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AGGIORNAMENTI PREGRESSI mese di GENNAIO 2009

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aggiornamento al 29.01.2009

aggiornamento al 26.01.2009

aggiornamento al 19.01.2009

aggiornamento al 14.01.2009

aggiornamento al 12.01.2009

aggiornamento al 07.01.2009

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

AGGIORNAMENTO AL 29.01.2009

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UTILITA'

PUBBLICO IMPIEGO: Ancora sull'incentivo alla progettazione interna agli enti pubblici.
Martedì 27.01.2009 il Senato ha approvato definitivamente e senza modifiche rispetto alla Camera, giusta la fiducia posta dal Governo, il ddl 1315, di conversione del decreto-legge recante "misure urgenti per il sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e impresa e per ridisegnare in funzione anti-crisi il quadro strategico nazionale".
Ciò significa che dall'01.01.2009 (retroattivamente!!) l'incentivo alla progettazione ritorna allo 0,5% come l'estate scorsa a seguito del dl n. 112/2008.
Al riguardo, giova segnalare la recentissima circolare 23.12.2008 n. 36 della Ragioneria Generale dello Stato (a firma del Ministro Giulio Tremonti) la quale fornisce indicazioni in ordine all’applicazione delle disposizioni contenute nell’articolo 61, del decreto-legge 25.06.2008 n. 112. Fra le tante, si tratta anche dell'incentivo che, per comodità di lettura, si riporta integralmente:
"Comma 8 - incentivo per la progettazione: la percentuale del 2% dell’importo posto a base di gara prevista come corrispettivo o incentivo per la progettazione ai sensi dell’articolo 92, comma 5, del decreto legislativo 12.04.2006, n. 163 viene destinata per lo 0,5% alla finalità di incentivo individuata dalla norma de qua e per l’1,5% al versamento ad apposito capitolo dell’entrata del bilancio dello Stato. Si rinvia a successiva comunicazione l’indicazione degli estremi del capitolo.
La riduzione del compenso incentivante, operante a partire dal 1° gennaio 2009, si ritiene debba trovare applicazione a tutti i compensi comunque erogati a decorrere dalla predetta data e non solo ai lavori avviati dopo l’entrata in vigore della nuova disciplina. Di conseguenza, la riduzione va applicata con riferimento a tutta l’attività progettuale non ancora remunerata a tale data, anche in presenza di contratti integrativi definiti secondo la previgente disciplina. Il tenore letterale della norma, infatti, laddove parla di destinazione a decorrere dal primo gennaio 2009, appare indicativo di una precisa volontà del legislatore in tal senso.
La disposizione, nella parte in cui prevede la riduzione della percentuale da corrispondere al personale per le predette finalità incentivanti, ha portata generalizzata e opera con riferimento alle pubbliche amministrazioni cui si applica il citato decreto legislativo. Si evidenzia però che -secondo quanto previsto dal comma 17- gli enti territoriali, gli enti di competenza regionale o delle province autonome di Trento e di Bolzano e gli enti del Servizio sanitario nazionale non devono procedere al suddetto versamento. Pertanto, si ritiene che le suddette economie di spesa debbano incidere in termini positivi sui rispettivi saldi di bilancio".
Ora, la circolare di cui sopra è stata emanata per chiarire -tra l'altro- la portata dell'art. 61, comma 8, del d.l. 25.06.2008 n. 112, convertito con modificazioni dalla legge 06.08.2008 n. 133, che ha ridotto l'incentivo (con decorrenza 01.01.2009) nella misura dello 0,5% ad appannaggio dei progettisti dipendenti pubblici e la restante percentuale dell'1,5 ad appannaggio dello Stato in apposito capitolo in entrata del bilancio. A fine anno 2008, però, l'art. 1, comma 10-quater, della legge 22.12.208 n. 201, di conversione del d.l. 23.10.2008 n. 162, ha ripristinato l'incentivo alla progettazione pari al 2% (con decorrenza 01.01.2009).
Oggi 29.01.2009 potremmo dire che la circolare de qua lascia il tempo che trova nel senso che a tutt'oggi l'incentivo è pari al 2%.
Purtroppo, fra qualche giorno sarà pubblicata in Gazzetta Ufficiale la legge di conversione del
ddl 1315 ritornando, di fatto, alla formulazione originaria della norma di cui all'estate scorsa. Quindi, è ragionevole dedurre che la recente circolare 23.12.2008 n. 36 della Ragioneria Generale dello Stato sarà più che attuale.
In merito si può anche leggere su Il Sole 24 Ore l'articolo del 27.01.2009.
MORALE: ogni commento al riguardo risulta a dir poco pleonastico ... bisogna farsi intelligenti e, quindi, procedere ad adottare con urgenza le determinazioni dirigenziali di liquidazione degli incentivi alla progettazione delle opere pubbliche in corso; e, comunque, prima dell'entrata in vigore della legge di conversione del ddl 1315 che è imminente (dopo la pubblicazione sulla G.U.R.I.).
AGGIORNAMENTO STRAORDINARIO DELLE ORE 21,00: sulla G.U. 28.01.2009 n. 28, suppl. ord. n. 14/L, è stata pubblicata la L. 28.01.2009 n. 2 avente ad oggetto "Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 29.11.2008, n. 185, recante misure urgenti per il sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e impresa e per ridisegnare in funzione anti-crisi il quadro strategico nazionale".
A norma dell’art. 15, comma 5, della legge 23.08.1988 n. 400 le modifiche apportate dalla presente legge di conversione hanno efficacia dal giorno successivo a quello della sua pubblicazione;
quindi, dal 29.01.2009.
In sostanza, la norma deleteria è l'art. 18, comma 4-sexies di seguito riportata:
"4-sexies. All’articolo 61 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, dopo il comma 7 è inserito il seguente:
«7 -bis. A decorrere dal 1° gennaio 2009, la percentuale prevista dall’articolo 92, comma 5, del codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, e successive modificazioni, è destinata nella misura dello 0,5 per cento alle finalità di cui alla medesima disposizione e, nella misura dell’1,5 per cento, è versata ad apposito capitolo dell’entrata del bilancio dello Stato per essere destinata al fondo di cui al comma 17 del presente articolo».".

GURI - GUUE - BURL (e anteprima)

LAVORI PUBBLICI: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 4 del 26.01.2009, "Approvazione del bando per la concessione di contributi in conto capitale per l'installazione di pannelli fotovoltaici di potenza non inferiore a 5 kWp sulle scuole pubbliche e paritarie della Regione Lombardia, in attuazione della d.g.r. 8294/2008" (decreto D.G. 16.01.2009 n. 203 - link a www.infopoint.it).

LAVORI PUBBLICI - VARI: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 4 del 26.01.2009, "Approvazione del bando per la concessione di contributi in conto capitale per l'installazione di sistemi di contabilizzazione diretta o indiretta della quantità di calore consumata in impianti termici centralizzati e abbinamento a sistemi di termoregolazione in attuazione della d.g.r. 8294/2008" (decreto D.G. 16.01.2009 n. 202 - link a www.infopoint.it).

DOTTRINA E CONTRIBUTI

INCARICHI PROGETTUALI: Affidamento incarichi professionali - Modalità per importi inferiori a 100.000 euro (link a www.mediagraphic.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: L. Busico, La difesa delle amministrazioni pubbliche nelle controversie di lavoro (link a www.lexitalia.it).

PUBBLICO IMPIEGO: G. D’Urgolo, Della legittima composizione delle commissioni di concorso per l’accesso ai ruoli dirigenziali, con particolare riferimento alla figura dell’ “esperto di comprovata qualificazione (link a www.lexitalia.it).

GIURISPRUDENZA

APPALTI: E' legittima l'impugnazione immediata del bando di gara soltanto in presenza di clausole escludenti ma occorre comunque presentare la domanda di partecipazione.
La giurisprudenza amministrativa di primo e secondo grado è tuttora prevalentemente orientata nel senso che solo con la presentazione della domanda di partecipazione alla gara d'appalto l'impresa assume una situazione giuridica differenziata rispetto a quella delle altre ditte presenti sul mercato, ergendosi solo in tal caso essa a titolare di un interesse legittimo giudizialmente tutelato, che la abilita a sindacare la legittimità del bando di gara alla quale ha dimostrato in concreto di voler partecipare (cfr. fra le recenti, oltre a Cons. St., A.P. 29.01.2003 n. 1, Cons. St., V Sez., 04.04.2004 n. 2705 e 23.08.2004 n. 5572).
Il Collegio condivide tale orientamento giurisprudenziale tenuto conto che i bandi di gara e le lettere di invito vanno di regola impugnati unitamente agli atti che di essi fanno applicazione, dal momento che sono questi ultimi ad identificare in concreto il soggetto leso dal provvedimento ed a rendere attuale e concreta la lesione della situazione soggettiva dell'interessato; a fronte della clausola illegittima del bando di gara o del concorso, il partecipante alla procedura concorsuale non è, di norma, ancora titolare di un interesse attuale all'impugnazione, dal momento che egli non sa ancora se l'astratta e potenziale illegittimità della predetta clausola si risolverà in un esito negativo della sua partecipazione alla procedura concorsuale, e quindi in una effettiva lesione della situazione soggettiva, che solo da tale esito può derivare.
Se il ricorrente avverso una gara d'appalto non ha presentato domanda di partecipazione alla gara stessa il ricorso medesimo deve essere dichiarato inammissibile per carenza di interesse e di legittimazione attiva. Aggiungasi che la mancata partecipazione al procedimento concorsuale rende inammissibile per carenza di interesse il ricorso contro le clausole del bando di gara o contro gli esiti della selezione, anche nell'ipotesi in cui costituisca oggetto di impugnazione la previsione di requisiti di partecipazione di cui il ricorrente sia privo, in quanto l'eventuale annullamento delle clausole del bando relative a tali requisiti, non rimetterebbe il ricorrente in termini per proporre la domanda di partecipazione originariamente non presentata (TAR Sardegna, 11.06.2003, n. 737) (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 14.01.2009 n. 102 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Se la stazione appaltante prevede una validità minima delle offerte di 180 giorni e gli offerenti non dichiarano, decorso tale termine, che la loro offerta deve intendersi ritirata, le offerte stesse sono valide e non devono essere escluse.
La questione principale posta con l’appello in esame consiste nello stabilire se le offerte presentate dai concorrenti, che precedevano l’attuale appellante nella graduatoria della gara in contestazione, dovevano essere prese in considerazione, nonostante che detti concorrenti avessero dichiarato che le offerte sarebbero state valide per 180 giorni e che tale termine fosse ormai scaduto al’atto dell’apertura delle buste.
Tale termine di validità era stato opposto in quanto il bando pubblicato sulla G.U.R.I. stabiliva che “L’offerente è vincolato dalla propria offerta per 180 giorni dalla scadenza fissata per la ricezione delle offerte” ed il bando pubblicato sulla G.U.C.E. nonché il capitolato (art. 10) prevedevano che l’offerta economica doveva avere validità “minima” di 180 giorni dalla data di scadenza del termine di presentazione delle offerte.
La ratio delle disposizioni del bando è evidentemente quella di mantenere ferma l’offerta per tutto il periodo di presumibile durata della gara e non quella di limitare nel tempo la validità (o meglio l’efficacia) dell’offerta, non corrispondendo certamente tale limitazione ad un interesse dell’amministrazione.
Il che significa che le offerte in contestazione, una volta scaduto il termine di validità opposto in ossequio alle disposizioni degli atti di gara, non potevano, in assenza di una univoca manifestazione di volontà in tal senso da parte degli interessati, considerarsi private di ogni efficacia.
Ben ha fatto dunque l’amministrazione a valutare tali offerte e si appalesano pertanto infondate le censure mosse dall’appellante nei confronti dell’operato dell’amministrazione medesima (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 07.01.2009 n. 9 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVIIl momento da cui inizia a decorrere il termine per l'impugnazione degli atti coincide con quello in cui l’interessato ne abbia avuto la piena conoscenza.
E’ pacificamente acquisito dalla giurisprudenza amministrativa il principio secondo il quale il momento da cui inizia a decorrere il termine per l'impugnazione degli atti coincide con quello in cui l’interessato ne abbia avuto la piena conoscenza; e ciò non postula che questo sia conosciuto in tutti i suoi elementi, ma solo che il destinatario sia stato reso edotto di quelli essenziali, quali l'autorità emanante, la data, il contenuto dispositivo e il suo effetto lesivo, “fatta salva la possibilità di proporre motivi aggiunti ove dalla conoscenza integrale del provvedimento emergano ulteriori profili di illegittimità” (cfr., ex multis, C.d.S., sez. V, 08.09.2008, n. 4259) (TRGA Trentino Alto Adige-Trento, sentenza 24.10.2008 n. 271 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIASulla classificazione acustica del territorio comunale.
Il Collegio condivide l’affermazione che il fine perspicuo della zonizzazione acustica del territorio consiste nella tutela della salute dei cittadini, in quanto gli interessi protetti dalla normativa in esame sono desumibili dall’articolo 2, comma 1, lettera a), della legge 26.10.1995, n. 447, che appresta la tutela del riposo e della salute, la conservazione degli ecosistemi, dei beni materiali, dei monumenti, dell’ambiente abitativo e dell’ambiente esterno. Da condividersi è anche quanto affermato sull’attuale e futura espansione di tali interessi “per effetto delle innovazioni tecnico-scientifiche sopravvenute in grado di definire e misurare più esattamente il disturbo provocato dalle fonti di rumore” (cfr., TAR Lombardia, Brescia, 16.10.2007, n. 907).
Il Collegio è, altresì, dell’avviso che la classificazione acustica del territorio non debba meccanicamente sovrapporsi alla pianificazione urbanistica; in tal senso dispone del resto l’art. 6 della legge citata, che prevede il solo “coordinamento” con gli strumenti urbanistici (cfr., in merito, TAR Lombardia, Milano, sez. IV, 27.12.2007, n. 6819) ma, al contempo, osserva che gli interessi menzionati nella normativa di riferimento non possano non tener conto delle attività economiche precedentemente insediate sul territorio, le cui esigenze trovano tutela in virtù della loro risalente ubicazione e non sono dunque cedevoli rispetto agli insediamenti che si radichino sul territorio in una fase temporale successiva.
Tale tesi è suffragata dall’esame della normativa, la quale richiede:
- che le attività inserite nella medesima zona del piano abbiano caratteri omogenei e in tal senso dispongono l’articolo 4, comma 1, lettera a), della legge n. 447 del 1995 ove si prevede la classificazione del territorio in 6 classi per l’applicazione dei valori di qualità, il D.P.C.M. 01.03.1991 e il già citato D.P.C.M. 14.11.1997.
In questi termini, il piano regolatore con le destinazioni d’uso esistenti e quelle previste deve costituire un termine di riferimento per la classificazione del territorio, con la necessaria precisazione che la stessa deve essere comunque ancorata all’assetto urbanistico, cioè all’esistente situazione in fatto che può divergere da quella di diritto;
- che la zonizzazione acustica venga effettuata “tenendo conto delle preesistenti destinazioni d’uso del territorio”, come dispone ancora lo stesso articolo 4, comma 1, lettera a), della legge n. 447 del 1995.
Chiarito quanto precede occorre ora richiamare quell’indirizzo della giurisprudenza, che il Collegio condivide, che ha affermato che “le scelte inerenti alla classificazione acustica non afferiscono al merito dell'attività pianificatoria/programmatoria del Comune, ma sono espressione di discrezionalità tecnica, ancorata all'accertamento di specifici presupposti di fatto. Il primo dei quali è il preuso del territorio, proprio per non sacrificare oltremodo le consolidate aspettative di coloro che si sono legittimamente insediati … in zone qualificate industriali e, quindi, funzionalmente deputare all'espletamento di attività produttive, che non debbono subire limitazioni, a causa della classificazione acustica, non adeguatamente giustificate (diversamente da ciò che potrebbe avvenire, ad esempio, per le attività industriali localizzate in zona impropria)” (cfr., TAR Veneto, sez. III, 24.01.2007, n. 187).
Su tale fondamento, nonché alla luce di quanto sopra delineato in fatto, si deve concludere che l’assegnazione della classe V ad una zona esclusivamente interessata da attività industriali e artigianali e nella quale le uniche unità abitative presenti sono gli alloggi dei custodi risulta palesemente illegittima: l’avvertita necessità di salvaguardia per un insediamento residenziale recentemente realizzato in prossimità della struttura industriale della ricorrente disattende, infatti, acriticamente le caratteristiche morfologiche dell’area interessata, quali consolidatesi nel tempo, mortificando l’affidamento di quanti abbiano legittimamente confidato in una tutela corrispondente a quell’assetto del territorio, laddove assoggetta quella zona a limiti di emissione acustica minori, “pregiudicando le esigenze dei soggetti che operano nel settore industriale ove lo stesso legislatore ha consentito più elevati livelli di rumorosità in considerazione delle esigenze scaturenti dalla natura dell’attività svolta” (cfr., TAR Lombardia, Milano, sez. I, 24.03.2004, n. 1231).
In definitiva, l’esclusiva valenza industriale del territorio ove è ubicato lo stabilimento della Cartiera ben avrebbe preteso la sua collocazione nella superiore classe VI.
Circa i piani di risanamento acustico disciplinati dagli artt. 4 e 7 della legge n. 447 del 1995 si osserva che la giurisprudenza ha riconosciuto l’illegittimità di quei piani di zonizzazione che abbiano omesso di predisporre le azioni di risanamento, posto che “la ratio sembra da far risalire al fatto che, da un lato, la classificazione acustica del territorio comunale è finalizzata al raggiungimento nel tempo (anche attraverso lo strumento costituito dai piani di risanamento) di valori di qualità dell’ambiente, quali quelli indicati dalla legge - quadro (si legga l’art. 2, comma 1, lettera h) e dai decreti attuativi; il che rappresenta un obiettivo opportuno e desiderabile per l’intera comunità. Dall’altro lato, l’accostamento di aree non contigue è una scelta di piano dovuta alla impossibilità di rispettare il divieto. Il legislatore pertanto ha voluto evitare che, in queste ipotesi (impossibilità di evitare l’accostamento critico), i costi del risanamento acustico, i cui risultati positivi si riverberano sull’intera comunità interessata, ricadano esclusivamente sui privati proprietari delle aree coinvolte” (cfr., TAR Piemonte, sez. II, 13.12.2005, n. 3966)
(TRGA Trentino Alto Adige-Trento, sentenza 24.10.2008 n. 271 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AGGIORNAMENTO AL 26.01.2009

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UTILITA'

PUBBLICO IMPIEGOLe assenze per malattia - Schede di lettura a cura di Legautonomie aggiornate con la Legge Finanziaria 2009 (link a www.legautonomie.it).

GURI - GUUE - BURL (e anteprima)

EDILIZIA PRIVATA: B.U.R. Lombardia, 3° suppl. straord. al n. 3 del 23.01.2009:
- "Determinazioni in materia di realizzazione di bacini idrici (art. 1, comma 1, lett. rr), l.r. n. 4/2008; art. 36, comma 3, l.r. n. 14/1998)" (deliberazione G.R. 30.12.2008 n. 8830 - link a www.infopoint.it);
- "Integrazione alla d.g.r. 8830 del 30.12.2008" (comunicato regionale 13.01.2009 n. 2 - link a www.infopoint.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: B.U.R. Lombardia, 1° suppl. straord. al n. 3 del 20.01.2009, "Modalità per l'attuazione della Rete Ecologica Regionale in raccordo con la programmazione territoriale degli enti locali" (deliberazione G.R. 26.11.2008 n. 8515 - link a www.infopoint.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 3 del 19.01.2009, "Anagrafe canina regionale: modalità d'accesso e aggiornamento" (decreto D.U.O. 29.12.2008 n. 15742 - link a www.infopoint.it).

NEWS

URBANISTICA: Lombardia, Sistema Informativo lombardo Valutazione Ambientale di Piani e Programmi (VAS).
E' in linea il Sistema Informativo Lombardo della Valutazione Ambientale di piani e programmi-VAS. Il sistema nasce come strumento di supporto alle Autorità procedenti e competenti che devono predisporre e valutare piani e programmi ricadenti nella Direttiva 2001/42/CE, come attuata dal d.lgs. 4/2008 e dalla l.r 12/2005 (link a www.regione.lombardia.it).

DOTTRINA E CONTRIBUTI

EDILIZIA PRIVATA: L. Romanucci, La c.d. "sanatoria giurisprudenziale" (link a www.diritto.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: T. Neri, INFORMAZIONE AMBIENTALE: GLI OBBLIGHI DELL’AUTORITA’ PUBBLICA (link a www.tuttoambiente.it).

APPALTI: S. Lazzini, Facoltà di avvalersi dei requisiti di ordine speciale: dal mancato richiamo del bando di gara a quest’ultima possibilità non può farsi discendere il divieto per i concorrenti di utilizzarla (link a www.diritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: A. Frigo, L’ANNULLAMENTO DEI PROVVEDIMENTI COMUNALI IN MATERIA EDILIZIA.
In merito si veda anche Consiglio di Stato, Sez. IV, ordinanza 30.01.2007 n. 469 (link a http://venetoius.myblog.it).

EDILIZIA PRIVATA: R. Travaglini, LE OPERE DI URBANIZZAZIONE A SCOMPUTO ALLA LUCE DEL TERZO DECRETO CORRETTIVO DEL CODICE DEI CONTRATTI PUBBLICI (D.LGS. 11.09.2008 N. 152).
Si vedano anche:
- le slides esemplificative;
- la nota ANCE 19.11.2008 n. 150-C2/V di prot. (link a http://venetoius.myblog.it).

EDILIZIA PRIVATA: M. Bossanese, Appunto sulle opere precarie.
Se le NTA del PRG o il regolamento edilizio non contengono la definizione di "precario" o di "opere precarie", a che cosa ci si deve riferire per individuarne la nozione? (link a http://venetoius.myblog.it).

LAVORI PUBBLICI: A. Barbiero, La definizione della procedura negoziata per appalti di lavori pubblici di valore compreso tra i 100.000 ed i 500.000 euro (link a www.albertobarbiero.net).

EDILIZIA PRIVATA: G. Giovannelli, La disciplina delle opere di urbanizzazione a scomputo oneri alla luce del “terzo correttivo” (link a www.urbanisticatoscana.it).

EDILIZIA PRIVATA: F. Barchielli, La decadenza del titolo ed il ricalcolo del contributo di costruzione (sulla decadenza del permesso di costruire e sui conseguenti effetti riguardo al contributo di costruzione già versato all’Amministrazione nei casi in cui il privato presenti una nuova istanza di titolo edilizio, rinunci all’edificazione senza aver iniziato i lavori, oppure rinunci dopo avere comunque effettuato una rilevante alterazione dell’assetto del territorio) (link a www.urbanisticatoscana.it).

EDILIZIA PRIVATA: F. Barchielli, Terzo decreto correttivo e scomputo degli oneri concessori (il terzo decreto correttivo del Codice dei Contratti Pubblici introduce una drastica inversione di rotta per quanto attiene ai lavori sotto soglia a scomputo totale o parziale degli oneri di urbanizzazione) (link a www.urbanisticatoscana.it).

EDILIZIA PRIVATA: F. Barchielli, Sul rilascio del permesso di costruire a titolo gratuito (una ricognizione della normativa e della giurisprudenza riguardo ai casi in cui è consentito il rilascio del permesso di costruire senza obbligo di corrispondere il contributo di costruzione) (link a www.urbanisticatoscana.it).

QUESITI

EDILIZIA PRIVATACondono edilizio ex L. 47/1985.
Viene chiesto parere in merito al tema del condono edilizio ex L. 47/1985, in presenza di rinuncia da parte del soggetto richiedente il condono stesso (Regione Piemonte, parere n. 176/2008 - link a www.regione.piemonte.it).

EDILIZIA PRIVATAApplicazione calcolo oneri di urbanizzazione.
Occorre premettere che il Comune richiedente dà per scontato il fatto che –in assenza di diverse e più precise determinazioni operate al riguardo dalle norme e dalle tabelle comunali relative agli oneri di urbanizzazione– vanno fatte rientrare nella categoria delle attività produttive le cliniche e le case di riposo private ai fini dell’applicazione degli oneri di urbanizzazione; occorre considerare d’altro canto che la tabella regionale, spesso tradotta di peso nella disciplina comunale in materia (senza, cioè, modificazione né precisazione alcuna), costruisce varie sottocategorie di attività produttive, a cui corrispondono misure diverse degli oneri di urbanizzazione.
Tutto ciò premesso, viene chiesto di indicare il criterio più corretto di applicazione degli oneri di urbanizzazione da corrispondere per la realizzazione ex novo di una casa di riposo privata (Regione Piemonte, parere n. 175/2008 - link a www.regione.piemonte.it).

EDILIZIA PRIVATAMetodo di calcolo contributo di costruzione.
Il sindaco del Comune di XXX, chiede quale sia il metodo di calcolo corretto per il contributo di costruzione, nel caso di rinnovazione del titolo abilitativo, a causa del mancato completamento delle opere nel termine di legge (Regione Piemonte, parere n. 174/2008 - link a www.regione.piemonte.it).

EDILIZIA PRIVATA: Oneri su ampliamento di costruzione.
Viene chiesto parere in ordine al dovere, o meno, del Comune di pretendere la corresponsione degli oneri di urbanizzazione relativi alla ricostruzione –operata con intervento di “sostituzione edilizia” su area limitrofa all’originario sedime di insistenza– di edificio residenziale distrutto da un incendio, restando fuori discussione l’obbligo di corrispondere gli oneri medesimi in ragione dell’ampliamento ammesso dal P.R.G. in occasione della ricostruzione (Regione Piemonte, parere n. 171/2008 - link a www.regione.piemonte.it).

EDILIZIA PRIVATAInterventi su area privata.
Il sindaco del Comune di XXX, chiede se sia possibile acquisire, per soddisfare un pubblico interesse, al patrimonio comunale una strada agro-silvo-pastorale, con stipula di atto pubblico di compravendita; oppure se, in alternativa, il Comune possa “acquisire” esclusivamente l’uso pubblico al transito, mantenendo il sedime privato.
In questa seconda evenienza il sindaco chiede parere sulla legittimità di interventi a cura del Comune su area privata (Regione Piemonte, parere n. 167/2008 - link a www.regione.piemonte.it).

EDILIZIA PRIVATADenuncia Inizio Attività.
Viene formulato quesito inteso a stabilire in quali casi possa avere applicazione il disposto dell’articolo 22, comma 3, lettera c), del D.P.R. 06.06.2001, n. 380, recante “testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia”, in virtù del quale può essere utilizzata la d.i.a. (denuncia di inizio di attività) come titolo abilitativo edilizio che legittima interventi di nuova costruzione qualora gli stessi costituiscano diretta esecuzione di strumenti urbanistici generali che recano precise disposizioni plano-volumetriche (Regione Piemonte, parere n. 165/2008 - link a www.regione.piemonte.it).

EDILIZIA PRIVATACondono edilizio.
Viene chiesto parere in merito ad una fattispecie concreta concernente la definizione di pratiche di condono edilizio ex L. 47/1985 su aree sottoposte a vincolo paesaggistico-ambientale (Regione Piemonte, parere n. 164/2008 - link a www.regione.piemonte.it).

EDILIZIA PRIVATAInstallazione impianti per energia elettrica.
Vengono richiesti chiarimenti in merito alla procedura urbanistico–amministrativa da seguire per installare in area agricola impianti industriali di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili (Regione Piemonte, parere n. 159/2008 - link a www.regione.piemonte.it).

EDILIZIA PRIVATAEsproprio ed occupazione d’urgenza.
Viene chiesto un parere in merito alla suscettibilità di trasformazione del diritto di superficie in diritto di piena proprietà, ai sensi dell’art. 31, comma 47, L. 448 del 23.12.1998, in ordine ad un’unità immobiliare di Edilizia Residenziale Pubblica adibita ad attività artigianale (Regione Piemonte, parere n. 156/2008 - link a www.regione.piemonte.it).

EDILIZIA PRIVATAAggiornamento oneri urbanizzazione.
Il Comune di XXX, chiede se l’aggiornamento degli oneri di urbanizzazione in base alle variazioni ISTAT, senza modificazione dei contenuti, sia di competenza del Consiglio ovvero della Giunta comunale e se l’aggiornamento annuale del costo di costruzione, in assenza di specifico regolamento comunale, possa essere effettuato con determinazione dirigenziale ovvero rientri fra le competenze consiliari o giuntali (Regione Piemonte, parere n. 152/2008 - link a www.regione.piemonte.it).

EDILIZIA PRIVATASanatoria intervento accertamento edilizio.
Viene chiesto chiarimento in ordine all’applicazione dell’articolo 36, comma 2, del Testo Unico dell’Edilizia (D.P.R. 380/2001) per quanto attiene alla determinazione dell’oblazione di cui alla norma predetta (Regione Piemonte, parere n. 134/2008 - link a www.regione.piemonte.it).

EDILIZIA PRIVATADecorrenza applicativa risparmi energetici.
Vengono domandati chiarimenti sulla decorrenza -a fini applicativi- di singole prescrizioni dettate, a livello statale e regionale, in materia di risparmio energetico negli edifici (Regione Piemonte, parere n. 132/2008 - link a www.regione.piemonte.it).

EDILIZIA PRIVATAGaranzie superamento barriere architettoniche.
Viene posto quesito inerente ai requisiti igienico-sanitari necessari per l’apertura di un pubblico esercizio.
In particolare, la questione sottoposta all’esame del Servizio di Consulenza concerne le prescrizioni necessarie a garantire il superamento delle barriere architettoniche (Regione Piemonte, parere n. 130/2008 - link a www.regione.piemonte.it).

LAVORI PUBBLICIAcquisizione strada nel patrimonio comunale.
Il sindaco del Comune di XXX segnala che, a seguito verifica dei titoli di proprietà dei sedimi stradali, è emerso che alcune strade erano state trasferite all’ente “in accordo bonario” con i proprietari, ad eccezione di una.
Detto tratto, con delibera consiliare, è stato classificato come strada comunale extraurbana ed inserito anche nel P.R.G.C. Ritenuto che la proprietà fosse già del Comune, l’ente ha provveduto alla sua asfaltatura ed alla sua illuminazione, nonché ad effettuare interventi manutentivi.
Stante la situazione descritta il sindaco chiede di conoscere la procedura più breve ed economica di acquisizione della strada al patrimonio del Comune (Regione Piemonte, parere n. 129/2008 - link a www.regione.piemonte.it).

EDILIZIA PRIVATAEsonero contributo di costruzione.
Viene chiesto al Servizio Regionale di consulenza agli Enti locali di esprimere parere in ordine alla applicabilità dell’articolo 17, comma 3, del D.P.R. 06.06.2001 n. 380, recante testo unico delle norme in materia edilizia, in tema di esonero dal contributo di costruzione.
In particolare, il caso concreto riguarda la pratica edilizia presentata da una Associazione ove la stessa ha richiesto il rilascio di permesso di costruire per la realizzazione di una nuova costruzione da adibire a sede sociale.
Il successivo 21.07.2008, la richiedente ha inoltrato domanda di esonero dal pagamento del contributo di costruzione, motivando l’istanza ai sensi dell’articolo 17, comma 3, del citato Testo Unico per l’Edilizia, riferendo di avere ottenuto il riconoscimento di associazione “Onlus” e di essere quindi legittimata all’applicazione della citata norma (Regione Piemonte, parere n. 123/2008 - link a www.regione.piemonte.it).

EDILIZIA PRIVATAScomputo oneri urbanizzazione.
Viene posto dal Comune richiedente un quesito limitato, nella sua enunciazione, alla tematica della disciplina dello “scomputo” degli oneri di urbanizzazione; la formulazione di una responsabile risposta comporta peraltro la considerazione di un ulteriore tema di grandissimo rilievo ed attualità: quello degli accordi fra proprietari e Comune per modifiche al piano regolatore generale urbanistico. La bozza di protocollo di intesa allegata al quesito reca infatti, come primo “impegno” assunto dal Comune nell’accordo con il privato, quello a “predisporre opportuna variante al PRGC vigente”, variante destinata a trasferire volumetrie su determinate aree private, in presenza della cessione gratuita di un’area e della costruzione –interamente a carico dell’operatore privato– dell’edificio di una scuola materna; ciò, senza pregiudizio dell’applicazione in via ordinaria dei contributi di costruzione che risulteranno dovuti e degli ordinari meccanismi di scomputo relativi ad altre opere di urbanizzazione (Regione Piemonte, parere n. 122/2008 - link a www.regione.piemonte.it).

EDILIZIA PRIVATAAmbito di applicazione direttiva 2006/32/CE.
Viene chiesto un chiarimento in merito all’interpretazione del comma III dell’art. 11 D.Lgs. 30.05.2008 n. 115 “Attuazione della direttiva 2006/32/CE relativa all’efficienza degli usi finali dell’energia e i servizi energetici e abrogazione della direttiva 93/76/CEE”, con particolare riferimento al suo esatto ambito applicativo.
Più precisamente, il Comune vuole sapere a quali edifici può essere applicata la norma di favore contenuta nel comma III dell’articolo in esame che prevede incentivi –sotto forma di semplificazione della procedura assentiva edilizia– per l’installazione di pannelli solari, termici e fotovoltaici.
L’interrogativo proposto allo scrivente Servizio si origina dalla formulazione della disposizione in esame che, per maggiore chiarezza ed ai fini della successiva disamina, si riporta per esteso:
“Fatto salvo quanto previsto dall'articolo 26, comma 1, della legge 09.01.1991, n. 10, e successive modificazioni, gli interventi di incremento dell'efficienza energetica che prevedano l'installazione di singoli generatori eolici con altezza complessiva non superiore a 1,5 metri e diametro non superiore a 1 metro, nonché di impianti solari termici o fotovoltaici aderenti o integrati nei tetti degli edifici con la stessa inclinazione e lo stesso orientamento della falda e i cui componenti non modificano la sagoma degli edifici stessi, sono considerati interventi di manutenzione ordinaria e non sono soggetti alla disciplina della denuncia di inizio attività di cui agli articoli 22 e 23 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 06.06.2001, n. 380, e successive modificazioni, qualora la superficie dell'impianto non sia superiore a quella del tetto stesso. In tale caso, fatti salvi i casi di cui all'articolo 3, comma 3, lettera a), del decreto legislativo 19.08.2005, n. 192, e successive modificazioni, e' sufficiente una comunicazione preventiva al Comune” (Regione Piemonte, parere n. 117/2008 - link a www.regione.piemonte.it).

EDILIZIA PRIVATADefinizione strada “vicinale” e “interpoderale” .
Il Comune con due richieste in pari data pone due distinti quesiti vertenti sulla vicinalità delle strade, sostanzialmente tra loro integrati e correlati, per cui, di concerto con il Coordinatore del Servizio di Consulenza Regionale, si è inteso, per ragioni di completezza espositiva, nonché di efficacia e di economicità, riunire le risposte in un unico parere.
Il primo quesito (n. 112) chiede se sia corretto considerare la locuzione “strade vicinali” sinonimo di “strade interpoderali”, considerato che il vigente Codice della Strada e la precedente normativa in materia non comprendono tra le categorie delle strade quelle interpoderali.
Il secondo quesito (n. 113) riporta integralmente il testo di una deliberazione consiliare dell’agosto 1961 (millenovecentosessantuno) con cui si dispose di “sopprimere” una strada vicinale denominata “Madonna Piani” , ritenuta superflua perché scarsamente frequentata e per la sua vetustà non conservabile tra le vicinali per via della manutenzione costosa e senza proficuo esito, e chiede:
- a chi appartenga il terreno su cui insisteva la strada soppressa,
- se il proprietario è il Comune, se ciò vuol dire che il bene è passato da patrimonio indisponibile a patrimonio disponibile;
- in caso di risposta affermativa se siano necessari ulteriori atti (frazionamenti
ect.) per concludere la pratica, atteso che la strada è riportata nelle mappe catastali con linea continua (Regione Piemonte, pareri nn. 112-113/2008 - link a www.regione.piemonte.it).

LAVORI PUBBLICIAlienazione strada comunale in disuso.
Il Comune chiede quale sia la corretta procedura da seguire in presenza di strade comunali in disuso nei casi di alienazione di porzione del reliquato di strada ovvero di permuta con il proprietario su cui insiste il nuovo percorso della strada e, se in entrambi i casi, sia necessaria la procedura di verifica del vincolo ai sensi dell’art. 27 D.L. 269 del 30.09.2003, convertito in L. 24/11/2003 (Regione Piemonte, parere n. 111/2008 - link a www.regione.piemonte.it).

EDILIZIA PRIVATASanzione applicabile su abuso edilizio.
Con richiesta in data 26.06.2008, il Comune pone un quesito in ordine alle sanzioni da applicarsi in caso di abuso edilizio consistente nell’esecuzione di interventi in parziale difformità dal permesso di costruire (Regione Piemonte, parere n. 105/2008 - link a www.regione.piemonte.it).

LAVORI PUBBLICIRealizzazione serbatoio acqua potabile.
Il sindaco del Comune di XXX chiede se la realizzazione di un serbatoio di accumulo d’acqua potabile possa essere considerato intervento di manutenzione straordinaria, rivolto ad integrare/ampliare la rete di distribuzione già esistente, giustificando così l’affidamento dei lavori in economia, ai sensi dell’art. 125 del D.Lgs. n. 163/2006 e s.m.i. (Regione Piemonte, parere n. 102/2008 - link a www.regione.piemonte.it).

GIURISPRUDENZA

EDILIZIA PRIVATA: Acquisizione immobile abusivo al patrimonio comunale.
L'effetto ablatorio si verifica ope legis alla inutile scadenza del termine fissato per ottemperare all'ingiunzione di demolire, mentre la notifica dell'accertamento formale dell'inottemperanza si configura solo come titolo necessario per l'immissione in possesso e per la trascrizione nei registri Immobiliari.
Il giudice penale che deve decidere sul dissequestro dell'immobile abusivo resta estraneo al regime di pubblicità dichiarativa della trascrizione immobiliare, che è disciplinato dagli artt. 2643 ss. cod. civ. al solo fine di dirimere eventuali conflitti tra più soggetti aventi causa da un medesimo dante causa. In altri termini, il provvedimento giudiziale sulla restituzione dell'immobile abusivo non ha nulla a che vedere con le esigenze di certezza nella circolazione dei beni nel mercato, che ispirano l'istituto della trascrizione.
Evidente corollario dei principi sopra esposti è che il giudice che dispone il dissequestro di un immobile abusivo, dopo che il responsabile dell'abuso non ha ottemperato nel termine di legge all'ingiunzione comunale di demolire, e quindi dopo che si è verificato l'effetto ablativo a favore dell'ente comunale, deve disporre la restituzione dell'immobile allo stesso ente comunale e non al privato responsabile, che per avventura sia ancora in possesso del bene (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 19.01.2009 n. 1819 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: D.i.a. e violazione dell’articolo 481 c.p. (falsa attestazione del progettista).
In tema di responsabilità del progettista di lavori edili firmatario di relazione tecnica di asseverazione allegata a denuncia di inizio attività (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 19.01.2009 n. 1818 - link a www.lexambiente.it).

APPALTISul giudizio di congruità dell'offerta e sul termine per la presentazione delle offerte nelle procedure ristrette.
L'art. 86, c. 3, d. lgs. 163/2006, attribuisce alla stazione appaltante la possibilità "in ogni caso", ovvero al di fuori dei casi previsti ai precedenti commi 1 e 2, in cui, invece, tale verifica è senz'altro obbligata, di valutare la congruità "di ogni altra offerta che, in base ad elementi specifici, appaia anormalmente bassa". Ne consegue che, è legittimo nel caso di specie, il sub procedimento volto a verificare la congruità dell'offerta, sebbene non previsto dalla lex specialis di gara, in quanto la P.A. ha attivato il sub procedimento volto ad accertare l'effettiva consistenza dell'offerta risultata essere la migliore in relazione ai parametri indicati nel bando di gara, ma non sufficientemente credibile quanto a remunerabilità, al fine di soddisfare l'ineludibile esigenza di acquisire, previa verifica istruttoria degli elementi giustificativi dei ribassi offerti, una sufficiente, quanto soddisfacente dimostrazione dei dati sui quali la società ricorrente ha basato il prezzo offerto.
L'art. 70, c. 4, del d. lgs. n. 163 del 2006, prevede: "Nelle procedure ristrette, il termine per la ricezione delle offerte non può essere inferiore a quaranta giorni dalla data di invio dell'invito a presentare le offerte." La prescrizione di un intervallo minimo da lasciare ai concorrenti per la presentazione delle offerte risponde all'esigenza di consentire agli stessi di approntare la documentazione che il bando richiede ai fini della qualificazione alla gara e di formulare un'offerta sufficientemente ponderata ed idonea a conseguire l'aggiudicazione. Ne deriva che, qualora non ricorrano le condizioni di urgenza che possono consentire la riduzione del termine ordinario, come nel caso di specie, la stazione appaltante deve consentire un margine di tempo non inferiore a quello normativamente previsto -nella specie di 40 giorni- per permettere ai concorrenti la presentazione di un'offerta, non solo valida ed adeguatamente documentata, ma anche potenzialmente suscettibile di conseguire l'aggiudicazione in quanto "economicamente più vantaggiosa". La violazione del suddetto limite temporale, posto a presidio non solo dell'interesse delle partecipanti ai pubblici appalti, ma anche dell'interesse pubblico dell'Amministrazione a ricevere offerte adeguatamente soppesate in relazione alle esigenze rappresentate con le norme concorsuali, incrina inesorabilmente i detti principi, a nulla rilevando eventuali considerazioni in fatto, spendibili solo ex post, circa l'irrilevanza nel caso concreto della abbreviazione dei termini (TAR Lazio-Roma, Sez. I-bis, sentenza 15.01.2009 n. 196 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTISull'inapplicabilità dell'art. 13 del cd. decreto Bersani (d.l. 04.07.2006 n. 223) nel caso di un'aggiudicazione provvisoria disposta prima dell'entrata in vigore del suddetto decreto.
Sulla possibilità per le società pubbliche di svolgere attività extraterritoriale.

