che l’oggetto del contratto non sia una prestazione di lavoro autonomo di alta specializzazione, bensì un’attività istituzionale strettamente connessa alle ordinarie funzioni che un dirigente o funzionario di ruolo, qualora presenti nella struttura amministrativa del comune interessato, svolgerebbero ordinariamente.
In linea con tale conclusione appare, quindi, l’orientamento del comune che correttamente ha prospettato l’applicazione delle disposizioni di cui all’art. 110, commi 1–5 del D.L.vo 267/2000 e la non applicazione del comma 6 dello stesso articolo, nonché della disposizione di cui all’art. 46 della legge 133/2008.

ENTI LOCALI: Parere richiesto dal Sindaco del Comune di Teggiano (Sa) in ordine alla possibilità di conoscere se e per quali anni è dovuta la restituzione dei canoni di depurazione riscossi dall'Ente (Corte dei Conti, Sez. regionale di controllo Campania, parere 29.05.2009 n. 25 - link a www.corteconti.it).

PUBBLICO IMPIEGO: Parere richiesto dal Sindaco del comune di Volterra, in merito alla corretta applicazione dell'incentivo alla progettazione dei dipendenti, disciplinato dall'art. 92, comma 5, del D. Lgs. 163/2006, alla luce delle novità legislative introdotte dal D.L. 185/2008, convertito in L. 2/2009 e delle interpretazioni contrastanti sul punto (Corte dei Conti, Sez. regionale di controllo Toscana, parere 28.05.2009 n. 40 - link a www.corteconti.it).
La materia è regolata dall’art. 92, comma 5, del D. Lgs. 163/2006 (codice dei contratti), come riformulato dall’art. 1, comma 10-quater, della Legge 22.12.2008 n. 201, il quale stabilisce che è ripartita, per ogni singola opera o lavoro, tra il responsabile del procedimento e gli incaricati della redazione del progetto, del piano della sicurezza, della direzione dei lavori, del collaudo, nonché tra i loro collaboratori, una somma non superiore al due per cento dell'importo posto a base di gara di un'opera o di un lavoro, comprensiva anche degli oneri previdenziali e assistenziali a carico dell'amministrazione. La percentuale effettiva, nel limite massimo del due per cento, è stabilita dal regolamento in rapporto all'entità e alla complessità dell'opera da realizzare. La corresponsione dell'incentivo è disposta dal dirigente preposto alla struttura competente, previo accertamento positivo delle specifiche attività svolte dai predetti dipendenti; limitatamente alle attività di progettazione, l'incentivo corrisposto al singolo dipendente non può superare l'importo del rispettivo trattamento economico complessivo annuo lordo.
Nella materia è intervenuto l’art. 61, comma 8, della Legge 133/2008, approvato in sede di conversione del D.L. 112/2008, che ha stabilito che “
a decorrere dal 1° gennaio 2009, la percentuale prevista dall'articolo 92, comma 5, del codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, di cui al decreto legislativo 12.04.2006, n. 163, è destinata nella misura dello 0,5 per cento alle finalità di cui alla medesima disposizione e, nella misura dell'1,5 per cento, è versata ad apposito capitolo dell'entrata del bilancio dello Stato”, ad eccezione degli enti locali (comma 17 art. 61 L. 133/2008) per i quali tali somme costituiscono economie di spesa che incidono in termini positivi sui rispettivi saldi di bilancio. L’art. 1, comma 10-quater, della Legge 22.12.2008 n. 201, ha espressamente abrogato questa norma, mentre l’art. 18, comma 4-sexies, della Legge 28.01.2009 n. 2 ha reintrodotto una norma con il medesimo tenore letterale (comma 7-bis art. 61 L. 133/2008) con la novità dell’introduzione del riferimento alla destinazione al fondo di cui al comma 17 dello stesso art. 61 citato.
Ad interpretazione dell’articolo 61 comma 8, poi dell’attuale comma 7-bis, il Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato ha emesso la circolare n. 36 del 23.12.2008, seguita dalla circolare n. 10 del 13.02.2009, che ha chiarito che “
la riduzione del compenso incentivante, operante a partire dal 1° gennaio 2009, si ritiene debba trovare applicazione a tutti i compensi comunque erogati a decorrere dalla predetta data e non solo ai lavori avviati dopo l’entrata in vigore della nuova disciplina. Di conseguenza, la riduzione va applicata con riferimento a tutta l’attività progettuale non ancora remunerata a tale data, anche in presenza di contratti integrativi definiti secondo la previgente disciplina. Il tenore letterale della norma infatti, laddove parla di destinazione a decorrere dal primo gennaio 2009, appare indicativo di una precisa volontà del legislatore in tal senso”.
La Sezione, alla luce dei contrasti interpretativi sulla norma in argomento (si veda Pareri Lombardia 40/2009 e 50/2009 in contrasto con l’interpretazione ministeriale citata), ha ritenuto opportuno, al pari di altre sezioni regionali di controllo (Campania, Veneto e Piemonte), coinvolgere il coordinamento della Sezione Autonomie quale organo competente a dirimere le questioni di massima, il quale ha emesso la deliberazione n. 7 del 23.04.2009, le cui conclusioni sono fatte proprie (con alcuni passi riportati in corsivo) e alla quale si fa espresso rinvio nel presente parere.
Nel merito, come sostenuto dalla Sezione delle Autonomie, “
la soluzione della questione non può prescindere dalla verifica dell’esistenza e della consistenza del diritto che si pretende intangibile dalla legge sopravvenuta, in quanto la irretroattività della legge costituisce un principio di salvezza di un diritto acquisito, purché se ne dimostri l’avvenuta insorgenza”. Pertanto, ciò che rileva ai fini dell’applicazione della nuova disciplina piuttosto che della previgente, è il tempo in cui sorge l’obbligazione con la quale nasce l’obbligo di corrispondere l’incentivo in capo all’ente e il conseguente diritto di riceverlo per il dipendente che svolga le funzioni di: progettista, responsabile del procedimento, incaricati della redazione del piano della sicurezza, della direzione dei lavori, del collaudo, nonché i loro collaboratori; tale circostanza viene identificata con il momento in cui “siano state compiute le varie attività che legittimano la corresponsione dell’incentivo, (attività procedimentali amministrative, progettazione, collaudo, collaborazioni etc..) con le quali rimangano fissate, in maniera intangibile, da un lato, la somma da ripartire e, dall’altro, la misura del beneficio, così come le stesse sono state determinate in base ai meccanismi previsti dalla norma stessa (modalità e criteri della ripartizione previsti in sede di contrattazione decentrata e assunti in un regolamento)”. Tesi che trova fondamento nell’iter legislativo che ha regolamentato la materia, nonché in un orientamento favorevole della Suprema Corte che ha sempre avvalorato la posizione di favore accordata nella Costituzione al diritto alla retribuzione del dipendente mediante una speciale tutela al credito retributivo dei dipendenti anche pubblici (in ultimo sentenza 459/2000); a tal proposito la Cassazione (in ultimo Cass. Sez. Lavoro, sent. N. 13384 del 19.07.2004) ha più volte ribadito che l’incentivo di cui trattasi è una componente della retribuzione del dipendente e che “il diritto all’incentivo costituisce un vero e proprio diritto soggettivo di natura retributiva che inerisce al rapporto di lavoro in corso, nel cui ambito va individuato l’obbligo per l’Amministrazione di adempiere, a prescindere dalle condizioni e dai presupposti per rendere concreta l’erogazione del compenso”.
In sostanza dal compimento dell’attività nasce il diritto al compenso, intangibile dalle disposizioni riduttive, che non hanno alcuna efficacia retroattiva. Né rileva, in contrario avviso, che alla rigorosa applicazione del criterio della spettanza dell’incentivo nella misura vigente all’atto del compimento della specifica attività, possa conseguire una differente consistenza del beneficio in ordine alla stessa opera per la quale è stanziata la somma da ripartire, a seconda se la stessa attività sia stata compiuta prima o dopo il 31.12. 2008. Ciò perché, ai fini della nascita del diritto quello che rileva è il compimento effettivo dell’attività; dovendosi, anzi, tenere conto, per questo specifico aspetto, che per le prestazioni di durata, cioè quelle che non si esauriscono in una puntuale attività, ma si svolgono lungo un certo arco di tempo, dovrà considerarsi la frazione temporale di attività compiuta”.
In definitiva, un’interpretazione dell’art. 61 comma 8 (o dell’attuale comma 7-bis) nel senso esposto dalle circolari richiamate comporterebbe una chiara violazione del divieto di retroattività della legge di cui all’art. 11 delle disposizioni preliminari al codice civile, che costituisce un principio generale dell’ordinamento derogabile dal solo legislatore con una disposizione normativa esplicita in tal senso (come si rinviene nello stesso art. 61 comma 9). In particolare la giurisprudenza costituzionale ha avuto occasione di chiarire che “
il legislatore ordinario può, nel rispetto di tale limite, emanare norme retroattive, purché trovino adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza e non si pongano in contrasto con altri valori ed interessi costituzionalmente protetti, così da non incidere arbitrariamente sulle situazioni sostanziali poste in essere dalle leggi precedenti, se queste condizioni sono osservate, la retroattività, di per se da sola, non può ritenersi elemento idoneo ad integrare un vizio della legge” (Corte Costituzionale sentenza n. 432 del 1997).
Pertanto la Sezione – avendo presente la ratio legis finalizzata al contenimento della spesa pubblica, sottesa alla disposizione in argomento (art. 61 comma 8 abrogata e poi riformulata con medesimo tenore letterale nel comma 7-bis dello stesso articolo)- ritiene che la stessa non possa che interpretarsi nel senso che il “
quantum del diritto al beneficio, quale spettante sulla base della somma da ripartire nella misura vigente al momento in cui questo è sorto, ossia al compimento delle attività incentivate, non possa essere modificato per effetto di norme che riducano per il tempo successivo l’entità della somma da ripartire, per cui i compensi erogati dal 1° gennaio 2009, ma relativi ad attività realizzate prima di tale data, restano assoggettati alla previgente disciplina”, vale a dire liquidati nella misura massima del 2%.

PUBBLICO IMPIEGO: Parere richiesto dal Sindaco del Comune di Travedona Monate (Va), con popolazione inferiore a 5.000 abitanti sulla possibilità di assumere due unità di personale, nonché di procedere ad una progressione verticale, alla luce dei vincoli posti dall'art. 1, co. 2 della l. 296/2006 (Corte dei Conti, Sez. regionale di controllo Lombardia, parere 27.05.2009 n. 244 - link a www.corteconti.it).

PUBBLICO IMPIEGO: Parere richiesto dal Sindaco del comune di Alzano del Parco (CO) circa la possibilità di dare seguito alla progressione giuridica del personale già assunto a tempo indeterminato, mediante passaggio funzionale all'interno della stessa categoria ed area (categoria D, area tecnica) (Corte dei Conti, Sez. regionale di controllo Lombardia, parere 25.05.2009 n. 231 - link a www.corteconti.it).

PUBBLICO IMPIEGO: Comune di Valeggio sul Mincio (VR) - Parere in merito alla corretta applicazione delle disposizioni concernenti l'incentivo per la progettazione di cui all'art. 92, comma 5, del Codice dei contratti pubblici, in seguito alle novità introdotte dall'art. 18, comma 4-sexies della legge n. 2/2009. Decorrenza della riduzione percentuale (Corte dei Conti, Sez. regionale di controllo Veneto, parere 21.05.2009 n. 82 - link a www.corteconti.it).
La Sezione ricorda che la materia degli incentivi alla progettazione interna è stata oggetto di numerose recenti modifiche, che si ritiene opportuno ricostruire brevemente.
In particolare:
- l’art. 92, comma 5, del codice dei contratti pubblici ha previsto che “
una somma non superiore al due per cento dell'importo posto a base di gara di un'opera o di un lavoro, comprensiva anche degli oneri previdenziali e assistenziali a carico dell’amministrazione, a valere direttamente sugli stanziamenti di cui all'articolo 93, comma 7, è ripartita, per ogni singola opera o lavoro, con le modalità e i criteri previsti in sede di contrattazione decentrata e assunti in un regolamento adottato dall'amministrazione, tra il responsabile del procedimento e gli incaricati della redazione del progetto, del piano della sicurezza, della direzione dei lavori, del collaudo, nonché tra i loro collaboratori. La percentuale effettiva, nel limite massimo del due per cento, è stabilita dal regolamento in rapporto all'entità e alla complessità dell'opera da realizzare”.
- l’art. 61, comma 8, del decreto legge n. 112/2008 convertito in legge n. 133/2008, ha operato una modifica alla suddetta disciplina, stabilendo che “a
decorrere dal 1° gennaio 2009, la percentuale relativa a lavori, servizi e forniture è destinata nella misura dello 0,5% alle finalità di cui alla medesima disposizione e, nella misura dell’1,5%, è versata ad apposito capitolo dell’entrata del bilancio dello Stato”.
Il successivo comma 17, poi, con riferimento all’ambito di applicazione soggettiva delle misure di contenimento della spesa pubblica contemplate nell’art. 61, ha previsto che “
Le somme provenienti dalle riduzioni di spesa e le maggiori entrate di cui al presente articolo, con esclusione di quelle di cui ai commi 14 e 16, sono versate annualmente dagli enti e dalle amministrazioni dotati di autonomia finanziaria ad apposito capitolo dell'entrata del bilancio dello Stato.” Tuttavia, il medesimo comma 17 ha precisato che “La disposizione di cui al primo periodo non si applica agli enti territoriali e agli enti, di competenza regionale o delle province autonome di Trento e di Bolzano, del Servizio sanitario nazionale.”
- l’art. 1, comma 10-quater, del decreto legge n. 162/2008, convertito in legge n. 201/2008, ha modificato l’art. 92, comma 5, del D. Lgs. n. 163/2006 “
allo scopo di fronteggiare la crisi nel settore delle opere pubbliche e al fine di incentivare la progettualità delle amministrazioni aggiudicatrici”, disponendo che l’incentivo in questione corrisposto al singolo dipendente non possa superare l’importo del rispettivo trattamento economico complessivo annuo lordo, ed ha abrogato il citato art. 61, comma 8, del D.L. n. 112/2008;
- da ultimo, l’art. 18 comma 4-sexies del decreto legge n. 185/2008, convertito in legge n. 2/2009, ha in sostanza reintrodotto il contenuto del suddetto comma 8, introducendo il comma 7-bis dell’art. 61 del D.L. n. 112/2008, che dispone che “
A decorrere dal 1° gennaio 2009, la percentuale prevista dall'articolo 92, comma 5, del codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, di cui al decreto legislativo 12.04.2006 n. 163, e successive modificazioni, è destinata nella misura dello 0,5 per cento alle finalità di cui alla medesima disposizione e, nella misura dell'1,5 per cento, è versata ad apposito capitolo dell'entrata del bilancio dello Stato per essere destinata al fondo di cui al comma 17 del presente articolo”.
Tale ultimo inciso, relativo alla quota residua dell’1,5% (rectius, della quota residua che va fino ad un massimo dell’1,5%, ben potendo gli enti aver scelto una percentuale di incentivo inferiore al 2%), non si applica agli enti territoriali e agli enti del SSN, le cui economie di spesa verranno acquisite ai rispettivi saldi di bilancio.
Del resto, l’art. 61 comma 17, con riferimento al comma 8 abrogato, escludeva l’applicazione di tale normativa proprio nei confronti di tali enti.
Posto quanto sopra, si evidenzia che la novella normativa qui considerata interviene sul limite massimo dell’importo complessivo dell’incentivo e non sulla distribuzione delle quote di spettanza dei dipendenti che hanno partecipato al procedimento.
E’ anche indubbio che a seguito della novella normativa l’assetto regolamentare di ripartizione dell’incentivo non solo debba essere adeguato alla modifica normativa, ma possa mutare in base ad una nuova valutazione di interessi da parte dell’amministrazione che, in considerazione della consistente decurtazione operata dal legislatore, potrà decidere un nuovo riparto interno tra gli aventi diritto.
Ciò premesso, può affrontarsi la questione sottoposta all’esame di questa Sezione, relativa all’applicabilità o meno della riduzione percentuale di incentivo alle attività tecniche già poste in essere prima dell’01.01.2009 ma non ancora remunerate a tale data.
In primo luogo si osserva che il generale principio d’irretroattività delle leggi (art. 11 prel.) opera con riferimento ai rapporti esauriti prima della data di entrata in vigore (o della data di efficacia, se antecedente, come nel caso specifico) della nuova normativa, mentre per le situazioni pendenti alla stessa data vige il principio di applicazione immediata della norma.
Il problema, quindi, è quello di stabilire quale sia il concetto di situazione pendente.
E’ indubbio che la novella normativa va ad incidere sulla percentuale cumulativa dell’incentivo, che è il corrispettivo complessivo dell’attività svolta da tutti i dipendenti coinvolti nel procedimento, ma poiché le prestazioni rese nell’ambito del procedimento non sono considerate dall’ordinamento come un unicum inscindibile, in quanto sono divisibili naturalmente e giuridicamente, va da sé che il concetto di situazione pendente debba essere riferito alle singole prestazioni e non al procedimento di appalto.
Se quelle attività e prestazioni di tipo tecnico (progettazione, direzione lavori, ecc.) sono state svolte in pendenza della vecchia disciplina, a fronte di esse il personale interessato ha maturato un vero e proprio diritto alla corresponsione degli emolumenti, intangibile dallo jus superveniens.
Ciò è da ricondursi principalmente allo stretto legame rinvenibile tra la determinazione e la liquidazione dell’incentivo, e le singole attività svolte, che è identificabile in termini di vera e propria corrispettività, come risulta del resto dallo stesso art. 92, comma 5, del codice dei contratti, ove si prevede che “
la ripartizione tiene conto delle responsabilità professionali connesse alle specifiche prestazioni da svolgere” e che “la corresponsione dell'incentivo è disposta dal dirigente preposto alla struttura competente, previo accertamento positivo delle specifiche attività svolte dai predetti dipendenti”.
Sul fatto che una volta realizzata l’attività incentivata il tecnico interno vanti un vero e proprio diritto soggettivo all’erogazione del compenso concorda peraltro anche la giurisprudenza della Corte di cassazione (cfr. Cass., Sez. lavoro, sent. n. 13384 del 19.07.2004).
Ciò che conta, dunque, ai fini della nascita di tale diritto è l’effettivo svolgimento della prestazione, mentre, nel caso di prestazioni di durata che non si esauriscono in un’unica attività (es. quella imputabile al responsabile del procedimento) e che si svolgono lungo un certo arco di tempo, dovrà considerarsi la frazione temporale di attività compiuta. Condividendosi, pertanto, l’orientamento espresso dalla Sezione delle Autonomie con delibera 7/SEZAUT/2009/QMIG, cui si rinvia, si conclude nel senso che l’ammontare dell’incentivo in questione vada ricondotto al momento in cui è sorto il diritto, ossia al momento del compimento dell’attività svolta.
Tale ammontare non può essere modificato per effetto di norme successive limitative della spesa, che regoleranno in via generale l’incentivazione dell’attività tecnica posta in essere successivamente alla data dell’01.01.2009, cui farà seguito la relativa nuova disciplina interna dell’ente, che ne regolerà gli aspetti di dettaglio.
I compensi da erogare successivamente all’01.01.2009, ma relativi ad attività svolta precedentemente, resteranno assoggettati alla disciplina in vigore prima dell’emanazione dell’art. 7-bis.

PUBBLICO IMPIEGO: Comune di Vigonza (PD) - Parere in merito alla corretta applicazione delle disposizioni concernenti l'incentivo per la progettazione di cui all'art. 92, comma 5, del Codice dei contratti pubblici, in seguito alle novità introdotte dall'art. 18, comma 4-sexies della legge n. 2/2009 . Decorrenza della riduzione percentuale (Corte dei Conti, Sez. regionale di controllo Veneto, parere 21.05.2009 n. 81 - link a www.corteconti.it).

PUBBLICO IMPIEGO: Comune di Treviso - Parere in merito alla corretta applicazione delle disposizioni concernenti l'incentivo per la progettazione di cui all'art. 92, comma 5, del Codice dei contratti pubblici, in seguito alle novità introdotte dall'art. 18, comma 4-sexies della legge n. 2/2009 . Decorrenza della riduzione percentuale (Corte dei Conti, Sez. regionale di controllo Veneto, parere 21.05.2009 n. 79 - link a www.corteconti.it).

PUBBLICO IMPIEGO: Comune di SCHIO (VI) - Parere in merito alla corretta applicazione delle disposizioni concernenti l'incentivo per la progettazione di cui all'art. 92, comma 5, del Codice dei contratti pubblici, in seguito alle novità introdotte dall'art. 18, comma 4-sexies della legge n. 2/2009 (Corte dei Conti, Sez. regionale di controllo Veneto, parere 21.05.2009 n. 78 - link a www.corteconti.it).

PUBBLICO IMPIEGO: Comune di San Martino di Venezze (RO) - Parere in merito alla corretta applicazione delle disposizioni concernenti l'incentivo per la progettazione di cui all'art. 92, comma 5, del Codice dei contratti pubblici, in seguito alle novità introdotte dall'art. 18, comma 4-sexies della legge n. 2/2009 (Corte dei Conti, Sez. regionale di controllo Veneto, parere 21.05.2009 n. 77 - link a www.corteconti.it).

PUBBLICO IMPIEGO: Comune di Zanè (VI) - Parere in merito alla corretta applicazione delle disposizioni concernenti l'incentivo per la progettazione di cui all'art. 92, comma 5, del Codice dei contratti pubblici, in seguito alle novità introdotte dall'art. 18, comma 4-sexies della legge n. 2/2009 (Corte dei Conti, Sez. regionale di controllo Veneto, parere 21.05.2009 n. 76 - link a www.corteconti.it).
Risulta sottoposta all’esame di questa Sezione una questione di diritto intertemporale.
In base all’art. 92, comma 5, del codice dei contratti pubblici “
una somma non superiore al due per cento dell'importo posto a base di gara di un'opera o di un lavoro, comprensiva anche degli oneri previdenziali e assistenziali a carico dell’amministrazione, a valere direttamente sugli stanziamenti di cui all'articolo 93, comma 7, è ripartita, per ogni singola opera o lavoro, con le modalità e i criteri previsti in sede di contrattazione decentrata e assunti in un regolamento adottato dall'amministrazione, tra il responsabile del procedimento e gli incaricati della redazione del progetto, del piano della sicurezza, della direzione dei lavori, del collaudo, nonché tra i loro collaboratori. La percentuale effettiva, nel limite massimo del due per cento, è stabilita dal regolamento in rapporto all'entità e alla complessità dell'opera da realizzare”.
La disposizione originaria oggetto del quesito era stata introdotta dall’art. 61, comma 8, della L. 133/2008 di conversione del DL 112/2008, secondo la quale “
a decorrere dal 1° gennaio 2009, la percentuale prevista dall’art. 92, comma 5, del codice dei contratti pubblici relativi lavori, servizi e forniture, di cui al D.Lgs. 12.04.2006, n. 163, è destinata nella misura dello 0,5% alle finalità di cui alla medesima disposizione e, nella misura dell’1,5%, è versata ad apposito capitolo dell’entrata del bilancio dello Stato”.
Il successivo comma 17 precisava, tra l’altro, che le somme provenienti dalle riduzioni di spesa disposte da quell’articolo (con esclusione di quelle di cui ai commi 14 e 16) dovessero essere versate ad apposito capitolo dell’entrata del bilancio dello Stato, ma che da tale obbligo di versamento fossero escluse le autonomie territoriali e gli enti del SSN.
Pertanto, gli enti locali, da un lato, avrebbero dovuto operare una consistente riduzione dell’incentivo destinabile ai progettisti interni e al restante personale indicato dalla normativa, dall’altro avrebbero dovuto acquisire le economie di spesa ai rispettivi saldi di bilancio.
La norma dell’art. 61, comma 8, entrata in vigore il 22.08.2008, veniva abrogata dall’art. 1, comma 10-quater, lett. b) della legge 22 .12.2008, n. 201 di conversione del DL 162/2008, prima, quindi, che la stessa potesse esplicare efficacia.
Trascorso un mese dall’intervenuta abrogazione, la norma fu ripristinata, con una formulazione pressoché identica, dall’art. 18, comma 4-sexies, della legge 28.01.2009, n. 2, di conversione del DL 185/2008, che aggiunse il comma 7-bis all’art. 61 del DL 112/2008. Il nuovo comma dell’art. 61 ha aggiunto, in realtà, al termine della formulazione del soppresso comma 8 il seguente inciso “
per essere destinata al fondo di cui al comma 17 del presente articolo”, imprimendo alla percentuale dell’1,5% quindi una specifica destinazione (al fondo statale per la tutela della sicurezza e del soccorso pubblico).
In ogni caso, permane l’esclusione delle autonomie territoriali dall’obbligo di versamento sul capitolo di entrata dello Stato.
Posto quanto sopra, si evidenzia che la novella normativa qui considerata interviene sul limite massimo dell’importo complessivo dell’incentivo e non sulla distribuzione delle quote di spettanza dei dipendenti che hanno partecipato al procedimento.
E’ anche indubbio che a seguito della novella normativa l’assetto regolamentare di ripartizione dell’incentivo non solo debba essere adeguato alla modifica normativa, ma possa mutare in base ad una nuova valutazione di interessi da parte dell’amministrazione che, in considerazione della consistente decurtazione operata dal legislatore, potrà decidere nuovi criteri di riparto interno tra gli aventi diritto.
Il problema che si pone all’attenzione dell’interprete e che interessa il Comune istante è quello dell’applicazione della nuova percentuale alle situazioni giuridiche sorte in base alla normativa preesistente e non ancora estinte.
In primo luogo si osserva che il generale principio d’irretroattività delle leggi (art. 11 prel.) opera con riferimento ai rapporti esauriti prima della data di entrata in vigore (o della data di efficacia, se antecedente, come nel caso specifico) della nuova normativa, mentre per le situazioni pendenti alla stessa data vige il principio di applicazione immediata della norma.
Il problema, quindi, è quello di stabilire quale sia il concetto di situazione pendente.
E’ indubbio che la novella normativa va ad incidere sulla percentuale cumulativa dell’incentivo, che è il corrispettivo complessivo dell’attività svolta da tutti i dipendenti coinvolti nel procedimento, ma poiché le prestazioni rese nell’ambito del procedimento non sono considerate dall’ordinamento come un unicum inscindibile, in quanto sono divisibili naturalmente e giuridicamente, va da sé che il concetto di situazione pendente debba essere riferito alle singole prestazioni e non al procedimento di appalto.
Se quelle attività e prestazioni di tipo tecnico (progettazione, direzione lavori, ecc.) siano state svolte in pendenza della vecchia disciplina, a fronte di esse il personale interessato ha maturato un vero e proprio diritto alla corresponsione degli emolumenti, intangibile dallo jus superveniens.
Ciò è da ricondursi principalmente allo stretto legame rinvenibile tra la determinazione e la liquidazione dell’incentivo, e le singole attività svolte, che è identificabile in termini di vera e propria corrispettività, come risulta del resto dallo stesso art. 92, comma 5, del codice dei contratti, ove si prevede che “la ripartizione tiene conto delle responsabilità professionali connesse alle specifiche prestazioni da svolgere” e che “
la corresponsione dell'incentivo è disposta dal dirigente preposto alla struttura competente, previo accertamento positivo delle specifiche attività svolte dai predetti dipendenti”.
Sul fatto che una volta realizzata l’attività incentivata il tecnico interno vanti un vero e proprio diritto soggettivo all’erogazione del compenso concorda peraltro anche la giurisprudenza della Corte di cassazione (cfr. Cass., Sez. lavoro, sent. n. 13384 del 19.07.2004).
Ciò che conta, dunque, ai fini della nascita di tale diritto è l’effettivo svolgimento della prestazione, mentre, nel caso di prestazioni di durata che non si esauriscono in un’unica attività (es. quella imputabile al responsabile del procedimento) e che si svolgono lungo un certo arco di tempo, dovrà considerarsi la frazione temporale di attività compiuta. Condividendosi, pertanto, l’orientamento espresso dalla Sezione delle Autonomie con delibera n. 7/SEZAUT/2009/QMIG, cui si rinvia, si conclude nel senso che l’ammontare dell’incentivo in questione vada ricondotto al momento in cui è sorto il diritto, ossia al momento del compimento dell’attività svolta.
Tale ammontare non può essere modificato per effetto di norme successive limitative della spesa, che regoleranno in via generale l’incentivazione dell’attività tecnica posta in essere successivamente alla data dell’01.01.2009.
Ai fini dell’applicazione immediata dello jus superveniens, non potrebbe rilevare il mancato pagamento di una prestazione effettuata prima della data di decorrenza dell’efficacia dell’art. 18, comma 4-sexies, della legge 2/2009 (1° gennaio 2009), altrimenti il diritto alla misura piena del compenso incentivante (che è liquido ed esigibile al momento del compimento dell’attività) verrebbe fatto dipendere dal tempestivo adempimento della prestazione pecuniaria da parte della p.a. e, cioè, dal comportamento diligente del debitore.
Pertanto, a riscontro del quesito posto dal Comune di Zanè, si ritiene che per individuare quale sia la disciplina relativa alla quantificazione dell’incentivo da applicarsi al caso concreto occorra fare riferimento alla data di compimento delle singole attività dei dipendenti rispetto alla decorrenza di efficacia dell’art. 18, comma 4-sexies, della legge 28.01.2009, n. 2: ove siano state compiute antecedentemente al 1° gennaio 2009 dovranno essere remunerate secondo la normativa allora vigente.

ENTI LOCALI: Parere richiesto dal Sindaco del Comune di San Lorenzo Maggiore (Bn) in ordine alla possibilità di conoscere se possa essere disposto il rimborso delle somme versate dai cittadini quale canone di depurazione e se si possano rimborsare ai cittadini che non abbiano fruito del servizio (perché dimoranti in zone non ancora servite) i canoni di depurazione versati negli ultimi dieci anni, oppure è o necessaria un'apposita sentenza dell'A.G.O. (Corte dei Conti, Sez. regionale di controllo Campania, parere 18.05.2009 n. 24 - link a www.corteconti.it).

INCARICHI PROFESSIONALI: Parere richiesto dal Sindaco del Comune di Bergamo: se, dopo l'entrata in vigore della legge 266/2005 che limita l'invio alla Corte degli atti di spesa di importo superiore a 5.000 euro, sia ancora obbligatorio acquisire sugli incarichi in questione la preventiva valutazione dell'organo di revisione ovvero se tale valutazione non sia resa più necessaria (Corte dei Conti, Sez. regionale di controllo Lombardia, parere 14.05.2009 n. 213 - link a www.corteconti.it).

ENTI LOCALI: Parere richiesto dal Comune di Cittadella (Pd) in ordine alla possibilità di istituire una s.r.l. nel settore del turismo in ragione dell'impossibilità per l'ente di assumere personale (Corte dei Conti, Sez. regionale di controllo Veneto, parere 11.05.2009 n. 52 - link a www.corteconti.it).
Bisogna innanzitutto ricordare che la materia delle esternalizzazioni da parte degli enti locali è stata di recente oggetto di particolare attenzione da parte del legislatore, che con una serie di norme (per esempio, l’art. 3 comma 27 e 30 della L. n. 244/2007) ha definito una serie di regole molto importanti, al fine anche di limitare il sempre più frequente abuso di moduli privatistici da parte dei vari enti, nonché la duplicazione dei centri di spesa.
Con specifico riferimento ai vincoli di spesa del personale, l’art. 76, comma 1, del D.L. n. 112/2008, conv. in L. n. 133/2008, ha integrato l’art. 1, comma 557, della legge n. 296/2006, che com’è noto sancisce l’obbligo per gli enti locali sottoposti al patto di stabilità di assicurare la riduzione di tale spesa, ricomprendendo in tale concetto anche l’esborso sostenuto per tutti i soggetti a vario titolo utilizzati dagli organismi partecipati o comunque facenti capo all'ente.
Lo stesso articolo 76, al comma 4, con riferimento agli enti sottoposti al blocco totale delle assunzioni per il mancato rispetto del patto di stabilità nell’esercizio precedente, ha imposto il divieto espresso di stipulare contratti di servizio con soggetti privati che si configurino come elusivi del divieto.
Con tali norme, il legislatore da un lato ha voluto assicurare in modo ancora più pregnante l’obbligo di riduzione della spesa di personale, propedeutica al rispetto dei vincoli generali di finanza pubblica, anche con riferimento a centri di spesa comunque riconducibili all’ambito pubblico nonostante la veste privatistica, e dall’altro ha voluto chiaramente impedire che il modulo organizzativo delle esternalizzazioni fosse utilizzato per eludere i vincoli normativi alla spesa pubblica e le sanzioni da essi derivanti.
L’ente, pertanto, qualora non ricorrano cumulativamente le condizioni introdotte dall’art. 3, comma 120, della L. n. 244/2007 (rispetto del patto di stabilità nell’ultimo triennio, volume complessivo della spesa di personale non superiore al parametro stabilito per gli enti strutturalmente deficitari, e rapporto medio tra dipendenti in servizio e popolazione residente non superiore a quello determinato per gli enti in condizioni di dissesto) è tenuto a non incrementare la spesa di personale né direttamente, né indirettamente, per il tramite delle società da questo costituite o partecipate e, qualora assoggettato al blocco delle assunzioni, non potrà ricorrere ad esternalizzazioni con finalità elusive del divieto in questione.
In questo senso, non possono che condividersi le valutazioni espresse nel parere della Sezione regionale di controllo per la Lombardia n. 79/2008, citato nello stesso quesito.
L’esternalizzazione non può in alcun modo costituire la risposta per aggirare un divieto o una sanzione legislativa, in quanto costituisce una scelta gestionale, come già ricordato da questa Sezione (cfr. delibera 5/2009/par.), subordinata al preventivo accertamento da parte dell’ente dei costi e i benefici da essa derivanti, giustificabile solo nella misura in cui risulti la soluzione preferibile in termini di efficienza, efficacia ed economicità rispetto alla gestione diretta del servizio (cd. valutazione “make or buy”), anche con riferimento alle ricadute sui cittadini in un’ottica di lungo periodo.
La mancanza o la superficialità di tali complesse analisi preventive può costituire un sintomo dell’intento elusivo, oltre che possibile causa di danno per l’ente.

