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AGGIORNAMENTO AL 29.01.2009 |
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UTILITA' |
PUBBLICO IMPIEGO:
Ancora sull'incentivo alla
progettazione interna agli enti pubblici.
Martedì 27.01.2009 il Senato ha approvato
definitivamente e senza modifiche rispetto
alla Camera, giusta la fiducia posta dal
Governo, il
ddl 1315, di conversione del
decreto-legge recante "misure urgenti per
il sostegno a famiglie, lavoro, occupazione
e impresa e per ridisegnare in funzione
anti-crisi il quadro strategico nazionale".
Ciò significa che dall'01.01.2009
(retroattivamente!!) l'incentivo alla
progettazione ritorna allo 0,5% come
l'estate scorsa a seguito del dl n.
112/2008.
Al riguardo, giova segnalare la recentissima
circolare 23.12.2008 n. 36 della
Ragioneria Generale dello Stato (a firma del
Ministro Giulio Tremonti) la quale fornisce
indicazioni in ordine all’applicazione delle
disposizioni contenute nell’articolo 61, del
decreto-legge 25.06.2008 n. 112. Fra le
tante, si tratta anche dell'incentivo che,
per comodità di lettura, si riporta
integralmente:
"Comma 8 - incentivo per la
progettazione: la percentuale del 2%
dell’importo posto a base di gara prevista
come corrispettivo o incentivo per la
progettazione ai sensi dell’articolo 92,
comma 5, del decreto legislativo 12.04.2006,
n. 163 viene destinata per lo 0,5% alla
finalità di incentivo individuata dalla
norma de qua e per l’1,5% al versamento ad
apposito capitolo dell’entrata del bilancio
dello Stato. Si rinvia a successiva
comunicazione l’indicazione degli estremi
del capitolo. La
riduzione del compenso incentivante,
operante a partire dal 1° gennaio 2009, si
ritiene debba trovare applicazione a tutti i
compensi comunque erogati a decorrere dalla
predetta data e non solo ai lavori avviati
dopo l’entrata in vigore della nuova
disciplina. Di conseguenza, la riduzione va
applicata con riferimento a tutta l’attività
progettuale non ancora remunerata a tale
data, anche in presenza di contratti
integrativi definiti secondo la previgente
disciplina. Il tenore letterale della norma,
infatti, laddove parla di destinazione a
decorrere dal primo gennaio 2009, appare
indicativo di una precisa volontà del
legislatore in tal senso.
La disposizione, nella parte in cui prevede
la riduzione della percentuale da
corrispondere al personale per le predette
finalità incentivanti, ha portata
generalizzata e opera con riferimento alle
pubbliche amministrazioni cui si applica il
citato decreto legislativo. Si evidenzia
però che -secondo quanto previsto dal comma
17- gli enti territoriali, gli enti di
competenza regionale o delle province
autonome di Trento e di Bolzano e gli enti
del Servizio sanitario nazionale non devono
procedere al suddetto versamento. Pertanto,
si ritiene che le suddette economie di spesa
debbano incidere in termini positivi sui
rispettivi saldi di bilancio".
Ora, la circolare di cui sopra è stata
emanata per chiarire -tra l'altro- la portata
dell'art.
61, comma 8, del d.l. 25.06.2008 n. 112,
convertito con modificazioni dalla legge
06.08.2008 n. 133, che ha ridotto
l'incentivo (con decorrenza 01.01.2009)
nella misura dello 0,5% ad appannaggio dei
progettisti dipendenti pubblici e la
restante percentuale dell'1,5 ad appannaggio
dello Stato in apposito capitolo in entrata
del bilancio. A fine anno 2008, però, l'art.
1, comma 10-quater, della legge 22.12.208 n.
201, di conversione del d.l. 23.10.2008
n. 162, ha ripristinato l'incentivo alla
progettazione pari al 2% (con decorrenza
01.01.2009).
Oggi 29.01.2009 potremmo dire che la
circolare de qua lascia il tempo che
trova nel senso che a tutt'oggi l'incentivo
è pari al 2%.
Purtroppo, fra qualche giorno sarà
pubblicata in Gazzetta Ufficiale la legge di
conversione del
ddl 1315
ritornando, di fatto, alla formulazione
originaria della norma di cui all'estate
scorsa. Quindi, è ragionevole dedurre che la
recente
circolare 23.12.2008 n. 36 della
Ragioneria Generale dello Stato sarà più che
attuale.
In merito si può anche leggere su Il Sole 24
Ore
l'articolo del 27.01.2009.
MORALE:
ogni commento al riguardo risulta
a dir poco pleonastico ... bisogna farsi
intelligenti e,
quindi, procedere ad adottare con urgenza le
determinazioni dirigenziali di liquidazione
degli incentivi alla progettazione delle
opere pubbliche in corso; e, comunque, prima
dell'entrata in vigore della legge di
conversione del
ddl 1315 che è imminente (dopo la
pubblicazione sulla G.U.R.I.).
AGGIORNAMENTO
STRAORDINARIO DELLE ORE 21,00:
sulla G.U. 28.01.2009 n. 28, suppl. ord. n.
14/L, è stata pubblicata la
L. 28.01.2009 n.
2 avente ad oggetto "Conversione in
legge, con modificazioni, del decreto-legge
29.11.2008, n. 185, recante misure urgenti
per il sostegno a famiglie, lavoro,
occupazione e impresa e per ridisegnare in
funzione anti-crisi il quadro strategico
nazionale".
A norma dell’art. 15, comma 5, della legge
23.08.1988 n. 400 le modifiche apportate
dalla presente legge di conversione hanno
efficacia dal giorno successivo a quello
della sua pubblicazione;
quindi, dal 29.01.2009.
In sostanza, la norma deleteria è l'art. 18,
comma 4-sexies di seguito riportata:
"4-sexies. All’articolo 61 del
decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112,
convertito, con modificazioni, dalla legge 6
agosto 2008, n. 133, dopo il comma 7 è
inserito il seguente:
«7 -bis. A decorrere dal 1° gennaio 2009, la
percentuale prevista dall’articolo 92, comma
5, del codice dei contratti pubblici
relativi a lavori, servizi e forniture, di
cui al decreto legislativo 12 aprile 2006,
n. 163, e successive modificazioni, è
destinata nella misura dello 0,5 per cento
alle finalità di cui alla medesima
disposizione e, nella misura dell’1,5 per
cento, è versata ad apposito capitolo
dell’entrata del bilancio dello Stato per
essere destinata al fondo di cui al comma 17
del presente articolo».". |
GURI - GUUE - BURL (e anteprima) |
LAVORI PUBBLICI:
B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 4
del 26.01.2009, "Approvazione del bando
per la concessione di contributi in conto
capitale per l'installazione di pannelli
fotovoltaici di potenza non inferiore a 5
kWp sulle scuole pubbliche e paritarie della
Regione Lombardia, in attuazione della
d.g.r. 8294/2008" (decreto
D.G. 16.01.2009 n. 203 - link
a www.infopoint.it). |
LAVORI PUBBLICI - VARI:
B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 4 del
26.01.2009, "Approvazione del bando per
la concessione di contributi in conto
capitale per l'installazione di sistemi di
contabilizzazione diretta o indiretta della
quantità di calore consumata in impianti
termici centralizzati e abbinamento a
sistemi di termoregolazione in attuazione
della d.g.r. 8294/2008" (decreto
D.G. 16.01.2009 n. 202 - link a
www.infopoint.it). |
DOTTRINA E CONTRIBUTI |
INCARICHI PROGETTUALI:
Affidamento incarichi professionali -
Modalità per importi inferiori a 100.000
euro (link a
www.mediagraphic.it). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO:
L. Busico,
La difesa delle amministrazioni pubbliche
nelle controversie di lavoro
(link a www.lexitalia.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
G. D’Urgolo,
Della legittima composizione delle
commissioni di concorso per l’accesso ai
ruoli dirigenziali, con particolare
riferimento alla figura dell’ “esperto di
comprovata qualificazione (link a
www.lexitalia.it). |
GIURISPRUDENZA |
APPALTI:
E' legittima l'impugnazione
immediata del bando di gara soltanto in
presenza di clausole escludenti ma occorre
comunque presentare la domanda di
partecipazione.
La giurisprudenza amministrativa di primo e
secondo grado è tuttora prevalentemente
orientata nel senso che solo con la
presentazione della domanda di
partecipazione alla gara d'appalto l'impresa
assume una situazione giuridica
differenziata rispetto a quella delle altre
ditte presenti sul mercato, ergendosi solo
in tal caso essa a titolare di un interesse
legittimo giudizialmente tutelato, che la
abilita a sindacare la legittimità del bando
di gara alla quale ha dimostrato in concreto
di voler partecipare (cfr. fra le recenti,
oltre a Cons. St., A.P. 29.01.2003 n. 1,
Cons. St., V Sez., 04.04.2004 n. 2705 e
23.08.2004 n. 5572).
Il Collegio condivide tale orientamento
giurisprudenziale tenuto conto che i bandi
di gara e le lettere di invito vanno di
regola impugnati unitamente agli atti che di
essi fanno applicazione, dal momento che
sono questi ultimi ad identificare in
concreto il soggetto leso dal provvedimento
ed a rendere attuale e concreta la lesione
della situazione soggettiva
dell'interessato; a fronte della clausola
illegittima del bando di gara o del
concorso, il partecipante alla procedura
concorsuale non è, di norma, ancora titolare
di un interesse attuale all'impugnazione,
dal momento che egli non sa ancora se
l'astratta e potenziale illegittimità della
predetta clausola si risolverà in un esito
negativo della sua partecipazione alla
procedura concorsuale, e quindi in una
effettiva lesione della situazione
soggettiva, che solo da tale esito può
derivare.
Se il
ricorrente avverso una gara d'appalto non ha
presentato domanda di partecipazione alla
gara stessa il ricorso medesimo deve essere
dichiarato inammissibile per carenza di
interesse e di legittimazione attiva.
Aggiungasi che la mancata partecipazione al
procedimento concorsuale rende inammissibile
per carenza di interesse il ricorso contro
le clausole del bando di gara o contro gli
esiti della selezione, anche nell'ipotesi in
cui costituisca oggetto di impugnazione la
previsione di requisiti di partecipazione di
cui il ricorrente sia privo, in quanto
l'eventuale annullamento delle clausole del
bando relative a tali requisiti, non
rimetterebbe il ricorrente in termini per
proporre la domanda di partecipazione
originariamente non presentata (TAR
Sardegna, 11.06.2003, n. 737)
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 14.01.2009 n. 102 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Se la stazione appaltante prevede
una validità minima delle offerte di 180
giorni e gli offerenti non dichiarano,
decorso tale termine, che la loro offerta
deve intendersi ritirata, le offerte stesse
sono valide e non devono essere escluse.
La questione principale posta con l’appello
in esame consiste nello stabilire se le
offerte presentate dai concorrenti, che
precedevano l’attuale appellante nella
graduatoria della gara in contestazione,
dovevano essere prese in considerazione,
nonostante che detti concorrenti avessero
dichiarato che le offerte sarebbero state
valide per 180 giorni e che tale termine
fosse ormai scaduto al’atto dell’apertura
delle buste.
Tale termine di validità era stato opposto
in quanto il bando pubblicato sulla G.U.R.I.
stabiliva che “L’offerente è vincolato
dalla propria offerta per 180 giorni dalla
scadenza fissata per la ricezione delle
offerte” ed il bando pubblicato sulla
G.U.C.E. nonché il capitolato (art. 10)
prevedevano che l’offerta economica doveva
avere validità “minima” di 180 giorni dalla
data di scadenza del termine di
presentazione delle offerte.
La ratio delle disposizioni del bando è
evidentemente quella di mantenere ferma
l’offerta per tutto il periodo di
presumibile durata della gara e non quella
di limitare nel tempo la validità (o meglio
l’efficacia) dell’offerta, non
corrispondendo certamente tale limitazione
ad un interesse dell’amministrazione.
Il che significa che le offerte in
contestazione, una volta scaduto il termine
di validità opposto in ossequio alle
disposizioni degli atti di gara, non
potevano, in assenza di una univoca
manifestazione di volontà in tal senso da
parte degli interessati, considerarsi
private di ogni efficacia.
Ben ha fatto dunque l’amministrazione a
valutare tali offerte e si appalesano
pertanto infondate le censure mosse
dall’appellante nei confronti dell’operato
dell’amministrazione medesima (Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 07.01.2009 n. 9 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI: Il
momento da cui inizia a decorrere il termine
per l'impugnazione degli atti coincide con
quello in cui l’interessato ne abbia avuto
la piena conoscenza.
E’ pacificamente acquisito dalla
giurisprudenza amministrativa il principio
secondo il quale il momento da cui inizia a
decorrere il termine per l'impugnazione
degli atti coincide con quello in cui
l’interessato ne abbia avuto la piena
conoscenza; e ciò non postula che questo sia
conosciuto in tutti i suoi elementi, ma solo
che il destinatario sia stato reso edotto di
quelli essenziali, quali l'autorità
emanante, la data, il contenuto dispositivo
e il suo effetto lesivo, “fatta salva la
possibilità di proporre motivi aggiunti ove
dalla conoscenza integrale del provvedimento
emergano ulteriori profili di illegittimità”
(cfr., ex multis, C.d.S., sez. V,
08.09.2008, n. 4259) (TRGA
Trentino Alto Adige-Trento,
sentenza 24.10.2008 n. 271 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: Sulla
classificazione acustica del territorio
comunale.
Il Collegio
condivide l’affermazione che il fine
perspicuo della zonizzazione acustica del
territorio consiste nella tutela della
salute dei cittadini, in quanto gli
interessi protetti dalla normativa in esame
sono desumibili dall’articolo 2, comma 1,
lettera a), della legge 26.10.1995, n. 447,
che appresta la tutela del riposo e della
salute, la conservazione degli ecosistemi,
dei beni materiali, dei monumenti,
dell’ambiente abitativo e dell’ambiente
esterno. Da condividersi è anche quanto
affermato sull’attuale e futura espansione
di tali interessi “per effetto delle
innovazioni tecnico-scientifiche
sopravvenute in grado di definire e misurare
più esattamente il disturbo provocato dalle
fonti di rumore” (cfr., TAR Lombardia,
Brescia, 16.10.2007, n. 907).
Il Collegio è, altresì, dell’avviso che la
classificazione acustica del territorio non
debba meccanicamente sovrapporsi alla
pianificazione urbanistica; in tal senso
dispone del resto l’art. 6 della legge
citata, che prevede il solo “coordinamento”
con gli strumenti urbanistici (cfr., in
merito, TAR Lombardia, Milano, sez. IV,
27.12.2007, n. 6819) ma, al contempo,
osserva che gli interessi menzionati nella
normativa di riferimento non possano non
tener conto delle attività economiche
precedentemente insediate sul territorio, le
cui esigenze trovano tutela in virtù della
loro risalente ubicazione e non sono dunque
cedevoli rispetto agli insediamenti che si
radichino sul territorio in una fase
temporale successiva.
Tale tesi è suffragata dall’esame della
normativa, la quale richiede:
- che le attività inserite nella medesima
zona del piano abbiano caratteri omogenei e
in tal senso dispongono l’articolo 4, comma
1, lettera a), della legge n. 447 del 1995
ove si prevede la classificazione del
territorio in 6 classi per l’applicazione
dei valori di qualità, il D.P.C.M.
01.03.1991 e il già citato D.P.C.M.
14.11.1997.
In questi termini, il piano regolatore con
le destinazioni d’uso esistenti e quelle
previste deve costituire un termine di
riferimento per la classificazione del
territorio, con la necessaria precisazione
che la stessa deve essere comunque ancorata
all’assetto urbanistico, cioè all’esistente
situazione in fatto che può divergere da
quella di diritto;
- che la zonizzazione acustica venga
effettuata “tenendo conto delle
preesistenti destinazioni d’uso del
territorio”, come dispone ancora lo
stesso articolo 4, comma 1, lettera a),
della legge n. 447 del 1995.
Chiarito quanto precede occorre ora
richiamare quell’indirizzo della
giurisprudenza, che il Collegio condivide,
che ha affermato che “le scelte inerenti
alla classificazione acustica non
afferiscono al merito dell'attività
pianificatoria/programmatoria del Comune, ma
sono espressione di discrezionalità tecnica,
ancorata all'accertamento di specifici
presupposti di fatto. Il primo dei quali è
il preuso del territorio, proprio per non
sacrificare oltremodo le consolidate
aspettative di coloro che si sono
legittimamente insediati … in zone
qualificate industriali e, quindi,
funzionalmente deputare all'espletamento di
attività produttive, che non debbono subire
limitazioni, a causa della classificazione
acustica, non adeguatamente giustificate
(diversamente da ciò che potrebbe avvenire,
ad esempio, per le attività industriali
localizzate in zona impropria)” (cfr.,
TAR Veneto, sez. III, 24.01.2007, n. 187).
Su tale fondamento, nonché alla luce di
quanto sopra delineato in fatto, si deve
concludere che l’assegnazione della classe V
ad una zona esclusivamente interessata da
attività industriali e artigianali e nella
quale le uniche unità abitative presenti
sono gli alloggi dei custodi risulta
palesemente illegittima: l’avvertita
necessità di salvaguardia per un
insediamento residenziale recentemente
realizzato in prossimità della struttura
industriale della ricorrente disattende,
infatti, acriticamente le caratteristiche
morfologiche dell’area interessata, quali
consolidatesi nel tempo, mortificando
l’affidamento di quanti abbiano
legittimamente confidato in una tutela
corrispondente a quell’assetto del
territorio, laddove assoggetta quella zona a
limiti di emissione acustica minori, “pregiudicando
le esigenze dei soggetti che operano nel
settore industriale ove lo stesso
legislatore ha consentito più elevati
livelli di rumorosità in considerazione
delle esigenze scaturenti dalla natura
dell’attività svolta” (cfr., TAR
Lombardia, Milano, sez. I, 24.03.2004, n.
1231).
In definitiva, l’esclusiva valenza
industriale del territorio ove è ubicato lo
stabilimento della Cartiera ben avrebbe
preteso la sua collocazione nella superiore
classe VI.
Circa i piani di risanamento acustico
disciplinati dagli artt. 4 e 7 della legge
n. 447 del 1995 si osserva che la
giurisprudenza ha riconosciuto
l’illegittimità di quei piani di
zonizzazione che abbiano omesso di
predisporre le azioni di risanamento, posto
che “la ratio sembra da far risalire al
fatto che, da un lato, la classificazione
acustica del territorio comunale è
finalizzata al raggiungimento nel tempo
(anche attraverso lo strumento costituito
dai piani di risanamento) di valori di
qualità dell’ambiente, quali quelli indicati
dalla legge - quadro (si legga l’art. 2,
comma 1, lettera h) e dai decreti attuativi;
il che rappresenta un obiettivo opportuno e
desiderabile per l’intera comunità.
Dall’altro lato, l’accostamento di aree non
contigue è una scelta di piano dovuta alla
impossibilità di rispettare il divieto. Il
legislatore pertanto ha voluto evitare che,
in queste ipotesi (impossibilità di evitare
l’accostamento critico), i costi del
risanamento acustico, i cui risultati
positivi si riverberano sull’intera comunità
interessata, ricadano esclusivamente sui
privati proprietari delle aree coinvolte”
(cfr., TAR Piemonte, sez. II, 13.12.2005, n.
3966) (TRGA
Trentino Alto Adige-Trento,
sentenza 24.10.2008 n. 271 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AGGIORNAMENTO AL 26.01.2009 |
ã |
UTILITA' |
PUBBLICO IMPIEGO: Le
assenze per malattia - Schede di lettura a
cura di Legautonomie aggiornate con la Legge
Finanziaria 2009 (link a
www.legautonomie.it). |
GURI - GUUE - BURL (e anteprima) |
EDILIZIA PRIVATA:
B.U.R. Lombardia, 3° suppl. straord. al n. 3
del 23.01.2009:
- "Determinazioni in materia di
realizzazione di bacini idrici (art. 1,
comma 1, lett. rr), l.r. n. 4/2008; art. 36,
comma 3, l.r. n. 14/1998)" (deliberazione
G.R. 30.12.2008 n. 8830 - link a
www.infopoint.it);
- "Integrazione alla d.g.r. 8830 del
30.12.2008" (comunicato
regionale 13.01.2009 n. 2 - link
a www.infopoint.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: B.U.R.
Lombardia, 1° suppl. straord. al n. 3 del
20.01.2009, "Modalità per l'attuazione
della Rete Ecologica Regionale in raccordo
con la programmazione territoriale degli
enti locali" (deliberazione
G.R. 26.11.2008 n. 8515 - link a www.infopoint.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: B.U.R.
Lombardia, serie ordinaria n. 3 del
19.01.2009, "Anagrafe canina regionale:
modalità d'accesso e aggiornamento" (decreto
D.U.O. 29.12.2008 n. 15742 - link a www.infopoint.it). |
NEWS |
URBANISTICA: Lombardia,
Sistema Informativo lombardo Valutazione
Ambientale di Piani e Programmi (VAS).
E' in linea il Sistema Informativo
Lombardo della Valutazione Ambientale di
piani e programmi-VAS. Il sistema nasce come
strumento di supporto alle Autorità
procedenti e competenti che devono
predisporre e valutare piani e programmi
ricadenti nella Direttiva 2001/42/CE, come
attuata dal d.lgs. 4/2008 e dalla l.r 12/2005
(link a www.regione.lombardia.it). |
DOTTRINA E CONTRIBUTI |
EDILIZIA PRIVATA:
L. Romanucci, La
c.d. "sanatoria giurisprudenziale" (link a www.diritto.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
T. Neri,
INFORMAZIONE AMBIENTALE: GLI OBBLIGHI DELL’AUTORITA’
PUBBLICA (link a
www.tuttoambiente.it). |
APPALTI:
S. Lazzini,
Facoltà di avvalersi dei requisiti di ordine
speciale: dal mancato richiamo del bando di
gara a quest’ultima possibilità non può
farsi discendere il divieto per i
concorrenti di utilizzarla (link
a www.diritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA: A.
Frigo,
L’ANNULLAMENTO DEI PROVVEDIMENTI COMUNALI IN
MATERIA EDILIZIA.
In merito si veda anche Consiglio di Stato,
Sez. IV,
ordinanza 30.01.2007 n. 469 (link a
http://venetoius.myblog.it). |
EDILIZIA PRIVATA: R.
Travaglini,
LE OPERE DI URBANIZZAZIONE A SCOMPUTO ALLA
LUCE DEL TERZO DECRETO CORRETTIVO DEL CODICE
DEI CONTRATTI PUBBLICI (D.LGS. 11.09.2008 N.
152).
Si vedano anche:
-
le slides esemplificative;
- la
nota ANCE 19.11.2008 n. 150-C2/V
di prot. (link a http://venetoius.myblog.it). |
EDILIZIA PRIVATA: M.
Bossanese,
Appunto sulle opere precarie.
Se le NTA del PRG o il regolamento edilizio
non contengono la definizione di "precario"
o di "opere precarie", a che cosa ci si deve
riferire per individuarne la nozione? (link a
http://venetoius.myblog.it). |
LAVORI PUBBLICI: A.
Barbiero,
La definizione della procedura negoziata per
appalti di lavori pubblici di valore
compreso tra i 100.000 ed i 500.000 euro (link
a www.albertobarbiero.net). |
EDILIZIA PRIVATA: G.
Giovannelli,
La disciplina delle opere di urbanizzazione
a scomputo oneri alla luce del “terzo
correttivo” (link a
www.urbanisticatoscana.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
F. Barchielli,
La decadenza del titolo ed il ricalcolo del
contributo di costruzione (sulla
decadenza del permesso di costruire e sui
conseguenti effetti riguardo al contributo
di costruzione già versato
all’Amministrazione nei casi in cui il
privato presenti una nuova istanza di titolo
edilizio, rinunci all’edificazione senza
aver iniziato i lavori, oppure rinunci dopo
avere comunque effettuato una rilevante
alterazione dell’assetto del territorio)
(link a www.urbanisticatoscana.it). |
EDILIZIA PRIVATA: F.
Barchielli,
Terzo decreto correttivo e scomputo degli
oneri concessori (il terzo
decreto correttivo del Codice dei Contratti
Pubblici introduce una drastica inversione
di rotta per quanto attiene ai lavori sotto
soglia a scomputo totale o parziale degli
oneri di urbanizzazione) (link a
www.urbanisticatoscana.it). |
EDILIZIA PRIVATA: F.
Barchielli,
Sul rilascio del permesso di costruire a
titolo gratuito (una ricognizione
della normativa e della giurisprudenza
riguardo ai casi in cui è consentito il
rilascio del permesso di costruire senza
obbligo di corrispondere il contributo di
costruzione) (link a
www.urbanisticatoscana.it). |
QUESITI |
EDILIZIA PRIVATA: Condono
edilizio ex L. 47/1985.
Viene chiesto parere in merito al tema del
condono edilizio ex L. 47/1985, in presenza
di rinuncia da parte del soggetto
richiedente il condono stesso (Regione Piemonte,
parere n. 176/2008 - link a www.regione.piemonte.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Applicazione
calcolo oneri di urbanizzazione.
Occorre premettere che il Comune richiedente
dà per scontato il fatto che –in assenza di
diverse e più precise determinazioni operate
al riguardo dalle norme e dalle tabelle
comunali relative agli oneri di
urbanizzazione– vanno fatte rientrare nella
categoria delle attività produttive le
cliniche e le case di riposo private ai fini
dell’applicazione degli oneri di
urbanizzazione; occorre considerare d’altro
canto che la tabella regionale, spesso
tradotta di peso nella disciplina comunale
in materia (senza, cioè, modificazione né
precisazione alcuna), costruisce varie
sottocategorie di attività produttive, a cui
corrispondono misure diverse degli oneri di
urbanizzazione.
Tutto ciò premesso, viene chiesto di
indicare il criterio più corretto di
applicazione degli oneri di urbanizzazione
da corrispondere per la realizzazione ex
novo di una casa di riposo privata (Regione Piemonte,
parere n. 175/2008 - link a www.regione.piemonte.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Metodo
di calcolo contributo di costruzione.
Il sindaco del Comune di XXX, chiede quale
sia il metodo di calcolo corretto per il
contributo di costruzione, nel caso di
rinnovazione del titolo abilitativo, a causa
del mancato completamento delle opere nel
termine di legge (Regione Piemonte,
parere n. 174/2008 - link a www.regione.piemonte.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Oneri
su ampliamento di costruzione.
Viene chiesto parere in ordine al dovere, o
meno, del Comune di pretendere la
corresponsione degli oneri di urbanizzazione
relativi alla ricostruzione –operata con
intervento di “sostituzione edilizia” su
area limitrofa all’originario sedime di
insistenza– di edificio residenziale
distrutto da un incendio, restando fuori
discussione l’obbligo di corrispondere gli
oneri medesimi in ragione dell’ampliamento
ammesso dal P.R.G. in occasione della
ricostruzione (Regione Piemonte,
parere n. 171/2008 - link a www.regione.piemonte.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Interventi
su area privata.
Il sindaco del Comune di XXX, chiede se sia
possibile acquisire, per soddisfare un
pubblico interesse, al patrimonio comunale
una strada agro-silvo-pastorale, con stipula
di atto pubblico di compravendita; oppure
se, in alternativa, il Comune possa
“acquisire” esclusivamente l’uso pubblico al
transito, mantenendo il sedime privato.
In questa seconda evenienza il sindaco
chiede parere sulla legittimità di
interventi a cura del Comune su area privata
(Regione Piemonte,
parere n. 167/2008 - link a www.regione.piemonte.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Denuncia
Inizio Attività.
Viene formulato quesito inteso a stabilire
in quali casi possa avere applicazione il
disposto dell’articolo 22, comma 3, lettera
c), del D.P.R. 06.06.2001, n. 380, recante “testo
unico delle disposizioni legislative e
regolamentari in materia edilizia”, in
virtù del quale può essere utilizzata la
d.i.a. (denuncia di inizio di attività) come
titolo abilitativo edilizio che legittima
interventi di nuova costruzione qualora gli
stessi costituiscano diretta esecuzione di
strumenti urbanistici generali che recano
precise disposizioni plano-volumetriche
(Regione Piemonte,
parere n. 165/2008 - link a www.regione.piemonte.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Condono
edilizio.
Viene chiesto parere in merito ad una
fattispecie concreta concernente la
definizione di pratiche di condono edilizio
ex L. 47/1985 su aree sottoposte a vincolo
paesaggistico-ambientale (Regione Piemonte,
parere n. 164/2008 - link a www.regione.piemonte.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Installazione
impianti per energia elettrica.
Vengono richiesti chiarimenti in merito alla
procedura urbanistico–amministrativa da
seguire per installare in area agricola
impianti industriali di produzione di
energia elettrica alimentati da fonti
rinnovabili (Regione Piemonte,
parere n. 159/2008 - link a www.regione.piemonte.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Esproprio
ed occupazione d’urgenza.
Viene chiesto un parere in merito alla
suscettibilità di trasformazione del diritto
di superficie in diritto di piena proprietà,
ai sensi dell’art. 31, comma 47, L. 448 del
23.12.1998, in ordine ad un’unità
immobiliare di Edilizia Residenziale
Pubblica adibita ad attività artigianale
(Regione Piemonte,
parere n. 156/2008 - link a www.regione.piemonte.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Aggiornamento
oneri urbanizzazione.
Il Comune di XXX, chiede se l’aggiornamento
degli oneri di urbanizzazione in base alle
variazioni ISTAT, senza modificazione dei
contenuti, sia di competenza del Consiglio
ovvero della Giunta comunale e se
l’aggiornamento annuale del costo di
costruzione, in assenza di specifico
regolamento comunale, possa essere
effettuato con determinazione dirigenziale
ovvero rientri fra le competenze consiliari
o giuntali (Regione Piemonte,
parere n. 152/2008 - link a www.regione.piemonte.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Sanatoria
intervento accertamento edilizio.
Viene chiesto chiarimento in ordine
all’applicazione dell’articolo 36, comma 2,
del Testo Unico dell’Edilizia (D.P.R.
380/2001) per quanto attiene alla
determinazione dell’oblazione di cui alla
norma predetta (Regione Piemonte,
parere n. 134/2008 - link a www.regione.piemonte.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Decorrenza
applicativa risparmi energetici.
Vengono domandati chiarimenti sulla
decorrenza -a fini applicativi- di singole
prescrizioni dettate, a livello statale e
regionale, in materia di risparmio
energetico negli edifici (Regione Piemonte,
parere n. 132/2008 - link a www.regione.piemonte.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Garanzie
superamento barriere architettoniche.
Viene posto quesito inerente ai requisiti
igienico-sanitari necessari per l’apertura
di un pubblico esercizio.
In particolare, la questione sottoposta
all’esame del Servizio di Consulenza
concerne le prescrizioni necessarie a
garantire il superamento delle barriere
architettoniche (Regione Piemonte,
parere n. 130/2008 - link a www.regione.piemonte.it). |
LAVORI PUBBLICI: Acquisizione
strada nel patrimonio comunale.
Il sindaco del Comune di XXX segnala che, a
seguito verifica dei titoli di proprietà dei
sedimi stradali, è emerso che alcune strade
erano state trasferite all’ente “in accordo
bonario” con i proprietari, ad eccezione di
una.
Detto tratto, con delibera consiliare, è
stato classificato come strada comunale
extraurbana ed inserito anche nel P.R.G.C.
Ritenuto che la proprietà fosse già del
Comune, l’ente ha provveduto alla sua
asfaltatura ed alla sua illuminazione,
nonché ad effettuare interventi manutentivi.
Stante la situazione descritta il sindaco
chiede di conoscere la procedura più breve
ed economica di acquisizione della strada al
patrimonio del Comune (Regione Piemonte,
parere n. 129/2008 - link a www.regione.piemonte.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Esonero
contributo di costruzione.
Viene chiesto al Servizio Regionale di
consulenza agli Enti locali di esprimere
parere in ordine alla applicabilità
dell’articolo 17, comma 3, del D.P.R.
06.06.2001 n. 380, recante testo unico delle
norme in materia edilizia, in tema di
esonero dal contributo di costruzione.
In particolare, il caso concreto riguarda la
pratica edilizia presentata da una
Associazione ove la stessa ha richiesto il
rilascio di permesso di costruire per la
realizzazione di una nuova costruzione da
adibire a sede sociale.
Il successivo 21.07.2008, la richiedente ha
inoltrato domanda di esonero dal pagamento
del contributo di costruzione, motivando
l’istanza ai sensi dell’articolo 17, comma
3, del citato Testo Unico per l’Edilizia,
riferendo di avere ottenuto il
riconoscimento di associazione “Onlus” e di
essere quindi legittimata all’applicazione
della citata norma (Regione Piemonte,
parere n. 123/2008 - link a www.regione.piemonte.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Scomputo
oneri urbanizzazione.
Viene posto dal Comune richiedente un
quesito limitato, nella sua enunciazione,
alla tematica della disciplina dello
“scomputo” degli oneri di urbanizzazione; la
formulazione di una responsabile risposta
comporta peraltro la considerazione di un
ulteriore tema di grandissimo rilievo ed
attualità: quello degli accordi fra
proprietari e Comune per modifiche al piano
regolatore generale urbanistico. La bozza di
protocollo di intesa allegata al quesito
reca infatti, come primo “impegno” assunto
dal Comune nell’accordo con il privato,
quello a “predisporre opportuna variante al
PRGC vigente”, variante destinata a
trasferire volumetrie su determinate aree
private, in presenza della cessione gratuita
di un’area e della costruzione –interamente
a carico dell’operatore privato–
dell’edificio di una scuola materna; ciò,
senza pregiudizio dell’applicazione in via
ordinaria dei contributi di costruzione che
risulteranno dovuti e degli ordinari
meccanismi di scomputo relativi ad altre
opere di urbanizzazione (Regione Piemonte,
parere n. 122/2008 - link a www.regione.piemonte.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Ambito
di applicazione direttiva 2006/32/CE.
Viene chiesto un chiarimento in merito
all’interpretazione del comma III dell’art.
11 D.Lgs. 30.05.2008 n. 115 “Attuazione
della direttiva 2006/32/CE relativa
all’efficienza degli usi finali dell’energia
e i servizi energetici e abrogazione della
direttiva 93/76/CEE”, con particolare
riferimento al suo esatto ambito
applicativo.
Più precisamente, il Comune vuole sapere a
quali edifici può essere applicata la norma
di favore contenuta nel comma III
dell’articolo in esame che prevede incentivi
–sotto forma di semplificazione della
procedura assentiva edilizia– per
l’installazione di pannelli solari, termici
e fotovoltaici.
L’interrogativo proposto allo scrivente
Servizio si origina dalla formulazione della
disposizione in esame che, per maggiore
chiarezza ed ai fini della successiva
disamina, si riporta per esteso:
“Fatto salvo quanto previsto
dall'articolo 26, comma 1, della legge
09.01.1991, n. 10, e successive
modificazioni, gli interventi di incremento
dell'efficienza energetica che prevedano
l'installazione di singoli generatori eolici
con altezza complessiva non superiore a 1,5
metri e diametro non superiore a 1 metro,
nonché di impianti solari termici o
fotovoltaici aderenti o integrati nei tetti
degli edifici con la stessa inclinazione e
lo stesso orientamento della falda e i cui
componenti non modificano la sagoma degli
edifici stessi, sono considerati interventi
di manutenzione ordinaria e non sono
soggetti alla disciplina della denuncia di
inizio attività di cui agli articoli 22 e 23
del testo unico delle disposizioni
legislative e regolamentari in materia
edilizia, di cui al decreto del Presidente
della Repubblica 06.06.2001, n. 380, e
successive modificazioni, qualora la
superficie dell'impianto non sia superiore a
quella del tetto stesso. In tale caso, fatti
salvi i casi di cui all'articolo 3, comma 3,
lettera a), del decreto legislativo
19.08.2005, n. 192, e successive
modificazioni, e' sufficiente una
comunicazione preventiva al Comune” (Regione Piemonte,
parere n. 117/2008 - link a www.regione.piemonte.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Definizione
strada “vicinale” e “interpoderale” .
Il Comune con due richieste in pari data
pone due distinti quesiti vertenti sulla
vicinalità delle strade, sostanzialmente tra
loro integrati e correlati, per cui, di
concerto con il Coordinatore del Servizio di
Consulenza Regionale, si è inteso, per
ragioni di completezza espositiva, nonché di
efficacia e di economicità, riunire le
risposte in un unico parere.
Il primo quesito (n. 112) chiede se
sia corretto considerare la locuzione
“strade vicinali” sinonimo di “strade
interpoderali”, considerato che il vigente
Codice della Strada e la precedente
normativa in materia non comprendono tra le
categorie delle strade quelle interpoderali.
Il secondo quesito (n. 113) riporta
integralmente il testo di una deliberazione
consiliare dell’agosto 1961
(millenovecentosessantuno) con cui si
dispose di “sopprimere” una strada vicinale
denominata “Madonna Piani” , ritenuta
superflua perché scarsamente frequentata e
per la sua vetustà non conservabile tra le
vicinali per via della manutenzione costosa
e senza proficuo esito, e chiede:
- a chi appartenga il terreno su cui
insisteva la strada soppressa,
- se il proprietario è il Comune, se ciò
vuol dire che il bene è passato da
patrimonio indisponibile a patrimonio
disponibile;
- in caso di risposta affermativa se siano
necessari ulteriori atti (frazionamenti
ect.) per concludere la pratica, atteso che
la strada è riportata nelle mappe catastali
con linea continua (Regione Piemonte,
pareri nn. 112-113/2008 - link a www.regione.piemonte.it). |
LAVORI PUBBLICI: Alienazione
strada comunale in disuso.
Il Comune chiede quale sia la corretta
procedura da seguire in presenza di strade
comunali in disuso nei casi di alienazione
di porzione del reliquato di strada ovvero
di permuta con il proprietario su cui
insiste il nuovo percorso della strada e, se
in entrambi i casi, sia necessaria la
procedura di verifica del vincolo ai sensi
dell’art. 27 D.L. 269 del 30.09.2003,
convertito in L. 24/11/2003 (Regione Piemonte,
parere n. 111/2008 - link a www.regione.piemonte.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Sanzione
applicabile su abuso edilizio.
Con richiesta in data 26.06.2008, il Comune
pone un quesito in ordine alle sanzioni da
applicarsi in caso di abuso edilizio
consistente nell’esecuzione di interventi in
parziale difformità dal permesso di
costruire (Regione Piemonte,
parere n. 105/2008 - link a www.regione.piemonte.it). |
LAVORI PUBBLICI: Realizzazione
serbatoio acqua potabile.
Il sindaco del Comune di XXX chiede se la
realizzazione di un serbatoio di accumulo
d’acqua potabile possa essere considerato
intervento di manutenzione straordinaria,
rivolto ad integrare/ampliare la rete di
distribuzione già esistente, giustificando
così l’affidamento dei lavori in economia,
ai sensi dell’art. 125 del D.Lgs. n.
163/2006 e s.m.i. (Regione Piemonte,
parere n. 102/2008 - link a www.regione.piemonte.it). |
GIURISPRUDENZA |
EDILIZIA PRIVATA:
Acquisizione immobile abusivo al
patrimonio comunale.
L'effetto ablatorio si verifica ope legis
alla inutile scadenza del termine
fissato per ottemperare all'ingiunzione di
demolire, mentre la notifica
dell'accertamento formale
dell'inottemperanza si configura solo come
titolo necessario per l'immissione in
possesso e per la trascrizione nei registri
Immobiliari.
Il giudice penale che deve decidere sul
dissequestro dell'immobile abusivo resta
estraneo al regime di pubblicità
dichiarativa della trascrizione immobiliare,
che è disciplinato dagli artt. 2643 ss. cod.
civ. al solo fine di dirimere eventuali
conflitti tra più soggetti aventi causa da
un medesimo dante causa. In altri termini,
il provvedimento giudiziale sulla
restituzione dell'immobile abusivo non ha
nulla a che vedere con le esigenze di
certezza nella circolazione dei beni nel
mercato, che ispirano l'istituto della
trascrizione.
Evidente corollario dei principi sopra
esposti è che il giudice che dispone il
dissequestro di un immobile abusivo, dopo
che il responsabile dell'abuso non ha
ottemperato nel termine di legge
all'ingiunzione comunale di demolire, e
quindi dopo che si è verificato l'effetto
ablativo a favore dell'ente comunale, deve
disporre la restituzione dell'immobile allo
stesso ente comunale e non al privato
responsabile, che per avventura sia ancora
in possesso del bene (Corte di Cassazione,
Sez. III penale,
sentenza 19.01.2009 n. 1819 -
link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
D.i.a. e violazione dell’articolo
481 c.p. (falsa attestazione del
progettista).
In tema di responsabilità del progettista di
lavori edili firmatario di relazione tecnica
di asseverazione allegata a denuncia di
inizio attività (Corte di Cassazione, Sez.
III penale,
sentenza 19.01.2009 n. 1818 -
link a www.lexambiente.it). |
APPALTI: Sul
giudizio di congruità dell'offerta e sul
termine per la presentazione delle offerte
nelle procedure ristrette.
L'art. 86, c. 3, d. lgs. 163/2006,
attribuisce alla stazione appaltante la
possibilità "in ogni caso", ovvero al di
fuori dei casi previsti ai precedenti commi
1 e 2, in cui, invece, tale verifica è
senz'altro obbligata, di valutare la
congruità "di ogni altra offerta che, in
base ad elementi specifici, appaia
anormalmente bassa". Ne consegue che, è
legittimo nel caso di specie, il sub
procedimento volto a verificare la congruità
dell'offerta, sebbene non previsto dalla lex
specialis di gara, in quanto la P.A. ha
attivato il sub procedimento volto ad
accertare l'effettiva consistenza
dell'offerta risultata essere la migliore in
relazione ai parametri indicati nel bando di
gara, ma non sufficientemente credibile
quanto a remunerabilità, al fine di
soddisfare l'ineludibile esigenza di
acquisire, previa verifica istruttoria degli
elementi giustificativi dei ribassi offerti,
una sufficiente, quanto soddisfacente
dimostrazione dei dati sui quali la società
ricorrente ha basato il prezzo offerto.
L'art. 70, c. 4, del d. lgs. n. 163 del
2006, prevede: "Nelle procedure
ristrette, il termine per la ricezione delle
offerte non può essere inferiore a quaranta
giorni dalla data di invio dell'invito a
presentare le offerte." La prescrizione
di un intervallo minimo da lasciare ai
concorrenti per la presentazione delle
offerte risponde all'esigenza di consentire
agli stessi di approntare la documentazione
che il bando richiede ai fini della
qualificazione alla gara e di formulare
un'offerta sufficientemente ponderata ed
idonea a conseguire l'aggiudicazione. Ne
deriva che, qualora non ricorrano le
condizioni di urgenza che possono consentire
la riduzione del termine ordinario, come nel
caso di specie, la stazione appaltante deve
consentire un margine di tempo non inferiore
a quello normativamente previsto -nella
specie di 40 giorni- per permettere ai
concorrenti la presentazione di un'offerta,
non solo valida ed adeguatamente
documentata, ma anche potenzialmente
suscettibile di conseguire l'aggiudicazione
in quanto "economicamente più vantaggiosa".
La violazione del suddetto limite temporale,
posto a presidio non solo dell'interesse
delle partecipanti ai pubblici appalti, ma
anche dell'interesse pubblico
dell'Amministrazione a ricevere offerte
adeguatamente soppesate in relazione alle
esigenze rappresentate con le norme
concorsuali, incrina inesorabilmente i detti
principi, a nulla rilevando eventuali
considerazioni in fatto, spendibili solo ex
post, circa l'irrilevanza nel caso concreto
della abbreviazione dei termini
(TAR Lazio-Roma, Sez. I-bis,
sentenza 15.01.2009 n. 196 - link
a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI: Sull'inapplicabilità
dell'art. 13 del cd. decreto Bersani (d.l.
04.07.2006 n. 223) nel caso di
un'aggiudicazione provvisoria disposta prima
dell'entrata in vigore del suddetto decreto.
Sulla possibilità per le società pubbliche
di svolgere attività extraterritoriale.
Il divieto sancito dall'art. 13 del d.l.
04.07.2006 n. 223, cd. decreto Bersani, poi
convertito con l. 04.08.2006 n. 248, non è
applicabile nel caso di un'aggiudicazione
provvisoria disposta prima dell'entrata in
vigore del suddetto decreto.
L'art. 113 del d.lvo n. 267 del 2000,
prevede la possibilità per le società
pubbliche di svolgere attività in ambiti
territoriali diversi da quelli dell'ente
locale di riferimento solo nell'ipotesi in
cui tale attività non ridondi in maggiori
costi per la collettività di riferimento e
comunque sia collegata al soddisfacimento di
una qualche esigenza di quest'ultima. La
disciplina dell'art. 113, avente ad oggetto
le modalità di gestione ed affidamento dei
servizi pubblici locali, non è applicabile,
nel caso di specie, al servizio oggetto
della gara in quanto concernente la
realizzazione di un sistema informativo
interno alla Regione e volto alla gestione
del proprio personale dipendente. Non si
tratta, pertanto, di una gara relativa a
servizi pubblici locali (Consiglio di Stato,
Sez. V,
sentenza 14.01.2009 n. 101 - link
a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Opere di urbanizzazione -
Difficoltà di reperire in loco le aree
destinate ad opere di urbanizzazione -
Monetizzazione - Finalità dell’istituto -
Presupposti.