Il divieto sancito dall'art. 13 del d.l. 04.07.2006 n. 223, cd. decreto Bersani, poi convertito con l. 04.08.2006 n. 248, non è applicabile nel caso di un'aggiudicazione provvisoria disposta prima dell'entrata in vigore del suddetto decreto.
L'art. 113 del d.lvo n. 267 del 2000, prevede la possibilità per le società pubbliche di svolgere attività in ambiti territoriali diversi da quelli dell'ente locale di riferimento solo nell'ipotesi in cui tale attività non ridondi in maggiori costi per la collettività di riferimento e comunque sia collegata al soddisfacimento di una qualche esigenza di quest'ultima. La disciplina dell'art. 113, avente ad oggetto le modalità di gestione ed affidamento dei servizi pubblici locali, non è applicabile, nel caso di specie, al servizio oggetto della gara in quanto concernente la realizzazione di un sistema informativo interno alla Regione e volto alla gestione del proprio personale dipendente. Non si tratta, pertanto, di una gara relativa a servizi pubblici locali (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 14.01.2009 n. 101 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

EDILIZIA PRIVATA: Opere di urbanizzazione - Difficoltà di reperire in loco le aree destinate ad opere di urbanizzazione - Monetizzazione - Finalità dell’istituto - Presupposti.
L’esigenza di accompagnare ogni edificazione con le necessarie opere di urbanizzazione costituisce una condizione fondamentale per la corretta trasformazione del territorio, onde la materiale impossibilità o difficoltà di reperire “in loco” le aree a tale scopo destinate non fa sorgere il diritto alla monetizzazione, ma impone piuttosto all’Amministrazione di esaminare sotto il profilo urbanistico la richiesta di conversione di detto obbligo nel versamento di una somma di denaro; nel far ciò, in particolare, l’Amministrazione deve considerare che la “monetizzazione” è un istituto in ogni caso preordinato al migliore e più ordinato assetto del territorio, non anche uno strumento per conseguire finalità estranee alla disciplina urbanistica (quali la tutela di interessi privati o il reperimento di risorse volte unicamente a far cassa), sicché se ne deve ritenere possibile l’impiego solo quando emerga che la pura e semplice applicazione degli «standard» previsti non darebbe effettivamente luogo alla realizzazione di dotazioni territoriali in concreto utili alle esigenze urbanistiche dell’insediamento e si presenti allora conveniente destinare le corrispondenti risorse all’esecuzione delle opere di urbanizzazione in altra parte del territorio comunale (TAR Emilia Romagna-Parma, sentenza 14.01.2009 n. 3 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTI FORNITURE E SERVIZISull'illegittimità di una lex specialis che, pur richiamando il criterio di aggiudicazione dell'offerta economicamente più vantaggiosa, nulla preveda in ordine alle modalità di concreta attribuzione dei sub criteri e sub punteggi.
Nelle gare pubbliche indette con il metodo dell'offerta economicamente più vantaggiosa la necessità di stabilire ulteriori sub-criteri, sub-pesi o sub-punteggi deve essere valutata di volta in volta in relazione all'analiticità dei criteri principali, all'idoneità di questi ad assicurare il rispetto del principio di trasparenza e ai poteri integrativi riconosciuti alla Commissione giudicatrice. A detta Commissione è quindi inibito integrare i criteri di valutazione dell'offerta tecnica (individuando sub criteri e sub punteggi, che devono invece essere indicati nel capitolato d'oneri); l'importanza relativa delle sottovoci deve, infatti, essere rese nota ai potenziali concorrenti già al momento della produzione delle loro offerte, alfine di evitare il pericolo che la Commissione possa orientare a proprio piacimento ed a posteriori l'attribuzione di tale determinante punteggio e, quindi, all'esito della gara dopo averne conosciuto gli effettivi concorrenti. La violazione di detta regola innovativa posta dall'art. 83 del Codice dei contratti (D.Lgs. n. 163 del 2006) può infatti astrattamente contrastare con il principio della par condicio, nella misura in cui altera gli elementi di valutazione in relazione ai quali tutti i concorrenti hanno potuto predisporre la propria offerta tecnica.
A tanto consegue l'illegittimità di una lex specialis che, pur richiamando il criterio di aggiudicazione dell'offerta economicamente più vantaggiosa, nulla preveda in ordine alle modalità di concreta attribuzione dei sub criteri e sub punteggi, nell'ipotesi che la loro fissazione sia necessaria o prevista dalla normativa di gara (TAR Lazio-Roma, Sez. III-quater, sentenza 09.01.2009 n. 82 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

EDILIZIA PRIVATA: Ordine di demolizione di costruzione abusiva - Ingiustificata inottemperanza - Scadenza del termine - Acquisizione immobile al patrimonio del Comune - Art. 31, c. 3, D.P.R. n. 380/2001 - Art. 7, c. 3 L. n. 47/1985 - Giurisprudenza.
Ai sensi della legge 28.02.1985, n. 47, art. 7 , comma 3, e del t.u. sull'edilizia approvato con d.P.R. 06.06.2001, n. 380, dell'art. 31, comma 3, l'ingiustificata inottemperanza all'ordine di demolizione di costruzione abusiva, emesso dall'autorità comunale, comporta l'automatica acquisizione dell'immobile al patrimonio del Comune, in favore del quale deve quindi essere disposta la restituzione, qualora l'immobile stesso venga dissequestrato (Cass., Sez. III, 09/06/2004 - 02/09/2004, n. 35785).
Questo orientamento -non senza qualche dissenso (Cass., sez. III, 22/09/2004 - 28/10/2004, n. 42192; Cass., sez. III, Sez. 3, 19/10/2004 - 18/11/2004, n. 44695) si è affermato come maggioritario e prevalente (Cass., sez. III, 16/02/2005 - 20/04/2005, n. 14638; Cass., sez. III, 16/03/2005 - 29/04/2005, n. 16283 e più recentemente Cass., sez. III, 28/11/2007 - 31/01/2008, n. 4962).
In quest'ultima pronuncia è stato ribadito che la acquisizione al patrimonio comunale del manufatto e dell'area di sedime conseguente all'inottemperanza all'ordine di demolizione delle opere abusive impartito al contravventore dallo stesso ente comunale si verifica "ope legis" alla inutile scadenza del termine di giorni novanta fissato per detta ottemperanza, senza che possa avere rilievo l'ulteriore adempimento della notifica all'interessato dell'accertamento formale dell'inottemperanza, unicamente idoneo a consentire all'ente l'immissione in possesso e la trascrizione nei registri immobiliari del titolo dell'acquisizione. Inoltre, il trasferimento al patrimonio comunale della proprietà dell'immobile abusivo, automaticamente conseguente alla scadenza del termine di novanta giorni fissato per l'ottemperanza all'ordinanza sindacale di demolizione, non costituisce impedimento giuridico a che il privato responsabile esegua l'ordine di demolizione impartitogli dal giudice con la sentenza di condanna, salvo che l'autorità comunale abbia dichiarato l'esistenza di interessi pubblici prevalenti rispetto a quello del ripristino dell'assetto urbanistico violato.
La conseguenza è che il manufatto abusivo dissequestrato dopo che il responsabile non abbia ottemperato all'ingiunzione comunale di demolizione dello stesso, va restituito non già al privato responsabile, quand'anche egli sia ancora in possesso del bene, bensì allo stesso ente comunale, ormai divenutone proprietario a tutti gli effetti a seguito dell'inutile decorso del termine di legge di cui all'art. 31 del D.Lgs. n. 380 del 2001.
Opere abusive - Ordine di demolizione - Domanda di condono o di sanatoria successiva al passaggio in giudicato della sentenza di condanna - Revoca o sospensione - Valutazione del giudice - Limiti - Comune - Art. 31, c. 3, D.P.R. n. 380/2001 - Art. 7, c. 3 L. n. 47/1985 - L. n. 326/2003.
Ai fini della revoca o sospensione dell'ordine di demolizione delle opere abusive (art. 7, ultimo comma, della legge 28.02.1985, n. 47, oggi previsto dall'art. 31, comma nono, del d.P.R. 06.06.2001, n. 380) in presenza di una istanza di condono o di sanatoria successiva al passaggio in giudicato della sentenza di condanna, il giudice dell'esecuzione investito della questione è sì tenuto a valutare i possibili esiti e dei tempi di definizione della procedura ed, in particolare ad accertare il possibile risultato dell'istanza e se esistono cause ostative al suo accoglimento; nonché nel caso di insussistenza di tali cause, a valutare i tempi di definizione del procedimento amministrativo e sospendere l'esecuzione solo in prospettiva di un rapido esaurimento dello stesso. (cfr. Cass., sez. III, 26.09.2007-23.10.2007, n. 38997). Sicché, non è sufficiente la presentazione della domanda di condono ex L. n. 326/2003. L'applicabilità dell'invocata normativa di sanatoria non è automatica e generalizzata, ma è subordinata alla verifica della astratta condonabilità dell'opera abusiva sotto il profilo temporale e vincolistico (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 23.12.2008 n. 48031 - link a www.ambientediritto.it).

LAVORI PUBBLICILa certificazione SOA è sufficiente a dimostrare l'adeguatezza tecnica e finanziaria dell'impresa che vuole partecipare ad una gara per l'affidamento di lavori pubblici.
E' illegittimo un bando di gara per l'affidamento di attività di manutenzione ordinaria e straordinaria di impianti trasportatori: scale mobili, ascensori, nei fabbricati e nelle stazioni delle linee metroferroviarie nella parte in cui prescrive ai fini della partecipazione alla procedura ulteriori requisiti finanziari oltre a quelli previsti implicitamente con la richiesta di attestazione SOA. Infatti, la richiesta e la presentazione della certificazione SOA è necessaria, ma soprattutto sufficiente a dimostrare l'adeguatezza tecnica e finanziaria dell'impresa che vuole partecipare ad una gara per l'affidamento di lavori pubblici. L'art. 1, c. 3, del d.P.R. n. 34/2000, prevede espressamente che l'attestazione SOA "costituisce condizione necessaria e sufficiente per la dimostrazione dell'esistenza dei requisiti di capacità tecnica e finanziaria ai fini dell'affidamento dei lavori pubblici". Pertanto, è illegittima nel caso di specie la richiesta da parte della stazione appaltante di ulteriori requisiti finanziari rispetto a quelli fissati dalla legge (TAR Lazio-Roma, Sez. II-ter, sentenza 22.12.2008 n. 12218 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Il diritto di accesso è finalizzato a consentire la conoscenza degli atti materialmente esistenti negli archivi dell'amministrazione e non comporta l'obbligo di porre in essere un'attività di elaborazione o rielaborazione o ricerca.
La giurisprudenza ha chiarito che l’esclusione del diritto di accesso affermato dall'art. 24, comma 1, lett. c) della legge 07.08.1990, n. 241, deve essere interpretato nel senso che tale divieto risulta limitato ai soli atti preparatori dei procedimenti tributari ed opera fino a che non sia intervenuto il provvedimento conclusivo, costituito dall'avviso di accertamento e dal ruolo (Cons. St., Sez. VI, 02.04.1998, n. 426; TAR Puglia, Sez. I, 22.10.1994, n. 1143; TAR Lazio, Sez. II, 09.05.1995, n. 819).
Va richiamato il costante orientamento giurisprudenziale per cui il diritto di accesso è finalizzato a consentire la conoscenza degli atti materialmente esistenti negli archivi dell'Amministrazione e non comporta l'obbligo di porre in essere un'attività di elaborazione o rielaborazione o ricerca, principio da ultimo codificato dall'art. 2, comma 2, del D.P.R. n. 184 del 2006 (v., tra le altre, TAR Sardegna 16.10.2006 n. 654; C.ST., n. 3271/2004), sicché la tutela del diritto all'informazione ed alla conoscenza degli atti detenuti dalla pubblica Amministrazione non può dilatarsi al punto di richiedere un vero e proprio facere, consistendo l'accesso in un pati, ossia nel lasciar prendere visione ed estrarre copia, o al più in un facere meramente strumentale, vale a dire in quel minimo di attività materiale che occorre per reperire i documenti indicati e metterli a disposizione dell'interessato (TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. II, sentenza 18.12.2008 n. 4656 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Immissioni rumorose, intollerabilità, obbligo risarcitorio, sussistenza, danni.
Le campane della parrocchia che suonano troppo spesso possono provocare danni non patrimoniali risarcibili, del tipo biologico, morale e da lesioni di diritti di rilievo costituzionale (Tribunale di Chiavari, sentenza 09.08.2008 n. 373 - link a www.altalex.com).

EDILIZIA PRIVATA: Condono di opere abusive insistenti su area demaniale, diniego, legittimità.
In tema di istanza di sanatoria straordinaria di opere edilizie su aree demaniali, l'art. 35, c. 5, L. 47/1985 subordina il condono edilizio in tali aree "anche" alla disponibilità dell'ente proprietario delle aree medesime e non "in alternativa" alla disponibilità delle Amministrazioni comunali e di quelle proposte alla tutela del vincolo ambientale, per cui il doppio parere è necessario per rilasciare il condono ma è sufficiente un solo parere negativo per respingerlo.
E’, pertanto, carente di interesse a ricorrere l’invocazione del parere della Autorità proprietaria dell’area sulla quale insiste il bene che si intende sanare e per il quale v’è già il parere negativo dell’Amministrazione comunale
(TAR Toscana, Sez. III, sentenza 06.02.2008 n. 102 - link a www.altalex.com).

EDILIZIA PRIVATASulla necessità di riadottare l'ordine di demolizione di opere abusive.
Qualora si presenti istanza di sanatoria, anche ai sensi dell’art. 13 della legge n. 47 del 1985, la stessa fa conseguire l’automatico venir meno della pregressa ingiunzione di demolizione e, in caso di rigetto dell’istanza, necessita adottare una nuova diffida a demolire dell'opera abusiva (v., tra le altre, TAR Sicilia, Palermo, Sez. III, 25.09.2006 n. 1947) (TAR Parma, sentenza 13.12.2007 n. 620 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Sulla mancata notifica dell’atto di accertamento della inottemperanza all’ordine di demolizione e sulla acquisizione al patrimonio comunale di opere abusive.
Secondo costante giurisprudenza (fra le tante, TAR Campania, Sez. IV, 25.05.2001, n. 2340, 11.12.2002, n. 7994, 30.06.2003, n. 7903), la presentazione dell'istanza di sanatoria edilizia ex art. 13 L. n. 47/1985 (ora, art. 36 D.P.R. n. 380/2001), anteriormente alla impugnazione dell'ordinanza di demolizione (o del provvedimento di irrogazione delle altre sanzioni per abusi edilizi) produce l'effetto di rendere inammissibile l'impugnazione stessa, per carenza di interesse, in quanto dall’istanza consegue la perdita di efficacia di tale ordinanza ed il riesame dell'abusività dell'opera, sia pure al fine di verificarne la eventuale sanabilità, provocato dall'istanza di sanatoria, comporta la necessaria formazione di un nuovo provvedimento, esplicito od implicito (di accoglimento o di rigetto), che vale comunque a superare il provvedimento sanzionatorio oggetto dell'impugnativa (cfr., altresì, Cons. Stato, sez. V, 21.04.1997, n. 3563; sez. IV, 11.12.1997, n. 1377; C.G.A. 27.05.1997, n. 187; TAR Toscana, sez. III, 18.12.2001, n. 2024; TAR Puglia, Bari, sez. II, 11.01.2002, n. 154; TAR Campania, sez. III, 02.03.2004, n. 2579; TAR Sicilia, sez. II, 16.03.2004, n. 499).
Pertanto, il ricorso giurisdizionale avverso un provvedimento sanzionatorio proposto successivamente all'istanza di concessione in sanatoria, è inammissibile per carenza di interesse, “spostandosi” l'interesse del responsabile dell'abuso edilizio dall'annullamento del provvedimento sanzionatorio già adottato, all'eventuale annullamento del provvedimento (esplicito o implicito) di rigetto (TAR Sicilia, Catania, Sez. II, 16.03.1991, n. 67, Palermo, Sez. II, 27.03.2002, n. 826; TAR Campania, Sez. IV, 24.09.2002, n. 5559), in seguito al quale l’Amministrazione è tenuta ad emanare una nuova misura sanzionatoria, con l’assegnazione, in tal caso, di un nuovo termine per adempiere (in tal senso, TAR Lazio, sez. II, 17.01.2001, n. 230; TAR Sicilia, Catania, Sez. I, 12.12.2001, n. 2424; TAR Campania, sez. IV, 26.07.2002, n. 4399).
Come è noto, la mancata notifica dell’atto di accertamento della inottemperanza all’ordine di demolizione, pur non determinando l'illegittimità di tale atto, produce l'impossibilità di adottare la successiva ordinanza di acquisizione al patrimonio comunale, e l'impossibilità di disporre tale acquisizione prima che sia decorso il detto termine; quindi, in relazione alla mancata notifica al ricorrente dell’atto di accertamento della inottemperanza deve ritenersi illegittimo il provvedimento di acquisizione delle opere abusive e dell'area di sedime (TAR Veneto n. 478 del 30.03.1996; TAR Campania, Napoli, sez. IV, 28.04.2003, n. 4175)
(TAR Sicilia-Palermo, Sez. III, sentenza 25.09.2006 n. 1947 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIl Comune non ha alcun obbligo di comunicare ai proprietari confinanti l’avvio del procedimento di rilascio della concessione edilizia.
La giurisprudenza ha chiarito che anche nel caso in cui l’opera assentita abbia già formato oggetto di precedenti contestazioni fra le parti, il Comune non ha alcun obbligo di comunicare ai proprietari confinanti l’avvio del procedimento di concessione edilizia.
I confinanti subiscono infatti da tale provvedimento meri effetti riflessi e, pur essendo legittimati ad impugnarlo, non possono considerarsene destinatari in senso tecnico, per cui non hanno appunto diritto a ricevere la comunicazione di avvio del relativo procedimento (TAR Campania–Napoli, 23.07.1998, n. 2477; TAR Calabria–Reggio Calabria, 08.06.2000, n. 850) (TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 18.10.2004 n. 2506 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

dossier SANATORIA GIURISPRUDENZIALE (abusi edilizi)

EDILIZIA PRIVATAL'accertamento di conformità previsto dall'art. 13, l. 28.02.1985 n. 47 (ora, art. 36, d.P.R. n. 380 del 2001), è diretto a sanare -a regime- le opere solo formalmente abusive, in quanto eseguite senza concessione o autorizzazione, ma conformi nella sostanza alla disciplina urbanistica applicabile per l'area su cui sorgono, vigente sia al momento della loro realizzazione che al momento della presentazione dell'istanza di sanatoria.
Parte della giurisprudenza si è sforzata di mitigare gli effetti della rigorosa applicazione della normativa in questione (art. 13 L. 47/1985 per come reintrodotto dall’art. 36 DPR 380/2001), costruendo la cosiddetta sanatoria giurisprudenziale, la quale ammette la sanabilità di un'opera, anche se abusivamente realizzata, qualora ne risulti la conformità alla disciplina urbanistica vigente al momento del rilascio del titolo abilitativo (e addirittura anche solamente a quelle applicabili al momento della presentazione dell'istanza: C.d.S., Sez. V, 19.04.2005, n. 1796), rinvenendo tale orientamento la sua ratio nell'esigenza di non imporre la demolizione di un'opera prima di ottenere la concessione per realizzarla nuovamente (cfr.: TAR Abruzzo-Pescara, 11.05.2007, n. 534); così opinando, sostanzialmente si supera e si svuota di significato la previsione della doppia conformità delle opere che si intende sanare agli strumenti urbanistici vigenti all’epoca della realizzazione ed al’epoca della domanda di sanatoria. Tuttavia, il collegio ritiene preferibile l’orientamento che –criticando l’impostazione della sanatoria giurisprudenziale– riafferma le molte buone ragioni che militano in favore della necessità della doppia conformità.
Premesso che l'accertamento di conformità previsto dall'art. 13, l. 28.02.1985 n. 47 (ora, art. 36, d.P.R. n. 380 del 2001), è diretto a sanare -a regime- le opere solo formalmente abusive, in quanto eseguite senza concessione o autorizzazione, ma conformi nella sostanza alla disciplina urbanistica applicabile per l'area su cui sorgono, vigente sia al momento della loro realizzazione che al momento della presentazione dell'istanza di sanatoria (cfr.: TAR Campania-Napoli, sez. IV, 21.03.2008, n. 1460; TAR Emilia Romagna Parma, 13.12.2007, n. 620), si osserva che le pur apparentemente forti ragioni invocate a sostegno della tesi contraria a quella qui seguita sono in realtà tutte superabili.
Denominatore comune delle argomentazioni solitamente addotte in favore della c.d. sanatoria giurisprudenziale è costituito dalla pretesa esigenza di ispirare l’esercizio del potere di controllo sull’attività edificatoria dei privati al buon andamento della p.a., canone costituzionale (art. 97 della Carta) che imporrebbe, in sede di accertamento di conformità ex art. 13 della l. n. 47/1985 (ed ora art. 36 del d.P.R. n. 380/2001), di accogliere l'istanza di sanatoria per quei manufatti che potrebbero ben essere realizzati sulla base della disciplina urbanistica attualmente vigente, ancorché non conformi alla disciplina vigente al momento della loro realizzazione. Si eviterebbe, così, uno spreco di attività inutili, sia dell'amministrazione (il successivo procedimento amministrativo preordinato alla demolizione dell'opera abusiva), sia del privato (la nuova edificazione), sia ancora dell'amministrazione (il rilascio del titolo per la nuova edificazione).
A ben guardare, invece, quella sorta di antinomia che si vorrebbe creare con l'affermazione della cd. sanatoria giurisprudenziale -e quindi con il sostanziale ripudio dell'esigenza della doppia conformità, ad onta della sua esplicita previsione negli artt. 13 e 36 citati- tra i principi di legalità e di buon andamento della P.A., con assegnazione della prevalenza a quest'ultimo, in nome di una presunta logica "efficientista", risulta artificiosa (cfr.: TAR Lombardia-Milano, sez. II, 09.06.2006 , n. 1352).
Va innanzitutto osservato che l'agire della pubblica amministrazione deve essere in ogni sua fase retto dal principio di legalità, inteso quale regola fondamentale cui è informata l'attività amministrativa (cfr. l’appena citata decisione del Tar Milano, ed ivi ulteriore ragguaglio giurisprudenziale) e che trova un fondamento positivo in varie disposizioni costituzionali (artt. 23, 97, 24, 101 e 113 Cost.). In altri termini, lungi dall’esservi antinomia fra efficienza e legalità, non può esservi rispetto del buon andamento della p.a., ex art. 97 Cost., se non vi è nel contempo rispetto del principio di legalità.
Il punto di equilibrio fra efficienza e legalità, è stato, nella specifica materia in questione, individuato dal legislatore nel consentire –come già detto– la sanatoria dei c.d. abusi formali, sottraendo alla demolizione le opere che risultino rispettose della disciplina sostanziale sull'utilizzo del territorio, e non solo di quella vigente al momento dell'istanza di sanatoria, ma anche di quella vigente all'epoca della loro realizzazione (e ciò costituisce applicazione del principio di legalità), e quindi evitando un sacrificio degli interessi dei privati che abbiano violato soltanto le norme che disciplinano il procedimento da osservare nell’attività edificatoria (e ciò in applicazione dei principi di efficienza e buon andamento, che sarebbero violati ove agli aspetti solo formali si desse un peso preponderante rispetto a quelli del rispetto sostanziale delle norme generali e locali in materia di uso del territorio).
La vera insanabile contraddizione starebbe, da un lato nell’imporre alle autorità comunali di reprimere e sanzionare gli abusi edilizi, dall'altro consentire violazioni sostanziali della normativa del settore, quali rimangono -sul piano urbanistico- quelle conseguenti ad opere per cui non esista la cd. doppia conformità, dovendosi aver riguardo al momento della realizzazione dell'opera per valutare la sussistenza dell'abuso (cfr. la già richiamata sentenza del Tar Milano n. 1352/2006).
Ciò in quanto sarebbe davvero contrario al buon andamento ammettere che l'amministrazione, una volta posta la disciplina sull'uso del territorio, di fronte ad interventi difformi dalla stessa sia indotta -anziché a provvedere a sanzionarli- a modificare la disciplina stessa. Si finirebbe così per incoraggiare, anziché impedire, gli abusi, perché ogni interessato si sentirebbe incitato alla realizzazione di manufatti difformi, contando sulla loro acquisizione di conformità ex post, a mezzo di modifiche della disciplina del settore.
Va inoltre tenuto nel debito conto che la sanabilità degli abusi sostanziali è ottenibile non attraverso lo strumento dell'accertamento di conformità ex artt. 13 e 36 cit., ma tramite il diverso istituto giuridico del condono (TAR Puglia, Lecce, n. 1007 del 1990; TAR Milano, n. 1352/2006, cit..) e nei limiti, in specie temporali, in cui quest'ultimo è applicabile alla fattispecie concreta considerata.
Infine, la sanatoria giurisprudenziale non ha trovato conferma –come spesso accade con gli istituti di creazione pretoria– nella recente legislazione, ché, anzi, la doppia conformità continua ad essere esplicitamente richiesta dall'art. 36 del d.P.R. n. 380/2001. In ordine a questo rilevante aspetto della questione è stato osservato che il mancato recepimento nell’art. 36 t.u. dell'edilizia (nonostante l'auspicio in tal senso espresso nel parere del 29.03.2001 della Adunanza generale del Consiglio di Stato - dell'orientamento affermatosi nel vigore dell'art. 13 l. 28.02.1985 n. 47 e che viene denominato “sanatoria giurisprudenziale”) impedisce che l’applicazione delle disposizioni che consentono la sanatoria degli abusi, prevedendo un provvedimento tipico oggetto di una disciplina puntuale ed esaustiva nell'art. 36 t.u. dell'edilizia, subisca ampliamenti in via interpretativa, e che in particolare si superi la c.d. doppia conformità (cfr.: Consiglio Stato , sez. IV, 26.06.2006 , n. 2306) (TAR Sicilia-Catania, Sez. I, sentenza 09.01.2009 n. 5 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa sanatoria ex art. 13 l. 47/1985 (ora art. 36 dpr 380/2001) richiede la necessaria doppia conformità.
L’art. 13 della legge n. 47 del 1985 riguarda esclusivamente le opere edilizie abusive in senso formale ma nella sostanza compatibili con la disciplina urbanistica della zona, sì da richiedere la c.d. «doppia conformità», ossia che la verifica della conformità sia fatta con riferimento tanto alla disciplina vigente al momento dell’abuso, quanto a quella vigente al momento della presentazione della domanda di sanatoria (v., ex multis, TAR Emilia-Romagna, Bologna, Sez. II, 25.09.2001 n. 698) (TAR Parma, sentenza 13.12.2007 n. 620 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: L’art. 13 della legge n. 47 del 1985 (trasfuso nell’art. 36 del testo unico n. 380 del 2001) consente l’accoglimento di domande di accertamento di conformità solo in presenza della cd. duplice conformità: le opere abusive possono essere oggetto di accoglimento dell’istanza solo quando esse risultino non solo conformi allo strumento urbanistico vigente alla data di emanazione dell’atto che esamina l’istanza, ma anche conformi allo strumento urbanistico vigente alla data in cui sono commessi gli abusi.
Ritiene la Sezione che l’art. 13 della legge n. 47 del 1985 consente l’accoglimento di domande di accertamento di conformità solo in presenza della cd. duplice conformità: le opere abusive possono essere oggetto di accoglimento dell’istanza solo quando esse risultino non solo conformi allo strumento urbanistico vigente alla data di emanazione dell’atto che esamina l’istanza, ma anche conformi allo strumento urbanistico vigente alla data in cui sono commessi gli abusi (cfr. Sez. IV, 26.04.2006, n. 2306).
L’art. 13 –in quanto norma derogatoria al principio per il quale i lavori realizzati sine titulo sono sottoposti alle prescritte misure ripristinatorie e sanzionatorie– non è suscettibile di applicazione analogica, né di una interpretazione riduttiva, secondo cui – in contrasto col suo tenore letterale – basterebbe la conformità delle opere col piano regolatore vigente al momento in cui sia definita l’istanza di sanatoria.
Contrariamente a quanto dedotto dall’appellante, la regola sancita dall’art. 13 (trasfuso nell’art. 36 del testo unico n. 380 del 2001) non risulta in contrasto con i principi costituzionali del buon andamento e sulla pianificazione urbanistica.
Infatti, in attuazione del principio di legalità e per evitare che i consigli comunali possano subire condizionamenti e pressioni da parte di chi abbia realizzato opere abusive, il legislatore ha radicalmente precluso che il costruttore di opere abusive possa avvalersi delle sopravvenute modifiche dello strumento urbanistico, anche se le opere realizzate sine titulo di per sé risultino conformi allo strumento sopravvenuto.
Vanno dunque respinte le censure secondo cui l’accertamento di conformità potrebbe essere disposto in presenza della conformità al solo strumento urbanistico vigente (pur se in contrasto con quello vigente al momento della realizzazione dell’abuso), così come vanno dichiarate manifestamente infondate le relative censure di incostituzionalità dell’art. 13
(Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 17.09.2007 n. 4838 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La giurisprudenza ha ammesso la c.d. sanatoria giurisprudenziale, ritenuta non in contrasto con l’art. 13 l. 47/1985 quando l’opera abusiva risulti comunque conforme alle norme urbanistiche vigenti al momento del rilascio dell’atto di sanatoria, risiedendo la ratio di siffatto orientamento nell’esigenza di evitare che sia demolita una costruzione per la quale può essere rilasciato successivamente il titolo abilitativo.
Vero è che l’art. 13 della L. 47/1985 esige la doppia conformità dell’opera abusiva, alla disciplina cioè vigente al momento della realizzazione dell’abuso e a quella vigente al momento della sanatoria, ma è altresì vero che la giurisprudenza ha ammesso la c.d. sanatoria giurisprudenziale, ritenuta non in contrasto con l’art. 13 citato, quando l’opera abusiva risulti comunque conforme alle norme urbanistiche vigenti al momento del rilascio dell’atto di sanatoria, risiedendo la ratio di siffatto orientamento nell’esigenza di evitare che sia demolita una costruzione per la quale può essere rilasciato successivamente il titolo abilitativo (C.S., sez. V, 21.10.2003, n. 6498; 13.02.1995, n. 238) (TAR Abruzzo-Pescara, sentenza 30.05.2007 n. 583 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Con l’istituto del cd. accertamento di conformità, nella disciplina sia dell’art. 13 della l. n. 47/1985, sia dell’art. 36 del d.P.R. n. 380/2001, il Legislatore ha inteso consentire la sanatoria dei soli abusi formali, cioè di quelle opere che, pur difformi dal titolo (od eseguite senza alcun titolo), risultino rispettose della disciplina sostanziale sull’utilizzo del territorio, e non solo di quella vigente al momento dell’istanza di sanatoria, ma anche di quella vigente all’epoca della loro realizzazione.
F
acendo applicazione dei principi che hanno portato all’elaborazione della cd. sanatoria giurisprudenziale, il ricorrente afferma l’irrilevanza dell’eventuale non conformità urbanistica dell’opera al momento della sua ultimazione ai fini del rilascio della sanatoria, in quanto la sanabilità della predetta opera dipenderebbe solo dalla conformità della stessa alla normativa vigente e quindi, alle norme applicabili al momento in cui l’Amministrazione provvede sull’istanza di sanatoria (od anche solamente a quelle applicabili al momento della presentazione dell’istanza: C.d.S., Sez. V, 19.04.2005, n. 1796). Ciò, al fine di evitare il paradosso che si addivenga alla demolizione di un’opera, in quanto abusiva, salvo riconoscere contestualmente la nuova realizzabilità della medesima opera, perché conforme alla disciplina urbanistica attualmente vigente.
In questo senso, quindi, la regola della sanabilità di tutte le opere conformi alle prescrizioni urbanistiche in vigore alla data di adozione del provvedimento sanante, con la possibilità, in base a tale regola, di sanare alla predetta condizione non solo abusi formali, ma anche abusi sostanziali, troverebbe conferma nel canone ermeneutico della non contraddittorietà, per il quale la P.A. non può denegare diritti e facoltà che essa stessa ha riconosciuto attraverso gli strumenti di pianificazione vigenti al momento della pronuncia di diniego.
La succitata regola sarebbe, altresì, rispettosa del principio di efficienza e buon andamento dell’Amministrazione (art. 97 Cost.), che imporrebbe di evitare la rimozione di opere nella sostanza legittime e per le quali si potrebbe subito dopo consentire l’edificazione.
Infine la cd. sanatoria giurisprudenziale si giustificherebbe perché, ad opinare diversamente, si dovrebbe configurare un dovere dell’Amministrazione di negare la sanatoria ai manufatti od alle varianti in corso d’opera, pur se sostanzialmente legittimi, ove edificati in vigenza di previsioni ostative.
Queste essendo le argomentazioni esposte dal ricorrente a sostegno della tesi della sanabilità delle opere per le quali la conformità urbanistica sussista solo al tempo del provvedimento sull’istanza di sanatoria (o alla data di proposizione dell’istanza), osserva il Collegio come siffatte argomentazioni, ancorché ben sviluppate e non prive di un certo rilievo, non possano essere condivise.
Sul punto il Collegio è ben consapevole dell’esistenza di un indirizzo giurisprudenziale, che, sebbene minoritario, ha trovato sporadico accoglimento pure nel Consiglio di Stato, nonché nell’ordinanza cautelare emessa nel presente giudizio, favorevole all’affermazione della cd. sanatoria giurisprudenziale.
Ciò, in nome essenzialmente di una pretesa esigenza di conformità al buon andamento della P.A., canone costituzionale che imporrebbe, in sede di accertamento di conformità ex art. 13 della l. n. 47/1985 (ed ora art. 36 del d.P.R. n. 380/2001), di accogliere l’istanza di sanatoria per dei manufatti che potrebbero ben essere realizzati sulla base della disciplina urbanistica attualmente vigente, ancorché non conformi alla disciplina vigente al momento della loro realizzazione. Si eviterebbe, così, uno spreco di attività inutili, sia dell’Amministrazione (il successivo procedimento amministrativo preordinato alla demolizione dell’opera abusiva), sia del privato (la nuova edificazione), sia ancora dell’Amministrazione (il rilascio del titolo per la nuova edificazione).
In contrario, ritiene tuttavia il Collegio che quella sorta di antinomia che si vorrebbe creare con l’affermazione della cd. sanatoria giurisprudenziale –e, quindi, con il sostanziale ripudio dell’esigenza della doppia conformità, ad onta della sua esplicita previsione negli artt. 13 e 36 citati– tra i principi di legalità e di buon andamento della P.A., con assegnazione della prevalenza a quest’ultimo, in nome di una presunta logica “efficientista”, sia artificiosa e per niente affatto condivisibile.
Ciò, in quanto, a ben vedere, costituisce affermazione consolidata quella per cui l’agire della Pubblica Amministrazione deve essere in ogni sua fase retto dal principio di legalità, inteso quale regola fondamentale cui è informata l’attività amministrativa (cfr., ex plurimis, C.d.S., Sez. V, 23.03.2004, n. 1553) e che trova un fondamento positivo in varie disposizioni costituzionali (artt. 23, 97, 24, 101 e 113 Cost.).
Se ne deduce che pretendere di instaurare, come fa il ricorrente, un’antinomia tra l’esigenza di legalità e quella di buon andamento, con recessività della prima, è profondamente erroneo perché trascura che la lettura del buon andamento conforme al dettato costituzionale è quella che coniuga al tempo stesso buon andamento e legalità, e che perciò legge il primo alla luce della seconda, con il corollario che non può esservi rispetto del buon andamento della P.A., ex art. 97 Cost., se non vi è nel contempo rispetto del principio di legalità.
Facendo applicazione delle ora viste conclusioni al caso di specie, si deve, pertanto, ritenere che con l’istituto del cd. accertamento di conformità, nella disciplina sia dell’art. 13 della l. n. 47/1985, sia dell’art. 36 del d.P.R. n. 380/2001, il Legislatore abbia inteso consentire la sanatoria dei soli abusi formali, cioè di quelle opere che, pur difformi dal titolo (od eseguite senza alcun titolo), risultino rispettose della disciplina sostanziale sull’utilizzo del territorio, e non solo di quella vigente al momento dell’istanza di sanatoria, ma anche di quella vigente all’epoca della loro realizzazione (cfr., ex plurimis, TAR Campania, Napoli, Sez. VI, 09.09.2004, n. 11896; TAR Liguria, Sez. I, 17.05.2005, n. 670).

La sanabilità dell’intervento, in altri termini, presuppone necessariamente che non sia stata commessa alcuna violazione di tipo sostanziale, in presenza della quale, invece, non potrà non scattare la potestà sanzionatorio–repressiva degli abusi edilizi prevista dagli artt. 27 e ss. del d.P.R. n. 380/2001.

Anzi, proprio la doverosità dell’esercizio di siffatta potestà, costantemente affermata dalla giurisprudenza (cfr. TAR Lazio, Latina, 27.06.2005, n. 568; C.d.S., Sez. V, 06.05.1995, n. 721), rafforza quanto appena detto circa la sanabilità, attraverso gli artt. 13 e 36 ss., delle sole violazioni formali.

Non può ammettersi, infatti, a pena di introdurre una contraddizione all’interno dello stesso corpus legislativo, che il Legislatore da un lato imponga all’Amministrazione di reprimere e sanzionare gli abusi edilizi, dall’altro che acconsenta a violazioni sostanziali della normativa del settore, quali rimangono –sul piano urbanistico– quelle conseguenti ad opere per cui non esista la cd. doppia conformità, dovendosi aver riguardo al momento della realizzazione dell’opera per valutare la sussistenza dell’abuso.

Tutto ciò, senza considerare che non si riesce a capire quale nozione del buon andamento sia quella, alla stregua della quale l’Amministrazione, una volta posta la disciplina sull’uso del territorio, di fronte ad interventi difformi dalla stessa, anziché provvedere a sanzionarli, sia indotta a modificare la disciplina stessa. È evidente che un tale comportamento finirebbe per incoraggiare, anziché impedire, gli abusi, perché ogni interessato si sentirebbe incitato alla realizzazione di manufatti difformi, contando sulla loro acquisizione di conformità ex post, a mezzo di modifiche della disciplina del settore. Con il che, se ne desume, verrebbe frustrata in toto la potestà sanzionatorio–repressiva degli abusi edilizi, in contrasto con la doverosità della stessa poc’anzi ricordata, nella sua valenza strumentale al fine di coadiuvare, dal lato, appunto, sanzionatorio, l’ordinato sviluppo del territorio, perseguito dall’Amministrazione comunale attraverso gli strumenti di pianificazione.

Né in contrario può ribattersi argomentando dall’incongruenza della demolizione di opere di cui dovrebbe poi essere ammessa la ricostruzione, giacché un tal rilievo non tiene conto che la potestà sanzionatoria degli abusi edilizi dà luogo a procedimenti amministrativi autonomi, pur se strettamente connessi a quello del rilascio del permesso in sanatoria.

Su questa base, ritiene pertanto il Collegio di aderire a quell’indirizzo giurisprudenziale, per il quale la sanatoria di un’opera difforme dallo strumento urbanistico vigente al momento della sua esecuzione rappresenterebbe una forzatura inaccettabile della disciplina in materia di accertamento di conformità (nonché dei principi dell’ordinamento in tema di sanatoria di attività illecite in generale), senza che questo pregiudichi le autonome determinazioni che l’Amministrazione decida poi di adottare nell’esplicazione dell’attività sanzionatoria riferita all’abuso (TAR Piemonte, Sez. I, 20.04.2005. n. 1094).
A favore della tesi della cd. doppia conformità militano anche ulteriori argomenti, di natura sia sostanziale che formale.

Ed infatti, considerata l’opera difforme dalla normativa urbanistica in vigore al tempo della sua realizzazione come abuso edilizio sostanziale (TAR Puglia, Lecce, 26.11.1990, n. 1007), se ne deduce che la sanabilità della stessa è ottenibile non attraverso lo strumento dell’accertamento di conformità ex artt. 13 e 36 cit., ma tramite il diverso istituto giuridico del condono (TAR Puglia, Lecce, n. 1007 del 1990 cit.) e nei limiti, in specie temporali, in cui quest’ultimo è applicabile alla fattispecie concreta considerata.

Ciò, tenendo altresì conto del fatto che, ai fini penali, lo speciale meccanismo di estinzione del reato previsto per l’accertamento di conformità (art. 22, ult. comma della l. n. 47/1985) opera diversamente da quanto stabilito per la procedura di condono, giacché non si fonda sul pagamento di una somma di denaro a titolo di oblazione, ma sull’effettivo rilascio della concessione sanante (Cass. pen., Sez. III, 29.01.1998, n. 3209).

Né può trascurarsi che l’assoggettamento al medesimo trattamento, anche sanzionatorio, dei casi di abuso edilizio cd. formale e di quelli di abuso cd. sostanziale, ingenererebbe dubbi di legittimità costituzionale: si pensi alle perplessità sollevate sul punto, nel vigore del regime introdotto dalla l. n. 10/1977, dalla giurisprudenza di merito (cfr. Pret. Rivarolo Canavese, 03.05.1978 e Pret. Piombino, 16.12.1982).

Tali dubbi resterebbero fermi anche qualora la suddetta parificazione fosse espressamente prevista dalla legge. A fortiori si deve dunque respingere l’idea della parificazione, e quindi la tesi della cd. sanatoria giurisprudenziale, che la sottende, in presenza di una disciplina che continua a pretendere esplicitamente, nell’art. 36 del d.P.R. n. 380/2001, come già nel testo dell’art. 13 della l. n. 47/1985, ai fini della sanabilità del manufatto, la conformità di esso anche alla normativa vigente alla data della sua realizzazione, oltre che a quella in vigore al tempo della proposizione dell’istanza, mostrando di recepire la cd. doppia conformità.

Dunque, la tesi della cd. doppia conformità risulta quella corretta anche sotto il mero aspetto letterale (TAR Piemonte, n. 1094 del 2005 cit.).

Anzi, da questo punto di vista, appare condivisibile l’osservazione della difesa del Comune, secondo la quale il Legislatore delegato, nell’elaborare il testo dell’art. 36 cit., non ha potuto in alcun modo recepire la cd. sanatoria giurisprudenziale, in ragione dei limiti derivantigli dalla delega legislativa (art. 7 della l. n. 50/1999), che non consentivano modifiche della normativa esistente se non nelle ipotesi di univoci indirizzi giurisprudenziali assurti a vero e proprio “diritto vivente” (così la previsione di un mero “coordinamento formale del testo delle disposizioni vigenti”, ex art. 7, comma 2, lett. d), della l. n. 50 cit., come interpretata dall’Adunanza Generale del Consiglio di Stato). Anche per tal via, quindi, la cd. sanatoria giurisprudenziale si deve considerare tuttora al di fuori del diritto positivo.

Da ultimo, nessun rilievo può assumere l’argumentum a contrario utilizzato dal ricorrente, per cui la cd. doppia conformità porterebbe ad affermare il dovere dell’Amministrazione di negare la sanatoria alle varianti in corso d’opera, qualora realizzate in vigenza di previsioni ostative.