LAVORI PUBBLICI: Parere richiesto dal Sindaco di San Giorgio del Sannio, il quale, premesso di aver applicato canone di depurazione nei confronti della generalità degli utenti anche se solo parte di essi fruisce del depuratore in funzione, ha chiesto di conoscere se si possono rimborsare ai cittadini che non abbiano fruito del servizio (perché dimoranti in zone non ancora servite) i canoni di depurazione versati negli ultimi dieci anni, oppure è all'uopo necessaria un'apposita sentenza dell'A.G.O. (Corte dei Conti, Sez. regionale di controllo Campania, parere 07.05.2009 n. 23 - link a www.corteconti.it).

ENTI LOCALI: Parere richiesto dal Sindaco del Comune di Marigliano (Na) in ordine alla possibilità di conoscere se, avendo disponibilità finanziaria sui capitoli di bilancio, è possibile procedere alla liquidazione di un debito fuori bilancio scaturente da una sentenza esecutiva [ex art. 194 del d.lgs n. 267/2000 lett. a)] prima che la legittimità dello stesso sia riconosciuta dal Consiglio comunale, nonché se l'ulteriore somma necessaria per la liquidazione delle competenze professionali dei legali incaricati dall'Ente, il cui importo previsto è regolarmente impegnato all'atto di conferimento dell'incarico risulta insufficiente al termine del giudizio, è da considerarsi debito fuori bilancio ai sensi dell'art. 194 del d.lgs n. 267/2000 lett. e) (Corte dei Conti, Sez. regionale di controllo Campania, parere 29.04.2009 n. 22 - link a www.corteconti.it).

PUBBLICO IMPIEGO: Parere richiesto dal Sindaco del Comune di Bologna riguardante la legittimità del rimborso, ad alcune categorie di dipendenti, delle quote di iscrizione agli albi professionali (Corte dei Conti, Sez. regionale di controllo Emilia Romagna, parere 28.04.2009 n. 10 - link a www.corteconti.it).
Va detto che sul punto viene riscontrata una diversa posizione assunta, da un lato, dalla Corte di Cassazione (sentenza 3928/2007) e dall’altro dalla Corte dei conti in sede di controllo (vari pareri: Sez. contr. Sardegna 2007/2001; Sez. contr. Piemonte 2007/2; Sez. contr. Toscana 2008/11/P) e dal Ministero dell’Interno (parere del 12-09-2008).
Nella pronunzia della Corte di Cassazione si afferma che le spese necessarie per l’esercizio della professione, comprese quelle per l’iscrizione all’albo professionale, siano sostenute esclusivamente nell’interesse del datore di lavoro e debbano, quindi, essere poste a suo carico.
In quelle della Corte dei conti in sede di controllo si rileva come l’iscrizione all’albo rappresenti un imprescindibile requisito per lo svolgimento dell’attività professionale del dipendente, che deve pertanto essere da lui garantito con il pagamento della tassa annuale di iscrizione. In alcune pronunzie si richiamano pure i forti vincoli legislativi sempre presenti in materia di spesa complessiva per il personale delle pubbliche amministrazioni e si manifesta l’avviso che, per il caso all’esame, sussista comunque il generale divieto di porre a carico degli enti pubblici oneri non previsti dalla contrattazione collettiva e da quella individuale.
Analoghe affermazioni compaiono nel parere del Ministero dell’Interno, in cui viene evidenziata come, in assenza di disposizioni di legge o negoziali non possa riconoscersi un obbligo dell’Amministrazione a sostenere gli oneri in questione.
Ritiene il Collegio che agli orientamenti appena richiamati, e che appaiono condivisibili, si pervenga attraverso una preliminare, attenta valutazione della peculiarità del rapporto di lavoro all’esame. Esso è infatti caratterizzato, a differenza di altri rapporti di lavoro pubblico, da una attività di alta specializzazione che può essere svolta solo in presenza del requisito, imprescindibile e permanente, della iscrizione dell’interessato ad un ordine professionale. Il mantenimento di tale requisito, che resta affidato alla sua responsabilità, comporta vari obblighi, tra cui anche quello di provvedere agli adempimenti connessi alla corresponsione della quota annuale di iscrizione al proprio albo professionale, che non possono riguardare in alcun modo l’ente datore di lavoro.
Appare significativo a tal proposito, il fatto che gli strumenti di contrattazione collettiva, non abbiano mai previsto, alcun specifico onere a carico dell’amministrazione.
A ciò va aggiunta la considerazione che, in assenza di espresse disposizioni di legge sul punto, debba prevalere la scrupolosa osservanza dei vigenti criteri di contenimento degli oneri in materia di spesa del personale.
Quanto al quesito se il rimborso di cui trattasi possa ammettersi nell’ambito del tirocinio gratuito offerto dal Comune di Bologna ai praticanti Avvocati, si ritiene che, trattandosi di rimborso previsto ad altro titolo, esso possa considerarsi ammissibile.

ENTI LOCALI: Parere richiesto dal Sindaco del comune di Pago Veiano (Bn) sulla possibilità di conoscere se il Comune debba continuare a riscuotere il canone o il diritto di fognatura dai cittadini non allacciati direttamente all'impianto fognario comunale, nonché procedere al rimborso dei canoni di depurazione ai cittadini non serviti dal relativo impianto e che li abbiano versati in applicazione della norma dichiarata incostituzionale (Corte dei Conti, Sez. regionale di controllo Campania, parere 24.04.2009 n. 19 - link a www.corteconti.it).

ENTI LOCALI: Comune di Treviso (TV) - Indebita percezione del canone di depurazione. Parere sulle modalità di restituzione dell'indebito da parte dei comuni (Corte dei Conti, Sez. regionale di controllo Veneto, parere 23.04.2009 n. 32 - link a www.corteconti.it).

APPALTI SERVIZI: Parere richiesto dal Sindaco del comune di Teana circa il conferimento di incarichi di patrocinio legale ad avvocati esterni all'ente (Corte dei Conti, Sez. regionale di controllo Basilicata, parere 03.04.2009 n. 8 - link a www.corteconti.it).
Dal tenore dei quesiti si desume che
il caso al quale si riferisce il Comune istante riguarda l’incarico di patrocinio legale che un Ente, sprovvisto di avvocatura interna, si trova a dover necessariamente conferire al professionista esterno nel momento in cui sorge la necessità di agire in giudizio (quale parte attrice) ovvero di resistere ad esso (se parte convenuta o resistente). Si desume, altresì, che il patrocinio non si intende limitato alla rappresentanza in giudizio dell’Ente ma, in generale, comprende anche l’assistenza e la difesa del patrocinato.
Il primo interrogativo posto riguarda le modalità di conferimento di detto incarico.
Il Sindaco del Comune di Teana sostiene trattarsi di “servizio legale”, come tale riconducibile alla disciplina dell’appalto di servizi, regolato dall’art. 20 del D.Lgs. n. 163/2006 (in appresso, per brevità, “Codice dei contratti pubblici” o “Codice”).
Al riguardo si osserva che vi sono, invero, indici rilevanti di un orientamento tendente a qualificare le prestazioni professionali rese da avvocati, tanto in sede giudiziale che stragiudiziale, quali “servizi”, sia pure in una accezione talmente ampia da farvi rientrare non solo il compimento di un servizio inteso quale risultato della prestazione, ma anche la c.d. prestazione di diligenza professionale in sé considerata (o di mezzi), di natura intellettuale, resa da professionisti iscritti in appositi albi. In tal senso, già la legge n. 31 del 09.02.1982, regolante la libera prestazione “di servizi” da parte degli avvocati cittadini comunitari, rubricava come “servizi professionali” quelli di cui qui trattasi. Da ultimo, l’art. 2 del D.L. 223/2006 (c.d. “decreto Bersani”) ricorre anch’esso all’espressione “servizi professionali” con riferimento alle attività libero professionali e intellettuali, secondo una linea di continuità con la elencazione dei “servizi” contenuta nell’art. 50 del Trattato C.E., che in tale categoria espressamente include anche le “attività delle libere professioni”, fornite normalmente dietro retribuzione, al fine di vietare restrizioni alla loro libera prestazione all’interno della Comunità.
Ritiene, tuttavia, la Sezione che gli argomenti ai quali fare ricorso per dare soluzione al complesso quesito sottoposto alla sua attenzione non possano fondarsi sulla mera coincidenza nominalistica di un dato letterale, sicché non sembra sufficiente l’aver qualificato “servizio” la prestazione libero professionale resa dall’avvocato per ritenerla senz’altro compresa nella categoria dei “servizi legali”, di cui all’allegato II B richiamato dall’art. 20 del Codice dei contratti pubblici.
D’altro canto, occorre costatare che non sempre l’incarico di patrocinio legale, di cui qui si discute, è conferito a un legale solo nel momento in cui sorge il bisogno di difesa giudiziale. Si tratta, in tal caso di un incarico episodico, legato alla necessità contingente. In altri casi –rilevabili dall’esame della giurisprudenza di cui si dirà in seguito- la prestazione in argomento è inserita in un più articolato quadro di attività professionali, organizzate sulla base dei bisogni rappresentati dall’Ente.
Orbene, l’indagine che segue dovrà verificare se la soluzione ritenuta adeguata a dare risposta a un caso valga anche per l’altro, ovvero se le due ipotesi sopra indicate richiedano soluzioni diverse, in tutto o in parte.
Appare, allora, necessario sottoporre ad un più penetrante scrutinio le norme in vigore, senza ignorare il livello e la natura degli interessi protetti sui quali queste norme finiscono per incidere. Non sembra irrilevante, infatti, la considerazione che, a differenza di altre prestazioni professionali, il patrocinio legale si lega a interessi costituzionalmente protetti, che assurgono a veri e propri diritti inviolabili, quale il diritto alla difesa e, pur senza implicare l’esercizio di pubblici poteri (Corte Giust., 21.06.1974, causa 2/74, Reyners c/ Stato belga), partecipa dell’amministrazione della giustizia quale servizio pubblico essenziale volto alla salvaguardia dei diritti della persona costituzionalmente tutelati (C.Cost., 27.05.1996, n. 171). Inoltre, sempre secondo la giurisprudenza comunitaria, l’esigenza di tutela del prestatore del servizio, in uno con la tutela del destinatario della prestazione stessa e, più in generale, con l’esigenza di una corretta ed efficiente amministrazione della giustizia, rappresentano “obiettivi che rientrano tra quelli che possono essere ritenuti motivi imperativi di interesse pubblico in grado di giustificare una restrizione della libera prestazione dei servizi (v., in tal senso, sentenze 12.12.1996, causa C 3/95, Reisebüro Broede, Racc. pag. I 6511, punto 31 e giurisprudenza ivi citata, nonché 21.09.1999, causa C 124/97, Läärä e a., Racc. pag. I 6067, punto 33)” (così il punto 64 della decisione nelle cause riunite C.giust. C‑94/04 e C‑202/04).
Si procederà, pertanto, previo inquadramento della disciplina delle prestazioni professionali (rese da avvocati) secondo l’ordinamento interno, all’esame delle norme di derivazione comunitaria alle quali il Comune istante ha inteso fare riferimento ed a quelle, non indicate, che si ritengono rilevanti ai fini della corretta impostazione dei quesiti.
Appare senz’altro preferibile, pur tra le varie opzioni scrutinabili dall’interprete, la tesi che riconduce il contratto di patrocinio legale –tanto circoscritto alla rappresentanza in giudizio, quanto esteso anche alla difesa giudiziale- nell’ambito del contratto d’opera intellettuale regolato dall’art. 2230 c.c. e ss..
Depongono in tal senso: la necessarietà e la non volontarietà (propria del mandato) di una rappresentanza processuale affidata a tecnici dotati di competenze particolari per il compimento di atti non negoziali, che la parte non potrebbe comunque compiere da sé (tranne eccezioni che non rilevano come regola); la circostanza che detti tecnici (avvocati), iscritti in appositi albi, esercitano professionalmente tale attività, alla quale si accompagna di regola anche la difesa, scritta o orale, della parte mediante una complessa attività intellettuale per mezzo della quale l’avvocato assume la difesa e dà sostegno alle ragioni di fatto e di diritto dell’assistito; il fine pubblicistico dell’amministrazione della giustizia con cui questa attività concorre; il richiamo espresso a disposizioni dettate a proposito di tale tipo contrattuale quando si tratta di sindacare la validità dell’accordo stipulato con chi non sia iscritto all’apposito albo (art. 2229 c.c.) o l’inesigibilità della retribuzione (art. 2231 c.c.); la determinazione del compenso secondo tariffe professionali (art. 2233 c.c.; Cass. Civ., II, 19.02.2007, n. 3740), nonché la misura della colpa professionale rilevante ai fini del giudizio di inadempimento (art. 2236 c.c.; Cass. Civ., II, 23.04.2002, n. 5928).
Tale sistematico inquadramento non sembra possa subire modifiche a seconda la natura del committente, se esso cioè sia un privato o un Ente pubblico. In disparte il dibattito, tutt’altro che sopito, circa le differenze tra appalto e contratto d’opera in generale, non potrebbe sostenersi che, se il patrocinio è richiesto da (e reso a) un soggetto privato, l’oggetto del contratto sia una prestazione d’opera intellettuale, mentre se a richiederlo è un soggetto pubblico essa diventi, per ciò stesso, oggetto di un contratto di appalto (di servizi). Al riguardo, e in generale per le prestazioni professionali, la giurisprudenza amministrativa è costantemente orientata a escludere la mutevolezza della natura giuridica del contratto d’opera intellettuale nelle due ipotesi (così Cons. Stato, IV, 27.06.2001 n. 3483, a proposito del contratto concluso fra una p.a. ed i componenti la commissione di collaudo di un’opera pubblica; Cons. Stato, IV, 28.08.2001, n. 4573, a proposito dell’attività professionale di redazione di strumenti urbanistici; TAR Liguria, 22.06.2002, n. 705; TAR Campania, II, 11.11.2003, n. 13477. Per Cass. Civ., II, 18.04.2003, n. 6326, la natura di contratto d’opera intellettuale, “caratterizzato, in quanto tale, dall’autonomia del prestatore”, è esclusa solo nel caso in cui l’avvocato sia un dipendente dell’Ente, prevalendo in tal caso il rapporto di subordinazione con il datore di lavoro).
Ciò posto, ci si deve preliminarmente chiedere se il contratto di patrocinio (qui inteso come quello volto a soddisfare il solo e circoscritto bisogno di difesa giudiziale del cliente), in quanto prestazione di lavoro autonomo, rientri o meno nella disciplina delle collaborazioni autonome, come da ultimo disciplinate dall’art. 46 del D.L. n. 112/2008, convertito con modificazioni con legge n. 133/2008. Si tratta di un tema che, non essendo stato sollevato nella richiesta di parere, non può essere trattato dalla Sezione se non nei ristretti limiti in cui è funzionale a dare contezza del complesso intreccio normativo che, per la soluzione del quesito stesso, si presenta all’attenzione dell’interprete.
In tale disciplina rientra, da un lato, il conferimento di incarichi individuali, con contratto di lavoro autonomo, di natura occasionale o coordinata e continuativa, dal contenuto professionale particolarmente specializzato, per sopperire ad esigenze cui gli enti non possono far fronte con personale in servizio. Per siffatta tipologia di incarichi l’art. 7 del D.Lgs. n. 165/2001, commi 6 e 6-bis, ha indicato i presupposti del conferimento e ha procedimentalizzato la modalità di scelta del professionista, sia imponendo la previa procedura comparativa (art. 7, comma 6-bis), sia imponendo la preventiva determinazione degli elementi del contratto. Si tratta di disposizioni alle quali devono adeguarsi anche i regolamenti degli EE.LL., ex art. 110, comma 6, del T.U.E.L.
Dall’altro lato, vi rientrano gli altri contratti di collaborazione autonoma che, indipendentemente dall’oggetto della prestazione, sono riferiti ad attività istituzionali stabilite dalla legge o previste dal programma approvato dal Consiglio ai sensi dell’art. 42, comma 2, del T.U.E.L.. Per tali contratti è il Regolamento previsto dall’art. 89 del T.U.E.L. che fissa i limiti, i criteri e le modalità per l’affidamento degli incarichi, il tutto in conformità a quanto stabilito dalle disposizioni vigenti, tra cui il citato art. 7 del D.Lgs. n. 165/2001.
Si richiama quanto argomentato, sul punto, dalle Sezioni Riunite della Corte dei conti in sede di controllo, con la delibera n. 6/2005. Sebbene l’occasione fosse rappresentata dall’esame della disciplina legislativa allora vigente regolante le modalità per il conferimento di incarichi di studio, ricerca, ovvero di consulenza, le Sezioni Riunite conclusero che, pur trattandosi di incarichi il cui contenuto “coincide (…) con il contratto di prestazione d’opera intellettuale, regolato dagli articoli 2229–2238 del codice civile”, dagli stessi restano esclusi (oltre ai rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, “che rappresentano una posizione intermedia fra il lavoro autonomo, proprio dell’incarico professionale, e il lavoro subordinato”), gli incarichi di “rappresentanza in giudizio ed il patrocinio dell’amministrazione”, in quanto incarichi “conferiti per gli adempimenti obbligatori per legge, mancando, in tali ipotesi, qualsiasi facoltà discrezionale dell’amministrazione”.
Tale conclusione è stata poi confermata anche dalla successiva delibera della Corte dei conti, Sezione delle Autonomie, n. 6/AUT/2008, che si è espressa con riguardo alle evoluzioni normative di epoca più recente.
Si aggiunge in questa sede, inoltre, con riferimento ai presupposti di legittimità indicati dall’art. 7, comma 6, del D.Lgs. n. 165/2001, che la prestazione di patrocinio legale per la difesa giudiziale dell’Ente non sembra possa essere ricondotta nell’ambito delle competenze istituzionali attribuite all’ente stesso dall’ordinamento, né (soprattutto per le ipotesi di incarichi episodici) possa costituire obiettivo o progetto specifico e determinato, come richiesto dalla norma.
In effetti, la difesa giudiziale rappresenta l’esercizio di un diritto-dovere mediante il quale affermare, di regola, la rispondenza degli atti (negoziali e provvedimentali), attraverso i quali si estrinseca l’attività funzionalizzata dell’ente, ai paradigmi di liceità e legittimità fissati dalla norma, che quel potere attribuisce.
Per lo stesso motivo, pur essendo astrattamente possibile ricondurre la locazione d’opera intellettuale nell’ambito delle attività di cooperazione (Cass. Civ., III, 26.07.2005, n. 15607), non appare configurabile il mero patrocinio legale alla stregua del contratto di collaborazione autonoma, al quale fa riferimento il citato art. 46, comma 2, del D.L. n. 112/2008, tale essendo quello riferibile alle attività istituzionali stabilite dalla legge o dall’apposito programma, approvato dal Consiglio dell’Ente ai sensi dell’art. 42, comma 2, del T.U.E.L..
In tale ultimo caso, poi, non si vede come possa essere programmabile, se non in via del tutto generica e ipotetica, un’attività che circostanze non dipendenti dalla volontà del soggetto programmatore rendono necessaria e non diversamente esercitabile se non nella forma dell’incarico a professionista esterno abilitato.
Altra cosa, invece, (con riguardo alla riferibilità alle attività istituzionali dell’Ente e alla programmabilità) è il conferimento di incarico per prestazioni che prevedano, oltre al patrocinio legale delle vertenze che sorgeranno entro un arco di tempo determinato, anche l’attività di consulenza legale a favore dell’Ente (TAR Campania-Napoli, II, 21.05.2008, n. 4855. In tale circostanza il Giudice adìto ha ritenuto di annullare l’affidamento fiduciario, senza la preventiva procedura selettiva e comparativa, di un incarico di patrocinio e consulenza legale, di durata annuale, per un compenso mensile fisso, per violazione del comma 6bis dell’art. 7 del D.Lgs. n. 165/2001, piuttosto che per violazione delle regole sull’appalto di servizi legali, diversamente da quanto ritenuto dal altri TT.AA.RR., come in appresso si dirà).
Riassumendo quanto fin qui detto, se ne ricava che l’incarico professionale di patrocinio, che viene conferito a un legale nel momento stesso in cui sorge il bisogno di difesa giudiziale dell’ente: a) è riconducibile al contratto d’opera intellettuale; b) il suo inquadramento sistematico lo colloca nell’ambito delle prestazioni di lavoro autonomo; c) resta escluso dall’ambito delle collaborazioni autonome, pur essendo queste prestazioni d’opera intellettuale.
Si tratta ora di verificare se le conclusioni fin qui raggiunte sono coerenti con la normativa di fonte comunitaria, ovvero se quest’ultima spinga verso soluzioni diverse quale il ritenere, necessariamente o solo sussistendone le condizioni, il patrocinio legale oggetto di appalto di servizi legali. È all’interno di tale indagine che potranno trovare collocazione sistematica le altre ipotesi, sopra solo accennate, in cui cioè la prestazione di patrocinio legale si lega a scelte organizzative più complesse e articolate.
Contrariamente a quanto ritenuto dall’Ente, va osservato che le disposizioni che riguardano i “servizi legali” non rappresentano affatto una novità introdotta nell’ordinamento interno a seguito della direttiva 2004/18/CE, in quanto già il D.Lgs 17.03.1995, n. 157 (“Attuazione della direttiva 92/50/CEE in materia di appalti pubblici di servizi”), indicava, nell’allegato 2, una serie di servizi, tra cui i “servizi legali”, relativamente ai quali non si applicava la disciplina generale nella sua integralità ma solo alcune disposizioni del citato decreto legislativo e, segnatamente: l’eventuale pubblicazione dell’avvenuta aggiudicazione (art. 8, co. 3); l’obbligo per l’amministrazione aggiudicatrice di definire le “specifiche tecniche” del servizio nei capitolati d’oneri o nei documenti contrattuali relativi a ciascun appalto (art. 20), obbligo, quest’ultimo, soggetto peraltro a deroghe (art. 21). Tutta una serie di servizi erano poi esclusi tout court dall’assoggettamento alle norme del decreto.
Veniva precisato, inoltre, nell’ottavo “considerando” delle premesse alla direttiva 1992/50/CE, trasfusa nel citato D.Lgs. n. 157/1995, che “la prestazione di servizi è disciplinata dalla presente direttiva soltanto quando si fondi su contratti d'appalto; [nel caso in cui la prestazione del servizio si fondi] su altra base, quali leggi o regolamenti ovvero contratti di lavoro, [detta prestazione] esula dal campo d'applicazione della presente direttiva”.
I servizi legali sono stati ora riproposti nell’allegato II B al D.Lgs. n. 163/2006 tra quei servizi per il cui affidamento (in virtù del richiamo operato dall’art. 20) trovano applicazione, esclusivamente, gli artt. 68 (specifiche tecniche), 65 (avviso sui risultati della procedura), 225 (avvisi relativi agli appalti aggiudicati). Gli appalti di servizi in questione, giova ribadire, non sono disciplinati, dunque, da tutte le disposizioni del D.Lgs. n. 163/2006, ma soggiacciono solo a quel nucleo minimo di specifiche regole sopra indicate (TAR Puglia-Lecce, 30.03.2007, n. 1333), oltre al rispetto dei principi generali richiamati dall’art. 27 del Codice (economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità), previo invito ad almeno cinque concorrenti, “se compatibile con l’oggetto del contratto”.
La direttiva 2004/18/CE, trasfusa nel Codice dei contratti pubblici, non riproduce la limitazione contenuta nell’ottavo “considerando” alle premesse della precedente direttiva, sopra riportato, ma raccomanda che “Per quanto riguarda i servizi di cui all'allegato II B [tra cui, appunto, i servizi legali], le disposizioni della presente direttiva dovrebbero far salva l'applicazione di norme comunitarie specifiche per i servizi in questione” (diciottesimo “considerando”).
A parere di questa Sezione il legislatore comunitario ha voluto con ciò intendere che la disciplina introdotta con l’ultima direttiva sugli appalti non va a sovrapporsi a quella risultante dalle direttive specificamente regolanti i singoli servizi le quali, senza ricondurre la prestazione professionale da conferire allo schema dell’appalto, hanno già posto le condizioni per garantire al prestatore di tali servizi l’accesso libero al mercato dei paesi comunitari, in ossequio ai diritti di libertà sanciti dal Trattato CE.
In proposito, deve osservarsi, infatti, che molto incisivamente il legislatore comunitario è intervenuto quando si è trattato di indicare, con espresso riferimento alle prestazioni professionali, le modalità attraverso le quali raggiungere il risultato di dare effettività e concretezza all’obiettivo indicato dall’articolo 3, paragrafo 1, lettera c) del Trattato CE, eliminando ogni ostacolo alla libera circolazione di persone e servizi tra Stati membri. Tale obiettivo si è inteso raggiungere, innanzitutto, prevedendo l'approvazione di direttive miranti al reciproco riconoscimento di diplomi, certificati e altri titoli abilitativi che consentano l’esercizio della professione in ogni paese comunitario.
È soprattutto con la direttiva 2005/36/CE del 07.09.2005, relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali -che ha superato la precedente direttiva 1998/5/CE, recepita con D.Lgs. n. 96 del 02.02.2001– che sono state poste le condizioni idonee a garantire la libera circolazione e il libero accesso al mercato delle professioni.
Non è casuale, del resto, che la stessa giurisprudenza comunitaria sia sempre stata investita, con riguardo alla professione forense, di questioni riconducibili al diritto di stabilimento e alla libera prestazione dei servizi all’interno degli Stati membri, censurando, perché di ostacolo alla concorrenza, la inderogabilità dei minimi tariffari, sulla quale è poi intervenuto il legislatore interno col richiamato “decreto Bersani” (C.giust., 21.06.1974, causa 74/2; Id., 03.12.1974, causa 33/74; Id., 28.04.1997, causa 71/76; Id., 12.07.1984, causa C-107/83; Id., 19.01.1988, causa 292/86; Id., 30.11.1995, causa C- 55/94; Id., 19.02.2002, causa C-303/99; Id., 05.12.2006, cause C‑94/04 e C‑202/04).
Ora, non pare dubitabile che in siffatto contesto la normativa comunitaria sopra riportata si preoccupi di tutelare la libera circolazione dei servizi e la libertà di stabilimento del prestatore di essi in quanto lavoratore, autonomo o subordinato. “Per i cittadini degli Stati membri, essa (libertà) comporta, tra l'altro, la facoltà di esercitare, come lavoratore autonomo o subordinato, una professione in uno Stato membro diverso da quello in cui hanno acquisito la relativa qualifica professionale” (così il primo “considerando” della direttiva 36 del 2005). Ed ancora: “la presente direttiva si applica a tutti i cittadini di uno Stato membro che vogliano esercitare, come lavoratori subordinati o autonomi, compresi i liberi professionisti, una professione regolamentata in uno Stato membro diverso da quello in cui hanno acquisito le loro qualifiche professionali” (così l’art. 2, comma 1, della citata direttiva).
Sembra, allora, che se il prestatore di servizi professionali è libero di poter esercitare la sua attività quale lavoratore, autonomo o subordinato, all’interno degli Stati membri, il relativo contratto debba ritenersi escluso dall’applicazione del Codice ex art. 19, comma 1, let. e). Di conseguenza, i “servizi legali” di cui all’allegato II B sarebbero oggetto di appalto solo se e quando la prestazione sia riconducibile a tale tipo di contratto. In altre parole, il servizio legale per essere oggetto di appalto richiederebbe un quid pluris, per prestazione o per modalità organizzativa, rispetto alla mera prestazione di patrocinio legale. In tal senso depone la prescrizione che, per l’affidamento di tali servizi, pretende l’indicazione delle specifiche tecniche fissate dal committente (art. 68 del Codice), che rappresentano la condizione per permettere l’apertura dell’appalto alla concorrenza (cfr. il ventinovesimo “considerando” alla direttiva n. 18 del 2004). Ed ancora, una conferma in tal senso può desumersi anche dal quarantasettesimo “considerando”: posto che “negli appalti pubblici di servizi, i criteri di aggiudicazione non devono influire sull'applicazione delle disposizioni nazionali relative alla rimunerazione di taluni servizi, quali ad esempio le prestazioni degli architetti, degli ingegneri o degli avvocati”, il prezzo di tali servizi, così determinato, di per sé solo, non sarebbe idoneo a garantire quella valutazione delle offerte in condizioni di effettiva concorrenza, che ammette soltanto l'applicazione di uno dei due criteri di aggiudicazione, quello del prezzo più basso e quello della offerta economicamente più vantaggiosa.
Da quanto precede non sembra, dunque, che il legislatore comunitario si sia preoccupato di regolare le modalità di affidamento dei contratti del tutto esclusi dall’ambito della disciplina degli appalti pubblici. Tra questi, il contratto di lavoro autonomo avente a oggetto il patrocinio legale, stipulato con un’amministrazione aggiudicatrice.
Si potrebbe, allora, ritenere che la fonte della disciplina interna per l’affidamento di detti contratti sia da rinvenire nelle disposizioni sulla contabilità generale dello Stato, recate dal R.D. n. 2440/1923, in particolare nell’art. 3, comma 2, in quanto compreso tra le “disposizioni vigenti in materia di contratti delle pubbliche amministrazioni” alle quali rinvia l’art. 192, comma 1, let. c) del T.U.E.L. per individuare le modalità di scelta del contraente ammesse per i contratti degli Enti Locali.
D’altro canto, tale lacuna, lasciata dalla normativa comunitaria, potrebbe, invece, essere colmata attingendo alle “procedure previste dalla normativa della Unione europea recepita o comunque vigente nell’ordinamento giuridico italiano” (art. 192, u.c., T.U.E.L.).
In effetti, l’estensione, in tal senso operata dal legislatore nazionale di principi comunitari a fattispecie che, a rigore, sarebbero escluse dall’ambito di applicazione della disciplina sugli appalti pubblici (cfr. art. 121 ss. del Codice a proposito degli appalti sotto soglia), risponde anche a precisi orientamenti tanto della Corte di Giustizia –secondo la quale “sebbene taluni contratti siano esclusi dalla sfera di applicazione delle direttive comunitarie nel settore degli appalti pubblici, le amministrazioni aggiudicatrici che li stipulano sono ciò nondimeno tenute a rispettare i principi fondamentali del Trattato” (C.giust., 03.12.2001, causa C-59/00, par. 20, Bent Mousten Vestergaard)– quanto del Consiglio di Stato –secondo il quale “i principi generali del Trattato [libertà di stabilimento (art. 43); libera prestazione dei servizi (art. 49); parità di trattamento e divieto di discriminazione in base alla nazionalità (artt. 43 e 49); trasparenza e non discriminazione (art. 86)], valgono comunque anche per i contratti e le fattispecie diverse da quelle concretamente contemplate; quali (oltre alla concessione di servizi) gli appalti sottosoglia e i contratti diversi dagli appalti tali da suscitare l'interesse concorrenziale delle imprese e dei professionisti” (Ad. Pl., 1/2008)– e trova positivo riscontro nell’art. 27 del Codice dei contratti pubblici, che ha esteso a tutti i contratti di servizi, sebbene totalmente esclusi dall’ambito proprio della direttiva sugli appalti, l’osservanza dei principi generali di derivazione comunitaria, tra cui il principio di concorrenzialità che impone la valutazione comparativa tra almeno cinque concorrenti, se compatibile con l’oggetto del contratto.
Ciò consente, peraltro, di rendere applicabili anche ai contratti di lavoro autonomo di patrocinio legale le indicazioni elaborate dalla Commissione europea con la “Comunicazione interpretativa” relativa al diritto comunitario applicabile alle aggiudicazioni di appalti non o solo parzialmente disciplinate dalle direttive “appalti pubblici” (Comunicazione 2006/C 179/02, in G.U.C.E., 01.08.2006 – comunicazioni e informazioni), sulla quale si tornerà in seguito.
L’excursus che precede si è reso necessario per tracciare i temi rilevanti ai fini del richiesto parere.
In primo luogo, la normativa interna relativa al conferimento di “collaborazioni autonome” non si applica alla prestazione professionale di patrocinio legale, giuste le osservazioni delle Sezioni Riunite e della Sezione delle Autonomie della Corte dei conti, sopra riportate.
In secondo luogo,
così come aveva già indicato la direttiva 1992/50/CE, già citata, la disciplina comunitaria relativa agli appalti di servizi legali -con quanto ne consegue in ordine alle modalità di conferimento della prestazione professionale che ne costituisce oggetto, ex art. 20 del Codice- si applica solo se il contratto di appalto rappresenta lo schema negoziale concretamente adottato, rimanendo esclusa quella (prestazione) che trovi fondamento in leggi o regolamenti ovvero in altri rapporti, quali, a titolo esemplificativo, quelli riconducibili ad attività lavorativa, autonoma o subordinata.
In terzo luogo, si chiarisce l’equivoco nel quale, sembra, essere incorso il Comune istante: quello cioè di aver ritenuto sufficiente considerare la prestazione di patrocinio legale un servizio per assoggettarlo alla disciplina comunitaria dell’appalto (di servizi). Vero è, invece, che il contratto di patrocinio legale, quale fonte di un rapporto di lavoro autonomo, ove non inserito in un contesto strutturato e organizzato più ampio, soggiace ai principi del diritto comunitario richiamati dall’art. 27 del Codice, che impone una procedura selettiva “se compatibile con l’oggetto del contratto”, con le ulteriori precisazioni e i suggerimenti operativi indicati nella Comunicazione della Commissione europea.
Tanto premesso, occorre ora indagare in quali casi ricorre l’appalto di servizi, con conseguente applicazione anche delle disposizioni indicate nell’art. 20 del codice stesso.
Non essendo questa la sede per affrontare il tema, ancora dibattuto, sulla natura (necessariamente o meno) imprenditoriale del prestatore di servizi negli appalti pubblici regolati dal D.Lgs. n. 163/2006, ovvero sulla natura della prestazione, se di risultato o anche solo di mezzi (Cons. Stato, IV, n. 263/2008), può soccorrere allo scopo l’esame dei casi nei quali la giurisprudenza amministrativa ha riconosciuto la sussistenza della fattispecie, potendosi ivi trarre motivi di riflessione.
Diversamente da quanto ritenuto nella richiesta di parere, le decisioni segnalate attinenti all’argomento non riguardano l’affidamento del patrocinio legale nei termini di cui si è detto nell’esposizione che precede, ma piuttosto l’affidamento, per un periodo di tempo determinato e dietro un corrispettivo anch’esso determinato, di una più articolata attività legale, che comprende anche l’assistenza e la consulenza oltre l’eventualità del patrocinio legale a favore dell’Ente.
Così nel caso deciso dal TAR Puglia, n. 5053/2006, l’affidamento riguardava il servizio di consulenza legale e patrocinio dell’ente, in ambito amministrativo e civile, per un periodo di cinque anni e per un corrispettivo annuo predeterminato.
Parimenti, nel caso deciso dal TAR Calabria, Sezione R.C., n. 330/2007, la fattispecie all’esame del Giudice riguardava l’affidamento diretto, senza alcuna previa procedura selettiva, dell’attività di consulenza professionale e di difesa giudiziale dell’Ente per un compenso predeterminato, attività espressamente qualificata come “servizio legale”.
Si è già detto, sopra, della fattispecie portata alla decisione del TAR Campania-Napoli, (sentenza n. 4855/2008), sebbene nella circostanza il G.A. abbia ritenuto di applicare la disciplina degli incarichi di collaborazione autonoma (secondo l’attuale terminologia) in luogo di quella sull’appalto di servizi.
Sembra, dunque, assumere un sempre più marcato rilievo la possibilità (solo di recente) concessa al professionista di organizzare e strutturare quella che, tradizionalmente, era una prestazione di lavoro autonomo, in un servizio (nella fattispecie, legale), da adeguare alle utilità che spetta solo all’ente conferente dover indicare, per un determinato arco temporale e per un corrispettivo determinato, avvalendosi degli spazi consentiti dall’art. 2 del citato D.L. 04.07.2006, n. 223, (c.d. Decreto Bersani). In esso, infatti, si afferma non solo la possibilità di convenire compensi inferiori ai minimi tariffari oppure parametrati al raggiungimento degli obiettivi prefissati (co. 1, let. a), o ancora di indicare il prezzo e i costi complessivi delle prestazioni (co. 1, let. b), ma soprattutto si afferma la possibilità di “fornire all'utenza servizi professionali di tipo interdisciplinare da parte di società di persone o associazioni tra professionisti, fermo restando che l'oggetto sociale relativo all'attività libero-professionale deve essere esclusivo, che il medesimo professionista non può partecipare a più di una società e che la specifica prestazione deve essere resa da uno o più soci professionisti previamente indicati, sotto la propria personale responsabilità” (co 1, let. c).
Si può così affermare che l’obbligo del committente di indicare, adeguandole alla natura del servizio, le specifiche tecniche che consentono di definire l’oggetto dell’appalto e le modalità della prestazione, affinché il servizio sia reso in modo da corrispondere alle esigenze del committente stesso –obbligo, non derogabile, posto dall’art. 68 ed espressamente richiamato dall’art. 20 del Codice- assume concreta valenza selettiva delle offerte presentate proprio nell’ambito di un servizio organizzato e strutturato.
Sembra allora alla Sezione che l’appalto di servizi legali sia configurabile allorquando l’oggetto del servizio non si esaurisca nel patrocinio legale a favore dell’Ente, ma si configuri quale modalità organizzativa di un servizio, affidato a professionisti esterni, più complesso e articolato, che può anche comprendere la difesa giudiziale ma in essa non si esaurisce. Ciò comporta che, in quanto modalità organizzativa, essa sia strutturata e organizzata dal professionista, con mezzi propri, per far fronte alle utilità indicate dall’ente conferente in un determinato arco temporale e per un corrispettivo determinato.
Così inteso, il servizio legale non può, evidentemente, essere affidato se non con le più specifiche modalità indicate dall’art. 20 del Codice, come interpretate dalla più volte citata Comunicazione della Commissione europea, alle quali si aggiungono quelle residuali dell’art. 27, che espressamente prevedono l’invito ad almeno cinque concorrenti (TAR Sardegna, I, 26.06.2007, n. 1355).
Seppure la procedura di affidamento non ricalchi, in questi casi, i rigidi canoni previsti dal Codice dei contratti pubblici
-(l’art. 25, co.1, let. b, della legge di delega n. 62/2005, espressamente prevedeva la “semplificazione delle procedure di affidamento che non costituiscono diretta applicazione delle normative comunitarie, finalizzata a favorire il contenimento dei tempi e la massima flessibilità degli strumenti giuridici”)- occorre comunque considerare che l’invito deve essere adeguatamente pubblicizzato (ove non ricorrano situazioni di estrema urgenza, risultanti da eventi imprevedibili) e formulato in modo da rendere espliciti gli elementi minimi affinché sia salvaguardato il risultato utile voluto dal legislatore in ordine al rispetto dei principi sopra indicati (economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza e proporzionalità) (TAR Lazio, III-quater, 08.07.2008, n. 6443).
Va, altresì, detto che l’Ente non potrebbe, espletata la procedura comparativa in esame, disattenderne l’esito, conferendo l’incarico ad altro professionista, ovvero a colui, tra quelli invitati, che, sulla base dei criteri predeterminati dall’Ente stesso, non appaia il concorrente più idoneo (Cons. Stato, IV, n. 263/2008).
Per ulteriori elementi di conoscenza, utili al rispetto della procedura di affidamento, si rinvia alla più volte citata “Comunicazione interpretativa della Commissione” del l'01.08.2006.
Quanto all’organo deputato a esprimersi in ordine all’opportunità di iniziare o resistere alla lite, come anche al soggetto dotato di legittimazione, che sottoscriverà la procura alla lite, in generale occorre fare riferimento a quanto indicato nello Statuto (art. 6 T.U.E.L.), dal momento che esso potrebbe attribuire la legittimazione attiva anche a dirigenti dell’ente (Cass. Civ., V, 04.02.2008, n. 2585).
Quanto, poi, al soggetto legittimato a stipulare il contratto di patrocinio o di appalto di servizio con il professionista, questi non può che essere il Dirigente, ai sensi dell’art. 107 del T.U.E.L., e non già la Giunta (Cons. Stato, IV, n. 263/2008, cit.; TAR Calabria, R.C., n. 330/2007; TAR Calabria, CZ, n. 453/2006; TAR Campania, n. 3081/2004).
In ogni caso, si segnala che per il contratto d’opera professionale, quando ne sia parte committente una p.a., è richiesta la forma scritta a pena di nullità, ai sensi degli artt. 16 e 17 R.D. n. 2440/1923 (Cass., 08.06.2007, n. 13508).
Relativamente al compenso spettante al professionista, occorre distinguere. Se nell’invito per la selezione era stato richiesta anche l’indicazione di detto compenso, ovvero il modo di determinarlo in riferimento alla tariffa vigente, l’affidamento al professionista porta già con sé la determinazione di detto onere.
Se, invece, la scelta è avvenuta senza la preventiva determinazione della componente economica, occorre che sia indicato l’importo del compenso o il criterio della sua determinazione, dovendosi richiamare l’Ente all’osservanza, comunque, di misure di natura prudenziale, quali ad esempio quelle indicate dalla Sezione regione di controllo per l’Abruzzo con la delibera n. 360/2008, del 14.07.2008.
Giova ribadire, sul punto, che
proprio le possibilità di determinazione del compenso professionale, anche al di sotto dei minimi tariffari, impone all’Ente -al fine della tutela del pubblico erario- di convenire sempre e preventivamente gli onorari dovuti, vigilando e controllando che le altre voci di spesa siano congrue rispetto all’attività effettivamente svolta.