L’esigenza di accompagnare ogni edificazione
con le necessarie opere di urbanizzazione
costituisce una condizione fondamentale per
la corretta trasformazione del territorio,
onde la materiale impossibilità o difficoltà
di reperire “in loco” le aree a tale scopo
destinate non fa sorgere il diritto alla
monetizzazione, ma impone piuttosto
all’Amministrazione di esaminare sotto il
profilo urbanistico la richiesta di
conversione di detto obbligo nel versamento
di una somma di denaro; nel far ciò, in
particolare, l’Amministrazione deve
considerare che la “monetizzazione” è un
istituto in ogni caso preordinato al
migliore e più ordinato assetto del
territorio, non anche uno strumento per
conseguire finalità estranee alla disciplina
urbanistica (quali la tutela di interessi
privati o il reperimento di risorse volte
unicamente a far cassa), sicché se ne deve
ritenere possibile l’impiego solo quando
emerga che la pura e semplice applicazione
degli «standard» previsti non darebbe
effettivamente luogo alla realizzazione di
dotazioni territoriali in concreto utili
alle esigenze urbanistiche dell’insediamento
e si presenti allora conveniente destinare
le corrispondenti risorse all’esecuzione
delle opere di urbanizzazione in altra parte
del territorio comunale (TAR Emilia
Romagna-Parma,
sentenza 14.01.2009 n. 3 - link a
www.ambientediritto.it). |
APPALTI FORNITURE E SERVIZI: Sull'illegittimità
di una lex specialis che, pur richiamando il
criterio di aggiudicazione dell'offerta
economicamente più vantaggiosa, nulla
preveda in ordine alle modalità di concreta
attribuzione dei sub criteri e sub punteggi.
Nelle gare pubbliche indette con il metodo
dell'offerta economicamente più vantaggiosa
la necessità di stabilire ulteriori
sub-criteri, sub-pesi o sub-punteggi deve
essere valutata di volta in volta in
relazione all'analiticità dei criteri
principali, all'idoneità di questi ad
assicurare il rispetto del principio di
trasparenza e ai poteri integrativi
riconosciuti alla Commissione giudicatrice.
A detta Commissione è quindi inibito
integrare i criteri di valutazione
dell'offerta tecnica (individuando sub
criteri e sub punteggi, che devono invece
essere indicati nel capitolato d'oneri);
l'importanza relativa delle sottovoci deve,
infatti, essere rese nota ai potenziali
concorrenti già al momento della produzione
delle loro offerte, alfine di evitare il
pericolo che la Commissione possa orientare
a proprio piacimento ed a posteriori
l'attribuzione di tale determinante
punteggio e, quindi, all'esito della gara
dopo averne conosciuto gli effettivi
concorrenti. La violazione di detta regola
innovativa posta dall'art. 83 del Codice dei
contratti (D.Lgs. n. 163 del 2006) può
infatti astrattamente contrastare con il
principio della par condicio, nella misura
in cui altera gli elementi di valutazione in
relazione ai quali tutti i concorrenti hanno
potuto predisporre la propria offerta
tecnica.
A tanto consegue l'illegittimità di una lex
specialis che, pur richiamando il criterio
di aggiudicazione dell'offerta
economicamente più vantaggiosa, nulla
preveda in ordine alle modalità di concreta
attribuzione dei sub criteri e sub punteggi,
nell'ipotesi che la loro fissazione sia
necessaria o prevista dalla normativa di
gara
(TAR Lazio-Roma, Sez. III-quater,
sentenza 09.01.2009 n. 82 - link
a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Ordine di demolizione di
costruzione abusiva - Ingiustificata
inottemperanza - Scadenza del termine -
Acquisizione immobile al patrimonio del
Comune - Art. 31, c. 3, D.P.R. n. 380/2001 -
Art. 7, c. 3 L. n. 47/1985 - Giurisprudenza.
Ai sensi della legge 28.02.1985, n. 47, art.
7 , comma 3, e del t.u. sull'edilizia
approvato con d.P.R. 06.06.2001, n. 380,
dell'art. 31, comma 3, l'ingiustificata
inottemperanza all'ordine di demolizione di
costruzione abusiva, emesso dall'autorità
comunale, comporta l'automatica acquisizione
dell'immobile al patrimonio del Comune, in
favore del quale deve quindi essere disposta
la restituzione, qualora l'immobile stesso
venga dissequestrato (Cass., Sez. III,
09/06/2004 - 02/09/2004, n. 35785).
Questo orientamento -non senza qualche
dissenso (Cass., sez. III, 22/09/2004 -
28/10/2004, n. 42192; Cass., sez. III, Sez.
3, 19/10/2004 - 18/11/2004, n. 44695) si è
affermato come maggioritario e prevalente
(Cass., sez. III, 16/02/2005 - 20/04/2005,
n. 14638; Cass., sez. III, 16/03/2005 -
29/04/2005, n. 16283 e più recentemente
Cass., sez. III, 28/11/2007 - 31/01/2008, n.
4962).
In quest'ultima pronuncia è stato ribadito
che la acquisizione al patrimonio comunale
del manufatto e dell'area di sedime
conseguente all'inottemperanza all'ordine di
demolizione delle opere abusive impartito al
contravventore dallo stesso ente comunale si
verifica "ope legis" alla inutile scadenza
del termine di giorni novanta fissato per
detta ottemperanza, senza che possa avere
rilievo l'ulteriore adempimento della
notifica all'interessato dell'accertamento
formale dell'inottemperanza, unicamente
idoneo a consentire all'ente l'immissione in
possesso e la trascrizione nei registri
immobiliari del titolo dell'acquisizione.
Inoltre, il trasferimento al patrimonio
comunale della proprietà dell'immobile
abusivo, automaticamente conseguente alla
scadenza del termine di novanta giorni
fissato per l'ottemperanza all'ordinanza
sindacale di demolizione, non costituisce
impedimento giuridico a che il privato
responsabile esegua l'ordine di demolizione
impartitogli dal giudice con la sentenza di
condanna, salvo che l'autorità comunale
abbia dichiarato l'esistenza di interessi
pubblici prevalenti rispetto a quello del
ripristino dell'assetto urbanistico violato.
La conseguenza è che il manufatto abusivo
dissequestrato dopo che il responsabile non
abbia ottemperato all'ingiunzione comunale
di demolizione dello stesso, va restituito
non già al privato responsabile, quand'anche
egli sia ancora in possesso del bene, bensì
allo stesso ente comunale, ormai divenutone
proprietario a tutti gli effetti a seguito
dell'inutile decorso del termine di legge di
cui all'art. 31 del D.Lgs. n. 380 del 2001.
Opere abusive - Ordine
di demolizione - Domanda di condono o di
sanatoria successiva al passaggio in
giudicato della sentenza di condanna -
Revoca o sospensione - Valutazione del
giudice - Limiti - Comune - Art. 31, c. 3,
D.P.R. n. 380/2001 - Art. 7, c. 3 L. n.
47/1985 - L. n. 326/2003.
Ai fini della revoca o sospensione
dell'ordine di demolizione delle opere
abusive (art. 7, ultimo comma, della legge
28.02.1985, n. 47, oggi previsto dall'art.
31, comma nono, del d.P.R. 06.06.2001, n.
380) in presenza di una istanza di condono o
di sanatoria successiva al passaggio in
giudicato della sentenza di condanna, il
giudice dell'esecuzione investito della
questione è sì tenuto a valutare i possibili
esiti e dei tempi di definizione della
procedura ed, in particolare ad accertare il
possibile risultato dell'istanza e se
esistono cause ostative al suo accoglimento;
nonché nel caso di insussistenza di tali
cause, a valutare i tempi di definizione del
procedimento amministrativo e sospendere
l'esecuzione solo in prospettiva di un
rapido esaurimento dello stesso. (cfr.
Cass., sez. III, 26.09.2007-23.10.2007, n.
38997). Sicché, non è sufficiente la
presentazione della domanda di condono ex L.
n. 326/2003. L'applicabilità dell'invocata
normativa di sanatoria non è automatica e
generalizzata, ma è subordinata alla
verifica della astratta condonabilità
dell'opera abusiva sotto il profilo
temporale e vincolistico (Corte di
Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 23.12.2008 n. 48031 -
link a www.ambientediritto.it). |
LAVORI PUBBLICI: La
certificazione SOA è sufficiente a
dimostrare l'adeguatezza tecnica e
finanziaria dell'impresa che vuole
partecipare ad una gara per l'affidamento di
lavori pubblici.
E' illegittimo un bando di gara per
l'affidamento di attività di manutenzione
ordinaria e straordinaria di impianti
trasportatori: scale mobili, ascensori, nei
fabbricati e nelle stazioni delle linee
metroferroviarie nella parte in cui
prescrive ai fini della partecipazione alla
procedura ulteriori requisiti finanziari
oltre a quelli previsti implicitamente con
la richiesta di attestazione SOA. Infatti,
la richiesta e la presentazione della
certificazione SOA è necessaria, ma
soprattutto sufficiente a dimostrare
l'adeguatezza tecnica e finanziaria
dell'impresa che vuole partecipare ad una
gara per l'affidamento di lavori pubblici.
L'art. 1, c. 3, del d.P.R. n. 34/2000,
prevede espressamente che l'attestazione SOA
"costituisce condizione necessaria e
sufficiente per la dimostrazione
dell'esistenza dei requisiti di capacità
tecnica e finanziaria ai fini
dell'affidamento dei lavori pubblici".
Pertanto, è illegittima nel caso di specie
la richiesta da parte della stazione
appaltante di ulteriori requisiti finanziari
rispetto a quelli fissati dalla legge (TAR
Lazio-Roma, Sez. II-ter,
sentenza 22.12.2008 n. 12218 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Il diritto di accesso è
finalizzato a consentire la conoscenza degli
atti materialmente esistenti negli archivi
dell'amministrazione e non comporta
l'obbligo di porre in essere un'attività di
elaborazione o rielaborazione o ricerca.
La giurisprudenza ha chiarito che
l’esclusione del diritto di accesso
affermato dall'art. 24, comma 1, lett. c)
della legge 07.08.1990, n. 241, deve essere
interpretato nel senso che tale divieto
risulta limitato ai soli atti preparatori
dei procedimenti tributari ed opera fino a
che non sia intervenuto il provvedimento
conclusivo, costituito dall'avviso di
accertamento e dal ruolo (Cons. St., Sez. VI,
02.04.1998, n. 426; TAR Puglia, Sez. I,
22.10.1994, n. 1143; TAR Lazio, Sez. II,
09.05.1995, n. 819).
Va richiamato
il costante orientamento giurisprudenziale
per cui il diritto di accesso è finalizzato
a consentire la conoscenza degli atti
materialmente esistenti negli archivi
dell'Amministrazione e non comporta
l'obbligo di porre in essere un'attività di
elaborazione o rielaborazione o ricerca,
principio da ultimo codificato dall'art. 2,
comma 2, del D.P.R. n. 184 del 2006 (v., tra
le altre, TAR Sardegna 16.10.2006 n. 654;
C.ST., n. 3271/2004), sicché la tutela del
diritto all'informazione ed alla conoscenza
degli atti detenuti dalla pubblica
Amministrazione non può dilatarsi al punto
di richiedere un vero e proprio facere,
consistendo l'accesso in un pati,
ossia nel lasciar prendere visione ed
estrarre copia, o al più in un facere
meramente strumentale, vale a dire in quel
minimo di attività materiale che occorre per
reperire i documenti indicati e metterli a
disposizione dell'interessato
(TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. II,
sentenza 18.12.2008 n. 4656 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Immissioni rumorose,
intollerabilità, obbligo risarcitorio,
sussistenza, danni.
Le campane
della parrocchia che suonano troppo spesso
possono provocare danni non patrimoniali
risarcibili, del tipo biologico, morale e da
lesioni di diritti di rilievo costituzionale
(Tribunale di Chiavari,
sentenza 09.08.2008 n. 373 - link
a www.altalex.com). |
EDILIZIA PRIVATA:
Condono di opere abusive
insistenti su area demaniale, diniego,
legittimità.
In tema di
istanza di sanatoria straordinaria di opere
edilizie su aree demaniali, l'art. 35, c. 5,
L. 47/1985 subordina il condono edilizio in
tali aree "anche" alla disponibilità
dell'ente proprietario delle aree medesime e
non "in alternativa" alla disponibilità
delle Amministrazioni comunali e di quelle
proposte alla tutela del vincolo ambientale,
per cui il doppio parere è necessario per
rilasciare il condono ma è sufficiente un
solo parere negativo per respingerlo.
E’, pertanto, carente di interesse a
ricorrere l’invocazione del parere della
Autorità proprietaria dell’area sulla quale
insiste il bene che si intende sanare e per
il quale v’è già il parere negativo
dell’Amministrazione comunale
(TAR Toscana, Sez. III,
sentenza 06.02.2008 n. 102 - link
a www.altalex.com). |
EDILIZIA PRIVATA: Sulla
necessità di riadottare l'ordine di
demolizione di opere abusive.
Qualora si
presenti istanza di sanatoria, anche ai
sensi dell’art. 13 della legge n. 47 del
1985, la stessa fa conseguire l’automatico
venir meno della pregressa ingiunzione di
demolizione e, in caso di rigetto
dell’istanza, necessita adottare una nuova
diffida a demolire dell'opera abusiva (v.,
tra le altre, TAR Sicilia, Palermo, Sez. III,
25.09.2006 n. 1947)
(TAR Parma,
sentenza 13.12.2007 n. 620 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Sulla
mancata
notifica dell’atto di accertamento della
inottemperanza all’ordine di demolizione e
sulla acquisizione al patrimonio comunale di
opere abusive.
Secondo
costante giurisprudenza (fra le tante, TAR
Campania, Sez. IV, 25.05.2001, n. 2340,
11.12.2002, n. 7994, 30.06.2003, n. 7903),
la presentazione dell'istanza di sanatoria
edilizia ex art. 13 L. n. 47/1985 (ora, art.
36 D.P.R. n. 380/2001), anteriormente alla
impugnazione dell'ordinanza di demolizione
(o del provvedimento di irrogazione delle
altre sanzioni per abusi edilizi) produce
l'effetto di rendere inammissibile
l'impugnazione stessa, per carenza di
interesse, in quanto dall’istanza consegue
la perdita di efficacia di tale ordinanza ed
il riesame dell'abusività dell'opera, sia
pure al fine di verificarne la eventuale
sanabilità, provocato dall'istanza di
sanatoria, comporta la necessaria formazione
di un nuovo provvedimento, esplicito od
implicito (di accoglimento o di rigetto),
che vale comunque a superare il
provvedimento sanzionatorio oggetto
dell'impugnativa (cfr., altresì, Cons.
Stato, sez. V, 21.04.1997, n. 3563; sez. IV,
11.12.1997, n. 1377; C.G.A. 27.05.1997, n.
187; TAR Toscana, sez. III, 18.12.2001, n.
2024; TAR Puglia, Bari, sez. II, 11.01.2002,
n. 154; TAR Campania, sez. III, 02.03.2004,
n. 2579; TAR Sicilia, sez. II, 16.03.2004,
n. 499).
Pertanto, il ricorso giurisdizionale avverso
un provvedimento sanzionatorio proposto
successivamente all'istanza di concessione
in sanatoria, è inammissibile per carenza di
interesse, “spostandosi” l'interesse del
responsabile dell'abuso edilizio
dall'annullamento del provvedimento
sanzionatorio già adottato, all'eventuale
annullamento del provvedimento (esplicito o
implicito) di rigetto (TAR Sicilia, Catania,
Sez. II, 16.03.1991, n. 67, Palermo, Sez. II,
27.03.2002, n. 826; TAR Campania, Sez. IV,
24.09.2002, n. 5559), in seguito al quale
l’Amministrazione è tenuta ad emanare una
nuova misura sanzionatoria, con
l’assegnazione, in tal caso, di un nuovo
termine per adempiere (in tal senso, TAR
Lazio, sez. II, 17.01.2001, n. 230; TAR
Sicilia, Catania, Sez. I, 12.12.2001, n.
2424; TAR Campania, sez. IV, 26.07.2002, n.
4399).
Come è noto, la
mancata notifica dell’atto di accertamento
della inottemperanza all’ordine di
demolizione, pur non determinando
l'illegittimità di tale atto, produce
l'impossibilità di adottare la successiva
ordinanza di acquisizione al patrimonio
comunale, e l'impossibilità di disporre tale
acquisizione prima che sia decorso il detto
termine; quindi, in relazione alla mancata
notifica al ricorrente dell’atto di
accertamento della inottemperanza deve
ritenersi illegittimo il provvedimento di
acquisizione delle opere abusive e dell'area
di sedime (TAR Veneto n. 478 del 30.03.1996;
TAR Campania, Napoli, sez. IV, 28.04.2003,
n. 4175)
(TAR Sicilia-Palermo, Sez. III,
sentenza 25.09.2006 n. 1947 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
Comune non ha alcun obbligo di comunicare ai
proprietari confinanti l’avvio del
procedimento di rilascio della concessione
edilizia.
La giurisprudenza ha chiarito che anche nel
caso in cui l’opera assentita abbia già
formato oggetto di precedenti contestazioni
fra le parti, il Comune non ha alcun obbligo
di comunicare ai proprietari confinanti
l’avvio del procedimento di concessione
edilizia.
I confinanti subiscono infatti da tale
provvedimento meri effetti riflessi e, pur
essendo legittimati ad impugnarlo, non
possono considerarsene destinatari in senso
tecnico, per cui non hanno appunto diritto a
ricevere la comunicazione di avvio del
relativo procedimento (TAR Campania–Napoli,
23.07.1998, n. 2477; TAR Calabria–Reggio
Calabria, 08.06.2000, n. 850)
(TAR Piemonte, Sez. I,
sentenza 18.10.2004 n. 2506 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
dossier SANATORIA GIURISPRUDENZIALE
(abusi edilizi) |
EDILIZIA PRIVATA: L'accertamento
di conformità previsto dall'art. 13, l.
28.02.1985 n. 47 (ora, art. 36, d.P.R. n.
380 del 2001), è diretto a sanare -a regime-
le opere solo formalmente abusive, in quanto
eseguite senza concessione o autorizzazione,
ma conformi nella sostanza alla disciplina
urbanistica applicabile per l'area su cui
sorgono, vigente sia al momento della loro
realizzazione che al momento della
presentazione dell'istanza di sanatoria.
Parte della giurisprudenza si è sforzata di
mitigare gli effetti della rigorosa
applicazione della normativa in questione
(art. 13 L. 47/1985 per come reintrodotto
dall’art. 36 DPR 380/2001), costruendo la
cosiddetta sanatoria giurisprudenziale, la
quale ammette la sanabilità di un'opera,
anche se abusivamente realizzata, qualora ne
risulti la conformità alla disciplina
urbanistica vigente al momento del rilascio
del titolo abilitativo (e addirittura anche
solamente a quelle applicabili al momento
della presentazione dell'istanza: C.d.S.,
Sez. V, 19.04.2005, n. 1796), rinvenendo
tale orientamento la sua ratio nell'esigenza
di non imporre la demolizione di un'opera
prima di ottenere la concessione per
realizzarla nuovamente (cfr.: TAR
Abruzzo-Pescara, 11.05.2007, n. 534); così
opinando, sostanzialmente si supera e si
svuota di significato la previsione della
doppia conformità delle opere che si intende
sanare agli strumenti urbanistici vigenti
all’epoca della realizzazione ed al’epoca
della domanda di sanatoria. Tuttavia, il
collegio ritiene preferibile l’orientamento
che –criticando l’impostazione della
sanatoria giurisprudenziale– riafferma le
molte buone ragioni che militano in favore
della necessità della doppia conformità.
Premesso che l'accertamento di conformità
previsto dall'art. 13, l. 28.02.1985 n. 47
(ora, art. 36, d.P.R. n. 380 del 2001), è
diretto a sanare -a regime- le opere solo
formalmente abusive, in quanto eseguite
senza concessione o autorizzazione, ma
conformi nella sostanza alla disciplina
urbanistica applicabile per l'area su cui
sorgono, vigente sia al momento della loro
realizzazione che al momento della
presentazione dell'istanza di sanatoria
(cfr.: TAR Campania-Napoli, sez. IV,
21.03.2008, n. 1460; TAR Emilia Romagna
Parma, 13.12.2007, n. 620), si osserva che
le pur apparentemente forti ragioni invocate
a sostegno della tesi contraria a quella qui
seguita sono in realtà tutte superabili.
Denominatore comune delle argomentazioni
solitamente addotte in favore della c.d.
sanatoria giurisprudenziale è costituito
dalla pretesa esigenza di ispirare
l’esercizio del potere di controllo
sull’attività edificatoria dei privati al
buon andamento della p.a., canone
costituzionale (art. 97 della Carta) che
imporrebbe, in sede di accertamento di
conformità ex art. 13 della l. n. 47/1985
(ed ora art. 36 del d.P.R. n. 380/2001), di
accogliere l'istanza di sanatoria per quei
manufatti che potrebbero ben essere
realizzati sulla base della disciplina
urbanistica attualmente vigente, ancorché
non conformi alla disciplina vigente al
momento della loro realizzazione. Si
eviterebbe, così, uno spreco di attività
inutili, sia dell'amministrazione (il
successivo procedimento amministrativo
preordinato alla demolizione dell'opera
abusiva), sia del privato (la nuova
edificazione), sia ancora
dell'amministrazione (il rilascio del titolo
per la nuova edificazione).
A ben guardare, invece, quella sorta di
antinomia che si vorrebbe creare con
l'affermazione della cd. sanatoria
giurisprudenziale -e quindi con il
sostanziale ripudio dell'esigenza della
doppia conformità, ad onta della sua
esplicita previsione negli artt. 13 e 36
citati- tra i principi di legalità e di buon
andamento della P.A., con assegnazione della
prevalenza a quest'ultimo, in nome di una
presunta logica "efficientista", risulta
artificiosa (cfr.: TAR Lombardia-Milano,
sez. II, 09.06.2006 , n. 1352).
Va innanzitutto osservato che l'agire della
pubblica amministrazione deve essere in ogni
sua fase retto dal principio di legalità,
inteso quale regola fondamentale cui è
informata l'attività amministrativa (cfr.
l’appena citata decisione del Tar Milano, ed
ivi ulteriore ragguaglio giurisprudenziale)
e che trova un fondamento positivo in varie
disposizioni costituzionali (artt. 23, 97,
24, 101 e 113 Cost.). In altri termini,
lungi dall’esservi antinomia fra efficienza
e legalità, non può esservi rispetto del
buon andamento della p.a., ex art. 97 Cost.,
se non vi è nel contempo rispetto del
principio di legalità.
Il punto di equilibrio fra efficienza e
legalità, è stato, nella specifica materia
in questione, individuato dal legislatore
nel consentire –come già detto– la sanatoria
dei c.d. abusi formali, sottraendo alla
demolizione le opere che risultino
rispettose della disciplina sostanziale
sull'utilizzo del territorio, e non solo di
quella vigente al momento dell'istanza di
sanatoria, ma anche di quella vigente
all'epoca della loro realizzazione (e ciò
costituisce applicazione del principio di
legalità), e quindi evitando un sacrificio
degli interessi dei privati che abbiano
violato soltanto le norme che disciplinano
il procedimento da osservare nell’attività
edificatoria (e ciò in applicazione dei
principi di efficienza e buon andamento, che
sarebbero violati ove agli aspetti solo
formali si desse un peso preponderante
rispetto a quelli del rispetto sostanziale
delle norme generali e locali in materia di
uso del territorio).
La vera insanabile contraddizione starebbe,
da un lato nell’imporre alle autorità
comunali di reprimere e sanzionare gli abusi
edilizi, dall'altro consentire violazioni
sostanziali della normativa del settore,
quali rimangono -sul piano urbanistico-
quelle conseguenti ad opere per cui non
esista la cd. doppia conformità, dovendosi
aver riguardo al momento della realizzazione
dell'opera per valutare la sussistenza
dell'abuso (cfr. la già richiamata sentenza
del Tar Milano n. 1352/2006).
Ciò in quanto sarebbe davvero contrario al
buon andamento ammettere che
l'amministrazione, una volta posta la
disciplina sull'uso del territorio, di
fronte ad interventi difformi dalla stessa
sia indotta -anziché a provvedere a
sanzionarli- a modificare la disciplina
stessa. Si finirebbe così per incoraggiare,
anziché impedire, gli abusi, perché ogni
interessato si sentirebbe incitato alla
realizzazione di manufatti difformi,
contando sulla loro acquisizione di
conformità ex post, a mezzo di modifiche
della disciplina del settore.
Va inoltre tenuto nel debito conto che la
sanabilità degli abusi sostanziali è
ottenibile non attraverso lo strumento
dell'accertamento di conformità ex artt. 13
e 36 cit., ma tramite il diverso istituto
giuridico del condono (TAR Puglia, Lecce, n.
1007 del 1990; TAR Milano, n. 1352/2006, cit..)
e nei limiti, in specie temporali, in cui
quest'ultimo è applicabile alla fattispecie
concreta considerata.
Infine, la sanatoria giurisprudenziale non
ha trovato conferma –come spesso accade con
gli istituti di creazione pretoria– nella
recente legislazione, ché, anzi, la doppia
conformità continua ad essere esplicitamente
richiesta dall'art. 36 del d.P.R. n.
380/2001. In ordine a questo rilevante
aspetto della questione è stato osservato
che il mancato recepimento nell’art. 36 t.u.
dell'edilizia (nonostante l'auspicio in tal
senso espresso nel parere del 29.03.2001
della Adunanza generale del Consiglio di
Stato - dell'orientamento affermatosi nel
vigore dell'art. 13 l. 28.02.1985 n. 47 e
che viene denominato “sanatoria
giurisprudenziale”) impedisce che
l’applicazione delle disposizioni che
consentono la sanatoria degli abusi,
prevedendo un provvedimento tipico oggetto
di una disciplina puntuale ed esaustiva
nell'art. 36 t.u. dell'edilizia, subisca
ampliamenti in via interpretativa, e che in
particolare si superi la c.d. doppia
conformità (cfr.: Consiglio Stato , sez. IV,
26.06.2006 , n. 2306) (TAR
Sicilia-Catania, Sez. I,
sentenza 09.01.2009 n. 5 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
sanatoria ex art. 13 l. 47/1985 (ora art. 36
dpr 380/2001) richiede la necessaria doppia
conformità.
L’art. 13 della
legge n. 47 del 1985 riguarda esclusivamente
le opere edilizie abusive in senso formale
ma nella sostanza compatibili con la
disciplina urbanistica della zona, sì da
richiedere la c.d. «doppia conformità»,
ossia che la verifica della conformità sia
fatta con riferimento tanto alla disciplina
vigente al momento dell’abuso, quanto a
quella vigente al momento della
presentazione della domanda di sanatoria
(v., ex multis, TAR Emilia-Romagna, Bologna,
Sez. II, 25.09.2001 n. 698)
(TAR Parma,
sentenza 13.12.2007 n. 620 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L’art.
13 della legge n. 47 del 1985 (trasfuso
nell’art. 36 del testo unico n. 380 del
2001) consente l’accoglimento di domande di
accertamento di conformità solo in presenza
della cd. duplice conformità: le opere
abusive possono essere oggetto di
accoglimento dell’istanza solo quando esse
risultino non solo conformi allo strumento
urbanistico vigente alla data di emanazione
dell’atto che esamina l’istanza, ma anche
conformi allo strumento urbanistico vigente
alla data in cui sono commessi gli abusi.
Ritiene la
Sezione che l’art. 13 della legge n. 47 del
1985 consente l’accoglimento di domande di
accertamento di conformità solo in presenza
della cd. duplice conformità: le opere
abusive possono essere oggetto di
accoglimento dell’istanza solo quando esse
risultino non solo conformi allo strumento
urbanistico vigente alla data di emanazione
dell’atto che esamina l’istanza, ma anche
conformi allo strumento urbanistico vigente
alla data in cui sono commessi gli abusi
(cfr. Sez. IV, 26.04.2006, n. 2306).
L’art. 13 –in quanto norma derogatoria al
principio per il quale i lavori realizzati
sine titulo sono sottoposti alle
prescritte misure ripristinatorie e
sanzionatorie– non è suscettibile di
applicazione analogica, né di una
interpretazione riduttiva, secondo cui – in
contrasto col suo tenore letterale –
basterebbe la conformità delle opere col
piano regolatore vigente al momento in cui
sia definita l’istanza di sanatoria.
Contrariamente a quanto dedotto
dall’appellante, la regola sancita dall’art.
13 (trasfuso nell’art. 36 del testo unico n.
380 del 2001) non risulta in contrasto con i
principi costituzionali del buon andamento e
sulla pianificazione urbanistica.
Infatti, in attuazione del principio di
legalità e per evitare che i consigli
comunali possano subire condizionamenti e
pressioni da parte di chi abbia realizzato
opere abusive, il legislatore ha
radicalmente precluso che il costruttore di
opere abusive possa avvalersi delle
sopravvenute modifiche dello strumento
urbanistico, anche se le opere realizzate
sine titulo di per sé risultino conformi
allo strumento sopravvenuto.
Vanno dunque respinte le censure secondo cui
l’accertamento di conformità potrebbe essere
disposto in presenza della conformità al
solo strumento urbanistico vigente (pur se
in contrasto con quello vigente al momento
della realizzazione dell’abuso), così come
vanno dichiarate manifestamente infondate le
relative censure di incostituzionalità
dell’art. 13
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 17.09.2007 n. 4838 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La
giurisprudenza ha ammesso la c.d. sanatoria
giurisprudenziale, ritenuta non in contrasto
con l’art. 13 l. 47/1985 quando l’opera
abusiva risulti comunque conforme alle norme
urbanistiche vigenti al momento del rilascio
dell’atto di sanatoria, risiedendo la ratio
di siffatto orientamento nell’esigenza di
evitare che sia demolita una costruzione per
la quale può essere rilasciato
successivamente il titolo abilitativo.
Vero è che
l’art. 13 della L. 47/1985 esige la doppia
conformità dell’opera abusiva, alla
disciplina cioè vigente al momento della
realizzazione dell’abuso e a quella vigente
al momento della sanatoria, ma è altresì
vero che la giurisprudenza ha ammesso la
c.d. sanatoria giurisprudenziale, ritenuta
non in contrasto con l’art. 13 citato,
quando l’opera abusiva risulti comunque
conforme alle norme urbanistiche vigenti al
momento del rilascio dell’atto di sanatoria,
risiedendo la ratio di siffatto
orientamento nell’esigenza di evitare che
sia demolita una costruzione per la quale
può essere rilasciato successivamente il
titolo abilitativo (C.S., sez. V,
21.10.2003, n. 6498; 13.02.1995, n. 238)
(TAR
Abruzzo-Pescara,
sentenza 30.05.2007 n. 583 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Con l’istituto
del cd. accertamento di conformità, nella
disciplina sia dell’art. 13 della l. n.
47/1985, sia dell’art. 36 del d.P.R. n.
380/2001, il Legislatore ha inteso
consentire la sanatoria dei soli abusi
formali, cioè di quelle opere che, pur
difformi dal titolo (od eseguite senza alcun
titolo), risultino rispettose della
disciplina sostanziale sull’utilizzo del
territorio, e non solo di quella vigente al
momento dell’istanza di sanatoria, ma anche
di quella vigente all’epoca della loro
realizzazione.
Facendo applicazione dei principi
che hanno portato all’elaborazione della cd.
sanatoria giurisprudenziale, il ricorrente
afferma l’irrilevanza dell’eventuale non
conformità urbanistica dell’opera al momento
della sua ultimazione ai fini del rilascio
della sanatoria, in quanto la sanabilità
della predetta opera dipenderebbe solo dalla
conformità della stessa alla normativa
vigente e quindi, alle norme applicabili al
momento in cui l’Amministrazione provvede
sull’istanza di sanatoria (od anche
solamente a quelle applicabili al momento
della presentazione dell’istanza: C.d.S.,
Sez. V, 19.04.2005, n. 1796). Ciò, al fine
di evitare il paradosso che si addivenga
alla demolizione di un’opera, in quanto
abusiva, salvo riconoscere contestualmente
la nuova realizzabilità della medesima
opera, perché conforme alla disciplina
urbanistica attualmente vigente.
In questo senso, quindi, la regola della
sanabilità di tutte le opere conformi alle
prescrizioni urbanistiche in vigore alla
data di adozione del provvedimento sanante,
con la possibilità, in base a tale regola,
di sanare alla predetta condizione non solo
abusi formali, ma anche abusi sostanziali,
troverebbe conferma nel canone ermeneutico
della non contraddittorietà, per il quale la
P.A. non può denegare diritti e facoltà che
essa stessa ha riconosciuto attraverso gli
strumenti di pianificazione vigenti al
momento della pronuncia di diniego.
La succitata regola sarebbe, altresì,
rispettosa del principio di efficienza e
buon andamento dell’Amministrazione (art. 97
Cost.), che imporrebbe di evitare la
rimozione di opere nella sostanza legittime
e per le quali si potrebbe subito dopo
consentire l’edificazione.
Infine la cd. sanatoria giurisprudenziale si
giustificherebbe perché, ad opinare
diversamente, si dovrebbe configurare un
dovere dell’Amministrazione di negare la
sanatoria ai manufatti od alle varianti in
corso d’opera, pur se sostanzialmente
legittimi, ove edificati in vigenza di
previsioni ostative.
Queste essendo le argomentazioni esposte dal
ricorrente a sostegno della tesi della
sanabilità delle opere per le quali la
conformità urbanistica sussista solo al
tempo del provvedimento sull’istanza di
sanatoria (o alla data di proposizione
dell’istanza), osserva il Collegio come
siffatte argomentazioni, ancorché ben
sviluppate e non prive di un certo rilievo,
non possano essere condivise.
Sul punto il Collegio è ben consapevole
dell’esistenza di un indirizzo
giurisprudenziale, che, sebbene minoritario,
ha trovato sporadico accoglimento pure nel
Consiglio di Stato, nonché nell’ordinanza
cautelare emessa nel presente giudizio,
favorevole all’affermazione della cd.
sanatoria giurisprudenziale.
Ciò, in nome essenzialmente di una pretesa
esigenza di conformità al buon andamento
della P.A., canone costituzionale che
imporrebbe, in sede di accertamento di
conformità ex art. 13 della l. n.
47/1985 (ed ora art. 36 del d.P.R. n.
380/2001), di accogliere l’istanza di
sanatoria per dei manufatti che potrebbero
ben essere realizzati sulla base della
disciplina urbanistica attualmente vigente,
ancorché non conformi alla disciplina
vigente al momento della loro realizzazione.
Si eviterebbe, così, uno spreco di attività
inutili, sia dell’Amministrazione (il
successivo procedimento amministrativo
preordinato alla demolizione dell’opera
abusiva), sia del privato (la nuova
edificazione), sia ancora
dell’Amministrazione (il rilascio del titolo
per la nuova edificazione).
In contrario, ritiene tuttavia il Collegio
che quella sorta di antinomia che si
vorrebbe creare con l’affermazione della cd.
sanatoria giurisprudenziale –e, quindi, con
il sostanziale ripudio dell’esigenza della
doppia conformità, ad onta della sua
esplicita previsione negli artt. 13 e 36
citati– tra i principi di legalità e di buon
andamento della P.A., con assegnazione della
prevalenza a quest’ultimo, in nome di una
presunta logica “efficientista”, sia
artificiosa e per niente affatto
condivisibile.
Ciò, in quanto, a ben vedere, costituisce
affermazione consolidata quella per cui
l’agire della Pubblica Amministrazione deve
essere in ogni sua fase retto dal principio
di legalità, inteso quale regola
fondamentale cui è informata l’attività
amministrativa (cfr., ex plurimis,
C.d.S., Sez. V, 23.03.2004, n. 1553) e che
trova un fondamento positivo in varie
disposizioni costituzionali (artt. 23, 97,
24, 101 e 113 Cost.).
Se ne deduce che pretendere di instaurare,
come fa il ricorrente, un’antinomia tra
l’esigenza di legalità e quella di buon
andamento, con recessività della prima, è
profondamente erroneo perché trascura che la
lettura del buon andamento conforme al
dettato costituzionale è quella che coniuga
al tempo stesso buon andamento e legalità, e
che perciò legge il primo alla luce della
seconda, con il corollario che non può
esservi rispetto del buon andamento della
P.A., ex art. 97 Cost., se non vi è
nel contempo rispetto del principio di
legalità.
Facendo applicazione delle ora viste
conclusioni al caso di specie, si deve,
pertanto, ritenere che con l’istituto del
cd. accertamento di conformità, nella
disciplina sia dell’art. 13 della l. n.
47/1985, sia dell’art. 36 del d.P.R. n.
380/2001, il Legislatore abbia inteso
consentire la sanatoria dei soli abusi
formali, cioè di quelle opere che, pur
difformi dal titolo (od eseguite senza alcun
titolo), risultino rispettose della
disciplina sostanziale sull’utilizzo del
territorio, e non solo di quella vigente al
momento dell’istanza di sanatoria, ma anche
di quella vigente all’epoca della loro
realizzazione (cfr., ex plurimis, TAR
Campania, Napoli, Sez. VI, 09.09.2004, n.
11896; TAR Liguria, Sez. I, 17.05.2005, n.
670).
La sanabilità dell’intervento,
in altri termini, presuppone necessariamente che non sia
stata commessa alcuna violazione di tipo sostanziale, in
presenza della quale, invece, non potrà non scattare la
potestà sanzionatorio–repressiva degli abusi edilizi
prevista dagli artt. 27 e ss. del d.P.R. n. 380/2001.
Anzi, proprio la doverosità
dell’esercizio di siffatta potestà, costantemente affermata
dalla giurisprudenza (cfr. TAR Lazio, Latina, 27.06.2005, n.
568; C.d.S., Sez. V, 06.05.1995, n. 721), rafforza quanto
appena detto circa la sanabilità, attraverso gli artt. 13 e
36 ss., delle sole violazioni formali.
Non può ammettersi, infatti, a
pena di introdurre una contraddizione all’interno dello
stesso corpus legislativo, che il Legislatore da un
lato imponga all’Amministrazione di reprimere e sanzionare
gli abusi edilizi, dall’altro che acconsenta a violazioni
sostanziali della normativa del settore, quali rimangono
–sul piano urbanistico– quelle conseguenti ad opere per cui
non esista la cd. doppia conformità, dovendosi aver riguardo
al momento della realizzazione dell’opera per valutare la
sussistenza dell’abuso.
Tutto ciò, senza considerare
che non si riesce a capire quale nozione del buon andamento
sia quella, alla stregua della quale l’Amministrazione, una
volta posta la disciplina sull’uso del territorio, di fronte
ad interventi difformi dalla stessa, anziché provvedere a
sanzionarli, sia indotta a modificare la disciplina stessa.
È evidente che un tale comportamento finirebbe per
incoraggiare, anziché impedire, gli abusi, perché ogni
interessato si sentirebbe incitato alla realizzazione di
manufatti difformi, contando sulla loro acquisizione di
conformità ex post, a mezzo di modifiche della
disciplina del settore. Con il che, se ne desume, verrebbe
frustrata in toto la potestà sanzionatorio–repressiva
degli abusi edilizi, in contrasto con la doverosità della
stessa poc’anzi ricordata, nella sua valenza strumentale al
fine di coadiuvare, dal lato, appunto, sanzionatorio,
l’ordinato sviluppo del territorio, perseguito
dall’Amministrazione comunale attraverso gli strumenti di
pianificazione.
Né in contrario può
ribattersi argomentando dall’incongruenza della
demolizione di opere di cui dovrebbe poi essere ammessa la
ricostruzione, giacché un tal rilievo non tiene conto che la
potestà sanzionatoria degli abusi edilizi dà luogo a
procedimenti amministrativi autonomi, pur se strettamente
connessi a quello del rilascio del permesso in sanatoria.
Su questa base, ritiene pertanto il Collegio
di aderire a quell’indirizzo giurisprudenziale, per il quale
la sanatoria di un’opera difforme dallo strumento
urbanistico vigente al momento della sua esecuzione
rappresenterebbe una forzatura inaccettabile della
disciplina in materia di accertamento di conformità (nonché
dei principi dell’ordinamento in tema di sanatoria di
attività illecite in generale), senza che questo pregiudichi
le autonome determinazioni che l’Amministrazione decida poi
di adottare nell’esplicazione dell’attività sanzionatoria
riferita all’abuso (TAR
Piemonte, Sez. I, 20.04.2005. n. 1094).
A favore della
tesi della cd. doppia conformità militano anche ulteriori
argomenti, di natura sia sostanziale che formale.
Ed infatti, considerata
l’opera difforme dalla normativa urbanistica in vigore al
tempo della sua realizzazione come abuso edilizio
sostanziale (TAR
Puglia, Lecce, 26.11.1990, n. 1007), se ne deduce che la
sanabilità della stessa è ottenibile non attraverso lo
strumento dell’accertamento di conformità ex artt. 13
e 36 cit., ma tramite il diverso istituto giuridico del
condono (TAR Puglia, Lecce, n. 1007 del 1990 cit.) e nei
limiti, in specie temporali, in cui quest’ultimo è
applicabile alla fattispecie concreta considerata.
Ciò,
tenendo altresì conto del fatto che, ai fini penali, lo
speciale meccanismo di estinzione del reato previsto per
l’accertamento di conformità (art. 22, ult. comma della l.
n. 47/1985) opera diversamente da quanto stabilito per la
procedura di condono, giacché non si fonda sul pagamento di
una somma di denaro a titolo di oblazione, ma sull’effettivo
rilascio della concessione sanante (Cass. pen., Sez. III,
29.01.1998, n. 3209).
Né può trascurarsi che
l’assoggettamento al medesimo trattamento, anche
sanzionatorio, dei casi di abuso edilizio cd. formale e di
quelli di abuso cd. sostanziale, ingenererebbe dubbi di
legittimità costituzionale: si pensi alle perplessità
sollevate sul punto, nel vigore del regime introdotto dalla
l. n. 10/1977, dalla giurisprudenza di merito (cfr. Pret.
Rivarolo Canavese, 03.05.1978 e Pret. Piombino, 16.12.1982).
Tali dubbi resterebbero fermi
anche qualora la suddetta parificazione fosse espressamente
prevista dalla legge. A fortiori si deve dunque
respingere l’idea della parificazione, e quindi la tesi
della cd. sanatoria giurisprudenziale, che la sottende, in
presenza di una disciplina che continua a pretendere
esplicitamente, nell’art. 36 del d.P.R. n. 380/2001, come
già nel testo dell’art. 13 della l. n. 47/1985, ai fini
della sanabilità del manufatto, la conformità di esso anche
alla normativa vigente alla data della sua realizzazione,
oltre che a quella in vigore al tempo della proposizione
dell’istanza, mostrando di recepire la cd. doppia
conformità.
Dunque, la tesi della cd.
doppia conformità risulta quella corretta anche sotto il
mero aspetto letterale (TAR Piemonte, n. 1094 del 2005
cit.).
Anzi, da questo punto di vista,
appare condivisibile l’osservazione della difesa del Comune,
secondo la quale il Legislatore delegato, nell’elaborare il
testo dell’art. 36 cit., non ha potuto in alcun modo
recepire la cd. sanatoria giurisprudenziale, in ragione dei
limiti derivantigli dalla delega legislativa (art. 7 della
l. n. 50/1999), che non consentivano modifiche della
normativa esistente se non nelle ipotesi di univoci
indirizzi giurisprudenziali assurti a vero e proprio
“diritto vivente” (così la previsione di un mero “coordinamento
formale del testo delle disposizioni vigenti”, ex
art. 7, comma 2, lett. d), della l. n. 50 cit., come
interpretata dall’Adunanza Generale del Consiglio di Stato).
Anche per tal via, quindi, la cd. sanatoria
giurisprudenziale si deve considerare tuttora al di fuori
del diritto positivo.
Da ultimo, nessun rilievo può
assumere l’argumentum a contrario utilizzato dal
ricorrente, per cui la cd. doppia conformità porterebbe ad
affermare il dovere dell’Amministrazione di negare la
sanatoria alle varianti in corso d’opera, qualora realizzate
in vigenza di previsioni ostative.
A parte che, proprio perché
eseguiti in difformità dalle norme vigenti, per tali
interventi non si potrebbe mai parlare, come fa il
ricorrente, di “sostanziale legittimità”, resta il fatto che
le varianti in corso d’opera trovano applicazione, ex
art. 15 della l. n. 47/1985 (v. ora l’art. 22, comma 2, del
d.P.R. n. 380/2001), solamente in caso di conformità delle
opere difformi agli strumenti urbanistici vigenti e purché
le modificazioni introdotte rispetto alla concessione
originaria siano di consistenza limitata (TAR Liguria, Sez.
I, 03.06.2005, n. 851), dunque con riguardo a fattispecie
diverse da quella in esame (TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 09.06.2006 n. 1352 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
E' inutile fa demolire
un'opera abusiva che sia conforme alla
normativa vigente all'atto di presentazione
della istanza di sanatoria e non anche a
quella vigente al momento di realizzazione
dell'abuso.