A parte che, proprio perché eseguiti in difformità dalle norme vigenti, per tali interventi non si potrebbe mai parlare, come fa il ricorrente, di “sostanziale legittimità”, resta il fatto che le varianti in corso d’opera trovano applicazione, ex art. 15 della l. n. 47/1985 (v. ora l’art. 22, comma 2, del d.P.R. n. 380/2001), solamente in caso di conformità delle opere difformi agli strumenti urbanistici vigenti e purché le modificazioni introdotte rispetto alla concessione originaria siano di consistenza limitata (TAR Liguria, Sez. I, 03.06.2005, n. 851), dunque con riguardo a fattispecie diverse da quella in esame (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 09.06.2006 n. 1352 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: E' inutile fa demolire un'opera abusiva che sia conforme alla normativa vigente all'atto di presentazione della istanza di sanatoria e non anche a quella vigente al momento di realizzazione dell'abuso.
Non vi è ragione di far demolire una costruzione realizzata abusivamente, ma conforme alla disciplina vigente, per poi dover consentire, non potendosi negare la concessione edilizia per opere conformi alla normativa urbanistica in vigore, la edificazione di una costruzione identica a quella di cui si è ordinata la demolizione.
L’art. 13 della legge n. 47 del 1985, che richiede la doppia conformità delle opere realizzate abusivamente e, cioè, che le stesse siano conformi sia agli strumenti urbanistici vigenti al momento della loro realizzazione sia a quelli in vigore al momento della presentazione della domanda di sanatoria e che non siano in contrasto con gli strumenti urbanistici eventualmente adottati nei due momenti è stato interpretato dalla giurisprudenza della Sezione nel senso che la norma non ha voluto limitare il campo delle opere sanabili alla loro conformità agli strumenti urbanistici vigenti al momento del rilascio della concessione in sanatoria, ma nel senso che anche opere non più conformi alla normativa vigente sono ugualmente sanabili se erano conformi alla normativa in vigore al momento della presentazione della domanda di sanatoria.
La norma è stata ritenuta come norma di salvaguardia contro l’inerzia dell’amministrazione
(Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 19.04.2005 n. 1796 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATASulla sanatoria giurisprudenziale dei manufatti abusivi (art. 13 l. n. 47/1985, ora art. 36 dpr. n. 380/2001).
In linea teorica, la sanatoria degli atti amministrativi illegittimi, promanante dal-la stessa Autorità emanante l’atto da emendare, avente efficacia ex tunc (salva l’ipotesi dell’incidenza sfavorevole dell’atto nel campo dei diritti soggettivi al-trui: cfr. ad es. Cons. St., V, 16.10.1965, n. 1019) e che la migliore dottrina tradizionalmente limita agli atti invalidi per mancanza di un presupposto di legittimità ovvero per il mancato compimento di un atto del procedimento, deve essere tenuta distinta dalla sanatoria di attività illecita, nell’ambito della quale rientra evidentemente la fattispecie edilizia, avente ad oggetto un’attività materiale posta in essere da un soggetto estraneo alla Pubblica Amministrazione, priva del necessario titolo abilitativo e con effetti ex nunc.
A differenza dell'ipotesi di sanatoria relativa agli atti amministrativi, riconosciu-ta pacificamente alla stregua di un istituto generale applicabile astratto, pur nei limiti individuati, ad alcune tipologie di atti (proposte, approvazioni, autorizza-zioni ed accertamenti tecnici), l’assenza di un analogo approfondimento teorico e la presenza di singole ipotesi oggetto di specifica ed espressa disciplina portano ad escludere lo stesso carattere di generalità per la sanatoria di attività illecita.
In termini generali, d’altra parte, ogni regola imposta legittimamente dall’ordinamento ed ogni conseguente sistema sanzionatorio mal si concilierebbero con la generalizzata previsione della sanabilità delle attività abusive, poste in essere in violazione delle regole dettate dall’ordinamento.
Ciò vale altresì alla luce degli interessi pubblici ed ai principi sottesi alla tutela del territorio ed al corretto utilizzo dello stesso, nonché al fine di evitare strumentalizzazioni in ordine al corretto esercizio del primario potere di pianificazione.
La norma dell’art. 13 L. n. 47/1985 costituisce proprio un’applicazione specifica ed eccezionale e, conseguentemente, non estendibile in via analogica al di fuori dei presupposti dalla stessa dettati di tale sanatoria di attività illecite.
Inoltre, si è avuto modo di ricordare come la medesima disposizione abbia costituito il meditato e consapevole punto di arrivo di un’evoluzione normativa e dottrinale che ha inteso limitare l’applicabilità dell'istituto in esame alle ipotesi inquadrabili nella c.d. doppia conformità; la discrezionalità del Legislatore si è manifestata, in conformità al principio di ragionevolezza trattandosi di attività abusiva, al fine di limitare l’operatività della sanatoria rispetto a quanto anteriormente opinato.
La specialità della norma in esame e l’assenza di un generale ed indistinto prin-cipio di sanabilità dell’attività illecita non può tuttavia far dimenticare quelle che sono le motivazioni sottese all’orientamento favorevole alla c.d. sanatoria giurisprudenziale: in particolare, l’incongruenza derivante dal disporre la demolizione di opere, di cui viene chiesta la concessione, per poi farle ricostruire conformemente alla domanda (Cons. St., V, 13.02.1995, n. 238).
Se è pur vero che potrebbe apparire prima facie illogico demolire qualcosa che si potrebbe successivamente costruire ex novo sulla scorta della nuova pianificazione, è altrettanto vero che la contestata demolizione riguarda l’esercizio della successiva e distinta attività sanzionatoria, non il procedimento di rilascio della concessione strettamente inteso.
Come ormai riconosciuto dalla prevalente opinione giurisprudenziale, si tratta di due procedimenti comunque distinti pur se connessi, tanto è vero che, ad esempio, la presentazione della domanda di sanatoria rende improcedibile il ricorso avverso la sanzione (TAR Sicilia-Palermo, II, 18.12.2001, n. 2102), dovendo il procedimento relativo a quest’ultima eventualmente riprendere successivamente al diniego di concessione (TAR Calabria-Catanzaro, II, 07.06.2001 n. 912).
Nella medesima direzione la giurisprudenza ha più volte ribadito la necessità di esplicare le ragioni sottese alla scelta della sanzione in rapporto alle caratteristiche specifiche dell’opera in contestazione ed al suo inserimento nell’esistente (TAR Liguria, I, 10.01.2002, n. 12).
Sulla base di quanto sopra, quindi, se da un lato non è possibile, né necessario, forzare una norma espressa o i principi dell’ordinamento in tema di sanatoria, dall’altro lato la Pubblica Amministrazione è comunque titolare di un potere autonomo e ampiamente discrezionale relativo alla conseguente e connessa, pur se distinta, attività sanzionatoria, nell’ambito della quale si inserisce la conseguenza, nel caso in esame denunciata come irrazionale, della demolizione.
Al riguardo, proprio l’autonomia del procedimento sanzionatorio e l’obbligo di motivazione connesso costituiscono il momento in cui l’ordinamento consente di valutare l’applicazione della sanzione conforme all’ordinamento, rimettendo pertanto la concreta individuazione della sanzione alla determinazione discrezionale della stessa Amministrazione
(TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 18.10.2004 n. 2506 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La cosiddetta "sanatoria giurisprudenziale" è incompatibile con la sopravvenuta disciplina della sanatoria introdotto dalla legge n. 47 del 1985 che, con il requisito di ammissibilità della sola doppia conformità al piano regolatore generale, ammettendo pertanto la sanatoria soltanto per le opere realizzate senza concessione ma conformi alla disciplina vigente sia al momento della realizzazione del manufatto sia al momento della richiesta del provvedimento di sanatoria, ha inteso impedire il rischio di eventuali pratiche di salvataggio in sede locale di forme di abusivismo edilizio mediante modifiche a posteriori dello strumento urbanistico.
Si richiama il cosiddetto istituto della "sanatoria giurisprudenziale" che si avrebbe quando l'opera è stata realizzata abusivamente ma, per effetto del mutamento di strumenti urbanistici, risulta regolare in relazione alla sopravvenuta disciplina vigente al momento della richiesta di sanatoria. In effetti, la tesi del ricorrente richiama l'orientamento giurisprudenziale minoritario il quale, tuttavia, non è condiviso da questo tribunale. Infatti la cosiddetta "sanatoria giurisprudenziale" è incompatibile con la sopravvenuta disciplina della sanatoria introdotto dalla legge n. 47 del 1985 che, con il requisito di ammissibilità della sola doppia conformità al piano regolatore generale, ammettendo pertanto la sanatoria soltanto per le opere realizzate senza concessione ma conformi alla disciplina vigente sia al momento della realizzazione del manufatto sia al momento della richiesta del provvedimento di sanatoria, ha inteso impedire il rischio di eventuali pratiche di salvataggio in sede locale di forme di abusivismo edilizio mediante modifiche a posteriori dello strumento urbanistico (vedi TAR Bologna, sez. II, n. 194 del 2002; n. 1833 del 2002; n. 1058 del 2003).
Infatti, tale figura di sanatoria "giurisprudenziale" sembrava configurabile nella normativa previgente che, al dodicesimo comma dell'articolo 15 della legge n. 10 del 1977 si limitava, secondo l'opinione dominante, a liberalizzare alcune varianti di importanza secondaria a progetti edilizia assentiti, senza disciplinare la complessiva problematica della sanatoria amministrativa di interventi abusivi, la quale, pertanto, veniva ritenuta possibile, dalla giurisprudenza, in caso di conformità con gli strumenti urbanistici vigenti al momento della pronuncia sulla domanda di sanatoria e ciò al fine di evitare inutili distruzioni di ricchezza. Invece, al contrario, come sopra evidenziato, la legge n. 47 del 1985 ha predisposto una disciplina esaustiva e puntuale delle ipotesi sanatoria, anche ai fini amministrativi, non lasciando alcun margine interpretativo per consentire la sopravvivenza della sanatoria "cosiddetta giurisprudenziale". Infatti, la concessione in sanatoria è un provvedimento tipico, che elimina l'antigiuridicità dell'abuso, estinguendo il reato ed il potere repressivo dell'amministrazione, per cui la sua applicazione ed i suoi limiti non possono che essere specificamente disciplinati dalla normativa. Né appare possibile l'esercizio, da parte dell'amministrazione, di un potere di sanatoria che vada oltre i limiti imposti dal legislatore, anche perché non sarebbe ammissibile una interpretazione finalizzata alla protezione di interessi privati scaturenti da comportamenti antigiuridici, che permetterebbe, oltretutto, la possibilità di usufruire delle modifiche della regolamentazione urbanistica idonee a legittimare l’edificazione abusiva addirittura fino all'esecuzione della definitiva sanzione della demolizione
(TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. II, sentenza 15.01.2004 n. 16 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Non v'è nessuna ragione di ritenere che l’ordinamento imponga di demolire un’opera prima di ottenere la concessione per realizzarla nuovamente; sicché, un opera abusiva conforme allo strumento urbanistico all'atto di presentazione della relativa istanza può essere sanata.
Il Collegio non può che confermare i propri precedenti secondo cui gli articoli 13 e 15 della legge 28.02.1985 n. 47, i quali richiedono, per la sanatoria rispettivamente delle opere eseguite senza concessione e delle varianti non autorizzate, che l’opera sia conforme tanto alla normativa urbanistica vigente al momento della realizzazione dell’opera quanto a quella vigente al momento della domanda di sanatoria, sono disposizioni contro l’inerzia dell’amministrazione, e significano che, se sussiste la doppia conformità, a colui che ha richiesto la sanatoria non può essere opposta una modificazione della normativa urbanistica successiva alla presentazione della domanda.
Tale regola non preclude il diritto ad ottenere la concessione in sanatoria di opere che, realizzate senza concessione o in difformità dalla concessione, siano conformi alla normativa urbanistica vigente al momento in cui l’autorità comunale provvede sulla domanda di sanatoria; non essendovi nessuna ragione di ritenere che l’ordinamento imponga di demolire un’opera prima di ottenere la concessione per realizzarla nuovamente
(Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 21.10.2003 n. 6498 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAV'è l'obbligo di negare la concessione in sanatoria, ex art. 13 L. 47/1985, se manca la conformità agli strumenti urbanistici sia al momento della realizzazione dell'opera, sia al momento della presentazione della domanda.
L'Amministrazione Comunale è vincolata a negare la concessione in sanatoria, ex art. 13 L. 47/1985 se manca la conformità agli strumenti urbanistici sia al momento della realizzazione dell'opera, sia al momento della presentazione della domanda, né può configurarsi alcuna ipotesi diversa di sanatoria (c.d. "giurisprudenziale") che ricorrerebbe ogni qualvolta vi sia conformità alla sola normativa vigente al momento del rilascio della concessione, ma è in contrasto insuperabile con le disposizioni di legge sopra citate (TAR Veneto, Sez. II, sentenza 20.02.2003 n. 1498 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATANon sembra ammissibile l’istituto della c.d. sanatoria giurisprudenziale, quale ipotesi generalizzata di sanatoria di opere realizzate abusivamente ma conformi alla disciplina urbanistica vigente, in quanto da un lato comporterebbe che ogni ipotesi di abuso edilizio potrebbe essere in ogni tempo sanato dal sopravvenire di una disciplina urbanistica con la quale esso non si trovi in contrasto e dall’altro l’istituto della concessione in sanatoria di cui all’art. 13 della legge n. 47/1985 –che contempla l’unica ipotesi di sanatoria ‘a regime’ prevista dall’ordinamento del settore– non contiene alcuna deroga che possa legittimare un caso di sanatoria al di fuori delle condizioni da esso prescritte.
L'istituto della c.d. sanatoria giurisprudenziale, pur affermato in qualche isolata pronuncia (Cons. St., V, 13.02.1995 n. 238), non è previsto da alcuna norma dell'ordinamento ed, anzi, dopo l'introduzione legislativa dell'istituto della sanatoria ordinaria, prevista dall'art. 13 della legge 28.2.1985 n. 47, non sembra ammissibile come ipotesi generalizzata di sanatoria di opere realizzate abusivamente.
Infatti, fuori delle condizioni prescritte dal citato art. 13, che l'opera sia conforme agli strumenti urbanistici vigenti sia al momento della sua realizzazione sia al momento della presentazione della domanda e che sia non in contrasto con gli strumenti urbanistici adottati a tali due epoche, non è ammissibile il rilascio di una concessione in sanatoria.
L'istituto previsto dalla legge, in altri termini, vale solo nei casi di abuso formale, cioè a dire di opera realizzata senza titolo.
Nella fattispecie, si tratta invece di opere sostanzialmente abusive, tanto è vero che la precedente istanza di sanatoria avanzata ex art. 13 della legge n. 47/1985 è stata respinta dall'amministrazione proprio sul presupposto dell'insussistenza delle condizioni prescritte dalla legge (la c.d. doppia conformità urbanistica).
In altri termini, la circostanza che l'opera di che trattasi sia conforme alla disciplina urbanistica vigente non vale, di per sé, a far sorgere in capo all'amministrazione l'obbligo di pronunciarsi sull'istanza di rilascio della concessione edilizia in sanatoria dopo che la stessa amministrazione si sia pronunciata sull'istanza di sanatoria formulata ex art. 13 L. n. 47/1985.
Diversamente opinando, si dovrebbe ritenere che sussista l'obbligo dell'amministrazione di pronunciarsi su qualsivoglia domanda di sanatoria ogni qualvolta questa sia fondata sull'asserita conformità dell'opera allo strumento urbanistico vigente.
Il che varrebbe a ritenere che ogni ipotesi di abuso edilizio, cioè non preceduto da titolo legittimante, potrebbe essere in ogni tempo sanato dal sopravvenire di una disciplina urbanistica con la quale esso non si trovi in contrasto.
Tale conclusione comporterebbe, altresì, che l'istituto della concessione in sanatoria di cui all'art. 13 della legge n. 47/1985 troverebbe applicazione solo nei casi in cui l'opera fosse in contrasto con la disciplina urbanistica vigente al momento dell'adozione della concessione in sanatoria e, tuttavia, fosse stato conforme agli strumenti urbanistici vigenti, e non in contrasto con quelli adottati, sia al momento della sua realizzazione sia al momento della presentazione della relativa domanda di sanatoria.
Una tale conseguenza, tuttavia, non è autorizzata dalla costante interpretazione giurisprudenziale dell'art. 13 della legge n. 47/1985, che, da una parte, contempla l'unica ipotesi di sanatoria "a regime" prevista dall'ordinamento di settore e, dall'altra, non contiene alcuna deroga che possa legittimare un caso di sanatoria al di fuori delle condizioni da esso prescritte.
Né si rinviene alcun principio dell'ordinamento tale da legittimare una diversa conclusione.
La sanatoria è, di per sé, un istituto eccezionale, sicché l'interpretazione della norma che la prevede non può che essere rigorosa e la sua applicazione deve essere contenuta in limiti ristretti (TAR Toscana, Sez. III, sentenza 14.06.2002 n. 1245 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa concessione in sanatoria, ai sensi dell'articolo 13 della legge n. 47/1985, costituisce atto dovuto quando l'opera "è conforme a gli strumenti urbanistici generali e di attuazione approvati e non in contrasto con quelli adottati, sia al momento della realizzazione dell'opera, sia al momento della presentazione della domanda".
La concessione in sanatoria, ai sensi dell'articolo 13 della legge n. 47/1985, costituisce atto dovuto quando l'opera "è conforme a gli strumenti urbanistici generali e di attuazione approvati e non in contrasto con quelli adottati, sia al momento della realizzazione dell'opera, sia al momento della presentazione della domanda". Pertanto, l'amministrazione è vincolata a negarla, se non ricorrono le predette ipotesi.
Non può, peraltro, condividersi la tesi secondo la quale, accanto alla fattispecie di sanatoria prevista dalla citata norma, che elimina anche gli effetti penali dell'abuso edilizio, sussisterebbe anche una seconda specie di sanatoria (c.d: sanatoria giurisprudenziale), che ricorrerebbe ogni qualvolta vi sia conformità dell'opera realizzata abusivamente, alla normativa urbanistica vigente al momento del rilascio della concessione.
Tale figura di sanatoria sembrava, infatti, configurabile nella normativa previgente che, al dodicesimo comma dell'articolo 15 della legge n. 10/1977, si limitava, secondo l'opinione dominante, a liberalizzare alcune varianti di importanza secondaria a progetti edilizi assentiti, senza disciplinare la complessiva problematica della sanatoria amministrativa degli interventi abusivi, la quale, pertanto, veniva ritenuta possibile, dalla giurisprudenza, in caso di conformità con gli strumenti urbanistici vigenti al momento della pronuncia sulla domanda di sanatoria, e ciò, al fine di evitare inutili distruzioni di ricchezza.
Al contrario, la legge n. 47/1985 ha predisposto una disciplina esaustiva e puntuale delle ipotesi di sanatoria, anche ai fini amministrativi, non lasciando alcun margine interpretativo per consentire la sopravvivenza della sanatoria c.d. giurisprudenziale, non potendo, certo, ritenersi che la norma possa interpretarsi soltanto come una norma di salvaguardia contro l'inerzia amministrativa, al fine di rendere "inopponibili, al richiedente, i mutamenti degli strumenti urbanistici" (come ritenuto da C.S., V, n. 238/1995).
Infatti, la concessione in sanatoria è un provvedimento tipico, che elimina l'antigiuridicità dell'abuso, estinguendo il reato ed il potere repressivo dell'amministrazione per cui, la sua applicazione ed i suoi limiti non possono, che essere specificamente disciplinati dalla normativa, né appare possibile l'esercizio, da parte dell'amministrazione, di un potere di sanatoria che vada oltre i limiti imposti dal legislatore, anche perché non sarebbe ammissibile una interpretazione finalizzata alla protezione di interessi privati scaturenti da comportamenti antigiuridici, che permetterebbe, oltretutto, la possibilità di usufruire delle modifiche della regolamentazione urbanistica idonee a legittimare l'edificazione abusiva, addirittura, fino alla esecuzione della definitiva sanzione della demolizione.
Pertanto, la norma in esame non può che essere interpretata se non nel senso di delimitare il potere dovere dell'amministrazione di provvedere all'erogazione delle misure sanzionatorie negli stretti limiti temporali indicati dalla norma, posto che, il principio di cui all'articolo 97 della Costituzione, che farebbe ritenere illogica la demolizione dell'opera, quando la stessa potrebbe essere autorizzata sulla base della sopravvenuta strumentazione urbanistica, deve, comunque, retrocedere dinnanzi all'altro principio generale, di rango costituzionale, e cioè, il principio di legalità, che impone la necessaria e stretta osservanza della disciplina dettata dalla legge per la sanatoria delle opere abusive (TAR Toscana, Sez. III, sentenza 15.04.2002 n. 724 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AGGIORNAMENTO AL 19.01.2009

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UTILITA'

PUBBLICO IMPIEGOSulla riduzione dell'incentivo alla progettazione interna agli uffici pubblici.
Così come anticipato con l'aggiornamento dello scorso 14.01.2009, il Governo ha posto la fiducia
sull’approvazione, senza emendamenti ed articoli aggiuntivi, dell’articolo unico, nel testo delle Commissioni, del disegno di legge (C 1972) di conversione del decreto-legge 29.11.2008, n. 185, recante misure urgenti per il sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e impresa e per ridisegnare in funzione anti-crisi il quadro strategico nazionale.
Ciò significa, tra l'altro, che
dal 1° gennaio 2009 l'incentivo alla progettazione interna agli uffici pubblici ritorna allo 0,5%.
Tuttavia, per una migliore cognizione dell'apparente incomprensibile ed altalenante volontà legislativa, può essere utile ricapitolare la vicenda in questi termini:
- l'art. 92, comma 5, del D.Lgs. n. 163/2006 (codice dei contratti pubblici) dispone l'ammontare dell'incentivo alla progettazione interna pari al 2%;
- l'art. 61, comma 8, del d.l. 25.06.2008 n. 112, convertito con modificazioni dalla legge 06.08.2008 n. 133, ha ridotto l'incentivo (con decorrenza 01.01.2009) nella misura dello 0,5% ad appannaggio dei progettisti dipendenti pubblici e la restante percentuale dell'1,5 ad appannaggio dello Stato in apposito capitolo in entrata del bilancio.
La motivazione di tale riduzione stava nel fatto di reperire fondi, altrimenti non disponibili, per finanziare i maggiori costi per la sicurezza e l'ordine pubblico sul territorio nazionale (es.: i militari dislocati in Campania che affiancano le forze dell'ordine);
- l'art. 1, comma 10-quater, della legge 22.12.208 n. 201, di conversione del d.l. 23.10.2008 n. 162, ha ripristinato l'incentivo alla progettazione pari al 2% (con decorrenza 01.01.2009).
In verità, il ripristino al 2% dell'incentivo non è stata una precisa volontà del legislatore (checché se ne dica -leggendo qua e là- in forza delle numerose pressioni e/o richieste di ripristino, giunte da più parti) ma, semplicemente, una svista in fase di conversione in legge del d.l. n. 162/2008 poiché, altrimenti, sarebbe venuta meno la copertura finanziaria per le maggiori operazioni di sicurezza e ordine pubblico come sopra ricordato;
- con
l’articolo unico, nel testo delle Commissioni, del disegno di legge (C 1972) di conversione del decreto-legge 29.11.2008 n. 185, approvato dalla Camera lo scorso 15.01.2009 ed ora all'esame del Senato (S 1315), il legislatore ha posto rimedio alla propria svista ripristinando l'originaria riduzione dell'incentivo cui cui al d.l. n. 112/2008. Le somme provenienti da tali riduzioni di spesa sono destinante siccome disposto dal comma 17 dell'art. 61 del d.l. n. 112/2008, convertito dalla legge n. 133/2008, e precisamente:
"17.
Le somme provenienti dalle riduzioni di spesa e le maggiori entrate di cui al presente articolo, con esclusione di quelle di cui ai commi 14 e 16, sono versate annualmente dagli enti e dalle amministrazioni dotati di autonomia finanziaria ad apposito capitolo dell’entrata del bilancio dello Stato. La disposizione di cui al primo periodo non si applica agli enti territoriali e agli enti, di competenza regionale o delle province autonome di Trento e di Bolzano, del Servizio sanitario nazionale. Le somme versate ai sensi del primo periodo sono riassegnate ad un apposito fondo di parte corrente. La dotazione finanziaria del fondo e' stabilita in 200 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2009; la predetta dotazione è incrementata con le somme riassegnate ai sensi del periodo precedente. Con decreto del Ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione di concerto con il Ministro dell’interno e con il Ministro dell’economia e delle finanze una quota del fondo di cui al terzo periodo può essere destinata alla tutela della sicurezza pubblica e del soccorso pubblico, inclusa l’assunzione di personale in deroga ai limiti stabiliti dalla legislazione vigente ai sensi e nei limiti di cui al comma 22; un’ulteriore quota può essere destinata al finanziamento della contrattazione integrativa delle amministrazioni indicate nell’articolo 67, comma 5, ovvero delle amministrazioni interessate dall’applicazione dell’articolo 67, comma 2. Le somme destinate alla tutela della sicurezza pubblica sono ripartite con decreto del Ministro dell’interno, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, tra le unità previsionali di base interessate. La quota del fondo eccedente la dotazione di 200 milioni di euro non destinate alle predette finalità entro il 31 dicembre di ogni anno costituisce economia di bilancio.".
Ciò detto, per quanto appreso da fonti parlamentari di maggioranza, il Ministro Tremonti (tessitore delle manovre economiche degli ultimi mesi) non ha ben compreso la portata negativa sul bilancio degli Enti Locali (e, complessivamente, sulla spesa pubblica) che tale riduzione dell'incentivo porterà con sé.
Invero, gli Enti Locali dovranno ripiegare sulla progettazione esterna con la lievitazione cospicua delle relative spese poiché i propri dipendenti non saranno più disponibili a progettare internamente (il più delle volte fuori orario di lavoro). E se la progettazione sarà data all'esterno ben poco si vedrà arrivare lo Sato della quota pari all'1,5% e, conseguentemente, verrà meno la necessaria copertura finanziaria per le maggiori operazioni di sicurezza e ordine pubblico. Ed allora, il Ministro Tremonti si vedrà costretto a reperire altri fondi cambiando la norma (di riduzione dell'incentivo) che il Senato sta per ripristinare in questi giorni.
MORALE: è questione di tempo, neanche troppo lungo. C'è già l'intenzione del legislatore (di maggioranza) di ritornare entro l'anno 2009 sui propri passi ripristinando il 2% ... non appena il Ministro dell'Economia e delle Finanze si accorgerà di aver clamorosamente sbagliato.

NEWS

LAVORI PUBBLICI: Un bando per il rinnovo degli edifici scolastici.
L'Inail (Istituto Nazionale per l'Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro) finanzia in via sperimentale, per il triennio 2007-2009, progetti che si prefiggono di migliorare le condizioni degli istituti scolastici sotto il profilo della normativa sulla sicurezza e l'igiene dei luoghi di lavoro, o di abbattere le barriere architettoniche.
Il bando è pubblicato in GU, serie speciale - contratti pubblici, del 29.12.2008. Le richieste di finanziamento dovranno essere presentate entro il 20.03.2009 alle Regioni o alle Province autonome di Trento e Bolzano, a seconda della competenza territoriale. Il finanziamento per l'anno 2008 é di 50.000.000 di euro. Le graduatorie del bando saranno utilizzate anche per l'erogazione della terza annualità del finanziamento fino alla concorrenza dei 20 milioni di euro previsti per l'anno 2009, ad esaurimento dell'importo complessivo per il triennio (2007/2009).
I fondi sono ripartiti tra le Regioni e le Province Autonome di Trento e Bolzano, sulla base di una media ponderata determinata a fronte del numero: - delle sedi scolastiche; - degli alunni e del personale scolastico; - delle situazioni di handicap; - degli infortuni scolastici riconosciuti dall'INAIL sul territorio interessato.
In sede di riparto è assegnata alle Regioni: Calabria, Campania, Puglia e Sicilia, un bonus pari al 10% dell'importo complessivo previsto per gli anni 2008/2009. Destinatari del finanziamento: gli Enti locali proprietari degli edifici scolastici pubblici, sede di istituti pubblici di istruzione secondaria di primo grado e superiore. Le domande possono riguardare gli edifici in cui coesistono, oltre alle classi dei suddetti istituti, anche classi di scuola materna e/o elementare nonché i convitti annessi agli edifici scolastici (link a www.governo.it).

QUESITI

EDILIZIA PRIVATARealizzazione tettoia su edificio residenziale.
Si chiede se sia necessario un titolo abilitativo edilizio e, in caso affermativo, quale, per la realizzazione di una tettoia sul terrazzo di un edificio residenziale (Regione Piemonte, parere n. 100/2008 - link a www.regione.piemonte.it).

EDILIZIA PRIVATA: "Particolare prescrizione" su rilascio licenza edilizia.
Viene posto, da parte di un Comune, quesito che attiene all’esistenza –accertata rinvenendo i relativi documenti nell’archivio comunale– di un atto unilaterale d’obbligo con il quale il titolare di una licenza edilizia si obbligava a realizzare opere di urbanizzazione primaria; nonché della licenza edilizia stessa, che richiamava –qualificandola come “particolare prescrizione”– l’obbligazione anzidetta. Ci si chiede quale sia l’odierna efficacia dell’atto d’obbligo predetto (Regione Piemonte, parere n. 99/2008 - link a www.regione.piemonte.it).

EDILIZIA PRIVATAMutamento destinazione d’uso su opere edilizie.
Viene chiesto parere relativo al mutamento della destinazione d’uso, con opere edilizie e per un volume eccedente i settecento metri cubi, di un immobile originariamente produttivo (industriale) ed ora destinato al commercio all’ingrosso. Il parere è richiesto con riguardo al tema dell’onerosità e a quello del reperimento degli standard (Regione Piemonte, parere n. 98/2008 - link a www.regione.piemonte.it).

EDILIZIA PRIVATA: Procedibilità pratica di condono edilizio.
Viene chiesto parere in ordine alla corretta applicazione della legislazione in materia di condono edilizio, e –più specificatamente– in ordine agli effetti, sulla procedibilità della pratica di condono, dell’errore di soggetto a cui è stato effettuato il pagamento del primo rateo di oblazione (Regione Piemonte, parere n. 91/2008 - link a www.regione.piemonte.it).

URBANISTICAMonetizzazione delle cosiddette "cessioni gratuite".
La questione posta dal quesito riguarda il tema della “monetizzazione” delle cosiddette “cessioni gratuite” in materia urbanistica, vale a dire della possibilità –conferita all’operatore che edifica– di pagare al Comune una somma di denaro sostitutiva della cessione gratuita delle aree per “standard” dovuta in virtù della vigente legislazione e del piano regolatore generale (Regione Piemonte, parere n. 83/2008 - link a www.regione.piemonte.it).

EDILIZIA PRIVATAConvenzione per realizzazione strade da parte di privati.
Il sindaco del Comune XXX pone un quesito che interessa molte amministrazioni locali: strade realizzate da privati, in ambito di convenzione edilizia, gravate da uso pubblico. I proprietari del sedime stradale chiedono al Comune di farsi carico della manutenzione ordinaria e straordinaria, nonché di assumersi la responsabilità per eventuali danni a terzi (Regione Piemonte, parere n. 79/2008 - link a www.regione.piemonte.it).

EDILIZIA PRIVATAProblematiche su istanza di costruzione in zona agricola.
Viene posto un quesito in ordine all’esenzione dal contributo di costruzione prevista dall’art. 17, c. II, lett. a) del D.P.R. 380/2001, recante Testo Unico dell’edilizia.
Il caso concreto è il seguente.
Una società semplice, avente quale oggetto sociale l’attività agricola, ha presentato istanza di permesso di costruire volta alla realizzazione di strutture rurali, oltre che di tre abitazioni. La società è composta di tre soci, dei quali uno solo ha la qualifica di imprenditore agricolo professionale.
Il Comune territorialmente competente chiede di conoscere se tutte tre le residenze potranno beneficiare dell’esonero dal contributo concessorio di cui al citato art. 17, c. II, lett. a) D.P.R. 380/2001, a mente del quale il contributo di costruzione non è dovuto “per gli interventi da realizzare nelle zone agricole, ivi comprese le residenze, in funzione della conduzione del fondo e delle esigenze dell’imprenditore agricolo a titolo principale” (Regione Piemonte, parere n. 70/2008 - link a www.regione.piemonte.it).

EDILIZIA PRIVATAOpere abusive – sanzione amministrativa.
Il Comune XXX pone in primo luogo un quesito in ordine alla possibilità di rateizzazione della sanzione pecuniaria amministrativa di cui agli artt. 167 e 181 D.Lgs. 42/2004, vale a dire della sanzione amministrativa che consegue all’accertamento della compatibilità paesaggistica di opere realizzate abusivamente in zona soggetta a vincolo paesaggistico (Regione Piemonte, parere n. 62/2008 - link a www.regione.piemonte.it).

EDILIZIA PRIVATAApplicabilità disciplina condono edilizio.
Il Comune XXX pone un quesito in merito ad una fattispecie concreta, relativa all’applicabilità della disciplina sul condono edilizio di cui al Decreto Legge n. 269/2003, convertito nella Legge n. 326/2003, ad un intervento realizzato, in assenza di titolo abilitativo, in area “sottoposta a vincolo paesistico-ambientale e classificata in area geologica, ai sensi della Circ. Pres. Giunta reg. 08/05/1996 n. 7 LAP, in classe III” (Regione Piemonte, parere n. 57/2008 - link a www.regione.piemonte.it).

EDILIZIA PRIVATAInterventi di recupero rustici.
Il Comune XXX pone un quesito in ordine al contributo di onerosità per gli interventi di recupero funzionale dei rustici a scopo residenziale, di cui alla legge regionale 29.04.2003, n. 9.
Il Comune stesso ha trasmesso gli atti del significativo caso concreto che ha suscitato la proposizione della richiesta di parere. Tali atti hanno costituito oggetto dell’intervenuta disamina, in esito alla quale, può essere riferito quanto segue (Regione Piemonte, parere n. 54/2008 - link a www.regione.piemonte.it).

LAVORI PUBBLICIConvenzionamento realizzazione opere pubbliche.
Il Sindaco del Comune XXX riferisce che il suo Comune ha ricevuto un contributo statale per realizzare opere di difesa spondale.
In sede di conferenza di servizi è stato richiesto di coinvolgere un Comune confinante, per estendere le opere di difesa anche in un modesto tratto di quel territorio.
Il Comune confinante interpellato, ha dichiarato la non disponibilità di risorse finanziarie per l’esecuzione delle opere di sua competenza.
Il Ministero erogatore del contributo si è dichiarato disponibile a consentire l’utilizzo del ribasso d’asta, registrato a seguito di pubblico concorso di progettazione, per fronteggiare le opere connesse all’intervento sul territorio del Comune confinante.
Chiede il sindaco se sia possibile utilizzare l’istituto della convenzione per realizzare congiuntamente l’opera e come il Comune confinante possa restituire “l’acconto” ricevuto.
La seconda parte del quesito, in verità, è di difficile comprensione, perché dovrebbe trattarsi di intervento assistito da contributo statale in conto capitale. Se così fosse nessun acconto dovrebbe essere restituito, non trattandosi di anticipazione. Se si trattasse di contributo in conto interessi, sarebbe necessario, invece, contrarre mutuo e, neanche in questo caso, il quantum ricevuto dovrebbe essere oggetto di restituzione (Regione Piemonte, parere n. 53/2008 - link a www.regione.piemonte.it).

EDILIZIA PRIVATAAccertamento mutamento destinazione d’uso da “residenziale” a “direzionale”.
Con richiesta in data 22.02.2008 il Comune XXX pone il seguente quesito: “Accertato un mutamento di destinazione d’uso da “residenziale” a “direzionale” (in assenza di opere edilizie) su unità immobiliare con volume non superiore a 700 mc., in contrasto con il Piano Regolatore, si chiede quali provvedimenti ripristinatori debbano essere eseguiti ed in forza di quale disposizione di legge e quali provvedimenti sanzionatori si debbano assumere in caso di mancato ripristino della destinazione d’uso” (Regione Piemonte, parere n. 45/2008 - link a www.regione.piemonte.it).

URBANISTICAProrogabilità P.E.C. (Piano Esecutivo Convenzionato).
Il Comune XXX chiede al Servizio Regionale di consulenza agli Enti locali di esprimere parere in ordine alla “prorogabilità” o meno di un piano esecutivo convenzionato (P.E.C.) approvato con deliberazione del Consiglio comunale nel luglio 1997, piano la cui convenzione è stata sottoscritta nel dicembre dello stesso anno.
Per l’esatta configurazione della situazione di fatto nella quale versa il caso proposto, che solleva temi interessanti, occorre aggiungere quanto segue:
= nel giugno dell’anno 2000, il Consiglio comunale ha approvato una variante al PEC in questione, variante enunciata –sotto il profilo procedimentale e documentale– in una serie di ventitre atti (elaborati grafici, relazioni, norme di attuazione, computi, elenchi), serie che riproduce esattamente –nella sua composizione– quella dei paralleli atti che componevano l’originario PEC e che erano stati approvati dal Consiglio comunale nel luglio 1997; la deliberazione consiliare del giugno 2000 approva dunque (così espressamente si esprime) la serie predetta di atti, la quale d’altro canto “costituisce” la variante al PEC;
= di questa ha fatto parte anche una nuova convenzione, sottoscritta dalle parti l’11 luglio 2000;
= la convenzione medesima ha, inevitabilmente, disciplinato il PEC come variato; ma ha anche fissato nuovi termini temporali (articolo 12 dell’atto) per l’esecuzione degli interventi;
= nel dicembre 2007, pochi giorni prima della scadenza del decennio decorrente dalla data di stipula della convenzione del PEC originario, i lottizzanti hanno chiesto al Comune di dilazionare il termine di efficacia del piano, al fine di completarne le opere;
= circa la metà del volume residenziale previsto dal s.u.e. in questione non è ancor stata, infatti, realizzata; del tutto privo di realizzazione è il previsto comparto terziariocommerciale;
= sono state realizzate e collaudate alcune opere di urbanizzazione, mentre altre non hanno ancora avuto esecuzione.
In presenza di tale situazione, il Comune chiede ora se sia legittimo semplicemente prorogare i termini di ultimazione del PEC, così come richiedono i lottizzanti, o se si debba invece ripianificare l’ambito –per quanto non è stato realizzato– attraverso ad un nuovo piano esecutivo convenzionato (Regione Piemonte, parere n. 41/2008 - link a www.regione.piemonte.it).

URBANISTICAProblematiche realizzazione Piano Particolareggiato.
Il Comune XXX chiede un chiarimento in merito al contenuto che deve presentare un Piano Particolareggiato di esecuzione del Piano Regolatore Generale urbanistico. In particolare, vuole conoscere se in esso sia legittimo individuare planimetricamente la dislocazione delle varie tipologie edilizie realizzabili, tra cui anche l’impiantistica sportiva costituita, nello specifico, da campi di calcetto (Regione Piemonte, parere n. 28/2008 - link a www.regione.piemonte.it).

EDILIZIA PRIVATAOpere di urbanizzazione in ambito zona produttivo-commerciale.
Il Comune XXX pone un quesito in merito ad una fattispecie concreta, relativa alla realizzazione di opere di urbanizzazione nell’ambito di una zona produttivo-commerciale.
Segnala, infatti, il Comune di aver stipulato, in data X.X.X, una “convenzione urbanistica per l’urbanizzazione di una zona produttivo-commerciale” e che “all’interno della convenzione era prevista la realizzazione di una rete per adduzione gas metano all’interno dell’area di PEC (importo E. XXX)”.
Rileva il Comune che, in data X.X.X, i proponenti il P.E.C. richiedevano al Comune “la possibilità di non realizzare la sopra citata rete per adduzione gas metano, giustificandolo con l’elevata richiesta economica dell’Italgas per il collegamento dell’area in questione con la rete del metano esistente (distante circa 2 chilometri)”.
Richiede ora il Comune, dopo aver specificato che “l’eventuale esecuzione dei lavori della rete del gas metano risulterebbe inutile senza il successivo collegamento alla rete esistente (collegamento non previsto nella convenzione)”, se “sia legittimo, con deliberazione di Consiglio Comunale, accettare tale proposta, eventualmente richiedendo altri lavori connessi all’area di riferimento di importo complessivo inferiore a quello stabilito per la realizzazione della rete del gas” (Regione Piemonte, parere n. 26/2008 - link a www.regione.piemonte.it).

EDILIZIA PRIVATACompetenza rilascio provvedimento autorizzativo.
Il Comune XXX pone un quesito in ordine alla procedura prevista dalla normativa in tema di S.U.A.P. (Sportello Unico per le Attività Produttive). Segnala, infatti, il Comune di aver ricevuto dallo S.U.A.P. dell’ente XXX, a cui è associato, la pratica edilizia relativa ad un intervento di realizzazione di un complesso produttivo per attività di frantumazione e selezione inerti (Regione Piemonte, parere n. 25/2008 - link a www.regione.piemonte.it).

EDILIZIA PRIVATAUtilizzazione strade private.
Il Comune XXX ha richiesto parere in ordine all’applicazione delle disposizioni recate dal Regolamento edilizio e dal Piano regolatore generale vigenti nel Comune in tema di “strade private” (Regione Piemonte, parere n. 24/2008 - link a www.regione.piemonte.it).

EDILIZIA PRIVATADemolizione opere abusive.
Il Comune XXX chiede un chiarimento in merito alla procedura da esperire in seguito alla mancata esecuzione di un ordine di demolizione e ripristino dello stato dei luoghi da parte del responsabile dell’abuso edilizio.
Più precisamente, i termini della vicenda sono i seguenti:
= sul tetto di un edificio sito nel centro storico è stato realizzato, in assenza di titolo abilitativo edilizio, un torrino campanario in muratura imbiancata di modeste dimensioni;
= il Comune, in virtù dei poteri di controllo sull’attività edilizia riconosciuti dall’art. 27 del DPR 380/2001, ha notificato al proprietario (nonché responsabile dell’abuso) ordinanza di demolizione e di ripristino dello stato dei luoghi;
= il privato, successivamente alla notifica del provvedimento amministrativo, ha
proposto domanda volta ad ottenere l’accertamento di conformità ex art. 36 DPR 380/2001;
= detta istanza è stata respinta per la mancanza di alcuni dei concorrenti requisiti cui è subordinato il rilascio della cd. “sanatoria a regime”; il provvedimento di rigetto non è stato impugnato ed è ora inoppugnabile.
L’accertamento dell’abuso e la verifica della non sanabilità dello stesso rendono necessario proseguire nella procedura repressiva prevista per casi simili a quello in esame. In specifico, viene richiesto allo scrivente Servizio di chiarire l’esatto iter procedurale conseguente alla notifica dell’ordinanza di demolizione rimasta ineseguita (Regione Piemonte, parere n. 23/2008 - link a www.regione.piemonte.it).