LAVORI PUBBLICI: Parere richiesto dal Sindaco del Comune di Riccione (RN) riguardante "la legittimità dell'inserimento nei contratti di appalto di lavori pubblici di clausole che prevedano il riconoscimento di interessi per ritardati pagamenti" (Corte dei Conti, Sez. regionale di controllo Emilia Romagna, parere 13.03.2009 n. 5 - link a www.corteconti.it).

dossier BOX

EDILIZIA PRIVATA: Realizzazione parcheggi interrati e seminterrati
Ai sensi dell’art. 9 della legge 24.03.1989, n. 122, la realizzazione di autorimesse o parcheggi destinati a pertinenza di fabbricati esistenti è soggetta ad autorizzazione gratuita soltanto se è realizzata nel sottosuolo o nei locali del piano terreno del fabbricato stesso.
Per effetto della modifica apportata a tale disposizione dall’art. 17, comma 90, della legge 15.05.1997, n. 127, poi, il regime dell’autorizzazione è stato esteso ai parcheggi realizzati, ad uso esclusivo dei residenti, anche nel sottosuolo di aree pertinenziali esterne al fabbricato.
In ogni caso è però necessario che i parcheggi siano realizzati nei siti suddetti, ossia nel sottosuolo o nei locali del piano terreno del fabbricato di cui costituiscono pertinenza o nel sottosuolo di aree esterne al fabbricato ma sempre pertinenziali allo stesso.
Qualora invece vengano costruiti in aree diverse o all’esterno o in superficie non è più sufficiente la suddetta procedura semplificata, ma è necessario il preventivo rilascio del permesso di costruire, in ragione del loro impatto sull’assetto urbanistico e sull’utilizzazione del territorio (fattispecie relativa a sequestro probatorio di cantiere per la realizzazione di box interrati e seminterrati) (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 25.06.2009 n. 26327 - link a www.lexambiente.it).

dossier CONTRIBUTO DI COSTRUZIONE

EDILIZIA PRIVATAAi fini della corresponsione o meno degli oneri d'urbanizzazione in caso di intervento su un fabbricato già autorizzato, l'unico legittimo presupposto imponibile è costituito dalla sussistenza o meno dell'eventuale maggiore carico urbanistico, con conseguente illegittimità della richiesta del pagamento di tali maggiori oneri se non si verifica la variazione del carico urbanistico.
Il Collegio non ha motivi per discostarsi dall’orientamento di questo Consiglio secondo cui ai fini della corresponsione o meno degli oneri d'urbanizzazione in caso di intervento su un fabbricato già autorizzato, l'unico legittimo presupposto imponibile è costituito dalla sussistenza o meno dell'eventuale maggiore carico urbanistico, con conseguente illegittimità della richiesta del pagamento di tali maggiori oneri se non si verifica la variazione del carico urbanistico (Cons. Stato, Sez. IV 29.04.2004 n. 2611; Sez. V 15.09.1997, n. 959, 21.01.1992, n. 61 e 27.01.1990 n. 693).
Peraltro, a tali fini, non si deve tenere conto esclusivamente di una ristrutturazione generale e globale di un edificio, con necessari interventi esterni e interni, ma anche di ristrutturazioni che comunque trasformino la realtà strutturale e la fruibilità urbanistica dell'immobile, con conseguente necessità della sottoposizione della relativa concessione al pagamento dei contributi, riferiti alla avvenuta oggettiva rivalutazione dell'immobile, e funzionali a sopportare il carico socio-economico che la realizzazione comporta sotto il profilo urbanistico (V. la decisione della Sezione 03.03.2003, n. 1180).
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Nella specie si prevede la demolizione di tre preesistenti fabbricati, composti da un edificio residenziale a tre piani di vecchia costruzione ed in pessimo stato di manutenzione e due piccoli bassi fabbricati fatiscenti adibiti ad autorimessa e a deposito attrezzi giardino (secondo quanto risulta dalla relazione tecnico-descrittiva del progetto, versata in atti).
Sono stati progettati due nuovi edifici a destinazione residenziale (di cui uno a tre piani e l’altro a 4 piani sul piano pilotis per un totale di 11 alloggi) con diversa collocazione sul lotto rispetto a quanto demolito e realizzazione di un’autorimessa interrata, con incremento della cubatura complessiva.
E’ ammesso anche dal ricorrente che si è verificato un aumento del carico urbanistico, ma la questione da risolvere consiste nello stabilire se gli oneri di urbanizzazione debbano essere corrisposti in relazione all’intero intervento edilizio assentito (come ritenuto dal Comune con l’avallo del TAR) o limitatamente all’ampliamento di cubatura rispetto a quella a suo tempo realizzata con la preesistente edificazione con la medesima destinazione residenziale e che ora è demolita (secondo la tesi del ricorrente).
Il Collegio ritiene condivisibile nella fattispecie il criterio seguito dall’Amministrazione di assoggettare a contribuzione l’intero intervento edilizio assentito, atteso che esso si configura come edificazione del tutto nuova in quanto le due costruzioni assentite non avevano alcun riferimento con i tre fabbricati demoliti essendo diversamente ubicate, strutturate su un maggior numero di piani ed adibite ad uso esclusivamente residenziale.
E’ inoltre da considerare che i precedenti fabbricati possedevano un carico urbanistico del tutto irrilevante in quanto il fabbricato ad uso residenziale era “vecchio ed in pessimo stato di manutenzione” e i due piccoli bassi adibiti ad autorimessa e deposito attrezzi giardino erano “fatiscenti” (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 16.06.2009 n. 3847 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La costruzione di una cappella cimiteriale non è esente dal pagamento degli oneri di urbanizzazione.
L'eventuale esenzione necessita della concomitanza di due requisiti: per effetto del primo la costruzione deve riguardare opere pubbliche o di interesse generale; per effetto del secondo le opere debbono essere eseguite da un ente istituzionalmente competente
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L’esenzione dal pagamento degli oneri di urbanizzazione richiede l’esistenza di due presupposti che debbono entrambi concorrere, l’uno di carattere oggettivo e l’altro di carattere soggettivo.
Per effetto del primo la costruzione deve riguardare opere pubbliche o di interesse generale; per effetto del secondo le opere debbono essere eseguite da un ente istituzionalmente competente. La ratio di tale norma è, infatti, quella di agevolare l’esecuzione di opere destinate al soddisfacimento di interessi pubblici (Consiglio di Stato, Sezione V, 11.01.2006, n. 51).
La Cappella realizzata dall’interessata non può rientrare tra le previsioni di cui alla detta lettera f) tanto dal punto di vista soggettivo quanto da quello oggettivo.
La Cappella, se fosse stata costruita direttamente dal Comune, sarebbe certamente rientrata tra le opere pubbliche realizzate da ente istituzionalmente competente per il soddisfacimento dell’interesse dell’intera collettività.
Alla stessa conclusione si sarebbe pervenuti se il Comune avesse istituito apposito ente per assicurare a tutti i cittadini la possibilità di essere seppelliti e se questo avesse realizzato l’opera.
In conclusione l’opera, se destinata al soddisfacimento del bisogno di tutta la collettività, indistintamente considerata, realizzata direttamente dalla pubblica amministrazione o da un organismo all’uopo creato, ha i requisiti per beneficiare dell’esenzione. Ciò nella considerazione che, se così non fosse, si assisterebbe ad un notevole appesantimento dell’operato dell’amministrazione che attraverso una partita di giro finirebbe col recuperare apparentemente la quota di spese sostenute per l’urbanizzazione della zona interessata dall’edificazione. E chiaramente non avrebbe senso che un settore dell’amministrazione che realizza un’opera pubblica in una zona urbanizzata da altro suo settore rimborsi a quest’ultimo la quota parte delle spese sostenute per la ripetuta urbanizzazione.
Altro discorso va fatto quando un soggetto diverso da quello che la lettera f) definisce istituzionalmente competente realizzi un’opera destinata ad essere utilizzata solo ed esclusivamente dai suoi associati. Detto soggetto, costituito per realizzare l’interesse di una categoria ben definita di persone persegue un interesse apprezzabile non generale ma particolare, e può agire o meno per finalità di lucro. Tale ultima finalità non rileva assolutamente, essendo preponderante la prima, consistente nel perseguimento dell’interesse di un gruppo di persone definibili sulla scorta delle previsioni del suo statuto.
Il perseguimento di un interesse particolare comporta che la Confraternita, che voglia realizzare un immobile nell’interesse degli associati utilizzando un’area cimiteriale, debba corrispondere un contributo commisurato all’incidenza delle spese di urbanizzazione sostenute dalla collettività. Sarebbe ingiustificato, infatti, che il gruppo di soggetti rappresentati dalla Confraternita utilizzassero gratuitamente le opere di urbanizzazione realizzate dalla collettività, non essendo condivisibile la deduzione della ricorrente secondo la quale nulla sarebbe dovuto in presenza di aree già urbanizzate.
Non esiste nemmeno il presupposto oggettivo considerato che l’opera eseguita dall’interessata non è qualificabile in alcun modo tra le opere di urbanizzazione che l’ultima parte di detta lettera f) individua tra quelle che i privati eseguono in attuazione di strumenti urbanistici (strade previste da un piano di lottizzazione ad esempio) (
CGARS, sentenza 10.06.2009 n. 534 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIl requisito c.d. soggettivo necessario onde accordare l’esenzione dal contributo di cui all’art. 3 della l. 10 del 1977 sussiste non solo nel caso in cui l’opera sia realizzata direttamente da un ente pubblico nell’esercizio delle proprie competenze istituzionali, ma anche nel caso in cui l’opus venga realizzato da un soggetto privato, purché per conto di un ente pubblico.
Il Collegio ritiene di prestare puntuale adesione (non rinvenendosi alcuna ragione onde discostarsene) al consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui il requisito c.d. soggettivo necessario onde accordare l’esenzione dal contributo di cui all’art. 3 della l. 10 del 1977 sussiste non solo nel caso in cui l’opera sia realizzata direttamente da un ente pubblico nell’esercizio delle proprie competenze istituzionali, ma anche nel caso in cui l’opus venga realizzato da un soggetto privato, purché per conto di un ente pubblico (come nel caso, che qui ricorre, della concessione di opera pubblica o in altre analoghe figure organizzatorie in cui l’opera sia realizzata da soggetti che non agiscano per scopo di lucro, o che accompagnino tale lucro ad un legame istituzionale con l’azione dell’Amministrazione volta alla cura di interessi pubblici – in tal senso, ex plurimis: Cons. Stato, Sez. IV, sent. 12.07.2005, n. 3744; id, Sez. IV, sent. 10.05.2005, n. 2226; id., Sez. V, sent. 02.12.2002, n. 6618) (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 09.09.2008 n. 4296 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Per accordare l'esenzione dal pagamento degli oo.uu. necessità che concorrano sia il requisito oggettivo (il carattere di interesse generale delle opere realizzate) sia il presupposto soggettivo, concernente il riferimento dell’edificio all’ente istituzionalmente competente
La norma richiamata dall’appellante (art. 9, lettera f), della legge n. 10/1977) prevede che i contributi di urbanizzazione non sono dovuti per le “opere di interesse generale, realizzate dagli enti istituzionalmente competenti”.
La previsione normativa individua un requisito oggettivo (il carattere di interesse generale delle opere realizzate) e un presupposto soggettivo, concernente il riferimento dell’edificio all’ente istituzionalmente competente.
Nel caso di specie sussistono entrambi requisiti.
Infatti, l’opera assume indubbiamente carattere di interesse generale, considerando la sua connessione con le finalità terapeutiche e di ricerca, svolte in stretta coerenza con i piani sanitari pubblici.
Essa è realizzata da un ente istituzionalmente competente, in quanto l’Istituto è il soggetto attuatore di un complesso programma pubblico sanitario, risultante dalle convenzioni stipulate con la Regione, con l’Ordine Mauriziano, con l’Università di Torino e con il comune di Candiolo. È molto significativo, in tal senso, che l’Istituto sia qualificato espressamente come presidio sanitario dell’Ordine Mauriziano.
Non è esatto affermare che l’espressione utilizzata dalla norma presupponga, in modo inderogabile, il carattere formalmente pubblico del soggetto. Per ottenere l’esenzione totale, è sufficiente che l’ente privato sia collegato stabilmente con l’organizzazione pubblica dell’attività considerata (in questo caso sanitaria). Senza considerare, poi, che, nel caso di specie, la rilevanza pubblicistica della Fondazione e dell’Istituto derivano anche dall’espresso riconoscimento effettuato dalla Regione.
Del resto, non è seriamente dubitabile che la finalità istituzionale della Fondazione consista proprio nell’attività di studio e cura nel settore sanitario, senza altri scopi di natura imprenditoriale o lucrativa (salvo quanto si preciserà ai punti seguenti) (Consiglio di Stato, Sez. V. sentenza 06.12.2007 n. 6237 - link a www.giustizia-amministrativa.it).
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(fattispecie relativa alla richiesta di concessione edilizia da parte della Fondazione Piemontese per la ricerca sul cancro – ONLUS per la realizzazione della propria sede).

EDILIZIA PRIVATADue requisiti devono concorrere per fondare lo speciale regime di gratuità della concessione: l'uno di carattere oggettivo e l'altro di carattere soggettivo. Per effetto del primo la costruzione deve riguardare opere pubbliche o di interesse generale; per effetto del secondo le opere devono essere eseguite da un ente istituzionalmente competente.
La gratuità del titolo concessorio opera anche nei riguardi di “opere di urbanizzazione eseguite in attuazione di strumenti urbanistici”. Perché la costruzione possa fruire del beneficio è necessario che essa sia specificamente indicata come tale nello strumento urbanistico medesimo.

La questione controversa concerne l'applicabilità dell'art. 9, lettera f), della legge n. 10 del 1977 al complesso edilizio realizzato dalla società appellante ed il relativo riconoscimento del diritto all'esenzione dal pagamento del contributo di concessione di cui all'art. 3 della legge n. 10 del 1977.
Prevede tale norma che “il contributo di cui al precedente articolo 3 non è dovuto: ……f) per gli impianti, le attrezzature, le opere pubbliche o di interesse generale realizzate dagli enti istituzionalmente competenti nonché per le opere di urbanizzazione, eseguite anche da privati, in attuazione di strumenti urbanistici”.
La disposizione in oggetto viene richiamata per due distinti profili, ciascuno dei quali idoneo, in linea di ipotesi, a giustificare l'esenzione.
Il primo è quello per cui il contributo concessorio non è dovuto quando si tratta della realizzazione di opere pubbliche o di interesse generale da parte di enti istituzionalmente competenti.
La norma enuncia due requisiti che devono entrambi concorrere per fondare lo speciale regime di gratuità della concessione, l'uno di carattere oggettivo e l'altro di carattere soggettivo.
Per effetto del primo la costruzione deve riguardare opere pubbliche o di interesse generale; per effetto del secondo le opere devono essere eseguite da un ente istituzionalmente competente (v., ex plurimis, le decisioni della sezione 20.10.2004, n. 6818; 10.07.2000, n. 3860; 20.07.1999, n. 849; 29.09.1997, n. 1067).
La ratio della norma è anzitutto quella di agevolare l'esecuzione di opere destinate al soddisfacimento di interessi pubblici o dalle quali la collettività possa comunque trarre una utilità.
L'esecuzione di un'opera pubblica, inoltre, quando è compiuta da un "ente istituzionalmente competente", garantisce il perseguimento di interessi di ordine generale e giustifica la concessione di un beneficio economico che, non contribuendo alla formazione di un utile di impresa, si riverbera a vantaggio di tutta la collettività che fruisce dell'opera una volta compiuta.
L'imposizione degli oneri concessori al soggetto che interviene per l'istituzionale attuazione del pubblico interesse sarebbe altrimenti intimamente contraddittoria, poiché verrebbe a gravare, sia pure indirettamente, sulla stessa comunità che dovrebbe avvantaggiarsi dal loro pagamento.
In questo senso, la disposizione agevolativa è stata estesa, dunque, oltre che agli enti pubblici, anche a quelle figure soggettive che non agiscono per esclusivo scopo lucrativo ovvero che accompagnano al lucro un collegamento giuridicamente rilevante con l'amministrazione, sì da rafforzare il legame istituzionale con l'azione del soggetto pubblico per la cura degli interessi della collettività.
Tale raccordo, peraltro, deve essere idoneo ad assicurare, grazie alla presenza del soggetto pubblico, un contemperamento dell'obiettivo privatistico dell'esecutore dell'opera con il fine pubblicistico realizzato, come ad esempio nel caso del concessionario di opera pubblica, il quale, pur mirando al conseguimento di un lucro d'impresa, è parificabile a pieno titolo al soggetto che cura istituzionalmente l'esecuzione di opere di interesse generale (cfr. la decisone di questa Sezione n. 1280 del 07.09.1995).
Occorre, cioè, un ben preciso vincolo tra il soggetto abilitato ad operare nell'interesse pubblico ed il materiale esecutore della costruzione; vincolo che, in linea di massima, è stato identificato nella concessione di opera pubblica o analoghe figure organizzatorie in modo tale che l'attività edilizia sia compiuta da un soggetto che curi istituzionalmente la realizzazione di opere di interesse generale per il perseguimento delle specifiche finalità cui le opere stesse sono destinate, per cui non può usufruire dell'esenzione dal contributo l'opera costruita da un imprenditore per la propria attività d'impresa (cfr. la decisione di questa Sezione n. 6618 del 02.12.2002).
La Sezione ha anche avuto modo di rilevare (cfr. la citata decisione 06.10.2003, n. 5323) che la fattispecie normativa, elevando ad oggetto della qualificazione "le opere pubbliche o di interesse generale realizzate dagli enti istituzionalmente competenti" ha inteso, in effetti, riferirsi agli enti pubblici, o comunque agli enti che agiscono per conto di enti pubblici (come ad esempio, i concessionari pubblici): in tal senso, la giurisprudenza del Consiglio di Stato è costante.
L'esattezza di tale soluzione è confermata, del resto, non soltanto dall'endiadi: "opere pubbliche o di interesse generale", che rinvia ad una figura soggettiva pubblica, ma dal fatto che nella sola seconda parte della proposizione normativa, concernente le opere di urbanizzazione, la disposizione reca la specifica indicazione: "eseguite anche da privati".
Ne esce quindi caricata di ulteriore valore semantico la locuzione: "enti istituzionalmente competenti", che non può riferirsi che ad enti pubblici o a soggetti che agiscono per conto degli stessi.
È da escludere, poi, che nella specie possa trovare applicazione anche la citata seconda parte dell’art. 9, lettera f), della legge n. 10/1977, secondo cui la gratuità del titolo concessorio opera anche nei riguardi di “opere di urbanizzazione eseguite in attuazione di strumenti urbanistici”. Perché la costruzione possa fruire del beneficio correlato a tale norma è, invero, necessario che essa sia specificamente indicata come tale nello strumento urbanistico medesimo. Sennonché, le opere di cui qui si discute non sono mai state qualificate come opere di urbanizzazione nelle locale pianificazione urbanistica, sicché l’esenzione dal contributo di concessione non può essere riconosciuta (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 11.01.2006 n. 51 - link a www.giustizia-amministrativa.it).
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(fattispecie relativa ad una ONLUS che ha richiesto la concessione edilizia per la costruzione di una residenza per anziani).

EDILIZIA PRIVATAIl requisito soggettivo previsto dall’art. 9, comma 1, lett. f), legge n. 10 del 1977 (esenzione dal pagamento degli oo.uu.) sussiste quando tra il soggetto abilitato ad operare nell’interesse pubblico ed il materiale esecutore della costruzione vi sia un ben preciso vincolo, in modo tale che l’attività edilizia sia compiuta da un soggetto che curi istituzionalmente la realizzazione di opere di interesse generale, ma tale requisito postula, ovviamente, che la realizzazione dell’opera ricada nell’ambito delle competenze istituzionali dell’ente pubblico, e di quelle attribuite (per concessione od altro, analogo, modello organizzatorio) al soggetto attuatore.
La giurisprudenza è concorde nel ritenere che l’espressione “opere pubbliche o di interesse generale realizzate dagli enti istituzionalmente competenti” usata dalla norma in discorso (art. 9 l. n. 10/1977) coincide in sostanza con quella di opera pubblica, che è appunto l’opera di interesse generale realizzata da un ente pubblico, nell’ambito delle proprie competenze istituzionali; essa pertanto può anche essere realizzata da un soggetto privato, purché per conto di un ente pubblico, come nella figura della concessione di opera pubblica o in altre analoghe figure organizzatorie, e tale non può certo dirsi quella per la cui utilizzazione l’ente pubblico (nella specie, la regione), stabilisce di pagare un corrispettivo.
Il fine dell’esenzione è, infatti, quello di evitare una contribuzione intimamente contraddittoria, quale sarebbe quella per opere costruite a carico della collettività, e non quella di esonerare gli imprenditori dai costi di impresa (così Cons. Stato, sez. V, 10.12.1990, n. 857). Inoltre l’opera, per godere dell’esenzione, deve essere imputabile in capo all’ente pubblico, in maniera diretta ed iniziale (Tar Umbria, 10.11.1993, n. 463; Cons. Stato, sez. V, 02.12.2002, n. 6618); deve essere, in altre parole, riferibile all’ente pubblico e all’ambito delle sue competenze istituzionali, anche se sia materialmente realizzata da un soggetto diverso, pure privato.
Tale requisito difetta nella fattispecie in esame, nella quale la realizzazione dell’impianto è stato progettato e concretizzato da Consepi s.p.a. nell’ambito della propria attività di impresa, relativamente alla quale ricava un compenso, anche a carico, come detto, della stessa regione: è quindi evidente che le opere stesse non possono essere qualificate di interesse generale (e tanto meno pubbliche), se non in senso generico (alla pari, ad esempio, degli edifici destinati a soddisfare le esigenze abitative, esse pure, in questo senso, di interesse generale e assoggettate pacificamente al pagamento degli oneri).
Come si è detto, il requisito soggettivo previsto dall’art. 9, comma 1, lett. f), legge n. 10 del 1977 sussiste quando tra il soggetto abilitato ad operare nell’interesse pubblico ed il materiale esecutore della costruzione vi sia un ben preciso vincolo, in modo tale che l’attività edilizia sia compiuta da un soggetto che curi istituzionalmente la realizzazione di opere di interesse generale (Cons. stato, sez. V, 20.10.2004, n. 6818), ma tale requisito postula, ovviamente, che la realizzazione dell’opera ricada nell’ambito delle competenze istituzionali dell’ente pubblico, e di quelle attribuite (per concessione od altro, analogo, modello organizzatorio) al soggetto attuatore.
Nella specie, la società ricorrente è stata costituita dalla regione Piemonte, utilizzando lo strumento di cui all’art. 4 legge reg. n. 11 del 1980, per la realizzazione di opere di pubblica utilità relative alle “infrastrutture per il trattamento delle merci e per l’interscambio fra sistemi di trasporto”: non è dunque una società con capacità generica, per quanto riguarda il rapporto con la regione, né un ente strumentale indifferenziato, ma una società orientata ad un ben preciso obiettivo, quello appunto di realizzare e gestire l’autoporto o altre simili infrastrutture per il trattamento delle merci e l’interscambio. Del pari, non è solo la regione che può affidarle la realizzazione di programmi di intervento, ma, a norma di statuto, anche società (private).
L’opera di cui ora si discute riguarda la realizzazione di un intervento per la sicurezza stradale, che è cosa evidentemente diversa da quella per la quale la regione ha provveduto a strutturare la società; questa considerazione, e la capacità di impegnarsi anche a favore di privati esclude che la Consepi possa definirsi ente strumentale della regione, essendo, invece, definibile a tutti gli effetti come imprenditore, che esplica la propria attività di impresa anche nei confronti della regione (TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 31.10.2005 n. 3316 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Lo speciale regime di gratuità della concessione edilizia -ex art. 9 l. n. 10/1977- richiede il concorso di due requisiti: l’uno di carattere soggettivo e l’altro di carattere oggettivo.
Il primo consiste nell'esecuzione delle opere da parte di enti “istituzionalmente competenti”, vale a dire da parte di soggetti ai quali la realizzazione dell’opera sia demandata in via istituzionale; il secondo, dall’ascrivibilità del manufatto oggetto di concessione edilizia alla categoria delle opere pubbliche o di interesse generale.

Dispone l'art. 9 della l. n. 10/1977: “Il contributo (per il rilascio della concessione) … non è dovuto: … f) per gli impianti, le attrezzature, le opere pubbliche o di interesse generale realizzate dagli enti istituzionalmente competenti nonché per le opere di urbanizzazione, eseguite anche da privati, in attuazione di strumenti urbanistici”.
Secondo giurisprudenza ormai pacifica, nell’ipotesi considerata da questa disposizione, lo speciale regime di gratuità della concessione edilizia richiede il concorso di due requisiti, l’uno di carattere soggettivo e l’altro di carattere oggettivo.
Il primo consiste nell'esecuzione delle opere da parte di enti “istituzionalmente competenti”, vale a dire da parte di soggetti ai quali la realizzazione dell’opera sia demandata in via istituzionale; il secondo, dall’ascrivibilità del manufatto oggetto di concessione edilizia alla categoria delle opere pubbliche o di interesse generale.
Si è rilevato, infatti, che l’espressione «opere pubbliche o di interesse generale realizzate dagli enti istituzionalmente competenti» rende in sostanza il concetto di «opera pubblica», che è appunto opera di interesse generale realizzata da un ente pubblico nell'ambito delle proprie competenze istituzionali. Essa, pertanto, è stata riferita anche ad un’opera realizzata da un soggetto privato, purché per conto di un ente pubblico, come nella figura della concessione di opere pubbliche o in analoghe figure organizzatorie (cfr., su tutta la materia, Cons. Stato, Sez. V, 02.12.2002 n. 6618; 10.07.2000 n. 3860; id. 06.12.1999 n. 2061; id. 10.05.1999 n. 536; id. 04.05.1998 n. 492; id. 29.09.1997 n. 1067; id. 07.09.1995 n. 1280; id. 10.12.1990 n. 857).
La disposizione sopra riportata, inoltre, deve ritenersi di stretta interpretazione, in quanto introduce ipotesi di deroga alla regola generale (art. 1 L. 28.01.1977 n. 10) che assoggetta a contributo tutte le opere che comportino trasformazione del territorio, in relazione agli oneri che la collettività, in dipendenza di esse, è chiamata a sopportare (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 12.07.2005 n. 3774 - link a www.giustizia-amministrativa.it).
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(fattispecie relativa alla concessione edilizia rilasciata ad una fondazione per l’esecuzione di lavori di recupero e riuso di un castello al fine di realizzarvi una residenza studentesca ed un centro congressi).