Non vi è
ragione di far demolire una
costruzione realizzata abusivamente, ma
conforme alla disciplina vigente, per poi
dover consentire, non potendosi negare la
concessione edilizia per opere conformi alla
normativa urbanistica in vigore, la
edificazione di una costruzione identica a
quella di cui si è ordinata la demolizione.
L’art. 13 della legge n. 47 del 1985, che
richiede la doppia conformità delle opere
realizzate abusivamente e, cioè, che le
stesse siano conformi sia agli strumenti
urbanistici vigenti al momento della loro
realizzazione sia a quelli in vigore al
momento della presentazione della domanda di
sanatoria e che non siano in contrasto con
gli strumenti urbanistici eventualmente
adottati nei due momenti è stato
interpretato dalla giurisprudenza della
Sezione nel senso che la norma non ha voluto
limitare il campo delle opere sanabili alla
loro conformità agli strumenti urbanistici
vigenti al momento del rilascio della
concessione in sanatoria, ma nel senso che
anche opere non più conformi alla normativa
vigente sono ugualmente sanabili se erano
conformi alla normativa in vigore al momento
della presentazione della domanda di
sanatoria.
La norma è stata ritenuta come norma di
salvaguardia contro l’inerzia
dell’amministrazione
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 19.04.2005 n. 1796 -
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EDILIZIA PRIVATA: Sulla
sanatoria giurisprudenziale dei manufatti
abusivi (art. 13 l. n. 47/1985, ora art. 36
dpr. n. 380/2001).
In linea
teorica, la sanatoria degli atti
amministrativi illegittimi, promanante
dal-la stessa Autorità emanante l’atto da
emendare, avente efficacia ex tunc
(salva l’ipotesi dell’incidenza sfavorevole
dell’atto nel campo dei diritti soggettivi
al-trui: cfr. ad es. Cons. St., V,
16.10.1965, n. 1019) e che la migliore
dottrina tradizionalmente limita agli atti
invalidi per mancanza di un presupposto di
legittimità ovvero per il mancato compimento
di un atto del procedimento, deve essere
tenuta distinta dalla sanatoria di attività
illecita, nell’ambito della quale rientra
evidentemente la fattispecie edilizia,
avente ad oggetto un’attività materiale
posta in essere da un soggetto estraneo alla
Pubblica Amministrazione, priva del
necessario titolo abilitativo e con effetti
ex nunc.
A differenza dell'ipotesi di sanatoria
relativa agli atti amministrativi,
riconosciu-ta pacificamente alla stregua di
un istituto generale applicabile astratto,
pur nei limiti individuati, ad alcune
tipologie di atti (proposte, approvazioni,
autorizza-zioni ed accertamenti tecnici),
l’assenza di un analogo approfondimento
teorico e la presenza di singole ipotesi
oggetto di specifica ed espressa disciplina
portano ad escludere lo stesso carattere di
generalità per la sanatoria di attività
illecita.
In termini generali, d’altra parte, ogni
regola imposta legittimamente
dall’ordinamento ed ogni conseguente sistema
sanzionatorio mal si concilierebbero con la
generalizzata previsione della sanabilità
delle attività abusive, poste in essere in
violazione delle regole dettate
dall’ordinamento.
Ciò vale altresì alla luce degli interessi
pubblici ed ai principi sottesi alla tutela
del territorio ed al corretto utilizzo dello
stesso, nonché al fine di evitare
strumentalizzazioni in ordine al corretto
esercizio del primario potere di
pianificazione.
La norma dell’art. 13 L. n. 47/1985
costituisce proprio un’applicazione
specifica ed eccezionale e,
conseguentemente, non estendibile in via
analogica al di fuori dei presupposti dalla
stessa dettati di tale sanatoria di attività
illecite.
Inoltre, si è avuto modo di ricordare come
la medesima disposizione abbia costituito il
meditato e consapevole punto di arrivo di
un’evoluzione normativa e dottrinale che ha
inteso limitare l’applicabilità
dell'istituto in esame alle ipotesi
inquadrabili nella c.d. doppia conformità;
la discrezionalità del Legislatore si è
manifestata, in conformità al principio di
ragionevolezza trattandosi di attività
abusiva, al fine di limitare l’operatività
della sanatoria rispetto a quanto
anteriormente opinato.
La specialità della norma in esame e
l’assenza di un generale ed indistinto
prin-cipio di sanabilità dell’attività
illecita non può tuttavia far dimenticare
quelle che sono le motivazioni sottese
all’orientamento favorevole alla c.d.
sanatoria giurisprudenziale: in particolare,
l’incongruenza derivante dal disporre la
demolizione di opere, di cui viene chiesta
la concessione, per poi farle ricostruire
conformemente alla domanda (Cons. St., V,
13.02.1995, n. 238).
Se è pur vero che potrebbe apparire prima
facie illogico demolire qualcosa che si
potrebbe successivamente costruire ex
novo sulla scorta della nuova
pianificazione, è altrettanto vero che la
contestata demolizione riguarda l’esercizio
della successiva e distinta attività
sanzionatoria, non il procedimento di
rilascio della concessione strettamente
inteso.
Come ormai riconosciuto dalla prevalente
opinione giurisprudenziale, si tratta di due
procedimenti comunque distinti pur se
connessi, tanto è vero che, ad esempio, la
presentazione della domanda di sanatoria
rende improcedibile il ricorso avverso la
sanzione (TAR Sicilia-Palermo, II,
18.12.2001, n. 2102), dovendo il
procedimento relativo a quest’ultima
eventualmente riprendere successivamente al
diniego di concessione (TAR
Calabria-Catanzaro, II, 07.06.2001 n. 912).
Nella medesima direzione la giurisprudenza
ha più volte ribadito la necessità di
esplicare le ragioni sottese alla scelta
della sanzione in rapporto alle
caratteristiche specifiche dell’opera in
contestazione ed al suo inserimento
nell’esistente (TAR Liguria, I, 10.01.2002,
n. 12).
Sulla base di quanto sopra, quindi, se da un
lato non è possibile, né necessario, forzare
una norma espressa o i principi
dell’ordinamento in tema di sanatoria,
dall’altro lato la Pubblica Amministrazione
è comunque titolare di un potere autonomo e
ampiamente discrezionale relativo alla
conseguente e connessa, pur se distinta,
attività sanzionatoria, nell’ambito della
quale si inserisce la conseguenza, nel caso
in esame denunciata come irrazionale, della
demolizione.
Al riguardo, proprio l’autonomia del
procedimento sanzionatorio e l’obbligo di
motivazione connesso costituiscono il
momento in cui l’ordinamento consente di
valutare l’applicazione della sanzione
conforme all’ordinamento, rimettendo
pertanto la concreta individuazione della
sanzione alla determinazione discrezionale
della stessa Amministrazione
(TAR Piemonte, Sez. I,
sentenza 18.10.2004 n. 2506 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La
cosiddetta "sanatoria giurisprudenziale" è
incompatibile con la sopravvenuta disciplina
della sanatoria introdotto dalla legge n. 47
del 1985 che, con il requisito di
ammissibilità della sola doppia conformità
al piano regolatore generale, ammettendo
pertanto la sanatoria soltanto per le opere
realizzate senza concessione ma conformi
alla disciplina vigente sia al momento della
realizzazione del manufatto sia al momento
della richiesta del provvedimento di
sanatoria, ha inteso impedire il rischio di
eventuali pratiche di salvataggio in sede
locale di forme di abusivismo edilizio
mediante modifiche a posteriori dello
strumento urbanistico.
Si richiama il
cosiddetto istituto della "sanatoria
giurisprudenziale" che si avrebbe quando
l'opera è stata realizzata abusivamente ma,
per effetto del mutamento di strumenti
urbanistici, risulta regolare in relazione
alla sopravvenuta disciplina vigente al
momento della richiesta di sanatoria. In
effetti, la tesi del ricorrente richiama
l'orientamento giurisprudenziale minoritario
il quale, tuttavia, non è condiviso da
questo tribunale. Infatti la cosiddetta
"sanatoria giurisprudenziale" è
incompatibile con la sopravvenuta disciplina
della sanatoria introdotto dalla legge n. 47
del 1985 che, con il requisito di
ammissibilità della sola doppia conformità
al piano regolatore generale, ammettendo
pertanto la sanatoria soltanto per le opere
realizzate senza concessione ma conformi
alla disciplina vigente sia al momento della
realizzazione del manufatto sia al momento
della richiesta del provvedimento di
sanatoria, ha inteso impedire il rischio di
eventuali pratiche di salvataggio in sede
locale di forme di abusivismo edilizio
mediante modifiche a posteriori dello
strumento urbanistico (vedi TAR Bologna,
sez. II, n. 194 del 2002; n. 1833 del 2002;
n. 1058 del 2003).
Infatti, tale figura di sanatoria
"giurisprudenziale" sembrava configurabile
nella normativa previgente che, al
dodicesimo comma dell'articolo 15 della
legge n. 10 del 1977 si limitava, secondo
l'opinione dominante, a liberalizzare alcune
varianti di importanza secondaria a progetti
edilizia assentiti, senza disciplinare la
complessiva problematica della sanatoria
amministrativa di interventi abusivi, la
quale, pertanto, veniva ritenuta possibile,
dalla giurisprudenza, in caso di conformità
con gli strumenti urbanistici vigenti al
momento della pronuncia sulla domanda di
sanatoria e ciò al fine di evitare inutili
distruzioni di ricchezza. Invece, al
contrario, come sopra evidenziato, la legge
n. 47 del 1985 ha predisposto una disciplina
esaustiva e puntuale delle ipotesi
sanatoria, anche ai fini amministrativi, non
lasciando alcun margine interpretativo per
consentire la sopravvivenza della sanatoria
"cosiddetta giurisprudenziale". Infatti, la
concessione in sanatoria è un provvedimento
tipico, che elimina l'antigiuridicità
dell'abuso, estinguendo il reato ed il
potere repressivo dell'amministrazione, per
cui la sua applicazione ed i suoi limiti non
possono che essere specificamente
disciplinati dalla normativa. Né appare
possibile l'esercizio, da parte
dell'amministrazione, di un potere di
sanatoria che vada oltre i limiti imposti
dal legislatore, anche perché non sarebbe
ammissibile una interpretazione finalizzata
alla protezione di interessi privati
scaturenti da comportamenti antigiuridici,
che permetterebbe, oltretutto, la
possibilità di usufruire delle modifiche
della regolamentazione urbanistica idonee a
legittimare l’edificazione abusiva
addirittura fino all'esecuzione della
definitiva sanzione della demolizione
(TAR
Emilia Romagna-Bologna, Sez. II,
sentenza 15.01.2004 n. 16 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Non
v'è nessuna ragione di ritenere che
l’ordinamento imponga di demolire un’opera
prima di ottenere la concessione per
realizzarla nuovamente; sicché, un opera
abusiva conforme allo strumento urbanistico
all'atto di presentazione della relativa
istanza può essere sanata.
Il Collegio non
può che confermare i propri precedenti
secondo cui gli articoli 13 e 15 della legge
28.02.1985 n. 47, i quali richiedono, per la
sanatoria rispettivamente delle opere
eseguite senza concessione e delle varianti
non autorizzate, che l’opera sia conforme
tanto alla normativa urbanistica vigente al
momento della realizzazione dell’opera
quanto a quella vigente al momento della
domanda di sanatoria, sono disposizioni
contro l’inerzia dell’amministrazione, e
significano che, se sussiste la doppia
conformità, a colui che ha richiesto la
sanatoria non può essere opposta una
modificazione della normativa urbanistica
successiva alla presentazione della domanda.
Tale regola non preclude il diritto ad
ottenere la concessione in sanatoria di
opere che, realizzate senza concessione o in
difformità dalla concessione, siano conformi
alla normativa urbanistica vigente al
momento in cui l’autorità comunale provvede
sulla domanda di sanatoria; non essendovi
nessuna ragione di ritenere che
l’ordinamento imponga di demolire un’opera
prima di ottenere la concessione per
realizzarla nuovamente
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 21.10.2003 n. 6498 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: V'è
l'obbligo di negare la concessione in
sanatoria, ex art. 13 L. 47/1985, se manca
la conformità agli strumenti urbanistici sia
al momento della realizzazione dell'opera,
sia al momento della presentazione della
domanda.
L'Amministrazione Comunale è vincolata a
negare la concessione in sanatoria, ex art.
13 L. 47/1985 se manca la conformità agli
strumenti urbanistici sia al momento della
realizzazione dell'opera, sia al momento
della presentazione della domanda, né può
configurarsi alcuna ipotesi diversa di
sanatoria (c.d. "giurisprudenziale") che
ricorrerebbe ogni qualvolta vi sia
conformità alla sola normativa vigente al
momento del rilascio della concessione, ma è
in contrasto insuperabile con le
disposizioni di legge sopra citate
(TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 20.02.2003 n. 1498 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Non
sembra ammissibile l’istituto della c.d.
sanatoria giurisprudenziale, quale ipotesi
generalizzata di sanatoria di opere
realizzate abusivamente ma conformi alla
disciplina urbanistica vigente, in quanto da
un lato comporterebbe che ogni ipotesi di
abuso edilizio potrebbe essere in ogni tempo
sanato dal sopravvenire di una disciplina
urbanistica con la quale esso non si trovi
in contrasto e dall’altro l’istituto della
concessione in sanatoria di cui all’art. 13
della legge n. 47/1985 –che contempla
l’unica ipotesi di sanatoria ‘a regime’
prevista dall’ordinamento del settore– non
contiene alcuna deroga che possa legittimare
un caso di sanatoria al di fuori delle
condizioni da esso prescritte.
L'istituto della c.d. sanatoria
giurisprudenziale, pur affermato in qualche
isolata pronuncia (Cons. St., V, 13.02.1995
n. 238), non è previsto da alcuna norma
dell'ordinamento ed, anzi, dopo
l'introduzione legislativa dell'istituto
della sanatoria ordinaria, prevista
dall'art. 13 della legge 28.2.1985 n. 47,
non sembra ammissibile come ipotesi
generalizzata di sanatoria di opere
realizzate abusivamente.
Infatti, fuori delle condizioni prescritte
dal citato art. 13, che l'opera sia conforme
agli strumenti urbanistici vigenti sia al
momento della sua realizzazione sia al
momento della presentazione della domanda e
che sia non in contrasto con gli strumenti
urbanistici adottati a tali due epoche, non
è ammissibile il rilascio di una concessione
in sanatoria.
L'istituto previsto dalla legge, in altri
termini, vale solo nei casi di abuso
formale, cioè a dire di opera realizzata
senza titolo.
Nella fattispecie, si tratta invece di opere
sostanzialmente abusive, tanto è vero che la
precedente istanza di sanatoria avanzata ex
art. 13 della legge n. 47/1985 è stata
respinta dall'amministrazione proprio sul
presupposto dell'insussistenza delle
condizioni prescritte dalla legge (la c.d.
doppia conformità urbanistica).
In altri termini, la circostanza che l'opera
di che trattasi sia conforme alla disciplina
urbanistica vigente non vale, di per sé, a
far sorgere in capo all'amministrazione
l'obbligo di pronunciarsi sull'istanza di
rilascio della concessione edilizia in
sanatoria dopo che la stessa amministrazione
si sia pronunciata sull'istanza di sanatoria
formulata ex art. 13 L. n. 47/1985.
Diversamente opinando, si dovrebbe ritenere
che sussista l'obbligo dell'amministrazione
di pronunciarsi su qualsivoglia domanda di
sanatoria ogni qualvolta questa sia fondata
sull'asserita conformità dell'opera allo
strumento urbanistico vigente.
Il che varrebbe a ritenere che ogni ipotesi
di abuso edilizio, cioè non preceduto da
titolo legittimante, potrebbe essere in ogni
tempo sanato dal sopravvenire di una
disciplina urbanistica con la quale esso non
si trovi in contrasto.
Tale conclusione comporterebbe, altresì, che
l'istituto della concessione in sanatoria di
cui all'art. 13 della legge n. 47/1985
troverebbe applicazione solo nei casi in cui
l'opera fosse in contrasto con la disciplina
urbanistica vigente al momento dell'adozione
della concessione in sanatoria e, tuttavia,
fosse stato conforme agli strumenti
urbanistici vigenti, e non in contrasto con
quelli adottati, sia al momento della sua
realizzazione sia al momento della
presentazione della relativa domanda di
sanatoria.
Una tale conseguenza, tuttavia, non è
autorizzata dalla costante interpretazione
giurisprudenziale dell'art. 13 della legge
n. 47/1985, che, da una parte, contempla
l'unica ipotesi di sanatoria "a regime"
prevista dall'ordinamento di settore e,
dall'altra, non contiene alcuna deroga che
possa legittimare un caso di sanatoria al di
fuori delle condizioni da esso prescritte.
Né si rinviene alcun principio
dell'ordinamento tale da legittimare una
diversa conclusione.
La sanatoria è, di per sé, un istituto
eccezionale, sicché l'interpretazione della
norma che la prevede non può che essere
rigorosa e la sua applicazione deve essere
contenuta in limiti ristretti
(TAR Toscana, Sez. III,
sentenza 14.06.2002 n. 1245 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
concessione in sanatoria, ai sensi
dell'articolo 13 della legge n. 47/1985,
costituisce atto dovuto quando l'opera "è
conforme a gli strumenti urbanistici
generali e di attuazione approvati e non in
contrasto con quelli adottati, sia al
momento della realizzazione dell'opera, sia
al momento della presentazione della
domanda".
La concessione in sanatoria, ai sensi
dell'articolo 13 della legge n. 47/1985,
costituisce atto dovuto quando l'opera "è
conforme a gli strumenti urbanistici
generali e di attuazione approvati e non in
contrasto con quelli adottati, sia al
momento della realizzazione dell'opera, sia
al momento della presentazione della domanda".
Pertanto, l'amministrazione è vincolata a
negarla, se non ricorrono le predette
ipotesi.
Non può, peraltro, condividersi la tesi
secondo la quale, accanto alla fattispecie
di sanatoria prevista dalla citata norma,
che elimina anche gli effetti penali
dell'abuso edilizio, sussisterebbe anche una
seconda specie di sanatoria (c.d: sanatoria
giurisprudenziale), che ricorrerebbe ogni
qualvolta vi sia conformità dell'opera
realizzata abusivamente, alla normativa
urbanistica vigente al momento del rilascio
della concessione.
Tale figura di sanatoria sembrava, infatti,
configurabile nella normativa previgente
che, al dodicesimo comma dell'articolo 15
della legge n. 10/1977, si limitava, secondo
l'opinione dominante, a liberalizzare alcune
varianti di importanza secondaria a progetti
edilizi assentiti, senza disciplinare la
complessiva problematica della sanatoria
amministrativa degli interventi abusivi, la
quale, pertanto, veniva ritenuta possibile,
dalla giurisprudenza, in caso di conformità
con gli strumenti urbanistici vigenti al
momento della pronuncia sulla domanda di
sanatoria, e ciò, al fine di evitare inutili
distruzioni di ricchezza.
Al contrario, la legge n. 47/1985 ha
predisposto una disciplina esaustiva e
puntuale delle ipotesi di sanatoria, anche
ai fini amministrativi, non lasciando alcun
margine interpretativo per consentire la
sopravvivenza della sanatoria c.d.
giurisprudenziale, non potendo, certo,
ritenersi che la norma possa interpretarsi
soltanto come una norma di salvaguardia
contro l'inerzia amministrativa, al fine di
rendere "inopponibili, al richiedente, i
mutamenti degli strumenti urbanistici" (come
ritenuto da C.S., V, n. 238/1995).
Infatti, la concessione in sanatoria è un
provvedimento tipico, che elimina
l'antigiuridicità dell'abuso, estinguendo il
reato ed il potere repressivo
dell'amministrazione per cui, la sua
applicazione ed i suoi limiti non possono,
che essere specificamente disciplinati dalla
normativa, né appare possibile l'esercizio,
da parte dell'amministrazione, di un potere
di sanatoria che vada oltre i limiti imposti
dal legislatore, anche perché non sarebbe
ammissibile una interpretazione finalizzata
alla protezione di interessi privati
scaturenti da comportamenti antigiuridici,
che permetterebbe, oltretutto, la
possibilità di usufruire delle modifiche
della regolamentazione urbanistica idonee a
legittimare l'edificazione abusiva,
addirittura, fino alla esecuzione della
definitiva sanzione della demolizione.
Pertanto, la norma in esame non può che
essere interpretata se non nel senso di
delimitare il potere dovere
dell'amministrazione di provvedere
all'erogazione delle misure sanzionatorie
negli stretti limiti temporali indicati
dalla norma, posto che, il principio di cui
all'articolo 97 della Costituzione, che
farebbe ritenere illogica la demolizione
dell'opera, quando la stessa potrebbe essere
autorizzata sulla base della sopravvenuta
strumentazione urbanistica, deve, comunque,
retrocedere dinnanzi all'altro principio
generale, di rango costituzionale, e cioè,
il principio di legalità, che impone la
necessaria e stretta osservanza della
disciplina dettata dalla legge per la
sanatoria delle opere abusive
(TAR Toscana, Sez. III,
sentenza 15.04.2002 n. 724 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AGGIORNAMENTO AL 19.01.2009 |
ã |
UTILITA' |
PUBBLICO IMPIEGO: Sulla
riduzione dell'incentivo
alla progettazione interna agli uffici
pubblici.
Così
come anticipato con l'aggiornamento dello scorso 14.01.2009, il
Governo ha posto la fiducia
sull’approvazione, senza emendamenti ed
articoli aggiuntivi, dell’articolo unico,
nel testo delle Commissioni, del disegno di
legge (C 1972) di conversione del
decreto-legge 29.11.2008, n. 185, recante
misure urgenti per il sostegno a famiglie,
lavoro, occupazione e impresa e per
ridisegnare in funzione anti-crisi il quadro
strategico nazionale.
Ciò significa, tra l'altro, che dal 1°
gennaio 2009 l'incentivo alla progettazione
interna agli uffici pubblici ritorna allo 0,5%.
Tuttavia, per una migliore cognizione
dell'apparente incomprensibile ed
altalenante volontà legislativa, può essere
utile ricapitolare la vicenda in questi
termini:
- l'art. 92, comma 5, del D.Lgs. n.
163/2006 (codice dei contratti pubblici)
dispone
l'ammontare dell'incentivo alla
progettazione interna pari al 2%;
- l'art. 61, comma 8, del d.l. 25.06.2008
n. 112, convertito con modificazioni
dalla legge 06.08.2008 n. 133, ha ridotto
l'incentivo (con decorrenza 01.01.2009)
nella misura dello 0,5% ad appannaggio dei
progettisti dipendenti pubblici e la restante
percentuale dell'1,5 ad appannaggio dello
Stato in apposito capitolo in entrata del
bilancio.
La motivazione di tale riduzione stava nel
fatto di reperire fondi, altrimenti non
disponibili, per finanziare
i maggiori costi per la sicurezza e l'ordine
pubblico sul territorio nazionale (es.: i
militari dislocati in Campania che
affiancano le forze dell'ordine);
- l'art. 1, comma 10-quater, della legge
22.12.208 n. 201, di conversione del
d.l. 23.10.2008 n. 162, ha ripristinato l'incentivo alla
progettazione pari al 2% (con decorrenza
01.01.2009).
In verità, il ripristino al 2%
dell'incentivo non è stata una precisa volontà
del legislatore (checché se ne dica
-leggendo qua e là- in forza delle
numerose pressioni e/o richieste di
ripristino, giunte da più parti) ma, semplicemente, una svista in
fase di conversione in legge del d.l. n.
162/2008 poiché, altrimenti, sarebbe venuta
meno la copertura finanziaria per le
maggiori operazioni di sicurezza e ordine
pubblico come sopra ricordato;
- con
l’articolo unico, nel testo delle
Commissioni, del disegno di legge (C 1972) di
conversione del decreto-legge 29.11.2008 n.
185, approvato dalla Camera lo scorso
15.01.2009 ed ora all'esame del Senato (S
1315), il
legislatore ha posto rimedio alla propria
svista ripristinando l'originaria riduzione
dell'incentivo cui cui al d.l. n.
112/2008. Le somme provenienti da tali
riduzioni di spesa sono destinante siccome
disposto dal comma 17 dell'art. 61 del
d.l. n. 112/2008, convertito dalla legge n.
133/2008, e precisamente:
"17.
Le somme provenienti dalle riduzioni
di spesa e le maggiori entrate di cui al
presente articolo,
con esclusione di quelle di cui ai commi 14
e 16,
sono versate annualmente dagli enti
e dalle amministrazioni dotati di autonomia
finanziaria ad apposito capitolo
dell’entrata del bilancio dello Stato.
La disposizione di cui al primo periodo non
si applica agli enti territoriali e agli
enti, di competenza regionale o delle
province autonome di Trento e di Bolzano,
del Servizio sanitario nazionale.
Le somme versate ai sensi del primo
periodo sono riassegnate ad un apposito
fondo di parte corrente.
La dotazione finanziaria del fondo e'
stabilita in 200 milioni di euro annui a
decorrere dall’anno 2009;
la predetta dotazione è incrementata
con le somme riassegnate ai sensi del
periodo precedente.
Con decreto del Ministro per la pubblica
amministrazione e l’innovazione di concerto
con il Ministro dell’interno e con il
Ministro dell’economia e delle finanze
una quota del fondo di cui al terzo
periodo può essere destinata alla tutela
della sicurezza pubblica e del soccorso
pubblico, inclusa l’assunzione di personale
in deroga ai limiti stabiliti dalla
legislazione vigente ai sensi e nei limiti
di cui al comma 22; un’ulteriore quota può
essere destinata al finanziamento della
contrattazione integrativa delle
amministrazioni indicate nell’articolo 67,
comma 5, ovvero delle amministrazioni
interessate dall’applicazione dell’articolo
67, comma 2.
Le somme destinate alla tutela della
sicurezza pubblica sono ripartite con
decreto del Ministro dell’interno, di
concerto con il Ministro dell’economia e
delle finanze, tra le unità previsionali di
base interessate. La quota del fondo
eccedente la dotazione di 200 milioni di
euro non destinate alle predette finalità
entro il 31 dicembre di ogni anno
costituisce economia di bilancio.".
Ciò detto, per quanto appreso da fonti
parlamentari di maggioranza, il Ministro
Tremonti (tessitore delle manovre economiche
degli ultimi mesi) non ha ben compreso la portata
negativa sul bilancio degli Enti Locali (e,
complessivamente, sulla spesa pubblica) che
tale riduzione dell'incentivo porterà con sé.
Invero, gli Enti Locali dovranno ripiegare sulla
progettazione esterna con la lievitazione
cospicua delle relative spese poiché i propri
dipendenti non saranno più disponibili a
progettare internamente (il più delle volte
fuori orario di lavoro). E se la
progettazione sarà data all'esterno ben
poco si vedrà arrivare lo Sato della quota
pari all'1,5% e, conseguentemente, verrà
meno la necessaria copertura
finanziaria per le maggiori operazioni di
sicurezza e ordine pubblico. Ed allora, il Ministro Tremonti
si vedrà costretto a reperire altri fondi
cambiando la norma (di riduzione
dell'incentivo) che il Senato sta per
ripristinare in questi giorni.
MORALE:
è questione di tempo, neanche troppo lungo.
C'è già l'intenzione del legislatore (di
maggioranza) di ritornare entro l'anno 2009 sui
propri passi ripristinando il 2% ... non
appena il Ministro dell'Economia e delle
Finanze si accorgerà di aver clamorosamente
sbagliato. |
NEWS |
LAVORI PUBBLICI:
Un bando per il rinnovo degli edifici
scolastici.
L'Inail (Istituto Nazionale per
l'Assicurazione contro gli Infortuni sul
Lavoro) finanzia in via sperimentale, per il
triennio 2007-2009, progetti che si
prefiggono di migliorare le condizioni degli
istituti scolastici sotto il profilo della
normativa sulla sicurezza e l'igiene dei
luoghi di lavoro, o di abbattere le barriere
architettoniche.
Il bando è pubblicato in GU, serie speciale
- contratti pubblici, del 29.12.2008. Le
richieste di finanziamento dovranno essere
presentate entro il 20.03.2009 alle Regioni
o alle Province autonome di Trento e
Bolzano, a seconda della competenza
territoriale. Il finanziamento per l'anno
2008 é di 50.000.000 di euro. Le graduatorie
del bando saranno utilizzate anche per
l'erogazione della terza annualità del
finanziamento fino alla concorrenza dei 20
milioni di euro previsti per l'anno 2009, ad
esaurimento dell'importo complessivo per il
triennio (2007/2009).
I fondi sono ripartiti tra le Regioni e le
Province Autonome di Trento e Bolzano, sulla
base di una media ponderata determinata a
fronte del numero: - delle sedi scolastiche;
- degli alunni e del personale scolastico; -
delle situazioni di handicap; - degli
infortuni scolastici riconosciuti dall'INAIL
sul territorio interessato.
In sede di riparto è assegnata alle Regioni:
Calabria, Campania, Puglia e Sicilia, un
bonus pari al 10% dell'importo complessivo
previsto per gli anni 2008/2009. Destinatari
del finanziamento: gli Enti locali
proprietari degli edifici scolastici
pubblici, sede di istituti pubblici di
istruzione secondaria di primo grado e
superiore. Le domande possono riguardare gli
edifici in cui coesistono, oltre alle classi
dei suddetti istituti, anche classi di
scuola materna e/o elementare nonché i
convitti annessi agli edifici scolastici
(link a www.governo.it). |
QUESITI |
EDILIZIA PRIVATA: Realizzazione
tettoia su edificio residenziale.
Si chiede se sia necessario un titolo
abilitativo edilizio e, in caso affermativo,
quale, per la realizzazione di una tettoia
sul terrazzo di un edificio residenziale (Regione Piemonte,
parere n. 100/2008 - link a www.regione.piemonte.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
"Particolare prescrizione" su
rilascio licenza edilizia.
Viene posto, da parte di un Comune, quesito
che attiene all’esistenza –accertata
rinvenendo i relativi documenti
nell’archivio comunale– di un atto
unilaterale d’obbligo con il quale il
titolare di una licenza edilizia si
obbligava a realizzare opere di
urbanizzazione primaria; nonché della
licenza edilizia stessa, che richiamava
–qualificandola come “particolare
prescrizione”– l’obbligazione anzidetta. Ci
si chiede quale sia l’odierna efficacia
dell’atto d’obbligo predetto
(Regione Piemonte,
parere n.
99/2008 - link a www.regione.piemonte.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Mutamento
destinazione d’uso su opere edilizie.
Viene chiesto parere relativo al mutamento
della destinazione d’uso, con opere edilizie
e per un volume eccedente i settecento metri
cubi, di un immobile originariamente
produttivo (industriale) ed ora destinato al
commercio all’ingrosso. Il parere è
richiesto con riguardo al tema
dell’onerosità e a quello del reperimento
degli standard
(Regione Piemonte,
parere n. 98/2008 - link a www.regione.piemonte.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Procedibilità
pratica di condono edilizio.
Viene chiesto parere in ordine alla corretta
applicazione della legislazione in materia
di condono edilizio, e –più
specificatamente– in ordine agli effetti,
sulla procedibilità della pratica di
condono, dell’errore di soggetto a cui è
stato effettuato il pagamento del primo
rateo di oblazione (Regione Piemonte,
parere n. 91/2008 - link a www.regione.piemonte.it). |
URBANISTICA: Monetizzazione
delle cosiddette "cessioni gratuite".
La questione posta dal quesito riguarda il
tema della “monetizzazione” delle cosiddette
“cessioni gratuite” in materia urbanistica,
vale a dire della possibilità –conferita
all’operatore che edifica– di pagare al
Comune una somma di denaro sostitutiva della
cessione gratuita delle aree per “standard”
dovuta in virtù della vigente legislazione e
del piano regolatore generale
(Regione Piemonte,
parere n. 83/2008 - link a www.regione.piemonte.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Convenzione
per realizzazione strade da parte di
privati.
Il sindaco del Comune XXX pone un quesito
che interessa molte amministrazioni locali:
strade realizzate da privati, in ambito di
convenzione edilizia, gravate da uso
pubblico. I proprietari del sedime stradale
chiedono al Comune di farsi carico della
manutenzione ordinaria e straordinaria,
nonché di assumersi la responsabilità per
eventuali danni a terzi
(Regione Piemonte,
parere n. 79/2008 - link a www.regione.piemonte.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Problematiche
su istanza di costruzione in zona agricola.
Viene posto un quesito in ordine
all’esenzione dal contributo di costruzione
prevista dall’art. 17, c. II, lett. a) del
D.P.R. 380/2001, recante Testo Unico
dell’edilizia.
Il caso concreto è il seguente.
Una società semplice, avente quale oggetto
sociale l’attività agricola, ha presentato
istanza di permesso di costruire volta alla
realizzazione di strutture rurali, oltre che
di tre abitazioni. La società è composta di
tre soci, dei quali uno solo ha la qualifica
di imprenditore agricolo professionale.
Il Comune territorialmente competente chiede
di conoscere se tutte tre le residenze
potranno beneficiare dell’esonero dal
contributo concessorio di cui al citato art.
17, c. II, lett. a) D.P.R. 380/2001, a mente
del quale il contributo di costruzione non è
dovuto “per gli interventi da realizzare
nelle zone agricole, ivi comprese le
residenze, in funzione della conduzione del
fondo e delle esigenze dell’imprenditore
agricolo a titolo principale”
(Regione Piemonte,
parere n. 70/2008 - link a www.regione.piemonte.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Opere
abusive – sanzione amministrativa.
Il Comune XXX
pone in primo luogo un quesito in ordine
alla possibilità di rateizzazione della
sanzione pecuniaria amministrativa di cui
agli artt. 167 e 181 D.Lgs. 42/2004, vale a
dire della sanzione amministrativa che
consegue all’accertamento della
compatibilità paesaggistica di opere
realizzate abusivamente in zona soggetta a
vincolo paesaggistico (Regione
Piemonte,
parere n. 62/2008 - link a www.regione.piemonte.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Applicabilità
disciplina condono edilizio.
Il Comune XXX pone un quesito in merito ad
una fattispecie concreta, relativa
all’applicabilità della disciplina sul
condono edilizio di cui al Decreto Legge n.
269/2003, convertito nella Legge n.
326/2003, ad un intervento realizzato, in
assenza di titolo abilitativo, in area “sottoposta
a vincolo paesistico-ambientale e
classificata in area geologica, ai sensi
della Circ. Pres. Giunta reg. 08/05/1996 n.
7 LAP, in classe III” (Regione Piemonte,
parere n. 57/2008 - link a www.regione.piemonte.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Interventi
di recupero rustici.
Il Comune XXX pone un quesito in ordine al
contributo di onerosità per gli interventi
di recupero funzionale dei rustici a scopo
residenziale, di cui alla legge regionale
29.04.2003, n. 9.
Il Comune stesso ha trasmesso gli atti del
significativo caso concreto che ha suscitato
la proposizione della richiesta di parere.
Tali atti hanno costituito oggetto
dell’intervenuta disamina, in esito alla
quale, può essere riferito quanto segue
(Regione Piemonte,
parere n. 54/2008 - link a www.regione.piemonte.it). |
LAVORI PUBBLICI: Convenzionamento
realizzazione opere pubbliche.
Il Sindaco del Comune XXX riferisce che il
suo Comune ha ricevuto un contributo statale
per realizzare opere di difesa spondale.
In sede di conferenza di servizi è stato
richiesto di coinvolgere un Comune
confinante, per estendere le opere di difesa
anche in un modesto tratto di quel
territorio.
Il Comune confinante interpellato, ha
dichiarato la non disponibilità di risorse
finanziarie per l’esecuzione delle opere di
sua competenza.
Il Ministero erogatore del contributo si è
dichiarato disponibile a consentire
l’utilizzo del ribasso d’asta, registrato a
seguito di pubblico concorso di
progettazione, per fronteggiare le opere
connesse all’intervento sul territorio del
Comune confinante.
Chiede il sindaco se sia possibile
utilizzare l’istituto della convenzione per
realizzare congiuntamente l’opera e come il
Comune confinante possa restituire
“l’acconto” ricevuto.
La seconda parte del quesito, in verità, è
di difficile comprensione, perché dovrebbe
trattarsi di intervento assistito da
contributo statale in conto capitale. Se
così fosse nessun acconto dovrebbe essere
restituito, non trattandosi di
anticipazione. Se si trattasse di contributo
in conto interessi, sarebbe necessario,
invece, contrarre mutuo e, neanche in questo
caso, il quantum ricevuto dovrebbe essere
oggetto di restituzione (Regione
Piemonte,
parere n. 53/2008 - link a www.regione.piemonte.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Accertamento
mutamento destinazione d’uso da
“residenziale” a “direzionale”.
Con richiesta in data 22.02.2008 il Comune
XXX pone il seguente quesito: “Accertato
un mutamento di destinazione d’uso da
“residenziale” a “direzionale” (in assenza
di opere edilizie) su unità immobiliare con
volume non superiore a 700 mc., in contrasto
con il Piano Regolatore, si chiede quali
provvedimenti ripristinatori debbano essere
eseguiti ed in forza di quale disposizione
di legge e quali provvedimenti sanzionatori
si debbano assumere in caso di mancato
ripristino della destinazione d’uso”
(Regione Piemonte,
parere n. 45/2008 - link a www.regione.piemonte.it). |
URBANISTICA: Prorogabilità
P.E.C. (Piano Esecutivo Convenzionato).
Il Comune XXX chiede al Servizio Regionale
di consulenza agli Enti locali di esprimere
parere in ordine alla “prorogabilità” o meno
di un piano esecutivo convenzionato (P.E.C.)
approvato con deliberazione del Consiglio
comunale nel luglio 1997, piano la cui
convenzione è stata sottoscritta nel
dicembre dello stesso anno.
Per l’esatta configurazione della situazione
di fatto nella quale versa il caso proposto,
che solleva temi interessanti, occorre
aggiungere quanto segue:
= nel giugno dell’anno 2000, il Consiglio
comunale ha approvato una variante al PEC in
questione, variante enunciata –sotto il
profilo procedimentale e documentale– in una
serie di ventitre atti (elaborati grafici,
relazioni, norme di attuazione, computi,
elenchi), serie che riproduce esattamente
–nella sua composizione– quella dei
paralleli atti che componevano l’originario
PEC e che erano stati approvati dal
Consiglio comunale nel luglio 1997; la
deliberazione consiliare del giugno 2000
approva dunque (così espressamente si
esprime) la serie predetta di atti, la quale
d’altro canto “costituisce” la variante al
PEC;
= di questa ha fatto parte anche una nuova
convenzione, sottoscritta dalle parti l’11
luglio 2000;
= la convenzione medesima ha,
inevitabilmente, disciplinato il PEC come
variato; ma ha anche fissato nuovi termini
temporali (articolo 12 dell’atto) per
l’esecuzione degli interventi;
= nel dicembre 2007, pochi giorni prima
della scadenza del decennio decorrente dalla
data di stipula della convenzione del PEC
originario, i lottizzanti hanno chiesto al
Comune di dilazionare il termine di
efficacia del piano, al fine di completarne
le opere;
= circa la metà del volume residenziale
previsto dal s.u.e. in questione non è ancor
stata, infatti, realizzata; del tutto privo
di realizzazione è il previsto comparto
terziariocommerciale;
= sono state realizzate e collaudate alcune
opere di urbanizzazione, mentre altre non
hanno ancora avuto esecuzione.
In presenza di tale situazione, il Comune
chiede ora se sia legittimo semplicemente
prorogare i termini di ultimazione del PEC,
così come richiedono i lottizzanti, o se si
debba invece ripianificare l’ambito –per
quanto non è stato realizzato– attraverso ad
un nuovo piano esecutivo convenzionato
(Regione Piemonte,
parere n. 41/2008 - link a www.regione.piemonte.it). |
URBANISTICA: Problematiche
realizzazione Piano Particolareggiato.
Il Comune XXX chiede un chiarimento in
merito al contenuto che deve presentare un
Piano Particolareggiato di esecuzione del
Piano Regolatore Generale urbanistico. In
particolare, vuole conoscere se in esso sia
legittimo individuare planimetricamente la
dislocazione delle varie tipologie edilizie
realizzabili, tra cui anche l’impiantistica
sportiva costituita, nello specifico, da
campi di calcetto (Regione Piemonte,
parere n. 28/2008 - link a www.regione.piemonte.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Opere
di urbanizzazione in ambito zona
produttivo-commerciale.
Il Comune XXX pone un quesito in merito ad
una fattispecie concreta, relativa alla
realizzazione di opere di urbanizzazione
nell’ambito di una zona
produttivo-commerciale.
Segnala, infatti, il Comune di aver
stipulato, in data X.X.X, una “convenzione
urbanistica per l’urbanizzazione di una zona
produttivo-commerciale” e che “all’interno
della convenzione era prevista la
realizzazione di una rete per adduzione gas
metano all’interno dell’area di PEC (importo
E. XXX)”.
Rileva il Comune che, in data X.X.X, i
proponenti il P.E.C. richiedevano al Comune
“la possibilità di non realizzare la
sopra citata rete per adduzione gas metano,
giustificandolo con l’elevata richiesta
economica dell’Italgas per il collegamento
dell’area in questione con la rete del
metano esistente (distante circa 2
chilometri)”.
Richiede ora il Comune, dopo aver
specificato che “l’eventuale esecuzione
dei lavori della rete del gas metano
risulterebbe inutile senza il successivo
collegamento alla rete esistente
(collegamento non previsto nella
convenzione)”, se “sia legittimo, con
deliberazione di Consiglio Comunale,
accettare tale proposta, eventualmente
richiedendo altri lavori connessi all’area
di riferimento di importo complessivo
inferiore a quello stabilito per la
realizzazione della rete del gas”
(Regione Piemonte,
parere n. 26/2008 - link a www.regione.piemonte.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Competenza
rilascio provvedimento autorizzativo.
Il Comune XXX pone un quesito in ordine alla
procedura prevista dalla normativa in tema
di S.U.A.P. (Sportello Unico per le Attività
Produttive). Segnala, infatti, il Comune di
aver ricevuto dallo S.U.A.P. dell’ente XXX,
a cui è associato, la pratica edilizia
relativa ad un intervento di realizzazione
di un complesso produttivo per attività di
frantumazione e selezione inerti
(Regione Piemonte,
parere n. 25/2008 - link a www.regione.piemonte.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Utilizzazione
strade private.
Il Comune XXX ha richiesto parere in ordine
all’applicazione delle disposizioni recate
dal Regolamento edilizio e dal Piano
regolatore generale vigenti nel Comune in
tema di “strade private”
(Regione Piemonte,
parere n. 24/2008 - link a www.regione.piemonte.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Demolizione
opere abusive.
Il Comune XXX chiede un chiarimento in
merito alla procedura da esperire in seguito
alla mancata esecuzione di un ordine di
demolizione e ripristino dello stato dei
luoghi da parte del responsabile dell’abuso
edilizio.
Più precisamente, i termini della vicenda
sono i seguenti:
= sul tetto di un edificio sito nel centro
storico è stato realizzato, in assenza di
titolo abilitativo edilizio, un torrino
campanario in muratura imbiancata di modeste
dimensioni;
= il Comune, in virtù dei poteri di
controllo sull’attività edilizia
riconosciuti dall’art. 27 del DPR 380/2001,
ha notificato al proprietario (nonché
responsabile dell’abuso) ordinanza di
demolizione e di ripristino dello stato dei
luoghi;
= il privato, successivamente alla notifica
del provvedimento amministrativo, ha
proposto domanda volta ad ottenere
l’accertamento di conformità ex art. 36 DPR
380/2001;
= detta istanza è stata respinta per la
mancanza di alcuni dei concorrenti requisiti
cui è subordinato il rilascio della cd.
“sanatoria a regime”; il provvedimento di
rigetto non è stato impugnato ed è ora
inoppugnabile.
L’accertamento dell’abuso e la verifica
della non sanabilità dello stesso rendono
necessario proseguire nella procedura
repressiva prevista per casi simili a quello
in esame. In specifico, viene richiesto allo
scrivente Servizio di chiarire l’esatto iter
procedurale conseguente alla notifica
dell’ordinanza di demolizione rimasta
ineseguita (Regione Piemonte,
parere n. 23/2008 - link a www.regione.piemonte.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Problematiche
relative a strada a servizio urbanistico
residenziale.
Il Comune XXX ha posto un quesito relativo ad una strada a servizio di un
ambito urbanistico residenziale di
completamento (“R2a” nel P.R.G. vigente nel
Comune), relativamente alla quale si
manifestano difficoltà a realizzare la
qualificazione della strada stessa –con
riguardo ad alcune parti della medesima–
come via pubblica a tutti gli effetti, con
formalizzazione anche della condizione di
proprietà del sedime (Regione Piemonte,
parere n. 20/2008 - link a www.regione.piemonte.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Possibilità
zona agricola per utilizzazione attività di
aeromodellismo.