EDILIZIA PRIVATAProblematiche relative a strada a servizio urbanistico residenziale.
 Il Comune XXX ha posto un quesito relativo ad una strada a servizio di un ambito urbanistico residenziale di completamento (“R2a” nel P.R.G. vigente nel Comune), relativamente alla quale si manifestano difficoltà a realizzare la qualificazione della strada stessa –con riguardo ad alcune parti della medesima– come via pubblica a tutti gli effetti, con formalizzazione anche della condizione di proprietà del sedime (Regione Piemonte, parere n. 20/2008 - link a www.regione.piemonte.it).

EDILIZIA PRIVATAPossibilità zona agricola per utilizzazione attività di aeromodellismo.
Il Comune XXX chiede un chiarimento in merito alla possibilità di assentire in zona agricola interventi funzionali all’utilizzazione di un’area per l’attività di aeromodellismo (Regione Piemonte, parere n. 16/2008 - link a www.regione.piemonte.it).

EDILIZIA PRIVATARealizzazione strada di cantiere.
Il Comune XXX ha posto un quesito relativo ad un intervento (realizzazione di una strada) che interessa un’area su cui grava il vincolo paesaggistico (Regione Piemonte, parere n. 14/2008 - link a www.regione.piemonte.it).

EDILIZIA PRIVATAIntervento manutenzione straordinaria edificio esistente.
Il Comune XXX pone problema relativo all’applicazione dell’art. 125 del Testo Unico dell’edilizia (D.P.R. 380/2001) in un intervento di manutenzione straordinaria di edificio unifamiliare esistente.
L’intervento attiene ad impianti ed elementi che riguardano la produzione di energia:
= sostituzione della caldaia;
= installazione di pannelli solari sul tetto;
= sostituzione della canna fumaria.
Il Comune si interroga quindi in ordine alla vigenza, o meno, dell’obbligo di allegare alla d.i.a. riguardante i lavori predetti la relazione tecnica di cui al dianzi indicato art. 125 T.U. Edil., in un caso nel quale la d.i.a. non aveva altro contenuto che quello sovra descritto, non essendo previsti altri lavori interessanti il fabbricato (Regione Piemonte, parere n. 7/2008 - link a www.regione.piemonte.it).

EDILIZIA PRIVATA: Autorizzazione per esercizio attività alberghiera.
Il Comune XXX pone un quesito in materia di rilascio di autorizzazione di pubblico esercizio per intrattenimenti.
Segnala il Comune di aver rilasciato ad una società, titolare di autorizzazione per l’esercizio di attività alberghiera, il titolo abilitativo per l’esecuzione degli interventi di ampliamento della relativa struttura alberghiera: la volumetria derivante da tale ampliamento non veniva computata, come previsto dal Regolamento Edilizio vigente, trattandosi di costruzione pertinenziale e destinata funzionalmente all’attività turistica principale.
Con riguardo ai locali oggetto dell’ampliamento edilizio, pertinenziali all’esercizio ricettivo, in data X.X.X. la società in questione presentava istanza volta ad ottenere “l’autorizzazione per l’esercizio di una discoteca, nei locali terrazza AB presso la struttura alberghiera sita in questo Comune in via…”.
In data X.X.X. il Comune rilasciava l’autorizzazione temporanea per lo svolgimento di intrattenimenti musicali e danzanti all’interno della sala pertinenziale della struttura alberghiera, autorizzando, altresì, la somministrazione di bevande ed alimenti; nell’ambito di tale autorizzazione, il Comune specificava che “i fruitori degli intrattenimenti musicali e danzanti sono i soggetti indicati nell’art. 9, comma 1, della L. n. 135/2001, individuabili quindi nelle persone alloggiate e, ricorrendone i presupposti, i loro ospiti e coloro che sono ospitati nella struttura ricettiva in occasione di manifestazioni e convegni organizzati”.
L’autorizzazione in oggetto aveva scadenza al X.X.X. In data X.X.X. la medesima società presentava presso il Comune XXX nuova istanza volta ad ottenere il rilascio dell’autorizzazione per l’esercizio di intrattenimenti pubblici temporanei nei medesimi locali di cui sopra.
Il Comune, in ossequio al disposto di cui all’art. 9 della L. 135/2001, considerava non ammissibile il rilascio di “un’autorizzazione temporanea volta a consentire l’esercizio di attività di “pubblico intrattenimento e svago” perché tale attività è rivolta per definizione al “pubblico e, quindi, ad una pluralità indifferenziata di avventori, circostanza che determinerebbe la modifica della destinazione d’uso della pertinenza alberghiera in struttura commerciale in contrasto con il permesso edilizio relativo a tale pertinenza”; pertanto, l’istanza in oggetto non veniva accolta dal Comune XXX.
Il Comune, nelle premesse al proprio quesito, segnala, tuttavia, che “nei locali di che trattasi venne però rilasciata nel dicembre 2004 un’autorizzazione di esercizio pubblico per la somministrazione di bevande ed alimenti”, chiedendo un parere in merito alla “linea da seguire” nella presente vicenda (Regione Piemonte, parere n. 3/2008 - link a www.regione.piemonte.it).

EDILIZIA PRIVATAApplicazione oneri di urbanizzazione.
Con richiesta in data 14.01.2008, il Comune XXX pone un quesito in merito ad una fattispecie concreta, relativa all’applicazione degli oneri di urbanizzazione.
Segnala, infatti, il Comune che una ditta svolgente l’attività di “autonoleggio con conducente per il trasporto di persone”, aveva presentato presso gli Uffici Comunali un’istanza di condono edilizio avente ad oggetto il mutamento della destinazione d’uso, con opere edilizie, di un capannone agricolo in fabbricato adibito al deposito degli automezzi –pulmini e pullman appartenenti alla ditta in questione- con uffici e strutture accessorie all’attività svolta dalla predetta ditta.
In fase istruttoria, il Comune aveva richiesto alcune integrazioni alla pratica di condono edilizio presentata e aveva, altresì, comunicato che “gli oneri di urbanizzazione da corrispondere sarebbero stati determinati considerando l’attività in questione di tipo commerciale”.
Il titolare della ditta in oggetto, tuttavia, ha successivamente contestato al Comune l’applicazione degli oneri relativi all’attività commerciale, sostenendo che l’attività svolta nel caso concreto rientra a pieno titolo tra le attività artigianali, come definite dalla Legge n. 443/1985, e che la ditta risulta iscritta all’Albo Artigiano.
Il Comune XXX chiede, dunque, se l’attività svolta dalla ditta in oggetto possa effettivamente essere considerata artigiana o non debba, piuttosto, essere ritenuta attività commerciale, con applicazione dei relativi oneri di urbanizzazione (Regione Piemonte, parere n. 2/2008 - link a www.regione.piemonte.it).

EDILIZIA PRIVATATrasferimento di volumetria.
Il problema posto, problema che codesto Comune denomina “trasferimento di volumetria”, non attiene -per la verità- a tale tema, fortemente presente nella realtà odierna, poiché con l’espressione predetta si intende invece la questione relativa alla legalità e alla legittimità di contratti e di atti in virtù dei quali –in presenza di un PRG che lo prevede o comunque lo ammette– interviene la cessione della sola capacità edificatoria di un terreno (capacità edificatoria destinata ad essere utilizzata su di un altro fondo) restando immutata la proprietà del terreno stesso, ovviamente in concreto divenuto inedificabile per avvenuta “consumazione della sua capacità di sfruttamento edilizio” (così si esprime Cons. Stato, sez. 4^, 04.05.2006, n. 2488) (Regione Piemonte, parere n. 1/2008 - link a www.regione.piemonte.it).

GURI - GUUE - BURL (e anteprima)

AMBIENTE-ECOLOGIA: G.U. 17.01.2009 n. 13 "Norme sul divieto di utilizzo e di detenzione di esche o di bocconi avvelenati" (Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali, ordinanza 18.12.2008).

EDILIZIA PRIVATA: B.U.R. Lombardia, 2° suppl straord. al n. 2 del 15.01.2009, "Determinazioni in merito alle disposizioni per l'efficienza energetica in edilizia e per la certificazione energetica degli edifici" (deliberazione G.R. 22.12.2008 n. 8745 - link a www.infopoint.it).

CORTE DEI CONTI

INCARICHI PROFESSIONALI: Per gli incarichi esterni la gara è la regola.
Affidamenti diretti solo in casi di urgenza - Procedura comparativa per valutare i curricula dei candidati - Obbligo di prevedere una procedura comparativa per l'attribuzione di incarichi esterni - Necessità di argomentare chiaramente l'accertamento della mancanza di professionalità interne - Esclusione dei servizi tecnici professionali di ingegneria e architettura.

1. L’incarico deve rispondere ai compiti istituzionali dell’Ente o alla programmazione approvata dal Consiglio ai sensi dell’articolo 42, comma 2, lettera b), del testo unico di cui al decreto legislativo 18.08.2000 n. 267, oltre che ad una reale ed indifferibile necessità dell’amministrazione.
2. All’interno della propria organizzazione, l’amministrazione deve riscontrare in concreto (cioè con riferimento a precisi parametri quali il numero e la qualificazione professionale dl personale incardinato nel servizio istituzionalmente deputato a quella attività) la carenza, sia sotto l’aspetto qualitativo che quantitativo, della figura professionale idonea allo svolgimento dell’incarico.
3. Criterio generale è che l’incarico a soggetti esterni all’amministrazione deve essere conferito ad “esperti di particolare e comprovata specializzazione, anche universitaria” (articolo 7, comma 6, del decreto legislativo 30.03.2001 n. 165, così come novellato da ultimo dall’articolo 46, comma 1, del D.L. 25.06.2008 n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 06.08.2008, n. 133).
Tale espressione va interpretata nel senso che “…la specializzazione universitaria deve costituire un imprescindibile elemento di valutazione del livello di professionalità e della particolare specializzazione dell’incaricato…” (Sezione di controllo della Corte dei conti per il Piemonte - parere n. 27 del 14.10.2008), talché potrà prescindersi dalla “comprovata specializzazione universitaria” solo per ipotesi tassative e, cioè, per attività che devono essere svolte da “professionisti iscritti in ordini o albi o con soggetti che operino nel campo dell’arte, dello spettacolo o dei mestieri artigianali, ferma restando la necessità di accertare la maturata esperienza nel settore” (cfr. comma 1, secondo periodo, del citato art. 46 del D.L. 25.06.2008 n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 06.08.2008, n.133).
4. E’ necessario prevedere, come criterio generale di assegnazione degli incarichi esterni, una procedura comparativa per la valutazione dei curricula con criteri predeterminati, certi e trasparenti, in applicazione dei principi di buon andamento ed imparzialità dell’amministrazione sanciti dall’articolo 97 della Costituzione.
Pertanto, l’assegnazione diretta deve rappresentare una eccezione, da motivarsi di volta in volta nella singola determinazione di incarico con riferimento all’ ipotesi in concreto realizzatasi, e può considerarsi legittima solo ove ricorra il requisito della “particolare urgenza” connessa alla realizzazione dell’attività discendente dall’incarico, ovvero quando l’amministrazione dimostri di avere necessità di prestazioni professionali tali da non consentire forme di comparazione con riguardo alla natura dell’incarico, all’oggetto della prestazione ovvero alle abilità/conoscenze/qualificazioni dell’incaricato.
Né può legittimare l’esclusione della procedura comparativa il riferimento a leggi speciali regolanti settori diversi dell’azione amministrativa, quali, ad esempio, i servizi in economia o i lavori pubblici.
A titolo esemplificativo deve conseguentemente rilevarsi che presentano aspetti di non conformità alla ratio legis previsioni regolamentari che:
a- escludano la procedura comparativa con riferimento ad un compenso “non superiore a…..”;
b- per legittimare l’esclusione delle procedure di selezione facciano riferimento a generiche “circostanze speciali ed eccezionali”;
c- consentano l’affidamento diretto nel caso in cui la “procedura comparativa sia andata deserta o la selezione dei candidati sia stata infruttuosa”, senza precisare che in tali ipotesi le condizioni previste dall’avviso di selezione non possono essere sostanzialmente modificate dall’amministrazione.
5. La prestazione fornita all’amministrazione deve essere “altamente qualificata”, espressione da intendersi in senso oggettivo quale contenuto della prestazione, che non può essere generica o coincidere con la normale competenza posseduta dai titolari degli organi burocratici.
6. Deve essere verificata la straordinarietà ed eccezionalità delle esigenze da soddisfare, dovendosi, al contrario, escludere la legittimità degli incarichi per soddisfare esigenze ordinarie.
7. L’incarico non può essere generico o indeterminato, ma deve contenere, invece, l’individuazione specifica dei contenuti e dei parametri utili per l’esecuzione dell’incarico. A tal proposito opportuna appare la previsione di una norma regolamentare ad hoc, che preveda l’obbligo, per il responsabile del servizio competente, di formalizzare l’incarico conferito mediante la stipulazione di un disciplinare, inteso come atto contrattuale, in cui siano specificati gli obblighi per il soggetto incaricato ed in particolare:
a- la tipologia, il luogo e l’oggetto della prestazione;
b- la durata dell’incarico, che deve avere carattere temporaneo e predeterminato sin dal provvedimento di conferimento, dovendosi considerare la proroga come evento del tutto eccezionale;
c- le modalità di determinazione del corrispettivo, quantificato secondo criteri di mercato o tariffe e comunque proporzionato alla tipologia, alla qualità ed alla quantità della prestazione richiesta, in modo da perseguire, comunque, il massimo risparmio e la maggiore utilità per l’Ente;
d- le modalità di pagamento, che deve essere, comunque, condizionato all’effettiva realizzazione dell’oggetto dell’incarico;
e- la previsione di ipotesi di recesso e/o di risoluzione e/o di clausole ritenute necessarie per il raggiungimento del risultato atteso dall’Ente, con la previsione regolamentare, per il responsabile del servizio competente, di un potere di verifica dell’esecuzione e del buon esito dell’incarico. Conseguentemente, ove i risultati della prestazione non risultino conformi a quanto richiesto dall’amministrazione nel disciplinare d’incarico o siano del tutto insoddisfacenti, appare congruo prevedere la fissazione di un termine per l’integrazione del risultato, o la possibilità per l’amministrazione di risolvere il contratto per inadempimento, ovvero di ridurre proporzionalmente il corrispettivo, ove il risultato parziale risulti di utilità per l’Ente;
f- le modalità di esecuzione e di adempimento della prestazione.
8. Si precisa inoltre che, come più sopra rilevato, l’art. 3, comma 54, della legge 24.12.2007, n. 244, modificando l’articolo 1, comma 127, della legge 662/1996, ha previsto l’obbligo di pubblicazione sul sito web dell’Ente per i provvedimenti di affidamento di incarico con indicazione dei soggetti percettori, della ragione dell’incarico e dell’ammontare del compenso.
A tal proposito appare opportuno, nel riportare in sede regolamentare il citato disposto normativo, individuare sia il funzionario responsabile del procedimento, sia il tempo massimo per procedere alla pubblicazione.
9. Si ritiene, altresì, che i suindicati principi regolamentari possano costituire linee guida per la definizione dei criteri e delle modalità per l’affidamento degli incarichi da parte di società che gestiscono servizi pubblici locali a totale partecipazione pubblica e/o da parte di società a totale partecipazione pubblica o di controllo, ai sensi dell’articolo 18, commi 1 e 2, del D.L. 25.06.2008 n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 06.08.2008, n. 133.
10. La Sezione richiama, inoltre, l’attenzione degli Enti sulla centralità ed importanza della motivazione di ciascun provvedimento di incarico a soggetti esterni all’amministrazione.
In tale sede deve essere esplicitato in modo chiaro ed argomentato (e non con motivazioni generiche e/o stereotipate) l’accertamento compiuto dall’Ente circa la reale mancanza di professionalità interne in grado di adempiere all’incarico conferito, nonché l’iter logico-procedimentale che ha portato l’amministrazione all’individuazione del soggetto incaricato ed ogni altro elemento sopra indicato.
Appare infine inappropriato l’inserimento, riscontrato in alcuni regolamenti pervenuti, di disposizioni volte a disciplinare il conferimento di servizi tecnici professionali di ingegneria ed architettura in quanto, tale tipologia di incarichi, rientrante nella materia dei lavori pubblici, trova regolamentazione nella normativa di cui al D.Lgs. 12.06.2006, n. 163 e successive modificazioni (
Corte dei Conti, Sez. regionale di controllo Emilia Romagna, deliberazioni 18.12.2008 nn. 105 - 106 - 107 - 108 - 109 - 110 - 111 - 112 - 113 - link a www.corteconti.it).

DOTTRINA E CONTRIBUTI

AMBIENTE-ECOLOGIA: S. Maglia e M. A. Labarile, La disciplina giuridica di pile e accumulatori (link a www.lexambiente.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: A. Pierobon, ANCORA SULLA CLASSIFICAZIONE DEI RIFIUTI: I RIFIUTI CIMITERIALI PROVENIENTI DA ESUMAZIONI ED ESTUMULAZIONI (link a www.lexambiente.it).

APPALTI SERVIZI: C. Tessarolo, Appalti, concessione di servizi e art. 23-bis (link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI SERVIZI: G. Nicoletti, Distribuzione del gas: si possono indire le gare? (link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

AUTORITA' CONTRATTI PUBBLICI

LAVORI PUBBLICI: Linee guida sulla finanza di progetto dopo l'entrata in vigore del c.d. "terzo correttivo" (D.Lgs. 11.09.2008, n. 152):
1) "linee guida per l'affidamento delle concessioni di lavori pubblici mediante le procedure previste dall'articolo 153 del Codice";
2) "linee guida per la redazione dello studio di fattibilità" (determinazione 14.01.2009 n. 1 - link a massimario.avlp.it).

GIURISPRUDENZA

EDILIZIA PRIVATA: Sequestro fabbricato abusivo e facoltà d’uso.
Se con il sequestro preventivo dell’immobile abusivo si vuole evitare l'aggravamento del carico urbanistico, non si può poi consentire, sia pure per ragioni umanitarie, l'utilizzazione del bene, giacché siffatta utilizzazione neutralizza quella posta a base del sequestro.
In tali circostanze o si evita l'utilizzazione dell'immobile per non aggravare il carico urbanistico o, se si ritiene necessario imporre il vincolo, si deve giustificare il sequestro in base ad altre esigenze cautelari, attuali e concrete, diverse dall'aggravamento del carico urbanistico (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 13.01.2009 n. 825 - link a www.lexambiente.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Rifiuti. Carta da macero.
La carta da macero che presenta in modo evidente una rilevante quantità di impurità, superiori alla misura dell'1% prescritto dalla normativa vigente in materia ossia il D.M. 05/02/1998, Allegato 1 - n. 1, costituisce non materia prima secondaria ex art. 181, comma 12, D.Lv. 152/2006 bensì rifiuto (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 12.01.2009 n. 617 - link a www.lexambiente.it).

APPALTI: Sull'illegittimità di una lex specialis che, pur richiamando il criterio di aggiudicazione dell'offerta economicamente più vantaggiosa, nulla preveda in ordine alle modalità di concreta attribuzione dei sub criteri e sub punteggi.
Nelle gare pubbliche indette con il metodo dell'offerta economicamente più vantaggiosa la necessità di stabilire ulteriori sub-criteri, sub-pesi o sub-punteggi deve essere valutata di volta in volta in relazione all'analiticità dei criteri principali, all'idoneità di questi ad assicurare il rispetto del principio di trasparenza e ai poteri integrativi riconosciuti alla Commissione giudicatrice. A detta Commissione è quindi inibito integrare i criteri di valutazione dell'offerta tecnica (individuando sub criteri e sub punteggi, che devono invece essere indicati nel capitolato d'oneri); l'importanza relativa delle sottovoci deve, infatti, essere rese nota ai potenziali concorrenti già al momento della produzione delle loro offerte, alfine di evitare il pericolo che la Commissione possa orientare a proprio piacimento ed a posteriori l'attribuzione di tale determinante punteggio e, quindi, all'esito della gara dopo averne conosciuto gli effettivi concorrenti. La violazione di detta regola innovativa posta dall'art. 83 del Codice dei contratti (D.Lgs. n. 163 del 2006) può infatti astrattamente contrastare con il principio della par condicio, nella misura in cui altera gli elementi di valutazione in relazione ai quali tutti i concorrenti hanno potuto predisporre la propria offerta tecnica.
A tanto consegue l'illegittimità di una lex specialis che, pur richiamando il criterio di aggiudicazione dell'offerta economicamente più vantaggiosa, nulla preveda in ordine alle modalità di concreta attribuzione dei sub criteri e sub punteggi, nell'ipotesi che la loro fissazione sia necessaria o prevista dalla normativa di gara (TAR Lazio-Roma, Sez. III-quater, sentenza 09.01.2009 n. 82 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

EDILIZIA PRIVATA: Interventi precari (veranda, esclusione).
Una veranda realizzata mediante la chiusura di una preesistente tettoia con pannelli scorrevoli costituisce intervento di nuova costruzione in quanto opera stabile e duratura nel tempo, mediante la quale si realizza un ampliamento significativo della superficie utile del preesistente fabbricato e trattandosi di opera non finalizzata ad esigenze temporanee, ma proiettata a perdurare nel tempo.
L'agevole amovibilità dell'opera attiene alla struttura della stessa, non alla funzione ed alla durata dell'opera medesima, destinata nella sua oggettività materiale a durare nel tempo senza soluzione di continuità e ciò a prescindere dalle motivazioni soggettive espresse nella relativa comunicazione al Comune (ossia opera destinata a proteggere il terrazzino dalle intemperie nel periodo di tempo non buono) (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 29.12.2008 n. 48227 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: Acquisizione immobile abusivo per omessa demolizione.
Ai sensi della legge 28.02.1985, n. 47, art. 7 , comma 3, e del t.u. sull'edilizia approvato con d.P.R. 06.06.2001, n. 380, dell'art. 31, comma 3, l'ingiustificata inottemperanza all'ordine di demolizione di costruzione abusiva, emesso dall'autorità comunale, comporta l'automatica acquisizione dell'immobile al patrimonio del Comune, in favore del quale deve quindi essere disposta la restituzione, qualora l'immobile stesso venga dissequestrato.
Questo orientamento -non senza qualche dissenso- si è affermato come maggioritario e prevalente. In particolare va ribadito che la acquisizione al patrimonio comunale del manufatto e dell'area di sedime conseguente all'inottemperanza all'ordine di demolizione delle opere abusive impartito al contravventore dallo stesso ente comunale si verifica "ope legis" alla inutile scadenza del termine di giorni novanta fissato per detta ottemperanza, senza che possa avere rilievo l'ulteriore adempimento della notifica all'interessato dell'accertamento formale dell'inottemperanza, unicamente idoneo a consentire all'ente l'immissione in possesso e la trascrizione nei registri immobiliari del titolo dell'acquisizione.
Il trasferimento al patrimonio comunale della proprietà dell'immobile abusivo, automaticamente conseguente alla scadenza del termine di novanta giorni fissato per l'ottemperanza all'ordinanza sindacale di demolizione, non costituisce impedimento giuridico a che il privato responsabile esegua l'ordine di demolizione impartitogli dal giudice con la sentenza di condanna, salvo che l'autorità comunale abbia dichiarato l'esistenza di interessi pubblici prevalenti rispetto a quello del ripristino dell'assetto urbanistico violato.
La conseguenza è che il manufatto abusivo dissequestrato dopo che il responsabile non abbia ottemperato all'ingiunzione comunale di demolizione dello stesso, va restituito non già al privato responsabile, quand'anche egli sia ancora in possesso del bene, bensì allo stesso ente comunale, ormai divenutone proprietario a tutti gli effetti a seguito dell'inutile decorso del termine di legge di cui all'art. 31 del D.Lgs. n. 380 del 2001 (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 23.12.2008 n. 48031 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: Responsabilità esecutore opere di rifinitura.
Il carattere proprio del reato previsto dall'art. 44 d.P.R. 06.06.2001, n. 380 non impedisce che altri soggetti possano essere ritenuti responsabili del reato nella ipotesi che abbiano avuto un ruolo attivo nella loro consumazione; con la precisazione che tale conclusione può operare anche per il semplice muratore o operaio, per il quale ben può sussistere un profilo di colpa collegato alla mancata conoscenza del carattere abusivo delle opere.
Non può essere condiviso il principio secondo il quale solo coloro che hanno collaborato alla edificazione delle opere principali potrebbero rispondere del reato edilizio, restando prive di rilievo le condotte di coloro che danno corso alle successive attività di completamento.
E' indubbio, infatti, che un edificio assume le connotazioni residenziali e di abitabilità allorché viene dotato di tutte le strutture essenziali perché diventi fruibile, come ad esempio la pavimentazione, l'intonacatura delle mura, gli infissi. Ne consegue che anche coloro che hanno dato corso ai lavori di completamento dell'immobile possono rispondere del reato contestato allorché sussistano i requisiti anche soggettivi della fattispecie legale (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 23.12.2008 n. 48025 - link a www.lexambiente.it).

ATTI AMMINISTRATIVIIl silenzio-rifiuto formatosi sull'istanza di accesso agli atti, non impugnato nel termine di 30 gg., non consente di reiterare l'istanza di accesso.
Vale, al riguardo, l’indirizzo giurisprudenziale seguito dall’Adunanza plenaria n. 6/2006, secondo cui: “I commi 4 e 5 art. 25 l. 07.08.1990 n. 241 -i quali, rispettivamente, fissano il termine di 30 giorni (decorrente dalla conoscenza del provvedimento di diniego o dalla formazione del silenzio significativo) per la proposizione dei ricorsi in materia di accesso agli atti della p.a. e qualificano in termini di diniego il silenzio serbato sull'accesso- prevedono un termine all'esercizio dell'azione da ritenere necessariamente posto a pena di decadenza; la mancata impugnazione del diniego nel termine non consente pertanto la reiterabilità dell'istanza e la conseguente impugnazione del successivo diniego laddove a questo debba riconoscersi carattere meramente confermativo del primo. Deve, dunque, ritenersi inammissibile un ricorso avverso il diniego opposto ad una domanda di accesso agli atti, ove il diniego stesso sia meramente confermativo di un precedente diniego non impugnato nei termini (Consiglio Stato, Ad. plen., 18.04.2006, n. 6)".
Il principio affermato nella richiamata pronuncia trova applicazione anche nella fattispecie, nella quale -anziché di diniego non impugnato seguito da successivo diniego meramente confermativo- trattasi di silenzio diniego non impugnato formatosi in relazione a tutte le istanze di accesso formulate dal ricorrente nel periodo dal 24.04.2006 al 30.01.2008, seguito da successivo silenzio diniego meramente confermativo di quelli già maturati, stante la mera reiterazione delle stesse istanze di accesso già oggetto dei dinieghi rimasti inoppugnati (TAR Toscana, Sez. I, sentenza 23.12.2008 n. 4327 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Rifiuti. Discarica abusiva.
Integra il concetto normativo di discarica non autorizzata di rifiuti non pericolosi (nella specie costituiti da materiali eterogenei, detriti edili; beni durevoli obsoleti; vecchie apparecchiature elettroniche fuori uso; materiali combusti anche ferrosi frammisti a pezzi di legno; rifiuti domestici; tubi in PVC usati nell'edilizia; rifiuti d'imballaggio di cartone e plastica; rifiuti di catrame provenienti da demolizioni stradali) la collocazione degli stessi in una buca estesa circa 100 mq. e profonda in alcuni punti anche 6 metri, accumulati nell'area di pertinenza di una società (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 22.12.2008 n. 47446 - link a www.lexambiente.it).

ENTI LOCALIPer le pubbliche amministrazioni, che intendano effettuare assunzioni di personale, sussiste l'obbligo di avviare le procedure di trasferimento mediante mobilità da altre amministrazioni, prima di indire il concorso pubblico.
Secondo l’art. 30 del decreto legislativo 30.03.2001, n. 165 (come modificato dall’art. 5, comma 1-quater, del decreto legge 31.01.2005, n. 7, convertito nella legge 31.03.2005, n. 43): «1. Le amministrazioni possono ricoprire posti vacanti in organico mediante cessione del contratto di lavoro di dipendenti appartenenti alla stessa qualifica in servizio presso altre amministrazioni, che facciano domanda di trasferimento. (…). 2. (…) In ogni caso sono nulli gli accordi, gli atti o le clausole dei contratti collettivi volti ad eludere l'applicazione del principio del previo esperimento di mobilità rispetto al reclutamento di nuovo personale. 2-bis. Le amministrazioni, prima di procedere all'espletamento di procedure concorsuali, finalizzate alla copertura di posti vacanti in organico, devono attivare le procedure di mobilità di cui al comma 1 (…)».
Pertanto, dalle disposizioni sopra richiamate discende l’obbligo per le pubbliche amministrazioni, che intendano effettuare assunzioni di personale, di avviare le procedure di trasferimento mediante mobilità da altre amministrazioni, prima di indire il concorso pubblico (TAR Sardegna, Sez. I, sentenza 22.12.2008 n. 2204 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Opere in totale difformità.
L'art. 7, primo comma, della legge n. 47/1985 (ora art. 31, comma 1, d.P.R. 06/06/2001 n. 380) definisce le "opere eseguite in totale difformità dalla concessione" (la cui realizzazione concretizza il reato previsto dal successivo art. 20, lettera b), includendovi quelle che comportano "l'esecuzione di volumi edilizi oltre i limiti indicati nel progetto e tali da costituire un organismo edilizio o parte di esso con specifica rilevanza ed autonomamente utilizzabile".
Sulla base di tale definizione si ha totale difformità quando si costruisce qualcosa di nuovo rispetto al provvedimento amministrativo e che ha una sua autonomia e funzionalità tale da potere essere considerato a sé stante.
La definizione non si pone in contrasto con l'orientamento già affermato secondo cui si ha totale difformità quando sono stati realizzati lavori nuovi o aggiuntivi rispetto a quelli per cui fu data la concessione, rispetto ai quali, se considerati autonomamente, sarebbe stata necessaria la concessione edilizia (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 19.12.2008 n. 47108 - link a www.lexambiente.it).

VARI: Eccesso di velocità, multa, Telelaser, avvistabilità degli operatori, necessità.
Nel caso di accertamento dell’eccesso di velocità tramite apparecchiatura Telelaser (LTI 20.20), gli agenti devono essere visibili dall’autista, soprattutto se l’infrazione avviene di notte; diversamente la multa così irrogata va annullata (Tribunale Modena, sentenza 25.11.2008 - link a www.altalex.com).

EDILIZIA PRIVATA: Condono ambientale. Esclusione applicabilità anche al vincolo archeologico.
In tema di tutela penale del paesaggio, l'accertamento di compatibilità paesaggistica (art. 181, comma 1-ter, D.Lgs. 22.01.2004, n. 42) ai fini del condono ambientale è applicabile al solo vincolo paesaggistico e non anche a quello archeologico (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 23.10.2008 n. 39824 - link a www.lexambiente.it).

APPALTIIn caso di partecipazione a gara d’appalto la sottoscrizione a margine non equivale a quella in calce, il che comporta l'esclusione dalla gara.
La giurisprudenza, lungi dall’attestarsi in materia su una posizione di rigido formalismo, è incline a ritenere che, al di là delle modalità concretamente utilizzate, ciò che conta è il raggiungimento dello scopo presidiato dalla sanzione di esclusione, sicché se questo comunque si realizza l’esclusione si traduce in una misura priva di significato.
Correttamente, dunque, la sentenza (del TAR adito) ha indagato per verificare se in presenza di una dichiarazione sottoscritta a margine di ogni suo foglio si potesse dire che il concorrente, anche in mancanza di una formale sottoscrizione, aveva comunque reso la sottoscrizione imposta dal bando e dalla disciplina di riferimento.
L’errore della sentenza (del TAR) non risiede, quindi, nell’approccio metodologico alla questione ma nella sua concreta soluzione. Ad avviso del Collegio, infatti, l’errore sta nell’aver considerato equipollente ad una sottoscrizione in calce una sottoscrizione a margine di tutti i fogli. In un tale caso, invero, non si può escludere che manchi la consapevolezza dell’impegno in capo all’autore della sottoscrizione e non si può neppure escludere che le sottoscrizioni seriali siano state apposte su fogli in bianco prima della loro compilazione.
Tanto basta all’accoglimento dell’appello giacché se è vero, come detto, che per condurre all’esclusione il mancato adempimento alle clausole di gara deve realmente sussistere (o, il che è lo stesso, non deve risultare surrogato da altri adempimenti), è anche certo che, per poter impedire l’esclusione, l’equipollenza dell’adempimento reso rispetto a quello omesso deve risultare in maniera oggettiva e univoca e, quindi, non suscettibile di opposte interpretazioni (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 08.10.2008 n. 4959 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Beni Ambientali. Sanzioni.
In tema di reati paesaggistici, le modifiche apportate all'art. 181 D.Lgs. 22.01.2004, n. 42 dall'art. 3 del D.Lgs. 26.03.2008, n. 63 (recante "Ulteriori disposizioni integrative e correttive del D.Lgs. 22.01.2004, n. 42, in relazione al paesaggio"), confermano che l'unica sanzione penale applicabile in caso di lavori di qualsiasi genere su beni paesaggistici, eseguiti in assenza d'autorizzazione o in difformità da essa è quella prevista dall'art. 44, lett. c), d.P.R. 06.06.2001, n. 380 (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 19.09.2008 n. 35903 - link a www.lexambiente.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Rifiuti. Confisca mezzo di trasporto (art. 260 D.Lv. 152-2006).
In tema di gestione dei rifiuti, la confisca dei mezzi di trasporto è obbligatoria, sia nelle ipotesi di trasporto illecito di rifiuti, di trasporto di rifiuti senza formulario o con formulario con dati incompleti od inesatti ovvero con uso di certificato falso durante il trasporto, sia per il reato d'attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti (art. 260, D.Lgs. 03.04.2006, n. 152) ove sia stato commesso mediante l'impiego di mezzi di trasporto (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 19.09.2008 n. 35879 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: Struttura tubolare in ferro.
In tema di reati edilizi, è soggetta al rilascio del permesso di costruire e, in difetto, integra la violazione dell'art. 44, lett. b), d.P.R. 06.06.2001, n. 380, la realizzazione di una struttura tubolare in ferro, in quanto si tratta di un intervento edilizio non assentibile in base a semplice D.I.A. perché modificativo della sagoma dell'edificio preesistente (fattispecie in materia di sequestro preventivo nella quale la Corte ha, peraltro, precisato che a nulla rileva la circostanza della mancanza d'aumento volumetrico) (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 19.09.2008 n. 35878 - link a www.lexambiente.it).

URBANISTICA: Lottizzazione abusiva negoziale o cartolare.
In tema di reati edilizi, ai fini della configurabilità del reato di lottizzazione abusiva negoziale o cartolare, l'elencazione degli elementi indiziari di cui all'art. 30, comma primo, d.P.R. 06.06.2001, n. 380 non è tassativa né tali elementi devono sussistere contemporaneamente, in quanto è sufficiente per l'integrazione del reato anche la presenza di uno solo di essi, purché risulti inequivocamente la destinazione a scopo edificatorio del terreno (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 08.07.2008 n. 27739 - link a www.lexambiente.it).

AGGIORNAMENTO AL 14.01.2009

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UTILITA'

PUBBLICO IMPIEGO: L'incentivo alla progettazione, interna agli Uffici Tecnici della pubblica amministrazione, ritorna allo 0,5% con decorrenza 01.01.2009.
Il Ministro per i rapporti con il Parlamento Elio Vito ha posto, a nome del Governo, la fiducia sull’approvazione, senza emendamenti ed articoli aggiuntivi, dell’articolo unico, nel testo delle Commissioni, del disegno di legge (C1972) di conversione del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, recante misure urgenti per il sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e impresa e per ridisegnare in funzione anti-crisi il quadro strategico nazionale. La fiducia sarà votata nella giornata di mercoledì 14.01.2009 a partire dalle ore 15,15.
Il nuovo testo licenziato dalle Commissioni prevede l'aggiunta del comma 4-sexies all'art. 18 e, precisamente:
4-sexies. All'articolo 61 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, dopo il comma 7 è inserito il seguente:
«7-bis. A decorrere dal 1° gennaio 2009, la percentuale prevista dall'articolo 92, comma 5, del codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, e successive modificazioni, è destinata nella misura dello 0,5 per cento alle finalità di cui alla medesima disposizione e, nella misura dell'1,5 per cento, è versata ad apposito capitolo dell'entrata del bilancio dello Stato per essere destinata al fondo di cui al comma 17 del presente articolo».

dossier D.I.A.

EDILIZIA PRIVATA: Il terzo che si opponga ai lavori edilizi intrapresi tramite D.I.A. è legittimato a proporre ricorso direttamente avverso il titolo formatosi a seguito della stessa.
Il Collegio ritiene preferibile, in presenza di una serie di differenziate ricostruzioni dell’istituto della d.i.a., il più recente insegnamento espresso al riguardo dal Consiglio di Stato (cfr. Cons. St. Sez VI, 05.04.2007 n. 1550, Sez. IV 29.07.2008 n. 3742, v. ora anche Sez. IV 25.11.2008 n. 5811) con il quale è stato rilevato che “il terzo che si oppone ai lavori edilizi intrapresi tramite d.i.a., non deve chiedere al Comune di porre in essere i provvedimenti sanzionatori previsti in genere per gli abusi edilizi, facendo ricorso, in caso di inerzia, alla procedura del silenzio-rifiuto; né deve agire innanzi al giudice per chiedere l’adempimento delle prestazioni che la p.a. avrebbe omesso di svolgere, ovvero chiedere l’annullamento della determinazione formatasi in forma tacita, o comunque contestare la realizzabilità dell’intervento. Né, ancora, il terzo è tenuto, entro il termine di decadenza, ad instaurare un giudizio di cognizione, tendente ad ottenere l’accertamento della insussistenza dei requisiti e dei presupposti previsti dalla legge, per la legittima intrapresa dei lavori a seguito di d.i.a.. Il terzo, invece, è legittimato a proporre ricorso direttamente avverso il titolo abilitativo formatosi a seguito di d.i.a., il cui possesso è essenziale, non potendo da esso prescindersi, non trattandosi di ipotesi di attività edilizia liberalizzata.".
Si è quindi in presenza, decorsi i 30 giorni (art. 23 commi 1 e 6, del D.P.R. n. 380 del 2001), di una autorizzazione implicita di natura provvedimentale, che può essere contestata dal terzo entro l’ordinario termine di decadenza di sessanta giorni, decorrenti dalla comunicazione al terzo del perfezionamento della d.i.a., o dall’avvenuta conoscenza del consenso (implicito) all’intervento oggetto di d.i.a..
Il ricorso avverso il titolo abilitativo formatosi a seguito di d.i.a. ha ad oggetto, quindi, non il mancato esercizio dei poteri sanzionatori o di autotutela dell’amministrazione, ma direttamente l’assentibilità, o meno, dell’intervento edilizio
(TAR Lombardia-Brescia, sentenza 10.01.2009 n. 15 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

dossier SCOMPUTO OO.UU.