EDILIZIA PRIVATALa costruzione di una cappella privata, all'interno del cimitero comunale, sconta il pagamento degli oneri di urbanizzazione.
I due ricorsi si fondano sul postulato che in virtù dell’art. 9, lettera f, della L. n. 10/1977, per la costruzione di una Cappella Cimiteriale non sarebbe dovuto il pagamento dei predetti oneri atteso che le Confraternite è un Ente Ecclesiale non avente scopo di lucro,ma caratteristiche mutualistiche ed assistenziali.
Le Cappelle, secondo l’assunto di parte ricorrente, anche se non destinate a scopi propri dell’Amministrazione, soddisfano bisogni della collettività, anche se la gestione del manufatto Cimiteriale è svolta da privati.
L’iter logico giuridico seguito dalla ricorrente non è condivisibile.
Invero, l’art. 9 della L. n. 10/1977, alla lettera f), disposizione invocata dalla ricorrente per postulare l’esonero dai contributi e pretendere la restituzione del asseritamene indebito, statuisce che non sono dovuti gli oneri di urbanizzazione per: gli impianti, le attrezzature, le opere pubbliche o di interesse generale realizzate dagli enti istituzionalmente competenti nonché per le opere di urbanizzazione, eseguite anche da privati, in attuazione di strumenti urbanistici.
Nel caso all’esame del Collegio la Cappella non è sussumibile in nessuna delle fattispecie elencate nella norma surriportata.
Infatti, essa non può essere considerata opera pubblica realizzata da un Ente pubblico istituzionalmente competente, né opera di urbanizzazione realizzata da un privato in attuazione di uno strumento urbanistico, atteso che non risulta che il manufatto de quo sia previsto da alcun strumento urbanistico e neppure che la Confraternita lo abbia realizzato nel quadro di interventi, sia pure a cura di privati, di attuazione delle previsioni di uno strumento urbanistico.
Né dai ricorso o dalle allegazioni processuali è dato dedurre che la Cappella sia stata costruita dalla Confraternita in attuazione di un accordo ex L. n. 241/1990.
Né, ad avviso del Collegio, hanno pregio le considerazioni della ricorrente relative ad una rilevanza della natura non profit della Confraternita, né il presunto fine di interesse generale perseguito dal sodalizio nella realizzazione della Cappella.
Infatti il testo della lettera f) dell’art. 9 della L. n. 10/1977 esclude, per la sua stessa natura di norma di privilegio comportante un esenzione dall’obbligo di versare somme dovute ad un ente pubblico, qualunque interpretazione estensiva od analogica.
Né pur ricorrendo alle predette tipologie intepretative si potrebbe comunque pervenire all’esito intepretativo indicato dalla ricorrente, atteso che la Confraternita pur essendo un sodalizio che non persegue fini di lucro non realizza interessi generali, come ritiene la ricorrente, ma soddisfa un interesse dei confrati (TAR Sicilia-Catania, Sez. I, sentenza 03.05.2005 n. 788 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAL'esenzione dal pagamento degli oo.uu. (art. 9 l. n. 10/1977) pretende il concorso di due presupposti: uno oggettivo ovvero l’ascrivibilità del manufatto oggetto di concessione edilizia alla categoria delle opere pubbliche o di interesse generale; l’altro soggettivo ovvero l’esecuzione delle opere da parte di Enti istituzionalmente competenti, vale a dire da parte di soggetti cui sia demandata in via istituzionale la realizzazione di opere di interesse generale ovvero da parte di privati concessionari dell’Ente pubblico purché le opere siano inerenti all’esercizio del rapporto concessorio.
Come più volte evidenziato dalla dottrina e della giurisprudenza, lo sgravio contributivo di cui trattasi (art. 9 l. n. 10/1977) pretende il concorso di due presupposti, e cioè uno oggettivo, ovvero l’ascrivibilità del manufatto oggetto di concessione edilizia alla categoria delle opere pubbliche o di interesse generale (nel senso che deve trattarsi di opere che, quantunque non destinate direttamente a scopi propri della P.A., siano comunque idonee a soddisfare i bisogni della collettività, anche se realizzate e gestite da privati), e l’altro soggettivo, ovvero l’esecuzione delle opere da parte di Enti istituzionalmente competenti, vale a dire da parte di soggetti cui sia demandata in via istituzionale la realizzazione di opere di interesse generale (cfr. C.G.A.R.S. 20.07.1999, n. 369; Cons. Stato, V, 06.12.1999, n. 2061), ovvero da parte di privati concessionari dell’Ente pubblico (cfr. Cons. Stato, V, 07.09.1995, n. 1280), purché le opere siano inerenti all’esercizio del rapporto concessorio.
Il Comune è, peraltro, tenuto ad accertare d’ufficio tali presupposti indipendentemente dalla domanda del privato, non prevista dalla legge.
Il fine dell’applicazione della norma, fondata dunque sul presupposto oggettivo della natura delle opere e su quello soggettivo della qualità dell’ente realizzatore, è chiaramente quello di assicurare una “ricaduta” del beneficio dello sgravio a vantaggio della collettività: nel senso che la gratuità della concessione si traduce in un abbattimento dei costi, a cui corrisponde, in definitiva, un minore aggravio di oneri per il contribuente.
E’ stato chiarito che le opere per cui può ipotizzarsi lo sgravio dagli oneri concessori devono avere carattere direttamente satisfattivo dell’interesse della collettività, di per sé –poiché destinate ad uso pubblico o collettivo– o in quanto strumentali rispetto ad opere del genere anzidetto, o comunque perché immediatamente collegate con le funzioni di pubblico servizio espletate dall’Ente (cfr. Cons. Stato, V, 08.06.1998, n. 777).
Il beneficio della gratuità della concessione deriva non tanto dalla natura pubblica o privata dell’Ente che ha realizzato l’opera, quanto piuttosto dall’interesse perseguito, ponendosi l’accento sul connotato “generale” di tale interesse; quindi, il beneficiario può essere anche un soggetto non pubblico, purché però sia un “ente istituzionalmente competente” (cfr. Cons. Stato, V, 20.07.1999, n. 849).
Esso non spetta, pertanto, a soggetti privati per gli immobili ove esercitino una mera attività lucrativa di impresa, indipendentemente dalla rilevanza sociale dell’attività stessa (cfr. Cons. Stato, V, 21.01.1997, n. 69). Al fine dell’individuazione dell’anzidetto requisito di ordine soggettivo, la giurisprudenza richiede, di norma, quanto meno il possesso della qualità di concessionario, operante per conto di un Ente pubblico (Cons. Stato, V, 07.09.1995, n. 1280, cit.).
Nel recente panorama giurisprudenziale, il beneficio è stato negato:
- ad una società per azioni relativamente alla concessione di ampliamento della clinica gestita dalla stessa (Cons. stato, V, 16.01.1992, n. 46);
- all’impresa che, senza alcun collegamento di concessione da parte di un ente pubblico, svolga un’attività assistenziale, in quanto l’agevolazione in parola implica, come accennato, il possesso del requisito non solo oggettivo (impianti, attrezzature, opere pubbliche o di interesse generale), ma pure soggettivo (ente pubblico o soggetto concessionario di pubblico servizio o di opere pubbliche: cfr. Cons Stato, V, 10.05.1999, n. 536);
- alle cooperative edilizie, in quanto curano in primo luogo l’interesse dei soci;
- al privato che realizza impianti sportivi, anche se la loro utilizzazione è oggetto di convenzione con il Comune;
- per la realizzazione di uffici direzionali di un’azienda creditizia;
- per la costruzione di scuole non previste tra le opere di urbanizzazione dallo strumento urbanistico;
- alla società concessionaria del servizio distributivo del gas, per la costruzione di una nuova sede (cfr. TAR Lombardia, Brescia, 18.03.1999, n. 217);
- (caso particolarmente interessante e conferente) per le opere realizzate da un privato, su proprietà e con capitali privati, pur se in vista di un contratto di locazione con la P.A. (cfr. TAR Lombardia, II, 01.07.1997, n. 1074; TAR Puglia, I, 01.09.1999, n. 1018).
E’ stato però d’altra parte precisato che “realizzatore” dell’opera deve intendersi non soltanto chi provvede materialmente all’edificazione, ma anche il soggetto cui l’opera è riferibile dal punto di vista sia progettuale che della destinazione finale (Cons. Stato, V, 08.06.1998, n. 777, cit.).
Il legislatore richiede che le opere –ammesse allo sgravio contributivo- siano “realizzate” dagli enti istituzionalmente competenti, con conseguente necessità che sussista un ben preciso vincolo relazionale tra il soggetto abilitato ad operare nell’interesse pubblico ed il materiale esecutore della costruzione: la giurisprudenza prevalente ha identificato tale vincolo nella concessione di costruzione di opera pubblica o in altre analoghe figure organizzatorie (Cons. Stato, V, 19.05.1998, n. 617; 07.09.1995, n. 1280; 13.12.1993, n. 1280; 20.11.1989, n. 752).
Deve cioè trattarsi di attività compiuta da un concessionario, o più in generale da un soggetto che curi istituzionalmente (è dunque questo l’elemento chiave) la realizzazione di opere d'interesse generale per il perseguimento delle specifiche finalità cui le opere stesse sono destinate; in tal senso non ricade nell'esenzione dal contributo l'opera costruita da un imprenditore per la propria attività d'impresa, considerato che il fine dell'esenzione è quello di evitare una contribuzione intimamente contraddittoria (quale sarebbe quella per opere costruite a carico della collettività) e non quella di esonerare gli imprenditori dai costi d'impresa
(Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 02.12.2002 n. 6618 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

dossier DISTANZE PARETI FINESTRATE

EDILIZIA PRIVATAL’obbligo di rispettare una distanza minima di 10 metri tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti, ex art. 9 DM 1444/1968, presenta carattere tassativo in quanto tale non derogabile dalla disciplina urbanistica comunale.
Con l'espressione “pareti finestrate” occorre fare riferimento, in via interpretativa, all’articolo 900 c.c. che include nella stessa oltre alle vedute anche le luci.

La questione controversa tra le parti attiene all’ambito di applicazione dell’articolo 9 del D.M. n. 1444 del 1968, nella parte in cui impone l’obbligo di rispettare una distanza minima di dieci metri tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti.
La disposizione mira ad impedire la formazione di intercapedini nocive sotto il profilo igienico sanitario e presenta pertanto carattere tassativo, come esattamente rilevato dal primo giudice, in quanto tale non derogabile dalla disciplina urbanistica comunale.
Quanto al significato della espressione “pareti finestrate”, occorre fare riferimento, in via interpretativa, all’articolo 900 c.c., che include nella stessa, oltre alle vedute, anche le luci.
Sul significato del termine “edifici”, esso va ragionevolmente inteso come “edificato” ed indipendentemente dalla destinazione dello stesso, avuto riguardo alla evidenziata finalità della disposizione (nella specie, risulta rilevante la inferiore distanza, rispetto al prescritto limite minimo, tra il muro di cui alla nuova edificazione e la parete finestrata).
Circa la “novità” della costruzione, va osservato che nella specie è stato realizzato un organismo edilizio diverso da quello preesistente per volumetria, sagoma e dislocazione nel lotto: basti fare riferimento alla rappresentazione grafica contenuta nella memoria dell’appellato depositata in vista dell’udienza di discussione della causa per percepire con immediatezza la diversità del realizzato rispetto al preesistente relativamente agli elementi sopra indicati
(Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 18.06.2009 n. 4015 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Per pareti finestrate -circa il rispetto della distanza minima di mt. 10 di cui al D.M. 1444/1968- devono intendersi non soltanto le pareti munite di "vedute" ma, più in generale, tutte le pareti munite di aperture di qualsiasi genere verso l'esterno, quali porte, balconi, finestre di ogni tipo (di veduta o di luce), essendo sufficiente che sia finestrata anche una sola delle due pareti.
Come la Sezione ha già recentemente affermato, è cogente il disposto di cui all’art. 9 del D.M. n. 1444/1968 che ha natura di fonte inderogabile anche da parte dei regolamenti locali e prevale anche su eventuali difformi disposizioni regolamentari locali (TAR Piemonte, Sez. I, 10.10.2008, n. 2565) essendo dettata dall’esigenza di tutelare interessi pubblici superindividuali.
Ne consegue che la necessità del rispetto degli standard in materia di distanze, contemplati dalla predetta norma di fonte primaria, è elevata a precetto inderogabile dalla seconda parte dell’art. 32, comma 27, lett. d), del D.L. n. 269/2003, là dove viene sancita la non sanabilità delle opere abusive “non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici”.
E’ di palmare evidenza e di cristallina chiarezza, a parere della Sezione, che il riferimento contenuto nella norma appena riportata alle “norme urbanistiche” va sicuramente esteso alla disposizione di cui all’art. 9 del D.M. cit. che impone il rispetto della distanza minima di metri 10 tra pareti finestrate, all’uopo bastando, come pure ha rilevato il Tribunale con la ricordata recente sentenza, che sia finestrata una sola delle due pareti, indifferentemente del ricorrente o del controinteressato e che per pareti finestrate “devono intendersi, non soltanto le pareti munite di "vedute", ma più in generale tutte le pareti munite di aperture di qualsiasi genere verso l'esterno, quali porte, balconi, finestre di ogni tipo (di veduta o di luce), essendo sufficiente che sia finestrata anche una sola delle due pareti” (TAR Piemonte, Sez. I, 10.10.2008, n. 2565)
(TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 10.04.2009 n. 987 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

dossier SANATORIA GIURISPRUDENZIALE

EDILIZIA PRIVATALa sanatoria edilizia può ben intervenire anche a seguito di conformità “sopraggiunta” dell'intervento in un primo tempo illegittimamente assentito.
La sanatoria edilizia può ben intervenire anche a seguito di conformità “sopraggiunta” dell’intervento in un primo tempo illegittimamente assentito, divenuto cioè permissibile al momento della proposizione della nuova istanza dell’interessato, posto che questa si profila come del tutto autonoma rispetto all’originaria istanza che aveva condotto al permesso annullato in sede giurisdizionale, in quanto basata su nuovi presupposti normativi in materia edilizia; pare pertanto palesemente irragionevole negare una sanatoria di interventi che sarebbero legittimamente concedibili al momento della nuova istanza, perdendo oltretutto automaticamente efficacia, a seguito della presentazione di questa, il pregresso ordine di demolizione e ripristino, secondo l’orientamento di questo Consiglio in tema di rilevanza su tale ordine dell’istanza di sanatoria (VI, 12.11.2008, n. 5646, ex multis).
Il principio normativo della “doppia conformità”, infatti, è riferibile all’ipotesi ragionevolmente avuta di mira dal legislatore, desumibile cioè dal senso obiettivo delle parole utilizzate dall’art. 13 della legge n. 47 del 1985, ovvero dal vigente art. 36 del DPR 06.06.2001, n. 380, ipotesi che è quella di garantire il richiedente dalla possibile variazione in senso peggiorativo della disciplina edilizia, a seguito di adozione di strumenti che riducano o escludano, appunto, lo jus aedificandi quale sussistente al momento dell’istanza. Quindi, la tipicità del provvedimento di accertamento in sanatoria, quale espressione di disposizione avente carattere di specialità, va rigorosamente intesa come riferimento al diritto “vigente”, (V 29.05.2006, n. 3267), e commisurata alla finalità di “favor” obiettivamente tutelata dalla previsione, in modo da risultare conforme al principio di proporzionalità e ragionevolezza nel contemperamento dell’interesse pubblico e privato.
La norma, infatti, non può ritenersi diretta a disciplinare l’ipotesi inversa dello jus superveniens edilizio favorevole, rispetto al momento ultimativo della proposizione dell’istanza. In effetti, imporre per un unico intervento costruttivo, comunque attualmente “conforme”, una duplice attività edilizia, demolitoria e poi identicamente riedificatoria, lede parte sostanziale dello stesso interesse pubblico tutelato, poiché per un solo intervento, che sarebbe comunque legittimamente realizzabile, si dovrebbe avere un doppio carico di iniziative industriali-edilizie, con la conseguenza, contrastante con il principio di proporzionalità, di un significativo aumento dell’impatto territoriale ed ambientale, (altrimenti considerato in termini più ridotti alla luce della “ratio” della norma in tema di accertamento di conformità).
A conforto di quanto ora detto, questo Consiglio ha affermato, che “gli artt. 13 e 15 della l. 28.02.1985, n. 47, richiedenti per la sanatoria delle opere realizzate senza concessione e delle varianti non autorizzate, che l’opera sia conforme tanto alla normativa urbanistica vigente al momento della realizzazione dell’opera, quanto a quella vigente al momento della domanda di sanatoria, sono disposizioni contro l’inerzia dell’Amministrazione, e significano che, se sussiste la doppia conformità, a colui che ha richiesto la sanatoria non può essere opposta una modificazione della normativa urbanistica successiva alla presentazione della domanda. Tale regola non preclude il diritto ad ottenere la concessione in sanatoria di opere che, realizzate senza concessione o in difformità dalla concessione, siano conformi alla normativa urbanistica vigente al momento in cui l’autorità comunale provvede sulla domanda in sanatoria” (V, 21.10.2003, n. 6498) (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 07.05.2009 n. 2835 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

dossier S.U.A.P.

EDILIZIA PRIVATA: Il procedimento previsto dall’art. 5 del d.P.R. 20.10.1998, n. 447 non costituisce <<un comodo strumento per ovviare ai vincoli della pianificazione urbanistica>>, ma viene ad integrare un vero e proprio <<modello del tutto eccezionale e derogatorio rispetto alle ordinarie modalità di modifica degli strumenti urbanistici>> utilizzabile solo quando siano congiuntamente presenti i tre requisiti, previsti dalla disposizione citata e costituiti:
1) dal contrasto sussistente tra il progetto presentato e lo strumento urbanistico;
2) dalla conformità alle norme vigenti in materia ambientale, sanitaria e di sicurezza del lavoro del progetto;
3) dal fatto che lo strumento urbanistico non individui aree destinate all'insediamento di impianti produttivi ovvero queste siano insufficienti in relazione al progetto presentato.

In accordo con la giurisprudenza sostanzialmente incontroversa (per la possibilità di utilizzare il procedimento ex art. 5 d.P.R. 447 del 1998 solo nell’ipotesi di insufficienza delle aree destinate ad impianti produttivi sul territorio comunale; si vedano, tra le tante: Consiglio Stato, sez. IV, 04.12.2007, n. 6157; sez. VI, 25.06.2007, n. 3593), la giurisprudenza della Sezione ha dovuto rilevare più volte come il procedimento previsto dall’art. 5 del d.P.R. 20.10.1998, n. 447 non costituisca <<un comodo strumento per ovviare ai vincoli della pianificazione urbanistica>>, ma venga ad integrare un vero e proprio <<modello del tutto eccezionale e derogatorio rispetto alle ordinarie modalità di modifica degli strumenti urbanistici>> (TAR Puglia Lecce, sez. I, 11.01.2007, n. 28; 29.01.2009, n. 117) utilizzabile solo quando siano congiuntamente presenti i tre requisiti, previsti dalla disposizione citata e costituiti:
1) dal contrasto sussistente tra il progetto presentato e lo strumento urbanistico;
2) dalla conformità alle norme vigenti in materia ambientale, sanitaria e di sicurezza del lavoro del progetto;
3) dal fatto che lo strumento urbanistico non individui aree destinate all'insediamento di impianti produttivi ovvero queste siano insufficienti in relazione al progetto presentato.
Nella fattispecie concreta, l’aspetto problematico è proprio costituito dal terzo requisito, costituito dalla mancanza, nello strumento urbanistico approvato, di aree che permettano in concreto l’insediamento del nuovo intervento produttivo; aspetto che è totalmente assente dai lavori della Conferenza di servizi e che non è stato assolutamente valutato neanche dalla deliberazione finale del Consiglio comunale.
È quindi di tutta evidenza come il ricorso al procedimento previsto dall’art. 5 del d.P.R. 20.10.1998, n. 447 sia stato utilizzato, nella vicenda che ci occupa, come un vero e proprio “surrogato” dell’ordinario procedimento di modifica della strumentazione urbanistica e non in conformità alla propria innegabile natura di strumento eccezionale per procedere all’insediamento di nuove strutture produttive, che non trovino concrete possibilità realizzative nella strumentazione urbanistica vigente.
A ben guardare, nella vicenda che ci occupa, il vizio all’origine della procedura non si esaurisce poi in un semplice difetto di istruttoria o di motivazione, ma, oltre ad integrare una evidente violazione delle linee di indirizzo dettate dalla Giunta Regionale con la delib. 27.11.2007 n. 2000, trascende in un più significativo contrasto con la strumentazione urbanistica vigente nel Comune di Leverano.
La Sezione si è sostanzialmente già occupata della problematica con la sentenza 27.06.2007 n. 2593 (relativa al piano per l’insediamento di medie e grandi strutture di vendita approvato dal C.C. di Leverano con la delibera 04.08.2006 n. 28), rilevando la presenza sul territorio comunale di aree “E” ed “F” (quindi diverse dalla “D5” oggetto dell’intervento che ci occupa) già considerate <<urbanisticamente compatibili>> all’insediamento di medie strutture di vendita, senza alcuna necessità di procedere all’utilizzo del procedimento richiesto dall’art. 5 del d.P.R. 447 del 1998 (che anzi era irragionevolmente ritenuto necessario proprio dal piano annullato dalla Sezione, anche con riferimento a questo aspetto); siamo, quindi, in presenza di uno strumento urbanistico che prevede già, almeno in astratto, aree destinate all’insediamento di medie strutture di vendita e che, quindi, non permette il ricorso al procedimento previsto dall’art. 5 del d.P.R. 447 del 1998, se non a seguito dell’accertamento della concreta impossibilità di allocare un certo intervento nelle aree già disponibili sul territorio comunale.
Del resto, le argomentazioni sopra richiamate non trovano un sostanziale ostacolo nel fatto che si tratti di una variante limitata all’introduzione della possibilità di demolire e ricostruire con diversa sagoma e non di più importanti deroghe alla strumentazione urbanistica vigente; come immediatamente percepibile, lo stesso ricorso al procedimento ex art. 5 d.P.R. 447 del 1998, evidenzia come, in mancanza della modificazione urbanistica, l’intervento non sarebbe stato realizzabile; si tratta, quindi, di una modificazione che condiziona la stessa realizzazione dell’intervento e che, proprio, per questo, non può essere considerata secondaria o inessenziale (TAR Puglia-Lecce, Sez. I, sentenza 21.05.2009 n. 1239 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Impianti produttivi.
Il procedimento ex art. 5 d.P.R. 447 del 1998 (in materia di impianti produttivi sul territorio comunale) non costituisce «un comodo strumento per ovviare ai vincoli della pianificazione urbanistica», ma viene ad integrare un vero e proprio «modello del tutto eccezionale e derogatorio rispetto alle ordinarie modalità di modifica degli strumenti urbanistici» utilizzabile solo quando siano congiuntamente presenti i tre requisiti, previsti dalla disposizione citata e costituiti:
1) dal contrasto sussistente tra il progetto presentato e lo strumento urbanistico;
2) dalla conformità alle norme vigenti in materia ambientale, sanitaria e di sicurezza del lavoro del progetto;
3) dal fatto che lo strumento urbanistico non individui aree destinate all'insediamento di impianti produttivi ovvero queste siano insufficienti in relazione al progetto presentato (TAR Puglia-Lecce, Sez. I, sentenza 21.05.2009 n. 1239 - link a www.lexambiente.it).

GIURISPRUDENZA

APPALTI: Nel sistema di contrattazione a trattativa privata la stazione appaltante conserva fino alla stipulazione del contratto la possibilità di recedere dal procedimento.
La giurisprudenza in merito al rapporto tra aggiudicazione e stipulazione del contratto nel caso di trattativa privata accompagnata da gara ufficiosa, è univoca nel ritenere che, nel sistema di contrattazione a trattativa privata, sia pure preceduta da una gara ufficiosa, diritti ed obblighi per la p.a. ed il privato contraente scaturiscono solo dalla formale stipulazione del contratto, non potendo attribuirsi all'atto di aggiudicazione il valore di conclusione del contratto, bensì, semplicemente, l'effetto di individuazione dell'offerta migliore, cui segue la fase delle trattative precontrattuali.
L'individuazione dell'offerta migliore resta, pertanto, un atto sostanzialmente discrezionale, al di fuori di ogni automatismo, con la conseguenza che non può assumere il valore di conclusione del contratto. L'amministrazione, dunque, anche a seguito della individuazione della offerta apparentemente più conveniente non è vincolata, almeno in ordine all'an, a procedere in un momento successivo alla stipulazione del contratto definitivo. La stazione appaltante può, pertanto, valutare discrezionalmente la vantaggiosità dell'offerta, sebbene individuata quale la migliore presentata in sede di gara ufficiosa.
In particolare, si ritiene che "l'Amministrazione che persegua l'affidamento di un contratto mediante trattativa privata conserva fino alla sua stipulazione la possibilità di recedere dal procedimento anche per ragioni di mera opportunità (non potendo dirsi consolidato sino ad allora alcun diritto soggettivo), dovendo dare solo una legittima motivazione della propria scelta, senza che in tali casi possa sorgere nel privato neppure un diritto al risarcimento del danno" TAR Campania, Napoli, Sez. I, sentenza 03.07.2009 n. 3705 - (link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTIL’impresa che partecipa ad una gara d'appalto ha l’obbligo di dichiarare tutte le sentenze emesse nei suoi confronti; con la conseguenza che l’omessa indicazione, nell’ambito di un’autocertificazione, di una sentenza di condanna si atteggia come autocertificazione non veritiera cui consegue l’esclusione dalla gara.
Il reato non dichiarato per violazione delle direttive comunitarie in materia di rifiuti è idoneo ad incidere sulla moralità professionale e comporta l'esclusione dalla gara d'appalto.

Il Collegio ha già avuto modo di affermare che per quanto riguarda la richiesta di indicare -in sede di gara- le sentenze (o in genere, i provvedimenti) di condanna, la necessità di dichiarare tutti i provvedimenti subiti risponda alla finalità di consentire all’Amministrazione la più ampia valutazione del caso concreto, per stabilire la rilevanza o meno di una data condanna penale.
Ne esce quindi confermato che la rilevanza o meno dei fatti (oggetto delle pronunce penali) ai fini della successiva valutazione del possesso dei requisiti da parte del concorrente, non è rimessa all’apprezzamento dell’impresa che ha, invece, l’obbligo di dichiarare tutte le sentenze emesse nei suoi confronti; con la conseguenza che l’omessa indicazione, nell’ambito di un’autocertificazione, di una sentenza di condanna si atteggia come autocertificazione non veritiera cui consegue l’esclusione dalla gara.
La possibilità di presentare la dichiarazione sostitutiva, costituisce un atto di fiducia nei confronti del concorrente, al quale in cambio dell’oneroso reperimento ex ante di tutta la documentazione necessaria per la partecipazione alla gara, viene consentito, sotto la propria responsabilità di dichiarare la sussistenza di requisiti richiesti.
Il sistema richiede pertanto la massima serietà ed onestà da parte del concorrente nel redigere l’autocertificazione, conseguentemente, rendere una dichiarazione incompleta, non può che far legittimamente dubitare della moralità professionale del dichiarante. Ed è questa la ragione per cui, in caso di dichiarazione non veritiera, la sanzione della esclusione dalla gara diventa conseguenza necessaria, essendo venuto meno quel rapporto di fiducia basato sulla presunzione della reciproca correttezza che deve sussistere anche nella fase precontrattuale (sent. n. 2096 del 19.06.2008).
Anche volendo aderire all’orientamento invocato dalla ricorrente, secondo cui il predetto obbligo di dichiarazione dei provvedimenti penali a carico dei concorrenti, sussisterebbe solo per quelle vicende che abbiano inciso sulla “moralità professionale”, il ricorso andrebbe comunque respinto.
Tra i reati non dichiarati rientra infatti anche quello per violazione delle direttive comunitarie in materia di rifiuti, che non può certamente ritenersi in astratto inidoneo ad incidere sulla moralità professionale, come peraltro già ritenuto da C.S. Sez. V 27.03.2000 n. 1770, dovendo pertanto essere dichiarato alla stazione appaltante, per la valutazione di propria competenza (TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 02.07.2009 n. 4257 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa norma relativa all’obbligo di preavviso di decisione sfavorevole non è applicabile al procedimento intrapreso dalla Sovrintendenza per annullare l'autorizzazione paesaggistica rilasciata dal comune.
Il Collegio ritiene che la norma relativa all’obbligo di preavviso di decisione sfavorevole non sia applicabile al procedimento intrapreso dalla Sovrintendenza per tutte le ragioni diffusamente enunciate nella sentenza del TAR Sardegna sez II, 11.06.2007 n. 1266, che il Collegio condivide appieno e che di seguito brevemente si sintetizzano.
Si tratta anzitutto “di una "analisi della legittimità" di un provvedimento emesso da altra autorità, da assumersi entro un termine perentorio di decadenza.
Trattandosi di un potere che viene esercitato, per disposizione legislativa, "fra autorità" la norma invocata non è applicabile in quanto contempla, invece, l'istanza di parte e si correla, necessariamente, ad un termine "ordinatorio" di agire per l'Amministrazione.
La sussistenza, nel caso di specie, di un termine "di decadenza" per l'adozione del provvedimento (60 giorni) rende incompatibile l'integrazione dell'incombenza in questo peculiare procedimento.
Inoltre, il preavviso in questione non sarebbe, in realtà, la "comunicazione dei motivi che ostano all'accoglimento della domanda", -non integrando un’ipotesi di amministrazione attiva- ma diverrebbe la comunicazione delle motivazioni per le quali un'autorità ritiene che altra autorità avrebbe agito illegittimamente (TAR Friuli Venezia Giulia, sentenza 26.06.2009 n. 470 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Violazione di sigilli e responsabilità del custode.
In tema di violazioni di sigilli il custode è obbligato ad esercitare sulla cosa sottoposta a sequestro e sulla integrità dei relativi sigilli una custodia continua ed attenta. Egli non può sottrarsi a tale obbligo se non adducendo oggettive ragioni di impedimento e, quindi, chiedendo ed ottenendo di essere sostituito, ovvero, qualora non abbia avuto il tempo e la possibilità di farlo, fornendo la prova del caso fortuito o della forza maggiore che gli abbiano impedito di esercitare la dovuta vigilanza.
Ne consegue che, qualora venga accertata la violazione dei sigilli, senza che il custode abbia provveduto ad avvertire dell’accaduto l’autorità, è lecito ritenere che detta violazione sia opera dello stesso custode, da solo o in concorso con altri, tranne che lo stesso non dimostri di non essere stato in grado di avere conoscenza del fatto per caso fortuito o forza maggiore: ciò non configura alcuna ipotesi di responsabilità oggettiva, estranea alla fattispecie, ma un onere della prova che incombe sul custode (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 23.06.2009 n. 26121 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: Interventi precari.
In materia edilizia la natura precaria di un manufatto ai fini della sua non sottoposizione al preventivo rilascio del permesso di costruire non può essere desunta dalla temporaneità della destinazione soggettivamente data all’opera dall’utilizzatore, né dal dato che si tratti di un manufatto smontabile e non infisso al suolo ma deve riconnettersi ad una intrinseca destinazione materiale dell’opera stessa ad un uso realmente precario per fini specifici, contingenti e limitati nel tempo, con la conseguente e sollecita eliminazione del manufatto alla cessazione dell‘uso (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 22.06.2009 n. 25965 - link a www.lexambiente.it).

PUBBLICO IMPIEGO: IL DIPENDENTE VA A FARE LA SPESA DURANTE L´ORARIO DI LAVORO...
Non può essere licenziato il dipendente che si allontana senza autorizzazione dal posto di lavoro se lo stesso non ha mai subito sanzioni disciplinari in tutta la sua carriera.
La questione ha riguardato un dipendente, il quale veniva licenziato per essersi allontanato senza giustificazione dal posto di lavoro, determinando il blocco di alcune macchine di cui aveva la responsabilità (Corte di Cassazione, Sez. lavoro, sentenza 22.06.2009 n. 14586 - link a www.altalex.com).

APPALTI SERVIZI: 1.- Partecipazione e qualificazione - Requisiti generali - Requisiti ex art. 17, L. n. 68/1999 - Necessità - Sussiste.
2.-
Partecipazione e qualificazione - Requisiti generali - Requisiti ex art. 17, L. n. 68/1999 - Imprese esentate - Dichiarazione inapplicabilità normativa - Obbligo presentazione - Sussiste.
1.- Anche i Consorzi di cooperative devono dimostrare il possesso dei requisiti di carattere generale, morale e di ordine pubblico in capo alle società designate quali esecutrici dei lavori o dei servizi e tra detti requisiti rientra quello di cui all'art. 17, L. n. 68/1999, relativo alla tutela dei disabili, poiché detto requisito qualifica la moralità dell'impresa assuntrice dell'appalto sotto il profilo della puntuale osservanza degli obblighi di solidarietà sociale posti dal legislatore ed inerente a profili di organizzazione imprenditoriale direttamente incidenti sulla rituale esecuzione dell'appalto. La norma ha un chiaro contenuto di ordine pubblico e il rispetto della normativa sulla tutela dei disabili deve essere dichiarato al momento della presentazione della domanda di partecipazione alla gara.
2.- Le imprese concorrenti non tenute all'osservanza della normativa in questione sono comunque tenute a dichiarare la inapplicabilità all'impresa della normativa a tutela dei disabili, senza essere esonerati dal comunicare all'Amministrazione la propria posizione nei riguardi di detta disciplina. Diversamente opinando, l'Amministrazione dovrebbe essa andare a verificare, di volta in volta, se l'impresa occupi un numero di lavoratori tale da renderla esente dall'obbligo dell'assunzione dei disabili. Ciò non è conforme al dettato di cui all'art. 17, nonché ai principi di economicità ed efficacia dell'attività amministrativa (TAR Lazio-Roma, Sez. III-ter, sentenza 22.06.2009 n. 5979 - link a http://mondolegale.it).