Il Comune XXX chiede un chiarimento in
merito alla possibilità di assentire in zona
agricola interventi funzionali
all’utilizzazione di un’area per l’attività
di aeromodellismo (Regione Piemonte,
parere n. 16/2008 - link a www.regione.piemonte.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Realizzazione
strada di cantiere.
Il Comune XXX ha posto un quesito relativo
ad un intervento (realizzazione di una
strada) che interessa un’area su cui grava
il vincolo paesaggistico
(Regione Piemonte,
parere n. 14/2008 - link a www.regione.piemonte.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Intervento
manutenzione straordinaria edificio
esistente.
Il Comune XXX pone problema relativo
all’applicazione dell’art. 125 del Testo
Unico dell’edilizia (D.P.R. 380/2001) in un
intervento di manutenzione straordinaria di
edificio unifamiliare esistente.
L’intervento attiene ad impianti ed elementi
che riguardano la produzione di energia:
= sostituzione della caldaia;
= installazione di pannelli solari sul
tetto;
= sostituzione della canna fumaria.
Il Comune si interroga quindi in ordine alla
vigenza, o meno, dell’obbligo di allegare
alla d.i.a. riguardante i lavori predetti la
relazione tecnica di cui al dianzi indicato
art. 125 T.U. Edil., in un caso nel quale la
d.i.a. non aveva altro contenuto che quello
sovra descritto, non essendo previsti altri
lavori interessanti il fabbricato
(Regione Piemonte,
parere n. 7/2008 - link a www.regione.piemonte.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Autorizzazione per esercizio
attività alberghiera.
Il Comune XXX pone un quesito in materia di
rilascio di autorizzazione di pubblico
esercizio per intrattenimenti.
Segnala il Comune di aver rilasciato ad una
società, titolare di autorizzazione per
l’esercizio di attività alberghiera, il
titolo abilitativo per l’esecuzione degli
interventi di ampliamento della relativa
struttura alberghiera: la volumetria
derivante da tale ampliamento non veniva
computata, come previsto dal Regolamento
Edilizio vigente, trattandosi di costruzione
pertinenziale e destinata funzionalmente
all’attività turistica principale.
Con riguardo ai locali oggetto
dell’ampliamento edilizio, pertinenziali
all’esercizio ricettivo, in data X.X.X. la
società in questione presentava istanza
volta ad ottenere “l’autorizzazione per
l’esercizio di una discoteca, nei locali
terrazza AB presso la struttura alberghiera
sita in questo Comune in via…”.
In data X.X.X. il Comune rilasciava
l’autorizzazione temporanea per lo
svolgimento di intrattenimenti musicali e
danzanti all’interno della sala
pertinenziale della struttura alberghiera,
autorizzando, altresì, la somministrazione
di bevande ed alimenti; nell’ambito di tale
autorizzazione, il Comune specificava che “i
fruitori degli intrattenimenti musicali e
danzanti sono i soggetti indicati nell’art.
9, comma 1, della L. n. 135/2001,
individuabili quindi nelle persone
alloggiate e, ricorrendone i presupposti, i
loro ospiti e coloro che sono ospitati nella
struttura ricettiva in occasione di
manifestazioni e convegni organizzati”.
L’autorizzazione in oggetto aveva scadenza
al X.X.X. In data X.X.X. la medesima società
presentava presso il Comune XXX nuova
istanza volta ad ottenere il rilascio
dell’autorizzazione per l’esercizio di
intrattenimenti pubblici temporanei nei
medesimi locali di cui sopra.
Il Comune, in ossequio al disposto di cui
all’art. 9 della L. 135/2001, considerava
non ammissibile il rilascio di “un’autorizzazione
temporanea volta a consentire l’esercizio di
attività di “pubblico intrattenimento e
svago” perché tale attività è rivolta
per definizione al “pubblico e, quindi,
ad una pluralità indifferenziata di
avventori, circostanza che determinerebbe la
modifica della destinazione d’uso della
pertinenza alberghiera in struttura
commerciale in contrasto con il permesso
edilizio relativo a tale pertinenza”;
pertanto, l’istanza in oggetto non veniva
accolta dal Comune XXX.
Il Comune, nelle premesse al proprio
quesito, segnala, tuttavia, che “nei
locali di che trattasi venne però rilasciata
nel dicembre 2004 un’autorizzazione di
esercizio pubblico per la somministrazione
di bevande ed alimenti”, chiedendo un
parere in merito alla “linea da seguire”
nella presente vicenda
(Regione Piemonte,
parere n. 3/2008 - link a www.regione.piemonte.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Applicazione
oneri di urbanizzazione.
Con richiesta in data 14.01.2008, il Comune
XXX pone un quesito in merito ad una
fattispecie concreta, relativa
all’applicazione degli oneri di
urbanizzazione.
Segnala, infatti, il Comune che una ditta
svolgente l’attività di “autonoleggio con
conducente per il trasporto di persone”,
aveva presentato presso gli Uffici Comunali
un’istanza di condono edilizio avente ad
oggetto il mutamento della destinazione
d’uso, con opere edilizie, di un capannone
agricolo in fabbricato adibito al deposito
degli automezzi –pulmini e pullman
appartenenti alla ditta in questione- con
uffici e strutture accessorie all’attività
svolta dalla predetta ditta.
In fase istruttoria, il Comune aveva
richiesto alcune integrazioni alla pratica
di condono edilizio presentata e aveva,
altresì, comunicato che “gli oneri di
urbanizzazione da corrispondere sarebbero
stati determinati considerando l’attività in
questione di tipo commerciale”.
Il titolare della ditta in oggetto,
tuttavia, ha successivamente contestato al
Comune l’applicazione degli oneri relativi
all’attività commerciale, sostenendo che
l’attività svolta nel caso concreto rientra
a pieno titolo tra le attività artigianali,
come definite dalla Legge n. 443/1985, e che
la ditta risulta iscritta all’Albo
Artigiano.
Il Comune XXX chiede, dunque, se l’attività
svolta dalla ditta in oggetto possa
effettivamente essere considerata artigiana
o non debba, piuttosto, essere ritenuta
attività commerciale, con applicazione dei
relativi oneri di urbanizzazione
(Regione Piemonte,
parere n. 2/2008 - link a www.regione.piemonte.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Trasferimento
di volumetria.
Il problema posto, problema che codesto
Comune denomina “trasferimento di
volumetria”, non attiene -per la verità-
a tale tema, fortemente presente nella
realtà odierna, poiché con l’espressione
predetta si intende invece la questione
relativa alla legalità e alla legittimità di
contratti e di atti in virtù dei quali –in
presenza di un PRG che lo prevede o comunque
lo ammette– interviene la cessione della
sola capacità edificatoria di un terreno
(capacità edificatoria destinata ad essere
utilizzata su di un altro fondo) restando
immutata la proprietà del terreno stesso,
ovviamente in concreto divenuto
inedificabile per avvenuta “consumazione
della sua capacità di sfruttamento edilizio”
(così si esprime Cons. Stato, sez. 4^,
04.05.2006, n. 2488) (Regione Piemonte,
parere n. 1/2008 - link a www.regione.piemonte.it). |
GURI - GUUE - BURL (e anteprima) |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
G.U. 17.01.2009 n. 13 "Norme sul divieto
di utilizzo e di detenzione di esche o di
bocconi avvelenati" (Ministero del
Lavoro, della Salute e delle Politiche
Sociali,
ordinanza
18.12.2008). |
EDILIZIA PRIVATA: B.U.R.
Lombardia, 2° suppl straord. al n. 2 del
15.01.2009, "Determinazioni in merito
alle disposizioni per l'efficienza
energetica in edilizia e per la
certificazione energetica degli edifici"
(deliberazione
G.R. 22.12.2008 n. 8745 - link a www.infopoint.it). |
CORTE DEI CONTI |
INCARICHI PROFESSIONALI:
Per gli incarichi esterni la gara
è la regola.
Affidamenti diretti solo in casi di urgenza
- Procedura comparativa per valutare i
curricula dei candidati - Obbligo di
prevedere una procedura comparativa per
l'attribuzione di incarichi esterni -
Necessità di argomentare chiaramente
l'accertamento della mancanza di
professionalità interne - Esclusione dei
servizi tecnici professionali di ingegneria
e architettura.
1.
L’incarico deve rispondere ai compiti
istituzionali dell’Ente o alla
programmazione approvata dal Consiglio ai
sensi dell’articolo 42, comma 2, lettera b),
del testo unico di cui al decreto
legislativo 18.08.2000 n. 267, oltre che ad
una reale ed indifferibile necessità
dell’amministrazione.
2.
All’interno della propria organizzazione,
l’amministrazione deve riscontrare in
concreto (cioè con riferimento a precisi
parametri quali il numero e la
qualificazione professionale dl personale
incardinato nel servizio istituzionalmente
deputato a quella attività) la carenza, sia
sotto l’aspetto qualitativo che
quantitativo, della figura professionale
idonea allo svolgimento dell’incarico.
3.
Criterio generale è che l’incarico a
soggetti esterni all’amministrazione deve
essere conferito ad “esperti di
particolare e comprovata specializzazione,
anche universitaria” (articolo 7, comma
6, del decreto legislativo 30.03.2001 n.
165, così come novellato da ultimo
dall’articolo 46, comma 1, del D.L.
25.06.2008 n. 112, convertito, con
modificazioni, dalla legge 06.08.2008, n.
133).
Tale espressione va interpretata nel senso
che “…la specializzazione universitaria
deve costituire un imprescindibile elemento
di valutazione del livello di
professionalità e della particolare
specializzazione dell’incaricato…”
(Sezione di controllo della Corte dei conti
per il Piemonte - parere n. 27 del
14.10.2008), talché potrà prescindersi dalla
“comprovata specializzazione
universitaria” solo per ipotesi
tassative e, cioè, per attività che devono
essere svolte da “professionisti iscritti
in ordini o albi o con soggetti che operino
nel campo dell’arte, dello spettacolo o dei
mestieri artigianali, ferma restando la
necessità di accertare la maturata
esperienza nel settore” (cfr. comma 1,
secondo periodo, del citato art. 46 del D.L.
25.06.2008 n. 112, convertito, con
modificazioni, dalla legge 06.08.2008,
n.133).
4.
E’ necessario prevedere, come criterio
generale di assegnazione degli incarichi
esterni, una procedura comparativa per la
valutazione dei curricula con criteri
predeterminati, certi e trasparenti, in
applicazione dei principi di buon andamento
ed imparzialità dell’amministrazione sanciti
dall’articolo 97 della Costituzione.
Pertanto, l’assegnazione diretta deve
rappresentare una eccezione, da motivarsi di
volta in volta nella singola determinazione
di incarico con riferimento all’ ipotesi in
concreto realizzatasi, e può considerarsi
legittima solo ove ricorra il requisito
della “particolare urgenza” connessa
alla realizzazione dell’attività discendente
dall’incarico, ovvero quando
l’amministrazione dimostri di avere
necessità di prestazioni professionali tali
da non consentire forme di comparazione con
riguardo alla natura dell’incarico,
all’oggetto della prestazione ovvero alle
abilità/conoscenze/qualificazioni
dell’incaricato.
Né può legittimare l’esclusione della
procedura comparativa il riferimento a leggi
speciali regolanti settori diversi
dell’azione amministrativa, quali, ad
esempio, i servizi in economia o i lavori
pubblici.
A titolo esemplificativo deve
conseguentemente rilevarsi che presentano
aspetti di non conformità alla ratio legis
previsioni regolamentari che:
a- escludano la procedura comparativa con
riferimento ad un compenso “non superiore
a…..”;
b- per legittimare l’esclusione delle
procedure di selezione facciano riferimento
a generiche “circostanze speciali ed
eccezionali”;
c- consentano l’affidamento diretto nel caso
in cui la “procedura comparativa sia
andata deserta o la selezione dei candidati
sia stata infruttuosa”, senza precisare
che in tali ipotesi le condizioni previste
dall’avviso di selezione non possono essere
sostanzialmente modificate
dall’amministrazione.
5.
La prestazione fornita all’amministrazione
deve essere “altamente qualificata”,
espressione da intendersi in senso oggettivo
quale contenuto della prestazione, che non
può essere generica o coincidere con la
normale competenza posseduta dai titolari
degli organi burocratici.
6.
Deve essere verificata la straordinarietà ed
eccezionalità delle esigenze da soddisfare,
dovendosi, al contrario, escludere la
legittimità degli incarichi per soddisfare
esigenze ordinarie.
7.
L’incarico non può essere generico o
indeterminato, ma deve contenere, invece,
l’individuazione specifica dei contenuti e
dei parametri utili per l’esecuzione
dell’incarico. A tal proposito opportuna
appare la previsione di una norma
regolamentare ad hoc, che preveda l’obbligo,
per il responsabile del servizio competente,
di formalizzare l’incarico conferito
mediante la stipulazione di un disciplinare,
inteso come atto contrattuale, in cui siano
specificati gli obblighi per il soggetto
incaricato ed in particolare:
a- la tipologia, il luogo e l’oggetto della
prestazione;
b- la durata dell’incarico, che deve avere
carattere temporaneo e predeterminato sin
dal provvedimento di conferimento, dovendosi
considerare la proroga come evento del tutto
eccezionale;
c- le modalità di determinazione del
corrispettivo, quantificato secondo criteri
di mercato o tariffe e comunque
proporzionato alla tipologia, alla qualità
ed alla quantità della prestazione
richiesta, in modo da perseguire, comunque,
il massimo risparmio e la maggiore utilità
per l’Ente;
d- le modalità di pagamento, che deve
essere, comunque, condizionato all’effettiva
realizzazione dell’oggetto dell’incarico;
e- la previsione di ipotesi di recesso e/o
di risoluzione e/o di clausole ritenute
necessarie per il raggiungimento del
risultato atteso dall’Ente, con la
previsione regolamentare, per il
responsabile del servizio competente, di un
potere di verifica dell’esecuzione e del
buon esito dell’incarico. Conseguentemente,
ove i risultati della prestazione non
risultino conformi a quanto richiesto
dall’amministrazione nel disciplinare
d’incarico o siano del tutto
insoddisfacenti, appare congruo prevedere la
fissazione di un termine per l’integrazione
del risultato, o la possibilità per
l’amministrazione di risolvere il contratto
per inadempimento, ovvero di ridurre
proporzionalmente il corrispettivo, ove il
risultato parziale risulti di utilità per
l’Ente;
f- le modalità di esecuzione e di
adempimento della prestazione.
8.
Si precisa inoltre che, come più sopra
rilevato, l’art. 3, comma 54, della legge
24.12.2007, n. 244, modificando l’articolo
1, comma 127, della legge 662/1996, ha
previsto l’obbligo di pubblicazione sul sito
web dell’Ente per i provvedimenti di
affidamento di incarico con indicazione dei
soggetti percettori, della ragione
dell’incarico e dell’ammontare del compenso.
A tal proposito appare opportuno, nel
riportare in sede regolamentare il citato
disposto normativo, individuare sia il
funzionario responsabile del procedimento,
sia il tempo massimo per procedere alla
pubblicazione.
9.
Si ritiene, altresì, che i suindicati
principi regolamentari possano costituire
linee guida per la definizione dei criteri e
delle modalità per l’affidamento degli
incarichi da parte di società che gestiscono
servizi pubblici locali a totale
partecipazione pubblica e/o da parte di
società a totale partecipazione pubblica o
di controllo, ai sensi dell’articolo 18,
commi 1 e 2, del D.L. 25.06.2008 n. 112,
convertito, con modificazioni, dalla legge
06.08.2008, n. 133.
10.
La Sezione richiama, inoltre, l’attenzione
degli Enti sulla centralità ed importanza
della motivazione di ciascun provvedimento
di incarico a soggetti esterni
all’amministrazione.
In tale sede deve essere esplicitato in modo
chiaro ed argomentato (e non con motivazioni
generiche e/o stereotipate) l’accertamento
compiuto dall’Ente circa la reale mancanza
di professionalità interne in grado di
adempiere all’incarico conferito, nonché
l’iter logico-procedimentale che ha portato
l’amministrazione all’individuazione del
soggetto incaricato ed ogni altro elemento
sopra indicato.
Appare infine inappropriato l’inserimento,
riscontrato in alcuni regolamenti pervenuti,
di disposizioni volte a disciplinare il
conferimento di servizi tecnici
professionali di ingegneria ed architettura
in quanto, tale tipologia di incarichi,
rientrante nella materia dei lavori
pubblici, trova regolamentazione nella
normativa di cui al D.Lgs. 12.06.2006, n. 163
e successive modificazioni
(Corte
dei Conti, Sez. regionale di controllo
Emilia Romagna,
deliberazioni 18.12.2008 nn. 105 - 106 - 107
- 108 - 109 - 110 - 111 - 112 - 113
- link a www.corteconti.it). |
DOTTRINA E CONTRIBUTI |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
S. Maglia e M. A. Labarile,
La disciplina giuridica di pile e
accumulatori (link a
www.lexambiente.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
A. Pierobon,
ANCORA SULLA CLASSIFICAZIONE DEI RIFIUTI: I
RIFIUTI CIMITERIALI PROVENIENTI DA
ESUMAZIONI ED ESTUMULAZIONI (link
a www.lexambiente.it). |
APPALTI SERVIZI:
C. Tessarolo,
Appalti, concessione di servizi e art.
23-bis (link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI SERVIZI:
G. Nicoletti,
Distribuzione del gas: si possono indire le
gare? (link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
AUTORITA' CONTRATTI PUBBLICI |
LAVORI PUBBLICI:
Linee guida sulla finanza di progetto
dopo l'entrata in vigore del c.d. "terzo
correttivo" (D.Lgs. 11.09.2008, n. 152):
1) "linee guida per l'affidamento delle
concessioni di lavori pubblici mediante le
procedure previste dall'articolo 153 del
Codice";
2) "linee guida per la redazione dello
studio di fattibilità" (determinazione
14.01.2009 n. 1 - link a
massimario.avlp.it). |
GIURISPRUDENZA |
EDILIZIA PRIVATA:
Sequestro fabbricato abusivo e
facoltà d’uso.
Se con il sequestro preventivo dell’immobile
abusivo si vuole evitare l'aggravamento del
carico urbanistico, non si può poi
consentire, sia pure per ragioni umanitarie,
l'utilizzazione del bene, giacché siffatta
utilizzazione neutralizza quella posta a
base del sequestro.
In tali circostanze o si evita
l'utilizzazione dell'immobile per non
aggravare il carico urbanistico o, se si
ritiene necessario imporre il vincolo, si
deve giustificare il sequestro in base ad
altre esigenze cautelari, attuali e
concrete, diverse dall'aggravamento del
carico urbanistico (Corte di Cassazione,
Sez. III penale,
sentenza 13.01.2009 n. 825 - link
a www.lexambiente.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Rifiuti. Carta da macero.
La carta da macero che presenta in modo
evidente una rilevante quantità di impurità,
superiori alla misura dell'1% prescritto
dalla normativa vigente in materia ossia il
D.M. 05/02/1998, Allegato 1 - n. 1,
costituisce non materia prima secondaria ex
art. 181, comma 12, D.Lv. 152/2006 bensì
rifiuto (Corte di Cassazione, Sez. III
penale,
sentenza 12.01.2009 n. 617 - link
a www.lexambiente.it). |
APPALTI:
Sull'illegittimità di una lex
specialis che, pur richiamando il criterio
di aggiudicazione dell'offerta
economicamente più vantaggiosa, nulla
preveda in ordine alle modalità di concreta
attribuzione dei sub criteri e sub punteggi.
Nelle gare pubbliche indette con il metodo
dell'offerta economicamente più vantaggiosa
la necessità di stabilire ulteriori
sub-criteri, sub-pesi o sub-punteggi deve
essere valutata di volta in volta in
relazione all'analiticità dei criteri
principali, all'idoneità di questi ad
assicurare il rispetto del principio di
trasparenza e ai poteri integrativi
riconosciuti alla Commissione giudicatrice.
A detta Commissione è quindi inibito
integrare i criteri di valutazione
dell'offerta tecnica (individuando sub
criteri e sub punteggi, che devono invece
essere indicati nel capitolato d'oneri);
l'importanza relativa delle sottovoci deve,
infatti, essere rese nota ai potenziali
concorrenti già al momento della produzione
delle loro offerte, alfine di evitare il
pericolo che la Commissione possa orientare
a proprio piacimento ed a posteriori
l'attribuzione di tale determinante
punteggio e, quindi, all'esito della gara
dopo averne conosciuto gli effettivi
concorrenti. La violazione di detta regola
innovativa posta dall'art. 83 del Codice dei
contratti (D.Lgs. n. 163 del 2006) può
infatti astrattamente contrastare con il
principio della par condicio, nella misura
in cui altera gli elementi di valutazione in
relazione ai quali tutti i concorrenti hanno
potuto predisporre la propria offerta
tecnica.
A tanto consegue l'illegittimità di una lex
specialis che, pur richiamando il criterio
di aggiudicazione dell'offerta
economicamente più vantaggiosa, nulla
preveda in ordine alle modalità di concreta
attribuzione dei sub criteri e sub punteggi,
nell'ipotesi che la loro fissazione sia
necessaria o prevista dalla normativa di
gara (TAR Lazio-Roma, Sez. III-quater,
sentenza 09.01.2009 n. 82 - link
a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Interventi precari (veranda,
esclusione).
Una veranda realizzata mediante la chiusura
di una preesistente tettoia con pannelli
scorrevoli costituisce intervento di nuova
costruzione in quanto opera stabile e
duratura nel tempo, mediante la quale si
realizza un ampliamento significativo della
superficie utile del preesistente fabbricato
e trattandosi di opera non finalizzata ad
esigenze temporanee, ma proiettata a
perdurare nel tempo.
L'agevole amovibilità dell'opera attiene
alla struttura della stessa, non alla
funzione ed alla durata dell'opera medesima,
destinata nella sua oggettività materiale a
durare nel tempo senza soluzione di
continuità e ciò a prescindere dalle
motivazioni soggettive espresse nella
relativa comunicazione al Comune (ossia
opera destinata a proteggere il terrazzino
dalle intemperie nel periodo di tempo non
buono) (Corte di Cassazione, Sez. III
penale,
sentenza 29.12.2008 n. 48227 -
link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Acquisizione immobile abusivo per
omessa demolizione.
Ai sensi della legge 28.02.1985, n. 47, art.
7 , comma 3, e del t.u. sull'edilizia
approvato con d.P.R. 06.06.2001, n. 380,
dell'art. 31, comma 3, l'ingiustificata
inottemperanza all'ordine di demolizione di
costruzione abusiva, emesso dall'autorità
comunale, comporta l'automatica acquisizione
dell'immobile al patrimonio del Comune, in
favore del quale deve quindi essere disposta
la restituzione, qualora l'immobile stesso
venga dissequestrato.
Questo orientamento -non senza qualche
dissenso- si è affermato come maggioritario
e prevalente. In particolare va ribadito che
la acquisizione al patrimonio comunale del
manufatto e dell'area di sedime conseguente
all'inottemperanza all'ordine di demolizione
delle opere abusive impartito al
contravventore dallo stesso ente comunale si
verifica "ope legis" alla inutile scadenza
del termine di giorni novanta fissato per
detta ottemperanza, senza che possa avere
rilievo l'ulteriore adempimento della
notifica all'interessato dell'accertamento
formale dell'inottemperanza, unicamente
idoneo a consentire all'ente l'immissione in
possesso e la trascrizione nei registri
immobiliari del titolo dell'acquisizione.
Il trasferimento al patrimonio comunale
della proprietà dell'immobile abusivo,
automaticamente conseguente alla scadenza
del termine di novanta giorni fissato per
l'ottemperanza all'ordinanza sindacale di
demolizione, non costituisce impedimento
giuridico a che il privato responsabile
esegua l'ordine di demolizione impartitogli
dal giudice con la sentenza di condanna,
salvo che l'autorità comunale abbia
dichiarato l'esistenza di interessi pubblici
prevalenti rispetto a quello del ripristino
dell'assetto urbanistico violato.
La conseguenza è che il manufatto abusivo
dissequestrato dopo che il responsabile non
abbia ottemperato all'ingiunzione comunale
di demolizione dello stesso, va restituito
non già al privato responsabile, quand'anche
egli sia ancora in possesso del bene, bensì
allo stesso ente comunale, ormai divenutone
proprietario a tutti gli effetti a seguito
dell'inutile decorso del termine di legge di
cui all'art. 31 del D.Lgs. n. 380 del 2001
(Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 23.12.2008 n. 48031 -
link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Responsabilità esecutore opere di
rifinitura.
Il carattere proprio del reato previsto
dall'art. 44 d.P.R. 06.06.2001, n. 380 non
impedisce che altri soggetti possano essere
ritenuti responsabili del reato nella
ipotesi che abbiano avuto un ruolo attivo
nella loro consumazione; con la precisazione
che tale conclusione può operare anche per
il semplice muratore o operaio, per il quale
ben può sussistere un profilo di colpa
collegato alla mancata conoscenza del
carattere abusivo delle opere.
Non può essere condiviso il principio
secondo il quale solo coloro che hanno
collaborato alla edificazione delle opere
principali potrebbero rispondere del reato
edilizio, restando prive di rilievo le
condotte di coloro che danno corso alle
successive attività di completamento.
E' indubbio, infatti, che un edificio assume
le connotazioni residenziali e di
abitabilità allorché viene dotato di tutte
le strutture essenziali perché diventi
fruibile, come ad esempio la pavimentazione,
l'intonacatura delle mura, gli infissi. Ne
consegue che anche coloro che hanno dato
corso ai lavori di completamento
dell'immobile possono rispondere del reato
contestato allorché sussistano i requisiti
anche soggettivi della fattispecie legale
(Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 23.12.2008 n. 48025 -
link a www.lexambiente.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI: Il
silenzio-rifiuto formatosi sull'istanza di
accesso agli atti, non impugnato nel termine
di 30 gg., non consente di reiterare
l'istanza di accesso.
Vale, al riguardo, l’indirizzo
giurisprudenziale seguito dall’Adunanza
plenaria n. 6/2006, secondo cui: “I commi
4 e 5 art. 25 l. 07.08.1990 n. 241 -i quali,
rispettivamente, fissano il termine di 30
giorni (decorrente dalla conoscenza del
provvedimento di diniego o dalla formazione
del silenzio significativo) per la
proposizione dei ricorsi in materia di
accesso agli atti della p.a. e qualificano
in termini di diniego il silenzio serbato
sull'accesso- prevedono un termine
all'esercizio dell'azione da ritenere
necessariamente posto a pena di decadenza;
la mancata impugnazione del diniego nel
termine non consente pertanto la
reiterabilità dell'istanza e la conseguente
impugnazione del successivo diniego laddove
a questo debba riconoscersi carattere
meramente confermativo del primo. Deve,
dunque, ritenersi inammissibile un ricorso
avverso il diniego opposto ad una domanda di
accesso agli atti, ove il diniego stesso sia
meramente confermativo di un precedente
diniego non impugnato nei termini (Consiglio
Stato, Ad. plen., 18.04.2006, n. 6)".
Il principio affermato nella richiamata
pronuncia trova applicazione anche nella
fattispecie, nella quale -anziché di diniego
non impugnato seguito da successivo diniego
meramente confermativo- trattasi di silenzio
diniego non impugnato formatosi in relazione
a tutte le istanze di accesso formulate dal
ricorrente nel periodo dal 24.04.2006 al
30.01.2008, seguito da successivo silenzio
diniego meramente confermativo di quelli già
maturati, stante la mera reiterazione delle
stesse istanze di accesso già oggetto dei
dinieghi rimasti inoppugnati (TAR Toscana,
Sez. I,
sentenza 23.12.2008 n. 4327 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Rifiuti. Discarica abusiva.
Integra il concetto normativo di discarica
non autorizzata di rifiuti non pericolosi
(nella specie costituiti da materiali
eterogenei, detriti edili; beni durevoli
obsoleti; vecchie apparecchiature
elettroniche fuori uso; materiali combusti
anche ferrosi frammisti a pezzi di legno;
rifiuti domestici; tubi in PVC usati
nell'edilizia; rifiuti d'imballaggio di
cartone e plastica; rifiuti di catrame
provenienti da demolizioni stradali) la
collocazione degli stessi in una buca estesa
circa 100 mq. e profonda in alcuni punti
anche 6 metri, accumulati nell'area di
pertinenza di una società (Corte di
Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 22.12.2008 n. 47446 -
link a www.lexambiente.it). |
ENTI LOCALI: Per
le pubbliche amministrazioni, che intendano
effettuare assunzioni di personale, sussiste
l'obbligo di avviare le procedure di
trasferimento mediante mobilità da altre
amministrazioni, prima di indire il concorso
pubblico.
Secondo l’art. 30 del decreto legislativo
30.03.2001, n. 165 (come modificato
dall’art. 5, comma 1-quater, del decreto
legge 31.01.2005, n. 7, convertito nella
legge 31.03.2005, n. 43): «1. Le
amministrazioni possono ricoprire posti
vacanti in organico mediante cessione del
contratto di lavoro di dipendenti
appartenenti alla stessa qualifica in
servizio presso altre amministrazioni, che
facciano domanda di trasferimento. (…). 2.
(…) In ogni caso sono nulli gli accordi, gli
atti o le clausole dei contratti collettivi
volti ad eludere l'applicazione del
principio del previo esperimento di mobilità
rispetto al reclutamento di nuovo personale.
2-bis. Le amministrazioni, prima di
procedere all'espletamento di procedure
concorsuali, finalizzate alla copertura di
posti vacanti in organico, devono attivare
le procedure di mobilità di cui al comma 1
(…)».
Pertanto, dalle disposizioni sopra
richiamate discende l’obbligo per le
pubbliche amministrazioni, che intendano
effettuare assunzioni di personale, di
avviare le procedure di trasferimento
mediante mobilità da altre amministrazioni,
prima di indire il concorso pubblico
(TAR Sardegna, Sez. I,
sentenza 22.12.2008 n. 2204 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Opere in totale difformità.
L'art. 7, primo comma, della legge n.
47/1985 (ora art. 31, comma 1, d.P.R.
06/06/2001 n. 380) definisce le "opere
eseguite in totale difformità dalla
concessione" (la cui realizzazione
concretizza il reato previsto dal successivo
art. 20, lettera b), includendovi quelle che
comportano "l'esecuzione di volumi
edilizi oltre i limiti indicati nel progetto
e tali da costituire un organismo edilizio o
parte di esso con specifica rilevanza ed
autonomamente utilizzabile".
Sulla base di tale definizione si ha totale
difformità quando si costruisce qualcosa di
nuovo rispetto al provvedimento
amministrativo e che ha una sua autonomia e
funzionalità tale da potere essere
considerato a sé stante.
La definizione non si pone in contrasto con
l'orientamento già affermato secondo cui si
ha totale difformità quando sono stati
realizzati lavori nuovi o aggiuntivi
rispetto a quelli per cui fu data la
concessione, rispetto ai quali, se
considerati autonomamente, sarebbe stata
necessaria la concessione edilizia (Corte di
Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 19.12.2008 n. 47108 -
link a www.lexambiente.it). |
VARI:
Eccesso di velocità, multa,
Telelaser, avvistabilità degli operatori,
necessità.
Nel caso di
accertamento dell’eccesso di velocità
tramite apparecchiatura Telelaser (LTI
20.20), gli agenti devono essere visibili
dall’autista, soprattutto se l’infrazione
avviene di notte; diversamente la multa così
irrogata va annullata
(Tribunale Modena,
sentenza 25.11.2008 - link a
www.altalex.com). |
EDILIZIA PRIVATA:
Condono ambientale. Esclusione
applicabilità anche al vincolo archeologico.
In tema di tutela penale del paesaggio,
l'accertamento di compatibilità
paesaggistica (art. 181, comma 1-ter, D.Lgs.
22.01.2004, n. 42) ai fini del condono
ambientale è applicabile al solo vincolo
paesaggistico e non anche a quello
archeologico (Corte di Cassazione, Sez. III
penale,
sentenza 23.10.2008 n. 39824 -
link a www.lexambiente.it). |
APPALTI: In
caso di partecipazione a gara d’appalto la
sottoscrizione a margine non equivale a
quella in calce, il che comporta
l'esclusione dalla gara.
La giurisprudenza, lungi dall’attestarsi in
materia su una posizione di rigido
formalismo, è incline a ritenere che, al di
là delle modalità concretamente utilizzate,
ciò che conta è il raggiungimento dello
scopo presidiato dalla sanzione di
esclusione, sicché se questo comunque si
realizza l’esclusione si traduce in una
misura priva di significato.
Correttamente, dunque, la sentenza (del TAR
adito) ha indagato per verificare se in
presenza di una dichiarazione sottoscritta a
margine di ogni suo foglio si potesse dire
che il concorrente, anche in mancanza di una
formale sottoscrizione, aveva comunque reso
la sottoscrizione imposta dal bando e dalla
disciplina di riferimento.
L’errore della sentenza (del TAR) non
risiede, quindi, nell’approccio metodologico
alla questione ma nella sua concreta
soluzione. Ad avviso del Collegio, infatti,
l’errore sta nell’aver considerato
equipollente ad una sottoscrizione in calce
una sottoscrizione a margine di tutti i
fogli. In un tale caso, invero, non si può
escludere che manchi la consapevolezza
dell’impegno in capo all’autore della
sottoscrizione e non si può neppure
escludere che le sottoscrizioni seriali
siano state apposte su fogli in bianco prima
della loro compilazione.
Tanto basta all’accoglimento dell’appello
giacché se è vero, come detto, che per
condurre all’esclusione il mancato
adempimento alle clausole di gara deve
realmente sussistere (o, il che è lo stesso,
non deve risultare surrogato da altri
adempimenti), è anche certo che, per poter
impedire l’esclusione, l’equipollenza
dell’adempimento reso rispetto a quello
omesso deve risultare in maniera oggettiva e
univoca e, quindi, non suscettibile di
opposte interpretazioni
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 08.10.2008 n. 4959 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Beni Ambientali. Sanzioni.
In tema di reati paesaggistici, le modifiche
apportate all'art. 181 D.Lgs. 22.01.2004, n.
42 dall'art. 3 del D.Lgs. 26.03.2008, n. 63
(recante "Ulteriori disposizioni integrative
e correttive del D.Lgs. 22.01.2004, n. 42,
in relazione al paesaggio"), confermano che
l'unica sanzione penale applicabile in caso
di lavori di qualsiasi genere su beni
paesaggistici, eseguiti in assenza
d'autorizzazione o in difformità da essa è
quella prevista dall'art. 44, lett. c),
d.P.R. 06.06.2001, n. 380 (Corte di
Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 19.09.2008 n. 35903 -
link a www.lexambiente.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Rifiuti. Confisca mezzo di
trasporto (art. 260 D.Lv. 152-2006).
In tema di gestione dei rifiuti, la confisca
dei mezzi di trasporto è obbligatoria, sia
nelle ipotesi di trasporto illecito di
rifiuti, di trasporto di rifiuti senza
formulario o con formulario con dati
incompleti od inesatti ovvero con uso di
certificato falso durante il trasporto, sia
per il reato d'attività organizzate per il
traffico illecito di rifiuti (art. 260,
D.Lgs. 03.04.2006, n. 152) ove sia stato
commesso mediante l'impiego di mezzi di
trasporto (Corte di Cassazione, Sez. III
penale,
sentenza 19.09.2008 n. 35879 -
link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Struttura tubolare in ferro.
In tema di reati edilizi, è soggetta al
rilascio del permesso di costruire e, in
difetto, integra la violazione dell'art. 44,
lett. b), d.P.R. 06.06.2001, n. 380, la
realizzazione di una struttura tubolare in
ferro, in quanto si tratta di un intervento
edilizio non assentibile in base a semplice
D.I.A. perché modificativo della sagoma
dell'edificio preesistente (fattispecie in
materia di sequestro preventivo nella quale
la Corte ha, peraltro, precisato che a nulla
rileva la circostanza della mancanza
d'aumento volumetrico) (Corte di Cassazione,
Sez. III penale,
sentenza 19.09.2008 n. 35878 -
link a www.lexambiente.it). |
URBANISTICA:
Lottizzazione abusiva negoziale o
cartolare.
In tema di reati edilizi, ai fini della
configurabilità del reato di lottizzazione
abusiva negoziale o cartolare, l'elencazione
degli elementi indiziari di cui all'art. 30,
comma primo, d.P.R. 06.06.2001, n. 380 non è
tassativa né tali elementi devono sussistere
contemporaneamente, in quanto è sufficiente
per l'integrazione del reato anche la
presenza di uno solo di essi, purché risulti
inequivocamente la destinazione a scopo
edificatorio del terreno (Corte di
Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 08.07.2008 n. 27739 -
link a www.lexambiente.it). |
AGGIORNAMENTO AL 14.01.2009 |
ã |
UTILITA' |
PUBBLICO IMPIEGO:
L'incentivo alla
progettazione, interna agli Uffici Tecnici
della pubblica amministrazione, ritorna allo
0,5% con decorrenza 01.01.2009.
Il Ministro per i rapporti con il Parlamento
Elio Vito ha posto, a nome del Governo, la
fiducia sull’approvazione, senza emendamenti
ed articoli aggiuntivi, dell’articolo unico,
nel testo delle Commissioni, del disegno di
legge (C1972) di conversione del
decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185,
recante misure urgenti per il sostegno a
famiglie, lavoro, occupazione e impresa e
per ridisegnare in funzione anti-crisi il
quadro strategico nazionale. La fiducia sarà
votata nella giornata di mercoledì
14.01.2009 a partire dalle ore 15,15.
Il nuovo testo licenziato dalle Commissioni
prevede l'aggiunta del comma 4-sexies
all'art. 18 e, precisamente:
4-sexies. All'articolo
61 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112,
convertito, con modificazioni, dalla legge 6
agosto 2008, n. 133, dopo il comma 7 è
inserito il seguente:
«7-bis. A decorrere dal 1° gennaio 2009, la
percentuale prevista dall'articolo 92, comma
5, del codice dei contratti pubblici
relativi a lavori, servizi e forniture, di
cui al decreto legislativo 12 aprile 2006,
n. 163, e successive modificazioni, è
destinata nella misura dello 0,5 per cento
alle finalità di cui alla medesima
disposizione e, nella misura dell'1,5 per
cento, è versata ad apposito capitolo
dell'entrata del bilancio dello Stato per
essere destinata al fondo di cui al comma 17
del presente articolo». |
dossier D.I.A. |
EDILIZIA PRIVATA:
Il terzo che si opponga ai lavori
edilizi intrapresi tramite D.I.A. è
legittimato a proporre ricorso direttamente
avverso il titolo formatosi a seguito della
stessa.
Il Collegio
ritiene preferibile, in presenza di una
serie di differenziate ricostruzioni
dell’istituto della d.i.a., il più recente
insegnamento espresso al riguardo dal
Consiglio di Stato (cfr. Cons. St. Sez VI,
05.04.2007 n. 1550, Sez. IV 29.07.2008 n.
3742, v. ora anche Sez. IV 25.11.2008 n.
5811) con il quale è stato rilevato che “il
terzo che si oppone ai lavori edilizi
intrapresi tramite d.i.a., non deve chiedere
al Comune di porre in essere i provvedimenti
sanzionatori previsti in genere per gli
abusi edilizi, facendo ricorso, in caso di
inerzia, alla procedura del
silenzio-rifiuto; né deve agire innanzi al
giudice per chiedere l’adempimento delle
prestazioni che la p.a. avrebbe omesso di
svolgere, ovvero chiedere l’annullamento
della determinazione formatasi in forma
tacita, o comunque contestare la
realizzabilità dell’intervento. Né, ancora,
il terzo è tenuto, entro il termine di
decadenza, ad instaurare un giudizio di
cognizione, tendente ad ottenere
l’accertamento della insussistenza dei
requisiti e dei presupposti previsti dalla
legge, per la legittima intrapresa dei
lavori a seguito di d.i.a.. Il terzo,
invece, è legittimato a proporre ricorso
direttamente avverso il titolo abilitativo
formatosi a seguito di d.i.a., il cui
possesso è essenziale, non potendo da esso
prescindersi, non trattandosi di ipotesi di
attività edilizia liberalizzata.".
Si è quindi in presenza, decorsi i 30 giorni
(art. 23 commi 1 e 6, del D.P.R. n. 380 del
2001), di una autorizzazione implicita di
natura provvedimentale, che può essere
contestata dal terzo entro l’ordinario
termine di decadenza di sessanta giorni,
decorrenti dalla comunicazione al terzo del
perfezionamento della d.i.a., o
dall’avvenuta conoscenza del consenso
(implicito) all’intervento oggetto di d.i.a..
Il ricorso avverso il titolo abilitativo
formatosi a seguito di d.i.a. ha ad oggetto,
quindi, non il mancato esercizio dei poteri
sanzionatori o di autotutela
dell’amministrazione, ma direttamente l’assentibilità,
o meno, dell’intervento edilizio
(TAR Lombardia-Brescia,
sentenza 10.01.2009 n. 15 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
dossier SCOMPUTO OO.UU. |
EDILIZIA PRIVATA:
Non è possibile l’eventuale
compensazione globale e indifferenziata fra
oneri primari e secondari
(parere richiesto dal Sindaco del Comune di
Varese (Va) “ai fini della corretta gestione
dei rapporti economici con i privati
proponenti la realizzazione di interventi
edilizi ove è prevista l’esecuzione di opere
di urbanizzazione a scomputo dei relativi
oneri,
se “risulti legittimo sotto
il profilo contabile, il riconoscimento di
uno scomputo globale ed indifferenziato,
indipendentemente dalla ascrivibilità delle
opere realizzate alla categoria delle opere
di urbanizzazione primaria o secondaria,
sino a concorrenza degli oneri di
urbanizzazione complessivamente dovuti,
siano essi a loro volta ascrivibili a
contributo per opere di urbanizzazione
primaria o secondaria".
Il maggior valore realizzato in una
delle due categorie di opere di
urbanizzazione (1^ o 2^ che sia) può essere
compensato con il minor valore delle opere
realizzate nell’altra?
L’individuazione delle categorie di opere di
urbanizzazione primaria e secondaria è
effettuata nei commi 7, 7-bis, 8 dell’art.
16 del DPR 380/2001 e risponde ad
inderogabili esigenze di tutela del
territorio.
Trattandosi di categorie non omogenee di
opere pubbliche da realizzare a vantaggio
della collettività che subisce la
trasformazione urbana derivante
dall’intervento edilizio, non è ammessa
alcuna forma di compensazione fra gli oneri
dovuti per le diverse fattispecie, poiché la
ratio delle norme urbanistiche deve essere
rinvenuta nel preminente interesse pubblico
a che l’amministrazione comunale usufruisca
di ogni opera di urbanizzazione, in ragione
della diversa ma ugualmente imprescindibile
funzione, che le opere primarie e secondarie
assolvono per il corretto assetto del
territorio.
La soluzione prospettata al quesito trova
fondamento nella diversa funzione assolta
dalle opere di urbanizzazione primaria e
secondaria: le une, rendono effettivamente
edificabile l’area su cui sorgerà
l’intervento edilizio, dotandola dei
manufatti e dei servizi indispensabili per
l’agibilità e la fruibilità di un fabbricato
secondo la propria destinazione d’uso; le
altre, concernono la comunità urbanizzata
nel suo complesso per arricchirla di
strutture e servizi che servono a scopi
generali (asili, parchi, biblioteche,
impianti sportivi etc.) e non attengono in
modo specifico all’intervento edilizio,
bensì alla generalità degli abitanti di un
dato comprensorio.
Dalla diversità di funzione ne deriva
l’infungibilità fra le due categorie di
opere, tant’è che la classificazione
nell’ambito di ciascuna delle categorie è
stata compiuta dal legislatore senza
possibilità di deroga per l’interprete.
Sotto un profilo sistematico, il divieto di
compensazione globale e indifferenziata fra
le opere di urbanizzazione primaria e
secondaria realizzate dal promotore
dell’intervento edilizio è il logico
corollario alla predetta infungibilità.
Entrambi gli interventi di urbanizzazione
sono strumenti necessari in sede di rilascio
del permesso di costruire ed in fase di
stipula della convenzione urbanistica, la
quale dovrà contenere la descrizione
analitica e le caratteristiche
tecnico-costruttive delle opere da
realizzare a scomputo degli oneri. In tale
momento l’amministrazione comunale individua
le opere da costruire, al fine di
razionalizzare l’intervento di
trasformazione urbana in un’ottica di
imprescindibile tutela e valorizzazione del
territorio.
Il titolare del permesso di costruire,
aderendo alla convenzione di lottizzazione
ed optando per la diretta realizzazione
delle opere a scomputo dei contributi dovuti
all’amministrazione comunale, agisce
comunque nel proprio interesse, mirando ad
una ricaduta economica positiva concernente
i tempi di costruzione e di vendita dei
lotti edificabili.
Ponendo la questione in questi termini, si
deve evidenziare che la legge regionale
della Lombardia n.12/2005 sancisce il
principio che il promotore dell’intervento
edilizio deve realizzare le opere di
urbanizzazione primaria nella loro interezza
ed una quota parte di quelle di
urbanizzazione secondaria, nonché
salvaguarda in ogni caso il diritto
potestativo del comune di richiedere il
pagamento integrale degli oneri previsti dal
piano attuativo, anziché la realizzazione
diretta delle strutture.