EDILIZIA PRIVATA: Non è possibile l’eventuale compensazione globale e indifferenziata fra oneri primari e secondari (parere richiesto dal Sindaco del Comune di Varese (Va) “ai fini della corretta gestione dei rapporti economici con i privati proponenti la realizzazione di interventi edilizi ove è prevista l’esecuzione di opere di urbanizzazione a scomputo dei relativi oneri, se “risulti legittimo sotto il profilo contabile, il riconoscimento di uno scomputo globale ed indifferenziato, indipendentemente dalla ascrivibilità delle opere realizzate alla categoria delle opere di urbanizzazione primaria o secondaria, sino a concorrenza degli oneri di urbanizzazione complessivamente dovuti, siano essi a loro volta ascrivibili a contributo per opere di urbanizzazione primaria o secondaria".
Il maggior valore realizzato in una delle due categorie di opere di urbanizzazione (1^ o 2^ che sia) può essere compensato con il minor valore delle opere realizzate nell’altra?
L’individuazione delle categorie di opere di urbanizzazione primaria e secondaria è effettuata nei commi 7, 7-bis, 8 dell’art. 16 del DPR 380/2001 e risponde ad inderogabili esigenze di tutela del territorio.
Trattandosi di categorie non omogenee di opere pubbliche da realizzare a vantaggio della collettività che subisce la trasformazione urbana derivante dall’intervento edilizio, non è ammessa alcuna forma di compensazione fra gli oneri dovuti per le diverse fattispecie, poiché la ratio delle norme urbanistiche deve essere rinvenuta nel preminente interesse pubblico a che l’amministrazione comunale usufruisca di ogni opera di urbanizzazione, in ragione della diversa ma ugualmente imprescindibile funzione, che le opere primarie e secondarie assolvono per il corretto assetto del territorio.
La soluzione prospettata al quesito trova fondamento nella diversa funzione assolta dalle opere di urbanizzazione primaria e secondaria: le une, rendono effettivamente edificabile l’area su cui sorgerà l’intervento edilizio, dotandola dei manufatti e dei servizi indispensabili per l’agibilità e la fruibilità di un fabbricato secondo la propria destinazione d’uso; le altre, concernono la comunità urbanizzata nel suo complesso per arricchirla di strutture e servizi che servono a scopi generali (asili, parchi, biblioteche, impianti sportivi etc.) e non attengono in modo specifico all’intervento edilizio, bensì alla generalità degli abitanti di un dato comprensorio.
Dalla diversità di funzione ne deriva l’infungibilità fra le due categorie di opere, tant’è che la classificazione nell’ambito di ciascuna delle categorie è stata compiuta dal legislatore senza possibilità di deroga per l’interprete.
Sotto un profilo sistematico, il divieto di compensazione globale e indifferenziata fra le opere di urbanizzazione primaria e secondaria realizzate dal promotore dell’intervento edilizio è il logico corollario alla predetta infungibilità.
Entrambi gli interventi di urbanizzazione sono strumenti necessari in sede di rilascio del permesso di costruire ed in fase di stipula della convenzione urbanistica, la quale dovrà contenere la descrizione analitica e le caratteristiche tecnico-costruttive delle opere da realizzare a scomputo degli oneri. In tale momento l’amministrazione comunale individua le opere da costruire, al fine di razionalizzare l’intervento di trasformazione urbana in un’ottica di imprescindibile tutela e valorizzazione del territorio.
Il titolare del permesso di costruire, aderendo alla convenzione di lottizzazione ed optando per la diretta realizzazione delle opere a scomputo dei contributi dovuti all’amministrazione comunale, agisce comunque nel proprio interesse, mirando ad una ricaduta economica positiva concernente i tempi di costruzione e di vendita dei lotti edificabili.
Ponendo la questione in questi termini, si deve evidenziare che la legge regionale della Lombardia n.12/2005 sancisce il principio che il promotore dell’intervento edilizio deve realizzare le opere di urbanizzazione primaria nella loro interezza ed una quota parte di quelle di urbanizzazione secondaria, nonché salvaguarda in ogni caso il diritto potestativo del comune di richiedere il pagamento integrale degli oneri previsti dal piano attuativo, anziché la realizzazione diretta delle strutture.
Non sembra superfluo rimarcare che anche la già citata legislazione nazionale ha avuto cura di stabilire in modo cogente il contenuto minimo delle convenzioni urbanistiche nelle quali devono essere analiticamente definite le specifiche tecniche di ogni opera concordata, senza possibilità di deroga alcuna.
La modifica degli accordi sulla natura e sulle caratteristiche tecniche delle opere di urbanizzazione da eseguire a cura del titolare del permesso di costruire può avvenire esclusivamente a seguito di una rivisitazione formale degli accordi e, dunque, mediante una modifica della convenzione urbanistica, in linea con gli imprescindibili parametri normativi di riferimento.
Appare possibile, infine, che la singola amministrazione comunale, nell’esercizio della propria autonomia normativa, possa emanare una norma specifica, contenuta in un apposito regolamento edilizio, che vieti ogni forma di compensazione tra gli oneri di urbanizzazione primaria e quelli di urbanizzazione secondaria.
In conclusione, rilevando che la legislazione di settore, sia essa di fonte nazionale o regionale, impone che siano esattamente e distintamente determinati gli importi degli oneri di urbanizzazione a scomputo, nonché le caratteristiche tecnico-costruttive delle opere primarie e secondarie da realizzare, si ritiene preclusa, per le motivazioni che precedono, l’eventuale compensazione globale e indifferenziata fra oneri primari e secondari
(Corte dei Conti, Sez. regionale di controllo Lombardia, parere 15.09.2008 n. 66 - link a www.corteconti.it).

dossier VINCOLO PAESAGGISTICO ED ESAME IMPATTO PAESISTICO

EDILIZIA PRIVATA L'autorizzazione paesistica dev'essere congruamente motivata, esponendo le ragioni di effettiva compatibilità degli abusi realizzati con gli specifici valori paesistici dei luoghi, con la conseguenza che il difetto di motivazione dell'autorizzazione giustifica per ciò solo il suo annullamento in sede di controllo.
La carenza di motivazione è stato ritenuto dalla giurisprudenza come particolarmente grave e di per sé sufficiente a giustificare l’annullamento del nulla osta comunale: in considerazione della tendenziale irreversibiltà dell'alterazione dello stato dei luoghi, un’adeguata gestione dei vincoli paesistici impone che l'autorizzazione paesistica sia congruamente motivata, esponendo le ragioni di effettiva compatibilità degli abusi realizzati con gli specifici valori paesistici dei luoghi, con la conseguenza che il difetto di motivazione dell'autorizzazione giustifica per ciò solo il suo annullamento in sede di controllo (Cons. st., Sez. V n. 4552/2005; Sez. VI, 08.08.2000, n. 4345; Sez. VI, 09.04.1998, n. 460; Sez. IV, 04.12.1998, n. 1734; Sez. VI, 09.04.1998, n. 460; Sez. VI, 20.06.1997, n. 952; Sez. VI, 30.12.1995, n. 1415; Sez. VI, 12.05.1994, n. 771).
In caso di vincolo successivo alla realizzazione dell'intervento abusivo, ai fini della sua sanabilità è necessario il parere dell'autorità preposta alla gestione del vincolo.
Come chiarito da consolidato orientamento giurisprudenziale, condiviso dalla Sezione, anche in caso di vincolo successivo alla realizzazione dell’intervento abusivo, ai fini della sanabilità di questo è comunque necessario il parere dell’Autorità preposta alla gestione del vincolo, in quanto la compatibilità dell’opera con il contesto ambientale deve essere valutata con riferimento al momento in cui deve essere esaminata la domanda di sanatoria (Cons. Stato Sez. V 22/12/1994 n. 1574; Cons. Stato A.P. 22/07/1999 n. 20; Cons. Stato Sez. VI 22/08/2003 n. 4765; ecc.).
Tale giurisprudenza ha poi precisato che, nel caso di vincolo assoluto di inedificabilità, il vincolo non può considerarsi del tutto inesistente per il solo fatto che sia sopravvenuto all’edificazione (e ritenere quindi che l’abuso sia sanabile solo perché l’art. 33, comma 1, della L. 47/1985 si riferisce ai vincoli di inedificabilità assoluta imposti prima dell’esecuzione delle opere): in questi casi deve essere applicato lo stesso regime indicato nella previsione generale di cui all’art. 32, comma 1, della L. 47/1985, che subordina il rilascio della concessione in sanatoria per opere sottoposte a vincolo, al parere favorevole dell’autorità preposta alla sua tutela (cfr. Cons. Stato A.P. n. 20/1999). Sicché, in tali circostanze, il vincolo da assoluto diviene relativo, ed è necessario il rilascio del parere di conformità.
Occorre però rilevare che, secondo la giurisprudenza, nel compiere il giudizio di compatibilità, l’Amministrazione non può non tener conto delle prescrizioni recate dal vincolo stesso, così come accade nel caso di vincolo relativo sopravvenuto (Cons. Stato Sez. V 07/10/2003 n. 5918), con l’effetto, quindi, di poter ritenere non sanabile il manufatto quando contrasti con le prescrizioni recate dal provvedimento di vincolo
(TAR Lazio-Roma, Sez. II-quater, sentenza 08.01.2009 n. 56 - link a www.giustizia-amministrartiva.it).

GIURISPRUDENZA

EDILIZIA PRIVATA: In caso di concessione edilizia richiesta da un comproprietario l’amministrazione comunale non è tenuta a svolgere particolari indagini sulla situazione dominicale allegata dal richiedente, se non nel caso in cui risultino manifesti dissensi od opposizioni provenienti da altri comproprietari.
In caso di concessione edilizia richiesta da un comproprietario, per giurisprudenza costante, l’amministrazione non è tenuta a svolgere particolari indagini sulla situazione dominicale allegata dal richiedente, se non nel caso in cui risultino manifesti dissensi od opposizioni provenienti da altri comproprietari: “Se normalmente l'amministrazione non è tenuta a svolgere indagini particolari in presenza della richiesta edificatoria prodotta da un comproprietario, al contrario, qualora uno o più comproprietari si attivino per denunciare il proprio dissenso rispetto al rilascio del titolo edificatorio, il comune deve verificare se, dietro l'istanza di concessione, sia riconoscibile l'effettiva sussistenza della disponibilità del bene oggetto dell'intervento edificatorio” (TAR Campania - Salerno, Sez. II, 05.10.2007, n. 2080). Si è al riguardo anche precisato che “il singolo condomino è legittimato a presentare in proprio una d.i.a. (o comunque a richiedere il rilascio di un titolo edilizio), non essendo necessaria la contestuale sottoscrizione della richiesta da parte degli altri comproprietari” (TAR Lombardia - Milano, Sez. II, 08.03.2007, n. 381).
Recentemente anche altro TAR ha sottolineato la sufficienza della comproprietà ai fini di integrazione del possesso del requisito del titolo a richiedere il permesso di costruire: “La comproprietà proindivisa consolida ancor più il principio che ai fini del rilascio della concessione edilizia onera l'Amministrazione del solo accertamento del titolo astrattamente idoneo da parte del richiedente alla disponibilità dell'area oggetto dell'intervento edilizio” (TAR Liguria, Sez. I, 11.12.2007, n. 2048).
L'amministrazione ha il potere e il dovere di verificare l'esistenza in capo al richiedente di un idoneo titolo di godimento sull'immobile solo “qualora vi sia un conclamato dissidio in ordine alla legittimità delle opere edilizie interessanti porzioni condominiali comuni, di pretendere la produzione della dichiarazione di assenso dell'amministrazione condominiale all'esecuzione delle opere previste in sanatoria” (Consiglio Stato, Sez. V, 21.10.2003, n. 6529; in tal senso anche, Consiglio di Stato, Sez. V, 20.09.2001, n. 4972)
(TAR Piemonte, Sez. II, sentenza 30.10.2008 n. 2721 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: L’Amministrazione comunale non è obbligata ad approvare i piani di lottizzazione che siano conformi alle previsioni urbanistiche e che non incorrano in divieti normativi.
L’assunto si basa sul presupposto che l’Amministrazione comunale è obbligata ad approvare i piani di lottizzazione, che siano conformi alle previsioni urbanistiche e non incorrano in divieti normativi, così come predisposti dal soggetto interessato.
Tale prospettazione non è condivisibile, in quanto non tiene conto del fatto che viene in considerazione uno strumento di programmazione urbanistica, attraverso il quale si compiono scelte di assetto del territorio, caratterizzate da amplissima discrezionalità.
Il ricorso al modello negoziale (convenzione di lottizzazione) non pone il soggetto pubblico sullo stesso piano del soggetto privato, soprattutto per quanto riguarda la fase antecedente alla sua approvazione, la quale non costituisce espressione di un obbligo, ma di una scelta politica (TAR Sicilia-Palermo, Sez. II, sentenza 24.10.2008 n. 1298 - link a www.giustizia-amministratriva.it).

LAVORI PUBBLICI: Il progetto definitivo non è suscettibile di modificazione in sede di progetto esecutivo in quelle parti che determinano il concreto assetto del territorio.
E’ stato affermato che il progetto definitivo “contenendo la dichiarazione di p.u., indifferibilità ed urgenza, imprime al bene privato (previa, si ricordi, la necessaria comunicazione dell’avvio del relativo procedimento nei confronti del proprietario dell’area interessata) quella particolare qualità, che lo rende assoggettabile alla procedura espropriativa (v. Cons. St., sez. IV, 06.06.2001, n. 3033 e 13.12.2001, n. 6238);  …la veduta, specifica, clausola legislativa (di cui all’art. 14, comma 13 della legge 11.02.1994, n. 109) –prosegue la motivazione- che disciplina l’approvazione del progetto definitivo conferendole gli effetti propri di quanto già previsto dall’art. 1 della legge 03.01.1978, n. 1, implica che l’assetto del territorio debba ritenersi definitivamente conformato alla stregua di quanto previsto nello stesso progetto (cosicché nessuna variazione di tale assetto può poi conseguire dalla successiva approvazione del progetto esecutivo: v. Cons. St., sez. V, 08.10.2002, n. 5301)”.
La decisione, in altri termini, e condivisibilmente, ha affermato che il progetto definitivo non è suscettibile di modificazione in sede di progetto esecutivo in quelle parti che determinano il concreto assetto del territorio: (salve, naturalmente, le eventuali, successive, puntualizzazioni dell’òpera, cui è specificamente finalizzato il progetto esecutivo medesimo. E ciò, in particolare, -è stato asserito- per quanto concerne la concreta definizione delle opere da realizzare e delle aree all’uopo necessarie; sì che nella fase successiva non saranno poi introducibili mutamenti della localizzazione dell’opera, tali da incidere sulle posizioni degli interessati in maniera diversa da quanto non abbia già previsto il progetto definitivo (v. Tribunale sup.re acque, 04.03.2002, n. 27).
In adesione alle richiamate proposizioni è possibile affermare che in sede di progetto esecutivo è precluso introdurre quelle modificazioni al progetto definitivo che mutino il tipo di opera dallo stesso approvata, o incidano su soggetti diversi da quelli già contemplati o aggravino il pregiudizio imposto ai privati coinvolti nei loro beni dall’opera pubblica; ciò vuol dire che il progetto definitivo non è un documento cristallizzato ed assolutamente immodificabile, ben potendo sopportare tutte quelle variazioni che incrementino l’efficienza dell’opera o ne riducano i costi in termini di sacrificio di valori giuridici protetti dall’ordinamento.
La giurisprudenza ha infatti riconosciuto che “è consuetudine che, in sede autorizzativa, l’Amministrazione detti alcune prescrizioni da porre in essere in fase esecutiva, senza che per questo il progetto perda le sue caratteristiche di progetto definitivo.
Realizzare un’opera pubblica di particolare complessità …necessita inevitabilmente di ottimizzazioni che non possono che interessare la fase esecutiva e che, in sede di autorizzazione, non possono che essere contemplate per mezzo di prescrizioni la cui effettiva esecuzione potrà essere garantita, come nel caso di specie, per mezzo del collaudo e del monitoraggio “(Cons. St., Sez. IV, 03.05.2005 n. 2136)
” (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 17.10.2008 n. 5093 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Sul ricalcolo, eventuale, del contributo di costruzione se i lavori edili non sono terminati nel termine concesso e sulla restituzione del contributo di costruzione versato e non dovuto.
Il superamento dei termini per l’inizio e l’ultimazione dei lavori (e la conseguenziale decadenza del titolo edilizio precedentemente rilasciato) non impone sempre e comunque il rimborso del contributo rilasciato, ma è possibile il rilascio di un nuovo titolo edificatorio che venga ad integrare una sostanziale continuazione dell’attività di realizzazione già realizzata e che deve essere accompagnato dal ricalcolo del contributo di costruzione dovuto, solo ove se ne prospetti la necessità e, quindi, in presenza di particolari circostanze di fatto e giuridiche (modifica dell’importo del contributo) che rendano necessario procedere ad una nuova quantificazione di quanto dovuto a titolo di oneri concessori.
L'obbligo di restituzione, da parte di un comune, dei contributi di concessione non dovuti comporta il sorgere dell'obbligazione accessoria avente ad oggetto la corresponsione degli interessi legali sulle somme indebitamente percepite a partire, presumendosi la buona fede del percettore, dalla data di richiesta della restituzione, ma non anche della rivalutazione monetaria, essendo quest'ultima riconducibile alla diversa ipotesi di inadempimento di un'obbligazione pecuniaria (TAR Campania Salerno, sez. II, 05.04.2006, n. 432; TAR Lombardia Milano, sez. II, 05.05.2004, n. 1620) (TAR Puglia-Lecce, Sez. III, sentenza 20.12.2007 n. 4300 - link a www.giutizia-amministrativa.it).

COMPETENZE PROFESSIONALILa competenza professionale di un geometra non può estendersi alla predisposizione ed alla vigilanza su quelle attività che implicano l’utilizzo di vari principi della fisica, e si configurano come funzionalmente autonomi rispetto alle opere tipicamente murarie.
Con il primo articolato motivo di impugnazione i ricorrenti muovono dalla normativa che abilita il geometra ad operare nella progettazione, direzione e vigilanza di modeste costruzioni civili (art. 16, lett. m del rd 11.02.1929, n. 274), per inferire che la legislazione successiva, che ha previsto le modalità con cui possono essere realizzati gli impianti di riscaldamento, non ha derogato alle generale previsione del regolamento citato. La tesi sostenuta è in sostanza che un geometra è abilitato ad occuparsi dell’installazione di un impianto di riscaldamento, allorché si tratti di una modesta costruzione civile, posto che il bene di che si tratta costituisce una mera pertinenza dell’immobile. In tale contesto la disciplina che il legislatore ha introdotto in anni recenti avrebbe solo specificato quali sono le caratteristiche che devono assumere gli strumenti che devono apportare delle temperature sopportabili per l’uomo, ma non ha fatto rientrare nella competenza degli ingegneri o dei periti industriali la possibilità di progettare ed installare tali impianti. Gli architetti non hanno proposto un’autonoma censura, che riguarda la posizione di pertinenza.
Il tribunale non può condividere questa argomentazione.
La giurisprudenza, che si condivide, ha infatti ritenuto (TAR Liguria, 02.02.2005, n. 137, TAR Piemonte, 2004, n. 261; TAR Lazio, Roma, sez. III-ter 2003, n. 1698) impossibile la prospettata interpretazione estensiva della nozione di edilizia, nel sistema di ripartizione delle competenze professionali derivante dal rd 23.10.1925, n. 2537; si devono pertanto espungere dal settore di competenza i lavori, le opere od in genere le attività che comportano le applicazioni della fisica, come previste dall’art. 54, comma 4, del citato regio decreto. In particolare la realizzazione di immobili per l’abitazione od il lavoro dell’uomo non può essere concettualmente ristretta come derivante da un’unica attività, posto che determinati ritrovati devono rispondere ai requisiti di maggior tutela degli utilizzatori degli edifici, che sono perseguiti dalle norme applicate dall’impugnato diniego del comune di Genova.
E’ per ciò che l’art. 4 della legge 05.03.1990, n. 46 ha imposto la redazione di un’autonoma relazione tecnica per l’installazione degli strumenti elettrici, degli impianti di terra, di quelli che utilizzano il gas, degli ascensori …, ed ha con ciò scorporato concettualmente queste attività da quelle volte alla mera realizzazione della costruzione. Va perciò ritenuto che la competenza professionale di un geometra non può estendersi alla predisposizione ed alla vigilanza su quelle attività che implicano l’utilizzo di vari principi della fisica, e si configurano come funzionalmente autonomi rispetto alle opere tipicamente murarie (TAR Liguria, sentenza 02.03.2006 n. 166 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AGGIORNAMENTO AL 12.01.2009

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dossier D.I.A.

EDILIZIA PRIVATA: E' allo scadere dei 30 gg. che le opere edilizie, della d.i.a. presentata, devono risultare conformi sia alla strumentazione urbanistica vigente che a quella adottata.
- la Sezione ha già statuito, in riferimento alla D.I.A., che “Poiché la legge inibisce all'interessato l’avvio dell’attività edilizia fino a quando non spiri infruttuosamente il termine concesso all'amministrazione per disporre definitivamente il divieto della stessa senza violare alcun legittimo affidamento nel frattempo maturato, è al momento di scadenza di tale termine che le opere devono risultare conformi sia alla strumentazione urbanistica vigente che a quella adottata” (Sentenza Sezione 02/04/2004 n. 380);
- la pronuncia ha aggiunto che “Qualora non sussista tale presupposto l'amministrazione deve intervenire, analogamente a quanto avviene nel procedimento volto al rilascio del permesso di costruire, per l'applicazione delle misure di salvaguardia”;
- malgrado la sentenza richiamata riguardi l'applicazione delle misure di salvaguardia, essa appare esprimere un principio valido per la fattispecie in esame, dovendosi assumere la disciplina vigente al compimento del trentesimo giorno come riferimento per la legittimazione dell'intervento oggetto della D.I.A.
(TAR Lombardia-Brescia, ordinanza sospensiva 28.06.2005 n. 822 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIn caso di presentazione della d.i.a., è al 30° giorno successivo che le opere devono risultare conformi sia alla strumentazione urbanistica vigente che a quella adottata.
Fra i vari requisiti richiesti affinché la D.I.A. possa produrre i propri effetti legittimanti è prevista la conformità delle opere da realizzare con gli strumenti urbanistici adottati o approvati (art. 4, comma 11, del D.L. n. 398 del 1993).
Al fine di verificare la sussistenza di tutti presupposti legittimanti è prescritto che la denuncia venga presentata prima dell’inizio dei lavori.
In sostanza l'ordinamento non consente all'interessato l'immediato inizio dell'attività edilizia, ma prevede un breve termine entro cui l'amministrazione possa intervenire per inibire definitivamente l'attività in caso di assenza dei requisiti richiesti senza violare alcun legittimo affidamento nel frattempo maturato dall’interessato (termine fissato in 20 giorni dall’art. 4, comma 11, del D.L. n. 398 del 1993 ora elevato a 30 gg. dall'art. 23, comma 1, del D.p.r. n. 380 del 2001).
In questa logica procedimentale gli effetti dell'attività amministrativa di istruttoria sulla D.I.A. non sono diversi da quelli conseguenti all'espletamento dell’istruttoria volta al rilascio del permesso di costruire. In sostanza, in entrambi i casi, è precluso all'interessato intraprendere i lavori fino a quando non decorra infruttuosamente il termine previsto dalla legge per inibire l'effettivo inizio degli stessi ovvero fino al rilascio dell'esplicito titolo edilizio (permesso di costruire).
L'ordinamento, pertanto, non tollera attività edilizie intraprese in assenza di un comportamento cosciente, attivo o passivo, dell'amministrazione deputata al relativo controllo.
Nel caso della D.I.A. si tratta di un comportamento omissivo, ossia la mancata inibizione dei lavori dopo lo svolgimento dell'attività istruttoria volta all'accertamento dei presupposti legittimanti l'esecuzione degli stessi. Nel caso di permesso di costruire si tratta, al contrario, di un comportamento attivo, consistente nell'emanazione del prescritto titolo legittimante.
Analogo parallelismo deve, pertanto, sussistere anche per l'applicazione delle misure di salvaguardia, atteso che la denuncia di inizio attività non può validamente produrre i suoi effetti in caso di contrasto con gli strumenti urbanistici anche adottati.
Nel caso di opere edilizie subordinate all’ottenimento di un titolo espresso (oggi permesso di costruire), l'ordinamento non tollera che lo stesso venga rilasciato in contrasto con gli strumenti urbanistici in fase di adozione prevedendo, al riguardo, l'applicazione delle misure di salvaguardia di cui alla Legge 03.11.1952 n. 1902, ancorché l'istanza sia stata presentata prima di tale adozione.
In sostanza nelle more di conclusione del procedimento amministrativo, in questo caso volto all'emanazione di un provvedimento espresso, l'istanza dell'interessato non può ritenersi immune dai mutamenti della strumentazione urbanistica del frattempo intervenuti.
In questa logica appare coerente applicare analogo principio al procedimento istruttorio volto alla verifica dei presupposti legittimanti l'esecuzione dei lavori in base ad una denuncia di inizio attività.
Poiché la legge inibisce all'interessato l’avvio dell’attività edilizia fino a quando non spiri infruttuosamente il termine concesso all'amministrazione per disporre definitivamente il divieto della stessa senza violare alcun legittimo affidamento nel frattempo maturato, è al momento di scadenza di tale termine che le opere devono risultare conformi sia alla strumentazione urbanistica vigente che a quella adottata. Qualora non sussista tale presupposto l'amministrazione deve intervenire, analogamente come avviene nel procedimento volto al rilascio del permesso di costruire, per l'applicazione delle misure di salvaguardia (TAR Lombardia-Brescia, sentenza 02.04.2004 n. 380 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

dossier RIFIUTI E BONIFICHE

AMBIENTE-ECOLOGIA: Rifiuti. Taglio alberi ed eliminazione dei rami mediante incenerimento.
Il taglio di alberi, eseguito nell'ambito della silvicoltura, costituisce attività produttiva e quindi trova applicazione il D.L.vo 152/2006. La eliminazione, mediante incenerimento, dei rami degli alberi tagliati (per circa un metro cubo) non usufruibili in processi produttivi non costituisce una forma di utilizzazione nell'ambito di attività produttive. Inoltre non trova riscontro nelle tecniche di coltivazione attuali l'utilizzazione delle ceneri come concimante naturale. Tale materiale pertanto non può essere considerato materia prima secondaria riutilizzata in diversi settori produttivi senza pregiudizio per l'ambiente (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 16.12.2008 n. 46213 - link a www.lexambiente.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Rifiuti. Deposito temporaneo.
Il luogo di produzione dei rifiuti rilevante ai fini della nozione di deposito temporaneo ai sensi dell'art. 183, comma primo, lett. m). d. lgs. 03.04.2006, n. 152 non è solo quello in cui i rifiuti sono prodotti ma anche quello in disponibilità dell'impresa produttrice nel quale gli stessi sono depositati, purché funzionalmente collegato a quello di produzione (nella specie non si è ritenuto sufficiente, per escludere un deposito temporaneo, la circostanza che i rifiuti venissero spostati, all'interno della stessa area oggetto di lottizzazione, da una zona in via di costruzione ad altra già costruita, ritenendo necessario che il giudice valuti, adeguatamente e congruamente motivando il suo convincimento in proposito, se luogo di produzione e luogo di deposito fossero a disposizione della stessa impresa e se il secondo potesse ritenersi funzionalmente collegato al primo, tenendo anche conto delle caratteristiche del caso concreto, ed in particolare dell'eventualità che effettivamente si trattasse di una unica lottizzazione e di un unico perimetro aziendale) (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 09.12.2008 n. 45447 - link a www.lexambiente.it).

dossier SCOMPUTO OO.UU.

EDILIZIA PRIVATAL’esenzione totale o parziale dal pagamento degli oneri d’urbanizzazione consegue ad un’attività valutativa (di natura discrezionale) dell’Amministrazione che si conclude con un atto, anche di natura convenzionale, che fissi il tipo e l’entità delle opere ammesse dal Comune alla realizzazione diretta da parte del titolare della concessione edilizia nonché l’importo economico da scomputare, per cui l’esenzione in questione non può mai derivare dall’autonoma unilaterale scelta del concessionario.
L'art. 11 della legge n. 10/1977, nel prevedere la possibilità per il titolare della concessione edilizia dello scomputo dal contributo delle somme relative a spese per opere d’urbanizzazione direttamente realizzate dal concessionario, limita siffatta possibilità a quelle opere che “il concessionario si sia obbligato ad eseguire” e dispone espressamente che la possibilità medesima va esercitata “con le modalità e le garanzie stabilite dal Comune”.
Ciò significa che l’esenzione totale o parziale dal pagamento degli oneri d’urbanizzazione consegue ad un’attività valutativa (di natura discrezionale) dell’Amministrazione che si conclude con un atto, anche di natura convenzionale, che fissi il tipo e l’entità delle opere ammesse dal Comune alla realizzazione diretta da parte del titolare della concessione edilizia nonché l’importo economico da scomputare, per cui l’esenzione in questione non può mai derivare dall’autonoma unilaterale scelta del concessionario (cfr. in termini Cons. di Stato –Sez. V – 29/09/1999 n. 1209; id. 01/06/1998 n. 701).
Non può escludersi invero che l’Amministrazione, pur in assenza di un atto d’obbligo, possa (o debba) tener conto della domanda di scomputo delle opere già realizzate senza il previo dettato comunale in ordine alle modalità di esecuzione delle opere ed alle garanzie per il Comune, ma ciò presuppone quantomeno la relativa previsione, anche se solo in forma generica, nella concessione edilizia ovvero la discrezionale determinazione di accettazione ex post delle opere da parte del Comune medesimo, evenienze queste che non ricorrono nella vicenda in esame nella quale non solo manca una qualsivoglia partecipazione consensuale dell’Ente, ma per di più da quest’ultimo viene negata in radice, come innanzi si è chiarito, la sussistenza dei presupposti dello scomputo (TAR Campania-Salerno, Sez. II, sentenza 04.07.2005 n. 1082 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALo scomputo, totale o parziale, della quota di contributo dovuta in caso di realizzazione diretta delle opere di urbanizzazione deve essere effettuato senza distinzione tra opere di urbanizzazione primaria e secondaria, atteso che la mancata distinzione, nella sede legislativa specifica, delle due categorie di opere vieta all’interprete di introdurre una siffatta distinzione.
In ordine alla questione della scomputabilità –dall’importo dovuto a titolo di oneri di urbanizzazione secondaria– del valore delle opere di urbanizzazione primaria eseguite o da eseguirsi dalla ricorrente va premesso che, come previsto dalla legge 28.01.1977 n. 10, il concessionario può obbligarsi a realizzare direttamente le opere di urbanizzazione con le modalità e le garanzie stabilite dal comune a scomputo totale o parziale degli oneri di urbanizzazione primaria o secondaria (artt. 11 e 5).
L’obbligazione per oneri di urbanizzazione, a differenza di quella contributiva per costo di costruzione che è stata definita acausale perché connessa alla mera utilizzazione edificatoria del territorio e perciò ritenuta di natura paratributaria, deve ritenersi invece causale ed ha natura di corrispettivo di diritto pubblico di natura non tributaria, dovuto dal titolare della concessione edilizia per la partecipazione ai costi delle opere di urbanizzazione connessi all’edificazione (da ultimo, Tar Campania, Salerno, II, 23.05.2003 n. 548).
Peraltro, la quota di urbanizzazione è stata anche qualificata come tassa, in quanto essenzialmente corrispettivo di una prestazione resa o da rendere da parte dell’amministrazione, o avente natura di corrispettivo di diritto pubblico (Tar Lombardia Milano, II, 06.11.2002 n. 4267).
Ad avviso del Collegio, si tratta, comunque, di una forma di partecipazione alle spese pubbliche con caratteri atipici, ma sempre collegata all’attività di trasformazione del territorio (C.S., V, 06.05.1997 n. 462); più precisamente, ha carattere di corrispettivo di diritto pubblico, di natura non tributaria, posto a carico del costruttore a titolo di partecipazione del concessionario ai costi delle opere di urbanizzazione in proporzione all’insieme dei benefici che la nuova costruzione ne ritrae (C.S., V, 23.05.1997 n. 529).
Pertanto, il relativo contributo può essere scomputato nei casi in cui, ricorrendone i presupposti e le condizioni, le opere di urbanizzazione siano realizzate dal titolare della concessione edilizia (art. 11, comma 1, citato, l. 10/1977).
Ne consegue che ben può ammettersi anche la scomputabilità del valore corrispondente alle opere di urbanizzazione primaria dall’importo dovuto a titolo di oneri di urbanizzazione secondaria, attesa la comune natura giuridica degli oneri di cui trattasi, non ravvisandosi ragioni ostative alla compensazione tra obbligazioni intercorrenti tra i medesimi soggetti e nascenti dal medesimo rapporto convenzionale.
La giurisprudenza, anche di questo Tribunale, ha già affermato che lo scomputo, totale o parziale, della quota di contributo dovuta in caso di realizzazione diretta delle opere di urbanizzazione deve essere effettuato senza distinzione tra opere di urbanizzazione primaria e secondaria, atteso che la mancata distinzione nella sede legislativa specifica (art. 11 legge n. 10/1977) delle due categorie di opere vieta all’interprete di introdurre una siffatta distinzione (da ultimo, Tar Toscana, III, 11.03.2004 n. 679 e giurisprudenza ivi richiamata).
Come già chiarito, deve ammettersi la possibilità per il titolare della concessione edilizia di realizzare in tutto o in parte le opere di urbanizzazione, sia primarie che secondarie, a scomputo dei relativi oneri, “con le modalità e le garanzie stabilite dal comune”, ai sensi dell’art. 11 l. 10/1977 e, ora, dell’art. 16 del d.p.r. 06.06.2001 n. 380 (t.u. in materia edilizia) e dell’art. 26, comma 11, l.r.t. 52/1999.
Tale facoltà, peraltro, non implica in nessun caso una pretesa indiscriminata allo scomputo del valore di qualsiasi opera di urbanizzazione volontariamente seguita al di fuori di un preventivo accordo con il comune che è il soggetto destinatario degli oneri di urbanizzazione e, in caso di scomputo del valore delle opere direttamente eseguite dal concessionario, delle opere stesse che devono soddisfare, sotto il profilo quantitativo, qualitativo e funzionale le necessità del nuovo insediamento.
Pertanto, l’accertamento del se (e della misura in cui) le opere eseguite direttamente dal privato rispondano alle predette necessità non può che spettare al comune, in via preventiva o successiva alla realizzazione delle opere medesime.
Laddove sussista, la convenzione sugli oneri di urbanizzazione inserita nei procedimenti di concessione edilizia onerosa ha carattere di contratto di natura peculiare che viene ad innestarsi nel procedimento che si conclude con rilascio della concessione edilizia; pertanto, come la pubblica amministrazione non può apportare modifiche unilaterali alla convenzione urbanistica stipulata tra essa ed il privato con la quale siano stati quantificati gli oneri di urbanizzazione (C.G.A., 01.02.2001 n. 184), così il concessionario non può mettere in discussione l’obbligazione convenzionalmente assunta.
Al più, ove modalità e garanzie non siano state oggetto di preventivo accordo con il comune, la giurisprudenza ritiene che la pretesa del concessionario sia subordinata alla valutazione comunale dell’entità e della effettiva utilizzazione delle opere realizzate (Tar Lazio, II-bis, 22.07.2003 n. 6570 e giurisprudenza ivi citata) (
TAR Toscana, Sez. III, sentenza 11.08.2004 n. 3181 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

dossier SOTTOTETTI

EDILIZIA PRIVATA: Sul recupero di un sottotetto esistente che da due falde diventa piano e sul recupero del sottotetto rispettando l'altezza massima di zona espressa in numero di piani e non di metri lineari.
Ai fini della definizione delle questioni giuridiche sottoposte al Collegio è opportuno brevemente inquadrare le caratteristiche fondamentali e la ratio sottesa alla disciplina regionale sull’istituto del recupero dei sottotetti (rinviando per una più compiuta ricostruzione dell’istituto e dell’evoluzione normativa nella Regione Lombardia alle decisioni 04.02.2008 n. 298, 21.12.2006 n. 7770 e 30.05.2005 n. 2767 della IV Sez. del Consiglio di Stato).
La legge regionale n. 15 del 15.07.1996 si era mossa nell’intento di favorire la creazione di nuove residenze attraverso il razionale recupero dei sottotetti e di evitare così un ulteriore consumo di territorio altrimenti necessario per la soddisfazione dei bisogni delle famiglie.
Il recupero volumetrico a scopo residenziale del piano sottotetto, in base alla citata legge regionale, non poteva prescindere dall'esistenza dell'edificio e del sottotetto medesimo (da intendersi come vero e proprio volume preesistente) e doveva avvenire nel rispetto delle prescrizioni igienico-sanitarie e di abitabilità previste dai regolamenti vigenti.
Da ciò derivava, pertanto, che le modifiche di altezza e volumetria, ai sensi della citata normativa regionale, potevano ritenersi ammissibili solo laddove strettamente necessarie a rendere abitabili i predetti volumi, con conseguente esclusione di quelle trasformazioni che si sostanziassero nella creazione di nuove volumetrie, che venissero in qualsiasi modo ad eludere (o, meglio, ad eccedere) lo scopo unico, cui il legislatore regionale aveva funzionalizzato le modifiche medesime ( Cons. St., IV, 30.05.2005, n. 2767 ).
Siffatte trasformazioni potevano avvenire, come s'è visto, in deroga ad ogni previsione urbanistica comunale, comprese, quindi, quelle in tema di limiti quantitativi di natura volumetrica.
Al termine di un complesso e non lineare percorso (per la cui esposizione si rinvia alla già richiamata decisione n. 298 del 2008 della IV Sez. del Cons. di Stato) si è pervenuti alla disciplina posta dall’art. 64 della L.R. n. 12 del 2005, nel testo come modificato dalla L.R. n. 20 del 2005, che è la normativa applicabile alla domanda dell’odierno ricorrente.
Per quanto in questa sede viene in rilievo, va posto in luce che il primo comma del predetto art. 64 prevede che: “Gli interventi edilizi finalizzati al recupero volumetrico dei sottotetti possono comportare l'apertura di finestre, lucernari, abbaini e terrazzi per assicurare l'osservanza dei requisiti di aeroilluminazione e per garantire il benessere degli abitanti, nonché, ove lo strumento urbanistico generale comunale vigente risulti approvato dopo l'entrata in vigore della L.R. n. 51/1975, modificazioni delle altezze di colmo e di gronda e delle linee di pendenza delle falde, purché nei limiti di altezza massima degli edifici posti dallo strumento urbanistico ed unicamente al fine di assicurare i parametri di cui all'articolo 63, comma 6”.
Il provvedimento di diniego emesso dal Comune di Bergamo si fonda proprio sull’assunto che la richiesta del recupero del sottotetto avanzata dal Martino si pone in contrasto con detta prescrizione, superando il limite di altezza posto dal regolamento edilizio.
La particolarità della vicenda all’esame è costituita dalla circostanza che il PRG di Bergamo, per la zona in questione, prevede non già un’altezza massima indicata in metri, ma solo un numero massimo di piani: nella specie 4.
Il Collegio ritiene che al problema sia possibile fornire soluzione attraverso un’interpretazione sistematica delle previsioni contenute nel predetto regolamento edilizio, colmando la lacuna che si è determinata per effetto dell’intersecarsi della particolare disciplina urbanistica comunale con la norma regionale sul recupero dei sottotetti.
Invero, la presenza di una disposizione (particolare) che determina le modalità di conversione in metri di altezze indicate in piano -il riferimento è al comma 7, dell’art. 73, il quale prevede che “l’altezza massima dei fronti degli edifici per i quali la strumentazione urbanistica prevede un’altezza semplicemente individuata in numero di piani, viene determinata moltiplicando il numero di piani previsti in progetto per ml 4”– consente di individuare, per induzione, il criterio generale di conversione in metri delle altezze individuate in numero massimo di piani.
In altri termini, deve ritenersi che i limiti massimi di altezza in piani siano ragguagliabili comunque a limiti espressi in metri attraverso l’utilizzo del parametro di riferimento costituito dal rapporto un piano = m. 4 di altezza.
Applicando detto criterio si perviene alla conclusione che il progetto presentato dal Martino non superava in altezza il limite massimo dell’edificio preesistente.
Invero, come emerso dalle misurazioni disposte attraverso l’ordinanza collegiale n. 104/2008, l’altezza (dal piede all’estradosso al colmo) del fabbricato esistente è pari a mt. 16,08/16,38, con il supero di pochi centimetri che rimane nei limiti di tolleranza.
Attraverso la suddetta moltiplicazione (4x4 = 16) trova dunque conferma il rispetto -da parte del progetto di recupero del sottotetto a fini abitativi- del limite di altezza di zona stabilito dal PRG (quattro piani).
Come risulta dalla planimetria di progetto (acquisita agli atti attraverso l’ordinanza istruttoria), mediante il recupero del sottotetto proposto si mantiene l’altezza al colmo esistente, operando esclusivamente l’innalzamento delle falde in gronda, sino ad ottenere l’identica altezza in colmo ed in gronda (in altri termini, un tetto piatto anziché a falde inclinate).
In tale contesto non vi era dunque valido motivo per denegare il permesso di costruire richiesto.
Al termine del suddetto percorso, va quindi confermata, seppur attraverso un differente iter argomentativo, la conclusione a cui era già pervenuta la Sezione con la sentenza 08.03.2007 n. 254.
In detta occasione si era, infatti rilevato che il limite dell'altezza massima prevista dal PRG deve essere inteso “come riferimento ai limiti stabiliti in termini metrico/reali (cioè altimetrici o di quota) e non attraverso il criterio del numero dei piani (come prevede l'art. 73 comma 10 del R.E.) quando il piano considerato ai fini del computo dell'altezza (dalle norme edilizie e urbanistiche comunali) costituisce esso stesso un sottotetto secondo la definizione contenuta nell'art. 1 comma 4 della stessa L.r. (ossia i "volumi sovrastanti l'ultimo piano degli edifici"), evidenziando che “il Legislatore regionale ha voluto salvaguardare solo l'altezza fisica degli edifici (ovvero l'altezza effettiva o reale o visiva), e non l'altezza virtuale determinata attraverso il mero numero dei piani computabili (o meno) qualora assumano determinate configurazioni definite attraverso le norme edilizie e urbanistiche locali
(TAR Lombardia-Brescia, sentenza 28.11.2008 n. 1720 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il recupero volumetrico dei sottotetti può avvenire solo in relazione al sottotetto esistente nella sua conformazione originaria, qualora sussistano le condizioni minime di cui al citato comma 6 dell’art. 63, mentre l’eventuale maggiore volume necessario per il raggiungimento di tali requisiti minimi non può che essere imputato nell’indice edilizio del lotto su cui insiste l’edificio.
- il tenore letterale della novella legislativa (ndr: l.r. n. 12/2005) non appare introdurre alcuna ulteriore deroga alla normativa dettata dal pianificatore locale;
- la volontà espressa del legislatore regionale sembra aderente al principio generale di sussidiarietà ed autonomia dei Comuni in materia di disciplina dell’assetto del territorio;
- la norma, così come strutturata, seppur ridimensionata non sembra inutiliter data, sopravvivendo la deroga alle norme edilizie e igieniche relative alle altezze interne degli alloggi ricavati nel sottotetto (articolo 63, comma 6);
- sembrano derogabili anche le eventuali norme locali che impediscono l'apertura di finestre, lucernari, abbaini e terrazzi, purché tali opere siano eseguite per assicurare i requisiti di aeroilluminazione;
- in definitiva, il recupero volumetrico dei sottotetti può avvenire solo in relazione al sottotetto esistente nella sua conformazione originaria, qualora sussistano le condizioni minime di cui al citato comma 6 dell’art. 63, mentre l’eventuale maggiore volume necessario per il raggiungimento di tali requisiti minimi non può che essere imputato nell’indice edilizio del lotto su cui insiste l’edificio (cfr. ordinanza Sezione 07/06/2005 n. 684)
(TAR Lombardia-Brescia, ordinanza sospensiva 28.06.2005 n. 822 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

dossier TELEFONIA MOBILE

EDILIZIA PRIVATA: Elettrosmog. Stazioni radio base per telefonia mobile.
1.
L’assimilazione in via normativa delle infrastrutture di reti pubbliche di comunicazione alle opere di urbanizzazione primaria, ai sensi dell’art. 86, comma 3, del d.lgs. n. 259 del 2003, comporta che le stesse debbano collegarsi ed essere poste al servizio dell’insediamento abitativo e non essere da esso avulse con localizzazione lontana dai centri di utenza (v. tra le altre, Cons. Stato, Sez. VI, 05/06/2006 n. 3332 e, di recente TAR Emilia Romagna –PR- 15/04/2008 n. 217). Di conseguenza, la potestà regolamentare attribuita alle amministrazioni comunali dall’art. 8, comma 6, della L. n. 36 del 2001 (“i comuni possono adottare un regolamento per assicurare il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti e minimizzare l’esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici”) può tradursi, ad esempio, nell’introduzione, sotto il profilo urbanistico, di regole a tutela di zone e beni di particolare pregio paesaggistico/ambientale o storico/artistico, ma non può trasformarsi in “limitazioni alla localizzazione” degli impianti di telefonia mobile per intere ed estese porzioni del territorio comunale, in assenza di una plausibile ragione giustificativa. In definitiva, la disposizione in parola ha attribuito ai Comuni il potere di disciplinare, con apposito regolamento, la localizzazione delle infrastrutture di telecomunicazione nell’ambito del loro territorio, purché, tuttavia, tale disciplina non si risolva in un impedimento che rende impossibile in concreto, o comunque estremamente difficile, la realizzazione di una rete completa di infrastrutture di telecomunicazioni (v. Corte Costituzionale sentenze n. 307 e n. 324 entrambe del 2003; Cons. Stato, sez. VI, n. 813 del 2005).
2. Sono illegittimi i regolamenti comunali (e/o della disciplina urbanistica locale) laddove sia prevista una “zonizzazione” indipendente dalle richieste e dalle esigenze dei gestori del servizio di telefonia mobile, mediante l’introduzione di norme urbanistiche locali che limitano la possibilità di insediamento di tali impianti a determinate aree, appositamente individuate, senza subordinare le relative scelte alla previa e puntuale verifica della coerenza della disciplina pianificatoria con la necessità che sia in concreto assicurata –sull’intero territorio comunale– l’uniforme copertura del servizio (v. Cons. Stato, Sez. VI, 28/03/2007 n. 1431) (TAR Emilia Romagna-Parma, Sez. I, sentenza 18.11.2008 n. 436 - link a www.lexambiente.it).

dossier VINCOLO PAESAGGISTICO ED ESAME IMPATTO PAESISTICO

EDILIZIA PRIVATA: Beni Ambientali. Demolizione e ricostruzione in zona vincolata.
Anche i lavori di demolizione e ricostruzione di un immobile in zona sottoposta a vincolo, sia pure nel rispetto della predente volumetria e destinazione d'uso, richiedono l'autorizzazione dell'amministrazione preposta alla tutela del vincolo (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 04.12.2008 n. 45072 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: Beni culturali. Qualificazione.
Rientrano nella categoria dei beni culturali (comma primo dell'art. 10) "le cose immobili e mobili appartenenti allo Stato, alle regioni.....che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico". Tali cose, però, non possono essere qualificate beni culturali se risalgano a meno di cinquanta anni e siano di autore vivente.
Perché sussista per i beni appartenenti allo Stato ed agli altri enti pubblici la tutela prevista dall'art. 21 occorre, quindi, che ricorrano entrambe le condizioni citate. Peraltro, ai sensi dell'art. 12, primo comma, del D. Lgs n. 42/2004, allorché ricorrano entrambe le condizioni citate le cose appartenenti agli enti indicati nell'art. 10, primo comma, sono soggette a tutela provvisoria finché non venga eseguita la verifica della effettiva sussistenza del loro interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 18.11.2008 n. 42899 - link a www.lexambiente.it).