APPALTI: Anche i consorzi di cooperative devono dimostrare di essere in regola con la normativa sulla tutela dei disabili ex art. 17 della l. n. 68/1999.
Sulla ratio dell'art. 17 della l. n. 68/1999.

Deve essere escluso da una gara per l'affidamento del servizio di autonoleggio con conducente per le esigenze aziendali di una S.p.a., per carenza di requisiti di carattere generale, un consorzio in quanto né il medesimo consorzio né i consorzi designati quali esecutori del servizio hanno reso la dichiarazione in forma espressa di essere in regola con la normativa in materia di diritto al lavoro dei disabili di cui all'art. 17 della l. n. 68 del 1999. Anche i consorzi di cooperative, infatti, devono dimostrare il possesso dei requisiti di carattere generale, morale e di ordine pubblico in capo alle società designate quali esecutrici dei lavori o dei servizi e tra detti requisiti rientra quello di cui all'art. 17 della l. n. 68/1999, relativo alla tutela dei disabili, poiché detto requisito qualifica la moralità dell'impresa assuntrice dell'appalto sotto il profilo della puntuale osservanza degli obblighi di solidarietà sociale posti dal legislatore e inerente a profili di organizzazione imprenditoriale direttamente incidenti sulla rituale esecuzione dell'appalto. Trattasi, dunque, di requisito che deve essere verificato nei confronti dell'imprenditore chiamato ad eseguire effettivamente il contratto e non soltanto nei confronti del consorzio, poiché il ruolo di questo si esaurisce per legge nella fase prodromica di partecipazione alla gara. Nel caso di specie, risulta dalla documentazione che le dichiarazioni rese dal consorzio e dalle sue consorziate risultano insanabilmente incomplete in ordine al requisito di cui alla lett. l) dell'art. 38 del d. lvo n. 163 del 2006 e tale incompletezza avrebbe dovuto comportare l'esclusione del predetto consorzio dalla gara.
Il rispetto della normativa sulla tutela dei disabili (art. 17 della l. n. 68/1999) deve essere dichiarato al momento della presentazione della domanda di partecipazione alla gara e le imprese concorrenti non tenute all'osservanza della normativa in questione sono comunque tenute a dichiarare la inapplicabilità all'impresa della normativa a tutela dei disabili, senza essere esonerati dal comunicare all'Amministrazione la propria posizione nei riguardi di detta disciplina. La ratio della disposizione non è solo quella di garantire l'Amministrazione nella conclusione del contratto stipulato con una impresa che osserva la normativa sul diritto del lavoro dei disabili, ma anche quella di imporre il rispetto di essa, finalità che si perseguono imponendo l'obbligo di dichiarazione "di essere in regola con le norme che disciplinano il diritto al lavoro dei disabili" anche se l'impresa non rientra nei casi previsti dall'art. 3 della l. n. 68 del 1999 (TAR Lazio-Roma, Sez. III-ter, sentenza 22.06.2009 n. 5979 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1.- Abusi - Demolizione - Ordinanza - Antecedente all'istanza di sanatoria - Illegittimità derivata - Non sussiste.
2.- Abusi - Istanza di sanatoria - Successiva all'ordinanza di demolizione e all'azione giudiziale - Rilevanza sul piano processuale - Sussiste.
1.- La presentazione della domanda di rilascio di titolo edilizio in sanatoria successivamente all'emanazione del provvedimento sanzionatorio non incide sulla legittimità di esso (come accadrebbe, invece, nel caso in cui detta domanda si fosse avuta prima del suo intervento); considerato che l'illegittimità è situazione patologica originaria dell'atto, relativa al suo momento genetico, mentre la proposizione dell'istanza di cui all'art. 36, D.P.R. n. 380/2001 (secondo il modulo già in precedenza previsto dall'art. 13, L. n. 47/1985) è vicenda successiva.
2.- La proposizione della domanda ex art. 36, D.P.R. n. 380/2001, successivamente all'adozione dell'atto demolitorio ed alla proposizione dell'impugnativa giudiziale, rileva sul piano processuale rendendo improcedibile, per sopravvenuta carenza di interesse, il ricorso giurisdizionale, salvo che non risulti già esternata dall'Amministrazione, o comunque non risulti con certezza dagli atti di causa, la non sanabilità delle opere: in queste ipotesi, la presentazione dell'istanza avrebbe la mera funzione di procrastinare inutilmente l'irrogazione della sanzione per un non sanabile abuso edilizio; e quindi l'Amministrazione ben potrebbe, in assenza di documentate sopravvenute circostanze, limitarsi all'adozione di un atto meramente confermativo della sanzione già irrogata, stante la già accertata non sanabilità dei manufatti (TAR Campania-Napoli, Sez. VII, sentenza 22.06.2009 n. 3405 - link a
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COMPETENZE GESTIONALI: 1.- Circolazione stradale - Codice della strada - Limitazione al traffico dei veicoli trasporto merci - Ordinanza - Potere - Sindaco - Non sussiste - Fattispecie.
2.- Circolazione stradale - Codice della strada - Limitazione al traffico dei veicoli trasporto merci - Ordinanza - Potere - Giunta Comunale - Sussiste - Art. 7, co. 9, D.Lgs. n. 285/2002 - Norma speciale - Prevalenza sulla L. n. 142/1990 - Ammissibilità.
1.-
Le ordinanze aventi per oggetto la limitazione al traffico dei veicoli trasporto merci (con una massa complessiva a pieno carico superiore alle tre tonnellate), sottendono la finalità di garantire la sicurezza della circolazione e la pubblica incolumità, dipendendo dalla considerazione di esigenze di stabilità strutturale delle strade interessate. E' quindi evidente che le finalità sottese a provvedimenti di tal genere ricadono tra quelle contemplate all'art. 7, co. 9, del Codice della strada, che attribuisce la competenza all'adozione del provvedimenti in analisi non al Sindaco ma alla Giunta.
E' vero, peraltro, che il Sindaco può assumere siffatti provvedimenti con ordinanza. Ma ciò è unicamente consentito in caso di urgenza della quale, all'evidenza, necessita esternare ed indicare adeguatamente e compiutamente i fattori fondanti (nel caso di specie peraltro, è dato evincere, al contrario, una situazione di segno opposto, nella parte in cui l'ordinanza del sindaco dà atto che la situazione di pericolo risale a diversi anni).
2.- Non osta all'individuazione nella Giunta dell'organo competente ad adottare provvedimenti di limitazione del traffico per qualsivoglia esigenza, diversa da quella volta alla tutela del patrimonio artistico, dell'ambiente e dalla prevenzione degli inquinamenti, il principio di separazione delle funzioni di amministrazione e gestione da quelle di indirizzo politico. La norma dell'art. 7, co. 9, D.Lgs. n. 285/2002, è una disposizione speciale rispetto all'impianto generale di cui alla L. n. 142/1990 e oltretutto successiva ad essa, conseguendone la sua prevalenza (TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 20.06.2009 n. 1816 - link a http://mondolegale.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Aria. Impianti di frantumazione di materiali da cava.
Gli impianti di frantumazione dei materiali di cava rientrano nella previsione dell’art. 1 del D.P.R. n. 203/1988 (ora art. 279, comma 1, del d.lgs. n. 152/2006) per la loro oggettiva attitudine a dare luogo a emissioni nell’atmosfera (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 18.06.2009 n. 25522 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: Tettoia (esclusione della natura di pertinenza).
In tema di reati edilizi, deve ritenersi che la tettoia di un edificio non rientra nella nozione tecnico-giuridica dì pertinenza, ma costituisce piuttosto parte dell’edificio cui aderisce: ciò in quanto in urbanistica il concetto di pertinenza ha caratteristiche sue proprie, diverse da quelle definite dal cod. civ., riferendosi ad un'opera autonoma dotata di una propria individualità, in rapporto funzionale con l’edificio principale, laddove la parte dell’edificio appartiene senza autonomia alla sua struttura (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 18.06.2009 n. 25530 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATAIl termine di impugnazione della concessione di costruzione decorre dalla data di ultimazione dei lavori, ossia dal momento in cui è percepibile la lesività dell’opera realizzata.
Per la costante giurisprudenza, tranne i casi vi sia una anteriore piena conoscenza dell’atto, il termine di impugnazione della concessione di costruzione decorre dalla data di ultimazione dei lavori, ossia dal momento in cui è percepibile la lesività dell’opera realizzata; in altri termini, la costruzione deve rivelare in modo certo e univoco le essenziali caratteristiche dell’opera e l’eventuale non conformità della stessa al titolo o alla disciplina urbanistica.
Non sono quindi sufficienti, ai detti fini, il mero inizio dei lavori, l’affissione del cartello di cantiere e la pubblicazione del progetto nell’albo pretorio (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 18.06.2009 n. 4015 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1.- Annullamento in autotutela dell'autorizzazione paesaggistica - Termine - Sessanta giorni - Esercizio - Fattispecie.
2.- Procedimento amministrativo - Avvio - Comunicazione - Necessità - Art. 26, D.Lgs. 24.03.2006 n. 157 - Sussiste.

1.- La perentorietà del termine di sessanta giorni è stabilita per l'"esercizio" del potere di annullamento e non comprende, per tal via, la successiva fase della comunicazione, non versandosi in ipotesi legale di provvedimento ricettizio, dal momento che è estranea alla previsione legislativa l'ulteriore fase della comunicazione o notificazione: vale quindi, ai fini del rispetto del termine perentorio, la data di adozione del provvedimento annullatorio (osserva il ricorrente, tenendo in considerazione la data, 29.05.2007, in cui la documentazione relativa alla pratica in oggetto è pervenuta alla Soprintendenza, il provvedimento sarebbe tempestivo solo se si badasse alla data di rilascio dell'atto, 27.07.2007, ma non anche di quella di ricezione dello stesso, siccome successiva alla scadenza del termine di riferimento).
2.- Il più recente legislatore (art. 26, D.Lgs. 24.03.2006 n. 157, che ha sostituito l'art. 159, D.Lgs. 22.01.2004 n. 42) ha espressamente confermato la necessità di rendere edotti gli interessati dell'attivazione del prescritto iter procedimentale di controllo, prevedendo che "l'amministrazione competente al rilascio dell'autorizzazione dà immediata comunicazione alla soprintendenza delle autorizzazioni rilasciate, trasmettendo la documentazione prodotta dall'interessato nonché le risultanze degli accertamenti eventualmente esperiti. La comunicazione è inviata contestualmente agli interessati, per i quali costituisce avviso di inizio del procedimento, ai sensi e per gli effetti della L. 07.08.1990 n. 241" (TAR Campania-Salerno, sentenza 18.06.2009 n. 3290 - link a
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EDILIZIA PRIVATA1. Il rispetto del termine di 60 giorni per l’annullamento dell'autorizzazione paesaggistica deve essere valutato con riferimento alla data di trasmissione dell’autorizzazione paesaggistica espressa e non alla data anteriore di conclusione della conferenza di servizi.
2. Con riferimento al potere di annullamento previsto dall’art. 159, 3° comma del d.lgs. 22.01.2004 n. 42, deve trovare applicazione la tradizionale giurisprudenza che ha rilevato l’illegittimità di provvedimenti di annullamento fondati su un riesame del merito della valutazione effettuata dall’ente delegato, piuttosto che sulla rilevazione di uno specifico vizio di legittimità dell’atto sottoposto a controllo.

1. Deve rilevarsi come l’art. 159, 2° comma, del d.lgs. 22.01.2004 n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio) preveda una strutturazione del regime transitorio di rilascio dell’autorizzazione paesaggistica (ancora in vigore fino al 30.06.2009) che contiene una regolamentazione particolare delle facoltà partecipative del privato nel procedimento per l’annullamento dell’atto: <<l’amministrazione competente al rilascio dell’autorizzazione dà immediata comunicazione alla soprintendenza delle autorizzazioni rilasciate, trasmettendo la documentazione prodotta dall’interessato nonché le risultanze degli accertamenti eventualmente esperiti. La comunicazione è inviata contestualmente agli interessati, per i quali costituisce avviso di inizio di procedimento, ai sensi e per gli effetti della legge 07.08.1990, n. 241. Nella comunicazione alla soprintendenza l’Autorità competente al rilascio dell’autorizzazione attesta di avere eseguito il contestuale invio agli interessati. L’autorizzazione è rilasciata o negata entro il termine perentorio di sessanta giorni dalla relativa richiesta e costituisce comunque atto autonomo e presupposto della concessione edilizia o degli altri titoli legittimanti l’intervento edilizio. I lavori non possono essere iniziati in difetto di essa. In caso di richiesta di integrazione documentale o di accertamenti il termine è sospeso per una sola volta fino alla data di ricezione della documentazione richiesta ovvero fino alla data di effettuazione degli accertamenti>>.
Si tratta, quindi, di un particolare regime partecipativo previsto da una normativa speciale che sostituisce le previsioni degli art. 7 e 10-bis della l. 241 del 1990, che non possono pertanto trovare applicazione, in via aggiuntiva, come prospettato da parte ricorrente; il fatto che il meccanismo partecipativo in questione non soddisfi alcune delle esigenze (come quella di conoscere il nominativo del responsabile del procedimento o il termine di conclusione della procedura) oggi assicurate dalla comunicazione di inizio procedimento, non assume poi valore decisivo, essendo ben possibile una disciplina normativa differenziata della partecipazione procedimentale che però soddisfi il nucleo fondamentale, costituito dalla possibilità per l’interessato di partecipare al procedimento (facoltà di partecipazione che appare essere stata assicurata anche nella presente fattispecie, considerato che parte ricorrente, ha indiscutibilmente ricevuto la comunicazione della trasmissione alla Soprintendenza dell’autorizzazione paesaggistica).
Per quello che riguarda la problematica del termine, quanto già rilevato con riferimento alla prima censura di ricorso evidenzia chiaramente come l’operatività del meccanismo in questione richieda il rilascio di una autorizzazione paesaggistica espressa; il rispetto del termine di 60 giorni per l’annullamento deve quindi essere valutato con riferimento alla data di trasmissione dell’autorizzazione paesaggistica espressa e non alla data anteriore di conclusione della conferenza di servizi.
In ogni caso, è poi opinione della Sezione che una simile censura possa essere introdotta in giudizio, solo tramite impugnazione, per violazione del principio del ne bis in idem, dell’autorizzazione paesaggistica rilasciata, dopo la positiva conclusione della conferenza di servizi (che, secondo la prospettazione di parte ricorrente, conterrebbe già tutti gli elementi essenziali del provvedimento autorizzatorio) e non potrebbe quindi comunque trovare considerazione nella presente vicenda.
Per giurisprudenza pacifica, la verifica in ordine al rispetto del termine deve poi essere effettuata con riferimento al momento di adozione del provvedimento di annullamento e non alla successiva comunicazione dello stesso (Consiglio Stato, sez. VI, 29.12.2008, n. 6586; TAR Puglia Lecce, sez. I, 07.06.2006, n. 3288).
2.
La Corte costituzionale (Corte cost. 07.11.2007, n. 367) ha rilevato come la disposizione ad efficacia transitoria dell’art. 159 del Codice dei beni culturali e del paesaggio non attribuisca <<all’amministrazione centrale un potere di annullamento del nulla-osta paesaggistico per motivi di merito, così da consentire alla stessa amministrazione di sovrapporre una propria valutazione a quella di chi ha rilasciato il titolo autorizzativo, ma riconosc(a) ad essa un controllo di mera legittimità, che peraltro, può riguardare tutti i possibili vizi, tra cui anche l’eccesso di potere>>.
Anche con riferimento al potere di annullamento previsto dall’art. 159, 3° comma del d.lgs. 22.01.2004 n. 42, deve pertanto trovare applicazione la tradizionale giurisprudenza che ha rilevato l’illegittimità di provvedimenti di annullamento fondati su un riesame del merito della valutazione effettuata dall’ente delegato, piuttosto che sulla rilevazione di uno specifico vizio di legittimità dell’atto sottoposto a controllo: <<il potere riconosciuto al Ministero per i beni culturali ai sensi dell'art. 159, d.lgs. 22.01.2004 n. 42, è da intendersi quale espressione non già di un generale riesame nel merito della valutazione dell'ente delegato, bensì di un potere di annullamento d'ufficio per motivi di legittimità, riconducibile al più generale potere di vigilanza che il legislatore ha voluto riconoscere allo Stato nei confronti dell'esercizio delle funzioni delegate alle regioni ed ai comuni in materia di gestione del vincolo; i parametri cui deve informarsi il giudizio della Soprintendenza ai fini dell'eventuale adozione dell'atto di annullamento sono, pertanto, riconducibili alla completezza della documentazione ed alla ragionevolezza e congruità della medesima, come evincibile dal corredo motivazionale dell'atto regionale o comunale>> (TAR Puglia Lecce, sez. I, 13.10.2006, n. 4948 già riferita alla previsione dell’art. 159, 3° comma del d.lgs. 42 del 2004; TAR Campania Napoli, sez. IV, 08.11.2006, n. 9415; TAR Lazio Roma, sez. II, 03.07.2006, n. 5347)
(TAR Puglia-Lecce, Sez. I, sentenza 18.06.2009 n. 1538 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZI: Sull'illegittimità dell'ammissione ad una gara per l'affidamento di servizi per violazione dell'art. 13 del d.l. n. 223 del 2006 (c.d. Decreto Bersani).
E' illegittima l'ammissione in una gara per l'affidamento dei servizi di assistenza tecnica integrata per la redazione del programma strategico per la valorizzazione urbanistica, economica, sociale e direzionale, di una ATI per violazione dell'art. 13 del d.l. 04.07.2006 n. 223 (c.d. Decreto Bersani), poi convertito in legge con modificazioni con la l. 296/2006, in quanto tra i componenti dell'ATI, figura in qualità di mandante una società che fra l'altro è partecipata dalla Provincia Regionale, da un Consorzio provinciale e da un altro Comune, oltre che dal Comune che ha indetto la gara e svolge, in base al suo stesso oggetto sociale, molteplici "attività strumentali" in favore degli stessi enti pubblici che ne detengono il capitale sociale (Tar Sicilia-Catania, Sez. III, sentenza 18.06.2009 n. 1161 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: 1. Sindaco - Ordinanze contingibili e urgenti - Presupposti per l'emanazione - Sanità e igiene.
2. Sindaco - Ordinanze contingibili e urgenti - Cessazione di emissioni di fumo - Motivazione - Carente - Ipotesi.
3. Giudizio amministrativo - Procedura - Controinteressato - Impugnazione di atto sollecitato dall'amministratore del condominio.

1. I presupposti necessari per l'emanazione di provvedimenti contingibili ed urgenti sono, da un lato, l'impossibilità di differire l'intervento ad altro momento in relazione alla ragionevole previsione di danno incombente (da cui il carattere dell'urgenza), dall'altro, l'inattuabilità degli ordinari mezzi offerti dalla normativa (da cui la contingibilità). Con specifico riferimento alla sanità ed igiene, l'esercizio, da parte del Sindaco, del potere di emanare ordinanze contingibili ed urgenti in dette materie è condizionato all'esistenza di seguenti presupposti: necessità di intervenire in determinare materie, quali la sanità e l'igiene; attualità od imminenza di un fatto eccezionale, quale causa da rimuovere con urgenza; preventivo accertamento, da parte degli organi competenti, della situazione di pericolo e di danno; mancanza di strumenti alternativi previsti dall'ordinamento, visto il carattere extra ordinem del potere sindacale (1).
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(1) TAR Campania Napoli, sez. V, 14-10-2005 n. 16477.
2. E' carente di motivazione un'ordinanza contingibile ed urgente, con la quale si ordina la cessazione con effetto immediato di emissioni di fumo provenienti da una canna fumaria, che, sebbene sul piano del requisito dell'urgenza, soddisfi il presupposto dell'espletamento di apposito accertamento tecnico da parte degli organi competenti, sul piano della contingibilità, non si soffermi sulla dimostrazione dell'impossibilità, per il Comune, di utilizzare strumenti alternativi a quello attivato, avente carattere eccezionale ed extra ordinem. La questione, che non pare superabile con il ricorso all'art. 21-octies co. 2, L. n. 241/1990, non è meramente formale, in quanto, il ricorso allo strumento extra ordinem consente alla p.A. di evitare in modo legittimo la comunicazione di avvio del procedimento ex art. 7, L. n. 241/1990 (2).
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(2) TAR Campania Napoli, sez. V, 14-10-2005 n. 16477; Cons. Stato, sez. V, 13-08-2007 n. 4448.
3. Il fatto che l'autore dell'esposto che ha dato luogo ad un'ordinanza contingibile ed urgente fosse l'amministratore di un condominio non vale certo a fare di quest'ultimo il controinteressato, né il destinatario della notificazione del gravame, attesi i confini della legittimazione processuale passiva dell'amministratore del condominio fissati dall'art. 1131, Cod. Civ., (che riguarda le sole parti materiali destinate all'uso comune dei condomini, anche se ubicate all'esterno dello stabile condominiale) (3). Per tale condominio, quindi, la qualifica di controinteressato spetterebbe, in linea di principio, ai proprietari ed ai residenti nello stabile (4) (TAR Toscana, Sez. II, sentenza 18.06.2009 n. 1070 - link a
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(3) Cass. Civ., sez. II, 19-01-1985 n. 145.
(4) Cons. Stato, sez. V, 11-04-1991 n. 542.

ESPROPRIAZIONE: 1. Procedimento - Avvio espropriazione - Dichiarazione di pubblica utilità - Conclusione - Pronuncia di esproprio - Annullamento in sede giurisdizionale della dichiarazione di pubblica utilità - Conseguenze.
2. Pubblica utilità - Funzione - Nella logica del contemperamento dell'interesse pubblico e privato.
3. Occupazione senza titolo - Acquisitiva - Posizione di diritto soggettivo - In capo al privato - Non sussiste - Declaratoria in sede di giurisdizione esclusiva - Non è ammissibile.
4. Occupazione senza titolo - Acquisitiva - Art. 43, D.P.R. n. 327/2001 - Valutazione degli interessi in conflitto - Interpretazione - Conseguenze.
1.
Il procedimento di espropriazione trova origine nella dichiarazione di pubblica utilità e si perpetua fino alla pronuncia di esproprio, tanto che l'annullamento in sede giurisdizionale della dichiarazione di pubblica utilità (o degli atti nei quali essa deve ritenersi contemplata in modo implicito, quali le approvazioni di Piani) comporti la automatica caducazione degli effetti del decreto di esproprio nel frattempo emesso, senza alcuna necessità o onere di autonoma ed ulteriore impugnazione (1).
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(1) Cons. Stato, sez. IV, 19-03-2009 n. 1651; Cons. Stato, sez. IV, 29-01-2008 n. 258
2. Nel contemperamento dei valori in gioco sotteso alla procedura espropriativa (quello pubblico al perseguimento degli interessi collettivi e generali, quello della solidarietà sociale e quello del proprietario a non vedersi sottrarre un bene da cui ha diritto di trarre ogni possibile e lecita utilità), il ruolo rivestito dal provvedimento di dichiarazione di pubblica utilità -nella logica della legge fondamentale 25.06.1865 n. 2359, rimasta pressoché inalterata nel vigente Testo Unico n. 327/2001- è quello di individuare il concreto interesse pubblico da perseguire (attraverso l'approvazione del progetto dell'opera da realizzare) e destinare definitivamente il bene del privato, necessario per la realizzazione di quell'opera, al soddisfacimento dei relativi interessi generali, riconoscendo la sussistenza di un nesso logico, oltreché giuridico e teleologico, tra il bene dichiarato di pubblica utilità ed il provvedimento espropriativo, nel senso che quest'ultimo è autorizzato a sottrarre il bene al legittimo proprietario solo ed esclusivamente nella misura in cui effettivamente il bene stesso sia utilizzato poi per il conseguimento dello specifico interesse pubblico fissato con la dichiarazione di pubblica utilità.
3. L'istituto dell'"acquisizione sanante" di cui all' art. 43, D.P.R. n. 327/2001, non vede corrispondere al privato posizioni giuridiche soggettive di diritto pieno, tali da legittimare una corrispondente pronuncia declaratoria in sede di giurisdizione esclusiva da parte del G.A., ma solo posizioni di interesse legittimo per le quali non è consentita nella presente sede un'azione di accertamento e conseguente declaratoria (2).
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(2) TAR Piemonte, sez. II, 24-03-2004 n. 483; Il Tribunale precisa, richiamando precedenti giurisprudenziali, che nell'attuale sistema processuale amministrativo, non trova ingresso l'azione di accertamento (e condanna) nelle ipotesi in cui il soggetto ricorrente si trovi in una posizione giuridica soggettiva di interesse legittimo, poiché le aspettative qualificate che in questo caso sono azionate non derivano direttamente dalla legge, come in presenza di un diritto soggettivo, ma trovano la mediazione della valutazione discrezionale della p.A. nell'esercizio di un pubblico potere e dell'adozione del conseguente provvedimento amministrativo che -solo questo- può costituire oggetto del sindacato giurisdizionale. Il Tribunale inoltre, prosegue precisando che la differenza tra posizioni soggettive di diritto e di interesse legittimo sussiste anche nell'ambito della giurisdizione esclusiva, con conseguente applicabilità in tale seconda ipotesi degli istituti processuali relativi, tra cui quello della esclusione della previsione dell'azione diretta di accertamento e condanna. Nel caso di specie, trattandosi di una domanda fondata su una situazione di interesse legittimo e non di diritto soggettivo, la ricorrente non poteva proporre direttamente una domanda di accertamento e condanna.
4. La norma di cui all'art. 43, D.P.R. n. 327/2001, (laddove è detto che "valutati gli interessi in conflitto, l'autorità che utilizza un bene immobile per scopi di interesse pubblico, modificato in assenza del valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità, può disporre che esso vada acquisito al patrimonio indisponibile e che al proprietario vadano risarciti i danni richiede una valutazione discrezionale della p.a."). L'obbligo di valutazione degli interessi in conflitto, con primaria ponderazione di quello pubblico a continuare l'utilizzo del bene, e la mera possibilità di dare luogo all'acquisizione -laddove la norma usa l'espressione "può" e non altre indicanti un vincolo all'adozione quali, a mero titolo esemplificativo, "deve", "dispone che venga acquisito"- costituiscono indici per i quali la corrispondente posizione del privato non si configura come di diritto soggettivo ma di mero interesse legittimo, con conseguente inammissibilità di azioni di accertamento e declaratorie (TAR Toscana, Sez. II, sentenza 18.06.2009 n. 1063 - link a http://mondolegale.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. Giudizio amministrativo - Procedura - Legittimazione - Edilizia - Nozione di collegamento fra immobili.
2. Dichiarazione inizio attività - Impugnazione da parte del terzo - Mezzi - Azione di accertamento autonomo - Sussistenza - Ragioni.
1.
Oltre ai singoli proprietari di immobili limitrofi, la legittimazione va riconosciuta a tutti coloro che si trovino, non in virtù della titolarità di un diritto reale, comunque in una situazione di collegamento, non effimero ma stabile con la zona stessa, ove gli stessi ritengano che per effetto della nuova costruzione, in contrasto con le prescrizioni urbanistiche, si determini una rilevante e pregiudizievole alterazione del preesistente assetto urbanistico ed edilizio. Tale precisazione deriva dalla considerazione per cui il rapporto di vicinitas dei proprietari frontisti è sufficiente a sostanziare la legittimazione ad agire, in quanto non può che comprendere in sé l'interesse personale alla conservazione e salvaguardia delle caratteristiche costruttive e insediative dell'ambiente circostante.
2. Poiché la d.i.a. non è un provvedimento amministrativo a formazione tacita, ma un atto privato, la tutela deve essere assicurata al terzo mediante strumenti diversi dall'azione di annullamento, che siano perfettamente compatibili con la natura privatistica della d.i.a.. E tale strumento è stato individuato nell'azione di accertamento autonomo che il terzo può esperire innanzi al giudice amministrativo per sentire pronunciare che non sussistevano i presupposti per svolgere l'attività sulla base di una semplice denuncia di inizio di attività (Cons. Stato, sez. VI, 09-02-2009 n. 717) ( TAR Calabria-Reggio Calabria, sentenza 18.06.2009 n. 431 - link a http://mondolegale.it).

EDILIZIA PRIVATA: Violazioni normativa antisismica.
Le contravvenzioni previste dalla normativa antisismica puniscono inosservanze formali, volte a presidiare il controllo preventivo della P.A. Ne deriva che l’effettiva pericolosità della costruzione realizzata senza i prescritti adempimenti è del tutto irrilevante ai fini della sussistenza del reato e la verifica postuma dell’assenza del pericolo ed il rilascio dei provvedimenti abilitativi non incide sulla illiceità della condotta, poiché gli illeciti sussistono in relazione al momento di inizio della attività (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 17.06.2009 n. 25133 - link a www.lexambiente.it).

APPALTI SERVIZI: L'art. 113, c. 15-bis del d. lgv. n. 267 del 2000, non riguarda la cessazione delle concessioni affidate a società a capitale misto pubblico privato nelle quali il socio privato sia stato scelto mediante gara.
Sulla natura tassativa dell'art. 113 c. 15-bis, d.lg. n.267 del 2000, e sul fatto che non interagiscono con esso le disposizioni sulla gestione integrata dei rifiuti di cui al d.lg. n. 152 del 2006.