Non sembra superfluo rimarcare che anche la
già citata legislazione nazionale ha avuto
cura di stabilire in modo cogente il
contenuto minimo delle convenzioni
urbanistiche nelle quali devono essere
analiticamente definite le specifiche
tecniche di ogni opera concordata, senza
possibilità di deroga alcuna.
La modifica degli accordi sulla natura e
sulle caratteristiche tecniche delle opere
di urbanizzazione da eseguire a cura del
titolare del permesso di costruire può
avvenire esclusivamente a seguito di una
rivisitazione formale degli accordi e,
dunque, mediante una modifica della
convenzione urbanistica, in linea con gli
imprescindibili parametri normativi di
riferimento.
Appare possibile, infine, che la singola
amministrazione comunale, nell’esercizio
della propria autonomia normativa, possa
emanare una norma specifica, contenuta in un
apposito regolamento edilizio, che vieti
ogni forma di compensazione tra gli oneri di
urbanizzazione primaria e quelli di
urbanizzazione secondaria.
In conclusione, rilevando che la
legislazione di settore, sia essa di fonte
nazionale o regionale, impone che siano
esattamente e distintamente determinati gli
importi degli oneri di urbanizzazione a
scomputo, nonché le caratteristiche
tecnico-costruttive delle opere primarie e
secondarie da realizzare, si ritiene
preclusa, per le motivazioni che
precedono, l’eventuale compensazione
globale e indifferenziata fra oneri primari
e secondari (Corte dei Conti, Sez. regionale di controllo
Lombardia,
parere
15.09.2008 n. 66
- link a www.corteconti.it). |
dossier
VINCOLO PAESAGGISTICO ED ESAME IMPATTO PAESISTICO |
EDILIZIA PRIVATA:
L'autorizzazione paesistica dev'essere
congruamente motivata, esponendo le ragioni
di effettiva compatibilità degli abusi
realizzati con gli specifici valori
paesistici dei luoghi, con la conseguenza
che il difetto di motivazione
dell'autorizzazione giustifica per ciò solo
il suo annullamento in sede di controllo.
La carenza di motivazione è stato ritenuto
dalla giurisprudenza come particolarmente
grave e di per sé sufficiente a giustificare
l’annullamento del nulla osta comunale: in
considerazione della tendenziale
irreversibiltà dell'alterazione dello stato
dei luoghi, un’adeguata gestione dei vincoli
paesistici impone che l'autorizzazione
paesistica sia congruamente motivata,
esponendo le ragioni di effettiva
compatibilità degli abusi realizzati con gli
specifici valori paesistici dei luoghi, con
la conseguenza che il difetto di motivazione
dell'autorizzazione giustifica per ciò solo
il suo annullamento in sede di controllo
(Cons. st., Sez. V n. 4552/2005; Sez. VI,
08.08.2000, n. 4345; Sez. VI, 09.04.1998, n.
460; Sez. IV, 04.12.1998, n. 1734; Sez. VI,
09.04.1998, n. 460; Sez. VI, 20.06.1997, n.
952; Sez. VI, 30.12.1995, n. 1415; Sez. VI,
12.05.1994, n. 771).
In caso di vincolo
successivo alla realizzazione
dell'intervento abusivo, ai fini della sua
sanabilità è necessario il parere
dell'autorità preposta alla gestione del
vincolo.
Come chiarito
da consolidato orientamento
giurisprudenziale, condiviso dalla Sezione,
anche in caso di vincolo successivo alla
realizzazione dell’intervento abusivo, ai
fini della sanabilità di questo è comunque
necessario il parere dell’Autorità preposta
alla gestione del vincolo, in quanto la
compatibilità dell’opera con il contesto
ambientale deve essere valutata con
riferimento al momento in cui deve essere
esaminata la domanda di sanatoria (Cons.
Stato Sez. V 22/12/1994 n. 1574; Cons. Stato
A.P. 22/07/1999 n. 20; Cons. Stato Sez. VI
22/08/2003 n. 4765; ecc.).
Tale giurisprudenza ha poi precisato che,
nel caso di vincolo assoluto di
inedificabilità, il vincolo non può
considerarsi del tutto inesistente per il
solo fatto che sia sopravvenuto
all’edificazione (e ritenere quindi che
l’abuso sia sanabile solo perché l’art. 33,
comma 1, della L. 47/1985 si riferisce ai
vincoli di inedificabilità assoluta imposti
prima dell’esecuzione delle opere): in
questi casi deve essere applicato lo stesso
regime indicato nella previsione generale di
cui all’art. 32, comma 1, della L. 47/1985,
che subordina il rilascio della concessione
in sanatoria per opere sottoposte a vincolo,
al parere favorevole dell’autorità preposta
alla sua tutela (cfr. Cons. Stato A.P. n.
20/1999). Sicché, in tali circostanze, il
vincolo da assoluto diviene relativo, ed è
necessario il rilascio del parere di
conformità.
Occorre però rilevare che, secondo la
giurisprudenza, nel compiere il giudizio di
compatibilità, l’Amministrazione non può non
tener conto delle prescrizioni recate dal
vincolo stesso, così come accade nel caso di
vincolo relativo sopravvenuto (Cons. Stato
Sez. V 07/10/2003 n. 5918), con l’effetto,
quindi, di poter ritenere non sanabile il
manufatto quando contrasti con le
prescrizioni recate dal provvedimento di
vincolo
(TAR Lazio-Roma, Sez. II-quater,
sentenza 08.01.2009 n. 56 - link
a www.giustizia-amministrartiva.it). |
GIURISPRUDENZA |
EDILIZIA PRIVATA:
In caso di concessione edilizia
richiesta da un comproprietario
l’amministrazione comunale non è tenuta a
svolgere particolari indagini sulla
situazione dominicale allegata dal
richiedente, se non nel caso in cui
risultino manifesti dissensi od opposizioni
provenienti da altri comproprietari.
In caso di
concessione edilizia richiesta da un
comproprietario, per giurisprudenza
costante, l’amministrazione non è tenuta a
svolgere particolari indagini sulla
situazione dominicale allegata dal
richiedente, se non nel caso in cui
risultino manifesti dissensi od opposizioni
provenienti da altri comproprietari: “Se
normalmente l'amministrazione non è tenuta a
svolgere indagini particolari in presenza
della richiesta edificatoria prodotta da un
comproprietario, al contrario, qualora uno o
più comproprietari si attivino per
denunciare il proprio dissenso rispetto al
rilascio del titolo edificatorio, il comune
deve verificare se, dietro l'istanza di
concessione, sia riconoscibile l'effettiva
sussistenza della disponibilità del bene
oggetto dell'intervento edificatorio”
(TAR Campania - Salerno, Sez. II,
05.10.2007, n. 2080). Si è al riguardo anche
precisato che “il singolo condomino è
legittimato a presentare in proprio una
d.i.a. (o comunque a richiedere il rilascio
di un titolo edilizio), non essendo
necessaria la contestuale sottoscrizione
della richiesta da parte degli altri
comproprietari” (TAR Lombardia - Milano,
Sez. II, 08.03.2007, n. 381).
Recentemente anche altro TAR ha sottolineato
la sufficienza della comproprietà ai fini di
integrazione del possesso del requisito del
titolo a richiedere il permesso di
costruire: “La comproprietà proindivisa
consolida ancor più il principio che ai fini
del rilascio della concessione edilizia
onera l'Amministrazione del solo
accertamento del titolo astrattamente idoneo
da parte del richiedente alla disponibilità
dell'area oggetto dell'intervento edilizio”
(TAR Liguria, Sez. I, 11.12.2007, n. 2048).
L'amministrazione ha il potere e il dovere
di verificare l'esistenza in capo al
richiedente di un idoneo titolo di godimento
sull'immobile solo “qualora vi sia un
conclamato dissidio in ordine alla
legittimità delle opere edilizie
interessanti porzioni condominiali comuni,
di pretendere la produzione della
dichiarazione di assenso
dell'amministrazione condominiale
all'esecuzione delle opere previste in
sanatoria” (Consiglio Stato, Sez. V,
21.10.2003, n. 6529; in tal senso anche,
Consiglio di Stato, Sez. V, 20.09.2001, n.
4972)
(TAR Piemonte, Sez. II,
sentenza 30.10.2008 n. 2721 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
L’Amministrazione comunale non è
obbligata ad approvare i piani di
lottizzazione che siano conformi alle
previsioni urbanistiche e che non incorrano in
divieti normativi.
L’assunto si basa sul presupposto che
l’Amministrazione comunale è obbligata ad
approvare i piani di lottizzazione, che
siano conformi alle previsioni urbanistiche
e non incorrano in divieti normativi, così
come predisposti dal soggetto interessato.
Tale prospettazione non è condivisibile, in
quanto non tiene conto del fatto che viene
in considerazione uno strumento di
programmazione urbanistica, attraverso il
quale si compiono scelte di assetto del
territorio, caratterizzate da amplissima
discrezionalità.
Il ricorso al modello negoziale (convenzione
di lottizzazione) non pone il soggetto
pubblico sullo stesso piano del soggetto
privato, soprattutto per quanto riguarda la
fase antecedente alla sua approvazione, la
quale non costituisce espressione di un
obbligo, ma di una scelta politica
(TAR Sicilia-Palermo, Sez. II,
sentenza 24.10.2008 n. 1298 - link a www.giustizia-amministratriva.it). |
LAVORI PUBBLICI:
Il progetto definitivo non è
suscettibile di modificazione in sede di
progetto esecutivo in quelle parti che
determinano il concreto assetto del
territorio.
E’ stato affermato che il progetto
definitivo “contenendo la dichiarazione
di p.u., indifferibilità ed urgenza, imprime
al bene privato (previa, si ricordi, la
necessaria comunicazione dell’avvio del
relativo procedimento nei confronti del
proprietario dell’area interessata)
quella particolare qualità, che lo rende
assoggettabile alla procedura espropriativa
(v. Cons. St., sez. IV, 06.06.2001, n. 3033
e 13.12.2001, n. 6238); …la veduta,
specifica, clausola legislativa (di cui
all’art. 14, comma 13 della legge
11.02.1994, n. 109) –prosegue la
motivazione- che disciplina
l’approvazione del progetto definitivo
conferendole gli effetti propri di quanto
già previsto dall’art. 1 della legge
03.01.1978, n. 1, implica che l’assetto del
territorio debba ritenersi definitivamente
conformato alla stregua di quanto previsto
nello stesso progetto (cosicché nessuna
variazione di tale assetto può poi
conseguire dalla successiva approvazione del
progetto esecutivo: v. Cons. St., sez. V,
08.10.2002, n. 5301)”.
La decisione, in altri termini, e
condivisibilmente, ha affermato che il
progetto definitivo non è suscettibile di
modificazione in sede di progetto esecutivo
in quelle parti che determinano il concreto
assetto del territorio: (salve,
naturalmente, le eventuali, successive,
puntualizzazioni dell’òpera, cui è
specificamente finalizzato il progetto
esecutivo medesimo. E ciò, in particolare,
-è stato asserito- per quanto concerne la
concreta definizione delle opere da
realizzare e delle aree all’uopo necessarie;
sì che nella fase successiva non saranno poi
introducibili mutamenti della localizzazione
dell’opera, tali da incidere sulle posizioni
degli interessati in maniera diversa da
quanto non abbia già previsto il progetto
definitivo (v. Tribunale sup.re acque,
04.03.2002, n. 27).
In adesione alle richiamate proposizioni è
possibile affermare che in sede di progetto
esecutivo è precluso introdurre quelle
modificazioni al progetto definitivo che
mutino il tipo di opera dallo stesso
approvata, o incidano su soggetti diversi da
quelli già contemplati o aggravino il
pregiudizio imposto ai privati coinvolti nei
loro beni dall’opera pubblica; ciò vuol dire
che il progetto definitivo non è un
documento cristallizzato ed assolutamente
immodificabile, ben potendo sopportare tutte
quelle variazioni che incrementino
l’efficienza dell’opera o ne riducano i
costi in termini di sacrificio di valori
giuridici protetti dall’ordinamento.
La giurisprudenza ha infatti riconosciuto
che “è consuetudine che, in sede
autorizzativa, l’Amministrazione detti
alcune prescrizioni da porre in essere in
fase esecutiva, senza che per questo il
progetto perda le sue caratteristiche di
progetto definitivo.
Realizzare un’opera pubblica di particolare
complessità …necessita inevitabilmente di
ottimizzazioni che non possono che
interessare la fase esecutiva e che, in sede
di autorizzazione, non possono che essere
contemplate per mezzo di prescrizioni la cui
effettiva esecuzione potrà essere garantita,
come nel caso di specie, per mezzo del
collaudo e del monitoraggio “(Cons. St.,
Sez. IV, 03.05.2005 n. 2136)” (Consiglio
di Stato, Sez. V,
sentenza 17.10.2008 n. 5093 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Sul ricalcolo, eventuale, del
contributo di costruzione se i lavori edili
non sono terminati nel termine concesso e
sulla restituzione del contributo di
costruzione versato e non dovuto.
Il superamento
dei termini per l’inizio e l’ultimazione dei
lavori (e la conseguenziale decadenza del
titolo edilizio precedentemente rilasciato)
non impone sempre e comunque il rimborso del
contributo rilasciato, ma è possibile il
rilascio di un nuovo titolo edificatorio che
venga ad integrare una sostanziale
continuazione dell’attività di realizzazione
già realizzata e che deve essere
accompagnato dal ricalcolo del contributo di
costruzione dovuto, solo ove se ne prospetti
la necessità e, quindi, in presenza di
particolari circostanze di fatto e
giuridiche (modifica dell’importo del
contributo) che rendano necessario procedere
ad una nuova quantificazione di quanto
dovuto a titolo di oneri concessori.
L'obbligo di
restituzione, da parte di un comune, dei
contributi di concessione non dovuti
comporta il sorgere dell'obbligazione
accessoria avente ad oggetto la
corresponsione degli interessi legali sulle
somme indebitamente percepite a partire,
presumendosi la buona fede del percettore,
dalla data di richiesta della restituzione,
ma non anche della rivalutazione monetaria,
essendo quest'ultima riconducibile alla
diversa ipotesi di inadempimento di
un'obbligazione pecuniaria (TAR Campania
Salerno, sez. II, 05.04.2006, n. 432; TAR
Lombardia Milano, sez. II, 05.05.2004, n.
1620)
(TAR Puglia-Lecce, Sez. III,
sentenza 20.12.2007 n. 4300 -
link a www.giutizia-amministrativa.it). |
COMPETENZE PROFESSIONALI: La
competenza professionale di un geometra non
può estendersi alla predisposizione ed alla
vigilanza su quelle attività che implicano
l’utilizzo di vari principi della fisica, e
si configurano come funzionalmente autonomi
rispetto alle opere tipicamente murarie.
Con il primo articolato motivo di
impugnazione i ricorrenti muovono dalla
normativa che abilita il geometra ad operare
nella progettazione, direzione e vigilanza
di modeste costruzioni civili (art. 16,
lett. m del rd 11.02.1929, n. 274), per
inferire che la legislazione successiva, che
ha previsto le modalità con cui possono
essere realizzati gli impianti di
riscaldamento, non ha derogato alle generale
previsione del regolamento citato. La tesi
sostenuta è in sostanza che un geometra è
abilitato ad occuparsi dell’installazione di
un impianto di riscaldamento, allorché si
tratti di una modesta costruzione civile,
posto che il bene di che si tratta
costituisce una mera pertinenza
dell’immobile. In tale contesto la
disciplina che il legislatore ha introdotto
in anni recenti avrebbe solo specificato
quali sono le caratteristiche che devono
assumere gli strumenti che devono apportare
delle temperature sopportabili per l’uomo,
ma non ha fatto rientrare nella competenza
degli ingegneri o dei periti industriali la
possibilità di progettare ed installare tali
impianti. Gli architetti non hanno proposto
un’autonoma censura, che riguarda la
posizione di pertinenza.
Il tribunale non può condividere questa
argomentazione.
La giurisprudenza, che si condivide, ha
infatti ritenuto (TAR Liguria, 02.02.2005,
n. 137, TAR Piemonte, 2004, n. 261; TAR
Lazio, Roma, sez. III-ter 2003, n. 1698)
impossibile la prospettata interpretazione
estensiva della nozione di edilizia, nel
sistema di ripartizione delle competenze
professionali derivante dal rd 23.10.1925,
n. 2537; si devono pertanto espungere dal
settore di competenza i lavori, le opere od
in genere le attività che comportano le
applicazioni della fisica, come previste
dall’art. 54, comma 4, del citato regio
decreto. In particolare la realizzazione di
immobili per l’abitazione od il lavoro
dell’uomo non può essere concettualmente
ristretta come derivante da un’unica
attività, posto che determinati ritrovati
devono rispondere ai requisiti di maggior
tutela degli utilizzatori degli edifici, che
sono perseguiti dalle norme applicate
dall’impugnato diniego del comune di Genova.
E’ per ciò che l’art. 4 della legge
05.03.1990, n. 46 ha imposto la redazione di
un’autonoma relazione tecnica per
l’installazione degli strumenti elettrici,
degli impianti di terra, di quelli che
utilizzano il gas, degli ascensori …, ed ha
con ciò scorporato concettualmente queste
attività da quelle volte alla mera
realizzazione della costruzione. Va perciò
ritenuto che la competenza professionale di
un geometra non può estendersi alla
predisposizione ed alla vigilanza su quelle
attività che implicano l’utilizzo di vari
principi della fisica, e si configurano come
funzionalmente autonomi rispetto alle opere
tipicamente murarie
(TAR Liguria,
sentenza 02.03.2006 n. 166 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AGGIORNAMENTO AL 12.01.2009 |
ã |
dossier D.I.A. |
EDILIZIA PRIVATA:
E' allo scadere dei 30 gg. che le
opere edilizie, della d.i.a. presentata,
devono risultare conformi
sia
alla strumentazione urbanistica vigente che
a quella adottata.
- la Sezione ha
già statuito, in riferimento alla D.I.A.,
che “Poiché la legge inibisce
all'interessato l’avvio dell’attività
edilizia fino a quando non spiri
infruttuosamente il termine concesso
all'amministrazione per disporre
definitivamente il divieto della stessa
senza violare alcun legittimo affidamento
nel frattempo maturato, è al momento di
scadenza di tale termine che le opere devono
risultare conformi sia alla strumentazione
urbanistica vigente che a quella adottata”
(Sentenza Sezione 02/04/2004 n. 380);
- la pronuncia ha aggiunto che “Qualora
non sussista tale presupposto
l'amministrazione deve intervenire,
analogamente a quanto avviene nel
procedimento volto al rilascio del permesso
di costruire, per l'applicazione delle
misure di salvaguardia”;
- malgrado la sentenza richiamata riguardi
l'applicazione delle misure di salvaguardia,
essa appare esprimere un principio valido
per la fattispecie in esame, dovendosi
assumere la disciplina vigente al compimento
del trentesimo giorno come riferimento per
la legittimazione dell'intervento oggetto
della D.I.A.
(TAR Lombardia-Brescia,
ordinanza sospensiva 28.06.2005 n. 822
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: In
caso di presentazione della d.i.a., è al 30°
giorno successivo che le opere devono
risultare conformi sia alla strumentazione
urbanistica vigente che a quella adottata.
Fra i vari requisiti richiesti affinché la
D.I.A. possa produrre i propri effetti
legittimanti è prevista la conformità delle
opere da realizzare con gli strumenti
urbanistici adottati o approvati (art. 4,
comma 11, del D.L. n. 398 del 1993).
Al fine di verificare la sussistenza di
tutti presupposti legittimanti è prescritto
che la denuncia venga presentata prima
dell’inizio dei lavori.
In sostanza l'ordinamento non consente
all'interessato l'immediato inizio
dell'attività edilizia, ma prevede un breve
termine entro cui l'amministrazione possa
intervenire per inibire definitivamente
l'attività in caso di assenza dei requisiti
richiesti senza violare alcun legittimo
affidamento nel frattempo maturato
dall’interessato (termine fissato in 20
giorni dall’art. 4, comma 11, del D.L. n.
398 del 1993 ora elevato a 30 gg. dall'art.
23, comma 1, del D.p.r. n. 380 del 2001).
In questa logica procedimentale gli effetti
dell'attività amministrativa di istruttoria
sulla D.I.A. non sono diversi da quelli
conseguenti all'espletamento
dell’istruttoria volta al rilascio del
permesso di costruire. In sostanza, in
entrambi i casi, è precluso all'interessato
intraprendere i lavori fino a quando non
decorra infruttuosamente il termine previsto
dalla legge per inibire l'effettivo inizio
degli stessi ovvero fino al rilascio
dell'esplicito titolo edilizio (permesso di
costruire).
L'ordinamento, pertanto, non tollera
attività edilizie intraprese in assenza di
un comportamento cosciente, attivo o
passivo, dell'amministrazione deputata al
relativo controllo.
Nel caso della D.I.A. si tratta di un
comportamento omissivo, ossia la mancata
inibizione dei lavori dopo lo svolgimento
dell'attività istruttoria volta
all'accertamento dei presupposti
legittimanti l'esecuzione degli stessi. Nel
caso di permesso di costruire si tratta, al
contrario, di un comportamento attivo,
consistente nell'emanazione del prescritto
titolo legittimante.
Analogo parallelismo deve, pertanto,
sussistere anche per l'applicazione delle
misure di salvaguardia, atteso che la
denuncia di inizio attività non può
validamente produrre i suoi effetti in caso
di contrasto con gli strumenti urbanistici
anche adottati.
Nel caso di opere edilizie subordinate
all’ottenimento di un titolo espresso (oggi
permesso di costruire), l'ordinamento non
tollera che lo stesso venga rilasciato in
contrasto con gli strumenti urbanistici in
fase di adozione prevedendo, al riguardo,
l'applicazione delle misure di salvaguardia
di cui alla Legge 03.11.1952 n. 1902,
ancorché l'istanza sia stata presentata
prima di tale adozione.
In sostanza nelle more di conclusione del
procedimento amministrativo, in questo caso
volto all'emanazione di un provvedimento
espresso, l'istanza dell'interessato non può
ritenersi immune dai mutamenti della
strumentazione urbanistica del frattempo
intervenuti.
In questa logica appare coerente applicare
analogo principio al procedimento
istruttorio volto alla verifica dei
presupposti legittimanti l'esecuzione dei
lavori in base ad una denuncia di inizio
attività.
Poiché la legge inibisce all'interessato
l’avvio dell’attività edilizia fino a quando
non spiri infruttuosamente il termine
concesso all'amministrazione per disporre
definitivamente il divieto della stessa
senza violare alcun legittimo affidamento
nel frattempo maturato, è al momento di
scadenza di tale termine che le opere devono
risultare conformi sia alla strumentazione
urbanistica vigente che a quella adottata.
Qualora non sussista tale presupposto
l'amministrazione deve intervenire,
analogamente come avviene nel procedimento
volto al rilascio del permesso di costruire,
per l'applicazione delle misure di
salvaguardia (TAR Lombardia-Brescia,
sentenza 02.04.2004 n. 380 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
dossier RIFIUTI E BONIFICHE |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Rifiuti. Taglio alberi ed
eliminazione dei rami mediante
incenerimento.
Il taglio di alberi, eseguito nell'ambito
della silvicoltura, costituisce attività
produttiva e quindi trova applicazione il
D.L.vo 152/2006. La eliminazione, mediante
incenerimento, dei rami degli alberi
tagliati (per circa un metro cubo) non
usufruibili in processi produttivi non
costituisce una forma di utilizzazione
nell'ambito di attività produttive. Inoltre
non trova riscontro nelle tecniche di
coltivazione attuali l'utilizzazione delle
ceneri come concimante naturale. Tale
materiale pertanto non può essere
considerato materia prima secondaria
riutilizzata in diversi settori produttivi
senza pregiudizio per l'ambiente (Corte di
Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 16.12.2008 n. 46213 -
link a www.lexambiente.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Rifiuti. Deposito temporaneo.
Il luogo di produzione dei rifiuti rilevante
ai fini della nozione di deposito temporaneo
ai sensi dell'art. 183, comma primo, lett.
m). d. lgs. 03.04.2006, n. 152 non è solo
quello in cui i rifiuti sono prodotti ma
anche quello in disponibilità dell'impresa
produttrice nel quale gli stessi sono
depositati, purché funzionalmente collegato
a quello di produzione (nella specie non si
è ritenuto sufficiente, per escludere un
deposito temporaneo, la circostanza che i
rifiuti venissero spostati, all'interno
della stessa area oggetto di lottizzazione,
da una zona in via di costruzione ad altra
già costruita, ritenendo necessario che il
giudice valuti, adeguatamente e congruamente
motivando il suo convincimento in proposito,
se luogo di produzione e luogo di deposito
fossero a disposizione della stessa impresa
e se il secondo potesse ritenersi
funzionalmente collegato al primo, tenendo
anche conto delle caratteristiche del caso
concreto, ed in particolare dell'eventualità
che effettivamente si trattasse di una unica
lottizzazione e di un unico perimetro
aziendale) (Corte di Cassazione, Sez. III
penale,
sentenza 09.12.2008 n. 45447 -
link a www.lexambiente.it). |
dossier SCOMPUTO OO.UU. |
EDILIZIA PRIVATA: L’esenzione
totale o parziale dal pagamento degli oneri
d’urbanizzazione consegue ad un’attività
valutativa (di natura discrezionale)
dell’Amministrazione che si conclude con un
atto, anche di natura convenzionale, che
fissi il tipo e l’entità delle opere ammesse
dal Comune alla realizzazione diretta da
parte del titolare della concessione
edilizia nonché l’importo economico da
scomputare, per cui l’esenzione in questione
non può mai derivare dall’autonoma
unilaterale scelta del concessionario.
L'art. 11 della legge n. 10/1977, nel
prevedere la possibilità per il titolare
della concessione edilizia dello scomputo
dal contributo delle somme relative a spese
per opere d’urbanizzazione direttamente
realizzate dal concessionario, limita
siffatta possibilità a quelle opere che “il
concessionario si sia obbligato ad eseguire”
e dispone espressamente che la possibilità
medesima va esercitata “con le modalità e le
garanzie stabilite dal Comune”.
Ciò significa che l’esenzione totale o
parziale dal pagamento degli oneri
d’urbanizzazione consegue ad un’attività
valutativa (di natura discrezionale)
dell’Amministrazione che si conclude con un
atto, anche di natura convenzionale, che
fissi il tipo e l’entità delle opere ammesse
dal Comune alla realizzazione diretta da
parte del titolare della concessione
edilizia nonché l’importo economico da
scomputare, per cui l’esenzione in questione
non può mai derivare dall’autonoma
unilaterale scelta del concessionario (cfr.
in termini Cons. di Stato –Sez. V –
29/09/1999 n. 1209; id. 01/06/1998 n. 701).
Non può escludersi invero che
l’Amministrazione, pur in assenza di un atto
d’obbligo, possa (o debba) tener conto della
domanda di scomputo delle opere già
realizzate senza il previo dettato comunale
in ordine alle modalità di esecuzione delle
opere ed alle garanzie per il Comune, ma ciò
presuppone quantomeno la relativa
previsione, anche se solo in forma generica,
nella concessione edilizia ovvero la
discrezionale determinazione di accettazione
ex post delle opere da parte del Comune
medesimo, evenienze queste che non ricorrono
nella vicenda in esame nella quale non solo
manca una qualsivoglia partecipazione
consensuale dell’Ente, ma per di più da
quest’ultimo viene negata in radice, come
innanzi si è chiarito, la sussistenza dei
presupposti dello scomputo
(TAR Campania-Salerno, Sez. II,
sentenza 04.07.2005 n. 1082 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Lo
scomputo, totale o parziale, della quota di
contributo dovuta in caso di realizzazione
diretta delle opere di urbanizzazione deve
essere effettuato senza distinzione tra
opere di urbanizzazione primaria e
secondaria, atteso che la mancata
distinzione, nella sede legislativa
specifica, delle due categorie di opere
vieta all’interprete di introdurre una
siffatta distinzione.
In ordine alla questione della
scomputabilità –dall’importo dovuto a titolo
di oneri di urbanizzazione secondaria– del
valore delle opere di urbanizzazione
primaria eseguite o da eseguirsi dalla
ricorrente va premesso che, come previsto
dalla legge 28.01.1977 n. 10, il
concessionario può obbligarsi a realizzare
direttamente le opere di urbanizzazione con
le modalità e le garanzie stabilite dal
comune a scomputo totale o parziale degli
oneri di urbanizzazione primaria o
secondaria (artt. 11 e 5).
L’obbligazione per oneri di urbanizzazione,
a differenza di quella contributiva per
costo di costruzione che è stata definita
acausale perché connessa alla mera
utilizzazione edificatoria del territorio e
perciò ritenuta di natura paratributaria,
deve ritenersi invece causale ed ha natura
di corrispettivo di diritto pubblico di
natura non tributaria, dovuto dal titolare
della concessione edilizia per la
partecipazione ai costi delle opere di
urbanizzazione connessi all’edificazione (da
ultimo, Tar Campania, Salerno, II,
23.05.2003 n. 548).
Peraltro, la quota di urbanizzazione è stata
anche qualificata come tassa, in quanto
essenzialmente corrispettivo di una
prestazione resa o da rendere da parte
dell’amministrazione, o avente natura di
corrispettivo di diritto pubblico (Tar
Lombardia Milano, II, 06.11.2002 n. 4267).
Ad avviso del Collegio, si tratta, comunque,
di una forma di partecipazione alle spese
pubbliche con caratteri atipici, ma sempre
collegata all’attività di trasformazione del
territorio (C.S., V, 06.05.1997 n. 462); più
precisamente, ha carattere di corrispettivo
di diritto pubblico, di natura non
tributaria, posto a carico del costruttore a
titolo di partecipazione del concessionario
ai costi delle opere di urbanizzazione in
proporzione all’insieme dei benefici che la
nuova costruzione ne ritrae (C.S., V,
23.05.1997 n. 529).
Pertanto, il relativo contributo può essere
scomputato nei casi in cui, ricorrendone i
presupposti e le condizioni, le opere di
urbanizzazione siano realizzate dal titolare
della concessione edilizia (art. 11, comma
1, citato, l. 10/1977).
Ne consegue che ben può ammettersi anche la
scomputabilità del valore corrispondente
alle opere di urbanizzazione primaria
dall’importo dovuto a titolo di oneri di
urbanizzazione secondaria, attesa la comune
natura giuridica degli oneri di cui
trattasi, non ravvisandosi ragioni ostative
alla compensazione tra obbligazioni
intercorrenti tra i medesimi soggetti e
nascenti dal medesimo rapporto
convenzionale.
La giurisprudenza, anche di questo
Tribunale, ha già affermato che lo scomputo,
totale o parziale, della quota di contributo
dovuta in caso di realizzazione diretta
delle opere di urbanizzazione deve essere
effettuato senza distinzione tra opere di
urbanizzazione primaria e secondaria, atteso
che la mancata distinzione nella sede
legislativa specifica (art. 11 legge n.
10/1977) delle due categorie di opere vieta
all’interprete di introdurre una siffatta
distinzione (da ultimo, Tar Toscana, III,
11.03.2004 n. 679 e giurisprudenza ivi
richiamata).
Come già
chiarito, deve ammettersi la possibilità per
il titolare della concessione edilizia di
realizzare in tutto o in parte le opere di
urbanizzazione, sia primarie che secondarie,
a scomputo dei relativi oneri, “con le
modalità e le garanzie stabilite dal
comune”, ai sensi dell’art. 11 l. 10/1977 e,
ora, dell’art. 16 del d.p.r. 06.06.2001 n.
380 (t.u. in materia edilizia) e dell’art.
26, comma 11, l.r.t. 52/1999.
Tale facoltà, peraltro, non implica in
nessun caso una pretesa indiscriminata allo
scomputo del valore di qualsiasi opera di
urbanizzazione volontariamente seguita al di
fuori di un preventivo accordo con il comune
che è il soggetto destinatario degli oneri
di urbanizzazione e, in caso di scomputo del
valore delle opere direttamente eseguite dal
concessionario, delle opere stesse che
devono soddisfare, sotto il profilo
quantitativo, qualitativo e funzionale le
necessità del nuovo insediamento.
Pertanto, l’accertamento del se (e della
misura in cui) le opere eseguite
direttamente dal privato rispondano alle
predette necessità non può che spettare al
comune, in via preventiva o successiva alla
realizzazione delle opere medesime.
Laddove sussista, la convenzione sugli oneri
di urbanizzazione inserita nei procedimenti
di concessione edilizia onerosa ha carattere
di contratto di natura peculiare che viene
ad innestarsi nel procedimento che si
conclude con rilascio della concessione
edilizia; pertanto, come la pubblica
amministrazione non può apportare modifiche
unilaterali alla convenzione urbanistica
stipulata tra essa ed il privato con la
quale siano stati quantificati gli oneri di
urbanizzazione (C.G.A., 01.02.2001 n. 184),
così il concessionario non può mettere in
discussione l’obbligazione convenzionalmente
assunta.
Al più, ove modalità e garanzie non siano
state oggetto di preventivo accordo con il
comune, la giurisprudenza ritiene che la
pretesa del concessionario sia subordinata
alla valutazione comunale dell’entità e
della effettiva utilizzazione delle opere
realizzate (Tar Lazio, II-bis, 22.07.2003 n.
6570 e giurisprudenza ivi citata) (TAR
Toscana, Sez. III,
sentenza 11.08.2004 n. 3181 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
dossier SOTTOTETTI |
EDILIZIA PRIVATA:
Sul recupero di un sottotetto
esistente che da due falde diventa piano e
sul recupero del sottotetto rispettando
l'altezza massima di zona espressa in numero
di piani e non di metri lineari.
Ai fini della
definizione delle questioni giuridiche
sottoposte al Collegio è opportuno
brevemente inquadrare le caratteristiche
fondamentali e la ratio sottesa alla
disciplina regionale sull’istituto del
recupero dei sottotetti (rinviando per una
più compiuta ricostruzione dell’istituto e
dell’evoluzione normativa nella Regione
Lombardia alle decisioni 04.02.2008 n. 298,
21.12.2006 n. 7770 e 30.05.2005 n. 2767
della IV Sez. del Consiglio di Stato).
La legge regionale n. 15 del 15.07.1996 si
era mossa nell’intento di favorire la
creazione di nuove residenze attraverso il
razionale recupero dei sottotetti e di
evitare così un ulteriore consumo di
territorio altrimenti necessario per la
soddisfazione dei bisogni delle famiglie.
Il recupero volumetrico a scopo residenziale
del piano sottotetto, in base alla citata
legge regionale, non poteva prescindere
dall'esistenza dell'edificio e del
sottotetto medesimo (da intendersi come vero
e proprio volume preesistente) e doveva
avvenire nel rispetto delle prescrizioni
igienico-sanitarie e di abitabilità previste
dai regolamenti vigenti.
Da ciò derivava, pertanto, che le modifiche
di altezza e volumetria, ai sensi della
citata normativa regionale, potevano
ritenersi ammissibili solo laddove
strettamente necessarie a rendere abitabili
i predetti volumi, con conseguente
esclusione di quelle trasformazioni che si
sostanziassero nella creazione di nuove
volumetrie, che venissero in qualsiasi modo
ad eludere (o, meglio, ad eccedere) lo scopo
unico, cui il legislatore regionale aveva
funzionalizzato le modifiche medesime (
Cons. St., IV, 30.05.2005, n. 2767 ).
Siffatte trasformazioni potevano avvenire,
come s'è visto, in deroga ad ogni previsione
urbanistica comunale, comprese, quindi,
quelle in tema di limiti quantitativi di
natura volumetrica.
Al termine di un complesso e non lineare
percorso (per la cui esposizione si rinvia
alla già richiamata decisione n. 298 del
2008 della IV Sez. del Cons. di Stato) si è
pervenuti alla disciplina posta dall’art. 64
della L.R. n. 12 del 2005, nel testo come
modificato dalla L.R. n. 20 del 2005, che è
la normativa applicabile alla domanda
dell’odierno ricorrente.
Per quanto in questa sede viene in rilievo,
va posto in luce che il primo comma del
predetto art. 64 prevede che: “Gli
interventi edilizi finalizzati al recupero
volumetrico dei sottotetti possono
comportare l'apertura di finestre,
lucernari, abbaini e terrazzi per assicurare
l'osservanza dei requisiti di
aeroilluminazione e per garantire il
benessere degli abitanti, nonché, ove lo
strumento urbanistico generale comunale
vigente risulti approvato dopo l'entrata in
vigore della L.R. n. 51/1975, modificazioni
delle altezze di colmo e di gronda e delle
linee di pendenza delle falde, purché nei
limiti di altezza massima degli edifici
posti dallo strumento urbanistico ed
unicamente al fine di assicurare i parametri
di cui all'articolo 63, comma 6”.
Il provvedimento di diniego emesso dal
Comune di Bergamo si fonda proprio
sull’assunto che la richiesta del recupero
del sottotetto avanzata dal Martino si pone
in contrasto con detta prescrizione,
superando il limite di altezza posto dal
regolamento edilizio.
La particolarità della vicenda all’esame è
costituita dalla circostanza che il PRG di
Bergamo, per la zona in questione, prevede
non già un’altezza massima indicata in
metri, ma solo un numero massimo di piani:
nella specie 4.
Il Collegio ritiene che al problema sia
possibile fornire soluzione attraverso
un’interpretazione sistematica delle
previsioni contenute nel predetto
regolamento edilizio, colmando la lacuna che
si è determinata per effetto
dell’intersecarsi della particolare
disciplina urbanistica comunale con la norma
regionale sul recupero dei sottotetti.
Invero, la presenza di una disposizione
(particolare) che determina le modalità di
conversione in metri di altezze indicate in
piano -il riferimento è al comma 7,
dell’art. 73, il quale prevede che “l’altezza
massima dei fronti degli edifici per i quali
la strumentazione urbanistica prevede
un’altezza semplicemente individuata in
numero di piani, viene determinata
moltiplicando il numero di piani previsti in
progetto per ml 4”– consente di
individuare, per induzione, il criterio
generale di conversione in metri delle
altezze individuate in numero massimo di
piani.
In altri termini, deve ritenersi che i
limiti massimi di altezza in piani siano
ragguagliabili comunque a limiti espressi in
metri attraverso l’utilizzo del parametro di
riferimento costituito dal rapporto un piano
= m. 4 di altezza.
Applicando detto criterio si perviene alla
conclusione che il progetto presentato dal
Martino non superava in altezza il limite
massimo dell’edificio preesistente.
Invero, come emerso dalle misurazioni
disposte attraverso l’ordinanza collegiale
n. 104/2008, l’altezza (dal piede
all’estradosso al colmo) del fabbricato
esistente è pari a mt. 16,08/16,38, con il
supero di pochi centimetri che rimane nei
limiti di tolleranza.
Attraverso la suddetta moltiplicazione (4x4
= 16) trova dunque conferma il rispetto -da
parte del progetto di recupero del
sottotetto a fini abitativi- del limite di
altezza di zona stabilito dal PRG (quattro
piani).
Come risulta dalla planimetria di progetto
(acquisita agli atti attraverso l’ordinanza
istruttoria), mediante il recupero del
sottotetto proposto si mantiene l’altezza al
colmo esistente, operando esclusivamente
l’innalzamento delle falde in gronda, sino
ad ottenere l’identica altezza in colmo ed
in gronda (in altri termini, un tetto piatto
anziché a falde inclinate).
In tale contesto non vi era dunque valido
motivo per denegare il permesso di costruire
richiesto.
Al termine del suddetto percorso, va quindi
confermata, seppur attraverso un differente
iter argomentativo, la conclusione a cui era
già pervenuta la Sezione con la sentenza
08.03.2007 n. 254.
In detta occasione si era, infatti rilevato
che il limite dell'altezza massima prevista
dal PRG deve essere inteso “come
riferimento ai limiti stabiliti in termini
metrico/reali (cioè altimetrici o di quota)
e non attraverso il criterio del numero dei
piani (come prevede l'art. 73 comma 10 del
R.E.) quando il piano considerato ai fini
del computo dell'altezza (dalle norme
edilizie e urbanistiche comunali)
costituisce esso stesso un sottotetto
secondo la definizione contenuta nell'art. 1
comma 4 della stessa L.r. (ossia i
"volumi sovrastanti l'ultimo piano degli
edifici"), evidenziando che “il
Legislatore regionale ha voluto
salvaguardare solo l'altezza fisica degli
edifici (ovvero l'altezza effettiva o reale
o visiva), e non l'altezza virtuale
determinata attraverso il mero numero dei
piani computabili (o meno) qualora assumano
determinate configurazioni definite
attraverso le norme edilizie e urbanistiche
locali”
(TAR Lombardia-Brescia,
sentenza 28.11.2008 n. 1720 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il recupero
volumetrico dei sottotetti può avvenire solo
in relazione al sottotetto esistente nella
sua conformazione originaria, qualora
sussistano le condizioni minime di cui al
citato comma 6 dell’art. 63, mentre
l’eventuale maggiore volume necessario per
il raggiungimento di tali requisiti minimi
non può che essere imputato nell’indice
edilizio del lotto su cui insiste
l’edificio.
- il tenore
letterale della novella legislativa (ndr:
l.r. n. 12/2005) non appare introdurre
alcuna ulteriore deroga alla normativa
dettata dal pianificatore locale;
- la volontà espressa del legislatore
regionale sembra aderente al principio
generale di sussidiarietà ed autonomia dei
Comuni in materia di disciplina dell’assetto
del territorio;
- la norma, così come strutturata, seppur
ridimensionata non sembra inutiliter
data, sopravvivendo la deroga alle norme
edilizie e igieniche relative alle altezze
interne degli alloggi ricavati nel
sottotetto (articolo 63, comma 6);
- sembrano derogabili anche le eventuali
norme locali che impediscono l'apertura di
finestre, lucernari, abbaini e terrazzi,
purché tali opere siano eseguite per
assicurare i requisiti di aeroilluminazione;
- in definitiva, il recupero volumetrico dei
sottotetti può avvenire solo in relazione al
sottotetto esistente nella sua conformazione
originaria, qualora sussistano le condizioni
minime di cui al citato comma 6 dell’art.
63, mentre l’eventuale maggiore volume
necessario per il raggiungimento di tali
requisiti minimi non può che essere imputato
nell’indice edilizio del lotto su cui
insiste l’edificio (cfr. ordinanza Sezione
07/06/2005 n. 684)
(TAR Lombardia-Brescia,
ordinanza sospensiva 28.06.2005 n. 822
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
dossier TELEFONIA MOBILE |
EDILIZIA PRIVATA:
Elettrosmog. Stazioni radio base
per telefonia mobile.
1.
L’assimilazione in via normativa delle
infrastrutture di reti pubbliche di
comunicazione alle opere di urbanizzazione
primaria, ai sensi dell’art. 86, comma 3,
del d.lgs. n. 259 del 2003, comporta che le
stesse debbano collegarsi ed essere poste al
servizio dell’insediamento abitativo e non
essere da esso avulse con localizzazione
lontana dai centri di utenza (v. tra le
altre, Cons. Stato, Sez. VI, 05/06/2006 n.
3332 e, di recente TAR Emilia Romagna –PR-
15/04/2008 n. 217). Di conseguenza, la
potestà regolamentare attribuita alle
amministrazioni comunali dall’art. 8, comma
6, della L. n. 36 del 2001 (“i comuni
possono adottare un regolamento per
assicurare il corretto insediamento
urbanistico e territoriale degli impianti e
minimizzare l’esposizione della popolazione
ai campi elettromagnetici”) può
tradursi, ad esempio, nell’introduzione,
sotto il profilo urbanistico, di regole a
tutela di zone e beni di particolare pregio
paesaggistico/ambientale o
storico/artistico, ma non può trasformarsi
in “limitazioni alla localizzazione” degli
impianti di telefonia mobile per intere ed
estese porzioni del territorio comunale, in
assenza di una plausibile ragione
giustificativa. In definitiva, la
disposizione in parola ha attribuito ai
Comuni il potere di disciplinare, con
apposito regolamento, la localizzazione
delle infrastrutture di telecomunicazione
nell’ambito del loro territorio, purché,
tuttavia, tale disciplina non si risolva in
un impedimento che rende impossibile in
concreto, o comunque estremamente difficile,
la realizzazione di una rete completa di
infrastrutture di telecomunicazioni (v.
Corte Costituzionale sentenze n. 307 e n.
324 entrambe del 2003; Cons. Stato, sez. VI,
n. 813 del 2005).
2.
Sono illegittimi i regolamenti comunali (e/o
della disciplina urbanistica locale) laddove
sia prevista una “zonizzazione” indipendente
dalle richieste e dalle esigenze dei gestori
del servizio di telefonia mobile, mediante
l’introduzione di norme urbanistiche locali
che limitano la possibilità di insediamento
di tali impianti a determinate aree,
appositamente individuate, senza subordinare
le relative scelte alla previa e puntuale
verifica della coerenza della disciplina
pianificatoria con la necessità che sia in
concreto assicurata –sull’intero territorio
comunale– l’uniforme copertura del servizio
(v. Cons. Stato, Sez. VI, 28/03/2007 n.