CORTE DEI CONTI

INCARICHI PROFESSIONALI: Approvazione di un documento di riferimento per l'esercizio, da parte degli organi degli enti locali, dei poteri nell'emanazione delle modifiche regolamentari in materia di incarichi esterni, anche alla luce delle disposizioni introdotte dall'art. 46 del D.L. n. 112/2008, convertito nella legge n. 133/2008 (Corte dei Conti, Sez. regionale di controllo Lombardia, delibera 06.11.2008 n. 224 - link a www.corteconti.it).

DOTTRINA E CONTRIBUTI

AMBIENTE-ECOLOGIA: M. Rizzuto, LA GESTIONE DELLE CARTUCCE PER STAMPANTI (link a www.lexambiente.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: M. Sanna, CONTENITORI NON UTILIZZATI E RIFIUTI (link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: L. Fanizzi e G. Chiesa, AREE DI SALVAGUARDIA DELLE OPERE DI CAPTAZIONE IDRICO-POTABILE: METODOLOGIA DI DELIMITAZIONE E LORO GESTIONE (link a www.lexambiente.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: A. Pierobon, Il trituratore (o dissipatore) domestico e la raccolta del rifiuto organico: 1^ PARTE - 2^ PARTE (link a www.lexambiente.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: V. Paone, Ordine di rimozione di rifiuti abbandonati da terzi e responsabilità penale del proprietario dell’area (link a www.lexambiente.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: P. Fimiani, La giurisprudenza della Cassazione penale in materia di rifiuti nel primo semestre 2008 (link a www.lexambiente.it).

PUBBLICO IMPIEGO: D. Argenio, Il controinteressato nei concorsi per l'accesso al pubblico impiego (link a www.diritto.it).

GIURISPRUDENZA

APPALTI: E' illegittimo l'annullamento di un appalto per la sussistenza di errori nelle versioni italiana e tedesca della documentazione del bando, senza motivare in modo idoneo in merito alla loro incidenza negativa sul corretto dispiegarsi della gara.
E' illegittimo l'annullamento in via di autotutela di una gara di appalto senza comunicare l'avvio del relativo procedimento alle imprese partecipanti, disposto per la presenza di errori nelle versioni italiana e tedesca della documentazione del bando dell'appalto-concorso, senza precisare l'incidenza di tali errori sulla regolarità della gara. Il provvedimento di annullamento richiama infatti la sussistenza di errori e discrepanze nelle versioni italiana e tedesca del documento denominato elenco della prestazioni facente parte del progetto preliminare, senza evidenziarle in modo puntuale e, soprattutto, senza motivare in modo idoneo in merito alla loro incidenza negativa sul corretto dispiegarsi della procedura di gara. Manca in definitiva una puntuale indicazione della natura, della gravità e dell'incidenza delle anomalie che, sola, avrebbe giustificato, alla luce della comparazione dell'interesse pubblico con le contrapposte posizioni consolidatesi in capo alle ditte partecipanti alla procedura, l'annullamento integrale degli atti di gara. Del pari fa difetto una congrua esplicitazione delle ragioni per le quali il progetto a base di gara non rispondeva più alle esigenze tecnico-funzionali dell'amministrazione (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 07.01.2009 n. 17 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI SERVIZI: Sull'illegittimità di un bando per l'affidamento dei servizi di parcheggi pubblici per l'inconferenza del previsto requisito di ammissione rispetto all'oggetto della gara.
E' illegittimo un bando di gara indetto da un comune per l'affidamento dei servizi di parcheggi pubblici senza custodia e di pulizia dei bagni pubblici ed il relativo disciplinare, nella parte in cui prescrivono quale requisito di ammissione alla procedura l'iscrizione all'albo dei soggetti abilitati all'attività di liquidazione ed accertamento dei tributi e delle entrate delle province e dei comuni istituito presso il ministero dell'economia e delle finanze. Va escluso, infatti, che, nel caso di specie, vi sia un'attività concernente l'accertamento, la liquidazione e la riscossione di entrate comunali, per la quale l'art. 52 del d.lgs. 15.12.1997 n. 446, richiede che, qualora non esercitata direttamente dall'ente locale, sia affidata a "soggetti iscritti all'albo di cui" al precedente art. 53.
Inoltre, il bando suddetto contravviene al divieto di cui all'art. 42, co. 3, del d.lgs. 12.04.2006 n. 163, secondo cui le richieste della stazione appaltante "non possono eccedere l'oggetto dell'appalto", stante l'inconferenza del previsto requisito di ammissione rispetto all'oggetto della gara, oltre che l'abnorme sproporzione rispetto alle finalità perseguite; requisito la cui prescrizione conseguentemente si traduce in una ingiustificata compressione della platea dei possibili concorrenti e, di qui, in un'altrettanto ingiustificata limitazione dell'interesse pubblico alla selezione della migliore offerta che il settore di mercato realmente interessato possa esprimere (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 23.12.2008 n. 6534 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

EDILIZIA PRIVATA: Beni Culturali. Natura del reato di abusivo intervento su beni culturali.
Il reato di abusivo intervento su beni culturali, previsto e punito dall'art. 118 D.Lgs. 490/1999 (ora art. 169 D.Lgs. 42/2004) non ha un carattere plurioffensivo. Dal momento che la individuazione del bene penalmente tutelato deve desumersi dalla struttura tipica del reato e dalla disciplina che ne regola le cause di non punibilità e di estinzione, è giocoforza concludere che:
a) per il reato in esame il bene tutelato è esclusivamente l'interesse strumentale al preventivo controllo da parte dell'autorità preposta alla tutela dei beni culturali;
b) la condotta di chiunque realizzi interventi sui beni anzidetti senza la prescritta autorizzazione o comunicazione preventiva configura una concreta offesa dell'interesse amministrativo tutelato, senza che l'accertamento postumo di compatibilità col vincolo culturale o l'autorizzazione in sanatoria rilasciata dalla autorità preposta possa valere a estinguere il reato o a escluderne la punibilità.
Per conseguenza, nel caso concreto l'accertamento postumo di compatibilità rilasciato dalla Soprintendenza competente non vale a estinguere il reato contestato agli imputati o a escluderne la punibilità (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 15.12.2008 n. 46082 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: Opere fondiarie.
Mentre per le opere di trasformazione di tipo fondiario non è normalmente richiesta la concessione, l'atto concessorio di tipo urbanistico è, invece, necessario allorché la morfologia del territorio venga alterata in conseguenza di rilevanti opere di scavo, sbancamenti, livellamenti, finalizzati ad usi diversi da quelli agricoli (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 09.12.2008 n. 45462 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: Realizzazione strada su precedente tracciato.
La realizzazione di una strada comporta la necessità di permesso di costruire, anche nel caso in cui la stessa venga ad essere costruita su di un precedente tracciato o pista, innalzando il piano di campagna, attraverso opere di sistemazione e di gettito di materiale ghiaioso, sì da consentire ed incrementare il traffico veicolare, Inoltre, anche la realizzazione di una pista in terra battuta determina una trasformazione urbanistica del territorio e, pertanto, è necessario il rilascio della concessione edilizia, indipendentemente dal manufatto quale strada o pista in terra battuta, in quanto il regime giuridico cui è soggetta l'opera è, in ogni caso, determinato dalla funzione di consentire il transito a persone o mezzi (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 09.12.2008 n. 45456 - link a www.lexambiente.it).

ENTI LOCALI: Il collegio (pubblico o privato che sia) non può deliberare validamente se non sugli argomenti iscritti all'ordine del giorno preventivamente comunicato a tutti i componenti.
Nel merito, viene in rilievo il principio generale, comune alla disciplina di tutti gli organi collegiali, secondo il quale il collegio non può deliberare validamente se non sugli argomenti iscritti all’ordine del giorno preventivamente comunicato a tutti i componenti.
In giurisprudenza questo principio è stato particolarmente analizzato e approfondito con riferimento alla disciplina dei consigli e delle giunte degli enti locali, sulla base del testo unico approvato con r.d. n. 148/1915 (rimasto in vigore sino al 1990): ma è sempre stato pacifico che le massime così elaborate si applichino alla generalità degli organi collegiali sia pubblici che privati (es.: assemblee delle società, delle associazioni, dei condomìni, etc.).
Fra le regole puntualizzate dalla giurisprudenza e comunemente condivise vi sono le seguenti:
(a) l’indicazione posta all’ordine del giorno dev’essere sufficientemente definita perché se ne possa comprendere l’oggetto;
(b) l’iscrizione all’ordine del giorno è posta nell’interesse di ogni singolo componente del collegio e a tutela dei suoi inerenti diritti, ma anche nell’interesse pubblico all’apporto decisionale di tutti i componenti; di conseguenza l’ordine del giorno può essere modificato con l’aggiunta di un nuovo argomento solo se tutti i componenti sono presenti e accettano tale modifica;
(c) non è ammessa la “prova di resistenza” (TAR Umbria, sentenza 09.12.2008 n. 802 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: D.i.a. e manufatti abusivi.
Non è applicabile il regime della D.I.A. a lavori edilizi che interessino manufatti abusivi che non siano stati sanati né condonati, in quanto gli interventi ulteriori (sia pure riconducibili, nella loro oggettività, alle categorie della manutenzione straordinaria, del restauro e/o risanamento conservativo, della ristrutturazione, della realizzazione di opere costituenti pertinenze urbanistiche) ripetono le caratteristiche di illegittimità dell'opera principale alla quale ineriscono strutturalmente (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 04.12.2008 n. 45070 - link a www.lexambiente.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Rifiuti. Carogne.
Le carogne rientrano nella categoria dei rifiuti; tuttavia, possono essere sottratte alla disciplina generale sui rifiuti soltanto se e in quanto siano configurabili come sottoprodotti del processo di macellazione, destinati al riutilizzo certo senza trasformazioni preliminari e senza pregiudizio per l'ambiente (ma in tale ultimo caso si tratterà propriamente più di scarti di macellazione che di carogne vere e proprie) (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 04.12.2008 n. 45057 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il passaggio da ufficio a residenza ricade tra quelli che impongono l’adeguamento degli standard urbanistici.
La scelta del Comune di equiparare il cambio di destinazione a una nuova edificazione appare conforme al principio di cui all’art. 1 commi 4 e 5 della LR 15.01.2001 n. 1 (v. ora l’art. 52 commi 4 e 5 della LR 12/2005), che subordina il passaggio tra destinazioni alla verifica della presenza di un livello adeguato di servizi per la collettività (per una fattispecie relativa alle destinazioni artigianale e commerciale v. TAR Brescia 08.04.2006 n. 389).
In concreto il passaggio da ufficio a residenza ricade tra quelli che impongono l’adeguamento degli standard urbanistici, in quanto la nuova utilizzazione degli spazi incide sul peso insediativo della zona e richiede l’applicazione dello specifico criterio di calcolo delle aree a standard di cui all’art. 22 comma 5 della LR 51/1975
(TAR Lombardia-Brescia, sentenza 26.11.2008 n. 1691 link a www.giustizia-amministrativa).

EDILIZIA PRIVATA: Violazione di sigilli.
In tema di violazione dei sigilli il custode è obbligato ad esercitare sulla cosa sottoposta a sequestro una custodia continua ed attenta e non può sottrarsi a tale obbligo, se non adducendo oggettive ragioni di impedimento, nonché chiedendo di essere esonerato dall'incarico e sostituito nella funzione di custodia o, qualora non abbia avuto la possibilità ed il tempo di chiedere il detto esonero, fornendo la prova del caso fortuito o della forza maggiore come cause impeditive dell'esercizio, da parte sua, del menzionato dovere di vigilanza. Qualora venga riscontrata lo violazione dei sigilli, di essa risponde, da solo o in concorso con altri, il custode giudiziario della cosa sottoposta a sequestro il qua/e aveva il dovere giuridico di impedire che il fatto si verificasse. In tal caso si verte in ipotesi di responsabilità personale diretta, non oggettiva, ed incombe sul custode l'onere della prova degli eventuali caso fortuito o forza maggiore, quali cause impeditive dell'esercizio del dovere di vigilanza e custodia (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 18.11.2008 n. 42898 - link a www.lexambiente.it).

URBANISTICA: Lottizzazione abusiva e confisca (terzi di buona fede).
In tema di lottizzazione abusiva la natura amministrativa della confisca non ne esclude il carattere sanzionatorio con la conseguente necessità di tener conto dei principi generali che regolano l'applicazione anche delle sanzioni amministrative. Tali principi sono dettati dalla L. 24.11.1981 n. 689 (Modifiche al sistema penale) e, peraltro, corrispondono ad esigenze di uguaglianza e razionalità normativa ai sensi dell’art. 3 della Costituzione.
E’ indubbio che anche con riferimento alle sanzioni amministrative esulano dalla materia criteri di responsabilità collettiva, essendo richiesta. quale requisito essenziale di legalità per la loro applicazione, l'esistenza di una condotta che risponda ai necessari requisiti soggettivi della coscienza e volontà dell'agente e sia caratterizzata quanto meno dall'elemento psicologico della colpa (art. 2 e 3 della legge citata). Né la confisca può essere ricondotta ad alcuna delle ipotesi di responsabilità solidale previste dall'art. 6 della legge. Anche la sanzione amministrativa, pertanto, non può essere applicata nei confronti di soggetti in buona fede, che non abbiano commesso alcuna violazione.
L'interpretazione costituzionalmente compatibile dell’art. 44, comma secondo, del DPR n. 380/2001 induce, pertanto, necessariamente ad escludere dall'ambito di operatività della norma la possibilità di confiscare beni appartenenti a soggetti estranei alla commissione del reato e dei quali sia stata accertata la buona fede. Diversa è ovviamente l'ipotesi in cui non si sia pervenuti ad una pronuncia di condanna nei confronti degli autori della violazione per l'intervenuta prescrizione dei reati, in quanto l'estinzione del reato non è affatto ostativa alla applicazione della confisca quale sanzione amministrativa, regolata da disposizioni diverse da quelle proprie del diritto penale (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 17.11.2008 n. 42741 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: Realizzazione serra.
Per realizzare la costruzione di manufatti da adibire a serre è indispensabile ottenere il permesso di costruire poiché costituisce modificazione apprezzabile del territorio la realizzazione di un impianto di tal genere (che sia stabilmente ancorato al suolo, formi un ambiente chiuso e sia destinato a durare nel tempo) non rilevando la possibilità che esso possa essere asportato o spostato, né la sua destinazione agricola (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 17.11.2008 n. 42738 - link a www.lexambiente.it).

APPALTI: S. Lazzini, Attenzione alla differenza fra requisiti di ordine morale e requisiti di ordine speciale (il cui mancato possesso presuppone l’escussione della cauzione provvisoria).
La regolarità del pagamento delle imposte e tasse non è un requisito di ordine speciale per il quale va fatto il sorteggio di cui all’articolo 48 del codice dei contratti.
Il “certificato rilasciato dalla competente Agenzia delle Entrate, attestante la posizione di regolarità con il pagamento delle imposte e tasse secondo la legislazione italiana” serve a comprovare un requisito di ordine generale e di idoneità morale (TAR Puglia-Bari, Sez. I, sentenza 13.11.2008 n. 2593 - link a www.diritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: L’Amministrazione competente, pur dopo lo spirare del termine legalmente assegnatole per la conclusione del procedimento istruttorio del permesso di costruire, non solo non perde il potere di determinarsi espressamente sulla domanda di permesso di costruire ma, addirittura, permane nell’obbligo di doverlo fare, soprattutto le volte in cui l’autore della domanda insista formalmente per l’ottenimento di un provvedimento espresso di conclusione del procedimento medesimo.
L’art. 20 del D.P.R. 06.06.2001, n. 380, ha previsto che le domande di permesso di costruire debbano essere esaminate e definite entro termini ben definiti, trascorsi i quali, in base al disposto del n. 9, di tale articolo, “sulla domanda di permesso di costruire si intende formato il silenzio-rifiuto”.
Ora, va in merito ricordato che tra i due possibili significati attribuibili all’espressione «silenzio-rifiuto», adoperata da tale articolo, ossia di silenzio-diniego (un silenzio reso significativo dalla legge, in termini di diniego implicito della pretesa sostanziale postulata dalla parte interessata all’Amministrazione competente a provvedere), ovvero di silenzio-inadempimento (un silenzio che esprime piuttosto inerzia dell’Amministrazione quanto al suo obbligo generale di concludere, entro termini certi, il procedimento con un provvedimento espresso), la giurisprudenza amministrativa ha oggi preferito optare per il secondo (TAR Lazio, sede Roma, sez. II, 02.04.2008, n. 2821, e TAR Marche, 09.06.2006, n. 413).
Ciò implica, di conseguenza, di dover ritenere che l’Amministrazione competente, pur dopo lo spirare del termine legalmente assegnatole per la conclusione del procedimento di cui all’art. 20, d.P.R. n. 380 del 2001, non solo non perde il potere di determinarsi espressamente sulla domanda di permesso di costruire, ma addirittura permane nell’obbligo di doverlo fare, soprattutto le volte in cui l’autore della domanda insista formalmente per l’ottenimento di un provvedimento espresso di conclusione del procedimento medesimo; mentre, sul versante processuale, posto che l’art. 20 del d.P.R. n. 380 non si esprime in materia di tutela giurisdizionale avverso il silenzio in questione, bisogna rifarsi alle disposizioni di ordine generale vigenti in materia, ossia all’art. 2, comma 5, della L. n. 241 del 1990, e successive modificazioni, nonché all’art. 21-bis, l. n. 1034 del 1971 e successive modificazioni, che prevedono, in sintesi, una decisione con sentenza sul punto succintamente motivata e, soprattutto, un termine decadenziale dell’azione fino a non oltre un anno, nella permanenza del silenzio, dalla scadenza del termine per provvedere (un termine questo, che però non è ovviamente quello generale di cui all’art. 2 delle L. n. 241 del 1990, sebbene quello specificamente stabilito in materia di permesso di costruire dal predetto art. 20).
L’accertata illegittimità della condotta della Pubblica amministrazione, derivante dal ritardo, dall’inerzia o dalla mancata istruzione del procedimento, che si traducono nella violazione dell’obbligo di portarlo comunque a compimento (in modo favorevole o sfavorevole per l’istante), non è da sola sufficiente ai fini dell’affermazione della responsabilità aquiliana, occorrendo altresì che risulti danneggiato l’interesse al bene della vita, al quale è correlato l’interesse legittimo dell’istante, e che detto interesse risulti meritevole di tutela alla luce dell’ordinamento positivo.
Di conseguenza, in riferimento al rilascio di un titolo edilizio, l’accertamento di tale interesse implica un giudizio prognostico sulla fondatezza dell’istanza, da condursi in riferimento alla normativa di settore ed agli elementi offerti dall’istante, onde stabilire se costui fosse titolare di una situazione suscettibile di determinare un oggettivo affidamento circa la conclusione positiva del procedimento (Cass. Civ., sez. I, 16.05.2008, n. 12455). Cioè la risarcibilità del danno c.d. da ritardo (a prescindere se la lesione riguardi un interesse sostanziale o procedimentale), presuppone la sussistenza di un danno ingiusto, di un comportamento doloso o colposo della pubblica amministrazione, di un nesso eziologico tra la condotta e l’evento dannoso (TAR Abruzzo-Pescara, sentenza 06.11.2008 n. 889 -
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EDILIZIA PRIVATA: Un immobile, una volta condonato, diventa legittimo a tutti gli effetti.
in base ai principi in materia di condono (artt. 38 e seg. della l. n. 47 del 1985), un immobile, una volta condonato, diventa legittimo a tutti gli effetti, senza limitazioni derivanti dall’applicazione del condono medesimo, per cui lo strumento urbanistico non può dettare una disciplina più restrittiva nei confronti degli immobili condonati, escludendo per tali immobili la possibilità di poter procedere a ristrutturazione urbanistica o edilizia (TAR Abruzzo-Pescara, sentenza 06.11.2008 n. 887 -
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COMPETENZE GESTIONALI: Nei comuni di piccola entità demografica, che sono privi delle qualifiche dirigenziali, le funzioni dirigenziali possono essere attribuite ai responsabili degli uffici ovvero al segretario comunale.
Con riferimento alla disciplina dettata dalla legge 1990 n. 142, che la giurisprudenza ha chiarito che il segretario comunale, seppure deve sovrintendere allo svolgimento delle funzioni dei dirigenti e coordinarne la relativa attività, non può di norma espletare compiti normalmente rimessi alla struttura burocratica in senso proprio dell’ente locale, sostituendosi ai dirigenti, “salve eventuali ipotesi eccezionali di assenza, nei ruoli dell’ente locale, di dirigenti o altri funzionari in grado di espletare i compiti in parola” (cfr. in argomento C.d.S., sez. V, 25.09.2006 n. 5625).
Inoltre, anche in caso di assenza di personale con qualifica dirigenziale, l’attribuzione di compiti gestionali al segretario comunale non è automatica, ma
dipende da una specifica attribuzione di funzioni amministrative, in base allo statuto o ai regolamenti dell’ente o a specifiche determinazioni del sindaco.
Siffatte conclusioni sono state raggiunte dalla giurisprudenza sulla base dell’art. 97, comma 4 lett. d), del D.L.vo 2000 n. 267, coincidente in relazione alla questione in esame al citato art. 17, comma 68 lett. c) della legge 1997 n. 127, in quanto prevede che il segretario comunale “esercita ogni altra funzione attribuitagli dallo statuto o dai regolamenti o conferitagli dal sindaco o dal presidente della provincia”.
In particolare, la giurisprudenza afferma che “il vigente ordinamento delle autonomie locali demanda –in base al criterio di distinzione fra le responsabilità di natura politico amministrativa e quelle di gestione operativa– in via esclusiva ai dirigenti l’adozione di quegli atti gestionali in precedenza riservati agli organi di vertice dell’ente. In generale è altresì pacifico che al segretario comunale –il quale svolge funzioni di assistenza giuridica nei confronti degli organi dell’ente in ordine alla conformità dell’azione amministrativa alle leggi, allo statuto e ai regolamenti- non sono affidati compiti di amministrazione c.d. attiva, limitandosi egli a sovrintendere allo svolgimento delle funzioni dei dirigenti e a coordinarne l’attività qualora non sia stato nominato un direttore generale. Tale attribuzione di competenze nettamente separate risulta però per ovvie ragioni temperata nei comuni di minori dimensioni demografiche, generalmente privi di personale di qualifica dirigenziale”. Difatti “nei comuni privi di dirigenti le funzioni dirigenziali possono essere attribuite ai responsabili degli uffici oppure demandate al segretario comunale, in applicazione dell’art. 97 comma 4 lettera d) a mente del quale appunto il segretario comunale esercita ogni altra funzione attribuitagli dallo statuto o dai regolamenti, o conferitagli dal sindaco o dal presidente della provincia” (TAR Piemonte, Sez. II, sentenza 04.11.2008 n. 2739 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Le gare di appalto sono governate anche da alcuni principi generali, i quali operano a prescindere dall’espresso richiamo contenuto nel bando di gara.
Sulla
sussistenza di forme di "collegamento sostanziale" tra le imprese partecipanti alla medesima procedura, anch'esse ritenute idonee a violare i principi di segretezza e, come tali, cause di esclusione dagli appalti.
La giurisprudenza ha chiarito che le gare di appalto sono governate anche da alcuni principi generali, i quali operano a prescindere dall’espresso richiamo contenuto nel bando di gara; fra questi principi, viene in evidenza quello di segretezza delle offerte, funzionale ad evitare che alcune imprese possano formulare la propria offerta dopo aver conosciute le altre offerte oppure che più imprese, facenti capo agli stessi centri decisionali, possano accordarsi fra loro per fare in modo che l’appalto sia aggiudicato a condizioni sfavorevoli per la P.A. (cfr. tra le tante TAR Puglia - Lecce, sez. II, 25.10.2005 n. 4618).
Del resto, l’art. 10, comma 1-bis, della legge 1994 n. 109, nel prevedere l’esclusione delle imprese tra le quali esista una situazione di controllo, detta una regola espressiva del principio generale della segretezza e della par condicio, impedendo la partecipazione alle gare di concorrenti tra i quali sussistano legami tali da consentire la reciproca conoscenza delle offerte.
Proprio la circostanza che la norma in esame esprima un principio generale ne consente l’applicazione anche nelle procedure di gara non relative a lavori, ma ad appalti di altro tipo, come nel caso di specie.
Invero, la giurisprudenza ritiene che la disciplina degli appalti di servizi e forniture è suscettibile di essere integrata in via analogica con le norme della legge 1994 n. 109, che siano espressive di principi generali (cfr. in proposito a mero titolo esemplificativo, Consiglio di stato, sez. VI, 20.12.2004, n. 8145; Consiglio di Stato, sez. VI - sentenza 13.06.2005 n. 3089 – dove si precisa che l’art. 10, comma 1-bis, è una norma di ordine pubblico - TAR Sardegna Cagliari, sez. I, 15.05.2007, n. 904; TAR Lazio Roma, sez. I, 01.09.2004, n. 8229; TAR Marche Ancona, 28.10.2003, n. 1281; TAR Veneto Venezia, sez. I, 08.11.2006, n. 3738), precisando poi che l’art. 10, comma 1-bis, della legge 1994 n. 109 deve essere interpretato in modo estensivo, proprio al fine di garantire la segretezza nelle gare d’appalto.
Ne deriva che “il collegamento fra le imprese che osta alla loro partecipazione alle gare non è solo quello previsto dall'art. 2359 c.c. richiamato dall'art. 10, comma 1-bis, della legge n. 109/1994, atteso che la previsione della norma civilistica si basa su una presunzione che non può escludere la sussistenza di altre ipotesi di collegamento o controllo societario atte ad alterare le gare di appalto” (cfr. ex plurimis C.d.S., sez. V, 22.04.2004 n. 2317).
Di conseguenza, non sussiste “alcun dubbio sulla rilevanza del collegamento c.d. "sostanziale" ai fini dell'escludibilità delle imprese, anche al di là della testuale previsione dell'art. 2359 cod. civ. per l'esigenza di garantire il costante rispetto in sede di gara della segretezza e della par condicio" (cfr. Consiglio di Giustizia Amministrativa, sez. Giurisdizionale, 06.05.2008 n. 412; C.d.S., sez. VI, 14.06.2006, n. 3500).
In altre parole, seppure l’art. 10, comma 1-bis, legge n. 109 del 1994 si limita a richiamare solo l'ipotesi delle «società controllate» prevista e disciplinata dall'art. 2359 Cod. civ. al fine di disporre la necessaria e automatica esclusione delle offerte dalla gara, tuttavia la giurisprudenza è venuta valorizzando, accanto al "controllo" previsto dalla richiamata disposizione, anche la sussistenza di forme di "collegamento sostanziale" tra le imprese partecipanti alla medesima procedura, anch'esse ritenute idonee a violare i principi di segretezza, serietà delle offerte e par condicio posti a garanzia della correttezza della procedura. In tal senso è da condividere l'orientamento giurisprudenziale favorevole alla possibilità di individuare ipotesi di collegamento sostanziale tra imprese, diverse da quelle indicate dal citato art. 10, comma 1-bis, legge n. 109 del 1994 e ciò nondimeno idonee a giustificare l'esclusione dalle relative gare (cfr. C.d.S., sez. VI, 07.02.2002 n. 685; C.d.S., sez. V, 15.02.2002 n. 923; C.d.S., sez. IV, 27.12.2001 n. 6424; TAR Lombardia Milano, sez. III, 13.12.2006, n. 2933).
Si tratta di ipotesi in cui l’esclusione si correla alla riconducibilità di due o più imprese partecipanti alla gara ad un unico centro di interessi sulla base di elementi oggettivi e concordanti tali da ingenerare pericolo per il rispetto dei principi di segretezza, di par condicio e di serietà delle offerte (cfr. C.d.S., sez. V, 01.02.2002, n. 3601; C.d.S., sez. V, 26.06.2001 n. 6372; C.d.S., sez. VI, 23.06.2006, n. 4012; Tar Lazio - Roma, sez. III-bis, 30.03.2004 n. 2955; TAR Lazio Roma, sez. III, 08.05.2007, n. 4096) (TAR Piemonte, Sez. II, sentenza 04.11.2008 n. 2739 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

LAVORI PUBBLICI: In tema di responsabilità di un geometra presso l'U.T.C. per danno cagionato da un parere di congruità nel procedimento di vendita di immobile del comune.
E' di estrema evidenza il contrasto tra i due pareri espressi dall'U.T.C.: il primo, emesso in base ad una valutazione oggettiva dei dati urbanistici di riferimento, evidenziava la prospettiva di edificabilità dell’area e subordinava l’alienabilità all’esperimento di procedura ad evidenza pubblica; il secondo, obliterando la vocazione edificatoria dell’area, ha inspiegabilmente ritenuto congrua l’offerta del privato, motivandola esplicitamente con riferimento ad un interesse non certo della parte venditrice pubblica, ma del privato acquirente di acquisire il terreno in ragione della possibile espropriazione di quello confinante già di proprietà dell’acquirente stesso.
L’irrazionalità di quest’ultimo parere, unita alla conclamata conoscenza da parte del XXX dell’attitudine edificatoria dell’area, fanno emergere, quanto meno, l’estrema leggerezza e negligenza con la quale è stato emesso il parere stesso
(Corte dei Conti. Sez. Giurisd. Liguria, sentenza 07.08.2008 n. 462 - link a www.corteconti.it).

AGGIORNAMENTO AL 07.01.2009

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dossier ATTI AMMINISTRATIVI

ATTI AMMINISTRATIVIAccesso - Informazione ambientale - Trasparenza - Obbligo - E' aggravato.
La direttiva 28.01.2003 n. 2003/4/CE garantisce la massima diffusione dell'informazione ambientale; la normativa europea è stata recepita dal Dlgs. 19.08.2005 n. 195, che all'art. 3, comma 1, riconosce il diritto di accesso a chiunque ne faccia richiesta, senza che questi debba dichiarare il proprio interesse. Ne risulta una radicale semplificazione della procedura di accesso e un corrispondente rafforzamento della natura pubblica delle informazioni ambientali. Il favore per l'accesso è incrementato anche sotto il profilo qualitativo, in quanto non riguarda solo l'acquisizione delle informazioni ambientali ma si estende (v. commi 3, 6 e 7) alla leggibilità e alla comprensione delle stesse imponendo un obbligo aggravato di trasparenza in capo alle autorità pubbliche (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, sentenza 18.10.2008 n. 1339 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVIRequisiti di forma - Verbalizzazione - Segretario - Vizi dell'investitura - Non viziano l'atto verbalizzato.
La verbalizzazione dell'attività degli organi collegiali integra un requisito di forma sotto il profilo della prova. Finché non siano trasferite in un atto scritto mediante la redazione del verbale della seduta (e la successiva estrazione dal verbale dei singoli provvedimenti) le manifestazioni di volontà degli organi collegiali, pur non potendo essere considerate inesistenti, rimangono tuttavia latenti e non producono effetti, in quanto non è garantita la certezza del contenuto. La forma è attribuita da un soggetto fornito di speciale investitura, la quale può derivare direttamente dalla delega dei componenti dell'organo collegiale oppure dalla preposizione a uno specifico ufficio pubblico dotato di funzioni notarili, come nel caso dei segretari comunali e provinciali. I vizi dell'investitura non si trasformano in vizi di forma degli atti verbalizzati quando vi sia la certezza che il soggetto verbalizzante ha i requisiti necessari per svolgere le sue funzioni. Occorre sottolineare che si tratta di una certezza legale e non di fatto. Per i segretari comunali e provinciali tale certezza deriva dal particolare percorso abilitante che definisce questa figura professionale. Non rilevano invece i problemi legati alla nomina o alla decadenza dall'incarico. Quando vi sia anche solo l'apparenza legale dell'investitura (ossia un atto di nomina e l'insediamento) il funzionario di fatto è a tutti gli effetti un pubblico ufficiale e le relative controversie non impediscono lo svolgimento delle funzioni, che anzi devono essere garantite, in aderenza al principio di continuità dell'azione amministrativa, fino all'insediamento di un nuovo titolare (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, sentenza 09.10.2008 n. 1257 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

LAVORI PUBBLICI: Procedimento amministrativo, istruttoria conclusa, comunicazione avvio.
La comunicazione di avvio del procedimento è illegittimamente trasmessa al destinatario del provvedimento finale quando il procedimento amministrativo risultava da molto tempo non solo avviato, ma caratterizzato dalla successiva e reiterata acquisizione, a richiesta della stessa amministrazione, di molteplici atti poi rivelatisi determinanti nel prosieguo dell’attività istruttoria; in una fattispecie nella quale, dunque, al momento della formale comunicazione di avvio del procedimento, la relativa attività di acquisizione istruttoria, di fatto, è molto avanzata e quasi conclusa, non si può che rilevare che la comunicazione stessa logicamente poteva –e doveva– intervenire già molto tempo prima e, quanto meno, a partire dal momento in cui l’amministrazione è stata portata a conoscenza di una molteplicità di elementi che sono, poi, risaltati ai fini della determinazione finale (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 16.09.2008 n. 4363 - link a www.altalex.com).

dossier DISTANZE PARETI FINESTRATE

EDILIZIA PRIVATALe norme sulle distanze dei fabbricati contenute nel d.m. n. 1444/1968 hanno carattere pubblicistico ed inderogabile.
La sopraelevazione di un fabbricato esistente costituisce nuova costruzione.

Secondo un preciso e ormai consolidato orientamento giurisprudenziale cui la Sezione ritiene di aderire pienamente, le norme sulle distanze dei fabbricati contenute nel d.m. n. 1444/1968 hanno carattere pubblicistico ed inderogabile e vincolano i Comuni in sede di formazione e revisione degli strumenti urbanistici (cfr. Cons. Stato Sez. IV 05/12/2005 n. 6909; questa Sezione 22.06.2004 n. 2289). In particolare, poi, quella che prescrive la distanza minima assoluta di dieci metri tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti è un previsione che ha carattere di assolutezza ed inderogabilità e, in quanto derivante da fonte normativa statale, deve considerarsi sovraordinata rispetto agli strumenti urbanistici locali (cfr. Cons. Stato sezione IV 12/07/2002 n. 3929; Cass. Civ. II 07/06/1993 n. 6360; TAR Lombardia Milano Sez. II 15/04/2003 n. 1007).
Il manufatto da realizzarsi in sopraelevazione (un piano abitabile) costituisce una nuova costruzione, dacché comporta modifiche planovolumetriche e comunque significative innovazioni in ordine al volume, all’altezza e alla forma del fabbricato, tali da far meritare all’aggiuntivo piano che si va a realizzare la natura e consistenza di una nuova costruzione, che, come tale, ricade nella previsione del D.M. prescrittiva dell’osservanza del limite di distanza di 10 metri: all’uopo, nei sensi testé illustrati depone un preciso orientamento giurisprudenziale che il Collegio ritiene di dover condividere (cfr. Tar Campania Napoli Sez. II 12/04/2006 n. 3547; questa Sezione 22/01/2007 n. 55, idem 13.04.2007) (TAR Toscana, Sez. III, sentenza 19.12.2008 n. 4160 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATASulla distanza di 10 mt. dai fabbricati nel caso di demolizione/ricostruzione.
La demolizione e la ricostruzione di un fabbricato esistente, opere queste che connotano esattamente la nozione di ristrutturazione edilizia che, come ripetutamente sancito in giurisprudenza (vedi Cons. Stato Sezione 31.10.2006 n. 6464; idem Sezione V 26/05/1992 n. 464; questa Sezione 02/07/2007 n. 1022; idem n. 662/2001) riveste un’ampia portata, da comprendere, appunto, la demolizione dell’immobile preesistente, la sua successiva ricostruzione, fino all’inserimento di un quid novi, il tutto nel rispetto del canone legislativo di definizione degli interventi di ristrutturazione di cui all’originario testo dell’art. 31 della legge n. 457 del 1978 e alle attuali disposizioni recate dal testo unico dell’edilizia contenuto nel DPR n. 380 del 06.06.2001 (art. 3, lettera c).
Nel caso di un intervento edilizio consistente nella demolizione/ricostruzione fedele di un fabbricato non è invocabile la denunciata violazione delle disposizioni vigenti in materia di rispetto delle distanze di cui al D.M. n. 1444/1968 dal momento che i limiti imposti valgono per le nuove costruzioni e tale non può qualificarsi l’intervento assentito.
In altri termini, nella specie siamo in presenza ad un intervento di ristrutturazione edilizia in cui è stata previsto il mantenimento del muro di confine di proprietà in relazione al quale non appaiono applicabili i limiti dei 10 metri tra le pareti finestrate e dei 3 metri tra costruzioni su fondi finitimi
(TAR Toscana, Sez. II, sentenza III, sentenza 19.12.2008 n. 4159 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa sopraelevazione di un fabbricato esistente costituisce, a tutti gli effetti, nuova costruzione e, come  tale, deve rispettare la distanza minima di mt. 10 dai fabbricati circostanti.
Ai fini dell’applicazione della normativa in materia di distanze tra edifici, per nuova costruzione deve intendersi non solo la realizzazione ex novo d’un fabbricato ma anche qualsiasi modificazione nella volumetria d’un fabbricato preesistente, che ne comporti l’aumento della sagoma d’ingombro, in tal guisa direttamente incidendo sulla situazione degli spazi tra gli edifici esistenti, e ciò anche indipendentemente dalla realizzazione o meno d'una maggior volumetria e/o dall'utilizzabilità della stessa a fini abitativi; per il che si è ripetutamente ritenuto che la sopraelevazione, appunto, costituisca, a tutti gli effetti, nuova costruzione (cfr. Consiglio di Stato, V Sezione, 14.03.1993 n. 481; Cassazione civ., 11.06.1997 n. 5246).
Va poi aggiunto che le norme di cui al D.M. 02.04.1968, n. 1444, hanno carattere pubblicistico e inderogabile, in quanto dirette, più che alla tutela di interessi privati, a quella di interessi generali in materia urbanistica (cfr. Cassazione civ., II, 16.02.1996, n. 1021).
Il D.M. 02.04.1968, infatti, emanato ai sensi dell'art. 17 della n. 765 del 1967, trae da questa la forza di integrare con efficacia precettiva il regime delle distanze nelle costruzioni, sicché l'inderogabile distanza di dieci metri tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti –ricadenti in zone territoriali diverse dalla zona A, come nel caso di specie, ove trattasi di zona B del P.d.F.– vincola anche i Comuni in sede di formazione e di revisione degli strumenti urbanistici, con la conseguenza che ogni previsione regolamentare in contrasto con l'anzidetto limite minimo è illegittima (cfr. Cassazione civ., SS.UU., 21.02.1994, n. 1645), essendo consentita alla P.A. solo la fissazione di distanze superiori (cfr. Consiglio di Stato, IV Sezione, 13.05.1992, n. 511; Cassazione civ., 29.10.1994, n. 8944).
Il Collegio condivide il pacifico orientamento giurisprudenziale in base al quale la norma richiamata trova applicazione indipendentemente dalla circostanza che una sola delle pareti fronteggiantesi sia finestrata e che tale parete sia quella del nuovo edificio o dell’edificio preesistente (cfr. Cassazione civ., II Sezione, 26.01.2001, n. 1108, 03.08.1999, n. 8383; 18.02.1997, n. 1486) (TAR Campania-Napoli, Sez. II, sentenza 12.04.2006 n. 3547 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

dossier PERTINENZE EDILIZIE ED URBANISTICHE

EDILIZIA PRIVATA: Sul concetto di "costruzione" e di "pertinenza".
La nozione di costruzione, ai fini del rilascio del permesso di costruire, si configura in presenza di opere che attuino una trasformazione urbanistico-edilizia del territorio, con perdurante modifica dello stato dei luoghi, a prescindere dal fatto che essa avvenga mediante realizzazione di opere murarie, essendo irrilevante che le opere siano state realizzate in metallo, in laminati di plastica, in legno o altro materiale, ove si sia in presenza di un’evidente trasformazione del tessuto urbanistico ed edilizio e le opere siano preordinate a soddisfare esigenze non precarie sotto il profilo funzionale (cfr. ex multis CdS, Sez. IV, N. 2705/2008 in tal senso anche Consiglio Stato, V, 13.06.2006, n. 3490).
In altri termini, rilevano non soltanto gli elementi strutturali (composizione dei materiali, smontabilità o meno del manufatto) ma anche i profili funzionali (cfr. TAR Lazio, Roma, Sez. I-quater, n. 11679 del 23.11.2007).
Ed appare di tutta evidenza come, nella stessa prospettazione di parte, il manufatto in contestazione non sia stato eretto per far fronte, in via provvisoria, ad esigenze contingenti, bensì risulti contraddistinto da un impiego tendenzialmente permanente.
Le medesime ragioni inducono ad escludere la sussistenza di un rapporto di tipo pertinenziale: come afferma la giurisprudenza, la nozione di pertinenza va definita sia in relazione alla necessità e oggettività del rapporto pertinenziale, sia alla consistenza dell'opera, che non deve essere tale da alterare in modo significativo l'assetto del territorio (cfr. Consiglio di stato, sez. IV, 07.07.2008 , n. 3379).
Tano più che il concetto di "pertinenza non può essere esteso ad opere utili all'esercizio dell'attività di una azienda o impresa (cfr. Cassazione penale, sez. III, 24.10.1997, n. 10709) (TAR Campania-Napoli, Sez. II, sentenza 26.09.2008 n. 11309 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