- L'art. 113, c. 15 bis del d. lgv. n. 267 del 2000, esclude dalla cessazione le concessioni affidate a società a capitale misto pubblico privato nelle quali il socio privato sia stato scelto mediante procedure ad evidenza pubblica che abbiano dato garanzia di rispetto delle norme interne e comunitarie in materia di concorrenza.
È possibile affidare direttamente il servizio a società partecipate dall'ente pubblico, allorquando le esigenze dell'evidenza pubblica siano state rispettate a monte. Il parere n. 456 del 2007 reso dal Consiglio di Stato, sez. II, ha ritenuto che la scelta del partner privato a mezzo procedura ad evidenza pubblica equivale ad affidamento con gara del servizio. Ha precisato tuttavia che il ricorso alla figura della società mista affidataria diretta del servizio deve avvenire a condizioni tali da fugare dubbi e ragioni di perplessità in ordine alla restrizione della concorrenza. Tali condizioni ricorrono allorché la gara per la scelta del socio sia preordinata alla individuazione del socio industriale od operativo che concorra materialmente allo svolgimento del servizio pubblico e, che si preveda un rinnovo della procedura di selezione "alla scadenza del periodo di affidamento", evitando che il socio divenga "socio stabile" della società mista, possibilmente prescrivendo e chiarendo sin dagli atti di gara modalità per l'uscita del socio stesso per il caso in cui all'esito della successiva gara egli risulti non più aggiudicatario. Nel caso di specie, attinente la decadenza dell'affidamento diretto del servizio di igiene urbana ad una società a partecipazione pubblica maggioritaria in cui è incontestato che la scelta del socio privato è avvenuta con procedura di evidenza pubblica, manca la principale condizione per poter considerare legittimo l'affidamento del servizio, in quanto la scelta a monte del socio privato con procedura di evidenza pubblica ha esaurito il suo effetto con la scadenza della convenzione il cui rinnovo imponeva la procedura dell'evidenza pubblica, integrando una modalità di affidamento diretto del servizio in contrasto con i principi di matrice comunitaria di tutela della concorrenza e configura l'ipotesi del "socio stabile" che nel parere n. 456 del 2007 su citato è situazione in contrasto con i principi della concorrenza e dell'evidenza pubblica.
- L'art. 113, c. 15-bis del d. lgv. n. 267 del 2000 è disposizione tassativa che non consente slittamenti o proroghe dei rapporti ivi considerati oltre il termine massimo del 31.12.2006 e le disposizioni sulla gestione integrata dei rifiuti di cui al d.lgv. n. 152 del 2006 non interagiscono con tale disposizione, non assumendo rilievo in contrario nemmeno la previsione del c. 2 dell'art. 204 del codice dell'ambiente che testualmente dispone "In relazione alla scadenza del termine di cui al c. 15-bis dell'art. 113..., l'Autorità d'ambito dispone i nuovi affidamenti ...entro nove mesi dall'entrata in vigore della... parte quarta" che ha riguardo all'attività successiva alla suddetta risoluzione automatica (TAR Puglia-Bari, Sez. I, sentenza 17.06.2009 n. 1525 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

EDILIZIA PRIVATALa presentazione di una istanza di accertamento di conformità, o di una istanza di condono edilizio, priva di interesse processuale colui che abbia già impugnato l’ordinanza di demolizione, con la conseguenza che il ricorso viene dichiarato improcedibile: l'ordine, infatti, ha spiegato tutti i suoi effetti, il potere esercitato si è consumato in quello specifico procedimento, e, dunque, non può più fondare l’obbligo di demolire il fabbricato o le parti di opere sanzionate, né può, correlativamente, giustificare l’effetto legale dell’acquisizione delle medesime opere al patrimonio pubblico.
Parte ricorrente lamenta che erroneamente il Comune ha disposto l’acquisizione dell’immobile al patrimonio comunale, sul presupposto della mancata osservanza dell’ordine di demolizione precedentemente impartito e non opposto dagli interessati, perché questi ultimi avevano proposto, tempestivamente, un ulteriore progetto edilizio, finalizzato a rimuovere le difformità dei lavori rispetto al titolo edilizio a suo tempo rilasciato.
Si deve premettere che non osta all’esame del gravame la circostanza che l’ordine di demolizione del 24.09.1998 non sia stato impugnato.
Infatti, un ordine di demolizione di opere eseguite in difformità dal titolo edilizio o in assenza di quest'ultimo, determina, in capo al suo destinatario, la possibilità di compiere due scelte.
Il titolare dell’abuso può, infatti, impugnare l'ordine di demolizione, se non intende eseguirlo, nei prescritti termini di decadenza, oppure può darvi esecuzione.
In quest’ultimo caso, però, l’esecuzione dell’ordine di demolizione non avviene solamente con la effettuazione dei lavori di demolizione veri e propri, ma può avvenire anche mediante la presentazione al Comune di un progetto tendente a rimuovere lo stato di non corrispondenza delle opere al titolo rilasciato, ossia sostanzialmente realizzando opere necessarie a riportare il manufatto alla conformità allo strumento urbanistico, o anche operando in accertamento di conformità dei lavori realizzati sine titulo allo strumento urbanistico ed ai parametri edilizi di zona.
E’ lo strumento urbanistico, infatti, che costituisce l’unico parametro di legittimità ed assentibilità delle opere edilizie, avendo il titolo una efficacia meramente certativa e dichiarativa, non costitutiva dello ius aedificandi, che è esercitabile nei limiti e con le modalità derivanti dallo strumento urbanistico medesimo (cfr. TAR Catania, I, 31.10.2008, nr. 1898).
Per tale ragione, la giurisprudenza afferma, salvo poche eccezioni, che la presentazione di una istanza di accertamento di conformità, o di una istanza di condono edilizio, a seconda dei casi, priva di interesse processuale colui che abbia già impugnato l’ordinanza di demolizione, con la conseguenza che il ricorso viene dichiarato improcedibile (ex multis, tra le più recenti, TAR Campania, Salerno, II, 09.04.2009, n. 1408; TAR Lazio, Roma, II, 16.03.2009, nr. 2692; TAR Campania, Napoli, VII; 03.03.2009, nr. 1211; Consiglio di Stato, VI, 12.11.2008, nr. 5646; TAR Sicilia, Catania, I, 18.12.2007, nr. 1990; 15.10.2007, nr. 1669; 21.05.2007, nr. 853; 15.05.2008, nr. 905; tra le più risalenti, cfr. CGA 27.05.1997, nr. 187; TAR Lazio, Latina, 07.11.1988, nr. 738): l'ordine, infatti, ha spiegato tutti i suoi effetti, il potere esercitato si è consumato in quello specifico procedimento, e, dunque, non può più fondare l’obbligo di demolire il fabbricato o le parti di opere sanzionate, né può, correlativamente, giustificare l’effetto legale dell’acquisizione delle medesime opere al patrimonio pubblico.
Invero, l’effetto (compiuto) dell’ordine di demolizione è stato quello di evidenziare una situazione di carenza delle opere rispetto al titolo abilitante (seppure a efficacia certativa), e, con la presentazione del nuovo progetto teso a rimuovere le ragioni dell’illegittimità delle opere sanzionate (facendole assentire per conformità o per condono), ha avuto esecuzione da parte del suo destinatario.
Pertanto, in questi casi, l'esercizio del potere amministrativo prosegue, fondandosi, per effetto della presentazione della istanza o del nuovo progetto, su una diversa situazione di fatto caratterizzata da un nuovo assetto di interessi pubblici, perché, in forza della predetta istanza, l'Amministrazione dovrà adesso non più limitarsi ad accertare la differenza tra le opere realizzate ed il progetto assentito, ma, radicalmente, la corrispondenza tra le prime (eventualmente come modificate nel progetto innovativo) e lo strumento urbanistico.
Consegue a quanto sopra che l’esercizio del potere esecutivo e di controllo che spetta all’Autorità comunale dovrà essere volto a valutare la possibilità di sanare il deficit procedimentale (analogamente a quanto accade nella fattispecie normativa di cui all’art. 38 del DPR 380/2001), che sarà possibile sanare laddove quest’ultimo non incide sulla legittimità sostanziale del fabbricato; oppure, accertato che il fabbricato non solo è senza titolo, ma è anche difforme dalle prescrizioni urbanistiche, di legge o di strumento urbanistico di zona, dovrà nuovamente esercitare i propri poteri di controllo e repressione dell'illecito ordinandone la demolizione con un nuovo provvedimento, che, però, troverà causa (ossia sarà volto alla tutela degli interessi sostanziali) nella difformità dallo strumento urbanistico (ossia nella illegittimità sostanziale e non più solamente formale) dell’immobile
(TAR Calabria-Reggio-Calabria, sentenza 17.06.2009 n. 420 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Ordinanza di demolizione di fabbricati: solo per gravi abusi o per abusi non sanabili.
Ritiene il Collegio che la consistenza delle opere eseguite dai ricorrenti sia di tale entità da non potersi fare rientrare nella ipotesi di cui all’art. 8 l. n. 47/1985, unica fattispecie in relazione alla quale è prevista la sanzione massima della demolizione.
I tre abusi indicati nell’ordinanza di demolizione, non importando né aumento consistente della cubatura o della superficie né modifiche sostanziali di parametri urbanistici–edilizi, non costituiscono, infatti, variazioni essenziali. Essi al più riguardano opere soggette ad autorizzazione e la cui realizzazione, in assenza di autorizzazione, poteva essere perseguita solo con una sanzione pecuniaria (TAR Calabria-Reggio Calabria, sentenza 17.06.2009 n. 414 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZI: In applicazione dell'art. 113, c. 6, del D.Lgs. 18.08.2000, n. 267, non deve essere ammessa ad una gara per l'affidamento di un servizio pubblico locale una società già affidataria diretta di un spl in un altro comune.
In base a quanto previsto dall'art. 113, c. 6, del D.Lgs. 18.08.2000, n. 267, non sono ammesse a partecipare alle gare per l'affidamento dei servizi pubblici locali di rilevanza economica "le società che in Italia o all'estero, gestiscono a qualunque titolo servizi pubblici locali in virtù di un affidamento diretto, di una procedura non ad evidenza pubblica o a seguito dei relativi rinnovi; tale divieto si estende alle società controllate o collegate, alle loro controllanti, nonché alle società controllate o collegate con queste ultimi; sono parimenti esclusi i soggetti di cui al c. 4" (gestori delle reti).
Pertanto, nel caso di specie, la società aggiudicataria essendo affidataria diretta da parte di un altro comune della gestione dell'impianto di discarica sita nel territorio comunale non doveva essere ammessa alla gara indetta dall'Azienda Servizi Ambientali per l'affidamento del servizio di stesura, compattazione, copertura dei rifiuti, esecuzione di sbancamenti e di trasporto del percolato relativo alla discarica di un comune (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 16.06.2009 n. 3920 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Enti senza scopo di lucro, come fondazioni e Onlus, possono legittimamente partecipare alle gare d'appalto.
Sulla legittimità ad accedere ai contratti pubblici anche per le fondazioni. L'elencazione di cui art. 34 del D.Lgs. n. 163 del 2006, sui soggetti a cui possono essere affidati i contratti pubblici non è tassativa.

Anche i soggetti economici senza scopo di lucro, quali le fondazioni, possono soddisfare i necessari requisiti ed essere qualificati come "imprenditori", "fornitori" o "prestatori di servizi" ai sensi delle disposizioni vigenti in materia, e dunque essere soggetti legittimati ad accedere ai contratti pubblici, attese la personalità giuridica che le fondazioni vantano e la loro capacità di esercitare anche attività di impresa, qualora funzionali ai loro scopi e sempre che quest'ultima possibilità trovi riscontro nella disciplina statutaria del singolo soggetto giuridico.
L'elencazione dell'art. 34 del D.Lgs. n. 163 del 2006, codice dei contratti pubblici, non è, infatti, tassativa e tale conclusione trova conforto in altre norme del codice degli appalti che definiscono la figura dell'imprenditore o fornitore o prestatore di servizi nell'ambito degli appalti pubblici (art. 3, commi 19 e 20) e nelle disposizioni comunitarie le quali (art. 1, c. 8, 4 e 44 della direttiva 2004/18/CE) indicano che il soggetto abilitato a partecipare alle gare pubbliche è l'"operatore economico" che offre sul mercato lavori, prodotti o servizi, secondo un principio di libertà di forme (persone fisiche o persone giuridiche).
La giurisprudenza comunitaria ha affermato che per "impresa", pur in mancanza di una sua definizione nel Trattato, va inteso qualsiasi soggetto che eserciti attività economica, a prescindere dal suo stato giuridico e dalle sue modalità di finanziamento; che costituisce attività economica qualsiasi attività che consiste nell'offrire beni o servizi su un determinato mercato; che l'assenza di fine di lucro non esclude che un soggetto giuridico che esercita un'attività economica possa essere considerato impresa. Pertanto, la definizione comunitaria di impresa non discende da presupposti soggettivi, quali la pubblicità dell'ente o l'assenza di lucro, ma da elementi puramente oggettivi quali l'offerta di beni e servizi da scambiare con altri soggetti, nell'ambito quindi di un'attività di impresa anche quando non sia l'attività principale dell'organizzazione.
Inoltre, non è rilevante il fatto che una fondazione goda di un regime fiscale di favore perché il regime fiscale di favore assiste anche altri soggetti, quali le cooperative, senza che si possa sostenere che queste siano escluse dagli appalti pubblici (anzi sono espressamente contemplate nell'art. 34 del codice), ovvero le ONLUS che secondo la recente giurisprudenza amministrativa possono essere ammesse alle gare pubbliche quali "imprese sociali", cui il d.lgs. 24.03.2006 n. 155 ha riconosciuto la legittimazione ad esercitare in via stabile e principale un'attività economica organizzata per la produzione e lo scambio di beni o di servizi di utilità sociale, diretta a realizzare finalità d'interesse generale, anche se non lucrativa (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 16.06.2009 n. 3897 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI SERVIZI: In tema di concessione di servizi non si applica l'art. 64, c. 4, d.lvo n. 163/2006, ciò nonostante, anche per dette procedure è necessaria un'adeguata comunicazione delle notizie relative a data, luogo ed ora delle operazioni.
In tema di concessione di servizi, non si applica il disposto letterale dell'art. 64, c. 4, del D.lvo 12.04.2006, n. 163 - Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, tuttavia, anche per dette procedure, si ricorre, al principio generale, sotteso a tale norma, che impone un'adeguata comunicazione delle notizie relative a data, luogo ed ora delle operazioni, sì da consentire l'effettiva pubblicità e la concreta possibilità di partecipazione da parte dei soggetti interessati.
Nel caso di specie detti parametri di adeguatezza e proporzionalità delle misure informative non risultano rispettate per effetto della mera affissione all'albo pretorio, deve, infatti, ritenersi che tale misura generale di pubblicità, non presenti la stesso grado di conoscibilità della lex specialis. In assenza di un rinvio a detta formalità da parte degli atti di gara ed in mancanza di indicazioni puntuali in seno a detti ultimi, si deve ritenere che solo un atto avente la medesima pubblicità del bando ovvero una comunicazione personalizzata avrebbe potuto rispettare il principio generale di trasparenza sotteso alla normativa primaria (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 16.06.2009 n. 3844 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

EDILIZIA PRIVATA: Sequestro preventivo e necessità di sgombero dell’immobile abusivo.
Non c’è dubbio alcuno che, nell'ipotesi di immobili già ultimati, l'esigenza cautelare che il sequestro intende perseguire è che essi non vengano abitati per evitare l’aggravio (in modo apprezzabile) del carico urbanistico. La mera apposizione dei sigilli ex art. 260 c.p.p. costituirebbe misura del tutto inidonea a salvaguardare le finalità cautelari del sequestro. Tale apposizione, invero, può tutelare le finalità del sequestro probatorio (assicurare le cose necessarie per l’accertamento dei fatti).
La nomina del custode e l’apposizione dei sigilli, senza lo sgombero dell’immobile da coloro che lo occupano, non impedirebbe di certo il determinarsi dell’aggravio del carico urbanistico (che deriva appunto dalla persistenza della occupazione). E’, assolutamente, evidente quindi che tale aggravio non potrebbe essere evitato con la nomina degli stessi occupanti o custode (a meno di non prevedere comunque lo sgombero) (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 15.06.209 n. 24662 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: Condono in zone vincolate.
Non è poi esatto che la Corte costituzionale avrebbe chiarito, con riferimento agli abusi in aree vincolate, che la sanabilità delle opere realizzate in area vincolata è da escludere solo se si tratti di vincolo di inedificabilità assoluta (divieti di edificazione o prescrizioni di inedificabilità ex art. 33 legge 28.02.1985, n. 47) e non anche nella diversa ipotesi di vincolo di inedificabilità relativa. E difatti, la sentenza n. 54 del 2009 ha dichiarato illegittima una norma regionale che prevedeva il divieto di sanare le opere abusive edificate su aree sottoposte a vincoli di tutela solo quando questi ultimi «comportino inedificabilità assoluta», e ciò proprio perché l’art. 32, comma 27, lett. d), del dl. 269 del 2003 «attribuisce effetto impeditivo della sanatoria ad ulteriori vincoli, che la norma impugnata ... avrebbe invece l’effetto di vanificare».
E con la successiva ord. n. 150 del 2009 la Corte costituzionale ha espressamente rilevato che il principio affermato dalla Corte di cassazione (secondo cui entro le aree vincolate possono beneficiare del condono le sole opere di restauro e risanamento conservativo, nonché di manutenzione straordinaria, nei casi indicati nell’Allegato I al d.l. n. 269 del 2003, punti 4, 5 e 6) «appare del tutto conforme alla lettera della disposizione impugnata», precisando inoltre che è erronea una ricostruzione della giurisprudenza costituzionale nel senso che i vincoli preclusivi della sanatoria dovrebbero essere esclusivamente quelli che prevedano una inedificabilità assoluta, «atteso che la sentenza n. 54 del 2009 ha chiarito come tali vincoli non debbano necessariamente comportare l’inedificabilità assoluta» (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 15.06.2009 n. 24647 - link a www.lexambiente.it).

APPALTI: Sulla dichiarazione generica di assenza di cause di esclusione ex art. 38, comma 1, lett. c), del d.lgs. 163/2006.
Il Tar Palermo -delineata la disciplina normativa relativa alle cause di esclusione delle imprese dalle gare, incentrata sulla conoscenza completa, da parte della stazione appaltante, di tutte le sentenze e decreti di condanna eventualmente esistenti a carico dei concorrenti alle gare d’appalto, per le conseguenti valutazioni circa la loro rilevanza ostativa o meno ai fini della partecipazione- ritiene di dover condividere l'interpretazione dell'articolo 38, comma 1, lett. c), del D.lgs 163/2006 dedotta dal ricorrente.
Afferma così il principio secondo cui la norma in questione, laddove dispone che è comunque causa di esclusione la condanna per i reati di partecipazione ad un’organizzazione criminale, corruzione, frode, riciclaggio, non sta ad indicare tipologie di reati diversi da quelli ostativi genericamente indicati nella prima parte della norma (“reati gravi in danno dello Stato o della Comunità che incidono sulla moralità professionale”), quanto piuttosto dei reati, in ordine ai quali la stazione appaltante è priva di qualsiasi potere discrezionale di valutazione, nel senso che alle sentenze di condanna per uno o più degli stessi si connette un effetto automatico di preclusione della partecipazione ai pubblici appalti (TAR Sicilia-Palermo, Sez. III, sentenza 15.06.2009 n. 1076 - link a www.giurdanella.it).

APPALTI: Contratti pubblici: illegittimo il bando di gara che non riporta il CIG.
In materia di procedure per l'affidamento di contratti pubblici, è illegittimo il bando di gara che non riporta il relativo codice di identificazione (CIG), avendo la stazione appaltante omesso di richiedere l'accreditamento al sistema informativo dell'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 12.06.2009 n. 3685 - link a www.eius.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. Giudizio amministrativo - Procedura - Termini - Per impugnare - Permesso di costruire - Presentazione di istanza d'accesso al progetto - Non fa decorrere i termini.
2. Concessione - Rilasciata a terzi - Impugnazione - Eccezione di tardività - Effettiva conoscenza del provvedimento - Prova.
3. Giudizio amministrativo - Risarcimento danno - Tutela per equivalente a fronte della tutela annullatoria - Ex art. 2058 co. 2, Cod. Civ. - Esclusione - Ragioni.
1.
La presentazione dell'istanza di accesso non fa decorrere il termine per l'impugnazione degli atti in quanto, ai fini della decorrenza del termine decadenziale è necessaria la piena conoscenza oltre che della esistenza, anche della lesività del provvedimento, cioè la piena conoscenza del progetto. Ed inoltre che non può ritenersi che dalla mera realizzazione dei lavori di getto delle fondazioni si possa percepire l'esistenza e l'entità delle violazioni urbanistico-edilizie eventualmente derivanti dal permesso di costruire.
2. Nel caso di impugnazione di un permesso di costruire rilasciato a terzi, la effettiva e piena conoscenza del provvedimento da parte del ricorrente deve essere provata in modo rigoroso da chi eccepisce la tardività della impugnazione; in caso contrario essa si verifica, di regola, non con il mero inizio dei lavori edilizi bensì con la loro ultimazione o quantomeno con il raggiungimento di uno stato di avanzamento tale che non si possa avere più alcun dubbio in ordine alla consistenza ed alla reale portata dell'intervento edilizio assentito (1).
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(1) Cons. Stato, sez. V, 03-03-2004 n. 1023. Nella specie, il Tribunale Amministrativo, ha precisato che non assume rilievo la data di presentazione dell'istanza di accesso in quanto, ai fini della decorrenza del termine decadenziale è necessaria la piena conoscenza oltre che della esistenza, anche della lesività del provvedimento, cioè la piena conoscenza del progetto. L'esistenza e l'entità delle violazioni urbanistico-edilizie eventualmente derivanti dal permesso di costruire, inoltre, non sono state ritenute percepibili dalla mera realizzazione dei lavori di getto delle fondazioni.
3. E' inaccoglibile un'istanza con la quale, in applicazione dei principi rinvenibili nell'art. 2058, si chieda l'esclusione della tutela annullatoria e la concessione di una tutela per equivalente, in quanto essa si pone in contrasto con i caratteri propri del giudizio amministrativo di legittimità che, nella sua figura tipica, è un processo di impugnazione, finalizzato ad una pronuncia di annullamento di un atto amministrativo (TAR Puglia-Lecce, Sez. III, sentenza 12.06.2009 n. 1480 - link a
http://mondolegale.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. Ristrutturazione - Demolizione e ricostruzione - Sagoma e volumi diversi rispetto al fabbricato preesistente - Nuova costruzione - Integra.
2. Ristrutturazione - Demolizione e ricostruzione - Distanza preesistente - Conservazione - Solo nel caso di fedele ricostruzione - E' consentita - Nuova costruzione - Rispetto delle previsioni di piano - Necessità - Sussiste.
1.
Un progetto edilizio che preveda la realizzazione di un intervento di demolizione e ricostruzione con sagoma e volumi diversi rispetto al fabbricato preesistente, non configura una ristrutturazione edilizia ma è da inquadrare tra le nuove costruzioni.
Ai sensi dell'art. 31, co. 1, lett. d), L. 05.08.1978 n. 457, il concetto di ristrutturazione edilizia comprende, difatti, anche la demolizione seguita dalla fedele ricostruzione del manufatto, purché tale ricostruzione assicuri la piena conformità di sagoma, di volume e di superficie tra il vecchio ed il nuovo manufatto (2).
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(2) Cons. Stato, sez. IV, 22-03-2007 n. 1388; Cons. Stato, sez. V, 30-08-2006 n. 5061.
2. Se la conservazione della distanza preesistente può ritenersi consentita solamente nelle ipotesi di demolizione seguita da fedele ricostruzione, nel caso in cui, previa demolizione di un edificio preesistente, venga ricostruito al suo posto un fabbricato completamente diverso, devono invece essere rispettate tutte le previsioni previste dal P.R.G. e dal P.D.L. (TAR Puglia-Lecce, Sez. III, sentenza 12.06.2009 n. 1480 - link a
http://mondolegale.it).

APPALTI SERVIZI: Sul servizio di distribuzione del gas naturale: nullità degli atti aggiuntivi per contrarietà a norme imperative; interpretazione dell'art. 2, c. 175, della l. n. 244/2007; possibilità del Comune di accollarsi l'onere del rimborso al gestore uscente.
E' nullo l'atto aggiuntivo con il quale un Comune ha pattuito con il concessionario del servizio di distribuzione del gas naturale una scadenza della concessione già in essere determinata in accordo dalle parti in ragione di una serie di circostanze particolari, ovvero di una serie di investimenti che nel caso di specie, la concessionaria si impegnava ad effettuare, e così determinando una scadenza del periodo transitorio al 31.12.2012. L'accordo in questione, infatti, prescinde in modo completo dalla complessa normativa in tema di apertura alla concorrenza del settore della distribuzione del gas naturale ai clienti finali, pretendendo di pattuire per l'apertura alla concorrenza della distribuzione del gas nel Comune, una scansione temporale diversa da quella fissata in via autoritativa dalla legge, che nel suo prevedere scadenze rigide e ipotesi tassative di proroga non avrebbe senso alcuno ove si ritenesse liberamente derogabile fra le parti. Peraltro, l'accordo in esame contrasta con le norme imperative anche sotto un profilo ulteriore, ovvero nella parte in cui pretende di paralizzare sino alla sua scadenza la possibilità del Comune di indire una pubblica gara per affidare il servizio.
L'art. 2, c. 175, della l. 24.12.2007 n. 244 prevede, alla lettera, che le pubbliche gare per l'affidamento del servizio di distribuzione del gas naturale verranno indette dopo la definizione di appositi ambiti territoriali ottimali per ciascun bacino di utenza, definizione per cui sono fissati termini evidentemente ordinatori, dato che per la loro inosservanza non vi sono sanzioni. La norma stessa quindi, secondo parte della dottrina, si risolverebbe in una sostanziale abolizione di tutto il meccanismo del decreto Letta, perché rinvierebbe senza un termine preciso l'apertura del settore alla concorrenza ad un futuro del tutto indeterminato. Di conseguenza, gli affidamenti in essere potrebbero, senza l'intervento di fatti nuovi, proseguire secondo le originarie concessioni. Tale indirizzo non è condivisibile, per le ragioni riassumibili così come segue. In primo luogo, come argomento logico, tale interpretazione si porrebbe in netto contrasto con il principio comunitario di concorrenza, la cui attuazione sarebbe rinviata senza termini certi, con un risultato che nell'ambiguità del testo normativo va fin quando possibile evitato, anche perché potrebbe condurre ad una responsabilità dello Stato italiano verso l'Unione. In secondo luogo, tale interpretazione contrasta con la lettera dell'art. 46-bis del d.l. n. 159/2007, ovvero con la norma che l'art. 2, c. 175, va a modificare, là dove essa prevede incentivi ai Comuni i quali decidano di aggregarsi per formare un ambito ottimale. In terzo luogo, e in via sistematica, tale interpretazione contrasta anche con il successivo art. 23-bis, c. 7, del d.l. 25.06.2008 n. 112 convertito nella l. 06.08.2008 n. 133, che nel dettare la disciplina generale dei servizi pubblici locali di rilevanza economica prevede la determinazione di bacini di gara ottimali sempre come facoltativa. Pertanto, i Comuni in generale possono attualmente indire la pubblica gara per affidare il servizio in questione, ed anzi sono in certo senso tenuti a farlo, là dove si ritenga che l'omessa tempestiva acquisizione del canone, che dal concessionario vincitore della gara l'ente ricaverà, possa rilevare a carico degli amministratori del Comune come ipotesi di responsabilità erariale.
Nessuna norma, né nel d.lgs. 23.05.2000 n. 164, cd decreto Letta né altrove, preclude che dell'indennizzo da corrispondere al concessionario uscente si faccia carico il Comune, per rendere l'offerta più appetibile agli occhi degli aspiranti nuovi concessionari. In secondo luogo, il subentro del nuovo affidatario nei rapporti in corso è limitato a quelli previsti dall'art. 14, c. 8, del decreto Letta, né appare ragionevole estenderlo in via interpretativa ad altri, quali quelli facenti capo al personale del concessionario uscente, poiché ciò si risolverebbe in un cospicuo disincentivo a partecipare alla gara per soggetti diversi dal concessionario uscente medesimo, unico che da tale onere non sarebbe pregiudicato, avendo già i lavoratori in parola alle proprie dipendenze (TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 12.06.2009 n. 1221 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI SERVIZI: L'attività di illuminazione pubblica di un comune è un servizio pubblico locale.
Sull' illegittimità della partecipazione di una società alla gara indetta dal comune per l'affidamento dell'appalto della gestione del servizio di illuminazione per violazione dell'art. 113, c. 6, del d.lgs. n. 267/00, in quanto la società è già affidataria diretta di servizi pubblici locali in diversi comuni.

L'attività di illuminazione pubblica di un comune è un servizio pubblico locale: infatti, "la qualificazione di servizio pubblico locale spetta a quelle attività caratterizzate sul piano oggettivo dal perseguimento di scopi sociali e di sviluppo della società civile, selezionate in base a scelte di carattere eminentemente politico quanto alla destinazione delle risorse economicamente disponibili ed all'ambito di intervento e su quello soggettivo dalla riconduzione diretta o indiretta ad una figura soggettiva di rilievo pubblico". Nel caso di specie, il comune ha assunto come servizi pubblici locali quelli di manutenzione delle strade, degli impianti di illuminazione pubblica e del verde pubblico ... Tanto è sufficiente per concludere che si tratta senz'altro di servizi pubblici locali ricadenti nel campo di applicazione del titolo V del d.lgs. 18.08.2000, n. 267 (T.U.E.L.).
Ne consegue che, è illegittima la partecipazione di una società alla gara indetta dal comune per l'affidamento dell'appalto della gestione integrata del servizio di illuminazione pubblica e realizzazione di interventi di efficienza energetica e di adeguamento normativo sugli impianti comunali, e conseguentemente l'aggiudicazione del servizio di pubblica illuminazione a favore dell'A.T.I. tra la stessa società e un'altra ditta, per violazione dell'art. 113, c. 6, del d.lgs. 18.08.2000, n. 267, in quanto la società è già affidataria diretta di servizi pubblici locali in diversi comuni.
L'art. 113, c. 6, cit., nel testo applicabile ratione temporis al caso di specie, prevede infatti il divieto di partecipazione delle società affidatarie dirette dei servizi pubblici locali, che abbraccia, anche sul piano strettamente semantico, l'ipotesi di cui all'art. 113, c. 14, in base alla quale l'ente locale autorizza i soggetti proprietari "a gestire i servizi o loro segmenti". Il divieto di partecipazione posto dall'art. 113, c. 6, trova, tuttavia, un limite nella norma di cui al c. 15-quater del medesimo articolo, ai sensi del quale esso non si applica alle "prime gare aventi ad oggetto i servizi forniti dalle società partecipanti alla gara stessa", ma riguarda le società già affidatarie dirette del servizio posto in gara. Con la conseguenza che se la società, come accade nel caso di specie, non è stata affidataria diretta del servizio e, nel momento della presentazione delle offerte, risulta (ancora) affidataria diretta di servizi pubblici locali presso altri enti, deve essere esclusa per effetto della norma più volte citata (TAR Sardegna, Sez. I, sentenza 11.06.2009 n. 966 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

PUBBLICO IMPIEGO: Stretta sul mobbing. Decisive le testimonianze dei colleghi.
Le testimonianze dei colleghi possono inchiodare il capo che, con le sue intemperanze, stressa a tal punto il dipendente da fargli venire la depressione e l'ansia, e che per questo rischia, oltre al carcere, di dover risarcire il sottoposto (Corte di Cassazione, Sez. IV penale, sentenza 10.06.2009 n. 23923).

EDILIZIA PRIVATA: Notifica ingiunzione alla demolizione (soggetti destinatari).
In sede di esecuzione dell’ordine di demolizione, disposto dal giudice con la sentenza di condanna, il p.m. non è tenuto a notificare al difensore l’avviso di deposito della ingiunzione de qua, atteso che tale ingiunzione è effettuata al solo imputato, affinché questi possa provvedervi spontaneamente, senza ulteriori aggravi di spesa (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 09.06.2009 n. 23839 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: In una zona interessata da vincolo paesaggistico la formazione del provvedimento tacito di assenso alla concessione in sanatoria, previsto dall'art. 35, comma 18, l. n. 47 del 1985, postula indefettibilmente la previa acquisizione del parere favorevole dell'autorità preposta alla tutela del vincolo sulla compatibilità ambientale della costruzione senza titolo.
L'ordine di demolizione di opera edilizia abusiva è sufficientemente motivato con l'affermazione dell'accertata abusività dell'opera, nonostante la circostanza che la repressione dell'abuso edilizio sia stata disposta a distanza di un tempo ragguardevole.
In una zona interessata da vincolo paesaggistico la formazione del provvedimento tacito di assenso alla concessione in sanatoria, previsto dall'art. 35, comma 18, l. n. 47 del 1985, postula indefettibilmente la previa acquisizione del parere favorevole dell'autorità preposta alla tutela del vincolo sulla compatibilità ambientale della costruzione senza titolo. Ne consegue che, se al momento dell'esame della domanda di sanatoria non risulta acquisito il (necessario) parere favorevole sulla conformità dell'intervento alla disciplina paesaggistica, la formazione del silenzio-assenso è preclusa (TAR Campania Napoli, sez. IV, 16.05.2008, n. 4710; Consiglio Stato, sez. VI, 02.11.2007, n. 5669;).
In materia di abusi edilizi, il principio della irretroattività della legge assume rilevanza solo in riferimento alle norme che prevedono sanzioni afflittive e non anche a quelle che introducono misure ripristinatorie quali la demolizione, diretta a ristabilire l'assetto urbanistico violato dall'abuso, con la conseguenza che, ai fini della normativa applicabile, bisogna fare riferimento al sistema sanzionatorio vigente all'epoca dell'adozione del provvedimento repressivo, attesi gli effetti permanenti dell'abuso (TAR Campania Napoli, sez. IV, 26.10.2001, n. 4703).
Il Consiglio di Stato (sez. V, 04.03.2008, n. 883) ha recentemente affermato che l'ordine di demolizione di opera edilizia abusiva è sufficientemente motivato con l'affermazione dell'accertata abusività dell'opera, nonostante la circostanza che la repressione dell'abuso edilizio sia stata disposta a distanza di un tempo ragguardevole. In questi casi, infatti, solo l’inerzia colpevole dell’amministrazione, ingenerando una posizione d'affidamento nel privato, potrebbe imporre l’onere di una congrua motivazione che, avuto riguardo anche all'entità e alla tipologia dell'abuso, indichi il pubblico interesse, evidentemente diverso da quello al ripristino della legalità, idoneo a giustificare il sacrificio del contrapposto interesse privato
(TAR Liguria, Sez. I, sentenza 08.06.2009 n. 1289 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

PUBBLICO IMPIEGO: Presupposti per il pagamento del lavoro straordinario dei pubblici dipendenti. Il lavoro straordinario reso dai dipendenti pubblici è retribuibile a condizione che sia stato preventivamente autorizzato nei modi dovuti.
I contratti collettivi degli Enti locali condizionano lo svolgimento del lavoro straordinario da un lato ad una precisa programmazione sulla base della valutazione di esigenze eccezionali debitamente motivate, dall’altro alla presenza di una preventiva formale autorizzazione allo svolgimento dello stesso, che consente di verificare le ragioni di pubblico interesse che rendono opportuno il ricorso a prestazioni lavorative eccezionali.
Questi principi, sanciti negli accordi sindacali degli anni ’80 –recepiti con relativi DPR– sono stati riproposti nella contrattazione collettiva dopo la c.d. “privatizzazione” del pubblico impiego. Invero, l’art. 38 del CCNL 14/09/2000, del comparto Regioni Enti locali, nel premettere al primo comma che “le prestazioni di lavoro straordinario sono rivolte a fronteggiare situazioni di lavoro eccezionali e pertanto non possono essere utilizzate come fattore ordinario di programmazione del tempo di lavoro e di copertura dell'orario di lavoro”, conferma al secondo comma il principio secondo cui la prestazione di lavoro straordinario deve essere “espressamente autorizzata dal dirigente, sulla base delle esigenze organizzative e di servizio individuate dall'ente.”
In merito, si ricordi come la pacifica giurisprudenza amministrativa (C.d.S., sez. VI, 13.05.2008, n. 2217; C.d.S., sez. V, 10.02.2004, n. 472; C.d.S., sez. VI, Sez., 24.05.2007, n. 2648) ha frequentemente affermato che non è retribuibile il lavoro straordinario senza la preventiva autorizzazione nei modi dovuti, atteso che occorre verificare in concreto la sussistenza delle ragioni di pubblico interesse che rendono necessario il ricorso a dette prestazioni.
In assenza di autorizzazione non si può pretendere il pagamento delle ore lavorate in eccesso a quelle ordinarie nemmeno esperendo una generica azione di indebito arricchimento nei confronti della p.a., poiché secondo l’indirizzo confermato anche dalla Cassazione, tale azione differisce da quella ordinaria, in quanto presuppone non solo il fatto materiale dell'esecuzione di un'opera o di una prestazione vantaggiosa per l'Amministrazione stessa, ma anche il riconoscimento, da parte di questa, dell'utilità dell'opera o della prestazione. Detto riconoscimento si può manifestare in maniera esplicita, cioè con un atto formale, oppure può risultare in modo implicito, da atti o comportamenti della p.a. dai quali si desuma inequivocabilmente un effettuato giudizio positivo circa il vantaggio o l'utilità della prestazione promanante da organi rappresentativi dell'amministrazione interessata, ma non può essere desunta dalla mera acquisizione e successiva utilizzazione della prestazione stessa.
L’applicazione del suddetto principio risulta evidenziato in alcune pronunce del Consiglio di Stato (C.d.S. 10.11.1992, n. 1246; C.d.S., Sez. IV, 17.12.1998) nelle quali, sulla base del fatto che la pubblica amministrazione aveva in talune circostanze beneficiato di un’utilità, il dipendente, quindi, per l’azione civilistica dell’arricchimento senza causa di cui all’art. 2041 c.c., aveva ottenuto il diritto di essere indennizzato, percependo la dovuta retribuzione.
Per completezza si ricordano le altre due ipotesi contemplate dalla giurisprudenza per il legittimo pagamento del lavoro straordinario, in assenza di una preventiva autorizzazione formale: la prima, quando lo svolgimento dell’attività lavorativa non rappresenta una libera scelta del dipendente ma deriva da un obbligo scaturente da ragioni organizzative cogenti ed in qualche modo ascrivibili a scelte dell’amministrazione (ex plurimis, C.d.S., Sez. V, 10.07.2002, n. 3843), la seconda, quando, in situazioni del tutto eccezionali, verificata in concreto la sussistenza di ragioni di pubblico interesse, l’amministrazione emana un provvedimento postumo allo svolgimento della prestazione di lavoro straordinario resa, tendente a “sanare” l’assenza dell’autorizzazione preventiva (ex plurimis, C.d. S., Sez. IV, 28.11.2005, n. 6662) (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 04.06.2009 n. 3460 - link a www.altalex.com).