1431) (TAR Emilia Romagna-Parma, Sez. I,
sentenza 18.11.2008 n. 436 - link
a www.lexambiente.it). |
dossier
VINCOLO PAESAGGISTICO ED ESAME IMPATTO PAESISTICO |
EDILIZIA PRIVATA:
Beni Ambientali. Demolizione e
ricostruzione in zona vincolata.
Anche i lavori di demolizione e
ricostruzione di un immobile in zona
sottoposta a vincolo, sia pure nel rispetto
della predente volumetria e destinazione
d'uso, richiedono l'autorizzazione
dell'amministrazione preposta alla tutela
del vincolo (Corte di Cassazione, Sez. III
penale,
sentenza 04.12.2008 n. 45072 -
link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Beni culturali. Qualificazione.
Rientrano nella categoria dei beni culturali
(comma primo dell'art. 10) "le cose
immobili e mobili appartenenti allo Stato,
alle regioni.....che presentano interesse
artistico, storico, archeologico o
etnoantropologico". Tali cose, però, non
possono essere qualificate beni culturali se
risalgano a meno di cinquanta anni e siano
di autore vivente.
Perché sussista per i
beni appartenenti allo Stato ed agli altri
enti pubblici la tutela prevista dall'art.
21 occorre, quindi, che ricorrano entrambe
le condizioni citate. Peraltro, ai sensi
dell'art. 12, primo comma, del D. Lgs n.
42/2004, allorché ricorrano entrambe le
condizioni citate le cose appartenenti agli
enti indicati nell'art. 10, primo comma,
sono soggette a tutela provvisoria finché
non venga eseguita la verifica della
effettiva sussistenza del loro interesse
artistico, storico, archeologico o
etnoantropologico (Corte di Cassazione, Sez.
III penale,
sentenza 18.11.2008 n. 42899 -
link a www.lexambiente.it). |
CORTE DEI CONTI |
INCARICHI PROFESSIONALI:
Approvazione di un documento di
riferimento per l'esercizio, da parte degli
organi degli enti locali, dei poteri
nell'emanazione delle modifiche
regolamentari in materia di incarichi
esterni, anche alla luce delle disposizioni
introdotte dall'art. 46 del D.L. n.
112/2008, convertito nella legge n. 133/2008
(Corte
dei Conti, Sez. regionale di controllo
Lombardia,
delibera 06.11.2008 n. 224
- link a www.corteconti.it). |
DOTTRINA E CONTRIBUTI |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
M. Rizzuto,
LA GESTIONE DELLE CARTUCCE PER STAMPANTI
(link a www.lexambiente.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
M. Sanna,
CONTENITORI NON UTILIZZATI E RIFIUTI
(link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L. Fanizzi e G. Chiesa,
AREE DI SALVAGUARDIA DELLE OPERE DI
CAPTAZIONE IDRICO-POTABILE: METODOLOGIA DI
DELIMITAZIONE E LORO GESTIONE
(link a www.lexambiente.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
A. Pierobon, Il trituratore (o dissipatore)
domestico e la raccolta del rifiuto
organico:
1^ PARTE -
2^ PARTE (link a www.lexambiente.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
V. Paone,
Ordine di rimozione di rifiuti abbandonati
da terzi e responsabilità penale del
proprietario dell’area (link a
www.lexambiente.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
P. Fimiani,
La giurisprudenza della Cassazione penale in
materia di rifiuti nel primo semestre 2008
(link a www.lexambiente.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
D. Argenio,
Il controinteressato nei concorsi per
l'accesso al pubblico impiego (link a www.diritto.it). |
GIURISPRUDENZA |
APPALTI:
E' illegittimo
l'annullamento di un appalto per la
sussistenza di errori nelle versioni
italiana e tedesca della documentazione del
bando, senza motivare in modo idoneo in
merito alla loro incidenza negativa sul
corretto dispiegarsi della gara.
E'
illegittimo l'annullamento in via di
autotutela di una gara di appalto senza
comunicare l'avvio del relativo procedimento
alle imprese partecipanti, disposto per la
presenza di errori nelle versioni italiana e
tedesca della documentazione del bando
dell'appalto-concorso, senza precisare
l'incidenza di tali errori sulla regolarità
della gara. Il provvedimento di annullamento
richiama infatti la sussistenza di errori e
discrepanze nelle versioni italiana e
tedesca del documento denominato elenco
della prestazioni facente parte del progetto
preliminare, senza evidenziarle in modo
puntuale e, soprattutto, senza motivare in
modo idoneo in merito alla loro incidenza
negativa sul corretto dispiegarsi della
procedura di gara. Manca in definitiva una
puntuale indicazione della natura, della
gravità e dell'incidenza delle anomalie che,
sola, avrebbe giustificato, alla luce della
comparazione dell'interesse pubblico con le
contrapposte posizioni consolidatesi in capo
alle ditte partecipanti alla procedura,
l'annullamento integrale degli atti di gara.
Del pari fa difetto una congrua
esplicitazione delle ragioni per le quali il
progetto a base di gara non rispondeva più
alle esigenze tecnico-funzionali
dell'amministrazione (Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 07.01.2009 n. 17 - link
a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI SERVIZI:
Sull'illegittimità di un bando
per l'affidamento dei servizi di parcheggi
pubblici per l'inconferenza del previsto
requisito di ammissione rispetto all'oggetto
della gara.
E' illegittimo un bando di gara indetto da
un comune per l'affidamento dei servizi di
parcheggi pubblici senza custodia e di
pulizia dei bagni pubblici ed il relativo
disciplinare, nella parte in cui prescrivono
quale requisito di ammissione alla procedura
l'iscrizione all'albo dei soggetti abilitati
all'attività di liquidazione ed accertamento
dei tributi e delle entrate delle province e
dei comuni istituito presso il ministero
dell'economia e delle finanze. Va escluso,
infatti, che, nel caso di specie, vi sia
un'attività concernente l'accertamento, la
liquidazione e la riscossione di entrate
comunali, per la quale l'art. 52 del d.lgs.
15.12.1997 n. 446, richiede che, qualora non
esercitata direttamente dall'ente locale,
sia affidata a "soggetti iscritti all'albo
di cui" al precedente art. 53.
Inoltre, il bando suddetto contravviene al
divieto di cui all'art. 42, co. 3, del
d.lgs. 12.04.2006 n. 163, secondo cui le
richieste della stazione appaltante "non
possono eccedere l'oggetto dell'appalto",
stante l'inconferenza del previsto requisito
di ammissione rispetto all'oggetto della
gara, oltre che l'abnorme sproporzione
rispetto alle finalità perseguite; requisito
la cui prescrizione conseguentemente si
traduce in una ingiustificata compressione
della platea dei possibili concorrenti e, di
qui, in un'altrettanto ingiustificata
limitazione dell'interesse pubblico alla
selezione della migliore offerta che il
settore di mercato realmente interessato
possa esprimere (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 23.12.2008 n. 6534 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Beni Culturali. Natura del reato
di abusivo intervento su beni culturali.
Il reato di abusivo intervento su beni
culturali, previsto e punito dall'art. 118
D.Lgs. 490/1999 (ora art. 169 D.Lgs.
42/2004) non ha un carattere plurioffensivo.
Dal momento che la individuazione del bene
penalmente tutelato deve desumersi dalla
struttura tipica del reato e dalla
disciplina che ne regola le cause di non
punibilità e di estinzione, è giocoforza
concludere che:
a)
per il reato in esame il bene tutelato è
esclusivamente l'interesse strumentale al
preventivo controllo da parte dell'autorità
preposta alla tutela dei beni culturali;
b)
la condotta di chiunque realizzi interventi
sui beni anzidetti senza la prescritta
autorizzazione o comunicazione preventiva
configura una concreta offesa dell'interesse
amministrativo tutelato, senza che
l'accertamento postumo di compatibilità col
vincolo culturale o l'autorizzazione in
sanatoria rilasciata dalla autorità preposta
possa valere a estinguere il reato o a
escluderne la punibilità.
Per conseguenza, nel caso concreto
l'accertamento postumo di compatibilità
rilasciato dalla Soprintendenza competente
non vale a estinguere il reato contestato
agli imputati o a escluderne la punibilità
(Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 15.12.2008 n. 46082 -
link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Opere fondiarie.
Mentre per le opere di trasformazione di
tipo fondiario non è normalmente richiesta
la concessione, l'atto concessorio di tipo
urbanistico è, invece, necessario allorché
la morfologia del territorio venga alterata
in conseguenza di rilevanti opere di scavo,
sbancamenti, livellamenti, finalizzati ad
usi diversi da quelli agricoli (Corte di
Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 09.12.2008 n. 45462 -
link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Realizzazione strada su
precedente tracciato.
La realizzazione di una strada comporta la
necessità di permesso di costruire, anche
nel caso in cui la stessa venga ad essere
costruita su di un precedente tracciato o
pista, innalzando il piano di campagna,
attraverso opere di sistemazione e di
gettito di materiale ghiaioso, sì da
consentire ed incrementare il traffico
veicolare, Inoltre, anche la realizzazione
di una pista in terra battuta determina una
trasformazione urbanistica del territorio e,
pertanto, è necessario il rilascio della
concessione edilizia, indipendentemente dal
manufatto quale strada o pista in terra
battuta, in quanto il regime giuridico cui è
soggetta l'opera è, in ogni caso,
determinato dalla funzione di consentire il
transito a persone o mezzi (Corte di
Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 09.12.2008 n. 45456 -
link a www.lexambiente.it). |
ENTI LOCALI:
Il collegio (pubblico o privato
che sia) non può deliberare validamente se
non sugli argomenti iscritti all'ordine del
giorno preventivamente comunicato a tutti i
componenti.
Nel merito, viene in rilievo il principio
generale, comune alla disciplina di tutti
gli organi collegiali, secondo il quale il
collegio non può deliberare validamente se
non sugli argomenti iscritti all’ordine del
giorno preventivamente comunicato a tutti i
componenti.
In giurisprudenza questo principio è stato
particolarmente analizzato e approfondito
con riferimento alla disciplina dei consigli
e delle giunte degli enti locali, sulla base
del testo unico approvato con r.d. n.
148/1915 (rimasto in vigore sino al 1990):
ma è sempre stato pacifico che le massime
così elaborate si applichino alla generalità
degli organi collegiali sia pubblici che
privati (es.: assemblee delle società, delle
associazioni, dei condomìni, etc.).
Fra le regole puntualizzate dalla
giurisprudenza e comunemente condivise vi
sono le seguenti:
(a)
l’indicazione posta all’ordine del giorno
dev’essere sufficientemente definita perché
se ne possa comprendere l’oggetto;
(b)
l’iscrizione all’ordine del giorno è posta
nell’interesse di ogni singolo componente
del collegio e a tutela dei suoi inerenti
diritti, ma anche nell’interesse pubblico
all’apporto decisionale di tutti i
componenti; di conseguenza l’ordine del
giorno può essere modificato con l’aggiunta
di un nuovo argomento solo se tutti i
componenti sono presenti e accettano tale
modifica;
(c)
non è ammessa la “prova di resistenza” (TAR
Umbria,
sentenza 09.12.2008 n. 802 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
D.i.a. e manufatti abusivi.
Non è applicabile il regime della D.I.A. a
lavori edilizi che interessino manufatti
abusivi che non siano stati sanati né
condonati, in quanto gli interventi
ulteriori (sia pure riconducibili, nella
loro oggettività, alle categorie della
manutenzione straordinaria, del restauro e/o
risanamento conservativo, della
ristrutturazione, della realizzazione di
opere costituenti pertinenze urbanistiche)
ripetono le caratteristiche di illegittimità
dell'opera principale alla quale ineriscono
strutturalmente (Corte di Cassazione, Sez.
III penale,
sentenza 04.12.2008 n. 45070 -
link a www.lexambiente.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Rifiuti. Carogne.
Le carogne rientrano nella categoria dei
rifiuti; tuttavia, possono essere sottratte
alla disciplina generale sui rifiuti
soltanto se e in quanto siano configurabili
come sottoprodotti del processo di
macellazione, destinati al riutilizzo certo
senza trasformazioni preliminari e senza
pregiudizio per l'ambiente (ma in tale
ultimo caso si tratterà propriamente più di
scarti di macellazione che di carogne vere e
proprie) (Corte di Cassazione, Sez. III
penale,
sentenza 04.12.2008 n. 45057 -
link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il
passaggio da ufficio a residenza ricade tra
quelli che impongono l’adeguamento degli
standard urbanistici.
La scelta del
Comune di equiparare il cambio di
destinazione a una nuova edificazione appare
conforme al principio di cui all’art. 1
commi 4 e 5 della LR 15.01.2001 n. 1 (v. ora
l’art. 52 commi 4 e 5 della LR 12/2005), che
subordina il passaggio tra destinazioni alla
verifica della presenza di un livello
adeguato di servizi per la collettività (per
una fattispecie relativa alle destinazioni
artigianale e commerciale v. TAR Brescia
08.04.2006 n. 389).
In concreto il passaggio da ufficio a
residenza ricade tra quelli che impongono
l’adeguamento degli standard urbanistici, in
quanto la nuova utilizzazione degli spazi
incide sul peso insediativo della zona e
richiede l’applicazione dello specifico
criterio di calcolo delle aree a standard di
cui all’art. 22 comma 5 della LR 51/1975
(TAR Lombardia-Brescia,
sentenza 26.11.2008 n. 1691 -
link a www.giustizia-amministrativa). |
EDILIZIA PRIVATA:
Violazione di sigilli.
In tema di violazione dei sigilli il custode
è obbligato ad esercitare sulla cosa
sottoposta a sequestro una custodia continua
ed attenta e non può sottrarsi a tale
obbligo, se non adducendo oggettive ragioni
di impedimento, nonché chiedendo di essere
esonerato dall'incarico e sostituito nella
funzione di custodia o, qualora non abbia
avuto la possibilità ed il tempo di chiedere
il detto esonero, fornendo la prova del caso
fortuito o della forza maggiore come cause
impeditive dell'esercizio, da parte sua, del
menzionato dovere di vigilanza. Qualora
venga riscontrata lo violazione dei sigilli,
di essa risponde, da solo o in concorso con
altri, il custode giudiziario della cosa
sottoposta a sequestro il qua/e aveva il
dovere giuridico di impedire che il fatto si
verificasse. In tal caso si verte in ipotesi
di responsabilità personale diretta, non
oggettiva, ed incombe sul custode l'onere
della prova degli eventuali caso fortuito o
forza maggiore, quali cause impeditive
dell'esercizio del dovere di vigilanza e
custodia (Corte di Cassazione, Sez. III
penale,
sentenza 18.11.2008 n. 42898 -
link a www.lexambiente.it). |
URBANISTICA:
Lottizzazione abusiva e confisca
(terzi di buona fede).
In tema di lottizzazione abusiva la natura
amministrativa della confisca non ne esclude
il carattere sanzionatorio con la
conseguente necessità di tener conto dei
principi generali che regolano
l'applicazione anche delle sanzioni
amministrative. Tali principi sono dettati
dalla L. 24.11.1981 n. 689 (Modifiche al
sistema penale) e, peraltro, corrispondono
ad esigenze di uguaglianza e razionalità
normativa ai sensi dell’art. 3 della
Costituzione.
E’ indubbio che anche con riferimento alle
sanzioni amministrative esulano dalla
materia criteri di responsabilità
collettiva, essendo richiesta. quale
requisito essenziale di legalità per la loro
applicazione, l'esistenza di una condotta
che risponda ai necessari requisiti
soggettivi della coscienza e volontà
dell'agente e sia caratterizzata quanto meno
dall'elemento psicologico della colpa (art.
2 e 3 della legge citata). Né la confisca
può essere ricondotta ad alcuna delle
ipotesi di responsabilità solidale previste
dall'art. 6 della legge. Anche la sanzione
amministrativa, pertanto, non può essere
applicata nei confronti di soggetti in buona
fede, che non abbiano commesso alcuna
violazione.
L'interpretazione costituzionalmente
compatibile dell’art. 44, comma secondo, del
DPR n. 380/2001 induce, pertanto,
necessariamente ad escludere dall'ambito di
operatività della norma la possibilità di
confiscare beni appartenenti a soggetti
estranei alla commissione del reato e dei
quali sia stata accertata la buona fede.
Diversa è ovviamente l'ipotesi in cui non si
sia pervenuti ad una pronuncia di condanna
nei confronti degli autori della violazione
per l'intervenuta prescrizione dei reati, in
quanto l'estinzione del reato non è affatto
ostativa alla applicazione della confisca
quale sanzione amministrativa, regolata da
disposizioni diverse da quelle proprie del
diritto penale (Corte di Cassazione, Sez.
III penale,
sentenza 17.11.2008 n. 42741 -
link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Realizzazione serra.
Per realizzare la costruzione di manufatti
da adibire a serre è indispensabile ottenere
il permesso di costruire poiché costituisce
modificazione apprezzabile del territorio la
realizzazione di un impianto di tal genere
(che sia stabilmente ancorato al suolo,
formi un ambiente chiuso e sia destinato a
durare nel tempo) non rilevando la
possibilità che esso possa essere asportato
o spostato, né la sua destinazione agricola
(Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 17.11.2008 n. 42738 -
link a www.lexambiente.it). |
APPALTI:
S. Lazzini, Attenzione alla
differenza fra requisiti di ordine morale e
requisiti di ordine speciale (il cui mancato
possesso presuppone l’escussione della
cauzione provvisoria).
La regolarità del pagamento delle imposte e
tasse non è un requisito di ordine speciale
per il quale va fatto il sorteggio di cui
all’articolo 48 del codice dei contratti.
Il
“certificato rilasciato dalla competente
Agenzia delle Entrate, attestante la
posizione di regolarità con il pagamento
delle imposte e tasse secondo la
legislazione italiana” serve a comprovare un
requisito di ordine generale e di idoneità
morale (TAR Puglia-Bari, Sez. I,
sentenza 13.11.2008 n. 2593 - link a www.diritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L’Amministrazione competente, pur
dopo lo spirare del termine legalmente
assegnatole per la conclusione del
procedimento istruttorio del permesso di
costruire, non solo non perde il potere di
determinarsi espressamente sulla domanda di
permesso di costruire ma, addirittura,
permane nell’obbligo di doverlo fare,
soprattutto le volte in cui l’autore della
domanda insista formalmente per
l’ottenimento di un provvedimento espresso
di conclusione del procedimento medesimo.
L’art. 20 del D.P.R. 06.06.2001, n. 380, ha
previsto che le domande di permesso di
costruire debbano essere esaminate e
definite entro termini ben definiti,
trascorsi i quali, in base al disposto del
n. 9, di tale articolo, “sulla domanda di
permesso di costruire si intende formato il
silenzio-rifiuto”.
Ora, va in merito ricordato che tra i due
possibili significati attribuibili
all’espressione «silenzio-rifiuto»,
adoperata da tale articolo, ossia di
silenzio-diniego (un silenzio reso
significativo dalla legge, in termini di
diniego implicito della pretesa sostanziale
postulata dalla parte interessata
all’Amministrazione competente a
provvedere), ovvero di
silenzio-inadempimento (un silenzio che
esprime piuttosto inerzia
dell’Amministrazione quanto al suo obbligo
generale di concludere, entro termini certi,
il procedimento con un provvedimento
espresso), la giurisprudenza amministrativa
ha oggi preferito optare per il secondo (TAR
Lazio, sede Roma, sez. II, 02.04.2008, n.
2821, e TAR Marche, 09.06.2006, n. 413).
Ciò implica, di conseguenza, di dover
ritenere che l’Amministrazione competente,
pur dopo lo spirare del termine legalmente
assegnatole per la conclusione del
procedimento di cui all’art. 20, d.P.R. n.
380 del 2001, non solo non perde il potere
di determinarsi espressamente sulla domanda
di permesso di costruire, ma addirittura
permane nell’obbligo di doverlo fare,
soprattutto le volte in cui l’autore della
domanda insista formalmente per
l’ottenimento di un provvedimento espresso
di conclusione del procedimento medesimo;
mentre, sul versante processuale, posto che
l’art. 20 del d.P.R. n. 380 non si esprime
in materia di tutela giurisdizionale avverso
il silenzio in questione, bisogna rifarsi
alle disposizioni di ordine generale vigenti
in materia, ossia all’art. 2, comma 5, della
L. n. 241 del 1990, e successive
modificazioni, nonché all’art. 21-bis, l. n.
1034 del 1971 e successive modificazioni,
che prevedono, in sintesi, una decisione con
sentenza sul punto succintamente motivata e,
soprattutto, un termine decadenziale
dell’azione fino a non oltre un anno, nella
permanenza del silenzio, dalla scadenza del
termine per provvedere (un termine questo,
che però non è ovviamente quello generale di
cui all’art. 2 delle L. n. 241 del 1990,
sebbene quello specificamente stabilito in
materia di permesso di costruire dal
predetto art. 20).
L’accertata illegittimità della condotta
della Pubblica amministrazione, derivante
dal ritardo, dall’inerzia o dalla mancata
istruzione del procedimento, che si
traducono nella violazione dell’obbligo di
portarlo comunque a compimento (in modo
favorevole o sfavorevole per l’istante), non
è da sola sufficiente ai fini
dell’affermazione della responsabilità
aquiliana, occorrendo altresì che risulti
danneggiato l’interesse al bene della vita,
al quale è correlato l’interesse legittimo
dell’istante, e che detto interesse risulti
meritevole di tutela alla luce
dell’ordinamento positivo.
Di conseguenza, in riferimento al rilascio
di un titolo edilizio, l’accertamento di
tale interesse implica un giudizio
prognostico sulla fondatezza dell’istanza,
da condursi in riferimento alla normativa di
settore ed agli elementi offerti
dall’istante, onde stabilire se costui fosse
titolare di una situazione suscettibile di
determinare un oggettivo affidamento circa
la conclusione positiva del procedimento
(Cass. Civ., sez. I, 16.05.2008, n. 12455).
Cioè la risarcibilità del danno c.d. da
ritardo (a prescindere se la lesione
riguardi un interesse sostanziale o
procedimentale), presuppone la sussistenza
di un danno ingiusto, di un comportamento
doloso o colposo della pubblica
amministrazione, di un nesso eziologico tra
la condotta e l’evento dannoso
(TAR Abruzzo-Pescara,
sentenza 06.11.2008 n. 889 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Un immobile, una volta condonato,
diventa legittimo a tutti gli effetti.
in base ai principi in materia di condono
(artt. 38 e seg. della l. n. 47 del 1985),
un immobile, una volta condonato, diventa
legittimo a tutti gli effetti, senza
limitazioni derivanti dall’applicazione del
condono medesimo, per cui lo strumento
urbanistico non può dettare una disciplina
più restrittiva nei confronti degli immobili
condonati, escludendo per tali immobili la
possibilità di poter procedere a
ristrutturazione urbanistica o edilizia (TAR
Abruzzo-Pescara,
sentenza 06.11.2008 n. 887 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
COMPETENZE GESTIONALI:
Nei comuni di piccola entità
demografica, che sono privi delle qualifiche
dirigenziali, le funzioni dirigenziali
possono essere attribuite ai responsabili
degli uffici ovvero al segretario comunale.
Con riferimento alla disciplina dettata
dalla legge 1990 n. 142, che la
giurisprudenza ha chiarito che il segretario
comunale, seppure deve sovrintendere allo
svolgimento delle funzioni dei dirigenti e
coordinarne la relativa attività, non può di
norma espletare compiti normalmente rimessi
alla struttura burocratica in senso proprio
dell’ente locale, sostituendosi ai
dirigenti, “salve eventuali ipotesi
eccezionali di assenza, nei ruoli dell’ente
locale, di dirigenti o altri funzionari in
grado di espletare i compiti in parola”
(cfr. in argomento C.d.S., sez. V,
25.09.2006 n. 5625).
Inoltre, anche in caso di assenza di
personale con qualifica dirigenziale,
l’attribuzione di compiti gestionali al
segretario comunale non è automatica, ma
dipende da una specifica attribuzione di
funzioni amministrative, in base allo
statuto o ai regolamenti dell’ente o a
specifiche determinazioni del sindaco.
Siffatte conclusioni sono state raggiunte
dalla giurisprudenza sulla base dell’art.
97, comma 4 lett. d), del D.L.vo 2000 n.
267, coincidente in relazione alla questione
in esame al citato art. 17, comma 68 lett.
c) della legge 1997 n. 127, in quanto
prevede che il segretario comunale “esercita
ogni altra funzione attribuitagli dallo
statuto o dai regolamenti o conferitagli dal
sindaco o dal presidente della provincia”.
In particolare, la giurisprudenza afferma
che “il vigente ordinamento delle
autonomie locali demanda –in base al
criterio di distinzione fra le
responsabilità di natura politico
amministrativa e quelle di gestione
operativa– in via esclusiva ai dirigenti
l’adozione di quegli atti gestionali in
precedenza riservati agli organi di vertice
dell’ente. In generale è altresì pacifico
che al segretario comunale –il quale svolge
funzioni di assistenza giuridica nei
confronti degli organi dell’ente in ordine
alla conformità dell’azione amministrativa
alle leggi, allo statuto e ai regolamenti-
non sono affidati compiti di amministrazione
c.d. attiva, limitandosi egli a
sovrintendere allo svolgimento delle
funzioni dei dirigenti e a coordinarne
l’attività qualora non sia stato nominato un
direttore generale. Tale attribuzione di
competenze nettamente separate risulta però
per ovvie ragioni temperata nei comuni di
minori dimensioni demografiche, generalmente
privi di personale di qualifica dirigenziale”.
Difatti “nei comuni privi di dirigenti le
funzioni dirigenziali possono essere
attribuite ai responsabili degli uffici
oppure demandate al segretario comunale, in
applicazione dell’art. 97 comma 4 lettera d)
a mente del quale appunto il segretario
comunale esercita ogni altra funzione
attribuitagli dallo statuto o dai
regolamenti, o conferitagli dal sindaco o
dal presidente della provincia” (TAR
Piemonte, Sez. II,
sentenza 04.11.2008 n. 2739 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Le gare di appalto sono governate
anche da alcuni principi generali, i quali
operano a prescindere dall’espresso richiamo
contenuto nel bando di gara.
Sulla sussistenza di
forme di "collegamento sostanziale" tra le
imprese partecipanti alla medesima
procedura, anch'esse ritenute idonee a
violare i principi di segretezza e, come
tali, cause di esclusione dagli appalti.
La giurisprudenza ha chiarito che le gare di
appalto sono governate anche da alcuni
principi generali, i quali operano a
prescindere dall’espresso richiamo contenuto
nel bando di gara; fra questi principi,
viene in evidenza quello di segretezza delle
offerte, funzionale ad evitare che alcune
imprese possano formulare la propria offerta
dopo aver conosciute le altre offerte oppure
che più imprese, facenti capo agli stessi
centri decisionali, possano accordarsi fra
loro per fare in modo che l’appalto sia
aggiudicato a condizioni sfavorevoli per la
P.A. (cfr. tra le tante TAR Puglia - Lecce,
sez. II, 25.10.2005 n. 4618).
Del resto, l’art. 10, comma 1-bis, della
legge 1994 n. 109, nel prevedere
l’esclusione delle imprese tra le quali
esista una situazione di controllo, detta
una regola espressiva del principio generale
della segretezza e della par condicio,
impedendo la partecipazione alle gare di
concorrenti tra i quali sussistano legami
tali da consentire la reciproca conoscenza
delle offerte.
Proprio la circostanza che la norma in esame
esprima un principio generale ne consente
l’applicazione anche nelle procedure di gara
non relative a lavori, ma ad appalti di
altro tipo, come nel caso di specie.
Invero, la giurisprudenza ritiene che la
disciplina degli appalti di servizi e
forniture è suscettibile di essere integrata
in via analogica con le norme della legge
1994 n. 109, che siano espressive di
principi generali (cfr. in proposito a mero
titolo esemplificativo, Consiglio di stato,
sez. VI, 20.12.2004, n. 8145; Consiglio di
Stato, sez. VI - sentenza 13.06.2005 n. 3089
– dove si precisa che l’art. 10, comma
1-bis, è una norma di ordine pubblico - TAR
Sardegna Cagliari, sez. I, 15.05.2007, n.
904; TAR Lazio Roma, sez. I, 01.09.2004, n.
8229; TAR Marche Ancona, 28.10.2003, n.
1281; TAR Veneto Venezia, sez. I,
08.11.2006, n. 3738), precisando poi che
l’art. 10, comma 1-bis, della legge 1994 n.
109 deve essere interpretato in modo
estensivo, proprio al fine di garantire la
segretezza nelle gare d’appalto.
Ne deriva che “il collegamento fra le
imprese che osta alla loro partecipazione
alle gare non è solo quello previsto
dall'art. 2359 c.c. richiamato dall'art. 10,
comma 1-bis, della legge n. 109/1994, atteso
che la previsione della norma civilistica si
basa su una presunzione che non può
escludere la sussistenza di altre ipotesi di
collegamento o controllo societario atte ad
alterare le gare di appalto” (cfr. ex
plurimis C.d.S., sez. V, 22.04.2004 n.
2317).
Di conseguenza, non sussiste “alcun
dubbio sulla rilevanza del collegamento c.d.
"sostanziale" ai fini dell'escludibilità
delle imprese, anche al di là della testuale
previsione dell'art. 2359 cod. civ. per
l'esigenza di garantire il costante rispetto
in sede di gara della segretezza e della par
condicio" (cfr. Consiglio di Giustizia
Amministrativa, sez. Giurisdizionale,
06.05.2008 n. 412; C.d.S., sez. VI,
14.06.2006, n. 3500).
In altre parole, seppure l’art. 10, comma
1-bis, legge n. 109 del 1994 si limita a
richiamare solo l'ipotesi delle «società
controllate» prevista e disciplinata
dall'art. 2359 Cod. civ. al fine di disporre
la necessaria e automatica esclusione delle
offerte dalla gara, tuttavia la
giurisprudenza è venuta valorizzando,
accanto al "controllo" previsto dalla
richiamata disposizione, anche la
sussistenza di forme di "collegamento
sostanziale" tra le imprese partecipanti
alla medesima procedura, anch'esse ritenute
idonee a violare i principi di segretezza,
serietà delle offerte e par condicio posti a
garanzia della correttezza della procedura.
In tal senso è da condividere l'orientamento
giurisprudenziale favorevole alla
possibilità di individuare ipotesi di
collegamento sostanziale tra imprese,
diverse da quelle indicate dal citato art.
10, comma 1-bis, legge n. 109 del 1994 e ciò
nondimeno idonee a giustificare l'esclusione
dalle relative gare (cfr. C.d.S., sez. VI,
07.02.2002 n. 685; C.d.S., sez. V,
15.02.2002 n. 923; C.d.S., sez. IV,
27.12.2001 n. 6424; TAR Lombardia Milano,
sez. III, 13.12.2006, n. 2933).
Si tratta di ipotesi in cui l’esclusione si
correla alla riconducibilità di due o più
imprese partecipanti alla gara ad un unico
centro di interessi sulla base di elementi
oggettivi e concordanti tali da ingenerare
pericolo per il rispetto dei principi di
segretezza, di par condicio e di serietà
delle offerte (cfr. C.d.S., sez. V,
01.02.2002, n. 3601; C.d.S., sez. V,
26.06.2001 n. 6372; C.d.S., sez. VI,
23.06.2006, n. 4012; Tar Lazio - Roma, sez.
III-bis, 30.03.2004 n. 2955; TAR Lazio Roma,
sez. III, 08.05.2007, n. 4096) (TAR
Piemonte, Sez. II,
sentenza 04.11.2008 n. 2739 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
LAVORI PUBBLICI:
In tema di responsabilità di un
geometra presso l'U.T.C. per danno cagionato
da un parere di congruità nel procedimento
di vendita di immobile del comune.
E' di estrema
evidenza il contrasto tra i due pareri
espressi dall'U.T.C.: il primo, emesso in
base ad una valutazione oggettiva dei dati
urbanistici di riferimento, evidenziava la
prospettiva di edificabilità dell’area e
subordinava l’alienabilità all’esperimento
di procedura ad evidenza pubblica; il
secondo, obliterando la vocazione
edificatoria dell’area, ha inspiegabilmente
ritenuto congrua l’offerta del privato,
motivandola esplicitamente con riferimento
ad un interesse non certo della parte
venditrice pubblica, ma del privato
acquirente di acquisire il terreno in
ragione della possibile espropriazione di
quello confinante già di proprietà
dell’acquirente stesso.
L’irrazionalità di quest’ultimo parere,
unita alla conclamata conoscenza da parte
del XXX dell’attitudine edificatoria
dell’area, fanno emergere, quanto meno,
l’estrema leggerezza e negligenza con la
quale è stato emesso il parere stesso
(Corte dei Conti. Sez. Giurisd. Liguria,
sentenza 07.08.2008 n. 462 - link
a www.corteconti.it). |
AGGIORNAMENTO AL 07.01.2009 |
ã |
dossier ATTI AMMINISTRATIVI |
ATTI AMMINISTRATIVI: Accesso
- Informazione ambientale - Trasparenza -
Obbligo - E' aggravato.
La direttiva 28.01.2003 n. 2003/4/CE
garantisce la massima diffusione
dell'informazione ambientale; la normativa
europea è stata recepita dal Dlgs.
19.08.2005 n. 195, che all'art. 3, comma 1,
riconosce il diritto di accesso a chiunque
ne faccia richiesta, senza che questi debba
dichiarare il proprio interesse. Ne risulta
una radicale semplificazione della procedura
di accesso e un corrispondente rafforzamento
della natura pubblica delle informazioni
ambientali. Il favore per l'accesso è
incrementato anche sotto il profilo
qualitativo, in quanto non riguarda solo
l'acquisizione delle informazioni ambientali
ma si estende (v. commi 3, 6 e 7) alla
leggibilità e alla comprensione delle stesse
imponendo un obbligo aggravato di
trasparenza in capo alle autorità pubbliche (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia,
sentenza 18.10.2008 n. 1339 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI: Requisiti
di forma - Verbalizzazione - Segretario -
Vizi dell'investitura - Non viziano l'atto
verbalizzato.
La verbalizzazione dell'attività degli
organi collegiali integra un requisito di
forma sotto il profilo della prova. Finché
non siano trasferite in un atto scritto
mediante la redazione del verbale della
seduta (e la successiva estrazione dal
verbale dei singoli provvedimenti) le
manifestazioni di volontà degli organi
collegiali, pur non potendo essere
considerate inesistenti, rimangono tuttavia
latenti e non producono effetti, in quanto
non è garantita la certezza del contenuto.
La forma è attribuita da un soggetto fornito
di speciale investitura, la quale può
derivare direttamente dalla delega dei
componenti dell'organo collegiale oppure
dalla preposizione a uno specifico ufficio
pubblico dotato di funzioni notarili, come
nel caso dei segretari comunali e
provinciali. I vizi dell'investitura non si
trasformano in vizi di forma degli atti
verbalizzati quando vi sia la certezza che
il soggetto verbalizzante ha i requisiti
necessari per svolgere le sue funzioni.
Occorre sottolineare che si tratta di una
certezza legale e non di fatto. Per i
segretari comunali e provinciali tale
certezza deriva dal particolare percorso
abilitante che definisce questa figura
professionale. Non rilevano invece i
problemi legati alla nomina o alla decadenza
dall'incarico. Quando vi sia anche solo
l'apparenza legale dell'investitura (ossia
un atto di nomina e l'insediamento) il
funzionario di fatto è a tutti gli effetti
un pubblico ufficiale e le relative
controversie non impediscono lo svolgimento
delle funzioni, che anzi devono essere
garantite, in aderenza al principio di
continuità dell'azione amministrativa, fino
all'insediamento di un nuovo titolare (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia,
sentenza 09.10.2008 n. 1257 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
LAVORI PUBBLICI:
Procedimento amministrativo,
istruttoria conclusa, comunicazione avvio.
La
comunicazione di avvio del procedimento è
illegittimamente trasmessa al destinatario
del provvedimento finale quando il
procedimento amministrativo risultava da
molto tempo non solo avviato, ma
caratterizzato dalla successiva e reiterata
acquisizione, a richiesta della stessa
amministrazione, di molteplici atti poi
rivelatisi determinanti nel prosieguo
dell’attività istruttoria; in una
fattispecie nella quale, dunque, al momento
della formale comunicazione di avvio del
procedimento, la relativa attività di
acquisizione istruttoria, di fatto, è molto
avanzata e quasi conclusa, non si può che
rilevare che la comunicazione stessa
logicamente poteva –e doveva– intervenire
già molto tempo prima e, quanto meno, a
partire dal momento in cui l’amministrazione
è stata portata a conoscenza di una
molteplicità di elementi che sono, poi,
risaltati ai fini della determinazione
finale
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 16.09.2008 n. 4363 -
link a www.altalex.com). |
dossier DISTANZE PARETI FINESTRATE |
EDILIZIA PRIVATA: Le
norme sulle distanze dei fabbricati
contenute nel d.m. n. 1444/1968 hanno
carattere pubblicistico ed inderogabile.
La sopraelevazione di un fabbricato
esistente costituisce nuova costruzione.
Secondo un preciso e ormai consolidato
orientamento giurisprudenziale cui la
Sezione ritiene di aderire pienamente, le
norme sulle distanze dei fabbricati
contenute nel d.m. n. 1444/1968 hanno
carattere pubblicistico ed inderogabile e
vincolano i Comuni in sede di formazione e
revisione degli strumenti urbanistici (cfr.
Cons. Stato Sez. IV 05/12/2005 n. 6909;
questa Sezione 22.06.2004 n. 2289). In
particolare, poi, quella che prescrive la
distanza minima assoluta di dieci metri tra
pareti finestrate e pareti di edifici
antistanti è un previsione che ha carattere
di assolutezza ed inderogabilità e, in
quanto derivante da fonte normativa statale,
deve considerarsi sovraordinata rispetto
agli strumenti urbanistici locali (cfr.
Cons. Stato sezione IV 12/07/2002 n. 3929;
Cass. Civ. II 07/06/1993 n. 6360; TAR
Lombardia Milano Sez. II 15/04/2003 n.
1007).
Il manufatto da
realizzarsi in sopraelevazione (un piano
abitabile) costituisce una nuova
costruzione, dacché comporta modifiche
planovolumetriche e comunque significative
innovazioni in ordine al volume, all’altezza
e alla forma del fabbricato, tali da far
meritare all’aggiuntivo piano che si va a
realizzare la natura e consistenza di una
nuova costruzione, che, come tale, ricade
nella previsione del D.M. prescrittiva
dell’osservanza del limite di distanza di 10
metri: all’uopo, nei sensi testé illustrati
depone un preciso orientamento
giurisprudenziale che il Collegio ritiene di
dover condividere (cfr. Tar Campania Napoli
Sez. II 12/04/2006 n. 3547; questa Sezione
22/01/2007 n. 55, idem 13.04.2007)
(TAR
Toscana, Sez. III,
sentenza 19.12.2008 n. 4160 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Sulla
distanza di 10 mt. dai fabbricati nel caso
di demolizione/ricostruzione.
La demolizione e la ricostruzione di un
fabbricato esistente, opere queste che
connotano esattamente la nozione di
ristrutturazione edilizia che, come
ripetutamente sancito in giurisprudenza
(vedi Cons. Stato Sezione 31.10.2006 n.
6464; idem Sezione V 26/05/1992 n. 464;
questa Sezione 02/07/2007 n. 1022; idem n.
662/2001) riveste un’ampia portata, da
comprendere, appunto, la demolizione
dell’immobile preesistente, la sua
successiva ricostruzione, fino
all’inserimento di un quid novi, il
tutto nel rispetto del canone legislativo di
definizione degli interventi di
ristrutturazione di cui all’originario testo
dell’art. 31 della legge n. 457 del 1978 e
alle attuali disposizioni recate dal testo
unico dell’edilizia contenuto nel DPR n. 380
del 06.06.2001 (art. 3, lettera c).
Nel caso di un
intervento edilizio consistente nella
demolizione/ricostruzione fedele di un
fabbricato non è invocabile la denunciata
violazione delle disposizioni vigenti in
materia di rispetto delle distanze di cui al
D.M. n. 1444/1968 dal momento che i limiti
imposti valgono per le nuove costruzioni e
tale non può qualificarsi l’intervento
assentito.
In altri termini, nella specie siamo in
presenza ad un intervento di
ristrutturazione edilizia in cui è stata
previsto il mantenimento del muro di confine
di proprietà in relazione al quale non
appaiono applicabili i limiti dei 10 metri
tra le pareti finestrate e dei 3 metri tra
costruzioni su fondi finitimi
(TAR Toscana, Sez. II, sentenza III,
sentenza 19.12.2008 n. 4159 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
sopraelevazione di un fabbricato esistente
costituisce, a tutti gli effetti, nuova
costruzione e, come tale, deve
rispettare la distanza minima di mt. 10 dai
fabbricati circostanti.
Ai fini dell’applicazione della normativa in
materia di distanze tra edifici, per nuova
costruzione deve intendersi non solo la
realizzazione ex novo d’un fabbricato ma
anche qualsiasi modificazione nella
volumetria d’un fabbricato preesistente, che
ne comporti l’aumento della sagoma
d’ingombro, in tal guisa direttamente
incidendo sulla situazione degli spazi tra
gli edifici esistenti, e ciò anche
indipendentemente dalla realizzazione o meno
d'una maggior volumetria e/o
dall'utilizzabilità della stessa a fini
abitativi; per il che si è ripetutamente
ritenuto che la sopraelevazione, appunto,
costituisca, a tutti gli effetti, nuova
costruzione (cfr. Consiglio di Stato, V
Sezione, 14.03.1993 n. 481; Cassazione civ.,
11.06.1997 n. 5246).
Va poi aggiunto che le norme di cui al D.M.
02.04.1968, n. 1444, hanno carattere
pubblicistico e inderogabile, in quanto
dirette, più che alla tutela di interessi
privati, a quella di interessi generali in
materia urbanistica (cfr. Cassazione civ.,
II, 16.02.1996, n. 1021).
Il D.M. 02.04.1968, infatti, emanato ai
sensi dell'art. 17 della n. 765 del 1967,
trae da questa la forza di integrare con
efficacia precettiva il regime delle
distanze nelle costruzioni, sicché
l'inderogabile distanza di dieci metri tra
pareti finestrate e pareti di edifici
antistanti –ricadenti in zone territoriali
diverse dalla zona A, come nel caso di
specie, ove trattasi di zona B del P.d.F.–
vincola anche i Comuni in sede di formazione
e di revisione degli strumenti urbanistici,
con la conseguenza che ogni previsione
regolamentare in contrasto con l'anzidetto
limite minimo è illegittima (cfr. Cassazione
civ., SS.UU., 21.02.1994, n. 1645), essendo
consentita alla P.A. solo la fissazione di
distanze superiori (cfr. Consiglio di Stato,
IV Sezione, 13.05.1992, n. 511; Cassazione
civ., 29.10.1994, n. 8944).
Il Collegio
condivide il pacifico orientamento
giurisprudenziale in base al quale la norma
richiamata trova applicazione
indipendentemente dalla circostanza che una
sola delle pareti fronteggiantesi sia
finestrata e che tale parete sia quella del
nuovo edificio o dell’edificio preesistente
(cfr. Cassazione civ., II Sezione,
26.01.2001, n. 1108, 03.08.1999, n. 8383;
18.02.1997, n. 1486)
(TAR Campania-Napoli, Sez. II,
sentenza 12.04.2006 n. 3547 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
dossier PERTINENZE EDILIZIE ED
URBANISTICHE |
EDILIZIA PRIVATA:
Sul concetto di "costruzione" e
di "pertinenza".
La nozione di
costruzione, ai fini del rilascio del
permesso di costruire, si configura in
presenza di opere che attuino una
trasformazione urbanistico-edilizia del
territorio, con perdurante modifica dello
stato dei luoghi, a prescindere dal fatto
che essa avvenga mediante realizzazione di
opere murarie, essendo irrilevante che le
opere siano state realizzate in metallo, in
laminati di plastica, in legno o altro
materiale, ove si sia in presenza di
un’evidente trasformazione del tessuto
urbanistico ed edilizio e le opere siano
preordinate a soddisfare esigenze non
precarie sotto il profilo funzionale (cfr.
ex multis CdS, Sez. IV, N. 2705/2008 in tal
senso anche Consiglio Stato, V, 13.06.2006,
n. 3490).
In altri termini, rilevano non soltanto gli
elementi strutturali (composizione dei
materiali, smontabilità o meno del
manufatto) ma anche i profili funzionali
(cfr. TAR Lazio, Roma, Sez. I-quater, n.
11679 del 23.11.2007).
Ed appare di tutta evidenza come, nella
stessa prospettazione di parte, il manufatto
in contestazione non sia stato eretto per
far fronte, in via provvisoria, ad esigenze
contingenti, bensì risulti contraddistinto
da un impiego tendenzialmente permanente.
Le medesime ragioni inducono ad escludere la
sussistenza di un rapporto di tipo
pertinenziale: come afferma la
giurisprudenza, la nozione di pertinenza va
definita sia in relazione alla necessità e
oggettività del rapporto pertinenziale, sia
alla consistenza dell'opera, che non deve
essere tale da alterare in modo
significativo l'assetto del territorio (cfr.
Consiglio di stato, sez. IV, 07.07.2008 , n.