dossier RIFIUTI

AMBIENTE-ECOLOGIA: INQUINAMENTO - Bonifica di siti contaminati - Art. 17 d.lgs. n. 22/1997 - Misura ablatoria personale - Rapporti con la disciplina di cui agli art. 91, R.D. 45/1901, art. 9 R.D. n. 1406/1931, artt. 216, 226 e 227 del T.U.L.S. n. 1265/1934, art. 17 D.P.R. n. 303/1956.
La peculiarità dell’istituto disciplinato dall’art. 17 risiede nella sua natura di misura ablatoria personale, consentita in apicibus dall’art. 23 Cost., la cui adozione crea in capo al destinatario un obbligo di attivazione, consistente nel porre in essere determinati atti e comportamenti unitariamente finalizzati al recupero ambientale dei siti inquinati. Le norme di cui all’ art. 91 del R.D. n. 45/1901; l’art. 9 del R.D. n. 1406/1931; gli artt. 216, 226 e 227 del T.U.L.S. n. 1265/1934 e l’art. 17 del D.P.R. n. 303/1956 non avevano tale connotazione e, dunque, non rappresentavano un antecedente dell’art. 17.
INQUINAMENTO - Bonifica di siti contaminati - Art. 17 d.lgs. n. 22/1997 - Confronto con le disposizioni di cui agli artt. 2043, 2050 e 2058 c.c. - Continuità normativa tra l’art. 2043 c.c. e l’art. 17 d.lgs. n. 22/1997- Inconfigurabilità - Applicazione dell’art. 17 ad un soggetto estinto prima del 1997 - Illegittimità.
Ponendo a confronto l’art. 17 del d.lgs. n. 22/1997 con il plesso normativo composto dagli artt. 2043, 2050 (considerata,nella specie, l’obiettiva pericolosità dell’attività industriale di produzione di coloranti) e 2058 (sul risarcimento in forma specifica), le differenze tra gli istituti rispettivamente disciplinati sono talmente numerose e tanto profonde, da non consentire la formulazione di alcun giudizio di continuità tra le stesse. Non è pertanto ravvisabile continuità normativa tra l’art. 2043 c.c. e il menzionato art. 17 del decreto Ronchi: ne discende che la seconda previsione non si presenta come meramente procedimentale rispetto alla prima e che un’eventuale applicazione dell’art. 17 ad un soggetto estinto prima del 1997 trasmoderebbe in una non consentita applicazione retroattiva della legge.
INQUINAMENTO - Siti contaminati - Società responsabile dell’inquinamento - Estinzione anteriore al 1997 - Applicabilità dell’art. 17 d.lgs. n. 22/1997 - Esclusione - Altri strumenti di intervento - Cd. successione economica.
Nei confronti dei successori di società responsabili degli inquinamenti che si siano estinte prima del 1997 non è possibile applicare l’art. 17 del decreto Ronchi (oggi artt. 239 e ss.) E’ però possibile far valere, a regime, l’ordinaria responsabilità civilistica di tipo aquiliano; inoltre, sul versante amministrativo, rimangono comunque adottabili (come già avveniva in epoca antecedente all’entrata in vigore del decreto Ronchi) i provvedimenti contingibili contemplati dall’ordinamento per i casi di qualificate urgenze di intervenire. In particolare, nei provvedimenti contingibili e urgenti l’imputazione soggettiva degli obblighi di attivazione, discrezionalmente individuati dall’amministrazione procedente, può motivatamente seguire anche le diverse regole della successione c.d. “economica” (per un’applicazione della successione economica in materia di concorrenza, è utile il richiamo alla recente sentenza della Corte di Giustizia delle Comunità europee 11.12.2007, in causa C-280/06, pronunciata su rinvio pregiudiziale del Consiglio di Stato) che consentono, per la migliore e immediata tutela di fondamentali interessi superindividuali, di derogare al generale principio della personalità e, in ossequio al canone del “chi inquina paga”, di onerare chi abbia beneficiato delle valenze economiche, anche latenti, di un bene-impresa dei correlativi costi dell’internalizzazione delle diseconomie esterne prodotte.
INQUINAMENTO - Bonifica di siti contaminati - Accertamenti tecnici - Art. 223 c.p.p. - Applicabilità - Esclusione - Prelievo e analisi dei campioni - Procedura - Allegato 2 del D.M. n. 471/1999.
In materia di accertamenti tecnici prodromici ai provvedimenti finalizzati alla bonifica dei siti contaminati, non è invocabile l’art. 223 disp. att. c.p.p., dal momento che questa disposizione certamente non esprime un principio generale: si tratta piuttosto una previsione speciale del diritto processuale penale, dettata all’unico fine di stabilire le condizioni alle quali è consentita la migrazione, nel fascicolo del dibattimento, dei verbali di analisi non ripetibili e di quelli di revisione e alla cui eventuale violazione corrisponde solo la sanzione endoprocessuale della nullità a regime intermedio ex art. 180 c.p.p. (Cass., sez. III pen., 28.06.2006, n. 37400). In sede amministrativa il contraddittorio procedimentale sugli accertamenti tecnici può svolgersi secondo altre modalità e la regola del preventivo avviso, pur configurandosi come una forte tutela, non è sempre imposta dall’ordinamento né deve essere necessariamente osservata, potendo ugualmente assicurarsi, seguendo altri schemi procedurali, una piena dialettica tra l’amministrazione e gli interessati. E’ questo il caso del D.M. n. 471/1999 che, nell’Allegato 2, reca una completa e dettagliata disciplina delle “Procedure di riferimento per il prelievo e l'analisi dei campioni”, prevedendo, tra l’altro, dei campioni supplementari “per eventuali contestazioni e controanalisi” (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 05.12.2008 n. 6055 - link a www.ambientediritto.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: INQUINAMENTO - Siti contaminati - Proprietario estraneo all’inquinamento - Onere reale e privilegio immobiliare gravante sul bene - Evizione del bene - Conseguenza dell’attività di ripristino ambientale realizzata dall’ente pubblico.
Per il proprietario estraneo all'inquinamento, l'esecuzione degli interventi di bonifica prescritti dall'amministrazione è un vero e proprio onere, finalizzato a rimuovere il pregiudizio costituito dall'onere reale e dal connesso privilegio immobiliare gravante sul bene: l’evizione del bene che il proprietario può di fatto subire a causa dell'inerzia dell'inquinatore non costituisce una sanzione per non aver bonificato il sito, ma una conseguenza dell'attività di ripristino ambientale realizzata dall'Ente pubblico nell'interesse della collettività, tramite un meccanismo che presenta similitudini più con l'esproprio che con il risarcimento del danno ambientale.
INQUINAMENTO - Siti contaminati - Successione di soggetti distinti su una fonte attiva di inquinamento - Attività d’impresa - Pluralità di garanti.
Nei casi in cui via sia una successione di soggetti distinti su una fonte attiva di inquinamento, o su una fonte di pericolo attuale e concreto di inquinamento, che il titolare dell'attività di impresa abbia l'obbligo di controllare in base alla normativa vigente, i vari soggetti succedutisi, i quali abbiano effettivamente il potere di intervenire sulla fonte di rischio senza che sia necessario il ricorso a strumenti eccezionali, danno luogo ad una pluralità di garanti, nessuno dei quali può liberarsi dal proprio obbligo di intervento invocando l'analoga posizione di garanzia di altri soggetti, inclusi i propri predecessori nella gestione del sito. Secondo gli insegnamenti della Cassazione, infatti, se più sono i titolari della posizione di garanzia od obbligo di impedire l'evento, ciascuno è, per intero, destinatario di quell'obbligo, con la conseguenza che, se è possibile che determinati interventi siano eseguiti da uno dei garanti, è, però, doveroso per l'altro o per gli altri garanti, dai quali ci si aspetta la stessa condotta, accertarsi che il primo sia effettivamente e adeguatamente intervenuto (cfr. Cassazione penale, sez. IV, 06.12.1990, n. 4793).
INQUINAMENTO - Art. 17 d.lgs. n. 22/1997 - Artt. 240 e ss. d.lgs. n. 152/2006 - Proprietario incolpevole - Onere reale e privilegio immobiliare - Recupero delle somme spese dall’ente pubblico - Limiti di valore dell’area bonificata.
L'art. 17, d.lg. n. 22 del 1997, la cui impostazione sul punto è stata ora confermata e specificata dagli artt. 240 e ss., d.lg. 03.04.2006 n. 152, recante norme in materia ambientale (c.d. Codice dell'ambiente), impone l'esecuzione di interventi di recupero ambientale anche di natura emergenziale al responsabile dell'inquinamento che può non coincidere con il proprietario ovvero con il gestore dell'area interessata; a carico di quest'ultimo (proprietario dell'area inquinata non responsabile della contaminazione), invero, non incombe alcun obbligo di porre in essere gli interventi ambientali in argomento ma l’onere (reale) di eseguirli al fine di evitare l'espropriazione del terreno interessato gravato da onere reale, al pari delle spese sostenute per gli interventi di recupero ambientale assistite, invece, da privilegio speciale immobiliare (cfr. TAR Toscana, sez. II, 30.05.2008 , n. 1541 e Consiglio Stato, sez. VI, 05.09.2005, n. 4525). Pertanto, il proprietario, qualora non coincida con il responsabile dell'inquinamento e questi non sia identificabile, finisce comunque per essere il soggetto gravato dal punto di vista economico, poiché l'Ente pubblico che ha provveduto all'esecuzione dell'intervento può recuperare le spese sostenute nei limiti del valore dell'area bonificata, anche in suo pregiudizio: ne deriva che il proprietario incolpevole ha l'onere di provvedere alla bonifica e alla messa in sicurezza se intende evitare le conseguenze derivanti dai vincoli che gravano sull'area di onere reale e di privilegio speciale immobiliare, salva l'azione di regresso nei confronti del responsabile dell'inquinamento (cfr. TAR Lombardia, Brescia, 16.03.2006, n. 291).
INQUINAMENTO - Bonifica dei siti contaminati - NTA - Opere edilizie - Preordinamento all’esecuzione degli interventi di messa in sicurezza, bonifica e ripristino - Legittimità.
E’ coerente con le finalità proprie della disciplina sulla bonifica dei siti contaminati l’inserimento nelle NTA della disposizione in forza della quale ogni operazione di trasformazione edilizia ed urbanistica delle parti di territorio qualificabili come siti contaminati o potenzialmente contaminati, è preordinata alla esecuzione, da parte dei soggetti pubblici o privati di cui all’ari. 250 del d. lgs. 152/2006, degli interventi di messa in sicurezza permanente, bonifica e ripristino ambientale (TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 21.11.2008 n. 2928 - link a www.ambientediritto.it).

dossier SCOMPUTO OO.UU.

EDILIZIA PRIVATAE' ammissibile la scomputabilità del valore corrispondente alle opere di urbanizzazione primaria dall'importo dovuto a titolo di oneri di urbanizzazione secondaria.
Secondo la giurisprudenza amministrativa “in linea di principio, se il privato costruttore ha eseguito direttamente opere di urbanizzazione o si sia obbligato a farle, nella zona oggetto dell'intervento edilizio autorizzato, anche se non abbia concordato le relative modalità e le garanzie con il Comune, ha diritto a che l'amministrazione valuti l'effettiva entità e la concreta utilizzazione delle opere già realizzate o da realizzare, al fine di scomputare il costo della somma dovuta a titolo di contributo per oneri di urbanizzazione” (TAR Sicilia Catania, sez. I, 02.10.2003, n. 1532; in senso conforme TAR Calabria Catanzaro, 24.07.1997, n. 526; Consiglio Stato, sez. V, 27.06.1994, n. 716). 
L'art. 11, l. n. 10 del 1977, nel prevedere la possibilità per il titolare della concessione edilizia dello scomputo dal contributo delle somme relative a spese per opere di urbanizzazione direttamente realizzate, limita tale possibilità a quelle opere che il concessionario si sia obbligato ad eseguire e dispone espressamente che la possibilità medesima va esercitata con le modalità e le garanzie stabilite dal comune, sicché -secondo il recente orientamento della giurisprudenza amministrativa- “l'esenzione totale o parziale dal pagamento degli oneri di urbanizzazione è espressione di un'attività valutativa, di natura discrezionale, dell'amministrazione che si conclude con un atto, anche di natura convenzionale, che fissi il tipo e l'entità delle opere ammesse dal comune alla realizzazione diretta da parte del titolare della concessione edilizia nonché l'importo economico da scomputare, mentre l'esenzione in discorso non può mai derivare dall'autonoma scelta unilaterale del concessionario; peraltro, pur in assenza di un atto d'obbligo, l'amministrazione può tenere conto della domanda di scomputo delle opere già realizzate senza il previo dettato comunale ove sussista la relativa previsione, anche se solo in forma generica, nella concessione edilizia ovvero la discrezionale determinazione di accettazione "ex post" delle opere da parte del comune stesso” (TAR Campania Salerno, sez. II, 04.07.2005 , n. 1082).
Nello stesso ambito la giurisprudenza (TAR Toscana Firenze, sez. III, 11.08.2004, n. 3181) ha inoltre chiarito che “La quota di urbanizzazione ha carattere di corrispettivo di diritto pubblico, di natura non tributaria, posto a carico del costruttore a titolo di partecipazione del concessionario ai costi delle opere di urbanizzazione in proporzione all'insieme dei benefici che la nuova costruzione ne ritrae: pertanto, il relativo contributo può essere scomputato nei casi in cui, ricorrendone i presupposti e le condizioni, le opere di urbanizzazione siano realizzate dal titolare della concessione edilizia (art. 11 comma 1 l. 28.01.1977 n. 10). Pertanto secondo tale orientamento giurisprudenziale “ben può ammettersi anche la scomputabilità del valore corrispondente alle opere di urbanizzazione primaria dall'importo dovuto a titolo di oneri di urbanizzazione secondaria, attesa la comune natura giuridica degli oneri di cui trattasi, non ravvisandosi ragioni ostative alla compensazione tra obbligazioni intercorrenti tra i medesimi soggetti e nascenti dal medesimo rapporto convenzionale: difatti lo scomputo, totale o parziale, della quota di contributo dovuta in caso di realizzazione diretta delle opere di urbanizzazione deve essere effettuato senza distinzione tra opere di urbanizzazione primaria e secondaria, atteso che la mancata distinzione nella sede legislativa specifica (art. 11 l. 28.01.1977 n. 10) delle due categorie di opere vieta all'interprete di introdurre una siffatta distinzione” (TAR Toscana Firenze, sez. III, 11.08.2004, n. 3181 cit.) (TAR Sicilia-Palermo, Sez. I, sentenza 29.10.2008 n. 1367 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

dossier S.U.A.P.

EDILIZIA PRIVATAIn materia di sportello unico per le attività produttive, il comune ha la facoltà -e non l'obbligo- di avviare il procedimento ex art. 5 del D.P.R. 447 del 1998.
Il d.P.R. 20.10.1998, n. 447, all’art. 5 dispone che “qualora il progetto presentato sia in contrasto con lo strumento urbanistico, o comunque richieda una sua variazione, il responsabile del procedimento rigetta l’istanza. Tuttavia, allorché il progetto sia conforme alle norme vigenti in materia ambientale … ma lo strumento urbanistico non individui aree destinate all’insediamento di impianti produttivi ovvero queste siano insufficienti in relazione al progetto presentato, il responsabile del procedimento può, motivatamente convocare una conferenza di servizi … per le conseguenti decisioni … Qualora l’esito della conferenza di servizi comporti la variazione dello strumento urbanistico, la determinazione costituisce proposta di variante”.
La riportata disposizione indica un procedimento –alternativo rispetto agli ordinari strumenti di modifica della pianificazione urbani-stica– preordinato alla individuazione delle aree da destinare ad im-pianti produttivi mediante variante specifica al piano vigente.
Condizione imprescindibile per l’avvio del procedimento attraverso la convocazione della conferenza di servizi è (per quanto qui interessa) la conformità del progetto alle norme vigenti in maniera ambientale, che neppure il ricorrente in primo grado ha dedotto sussistere in maniera completa. Occorre, inoltre, che sussista l’impossibilità di reperire nello strumento urbanistico aree idonee all’iniziativa produttiva.
E’ evidente, infatti, che, qualora risultino disponibili nel PRG altre aree utilizzabili per l’allocazione dell’intervento produttivo, vengono meno le esigenze promozionali alla base della disciplina derogatoria, la quale ha natura eccezionale e non costituisce in alcun modo strumento ordinario di modifica dello strumento urbanistico, azionabile in base alle soggettive preferenze e convenienze dell’imprenditore.
In ogni caso, quando sussistono i detti presupposti, l’Amministrazione ha non l’obbligo ma la facoltà di avviare, sulla scorta di congrua motivazione, l’iter semplificato per l’introduzione della variante, come si desume da rilievi testuali (il responsabile può motivatamente) sia da considerazioni di tipo sistematico. Sotto tale ultimo profilo è da notare, infatti, che, pur ispirandosi la vigente normativa ad evidenti criteri di favore per l’insediamento di attività produttive, tale logica economico-sociale non può essere spinta fino a sovvertire il ruolo fondamentale che spetta al Comune nell’ambito del giusto procedimento in materia urbanistica.
Ne deriva che la conferenza non deve sempre e comunque essere convocata qualora il progetto proposto non contrasti con divieti specifici ambientali e sanitari. Ciò, potendo costringere il consiglio comunale a riconsiderare la previsione urbanistica per una certa zona, inciderebbe in maniera certa sulla programmazione dei lavori del consiglio stesso ed in qualche misura (perché si tratterebbe pur sempre di una proposta di variante da sottoporre al vaglio del ripetuto consiglio) nella discrezionalità del Comune in materia di programmazione dello sviluppo del territorio.
Il Collegio ritiene, quindi, che la determinazione di non avviare il procedimento è di per sé pienamente consentita dall’ordinamento di settore, il quale configura l’utilizzo di una procedura pur sempre derogatoria come meramente facoltativo da parte dell’ente locale. Ritiene, altresì, che tale determinazione costituisce il frutto dell’esercizio di un potere discrezionale che il Comune può legittimamente fondare, anche indipendentemente da precisi divieti ambientali, su valutazioni di ordine generale, purché razionalmente ed equilibratamente rapportate, in relazione alla natura ed all’entità dell’intervento, all’esigenza di evitare la compromissione di valori paesaggistici, urbanistici o comunque inerenti alla tutela dell’assetto delle territorio (C.G.A.R.S., sentenza 15.12.2008 n. 1077 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

dossier TELEFONIA MOBILE

EDILIZIA PRIVATASulla edificazione di tralicci ed antenne di rilevanti dimensioni in zona di rispetto o, comunque, soggetta a vincolo di inedificabilità assoluta.
La disciplina degli impianti di telecomunicazione e radiotelevisivi coinvolge profili sia di tutela dell’ambiente che di governo del territorio, in quanto impone standards di protezione dalle onde elettromagnetiche –uniformi su tutto il territorio nazionale– a garanzia del diritto alla salute, ma anche modalità di localizzazione degli impianti stessi, tali da consentire il rispetto sia dei parametri urbanistici che di corrette regole di produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia, nonché di ottimale diffusione delle reti di comunicazione, secondo un ben preciso riparto di competenze.
Come ribadito dalla stessa Corte Costituzionale con sentenza n. 307 del 07.10.2003 –in armonia peraltro con l’indirizzo giurisprudenziale, già formatosi sulla legge quadro n. 36/2001– la determinazione degli standards di protezione dall’inquinamento elettromagnetico è competenza dello Stato (sotto il profilo di valori-soglia, non derogabili dalle Regioni), mentre è materia di legislazione concorrente (ovvero, rientrante anche nella potestà legislativa regionale, ma nel rispetto di principi fondamentali, fissati da leggi dello Stato) il trasporto dell’energia e l’ordinamento della comunicazione; è infine rimessa alle Regioni e agli enti territoriali minori la localizzazione degli impianti, come questione attinente alla disciplina d’uso del territorio, purché la pianificazione, a quest’ultimo riguardo dettata, non sia tale “da impedire o da ostacolare ingiustificatamente l’insediamento degli impianti stessi”.
L’interprete è quindi chiamato ad affrontare problematiche, che attengono sia allo sviluppo del territorio, sia a fattori di inquinamento ambientale, questi ultimi solo in parte superabili attraverso il verificato rispetto dei parametri, fissati dallo Stato come “limiti di esposizione” ai campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici, mentre - sul piano dell’edificazione - gli impianti tecnologici di cui trattasi trovano parametri di riferimento anche nelle norme urbanistico-edilizie, come recepite nel D.P.R. 06.06.2001, n. 380.
Queste ultime prevedono una disciplina differenziata, in caso di rapporto di strumentalità necessaria degli impianti rispetto a edifici preesistenti (situazione rapportabile a caldaie, condizionatori, pannelli solari e simili), ovvero di autonomia funzionale dei medesimi quali nuove costruzioni (come nel caso, appunto, di tralicci ed impianti, destinati ad essere parte di una rete di infrastrutture).
Solo per i primi, fra gli impianti sopra indicati, risulta applicabile -in base al citato T.U.- la disciplina dettata per gli interventi edilizi ritenuti minori, soggetti a mera denuncia di inizio attività (cosiddetta D.I.A.) a norma dell’art. 4 del D.L. 05.10.1993, n. 398, convertito con modificazioni dalla legge 04.12.1993, n. 493, come modificato dall’art. 2, comma 60, della legge 23.12.1996, n. 662 ed integrato dall’art. 1, comma 6, della legge 21.12.2001, n. 443 (fino all’entrata in vigore –il 30.6.2003– del D.P.R. 06.06.2001, n. 380 -testo unico delle disposizioni legislative in materia edilizia- che raccoglie le disposizioni legislative e regolamentari contenute nel D.Lgs. n. 378/2001 e nel DPR n. 379/2001). Per “l’installazione di torri e tralicci per impianti radio-ricetrasmittenti e di ripetitori per i servizi di telecomunicazione” –espressamente catalogata come intervento di nuova costruzione– il citato D.Lgs. n. 378/2001 prescrive, nel combinato disposto degli articoli 3, comma 1, lett. e.5 e 10, comma 1, il permesso di costruire, introdotto dalla medesima normativa come nuova qualificazione formale della concessione edilizia.
Giova sottolineare, al riguardo, che la regolamentazione sopra ricordata non risulta sovvertita anche dopo l’introduzione delle nuove procedure autorizzatorie, previste per le infrastrutture di cui trattasi dagli articoli 86, 87 e 88 del codice delle comunicazioni elettroniche, approvato con D.Lgs. 01.08.2003, n. 259: una disciplina, quest’ultima, che affronta i molteplici profili di interesse pubblico coinvolti e prevede al riguardo lo svolgimento di apposite conferenze di servizi, circoscrivendo una peculiare fattispecie, soggetta a denuncia di inizio attività (“installazione di impianti, con tecnologia UMTS o altre, con potenza in singola antenna uguale o inferiore ai 20 watt”), mentre per le altre installazioni è prescritto il rilascio -in forma espressa o tacita- di un titolo abilitativo, qualificato come autorizzazione.
Secondo l’indirizzo, ormai più volte espresso dalla Corte Costituzionale, la predetta nuova disciplina può ritenersi conforme a criteri –rilevanti anche sul piano comunitario– di semplificazione amministrativa, con prevista confluenza in un solo procedimento di tutte le tematiche, rilevanti per le installazioni in questione: quanto sopra, tuttavia, senza che sia cancellata l’incidenza delle installazioni stesse sotto il profilo urbanistico-edilizio, tenuto conto della concreta consistenza dell’intervento e senza esclusione delle conseguenze penali, connesse ad ipotesi di abusivismo, ex art. 44 D.P.R. n. 380/2001 (cfr. in tal senso Corte Cost. 28.03.2006, n. 259; Corte Cost. 18.05.2006, ord. n. 203).
E’ pertanto ammesso che i Comuni adottino misure programmatorie integrative per la localizzazione degli impianti di cui si discute, in modo tale da minimizzare l’esposizione dei cittadini residenti ai campi elettromagnetici, ma anche in un’ottica di ottimale disciplina d’uso del territorio (cfr. Cons. St., sez. VI, 03.06.2002, n. 3095; 20.12.2002, n. 7274; 10.02.2003, n. 673; 26.08.2003, n. 4841).
Non può ritenersi ancora oggi superata, dunque, la problematica inerente al permesso di costruire, previsto per tutte le installazioni in questione dal più volte citato T.U. dell’Edilizia e non cancellato, anche se oggetto di speciale disciplina procedurale, dal codice delle comunicazioni elettroniche.
Ove dunque, a differenza di quanto avvenuto nella situazione in esame, non fosse stata dettata la normativa regolamentare, di cui al già citato art. 8, comma 6, L. n. 36/2001, interventi edilizi come quello in esame non avrebbero potuto che restare soggetti –sotto il profilo urbanistico– ai principi di carattere generale, che vedono tralicci ed antenne di rilevanti dimensioni, da una parte, valutabili come strutture edilizie soggette a permesso di costruire (ora ad assenso autorizzativo, assorbente rispetto a tale permesso) e dunque, deve ritenersi, non collocabili in zone di rispetto, o comunque soggette a vincolo di inedificabilità assoluta, ma che dall’altra impongono di considerare tali manufatti –in quanto parte di una rete di infrastrutture, qualificate come opere di urbanizzazione primaria, nonché in quanto impianti tecnologici e volumi tecnici– compatibili con qualsiasi destinazione di P.R.G. delle aree interessate e non soggetti in linea di massima (salvo disposizioni peculiari) ai limiti di altezza e cubatura delle costruzioni circostanti (cfr. in tal senso, per il principio, Cons. St., sez. VI, 29.05.2006, n. 3243 e 07.06.2006, n. 3425).
Non precluderebbe, dunque, l’assentibilità dell’intervento l’assenza di una disciplina specifica, volta ad individuare il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti di cui trattasi ed a minimizzare l’esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici (nei limiti di ragionevolezza e rispetto delle norme statali, in cui tale localizzazione è ritenuta possibile dalla giurisprudenza, ormai pacifica sul punto: cfr., fra le tante, Cons. St., sez. VI, 13.06.2007, n. 3162, 03.03.2007, n. 1017, 28.03.2007, n. 1431 e 25.09.2006, n. 5593).
Nel caso in cui, però, il Comune abbia emesso una disciplina apposita, quest’ultima deve ritenersi in effetti vincolante in ordine alle localizzazioni ammesse, salvo contestazione della medesima in sede giurisdizionale –come avvenuto nel caso di specie– quando se ne ravvisi il contrasto con la disciplina legislativa del settore (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 01.10.2008 n. 4744 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

dossier VINCOLO PAESAGGISTICO ED ESAME IMPATTO PAESISTICO

EDILIZIA PRIVATASulla sanzione conseguente ad un abuso edilizio in zona paesaggisticamente vincolata.
Vale richiamare il consolidato orientamento della giurisprudenza amministrativa (cfr., ex plurimis, Cons. Stato, Sez, IV, n. 6979/2002 e n. 7405/2004), già condiviso anche recentemente (cfr. sent. n. 14 del 19.01.2008) dal Tribunale, che, nella materia controversa, ha enucleato i seguenti principi:
a) l’art. 15 della L. 29.06.1939 n. 1497 (oggi, art. 167 D.L.vo n. 42/2004) va interpretato nel senso che l’indennità prevista per abusi edilizi in zone soggette a vincoli paesaggistici costituisce una vera e propria sanzione amministrativa che prescinde dalla sussistenza effettiva di un danno ambientale, non rappresentando una forma di risarcimento del danno;
b) condonabilità degli abusi commessi in zone soggette a tutela ambientale purché sia intervenuto il parere favorevole dell’autorità competente, ai sensi dell’art. 32 della L. n. 47 del 28.02.1985;
c) applicabilità della sanzione di cui al predetto art. 15 anche in caso in cui sia intervenuto il previsto nulla osta, come precisato dall’art. 2, comma 46, della L. n. 662 del 23.12.1996, norma di natura chiaramente interpretativa;
d) applicabilità, per espresso dettato legislativo, dell’art. 28, primo comma, della L. n. 689 del 24.11.1981 il quale espressamente dispone che il “diritto a riscuotere le somme dovute per le violazioni indicate dalla presente legge si prescrive nel termine di cinque anni dal giorno in cui è stata commessa la violazione”, sia pure con i temperamenti necessari attesa la particolare natura dell’illecito sanzionato dal ricordato art. 15. La regola della prescrizione quinquennale, decorrente dal giorno della commissione della violazione, infatti, trova in astratto applicazione anche in materia di illeciti amministrativi puniti con la pena pecuniaria di cui alla normativa di tutela urbanistica-edilizia e di tutela del paesaggio (cfr., anche, Cass., 1° Sez. civ., n. 6967 del 25.07.1997).
e) l’illecito paesaggistico, consistente nella realizzazione in zona sottoposta a vincolo paesaggistico di opere in assenza della previa autorizzazione, ha natura permanente, in quanto tale caratterizzato dall’omissione dell’obbligo, perdurante nel tempo, di ripristinare secundum jus lo stato dei luoghi, così che se l’Amministrazione si determina con un provvedimento repressivo (demolizione ovvero irrogazione della sanzione pecuniaria), non è “emanato un atto a distanza di tempo” dalla commissione dell’abuso, ma si sanziona una situazione antigiuridica ancora contra jus, atteso che la situazione di illiceità può dirsi venuta meno solo quando è stato assolto l’obbligo di ripristino dello stato dei luoghi (ovvero sia stata irrogata, in alternativa, la prevista sanzione pecuniaria);
f) il termine di prescrizione quinquennale inizia a decorrere solo quando sia venuta meno la situazione di illiceità;
g) non è esatto assumere a parametro di riferimento l’intervenuto parere favorevole al mantenimento delle opere abusivamente realizzate posto in essere dalla Commissione regionale per la tutela del paesaggio e dall’Assessore al Dipartimento assetto del territorio in relazione al provvedimento di rilascio della concessione edilizia in sanatoria. Siffatto parere, in mancanza di una qualsiasi norma positiva in tal senso, è da ritenere privo di un’autonoma rilevanza in quanto concorre a consentire il rilascio della concessione edilizia (o autorizzazione) in sanatoria inserendosi, secondo le previsioni contenute nell’art. 32 della L. n. 47 del 1985, nel diverso procedimento volto a sanare solo ed esclusivamente illeciti di natura edilizia-urbanistica in relazione ad immobili soggetti a vincoli paesaggistici e/o ambientali e non è, quindi, atto idoneo a far decorrere il termine di prescrizione previsto dal ricordato art. 28 della normativa del 1981. Al contrario, il provvedimento sanzionatorio trova la sua disciplina in una normativa diversa da quella prevista nella cd. legge di sanatoria, disciplina che delinea un autonomo procedimento in cui intervengono altre Amministrazioni in quanto titolari di interessi finalizzati alla tutela dell’ambiente, del paesaggio e del territorio, nonché alla repressione di eventuali abusi (TAR Basilicata, sentenza 18.10.2008 n. 648 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La circostanza che l'autorità deputata alla tutela dei beni ambientali si sia pronunciata positivamente, in sede di approvazione di un piano di lottizzazione, non esclude che i singoli progetti debbano essere nuovamente ed autonomamente apprezzati, in sede di rilascio del nulla osta previsto dall’art. art. 151, d.lgs. 29/10/1999 n. 490.
Il Comune, competente al rilascio dell’autorizzazione paesaggistica ex art. 7, legge 29/06/1939 n. 1497, non può emettere il nullaosta di cui al citato art. 7 se non dopo aver valutato la compatibilità dell’intervento da realizzare con il bene paesaggistico tutelato, esternando, nel far ciò, le ragioni che ispirano la scelta, fosse essa negativa o positiva (cfr., sul principio che anche il rilascio del nullaosta paesaggistico debba essere motivato, Cons. Stato, sez. VI, dec. 08/08/2000 n. 4345; dec. 06/07/2000 n. 3793; dec. 26/04/2000 n. 2500).
Si deve, peraltro, osservare come l’onere motivazionale debba ritenersi attenuato, allorché riguardi un intervento già astrattamente valutato come compatibile con i valori paesaggistici, in sede di pianificazione urbanistica.
Gli interessi paesaggistico ed urbanistico sono fra loro funzionalmente differenziati, cosicché la circostanza che l'autorità deputata alla tutela dei beni ambientali si sia pronunciata positivamente, in sede di approvazione di un piano di lottizzazione, non esclude che i singoli progetti, pur compatibili con la destinazione urbanistica, debbano essere nuovamente ed autonomamente apprezzati, in sede di rilascio del nulla osta previsto dall’art. art. 151, d.lgs. 29/10/1999 n. 490.
Ma, in tal caso, la valutazione richiesta ai fini del rilascio dell’autorizzazione è limitata al modo di essere ed alle concrete modalità esecutive del manufatto da realizzare (cfr. Cons. Stato, sez. VI, dec. 26/04/2000 n. 2500).
La tutela di cui all’art. 151, d.lgs. 29/10/1999 n. 490, non si estrinseca nell’impedire qualunque modificazione del paesaggio, ma solo nel valutare quali modifiche siano compatibili con la salvaguardia del valore tutelato e quindi autorizzabili (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 01.10.2008 n. 4726 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

GURI - GUUE - BURL (e anteprima)

AMBIENTE-ECOLOGIA: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 1 del 05.01.2009, "Istituzione dell'Albo regionale delle imprese boschive (art. 19, l.r. n. 27/2004)" (deliberazione G.R. 12.11.2008 n. 8396 - link a www.infopoint.it).

ENTI LOCALI: B.U.R. Lombardia, 3° suppl. ord. al n. 53 del 31.12.2008, "Modifiche a leggi regionali in materia di edilizia residenziale pubblica" (L.R. 30.12.2008 n. 36 - link a www.infopoint.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: G.U. 31.12.2008 n. 304 "Misure straordinarie in materia di risorse idriche e di protezione dell’ambiente" (D.L. 30.12.2008 n. 208).

ENTI LOCALI: G.U. 31.12.2008 n. 304 "Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e disposizioni finanziarie urgenti" (D.L. 30.12.2008 n. 207).

ENTI LOCALI: G.U. 30.12.2008 n. 303, suppl. ord. n. 285/L, "Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2009)" (L. 22.12.2008 n. 203).

ENTI LOCALI: B.U.R. Lombardia, 1° suppl. straord. al n. 53 del 29.12.2008, "Programma Operativo Regionale FESR 2007-2013 - Asse 4 «Tutela e valorizzazione del patrimonio naturale e culturale» - Approvazione del bando per la presentazione delle domande di contributo sulla linea di intervento 4.1.1.1 «Promozione e diffusione di una fruizione sostenibile nel sistema delle aree protette e nelle aree della rete ecologica lombarda attraverso la tutela e la valorizzazione del patrimonio culturale e ambientale» «Realizzazione e promozione di itinerari turistici per la fruizione sostenibile delle risorse culturali  e ambientali»" (decreto D.U.O. 15.12.2008 n. 15140 - link a www.infopoint.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: B.U.R. Lombardia, 1° suppl. ord. al n. 52 del 27.12.2008, "L.R. 05.12.2008, n. 31 «Testo unico delle leggi regionali in materia di agricoltura, foreste, pesca e sviluppo rurale» pubblicata nel BURL n. 50, I Supplemento Ordinario del 10.12.2008" (avviso di rettifica n. 52/I-S.O. 2008 - link a www.infopoint.it).

NEWS

EDILIZIA PRIVATA: Autorizzazioni paesaggistiche: prorogate al 30.06.2009 le attuali procedure (link a www.regione.lombardia.it).

DOTTRINA E CONTRIBUTI

APPALTI: B. Spatola, Annullamento della aggiudicazione e sorte del contratto: dopo le SS.UU. della Cassazione si pronuncia l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (nota a A.P. Cons. di Stato n. 9/2008) (link a www.diritto.it).

APPALTI: F. Gaboardi, Note interpretative e di commento al d.lgs. n. 163/2006 (Codice degli appalti pubblici) (link a www.diritto.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: N. Tolfa, La nuova disciplina dell'accesso ai documenti amministrativi (link a www.diritto.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: B. Spatola, Accesso ai documenti amministrativi e riservatezza, riflessioni alla luce del nuovo codice della privacy e interventi giurisprudenziali (link a www.diritto.it).

LAVORI PUBBLICI: G. Vanacore, Cenni sulla responsabilità del custode ex art. 2051 c.c. con brevi riferimenti alla fattispecie di danni da caduta d’albero (link a www.diritto.it).

LAVORI PUBBLICI: G. Vanacore, Applicabilità dell'art. 2051 c.c. alla p.a. per omessa od insufficiente manutenzione di pubbliche vie: genesi di un orientamento in via di consolidazione (link a www.diritto.it).