APPALTI FORNITURE E SERVIZI: Contratti pubblici: illegittima la valutazione di anomalia delle offerte economiche effettuata con formule matematiche nella stessa fase di attribuzione del punteggio.
Nelle procedure di gara per l'affidamento di contratti pubblici, allorché l'aggiudicazione abbia luogo secondo il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa, la valutazione di anomalia non può essere incorporata, attraverso l'adozione di formule matematiche, nell'operazione di attribuzione del punteggio alle singole offerte, ma deve essere sempre successiva a quest'ultima (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 03.06.2009 n. 3404 - link a www.eius.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Convalida, con valenza retroattiva, di un atto amministrativo viziato da incompetenza.
Il vizio di incompetenza, quale vizio di legittimità dell'atto amministrativo, comporta soltanto la annullabilità e non la nullità dell'atto stesso; l'effetto retroattivo della convalida non può non operare positivamente anche sugli atti connessi rispetto all'atto convalidato i quali, in conseguenza del vizio di incompetenza, potevano risultare inficiati per illegittimità derivata.
Non appare condivisibile l'assunto posto a base dell'impugnativa secondo cui la convalida, con valenza retroattiva, di un atto amministrativo viziato da incompetenza potrebbe operare soltanto quando l'autorità procedente abbia ancora la disponibilità dell'effetto che l'atto convalidato dovrebbe produrre, mentre nel caso di specie ciò sarebbe escluso in conseguenza dell'intervenuto annullamento, da parte del TAR, della deliberazione della Giunta provinciale oggetto della convalida.
Come sottolineato dalla giurisprudenza di questo Consiglio, il problema riguardante specificamente la convalida (o ratifica) degli atti viziati da incompetenza è stato da tempo risolto in base alla espressa previsione dell'art. 6 della legge 18.03.1968 n. 249, secondo cui può provvedersi in proposito “anche in pendenza di gravame in sede amministrativa e giurisdizionale”; e con riferimento al gravame in sede giurisdizionale deve naturalmente includersi anche quello relativo alla proposizione dell'appello al Consiglio di Stato, per cui l'iniziativa in discorso deve intendersi preclusa soltanto quando sia intervenuta una sentenza passata in giudicato (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 26.06.1998, n. 991, e da ultimo: Sez. V, 28.11.2008, n. 5910).
Né rilievo determinante in senso contrario può attribuirsi alla circostanza che, nel caso in esame, per la sentenza di annullamento del TAR non sia stata avanzata la richiesta di sospensione, atteso il carattere meramente provvisorio di una eventuale pronuncia in via cautelare, destinata a decadere a seguito della definitiva decisione sul merito dell'impugnativa; la predetta sentenza, d’altronde, era rimasta priva di effetto a seguito della successiva sentenza dello stesso TAR che aveva riconosciuto la legittimità della intervenuta convalida.
Privo di pregio si manifesta, altresì, l'ulteriore assunto dell'appellante che postula in sostanza la necessità di provvedere, da parte dell'organo competente, a riesaminare e confermare esplicitamente tutti gli atti del procedimento già valutati dall'organo incompetente, non potendosi limitare a richiamare per relationem gli atti e le valutazioni operate dal predetto organo incompetente, in quanto affette da radicale “nullità” e quindi insanabili.
Al riguardo sembra sufficiente obiettare, da un lato, che il vizio di incompetenza, quale vizio di legittimità dell'atto amministrativo, comporta soltanto la annullabilità e non la nullità dell'atto stesso; dall'altro lato che l'effetto retroattivo della convalida non può non operare positivamente anche sugli atti connessi rispetto all'atto convalidato i quali, in conseguenza del vizio di incompetenza, potevano risultare inficiati per illegittimità derivata.
Sull'argomento sembra opportuno aggiungere che più di recente, con l'art. 14 della legge 11.02.2005 n. 15, è stato introdotto anche l'art. 21-nonies della legge 07.08.1990 241, che al comma 2 prevede espressamente quanto segue: “È fatta salva la possibilità di convalida del provvedimento annullabile, sussistendone le ragioni di interesse pubblico ed entro un termine ragionevole”; si è manifestato in tal modo l'intendimento del legislatore di consentire oggi, in via generale, il mantenimento in vita di provvedimenti affetti soltanto da vizi di carattere formale, come quello in questione (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 29.05.2009 n. 3371 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: E' condivisibile l’orientamento secondo il quale il silenzio sull'istanza di accertamento di conformità urbanistica ha natura di atto tacito di reiezione dell'istanza (e quindi di silenzio significativo e non di silenzio-rifiuto) e, pertanto, una volta decorso il termine di 60 giorni, si forma il silenzio-diniego, che può essere impugnato dall'interessato in sede giurisdizionale nel prescritto termine decadenziale di 60 giorni, alla stessa stregua di un comune provvedimento.
Dal silenzio fatto formare sull'istanza di accertamento di conformità urbanistica ai sensi dell'art. 13 della legge n. 47/1985, proprio per la natura di silenzio-rigetto, non sussiste l’obbligo di un provvedimento espresso e, conseguentemente di motivare lo stesso.

Questa stessa Sezione (cfr. TAR Catania, I, 30.09.2008, n. 1786) ha avuto modo di precisare che è condivisibile <<l’orientamento (cfr. TAR Napoli, 04.04.2008, n. 1904), secondo il quale il silenzio sull'istanza di accertamento di conformità urbanistica ha natura di atto tacito di reiezione dell'istanza (e quindi di silenzio significativo e non di silenzio-rifiuto) e, pertanto, una volta decorso il termine di 60 giorni, si forma il silenzio-diniego, che può essere impugnato dall'interessato in sede giurisdizionale nel prescritto termine decadenziale di sessanta giorni, alla stessa stregua di un comune provvedimento>>.
Ove, quindi, oggetto dell’impugnazione sia un’ordinanza volta ad ingiungere la demolizione di un’opera abusiva per la quale successivamente sia stata presentata istanza di condono o di accertamento di conformità, così come questa stessa Sezione ha già chiarito (cfr. TAR Catania, I, 15.10.2007, n. 1669, nonché, I, 15.03.2006, n. 413, ove si richiama TAR Napoli, n. 16925/2004; TAR Salerno, n. 1904/2004; TAR Catanzaro, II, n. 1844/2004; TAR Catania, I, n. 1870/2003), <<viene meno in capo ai ricorrenti l'interesse processuale ai sensi dell'art. 100 c.p.c., atteso che la presentazione di una istanza di sanatoria a norma delle diverse discipline normative succedutesi nel tempo priva di efficacia gli atti sanzionatori precedentemente adottati, e che, in ipotesi di rigetto, il Comune dovrà effettuare una nuova valutazione della situazione e, se del caso, provvedere a nuova adozione delle sanzioni amministrative. Infatti, la definizione delle istanze di sanatoria non comporta la immediata riespansione dell'efficacia dei precedenti provvedimenti repressivi, bensì abilita l'amministrazione a riprovvedere tenuto conto della situazione risultante dalla decisione interposta sulle istanze dei privati; sicché o il Comune accoglie la domanda e rilascia la concessione edilizia in sanatoria, oppure la respinge ed allora è tenuto al completo riesame della fattispecie con conseguente cessazione di ogni efficacia lesiva dell'ordinanza di demolizione impugnata>>.
In linea con la prevalente giurisprudenza, questa stessa Sezione (cfr. TAR Catania, I, 30.09.2008, n. 1786; 08.05.2006, n. 705) ha già avuto modo di evidenziare come non sia illegittima l’attività amministrativa, ove, l’Amministrazione comunale non si sia pronunciata in esito ad un’istanza di accertamento di conformità di un’opera edilizia abusiva ex art. 13 della l. 47/1985. La norma in esame così si esprime: "Fino alla scadenza del termine di cui all'articolo 7, terzo comma, per i casi di opere eseguite in assenza di concessione o in totale difformità o con variazioni essenziali, o dei termini stabiliti nell'ordinanza del sindaco di cui al primo comma dell'articolo 9, nonché, nei casi di parziale difformità, nel termine di cui al primo comma dell'articolo 12, ovvero nel caso di opere eseguite in assenza di autorizzazione ai sensi dell'articolo 10 e comunque fino alla irrogazione delle sanzioni amministrative, il responsabile dell'abuso può ottenere la concessione o l'autorizzazione in sanatoria quando l'opera eseguita in assenza della concessione o l'autorizzazione è conforme agli strumenti urbanistici generali e di attuazione approvati e non in contrasto con quelli adottati sia al momento della realizzazione dell'opera, sia al momento della presentazione della domanda.
Sulla richiesta di concessione o di autorizzazione in sanatoria il sindaco si pronuncia entro sessanta giorni, trascorsi i quali la richiesta si intende respinta
".
Dall'esame anche superficiale della disposizione emerge che il silenzio serbato dall'Amministrazione assume il significato di espresso rigetto e non di mero rifiuto di pronunzia come ritenuto dalla ricorrente.
In tema di silenzio amministrativo, dopo la sostanziale novella dell’art. 21-bis l. 1034/1971, intervenuta di seguito alla modifica dell’art. 2, comma 5, della legge 241/1990, operata dall'articolo 3 del D.L. 14.03.2005, n. 35, convertito, con modifiche, nella legge 14.05.2005, nr. 80, questa stessa Sezione ha già avuto modo di evidenziare (cfr. TAR Catania, I, 17.10.2005, n. 1723; 08.05.2006, n. 705) come il provvedimento espresso sia il frutto di un'attività amministrativa, ossia di una edizione del potere.
Analogamente deve dirsi per il silenzio rigetto, ossia per le ipotesi -normativamente qualificate- del silenzio quale "forma" di un provvedimento o comunque elemento di una fattispecie complessa cui la norma conferisce valenza significante ed effetti di rigetto della istanza del privato.
Solo quando il silenzio sia solo il frutto di una inerzia non espressamente qualificata da una norma, è possibile considerare il silenzio come "inadempimento" (inerzia a fronte di attività vincolata) o "rifiuto" (inerzia a fronte di attività discrezionale).
In questi casi, se il silenzio è inadempimento, nessuna difficoltà sorge alla possibilità di valutare la fondatezza dell'istanza, perché, come insegna la giurisprudenza, la norma esaurisce in sé tutti i presupposti dell'azione ed il decorso del termine determina il sorgere dell'interesse al ricorso.
Se l'inerzia è silenzio rifiuto, invece, può essere affermato l'obbligo a provvedere, ma, in linea di principio, non può valutarsi la fondatezza dell'istanza, ossia pronunciarsi sul contenuto di quel provvedimento e, quindi, sulla pretesa al bene della vita, in quanto la norma che è invocata a titolo della pretesa demanda alla P.A. un'attività di esame e di cura degli interessi pubblici, la cui assenza impedisce il sorgere della situazione giuridica necessaria a sua volta a determinare l'interesse al ricorso sotto il profilo della cognizione circa la fondatezza della istanza.
Ove, invece, il silenzio sia qualificabile, per espressa disposizione normativa, quale rigetto dell'istanza, non può debitamente parlarsi di omessa pronuncia amministrativa, impugnabile ai sensi dell'art. 2 della l. n. 241/1990 e dell'articolo 21-bis della legge 06.12.1971, n. 1034, ma di fattispecie perfettamente equiparabile all'atto (appunto, di rigetto), verso il quale è possibile soltanto esperire i normali rimedi giurisdizionali nelle forme ordinarie di rito.
Conclusivamente, dai suddetti principi deriva, per come affermato altresì in Giurisprudenza, (cfr. Cons. Stato, sez. IV, nn. 1710 e 598 del 2006, TAR Campania, VII, 19.06.2007), che, diversamente da quanto sostenuto dai ricorrenti, dal silenzio fatto formare sull'istanza di accertamento di conformità urbanistica ai sensi dell'art. 13 della legge n. 47/1985, proprio per l’evidenziata natura di silenzio-rigetto, non sussiste l’obbligo di un provvedimento espresso e, conseguentemente di motivare lo stesso
(TAR Sicilia-Catania, Sez. I, sentenza 26.05.2009 n. 975 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: L'omessa comunicazione di avvio del procedimento non assume rilievo inficiante la legittimità dell'ordinanza di demolizione.
In considerazione della natura vincolata del potere di repressione degli abusi edilizi, l'omessa comunicazione di avvio del procedimento non assume rilievo inficiante la legittimità dell'ordinanza di demolizione (ex multis, TAR Napoli, II, n. 9243/2006); TAR Puglia Lecce, sez. III, 20.09.2008, n. 2651.
Infatti, come evidenziato dal Giudice di seconde cure (cfr. Consiglio Stato, sez. VI, 06.06.2008, n. 2733) <<l'adempimento di cui all'art. 7 della legge 07.08.1990, n. 241, consente all'interessato di addurre elementi che arricchiscono il patrimonio conoscitivo dell'amministrazione, instaurando un contraddittorio finalizzato al migliore contemperamento dell'interesse pubblico con quello di cui è portatore.
La norma non prevede, invece, un mero simulacro formale, la cui violazione sia opponibile anche quando l'omissione non abbia inciso in alcun modo sulla formazione della volontà dell'amministrazione stessa e nemmeno sulla possibilità di difesa dell'interessato (in termini C. di S., IV, 15.06.2004, n. 4018; VI, 29.01.2002, n. 491). L'irregolarità riscontrata risulta quindi irrilevante, atteso che nella specie deve trovare applicazione l'art. 21-octies della legge 07.08.1990, n. 241, introdotto dall'art. 14 della legge 11.02.2005, n. 15, il quale esclude possa essere disposto l'annullamento del provvedimento qualora sia palese che il suo contenuto dispositivo non può essere diverso da quello in concreto adottato.
Non vale poi addurre che la comunicazione di avvio del procedimento le avrebbe consentito di chiedere a sanatoria l'autorizzazione necessaria per conservare la disponibilità dei manufatti in questione, in quanto la notifica dell'ingiunzione di demolizione non impedisce la presentazione e l'eventuale accoglimento dell'istanza, presentata a sanatoria
>>
(TAR Sicilia-Catania, Sez. I, sentenza 26.05.2009 n. 975 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Rientra nella fattispecie delle modificazioni durevoli dello stato dei luoghi che sono prodotte anche da strutture meramente appoggiate sul suolo, anche con ruote, qualora destinate ad uso prolungato nel tempo e non quindi realmente precario, cioè temporaneo o occasionale.
Il ricorrente si è doluto dell’illegittimità del provvedimento impugnato per eccesso di potere per erroneità dei presupposti e travisamento dei fatti, posto che il maxicaravan non sarebbe ancorato al suolo e, quindi, come tale, non potrebbe costituire una costruzione per la cui realizzazione è necessaria la preventiva concessione edilizia.
Anche della classificazione dell’opera prefabbricata posta su ruote ed avente natura precaria la Sezione ha avuto modo di occuparsi con decisione n. 2197 del 21.11.2008
Ivi è stato precisato che, come già in precedenza chiarito, <<(cfr. Tar Catania I, 29.11.2007, n. 1921) occorre stabilire se i manufatti in questione possano ritenersi costruzione o edificazione a fini urbanistici.
Al riguardo la detta decisione ha precisato che si rientra nella fattispecie delle modificazioni durevoli dello stato dei luoghi, che, come chiarito dalla giurisprudenza, sono prodotte anche da strutture meramente appoggiate sul suolo, anche con ruote, qualora destinate ad uso prolungato nel tempo e non quindi realmente precario, cioè temporaneo o occasionale (cfr. Consiglio di stato, sez. V, 20.12.1999, n. 2125).
In altri termini, a prescindere da un sistema di ancoraggio al suolo, i prefabbricati vanno considerate vere e proprie costruzioni, ove, comunque, siano destinati a durare nel tempo.
Tale necessità del resto discende dalla alterazione dello stato dei luoghi e dalla destinazione in genere di tale tipo di struttura alla soddisfazione di esigenze di carattere durevole, a prescindere dalla tecnica e dai materiali impiegati per la realizzazione della struttura stessa (cfr. Consiglio Stato, sez. V, 03.04.1990, n. 317).
Il giudice di seconde cure, con detta ultima decisione ha altresì precisato che un prefabbricato, pure avendo la parvenza della mobilità, costituisce una vera e propria costruzione, ove incardinata al suolo con accorgimenti tecnici per garantirne la stabilità
>>
(TAR Sicilia-Catania, Sez. I, sentenza 26.05.2009 n. 975 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Commissione provinciale vigilanza locali pubblici e spettacoli: il parere è viziato se alla fase conclusiva non hanno partecipato tutti i componenti.
Ancorché nel primo sopralluogo del 16.04.1998 la Commissione avesse operato nella completezza dei suoi componenti ed in tale sede imposto specifiche prescrizioni tecniche per il rilascio del definitivo parere di competenza, nella medesima composizione doveva compiere anche la successiva fase procedimentale di verifica del corretto adempimento alle prescrizioni imposte, che costituivano condizione per l’ attestazione di agibilità e sicurezza dei locali.
Ciò non è avvenuto, per l’assenza del rappresentanza della locale U.S.L., incorrendo nella violazione dell’art. 141, ultimo comma, del r.d. n. 635/1940 ove è stabilito che “il parere della Commissione è dato per iscritto con l’ intervento di tutti i componenti”, previsione in base dalla quale il TAR ha correttamente tratto la conclusione della natura di collegio perfetto del predetto organo tecnico (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 21.05.2009 n. 3118 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Rumore. Limitazione attività rumorose.
Se solo il superamento della soglia di rumorosità stabilita nelle fonti nazionali (ovvero in quelle regionali) consente l’inibizione generalizzata di una certa attività produttiva (salva la derogabilità dei valori suddetti ad opera dei «comuni il cui territorio presenti un rilevante interesse paesaggistico-ambientale e turistico»), è ben possibile (né v’è pertanto alcuna violazione dell’art. 41 Cost.) che ciascun Comune disciplini in concreto tali attività anche attraverso alcune restrizioni orarie, a prescindere dal superamento delle soglie acustiche regolamentari e secondo criteri di ragionevolezza e di compatibilità con le condizioni ambientali di inserimento delle stesse (TAR Campania-Napoli, Sez. III, sentenza 20.05.2009 n. 2770 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: La soprintendenza, pur non potendo sostituire proprie valutazioni di merito a quelle del comune, è comunque abilitata a rilevare vizio in relazione al rilascio dell'autorizzazione paesaggistica.
E’ giurisprudenza costante che non si forma mai il silenzio assenso su una domanda di sanatoria di un abuso edilizio realizzato su area soggetta a vincolo paesaggistico, come pure non si forma in altra area non vincolata quando la documentazione, come nel caso concreto, non è completa.
L’autorizzazione paesaggistica ai fini della sanatoria edilizia può essere rilasciata solo all’esito della valutazione della compatibilità paesaggistica, che deve riguardare tutte le opere indipendentemente dall’epoca della loro realizzazione e ciò in quanto, come si è riconosciuto, il comportamento del soggetto che ha compiuto l’abuso realizza un illecito permanente che si estingue solo con il conseguimento del titolo abilitativo.
La competenza al rilascio dell’autorizzazione paesaggistica è del Comune, il quale è tenuto a trasmettere il proprio atto alla Sovrintendenza per l’eventuale annullamento entro i previsti 60 giorni.
La Sovrintendenza, pur non potendo sostituire proprie valutazioni di merito a quelle del Comune, è comunque abilitata a rilevare qualunque vizio del provvedimento comunale, l’eccesso di potere in tutte le sue forme sintomatiche e in special modo l’eventuale difetto di motivazione (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 13.05.2009 n. 2950 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Sulla cauzione provvisoria in tema di appalti pubblici.
Con riguardo alla finalità della cauzione provvisoria, il G.A. ritiene che negli appalti pubblici la cauzione provvisoria abbia una duplice finalità.
- di garantire la stazione appaltante della mancata sottoscrizione del contratto da parte dell’aggiudicatario;
- di assicurare l’affidabilità e la serietà dell’offerta presentata.
Sostanzialmente, ha una funzione indennitaria dei danni cagionati dall’eventuale rifiuto di stipulare il contratto e sanzionatoria degli inadempimenti procedimentali relativi alla veridicità delle dichiarazioni fornite in ordine al possesso dei requisiti di capacità economico-finanziaria e tecnico-organizzativa richiesti dalla lex specialis (cfr. Cons. St., Sez. V, 30.06.2003, n. 3866; Sez. IV, 20.07.2007, n. 4098).
Conseguentemente, la natura provvisoria della cauzione provvisoria e la sua specifica funzione comportano che la sua durata non può prescindere dalla durata di validità dell’offerta, risultandone diversamente pregiudicata la stessa ratio legis dell’istituto.
A tal fine, nel Codice dei Contratti pubblici, il legislatore ha normativamente equiparato il termine minimo di irrevocabilità dell’offerta alla durata minima della cauzione, prevedendolo, in entrambi i casi, in 180 gg. dalla scadenza del termine per la presentazione dell’offerta, tranne termini più ampi previsti dal bando di gara (artt. 11, comma 6 e 75, comma 5, del d.lgs. n. 163/2006).
In relazione al caso di specie, il Supremo Consesso afferma che va esclusa da una gara di appalto una ditta che, in violazione del bando e del principio della par condicio, ha presentato una cauzione provvisoria di durata inferiore a quella minima richiesta dal bando stesso.
Data la chiarezza e non equivocità delle norme di gara, imposte a pena di esclusione, non appare, dunque, corretto il richiamo del TAR alla necessità di interpretare tali norme in senso conservativo, dal momento che in subjecta materia il rispetto della par condicio deve ritenersi prevalente sul principio del favor partecipationis (cfr. C.G.A.R.S., dec. n. 85/2007; Cons. St., Sez. IV, 31.01.2005, n. 231).
Infatti, mentre il bando di gara prevedeva una durata minima di 250 giorni per la cauzione provvisoria, è stata, invece, prodotta una cauzione di durata di 180 giorni, rinnovabili per altri 180 giorni su richiesta della stazione appaltante, nel caso in cui al momento della scadenza non fosse ancora intervenuta l’aggiudicazione.
Infine, conformemente agli orientamenti giurisprudenziali più recenti, viene ribadita la giurisdizione dell’A.G.O. per le questioni relative alla sorte del contratto di appalto stipulato dall’Amministrazione a seguito dell’annullamento in sede giurisdizionale dell’aggiudicazione.
Tuttavia, è da considerarsi ammissibile una cognizione incidentale in sede di giudizio di ottemperanza della sentenza di annullamento finalizzato ad ottenere la ripetizione della procedura o l’aggiudicazione della gara (cfr. Cons. Stato, Ad. Plen., 30.07.2008, n. 9)
(Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 11.05.2009 n. 2885 - link a www.altalex.com).

EDILIZIA PRIVATA: Permesso di costruire e previsione di impatto acustico.
L’art. 8 della L. 447/1995, comma 4, pur prescrivendo che le domande per il rilascio di concessioni edilizie relative a nuovi impianti od infrastrutture adibiti ad attività produttive siano corredate da una documentazione di previsione di impatto acustico, non contempla alcuna sanzione in caso di inosservanza della suddetta prescrizione.
Peraltro, la non perentorietà di tale disposizione risulta evidente laddove si confronti la stessa con i commi precedenti, i quali prescrivono tassativamente l’obbligo della valutazione dell’impatto acustico per particolari tipi di opere, e con il sesto comma, che contempla l’indicazione delle misure previste per ridurre o eliminare le emissioni sonore causate dall'attività o dagli impianti solo quando si preveda la produzione di valori di emissione superiori a quelli determinati ai sensi dell'articolo 3, comma 1, lettera a) (TAR Puglia-Lecce, sentenza 07.05.2009 n. 975 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il diniego di titolo edilizio per violazione di legge costituisce provvedimento vincolato.
Nel caso di diniego di titolo edilizio per violazione di una norma di legge, non vi è alcun difetto di motivazione, in quanto, trattandosi di provvedimento vincolato, è sufficiente l’indicazione del presupposto normativo di riferimento che comporta l’adozione del provvedimento in oggetto (TAR Toscana, Sez. III, sentenza 07.05.2009 n. 784 - link a www.altalex.com).

EDILIZIA PRIVATA: Devono essere esclusi dalla sanatoria gli immobili soggetti a vincolo ambientale e paesaggistico allorché le opere abusive contrastino con gli strumenti urbanistici in vigore.
E’ consolidato l’orientamento giurisprudenziale (Cass. penale, sez. IV, 12.01.2005 n. 12577; TAR Campania Napoli, sez. VI, 03.08.2005 n. 10563; TAR Veneto, sez. II, 19.06.2006 n. 1884; TAR Campania Napoli, sez. VI, 16.03.2006 n. 3043; 08.02.2007 n. 963) che ha rilevato la necessità di escludere dalla sanatoria gli immobili soggetti a vincolo ambientale e paesaggistico allorché le opere abusive contrastino con gli strumenti urbanistici in vigore (TAR Veneto, sez. II, 19.06.2006 n. 1884).
E’ escluso che possano essere sanate le opere abusive realizzate su immobili soggetti a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela dei beni ambientali e paesistici, nonché dei parchi e delle aree protette nazionali, regionali e provinciali qualora istituiti prima della esecuzione di dette opere, in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici.
L’ordinamento permette la sanatoria in due ipotesi costituite:
1) dalla realizzazione delle opere abusive prima dell’imposizione dei vincoli previsti dall’art. 32, comma 27, lett. d), del d.l. 30.09.2003 n. 269;
2) dal fatto che le opere oggetto di sanatoria, sia pure non autorizzate o difformi dal titolo abilitativo edilizio, siano comunque conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici (TAR Puglia-Bari, Sez. III, sentenza 06.05.2009 n. 1054 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIAIl sindaco che ordina la rimozione dei rifiuti è tenuto ad individuare con apprezzabile grado di plausibilità l'autore dell'abuso.
Il Sindaco, anche su sollecitazione della Procura, è tenuto ad emettere gli indispensabili provvedimenti a salvaguardia dell'incolumità, dell'igiene, della salute e della sicurezza pubbliche, poiché una vasta area del territorio comunale era stata adibita a discarica abusiva a cielo aperto; però, nell’esercizio della sua amplia discrezionalità in materia, spetta alla medesima Autorità individuare le modalità di tali operazioni e innanzitutto i soggetti che sono tenuti ad effettuarle attraverso un esame della vicenda che permetta di stabilire, con un apprezzabile grado di plausibilità, chi abbia presumibilmente violato il divieto di abbandono e di deposito incontrollati di rifiuti sul suolo e nel suolo e sia obbligato perciò alla relativa attività ripristinatoria (TAR Puglia-Bari, Sez. I, sentenza 06.05.2009 n. 1041 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

COMPETENZE GESTIONALI: Anche in materia di pubblici servizi, il consiglio comunale è chiamato ad esprimere gli indirizzi politici ed amministrativi di rilievo generale, che si traducono in atti fondamentali, tassativamente elencati nell'art. 42 del decreto legislativo n. 267/2000.
Anche in materia di pubblici servizi, il consiglio comunale è chiamato ad esprimere gli indirizzi politici ed amministrativi di rilievo generale, che si traducono in atti fondamentali, tassativamente elencati nell'art. 42 del decreto legislativo n. 267/2000, mentre la giunta municipale ha una competenza residuale, comprendente anche l’indirizzo politico, in quanto compie tutti gli atti non riservati dalla legge al Consiglio o non ricadenti nelle competenze, previste dalle leggi o dallo statuto, del Sindaco o di altri organi di decentramento.
Tocca invece al dirigente attuare gli obiettivi ed i programmi definiti dagli organi di governo; in particolare, il medesimo deve operare quelle scelte tecnico-giuridiche necessarie all’assegnazione del servizio, a cominciare dalla predisposizione degli atti inditivi della gara, che, quali atti di gestione, di competenza del responsabile del procedimento di spesa, seguono e attuano la deliberazione di giunta e/o di consiglio, espressione del potere di indirizzo e di controllo politico-amministrativo (Consiglio Stato, Sez. V, 31.01.2007 n. 383; 13.12.2005 n. 7058; TAR Puglia, Lecce, sez. II, 02.05.2003 n. 2851; TAR Calabria, Reggio Calabria, 13.02.2004 n. 153) (TAR Puglia-Bari, Sez. I, sentenza 06.05.2009 n. 1038 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Rifiuti. Ordinanza rimozione e avviso di procedimento.
L’ordinanza di rimozione di rifiuti abbandonati deve essere preceduta dalla comunicazione di avvio ai soggetti interessati, stante la rilevanza dell’eventuale apporto procedimentale che questi possono fornire, almeno con riguardo all’accertamento delle effettive responsabilità per l’abusivo deposito di rifiuti: ciò tanto più che l’esigenza di un effettivo contraddittorio tra Amministrazione procedente e tutti i soggetti a vario titolo coinvolti nel fatto è espressamente prevista dall’art. 192, comma 3, del d.lgs. n. 152/2006 (Codice dell’Ambiente), laddove si dispone che i controlli svolti dalla P.A. riguardo all’abbandono di rifiuti sul terreno debbano essere effettuati in contraddittorio con i privati interessati.
Per di più, anche a voler ammettere che l’irrogazione della sanzione ripristinatoria costituisca attività vincolata -peraltro, posta a tutela in via diretta e primaria del pubblico interesse, con conseguente giurisdizione del G.A. sulle relative controversie- è tuttavia vero che, in via generale, la comunicazione ex art. 7 della l. n. 241 è dovuta anche in caso di attività vincolata della P.A., quando la partecipazione del privato possa apportare un contributo sull’accertamento dei presupposti di fatto necessari per l’emanazione del provvedimento (TAR Toscana, Sez. II, sentenza 06.05.2009 n. 772 - link a www.lexambiente.it).