3379).
Tano più che il concetto di "pertinenza non
può essere esteso ad opere utili
all'esercizio dell'attività di una azienda o
impresa (cfr. Cassazione penale, sez. III,
24.10.1997, n. 10709) (TAR Campania-Napoli, Sez. II,
sentenza 26.09.2008 n. 11309 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
dossier RIFIUTI |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
INQUINAMENTO - Bonifica di siti
contaminati - Art. 17 d.lgs. n. 22/1997 -
Misura ablatoria personale - Rapporti con la
disciplina di cui agli art. 91, R.D.
45/1901, art. 9 R.D. n. 1406/1931, artt.
216, 226 e 227 del T.U.L.S. n. 1265/1934,
art. 17 D.P.R. n. 303/1956.
La peculiarità dell’istituto disciplinato
dall’art. 17 risiede nella sua natura di
misura ablatoria personale, consentita in
apicibus dall’art. 23 Cost., la cui adozione
crea in capo al destinatario un obbligo di
attivazione, consistente nel porre in essere
determinati atti e comportamenti
unitariamente finalizzati al recupero
ambientale dei siti inquinati. Le norme di
cui all’ art. 91 del R.D. n. 45/1901; l’art.
9 del R.D. n. 1406/1931; gli artt. 216, 226
e 227 del T.U.L.S. n. 1265/1934 e l’art. 17
del D.P.R. n. 303/1956 non avevano tale
connotazione e, dunque, non rappresentavano
un antecedente dell’art. 17.
INQUINAMENTO - Bonifica
di siti contaminati - Art. 17 d.lgs. n.
22/1997 - Confronto con le disposizioni di
cui agli artt. 2043, 2050 e 2058 c.c. -
Continuità normativa tra l’art. 2043 c.c. e
l’art. 17 d.lgs. n. 22/1997- Inconfigurabilità
- Applicazione dell’art. 17 ad un soggetto
estinto prima del 1997 - Illegittimità.
Ponendo a confronto l’art. 17 del d.lgs. n.
22/1997 con il plesso normativo composto
dagli artt. 2043, 2050 (considerata,nella
specie, l’obiettiva pericolosità
dell’attività industriale di produzione di
coloranti) e 2058 (sul risarcimento in forma
specifica), le differenze tra gli istituti
rispettivamente disciplinati sono talmente
numerose e tanto profonde, da non consentire
la formulazione di alcun giudizio di
continuità tra le stesse. Non è pertanto
ravvisabile continuità normativa tra l’art.
2043 c.c. e il menzionato art. 17 del
decreto Ronchi: ne discende che la seconda
previsione non si presenta come meramente
procedimentale rispetto alla prima e che
un’eventuale applicazione dell’art. 17 ad un
soggetto estinto prima del 1997
trasmoderebbe in una non consentita
applicazione retroattiva della legge.
INQUINAMENTO - Siti
contaminati - Società responsabile
dell’inquinamento - Estinzione anteriore al
1997 - Applicabilità dell’art. 17 d.lgs. n.
22/1997 - Esclusione - Altri strumenti di
intervento - Cd. successione economica.
Nei confronti dei successori di società
responsabili degli inquinamenti che si siano
estinte prima del 1997 non è possibile
applicare l’art. 17 del decreto Ronchi (oggi
artt. 239 e ss.) E’ però possibile far
valere, a regime, l’ordinaria responsabilità
civilistica di tipo aquiliano; inoltre, sul
versante amministrativo, rimangono comunque
adottabili (come già avveniva in epoca
antecedente all’entrata in vigore del
decreto Ronchi) i provvedimenti contingibili
contemplati dall’ordinamento per i casi di
qualificate urgenze di intervenire. In
particolare, nei provvedimenti contingibili
e urgenti l’imputazione soggettiva degli
obblighi di attivazione, discrezionalmente
individuati dall’amministrazione procedente,
può motivatamente seguire anche le diverse
regole della successione c.d. “economica”
(per un’applicazione della successione
economica in materia di concorrenza, è utile
il richiamo alla recente sentenza della
Corte di Giustizia delle Comunità europee
11.12.2007, in causa C-280/06, pronunciata
su rinvio pregiudiziale del Consiglio di
Stato) che consentono, per la migliore e
immediata tutela di fondamentali interessi
superindividuali, di derogare al generale
principio della personalità e, in ossequio
al canone del “chi inquina paga”, di onerare
chi abbia beneficiato delle valenze
economiche, anche latenti, di un
bene-impresa dei correlativi costi dell’internalizzazione
delle diseconomie esterne prodotte.
INQUINAMENTO - Bonifica
di siti contaminati - Accertamenti tecnici -
Art. 223 c.p.p. - Applicabilità - Esclusione
- Prelievo e analisi dei campioni -
Procedura - Allegato 2 del D.M. n. 471/1999.
In materia di accertamenti tecnici
prodromici ai provvedimenti finalizzati alla
bonifica dei siti contaminati, non è
invocabile l’art. 223 disp. att. c.p.p., dal
momento che questa disposizione certamente
non esprime un principio generale: si tratta
piuttosto una previsione speciale del
diritto processuale penale, dettata
all’unico fine di stabilire le condizioni
alle quali è consentita la migrazione, nel
fascicolo del dibattimento, dei verbali di
analisi non ripetibili e di quelli di
revisione e alla cui eventuale violazione
corrisponde solo la sanzione endoprocessuale
della nullità a regime intermedio ex art.
180 c.p.p. (Cass., sez. III pen.,
28.06.2006, n. 37400). In sede
amministrativa il contraddittorio
procedimentale sugli accertamenti tecnici
può svolgersi secondo altre modalità e la
regola del preventivo avviso, pur
configurandosi come una forte tutela, non è
sempre imposta dall’ordinamento né deve
essere necessariamente osservata, potendo
ugualmente assicurarsi, seguendo altri
schemi procedurali, una piena dialettica tra
l’amministrazione e gli interessati. E’
questo il caso del D.M. n. 471/1999 che,
nell’Allegato 2, reca una completa e
dettagliata disciplina delle “Procedure di
riferimento per il prelievo e l'analisi dei
campioni”, prevedendo, tra l’altro, dei
campioni supplementari “per eventuali
contestazioni e controanalisi” (Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 05.12.2008 n. 6055 -
link a www.ambientediritto.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
INQUINAMENTO - Siti contaminati -
Proprietario estraneo all’inquinamento -
Onere reale e privilegio immobiliare
gravante sul bene - Evizione del bene -
Conseguenza dell’attività di ripristino
ambientale realizzata dall’ente pubblico.
Per il proprietario estraneo
all'inquinamento, l'esecuzione degli
interventi di bonifica prescritti
dall'amministrazione è un vero e proprio
onere, finalizzato a rimuovere il
pregiudizio costituito dall'onere reale e
dal connesso privilegio immobiliare gravante
sul bene: l’evizione del bene che il
proprietario può di fatto subire a causa
dell'inerzia dell'inquinatore non
costituisce una sanzione per non aver
bonificato il sito, ma una conseguenza
dell'attività di ripristino ambientale
realizzata dall'Ente pubblico nell'interesse
della collettività, tramite un meccanismo
che presenta similitudini più con
l'esproprio che con il risarcimento del
danno ambientale.
INQUINAMENTO - Siti
contaminati - Successione di soggetti
distinti su una fonte attiva di inquinamento
- Attività d’impresa - Pluralità di garanti.
Nei casi in cui via sia una successione di
soggetti distinti su una fonte attiva di
inquinamento, o su una fonte di pericolo
attuale e concreto di inquinamento, che il
titolare dell'attività di impresa abbia
l'obbligo di controllare in base alla
normativa vigente, i vari soggetti
succedutisi, i quali abbiano effettivamente
il potere di intervenire sulla fonte di
rischio senza che sia necessario il ricorso
a strumenti eccezionali, danno luogo ad una
pluralità di garanti, nessuno dei quali può
liberarsi dal proprio obbligo di intervento
invocando l'analoga posizione di garanzia di
altri soggetti, inclusi i propri
predecessori nella gestione del sito.
Secondo gli insegnamenti della Cassazione,
infatti, se più sono i titolari della
posizione di garanzia od obbligo di impedire
l'evento, ciascuno è, per intero,
destinatario di quell'obbligo, con la
conseguenza che, se è possibile che
determinati interventi siano eseguiti da uno
dei garanti, è, però, doveroso per l'altro o
per gli altri garanti, dai quali ci si
aspetta la stessa condotta, accertarsi che
il primo sia effettivamente e adeguatamente
intervenuto (cfr. Cassazione penale, sez. IV,
06.12.1990, n. 4793).
INQUINAMENTO - Art. 17
d.lgs. n. 22/1997 - Artt. 240 e ss. d.lgs.
n. 152/2006 - Proprietario incolpevole -
Onere reale e privilegio immobiliare -
Recupero delle somme spese dall’ente
pubblico - Limiti di valore dell’area
bonificata.
L'art. 17, d.lg. n. 22 del 1997, la cui
impostazione sul punto è stata ora
confermata e specificata dagli artt. 240 e
ss., d.lg. 03.04.2006 n. 152, recante norme
in materia ambientale (c.d. Codice
dell'ambiente), impone l'esecuzione di
interventi di recupero ambientale anche di
natura emergenziale al responsabile
dell'inquinamento che può non coincidere con
il proprietario ovvero con il gestore
dell'area interessata; a carico di
quest'ultimo (proprietario dell'area
inquinata non responsabile della
contaminazione), invero, non incombe alcun
obbligo di porre in essere gli interventi
ambientali in argomento ma l’onere (reale)
di eseguirli al fine di evitare
l'espropriazione del terreno interessato
gravato da onere reale, al pari delle spese
sostenute per gli interventi di recupero
ambientale assistite, invece, da privilegio
speciale immobiliare (cfr. TAR Toscana, sez.
II, 30.05.2008 , n. 1541 e Consiglio Stato,
sez. VI, 05.09.2005, n. 4525). Pertanto, il
proprietario, qualora non coincida con il
responsabile dell'inquinamento e questi non
sia identificabile, finisce comunque per
essere il soggetto gravato dal punto di
vista economico, poiché l'Ente pubblico che
ha provveduto all'esecuzione dell'intervento
può recuperare le spese sostenute nei limiti
del valore dell'area bonificata, anche in
suo pregiudizio: ne deriva che il
proprietario incolpevole ha l'onere di
provvedere alla bonifica e alla messa in
sicurezza se intende evitare le conseguenze
derivanti dai vincoli che gravano sull'area
di onere reale e di privilegio speciale
immobiliare, salva l'azione di regresso nei
confronti del responsabile dell'inquinamento
(cfr. TAR Lombardia, Brescia, 16.03.2006, n.
291).
INQUINAMENTO - Bonifica
dei siti contaminati - NTA - Opere edilizie
- Preordinamento all’esecuzione degli
interventi di messa in sicurezza, bonifica e
ripristino - Legittimità.
E’ coerente con le finalità proprie della
disciplina sulla bonifica dei siti
contaminati l’inserimento nelle NTA della
disposizione in forza della quale ogni
operazione di trasformazione edilizia ed
urbanistica delle parti di territorio
qualificabili come siti contaminati o
potenzialmente contaminati, è preordinata
alla esecuzione, da parte dei soggetti
pubblici o privati di cui all’ari. 250 del
d. lgs. 152/2006, degli interventi di messa
in sicurezza permanente, bonifica e
ripristino ambientale (TAR Piemonte, Sez. I,
sentenza 21.11.2008 n. 2928 -
link a www.ambientediritto.it). |
dossier SCOMPUTO OO.UU. |
EDILIZIA PRIVATA: E'
ammissibile la scomputabilità del valore
corrispondente alle opere di urbanizzazione
primaria dall'importo dovuto a titolo di
oneri di urbanizzazione secondaria.
Secondo la giurisprudenza amministrativa “in
linea di principio, se il privato
costruttore ha eseguito direttamente opere
di urbanizzazione o si sia obbligato a
farle, nella zona oggetto dell'intervento
edilizio autorizzato, anche se non abbia
concordato le relative modalità e le
garanzie con il Comune, ha diritto a che
l'amministrazione valuti l'effettiva entità
e la concreta utilizzazione delle opere già
realizzate o da realizzare, al fine di
scomputare il costo della somma dovuta a
titolo di contributo per oneri di
urbanizzazione” (TAR Sicilia Catania,
sez. I, 02.10.2003, n. 1532; in senso
conforme TAR Calabria Catanzaro, 24.07.1997,
n. 526; Consiglio Stato, sez. V, 27.06.1994,
n. 716).
L'art. 11, l. n. 10 del 1977, nel prevedere
la possibilità per il titolare della
concessione edilizia dello scomputo dal
contributo delle somme relative a spese per
opere di urbanizzazione direttamente
realizzate, limita tale possibilità a quelle
opere che il concessionario si sia obbligato
ad eseguire e dispone espressamente che la
possibilità medesima va esercitata con le
modalità e le garanzie stabilite dal comune,
sicché -secondo il recente orientamento
della giurisprudenza amministrativa- “l'esenzione
totale o parziale dal pagamento degli oneri
di urbanizzazione è espressione di
un'attività valutativa, di natura
discrezionale, dell'amministrazione che si
conclude con un atto, anche di natura
convenzionale, che fissi il tipo e l'entità
delle opere ammesse dal comune alla
realizzazione diretta da parte del titolare
della concessione edilizia nonché l'importo
economico da scomputare, mentre l'esenzione
in discorso non può mai derivare
dall'autonoma scelta unilaterale del
concessionario; peraltro, pur in assenza di
un atto d'obbligo, l'amministrazione può
tenere conto della domanda di scomputo delle
opere già realizzate senza il previo dettato
comunale ove sussista la relativa
previsione, anche se solo in forma generica,
nella concessione edilizia ovvero la
discrezionale determinazione di accettazione
"ex post" delle opere da parte del comune
stesso” (TAR Campania Salerno, sez. II,
04.07.2005 , n. 1082).
Nello stesso ambito la giurisprudenza (TAR
Toscana Firenze, sez. III, 11.08.2004, n.
3181) ha inoltre chiarito che “La quota
di urbanizzazione ha carattere di
corrispettivo di diritto pubblico, di natura
non tributaria, posto a carico del
costruttore a titolo di partecipazione del
concessionario ai costi delle opere di
urbanizzazione in proporzione all'insieme
dei benefici che la nuova costruzione ne
ritrae: pertanto, il relativo contributo può
essere scomputato nei casi in cui,
ricorrendone i presupposti e le condizioni,
le opere di urbanizzazione siano realizzate
dal titolare della concessione edilizia
(art. 11 comma 1 l. 28.01.1977 n. 10).
Pertanto secondo tale orientamento
giurisprudenziale “ben può ammettersi anche
la scomputabilità del valore corrispondente
alle opere di urbanizzazione primaria
dall'importo dovuto a titolo di oneri di
urbanizzazione secondaria, attesa la comune
natura giuridica degli oneri di cui
trattasi, non ravvisandosi ragioni ostative
alla compensazione tra obbligazioni
intercorrenti tra i medesimi soggetti e
nascenti dal medesimo rapporto
convenzionale: difatti lo scomputo, totale o
parziale, della quota di contributo dovuta
in caso di realizzazione diretta delle opere
di urbanizzazione deve essere effettuato
senza distinzione tra opere di
urbanizzazione primaria e secondaria, atteso
che la mancata distinzione nella sede
legislativa specifica (art. 11 l. 28.01.1977
n. 10) delle due categorie di opere vieta
all'interprete di introdurre una siffatta
distinzione” (TAR Toscana Firenze, sez.
III, 11.08.2004, n. 3181 cit.) (TAR
Sicilia-Palermo, Sez. I,
sentenza 29.10.2008 n. 1367 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
dossier S.U.A.P. |
EDILIZIA PRIVATA: In
materia di sportello unico per le attività
produttive, il comune ha la facoltà -e non
l'obbligo- di avviare il procedimento ex
art. 5 del D.P.R. 447 del 1998.
Il d.P.R. 20.10.1998, n. 447, all’art. 5
dispone che “qualora il progetto
presentato sia in contrasto con lo strumento
urbanistico, o comunque richieda una sua
variazione, il responsabile del procedimento
rigetta l’istanza. Tuttavia, allorché il
progetto sia conforme alle norme vigenti in
materia ambientale … ma lo strumento
urbanistico non individui aree destinate
all’insediamento di impianti produttivi
ovvero queste siano insufficienti in
relazione al progetto presentato, il
responsabile del procedimento può,
motivatamente convocare una conferenza di
servizi … per le conseguenti decisioni …
Qualora l’esito della conferenza di servizi
comporti la variazione dello strumento
urbanistico, la determinazione costituisce
proposta di variante”.
La riportata disposizione indica un
procedimento –alternativo rispetto agli
ordinari strumenti di modifica della
pianificazione urbani-stica– preordinato
alla individuazione delle aree da destinare
ad im-pianti produttivi mediante variante
specifica al piano vigente.
Condizione imprescindibile per l’avvio del
procedimento attraverso la convocazione
della conferenza di servizi è (per quanto
qui interessa) la conformità del progetto
alle norme vigenti in maniera ambientale,
che neppure il ricorrente in primo grado ha
dedotto sussistere in maniera completa.
Occorre, inoltre, che sussista
l’impossibilità di reperire nello strumento
urbanistico aree idonee all’iniziativa
produttiva.
E’ evidente, infatti, che, qualora risultino
disponibili nel PRG altre aree utilizzabili
per l’allocazione dell’intervento
produttivo, vengono meno le esigenze
promozionali alla base della disciplina
derogatoria, la quale ha natura eccezionale
e non costituisce in alcun modo strumento
ordinario di modifica dello strumento
urbanistico, azionabile in base alle
soggettive preferenze e convenienze
dell’imprenditore.
In ogni caso, quando sussistono i detti
presupposti, l’Amministrazione ha non
l’obbligo ma la facoltà di avviare, sulla
scorta di congrua motivazione, l’iter
semplificato per l’introduzione della
variante, come si desume da rilievi testuali
(il responsabile può motivatamente) sia da
considerazioni di tipo sistematico. Sotto
tale ultimo profilo è da notare, infatti,
che, pur ispirandosi la vigente normativa ad
evidenti criteri di favore per
l’insediamento di attività produttive, tale
logica economico-sociale non può essere
spinta fino a sovvertire il ruolo
fondamentale che spetta al Comune
nell’ambito del giusto procedimento in
materia urbanistica.
Ne deriva che la conferenza non deve sempre
e comunque essere convocata qualora il
progetto proposto non contrasti con divieti
specifici ambientali e sanitari. Ciò,
potendo costringere il consiglio comunale a
riconsiderare la previsione urbanistica per
una certa zona, inciderebbe in maniera certa
sulla programmazione dei lavori del
consiglio stesso ed in qualche misura
(perché si tratterebbe pur sempre di una
proposta di variante da sottoporre al vaglio
del ripetuto consiglio) nella
discrezionalità del Comune in materia di
programmazione dello sviluppo del
territorio.
Il Collegio ritiene, quindi, che la
determinazione di non avviare il
procedimento è di per sé pienamente
consentita dall’ordinamento di settore, il
quale configura l’utilizzo di una procedura
pur sempre derogatoria come meramente
facoltativo da parte dell’ente locale.
Ritiene, altresì, che tale determinazione
costituisce il frutto dell’esercizio di un
potere discrezionale che il Comune può
legittimamente fondare, anche
indipendentemente da precisi divieti
ambientali, su valutazioni di ordine
generale, purché razionalmente ed
equilibratamente rapportate, in relazione
alla natura ed all’entità dell’intervento,
all’esigenza di evitare la compromissione di
valori paesaggistici, urbanistici o comunque
inerenti alla tutela dell’assetto delle
territorio
(C.G.A.R.S.,
sentenza 15.12.2008 n. 1077 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
dossier TELEFONIA MOBILE |
EDILIZIA PRIVATA: Sulla
edificazione di tralicci ed antenne di
rilevanti dimensioni in zona di rispetto o,
comunque, soggetta a vincolo di
inedificabilità assoluta.
La disciplina degli impianti di
telecomunicazione e radiotelevisivi
coinvolge profili sia di tutela
dell’ambiente che di governo del territorio,
in quanto impone standards di protezione
dalle onde elettromagnetiche –uniformi su
tutto il territorio nazionale– a garanzia
del diritto alla salute, ma anche modalità
di localizzazione degli impianti stessi,
tali da consentire il rispetto sia dei
parametri urbanistici che di corrette regole
di produzione, trasporto e distribuzione
nazionale dell’energia, nonché di ottimale
diffusione delle reti di comunicazione,
secondo un ben preciso riparto di
competenze.
Come ribadito dalla stessa Corte
Costituzionale con sentenza n. 307 del
07.10.2003 –in armonia peraltro con
l’indirizzo giurisprudenziale, già formatosi
sulla legge quadro n. 36/2001– la
determinazione degli standards di protezione
dall’inquinamento elettromagnetico è
competenza dello Stato (sotto il profilo di
valori-soglia, non derogabili dalle
Regioni), mentre è materia di legislazione
concorrente (ovvero, rientrante anche nella
potestà legislativa regionale, ma nel
rispetto di principi fondamentali, fissati
da leggi dello Stato) il trasporto
dell’energia e l’ordinamento della
comunicazione; è infine rimessa alle Regioni
e agli enti territoriali minori la
localizzazione degli impianti, come
questione attinente alla disciplina d’uso
del territorio, purché la pianificazione, a
quest’ultimo riguardo dettata, non sia tale
“da impedire o da ostacolare
ingiustificatamente l’insediamento degli
impianti stessi”.
L’interprete è quindi chiamato ad affrontare
problematiche, che attengono sia allo
sviluppo del territorio, sia a fattori di
inquinamento ambientale, questi ultimi solo
in parte superabili attraverso il verificato
rispetto dei parametri, fissati dallo Stato
come “limiti di esposizione” ai campi
elettrici, magnetici ed elettromagnetici,
mentre - sul piano dell’edificazione - gli
impianti tecnologici di cui trattasi trovano
parametri di riferimento anche nelle norme
urbanistico-edilizie, come recepite nel
D.P.R. 06.06.2001, n. 380.
Queste ultime prevedono una disciplina
differenziata, in caso di rapporto di
strumentalità necessaria degli impianti
rispetto a edifici preesistenti (situazione
rapportabile a caldaie, condizionatori,
pannelli solari e simili), ovvero di
autonomia funzionale dei medesimi quali
nuove costruzioni (come nel caso, appunto,
di tralicci ed impianti, destinati ad essere
parte di una rete di infrastrutture).
Solo per i primi, fra gli impianti sopra
indicati, risulta applicabile -in base al
citato T.U.- la disciplina dettata per gli
interventi edilizi ritenuti minori, soggetti
a mera denuncia di inizio attività
(cosiddetta D.I.A.) a norma dell’art. 4 del
D.L. 05.10.1993, n. 398, convertito con
modificazioni dalla legge 04.12.1993, n.
493, come modificato dall’art. 2, comma 60,
della legge 23.12.1996, n. 662 ed integrato
dall’art. 1, comma 6, della legge
21.12.2001, n. 443 (fino all’entrata in
vigore –il 30.6.2003– del D.P.R. 06.06.2001,
n. 380 -testo unico delle disposizioni
legislative in materia edilizia- che
raccoglie le disposizioni legislative e
regolamentari contenute nel D.Lgs. n.
378/2001 e nel DPR n. 379/2001). Per “l’installazione
di torri e tralicci per impianti
radio-ricetrasmittenti e di ripetitori per i
servizi di telecomunicazione”
–espressamente catalogata come intervento di
nuova costruzione– il citato D.Lgs. n.
378/2001 prescrive, nel combinato disposto
degli articoli 3, comma 1, lett. e.5 e 10,
comma 1, il permesso di costruire,
introdotto dalla medesima normativa come
nuova qualificazione formale della
concessione edilizia.
Giova sottolineare, al riguardo, che la
regolamentazione sopra ricordata non risulta
sovvertita anche dopo l’introduzione delle
nuove procedure autorizzatorie, previste per
le infrastrutture di cui trattasi dagli
articoli 86, 87 e 88 del codice delle
comunicazioni elettroniche, approvato con
D.Lgs. 01.08.2003, n. 259: una disciplina,
quest’ultima, che affronta i molteplici
profili di interesse pubblico coinvolti e
prevede al riguardo lo svolgimento di
apposite conferenze di servizi,
circoscrivendo una peculiare fattispecie,
soggetta a denuncia di inizio attività
(“installazione di impianti, con tecnologia
UMTS o altre, con potenza in singola antenna
uguale o inferiore ai 20 watt”), mentre per
le altre installazioni è prescritto il
rilascio -in forma espressa o tacita- di un
titolo abilitativo, qualificato come
autorizzazione.
Secondo l’indirizzo, ormai più volte
espresso dalla Corte Costituzionale, la
predetta nuova disciplina può ritenersi
conforme a criteri –rilevanti anche sul
piano comunitario– di semplificazione
amministrativa, con prevista confluenza in
un solo procedimento di tutte le tematiche,
rilevanti per le installazioni in questione:
quanto sopra, tuttavia, senza che sia
cancellata l’incidenza delle installazioni
stesse sotto il profilo urbanistico-edilizio,
tenuto conto della concreta consistenza
dell’intervento e senza esclusione delle
conseguenze penali, connesse ad ipotesi di
abusivismo, ex art. 44 D.P.R. n. 380/2001
(cfr. in tal senso Corte Cost. 28.03.2006,
n. 259; Corte Cost. 18.05.2006, ord. n.
203).
E’ pertanto ammesso che i Comuni adottino
misure programmatorie integrative per la
localizzazione degli impianti di cui si
discute, in modo tale da minimizzare
l’esposizione dei cittadini residenti ai
campi elettromagnetici, ma anche in
un’ottica di ottimale disciplina d’uso del
territorio (cfr. Cons. St., sez. VI,
03.06.2002, n. 3095; 20.12.2002, n. 7274;
10.02.2003, n. 673; 26.08.2003, n. 4841).
Non può ritenersi ancora oggi superata,
dunque, la problematica inerente al permesso
di costruire, previsto per tutte le
installazioni in questione dal più volte
citato T.U. dell’Edilizia e non cancellato,
anche se oggetto di speciale disciplina
procedurale, dal codice delle comunicazioni
elettroniche.
Ove dunque, a differenza di quanto avvenuto
nella situazione in esame, non fosse stata
dettata la normativa regolamentare, di cui
al già citato art. 8, comma 6, L. n.
36/2001, interventi edilizi come quello in
esame non avrebbero potuto che restare
soggetti –sotto il profilo urbanistico– ai
principi di carattere generale, che vedono
tralicci ed antenne di rilevanti dimensioni,
da una parte, valutabili come strutture
edilizie soggette a permesso di costruire
(ora ad assenso autorizzativo, assorbente
rispetto a tale permesso) e dunque, deve
ritenersi, non collocabili in zone di
rispetto, o comunque soggette a vincolo di
inedificabilità assoluta, ma che dall’altra
impongono di considerare tali manufatti –in
quanto parte di una rete di infrastrutture,
qualificate come opere di urbanizzazione
primaria, nonché in quanto impianti
tecnologici e volumi tecnici– compatibili
con qualsiasi destinazione di P.R.G. delle
aree interessate e non soggetti in linea di
massima (salvo disposizioni peculiari) ai
limiti di altezza e cubatura delle
costruzioni circostanti (cfr. in tal senso,
per il principio, Cons. St., sez. VI,
29.05.2006, n. 3243 e 07.06.2006, n. 3425).
Non precluderebbe, dunque, l’assentibilità
dell’intervento l’assenza di una disciplina
specifica, volta ad individuare il corretto
insediamento urbanistico e territoriale
degli impianti di cui trattasi ed a
minimizzare l’esposizione della popolazione
ai campi elettromagnetici (nei limiti di
ragionevolezza e rispetto delle norme
statali, in cui tale localizzazione è
ritenuta possibile dalla giurisprudenza,
ormai pacifica sul punto: cfr., fra le
tante, Cons. St., sez. VI, 13.06.2007, n.
3162, 03.03.2007, n. 1017, 28.03.2007, n.
1431 e 25.09.2006, n. 5593).
Nel caso in cui, però, il Comune abbia
emesso una disciplina apposita, quest’ultima
deve ritenersi in effetti vincolante in
ordine alle localizzazioni ammesse, salvo
contestazione della medesima in sede
giurisdizionale –come avvenuto nel caso di
specie– quando se ne ravvisi il contrasto
con la disciplina legislativa del settore
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 01.10.2008 n. 4744 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
dossier
VINCOLO PAESAGGISTICO ED ESAME IMPATTO PAESISTICO |
EDILIZIA PRIVATA: Sulla
sanzione conseguente ad un abuso edilizio in
zona paesaggisticamente vincolata.
Vale richiamare il consolidato orientamento
della giurisprudenza amministrativa (cfr.,
ex plurimis, Cons. Stato, Sez, IV, n.
6979/2002 e n. 7405/2004), già condiviso
anche recentemente (cfr. sent. n. 14 del
19.01.2008) dal Tribunale, che, nella
materia controversa, ha enucleato i seguenti
principi:
a)
l’art. 15 della L. 29.06.1939 n. 1497 (oggi,
art. 167 D.L.vo n. 42/2004) va interpretato
nel senso che l’indennità prevista per abusi
edilizi in zone soggette a vincoli
paesaggistici costituisce una vera e propria
sanzione amministrativa che prescinde dalla
sussistenza effettiva di un danno
ambientale, non rappresentando una forma di
risarcimento del danno;
b)
condonabilità degli abusi commessi in zone
soggette a tutela ambientale purché sia
intervenuto il parere favorevole
dell’autorità competente, ai sensi dell’art.
32 della L. n. 47 del 28.02.1985;
c)
applicabilità della sanzione di cui al
predetto art. 15 anche in caso in cui sia
intervenuto il previsto nulla osta, come
precisato dall’art. 2, comma 46, della L. n.
662 del 23.12.1996, norma di natura
chiaramente interpretativa;
d)
applicabilità, per espresso dettato
legislativo, dell’art. 28, primo comma,
della L. n. 689 del 24.11.1981 il quale
espressamente dispone che il “diritto a
riscuotere le somme dovute per le violazioni
indicate dalla presente legge si prescrive
nel termine di cinque anni dal giorno in cui
è stata commessa la violazione”, sia
pure con i temperamenti necessari attesa la
particolare natura dell’illecito sanzionato
dal ricordato art. 15. La regola della
prescrizione quinquennale, decorrente dal
giorno della commissione della violazione,
infatti, trova in astratto applicazione
anche in materia di illeciti amministrativi
puniti con la pena pecuniaria di cui alla
normativa di tutela urbanistica-edilizia e
di tutela del paesaggio (cfr., anche, Cass.,
1° Sez. civ., n. 6967 del 25.07.1997).
e)
l’illecito paesaggistico, consistente nella
realizzazione in zona sottoposta a vincolo
paesaggistico di opere in assenza della
previa autorizzazione, ha natura permanente,
in quanto tale caratterizzato dall’omissione
dell’obbligo, perdurante nel tempo, di
ripristinare secundum jus lo stato dei
luoghi, così che se l’Amministrazione si
determina con un provvedimento repressivo
(demolizione ovvero irrogazione della
sanzione pecuniaria), non è “emanato un
atto a distanza di tempo” dalla
commissione dell’abuso, ma si sanziona una
situazione antigiuridica ancora contra jus,
atteso che la situazione di illiceità può
dirsi venuta meno solo quando è stato
assolto l’obbligo di ripristino dello stato
dei luoghi (ovvero sia stata irrogata, in
alternativa, la prevista sanzione
pecuniaria);
f)
il termine di prescrizione quinquennale
inizia a decorrere solo quando sia venuta
meno la situazione di illiceità;
g)
non è esatto assumere a parametro di
riferimento l’intervenuto parere favorevole
al mantenimento delle opere abusivamente
realizzate posto in essere dalla Commissione
regionale per la tutela del paesaggio e
dall’Assessore al Dipartimento assetto del
territorio in relazione al provvedimento di
rilascio della concessione edilizia in
sanatoria. Siffatto parere, in mancanza di
una qualsiasi norma positiva in tal senso, è
da ritenere privo di un’autonoma rilevanza
in quanto concorre a consentire il rilascio
della concessione edilizia (o
autorizzazione) in sanatoria inserendosi,
secondo le previsioni contenute nell’art. 32
della L. n. 47 del 1985, nel diverso
procedimento volto a sanare solo ed
esclusivamente illeciti di natura
edilizia-urbanistica in relazione ad
immobili soggetti a vincoli paesaggistici
e/o ambientali e non è, quindi, atto idoneo
a far decorrere il termine di prescrizione
previsto dal ricordato art. 28 della
normativa del 1981. Al contrario, il
provvedimento sanzionatorio trova la sua
disciplina in una normativa diversa da
quella prevista nella cd. legge di
sanatoria, disciplina che delinea un
autonomo procedimento in cui intervengono
altre Amministrazioni in quanto titolari di
interessi finalizzati alla tutela
dell’ambiente, del paesaggio e del
territorio, nonché alla repressione di
eventuali abusi (TAR Basilicata,
sentenza 18.10.2008 n. 648 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La circostanza che l'autorità
deputata alla tutela dei beni ambientali si
sia pronunciata positivamente, in sede di
approvazione di un piano di lottizzazione,
non esclude che i singoli progetti debbano
essere nuovamente ed autonomamente
apprezzati, in sede di rilascio del nulla
osta previsto dall’art. art. 151, d.lgs.
29/10/1999 n. 490.
Il Comune, competente al rilascio
dell’autorizzazione paesaggistica ex art. 7,
legge 29/06/1939 n. 1497, non può emettere
il nullaosta di cui al citato art. 7 se non
dopo aver valutato la compatibilità
dell’intervento da realizzare con il bene
paesaggistico tutelato, esternando, nel far
ciò, le ragioni che ispirano la scelta,
fosse essa negativa o positiva (cfr., sul
principio che anche il rilascio del
nullaosta paesaggistico debba essere
motivato, Cons. Stato, sez. VI, dec.
08/08/2000 n. 4345; dec. 06/07/2000 n. 3793;
dec. 26/04/2000 n. 2500).
Si deve, peraltro, osservare come l’onere
motivazionale debba ritenersi attenuato,
allorché riguardi un intervento già
astrattamente valutato come compatibile con
i valori paesaggistici, in sede di
pianificazione urbanistica.
Gli interessi paesaggistico ed urbanistico
sono fra loro funzionalmente differenziati,
cosicché la circostanza che l'autorità
deputata alla tutela dei beni ambientali si
sia pronunciata positivamente, in sede di
approvazione di un piano di lottizzazione,
non esclude che i singoli progetti, pur
compatibili con la destinazione urbanistica,
debbano essere nuovamente ed autonomamente
apprezzati, in sede di rilascio del nulla
osta previsto dall’art. art. 151, d.lgs.
29/10/1999 n. 490.
Ma, in tal caso, la valutazione richiesta ai
fini del rilascio dell’autorizzazione è
limitata al modo di essere ed alle concrete
modalità esecutive del manufatto da
realizzare (cfr. Cons. Stato, sez. VI, dec.
26/04/2000 n. 2500).
La tutela di cui all’art. 151, d.lgs.
29/10/1999 n. 490, non si estrinseca
nell’impedire qualunque modificazione del
paesaggio, ma solo nel valutare quali
modifiche siano compatibili con la
salvaguardia del valore tutelato e quindi
autorizzabili
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 01.10.2008 n. 4726 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
GURI - GUUE - BURL (e anteprima) |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 1 del
05.01.2009, "Istituzione dell'Albo
regionale delle imprese boschive (art. 19,
l.r. n. 27/2004)"
(deliberazione
G.R. 12.11.2008 n. 8396 - link a www.infopoint.it). |
ENTI LOCALI:
B.U.R. Lombardia, 3° suppl. ord. al n. 53
del 31.12.2008, "Modifiche a leggi
regionali in materia di edilizia
residenziale pubblica"
(L.R.
30.12.2008 n. 36 - link a www.infopoint.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
G.U. 31.12.2008 n. 304 "Misure
straordinarie in materia di risorse idriche
e di protezione dell’ambiente" (D.L.
30.12.2008 n. 208). |
ENTI LOCALI:
G.U. 31.12.2008 n. 304 "Proroga di
termini previsti da disposizioni legislative
e disposizioni finanziarie urgenti" (D.L.
30.12.2008 n. 207). |
ENTI LOCALI:
G.U. 30.12.2008 n. 303, suppl. ord. n.
285/L, "Disposizioni per la formazione
del bilancio annuale e pluriennale dello
Stato (legge finanziaria 2009)" (L.
22.12.2008 n. 203). |
ENTI LOCALI: B.U.R.
Lombardia, 1° suppl. straord. al n. 53 del
29.12.2008, "Programma Operativo
Regionale FESR 2007-2013 - Asse 4 «Tutela e
valorizzazione del patrimonio naturale e
culturale» - Approvazione del bando per la
presentazione delle domande di contributo
sulla linea di intervento 4.1.1.1
«Promozione e diffusione di una fruizione
sostenibile nel sistema delle aree protette
e nelle aree della rete ecologica lombarda
attraverso la tutela e la valorizzazione del
patrimonio culturale e ambientale»
«Realizzazione e promozione di itinerari
turistici per la fruizione sostenibile delle
risorse culturali e ambientali»"
(decreto
D.U.O. 15.12.2008 n. 15140 - link a www.infopoint.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: B.U.R.
Lombardia, 1° suppl. ord. al n. 52 del
27.12.2008, "L.R. 05.12.2008, n. 31
«Testo unico delle leggi regionali in
materia di agricoltura, foreste, pesca e
sviluppo rurale» pubblicata nel BURL n. 50,
I Supplemento Ordinario del 10.12.2008"
(avviso
di rettifica n. 52/I-S.O. 2008 - link a www.infopoint.it). |
NEWS |
EDILIZIA PRIVATA:
Autorizzazioni paesaggistiche: prorogate al
30.06.2009 le attuali procedure
(link a www.regione.lombardia.it). |
DOTTRINA E CONTRIBUTI |
APPALTI:
B. Spatola,
Annullamento della aggiudicazione e sorte
del contratto: dopo le SS.UU. della
Cassazione si pronuncia l’Adunanza Plenaria
del Consiglio di Stato (nota a A.P. Cons. di
Stato n. 9/2008) (link a
www.diritto.it). |
APPALTI:
F. Gaboardi,
Note interpretative e di commento al d.lgs.
n. 163/2006 (Codice degli appalti pubblici)
(link a www.diritto.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
N. Tolfa,
La nuova disciplina dell'accesso ai
documenti amministrativi (link a
www.diritto.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
B. Spatola,
Accesso ai documenti amministrativi e
riservatezza, riflessioni alla luce del
nuovo codice della privacy e interventi
giurisprudenziali (link a
www.diritto.it). |
LAVORI PUBBLICI:
G. Vanacore,
Cenni sulla responsabilità del custode ex
art. 2051 c.c. con brevi riferimenti alla
fattispecie di danni da caduta d’albero
(link a www.diritto.it). |
LAVORI PUBBLICI:
G. Vanacore,
Applicabilità dell'art. 2051 c.c. alla p.a.
per omessa od insufficiente manutenzione di
pubbliche vie: genesi di un orientamento in
via di consolidazione (link a
www.diritto.it). |
GIURISPRUDENZA |
EDILIZIA PRIVATA:
Sull'annullamento del diniego di
concessione edilizia e sul risarcimento del
danno per aver illegittimamente denegato la
concessione edilizia.
In tema di risarcimento del danno
conseguente all’annullamento di un
provvedimento amministrativo, la
giurisprudenza ha affermato in via generale
che manca il nesso di causalità tra
l’illegittimità dell’atto lesivo ed il danno
lamentato allorquando la pubblica
amministrazione conserva integro l’ambito di
apprezzamento discrezionale del
provvedimento ampliativo richiesto e la
possibilità di una legittima diversa
determinazione (C.d.S., sez. V, 07.10.2008,
n. 4868; 22.04.2004, n. 2994); ancor più
decisamente (C.d.S., sez. IV, 15.07.2008, n.
3552) è stato precisato che, in caso di
annullamento di un atto per vizi formali,
che non intaccano sostanzialmente la
discrezionalità dell’agire della pubblica
amministrazione, non c’è spazio per alcun
risarcimento del danno, poiché la pretesa
alla legittimità (formale) del provvedimento
viene adeguatamente ristorata attraverso
l’eliminazione del vizio formale stesso, non
avendo l’impugnata sentenza deciso nulla in
ordine alla spettanza o meno del sottostante
bene della vita. Con riguardo
all’annullamento di un diniego di
concessione edilizia, la giurisprudenza ha
evidenziato che la nuova valutazione della
domanda deve essere fatta con riferimento
alla disciplina urbanistica vigente al
momento in cui viene notificata al Comune
interessato la sentenza di annullamento del
diniego, venendo così in rilievo anche la
nuova disciplina intervenuta nelle more del
giudizio, e ferma restando la facoltà
dell’interessato di chiedere
all’amministrazione comunale di valutare una
eventuale variante alla nuova disciplina
urbanistica per consentire il pieno
soddisfacimento della propria situazione
giuridica ingiustamente lesa (A.P.
08.01.1986, n. 1). Deve essere aggiunto,
poi, che, allorquando sussistano tutti i
presupposti di legge, ed in particolare la
conformità del progetto presentato alla
vigente disciplina urbanistica, il Comune
non può legittimamente denegare la
concessione edilizia.
L’accertata
illegittimità dei provvedimenti adottati
dall'amministrazione non integra di per sé
gli estremi di una condotta colposa, cui
ricollegare automaticamente l'obbligo
risarcitorio, dovendo a tal fine prendersi
in considerazione il comportamento
complessivo degli organi che sono
intervenuti nel procedimento, il quadro
delle norme rilevanti ai fini dell'adozione
della statuizione finale, la presenza di
possibili incertezze interpretative in
relazione al contenuto prescrittivo delle
disposizioni medesime, onde apprezzare se
l'organo procedente sia incorso in
violazione delle comuni regole di buona
amministrazione, di correttezza, di
imparzialità e buon andamento (ex pluribus,
C.d.S., sez. VI, 21.02.2008; sez. IV,
10.08.2004, n. 5500; 19.12.2003, n. 8363).
Tuttavia, nel caso di specie, il diniego di
concessione edilizia in data 26.07.1985 non
è stato determinato da oggettive difficoltà
di individuazione o di interpretazione delle
norme applicabili alla fattispecie concreta,
ma da una pretesa (ed inammissibile)
prevalenza degli indirizzi
politico–programmatici in materia di
disciplina del territorio, contenuti nella
delibera consiliare n. 21 del 28.02.1984, al
di fuori degli strumenti tipici previsti
dall’ordinamento (adozione di una variante
al vigente piano di fabbricazione ovvero
adozione del piano regolatore generale) che
soli avrebbero consentito l’applicazione di
misure di salvaguardia (in cui consiste, in
realtà, la ragione dell’illegittimo
diniego).
Si è verificata, pertanto, una
ingiustificata violazione dei canoni
fondamentali di legalità e correttezza cui
deve sempre ispirarsi l’azione
amministrativa, secondo quanto stabilito
dall’articolo 97 della Costituzione, senza
che sussistano cause esimenti: non può
qualificarsi come errore scusabile, ovvero
errore in buona fede, quello commesso
dall’amministrazione comunale all’atto
dell’emanazione dell’illegittimo diniego,
interpretando –in maniera assolutamente
soggettiva- come immediatamente precettivi e
vincolanti gli indirizzi programmatici
contenuti nella ricordata delibera
consiliare n. 21 del 28.02.1984
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 24.12.2008 n. 6538 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: E'
illegittima la nomina di un membro della
Commissione Comunale per l'Edilizia che sia
imparentato col responsabile dell'Ufficio
Tecnico.
Le cause di incompatibilità dei componenti
degli organi collegiali attengono a
rapporti, posizioni o situazioni che
potrebbero influire sulla regolarità
dell'esercizio delle pubbliche funzioni per
un potenziale o effettivo conflitto di
interessi fra due uffici o tra l'interesse
personale e l'interesse pubblico, ovvero per
il pericolo di coincidenza di interessi
facilmente verificabile tra persone unite da
vincoli di parentela, affinità, ecc..
La vigente legislazione nulla prevede
espressamente circa specifiche cause di
incompatibilità per i componenti di
Commissioni Edilizie.
Va quindi preso a riferimento quanto
disciplinato in generale dall’art. 78 del
D.Lgs. 18.08.2000, n. 267, Testo unico delle
leggi sull'ordinamento degli enti locali ed
i principi, anche di elaborazione
giurisprudenziale, applicabili a tutti gli
organi amministrativi, individuali e
collegiali, in omaggio al precetto del buon
andamento e dell'imparzialità della Pubblica
Amministrazione, sancito dall'art. 97 della
Costituzione.
L'art. 78, comma 2 e 3, d.lgs. 18.08.2000 n.
267, impone un obbligo di astensione, con
conseguente illegittimità dell’atto in caso
di sua violazione, tutte le volte in cui
nella decisione da assumere vi sia un
interesse proprio o di parenti ed affini
sino al quarto grado. Così allo stesso modo
impedisce ai membri di organi comunali,
competenti in materia di urbanistica, di
edilizia e di lavori pubblici, l’esercizio
di attività professionale in materia di
edilizia privata e pubblica nel territorio
da essi amministrato.