GIURISPRUDENZA

EDILIZIA PRIVATA: Sull'annullamento del diniego di concessione edilizia e sul risarcimento del danno per aver illegittimamente denegato la concessione edilizia.
In tema di risarcimento del danno conseguente all’annullamento di un provvedimento amministrativo, la giurisprudenza ha affermato in via generale che manca il nesso di causalità tra l’illegittimità dell’atto lesivo ed il danno lamentato allorquando la pubblica amministrazione conserva integro l’ambito di apprezzamento discrezionale del provvedimento ampliativo richiesto e la possibilità di una legittima diversa determinazione (C.d.S., sez. V, 07.10.2008, n. 4868; 22.04.2004, n. 2994); ancor più decisamente (C.d.S., sez. IV, 15.07.2008, n. 3552) è stato precisato che, in caso di annullamento di un atto per vizi formali, che non intaccano sostanzialmente la discrezionalità dell’agire della pubblica amministrazione, non c’è spazio per alcun risarcimento del danno, poiché la pretesa alla legittimità (formale) del provvedimento viene adeguatamente ristorata attraverso l’eliminazione del vizio formale stesso, non avendo l’impugnata sentenza deciso nulla in ordine alla spettanza o meno del sottostante bene della vita. Con riguardo all’annullamento di un diniego di concessione edilizia, la giurisprudenza ha evidenziato che la nuova valutazione della domanda deve essere fatta con riferimento alla disciplina urbanistica vigente al momento in cui viene notificata al Comune interessato la sentenza di annullamento del diniego, venendo così in rilievo anche la nuova disciplina intervenuta nelle more del giudizio, e ferma restando la facoltà dell’interessato di chiedere all’amministrazione comunale di valutare una eventuale variante alla nuova disciplina urbanistica per consentire il pieno soddisfacimento della propria situazione giuridica ingiustamente lesa (A.P. 08.01.1986, n. 1). Deve essere aggiunto, poi, che, allorquando sussistano tutti i presupposti di legge, ed in particolare la conformità del progetto presentato alla vigente disciplina urbanistica, il Comune non può legittimamente denegare la concessione edilizia.
L’accertata illegittimità dei provvedimenti adottati dall'amministrazione non integra di per sé gli estremi di una condotta colposa, cui ricollegare automaticamente l'obbligo risarcitorio, dovendo a tal fine prendersi in considerazione il comportamento complessivo degli organi che sono intervenuti nel procedimento, il quadro delle norme rilevanti ai fini dell'adozione della statuizione finale, la presenza di possibili incertezze interpretative in relazione al contenuto prescrittivo delle disposizioni medesime, onde apprezzare se l'organo procedente sia incorso in violazione delle comuni regole di buona amministrazione, di correttezza, di imparzialità e buon andamento (ex pluribus, C.d.S., sez. VI, 21.02.2008; sez. IV, 10.08.2004, n. 5500; 19.12.2003, n. 8363). Tuttavia, nel caso di specie, il diniego di concessione edilizia in data 26.07.1985 non è stato determinato da oggettive difficoltà di individuazione o di interpretazione delle norme applicabili alla fattispecie concreta, ma da una pretesa (ed inammissibile) prevalenza degli indirizzi politico–programmatici in materia di disciplina del territorio, contenuti nella delibera consiliare n. 21 del 28.02.1984, al di fuori degli strumenti tipici previsti dall’ordinamento (adozione di una variante al vigente piano di fabbricazione ovvero adozione del piano regolatore generale) che soli avrebbero consentito l’applicazione di misure di salvaguardia (in cui consiste, in realtà, la ragione dell’illegittimo diniego).
Si è verificata, pertanto, una ingiustificata violazione dei canoni fondamentali di legalità e correttezza cui deve sempre ispirarsi l’azione amministrativa, secondo quanto stabilito dall’articolo 97 della Costituzione, senza che sussistano cause esimenti: non può qualificarsi come errore scusabile, ovvero errore in buona fede, quello commesso dall’amministrazione comunale all’atto dell’emanazione dell’illegittimo diniego, interpretando –in maniera assolutamente soggettiva- come immediatamente precettivi e vincolanti gli indirizzi programmatici contenuti nella ricordata delibera consiliare n. 21 del 28.02.1984
(Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 24.12.2008 n. 6538 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAE' illegittima la nomina di un membro della Commissione Comunale per l'Edilizia che sia imparentato col responsabile dell'Ufficio Tecnico.
Le cause di incompatibilità dei componenti degli organi collegiali attengono a rapporti, posizioni o situazioni che potrebbero influire sulla regolarità dell'esercizio delle pubbliche funzioni per un potenziale o effettivo conflitto di interessi fra due uffici o tra l'interesse personale e l'interesse pubblico, ovvero per il pericolo di coincidenza di interessi facilmente verificabile tra persone unite da vincoli di parentela, affinità, ecc..
La vigente legislazione nulla prevede espressamente circa specifiche cause di incompatibilità per i componenti di Commissioni Edilizie.
Va quindi preso a riferimento quanto disciplinato in generale dall’art. 78 del D.Lgs. 18.08.2000, n. 267, Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali ed i principi, anche di elaborazione giurisprudenziale, applicabili a tutti gli organi amministrativi, individuali e collegiali, in omaggio al precetto del buon andamento e dell'imparzialità della Pubblica Amministrazione, sancito dall'art. 97 della Costituzione.
L'art. 78, comma 2 e 3, d.lgs. 18.08.2000 n. 267, impone un obbligo di astensione, con conseguente illegittimità dell’atto in caso di sua violazione, tutte le volte in cui nella decisione da assumere vi sia un interesse proprio o di parenti ed affini sino al quarto grado. Così allo stesso modo impedisce ai membri di organi comunali, competenti in materia di urbanistica, di edilizia e di lavori pubblici, l’esercizio di attività professionale in materia di edilizia privata e pubblica nel territorio da essi amministrato.
In tal senso la norma, in piena rispondenza ai principi generali di imparzialità e buona amministrazione, è volta ad evitare che il soggetto chiamato a decidere abbia o possa avere uno specifico interesse, diretto od indiretto per il tramite di parenti o affini fino al quarto grado, nella materia oggetto delle sue decisioni.
La relazione di parentela o di coniugio esistente tra un organo che svolge una funzione consultiva e l’organo di amministrazione attiva determina un potenziale condizionamento dell'autonomia di giudizio che deve presiedere all'esercizio della funzione valutativa, in conformità dei surrichiamati principi di imparzialità e buona amministrazione, cristallizzati dall'art. 97 della Carta fondamentale.
Tale esigenza di evitare ogni possibile condizionamento di giudizio, derivante dalla stretta parentela con un componente di un organo consultivo ricorre necessariamente rispetto al Dirigente del competente ufficio urbanistico. Quest’ultimo è chiamato ad esercitare, nel nuovo ordinamento comunale improntato alla divisione delle funzioni di indirizzo politico ed amministrazione attiva ed all’accentramento dell’esercizio del potere di amministrazione in capo ai Dirigenti, importanti funzioni decisionali in materia.
Il rapporto di parentela in questione si rivelava potenzialmente idoneo a minare sia la serenità di giudizio del membro della Commissione Urbanistica Edilizia ricorrente, che non avrebbe avuto quella neutralità ed indipendenza dalla funzione di amministrazione attiva che i suoi compiti consultivi richiedevano, sia quella del Dirigente, che doveva assumere le sue valutazioni sulla base dei pareri espressi dalla commissione edilizia, eventualmente discostandosene.
Per la valorizzazione a livello normativo della necessità di esercizio sereno dell’attività volta ad un esito decisionale può venire in rilievo, seppure per analogia, la normativa sulle incompatibilità prevista dall'art. 19 del R.D. n. 12 del 1941 secondo cui “I magistrati che hanno tra loro vincoli di parentela o di affinità sino al secondo grado, di coniugio o di convivenza, non possono far parte della stessa Corte o dello stesso Tribunale o dello stesso ufficio giudiziario” o l’art.35 c.p.p. secondo cui “Nello stesso procedimento non possono esercitare funzioni, anche separate o diverse, giudici che sono tra loro coniugi, parenti o affini fino al secondo grado”.
In tal senso, pertanto, il rapporto di parentela del ricorrente con il Dirigente dell’ufficio urbanistico, seppure poteva essere discutibile si ponesse come ragione di vera e propria incompatibilità (con obbligo di astensione in capo al titolare), sicuramente costituiva un rilevate motivo di inopportunità rispetto all’incarico ricoperto, in grado di giustificare le revoca.
In tal senso non assume alcuna importanza la circostanza, segnalata dal ricorrente, che la ragione di inopportunità (rapporto di parentela) sussistesse già al momento della nomina perché tale fatto non è idoneo di per sé ad inficiare la regolarità della revoca bensì, semmai, sarebbe stata ragione per mettere in discussione la validità o la scelta di merito di opportunità dell’atto di conferimento dell’incarico
(TAR Abruzzo-Pescara, Sez. I, sentenza 24.12.2008 n. 1211 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZILa stazione appaltante deve tener conto, ai fini della determinazione del corrispettivo dell'appalto, del costo del lavoro come indicato nelle tabelle ministeriali.
La Sezione anche in questa sede richiama l’orientamento del TAR Lombardia, secondo il quale la P.A. “nel procedere alla determinazione delle condizioni economiche da porre a base d’asta, è tenuta a garantire un livello idoneo a consentire il rispetto del costo del lavoro risultante dalla contrattazione collettiva di categoria, riferito alle imprese che esercitano ordinariamente l’attività che costituisce oggetto dell’appalto”, in quanto “l’obbligo di assicurare parità di condizioni a tutti i partecipanti, impedisce di allestire un bando di gara che lasci liberi i concorrenti di formulare l’offerta facendo riferimento ad un CCNL di propria scelta” (TAR Lombardia–Milano, Sez. III, 06.11.2006, n. 2102).
Opina il Collegio di dover far propria siffatta tesi rilevando che irrefutabile è il dato che le società cooperative, a norma della lex specialis, erano ammesse a partecipare alla gara. Ne deriva che l’Amministrazione doveva tenere nel debito conto il costo del lavoro stabilito dalla contrattazione collettiva applicabile alle cooperative, non potendo consentire al singolo partecipante, di scegliersi il contratto collettivo, per poi parametrare il costo minimo e quindi il prezzo a base di gara, sul costo della manodopera stabilito dal contratto collettivo prescelto dal singolo concorrente, come nella specie vorrebbe il Comune.
Siffatta opzione introdurrebbe nel settore delle pubbliche gara un quoziente di disomogeneità ed aleatorietà, finendo per alterare sensibilmente la par condicio.
Tanto più ove si consideri che nel caso all’esame il costo del lavoro prescritto dalla contrattazione per le cooperative sociali è anche vantaggioso per l’Amministrazione, posto che le cooperative sociali beneficiano delle agevolazioni fiscali stabilite dalla legge (TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 11.12.2008 n. 3130 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ENTI LOCALINullo il contratto di locazione stipulato direttamente dal comune in violazione delle regole di trasparenza. Il comune che concede in locazione direttamente a un cittadino un immobile di proprietà senza indire un'apposita gara vìola le regole in materia di trasparenza dell'attività amministrativa e, per questo motivo, il relativo contratto deve considerarsi nullo.
E’ principio generale quello secondo cui anche in assenza di specifica disposizione normativa che imponga l’adozione di procedure concorrenziali per la selezione del contraente privato l’Amministrazione deve osservare i fondamentali canoni della trasparenza, dell’imparzialità e della par condicio.
In forza della Comunicazione della Commissione europea del 12.04.2000, richiamata e valorizzata dalla Circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri n. 945 del 01.03.2002, i principi dell’evidenza amministrativa vanno applicati, in misura proporzionata alla fattispecie, anche laddove difettino specifiche disposizioni che regolino puntualmente ed impongano l’espletamento di una procedura di gara, atteso che detti principi sono dettati in via diretta e self–executing dall’art. 81 del Trattato istitutivo dell’Unione Europea.
Viene in considerazione nel caso al vaglio del Collegio un contratto c.d. attivo, che procura un’entrata al Comune, rappresentata dai canoni di locazione. Tale circostanza non può peraltro condurre a ritenere sottratto ai principi descritti, l’affidamento del negozio. Militano in tal senso a livello ermeneutico, oltre che le norme della abrogata L. n. 2440/1923 e del R.D. n. 827/1924 recanti il corpus normativo della contabilità pubblica, che assoggettavano alla regola della gara sia i contratti passivi che quelli attivi, anche l’art. 27 del d.lgs. 16.04.2006, n. 163, il quale stabilisce che “l’affidamento dei contratti pubblici aventi ad oggetto lavori, servizi e forniture esclusi in tutto o in parte dall’applicazione del presente codice, avviene nel rispetto dei principi di economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità
Rammenta inoltre il Collegio che la giurisprudenza, anche nel regime ante codice, aveva statuito che “anche quando un soggetto pubblico non è direttamente tenuto all'applicazione di una specifica disciplina per la scelta del contraente, il rispetto dei principi fondamentali dell'ordinamento comunitario (ritraibili principalmente dagli art. 43 e 55 del trattato Ce), nonché dei principi generali che governano la materia dei contratti pubblici impone all'amministrazione procedente di operare con modalità che preservino la pubblicità degli affidamenti e la non discriminazione delle imprese, mercé l'utilizzo di procedure competitive selettive” (Consiglio Stato, Sez. VI, 15.11.2005, n. 6368).
Si era anche puntualizzato che “il contraente pubblico è obbligato a mantenere un contegno che, in relazione alla rilevanza economica della fattispecie, consenta a tutte le imprese interessate di venir per tempo a conoscenza dell'intenzione amministrativa di stipulare il contratto e di giocare le proprie "chances" competitive attraverso lo formulazione di un'offerta appropriata, così da favorire la più ampia partecipazione di aspiranti alle procedure selettive; e, pertanto, l'obbligo di seguire le norme di evidenza pubblica, ivi incluse quelle concernenti l'adeguata pubblicizzazione della selezione, è regola generale, valevole anche per i contratti c.d. "sotto soglia" (TAR Lazio Roma, Sez. I, 23.08.2006, n. 7375).
Più di recente altro Tribunale ha condivisibilmente affermato che “il principio di concorrenza e quelli che ne rappresentano attuazione e corollario, di trasparenza, non discriminazione e parità di trattamento (…) costituendo principi fondamentali del diritto comunitario, si elevano a principi generali di tutti i contratti pubblici e sono direttamente applicabili, a prescindere dalla ricorrenza di specifiche norme comunitarie o interne” (TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. II, sentenza 21.05.2008, n. 1978) (TAR Abruzzo-Pescara, Sez. II, sentenza 05.11.2008 n. 878 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Costruzione di edifici a risparmio energetico - Incentivi ex art. 1, c. 351, L. n. 296/2006 (Finanziaria 2007) - Comune - Obbligo dello scomputo del contributo statale dal prezzo di vendita dell’immobile - Illegittimità - Riduzione degli oneri di urbanizzazione condizionata allo scomputo del risparmio dal prezzo di vendita - Legittimità.
Le disposizioni di cui all’art. 1, c. 351, della L. 27.12.2006, n. 296 sono volte ad incentivare la costruzione di edifici con caratteristiche tali da consentire un significativo risparmio energetico, nell’ambito di una politica di contenimento dei costi sociali derivanti dall’inappropriato ed eccessivo uso di simili risorse. L’agevolazione economica è direttamente ricollegata alla realizzazione dei nuovi edifici, e quindi i beneficiari sono individuati nei soggetti che ne promuovono la costruzione, mentre nulla è previsto circa l’eventuale trasferimento del beneficio agli acquirenti, i quali concorrono a definire il corrispettivo della cessione del bene sulla base delle comuni regole del libero mercato, anche in ragione dei risparmi di spesa conseguenti al minore fabbisogno di energia; il che rende illegittima la decisione comunale che impone lo scomputo del contributo statale dal prezzo di vendita degli alloggi, in quanto l’Amministrazione locale incide così sul riparto di spese e incentivi, individuando di fatto un beneficiario diverso da quello indicato dalla normativa statale, che per il resto ha rimesso ogni ulteriore questione all’autonomia privata delle parti. Non è invece censurabile l’obbligo dello scomputo della somma corrispondente ai minori oneri che, in applicazione del regolamento comunale per il risparmio energetico, siano dovuti per le opere di urbanizzazione secondaria. L’Amministrazione comunale, infatti, introducendo il beneficio per favorire la c.d. “efficienza energetica” nelle abitazioni civili, ha legittimamente inteso stimolare i cittadini, con un risparmio di spesa, all’acquisto di alloggi aventi tali caratteristiche (TAR Emilia Romagna-Parma, Sez. I, sentenza 04.11.2008 n. 423 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTI: Per l'informazione "antimafia" sono sufficienti elementi indiziari.
La riduzione del potere discrezionale riconosciuto alla stazione appaltante in presenza di informative antimafia a carattere interdittivo deriva dall’esigenza di tutelare in via preferenziale la trasparenza e l’immunità del settore dei pubblici appalti rispetto a possibili fenomeni invasivi da parte della criminalità organizzata. È questo il principio in base al quale il TAR Campania ha rigettato il ricorso elevato avverso un’informativa prefettizia a carattere “interdittivo”, resa ai sensi dell’art. 4 del D.Lgs. n. 490/1994, con la quale era stato segnalato il pericolo di condizionamento mafioso di un operatore economico cui era stata affidata la realizzazione di alcuni lavori pubblici (TAR Campania-Napoli, Sez. I, sentenza 22.10.2008 n. 19674 - link a www.altalex.com).

EDILIZIA PRIVATAOneri di costruzione - Esenzione - Qualifica di Agricolo Professionale - Sopravvenienza - E' irrilevante.
La sopravvenienza della qualifica di Imprenditore Agricolo Professionale (IAP) o alla società non modifica la situazione e non costituisce neppure causa di esenzione per la parte del contributo di costruzione a suo tempo non corrisposta. Considerata la natura eccezionale della gratuità del permesso di costruire non è possibile ipotizzare una fattispecie a formazione progressiva che ne estenda la portata sotto il profilo temporale trasformando in gratuite fattispecie originariamente onerose. Questa conclusione risulta indirettamente confermata dal fatto che è invece prevista la perdita del beneficio della gratuità qualora le opere realizzate a fini agricoli cambino destinazione d'uso nei 10 anni dall'ultimazione dei lavori (v. art. 52 comma 3 della LR 12/2005 e art. 19 comma 3 del DPR 380/2001). Poiché il cambio di destinazione può essere determinato dalla cessazione dell'attività agricola, il cui svolgimento è necessario ai fini del mantenimento della qualifica di IAP, si può osservare che i fatti sopravvenuti rilevano solo quando fanno venire meno i presupposti (oggettivi o soggettivi) dell'esenzione. Rileva pertanto l'eventuale perdita della qualifica di IAP successiva al rilascio del permesso di costruire ma non l'acquisto tardivo (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, sentenza 17.10.2008 n. 1332 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIGara - Seduta di apertura delle buste - Principio di pubblicità - Necessità - Mancata comunicazione - Non è sanabile.
Il principio di pubblicità delle operazioni di gara deve necessariamente connotare la seduta fissata per l'apertura delle buste contenenti le offerte dei partecipanti alla gara stessa. Di conseguenza è obbligo del seggio di gara garantire ai concorrenti l'effettiva possibilità di presenziare allo svolgimento delle operazioni di apertura dei plichi pervenuti alla stazione appaltante. Tale effettiva possibilità di partecipazione alla seduta del seggio di gara costituisce garanzia posta a tutela, nel contempo, dell'interesse pubblico e di quello dei singoli partecipanti, i quali devono poter assistere direttamente allo svolgimento delle operazioni di verifica dell'integrità dei plichi ed all'identificazione del loro contenuto, e ciò a conferma della serietà della procedura concorsuale, ne consegue che, anche in assenza di specifiche previsioni della lex specialis, la violazione del principio di pubblicità indotta dalla mancata comunicazione ad uno o più concorrenti della data di svolgimento delle operazioni di apertura dei plichi contenenti le offerte costituisce vizio insanabile della procedura, il quale si ripercuote sul provvedimento finale di aggiudicazione, invalidandolo, anche ove non sia comprovata l'effettiva lesione sofferta dai concorrenti, trattandosi, come si è detto, di adempimento posto a tutela non solo della parità di trattamento tra gli stessi, ma anche dell'interesse pubblico alla trasparenza ed all'imparzialità dell'azione amministrativa, le cui conseguenze negative sono difficilmente apprezzabili ex post (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, sentenza 16.10.2008 n. 1329).

EDILIZIA PRIVATA1. Autorizzazione all'installazione di mezzi pubblicitari - Concessione del suolo pubblico e provvedimento autorizzatorio.
2. Interesse pubblico alla fruizione di spazi verdi - Interesse del privato all'esposizione di manufatti pubblicitari.

1. In mancanza di un espresso provvedimento di concessione di suolo pubblico, l'autorizzazione alla installazione dei mezzi pubblicitari non può formarsi per atto tacito, non potendo essa prescindere dalla suddetta concessione. L'installazione di mezzi pubblicitari su suolo pubblico postula un provvedimento di concessione dell'uso del medesimo, non bastando a tale scopo il solo provvedimento autorizzatorio. Infatti, l'autorizzazione all'esposizione dei mezzi pubblicitari e la concessione dell'uso del suolo pubblico presuppongono valutazioni differenti, essendo attinenti alla tutela di interessi pubblici diversi: il procedimento autorizzatorio si esaurisce nel giudizio di "non incompatibilità" dell'attività privata con l'interesse pubblico, mentre è solamente con il procedimento concessorio che ha luogo la valutazione della conformità di tale attività con il pubblico interesse.
2. Il Comune non irragionevolmente può attribuire maggior rilievo all'interesse pubblico alla fruizione degli spazi verdi, invece che a quello privato all'esposizione, ivi, di manufatti pubblicitari (v. TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, ord. 01.12.2004, n. 2969/2004) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. III, sentenza 13.10.2008 nn. 4734, 4735, 4736, 4737, 4738 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: ACQUE - Nozione di acque reflue industriali - Individuazione - Attività artigianali e da prestazioni di servizi.
Rientrano tra le acque reflue industriali quelle che possiedono qualità, necessariamente legate allo composizione chimica-fisica, diverse da quelle proprie delle acque metaboliche e domestiche [Cassazione Sez. III, n. 42932/2002, 19/12/2002, Ribattoni: "Nella nozione di acque reflue industriali rientrano tutti i reflui derivanti da attività che non attengono strettamente al prevalente metabolismo umano ed alle attività domestiche, atteso che a tal fine rileva la solo diversità del refluo rispetto alle acque domestiche. Conseguentemente rientrano tra le acque reflue industriali quelle provenienti da attività artigianali e da prestazioni di servizi"].
ACQUE - Acque reflue industriali - Definizione - Differenza dalle acque reflue domestiche - Art. 74, c. 1 lettera h) D. Lgs. n. 152/2006 - D. L.vo n. 258/2000 - Art. 2, lett. h) d.lgs. n. 159/1999.
L'art. 2, lettera h) del d.lgs. n. 159/1999, come modificato dal decreto legislativo n. 258/2000, [ora trasfuso nell'art. 74, comma 1, lettera h), del d. lgs. n. 152/2006] definisce "acque reflue industriali" qualsiasi tipo di acque reflue scaricate da edifici o installazioni in cui si svolgono attività commerciali o di produzioni di beni, diverse dalle acque reflue domestiche e dalle acque meteoriche o di dilavamento.
ACQUE - Refluo - Definizione e individuazione.
Il refluo deve essere considerato nell'inscindibile composizione dei suoi elementi, a nulla rilevando che parte di esso sia composta di liquidi non direttamente derivanti dal ciclo produttivo, come quelli delle acque meteoriche o dei servizi igienici, immessi in un unico corpo recettore [Cassazione Sezione III n. 13376, 18/12/1998, Brivio,].
ACQUE - Discipline degli scarichi - Scarico discontinuo di reflui - Scarico occasionale - Immissioni occasionali - Carattere temporaneo - D.L.vo n. 152/1999 - D. L.gs. n.258/2000.
In tema di discipline degli scarichi, mentre lo scarico discontinuo di reflui, sia pure caratterizzato dei requisiti dell'irregolarità, intermittenza e saltuarietà, se collegato ad un determinato ciclo produttivo, ancorché di carattere non continuativo, trova la propria disciplina nel decreto legislativo 11.05.1999 n. 152, e successive modificazioni, lo scarico occasionale, sia se effettuato in difetto di autorizzazione che con superamento dei valori limite, è privo di sanzione a seguito della eliminazione, ad opera dell'art. 23 del decreto legislativo 18.08.2000 n. 258, del riferimento alle immissioni occasionali precedentemente contenuto negli art. 54 e 59 del citato decreto n. 152 [Cassazione Sez. III n. 16720/2004, Todesco]. Quindi, quale che sia il suo carattere temporaneo, soltanto una condotta del tutto estranea alla nozione legislativa di scarico di acque reflue [le immissioni effettuate fuori dal ciclo produttivo senza il tramite di una condotta] non è soggetta alla preventiva autorizzazione perché ogni immissione diretta tramite un sistema di convogliabilità ovvero tramite condotta, è sottoposta alla disciplina di cui al decreto legislativo 11.05.1999 n. 152 [Cassazione Sezione III n. 14425/2004, Lecchi, e n. 16717, Rossi] (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 09.10.2008 n. 42529 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTI: S. Lazzini, Non è consentito all’impresa cessionaria l’automatico subentro nei contratti stipulati dall’impresa cedente ancorché non abbiano carattere personale.
Cessione intera di Azienda, è vero che automaticamente l’impresa acquirente subentra anche nei contratti pubblici in essere? O invece è corretto che la Stazione appaltante rescinda dal proprio obbligo e aggiudichi l’appalto ad altra impresa, in osservanza del capitolato speciale, che stabilisce il divieto di cessione del contratto?
La società cessionaria di azienda non può subentrare automaticamente nella posizione della società cedente, per le caratteristiche di infungibilità del contraente in quanto individuato attraverso un procedimento concorsuale di tipo garantistico, volto a selezionare, attraverso l’ampia partecipazione delle imprese interessate, il soggetto più qualificato sulla base dei requisiti soggettivi ed oggettivi posseduti.
Da ciò la corretta interpretazione dell’art. 32 del capitolato, il cui contenuto, preclusivo di ogni tipo di cessione, è desumibile, oltretutto, anche dal suo contenuto letterale, (divieto di cessione da parte della ditta aggiudicataria “neanche parzialmente”), espressione che preclude ogni interpretazione che lasci spazio a qualsivoglia autonomo effetto traslativo della posizione contrattuale.
Non rileva, infine, l’asserito vizio di difetto di partecipazione, in quanto il richiamato divieto di effetti traslativi del contratto preclude la necessità di qualsivoglia obbligo partecipativo in favore dell’appellante in ordine all’ulteriore affidamento del servizio nei confronti di altra società (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 07.10.2008 n. 4865 - link a www.diritto.it).

APPALTI: S. Lazzini, E’ consentita la richiesta di sottoscrizione per accettazione del capitolato speciale, da parte dei legali rappresentanti di tutte le imprese raggruppate,con la previsione dell’obbligo di provvedere alla sottoscrizione di ogni pagina in aggiunta alla sottoscrizione in calce ed in calce ai sensi dell’art. 1341, capoverso, c.c.(cd clausole vessatorie).
E’ illegittima l’ammissione alla procedura di un raggruppamento, constando in atti che la sottoscrizione delle singole pagine del capitolato speciale è stata effettuata esclusivamente dall’impresa capogruppo del raggruppamento costituendo mentre le mandanti hanno provveduto alle sole sottoscrizioni in calce che si è visto essere inidonee a rispettare la lettera delle regole di gara ed a soddisfare la ratio che le anima?

Il raggruppamento andava escluso: la Sezione reputa quindi fondato il motivo di ricorso incidentale con il quale si lamenta la violazione da parte della ricorrente principale, delle prescrizioni recate dalla disciplina di gara che impongono la sottoscrizione del capitolato speciale di appalto per accettazione, da parte di ogni impresa facente parte di un raggruppamento temporaneo, in ogni pagina, in calce nonché in calce ai sensi dell’art. 1341 del codice civile.
La Sezione osserva infatti che l’obbligo, a pena di esclusione, della sottoscrizione in ogni pagina del capitolato da parte di tutte le imprese facenti pari del raggruppamento è, in termini non equivoci, desumibile dal combinato disposto del par. 4, punto V, del disciplinare, che sanziona con la non ammissione la mancata sottoscrizione del capitolato, e del par. 1, punto A2, dello stesso disciplinare, ove, in sede di declinazione delle modalità di presentazione delle offerte, si stabiliscono le modalità di sottoscrizione per accettazione da parte dei legali rappresentanti di tutte le imprese raggruppate con la previsione dell’obbligo di provvedere alla sottoscrizione di ogni pagina in aggiunta alla sottoscrizione in calce ed il calce ai sensi dell’art. 1341, capoverso, c.c.. [In ogni caso non hanno effetto, se non sono specificamente approvate per iscritto, le condizioni che stabiliscono, a favore di colui che le ha predisposte, limitazioni di responsabilità (1229), facoltà di recedere dal contratto (1373) o di sospenderne l'esecuzione, ovvero sanciscono a carico dell'altro contraente decadenze (2964 e seguenti), limitazioni alla facoltà di opporre eccezioni (1462), restrizioni alla libertà contrattuale nei rapporti coi terzi (1379, 2557, 2596), tacita proroga o rinnovazione del contratto, clausole compromissorie (Cod. Proc. Civ. 808) o deroghe (Cod. Proc. Civ. 6) alla competenza dell'autorità giudiziaria] (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 07.10.2008 n. 4862 - link a www.diritto.it).

EDILIZIA PRIVATAInstallazioni pubblicitarie - Fissazione di limiti e divieti - Atto di natura regolamentare.
Il potere discrezionale in ordine alla fissazione dei criteri e dei limiti che le installazioni pubblicitarie devono rispettare per essere compatibili con il pubblico interesse deve essere speso attraverso la predisposizione di un atto di natura regolamentare. Per non incorrere nel rischio di determinazioni tra loro contrastanti, l'amministrazione non può decidere, caso per caso, con criteri che possono variare per ogni singola autorizzazione, quali installazioni rispondano al decoro architettonico e quali, invece, no.
Per garantire l'uniformità delle decisioni, i limiti ed i divieti a salvaguardia di tale interesse devono essere fissati con carattere di generalità nel suddetto regolamento (salvo che si tratti di immobili sottoposti a vincoli paesistici o monumentali, per i quali opera il generale divieto previsto dall'art. 153 del codice dei beni culturali) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. III, sentenza 06.10.2008 n. 4713 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATASostituzione recinzione - DIA - Realizzazione in assenza - Rilievo - Formale - Sanatoria in via ordinaria - Ammissibilità.
La sostituzione della recinzione o di un cancello con modalità innovative non rientra nell'attività edilizia libera ma già richiedeva una preventiva autorizzazione ex art. 7, co. 2, lett. a), D.L. 9/1982 conv. in L. 94/1982, mentre oggi è necessaria una D.I.A. ex art. 22, co. 1, D.P.R. 380/2001, per consentire al Comune di valutare le conseguenze dell'opera sul territorio, peraltro, se il cancello non è vietato dagli strumenti urbanistici e non comporta violazione di vincoli paesistico-ambientali o di altra natura la mancanza di autorizzazione/DIA ha rilievo solo formale ed è sanabile in via ordinaria (art. 10 e 13 L. 47/1985; art. 37, co. 1, e 4 D.P.R. 380/2001); di conseguenza la recinzione o il cancello abusivo possono essere oggetto di un ordine di rimozione solo nel caso in cui contrastino con la disciplina urbanistica e con i vincoli presenti sul territorio (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, sentenza 02.10.2008 n. 1142).

EDILIZIA PRIVATA: L'ordinanza di demolizione di opere abusive non necessita di specifica motivazione.
Come ripetutamente affermato in ambito giurisprudenziale, l’ordine di demolizione di opera edilizia abusiva si configura come atto dovuto per il quale non esiste uno specifico obbligo di motivazione oltre la descrizione dell’abuso commesso e la sua identificazione oggettiva (cfr. ex multis CdS, Sez. IV, N. 2705/2008).
In caso di ordinanze di demolizione, l’obbligo di motivazione è dunque da intendere assolto con l’indicazione dei meri presupposti di fatto (constatazione dell’esecuzione di opere in difformità del permesso di costruire o in assenza del medesimo), che valgono, di per se stessi, a giustificare l’applicazione delle corrispondenti misure sanzionatorie previste direttamente dal legislatore (TAR Campania-Napoli, Sez. II, sentenza 26.09.2008 n. 11309 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI FORNITURE E SERVIZI: S. Lazzini, A sua discrezione la stazione appaltante può scegliere fra il prezzo più basso e l’offerta economicamente più vantaggiosa: devono sempre però essere rispettata la realizzazione di una effettiva concorrenza tra i partecipanti alle gare pubbliche, giusta l’evoluzione della giurisprudenza comunitaria.
Se una Stazione appaltante decide, per un appalto da affidarsi con il criterio del prezzo più basso, di affidare comunque l’aggiudicazione ad un’apposita Commissione, valgono comunque le norme di cui all’articolo 84 del Codice dei contratti pubblici (che invero si occupa degli appalti da affidare con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa)?

Appare consequenziale che solo all’esercizio della discrezionalità tecnica valutativa propria del sistema della “offerta economicamente più vantaggiosa” deve ritenersi correlata la prescrizione cautelativa del comma 10 dell’art. 84 cost. in ordine alla costituzione della Commissione dopo la scadenza del termine per la presentazione delle offerte, non configurandosi tale esigenza per il sistema del “prezzo più basso” in ragione della rilevata automaticità della scelta, che rende indifferente, ai fini della regolarità della procedura concorsuale, il momento di nomina della Commissione giudicatrice, ferma restando la necessaria applicazione dei principi generali di buon andamento e imparzialità dell’attività della Commissione e di indulgenza dei componenti della stessa.
La precitata disposizione dell’articolo 84, comma 10, deve essere quindi riferita esclusivamente allo specifico sistema di gara e non può, in ragione della sua specificità e della conseguente sua natura di stretta interpretazione, assumere valenza di principio generale in materia. Né il fatto che l’Amministrazione abbia ritenuto di nominare una Commissione giudicatrice –pur non essendo nella specie a ciò tenuta– comporta, ex se, la consequenziale applicazione della disciplina introdotta dalla speciale procedura postulata dall’articolo 84, operando implicitamente i soli canoni generali di regolazione dei procedimenti concorsuali  (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 23.09.2008 n. 4613 - link a www.diritto.it).

LAVORI PUBBLICI: S. Lazzini, In caso di falsi certificati di lavori, e’ inevitabile l’invalidità dell’attestazione SOA, a prescindere dall’accertamento delle responsabilità eventualmente sussistenti al riguardo.
E’ l’irrilevanza l’eventuale estraneità dell’impresa alla falsificazione dei documenti al fine di scongiurare l’annullamento della certificazione Soa l’impresa ha diritto a riqualificarsi?

la falsa dichiarazione (o certificazione) ricadente sui requisiti per il conseguimento dell’attestazione di qualificazione è un fatto di tale gravità da essere di per sé ostativo all’ottenimento (o mantenimento) dell’attestazione. Pertanto, nell’ambito del procedimento di controllo ex art. 14 del D.P.R. n. 34/2000, sono irrilevanti eventuali deduzioni delle imprese tese a sostenere l’ininfluenza dei certificati lavori non confermati dai soggetti emittenti nonché, in ogni caso, l’estraneità all’alterazione dei certificati stessi. Infatti, ciò che rileva nel procedimento di controllo de quo, è il fatto oggettivo della falsità dei documenti sulla base dei quali è stata conseguita la qualificazione, indipendentemente dal numero e dalla entità dei falsi e da ogni ricerca sulla imputabilità soggettiva dell’alterazione.
Invero, l’attestazione deve basarsi su documenti autentici e non può rimanere in vita se basata su atti falsi, quali che siano i soggetti che hanno dato causa alla falsità; in tali circostanze l’attestazione va, dunque, annullata la non imputabilità della falsità all’impresa che ha conseguito l’attestazione, se non rileva ai fini del mantenimento dell’attestazione stessa comunque oggettivamente invalida per falsità dei presupposti, acquista invece rilevanza ai fini del rilascio di una nuova attestazione, in quanto “in caso di falso non imputabile, ai sensi dell’art. 17, lett. m), D.P.R. n. 34 del 2000, sussisterà il requisito di ordine generale di non aver reso false dichiarazioni circa il possesso dei requisiti richiesti per l'ammissione agli appalti e per il conseguimento dell'attestazione di qualificazione” (TAR Lazio-Roma, Sez. III, sentenza 16.09.2008 n. 8349 - link a www.diritto.it).

URBANISTICAVincolo espropriativo - Reiterazione - Obbligo di motivazione - In caso di difformità dall'opera originaria - Sussistenza.
Ai fini della reiterazione di un vincolo espropriativo, l'obbligo di motivazione non viene meno per la parziale difformità dell'opera pubblica prevista rispetto alla localizzazione originaria: la prospettiva da cui viene osservata la situazione è, infatti, quella del proprietario che in conseguenza del vincolo subisce una limitazione all'esercizio dei suoi diritti. Sotto questo profilo è irrilevante che il vincolo originariamente posto per un'opera sia reiterato per un'opera diversa, e a maggior ragione sono irrilevanti le modifiche introdotte nel tempo alla stessa opera, sia che riguardino le modalità realizzative sia che interessino la localizzazione. Diversamente sarebbe sufficiente reiterare il vincolo con qualche variazione per qualificare sempre la fattispecie come prima previsione ed eludere l'obbligo di motivazione (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, sentenza 16.09.2008 n. 1041 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: S. Lazzini, Risulta doverosa l’esclusione di un’impresa la cui offerta è pervenuta in una scatola il cui lato sottostante si presenta chiuso mediante intersecazione dei lembi di cartone della scatola stessa, per cui la confezione è praticamente aperta?
A fronte della prescrizione di gara secondo la quale “Per essere ammessa a gara la concorrente dovrà presentare all’indirizzo e nei termini innanzi indicati un plico ermeticamente sigillato con ceralacca e firmato sui lembi di chiusura” risulta doverosa l’esclusione dell’impresa in quanto "i lembi sottostanti della scatola, non essendo stati preincollati in sede di fabbricazione ma semplicemente sovrapposti per intersecazione, devono essere riguardati come lembi ancora aperti, da richiudere mediante sigillatura a cura del concorrente" in adesione al consolidato orientamento giurisprudenziale, che in materia di contratti della pubblica amministrazione, per lembi di chiusura di un plico devono intendersi i lembi ancora aperti, che vanno ad aggiungersi a quelli (eventualmente) già chiusi dal fabbricante del plico stesso mediante operazione di preincollatura (TAR Campania-Napoli, Sez. III, sentenza 12.09.2008 n. 10097 - link a www.diritto.it).

APPALTI FORNITURE E SERVIZI: S. Lazzini, Aggiudicazione con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa: è più corretto fare riferimento alla “offerta maggiore”, e non all’incremento maggiore.
Anche ammettendo che l’art. 83, comma 5, del D. Lgs. n. 163/2006 lasci libertà alle stazioni appaltanti di stabilire il criterio di valutazione dell’offerta economica, in conformità con quanto previsto dal considerando 46 della Dir. n. 2004/18/CE, va rilevato che in una gara in cui il prezzo a base d’asta non è elevato (54.000,00 Euro) risulta più ragionevole un metodo di calcolo del punteggio per l’offerta economica che non comporti una posizione eccessivamente recessiva della valutazione del progetto tecnico: il metodo utilizzato dalla commissione comporta rilevanti differenze di punteggio a fronte di non rilevanti differenze di prezzo ed, in presenza di una disposizione di non chiara lettura, è preferibile optare per una interpretazione che conduce ad un criterio di valutazione più ragionevole e maggiormente conforme alle richiamate norme di legge (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 11.09.2008 n. 4348 - link a www.diritto.it).

EDILIZIA PRIVATA1. Nuova costruzione - Nozione - Permanenza - Materiali - Non rilevano - Carattere di stagionalità, temporaneità, periodicità - Assenza.
2. Manutenzione straordinaria - Nozione - Normativa statale e regionale - Differenze - Finalità - Rinnovare e sostituire parti strutturali di edifici esistenti - Necessità - Creazione di superfici e volumi - Inammissibilità.

1. Un manufatto deve essere considerato nuova costruzione quando introduce una modifica stabile del territorio. Il carattere permanente di tale modifica non si misura in base alla stabilità delle opere (come avviene quando i materiali utilizzati non siano amovibili con mezzi ordinari) ma in base alla funzione svolta nel tempo dalla nuova struttura. La modifica del territorio può quindi essere realizzata anche con materiali amovibili o modulari ma se manca qualsiasi elemento di stagionalità, temporaneità o periodicità nella presenza in loco della nuova struttura si ricade per esclusione nella categoria della nuova costruzione.
2. Gli interventi edilizi non perdono la qualificazione di nuova costruzione per il solo fatto di essere collegati a un altro edificio: per qualificare una nuova opera come manutenzione straordinaria è necessario che sia evidente e prevalente la finalità di rinnovare e sostituire parti strutturali di edifici già realizzati. Solo la normativa statale prevede che la manutenzione straordinaria non possa alterare i volumi e le superfici esistenti (art. 3, comma 1, lett. b, del DPR 380/2001), mentre tale limitazione non è inserita nella normativa regionale (art. 27, comma 1, lett. b, della LR 12/2005), ma la creazione di nuove superfici e nuovi volumi (tranne nel caso di realizzazione e integrazione dei servizi igienico-sanitari e tecnologici, eccezione espressamente codificata) non può mai essere considerata come un'operazione neutrale rispetto alla consumazione del territorio. Dunque per quanto stretta possa essere la relazione tra la nuova struttura e l'edificio esistente la manutenzione effettuata su quest'ultimo non può giustificare la realizzazione di opere esterne con creazione di superfici e volumi (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, sentenza 10.09.2008 n. 990 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: S. Lazzini, Il parere del TAR Milano sulla necessità di impugnare gli atti amministrativi al fine di ottenere il risarcimento del danno in caso di dichiarata loro illegittimità (cd pregiudiziale amministrativa”).
La domanda risarcitoria per lesione di interessi legittimi può essere esperita anche a prescindere dall’impugnazione dell’atto amministrativo lesivo? In altri termini, la domanda risarcitoria relativa alla illegittima aggiudicazione del quinto lotto del servizio di assistenza domiciliare ad altra impresa può essere ritenuta fondata a prescindere dalla impugnazione della aggiudicazione di tale lotto e del suo conseguente annullamento giurisdizionale?
Il Tar Milano non ha dubbi e conferma l’idea che la domanda risarcitoria sia consequenziale all’accertamento in via principale della illegittimità dell’atto che avviene nell’ambito del giudizio di annullamento (TAR Lombardia-Milano, Sez. III, sentenza 12.08.2008 n. 3647 - link a www.diritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: S. Lazzini, Qual'è la finalità di una garanzia fideiussoria presentata a fronte della richiesta di una concessione edilizia?
Va nel contempo ricordato, sulla portata della polizza fideiussoria, che essa non ha certamente valenza sostitutiva degli obblighi di cessione gratuita di aree ed oneri di urbanizzazione bensì la naturale finalità di garanzia per la effettiva realizzazione degli interventi prescritti (e cioè, per la “realizzazione del piano esecutivo convenzionato di libera iniziativa a destinazione residenziale) (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 31.07.2008 n. 3836 - link a www.diritto.it).

APPALTI: S. Lazzini, Per i giudici di appello siciliani, va eliminata la clausola di una polizza cauzioni provvisoria per la quale “se il contraente non risulta aggiudicatario … la società si intende senz’altro liberata".
Richiesta di durata di garanzia provvisoria fino a 30 giorni dopo l’aggiudicazione: è legittimo escludere un’impresa la cui cauzione provvisoria preveda <Se il contraente non risulta aggiudicatario dell’appalto indicato in polizza, la Società si intende senz’altro liberata dagli obblighi assunti ed il premio pagato resterà integralmente acquisito alla Società>? E' sufficiente che la garanzia preveda la propria operatività < garanzia opera sino alla liberazione del contraente>?
La polizza non è conforme alla richieste della lex specialis di gara. Brevemente occorre ricordare che la fidejussione provvisoria ha la funzione di garantire la Stazione appaltante nei confronti di qualsiasi ragione di danno emergente nella fase della procedura e, secondo il DM n. 123 del 2000, sino a trenta giorni dopo l’aggiudicazione. Ciò non significa che la Stazione, ove lo ritenga, cioè ove non ravvisi ragioni di danno nei confronti dei partecipanti non aggiudicatari, non possa liberarli, rectius possa rinunciare alla garanzia, anche prima dei trenta giorni e, dunque, prima della scadenza dell’impegno contrattale del fidejussore.
Tale liberazione, tuttavia, è appunto discrezionale, vale a dire costituisce una scelta della Stazione effettuata dopo avere valutato se, concretamente, i partecipanti siano incorsi in fatti illeciti che abbiano causato un danno. Il fatto concreto che la ricorrente non si trovasse nelle condizioni di essere aggredita per un risarcimento, e che dunque sia stata liberata al pari degli altri partecipanti, costituisce un fatto dipendente dalla volontà della Stazione nella gestione delle proprie ragioni creditorie che non incide sulla funzionalità del contratto fidejussorio, e quindi sulle caratteristiche che esso doveva avere al momento della partecipazione alla gara.
Conducendo alle estreme conseguenze paradossali il ragionamento dell’appellante, si dovrebbe ammettere che, anche in totale mancanza della polizza fidejussoria, se la procedura si concludesse senza alcuna ragione di danno da parte della Stazione appaltante, il partecipante privo della polizza potrebbe affermare la legittimità del suo comportamento perché, di fatto, la garanzia non ha avuto modo di operare. Il che è palesemente assurdo e induce l’infondatezza della prospettazione dell’appellante. Resta definitivamente accertato, quindi, che la validità della fidejussione deve essere giudicata in astratto ed indipendentemente dalle effettive vicende contrattuali successive.
Sotto altro profilo l’articolo 2.1 delle condizioni generali di polizza, nel precisare che la garanzia opera sino alla liberazione del contraente, non è sufficiente per attribuire all’obbligo contrattuale della Società una scansione temporale ulteriore rispetto alla aggiudicazione, atteso che la successiva clausola 2.2, come si è visto, esplicitamente lega la scadenza dell’obbligo alla non aggiudicazione.
Le due clausole, lette congiuntamente, possono essere interpretate nel senso che la seconda limiti la prima, anche in virtù della natura evidentemente speciale del punto 2.2 rispetto al punto 2.1. Del resto, se tale non fosse stata la volontà contrattuale della società assicuratrice, non vi sarebbe stato alcun bisogno di introdurre la dizione “Se il contraente non risulta aggiudicatario … la Società si intende senz’altro liberata” atteso che, anche in mancanza di tale dizione, l’obbligo contrattuale sarebbe rimasto inalterato sino alla “liberazione del contraente” (clausola 2.1) e comunque nei limiti temporali e nei limiti sostanziali del danno cagionato durante le procedure di gara. Sembra quindi evidente che la clausola, per non risultare priva di alcun significato, debba essere interpretata nel senso dello spirare dell’obbligo al momento della aggiudicazione ad altro concorrente. La capziosità di essa, lungi dal richiedere un chiarimento da parte della Stazione durante le fasi concorsuali, consiglierebbe piuttosto la sua espunzione de futuro (C.G.A.R.S., sentenza 11.06.2008 n. 517 - link a www.diritto.it).

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