AMBIENTE-ECOLOGIAL’ordinanza di rimozione di rifiuti abbandonati ex art. 14 d.lgs. n. 22/1997 deve essere preceduta dalla comunicazione di avvio ai soggetti interessati.
In linea di principio risultano non condivisibili le obiezioni formulate dalla difesa comunale, secondo cui, nel caso di specie, la comunicazione ex art. 7 della l. n. 241/1990 non sarebbe stata dovuta in ragione del carattere endoprocedimentale dell’accertamento tecnico contenuto nella nota del Corpo Forestale dello Stato del 24.05.2005, dalla quale ha preso le mosse il procedimento sfociato nell’ordinanza gravata.
Una simile argomentazione, infatti, porterebbe ad escludere sempre e comunque la sussistenza a carico della P.A. dell’obbligo di cui all’art. 7 cit. nei procedimenti volti all’emanazione dell’ordinanza di rimozione di rifiuti abbandonati ex art. 14 del d.lgs. n. 22/1997 per il solo fatto che tali procedimenti siano avviati su segnalazioni di organi istituzionalmente deputati alla tutela dell’ambiente.
Si deve rammentare, tuttavia, che, secondo la giurisprudenza più recente (TAR Emilia Romagna, Parma, Sez. I, 31.01.2008, n. 64), l’ordinanza di rimozione di rifiuti abbandonati ex art. 14 cit. deve essere preceduta dalla comunicazione di avvio ai soggetti interessati, stante la rilevanza dell’eventuale apporto procedimentale che questi possono fornire, almeno con riguardo all’accertamento delle effettive responsabilità per l’abusivo deposito di rifiuti: ciò tanto più che l’esigenza di un effettivo contraddittorio tra Amministrazione procedente e tutti i soggetti a vario titolo coinvolti nel fatto è espressamente prevista, nelle fattispecie come quella ora in esame, dall’art. 192, comma 3, del d.lgs. n. 152/2006 (Codice dell’Ambiente), laddove si dispone che i controlli svolti dalla P.A. riguardo all’abbandono di rifiuti sul terreno debbano essere effettuati in contraddittorio con i privati interessati.
Per la medesima ragione, risulta in linea di principio non condivisibile nemmeno l’ulteriore obiezione avanzata dalla difesa comunale, fondata sulla natura vincolata dell’ordinanza impugnata. Per di più, anche a voler ammettere che l’irrogazione della sanzione ripristinatoria ex art. 14, comma 3, del d.lgs. n. 22/1997, costituisca attività vincolata (cfr. TAR Abruzzo, L’Aquila, 28.10.2004, n. 1164) –peraltro, posta a tutela in via diretta e primaria del pubblico interesse, con conseguente giurisdizione del G.A. sulle relative controversie (C.d.S., A.P., 24.05.1007, n. 8)– è tuttavia vero che, secondo la giurisprudenza (cfr., ex multis, TAR Lombardia, Milano, Sez. II, 24.03.2005, n. 692), in via generale la comunicazione ex art. 7 della l. n. 241 cit. è dovuta anche in caso di attività vincolata della P.A., quando la partecipazione del privato possa apportare un contributo sull’accertamento dei presupposti di fatto necessari per l’emanazione del provvedimento.
La mancata specificazione, nel provvedimento impugnato, delle ragioni di urgenza e/o particolari esigenze di celerità del procedimento, impedisce, inoltre, di considerare applicabile la suddetta esimente dall’obbligo di comunicazione dell’avvio del procedimento, prevista dal medesimo art. 7 della l. n. 241/1990, atteso che la preminenza delle ragioni di urgenza del provvedimento sul diritto alla partecipazione presuppone una rigorosa e puntuale motivazione da parte dell’Amministrazione in ordine alle particolari esigenze di celerità che giustificano l’omessa comunicazione (C.d.S., Sez. VI, 30.05.2008, n. 2616). La previsione dell’art. 192, comma 3, cit. del Codice dell’Ambiente sembra, inoltre, impedire la possibilità di un’esclusione dell’avviso ex art. 7 cit. basata su esigenze di celerità esistenti in re ipsa nella fattispecie considerata e che, pertanto, non richiedono di essere esternate con apposita motivazione.
Nondimeno, nella vicenda in esame, per quanto si dirà di seguito ed ove si acceda alla tesi del carattere vincolato del provvedimento impugnato, trova applicazione l’art. 21-octies, comma 2, prima parte, della l. n. 241/1990, ai sensi del quale non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento stesso, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato (cfr. TAR Toscana, Sez. I, 14.09.2006, n. 3969). Il carattere procedimentale del vizio lamentato consente, infatti, di applicare alla fattispecie la disposizione ora menzionata, in ragione soprattutto –come meglio si vedrà in sede di analisi del terzo motivo– del contenuto della documentazione depositata dal Comune in data 13.01.2006 in ottemperanza all’ordinanza collegiale n. 130/2005.
Alla medesima conclusione si giungerebbe, peraltro, anche laddove si volesse ritenere applicabile alla fattispecie non la prima, ma la seconda parte dell’art. 21-octies, comma 2, cit., in base alla quale “il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell’avvio del procedimento qualora l’amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato”. La disposizione in parola risulta applicabile qualora all’ordinanza gravata si riconosca contenuto discrezionale (cfr. C.G.A.R.S., Sez. Giur., 28.12.2006, n. 874). Infatti –come si è già evidenziato– il fatto che il contenuto del provvedimento impugnato non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato, è dimostrato dalla documentazione prodotta dal Comune in data 13.01.2006: è stata, dunque, la stessa Pubblica Amministrazione –sia pure non spontaneamente, ma in ottemperanza ad un incombente istruttorio disposto dal Collegio (particolare che, però, non sembra significativo ai fini che qui interessano)– a fornire la prova richiesta dall’art. 21-octies, comma 2, seconda parte, della l. n. 241/1990, le cui prescrizioni risultano, perciò, rispettate (TAR Toscana, Sez. II, sentenza 06.05.2009 n. 772 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Rumore. Misurazione valore di emissione.
Ai sensi dell’art. 2, lett. e), l. n. 447/1995, il valore limite di emissione rappresenta il valore massimo emesso da una sorgente sonora misurato “in prossimità” della sorgente stessa. Ciò sta inequivocabilmente a significare che tale valore di emissione deve essere misurato in prossimità della sorgente sonora di riferimento e in relazione alla Classe acustica in cui essa è collocata (TAR Toscana, Sez. II, sentenza 06.05.2009 n. 766 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: Inammissibilità sanatoria opere in zona vincolata.
La procedura di accertamento di conformità ora divisata dall’art. 36 del T.U. sull’edilizia di cui al D.P.R. n. 380 del 2001 è inapplicabile al caso di opere realizzate in zona sottoposta a vincolo paesistico, secondo quanto espressamente previsto dall’art. 146 del D. L.vo n. 42 del 2004 (Codice dei beni culturali): e ciò perché per le opere comportanti aumento di volumetria l’autorizzazione paesaggistica -la quale ovviamente condiziona l’accertamento- non può essere rilasciata ex post dall’autorità preposta alla tutela del vincolo (TAR Campania-Napoli, Sez. IV, sentenza 05.05.2009 n. 2358 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: L’acquisizione gratuita al patrimonio comunale non può operare nei confronti del proprietario dell'area risultato estraneo alla commissione dell'illecito edilizio.
Come questa Sezione ha già avuto modo di rilevare (v. sent. n. 82 del 24.03.2009), gli atti comunali che conseguono all’inottemperanza all’ingiunzione di demolizione hanno efficacia meramente dichiarativa e certificativa di effetti che si riconnettono “ope legis” all’originaria diffida, in esito al vano decorso del termine stabilito ai fini dello spontaneo ripristino dello stato dei luoghi (v. Cons. Stato, Sez. V, 12.12.2008 n. 6174), onde se ne deve escludere la natura provvedimentale in quanto meri atti ricognitivi (v., ex multis, TAR Campania, Napoli, Sez. III, 07.07.2008 n. 3548; TAR Puglia, Lecce, Sez. I, 13.06.2007 n. 2322; TAR Lazio, Sez. II, 09.11.2005 n. 10874); ed invero, una volta che la demolizione del manufatto sia tecnicamente possibile e siano trascorsi infruttuosamente i termini per dare corso alla rimozione delle opere abusive, l’effetto acquisitivo si produce di diritto, con la conseguente natura meramente dichiarativa, e non costitutiva, del successivo atto amministrativo, tanto che la demolizione eseguita dal privato dopo il decorso del termine è illegittima perché investe un bene che non è più nella disponibilità dell’autore dell’abuso (v. Cons. Stato, Sez. II, 18.01.2006 n. 643; Sez. V, 18.12.2002 n. 7030).
L’acquisizione gratuita al patrimonio comunale non può operare nei confronti del proprietario dell’area risultato estraneo alla commissione dell’illecito edilizio, anche per non essere rimasto lo stesso inattivo ed essersi anzi adoperato per l’eliminazione dell’abuso con i mezzi offertigli dall’ordinamento appena venuto a conoscenza della sua esistenza (v., tra le altre, TAR Lazio, Sez. II, 29.05.2007 n. 4986); tuttavia, la giurisprudenza ha al contempo avvertito che nei riguardi del proprietario esiste pur sempre una presunzione di responsabilità per gli abusi edilizi accertati, presunzione che può essere vinta dall’interessato dimostrando di non avere concorso all’abuso, neppure tollerandone il compimento (v., ex multis, Cons. Stato, Sez. II, 21.03.2007 n. 10283), tanto più che l’art. 31 del d.P.R. n. 380 del 2001 ha ora espressamente inserito il “proprietario” tra i soggetti chiamati a rispondere dell’illecito edilizio e ha di conseguenza codificato il principio della «presunzione di responsabilità» (v. TAR Campania, Napoli, Sez. III, 24.04.2007 n. 4308).
La circostanza, pertanto, che la ricorrente non abbia addotto alcunché a comprova della sua asserita estraneità all’abuso risulta elemento decisivo per ritenere sussistenti i presupposti necessari alla formazione della fattispecie acquisitiva del diritto di proprietà al patrimonio comunale; del resto, l’usufruttuario dell’immobile è il marito convivente (come si rileva anche dall’avvenuta ricezione da parte di questi, per conto della moglie, della notifica del verbale di immissione in possesso), onde si presenta inverosimile che ella ignorasse il reale stato dei luoghi e che, ove pure non responsabile di materiale concorso nella realizzazione dell’abuso, non potesse quanto meno attivare gli strumenti offerti dall’ordinamento per impedire l’illecito edilizio o promuoverne un’immediata rimozione. E ciò anche senza considerare che è la stessa ricorrente a riferire di essersi a suo tempo rivolta agli uffici comunali per avere notizie e rassicurazioni circa la liceità del manufatto, ad ulteriore conferma della sua conoscenza dei fatti di che trattasi.
Né un impedimento alla produzione degli effetti della misura ablatoria poteva scaturire dalla pendenza della controversia relativa all’ingiunzione di demolizione, attesa la mancanza di provvedimenti giudiziali di sospensione dell’efficacia di quell’atto e la conseguente automatica acquisizione del bene al patrimonio comunale all’infruttuoso decorso del termine stabilito per la rimozione delle opere abusive. E’ pur vero che una sospensione era stata disposta dalla stessa Amministrazione comunale (dal 2 settembre al 14.10.2004) per attendere la pronuncia del giudice amministrativo sulla domanda cautelare dell’interessata, ma una volta esaurito il periodo di sospensione l’ingiunzione di demolizione aveva riacquistato la sua efficacia ed era divenuta nuovamente idonea a produrre gli effetti connessi all’eventuale inottemperanza dei destinatari della diffida, senza alcuna necessità di un ulteriore e distinto provvedimento repressivo, che la giurisprudenza ritiene necessario solo nella diversa ipotesi della sopraggiunta presentazione di un’istanza di sanatoria dell’abuso.
E’ irrilevante, poi, che successivamente all’accertamento dell’inottemperanza e prima dell’immissione dell’Amministrazione nel possesso dell’area l’usufruttuario avesse rimosso il manufatto abusivo, essendosi l’effetto acquisitivo già prodotto in un momento antecedente alla tardiva attuazione della diffida, tanto che –come si è visto– la giurisprudenza considera illegittima la demolizione eseguita dal privato dopo il decorso del termine perché relativa a bene che non è più nella disponibilità dell’autore dell’abuso (v. Cons. Stato, Sez. II, n. 643/2006 cit.; Sez. V, n. 7030/2002 cit.). Va ribadito, insomma, che gli atti in questione hanno natura meramente ricognitiva e certificativa di effetti determinatisi “ope legis
(TAR Emilia Romagna-Parma, sentenza 28.04.2009 n. 160 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La precarietà della costruzione va desunta dalla funzione assolta dal manufatto, non dalla struttura o dalla qualità dei materiali usati.
Per costante giurisprudenza, al fine di escludere la necessità della concessione edilizia –ora permesso di costruire–, la precarietà della costruzione va desunta dalla funzione assolta dal manufatto, non dalla struttura o dalla qualità dei materiali usati, essendo in ogni caso subordinata al previo titolo abilitativo l’opera destinata a dare un’utilità prolungata nel tempo (v., ex multis, Cons. Stato, Sez. V, 28.03.2008 n. 1354); non è, dunque, significativo che il manufatto sia solo aderente al suolo e non anche infisso allo stesso, se alteri tuttavia in modo rilevante e duraturo lo stato del territorio, e cioè non si traduca in un uso oggettivamente preordinato a soddisfare esigenze del tutto contingenti e transitorie (v., tra le altre, TAR Emilia-Romagna, Parma, 19.02.2008 n. 102)
(TAR Emilia Romagna-Parma, sentenza 28.04.2009 n. 160 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Le controversie relative alle sanzioni edilizie di carattere vincolato rientrino nell’ambito di applicazione dell’art. 21-octies, comma 2, della legge n. 241 del 1990 e soggiacciano, pertanto, alla norma che esclude possa essere disposto l’annullamento del provvedimento qualora sia palese che il suo contenuto dispositivo non può essere diverso da quello in concreto adottato.
E' notorio come le controversie relative alle sanzioni edilizie di carattere vincolato rientrino nell’ambito di applicazione dell’art. 21-octies, comma 2, della legge n. 241 del 1990 (disposizione introdotta dall’art. 14 della legge n. 15 del 2005), e soggiacciano pertanto alla norma che esclude possa essere disposto l’annullamento del provvedimento qualora sia palese che il suo contenuto dispositivo non può essere diverso da quello in concreto adottato (v., ex multis, Cons. Stato, Sez. VI, 06.06.2008 n. 2733), dovendosi inoltre tenere conto della circostanza che, in quanto norma processuale, la stessa riguarda anche i procedimenti in corso o già definiti prima della sua entrata in vigore (v., tra le altre, Cons. Stato, Sez. VI, 04.09.2007 n. 4614) (TAR Emilia Romagna-Parma, sentenza 28.04.2009 n. 160 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Nessun limite territoriale alla competenza delle Casse Edili a rilasciare il DURC per la partecipazione alle gare.
Ai fini della validità del DURC prodotto per partecipare alla gara quel che rileva non è l'ubicazione territoriale della Cassa Edile che lo abbia rilasciato, bensì la completezza delle attestazioni in esso contenute.
In ragione del carattere anche normativamente unico del documento di regolarità contributiva ma, soprattutto, in considerazione della centralizzazione della banca dati da cui ciascuna Cassa Edile deve attingere i contenuti della propria attestazione certificativi , non è richiesto dalla normativa vigente il rispetto di alcuna specifica competenza territoriale, occorrendo invece la mera verifica di completezza dell’attestazione contenuta nel documento, ai fini che qui vengono in rilievo (TAR Sicilia-Catania, Sez. I, sentenza 23.04.2009 n. 899 - link a www.giurdanella.it).

EDILIZIA PRIVATA: L'esistenza di un vincolo idrogeologico sull’area ove insiste il fabbricato abusivamente realizzato costituisce manifesto impedimento al rilascio del permesso di costruire in sanatoria.
Il condono edilizio del 2003 (c.d. secondo condono, dopo il primo risalente all’art. 39 della L. 23.12.1994, n. 724, Legge Finanziaria 2005) è improntato ad una disciplina sostanziale di fatto coincidente con la regolamentazione dell’istituto dell’accertamento di conformità di cui all’art. 13 dell’abrogata L. n. 47/1985 ed oggi trasfuso nell’art.36 del D.P.R. n. 380/2001. La nota distintiva del condono del 2003, che lo assimila, come detto, alla sanatoria in senso stretto, è data dall’elevazione del requisito dell’assenza di vincoli sull’area e di quello correlativo della conformità urbanistica (su cui, infra) alla ineludibile condizione dell’assentibilità del titolo edilizio in sanatoria. La giurisprudenza si è già espressa in tal senso (TAR Campania–Napoli, Sez. VI, 08.02.2007, n. 963; TAR Puglia–Lecce, Sez. III, 20.04.2007, n. 1690; TAR Veneto, Sez. II, 19.06.2006, n. 1884).
A parere del Collegio la delineata attitudine condizionante il rilascio del titolo, da annettere al requisito negativo dell’assenza di vincoli idrogeologici, paesistici ed ambientali sull’area oggetto di interventi di trasformazione edilizia ed urbanistica e di quello positivo della conformità dell’opera alla normativa urbanistica di fonte statale, regionale e regolamentare locale, discende a chiare note dalla lettera dell’art. 32, comma 27, lett. d), del D.L. n. 269/2003, nella parte in cui esclude la sanabilità delle opere realizzate su “immobili soggetti a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela degli interessi idrogeologici e delle falde acquifere, dei beni ambientali e paesistici”. Pertanto, stante la cristallina chiarezza del dettato legislativo appena riportato e in omaggio al principio per il quale in claris non fit interpraetatio, la conclamata esistenza di un vincolo idrogeologico sull’area ove insiste il fabbricato abusivamente realizzato dal ricorrente doveva costituire manifesto impedimento al rilascio del permesso di costruire in sanatoria, il quale già solo per il delineato dirimente profilo di contrasto con la legge va annullato
(TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 10.04.2009 n. 987 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Una volta che la demolizione del manufatto abusivo sia tecnicamente possibile e siano trascorsi infruttuosamente i termini per dare corso alla rimozione delle opere abusive realizzate, l’effetto acquisitivo (al patrimonio comunale) si produce di diritto, tanto che la demolizione eseguita dal privato dopo il decorso del termine è illegittima perché investe un bene che non è più nella disponibilità dell’autore dell’abuso.
Il verbale di accertamento dell’inottemperanza all’ingiunzione di ripristino dello stato dei luoghi è un atto con efficacia meramente dichiarativa e certificativa di effetti che si riconnettono “ope legis” all’originaria diffida in conseguenza del vano decorso del termine stabilito ai fini dello spontaneo ripristino dello stato dei luoghi, onde se ne deve escludere la natura provvedimentale (v., ex multis, TAR Campania, Napoli, Sez. III, 07.05.2008 n. 3548; TAR Puglia, Lecce, Sez. I, 13.06.2007 n. 2322; TAR Lazio, Sez. II, 09.11.2005 n. 10874); ed invero, una volta che la demolizione del manufatto sia tecnicamente possibile e siano trascorsi infruttuosamente i termini per dare corso alla rimozione delle opere abusive, l’effetto acquisitivo si produce di diritto, con la conseguente natura meramente dichiarativa, e non costitutiva, del successivo atto amministrativo, tanto che la demolizione eseguita dal privato dopo il decorso del termine è illegittima perché investe un bene che non è più nella disponibilità dell’autore dell’abuso (v. Cons. Stato, Sez. II, 18.01.2006 n. 643; Sez. V, 18.12.2002 n. 7030) (TAR Emilia Romagna-Parma, sentenza 24.03.2009 n. 82 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

LAVORI PUBBLICI: Relazioni della Direzione Lavori e accesso agli atti.
L’accesso non può estendersi anche alle relazioni riservate del collaudatore e del direttore dei lavori sulle domande iscritte a riserva dall’impresa sui registri contabili.
L’art. 9 del D.P.R. 24.04.2006, n. 184, circoscrive in ben definiti e tassativi ambiti i casi in cui la richiesta di accesso può essere differita, individuandoli nel riferimento alle categorie di atti di cui all’art. 24 della legge 07.08.1990, n. 241 e sempreché il differimento stesso sia funzionale agli interessi di cui al comma 6 dell’art. 24 citato, ovvero ad ulteriori esigenze da riconnettere e ricondurre solo ai documenti la cui conoscenza possa compromettere il buon andamento dell’azione amministrativa, prevalentemente nella fase preparatoria di provvedimenti.
La mole della documentazione richiesta non può costituite ostacolo all’accesso, potendo, in tal caso l’Amministrazione, richiedere la corresponsione dei costi di riproduzione e copia dei documenti, ma non certo differirne l’accesso per esigenze organizzative, né tento meno per la imminenza del periodo feriale.
Il diritto di accesso è pieno e investe tanto la visione quanto l’estrazione di copia, posto che l’esame e l’estrazione di copia sono previste come modalità congiunte dell'esercizio del diritto, senza deroghe o eccezioni di sorta, mentre i casi di impedimento al diritto di accesso sono, invece, ricondotti solo all'esclusione o al differimento (TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 16.03.2009 n. 754 - link a www.altalex.com).

LAVORI PUBBLICIL'art. 13, d.lgs. n. 163 del 2006, nel vietarne l'accesso ed ogni altra forma di divulgazione, equipara le relazioni del direttore dei lavori e del collaudatore ai «pareri legali acquisiti dai soggetti tenuti all'applicazione del presente codice» anch'essi non ostensibili, perché riferiti ad un contenzioso potenziale o attuale con l'appaltatore e investiti dalle stesse esigenze di riservatezza che tutelano le ragioni di ordine patrimoniale della stazione appaltante.
E’ noto sul punto il dibattito e il contrasto di giurisprudenza che ha attraversato le Sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato, il cui conflitto è stato recentemente composto dall’Adunanza Plenaria, la quale ha statuito che “L'art. 10 D.P.R. n. 554/1999 non è stato implicitamente abrogato dalle modifiche apportate all'art. 31-bis L. n. 109/1994 dalla L. n. 166/2002. Ne consegue che le relazioni del direttore dei lavori e del collaudatore sulle riserve avanzate dall'esecutore di lavori pubblici sono rimaste sottratte all'accesso anche durante la vigenza dell'art. 31-bis della L. n. 109/1994 nel testo risultante dall'emendamento introdotto dall'art. 7, L. n. 166/2002. Del pari, è rimasto confermato l'intento del legislatore di ricondurre tali relazioni ai casi di "divieto di divulgazione altrimenti previsti dall'ordinamento" di cui all'art. 24, comma 1, L. n. 241/1990” (Cons. Stato. Ad. Plen., 13-09-2007, n. 11; Cons. Stato Sez. V, 10-12-1999, n. 814).
L’Adunanza Plenaria ha, con la stessa decisione, ulteriormente suffragato l’assunto appena riportato, confrontandosi con le nuove disposizioni specifiche contenute nel Codice dei Contratti di cui al d.lgs. 16.04.2006, n. 163 e statuendo al riguardo che “l'art. 13, d.lg. n. 163 del 2006, nel vietarne l'accesso ed ogni altra forma di divulgazione, equipara le relazioni del direttore dei lavori e del collaudatore ai «pareri legali acquisiti dai soggetti tenuti all'applicazione del presente codice» anch'essi non ostensibili, perché riferiti ad un contenzioso potenziale o attuale con l'appaltatore e investiti dalle stesse esigenze di riservatezza che tutelano le ragioni di ordine patrimoniale della stazione appaltante” (Consiglio Stato Adunanza Plenaria, 13.09.2007, n. 11).
Del resto anche il Giudice di prime cure aveva precisato che le relazione riservate del direttore dei lavori sono ostensibili solo ai consiglieri comunali, il cui diritto d’acceso è pieno, e che sono tenuti al segreto d’ufficio in forza del loro mandato, ma non possono essere concesse in visione (o in estrazione di copia) ad altri soggetti. Si è al riguardo stabilito, infatti, che “in forza dell'art. 43, d.lg. 18.08.2000 n. 267, i consiglieri comunali possono accedere anche ad atti per i quali è generalmente precluso ai terzi l'esercizio del diritto di accesso per ragioni di riservatezza, quali sono le relazioni riservate del direttore dei lavori e del collaudatore ai sensi dell'art. 13 comma 5, lett. d), d.lg. 12.04.2006 n. 163, in quanto, al diritto di accesso dei consiglieri comunali a tutti gli atti e documenti in possesso della p.a. non possono essere opposte esigenze di riservatezza dei terzi, dato che queste sono tutelate attraverso l'imposizione in capo ai consiglieri dell'obbligo di mantenere il segreto nei casi determinati dalla legge” (TAR Abruzzo-L'Aquila, Sez. I, 31.07.2007, n. 492).
Deve sul punto il Tribunale convenire con l’orientamento giurisprudenziale appena rassegnato, posto che le relazioni riservate del direttore dei lavori e dell’organo di collaudo sono atti che il Codice dei contratti espressamente e specificamente esclude dall’accesso e da ogni forma di divulgazione a terzi. Dirimente appare infatti la norma di cui all’art. 13, comma 5, del d.lgs. n. 163/2006 che dispone: “Fatta salva la disciplina prevista dal presente codice per gli appalti segretati o la cui esecuzione richiede speciali misure di sicurezza, sono esclusi il diritto di accesso e ogni forma di divulgazione in relazione (…) d) alle relazioni riservate del direttore dei lavori e dell'organo di collaudo sulle domande e sulle riserve del soggetto esecutore del contratto
(TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 16.03.2009 n. 754 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVIIl diritto di accesso è pieno e investe tanto la visione quanto l’estrazione di copia. Il diritto di accesso non può essere limitato alla sola visione dei documenti, ma si estende necessariamente all'estrazione di copia degli stessi. L'esame e l'estrazione di copia sono previste come modalità congiunte dell'esercizio del diritto, senza deroghe o eccezioni di sorta.
Con riguardo alla fattispecie all’esame, non sfugge, peraltro, al Tribunale che la ricorrente ha chiesto la visione e l’estrazione di copia di una gran mole di documentazione, che assomma a ben 47 documenti, taluni anche corposi (come l’offerta dell’impresa o la valutazione dell’anomalia). Pur tuttavia la mole della documentazione richiesta non può costituite ostacolo all’accesso, potendo, in tal caso l’Amministrazione, richiedere la corresponsione dei costi di riproduzione e copia dei documenti, ma non certo differirne l’accesso per esigenze organizzative, né tento meno per la imminenza del periodo feriale.
Ciò che rileva, infatti, nel giudizio in ordine all’assentibilità o meno della richiesta di accesso è la valutazione di pertinenza della documentazione oggetto di richiesta di accesso con la necessità del’istante di tutelare la sua posizione soggettiva giuridicamente rilevante.
Rammenta al riguardo il Collegio come il Tribunale ha già significativamente chiarito che “il diritto di accesso in questione, perciò, è esclusivamente quello collegato alle esigenze specifiche del richiedente, vale a dire agli atti che direttamente lo riguardano o siano, in ogni caso, pertinenti con le particolari ragioni esposte a sostegno dell'istanza” (TAR Piemonte, Sez. II, 25-02-2006, n. 1126) sulle orme di Cons. di Stato Sez. V, 08-02-1994, n. 78).
Giova inoltre rammentare che secondo il Consiglio di Stato, mentre all’Amministrazione che ha formato il documento o che stabilmente lo detiene spetta la valutazione solo dell’astratta inerenza dell’istanza di accesso con l’azione giurisdizionale promuovenda dal richiedente, “il giudizio circa la concreta pertinenza della documentazione alla causa non può che spettare all'autorità giudiziaria adita” (Cons. Stato Sez. V, 12-10-2002, n. 5516).
Parimenti fondata è la doglianza con cui la ricorrente censura l’illegittimità della limitazione del suo diritto di accesso alla mera visione, essendo stata in tal modo parzialmente accolta la sua istanza.
Il diritto di accesso è pieno e investe tanto la visione quanto l’estrazione di copia. La giurisprudenza ha di recente puntualizzato quanto or ora il Collegio ha affermato, precisando che “il diritto di accesso non può essere limitato alla sola visione dei documenti, ma si estende necessariamente all'estrazione di copia degli stessi". L'art. 25, primo comma, L. n. 241/1990, sia nel testo antecedente la riforma introdotta dalla L. 11.02.2005, n. 15 che nel testo attuale, stabilisce che "il diritto di accesso si esercita mediante esame ed estrazione di copia dei documenti amministrativi, nei modi e con i limiti dalla presente legge": l'esame e l'estrazione di copia sono quindi previste come modalità congiunte dell'esercizio del diritto, senza deroghe o eccezioni di sorta. I casi di impedimento al diritto di accesso sono, invece, ricondotti solo all'esclusione o al differimento (artt. 24, primo, secondo e sesto comma, L. n. 241/1990 e 9 D.P.R. 12.04.2006, n. 184). Anche l'art. 7 D.P.R. n. 184/2006 disciplina, nei commi V e VI, come modalità congiunte l'esame del documento e l'estrazione di copia (TAR Puglia-Lecce Sez. II, 16-02-2007, n. 481) (TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 16.03.2009 n. 754 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Il contenimento delle emissioni acustiche è potere ordinario ex l. n. 447/1995.
L’ordinanza in materia di contenimento di emissioni acustiche non concreta riproduzione del generico potere di ordinanza contingibile ed urgente ex art. 54 TUEL, radicando invece la Legge quadro sull’inquinamento acustico 26.10.1995, n. 447 un potere di intervento ordinario in capo al Sindaco, atteso che la citata legge quadro sull'inquinamento acustico non configura alcun potere di intervento amministrativo ordinario che consenta di ottenere il risultato dell'immediato abbattimento delle emissioni sonore inquinanti, costituendo la predetta ordinanza l'ordinario rimedio in tema di inquinamento acustico.
L'accertata presenza di un fenomeno di inquinamento acustico -pur se non coinvolgente l'intera collettività- appare sufficiente a concretare l'eccezionale ed urgente necessità di intervenire a tutela della salute pubblica, potendo l’ordinanza de qua essere adottata anche a seguito dell’esposto di una sola famiglia, non constando nella norma alcun parametro numerico o dimensionale (TAR Piemonte, Sez. I, ordinanza 02.03.2009 n. 199 - link a www.altalex.com).

EDILIZIA PRIVATA: Concetto di parziale difformità.
l concetto di “parziale difformità” presuppone che un determinato intervento costruttivo, pur se contemplato dal titolo autorizzatorio rilasciato dall'autorità amministrativa, venga realizzato secondo modalità diverse da quelle consacrate a livello progettuale. Tale lettura è confermata dall'art. 31 del d.P.R. 380/2001 che descrive le opere eseguite in totale difformità dal permesso di costruire come quelle “che comportano la realizzazione di un organismo edilizio integralmente diverso per caratteristiche tipologiche, planovolumetriche o di utilizzazione da quello oggetto del permesso stesso...”.
La citata disposizione, infatti, richiama un concetto di “totale difformità” ancorato, più che al raffronto tra la singola difformità e le previsioni progettuali dell'intervento edilizio (al quale va rapportato il concetto di difformità parziale), alla comparazione sintetica tra l'organismo progettato e quello scaturente dalla complessiva attività di edificazione (TAR Campania-Napoli, Sez. II, sentenza 26.02.2009 n. 1103 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: Beni Ambientali. Annullamento ministeriale n.o..
L'obbligo di comunicare l'avvio del procedimento, previsto in relazione alla generalità degli atti amministrativi dall'art. 7 della legge 07.08.1990 n. 241 ed espressamente ribadito per i procedimenti di annullamento ministeriale dei nulla osta paesaggistici rilasciati dai soggetti delegati (o subdelegati) dall'art. 4 comma 1, del d.m. 13.06.1994 n. 495, è stato eliminato dal successivo d.m. 19.06.2002 n. 165 ed è stato poi ripristinato dal decreto legislativo 22.01.2004 n. 42, recante il Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio, che agli artt. 146 e 159, che ha ribadito l'obbligo di comunicare all'interessato l'avvio del procedimento di annullamento dell'autorizzazione paesaggistica, anche se attraverso la speciale forma della comunicazione agli interessati della trasmissione dell'autorizzazione rilasciata da parte dell'autorità preposta alla tutela del vincolo con l’avviso dell’avvio della fase del controllo ministeriale (TAR Campania-Napoli, Sez. IV, sentenza 17.02.2009 n. 832 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATAAltezza e distanza tra le costruzioni: la sola violazione delle altezze non comporta la demolizione.
Sono da ritenere integrative delle norme del codice civile solo le disposizioni relative alla determinazione della distanza tra fabbricati in rapporto all'altezza e che regolino con qualsiasi criterio o modalità (quali la previsione di spazi liberi o il rapporto tra altezza e distanza tra edifici), la misura dello spazio che deve essere osservato tra le costruzioni: in tal caso le distanze legali sono calcolate con riferimento all'altezza dei fabbricati. Le norme che, invece, disciplinano solo l'altezza in sé degli edifici, a differenza di quelle che invece impongono l'altezza dei fabbricati in rapporto alla distanza intercorrente tra gli stessi, tutelano, oltre che l'interesse pubblico di ordine igienico ed estetico, esclusivamente il valore economico della proprietà dei vicini, per il che comportano, in caso di loro violazione, il solo risarcimento dei danni.
Pertanto, nell'ambito delle norme dei regolamenti locali edilizi, hanno carattere integrativo delle disposizioni dettate nelle materie disciplinate dagli art. 873 e ss. c.c. quelle dirette a completare, rafforzare, armonizzare con il pubblico interesse di un ordinato assetto urbanistico la disciplina dei rapporti intersoggettivi di vicinato. Se violate, sussiste in favore del danneggiato il diritto alla riduzione in pristino.
Non rivestendo, invece, tale carattere le norme che hanno come scopo principale la tutela di interessi generali urbanistici, quali la limitazione del volume, dell'altezza e della densità degli edifici, le esigenze dell'igiene, della viabilità, la conservazione dell'ambiente ed altro. In questa seconda ipotesi la tutela accordata al privato nel caso di violazione della norma rimane limitata al risarcimento del danno eventualmente subito (Corte di Cassazione, Sez. III civile, sentenza 16.01.2009 n. 1073).

EDILIZIA PRIVATA: Realizzazione platee in calcestruzzo.
La costruzione di due platee in calcestruzzo, di rilevanti dimensioni, sostenute da muri di contenimento senza titolo autorizzativo e in contrasto con la classificazione agricola dell'area attribuito dal PRG richiede il permesso di costruire (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 14.11.2008 n. 42518 - link a www.lexambiente.it).

APPALTI: Una condanna per il reato previsto dall’art. 25 del D.P.R. n. 915/1982, recante sanzioni per l’attività di smaltimento di rifiuti tossici e nocivi svolta in violazione delle norme poste dettate dallo stesso decreto in attuazione delle direttive CEE n. 75/422, n. 76/403 e n. 78/319, incide sulla moralità professionale ed è causa di esclusione.
Secondo l’art. 11, lett. b), del D.Lgs. n. 358/1992, le cui norme trovano applicazione anche in materia di appalti di servizi per il richiamo operato dall’art. 12 del D. Lgs. 157/1995, “sono esclusi dalla partecipazione alla gara i fornitori…nei cui confronti sia stata pronunciata una condanna, con sentenza passata in giudicato, per qualsiasi reato che incida sulla loro moralità professionale o per delitti finanziari”.
La norma citata nega, in sostanza, la capacità di assumere la gestione del servizio di smaltimento a chi abbia tenuto comportamenti puniti con sanzione penale e lesivi di regole che disciplinano l’esercizio di tale specifica attività.
Il sig. ... si trovava in questa situazione, giacché, come risulta dal certificato del casellario giudiziale presentato a suo tempo all’amministrazione comunale, aveva subìto una condanna per il reato previsto dall’art. 25 del D.P.R. n. 915/1982, recante sanzioni per l’attività di smaltimento di rifiuti tossici e nocivi svolta in violazione delle norme poste dettate dallo stesso decreto in attuazione delle direttive CEE n. 75/422, n. 76/403 e n. 78/319.
Nell’appello si replica che, in considerazione della levità della pena inflitta, la condanna sarebbe “certamente inidonea a ledere gravemente la moralità professionale della ditta nello svolgimento dei lavori cui risulta abilitata”.
L’obiezione muove da un equivoco, poiché nel citato art. 11, lett. b, nulla lascia intendere che si sia inteso dare rilievo all’entità della pena o che debba risultarne “gravemente” lesa la moralità professionale. Al contrario, la formulazione della norma, che collega l’esclusione alla generalità delle trasgressioni (“ogni reato”) in materia di attività di smaltimento dei rifiuti, a differenza di quelle inerenti alla materia finanziaria (“delitti”), indica che nella considerazione del legislatore è qualificante non la gravità della sanzione, ma la natura del reato sotto l’aspetto sostanziale.
In sostanza, si è voluto evitare l’affidamento del servizio a coloro che abbiano commesso reati lesivi degli stessi interessi collettivi che, nella veste di aggiudicatari, sarebbero chiamati a tutelare. Pertanto, con ragione la società appellata ritiene che l’indicato precedente penale fosse ostativo dell’ammissione della ditta ... alla licitazione privata (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 27.03.2000 n. 1770 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

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