In tal senso la norma, in piena rispondenza
ai principi generali di imparzialità e buona
amministrazione, è volta ad evitare che il
soggetto chiamato a decidere abbia o possa
avere uno specifico interesse, diretto od
indiretto per il tramite di parenti o affini
fino al quarto grado, nella materia oggetto
delle sue decisioni.
La relazione di
parentela o di coniugio esistente tra un
organo che svolge una funzione consultiva e
l’organo di amministrazione attiva determina
un potenziale condizionamento dell'autonomia
di giudizio che deve presiedere
all'esercizio della funzione valutativa, in
conformità dei surrichiamati principi di
imparzialità e buona amministrazione,
cristallizzati dall'art. 97 della Carta
fondamentale.
Tale esigenza di evitare ogni possibile
condizionamento di giudizio, derivante dalla
stretta parentela con un componente di un
organo consultivo ricorre necessariamente
rispetto al Dirigente del competente ufficio
urbanistico. Quest’ultimo è chiamato ad
esercitare, nel nuovo ordinamento comunale
improntato alla divisione delle funzioni di
indirizzo politico ed amministrazione attiva
ed all’accentramento dell’esercizio del
potere di amministrazione in capo ai
Dirigenti, importanti funzioni decisionali
in materia.
Il rapporto di parentela in questione si
rivelava potenzialmente idoneo a minare sia
la serenità di giudizio del membro della
Commissione Urbanistica Edilizia ricorrente,
che non avrebbe avuto quella neutralità ed
indipendenza dalla funzione di
amministrazione attiva che i suoi compiti
consultivi richiedevano, sia quella del
Dirigente, che doveva assumere le sue
valutazioni sulla base dei pareri espressi
dalla commissione edilizia, eventualmente
discostandosene.
Per la valorizzazione a livello normativo
della necessità di esercizio sereno
dell’attività volta ad un esito decisionale
può venire in rilievo, seppure per analogia,
la normativa sulle incompatibilità prevista
dall'art. 19 del R.D. n. 12 del 1941 secondo
cui “I magistrati che hanno tra loro
vincoli di parentela o di affinità sino al
secondo grado, di coniugio o di convivenza,
non possono far parte della stessa Corte o
dello stesso Tribunale o dello stesso
ufficio giudiziario” o l’art.35 c.p.p.
secondo cui “Nello stesso procedimento
non possono esercitare funzioni, anche
separate o diverse, giudici che sono tra
loro coniugi, parenti o affini fino al
secondo grado”.
In tal senso, pertanto, il rapporto di
parentela del ricorrente con il Dirigente
dell’ufficio urbanistico, seppure poteva
essere discutibile si ponesse come ragione
di vera e propria incompatibilità (con
obbligo di astensione in capo al titolare),
sicuramente costituiva un rilevate motivo di
inopportunità rispetto all’incarico
ricoperto, in grado di giustificare le
revoca.
In tal senso non assume alcuna importanza la
circostanza, segnalata dal ricorrente, che
la ragione di inopportunità (rapporto di
parentela) sussistesse già al momento della
nomina perché tale fatto non è idoneo di per
sé ad inficiare la regolarità della revoca
bensì, semmai, sarebbe stata ragione per
mettere in discussione la validità o la
scelta di merito di opportunità dell’atto di
conferimento dell’incarico
(TAR Abruzzo-Pescara, Sez. I,
sentenza 24.12.2008 n. 1211 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI: La
stazione appaltante deve tener conto, ai
fini della determinazione del corrispettivo
dell'appalto, del costo del lavoro come
indicato nelle tabelle ministeriali.
La Sezione anche in questa sede richiama
l’orientamento del TAR Lombardia, secondo il
quale la P.A. “nel procedere alla
determinazione delle condizioni economiche
da porre a base d’asta, è tenuta a garantire
un livello idoneo a consentire il rispetto
del costo del lavoro risultante dalla
contrattazione collettiva di categoria,
riferito alle imprese che esercitano
ordinariamente l’attività che costituisce
oggetto dell’appalto”, in quanto “l’obbligo
di assicurare parità di condizioni a tutti i
partecipanti, impedisce di allestire un
bando di gara che lasci liberi i concorrenti
di formulare l’offerta facendo riferimento
ad un CCNL di propria scelta” (TAR
Lombardia–Milano, Sez. III, 06.11.2006, n.
2102).
Opina il Collegio di dover far propria
siffatta tesi rilevando che irrefutabile è
il dato che le società cooperative, a norma
della lex specialis, erano ammesse a
partecipare alla gara. Ne deriva che
l’Amministrazione doveva tenere nel debito
conto il costo del lavoro stabilito dalla
contrattazione collettiva applicabile alle
cooperative, non potendo consentire al
singolo partecipante, di scegliersi il
contratto collettivo, per poi parametrare il
costo minimo e quindi il prezzo a base di
gara, sul costo della manodopera stabilito
dal contratto collettivo prescelto dal
singolo concorrente, come nella specie
vorrebbe il Comune.
Siffatta opzione introdurrebbe nel settore
delle pubbliche gara un quoziente di
disomogeneità ed aleatorietà, finendo per
alterare sensibilmente la par condicio.
Tanto più ove si consideri che nel caso
all’esame il costo del lavoro prescritto
dalla contrattazione per le cooperative
sociali è anche vantaggioso per
l’Amministrazione, posto che le cooperative
sociali beneficiano delle agevolazioni
fiscali stabilite dalla legge
(TAR Piemonte, Sez. I,
sentenza 11.12.2008 n. 3130 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ENTI LOCALI: Nullo
il contratto di locazione stipulato
direttamente dal comune in violazione delle
regole di trasparenza. Il comune che concede
in locazione direttamente a un cittadino un
immobile di proprietà senza indire
un'apposita gara vìola le regole in materia
di trasparenza dell'attività amministrativa
e, per questo motivo, il relativo contratto
deve considerarsi nullo.
E’ principio generale quello secondo cui
anche in assenza di specifica disposizione
normativa che imponga l’adozione di
procedure concorrenziali per la selezione
del contraente privato l’Amministrazione
deve osservare i fondamentali canoni della
trasparenza, dell’imparzialità e della par
condicio.
In forza della Comunicazione della
Commissione europea del 12.04.2000,
richiamata e valorizzata dalla Circolare
della Presidenza del Consiglio dei Ministri
n. 945 del 01.03.2002, i principi
dell’evidenza amministrativa vanno
applicati, in misura proporzionata alla
fattispecie, anche laddove difettino
specifiche disposizioni che regolino
puntualmente ed impongano l’espletamento di
una procedura di gara, atteso che detti
principi sono dettati in via diretta e
self–executing dall’art. 81 del Trattato
istitutivo dell’Unione Europea.
Viene in considerazione nel caso al vaglio
del Collegio un contratto c.d. attivo, che
procura un’entrata al Comune, rappresentata
dai canoni di locazione. Tale circostanza
non può peraltro condurre a ritenere
sottratto ai principi descritti,
l’affidamento del negozio. Militano in tal
senso a livello ermeneutico, oltre che le
norme della abrogata L. n. 2440/1923 e del
R.D. n. 827/1924 recanti il corpus normativo
della contabilità pubblica, che
assoggettavano alla regola della gara sia i
contratti passivi che quelli attivi, anche
l’art. 27 del d.lgs. 16.04.2006, n. 163, il
quale stabilisce che “l’affidamento dei
contratti pubblici aventi ad oggetto lavori,
servizi e forniture esclusi in tutto o in
parte dall’applicazione del presente codice,
avviene nel rispetto dei principi di
economicità, efficacia, imparzialità, parità
di trattamento, trasparenza, proporzionalità”
Rammenta inoltre il Collegio che la
giurisprudenza, anche nel regime ante
codice, aveva statuito che “anche quando
un soggetto pubblico non è direttamente
tenuto all'applicazione di una specifica
disciplina per la scelta del contraente, il
rispetto dei principi fondamentali
dell'ordinamento comunitario (ritraibili
principalmente dagli art. 43 e 55 del
trattato Ce), nonché dei principi generali
che governano la materia dei contratti
pubblici impone all'amministrazione
procedente di operare con modalità che
preservino la pubblicità degli affidamenti e
la non discriminazione delle imprese, mercé
l'utilizzo di procedure competitive
selettive” (Consiglio Stato, Sez. VI,
15.11.2005, n. 6368).
Si era anche puntualizzato che “il
contraente pubblico è obbligato a mantenere
un contegno che, in relazione alla rilevanza
economica della fattispecie, consenta a
tutte le imprese interessate di venir per
tempo a conoscenza dell'intenzione
amministrativa di stipulare il contratto e
di giocare le proprie "chances" competitive
attraverso lo formulazione di un'offerta
appropriata, così da favorire la più ampia
partecipazione di aspiranti alle procedure
selettive; e, pertanto, l'obbligo di seguire
le norme di evidenza pubblica, ivi incluse
quelle concernenti l'adeguata
pubblicizzazione della selezione, è regola
generale, valevole anche per i contratti
c.d. "sotto soglia" (TAR Lazio Roma,
Sez. I, 23.08.2006, n. 7375).
Più di recente altro Tribunale ha
condivisibilmente affermato che “il
principio di concorrenza e quelli che ne
rappresentano attuazione e corollario, di
trasparenza, non discriminazione e parità di
trattamento (…) costituendo principi
fondamentali del diritto comunitario, si
elevano a principi generali di tutti i
contratti pubblici e sono direttamente
applicabili, a prescindere dalla ricorrenza
di specifiche norme comunitarie o interne”
(TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. II,
sentenza 21.05.2008, n. 1978)
(TAR Abruzzo-Pescara, Sez. II,
sentenza 05.11.2008 n. 878 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Costruzione di edifici a
risparmio energetico - Incentivi ex art. 1,
c. 351, L. n. 296/2006 (Finanziaria 2007) -
Comune - Obbligo dello scomputo del
contributo statale dal prezzo di vendita
dell’immobile - Illegittimità - Riduzione
degli oneri di urbanizzazione condizionata
allo scomputo del risparmio dal prezzo di
vendita - Legittimità.
Le disposizioni di cui all’art. 1, c. 351,
della L. 27.12.2006, n. 296 sono volte ad
incentivare la costruzione di edifici con
caratteristiche tali da consentire un
significativo risparmio energetico,
nell’ambito di una politica di contenimento
dei costi sociali derivanti
dall’inappropriato ed eccessivo uso di
simili risorse. L’agevolazione economica è
direttamente ricollegata alla realizzazione
dei nuovi edifici, e quindi i beneficiari
sono individuati nei soggetti che ne
promuovono la costruzione, mentre nulla è
previsto circa l’eventuale trasferimento del
beneficio agli acquirenti, i quali
concorrono a definire il corrispettivo della
cessione del bene sulla base delle comuni
regole del libero mercato, anche in ragione
dei risparmi di spesa conseguenti al minore
fabbisogno di energia; il che rende
illegittima la decisione comunale che impone
lo scomputo del contributo statale dal
prezzo di vendita degli alloggi, in quanto
l’Amministrazione locale incide così sul
riparto di spese e incentivi, individuando
di fatto un beneficiario diverso da quello
indicato dalla normativa statale, che per il
resto ha rimesso ogni ulteriore questione
all’autonomia privata delle parti. Non è
invece censurabile l’obbligo dello scomputo
della somma corrispondente ai minori oneri
che, in applicazione del regolamento
comunale per il risparmio energetico, siano
dovuti per le opere di urbanizzazione
secondaria. L’Amministrazione comunale,
infatti, introducendo il beneficio per
favorire la c.d. “efficienza energetica”
nelle abitazioni civili, ha legittimamente
inteso stimolare i cittadini, con un
risparmio di spesa, all’acquisto di alloggi
aventi tali caratteristiche (TAR Emilia
Romagna-Parma, Sez. I,
sentenza 04.11.2008 n. 423 - link
a www.ambientediritto.it). |
APPALTI:
Per l'informazione "antimafia"
sono sufficienti elementi indiziari.
La riduzione
del potere discrezionale riconosciuto alla
stazione appaltante in presenza di
informative antimafia a carattere
interdittivo deriva dall’esigenza di
tutelare in via preferenziale la trasparenza
e l’immunità del settore dei pubblici
appalti rispetto a possibili fenomeni
invasivi da parte della criminalità
organizzata. È questo il principio in base
al quale il TAR Campania ha rigettato il
ricorso elevato avverso un’informativa
prefettizia a carattere “interdittivo”, resa
ai sensi dell’art. 4 del D.Lgs. n. 490/1994,
con la quale era stato segnalato il pericolo
di condizionamento mafioso di un operatore
economico cui era stata affidata la
realizzazione di alcuni lavori pubblici
(TAR Campania-Napoli, Sez. I,
sentenza 22.10.2008 n. 19674 -
link a www.altalex.com). |
EDILIZIA PRIVATA: Oneri
di costruzione - Esenzione - Qualifica di
Agricolo Professionale - Sopravvenienza -
E' irrilevante.
La sopravvenienza della qualifica di
Imprenditore Agricolo Professionale (IAP) o
alla società non modifica la situazione e
non costituisce neppure causa di esenzione
per la parte del contributo di costruzione a
suo tempo non corrisposta. Considerata la
natura eccezionale della gratuità del
permesso di costruire non è possibile
ipotizzare una fattispecie a formazione
progressiva che ne estenda la portata sotto
il profilo temporale trasformando in
gratuite fattispecie originariamente
onerose. Questa conclusione risulta
indirettamente confermata dal fatto che è
invece prevista la perdita del beneficio
della gratuità qualora le opere realizzate a
fini agricoli cambino destinazione d'uso nei
10 anni dall'ultimazione dei lavori (v. art.
52 comma 3 della LR 12/2005 e art. 19 comma
3 del DPR 380/2001). Poiché il cambio di
destinazione può essere determinato dalla
cessazione dell'attività agricola, il cui
svolgimento è necessario ai fini del
mantenimento della qualifica di IAP, si può
osservare che i fatti sopravvenuti rilevano
solo quando fanno venire meno i presupposti
(oggettivi o soggettivi) dell'esenzione.
Rileva pertanto l'eventuale perdita della
qualifica di IAP successiva al rilascio del
permesso di costruire ma non l'acquisto
tardivo (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia,
sentenza 17.10.2008 n. 1332 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Gara
- Seduta di apertura delle buste - Principio
di pubblicità - Necessità - Mancata
comunicazione - Non è sanabile.
Il principio di pubblicità delle operazioni
di gara deve necessariamente connotare la
seduta fissata per l'apertura delle buste
contenenti le offerte dei partecipanti alla
gara stessa. Di conseguenza è obbligo del
seggio di gara garantire ai concorrenti
l'effettiva possibilità di presenziare allo
svolgimento delle operazioni di apertura dei
plichi pervenuti alla stazione appaltante.
Tale effettiva possibilità di partecipazione
alla seduta del seggio di gara costituisce
garanzia posta a tutela, nel contempo,
dell'interesse pubblico e di quello dei
singoli partecipanti, i quali devono poter
assistere direttamente allo svolgimento
delle operazioni di verifica dell'integrità
dei plichi ed all'identificazione del loro
contenuto, e ciò a conferma della serietà
della procedura concorsuale, ne consegue
che, anche in assenza di specifiche
previsioni della lex specialis, la
violazione del principio di pubblicità
indotta dalla mancata comunicazione ad uno o
più concorrenti della data di svolgimento
delle operazioni di apertura dei plichi
contenenti le offerte costituisce vizio
insanabile della procedura, il quale si
ripercuote sul provvedimento finale di
aggiudicazione, invalidandolo, anche ove non
sia comprovata l'effettiva lesione sofferta
dai concorrenti, trattandosi, come si è
detto, di adempimento posto a tutela non
solo della parità di trattamento tra gli
stessi, ma anche dell'interesse pubblico
alla trasparenza ed all'imparzialità
dell'azione amministrativa, le cui
conseguenze negative sono difficilmente
apprezzabili ex post (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia,
sentenza 16.10.2008 n. 1329). |
EDILIZIA PRIVATA: 1.
Autorizzazione all'installazione di mezzi
pubblicitari - Concessione del suolo
pubblico e provvedimento autorizzatorio.
2. Interesse pubblico alla fruizione di
spazi verdi - Interesse del privato
all'esposizione di manufatti pubblicitari.
1.
In mancanza di un espresso provvedimento di
concessione di suolo pubblico,
l'autorizzazione alla installazione dei
mezzi pubblicitari non può formarsi per atto
tacito, non potendo essa prescindere dalla
suddetta concessione. L'installazione di
mezzi pubblicitari su suolo pubblico postula
un provvedimento di concessione dell'uso del
medesimo, non bastando a tale scopo il solo
provvedimento autorizzatorio. Infatti,
l'autorizzazione all'esposizione dei mezzi
pubblicitari e la concessione dell'uso del
suolo pubblico presuppongono valutazioni
differenti, essendo attinenti alla tutela di
interessi pubblici diversi: il procedimento
autorizzatorio si esaurisce nel giudizio di
"non incompatibilità" dell'attività privata
con l'interesse pubblico, mentre è solamente
con il procedimento concessorio che ha luogo
la valutazione della conformità di tale
attività con il pubblico interesse.
2.
Il Comune non irragionevolmente può
attribuire maggior rilievo all'interesse
pubblico alla fruizione degli spazi verdi,
invece che a quello privato all'esposizione,
ivi, di manufatti pubblicitari (v. TAR
Lombardia, Milano, Sez. IV, ord. 01.12.2004,
n. 2969/2004) (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
III,
sentenza
13.10.2008 nn. 4734, 4735, 4736, 4737, 4738 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
ACQUE - Nozione di acque reflue
industriali - Individuazione - Attività
artigianali e da prestazioni di servizi.
Rientrano tra le acque reflue industriali
quelle che possiedono qualità,
necessariamente legate allo composizione
chimica-fisica, diverse da quelle proprie
delle acque metaboliche e domestiche
[Cassazione Sez. III, n. 42932/2002,
19/12/2002, Ribattoni: "Nella nozione di
acque reflue industriali rientrano tutti i
reflui derivanti da attività che non
attengono strettamente al prevalente
metabolismo umano ed alle attività
domestiche, atteso che a tal fine rileva la
solo diversità del refluo rispetto alle
acque domestiche. Conseguentemente rientrano
tra le acque reflue industriali quelle
provenienti da attività artigianali e da
prestazioni di servizi"].
ACQUE - Acque reflue
industriali - Definizione - Differenza dalle
acque reflue domestiche - Art. 74, c. 1
lettera h) D. Lgs. n. 152/2006 - D. L.vo n.
258/2000 - Art. 2, lett. h) d.lgs. n.
159/1999.
L'art. 2, lettera h) del d.lgs. n. 159/1999,
come modificato dal decreto legislativo n.
258/2000, [ora trasfuso nell'art. 74, comma
1, lettera h), del d. lgs. n. 152/2006]
definisce "acque reflue industriali"
qualsiasi tipo di acque reflue scaricate da
edifici o installazioni in cui si svolgono
attività commerciali o di produzioni di
beni, diverse dalle acque reflue domestiche
e dalle acque meteoriche o di dilavamento.
ACQUE - Refluo -
Definizione e individuazione.
Il refluo deve essere considerato
nell'inscindibile composizione dei suoi
elementi, a nulla rilevando che parte di
esso sia composta di liquidi non
direttamente derivanti dal ciclo produttivo,
come quelli delle acque meteoriche o dei
servizi igienici, immessi in un unico corpo
recettore [Cassazione Sezione III n. 13376,
18/12/1998, Brivio,].
ACQUE - Discipline degli
scarichi - Scarico discontinuo di reflui -
Scarico occasionale - Immissioni occasionali
- Carattere temporaneo - D.L.vo n. 152/1999
- D. L.gs. n.258/2000.
In tema di discipline degli scarichi, mentre
lo scarico discontinuo di reflui, sia pure
caratterizzato dei requisiti
dell'irregolarità, intermittenza e
saltuarietà, se collegato ad un determinato
ciclo produttivo, ancorché di carattere non
continuativo, trova la propria disciplina
nel decreto legislativo 11.05.1999 n. 152, e
successive modificazioni, lo scarico
occasionale, sia se effettuato in difetto di
autorizzazione che con superamento dei
valori limite, è privo di sanzione a seguito
della eliminazione, ad opera dell'art. 23
del decreto legislativo 18.08.2000 n. 258,
del riferimento alle immissioni occasionali
precedentemente contenuto negli art. 54 e 59
del citato decreto n. 152 [Cassazione
Sez. III n. 16720/2004, Todesco]. Quindi,
quale che sia il suo carattere temporaneo,
soltanto una condotta del tutto estranea
alla nozione legislativa di scarico di acque
reflue [le immissioni effettuate fuori dal
ciclo produttivo senza il tramite di una
condotta] non è soggetta alla preventiva
autorizzazione perché ogni immissione
diretta tramite un sistema di
convogliabilità ovvero tramite condotta, è
sottoposta alla disciplina di cui al decreto
legislativo 11.05.1999 n. 152 [Cassazione
Sezione III n. 14425/2004, Lecchi, e n.
16717, Rossi] (Corte di Cassazione, Sez. III
penale,
sentenza 09.10.2008 n. 42529 -
link a www.ambientediritto.it). |
APPALTI:
S. Lazzini, Non è consentito
all’impresa cessionaria l’automatico
subentro nei contratti stipulati
dall’impresa cedente ancorché non abbiano
carattere personale.
Cessione intera di Azienda, è vero che
automaticamente l’impresa acquirente
subentra anche nei contratti pubblici in
essere? O invece è corretto che la Stazione
appaltante rescinda dal proprio obbligo e
aggiudichi l’appalto ad altra impresa, in
osservanza del capitolato speciale, che
stabilisce il divieto di cessione del
contratto?
La società cessionaria di azienda non può
subentrare automaticamente nella posizione
della società cedente, per le
caratteristiche di infungibilità del
contraente in quanto individuato attraverso
un procedimento concorsuale di tipo
garantistico, volto a selezionare,
attraverso l’ampia partecipazione delle
imprese interessate, il soggetto più
qualificato sulla base dei requisiti
soggettivi ed oggettivi posseduti.
Da ciò la corretta interpretazione dell’art.
32 del capitolato, il cui contenuto,
preclusivo di ogni tipo di cessione, è
desumibile, oltretutto, anche dal suo
contenuto letterale, (divieto di cessione da
parte della ditta aggiudicataria “neanche
parzialmente”), espressione che preclude
ogni interpretazione che lasci spazio a
qualsivoglia autonomo effetto traslativo
della posizione contrattuale.
Non rileva, infine, l’asserito vizio di
difetto di partecipazione, in quanto il
richiamato divieto di effetti traslativi del
contratto preclude la necessità di
qualsivoglia obbligo partecipativo in favore
dell’appellante in ordine all’ulteriore
affidamento del servizio nei confronti di
altra società (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 07.10.2008 n. 4865 -
link a www.diritto.it). |
APPALTI:
S. Lazzini, E’ consentita la
richiesta di sottoscrizione per accettazione
del capitolato speciale, da parte dei legali
rappresentanti di tutte le imprese
raggruppate,con la previsione dell’obbligo
di provvedere alla sottoscrizione di ogni
pagina in aggiunta alla sottoscrizione in
calce ed in calce ai sensi dell’art. 1341,
capoverso, c.c.(cd clausole vessatorie).
E’ illegittima l’ammissione alla procedura
di un raggruppamento, constando in atti che
la sottoscrizione delle singole pagine del
capitolato speciale è stata effettuata
esclusivamente dall’impresa capogruppo del
raggruppamento costituendo mentre le
mandanti hanno provveduto alle sole
sottoscrizioni in calce che si è visto
essere inidonee a rispettare la lettera
delle regole di gara ed a soddisfare la
ratio che le anima?
Il raggruppamento andava escluso: la Sezione
reputa quindi fondato il motivo di ricorso
incidentale con il quale si lamenta la
violazione da parte della ricorrente
principale, delle prescrizioni recate dalla
disciplina di gara che impongono la
sottoscrizione del capitolato speciale di
appalto per accettazione, da parte di ogni
impresa facente parte di un raggruppamento
temporaneo, in ogni pagina, in calce nonché
in calce ai sensi dell’art. 1341 del codice
civile.
La Sezione osserva infatti che l’obbligo, a
pena di esclusione, della sottoscrizione in
ogni pagina del capitolato da parte di tutte
le imprese facenti pari del raggruppamento
è, in termini non equivoci, desumibile dal
combinato disposto del par. 4, punto V, del
disciplinare, che sanziona con la non
ammissione la mancata sottoscrizione del
capitolato, e del par. 1, punto A2, dello
stesso disciplinare, ove, in sede di
declinazione delle modalità di presentazione
delle offerte, si stabiliscono le modalità
di sottoscrizione per accettazione da parte
dei legali rappresentanti di tutte le
imprese raggruppate con la previsione
dell’obbligo di provvedere alla
sottoscrizione di ogni pagina in aggiunta
alla sottoscrizione in calce ed il calce ai
sensi dell’art. 1341, capoverso, c.c..
[In ogni caso non hanno effetto, se non sono
specificamente approvate per iscritto, le
condizioni che stabiliscono, a favore di
colui che le ha predisposte, limitazioni di
responsabilità (1229), facoltà di recedere
dal contratto (1373) o di sospenderne
l'esecuzione, ovvero sanciscono a carico
dell'altro contraente decadenze (2964 e
seguenti), limitazioni alla facoltà di
opporre eccezioni (1462), restrizioni alla
libertà contrattuale nei rapporti coi terzi
(1379, 2557, 2596), tacita proroga o
rinnovazione del contratto, clausole
compromissorie (Cod. Proc. Civ. 808) o
deroghe (Cod. Proc. Civ. 6) alla competenza
dell'autorità giudiziaria] (Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 07.10.2008 n. 4862 -
link a www.diritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Installazioni
pubblicitarie - Fissazione di limiti e
divieti - Atto di natura regolamentare.
Il potere discrezionale in ordine alla
fissazione dei criteri e dei limiti che le
installazioni pubblicitarie devono
rispettare per essere compatibili con il
pubblico interesse deve essere speso
attraverso la predisposizione di un atto di
natura regolamentare. Per non incorrere nel
rischio di determinazioni tra loro
contrastanti, l'amministrazione non può
decidere, caso per caso, con criteri che
possono variare per ogni singola
autorizzazione, quali installazioni
rispondano al decoro architettonico e quali,
invece, no.
Per garantire l'uniformità delle decisioni,
i limiti ed i divieti a salvaguardia di tale
interesse devono essere fissati con
carattere di generalità nel suddetto
regolamento (salvo che si tratti di immobili
sottoposti a vincoli paesistici o
monumentali, per i quali opera il generale
divieto previsto dall'art. 153 del codice
dei beni culturali) (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
III,
sentenza
06.10.2008 n.
4713 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Sostituzione
recinzione - DIA - Realizzazione in assenza
- Rilievo - Formale - Sanatoria in via
ordinaria - Ammissibilità.
La sostituzione della recinzione o di un
cancello con modalità innovative non rientra
nell'attività edilizia libera ma già
richiedeva una preventiva autorizzazione ex
art. 7, co. 2, lett. a), D.L. 9/1982 conv.
in L. 94/1982, mentre oggi è necessaria una
D.I.A. ex art. 22, co. 1, D.P.R. 380/2001,
per consentire al Comune di valutare le
conseguenze dell'opera sul territorio,
peraltro, se il cancello non è vietato dagli
strumenti urbanistici e non comporta
violazione di vincoli paesistico-ambientali
o di altra natura la mancanza di
autorizzazione/DIA ha rilievo solo formale
ed è sanabile in via ordinaria (art. 10 e 13
L. 47/1985; art. 37, co. 1, e 4 D.P.R.
380/2001); di conseguenza la recinzione o il
cancello abusivo possono essere oggetto di
un ordine di rimozione solo nel caso in cui
contrastino con la disciplina urbanistica e
con i vincoli presenti sul territorio (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia,
sentenza 02.10.2008 n. 1142). |
EDILIZIA PRIVATA:
L'ordinanza di demolizione di
opere abusive non necessita di specifica
motivazione.
Come
ripetutamente affermato in ambito
giurisprudenziale, l’ordine di demolizione
di opera edilizia abusiva si configura come
atto dovuto per il quale non esiste uno
specifico obbligo di motivazione oltre la
descrizione dell’abuso commesso e la sua
identificazione oggettiva (cfr. ex multis
CdS, Sez. IV, N. 2705/2008).
In caso di ordinanze di demolizione,
l’obbligo di motivazione è dunque da
intendere assolto con l’indicazione dei meri
presupposti di fatto (constatazione
dell’esecuzione di opere in difformità del
permesso di costruire o in assenza del
medesimo), che valgono, di per se stessi, a
giustificare l’applicazione delle
corrispondenti misure sanzionatorie previste
direttamente dal legislatore (TAR
Campania-Napoli, Sez. II,
sentenza 26.09.2008 n. 11309 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI FORNITURE E SERVIZI:
S. Lazzini, A sua discrezione la
stazione appaltante può scegliere fra il
prezzo più basso e l’offerta economicamente
più vantaggiosa: devono sempre però essere
rispettata la realizzazione di una effettiva
concorrenza tra i partecipanti alle gare
pubbliche, giusta l’evoluzione della
giurisprudenza comunitaria.
Se una Stazione appaltante decide, per un
appalto da affidarsi con il criterio del
prezzo più basso, di affidare comunque
l’aggiudicazione ad un’apposita Commissione,
valgono comunque le norme di cui
all’articolo 84 del Codice dei contratti
pubblici (che invero si occupa degli appalti
da affidare con il criterio dell’offerta
economicamente più vantaggiosa)?
Appare consequenziale che solo all’esercizio
della discrezionalità tecnica valutativa
propria del sistema della “offerta
economicamente più vantaggiosa” deve
ritenersi correlata la prescrizione
cautelativa del comma 10 dell’art. 84 cost.
in ordine alla costituzione della
Commissione dopo la scadenza del termine per
la presentazione delle offerte, non
configurandosi tale esigenza per il sistema
del “prezzo più basso” in ragione della
rilevata automaticità della scelta, che
rende indifferente, ai fini della regolarità
della procedura concorsuale, il momento di
nomina della Commissione giudicatrice, ferma
restando la necessaria applicazione dei
principi generali di buon andamento e
imparzialità dell’attività della Commissione
e di indulgenza dei componenti della stessa.
La precitata disposizione dell’articolo 84,
comma 10, deve essere quindi riferita
esclusivamente allo specifico sistema di
gara e non può, in ragione della sua
specificità e della conseguente sua natura
di stretta interpretazione, assumere valenza
di principio generale in materia. Né il
fatto che l’Amministrazione abbia ritenuto
di nominare una Commissione giudicatrice
–pur non essendo nella specie a ciò tenuta–
comporta, ex se, la consequenziale
applicazione della disciplina introdotta
dalla speciale procedura postulata
dall’articolo 84, operando implicitamente i
soli canoni generali di regolazione dei
procedimenti concorsuali (Consiglio di
Stato, Sez. IV,
sentenza 23.09.2008 n. 4613 - link a
www.diritto.it). |
LAVORI PUBBLICI:
S. Lazzini, In caso di falsi
certificati di lavori, e’ inevitabile
l’invalidità dell’attestazione SOA, a
prescindere dall’accertamento delle
responsabilità eventualmente sussistenti al
riguardo.
E’ l’irrilevanza l’eventuale estraneità
dell’impresa alla falsificazione dei
documenti al fine di scongiurare
l’annullamento della certificazione Soa
l’impresa ha diritto a riqualificarsi?
la falsa dichiarazione (o certificazione)
ricadente sui requisiti per il conseguimento
dell’attestazione di qualificazione è un
fatto di tale gravità da essere di per sé
ostativo all’ottenimento (o mantenimento)
dell’attestazione. Pertanto, nell’ambito del
procedimento di controllo ex art. 14 del
D.P.R. n. 34/2000, sono irrilevanti
eventuali deduzioni delle imprese tese a
sostenere l’ininfluenza dei certificati
lavori non confermati dai soggetti emittenti
nonché, in ogni caso, l’estraneità
all’alterazione dei certificati stessi.
Infatti, ciò che rileva nel procedimento di
controllo de quo, è il fatto oggettivo della
falsità dei documenti sulla base dei quali è
stata conseguita la qualificazione,
indipendentemente dal numero e dalla entità
dei falsi e da ogni ricerca sulla
imputabilità soggettiva dell’alterazione.
Invero, l’attestazione deve basarsi su
documenti autentici e non può rimanere in
vita se basata su atti falsi, quali che
siano i soggetti che hanno dato causa alla
falsità; in tali circostanze l’attestazione
va, dunque, annullata la non imputabilità
della falsità all’impresa che ha conseguito
l’attestazione, se non rileva ai fini del
mantenimento dell’attestazione stessa
comunque oggettivamente invalida per falsità
dei presupposti, acquista invece rilevanza
ai fini del rilascio di una nuova
attestazione, in quanto “in caso di falso
non imputabile, ai sensi dell’art. 17, lett.
m), D.P.R. n. 34 del 2000, sussisterà il
requisito di ordine generale di non aver
reso false dichiarazioni circa il possesso
dei requisiti richiesti per l'ammissione
agli appalti e per il conseguimento
dell'attestazione di qualificazione” (TAR Lazio-Roma, Sez. III,
sentenza 16.09.2008 n. 8349 -
link a www.diritto.it). |
URBANISTICA: Vincolo
espropriativo - Reiterazione - Obbligo di
motivazione - In caso di difformità
dall'opera originaria - Sussistenza.
Ai fini della reiterazione di un vincolo
espropriativo, l'obbligo di motivazione non
viene meno per la parziale difformità
dell'opera pubblica prevista rispetto alla
localizzazione originaria: la prospettiva da
cui viene osservata la situazione è,
infatti, quella del proprietario che in
conseguenza del vincolo subisce una
limitazione all'esercizio dei suoi diritti.
Sotto questo profilo è irrilevante che il
vincolo originariamente posto per un'opera
sia reiterato per un'opera diversa, e a
maggior ragione sono irrilevanti le
modifiche introdotte nel tempo alla stessa
opera, sia che riguardino le modalità
realizzative sia che interessino la
localizzazione. Diversamente sarebbe
sufficiente reiterare il vincolo con qualche
variazione per qualificare sempre la
fattispecie come prima previsione ed eludere
l'obbligo di motivazione (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia,
sentenza 16.09.2008 n. 1041 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
S. Lazzini, Risulta doverosa
l’esclusione di un’impresa la cui offerta è
pervenuta in una scatola il cui lato
sottostante si presenta chiuso mediante
intersecazione dei lembi di cartone della
scatola stessa, per cui la confezione è
praticamente aperta?
A fronte della prescrizione di gara secondo
la quale “Per essere ammessa a gara la
concorrente dovrà presentare all’indirizzo e
nei termini innanzi indicati un plico
ermeticamente sigillato con ceralacca e
firmato sui lembi di chiusura” risulta
doverosa l’esclusione dell’impresa in quanto
"i lembi sottostanti della scatola, non
essendo stati preincollati in sede di
fabbricazione ma semplicemente sovrapposti
per intersecazione, devono essere riguardati
come lembi ancora aperti, da richiudere
mediante sigillatura a cura del concorrente"
in adesione al consolidato orientamento
giurisprudenziale, che in materia di
contratti della pubblica amministrazione,
per lembi di chiusura di un plico devono
intendersi i lembi ancora aperti, che vanno
ad aggiungersi a quelli (eventualmente) già
chiusi dal fabbricante del plico stesso
mediante operazione di preincollatura (TAR
Campania-Napoli, Sez. III,
sentenza 12.09.2008 n. 10097 -
link a www.diritto.it). |
APPALTI FORNITURE E SERVIZI:
S. Lazzini, Aggiudicazione con il
criterio dell’offerta economicamente più
vantaggiosa: è più corretto fare riferimento
alla “offerta maggiore”, e non
all’incremento maggiore.
Anche ammettendo che l’art. 83, comma 5, del
D. Lgs. n. 163/2006 lasci libertà alle
stazioni appaltanti di stabilire il criterio
di valutazione dell’offerta economica, in
conformità con quanto previsto dal
considerando 46 della Dir. n. 2004/18/CE, va
rilevato che in una gara in cui il prezzo a
base d’asta non è elevato (54.000,00 Euro)
risulta più ragionevole un metodo di calcolo
del punteggio per l’offerta economica che
non comporti una posizione eccessivamente
recessiva della valutazione del progetto
tecnico: il metodo utilizzato dalla
commissione comporta rilevanti differenze di
punteggio a fronte di non rilevanti
differenze di prezzo ed, in presenza di una
disposizione di non chiara lettura, è
preferibile optare per una interpretazione
che conduce ad un criterio di valutazione
più ragionevole e maggiormente conforme alle
richiamate norme di legge (Consiglio di
Stato, Sez. VI,
sentenza 11.09.2008 n. 4348 -
link a www.diritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA: 1.
Nuova costruzione - Nozione - Permanenza -
Materiali - Non rilevano - Carattere di
stagionalità, temporaneità, periodicità -
Assenza.
2. Manutenzione straordinaria - Nozione -
Normativa statale e regionale - Differenze -
Finalità - Rinnovare e sostituire parti
strutturali di edifici esistenti - Necessità
- Creazione di superfici e volumi -
Inammissibilità.
1.
Un manufatto deve essere considerato nuova
costruzione quando introduce una modifica
stabile del territorio. Il carattere
permanente di tale modifica non si misura in
base alla stabilità delle opere (come
avviene quando i materiali utilizzati non
siano amovibili con mezzi ordinari) ma in
base alla funzione svolta nel tempo dalla
nuova struttura. La modifica del territorio
può quindi essere realizzata anche con
materiali amovibili o modulari ma se manca
qualsiasi elemento di stagionalità,
temporaneità o periodicità nella presenza in
loco della nuova struttura si ricade per
esclusione nella categoria della nuova
costruzione.
2.
Gli interventi edilizi non perdono la
qualificazione di nuova costruzione per il
solo fatto di essere collegati a un altro
edificio: per qualificare una nuova opera
come manutenzione straordinaria è necessario
che sia evidente e prevalente la finalità di
rinnovare e sostituire parti strutturali di
edifici già realizzati. Solo la normativa
statale prevede che la manutenzione
straordinaria non possa alterare i volumi e
le superfici esistenti (art. 3, comma 1,
lett. b, del DPR 380/2001), mentre tale
limitazione non è inserita nella normativa
regionale (art. 27, comma 1, lett. b, della
LR 12/2005), ma la creazione di nuove
superfici e nuovi volumi (tranne nel caso di
realizzazione e integrazione dei servizi
igienico-sanitari e tecnologici, eccezione
espressamente codificata) non può mai essere
considerata come un'operazione neutrale
rispetto alla consumazione del territorio.
Dunque per quanto stretta possa essere la
relazione tra la nuova struttura e
l'edificio esistente la manutenzione
effettuata su quest'ultimo non può
giustificare la realizzazione di opere
esterne con creazione di superfici e volumi (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia,
sentenza 10.09.2008 n. 990 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
S. Lazzini, Il parere del TAR Milano
sulla necessità di impugnare gli atti
amministrativi al fine di ottenere il
risarcimento del danno in caso di dichiarata
loro illegittimità (cd pregiudiziale
amministrativa”).
La domanda risarcitoria
per lesione di interessi legittimi può
essere esperita anche a prescindere
dall’impugnazione dell’atto amministrativo
lesivo? In altri termini, la domanda
risarcitoria relativa alla illegittima
aggiudicazione del quinto lotto del servizio
di assistenza domiciliare ad altra impresa
può essere ritenuta fondata a prescindere
dalla impugnazione della aggiudicazione di
tale lotto e del suo conseguente
annullamento giurisdizionale?
Il Tar Milano non ha dubbi e conferma l’idea
che la domanda risarcitoria sia
consequenziale all’accertamento in via
principale della illegittimità dell’atto che
avviene nell’ambito del giudizio di
annullamento (TAR Lombardia-Milano, Sez. III,
sentenza 12.08.2008 n. 3647 -
link a www.diritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
S. Lazzini, Qual'è la finalità
di una garanzia fideiussoria presentata a
fronte della richiesta di una concessione
edilizia?
Va nel contempo ricordato, sulla portata
della polizza fideiussoria, che essa non ha
certamente valenza sostitutiva degli
obblighi di cessione gratuita di aree ed
oneri di urbanizzazione bensì la naturale
finalità di garanzia per la effettiva
realizzazione degli interventi prescritti (e
cioè, per la “realizzazione del piano
esecutivo convenzionato di libera iniziativa
a destinazione residenziale) (Consiglio di
Stato, Sez. IV,
sentenza 31.07.2008 n. 3836 -
link a www.diritto.it). |
APPALTI:
S. Lazzini, Per i giudici di
appello siciliani, va eliminata la clausola
di una polizza cauzioni provvisoria per la
quale “se il contraente non risulta
aggiudicatario … la società si intende
senz’altro liberata".
Richiesta di durata di
garanzia provvisoria fino a 30 giorni dopo
l’aggiudicazione: è legittimo escludere
un’impresa la cui cauzione provvisoria
preveda <Se il contraente non risulta
aggiudicatario dell’appalto indicato in
polizza, la Società si intende senz’altro
liberata dagli obblighi assunti ed il premio
pagato resterà integralmente acquisito alla
Società>? E' sufficiente che la garanzia
preveda la propria operatività < garanzia
opera sino alla liberazione del contraente>?
La polizza non è conforme alla richieste
della lex specialis di gara. Brevemente
occorre ricordare che la fidejussione
provvisoria ha la funzione di garantire la
Stazione appaltante nei confronti di
qualsiasi ragione di danno emergente nella
fase della procedura e, secondo il DM n. 123
del 2000, sino a trenta giorni dopo
l’aggiudicazione. Ciò non significa che la
Stazione, ove lo ritenga, cioè ove non
ravvisi ragioni di danno nei confronti dei
partecipanti non aggiudicatari, non possa
liberarli, rectius possa rinunciare alla
garanzia, anche prima dei trenta giorni e,
dunque, prima della scadenza dell’impegno
contrattale del fidejussore.
Tale liberazione, tuttavia, è appunto
discrezionale, vale a dire costituisce una
scelta della Stazione effettuata dopo avere
valutato se, concretamente, i partecipanti
siano incorsi in fatti illeciti che abbiano
causato un danno. Il fatto concreto che la
ricorrente non si trovasse nelle condizioni
di essere aggredita per un risarcimento, e
che dunque sia stata liberata al pari degli
altri partecipanti, costituisce un fatto
dipendente dalla volontà della Stazione
nella gestione delle proprie ragioni
creditorie che non incide sulla funzionalità
del contratto fidejussorio, e quindi sulle
caratteristiche che esso doveva avere al
momento della partecipazione alla gara.
Conducendo alle estreme conseguenze
paradossali il ragionamento dell’appellante,
si dovrebbe ammettere che, anche in totale
mancanza della polizza fidejussoria, se la
procedura si concludesse senza alcuna
ragione di danno da parte della Stazione
appaltante, il partecipante privo della
polizza potrebbe affermare la legittimità
del suo comportamento perché, di fatto, la
garanzia non ha avuto modo di operare. Il
che è palesemente assurdo e induce
l’infondatezza della prospettazione
dell’appellante. Resta definitivamente
accertato, quindi, che la validità della
fidejussione deve essere giudicata in
astratto ed indipendentemente dalle
effettive vicende contrattuali successive.
Sotto altro profilo l’articolo 2.1 delle
condizioni generali di polizza, nel
precisare che la garanzia opera sino alla
liberazione del contraente, non è
sufficiente per attribuire all’obbligo
contrattuale della Società una scansione
temporale ulteriore rispetto alla
aggiudicazione, atteso che la successiva
clausola 2.2, come si è visto,
esplicitamente lega la scadenza dell’obbligo
alla non aggiudicazione.
Le due clausole, lette congiuntamente,
possono essere interpretate nel senso che la
seconda limiti la prima, anche in virtù
della natura evidentemente speciale del
punto 2.2 rispetto al punto 2.1. Del resto,
se tale non fosse stata la volontà
contrattuale della società assicuratrice,
non vi sarebbe stato alcun bisogno di
introdurre la dizione “Se il contraente
non risulta aggiudicatario … la Società si
intende senz’altro liberata” atteso che,
anche in mancanza di tale dizione, l’obbligo
contrattuale sarebbe rimasto inalterato sino
alla “liberazione del contraente” (clausola
2.1) e comunque nei limiti temporali e nei
limiti sostanziali del danno cagionato
durante le procedure di gara. Sembra quindi
evidente che la clausola, per non risultare
priva di alcun significato, debba essere
interpretata nel senso dello spirare
dell’obbligo al momento della aggiudicazione
ad altro concorrente. La capziosità di essa,
lungi dal richiedere un chiarimento da parte
della Stazione durante le fasi concorsuali,
consiglierebbe piuttosto la sua espunzione
de futuro (C.G.A.R.S.,
sentenza 11.06.2008 n. 517 - link
a www.diritto.it). |
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